POISON come l'amore, come la morte

di FALLEN99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 0. Prologo ***
Capitolo 3: *** 1. Il primo giorno di scuola ***
Capitolo 4: *** 2. Paura dell'oscurità ***
Capitolo 5: *** 3. Un pomeriggio in compagnia ***
Capitolo 6: *** 4. Stranezze dalla nonna ***
Capitolo 7: *** 5. Incubi Apocalittici ***
Capitolo 8: *** 6. Figure nell'ombra ***
Capitolo 9: *** 7. Una visita inaspettata ***
Capitolo 10: *** 8. Ricordi passati ***
Capitolo 11: *** 9. Il suo Angelo ***
Capitolo 12: *** 10. Discussioni all'ospedale ***
Capitolo 13: *** 11. L'alba ***
Capitolo 14: *** 12. Conticuit ***
Capitolo 15: *** 13. Divergenze ***
Capitolo 16: *** 14. Nebbia ***
Capitolo 17: *** 15. Occhi d'oceano ***
Capitolo 18: *** 16. Nuovi incontri ***
Capitolo 19: *** 17. La magia dei navigli ***
Capitolo 20: *** 18. La protagonista di una storia ***
Capitolo 21: *** 19. Prime risposte ***
Capitolo 22: *** 20. Battaglie interiori ***
Capitolo 23: *** 21. La forza dell'amore ***
Capitolo 24: *** 22. E' la fine? ***
Capitolo 25: *** 23. Scontri per la vita. ***
Capitolo 26: *** 24. Per Ginevra! ***
Capitolo 27: *** 25.Epilogo ***
Capitolo 28: *** SHADOWS l'accademia delle ombre ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***



Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave;
così Romeo, se non si chiamasse più Romeo, conserverebbe quella preziosa perfezione,
che egli possiede anche senza quel nome
.
Romeo & Giulietta; Shakespeare
 


 Poison:
come l'amore
come la morte
Ciao a tutti, io sono fallen99, e questo è una spece di romanzo che sto scrivendo. Spero vi piaccia, e ditemi il vostro parere. Se vi piacerà proseguirò con un secondo "romanzo" che si chiamerà:
Shadow
Un'ombra sul futuro


BUONA LETTURA!










 

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Capitolo 2
*** 0. Prologo ***


Prologo
 

La lama recise la sua carne, facendone uscire un rivolo di sangue scarlatto, che le segnò lo sterno cadaverico. Il ragazzo la fissava apatico, sul viso un’espressione piatta, svuotata di ogni sentimento che si potesse definire umano.
«Perché fai questo? Credevo mi amassi…» la ragazza si accasciò a terra, impotente alla forza della lama. Il terreno accolse il suo corpo in una stretta ruvida, che le segnò la pelle con graffi rossastri su cui il vento scalpitava.
«Sono stato piuttosto bravo a fingere, allora». disse il ragazzo scrutandola. I suoi capelli ricci e castani restavano fermi nonostante il forte vento, come se le leggi della natura non avessero effetto sulla sua persona. Il suo viso era impassibile, gli occhi scuri che celavano tormenti interiori intensi come la fiamma della passione che l’aveva vincolato in quell’eterna storia d’amore fondata su legami oscuri come il veleno, che aspetta in silenzio prima di colpire la sua preda. 
«Mi hai ingannata… Ti sei preso gioco di me, dei miei sentimenti…» la ragazza provò ad alzarsi ma una frustata d’aria gelida la fece ricadere a terra. Lacrime silenziose le rigarono le gote arrossate,  e dovette trattenersi per non scoppiare in un pianto disperato. Perché era la disperazione che la tormentava in quel momento, che alimentava l’odio che provava per la persona davanti a lei, che un tempo remoto aveva amato e per cui avrebbe dato la sua vita, come in quel momento. La lama penetrò ancora di più nella sua carne, ed il suo grido si levò verso il cielo nero. Si morse le labbra sottili, e strinse i pugni fino a che le nocche non le diventarono bianche.
«Ti prego, non uccidermi! Pensa a tutto ciò che abbiamo passato insieme, a come la forza del nostro amore ha superato tutti gli ostacoli che si sono frapposti al nostro cammino…» disse lei, gli occhi lucidi dalla forte emozione che provava nel dire quelle parole, che le riportavano alla mente tutte le volte in cui le loro labbra si erano sfiorate, strette dalla passione  e dal desiderio reciproco a cui nessuno dei due era mai riuscito ad opporre resistenza, ma che aveva assecondato.
«Ormai quel tempo è passato, viviamo in un mondo dove l’amore non conta nulla» ribatté lui, le dita  affusolate della mano sinistra sul manico della spada. Era il regalo del suo padrone, l’emblema che lo legava alla sua stirpe dannata da secoli. Le immagini di tutte le volte che l’aveva fatto gli ritornarono alla mente come proiettate su un monitor, e non poté fare a meno di disprezzarsi.
«Ed è per questo che devo farlo.» riprese il ragazzo mettendo anche l’altra mano sull’elsa della spada. Una scossa di adrenalina percosse il suo corpo, facendolo percorrere da brividi sempre crescenti. Il suo cuore, se così si poteva chiamare, prese a battere velocissimo, i battiti che scandivano ogni secondo che lo divideva da ciò che stava per compiere.
La ragazza lo guardava, implorante di fermarsi, di dare ancora una possibilità al loro amore. Ma lui evitò di sostenere il suo sguardo, troppo intenso e puro per uno come lui. La scogliera su cui erano appostati dava sull’oceano, unico spettatore di ciò che stava accadendo. Le onde salmastre si infrangevano sulla roccia, spargendo gocce iridescenti che andavano a posarsi sui capelli di lei, facendoli risplendere illuminati dalla fioca luce del sole. La superficie buia del mare era avvolta da una spessa cortina di nebbia, che lambiva ogni cosa nella sua massa informe, candida e monotona. Lo sguardo di lui si disperdeva in essa, cercando il motivo di tutto ciò. Un gemito da parte di lei lo richiamò alla realtà, e lui la fissò con occhi decisi e penetranti.
Si fissarono per alcuni istanti, dove si scambiarono tutto ciò che non potevano dire con le parole, perché qualcun’altro li stava osservando da lontano con occhi colmi d’odio e disprezzo.
«Mi dispiace…» sussurrò lui in fine, affondando la spada fino all’impugnatura nella carne della ragazza. Un rantolo uscì dalle sue labbra e anche l’ultima scintilla di vita si dissolse dai suoi occhi.                                                                                   
“Come l’amore, come la morte” fu l’ultimo pensiero che comparve nella mente del ragazzo, prima che una lacrima cristallina gli solcasse il viso.

 

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Capitolo 3
*** 1. Il primo giorno di scuola ***


I
 


Gli occhi color zaffiro celati dalle palpebre pallide, le labbra sottili esposte al vento gelido che entrava dalla finestra, i lisci capelli corvini disposti irregolarmente sul cuscino grigio.
«Ginevra svegliati, o farai tardi a scuola!» una voce femminile interruppe la trance che avvolgeva la ragazza. Era sua madre, Alessandra, che cercava invano di portarla nel mondo degli svegli.
 Ginevra sollevò la testa sbigottita, il solito incubo le aveva fatto visita quella notte, e le immagini vivide di quel ragazzo le aleggiavano nella mente senza controllo.
«Arrivo, un attimo» rispose inquieta, emettendo un rumoroso sbadiglio. Il suo sguardo si rivolse verso il soffitto, colorato di una tenue vernice azzurrina che doveva ricordare invano i cieli d’estate, ma che non riusciva nell’intento, segnato dall’umidità e dal tempo che lo erodevano nella loro morsa letale. Ginevra osservò l’arredamento spoglio della sua camera, la rappresentava alla perfezione, anonima e impotente. La piccola lampada con simboli giapponesi che pendeva dal soffitto si accese di una flebile luce dorata, illuminando il viso pallido e assonnato di Ginevra.
 «Tesoro alzati, non vorrai arrivare in ritardo il primo giorno di scuola?!» la chiamò la madre, che la fissava appoggiata allo stipite della porta. La ragazza chiuse le palpebre e si girò sul fianco destro in segno di protesta. La madre, allora, le si avvicinò e la scosse cercando di non tirarsi dietro le grida della figlia.
«E dai, sai quanto è importante che arrivi puntuale, soprattutto ora che cominci il liceo! » disse la donna passandosi, frustrata, una mano tra i capelli biondo cenere.
«Importante per te. Per quanto mi riguarda io resterò a letto ancora un po’» bofonchiò Ginevra.
«Coraggio, non vorrai che chiami papà? » la riprese la madre. A quelle parole un brivido percosse le gambe della ragazza, assalendola di sorpresa e irradiandola di piccole fitte freddolose.
«D’accordo, mi alzo» disse automaticamente. La madre, soddisfatta, sparì dalla soglia della camera, lasciando Ginevra sola con i suoi pensieri. L’incubo fatto quella notte era stato uno dei più potenti e lunghi, molto più di quelli fatti nei suoi quattordici anni. Sollevò le coperte, il freddo visitò le sue gambe. Sfiorò il pavimento con le punte dei piedi per sentirne la temperatura, che quella mattina non era fredda come al solito. Si alzò in piedi e mise subito le ciabatte regalatale al compleanno e si stiracchiò. La camicia da notte bianca volteggiò nel freddo vento che fuoriusciva dalla finestra. Svelta la chiuse e, con fare deciso, accostò le persiane, facendo sprofondare la stanza nell’oscurità.
Già, l’oscurità… Era la cosa che le piaceva di più, amava stare seduta in essa per minuti, a volte ore. Essa le infondeva protezione e familiarità, come se nessun pericolo potesse entrare nella massa di buio, e disturbarla.
Ma in quel momento non poteva contemplarla, così aprì la porta della sua, ed uno scricchiolio si diffuse assieme ad essa. La sua camera dava sul corridoio, che metteva in comunicazione la zona notte con il soggiorno e la cucina. Lo percorse, accompagnata dalle strette ed anguste pareti, che la seguirono fino al salotto come la sua ombra.
Entrò nella cucina, riavviandosi la chioma corvina e eliminando la polvere che Morfeo le aveva lasciato negli occhi.
Trovò il padre seduto a tavola, che divorava due enormi fette di pane. Si sedette piano, per non deconcentrare l’uomo dalla sua colazione. Prese due fette di pane e le cosparse di quello che rimaneva della marmellata di albicocche. Poi portò le sue labbra a queste e, in pochi minuti, le mangiò.       
«Non si saluta?!» l’aggredì il padre con aria intimidatoria. Lei tacque. 
«Mi ascolti?! Quando ti siedi a tavola devi salutarmi, sono o non sono il capo di questa famiglia?!» gridò furioso.                                              
«Le hai prese le medicine della mattina?» chiese Ginevra, calma.
«Sì! E pensa alle cose tue, non alle mie» grugnì lui come risposta.
«Stai tranquillo, non ti ho salutato solo per non distrarti dal tuo pasto» disse Ginevra svuotando la tazza dal latte che conteneva. Le piaceva sfidare il padre, la faceva sentire potente, almeno fino a quando lui non alzava le mani. L’uomo le lanciò un’occhiata truce, che lei ricambiò con un sorriso beffardo. Si alzò dalla sedia, sostenendo il suo sguardo in segno di sfida. Mise la tazza nel lavandino e poi sussurrò:
 «Schifoso maiale, pensi solo a mangiare, invece di preoccuparti della tua famiglia…» svelta si affrettò nella sua stanza, timorosa che il padre l’avesse sentita, e si vestì. Mise la solita maglietta blu chiaro, abbinandola a dei pantaloni grigi e un cardigan nero. Si raccolse i capelli lunghi e lisci in una coda alta, non voleva che il vento li muovesse e che le dessero fastidio.
Prese la borsa e si avviò verso la porta di casa.
«Buona giornata» la salutò la madre prima che uscisse, ma Ginevra la ignorò deliberatamente. Non voleva che la travolgesse di inutili raccomandazioni tipo “Fa’ la brava” o “Ascolta i professori e non parlare con chi non conosci”, come faceva di solito.
Percorse la solita strada, nel monotono colore grigio che ricopriva la piccola città di provincia dove viveva e di cui era stufa. L’estate stava ormai scemando, e la brezza estiva era ormai stata soffiata via del gelido vento autunnale, che quell’anno era arrivato troppo in anticipo, tanto che aveva dovuto vestirsi abbastanza pesante. Arrivata alla fine della strada svoltò a sinistra, la borsa stretta alla spalla e gli occhi protesi a fissare la via che si estendeva davanti a lei.
Mentre girava l’angolo un ragazzo le passò a fianco, sfiorandola. Le bastò quel piccolo contatto per farla percorrere da un’intensa sensazione che la fece girare di scatto.
Ma la strada era deserta; solo il cupo grigiore la popolava, rendendola a dir poco inquietante e desolata. Ginevra alzò le spalle, dicendosi di esserselo immaginata.
Si voltò, davanti a lei l’insegna metallica che portava impressa a caratteri cubitali la scritta:
“ SCENCE: liceo scientifico”.
Una grande paura le attanagliò lo stomaco, varcato quel cancello avrebbe cambiato completamente vita. Si sentiva insicura, nessuno aveva mai badato a darle qualcosa di sicuro nella vita: il padre la trattava male, consumato dall’alcool e dalle medicine; la madre cercava di renderle la vita migliore, ma non ci era mai riuscita nonostante i suoi grandissimi sforzi. La sua quotidianità era fatta da scuola, litigate con il padre e continui incubi. Sapeva che su una cosa poteva sempre contare, l’oscurità.
Essa restava sempre uguale, non cambiava mai, era sempre fredda, misteriosa e notevolmente benefica per Ginevra.
“ Coraggio Ginevra, come superi i conflitti con tuo padre ogni mattina, puoi superare anche questo” la rassicurò una voce sconosciuta nella sua mente. Così si fece forza, facendo respiri profondi e stringendo morbosamente la tracolla della borsa fra le dita affusolate. Spinse il pesante cancello argentato che la divideva dal proprio destino e, passo per passo, oltrepassò il cortile, calpestando le foglie colorate dell’autunno, che sembravano essere l’unica nota di colore in quella mattina di settembre. Appena varcò la soglia della scuola si paralizzò, le gambe si rifiutavano di proseguire, paralizzate dalla paura. Una massa informe di studenti le passò a fiano. Alcuni la urtarono, le loro spalle erano molto grosse e larghe, dovevano essere ragazzi dell’ultimo anno. Ginevra, minuta, perse l’equilibrio e la borsa colma di libri la sospinse all’indietro.
Cadde, i nervi a fior di pelle; avrebbe fatto una figuraccia già il primo giorno di scuola. Prima che sentisse il contatto con il linoleum che ricopriva il pavimento una mano calda la sorresse e la riportò in piedi.
«Ehi, stai attenta, potevi cadere» disse una voce profonda alle sue spalle. Ginevra si voltò, dietro di lei c’era un ragazzo molto alto. I capelli castano scuro gli incorniciavano un viso bellissimo; le labbra sottili e gli occhi a mandorla di un nero che aveva rivali solo la notte e il petrolio. La ragazza si incantò a guardarli, le ricordavano l’oscurità che tanto la faceva sentire bene, l’eterno buio che rappresentava l’ignoto.
«Sii più prudente, o non sopravvivrai qui.» riprese lui, Ginevra pendeva dalle sue labbra che si muovevano in modo sensuale e provocatorio. «Ti calpesteranno, senza porsi il ben che minimo problema.
Sono solo una massa di ragazzini grigi e introversi, che non guardano in faccia nessuno; robottini programmati per eseguire ogni cosa che la gente gli ordina, senza un minimo di spina dorsale» il ragazzo lo disse fissando caustico gli studenti che sfilavano nei corridoio.
Ginevra restò a bocca aperta, l’aveva descritta alla perfezione. Si notava così tanto la sua insicurezza?
Avrebbe voluto  ribattere qualcosa, ma dalla bocca non uscì nemmeno una sillaba. Intanto lui aveva rivolto lo sguardo dagli studenti a lei, fissando il suo viso armonico e la sua pelle pallidissima.
«Spero tu sia diversa... » disse in fine, dopo una lunga pausa.
Ginevra si fece coraggio, doveva pur rispondergli. Aprì la bocca ma, ancora una volta, le parole le morirono in gola.
«Non sei una di molte parole, vedo. In questo caso tolgo il disturbo, ma ci vediamo in giro» le comunicò mischiandosi nella folla grigiastra, ovviamente non prima di averle rivolto un cenno di saluto col capo. Ginevra restò immobile, cercando di distinguere la sua chioma fra la massa di ragazzi, ma le risultò impossibile.
Perché non era riuscita a parlare? “Stupida!” si disse, sbattendo due volte le palpebre per recuperare lucidità.
 «Che stupida quella ragazza, avrebbe potuto rispondere. Non capita tutti i giorni che il ragazzo più affascinante e misterioso della scuola ti rivolga la parola» sentì bisbigliare Ginevra alle sue spalle. La campanella risuonò irritante, riportando l’ordine nel corridoio, che, a breve, rimase deserto; solo la sagoma indifesa di Ginevra spiccava dal pavimento pieno di polvere.
«Muoviti, devo pulire. » gracchiò la vecchia bidella, che con il suo carello e lo strofinaccio le passava accanto.
Ginevra arricciò il naso per l’intenso odore di detersivo che la signora emanava, e prese a camminare.
«Primini, sono sempre una scocciatura» bofonchiò la bidella, passando lo strofinaccio per terra e osservando Ginevra scomparire nella prima classe a destra.
***
«Allora ragazzi, passate bene le vacanze estive?» chiese una voce dirompente e acuta.
Un silenzio di tomba scese sugli alunni che sedevano sui banchi di legno, osservando con espressioni impaurite il proprietario della voce. Quel professore era un tipo piuttosto stravagante, a partire dal modo in cui si vestiva; una lunga cravatta verde smeraldo su una camicia bianca ed un completo rossastro.
«Avete paura di me?» domandò, ma nessuno rispose. 
«Bene, visto che non riusciamo ad instaurare una conversazione farò l’appello, avanti ragazzi! State per iniziare una nuova parte della vostra vita! Non siete felici?» le sue parole rimbalzarono per i muri della stanza, senza arrivare alle orecchie di nessuno dei presenti, eccetto Ginevra, che sedeva all’ultimo banco assieme ad una ragazza riccia.
Avrebbe voluto rispondere, ma aveva paura, paura di cosa avrebbero potuto pensare gli altri di lei.
“ Guarda quella ragazza, che secchiona, fa la lecchina del professore persino il primo giorno di scuola” Così restò zitta, come aveva fatto da quando era entrata nell’edificio. Ripensò a quel ragazzo, il suo tocco era così familiare, come se fosse quello di sua nonna. Già, lei era l’unica persona che le volesse veramente bene, che riuscisse a distrarla dalla sua monotona e grigia quotidianità.
Andava a trovarla una domenica al mese, viveva a Milano, non lontano dalla cittadina dove abitava Ginevra. La donna aveva migliaia di libri, riposti e catalogati ordinatamente in un’immensa libreria che occupava un’intera parete. Tra tutti c’era uno che a Ginevra era particolarmente piaciuto:
 “Romeo & Giulietta”. L’aveva letto anche a scuola, ma in quel contesto non l’aveva coinvolta molto. Così un giorno, annoiata, l’aveva sbirciato di nuovo, per vedere se il clima a casa della nonna la aiutasse ad apprezzarlo di più. Era stato come rinascere una seconda volta, l’aveva divorato in un giorno; non era riuscita a staccare gli occhi dalle pagine ingiallite.
Le piacevano gli intrighi, gli imprevisti, ma soprattutto l’avvincente storia d’amore che l’aveva spinta a rileggerlo per la seconda volta.  Le sembrava di sentire le mani di Romeo sfiorarla, talmente si era immedesimata nel personaggio di Giulietta. La passione che avvolgeva il loro rapporto l’aveva travolta come un’onda imprevista. Lo adorava letteralmente, quasi più dell’oscurità. 
 «Ginevra Colombo?» il professore scandì il suo nome, che si espanse per tutta la classe in pochi secondi. La ragazza dovette smetterla di fantasticare su Romeo & Giulietta, e fissò l’uomo; che scrutava la classe in cerca di un volto da associare a quel nome sconosciuto.
«P-presente» balbettò abbassando lo sguardo. L’uomo la fissò arricciando il naso, e le sembrò che la sua palpebra destra si abbassasse per farle l’occhiolino; ma si disse di esserselo immaginato.
«Bene, Ginevra, raccontaci la tua storia. Perché non si può studiare la storia del mondo senza conoscere la propria, vero?» le domandò il professore sistemandosi comodamente sulla sedia e fissandola attraverso le spesse lenti squadrate.  
«Beh, io non saprei…» un miliardo di occhi le si puntarono addosso, e la ragazza arrossì all’istanti. Odiava stare al centro dell’attenzione.
«Io… io preferisco non rispondere. Devo andare in bagno» disse evasiva. Non le andava di raccontare la propria storia a quell’ammasso di adolescenti grigi e chiusi in se stessi, come li aveva chiamati quel ragazzo; le sembrava di mettersi a nudo e esporre la propria intimità a delle persone che non conosceva nemmeno. A dire il vero anche lei rientrava in quella categoria di ragazzi grigi, ma non voleva ricordarlo. La campanella segnò la fine della prima ora ed un’espressione delusa apparve sul viso del professore.
«Ragazzi mi aspettavo di più, sembrate un branco di pensionati! Su con il morale, ci vediamo domani.
E voglio una relazione scritta sulla vostra storia. Arrivederci» si congedò il professore raccogliendo i propri libri dalla cattedra. Si diresse verso la soglia della classe,  lanciando uno sguardo ambiguo verso Ginevra, che però era distratta a fare tutt’altro.
***
Si susseguirono una serie di professori, l’uno più diverso dall’altro. Ma tra tutti a Ginevra era rimasta in pressa una donna, che a quanto ricordava aveva detto di insegnare latino. Era snella, alta, con corti capelli biondo platino, e due occhi marroni. Le era piaciuta dal primo momento che era entrata. Era così che Ginevra voleva essere. Bella, come ogni adolescente vorrebbe essere ma che non sentirà mai. Sentiva quella donna come riflesso di ciò che non era, e le ricordava ciò che invece era realmente; una ragazza piena di paure  e priva di sicurezza e disinvoltura.
“ Anch’io voglio essere come lei, ma sono nata così!” pensò con una nota di disprezzo nei propri confronti. Amava l’oscurità anche per questo, perché essa nascondeva ogni difetto, lasciando solo il buio, facendo sì che tutte le persone fossero uguali.
La campanella della fine della scuola tuonò precisa e puntuale, con quel suo trillo assordante. La massa di adolescenti si precipitò verso l’uscita, cercando di scappare da quel luogo, che avrebbero dovuto sopportare per altri cinque anni. Ginevra prese i libri che aveva utilizzato l’ultima ora e li ripose nella borsa chinandosi, e vedendo delle adorabili ballerine rosa venirle incontro trotterellando.
«Ciao, io sono Micaela Doriani» sentì dire.
Alzò lo sguardo, incuriosita su chi potesse avere avuto così tanto coraggio da parlarle. I suoi occhi blu incontrarono quelli color glicine di una ragazza bellissima. Aveva folti capelli  biondi, la luce del sole che ne esaltava i riflessi color grano. Sedeva comodamente a gambe accavallate sul suo banco, e la guardava sorridente, esibendo i denti bianchi come gesso. Indossava un abitino rosa shocking, come le ballerine. Doveva essere una di quelle ragazze sbarazzine tipiche dei telefilm americani, si disse Ginevra; ma nel profondo sapeva che non era così. La ragazza aprì le lebbra rosee, evidenziate da uno strato di lucidalabbra.
«Tu, invece? Sai, non ho fatto molta attenzione all’appello. Penso che nemmeno tu avessi voglia di ascoltare quel professore, era così strambo…» disse ridacchiando. Ginevra sorrise, anche lei la pensava come quella ragazza.  
«Io… io sono Ginevra», disse impacciata, «Sì, Ginevra» ribatté. Era sempre molto titubante quando si trattava di farsi nuovi amici.
«Sicura sia il tuo nome? Mi sembri un po’ titubante» la istigò l’altra.                                          
«Sì, mi chiamo Ginevra» ribadì decisa, prendendo la borsa.
«Okay, ora sono convinta che ti chiami così. Beh, ciao Ginevra, ci vediamo domani. » esclamò la ragazza alzandosi dal suo banco.
«Ci sarai, non è vero? Non dirmi che ti rapiranno gli alieni come in un film che ho visto ieri sera con mia madre!» scherzò Micaela, strappando a Ginevra una risatina.
«No, non ti preoccupare. Ho una spada laser che mi tiene lontana dagli alieni cattivi.» rispose sarcastica.
«Per fortuna!» disse Micaela dirigendosi verso la porta, dalla quale sparì salutando Ginevra con la mano.
«Micaela» si ripeté, consapevole di essere sola. Quel nome le risuonò nella mente, risvegliando strani ricordi di cui però non aveva memoria. Alzo le spalle per ignorare quelle immagini, e si diresse verso la soglia della classe.
“Mai sentito questo nome” si disse mentre entrava nel corridoio.
 Ma si sbagliava.

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Capitolo 4
*** 2. Paura dell'oscurità ***


II
 

‹‹Ehi, chi si rivede...››la salutò il ragazzo dell’ingresso.
‹‹Ciao…››“ Wow, almeno sei riuscita a dirgli qualcosa” si disse Ginevra, riaprendo il grande cancello metallico. ‹‹Da che parte vai?››Il ragazzo si scostò i capelli corvini dal volto. I suoi occhi risplendevano in quel cupo grigiore che avvolgeva la città. ‹‹Io… io vado dritto››. Rispose Ginevra fredda. Cosa voleva quel ragazzo da lei? Era anonima, nessuno la notava. ‹‹Vedo che non ti va di parlare, be’, ci vediamo domani.››                                                                                                                                               

Un impulso salì per la gola di Ginevra.
‹‹Aspetta!››Urlò, ma la strada era deserta. ‹‹Non so neanche il tuo nome…››bisbigliò, consapevole di essere sola. Sentì il cancello cigolare. Si voltò. 
‹‹Ciao, Ginevra giusto?››chiese il professore di storia con un certo enfasi.
‹‹Sì, buon giorno.››rispose Ginevra.

‹‹Sai, Ginevra, ho il presentimento che faremo grandi cose insieme.››                                                                              
‹‹Cosa intende?››Chiese. ‹‹Intendo come classe, faremo un gran bel percorso. Anche se siete un po’ repressi, dovete tirare fuori la vostra felicità, altrimenti rimarrete schiacciati da questo mondo ingiusto››. Lei annuì disinteressata.
‹‹A domani allora!››la salutò il professore, quasi urlando.

Quell’uomo era davvero matto, pensò Ginevra incamminandosi per la strada di casa.                                            

**********
‹‹Ciao Ginni, sei tornata finalmente!››. disse la piccola sorellina Susanna. ‹‹Si, cosa ha preparato mamma per pranzo?››chiese Ginevra passando la mano tra i capelli ricci della sorellina. Era una piccola bambina di appena quattro anni, vispa e vivace come pochi. Rallegrava sempre Ginevra nei momenti tristi. ‹‹Non lo so, speriamo le caramelle!››Disse la bambina saltellando via. Ginevra scosse la testa, si ricordava ancora la volta in cui non avevano avuto da mangiare, e per risparmiare avevano mangiato caramelle per una settimana. La settimana più bella della vita di Susanna.
Poggiò la cartella sulla soglia della camera e spalancò la porta. Ad attenderla, l’oscurità. Il completo buio regnava nella stanza, rendendola molto familiare per Ginevra. Vi entrò, una sensazione di benessere l’avvolse, formando una bolla indistruttibile attorno al suo corpo. Si lasciò sopraffare da quella sensazione e si mise seduta sul letto. Contemplò quell’oscurità, pura, immobile. Le sembrò di vedere qualcosa muoversi. 
‹‹Dai Ginevra, vieni››. La incitava una voce.
Era calda, ferma, sicuramente un uomo. Le sembrò di aver già sentito quella voce.

‹‹Coraggio che stai aspettando, vieni! Non fare la codarda››. Stavolta la voce sembrava provenisse dalla finestra.                           
‹‹Chi sei?››Ginevra sentì il bisogno di aggrapparsi a qualcosa. Per un attimo ebbe la sensazione che qualcuno la stesse toccando. Urlò. Poi tutto fu buio.

*******

‹‹Ginevra! Ginevra!››Ora la voce sembrava essere femminile. Pian piano l’oscurità che l’aveva avvolta si dissolse, lasciandole intravedere una ciocca di capelli scuri.
‹‹Mamma, come sta Ginni?››diceva la voce di una bambina in lontananza.
‹‹Sta bene, non ti preoccupare››. Ora poteva scorgere ben distinte le due sagome della madre e della sorella.
La sovrastavano.
‹‹Tesoro, come stai?››domandò la madre.                                                         
‹‹Tutto, tutto bene…››rispose lei sbigottita.         
‹‹Cosa…cos’è successo?››domandò, la testa cominciava a girarle freneticamente, come una trottola.                                                                                                                       
‹‹Non lo sappiamo, abbiamo sentito un urlo, e poi ti abbiamo trovata distesa a terra.››                                                                                                                 
‹‹Ho un gran mal di testa››. disse Ginevra tastandosi il capo.                                                                                    
 ‹‹Hai bisogno di riposo, il primo giorno di scuola è sempre molto frenetico, specialmente alle superiori. A proposito, come è andata?››                                                  
‹‹Non ho voglia di raccontarti, lasciatemi andare in camera mia››. Disse alzandosi dal divano. Chiuse per un attimo gli occhi, quando li riaprì intravide una sagoma scura correre per il corridoio.                   
 ‹‹Ma chi è?››                                                                                 
‹‹Chi tesoro, non c’è nessuno››. Ginevra rimase interdetta a fissare il corridoio.
‹‹Coraggio, ti preparo una bella camomilla e poi va’ a fare un pisolino, niente compiti per oggi, intesi?››Ginevra annuì. ‹‹Ti farò una giustifica. Mi raccomando, bocca chiusa con papà, sai com’è››. Disse rivolta alla piccola Susanna.
‹‹Va bene mamma, non dirò nulla, te lo prometto››. Esclamò la bambina baciando la mano della madre. Ginevra si avviò verso la sua stanza, era buia. Per un attimo ebbe paura dell’oscurità che avvolgeva la sua camera. Un brivido la percosse, facendola indietreggiare.
‹‹Mamma..››sussurrò, una mano si materializzò dal buio, avvicinandosi al lei. Lei indietreggiò, attaccandosi al muro. Abbassò lo sguardo impaurita, quando lo rialzò la mano era scomparsa.
‹‹Mamma… io vado a dormire sul divano››. E così la quattordicenne si diresse verso il salotto, addormentandosi sul divano bordeaux.                                                                                     

********

‹‹Svegliati! Avanti, brutta scansa fatiche!››La voce di un uomo risuonò nella piccola stanza. 
‹‹Pa… Papà››. Disse Ginevra assonnata. Aprì gli occhi. Il padre la sovrastava, indossava il suo solito completo da muratore, ovviamente sporco e maleodorante.
‹‹Cosa ci fai a letto! Sai benissimo che in questa casa non si dorme di giorno! Vai a fare i compiti!››Gridò l’uomo furioso, stringendo i polsi di Ginevra.
‹‹Gianni! Smettila!››Urlò la moglie, scostando il marito dalla figlia. ‹‹È solo una tua infondata paranoia! Perché il nonno è morto mentre dormiva di giorno non vuol dire che nessuno non lo può fare!››Ginevra scattò in piedi.
L’uomo si lasciò scivolare a terra, con le lacrime agli occhi. Suo padre era morto da poco, l’uomo non riusciva a capacitarsene. E da allora aveva paura che i suoi cari morissero mentre dormivano di giorno, e il suo dolore si era trasformata un un’inutile paranoia.
‹‹Sei un debole…. Lo sei sempre stato!››Gridò la ragazzina, con una punta di acidità.
‹‹Ginevra, non parlare così a tuo padre, devi portargli rispetto!››La madre di Ginevra aiutò l’uomo ad alzarsi.
‹‹Proprio tu lo dici!? Sei quella che per colpa sua a sofferto di più in questi quattordici anni!››Non fece in tempo a finire la frase che uno schiaffo le arrivò dritto al viso, zittendola. ‹‹Ora basta!››Era stato il padre di Ginevra a parlare. ‹‹Non capisco dove abbiamo sbagliato con te…››commentò delusa la madre, portando via Susanna, da quel terribile spettacolo familiare. Ginevra, sconvolta, scoccò un’ultima occhiata acida al padre, prima di dirigersi verso la sua camera.
Si buttò sul letto, e, con la luce sempre accesa si addormentò.
Quel giorno ne aveva avuto abbastanza dell’oscurità.



_________________________

Ciao a tutti!!!
Vi sono mancato?
Cmq,. spero vi sia piaciuto.
Dopodomani arrivo con il terzo capitolo.
Vorrei ringraziare
ValeryJackson, Sasha29,Mistakeoffactory e Mirtillamalcontenta

Grazie delle vostre recensioni!!!!
Spero continuerete a leggere anche il resto della storia!
baci
FALLEN99


 

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Capitolo 5
*** 3. Un pomeriggio in compagnia ***





III

 

Le due settimane successive passarono più veloce di quanto Ginevra si aspettasse, non rivolgeva più la parola alla madre, e, ogni giorno, il misterioso ragazzo la salutava all’entrata, per poi scomparire all’improvviso. Ma sentiva che quella giornata era diversa, speciale…
Si alzò in fretta, era sabato, e andò a controllare la posta, forse la nonna le aveva mandato qualche lettera. Percorse l’angusto corridoio e andò verso la porta di casa. Il freddo pavimento le provocava molteplici fitte fastidiose ai piedi scalzi. Appena toccò lo zerbino il freddo scomparve, lasciando posto a piccoli aghetti perforanti. Stette qualche secondo davanti alla porta, contemplando il suo pomello d’ottone e la sua placcatura in verde. Sapeva che poteva restare delusa, forse la nonna non aveva mandato nulla, come nelle ultime settimane. Con uno scatto deciso aprì la porta, dirigendosi verso la casella postale.
L’aprì decisa, ma era vuota. Un singhiozzo le salì per la gola, facendole venire voglia di piangere. Lo fece. Si lasciò trasportare dalle emozioni, scoppiando in lacrime. Si accasciò a terra, sbattendo violentemente la nuca sul prato. Avvolse le braccia alle ginocchia, e cominciò ad imprecare al cielo. Cosa aveva fatto per meritarsi questo? Ma, soprattutto, perché nessuno sembrava capirla? Ad un tratto udì dei passi decisi venire verso di lei. Erano felpati, attenuati dall’erba.
  ‹‹Cosa c’è che non va?››Riconobbe subito quella voce, l’avrebbe riconosciuta da qualsiasi parte. Alzò piano il capo, due occhi scuri la accolsero. ‹‹Ma.. ma che ci fai qui?››Chiese singhiozzante.
‹‹Non è importante››il misterioso ragazzo le mise l’indice alle labbra, placando in parte il suo pianto.                    
‹‹Shh, non è il momento di parole››. Le si sedette accanto, ed Ginevra istintivamente poggiò la testa sulla sua spalla. Non sapeva il perché ma aveva la sensazione di conoscerlo da sempre, di potergli dire ogni cosa. Restarono così per un po’, senza dire nulla. ‹‹Gr… Grazie››. Gli sussurrò Ginevra, ma non sapeva nemmeno il perché dovesse dirglielo. Dopotutto non l’aveva aiutata in nulla, le si era solo seduto accanto. Ma sentiva il dovere di ringraziarlo, la sua presenza la faceva sentire meglio.                                                                                             
‹‹Comunque sono venuto qui per darti questa››. Le porse una busta bianca.                                                                                                                                
‹‹Il sabato, per pagarmi il motorino, faccio il postino. È arrivata proprio ieri da Milano, scusa se te la consegno solo oggi››. Sul viso della quattordicenne si accese un piccolo sorriso.
‹‹Non sai quanto mi sei stato d’aiuto!››Gridò scattando in piedi. Svelta raggiunse la porta di casa euforica. Quando stava per entrare si voltò, ma ancora una volta il ragazzo era scomparso.                                                                     
Stefano. Questo nome le comparve nella mente. Il solo pensare ai suoi capelli neri la faceva invadere da un’emozione strana. Un misto fra inquietudine e mistero.                                                                                                                
Richiuse la porta dietro di sé, lasciando i pensieri del ragazzo fuori dalla casa. E corse in camera. Si gettò sul letto, incurante di essere stata vista da un ragazzo in camicia da notte semitrasparente. Aprì la busta, stracciando il cellofan che l’avvolgeva.  La guardò euforica, finalmente la nonna si faceva viva! Aveva così tanta voglia di rivederla… lesse chi l’aveva mandata. Rebecca Bianchi. Sì, era proprio sua nonna. Estrasse dalla busta un piccolo foglietto, scritto con una calligrafia impeccabile. Lesse:
                          
                               "Cara Ginevra, sono ansiosa di rivederti, sarai cresciuta molto.
                   Ti aspetto con ansia, vieni a farmi visita domenica. 
                               Ti accoglierò con gioia. Baci                       
                                    Nonna Rebecca."

‹‹Sì, sì sì!››Ginevra scatto in piedi. Finalmente le cose cominciavano ad andare bene. Cominciò a fantasticare su cosa avrebbe potuto raccontare alla nonna, cosa avrebbero potuto fare assieme. Si avviò verso l’armadio di legno e l’aprì. Scelse una camicetta azzurra e dei jeans attillati, si vestì, e in breve si precipitò in cucina. Appena si sedette il richiamo del cellulare la fece ritornare in camera. Ma chi poteva averla chiamata? Lo cercò qualche istante, per poi trovarlo nascosto dal pesante piumone. Rispose:                  
 ‹‹Pronto?››Nessuno rispose.                                                                                                            
‹‹Ciao! Sono Micaela, ricordi?››Ma certo, come poteva non ricordarsela. I suoi occhi color glicine e i suoi capelli biondi l’avevano fermata il primo giorno di scuola. ‹‹Si ricordo››. Rispose incerta.                                                              
‹‹Bene, volevo invitarti ad uscire con me oggi pomeriggio. Potremmo andare al centro commerciale? Ti va?››Ginevra tacque. Come aveva avuto il suo numero? Ci aveva parlato solo una volta. ‹‹Ginevra… ci sei?››                                                        
‹‹Sì, scusa. Per me va bene.››                                                                                                                              
‹‹Okay, allora ti passo a prendere questo pomeriggio alle tre?››E prima che Ginevra potesse obbiettare Micaela la precedette.
‹‹Alle tre, ricordatelo››. Poi il telefono emise quell’odioso too too too. Senza nemmeno volerlo si era ritrovata impegnata. Lasciò ricadere il cellulare sul letto, e si avviò a fare colazione.
*****
Qualcuno bussò alla porta, salvando Ginevra dalla putrida minestra che la madre le aveva preparato.
‹‹Chi è tesoro?››Domandò la madre. Ginevra le dovette rispondere a malavoglia. ‹‹È Micaela, una mia amica. Mi porta in giro››. E senza nemmeno aspettare il consenso della madre prese la giacca e uscì di casa, facendosi lanciare dietro le urla del padre. appena varcò la soglia di casa venne investita dai riccioli biondi di Micaela.
‹‹Ciao!››La salutò euforica.
‹‹Andiamo? Sei pronta?››Ma appena l’amica parlò la sagoma di Gianni, il padre di Ginevra, si presentò dalla porta. ‹‹Torna subito qui! Brutta ribelle, dove credi di andare senza il mio permesso!?››L’afferrò per il braccio, facendola sobbalzare.
Cavolo, stava per avere un’amica ed il padre la stava già compromettendo. ‹‹Non c’è problema signor Bianchi, io e sua figlia stiamo solo uscendo››. L’espressione furibonda sul viso dell’uomo scomparve, lasciando posto ad un’espressione indecifrabile. ‹‹D’acc, d’accordo. Ma tornate presto››. raccomandò. Ma? Ma cos’aveva fatto? Nessuno riusciva a farlo ragionare, nemmeno sua madre. C’era qualcosa di strano in quella ragazza, Ginevra lo sapeva. L’amica le lanciò un’occhiata soddisfatta.
‹‹Divertitevi››disse il padre, prima di tornare in casa. ‹‹Ma come hai fatto?››Chiese Ginevra ancora scioccata. ‹‹Sono solo brava a dissuadere le persone. Dai, vogliamo andare?››L’altra annuì. ‹‹Bene, dritte al centro commerciale!››Le due adolescenti si avviarono per la strada.
 
