Why don't your eyes see me?

di MoreUmmagumma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Spin-off#1 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Spin-off#2 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 37 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1973


Il fastidiosissimo rumore del traffico cittadino mi sveglia  dal mio sonno tranquillo. Apro gli occhi lentamente e vedo uno spiraglio di luce che entra dalla finestra. Strano.  In genere quando mi sveglio è ancora semibuio. Mi metto a sedere sul letto, stropicciandomi gli occhi e dopo un lungo sbadiglio controllo l’ora sulla sveglia sopra il comodino...le 8:30...merda! Come una furia scendo dal letto e mi reco in bagno per lavarmi il più velocemente possibile. Accidenti! Non posso arrivare tardi a scuola proprio oggi! Torno in camera da letto e apro l’armadio, mi metto il primo vestito che mi capita sotto tiro, uno giallo a fiori, mi metto le scarpe, dopodiché torno di nuovo in bagno e mi sistemo i capelli lunghi e neri in una coda di cavallo. Un po’ di trucco lo metto? Nah! Non ho tempo! Corro di nuovo in camera da letto, prendo la mia borsa (fortuna che quella l’ho già preparata ieri sera) e mi precipito di sotto per uscire di casa.
-Ciao mamma io vado!-
-Sei ancora qui?-
-Sì, non ho sentito la sveglia-
-Non mangi niente?-
-No, non ho tempo, ciao!-
-Buona fortuna!- la sento gridare, ma ormai sono già fuori casa per poterle rispondere.
La fermata dell’autobus è strapiena. A quanto pare l’autobus ha tardato ad arrivare e per questo si è formato quell’agglomerato di persone. Oddio no, ti prego! Non oggi!
Le mie preghiere vengono presto esaudite e in un lasso di trenta secondi vedo l’autobus girare l’angolo e venire verso di noi. Dio quanta gente! Ma non posso permettermi di aspettare il prossimo, così salgo e verso le 9:15 arrivo a scuola e trovo i miei due migliori amici ad aspettarmi preoccupati. Eugene e Elizabeth Clarke sono due gemelli eterozigoti (lei alta, bella in carne dai lunghi capelli castani e lisci; lui un po’ più basso, esile e con dei ricci capelli neri...e anche un paio d’occhiali. Credo sia innamorato di me, ma non ci giurerei)
-Lily, finalmente!- Liz si precipita verso di me -pensavamo non venissi più!-
-Non mi è suonata la sveglia!  A che punto siamo? Mi hanno già chiamata?-
-No, non ancora. Ma non dovrebbe mancare molto!-
Tiro un sospiro di sollievo -Meno male. Non potevo proprio permettermi di arrivare tardi nel giorno dell’esame più importante della mia vita-.
Ho appena finito la ‘Secondary’ e oggi è il giorno dell’esame finale, il giorno in cui “o la va o la spacca”. Se riesco a diplomarmi con il massimo dei voti potrò iscrivermi all’Università.
-Tutto bene?- mi chiede Liz.
-Sì-
-Non sei nemmeno un po’ in ansia?-
-Senti, ho studiato giorno e notte nelle ultime settimane, so tutto a menadito, i miei voti sono sempre stati impeccabili. Di che mi devo preoccupare?-
-Ma come, non lo sai?-
Di che sta parlando?
-Non sai chi ci sarà nella commissione?-


Avviso dell'autrice: *dlin dlon*
Questa è la mia seconda FF, nata...non so come è nata...è nata dalla mia mente malata e (troppo) sognatrice D:
Spero che la storia vi piaccia e ringrazio in anticipo quelli che mi seguiranno, mi leggeranno e mi recensiranno :B
Al prossimo capitolooooo :*


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il professor Harvey, il mio insegnante di letteratura inglese, l’uomo di cui ho una specie di cotta da svariati anni (no, ok, diciamo che me ne sono proprio innamorata) sarà a sostenerci l’esame!
Alto, slanciato, dai capelli castani e barba incolta, il professor Harvey è anche giornalista, attivista e poeta...ed è sposato. Mi ha fatto piacere la letteratura, e con il suo carattere posato e pacifico, mi ha fatto innamorare della sua persona. E oggi sarà nella commissione d’esame. Questa non ci voleva proprio! Non che non lo voglia ad assistere al mio esame, ma il fatto che sarà anche lui a giudicarmi, mi mette un po’ di soggezione.
-Sei pallida- osserva Eugene.
-Sarà che stamattina non ho mangiato niente e che ho fatto una corsa incredibile per arrivare qui-
Ma ormai mi è passata la fame. Almeno un caffè però lo voglio prendere. Mi avvicino alla macchinetta delle bibite calde e nemmeno dopo dieci secondi sento una vocina che mi saluta
-Ciao Lily-
Riuscirei a riconoscere la sua voce da papera anche a chilometri di distanza.
-Ciao Sarah- Potete immaginare l’entusiasmo con il quale la saluto.
Sarah Allen, la ragazza più popolare della scuola (e con la peggiore reputazione, aggiungerei) che mi rivolge la parola?! Accidenti. Elettrizzante.
-Hai già dato l’esame?- mi chiede con un sorriso ebete stampato sulla faccia.
-No, non ancora-
-Io, sono appena uscita. Ed è andato benissimo!-
Sì, immagino grazie a cosa.
-Sono contenta per te- le rispondo.
Rimane lì in piedi, impalata davanti a me, con la cascata di capelli rossicci che le avvolgono le spalle, gli occhi verdi, contornati da delicate lentiggini, che mi scrutano, aspettando che le chieda chissà cosa sull’esame. Come se mi interessasse!
-Cosa vorrai fare dopo?- mi chiede interrompendo il silenzio
-Non lo so-
 In realtà lo so benissimo, ma di certo non lo vado a dire a quella smorfiosa. Ma perché mi parla? Che vuole da me?
-Io andrò a studiare psicologia all’Università di Cambridge-
“Sì, ti ci vedo proprio”, avrei voluto dirle. Il massimo delle aspettative che vedo per lei è quello di diventare cameriera nel night club più squallido della città. E perché no? Magari anche spogliarellista.
-Buona fortuna allora- le rivolgo uno dei miei sorrisi più forzati. Stessa cosa che fa lei quando mi ringrazia. Dio, quanto è falsa! Non l’ho mai sopportata. Soprattutto dopo aver saputo, qualche anno fa, che era stata lei a dire al professor Harvey del mio amore per lui, facendoselo “scappare erroneamente” davanti ad altri studenti. Stronza! Dopo essermela tolta dai piedi torno dai miei amici con il caffè in mano.
-Che voleva Sarah Allen?- mi chiede Liz
-Non lo so. Penso volesse impicciarsi di cose che non la riguardano, come è solita fare. Oppure sperava che mi affidassi a lei chiedendole qualche informazione preziosa sull’esame. Illusa!-
Bevo il mio caffè, mi alzo per andare a buttare il bicchiere nel cestino, quando uno dei commissari d’esame esce dall’aula.
-Miss Brandon Lillian?!-
Cavolo, tocca a me! Rivolgo uno sguardo a Liz e a Eugene, che mi sorridono, dandomi tutto il loro appoggio. Faccio un sospiro profondo ed entro nell’aula.

Messaggio ai lettori: volevo precisare che dal prossimo capitolo si scopriranno molte più cose sulla vita di questa ragazza (no ok, in realtà è una sola ma vale per centomila :B) Ok basta, non dico nient'altro, non voglio rovinarvi la sorpresa D: spero solo che questa noticina possa indurvi ad aspettare con ansia il prossimo capitolo.
Detto questo *whoom* *si dilegua*

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Capitolo 3
*** Capitolo 4 ***


È passata circa una settimana e ancora non ho parlato a mia madre dell’Università. Sarebbe stato del tutto inutile, non avrebbe capito. Oggi escono i risultati dell’esame, perciò aspetto di sapere come è andato e solo allora le parlerò.
Verso la tarda mattinata mi precipito in fermata, ad aspettare l’autobus. Sebbene sia estate ha cominciato a piovere a dirotto, ma per fortuna ho portato con me un ombrello. Si sa, non c’è da fidarsi del tempo inglese. In fermata, insieme a me, ci sono una giovane donna, probabilmente di poco più di vent’anni, e un bambino piccolo che la tiene per mano.
-Mamma quando arriva l’autobus?-
-Presto amore! E vedrai, ci porterà dal tuo papà, che non vediamo da tanto tempo, sei contento?- un largo sorriso si fa strada sul volto della donna.
-Sì- le risponde timidamente lui.
Con la coda dell’occhio, senza farmi vedere, li osservo. Probabilmente è questo ciò che mia madre si aspetta da me: un matrimonio felice, una bella casa, un marito adorabile...dei figli. Senza tener conto però che non è quello che voglio io dalla mia vita. Voglio avere la possibilità di realizzarmi, di dimostrare al mondo intero che le massime aspettative per una donna non sono solo quelle di essere moglie e madre (o nel contrario dei casi, una sgualdrina), ma che esiste tanto altro.
Il flusso dei miei pensieri viene interrotto dall’arrivo dell’autobus. Gentilmente faccio salire prima la donna col figlio
-Dì ‘grazie’ alla signorina!-
-Grazie- mi si rivolge con la manina davanti alla bocca. Gli sorrido teneramente.
Mi siedo davanti una coppia di turisti cinesi che consultano una cartina, malinterpretandola, infatti discutono su chi dei due abbia ragione sulla strada da fare per arrivare chissà dove.
-Scusa- mi chiedono, porgendomi la cartina.
-Strada...Big Ben...orologio-
Oddio, come glielo spiego? Comincio a parlare gesticolando.
-Tra tre fermate...scendete dall’autobus...ve lo trovate davanti-
-Grazie! Grazie!- mi dicono facendo un inchino al quale rispondo imbarazzata.
I cinesi scendono esattamente alla fermata che gli ho indicato, e mi salutano sorridendo, cosa che non manco di ricambiare. Poi mi alzo e ,in piedi, vicino alle porte del bus, aspetto che arrivi anche la mia di fermata. Finalmente scendo e trovo  Eugene e Liz che mi aspettano davanti al portone principale -Dai ragazzi- dico io -togliamoci questo peso-
Non appena entrati cerchiamo di farci strada tra la calca di studenti che si è formata di fronte alle bacheche dei risultati. Lentamente faccio scorrere il dito in cerca del mio nome e...oh mio Dio...non posso crederci!
-Come è andata?- mi chiede Liz urlante, tutta eccitata del suo risultato.
-Ho preso una A-star- non so se crederci o no.  Dio ho preso il punteggio massimo!
-Wow! Anche io!- mi abbraccia, stringendomi forte.
Eugene si fa strada verso di noi -Come è andata ragazze?-
-Entrambe A-star! Tu?- grida Liz dalla felicità.
-A-star pure per me!-
Ci riuniamo in un abbraccio di gruppo.
-Lillian!- qualcuno alle mie spalle mi chiama. Solo un uomo mi chiama col mio vero nome.
-Professor Harvey!-
-Volevo complimentarmi con te per l’eccellente esame- si avvicina.
-...grazie- sono paralizzata, non so che altro dire.
-Che farai dopo?-
-Emh...io...studierò legge a Oxford-
-Ci aspettiamo grandi cose da te!-
Annuisco, sorridendo.
-Buona fortuna Lillian- mi tende la mano e io gliela stringo.
 -La ringrazio-
Quando se ne va mi giro verso i miei amici che mi guardano con fare sospettoso.
-Io devo andare a casa- commento tutt’a un tratto -devo dirlo a mia madre. Devo parlarle assolutamente!-



Nota dell'autrice: Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguita e mi hanno recensita *w* prometto che dai prossimi capitoli si entrerà nel vivo della storia ù.ù *croce sul Quore*
Al prossimo capitolooooooo :*

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Esco dall’aula un’ora dopo, quasi rintontita. Mi hanno riempita di domande, molte delle quali anche abbastanza difficili, alle quali però ho risposto decentemente.  Non penso di essermela cavata male, anche perché, dalle facce che facevano, sembravano piuttosto soddisfatti delle mie risposte. Non appena uscita dall’aula, Liz e Eugene mi si fiondano addosso
-Allora? Come è andata?- mi chiedono, ansiosi.
-Bene...credo bene...spero bene...-.
Andiamo a sederci su una di quelle belle panche di legno che caratterizzano la nostra scuola e insieme aspettiamo il loro turno.

Eugene è l’ultimo di noi tre a sostenere l’esame il quale, grazie al cielo, è andato bene a tutti e tre, quindi decidiamo di andare a festeggiare facendoci un giro fino a sera per Londra. Che bello! Un po’ di aria ci vuole dopo tutte queste settimane di studio intensivo chiusa dentro casa. Prendiamo un hot dog e andiamo a rilassarci a Green Park, seduti, comodi, sull’erba soffice.
-Alla fine ho deciso che facoltà prendere- commenta Liz
-Ah sì?- rispondo -e che cosa?-
-Medicina! Probabilmente a Oxford-
-Tu, Eugene?-
-Io invece sono sempre convinto di fare economia- risponde lui  -Tu invece, Lily? Ancora propensa a fare ciò che hai scelto quando avevi dieci anni?-  Entrambi sghignazzano.
-Assolutamente sì-  mi lascio scappare un sorriso divertito -però, ragazzi, almeno per oggi non parliamo di studio e università. Godiamoci la giornata-
 E così passiamo tutto il giorno al parco, parlando di libri, di musica (che ultimamente ho un po’ trascurato), politica, futuro, sogni...e anche qualche pettegolezzo, che piacciono molto alla cara Liz.

Verso sera raccattiamo le nostre cose e ci dirigiamo ognuno a casa propria.
Appena valico l’uscio di casa trovo Peter che parla al telefono.
Peter Grant è il marito di mia madre; si sono sposati quando avevo otto anni, dopo che mio padre ci abbandonò per andare chissà dove. E qualche anno fa Peter divenne il manager di una rock band. Tra me e Peter c’è un rapporto distaccato, quasi formale: lui è il marito di mia madre e io sono la figlia di sua moglie e questo basta e avanza. Però so che se mi trovassi nei guai o avessi bisogno di qualche aiuto, potrei contare indubbiamente su di lui. Secondo mia madre c’è questo rapporto ‘freddo’ perché entrambi siamo due orsi. Non ha poi torto in effetti. Il rapporto che c’è tra me e mia madre invece è una sorta di amore-odio: spesso ho quasi la sensazione di non essere capita del tutto da lei.  Sarà che lei a 15 anni aveva una mentalità completamente diversa da quella che ho io. È pure normale, è di un’altra generazione. Però a volte mi piacerebbe che mia madre mi appoggiasse nelle scelte di vita che faccio.
-Ciao tesoro!  Vieni, la cena è già in tavola-
Ci accomodiamo tutti e tre, non appena Peter finisce di parlare al telefono.
-Allora?- mi chiede mia madre, tutta sorridente -Come è andato quest’esame?-
-Abbastanza bene- rispondo, concentrata più sul piatto che sulla domanda.
-Cosa intendi fare dopo?- mi chiede Peter.
Tentenno, prima di rispondere  -Voglio studiare legge...a Oxford-
-Legge?- ripete Peter  -e che vorresti diventare? Avvocato? Magistrato? Oppu...-
-Giudice!-
Mi guarda fisso negli occhi -È impegnativo, lo sai, sì? Bisogna avere determinati requisiti-
-Sì, lo so. E penso di averli-
-Cara- interviene mia madre -non credi che sarebbe il caso di pensarci, prima?-
Cosa? Sta scherzando?!
-Tu non credi in me, vero mamma?!- sbotto dopo qualche secondo di silenzio
-Come?-
-Tu non credi in me. Non pensi che io possa farcela, non è così?!-
-No, non è questo Lily...-
-E allora cos’è?-
Mia madre guarda verso il basso, il mento appoggiato sulle mani incrociate tra di loro. Neanche la decenza di guardarmi in faccia!
-Ecco, lo vedi?!-
Niente, rimane in quella posizione senza incrociare il mio sguardo.
Poso con violenza il tovagliolo sul tavolo e mi alzo -Non ho fame, vado a letto!-
Salgo le scale ed entro in camera mia sbattendo la porta. Ma possibile che ogni cosa che decida di fare debba essere sempre una discussione? Vado in bagno a lavarmi, mi infilo il pigiama e mi metto subito a letto. Meglio dormirci su. Forse domani sarà più facile parlarle.




Nota dell'autrice: ZAN  ZAN ZAN! Quanti di voi se l'aspettavano? (Spero nessuno D: e quindi spero di aver creato il colpo di scena...il primo dei tanti) Ok, bando alle ciance, al prossimo capitoloooooooo

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Appena entro dentro casa mi imbatto in mia madre intenta ad apparecchiare la tavola per il pranzo.
-Abbiamo ospiti?- le chiedo notando che i posti a tavola non sono i soliti tre.
-Sì, vengono i ragazzi della band che segue Peter. Dobbiamo parlare di cose importanti-
-Dobbiamo?- chiedo aggrontando la fronte ma lei non risponde.
-Sono andata a vedere i risultati dell’esame stamattina- annuncio rompendo il silenzio.
-Come è andata?- mi chiede voltandosi verso di me.
-Beh...ho preso il massimo!-
-Oh tesoro, sono così fiera di te!- mi viene incontro stampandomi un bacio sulla fronte.
-Quindi...per l’Università...-
-Lily...c’è una cosa che ti devo dire- Oddio no! Adesso si metterà a parlare del fatto che una donna non ha bisogno di ammazzarsi di fatica stando appresso allo studio quando può avere un marito che può badare a lei. Dio quanto è antica!
-Quest’anno non andrai all’Università...perché partiamo...partiamo in tour con la band di Peter...tra una settimana-
La mia espressione è diventata un misto tra rabbia e incredulità -COSA?! No, io non vengo!-
-E’ già deciso Lily...-
-Da quant’è che l’hai deciso?-
Ancora una volta non risponde.
-DA QUANT’E’ CHE L’HAI DECISO?-
-Da prima del tuo esame...-
No, non posso crederci. Non posso credere che abbia fatto una cosa del genere.
-Tu sapevi quant’è importante per me che io vada a quell’Università. Lo hai sempre saputo, e non mi hai detto niente...ma che razza di madre sei?!- mi volto, sdegnata, e corro in camera mia. Metto i primi vestiti che trovo nella borsa più grande che ho. Quando scendo, trovo mia madre quasi in lacrime che mi chiede -Dove vai?-
-Il più lontano possibile da te!-
Appena apro la porta di casa trovo Peter e i suoi quattro ragazzi intenti ad entrare. Mi faccio largo tra di loro mentre Peter mi domanda -dove stai andando?-
-Via!-
-Oddio Peter, fa qualcosa, ti prego!-
Dopo nemmeno dieci secondi mi sento sollevare e mi ritrovo sulle spalle di Peter.
-Mettimi giù!- gli urlo sferrandogli inutilmente dei pugni sulla schiena.
-LASCIAMI! LASCIAMI ANDARE!-
Sto dando uno spettacolo indecoroso, me ne rendo conto, ma non mi importa: sono troppo offesa e arrabbiata.
-Calmati ragazzina!-
Mi sento scaraventare sul divano, e mille occhi puntati su di me.
-Potete lasciarci sole un attimo?- chiede mia madre. In meno di un secondo tutti lasciano la stanza e mia madre si siede accanto a me.
-Mi dispiace di non avertelo detto prima Lily, ma non sapevo come dirtelo. Non ho preso questa decisione senza pensarci. Sposare Peter è la cosa più bella che mi sia successa da quando tuo padre ci ha lasciate. E la cosa che mi rende ancora più felice è dividere questa mia felicità con te, come una vera famiglia. Ti chiedo solo...per favore! Ti prego, vieni con noi! Solo per questa volta. Dall’anno prossimo prometto che ti iscriverò a quell’Università a cui tanto tieni.-
Lentamente mi giro a guardarla -Me lo prometti?-
-Ma certo!-
Improvvisamente scoppio a piangere -Io...io pensavo che tu non fossi orgogliosa di me-
-Guardami in faccia Lily...io sono MOLTO orgogliosa di te! E’ chiaro?-
Annuisco prima di abbracciarla. Lei mi stringe forte a sé.
-Chissà cosa avranno pensato quei ragazzi!- sussurra in un sorriso, al quale ricambio, tra le lacrime, rispondendole -Non mi importa-
Quando ci sciogliamo dall’abbraccio mia madre si alza in piedi -Dai! Facciamoli tornare qua-
Ci rechiamo in cucina nella quale si erano rifugiati tutti quanti.
-Sono lieta di annunciare che Lily si è finalmente decisa a partire con noi-
Sorrido imbarazzata. Tengo a precisare che non mi sono ricreduta. L’ho fatto solo per lei, questo non vuol dire che sia contenta di partire. Ma meglio non fare altra polemica.
E dopo le parole di mia madre ci accomodiamo tutti a tavola in attesa di consumare il pranzo.



Avviso dell'autrice: bene bene bene, stiamo entrando nel vivo della storia finalmente *w*
Ringrazio ancora tutti quelli che mi seguono e quelli che mi hanno recensita (tanto l'ov)
Al prossimo capitolo!!!! :*

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Quella sera stessa chiamai Liz e le raccontai tutto.  Anche lei come me rimase senza parole, non nascondendo però che un po’ di invidia la provava...erano pur sempre una band famosa. Mi disse di non preoccuparmi, che una volta finito avrei ottenuto ciò che volevo. Bastava avere un po’ di pazienza ed evitare di pensarci troppo, con il rischio di amareggiarsi ancora di più. E ora mi ritrovo qui, una settimana dopo, in camera mia a fare la valigia, non sapendo quali vestiti metterci dentro, visto che ci saremmo spostati spesso di Stato in Stato. Meglio mettere un po’ di tutto, non si sa mai!
Qualcuno bussa alla mia porta.
-Come va?- mi chiede mia madre
-Bene- le rispondo freddamente, senza nemmeno voltarmi a guardarla.
Questa settimana ho evitato di parlarle il più possibile. Per ora le uniche forme di obiezione che possiedo sono il silenzio e l’indifferenza.
Capisce che non ho voglia di parlare, quindi decide di tornare in camera sua a preparare le sue cose.
Stamattina mi sono svegliata di buon’ora, con la sicurezza di avere tutto il tempo che mi serviva per preparare tutto. Chiudo la valigia e comincio a preparare la mia borsa: libri, fazzoletti, libri, portafoglio, libri, la macchina fotografica che mi regalarono per il mio quattordicesimo compleanno, le mie caramelle preferite e ancora libri. Ah, e un taccuino e una penna, nel caso avessi voglia di sfogare tutte le mie frustrazioni. Mi pare ci sia tutto. Prendo borsa e valigia e prima di uscire dò un’ultima occhiata malinconica alla mia stanza. Dopo averla guardata da cima a fondo scendo al pian terreno, e poso la mia valigia vicino a quelle di mamma e Peter.
-Tutta qui la tua roba?- mi chiede lui
-Sì!-
-Ti basta per un mese?-
-Me la farò bastare!- rispondo quasi seccata
Sospira. -Dai, sali in macchina, intanto chiamo tua madre. Corinne!!-
Apro la porta e in fondo al vialetto vedo una sontuosissima limousine nera. In un primo momento rimango sorpresa: non ne avevo mai vista una da così vicino. Ma in fondo penso ‘che mi sarei dovuta aspettare per una celebre band?’ I quattro musicisti sono lì davanti, a fumare sigarette con un gruppetto di ragazzine al loro seguito. Sento i loro occhi puntati su di me trafiggermi come frecce. Vorrei vedere, visto la scenata di una settimana fa! Mi avvicino alla macchina per salire quando sento gridare il mio nome -Lily!!!!-
Sono Eugene e Liz che corrono verso di me.
-Che ci fate qui?-
-Beh, mica ti lasciavamo andare senza salutarti!- commenta Eugene
-Oddio Lily ci mancherai tantissimo!- Liz mi abbraccia e al nostro abbraccio si unisce anche Eugene.
-Fatti sentire ogni tanto!-
-Ma certo!-
-Fai buon viaggio!-
-Grazie!- sorrido. Oddio mi mancheranno tantissimo anche loro! -Ci vediamo!-
-Ciao!-
Quando se ne vanno, mia madre e Peter escono di casa, con una montagna di valigie che prontamente Peter mette in macchina.
-Beh...- commenta mia madre sorridente -si parte!-
E così, uno per volta, montiamo sull’enorme limousine che ci porterà all’aeroporto.
 


Messaggio ai lettori: Lo so, questo capitolo non è un granché...è solo un capitolo di passaggio. Vi assicuro che dal prossimo prenderanno voce anche i nostri cari Led Zeppelin ù.ù

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Per tutto il tragitto quei due non hanno fatto altro che guardarmi. Parlo di quello con quella buffa chioma bionda riccioluta e di quell’altro, con i capelli scuri, altrettanto ricci...sempre serio.
Dio che fastidio! E altrettanto fastidio credo lo provassero anche quelle galline che tenevano sulle gambe, visto che le attenzioni dei due musicisti non erano tanto rivolte a loro. In ogni caso non hanno nulla da temere: non ho nessunissima intenzione di rubarglieli.
Appena arrivati all’aeroporto, un enorme aereo privato, con tanto di scritta “Led Zeppelin” ci attende ‘parcheggiato’ di fronte al gate. Un tizio raduna le nostre valigie e le porta via. Basta che mi facciano tenere la mia borsa, altrimenti che faccio per tutto il viaggio?!
-Quella la puoi tenere-  mi dice Peter indicandola.
-Mi pare il minimo, visto che sono stata costretta a venire!-
Mentre mi avvio verso le scalette dell’aereo ‘Ricciolidoro’ mi si accosta, sussurradomi -Non ti preoccupare tesoro, vedrai che ti divertirai...- con tanto di occhiolino.
Lo guardo aggrottando la fronte. Ma chi si crede di essere? Meglio non dargli troppo spago.
Girando lo sguardo alla mia destra trovo l’altro che continua a guardarmi incessantemente, con lo sguardo fisso. Mi mette quasi paura. Ma cerco di non dargli troppa importanza.
Ci fanno salire in fretta sull’aereo e una volta salita non riesco a credere a quello che ho davanti: non solo è un aereo privato, ma è anche di lusso, con tanto di poltrone, tappeti, televisore e caminetto. Sembra una suite di albergo. Mi accomodo su una delle poltroncine davanti al finestrino (non sono mai salita su un aereo e mi ha sempre incuriosita vedere il mondo dall’alto) e partiamo verso la prima tappa del tour: Copenhagen.


Appena decollati decido di tirare fuori un libro. Dovrò pur fare qualcosa. Il primo che mi capita tra le mani, frugando nella borsa è “Orgoglio e Pregiudizio”. Sarà la quinta volta che lo leggo, ma è sempre un piacere leggere i romanzi di una delle pochissime donne scrittrici dell’Ottocento.
Dopo due ore di volo, mentre sono ancora assorta nella lettura sento qualcuno che mi si avvicina e mi chiede -Sai giocare a Backgammon?-
-Se stai cercando di agganciarmi perdi solo il tuo tempo-
Silenzio imbarazzante. Forse non avrei dovuto rispondere così. Alzo gli occhi dal libro e vedo la sua faccia perplessa, contornata da capelli biondo-rossicci, mentre cerca di dire qualcosa.
-Emh...no io...io non intendevo...-
-Oddio...scusa...io pensavo che...-
-Ma no, tranquilla. Avendo visto gli altri ti sarai fatta un’idea sbagliata su di noi-
Ok sì, lo ammetto.
-Io sono John- mi dice tendendomi la mano. Gliela stringo.
 -Ma nel gruppo sono John Paul Jones, il bassista-
-John Paul Jones?! Come il navigatore?-
-...sì- dalla faccia che ha fatto credo non si aspettasse che conoscessi il suo ‘omonimo’ -ma tu se vuoi puoi chiamarmi Jonesy-
-Ok...io sono Lily-
Altro silenzio imbarazzante.
-Allora Lily...vuoi giocare a Backgammon?-
-Emh...va bene- ma sì dai! Tanto non ho niente di meglio da fare.
Mi alzo dalla poltroncina e mi faccio guidare da Jonesy che mi porta a un tavolino sul quale trovo il gioco già posizionato.
-Ricordi le regole, vero?-
-Certo!-
Ci sediamo e incominciamo a giocare.
-Come mai tu non sei con gli altri...a divertirti?- gli chiedo di punto in bianco
-Mi piace fare anche altre cose-
-Vuoi dire che non hai così tante ragazze che ti seguirebbero ovunque?!-
-Sì, ce le ho...e una di queste è mia moglie-
-E allora perché non la porti con te?-
-Beh vedi...il fatto è che ho anche delle figlie molto piccole. Portarle con me sarebbe troppo pesante per loro...-
-E quindi non avendo tua moglie con te vai con le altre?-
Rimane in silenzio, piuttosto imbarazzato.
-Ok scusa, non sono affari miei-
-No, non ti preocupare, piuttosto tu: che stavi leggendo prima?-
-“Orgoglio e Pregiudizio”-
-Wow! Pesantuccio! Speri di incontrare un Mr Darcy?-
-No...sono solo storie...la realtà è ben diversa-
Una terza persona interrompe improvvisamente la nostra conversazione. Ovvio, chi altri se non Mr Ricciolidoro?!
-Certo che solo il nostro John Paul Jones riesce a tenere le mani ferme quando si trova in compagnia di una bella ragazza come lei-
Jonesy ride divertito alla battuta dell’amico. Ma che ci sarà da ridere tanto?
-Evidentemente- replico in modo aspro -esistono tanti altri modi per passare il tempo-
-Uhhh...come siamo stizzosette!-
-E tu sei un grande idiota!-
Ride, prima di avvicinare il suo viso al mio
-Non mi resisterai, bambina!-
Dopodiché si allontana ritornando dalle ragazzine con cui stava prima. Che scena orripilante. Alzo gli occhi al cielo prima di riposarli sul gioco.
-Credo abbia messo gli occhi su di te- mi dice Jonesy
-Come, scusa?!-
-Non ti sarà tanto facile togliertelo dai piedi. Fossi in te io non gli risponderei in questo modo: ci vuole ben altro per offendere Robert e tu facendo così non fai altro che rendergli la caccia ancora più eccitante-
Rimango a bocca semi aperta, incredula dopo quella rivelazione, senza sapere che dire. Ma la voce di Jonesy mi distrae dai miei pensieri -Tocca a te-





Messaggio dell'autrice: ohhh finalmente prendono voce anche i nostri amati (vorrei vedere, dopo 7 capitoli!! ಠ_ಠ)
Vi prego recensite ç_ç ho bisogno di sapere se la storia vi sta piacendo o no!!
ps: per questo capitolo mi sono ispirata a questa foto di GIONSI trovata per caso su Tumblr :3





 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Passo le restanti ore di volo a giocare e chiacchierare con Jonesy. Mi racconta della sua infanzia, di come si appassionò alla musica e di come si unì al gruppo. Anche io gli racconto qualcosa sulla mia vita (evitando certi argomenti, come l’argomento “amore”). Non mi piace molto parlare di me, anche perché non penso di avere una vita così interessante di cui parlare. Diciamo che mi ritengo una semplice ragazza di quasi 16 anni, con i suoi sentimenti, le sue passioni e le sue turbe adolescenziali. Nonostante ciò sento di avere qualcosa di diverso dalle altre ragazze della mia età....o almeno è quello che ho sempre pensato, ma il resto del mondo sembra non capirmi, come al solito.
Ad appesantire il viaggio ci si mettono le solite occhiate di quei due, più il batterista della band, Mr Baffetto,  che mi si è già avvicinato un paio di volte, palesemente brillo, a offrirmi inutilmente da bere.
Quando finalmente atterriamo, troviamo un’altra limousine che ci porta tutti direttamente all’albergo. E che albergo! Se mi sono impressionata per l’aereo, questo è addirittura meglio! Ciò non  vuol dire che abbia intenzione di stare chiusa in camera tutto il giorno. Anzi, visto che sono partita, fare un giro per le città mi sembra il minimo. Grazie al cielo ho una stanza tutta per me e non appena ne ricevo le chiavi, raggiungo il primo ascensore aperto e mi ci fiondo dentro. Sono stanca morta! Propositi per la serata: riposare, riposare, riposare.  Non appena apro la porta della stanza rimango a bocca spalancata: la mia camera è grande quanto il salotto di casa mia. C’è un letto matrimoniale, un armadio gigantesco, un tavolo, un televisore, una grande porta-finestra con un balcone che dà sulla città...per non parlare del bagno! Ci sono un’enorme vasca murata, una doccia larga il doppio di quella che ho io a casa mia, un lavabo che vale per due...il tutto posto in uno spazio infinitesimale. Non vedo l’ora di lavarmi! Poggio la valigia sul letto e inizio a disfarla quando sento bussare alla porta. -Avanti!-
Mia madre... riesco a riconoscerla anche senza voltarmi.
-Allora Lily...ti piace?-
-Mh- mh- rispondo continuando ad armeggiare con i vestiti
-Vuoi che ti dia una mano?-
-No, grazie, ce la faccio da sola-
-Hai fame?  Ti faccio portare qualcosa da mangiare?-
-Senti, sono piuttosto stanca...vorrei riposare-
Annuisce -ok...io...io sono nella stanza di fronte nel caso ti servisse qualcosa-
-Ok-
Quando finalmente esce dalla mia stanza finisco di sistemare la mia roba, dopodiché mi precipito in bagno, apro l’acqua della vasca, mi spoglio e mi ci immergo. Dio che meraviglia! Potrei rimanere qui anche tutta la serata. Riempio la vasca di bagnoschiuma alla lavanda dato in dotazione dall’albergo e rimango a mollo nell’acqua per almeno una mezz’oretta. Dopo essermi sciacquata e lavata anche i capelli, esco dalla vasca avvolgendomi un asciugamano bianco addosso e mi dirigo in camera accendendo la tv. Non che capisca la lingua, ma mi piace sentire le pronuncie delle lingue straniere. Improvvisamente, mentre faccio zapping tra i canali, la mia attenzione viene attirata dal film che stanno passando: ‘Gioventù Bruciata’. Adoro i vecchi film e James Dean è stato il mio primo amore. Sentirlo in danese è strano ma ormai conosco talmente bene le battute che riesco addirittura ad anticiparle. Dopo essermi asciugata il corpo mi infilo una maglietta a maniche corte e un paio di pantaloncini e mi reco in bagno ad asciugarmi i capelli. Quando torno in camera dopo essermi asciugata del tutto, il film era già finito da un pezzo. Meglio spegnere la televisione, tanto non capirei nulla. D’improvviso mi rendo conto che ho una fame da lupi...non so neanche che ore siano dato il fuso orario. Comunque Peter sull’aereo mi ha detto che i pasti dobbiamo consumarli in camera. Quindi alzo la cornetta del telefono e chiamo la reception:
-Salve, sono della stanza 696. Vorrei ordinare la cena in camera...ah...ok...la ringrazio-
A quanto pare mia madre ha ordinato la cena per me, sicuramente per farsi perdonare di avermi trascinata qui. Dieci minuti dopo arriva il cameriere con la mia cena (a base di cibo locale...meglio! Almeno imparo qualcosa sulla cucina di un Paese straniero. Anche perché mi annoierebbe mangiare sempre le stesse cose), mi accomodo sul letto, con un libro in mano e il carrello della cena accanto a me, e comincio a mangiare. Però! Non male! In un quarto d’ora divoro tutto ciò che c’è nel carrello, e dopo aver finito lo lascio fuori la porta della mia stanza. Credo si faccia così, no?
Finalmente il mio meritato riposo! Tiro via le coperte dal letto e mi ci infilo dentro, riapro il mio libro e ricomincio a leggere.
Non so quanto tempo sia passato (mentre leggo, il tempo sembra volar via) quando sento bussare alla porta. Oddio chi è adesso? Vado ad aprire e...no, non è possibile!  Ancora lui, il Signor Biondone.
-Ciao tesoro! Abbiamo organizzato una ‘festicciola’ nella stanza affianco. Nel caso volessi partecipare, sei la benvenuta- dice sorridendo.
Lo guardo un po’ schifata: detesto le feste.
-Una festa? No non mi interessa!-
-Eddai! Non farti desiderare! Che male c'è?! Ci divertiamo!-
-Odio le feste. Quindi se non ti dispiace...- sto per chiudere la porta, ma lui me la blocca con la mano
-Perché mi rifiuti?- mi chiede -quando hai l'opportunità di conoscere una persona a mio dire interessante...-
-Semplice: non ti ritengo affatto una persona interessante. Anzi, trovo tu sia un narcisista presuntuoso, arrogante e pieno di sé-
Tace. Dopo un po’ mi guarda con un sorriso malizioso dicendomi -ti avrò prima o poi, dolcezza. E sarai tu a cercarmi- ci fissiamo con un’aria di sfida per qualche manciata di secondo, dopodiché decide di andarsene, sempre quel sorriso fastidioso stampato sulle labbra. Chiudo la porta della camera alquanto seccata e mi rimetto a letto. Se pensa che io sia una di quelle oche che si porta appresso si sbaglia di grosso. Eppure ci sarà un modo per farglielo capire. Ma non ho voglia di pensarci ora. Non voglio amareggiarmi la serata a causa di quel pavone. Così mi rimetto a leggere, immergendomi in un mondo lontano, senza Mr Biondo e i suoi seccanti amici.



Messaggio ai lettori: bene, finalmente il tour è iniziato e tra poco ne vedremo delle belle! :D
Al prossimo capitolo!! :*

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


La mattina seguente mi alzo abbastanza tardi (tardi per i miei standard): in genere mi alzo prestissimo ma questo cavolo di fuso orario mi sta mandando tutto in confusione. A pensarci bene però non c’è tutto questo bisogno di alzarmi presto...dopotutto sono in vacanza, no? Quindi decido di alzarmi e di prepararmi con tutta la calma di questo mondo (ovviamente dopo un’abbondante colazione tradizionale a base di aringhe affumicate, formaggio e salmone). Siccome non ho niente da fare per oggi, ho deciso di andarmene in giro per Copenhagen. Mi metto un paio di jeans, una maglietta a maniche corte e le mie converse preferite, prendo la borsa ed esco dalla stanza. Non sapendo se mia madre fosse sveglia (e non avendo molta voglia di parlarle per evitare le solite raccomandazioni) le lascio un bigliettino sotto la porta della sua stanza, dopodiché prendo l’ascensore e mi dirigo alla reception. Qui una signora sulla cinquantina, dai capelli biondi raccolti in uno chignon, vedendomi arrivare, attacca il telefono al quale stava parlando
-Salve!- mi rivolgo a lei
-Buongiorno! Posso esserle utile?- mi domanda facendomi un largo sorriso
-Sì, saprebbe indicarmi qualche museo nelle vicinanze?-
-Guardi, c’è il Museo Nazionale, esattamente al centro di Copenhagen-
La guardo disorientata. Come ci arrivo al centro?
-Le do una cartina!-
-Grazie...- non appena sparisce dietro al bancone qualcuno appare dietro di me
-Musei?!-
Mi volto nonostante abbia riconosciuto la sua voce.
-Sì! Sai...quei luoghi dove ci sono i reperti storici messi in mostra...-
-So cos’è un museo, zuccherino!- mi risponde con quel ghigno stampato sul viso incorniciato da lunghi riccioli biondi. Rimango a guardarlo negli occhi. Non mi va neanche di rispondergli, sarebbe solo fiato sprecato.  Per fortuna ad interrompere il momento ci pensa la signora della reception, che torna porgendomi la cartina -ecco a lei. Buona giornata!-
-Grazie!- mi giro per dirigermi verso l’uscita ma Robert mi si piazza davanti impedendomi di camminare
-Senti, credo che siamo partiti con il piede sbagliato ieri e...-
-Tu credi?-
-Sì. Che ne dici se ricominciassimo da capo? Io sono Robert...ma per le ragazze carine come te io sono Percy- mi fa l’occhiolino.
-Percy?!- gli domando alzando un sopracciglio -che nome stupido!-
-Beh, no se sai cosa significa...-
Certo che lo so. Ma non ho voglia di perdere altro tempo con lui.
-Sai...mi chiamano così...per il mio smisurato...-
-EGO?!- lo interrompo
Si lascia scappare un altro ghigno, mentre mi guarda dritto negli occhi -sì, anche quello-
Ci fissiamo per qualche secondo dopodiché decido di salutarlo definitivamente -ci vediamo!-
-E’ una promessa?- mi giro per guardarlo e dopo una scrollata di capo in segno di rassegnazione esco dall’albergo.
 
