Rewriting of Evangelion - Requiem

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7° Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8° Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***


1° CAPITOLO
Il tunnel era piuttosto largo e buio, le pareti umide e  piene d’infiltrazioni d’acqua, mentre grosse pozzanghere occupavano  quasi interamente il pavimento in cemento armato.
Una leggera nebbia  era nell’aria e sembrava un predatore in attesa della sua preda, ossia  l’uomo con indosso una tuta nera, uno zaino e il volto coperto da un  passamontagna, che si aggirava all’interno della galleria ormai  abbandonata.
Non aveva una torcia, bensì un visore a infrarossi, che ai suoi occhi faceva apparire il mondo attraverso una lente rossa.
All’interno  del visore era inserita anche una mappa digitale del luogo, e a un  certo punto dentro tale mappa cominciò a pulsare un puntino rosso.
L’uomo tirò fuori dallo zaino un fucile spara-rampini e mirò verso l’alto.
I rumori lievi dello sparo e del rampino che si attaccava a qualcosa rimbombarono nel vuoto della galleria.
Al suo gancio era attaccata una corda piuttosto sottile, che adesso penzolava davanti a lui.
Lo  sconosciuto, grazie a dei guanti muniti di ventose, riuscì ad  arrampicarcisi senza problemi, fino ad arrivare al punto dove si era  agganciato il rampino, una grata bianca che fungeva da termine per un  condotto verticale, stretto ma non troppo.
Con una boccetta d’acido, lo sconosciuto sciolse la serratura della grata, che si aprì verso il basso.
Stavolta dallo zaino furono tirate fuori quattro grosse ventose, due per le mani e due per le ginocchia.
Grazie ad esse, l’uomo poté lasciare la corda e infilarsi nel condotto, restando poi attaccato alle sue pareti interne.
In  caso di fallimento lo avrebbe atteso un volo di almeno venti metri,  forse non letale ma certamente doloroso, e la galleria abbandonata  sottostante, usata in passato per i lavori di costruzione di quel  quartiere generale sotterraneo, non era certo il luogo migliore dove  rompersi una gamba.
Dopo qualche minuto di arrampicata in stile uomo  ragno, finalmente fu in vista l’uscita del condotto, chiusa da una  seconda grata, di colore nero.
Al di là di essa, s’intravedeva un’illuminazione artificiale.
L’arrampicatore  si fermò a un metro di distanza, usando le ventose delle ginocchia come  perno, riuscì ad appoggiarsi con la schiena alla parete dietro di lui e  si liberò le mani lasciando attaccate le ventose a quella davanti.
Grazie  al visore, vedeva la protezione della grata, consistente in un reticolo  di laser invisibili in condizioni normali, e sapeva anche che quei  laser non erano come quelli dei musei, che fanno solo scattare gli  allarmi.
Quei laser, oltre a questo, tagliavano anche, di netto: un  oggetto solido che vi fosse passato attraverso si sarebbe trasformato in  tanti pezzettini simili a coriandoli.
Per questo l’intruso tirò  fuori dallo zaino prima un oggetto di forma cilindrica, così piccolo da  poter stare nel palmo della mano, e poi una bacchetta, anche’essa molto  sottile.
Sulla sommità della bacchetta lo sconosciuto inserì il  cilindretto, poi premette un minuscolo pulsante del primo oggetto, che  iniziò silenziosamente ad allungarsi verso l’alto.
La bacchetta si  rivelò essere un’asta telescopica, che raggiunse il reticolato e lo  superò passando attraverso i suoi piccolissimi spazi vuoti, fermandosi  infine alle soglie della grata.
L’uomo premette un altro pulsante,  sul suo visore, e la sua visuale cambiò a metà, diventando sulla destra  come quella di uno schermo televisivo, affiancato alle immagini  dell’infrarosso: il cilindretto era una minitelecamera.
Le immagini a  destra mostravano un corridoio, ricoperto interamente da lastre di  marmo nero, mentre le luci erano in fila sul soffitto.
Ma se le informazioni ricevute erano esatte, in quelle luci erano mimetizzate anche delle telecamere di sorveglianza.
Grazie ad un magnete inserito, il cilindretto rimase attaccato alla grata quando l’asta rientrò.
L’intruso la rimise a posto ed estrasse dal suo zaino un congegno rettangolare con sopra un pulsante e un display.
Fissò l’oggetto alla parete, attivandolo, e sul display apparve la scritta ‘3:00’, che iniziò a diminuire.
L’uomo riprese le ventose delle mani, dopo aver preso da un taschino quella che sembrava una piccola bomboletta spray.
Quando  il conto alla rovescia terminò, il congegno sulla parete emise un lieve  bip, e contemporaneamente nella mente dell’uomo scattò l’ordine di  partenza.
Si arrampicò velocemente, raggiunta la grata spruzzò sui  suoi bordi il contenuto della bomboletta, ed essi sfrigolarono per un  istante. L’acido usato non emetteva fumo, poiché nei corridoi c’erano  sensori antincendio molto sensibili.
Con la spinta del braccio, l’intruso aprì la grata ed entrò nel corridoio, richiuse la griglia e si appoggiò a una parete.
Batté per tre volte su un punto del muro, che si aprì scorrendo di lato e rivelando la presenza di una stanza.
“Uff,  i cari, vecchi stanzini per le pulizie, non mancano mai”, commentò  l’uomo togliendosi il passamontagna quando la porta scorrevole si  richiuse: era Rioji Kaji.
Non poté non notare che persino l’ingresso  di quello stanzino era mimetizzato e con un’apertura particolare, quindi  chissà quanto erano protetti i punti importanti di quel luogo.
Guardò l’orologio: non doveva perdere altro tempo.
Il  detonatore elettromagnetico che aveva attaccato al muro aveva emesso un  ridotto impulso energetico capace di far cortocircuitare i sistemi  elettronici nel raggio di cinque metri.
Però l’effetto era breve e  dopo quattro minuti tutto ricominciava a funzionare come prima, inclusa  la telecamera che sapeva essere stata nascosta anche in quello stanzino.
Nel  caso delle telecamere, l’impulso era stato calibrato, chissà con quali  calcoli, in modo da bloccare l’immagine fino a quando non finiva  l’effetto: la versione aggiornata del classico trucchetto della foto  piazzata davanti all’obiettivo.
Ed era una versione realizzata da una cellula dei servizi segreti della Nerv, formata e comandata esclusivamente da Gendo Ikari.
Quest’ultimo  d’altronde era l’unico che poteva procurarsi la fedeltà assoluta della  migliore scienziata Nerv, Ritsuko Akagi, a sua volta l’unica in grado di  penetrare nei computer della Seele senza lasciare traccia, e  procurandosi così gli schemi tecnici completi, e segretissimi, della  base di coloro che nell’ombra comandavano il mondo.
La Nerv si era ormai ribellata al suo creatore.
Ma nonostante questo, restava sempre creatura, quindi non poteva fare tutto.

****
“Lei è davvero sicuro che dietro a tutto ci sia la Seele?”
Alla domanda di Rioji, Gendo non si scompose.
“Non  ho detto questo. Io non penso che si tratti di un piano alternativo di  quei vecchi, perché nulla di simile è contemplato nelle Pergamene del  Mar Morto. I vecchi smetterebbero persino di respirare se ciò fosse  indicato in quei rotoli. Perciò c’è il rischio che ci sia un terzo  giocatore”.
“E allora cosa c’entra la Seele?”
“La Seele non è  l’organizzatrice dell’eventuale terzo piano, però potrebbe essere  all’origine di chi l’ha organizzato. Difficilmente a questo mondo può  esistere qualcosa di segreto senza che quei vecchi ne sappiano almeno  qualcosa. Dobbiamo scoprire se c’è e di cosa si tratta”.
Kaji si accese una sigaretta. “Quella Mari Makinami non ha detto nulla?”
“Non  credo sia affidabile. Ha detto di essere sola, e di non avere alcuna  memoria delle sue origini, quindi di non saper neppure spiegare le sue  capacità. Le ha e basta. Ha passato l’infanzia in un orfanotrofio in  America, poi ne è uscita e si è fatta una vita in Giappone. Tiene al  Fourth Children perché le sta molto simpatica. Forse dice la verità o  forse no. Lei mi ha assicurato che le cose stanno così. Anche il test  della macchina della verità le dà ragione. Ma può funzionare su un  simile soggetto? All’orfanotrofio confermano di averla trovata nel 2005  che vagabondava per le strade. Insomma, non c’è nulla che vada oltre il  mero sospetto”.
“E in quali computer della Seele sarebbe, forse, la risposta definitiva sull’effettiva presenza di un terzo giocatore?”
“Non  in quelli normali”, rispose Gendo alzandosi e andando ad ammirare il  panorama del Geo-Front dalle pareti-finestre del suo ufficio.
Quell’azione  sorprese Kaji, dato che il comandante sembrava capace di parlare solo  stando seduto con le mani intrecciate davanti alla bocca.
“Ti sto per  rivelare un segreto, Kaji. Devi sapere che nella base principale della  Seele esiste una zona segreta, posta al centro, che si può considerare  come il suo cuore. Neppure io l’ho mai vista. D’altronde la Seele mi ha  fatto venire nella sua sede solo una volta, per sancire l’alleanza. Ed è  già tanto, perché per Fuyutsuki non è stato così, fummo io e Yui a  garantire per lui. Ma sto divagando. Dicevo, quella zona è segreta, ed  io ne so l’esistenza perché me ne parlò Yui tanti anni fa,  raccomandandosi di non dirlo a nessuno. La Seele, infatti, non vuole  neppure che si sappia dell’esistenza di tale sezione. A lei fu permesso  di visitarla una sola volta, perché i vecchi le fecero vedere le  Pergamene del Mar Morto, in modo da ottenerne la fedeltà. Tuttavia Yui  non poté fornirmi dettagli sull’ubicazione perché fu bendata durante il  tragitto”.
Gendo si girò e scrutò Kaji.
“Lì sono custoditi i veri  segreti della Seele”, riprese il comandante. “Gli altri segreti, quelli  che noi conosciamo, sono informazioni che i vecchi sono disposti a  condividere con pochi altri, a determinate condizioni. I segreti di  quella zona, invece, solo la Seele li deve conoscere. Quindi se i nostri  creatori c’entrano qualcosa con le origini di Mari Makinami, la  risposta è in quella sezione. Tuttavia non è possibile accedervi con gli  strumenti moderni, è del tutto isolata. E’ necessaria un’incursione  vecchio stile”.
“E avete pensato a me perché sono la vostra spia migliore”, continuò Kaji.
“Esatto. Tu hai dimestichezza con la Seele, perciò sai come muoverti nel loro territorio. Accetti?”
“E’ una domanda retorica?”
“Ovviamente”.
“Lei  mi conosce bene, comandante. Sa che il mio desiderio di conoscere la  verità è tale che sono pronto a sfidare anche l’ignoto”.
“Precisamente.  Stiamo già approntando tutto il necessario per farti entrare di  nascosto nel quartier generale della Seele. Ricorda che il tragitto lo  conosciamo solo fino ad un certo punto. Dopo dovrai arrangiarti”.
“Sono abituato ad arrangiarmi”, rispose prontamente Kaji andandosene.
Gendo lo osservò uscire, poi andò a sedersi alla sua scrivania.
“Ti  conosco bene, Kaji”, pensò rimettendosi nella sua posa classica. “Così  come ti conoscono bene quelli della Seele. Quindi, se ti scopriranno,  sarà facile incolparti dicendo che hai agito di testa tua”.


****
“Il  comandante mi userà come capro espiatorio nel caso qualcosa vada  storto. Però la posta in gioco vale l’essere sfruttati”, considerò Kaji  rammentando la discussione avuta con Gendo Ikari il giorno dopo la  battaglia col 14° Angelo. In quel momento, con le ventose si arrampicava  sul soffitto dello stanzino.
Mimetizzata, c’era una nuova grata che portava a un condotto per l’aerazione.
“Un altro classico immancabile”.
Sapeva che anche in quella griglia c’era il reticolato laser, disattivato dall’impulso elettromagnetico.
Con l’acido la aprì ed entrò, richiudendola pochi attimi dopo che l’effetto elettromagnetico cessasse.
Ora  però veniva la parte più difficile: senza avere una meta precisa,  avrebbe dovuto girare per i condotti d’aerazione alla ricerca della  misteriosa sezione segreta.
Inoltre sapeva che anche nei condotti  c’erano laser e telecamere, entrambe coprivano tratti di dieci metri,  intervallati da un metro libero nel quale lui avrebbe potuto  rannicchiarsi quando doveva fermarsi.
Si era portato una bella scorta  di emettitori elettromagnetici, però doveva pure fare attenzione a non  esaurirli tutti, altrimenti non avrebbe potuto tornare indietro.
“Davvero una bella comodità”, mormorò cominciando la sua lenta avanzata a intervalli di quattro minuti.

****

“Entri l’imputata!”, ordinò una rossa figura incappucciata in piedi su un alto scranno.
Una porta si aprì, e apparve un’altra figura incappucciata, di colore marrone, che s’inginocchiò davanti alla prima.
“Eccomi al tuo giudizio”, dichiarò.
“Sorella,  ti sei macchiata di gesti altamente sconsiderati. Ti rendi conto che ti  sei fatta scoprire dal ribelle e hai rischiato di farci scoprire dai  padri?”, accusò la figura rossa.
“Chiedo perdono, fratello maggiore.  Però è proprio per tutelare i vostri piani che ho agito in quel modo. I  piloti di Evangelion sono necessari per sconfiggere gli angeli”.
“Per la Nerv, i piloti degli Evangelion sono sostituibili in continuazione. Non era necessario salvare quella ragazza”.
La persona accusata non seppe cosa rispondere.

Fuori dalla porta, due ragazze, molto belle e formose, discutevano tra di loro.
Indossavano  tutte lo stesso abito: giacca rossa con gonna, body nero, stivaletti  marroni e lunghe calze nere che arrivavano poco sopra le ginocchia,  lasciando scoperte le cosce.
Inoltre, avevano entrambe gli occhi di colore rosso sangue.
“Lucifer,  secondo te cosa le farà?”, domandò una delle ragazze, con lunghi  capelli castani, che sembrava piuttosto in apprensione.
L’altra aveva  i capelli neri, lunghi e lisci, e rispose scostandosene altezzosa una  ciocca: “Tsk. Sicuramente la punirà duramente. Magari distruggendo il  40% della sua materia cerebrale. Anche se detto tra noi, Mammon, dubito  che quella lì abbia abbastanza cervello. Certo io ne ho più di tutti”.
“Non  dire così della sorellona. Viene subito dopo il fratellone. Merita  rispetto. Certo che sono lì dentro già da un po’. Sono un po’  preoccupata per lei. E’ cosi meritevole. Gliene starà dicendo di tutti  i…”
La porta si aprì all’improvviso, facendole sobbalzare entrambe.
La  figura marrone uscì con passo calmo e si tolse il cappuccio,  squadrandole, poi il suo sguardo si addolcì un po’ osservando Mammon.
Quest’ultima la abbracciò. “Sorellona! Stai bene?”
L’interpellata le accarezzò la testa, per poi rivolgersi a Lucifer. “Dov’è Asmodeus?”
“E’ andata a fare un lavoretto di spionaggio”, spiegò annoiata.
“Un lavoretto di spionaggio? Vuoi dire che…”
“Si! Asmodeus forse oggi perderà la verginità con un bel tipo!”
“E tu, sorellona, com’è andata?”, insistette Mammon.
“Una  semplice lavata di capo. Siamo ad un passo dalla meta ed è necessario  l’appoggio di tutte. D’altronde io il mio lavoro lo faccio, e lo faccio  da anni, al contrario di qualcun altro entrato in azione solo da pochi  mesi”.
“Tu sei bravissima, però anche il nostro lavoro è di qualità”, rispose Lucifer.
“Il fratello maggiore è tornato al suo teatro”, comunicò infine la sorella assolta prima di svanire.

Mari Makinami aprì gli occhi.
Era ancora nella sua cella improvvisata, bloccata su quella croce.
“Dunque non sono riuscita a convincerlo. Ha mandato qualcuno lo stesso. Poveretto”, pensò mestamente.

****

Nel  suo ufficio il comandante Ikari insieme al suo vice, Fuyutsuki, leggeva  dei documenti arrivatigli tramite un computer portatile.
“Allora è questo il segreto che riguarda Mari Makinami”, commentò Fuyutsuki.
Gendo  annuì. “Esattamente. Quella ragazza è l’unica superstite del progetto  Adamiti, sviluppato dalla Seele insieme al progetto Eva”.
Fuyutsuki  lesse con grande interesse quegli appunti. “A quanto pare nel 2001 la  Seele avviò un programma per creare degli esseri umani potenziati,  adatti a pilotare gli Evangelion. I piloti nati normalmente erano  considerati troppo difficili da trovare, quindi si ritenne una cosa  migliore crearli su misura. Questo li avrebbe resi più capaci e  controllabili, esseri umani con capacità fisiche e intellettive  nettamente superiori a quelle di qualunque persona normale. Quei vecchi  sostengono che non si deve creare un dio, ma poi non perdono l’occasione  per giocare a quel ruolo”.
“Hai ragione", assentì Gendo per poi riprendere la lettura. "Questi esseri andavano  creati ingravidando donne selezionate con un seme modificato  geneticamente e creato prelevando campioni organici da altri individui  selezionati. Entrambi i genitori biologici erano inconsapevoli di  appartenere a un esperimento della Seele, questo per non creare troppi  testimoni”.
Fuyutsuki sospirò. “Chissà a quante madri hanno mentito,  dicendo che i loro figli e figlie erano morti, mentre invece li aveva  prelevati la Seele per allevarli come cavie da laboratorio. E chissà  quanti padri inconsapevoli ci sono nel mondo.
Ma anche la Seele  risente dei limiti della tecnologia, e cosi, mentre noi al Gheirn  ammucchiavamo Eva fallimentari uno sull’altro, loro invece ammassavano  individui sfigurati geneticamente. La maggior parte dei bimbi non  sopravvisse che pochi mesi, alcuni riuscirono a crescere ma col passare  del tempo mostrarono segni di squilibrio mentale e impazzirono. Mentre  altri ebbero un'incredibile crescita fisica, accompagnata però da  scarsissimo sviluppo dell’intelligenza: ragazzi alti almeno due metri,  che avevano sviluppato in modo naturale un fisico da culturista, ma con  la mente di un infante. Altri ancora ebbero un corretto sviluppo  intellettivo ma anche un corpo troppo debole e malaticcio. Su tutti  questi soggetti ritenuti ‘fallimentari’, gli scienziati della Seele  eseguirono diversi esperimenti per capire cosa non andasse. Mio Dio, che  orrore!”
“Però”, aggiunse Gendo, “un gruppo di questi adamiti sembrò  mostrarsi all’altezza delle aspettative. Erano otto ragazze e un  maschio. Eccellente sviluppo fisico unito ad un eccellente sviluppo  mentale. Sembrava fatta. Li sottoposero anche a una crescita accelerata  in modo da averli pronti per il 2015. E anche qui tutto andò liscio”.
“Per questo”, osservò Fuyutsuki, “quella Makinami risulta di almeno quattro anni più grande dei nostri Children”.
“Ma  nel 2005”, continuò il comandante Ikari, “un incendio distrusse  l’istituto dove gli adamiti erano custoditi. Degli esemplari riusciti,  non sopravvisse nessuno, anche se furono ritrovati e identificati otto  corpi, sette femmine e il maschio. Di quelli non riusciti, rimase un  gruppo di forzuti minorati”.
“Quindi l’ottava femmina scomparsa è la nostra ospite”.
“Così  sembra, e sembra davvero che sia l’ultima in circolazione. D’altronde  qui c’è scritto che i forzuti sono morti sei mesi fa, uccidendosi a  vicenda in preda ad un raptus di follia”.
“Allora di adamiti è  rimasta solo lei, anche perché l’incendio all’istituto diede il colpo di  grazia all’intero progetto. La Seele, infatti, stanca di perdere tempo e  risorse in un progetto che aveva dato più fallimenti che successi,  sospese tutto. Si dedicò alla ricerca di piloti tra le persone normali,  soggetti più rari ma anche più stabili e meno dispendiosi”.
Gendo  sembrò soddisfatto. “Molto bene. Kaji ha compiuto la sua missione, si è  intrufolato in un supercomputer interno della Seele, irraggiungibile  anche dai Magi perché all’occorrenza scollegato dalla rete mondiale, e  ha trovato tutte queste informazioni”.
“Che ne è di Kaji?”
“La  Seele lo aveva scoperto e lo stavano inseguendo. Ha fatto appena in  tempo a mandarmi queste informazioni. Penso che ormai sia morto”.
“Poveraccio. In fondo era un bravo ragazzo”. Fuyutsuki appariva davvero dispiaciuto.
“Ora  devo cominciare a prepararmi per l’incontro che il presidente Keel mi  chiederà sicuramente domani. Sospetterà subito che Kaji era in missione  per conto mio. Quel vecchio è davvero prevedibile”, concluse Gendo.

Kaji non riusciva a muoversi.
Era  steso per terra, sul pavimento di una casa diroccata e abbandonata da  chissà quanto tempo, ed era legato come un salame e imbavagliato.
Chi  l’aveva legato era stato molto abile, e il colpevole era una ragazza  bionda, più o meno dell’età dei Children, con i capelli biondi raccolti  in due lunghe code ai lati della testa.
Indossava uno strano saio nero.
La  misteriosa ragazza chiuse il computer portatile col quale Kaji aveva  cercato di trasmettere le sue informazioni al comandante Ikari.
La  spia della Nerv c’era riuscita, era riuscita ad accedere al cuore della  base della Seele: un immenso cubo nero situato dentro una gigantesca  grotta sotterranea, grande la metà del Geo-Front.
Il cubo era completamente isolato, perché incredibili generatori magnetici lo tenevano sospeso a mezz’aria.
L’accesso  avveniva tramite veicoli volanti, dei piccoli aerei ad atterraggio e  decollo verticali, che andavano e venivano da una piattaforma retrattile  posta su una parete del cubo.
Kaji viaggiando nei condotti di  aerazione aveva raggiunto l’hangar delle navette, ma purtroppo era stato  scoperto mentre cercava di salire su una di esse.
Grazie ad una  bomba fumogena era sfuggito alle guardie nascondendosi di nuovo nei  condotti di aerazione, e facendo il percorso inverso era persino  riuscito ad uscire dalla base della Seele.
Aveva raggiunto quella casa per comunicare le poche cose scoperte a Ikari.
Il tempo di attivare il portatile, di inserire il suo codice, scritto e vocale, d’identificazione.
Ed un istante dopo la giovane lo aveva aggredito.
Non poteva essere un caso, chissà da quanto tempo lo aveva pedinato, senza che lui si accorgesse di niente.
Kaji aveva cercato di difendersi, ma era stato steso con un singolo, fulmineo, calcio al viso.
Ripresosi, si era ritrovato legato e ora si chiedeva chi fosse quella misteriosa nemica.
Era forse un super agente della Seele?
Ma in quel caso, perché non lo aveva ancora ucciso?
E soprattutto, come mai aveva spedito lei stessa delle informazioni a Ikari?
Se  era al servizio della Seele, così ossessionata dal mantenimento dei  suoi segreti, non avrebbe dovuto semplicemente riferire alla Nerv che  non aveva scoperto nulla?
La ragazza si voltò verso Kaji. “Mm, quanto  sei carino. Davvero eccitante. Non immagini che voglia ho di sbatterti  sopra e sotto. Purtroppo non posso farlo. Perché gli uomini dei  vecchiacci stanno venendo qui per ucciderti, e questa dovrà essere la  versione ufficiale per i vecchiacci: Rioji Kaji, spia della Nerv, tenta  una sortita nella loro base, si fa scoprire e viene ucciso senza aver  comunicato alcunché. Mentre per Gendo Ikari la versione dovrà essere che  ti sei fatto scoprire, hai fatto in tempo a inviargli delle  informazioni che confermano e completano la versione di quella scema di  Mari. E poi sei stato ucciso. Mi dispiace, sei un tipo molto sexy, ma  gli ordini del fratellone non si discutono”.
La ragazza con una mano gli tolse il bavaglio e con l’altra gli strappò le corde con un unico gesto.
Kaji reagì subito dandole alcuni pugni in pieno volto.
La spia della Nerv era un uomo forte, in quei pugni ci mise tutta la sua forza.
Eppure lei incassò senza colpo ferire.
“Ora  tocca ad Asmodeus”. Divertita la ragazza prese Kaji per una spalla e  sollevandolo come se fosse una bambola, lo mandò a sbattere  violentemente contro il soffitto.
Kaji ricadde a terra dolorante.
“Bye”, lo salutò lei saltando agilmente giù da una finestra.
Kaji  fece appena in tempo a rialzarsi che decine di uomini armati e in tuta  mimetica nera fecero irruzione nella stanza con le armi spianate.
“Misato… mi dispiace”, fece in tempo a pensare l’uomo.
Poi il rumore di raffiche di mitra riempi l’aria della notte.