‹‹Questa prima settimana di scuola è stata davvero pesante, non trovi?››         
   Chiese Micaela, sorseggiando il suo frullato di pesche, una volta che si fossero sedute al tavolino di un bar.                                                                                      
‹‹Si, soprattutto perché non conoscevo nessuno››. Disse Ginevra, lanciando un occhio al telefono. Erano solo le quattro e mezza, sembrava passata un’eternità da quando avevano lasciato casa sua ed erano andate al centro commerciale. Era strano per Ginevra avere un’amica, non ne aveva mai avute. Era sempre stata una solitaria, e “strana” per chi non la conosceva bene. Per tutte le medie era stata perseguitata dal nomignolo di                                                      
“ Emo” ma non voleva ricordare.
‹‹Già, speriamo che la nostra classe si unisca presto››. Ci fu una breve pausa, dove le due ragazze sorseggiarono i loro frullati. ‹‹Di un po’, ce l’hai il ragazzo?››Ginevra arrossì. Era un argomento a cui non era preparata. Stefano. Quel nome le comparve per la seconda volta nella mente.
‹‹Stefano››disse, ignara di averlo ripetuto ad alta voce.                                                                                                                             
L’amica si fece improvvisamente seria. ‹‹Si chiama Stefano?››‹‹Oh no! Stavo solo dicendo il nome di un mio amico. Non è il mio ragazzo, ci conosciamo appena››. Tagliò corto. ‹‹Ah, menomale, meglio stare alla larga da quello. Ha una brutta reputazione a scuola. Si dice che approfitti delle ragazze››. Disse misteriosa Micaela. Ginevra rimase allibita. Non voleva crederle, quel ragazzo le sembrava così puro, innocente. Restò qualche istante immobile, prima che l’amica rompesse la tensione.
‹‹Scusa, forse ti ho spaventata, cambiamo argomento. Hai studiato per il test d’ingresso di matematica?››Chiese, sembrava turbata da quel nome.
Da quando Ginevra l’aveva pronunciato sul suo viso era comparsa una smorfia di disgusto.
Il pomeriggio passò velocemente, le due adolescenti girarono per il centro commerciale, adocchiando vari vestitini graziosi. Mentre uscivano da negozio di abbigliamento Ginevra guardò verso il cielo. Quel pomeriggio era così limpido, puro. Come Stefano. Il pensiero che il ragazzo fosse come l’amica lo aveva descritto la fece rabbrividire. Le sembrava un bravo ragazzo. Ma d'altronde, tutti nascondono dei segreti, ed Ginevra lo sapeva bene. Scrutò attentamente le nuvole, una macchia nera sfrecciò tra esse. Sembrava un uccello, o qualcosa del genere. Scese in picchiata, fendendo l’aria, e lasciando una scia di piume nere.
Ginevra non aveva più dubbi, era un corvo. Il richiamo dell’amica la riportò alla realtà.
‹‹Ti piace. L’ho preso per tè››. La ragazza le porse un piccolo pacchetto di carta gialla.
‹‹Aprilo quando sarai a casa, e consideralo come un pegno d’amore!››Scherzò. Ginevra scoppiò a ridere. Le sembrò strano, era da molto che non rideva.
‹‹No, seriamente, è un ricordo di questa giornata››. Micaela le sorrise, correndo verso la gelateria. ‹‹Ei, ti va un gelato?››                                                        
‹‹Ma non sei ancora piena? Abbiamo mangiato già il frullato››. L’amica annuì.                                                                                                                                              
‹‹E dai, è solo un gelato… Offro io!››A quel punto Ginevra non poté rifiutare. Si avviò verso la gelateria, ma qualcosa la urtò. O meglio, qualcuno. Ginevra fece cadere il pacchetto giallo a terra. ‹‹Guarda chi si rivede!››. Ginevra alzò lo sguardò, davanti a lei stava un ragazzo dai capelli corvini e dagli occhi scuri. ‹‹Scusa! Non volevo››. Il ragazzo si affrettò a raccogliere il pacchetto e glielo porse. Una leggera smorfia comparve sul suo viso, come se il pacchetto scottasse. 
‹‹Ciao Stefano››. Quelle parole le uscirono dritte dalla bocca. Il ragazzo rimase allibito. ‹‹Ciao Ginevra, ma come fai a sapere il mio nome?››Ginevra ammutolì.‹‹Non importa, comunque, che ci fai…››ma fu interrotto dall’arrivo di Micaela. ‹‹Siamo venute a prendere un gelato, problemi?››Disse acida.
‹‹Assolutamente no. Stavo dicendo ad Ginevra una cosa, voglio dire, prima che ci interrompessi…››confessò seccato.
‹‹Scusa, ma non abbiamo tempo, gliela puoi dire lunedì a scuola. Ora dobbiamo andare››. Micaela prese Ginevra per un braccio e la condusse verso la gelateria.                                          
‹‹Ciao…››riuscì a dire Ginevra, prima che l’amica l’avesse fatta entrare nel locale. Appena fuori dalla traiettoria della vista del ragazzo Ginevra si staccò dalla presa della ragazza. ‹‹Ma che ti prende? Si può sapere che hai contro di lui?››Disse quasi urlando.
‹‹È una lunga storia… Coraggio, non voglio che per colpa di quel ragazzo ci roviniamo il pomeriggio!››
‹‹Nemmeno io, scusa. È che credo di… di…››                      
‹‹Di cosa?››La interruppe.                                                        
 ‹‹Lascia stare. Sono d’accordo con te, meglio goderci questo gelato››. Mentì.
*****
‹‹Ciao ka, come è andato il pomeriggio? Io ho disegnato con mamma!››chiese Susanna.
‹‹Oh, brava. Scommetto che hai fatto dei disegni bellissimi! È andato tutto bene, ma non è una cosa di cui ti devi impicciare. Brutta pettegola!››Urlò Ginevra, facendo il solletico alla sorellina. ‹‹Dai… smettila!››La bambina si divincolò, sottraendosi dalla presa della sorella. ‹‹Mamma ha detto che è quasi pronto!Sbrigati››. La bambina saltellò via, mentre Ginevra andava in camera sua. Era stata una giornata abbastanza frenetica, ma era stata molto bella.
Vi entrò senza nemmeno accendere la luce, aveva bisogno di rilassarsi, e conosceva il metodo. Si stese sul letto, a contemplare l’oscurità, immaginando cosa stesse facendo Stefano. Era incantata dai suoi occhi profondi, dai capelli spettinati al punto giusto, insomma, da tutto di lui.
La intrigava moltissimo quel ragazzo, ma non voleva dirlo a Micaela, visto la reazione che aveva avuto poche ore prima. Sentì una voce chiamarla, era maschile.
‹‹Ginevra, baciami…››queste parole riecheggiarono nel buio.                                                                                 
   ‹‹Ma chi sei!?››Non ottenne risposta.                                                                                                                             
‹‹Coraggio baciami, so che lo vuoi››.                                                                                                   
‹‹Ti sbagli! Mi vuoi dire chi cavolo sei!?››Un odore di marciume si estese nella camera, facendole assumere un’espressione disgustata. Svelta accese l’interruttore, davanti a lei stava uno spettacolo spaventoso. Un colomba morta, in stato di decomposizione. Le si avvicinò piano. Come aveva potuto trovarsi una colomba in camera sua? Di sicuro era uno scherzo di cattivo gusto. Diede un’occhiata fuori dalla finestra, uno corvo.
Davanti alla sua finestra stava un corvo, lo stesso che aveva visto al centro commerciale.
‹‹Non è possibile, sto’ diventando matta››. Disse. Guardò per terra, la colomba era scomparsa. Il corvo gracchiò, richiamando la sua attenzione.
L’animale la guardò intensamente, con degli occhi che conosceva molto bene.                                                                                                                                                 
‹‹Ginevra, è pronta la cena!››La chiamò la sorella.
Così Ginevra, turbata, si avviò verso la cucina, ancora scossa dagli avvenimenti della giornata.

Ciao a tutti!
Sono sempre io!
Ci ho messo un pò a scrivere questo capitolo, quindi gradirei le vostre opinioni.
Ringrazio
Sasha29, Misteryoffaztory e le/gli altri recensori
recensite ancke ora!!!
baci

FALLEN99
 


 

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Capitolo 6
*** 4. Stranezze dalla nonna ***


IV
 

 

Il pacchetto giallo stava lì, davanti ai suoi occhi. Aveva paura di aprirlo, per poi scoprire che conteneva un biglietto di addio. Ma se ci fosse stato scritto così l’avrebbe capito, dopotutto nessun voleva un’amica con un padre pazzo. Mosse la mano per raggiungerlo, ma subito la ritirò. Non voleva rompere quell’intatta tensione che si era creata tra lei a l’oggetto. Proprio mentre lo stava per prenderlo, la sorellina fece irruzione nella camera. La sua piccola sagoma veniva illuminata dalla flebile luce mattutina. Indossava la sua piccola camicia da notte con gli orsetti, e teneva in mano il suo piccolo peluche.
‹‹Ginevra, ho, ho paura di papà››la bimba scoppiò a piangere, correndo verso il piumone della sorella. Ginevra non si aspettava una simile reazione.                          
  ‹‹Cosa è successo?››Chiese, ma sapeva già qual era la risposta.                                                                          
 ‹‹Papà a cominciato a gridare, dicendo che la mamma era una stupida e che io era una piccola rompi…››
‹‹Okay, ho capito. Ma è “normale” si è solo scordato di prendere le pillole
calmanti.››                                                                                                                           
‹‹Ma è vero che sono una rompi…››                                                                                       
‹‹No! Susanna, non pensarlo nemmeno››. La interruppe Ginevra.
‹‹Sei una bambina meravigliosa!››La abbracciò, capiva benissimo cosa stava provando.
Quando il padre non prendeva le pillole dava fuori di matto. ‹‹Ora è meglio vestirci, andremo dalla nonna. Ti va?››chiese, sapendo che Susanna amava andarci.                                                                                                                           
 ‹‹Quando?››
‹‹Ma sciocchina, oggi. Dai, ora vestiamoci, che sono già le nove. Prenderemo il bus alle nove e mezza, bocca chiusa con papà, specialmente quando non ha preso ancora le pillole. Ora sbrighiamoci, dobbiamo ancora fare colazione!››Disse Ginevra, trascinando la bambina verso la cucina. Le preparò una tazza di latte e dei biscotti, che trovò nella dispensa. Fecero colazione in fretta e furia, facendo il  minimo rumore. La madre non si doveva accorgere di nulla, altrimenti le avrebbe sgridate. Ne lei né suo padre volevano che andasse dalla nonna, la odiavano con tutto il cuore.            
 Perché lei riesce a farmi sorridere, a differenza loro. Si diceva Ginevra.
Si vestirono. Susanna si mise un vestitino bianco ed un cappotto grigio, che si confondeva con il grigiore che avvolgeva la città. Ginevra indossò i vestiti del giorno prima, e, così le due ragazze uscirono di casa, rubando alcuni soldi dal portafogli del padre. Si diressero verso la fermata del bus, e fecero i biglietti. Lo presero appena in tempo. Una volta salite faticarono a trovare i posti, ma ne  riuscirono a trovare due accanto alla porta d’uscita. A quel punto Susanna ruppe il silenzio.

‹‹Ma quanto ci vorrà?››Chiese, non amava i viaggi lunghi, la innervosivano molto.
‹‹Più on meno venti minuti››disse un’anziana signora seduta a fianco della bimba. Susanna istintivamente, abbracciò la sorella. Ricordava molto bene il consiglio della madre. “ mai parlare agli estranei” eppure Ginevra avrebbe giurato di aver già visto quegli occhi color glicine. ‹‹Grazie signora››. La quattordicenne le sorrise, scalando di un posto.
Appena scese dal bus dovettero attraversare un quarto di Milano, prima di raggiungere il palazzo dove viveva la nonna. Una modesta palazzina di appena cinque piani, situata nel centro nel cuore della metropoli.
La vecchia donna stava davanti alla porta ad aspettarle, con un grande sorriso stampato sulle labbra.
‹‹Ciao ragazze! Ma quanto siete cresciute!››Rebecca avanzò di qualche passo, andando in contro alle due sorelle. ‹‹Nonna!››Gridò Susanna, correndo verso di lei, e abbracciandola. Ginevra aspettò qualche istante, frenata dalla suoneria del cellulare. Lo estrasse dai jeans e se lo portò all’orecchio.                                                                                                                        
‹‹Pronto?››                                                                                                                                        
‹‹Tesoro, ma dove sei? Ti sto’ cercando da ore! Vuoi dirmi dove siete tu e Susanna!››Al telefono stava la madre, completamente ignara, del fatto che le figlie avessero preso il bus.
‹‹Siamo dalla nonna, e non usare questo tono con me! Perché se voglio resterò qui per sempre! Al posto di tornare nella nostra lurida casa a sopportare te e papà!››Urlò, rivolgendo lo sguardo verso il cielo. Una macchia nera attirò la sua attenzione. Era un corvo, che continuava a girare in tondo, sopra la sua testa. Fece cadere il telefono a terra, che si ruppe.
‹‹Qualcosa che non va tesoro?››Chiese la vecchia.
‹‹No, tutto a posto, non preoccuparti››. Mentì. L’abbracciò, sentendo un calore familiare percorrere il suo corpo. L’odore inconfondibile della nonna la avvolse, provocandole un gran sollievo. L’odore della nonna, un po’ di miele e del tè allo zenzero. Subito dimenticò le sue preoccupazioni. Era questo l’effetto che le faceva la nonna.
Quella benevola vecchietta, che si era sempre resa disponibile per le sue nipoti. ‹‹Bene, vogliamo salire?››Così mi raccontate come va? Le due annuirono e salirono le scale.
‹‹Per pranzo c’è l’arrosto, va bene?››  
Chiese la vecchia donna, appena furono entrate nell’appartamento. ‹‹Ma certo nonna, tutto quello che vuoi!››dissero le due nipoti in coro. Ginevra si precipitò subito all’ampia libreria che la nonna teneva nella sua camera. Consisteva in tre interi scaffali, pieni zeppi di libri di ogni genere. Notò che uno era caduto a terra, aveva la copertina bianca, che portava ben evidenti i segni del tempo. Sulla copertina vi era raffigurato un uomo con due enormi ali argentate.
Nell’angolo destro stava invece un’ombra nera, che sembrava assumere una sagoma maschile. Ed il titolo diceva:                            
Angeli e demoni.
Una grande curiosità l’attanagliò, e corse subito verso il libro abbandonato. L’aprì alla prima pagina, che presentava un enorme titolo scritto in oro: Angeli, i guerrieri del paradiso. Lesse, e lesse, senza ricordarsi della presenza della nonna e della sorella, che stavano allegramente chiacchierando in sala.                                                                                                              
  L’antica guerra. Arrivò a quella pagina, prima di essere interrotta dal richiamo della nonna. ‹‹È pronto! Sbrigati o si fredda!››Ginevra ignorò il richiamo della vecchia, continuando a leggere. Era arrivata al punto in cui i demoni avevano intrapreso una grande guerra contro i guerrieri del paradiso.
‹‹Ginevra! Che stai facendo!?››Ma la ragazza ignorò un’altra volta la voce della nonna. Era troppo presa dalla lettura, sentì una mano toccarle la spalla, sobbalzò.
‹‹Ginevra, tesoro, vuoi muoverti?››La ragazza girò il capo, dietro di lei stava la nonna.                                                                                                                                         
‹‹Ancora un attimo, poi arrivo.››Mugugnò, odiava chi la interrompeva mentre leggeva.                                                                                                                                       
  ‹‹Ora basta, stai oltrepassando ogni limite! Vieni di là a mangiare!››La rimproverò nonna Rebecca.                                                                                                                                  
 ‹‹Non toccarmi, lurida vecchia!››Ginevra si girò, scansando le fredda mano della nonna. Le pupille della ragazza si estesero, fino a ricoprire tutto l’occhio. Scattò in piedi sul letto della vecchia, e scaraventò il libro a terra, proprio accanto ai piedi di Rebecca. Il libro si aprì alla pagina novanta, con il titolo: Ragazze possedute…
‹‹Ginevra, siediti immediatamente!››Tuonò la nonna. Ginevra obbedì, lasciandosi ricadere sul letto. Era come se una forza estranea si fosse impossessata del suo corpo; ma la nonna sembrava saperla gestire.
‹‹Non fare mai più una cosa del genere! Ed ora vieni a mangiare!››  
Il pranzo fu consumato in silenzio, solo Susanna continuava a parlare.                                                
‹‹Nonna, dopo ti posso parlare, in privato››disse Ginevra, guardando la piccola Susanna, che si stava appisolando sulla sedia.                                                                               
‹‹Ma certo, riguardo che cosa?››                                                                                                              
‹‹Me stessa››                                                                                                                                                    
‹‹Ti sono venute le tue…››                                                                                                                                 
 ‹‹No!››La interruppe imbarazzata.                                                                                
‹‹No, quello non centra. È solo che ultimamente mi stanno accadendo molte cose strane››. Disse, portandosi alle labbra l’ultimo pezzo di carne che le era rimasto nel piatto.                                                                  
‹‹D’accordo, aspetta che metto Susanna a letto, poi potremmo parlarne››. Commentò Rebecca, prendendo in braccio la bambina. Tu sparecchia, così avremmo più tempo per parlare. Ginevra obbedì, e sparecchiò in fretta e furia, dopodiché si avviò verso il piccolo salotto. Le pareti erano completamente bianche, al centro stava un piccolo tavolino in ebano, circondato da varie sedie dello stesso materiale. Il pavimento era ricoperto con pesanti piastrelle a righe bianche. Sembrava tutto così puro ed impeccabile, come fosse la casa di un angelo…
Le due sedettero al tavolo, l’una di fronte all’altra. ‹‹Dimmi, cos’è che devi dirmi?››Cominciò la donna, sistemando il cuscino arancione sullo schienale della sedia.
‹‹È che da un po’ di tempo mi accadono una marea di cose strane››rispose massaggiandosi nervosamente le tempie.                                                       
‹‹Di che tipo tesoro?››                                                                                                                     
 ‹‹Del tipo che ho trovato una colomba morta nella mia stanza e un corvo continua a seguirmi››                                                                                                                             

‹‹Sicura di non essere solo stressata?››Chiese, improvvisamente seria. All’inizio pensava che la nipote volesse allarmarla per nulla, ma ora aveva capito la gravità della questione. ‹‹Assolutamente no! Vedo continuamente un ragazzo, che poi sparisce nel nulla. Una mia amica riesce a far ragionare papà come nemmeno tu ci riuscivi! Stanno accadendo troppe cose strane…››la ragazza scoppiò in lacrime. ‹‹Tesoro, ti prego, sei solo molto stressata. Ma se proprio vuoi posso fare delle ricerche. Aspetta qui…››.
La donna scomparve nella sua stanza da letto, per poi ritornare dopo dieci minuti. Dieci minuti che ad Ginevra sembrarono eterni. Rebecca ritornò con il libro che Ginevra stava leggendo prima. Dal titolo: Angeli e Demoni, quello che Ginevra aveva letto.                                                                    

‹‹Vedi, la colomba è simbolo degli angeli, guarda››. La vecchia aprì il libro esattamente a metà.
Vi era raffigurata una colomba ad ali spiegate, che volava nel cielo limpido. Poi la vecchia voltò la pagina, ora vi era raffigurato un corvo nero, che prendeva il volo attraverso le fronde degli alberi di una foresta tetra e scura.
‹‹E da secoli il corvo è simbolo dei demoni…››disse la donna preoccupata. ‹‹Quindi da quello che mi hai detto hai trovato una colomba morta, segno che gli angeli sono stati uccisi…››
‹‹Ma che centra questo con me?››Chiese Ginevra, cominciava a non capirci più nulla. la situazione si stava facendo molto più complicata del previsto. ‹‹Sei in pericolo, devi tornare subito a casa, prendi le tue cose››. La vecchia, turbata, si alzò e scattò in piedi. Si avviò verso la stanza da letto e svegliò la piccola Susanna. Prese i cappotti delle due nipoti glieli pose.
‹‹Dovete tornare subito a casa. Vi chiamo un taxi››. La donna sembrava preoccupata, continuava a camminare avanti ed indietro.
‹‹Ma nonna…››Ginevra non capiva. La nonna era sempre stato un suo punto di riferimento, ed ora tutta la fiducia che aveva nei suoi confronti stava cominciando a scomparire. L’ira prese il sopravvento sul suo corpo, le sue pupille si dilatarono, e Ginevra scattò in piedi. I suoi capelli cominciarono ad agitarsi e la fronte a corrugarsi.
Scattò verso la nonna, strattonandola per un braccio. Era come se vedesse cosa stava facendo, ma non riuscisse ad impedirlo, come se ci fosse qualcun altro dentro il suo corpo che agiva al posto suo, per la precisione un burattinai impazzito. La vecchia cadde a terra, lasciandosi sopraffare dalla forza della nipote.
Ginevra continuò a strattonare la donna, finche Rebecca non si sottrae dalla sua presa. Pur essendo una signora di una certa età Rebecca riuscì a muoversi velocemente verso il cassetto del tavolo. Ne estrasse una croce dorata, con varie decorazioni bianche. Con lo sguardo fermo la punto verso Ginevra pronunciando parole sconosciute. Ginevra, di primo impatto, non sentì nulla. Dopo circa un paio di secondi un dolore lancinante le colpì la parte destra del corpo, come se fosse una metà “impura”.                                                  
Poi tutto fu buio.                    



Ciao a tutti!
Ho impiegato tutta domenic amattina a scriverlo, quindi gradirei tante recensioni!
Ringrazioe sempre i miei lettori appassionati!!!
Arrivo con il quinto sopo-domani( oprima se ho tempo di scrivere!)
baci
FALLEN99

 

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Capitolo 7
*** 5. Incubi Apocalittici ***


 V
 

S i svegliò piano, sentendo una puzza insopportabile. Sopra di lei stava il vuoto, il nero, l’oscurità… Era strano, in quel momento non la sentiva così benefica come sempre. Non sentiva nulla percuoterle le membra quando la guardava. Anzi, si sentiva oppressa, soffocata. Provò a muovere le gambe ma non riuscì. Era come se avesse addosso un macigno invisibile, che la opprimeva. Un grande mal di testa cominciò a prendere il sopravvento sulla sua mente. Cosa stava succedendo, un attimo prima era a casa della nonna, ed ora si ritrovava in quell’enorme scatola nera. Stavano accadendo troppe cose strane.
E Ginevra ne aveva piene le scatole di vivere in un mistero, che ogni volta che cercava di svelare si faceva sempre più intricato. Chi era Stefano? Come Micaela riusciva a far ragionare suo padre? e, soprattutto, perché la nonna si comportava in modo così ambiguo?
Chiuse gli occhi, tanto ciò che vedeva era la stessa massa oscura, che poteva benissimo osservare ad occhi aperti. A d’un tratto sentì dei passi avanzare, erano felpati, e aveva la sensazione di averli già sentiti.
Tante, tante volte.
Aprì gli occhi, il buio era sparito. Poteva scorgere nitidamente una grande torre di pietra, che spiccava tra la grande massa di piccole case dal tetto di paglia. Una grande chiesa stava proprio davanti ai suoi occhi, alta ed imponente, con un enorme rosone colorato. Stranamente il cielo non era grigio, ma nero. Completamente nero. Una leggera pioggerellina cominciò a scendere da esso, intrappolando tutto sotto al suo manto bagnato. Tutto tranne Ginevra, che sembrava essere diafana, trasparente. Come se potesse vedere tutto ciò che accadeva, ma il suo corpo non fosse lì.
Udì delle voci provenire dalla cattedrale. Ne uscì una ragazza dai brillanti occhi blu, e dai lunghi capelli corvini. Era identica ad Ginevra. Assieme alla ragazza uscì un giovane , con capelli e occhi scuri. Ginevra venne percossa da un inquietudine, le sembrava di conoscere benissimo quel luogo e quella ragazza, ma era la prima volta che li vedeva. Si sentiva sola, impotente, davanti a tutto ciò che le stava davanti. Le lacrime rigarono il suo viso, senza che avesse modo di fermarle.
Ma non le sentì, come se fossero così leggere da non avere peso. Rivolse lo sguardo verso i due ragazzi, notando che si stavano abbracciando. Poi, il ragazzo lasciò la giovane.
‹‹Ciao, ci vediamo domani!››La salutò il ragazzo, rientrando nella chiesa. dopo circa dieci secondi la ragazza lo chiamava a gran voce, ma Ginevra non riusciva a sentire il nome del ragazzo. Lo udiva storpiato. La ragazza corse verso la chiesa, aprendo velocemente il grande portone. Lui era lì, li ad aspettarla, come se sapesse che stava per ritornare da lui. La guardò dritta negli occhi, sospirando. Poi le si avvicinò piano, come per prolungare quell’attesa. Ginevra osservava il tutto perplessa. Cosa centravano quei due con lei? e, soprattutto, stava sognando? Ma non trovò risposta.
Il ragazzo pose la mano destra sul viso della giovane, e le avvicinò il naso. Rimasero immobili, senza rompere il silenzio. La pioggia cominciò a trasformarsi in grandine, che andava via via moltiplicandosi.
I piccoli frammenti di ghiaccio cadevano veloci, rompendosi al contatto con il terreno. Producevano un suono come quello che si ottiene rigando la lavagna con le unghie, insopportabile. Ma i due ragazzi ignoravano tutto ciò che gli stava attorno, troppo concentrati a guardarsi negli occhi. I loro sguardi splendevano di luce propria, creando un’atmosfera che Ginevra non riuscì a percepire.
 ‹‹Ti amo, più della mia stessa vita…››disse la ragazza ad un tratto.                                                
‹‹Anch’io, e non sai cosa farei per te››. Ci fu una breve pausa.
‹‹Se potessi ti porterei la luna, e se potessi ti lascerei in vita››. Un’espressione perplessa si instaurò sul viso della ragazza.
“Che cavolo sta dicendo?” Si disse Ginevra tra se e sé. Pensava che fosse uno dei suoi soliti incubi, ma non sapeva che era pura realtà.
‹‹Ma, ma cosa dici?››In cuor suo la ragazza sapeva già la risposta, perché l’aveva sentita già altre migliaia di volte, inconsapevolmente. Credevo mi amassi. Disse lei impaurita indietreggiando.
Lui la guardò taciturno, poi aprì le labbra e le pose su quelle di lei.
Ginevra provò ad immaginare il calore delle labbra del ragazzo sulle sue, ma senza risultati. Non aveva mai avuto un ragazzo, sempre giudicata dai pregiudizi che la gente le affibbiava.
Il ragazzo la baciò feroce, come un lupo che divora la sua preda. Cominciò a morderle le labbra, e porto le mani alla tasca dei pantaloni. Le ragazza era ignara di tutto, troppo occupata a rispondere al bacio del ragazzo. 
Ma che sta’ facendo! Pensò Ginevra, si sentiva parte di quella terrificante scena. Una brutta sensazione si fece strada dentro di lei, anzi, un presentimento. Il ragazzo estrasse dalla tasca un piccolo pugnale.
Brillava vividamente nel cielo scuro, provocando un grande contrasto.
Lo portò alla gola della ragazza con un movimento lento e tremante, come se non volesse farlo. Ginevra sgranò li occhi, cosa stava succedendo?
D’un tratto la grandine smise di scendere, il fumo smise di uscire dalle case, il vento smise di soffiare. Tutto si fermò, come se il tempo si fosse placato.
Ginevra guardava il tutto a bocca e occhi sbarrati. Una tensione impalpabile la avvolse, facendola tremare come una foglia. Sentiva che stava per succedere qualcosa di molto, ma molto brutto. Infatti la lama del pugnale recisa la gola della ragazza, facendole emettere un gridolino strozzato.                                                            
  ‹‹Chi… chi sei veramente?››Disse la ragazza, prima di accasciarsi al suolo. I lunghi capelli neri si macchiarono di un forte rosso scarlatto, e i bellissimi occhi blu-notte si chiusero. Sul viso del ragazzo si fece largo un’espressione di vittoria.
‹‹Ah!››Gridò Ginevra, ma il ragazzo sembrò non sentirla.
Era isolata da tutto. Un dolore lancinante le avvolse la gola. Continuava a uscire sangue, e la ragazza cercava di fermare la fuoriuscita con la stoffa della maglietta. “ Ma, cosa è sta succedendo?” pensava, continuandosi a tastare l’enorme taglio che le era spuntato sulla carotide. Poi rivolse lo sguardo alla ragazza, vide lo stesso taglio.                                                                                                      
 Ma che cosa voleva dire? perché avevano lo stesso taglio?                                                                                                                  
  Poi, dolorante, buttò un occhio verso l’assassino.
‹‹Mio signore, venite avanti…››sussurrò il ragazzo guardandosi in giro. Aveva paura che qualcuno avesse potuto vederlo. Non voleva che la gente sospettasse di lui per l’omicidio, doveva sembrare un suicidio. Ne sarebbe uscito pulito, come le altre volte.
‹‹Mio signore, ci siete?››Chiese timoroso. Ma che sta’ dicendo? Si chiese Ginevra, continuando a palparsi la ferita. Il ragazzo restò in silenzio per qualche minuto. Poi successe l’immaginabile:
Sul corpo della ragazza cominciarono a formarsi moltissimi graffi su tutto il corpo. Anche ad Ginevra si formarono. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Tanto i nessuno poteva sentirla. Ma le sue urla non placarono i tagli, che continuavano a moltiplicarsi. Chiuse gli occhi, quando li riaprì dal corpo della ragazza stava emergendo una grande ombra.
Essa cominciò a ruotare attorno al ragazzo, poi si fermò esattamente sopra il corpo della giovane e assunse una forma pressoché umana. Restò immobile, guardando il ragazzo negli occhi.
‹‹Sei stato bravo, come sempre››. Lo elogiò, porgendogli quella che sembrava una mano sulla spalla. Grazie mio signore. Rispose lui, inchinandosi.
‹‹Finalmente, dopo quattordici lunghi anni sono libero!››La figura ombrosa rivolse uno sguardo verso Ginevra che rimase con il fiato in gola. Non emise nemmeno il più piccolo dei movimenti, spaventata da cosa stava succedendo. Lentamente chiuse gli occhi, sperando che quell’orrenda creatura sparisse. Quando li riaprì vide un’enorme sala bianca. Davanti ai suoi occhi stavano il padre, la madre e la nonna. Tutti addormentati su scomode sedie metalliche. Si guardò il petto. Inossava un camice bianco a pois grigi. Mosse la testa verso destra e vide un’enorme flebo collegato al suo braccio destro.
‹‹Ma dove cacchio sono?››Disse, prima che sua madre si svegliasse.                                          
‹‹Tesoro, come stai? Sei in ospedale da quasi due settimane›

 

Ciao a tutti!
Questo capitolo è un pò strano, vero?
Cmq, spero di chiarire i vostri dubbi con il prossimO!
Recensie, perchè nn lo state facendo in molti...
baci
FALLEN99

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Capitolo 8
*** 6. Figure nell'ombra ***


VI

 ‹‹Cos’hai detto?››Chiese Ginevra sconvolta. Come era stato possibile? Un attimo prima era in casa della nonna, poi si trovava in un incubo e poi era in una camera d’ospedale. Le cose cominciavano ad essere troppo strane per i suoi gusti. Si massaggiò nervosamente le tempie, fino a farsi apparire una grossa macchia rossastra. Dopo qualche momento di tensione la madre parlò:
‹‹Tesoro, ti hanno ricoverata circa due settimane fa. La nonna ha chiamato il pronto-soccorso, eri entrata in coma››. Ginevra restò a bocca aperta. Cosa aveva detto? Iniziava a non capirci più nulla.                                                    
‹‹Come… quando…. perché?››Cominciò a balbettare. Aveva un gran mal di testa che la perseguitava dal brusco risveglio. 
‹‹Ora calmati, devi restare tranquilla››. Disse la donna, continuando a lanciare occhiate fugaci verso il marito addormentato. Anche lei sembrava sconvolta quanto Ginevra. La suocera l’aveva chiamata verso le quattro del pomeriggio, dicendole che la figlia era in coma ed era stata portata all’ospedale. Era stato come ricevere uno schiaffo in pieno viso. E, come se non bastasse, il marito appena l’aveva saputo aveva dato di matto. Si sentiva disperata, senza via d’uscita da quella cattiva e violenta famiglia che aveva costruito. Certo, negli ultimi tempi le cose con Ginevra non erano andate molto bene, ma le voleva bene. I suoi pensieri furono interrotti dal lamento della figlia.
‹‹No! Io non voglio calmarmi!››Urlò Ginevra fuori di sé. Nella sua mente si stavano facendo strada molte idee oscene. Che era finita in manicomio, oppure che era un altro stupido incubo. Ma sapeva che none era così.
Nonostante pensasse di avere fatto solo un incubo le era sembrato così concreto, reale…
‹‹Tesoro, ora basta. Il medico ha detto che devi riposare››. La donna si passò nervosamente un mano tra i capelli biondo cenere. Perché la figlia stava dando di matto negli ultimi tempi? ‹‹Non mi importa cosa dice il dottore! Io voglio sapere come mai sono andata in coma!››Tuonò Ginevra. Il mal di testa le diede una violenta scossa alla testa, facendola ricadere sul letto d’ospedale.
Si sentiva esausta, come se le sue energie vitali fossero state risucchiate da quel sogno. La madre la soccorse, accarezzandole più volte i lunghi capelli nero corvino. ‹‹Ora chiamo l’infermiera, non ti preoccupare››. E, per ironia della sorte, dei passi la  precedettero. Si sentirono dei rumori venire verso la stanza. Un uomo alto e grassoccio comparve sulla soglia. Indossava un lungo camice bianco, che sfiorava dolcemente il terreno. Non era l’infermiera, bensì il dottore in persona.
Le si avvicinò piano, attento a non svegliare la nonna e il padre di Ginevra.
Una volta che le fu accanto parlò.
  ‹‹C’è qualche problema? Ho sentito gridare››. Disse quasi bisbigliando. I suoi occhi le si puntarono addosso, per cercare la minima anomalia. Ginevra stava per urlargli contro, chiedendo spiegazioni sul suo improvviso coma.
‹‹È tutto a posto dottore, Ginevra è solo un po’ stanca››. La precedette la madre.
‹‹Bene, gradirei un po’ più di silenzio››disse scocciato ‹‹se possibile››aggiunse cordiale, prima di uscire dalla porta. Sembrava un uomo molto nervoso e provato.
‹‹Aspetti!››Squittì Ginevra. L’uomo si girò di scatto, come se sapesse che la ragazza l’avrebbe chiamato.         
‹‹Si?››Chiese. La madre la guardò minacciosa, ma Ginevra la ignorò.                                                                        
‹‹Ho un grande mal di testa››. Disse tutto d’un fiato
‹‹Beh, è comprensibile, ti sei appena svegliata da un lungo coma. Aspetta qualche ora e finirà››. L’uomo scomparii dalla porta, questa volta senza aspettare un’altra domanda di Ginevra. La  madre la guardò stizzita.
‹‹Non devi disturbare il dottore! È uno dei più influenti di Milano!››Disse agitata. Poi, più calma, aggiunse. ‹‹Vuoi che svegli papà e la nonna? Così li puoi salutare?››Ginevra al solo pensiero dio parlare con il padre rabbrividì. Dopotutto gli aveva disobbedito andando dalla nonna senza il suo permesso. Così scosse la testa. Si rimise sdraiata e,  con fare deciso, si calò le lenzuola sul corpo, come per instaurare una barriera tra lei e la madre. Poi diede uno sguardo all’orologio sopra la porta.                                                          
Segnava mezzanotte e un quarto. Era davvero tardi. Restò qualche istante a ripensare agli avvenimenti che l’avevano sconvolta in quel primo mese di scuola. Era proprio vero: il liceo le aveva cambiato la vita. Una forte scossa di emicrania la colpì, facendola sobbalzare. Il mal di testa era diventato troppo forte perché lei potesse sopportarlo. Così alzò il lenzuolo per vedere se la madre era ancora sveglia. Per sua fortuna si era addormentata. Così, veloce, aumentò la dose di anestetizzante e a breve si addormentò. Quella notte non sognò nulla, cullata dalla brezza di  autunno inoltrato.
*****
‹‹Lui l’ha già trovata! Siamo arrivati troppo tardi!››Disse una voce femminile appartenente ad una ragazza sui quattordici anni.                                                                                                                                       
‹‹Maledizione!››Rispose un uomo. Era alto, con folti capelli ricci. Era vestito in modo molto stravagante. Continuava a spostarsi nervosamente gli occhiali dal viso.                                                                                                                  
‹‹Ma non tutto è perduto, possiamo ancora salvarla››. Constatò l’uomo.                                                                                                                   
‹‹E come?››Chiese la voce femminile.                                                                          
‹‹Non preoccuparti, ci penserò io››. Concluse misterioso.                                                                               
‹‹Tu tienila d’occhio, non voglio che lui le si avvicini nemmeno di un centimetro!››Sbatté il pugno sul tavolo, facendolo scricchiolare.                                                   ‹‹Questa volta non morirà, te lo prometto››. Disse la voce femminile, prima di uscire, richiudendo accuratamente la porta dietro di sé. Cominciò a percorrere la strada verso l’ospedale a passo spedito. Non poteva fallire, c’era di mezzo una posta troppo alta.
I suoi passi riecheggiavano decisi nella tetra luce dei lampioni.
Guardava dritta davanti a sé, con lo sguardo fermo. Cercava di percepire anche il minimo spostamento d’aria. Ad un tratto si fermò. Si guardò attorno, facendo una panoramica del paesaggio. Si trovava in strada molto buia, illuminata solo da due lampioni ed un grosso semaforo lampeggiante.   Stranamente era deserta, nemmeno una macchina era in circolazione. Si raccolse i capelli biondi in una coda, e continuò a camminare. Sentì un rumore provenire da dietro un albero. Si voltò e lo scrutò attentamente. Intravide un’ombra muoversi.
‹‹Coraggio esci di lì, so che sei tu…››
disse. All’inizio non successe nulla, ma poi una sagoma slanciata fece capolino dall’albero. Aveva folti capelli scuri, che si confondevano con l’oscurità di quella lontana sera d’autunno.
‹‹Ma guarda, una ragazzina tutta sola, che ci farai mai qui, a quest’ora della notte?››Chiese l’ombra intimidatoria.                                                                              
‹‹Nulla che ti interessi››rispose fredda la ragazza ‹‹ed ora sparisci!››                                                                                                
‹‹Ma che modi, pensavo che voi foste più educati››. Commentò malizioso. Ella tacque.
‹‹Ad ogni modo, sono solo venuto per dirti che la ragazza è già nelle nostre mani, non potete farci nulla. E sapete anche voi che l’oscuro signore è pronto ad essere liberato. Una volta per tutte››. Negli occhi del ragazzo si accese una scintilla di cattiveria, che fu subito spenta dalla ragazza.
‹‹Ti sbagli, questa volta vinceremo noi››
‹‹Cosa te lo fa pensare?››Disse il ragazzo provocatorio.                                                                          
‹‹E te lo verrei a dire a te?››Lei rise ‹‹Sei solo schiavo del tuo padrone, una lurida piattola che cerca di soddisfarlo in ogni modo››. Il ragazzo corrugò la fronte, pronto ad attaccare. Ma non lo fece. Si sentiva intimorito da quelle parole. Era la pura verità. Da millenni cercava di liberare il suo padrone dalla maledizione, ma non ci era mai riuscito…
  ‹‹Che c’è? Ti ho forse offeso?››Chiese sicura di sé la ragazza.                                                                                  
‹‹Sta zitta!››sibilò lui, facendo comparire sulla sua schiena due enormi ombre. Continuavano a muoversi, sempre più velocemente. Poi il ragazzo si calmò.                                                                                                                             
‹‹Non ti ucciderò ora, voglio vedere cosa riuscirai a fare con la ragazza. La sfida è aperta.
Ma ricorda una cosa, stupida idiota, che la seduzione è la mia arte…››disse il ragazzo prendendo il volo, scomparendo nel cielo senza stelle di Milano.
  Lei sorrise, consapevole che la sfida che le aveva lanciato sarebbe stata molto ardua.
Ma avrebbe dato qualsiasi cosa per vincerla, non poteva lasciare
che venisse uccisa.
Non questa volta…


***
Rieccomi con il nuovo capitolo!
Allora, chi sono le figure che confabulano?
Mi è sorta anche a me questa domanda mentre scrivevo!
Comunque, spero che sarete in tanti a farmi senitre il vostro parere, in questo periodo penso di cancellare questa storie, non so..
ditemi voi
baci
FALLEN99


 

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Capitolo 9
*** 7. Una visita inaspettata ***


Ehi ciao a tutti, volevo invitarvi a recensire,
poichè noto che solo una è costantemente a farlo, e la ringrazio! =)
Okay, buona lettura, e mi aspetto tanti tanti pareri!

 




VII
 

 
G inevra si svegliò di soprassalto. Il sudore le aveva avvolto la fronte, formandovi sopra una barriera cristallina. Si passò la mano sul capo, continuando a tastarlo. Non le doleva poi così tanto. Scrutò attentamente il bianco ambiente dove era immersa. Notò l’assenza dei parenti. La stanza era vuota.
Buttò l’occhio verso il tavolino accanto al letto. Vide, con suo grande piacere, che sopra vi era stato lasciato un bicchiere d’acqua. Senza pensarci due volte lo afferrò, avida di quella freschezza inebriante. Guardò l’acqua cristallina che vi era al suo interno.  Ci vide riflessa l’immagine di un ragazzo di sedici anni, con capelli e occhi scuri.
“ Il mal di testa gioca brutti scherzi” si disse bevendo l’acqua. Poi poggiò il bicchiere sul comodino. L’orologio davanti a lei segnava le nove e mezza. Era mattina inoltrata.
Probabilmente il padre e la madre erano andati al lavoro. Era sola. Ma la nonna dov’era? Non aveva voglia di pensarci, in quell’ultimo periodo aveva riflettuto troppo.
Sentì il rumore di passi provenire dal corridoio. In lei si accese una grande speranza, che andò via via crescendo. Sperava che i passi appartenessero a Stefano.
Non sapeva il perché, ma aveva l’impressione di averlo già visto, toccato, conosciuto tante, e tante volte. Il modo in cui l’aveva consolata le era sembrato così dolce e familiare…
Cominciò a fantasticare sui suoi capelli spettinati al punto giusto, sui suoi occhi neri come il petrolio, sul suo modo di fare così preciso e sicuro di sé.
Si lasciò sopraffare così tanto che potesse essere lui a farle visita, che quando una figura maschile passò davanti alla sua porta emise un gridolino di gioia. Sentì bussare.
‹‹Chi è?››Chiese Ginevra speranzosa. Ma, un attimo. Ammesso che era lui, come aveva fatto a sapere che era ricoverata in ospedale? E, comunque, a quell’ora doveva essere a scuola.
 ‹‹È qui la stanza sessantasei?››Disse la sagoma maschile.                                      
‹‹Ma chi sei?››richiese Ginevra con insistenza.                                                                 
‹‹Stefano, un amico della ragazza che è ricoverata nella stanza sessantasei››.
Ci fu una breve pausa in cui Ginevra esultò.                                                         
‹‹Stefano sono qui! Entra pure!››Lo invitò gioiosa come un bambino. La porta chiara si aprì, e la sagoma alta di Stefano comparve nella stanza. Indossava una camicia nera, sbottonata appena prima dei pettorali. Un paio di pantaloni grigi gli ricoprivano le gambe, e una svolazzante sciarpa rossa gli contornava il collo. Al solo pensiero che il ragazzo fosse stato fuori con quel clima freddo Ginevra rabbrividì. Dopotutto era ormai autunno inoltrato, e fuori c’erano undici gradi. Il brivido passò all’istante, lasciano posto ad una sensazione di calore.
Il ragazzo le sorrise, prendendo posto sulla sedia accanto al suo letto. Le poggiò teneramente la mano sulle gambe. La guardò intensamente, come se sapesse ogni cosa di lei. G
inevra arrossì. Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo, nemmeno suo padre. Il ragazzo le scrutò attentamente il viso. Notò che aveva una ciocca di capelli che le copriva gli splendidi occhi blu notte. Le avvicinò la mano, e, teneramente, gliela scostò dagli occhi. Una leggera lacrima solcò il viso di Ginevra, interrompendo quello scambio di sguardi focosi.
‹‹Sembra che siamo destinati a vederci sempre quando piangi, eh?››scherzò lui sorridendo. “ Mamma mia che bel sorriso” pensò Ginevra, completamente coinvolta in quell’atmosfera dolciastra che Stefano aveva creato.                                                                                                                             
‹‹Allora, hai sentito?››Chiese lui, interrompendo il fantasticare di Ginevra.
‹‹Sì… scusa››disse timida.                                                                                                                          
‹‹Non ti devi scusare, non siamo a scuola. Comunque, perché piangevi?››A dire il vero non sapeva nemmeno lei il perché le era scesa quella lacrima. Forse era per gioia. O forse per un dolore che lui le avrebbe impresso.
‹‹Non… non so…››rispose incerta.                                                                              
‹‹Mah, non ha importanza. Non so nemmeno perché l’ho detto››confessò, alzandosi dal letto e cominciando a camminare nervosamente per la stanza. Aveva poco tempo per riuscire nel suo intento. Aveva previsto di avere almeno tre, quattro mesi. Ma il tribunale del suo popolo gliene aveva concessi solo due. Doveva sbrigarsi, o gli altri l’avrebbero avuta vinta. Si girò di scatto, spostando di l’aria di qualche centimetro.
‹‹Senti, ma come mai sei qui?››Voglio dire, l’ultima volta che ti ho vista mi sembrava, escluso il pianto, che stessi bene.
‹‹Sì, è che il giorno dopo, quando sono andata da mia…››si fermò, percossa da un forte dubbio. Se gli avesse detto che andava da sua nonna forse l’avrebbe considerata una poppante.
‹‹Da tua?››Disse Stefano, in attesa della risposta della ragazza.                                                                          
‹‹Da mia…››fece un grande respiro. ‹‹Da mia nonna››disse tutto d’un fiato.
La fronte di Stefano si corrugo, e lui assunse un’espressione perplessa.                                                                                 
‹‹Che c’è?››Chiese Ginevra offesa.                                                                                 
‹‹Nulla, è solo che…››si fermò. Lui non aveva mai avuto una nonna, ne ogni sorta di “parente”, come li chiamavano gli umani.
‹‹Niente, stavo solo pensando. Scusa se ti ho chiesto il motivo del tuo ricovero, avrò risvegliato in te ricordi spiacevoli. Mi scuso››
‹‹E di ché? Mi fa piacere che ti interessi a me››                                                                
“Ma che stai dicendo? Sei forse diventata scema? Non si parla così ad un ragazzo, specialmente con uno bellissimo e di due anni più grande” pensò. Avrebbe voluto avere il libro di “ Romeo e Giulietta”. Loro sapevano sempre dire le cose giuste.
Ma, al momento, ne era sprovvista. Così dovette fare da sola.
‹‹Sì, sai, mi hai incantato dal primo momento che ti ho vista. Mi sei sembrata così timida, così indifesa…››disse lui. Poi le si avvicinò, accarezzandole teneramente le spalle.
‹‹Sentì, non è che ti va’ di uscire? Fuori il tempo è splendido››le propose lui.
“ Ma che cavolo sta’ dicendo? Fuori quasi si gela, e lui dice che c’è un tempo fantastico. Forse il abbiamo una diversa concezione di bel tempo. Meglio assecondarlo, dopotutto non sono mai uscita con un ragazzo”
‹‹Sì, ma il medico mi ha detto che non posso ancora uscire…››si scoraggiò.                                                                                                                
‹‹Tu vuoi uscire?››Chiese.                                                                                                          
‹‹Ovviamente ma…››                                                                                                             
‹‹Allora esci! Nella vita non bisogna sempre seguire le regole. Ribellati, mostrami la parte più indomita di te››. Le disse, incoraggiandola ad alzarsi. La guardò negli occhi, con quel suo sguardo demoniaco, ma allo stesso tempo seducente. Ginevra si sentì percuotere le membra da una sensazione nuova. L’adrenalina del fare qualcosa di proibito.
Era la prima volta che si ribellava veramente. Sì, certo, alle volte disubbidiva al padre e alla madre. Ma non era mai arrivata al punto di ignorare ogni regola, per giunta quella di un medico. Stefano la stava spronando a tirare fuori la propria personalità, il proprio carattere. Ma ne aveva abbastanza? Aveva quel carisma che serve per interessare un ragazzo?
No.
Quella era la risposta che fino a quel momento aveva creduto essere giusta. Ma ora sapeva che poteva tramutare quel no in un sì. Aveva la certezza che poteva far vedere a Stefano di che pasta era fatta.
“Coraggio Ginevra, hai la possibilità di essere te stessa, senza un padre che ti picchia, senza una madre che ti taglia le ali. Fagli vedere la tua vera natura” le disse una voce maschile e roca. Ginevra rimase allibita. Chi aveva parlato? Stefano era immobile, e non aveva nemmeno aperto bocca. Stava forse diventando pazza?
Ma la voce aveva ragione: era il suo momento. Un brillio le si accese negli occhi. In brillio che stava a significare pazzia e spericolatezza. Voleva cambiare, voleva imparare ad essere ribelle, vera.
Si alzò, come mossa da una forza estranea al suo corpo. Si sentiva come dalla nonna, impotente, sopraffatta dai movimenti del suo corpo. Si sentiva cattiva, ribelle, vera…
Ma aveva l’impressione che fosse sbagliato.
“ Ma al diavolo le regole!” si disse, alzandosi di scatto dal letto. Si stacco la flebo dalla pelle, e prese la mano di Stefano.
‹‹Vogliamo andare?››Lo guardò negli occhi neri.
Si, ne era sicura, si era innamorata