Verso il tardo pomeriggio decido di fare rientro in albergo. E’ stata una giornata lunga e faticosa: ho camminato tantissimo e ora non mi sento più i piedi. Nonostante fossi sola mi sono divertita comunque. Beh, non ero proprio sola: mi sono aggregata di nascosto a un gruppo di turisti inglesi e ho stretto amicizia con Karen, una ragazza della mia età, di Brighton. Abbiamo molte cose in comune: i libri prima di tutto. In più lei mi ha confessato di amare i Led Zeppelin (ovviamente ho evitato di dirle di essere strettamente a contatto con loro in questo periodo), tant’è che questa sera andrà a vederli in concerto, mentre io le ho confessato il mio amore platonico per Bob Dylan.
E no, non ho nessuna intenzione di andare a quel concerto stasera, sono troppo stanca. Non ho fatto altro che vedere musei, piazze, parchi, chiese...e la statua della Sirenetta che volevo vedere da tanto tempo. E’ in giorni come questi che più sento la mancanza dei miei amici. Tutte queste cose avrei voluto farle con loro. 
Comunque, quando ritorno all’albergo trovo un’orda  di fans e di ragazzine urlanti proprio davanti alla hall. E ora come passo? Cerco di farmi strada tra la folla -scusate! Dovrei passare- quando mi trovo davanti uno scimmione con le braccia conserte, che mi domanda con fare intimidatorio -dove credi di andare tu?-
-Devo passare!-
-Non penso proprio!-
Che cosa??
-Senti, non sono qui per quei quattro pagliacci, sono un’ospite dell’albergo-
-Lasciala passare, Bruce! E’ qui con il signor Grant- gli dice un altro tizio della sicurezza. L’omone mi dà libero accesso
-Grazie Bruce- mi rivolgo a lui con una smorfia dirigendomi agli ascensori. Quando arrivo al mio piano trovo Mr Baffetto davanti alle porte che mi squadra da capo a piedi -guarda guarda chi c’è! Ti conviene andare subito di là ragazzina, Grant è parecchio incazzato-
Quando svolto l’angolo mia madre sobbalza vedendomi arrivare -Lily!!-
-Che è successo?- le chiedo mentre mi abbraccia piangendo
-Sei sparita, non ti trovavamo più-
-Sparita? Mamma non hai letto il biglietto?-
-Quale biglietto?-
-Quello che ti ho lasciato sotto la porta stamattina-
-No...io non...-
-Ah eccoti finalmente!- Peter si avvicina a me con fare minaccioso -Dov’è  che vai tu, tutto il giorno, senza avvertire nessuno?-
-In giro- mi dirigo verso la mia camera. Non ho voglia di discutere ancora una volta. Specialmente davanti ad altre persone.
-Eh no signorina! Questa è la prima e l’ultima volta che accade una cosa del genere. Stasera rimani qua!-
-Meglio! Non sarei venuta comunque!-
-Vuoi che rimanga con te?- mi chiede mia madre con tono preoccupato
-Fai come ti pare!- entro in camera mia sbattendo la porta. Mi accascio sul letto stanca e abbattuta. La cosa migliore da fare in questi casi è chiamare Liz. Sa sempre cosa dirmi, come consolarmi...e mi fido ciecamente dei suoi giudizi. Così alzo la cornetta del telefono e la chiamo, passando tutta la serata a parlare con lei.




Nota dell'autrice: boh, non ho molto da dire ^^" se non un GRAZIE a chi mi sta seguendo :3
Al prossimo capitoloooo :*

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Riaggancio il telefono malinconicamente. Mi sembra di aver parlato con lei per cinque minuti e invece....oh mio Dio, è passata un’ora e mezza! Sembra sia volata!

Comunque è trascorsa una settimana dalla nostra partenza da Copenhagen (ora siamo ad Oslo) ed è stata una settimana di inferno. Niente di nuovo in realtà: solo Ricciolidoro che diventa sempre più pressante. Ma perché non vuole capire che non mi interessa?! Ha tante di quelle ragazze, perché deve dare il tormento proprio a me?! In più mi sono venute le mie cose, e ciò non ha fatto altro che peggiorare il mio umore. E oltre all’appiccicoso Robert, ci si è messo anche Mr Baffetto (che si presentò a me col nome di Bonzo), durante uno dei nostri vari spostamenti, quando ha tentato di farmi ridere raccontandomi qualche barzelletta (la maggior parte delle quali capiva solo lui). Mi faceva tenerezza. Devo ammettere però che all’ultima  risi, con suo grande stupore. Tant’è che mi disse -ahh, ma allora sai anche ridere! Sapevo che sotto quella scorza dura dietro la quale ti nascondi, in realtà si cela uno spirito sensibile all'umorismo-. Buffo. Stessa cosa che avrei voluto dirgli io non appena mi ricordai di quella brutta litigata che ebbe con Peter riguardo non so cosa, poco prima di partire da Copenhagen.
L’unico di cui non mi sono ancora fatta un’idea è il tipo tenebroso che continua a fissarmi da quando siamo partiti da Londra. Rimane immobile, con lo sguardo fisso su di me, circondato da quell’aura misteriosa, scura quanto i suoi capelli. Durante uno dei voli, lo trovai solo, seduto su un divanetto, intento a bere una bottiglia di Jack Daniel’s, assorto nei suoi pensieri. Fu allora che decisi di andare a rivolgergli la parola
-Hai intenzione di rimanere a fissarmi da lontano ancora per molto?-
Alzò lo sguardo verso di me -Preferisci avere un altro piantagrane che ti ronza intorno?- mi chiese indirizzando la punta della bottiglia verso Robert, il quale era accerchiato da giovani fanciulle adoranti, sedute intorno a lui.
-Cosa?! No!-
-Ti sei risposta da sola, allora-
 Bevve un altro sorso continuando a guardarmi intensamente, mentre io girai i tacchi pensando fosse la cosa migliore da fare.
Comunque questa settimana ha avuto qualcosa di buono, ed è stato quando entrai in un negozio di musica a Stoccolma qualche giorno fa, per comprare qualche vinile di Bob Dylan che mi mancava, più qualche 45 giri di Elvis. Quando Robert me li vide tra le mani sussultò, come se trovasse strano il fatto che mi piaccia il Re del Rock. Ha anche provato a invitarmi a sentirne qualcuno con lui uno di questi giorni, ma -grazie al cielo- risposi ironicamente -non abbiamo un giradischi con noi-
 Fui subito smentita quando me ne mostrò uno sull’aereo. Alla fine accettai, e a noi si aggiunse anche un entusiasta Bonzo. In fondo non è male parlare di musica con Robert. Purché non si spinga oltre.

Dopo aver fatto colazione ed essermi preparata, prendo la borsa ed esco dalla stanza e mi imbatto in Peter e Robert che parlano animatamente nel corridoio.
-Dove vai?- mi chiede Peter quando gli passo davanti.
-A fare un giro-
Secondo mia madre e Peter io sono in punizione. Diciamo che non è una vera e propria punizione, poiché siamo arrivati a un compromesso: sono libera di andare in giro per le città a patto che dica dove ho intenzione di andare e soprattutto che rispetti il coprifuoco prestabilito. Anche perché sarebbe degradante essere in punizione, visto che ormai ho quasi 16 anni. Ma loro non capiscono e si ostinano a trattarmi ancora come una bambina.
-Alle cinque ritorni in albergo!- mi ordina Peter puntando l’indice davanti al mio viso prima di andarsene.
-Alle cinque?! E cosa credi che faccia io dalle cinque fino a sera?!- ma ormai era sparito nella sua camera.
-Io un’idea su come potresti passare la serata ce l’avrei- commenta Robert facendomi l’occhiolino...il suo viso a pochi centimetri dal mio. Cerco di fulminarlo con lo sguardo ma lui si allontana verso la sua stanza con il suo solito sorrisetto malizioso. Dopo una manciata di secondi, rimasta impietrita in mezzo al corridoio,  decido di voltare le spalle e andarmi a fare il mio solito giro turistico per la città.



Messaggio ai lettori: mi scuso per l'ennesimo capitolo di passaggio, ma se non li scrivessi non saprei come andare avanti con la storia :/
Beh, che dire, al prossimo capitoloooooooooooooo :*

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Verso le quattro e mezza torno in albergo bagnata fradicia: ha cominciato a diluviare da circa una mezz’oretta e ovviamente io ero senza ombrello. Spalanco la porta della mia camera, butto la borsa sul letto e mi reco in bagno. Qui ci vuole una bella doccia! Mi tolgo i vestiti e mi infilo nella cabina, aprendo l’acqua calda. Dio che meraviglia! Rimango dieci minuti buoni sotto l’acqua a rilassarmi prima di passarmi lo shampoo, quando ad un tratto lo vedo: corpo fino, otto zampe, mentre si arrampica ondeggiando, lungo la porta della doccia. Cristo che schifo! Caccio un urlo che si sarà sentito per tutto l’albergo e di corsa esco dalla doccia, mi avvolgo in fretta un asciugamano addosso, e mi rifugio in camera. Qualcuno bussa alla mia porta, allarmato, chiedendo se mi sia successo qualcosa.  Vado ad aprire e trovo il chitarrista moro fermo davanti alla porta, con l’espressione alquanto preoccupata.
-Che è successo?-
-C’è un ragno nella mia doccia!- gli rispondo indicando con il braccio il bagno, facendogli capire di andare a controllare.
Entra nella mia stanza e si dirige in bagno mentre io lo seguo timidamente rimanendo il più lontano possibile dalla doccia.
-Dove?- mi chiede, controllandola.
-E’ lì. Si stava arrampicando-
Continua a guardare la doccia, aggrontando la fronte -qua non c’è niente-
-Ma io l’ho visto!- il mio tono di voce è alto -Era là! Ne sono sicura!-
Che fa, non mi crede?
-Beh...allora vuol dire che è scappato, considerando l’urlo che hai fatto-
E ora? Mi prende in giro?
-Prego, è tutta tua-
-Credi davvero che io mi faccia la doccia là dentro?!-
-Beh, non penso tu abbia molta scelta-
-Ho capito. Vado a farla da mia madre-
Esco dal bagno dirigendomi verso la camera di mamma e Peter e busso alla porta.
-E’ inutile- commenta lui dietro di me -non c’è nessuno-
Continuo a bussare imperterrita, ignorandolo.
-Sono usciti-
-E dove sono andati?-
-Non lo so-
Come sarebbe a dire ‘non lo so’?!
-Senti,  se vuoi il mio bagno è libero-
AHAH! Certo! Gran bella scusa! Davvero spera che abbocchi?
Lo guardo alzando un sopracciglio -ci stai provando?-
-Cosa te lo fa pensare?- risponde avvicinandosi sempre di più a me.
-Beh...- incrocio le braccia -non è quello che fate voi Led Zeppelin oltre a suonare?-
Ride. Non capisco se sia divertito o no. Ci sia una cosa che capisca di questo ragazzo!
-Allora... vuoi finire la tua doccia da sola e in santa pace oppure con il tuo nuovo amico a otto zampe?-
Rimango incantata a fissare i suoi verdi occhi dal lieve taglio orientale che squadrano i miei. Solo ora mi rendo conto di avere soltanto un misero asciugamano addosso. Che faccio? Se accetto penserà che sono una facile, se rifiuto mi toccherà ritornare da quella specie di mostro. Alla fine accetto sospirando -ok. D’accordo!-
-Dai vieni!-


L’agnellino che si reca nella tana del lupo. Ecco come mi sono sentita per un breve momento. Quel momento in cui entro nella sua stanza, disorientata.
-Il bagno è di là- me lo indica sedendosi su letto. Io annuisco e come un razzo mi ci fiondo dentro. Meglio chiudere la porta a chiave, non si sa mai. Quando mi infilo nella doccia mi ricordo di aver dimenticato le mie cose in camera mia. Pazienza! Userò le sue. Un forte odore di pino si sprigiona nell’aria quando apro il suo bagnoschiuma. E’ strano, mi ricorda i tempi andati ed è come se una sensazione di benessere mi avvolgesse, facendomi sentire al sicuro da qualcosa. E mi ricorda qualcosa, ma non riesco a fare ordine tra le sensazioni.  I miei pensieri vengono interrotti da un brivido che mi scorre lungo la schiena. Quando esco dalla doccia sento il suono di una chitarra classica provenire dalla camera da letto. Apro lievemente la porta e lo vedo lì, seduto sul letto dandomi le spalle, chinato sulla sua chitarra.
-Ehi- quasi mi dispiace disturbarlo.
Smette di suonare voltandosi verso di me.
-Io ho finito-
Annuisce mentre io mi dirigo verso la porta.
-Ah...grazie...- non ricordo nemmeno il suo nome.
-Jimmy!- esclama
-...Jimmy-
Che imbarazzo! Mi sono lavata nella doccia di un uomo di cui non conoscevo neanche il nome!
Quando apro la porta per uscire, trovo una delle ragazzine che accompagnano la band, intenta a bussare.
Magra, capelli scuri e mossi, occhi grandi e scuri, mi squadra con aria truce, come se qualcuno avesse invaso il suo territorio.
Continua a fissarmi negli occhi mentre esco dalla stanza. Secondi che sembrano durare millenni. Non mi sono mai sentita tanto odiata come in questo momento.
-Te la fai con quella adesso?!- sbotta la ragazzina ,con un tono parecchio arrabbiato, dopo aver sbattuto la porta con forza.
-E se anche fosse? Non sono affari tuoi!-
Cominciano a discutere animatamente. Meglio andar via. Non vorrei farmi trovare davanti alla porta ad origliare. Entro in camera mia buttandomi sul letto.  Stesa sul materasso ora finalmente riesco a riflettere. Sento che c’è qualche cosa che non va, il cuore mi batte leggermente più forte. Faccio mente locale: non riesco a capire se sia stato perché Jimmy  non abbia negato, o forse per quella sensazione così strana che ho provato nella doccia... o forse per tutta quanta la situazione in generale. Sospiro tirandomi su a sedere. Meglio chiamare il servizio in camera, mangiare qualche cosa è quello che ci vuole ora.




Nota dell'autrice: questa cosa del ragno mi è successa veramente :S Io odio i ragni. Però mi ha dato l'ispirazione per questo capitolo. Quindi grazie ragno!! :3 Purtroppo però non c'era Jimmy Page a chiedermi di fare la doccia in camera sua ç_ç *sospira* Vabbè, al prossimo capitolooooo :*

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Una settimana dopo mi ritrovo nell’albergo di Monaco, a letto, con l’influenza e trentotto di febbre. Peggio di così non poteva andare: oltre al danno, anche la beffa. In più mia madre mi sta appiccicata comportandosi proprio come una chioccia, cercando di assicurarsi che io stia bene e che abbia tutto ciò di cui ho bisogno (comprese le sue attenzioni, che sono l’ultima cosa che necessito).

Tutto cominciò quattro giorni fa, quando eravamo in partenza da Francoforte: mentre stavo salendo sull’aereo ebbi un mancamento. Vampate di calore, alternate a brividi di freddo,  giramenti di testa...e poi il buio totale.
Ripresi conoscenza qualche minuto dopo, distesa su una poltroncina dell’aereo, con un fazzoletto bagnato sulla fronte e mia madre che tentava di rianimarmi, disperata, dandomi dei colpetti sulle guance.
-Lily? Lily, dì qualcosa!-
-Che è successo?- chiesi con la voce impastata.
-Hai avuto un mancamento. Sei svenuta addosso a Peter. E sei bollente. Vuoi misurare la febbre?-
Cercai di rialzarmi, con fatica, ma tutto ciò che mia madre mi disse era di rimanere sdraiata lì, mentre lei andava a cercare un termometro tra la marea di medicinali che si era portata dietro. Quando misurai la temperatura, avevo trentanove e mezzo, e da quel giorno non si è ostinata a scendere oltre al trentotto. In pratica sono quattro giorni che faccio avanti e indietro tra i letti degli alberghi e il divanetto dell’aereo, rischiando di avere un altro svenimento.  

Ora mi trovo avvolta tra le coperte, mentre tremo come una foglia dal freddo. Quasi quasi accendo la tv, anche se non capirei un accidente...ma almeno guardo le figure. L’unica cosa che cattura la mia attenzione (o meglio, l’unica cosa che riesco a capire senza troppo impegno) sono le previsioni meteorologiche: oggi bel tempo su quasi tutto il paese, con qualche scroscio di pioggia al nord. Wow, interessante. Dopo aver spento la tv tra uno sbuffo e l’altro, qualcuno bussa alla mia porta. Mia madre, di sicuro. Ma se è venuta un quarto d’ora fa a portarmi la medicina e a vedere come stessi! Mah.
-Avanti- dico senza troppo entusiasmo.
Ma a valicare la porta non è mia madre, bensì un allegro Bonzo, seguito da un altrettanto allegro Jonesy.
-Ciao bimba!- mi saluta Bonzo -come va oggi?-
-Mi fa male la testa-
-Che ti avevo detto io?!- lo rimprovera Jonesy -non dovevamo portarle queste cose!-
-Maddai! Che sarà mai?! Le farebbe male comunque-
Rimango a guardarli con aria interrogativa. Che stanno complottando?
-Ti abbiamo portato una cosa...per farti passare il tempo- mi dice Jonesy -Dai, Bonzo, vai prenderlo!-
-Perché io?-
-E’ stata tua l’idea, non mia!-
Ne ho viste di coppie buffe nella mia vita, ma mai come quella formata da questi due.
-E va bene!- apre la porta e lo vedo chinarsi per prendere qualcosa appoggiato a terra. Due secondi dopo lo vedo rientrare con quel bellissimo giradischi che c’era nell’aereo.
-Ecco qua!- esclama Bonzo -pensavamo potesse farti piacere!-
-Qua c’è qualche vinile- dice Jonesy prendendo i vinili appoggiati sul giradischi -non ce ne sono moltissimi, in realtà c’è tutta roba legata alla nostra adolescenza, però c’è anche qualcosa di nostro...nel caso volessi ascoltare la nostra musica...-
Oddio. Questa non me l’aspettavo proprio. Non so neanche cosa dire se non un misero e patetico
-grazie...ma non dovevate disturbarvi...-
-No, non ringraziare- esclama Bonzo appoggiando il giradischi sul comodino affianco al mio letto -piuttosto, rimettiti in sesto in fretta, e ascolta i cari Led Zeppelin! Magari una sera ti deciderai a venire a sentirci suonare-
Non so davvero che dire. Rimango impalata a guardarli, sorridendo con imbarazzo.
-Beh...guarisci presto!- dice Jonesy.
-Grazie...a tutti e due-
Sorridono annuendo dopodiché escono dalla mia stanza.
La prima cosa che faccio appena chiudono la porta è prendere un vinile del mio amato Bob Dylan, che non ascolto da troppo tempo. Appena la musica parte mi accascio sul cuscino e chiudo gli occhi, quasi in estasi.


Credo di essermi addormentata per tutta la durata del disco, perché non sento più la musica che risuona nella stanza. Un qualcosa di istintivo dentro di me mi dice di prendere uno di quei dischi che mi hanno portato Jonesy e Bonzo e metterlo sul giradischi. Prendo un singolo a caso, tanto uno vale l’altro. Stairway to heaven...il nome promette bene. Un brivido mi percorre lungo la schiena appena sento il suono del flauto all’inizio della canzone. E più i minuti passano, più mi convinco di non aver mai sentito niente di più bello. Forse ho sbagliato a giudicarli male...almeno musicalmente parlando. Dovrei scusarmi con loro? No, in fondo non li ho offesi (credo) . Forse dovrei andare a sentirli suonare? Forse, ma preferisco non dirglielo quando sarà. Il biondo potrebbe montarsi la testa.
 Il flusso dei miei pensieri viene interrotto da qualcuno che bussa alla porta.
-Avanti!-
Ma nessuno entra.
-Avanti!!- ripeto alzando di più la voce.
Niente. Mi tocca alzarmi nonostante mi giri la testa. Quando apro la porta non trovo nessuno di fuori. In compenso vedo un mazzo di bellissimi fiori proprio davanti ai miei piedi. Dei gigli tigrati per la precisione. Mi guardo attorno ma non c'è nessuno, così mi chino a raccoglierli. C’è un bigliettino in mezzo:

“AL GIGLIO PIU’ BELLO”

Provo ad annusarli ma non sento nulla... dev'essere perché ho la febbre. Senza pensarci torno dentro e li adagio sul comodino vicino a me. Sono meravigliosi. Non ho mai ricevuto un mazzo di fiori in vita mia, chissà chi l’ha mandato... Prendo il biglietto tra le mani, ma non riconosco la calligrafia. “Che abbia un ammiratore segreto?" mi trovo a pensare, e il pensiero mi strappa un sorriso. Aspetto di rimettermi in sesto, poi inizierò a indagare. Per ora godiamoci il pensiero.


Messaggio ai lettori: ma chi sarà stato?? SI ACCETTANO SCOMMESSE! ù.ù
PS: ovviamente lo scoprirete mooooooooolti capitoli più avanti...muahahahahahah è__é
Beh, al prossimo capitolo genteeeee :*

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Due giorni dopo siamo in partenza per Berlino e io mi sento decisamente meglio. Ho ancora dei giramenti di testa, ma la febbre è scesa a trentasette, perciò posso finalmente dichiararmi quasi guarita.
Mentre sto per salire sull’aereo, frugo nella borsa controllando che non abbia dimenticato nulla. E’ un’abitudine che ho da quando riesco a ricordare; distratta come sono ho sempre paura di dimenticarmi le cose. Uhm, vediamo...libri, fazzoletti...No. Pare ci sia tutto. Eppure sento che manchi qualcosa. Sono sicura che quando sono uscita dall’albergo avevo altre cose in mano...
-Oddio!- esclamo.
-Che c’è?- chiede preoccupata mia madre, dietro di me.
-I miei fiori! Li ho dimenticati in macchina!-
-Eccoli! Li ho presi io...- mi giro tirando un sospiro di sollievo mentre mia madre me li porge. Accidenti! Si stanno già sgualcendo.
-Grazie-
-Chi te li ha mandati?-
-Non lo so-
-Non c’era scritto in un biglietto?-
-Non c’era un biglietto!- mento. Se le dicessi che in realtà un biglietto c’è stato vorrebbe di sicuro leggerlo, colpita dalla curiosità. E decisamente, non ho nessuna voglia che mia madre legga le mie cose...specialmente se si tratta di questo genere di cose.
Quando salgo sull’aereo corro a sedermi su un divanetto, poggiando il mazzo di fiori accanto a me. Comincio a rovistare nella borsa in cerca di un altro libro da leggere. ‘1984’, George Orwell: le mie labbra si piegano in un sorriso. Amo questo libro. Neanche il tempo di posare gli occhi sulle prime righe della prima pagina, quando sento Robert che mi saluta con un -Ciao, giglio tigrato!-
Improvvisamente una domanda mi salta inevitabilmente in testa: che sia stato lui a mandarli?
Certo... mi sembra strano però,  non ce lo vedo proprio a mandare fiori a una ragazza. Come del resto non ci vedo nessuno di loro. Forse Jonesy...non so. Ma che motivo avrebbe?
Appena l’aereo decolla decido di andare a parlare con Robert, devo togliermi assolutamente questo peso! Appena lo raggiungo gli chiedo, senza troppi giri di parole -sei stato tu a mandarli?-
-Cosa?- mi domanda con un sorriso beffardo.
Incrocio le braccia impaziente di una risposta. Lo so che ha capito di cosa sto parlando.
-Ah... Ti riferisci a quel bel mazzo di gigli che porti con te?-
-Te lo richiedo: sei stato tu?-
-Ci rimarresti male se ti dicessi di sì?-
-E’ probabile!-
-Tranquilla- mi dice accendendosi una sigaretta -non te li ho mandati io-
Mi sento quasi sollevata. Mentre ritorno al mio posto sento che mi richiama:
-Ehi!- tira una boccata alla sigaretta -anche se fossi stato io ti avrei comunque risposto di no-
Perfetto! Invece di togliermi i dubbi me li fa aumentare! Di questo passo credo che non saprò mai chi è stato. Mi accascio abbattuta sul divano e riprendo in mano il mio libro, ma proprio non riesco a leggere: rimango sulla stessa pagina  mentre le parole mi scorrono davanti agli occhi senza che io riesca a capire ciò che sto leggendo. Questo fatto dei fiori mi scombussola un po’: comincio a pensare che sia un’enorme presa in giro da parte di quello sbruffone di Robert. Non mi sorprenderebbe affatto se così fosse.
-Quella pagina è interessante?- la voce di Jonesy mi distrae dai miei pensieri.
-Come?!-
-Saranno dieci minuti che sei su quella pagina-
-Che fai, mi osservi?-
Volge lo sguardo verso il basso con imbarazzo...tutta colpa della mia boccaccia che non sta mai zitta.
-Cos’è che ti turba?- mi chiede non appena rialza lo sguardo su di me.
Rivolgo una rapida occhiata ai fiori, adagiati accanto a me -non riesco a capire chi li ha mandati-
Dopo una pausa aggiungo -tu che sei uscito qualche minuto prima...non hai visto niente?-
Mi fa cenno di ‘no’ con la testa tenendo lo sguardo fisso verso un punto imprecisato -No...no mi spiace, non ho visto niente-
Come non detto. Lui fa per allontanarsi ma un impulso mi porta a fermarlo.
-Aspetta!-
Si volta verso di me -Sì? Ti serve altro?-
Oddio, e ora che dico?
-Volevo solo fare quattro chiacchiere, non parlo con tante persone qui, e quei pochi con cui parlo non mi danno grandi soddisfazioni-
Lui annuisce, sembra aver capito di chi stia parlando.
-Hai ascoltato anche qualcosa di nostro alla fine?- mi chiede.
-Qualcosa sì...alcune le conoscevo ma non sapevo fossero vostre-
-Tipo?-
-Non ricordo i titoli- ammetto con un pizzico di disagio.
Jonesy scoppia in una risata -non ti preoccupare- mi dice -anche io ci ho impiegato un po' a impararli-
 E così continuiamo a parlare del più e del meno, con un pizzico di allegria, fino al nostro arrivo a Berlino.



Messaggio dell'autrice: questo capitolo mi fa schifo! ಠ_ಠ
Ci sono stata su 5 giorni perché non sapevo cosa caspiterina scrivere e alla fine è venuto fuori questo...
Vi assicuro che dal prossimo diventano molto più interessanti!!
Beh, al prossimo capitolooooo

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


E’ passata una settimana e ancora non ho capito chi ha mandato i fiori. Alla fine non me n’è più importato: chi è stato è stato, e se avrà voglia di uscire allo scoperto, ben venga!
Stamattina ho ricevuto due notizie, una buona e una meno buona: quella buona è che tra una settimana tornerò a casa mia, quella meno buona è che ripartiremo dopo un mese per gli Stati Uniti e ci resteremo per ben tre mesi! Beh...almeno è l’America. Un giorno potrò dire di esserci stata. Non è tanto il fatto di andare che detesto, ma il motivo. E il fatto che mi sia stato imposto contro la mia volontà ...e ancora non ho imparato a conviverci.

Camminando per le strade e i vicoli di Lione, alla mia sinistra, in una piazzetta al di là di un ponte, un mercatino dell’antiquariato cattura la mia attenzione. Incuriosita e con passo deciso mi dirigo lì. All’entrata si innalza un enorme ed elegante cancello di ferro e la pavimentazione è tutta coperta di ghiaia. E’ come entrare in un sogno: i capannoni bianchi in contrasto con il marrone e l’oro che caratterizzano gli antichi mobili esposti; la gente che va e viene, che compra, i bambini che rimangono incantati di fronte ad oggetti tanto vecchi. Non sono una profonda appassionata del passato, anzi mi definisco tutt’altro che conservatrice, la mia mentalità è proiettata già verso il futuro. Però trovo un velo di romantica malinconia in tutto ciò, in tutti questi oggetti, vissuti da gente comune che ha contribuito al corso della storia.
Passeggiando davanti alle varie bancarelle, mi fermo davanti a un vecchio Juke-box anni ’50. Mentre lo accarezzo lentamente con le dita il mio sguardo si posa su uno scatolone alla mia destra, pieno di vecchi vinili di bluesman degli anni ’40-‘50.
-Vous aimez le blues?-
-Come, scusi?-
Il proprietario del banco, un signore sulla quarantina, mi si avvicina e mi ridomanda con un forte accento francese -Ti piace il vecchio blues americano?-
-Abbastanza-
-Se vuoi qui abbiamo di tutto: da Charlie Parker a Muddy Waters, da Buddy Guy a B.B.King. Li conosci?-
-Certo che sì!- rispondo continuando a frugare tra i vinili.
-Strabiliante! Una ragazza giovane come te...come fai a conoscerli?-
-Mio padre...- ammetto con un’ombra di tristezza.
-Davvero fortunata ad avere un padre così!-
-Già...- riposo il vinile che avevo preso in mano -davvero fortunata...-
Credo abbia avvertito dal mio tono di voce che c’è qualcosa che non va, infatti non aggiunge altro e si limita a guardare le cose da lui esposte.
-Ha un vero tesoro qui!- gli dico dando un’ultima occhiata al suo banco prima di andarmene -Arrivederci!-
-Au revoir, mademoiselle!-
 
Non c’è niente in questo mondo che più mi appaghi del comprare un libro. Specie se questo è un pezzo vintage.
Continuando a camminare tra le bancarelle mi sono fermata davanti a una di queste che vendeva libri usati. E senza tanti giri di parole, il venditore è riuscito a farmi comprare un libro di poesie di Charles Baudelaire: “Les fleurs du mal”. Raramente leggo poesie, poiché raramente mi trovo d’accordo con i pensieri dei poeti. Ma Baudelaire ha sempre esercitato un certo fascino su di me. E con lui il resto dei poeti maledetti.
Sulla via del ritorno, mentre cammino fiera del mio nuovo acquisto, vedo mia madre dall’altra parte della strada che esce da un negozio di strumenti musicali. Curiosa di sapere cosa ci faccia là, decido di andarle incontro.
-Mamma!-
Si gira dalla mia parte, spaventata, come se non si aspettasse di vedermi.
-Lily! Che...che fai qui?-
-Stavo tornando in albergo e ti ho vista-
Noto che tra le mani ha una grande shopping bag del negozio di strumenti.
-Che stavi facendo?-
-Emh io...- balbetta, come se fosse stata colta col dito nella marmellata -...Peter! Mi ha mandata lui qui...-
-Come mai?-
E’ tesa, in imbarazzo...è strana, non riesco a spiegarmi il suo comportamento. Resto a guardarla in modo perplesso fino a che lei non esclama cambiando completamente il discorso -Hai pranzato? Andiamo a prendere qualcosa da mangiare?-
-Mamma, sono quasi le cinque!-
-Ah...il tempo sembra passare così in fretta quando hai tante cose da fare-
Ma che sta dicendo?
-Devo andare! Devo ancora sbrigare delle faccende...ci vediamo in albergo, ok tesoro?-
-Ok...-
-Ciao!- mi stampa un bacio sulla fronte prima di voltarsi e andarsene.
-Ciao...-
Mah. Chissà cosa le passa per la testa! Senza pensarci più mi volto e riprendo la mia strada verso l’albergo. Non vedo l’ora di leggere il mio nuovo libro! E già che ci sono stasera chiamerò Liz e Eugene, che non sento da qualche giorno, almeno per dar loro la notizia che tra una settimana sarò di nuovo a casa e potrò riabbracciarli.


Nota dell'autrice: Sì, provo un amore così incommensurabile per Baudelaire che ho deciso di metterlo in questo capitolo

Comunque...che nasconderà la madre? <.< Lo leggerete nel prossimo capitolo... à bientôt!!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


-Non vale, hai imbrogliato!- tuona Bonzo con disaccordo -era uscito un sette, dovevi andare in prigione!-
-Ma non avevo tirato prima! Mi erano scivolati i dadi!- Jonesy si mette sulla difensiva, senza poter ignorare le accuse dell’amico.
-Non è vero, ti ho visto! Lo avete visto anche voi?-
Ma gli altri sono troppo distratti per ricordare la mossa di Jonesy: Robert è impegnato a dire sconcerie all’ orecchio di una groupie seduta sulle sue gambe (o almeno credano siano sconcerie, considerando le risatine sommesse e le moine da parte della ragazza), mentre Jimmy non fa altro che fissarmi intensamente, imperterrito, per poi voltare lo sguardo ogni volta che mi giro dalla sua parte.
-John- replico io -anche se gli fosse uscito un sette si sarebbe salvato comunque grazie al cartellino degli imprevisti-
John sbuffa, ormai arreso e esclama alzandosi dal divanetto -Basta! Questo gioco diventa noioso!-
-Solo perché stavi perdendo!- lo schernisce Robert, tirando una boccata di sigaretta.
Non riesco a fare a meno di soffocare una risata per il povero Bonzo. Mentre ci accingiamo a rimettere il gioco nella scatola mia madre mi si avvicina dicendomi
-Ehi Lily...-
-Sì?-  mi volto verso di lei e vedo che nasconde qualcosa dietro la schiena.
-Avrei voluto dartelo stasera in albergo ma non riesco a resistere ancora per molto-
E mentre la guardo negli occhi tira fuori una scatola impacchettata e me la porge.
-Tanti auguri Lily!-
Prendo il regalo fra le mani, senza sapere cosa dire. Non doveva disturbarsi.
-Mamma, non dovevi!-
-Ma scherzi! E’ per il tuo compleanno! Forza aprilo!- esclama tutta sorridente.
Mi risiedo al tavolino intenta a scartarlo, mentre tutti mi osservano con interesse.
Mentre levo la carta-regalo vedo che si tratta di una borsetta contenente una lunga e rigida scatola nera.
Chissà cosa contiene...
Nonostante la mia curiosità apro la scatola con lentezza, come se volessi gustarmi ogni istante. E nel momento in cui la apro la mia espressione diventa un misto fra stupore e meraviglia. Mi porto una mano davanti alla bocca, non riesco a credere che me lo abbiano regalato: dentro il contenitore c’è un meraviglioso e splendente flauto traverso. Non ne vedo uno da quando avevo sette anni.
-Allora? Ti piace?- mi domanda mia madre con orgoglio.
-Io...io non so che dire. E’ stupendo, grazie!- mi alzo per abbracciarla e le stampo un grosso bacio sulla guancia.
-E’ sia da parte mia che di Peter- afferma mia madre.
-Auguri Lily!- dice Peter.
-Grazie!- esclamo mentre vado ad abbracciare anche lui.
Quando ritorno al tavolino ricevo gli auguri anche dai quattro ragazzi.
-Non ci avevi detto che oggi è il tuo compleanno!- protesta Bonzo fingendosi offeso.
-Beh, non è una notizia sensazionale!-
-Dai, suona qualcosa!- dice Jonesy appoggiando i gomiti sul tavolino.
-Emh...no io...io non ne ho voglia...-
-Dai!- esclama mia madre -eri così brava da piccolina-
-Mamma... le uniche canzoni che conosco sono quelle di...- la mia voce trema, è flebile. Non riesco nemmeno a finire la frase. Ma per fortuna mia madre ha capito e si avvicina sussurrandomi
-D’accordo...suonerai quando te la sentirai-
Tiro su con il naso, ricacciando indietro una lacrima che stava per scendermi lungo la guancia.
-Ma non è finita!- annuncia ancora mia madre -stamattina ho fatto in tempo a comprare una torta-
E così ci raduniamo tutti attorno al tavolino dell’aereo, soffio le mie sedici candeline e mi godo questo compleanno fino al nostro atterraggio a Marsiglia.  

 

Messaggio ai lettori: di chi saranno le uniche canzoni che è in grado di suonare? Lo scoprirete solo leggendo il prossimo capitolo ù_ù
Ciaooooooooooooooooooooo

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Seduta sul davanzale interno della finestra della mia camera d’albergo, osservo le mille luci di lampioni, case e automobili che illuminano la città. Il mio corpo è qui, ma la mia mente è altrove, in un passato che vagamente riesco a ricordare. Ma quelle poche cose che ricordo sono impresse per bene nella mia mente. Nitide. E i ricordi affiorano ogni qualvolta che suono quelle poche note che imparai tanti anni fa. Quella melodia che mi fu vicina per tanto tempo.
La mia solitudine immersa nel mare dei ricordi viene interrotta da una seconda persona che si trova in ascolto davanti alla mia porta.
-Entra! E’ inutile che rimani lì ad origliare!- esclamo, convinta che quella persona fosse mia madre.
E con mio grande stupore scopro che in realtà non è mia madre, bensì il chitarrista dai lunghi riccioli neri.
-Che fai, ti nascondi dietro le porte?- lo rimprovero.
-Non volevo disturbarti-
Reindirizzo il mio sguardo verso la finestra, come se lui non ci fosse.
-Dove hai imparato a suonare?-
-Non ho voglia di parlarne!-
-E invece hai una voglia matta, te lo si legge negli occhi-
Ma perché tutti pensano di sapere cosa voglio? E soprattutto...perché tutti indovinano?
Mentre faccio un sospiro profondo Jimmy mi si avvicina e si siede accanto a me.
-Mi ha insegnato mio padre- inizio a raccontare -mi ha insegnato quando avevo quattro anni. Suonava in un complessino con degli amici, facevano blues e jazz, e mio padre era il sassofonista. Suonava vari strumenti a fiato tra cui il flauto traverso. Diceva che era lo strumento più adatto a me: così fragile e delicato...e così mi insegnò. La melodia che stavo suonando prima l’ha scritta lui. La scrisse per me, diceva che ero la sua musa ispiratrice...non sapevo neanche cosa volesse dire- aggiungo con una risata nervosa.
Faccio un attimo di pausa respirando profondamente, prima di riprendere il racconto -mi piaceva andarlo a sentire suonare nei locali, era divertente! Pensavo che un giorno sarei diventata brava come lui. E lui mi riempiva la testa di sogni, di promesse...diceva che un giorno avremmo suonato insieme, che mi avrebbe portata con sé in giro per il mondo, che mi avrebbe fatto conoscere posti nuovi...poi un giorno tutto finì. I miei sogni scomparvero. Se ne andarono insieme a lui- una lacrima comincia a rigarmi una guancia -e lo sai perché se ne andò?!- chiedo con voce ormai rotta dal pianto mentre Jimmy fa cenno di no con la testa.
-Per seguire una di quelle!- il mio tono di voce si alza e si fa più concitato. Ma lui rimane davanti a me, in silenzio, imperturbabile e mi scruta -ora capisci perché non mi è mai andato a genio di venire qui? Del perché ce l’avessi tanto col vostro stile di vita? Mi ricorda lui...E sai qual è la cosa peggiore? E’ che a lui di me non è mai importato niente. Tutto ciò che mi raccontava e che mi prometteva erano solo balle! Non ricevo mai una sua telefonata, una sua lettera, nemmeno una cartolina a Natale...e mi sento così sola-
 Altre lacrime sgorgano lungo le mie guance. Istintivamente nascondo il viso tra le ginocchia, tra i singhiozzi.
-Ehi- sento la mano di Jimmy che lentamente si fa strada tra i miei capelli, accarezzandomeli. Quando alzo il viso verso di lui, i miei occhi si incontrano con i suoi. Non capisco cosa stia provando in questo momento, se compassione o no. La cosa più importante è che mi sia sfogata con qualcuno. Non parlo di questa storia con nessuno, nemmeno con i miei migliori amici. Anzi, se è possibile cerchiamo di evitarla.
-Tu non sei sola- mi rassicura Jimmy mentre posa una mano sulla mia guancia asciugandomi le lacrime con il pollice. Chiudo gli occhi, ma questo non fa altro che farmene scendere ancora di più. Allora Jimmy tira fuori un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e con una mano mi asciuga il viso, mentre con l’altra continua a darmi dolci carezze. Continuando a tenere il mio viso fra le sue mani, si avvicina sempre di più a me. Il mio cuore si agita e comincia a battere all’impazzata. Chiudo gli occhi, senza sapere cosa fare. I nostri visi sono sempre più vicini: riesco a sentire il suo respiro che mi accarezza il volto. Qualche centimetro in più e le nostre labbra si sarebbero incontrate. E prima che ciò possa accadere, l’urlo di Peter proveniente dal corridoio spezza il momento.
-JIMMY! Dove cazzo sei? Abbiamo un concerto!-
Rapidamente (e molto in imbarazzo) mi allontano da lui.
-Vai!- lo incito -i tuoi fan ti aspettano-
E senza dire niente esce dalla mia stanza chiudendosi la porta alle spalle. Stringendomi nel golfino grigio che ho addosso mi alzo e mi sdraio sul letto. Questa giornata è stata devastante, troppe emozioni, tutte concentrate assieme. Una cosa è certa però: quello che è successo stasera non dovrà ripetersi più.