Asmodeus si allontanava correndo allegramente ad una velocità incredibile.
“Hihihihihi! Mi dispiace solo che dovrò attendere ancora prima di avere un ragazzo!”

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° CAPITOLO
“Ripresa test tra dieci secondi”.
All’annuncio dato dalla voce di Maya Ibuki, Shinji rispose con un sospiro rassegnato.
Erano già al quindicesimo tentativo.
“Va bene, riattivare i contatti!”, ordinò la dottoressa Ritsuko Akagi.
Non successe niente, l’interno dell’Entry Plug dello 01 restò tremendamente buio e silenzioso, e nella sala di controllo della gabbia, la scienziata non nascose una certa irritazione.
“E’ inutile, inutile! Il tasso di sincronia di Shinji è zero, anzi, zero spaccato. Come se non fosse mai esistito. Non avrei mai pensato che potesse succedere proprio a lui!”
“Eppure fisicamente sta bene”, osservò Maya.
“Certo che sta bene, è sano come un pesce. Il problema è di natura psicologica e non riesco a decifrarlo”.
Erano al quarto giorno da quando Shinji aveva deciso di tornare alla Nerv, la dottoressa aveva pensato che con quella decisione il ragazzo avesse risolto i suoi problemi interiori quanto bastava per riacquistare la sua sincronia.
Invece niente, e contando i giorni precedenti, avevano già fatto ottanta tentativi.
Ritsuko aveva controllato ogni dettaglio della connessione, sottoposto il ragazzo a numerosi test mentali e visite di ogni tipo, e non riusciva a venirne a capo.
“Quanto è frustrante, e questo è solo uno dei tanti problemi che abbiamo. Le riparazioni del Geo-Front e di Neo-Tokyo 3 richiederanno almeno tre settimane, lo 01 è inutilizzabile, perché sia il dummy che Rei non vengono più accettati. Se un angelo ci attaccasse adesso, rischieremmo davvero grosso”.
“Forse potrebbe risolvere il problema del Third Children chiedendo aiuto al maggiore Katsuragi”, propose allora la giovane operatrice. “Certamente lei è molto in confidenza con Shinji, potrebbe risolvere questo misterioso problema psicologico”.
“Misato ha deciso di concedersi adesso quella vacanza che non si era mai presa prima”.
Quella notizia per Maya fu una vera sorpresa.

Nella stanza si era diffuso un forte odore di chiuso, le finestre erano sbarrate, il pavimento ingombro di lattine di birra.
Misato sedeva a gambe incrociate sul suo futon.
Sapeva che non poteva continuare per sempre in quel modo, che doveva reagire, per non sprecare l’eredità che le era stata consegnata, per non abbandonare Shinji, Asuka e Rei. Come pure Mari e Mana.
Insomma, troppe persone potevano aver bisogno di lei, lo sapeva benissimo.
Eppure non riusciva a smettere di bere, perché ogni volta che sembrava passata, poi sentiva gli occhi riempirsi ancora di lacrime.
“Stupido! Sei solo un dannato stupido!”
Finì un’altra lattina buttandola via, quindi ne prese un’altra.
Non le importava che quelle birre fossero calde.

Richiuso l’armadietto, Shinji si sforzò di non pensare nuovamente a quella frase, e per l’ennesima volta non ci riuscì.
“Che ci faccio ancora qui?”
Dopo aver dato ascolto al signor Kaji, ora stranamente sparito, aveva pensato che forse poteva ancora avere qualcosa da fare alla Nerv.
Ma il suo tasso di sincronia era completamente sparito, nonostante lui si concentrasse fino a farsi venire le rughe sulla fronte.
E a dispetto di quello che aveva visto la sera del suo ritorno, non c’erano stati cambiamenti di sorta nell’atteggiamento di Asuka, che lo trattava in maniera fredda e scostante, come al solito.
Anzi, da quando aveva saputo che non riusciva più a pilotare l’Eva, era diventata ancora più aggressiva.
“Sei qui, idiota!”
Shinji non trasalì neppure.
“Ho appena finito di cambiarmi, Asuka”.
La ragazza a grandi passi gli andò incontro, fermandosi proprio davanti a lui con le gambe aperte e le mani sui fianchi. “Me ne sono accorta, stupi-Shinji. Credi che sia cieca?!”
“Certo che no”.
“Non si può mai sapere con uno stupido come te! D’altronde il fatto che tu non riesca più a pilotare l’Eva, non è forse sinonimo della tua idiozia? Neppure l’Evangelion ti vuole più”.
Asuka allontanò bruscamente Shinji mettendogli una mano sul petto e si avviò verso l’uscita.
“Tsk, scommetto che da domani rinuncerai pure a provare ancora con i test, vero? Un rammollito come te non sa cos’è la perseveranza”, continuò lei dandogli le spalle.
“Hai ragione. Penso che mollerò”.
La ragazza si fermò: “In che senso dici che mollerai?”
“Me ne vado. Ormai non ci sono più motivi per cui io resti qui”.
Asuka si girò osservandolo con occhi furiosi, si avvicinò nuovamente a Shinji e gli diede un pugno in faccia talmente forte da farlo cadere a terra.
“Ahia!”, esclamò lui.
Senza dire niente, Asuka uscì a grandi passi dallo spogliatoio.
“Accidenti, ma cosa le è preso?”, si domandò Shinji rialzandosi e massaggiandosi la guancia colpita.
Qualcuno gli mise un fazzoletto bagnato proprio lì.
“Chi?... Ayanami!”
Il pilota dello 00 lo fissava con il suo sguardo impenetrabile e freddo, così distante da quel gesto di gentilezza.
Restando in silenzio, Rei guidò delicatamente la mano di Shinji fino al fazzoletto in modo che lo reggesse da solo.
Poi andò anche lei verso l’uscita e alla soglia della porta si fermò.
“Ikari, ti va di venire a bere qualcosa con me?”, propose senza girarsi.
“Eh? Uh… sì, va bene”, rispose l’altro, stupito più che dalle parole, dalla loro provenienza.
Tanto più che Ayanami nell’ultimo periodo sembrava spesso assente, come se stesse in un altro mondo.

Lo spaccio in quel momento era deserto, Shinji e Rei stavano seduti uno affianco all’altro a un tavolo.
Lui aveva preso un’aranciata, lei un the freddo, entrambi in lattina.
Rei non sembrava avere qualcosa da dire, Shinji invece era troppo confuso, e bevve più volte la sua bibita per riempire quel silenzio.
La domanda arrivò improvvisa e impassibile: “Ikari, perché non riesci più ad attivare la sincronia?”
“Non… non lo so”.
“Lo sai benissimo, invece”.
“No che non lo so”, ribatté lui accigliandosi. “Io voglio pilotare, mi concentro, eppure non succede nulla”.
“E’ per via di quello che è successo con lo 04”.
Shinji s’irrigidì. “Non… credo. Cioè, sono qui”.
“Non è questo. Tu hai paura di salire ancora sull’Eva”.
“Intendi dire che ho paura di fare del male a qualcun altro com’è successo allora? In effetti è possibile”.
“Non si tratta solo di quello”.
Shinji la guardò sorpreso e perplesso. “E cos’altro potrebbe esserci?”
Ayanami, che fino ad allora aveva parlato guardando sempre davanti a sé, si girò per fissarlo attentamente negli occhi. “Causa ed effetto, Ikari. La tua paura attuale, che ti fa soffrire così tanto, è l’effetto. Devi cercare di capire qual è la vera causa”.
“E… e come posso fare?”
“Questo può dipendere solo da te”.
A quel punto accadde una cosa strana: Rei mise una mano su quella di Shinji, facendolo arrossire.
“Ti prego… capisci”, gli disse con un lontano fondo di speranza nella voce.
“Ayanami… io…”
“Ehi tu!”
Una borsa finì in faccia a Shinji.
“Asuka?!”, esclamò lui con la faccia adesso rossa per un altro motivo.
La Second Children lo fissava con occhi di fuoco: “Sei davvero un tipo incorreggibile! Anziché cercare di recuperare la sincronia, fai il farfallone con la First!”
“No, non è vero”, si difese lui, che fu afferrato per un orecchio e trascinato via, sotto lo sguardo impassibile di Ayanami.

“Ehm… ma che ci facciamo nelle piscine?”
Le piscine, tre vasche rettangolari una affiancata all’altra, erano state montate dentro il Geo-Front per svolgere test, allenamento, terapie o anche semplici svaghi.
Shinji era stato costretto ad indossare un costume modello pantaloncino mentre la sua coinquilina era ancora negli spogliatoi a cambiarsi.
“Uffa, cosa avrà escogitato adesso?”
“Shinji!”, lo chiamò Asuka.
Lui si girò e rimase senza fiato: Asuka indossava un costume rosso a due pezzi che metteva estremamente in risalto il suo corpo splendido, che appariva molto più formoso di quello delle sue coetanee.
La ragazza aveva con sé anche un sacchetto di carta.
“Maniaco! Non guardarmi in quel modo!”, esclamò coprendosi il petto con le braccia.
“Se si mette in imbarazzo allora perché indossa costumi di quel tipo?”, pensò il ragazzo.
Asuka indispettita andò alla piscina più lontana, sembrò tirare fuori qualcosa dal sacchetto e iniziò a mangiare, forse panini preconfezionati.
“Asuka, è pericoloso mangiare panini e poi fare il bagno”.
“Sta zitto! Tu sei qui solo per farmi da pubblico!”
“Pubblico?”
“Sì, la bellezza del mio stile risalta ancora di più se c’è qualcuno che mi guarda”.
Quando ebbe finito di mangiare, buttò il sacchetto in un cestino lì vicino e si tuffò, cominciando a nuotare sotto lo sguardo di Shinji.
Da un lato il giovane Ikari si vergognava a fissare quella splendida ragazza, e per questo si era avvicinato senza superare la piscina di mezzo.
Dall’altro lato però i suoi occhi erano come calamitati da quel corpo che fendeva sinuoso l’acqua e non poteva quindi non lanciargli diversi sguardi interessati, quasi che una misteriosa forza lo costringesse a guardare.
“Accidenti”, pensò, “che razza di tipo che sono. Me ne sto qui ad osservare Asuka e non sono andato a trovare Mana nemmeno una volta nell’ultima settimana. E’ vero che per questioni di sicurezza deve restare isolata, neppure la signorina Misato è riuscita a vederla. Ma trattandosi di una persona che ho…”. Shinji rabbrividì. “Dovrei pensare a lei costantemente, e invece no. E penso anche di sapere il perché: non l’ho ancora perdonata. Ce l’ho ancora con lei. Dopo tutto quello che le ho fatto. E’ mostruoso! Asuka fa bene a maltrattarmi, anzi, è il minimo”.
“Shinji, aiuto!”, gridò a un tratto Asuka.
Il giovane si ridestò dai suoi pensieri.
Vide la sua compagna annaspare e agitare le braccia.
“Mi fa male lo stomaco! Aiutami!”, gridò ancora quasi disperata.
“Oh no!”, esclamò Shinji.
D’istinto provò a tuffarsi, per poi bloccarsi quasi ad un pelo dall’acqua: lui non sapeva nuotare!
Se si fosse tuffato, qualcuno avrebbe dovuto salvare anche lui.
Allora andò al bordo della piscina e tentò di afferrare la ragazza, che purtroppo era al centro della vasca e non riusciva ad avvicinarsi.
“Asuka, cerca di resistere, chiamo qualcuno!”
Col cuore in gola corse dagli inservienti che si trovavano all’ingresso delle piscine, ed essendo lì proprio per emergenze del genere, accorsero subito insieme a Shinji.
Trovarono la piscina vuota, e i tre inservienti guardarono il ragazzo.
“Vi giuro che era in acqua! Diceva che stava male e poco prima aveva mangiato!”, spiegò confuso e agitato.
Gli uomini della Nerv allora osservarono le piscine, poi uscirono per perlustrare i locali circostanti.
Shinji invece rimase lì, pieno d’interrogativi.
”Ehi, imbecille!”, lo chiamò una voce femminile veramente irritata.
La voce proveniva da dietro di lui e non appena si girò, un cestino dei rifiuti piombò sulla testa.
“Idiota! Mille volte idiota!!”, gridò furente Asuka andandosene.
Shinji si tolse il cestino dalla testa, guardandosi intorno smarrito.
Poi vide le carte per terra e riconobbe il sacchetto di Asuka, però vedendo le altre carte si accorse che non si trattava di confezioni per panini: era semplice cartaccia.
Dunque aveva solo finto di mangiare, e allora aveva anche fatto finta di stare male.
“Accidenti, che scherzo. Si vede che mi odia. Ma una nullità come me se lo merita”.

Shigeru Aoba e Makoto Hyuga stavano raccogliendo i dati sulle riparazioni della base della Nerv e della soprastante città.
Non essendoci angeli, e vista la condizione d’emergenza, per compiere i lavori erano stati utilizzati anche quegli operatori che altrimenti avrebbero dovuto svolgere altri mansioni.
“Riceviamo conferma che le lastre blindate sono state ripristinate dalla prima all’undicesima”, comunicò Shigeru.
“Linee d’artiglieria E-22 e F-50 riattivate al 65%”, riferì Makoto, che si sfogò: “Cavolo, speriamo che nessun angelo ci attacchi adesso. Sarebbero guai grossi”.
“Andiamo, un po’ d’ottimismo. Cioè, combattiamo per la salvezza dell’umanità. Ci meritiamo un po’ di fortuna, no?”, lo consolò l’altro.
“Secondo il servizio meteo, sta arrivando un temporale. Forse un cattivo segno”.
“Non diventarmi superstizioso”.
“Non lo sono. Però noi combattiamo degli esseri chiamati angeli”.
“Touchè”.

Rivestitosi, Shinji tornava a casa da solo, mentre le nuvole, in lontananza, minacciavano pioggia.
Neo-Tokyo 3 era tutta un cantiere a cielo aperto.
Anche di gente se ne vedeva poca in giro.
A causa dei danni, molte persone avevano dovuto trasferirsi, troppi i palazzi civili danneggiati o distrutti.
Shinji si sentiva pieno di conflitti: cosa doveva fare con Asuka?
Qualche giorno fa sembrava che si fosse preoccupata per lui e ora invece lo trattava come una pezza da piedi.
Cosa avrebbe potuto fare per Mana?
Pur sapendo cosa l’era successo, non riusciva a perdonarle di aver infranto il loro patto.
Perché Ayanami se ne era uscita con quello strano discorso?
Che cosa lui non riusciva a capire?
“Dai, tienila ferma”.
“No, ho paura che mi morda. Tienila ferma tu”.
“Fate silenzio e tenetela ferma tutti e due. Io devo fare il cappio”.
Tre bambini, vicini a un muretto poco più avanti, erano uno di fronte all’altro e sembravano armeggiare con qualcosa che tenevano in mano.
Buttando distrattamente un’occhiata, Shinji vide cosa stavano facendo.
Con un cordino, forse un filo da bucato, stavano creando un cappio, che poi infilarono intorno al collo di una lucertola che si dimenava disperatamente.
“Ok, ora stringi!”, ordinò uno dei tre.
“Vediamo quanto ci mette a morire”, disse eccitato un altro.
“Ehi, fermi!”, esclamò Shinji.
I tre lo guardarono sorpresi e seccati.
“E perché?”, domandarono insieme.
“Non si seviziano gli animali!”
“Ma questa è solo una lucertola”, replicò uno dei tre cominciando a tirare il cappio.
“Ho detto di fermarvi!”, gridò Shinji avvicinandosi con ampi passi e dando uno schiaffo sulla mano di quello che reggeva la lucertola.
La quale cadde a terra e si defilò guizzando come una saetta.
“Uffa, ma perché? Non stavamo facendo nulla di male!”, protestò il ragazzino colpito.
“Ma non capite?”, continuò Shinji. “E’ sbagliato perché…”
Shinji si fermò: aveva cominciato a capire, e un fulmine sembrò squarciare il velo che fino ad allora aveva avuto davanti agli occhi.
Tuttavia non era solo una sua impressione, perché un vero fulmine attraversò il cielo.
Subito dopo cominciò a piovere e i bambini scapparono via.
Il quasi ex-pilota invece rimase fermo, iniziando ad inzupparsi.
Aveva capito!
Aveva capito perché Mana aveva rotto il patto.
“Dio mio, cosa le ho fatto? E come ho fatto a non capirlo prima? Altro che arrabbiato con lei! Ha fatto benissimo! Sono solo un’idiota, anzi, un bastardo!”
Improvvisamente risuonarono gli allarmi nella città, un suono abbastanza forte da destarlo dai suoi pensieri.
“Un altro angelo!”

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° CAPITOLO

Gli schermi del quartier generale della Nerv erano illuminati di rosso, e grazie ad un collegamento satellitare, arrivò l’immagine del nemico: posto in orbita intorno alla Terra, ed esattamente sopra il Giappone, c’era un essere di pura luce e dalla forma indefinita. Le uniche parti in qualche modo riconoscibili erano quelle che sembravano due ali spiegate.

“Il nemico non dà alcun segno di attività!”, comunicò Shigeru Aoba.

“Dannazione, si trova così in alto che nessuna arma può arrivarci”, commentò Makoto.

“Non potremmo usare le bombe N2 orbitali, come abbiamo fatto col 12° Angelo?”, domandò Maya.

Shigeru inoltrò via computer la richiesta al comando delle Nazioni Unite, e la risposta arrivò rapidamente, accigliandolo. “Le nazioni unite riferiscono di non averne a disposizione attualmente”.

“Che cosa?! Dopo tutto il tempo passato dalla prima volta, ancora non si sono riorganizzati?!”, sbottò Makoto.

Shigeru fece spallucce. “Dicono che inserire delle testate N2 su dei missili da lanciare in orbita è molto, troppo costoso, e siccome da quando è cominciata la guerra contro gli Angeli, i soldi vanno usati con parsimonia, hanno stillato una scaletta delle priorità. Le bombe orbitali stanno in fondo”.

Makoto e Maya scossero la testa. “Evviva la burocrazia”.

Ritsuko osservava il tutto in silenzio, mentre arrivarono Gendo e Fuyutsuki in cima alla loro torretta di comando.

“Riferire situazione”, ordinò il comandante.

“Il 15° Angelo è apparso nell’orbita terrestre, signore. Al di là della portata delle nostre armi”, rispose Shigeru.

Gendo assunse la sua solita posa. “Potremmo…”

“Ikari”, gli sussurrò il suo vice in un orecchio, “non è troppo presto?”

“Nel contesto attuale, hai ragione. Dottoressa Akagi”.

Ritsuko guardò in direzione di Gendo, sapendo già cosa voleva. “Potremmo usare il fucile a positroni impiegato per l’operazione Yashima. Abbiamo migliorato la gittata, i tempi di ricarica e l’alimentazione. Possiamo avere la stessa potenza di fuoco senza dover prendere l’energia del Giappone, stavolta, e il colpo può raggiungere quella posizione orbitale”.

Gendo concesse un sorriso soddisfatto alla scienziata. “Eccellente. Preparate il fucile. A sparare sarà l’Eva-02. Lo 00 resterà in fase di supporto”.

“E lo 03?”, chiese Maya.

“Quello verrà usato solo in casi di vera emergenza”, rispose il comandante.

Invece Fuyutsuki si guardò intorno. “E il maggiore Katsuragi?”

“L’ho chiamata non appena è scattato l’allarme. Ha detto che accorreva subito”, spiegò Ritsuko.

“Un’ultima cosa. Tenete pronto l’Eva-01”, ordinò ulteriormente Gendo.

 

Misato correva a tutta birra verso la base sulla sua Renault Alphine.

Era un vantaggio per lei che il nuovo angelo fosse in orbita, così il maggiore poteva correre per le strade cittadine senza essere costretta a prendere scorciatoie, e senza persone in giro, poteva esibirsi nelle sue prestazioni automobilistiche.

Sgommate, accelerazioni improvvise a tavoletta, curve prese a una tale velocità che l’auto sterzando invadeva i marciapiedi sfiorando panchine e lampioni.

Il suo stile di guida era molto pericoloso, ma in un certo senso poteva essere grata al nuovo nemico, perché il suo arrivo le aveva permesso di ridestarsi dal torpore alcolico in cui si era rifugiata negli ultimi giorni.

Niente avrebbe potuto fermarla.

Tranne la vista di Shinji fermo affianco ad un muretto, sotto la pioggia.

Misato spinse con forza il piede sul freno, la macchina si arrestò stridendo e quasi scivolando sull’asfalto per due metri.

“Shinji!? Che ci fai qui? Non sei neanche nei rifugi!”, gli disse quasi scandalizzata.

“Signorina Misato, ho capito. Ho capito che cosa ho fatto a Mana. L’ho sfruttata per soddisfare un mio desiderio egoistico e infantile. Ero andato a casa sua sperando di aiutarla. Ma temo che sotto sotto sperassi in un’occasione favorevole per me. Una cosa orribile! E capendo questo, ho compreso anche una cosa che mi ha detto Ayanami prima. Sono un mostro. Non ho il diritto di…”

A quel punto accadde questo: sbuffando irritata, Misato scese dalla macchina, a grandi passi si avvicinò a Shinji e gli diede uno schiaffo dietro la testa.