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Capitolo 10
*** 8. Ricordi passati ***


VII
 

 
C  amminarono guardinghi per i corridoi dell’ospedale, consapevoli che se li avessero visti avrebbero corso un rischio molto, ma molto grosso. Ginevra sembrava quella più determinata dei due, aveva negli occhi una scia di pazzia, che faceva muovere freneticamente il suo corpo. Finalmente, dopo quattordici lunghi anni aveva la possibilità di farsi guidare solo dall’istinto. Ginevra teneva ben strette le dita affusolate di Stefano, come se avesse paura che se ne andasse.
Finalmente arrivarono all’uscita dell’ospedale. La porta a vetri era davanti a loro, segnava il confine tra ciò che era sempre stata e ciò che poteva diventare. Senza nemmeno pensarci due volte Ginevra oltrepassò la porta, con uno sguardo di sfida verso la telecamera che vi stava sopra. Fuori, il gelo. Non aveva fatto i conti con il clima freddo di quell’autunno. I denti cominciarono a ticchettarle, la sua pelle a raggrinzirsi. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla, il suo tocco era sinonimo di calore, beneficio.
Quasi come l’oscurità. La ragazza si girò e vide il viso di Stefano, dolce ed accogliente. La strinse a se, facendole posare la testa sui muscolosi pettorali.
“ Oh-Mio-Dio!” pensò Ginevra, mentre sprofondava nel calore del ragazzo.
Chiuse gli occhi, voleva preservare quel momento il più lungo possibile.               
“ È ovvio che gli interesso, evviva!” si strinse ancora di più a lui.  La sua mente era vuota, avvolta solo della barriera di calore che Stefano le aveva creato. D’un tratto un’immagine le si presentò nella mente.
Era del sangue, sangue nero. Sgorgava a fiotti, da un profondo taglio che spezzava in due la gamba di una ragazza. Sul viso di lei stava una smorfia di dolore, che chiedeva aiuto, pietà. Invece sul viso del ragazzo che le stava davanti stava un ghigno beffardo, soddisfatto del suo lavoro. Il ragazzo aveva in mano un pugnale affilato, dall’impugnature nera.
Ora poteva scorgere nitidamente il colore degli occhi e dei capelli della ragazza. lunghi capelli neri le scendevano sulle spalle, e due occhi blu le illuminavano il viso. Ma… era lei! Da un po’ di tempo a quella parte aveva strani incubi che raffiguravano… la sua morte. E sempre per mano di un’affascinante ragazzo dai capelli scuri, che, ogni volta aveva lo stesso pugnale nero. Erano solo incubi passeggeri o visioni vere e proprie? Gli incubi che le arrivavano di solito non erano così apocalittici.
Era come se questa nuova ondata di incubi stesse a significarle qualcosa. Ma a questo Ginevra non pensava nemmeno lontanamente, cullata dal dolce abbracciò di Stefano.
Al vedere quelle immagini si staccò dai pettorali del ragazzo, facendosi avvolgere dal freddo vento d’autunno. Si era già dimenticata che aveva addosso solo il camicie d’ospedale.
 ‹‹Senti, facciamo così››parlò ad un tratto Stefano.
‹‹Meglio che ti vado a comprare dei vestiti da mettere. O gelerai. Che ne dici?››Chiese. Tutta l’adrenalina che aveva spinto Ginevra ad infrangere le regole sembrava essere ormai un lontano ricordo. Come mai si era già esaurita così presto? Sembrava dovesse durare tutto il giorno. Un’amara sensazione le riempì ben presto la bocca. Mandò giù un groppo di saliva, ma la sensazione rimase. Capì, era la sensazione che si prova quando si è delusi. E nel caso di Ginevra era delusa da se stessa. Sembrava che quel giorno dovesse fare cose inaudite, ma tutta l’adrenalina si era spenta in un secondo, da quando l’immagine della morte della  ragazza si era insediata nella sua mente. Stavano accadendo troppe cosa strane da quando Stefano le aveva fatto visita. Si sentiva strana, rintontita. Aveva sentito di amarlo, ma ora non capiva più cosa voleva.
‹‹Ma hai sentito?››chiese Stefano, rompendo la trance in cui la ragazza era caduta.
‹‹Sì, scusa… non ti stavo ascoltando…››appena rispose le si raggelarono le vene. Sentiva di nuovo il freddo del vento. Come se in quel minuto di riflessione fosse stata isolata dal mondo.                                
‹‹Me ne ero accorto››disse Stefano ironico.                                                        
‹‹Se non ti va di uscire potevi dirmelo subito, non voglio forzarti››.
‹‹Ma figurati! Io non sono una che lascia le cose a metà››disse fingendosi offesa. Che scema, si stava facendo prendere dal panico, e non si stava accorgendo che il ragazzo era rimasto allibito.                                 
‹‹Allora, sicura che hai voglia di uscire?››Le chiese Stefano, guardandola dritta negli occhi. Lei annuì decisa.                                                                            
‹‹Basta che mi prendi dei vestiti caldi, o gelerò››Ginevra gli sorrise, mascherando il suo disagio in quel clima polare. Lui scosse la testa ‹‹Sei incredibile, riesci sempre a sorprendermi…››poi, veloce come una volpe, il ragazzo si avventurò per le strade fredde di Milano, lasciando Ginevra sola.                                                                                                
‹‹Ma dove vai?››sussurrò, consapevole di essere sola.                                                                                              
 “ Che stupida che sei, lasciata da un ragazzo, al primo appuntamento” si disse, disprezzandosi.
Si rannicchiò vicino alle scale dell’ospedale, portando le ginocchia al petto. I suoi occhi si gonfiarono di lacrime, che andarono a riempirle il viso.
“ Sta’ arrivando, non ti ha lasciata sola” le disse una voce maschile nella sua mente. Proprio quella che pochi istanti prima le aveva detto di infrangere le regole, infondendole adrenalina.                                        
“ Ma chi cavolo sei?” si urlò Ginevra nella mente.                                               
“ Un tuo amico” rispose piano la figura.                                                                  “
Ma che razza di amico sei? Non ti ho mai visto? Non ti conosco” la voce tacque per qualche secondo.
“ Io invece ti conosco molto bene, da ormai quattordici anni” Ginevra rimase allibita.
Era ovvio che quella voce non era solo frutto della sua fantasia, ma una cosa ben reale.                                                    
“ Basta! Esci dalla mia testa!” si grido nella mante, continuando a tastarsi il capo, cercando di scacciare quella voce maligna dalla sua testa. Ginevra! Eccomi! Sono tornato! La sagoma slanciata di Stefano comparve da dietro il grande edificio giallastro dell’ospedale. Teneva nella mano destra una maglietta bianca ed un paio di jeans ben piegati. E nella sinistra una pesante giacca a vento ed un paio di scarpe chiuse. ‹‹Non… non dovevi››gli disse Ginevra, avvicinandosi a lui. Stefano la guardò con quei suoi occhi nero-pece. Un impulso le salì su per la gola, facendola afferrare di scatto i vestiti. 
‹‹E dove dovrei cambiarmi secondo te?Se tornassi in ospedale mi potrebbero vede››. Ginevra si mise la giacca a vento azzurra, in attesa della risposta di Stefano. ‹‹Beh, potresti cambiarti qui, ora››.
Ginevra impallidì.
‹‹Ma cosa dici? Va bene che siamo amici ma…››Non fece in tempo a finire la frase che Stefano le sfilò il camicie di dosso, lasciandola semi-nuda nel freddo vento d’autunno inoltrato. Ginevra rimase immobile, lasciandosi mettere i vestiti dalle mani calde del ragazzo. Se fossero passate delle persone avrebbero chiamato la polizia per molestie, ma per fortuna la strada rimase deserta. In pochi istanti Ginevra si trovò vestita, avvolta da un nuovo calore.                    
‹‹Bene, ora che abbiamo risolto gli inconvenienti ti va di andare a fare un giro?››Le domandò il ragazzo. La condensa del suo alito sfiorò le labbra di Ginevra, facendola sussultare.                                           
‹‹Sì, dove mi porti?››Chiese sbigottita. ‹‹È una sorpresa››le rispose enigmatico. La prese per mano, trascinandola per le vie di Milano.
******
‹‹Luigi, io prendo il solito  cannolo››. Disse Stefano al barista. Si erano fermati in un bar del centro, poco distante dalla piazza del duomo. ‹‹E la signorina?››Chiese il barista, sistemandosi i baffi castani. ‹‹Per me un te››disse Ginevra. Non le erano mai piaciute le cose troppo dolci. ‹‹Okay, sarò di ritorno tra circa dieci minuti››.                        
L’uomo dai folti baffi scomparve dietro il bancone, lasciando Ginevra e Stefano soli.
‹‹Ti capita mai di sentirti diverso?››Chiese Ginevra.                                
Lui rimase sorpreso. ‹‹A dire il vero, sempre… ››le confessò pensieroso.
‹‹Ho scoperto che non sono l’unica scema allora!››Ironizzò Ginevra, facendo scoppiare Stefano in una fragorosa risata. Pochi istanti dopo il barista ricomparve con in mano un piattino di porcellana verde acqua. Sopra c’erano una tazza di te fumante e un cannolo. ‹‹Buon appetito!››disse l’uomo, prima di ritirarsi dietro al bancone. Stefano si portò il cannolo alle labbra e cominciò a mordicchiarlo qua e là. Ginevra sorseggiava il suo te, continuando a guardare gli zigomi perfetti del ragazzo. ‹‹Vieni spesso qui?›› chiese Ginevra, rompendo il silenzio che si era creato tra i due. ‹‹Sì, quando non ho voglia di andare a scuola. Quindi molto spesso››. Le fece l’occhiolino, addentando il cannolo.
‹‹Ne vuoi? Le chiese, porgendole il dolce. ‹‹No, non mi piacciono le cose troppo dolci››confessò, mettendo dietro ,’orecchio una ciocca ribelle. ‹‹Niente sarà mai dolce quanto te››Stefano le avvicinò il cannolo alle labbra. Ginevra non obbiettò, lo lasciò fare, come quando l’aveva vestita. In pochi istanti il sapore dolciastro del cannolo le riempì la bocca. Rimase a bocca aperta. Era squisito. ‹‹Allora? Che ne dici signorina “ Non sopporto i dolci “››.                           
‹‹È buonissimo››. Confessò Ginevra, guardandolo dritto negli occhi. Rimasero in silenzio. Ogni secondo che passava le labbra di Stefano si avvicinavano sempre più pericolosamente ad Ginevra. La ragazza si ritrovò la scarlatta bocca di Stefano a pochi centimetri dalla sua. Si sporse in avanti , cercando il contatto. Era il momento di fare la scelta che avrebbe potuto cambiare la sua vita per sempre. sentì un rumore in lontananza. Non era quello di una macchina, ne l’urlo frustrato di un passante per il taxi.
Era vellutato, dolce. Alzò lo sguardo. Quella vista la fece sobbalzare.
Appena fuori dal bar, appollaiata su una magnolia, stava una colomba bianca.






Ehi ragazzi! Spero di avervi conquiestato con questo, quasi-bacio! Vi invito a commentare, per vedere cosa pensate della mia storia perversa XD
Okay, ora vi lascio, ma commentate!
ovviamente ringrazio chi mi segue
baci
F99

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Capitolo 11
*** 9. Il suo Angelo ***






IX

 

‹‹ Vola via brutto uccellaccio!›› Gridò Stefano verso il volatile.
‹‹Ma che fai? Non mandarla via, è così bella. Pura…››  Ginevra non capiva il disprezzo di Stefano nei confronti di quell’incantevole volatile. ‹
ù‹Tutti nascondono segreti, anche i più apparentemente puri dei volatili. Non credi?››  Stefano le fece l’occhiolino, come le sapesse che Ginevra gli tenesse nascosto qualcosa di molto importante. La ragazza abbassò lo sguardo, guardando la sua tazza di te vuota.                                                                                                                        
‹‹Scusa, non volevo spaventarti. Vuoi tornare in ospedale?››                                                                                     
‹‹No, portami in giro. Non ho mai avuto la fortuna di visitare Milano. Quando vengo da mia nonna non passo mai per il centro››disse Ginevra, spostandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio. Lui rimase qualche istante pensieroso. Qualche istante che ad Ginevra parve eterno. ‹‹Affare fatto. Dai alzati, ci aspetta una lunga mattinata!›› esclamò Stefano. Ad Ginevra si accese un enorme sorriso compiaciuto. ‹‹Coraggio, vai a pagare. Io ti aspetto qua.››Le disse Stefano porgendole una banconota da dieci euro. ‹‹Okay, torno in un attimo!››Ginevra corse euforica verso il bancone. Finalmente le cose cominciavano ad andare per il verso giusto.                                       
Un movimento, una piuma nera, una breccia nell’aria. La colomba cadde a terra, spargendo minuscole gocce di sangue scarlatto sul terreno. Stefano sorrise beffardo nei confronti di quella minuscola creatura che si era, ancora una volta, piegata al suo volere. I suoi occhi neri scrutarono l’ambiente nebbioso di quella mattina di fine autunno. Una ragazza dai capelli biondi passò sul marciapiede opposto al suo.
Lo guardò in segno di sfida, come se lo conoscesse molto bene. Quando lui le alzò il dito medio lei si fermò. Gli stivali di pelle bianchi cessarono di fare quell’odioso rumore ridondante che rimbombava per le strade della grigia metropoli.                                                                            
La bionda gli rivolse un ultimo sguardo malizioso, prima di sparire tra la nebbia. Altri passi, altri tumori, un’altra voce.                                                                  ‹‹Stefano! Ho finito di pagare! Andiamo?››Ginevra non era mai stata così raggiante. Sentiva che poteva finalmente annientare il grigio che avvolgeva la sua vita da ormai quattordici anni, sentiva che la sua vita stava per prendere la svolta decisiva per trovare la gioia che le spettava. La ragazza gli gettò le braccia al collo, guardandolo allegramente.                                                                                                      
‹‹Dove mi porti Romeo?››chiese scherzosa.                                                         
‹‹Dove il cuore mi condurrà››le disse romantico lui. Le prese le mani le racchiuse tra le sue. Ginevra sentì una calore innaturale crescerle nel petto. Possibile che Stefano fosse il suo sussurro segreto del cuore? L’unico in grado di farla sentire speciale? Beh, la risposta era semplice.                                                               
Sì.                                                                                         
  ‹‹Come sei romantico. Ora tocca a me››si schiarì la voce:                                                                                               
  ‹‹O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo?››le piaceva citare i versi di Romeo & Giulietta. Le sembravano così reali e contemporanei anche se scritti trecento anni prima. ‹‹Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome: o, se non vuoi, legati solo in giuramento all’amor mio, ed io non sarò più una Capuleti››Ginevra gli strinse le mani sulla vita, avvicinandosi alle sue labbra. Ma prima che potesse toccarle lui parlò: ‹‹Io ti prendo in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo››i loro nasi si sfiorarono, facendoli restare l’uno contro l’altra.
BIIP! BIIP! Il rumore di un clacson li risvegliò dalla trance amorosa in cui erano caduti.                                                                                                   ‹‹Ehi piccioncini! Vi levate dalla strada o devo investirvi!?››la voce acuta di un tassista risuonò per la via, facendoli accorgere di essere proprio in mezzo alla strada. Entrambi si guardarono e scoppiarono a ridere. Poi, inseguiti dai lamenti del tassista, corsero verso il centro della città.

********

 

‹‹Sei bellissima››commentò Stefano non appena Ginevra uscì dal camerino. Indossava un lungo cappotto scuro ed una pochette in vernice rossa. ‹‹Dici sul serio?››chiese dubbiosa lei scrutando il suo abbigliamento. ‹‹Sì. Non avrei mai il coraggio di mentirti››Stefano si alzò dalla poltrona in pelle ed andò ad ammirare Ginevra. Si trovavano in un negozio di alta moda di Milano. Pareti tappezzate di persone famose che vi erano entrate, banconi così lucidi da sembrare fatti d’oro, ed infine camerini da star del cinema. Ginevra si sentiva molto fortunata ad avere come ragazzo Stefano. Ma, un momento, non era detto che lui la pensasse così. Forse la considerava solo un’amica molto speciale. Questa era la cosa di cui Ginevra aveva più paura. Non voleva che tutta la contentezza che Stefano le faceva provare svanisse, quindi preferiva non chiedergli se erano realmente fidanzati. Quando lo toccava sentiva che una parte di sé si risvegliava. Una parte che non sapeva nemmeno di custodire.
‹‹Se vuoi te li compro››disse Stefano scrutandola.                                       
‹‹No, costano troppo››ribatté Ginevra.                                                                                     
‹‹I soldi non sono un problema››il ragazzo tirò fuori dalla tasca due banconote cento.                                                                                        
‹‹No, davvero, non devi››disse Ginevra ritornando in camerino.                                                                                        
   ‹‹Aspetta!››ma la giovane aveva già tirato la tendina a quadri del camerino. Stefano non capiva perché mai Ginevra dovesse rifiutare i suoi doni. Qualsiasi altra ragazza non ci avrebbe pensato due volte ad accettare i suoi regali. Ma Ginevra no. Lei era sempre stata diversa. Aveva sempre avuto qualcosa che la distingueva dagli altri, qualcosa di molto, ma molto speciale. 
Appena tirata la tendina Ginevra si guardò allo specchio. Non si meritava tutte quelle attenzioni da parte di Stefano. Si sentiva a disagio. Lei andava a fare shopping solo due volte all’anno. Una per Natale, e l’altra per il suo compleanno. Le sembrava un’esagerazione comprare tutte quelle cose lussuose. Così decise: sarebbe tornata in ospedale all’istante. Si cambiò e uscì dal camerino.
‹‹Seriamente, questo è troppo per me. Ti ringrazio ma io non me lo merito››e così dicendo Ginevra corse verso la porta del negozio.                                                                                                             
SBAM!                                                                                                        
Un tonfo, un viso familiare e una mano offerta per tirarsi su.
‹‹Ginevra! Ma che ci fai qui? Non dovevi mica essere in ospedale?››la voce angelica di Micaela arrivò alle orecchie di Ginevra come un canto di salvezza. In quel momento avrebbe dato tutto per andare con lei. Non sapeva il perché, ma provava un certo timore nei confronti di Stefano. Come se Micaela fosse la sua salvatrice  dal cattivo vampiro Stefano.
‹‹Sì, ma sono venuta solo a fare un giro››disse Ginevra, alzandosi. Micaela l’abbracciò. I suoi riccioli biondi invasero la visuale di Ginevra, non permettendole di vedere altro.                                                 
‹‹Ma cosa ti è saltato in mente?                                                
Venire qui da sola?››disse preoccupata.                               
‹‹Ho quattordici anni mamma. So badare a me stessa. E poi non sono sola. C’è anche Stefano››Ginevra indicò il ragazzo che stava appunto vendendo verso di loro.‹‹ Vieni, andiamo via››Micaela prese Ginevra per un braccio e la trascinò fuori dal negozio. ‹‹Ma che ti prende? Perché quando sono con Stefano sei sempre così diffidente? È un bravo ragazzo››disse Ginevra sottraendosi dalla presa dell’amica. ‹‹È così bravo che stavi scappando da lui. Non è vero?››chiese Micaela sapendo di avere ragione. Ma come faceva a sapere che Ginevra se ne stava andando?                                                        
Stefano corse verso la porta del negozio, ma le due ragazze erano scomparse. ‹‹Ginevra, mia Giulietta, quando potrò mai rivederti?››il ragazzo si morsicò la lingua. Un grosso dubbio si insinuò nella sua mente. Possibile che l’amava veramente?
*********
Non appena Ginevra e Micaela furono arrivate all’ospedale trovarono il Dottore grassoccio che aveva visitato Ginevra ad aspettarle. Stava con le braccia conserte e gli occhiali da vista tirati giù fino alle narici. Indossava il suo solito camice bianco lungo quasi fino al terreno.
Era visibilmente irritato.                                                                                     
Signorina Ginevra, con quale permesso è uscita dall’edificio?” chiese l’uomo sistemandosi gli occhiali rosso-evidenziatore sul naso.                        
‹‹Beh…veramente…io…››balbettò Ginevra abbassando lo sguardo.                                                           ‹‹Allora? Il gatto le ha mangiato la lingua?››domandò il dottore. Ginevra tacque. ‹‹In questo caso sono costretto ad avvisare i suoi genitori. Un po’ di buon senso signorina: è appena uscita da un coma!››poi l’uomo girò i tacchi e s’incamminò nel corridoio dell’ospedale. ‹‹  Aspetti!››gridò Ginevra. Non poteva permettersi che lo dicesse ai suoi genitori o l’avrebbe rischiata grossa. La ragazza corse dietro all’uomo, subito frenata da Micaela.                                ‹‹Ferma, vado io a parlarci››Micaela corse velocissima per il corridoio bianco. La ragazza bionda si fermò davanti al dottore.
*******
Ginevra aspettava nervosamente nella sua stanza. Ormai Micaela stava parlando con il dottore da dieci minuti buoni. Ginevra cominciava a stancarsi di questa attesa snervante. Si sedette sul letto, recuperando il camicie bianco. Si tolse i vestiti e lo indossò. Poi, delicatamente, si sdraiò sul letto esausta. Quella mattina era stata molto frenetica. Ma ne è valsa la pena. Pensò Ginevra. Sentì dei passi arrivare verso la sua stanza. Dalla porta comparve Micaela subito seguita dal Dottore.
‹‹Ho deciso di lasciar correre questa piccola scappatella.
Ma ricordi signorina Ginevra, che la prossima volta non potrò chiudere un occhio››l’uomo poggiò la mano destra sulla spalla di Micaela.  ‹‹ringrazi la sua amica, senza di lei non avrei mai cambiato idea››e detto questo l’uomo girò io tacchi e se andò.   
‹‹Ma come hai fatto a convincerlo?››chiese Ginevra appena Micaela fu entrata nella stanza.
‹‹Non preoccupiamoci di questo, ho una sorpresa per te!››la ragazza prese posto sul letto accanto ad Ginevra. L’ha fatto per la seconda volta. Pensò la ragazza. Prima con mio padre, ora con il dottore. Ma i suoi pensieri vennero interrotti dalle urla di gioia di Micaela.
‹‹Guarda, l’ho trovato con lo sconto alla Kiko!››gridò gioiosa porgendo a Ginevra uno smalto fucsia. Ginevra non si era mai messa uno smalto, ne altro tipo di trucco. Così restò impassibile.                                                                                              
‹‹Che c’è? Non sei contenta?››chiese Micaela euforica.                                                                                    
 ‹‹Sì. È solo che non mi sono mai truccata…››confessò Ginevra imbarazzata. Micaela assunse un’espressione perplessa.                                                    
‹‹Sul serio? Ma non preoccuparti! C’è qui Micaela! La maga del make-up!››la rassicurò. Dettò questo Micaela prese la mano di Ginevra e le esaminò le unghie.
‹‹Devi curarle di più tesoro, o si spaccheranno››disse la ragazza con il solito tono da estetista premurosa. Ginevra scoppiò a ridere. Micaela sapeva sempre come farla ridere.
La mattinata passò in fretta; Micaela le fece le unghie e qualsiasi trattamento di bellezza fosse possibile fare in un ospedale. Ginevra fu rallegrata dalla felicità dell’amica, ma il suo cuore era rimasto al bar dove lei e Stefano stavano per baciarsi. Le sue labbra erano così invitanti…                                                                                                         
‹‹Ginevra! Ci sei?››chiese Micaela dopo aver riposto lo smalto sul comodino.                                                                                                      
‹‹Sì, stavo solo fantasticando…››                                                                                      
‹‹Non me ne era accorta!››scherzò l’altra. Le due scoppiarono a ridere all’unisono.
‹‹Ho un ultimo cosa da darti! Però devi chiudere gli occhi››esclamò Micaela frugando nella borsa.
‹‹Okay, starò al tuo gioco da bambina dell’asilo››Ginevra chiuse gli occhi. L’oscurità. Essa l’avvolse, creando una barriera indistruttibile sulla sua mente. Ginevra ne aveva fatto a meno per ben tre settimane, e ora essa stava riprendendo il sopravvento sulla sua vita.  Non poteva lasciarglielo fare. Sentì una mano toccarle la spalla. Aprì di scatto gli occhi e l’oscurità scomparve. Davanti a lei stava la man di Micaela con sopra un pacchetto giallo. Quello che l’amica le aveva dato la loro prima uscita. Ginevra fu presa dia sensi di colpa. Non l’aveva nemmeno aperto.
Ma Micaela non sembrava essere arrabbiata. Anzi, tutt’altra cosa.
‹‹Ti ricordi?››le chiese porgendole il pacchetto.                                                                                  
‹‹Come potrei dimenticarmi di quel pomeriggio!››rispose Ginevra.                                                                                    
‹‹Beh, ora aprilo››Ginevra non appena ebbe scartato la carta sentì una sensazione benefica percorrerle la spina dorsale e una dolorosa avvolgerle la parte sinistra del corpo. Come se quella fosse la metà impura. Dopo pochi istanti le due sensazioni svanirono e Ginevra poté ammirare il regalo dell’amica in tutto il suo splendore. Era un ciondolo d’argento con raffigurati due angeli con in mano un’arpa.
Ne era sicura, quel pacchetto giallo racchiudeva ben più di un semplice ciondolo d’argento.
 Micaela le sorrise, mentre i capelli biondi le ricadevano sulle spalle.
Sembrava proprio un angelo. Il suo.




CIao a tutti! Questo capitolo è lungo, lo so...ma racchiude molto romanticismo,
vi ringrazio che lo abbiate letto fin qui. La copertina? CHe ve ne pare?Ovviamente quella nella copertina è Ginevra.
Ah! Recensite!







 

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Capitolo 12
*** 10. Discussioni all'ospedale ***


X
 

 
U na folata di vento entrò nella camera d’ospedale di Ginevra, facendo ondeggiare le tende bianche, e creando con esse una danza di stoffa e aria. La ragazza guardava lo spettacolo, cercando di seguire il ritmo della danza. Dopo circa dieci minuti il vento si placò, fermando il ritmo e facendo risprofondare Ginevra nella noia più assoluta. Si porto una ciocca di capelli neri dietro le orecchie, sospirando. Da una settimana nessuno le faceva visita, lasciandola sola a marcire di noia nella sua stanza. Studiò il ciondolo che le aveva regalato Micaela. Due angeli intrecciati che suonavano l’arpa. Guardarlo le infondeva una certa calma, non sapeva il perché, ma era così. Lo prese in mano e cominciò a giocherellarci, tormentando i visi dei due angeli. Non sapeva dire di che materiale fossero fatti: avevano un colore metallizzato ma la consistenza non era quella del metallo. Era morbido, sottile, e, non c’era dubbio, ben lavorato.
 Ginevra non amava molto i gioielli, ma quello era speciale, e l’avrebbe tenuto.
Sempre.
 Diede un rapido sguardo allo smalto fucsia che stava sul comodino a fianco al letto. Sembrava fosse passata un’eternità da quando Micaela gliel’aveva messo. Il suo colore intenso faceva un grande contrasto con l’ambiente candido della sala d’ospedale. Svelta l’afferrò, portandolo accanto alla catenina. Toccarli le faceva ritornare alle mente le immagini dei riccioli biondi dell’amica e dei suoi incredibili occhi color glicine. Una lacrima le solcò le gote, spezzando a metà il suo viso come una lama affilata e lucente. Perché nessuno la veniva a trovare? Sembrava che la solitudine che per quattordici anni l’aveva accompagnata non le si fosse mai scrollata di dosso. Era stata un’illusa a credere che Micaela e Stefano gliel’avessero dissolta. Un’altra lacrima scese dalle sue iridi blu, andando a bagnare, seppur minimamente, il suo camicie bianco. La tristezza cominciò ad avvolgerla nelle sue spire, facendo colare sempre più lacrime. “ Ginevra lui verrà quando meno te l’aspetti. Non ti ha abbandonato.” La voce roca della settimana prima le rimbombò nella mente, procurandole un forte mal di testa. Perché aveva quella voce nella mente? E cosa intendeva con “ lui tornerà”? La ragazza scosse la testa, sarà solo frutto della mia immaginazione, pensò. Ma forse si sbagliava.           
 Scosse la testa, cercando di scacciare la voce, che, straordinariamente, svanì. La ragazza tirò un sospiro di sollievo, stendendosi sul letto. I suoi capelli lisci sprofondarono nel cuscino troppo molle, come inghiottiti da esso. Guardò fissa il soffitto, di quel perenne bianco che avvolgeva tutto l’edificio. Era stanca di quel colore, così assoluto e continuo. Un
 impulso le risalì la spina dorsale, facendola mettere seduta. Osservò attentamente il piccolo barattolo di smalto fucsia. Quel colore così forte annientava il bianco, dando a Ginevra l’impressione di essere la sua via di salvezza. Lo aprì, respirando il suo pungente profumo. Senza indugiare prese il pennellino e cominciò a spennellare la massa fucsia sul mignolo sinistro. Ma, dato che non l’aveva mai fatto prima, lo mise anche fuori dall’unghia.
‹‹Cavolo, non penavo fosse così difficile›› cercò di grattare via la parte sbavata, ma senza risultati.
 Troppo presa nel suo lavoro non notò la chioma biondo cenere della madre entrare nella stanza. La donna si sedette su una sedia vicina, ammirando l’inesperienza della figlia. Sorrise, almeno ora poteva insegnare qualcosa alla figlia. Erano sempre state molto distaccate, troppo, si disse Alessandra. Piano piano si avvicino al letto di Ginevra, portandosi alle sue spalle.
 ‹‹Da quando ti interessano queste cose?›› chiese, facendo sobbalzare la figlia. ‹‹Mamma, cosa vuoi?›› chiese Ginevra. Lei e la madre non avevano mai condiviso molto, quindi non si aspettava questa visita imprevista. Alessandra, di tutta risposta, prese lo smalto dalle mani della figli, costringendola a guardarla negli occhi cremisi.
Ginevra la guardò irritata, perché mai sua madre doveva fare una cosa del genere? E perché proprio ora? ‹‹Si fa così›› la donna prese delicatamente le mani della figlia, adagiandole sulle sue cosce. Sembrava che il tempo fosse tornato indietro, quando Ginevra aveva solo sei anni e la madre le insegnava ad andare in bicicletta. Come se attorno a loro si fosse creato un muro, che non permetteva al tempo e all’ambiente di penetrare.
 Alessandra passò una mano di smalto fucsia sulle unghie della figlia, soffermandosi sul quelle del dito anulare.
‹‹Ce l’hai uguale a tua nonna Virginia.›› commentò, scambiandosi con la figlia un sorriso sincero. Virginia era la mamma di Alessandra, una donna bellissima, dagli occhi neri e i lisci capelli biondi. Ginevra l’aveva vista solo poche volte, prima che morisse. ‹‹Ginevra, tu sei l’erede della sua bellezza, sai.›› le disse la donna, mentre scostava una ciocca di capelli biondi dal viso.
E per la prima volta non lo diceva con invidia nei confronti della figlia, che per quattordici anni l’aveva fatta sentire sbagliata.
 ‹‹Sai, Ginevra, non penso di avertelo mai detto ma…›› prese fiato; il solo pronunciare quella parola le metteva una certa ansia. ‹‹…ti voglio bene.›› concluse, mentre una strana sensazione le attanagliava lo stomaco. Era la prima volta che lo comunicava alla figlia così apertamente, senza nascondersi dietro mezzi termini difficili da capire per una bambina.
 Ginevra osservò il viso di Alessandra, mentre sentiva le lacrime pulsare per uscire. Come mai la madre aveva aspettato così tanto? Ben quattordici anni. No. Non voleva mostrarsi debole davanti e lei. Ma le lacrime erano troppe, e racchiudevano i sentimenti contrastanti degli ultimi giorni. Era come un vulcano pronto ad eruttare, instabile e fragile.
‹‹Quattordici anni, mamma. Quattordici anni hai aspettato per dirmelo.›› Ginevra scosto i capelli neri dal volto. Voleva guardare la madre negli occhi, per comunicarle tutta la sofferenza che si era tenuta dentro. ‹‹Ti rendi conto di quanto da bambina io abbia aspettato queste semplici tre parole? E quanto ti sia costato ora dirle?›› Ginevra s’interruppe, mentre cercava di contenere la tristezza dentro i confini del suo corpo.
 ‹‹Mi…mi dispiace, ma non posso perdonarti per tutte le cose cha mi hai fatto mancare e che mi hai fatto. Ma ti posso ringraziare per una cosa. ›› prese fiato, mentre una lacrima le segnava le gote arrossate. ‹‹ti ringrazio per avermi fatto crescere nel dolore, che mi ha fatto diventare ogni giorno più forte.›› disse fredda, mentre si alzava dal letto.
Alessandra cominciò a singhiozzare, mentre la figlia si dirigeva verso i bagni. Cominciò a correre per i corridoi perennemente bianchi dell’ospedale, mentre le lacrime continuavano a rigarle il volto. Le sue iridi blu incontrarono diverse persone per il corridoio, ed ognuna aveva sul volto un’espressione di comprensione nei suoi confronti. Come se fosse dovuta. E Ginevra avrebbe voluto mandare ognuno di quei volti a quel paese.
 Appena varcò la porta del bagno fu aggredita da molteplici singhiozzi, che la fecero accasciare a terra. Pensava che la sua inutile vita potesse risorgere dalle ceneri, come la fenice che aveva letto nel libro di Harry Potter. No. Lei non poteva. Non importava chi le stese accanto, restava una patetica quattordicenne in cerca del significato della sua vita.
 Si piegò su se stessa, mentre sentiva come se qualcosa pulsasse sul suo petto per uscire. Come se avesse qualcosa dentro, qualcosa di misterioso e inquietante, che la faceva sempre sentire diversa. Già, diversa dalle sue coetanee, che si preoccupavano di più su che smalto smettere anzi che, come lei, sfuggire all’ira del padre. lei era diversa. Era la realtà. Ma non la prendeva mai come scusa, non voleva fare la vittima di una vita che ormai non era più condizionata dal suo volere.
‹‹Ginevra io ti voglio bene…›› sentì sussurrare al suo orecchio, mentre una mano calda le cingeva la vita. Non osò girarsi per vedere chi fosse, paralizzata dal dolore e dalla paura. Restò ferma, immobile, senza obbiettare. Sentì la vicinanza con un altro corpo, e l’impulso di avvinghiarsi ad esso.
‹‹Io sì che ti voglio bene…›› la ragazza sussultò.
‹‹S…Stefano…?›› sussurrò, mentre cadeva in un sonno profondo.


Hello gente! Come va?
Spero vi piaccia, e vi dico che la storia ha ancora....8 capitoli!
se avrete la pazienza di seguirmi..
cmq, spero vi sia piaciuto, e speroc eh commentiate!!!
baci
F99
ps, vi ricordo che anche altre storie. sonoù
Eternity Eyes
WATER WINGS
MidNight


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Capitolo 13
*** 11. L'alba ***


 XI
 

Violente raffiche di vento invernale scuotevano il cappotto bianco di Micaela, che sembrava essere un foglio di carta in balia di un uragano. La ragazza avanzava a passo deciso, con gli occhi fissi sull’orizzonte. Il sole non aveva ancora fatto capolino da esso, e l’alba stava per arrivare. Si potevano intuire i primi raggi rosati, che andavano ad illuminare soffusamente gli edifici.
Gli occhi color glicine della ragazza sembravano aspettare un segno, qualcosa che le avrebbe detto che era giunto il momento. Quello tanto atteso da ormai due secoli, quello che avrebbe dovuto mettere la parola fine alla sua interminabile missione. Ogni volta che tutto sembrava filare liscio, Lui la trovava. Era come un assurdo gioco di potere, che durava all’infinito, sfiancando anima e corpo di chiunque ci giocasse. Anche l’anima pura di quelli come lei.
Diede un calcio a dei sassolini sul ciglio della strada, aveva bisogno di svagarsi. Dopotutto anche lei aveva una vita, fuori dalla missione. E Ginevra rendeva questa sua vita umana molto movimentata. Ogni volta che la incontrava accadeva qualcosa di strano, come se la sua anima immortale si sentisse finalmente accettata. All’inizio non sapeva spiegare questo fenomeno, ma era riuscita a dargli un nome: amicizia. Quella che era accaduta, senza premeditazione, e che si era ritrovata addosso come un regalo arrivato all’improvviso. Ginevra era sempre così apparentemente innocente, e sempre così insicura, che diventare sua amica era, oltre che un dovere, un piacere. Si sentiva libera mentre ci parlava, senza dover rispettare le convenzioni che quelli come lei le mettevano addosso.
Ginevra era l’amica che nei secoli era sopravvissuta a tutto, anche alla morte.
***

L’amore, sentimento così strano e contorto, che Stefano non aveva mai provato. Solo qualche accenno, ma così piccolo da sembrare un granello di sabbia in mezzo al deserto.
E, molte volte, era solo lussuria, puro sentimento di piacere sfrenato, che si impossessava del suo corpo molto, ma molto facilmente.
Eppure con Lei non ci aveva mai provato.
La considerava troppo bella, troppo pura…era paradossale dirlo, visto ciò che si celava dietro al suo bel viso da quattordicenne ingenua.
Eppure, di cose, la ragazza, ne aveva viste molte.
Anzi, Stefano avrebbe giurato che sapesse addirittura il suo nome di “battesimo”, se così si poteva chiamare.
Glielo aveva sussurrato tante volte, quando i primi raggi rosati dell’alba accarezzavano la pelle di entrambi. Prima che lui…
***
Buio.
Solo una cortina di oscurità ad avvolgere la camera di Ginevra, che si agitava nel suo letto come fosse posseduta. Il piumone si muoveva, mentre sembrava che l’oscurità osservasse maliziosa la scena. La ragazza era in preda ad un incubo più intenso del solito. La figura snella di un ragazzo le stava davanti, avvolto in una maglia a righe bianche e nere. I suoi occhi, più neri delle vesti, sembravano conoscere a memoria i canali di Venezia. La gondola su cui era seduta, era intagliata in un legno molto chiaro, che veniva illuminato dai riflessi rosati dell’alba. La città era come addormentata, solo l’acqua nei canali e la gondola sembravano essere l’unica cosa a muoversi. Ginevra si guardò le vesti: un lungo vestito ottocentesco. Era di un intenso rosso scarlatto, con una gonna a balze ed uno corsetto di una tonalità più chiara di rosso. I capelli corvini raccolti in uno chignon alto, che lasciava sfuggire appositamente qualche ciocca, che le andava ad incorniciare il viso dai lineamenti dolci.
Il suo sguardo, perso fra le acque torpide, rifletteva una malinconia impressionante, che solo chi ha visto tutto al mondo può avere. La gonna ingombrava due terzi dell’imbarcazione, lasciava appena spazio per i piedi del gondoliere. Il remo che teneva in mano  tagliava la superficie scura dell’acqua, mentre i suoi capelli neri erano mossi dalla brezza lacunare della città. Le nuvole plumbee sembravano non voler lasciar passare la luce del sole, che faceva capolino timido dall’orizzonte. Sembrava che le acque che avvolgevano la città fossero una passerella su cui lui stesse camminando, e sulla quale si avvicinava sempre più ai due giovani. Ginevra guardava malinconica la schiena del ragazzo, che sembrava perso a guardare le nuvole.
‹‹Salve, Ginevra›› disse senza guardarla.
‹‹C-come sapete il mio nome?›› sul viso di lei un’espressione sorpresa, quasi paurosa.
‹‹ Me lo avete rivelato voi, molti anni orsono. Non ricordate?›› le rispose, mentre girava appena il capo.
Ginevra stata per dire no quando un alcune immagini confuse le affollarono la mente.
Vedeva luce, ombra, buio. Colombe bianche che volavano nel cielo, corvi neri girare in tondo e beccare il cadavere di un uomo. Ora sapeva la risposta.
‹‹Sì…›› sussurrò in un soffio, mentre si schiacciava sui bordi della gondola. Sentiva l’inquietudine montarle dentro, assieme a una forte sensazione di déjà-vu. Chi era Lui? Ma, soprattutto, chi era Lei?
‹‹Bene, vedo che ricordate. Ed ora, Ginevra, è ora di compiere quello che ho lasciate in sospeso qualche giorno fa›› girò il viso, mentre i suoi occhi neri puntavano quelli blu di lei. La ragazza, boccheggiante, studiava meticolosamente il suo viso, fin troppo familiare.  I suoi occhi si persero nei lineamenti spigolosi del suo viso, irrimediabilmente bellissimo. In un lampo ricordò gli avvenimenti dei giorni prima. Un ladro aveva cercato di derubarla, puntandole addosso uno strano pugnale. Anche quello familiare. Era come se stesse vivendo una vita che non era la sua, come fosse uno spettatore invisibile dell’assurdità che era diventata la sua vita.
‹‹Voi…voi siete quell’uomo, non è vero?›› il cuore le palpitava a mille, mentre cercava protezione nelle balze della gonna scarlatta.
Lui le si avvicinò piano, piegandosi in avanti. I loro nasi si sfioravano, mentre i loro occhi si affogavano gli uni negli altri.
‹‹Sì, Ginevra, sono io quell’uomo…›› le disse piano, mentre sentiva un fremito attraversarla. La gondola aumentò la velocità, mentre sembrava fosse guidata da rapide impazzite.
‹‹ Ed ora sono venuto a finire ciò che ho iniziato…›› le prese la testa fra le mani, mentre lei cercava di urlare. Ma le parole che le vennero fuori furono l’opposto.
‹‹Perché, Romeo, tu osi far questo? Forse non m’ami più?››
‹‹Oh, ma che dici, Giulietta, io t’amo. Solo in diverso modo.›› le rispose, mentre i loro visi si avvicinavano sempre più.
‹‹Come puoi dirlo, dato ciò che dicesti pochi giorni fa al mio balcone?›› chiese, mentre cercava di frapporre più spazio possibile fra loro. Lui sembrò divertito, poiché un sorriso comparve sul suo viso.
‹‹Ma non affermo di non amarmi, Giulietta, affermo solo che ciò che c’è stato, non è come ciò che provo ora. Il nostro amore si sta trasformando, ma non temete, sarò io a mettere fine a questo cambiamento.›› disse, mentre si leccava le labbra scarlatte.
Ginevra scattò in piedi, mentre l’enorme gonna sembrava essere animata dal vento. Le scarpe col tacco toccarono i margini della barca, mentre il ragazzo le si avvicinava sempre più.
‹‹Stefano.›› sussurrò, mentre cominciava a realizzare cosa stesse per succedere.
‹‹Già, mia Ginevra, sono io›› il ragazzo affondò una mano nella tasca del vestito, mentre ne estraeva un pugnale iridescente. La fodera nera e due rubini rossi incastonati, che sembravano iridi iniettate di sangue.
‹‹N-non verrete certo…›› Ginevra si sporse ancor di più all’indietro, mentre sentiva il rumore dell’acqua a pochi metri.
‹‹Certo che no, Ginevra…›› le rivolse un sorriso malizioso, mentre protendeva la lama verso il suo fianco. La piccola arma luccicava dei primi raggi dell’alba, che le facevano riflettere la luce rosata.
‹‹Ma un attimo…io v-vi conosco…›› disse, cercando di prendere tempo. Ma il destino era già stato scritto, e non poteva sottrarsi al suo corso.
‹‹Me certo che mi conoscete, e anche molto, ma molto bene.›› la lama recise la sua carne, mentre Ginevra emetteva un gemito strozzato.
Il pugnale continuava a sprofondare nella carne pallida della ragazza, mentre Stefano poteva già sentirLo uscire. Poteva avvertire la sua potenza fluire assieme all’acqua nel canale, mentre gli occhi blu di Ginevra perdevano via via vitalità.
‹‹Io…io ti amo. E lo farò per l’eternità…›› disse Ginevra, mentre il viso di Stefano si faceva sempre più cupo.
‹‹Tu non sai quello che dici.›› le rispose freddo, mentre la lama penetrava fino all’impugnatura.
Lei, con un ultimo guizzo di vita, gli si aggrappò alle spalle, attirandolo a sé.
‹‹Invece so esattamente ciò che dico.›› gli si avvicinò ancora di più, facendo sì che il pugnale penetrasse ancor di più nel suo fianco. Ma a lei sembrava non importare, poiché le sue labbra erano ormai un tutt’uno con quelle di lui. Si baciarono con foga, mentre la meticolosa acconciatura di Ginevra veniva spazzata via dal vento in aumento.
I capelli corvini ora sembravano essere tentacoli inferociti che si muovevano sinuosi nel vento.
E fu in quel momento che l’alba sorse, facendo capolino dall’orizzonte  ed avvolgendo Venezia nelle sue brame iridescenti.
E fu in quel preciso istante che la vita di Ginevra terminò, con un bacio maledettamente seducente. Era come avvelenato, come un veleno che la stava consumando dall’interno.
Era questo dunque l’amore, un veleno talmente allettante da uccidere in qualsiasi secolo?