Messaggio dell'autrice: gnagnagnaaaaa non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo *-*
Per quanto riguarda la sua brevità, vi assicuro del prossimo saranno più lunghi! ù_ù
Un bacio,
ciaooooooooooooo :*

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Il tour europeo si è concluso con l’ultima data a Saint-Ouen e il giorno dopo siamo ripartiti per Londra. Finalmente! Casa dolce casa! Quanto mi è mancata! Appena ho disfatto la valigia sono corsa in salotto e ho chiamato i miei amici per fissare un incontro per il giorno dopo .
Passammo tutta la giornata in giro per la città e raccontai loro del mese passato per l’Europa, anche se la maggior parte delle cose le conoscevano già...compreso quel ‘quasi bacio’.
-Non ti ci vedo a baciare uno che conosci da così poco tempo- osservò Liz.
-Ma infatti non l’ho baciato- controbattei io -e non so neanche come sia successo-
Circa una settimana dopo il nostro rientro ricevemmo una telefonata: nonna (la mamma di mia madre) si è rotta una gamba scendendo dall’autobus, e visto che vive da sola e nessuno può badare a lei a casa sua, è dovuta venire da noi e ci rimarrà fino a che non partiremo per gli Stati Uniti. Quella sera a cena ha ricomiciato con la solita solfa sul perché non avessi ancora un fidanzato.
-Alla tua età è bene che una signorina cominci a cercare marito, così diventerà una moglie brava e devota-
-Sì, nonna, magari ai tempi tuoi!- le risposi seccata. Ma possibile che nessuno in famiglia mi capisca?!
Cerco di non pensarci mentre sistemo la mia camera: cambio le lenzuola al letto, spazzo per terra, pulisco i vetri delle finestre...e mentre metto a posto l’armadio, riordinando i vestiti dopo averli tirati tutti fuori, mi accorgo che mancano una gonna a fiori, un maglioncino azzurro e altri capi d’abbigliamento. Eppure sono sicura di averli messi qui.
-Mamma?!- la chiamo scendendo in salotto -sai che fine ha fatto la mia gonna a fiori?!-
-L’ho data via!- risponde lei con nonchalance mentre apparecchia la tavola  -era diventata corta!-
-Mamma, era fatta apposta!-
-Non mi piace che tu vada in giro con una gonna così corta, Lily. Anche quei pantaloncini che indossi d’estate...sono troppo corti-
-Ma se arrivava sopra al ginocchio! E poi che male c’è nello scoprire le gambe?!- la rimbecco.
-Ma...gli uomini potrebbero pensare male...-
-Questo succede perché gli uomini hanno il cervello nelle mutande!-
-Ha ragione tua madre!- esordisce mia nonna -è da scostumate andare in giro così-
Alzo gli occhi al cielo senza risponderle, con le mani appoggiate ai fianchi e mi rivolgo di nuovo a mia madre
-E il maglione azzurro? E gli altri vestiti che mancano?-
-Ho dato via anche quelli...- afferma. Dopodiché poggia i piatti sul tavolo e va verso l’ingresso per frugare nella borsa dalla quale estrae il suo portafoglio.
-Tieni- dice porgendomi qualche banconota –dopo pranzo vai a comprarti qualcosa-
-Ma sono cento sterline!- le faccio notare.
-Prendili. Tieni il resto se vuoi-
Incredula prendo i soldi, me ne torno di sopra e continuo a mettere a posto la mia stanza.


Dopo pranzo esco di casa e me ne vado a Carnaby Street a comprare qualche vestito nuovo. Avevo chiamato Liz per chiederle di accompagnarmi ma purtroppo doveva studiare per l’ammissione al college, mentre Eugene aveva da fare con degli amici. Quindi sono costretta ad andare da sola.
La via è gremita di gente che va e viene, di turisti che consultano cartine e si scattano fotografie. Mi avvio verso un negozio di vestiti e comincio a cercare qualcosa di carino e di adatto a me. Non sono una persona facile nemmeno nello scegliere i vestiti: non mi è mai importato di seguire la moda, l’importante è che stia comoda.  
E mentre frugo tra gli scaffali guardando i vestiti esposti e i realtivi prezzi una voce alle mie spalle mi saluta
-Ciao, bambina!-
Mi giro, nonostante lo abbia riconosciuto. Ovvio: Robert Ricciolidoro Plant. Mi rivolto scuotendo la testa. Ho quasi l’impressione che mi segua, che lo faccia apposta per farmi innervosire.
-Che fai, non saluti più?- mi rimprovera, fingendosi offeso.
-Ciao- lo saluto freddamente, prendendo tra le mani un maglioncino girocollo arancione. Carino. Quasi quasi vado nel camerino e lo provo.
-Passavo di qui per caso con la macchina e...ti ho vista-
-Con la macchina?- gli chiedo rigirandomi verso di lui –a Carnaby Street?-
-Ok, lo ammetto: ti ho vista prima che girassi l’angolo per venire qui e...-
-E mi hai seguita!- lo interrompo.
Con la coda dell’occhio vedo che Robert si allontana da me per andare a un reparto vicino a quello dove sto io, per la precisione al reparto biancheria intima.
-Sai con cosa staresti bene?- mi chiede mentre mi avvicino a lui per dirigermi verso il camerino in fondo al corridoio.
-No- gli rispondo.
-Con uno di questi- e mi mostra fieramente un baby-doll di seta bianco, semi-trasparente, contornato di pizzi e merletti.
Incrocio le braccia rispondendogli –perché non lo mostri a una delle tue amichette?! Sono sicura che gradirebbe-
-Perché lo so già come ci stanno loro con questo addosso. E posso dire che non sono niente male. Ma mi piacerebbe vedere come ci staresti tu- osserva con uno dei suoi soliti sorrisi beffardi stampato sulle labbra.
Alzo gli occhi al cielo, senza rispondergli ed entro nel camerino.
Quando esco lo trovo davanti a me ad aspettarmi.
-Ma non hai una casa?!- esclamo andando a cercare altri vestiti da provare.
-No, oggi sono libero. Dovevo vedermi con un amico ma...mi ha dato buca- mi risponde chiaramente non dispiaciuto.
Dopo aver provato altri vestiti mi dirigo verso la cassa per pagare, ma Robert mi precede tirando fuori il portafoglio.
-Te li pago io!-
-Non voglio i tuoi soldi!-
Dopo un’animata discussione sotto lo sguardo imbarazzato della cassiera finalmente lo convinco a rimettere a posto i suoi soldi, e pago la mia spesa con i miei. E mentre mi riavvio verso l’uscita del negozio Robert mi si para davanti dicendomi  –hai fame? Conosco un posticino niente male dove...-
-No grazie, ho già pranzato-
-Sì, anche io...- ammette portandosi una mano tra i capelli. –Posso offrirti qualcosa? Un gelato, un the o un...-
-Perché?- gli domando interrompendolo.
-Perché...voglio passare un po’ di tempo con te-
Tiro un grosso respiro incrociando le braccia –D’accordo!- sospiro –Io sto andando in libreria-
-Ok! Andiamo!- esclama lui con un largo sorriso.



-Sai cosa sembri?- mi chiede improvvisamente mentre mi aggiro tra i vari reparti della libreria.
-Cosa?-
-Un fantasma-
-Un fantasma?!- gli domando aggrottando la fronte.
-Sì. Hai questo sguardo perso nel vuoto, gli occhi fissi davanti a te...- mi spiega avvicinandosi lentamente verso di me –a volte mi chiedo cosa si cela dietro ai tuoi occhi malinconici-
-Tante cose...non capiresti...- prendo in mano un libro qualsiasi, come a voler deviare il discorso.
Capendo che non ho molta voglia di parlarne si allontana, andando verso la corsia davanti a me.
-Io preferisco questo in assoluto- afferma mostrandomi “Il Signore degli Anelli”.
-L’ho letto anche io-
-Tu leggi Tolkien?-
-Io leggo qualsiasi cosa. Anche le etichette degli shampoo, o le targhe delle macchine. Piuttosto tu, non sapevo ti piacesse Tolkien-
-Non è che mi piaccia: mi appassiona, è diverso! Come mi appassiona la mitologia, specie quella norrena. Ho letto molte cose a proposito-
-Non l’avrei mai detto-
-Questo è perché tu pretendi di conoscere già le persone. Scommetto che a malapena conosci te stessa!-
Vero. Tremendamente vero. E non capisco come non me ne sia mai accorta. Riposo il libro che avevo in mano mordicchiandomi il labbro inferiore e mi dirigo verso l’uscita.
-Scusa se ho detto quella cosa, non volevo renderti triste-
-No, non preoccuparti- affermo sospirando  -hai detto una cosa vera-
-Senti, se vuoi quell’invito per quel gelato è ancora valido-
Ci penso un po’ su e infine acconsento.


-Per me una coppa con...cioccolato e nocciola!-
La giovane cameriera annuisce annotando la mia ordinazione.
-Due!- esclama Robert senza togliermi gli occhi di dosso.
-Sai cosa trovo strano in te?- mi chiede non appena la cameriera se ne va.
-Cosa?-
-Trovo strano come una ragazza puntigliosa come te non mi abbia ancora rinfacciato di provarci con una minorenne-
D’un tratto mi sento mancare il respiro.
-Beh- inizio a balbettare – Sei...sei grande abbastanza da sapere che quello che fai è sbagliato-  la butto giù senza sapere cosa stia dicendo.
-Non me la dai a bere! – esclama  -Ahh, ho capito!-
Oddio, no!
-Scommetto che pensi a qualcuno. E scommetto che è molto più grande di te-
Mi porto le mani sul viso, come se volessi nascondermi e rimango zitta, senza obiettare. D’altronde non posso più continuare a nasconderlo.
-No, ti prego, non dirmi che è quel mezzo cinese di Page!-
-Non è nessuno di voi quattro. Non c’entra assolutamente niente con voi-
-E allora chi è?-
- Te l’ho già detto: non capiresti!-
Quando la cameriera ritorna con i gelati cambiamo discorso e cominciamo a parlare di musica e di tante altre cose.
Verso il tardo pomeriggio usciamo dal Cafè e mentre camminiamo verso la sua macchina gli chiedo senza preamboli -Cosa ci trovate di tanto particolare nell’andare con così tante ragazze?-
-Lo vuoi proprio sapere?-
Annuisco.
-Ti senti un dio! Basta anche una parola e loro sono ai miei piedi-
-Che cosa disgustosa! Le trovo senza dignità!-
-Tu dici? Io le guardo ma non mi sembrano indegne-
-Tu vedi solo quello che ti fa comodo vedere, e quando la realtà non ti convince, la trasformi ai tuoi occhi-
Improvvisamente si ferma, me ne accorgo dopo aver fatto qualche passo, non posso fare a meno di voltarmi ad osservarlo: perché mi fissa in modo così penetrante?
-Sai cosa ho pensato la prima volta che ti ho vista? “Questa prima o poi cadrà ai miei piedi”-
-Allora vuol dire che hai bisogno di un oculista, perché ci vedi male-
-Forse sottovaluti il mio fascino-
-Non mi sono mai accorta che tu avessi un fascino-
-Te ne accorgerai. Prima o poi tutte se ne accorgono-
-E’ proprio questo il punto! Io non sono 'tutte'-
-Sì hai ragione. E forse è proprio per questo che mi piaci da impazzire!-
Rimango in silenzio a guardarlo negli occhi. Non so se esserne lusingata o no. E lui è sempre più vicino al mio viso. Esito, perché da vicino è veramente molto bello, lo ammetto. Faccio subito un passo indietro, imbarazzata, distogliendo lo sguardo dal suo.
Lui non dice niente ed inizia ad armeggiare con le chiavi della macchina.
-Dai sali, ti riaccompagno a casa-
Annuisco e salgo subito in macchina. Fortunatamente non mi osserva più, è concentrato sulla strada, e non accenna a quanto è successo. La prossima volta però dovrò stare più attenta a non lasciarmi andare troppo alle emozioni.


Messaggio ai lettori: Ehm, sì! Come vi avevo promesso, il capitolo è molto più lungo ù_ù (e lo saranno anche i prossimi)
Ve lo pubblico con un giorno di anticipo perché questo fine settimana non ci sarò D:
Bene bene, spero che vi piaccia, e ci "leggiamo" alla prossima!! :*

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Seduta sulla poltroncina dell’aereo, diretto verso Atlanta, Georgia, ripenso al mese di pausa trascorso a casa. Tutto sommato non ho passato un mese così orrendo: mi sono guadagnata qualche sterlina dando ripetizioni di latino a Tom, un ragazzo dell’ultimo anno, che mia nonna ha reputato adatto a me definendolo “bravo giovane, dotato di grande sensibilità”. Decisamente non il mio tipo ideale. Troppo timido e insicuro di sé.
La settimana scorsa, mentre ero al parco con Liz e Eugene, ebbi la grande idea di andare a scuola a trovare i nostri professori. Intuendo il mio secondo fine Liz mi assicurò –Guarda che il professor Harvey non ci sarà. E’ andato all’estero-
-E dove?-
-Non lo so-
-Per quanto tempo?-
-Probabilmente per sempre. Ho saputo che è stato trasferito-
-Ma come le sai queste cose?-
-Pettegolezzi-  mi rispose in un sorriso.
Mi confidai con loro anche per quello che successe con Robert e l’unica risposta che ricevetti fu –E’ chiaro che gli interessi-
Come se non l’avessi capito da me.
La voce di mia madre mi distrae dai miei pensieri –Lily preparati, stiamo atterrando-
Così raduno le mie cose e attendo impaziente il nostro atterraggio.


Appena entro nella mia stanza d’albergo, mi fiondo immediatamente in bagno a farmi una doccia.
Tutte queste ore mi volo mi hanno stressata e una doccia è proprio quello che mi ci vuole.
Mezz’ora dopo ritorno in camera, avvolta nel mio asciugamano e trovo Richard Cole, il braccio destro di Peter, sdraiato sul mio letto. Merda! Nella fretta ho dimenticato di chiudere a chiave la porta della camera.
Mi schiarisco la voce, attirando la sua attenzione.
-Credo tu abbia sbagliato stanza- gli faccio notare cercando di apparire il più sicura di me possibile.
-E’ la stanza 127 questa?-
-Sì esatto!- confermo incrociando le braccia al petto.
-Allora è la stanza giusta- dice alzandosi dal letto e avvicinandosi a me con un ghigno malizioso sulle labbra.
Indietreggio lentamente andando a sbattere con la schiena contro il muro. Le cose da fare sono tre:
1. Scaraventargli qualcosa addosso per stordirlo
2. Urlare come una femminuccia nella speranza che qualcuno mi venga a salvare
3. Cerco di difendermi
Scelgo la terza opzione e cerco di intimorirlo a parole.
-Faresti meglio ad andartene immediatamente. Peter lo verrà a sapere e allo...-
-Chi se ne frega!-
E’ ubriaco marcio. Sento l’odore dell’ alcol insidiarsi tra le mie narici.
-Dai non farti pregare! Vedrai che dopo mi ringrazierai- posa le mani sui miei fianchi e violentemente mi trascina verso il letto gettandomi su di esso. Senza che abbia il tempo di reagire mi si scaraventa addosso inziando a toccarmi.
-Metti giù quelle manacce!- gli urlo sferrandogli dei pugni.
Continuo a urlare e a dimenarmi cercando di liberarmi dalla sua stretta, quando la porta della mia camera si apre. Fortuna che neanche lui ha avuto la brillante idea di chiuderla a chiave.
-Lasciala stare Cole!- gli ordina la terza voce.
Oddio no, non può essere lui!
-Dai vieni Plant, ci divertiamo!- sghignazza Richard continuando a toccarmi.
Ma Robert lo prende alle spalle, di peso e lo trascina fuori la stanza rivolgendogli qualche minaccia.
-Se scopro che hai infastidito qualcun’altra, sappi che Peter non sarà il tuo unico problema. Ora va’ a farti un giro!-
Robert rientra nella mia stanza per accertarsi che stia bene, mentre io comincio a riprendere fiato portandomi una mano sul petto: il cuore batte a mille per lo shock e lo spavento.
-Guarda che era tutto sotto controllo!- gli dico guardandolo con aria truce.
-Sì ho notato!-
Dopo qualche secondo Robert rompe il silenzio che si era creato tra di noi
-Certo che almeno un ‘grazie’ da parte tua non sarebbe male!-
-Grazie!- mi alzo violentemente dal letto e vado in bagno, sbattendomi la porta alle spalle. Mi appoggio al lavandino con il viso nascosto tra le mani. Rapidamente mi sciacquo la faccia con l’acqua fredda e mi guardo allo specchio. Mi sento un mostro. Non l’ho nemmeno ringraziato come si deve.


Due ore dopo mi ritrovo distesa sul letto a riflettere. Penso a quanto sia stata meschina con lui per tutto il tempo. E oggi in particolare. Dovrei andare a chiedergli scusa? Sì, forse dovrei. Dovrei dargli questa soddisfazione? La cosa più giusta sarebbe andare a chiedergli scusa senza però sentirmi umiliata: sono sempre stata una testarda, un'orgogliosa, e così facendo ho paura di fare ciò che lui si aspetta. Che mi stia facendo troppi problemi? In fondo mi ha pur sempre salvata. Ma sì, vado da lui e mi scuso!
Esco dalla mia stanza e mi reco davanti alla sua porta. E più mi avvicino, più sento dei rumori ambigui provenire dalla sua stanza. E’ chiaro che c’è una ragazza con lui. Istintivamente mi porto una mano davanti alla bocca e sgrano gli occhi. Dovrei disturbarlo? In fondo se non lo faccio adesso non lo farò mai più. Prendo un respiro profondo e busso.  Improvvisamente i rumori ambigui si dissolvono e due minuti dopo la porta si apre e mi trovo davanti un Robert in mutande che, con un sorriso malizioso mi domanda –Ciao tesoro! Sei venuta per un ménage à trois? Io e Michele* abbiamo appena inziato-
Incrocio le braccia e ruoto gli occhi al cielo. E io che ci perdo anche tempo, che stupida! Meglio che me ne torni in camera mia!
-Dai vieni qua!- Robert mi prende per un braccio –stavo scherzando! Dimmi tutto-
-Ero venuta per chiederti scusa...per come mi sono comportata-
-Senti senti...- Robert si appoggia allo stipite della porta e incrocia le braccia al petto mentre mi guarda incuriosito.
-Lo so, ho un pessimo carattere. E mi dispiace di essere stata ingiusta con te-
-Ok. Accetto le tue scuse-
-Sì, ma non ti ci abituare-
-Robert!- urla la giovane groupie chiamandolo dalla camera da letto.
-Ti conviene ritornare dentro, sennò Michele ci rimane male- dico io con una smorfia.
Robert scoppia a ridere, con mio grande stupore. Che c’è da ridere?!
-Guarda che non devi chiedere scusa- si avvicina a me mettendomi letteralmente con le spalle al muro
-Mi ecciti quando fai la stizzosetta-
Ci fissiamo intensamente per qualche secondo, dopodiché lo spintono via per tornare verso la mia camera
-In realtà...- aggiunge.
Mi volto verso di lui.
-...un modo per farti perdonare ci sarebbe-
E cioè? Non vorrà mica... –Scordatelo!-
-Ma no, non hai capito! Vieni a cena con me stasera-
A cena? Chissà perché non mi convince.
-Dov’è il trucco?- domando incrociando le braccia.
-Nessun trucco. Un’innocua cena io e te-
Rimango con le braccia incrociate, con lo sguardo puntato in un punto imprecisato del corridoio e rifletto.
-Se accetto- annuncio dopo qualche secondo –mi prometti che mi lascerai in pace?-
Touché! Dalla faccia che ha fatto non si aspettava questa risposta da parte mia.
-D’accordo. Te lo prometto-
-Bene. A stasera-
-Alle 8.00?-
-Alle 8.00- annuisco.
Mi giro e ritorno in camera mia. Avrò fatto bene ad accettare? O è solo una delle tante cose senza senso che faccio ultimamente? Mi siedo sul letto e controllo l’ora. Ho deciso che sopporterò questa cena, tutto purché Robert mantenga la promessa ed io sia finalmente con l'animo più leggero. Ora però mi assale un altro dramma: cosa mai potrei indossare?



*Michele Overman, groupie di Robert Plant.

Nota dell'autrice: come promesso prima di partire, eccovi il capitolo :3
Spero vi piaccia!!!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


In piedi, davanti all’enorme specchio del bagno mi do un’ultima, leggera e attenta passata di trucco sugli occhi, quando sento bussare alla porta.
-Chi è?- domando una volta avvicinatami.
-Robert!-
-Guarda che sei in anticipo- gli faccio notare incrociando le braccia.
-Veramente sono le 8.00 precise. Mi fai entrare?-
Controllo la sveglia sul comodino. Oddio, è vero! Apro la porta lo trovo con il braccio destro appoggiato allo stipite, vestito con una bizzarra camicia gialla, jeans attillati e una giacca di pelle marrone chiaro, che esclama –Accidenti! Sei uno schianto!-
-E’ un normalissimo vestito, e il trucco è quello di tutti i giorni-
Sì, alla fine ho optato per un vestitino nero, lungo fin sopra le ginocchia, dotato di una cintura rossa all’altezza della vita, scarpe basse rosse e...ho lasciato i capelli sciolti (in genere li lego sempre).
-Già...ma sei bellissima comunque-
Lo guardo negli occhi esitando. Non so perché ma sento che il suo complimento è sincero. Sarà lo sguardo eloquente che ha. Tuttavia gli rispondo per la prima volta con un mezzo sorriso –Grazie-
-Toglimi una curiosità- annuncia qualche minuto dopo –tua madre lo sa?-
-No, e non c’è alcun bisogno che lo sappia-
-Come siamo ribelli!-
-Farebbe troppe domande e non è il caso-
-E come ti sei giustificata?-
-Che avevo sonno e volevo dormire-
Prima di uscire dalla stanza gli chiedo se sia il caso portare un giacchetto, al che mi sento rispondere –non penso che stando in mia compagnia tu possa sentire freddo-
Alzo gli occhi al cielo, vado a prendere un golfino dalla valigia e lo metto nella borsa. Quando usciamo dalla stanza mi reco di corsa verso l’ascensore. Non voglio rischiare di essere vista da qualcuno. Ma Robert rimane indietro, camminando a passo lento tenendo le mani nelle tasche dei pantaloni. Quando l’ascensore si apre mi ci fiondo dentro –Ti sbrighi?! Ho fame!-
Robert accenna una risata –Potresti tentare di essere carina con me almeno per questa sera?-
-Ma non avevi detto che mi trovi più eccitante quando faccio la stizzosa?- lo rimbecco incrociando le braccia.
-Appunto!- conferma lui entrando nell’ascensore, con un ghigno disegnato sulle labbra –non vorrei eccitarmi troppo-
Le porte dell’ascensore si chiudono alle sue spalle ed io resto sola con lui, sostenendo il suo sguardo, mentre scendiamo di piano in piano.



-Fammi capire- mi dice Robert dopo che abbiamo ordinato da mangiare, seduti al tavolo di un grazioso ristorante  -saresti dovuta andare ad Oxford invece che venire in tour con noi?-
-Sì- confermo bevendo un sorso d’acqua –esatto!-
-A studiare cosa?-
-Legge-
-Cazzo! Come mai questa scelta?-
-Per tanti motivi...-
-E a casa che ne pensano?-
Lascio sfuggire una risatina nervosa  -Mia madre non so mai cosa pensi. Non capisco se sia contraria o no. Peter invece dice che l’unico avvocato che potrei essere è quello delle cause perse. Tra l’altro non so neanche se diventare o no avvocato. Pensavo di fare il giudice-
-Wow! Sei la prima ragazza che incontro che ha ideali di questi tipo-
-Lo prendo come un complimento-
-Lo è!- risponde con un sorriso -Come mai proprio il giudice?-
-Perché sono contro le ingiustizie. Piccole o grandi che siano. Trovo ingiusto anche categorizzarle così-
-Mi togli un’altra curiosità?-
-Mh-mh- annuisco.
-Le scelte di vita che fai...le fai per dimostrare qualcosa a qualcuno o perché ci credi veramente?-
Mi guardo un po’ intorno prima di rispondere, come se la risposta la potessi trovare all’infuori di me
-Tutte e due- ammetto infine.
Robert sorride prima di rispondere  -ti sembrerà strano ma io e te siamo molto più simili di quanto tu non voglia ammettere!-
-Perché? Anche tu...-
-Ho scelto la carriera di cantante per i tuoi stessi identici motivi: perché la musica ha sempre fatto parte di me e mi ha sempre appassionato...e poi per dimostrare ai miei che si sbagliavano-
-Cosa volevano per te?-
-Cosa vogliono! Ancora non si sono rassegnati all’idea che io faccia questa vita. Comunque volevano diventassi un contabile, al che a sedici anni scappai di casa e incominciai a militare in alcune band, finché non conobbi Jimmy che mi propose di far parte della sua band-
-E che facevi per vivere?-
-Asfaltavo le strade!- mi rivela con un mezzo sorriso.
La nostra conversazione viene interrotta dall’arrivo del cameriere con i nostri piatti. Mentre mangiamo, Robert comincia a farmi strane domande su mio padre e sulla mia infanzia.
-Come l’hai presa quando tua madre si è risposata?-
-A dire il vero non lo so. So solo che odiavo tutto e tutti: odiavo mio padre per avermi abbandonata, odiavo mia madre, odiavo Peter perché aveva preso il posto di mio padre...e odiavo me stessa. Mi reputavo la causa della sua fuga. Poi, piano piano, crescendo, ho capito che non era colpa mia...ma mi ci è voluto un bel po’ per capirlo-
Robert non risponde, ma si limita ad ascoltare ed annuire.
-Tu hai figli?- gli chiedo dopo qualche secondo di silenzio.
-Sì, due-
-Posso darti un consiglio? Passa con loro più tempo che puoi. Non lasciare che ti odino perché non ci sei mai-
Il tempo passa tra una chiacchierata e l’altra finché non arriva il momento del conto, pagato da Robert su sua insistenza.
-Allora- dice Robert camminandomi accanto, mentre ci dirigiamo verso l’uscita –sei stata bene?-
-Mmh, sì- affermo dopo aver finto di pensarci su  -lo ammetto: è stato piacevole-
-Sono stato bene anch’io- commenta lui guardandomi negli occhi. Mentre mi avvicino verso l’uscita del ristorante noto che Robert rimane indietro.
-Cazzo!- impreca –ho dimenticato la giacca al tavolo. Tu resta qua, eh!-
-Ok!-
Dopo averlo visto sparire nella sala accanto rivolgo lo sguardo verso la porta e non appena vedo chi sta entrando, sento come se il cuore  si stia fermando tutt’a un tratto: il professor Harvey in persona, accompagnato da una donna alta, con una cascata di capelli lunghi e biondi che le cadono sulle spalle (sua moglie!). Rimango a fissarli in mezzo alla sala, in preda al panico, ma loro sembrano non essersi ancora accorti di me. Qualche minuto dopo sento Robert arrivare alle mie spalle –Trovato! Ora possiamo...che guardi?-
Dopo essere rimasta impalata per altri cinque secondi mi giro verso di lui  -Niente!-   e con uno strattone lo tiro verso di me fino a che le mie labbra non si incontrano con le sue; inzialmente è preso alla sprovvista, ma poi noto che ricambia il bacio con furiosa passione. Le mie mani si fanno strada tra i suoi folti capelli, mentre le sue mi cingono la vita, per poi scendere lentamente sui miei fianchi e...che fa, mi palpa il sedere? Istintivamente mi scosto da lui e gli rifilo un potente schiaffo sulla guancia sinistra. Cazzo! Cosa ho fatto?! Mi porto le mani davanti alla bocca mentre il mio sguardo si posa sul professor Harvey che da lontano ha visto tutta la scena. Cristo, che imbarazzo! E ora che faccio? L’unica cosa che mi viene in mente è scappare, uscire dal ristorante e correre in lacrime verso il parco lì davanti.


-Ehi!- la mano di Robert si poggia sulla mia spalla, facendomi sussultare, mentre mi trovo seduta su una panchina  con le braccia attorno alle gambe e il volto nascosto tra le ginocchia.
-Vai via!- piagnucolo senza alzare la testa.
-Credo di meritarmi più di un “Vai via”, non pensi?-
La mia voce non riesce ad emettere alcun suono, se non una serie di singhiozzi.
-Chi era quello?- mi chiede dopo qualche secondo di silenzio.
-Il...il mio professore...- rispondo alzando il viso da quella posizione e asciugandomi le lacrime con la mano.
-E’ lui, vero?-
Inutile chiedergli a cosa si riferisce, perciò mi limito ad annuire, senza guardarlo negli occhi.
-Ti ha mai ricambiato?-
Scuoto la testa dicendo –No. Per lui sono sempre stata l’alunna Brandon. Mentre io continuavo a stargli dietro come una perfetta cretina. Tanto è sempre così! Scelgo sempre quelli sbagliati!-
Mi sento così stupida...e imbarazzata. E le lacrime non fanno altro che sgorgare a fiotti sulle mie guance, senza che io possa fare qualcosa per fermarle.
-Coraggio, dillo!- sbotto poco dopo –Dillo! “Sì Lily, sei una stupida ragazzina!”-
-No. Non ho mai pensato che tu sia stupida. Sei la ragazza più intelligente che io abbia mai conosciuto. Non ti direi mai una cosa del genere...Vieni qua!- mi sussurra accogliendomi tra le sue braccia. La mia testa si appoggia alla sua spalla, mentre i miei occhi gli bagnano la camicia di lacrime. Vengo avvolta dal calore del suo corpo e dal dolce profumo della sua acqua di colonia. Restiamo così per una durata di qualche minuto mentre Robert mi accarezza dolcemente i capelli, stampandomi dei teneri baci sulla fronte, finché non arriva il momento di ritornare in albergo.
Camminiamo a passo lento fino a raggiungere la porta della mia stanza.
-Sei arrivata!- annuncia Robert con un velo di malinconia negli occhi.
-Già...- prima di entrare mi volto verso di lui –Beh...che posso dire?! Grazie! Di tutto...-
Robert annuisce prima di avvicinare il suo viso al mio fino a che le nostre labbra non si incontrano un’altra volta. Improvvisamente tutto ciò che mi circonda sembra svanire, lasciando spazio solo a me, a lui e a questo bacio. Robert afferra il mio viso con le mani, mentre le mie braccia si allacciano attorno al suo collo  e con maestria lascia scivolare la lingua nella mia bocca, facendo in modo che con la punta tocchi la mia.
Una sua mano si fa strada sul mio fianco, attirandomi sempre di più verso di sé.
Quando ci fermiamo per riprendere fiato, ci guardiamo ancora una volta negli occhi, e io mi sento come persa nell’azzurro del suo sguardo.
Prima che possa accadere qualcos’altro, annuncio tentennando -...buonanotte!-
Robert si allontana da me, con un pizzico di delusione rispondendo con un sospiro –buonanotte- per recarsi infine verso la sua stanza. Dopo un ultimo e fugace sguardo, rientro in camera mia.
Dio che serata! Non ero pronta a tutto ciò! Decisamente! Ma nonostante tutto sono stata bene, e quel bacio mi è piaciuto da morire!


Nota dell'autrice: Aaaaaaaaaaaahhhhhhhhhh finalmente!!!!!! *3*
Ce l'hanno fatta!!! Non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo!!
Comunque il vestito che indossa lei è questo (creato da Ronin Bunny):


(Solo che il rosso mi piace di più del rosa
ಠ_ಠ)
Fa più anni '60 che '70, però mi piaceva e l'ho scelto comunque ù_ù
Vabbè, detto questo, "ci si legge" al prossimo capitolo!!!!!!

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Manca una rampa di scale. Solo una rampa di scale e sono arrivata in cima. Ma chi me l’ha fatto fare di salire a piedi invece di prendere l’ascensore?! No, lo so il perché in realtà: dovevo sfogarmi in qualche modo. Dovevo sfogare tutto: la rabbia, la delusione, la frustrazione...Tutta colpa di un maledetto flauto traverso ritrovato nella valigia. Eppure amo questo strumento. E lo odio anche. Esattamente come odio lui.
Arrivata in cima, apro la grande porta antincendio ed esco sul terrazzo ed una bellissima vista di Tuscaloosa si staglia davanti a me. Questo è decisamente il luogo perfetto per starsene un po’ da soli.
Seduta sul cornicione della terrazza, con un piede appoggiato al pavimento, inizio a suonare qualche nota, mentre il mio sguardo si perde nella città.
Solo dopo qualche minuto mi rendo conto di non essere sola: dall’altra parte del terrazzo sento il suono di una chitarra classica arrivare alle mie orecchie. Cammino verso l’altro lato e trovo Jimmy seduto su una cassetta di legno, accovacciato sulla chitarra, una sigaretta in bocca e circondato da matite e fogli di carta. Rimango impalata a fissarlo per qualche minuto, fino a quando lui non si accorge della mia presenza.
-Che fai, origli?- mi chiede con lo stesso tono con il quale mi sono sempre rivolta a lui. Ok. Me lo merito.
-Se ti do fastidio me ne vado!-
-No, non mi dai fastidio, anzi...- mi dice con gli occhi rivolti verso il foglio di carta, mentre ci scribacchia su qualcosa.
-Che fai?- gli chiedo avvicinandomi a lui.
-Abbozzo qualche canzone per il prossimo album. Tu che facevi qui?-
-Suonavo-
-Ahh- risponde annuendo –vieni, siediti!-
Mi avvicino di più, guardandomi intorno in cerca di qualcosa su cui sedermi. Ma improvvisamente Jimmy si alza e mi porge la cassetta di legno su cui era seduto.
-Tieni, siediti qui!-
-E tu?-
-Per terra- risponde accomodandosi sul pavimento, con la schiena poggiata al muro.
-Cosa suonavi?- aggiunge.
-Le solite cose. Vorrei cambiare, vorrei imparare canzoni nuove. Queste non fanno altro che far affiorare bei ricordi che vorrei evitare-
-Ma se sono bei ricordi, perché li vuoi evitare?-
-Perché so che non li vivrò più...- rispondo amaramente.
Dopo qualche secondo di silenzio prende un foglio nuovo e incomincia a scrivere qualcosa, per poi darmelo dopo qualche minuto dicendomi –prova questa...la sai leggere la musica?-
Annuisco prendendo in mano il foglio che mi sta porgendo e lentamente lascio scorrere gli occhi sulla sua elegante calligrafia. Quello che ci ha scritto sopra, altro non sono che le note iniziali della loro Stairway to heaven.
-Allora, inizio io con la chitarra e poi attacchi tu. Ci sei?-
-Mh-mh-  annuisco. Poi Jimmy inizia a suonare facendomi segno con la testa quando tocca a me.
Quando lui inizia a pizzicare le corde, mentre la musica si libra nell'aria, socchiudo gli occhi: per un istante mi sembra che ci sia solo questa  melodia, che tutto il mondo visibile dalla terrazza sia scomparso. Porto il mio flauto alla bocca e soffio delicatamente la prima nota. Senza rendermene conto sto già dando vita alle seguenti mentre  seguo Jimmy... o forse è il contrario... oppure i nostri strumenti sono diventati una cosa sola e vivono l'uno legato all'altro, in modo indissolubile. Finito il mio pezzo iniziale, smetto di suonare. Ma lui no. Lui continua imperterrito per tutta la durata della canzone. Mi sembra di aver salito veramente la scala per il paradiso. Quando anche lui finisce batto le mani in un applauso, al quale lui ringrazia con un sorriso quasi timido.
-Sei stata bravissima!-
-Grazie...oddio...non sono tutto questo granché!-
-Invece sì!- ammette lui –Sai suonare qualcos’altro oltre al flauto traverso?-
-Beh...- in realtà sì, ma mi vergogno un po’ ad ammetterlo, specialmente dopo aver sentito lui -...so suonare un po’ la chitarra...ma niente di che! So suonare solo Blowin’ In The Wind!-
Dopo avermi guardata per qualche secondo mi porge la sua chitarra dicendomi –Fammi sentire!-
Cosa?!
-No, davvero...non  sono niente di che!-
Ma lui rimane con la chitarra tesa verso di me, aspettando che la prenda, così lascio andare un sospiro profondo e la prendo cercando di ricordare gli accordi della canzone. Dopodiché appoggio la mano sinistra sulla tastiera e inizio a suonare. Wow, me la ricordo ancora! Inconsciamente inizio anche a canticchiarla, tra i vari assenzi di Jimmy che sembra apprezzare il mio modo goffo di suonare.
Finita anche questa canzone do un’occhiata all’orologio, mentre Jimmy si riprende la sua chitarra facendomi vari complimenti (ai quali ringrazio modestamente).
-Beh...io scendo di sotto. Avevo voglia di andare a fare un giro-
-Ok- risponde lui un po’ dispiaciuto –mi è piaciuto suonare con te-
-Sì...anche a me- ammetto io. Infine mi volto e rientro in albergo un po’ malinconicamente.