Il ragazzo la fissò stranito.

“Basta!”, tuonò Misato. “Basta con le seghe mentali!”

“Se… seghe… mentali…?!”

“Sì! Mi spieghi a cosa serve capire le cose se poi ti deprimi ancora di più? Non ti sei accorto che ho passato gli ultimi giorni a torturarmi nel dolore? Bisogna reagire, Shinji, reagire. Io ho reagito perché altrimenti avrei sprecato un’eredità che mi hanno lasciato. Fallo anche tu. Reagisci! Hai commesso degli errori? Rimedia! Solo alla morte non c’è rimedio!”

“Però… però anche se volessi reagire, lo 01 non riesco più a pilotarlo. Ho perso la sincronia”.

“Hai detto di aver capito qualcosa, no? Allora forse puoi riacquistarla!”

Misato spinse Shinji sul sedile dei passeggeri e risalì anche lei, partendo alla massima velocità.

Nel momento in cui partivano, lo 00 e lo 02 uscirono da due rampe.

“Cavolo! Dobbiamo sbrigarci!” esclamò la donna quando vide l’enorme fucile a positroni che l’Evangelion rosso teneva tra le mani.

A causa dell’arrivo dell’Eva, Misato non poté più proseguire per la strada normale: digitò rapidamente un codice su una tastiera del cruscotto, facendo aprire una rampa sull’asfalto della strada laterale alla loro, sterzò immettendosi in quella strada e l’auto scese nella rampa.

Shinji fece appena in tempo a vedere lo 02 che caricava il colpo nell’arma a positroni con gesti rapidi ed enfatici, poi l’auto finì dentro una galleria riservata ai mezzi della Nerv.

Misato si accorse che il suo coinquilino stava lievemente sorridendo.

“Cosa c’è?”

“Ho visto il modo in cui Asuka ha caricato il fucile. Ha usato dei movimenti molto ridondanti, quasi come se si mettesse in mostra. Fa sempre così. Anche oggi, quando mi ha fatto lo scherzo in piscina”.

“Scherzo in piscina?”

Shinji raccontò brevemente cosa era successo.

Allora Misato fece un’altra cosa strana: nonostante l’emergenza, anche se stavano correndo verso la base della Nerv per prepararsi ad una probabile battaglia, il maggiore si sforzò di non ridere.

“Devo trattenermi. Non è situazione da risate, questa. Anche se voi due siete proprio buffi”, disse soprattutto a se stessa.

“Signorina Misato, che intende dire?”

“Mi riferisco alla capacità tua e di Asuka di complicarvi la vita. Ha del prodigioso”.

“Eh?”

“Non te l’ho detto prima perché queste sono vostre faccende personali. Visto però che non capisci nulla di psicologia femminile, ti do una mano. Ricordi l’incidente con il bucato?”

E fu Misato a raccontare la verità su quel giorno.

“Perciò”, concluse, “anche in piscina, Asuka non voleva prenderti in giro. Voleva spronarti a reagire”.

Shinji era rimasto a bocca aperta. “Ma… ma se le cose stanno così… perché non me l’ha detto chiaramente?”

“Perché Asuka”, disse la donna facendosi molto seria, “è come te. Non sa esprimersi chiaramente. Può solo mandare dei segnali, sperando che qualcuno ne capisca il significato”.

Fu allora che nella galleria si scatenò l’inferno: un mare di fuoco sfondò la parete e il soffitto vicino alla loro auto, tutto tremò all’impazzata, una vampata di calore frantumò i vetri mentre Misato bruscamente frenò e sterzò.

Forse ci sarebbe riuscita a mantenere la macchina in piano, ma alcuni grossi detriti fecero ribaltare l’Alphine, che rotolando su se stessa più volte, si fermò capovolta contro un muro.

 

“L’energia del nemico ha avvolto l’Eva-02!”

“I livelli biologici del pilota sono come impazziti!”

Mentre le voci degli operatori si alternavano allarmate, Maya aggiunse: “Il tasso di sincronia sta oscillando. Sembra sia in atto una contaminazione, anzi, un’invasione mentale!”.

Nella sala comando giunsero le urla disperate di Asuka: “No! Non entrare dentro di me!!!! NOOO!!!!”

“Oh no. Quel raggio, penetra l’At-Field dello 02 come se non ci fosse!”, appurò Ritsuko. “E la copertura del LCL?”

“Nulla. I sistemi protettivi non funzionano. Il livello dell’invasione aumenta sempre di più!”, rispose Maya.

“Quell’angelo… sta cercando di conoscere l’animo umano!”

 

Misato e Shinji erano ancora fissati ai loro sedili, avendo allacciato prima le cinture.

Il maggiore della Nerv si sentiva tutta un dolore.

“Shi… Shinji, stai bene?”

“C-credo…. di…. sì…”.

Aveva un grosso taglio sanguinante sulla fronte e altri più piccoli sulle braccia.

“Riesci a muoverti? Hai qualcosa di rotto?”

Lentamente il ragazzo mosse braccia e gambe. “Sembra di no”.

“Per fortuna neanche io. Usciamo dalla mia povera macchina. Mi sa che devo proprio buttarla ormai. Con tutte le rate che avevo pagato… mah!”

Con cautela la donna slacciò la sua cintura, mise le braccia in avanti e cosi poté posarsi agevolmente sul tetto della macchina.

Muovendosi a quattro zampe uscì dal finestrino.

Ma solo quando si mise in piedi, un dolore molto forte alla caviglia quasi la fece accasciare.

Si toccò il piede, non c’era niente di rotto, però doveva aver preso una brutta botta.

Zoppicando andò dall’altro lato e aiutò Shinji ad uscire reggendolo con le braccia.

I due finirono per terra e mentre Misato recuperò da un taschino il suo cellulare per chiamare i soccorsi, Shinji cercò di capire cosa fosse successo.

Nella parete affianco a loro c’erano dei grossi buchi dai bordi anneriti, e si vedeva chiaramente il cielo piovoso all’esterno.

Oltre a quello, c’era anche una strana luce, molto forte, quasi come di un piccolo sole.

Eppure sembrava così vicina, molto vicina.

Proveniva in parte dal cielo e in parte della città.

Quando i suoi occhi si abituarono, vide e sentì il cuore fermarsi: la luce proveniva davvero dal cielo, da un punto al di sopra della coltre di nubi, e terminava tra i palazzi.

Precisamente sullo 02, che si contorceva orrendamente in preda agli spasmi.

Doveva essere a causa di quell’attacco che Asuka aveva sparato senza prendere la mira e alcuni colpi avevano preso la loro galleria.

Questo però non importava più, c’era una cosa molto più importante: cosa stava facendo il nemico ad Asuka?

Alla ragazza che lo aveva sempre maltrattato.

Per incoraggiarlo, a suo modo.

Che lo aveva costretto ad andare in quel parco e a fare quell’estenuante giro di spese.

Perché voleva stare con lui da sola.

Che aveva finto di stare annegando.

Per fargli compiere un’azione coraggiosa che lo spronasse a reagire.

Per fargli credere che valesse qualcosa.

Lui, il piccolo, timido, Shinji IKari.

Che ora era costretto a starsene con le mani in mano mentre Asuka soffriva?

 

Nella gabbia 30-A, l’Eva-01 giaceva immerso nel liquido di raffreddamento e immobilizzato dai blocchi.

Due tecnici, sulla pedana posta davanti al viso dell’Evangelion, parlavano.

“Dì, secondo te quest’unità sarà mai rimessa in funzione?”

“E chi lo sa? Certo, il pilota ha perso la sincronia, il First Children e il Dummy System non riescono più ad attivarlo. Non è una buona situazione. Anche perché…”

Il tecnico all’improvviso fissò attentamente la testa dell’Evangelion.

“Che ti prende?”, domandò l’altro.

“Non lo so, mi è parso che… abbia mosso la testa”.

“E come avrebbe fatto senza pilota e senza neppure alimentazione?”

“Non lo so. Certo che questo Eva-01 ha sempre riservato delle stranezze”.

“In effetto, ma stavolta penso che sia stata solo una tua impressione. Io non ho visto nulla”.

 

Shinji chinò il capo, e sembrò farfugliare qualcosa.

Cominciò a correre sempre più velocemente, sotto la pioggia.

Si dirigeva verso lo 02.

“Shinji! Cosa fai?!”, strillò Misato.

Tentò di andargli dietro, ma non poteva correre.

“Shinji!!!”

Forse Shinji non la sentì, o forse non gli importò di ascoltarla.

“Io non merito Asuka. Però non la lascerò morire così, senza fare nulla!”.

 

Osservando tutti lo schermo che mostrava lo 02 contorcersi, ascoltando atterriti le grida disperate di Asuka, sul ponte di comando solo Fuyutsuki si accorse che Gendo si era portato le mani alle tempie, come se avesse una forte emicrania.

“Ikari, tutto bene?”

Gendo rispose fissandolo: lo sguardo del comandante passò da una sorpresa abbastanza profonda ad una grande sicurezza.

“Ikari…”

“Le carte vincenti sono davvero in mano nostra, Fuyutsuki”.

Detto questo, tornò il Gendo impassibile di sempre.

 

Mentre Shinji correva verso l’Eva-02, lo 00, costretto a rimanere in disparte per non essere colpito da quella specie di raggio psichico, recuperò il fucile a positroni e sparò.

I colpi in rapida successione raggiunsero l’angelo, e s’infransero contro l’AT-Field.

 

“Dannazione. La nostra potenza è la medesima dell’Operazione Yashima. Ma l’At-Field del 15° Angelo è molto più forte di quello del 5°!”, esclamò Ritsuko.

Shigeru si accorse di qualcosa.

Uno dei suoi monitor aveva avvistato un piccolo punto luminoso che si avvicinava allo 02.

Cosa poteva essere?

Attivando le telecamere, l’operatore sbiancò.

“Il Third Children è nel luogo dello scontro!”, urlò.

“Che cosa?!”, gridarono insieme gli altri due operatori e Ritsuko.

Sullo schermo principale apparve l’immagine di Shinji, fermo ai margini della zona illuminata dal raggio psichico.

“E’ impazzito?! Potrebbe restare schiacciato dallo 02! Mandate una squadra a recuperarlo!”, esclamò Fuyutsuki.

Gendo invece non rimase sorpreso, anzi, sorrise.

“Ora tocca a te”.

 

Shinji lambiva la zona illuminata dalla strana luce.

Era come se un muro immateriale fosse davanti a lui.

La luminosità era tanta, eppure il ragazzo non sembrava infastidito.

Lentamente sollevò il braccio, incurante del piede dello 02 distante solo pochi metri da lui: sarebbe bastato anche un piccolo movimento dell’Eva perché restasse schiacciato.

La mano del ragazzo toccò la luce.

 

“Ordinate allo 00 di sparare ancora contro l’angelo!”, comandò Gendo.

“Eh? Ma prima….”, obbiettò Makoto.

“Fatelo!”

Gli ordini furono trasmessi e Rei subito caricò un nuovo colpo prendendo la mira.

In quello stesso momento, si rilevò uno strano segnale proveniente dall’interno della base Nerv.

“Rilevata una potente reazione energetica. Non classificabile. Provenienza: gabbia 30-A!”, comunicò Shigeru.

“No, un momento, non è solo nella gabbia, proviene anche da… Shinji?!”

 

L’Evangelion di Asuka smise di tremare e con uno scatto improvviso, il raggio di luce dell’angelo tornò in cielo.

Non sparì, cominciò a tornare indietro come una corda che si riavvolge.

L’Eva-00 sparò un istante dopo e i colpi del fucile a positroni attraversarono l’atmosfera preceduti di poco dal raggio luminoso, come se lo inseguissero.

La luce dell’angelo raggiunse la sua fonte d’origine, colpita subito dopo dal fuoco dell’Evangelion.

Il nemico esplose, un’esplosione di pura luce.

Terminata quest’ultima, tutto tornò come prima.

 

“Unità 02 in rilascio”.

“Confermata la sopravvivenza del pilota”.

“Anche quella del Third Children”.

Ritsuko osservò lo 02 immobile e Shinji steso a terra, vicino ai piedi del gigante.

“Squadre di recupero, presto”, ordinò la dottoressa.

“Comunicare al governo che l’angelo è stato distrutto dal fucile a positroni dello 00. Nient’altro da riferire”, ordinò Gendo scandendo bene le ultime parole.

I tre operatori e Rutsuko annuirono.

La torre di comando iniziò ad abbassarsi.

Quando furono fuori dalla vista degli altri, Fuyutsuki chiese: “Cosa ti è successo prima?”

“Diciamo che ho ricevuto un messaggio. Non ne avevamo mai avuto la prova pratica, ma ora so che è possibile. E avere la sua approvazione mi riempie di gioia”, rispose Gendo.

“Gioia… che strana parola, detta da te”.

“Hai ragione, nella mia vita non l’ho certo usata molto. Comunque, presto le cose cambieranno”.

“Non trovi che questo angelo sia apparso troppo presto?”

“L’apparizione di Mari Makinami e l’arrivo di Mana Kirishima hanno cambiato diverse cose. Però è come per le addizioni: anche cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non muta. La prossima mossa riguarderà la Lancia di Longino. Non potevo farlo prima senza essere sicuro del risveglio di lei. Possiamo proseguire col nostro piano, Fuyutsuki”.

Più tardi alcuni tecnici notarono che le pareti della gabbia 30-A, nella parte di solito asciutta, erano ora interamente bagnate.

Come se qualcosa avesse provocato enormi ondate nel liquido di raffreddamento.

Lo riferirono alla dottoressa Akagi, che ordinò loro di non tenerne conto.

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° CAPITOLO

“E così sei riuscita ad arrivare fin qui?”

Mari non poté nascondere una certa sorpresa quando, da una grata della parete, entrò nella sua cella Misato Katsuragi.

La donna aveva un piede leggermente più gonfio dell’altro, perché sotto la scarpa portava una fasciatura.

Si rasserenò alla vista dell’amica, prigioniera ma almeno sana e salva, e le fece cenno di non alzare troppo la voce, perché fuori dalla porta chiusa c’erano otto guardie armate fino ai denti. “Un amico mi ha permesso di scoprire dove ti avevano rinchiuso, e scoperti i meccanismi di sicurezza, non è stato un problema troppo grande eluderli”, spiegò l’ufficiale Nerv. “Certo non posso stare qui tutto il tempo che voglio, ma comunque…”

Il sorriso di Misato si spense, sostituito da una forte rabbia. “So anche cosa hanno fatto a Mana!”, e spiegando questo, strinse entrambe le mani a pugno, tremando fortemente nel tentativo di non gridare.

“Non ci posso credere! Il comandante Gendo Ikari, che maledettissimo stronzo! Come ha potuto farle una cosa del genere?!”

“E’ il tuo superiore, quindi dovresti saperlo tu”, rispose Mari distogliendo lo sguardo.

La sorpresa di prima era passata con la stessa velocità con cui era venuta.

Ora la ragazza prigioniera aveva lo sguardo di chi contempla il nulla.

“Sei arrabbiata con me?”, domandò Misato.

“Forse sì”.

“Ho capito. Temi che ti abbia venduta, che abbia fatto da esca, quella volta al tuo ristorante”.

“Il pensiero mi ha sfiorato”.

“Non ti ho tradita”.

“Una parte di me ti crede. Tuttavia ho imparato che la diffidenza a volte può essere una virtù”.

Misato allora, si avvicinò a un punto di una parete, con sopra una piccola tastiera, che appariva più recente rispetto al resto della stanza.

Il maggiore digitò un codice e come per incanto i blocchi intorno alle braccia e alle gambe di Mari si aprirono.

Anche il campo di forza che la isolava scomparve.

Mentre Mari si massaggiava i polsi, l'altra andò a mettersi davanti a lei.

“Avanti”, incitò con tono deciso.

“Avanti cosa? Non posso scappare. Altrimenti cosa ne sarebbe di Mana?”

“Non puoi andartene, ma puoi sfogarti su di me. Forza, colpiscimi, puoi anche uccidermi se vuoi. Tanto per la Nerv sostituire un maggiore non è certo un problema, e siccome ti sei dimostrata un pilota formidabile con lo 03, dubito che ti faranno del male. Ulteriormente”.

Mari inarcò un sopracciglio. “Se muori, come aiuterai gli altri?”

“E come posso aiutarli tutti se non sono pronta a rischiare la vita per tutti loro?”

L’altra rumoreggiò con le nocche. “In effetti hai ragione”.

Tirò indietro il braccio destro e sferrò un pugno micidiale: considerato cosa era riuscita a fare in precedenza, con quel pugno avrebbe potuto come minimo trapassare la testa di Misato.

Che tuttavia rimase ferma e impassibile, senza neppure chiudere gli occhi.

Il pugno si fermò a contatto con la sua fronte.

“Volevi vedere se mentivo?”, domandò allora il maggiore.

“No. Volevo vedere se eri davvero pronta a tutto. Hai confermato quello che in fondo già sapevo. Sei una brava persona”.

Finalmente Mari le concesse un sorriso, e infine si abbracciarono.

“Mi raccomando”, le disse Mari nell’orecchio. “Dovrai prenderti cura di Mana, oltre che degli altri. Ma dopo”.

“Anche di te. Troverò un modo per farti uscire da qui”, la rassicurò.

“Non ti devi preoccupare per me. Pensa piuttosto ai piani di Gendo Ikari. Ha in mente qualcosa di losco”.

“Lo so bene”.

“Ti avverto: proprio per questo, ora, non devi fare niente. Ikari ha calcolato tutto, non riusciresti a fermarlo. Lascia che la tua Mari dia un bello scossone agli schemi dei cervelloni troppo astuti”.

“Che vuoi dire? Che cosa puoi fare adesso, prigioniera e ricattata?”

Le due si separarono e Mari esclamò: “Lascia fare a me!”, gonfiando i bicipiti del braccio destro e battendoci sopra orgogliosa con la mano sinistra.

L’orologio di Misato emise un segnale.

“La registrazione che ho inserito nelle telecamere per ingannare le guardie sta per concludersi. Devo andare!”

“E allora sbrigati, prima che ti becchino”, concluse Mari tornando in posizione e rimettendosi i blocchi alle gambe, mentre Misato dovette rimetterle i blocchi alle braccia.

La misteriosa ragazza notò lo sguardo addolorato della sua amica ritrovata, le fece l’occhiolino e poi annuì.

Misato a malincuore rimise i blocchi e riattivò il campo isolante.

“Un’ultima cosa. Tieni d’occhio la scuola media. Capirai dopo”, aggiunse Mari.

Il maggiore della Nerv non aveva il tempo di domandare cosa significasse, dovette infilarsi nella grata e chiuderla dietro di sé.

 

“Bleah, che schifo!”, esclamò Asuka spingendo via il tavolino con il pranzo.

Era solo il suo secondo giorno nel centro ospedaliero della Nerv, e le sembrava già un’eternità.

Tra l’altro la stanza era vuota, non c’era neppure un televisore, e il letto su cui sedeva in quel momento era scomodissimo.

Anche il pigiama, era talmente convenzionale che per una ragazza dai gusti raffinati come lei, era quasi un insulto.

Dulcis in fundo, sulla fronte si sentiva ancora le fastidiose ventose dei sensori che le avevano piazzato in testa per controllare le sue onde cerebrali.

Qualcuno bussò.

“Se sei l’ennesima infermiera venuta a farmi l’ennesima iniezione, allora puoi andare al diavolo!”, sbottò Asuka.

Invece la porta si aprì rivelando la presenza di Shinji, imbarazzato come non mai, e anche lui con indosso il pigiama dell’ospedale.

Vedendolo, anche Asuka sembrò rimanere imbarazzata.

“Se… se vuoi…. Me ne vado…”, iniziò Shinji.

“No, vieni pure e siediti qui”, rispose l’altra indicandogli una sedia vicina al letto, e lui ubbidì.

 “Come stai?”

“Non è un grand’hotel”, rispose Asuka sistemandosi i capelli, “ma sto bene. E tu?”

“Io?”

“Non credo che i pigiami da ospedale siano l’ultima moda in fatto di vestiti”.

“La dottoressa Akagi mi ha fatto miriadi di test di ogni tipo. Comunque sembro sempre il solito Shinji Ikari”.

“Meglio così”.

A quel punto calò un silenzio di tomba.

Shinji, nervosissimo, prima di recarsi all’ospedale aveva richiamato alla mente tutto il materiale che il suo subconscio aveva assimilato nel corso degli anni dalla visione di storie d’amore cinematografiche, romanzesche e fumettistiche.

Doveva cercare di elaborare una strategia che gli permettesse di avvicinarsi man mano al bersaglio, cominciare da un argomento apparentemente futile per poi, tramite un complicato intrecciarsi di collegamenti, arrivare al fulcro.

Doveva farlo, il desiderio di sapere era troppo forte.

Prima ci aveva riflettuto a lungo, aveva anche fatto delle prove davanti ad uno specchio, e gli sembrava che fosse andata bene.

Perciò era arrivato il momento di attuare la sua strategia sul campo.

Prese un forte respiro e fece la prima mossa.

“Asuka… tu mi ami?”

A quel punto tre opzioni apparvero nella sua mente: scappare dandosi dell’idiota, oppure svignarsela per sfuggire alla reazione furibonda di Asuka, infuriata per il solo fatto che lui avesse pensato una cosa simile, e infine fuggire disperato se lei invece fosse scoppiata a ridere.

“Sì…”, fu la risposta, detta con un filo di voce da una Asuka che stava a capo chino, senza guardare il suo coinquilino.

A quel punto, privato completamente dei suoi piani, Shinji si ritrovò in balia degli eventi.

“Ti amo”, ripeté Asuka, “non so dire com’è cominciato. Forse avevo pian piano capito cosa c’era dietro la tua passività: la paura, l’incapacità di sapersi legare a qualcuno per il terrore di essere feriti nuovamente”.

La ragazza scese lentamente dal letto, Shinji fece per aiutarla, ma lei con un gesto della mano lo fermò, prese una seconda sedia e la usò per mettersi proprio davanti a lui, guardandolo negli occhi.

Shinji non l'aveva mai visto con un’espressione così seria eppure anche così serena.

“Questa paura”, riprese lei, “nelle notti silenziose in cui ero sola e passavo il tempo a guardare il soffitto, mi rendevo conto di averla anch’io, e rifiutavo questo pensiero, come pure rifiutavo l’idea che tu potessi capire e aiutare me ed io te, che insomma ti amassi. Volli sfidare questi pensieri, cercando in tanti modi di farti comprendere cosa provavo, e ogni volta che tu non capivi, anziché essere contenta della tua durezza di comprendonio, ti desideravo sempre di più e questo aumentava la mia rabbia. Continuavo a ripetermi che tu non eri degno della grande Asuka, una bugia che mi ero detta in continuazione fino a crederci realmente. Però ora qualcuno mi ha sbattuto in faccia tale bugia, con la stessa violenza con cui ti colpirebbe un treno in corsa. Adesso so: siamo come due bambini, che hanno conosciuto la sofferenza troppo presto, e che rifiutano la mano dell’affetto, tu non facendo nulla, io allontanando con disprezzo quella mano. Tutto questo è durato anche troppo, non voglio più farmi del male, né farne a te, devo dire la verità, pura e semplice: mi sono innamorata di te, e vorrei restarti affianco per sempre”.