Ehi, ciao a tutti! come va? innanzitutto questo capitolo non era previsto, e spero che sia lo stesso bello.
sono un po' demorallizato per la lunghezza, lo so, è troppo corto....
Fatemi sapere che ne pensate, e ringrazio chi lascia recnesioni, ma anche chi mi segue in silenzio.
E spero che chi mi segua in silenzio mi faccia sapere il suo parere.
Ora vado, ciauuu!
FALLEN99

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Capitolo 14
*** 12. Conticuit ***


 XII
 

Il cielo plumbeo sembrava voler inghiottire ogni macchia di colore. Ginevra guardava fuori dalla finestra, mentre si sentiva come una foglia secca d’autunno. Sola e fragile. Stava con la testa posata sugli avambracci, completamente spaparanzata sul baco di legno. Gli occhi persi in quell’immensa distesa grigia che era diventato il cielo.
Si guardò il fianco, poteva sentire ancora vividamente la lama del pugnale premuta su di esso. L’incubo di quella notte era stato così reale… come quando era entrata in coma ed aveva visto la ragazza morta davanti alla cattedrale. La stessa, medesima cosa. Solamente che nell’incubo lei non era come uno spettatore, ma come una vittima.
Non aveva ancora individuato bene chi fosse il misterioso gondoliere. Ogni volta che pronunciava il suo nome le appariva distorto ed irreale, come se non le fosse consentito sentirlo.
“Ed invece tu lo sai il suo nome” la voce roca le riempì la testa.
“Ancora tu! Vattene dalla mia testa!” gridò nella sua mente, mentre si premeva le mani sul capo. Chiuse le palpebre, aveva bisogno di concentrazione per scacciare quell’opprimente presenza dalla testa. appena il buio invase la sua visuale le sembrò di vedere due iridi rosse, ma quando riaprì gli occhi erano sparite.
“Ma perché dovrei andarmene, sono sempre stato qui.” le rispose la voce, che sembrava via via farsi più forte.
“Ma cosa dici?! Questa è la mia testa!” ribatté secca, mentre si accorgeva di star colloquiando con la sua mente.
“Dici?” Fu l’ultima parola della voce, che svanì come era venuta. Nella mente di Ginevra ritornò la quiete, mentre poteva finalmente rilassare i nervi tesi. Come mai quella voce era nella sua mente? Le stavano succedendo troppe cose strane, e Ginevra era stanca di non poter comprendere cosa le stava accadendo. Era stanca di essere succube delle situazioni, voleva avere, per una volte, il controllo della sua vita.
 Chiedeva troppo?
‹‹Ehm, ragazzi, posso avere la vostra attenzione?›› domandò il professore si storia, ma non sembrava essere scocciato. Anzi, sembrava essere divertito.
I ragazzi continuavano a parlare, mentre i loro mormorii si spargevano velocemente nella stanza angusta. Anche i muri giallognoli sembravano averne abbastanza.
Edoardo, così si chiamava il professore, guardava divertito la confusione che solo ventitré alunni riuscivano a produrre. Gli occhi verde acqua erano persi a guardare una sola, però. La ragazza si teneva le testa fra le mani, mentre guardava smarrita il banco di legno. L’uomo la ammirava, mentre i capelli corvini della giovane venivano mossi dal vento invernale che entrava dalla finestra.
‹‹Ragazzi, per favore, vorrei la vostra attenzione›› disse calmo, mentre alcuni si voltavano a guardarlo, per poi rigirarsi a parlare con il compagno di banco. Sul viso di Edoardo si instaurò un sorriso divertito, quasi gli venisse da ridere.
“Che sciocchi questi ragazzi…” si disse, mentre spostava una ciocca di capelli ricci dal volto.
Si voltò, dando le spalle alla classe, che sembrò non accorgersene.
Prese il gessetto, mentre la polvere bianca gli sporcava il dorso della mano. quel contatto lo fece rabbrividire, non aveva mai toccato qualcosa di così…umano.
Si fece forza, mentre liberava la mente. Le parole gli comparvero nella mente, come fossero già state scritti anni orsono. La mano cominciò a muoversi, come mossa da una forza invisibile. A breve, sulla lavagna, comparve scritto: Conticuit.
La sua calligrafia era impeccabile, la c morbida e continua, la o piccola e stretta, e la t curva e spigolosa.
Era fatta, l’aveva scritto; ora non gli rimaneva che aspettare.
***
‹‹Ehi, Ginni!›› l’immagine alta di Micaela si materializzò davanti a Ginevra, facendola sobbalzare. Era talmente concentrata a scrutare le venature del legno del banco, che non si era completamente isolata. Poteva ancora sentire l’eco della voce rimbombarle nella mente…
‹‹Ciao, Michi›› le rispose, fingendosi allegra. Ma la verità era che era tutt’altro che allegra. Una forte sensazione d’inquietudine dominava su di lei. aveva bisogno di certezza, di sapere esattamente cosa le stava succedendo.   
‹‹Scusa se non sono venuta a trovarti, quest’ultima settimana, ma sai, con la scuola ho avuto poco tempo›› le fece l’occhiolino, mentre buttava i capelli dietro le spalle.
‹‹Mi sei mancata tantissimo, sai?›› la bionda mise le mani sul banco, issandosi a sedere.
Ginevra diventò rossa in volto.
‹‹Anche tu. Non sai quanto mi è mancata la tua allegria. E poi l’ospedale è così monotono… stavo per impazzire!›› confidò, mentre si tappava le orecchie a causa del forte rumore che aleggiava nella classe.
Guardò in volto Micaela, che stava dicendo qualcosa, ma la confusione era troppa, e le sue parola le risuonavano distorte. Poi, successe una cosa molto strana. Appena i suoi occhi incrociarono quelli di Micaela, fu come se tutto fosse lontano; come se ci fossero solo loro due, ed i rumori erano soltanto un lontano ricordo.
‹‹Fortuna che ti sei ripresa; non ce la facevo più a stare sola a scuola… i professori sono così noiosi…›› sospirò.
‹‹Dai, non essere così negativa, ce ne sarà uno che si salvi.›› ribatté Ginevra, mentre tirava fuori dalla camicetta il ciondolo che Micaela le aveva regalato. I due angeli erano ancora lì, intatti, con i loro sorrisi e le loro arpe intrecciate. Come i guardiani di Ginevra, pronti a proteggerla in qualsiasi situazione.
‹‹Ce l’hai ancora…›› le disse l’amica, mentre lo prendeva in mano. il suo sguardo era cupo, malinconico, come se lontani ricordi le riaffiorassero poco a poco nella mente, oscurando la bellezza del suo sguardo color glicine.
Percorse con l’indice le vesti dei due angeli, soffermandosi sul primo. I lineamenti del viso erano dolci, ed due occhi blu sembravano riflettere la loro luce sulle vesti; quasi fossero due zaffiri luminescenti. Il viso del secondo era più duro, con piccoli occhi di un colore indefinito, che emanavano una sapienza arcana.
‹‹Beh, ti sembra una cosa strana? Me l’hai dato tu, ricordi? Non pensavo che la mia assenza ti avesse scombussolata fino a questo punto.›› Ma la ragazza sembrava non ascoltarla; il suo sguardo perso nei riflessi argentati dei due angeli, come se racchiudessero ben più di due figure scolpite in metallo sconosciuto.
‹‹Dopo tutti questi anni…›› sussurrò, come fosse in uno stato di trance.
‹‹Ehi? Michi?›› la chiamò Ginevra, agitandole una mano davanti agli occhi.
L’altra si riprese.
‹‹Scusa, mi ero persa nei miei pensieri…›› disse Micaela, quasi stesse solo convincendo se stessa.
‹‹Poi sarei io quella sognatrice, eh?›› ammiccò Ginevra.
‹‹Già, sei proprio tu. Lo se sempre stata…››Micaela scrutò il viso dell’amica, mentre chiudeva alternamente la palpebre: come a catturare un particolare stravagante del viso di Ginevra. Quello che l’aveva sempre colpita. I suoi occhi.
Sempre così enigmatici e  luminosi, quasi fossero fatti per tirarti su il morale.
‹‹Secondo me staresti meglio così…›› la ragazza scese dal banco, mentre si posizionava dietro all’amica.
‹‹Michi? Ma che stai facendo›› Ginevra sentì il tocco dell’amica sulla nuca, mentre le intrecciava i capelli. Sembravano le mani accurate di un intrecciatore professionista, quasi fosse stata un angelo.
‹‹Sei per caso diventata la mia estetista? Mi sembra che con lo smalto avessi già fatto abbastanza…›› disse, mentre fissava i suoi compagni parlare animatamente. Il professore stava lì, inerme, fissando i suoi alunni far baccano durante l’inizio dell’ora.
“Quell’uomo è davvero strano…” pensò, mentre le mani accurate di Micaela intrecciavano i suoi capelli come fossero pregiati fili di seta.
Ginevra osservò l’uomo scrivere qualcosa alla lavagna. Aveva una calligrafia impeccabile, quasi fossa stata una macchina da scrivere. Ma anche quella sarebbe stata nulla in confronto alla bellezza di quelle lettere così sagomate e precise.
Ora, sulla lavagna nera, compariva candida la scritta:
Conticuit.
“Ma che è?” pensò Ginevra; ma la risposta le sarebbe arrivata solo molto tempo dopo.
‹‹Ecco fatto›› disse trionfante Micaela, mentre stringeva la treccia corvina che aveva fatto a Ginevra. Le arrivava appena sopra la vita, e le lasciava scoperti i luminosi occhi blu.
‹‹Come mai l’hai fatto?›› chiese.
‹‹Ora sei proprio come ti ricordavo…›› rispose l’altra, misteriosa. Altri dubbi e domande si insinuarono in Ginevra. No. Non voleva dover cercare una soluzione anche per quelli.
Ma prima che potesse chiedere all’amica qualcos’altro, il professore si girò verso di loro.
La scritta illuminava il nero assoluto della lavagna.
‹‹Conticuit›› disse il professore, e, inspiegabilmente, la classe piombò in un silenzio tombale.
Quasi avesse recitato un incantesimo.




Ehi, ciao a tutti! Eccomi con il nuovo capitolo, ringrazio come sempre chi mi segue e spero vi piaccia!
è solo di passaggio, s'intyenda!
grazie di averlo letto, fatemi sapere i vostri parei
baci
F99

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Capitolo 15
*** 13. Divergenze ***


 XIII
 

La campanella risuonò per la scuola, mentre l’enorme orda di studenti riempiva come api assetate di miele i corridoio cupi dell’edificio. Quella giornata il cielo era grigio, e sembrava avvolto da una misteriosa cortina, che trasudava un’infinita tristezza.
E, se non fosse stato per Micaela, quella tristezza avrebbe contagiato l’intera giornata scolastica di Ginevra.
Le due camminavano l’una al fianco dell’altra, dirette ai bagni, mentre la lunga treccia di Ginevra dondolava da una parte all’altra della schiena ad ogni suo passo, come fosse un serpente  in movimento. Micaela osservava orgogliosa il suo lavoro; con una sensazione strana in circolo.
‹‹Hai visto? Sono o non sono una futura estetista?›› ammiccò, mentre dava una gomitata all’amica. Ginevra ridacchiò, mentre cercava di accumulare più serietà possibile per rispondere all’amica.
‹‹Beh, se devo essere sincera, ti manca ancora molto. Non basta saper mettere un semplice smalto e fare una treccia. No, no. Serve molto di più.›› disse, ostentando serietà. Micaela la guardò storto, fingendosi offesa.
‹‹Devi saper fare le tinte, la manicure, pedicure, sbiancamento della pelle e…››
‹‹Frena, tesoro, abbiamo solo quattordici anni!›› la interruppe l’altra. Ma Ginevra non si era fermata per quello. Due occhi non poco indiscreti la scrutavano da lontano. Il nero avvolgeva tutte le iridi, rendendo indistinguibile le pupille. Indossava un paio di pantaloni bianchi, con una camicia nera sbottonata sui primi bottoni.
I capelli spettinati al punto giusto e l’aria da duro lo facevano apparire ancor più misterioso.
 Era Stefano che, appoggiato al muro, lanciava sguardi maliziosi verso Ginevra. Lei lo salutò con un timido cenno del capo, mentre avvampava.
‹‹Ginni? Stai bene?›› chiese Micaela, notata la titubanza dell’amica.
 ‹‹Sì…tutto okay›› ma, nonostante cercasse di nasconderlo, la sua voce faceva trasparire un forte imbarazzo.
‹‹No, non è tuto okay.›› Micaela mise una mano sul muro giallognolo, mentre piegava la testa di lato, e i capelli infinitamente biondi ricadevano di lato.
‹‹Michi, ti dico che va tutto bene›› me lo sguardo di Micaela era talmente intenso che non le permetteva di mentire.
‹‹Ah, ho capito…›› esclamò scocciata, mentre girava il capo verso Stefano. Gli riservò un’occhiata acida, mentre Ginevra avrebbe voluto sprofondare dieci metri sotto terra. Non capiva come mai l’amica provasse così tanto odio, e per di più infondato. Non li aveva mai visti parlare, o interagire in qualche modo.
‹‹Ancora con quello lì?›› le chiese Micaela, grave.
‹‹Beh, ecco, io…›› Ginevra abbassò lo sguardo. Non riusciva a tenere i suoi occhi fissi in quelli di Micaela, che cercavano di strapparle la verità.
‹‹Non riesco proprio a capirti, Ginevra. Lo sai che quel ragazzo non fa per te!›› Micaela la prese per i polsi e avvicinò la sua testa a quella dell’amica. I loro occhi si incontrarono, e quelli di Micaela guardarono attraverso quelli dell’altra, quasi cercassero di ispezionare la sua anima. ‹‹Lui è il male, Ginevra.›› sussurrò, mentre una serie di brividi assalivano Ginevra.
Quelle cinque semplici parole fecero breccia nella sua mente  come coltelli affilati, distruggendo  il sottile equilibro che si era creata in quei due mesi. Ora sì che tutte le sue certezze cominciarono a vacillare, lasciando spazio solo alla paura.
‹‹C-cosa vuoi dire…?›› balbettò.
‹‹Nella mente di Ginevra continuava a ritornare, però,
‹‹Quello che ho appena detto; di stargli alla larga.›› ribatté l’altra acida. Nelle sue parole si poteva intuire un odio antico, risalente a molti secoli prima. Un odio he trovava le sue radici dalla notte dei tempi, dove la Sua razza si era divisa in due metà non esattamente uguali.
‹‹C-così mi fai spaventare…›› sussurrò Ginevra agitata.
‹‹Ed è bene che tu lo sia.›› rispose Micaela, mentre allentava la presa ai polsi dell’amica.
‹‹Tu non sai neanche cosa ti aspetta, Ginevra.›› Micaela le riservò un’occhiata ambigua, misteriosa, che nascondeva dentro una voglia innata di dirle ciò che sapeva; ma che non avrebbe mai potuto rivelarle.
‹‹I-io non ti capisco…›› Ginevra cominciò ad agitarsi. Ci mancava solo che anche Micaela ci si mettesse a complicarle la vita. Una serie di incertezze cominciarono ad aggirarsi nella sua mente, non lasciandole nemmeno il tempo di respirare.
‹‹E mai capirai, Ginevra››
‹‹Ti prego, non  fare cos…››
‹‹E come devo fare! Ti avevo già detto di stargli alla larga, eppure tu sei sempre una gatta morta!›› le gridò in faccia, mentre la treccia corvina di Ginevra sembrava oscillare.
‹‹Non dirmi così! Non sei mica mia madre! Ho quattordici anni, cavolo, saprò badare a me stessa?›› urlò, con tutta la forza che aveva in gola. Era stanca che la gente la reputasse debole, incapace di difendersi da sole, nemmeno fosse sua sorella Susanna.
Micaela scosse la testa.
Come poteva la ragazza essere così ottusa? Sempre?
‹‹Se hai finito di farmi la paternale io vado a salutarlo.›› disse acida Ginevra, mentre avanzava decisa verso Stefano. Ora sentiva una nuova sicurezza, come se quell’ultimo dialogo, seppur negativamente, l’avesse resa più determinata.
‹‹Ginni, aspetta!›› sentì chiamare alle sue spalle; ma fece finta di non sentire.
Quando le sue ballerine scure furono a pochi centimetri dalle Nike di Stefano parlò:
‹‹Ehi, Stefano›› gli rivolse un sorriso a trentadue denti.
‹‹Ginevra›› le rispose lui, sprofondando in un inchino galante.
Lei arrossì, mentre in viso le si stampava in sorrisino imbarazzato.
‹‹Ma che fai?››
‹‹Il giusto saluto per una principessa come te›› le rispose lui, sempre con quel tono suadente che faceva sciogliere Ginevra come un gelato in una giornata di quaranta gradi.
‹‹Smettila e fai il serio›› ridacchiò‹‹Dobbiamo parlare›› aggiunse con finto tono grave.
‹‹Di cosa, milady?›› chiese lui fingendosi spaventato.
‹‹Del fatto che non mi sei più venuto a trovare in ospedale›› Ginevra si mise a braccia conserte, fissandolo con superiorità.
Lui si inginocchiò, congiungendo le mani.
‹‹Chiedo perdono, signora, no tagliatemi la testa!›› imprecò; mentre Ginevra tratteneva a stento le risate.  ‹‹Va bene, va bene. perdonato. Ma tirati su, che sennò gli altri pensano male›› gli porse una mano, che lui afferrò di slancio. A breve la sua sagoma alta fu davanti a Ginevra. I loro corpi erano vicinissimi, solo pochi centimetri a dividerli.
Gli occhi di Ginevra si persero in quelli neri di Stefano, che sembravano essere un insieme di di piume di corvo. Avrebbe giurato di averne intraviste un paio, ma quegli occhi erano troppo misteriosi per farle avere qualsiasi tipo di certezze. I loro visi sembravano due magneti, che si attirano a vicenda, ma molto, molto lentamente, quasi avessero paura di farsi male. Ma, per quanto entrambi potessero rallentare l’attrazione, essa si compiva, inesorabilmente dal loro volere.
Le loro labbra si avvicinarono, mentre Ginevra chiudeva gli occhi. Voleva vivere appieno quel momento, senza alcuna distrazione. Ma appena sentì le labbra di Stefano sfiorare le sue, sentì una sensazione spiacevole percorrerle tutto il corpo. Come fosse un ultimo avvertimento, prima di compiere un atto così importante.
Ma Ginevra ne era convinta, l’avrebbe baciato. Si protese verso di lui, aspettando il contatto con le sue labbra perfette. Ma, ancora una volta, la sensazione prese il sopravvento sul suo corpo.
E questa volta si portò dietro qualcosa di più spiacevole. Due occhi di fuoco le apparvero nell’oscurità che la avvolgeva, come due fessure su un inferno di fiamme e distruzione.
Inconsapevolmente spinse via Stefano, come volesse delineare i confini dei loro corpi.
“M-ma cosa ho fatto?” si disse, mentre guardava l’espressione perplessa sul viso di lui.
‹‹Io non voglio forzarti, Ginevra, se non volevi dovevi solo dirlo.›› gli costava tantissimo dire quelle cose, perché lui voleva metterle fretta. Voleva possedere le sue labbra, come già aveva fatto in passato. Ma col tempo il loro sapore era svanito, come cancellato dalla loro distanza.  
‹‹N-non è colpa tua, ma mia…›› si affrettò a dire Ginevra, trattenendo a stento il forte senso di colpa.
Abbassò lo sguardo, fissando un particolare delle piastrelle grigie del pavimento.
‹‹Ehi, va tutto bene.›› Stefano le prese il meno fra il pollice e l’indice, costringendola a guardarlo. Le rivolse un sorriso comprensivo, con solo un briciolo di delusione.
‹‹Sicuro che vada tutto bene, intendo, per te?›› chiese lei
‹‹Ovvio. È evidente che hai bisogno di tempo, e non voglio afforzare le cose.›› le lasciò il mento, riprendendo la sua borsa con le borchie da terra.
‹‹Ci vediamo domani›› le disse, incamminandosi per il corridoio. Ginevra osservò la sua immagine allontanarsi, e sparire in quella massa grigia di adolescenti, come l’aveva descritta il primo giorno in cui l’aveva incontrato. Il giorno più misteriosamente più bello della sua vita.


Ehi, ciao a tutti e buona mattina
Ci ho messo un  po' ad aggiornare perché sono stato malato, influenza e febbre.
Ma vi prometto che appena mi passa pubblicherò più in fretta.
E a tutti i lettori mi rimetterò presto in pari con le recensioni.
baci
FALLEN99


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Capitolo 16
*** 14. Nebbia ***



Ps, avviso importantissimo, aggiunto un nuovo capitolo all'inizio della storia, dove ci sn le citazioni e una spece di Booktrailer. buona lettura
 

 XIV
 

Lo stridio insopportabile del cancello metallico della scuola riecheggiò per le strade della città, confondendosi con la nebbia che stava calando. Sembrava che fosse una moltitudine di serpi bianche, che si aggiravano per le strade, in attesa di invaderle con le loro spire contorte.
Ginevra camminava a testa bassa nel cortile della scuola, calpestando le foglie secche. In quel momento si sentiva più strana che mai; da quando era riuscita a farsi scappare l’occasione di baciare Stefano una forte sensazione sembrava non volerla abbandonare. E, anche se non voleva ammetterlo, era l’amaro gusto della timidezza; che da ormai quattordici anni si portava addietro e che comprometteva ogni suo rapporto. Come fosse una punizione per qualcosa che aveva fatto, ma della quale non ricordava l’esistenza. Come se le sue colpe venissero da epoche lontane, dove non era stata ancora messa al mondo, ma nelle quali era molto che una semplice spettatrice.
 Era stanca di dover vivere una vita che non era la sua; di dover pagare il prezzo di cose che, almeno secondo lei, non aveva fatto.
Il rumore dei suoi passi risuonava lieve per il cortile, attutito dalle foglie. Esse creavano un tappeto colorato, e le loro tinte calde si mescolavano in una perfetta combinazione; quasi fossero state create per incastrarsi come un mosaico. I rami degli alberi del cortile erano protesi verso il cielo, quasi attendessero che la pioggia lavasse via la tristezza che il cielo grigio emanava. 
Avanzò velocemente, voleva arrivare al più presto a casa, e per un unico motivo: l’oscurità.
Era l’unica cosa che l’avrebbe rimessa in sesto dopo quella giornata massacrante. Erano successe troppe cose, e non aveva avuto nemmeno il tempo di respirare.
Aprì il pesante cancello metallico,  mentre la sua mente vagava ancora nelle scuola, al momento dove il professore aveva scritto quella strana parola alla lavagna. Di una cosa era certa, non era italiana. Le sembrava di averla già vista, forse nel dizionario a casa di sua nonna, ma non ne aveva la certezza…quanto odiava non averne, in quell’ultimo periodo. Si accorse di essere ferma, ancora con la mano poggiata sulle sbarre metalliche del cancello. Si riscosse al pensiero che qualcuno avesse potuto vederla, e pensare di lei che era ancora più strana delle voci che giravano sul suo conto.
Spinse il cancello, oltrepassando i confini della scuola, delineati da un muretto segnato dal tempo e da un’enorme siepe, che sembrava riuscire a toccare la plumbea massa che era il cielo. Una macchina le passò davanti, sfrecciando per la strada e provocando il sollevarsi di alcune foglie. Esse volteggiarono nel freddo vento, quasi stessero sfilando su una passerella invisibile e sospesa. Ma solo una delle modelle vegetali attrasse l’attenzione di Ginevra, precisamente una non molto grande e sui toni del rosso. Era l’unica che voleva lontana dalle altre, come evitasse apposta di mischiarsi con il gruppo. Ginevra riuscì ad intravederci sopra una scritta, ma la foglia si muoveva troppo velocemente per capire la parola. Decise di ignorarla, non voleva scaturire un ulteriore mistero a cui non poteva dar risposta.
Alzò le spalle e attraversò la strada; lo sguardo perso all’orizzonte, sempre del monotono grigiore. Nella sua mente giravano impazzite le parole dure di Micaela: “Lui è il male, Ginevra”. Non capiva proprio cosa stesse cercando di dirle. Forse che il ragazzo che con lei si era dimostrato gentile e romantico era invece un assassino? Scosse la testa, in quel momento voleva solo una cosa; l’oscurità. Le mancava il completo buio attorno a se, ma soprattutto la sensazione di benessere che l’attanagliava ogni volta che la sua stanza sprofondava nel buio.
Attraversò con passo deciso il parco, dove alcune altalene si muovevano mosse dal vento, e dove si potevano scorgere alcuni piccioni beccare semi sugli scivoli; ormai privi dell’allegria dei bambini. La ragazza ignorò l’inquietudine che stava pian piano prendendo il possesso del suo corpo, ed avanzò nel prato, mentre la nebbia l’avvolgeva nelle sue spire evanescenti.
“Sta’ calma” si disse, ma era tutt’altro che quello. Si sentiva smarrita, avvolta completamente in quella massa bianca e sfuggente, che rendeva tutto uguale. I suoi piedi affondavano veloci nell’erba incolta, e producevano un impercettibile rumore. Ad un tratto il rumore si placò, lasciando posto ad uno scricchiolio. Ginevra si fermò di colpo, mentre le si mozzava il respiro. Ci mise pochi minuti a capire che aveva appena calpestato una foglia secca, ma non una qualunque. La prese in mano, sentendo una sensazione ruvide sui polpastrelli. La osservò, mentre capiva che era proprio quella che aveva visto volteggiare nel vento all’uscita della scuola.
“Ma coma avrà fatto ad arrivare qui?” si chiese, elaborando vari e inquietanti film mentali.
“Il vento” si disse, quasi volesse convincersi che era l’opzione migliore. I suoi occhi furono subito attratti dalla calligrafia impeccabile che sfoggiava sul dorso della foglia la parola: “Obturaverunt”. Ginevra rimase qualche istante immobile; era le seconda parola inspiegabile che vedeva quel giorno. Compì due respiri profondi per calmarsi, mentre cercava le possibili spiegazioni a tutta quella questione assurda. Ma la soluzione logica non c’era, era tutto troppo misterioso. Cercò di camminare, lasciandosi alle spalle i problemi, ma il suo corpo restò immobile. Tentò ancora, ma era come se la sua mente ed il suo corpo fossero due cose separate.
Al terzo tentativo nulla era cambiato. Avrebbe voluto urlare, piangere, cominciare a correre e abbandonare in quel luogo tutti quegli avvenimenti sconcertanti che aveva subito. Ma l’unico senso ancora funzionante era la vista, anche il suo respiro si era fermato. Così lo utilizzò, cercando di vedere qualcosa in quella massa informe di nebbia. L’unica cosa che riuscì a scorgere fu la piuma nera di un corvo, che sembrava essere sospesa come lei nella nebbia.
“Il corvo è il simbolo dei demoni” la voce di sua nonna le riempì la mente, e Ginevra fu pervasa da una strana sensazione. Chiuse gli occhi, fortuna che quello le era consentito. Ecco, ora vedeva solo buio, oscurità. Per un attimo riuscì a tranquillizzarsi. Ma la calma durò poco; sentì un tocco caldo sulla schiena, che la fece riemergere dalla trance.
Era stranamente familiare, ed il suo calore si propago velocemente in tutto il suo corpo. Un brivido la percosse, mentre cercava il coraggio di girarsi; ma esso non sembrava volerla aiutare. Aprì lentamente le palpebre, mentre il completo bianco della nebbia le riempiva le iridi cobalto. Rimase qualche istante a fissare la massa evanescente, mentre una figura scura le si materializzava davanti. Aveva imponenti spalle e un petto muscoloso, messo in evidenza dal maglione rossiccio.
La cravatta ma pois gialli sbucava sotto il maglione, e i capelli ricci sembravano essere di ghiaccio, irremovibili nonostante il forte vento. La ragazza non ci mise molto a capire che poteva tirare un respiro di sollievo.
‹‹Oh, è solo lei, professore…›› biascicò mentre riprendeva a respirare.
Lui assunse un’espressione perplessa e giocosa nello stesso tempo.
‹‹Perché, chi pensavi che fossi?›› le chiese, mentre si sistemava la borsa a tracolla nera. Faceva un così tale contrasto con il bianco della nebbia che Ginevra non poté fare a meno di osservarla. Era decorata con svariati segni argentati, e alcuni, dorati, si intrecciavano formando una croce perfettamente perpendicolare. L’occhio di Ginevra, però, fu attratto da un particolare che spuntava dalla tasca posteriore della borsa; più precisamente uno scintillio argentato, che sembrava fare breccia come una lama nella fitta cortina di nebbia.
‹‹Nessuno; sono solo un po’…››
‹‹Distratta?›› la precedette lui.
Lei annuì, abbassando lo sguardo a terra; dove la foglia era magicamente scomparsa. Le venne un colpo nella sorpresa, ma il professore riprese a parlare.
‹‹Ginevra, a dire il vero ti ho raggiunta per un motivo.›› i suoi occhi  verde acqua abbassarono la loro traiettoria, andando a ispezionare sotto il pesante giaccone blu scuro di Ginevra. Aguzzò la vista, mentre intravedeva una luce iridescente illuminare la lana scura. Si avvicinò di un passo alla ragazza, mentre i suoi occhi erano puntati su quel punto. Ecco, ora ne era sicura, gliel’aveva già consegnato. Poteva stare tranquillo.
Indietreggiò, notando il viso di Ginevra essere popolato da uno strano rossore.
‹‹S-si? E quale sarebbe questo motivo?›› chiese la ragazza, mentre ritraeva il viso nei capelli corvini. Faceva sempre così, si ritraeva da ciò che aveva paura, come se i suoi lisci capelli fossero in grado di proteggerla.
‹‹Volevo dirti che sei coinvolta nel mio programma di studio avanzato›› le comunicò freddo.
‹‹Sarebbe?›› chiese lei, mentre evitava accuratamente un contatto con i suoi occhi. Lui si schiarì la voce già limpida:
‹‹Un corso aggiuntivo di Storia; ovviamente solo per chi, come te e Francesco, ha una media molto elevata.›› Francesco era il ragazzo più rinomato dai professori, possiamo dire “il cocco dei prof”. Aveva sempre voti superiori agli otto, mai un sette, guai a lui se osava scendere sotto quell’inesplorato voto. Portava due occhialoni squadrati, che gli attribuivano ancor di più un’aria da topo di biblioteca. E Ginevra pensava provenisse da un’altra dimensione, dato il color carota dei suoi capelli.
‹‹Consideralo come un ulteriore approfondimento.›› riprese Edoardo, sorridendole e sfoggiando una dentatura bianchissima.
‹‹M-ma…come mai ora e non prima?›› chiese; le sembrava molto strano che solo ora glielo dicesse.
‹‹Perché solo ora ho avuto modo di esaminare i vostri voti e decidere i fortunati partecipanti al mio corso avanzato›› un altro sorriso e un’altra sguardo misterioso. Ginevra continuava a guardarlo perplessa; cosa si nascondeva dietro a quell’aspetto apparentemente perfetto?
Dannazione, tutti sembravano nascondere qualcosa.
La ragazza stava per fare altre mille domande; ad esempio sul dove si sarebbe svolto, sul perché dovesse farlo; ma gli occhi del professore sembrarono rispondere a tutte le sue domande e a infonderle sicurezza.
‹‹O-okay…›› disse, quasi non fosse stata lei a parlare.
‹‹Bene, si terrà due volte a settimana; nell’aula all’ultimo piano della scuola.›› le sorrise di nuovo; cominciando a camminare.
‹‹Cominciamo lunedì prossimo; non portare nulla. Okay? Beh, ci vediamo›› la salutò con la mano, mentre calava il berretto mimetico sui ricci capelli.
‹‹Arrivederci…›› balbettò Ginevra, mentre il suo alito si trasformava in fumo bianco, che andava ad alimentare la nebbia. E mentre il prof avanzava notò cos’era il bagliore nella sua borsa: un croce argentata, che rifletteva fiocamente il suo bagliore.
Ma che cos’era? Rappresentava forse qualcosa, oltra al fatto che era Cristiano?
Ginevra alzò le spalle, mentre si avventurava nella cortina di nebbia, avvolta nella sua evanescenza sempre crescente. Una volta arrivata alla fine del parco diede una rapida occhiata indietro, dove la nebbia avvolgeva tutto.
Quel parco sembrava un luogo incantato, sacro…
La treccia corvina oscillò sulla sua spalla, facendole ricordare la sua presenza. Ginevra la prese in mano, osservando il lavoro impeccabile dell’amica. Anche se le costava ammettertelo, dato il loro litigio, Micaela aveva fatto un buon lavoro. Ma non voleva che nulla quel giorno le ricordasse la presenza dell’amica, così la sciolse, lasciando libere le ciocche nere, che presero a volteggiare nel vento.
E, mentre osservava la danza dei suoi capelli, una piuma bianca, resa quasi invisibile dal bianco infinito della nebbia, fece capolino dietro di lei. La ragazza riuscì ad intuire sopra la calligrafia impeccabile che aveva visto anche sulla foglia di prima. Aguzzò la vista e riuscì a leggere la frase:
“Non puoi sfuggire al tuo destino”



Ehi, buona sera a tutti! Come state?
Io bene, il raffeddore è un po' passato, ma sempre in agguato.
Perchè la nostra scuola fa un solo giorno di vacanze di carnevale???
Vabbè, vaniamo a noi, vi è piaciuto? Cosa ne pensate? Fatemelo sapere; questo capitolo lo dedico a due persona in particolare.
Mirtilla Malcontenta e Winter Sky, che mi sceguono SEMPRE, non c'è una volta che nn lo fanno.  Grazie ragazze!
POi, ringtrazio ovviamente anche gli altri, e commentate!
Volevo consigliarvi due storie che sto leggendo, che sono
 Un Amore Tra I Ghiacci di Winter Sky
e
Angel di The Storm__
Ora vi lascio e alla prossima!
Fallen99


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Capitolo 17
*** 15. Occhi d'oceano ***