Dopo essermi cambiata scendo nella hall e mi dirigo verso l’uscita. Non è che abbia molta voglia di uscire, dopo ciò che è successo oggi, ma non avendo nient’altro di meglio da fare...
Improvvisamente qualcuno mi chiama da lontano –Hey bimba, aspetta!-
Quando mi volto vedo che Bonzo cammina a passo svelto verso di me.
-John! Che succede?-
-Hai da fare?-
-Beh...stavo uscendo...perché?-
-Ci manca un giocatore. Vuoi unirti a me, Robert e Jonesy?-
-Giocatore per cosa?-
-Biliardo-
-Ma io non ci so giocare-
-Non c’è problema, te lo insegnamo noi-
Dopo averci riflettuto un po’ acconsento. E’ pur sempre una nuova esperienza. Potrei trarne qualcosa di positivo.
-Bene!- esclama Bonzo, entusiasta –vieni con me- mi afferra un polso con la sua potente stretta di mano e mi conduce in una sala dove Robert, appoggiato al tavolo da biliardo, e Jonesy, seduto su una sedia, ci aspettavano fumando sigarette.
-Ragazzi, ho trovato il quarto giocatore!-
-Ohh bene!- esclama Jonesy con un sorriso non appena mi vede entrare.
-Guarda guarda- inteviene Robert –non sapevo sapessi giocare a biliardo-
-Infatti non ci so giocare!- rispondo togliendomi la giacca.
-Già, ma imparerai- aggiunge Bonzo –allora, tu stai in coppia con Jonesy e io sto con Robert-
-Ok. Come funziona?-
-Bisogna mandare le palle nella buca- dice maliziosamente Robert.
Alzo gli occhi al cielo, esasperata.
-Te lo spiego io- inizia a spiegarmi Jonesy –allora, innanzitutto dobbiamo scegliere quali vogliamo: quelle colorate per intero o quelle con la striscia colorata...tu quali vuoi?-
-Mh- ci penso un attimo su –quelle tutte colorate!-
-Come mai proprio quelle?- chiede curioso Jonesy.
-Non mi piacciono le cose lasciate a metà-
Soddisfatto della risposta continua a spiegarmi –il primo giocatore, poi decideremo chi, “spacca” le biglie disposte a triangolo, colpendo la pallina bianca con la stecca, e la “spaccata” è valida solo se quattro biglie colpiscono il bordo opposto del tavolo. Se non lo colpiscono o se quella bianca o la numero 8 finiscono in buca, è fallo e bisogna passare la mano a un giocatore della squadra avversaria, il quale potrà decidere se lasciare il gioco così o ricominciare dal triangolo. Da qui ognuno deve mandare in buca le proprie biglie e se sbaglia tocca agli avversari. Chi le imbuca tutte ha il diritto di mandare la 8 in buca per ultima, e chi la imbuca per primo vince. Tutto chiaro?-
-Sì, credo di aver capito tutto-
Speriamo.
-Bene, chi inzia?- domanda Bonzo.
-Beh, prima le signore direi!- risponde Robert, lanciandomi uno sguardo beffardo.
-E se facessimo una scommessa?- esordisce Bonzo dopo qualche minuto.
-Una scommessa?- chiede Jonesy scettico.
-Sì, scommettiamo qualcosa-
-Ci sto!- esclama Robert.
-Se vinciamo noi- continua Bonzo –lei domani sera viene a sentirci in concerto-
-E se vinciamo noi?- mi domanda Jonesy facendo decidere a me.
-Se vinciamo noi...- rispondo io pensandoci un po’ su -...niente più nomignoli: niente più “bambina”, “dolcezza”, “tesoro” e quant’altro-
-D’accordo!- dichiara Robert, capendo che mi sto rivolgendo soprattutto a lui –iniziamo!-
-Ok- cerco di posizionarmi come meglio posso, ricordando ciò che ho visto nei film. Dopo qualche secondo di concentrazione do un colpo alla pallina bianca mandandone quattro a sbattere contro il lato del tavolo opposto a me, sotto lo sguardo incredulo degli altri.
-Ma che culo!- commenta Bonzo.
-Bravissima!- esclama Jonesy sorridendomi –adesso tocca ancora a te: devi mandare in buca una delle nostre, ok?
-Mh-mh-
Prendo attentamente la mira e mando la pallina numero 5 in buca. Wow! Non male!
-La solita fortuna del principiante!- ringhia Bonzo, seguito dalle risate di noialtri.
Ma la mia fortuna va a farsi benedire presto: Robert e Bonzo cominciano a collezionare buche su buche mentre io e Jonesy rimaniamo indietro. Alla fine della partita, la pallina numero 8 sta a Robert che la manda in buca al primo colpo.
Accidenti!
Robert e Bonzo cominciano a esultare fino a che Robert non si avvicina a me provocandomi -beh, ci vediamo domani sera, zuccherino!- per poi uscire dalla stanza seguito da un ancora esultante Bonzo.
-Dai, non prendertela!- mi rassicura Jonesy con uno dei suoi caldi sorrisi.
-Ma no, me la sono cercata!-
-Posso confessarti di essere felice di aver perso questa scommessa?-
-Perché?- gli domando, anche se penso di conoscere già la risposta.
-Mi fa piacere se verrai domani sera. Magari ti piacerà...-
Annuisco senza dire niente. Forse non ha poi torto.
-Beh, devo andare anche io, tra qualche ora abbiamo lo spettacolo...ciao Lily!-
-Ciao!-
E così rimango in questa stanza vuota assorta nei miei pensieri, finché non ritorno anche io verso la mia camera.



Messaggio ai lettori: Mmhh Jonesy non la racconta giusta <.<
Anyway, ringrazio tantissimo tutti coloro che mi stanno seguendo e recensendo :3
Vi voglio bene ç_ç
Al prossimo capitolooooo :*

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


-Ti do altri cinque minuti! Poi me ne vado!- mi urla Peter da dietro la porta della mia stanza dell’albergo di St. Louis, dove alloggiamo.
-Sì, ho capito! Mi sbrigo!- grido io di rimando.
Mi abbottono velocemente la camicetta a fiori e corro in bagno a legarmi capelli, prendo la borsa ed esco dalla stanza. Raggiungo in fretta l’ascensore prima che si chiudano le porte e arrivo alla hall.
-Dai, muoviti, sali in macchina!- mi esorta Peter non appena lo raggiungo.
-Maledetti giornalisti!- aggiunge poi riferendosi alla sfilza di giornalisti muniti di telecamere e macchine fotografiche presenti davanti all’entrata dell’albergo.
Non appena la limousine parte, le mille luci e colori della città si stagliano danzando davanti al mio finestrino. Sebbene guardi fuori, la mia mente è già avanti, all’auditorium dove stiamo andando: ora che ci penso non sono mai stata ad un grande concerto, né ho mai avuto la possibilità di vederlo dal backstage. Mi è strano pensare a quei quattro, che da mesi sono parte delle mie giornate, su un palco a suonare per migliaia di persone.
-Eccoci- la voce di Peter mi riporta alla realtà: il viaggio sembra durato veramente poco, ma è solo una mia impressione.
Quando la portiera si apre esco all'esterno, affiancata da mia madre (sì, questa sera è venuta anche lei) e veniamo spinte da Peter verso l'ingresso riservato, mentre ci viene consegnato un cartellino e ci vengono dette tante altre cose.
-Mettiti questo!- mi dice Peter porgendomelo  -e rimani qui nel backstage!-
-Sì, va bene- rispondo annoiata dalle solite raccomandazioni.
Solo ora, mentre indosso il Pass, mi rendo conto di essere circondata da molte persone, da tante voci, ognuna con un compito. Tutto questo solo per loro quattro, che ora mi appaiono in una luce diversa dalle persone che ho conosciuto in hotel. E mentre percorro il corridoio ecco Robert che si avvicina a me, "vestito" in modo strano, anche se vestito non è proprio la parola adatta...
-Buon divertimento, piccola!- esclama, per poi salire sul palco assieme agli altri tre, davanti a una folla urlante.
Adrenalina pura si sparge nell’aria non appena iniziano a suonare. Rimango a guardare lo show ai lati del palco, in un punto dove riesco a vedere e a sentire bene, con mia madre che ogni tanto mi si affianca con un’espressione compiaciuta sul volto.
-Davvero bravi, non trovi?- mi chiede cercando di aprire una conversazione con me. Chissà perché proprio stasera è voluta venire!
-Sì- dico un po' assorta -non sono male-
E non sono male davvero! La voce di Robert è ancora più strabiliante e potente che sul vinile, accompagnata dalla sensualità e la lussuria della chitarra di Jimmy e dalla profondità del basso di Jonesy, il quale vedo nascondersi accanto alla batteria tonante di Bonzo.
Nel bel mezzo del concerto, una delle ragazzine (credo si chiami Lori) mi si avvicina dicendomi  -sai qual è la parte più bella della serata?-
-No- rispondo freddamente io a quella che mi sembra una provocazione, considerando il tono di voce con il quale mi si rivolge.
-E’ quando si ritorna in albergo...e scopri che le loro energie non si sono del tutto esaurite- afferma tenendo la sigaretta quasi sotto il mio naso.
-Pensa che quando ho incontrato Jimmy ero ancora...innocente-
Continua a provocarmi. So dove vuole andare a parare.
-E tu?- mi chiede poi –Sei già entrata nelle grazie di qualcuno in passato?-
-Non vedo perché debba dirlo a te!- le rispondo cercando di mantenere il controllo.
-Ci avrei scommesso. E scommetto anche che sei ancora vergine!- dice con un tono soddisfatto  di chi si sente superiore.
-No, non lo sono- mi volto a guardarla di scatto -Proprio come tu non sei vergine alla scialbezza!- esclamo soddisfatta vedendo l’astio che le si disegna sul volto; e dopo averle fatto il verso mi allontano un po' da lei, tornando ad osservare il concerto, mostrandole una superiore, quanto superficiale e fittizia, indifferenza.


Finito il concerto, sulla via del ritorno, ripenso a quello scambio di provocazioni. La verità è che non mi ha lasciata indifferente, anzi!
Non sono pentita di averle risposto così (se l’è cercata!), ma comincio a domandarmi se la mia vita abbia mai avuto un senso fino ad adesso. Ho sempre pensato di sì...ma ora non ne sono più così tanto sicura.
Io e mia madre siamo le ultime ad uscire dall’ascensore, e dopo aver fatto in modo di esserci lasciate tutti davanti, le chiedo:
-Mamma, posso farti una domanda?-
-Ma certo, tesoro!- risponde lei, quasi contenta, considerando il fatto che non le chiedo mai consigli su niente.
-Tu l’hai fatto prima di diventare maggiorenne?-
-Che cosa, Lily?!- domanda con tono preoccupato.
- Beh...hai capito...-
-Ma perché? Hai già...?-
-Ma no, mamma! E poi con chi?-
Tira un sospiro di sollievo.
-Comunque non hai risposto alla mia domanda!- le faccio notare.
-Beh...sai come vanno certe cose...e poi se c’è l’amore...ma non bisogna essere costrette, bisogna essere sicure. Ma perché hai intenzione di...?-
-Mamma, stai tranquilla! So cos’è giusto fare!- le rispondo dandole un bacio sulla guancia, per poi andarmene in camera mia.
Appena mi chiudo la porta alle spalle accendo la tv e mi butto sul letto. Faccio zapping tra i vari canali ma non trovo niente di interessante da guardare, così decido di andare in bagno a lavarmi per poi mettermi a letto a leggere. Improvvisamente però, guardandomi allo specchio mentre mi lavo i denti, un’idea mi balza nella testa: è arrivato il momento di dare una svolta decisiva alla mia vita. E conosco già la persona adatta a cui chiederlo.



Messaggio dell'autrice: Sì ok, lo ammetto. Non sopporto Lori!!  ಠ_ಠ
Non so perché, ma mi sta altamente sulle scatole! Quindi non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo. Muahahahahahaahahah
Comunque, ringrazio ancora tantissimo chi mi segue e mi recensisce. Davvero, non sapete quanto mi rendete felice :3
Al prossimo capitoloooooooodjkfdjghkshukghu :*

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


-Sì, eccomi!- urla Robert dalla sua stanza, avvicinandosi alla porta alla quale ho bussato. Non appena la apre,  un’espressione perplessa si disegna sul suo volto.
-Ciao!- lo saluto dopo aver preso un respiro profondo.
-Ciao...- mi risaluta lui con aria interrogativa.
-Devo parlarti-
-Adesso?-
-Sì, è urgente-
Mi lascia entrare nella sua camera, ma non siamo soli: una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi si trova nel suo letto, coprendosi le nudità con il lenzuolo.
-Da soli- annuncio, dopo averle rivolto un’occhiata.
Robert tira un lungo sospiro per poi rivolgersi alla ragazza dicendole –Michele, tesoro, ci lasceresti cinque minuti?- per poi accompagnarla alla porta dopo che lei si è messa una maglietta addosso.
-Torno subito- le dice chiudendo la porta per poi voltarsi verso di me -Spero che sia una cosa veloce, perché sono molto, molto impegna...-
-Mi insegni a fare l’amore?-
-Cosa?!- mi chiede dopo avermi dato un’occhiata sbalordita.
-Mi insegni a fare l’amore?-
Ma è sordo?!
-Aspetta un attimo...tu mi stai dicendo...che non hai mai...?-
-E allora?- sbotto io incrociando le braccia –è tanto strano?-
-No. Sai cosa è strano?- domanda avvicinandosi a me –il fatto che tu venga a chiederlo proprio a me-
-Guarda che se non vuoi vado a chiedere a qualcun’altro-
Sto per andarmene ma Robert mi blocca il passaggio poggiando una mano contro il muro.
-No no no! Ormai sei venuta qui, e qui rimani- dice con un ghigno malizioso sulla labbra –di certo non mi lascio sfuggire quest’occasione-
Dopo esserci guardati negli occhi per qualche secondo annuncia –aspetta qui, eh!- per poi dirigersi verso la porta.
Spiritoso! Dove vuole che vada?!
Inizia a dire qualcosa alla ragazza...non riesco a capire bene cosa si stiano dicendo. L’unica cosa che riesco a sentire è un sonoro “Vaffanculo” da parte di lei, che se ne va via irritata.
Quando rientra dentro, alzando gli occhi al cielo, mi invita ad andare verso il letto, dicendomi –prego, accomodati!-
-Cosa? Adesso?-
-E quando, scusa?-
-M-ma io pensavo...-
-Prima regola: non pensare! Seconda regola...-
Si avvicina lentamente a me e comincia a darmi delicatamente dei piccoli baci sul collo. Sento il suo respiro sulla mia pelle provocarmi un brivido che mi scorre lungo la schiena.
-...rilassati- sussurra.
Comincio a respirare affannosamente, chiudendo gli occhi mentre una mia mano si fa strada tra i suoi morbidi capelli. Improvvisamente la sua bocca si congiunge con la mia e la sua lingua si insinua tra le mie labbra, cominciando una danza frenetica e sensuale con la mia mentre una sua mano inizia a slacciarmi lentamente la camicetta, bottone dopo bottone. Dopo avermela slacciata e sfilata, mi conduce sul grande letto matrimoniale, facendomi sdraiare tra le lenzuola, le sue labbra che ancora baciano le mie , e le mie braccia allacciate al suo collo. Una sensazione inaudita pervade il mio corpo e l’unica cosa che desidero in questo momento è essere sua e basta. Sento la sua erezione premere contro la mia coscia mentre le sue dita iniziano lentamente a sbottonarmi i pantaloni, insinuandosi nei miei slip e un sussulto mi scuote non appena mi tocca; le sento entrarmi dentro, trattengo il fiato, quando le inizia a muovere una sensazione mai provata mi pervade interamente. Mi lascio sfuggire un gemito d'estasi, le nostre bocche si separano e lo sento ghignare, ma è solo un attimo, poiché riprende a baciarmi con trasporto, con furiosa ed assoluta passione. Di punto in bianco le sue mani mi sfilano i pantaloni, lasciandomi addosso solo le mutandine bagnate e il reggiseno. E’ talmente tanto l’imbarazzo (maggiore dell'eccitazione) di farmi vedere così che istintivamente provo a coprirmi (inutilmente) con le braccia.
-No, ferma!- mi dice Robert prendendo i miei polsi fra le sue mani –non coprirti, non c’è gusto!-
Il mio respiro si fa sempre più pesante. Fisso il soffitto, senza sapere cosa fare, mentre lui mi toglie l’intimo di dosso.
-Apri le gambe!- mi sento dire, prima di sentirlo entrare dentro di me.
Il dolore è allucinante. D’istinto mi aggrappo alle sue spalle, affondando le unghie nella sua carne. Non credevo fosse così fastidioso, è come se mi stessi dilatando, mentre la sua sola presenza mi lascia un senso di bruciore intimo.
-Dio, come sei stretta!- commenta Robert mugolando, inziando a spingere sempre di più.
E mentre tremo sotto ai suoi colpi, inizio a gridare il suo nome, in un gemito non più estatico, ma di dolore.
-Robert!-
Ma lui non demorde, bensì accelera il ritmo con il quale si muove dentro di me.
-Robert, basta!- lo spingo via dopo l’ultimo e decisivo colpo. Mi metto a sedere sul letto, con le ginocchia alzate. Improvvisamente vedo una macchia di sangue fluire sul lenzuolo bianco.
-Oh mio Dio!- singhiozzo, mentre le lacrime cominciano a sgorgare lungo le mie guance. Non piango per il dolore. Piango per la mia ingenuità e stupidità.
-Ehi...ehi...- la mano di Robert mi accarezza dolcemente i capelli, mentre il mio viso si trova nascosto tra le mie ginocchia.
-Non piangere, dai...il peggio è passato-
-Sono una cretina! Una stupida! Non avrei mai dovuto chiederti una cosa simile! Non riesco a fare nemmeno una cosa così semplice!-
-Sai qual è il tuo problema, Lily?-
Lo guardo di sottecchi, tirando su con il naso, tra un singhiozzo e l’altro, impaziente della sua risposta.
-Sei troppo fredda e razionale. Il sesso e l’amore non sono così: sono passionali. Ma vedrai che con il tempo imparerai. O forse basta solo la persona adatta-
Dio, come ha ragione!
Impulsivamente mi rifugio tra le sue braccia, lasciandomi cullare ed accarezzare da lui.
-Posso rimanere qui?- gli chiedo con voce rotta dal pianto.
-Tutto il tempo che vuoi- mi sussurra teneramente all’orecchio, facendomi sdraiare, ancora avvolta tra le sue braccia, per poi addormentarmi piano piano rimanendo accoccolata a lui.

Nota dell'autrice: Sììììììììììì finalmente ce l'hanno fatta!!!!!
Non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo!!! :3
Ho avuto anche un po di problemi, primo perché ieri EFP non voleva funzionare
ಠ_ಠ Secondo perché non sapevo se cambiare rating dall'arancione al rosso (e sono ancora in dubbio D:). Se avete consigli in proposito mandatemi un messaggio o scrivetemelo in una recensioncina :3
Ciaooooooooooo :*

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Capitolo 23
*** Spin-off#1 ***


Questo capitolo NON L'HO SCRITTO IO.
Diciamo che è stato un regalo da parte di una persona a me cara (il mio ragazzo xD). E ammetto di averglielo chiesto per una mia personale curiosità: leggere il punto di vista di un uomo scritto da un uomo.
Bene, questo è il punto di vista di Robert! :D


Mi chiudo la porta alle spalle, sorridendo tra me e me. Michele non l'ha presa proprio bene, ma le passerà: le donne sono fatte così. Tendono a passare sopra quello che faccio, questo è uno dei vantaggi dell'essere me.
Alzo gli occhi al cielo, invito Lily ad accomodarsi sul mio letto -Prego, accomodati!-
-Cosa? Adesso?-
-E quando, scusa?-
-M-ma io pensavo...-
-Prima regola: non pensare! Seconda regola...- Mi avvicino con delicatezza a lei e inizio a darle dei delicati baci sul collo: al contatto delle mie labbra la sento rabbrividire, e la cosa mi piace, perché dopo tutto questo tempo finalmente posso toccarla, senza limitarmi a guardare a immaginare.
-...rilassati- sussurro al suo orecchio, mentre alle mie narici giunge l'odore del suo profumo, misto alla sua insicurezza ed innocenza. Tutto questo mi fa impazzire. Riprendo a baciarle il collo, con più intensità, mentre in me il desiderio cresce inarrestabile come una marea.
Le sue dita passano tra i miei meravigliosi ricci, privilegio di quelle poche che io scelgo, e il suo respiro, finalmente affannoso, è come un magico richiamo che mi sussurra di andare avanti, alla conquista.
Non ci penso oltre: le mie labbra si distaccano dal suo collo e vanno a congiungersi con le sue, la mia lingua rompe ogni indugio e si fa strada, lentamente, incontrando la sua.
Il primo tocco è sempre quello che mi stuzzica di più, che mi lascia un lampo, un’emozione, che dura un effimero istante, che mi fa tornare giovane, alle prese con le mie prime (e decisamente più innocenti) storielle e ragazze. Ma il ragazzo cede il posto all'uomo, così come l'eccitazione lasciata dal concerto, l'alcool e le grida del pubblico, che ancora mi ronzano ossessivamente in testa, mi riportano alla realtà e a quello che mi aspetta: io la voglio tutta. Ora.
Cerco di restare calmo mentre prendo a slacciarle la camicetta, ogni dannatissimo bottone è un'agonia, uno strazio, perché è un attimo in più che mi separa da lei: quando finalmente riesco a slacciare anche l'ultimo, le sfilo la camicia con decisione, la porto quasi di peso sul grande letto matrimoniale e la adagio, tra le immacolate lenzuola, mentre le nostre labbra continuano a scambiarsi baci sempre più appassionati. La sento avvinghiarsi con le braccia al mio collo. Questo è troppo.
Il mio membro, del quale vado molto fiero, e sul quale ho sentito circolano molte storie, risponde all'adunata e alla chiamata alle armi: preciso come un militare partecipa all'alzabandiera, ingrossandosi in tutto il suo splendore e premendo contro i miei boxer, entrando in contatto con lei.
Se la cosa dovesse imbarazzarla a me invece eccita ancora di più.
Ma non è ancora il momento dell'assalto finale, non è ancora l'ora di penetrare il "Fosso di Helm", l'inespugnabile "Tromba Torrione", bensì prima devo fare breccia.
Prendo a sbottonarle i pantaloni senza staccare le labbra dalle sue, vado a tentoni, come tante altre volte ho fatto: la geografia femminile non è poi così diversa da stato a stato, da "selva" a "selva", e infatti riesco a far scivolare le mie dita oltre i bottoni.
L'indice sfiora la sua intimità, e la sensazione di bagnato che sento mi riempie di un misto di lussuria e orgoglio personale. Ha sussultato. L'ho sentito. Il mio dito delicatamente inizia a penetrarla. Mi accorgo che allo stimolo risponde bene, per questo è il momento dei rinforzi, ed anche il medio va a dare manforte al suo esperto collega: le due dita iniziano a muoversi assieme, affondando e ritraendosi, quando Lily si lascia scappare un gemito d'estasi: istintivamente ritiro le labbra, non riesco a trattenere un ghigno, né mi preoccupo di cosa possa pensare lei nel vederlo. Non le lascio questa possibilità. Mi riavvicino improvvisamente a lei e riprendo il contatto simpaticamente interrotto, ma questa volta il mio bacio è diverso: voglio renderlo fuoco puro, devo godere di ogni attimo, per questo mi lascio pervadere dalla passione.
Sono pronto, o più che altro non riesco ad andare avanti così.
Le sfilo i pantaloni di scatto, lasciandola così solo con le mutandine, piacevolmente bagnate, e il reggiseno.
Resto su di lei ad ammirarla, ad osservare il corpo di quella che chiamo "Bambina", ma che è una donna a tutti gli effetti.
Forse coglie qualche mio pensiero, e improvvisamente prova a coprirsi.
-No, ferma!- le dico deciso, ma cercando di essere più delicato che aggressivo –non coprirti, non c’è gusto!-
Ci osserviamo per un attimo, mentre lei continua a respirare con affanno. Si distende, guarda verso il soffitto, mentre le mie mani le sfilano di dosso le mutandine, lasciandola finalmente nuda.
La vista della sua intimità, bagnata e incontaminata, come una foresta selvaggia, è un richiamo decisivo per me.
-Apri le gambe!- le intimo, ed ovviamente lei lo fa. Lo prendo nella mano destra e mi avvicino, la punta la tocca, trasmettendomi il suo calore. La penetro. Senza esitazione e senza pensieri, senza se e senza ma: la penetro perché è questo il mio istinto primordiale, quello che voglio, quello che deve essere fatto.
Sotto di me si irrigidisce, mi si aggrappa alle spalle. Non vedevo semplicemente l'ora che lo facesse.
Inizio a penetrarla con più vigore, ad ogni affondo la sento tremare sotto di me, e ad ogni movimento inverso le scappano dalle labbra dei suoni vocalici indistinti.
-Dio come sei stretta!- le sussurro mentre mi lascio trasportare dal suo calore, dalla sua intimità così "vergine" che mi permette di sentire a pelle ogni suo anfratto interiore.
-Robert!-
"Si piccola, dillo ancora" penso con lussuria aumentando il ritmo, dominandola e sottomettendola al mio maschio volere. Lei mi chiama ancora, quasi gridando, mentre sento che ormai il mio liquido inizia a farsi strada nel mio membro. Non mi rendo conto che non è per piacere che lo fa.
-Robert, basta!- Lei mi spinge via, e la lascio fare, perché sono affannato. Rotolo al suo fianco e resto a boccheggiare, con il petto che mi si alza e si abbassa, osservando il soffitto.
Tanti pensieri contrastanti mi passano per la testa: l'ho fatto con “la figlia” di Peter, molto eccitante, ma forse non era il caso, ma al diavolo! E' quello che in fondo voleva, ed ormai la piccola è grande.
Quando però mi rendo conto che singhiozza mi volto verso di lei: c'è qualche goccia di sangue sulla coperta, cosa normale, mentre invece non è normale che pianga.
-Ehi...ehi...- le accarezzo la testa, il viso lo nasconde tra le ginocchia, visto che è seduta.
-Non piangere, dai...il peggio è passato-
-Sono una cretina! Una stupida! Non avrei mai dovuto chiederti una cosa simile! Non riesco a fare nemmeno una cosa così semplice!-
-Sai qual è il tuo problema, Lily?-
Vedo che mi guarda di sbieco, tira su con il naso e gli occhi le lacrimano ancora: ora si aspetta una risposta.
-Sei troppo fredda e razionale. Il sesso e l’amore non sono così: sono passionali. Ma vedrai che con il tempo imparerai. O forse basta solo la persona adatta- Anche io avevo imparato la lezione a suo tempo, e poi avevo scoperto, con mio grande godimento, che ogni donna a modo suo è adatta, dopo aver conosciuto la persona più in profondità. Dio, se avevo ragione! Non è solo la bellezza fisica, c'è sempre dell'altro nella passione.
Improvvisamente mi si fionda tra le braccia, sorrido e la abbraccio stretta, cullandola e cercando di infonderle un senso di intima protezione.
-Posso rimanere qui?- mi chiede con voce rotta dal pianto.
-Tutto il tempo che vuoi- le rispondo in un sussurro, mentre poggio la mia testa alla sua, continuando a cullarla fino a che non si addormenta tra le mie braccia.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


-Mi oppongo, Vostro Onore!- esclama una voce proveniente dal banco degli imputati.
-Obiezione respinta!- rispondo io dall’alto dello scranno, vestita con la classica toga nera da giudice, battendo il martelletto sull’apposito supporto.
-Chiamo a deporre l’imputata Corinne Grant, nonché mia madre, e la accuso di non essermi mai stata accanto abbastanza nei momenti del bisogno-
-Mi dichiaro non-colpevole, in quanto Vostro Onore non si è mai fidata dei miei consigli e non si è mai confidata con me su nulla. Te lo può garantire anche Peter-
Sposto lo sguardo verso di lui, seduto accanto a lei, e lo vedo annuire in segno di approvazione.
Deglutisco serrando la mascella.
-Il prossimo imputato è...il professor Henry Harvey. Cosa ha da dire in sua discolpa?-
-Sono innocente, Vostro Onore. Dovevi fare tu il primo passo, Lily. Non puoi far sì che il mondo giri come tu desideri-
-Silenzio in aula!- urlo, battendo più volte il martelletto.
-Chiamo a deporre il prossimo imputato!- ma il foglio con la lista è completamente bianco. Aggrotto la fronte mentre tutti aspettano impazienti che io faccia quel nome.
-Sei fredda, Lily!- la voce di Robert mi fa alzare lo sguardo su di lui, in piedi, davanti a me –Sei razionale, non hai passione...non hai sentimenti...-
-Non è vero!-
-Pensi solo a te stessa!- urla una voce sconosciuta.
-Nessuno mi è mai stato accanto!- esclamo io sull’orlo del pianto.
-Io c’ero Lily...- risponde una persona accanto a mia madre. Che fino ad ora era Peter. Ma adesso...
Corrugando la fronte mi accorgo che non si tratta più di Peter, bensì di mio padre.
-Tu non ci sei mai stato! Mi hai abbandonata! Sei colpevole!- dichiaro continuando a battere il martelletto.
-Questo è quello che vuoi credere tu, Lily-
-L’unica colpevole qui è lei!- continua a gridare quella voce sconosciuta, dando vita a una serie di accuse da parte di tutti i presenti nei miei confronti.
-Colpevole!-
-Colpevole!-
-Colpevole!-

Improvvisamente riapro gli occhi. Il mio respiro è affannoso e una goccia di sudore mi scende dalla fronte lungo il viso. Era solo un sogno. Un orribile sogno. Mi metto a sedere sul letto, cominciando a respirare normalmente.  
Ho bisogno di un bicchiere d’acqua!
Mi alzo dal letto e mi dirigo verso il frigo-bar. Solo ora mi accorgo di essere completamente nuda. Ma chi se ne frega! Apro lo sportelletto e prendo la bottiglia d’acqua, bevendone un grande sorso.
Ora mi sento meglio.
Dopo aver rimesso a posto la bottiglia ritorno a letto. Alla mia destra Robert dorme beatamente come un bambino e io non posso fare a meno di osservarlo per qualche secondo. Con le dita gli scosto una ciocca di capelli dal viso, contemplandolo, e istintivamente poggio le mie labbra sulle sue, baciandolo dolcemente.
Vengo scossa da un brivido di piacere quando lui, svegliandosi, ricambia il mio bacio, che diventa mano a mano sempre più passionale. Improvvisamente la sua mano si posa sul mio fianco, rovesciandomi di scatto sotto di sé. La sua lingua entra lentamente nella mia bocca, mentre una sua mano scorre lungo il mio corpo, esplorandone ogni centimetro. Sento la sua erezione crescere piano piano. In seguito si stacca dalle mie labbra, cominciando a stamparmi teneri baci sul mento, scendendo poi lungo il collo, poi sempre più giù fino all’incavo dei miei seni. Chiudo gli occhi gemendo e contraendomi quando sento le sue labbra e la sua lingua giocherellare con i miei capezzoli, per poi scendere ancora più giù, fino ad arrivare alla mia intimità.
E mi lascio sfuggire un gridolino di piacere non appena inizia a torturarmi con la lingua, facendomi divenire sempre più bagnata. Le mie mani si fanno strada tra i suoi capelli, accarezzandogli i morbidi ricci, mentre la mia voce lo implora, tra un gemito e l’altro, di non smettere. Mi sta facendo letteralmente impazzire. Nel momento in cui sono prossima al punto di non ritorno, Robert conclude quella dolce tortura, tornando a baciarmi le labbra; mentre ci baciamo le mie mani scorrono lungo quel corpo, pari a quello di un dio, quasi lui fosse Amore e io la sua Psiche. Le mie dita finiscono per trovare la durezza del suo membro, e su esso si chiudono, delicatamente: faccio scivolare in giù la mano, poi in su, quindi nuovamente in giù, seguendo quest'altalena dell'amore. Lui si distacca da me e si riversa con la schiena sul materasso mentre io, sempre armeggiando con il suo organo, mi piego su di lui a baciargli il collo. Lo sento sospirare di piacere. Sebbene sia inesperta non sto proprio sbagliando. Robert comincia a passare la mano sui miei seni, stuzzicandone i capezzoli con le dita, facendomi gemere ancora di più. Qualche secondo dopo mi fa sdraiare ancora una volta sotto di sé, per poi prendere il mio viso tra le sue mani, baciandomi, le mie braccia attorno al suo collo, e le mie dita che giocherellano con i suoi ricci. Il sangue comincia a scorrere velocemente nelle mie vene quando lo sento entrare dentro di me, cominciando a spingere dapprima piano, per poi aumentare sempre di più il ritmo.
-Come sei calda- mi sussurra dolcemente all’orecchio. Per non sapere cosa rispondere riprendo a baciarlo con passione, iniziando a muovere ritmicamente il bacino per assecondare le sue spinte.
-Brava, bambina, muoviti così-
Le sue spinte diventano sempre più profonde e i nostri respiri più affannosi. Mi aggrappo alle sue spalle, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla, pregandolo con voce rotta dal piacere di farmi sua. Non se lo fa ripetere due volte. Qualche secondo dopo vengo travolta da un ardente orgasmo, che mi fa gridare, con voce acuta, il suo nome. Il solo sentire la mia voce rotta dal piacere che lo chiama, basta per farlo esplodere dentro di me. Rimane disteso sopra di me per una manciata di secondi, dopodiché mi si sdraia accanto, accogliendomi tra le sue braccia. E un banale “Wow!” è l’unica cosa che riesco a dire, dopo aver ripreso fiato. Robert scoppia a ridere, stampandomi un bacio sulla fronte, stringendomi sempre di più a sé. E io non chiedo di meglio che starmene così, abbracciata a lui, con la testa appoggiata sul suo petto, sentendomi al sicuro da ogni male.


Messaggio ai lettori: gnaaaaaaa :v
Spero che questi capitolucci hot vi siano piaciuti :3
In realtà ho un'altra versione del punto di vista di Robert riguardo questo capitolo (sempre scritta dal mio ragazzo xD) e non so se pubblicarla o no :/
Se volete darmi un'opinione fate pure, io non mi offendo :O
Al prossimo capitoloooooooooo :*

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Capitolo 25
*** Spin-off#2 ***


Visto che qualcuno su facebook me l'ha chiesto, ecco il secondo spin-off sul punto di vista di Robert.
Inutile dire che anche questo NON L'HO SCRITTO IO.
Buona lettura :3


Non ricordo minimamente di essermi addormentato, ma è accaduto di certo.
Impiego alcuni attimi a capire cosa sta succedendo, ma non posso che essere contento quando capisco che non sto più sognando: il bacio è reale, e non ha a che vedere con il dormiveglia.
Le sue labbra mi aiutano a ricordare: focalizzo quello che è avvenuto forse ore prima, quindi finalmente rispondo al bacio di Lily, lasciando che le mie labbra giochino con le sue.
Le passo una mano su un fianco e la rovescio di lato, trovandomi sopra di lei, ed apro solo per un istante gli occhi: eccola lì, la bambina, l’ultimo ricordo che ho di lei è che piangeva tra le mie braccia, mentre ora mi bacia. Qualunque sia la sua intenzione non la voglio deludere e poi, non dico mai di no.
Richiudo gli occhi e la mia lingua scende ad incontrare la sua, a sfiorarla, ne seguo i movimenti flessuosi in una danza sensuale in cui non ho ben idea di chi dei due conduca l’altro. La mia mano non può fare a meno di scendere ad esplorare il suo corpo, il solo immaginare cosa sto toccando, cosa sto anche solo sfiorando, basta a farmi pompare il sangue nelle vene e a svegliarmi completamente.
Mentre qualche cosa scende, non posso far a meno di notare come qualche cosa, invece, salga e si indurisca inesorabilmente. Preda dell’eccitazione i miei baci si spostano dalla sua bocca, seguendo il percorso compiuto dalla mia mano poco prima: dalle labbra scendo al mento, usando più la tenerezza che la passione, ma non mi basta ancora; le mie labbra passano dal mento al suo collo, mentre le narici mi si impregnano del suo odore, un misto del profumo della sera prima e di sudore, ma ancora non sono soddisfatto, è sempre così, ogni volta, voglio sempre di più!
Per la prima volta approdo all’incavo dei suoi seni, le lecco la pelle, mentre sento le sue rotondità sfiorarmi il volto: non ci penso due volte, e la mia lingua corre anche su un seno fino a solleticare con la punta i suoi capezzoli. La sento gemere, perdere ogni contegno quando quello stesso capezzolo finisce tra le mie labbra: ho fatto impazzire tante donne così, talmente tante che dovrebbero scrivere storie sulle mie avventure. Peccato che non basterebbero molte pagine a raccontare le mie leggendarie capacità canore e nell’Ars Amatoria.  Continuo nella mia discesa, voglioso di cogliere il suo frutto proibito, e quando lo incontro mi ci nutro quasi fosse l’unica mia fonte di sopravvivenza: ne assaporo ogni sua parte, lasciando che la mia lingua la conduca verso la strada del paradiso. Spero che Lily, arrivata in cima, dica a quel simpatico vecchietto celeste che si è sbagliato nello scegliere il frutto proibito: quello che assaporo ora è molto più dolce e invitante di qualsiasi mela.
Alla fine trovo la forza per staccarmici e, prima che lei possa gemere ancora, la bacio con assoluta libidine: ad eccitarmi ancora di più ci si mettono le sue mani, che accarezzano i miei muscoli e il mio petto, in un modo che mi ricorda quelle statue greche che spesso sono avvinghiate in pose plastiche e sensuali. Questo mio innocente pensiero, tuttavia, va in frantumi quando la sento stringere tra le mani “la mia spada”.
Lo stupore per quello che sta facendo, cosa che non mi aspetto da una come lei, lascia rapido il posto al godimento: con movimenti ritmici impugna l’arma del piacere, estraendola e poi rinfoderandola nel suo fodero, con un modo ritmico e delicato che mi manda in estasi.
Mi trovo a pensare che è una brava scudiera, dopotutto.
Crollo quasi disteso accanto a lei quando mi bacia il collo e io non posso fare a meno di giocherellare con i suoi capezzoli, passandomeli tra pollice ed indice, e il suo sentirla godere non fa che incrementare il mio: non resisto, rovescio ancora una volta sotto di me, la bacio, prendendo il suo volto tra le mie mani.
Poi quella sensazione stupenda, le sue dita che si distaccano da me ed affondano nei miei ricci dorati, i capelli che scorrono tra le sue dita, la sensazione di essere adorato da lei che mi pervade e mi fa sentire ancora più virile di quello che già sono.
Ora però voglio vincere questa battaglia. Lo voglio ora, e non desidero altro.
Restando avvinghiati così la penetro, dapprima delicatamente, poi spingendo con convinzione e vigore, ed assieme, questa volta, riusciamo a prendere il ritmo giusto.
-Come sei calda- le sussurro, come la prima volta, ma adesso lei mi risponde con gemiti di piacere, non più con parole di dolore o fastidio. Il suo corpo non è rigido, ma piacevolmente flessuoso sotto le mie spinte, assecondando pure i miei poderosi movimenti con il suo basso ventre.
-Brava bambina, muoviti così-
Le mie spinte si fanno più profonde e decise, mentre i nostri respiri si intrecciano, entrambi più affannati e profondi. Lei mi si aggrappa con più forza alle spalle, nasconde il suo viso nell’incavo di una di queste ultime, e la sento pregarmi con tono oscendo di farla mia. Non me lo faccio ripetere.
Mentre affondo ancora, e ancora, mi sento veramente un padrone, un vero dio vichingo che naviga per conquistare le esotiche coste dell’Occidente: ad ogni nuova spinta mi immagino urlare, cantando e gridando “Valhalla sto arrivando”.
E con questi anacronistici pensieri in testa la sento essere travolta da un’orgasmo, urla con voce acuta il mio nome, mentre raggiunge l’apice del piacere; tutto questo è sufficente ad un’ultima, letale spinta che mi fa esplodere letteralmente dentro di lei.
Vincitore mi accascio su di lei, respirando profondamente, per alcuni secondi. Quando riesco a riprendere le mie facoltà scivolo su un fianco, accogliendo il suo nudo corpo tra le mie braccia.
-Wow-
Non riesco a trattenere una risata di cuore quando sento il suo commento, banale ma sincero, cosa che lo rende molto più bello in questo momento di pace: le bacio la fronte, non potendo fare a meno di pensare che questa “bimba” mi ha fatto passare la serata più particolare dei miei ultimi post-concerti.
Restiamo così abbracciati, sebbene io resto con gli occhi aperti, ad osservare la penombra della mia stanza: voglio aspettare che lei si addormenti, in modo da vegliare su di lei, prima che il dolce sonno possa prenderla tra le sue braccia e condurla ad un dolce riposo.