Shinji fissava la ragazza con occhi sgranati, preso dal dubbio di aver avuto un’allucinazione visiva e sonora: possibile che gli avesse davvero aperto il suo cuore? Davvero in quel momento sentiva un vulcano di emozioni di tutti i tipi agitarsi nel suo petto?

“Però immagino che tu preferisca Mana…”

Quell’osservazione piombò come un macigno su Shinji: “Mana!? E perché?”

“Come perché? E tutti quegli appuntamenti?”

Shinji apparve molto sorpreso, poi sembrò capire e fu quasi tentato di ridere, capendo cosa aveva provato Misato quella volta in macchina.

“No, non è quello che pensi tu. Si trattava di un patto che avevamo stretto io e lei, ed è anche il motivo per cui io ho compiuto le due azioni probabilmente più vergognose della mia vita”.

Asuka si sporse in avanti sorpresa e incuriosita: “E cosa puoi averle fatto di così terribile?”

Dopo essersi preso dei lunghi attimi di silenzio per non farsi travolgere dalla vergogna, Shinji spiegò: “Mana si sentiva sola, per pilotare l’Eva era stata strappata al suo mondo, ed io ho sfruttato il suo bisogno di avere un amico per convincerla a farmi un favore egoista e infantile”.

“Ovvero?”

“Durante quegli incontri, lei avrebbe dovuto parlarmi della sua vita in America. Mana ha una famiglia normale, non rovinata dagli Evangelion, com’è invece per noi, e siccome anch’io ho sempre desiderato avere una famiglia normale, volevo che mi raccontasse quel tipo di vita, in modo che capissi cosa si provava”.

Asuka piegò la testa di lato. “Stai scherzando? Cioè, il grande segreto era solo questo?”

“Lo so che sembra una cosa da niente, ma non bisogna guardare al come, bensì a cosa è successo. Se tu vuoi fortemente qualcosa, e qualcuno manipola il tuo desiderio per soddisfare i propri desideri, a lungo andare come ti sentiresti?

Mana soffriva per questo sfruttamento e quando infine vi si è ribellata, cosa ho fatto io? L’ho odiata. Durante lo scontro col 13° Angelo, sottosotto ho desiderato che morisse!”

Asuka rimase scossa da quella notizia, mentre Shinji iniziò a tremare.

“Ti rendi conto? Ho desiderato che una persona morisse! E tutto perché non riuscivo a capire il suo atteggiamento e volevo vendicarmi. Era per questo che non riuscivo più a pilotare l’Eva. Temevo che avrei potuto desiderare la morte di altre persone, perché non riuscivo a capirle”.

Shinji si coprì il volto con le mani. “Io non merito di essere amato! Sono una persona orribile! Tu… tu mi piaci Asuka, mi piaci da morire! Mi fa felice sapere che ricambi, però ho paura di infettarti in qualche modo, con la mia presenza”.

Il ragazzo, sommerso dalla vergogna e dal rimorso, singhiozzando, non ce la fece più, si alzò per andarsene.

Inoltre era ovvio che Asuka lo avrebbe cacciato in malo modo.

Invece una sua spalla fu afferrata, lui si scoprì gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con Asuka.

“Io non sono diversa da te. Quando tu e Mana avete litigato, ed io pensavo aveste una relazione, sai cosa ho fatto? Ho gioito! Ho gioito della rottura tra due persone, pensando che così ci sarebbero state più possibilità di averti tutto per me. E quando mi sono accorta della mia meschinità, mi sono vergognata da morire”.

“Non è una cosa grave quanto il desiderare la morte di qualcuno”, ribatté Shinji.

“Ma non l’hai fatto. Le intenzioni sono gravi, però sei riuscito a non concretizzarle. E’ il famoso limite, superato il quale non si può più tornare indietro”, continuò Asuka. “Tu l’hai sfiorato con Mana, ma non l’hai oltrepassato. Tutti prima o poi sono tentati, Shinji. Bisogna imparare a controllarsi”.

Shinji sorrise e delicatamente si tolse la sua mano dalla spalla. “Un bel discorso. Sei molto maturata, Asuka. Io non merito minimamente di starti vicino. Una persona in gamba come te può trovare tante persone che mi superano in tutto”.

La ragazza scosse la testa. “Non voglio altre persone!”, esclamò, per poi arrossire lievemente. “Io voglio te. Semmai, sono io che non dovrei starti vicina, violenta e meschina come sono. Rischierei di farti soffrire ancora di più”.

 Shinji non ci capiva più niente, le cose si erano complicate più di quanto pensasse e lui non era abituato a quelle situazioni.

Si avviò verso la porta.

Forse la cosa migliore da fare era quella di dedicarsi alla sua attività preferita: fuggire.

“Shinji”, lo richiamò Asuka rimuginando, “tu hai sognato recentemente?”

Il ragazzo si girò a fissarla. “Sognato?”

“Sì. Sai, durante lo scontro col 15° Angelo, ho fatto sia un incubo che un sogno. L’incubo è servito a rivelarmi tutte le bugie su cui avevo costruito la mia vita finora. Accidenti, quanti anni sprecati… Il sogno invece… era bello… ha scacciato l’incubo. Vedevo una luce bianchissima e piacevole… e due figure che mi si avvicinavano. Una di quelle figure…”

“…ero io che ti porgevo la mano”, continuò Shinji.

“Sì. E tu, a tua volta, eri tenuto per mano da un'altra figura, una donna…”

“…con bianche ali d’angelo”.

“Che ci sorrideva come una mamma. Io ho preso la tua mano… e mi sono risvegliata”.

“Nell’ospedale”, terminò Shinji.

In effetti lui, quando aveva visto Asuka sotto attacco, aveva desiderato salvarla a tutti i costi, un coraggio disperato e incosciente lo aveva spinto fino al limite del campo di battaglia, e proprio in quel momento aveva provato una strana sensazione, come un presentimento: poteva salvarla.

Non sapeva come, ma poteva salvarla!

Aveva toccato il raggio psichico…

Qualcosa d’incredibile lo aveva attraversato.

Il sogno.

Poi il buio e infine il risveglio in ospedale.

“Quel sogno. Sono… sono stato io a salvarti?!”, esclamò incredulo Shinji. Lui fino a quel momento non rammentava nulla di quel sogno, ricordava solo di averlo fatto e nient’altro. Erano state le parole di Asuka a risvegliare quei ricordi.

“A giudicare da quello che è successo, direi di sì. Forse qualcuno ti ha assistito, ma sei tu che hai iniziato tutto”.

“Anche se fosse così, dopo quello che ho fatto con Mana…”

“Mi hanno raccontato cosa hai fatto quando la mia mente veniva messa sottosopra dall’angelo. Sei stato molto coraggioso. Rischiare la propria vita per gli altri, non è egoistico, e se hai saputo fare questo, allora sei sicuro di essere veramente una persona orribile?”

“Ma… e non ti fa rabbia che qualcuno ti abbia salvato?”

“In condizioni normali, sì. Però essere salvati da chi si ama, non è certo spiacevole”.

Queste parole furono accompagnate da un sorriso, il più dolce e affettuoso che lei avesse mai fatto, e il giovane Ikari si perse in esso.

Ma fu questione di un attimo.

Perché Shinji si ridestò e cominciò a indietreggiare.

“Non… non posso…Non devi farlo, non per uno come me”, mormorò con gli occhi lucidi.

E scappò via.

“SHINJI!”, lo richiamò, invano, Asuka.

Mentre correva via, il ragazzo cercava di asciugarsi le lacrime con le mani.

“Non… non posso, Asuka. Ho troppa paura per te… e per gli altri…. Sei cambiata così tanto… mentre io… se ti succedesse qualcosa…. Quello che ho fatto a Mana… No!”

Continuò a scappare: non solo dal dolore, ma anche dalla saggezza di Misato, dalla felicità a portata di mano, da tutto.

Fuggire era davvero la cosa che gli riusciva meglio.

 

****

 

Il gigante giaceva immobile nell’imponente gabbia, coperto da drappi scuri.

Diverse aste tenevano sollevate alcune parti dei drappi, per permettere a un gruppo di tecnici di lavorare sul gigante.

Alcuni saldavano strani pezzi metallici, altri invece infilavano dentro le zone aperte dei grossi aghi.

Ne estraevano qualcosa, poi uno di loro analizzava il contenuto estratto con uno strano apparecchio simile a un telecomando.

“Il livello di crescita cellulare è sicuramente ottimale. Penso proprio che saremo pronti tra un mese”.

Da una cabina posizionata parecchio in alto, un uomo con gli occhiali osservava scrupolosamente i lavori.

Indossava una divisa nera, sul petto era ben visibile il simbolo della Seele.

“I nostri capi saranno soddisfatti. Tutto sta procedendo esattamente come preventivato. E questi tecnici della Nerv sono degli eccellenti galoppini, al contrario di quelli della sezione giapponese”.

Dopo aver bussato, entrò un uomo che lo salutò con un rapido cenno del capo e gli passò una cartelletta.

 

Belphagor, nel suo nascondiglio, giocherellava con un telefono portatile, per poi accarezzarsi i lunghi e lisci capelli neri raccolti in una coda di cavallo, il tutto sbadigliando molto spesso.

L’idiota della Seele era stato ingannato perfettamente dall’imitatore vocale che lei aveva costruito e dalla falsa immagine digitale.

Una cosa facile, così com’era stato facile impadronirsi delle password e dei codici d’accesso della Seele.

Eppure i suoi sbadigli non erano dovuti all’eccessiva facilità, ma al fatto che si era stancata troppo: far recapitare a quella sezione il nuovo campione genetico da inserire nell’Evangelion che stavano costruendo, unito ai progetti per la nuova armatura, e infine rassicurare su quei cambiamenti lo scagnozzo dei vecchi, intercettando la chiamata a loro diretta per chiedere delucidazioni.

Troppo lavoro, per lei, e dovette convenire che aveva davvero una predilezione per la pigrizia, ma non le importava, finché non interferiva con i suoi compiti andava comunque bene.

Quindi decise di farsi un riposino.

Tanto sapeva che a vegliare sull’analogo lavoro delle altre sorelle ci avrebbe pensato il fratellone.

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° CAPITOLO

Mari Makinami giaceva ancora prigioniera nei sotterranei della Nerv, i suoi muscoli erano indolenziti ma non troppo, lo sguardo era fisso su un punto indefinito.

Intorno solo silenzio.

“Sorellona. Ehi, sorellona”.

Mari chiuse gli occhi.

“Che sorpresa, Mammon. Cosa sei venuta a fare?”

“Le altre e il fratellone non lo sanno che sono qui. Volevo chiederti se vuoi che venga ad aiutarti”.

“Non serve. Non resterò qui ancora a lungo”.

“Lo so. Ed è proprio quello che vorrei evitare. Insomma, perché non stai dalla nostra parte? Non siamo una famiglia?”

“Esistono altre famiglie oltre a quella”.

“E dunque sei pronta anche a combatterci?”

“Chi ti dice che voglio combattervi?”

“Non prendermi per stupida. Possono esserlo le nostre sorelle, alcune, mentre le altre sono troppo piene di sé per preoccuparsi. Io invece ho capito: il fratellone non ti ha punita perché lo hai sfidato, era l’unico modo per convincerlo. Sfidarlo. Appassionato com’è degli scacchi, figurati se resisteva alla tentazione”.

“Devo fare ciò che ritengo giusto”.

“Noi siamo esseri superiori!”

“Siamo solo il capriccio di un gruppo di anziani che si divertono a essere un dio. Vacci piano quindi con gli auto-elogi”.

“Insomma, non posso proprio recuperarti? Ho letto le pergamene, come le hai lette anche tu. Sei la sorellona, ti prego, non farlo”.

“E’ proprio quello che farò, invece”.

“Sei… sei una stupida!”

“Su, non piangere. Ora vai. Ti ringrazio per il pensiero, e manda i miei saluti anche a quelle testone delle altre”.

Mari riaprì gli occhi.

“Uff, essere in attesa rende lo scorrere del tempo ancora più lento”.

 

“Senti che atmosfera tesa”.

Era la prima cosa che Misato aveva notato da quando Shinji e Asuka avevano fatto ritorno a casa.

Erano seduti a tavola tutti e tre, e mangiavano in silenzio, i due ragazzi guardavano nel piatto, facendo attenzione a non sfiorarsi o guardarsi nemmeno di sfuggita.

I loro volti erano impenetrabili.

Il maggiore volle rompere il ghiaccio. “Allora, ve la sentite domani di tornare a scuola?”

Entrambi risposero con un mugugno d’assenso.

Misato non si diede per vinta. “Le riparazioni agli Evangelion e alla città fortificata sono state ormai completate. Quindi siamo di nuovo pronti a combattere gli angeli”.

“Bene”, dissero insieme i due ragazzi.

Se ne accorsero, si guardarono per un decimo di secondo e poi si girarono dall’altra parte riprendendo il pasto.

“Ma che gli prende a questi due?!”, pensò Misato.

Fece un ultimo tentativo: “Shinji, domani te la senti di riprovare con l’Eva-01 la sincronia”.

“Io… io non lo so”.

“Shinji, devi provarci. Ti ricordo che c’è una guerra in corso. Se vuoi restare alla Nerv, allora devi svolgere il tuo lavoro”.

“Provaci”, gli disse Asuka andandosene in camera sua.

Misato non sapeva se restare sorpresa per l’incoraggiamento o perché la ragazza si era limitata a una sola parola, lei che aveva avuto sempre la lingua lunga.

Non le era comunque sfuggito il minuscolo sussulto di Shinji davanti a quell’unica parola.

“Mi dici cosa è successo tra voi due?”

“Nulla”.

“Sì, come no, sembrate due fantasmi. E non dimenticare che io ho capito cosa prova Asuka per te. Dovresti averlo capito anche tu, no?”

Shinji sospirò, e ritenne che forse sfogarsi gli avrebbe fatto bene.

Inoltre sarebbe stato inutile mentire a Misato, quindi le confessò cosa era successo all’ospedale.

“Wow, che bella dichiarazione d’amore”, commentò con soddisfazione il maggiore. “Asuka ha fatto bene a essere diretta. E dopo la dichiarazione cosa hai fatto?”

“Sono scappato”, ammise Shinji.

“Che cosa?!”

“Non mi ritengo degno dell’amore di una persona così speciale”.

“MA SEI IMBECILLE?!”, sbottò furente Misato alzandosi per mettersi faccia a faccia col suo coinquilino, piuttosto scosso dall’ultimo commento.

“Ecco io…”

“Insomma, Shinji! Tu la ami. Lei ti ama. Te l’ha detto chiaro e tondo. Ma lo sai quanti innamorati vorrebbero avere la fortuna che hai avuto tu? E tu cosa fai? Indugi ancora, usando atteggiamenti auto-commiserativi! Cosa puoi volere di più?”

“Lo so”, ribatté lui, “ma continuo a sentirmi in colpa per la faccenda di Mana. Non posso farci nulla, è stato un comportamento troppo orribile il mio”.

Misato tornò a sedersi.

“Tu hai bisogno di un bel perdono”.

“Mana non potrebbe mai perdonarmi”.

Misato si pentì di essersi seduta e sbatté le mani sul tavolo. “Ora ti prendo a ceffoni! Smettila di pensare al posto degli altri. Prima pensavi che Asuka non potesse mai amarti, e avevi torto. Ora ritieni che Mana non potrebbe mai perdonarti. E se avessi torto anche adesso?”

“Mi servirebbe una conferma, però. Signorina Misato, lei può farmi incontrare Mana?”

A quelle parole, Misato non seppe rispondere.

Sapeva dove si trovava Mana, tuttavia era un luogo assai sorvegliato, e la ragazza non sarebbe certo stata in condizione di rispondere.

“Adesso no. Comunque troverò una soluzione” disse, infine, consapevole di mentire.

 

Gendo e Fuyutsuki si trovavano nell’immenso ufficio del primo, che stava rileggendo i rapporti inviati da Kaji nella sua ultima missione.

Keel Lorenz aveva avuto molto da ridire sulla sortita dell’uomo, ma non aveva veramente prove che quella spia avesse agito per ordine di Gendo. Inoltre, riteneva che non avesse inviato alcuna informazione.

Kozo fissava il panorama fuori dalla finestra e dava la schiena al suo superiore.

“Sei stranamente silenzioso”, osservò Gendo.

“Tu dici?”, rispose l’altro senza voltarsi.

“Nessuno di noi ama troppo le chiacchiere. Tuttavia per i nostri standard sei sempre stato tu il più loquace”.

Il vice sospirò. “Temo di cominciare a sentire il peso degli anni”.

“Ripensamenti o scrupoli?”

L’anziano uomo rimase sorpreso solo a metà, in fondo Ikari era sempre stato un uomo acuto e diretto.

“Nessun ripensamento sui nostri scopi comuni, stai tranquillo. Quello che desideri tu, è ancora quello che desidero anch’io. Il problema è la faccenda del Fourth Children”.

Gendo inarcò un sopracciglio e mise da parte il dossier.

“Hai scoperto la nota numero 12”.

“Esatto”. Kozo si girò, i suoi occhi erano estremamente severi. “Non posso accettare una cosa del genere. Tu hai ordinato di uccidere quella povera ragazza nel caso Mari Makinami non fosse più utilizzabile. E’ disumano!”

“Si fa quel che si deve. Mi sembra che fossimo d’accordo sin dall’inizio della nostra collaborazione”.

“Certo, e in fondo io sono e resto un tuo complice, perché non posso e non voglio fermarti. Tuttavia la nostra mancanza di scrupoli non mi autorizza a dimenticare che stiamo compiendo azioni sbagliate, e in questa faccenda, a irritarmi ancora di più, è che tu abbia previsto un possibile omicidio senza che fosse veramente necessario!”

“Se succedesse qualcosa a Makinami, magari in azione, come ci dovremmo comportare con la Seele? Ufficialmente, per loro e per il mondo, è sempre Kirishima Mana a pilotare l’Eva-03. Perciò, anziché cercare di arrampicarsi sugli specchi per trovare scuse adeguate davanti alla Seele e ai famigliari della ragazza, è meglio che muoia effettivamente”.

 “E’ mostruoso!”, replicò indignato Kozo. “Non bastava quello che le hai fatto dopo lo scontro col 13° Angelo, per piegare Makinami?”

“Io farò tutto ciò che ritengo necessario, Fuyutsuki, e sono pronto anche a diventare un demone. Dovresti averlo capito da un pezzo”.

“E perché allora mi hai tenuto nascosto quell’ordine?”

“Temevo una reazione del genere, e ho voluto metterti alla prova. Per questo ho lasciato la nota nel cassetto della mia scrivania. Inavvicinabile per tutti, ma non per te. Ora che ti sei sfogato, spero che, come hai detto, manterrai gli impegni sulla tua collaborazione”.

Il vice-comandante sospirò. Per un momento sembrò che tutte le energie lo abbandonassero.

 “Certo”, ribadì facendosi forza.

Si era ormai troppo inoltrato in quella vicenda dai contorni immensi e apocalittici per tirarsi indietro.

“Ottimo”, concluse Gendo abbozzando un sorriso e uscendo dall’ufficio.

Kozo riprese a guardare il panorama.

 

“Niente da fare”.

Ritsuko pareva ormai rassegnata, la sincronia dell’Eva-01 non tornava.

Misato osservava severamente stando dietro di lei.

“Ancora niente?”

“In realtà un lieve cambiamento c’è stato. Se prima sembrava che la sincronia fosse scomparsa come se non fosse mai esistita, ora il segnale è ricomparso. Ma non riesce a raggiungere la soglia di attivazione. E’ come se qualcosa la bloccasse”.

Misato sapeva bene di cosa si trattava.

Finché Shinji era schiacciato dal senso di colpa per quanto accaduto a Mana, non si sarebbe riattivato un bel nulla.

“Non mi sembri sorpresa”, osservò Ritsuko. “Sai qualcosa?”

“Scoprilo da sola, mia cara dottoressa”, esclamò Misato dirigendosi verso il quadro comandi della gabbia.

Dalle vetrate della sala, troneggiava l’Eva-01, gigante invincibile e inutilizzabile.

Asuka e Rei Ayanami, silenziose e in disparte, lo fissavano.

“Shinji, l’esperimento è finito, puoi uscire”.

“Sì, signorina Misato”, rispose con voce mortificata il Third Children.

Neanche un momento dopo, gli allarmi risuonarono.

“Un angelo!”, esclamarono Misato e Ritsuko.

 

Rei e Asuka, dopo essersi cambiate, erano nell’ascensore che conduceva alle gabbie dei loro Evangelion.

“Tsk, che enorme seccatura questi angeli”, mugugnò Asuka. “Sembra quasi che arrivino sempre nei momenti spiacevoli”.

Rei, dietro la tedesca, non rispose nulla.

“Allieva modello… Rei!”

La First Children si dimostrò alquanto sorpresa, era la prima volta che Asuka la chiamava per nome.

“Ascoltami bene”, continuò Asuka senza girarsi, “voglio che ti prenda cura dell’imbecille noto come Shinji Ikari”.

“Perché lo chiedi a me?”

“Quello stupido non vuole avvicinarsi alla sottoscritta. Soffre per la vicenda di Kirishima, e non mi permette di aiutarlo. Magari tu avrai più possibilità. Mi sembra che lui tenga anche a te, e anche tu tieni a lui, no?”

“Be… sì. Però perché ritieni che io abbia più possibilità?”

“L’idiota…. chissà che idea si è fatta di me. Temo mi abbia idealizzata troppo. Con una bambola come te non dovrebbe accadere. Nessuno potrebbe idealizzarti”.

Ayanami piegò la testa di lato. “Le tue parole sono strane. Non capisco se sono un complimento o un’offesa”.

“Forse entrambe. Allora, me lo prometti?”

“Sono pronta a fare questo per Ikari”, rispose Rei dopo aver rimuginato un po’. “Ma tu non soffrirai allontanandoti da chi ami?”

“Lo hai capito? Accidenti, che intuito che hai, cocca del comandante!”.

“Allora?”

Asuka strinse i pugni. “Io e la sofferenza siamo vecchie amiche. Dolore più, dolore meno, non ha importanza per me”.

L’ascensore giunse a destinazione.

“E’ un ordine, rendilo felice!”, esclamò Asuka uscendo per prima con passo svelto.

 

Il nuovo bersaglio si stava spostando lentamente nei cieli di Neo-Tokyo 3.

L’angelo aveva l’aspetto di un cerchio, apparentemente fatto di pura luce, che ruotava su se stesso.

Tuttavia la sua velocità era così bassa che la Nerv fece in tempo a disporre la città in assetto difensivo.

Misato e Ritsuko arrivarono sul ponte di comando, seguite subito dopo da Gendo e Kozo sulla torretta.