XV
 

Il profumo di biscotti al cioccolato invase la piccola cucina, mentre Rebecca si apprestava a tirare le sue creazioni fuori dal forno. Si chinò, mentre i suoi occhi malinconici, un tempo di un azzurro così intenso da far invidia al cielo, guardavano orgogliosi le masse di impasto marrone che emanavano una scia di profumo dolciastro. Incrociò le braccia, mentre un sorriso dolce le compariva pian piano sul volto. Un volto che aveva conosciuto tutto nella vita, segnato da un segreto che la opprimeva da ormai cinquant’anni; da quando l’aveva sposato. Da quando la sua vita era cambiata per sempre.
Il cardigan a fiori le accarezzava i fianchi generosi, mentre una gonna grigia sfiorava il pavimento lindo. Non c’era mai stata una volta che fosse stato sporco, che anche solo un granello di polvere intaccasse l’intoccata perfezione di quella casa. Tutto doveva essere perfetto; in caso di un Suo ritorno. Rebecca prese dalla credenza una tazza in ceramica gialla, fin troppo vivace per il bianco che avvolgeva la pareti. La mise con lentezza sulla tovaglia a fiori bianchi, che si abbinava perfettamente al grande quadro di orchidee candide che trovava posto all’ingresso della sala. Appena ebbe finito di sistemare la tazza sulla tovaglia aprì il frigorifero, mentre faceva una panoramica di ciò che vi era dentro. Afferrò lentamente una bottiglia di latte; evidentemente già aperta, dato che il tappo cadde sul pavimento appena la mano ossuta dell’anziana lo ebbe toccato.
Rebecca sospirò, Ginevra doveva aver bevuto un bicchiere di latte nella notte, come era suo solito. Si alzava nel cuore della notte e le veniva sete; mai una volta che non l’avesse fatto.
La donna si chinò, mentre raccoglieva il tappo e versava una sana dose di latte nella scodella.
“Meglio abbondare” si disse, mentre l’orlo del latte sfiorava tremolante il bordo della tazza.
Chiuse la bottiglia e la rimise nel frigorifero, sempre con quella lentezza che da ormai sessantacinque anni condizionava la sua vita. Si abbandonò alla sedia di vimini davanti alla grande porta finestra, dove i primi raggi del mattino facevano capolino attraverso lo schermo di vetro. Dal suo appartamento si aveva una vista su tutta la città, e le persone sembravano ormai ricordi sbiaditi di insetti minuscoli.
Ginevra da piccola si divertiva sempre a contare i passanti, mentre la nonna annotava di volta in volta il numero su grandi fogli lindi, mentre disegnava il viso raggiante della nipote affacciarsi dalla portafinestra. Aveva sempre avuto una grande predilezione per Ginevra, che era, assieme a Susanna, la sua unica nipote.
Quella ragazza le ricordava moltissimo suo nonno, ormai inghiottito dal tempo molti anni prima.
“Gli stessi occhi d’oceano” diceva sempre Rebecca, che attribuiva l’intenso blu dei fondali oceanici agli occhi del marito e della nipote.
Sorrise, mentre si raccoglieva i capelli, ormai ridotti a finissimi filamenti argentei dal tempo, in uno chignon basso, che le sfiorava appena il colletto della camicia a scacchi.
Prese dal divano in pelle bianca i ferri da maglia, suoi fedeli compagni dalla giovinezza; non l’avevano mai tradita. Cominciò ad intrecciare i sottili filamenti di tessuto, che sembravano pezzi confezionati di un puzzle.
Ormai conosceva a memoria come doveva fare, sapeva già la posizione che tutti i fili dovevano assumere, affinché quando tirasse il tutto essi si incastrassero perfettamente come la tela di un ragno. E, dati suoi anni di esperienza, si poteva permettere di non guardare il suo lavoro, ma di tenere gli occhi fissi su Milano; che pian piano si stava risvegliando sotto i forti colori del sole.
***
L’oscurità avvolgeva la stanza di Ginevra nel suo abbraccio buio, non lasciando distinguere nulla se non la sua enorme massa tenebrosa. La ragazza aprì lentamente gli occhi, mentre le urla del padre riecheggiavano vivide nella sua mente; quasi le stesse gridando in quel momento.
‹‹Stupida! Credi che io mi sia guadagnato da vivere andando a corsi di Storia avanzata e stando fuori tutto il pomeriggio con le amiche?!›› le sue grida erano feroci e arrabbiate, frutto della notizia del corso di Storia che Ginevra gli aveva comunicato a cena.
‹‹Io ci ho messo sudore per arrivare dove sono! E credi che da giovane mi sia perso in queste cose frivole?!›› il padre aveva sbattuto il pugno sulla tavola, facendo vibrare le forchette usurate di tutti i presenti.
Susanna era scoppiata a piangere, ed era stato allora che il padre era esploso:
‹‹Taci, tu! Piccola piattola, non fai altro che portare spese alla nostra famiglia. L’asilo di qua, i vestiti di là! Stai mandando in miseria la famiglia!›› le aveva urlato l’uomo in faccia, mentre Alessandra cercava di proteggere la figlia dall’ennesima scelerata del marito.
‹‹Smettila!›› Ginevra aveva trovato la forza nei meandri del suo corpo, quasi ci fosse stato dentro di lei una bomba pronta ad esplodere. ‹‹Ma ti senti?! Sei solo uno sporco muratore che gioca a fare la famiglia! Forse, prima di mettere in cinta mamma, avresti dovuto farti passare la sbornia; mi avresti risparmiato di nascere e vivere nella tua lurida vita!›› per un attimo le era sembrato che il padre annuisse, ma era stata solo un’impressione.
L’uomo si era alzato e si era posizionato davanti alla figlia.
‹‹Piccola mocciosa, come ti permetti?!›› un forte schiaffo le era arrivato dritto alla mascella, facendola volare a terra. Il dolore era talmente intenso che Ginevra aveva temuto di non poter più aprire bocca. Si era divincolata per il dolore sul pavimento, dove il padre la guardava divertito. Si era chinato dietro di lei e le aveva sussurrato all’orecchio:
‹‹Visto cosa succede alle mocciose impertinenti?›› poi si era piazzato davanti alla televisione, ed a breve la sbornia si era fatta sentire, facendolo cadere in un sonno infinito. Ginevra era stata portata da Alessandra a casa di Rebecca, mentre piangeva sul sedile posteriore della macchina. Non le era mai successo che il padre si comportasse in modo così violento.
Ma la cosa che le aveva dato più fastidio era stato il silenzio della madre; limitatasi a mettere a letto Susanna e a portare Ginevra dalla nonna.
Così aveva trascorso la notte lì, immersa nella familiarità della nonna.
Si strofinò gli occhi con il dorso delle palpebre; mentre osservava il buio totale della camera.
Una pace innata le stava crescendo dentro, assieme alla forte sensazione di benessere che l’oscurità le trasmetteva. Si mise a sedere sul letto, mentre cercava di rendere presentabili i capelli neri.
“Ben risvegliata, Ginevra” la voce roca le invase la mente; e per un attimo pensò fosse stata l’oscurità ad emetterla.
“Non ho tempo per questi scherzi; quindi fammi il piacere di uscire dalla mia mente!” si urlò, mentre capiva quanto era stupida in quel momento: stava colloquiando con se stessa.
Si alzò dal letto, mentre il calore delle lenzuola lasciava posto al freddo dell’inverno.
“Non potrò mai andarmene…” la voce; ancora.
“Ora smettila!” avanzò a tastoni nella stanza; mentre cercava l’interruttore.
“No, Ginevra, non posso smetterla.” La voce sembrava più intensa, ed il tono era cambiato da divertito a serio.
“Senti, la vuoi smettere di parlarmi nella mente? Dio quanto sono stupida, sto parlando con me stessa!” finalmente trovò l’interruttore, ma quando lo premette l’oscurità teneva ancora in ostaggio la stanza.
“Non stai parlando con te stessa, ma con Me” molteplici fitte le assalirono la mente, mentre si piegava dall’intenso dolore.
“Dannazione, accenditi!” continuò a premere l’interruttore, nella vana speranza che la luce rischiarasse le pareti crema della stanza da letto.
“Ascoltami, ragazzina! Liberami!” la voce era irosa, e sembrava imprecare contro i confini della mente della ragazza.
Per un attimo ebbe la sensazione che qualcosa la sfiorasse, poi la luce tornò a funzionare e davanti a lei apparve il grande specchio squadrato che caratterizzava la sua stanza da letto nella casa della nonna.
Come la luce arrivò la voce sparì, e la sua immagine apparve nello specchio che aveva davanti.
Due enormi occhiaie le costeggiavano la parte inferiore degli occhi, e i capelli sembravano aver preso vita loro.
“Sto da schifo” pensò, mentre si avviava verso la cucina. Il corridoio largo e perennemente bianco la accompagno fino alla sala, dove l’odore inebriante di biscotti la accolse. In un attimo tutti i suoi pensieri sparirono, mentre la scia di profumo la conduceva alla tavola.
‹‹Buon giorno, piccola›› la voce calda della nonna la fece tornare alla realtà; il suo tono caldo e melodioso non aveva nulla a che fare con la voce roca nella sua mente.
‹‹Ciao, nonna.›› come un lampo prese posto; mentre i suoi occhi erano puntati sui biscotti, che regnavano sovrani nel centro del tavolo.
‹‹Dormito bene?›› le chiese l’anziana, non distogliendo lo sguardo dalla città; quasi avesse il compito di vegliarla. ‹‹Cerfo, dormifo beniffimo›› le rispose Ginevra, mentre l’impasto dolciastro le riempiva la bocca, facendole emettere parole simili a barriti di un elefante.
Rebecca distolse per un attimo la sguardo dalla portafinestra; ispezionando la nipote trangugiare i biscotti uno ad uno.
‹‹Tesoro! Lasciane un po’ anche per me, sai, anch’io, come tutti gli essere umani ho bisogno non solo di mangiare ma di cucinare›› la riprese l’anziana; ma la sua voce sembrava non riuscire ad arrivare alle orecchie della giovane, troppo occupata ad assaporare i biscotti.
‹‹Che hai detto nonna?›› chiese poi, mentre si puliva le labbra con il tovagliolo.
Rebecca sorrise scuotendo la testa, pensando a tutte le volte che aveva dovuto riprendere l’ingordigia di Ginevra. Ma, per quella volta voleva lasciar correre, dopotutto la sera aveva già sentito troppi rimproveri dal padre.
Era bastata una sola occhiata con Alessandra per farle capire cosa era successo; suo figlio era sempre stato un tipo instabile, specialmente dalla scomparsa di suo padre, nonché il marito di Rebecca. Aveva avvolto Ginevra in un solido abbraccio; quello di cui aveva bisogno la sera prima: sicurezza. Quella che mai Ginevra aveva avuto nella sua vita; quella che mai nessuno si era preoccupato di darle.
‹‹Non ho detto nulla di importante, tesoro. Finisci pure tutti i biscotti››
Rebecca le sorrise, mentre Ginevra la guardava con occhi dolci. Per un attimo, in quegli occhi, rivide Pietro. I suoi capelli che sembravano finissimi filamenti d’ebano, la sua pelle tanto chiara quanto splendente; ma soprattutto i suoi occhi d’oceano, che l’aveva conquistata dal primo istante che li aveva visti. Troppo belli e magnetici per potergli resistere.
‹‹Che hai, nonna?››
‹‹Nulla, tesoro, è che mi fai ricordare tuo nonno…››
Rebecca scosse la testa, quasi a scacciare l’opprimente immagine del marito Pietro dalla mente.
Ginevra ebbe una fitta al cuore, ogni volta che si menzionava suo nonno si sentiva terribilmente in colpa, quasi fosse il suo ricordo vivente: testimonianza dolorosa della sua esistenza. Si ritrovava spesse volte ad immaginare la nonna piangere sulla sua lapide, dove andava puntualmente ogni domenica, e dove cambiava sempre i fiori.
Sempre le monotone orchidee bianche, simbolo di purezza e riposo eterno; che l’anziana si preoccupava di cambiare una volta al mese. I loro petali erano così morbidi e puri, sempre con il perenne bianco che avvolgeva la vita di Rebecca da quando Pietro vi era entrato. Ginevra, quando le capitava di giocare con Susanna ad assegnare ad ognuno un colore, dava alla nonna il bianco; infinito come lo era la premure dell’anziana.
‹‹Nonna, ma ti manca il nonno?›› Ginevra si mise comoda sulla sedia, appoggiando la schiena allo schienale e incrociando le gambe. Le piaceva quando la nonna le raccontava di lui, e di come si erano conosciuti, quasi avesse davanti a se un monitor dove comparivano le scene che Rebecca narrava con tanto di particolari.
‹‹Sempre. Ogni giorno. Ogni attimo.›› fece una pausa, quasi quella rivelazione le fosse costata molto. ‹‹E sai perché?›› domandò.
Ginevra aggrottò la fronte.
‹‹è ovvio, era tuo marito.›› disse, quasi innervosita dalla domanda.
Dopotutto non era più una bambina come Susanna, e certe cose le capiva.
‹‹Certo, anche per quello. Ma sai il vero motivo?››
Ginevra fece spallucce. ‹‹No.››
‹‹Perché mi ha strappato il cuore dal petto, e se l’è portato nella tomba. Dove giace ancora oggi›› Rebecca intrecciò l’ultimo file nella sua complessa ragnatela di lana, e finalmente ottenne il risultato del suo lavoro: una sciarpa blu cangiante, con scritto in un tenue azzurrino “Perché i tuoi occhi d’oceano possano brillare anche nell’oscurità”.
‹‹Nonna, è bellissima.›› Ginevra le si avvicinò, mentre la lunga scia la attraeva come un magnete.
Rebecca alzò lentamente la sciarpa, mentre anch0essa poteva contemplare il suo lavoro.
‹‹Hai ragione tesoro; è bellissima. E merita un altrettanto bellissimo proprietario. Non credi?››
Ginevra si accomodò sul divano in pelle bianca, mentre la sua morbidezza infinita la avvolgeva come ad abbracciarla.
‹‹Sì, è davvero bella…››incrociò le gambe, mentre si sdraiava sul divano.
‹‹E la persona più adatta a portare questa inestimabile bellezza sei tu.›› le donna le sorrise, mentre si alzava lentamente dalla sedia in vimini. Prese posto affianco della nipote, mettendola a sedere sulle sue gambe che nonostante gli anni riuscivano ancora a sorreggere il peso di Ginevra senza problemi.
Le accarezzò i lunghi capelli corvini, mentre le accostava delicatamente la sciarpa al collo.
‹‹Ma perché proprio a me la devi dare? Susanna impazzirebbe per un regalo del genere, io ho già una sciarpa.›› cercò di protestare, ma ormai la sciarpa avvolgeva il suo corpo come un serpente.
‹‹Perché tu hai bisogno di fare rispendere i tuoi occhi d’oceano anche nell’oscurità›› si guardarono negli, quello d’oceano di Ginevra in quelli sbiaditi di Rebecca.
‹‹Ora va a prepararti, o farai tardi a scuola›› Rebecca le sorrise.
‹‹V-vado.›› la ragazza si alzò in piedi e si diresse verso il bagno. Il buio avvolgeva il corridoio, e le sue brame sembravano voler inghiottire anche il resto della casa.
Per un attimo Ginevra ebbe la sensazione che i suoi occhi brillassero, come le aveva scritto la nonna sulla sciarpa. Ma fu solo una sensazione; non erano reale i bagliori cobalto che vedeva davanti a se.
Come non era reale la sagoma di Stefano dietro di lei, con i suoi occhi più neri dell’oscurità fissi sulla sua schiena. I suoi occhi erano fatti d’oceano, quelli di Stefano d’oscurità.
Voleva forse la nonna dirle che doveva stargli lontano?
Che l’oceano e l’oscurità non potranno mai stare assieme?
E che un corvo e una colomba non possono solcare liberi il cielo; vincolati da un amore eternamente maledetto?

Ehi, ciao a tutti e buon pomeriggio. come state???
Io abbastanza bn, influenza passata ma il catarro mi segue ovunque XD
Che ne dite? Troppo lungo o corto questo capitolo?
Dite che sto andando troppo lento con la storia? che DOvrei accellerare le cose??
Vi piace la figura della nonna???
A me molto, mi ricorda la mia!
Detto questo, nel prossimo capitolo succederà una cosa molto, ma molto importante, che darà la svolta lla storia.
Curiosi???
Okay, opra vi voglio chidere di passare a leggere queste magnifiche storie, e magari lascairci una piccola recensione; ve le consiglio!
sono
 Un Amore Tra I Ghiacci di Winter Sky
e
Angel. di The Storm__
OKay, ora vado, e vi prego di leggere queste magnifiche storie,
ora evaporo.
bye
 




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Capitolo 18
*** 16. Nuovi incontri ***


 XVI

La macchina sfrecciava nelle strade cupe, dove la neve stava cominciando a cadere lenta, quasi temesse di fare troppo rumore.
Alessandra picchiettava nervosamente le dita sul volante, in attesa che la fila di macchine davanti a lei  cominciasse a muoversi. Il suo sguardo fissava il vetro oscurato della macchina di fronte a lei, mentre alcuni effimeri fiocchi di neve riempivano il parabrezza. Non voleva lavarli via; da piccola sua madre le diceva sempre che era come uccidere migliaia di desideri; vulnerabili come quei fiocchi di neve. Lei ci credeva, e cercava sempre di non calpestare la neve a terra; con il risultato di finire sempre a gambe all’aria.
Sospirò, quanto le mancava la madre.
Non la vedeva da molto tempo; precisamente da quando…da quando aveva sposato suo marito. Lì tutto era precipitato. Sua madre non aveva approvato, e lei si era ritrovata fra due fuochi: i genitori ed il marito Gianni.
La sua poca forza di volontà l’aveva portata a fare la scelta sbagliata; al tempo non era forte come adesso.
Ora sapeva cosa voleva dire il dolore; cosa si provava a sentire la sofferenza sulla propria pelle. Lasciava cicatrici profonde, che nemmeno il tempo poteva rimarginare.
‹‹Mamma, come mai la neve cade?›› la voce cristallina di Susanna le giunse come un miraggio lontano, distogliendola dalla miriade di pensieri che aveva in testa.
‹‹Perché le nuvole la mandano come messaggera sulla terra›› girò appena il capo per vedere gli occhi cremisi della bambina, vivaci come ogni mattina.
‹‹E perché le nuvole la mandano sulla terra?›› la bambina si aggrappò al sedile anteriore della macchina, in modo tale da vedere meglio la neve che offuscava la vista sul parabrezza.
‹‹Perché vogliono mandarci un messaggio›› Alessandra premette l’acceleratore e la macchina partì con un rombo, avanzando sulla strada appena svuotatasi.
‹‹Quale?›› Susanna giocherellava con i codini corvini, in attesa della risposta di Alessandra.
‹‹Di essere buoni e…››
‹‹Di sicuro tu e papà avete ignorato questi messaggi, dato che la parola “buono” non rientra nel vostro vocabolario. Mi sbaglio?›› la voce secca di Ginevra interruppe Alessandra; mentre un silenzio tombale calava nella vettura. Gli occhi freddi della giovane fissavano impassibili la schiena della madre, vedendo i muscoli contrarsi a ritmi irregolari: era nervosa. Anzi, spiazzata; senza parole. I suoi occhi cremisi erano persi nella massa sempre crescente di neve che stava ricoprendo il parabrezza.
‹‹G-Ginevra, non mi sembra il caso…››
‹‹A me sì, mamma›› la ragazza le riservò un’occhiata acida; mentre Susanna si trovava fra due fuochi ardenti: pronti ad esplodere alla minima scintilla.
Alessandra inchiodò ad un semaforo rosso, mentre osservava nervosamente la figlia dallo specchietto retrovisore.
‹‹Ginevra, io e tuo padre ti abbiamo cresciuta al massimo delle nostre possibilità.›› la donna ci sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, continuando a guardare gli occhi vitrei di Ginevra scrutarla con freddezza. 
La ragazza divenne rossa in volto, quasi l’affermazione della madre l’avesse toccata nel profondo. Si sentì avvampare al solo pensiero che la risposta della madre fosse vera; poi una risata isterica prese possesso delle sue labbra.
‹‹Ma con che consapevolezza lo dici? Mamma, ti rendi conto di cosa mi avete fatto passare?›› la ragazza teneva lo sguardo fisso sul colore rosso del semaforo, che sembrava della stessa tonalità della sua pelle in quel momento. Aveva bisogno di Stefano, dei suoi occhi d’oscurità che sapevano infonderle più sicurezza di quanto pensasse. Lui era una porta verso una Ginevra migliore, mai più succube della sua famiglia o delle sue insicurezze. Lui era il suo futuro.
‹‹Ora basta, tesoro. Non è il momento adatto…››Alessandra strinse il volante fino a che le nocche non le diventarono bianche.
Cosa aveva sbagliato con la figlia? certo, qualche errore l’aveva fatto, ma chi non ne faceva?
Si sentiva delusa, afflitta: il frutto del suo amore era diventata la sua rovina. Sembrava che la vita non le volesse lasciar tregua.
Restò in silenzio fino a che il semaforo cambiò colore; la macchina sfrecciò veloce per le strade del piccolo paesino fino ad arrivare davanti ad un enorme edificio arancione, recintato da un pesante cancello metallico. I muri erano scrostati dal tempo e la grondaia era piena zeppa di neve, quasi stesse per cedere sotto il suo forte peso. Il tetto, reso bianco dalla neve, sembrava riflettere il grigio delle nuvole.
‹‹Ginevra, siamo arrivati›› Alessandra fermò l’auto.
Ginevra prese la cartella e fece per scendere dalla macchina.
‹‹Ehi, Ginni, non mi saluti?›› la voce vivace di Susanna la riprese.
‹‹Mi scusi, vostra altezza›› si inchinò, suscitando la risata della bambina.
‹‹Passa una buona giornata, tesoro.›› Alessandra le sorrise, cercando di ostentare una calma che non aveva.
Ginevra si fece scivolare addosso quell’augurio senza cambiare la sue espressione fredda. Aprì la portiera e uscì dall’auto, immergendosi nel bianco della neve; quasi fosse un’estensione della casa di Rebecca; che la proteggeva anche in quel luogo.
Ginevra si incamminò verso il cancello, mentre gli stivali scuri lasciavano profonde impronte nella neve . Appena appoggiò la mano sul cancello sentì un brivido percorrerle la spina dorsale, quasi stesse varcando al soglia di un luogo proibito.
Sentiva che quel giorno era speciale; doveva accadere qualcosa di molto, ma molto importante. Avanzò nel cortile con passo deciso, mentre osservava gli alberi spogli venire vestiti poco a poco dalla neve cadente.
Sorrise, se davvero essa portava un messaggio lei ne aveva un assoluto bisogno.
Appena arrivò davanti all’imponente portone dell’edificio sentì delle voci provenire dal lato ovest della struttura. Erano poco più che bisbigli, e Ginevra dovette aguzzare l’udito anche solo per sentire qualche parola. Ma chi erano?
Si guardò in giro ma non vide nessuno, solo la neve sembrava l’unico essere vivente assieme a lei. Guardò l’ora sul cellulare, erano le sette e trenta; troppo presto perché i compagni arrivassero a scuola.
Dunque, di chi potevano essere quelle voci?
Camminò verso l’ala ovest dell’edificio, sempre accompagnata dai suoi muri arancioni. Appena giunse all’estremità dalla facciata si sentì mancare; ora poteva distinguere benissimo le due voci confabulare. No, non voleva crederci; non potevano essere proprio loro. Si sporse, notando due figure confabulare dietro un grosso abete. Il suo possente tronco fungeva da riparo alle due figure, che sembravano non voler essere viste. Ginevra le aveva già sentite entrambe, ma non voleva ammetterlo con se stessa. Era assurdo pensare che fossero proprio loro due, che fino a quel momento non aveva mai visto interagire. La sua vita stava prendendo una brutta piega, ed i misteri sembravano seguirla come un’ombra.
No. Non ne voleva altri, le bastavano già quelli che avvolgevano la sua vita da quando Lui vi era entrato.
Così si voltò si diresse verso l’ingressi della scuola, dove la bidella era intenta a spazzare via la neve dagli scalini. La sua gobba figura era piegata, mentre faceva andare la scopa avanti e indietro.
Appena Ginevra le si avvicinò la donna sobbalzò.
La guardò con i suoi occhi castano scuro, dove la pupilla era ormai un relitto lontano in quelle iridi annerite dal tempo.
‹‹Che ci fai qui? Non è ancora ora di entrare.›› gracchiò acida.
‹‹S-sono arrivata un po’ in anticipo…››
La donna scosse la testa; i ragazzi erano sempre una scocciatura, mai una volta che facessero qualcosa oltre a stare in mezzo ai piedi persino alle sette e quaranta di mattina.
‹‹Beh, vedi di non darmi problemi…››Eliana si allontanò, portandosi dietro la sua scopa e la sua acidità.
Ginevra rimase sola, immersa nel perenne bianco della neve. Si sedette sugli scalini ormai lindi, ma sui quali la neve continuava a cadere. Portò le ginocchia al petto e aspettò, ripensando al dialogo avuto con la madre. Beh, a dire il vero era stata solo Ginevra a parlare, mentre Alessandra si era limitata a dire “Non è il momento”. Era stata forse troppo dura?
No. Era stufa dei silenzi della madre, come era stufa della sua indifferenza. Appoggiò la testa alla ringhiera verde delle scalinata; mentre sentiva l’impellente bisogno di qualcuno da stringere, di qualcuno a cui poter confidare cosa le stava accadendo.
Ma la verità era che non c’era nessuno pronto ad ascoltarla: Micaela si era rivelata un’amica falsa, e Stefano…beh, Stefano era perfetto. Solamente che Ginevra sentiva dentro di lui qualcosa di strano, qualcosa di misterioso. Sapeva che era pericoloso ma non le importava; avrebbe corso qualsiasi pericolo per stargli accanto.
I suoi occhi neri erano così profondi, quasi conoscessero tutto del mondo…
Sentì qualcosa sfrecciare nell’aria e un tonfo nella neve. Alzò il capo e vide qualcosa di nero in mezzo al cortile; era un oggetto sottile ed affilato, completamente nero. Si alzò titubante dallo scalino su cui poco fa era seduta e si diresse verso l’oggetto non identificato. Mano a mano che procedeva sentiva una grande inquietudine montarle dentro, quella che provava ogni volta che guardava Stefano.
Quando fu a pochi metri dall’oggetto si sporse, esaminandolo con lo sguardo. appena capì cos’era sbarrò gli occhi. Il respiro le si fermò in gola ed il suo corpo fu paralizzato. Era una piuma nera: una piuma di corvo.
La parola “demone” si materializzò nella sua mente all’istante, mentre la ragazza indietreggiava.
Non che credesse alle parole della nonna, ma aveva visto troppe piume nere in giro per i suoi gusti. Quando sentì il freddo metallo della ringhiera sulla schiena sobbalzò.
‹‹Ehi, tutto bene?›› una voce profonda alle sue spalle.
‹‹S-sì›› balbettò, mentre il viso le si faceva pallidissimo.
‹‹Sicura?›› sentì il rumore di alcuni passi sulle scale, mentre un’ombra snella si materializzava poco a poco sulle neve davanti a lei. “Oddio, ed ora che faccio?” di disse, “Potrebbe avermi visto avvicinarmi e poi scappare come una poppante dalla piuma” ma quando guardò al centro del cortile essa era sparita.
‹‹Sei pallidissima, sicura di stare bene?›› la voce proveniva a pochi centimetri dal suo orecchio. L’alito caldo del giovane sul collo la fece percuotere da molteplici brividi, che sembravano freddi e caldi allo stesso tempo. Aspettò qualche istante prima di parlare, doveva riprendersi dall’arrivo inaspettato del ragazzo. E, mentre pensava a cosa dire per non risultare impacciata, lui le si parò di fronte. Era bello da mozzare il fiato: capelli castano scuro raccolti in una cresta, occhi grigi e malinconici come il cielo, e un piercing sul sopracciglio sinistro. Sembrava l’incarnazione dello sbagliato, del proibito. Indossava una giacca di pelle nera ed un paio di jeans aderenti, strappati in diversi punti.
‹‹S-sto bene.›› Ginevra ostentò un sorriso impacciato, mentre raccoglieva tutte le forze che aveva in corpo per non svenire davanti a quella visione celestiale e infernale allo stesso tempo.
‹‹Okay, ma riguardati, hai una brutta cera.›› il ragazzo abbozzò il miglior sorriso che Ginevra avesse mai visto; mettendo in evidenza i denti bianchissimi.
Ginevra avvampò, sentendo che il colorito delle sue guance cambiava da candido a scarlatto. Cercò i suoi occhi come fosse mossa da una forza invisibile ed oscura, e li trovo pronti ad aspettarla; quasi la stessero aspettando. Erano di un grigio che faceva invidia al cielo, ed emanavano una strana aura. Ginevra si perse nei loro meandri grigi, ma fu solo per poco.
‹‹Ma che ci fai qui a quest’ora?›› le chiese lui, quasi cercasse di interrompere quello scambio di sguardi, che stava sfuggendo al controllo di entrambi.
‹‹Beh…sono arrivata in anticipo. E, aspetta, potrei farti la stessa domanda›› ad un tratto si rese conto di star parlando con un  estraneo, di cui ignorava l’esistenza fino a cinque minuti prima. Ed erano lì.
Soli. Cosa avrebbe potuto farle?
Il suo sesto senso si attivò all’improvviso, facendola indietreggiare. Ma c’era qualcosa in lui che le faceva pensare che non le avrebbe fatto del male, qualcosa cha premeva di uscire dal suo petto e andare dal quello sconosciuto dannatamente bello.
‹‹Io arrivo sempre a quest’ora; me lo impone la scuola.›› si passò una mano sulla cresta aguzza.
‹‹Perché? Da quando la scuola controlla anche l’orario in cui arriviamo?›› disse Ginevra, spostandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
‹‹Da quando mi hanno sospeso e costretto a svolgere “lavori utili alla comunità”, venendo qui presto e aiutando la bidella a pulire.›› le fece l’occhiolino, sfoderando un magnetismo così forte da far avvicinare Ginevra di un passo.
‹‹Che maleducato, non mi sono nemmeno presentato. Io sono Karl, tu?››
‹‹G-Ginevra››
‹‹Molto piacere, Ginevra›› la porse la mano. Pronunciò  il suo nome con una sensualità tale che Ginevra per poco non svenne.
‹‹P-piacere, Karl.››
‹‹Karl! Muoviti e vieni ad aiutarmi a spazzare il corridoio!›› la voce stridula della bidella li interruppe, facendo rivenire Ginevra da quel fascino magnetico.
‹‹Mi sa che devo andare. Alla prossima, Ginevra.›› le sorrise, rientrando velocemente nella scuola, saltando gli scalini due a due.
La ragazza rimase imbambolata a fissare la sua figura scomparire nell’atrio. Sapeva che qualcosa in lui non andava, anzi, ne era sicura.
***
Ginevra ascoltava distrattamente la lezione di Storia del professore. Lo sguardo era perso nelle date scritte a caratteri cubitali sul nero della lavagna, che sembravano talmente grandi da premere per uscire dallo schermo di graffite.
Era appoggiata svogliatamente allo schienale della sedia, facendo finta di prendere appunti. Ma, a dire il vero, il suo block-notes non aveva nemmeno un segno di inchiostro. Quella mattina la sua mente vagava imbizzarrita nei meandri grigi del cielo, stranamente uguali agli occhi di Karl.
L’immagine delle labbra di Stefano prese il sopravvento nella sua mente, facendola sussultare. Lei era innamorata di Stefano, e, anche se non era ufficiale loro erano quasi fidanzati. Non poteva pensare ad altri ragazzi; almeno, non in quel modo.
Scosse la testa, cercando di focalizzare nella mente gli occhi neri di Stefano, eliminando quelli grigi di Karl.
“Divisa fra due fuochi, eh?” la voce roca risuonò nella sua mente, facendola sobbalzare.
“Sta zitto!” pensò, mentre il professore sventolava energicamente un volantino giallo.
‹‹Ragazzi, come sapete, è prevista una gita per il programma di Storia di quest’anno. E sarà domani mattina.›› per la classe si diffuse un mormorio eccitato, che fece arricciare il naso al professore.
‹‹Ragazzi!›› Edoardo sbatté energicamente la mano sulla cattedra, squadrando severo la classe.
‹‹Ricordate di portare il modulo firmato domani mattina. Prenderemo il pullman alle otto ed andremo a Milano, precisamente ai navigli. Lì terrò la mia lezione.›› poi sventolò di nuovo il volantino giallo.
‹‹Ginevra, puoi distribuirlo tu alla classe?›› chiese.
La ragazza di slancio si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la cattedra, dove Edoardo le porse il volantino.
Appena prese il foglietto il professore le si avvicinò all’orecchio e le sussurrò:
 ‹‹Ricordati il corso di Storia la prossima settimana››
Il tono della sua voce era melodioso e profondo, e le fece venire voglia di sorridere senza motivo.
Distribuì a tutta la classe il volantino, dove stava un’enorme foto del naviglio grande.
Quando arrivò da Micaela indugiò un attimo a metterlo sul suo banco, dopotutto avevano litigato solo due giorni prima.
Mise il foglio sul suo banco senza nemmeno guardarla, ma sentiva i suoi occhi color glicine puntati sulla schiena ad ogni movimento.
Quando finì di consegnare i volantini si accomodò al suo posto, cercando di ignorare a strana sensazione che gli popolava la bocca. Era nostalgia, quella vera, che ti insinua dentro come un serpente e non ti lascia tregua.
Era la nostalgia delle risate con l’amica, delle loro chiacchierate davanti a un flacone di smalto.  E anche la nostalgia di Stefano, che non vedeva da due giorni. La mancavano entrambi moltissimo, così decise che il giorno seguente avrebbe mosso il primo passo con tutti e due. Ma la sua ingenuità non le fece notare che con uno dei due il primo passo sarebbe stato
 verso la morte.





ehi, buona sera a tutti!
Lo so, vi avevo promesso un fatto importante in qs capitolo, ma ho voluto rinviare al prossimo.. mi spaice, la storia sta diventando troppo lunga.
prometto che cercherò di nn farla diventare troppo lunga...
troppo lungo o corto il capitolo???
che ne dite? centrerà quaclosa Karl?
E coa succederà alla gita?
Dedico questo capitolo a Winter Sky e Mirtilla Malcontenta, che mi seguono SEMPRE
grazie ragazze!"
ok, ora vado, al prossimo capitolo
baci
F99

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Capitolo 19
*** 17. La magia dei navigli ***


 XVII
 

Gli occhi neri del ragazzo vagavano persi nell’acqua, quasi alla ricerca di Lei. Il liquido incolore continuava a scorrere veloce, quasi volesse farsi beffe del giovane, che stava cercando nel moto dell’acqua la calma.
Già, ne aveva molto bisogno in quel momento.
Erano successe troppe cose, troppi visi nuovi…ma soprattutto ; la cosa che lo aveva sconvolto più di tutto era stata la nuova Lei. Era paradossale dirlo, dato che la sua immagine era sempre uguale; i capelli eternamente color ebano, lisci e morbidi come quelli di una geisha; gli occhi cobalto più penetranti di un pugnale, che sapevano leggere nei suoi come nessun altro. Ma la cosa che lo aveva lasciato senza fiato era la sua estrema timidezza, che nei secoli non aveva mai riscontrato.
Certo, alle volte capitava che fosse un po’ introversa, ma mai così tanto. E questa era la cosa che lo aveva attratto, di nuovo; come fosse vincolato da pesanti catene metalliche che nei secoli non gli avevano mai lasciato tregua. Ma questa volta era diverso, Lui era diverso. Era più forte, e Stefano poteva sentire la sua energia pulsare nel Suo corpo per uscire.
Scosse la testa, mentre l’acqua torpida sembrava non voler lasciar tregua al suo riflesso, che veniva continuamente fatto oscillare dalla velocità dell’acqua. I navigli gli erano sempre piaciuti, avevano un non so che di magico per lui, quasi che sotto quelle acque si nascondesse un arcano segreto; come dietro gli occhi cobalto di Ginevra.
Stefano si appoggio con i gomiti alla ringhiera di pietra,  che lo separava dal flusso sfrenato dell’acqua, che quella mattina invernale sembrava animata da una forza sconosciuta. La pietra della ringhiera era grigia, quasi fosse un’estensione del cielo cupo. Una sfumatura minore rosa antico faceva capolino nel perenne grigio della pietra, quasi fosse una speranza che stava via via trovando una crepa. La ringhiera si estendeva per tutto il naviglio, delimitando il confine con le acque.
Da esse spuntavano alcuni rametti verdastri, che si arrampicavano agili sugli argini del naviglio, dando un’ulteriore sfumatura di colore a quella mattinata grigia. Le loro piccole sagome uscivano dall’acqua come tante piccole zampette di un insetto in movimento; quasi stessero cercando un appiglio per uscire.
L’appiglio che anche Stefano avrebbe voluto trovare; per uscire dal vortice di emozioni che Ginevra gli suscitava ogni volta che incrociava il suo sguardo.
***
Micaela stava seduta sul letto; le braccia conserte, le gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro color crema dell’ampia stanza. Scuoteva la testa da destra a sinistra, mentre chiudeva le palpebre a ritmi regolari; quasi stesse compiendo un rito magico. Mille domande e dubbi invadevano la sua mente, non lasciandole nemmeno il tempo per respirare. Non capiva perché con Lei tutto dovesse essere così complicato; quando la sua missione era di una semplicità impressionante. Con lei tutti i suoi paini svanivano, e si trovava costretta a improvvisare. E, doveva ammettere, le riusciva piuttosto bene.
Ma quella volta Ginevra l’aveva veramente fatta arrabbiare, come faceva di nuovo a cadere ai Suoi piedi. Era evidente che qualcosa era cambiato, e Micaela non aveva idea di cosa fosse. E la cosa le dava molto, ma molto fastidio. Non riusciva a concepire come qualcun altro avesse in mano le sorti della missione; non riusciva ad ammettere di non essere padrona delle proprie azioni, ma la pedina di un gioco perverso che stava ormai andando avanti da troppo tempo.
Interruppe con un gesto secco della mano il flusso senza controllo dei suoi pensieri, chiudendo la palpebre e massaggiandosi ritmicamente le tempie. Fece appello a tutta la calma che possedeva, concentrandosi sulle immagini del litigio con Ginevra. Le era costato molto arrabbiarsi con lei, soprattutto vista la loro amicizia eterna. Ma doveva farlo, non poteva sottrarsi agli ordini. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni bianchi il cellulare, che rischiarava la trapunta azzurra dove era seduta.
Il display segnava le sette e cinquantadue, era ora di andare a scuola. Si alzò scocciata dal letto, dopotutto andarci era solo una copertura; ed aveva scoperto che il piacere del sapere non era fatto per lei.
Camminò verso la parte opposta della stanza, dove sul muro regnava sovrana una grande specchiera squadrata. Rifletteva la sua immagine snella  ed i suoi ricci dorati che le ricadevano morbidamente sulle spalle, quasi fossero una cascata illuminata dal sole.
Il suo sguardo vagò sul suo abbigliamento da teenager moderna: un paio di pantaloni bianchi abbinati ad una camicetta fucsia con scritto: “Angel from sky”.
Si legò i capelli in una coda alta, mentre la foto attaccata con lo scotch all’angolo della specchiera attraeva la sua attenzione.  Mostrava lei assieme a Ginevra; entrambe con abiti dello corso secolo. Era stata scattata precisamente nel 1950, quando lei e Ginevra si erano conosciute nelle campagne romane. Ricordava benissimo la casa dell’amica, immersa nel verde delle colline e nell’azzurro cristallino del cielo. Nulla a che fare con il monotono grigio di quel paesino in periferia di Milano; dove persino l’asfalto era più colorato del cielo.
Micaela si avvicinò alla fotografia, accarezzando malinconicamente le loro mani intrecciate ed i loro sorrisi ingenui.
‹‹Micaela! Sbrigati o farai tardi, oggi poi hai la gita!›› una voce maschile le giunse dalla sala accanto.
‹‹Okay, vado! Ci vediamo là!›› rispose, mentre apriva la grande finestra che dava sulla città. Le brezza invernale penetrò nella stanza, agitandole i capelli. Sentiva che quella giornata sarebbe successo qualcosa di importante, glielo diceva il vento. Sin dalla sua creazione aveva imparato a leggere negli elementi, e l’aria era quello a cui si sentiva più legata.
Nel vento si poteva trovare tutto; la calma, la pace e la freddezza, che era la sola cosa l’aveva fatta sopravvivere nei secoli senza farla crollare emotivamente ad ogni sua morte.
Mosse la mano e scacciò i pensieri superflui.  
Si erse in piedi sul davanzale della finestra, guardando sicura l’orizzonte.
Si sporse in avanti quel che bastava per farla cadere, dondolata fra le ali del vento.
***
Ginevra osservava annoiata il vetro appannato dell’autobus, mentre giocherellava con la collanina che le aveva regalato Micaela. Le iridi blu di uno dei due angeli riflettevano un flebile bagliore sul vetro incolore, facendo sembrare il paesaggio completamente di quel colore marino. Fosse stato un altro giorno si sarebbe divertita ad immaginare bellissime sirene su quel marino color blu che avvolgeva la sua visuale, ma quel giorno sembrava che le figlie di Nettuno non si degnassero di far capolino fra le onde del mare.
“Anche loro non mi vogliono…” pensò malinconica. Sentiva ancora nell’orecchio le risate allegre di Micaela; ormai ridotte un eco sbiadito dal tempo che continuava a frapporsi fra le due amiche.
Appoggiò la testa al vetro, freddo. Ma nessun brivido la attraversò, la tristezza aveva formato un bozzolo protettivo attorno al suo corpo, quasi ad isolarla dalle altre sensazioni. Chiuse un attimo le palpebre, il nero la abbracciò.
‹‹Quanto cavolo ci mette a partire questo coso? Vorrei arrivare prima di domani mattina!›› sentì gridare dal fondo del bus, dove aleggiavano i più popolari della classe.
‹‹Scusa, è libero questo posto?›› una voce melodiosa e dolce la fece rinvenire.
Aprì di poco le palpebre, quel che le bastava per intravedere la sagoma di una ragazza.
‹‹Certo, siedi pure.›› le sorrise; le ciglia sempre a schermare i suoi occhi d’oceano dalla ragazza che prese posto. La sconosciuta si sistemò la borsa a tracolla beige dietro le spalle, allacciando con cura la cintura di sicurezza nera, che sembrava una lingua di catrame sulla sua appariscente t-shirt rosa.
‹‹Stai bene?›› la ragazza le mise una mano sul braccio.
‹‹Sì…sono solo un po’ assonnata.›› le rispose Ginevra. Sapeva che risultava maleducato comportarsi così nei confronti della ragazza, ma quella mattina non aveva proprio voglia di essere cortese. Troppi pensieri le affollavano la mente; un fiume in piena che nemmeno una diga poteva fermare.
Mise a fuoco la pelle diafana della ragazza, che sbucava fra i lunghi capelli.
‹‹Solo assonnata, eh? Ma chi credi di prendere in giro, Ginevra. Ti conosco troppo bene per capire che menti››
Ginevra sobbalzò, aggrappandosi con le unghie ai braccioli di gomma del sedile.
Ritirò la barriera di ciglia dalle iridi, potendo ammirare la bellissima e familiare ragazza che aveva davanti.
‹‹Micaela!›› gridò con un rantolo, squadrando l’amica da capo a piedi. Non aveva dimenticato una mano di smalto rosa shocking sulle unghie, che erano esattamente come quel giorno, all’ospedale.
‹‹N-non dovresti essere seduta qui.›› brontolò Ginevra.
‹‹Perché mai? Mi hai detto che era libero›› ribatté l’altra.
Ginevra si innervosì, era stata furba, la ragazza.
‹‹Beh, ti ho dato il permesso solo…››
‹‹Solo perché volevi passare un lungo viaggio in autobus con la tua migliore amica?›› suggerì scaltra Micaela.
‹‹S…no!›› rispose incerta.
‹‹Ammettilo, ti sono mancata›› Micaela inarcò le sopracciglia. Ginevra sbuffò, incrociando le braccia.
Cominciò ad esaminare i pensieri che fluivano liberi per la sua mente. Si era ripromessa di fare il primo passo con Micaela; ma, a quanto pare, l’altra sembrava leggerle nella mente. Quasi fosse un libro aperto per tutti… per lei, per il prof, per Stefano…
Da quanto non parlava con lui? Per un attimo ebbe paura di dimenticare il suono della sua voce…ma fu solo una futile preoccupazione. Anche se avesse voluto non avrebbe potuto rimuovere nulla di Lui dalla sua mente. Come se Stefano le avesse impresso un sigillo nella mente; un sigillo di sangue e fuoco.
Un sigillo maledetto, che nemmeno il tempo sembrava poter scalfire.
‹‹Tesoro? Ci sei o fai la lunatica come al solito?››
‹‹Ehi! Senti chi parla!››
‹‹La signorina Carla…›› le due scoppiarono a ridere. Due risate cristalline, inviolate, che solo Micaela e Ginevra potevano emettere. Davanti agli occhi di Ginevra passarono velocemente le immagini di lei e l’amica all’ospedale e al centro commerciale. Non avrebbe mai potuto dimenticarla. Sembrava che fosse legata sia a Micaela che a Stefano con catene indissolubili, che non le lasciavano mai tregua. Catene eterne, forti, più antiche del tempo stesso.
In quel momento capì che non poteva non essere amica di Micaela. Erano fatte per esserlo, quasi il loro destino fosse stato già scritto; e non potevano far nulla per cambiarlo.
‹‹Allora, che dici, pensi che potremmo ritornare amiche?›› chiese Micaela facendo gli occhi dolci.
‹‹P-penso di sì…anzi, ne sono certa›› Ginevra si protese verso di lei e l’abbracciò, facendosi invadere dalla familiarità dell’amica.
‹‹Mi sei mancata così tanto…›› Micaela le sorrise.
‹‹Anche tu…non ricordo nemmeno il motivo per cui abbiamo litigato!›› confessò Ginevra.
L’altra aggrottò il naso, mentre le lettere del nome Stefano comparivano una ad una nella sua mente. Si impose di non dire nulla, non voleva ritornare sull’argomento che le aveva divise.
Almeno, non ora…
‹‹Beh, è acqua passata!›› Ginevra interruppe i suoi pensieri. ‹‹Acqua passata›› le fece eco Micaela, toccando con l’indice la condensa che si era formata sul vetro del bus. Le sue dita affusolate scivolavano abili sulla condensa, disegnando un cuore a metà.
Ginevra osservava rapita i gesti decisi dell’amica; non osando nemmeno respirare. Era come se conoscesse ciò che stava facendo, come se l’avesse già visto altre volte. D’istinto disegnò l’altra metà del cuore sul vetro, cancellando la linea che divideva le due parti. Ora le due metà formavano una cosa sola, un solo grande cuore; un’unica unità, forte compatta.
Come lo era la loro eterna amicizia.
***
‹‹Tutto bene ragazze?›› la voce di Edoardo le sorprese.
Era passata circa mezz’ora dall’inizio del viaggio; e le due amiche non avevano fatto altro che parlare. Di cosa? Di tutto. Del più e del meno, di cosa avessero fatto in quei giorni solitari; dove il cielo cupo aveva tracciato una barriera fra la loro amicizia.
Ginevra sentiva ora che un tassello dello scombussolato puzzle che era diventata la sua vita si era rimesso al suo posto. ora poteva dire di sentirsi quasi completa. Le mancava ancora una tessera dal puzzle, quella più importante. Quella dagli occhi neri magnetici, dalle labbra sottili e dall’infinita conoscenza di lei.
Stefano.
‹‹Sì, professore, va tutto bene!›› la voce di Micaela.
‹‹Tutto bene…›› le fece eco Ginevra frastornata.
‹‹Saremo a Milano fra pochi minuti, vi consiglio di cominciare a mettere le giacche.›› disse Edoardo allacciando il lungo cappotto scuro. Ginevra notò, di nuovo, la croce argentata. Rispendeva iridescente dalla tasca inferiore dell’impermeabile, diffondendo la sua luce sul colore scuro dei sedili bordeaux.
‹‹Okay, grazie del consiglio›› Micaela scambiò con l’uomo uno sguardo d’intesa, e, per un attimo, Ginevra vide la stessa sfumatura di celeste illuminare le iridi dei due. Ma fu solo una attimo, un istante troppo breve per stabilire se ciò che vedeva fosse reale.
‹‹Ah, Ginevra, ricordati il corso di Storia lunedì. È molto importante. ›› nel dirlo l’uomo fece ondeggiare la cravatta a pois neri, tormentandola con le mani.
‹‹Okay, grazie di avermelo ricordato, professore.›› Ginevra trattenne le risate; era troppo buffa la sua cravatta. Ed il modo ossessivo con cui Edoardo ci giocava le sembrava il modo in cui Susanna agitava allegramente il suo pigiama per svegliarla la domenica mattina.
 Micaela esibiva un’espressione fredda, quasi fosse una recluta in presenza del suo generale. I suoi occhi persi nel sedile
‹‹Di nulla.›› sospirò Edoardo infilando la cravatta nel giubbotto.
‹‹Ora sarà meglio che vada ad avvisare il guidatore di fermarsi.›› disse.
L’uomo rivolse alle due un segno del capo, camminando verso il posto dove un uomo tarchiato guidava la vettura.
‹‹Certo che è proprio strano il professore…hai visto come giocava con la cravatta? Sembrava un bambino…››
disse Ginevra, scrutando il viso dell’amica.
‹‹Dipende dai punti di vista…››
In quel momento Edoardo rivolse alla ragazza uno sguardo d’intesa; era giunto il momento.
***
‹‹Risale infatti alla seconda metà del XII secolo la realizzazione del primo tratto navigabile. I cinquanta chilometri del primo canale furono inaugurati nel 1179, dando il via alla costruzione del Navigliogrande; che possiamo ammirare alle mi spalle.
Grandi ingegneri misero mano al progetto e ancora oggi si può ammirare l'innovativo sistema di chiuse ideato da Leonardo verso la fine del Quattrocento.›› concluse il professore con aria trionfante, mentre scrutava attento la folla di ragazzi davanti a sé.
 ‹‹E siamo venuti qui soltanto per vedere dell’acqua scorrere? Potevamo anche guardare quella della grondaia rotta della scuola, senza scomodarci molto›› sentì bisbigliare Ginevra alle sue spalle.
Era compressa fra la folla, con lo sguardo perso nelle acque scure che scorrevano impetuosamente nel Naviglio. Sembravano rispecchiare perfettamente la sua vita in quel momento, incasinata e senza controllo, succube della continua corrente.
‹‹Credi che ne avrà ancora per molto?›› chiese Micaela.
‹‹Speriamo di no…›› rispose Ginevra; sentiva che se passava ancora un momento compressa fra quella massa di adolescenti rischiava di diventare claustrofobica.
‹‹Ragazzi, ma che avete stamattina? Io vi porto a vedere uno dei più begli esempi di architettura italiana e voi borbottate commenti idioti sotto voce? ›› La voce del professore era frustrata; lo sguardo puntato su Ginevra e Micaela. Non voleva perderle di vista nemmeno un secondo; doveva osservare Ginevra, tenerla d’occhio, a qualsiasi costo! E ci sarebbe riuscito meglio se fosse stata sola, così decise di conseguenza.
‹‹Dai vostri visi capisco che le mie parole non sono nemmeno entrate nell’anticamera del cervello›› il professore fece un segno secco con la mano per scacciare le risatine che aveva provocato.
Ma gli studenti non volevano ascoltarlo, i loro mormorii si estendevano come polvere nell’aria. Mise allora la mano nella tasca dell’impermeabile, sentendo il freddo confortante della croce. Una scossa di benessere lo percosse, ora si sentiva più vicino a dove apparteneva.
E proprio per quello decise di usare il potere che anche solo ricordare il suo luogo d’appartenenza  gli infondeva. Mosse impercettibilmente le labbra; pensando al risultato che voleva ottenere sui ragazzi.
‹‹Conticuit›› sussurrò, ed un silenzio plateale zittì la folla. Gli angoli della sua bocca si incurvarono, assumendo un sorriso soddisfatto. Ora aveva dimostrato a se stesso che era lui il più forte, e poteva schiacciare tutti sotto il suo potere quando e come gli piaceva.
‹‹Suggerisco una pausa; tutti qui fra dieci minuti. E badate a non allontanarvi troppo›› disse, mentre l’orda di quattordicenni avanzava come uno sciame di api per le strade della metropoli lombarda.
‹‹Che ne dici di andare a prendere un gelato?›› chiese Micaela. Ginevra sbuffò, fingendosi esasperata.
‹‹Ma siamo in pieno inverno!›› ribatté ‹‹Ci sono due gradi!›› ma Micaela l’aveva già presa per un braccio e condotta verso l’enorme gelateria dai colori sgargianti dall’altra parte della strada.
‹‹E dai, Ginni, che male vuoi che mi faccia un gelato?››
‹‹Beh, tante cose…›› rispose l’altra cercando una motivazione.
‹‹Sì, va bene. quando hai finito di inventartele dimmele, okay?›› la precedette la bionda, prendendo posto nell’enorme fila di persone che affollava il locale.
***
‹‹Vado a buttare il bicchiere della cioccolata, ti spiace?›› chiese Ginevra alzandosi dalla sedia del bar.
Micaela annuì; la bocca impegnata a leccare l’enorme sfera di gelato alla fragola.
Ginevra si alzò dal tavolo e si diresse fuori dal locale, dove gli alberi coperti di neve sul ciglio della strada sembravano essere l’unica presenza di vegetazione nella via. A passi veloci si avvicinò ad uno di essi; il tronco robusto e la corteccia chiara quasi quanto la neve che ricopriva le sue fronde. Rimase per qualche istante a fissarlo; le sue iridi perse nelle sfumature candide della corteccia e della neve. Sfiorò con l’indice le fronde dell’albero, cumuli di neve caddero dolcemente al suolo al suo tocco come fossero i miliardi di pensieri che le affollavano la mente.  Voleva farli cadere anche lei; sparpagliarli come innocui fiocchi di neve nel vento. Ma non poteva; c’era qualcosa che glielo impediva, una forza oscura e maligna che bramava nell’ombra da quattordici anni.
“Lui sta arrivando…” la voce roca nella sua mente la fece sobbalzare.
“Lui chi?” si chiese mentre buttava il bicchiere di cioccolata nel cestino.
“Colui che ha rubato il tuo cuore…” le rispose la voce.
‹‹Stefano…›› disse di scatto lei, senza nemmeno pensarci due volte. E come poteva? Lui era l’unico riuscito a tenere il ostaggio il suo cuore, l’unico che le procurava forti brividi ad ogni sguardo.
L’unico che avesse mai amato.
Sentì una fitta al cuore; i suoi battiti si bloccarono per una frazione di secondo, togliendole il respiro. Sentiva una forza invisibile comandare alle sue gambe di muoversi; senza che lei potesse opporvi resistenza.  Fece appello a tutto il suo autocontrollo, senza risultati. Era come quando stava con Stefano; la sua mente perdeva il controllo e non distingueva più il giusto dallo sbagliato, quasi fosse catapultata in un altro mondo. Tutto perdeva importanza e l’unica cosa che contasse erano loro due. Soli. Il pensiero delle sue labbra su sulle sue la riscosse, e le sue gambe cominciarono a muoversi sul marciapiede. Camminò sino al naviglio grande, dove avevano lasciato il professore. Attorno a lei gli edifici imponenti di Milano creavano una sorta di scenario; quasi fosse stata la protagonista di un film.
“Continua a camminare…” la voce, di nuovo.
Lei gli obbedì, non aveva scelta; le sue gambe non volevano saperne di fermarsi.
La sagoma del professore scrutava la scena dall’alto di un edificio; gli occhi bassi a catturare anche il minimo segno di anomalia attorno a Ginevra. Lei era troppo preziosa, troppo importante per sbagliare un’altra volta. Si voltò di scatto, una sagoma alle sue spalle.
‹‹Sta’ andando da Lui›› commentò la nuova arrivata.
‹‹Già…›› rispose Edoardo, pacato.
‹‹E non facciamo nulla per fermarla?››
‹‹No. Non ancora.›› disse calmo, ma i nervi a fior di pelle tradirono la sua finta quiete. ‹‹Lei…lei morirà un’altra volta…vero?›› la voce della sagoma era malinconica quanto preoccupata.
Edoardo le si avvicinò piano, posandole una mano sulla spalla. Avvicinò le sue labbra all’orecchio di lei.
‹‹No, te lo prometto.›› sussurrò in un soffio.
Intanto Ginevra si avviava silenziosa verso il naviglio, che sembrava starla aspettando. La sua surreale quiete le fece montare dentro una forte inquietudine, qualcosa stava per succedere.
Avanzò decisa verso la ringhiera di pietra che la divideva dalle acque torve; appoggiandosi con i gomiti.
“Ma perché sono qui?” ci chiese.
“Lo vedrai…” le rispose pronta la voce.
Ginevra storse il naso, nonostante si fosse “abituata” alla presenza della voce non poteva fare a meno di rabbrividire ogni volta che la sentiva.
‹‹Lui è il male, Ginevra›› le parole di Micaela le tornarono in mente, ma le scacciò subito con un gesto deciso della mano.
Ad un tratto sentì un fruscio alle sue spalle; ma non si girò, sapeva già che era Lui.
‹‹Le tue entrate sono sempre ad effetto›› gli fece notare.
‹‹Solo quando ci sei tu›› Stefano si portò al suo fianco, gli occhi dei due persi nelle acque.
I loro gomiti si sfioravano, e quel contatto fece avvampare Ginevra all’istante. Cercò i suoi occhi, laghi neri dimenticati da Dio, che erano pronti ad abbracciarla nelle loro brame oscure. D’istino si strinse al collo la sciarpa della nonna; non avrebbe dimenticato il suo consiglio. I suoi occhi avrebbero brillato nell’oscurità, anzi, con l’oscurità. Con Stefano e le sue labbra perfette, la sua personalità misteriosa e i suoi sguardi di fuoco. Lei lo desiderava, ma ogni volta che sembrava essere sul punto di baciarlo qualcosa andava storto, e non era una semplice coincidenza. Ma quella volta era diverso, c’erano solo loro due. Ginevra e Stefano, nessun altro. Nessuna complicazione.
‹‹Chi ha guidato i tuoi passi a scoprire questo luogo?›› chiese lei, citando Romeo e Giulietta.
Lui rimase qualche istante pensieroso. Sì, valeva la pena restare al gioco. Dopotutto desiderava ardentemente quanto lei sentire le sue labbra sulle sue, e le citazioni di Romeo e Giulietta rendevano tutto ancora più romantico.
‹‹Amore, il quale mi ha spinto a cercarlo: egli mi ha prestato il suo consiglio, ed io gli ho prestato gli occhi. Io non sono un pilota: ma se tu fossi lontana da me, quanto la deserta spiaggia che è bagnata dal più lontano mare, per una merce preziosa come te mi avventurerei sopra una nave.›› disse enigmatico, i suoi occhi in quelli di lei. Fu attraversato da molteplici scosse elettriche che lo fecero sobbalzare, non aveva mai provato quella sensazione con lei. Dopotutto era sempre stata una finzione, una falsa al fine di svolgere la sua missione.
“O forse no…” si ritrovò a pensare il ragazzo.
‹‹Mi ami tu? Ma se tu giuri, tu puoi ingannarmi: agli spergiuri degli amanti dicono che Giove sorrida.›› citò Ginevra a testa bassa, quei versi spiegavano così bene ciò che voleva dire che le sembrò di averli scritti lei stessa.
Con un gesto veloce Stefano le cinse la vita, attirandola a sé. Ginevra sentiva il contatto del suo corpo contro il suo, e dovette trattenersi dallo svenire. Era troppo per lei che non aveva mai avuto un ragazzo. Ma Stefano rendeva le cose così semplici…
Il ragazzo la strinse a sé più forte, ormai ogni distanza fra loro era annullata dalla forte attrazione che li legava come catene indistruttibili.
Stefano la guardò intensamente, i ricordi dei loro precedenti baci riaffiorarono nella sua mente.
Ma non voleva attaccarsi troppo ai ricordi, o essi lo avrebbero fatto tornare al passato, e lui voleva vivere solo il presente.
‹‹Questo santuario, l'ammenda dolce è questa:
le mie labbra, due pellegrini arrossendo, pronti
per attenuare tale aspro contatto con un tenero bacio.›› citò lui, avvicinando il viso a quello di lei. mancava un soffio fra le loro bocche, solo quella timida distanza a segnare il confine fra il giusto e lo sbagliato. Ginevra non esitò oltre, accostò le sue labbra a quelle di Stefano di slancio. Fu come rinascere dopo anni di morte, come vedere la luce dopo anni buio. Come ritrovare una persona tanto cercata nei secoli. Tutte le sue preoccupazioni scivolarono via come l’acqua dei navigli che faceva da sfondo a quel bacio tanto attesa. Ora tutto per Ginevra era perfetto, ogni cosa aveva perso importanza, e l’unica cosa che contava erano loro due. Ginevra e Stefano. Stefano e Ginevra.
Gli amanti dannati che nemmeno il tempo aveva saputo dividere.