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Capitolo 26
*** Capitolo 24 ***


La mattina seguente mi risveglio in un letto vuoto. Me ne accorgo quando allungo le braccia per stiracchiarmi. Comincio a tastare il materasso, con gli occhi appiccicaticci. Niente. Robert non c’è.
Dal bagno però proviene il rumore della doccia aperta. Meno male! Cominciavo a pensare che se ne fosse andato da...
Scaccio immediatamente quel pensiero dalla testa e qualche minuto dopo Robert esce dal bagno, con il corpo e i capelli bagnati e un asciugamano a coprirgli l’inguine. E’ sexy. Tanto.
-Buongiorno, bimba!-
-Buongiorno!- rispondo io mettendomi a sedere allungando le braccia per cingermi le ginocchia.
-Dormito bene?-
-Benissimo!-
Robert si siede sul letto avvicinandosi a me, inziando a baciarmi dolcemente il collo, facendomi venire la pelle d’oca.
-Là c’è la colazione se vuoi- mi dice indicandomi con il dito, un punto alle mie spalle. E girandomi vedo un carrello stracolmo di cose buone da mangiare: uova, bacon, pancakes, toast imburrati, muffin, succo d’arancia e tante altre prelibatezze.
-Tu non hai già mangiato, vero?- chiedo rigirandomi verso di lui.
-No, volevo aspettarti- risponde alzandosi e dirigendosi verso il carrello, per poi posare attentamente l’enorme vassoio sul letto.
-E’ stato...bello stanotte- ammetto con un po’ di imbarazzo, sorseggiando il succo di frutta.
-Sì, non avevo dubbi che ti sarebbe piaciuto-
Gli do un colpetto scherzoso sulla spalla, sorridendo.
-Dico sul serio. Hai fatto nascere in me sensazioni che non immaginavo di poter mai provare-
-Beh, ne sono onorato!- risponde con sorriso marpione.
-Se...se ti dicessi una cosa imbarazzante su di me...prometti che non riderai?!- gli chiedo mentre sono intenta a mangiare la mia colazione.
-Spara!-
-Quando avevo più o meno dodici anni c’è stato un breve periodo in cui volevo farmi suora-
Robert scoppia inevitabilemente a ridere, nonostante la sua promessa.
-Ecco vedi! Stai ridendo!-
-Scusami!- esclama ancora con la risata sotto ai baffi -E cosa ti ha fatto cambiare idea, poi?-
-Beh...mi sono innamorata. E poi non sono mai stata religiosa, quindi non avrebbe avuto senso- ammetto spezzando un pezzo di toast.
-Spero di averti aiutata a cambiare idea su un bel po’ di cose allora!- dice avvicinando il suo viso al mio.
-Mhh...più o meno- rispondo io prendendolo in giro.
-Come “più o meno”?!- Robert mi cinge la vita, baciandomi e mi fa sdraiare sul letto, sotto di lui. E’ incredibile quanto siano morbide le sue labbra.
Tra un bacio e un altro vengo assalita però da un dubbio atroce.
-Robert, posso farti una domanda?-
-Dimmi!- dice aggrontanto la fronte.
-Farlo con me è stato diverso? O è stato uguale a quando lo fai con tutte le altre? Sii sincero però-
-Certo che è stato diverso!- risponde seriamente –perché tu sei diversa, Lily!-
-Sei innamorato?-
-Di te? Non lo so. Non so cosa provo per te. Di certo non è solo attrazione fisica. Tu lo sei?-
-Non lo so nemmeno io. Credo di sapere sempre tutto e invece non è così-
Un imbarazzante silenzio cala tra noi due. Per smorzarlo prendo un dolciume dal vassoio e inizio a mangiucchiarlo come fanno i bambini.
-Ehi Lily- alzo gli occhi e lo guardo.
-Nella vita non possiamo sempre sapere tutto. E tu devi imparare a pensare di meno e a vivere di più. Vivi ogni giorno per quello che è, passo dopo passo. Guardare al futuro è importante, è vero, ma non dobbiamo dimenticarci del presente. Un po' come il sesso: prima inizi dai preliminari, poi pensi all'orgasmo!-
Sorrido mentre lo osservo, colma di gratitudine. In effetti ha ragione. La verità è che io della vita non ho capito un accidente! E sono sempre stata talmente presuntuosa da insegnarlo agli altri. Ma questa è ciò che sono e non posso cambiarlo...al massimo posso migliorarlo.
Casualmente il mio sguardo si posa sulla sveglia alla mia sinistra...le 9:30.
-A che ora abbiamo l’aereo?- chiedo con tono preoccupato.
-A mezzogiorno. Finisci di mangiare e poi fila in camera tua!-
Ma chi è, mio padre?
-Non vorrai mica che tua madre scopra cosa hai combinato stanotte. E prega che non ti abbia sentito!-
Sgrano gli occhi. Lui invece se la ride. Mi sta prendendo in giro, vero?
Finiamo la colazione tra una chiacchiera e un’altra e infine torno in punta di piedi nella mia stanza, precisamente nel bagno. Una doccia è proprio quello che ci vuole. Mi aiuta a riflettere. O forse dovrei smetterla di farlo. Forse ha ragione Robert: dovrei iniziare a pensare meno e ad agire di più. Ecco che sto continuando a fare i miei soliti ragionamenti. Dio, non imparerò mai!
Dopo la doccia torno in camera avvolta nel mio asciugamano e comincio a fare la valigia e a vestirmi. E senza che me ne accorga si fanno le 11:30. Lo capisco dal modo in cui Peter bussa improvvisamente alla mia porta.
-Ti lascio qui se non ti dai una mossa!-
Prendo la valigia, do un’ultima occhiata alla stanza per controllare che abbia preso tutto e apro la porta sorridendogli.
-Sono pronta-
-Alla buon’ora!-
Esco passandogli davanti, stampandogli un bacio sulla guancia, sotto lo sguardo incredulo e quasi commosso di mia madre che sta uscendo dalla sua stanza. Sono felice. Non lo sono mai stata così in vita mia. Dopo avergli sorriso un’altra volta mi dirigo verso gli ascensori.
-Tua figlia è diventata matta!- lo sento rivolgersi a mia madre che lancia un grosso sospiro.
Non mi interessa cosa stiano pensando in questo momento. E non so neanche come giustificherò questo mio comportamento, se mai me lo chiedessero. Per ora mi godo il momento e il ricordo di stanotte. Tutto il resto non ha nessuna importanza.


Nonostante mi sia ripromessa di non farlo, non posso fare a meno di pensare, pensare, pensare. E’ più forte di me. E’ l’unico strumento che ho per capire qualcosa che non conosco. Perché qualcosa che non conosco c’è in questo momento: ed è quella sensazione meravigliosa che si prova quando si sta con qualcuno. Mi piace, ma mi fa paura. Ho paura di ricadere di nuovo in trappola. Nella trappola dell’amore. Ho paura di innamorarmi di lui, perché so che quest’amore sarebbe impossibile. Lui è una rockstar, ha una moglie...due figli. E io chi sarei? La cosa migliore da fare sarebbe troncare il tutto sul nascere. Da adesso. Ma lui non fa altro che rendermi le cose difficili poiché mi si siede accanto, con un largo sorriso sul volto. E dire che solo fino a qualche giorno fa non lo sopportavo.
-Che hai?- mi chede.
-Niente-
-Ti sei pentita?-
-Non lo so...credo di no-
-Non c’è niente di male. Tu lo volevi, io lo volevo. E’ successo. Ma mi dispiacerebbe sapere che non sei stata bene-
-Certo che sono stata bene! Anche troppo. Ed è per questo che non dovrà succedere più-
-Perché ti ostini ad allontanarti dalle cose belle che ti succedono?-
-Perché non voglio illudermi-
-Illuderti di cosa?-
Sto per piangere, me lo sento. Ma perché sei venuto da me?!
-Che qualcosa di reale e concreto possa succedere anche a me! Ho sempre vissuto di sogni e illusioni. E tutto ciò per cui vivevo mi è stato portato via. E non voglio più vivere così. Non voglio illudermi di poter stare con te perché sappiamo entrambi che sarebbe impossibile. E poi tu non mi ami, quindi non varebbe la pena pensarci-
-Ne sei sicura?-
Il suo sguardo è fisso su di me. E’ serio. E io non capisco cosa stia dicendo. O meglio, faccio finta di non capire.
-Di cosa?-
Robert tira un grosso sospiro prima di rispondere –Sei sicura che è questo quello che vuoi?-
Ah. E io che per un attimo avevo pensato...
-Sì, ne sono sicura-
-Va bene. Se è questo ciò che vuoi...- il suo tono sembra sinceramente dispiaciuto –ma sappi che tu non sei mai stata un altro nome sulla mia lista-
Detto questo si alza e mi lascia sola, sul sedile dell’aereo, con mille pensieri che mi frullano per la testa.
E mentre lo vedo andare via, noto che di fronte a me, Jimmy mi osserva con il suo solito sguardo tagliente, mentre la giovane Lori, seduta sulle sue gambe, cerca di intrattenerlo dandogli dei baci sul collo. Perché mi fissa? Non è la prima volta, né sento che sarà l'ultima. Quando eravamo soli sul tetto sembrava un'altra persona rispetto a quella schiva, che scopro spesso a fissarmi. Distolgo lo sguardo da lui, osservando fuori dal finestrino il mondo che scorre lentamente; con altrettanta velocità le mie palpebre si fanno pesanti, calano sui miei occhi, e scivolo nel sonno, lasciando fuori da questo reame i dubbi della vita reale.



Nota dell'autrice: zan zan zan! In realtà non ho molto da dire. Soltanto che è scema
ಠ_ಠ
Fossi in lei continuerei questa vicenda amorosa con Ricciolidoro

Chissà come andrà a finire! :3
Ps: la cara autrice Ronin Bunny mi ha trovato (per caso) una foto di una ragazza che potrebbe assomigliare a Lily :3




Ebbene, così è come io me la immagino *w*
Al prossimo capitolo genteeeeeeeeee

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Capitolo 27
*** Capitolo 25 ***


Sola e infreddolita mi trascino per le strade di Dallas, stringendomi nel cardigan nero che ho addosso.
Troppe cose sono successe da quella mattina sull’aereo: la sera stessa, in albergo, camminando per il corridoio, sentii delle voci provenire dalla stanza di Robert. La porta era socchiusa quindi mi avvicinai. E sbirciando notai che Robert e Jimmy stavano litigando riguardo qualcosa...o qualcuno. Solo alla fine capii che quel qualcuno ero io.
-Quindi sei stato con lei?-
-Sì- affermò Robert con tono soddisfatto.
-Mmh- aggiunse sfiorandosi le labbra con le dita, provocando beffardamente  Jimmy –Sa di miele-
Fu a quel punto che Jimmy lo prese con forza per il colletto della camicia, sbattendolo contro il muro.
-Sta attento Plant!-
-Ehi calmati! Non ti agitare. Ha detto che non vuole che la cosa vada avanti. Se non vuole me non vedo perché debba volere te. E’ testarda, lo hai visto anche tu-
-Vedremo!-
Detto questo, Jimmy si incamminò verso la porta della stanza, mentre io, per non venir scoperta con le mani nel sacco, corsi in camera mia.
Non seppi più se quella disputa ebbe un prolungamento. So solo che nessuno dei due dimostrò più un particolare interesse nei miei confronti come hanno sempre fatto.
Meglio così.
Ho smesso anche di andare ai loro concerti.
Peggiorerei solo le cose.
Non sopporto più questa situazione.
E’ un’agonia.
Al che questa sera ho litigato bruscamente con mia madre.
-Voglio andare a casa!- le ho urlato –Non ce la faccio più a stare qui!-
E lei mi ha gridato contro di rimando, accusandomi di essere una figlia ingrata che se ne frega se lei è finalmente felice. Ma anche io non sono stata molto delicata con lei. Le ho detto cose che non penso realmente. E  sono sicura che neanche lei credesse in tutto quello che mi ha detto. Ma questa è stata di sicuro la nostra peggior litigata. Ora voglio solo tornarmene in camera, stendermi sul letto e dormirci su.


Rientro nella hall dell’albergo stanca e affaticata. La signorina alla reception mi saluta con un caldo
-Buonasera signorina!-
-Buonasera...-
Questa sera di buono non ha proprio niente.
Mi avvio strascicando verso gli ascensori, passando davanti al bancone del bar e non posso fare a meno di notare Jimmy seduto su uno sgabello che fuma una sigaretta, ordinando da bere al barman –Dammene un altro!-
Fuggo rapidamente verso l’ascensore più vicino e premo il pulsante.
Quindicesimo piano.
Avanti sbrigati!
Premo freneticamente il pulsante, come se questo potesse farlo andare più veloce.
Quattordicesimo piano.
Quasi quasi mi faccio tutte le scale a piedi.
Ma il pensiero che la mia camera si trovi all’ultimo piano basta a farmi passare la voglia.
Tredicesimo piano.
Sento dei passi alle mie spalle.
-Dove vai in giro a quest’ora?-
Sobbalzo dallo spavento e mi giro verso di lui.
Accidenti, mi ha vista!
-Non sono affari tuoi!- rispondo continuando a premere convulsamente il pulsante.
-Guarda che facendo così non arriva prima-
-Sono solo nervosa-
-Come mai?-
-Ho litigato di nuovo con mia madre-
-E’ per questo che te ne vai da sola in giro di notte in una città sconosciuta?!- il suo tono di voce è severo. Come di chi è seriamente preoccupato.
-Sai quanti malintenzionati ci sono in giro?- aggiunge poi - Ti rendi conto che potresti risultare un bel bocconcino ai loro occhi?-
Già. “E’ esattamente come mi sento tutti i giorni con voi” gli vorrei rispondere. Ma invece mi limito a un
 -Tanti quanti ce ne potrebbero essere in quest'albergo!-
E dicendo così lo zittisco fino a che le porte dell’ascensore non si aprono.
-Ti accompagno su- mi dice facendomi entrare gentilmente nell’ascensore.
Un silenzio di tenebra cala tra di noi. Esatto. Tenebra. Una delle tante cose tipiche di quest’uomo.
Arrivati a metà salita, l’ascensore si blocca con un improvviso sobbalzo che ci sbilancia in avanti. Le luci si spengono per un attimo. Pochi attimi dopo, il tempo di ricompormi, ecco che si accendono quelle di emergenza, che lasciano me e Jimmy in una fioca penombra.
-Che è successo?- chiedo, mentre l’ansia comincia a salire.
-Si è bloccato l’ascensore...nel caso non te ne fossi accorta-
Ah ah. Davvero simpatico.
-Mi dispiace solo che non ci sia Robert qui con te. Sono sicuro che avreste saputo come passare il tempo-
Che cosa?
-Ma che stai dicendo?- dico alzando inevitabilmente la voce. Ma come si permette?
-Pensi che non mi sia accorto di come vi parlate...di come vi guardate...- il suo sguardo è penetrante, tagliente come una lama affilata.
-E allora? Che male c’è nel parlare con qualcuno?-
-Siete stati insieme? -
-La cosa non ti riguarda-
Ma che faccia tosta!
-Però i miei fiori li accettasti, vero?!-
“I miei fiori”? Ma che...? I gigli. E’ stato lui?
-Li hai mandati tu! Perché non me l’hai detto prima?-
Ma lui non risponde e mi rifà la stessa domanda di prima –Te lo richiedo: siete stati insieme?-
-E se ti dicessi che sono innamorata di lui?- gli chiedo con aria di sfida.
-Non ci crederei. Perché tu, Lillian Brandon, dell’amore non sai nulla!-
I suoi occhi sono fissi sui miei e mi squadrano con aria truce. Sto per piangere e con voce rotta gli urlo –Ah e tu sì?! Tu che sei sposato, hai una figlia e vai con le minorenni! Tu ne sai qualcosa invece!-
D’improvviso si lancia contro di me, mettendomi letteralmente con le spalle al muro, ringhiando –Sì, probabilmente non ne saprò niente neanche io! So solo che ogni volta che ti vedo provo una rabbia incommensurabile mista al desiderio di averti tutta quanta per me!-
Resto persa nei suoi occhi magnetici color smeraldo. Ipnotizzata. Quante donne ha incantato con questo sguardo. E io sono una di quelle.
Ma la sua voce mi riporta alla realtà.
-Tu non ti rendi conto. Ogni volta che lui ti guarda, ti sorride, ti tocca...io impazzisco. Perdo il controllo. Forse per te non significherà nulla, ma per me, da quando sei finita in questo tour, è diventato tutto-
-Ma...ma che dici? La verità è che...- non so neanche io cosa sto per dire. Nella mia mente c’è solo confusione. Prima Robert, ora lui. Non so più che pensare. Ma lui mi interrompe, finendo la frase al posto mio –La verità è che venderei l’anima al diavolo per poter passare anche una sola dannata notte con te!-
D’un tratto l’ascensore riprende a muoversi, riprendendo la salita verso l’ultimo piano, mentre io e Jimmy ci sosteniamo lo sguardo a vicenda.
Dunque è così che funziona? Le ipnotizza con lo sguardo, dice cose a cui loro non posso rimanere immuni per poi avvolgerle nelle sue spire e farle sue? E io dovrei cascarci? Nel momento in cui questi pensieri si fanno strada nella mia testa le porte delle ascensore si aprono.
-Senti- gli dico uscendo –Ho avuto una giornata orribile. Vendi pure l’anima a chi vuoi, non mi interessa. Io me ne vado a dormire-
E così mi incammino verso la mia stanza tirando fuori la chiave dalla borsa. Sento il suo sguardo su di me. So già che mi pentirò di avergli risposto così. Come so che prima o poi l’anima al diavolo la venderò anche io.
A lui
.

Messaggio dell'autrice: Evvai, finalmente ho pubblicato questo capitolo!!! Sono secoli che ho in mente questo dialogo e finalmente l'ho pubblicato!! :')
Mi sento come liberata da un peso :'D
Comunque, ringrazio ancora tantissimo tutti quelli che mi seguono e mi recensiscono. Davvero, siete tanti. Non immaginavo tutto questo successo :'3
Al prossimo capitoloooooooooo

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Capitolo 28
*** Capitolo 26 ***


A volte penso che camminare mi aiuti a sfogarmi. A volte è solo una stupida supposizione. Altre volte, invece, funziona veramente. Non aiuta solo a sfogare la rabbia, ma anche quell’assiduo fluire di pensieri che mi devastano l’animo. E oggi è uno di quei giorni in cui aiuta moltissimo. Anche perché, per distrarmi, entro nei negozi, spulcio tra i vinili o tra gli scaffali dei libri. Sono gesti quotidiani che mi rilassano e calmano la tensione nervosa.
-Serve aiuto?- la voce del giovane commesso interrompe lo scorrere dei miei pensieri.
-No grazie- rispondo con un mezzo sorriso –Stavo solo dando un’occhiata-
-Anche tu leggi Thoreau?-
Non capendo a cosa si stia riferendo do un’occhiata al libro che casualmente ho preso in mano: “Walden, ovvero vita nei boschi”.
-Emh...sì, più o meno...diciamo che io leggo di tutto-
-Beh, questo te lo consiglio. La sua teoria sul rapporto dell’uomo con la natura è molto interessante. Un uomo che abbandona la società per vivere nella natura più selvaggia. Lo consiglio sempre ad amici e non. Questo libro mi ha cambiato la vita. Probabilmente un giorno prenderò il suo esempio e me ne andrò di qui-
-Mi hai incuriosito, lo sai? Quasi quasi lo prendo-  comincio a frugare nella borsa in cerca del portafoglio, ma lui mi ferma in tempo.
-No no...questo è un regalo. Non mi devi niente-
-Devo accettare regali da sconosciuti?!- chiedo scherzandoci su.
-Se la metti così, io sono Alex- dice tendendomi la mano.
-Io sono Lily- rispondo stringendogliela.
-Bene, ora che ci siamo conosciuti, devi per forza accettare il mio regalo-
-Ma poi il capo lo verrà a sapere...-
-Il capo è mio padre e non lo saprà mai-
Non posso trattenere una risata. Ok, mi ha messa con le spalle al muro.
-D’accordo. Grazie!-
-Non sei di qui, vero?-
-No, sono di Londra- rispondo mentre cominciamo ad avviarci verso l’uscita.
-Immaginavo...dall’accento. Sei qui in vacanza?-
-Beh...più o meno-
-Quanto rimani qui a Fort Worth?-
-Altri due giorni credo. Poi ripartiamo-
-Peccato...mi sarebbe piaciuto rivederti-
-Non credo sia possibile-
-E come farò a sapere se il libro ti è piaciuto o no?-
-Esistono le lettere. E il telefono-
-Bene!- esclama prendendo un foglietto e una penna dal bancone e cominciando a scribacchiarci su qualcosa.
-Questo è il mio numero. E d’ora in poi il mio telefono sarà sempre libero-
-Ammesso che non te ne vada anche tu per i boschi-
-Aspetteranno!- risponde con un sorriso sornione.
Lo guardo esitando, mentre mi porge il biglietto. E’ molto carino, lo ammetto. Ma non so cosa aspettarmi. E poi non lo conosco nemmeno! Sospirando prendo in mano il bigliettino, esclamando –D’accordo. Ci penserò!-
-Sei sempre così difficile?-
-Sì, abbastanza! Ora devo andare però. E grazie ancora per il libro!-
-Non c’è di che!-
Dopo esserci salutati, esco dal negozio, mettendo il biglietto nel portafoglio. Chissà, forse un giorno lo chiamerò...o forse no. L’unica cosa che ora so per certo è che il mio stomaco reclama cibo. Perciò mi incammino in cerca di un posto carino dove pranzare in santa pace.


E’ un’ora che giro per la città come una vagabonda alla ricerca disperata di un posto dove mangiare. Non chiedo tanto! Solo un posto economico, dove si mangi bene e che possibilmente non sia frequentato da uomini che mi guardano come se fossi qualcosa di succulento. Come quei tizi di prima che, appena entrata in quella specie di pub, hanno cominciato a fischiarmi e a farmi commenti indecenti cercando di offrirmi qualcosa.
-Ehi bambola, ti va una birra?-
“Meglio filar via” ho pensato.
Nel momento in cui giro l’angolo una seconda persona, molto più alta e robusta di me, mi viene addosso, facendomi quasi cadere a terra.
-Mi scusi...- inizio a balbettare, recuperando l’equilibrio.
-Ehi ehi bimba! Sono io!-
-John! Ma che ci fai qui?-
-Gli altri mi hanno mandato in giro a cercare qualche locale in cui passare la serata- mi risponde con uno dei suoi sorrisi bonari che ti sciolgono letteralmente il cuore.
-Perché proprio tu?-
-Beh...- si avvicina a me come per non essere visto da nessun altro  -ho fiuto per queste cose!-  sussurra colpendosi il lato del naso con l’indice.
-Hai fame? Io non ho ancora pranzato- aggiunge.
-Sto morendo!- esclamo io tastandomi lo stomaco che continua a brontolare.
-Perfetto! Conosco un posto qui vicino che fa degli hot dog spettacolari-
-Per me va bene qualsiasi cosa-
-Benissimo!- dice porgendomi il braccio, da perfetto cavaliere.
E insieme, sottobraccio, ci incamminamo verso una paninoteca a qualche isolato più avanti.
-Un tavolo per due e i vostri panini migliori! E anche una birra per il sottoscritto!- urla non appena valichiamo la porta, per poi aggiungere rivolgendosi solo a me –Offro io!-
Alzo gli occhi al cielo, rassegnata, e seguo il cameriere che ci accompagna a un tavolo accanto ad una grossa finestra, mentre dal juke box provengono le note di “In The Summertime” che si disperdono nell’aria.
-Ti manca casa?- mi chiede John di punto in bianco dopo esserci seduti.
-Un po’. Mi manca la tranquillità di prima. A te?-
-Anche. Mi manca mia moglie. E Jason!-
-Tuo figlio?-
Annuisce prima di estrarre dal portafoglio una sua fotografia, porgendomela.
La foto in bianco e nero ritrae un piccolo Jason in costume da bagno e a braccia aperte che guarda l’obiettivo con un’espressione buffissima e John che dorme stravaccato a terra, dietro di lui.
-Ti assomiglia- osservo sorridendo.
-Naah! E’ bello come la mamma. Ha 7 anni e sta già imparando a suonare la batteria, sai? Ed è anche bravino-
-Sono sicura che un giorno sarà degno di suo padre-
Sorridendo gli ridò la fotografia che rimette con moltissima cura nel portafoglio.
Nel frattempo il cameriere torna con il nostro pranzo.
-Si vede che non sei fatta per questa vita- osserva John addentando il suo hot dog -Credo che il tuo luogo ideale sia con un gruppo di letterati e attivisti che discutono di poesia, di politica, di filosofia e quant’altro, non è così?-
Rimango a guardarlo sbigottita.
-Sì, hai ragione-
-Non tutte le ragazze della tua età sono interessate a queste cose. A volte penso che tu provenga da un altro pianeta-
-Sì, è possibile. A volte lo penso anche io. Ma mi va bene così-
-Certo che va bene. Perché ti distingui dalla massa. E ciò ti rende speciale. Ecco perché loro sono così interessati a te-
La mia risposta è il silenzio. Un silenzio assordante. Capisce che non ho molta voglia di parlarne così attacca a parlare di altro, raccontandomi della moglie Pat, di come si sono innamorati, della promessa che le fece riguardo al mollare la batteria per poter prendersi cura di lei e di come poi non riuscì a mantenere quella promessa.
-E’ stato inevitabile- mi dice –La batteria è stata la mia prima passione. Per fortuna che Pat fu comprensiva-
Finito di mangiare ci alziamo dal tavolo, paghiamo il conto e usciamo.
-Se vuoi vengo con te a cercare quel locale- gli propongo –tanto non ho niente di meglio da fare. Ammesso che tu mi voglia tra i piedi però- aggiungo in tono scherzoso.
-E perché no? Sai ti reputo una persona piuttosto piacevole! Emh...di compagnia intendo...- confessa portandosi una mano dietro la testa per l’imbarazzo.
-Sì, John, avevo capito- rispondo io divertita.
E così ci incamminiamo uno di fianco all’altro per circa un’ora e mezza, senza trovare qualcosa che lo soddisfi.
-Che tipo di locale cercavate?-
-Sai, uno di quelli dove si beve, dove c’è un po’ di musica dal vivo...o altrimenti uno di quelli, sai...dove...con...le spogliarelliste...-
Non riesco a trattenere una risatina nervosa, accelerando il passo.
Una volta girato l’angolo mi accorgo che John è rimasto indietro.
-Ehi, forse ne ho trovato uno!- urla richiamando la mia attenzione.
-Wow! Birra a soli 70 cents! Questo sì che è il locale che fa per noi! E poi c’è anche una band jazz che suona-
Alzo gli occhi per guardare la locandina rimanendo paralizzata.
D’improvviso sento il sangue raggelarsi.
Ed è come se il cuore cessasse di battere.
Una pugnalata alla schiena.
I miei occhi fissano il nome della band. Un nome che ho lasciato nel dimenticatoio per molti anni.
-“The Dharma Bums”*- John legge il nome a voce alta facendolo rimbombare nella mia testa.
E scorrendo con lo sguardo i nomi dei componenti realizzo ciò che per un momento il mio cervello rifiutava di accettare. Lui è qui.
-Che hai? Li conosci?- mi chiede John.
-S-sì...è il gruppo di mio padre-
-E lui qual è di questi?- chiede avvicinandosi di più alla locandina, probabilmente per cercare il mio cognome, ignorando che lui ha sempre usato uno pseudonimo.
-Il sassofonista...Jack Paradise**-


Messaggio ai lettori: Allora vorrei chiarire un po' di cose:
1) Il ragazzo è ispirato a Chris McCandless (o Alex Supertamp, che dir si voglia). Infatti potrebbe anche prendere il suo volto ù_ù
2) La foto che John tiene nel portafoglio è questa:



Sono adorabili :3
3) *The Dharma Bums è il titolo di un libro di Jack Kerouac, in italiano "I Vagabondi del Dharma"
4) **Il nome Jack Paradise è un misto fra Jack Kerouac e Sal Paradise, suo pseudonimo nel libro "On the Road". Infatti il padre prende proprio il volto di Kerouac :3



Bene, ora che ho detto tutto mi dileguo xD
Al prossimo capitolooooo :*

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Capitolo 29
*** Capitolo 27 ***


Dannazione, ci mancava anche questa! Di tante città d’America, proprio in questa lo dovevo trovare?! Sarà un segno del destino? Mah, io neanche ci credo.
Che dovrei fare quindi? Andare a vederlo? Non andare? Andare e non salutarlo nemmeno? Oppure andare e abbracciarlo dopo tanto tempo, facendo finta che non sia mai successo niente?
Se questo fosse stato un quiz a premi avrei sicuramente perso.
Dio, che situazione!
Mancano poche ore e io devo decidere alla svelta se andare o no.
Prendo un pezzo di carta dal mio taccuino e comincio a scrivere: “Pro e Contro”.
Dunque...
Mio padre mi ha abbandonata quando avevo sette anni: crocetta per i “contro”.
Per sette anni ho vissuto i momenti più belli e felici della mia vita: crocetta per i “pro”.
Non mi ha mai telefonato, né scritto, nemmeno per Natale o per il mio compleanno: immensa crocetta per i “contro”.
Resto fissa sul foglio con la penna in bocca, in attesa di un altro valido motivo per andare.
Cinque minuti, dieci minuti, quindici minuti.
Alla fine straccio il foglio in mille pezzi e decido di non andare assolutamente. Forse perderò l’occasione della mia vita. O forse mi sto risparmiando l’ennesima delusione da parte sua.
Chissà se mia madre sa che lui è qui.
Mentre mi alzo dal letto e mi dirigo verso la porta per uscire, noto il mio flauto sporgere dalla valigia.
 

***

-Buon compleanno, Lily!-
Seduta sul tavolo della cucina, davanti a un’enorme torta al cioccolato sulle quali aveva appena spento quattro candeline, la piccola Lily prese tra le mani il regalo che papà Jack le porgeva. E con le piccole manine cominciò a scartarlo, curiosa come un gatto. Chissà cosa poteva mai contenere.
E lo stupore si fece strada nel suo volto quando vide un oggetto mai visto in vita sua.
-Questo è un flauto traverso, Lily. E produce uno dei suoni più belli e delicati dell’intero universo. E ogni volta che ti sentirai sola, suonalo: lui ti terrà compagnia-
-Mi insegni tu?-
-Certo piccola!- le rispose dandole un bacio con lo schiocco sulla guancia per poi avvolgerla in un caloroso abbraccio.


***

 
-Cosa ti ha fatto cambiare idea?- Jonesy siede nel taxi accanto a me, mentre il mio sguardo è fisso sul finestrino, in un punto imprecisato.
-Non lo so...qualcosa mi diceva che dovevo venire-
Il taxi si ferma davanti al locale dopo venti minuti. L’ansia comincia a salire. Davanti all’entrata c’è gente che beve, fuma e chiacchiera, mentre dall’interno proviene musica rock ‘n’ roll. Ci facciamo largo tra la folla ed entriamo. Nel locale c’è odore di fumo e di alcool, e il chiacchiericcio della gente sembra quasi sovrastare la musica. Davanti al minuscolo palco, leggermente più alto del livello dei tavolini, c’è qualche coppia che balla, a ritmo della musica proveniente dal juke-box. Ci avviciniamo a passo spedito verso due tavolini, a pochi metri dal palco e ci sediamo. Neanche il tempo di contare fino a cinque che una giovane cameriera, vestita con una minigonna di jeans e una maglietta bianca aderente che mette il suo davanzale in bella vista, ci si avvicina chiedendoci se vogliamo ordinare.
-Per me una birra!- esclama Bonzo.
-Io un Jack Daniel’s- dice Jimmy con voce distratta.
-Per me va bene qualsiasi cosa, dolcezza!- commenta Robert mangiandosela con gli occhi, mentre lei annota gli ordini tra vari risolini.
Oca.
Mi giro dall’altra parte cercando di evitare quello spettacolo disgustoso.
-Anche per me una birra- dice Jonesy prima di rivolgersi a me –tu vuoi qualcosa?-
-No...no, non voglio niente-
Mi rigiro verso il palco con aria quasi smarrita, mentre anche le giovani groupies accanto a me ordinano da bere.
Sto per sentirmi male. Sento una morsa che mi stringe lo stomaco. Quasi mi pento di essere venuta.
-Tutto bene?- mi chiede Jonesy toccandomi il braccio con la mano.
-Sì, sì...sono solo un po’ nervosa-
-Dai, non preoccuparti. Vedrai che andrà tutto bene- dice sorridendomi.
Dal juke-box intanto provengono le note di “I can’t help falling in love with you” di Elvis.
-Vuoi ballare?- mi propone poi Jonesy tendendomi la mano.
Cosa? Ballare? Io?
-Non sono capace-
-Ti insegno io-
Rimane a guardarmi con sguardo implorevole. Impossibile rifiutare.
-D’accordo!-
Jonesy mi prende la mano e mi trascina al centro della pista, poggiando l’altra sulla mia schiena, attirandomi verso di sé.
-Devi seguire me e basta- mi sussurra all’orecchio, mentre io appoggio la testa sulla sua spalla, facendomi trascinare lentamente da lui.
-John?- lo chiamo dopo qualche minuto, alzando la testa  -e se non si accorge di me? E se invece mi vedesse e non mi volesse parlare? O se mi vedesse e volesse parlarmi?-
Dio, quante domande!
-Non ci pensare! Aspetta di vedere come vanno le cose e poi decidi cosa fare. Tu cosa vorresti?-
Ci penso un po’ prima di rispondere. In realtà non ne ho la più pallida idea.
-Non lo so-

***

-Hai visto, papà? L’ho imparata tutta a memoria!-
-Brava, tesoro! Un giorno diventerai una musicista bravissima. E sai che faremo quel giorno?-
Lily scosse la testa, facendo ondeggiare le treccine.
-Ce ne andremo via. Io e te. Conosceremo il mondo-
Jack la prese in braccio, avvicinandosi alla finestra del salotto.
-Vedi lì fuori, Lily? Il mondo non è solo il viale di casa nostra. C’è tanto altro che aspetta solo di essere scoperto-
-E mamma? Viene con noi?-
Jack, esitando un po’, alzò lo sguardo verso la moglie, che lo guardava con occhi eloquenti.
-Se vuole venire anche lei, allora verrà anche lei-
Lily guardò entrambi i genitori, accorgendosi che stavano comunicando con lo sguardo. Ma cosa si stessero dicendo, questo lei non lo sapeva.
-Ma chi è la principessa di papà?- aggiunse Jack, attirando di nuovo l’attenzione della figlia.
-Io!-
 

***

Finita la canzone ci riaccomodiamo al tavolino. D’improvviso le luci si spengono, lasciando accese solo quelle del palco. Ecco. Il momento tanto agognato sta arrivando. Il battito del mio cuore accelera e il mio respiro si intensifica. Lo vedo salire sul palco con il suo sassofono in mano, mentre si dirige nella sua postazione. Le note della loro musica jazz cominciano a disperdersi nell’aria arrivando a toccare la mia anima.
Una canzone.
Due.
Tre.
Non si è ancora accorto della mia presenza. E non so se esserne sollevata o no.
La gente applaude e danza.
Alla quarta canzone, durante il suo assolo, i suoi occhi cominciano a scrutare il pubblico.
Che faccio?
Ho una voglia improvvisa di nascondermi, di alzarmi e andarmene al bagno.
Ed ecco che i suoi occhi incontrano i miei. Secondi che sembrano durare secoli.
L’espressione del suo viso cambia, facendosi più meravigliata, ma senza perdere la concentrazione dalla musica.
Oddio, mi ha riconosciuta. E adesso?
Rimango impalata a fissarlo per tutta la durata della loro performance, durante la quale suonano anche quella canzone. La mia canzone. Quella che mi scrisse tanto tempo fa.
Sento gli occhi gonfiarsi di lacrime, iniziando a bruciarmi.
Quando il loro show finisce, il locale si leva in caloroso applauso. Tranne me.
Lui mi guarda ancora una volta, scendendo dal palco. Con passo lento si avvicina al mio tavolino, mentre un paio di persone lo fermano per stringergli la mano facendogli i complimenti.
-Devo andare in bagno!- esclamo alzandomi di scatto per raggiungere la toilette più vicina.

***

-Mamma, ma papà quando torna?- la vocina di Lily interruppe il silenzio in cucina mentre la madre era intenta a lavare i piatti.
-Non torna, Lily- rispose lei con un sospiro.
-Perché?-
Corinne si grattò la fronte con il braccio e rispose –Perché ha scelto un altro stile di vita. Senza noi due-
-E dove?-
-Non lo so!-
-Ma non ci vuole più bene?-
-Basta con le domande, Lily! Continua a fare i compiti!- esclamò Corinne alzando la voce, esasperata dalle mille domande della bambina.

***

Vigliacca! Sono una vigliacca! Da quando in qua scappo invece di affrontare le difficoltà come ho sempre fatto? Quasi non mi riconosco più. Ma che avrei dovuto fare? Andargli incontro e dirgli “Ciao papà, sono così felice di rivederti dopo tutto questo tempo”? No, no, no. E’ fuori discussione. Però non posso nemmeno rimanere qui per tutto il tempo. Dopo essermi sciacquata la faccia al lavandino decido di ritornare di là. Sì. Vado lì e lo affronto una volta per tutte.
Esco con passo deciso dal bagno e ritorno al tavolino. Ma lui non c’è. Non è nemmeno nei paraggi.
-Ti ha lasciato questo- mi dice Jonesy porgendomi un bigliettino.
Lo prendo esitando. Ho davvero voglia di leggere quello che c’è scritto sopra?
Sì.
Lentamente lo apro e scorro con gli occhi la sua calligrafia:


Ore 12.00, domani, in questo stesso locale. Se ti vedrò, sarò felice di accoglierti come quando venisti al mondo. Se non dovessi vederti, allora capirò.

Tuo, Papà


-Tutto a posto?- mi chiede Jonesy preoccupato.
-Io...io voglio tornare in albergo-
-Ti accompagno!-
Così prendiamo le nostre cose e usciamo dal locale chiamando un taxi.