“Disponete gli Eva-02 e 00 per l’intercettazione”, ordinò Misato.

I tre operatori rapidamente eseguirono gli ordini.

“Lo 01?”, domandò Ritsuko.

“Resti nella gabbia. Shinji si tenga sempre pronto a intervenire. Non si sa mai”.

“Tenere pronto anche l’Eva-03”, aggiunse Gendo.

“Signorsì”, rispose con durezza Misato.

I due Evangelion furono lanciati dalle rispettive gabbie e giunsero nella città, nascosti dentro punti di arrivo inseriti nei palazzi.

Un lato di ciascun palazzo si abbassò come una saracinesca, l’Eva-02 e l’Eva-00 presero due grossi fucili nascosti negli edifici vicini e nascondendosi tra le varie costruzioni, cominciarono cautamente ad avvicinarsi all’angelo.

Il quale continuava a spostarsi con lentezza, indifferente a tutto.

“Non sappiamo di cosa è capace. Fate attenzione, niente gesti avventati”, si raccomandò Misato.

“Lascia fare a noi”, replicò Asuka.

I due Evangelion continuarono ad avvicinarsi, cercando di trovare il punto migliore per colpire il nemico dai due lati.

“Sembra quasi che stia studiando il terreno”, pensò Asuka.

I minuti trascorrevano con una lentezza estenuante, mentre i due Eva si piazzavano in posizione d’attacco.

Adesso si trovavano Asuka a destra e Rei a sinistra del nemico, ad una distanza di almeno cento metri, ed erano ancora nascoste tra i palazzi.

L’angelo invece continuava a volare tranquillo, muovendosi verso il centro della città fortezza.

Era calato un silenzio innaturale.

Ora che erano in posizione, le due ragazze dovevano solo attaccare.

Asuka sfiorò più volte il grilletto, e il mirino inserito nelle schermate dell’Entry Plug centrò il bersaglio.

La tensione era un buon espediente per tenere occupata la mente, per non pensare all’idiota e ai suoi fallimenti.

Quando sembrava ormai certo che l’angelo non rispondesse all’accerchiamento, ritenne fosse giunto il momento.

“Arriva!”, gridò Rei dall’altra parte.

“Eh?! Ma non si è ancora mo…”

Come a voler accontentare Asuka, l’angelo si staccò da una parte del suo corpo, da cerchio sembrò tramutarsi in una sorta di corda volante.

Ma fu come un serpente sulla preda quando fulmineo si precipitò sull’Eva-00, penetrando il suo At-Field come niente ed entrando in diretto contatto con il ventre dell’unità.

Rei con decisione afferrò un’estremità del nemico e vi sparò contro diversi colpi a distanza zero.

Senza risultati.

Poi la ragazza emise un gemito, ed ebbe la sgradevole sensazione che qualcosa scavasse nelle sue viscere.

Il ventre dello 00 iniziò a riempirsi di grosse venature, lo stesso accadde al corpo di Rei, che prese a contorcersi.

 

“Rei!”, gridò Misato. “Asuka, soccorrila, presto!”

“Non ho bisogno di sentirmelo dire!”, rispose il Second Children.

Corse verso il nemico iniziando a spararvi contro diversi colpi.

Molti raggiunsero il bersaglio, senza sortire effetti.

L’angelo comunque se ne accorse e l’estremità libera scattò velocissima colpendo il fucile dello 02 e distruggendolo.

“Maledetto! Vuoi giocare, eh?”, ringhiò Asuka estraendo il suo Prog Knife.

L’Evangelion fronteggiò il nemico come un domatore di serpenti fronteggia un grosso e feroce serpente velenoso, schivando e tentando degli affondi.

Mentre lo 00 e il suo pilota si contorcevano sempre di più, riempiendosi di venature sempre più grandi, che iniziarono anche a pulsare.

“Al diavolo!”

Asuka balzò sull’angelo e lo afferrò al volo con una mano.

Subito la mano dell’Eva e della ragazza iniziarono a bruciare, deformandosi.

“Ti faccio vedere io!”

Asuka piantò il suo coltello nell’estremità del nemico, facendo sprizzare sangue rosso.

Una sorta di grido, inumano e umano allo stesso tempo, si diffuse nell’aria.

L’angelo si sollevò di alcune decine di metri insieme allo 02, cominciando ad agitarsi con grande violenza per fargli mollare la presa.

Ci riuscì e scagliò l’Evangelion nel lago vicino alla città.

Asuka atterrò abbastanza bene, tuttavia l’angelo le fu nuovamente addosso.

Si era staccato dallo 00, e penetrò con forza nel petto dello 02.

Inoltre si avvolse intorno a quest’ultimo come un serpente stritolatore, e anche l’altra estremità cominciò a introdursi nell’Eva, passando dalla schiena.

Il gigante umanoide si riempì rapidamente di voluminose venature in tutto il corpo.

 

“Oh mio Dio! Asuka!”, gridò Shinji.

Era ancora nell’Eva-01 e tramite la finestra olografica aveva visto tutto.

“Muoviti! Muoviti!! MALEDETTO! MUOVITI!”, strillò con tutta la sua voce.

Muoveva freneticamente le leve dell’Entry Plug, senza risultato.

Misato era rimasta impietrita per qualche attimo.

Si scosse: “Rei! Aiuta Asuka, svelta!”

“S-sì”, rispose Ayanami tentando di rimettersi in piedi.

Gli effetti visibili del contatto con l’angelo erano scomparsi, tuttavia la ragazza si sentiva come se le avessero infilato decine di tizzoni ardenti in tutto il corpo.

“NON VENIRE!”

La voce di Asuka risuonò negli altri Eva e nella sala controllo, ammutolendo i già sconvolti presenti.

“Non… non devi venire… First… o questa cosa… prenderà… anche… te…”

“Ma Asuka…”, mormorò Misato.

“Non preoccuparti… Misato…. So come sistemare… questo… bastardo…”

 

Nel suo Entry Plug Asuka, col corpo percorso da orribili vene pulsanti e quasi immobilizzata, a fatica raggiunse una leva circolare posta dietro il sedile.

Con grande sforzo iniziò a girarla in senso orario.

 

“I sistemi di controllo del nucleo dello 02 si stanno progressivamente disattivando!”, annunciò Maya.

Hyuga rimase sbigottito. “Ma in questo modo…”

“Lo 02 esploderà!”, concluse Shigeru.

“NO! NO! ASUKA! Ti scongiuro! Non farlo!!!”, gridò sempre più disperato Shinji, togliendo le parole di bocca a Misato.

“Brutto… zuccone… questo è tutto quello… che posso fare… per uno scemo come… te”. La bocca di Asuka si piegò in un debole sorriso. “Ah sì… e anche per… salvare… il mondo. Rei, ricordi… la promessa?”

“Sì”, rispose semplicemente Ayanami a capo chino.

“Mancano trenta secondi all’esplosione!”, comunicò Maya, con gli occhi lucidi.

Misato si rivolse supplichevole a Gendo: “Comandante, faccia intervenire lo 03!”

“Sarebbe inutile. Quell’angelo è di tipo corrosivo. Far intervenire un’altra Eva significherebbe solo aumentare il numero degli Evangelion bloccati. La strategia del Second Children, per quanto estrema, è l’unica corretta”, fu la risposta impassibile.

Il maggiore guardò con odio implacabile il suo superiore.

Shinji ormai piangeva a dirotto. “ASUKA! NON FARLO! TI PREGO! RESTA CON ME! IO TI AMO!”

“La frase migliore… che… potevi… dirmi… e solo alla fine… stupido”, commentò Asuka mentre mancavano sette secondi.

“NOOOOO!”

Nella sala risuonarono degli allarmi, seguiti da un grosso fragore, come di un terremoto.

I membri della Nerv si guardarono l’un l’altro: cosa era successo?

“Un momento… è lo 02?!”, domandò ansiosa Misato.

Si girò verso lo schermo e rimase per l’ennesima volta senza parole.

Lo 02 non era esploso.

L’angelo era stato costretto a lasciarlo.

Perché era stato afferrato dall’Eva-03!

L’umanoide nero, privo di Umbilical Cable, con una mano reggeva il nemico, che si agitava a più non posso, mentre l’altra mano era posata sul petto dello 02.

“Il nucleo dello 02… è stato disattivato”, riferì Maya.

Anche Ritsuko non ci capiva più nulla. “Ma cosa… come…”

Purtroppo l’angelo non si era dato per vinto.

Anche il braccio dello 03 si riempì di venature.

L’Eva strinse a sé l’angelo, che iniziò a corrodere il suo corpo.

Mari osservò le deformazioni che apparivano sul suo braccio, in continuo aumento.

“Osservate bene che cos’è un adamita e che cos’è veramente un Evangelion”, disse rivolta verso Neo-Tokyo 3.

Poi il gigante nero spiccò un balzo verso l’alto, un salto enorme, sicuramente aiutato dall’At-Field.

 

Il personale della Nerv osservava esterrefatto cosa stava avvenendo.

Persino Gendo sembrava piuttosto scosso.

“Misato…”

Il maggiore si guardò intorno.

Perché sentiva la voce di Mari nella sua testa?

“Rammenta cosa ti ho detto l’ultima volta. E grazie per la tua amicizia”.

“Il nucleo dello 03!”, esclamò Shigeru, “sta per…”

Una grande luce riempì il cielo sopra Neo-Tokyo 3.

Quasi un secondo sole, che stava dov’erano l’Eva-03 e l’angelo.

Ci fu un’esplosione mastodontica.

E quando si esaurì, non c’era più nulla.

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Capitolo 6
*** 6° Capitolo ***


6° Capitolo

 

“Non riusciamo a capirci nulla, dottoressa”.

Ritsuko aveva ormai perso il conto di tutte le volte che aveva sentito quella frase durante la giornata.

Si trovava, insieme con alcuni tecnici, nella gabbia dove fino al giorno prima era custodito l’Eva-03.

La gabbia appariva intatta, non c’era neppure un bullone fuori posto, il rosso liquido di raffreddamento giaceva immobile e non presentava alterazioni.

Era tutto normale.

Allora come diavolo aveva fatto l’Evangelion nero a ritrovarsi fuori dal Geo-Front?

“Dottoressa!”, gridò un tecnico andando incontro al gruppo di Ritsuko. “Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo ripulito il nastro delle telecamere di sorveglianza”.

“Bene, finalmente una buona notizia!”, esclamò la scienziata.

I nastri della sorveglianza erano stati la prima cosa che avevano controllato, ma la registrazione, a causa di misteriosi disturbi elettromagnetici, si oscurava pochi attimi prima che si compisse il mistero, quando lo 03 era ancora posto nella gabbia.

E quando il disturbo cessava, l’Eva era sparito.

Ora i tecnici della Nerv erano riusciti a recuperare il pezzo mancante.

 

“Non riusciamo a capirci nulla, comandante”.

Gendo osservava impassibile il luogo dove era stata detenuta Mari Makinami.

Il responsabile della sicurezza in quella zona, aveva temuto chissà quali punizioni da parte del comandante Ikari, ma quest’ultimo si era limitato a chiedere solo cosa fosse successo.

“Dicevo”, riprese l’uomo, “non sappiamo come abbia fatto: ha sfondato i blocchi delle braccia e delle gambe, li ha divelti come se fossero di carta; poi ha lanciato i loro resti contro gli emettitori del campo di forza sul soffitto, distruggendoli. Infine ha aperto la porta a mani nude ed ha steso le guardie in pochi attimi, senza che qualcuno riuscisse a dare l’allarme! Mostruoso! Inumano!”

“E dopo è corsa verso la gabbia dello 03?”, domandò Gendo.

“Sì. Pochi minuti prima che l’Eva si ritrovasse, chissà come, fuori dalla base”.

Senza aggiungere altro, Gendo lasciò l’ex-cella e andò a prendere un ascensore.

Una volta fuori da esso, attraversò un corridoio e aprì con un suo codice una porta blindata: quello era l’accesso per una zona off-limits dell’ospedale interno della Nerv, l’area dove veniva ricoverato chi era stato contaminato fisicamente o mentalmente dagli angeli.

Gendo passò per diversi corridoi, vuoti, bianchi e asettici, fino a giungere nella stanza 303, dove si trovava Kirishima Mana fino al giorno prima, e che ora era vuota.

“Comandante, finalmente è giunto”, disse una donna in camice bianco accostandosi a Gendo.

Osservò la stanza vuota. “Non riusciamo a capirci nulla, signore. La ragazza era lì, in coma farmacologico come lei aveva ordinato. Poi di colpo sentiamo una specie di tuono, un ronzio. Accorriamo… e la stanza è vuota! Vuota! Nessuno è entrato, nessuno è uscito. Eppure…. Speriamo di poter recuperare i filmati della sorveglianza. E’ una cosa incredibile!”

Gendo non disse nulla.

Quando suonò il suo cercapersone, e scorse il numero della dottoressa Akagi, si limitò ad andarsene.

 

“Uffa, di nuovo questo soffitto”.

Essendo stata da poco dimessa, ovviamente Asuka non apprezzava il nuovo ricovero.

Ma c’era pure un’altra cosa che la seccava, ancora di più anzi.

L’assenza di una determinata persona, che lei sperava di ritrovare al suo risveglio.

Invece nulla.

Allora decise che lo avrebbe aspettato.

Dopo quanto era successo, non poteva non venire mai.

Inoltre trovò una valida motivazione per il ritardo di Shinji: non era il momento per eventuali dichiarazioni romantiche.

Dato che c’era stato un lutto tra i Children.

“Addio Mana. Mi dispiace averti maltrattato”.

 

Gendo raggiunse la dottoressa Akagi nel suo ufficio.

“Dottoressa, di solito le cose mi sono riferite nel mio ufficio”, fece notare lui.

“Mi scusi, comandante. Però quando ho saputo che si trovava nell’ala segreta dell’ospedale interno, ho ritenuto che il mio ufficio fosse più adatto perché più vicino del suo”, si difese lei. “Deve vedere subito questi filmati. C’è anche quello dell’ospedale”.

La dottoressa aprì il suo PC portatile, il comandante si sedette alla scrivania, con sopra tante statuine a forma di gatto, e si mise nella sua posa classica mentre il filmato partiva.

L’immagine, lievemente disturbata ai bordi, mostrava la gabbia dell’Eva-03, immobile.

I bracci meccanici posti sulla sommità della gabbia iniziarono a muoversi, tolsero la capsula a forma di croce che sostituiva l’Entry Plug e v’inserirono quest’ultimo.

Poi sulla pedana antistante l’Eva apparve Mari Makinami: la ragazza spiccò un balzo notevolmente alto ed entrò nella capsula, che fu subito inserita nella schiena del gigante.

Pochi attimi e tutto iniziò a tremare.

Sulla testa dell’Eva apparve qualcosa, sembrava un cerchio, nero al suo interno e crepitante di energia lungo i bordi.

Pareva che l’Eva-03 avesse a mo di aureola un piccolo buco nero, come quelli che si trovano nello spazio.

Il buco cominciò a scendere, come un ascensore, e ad allargarsi, fino a inglobare lo 03.

Quest’ultimo scompariva nella parte inferiore del cerchio, ma senza sbucare da quella superiore.

Il cerchio penetrò sin nel liquido di raffreddamento.

“Ma quello non è stato toccato”, aggiunse Ritsuko. “Solo l’Eva è sparito!”

Il filmato terminò.

“Ora c’è quello dell’ospedale”.

Lo schermo faceva vedere una stanza di ospedale e un letto con sopra Kirishima Mana, che pareva addormentata.

Anche qui la scena iniziò a tremare, un nuovo buco nero, più piccolo di quello apparso nella gabbia, si aprì dal nulla sopra la ragazza, e un’enorme mano nera, chiaramente quella dello 03, uscì da esso e delicatamente prese la giovane per tirarla su.

La mano si ritirò nel buco nero, che scomparve, e la stanza sembrò tremare ancora più forte.

“Ha provocato una sorta di terremoto, quello ha fatto scattare gli allarmi. E per finire, qui c’è il filmato di cosa è accaduto durante lo scontro col 16° Angelo”.

Le immagini mostravano l’Evangelion rosso ancora bloccato tra le spire dell’angelo.

In pochi secondi vicino a loro comparve nel cielo l’ennesimo buco nero, dal quale saltò giù l’Eva-03, che con una mano afferrò l’angelo e con un solo strattone lo costrinse a lasciare lo 02.

Contemporaneamente mise una mano sul petto di quest’ultimo.

“In qualche modo lo 03 ha provocato una sorta di corto circuito nel nucleo dello 02, disattivandolo. Ora è di nuovo perfettamente funzionante. Il resto lo sappiamo già”.

Gendo rimase in silenzio.

Ritsuko sentì il bisogno di accendersi una sigaretta.

“Le sue conclusioni?”, domandò a un tratto Gendo facendo lievemente sobbalzare la scienziata.

“Non so che dirle, comandante. Forse l’Eva-03 ha usato il suo At-Field per manipolare il tessuto della realtà, creando uno squarcio spazio-temporale simile al Mare di Dirac del 12° Angelo. Ma che questa capacità includesse anche il teletrasporto… Si tratta di un principio fisico che forse non comprenderemo mai”.

“Voglio le sue vere conclusioni”.

“Eh?”

“La sua mano sta tremando”.

Ritsuko non se n’era accorta, però la mano che reggeva la sigaretta stava effettivamente tremando.

Emise un sospiro. “Non essendo riuscita a nasconderlo, allora sarò sincera: ho paura, comandante. Una dannatissima paura!  Come può essere tutto questo? Tutte le leggi fisiche che noi scienziati abbiamo scoperto, non valgono nulla?

Pare di no, visto che queste… creature… sembrano poterle piegare ai loro voleri con una facilità disarmante.

Simili azioni era lecito aspettarsele dagli angeli, ma gli Evangelion li abbiamo creati noi. Non dovremmo conoscere tutti i loro segreti e capacità? Non dovrebbero essere sotto il nostro totale controllo? A quanto pare no. E chi, o cosa diavolo era quella maledetta Mari Makinami, per riuscire a fare quello che ha fatto? Noi, e quelli della Seele, siamo bambini che giocano con la materia di Dio! Me l’ero già chiesto con l’Eva-01 e quello che è successo ieri me lo fa domandare ulteriormente: che cosa abbiamo osato creare noi esseri umani?!”

La dottoressa si accorse di aver gridato alla fine, ma non le importò: nonostante la sua freddezza, il suo autocontrollo, le sue grandi conoscenze e la sua fiducia nella scienza, era pur sempre un essere umano, e tutte le persone hanno un limite di sopportazione, superato il quale, devono sfogarsi.

Pallida, Ritsuko volle solo sedersi per riprendere fiato.

Gendo non disse nulla, si alzò e se ne andò.

Poi sembrò avere un ripensamento.

“Nel filmato che dovremo inviare alla commissione e al governo, tagli la parte dei buchi neri. Noi abbiamo fatto uscire lo 03, il cui pilota si è sacrificato per la salvezza del mondo”.

La donna annuì lentamente: anche se scossa, era pur sempre la dottoressa Ritsuko Akagi, collaboratrice principale di Gendo Ikari.

 “Già fatto, comandante”.

 “Ha idea di dove potrebbe trovarsi il Fourth Children, adesso?”

“In teoria, in ogni angolo del mondo, e sicuramente quella Makinami avrà fatto attenzione a non portarla in posti troppo ovvi”.

 

Il locale di Mari era vuoto, abbandonato, e recava ancora i segni dell’attacco delle teste di cuoio della Nerv.

Misato sedeva al bancone, in mano un boccale di birra, recuperato da uno stipo e riempito col contenuto di un barilotto trovato nel retro.

“A te, Mari!”, esclamò bevendo tutto di un fiato.

Non le importava che la birra fosse calda, bevve tutta in una volta.

Poi sbatté con forza il bicchiere sul banco, e si asciugò le lacrime.

Aveva appena ricevuto la notizia che Mana era considerata ufficialmente deceduta.

“Col cavolo!”,  pensò il maggiore. “Ormai chi si fida più delle versioni ufficiali? Non so come, ma sono sicura che Mari non si è sacrificata senza salvare anche Mana. Aveva detto che avrei dovuto prendermi cura degli altri dopo, quindi ora ci ha pensato lei. Dove può averla portata?”.

Rammentò un particolare detto da Mari nella loro ultima discussione.

Sapeva di non poter agire direttamente perché sempre sotto controllo.

Tuttavia conosceva chi poteva controllare per lei, e grazie al codice speciale datole da Kaji, poteva informare quelle persone senza problemi.

 

 

“Mamma mia, quanto è eccitante!”, esclamò Kensuke Aida.

“Smettila, Kensuke. Ti ricordo che siamo qui in missione per conto della signorina Misato”, lo redarguì Toji Suzuhara, che aveva una torcia in mano e una borsa a tracolla.

“Speriamo che non sia pericoloso”, commentò la capoclasse Hikari Horaki tenendo un’altra torcia.

Toji puntò la luce in più direzioni. “In teoria non dovrebbe esserlo. Se ci fosse stato anche il minimo segno di pericolo, la signorina Misato non ci avrebbe mai coinvolto. Quando ci ha chiamato su quello strano numero, è stata più volte sul punto di cambiare idea. Se ha proseguito, vuol dire che ritiene l’operazione fattibile da noi”.

“Un’operazione segreta su incarico della signorina Misato. Che forza!”, riprese Kensuke. “Peccato che abbia dovuto lasciare a casa la mia videocamera”.

“Aida”, lo riprese Horaki. “La signorina Katsuragi è stata chiara: niente tracce, di nessun genere. Supponi che tuo padre, un giorno, trovi un eventuale filmato di stanotte. Pensi che non andrebbe a dirlo ai suoi superiori? Magari a noi farebbero solo una strigliata, ma che ne sarebbe di quella poveretta? Meno male che i nostri genitori non ci sono quasi mai, mentre le mie sorelle dormono come ghiri, altrimenti non avremmo potuto sgattaiolare fuori di casa in piena notte”.

“Lo so, lo so”.

Toji fece cenno di fermarsi. “Ci siamo!”

Si trovavano sul retro della loro scuola, vicino al locale dove si bruciavano i rifiuti.

L’edificio era deserto, come i dintorni, immersi nel buio.

“Suzuhara, perché vuoi cominciare da qui?”, domandò la capoclasse.

“Perché questo luogo è perfetto per nascondersi. Ci vengono solo nel tardo pomeriggio per bruciare i rifiuti, e per il resto della giornata è sempre vuoto”.

“Però la porta sarà chiusa a chiave”, obbiettò la ragazza.

Con fare malandrino, Kensuke tirò fuori un coltellino con la lama lunga e sottile.

“Lasciate fare a me. Per sopravvivere in caso di guerra, bisogna anche imparare a forzare le serrature”.

Ci trafficò qualche minuto, riuscendo infine ad aprire la porta.

Davanti a loro c’era un locale privo di luce, ma quella che arrivava dalla porta era sufficiente per illuminare la grossa caldaia dell’inceneritore.