Ciao a tutti! Non uccidetemi per il rtardo.. ma qs capitolo è stato suèer impegnativo !
Spero che vi sia paiciuto finalmente il baco!
nal prossimo capitolo arriva una parte della verità, e comincia il vero soprannaturale!
come state voi? io bene, trafelato di studio e stanhcezza...
spero che voi stiate meglio di me!a
l prossimo capitoplob
aci F99

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Capitolo 20
*** 18. La protagonista di una storia ***


 XVIII
 

Ginevra camminava spensierata per le strade tetre della sua città. Gli occhi blu erano colmi di una serenità che ormai da molto tempo non li popolava. Era come rinata. Tutto andava a gonfie vele; l’amicizia con Micaela era ritornata come prima, anzi, meglio di prima. Il giorno precedente avevano passato tutto il pomeriggio nel parco, dove cercavano, senza risultati, di fare i compiti. Ma erano talmente impegnate a raccontarsi i loro segreti che non avevano nemmeno aperto libro.
Micaela le aveva promesso sul ciondolo che le aveva regalato di essere per sempre sua amica, qualunque cosa accadesse. Ginevra aveva fatto lo stesso, ed ora quel ciondolo era diventato l’emblema della loro amicizia. Il sottile filamento che univa le loro vite, per sempre. Come lo era sempre stato…
Ginevra girò l’angolo, un’immensa via davanti a lei. A destra si estendeva il parco della città, dove alcuni cani correvano libero fra l’erba fresca e i padroni chiacchieravano allegramente del più e del meno. I raggi del sole irradiavano l’erba di riflessi dorati, che i cani sembravano apprezzare più del cielo stranamente terso di quel pomeriggio.
“Anche il cielo vuole comunicare il mio buon umore” pensò Ginevra fermandosi a guardare i cani. Uno si staccò dal gruppo, il pelo cremisi e le orecchie drizzate. Alcune macchie infrangevano il continuo colore del pelo, dando sfumature nere sul dorso e sulla pancia.
“Un pastore tedesco…” pensò la ragazza mentre il cane veniva verso di lei. Si fermò ai suoi piedi, accucciandosi e guardandola dalla sua posizione. I suoi occhi erano lucidissimi e di un nero che faceva invidia anche agli occhi di Stefano.
‹‹Ronnie! Vieni qui!›› una voce lontana arrivò a disturbare gli sguardi fra l’animale e Ginevra. Una sagoma correva velocemente nel parco, dirigendosi verso di loro. Quando fu a pochi metri dai due rivelò di essere un ragazzo. Indossava dei jeans neri aderenti, una cintura con la fibbia argentata e una t-shirt rosso fuoco. subito lo sconosciuto puntò un dito affusolato contro il cane.
‹‹Ronnie! Quante volte ti devo dire non allontanarti!›› lo ammonì. Il cane, di tutta risposta, gli leccò le scarpe bianche.
‹‹Scusami, è che faccio ancora un po’ di fatica a controllarlo. Scappa sempre al guinzaglio…›› disse il ragazzo guardando Ginevra negli occhi. Solo allora si riconobbero a vicenda e scoppiarono a ridere.
‹‹Ma quant’è piccolo il mondo!›› esordì lei allegra.
‹‹Già, non si sa mai chi si può incontrare…›› Karl le sorrise, pacato. Ora i suoi occhi grigi non avevano nulla a che fare con il cielo, che era il più terso che Ginevra avesse mai visto. ‹‹Coma vanno i “lavori utili alla comunità”?›› gli chiese. ‹‹Bene, dovrei terminarli il mese prossimo.›› Karl la guardò fissare desiderosa la pelliccia di Ronnie. ‹‹Se vuoi puoi accarezzarlo, mica morde.›› le disse con un sorriso. Lei lo guardò per cercare approvazione.
‹‹Sicuro?››
‹‹No, penso che da un momento all’altro possa trasformarsi in un mostro famelico e succhiarti via l’anima››
Ginevra scoppiò a ridere, meravigliandosi del suono che da molto tempo non usciva dalla sua bocca. Per troppo tempo era stata malinconica, triste, in attesa che tutto cambiasse. Beh, finalmente quel giorno tanto atteso era arrivato, e per Ginevra era iniziata una nuova vita. Quella in cui le risate non sarebbero mancate, dove avrebbe trascorso più tempo possibile con Micaela e Stefano.
Si riscosse dai suoi pensieri, accarezzando la morbida pelliccia del cane che sembrava gradire le sue premure data la coda che non smetteva di muoversi.
‹‹Sembra che tu gli stia simpatica.›› le disse Karl.
‹‹Possibile; io ho un amore segreto per gli animali.››
‹‹Ne hai uno a casa?›› chiese lui, seguendo ogni minimo movimento della ragazza.
‹‹No, mio padre…ehm…non vuole…›› l’opprimente pensiero della crudele fine che suo padre aveva fatto fare al loro ultimo cane la fece sobbalzare.
‹‹Okay, capito, cose private.››
‹‹Già…›› la ragazza rimase stupita, era il primo ragazzo che non insisteva. Ed era bello avere i propri spazzi, una volta tanto. Ginevra diede un’occhiata all’orologio viola che teneva al polso. Segnava le quattro e diciassette. Doveva sbrigarsi o sarebbe arrivata in ritardo al corso di Storia avanzata.
‹‹Devi andare?›› le chiese Karl, quasi le avesse letto nella mente. ‹‹Sì, mi dispiace moltissimo, spero di continuare la conversazione un’altra volta›› Ginevra abbozzò un sorriso dispiaciuto, ricacciando l’orologio viola sotto la manica del cardigan.
‹‹Lo spero anch’io.›› Karl agganciò il guinzaglio attorno al collo di Ronnie, che continuava a guardare Ginevra scodinzolante.
‹‹Facciamo giovedì dopo la scuola?›› le chiese speranzoso. Ginevra si sentì a disagio, dopotutto aveva un ragazzo, e non se la sentiva di accettare un appuntamento. Indietreggiò di una passo, cercando di frapporre più spazio fra lei e Karl. Fece appello a tutte le sue forze; ma non trovò nessun modo cortese per rifiutare l’invito. ‹‹Vedi, Karl…io…›› balbettò. Lui assunse un’espressione spaesata, per poi mettere una maschera apatica davanti al viso.
‹‹Ho capito, Ginevra. Hai un ragazzo, non è così?››
‹‹Beh…sì…›› cercò il suo sguardo ma Karl guardava il cielo, ignorandola, come se lo sguardo di Ginevra gli procurasse solo dolore.
‹‹M-mi dispiace…›› ed era così, non le piaceva deludere la gente; non era da lei. Lui rimase qualche istante pensieroso, lo sguardo perso nelle prime nuvole che si stavano annidando all’orizzonte.
‹‹Non importa, avremo altre occasioni per conoscerci meglio.›› il sorriso che assunse era falso, tirato; nascondeva i segni di un odio profondo, invarcabile.
‹‹Okay…ora devo andare.›› Ginevra si abbassò all’altezza di Ronnie, accarezzandolo un’ultima volta. ‹‹Ci si vede a scuola, Karl.›› disse allegra, non voleva che quel piccolo episodio condizionasse la sua giornata spensierata. Gli voltò le spalle e riprese a camminare lunga la via; dove i lampioni accompagnavano il suo avanzare deciso. mentre avanzava verso la biblioteca, il cui enorme edificio si intravedeva sul lato sinistro della strada, sentì una strana sensazione invaderla. Era un misto fra ira e superbia…anzi, delusione. Quella di Karl, che, alle sue spalle, continuava a tirare calci inferociti contro alcuni sassi sul ciglio della strada.
In preda ad un senso di colpa la ragazza si girò, aspettandosi di vederlo. Ma lui non c’era, e nemmeno Ronnie.
“Ma cosa…?” pensò, cercando di individuare la sagoma snella di Karl nel parco. Dopo pochi minuti di ricerca vana, alzò le spalle e si buttò alle spalle ciò che era successo. Dopotutto non poteva farsi carico dei problemi degli altri, ne aveva già abbastanza lei. 
***
Edoardo picchiettava nervosamente le dita sul tavolo malmesso della biblioteca, in attesa che il portone si aprisse, lasciando intravedere la sagoma di Ginevra. Ma non accadeva, dannazione, non accadeva.
Ed Edoardo era stanco di aspettare, stanco di provare emozioni umane tipo l’ansia per una quasi quindicenne  dannatamente insulsa.
Si alzò dalla sedia, scambiandosi uno sguardo d’intesa con la bibliotecaria.
Avanzò verso il grande portone di ebano, che presentava diverse decorazioni angeliche e demoniache. Vi erano raffigurati angeli esecutori, con le loro spade iridescente e le loro ali immense. E poi, ai quattro angeli del portone, stavano figure nell’ombra con corna e ali nerissime. I demoni.
Edoardo sentì un brivido percorrergli la spina dorsale, fino a risalire dove le sue ali erano piegate sottopelle. Aveva l’impellente bisogno di liberarle, di solcare libro il cielo con i suoi compagni. Ma non poetava, non avrebbe mai potuto finché Ginevra fosse stata in pericolo. E, se lo sentiva, con la rivelazione che le stava per fare sarebbe stata molto, ma molto in pericolo.
***
Ginevra girava fra gli scaffali della biblioteca alla ricerca di un libro che il professore aveva incaricato lei e Francesco di cercare. Il ragazzo non era molto sveglio, ma, a testimoniare il contrario erano i suoi altissimi voti in Storia, che non perdeva occasione di sfoggiare con superbia. A Ginevra non stava molto simpatico, specialmente quando tirava su col naso e si sistemava meticolosamente gli occhiali squadrati sul naso mentre leggeva, come potesse in qualche modo risultare più attraente. Ma, a suo malgrado, lo sopportava da due ore circa; da quando era cominciato il corso avanzato.
Aveva notato che il professore era più strano del solito, più ansioso, avevo osato supporre. Si massaggiava di continuo la mascella e non faceva altro che picchiettare le dita sul tavolo; quasi lo innervosisse la presenza di Francesco e Ginevra. Quasi dovesse assolvere un dovere che non gli andava di fare, troppo difficile e pieno di complicazioni.
Ginevra interruppe il flusso dei suoi pensieri passando l’indice affusolato sui vecchi tomi che popolavano gli scaffali, in cerca di quello che il professore le aveva chiesto di cercare.
Si fermò ad osservarne uno con la copertina bianca rigida, i segni del tempo ben evidenti. Un flash-back le popolò la mente, era lo stesso che aveva visto dalla nonna. Lo afferrò di scattò, provocando un innalzarsi di polvere cineree. Tossì, mentre scacciava la nuvola di polvere attorno al tomo.
‹‹Hai trovato il libro?›› la voce stridula di Francesco la fece sussultare.
‹‹No, non ancora›› nel dirlo si girò nella sua direzione, incontrando i suoi occhi marroni. Freddi e altezzosi, come sempre. le stava qualche metro davanti, con in mano diversi libri.
‹‹Tu?›› chiese lei, tentando di nascondere il libro con col cardigan. ‹‹No, ma…che cos’hai lì?›› le chiese aguzzando lo sguardo e avanzando di qualche passo verso di lei. Ginevra indietreggiò, portando il libro dietro la schiena.
‹‹Cose da donne.›› sorrise imbarazzata.
Lui aggrottò la fronte, indietreggiando.
‹‹Capito, sono assorbenti. A me puoi dirle queste cose, le capisco›› disse disinvolto. Ginevra arrossì. ‹‹Ma che dici! E poi, anche se fosse, non sono affari tuoi!›› lo spinse via. Lui era troppo gracile per resisterle e si allontanò, senza rinunciare a dare qualche ultima occhiata.
Appena Francesco ebbe voltato l’angolo la ragazza tirò un sospiro di sollievo. Si sedette a terra con la schiena appoggiata agli scaffali. Aprì il libro, sentendo la sensazione familiare che l’aveva accompagnata anche la prima volta che l’aveva letto.
Le pagine erano così fini che rischiò di strapparle.
Si immerse nella lettura, ma non appena tentò di girare pagina sentì un’altra presenza accanto e lei.
Il professore.
Alzò di scatto la testa, vedendolo sovrastarla.
‹‹Oh, professore, mi ha fatto prendere uno spavento…›› disse chiudendo di scatto il libro.
‹‹Mi dispiace averti spaventata, Ginevra. Non era mia intenzione…›› rispose il professore con un sorriso quasi paterno. Ogni traccia di nervosismo sembrava essersi eclissata, e Ginevra lo vedeva più rilassato e spontaneo.
‹‹Che ne dici di tirarti su da terra? Non mi sembra un bel posto per leggere›› le porse la mano che lei afferrò. Quando si fu tirata su il professore accostò le sue labbra al suo orecchio:
‹‹Specialmente questo tipo di libri›› il suo sussurrò caldo sulla pelle la fece arrossire.
‹‹Cosa intende?››
‹‹Che non si possono fare letture di quel genere senza una guida.›› l’uomo le fece l’occhiolino.
‹‹Guida…?›› fece lei, scettica.
‹‹Ma certo, una guida. Altrimenti i libri come quello non si possono capire affondo.›› le tolse di mano il libro con un gesto rapidissimo, e la ragazza ebbe una cattiva sensazione.
‹‹Ma non disperare, sarò io la tua guida.›› le sorrise, di nuovo, mostrando i denti bianchi come il gesso.
La ragazza si allarmò: non era dal professore parlare con quei mezzi termini.
‹‹Che tipo di guida?›› chiese mentre l’uomo la scortava verso la parte più isolata della libreria.
‹‹Una guida onnisapiente e presente, che sa tutto di te.››
Un brivido la percosse. Che ne sapeva lui di lei? E come mai parlava in modo così strano? Ma erano altri misteri, ed erano già troppi quelli a cui doveva trovare risposta che preferì lasciar perdere.
I due camminarono l’uno al fianco dell’altra fino al muro ovest della biblioteca, dove gli scaffali dei libri erano completamente vuoti; popolati solo da vecchie ragnatele raggrinzite e grigiastre.
‹‹Perché siamo qui?›› chiese Ginevra.
Lui non le rispose, continuando a camminare. Si fermò solo davanti ad porta semi-nascosta da uno scaffale, che giaceva nell’angolo dell’edificio; quasi l’avessero messa lì apposta per non farla trovare. Il professore l’aprì con un gesto secco e deciso, facendo alzare un alone di polveri cineree. La porta rivelò dietro di se un’incurvata scala a chiocciola, che saliva per diversi metri in un’ala dimenticata della biblioteca.
Edoardo fece cenno a Ginevra di seguirlo, cominciando a salire la scala. Ginevra, con il cuore in gola e la tensione a mille, lo seguì senza fiatare. Appena arrivati in cima si trovarono davanti una porta antica, i battenti e la maniglia di un bianco sorprendente. Edoardo l’aprì senza indugiare, entrando nella piccola stanza che si estendeva al di là della porta. Una piccola finestra faceva entrare qualche timido raggio di luce, che rischiarava l’ambiente tetro. Al centro della stanza c’era un tavolo rotondo; il legno scuro metteva in evidenza le decorazioni religiose a forma di ali d’angelo. Due sedie dello stesso materiale erano poste ai due lati opposti del tavolo, quasi li stessero aspettando.
Edoardo prese posto, posando delicatamente il libro sul tavolo.
‹‹Prego, Ginevra. Siediti.›› la invitò. Ma la ragazza sembrava titubante, come se seduta a quel tavolo non potesse più alzarsi.
Così, incerta, si avvicinò al tavolo; l’inquietudine montava ad ogni suo passo. Prese posto sulle sedia, accavallando le gambe.
‹‹E…e Francesco?››
‹‹Lui non c’entra con quello che sto per dirti.››
‹‹E perché io centro?›› chiese lei.
‹‹Perché ciò che sto per rivelarti è una storia antica più del tempo stesso, più arcana dei misteri che avvolgono la tua vita dalla tua nascita. E sai chi è la protagonista di questa storia?›› le chiese, improvvisamente serio. La fronte era aggrottata, e alcune gocce cristalline di sudore colavano dalla massa riccia di capelli biondi.
Vedendo che Ginevra non rispondeva aprì il libro all’ultima pagina, dove era raffigurata una ragazza seduta su una roccia. Il paesaggio era tetro, il cielo plumbeo e le nuvole nere facevano da sfondo ad una laguna lugubre. I capelli della giovane erano neri come l’ebano, ed i suoi occhi blu come l’oceano.
Indossava un ampio vestito verde scuro, con la gonna a balze ed un corpetto rigido. Ginevra non lo notò subito, ma quella ragazza le assomigliava molto. Anzi, era uguale a lei.
‹‹Ginevra? Ora pensi di sapere chi è la protagonista di questa storia?›› ribadì l’uomo.
‹‹Io…›› sussurrò lei in un soffio.




Ehi! come state?? Mi scusa pèer il ritardo, ma la scuola è MOLTO invadente sulla mia vita privata, e ho trovato poco tempo per scrivere.
Ma eccomi qui! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nel prossimo ci saranno le rivelazioni che tanto aspettate!
E, come vi avevo già anticipato, arriverà il sovrannaturale!
Che ne dite di Karl? La racconta giusta, o nasconde qualche segreto?
E vi è piaicuta l'ultima battura di Ginevra?
<>
Al prossimo capitolo, e dedico questo a chi mi segue sempre:
Lifelovesme; Lucrezia_2, Mirtilla malcontenta, The Storm_;Mary V e WInter Sky(che fine hai fatto? nn ti si sente...)
E anche a chi mi segue in siolenzio, che pregherei di dirmi il suo parere, cioè:
super mimi;milly97;salma_elf e Chydor.
Alla prossima, che sarà, spero, mercoledì.
baci
Fallen99
ps: sto prendendo in considerazione di mandare il racconto, una volta finito, ad una casa editrice, che dite?

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Capitolo 21
*** 19. Prime risposte ***


A Raluca,
l'amica che ho sempre desiderato di avere e che ho perso
da poco. Ti voglio bene.


XIX
 

‹‹Come fa la ragazza in questa foto ad essere identica a me?›› chiese Ginevra impallidendo più di quanto la sua carnagione candida le permettesse. I suoi occhi erano sbarrati, le labbra socchiuse, sul punto di emettere una risata isterica. E chi poteva biasimarla?
‹‹Ogni risposta a tempo debito, Ginevra›› le rispose Edoardo. In qualche modo lo divertiva quella situazione; dopotutto era lui a possedere il ruolo dominante, l’unico a custodire la risposta alle domande sempre maggiori della ragazza.
‹‹La smetta di parlare dietro mezzi termini! Sono stufa dei segreti! Come sono stufa della gente che non mi dice la verità!›› gridò Ginevra fuori di sé. Non capiva perché tutto dovesse essere sempre così dannatamente complicato; non capiva perché la verità non poteva essere ovvia, alla portata di tutti. Di lei. ma era inutile farsi illusioni, non lo era mai stata.
‹‹Capisco la tua reazione, Ginevra, ma non mi sembra il caso.›› il viso di Edoardo era calmo, rilassato. Tutto il nervosismo che aveva accumulato quella giornata si era dissolto, quasi la verità che stava per comunicare alla ragazza fosse cosa da poco. Ma, d'altronde, era sempre stato così. Un uomo, se così si poteva chiamare, dagli strani comportamenti.
‹‹Non mi parli così!›› Ginevra scattò in piedi, facendo cadere la sedia in ebano sul pavimento di marmo. Il tonfo che seguì fu impercettibile, quasi quella sedia fosse fatta di piume.
Ginevra cercò gli occhi verde-acqua del professore, sempre pronti per farle venire ancora più dubbi. Aprì la bocca in cerca di emettere un grido, ma il professore fu più rapido. Sussurrò: ‹‹Conticuit…›› e le labbra di Ginevra si serrarono come cucite da ago e filo. Ora la rabbia si stava trasformando in paura; terrore. Chi era il professore? E, soprattutto, chi era la ragazza nella foto che era identica a lei?
‹‹Se mi fai il piacere di sederti sarei lieto di dirti che sta succedendo.›› disse il professore sistemandosi sulla sedia. Ginevra, quasi fosse stata un burattino, obbedì. Rimise al suo posto la sedia vi si sedette comodamente.
‹‹Okay, Ginevra, è il momento della verità. Io giuro di dirti tutta la verità, ma tu devi promettermi di accettarla, bella p brutta che sia.›› ora l’espressione del professore non era più divertita né tantomeno tesa.  Il suo viso era una maschera di serietà che Ginevra non gli aveva mai visto.
La ragazza annuì con decisione, ormai non le restava che ascoltare. ‹‹Bene, possiamo cominciare.›› il professore si alzò dalla sedia e cominciò a camminare a grandi passi nella piccola stanza.
‹‹Vedi, mia cara Ginevra, da sempre esistono il bene ed il male. Due entità opposte, che cercano l’una di annientare l’altra, senza alcun risultato. Il male ci sarà sempre, anche la persona più buona del mondo può commetterlo. E viceversa.›› fece una pausa, doveva rielaborare bene le informazioni da darle.
Ginevra pendeva dalle sue labbra, non aspettando altro che un’altra parola uscisse dalla sua bocca sottile.
‹‹Il bene ed il male, nel corso della storia, sono stati incarnati da molte creature. Facciamo un esempio: l’agnello ed il lupo, il fuoco e l’acqua, il nero ed il bianco…›› sospirò, gli ultimi due esempi avrebbero turbato la ragazza come non mai. ‹‹Gli angeli ed i…››
‹‹Demoni›› lo interruppe brusca.
‹‹Giusto. Gli angeli rappresentano il bene, i demoni il male. E, seguendo il ragionamento di prima, il bene ed il male si combattono. E, si sa, in amore ed in guerra tutto è lecito.›› cominciò a gesticolare con le mani, lo sguardo perso nei dettagli del pavimento in marmo.
‹‹Così gli angeli, al fine di vincere i demoni, attuarono un piano. Siamo all’incirca nel milletrecento, una ragazza dai capelli neri e gli occhi…››
‹‹Blu›› lo interruppe, di nuovo, Ginevra. Ormai sapeva che quella ragazza, identica a lei, era la chiave di tutte le cose strane che le stavano accadendo intorno.
Il professore assunse un’espressione seccata. ‹‹ Ti pregherei di non interrompermi, Ginevra.›› cercò di dire calmo, ma il tono della sua voce era tutto il contrario.   
‹‹Okay, professore.›› disse lei, puntando gli occhi sulle decorazioni dello strano tavolo rotondo. Rappresentavano diversi paia di ali dalle piume morbide e sagomate. ‹‹La suddetta ragazza dai capelli neri e gli occhi blu fu scelta per il piano degli angeli; lei sarebbe stata la chiave di tutto.›› l’uomo riprese a camminare, ora più velocemente di prima. Il rumore dei suoi piedi si diffondeva rapidamente nella piccola stanza, che lo amplificava con facilità.
‹‹L-la chiave di cosa?›› Ginevra ruppe il silenzio. Ne aveva abbastanza di aspettare, voleva delle risposte. Adesso.
‹‹La chiave per liberare Lui, il Male, Ginevra.›› disse Edoardo accentuando ogni lettera.
“Lui è il male, Ginevra.” la voce di Micaela le ritornò nella mente. Dunque era Stefano il male? E lei era la chiave per…aprirlo? Come si sentiva stupida a pensarlo.
‹‹S-Stefano…›› disse la ragazza senza saperlo. Il professore si irrigidì all’istante.
‹‹C’entra qualcosa, lui?›› con quella domanda probabilmente si sarebbe rovinata la vita. E se Stefano fossa stato davvero il Male?
‹‹In parte…›› sussurrò Edoardo enigmatico, lasciandosi scappare un sospiro. Ormai era giunto il momento di rivelarle il resto della “storia”, se così si poteva chiamare. ‹‹Vedi, Ginevra, non è semplice da spiegare…›› si schiarì la voce e recuperò lucidità.
‹‹Di cosa era la chiave la ragazza?›› chiese impaziente.
‹‹Il problema non è di cosa era la chiave lei, ma di cosa sei la chiave Tu.›› arrestò la sua camminata frenetica per guardarla negli occhi.
‹‹Tu sei la chiave di tutto; e sei tu il motivo di quella che sta succedendo.››
‹‹E mi vuole spiegare cosa sta succedendo!››
Edoardo sospirò, cercando le parole per mandare aventi il discorso.
 ‹‹Tu sei la chiave per arrivare a Lucifero.››
Ginevra sbiancò all’istante.
‹‹L-Lucifero?›› balbettò sull’orlo di svenire. Ci mancava solo di menzionare il diavolo. ‹‹Sì, Ginevra, Lucifero; l’angelo dannato, o meglio, il Primo Demone che sia mai esistito nella storia.›› spiegò gesticolando.
‹‹Tu sei la chiave per arrivare a lui, tu, in qualche modo, sei l’unico mezzo che i demoni hanno di comunicare con lui.›› gli ritornarono alla mente tutte le volte che glielo aveva già spiegato, tutte le volte che aveva combattuto per lei. Perse le staffe, non ce la faceva più a reggere quella pressione.
‹‹Tu sei il risultato del piano degli angeli di imprigionare Lucifero nel corpo di una stupida quattordicenne!›› grido irritato. Per un attimo i suoi occhi verde-acqua assunsero una sfumatura rossastra. Respirò a fondo tre volte per recuperare la calma, non si doveva macchiare sei Loro peccati.
Ginevra aveva gli occhi che per poco non rischiavano di schizzarle via dalle orbite. ‹‹Mi sta dicendo che io ho dentro di me Lucifero?›› scoppiò in una risata isterica, mettendosi le mani nei capelli scuri.
 Lei? La ragazza evitata da tutti era ora la dimora di Satana? Ma chi voleva prendere in giro quel professore…
‹‹Bello scherzo, professore. Davvero esilarante…›› ma nel profondo del suo essere la ragazza sapeva che non si trattava di uno scherzo.
Il professore la trafisse con lo sguardo, come aveva immaginato la ragazza non era ancora pronta. Ma chi lo era, a quella tenera età?
‹‹Ogni leggenda ha un fondo di verità, non credi?›› riprese serio, come se non ci fosse stata alcuna interruzione. Nel tono della sua voce si sentiva chiara la delusione e lo sconforto; perché la verità era una: non aveva più tempo. Lucifero si stava risvegliando, era pronto ad essere liberato; e se non intervenivano al più presto le cose sarebbero precipitate. Ginevra si alzò dalla sedia con un gesto deciso, avviandosi verso la porta della stanza. Il professore, però, non si fece cogliere impreparato. L’avrebbe fermata, sì che l’avrebbe fatto.
‹‹Obturaverunt›› sussurrò. La ragazza si arrestò con la mano poggiata sulla maniglia, il respiro mozzato.
‹‹Non pensavi mica di andartene così facilmente, vero?›› chiese ironico, abbozzando un mezzo sorriso.
Le si avvicinò con grandi passi, sempre assoggettandola al potere delle sue parole. Le accostò le labbra all’orecchio. ‹‹Cosa credi che siano le voci che hai nella tua mente se non Lucifero che ti parla dai meandri occulti di te stessa?›› il suo sussurro sulla pelle la fece sussultare. ‹‹Io so tutto di te, Ginevra. E non sono l’unico…›› quelle parole fecero breccia nella sua mente, facendo crollare l’equilibrio precario che si era creata con tanta fatica. Ora tutto era ancora più confuso di prima, le parole chiave, Lucifero, angeli e demoni giravano senza controllo nella sua mente. Ma cosa le stava succedendo? Prima trovava piume di corvo dappertutto e poi la nonna e il professore ci si mettevano con le loro leggendo sugli angeli e sui demoni. La sua vita era pazzia, pura pazzia. Non ci sarebbe mai stato ordine, ne una sorta di equilibrio. Lei era dannata, maledetta, condannata ad un’esistenza nell’ignoranza, nell’ignoto…
Le lacrime le rigarono le guance come lame affilate e lucenti. Il professore era impassibile, quasi non stesse succedendo nulla. non poteva farsi condizionare dalle emozioni degli umani, tipo la pietà…no. Sarebbe stato deplorevole. Si limitò ad osservarla, tenendola sotto il suo potere. Se ci fosse stata Micaela la ragazza l’avrebbe subito abbracciata, ignorando le Regole Divine. Ma, che ci poteva fare, Micaela era guidata solo dall’impulsività.
‹‹Ginevra, ti prego, siediti. Non ho finito la mia spiegazione.›› le disse Edoardo. Doveva dirle ancora molte cose…doveva avvertirla della gente pericolosa…di Lui. Lui, che nei secoli era sempre stato la rovina della missione. Era sempre stato l’incognita dannata di tutto quell’assurdo gioco di potere; l’unico a poter segnare le sorti delle due parti. L’unico a sapere leggere nel cuore della ragazza come nessun altro. E a Edoardo bruciava doverlo ammettere, ma il ragazzo ci sapeva fare.                                           
‹‹N-no, professore, io non voglio restare. Non posso…lo capisce che quello che mi sta dicendo è assurdo? Io, la dimora del diavolo, l’unica che può comunicare con lui. Si rende conto di ciò che sta dicendo?›› Edoardo storse il naso, come aveva fatto la ragazza a parlare? Dopotutto era ancora sotto l’effetto del suo potere. Possibile che Lucifero si fosse già risvegliato e fosse abbastanza forte da contrastare anche i suoi poteri angelici?
Edoardo scosse la testa, cercando di non pensare a quella troppo pericolosa ipotesi. Ma essa non voleva essere messa da parte, e continuava pressare continuamente sui confini della sua mente.
Con un gesto secco della mano l’uomo tolse il potere della sua parola dalla ragazza, permettendole di muoversi. Lei fece un profondo respiro, facendo appello a tutta la calma che aveva in corpo. Ma non riuscì, dopotutto come poteva stare calma in una situazione del genere, dove si stava mettendo in dubbio la sua vita come l’aveva sempre conosciuta.
‹‹C-come ha fatto a bloccare il mio corpo?›› gli chiese dopo alcuni istante di silenzio.
‹‹Sarei felice di risponderti se ti sedessi al tavolo›› le rispose lui fissandola intensamente. Cercò di convincerla con il suo potere, ma era come se attorno alla ragazza ci fosse un’aura oscura, che faceva svanire ogni suo potere.
Il professore si allarmò, prendendola per il polso e attirandola a sé. Ginevra tentò di divincolarsi, ma la presa del professore era ferrea come l’acciaio.
‹‹Mi lasci!›› gridò la ragazza; gli occhi corrosi dal terrore.
‹‹Solo se siederai al tavolo. Ci sono molte altre cose che devi sapere. Molte persone da cui ti devo mettere in guardia…›› disse lui calmo.
‹‹Certo, magari vuole dirmi che esistono gli angeli ed i demoni e che sono fra noi›› la ragazza rise istericamente.
“Non sai quanto hai ragione, Ginevra…” pensò Edoardo malinconico. Si decise a lasciarla andare, le avrebbe spiegato il resto un’altra volta. Dopotutto non era facile digerire la notizia di essere posseduta da Lucifero e di essere ricercata dai demoni più potenti dell’inferno e della terra.
Appena Edoardo mollò la presa Ginevra aprì la piccola porta della stanza che corse giù per le scale. L’uomo rimase lì, immobile, sopraffatto dalla rapidità della ragazza.
Rivolse lo sguardo fuori dalla piccola finestra; il tramonto era passato da un pezzo, e l’oscurità regnava sovrana su ogni cosa. Era la perfetta metafora della vita di Ginevra, dove il buio e il male stavano prendendo il sopravvento, e dove nemmeno la più piccola briciola di felicità resisteva. Spazzata via dal buio della notte.
***
Ginevra correva in stato di trance per le strade della cittadina dove viveva. Solo la luce soffusa dei lampioni illuminava il suo passaggio; la sua esile figura avanzare sperduta in una notte senza stelle e certezze. Ora nulla aveva più senso, ogni cosa nota era diventata sconosciuta all’improvviso. Il suo mondo si stava sgretolando sotto il peso del tempo, che da secoli assisteva da spettatore alla sua storia. Esso era il suo più fedele compagno, l’unico che la capiva veramente. L’unico che c’era sempre stato.
Ginevra corse disperata, mentre le lacrime rigavano il suo viso silenziose.
Era sconvolta; disorientata. Tutto quello che si era ripromessa di non essere. Le sue belle aspettative sulla vita si erano trasformate in misteri irrisolvibili, ai quali era stanca di cercare una soluzione. In quel momento si sentiva una foglia d’autunno, sbalzata e manovrata dal vento. E lei non poteva farci nulla, non ne era mai stata capace. Era solo un manichino manovrato da un burattinaio impazzito; a cui importava solo il potere. In pochi minuti si ritrovò davanti a casa sua; quella che sempre aveva visto come accogliente e silenziosa.
Ma poteva ancora fidarsi di ciò che conosceva sin da bambina?
“No” la voce roca le rispose prontamente. Ginevra non la scacciò, non finse di non averla sentita. Si limitò ad ascoltarla, abbandonandosi al suo tono lugubre e arcano. “Puoi fidarti solo di me…” riprese la voce.
E, per una volta, Ginevra ci credette.





Ciauu! come andiamo, ragazzi?
Io bene, per una cvolta la scuola mi ha lasciate tregua XD ed eccomi qui con il nuovo capitolo!
Vi è piaicuto? A me scriverlo moltissimo, non riousciva a staccare gli occhi dalla tastiera! XD
come va a voi?
Ringrazio tutti quelli che mi seguono, in pèarticolare The Storm_ che è stata poco bn (rimettiti presto!)
okay, il prossimo capitolo, che ho già scritto, lo posterò lunedì prossimo
questo vi ha chiarito in partr i dubbi?
commentate, e tanti auguroni x tutto
baci
F99

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Capitolo 22
*** 20. Battaglie interiori ***


A Mirtilla, che anche a 300
kilometri di distanza riesce a capirmi come
nessun altro. Ti voglio bene.