Nota dell'autrice: bene bene bene, questa storia del padre sta uscendo allo scoperto :3
Ci tenevo a precisare che non mi sono ispirata a fatti reali: è tutto frutto della mia sfrenata fantasia xD
Bon, detto questo, ci leggiamo al prossimo capitolo, miei prodi!!! :*

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Capitolo 30
*** Capitolo 28 ***


-Che intendi fare? Ci vai?- mi domanda Jonesy chiudendo il bigliettino, una volta arrivati all’albergo.
-Non lo so...credo di no -
-Io fossi in te ci andrei-
-Ah sì? E che dovrei fare poi? Perdonarlo? Assolutamente no!-
-No, non devi perdonarlo per forza. Ma almeno dovresti sentire quello che ha da dirti-
-Che fai, lo difendi?!- esclamo alzando inevitabilmente la voce.
-No...è solo che...-
-Cosa?-
Tira un lungo sospiro prima di rispondere.
-Se una delle mie figlie mi odiasse e non volesse vedermi...morirei dentro! Non so come farei ad andare avanti-
-Che c’entra?! Tu non sei lui! E sono sicura che le tue figlie ti adorano-
-Hai ragione. Ma anche io sono quasi sempre lontano da casa. E non vederle crescere è straziante-
Beh, non ha poi tutti i torti.
-Quindi dovrei andare lì? Ascoltare ciò che ha da dirmi e poi andare via?-
Più che a lui la mia domanda è rivolta a me stessa. Quasi una sorta di autoconvinzione.
-Secondo me sì. Il mio non è solo un consiglio da amico. E’ anche il consiglio di un padre. Ma la scelta è tua e sono sicuro che farai la scelta giusta-
Perché? Perché tutti credono che io faccia scelte sagge e io no? O meglio: una volta ci credevo, ma ora non più.
-Beh, io torno al locale. Se ti serve qualcosa io ci sono- mi dice con un sorriso.
-Certo! Buonanotte!-
-Buonanotte!-


Al mattino, dopo un sonno non proprio riposante, sono in piedi davanti alla valigia, con aria di concentrazione e sfida.
Neanche fosse un appuntamento galante. Neanche fosse, non so...un incontro di lavoro. Eppure ci sto mettendo tantissimo tempo per scegliere qualcosa da indossare. Mi sento come se non andassi bene, qualsiasi cosa io metta.
Ovviamente mia madre non sa dove sto per andare. Anzi, credo non sappia neanche che lui sia qui.
Do un’occhiata rapida all’orologio: le 11:30.
Accidenti, devo sbrigarmi!
A caso prendo il primo jeans e la prima maglietta che trovo in valigia e mi vesto. Mi lego i capelli in una semplice coda di cavallo, prendo la giacca, la borsa ed esco. E prima di arrivare all’ascensore mi fermo davanti alla porta della sua stanza e busso.
Jonesy mi apre con un’espressione attonita.
-Ciao!- mi saluta.
-Ti prego John, accompagnami!-


-E’ già lì?- mi domanda Jonesy mentre io sbircio l’interno del locale dal vetro della finestra.
-Sì- rispondo io con voce tremante, guardando la sua figura, seduta a un tavolino, dandomi le spalle.
-Bene, allo...-
-Io non so se ce la faccio!- dico interrompendolo.
Voglio andare via!
-Sì che ce la fai!- esclama afferrandomi le spalle –Adesso tu vai là dentro e lo saluti-
-No, non posso!-
-Sì che puoi! Non hai fatto tutta questa strada per niente-
Ha ragione. Tremendamente ragione. Ma non ne ho il coraggio.
-Senti, io non posso rimanere qui. Peter voleva vederci per parlare dello show di domani sera. Però voglio accertarmi che tu vada là dentro-
-No, non andartene- sussurro avvicinandomi a lui e nascondendo il viso sul suo petto.
Rimaniamo abbracciati per qualche secondo, mentre il sole comincia a giocare a nascondino dietro le nuvole. Anche esso è combattuto: non sa se nascondersi o uscire allo scoperto. Così come io non so se andare lì dentro o ritornarmene in albergo.
-Va bene, ascolta: io resto qui fino a che non varchi quella soglia. Poi vado via. Tu, mi raccomando, non fare sciocchezze, ok?-
Annuisco.
Così prendo un sospiro profondo ed entro nel locale.
L’odore di sigaretta si mescola a quello dell’alcool e di fritto. Per fortuna non c’è molta gente. Anzi, a dire il vero ci sono quattro gatti. Mi volto indietro incontrando lo sguardo di Jonesy, che con un cenno della mano mi intima ad andare avanti. Prendo un altro respiro profondo. Mi rigiro e mi dirigo verso di lui, che seduto al tavolino è intento a fumare una sigaretta. Ancora non ha perso il vizio!
-Ciao- lo saluto timidamente.
Alza lo sguardo su di me, incredulo. Di sicuro si era già rassegnato.
-Lily! Sei qui!-
Già.
-Vieni, siediti!- esclama alzandosi per farmi accomodare sulla sedia di fronte a lui.
-Dio, come sei cresciuta! Sei diventata una signorina-
Anche lui è imbarazzato quanto me. Ma io non riesco a dire niente, a differenza sua.
Mi siedo, evitando per ora il suo sguardo. E’ tutto così strano.
-Ho così tante cose che vorrei chiederti...e tante cose che vorrei dirti- lo sento dire, mentre la sua voce tradisce una certa emozione.
-Vuoi mangiare qualcosa per iniziare?-
-No...- in realtà sì, visto che un po’ di fame ce l’ho.
-Neanche un muffin al cioccolato? Ti piacevano così tanto quando eri piccola-
-Te lo ricordi?- gli chiedo incredula.
-Certo che sì- risponde sorridendo  -Ricordo che riuscivi sempre a trovarli sebbene cercassimo di nasconderli, altrimenti te li mangiavi tutti. Non ho mai capito come facessi a trovarli-
-Utilizzavate sempre gli stessi nascondigli... e sempre quelli dove io non potessi arrivare. A meno che non utilizzassi una sedia per arrampicarmi-
Ci scappa un sorriso a entrambi, prima che il cameriere ci interrompa domandandoci se vogliamo ordinare.
-Io un hamburger e un caffè- ordina lui.
-Lei, signorina?-
-Emh...anche io un hamburger...e un frappè alla ciliegia-
Quando il cameriere se ne va con le ordinazioni, tra me e mio padre cala un silenzio di tomba, che puntualmente lui interrompe chiedendomi –Ma che ci fai qui in Texas?-
-Siamo in tour con la band di Peter-
-Peter?- mi domanda aggrottando le sopracciglia.
-Il marito di mamma-
Non lo sapeva?
-E’ il manager di una rock band-
-Ti tratta bene?-
-Mh-mh- annuisco.
-Meno male-
-Tu? Ti sei risposato?-
-No- risponde scuotendo la testa –Ho vissuto sempre con la musica-
In effetti è vero: non ha la fede al dito.
-Vivi qui?-
-No, vivo...in giro. Ogni tanto torno alla casa di nonna, te la ricordi?-
E chi se la dimentica! Adoravo quella casa. Situata nella campagna inglese, alla periferia di Londra, era arredata in stile ottocentesco e profumava sempre di the e biscotti appena sfornati. E aveva un bel giardino, dove io e papà passavamo le ore a giocare a nascondino.
-Suoni ancora il flauto?- mi chiede mentre il cameriere torna con il nostro pranzo.
-Quando te ne sei andato ho smesso. Avevo litigato con mamma, poi è caduto e si è rotto. Me ne ha regalato uno quest’anno. Ogni tanto lo suono però-
-E la scuola invece?-
-Ho finito quest’anno la Secondary-
-E come è andata?-
-Sono passata con il massimo di voti-
Gli scappa un sorriso fiero -Sei sempre stata una ragazzina sveglia e intelligente. E poi che vuoi fare?-
-Volevo andare ad Oxford a studiare legge, ma per quest’anno mamma non me l’ha permesso-
-Ma lo sa che sei qui?-
Scuoto la testa sorseggiando il frappè.
-Sei fidanzata?- mi chiede poi di punto in bianco.
-No, non ho tempo per queste cose-
Mica posso rispondergli dire che sono andata con uno di quasi dieci anni più grande di me. Per giunta sposato e con due figli. Non l’ho detto a mia madre, figuriamoci se lo vado a dire a lui.
Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio decido che ora tocca a me fare le domande.
-Perché non mi hai mai telefonato?-
-Tua madre non mi avrebbe mai fatto parlare con te-
-Potevi scrivermi-
-L’ho fatto. Per anni. Ma non ho mai ricevuto risposta-
-Perché non le ho ricevute?- gli chiedo con la voce rotta.
-Non devi chiederlo a me-
-Che vuol dire?-
Lui sospira, abbassando lo sguardo verso i resti del suo pranzo.
- Ti ho scritto spesso e per molto tempo, a ogni tuo compleanno, a Natale e in altre occasioni. Alla fine ho pensato che vi foste trasferite o che, molto più probabilmente, non voleste più saperne di me-
-Siamo rimaste sempre lì. E io ti ho aspettato. Ma tu non sei mai arrivato-
Una lacrima comincia a scorrermi lungo la guancia.
-Io non so per quale motivo non ho mai ricevuto le tue lettere. E spero che non sia per il motivo che sto pensando. Ma ho sempre sperato che un giorno tu saresti tornato da me e mi avresti portato via. E invece non l’hai fatto. Non chiedermi di perdonarti perché non ci riesco. Scusami!-
E detto questo mi alzo, prendendo la giacca e la borsa ed esco dal locale, lasciandolo lì.
Ho voglia di piangere, di urlare, di andare via. Non so più che pensare. Diceva sul serio? Oppure mentiva?
Mentre faccio i primi passi sento che mi chiama, che mi prega di tornare indietro, e di aspettare. Nella mia vita non ho fatto altro che aspettare, e ad una come me non resta altro che scappare, fuggire, andare lontano, per liberarsi delle proprie incertezze: non sempre il mio giudizio si è dimostrato all'altezza della realtà dei fatti.
Imbocco un angolo della strada a caso, senza sapere dove stia andando, senza guardarmi indietro, ma nemmeno avanti, per paura sia del passato che del futuro. Mi resta però il presente, duro come la botta che ricevo, freddo come il marciapiede su cui cado e soprattutto oscuro, come la persona che si erge su di me in controluce e che mi guarda dall'alto al basso. Mi scappa un lamento, mentre sono ancora stordita dall'urto di cui l'uomo sembra non aver risentito, e che in un attimo si piega verso di me.

Messaggio dell'autrice: Volevo dirvi che purtroppo non ho più capitoli già bell'e pronti, quindi, dal prossimo in poi, non so se riuscirò a pubblicarli ogni due giorni come ho sempre fatto D:
Purtroppo sono lenta a scrivere :'D
Bon, spero che il capitolo vi sia piaciuto e....ci leggiamo al prossimo! (chissà quando!)
Ciaoooo :*


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Capitolo 31
*** Capitolo 29 ***


-Perché non guardi dove cammini?- mi domanda tendendomi la mano per farmi alzare.
Resto a fissare la sua silhouette irradiata dai raggi solari, finché non mi rendo conto in chi mi sono imbattuta. I riccioli neri gli coprono delicatamente il volto e i suoi occhi verdi mi scrutano dall’alto in basso, mentre tiene ben salda una valigetta in una mano.
-Scusami!- rispondo stizzita, liberando bruscamente il braccio dalla sua presa.
-Ehi!- mi richiama, dopo che mi sono allontanata qualche metro da lui  -Il nostro albergo è dall’altra parte!-
-Ho solo voglia di fare due passi, non di tornare in albergo-
-Allora ti accompagno!-
-Perché?-
-Perché anche io voglio fare due passi e tu hai chiaramente bisogno di parlare con qualcuno-
-Fai come ti pare!-
E mentre mi incammino noto che lui mi si affianca con la sua solita calma con la quale riesce ad affrontare ogni mia provocazione.
-Non dovevate discutere con Peter riguardo il concerto di domani?-
-Già fatto. Dovevamo solo rivedere la scaletta, non ci vogliono delle ore-
E le ore alla fine le passa con me, chiacchierando e camminando, fino ad arrivare Dio solo sa dove, alla periferia della città. I grandi palazzi hanno ceduto il passo a case più piccole e modeste, le strade si sono fatte via via più deserte e al rumore delle macchine è sostituito il ronzio tipico di una catena di biciletta, mentre sono poche le persone che incrociamo lungo i marciapiedi. La cosa che però più mi stupisce è che, a meno di un chilometro da noi, riesco a scorgere alture cosparse d'erba, ondeggianti per il venticello, un preludio di una campagna sotto un cielo sempre più grigio scuro.
-Dove siamo?- chiedo, mentre l’ansia comincia a salire.
-Pensavo lo sapessi. Sei tu quella che passa le giornate in giro ad esplorare posti nuovi-
-Ma io stavo seguendo te!-
-Idem- risponde poggiando la valigetta a terra e le mani sui fianchi, come di chi sta pensando a cosa è meglio fare in questi casi.
-Ma come fai ad essere così calmo?!-
-Perché non sono pessimista come te. Sei tu che pensi sempre che le cose possano andare male. Vieni, torniamo indietro!- mi dice prendendomi per mano.
Improvvisamente un lampo guizza in cielo, seguito da un potente rombo di un tuono. E in meno di un minuto comincia a piovere a dirotto per poi diventare un vero e proprio temporale.
-Ma questa non è la strada di prima!- gli faccio notare, ormai completamente zuppa.
Ma lui comincia a guardarsi intorno, cercando non so cosa, per poi tirarmi il braccio per fare in modo che lo segua, e mi porta sotto la tenda di un negozio. Restiamo lì sotto per almeno una quindicina di minuti, in attesa del passaggio di qualche taxi, ma non si sa perché non c’è anima viva e il tempo è anche peggiorato: oltre all’interminabile pioggia ci si mette anche un vento fortissimo.
-Aspetta qui!- mi dice tutt’a un tratto Jimmy –Io vado a quella cabina telefonica laggiù e faccio mandare qualcuno a prenderci, ok?-
-Ok- annuisco avvolgendomi il corpo con le braccia dal freddo.
Lo vedo incamminarsi sul marciapiede e raggiungere la cabina.
-Peter? Peter, sono James...-
Un altro potente tuono romba all’improvviso, lasciando la strada completamente al buio.
-Vaffanculo!- lo sento imprecare sbattendo violentemente la cornetta del telefono.
-Senti, non possiamo tornare in albergo- annuncia non appena mi raggiunge.
-Perché no?-
-Perché è troppo lontano! Non so se te ne sei accorta ma siamo dall’altro capo della città. Quindi o troviamo un posto dove stare stanotte o rimaniamo qui al freddo-
Inizio a battere i denti, stringendomi sempre di più a me stessa. Lui lo nota, infatti si leva la sua giacca per darla a me.
-Non che serva a molto, ma è meglio di niente. Prendila!-
-E tu?-
E lui si avvicina sempre di più a me, per cercare calore dal mio corpo, fino a che il suo petto non si scontra col mio, procurandomi altri brividi.
-C’è una locanda!- esclamo dopo qualche minuto, staccandomi da lui.
-Cosa?- domanda aggrottando la fronte.
-Più in là- indico con il braccio –C’è una locanda. L’ho vista prima mentre tornavamo indietro-
-Dai, sbrigati!- dice strattonandomi per un braccio e trascinandomi con sé sul marciapiede.
Dopo cinque minuti di corsa sotto la pioggia, finalmente raggiungiamo la locanda, entrando velocemente dopo aver spalancato la porta. Da dietro il bancone, il proprietario della locanda, un uomo tarchiato, sulla sessantina, quasi calvo e con dei buffi occhiali sul naso, alza gli occhi dal giornale che sta leggendo e li indirizza su di noi.
-Buonasera!- ci saluta, accendendo un’altra candela per far più luce.
-Salve!-
-Buonasera-
-Ha due camere libere per stanotte?-  domanda Jimmy avvicinandosi a lui.
L’uomo, senza rispondere, si volta verso la bacheca dietro di lui, esclamando: -Mi dispiace. Me ne è rimasta solo una-

Quale stupida locanda in mezzo al nulla rimane con una sola camera disponibile?!
Non che ne abbia molte altre, ma diciamocelo: quante persone, a parte noi due, e per un’estrema urgenza, vengono a passare la notte qui? In fondo altro non è che una di quelle vecchie locande di legno, di quelle che ti fanno pensare al porto presso il quale sono situate, magari sotto a un faro, dove i marinai si radunavano per raccontarsi a vicenda le proprie avventure, o varie storie di sirene e mostri marini, con un boccale di birra in mano.
E la camera non è da meno. Nonostante la sua piccolezza e semplicità nell’arredamento è comunque accogliente. Mi fa pensare a “La ballata del vecchio marinaio” di Coleridge.
La stanza è illuminata dalla candela che ci ha fatto strada per le scale, che il proprietario della locanda poggia su un comò di legno accanto all’entrata. C’è un’altra candela poggiata sul comodino a fianco al letto, che viene prontamente accesa, in modo da avere più luce.
-Buonanotte signori- dice il proprietario chiudendosi la porta alle spalle.
Mi accascio sul letto girando gli occhi verso la finestra alla mia destra e comincio a fissare le gocce di pioggia che scivolano lungo il vetro.
-In bagno c’è un doccia se vuoi-
-Sì, ora vado-
E mentre dico queste parole le luci della stanza si riaccendono. Grazie al cielo!
-Senti- esclama Jimmy avvicinandosi alla porta –Io vado di sotto a telefonare. Torno subito-
Annuisco alzandomi dal letto e andando in bagno. Chiudo la porta a chiave (o col chiavistello, se vogliamo essere precisi), apro l’acqua della minuscola doccia e mi spoglio. Il getto dell’acqua calda rimbalza sulla mia pelle non appena entro dentro, lasciandomi un senso di assoluto rilassamento. Rimango sotto l’acqua una decina di minuti ed esco, avvolta in un asciugamano, decisamente troppo piccolo.
Jimmy fuma una sigaretta alla finestra, dandomi le spalle. Fuori piove ancora, ma almeno non c’è più quella bufera di prima.
-Sei riuscito a telefonare?-
Si gira di scatto, posando gli occhi su di me per qualche secondo, con la sigaretta nella mano destra. Si volta di nuovo verso la finestra, dà l’ultimo tiro alla sigaretta e la butta di fuori.
-Più o meno- dice chiudendo i vetri –Sono riuscito a chiamare Peter, gli ho detto che stiamo bene, che siamo in una locanda...ma non sono riuscito a dirgli dove: la linea era disturbata-
Annuisco lentamente avvicinandomi al letto, tenendomi sempre più stretta nell’asciugamano.
Lui invece si avvicina all’armadio, aprendo le ante, e prendendo una coperta dall’interno e la poggia su una vecchia poltrona sgangherata di fronte al letto.
-Che fai?- gli chiedo.
-Dormo sulla poltrona, no?- risponde prendendo un cuscino dal letto.
-Pensavo fossi uno che si approfitta delle situazioni del genere-
-Non ho bisogno di approfittarmene. In genere sono le ragazze con cui vado che fanno in modo che si creino certe situazioni. Non so se è chiaro-
-Cristallino. Anche se devo ancora capire quale sia il vostro mestiere: se creare musica o provarci con qualsiasi ragazza vi si pari davanti-
-Tutt’e due le cose- risponde ridendo  -Solo che per la seconda non ci pagano-
-Beh, ad ogni modo ci guadagnate comunque-
-Il tuo qual è invece? Sputare sentenze e dimostrare a tutti che non sei d’accordo con niente e con nessuno?-
-Ma che stai dicendo?-
-Perché è questo quello che fai! Qualsiasi cosa venga fatta o detta tu devi per forza controbattere. Devi mostrare a tutti che sei contraria, sempre con quell’aria da professorina che sa sempre tutto. Ma se c’è una cosa che più mi attira di te è che ti dimostri sempre disinteressata, quando sai perfettamente che non lo sei! Siamo umani, non c’è niente di sbagliato nell’essere attratti da ciò che è diverso da noi. E io ne sono la prova-
Si avvicina sempre di più a me, passo dopo passo.
-Ti sbagli!- esclamo quando me lo ritrovo a pochi centimetri dal mio viso.
-Dimostramelo-
D’un tratto mi sento come smarrita nei suoi occhi verde smeraldo che fissano intensamente i miei. Sento il suo respiro farsi sempre più profondo e d’improvviso le sue labbra si impossessano avidamente delle mie. La sua lingua scivola con grazia nella mia bocca, inebriandomi del suo sapore di tabacco e whiskey, e le sue mani scivolano lungo il mio corpo, posandosi sulla mia schiena.
-Hai visto?- dice staccando il suo viso dal mio -Avevo ragione!-
Ma non mi dà il tempo di reagire a quella provocazione, poiché mi si lancia contro, facendomi sdraiare violentemente sul letto. E con movimenti rapidi ma fluidi mi toglie l’asciugamano di dosso, mandandolo da qualche parte sul pavimento, lasciandomi completamente nuda. Senza indugiare oltre, le mie mani cominciano a slacciargli la camicia e ben presto anche i suoi indumenti vanno a fare compagnia all’asciugamano, lasciandoci entrambi nudi, una avvinghiata all’altro. E mentre le sue labbra sfiorano delicatamente le mie, la sua mano sinistra scivola lentamente sul mio corpo fino a chiudersi sul mio seno. Un gemito improvviso mi scappa quando sento le sue dita stuzzicarmi il capezzolo, inturgidendolo. Mi guarda intensamente negli occhi prima di scendere lungo il mio petto, poi più giù verso la pancia, lasciando una lieve scia di saliva con la lingua. Le mie mani si insinuano tra i suoi capelli e il mio respiro si intensifica sempre di più. Scende sempre più giù, fino ad incontare la mia intimità per poi leccarmela avidamente.
-Cristo, come sei bagnata!- commenta poco dopo lasciando il posto alle dita, muovendole ritmicamente quasi fossi il manico della sua chitarra e accelerando il ritmo ogni volta che mi sente gemere.
-Direi che sei pronta- afferma sfilandole via.
Oddio, sì!
Mi aggrappo alle sue spalle, pronta ad accoglierlo dentro di me ed emetto un altro gemito estatico quando lo sento penetrarmi a fondo, con decisione, il suo bacino che si scontra con il mio e i suoi denti che mi mordono i capezzoli. E intanto comincia a spingere sempre di più, sempre più a fondo.
-Implorami di non smettere!-
Preda dell’eccitazione faccio quello che mi dice.
-Non...non smettere-
Ma la mia voce è flebile. Un sussurro.
-Parla più forte, non ti ho sentito-
-Ti prego non smettere!-
-Brava...Adesso dì che sei mia-
-Sono tua- dico con voce rotta, mentre le mie mani si posano sui suoi fianchi, in modo da aiutarlo con le spinte.
-Mia e di nessun altro!-
-Sono solo tua!-
Le sue spinte diventano sempre più insistenti e le sue mani afferrano vigorosamente i miei polsi in modo da tenermi ferma. Quasi lui fosse il padrone e io ai suoi ordini. E tutto ciò in questo momento mi eccita, mi eccita da morire. Sono così eccitata che raggiungo l’orgasmo qualche minuto dopo, lasciando un grido liberatorio. Anche i suoi gemiti diventano sempre più persistenti e poco dopo anche lui raggiunge l’orgasmo, accasciandosi esausto sul mio petto, mentre la pioggia continua a battere contro il vetro della finestra.


 
Messaggio ai lettori: Alèèè finalmente sono ricomparsa :'D Chiedo perdono ma in questi giorni sono stata un po' incasinata e solo ieri ho trovato il tempo di cominciare questo capitolo (che già avevo in mente da qualche settimana :3)
Bene bene bene...credo che questo sia il capitolo che tutte voi stavate aspettando, nevvero? Anche se il sesso con Jimmy Page non era affatto così...per chi non lo sapesse Jimmy era un sadico a letto, tant'è che si portava le fruste in valigia :'D Ma Efp non ci permette di scrivere scene sadomaso e quindi mi sono dovuta limitare a questo ._.
Vabbè, spero vi sia piaciuto e ci leggiamo al prossimo, ciaooooooo :*

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Capitolo 32
*** Capitolo 30 ***


Lo scoppio improvviso di un tuono mi desta dal mio dormiveglia. La pioggia ancora batte contro i vetri della finestra e la stanza è illuminata dalla fioca luce di un lampione. Jimmy è sveglio e sta fumando una sigaretta con la schiena appoggiata alla testiera del letto, con lo sguardo assente, perso nel vuoto.
-Che ore sono?-  chiedo con la voce impastata mentre mi metto a sedere sulle ruvide lenzuola bianche di flanella.
-Le 4:30- risponde senza distogliere lo sguardo da un punto davanti a sé.
-A cosa stai pensando?- gli domando poi avvicinandomi a lui.
-A niente-
-E’ impossibile.  Il nostro cervello è sempre attivo. Non puoi non pensare a niente-
-Penso a tante cose. Ma non mi soffermo mai su nessuna di esse-
Dà l’ultimo tiro alla sigaretta, ormai consumata, e si alza dal letto per andarla a buttare alla finestra. Non mi ero mai accorta di quanto fosse magro.
-Perché l’hai fatto?- mi chiede mettendosi seduto sul letto accanto a me.
-Come?-
-Perché hai fatto l’amore con me?-
-Mi sei saltato addosso-
-Potevi fermarmi-
Già. Avrei potuto. Ma la verità è che non volevo.
-Non sei innamorata di me, vero?-
-Sei tu che non lo permetteresti-
-Ami lui?-
-No. E se mi stai chiedendo se sono stata a letto con te solo per cercare di dimenticare Robert, la risposta è sempre no!-
-Allora perché?-
-Deve esserci per forza un perché? Allora tu perché l’hai fatto?-
Lentamente avvicina il suo viso al mio, facendomi sentire il suo tiepido respiro sulla mia pelle.
-Perché ti desidero più di ogni altra cosa al mondo-
Le sue labbra morbide si incontrano delicatamente con le mie, fino a sfociare mano a mano in un bacio sempre più appassionato. Con un movimento lento ma deciso, la sua bocca scende piano piano lungo il mio collo, dove inizia a stamparmi dei teneri baci, per poi farmi scivolare sotto di sé.
-Sai...- gli dico avvolgendo le braccia attorno al suo collo –Non è vero ciò che si dice su di te-
-Cosa si dice su di me?- mi domanda, sebbene sappia benissimo di cosa stia parlando.
-Che sei un uomo pericoloso-
-E come fai a dire che non è vero?-
-Perché non immaginavo che sarebbe stato così facile-
-Cosa?-
-Fare l’amore con te-
-Non lo è infatti...-
-Perché?-
Con uno scatto si rimette a sedere sul materasso, indirizzando il suo sguardo sulla valigetta accanto alla porta della stanza.
-Cosa c’è in quella valigetta?- gli domando allarmata.
-Non lo vuoi sapere-
-Sì invece!-
-Allora un giorno forse lo saprai. Ma non so quanto ti possa piacere-
Inutile! Cercare di fargli dire qualcosa è veramente inutile. E’ quasi più testardo di me.
Mi giro dall’altra parte, coprendomi con il lenzuolo, con gli occhi fissi sulla finestra.
Jimmy mi si avvicina dolcemente, abbracciandomi da dietro e stringendomi sempre di più a sé, finché entrambi non scivoliamo in un sonno profondo.


In albergo, al nostro ritorno, si scatena il putiferio: Peter avvia una marea di telefonate per avvertire la polizia e gli uomini della security mandati in giro a cercarci che siamo tornati sani e salvi. Mia madre mi abbraccia piangendo chiedendomi cosa sia successo, se stia bene, che non abbia niente di rotto e così via...
-Sì, mamma, sto bene-
-Dove hai passato la notte?-
-Mamma, ve l’abbiamo detto: abbiamo trovato una locanda-
-Sì, ma dove?- mi domanda alzando la voce.
-Che importanza ha? Sono qui, non è più importante?-
Il suo sguardo è seriamente preoccupato, al che decido di farla contenta rispondendole:
-Una locanda vicino alla periferia...grazie al cielo aveva u...due stanze libere- mi correggo velocemente, sperando che non se ne accorga.
-Meno male!- esclama abbracciandomi di nuovo.
Per fortuna se l’è bevuta!
Odio mentire, ma sono sicura che lei non accetterebbe la verità. E non capirebbe, qualsiasi spiegazione io le dia.


Seduta su un divano dell’aereo con un libro in mano mi rivengono in mente le parole che mio padre mi disse ieri.
Davvero mi ha scritto? E perché non le ho mai ricevute? Il pensiero che mia madre possa saperne qualcosa e non avermi mai detto nulla per tutti questi anni mi fa stare male. Non può aver fatto una cosa del genere!
-Ehi!- improvvisamente Robert mi si siede accanto, tenendo un libro tra le mani.
-Ehi ciao-
-Ti spiace se mi siedo qui?-
-No, fai pure-
-Con tutto quel chiasso che stanno facendo laggiù è difficile concentrarsi-
Mi volto per vedere a cosa si sta riferendo: seduti a un tavolino, un roadie e una groupie stanno giocando a tirare pezzetti di cibo nella bocca di Jonesy. Quasi come i bambini che allo zoo tirano le noccioline agli elefanti.
-Che stai leggendo?- gli domando incuriosita, voltandomi di nuovo verso di lui.
-“Those oldies but goodies” - risponde mostrandomi fieramente la copertina di un libro sulle canzoni anni ‘50 -Tu?-
-Thoreau: “Walden, ovvero vita nei boschi”-
-Bello?-
-Sì, anche se sto capendo poco e niente-
-Come mai?-
-Pensieri che mi distraggono-
-Spero non sia niente di grave-
-Lo spero anche io...-
-Vai a parlarle- mi dice dopo qualche secondo di silenzio.
-Come scusa?-
-Quando hai quell’espressione si capisce subito che hai qualche problema con tua madre. Vai a parlarle e risolvete-
-Sì, hai ragione...- annuisco lentamente.
Così mi alzo tentennando, posando il libro, e vado da lei, che parla allegramente con Peter.
-Posso parlarti?-
-Certo! Siediti!-
-Senti...  -annuncio sedendomi -in questi anni ho mai ricevuto qualche lettera di cui non ho mai saputo niente?-
-Ma...ma come ti viene in mente una cosa simile?- replica con un sorriso nervoso.
-Rispondi!-
Ma lei invece non risponde e si limita a guardare fuori dal finestrino, portandosi una mano alla bocca, mentre gli occhi le si fanno sempre più lucidi.
-No, non posso crederci!-
-Volevo proteggerti!-
-Da cosa?-
-Da...-
-Non era da lui che dovevo stare lontana. Ma da te!-
-Come lo hai saputo?- domanda sull’orlo del pianto.
-L’ho incontrato ieri, ok? Ci ho pranzato insieme e abbiamo parlato. Mi ha detto di avermi scritto varie volte ma io non gli ho creduto, perché per tutti questi anni ho creduto alle stronzate che mi raccontavi tu! Non se ne è andato lui, vero? Lo hai cacciato tu. Perché?- mi alzo dal divanetto furibonda, con le lacrime che cominciano a scendermi lungo le guance.
-Non andavamo più d’accordo da tanto tempo...e voleva portarti via da me. Lily ascoltami...-
-No, sono stanca! Stanca delle tue bugie! Non voglio ascoltarti mai più. Non voglio parlarti mai più! Da oggi sei come morta per me-
E detto questo la lascio lì seduta, insieme ai suoi rimorsi mentre io vado a rinchiudermi in bagno a piangere e a pensare. Una cosa però è certa: appena torno a casa, una volta finito il tour, faccio le valigie e me ne vado a vivere con lui.


Nota dell'autrice: Inutile specificare cosa ci sia nella valigetta. Penso che abbiate capito tutte *w*
Per la scena sull'aereo di Robert che legge il libro e di Jonesy che fa il piccolo elefantino (?) mi sono ispirata a questo video:

https://www.youtube.com/watch?v=-CZLzofE-os (Fortuna che Jonesy era una persona seria e posata ಠ_ಠ)
E sì, Robert stava davvero leggendo quel libro xD Grazie a Ronin Bunny per avermi aiutato a capirlo
Al prossimo capitolo genteeeee *O*

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Capitolo 33
*** Capitolo 31 ***


Questi due ultimi mesi di tour sono stati a dir poco terrificanti: io e mia madre non ci siamo più parlate, sebbene lei abbia provato varie volte ad aprire una discussione con me. Ho passato le mie giornate il più lontano possibile da tutti: di giorno stavo in giro fino all’ora di cena, e la sera mi rinchiudevo in camera a leggere e a scrivere. Non ho telefonato ai miei amici nemmeno una volta, considerando il fatto che hanno già cominciato il college da un po’.
Due mesi interminabili. Monotoni.
Ma ora finalmente è finita. Domani si torna a casa e io posso riprendere in mano la mia vita una volta per tutte.
Non sono più andata nemmeno a un loro concerto...tranne stasera, poiché Jonesy mi ha pregato di venirci almeno per l’ultimo show. E io non ho potuto dirgli di no.
Me ne sono rimasta in un angolino nel backstage, in un punto in cui si vedeva e si ascoltava bene. Inutile dire che non si sono smentiti, poiché la loro performance è riuscita a togliere il fiato pure a me, oltre che al pubblico pagante. L'adrenalina questa sera si è sparsa nell'aria, eppure in me il concerto ha dato un'idea di liberazione: quando è calato il sipario su di loro, lo è stato pure per me, perché la mia avventura con loro stava per avere termine, e sarebbe durata ancora lo spazio di una notte. Una notte che sarà alquanto travagliata, me lo sento. Lo capisco dal tono di voce con cui Robert mi chiama mentre inserisco la chiave nella serratura della porta della mia camera.
-Posso parlarti?-
Nel corridoio non c’è più anima viva, a parte noi due.
-Qualsiasi cosa tu mi debba dire, puoi dirmela domani? Sono un po’ stanca-
-Ci ho pensato, sai? A quella domanda che mi facesti tempo fa-
-Di...di che stai parlando?-
-Ti ricordi quella mattina, sul letto? Mi chiedesti se fossi innamorato di te. Ci ho pensato e la risposta è sì-
Oddio no!
-Sì, mi sono innamorato di te...come un cretino. E non ti amo solo perché sei bella...e lo sei. Ti amo perché sei tutto ciò che io non sono e non sarò mai-
-Non sai quello che stai dicendo- gli dico con lo sguardo rivolto verso la maniglia della porta.
-Ho provato a convincermi del contrario, ma non ci sono riuscito. E ogni volta che ti vedevo bastava a smontare ogni mia autoconvinzione-
-Ti dimentichi di una cosa Robert- mi volto di scatto verso di lui  -Tu sei già sposato!-
-Sai se...se non l’avessi chiesto a Maureen qualche anno fa, probabilmente lo chiederei adesso a te-
-E io ti risponderei di no-
Rimane in silenzio. Il solo rumore che si sente sono i nostri respiri.
-Guardati Robert! Guarda come vivi! Tutte queste ragazze con cui vai a letto...non lo sopporterei. E poi chi mi assicura che non accadrebbe la stessa cosa che sta accadendo con me, ma con un’altra ragazza?! Dimenticami, Robert!- esclamo aprendo la porta.
-Ci ho provato! Ci ho provato in tutti i modi...ma non ci sono riuscito-
-Buonanotte!- lo saluto con voce tremante.
E senza dargli nemmeno il tempo di replicare chiudo velocemente la porta, scivolando per terra con la schiena poggiata su di essa. Sento che rimane lì davanti per ancora qualche minuto. Non l’ho mai visto così sinceramente abbattuto. Forse ho fatto la più grande stronzata della mia vita. O forse ho fatto qualcosa di eticamente giusto, non solo nei confronti di sua moglie, ma anche nei confronti dei suoi figli.


I saluti di addio e arrivederci in aeroporto sono durati mezz’ora. Tutti che si congratulano l’un l’altro per il tour. Si salutano come se non dovessero vedersi  più per chissà quanto tempo. E poi si avvicinano anche a me...gente di cui non ricordo nemmeno il nome. Oppure non l’ho mai saputo.
-E’ stato un vero piacere conoscerti, bimba!- mi saluta poi Bonzo stritolandomi in un forte abbraccio.
-Sì, anche per me-
-Tanto prima o poi ci rivedremo!-
-Chissà...-
Dietro di lui c’è Jonesy che esclama abbracciandomi: -Ehi! Fatti sentire ogni tanto!-
-Farò il possibile-
Mi dispiacerebbe perdere i contatti con lui.
-Ehi John...volevo dirti che...sei stato un vero amico in questi mesi...non so come ringraziarti-
-Ma dai, figurati-
Mi avvicino a lui e gli stampo un bacio sull’angolo sinistro della bocca, che si piega prontamente in su in un sorriso.
-Volevo darti una cosa- mi dice poi, scarabocchiando qualcosa su un foglietto –Chiamami quando hai bisogno-
Prendo il bigliettino in mano sorridendo.
-D’accordo!-
-Lily, la tua valigia!- urla mia madre davanti al nastro portabagagli.
-Sì, arrivo- rispondo avvicinandomi.
Non appena la valigia mi passa avanti la afferro e la poggio per terra.
-Ciao...-
Riconosco la voce di Robert alle mie spalle.
-Ciao...- lo saluto senza guardarlo negli occhi.
-Dunque... è arrivato il momento di salutarci...-
-Già...-
-Ti penserò ogni giorno-
-Non farlo!-
-Sarà inevitabile...ciao, bambina!- esclama poi stampandomi un lungo bacio sulla fronte, attirandomi a sé con una mano dietro la schiena.
Perché? Perché deve rendermi tutto così difficile?
L’unico che non dimostra nessun entusiasmo né dispiacere nel salutarmi è Jimmy, il quale mi rivolge solo un freddo “Ciao!” accompagnato da uno dei suoi sguardi eloquenti. Dio solo sa cosa stia pensando in questo momento.
-Lily, andiamo!-


-Dove le hai messe?- grido come una disperata mettendo a soqquadro il soggiorno.
-Che stai cercando?- domanda mia madre.
Perché me lo chiede? Lo sa benissimo!
-Dove le hai nascoste?-
Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo prima che lei riapra bocca.
-Vieni-
Saliamo velocemente le scale di casa nostra ed entriamo nella sua camera da letto. Poi mia madre prende una chiave nascosta nel suo portagioie ed apre la cassapanca posta ai piedi del suo letto. Al di sotto di una marasma di lenzuola e coperte ben ripiegate ci sono le mie lettere, legate una con l’altra da uno spago di canapa. Dio, sono tantissime.
-Ti prego, perdonami- mi implora porgendomele.
Rimango a fissarle con le lacrime agli occhi. Io non so se riuscirò mai a perdonarla. Almeno non adesso.
-Stasera non ceno- dico infine prendendole in mano per poi chiudermi in camera mia.


Il ticchettio dell’orologio rimbomba pesantemente nella stanza e i primi raggi solari filtrano attraverso le veneziane della mia finestra.
Le lettere saranno state almeno un centinaio. E leggerle tutte durante la notte è stato straziante. Cominciavano tutte con  “Mia cara Lily”, “Tesoro mio”...
Non è facile scriverti queste parole, se le scrivo con la consapevolezza che non le leggerai mai. Se tu fossi qui mi chiederesti ‘Allora perché lo fai?’ Ma io non saprei darti una risposta soddisfacente. Ti direi che lo faccio perché è giusto così...perché sento che va fatto...perché è il solo modo per esserti accanto
e ancora:
Dal primo giorno in cui sei venuta al mondo ho capito che ti avrei dedicato tutta la mia vita; che ti sarei rimasto vicino sempre per infonderti sicurezza, darti coraggio e saperti dare consigli su ogni tuo dubbio. Sarei rimasto sveglio la notte ad aspettare che tu tornassi a casa dalla tua prima uscita con il tuo primo ragazzo. E probabilmente ti avrei anche detto che non avrebbe fatto per te
e poi ancora:
Forse un giorno capirai che non me ne sono andato di mia spontanea volontà. E che varcare quella soglia per sempre, mentre tu dormivi nel tuo lettino, è stato un colpo al cuore. Forse un giorno capirai che sei stata l’unica cosa buona che ho fatto nella mia vita.
Tuo, papà



Per fortuna il primo autobus della giornata non tarda ad arrivare. Mentre mi siedo su uno dei sedili, facendo vedere il mio biglietto al controllore, rileggo bene l’indirizzo su una delle buste delle lettere, accarezzando con le dita l’elegante calligrafia. Quello che sto facendo è giusto lo so. E trovo giusto anche aver lasciato un misero biglietto sul tavolo della cucina. Lo considero il minimo. Mi verranno a cercare quasi sicuramente, cercando di convincermi a ritornare a casa. Ma ormai ho preso la mia decisione. E sono grande abbastanza da sapere che è la decisione migliore.
Dopo un’ora in viaggio per Londra e aver cambiato due autobus, mi dirigo davanti alla sua porta e senza esitazione suono il campanello.
Cinque secondi.
Dieci secondi.
Dopodiché mi apre, vestito con un pigiama a righe e una canottiera bianca sotto, con espressione attonita.
-Lily!-
-Ciao papà...ho preso una decisione-
Dà una rapida e confusa occhiata alle mie valigie salvo poi realizzare le mie intenzioni e invitarmi dentro casa stringendomi forte in un caloroso abbraccio.