La capoclasse si fece avanti. “Mana, sei qui? Sono Hikari Horaki”.

Come risposta ci fu un lieve rumore proveniente da dietro la caldaia.

I ragazzi vi puntarono contro le torce, e mutamente videro Mana Kirishima venire fuori, con passo insicuro e a piedi nudi, addosso solo un pigiama da ospedale.

La ragazza si coprì gli occhi, infastidita dalle torce.

“Presto!", esclamò Horaki andandole incontro. “Suzuhara, prendi la borsa. Serve acqua. Aida, la coperta”.

“Subito”, risposero i due ragazzi mentre Mana veniva fatta sedere.

Toji prese una bottiglietta e la passò a Horaki, che la diede a Mana.

Il Fourth Children bevve  avidamente e Kensuke la avvolse con una coperta.

“Uff, grazie”, disse Mana dopo aver bevuto tutto di un fiato.

“Immagino tu sia stanca. Però adesso non si può riposare”, la avvertì Horaki. “Devi andare a casa di Suzuhara, la più vuota e la più vicina. Lì potrai farti qualche ora di sonno. Poi domani mattina presto ti trasferirai a Nobuchi in treno. E’ un piccolo paese, sarai ospite di una mia cugina. Dopo…”

“Dopo si attende”, concluse Mana cominciando a mangiare voracemente uno dei sandwich portati da Kensuke.

La tensione e l’ora tarda l’avevano distrutta, non se la sentiva di fare domande, o ipotesi sul suo immediato futuro.

Voleva solo riposarsi, quindi si limitò a seguire i suoi tre soccorritori, anzi, Toji se la caricò sulle spalle.

Tuttavia Hikari la affiancò e le disse qualcosa, da parte di Misato.

 

Il treno arrivò puntuale alle sei del mattino, quando il sole iniziava a spuntare.

Mana era da sola sul marciapiede.

Toji e Kensuke comunque, rimasti nella sala d’aspetto, la sorvegliavano da lontano, anche se la stazione, escluso il controllore, era deserta.

D’altronde non si trovavano a Neo-Tokyo 3, ma a Kyubu, cittadina a un’ora di pullman dalla futura capitale del Giappone.

Da Kyubu, Mana avrebbe preso il treno per Nobuchi, dove l’avrebbe accolta la cugina di Horaki, scelta da quest’ultima col consenso di Misato.

L’ex-pilota dello 03 indossava abiti casual e uno zaino, quasi che fosse una turista fai-da-te, senza nulla di particolare.

Un’idea di Kensuke: risulta più invisibile chi si nasconde sapendo di essere visto rispetto a chi cerca vistosamente di nascondersi.

Potevano sembrare un’esagerazione tutte quelle attenzioni, ma siccome doveva sfuggire alla Nerv, che sarebbe stata capace di localizzarla persino se avesse fatto uno starnuto al momento sbagliato, era meglio non correre rischi.

Arrivò il treno, con solo due vagoni, la ragazza vi salì e per un attimo si girò verso Toji e Kensuke, facendo loro il segno dell’ok.

Quando il treno si mosse, la ragazza si sedette su una poltrona e tirò il fiato.

Il treno era deserto, quindi difficilmente poteva esserci qualcuno in agguato.

Anche se quando era arrivata a Neo-Tokyo 3…

Represse un brivido e cercò di rilassarsi guardando il panorama che scorreva fuori dal finestrino.

Le foreste che vedeva erano simili a quelle viste nel suo paese, l’America, dove sicuramente i suoi genitori e i suoi fratelli la piangevano.

Mana strinse i pugni per resistere alla tentazione di mettersi a urlare imprecazioni contro Gendo Ikari, che l’aveva fatta passare per morta durante l’ultima battaglia, e anche per non soccombere al desiderio di chiamare la sua famiglia per informarla che stava bene.

Misato, come le avevano riferito i suoi tre compagni di classe, era stata molto chiara in merito: Mana doveva assolutamente evitare i suoi famigliari, perché sarebbero stati i primi a essere messi sotto controllo.

“Però il dolore per la perdita di un famigliare è terribile… già, veramente terribile…”

 

****

 

“Dove sono?”

Mana si guardò intorno: si trovava all’interno di un vagone, su un treno diretto chissà dove.

Il vagone era di quelli con una singola fila di sedili su ciascun lato, e i sedili erano uno di fronte all’altro.

Una luce pomeridiana molto intensa proveniva dai finestrini davanti a lei, inondando l’intero luogo e dando all’ambiente una colorazione rossa e arancione.

La ragazza indossava la divisa scolastica, mentre il vagone era deserto.

“Ma che succede? Sono morta?”

“No, per fortuna no”.

“Eh?! Chi sei?”

Si guardò intorno, poi si accorse che il sedile davanti al suo, un attimo prima vuoto, era ora occupato.

Davanti a lei era apparsa dal nulla una ragazza con gli occhiali, che indossava una tunica marrone.

“Tu sei… Maaya Sakamoto!”

“No”, rispose l’altra, “il mio vero nome è Mari Illustrious Makinami. O meglio, è il nome che mi sono data perché mi piaceva”.

Detto questo, Mari s’inginocchiò davanti a Mana, che sembrò non comprendere.

“Intendo scusarmi”, spiegò Mari. “Per colpa mia, sei stata messa in pericolo. Tu non lo sai, ma per piegarmi ai suoi scopi, Gendo Ikari mi ha ricattata tramite te”.

“Me?”

“Ti ha posto in coma farmacologico, sotto la costante minaccia di ucciderti tramite avvelenamento se non ubbidivo”.

Mana rimase sconvolta da quella notizia.

“Non ti preoccupare, ho risolto tutto. Almeno per quanto mi era possibile. Mi raccomando, tra poco ti risveglierai, e non dovrai mai allontanarti dal luogo in cui ti ritroverai. Se i miei calcoli sono giusti e se quella persona mi aiuterà bene, cosa di cui sono sicura, Gendo Ikari non potrà mai più farti del male”.

Mana chinò il capo distogliendo lo sguardo.“Sembra proprio che gli Ikari siano solo fonte di disgrazia per me”.

“Sono esseri umani, decisamente troppo umani. Ma la condanna del padre non può valere per il figlio. Se ci rifletti, lo capirai”.

“Davvero?”

“Sì”, disse Mari risiedendosi. “Comunque devo dirti altro. Il posto dove andrai ora, non ci resterai per molto tempo. Tra poco arriverà l’Apocalisse, o il Third Impact, che dir si voglia. Quando sarà il momento, dovrai tornare, ci vorrà un gioco di squadra per contrastare un altro gioco di squadra. Io non posso aiutarvi, ho preso una decisione. Per dare una svegliata ad un arrogante quattrocchi, per salvare te dal medesimo quattrocchi, soprattutto se gli fossero venute strane idee, e perché in fondo sono una vigliacca che non se la sente di combattere direttamente le sue sette sorelle e il suo fratellone acquisiti”.

“Non capisco”.

“Non mi è permesso scendere nei dettagli. Ma tu abbi fiducia in te stessa e negli altri e ce la farete”.

“E’ una parola, comunque sembra che tu mi abbia salvata. Quindi devo ringraziarti”.

“Salvarti è sempre stato un vero piacere per me”.

Mana piegò la testa di lato. “Sempre?”

“Ricordi l’incidente del trattore? Il miracolo? L’ho fatto io”.

“Che cosa?”

“E tutte le volte che nel corso degli anni, e anche qui a Neo-Tokyo 3, sei stata in pericolo o avevi comunque bisogno di un aiuto, io ho vegliato su di te”.

Kirishima sentì una scossa lungo il suo corpo, immagini fulminee si susseguirono nella sua mente.

L’incidente del trattore…

Il salvataggio sul treno…

Il blackout…

L’attacco dell’11° Angelo…

Anche la sera in cui si era sentita sola…

La ragazza rimase a bocca aperta.

Era sempre stata Mari?

“Ma… perché?”

Mari sorrise e si strinse nelle spalle. “Perché siamo sorelle”.

“Come?!”

“Be, sorellastre, per la precisione. Sono frutto di un esperimento genetico, ma il dna si può modificare, non creare dal nulla. Io nacqui da chissà chi, una donna ingravidata con un superseme ottenuto da dna prelevato dal sangue di tuo padre”.

“Mio padre… è un donatore!”

“Bingo! Ce ne furono tanti nati come me, però pochi sopravvissero. Io sono l’unica rimasta con dei familiari esterni all’organizzazione dei miei creatori. Quando ero una bambina, di cinque anni ma con l’intelligenza di un adulto, visitai per curiosità la mia famiglia naturale e vidi in te una mia sorella, capii che tu potevi avere la vita ricca e normale che io invece non avrei mai potuto avere.

Da allora, mentre eseguivo gli ordini, ho sempre vigilato su di te, e oggi ho compiuto il mio capolavoro. Quindi posso andarmene”.

“Andartene? Dove?”

Mana inorridì quando vide il volto di Mari riempirsi di grosse venature, che presero poi a sanguinare.

Tuttavia l’interessata non sembrò curarsene, anzi, ammiccò.

“Il momento è arrivato, a quanto pare ho tra le mani un tizio alquanto acido”.

Prese una mano di Mana tra le sue. “Addio, sorella. Sii felice”.

La luce del sole divenne man mano sempre più accecante, sembrò quasi voler inglobare Mari.

“NON MORIRE!!”, gridò Mana alzandosi per abbracciarla.

 

Lo scossone del treno ridestò Mana.

Si era addormentata durante il viaggio per Nobuchi.

Si mise una mano sul volto e si accorse di avere le guance bagnate.

Mana non avrebbe mai dimenticato il suo risveglio nel deposito della scuola, la grande esplosione nel cielo, che aveva attirato l’attenzione di tutti, permettendole così di piangere liberamente, di rifugiarsi nel bosco vicino alla scuola per poi nascondersi la notte nel locale dell’inceneritore, approfittando di una finestrella lasciata aperta.

“Ho trovato una sorella… e l’ho persa nello stesso giorno”.

Comunque non avrebbe lasciato che il suo sacrificio fosse vano.

Aveva già cominciato, anche grazie a quello che aveva voluto riferirle Misato, per questo aveva scritto un messaggio per Shinji, affidandolo a Horaki.

Per il resto, sarebbe rimasta in attesa.

 

Il panorama buio del Geo-Front era scrutato da Gendo Ikari, in piedi davanti ad una delle finestre del suo ufficio.

Si trovava nella stessa posizione in cui era Fuyutsuki durante la loro precedente discussione.

Tornò alla sua scrivania, tirò fuori un computer portatile e cominciò una ricerca.

Si ricordò delle parole che aveva detto al suo vice: essere pronti a diventare anche demoni, pur di raggiungere i propri scopi.

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Capitolo 7
*** 7° Capitolo ***


7° Capitolo

L’immenso cielo azzurro sovrastava Shinji, che lo osservava stando disteso per terra, sulla terrazza della scuola.

Non era l’intervallo, rischiava una nota sul registro, ma francamente non gli importava nulla.

Aveva scelto apposta quel momento, perché voleva stare da solo.

Specialmente dopo la morte di Mana.

Non c’era più, la ragazza che lui aveva sfruttato, ferito e quasi ucciso.

E ora cosa avrebbe dovuto provare?

Dolore? Tristezza? Rabbia?

Dato che si sentiva così in colpa per quanto le aveva fatto, quelle erano le reazioni che avrebbe dovuto avere.

Eppure si tratteneva: niente lacrime, niente sfoghi, niente.

Perché?

Era forse diventato insensibile?

Oppure temeva che il suo sfogo lo avrebbe portato ad atteggiamenti egoistici?

Misato aveva ragione: lui necessitava davvero del perdono di Mana.

Ma se era stato così egoista in passato, non c’era ora il rischio che il suo dolore lo portasse a soffrire solo perché senza quel perdono non poteva neppure tentare di essere felice con Asuka?

“Accidenti, dovrei prendermi a ceffoni da solo”, si disse da solo.

“Ikari”.

Shinji si girò e vide la capoclasse sovrastarlo, con i pugni chiusi.

“Cosa c’è, capoclasse?”

“Stai bene?”

“Diciamo di sì. Comunque se intende riportarmi in classe perché adesso non è intervallo, può risparmiarselo. Avere una nota sul registro è l’ultima delle mie preoccupazioni”.

Hikari s’inginocchiò affianco a lui e poggiò le mani a terra.

“Sono venuta solo per dovere. Fai come credi”, gli disse ad alta voce, per poi aggiungere con tono attutito: “Ho un messaggio per te. Leggilo senza dare nell’occhio”.

Hikari rapidamente se ne andò, incuriosito Shinji si mise a sedere e notò un foglio di carta vicino a lui, dove prima stava la ragazza.

Cautamente lo raccolse nascondendolo nel pugno chiuso e andò a leggerlo in un piccolo ripostiglio che stava sul terrazzo.

 

Caro Shinji, sono Mana.

Hikari ti dovrebbe consegnare questa lettera tre giorni dopo la mia presunta morte, quando le acque dovrebbero essersi abbastanza calmate.

Nonostante la Nerv abbia decretato la mia morte ufficiale, sono invece ben viva.

Non posso dirti dove mi trovo e non posso spiegarti cosa c’è dietro tutta questa faccenda, molti dettagli non sono chiari neppure a me.

Comunque mantieni il segreto su questa lettera, confidalo solo a quelli di cui puoi fidarti al 1000%.

Posso dirti chi, purtroppo, è morto al posto mio sullo 03: era Maaya Sakamoto.

Ti prego però di non affliggerti, il suo è stato un nobile gesto, un sacrificio da ammirare, e non credo vorrebbe vedere qualcuno perdere tempo a piangere per lei.

Se invece cerchi un responsabile per tutto questo, sappi allora che si tratta di quel bastardo di tuo padre.

Non oso immaginare che razza di vita tu possa aver avuto per causa sua, unita alle sofferenze legate agli Evangelion, sofferenze che tu hai subito in quantità maggiore rispetto a me.

Anche se non approvo quello che mi hai fatto, riflettendoci credo di averti capito meglio.

Tu mi avevi spiegato il tuo passato, ma certe cose bisogna viverle sulla propria pelle per comprenderle veramente.

Ti reputavo un bastardo dentro, come il tuo genitore, con una maschera da bravo bambino, invece adesso capisco davvero che sei realmente una persona che cerca solo affetto e consolazione, una persona di quattordici anni che ha subito situazioni estreme ed è stata portata ad agire in maniera estrema.

Inoltre, mi è stato riferito dei tuoi sensi di colpa, hai davvero una natura sensibile, e non voglio che tu soffra ancora.

Perciò ti perdono, Shinji Ikari.

Ti perdono sapendo tutto, anche che durante lo scontro con l’Eva-04 sei stato tentato di desiderare la mia morte.

Una cosa orribile, che spero vivamente tu non commetta più, e questo può succedere solo in un modo: devi essere felice, Shinji.

E’ il mio desiderio per te.

Se troverai la vera felicità, sono sicura che non correrai più il rischio di ferire gli altri.

Sii felice con Asuka, è quello che voglio.

Alla fine ci rivedremo, spero in situazioni più liete.

 

Le mani di Shinji tremarono, cadde in ginocchio, iniziando a singhiozzare, mentre un vortice di pensieri e di emozioni si agitavano nel suo cuore e nella sua mente.

Un vortice talmente forte da impedirgli di dire l’unica parola possibile dopo quella lettura.

 

Un gruppo di tecnici si stava recando alla gabbia dell’Eva-01 per effettuare controlli.

In prossimità dell’entrata, dall’ascensore affianco a quest’ultima, sbucò una persona che non avrebbero mai pensato di vedere in quel momento: il comandante supremo Gendo Ikari.

A disagio e imbarazzati, farfugliarono qualcosa abbozzando un saluto militare.

Era, infatti, rarissimo vedere lì il comandante, e le poche volte che accadeva, la sua visita era sempre preannunciata, quindi i tecnici provvedevano subito a sparire, salvo che non fosse richiesta esplicitamente la loro presenza.

Tuttavia Gendo non li degnò di uno sguardo, e in quel momento si percepiva qualcosa d’inquietante in lui.

Entrò nella gabbia dell’Eva e chiuse la porta dietro di sé.

“C-comandante… dovremmo…”, cercò di dire, con ritardo, uno dei tecnici.

Comunque una risposta gli giunse: l’accensione di una spia rossa sopra la porta, per indicare che era stata bloccata dall’interno.

 

Asuka aveva ormai perso il conto di tutte le volte che aveva preso e poi gettato quella rivista.

Stava bene, non ce la faceva più a stare in ospedale, e sapere che entro quella sera l’avrebbero dimessa, le rendeva ancora più pesante l’attesa.

La porta si aprì.

“Chi… Shinji?!”

Il ragazzo si avvicinò al letto.

“Sei sorpresa di vedermi?”

“Insomma. Ho sempre sperato che saresti venuto, ma visto quello che è successo a Mana, pensavo che non lo avresti ritenuto adatto”.

Shinji si guardò intorno, poi si accostò alla ragazza e le disse qualcosa nell’orecchio: “Mana è viva, mi ha mandato una lettera. Sull’Eva-03 c’era la signorina Sakamoto, non chiedermi il perché. Sembra che c’entri mio padre, un maestro in fatto di misteri. Tu fai finta di nulla e non dirlo a nessuno”.

Asuka lentamente annuì.

Fu una triste sorpresa per lei sapere che la Sakamoto era morta, non la conosceva molto, però si era dimostrata una persona simpatica e intelligente, che era persino riuscita a gabbarla, cosa non da poco.

I due rimasero immobili, uno vicino all’altra.

“Che facciamo ora?”, domandò lui.

“Non lo so. Mana ha detto che non dovremmo piangere per Maaya, perché lei non lo vorrebbe”.

“In effetti, non sembrava il tipo a cui piacevano i piagnistei”.

“Già, i gesti nobili servono per aiutare gli altri a vivere, non per farli soffrire”, pensò Shinji.

“Sei venuto per dirmi solo questo?”

“Sì e no. Ecco… vedi, nella lettera, ha detto che mi perdonava. E che mi voleva felice insieme a te”.

“Davvero?!”

“Sì”.

Quella notizia inizialmente fece sorgere una forte sorpresa in Asuka, sostituita poi man mano da una certa speranza.

“C’è un problema in tutto questo?”

“No”, ammise lui mostrando un certo imbarazzo. “Solo che ho un po’ di paura… non so se devo o se posso… io…”

Asuka si sporse in avanti e lo baciò.

Shinji fu ancora preso da qualche dubbio, ma poi si perse in quel bacio e abbracciò la ragazza.

“Grazie, Mana”.

 

“Quindi vi siete baciati.  I miei complimenti”.

Anche attraverso il telefono, si sentiva che Misato era estremamente felice.

“La ringrazio”, rispose Shinji un po’ imbarazzato. “Comunque Asuka è stata dimessa. Può venire adesso?”

“Temo di no, sono oberata di lavoro. Mi sa che dovrete andare a casa da soli. Comunque finito il turno, verrò appena posso, e farò un sacco di spesa. Dobbiamo festeggiare!”

“Uhm sì, ma cerchi di non esagerare”.

“Stai tranquillo. E tanti auguri!”, concluse Misato chiudendo il contatto.

Nel fare la spesa, avrebbe sicuramente esagerato, però andava bene così, gli eventi felici erano da festeggiare ampiamente.

 

Shinji e Asuka, all’uscita dal reparto ospedaliero, erano abbracciati.

“La signorina Misato non può venire. Dobbiamo andare a casa da soli”, avvisò lui.

“Meglio così. Un po’ d’intimità fa sempre bene”, rispose Asuka stringendosi ancora di più a lui.

Avviandosi verso l’ascensore, incontrarono Rei.

“Oh, Ayanami. Salve”, esordì Shinji.

Rei li guardò incuriosita, Shinji capì il perché.

“No, ecco…. Noi due…”

“C’è qualcosa che non ti aggrada, First?”, domandò Asuka con fare sospetto e stringendo il braccio di Shinji fin quasi a fargli male.

Dopo la discussione nell’ascensore, temeva che Rei avrebbe avuto qualcosa da ridire.

“Niente affatto. Anzi, sono contenta per voi”, rispose l’altra, e fece una cosa davvero inaspettata: sorrise.

Un sorriso lieve e molto dolce, convinto.

La stessa convinzione che si leggeva nei suoi occhi rossi, di solito così inquietanti, e ora così umani.

Per Shinji fu una sorpresa relativa, dato che lui già conosceva il sorriso di Ayanami, da quella volta dopo lo scontro col 5° Angelo.

Invece per Asuka fu una sorpresa totale, e rimase pure imbarazzata. “Ehm, grazie”, farfugliò trascinando Shinji verso gli ascensori.

 

Una volta fuori dal Geo-Front, respirarono a pieni polmoni l’aria ormai serale, e si avviarono verso la fermata del pullman.

Shinji sentì di dover dire qualcosa: “Sai, dopo quanto è successo oggi, sento una sensazione nuova, oltre all’amore”.

“E quale?”

“La fiducia. Fiducia negli altri, fiducia nel mondo, fiducia che le cose possano andare meglio. Prima di venire qui, mi sono sempre limitato a vivere passivamente, lasciando che le cose accadessero, credendo che nulla sarebbe mai cambiato. Invece adesso, ho la speranza nel futuro”.

“E ci mancherebbe altro. Con me le cose possono solo andarti bene, stupidello”, esclamò Asuka baciandolo sulla guancia.

Arrivarono alla fermata dell’autobus, deserta, e con affianco un’alta siepe.

“Ora che ci penso, e i biglietti?” domandò Asuka.

“Dovremo andare in un negozio a comprarli. Vedo se mi bastano i soldi” rispose Shinji lasciando il braccio di Asuka per frugarsi nelle tasche.

Tirò fuori qualche banconota.

Fu questione di pochi attimi: un’ombra furtiva uscì dalla siepe muovendosi con molta rapidità.

Si inserì tra Asuka e Shinji, con un guizzo strappò i soldi di mano al ragazzo e corse via.

Shinji rimase più sorpreso che altro.

Fece in tempo a vedere che in una mano, quel tizio aveva un coltello.

Con la lama rossa.

“Shinji”, lo chiamò Asuka.

Anche lei sembrava più sorpresa che altro, mentre si portava le mani al ventre.

Sul vestito si allargava costantemente una macchia di sangue.

La ragazza cadde prima in ginocchio, poi a terra.

Shinji sembrò non aver realizzato subito cosa era successo.

Era impietrito.

Poi cominciò a tremare, piangendo e gridando come una furia si lanciò su di lei.

Ma il suo slancio fu disturbato dall’improvviso rumore di alcuni colpi di pistola.

Nonostante non volesse, qualcosa lo spinse a guardare in direzione degli spari.

A poca distanza vide l’aggressore di Asuka, steso a terra e immobile.

Poi un gruppo di uomini robusti e armati, alcuni in completo nero, altri con una tuta militaresca, corsero verso di lui.

Shinji cercò di abbracciare Asuka, immobile sul pavimento.

Gli uomini del servizio di sorveglianza della Nerv gli furono addosso, e con decisione lo allontanarono afferrandolo per dietro le braccia.