 


XX
 

Occhi rossi come braci ardenti comparivano e riapparivano nel buio a intervalli irregolari, rischiarando la visuale di Ginevra con una luce scarlatta.
“Di chi puoi fidarti, Ginevra?” chiese la voce.
“Di nessuno” pensò la ragazza.
“Nessuno a parte…”
«Te…» sussurrò meccanicamente. Era da tutta la notte che la voce non la smetteva di farle le stesse, a cui, ormai, Ginevra aveva imparato a rispondere ‘correttamente’. Quella sera era troppo sconvolta per opporre resistenza alla voce, troppo distrutta dalla verità per controbattere. E, anche se cercava di negare ogni cosa che le aveva detto Edoardo, nel profondo sapeva che l’uomo non mentiva. C’era sempre un sussurro impercettibile che verificava ogni sua parola. E non era la voce rauca di Lucifero, era lei. Era la sua anima immortale, che da ormai due secoli continuava a rinascere dalle ceneri, schiacciata dal peso di una amore maledetto che l’aveva condannata ad un’esistenza tormentata e piena di demoni. Non solo nel senso letterale del termine.
La ragazza si rigirò fra le coperte ormai intrise nella sua inquietudine.
Perché? Perché proprio a lei e non a qualcun altro?
Soffocò un singhiozzo e si coprì il viso con le mani. Se ciò che il professore aveva detto era vero lei era un mostro. Il frutto dell’unione fra la natura umana e quella demoniaca, l’incontro fra due entità divise dalla Notte dei Tempi.
Lei era uno scherzo della natura, una patetica quattordicenne succube del potere dei Diavolo in persona.
“Ci sono molte cose che devo dirti, molte persone da cui devo metterti in guardia…” la voce del professore le ritornò alle mente. Da chi doveva metterla in guardia? Da Stefano, da Karl? No, non poteva essere. L’unica persona da cui doveva metterla in guardia era ste stessa; il peggiore dei suoi nemici.
***
«Ben trovato, Karl.» la voce di Stefano colse il ragazzo di sorpresa. La sagoma del ragazzo stava seduta su una panchina nel parco della città, gli occhi fissi davanti a sé. Ormai l’oscurità aveva vinto ogni spiraglio d luce; ed era l’unica sovrana della notte. Nemmeno la luce dei lampioni osava contrastare il suo dominio.
Karl avanzò rapido, i suoi passi attutiti dall’erba del prato. Era sempre stato un ottimo soldato, non aveva ma fatto domande inopportune; mai aveva osato trasgredire una regola dettatagli da un suo superiore. ma quella volte era diverso, doveva farlo. E anche se al suo generale non sarebbe piaciuto, non aveva alternative. La missione stava durando più del previsto, e i sentimenti umani che era sicuro che Stefano provasse per la ragazza non erano di certo d’aiuto. Da tempo sospettava un suo tradimento, e da tempo bramava nell’ombra per riuscire a far vedere al Suo Padrone l’infedeltà del suo generale di cui nei secoli si era sempre fidato cecamente.
Karl era stufo di essere messo da parte, stufo di essere declassato da un altro che non sapeva nemmeno rispettare il confine fra sentimenti umani e demoniaci. Stufo di non poter mai entrare in azione. Da quanto non faceva una caccia? Da quando non sentiva il dolce e familiare rumore della grida umane imploranti di pietà e terrore? Probabilmente da quando Lucifero era stato deposto…si parlava quindi di secoli orsono…
«Cosa ci fai qui, Karl?» la  voce di Stefano lo distrasse dia propri pensieri. Il ragazzo appoggiò una mano allo schienale della panchina dove era seduto il suo generale. Sentiva i sensi del suo superiore pronti a scattare, dunque aveva previsto il suo arrivo.
«Sono solo venuto per parlare della vittima…» al pronunciare quella parola Stefano si sentì mancare. Perché era la sola verità, Ginevra era la vittima, e nulla e nessuno, nemmeno lui, potevano cambiare le cose. Cercò di non darci molto peso, ma non riuscì. Perché per lui Ginevra non era solo una vittima come le altre, era molto, ma molto di più. E solo ora se ne rendeva conto. Lui l’amava, ecco cos’era quella sensazione che provava ogni volta che stava con lei. Ecco cos’era quella nuova sensazione che aveva provato quando l’aveva baciata. Ormai non poteva più negare, era legato a lei da qualcosa più grande di una stupida missione.
Ma non poteva funzionare. Era impossibile. Lui era impossibile, lei lo era. Ed il loro amore non poteva altro che essere impossibile.
«Generale? Ci siete?» chiese Karl avvertita la distrazione di Stefano. L’altra si riscosse, doveva controllarsi in presenza di un suo soldato.
«Certo, Karl. Esponi pure il tuo problema.» disse con il tono che il suo ruolo gli imponeva di usare.
«Credo che loro le abbiano già rivelato ogni cosa. Temo per l’incolumità della missione.» concluse Karl soddisfatto. Il suo piercing brillava fiocamente nella cortina di buio impenetrabile.
«Interessante…e come l’hai scoperto?» chiese Stefano curioso. «non era nei miei ordini) gli ricordò sospettoso.
«Certo, generale, ma…»
«Non c’è nessun ‘ma’. Hai disobbedito, e sento il bisogno di rimandarti alla base.» a dire il vero Stefano non lo faceva per quel motivo. Aveva solo paura che Karl fosse entrato in qualche modo in contatto con Ginevra. se fosse stato così Stefano sarebbe stato accusato di tradimento alla Corte Infernale; e non era nei suoi programmi. E poi temeva profondamente per l’incolumità di Ginevra, Karl avrebbe potuto farle di tutto.
«No, generale, sarò io a mandarvi.» un sorriso compiaciuto si accese sul viso di Karl.
«E perché mai, Karl» chiese Stefano con un’ombra di preoccupazione sul viso perfetto.
«Perché so cosa avete fatto. Non credo fosse nei piani baciare la vittima, e non credo fosse nei piani aspettare tutto questo tempo per ucciderla.» Karl si parò fulmineo davanti a Stefano.
«Mi stai accusando di tradimento?» chiese il generale.
«Ovvio.» Karl si leccò le labbra. «E quando la Corte Infernale sarà venuta a conoscenza del tuo tradimento sarò io a prendere il comando della missione.» si avvicinò a Stefano in pochi secondi. Accostò le labbra al suo orecchio e sussurrò: «E sarà un grande piacere sentire i gemiti di piacere di Ginevra sotto il mio corpo…»
Stefano restò immobile, impietrito. Come osava parlare così di lei? Non era certo roba per lui, Ginevra. Lei era superiore a loro due, superiore a tutto e tutti. Nessuno la meritava, e Stefano cominciava a pensare che nemmeno lui stesso fosse degno di lei.
L’ira si impossesso di lui come un’onda travolgente. In un lampo si alzò in piedi e puntò i suoi occhi d’oscurità su Karl. L’altro, che non aspettava altro che la sua reazione, sollevo l’indice verso Stefano. Un’onda di fiamme travolse il ragazzo senza che potesse far nulla. la battaglia era iniziata.
Karl rise crudele davanti al suo generale colto di sorpresa. Era da troppo tempo che desiderava farlo. E, doveva ammetterlo, era valsa la pena di aspettare.
Stefano venne investito dalla violenta fiammata e gridò d’ira al cielo. Il suo corpo venne sbalzato all’indietro, sentiva le fiamme corrodergli i vestiti e penetrargli nelle ossa. Basta! Ne aveva abbastanza di quel mascalzone di Karl.
Puntò i piedi a terra e allungò le mani avanti come per bloccare la fiammata. una barriera scarlatta partì dalle sue mani e lo avvolse in un turbinio di fiamme violacee. Stava evocando il suo Potere.
«Mi dispiace disilluderla, generale, ma la sua barriera non resisterà a lungo.» Karl sorrise sadico, evocando dalla mano destra un cerchio di fiamme che si estese per tutto il perimetro del parco, andando a sfondare la barriera di Stefano. Quest’ultimo saltò rapidamente in aria, in modo da evitare le fiammate a rasoterra del nemico. Ora non ne aveva dubbi, era un ammutinamento, e avrebbe reagito di conseguenza.
Due ali nere più dei suoi occhi sfondarono le sue scapole e si librarono  nell’aria rarefatta dalle fiamme di Karl. Stefano liberò tutto l’odio che aveva nei confronti di quello che fino a poco prima era il suo suddito. Restò in aria per qualche secondo, le ali nere da corvo pronte a scendere in picchiata. Alzò le mani al cielo ed una pioggia di piume infuocate si diresse verso Karl che le evitò con un’acrobazia disinvolta a sinistra, atterrando sugli scivoli del parco. Rivolse a Stefano uno sguardo truce, mentre un bagliore rosso gli illuminava gli occhi grigi. Dal cerchio di fuoco che aveva avocato spuntarono possenti colonne che contrastarono la pioggia di piume di Stefano. Il ragazzo non riusciva a capire come Karl potesse essere tanto forte, dopotutto era solo un soldato...
Ma non ebbe tempo di pensare altro che una colonna di elevò così tanto dal cerchio di fuoco che lo colpì in pieno, scaraventandolo in alto. Un dolore lancinante lo bloccò a mezz’aria, gli mancava il fiato. Il Potere di Karl era molto superiore e a quello che si aspettava.
«Che fai, generale, ti arrendi?» chiese Karl beffardo. Sapeva di tenerlo in pugno, e la cosa gli piaceva.
«Mai! Preferirei morire che essere sconfitto da un umile soldato come te!» Stefano recuperò lucidità e relegò il dolore in  un angolo della sua mente. Riprese quota e scese impicciata verso Karl, le braccia protese per afferrargli il collo esile. Non vedeva l’ora di ribaltare la situazione, sentire le sue grida di dolore implorarlo di smetterla. Karl, che non si aspettava un attacco così diretto, restò spiazzato quel tanto che bastò a Stefano per sferrargli un pugno letale al viso. Il ragazzo fu sbalzato all’indietro e spaccò addirittura lo scivolo su cui si era rifugiato. Restò intrappolato sotto le macerie dello scivolo e Stefano approfittò di quello per mettere fine al loro duello. Puntò l’indice sul corpo sotterrato di Karl e un raggio di fiamme viola si abbatté sul ragazzo, facendolo percuotere da fitte dolorosissime. Macerie di ogni genere si sollevarono in aria, il Potere di Stefano aveva fatto il suo effetto.
Il ragazzo si accovacciò accanto a Karl, che giaceva esanime sull’erba bruciata del parco.
«Allora, Karl, chi è che deve arrendersi ora?» chiese beffardo tra un affanno e l’altro. Doveva ammetterlo, la lotta gli aveva sottratto più energie di quanto immaginava.
Karl emise un debole lamento, che Stefano accolse come un segno di resa.
«Saggia mossa, soldato. Ma ricorda, se proverai ad avvicinarti a Ginevra tornerò qui a finire ciò che non ho concluso stanotte.» disse alzandosi in piedi ed osservando la distruzione del loro combattimento.
Poi prese il volo nel cielo nero, lasciandosi dietro una pioggia di piume di corvo.
***
Micaela uscì dal suo nascondiglio. Dietro la siepe che delimitava il parco le era stato facile assistere al combattimento senza essere vista.
Ma non era del tuto uscita incolume. Violente ustione le segnavano il braccio destro, non aveva creato una barriera angelica in tempo per resistere al Potere demoniaco dei due ragazzi. Ma non importava, ciò che contava era che aveva capito che i loro avversari si erano divisi in due metà e le sarebbe risultato piuttosto facile vincere.
Camminò per il parco avvicinandosi sempre già  alle macerie dove era sepolto il secondo demone.
Lo osservò, esanime ed inerme. Era così tutti quelli della sua specie sarebbero finiti, era così che mentivano di morire.
La ragazza prese il volo sfoderando le sue ali candide. prese quota e si portò all’altezza delle nuvole, le era sempre piaciuto farlo.
Da lì poteva osservare tutti senza essere disturbata. Ma qualcosa la inquietava, anche in quel luogo.
Un pensiero persistente che non voleva saperne di andarsene:
E se Stefano l’amava veramente?  







Ehi, ciauuu a tutti!!!!!!
Come state? visto che stavolta sn arrivato presto?
allora, passiamo al capitolo, vi è piaicuto? dite che ho descritto bene la battaglia, o dovrei migliorare? perché è la orima che scrivo, e voglio ricevere pareri sinceri.
Dunque ora sappiamo chi sono Karl, Stefano, Micaela e il prof, e la storia si sta facendo moolto ma mooolto interessante(almeno x me)
cosa ne dite? pareri e critiche costruttive, ve ne prreeego!
vi rammento un'altra mia storia
Water Wings
se avete voglia di lasciarmi i vostri pareri ve ne sarei grato! vi avviso che POISON sta per finire, mancano ...mm... 4 capitoli compreso l'epilogo.
visto che il prossimo e quello dopo li ho guà scritti posterò in orario! che ho deciso sarà ogni tre giorni.
ringrazio chi segue la mia stprioa con tutto il cuore, e vi ringrazio del sostegno.
GRAZIE A TUTTI DI CUORE!
ma ci saranno i ringraziamenti veri alla fine della storia.
ora vado, baci
F99


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Capitolo 23
*** 21. La forza dell'amore ***


XXI
 

Ginevra camminava come in trance per i corridoi della scuola diretta verso i bagni. Ogni passo era solo un prolungamento dell’agonia che si trascinava dietro dalla sera prima; il vivido ricordo di quella rivelazione sconcertante. Percorse in fretta il corridoio, le luci delle lampade al neon che la seguivano come un’ombra. appena varcò la soglia del bagno scoppiò in un pianto isterico. Tutta la tensione che aveva accumulato le si riversò addosso, sfondando i limiti che si era imposta.
Si accasciò sul pavimento, distrutta. Con la schiena al muro e i capelli sul viso si abbandonò ad un pianto silenzioso, uno di quelli che non esprimono né dolore né incertezza. Ma paura. Quella vera, che ti penetra nelle ossa e condiziona la tua vita dall’interno.
Quella che pian piano stava prendendo il sopravvento della vita di Ginevra.
Ma non doveva lasciarsi abbattere, doveva reagire. ecco, era quella la parola giusta. Perché spesse volte la gente si piange addosso senza reagire; senza nemmeno provare ad alzare lo sguardo e a guardare in faccia la vita. Ma Ginevra, per lo meno da sola, non ce l’avrebbe fatta. Era troppo fragile e insicura, troppo a contatto con tutto il male del mondo per potersi opporre.
Altre lacrime, questa volta di rabbia, le rigarono le guance arrossate. La rabbia che nutriva nei confronti del destino, che non le aveva mai lasciato possibilità di scelta.
Una sagoma scura scivolò nel bagno, silenziosa come la rabbia muta di Ginevra. la ragazza non se ne accorse nemmeno, troppo presa dai suoi conflitti interiori.
Il ragazzo le si sedette accanto, provando sensazione spiacevoli ad ogni lacrima che usciva dalle splendidi iridi della ragazza. Non riusciva a impedirsi di provare quelle emozioni quando era con lei, le provava e basta. Era come una reazione che avveniva indipendentemente dalla sua volontà; uno strano scherzo del destino, dagli umani chiamato amore. Ma a Stefano faceva paura quella parola, perché gli ricordava che era una sensazione proibita a quelli come lui. Eppure, nel profondo, desiderava urlarlo a tutti. Desiderava comunicare al mondo il suo amore per lei, come un grido che nei secoli era sempre sopravvissuto.
Stefano avvolse la spalla di Ginevra con i braccio destro; entrambi erano il silenzio, nessuno osava interrompere quello scambio di gesti affettivi. Ginevra strinse la mano di Stefano, doveva pur aggrapparsi a qualcosa, o il destino l’avrebbe fatta volare via come fosse un’inutile foglia d’autunno.
Stefano la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi neri. Ginevra sostenne lo sguardo per qualche minuto, i nervi a fior di pelle e la pressione a mille. Il ragazzo scavò a fondo negli occhi di lei, cercando cosa affliggesse il suo animo puro come il cielo. Ma trovò solo buio, solo disordine e paure troppo grandi per essere svelate. Vi trovò tutto e niente allo stesso tempo. Vi trovò cosa vedeva in se stesso prima di incontrarla; di nuovo. Si protese verso di lei in cerca delle sue labbra che per troppo aveva desiderato.
Ginevra non si oppose, non ne aveva la forza. Le loro labbra si incontrarono in un bacio appassionato, mentre lui le cingeva la vita avidamente. No. Non le sarebbe successo nulla; nessuno avrebbe osato toccarla se non lui. Per Stefano Ginevra era come una rara perla, celata avidamente nello scrigno impenetrabile del suo cuore.
«Ginevra, cosa ti è successo?» le sussurrò appena ebbero interrotto il bacio.
«H-ho…ho scoperto chi sono…» bisbigliò soffocando i singhiozzi. Strinse Stefano più forte, conficcandogli le unghie nella carne della spalle atletiche. Lo volevo sempre più vicino, volevo che diventasse parte di lei…parte di Loro, visto che aveva scoperto di non essere l’unica ad abitare il suo corpo.
«E dimmi, Ginevra, cosa sei?» le chiese annullando il morbosa attaccamento di lei. Le prese il mento fra il pollice e l’indice, costringendola a guardarlo. E lei ne ebbe paura. Come avrebbe reagito Stefano? E se non l’avesse più voluta? Ma fece leva sulla forza del loro amore, che non poteva dissolversi per ‘così poco’. Il loro era un amore indissolubile, che era sopravvissuto alle epoche e pulsava ancora con la stessa intensità della prima volta. Che aveva superato ostacoli di ogni genere, che andavano oltre l’umana comprensione. Un amore mortale, di cui entrambi portavano le cicatrici nell’anima.
«Sono un mostro…» disse lei chiudendo gli occhi. Ecco, l’aveva detto. E fu come togliersi un pesante macigno dal cuore. Così, immersa nell’oscurità dei suoi occhi, Ginevra aspetto la reazione di Stefano. Attese di sentire la sua risata beffarda, che le diceva che era pazza e che non voleva più stare con lei. ma non accadde. Quando fu pronta aprì lentamente gli occhi, l’immagine perfetta del viso di Stefano davanti a sé.
“Non ti illudere, scapperà fra pochi minuti…” le disse Lucifero, cercando di annientare le sue speranze. Ma non riuscì, perché il legame che aveva con Stefano superava con facilità la voce del demone tentatore.
«Tu? Un mostro? Ma non farmi ridere» disse Stefano, serissimo. Sostenne lo sguardo di lei per qualche minuto, in cerca delle parole giuste da dirle.
«Se tu fossi un mostro, io sarei un angelo.» Ginevra si tranquillizzò solo per pochi secondi. Al pronunciare della parola angelo cominciò ad agitarsi. Vedendola turbata Stefano la baciò di slancio, assaporando il sapore delle sue labbra. Ginevra, al contatto con le sue labbra, dimenticò ciò che aveva detto e si godette il bacio passionale. Attirò a sé Stefano più forte, ora erano così vicini che sentiva ogni parte del corpo di lei, e la cosa le piaceva. Fu irradiata ma molteplici brividi di piacere, che la spinsero a stringerlo di più. Stefano la cadde letteralmente addosso tanto la ragazza lo desiderava.
Stefano capì, a malincuore, che ciò che stava succedendo non era dettato dal cuore di Ginevra ma ad un atteggiamento morboso e possessivo tipico del momento dopo la rivelazione. Evidentemente non tutta visto che non era scappata via da lui.
«No, Ginevra, non così…»le disse staccandosi dal bacio ossessivo. Lei rimase delusa, ancora senza fiato per il bacio. Ma doveva ammettere che lui aveva ragione, non era quello il modo in cui lo desiderava.
«Scusa…»disse abbassando lo sguardo verso le sue mani affusolate. Una lacrima solcò il suo viso, aveva provato troppe sensazioni contrastanti n un lasso di tempo troppo breve per gestirle tutte contemporaneamente. Si sentiva stupida, una bambina che gioca con la gente solo per aggrapparsi a qualcosa di concreto. Una bambina viziata che giocava con l’amore, che non sapeva comprenderne il valore.
«Ehi» Stefano cercò i suoi occhi ma Ginevra si oppose, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta del bagno. Si sentiva umiliata, delusa da sé stessa.
“Col tempo ti ci abituerai…” le disse Lucifero.
Ginevra non rispose, troppo persa nei suoi pensieri per farlo. Stefano le corse dietro avvolgendole le braccia alla vita.
«Non importa, non devi scusarti.» le sussurrò all’orecchio. La ragazza sobbalzò, il suo alito caldo sulla pelle le provocava non pochi brividi. «Hai solo bisogno di distrarti. E so io come…» la prese per mano e cominciarono a correre per il corridoio della scuola, dritti all’uscita.
***
Quando furono fuori dall’edificio li accolse un cielo nuvoloso, che minacciava di esplodere in un burrascoso temporale. Ma non fu di certo quello a minacciare le intenzioni di Stefano. Strinse ancor di più la mano di Ginevra e la condusse nel lato est del cortile, dove gli studenti parcheggiavano le biciclette e le moto. Un, in particolare, attrasse l’attenzione della ragazza. Era nera metallizzata, i riflessi viola che disegnavano violente fiamme incontrollabili. Ginevra si fissò a guardarla, gli occhi persi nella lucentezza che emanava nonostante il tempo atmosferico. «È…è…»disse Ginevra frastornata. Le lacrime si erano solidificate sul suo viso, costruendo un muro di tristezza che poco a poco Stefano stava riuscendo a distruggere.
«Bellissima, vero?» la precedette lui poggiandole una mano sui fianchi. «Già…» rispose lei sentendo il calore della sua mano. «E tu sarai la prima ragazza a salirci, non sei onorata?» le chiese estraendo due caschi da uno scompartimento della moto. Erano grossi e neri, e Ginevra sentiva una sensazione di oppressione solo a guardarlo.
«Beh,» disse «onorata non proprio» prese il casco che lui le porgeva scrutandolo con diffidenza.
«Piuttosto sono timorosa delle tue doti automobilistiche» si mise il casco sentendo subito una sensazione di oppressione. Non le erano mai piaciuti gli ambienti troppo stretti, che non ti lasciavano spazio nemmeno per respirare. Ginevra fece per allacciarlo quando le si bloccarono le dita.
“Se tu fossi un mostro io sarei un angelo” quelle parole le girarono nella mente. Cosa voleva dire? Che era forse un…
«Aspetta, ti aiuto» Stefano le avvolse il collo con le braccia, aiutandola ad allacciare il casco.
«Grazie…» rispose lei, ancora pensierosa.
Lui montò sulla moto e le fece cenno di sedersi.
Lei lo seguì titubante, avvolgendogli le braccia al busto atletico. La moto partì con un rombo e Ginevra fu costretta ad aggrapparsi più forte, le unghie conficcate nella carna dei pettorali di lui.
Percorsero la strada fuori dalla scuola fino ad arrivare ad un semaforo rosso. «E così dubiti delle mie capacità automobilistiche….»ridacchiò lui. «Ti farò vedere cosa vuol dire guidare da veri motociclisti. Tieniti pronta a tutto.» le disse prima che il semaforo cambiasse colore. Partirono piano, ad una velocità media. Ginevra sbuffò, e4ra forse questa la vera guida degli automobilisti? Decise allora di provocarlo. «Più che un vero automobilista mi sembri una vecchietta in pensione che manovra goffamente la sua sedia a rotelle.» ridacchiò. Lui sorrise amaramente, «e così osi sfidarmi, ragazzina?»
«A quanto pare» rispose lei sicura di sé. Ora sentiva una nuova sicurezza animarla, come se aver ritrovato Stefano avesse comportato in lei un grande cambiamento. Ora sapeva che lui era un’altra cosa sicura della sua vita, una roccia a cui aggrapparsi in un momento di difficoltà. Lui, in quel momento, era tutto per lei. la sua àncora, la sua vita stessa. Sentiva di potersi fidare di lui, di potergli affidare la sua vita.
 «Bene, allora. Eccoti la vecchia in pensione con la sedia a rotelle!» accelerò di botto e Ginevra si sentì sbalzata all’indietro. Si aggrappò a lui con tutta la forza che aveva in corpo, ma non bastò. Dovette aggrapparsi a lui anche con le gambe, che attorcigliò attorno alle sue.
A mano a mano che le ruote della moto mangiavano l’asfalto, Stefano premeva sempre più convulsamente sull’acceleratore. Ben presto i due si ritrovarono a sfrecciare per le vie della piccola cittadina; anche le nubi sembravano sorridere a quei due amanti in cerca di fortuna. Le loro forme evanescenti ricordavano vagamente un corvo e una colomba, due sagome distorte che solcavano il cielo l’una al fianco dell’altra. E Stefano sapeva che lui e Ginevra erano esattamente come un corvo e una colomba, ignari del destino che qualcun altro aveva già scritto per loro. Per a loro non importava; se il loro amore erra sopravvissuto fino a quel punto erano certi di poterlo scrivere loro, il proprio destino.
Stefano accelerò più di quanto i limiti di velocità gli permettevano, solcando l’aria come fosse un aereo pronto al decollo.
La sensazione sempre più forte di aprire la ali lo pervase. Si morse le labbra per cercare di resistere a quel bisogno vitale per quelli come lui, ma sembrava che ogni suo tentativo di autocontrollo venisse annientato dall’adrenalina che provava a sentire il corpo di Ginevra sopra il suo. Il solo contatto con la sue pelle delicata lo faceva percorrere da brividi di piacere sempre maggiori, ma la cosa che gli impediva di restare in forma umana era la presenza di Lucifero che gli comandava telepaticamente di aprirle e volare nel cielo.
Ginevra assaporò l’aria fresca sulla pelle, ora non poteva più dire che Stefano guidava come una nonnina goffa. cominciò a ridere senza motivo; una nuova sensazione le percorreva le membra ridandole nuova energia. Dandole la forza di sorridere, di sperare.
La sua risata pura e innocente arrivò a Stefano distorta dal forte vento; quel suono cristallino allentò per un attimo l’impulso di volare. Ma esso bruciava le sue scapole in cerca di una via d’uscita che lui cercava di non aprire. Sapeva che se avesse perso il controllo anche per un secondo, e se le sue ali fossero uscite, avrebbero travolto Ginevra spezzandole le ossa.
La ragazza, con un gesto fulmineo, si tolse il casco e se lo portò alle ginocchia. Il vento le scompigliò i capelli, che presero a volteggiare come tanti finissimi filamenti di seta nera. La ragazza si sentì finalmente libera, una colomba libera di solcare il cielo assieme al suo corvo. assieme alla sua ombra, alle sue paure e alle sue insicurezze. Assieme a Lui.
Stefano diminuì gradualmente la velocità, era arrivato alla sua metà. Accostò la moto sul ciglio della strada, davanti a loro un immenso campo di pannocchie ricoperto di neve. Il manto bianco rendeva l’atmosfera romantica; era come un posto innaturale, dove il tempo sembrava essersi fermato per preservarne l’innata perfezione candida. Stefano aiutò la ragazza a scendere dalla moto, ed appena i piedi di Ginevra toccarono il suolo sentì, per la prima volta nella sua vita, la vera felicità. Quella che puoi avere solo accanto ad una persona speciale, con la quale la condividi. Perché non c’è gioia più grane che essere corrisposti, completati.
«Prego, signorina» Stefano guidò la ragazza nella distesa innevata, le loro orme sulla neve creavano ombre innaturali, che minacciavano alla perfezione intoccabile della neve bianca e continua.
Solo dopo aver avanzato fino al centro del campo Ginevra notò una coperta azzurra distesa accuratamente sulla neve. Stefano la condusse sino ad essa, sul viso un sorriso che nessuno, nemmeno se stesso, gli aveva mai visto addosso.
«Prego, mia regina, siediti. A tutto il resto ci penso io.» le fece distendere sul telo azzurro, il corpo che sprofondava al contatto con il telo sulla neve.
«Cosa hai in mente?» gli chiese Ginevra.
«Lo vedrai» le rispose lui con un sorriso malizioso. Poi prese a correre veloce, la sua sagoma scura che, mano a mano che avanzava, veniva annientata dal bianco perenne della neve.
Stefano sparì negli alberi che delimitavano il campo; correva velocissimo fra le fronde degli alberi, il cuore a mille per ciò che stava per fare. Estese la ali; due coltri di catrame e piume e sfondarono la maglietta e il giubbotto di pelle.
Si alzò in volo quanto bastò per superare le sommità degli alberi, che con il loro fogliame creavano una sorta di sentiero sospeso.
Un brivido lo percosse, non aveva mai fatto niente del genere. Era la prima volta che usava i suoi poteri per qualcosa che non prevedesse la lotta o infierire punizioni demoniache, e la cosa gli provocava non pochi problemi. Ma per lei lo avrebbe fatto, per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Estese la braccia, due enormi fiamme violacee le ricoprirono in pochi istanti divorando tutto ciò che c’era di umano. Stefano tese le braccia in avanti, potenti fiammate viola si sollevarono nel cielo come fuochi d’artificio. Scoppiarono emettendo un rombo fortissimo che si estese velocemente per la radura. Ora, nel cielo, stava un’enorme scritta di fiamme viola:
“Perché il nostro amore possa superare la morte” le lettere fiammeggianti emettevano una luce abbagliante, e Ginevra dovette ripararsi gli occhi per assistere a quello spettacolo di luci e parole.
Il cuore le si strinse, ed una lacrima di felicità le rigò la guance destra. Come aveva fatto anche solo minimamente a dubitare dei lui? Si alzò in piedi mossa da una forza invisibile, quella che l’aveva trainata ai navigli, dove era avvenuto il loro primo e indimenticabile bacio. Dove era iniziata veramente la sua vita. Dove, per la prima volta, aveva avuta la certezza di sapere cos’era l’amore.
Corse nella neve, sollevandola al suo passaggio, diretta nel bosco. Non vedeva l’ora di sentire le labbra di Stefano sulle sue, di commemorare la loro promessa d’amore. Lui le venne in contro, le braccia pronte ad avvolgerla in un abbraccio caloroso e la labbra protese per assaporare le sue. Quando Ginevra fu fra le sue braccia le loro bocche si incontrarono a distanza di pochissimi secondi. La ragazza gli strinse le braccia al collo, e lui fra i capelli neri. Si baciarono con foga, come se fosse l’ultima volta che potessero vedersi.
Ora Ginevra non sentiva più la voce di Lucifero, non vedeva più i suoi occhi rossi comparire quando si avvicinava a Stefano. Ora percepiva solo amore e sostegno, solo petali di rosa profumati e delicati. E nei suoi occhi non vedeva più oscurità, ma pozzi neri di inchiostro pronti a scrivere sul foglio bianco che era la loro vita le parole “ti amo”.
«Ma…ma come ci sei riuscito?» gli chiese Ginevra una volta che le loro labbra si furono staccate.
Si guardarono negli occhi per lunghi attimi, frammenti dell’eternità che il loro amore aveva vissuto.
«Con la forza dell’amore»




Okay, sono davvero PESSIMO! sn arrivato TROPPio in ritardo pk nn ho avuto tempo di postare. XD nn uccidetemi!
Passiamo al capitolo, allora...vi è piaciuto? Come mi è venuta lòa parte romantica??? voglio pareri sinceri! ve ne preeego!
Cosa succederà ai due amanti dannati? karl si rifarà vivo? e Micaela e il prof?
ma lo scoprirete solo nella prossima puntata! muamauauaua! sn perfido!
ora vado a finire di scrivere il nuovo capitolo, e vi ricordo una mia nuova storia
On Fire
vi pregherei di lasciarmi un parere! XD
opra vaaado
baci
F99


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Capitolo 24
*** 22. E' la fine? ***


A Sara, l'unica che mi fa provare emozioni vere davanti allo schermo di un pc.
L'unica con cui posso parlare di tutto.
Ti voglio bene.




XXII

 