Messaggio dell'autrice: mabbravaaa anche io avrei fatto la stessa cosa *w*
(Comunque è cretina per aver rifiutato così Robert D: ora ne abbiamo la prova)
Volevo dire che per quanto riguarda questo capitolo ho deciso di saltare due mesi di tour perché non avevo più idee :O
Le uniche idee che mi sono venute in mente in queste settimane riguardano un periodo dopo quel tour... e... niente, leggerete tutto nei prossimi capitoli :3
Avrei voluto pubblicarlo in giornata, visto che è stata la festa del papà, ma non ho potuto :(
(e diciamo che avevo anche poca ispirazione ._.)
Vabbè, spero che il capitolo vi sia piaciuto e...ci leggiamo al prossimoooooo :*

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Capitolo 34
*** Capitolo 32 ***


Maggio 1976

Ho vissuto questi ultimi tre anni a casa di mio padre. Alla fine sono riuscita a persuadere mia madre, che ha acconsentito a lasciarmi qui. A patto che la perdonassi, che la chiamassi almeno ogni giorno e che ogni tanto andassi da lei a pranzo o a cena. E così è stato.
Sono al terzo anno di università: mi sono iscritta alla facoltà di legge in un’università di Londra, mantenendo una media al di sopra del 70*. Grazie al cielo non ho mai frequentato il college, così ho avuto la possibilità di studiare rimanendo a casa con mio padre. Non mi sono più iscritta ad Oxford. Troppo lontana, troppo costosa...e le ragazze non sono ammesse nei college.
Per i primi due anni mio padre ha suonato solo a Londra e nei dintorni, rinunciando ad andare a suonare all’estero, così che potesse stare insieme a me. L’anno scorso invece, dopo che ebbi compiuto diciotto anni,  fece un breve tour negli Stati Uniti, ed io, per non rimanere sola a casa, affittai la sua stanza per due mesi a Penny, una studentessa di scienze politiche proveniente da Liverpool.  Una ragazza simpatica, intelligente, minuta, con i capelli biondo-castani mossi e lunghi fino alle spalle. Mi parlava sempre della sua città con malinconia mista ad allegria.
-La patria dei Beatles!- esclamava sempre con il suo raggiante sorriso. Non pensavo si sarebbe trovata bene insieme ad una pessimista come me. Devo dire che abbiamo legato molto in quei due mesi. Mi è dispiaciuto quando andò a vivere in un altro appartamento insieme ad altri studenti.
-Vieni con noi!- mi propose.
-Grazie ma... ho appena ritrovato mio padre e...sto bene qui per ora-
-D’accordo! Allora ci vediamo in giro all’università!-
-Certo!-
E’ una dei poche persone di cui mi circondo. I miei amici del liceo li sento raramente, a causa del college. Ogni tanto organizziamo un incontro durante le vacanze, ma non è come averli qui con me.
Per quanto riguarda loro quattro invece...ogni tanto Jonesy mi telefona per sapere come sto, passiamo qualche minuto a chiacchierare, ma non ho più sentito nessun altro dei tre.
E poi c’è Steve, un mio compagno dell’università. Un cervellone. Aspirante avvocato, Steve  è un ragazzo esile, con i capelli castani e mossi, un paio di occhiali spessi sul naso e sempre con un libro sotto il braccio.
Quando è tempo di esame (come in questo periodo) viene sempre a casa mia e passiamo così le ore tra i libri, concedendoci ogni tanto una pausa the.
-Allora? Ripetiamo un’altra volta?- mi domanda, aggiustandosi con l’indice gli occhiali sul naso.
-Basta ripetere, Steve! Non siamo pappagalli-
-Ma se dobbiamo capire bene i concetti...-
-Io li ho capiti i concetti! E non mi serve ripeterli cento volte!-
-Sì, hai ragione- ammette con lo sguardo puntato verso il basso. Quando fa così significa che ho esagerato di nuovo col tono di voce. In fondo è un bravo ragazzo e non si merita la mia acidità.
-Senti...- esordisco  -sono le 6:30 ed è quasi ora di cena. Che ne dici se per oggi finiamo qui? E’ da stamattina alle dieci che stiamo studiando. E poi la maggior parte delle cose le so già e non mi serve neanche rivederle-
-Sì, va bene-
-Vado a preparare un the-
-Ok, io inizio a raccogliere le mie cose se non ti spiace-
-Non ti fermi a cena?-
-No, ti ringrazio, stasera vado alla riunione a sentire il discorso di Thompson-
-Davvero segui quel pagliaccio?-
-Le sue idee sono davvero brillanti. Non è un rivoluzionario come tutti gli altri, Lily. Dovresti venire a sentirlo una volta, vedrai, ti aprirà la mente-
-A me sembra tutto fumo e niente arrosto-
Max Thompson è uno studente dell’ultimo anno, da lui stesso definito un “attivista”.
Un buffone di prima categoria. Andrei alle sue riunioni solo per controbattere alle sue bizzarre idee anti-conformiste. Che poi di anti-conformista non hanno proprio niente, a quanto ho capito da tutto ciò che mi racconta Steve.
-Va bene, allora sai cosa ti dico? Vengo con te stasera. Vorrei proprio sentire cosa ha da dire questo Thompson!- esclamo alzandomi e andando in cucina.


Il fischio della teiera mi fa alzare di scatto dalla sedia di legno e paglia. Spengo il fornello, prendo le presine e porto la teiera sul tavolo. Mentre sto versando il the nelle tazze bianche di porcellana, sento il suono improvviso del campanello.
-Tesoro, vai tu?- urla mio padre dal salotto –Io sto montando la libreria!-
Già, sono tre giorni che sta dietro quella benedetta libreria. Ma perché non si fa aiutare da qualcuno?
-Sì, vado io!- grido di rimando correndo verso la porta, facendo ondeggiare la coda di cavallo.
Detto in tutta franchezza mi sarei aspettata chiunque.
Ma non lui.
Non dopo tre anni.
-Ciao bambina!-
Non è cambiato di una virgola. A parte l’orecchino da pirata al lobo sinistro. Stessa criniera, stessa voce che ti scioglie come burro al sole...stesso sguardo da marpione. Non sembra che siano passati tre anni.
-Robert!- esclamo con voce soffusa, con la mano ancora appoggiata alla maniglia della porta. E la bocca spalancata.
-Lily, io vado- Steve mi raggiunge alla porta riportandomi alla realtà. –Salve!-
-Ah...Robert, lui è Steve, un mio compagno d’università. Steve, lui...lui è Robert-
-Ciao- lo saluta Robert stringendogli la mano.
-Piacere! Lily, allora ci sei stasera?-
-Cosa?- gli domando distrattamente.
-Alla riunione. Avevi detto che ci saresti stata...-
-Ah sì...- lo interrompo dopo essere ricordata finalmente cosa gli avevo promesso di fare -io...io non lo so. Ci penso, poi in caso ti raggiungo-
-Ok. Allora ciao-
-Ciao...-
Lo guardiamo allontanarsi per poi sparire dietro l’angolo della via.
-Vuoi entrare?- domando a Robert riattirando la sua attenzione.
-Grazie!- esclama lui facendosi largo.
-Esci con quello?-
-Cosa? No! Steve è solo...è solo un compagno di studi...-
Non sembra molto convinto dalla faccia che ha fatto.
-Come hai trovato il mio nuovo indirizzo?- gli chiedo cambiando argomento.
-Lo sai che se voglio qualcosa faccio di tutto per ottenerla-
Ecco. L’ennesima conferma che non è cambiato di una virgola.
-Da te a tua madre, da tua madre a Peter...e involontariamente da Peter a me-
Improvvisamente mio padre entra nella stanza con la giacca in mano.
-Lily, chi era alla po...salve!-
-Emh, Robert questo è mio padre. Papà lui è Robert, un mio...amico-
-Ah!- esclama mio padre stringendogli la mano e squadrandolo da capo a piedi –Io sono Jack-
-Salve!-
Che situazione imbarazzante! Basta che mio padre non se ne esca con qualche domanda inopportuna.
-Bene, tesoro io sto andando a comprare dei chiodi nuovi per quella maledetta libreria-
-Ok-
-Ci vediamo dopo. Robert, rimani a cena?-
No. No. Ti prego, dì di no.
-No grazie, mi aspettano a casa-
Grazie al cielo!
Papà annuisce, con lo sguardo un po’ perso e alla fine esce definitivamente, lasciandoci soli nel silenzio del salotto di casa mia.
-Accomodati!- esclamo dopo un po’ –Scusa il disordine, ma tra quattro giorni devo ridare un esame e...-
-“Ridare un esame”?! Lily Brandon che si fa bocciare ad un esame? Sei davvero cambiata!-
-Mi hanno bocciata perché ho risposto male al professore, non perché non sapessi le cose-
Precisiamo!
-Scusami!- ridacchia divertito, sedendosi al tavolo  –Ritiro ciò che ho detto!-
-Perché sei venuto qui?-
Leva lo sguardo dai miei libri universitari  e lo posa su di me.
-Dovevo vederti-
-Dovevi o volevi?-
-Entrambe le cose. Speravo di vederti l’anno scorso al concerto a Earls Court-
-Ero tentata di venirci- ammetto –Jonesy me l’ha chiesto tante volte. Ma non ce l’ho fatta, sarebbe stato uno sbaglio-
-Aspetta un attimo...che vuol dire che Jonesy te l’ha chiesto?-
Tiro un sospiro profondo e infine decido di confessarglielo.
-Ci siamo telefonati in questi anni. Gli avevo fatto promettere di non dirtelo perché sapevo che avresti fatto di tutto per cercarmi-
-Ti ho trovata comunque-
Lentamente si alza dalla sedia e, sostenendo il mio sguardo, si avvicina a me.
-E non me ne andrò tanto facilmente-
Dio, come mi è mancato il suo odore.
-Robert, ti prego...-
No. Non devo cascarci una seconda volta. Ma lui non mi dà tempo di allontanarmi poiché mi prende il mento con le dita, girando il mio viso verso il suo.
E non mi è mancato solo il suo odore, ma anche il sapore delle sue labbra, la stretta delle sue braccia, la morbidezza dei suoi capelli e la sensualità della sua voce.
Mi è mancato il modo in cui, anche con un semplice bacio, mi fa sentire donna.
Mi è mancato tutto di lui, anche se non voglio ammetterlo.
Il rumore delle chiavi che aprono la porta di casa interrompono l’idillio, riportandoci alla realtà.
-Ho dimenticato il portafoglio in...ho interrotto qualcosa?-
-No!- esclamo ricomponendomi un po’ –Robert se ne stava andando. Grazie della visita-
-Di nulla, figurati- risponde reggendomi il gioco, mentre lo accompagno alla porta.
-Ti rivedrò?- mi domanda, una volta varcata la soglia, avvicinando il suo viso al mio.
-Robert, io non...-
-Quando hai l’esame?-
-Giovedì...tra quattro giorni-
-Sei libera questo weekend?-
Dì di no. Dì di no.
-Sì!-
Complimenti!
-Ti va...ti va di venire in un posto con me? Per qualche giorno...-
-Sì!- annuisco con voce tremula.
-Allora ci vediamo giovedì- dice prima di stamparmi un bacio sulla fronte  -Ciao piccola!-
-Ciao...- lo saluto chiudendomi la porta alle spalle.
Papà è fermo davanti a me, col portafoglio in mano. Ha capito tutto, me lo sento.
-Sei sicura che sia solo un amico, Lily?-
-Papà...-
-Non voglio rimproverarti, voglio solo...capirti-
-Anche io vorrei capirmi. Il problema è che io quando sono con lui non mi riconosco più. Da quando...- mi fermo in tempo prima che possa dire altro.
-“Da quando” cosa?-
Che faccio? Glielo dico?
Alzo lo sguardo su di lui. Mi guarda con un’espressione strana. Di un padre che non capisce a pieno la figlia che ha imparato a conoscere in tre anni. L’espressione di  un padre preoccupato.
-Io e Robert abbiamo avuto...una relazione di una notte...tre anni fa. Ma poi è finita lì-
-Ti ha fatta soffrire?-
-No...sono io che ho fatto soffrire lui-
-Senti...ne riparliamo stasera, ok?-
-No, ti prego-
-Voglio che tu sappia una cosa Lily: di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, qualsiasi cosa tu voglia dirmi...papà c’è. Va bene?-
-Ok- rispondo abbracciandolo.
Qualche minuto dopo il mio morale è un po' come la nostra libreria: a pezzi. Nonostante i chiodi, e gli sforzi di mio padre, il lavoro non è ancora finito. Lui è uscito nuovamente, vuole consultarsi con un amico, così io sono rimasta sola in casa, e non ho nessuno da consultare. E tra le altre cose devo ancora preparare la cena per entrambi.  Mi sento un po' stupida: ho risposto in modo troppo diretto a Robert, accontentando il mio cuore e spegnendo il buon senso. Ma perché ho accettato? Cosa mi ha spinto? Credo di saperla la risposta, ma sento una morsa allo stomaco anche solo nel pensarla. Diamine, dovrei essere felice che lui sia passato, che pensi ancora a me dopo tutto questo tempo in cui non ci siamo né visti né sentiti. E poi cosa sarà mai un weekend? Un po' di distrazione e spensieratezza, lontana dai libri, non potrà che farmi bene.



Messaggio ai lettori:
* Allora, ho fatto le mie ricerchine: a quanto pare in Inghilterra, la media al di sopra del 70 è come il nostro 30 e lode (sta secchiona!)
Il personaggio di Penny è un omaggio ai Beatles, gruppo che stra-adoro *-*
E sì...nel '76 Robert aveva l'orecchino °ç°
Appena vidi questa foto andai in tilt:




E poi mi capitò per caso questo video, https://www.youtube.com/watch?v=m_wtkJ8j1Uc  in cui l'orecchino si vede benissimo dal minuto 5:13
(:Q_____ MIODDIOOOOO)
Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ci leggiamo al prossimoooooooo :*

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Capitolo 35
*** Capitolo 33 ***


La grande categoria dei professori si suddivide a sua volta in altrettante due categorie: gli stronzi e i benevoli. I primi tendono a metterti i bastoni fra le ruote; non importa quale sia la tua media, non importa quanto impegno ci metti nello studio...se non gli vai a genio non c’è molto che tu possa fare.
I secondi sono spesso realmente interessati ai tuoi metodi di esposizione, tant’è che ti aiutano per far andare l’esame nel miglior modo possibile...e ovviamente sono i più rari.
Il bello poi è quando ci sono tutti e due ad esaminarti.
-Sì, signorina, la conosciamo già questa parte-
In realtà il vero esame da superare è tentare di rimanere calma e di non rispondere male un’altra volta alle provocazioni dell’ “esimio” professore.
E mentre illustro ai professori il diritto penale e le sue norme, il tonfo della porta dell’aula che si chiude mi fa voltare di scatto, interrompendomi. E lui è lì, che scende i gradini e si va a sedere su un banco, facendo ondeggiare la sua folta chioma bionda.
-Signorina?-
 E con un cenno della mano mi saluta, sorridente.
-Signorina?-
-Sì...scusate- balbetto rigirandomi verso i professori seduti alla cattedra, impazienti.
-Stava dicendo qualcosa sulla provenienza sociale dell'imputato...vuole spiegarsi meglio?- domanda il professore “benevolo”.
-Io credo sarebbe stato più giusto aggiungerlo ai pilastri del diritto penale-
-Signorina, lei non è qui per esporre i suoi pareri personali!- esclama l’altro togliendosi gli occhiali.
-No, invece a me interessa cosa ha da dire la signorina. Come avrebbe risolto dunque la questione?-
-Con un metodo più umanitario... senza il quale una società non può definirsi civile, e torna inevitabilmente ai secoli bui del medioevo-
E così inzio a parlare delle mie idee in proposito, sotto lo sguardo interessato del professore che sorride compiaciuto e che mi interrompe dopo un quarto d’ora esclamando: - Per me va bene così: la lode è sua. Complimenti!-
Prendo in mano il mio libretto con aria soddisfatta e mi alzo dalla cattedra stringendo la mano ai professori, per poi raggiungere Robert all’atrio dell’aula.
-Che ci fai qui?-
-Sono venuto a prenderti, no?-
-Pensavo venissi a casa-
-E invece ho voluto farti una sorpresa. Come è andata?-
-Bene-
-La lode te l’hanno data?-
Annuisco sorridendo, mentre lui si offre per portarmi i libri.
-Allora stasera festeggiamo!-
-Dove mi porti?-
-E’ una sorpresa-
-Passiamo da casa prima? Così poso i libri e preparo la borsa...in questi giorni non ho avuto il tempo di farlo-
-Va bene. Ma non penso ti serviranno i vestiti- sussurra avvicinandosi al mio orecchio.
Come fa? Come fa a sedurmi con così poco?


-E quando torni?- domanda mio padre appoggiandosi allo stipite della porta.
-Fra qualche giorno...forse lunedì- rispondo distrattamente mentre infilo in una borsa i primi indumenti che mi capitano.
-Lily...-
-Papà, ti fidi di me?-
Rimane qualche secondo a fissare il pavimento, con le braccia incrociate sul petto.
-Sì-
-Allora non devi preoccuparti di nulla-
-Voglio solo che...stai attenta! ok?-
Annuisco guardandolo negli occhi e gli stampo un bacio sulla guancia, poi torno alla mia borsa.
In bagno mi do un’ultima occhiata allo specchio. Sciolgo i capelli e metto un po’ di rossetto rosso sulle labbra. Poi torno in camera, prendo la borsa e scendo di sotto.
Papà e Robert sono all’ingresso, che mi aspettano in silenzio.
-Sono pronta!-
-Ti porto la borsa in macchina?- domanda mio padre.
-Non serve, grazie-
-Bene, allora...divertiti!-
Annuisco abbracciandolo forte. Quando ci sciogliamo dall’abbraccio papà si avvicina a Robert tendendogli la mano.
-Ehi... Trattala bene, eh!-
-Certamente!- esclama lui stringendogliela.
La macchina di Robert è parcheggiata di fronte al vialetto di casa mia. Un’Alfa Romeo Montreal del ’70 color rosso fuoco. Robert mi apre il portabagagli, metto la mia borsa dentro ed entrambi montiamo in macchina. Papà ci guarda dalla porta e mi saluta con un cenno di mano al quale ricambio.
-Sono contento che tu abbia accettato di venire- mi dice Robert mettendo in moto la macchina.
-Non me lo sarei mai perdonato se ti avessi detto di no-
Sorride stampandomi un bacio sulle labbra, tenendomi fermo il mento con le dita.
-Allora...- annuncio poi leccandomi le labbra –adesso posso sapere dove stiamo andando?-
-No!- esclama con un sorriso beffardo -Non lo saprai fino a che non arriviamo-
-E quanto ci vuole per arrivare?-
-Mmh... Quattro ore come minimo-
Sgrano gli occhi, stupita. Quattro ore?
-Stai tranquilla...voleranno!-
-Mi stai sequestrando?-
-Non sarebbe una cattiva idea...se servisse a tenerti con me per sempre-
-Sarebbe impossibile e lo sappiamo...e non possiamo farci niente-
-Non possiamo fare niente a parte goderci questi giorni solo per noi due-
Dio come ha ragione! Detesto ammetterlo, ma è così.


Passiamo i primi sessanta minuti a parlare degli ultimi tre anni passati. Io gli racconto dell’università e della vita con papà e lui mi parla dei tour e di quanto avrebbe voluto che io ci fossi stata.
Ci fermiamo ad una stazione di servizio per fare il pieno e per mangiare qualcosa e ci rimettiamo subito in marcia. Tra noi due cala il silenzio, che viene subito riempito dalla musica della radio. Ma non ci faccio molto caso poiché in meno di qualche minuto cado in un sonno profondo.
Quando mi risveglio, il paesaggio attorno a noi è cambiato, e le città che si vedevano in lontananza hanno lasciato il posto alla campagna e alle sue cittadine.
-Quanto ho dormito?- domando stropicciandomi gli occhi.
-Più o meno due ore e mezza. Ti sei persa “Good Times Bad Times” alla radio-
-Ops! In qualche modo rimedierò- dico sistemandomi sul sedile -Ma dove siamo?-
-In Galles. Siamo vicino Machynlleth. Ci sei mai stata?-
-No-
-Meglio così!-
-Mi hai portata in un paesino sperduto del Galles?-
-No, non proprio!- esclama ridendo.
-E allora dove?-
-Proprio non ci arrivi, eh?!-
-No!-
-Abbi pazienza e lo scoprirai-
Mezz’ora dopo arriviamo a questa benedetta Machynlleth, e ci fermiamo in un negozio di alimentari per comprare qualcosa da mangiare in questi giorni.
-Quanto manca?- domando salendo in macchina insieme alle buste della spesa.
-Poco: un quarto d’ora più o meno-
-Meno male! Non sto più nella pelle!-
Appena usciti dal paese, davanti a noi si staglia la più bella campagna che io abbia mai visto. Il verde dei prati e degli alberi si mischia con l’azzurro-grigio del cielo, dando al tutto un’atmosfera quasi onirica.
Apro il finestrino per lasciar entrare la fresca brezza di maggio, che porta con sé l’odore dell’erba appena tagliata.
L’asfalto finisce quando giriamo in una stradina sterrata che passa in mezzo ad un boschetto. Nonostante il rumore del motore riesco a sentire in lontananza il dolce scroscio di un torrente.
Sopra un sasso, posto sotto a un albero, c’è una scritta che dice “Bron-yr-aur” con tanto di freccetta.
E alla fine della strada si erge una casetta in pietra con una porta blu.
-Siamo arrivati!- esclama Robert spegnendo il motore davanti ad essa.
Scendo dalla macchina con la bocca aperta. Di certo mi aspettavo tutto, ma non questo.
-Robert, è... è bellissima!-


Nota dell'autrice: Bene bene bene. Ve l'aspettavate? :D Spero di no <.<
Per chi non lo sapesse Bron-Yr-Aur è una casetta che appartiene alla famiglia di Robert, nella quale sono state composte la maggior parte delle canzoni dei Led Zeppelin. Ed eccola qua:




(Quanto mi piacerebbe andarci!!!! ç_ç)
Per quello che riguarda la macchina di Robert non so se avesse davvero quella, ma credo di no, così ho voluto inventarmene una (ringrazio Cerys Petrichor per avermi aiutata...dovrebbero farti santa :'D)

Vabbè, spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^
Ciaoooo :*

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Capitolo 36
*** Capitolo 34 ***


-Da quant’è che non vieni qua?-
-Da qualche anno- risponde forzando la serratura della porta con la chiave.
-Ci sarà un bel lavoro da fare allora!-
Finalmente la porta si apre con un sonoro clack e un forte odore di polvere e di chiuso mi pervade le narici non appena metto piede nel cottage. I mobili sono coperti da delle lenzuola bianche e il soffitto è pieno di ragnatele.
-Ci aspetta un bel pomeriggio!- esclamo sarcastica aprendo le ante in legno di una finestra, così da far entrare un po’ di luce.
-E speriamo di finire entro stasera! O mi hai portata qui solo per aiutarti a pulire casa?- aggiungo, sempre con ironia.
-Se anche fosse ti darei un compenso per il disturbo- replica maliziosamente.
-Sei fortunato comunque: non mi dispiace fare le pulizie di casa-
Si avvicina con passo felpato al mio orecchio sussurrando: -Allora il compenso te lo meriti tutto-
Il suo respiro che mi sfiora il collo mi dà un brivido di piacere che mi percuote tutta la schiena, arrivando alle gambe.
-Ma non adesso...-
Si avvicina poi ad una porticina nascosta sotto le scale dalla quale estrae una vecchia scopa di saggina, vari strofinacci per la polvere e qualche prodotto per la pulizia.
Così dedichiamo tutto il pomeriggio a pulire l’intera casa, rimuovendo la polvere ovunque, le ragnatele dagli angoli delle pareti, un alveare dal caminetto, e anche una specie di formicaio in cucina.
Solo verso sera, quando finiamo, mi rendo conto di quanto calda e accogliente sia la casa di Robert.
Il soffitto e il pavimento sono formati da travi di legno e tutto l’arredamento è in pefetto stile countryside inglese.
Nel soggiorno ci sono un divano e una poltrona, entrambi ricoperti da un romantico rivestimento floreale, poggiati su un grande tappeto beige. Su un comò in legno massello, tra le varie argenterie, si erge un maestoso e non più lucido grammofono anni ’20 circondato da vecchi vinili. E per concludere, accanto a un rustico caminetto in pietra, un antico orologio a pendolo, ancora funzionante.
-Sono le 9:30 passate- annuncia Robert –Che ne dici se prepariamo qualcosa da mangiare? Poi ti faccio vedere meglio il resto della casa-
-Ok-

Anche la cucina rispetta lo stesso tipo di arredamento del soggiorno e della casa in sé. Il tavolo, posto al centro della stanza, è in legno ridipinto con una vernice verde, che divide un’enorme credenza ottocentesca piena di stoviglie in porcellana, dalla cucina in legno bianco.
-Dì un po’...- annuncio entrando dall’arco in mattoni che separa la cucina dal soggiorno –Ci porti tutte le tue amanti qui?-
-Solo quelle carine- replica mentre apparecchia la tavola –E quelle intelligenti... e anche quelle che fingono sempre di essere disinteressa...-
-D’accordo! Ho capito!- esclamo avvicinandomi al tavolo per aiutarlo ad apparecchiare.
-Ci veniamo per scrivere le canzoni- puntualizza quando iniziamo a mangiare –Questo posto è una fonte inesauribile di ispirazione. E poi c’è pace, tranquillità... è perfetto!-
-Ci vieni da molto, vero?-
-Da quando ero piccolo. Io e la mia famiglia passavamo qui le vacanze-
-Sì, ho visto le foto al piano di sopra-
In effetti è così: la casa è piena di vecchie fotografie di famiglia, poste su vecchi mobili o appese alle pareti a mo’ di quadri.
-E’ bello qui...- aggiungo poi –Mi piace davvero molto-
Non appena finiamo di mangiare, ci alziamo entrambi dalle sedie pronti per sparecchiare.
-No, lascia!- esclama Robert   -Faccio io, tu sei l’ospite-
-Sei sicuro?-
Annuisce.
-Allora visto che sono ancora un po’ impolverata vado a farmi un bagno-
Robert mi rivolge un ghigno prima di osservarmi uscire dalla cucina.


-Avanti!- pronuncio mentre, seduta nella vasca, giocherello con la schiuma da bagno.
Robert entra, tenendo in mano una pila di asciugamani.
-Ti ho portato qualcosa per asciugarti-
-Grazie, poggiali qua- gli dico indicando un punto accanto a me ai piedi della vasca.
-Sai, stavo pensando che...anche io avrei bisogno di un bagno caldo...-
-Ho quasi finito!- replico, sapendo perfettamente dove vuole andare a parare. Ma è così divertente provocarlo!
-Se c’è una cosa che non sopporto...- dice appoggiando le mani sulla vasca -...sono gli inutili sprechi d’acqua-
-E quindi?- domando guardandolo negli occhi, accesi di desiderio.
-Quindi... – si leva i vestiti e li lancia a terra con un sonoro tonfo  -Fammi spazio, dolcezza!-
La vasca è decisamente troppo piccola per tutti e due...ma chi se ne importa!
Robert si siede dietro di me cominciando a stamparmi dei baci sul collo e sulla spalla.
Ci ritroviamo poi faccia a faccia a sostenerci lo sguardo a vicenda, mi prende per i fianchi e mi fa sedere sulle sue gambe e non posso non far caso alla sua immediata erezione, premere contro il mio inguine.
-Ti voglio! Ora!- mugugna con voce colma di lussuria, toccandomi ovunque.
Con un rapido movimento mi penetra inziando a spingere sempre di più, sempre più famelico.
Gli unici rumori che fanno da cornice al tutto sono il frinire dei grilli, i nostri gemiti e l’acqua della vasca che viene smossa dai nostri movimenti.
Un’altra spinta.
Due.
E un’altra.
E un’altra ancora...
Mi aggrappo alle sue spalle, disperata. Mi sta facendo diventare matta.
Veniamo insieme. Lui sorride, appagato.
-Ti amo-

La mattina seguente vengo svegliata dal cinguettio di un passerotto che saltella sul davanzale della finestra. Mi metto a sedere sul letto guardandomi attorno. La stanza è illuminata dai raggi solari che filtrano attraverso il vetro della finestra e mettono in risalto la carta da parati giallo chiaro, i mobili in legno e il letto a baldacchino, rivestito da una morbida coperta a fiori.
Sono sola però, circondata dal silenzio.
-Robert?-
Nessuna risposta. Non sento nemmeno il rumore dell’acqua dal bagno.
Scendo dal letto, mi vesto e scendo di sotto.
Robert è in cucina a prepare dei sandwich.
-Ciao!- lo saluto con la voce ancora assonnata.
-Buongiorno!- replica voltandosi di scatto –Come va?-
-Sono...felice-
-Molto bene, perché presto scoppierai dalla gioia!-
-Perché?-
Ma lui invece di rispondere alla mia domanda mi dice di prendere “quel cestino sulla sedia, sopra la coperta in patchwork”.
Faccio come mi dice, aggrottando le sopracciglia e gliela porgo. Il cestino è il tipico cestino da picnic, in vinimi, foderato all’interno da una stoffa a quadretti rossa e bianca.
-Facciamo una scampagnata?-
-Già... ti piace l’idea?-
-Assolutamente! Vuoi che ti dia una mano?-
-No, ce la faccio da solo-
-Ok, allora vado a finire di prepararmi-

I raggi tiepidi del sole che ti baciano il volto, il vento fresco che ti accarezza i capelli, il cielo terso... e poi verde, verde ovunque. Questa è la mia idea di posto perfetto. Il posto in cui vivrei il resto dei miei giorni. Come scrisse Tolstoj in La felicità domestica: “Credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. [...] E poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità.”
E poi lui.
Lui che mi porta in una radura attraversata da un tranquillo ruscello che scorre placido.
Ci sediamo ai piedi di una quercia e mangiamo, parliamo, ridiamo, scherziamo... ci amiamo.
Lui mi suona qualche canzone con la sua armonica a bocca e io gli leggo il mio libro di poesie di Keats, con la testa appoggiata sulle sue gambe. Il pomeriggio più bello della mia vita. Robert mi canta Tequila Sunrise degli Eagles e San Francisco di Scott McKenzie mettendomi un fiore tra i capelli, mi insegna a fischiare usando i fili d’erba, a far rimbalzare i sassi sull’acqua e insieme rimaniamo sdraiati sulla coperta, con gli occhi rivolti verso il cielo, cercando di indovinare a cosa somigliano le nuvole, e andiamo alla ricerca di rovi di more. Fino al calare del sole, quando, una volta raccolte le nostre cose, ci incamminiamo verso casa, mano nella mano, ammirando il paesaggio che ci circonda, inondato dalla calda luce del tramonto.

Robert mi spinge contro il tavolo della cucina, premendo la sua lingua contro la mia, e mi ci fa sedere sopra, divaricandomi le gambe, mentre con le mani esplora ogni centimetro del mio corpo, come se dovesse trovare un punto ancora sconosciuto. Le infila sotto la mia maglietta cercando il contatto con il mio seno, mentre le mie si insinuano velocemente nei suoi pantaloni.
-Andiamo di sopra?- sussurra con voce roca.
-Sì-
Il resto poi viene da sé. Robert mi trascina più volte sull’orlo dell’orgasmo, facendomi impazzire sempre di più. Mi guarda, mi tocca, mi bacia, mi lecca, mi penetra...sempre più affamato, chiamandomi “bambina”, “piccola” tra un gemito e l’altro. Finché entrambi non cadiamo sfiniti e appagati sul materasso, beandoci e contemplandoci l’un l’altro, nel suono dei nostri sospiri, facendomi sentire in pace con me stessa.


-Manca ancora molto?-
-Siamo quasi arrivati, giusto qualche curva-
Mentre il motore romba guardo fuori, osservando tra gli alberi che crescono lungo la strada. Si intravede qualcosa, delle case mi sembra, e infatti dopo che la strada torna dritta, appaiono le prima abitazioni del paesino in cui ci siamo fermati due giorni fa, situato nel verde della campagna. Trattengo il fiato per l'emozione, è una visione veramente meravigliosa, come se l'uomo fosse finalmente riuscito a trovare la giusta armonia tra costruzioni e paesaggio.
-Eccoci!-
-E' cambiato tanto dalla tua infanzia?-
-Sai, è proprio come quei paesi in cui abitano poche persone, dove si conoscono tutti. Qui è come se il tempo non esistesse-
Proprio sul limitare della strada appare un piccolo parcheggio sotto gli alberi, dove Robert ferma la macchina.
-Questa non ci serve più, andremo a piedi-
-E cosa proponi di fare in questa giornata?-
-Vedrai- mi sorride sornione, con enigmatica seducenza  -Ti piacerà-
Mano nella mano ci incamminiamo dirigendoci verso il centro, mentre Robert comincia a raccontarmi tutto ciò che sa sulla storia del paese.
-Sai, Machynlleth ha una storia di quasi 5000 anni, già dall’Età del Bronzo...- e così passa poi a raccontarmi dell’epoca romana, arrivando a parlare poi di quando nel ‘400 divenne sede del Parlamento, per poi arrivare alla storia della Torre dell’Orologio, monumento tipico del borgo. Il tutto sotto il mio sguardo realmente interessato.
-Non sapevo conoscessi tutte queste cose-
-Non era poi così male Storia a scuola-
All’ora di pranzo entriamo in un’accogliente taverna e ordiniamo da mangiare, parlando del più e del meno, principalmente del loro ultimo album pubblicato, Presence, che ancora non ho avuto l’occasione di ascoltare.
Quando finiamo di mangiare Robert mi porta in un giardino, dove ci sono persone sdraiate all’ombra di un albero, ragazzi che parlottano felici tra di loro e bambini che fanno volare gli aquiloni.
-Dai papà, facciamolo volare!- esclama un bambino entusiasta del nuovo aquilone appena comprato dal padre a un chiosco ambulante.
-Hai mai fatto volare un aquilone?- domando a Robert con gli occhi fissi sul bambino.
-Qualche volta-
-Io no-
-Vuoi provare?-
Annuisco toccandomi le tasche cercando qualche spiccio e mi dirigo verso il chioschetto e ne compro uno arancione e verde a soli 50 penny.
Per fortuna c’è abbastanza vento, quindi forse ho buone probabilità di riuscita.
-Come funziona?-
Robert prende l’aquilone fra le mani, cercando di capire da quale parte soffi il vento.
-Tira il filo!- esclama.
Quando mi allontano abbastanza da avere il filo teso, Robert lancia l’aquilone in aria.
-Corri e tiralo dietro di te!-
E così faccio. L’aquilone prende subito il volo, seguendo il mio breve tragitto.
-E adesso?-
-Adesso lascia andare piano piano la corda, finché non raggiunge la giusta altezza-
E andiamo avanti così per tutto il pomeriggio, ridendo e scherzando... felici.
Ed è così anche al ritorno a casa al tramonto, consapevoli di aver passato giornate memorabili. Manca un solo giorno al ritorno a Londra. Poi riprenderemo le solite vite di sempre. 
Dopo essermi offerta di lavare i piatti della cena, raggiungo Robert fuori la porta. E’ seduto a terra, con la schiena appoggiata al muro, mentre fuma una sigaretta.
-Hai visto come si vede bene la Via Lattea da qui?-
Alzo gli occhi verso il cielo, annuendo, mi stringo nel cardigan e mi siedo accanto a lui, sull’erba umida. Robert mi accoglie tra le sue braccia e mi porge la sigaretta.
-Vuoi dare l’ultimo tiro?-
-No, grazie-
Così, dopo averlo dato lui, butta la cicca a terra e mi fa appoggiare la testa sul suo petto e insieme rimaniamo qualche minuto fuori, ad osservare il cielo e la sua maestosità.
-Che dici, rientriamo?- domando strofinandomi le mani.
-Hai freddo?-
-Un po’-
I suoi occhi si illuminano di colpo e gli angoli della bocca si piegano in su  -Io conosco un modo per combattere il freddo-
-Ah sì?- esclamo alzandomi in piedi.
-Sì. Vieni dentro che te lo mostro-

Il giorno seguente lo scroscio dell’acqua mi sveglia improvvisamente. Poso gli occhi sulla finestra davanti a me e noto che fuori piove. Robert dorme ancora, abbracciandomi da dietro, con una mano posata sul mio addome. Mi giro verso di lui, ritrovandomi col mio viso a pochi centimetri dal suo e con due dita gli accarezzo lentamente il volto, svegliandolo.
-Buongiorno...- mugola con voce ancora assonnata.
-Ciao!- esclamo io, radiosa.
Dopo qualche secondo si rende conto anche lui che sta piovendo.
-No, accidenti! Non ci voleva!-
-Beh, non è poi così male- esordisco io –Ci sono tante cose che avrei voluto fare oggi... tutte dentro casa-
-Ossia?- ghigna lui.
-Beh, ad esempio... ascoltare la musica, fare l’amore, crogiolarci fra le lenzuola...-
-Mmh, mi piace come ragioni, piccola!- si avvicina sempre di più a me e posandomi una mano dietro la schiena mi fa scivolare sotto di sé, le sue labbra che sfiorano il mio collo.
-Andiamo a fare colazione?- domanda di punto in bianco dopo avermi stampato un lungo bacio sulle labbra.
-Pensavo volessi fare altro-
-Abbiamo tutta la giornata per quello-
Dopo aver fatto un’abbondante colazione a base di uova, bacon, toast imburrati e the, stendiamo una grande coperta sul tappeto di fronte al divano. Poi Robert prende il suo vecchio giradischi da una delle stanze al piano di sopra e uno scatolone pieno di vecchi dischi.
-Sono tutti tuoi?- domando sbalordita.
-Già- annuisce fiero.
-Vediamo un po’ cos’hai...- inizio a spulciare i vinili tirandoli fuori dallo scatolone. Sono quasi tutti dei 45 giri.
-Gene Vincent e i Blue Caps... Muddy Waters...Robert Johnson...Willie Dixon!-
-Metti questo!- mi sfila il 45 giri dalle mani e lo mette sul giradischi e le prime note di una canzone blues si diffondono nell’aria e Robert inizia a cantare:

You know you shook me, you shook me all night long
Whoa you shook me, pretty mama, you shook me all night long.
Oh you just kept on shakin' me baby,
oh you done messed up my happy home.


Nel frattempo io continuo a frugare nello scatolone –Skip James... Bukka White...e poi Elvis, Elvis, Elvis e ancora Elvis... dì un po’, ti piace Elvis?-
-Da piccolo volevo essere come lui-
-Beh... ci sei andato vicino...-
Quando You shook me finisce cambio vinile, riposandolo accuratamente nella sua copertina, e metto Heartbreak Hotel. Robert si alza in piedi cominciando a imitare Elvis, sia nella voce che nei movimenti.