Qualcuno di loro si chinò sulla ragazza a terra e tirò fuori un cellulare.

“Lasciatemi! Lasciatemi! Asuka! ASUKAAAAA!”, strillò Shinji mentre veniva allontanato sempre più da lei.

 

Misato stava controllando le ultime scartoffie, aiutata da Makoto Hyuga.

“Questa sera mi sembra particolarmente raggiante, maggiore”.

“Oh sì. Oggi è successa una cosa molto, ma molto positiva”, rispose la donna chiudendo con soddisfazione gli ultimi fascicoli.

“Capisco. Senta, maggiore, se non sono discreto, che fine ha fatto il signor Rioji Kaji? Prima bazzicava sempre da queste parti, poi è sparito”.

Misato divenne molto seria. “Non so cosa gli è successo”.

Hyuga intuì che non era un argomento da trattare. “Capisco”, concluse ritornando alle sue carte.

Il cellulare di Misato squillò.

Lesse il numero, ed era quello di Ritsuko, per questo fu molto tentata di non rispondere.

Però ritenne che sarebbe stato un atteggiamento assai infantile.

“Cosa vuoi?”, domandò freddamente.

Hyuga notò che il volto del suo superiore da seccato divenne pallido, terribilmente pallido.

Davanti a quel cambiamento, l’operatore della Nerv provò un brivido lungo la schiena.

“Maggiore, cosa… cosa è successo?”

Con un movimento quasi meccanico e lento, Misato girò la testa verso di lui.

“Asuka… Asuka è stata aggredita. E’… è morta!”

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Capitolo 8
*** 8° Capitolo ***


8° Capitolo
La sala mortuaria era fredda e vuota.
Su un lettino c’era un solo corpo, coperto da un lenzuolo bianco, ma leggermente rosso nel punto sovrastante il ventre.
Misato entrò con passo titubante, si avvicinò al lettino, lentamente mise una mano sulla parte del lenzuolo che copriva il volto di quel cadavere, e con estrema lentezza lo sollevò.
Un singulto di disperazione le scappò dalla bocca.
Rimise a posto il lenzuolo ed uscì a passo svelto.
Ritsuko era affianco alla porta.
“Come… com’è succeso?”, domandò il maggiore.
“Stando a quanto hanno detto gli agenti del servizio di sicurezza, si è trattato di un barbone. Ha agito così in fretta che non sono riusciti a fermarlo. Quando gli hanno sparato era ormai troppo tardi”.
Misato sbatté un pugno contro il muro.
Sembrava che volesse parlare, ma a giudicare dai tremori, la tensione dei muscoli le sigillava la bocca, quindi dovette per qualche attimo tentare di rilassarsi.
“Ti faccio una domanda. Non è una provocazione, devo farlo perché questa è la prassi, Misato, lo sai bene. Non può esserci l’autopsia, giusto?”
“Se ci provi, ti affogo ficcandoti la testa in un water!”
“Quindi no”.
“Non permetterò che subisca profanazioni. Inoltre, non mi sembra ci siano molti dubbi sulla causa della… morte”.
L’ultima parola fu pronunciata a denti stretti, come se fosse un’ammissione strappata con la forza.
 “In effetti è così”, riprese la dottoressa. “Intanto ho provveduto a chiamare i genitori di Asuka. La matrigna vuole che i funerali si svolgano in Germania”.
“Che?!”
“Intende seppellirla vicino alla madre”.
“Ah”.
“E Shinji come l’ha presa?”
“Mi aspetta all’uscita. Non è voluto venire qui”.
Concludendo con un “Comprensibile”, Ritsuko se ne andò.
“Voglio vedere il rapporto della sicurezza”, le ordinò per ultimo Misato, prima di avviarsi nella direzione opposta.

Shinji era seduto nell’ufficio di Misato: stava con le gambe aperte, le braccia distese e le mani giunte, il volto basso.
Non sembrò nemmeno accorgersi che la porta dell’ufficio si era aperta.
“Ikari”.
Shinji non rispose ad Ayanami, non reagì nemmeno quando lei si avvicinò, e neppure quando lei lo abbracciò.
“Mi dispiace… veramente!”
Il ragazzo si mise in piedi facendo alzare anche lei.
Parlò con voce atona: “Dimmi, Ayanami, durante lo scontro con l’ultimo angelo, Asuka ha parlato di una promessa con te”.
“Sì”.
“Riguardava il prendersi cura di me nel caso le fosse successo qualcosa?”
“….sì”.
La guardò in faccia, l’estremità sinistra della sua bocca si piegò in quello che forse era un sorriso, e infine uscì dalla stanza.
Fu allora che il First Children sentì qualcosa di bagnato scenderle lungo una guancia, e se la toccò.
“Queste sono… lacrime?! Io sto piangendo?”

Il tragitto in macchina dalla base della Nerv fino al loro appartamento fu completamente silenzioso.
Shinji non disse nulla, stando sempre con lo sguardo basso, e d’altronde anche la sua tutrice non sapeva cosa dire.
Quando rincasarono, il ragazzo andò direttamente verso la sua camera: “Non intendo cenare”, avvertì prima di chiudere la porta.
Neanche Misato aveva fame, quindi anche lei andò in camera.
Pen Pen si limitò ad osservarli fugacemente un attimo prima di rifugiarsi nel suo piccolo frigorifero.

“Hai saputo del Second Children?”
Fuyutsuki, che osservava il geo-front dalla finestra dell’ufficio di Gendo, sapeva che era una domanda oziosa.
“Certo”, rispose Gendo, che era seduto davanti alla sua scrivania.
“E allora?”
“Allora niente”.
Kozo guardò perplesso il suo amico. “Dunque non intendi ricorrere a quella tecnica?”
“No. Di angeli ormai ne è rimasto solo uno e noi abbiamo a disposizione due Evangelion”.
“Ma un solo pilota”.
“Non è un problema”.
Il vice-comandante rimase ancora più perplesso, ma Gendo sembrò chiudersi in un mutismo assoluto.

Il giorno dopo, Misato andò a svegliare Shinji, anche se immaginava in realtà di trovarlo ben sveglio.
Del resto anche lei non aveva chiuso occhio, passando la notte a riflettere.
Ora si sentiva il corpo distrutto, però alla mente non importava.
Il maggiore della Nerv aprì la porta e trovò Shinji rannicchiato contro il muro, a testa bassa.
“Shinji?”
“Non intendo fare colazione. E non voglio neppure andare a scuola”.
“Domani… il corpo… verrà trasferito in Germania. Non vuoi darle l’ultimo saluto?”
“No”.
Il ragazzo aveva parlato con voce atona, nessun sentimento traspariva, sembrava un robot, e non aveva neanche sollevato la testa.
Misato pensò se fosse il caso di fare una prova: rivelargli la morte di Kaji.
Era consapevole di non avere prove, forse da qualche parte sperava ancora. E forse per questo non aveva osato controllare nei computer della Nerv, proprio grazie al codice che lui le aveva lasciato, per sincerarsene.
Però l’ultima discussione, l’ormai prolungato silenzio da parte di Rioji e il suo istinto di donna innamorata, glielo strillavano ai quattro venti.
“Mi lasci solo, per favore”, mormorò allora Shinji, che si alzò e si mise sul letto, dando le spalle a Misato.
“No, anche Kaji era una persona importante per lui, non posso dargli un altro dolore”, concluse lei chiudendo la porta.
Tuttavia la sua perplessità si faceva sempre più forte, perché era davvero troppo inquietante l’indifferenza di Shinji.
Troppo calmo, troppo inattivo, non era una reazione normale.
Certo, che soffrisse, si avvertiva. Però era una sofferenza troppo compassata da parte di uno che aveva perso la persona più cara.
Persino Misato, intuita la morte del suo amato, per giorni si era chiusa nella sua stanza tentando di annegare il dolore nella birra. E proprio per questo aveva meditato di confidarglielo, sperando in questo modo che Shinji capisse quanto la sua tutrice lo comprendesse in quel momento. Così magari si sarebbe sfogato con lei.
Ma non se l’era sentita, e ora poteva solo attendere l’evolversi di quella faccenda.
Tuttavia c’era un'altra questione che poteva cercare di risolvere, un dubbio che la assillava dalla sera precedente.
Qualcosa non quadrava nella morte di Asuka: non appena ricevuta la notizia, aveva subito chiesto al reparto servizi di sicurezza di fare rapporto, e le era stato consegnato mentre stava per lasciare la base.
Considerati poi gli ultimi avvenimenti, era andata a controllare anche nel computer del servizio di sicurezza.
Le due versioni coincidevano: da entrambe risultava che un vagabondo aveva aggredito Shinji e Asuka per tentare una rapina, colpendo a morte lei con un coltello. Subito dopo, l’assassino era stato freddato dagli agenti della Nerv.
Ovviamente, Misato sapeva che quegli agenti non erano infallibili e anche loro potevano venir colti di sorpresa.
Senza contare che nella mente di quel vagabondo poteva essere scattata chissà quale scintilla per colpire mortalmente, e senza dire una parola, una ragazza sconosciuta.
Quello che non convinceva il maggiore era la sua uccisione.
Perché l’avevano eliminato?
Non aveva armi da fuoco, solo un coltello, e ciascun agente di sicurezza della Nerv sarebbe capace da solo di disarmare a mani nude almeno cinque uomini armati di coltello.
Inoltre, dato che ormai aveva già colpito, la procedura avrebbe richiesto che fosse arrestato per gli interrogatori.
Adesso invece non sapevano nemmeno come si chiamasse, dato che non aveva documenti.
Come risolvere il problema?
Non certo rivolgendosi agli agenti di sicurezza, lei non aveva tale autorità su di loro e neanche ficcandogli una pistola in bocca li avrebbe convinti a parlare.
L’unica possibilità era quella di indagare sul vagabondo.
Sul rapporto c’era la foto del suo cadavere, il cadavere di un uomo sulla quarantina, con barba leggermente incolta e capelli lievemente lunghi, un viso abbastanza pulito.
Fu proprio quel viso, grazie al codice lasciatole da Kaji, che Misato prelevò dal database dei servizi di sicurezza per poi confrontarlo con le banche dati della Nerv e dell’intero Giappone, anche quelle protette.
Quell’operazione avrebbe richiesto solitamente giorni, ma potendo usare abusivamente i Magi, Misato ci avrebbe impiegato solo qualche ora.
Le venne un forte sbadiglio, la notte passata in bianco cominciò a farsi sentire, quindi abbassò lo schermo del suo computer portatile, si coricò per riposare un attimo gli occhi e invece si addormentò quasi di botto.
La mente era forte, ma anche il corpo voleva il suo tributo.

Ritsuko Akagi, seduta nel suo ufficio, stava ultimando via telefono i preparativi per il trasferimento della salma di Asuka in Germania.
Il corpo era chiuso in una bara metallica, che sarebbe stata imbragata e caricata su un aereo.
La porta si aprì e girandosi per vedere chi fosse, la scienziata non poté nascondere una leggera sorpresa alla vista del vice-comandante Fuyutsuki.
“Dottoressa”, esordì lui con un lieve inchino.
“Va bene, fate come vi ho detto”, disse Ritsuko terminando la telefonata per poi rivolgersi al suo superiore: “Posso fare qualcosa per lei?”
“Speravo che potesse rispondere ad una mia domanda”.
“Ovvero?”
“Lei sa cosa ha intenzione di fare il comandante Ikari?”
Ritsuko fece una strana smorfia. “Perché mi chiede questo? Che cosa è successo?”
“Poco fa mi ha congedato, ordinando di sostituirlo in tutte le funzioni di controllo. Si è pure chiuso nel suo ufficio, dicendo che non vuole essere disturbato”.
Alquanto sorpresa, la scienziata fece per prendere il telefono.
“Inutile, ha interrotto la linea in entrata. Può fare telefonate ma non riceverne”, la fermò Kozo.

Misato si ridestò leggermente, qualcuno la stava toccando sulle gambe scoperte, quasi picchiettando.
Era Pen Pen.
Capendo di averla svegliata, il pinguino cominciò ad agitare le ali freneticamente, pigolando con insistenza.
“Mph”, bofonchiò lei lottando ancora contro il sonno, “che succede, Pen Pen? Hai fame?”
Con occhio spento Misato guardò la sveglia che teneva affianco al futon.
Aveva dormito per tre ore.
Poi vide il suo portatile davanti a sé: lo schermo era alzato.
Un dettaglio che la fece scattare in piedi come se avesse preso la scossa.
Prese la pistola di ordinanza e cautamente uscì dalla stanza: la casa era deserta.
Pen Pen uscì dalla stanza e con ostinazione indicò prima l’ingresso e poi la stanza di Shinji.
 “Shinji? Shinji, mi senti?”
La sua domanda non trovò risposta, quindi Misato entrò e vide la camera vuota.
Pen Pen ora indicava con insistenza solo la porta d’ingresso, e un orribile sospetto s’insinuò nella mente del maggiore.
Corse al portatile e lesse le informazioni, la ricerca sul vagabondo era terminata da circa dieci minuti e aveva dato esito positivo.
Positivo e sorprendente.
Misato impallidì, frettolosamente recuperò scarpe e giacca ed uscì, sotto lo sguardo del pinguino domestico.

Gendo Ikari sedeva nel suo ufficio, il silenzio era ancora più opprimente del solito, e sembrava concentrarsi sul comandante.
Lui era sempre stato un uomo capace con la sua espressione impenetrabile e l’aura di severa intransigenza, di attirare su di sé, come un magnete, la concentrazione dei rari visitatori.
Per questo, di solito, non si accorgevano del disegno posto sul soffitto di quell’immensa stanza: l’albero delle Sefirot.
Gendo per un attimo pose lo sguardo sul lungo rapporto che aveva sul tavolo.
Il rapporto dettagliato di tutto quello che era successo a suo figlio dal giorno dell’entrata nella Nerv.
Era stato redatto dagli uomini della sorveglianza e integrato con testimonianze prese, a loro insaputa, da coloro che erano più vicini al ragazzo.

“Andiamo! Andiamo!”
Con ansia crescente, Misato cercava di correre e insieme di reggere il cellulare.
Stava tentando di chiamare gli uomini del servizio di sicurezza, particolarmente quelli della piramide centrale.
Li avrebbe informati della situazione, specificando che per nessuna ragione al mondo avrebbero dovuto fare del male al ragazzo.

Gendo aveva passato tutta la mattinata a riflettere intensamente sugli eventi descritti nel rapporto.
Alzò gli occhi verso l’albero delle Sefirot: erano in dieci, più un’undicesima complementare.
Anche su quelle aveva riflettuto fortemente.
La prima era Malkut: il livello fisico, il più basso, da cui partono tutti.
Poi c’era Yesod, la verità dei fatti: Shinji doveva averla appresa quando scoprì, grazie all’indiscrezione della dottoressa Akagi, che Gendo teneva in modo particolare a Rei Ayanami.
Lo stesso Gendo doveva aver permesso a Shinji di raggiungere la terza Sefirot, Hod, lo splendore: lodandolo, gli aveva dato la possibilità di trovare con l’Eva una vera ragione di vita, rasserenando il suo animo.
Era invece responsabilità del maggiore Katsuragi, con i suoi complimenti, il raggiungimento della quarta Sefirot: Netzach, la vittoria, cosa che tuttavia lo aveva reso troppo precipitoso contro il 12° Angelo.

“Maledizione! Ma perché non rispondono!?”, sbottò Misato mentre i minuti passavano e il telefono squillava a vuoto.
Usando un numero criptato, decise di chiamare Makoto Hyuga.

A quel punto avrebbe dovuto arrivare la quinta Sefirot, Teferet, la compassione verso gli altri.
Però rivedendo lo schema degli eventi, si evidenziava che un elemento di disturbo era giunto: Mana Kirishima.
In base ad intercettazioni avvenute a scuola e al risultato di alcuni pedinamenti a grande distanza, la sua storia aveva risvegliato una sorta di lato oscuro in Shinji, una visione possessiva ed egocentrica di un'altra persona, che aveva offuscato la compassione, spingendo il giovane a sfruttare il Fourth Children per i suoi desideri egoistici.
Per ultimo, grazie alla confessione intercettata durante il ricovero del Second Children, si era scoperto che Shinji, sentendosi tradito, aveva rischiato sempre più di sprofondare nell’oscurità, desiderando la morte di Mana.
Questo però era stato evitato grazie all’esplodere improvviso della quinta Sefirot durante lo scontro col 13° Angelo: l’aver capito il suo sbaglio e il terribile senso di colpa dimostravano che Shinji sapeva preoccuparsi davvero per gli altri.

“Maggiore Katsuragi, cosa c’è?”, domandò Hyuga, già sul posto di lavoro ma sorpreso di ricevere una telefonata del suo superiore in un momento che pensava di lutto.
“Hyuga! Ti sto parlando da una linea criptata! Shinji è alla base?”
L’operatore della Nerv richiamò sul suo computer l’elenco che riportava chi e quando era entrato o uscito dal Geo-front servendosi delle security card da usare agli ingressi.
“Sì. E’ arrivato quattro minuti fa”.
“Ordina alle guardie di fermarlo, ma senza fargli del male!”
“Come?!”
“Quello che è successo ad Asuka, era un attentato!”

Il disturbo provocato da Kirishima era continuato: il senso di colpa per i sentimenti omicidi verso di lei e successivamente per averla sfruttata, avevano spinto Shinji Ikari in una direzione che gli aveva fatto raggiungere prematuramente la settima Sefirot, Chesed. Ovvero l’amore.
Ma così facendo era stata saltata una Sefirot.

Shigeru e Maya giunsero in quel momento sul ponte di comando e si accorsero subito di quanto fosse diventato bianco il loro collega Hyuga.
“Ho… ho capito, li informò subito!”, disse lui mettendo giù la cornetta.
“Che… che è successo?”, domandò Maya.
 Hyuga non rispose e fece un numero di telefono.
“Dannazione! Perché le guardie della piramide non rispondono?!”
Prontamente Aoba attivò le telecamere in quel settore.
Vide qualcosa di davvero inquietante. “I corridoi… sono deserti. Le postazioni di guardia sono vuote!”
Si accorse di qualcuno che stava prendendo un ascensore.
“Shinji Ikari! Il Third Children sta salendo dal comandante”.
“Oh no! Diamo l’allarme!”
“Si può sapere una buona volta che succede?!”, chiese sempre più agitata Maya.
“L’uomo che ha ucciso Asuka”, spiegò Makoto, “non era un vagabondo. Era un architetto, Katsuhiro Kawasaki, ed era anche un malato terminale, con una famiglia da mantenere. L’hanno ingaggiato versando sul suo conto ben cinquanta milioni di yen!”
Shigeru e Maya non sembrarono capire.
O forse non volevano crederci.
Almeno fino a quando Hyuga non disse il nome del misterioso benefattore.

La sesta Sefirot saltata era G'vurah.
Tuttavia era come per le addizioni: anche cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non mutava.
L’ingresso dell’ufficio si aprì.
Gendo vide entrare suo figlio, Shinji.
Il ragazzo lo fissava con occhi di ghiaccio.
Occhi che cominciarono a lacrimare: “Tu…”
Il comandante della Nerv non batté ciglio: “Si”, rispose con assoluta calma. “Io ho pagato quell’uomo affinché uccidesse Asuka Soryu Langley”.
Shinji da dietro la schiena tirò fuori un grosso coltello da cucina e corse verso il genitore.

Misato correva a perdifiato per i corridoi della piramide, mentre gli allarmi si attivavano.
Prese l’ascensore e salì nell’ufficio di Gendo Ikari.
Prima ancora di arrivare, sentì una specie di urlo continuo, dapprima indistinto, ma lancinante e straziante quando le porte si aprirono.
La donna sentì il cuore fermarsi per un attimo: vicino alla scrivania c’era Gendo Ikari.
Steso per terra, in un lago di sangue e con un coltello piantato nel ventre.
A gridare era Shinji.
Rannicchiato per terra con un’espressione stravolta e rigata da un pianto copioso.
Misato corse da lui e lo abbracciò.
“Shinji! Shinji, ti scongiuro! Calmati!”
Ma lui non ascoltava, gridava e basta, e sembrava sull’orlo di una crisi nervosa.
“Perdonami!”, esclamò allora Misato colpendolo dietro il collo col taglio della mano e stordendolo.
Nell’ufficio calò un silenzio irreale.
“…F-forza… e… e rabbia…”, mormorò Gendo con un filo di voce e un’espressione soddisfatta.
Girò la testa di lato, restando poi immobile, con cautela Misato gli controllò il polso.
Batteva ancora.
Per un attimo, un lungo, lunghissimo attimo, fu tentata di lasciarlo lì a morire dissanguato.
Oppure di dargli il colpo di grazia, magari usando il coltello ancora piantato nel suo corpo.
Ma fu solo un attimo.
Prese il telefono della scrivania e chiamò i soccorsi medici: non avrebbe permesso che Shinji diventasse un assassino per colpa di quell’uomo.

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Capitolo 9
*** 9° Capitolo ***


9° Capitolo
In quel momento, Kozo Fuyutsuki si sentiva vecchio, molto vecchio.
Aveva sempre avuto una salute di ferro, era abituato a lavorare per lungo tempo, la sua età non era certo eccessiva e quindi era sempre riuscito a stare al passo con i membri più giovani della Nerv.
Eppure in quel momento aveva l’impressione di essere un vecchietto ormai rassegnato all’approssimarsi della fine.
Quante cose erano accadute in quei giorni, eventi imprevisti e sconvolgenti, che avevano dimostrato sempre di più come il loro credere di avere il destino in mano fosse in realtà solo un’illusione.
Eppure c’era ancora chi non voleva arrendersi all’evidenza, almeno non del tutto.
Questo s’intuiva dalla lettera che Gendo Ikari gli aveva scritto e che Kozo aveva trovato in un cassetto della scrivania del comandante.
Era chiusa in una busta con scritto: ‘Fuyutsuki, leggila dopo il fatto’, e non potevano esserci dubbi su quale fosse il riferimento.
Nella lettera Gendo aveva rivelato il suo ruolo di mandante dell’omicidio di Asuka Soryu Langley, sostenendo di averlo fatto per consentire a Shinji di raggiungere lo stadio necessario a usare l’Eva-01 durante l’ultima battaglia.
L’attentato era stato organizzato in modo che Katsuragi notasse una discrepanza sulla quale avrebbe poi sicuramente indagato, ed era stato installato un allarme informatico che lo avrebbe avvisato quando qualcuno accedeva alla scheda di Kawasaki.
Per ultimo aveva ordinato alle guardie di andarsene,  per richiamarle solo se a presentarsi fosse stata un’infuriata Katsuragi senza Shinji.
Come ultime indicazioni, Ikari stabiliva che il ruolo di comandante sarebbe passato a Kozo, il loro piano doveva proseguire senza cambiamenti e Shinji doveva essere lasciato libero, insieme ad altre persone eventualmente coinvolte.
“Dunque si tratta del maggiore Katsuragi”, rifletté tra sé e sé l’uomo. “Certamente la Seele non avrà da ridire sul passaggio di consegne, a loro serve qualcuno fedele e che conosca la verità. Anzi, saranno pure contenti, perché mi ritengono più affidabile di Ikari, meno portato per l’inganno e il complotto. Eppure…”
Possibile che Gendo si fosse davvero spinto a tanto?
Sapeva benissimo che quell’uomo era pronto a tutto pur di raggiungere il suo scopo, tuttavia, conoscendo cosa lo muoveva nel profondo, aveva sempre sperato che non fosse in grado di andare veramente troppo oltre.
Invece, prima era arrivata la faccenda del Fourth Children, poi l’omicidio del Second Children.
Infine aveva pensato di trasformare suo figlio in un assassino.
Il proprio assassino.
“Ikari, il tuo desiderio è diventato un’ossessione fino a questo punto? Ma perché?”