Well, since my baby left me
Well, I found a new place to dwell
Well, it's down at the end of Lonely Street
At Heartbreak Hotel

Where I'll be
I'll be there so lonely baby
Well, I'm so lonely
I'll be there so lonely, I could die

- Oh, questa mi piace!- esclamo quando anche il secondo disco finisce.
Alzo la puntina e cambio disco, inserendo Moonlight Serenade di Glenn Miller.
-Posso avere l’onore?- Robert mi porge la mano e mi fa alzare invitandomi a ballare nel salotto della sua meravigliosa casa di campagna.
Lascia scivolare l’altra mano sulla mia schiena, attirandomi a sé e insieme cominciamo a dondolarci in silenzio a ritmo di musica. Istintivamente poggio la testa sulla sua spalla, lasciandomi cullare da lui. Inspira profondamente prima di baciarmi il collo, per poi salire sulla bocca. Lentamente ci sdraiamo sul pavimento e io, in estasi tra le sue braccia, lascio che mi tocchi e che assapori la mia pelle. Con un rapido movimento mi spoglia dei pochi indumenti che mi coprono e li lancia via, per poi fare lo stesso con i suoi. Così ci ritroviamo avvinghiati l’una all’altro tanto da sembrare che i nostri corpi siano diventati uno solo. Con diligenza Robert comincia a passare la sua lingua ovunque: sul collo, sulle spalle, finendo poi sui miei seni. Affondo le mie mani fra i suoi ricci mentre la sua lingua e i suoi denti continuano a torturarmi i capezzoli.
Lo faccio risalire su di me e lo bacio appassionatamente sulle labbra.
-Sei mia!- esclama poi con un mugugno, prima di penetrarmi a fondo, deciso, emettendo un forte gemito. Mi aggrappo alle sue spalle, affondando le unghie nella sua schiena, non appena lo sento entrarmi dentro, “in tutta la sua lunghezza”. Comincia a spingere. Sembra ci provi gusto a sentirmi gemere, sempre più forte.
-Continua... Ti prego non smettere...-
Senza farselo ripetere due volte aumenta il ritmo con il quale si muove dentro di me. Ardiamo come il fuoco di un camino. I nostri respiri si fanno sempre più affannosi e raggiungiamo l’orgasmo insieme, gridando all’unisono. Robert si sdraia esausto accanto a me, accogliendomi fra le sue braccia. Il 45 giri ormai gira a vuoto sul giradischi da un bel po’. Il solo pensiero che tutto questo finisca domani mi fa stare male e una lacrima cade inevitabilmente sulla mia guancia.
-Che hai?-
-Non voglio andar via. Voglio rimanere qui-
-Lo vorrei anche io, piccola-


Il viaggio di ritorno a casa è stato straziante: montai in macchina con gli occhi lucidi e con la consapevolezza che probabilmente non avrei più rivisto quella casa. La vidi allontanarsi sempre di più, per poi sparire tra gli alberi fitti. Durante quasi tutto il tragitto nessuno dei due osò proferir parola. Me ne sono rimasta in silenzio, con le braccia incrociate, a guardare attraverso il finestrino.
Quando arriviamo davanti al vialetto di casa mia Robert spegne il motore e rimaniamo per qualche secondo immersi nel silenzio.
-Perché sei stata così silenziosa?-
-Pensieri...- rispondo guardando fisso davanti a me.
-Vuoi dirmeli?-
-Ho amato questi giorni, Robert. Più di quanto mi sarei aspettata. E sapere che non li potremo rivivere più...-
-Ma certo che li vivremo ancora! E saranno ancora più belli di questi. Non guardiamo eccessivamente al futuro. Godiamoci quello che abbiamo ora, focalizzarci sul presente, altrimenti rischiamo di vivere qualche cosa che potrebbe o meno avvenire, lasciandoci dietro qualche cosa che abbiamo a portata di mano qui ed ora-
Dopo qualche secondo di silenzio annuisco accennando un sorriso.
-Sì... hai ragione...-
Lentamente avvicino il mio viso al suo, baciandolo sulle labbra prima di scendere definitivamente dalla macchina.
-Ciao Robert...- lo saluto chiudendo lo sportello. Mi incammino con passo lento verso la porta di casa, trascinando la mia borsa e mi volto verso di lui un’ultima volta. Lui mi guarda negli occhi, con sguardo eloquente, mette in moto la macchina e se ne va. Mentre la sua auto volta l'angolo mi ritrovo a parlare a me stessa: in fondo va bene così. Sono stata bene, ed è questo ciò che conta, così come so perfettamente che non posso appartenergli per mia scelta. E' giusto così. E' stata una piccola deviazione dal mio percorso, di cui non mi pentirò mai in tutto l'arco della mia vita. Tiro fuori le chiavi e mentre apro la porta mi lascio andare ad un sorrisetto. Ora è il momento di tornare alla mia quotidianità, riprendendo la mia strada, senza Robert.


Nota dell'autrice: SONO VIVA!!! Non vi ho abbandonato, tranquilli xD E' che questo capitolo mi ha portato via taaaaaaaanto tempo e questo week-end ho avuto anche un po' da fare ^^"
Mi scuso per questo ritardo :( Odio non essere puntuale con gli aggiornamenti.
Vabbuò, spero che il capitolo vi sia piaciuto *3*
Alla prossimaaaaaaaa :*


Nessuno scopo di lucro per "You shook me" di Willie Dixon e "Heartbreak Hotel" di Elvis Presley

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Capitolo 37
*** Capitolo 35 ***


Aprile 1979

Il giorno seguente ricevetti una telefonata disperata di mia madre, che mi chiese dove fossi stata per quattro giorni di seguito in cui non mi feci sentire. Le mentii. Le raccontai di essere stata impegnata con lo studio, e che passai quei giorni chiusa in biblioteca o a casa di compagni di corso. Ci credette. E ancora adesso non conosce la verità, sebbene la mia storia clandestina con Robert durò un anno intero. Ci incontravamo quando potevamo in una stanza d’hotel, l’unico luogo dove potevamo amarci liberamente. Nessuno seppe niente di questa relazione, a parte mio padre che, nonostante non gliel’abbia mai specificamente annunciato, aveva capito tutto da tempo e mi lasciava fare. Diceva che ormai ero grande e che era giusto che io decidessi cosa fare della mia vita.
Un anno meraviglioso. Ma sapevamo che la nostra storia non era destinata a durare. Alla fine del marzo 1977 presi la decisione più drastica della mia vita:
-Dobbiamo finirla qui. Non possiamo vederci di nascosto ancora per molto. E poi tu tra qualche giorno parti... e io non ti rivedrò più per sette mesi!- esclamai tra le lacrime.
-Ma tornerò da te!-
-No, Robert... tu tornerai da tua moglie... e dai tuoi figli-
-Vieni con me allora. Come quattro anni fa-
-Non posso. Ho l’università. E poi il divertimento non ti mancherà e di conseguenza nemmeno io. Credimi, è meglio così per tutti e due-
Rimase in silenzio, guardando fisso davanti a sé.
-E se... e se ci riprovassimo al mio ritorno? Magari le cose cambieranno...-
-Forse...-
Ma niente andò come avevamo previsto.
Il 26 luglio ricevetti una telefonata da Peter.
-Torniamo a casa- mi disse, con voce fredda e distaccata.
Non chiesi neanche il motivo. Rimasi muta, con la cornetta del telefono attaccata all’orecchio mentre sentivo mia madre in sottofondo piangere esclamando “Che tragedia!”.
-E’ morto il figlio di Robert-
In quel momento provai dei terribili sensi di colpa. Avevo rubato il tempo che Robert avrebbe dovuto dedicare ai suoi figli... e ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Il giorno del funerale me ne rimasi in disparte, vestita nel mio abito nero e un cappello a falda larga a coprirmi mezzo volto, accanto a mia madre che pianse per tutto il tempo.
Nella chiesa, a sovrastare i mormorii dei presenti, c’era il pianto disperato di Maureen che si struggeva sulla spalla di Robert. Quella fu la prima e l’ultima che vidi la donna a cui rubai l’uomo. Fu allora che capii che io non c’entravo niente nella vita di Robert. Era arrivato il momento di farsi da parte definitivamente. Lui doveva badare alla sua famiglia... o a quello che ne rimaneva.
Mi presentai a lei come “la figliastra di Peter Grant”.
-Mi dispiace tanto- mormorai stringendole la mano. E non mi riferivo solo alla morte del figlio. Ma questo lei non lo sapeva.
Annuì tenendo lo sguardo rivolto verso il basso, con il volto devastato dalle lacrime.
Robert sedeva su una sedia, assente, circondato dagli amici più cari che avesse, tra cui Bonzo, che gli stava vicino tenendo una mano sulla sua spalla. Ancora oggi rimpiango di non essermi seduta accanto a lui a consolarlo. Ma in fondo è meglio così.
-Ehi ciao- mi salutò una voce alle spalle.
Mi girai, per capire chi fosse.
-John, ciao!- Jonesy mi abbracciò calorosamente.
-Dio, che cosa orribile...- aggiunse –Un bambino così piccolo... non è giusto!-
-Già...- fu tutto quello che riuscii a dire.
Qualche mese dopo, mi ritrovai sola in macchina con Steve, che mi riaccompagnava a casa da una serata passata al cinema.
-Steve?-
Alzò lo sguardo verso di me, con aria preoccupata.
-Fidanziamoci!-


Pensavo che questo fidanzamento improvviso avrebbe risolto ogni problema. Pensavo che Steve sarebbe riuscito a colmare il vuoto  che avevo dentro. Ma mi sbagliavo. Steve è un gran bravo ragazzo, ma il nostro è sempre stato un rapporto di tipo intellettuale... e io sono stata talmente stupida da confondere le cose. Lui invece ha preso la cosa più seriamente, tant’è che in questi anni mi ha proposto più volte di sposarlo. Al che io ho declinato rispondendo “Non affrettiamo le cose. Abbiamo tanto tempo”.
-D’accordo- rispose lui, rassegnato –Se vuoi possiamo aspettare la tua laurea prima di riparlarne-
Già... la mia laurea...
Il giorno tanto agognato è finalmente arrivato.
Mia madre l’ha presa come l’evento del secolo, tant’è che ha organizzato una festa in grande stile, nel giardino di casa, invitanto una marea di persone tra cui parenti, amici...e loro. Ha pensato anche al mio vestito: un tailleur bianco e nero, lungo fin sopra il ginocchio, tutto confezionato a mano da lei stessa.
Neanche stessi per sposarmi veramente.
-Ahia!- esclamo in piedi su un piedistallo mentre mia madre, con ago e filo, finisce le rifiniture del vestito.
-Stai ferma!-
-E’ tardi. Voglio andare a dormire visto che domani mi laureo! E abbiamo già perso troppo tempo con questo vestito-
-Ho quasi finito-
Mentre mia madre infila pericolosamente, almeno dal mio punto di vista, uno spillo nella stoffa, ecco che la porta d'ingresso si apre e vedo Peter entrare con alcune grosse buste tra le braccia.
-Allora?! Come sta la nostra quasi neo-laureata?-
-Nervosa e stanca!- rispondo io a braccia incrociate.
- E dai, lasciala andare a dormire! Domani è un giorno importante per lei!-
-Ecco vedi? Anche Peter lo pensa-
-Appunto! Proprio perché è un giorno importante deve essere tutto perfetto. E meno male che hai già un lavoro! – aggiunge poi.
Già.
Un anno fa io e mio padre ricevemmo la visita di un avvocato, suo vecchio amico del liceo. Durante la cena mi propose di andare a lavorare nel suo studio legale.
-Ma io non sono ancora laureata- precisai.
-Non ti sto offrendo un lavoro come avvocato, Lily... ti sto offrendo un lavoro come mia assistente-
Rimasi senza parole per qualche secondo, salvo poi accettare la sua proposta senza se e senza ma. Così oggi, grazie al cielo, mi trovo già con un lavoro sicuro e un bel po’ di esperienza.
Sospiro mentre il mio patrigno poggia le buste sul tavolo e vedo che si ferma ad osservare qualcosa: la prende tra le mani e, solo ora che l'ha alzata, riconosco il fascicolo che mi ha accompagnato ovunque andassi negli ultimi periodi. La mia tesi di Laurea.
-E questa?-
-La mia tesi-
La apre, sfogliandola.
-“La donna come soggetto giuridico”... L’hai scritta tutta tu?- chiede sbalordito.
-Chi altri?!- esclamo facendo spallucce  -Abbiamo finito?- domando poi a mia madre.
-Sì!- risponde strappando il filo con i denti.
-Posso andare adesso?-
-Sì...- sospira rassegnata.
-Buonanotte!-
Corro di corsa nella mia vecchia camera sfilandomi il vestito di dosso e riponendolo con cura nell’armadio.
Per questa notte ho deciso di rimanere a dormire qua, ma da domani ritorno a casa di mio padre.
Dopo essermi cambiata e lavata mi infilo sotto le lenzuola. Come sospettavo il sonno non arriva subito, si lascia desiderare, e mi porta a pensare.
All’improvviso mi sento pervasa da molte sensazioni contrastanti, e al contempo vicine tra loro, dato che una parte di me è euforica e l’altra è inquieta: la prima è finalmente orgogliosa di aver raggiunto questo traguardo e di essere pronta al salto nel mondo del lavoro e delle aspettative future; l’altra ha paura di questo stesso salto, poiché vuol dire lasciare andare tutte le basi della mia vita attuale.
E poi c’è anche l’altra questione... quella a cui ovviamente penso da un po’ di tempo, che ha a che fare con il mio futuro. E ormai è tempo di prendere una decisione. Ci penso ancora per un po’ fino a che, senza rendermene conto, scivolo in un sonno profondo.

Quando riapro gli occhi ormai il sole filtra attraverso le tapparelle. Sono sveglia, particolarmente ispirata, e mi sento più sicura sul mio dubbio. Sì. E’ giunto il momento di fare un annuncio.


Note dell'autrice: Sì, lo so. Sto correndo come una furia. E' che, mi dispiace dirvelo, ma siamo quasi arrivati alla fine e non posso dilungarmi troppo D: Anzi, devo pure trovare qualche idea figa per i prossimi capitoli (e per il finale soprattutto :O).
Comunque, dopo 35 capitoli ho finalmente trovato la persona di cui prende il volto la madre di Lily:

Cora di Once Upon a Time




Bene gente, al prossimo capitolo!!! :*

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Capitolo 38
*** Capitolo 36 ***


-Congratulazioni, cara!-
-Grazie signora Smith!- esclamo stringendo la mano all’anziana vicina di casa, vestita con un elegante abito azzurro ornato di orchidee e un grazioso cappellino sulla testa.
-E pensare che io alla tua età ero già sposata e con un figlio!- dice orgogliosa.
-A proposito... a quando il grande giorno?-
-Emh...- Cosa? Lo sa già tutto il quartiere?  -In realtà... io non...-
-Oh, non ti preoccupare cara, hai tutta la vita davanti! Ti do un consiglio però: non lasciar aspettare troppo quel povero ragazzo- sussurra indicando Steve, intento a versarsi un bicchiere d’acqua al tavolo del buffet.
Annuisco nervosamente –Mi scusi- e mi allontano, lasciandola chiacchierare con altre persone.
-Ehi, Lily- una voce mi chiama alle mie spalle.
-Avvocato Phillips!-
-Volevo congratularmi con te per l’esame. 100 e lode non è da tutti. Sei stata fantastica!-
-Grazie avvocato-
-Basta con queste formalità... chiamami George!-
Annuisco sorridendo.
Il sole splende nel cielo, è una bellissima giornata e il giardino di casa è gremito di persone, molte delle quali non conosco nemmeno, considerando il fatto che ha organizzato tutto mia madre. Ed eccola lì, nel suo abito color lilla, con un calice di champagne in mano, che conversa felicemente con una coppia di suoi amici.
La raggiungo a passo svelto, toccandole un braccio per attirare la sua attenzione.
-Posso parlarti in privato?-
-Certo...-
-Scusateci!-
La porto in un posto isolato da tutti in modo da parlare faccia a faccia liberamente.
-Cos’è questa storia che tutti sanno del matrimonio?-
-Beh... mi sembrava carino dare la buona notizia...-
-Io non ho ancora dato il mio consenso!-
-Sono sicura che lo farai. E’ un peccato che una ragazza come te rimanga sola per tutta la vita- osserva accarezzandomi il mento con la mano sinistra, prima di congedarsi per ritornare alla sua chiacchierata.
Mi avvicino al tavolo prendendo una pizzetta. Mia madre insistette per ordinare un buffet straniero, optando alla fine per un catering italiano. Ci sono una marea di cose da mangiare ma la mia fame è pari a zero. Avrei preferito una cosa più intima, invece mia madre ha volto strafare come al suo solito.
Nel momento in cui mi volto vedo che Bonzo e Jonesy si avvicinano a me sorridendo e aprendo le braccia.
-Ehi ciao!- esclama Jonesy abbracciandomi –Sei stata... formidabile. Davvero!-
-Grazie-
-Come dovremmo chiamarti adesso?- domanda Bonzo stringendomi a sé –Signora dottoressa? Signora avvocatessa?-
-Chiamami Lily e basta-
Dietro di loro appare improvvisamente Robert, con un sorriso imbarazzato almeno quanto me.
-Ciao...-
-Ciao-
-Congratulazioni!- sospira stringendomi la mano, i suoi occhi che fissano intensamente i miei.
-Grazie-
-Alla fine ce l’hai fatta-
-Già...-
-Auguri per tutto-
Annuisco lievemente per poi spostare l’attenzione su Jimmy che compare accanto a lui.
I suoi complimenti sono freddi come il ghiaccio, così come la sua stretta di mano e il suo sguardo. E’ ancora più magro di quanto ricordassi. E anche molto più sciupato. Sembra così fragile nel suo completo beige, mentre tenta di nascondere questa sua debolezza dietro un paio di occhiali rossi.
-Grazie a tutti! Ora però scusatemi, devo purtroppo salutare altre persone di cui nemmeno ricordo il nome-
Mi allontano da loro e mi incammino verso il tavolo che ecco mia madre pararsi davanti a me con uno dei suoi sorrisi smaglianti. E una donna accanto a lei.
-Lily, tesoro, ti ricordi della signora Price?-
-Emh...certo!- esclamo dopo un attimo di esitazione mentendo spudoratamente, mentre la donna dalla strana acconciatura mi stritola la mano.
-Quanto tempo mia cara- risponde la signora Price –E’ da quella volta in cui io, tua madre e la signorina Webb ...- ma quello che lei continua a dire non lo sento nemmeno. Il mio sguardo si fissa in un punto alle sue spalle, vicino a un muro, dove intravedo Jimmy che mi osserva fisso, come il diavolo che vuole esaminarti l'anima, rigirandosi una chiave tra le dita. Presa alla sprovvista sposto per un attimo lo sguardo sulla signora, annuendo distrattamente al suo continuo blaterare, ma quando torno ad osservare il muro Jimmy è scomparso. Volatilizzato. Nel nulla.
Quando finalmente riesco a superare mia madre e la sua amica, ho a che fare con altri invitati e con il "fantasma" di Jimmy che continua ad apparire e sparire da un punto all'altro del mio giardino, ma sempre vicino a un luogo lontano da sguardi estranei. Ma non al mio.
Tutto ciò che vorrei fare ora però è stendermi. Ho mal di testa e un gran mal di piedi, a causa dei vertiginosi tacchi a spillo che sono stata costretta ad indossare. Mi avvicino velocemente alla porta di casa, tentando di evitare chiunque cerchi di fermarmi per farmi altri complimenti.
Varco la soglia di casa, chiudendomi attentamente la porta alle spalle. Ho bisogno di un’aspirina e di un divano. Non appena supero la porta del soggiorno trovo Jimmy disteso su una poltrona, mentre con le dita si massagia lentamente le tempie, ad occhi chiusi.
-Guarda che la festa è di fuori!- esclamo avvicinandomi a lui.
-Allora tu che ci fai qui?-
-Fino a prova contraria questa è casa mia-
-Fino a prova contraria entrambi odiamo questo tipo di feste-
Sospiro, portandomi una mano sulla fronte.
-E a quanto pare abbiamo entrambi mal di testa-
-Vuoi un’aspirina?-
-No grazie-
-Un bicchiere d’acqua?-
Ci pensa su un attimo e infine annuisce.
Entriamo in cucina uno dietro l’altra. Jimmy si siede su uno sgabello accanto al piano da lavoro e io mi reco verso il lavandino, apro lo sportello della credenza e riempio due bicchieri d’acqua, porgendogliene uno. Poi prendo un’ aspirina da un cassetto e la butto giù con un unico grande sorso.
-Dovrebbe essere un giorno felice per te- proferisce Jimmy mentre mi scruta dall’alto in basso –Eppure sembri triste-
Colpita.
-Ti sei mai chiesto se le scelte che fai abbiano un senso nella tua vita?- domando a voce bassa dopo qualche secondo di silenzio.
-Sì, a volte-
-E hai mai conosciuto la risposta?-
-Ti sei già pentita di aver preso la lode alla tua laurea?- domanda con fare ironico.
-No, certo che no! Ma non è quello il punto-
-Cosa ti scombussola, allora?-
-...Tante cose... Non so mai se sto per fare la scelta giusta. E io non voglio ferire nessuno. Non più-
D’improvviso si alza dallo sgabello, poggiando il bicchiere sul piano da cucina e si avvicina a me, fermandosi a qualche centimetro dal mio viso.
-Qualsiasi scelta tu farai sappi che ci sarà sempre qualcuno che ne risentirà... tu compresa-
-Non ti facevo così cinico-
Mi prende il viso con le mani, attirandolo lentamente verso il suo -Questa è una cosa che ci accomuna-
Trattengo il fiato mentre le labbra di Jimmy si gettano sulle mie in un bacio rude, greve, ma comunque in grado di lasciarti mille sensazioni che ti pervadono il corpo e l’anima. E con questo bacio sento di avergli appena venduto la mia di anima. Una seconda volta.
D’improvviso sento il rumore della porta principale che sbatte.
-Lily?-
Cavolo. E’ Steve.
Con uno scatto mi allontano da Jimmy, appena in tempo per evitare di essere colta in flagrante quando Steve apre la porta della cucina.
-Ah, sei qui-
-Sì... aveva bisogno di un’aspirina e...- balbetto indicando Jimmy che mi osservava quasi divertito.
-Ah... beh... posso parlarti di una cosa di estrema urgenza? In privato...-
-Certo-
Jimmy coglie al volo il messaggio e si avvicina alla porta, non prima di avvicinarsi al mio orecchio per sussurrarmi: -A proposito... sei molto sexy vestita così-
Sbigottita rimango a fissarlo mentre esce dalla cucina, poi sposto lo sguardo verso Steve.
-Di cosa devi parlarmi?-
Domanda inutile. So perfettamente di cosa.
-E’ che... è passato tanto tempo dall’ultima volta che ne abbiamo parlato... ma ora voglio una risposta definitiva- il suo tono di voce è serio e convinto –Lily... mi vuoi sposare?-
Ecco.
Lo sapevo.
E ora?


Con un sonoro tonfo mi accascio sulla poltrona, togliendomi le scarpe. Il sole sta scomparendo dietro le case londinesi e finalmente anche l’ultimo invitato se ne è andato.
-Rimani a dormire qui?- domanda mia madre entrando in salotto.
-No. Torno da papà-
Annuisce silenziosamente ed esce. Mentre sto per alzarmi noto qualcosa caduto ai piedi della poltrona: una chiave d’albergo accompagnata da una piastrina dorata luccicante con sopra scritto il nome dell’hotel.
In pochi istanti realizzo che questa chiave l’ho già vista qualche ora fa nelle mani di Jimmy.
Non ci penso due volte. Mi alzo e prendo il cappotto dall'attaccapanni. Blatero qualche saluto a mia madre e a Peter ed esco fuori, andando incontro al fresco della sera. Mi rigiro la chiave tra le mani mentre percorro il vialetto. Mi ci vorrà sicuramente un taxi. Anche perché ho ancora i tacchi a spillo.


-Salve!- saluto la signorina alla reception che si toglie gli occhiali non appena alza gli occhi su di me.
-Buonasera!-
-Un vostro cliente, il signor Page, ha dimenticato una delle vostre chiavi a casa mia-
Poso la chiave sul bancone.
-Ah, sì. Un momento- si rimette gli occhiali, alza la cornetta del telefono e digita un numero.
-Signor Page? C'è una ragazza che dice di aver trovato la chiave smarrita-
Mi allontano dal bancone per andare via quando la tipa mi richiama.
-Signorina?-
Mi giro verso di lei, aggrottando la fronte.
-Il signor Page la attende nella sua stanza-


Busso delicatamente alla sua porta e non devo attendere molto, evidentemente stava già aspettando là vicino. Quando apre me lo ritrovo davanti, con una sigaretta tra le labbra e gli stessi vestiti della festa, solo più sbottonati ed allentati.
-Ciao...- lo saluto rigirandomi la chiave tra le mani.
Mi saluta con un cenno del capo.
Gli porgo la chiave ma lui non la prende, mi osserva con quel suo sguardo magnetico, e dice con noncuranza: -Pensavo non venissi più-
-Ero tentata di non salire-
-E allora perché l'hai fatto?-
-A te dispiace?-
L’unica risposta che ricevo da lui è un bacio. Un bacio tutt’altro che inaspettato. Sapevo che sarebbe successo. La cosa che non mi aspettavo invece è che cambiasse idea dopo nemmeno dieci secondi.
-Vattene!- esclama strattonandomi via, mentre io lo guardo in modo perplesso.
Perché? Perché prima mi vuole e poi non mi vuole più? Perché deve fare così?
-Che c’è? Non sono abbastanza adolescente per te?-
Non l’avessi mai detto.
Quasi preso da uno scatto d’ira mi prende per il braccio e mi attira verso di sé, baciandomi ancora una volta, mandandomi con le spalle contro lo stipite della porta.
Le sue mani cercano velocemente il contatto del mio seno mentre il mio sguardo si posa sui suoi pantaloni e non posso non notare la sua erezione premere contro la mia gonna.
-Hai visto che mi hai fatto?- sussurra con la voce roca, il viso coperto dai suoi riccioli scuri che lo rendono ancora più tenebroso di quanto non lo sia.
Mi spinge dentro la stanza sbattendo violentemente la porta e mi lascia cadere sopra il letto.
Le mie dita gli sbottonano velocemente la camicia mentre le sue mi privano dell’abito cucito su misura da mia madre. In meno di un minuto ci ritroviamo nudi, avvinghiati l’una all’altro, bollenti di desiderio.
Ad un tratto Jimmy si solleva per prendere qualcosa ai piedi del letto.
La sua cravatta.
-Adesso giochiamo!-
Ne lega un lembo saldamente ai miei polsi, e l’altro alla testiera del letto, in modo da tenermi ferma. Sorpresa non ho il tempo di dire nulla che mi trovo immobilizzata e lui con la lingua inizia a sfiorarmi la pelle, dal collo alle spalle, dal petto fino ai capezzoli, e poi dalla pancia scendendo sempre più giù... mentre con le mani mi accarezza delicatamente i fianchi. Dopo avermi torturata abbastanza, facendo aumentare sempre di più i miei gemiti e il mio desiderio, torna con il viso sopra il mio e mi stampa un lungo bacio, infilando sinuosamente la lingua nella mia bocca. E intanto slega il lembo della cravatta dalla testiera mentre con i denti mi mordicchia le labbra. Ci scambiamo uno sguardo intenso prima che io mi metta a cavalcioni su di lui, facendolo sedere sul materasso. Lo sento penetrarmi con vigore, sempre più a fondo. Sento in me il fuoco del desiderio divampare, mentre riesco ad esprimere tutto quello che sto provando solo con un mugugno. Con i polsi ancora legati tra di loro allaccio le braccia al suo collo, mentre le sue mani premono sui miei fianchi, aiutandomi con le spinte.
Riverso la testa all’indietro con un gemito non appena sento i suoi denti mordicchiarmi un capezzolo.
Le nostre spinte diventano sempre più possenti e una sua mano sale lungo la mia schiena, provocandomi dei brividi, per posarsi poi sulla mia nuca.
-Ora basta!- esclama rovesciandomi sotto di sé –Sono io che comando!-
Con uno scatto mi prende le caviglie posizionando le mie gambe sui suoi fianchi, e intanto continua a spingere con decisione, dominandomi al suo maschio volere, mentre con le mani mi tiene ben saldi i polsi. Una sensazione inaudita, che mi fa tremare sotto i suoi colpi e mi fa gridare a voce acuta il suo nome.
Non resistiamo oltre. Entrambi veniamo presi da un ardente orgasmo che ci lascia esausti, sfiniti ma al contempo appagati.

-Alla fine ci sei riuscito di nuovo-
In estasi tra le sue braccia, fisso i suoi intensi occhi verdi che scrutano dolcemente i miei, e mi sento leggera... leggera come una nuvola. E felice. Non mi sentivo così da tanto tempo.
-A fare cosa?- sussurra lui accarezzandomi la schiena con le dita.
-A farmi finire sotto il tuo incantesimo-
Accenna lievemente un sorriso per poi tornare serio rispondendo: -Sei tu che hai stregato me-
Eppure so che io questa felicità non la merito. Non la merito affatto.
-Che hai?-
-Oggi ho fatto soffrire un amico a cui volevo bene-
-Cosa doveva chiederti di tanto urgente?-
-Mi ha chiesto di sposarlo-
-E tu che hai risposto?-
Sospiro profondamente prima di replicare.
-Gli ho detto di no. Io gli voglio bene. Ma non so se lui possa darmi quello che cerco-
-Perché, cosa cerchi?-
-Felicità... appagamento... Tu sapresti farlo?-
-Io ti renderei molto infelice- afferma spostandomi una ciocca dal viso con le dita –Fossi in te starei alla larga da uno come me-
-E se non riuscissi a farne a meno?-
-Allora sarà difficile per te sciogliere il mio incantesimo-
Il suo viso si avvicina al mio e le sue labbra mi stampano un bacio sulla fronte. Rimaniamo l’una tra le braccia dell’altro mentre i raggi della luna filtrano attraverso i vetri della finestra illuminando la stanza. 
Ora che gli sono vicina, mentre ascolto i battiti del suo cuore, mi sembra che sia in pace e che non sia rimasto più nulla dell'uomo che mi ha baciato con così tanta virilità, accecato dall'unico desiderio di possedermi e di farmi sua. O forse, con più probabilità, non ho ancora capito appieno quest'uomo. E mai lo capirò. Forse in lui coesistono due nature differenti che lo rendono ad ugual modo se stesso, sia quando, sciolto ogni freno sembrava comportarsi come una "bestia", che ora, tornato in sé, si dimostra una persona molto dolce e premurosa, come quella che conobbi e apprezzai sul tetto di quell’ hotel tanti anni fa. E in questo momento smette di essere Mr Hyde e torna ad essere il dottor Jeckyll.


Nota dell'autrice: Salve salve salve ù.ù
Visto che alla fine l'ho messo il capitolo su Jimmy?! Malfidate! ù.ù
Ve credevate che se lo sposava a Steve, eh?! E invece no! :P
Comunque, con molta probabilità questo è il penultimo capitolo :O ç_ç
Spero che sia stato di vostro gradimento :3
Alla prossima amishiiiiiii

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Capitolo 39
*** Capitolo 37 ***


-Lily, io sto uscendo a comprare qualcosa per stasera. Vieni con me?- domanda papà dalla porta della mia stanza.
-No, non posso-
-Stai ancora facendo ordine?-
-Nella mia stanza o nella mia vita?-
Rimane in silenzio per qualche istante, con la mano ancora appoggiata allo stipite della porta.
-Sì, sto ancora mettendo apposto-
-D’accordo. Allora io esco-
-Ok, ciao-
Quando sento finalmente la porta di casa chiudersi, mi volto a fronteggiare il caos della mia libreria.
Non finirò mai.
Con decisione, mi rimbocco le maniche e comincio a togliere tutti i libri e a poggiarli per terra.
Uno ad uno li rimetto al loro posto, passando prima uno straccio sulla copertina per eliminare ogni eventuale formazione di polvere. Alzandomi in piedi per posarne uno, qualcosa scivola via da una delle pagine e cade per terra. Mi abbasso aggrottando la fronte per prendere il bigliettino posatosi sui miei piedi e lo apro.
Un numero di telefono.
Rimango a fissare i numeri stilati da una morbida calligrafia rotonda con aria interrogativa, cercando di ricordare chi me l’avesse dato. E improvvisamente ricordo.
Scendo in salotto, facendo le scale di corsa e mi fermo davanti al telefono.
Esito un momento prima di alzare la cornetta. Figuriamoci se si ricorda di me dopo tutti questi anni. Eppure c’è qualcosa dentro di me che mi spinge a farlo. Compongo i numeri che girano lentamente sul disco.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Al quarto una giovane voce maschile finalmente risponde –Pronto?-
Con uno scatto riattacco la cornetta al telefono.
Vigliacca.
Prendo un respiro profondo, rialzo la cornetta e ricompongo il numero.
Stavolta la stessa voce di prima risponde dopo un solo squillo, ma con più insistenza –Pronto?-
-Alex?-

-Ce l’hai fatta a chiamarmi!- riesco a percepire una nota di divertimento nelle sue parole. Fortuna che si è ricordato subito di me, non appena gli ho detto che il libro l’ho letto tutto d’un fiato e che mi è piaciuto moltissimo.
-Già...-
Rimaniamo per qualche attimo in silenzio. Di sottofondo si sente solo il ronzio del telefono.
-L’hai... l’hai più fatto poi quel viaggio per i boschi?- domando incerta, senza sapere cos’altro dire.
-No, non ancora- ride lui.
-Come mai?-
-Emh... aspetto ancora il momento giusto-
Annuisco lievemente, mordendomi il labbro inferiore. –Quindi... stai sempre lì nella libreria di tuo padre-
-Per ora sì. Tu che fai?-
-Io mi sono appena laureata in giurisprudenza. Lavoro già in uno studio legale come assistente-
-Wow... quindi hai finito con i lunghi viaggi?-
-Cosa...- resto nuovamente per un attimo senza parole -Come fai a sapere che stavo viaggiando anni fa?-
-Beh, te l'ho letto nello sguardo, lo sguardo di una ragazza dura fuori ma molto incerta dentro-
Rimango a bocca aperta, in silenzio.
-No, in realtà parlavo del tuo viaggio nella vita, semplicemente, non sapevo avessi viaggiato ancora dopo il nostro incontro-  lo sento ridacchiare e pure io non posso fare a meno di fare altrettanto.
-Sai, ho fatto un viaggio che non avrei mai immaginato di compiere, con persone che ho imparato ad apprezzare piano piano, ho avuto l'Europa e l'America come meraviglioso sfondo, e penso che solo ora si sia realmente concluso tutto-
-E ti senti finalmente a casa ora?-
-Si, diciamo di si- dico con un sorriso che lui non può vedere -E ora sto ricominciando-
-Bene è una bella cosa e...-
Dalla cornetta sento in lontananza la voce del padre che gli rimprovera di tornare al lavoro, poiché ci sono dei clienti da servire.
-Scusami, devo andare, il lavoro mi chiama. E’ stato un piacere risentirti... davvero-
-Anche per me... ci risentiremo?- aggiungo un po' di scatto.
-Penso di sì... basta che non ci metti altri sei anni per la prossima telefonata!-
Lascio scappare una risata imbarazzata –Va bene. A presto!-
-Ciao!-

Realmente pensavo che il viaggio con loro si fosse concluso quest’anno. Lo pensavo davvero. Ma mi sbagliavo. Qualche settimana fa mia madre mi invitò a cena: Peter doveva farmi un discorso molto importante.
Ovviamente quella sera alla cena c’erano anche loro quattro.
-Ho licenziato Weiss!- esclamò Peter poggiando i gomiti sul tavolo.
-Chi?- domandai scuotendo la testa.
-Il nostro avvocato. Sì, non mi piaceva più come stava lavorando. Già da tempo pensavo di rimpiazzarlo-
Lo guardai interrogativa, cercando di capire cosa c’entrasse quel discorso con me.
-E finalmente ho trovato la persona giusta-
Mi fissava negli occhi mentre io ricambiavo il suo sguardo in attesa che continuasse.
-Vuoi diventare il nostro avvocato, Lily?-
E ora eccomi qui, a firmare carte, documenti, dichiarazioni e quant’altro, sempre con il telefono in mano.
Grazie al cielo Peter è fiero di me, ma su questo non avevo dubbi. Non me l’avrebbe mai chiesto se così non fosse stato.
Da loro quattro cerco di tenermi il più lontano possibile, anche se non è facile, ma non posso rischiare di ricominciare tutto come sei anni fa.
Improvvisamente il telefono squilla un’altra volta.
-Pronto?-
-Ciao!-
-Alex, mi hai chiamata qualche ora fa-
-Sì, lo so... volevo sentirti...-
-Hai fatto bene- rispondo sorridendo.
-Senti... tra qualche settimana sarò a Londra per... motivi personali... se vuoi ci incontriamo, magari per un tè...-
-E quali sarebbero questi motivi personali, se posso chiedere?- domando schernendolo.
-Beh... una ragazza molto carina, dai capelli scuri e gli occhi grigi come la strada-
Sento le guance avvamparsi all’improvviso e sorrido, portandomi una mano davanti la bocca.
-Mi piacerebbe molto- rispondo.
-Bene. Allora ci risentiamo-
-Certo-
-Ciao!-
-Ciao-
Qualche ora dopo la chiamata di Alex mi ritrovo a riordinare la mia scrivania, a mettere a posto tutte le carte che ho tirato fuori. Almeno è stato piacevole lavorare pensando alle sue ed è buffo come non ricordi il suo viso, sebbene sappia riconoscere perfettamente la sua voce.
Mentre sono preda di questi pensieri urto qualcosa sulla scrivania con un grosso tomo di legge, il tonfo mi fa fermare, ed il mio sguardo si sofferma ad osservare una cornice caduta su scartoffie sparse qua e là. La prendo tra le mani e la volto: un oggetto unico,prezioso. Mi siedo sulla sedia girevole e osservo la foto, dondolandomi a destra e a sinistra. Incorniciati nell'argento Robert, Jimmy, Bonzo e Jonesy, mi restituiscono uno sguardo in bianco e nero, ognuno mostrando parte della propria personalità, immortalata nel tempo dalla macchina fotografica.
Bonzo è lì con il suo aspetto rude da camionista, con un sorriso da birbante e l'espressione di chi la sa lunga su molte cose: ha sempre avuto una parola gentile per me, anche quando ero irritante e insopportabile, e ricordo di quella volta in cui siamo andati assieme per i pub e come il destino lo abbia scelto per condurmi nel locale in cui ho rincontrato mio padre. Non posso che essergli debitrice.
Jonesy è sempre un vero amico, un amico che mi è stato vicino nei momenti difficili, che ha saputo tenermi compagnia e che mi ha ascoltato a lungo, probabilmente sopportandomi più di quanto una persona normale avrebbe mai potuto fare. Sorrido nel vederlo lì con gli altri, all'apparenza così timido, ma in realtà così forte. E poi ci sono loro due... i due lati di una medaglia o più semplicemente i due aspetti della vita che ho vissuto: Robert mi ha aiutato a crescere, mi ha insegnato cosa vuol dire amare qualcuno. Per me avrebbe fatto follie, e anche io ne ho fatte per lui, e sento di non aver nessun rimpianto. Sono felice di tutti i momenti passati con lui.
Jimmy invece è stato più distaccato e schivo, ma è riuscito comunque a fare breccia nel mio cuore ed a lasciare il segno. Aveva ragione, non ho potuto resistergli, e sarebbe accaduto comunque, anche se la pioggia non ci avesse sorpreso in quella periferia che oggi sembra così lontana e distante. Il nostro non è stato amore, ma passione, così ardente da bruciare tutto il nostro combustibile in pochi, ma intensi fuochi. E se lui ha mai provato qualcosa per me, io questo non lo saprò mai.
Con un sospiro ripongo la cornice al suo posto e mi alzo raccogliendo i documenti che mi servono.
Vedo molti altri oggetti, ognuno carico di una storia e di immagini. Sono troppi da elencare, e troppi i ricordi che riaffiorano. Ormai sono arrivata alla porta e non posso fare a meno di voltarmi ad osservare la stanza con la certezza che ciò che è stato non lo dimenticherò mai.
Ed ora si ricomincia e sono pronta a godermi questo presente. Verso un nuovo inizio.


 

Fine.
 

Note dell'autrice: oddio ecco. Siamo giunti al capolinea. ç_ç
L'ho fatta finire prima della morte di Bonzo perché volevo un lieto fine, non volevo scrivere cose tristi, quindi ho evitato. E questo che vi ho lasciato diciamo che è un finale aperto: sta a voi decidere cosa succederà poi. Ci sono talmente tante possibilità che non avrei saputo nemmeno scegliere :')
Comunque vi ringrazio tantissimo per avermi seguita in così tanti. E sinceramente parlando io non mi sarei mai aspettata di superare le 100 recensioni :3 Grazie di cuore, davvero
E state tranquille che non vi abbandono ù.ù ho in mente una storia da tradurre e qualche OS. Ci metterò le radici in questo fandom, non vi libererete più di me muahahahaha è_é
Vabbè ragazzuoli, ci si legge alla prossima storia :*
Ciao a tutti!!!!! 

Ps: finalmente ho trovato una foto bellissima del mio Alex Supertramp (o meglio: di Emile Hirsch che lo interpreta nel film Into The Wild) , da cui si ispira il personaggio di Alex (fisicamente e anche un po' caratterialmente parlando)



 

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