“Quali sono le sue condizioni?”, domandò Misato a Ritsuko Akagi quando uscì dal reparto ospedaliero.
Prima che la porta automatica si richiudesse, il maggiore intravide il gruppo di soldati della Nerv che pattugliavano il corridoio successivo metro per metro, e quando l’ingresso fu chiuso altri due soldati si piazzarono ai suoi lati.
“L’operazione è stata lunga e difficile. Ha perso molto, molto sangue, e ora è in coma farmacologico. Se supera le prossime due giornate, se la caverà. Quasi sicuramente”, rispose la scienziata con distacco.
 “Coma farmacologico... e questa quella che chiamano giustizia poetica?”, disse rivolta più a se stessa che a Ritsuko.
“Vuoi chiedermi altro?”, domandò quest’ultima.
Dopo qualche attimo di silenzio, Misato si appoggiò di schiena alla parete e abbassò lo sguardo:“Tu conoscevi la verità sulla morte di Asuka?”
Ritsuko si accese una sigaretta. “Risponderti sarebbe inutile”.
“Perché?”
“Perché ormai non ti fidi più di me, quindi sospetteresti in ogni caso. Se dico che lo sapevo, penserai: ‘come immaginavo’. Se dico che era all’oscuro di tutto, allora il tuo pensiero sarà: ‘figurati. Chi ti crede ormai?’. Ho forse torto?”
“In effetti… no”.
“Bene. Ora ho io una domanda per te. Come sta Shinji?”
“L’hanno portato in una cella. Prima sono passata a trovarlo, e mi ha cacciato via. Non vuole vedere nessuno”.
“Capisco”, terminò la dottoressa andandosene.
Misato strinse i pugni: come aveva fatto a essere così stupida?
Lei aveva notato la stranezza del comportamento di Shinji dopo la morte di Asuka.
Come aveva fatto a non capire che Shinji stava solo trattenendo la sua rabbia in attesa di trovare un bersaglio su cui sfogarla?
Il ragazzo doveva aver intuito, come lei, che qualcosa non quadrava, o forse si era accorto dei suoi dubbi.
L’aveva spiata, al momento opportuno aveva agito, e lei non si era accorta di nulla.
Nulla!
Il suo cellulare squillò, Misato rispose di malavoglia.
Ma la notizia che le riferì Hyuga riuscì a meravigliarla.
“Come? Così presto?!”

Shinji se ne stava rannicchiato nella sua cella.
Misato era andata a trovarlo, ma non gli importava.
Così come non gli importava cosa fosse successo nel periodo in cui era svenuto e si era poi risvegliato in quella cella.
Non gli importava più di nulla.
La porta si aprì e una luce accecante entrò insieme con una persona.
“Shinji Ikari!”, esclamò la dura voce di un uomo. “Il nuovo comandante ha ordinato di liberarti”.
“Non m’importa”, rispose Shinji restando immobile.
L’uomo fece un cenno a qualcuno e due agenti della sicurezza entrarono, lo sollevarono di peso per le braccia e lo condussero fuori.
Come un sacco lo portarono fino ad uno degli ingressi del Geo-Front: “Il maggiore Katsuragi verrà a prenderti tra poco”, gli dissero i tre uomini della Nerv, che gli restituirono il tesserino d’accesso e se ne andarono.
Esattamente quello che voleva lui, essere lasciato solo, e poiché Misato stava arrivando, avrebbe fatto bene ad andarsene da lì.
Avanzò verso la porta chiusa e infilò il tesserino, ma la lastra metallica non si aprì.
“Dannazione! Perché?”, esclamò infastidito facendo passare più volte la tessera nella fessura.
“Perché la stai tenendo al contrario”.
Shinji sobbalzò: dietro di lui era apparso un ragazzo dai capelli grigi e con gli occhi rossi, che indossava la divisa della sua scuola media.
Sull’espressione del misterioso ragazzo era disegnato un sorriso che esprimeva dolcezza e decisione.
“Chi sei tu?”, domandò sospettoso Shinji.
L’altro, con assoluta naturalezza, gli prese il tesserino e lo infilò nella fessura facendo aprire la porta.
“Sono Kaworu Nagisa, per servirti”.

Misato giunse davanti all’ingresso del Geo-Front, trovandolo deserto.
Dov’era finito Shinji?
Fece per chiamarlo al cellulare quando scorse un’ombra dietro di lei.
“Rei?!”
La ragazza era apparsa come dal nulla e fissava con occhi freddi Misato.
“Se cerca Shinji, è andato via con un ragazzo che non conosco”.
“Un ragazzo?”
 Misato frugò nelle tasche e tirò fuori una foto, facendogliela vedere.
“Sì, è lui”, confermò Ayanami.
Dunque Shinji era andato via con Kaworu Nagisa, il Sixth Children, appena giunto per sostituire Asuka e mandato non dall’Istituto Marduk, ma direttamente dalla commissione.
Così le aveva detto Fuyutsuki, appena diventato il nuovo comandante della Nerv, quando Misato aveva chiesto di incontrarlo per saperne di più su quell’arrivo troppo tempestivo. Era stato sempre il nuovo comandante a darle la foto.
Tuttavia sapere con chi stava Shinji non la calmava per nulla.
“Maggiore Katsuragi, è vero che il comandante Ikari ha organizzato la morte del Second Children?”
Misato rimase di sasso.
“Rei… come…”.
“Mi risponda!”, insisté Rei con voce sorprendentemente autoritaria.
Colta di sorpresa, la donna bofonchiò un sì.
Rei le diede le spalle e corse via.
“Insomma, cosa sta succedendo qui?”, domandò a se stessa il maggiore.

Shinji camminava lungo un marciapiede e Kaworu lo seguiva.
Erano appena giunti fuori dal Geo-Front e ora si trovavano su una stradina periferica, fiancheggiata da un bosco e da un laghetto.
“E’ proprio bello il panorama qui”, disse Kaworu osservando quello specchio d’acqua. “Boschi e laghi se ne trovano tantissimi sulla superficie di questo pianeta. Eppure, pur essendo in sostanza la stessa cosa, sono tutti diversissimi tra di loro, e lo stesso vale per le montagne, le valli, tutto ciò che esiste in natura. E’ veramente magnifico”.
Shinji non rispose nulla.
“Probabilmente tu e quelli come te non sempre riuscite ad apprezzare appieno tale bellezza, perché l’avete sempre davanti agli occhi. Ma è un vero peccato. Solo perché si conosce già, non ci si dovrebbe dimenticare del valore di ogni singola cosa”.
Shinji rimase sempre muto.
“Anche perché se succede con una cosa sola, poi c’è il rischio che questa cecità si estenda a tutto il resto”.
Sempre nessuna risposta.
Kaworu non sembrò prendersela, anzi, con espressione divertita si strinse tra le spalle.
“Sai”, continuò imperterrito, “io so bene chi sei. Ti ho osservato per molto tempo. Tu sei il famoso Shinji Ikari, il Third Children, pilota dell’Eva-01. Sappi che ti ritengo una persona davvero ammirevole. Sei riuscito ad andare avanti nonostante tante terribili tragedie”.
Shinji cominciò a sentire il suo stomaco che si chiudeva, ed ebbe anche una sensazione di déjà vu.
“Ma almeno il signor Kaji mi conosce ed è una brava persona. Mentre questo chi diavolo è?!”
Kaworu sembrò volerlo incalzare: “Non solo per tutte le battaglie che hai vinto sull’Eva. Ma anche per il tuo passato: la morte di tua madre, il rapporto con tuo padre, la vicenda di Kirishima Mana. Senza contare quello che è successo ad Asuka…”
“Stai a sentire tu!” gridò Shinji voltandosi di scatto.
Si sentiva il sangue ribollire: perché quello sconosciuto gli stava addosso? E come faceva a sapere del suo passato, anche recente?
Kaworu era però sparito.
“Uh? Dov’è?”
“Proprio qui”, rispose Kaworu dietro di lui.
Shinji sobbalzò e nella fretta di girarsi perse l’equilibrio, Kaworu lo prese saldamente per un braccio e lo fece restare in piedi.
“Scusa, non volevo spaventarti, e solo che voi Lilin, quando siete preda di forti sentimenti, avete bisogno di qualcosa di particolare per concentrarvi su altro. Penso di averti abbastanza impressionato, anche inquietato, giusto? Quindi ora puoi ascoltarmi”.
Shinji non sapeva cosa dire o fare: da un lato c’era la forte tentazione di mandare al diavolo quel tizio.
Però in effetti una parte di lui era incuriosita e pure impensierita da quello che aveva appena visto: era sicuro che Nagisa non si fosse semplicemente spostato a grande velocità, ma che fosse letteralmente svanito per poi riapparire alle sue spalle.
“Andiamo in riva al lago”, propose Kaworu, e con un agile balzo scavalcò il guardrail ed entrò nel bosco.
“Dannazione!”, esclamò Shinji andandogli dietro dopo qualche momento di esitazione.
Ci misero poco a raggiungere il lago, e Kaworu inspirò profondamente quell’aria.
“Che bello, confermo quello che ho detto. La natura di questo pianeta è davvero splendida”.
“E allora? Cosa vuoi da me?”, domandò Shinji.
“Oh no. Non si tratta di quello che voglio io. Ma di quello che vuoi tu”.
“Io?”
“Sì. Vorrei sapere dove stavi andando prima. A casa tua?”.
“…no…”
“E dove allora?”
“Senti, ma si può sapere perché sto parlando con te?! Non ti conosco! Sei un tipo strano, e proprio per questo dovrei starti lontano!”, esclamò Shinji.
“Te l’ho detto. Io ti conosco. Ora tu conosci te stesso, chiarisci che cosa vuoi”.
“E che cosa dovrei volere?”
“Questo lo sai solo tu”.
Shinji, sentendosi preso in giro, si fece avanti e lo agguantò con entrambe le mani per il bavero della camicia.
“Smettila di giocare con me! Devi smetterla!”
“Altrimenti che fai?”, replicò Kaworu ancora sorridendo. “Mi uccidi come hai cercato di fare con Kirishima e con tuo padre?”
Shinji lasciò la presa come se avesse preso la scossa.
“Insomma, tu chi sei?”
“Quello che sa tutto di te”.
“Basta!”, tuonò Shinji. “Basta prendermi in giro! In questo strafottuto mondo non c’è nessuno che parli chiaramente! Giocate tutti a fare i misteriosi! Vi odio tutti! TUTTI!”
Kaworu non si lasciò impressionare ma si fece serio. “E perché ci odi?”
“Ma come perché?! Tu che dici di sapere tutto, proprio tu me lo chiedi? Cosa… Cosa mi ha dato il mondo? Da quando ho ricordi chiari, mi ha dato solo sofferenza! Mia madre è morta, quell’aborto che dovrei considerare mio padre mi ha abbandonato e sono stato affidato ad un tutore che si limitava a darmi da mangiare e a mandarmi a scuola. Poi quella bestia di genitore mi ha chiamato per farmi salire su un coso gigantesco e combattere un mostro! E quante volte si è ripetuta questa storia! Quante volte ho rischiato la vita e messo in pericolo gli altri! Tante! Troppe! E quando finalmente, dopo aver rischiato di diventare un assassino e aver scoperto quanto posso essere abietto, trovo l’amore, cosa fa il mondo? Me lo toglie! Me lo fa morire davanti agli occhi! Ed è stato il mio cosiddetto genitore a organizzare tutto! In dieci anni ho sofferto quanto soffre una persona normale in tutta la sua vita!”
Shinji cadde in ginocchio e cominciò a prendere a pugni il terreno.
“Perché… Perchè devo soffrire così tanto?! Cosa ho fatto di male!? Io voglio solo essere felice! Un’esistenza senza dolore è impossibile, lo so, ma perché non posso essere anche felice?! E’ una colpa?!”
“Non lo è”, rispose calmo Kaworu.
“Ma per questo lurido mondo lo è! Ed io lo odio, questo dannato mondo! Lo odio! Che sparisca! Sparisca per sempre!”
Le ultime frasi furono pronunciate con un sibilo quasi inquietante: “Mi ha dato solo sofferenza, lo ripagherò con la stessa moneta!”
Shinji abbassò il capo e si strinse tra le braccia, le nocche delle mani gli sanguinavano.
Kaworu avanzò e si chinò su di lui, gli mise una mano su una spalla e con l’altra gli sollevò la testa, guardandolo negli occhi.
“Ora stai piangendo”.
“Certo che piango”, rispose Shinji con un filo di voce e due sottili lacrime che gli rigavano le guance.
“Hai detto che odi tutti”.
“Sì”.
“E odi anche Misato Katsuragi? Rei Ayanami? Toji Suzuhara? Kensuke Aida? Kirishima Mana?”
Silenzio.
“Se davvero odi tutti, allora dovresti uccidere anche loro”.
Ancora silenzio.
“E perché hai pugnalato tuo padre solo una volta?”
Niente.
“Le tue parole di odio sono sincere, terribilmente sincere. Così come sono eloquenti e sinceri i tuoi silenzi. Qualunque cosa ti dica io ora, non ti servirebbe. Le sole parole non servono a nulla davanti ad un dolore simile. Quindi non ti dirò di non chiudere il tuo cuore. Solo…”
Kaworu prese le mani di Shinji tra le sue. “…promettimi che non ne butterai la chiave. A volte i miracoli accadono”.
Il ragazzo si alzò e si diresse verso il Geo-Front.
“Nagisa”, lo richiamò Shinji. “Tu pensi che io sia un essere patetico e incoerente, vero?”
“Oh no”, replicò l'altro facendo l’occhiolino. “Trovo che tu sia un meraviglioso, complesso e autentico esempio di essere umano”.
Poi guardò l’orologio. “Ops, si sta facendo tardi. Confesso che mi sarebbe piaciuto restare più tempo con te, so che sei molto bravo col violoncello. Io invece me la cavo piuttosto bene col violino. Sarebbe stato magnifico suonare insieme qualcosa di Beethoven.  Questo mondo ha generato stupendi paesaggi, e il genio dei Lilin ha creato qualcosa di altrettanto stupendo, la musica”.
Kaworu concesse a Shinji un ultimo sorriso. “Pazienza, sarà forse per un’altra vita.  Addio, Shinji Ikari”.
Solo quando ormai Kaworu fu fuori dalla sua vista, Shinji si accorse che le ferite alle nocche erano scomparse.

Kozo Fuyutsuki era in piedi davanti all’unità Eva-01, fissata nella propria gabbia.
“E’ strano per me trovarmi qui, davanti a te.  Di solito questi momenti avevano per protagonista Ikari. Mio Dio, ma perché è dovuto succedere tutto questo? La realizzazione dei nostri desideri può richiedere un simile prezzo? Ed io, cosa devo pensare di te? Sei ancora tu? Oppure hai trasceso i livelli dell’umano e adesso ci guardi dall’alto in basso, al punto che qualunque cosa ci accade ti è indifferente? O magari Ikari e io per tutti questi anni ci siamo sbagliati e di te non è rimasto più niente, ma solo l’istinto bestiale proprio degli Evangelion?”.
Nessun tipo di risposta arrivò dal gigante viola.
Fuyutsuki sospirò sconsolato. “Ikari vuole che proseguiamo col piano. Ma è pericoloso, Shinji ha conosciuto prima l’amore, poi la rabbia. E’ come voler nuotare in un fiume vorticoso andando controcorrente. Teoricamente non è impossibile, ma per concretizzarlo… Io non riesco ad avere la fiducia che aveva lui, e ti confesso che le sue ultime azioni mi hanno portato persino a dubitare della sua salute mentale. Inoltre, come può proseguire il piano se la Lancia di Longino è ancora al suo posto?”
“Quello non è un problema”, dichiarò Kaworu Nagisa arrivando all’improvviso, quasi fosse comparso dal nulla.
Fuyutsuki sembrò sorpreso, ma non troppo.
“In fondo sei stato inviato proprio dalla Seele”, gli rispose l’anziano uomo. “Immagino che tu riservi molte sorprese”.
“Oh, più di quante lei immagini”, ammise il ragazzo sfoggiando il suo sorriso impeccabile. “Se vuole farmi delle domande, sono a sua disposizione”.
Kozo lo scrutò, trovando qualcosa di familiare nei suoi lineamenti, finché un lampo sembrò squarciargli la mente.
“Tu… Tu sei un angelo?”
“Domanda molto ovvia. Però… sì, sono un angelo. Il nome che mi assegnarono i progenitori di voi Lilin è Tabris”.
Kaworu fece un profondo inchino, Fuyutsuki mosse impercettibilmente un piede all’indietro e si fece coraggio.
“E a rischio di apparire ancora ovvio, perché sei qui?”
“Il motivo originario era proprio quello che sta pensando lei in questo momento.”
“Però?”
“Però sono giunti dei cambiamenti. I miei padri adottivi non se ne sono accorti. Mi hanno mandato qui dicendo che dovevo svolgere la missione in massimo due giorni. Invece la terminerò in un giorno solo”.
“Ah sì?”
Fuyutsuki iniziò a calcolare quanto tempo poteva impiegare un uomo della sua età a raggiungere il pulsante dell’allarme che stava vicino alla porta dietro di lui, ad una ventina di metri.
“Suoni pure l’allarme, se questo la fa sentire più tranquillo. Tuttavia le ricordò che le armi di voi Lilin non possono nulla contro il mio AT-Field”, spiegò con tono amabile Kaworu.
Fuyutsuki non seppe più cosa fare.
“Non si preoccupi. Le ho detto che sono giunti dei cambiamenti, e questi cambiamenti mi hanno spinto ad una comprensione diversa per tempi e per modi. Il giorno del giudizio arriverà, mio caro Fuyutsuki, e ho capito che non spetta a me giudicare i Lilin. Soprattutto Shinji. Vi basti sapere che per molto tempo vi ho osservato, e allo stesso modo siete stati osservati da qualcuno simile a me e insieme diverso. Diverso anche perché non ha la mia compassione, quindi è molto, molto pericoloso”.
“Di chi parli? Ti riferisci agli Adamiti? Ma ci risulta che…”
Kaworu gli fece cenno di tacere. “Ora vada, professor Fuyutsuki. Qui tra poco ci sarà uno spettacolo poco gradevole per occhi delicati”.
“Senza offesa, ma come comandante della Nerv non posso certo lasciare qui, da solo, il 17° Angelo”, ribatté l’altro.
“Caro Fuyutsuki, lei sa che cos’è questo?”
Kaworu da dietro la schiena tirò fuori un oggetto quadrato.
Alcuni fili penzolanti indicavano che era stato strappato dalla sua sistemazione.
Il giovane lo lanciò a Kozo, che lo prese al volo.
Il comandante della Nerv per qualche secondo lo scrutò, poi impallidì: nella base della Nerv c’erano tante serrature di sicurezza elettroniche, ma quel particolare modello, il migliore, era stato posto in un luogo solo.
“Questa… questa è la serratura della porta d’acceso al Terminal Dogma! Vuoi dire che…”
Kaworu annuì. “Esatto. Quello che ho trovato laggiù, ha confermato ulteriormente le mie conclusioni. E’ stata pure una forte tentazione, sa? Ma come si dice, volere è potere. Inoltre mi sono occupato di togliere la lancia. Perciò il vostro piano può proseguire senza problemi. Ora può andare”.
Fuyutsuki, frastornato, lasciò la gabbia senza mai voltarsi.
Kaworu si mise di fronte allo 01.
“Avanti, cancella il mio essere. Prendi ciò che ti manca, quello che è proprio di noi angeli. Solo allora avrai il potere necessario per aiutare tuo figlio ad affrontare l’ultima battaglia”.
Pochi istanti dopo, dalla gabbia arrivò un suono di lamiere divelte, subito seguito da un altro suono particolare.
Molto simile a quello di un morso dato da una bocca gigantesca.


Il sipario fu calato sul palcoscenico.
Venne poi rialzato due volte per permettere agli attori di ricevere gli applausi del pubblico.
Il principe Lamperouge osservò con grande soddisfazione la sua ospite, che aveva gli occhi arrossati dal pianto.
“Milady, lo spettacolo non è stato di suo gradimento?”
“Devo… devo ammettere che la fiducia che riponevo in alcuni personaggi… è stata molto scossa…”
“Capisco. Mi dispiace che vi sia toccata una simile delusione. Però vi prometto che in futuro simili cose non accadranno più, grazie a me. Lucifer”.
La ragazza arrivò sul palchetto. “Mi ha chiamato, principe?”
“Sì, accompagna fuori la nostra stupenda ospite”.
Lucifer prese per mano la nobildonna e gentilmente la portò via dal palchetto.
Affianco al principe apparve dal nulla Asmodeus.
“Hihihihihi! Allora, fratellone, è andata come avevi previsto?”
“Naturalmente. Il tarlo del dubbio già dilaga e una volta compiuta l’ultima azione, sarà totalmente nostra. Domani mattina quelli della Nerv troveranno Rei Ayanami morta misteriosamente. Ammesso che facciano in tempo. Voi piuttosto, è tutto pronto?”
“Siiiii. Gli Eva sono ormai a nostra disposizione. Devi solo dare il via. Speriamo che Mammon si riprenda presto. Sai, è ancora in lutto”.
“Si riprenderà. Noi siamo superiori a queste cose. Ora, se vuoi scusarmi…”
“Prego, prego”, fece Asmodeus scomparendo.
Il principe si mise in piedi e si rivolse agli spettatori sottostanti, che con un unico movimento si girarono verso di lui.
Lamperouge sapeva che in realtà erano solo illusioni da lui create, così come quel teatro.
Tuttavia soddisfacevano il suo gusto per la teatralità.
“Signori e signore, vi ringrazio per la vostra partecipazione. Voi sarete i testimoni dell’alba di un mondo nuovo. Un mondo dove tutte le bassezze dei cosiddetti uomini non esisteranno più! Un mondo più giusto, più saldo, più forte!
Un mondo che sarà guidato da un sovrano assoluto!”
Il principe allargò le braccia, come se volesse abbracciare quella folla.
“Sarà un mondo che obbedirà solo a me!”
Gli spettatori iniziarono ad applaudire e ad acclamarlo a voce alta, perfettamente all’unisono.
“ALL HAIL LELOUCH! ALL HAIL LELOUCH! ALL HAIL LELOUCH!”

Continua…

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