Ora sapeva cos’era la felicità, l’aveva assaporata finché aveva potuto. Finché le sue labbra non si erano staccate da quelle di Stefano, provocandole una nostalgia che nemmeno l’oscurità poteva placare. Si guardò spensierata allo specchio, tutta la felicità che credeva aver perso dopo la rivelazione del professore aveva deciso di non abbandonarla. Anzi, Lui aveva deciso di non abbandonarla. Ginevra si toccò i fianchi, le sembrava di sentire ancora il calore di Stefano su di essi. Chiuse per un attimo gli occhi, rivivendo i ricordi vividissimi del giorno prima. E, stranamente, nessuna voce le venne a far visita. Davanti ai suoi occhi vedeva scorrere le lettere infuocate che Stefano aveva fatto comparire in cielo. Le si strinse il cuore, lui l’amava. E non le importava quali segreti si nascondessero dietro i suoi occhi; l’amore andava oltre quello. Avrebbe imparato a conoscerlo, senza fretta. Perché quando era con lui un attimo si trasformava in un’eternità, ogni gesto era rallentato dalla forte attrazione che vincolava i loro corpi come catene indistruttibili. Le catene dell’amore.                
Ginevra si legò i capelli in una coda, mentre esaminava con sguardo critico l’abbigliamento che aveva deciso di indossare. Una maglia a righe grigie e viola e dei leggins neri, che lasciavano trasparire la muscolatura delle gambe. Si infilò il cappotto in fretta e furia, non vedeva l’ora di arrivare da Micaela. Di raccontarle tutto, fin nei minimi dettagli. Aveva la certezza che l’amica non avrebbe reagito come sempre, che avrebbe condiviso la sua felicità. Nessun dubbio le offuscava la mente, solo buoni propositi e una visuale diversa della vita. Ora tutto era diverso, lei era diversa. Aveva finalmente qualcosa di sicuro, di certo.
E la ragazza timida e introversa stava via via lasciando posto ad una donna sicura di sé e forte.
Uscì dalla sua camera saltellando, la coda di cavallo che seguiva ogni suo movimento come un’ombra. Susanna passava di lì in quel momento, i suoi occhi cremisi incontrarono quelli della sorella, stranamente allegri.
«Ehi, Ginni! Dove vai?» chiese curiosa leccando avidamente il suo leccalecca alla fragola. «Da Micaela. » rispose la sorella serafica. La bambina la guardò curiosa inclinando la testa verso destra. Dopodiché sfoderò i suoi occhioni da cucciolo, che faceva sempre quando doveva ottenere qualcosa.
«Mi porti con te? Ti preego!» disse sfoderando due iridi insolitamente lucide.
«No, Susi, mi spiace. Non posso.» rispose mentre vedeva la delusione appropriarsi del viso della bambina.
«Ma ti prometto che domani ti porto alle giostre, va bene?» aggiunse in fretta. La bambina si accese come se le avessero proiettato sul viso un fascio di luce. «Quando viene domani?» chiese impaziente. Voleva andare alle giostre, e subito!
«Dopo oggi» Ginevra le sorrise chinandosi verso di lei.  le scompigliò i ricci nerissimi, mentre la bambina cercava di opporsi. «Allora domani andiamo alle giostre! Ma lo devi promettere, va bene?» Susanna le porse il mignolo. «Okay.» intrecciò il suo mignolo con quello della sorella. Si stupì a pensare quanto fosse infantile e profondo quel gesto allo stesso tempo. «Io, Ginevra Colombo, prometto di andare con la mia piccola pulce alle giostre domani.» disse con una mano sul cuore.
La bambina la guardò arricciando il naso. «Non chiamarmi pulce!» esclamò offesa. «Okay, pulce» le rispose Ginevra correndo via e ridacchiando.
La bambina la guardò arrabbiata per qualche secondo prima di ritornare a cucciare il leccalecca.
Ginevra entrò nel salotto gridando «ciao!». Il padre, seduto sulla poltrona dove passava i fine settimana, sollevò la testa frastornato.
«Non fare questo baccano! Dannazione!» gridò, gli occhi rossi per la troppa birra e il poco sonno. Si alzò dalla sedia e a grandi passi si diresse minaccioso verso Ginevra, che lo guardava con il sorriso stampato sul viso.
«E non guardarmi con quegli occhi da ebete, altrimenti…» ma non riuscì a terminare la frase che la ragazza gli schioccò un bacio sulla guancia, sentendo sulle labbra il contatto con la barba incolta dell’uomo. Alessandra, che stava lavando i piatti, si incantò a guardare quella scena di familiarità che per tanto tempo aveva desiderato vedere. Era la prima volta che Ginevra dava a suo marito un bacio sulla guancia, la prima volta che gli mostrava un segno d’affetto. Smise di lavare la pirofila che teneva in mano, arrestando il movimento circolare che intraprendeva meccanicamente con la spugna. assaporò quella scena, dal prima all’ultimo istante. Si diede un pizzicotto, ma no, non era un sogno. Sui suoi occhi segnati dal dolore comparve una scia di felicità, quella che quel giorno sembrava animare ogni gesto della figlia.
«G-Ginevra, cos’hai fatto?» chiese frastornato Gianni.
La ragazza guardò il padre negli occhi castani, che lasciavano trasparire solo una scia dello stesso blu dei suoi occhi. In quel momento lo perdonò per tutto ciò che aveva fatto, non contava più nulla. Ora ammetteva di avere quel legame con lui che mai e poi mai avrebbe ammesso di avere fino a due giorni prima.
«Nulla, papi, ti ho solo mostrato un briciolo dell’affetto che provo per te.» rispose allontanandosi dall’uomo e dirigendosi verso la madre. La strinse in un abbracciò affettuoso, caldo, che lasciava trasparire tutto ciò che non riusciva a dirle a parole. Si avvicinò con le labbra all’orecchio destro della madre, facendosi strada attraverso la sua vaporosa capigliatura biondo cenere.
Indugiò qualche istante, ciò che le stava per dire era troppo difficile. Troppo vero che aveva paura di dirlo.
Alessandra rimase interdetta. Da quanto Ginevra non l’abbracciava? E da quanto non erano più una famiglia?
«Ti…» Ginevra si fece forza. «Ti voglio bene.» quelle tre semplici parole colpirono Alessandra come proiettili infuocati. Come il ricordo lontano di un affetto che nel tempo Ginevra aveva via via seppellito nei suoi confronti. Una lacrima rigò il viso della donna.
«Anch’io, tesoro.» rispose Alessandra sentendo che un tassello del suo cuore si ricomponeva.
Ginevra distolse l’abbraccio e la guardò negli occhi che per tanto tempo aveva odiato. Aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma si fermò con il respiro in gola. Non le veniva in mente nulla, dopotutto era la prima volta che diceva alla madre qualcosa di affettuoso.
«Sh, tesoro, va bene così» le sorrise Alessandra. Ginevra ricambiò il sorriso e uscì di casa. Le All Star della ragazza saltellarono per il prato appena fuori dalla casa.
Si era data appuntamento con Micaela al parco, e doveva sbrigarsi.
***
Rebecca si alzò lentamente dalla poltrona, appoggiando delicatamente la tazza di tè sulla sedia al suo fianco. Si issò sui braccioli della poltrona e camminò verso la grande porta finestra. Una forte inquietudine l’avvolgeva da ormai due giorni, e troppi brutti presentimenti assalivano la sua mente. Incrociò le braccia; gli occhi che scrutavano Milano come quelli di un’aquila saggia e sapiente. Una folata di vento penetrò attraverso le tende rigorosamente bianche del soggiorno, portando il freddo vento d’inverno nell’appartamento.
Un brivido assalì la donna; il momento stava per venire. Non poteva più aspettare o fare finta di niente; Ginevra doveva sapere. E non le andava che fosse stato Edoardo a rivelarle ogni cosa; lui non la conosceva come la conosceva lei. lui non sapeva quali erano i suoi drammi, le sue paure…si sciolse lo chignon e lasciò i capelli argentei liberi di volteggiare al vento. Una sensazione di libertà la pervase, e l’immagine di Pietro apparve nel vetro della portafinestra. La donna protese un braccio verso l’uomo biondo e atletico che stava sul vetro, accarezzando il suoi freddo riflesso che la fissava con occhi impenetrabili.
I ricordi del loro amore le riaffiorarono alla mente; immagini più limpide dell’acqua che scorreva indisturbata nei navigli. Si ricordò delle sue labbra rosee a pochi centimetri dalle sue, i suoi occhi freddi e quasi bianchi, che solo lei poteva decifrare. Il loro primo bacio era avvenuto in una serra, solo le rose e le orchidee bianche a fare da spettatori al loro amore sacro e destinato a durare per sempre. Lui le aveva sussurrato il suo nome in un modo così mieloso a cui, anche con tutto il suo autocontrollo, non avrebbe potuto resistere. Erano diventati una cosa sola, le loro labbra e i loro visi immortalati dai petali bianchi dei fiori. Da quel giorno la sua vita era cambiata; per sempre. Aveva scoperto che nulla era mai ciò che sembrava, e che l’amore passa attraverso vie inconsuete e inimmaginabili.
  Il riflesso di Pietro si mosse sulla porta finestra, le vesti candide che seguivano ogni suo movimento come una scia di purezza inviolata. L’uomo mosse impercettibilmente le labbra; un sussurro percettibile solo alle orecchie della moglie.
«Il visibile cela l’invisibile» Rebecca sobbalzò, aggrappandosi per la paura alle tende bianche. Chiuse gli occhi, cercando di fare appello a tutta la calma che aveva. Ma non riuscì, quando si trattava di quelle questioni non riusciva ad averne nonostante l’età. Lui, il marito morto da quasi quindici anni, le aveva sussurrato qualcosa. E sapeva che non era possibile, non dopo che l’aveva visto morire per mano loro. Si convinse ad aprire gli occhi, e, come sospettava, l’immagine del marito era sparita.
Folate di vento impazzite smossero le tende a cui si era aggrappata, costringendola a mollare la presa. Cadde all’indietro, gli arti paralizzati dalla paura. Riuscì ad aggrapparsi al bracciolo della sua poltrona di pelle bianca, arrestando la sua caduta mortale. Rivolse uno sguardo preoccupato verso la finestra, ma le tende erano immobili. Un rumore assordante invase la stanza, ed una piuma bianca andò a conficcarsi sul giornale che Rebecca aveva poggiato sul tavolino accanto alla poltrona. La piuma si era fermata su un articolo in prima pagina; il titolo scritto a caratteri cubitali :
 ‘Vandali hanno distrutto il parco della città, segni di incendio e testimonianze di urla disumane e fiamme violacee.’ Rebecca si eresse in piedi, la paura che avanzava ad ogni sua mossa. Prese tremante il giornale e osservò le immagini del parco della città dove viveva Ginevra. Era distrutto; i giochi a pezzi e  l’erba bruciata. Ma la cosa che le mise più terrore fu l’ombra tetra di una piuma acuminata e affilata.
«Demoni…» sussurrò mentre una colomba bianca solcava il cielo di Milano.
***
Le All Star di Ginevra calpestavano l’asfalto velocemente, avanzando veloci e precise. Negli occhi della ragazza una gioia che nessuno le aveva mai visto addosso. Nella sua mente vagavano solo pensieri positivi, immagini ricche di allegria che rappresentavano due ragazzi baciarsi al chiaro di luna. Lei e Stefano.
Girò l’angolo saltellando, la coda di cavallo che sventolava nell’aria come una bandiera di pace. Tutto andava per il verso giusto, e finalmente per davvero. Non c’erano rivelazioni all’orizzonte. Non c’erano più misteri, più mezzi termini da decifrare. E anche se sapeva di essere la chiave per arrivare a Lucifero, non le importava. In quel momento la sua umanità aveva preso il sopravvento su di Lui. Esisteva solo Ginevra, la quasi quindicenne che fantasticava sulla vita e su cosa riservasse per lei. Perché nulla poteva più turbare la sua felicità; se lo sentiva.
Affrettò la sua camminata, non voleva arrivare in ritardo da Micaela. Le macchine sembravano essere state esiliate dalla città, le strade erano deserte; solo i raggi del sole le popolavano, rendendo l’atmosfera ancor più allegra di quanto non fosse Ginevra.
I raggi solari facevano capolino fra le nubi plumbee, come a squarciare quella cortina di dolore e oscurità che per troppo tempo aveva assoggettato il cielo e la vita di Ginevra. La sua incertezza stava svanendo come polvere nell’aria. Perché la verità era una sola; lei era felice. E lo sarebbe stata per sempre, se fosse stata assieme a Lui.
Stefano prese il sopravvento sui suoi pensieri. Il loro era vero amore. Perché con nessun  altro provava quelle sensazioni.
Il marciapiede lasciò posto ad una distesa d’erba verde, le sfumature dorate del sole che coloravano il manto verdeggiante come pennellate di un quadro antico che il tempo non aveva violato. Avanzò decisa nel giardino pubblico, i cespugli che si muovevano per i piccoli spifferi di aria gelida. Mancava poco al parco, doveva solo attraversare i giardini pubblici e il ponte della città.
I suoi passi venivano attutiti dall’erba che ricopriva il suolo, come per non violare il silenzio innaturale che serpeggiava quel pomeriggio di fine inverno.
Ma non erano solo i suoi passi a essere ridotti ad un fruscio.
***
Il ragazzo osservava la sua preda all’ombra di un abete. La snervante attesa a cui era stato sottoposto cominciava a dare i suoi frutti. La ragazza era arrivata, e con lei il momento di agire.
Il momento di far capire chi era il vero motore della missione; l’unico che meritasse veramente l’appoggio della Corte Infernale. Per troppo tempo era stato declassato e privato dei suoi poteri al fine di donarli a chi, seconda la Corte Infernale, era il più adatto per svolgere la missione. Così aveva agito di conseguenza. Aveva riacquistato i suoi poteri in un altro modo; l’unico modo possibile per un demone di basso livello come lui.
Si leccò le labbra scarlatte, la sua preda stava per ricevere la sua visita. Non vedeva l’ora di sentire le sue urla colme di terrore e il sapore metallico del suo sangue. Ma, soprattutto, non vedeva l’ora di smascherare Stefano davanti a Lucifero. Assaporava già la punizione che il suo padrone gli avrebbe inferto, ed immaginava il dolore che avrebbe provato Stefano quando sarebbe venuto a sapere della morte di Ginevra per mano sua.
Un fruscio impercettibile gli fece notare la presenza di Ginevra a pochi centimetri da lui. Alzò gli occhi vitrei, vedendola passare al fianco dell’albero dove si era appostato.
***
Ginevra sfiorò con la manica della giacca la corteccia scura di un abete; ed una sensazione di oppressione le risalì la schiena. Scosse la testa per espellerla dalla sua mente, ma qualcosa la tratteneva al suo interno. Un effimero filamento oscuro, che cercava di captare qualsiasi presenza demoniaca. E, a quanto pare, ne aveva captata una.
Era forte; molto forte, e la sua aura di Potere cresceva rapidamente, avvolgendo il corpo della ragazza nelle sue brame oscure.
Lucifero si risvegliò al sentire la Sua presenza, ed i suoi occhi rossi apparirono intimidatori nella mente di Ginevra. La ragazza arrestò il suo cammino, fermandosi con il respiro mozzato in gola. Il suo piede era sospeso in aria, pronto a compiere il prossimo passo. Ma non poteva riuscirci, una forza più forte glielo impediva.
“Ti sono mancato?” chiese la voce rauca di Lucifero.
Ginevra sentì molteplici brividi assalirla.
“No…non tu! Non di nuovo!” gridò Ginevra nella sua mente. Non poteva farsi sentire proprio ora che tutto stava andando per il verso giusto; ora che per la prima volta si era sentita viva.
“Credevi che me ne fossi andato?” chiese Lucifero divertito. Ginevra non rispose, oppressa dalla forza dei suoi occhi rossi e sinistri. Allora il demone scoppiò in una risata sadica a divertita; che rimbombò nella mente della ragazza così velocemente e violentemente da farle venire il capogiro. “Sei solo una stupida bambina che crede che qualche bacio e una patetica amica bastino per sconfiggere tutto il male del mondo. Credevi forse che ti avrei lasciato il lusso di vivere felice? Beh, se lo pensavi ti sbagliavi. Ho solo contribuito ad allungare le tue illusioni, a lasciarti una piccola tregua per poi colpirti di nuovo quando saresti stata più vulnerabile.” La voce roca le fece girare la testa. Barcollò per qualche metro, gli occhi socchiusi per il forte dolore alla nuca. Si aggrappò alla corteccia dell’abete con foga, quasi quest’ultimo potesse aiutarla, oltre che a rialzarsi, a sconfiggerLo. Sentiva la corteccia penetrargli nelle unghie che rigavano come pugnali la corteccia dell’albero, lasciando segni simili a quelli del graffio di una tigre. Prima che si accasciasse al suolo sentì due mani freddissime cingerle la vita e riportarla in piedi.
Davanti a lei, vestito solo con dei pantaloni pelle neri, stava Karl. I suoi occhi grigi la trapassavano come proiettili infuocati, facendole aumentare le vertigini. Ma quando stava per ricadere a terra lui la sorresse; avvicinando il corpo di lei al suo.
Ginevra sentiva il contatto con Karl come violente scosse elettriche. Non erano quelle che provava con Stefano, erano diverse. Più ambigue, più profonde e oscure. E la cosa non le piaceva.
«K-Karl…che mi sta succedendo…» chiese in un momento di massima lucidità.
«Si sta solo avvicinando il tempo della tua ora, Ginevra.» le sussurrò Karl con un mezzo sorriso. Poi le mani del ragazzo presero a deformarsi, allungandosi e ritraendosi come distorte da una cortina di nebbia. I suoi occhi un tempo grigi si colorarono di sfumature rosse e violacee, che andarono a riempire tutte le iridi con la loro cromaticità opalescente. La sua bocca rosea si trasformò in un ghigno sadico, e i suoi capelli castani presero ad allungarsi a dismisura. Si stava trasformando. La forza del suo mutamento sbalzò Ginevra indietro, facendola cadere rovinosamente a terra. Violente raffiche di vento le facevano ondeggiare i capelli corvini come un turbinio di corvi impazziti. Le labbra le si seccarono e negli occhi si poteva intuire la vera paura, che si stava aprendo un varco nelle iridi della ragazza. Una sensazione di terrore le invase le membra, mentre prendeva a sbattere freneticamente i denti. Si sentiva come una foglia sbalzata dal vento, non più padrone di se stessa.
Cercò di rialzarsi, ma una frustata d’aria gelida la fece ricadere a terra.
Lacrime di dolore cominciarono a rigarle il viso; come aveva potuto fidarsi di Karl?
Il ragazzo, intanto, stava finendo la sua metamorfosi. Due corna ricurve e nere come la pece gli perforarono la nuca, spuntando maestose dalla massa sempre più violacea e lunga che stavano diventando i capelli del ragazzo. I suoi occhi ora erano un vortice impazzito, da dove Ginevra poteva scorgere il Male. Quello vero, quello che era sicura che non avrebbe mai incontrato prima della morte. Quello che per nemmeno un secondo aveva attribuito a Karl. Lui era sempre stato una sorta di svago, un modo per sfuggire ai problemi della sua quotidianità sempre più piena di intrighi ambigui e crudeli. Lui era il suo biglietto per un’altra realtà; quella fatta di sogni e aspettative sulla vita, che purtroppo non era coerente con la realtà vera.
La risata di Karl squarciò l’aria sempre più forte, e artigli acuminati gli comparvero su mani e piedi.
Nei suoi occhi un bagliore sadico e presuntuoso, di chi crede di avere già la vittoria in pugno. I suoi pettorali perfetti assunsero un colore rossastro, come stava via via assumendo il resto del corpo. L’unica cosa che Ginevra poteva ancora percepire di umano erano i pantaloni in pelle, che sembravano essersi adattati alla sua nuova forma. Alla sua vera forma.
Il demone la trafisse con gli occhi, avvicinandosi sempre più al corpo cadaverico di Ginevra. voleva aspettare di starle a pochi metri per mostrarle l’ultima parte della sua trasformazione.
Ginevra, con la poca forza che le restava, indietreggiò sull’erba  secca, che sembrava essere succube di fiamme invisibili ma letali che facevano scomparire ogni traccia di vita. la ragazza alzò gli occhi al cielo, vedendo nubi accumularsi con le loro sfumature opalescenti e coprire ogni fonte luce rimasta. Coprire anche l’ultima delle sue speranze di sopravvivere.
Karl avanzava beffardo verso il suo corpo quasi esanime, scrutando malizioso il suo corpo distrutto dal suo Potere demoniaco. Le si accovacciò accanto, le braccia pronte a scalfirle la pelle diafana.
Quando lei incrociò il suo sguardo fu come ricevere una pugnalata al cuore.
Lui, il ragazzo con cui aveva creduto di essere accettata, che la stava per aggredire. O ancore peggio. Uccidere.
«Cosa…cosa sei?» gli chiese in un soffio; le raffiche di vento che creavano come una barriera fra i loro corpi.
«Ci sono diversi modi per definirmi» disse lui facendo vibrare sensualmente la lingua nera. «Angelo nero, diavolo, angelo delle tenebre, spirito della morte.» si schiarì la voce disumana. «Ma quello che mi rappresenta veramente è solo uno» sorrise sadico, pensando al terrore che doveva provare la ragazza in quel momento.
Ginevra aprì la bocca, ma gli occhi maligni di lui gliela fecero richiudere all’istante.
«Demone.» quella parole fece breccia nella mente della ragazza come una lama affilata e incandescente. Qualcosa si risvegliò in lei; la consapevolezza che aveva sempre cercato di ignorare quella parola, di sminuirne il significato e di credere che la sua natura umana fosse scollegata con essa. Per troppo tempo aveva rinnegato se stessa, per troppo aveva finto di essere normale.
«Stefano…» quella parole uscì dalle sue labbra involontariamente; un suono troppo flebile persino per le orecchie acutissime del demone che aveva davanti. Sapeva che il ragazzo era strettamente collegato a tutta quella storia assurda, e aveva la certezza che non fosse l’unico. Micaela ed Edoardo le nascondevano qualcosa.
«M-ma…perché vuoi me?» chiese in tono febbrile, cerando di prendere tempo.
«Non fare la finta tonta, so che conosci cos’hai di speciale. So che sai chi hai dentro di te. Quindi non cercare di prendere tempo, piccola ragazzina. Tanto la tua fine è vicina.» scattò in piedi con un movimento rapidissimo, provocando uno spostamento d’aria che fece sbattere Ginevra sulla corteccia dell’abete. Due ali nere comparvero dalle sue scapole.
Ora si era trasformato completamente.
Ginevra gridò al cielo, la sua voce disperata riecheggiava come un ultimo lamento prima che la falce della morte le piombasse addosso. Karl la guardava divertito, assaporando quei momenti di assoluto terrore che finalmente poteva incutere senza problemi.
«P-perché?» un debole richiamo da parte di Ginevra lo fece rinvenire. Le piombò addosso velocissimo, gli artigli pronti a penetrarle la pelle pura e inviolata.
La accostò le labbra scarlatte all’orecchio, voleva che quelle parole la segnassero per sempre così da farle capire chi era veramente Stefano, il ragazzo dannato per cui aveva dato la vita ben più di una volta.
«Perché ti sei innamorata di un demone…»
Parole dure, aspre, vere. Perché la verità fa male, è come una sberla in pieno viso che ti ricorda di non sognare o di non farti fantasie inutili. La verità è unica, incombente. Dolorosa.
Le immagini di Karl e di Stefano si sovrapponevano nella mente di Ginevra, loro erano la stessa cosa.
Due creature dannate; in costante ricerca di potere e vittime da dissanguare. Lui era cattivo. Nulla poteva cambiarlo. Si sentì infinitamente stupida. Come aveva potuto credere nel loro amore? Come aveva potuto anche solo pensare di aver costruito qualcosa di reale e duraturo nella sua vita?
Lacrime di tristezza le sagnarono il viso già sconvolto, aumentando ulteriormente le brutte sensazione che dominavano il suo corpo. I suoi occhi neri le comparvero all’improvviso nella mente, riempendola completamente.
Sembravano spesse ragnatele nere, affusolate ed appiccicose,  tenevano in ostaggio una figura bianca. Aveva ali e becco stretti in quella ragnatela, che sembrava volergliele strappare. La figura emise un grido strozzato, cercando di dibattere ali. Ma non ci riuscì.
Ginevra realizzò solo allora che l’animale era una colomba, pura e indifesa. Una strana sensazione prese possesso del suo corpo, facendola tremare. Riuscì solo pochi minuti dopo a capire cos’era la sensazione: Paura. Lei aveva paura di Stefano. Era realtà che aveva sempre negato; che aveva relegato in fondo alla sua mente per non pensarci.
Lui era sbagliato per lei; e sentiva che in passato l’aveva fatta soffrire di un dolore che va oltre il pianto ed il tempo. Non sapeva chi era, da dove venisse, e come mai sapesse così tante cose di lei che anche lei stessa ignorava. Lui era l’ignoto, la paura, la linea netta fra libero e proibito. Lui era il male, proprio come le aveva detto Micaela.
«Ora capisci quale razza di persona è il tuo amato? Ora capisci cos’è la tua vita? capisci che sei avvolta dalla tua nascita da una continua menzogna? Il male fa parte di te, Ginevra.» le premette il dito indice sul cuore. Per un attimo Karl provò pietà verso di lei; verso la povera ed indifesa “Chiave degli angeli”; l’ipocrisia di quella stirpe celeste, che aveva relegato in un’anima innocente il Male, quello che da secoli loro stessi cercavano di annientare.
Il demone si eresse in piedi, scrutando la sua vittima dall’alto.
Era così bella…troppo pura per essere la dimora del suo padrone.
Si riscosse a quei pensieri troppo celesti per la sua stirpe, focalizzando il suo obbiettivo. La doveva uccidere.
Ginevra lo guardava implorante di pietà, le membra troppo stanche anche solo per muoversi minimamente.
Karl alzò il braccio destro al cielo, evocando tutto il suo Potere a raccolta. Fiamme cremisi e scarlatte presero ad avvolgerlo nelle loro brame iridescenti, facendolo sembrare ancor più disumano di ciò che già era.
«T-ti prego…» sussurrò Ginevra; il dolore della rivelazione che le cresceva velocemente nel petto.
Lui la guardò un’ultima volta. No; non poteva arrendersi proprio ora.
«Mi…» disse quasi commosso. «Mi dispiace…»
Un rombo assordante riempì l’aria. Onde sempre crescenti di fiamme riempirono il cielo, riversandosi sopra Ginevra come catene indistruttibili. La ragazza fu colpita dall’attacco, provando dolore dappertutto. Sentiva Lucifero scalciare per uscire, la sua potenza maligna che stava, dopo quattordici anni, riuscendo a liberarsi. Di nuovo. Come aveva già fatto altre volte; come avrebbe continuato a fare se non fosse stato abbastanza forte da sopravvivere anche fuori dal corpo di Ginevra.
La ragazza venne centrata da una catena fiammeggiante, che le trafisse il fianco e la sollevo al cielo. La sua esile figura fu scagliata violentemente a terra, dominata dalla catena che agiva come il filo di un burattinaio impazzito. Karl.
Il demone osservava la scena impassibile, chiedendosi se era proprio necessario provocare così tanto dolore per liberare il suo maestro.
Intanto la vita di Ginevra era sul lastrico. Anche un semplice soffio avrebbe potuto spezzare il flebile legame che aveva con la vita terrena. Luce e oscurità si intervallavano alla sua visuale, come emblemi delle due parti opposte che reclamavano la sua vita.
Un grido distrutto uscì dalle sue labbra, squarciando l’aria.
Dentro di sé aveva la consapevolezza che la sua vita stava per finire.
E, forse, non si sbagliava.





Hola! eccomi qui in perfetto orario, spero ne sarete felici! XD
Vi è piaicuto il capitolo? o è stato troppo violento e cruento?
Finalmente Ginevra cpaisc eche Stefano e KArl sono demoni. questo le impedirà di amare Stefano?
E Micaela e il professore? dove sn finiti?
Ginevra morirà? E Lucifero riuscirà a scappare dal suo corpo?
il prossimo capitolo nn so se lo posterò in orario, ma cercherò di farlo! questo era troppo lungo?
critiche costruttive sn ben accette, e vi avverto che amnca poco per la fine della storia.
vi invito a leggere due storie che credo siano fantastiche:
Angel.
 e l'ultima( che è mia)
§ Come Spuma Di Mare §
Bene, e ora che ho finito di fare pubblciità posso salutarvi.
ps. vi piace la nuova copertina?
 


 
 


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Capitolo 25
*** 23. Scontri per la vita. ***


A Veronica, che mi sopporta e che è sempre la prima a spronarmi.
Grazie di tutto.
Ti voglio bene.

 



XXIII
 

Il sangue colava copioso, seguendo la linea netta dei lineamenti di Ginevra. La ragazza era distesa a terra, gli occhi ormai privi di alcun segnale di vita e il corpo immobile coma una statua. L’unica cosa che si muoveva era il suo sangue, che non la smetteva di uscire dal grosso taglio che aveva impresso sulla fronte e sul fianco. Ma doveva proprio finire così? Era davvero giunto il momento della sua ora?
Nessuno lo sapeva, in quel momento anche Dio in persona non avrebbe potuto predirlo. Si sapeva solo che il destino non aveva ancora giocato la sua ultima carta, quella più potente.
L’imprevisto.
Due scie bianche si estesero nel cielo nero, riducendo la visuale di Karl solo a quel perenne e fastidioso bianco. Il demone alzò gli occhi al cielo, gli artigli pronti per una nuova battaglia. Ma sapeva che non l’avrebbe combattuta da solo, Lucifero si stava risvegliando, e sarebbe venuto in suo aiuto.
Due colombe bianche scesero di quota, trascinandosi dietro due scie candide, che sembravano essere frammenti del paradiso. Si appollaiarono su un abete, scrutando la scena dall’altro dei suoi rami imponenti. Il demone ricambiava il loro sguardo, gli occhi vuoti che cercavano di inghiottire quei due esseri celestiali.
«Dunque eccoci qui, angeli. Come pensate di sconfiggermi ora che la vostra chiave sta morendo?» li derise soffocando una risata preoccupata. Sapeva benissimo che Ginevra non era ancora morta, e conosceva già le doti curative di uno dei due angeli.
Le due colombe si scambiarono uno sguardo d’intesa e aprirono le ali candide. Scesero impicciata, i becchi che si facevano più aguzzi mano a mano che si avvicinavano a Karl. Lui restò immobile, sicuro che sarebbe stato in grado di sconfiggere quei patetici angeli senza fare nessuno sforzo.
Protese la mani verso di loro, mentre una coltre informe di fiamme prendeva ad avvolgerlo. Le colombe non arrestarono il loro volo, continuando a mirare al viso deturpato del demone. Una di loro si scansò pochi secondi prima dell’impatto, volando verso il corpo quasi senza vita di Ginevra. l’altra proseguì senza problemi, aumentando notevolmente la lunghezza del becco, che ora era diventato pungo più di un metro e risplendeva di una luce innaturale. Superò le fiamme che avvolgevano Karl, penetrando nel suo petto e trafiggendolo da parte a parte. Il demone gridò d’ira al cielo, aumentando l’intensità delle fiamme che costrinsero la colomba a uscire dal fascio di fuoco che lo avvolgeva. L’uccello si librò alto nel cielo, alcune ustione cominciavano a comparirgli sulle piume candide.
Il suo becco tornò alla lunghezza naturale, e i suoi arti cominciarono ad allungarsi. Le zampe esili diventarono muscolose; il becco lasciò posto ad un viso bellissimo e le ali si ridussero a diventare due braccia forti e muscolose. Folti capelli ricci comparvero sul capo dell’uomo, e gli occhi neri della colomba lasciarono posto a due magnetici verde-acqua. Edoardo precipitò, non aveva più la ali a sorreggerlo. Atterrò piegando notevolmente le gambe, i muscoli che sembravano dover scoppiare dallo sforzo di reggersi in piedi dopo una simile caduta.
Si alzò in piedi osservando dai folti ricci che gli ricadevano sugli occhi il demone che aveva davanti.
Alto, capelli viola lunghi, pelle rossastra, corna ricurve e ali da corvo.
«E così ci rincontriamo, Karl. Non credevo di rivederti dopo ciò che hai fatto a uno dei miei.» disse Edoardo tagliente, le ali pronte a perforargli le costole.
«Beh, mai dire mai, come affermano gli umani.» sibilò Karl indietreggiando. I muscoli gli fremevano dalla voglia di spaccare l’angelico e perfetto volto dell’avversario.
«Vedo che anche questa volta non siete riusciti ad impedire la morte della ragazza; che umiliazione deve essere per voi.» la lingua scarlatta del demone si muoveva fra i suoi denti come una frusta imbizzarrita.
«Ma questa volta è diverso. Lui è in grado di resistere anche fuori dal suo corpo. Lui sarà, anzi, è, libero.» le sue parole fecero breccia nelle mente di Edoardo come artigli laceranti.
Non c’erano parole che potesse dire, gesti che potesse fare per cancellare ciò che Karl aveva detto. Lui sapeva che era la verità, anche se era uscita dalla bocca del più infido degli esseri. E doveva agire di conseguenza.
«Micaela!» gridò, in attesa che l’altro angelo si manifestasse alle sue spalle.
La ragazza smise di fermare l’emorragia di Ginevra e si precipitò in un lampo accanto al suo superiore.
Edoardo accostò le sue labbra al suo orecchio, era pronta a eseguire ogni suo ordine.
«Tu devi distrarre il demone, penso io a Ginevra.» le sussurrò, la mano destra a schermare le loro parole dalle orecchie indiscrete di Karl.
Micaela non fece domande, affondando le unghie limate nella carne per far appello a tutta la sua forza.
«Qualsiasi cosa vi siate detti non può fermare ciò che sta per accadere.» Karl fece cenno ai due angeli di guardare verso Ginevra. Il suo corpo si stava muovendo guidato da spasmi regolari, e sul corpo le comparivano e le disapparavano migliaia di graffi. Lui stava uscendo.
Con un gesto rapido Edoardo si precipitò su Ginevra, le ali che spuntavano imponenti dalla sua schiena nuda.
Micaela guardò Karl in volto tirando fuori tutto il ribrezzo che aveva in corpo. L’avrebbe ucciso per la sua stirpe, per l’Onnipotente, per Ginevra. Perché era per lei che aveva sacrificato la sua libertà, entrando a far parte di quella missione interminabile. Era per lei che aveva pianto lacrime celesti ad ogni sua morte, mostrandosi debole con un’umana. Era per lei che avrebbe ucciso Karl, perché era Ginevra era la sua migliore amica, e non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via. Non un’altra volta.
Sfoderò le ali in un turbinio di piume candide che andarono ad appannare la visuale di Karl come una fitta cortina di nebbia. Il demone non distingueva più nulla, ogni cosa era annientata dal bianco delle piume di Micaela. «Vuoi giocare a nascondino? Beh, giochiamo!» la sua lingua si allungò a dismisura e uscì dalla sua bocca come una frusta. Si scagliò con violenza dappertutto, cercando di colpire Micaela che evitava ogni attacco con precisione e disinvoltura.
Karl, dopo vari tentativi vani, perse le staffe. Fiamme sempre crescenti si estesero per il giardino pubblico, colpendo in pieno Micaela. La ragazza crollò a terra, le ali che venivano corrose dal fuoco cremisi.
Levò un gridò di dolore al cielo, mentre la cortina di nebbia si dissolveva a causa del colpo che aveva subito.
Intanto Edoardo cercava di estendere incantesimi sul corpo esanime di Ginevra, ma tutto risultava nullo. Sembrava che la forza sempre crescente di Lucifero riuscisse a contrastare i suoi poteri angelici. Imprecò contro il cielo e riprese a estendere incantesimi per fermare l’avanzata di Lucifero.
«Obturaverunt»continuava a ripetere premendo con forza sul petto di Ginevra. non voleva che morisse, non dopo la rivelazione che Karl gli aveva fatto. Quella volta sarebbe morta, per sempre. Niente più nuove vite dove potersi reincarnare, niente più nuove coperture da dover rispettare per avvicinarsi a lei. Niente. Non c’era più niente a cui potersi aggrappare per cambiare il destino.
“E allora per cosa sto lottando?” si chiese Edoardo mentre rilasciava un ultimo incantesimo. Sentì la forza di Lucifero diminuire a poco a poco per poi aumentare dismisura. Entro pochi istanti si ritrovò davanti il diavolo in persona che lo trafiggeva con le sue iridi rosso sangue. Si era elevato dal taglio sulla fronte di Ginevra, ed ora guardava Edoardo a braccia conserte.
«Sei davvero patetico, Edoardo. Credevo che avessi un po’ più di forza rispetto alla vita precedente.» Lucifero lo centrò con un pugno in pieno viso e l’angelo fu scagliato all’indietro. Atterrò addosso a Micaela, entrambi si accasciarono a terra oppressi da un attacco improvviso di Karl che li schiacciò sotto il peso di un macigno di fiamme scarlatte.
Lucifero guardava i due angeli divertito, finalmente dopo quattordici anni poteva di nuovo respirare l’aria fin troppo pulita della terra. Il corpo di quella ragazzina si era fatto troppo piccolo per i suoi gusti, aveva già esplorato milioni di volte la sua mente per trovare le identiche informazioni.
«Benvenuto, mio signore.» Karl sprofondò in un inchino, gli occhi fissi sull’erba bruciata.
«Che piacere vederti, Karl.» disse Lucifero sgranchendosi gli arti. I suoi occhi di giada luccicavano nel cupo grigiore che avvolgeva la città, ed i suoi capelli biondi sembravano quelli di un tipico angelo se non fosse per l’espressione maliziosa che animava il suo viso.
Si guardò in giro, perplesso.
«Ma dov’è Stefano?» chiese mentre guardava con disprezzo i due angeli che si erano da poco rimessi in piedi. I due, recuperate le forze, sfoderarono le ali e gli si gettarono addosso.
Lui mosse il dito indice all’insù; due frecce infuocate apparvero ai lati del suo corpo.  
«Per voi, miei angioletti.» le due frecce fendettero l’aria in direzione di Micaela ed Edoardo.
Micaela prese le sembianze di una colomba e si scansò dalla freccia, ma Edoardo non fu abbastanza rapido. La freccia gli trafisse la spalla destra ed un urlo uscì dalla sua bocca. Micaela, che volava nel cielo, guardava il suo superiore con la paura impressa negli occhi da uccello. Tutto si stava ripetendo, e doveva impedirlo.
«E d’ora, Karl, esigo sapere dove si trova Stefano. Lui è l’unico che può spezzare l’incantesimo che mi tiene ancorato al corpo della ragazzina.» guardò il corpo quasi senza vita di Ginevra con disprezzo. Finché sarebbe stato ancorato a lei da quell’incantesimo avrebbe condiviso con lei tutto, persino la vita.
«Sire, Stefano è un traditore…e…» biascicò Karl scrutando Micaela e pronto a respingere ogni suo attacco.
«Non mi importa se è un traditore! Io voglio sapere dov’è! Altrimenti non posso lasciare il corpo di questa ragazzina!» gridò furioso Lucifero, gli occhi verdi che si coloravano di viola scuro.
«Io…ehm…non so dove sia» Karl era terrorizzato; il dettaglio della rottura dell’incantesimo da parte di Stefano era sfuggito al suo piano per metterlo in cattiva luce.
Il viso di Lucifero prese a deformarsi per la rabbia.
«Ma sono qui.» la voce di Stefano ruppe la tensione che si era creata. Era appeso al forte ramo di un abete. con una leggiadra acrobazia scese dall’albero e atterrò a pochi metri dal suo maestro.
«Signore, eccomi qui.» si inchinò al suo cospetto.
Lucifero sorrise compiaciuto.
«Bene, mio fedele generale. Ora spezza l’incantesimo.» ordinò il demone in tono solenne.
«No.» sussurrò Stefano in un soffio. Sapeva bene le conseguenze che quella parola avrebbe portato, conosceva quale sarebbe stata la sua punizione per quelle due semplici lettere.
Lucifero esplose in una risata isterica.
«Come sarebbe a dire ‘no’?» chiese.
Stefano rifletté qualche istante. Sì, valeva la pena di andare fino in fondo.
Alzò piano il capo incrociando lo sguardo di Lucifero.
«Perché io mi sono innamorato di lei.» disse tutto d’un fiato. Sentì come se un macigno gli fosse stato tolto dal cuore. Si sentì rinato. Ora l’aveva detto, aveva finalmente esternato ciò che realmente provava per lei.
Micaela, dall’alto del cielo, udì ciò che aveva detto. Aveva finalmente la conferma dei suoi sospetti, ora sapeva che quella volta lui li avrebbe aiutati senza inganni. Sapeva che l’amore prima o poi sarebbe sbocciato nel suo cuore, anche se si trattava di un demone. Perché ogni volta lei si innamorava di lui, ma Stefano era sempre distante; vincolato dalla missione che doveva compiere. Prima aveva paura di ammetterlo davanti al suo padrone, ma quella volta l’amore che provava per Ginevra era riuscito a vincere ogni timore.
Lucifero aggrottò la fronte del volto bellissimo.
«Non diciamo sciocchezze, Stefano. Un demone non può innamorarsi di una stupida umana.»
«Non chiamatela così, mio signore.» rispose freddo.
«Mi stai dicendo forse che ti schieri dalla loro parte?» chiese il Re dei demoni stizzito.
«Esatto.» Stefano riemerse dall’inchino in cui era sprofondato, sostenendo lo sguardo disumano del suo signore. Si sentiva potente, finalmente in possesso delle proprie emozioni senza nessun vincolo. Era finalmente libero.
Lucifero puntò il dito indice contro Stefano, i nervi a fior della sua pelle abbronzata.
«Tu! Lurido traditore, come osi voltarmi le spalle?!» la mascella del demone era contratta, il dito indice che si contorceva come un serpente in preda agli spasmi. «Ora reciderai l’incantesimo che mi tiene legato alla ragazza, altrimenti potrai dire addio alla tua vita!» rivolse uno sguardo d’intesa verso Karl, che ricambiò con il cenno del capo.
Stefano tacque, i nervi tesi, pronti a combattere. Micaela lo scrutava dall’alto, pregando perché andasse in fondo alla sua decisione.
Il professore si contorceva in balia del dolore che la freccia conficcata nella sua spalla gli provocava. Il suo corpo, steso a terra, sembrava dominato da un’energia invisibile che lo faceva muovere come in trance. Cercò di mantenere lucidità, non poteva abbandonare Micaela proprio in quel momento. Si issò a fatica in piedi, violenti capogiri che minacciavano di farlo cadere rovinosamente a terra.
«Prendo il tuo silenzio come un ‘no’. Ma ricorda che pagherai, mio generale. Foza Karl, uccidilo.» ordinò al suo soldato. Lucifero sapeva che finché fosse stato collegato con la ragazza non avrebbe potuto combattere al pieno delle sue forze, dunque Karl si rivelava una pedina conveniente.
Il demone si alzò in piedi allungando a dismisura le ali nerissime. «Come volete, signore.» molteplici sfere infuocate squarciarono l’aria in tutte le direzioni. Stefano riuscì ad evitarne qualcuna, ma la violenza con cui Karl gliele scagliava addosso non gli lasciava scampo.
Micaela, accortasi del risveglio di Edoardo, planò velocissima verso il suo superiore. Gli si schierò a fianco, sorreggendolo. Rivoli di sangue azzurro colavano dalla sua spalla, mischiandosi con quello lievemente più scuro che usciva dalla ali di lei.
«Si faccia forza, maestro.» gli sussurrò mentre creava una barriera angelica tutt’attorno a loro.
Lui la guardò in viso, negli occhi l’ombra di una forte delusione. «Se non dovessimo farcela sappi che…» lei gli mise un dito sulle labbra rosee. «Ce la faremo, glielo prometto.» la ragazza estese la barriere candida che andò ad avvolgere anche Stefano. I due si scambiarono un’occhiata d’intesa. Il demone corse verso di lei a velocità sovrumana, arrivando al suo fianco pochi secondi dopo.
«M-ma cosa…?» chiese incerto il professore.
«Si fidi di noi, maestro.» gli rispose lei con un sorriso tirato. «Questa volta è dalla nostra parte»
Stefano la guardò in volto, la paura della morte di Ginevra che condizionava gli occhi di entrambi.
«Dobbiamo rafforzare l’incantesimo che tiene legato Lucifero a Ginevra per farlo rientrare nel suo corpo. Ma come…?» Stefano si passò nervosamente una mano nei capelli scurissimi. Micaela restò qualche istante pensierosa, la fronte aggrottata in cerca di una soluzione.
«Io e Micaela siamo in grado di farcela.» il professore ruppe il silenzio che si era creato. Il demone e  l’angelo lo guardarono perplessi. «Quando gli angeli hanno relegato Lucifero dentro di lei le hanno imposto un incantesimo, e solo gli eredi di quegli angeli sono in grado di rafforzarlo.» l’uomo guardò Micaela. «Noi siamo gli eredi di quegli angeli, Micaela.» le strinse la mano e la ragazza intravide in lui una figura paterna che per secoli non gli aveva attribuito.
«State dicendo che possiamo ancora imprigionare Lucifero nel suo corpo?» chiese Stefano con un’ombra di speranza negli occhi d’oscurità.
Poteva ancora farcela, ne era sicuro. L’amore andava oltre la morte.
«Sì. Ma dobbiamo arrivare al corpo di Ginevra, e non credo che il tuo amico ci renda il gioco più facile.» disse il professore indicando la figura di Karl che lanciava  senza sosta sfere di fuoco cremisi verso la barriera che li avvolgeva che si stava poco a poco crepando dai continui impatti.
«Basterà mettere fuori gioco Karl, dunque.» constatò Micaela cercando di rafforzare la barriera.
«Esatto, ma come faremo con il mio padrone?» chiese Edoardo. Non gli piaceva fare il guastafeste, ma in quel momento ce n’era un assoluto bisogno. Il loro piano doveva essere perfetto, nulla doveva essere lasciato al caso.
«A lui penserò io.» una voce alle loro spalle li fece sobbalzare. Il demone e i due angeli si girarono all’unisono, vedendo la figura di una donna avanzare verso di loro.
«Rebecca…ma cosa ci fai qui?»



Wow, sn riuscito a postare in teeempo!!!!!! sn orgoglioso di me stesso XD
allora, che ne dite?? come è benuto il capitolo? sn riuscito a descrivere bene il piano di Micaela, Stefano ed Edoardo? e riguardo il colpo di scena finale??
Spero di avvervi stupito con i combattimenti, ci ho messo molto a renderli dettagliati.
Ci sn riuscito?? E riguardo i dialoghi? sn troppo banali?? io ho sempre questa paura XD.
qs è il penultimo capitolo, il prossimo sarà l'ultimo e in seguito arriverà l'epilogo.
mi viene da piangere a qs pensiero :'-(
grazei a tutti qyuelli che seguono, mi avete guidato nell'avventura che è stato scrivere qs "libro".
spero di nn aver deluso le vostre aspettative.
il prossimo capitolo lo posto il 22, cioè venerdì. (l'ho già scritto)
baci
F99

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Capitolo 26
*** 24. Per Ginevra! ***


A Giulia, 
i nostri pomeriggi passati a dire cavolate e ascoltare canzoni trasgressive rimarranno
nel mio cuore .
Per sempre
.


 AXXIV
 

«Sono o non sono un membro dell’Ordine della colomba?» chiese l’anziana arrestando la sua camminata.
«Ordine della colomba?» chiese Stefano perplesso. Era la prima volta che entrava a far parte in una coalizione con gli angeli, e non sapeva come la loro società fosse organizzata.
Rebecca gli rivolse uno sguardo truce, cosa ci fave a lui lì? e come osava rivolgerle la parola?
Edoardo, vedendo l’espressione perplessa sul viso della donna, decise di chiarire ogni cosa. «Lui sta con noi.» spiegò. Stefano cercò la mano dell’anziana, doveva farle capire le sue intenzioni. Rebecca si ritrasse, come osava lui  anche solo sfiorarla? Lui, che aveva cercato di uccidere sua nipote; lui, lo sporco demone  dal quale suo marito l’aveva sempre messa in guardia.
«Io amo Ginevra, e sono pronto a rischiare la vita per lei.» disse Stefano cercando gli occhi di Rebecca. La donna sostenne il suo sguardo, pronta a cercare ogni traccia di menzogna nella sua voce. Ma non ce n’era nemmeno l’ombra. Lui era sincero, e la cosa le diede preoccupazione e sollievo allo stesso tempo. pensò a cosa il marito avrebbe fatto se fosse stato ancora in vita, ma la scelta spettava solo a lei.
“Segui il tuo istinto, Rebecca. Non ti ha mai tradita” le disse una voce fin troppo familiare. La donna sobbalzò, era la voce di Pietro. Decise di dargli ascolto, dopotutto lui la conosceva meglio di sé stessa.
«Ti darò una possibilità per riscattarti, demone. Se tradirai la mia fiducia considerati morto.» disse aspra. Non le andava di allearsi con lui, ma sapeva che non avevano scelta.
«Grazie, signora.» Stefano abbassò lo sguardo in segni di rispetto. «Ma potete cortesemente rispondere alla mia domanda? Cos’è l’Ordine della colomba?» chiese, cercando di non far trasparire la sua frustrazione. Era teso come una corda di violino, e non gli andava di perdere tempo inutilmente.
Fu Micaela a rispondergli. «E’ una comunità di persone che conoscono l’esistenza degli angeli e cercano di aiutarli nelle loro missioni. Rebecca era moglie di un arcangelo, ed è al corrente di tutto.». sui quattro piombò un silenzio tombale che non piacque per niente a Stefano. Si schiarì la voce, innervosito. «Bene, ma ora basta parlare! La vita di Ginevra è in pericolo!». Rebecca si costrinse a dargli ragione.
«Il demone…ehm…» disse Rebecca imbarazzata cercando di ricordare il suo nome.
«Stefano.» la interruppe lui. Lei lo guardò con un mezzo sorriso e poi riprese a parlare.
«Stefano ha ragione, dobbiamo agire in fretta. Appena Micaela dissolverà la barriera voi due» disse indicando i due angeli «andrete al corpo di Ginevra e rafforzerete l’incantesimo. Il dem..ehm...Stefano» Rebecca faceva fatica a  chiamarlo con il suo nome «…fermerà Karl ed io Lucifero.».
Non appena la donna ebbe finito di parlare i quattro si guardarono intensamente. sapevano che rischiavano la vita, che probabilmente non sarebbero tornati, ma la consapevolezza che il loro sacrificio sarebbe servito ad un bene maggiore annientava ogni timore. Erano accomunati da un obbiettivo comune, che legava le loro vite come un filamento sottile chiamato destino.
«Per Ginevra!» gridò Stefano e Rebecca, Micaela ed Edoardo capirono che era il momento. La ragazza dissolse la barriera e le sfere di Karl li colpirono in pieno. Una forte cortina di fumo grigio si elevò sui quattro, segno che le sfere di fuoco avevano centrato il bersaglio. La risata di Karl e del suo padrone si mischiavano come in una tetra filastrocca demoniaca che sovrastavano il rumore delle fiamme ardenti.
«Credete davvero di riuscire a salvarla? Beh, vi sbagliate.» la voce di Lucifero risuonò nella spessa cortina di fumo, arrivando dirompente alle orecchie delle vittime.
Tre ombre si levarono nel cielo, ed una quarta oltrepassò lo schermo di fumo in direzione di Lucifero. Karl, non appena Rebecca fece la sua comparsa dal vapore, le scagliò addosso una vampata di fiamme. La donna la evitò con una leggiadra acrobazia, scansandosi appena prima dell’impatto. Corse rapida verso Karl nonostante l’età. Protetta da una magica aura celeste che veniva proiettata da due colombe ferme nel cielo.
La donna passò a fianco a Karl, i nervi a fior di pelle per la sforzo immane che correre così velocemente le procurava. Anche se era avvolta dal fascio angelico di Micaela ed Edoardo la fatica rimaneva, e l’anziana sentiva le membra pulsarle ad ogni passo. Ma aveva un obbiettivo, doveva fermare Lucifero a tutti i costi.
Sentì qualcosa strattonarle il braccio destro e sentì un dolore lancinante avvolgerla. Si girò di scatto mordendosi la lingua per non urlare dal dolore.
 L’artiglio acuminato di Karl le si era conficcato nel braccio destro, e continui rivoli di sangue le scendevano dal taglio. Per fortuna era poco profondo e lo scudo che Micaela ed Edoardo le avevano proiettato addosso aveva attutito di molto l’impatto. Se non ci fosse stato lo scudo l’artiglio di Karl le avrebbe staccato l’intero braccio.
Si riscosse a quel pensiero e riservò al demone uno sguardo truce. Cercò di scappare dalla sua presa ma l’odio che animava la presa di Karl sovrastava le forze di Rebecca. Stefano, vedendo la donna in difficoltà, planò velocemente verso terra allungando le sue ali scurissime. sferrò un forte pugno sulla schiena a Karl, che era troppo occupato a torcere il braccio di Rebecca per accorgersi della sua presenza.
Il demone, colto di sorpresa, cedette alla forza di Stefano e cadde a terra. Così Rebecca, fulminea, riprese a correre verso il suo obbiettivo. Verso colui che aveva dato inizio a quella lotta, a quello stupido spargimenti di sangue che era servito solo a rovinare la vita di una quindicenne innocente.
Lucifero l’accolse con un sorriso malizioso, gli occhi di giada più penetranti di lame affilatissime. Rebecca fermò la sua corsa davanti a lui, le mani che le formicolavano da quanto aveva voglia di togliergli quel sorriso da volto. «Che piacere averla qui, Rebecca.» il demone finse un inchino. Lei sputò a terra, simbolo di ciò che realmente pensava di lui.
«Vorrei poter dire la stessa cosa, demone.» Rebecca lo guardò torva, il viso anziano che cercava di non tradire la sua agitazione.
«A cosa devo la vostra visita?» scherzò Lucifero portandosi in posizione s’attacco.
«A mio marito.» Rebecca estrasse dalla tasca del cardigan una croce argentata, rubini e zaffiri incastonati lungo il perimetro spigoloso. Era la stessa che aveva Edoardo, simbolo della loro appartenenza all’Ordine della colomba. La puntò agguerrita contro il demone, cercando di incanalare tutto l’odio che provava per lui in quell’oggetto apparentemente insignificante, ma letale come gli occhi ammalianti del demone che aveva davanti.
«Sarò pronta a farti ciò che Pietro non è vissuto abbastanza da fare!» gridò lanciandosi contro Lucifero.
***
La ragazza correva per la collina, le vesti troppo lunghe ed eleganti per la situazione dove si trovava. Il terrore animava il suo viso ed il suo corpo si muoveva come in una danza disperata. Correva per la vita, l’odore acre delle fiamme che penetrava nelle sue narici facendole aggrottare la fronte candida. Dietro di lei una castello in fiamme, la torri avvolte da potenti lingue di fuoco e urla disperate che uscivano dalle finestre.
Ginevra scappava da ciò che c’era in quel castello, dal suo destino. Da Lui. Il ragazzo più bello che avesse mai visto in tutta la sua vita, l’unico così dannatamente seducente che l’aveva fatta cadere ai suoi piedi solo con uno sguardo. l’unico che dietro quegli occhi più neri della notte racchiudesse il segreto più oscuro del mondo. La sua morte. Perché Ginevra doveva morire per mano sua; per mano del suo primo amore. La lacrime le rugarono il viso, mentre i suoi piedi incontravano una buca ed il suo corpo precipitava giù per la collina. Un dolore lancinante l’attanagliò, le membra che bruciavano come ci fosse un incendio, oltre che al castello della sua famiglia, nella sua pelle. Perché possedeva lui, Lucifero, la condanna che aveva decretato la sua morte da secoli. La rovina della sua intera esistenza. E Ginevra, nei suoi quindici anni, non capiva perché anche Lui doveva essere implicato con tutto ciò. Non capiva perché ogni quattordici anni lui tornava per sedurla, per annientare tutte le barriere che lo separavano dal suo padrone. Lui tornava per perseguitarla con il suo amore dannato, che troppe volte aveva creduto vero e duraturo. Ma dopo il loro primo bacio succedeva sempre qualcosa, chiamato omicidio. Chiamato Male.
Si portò le ginocchia al petto, la gonna celeste che la avvolgeva come a formare sul suo corpo un bozzolo protettivo. E pianse finché anche l’ultima lacrima non fosse assorbita dal terreno.
La notte aveva ormai preso il sopravvento sul giorno, e l’unica fonte di luce oltre alla luna erano le fiamme che bruciavano il castello da cui era scappata.
Sentì un brivido correrle lungo la schiena e  dei rumori alle sue spalle. perché non aveva dato retta a Micaela? Perché non aveva ascoltato la voce della verità? Per un semplice motivo. Credeva che quella volta fosse diverso; ci sarebbe potuto essere un loro. Perché non poteva resistere a Stefano, e mai avrebbe potuto farlo. Sentì una mano cingerle la vita e il suo respiro caldo sul collo. Era arrivato a prenderla.
La mani del ragazzo la eressero in piedi e prima che Ginevra potesse opporre resistenza i loro occhi si incontrarono e la passione prese il sopravvento sui loro corpi. Stefano la attrasse a sé, i loro corpi combaciavano come tasselli di un puzzle più antico del tempo stesso. Ginevra era fredda, non voleva fargli capire che anche lei desiderava baciarlo, altrimenti gliel’avrebbe data vinta. Non voleva più cadere nel gioco di potere e amore di cui era stata vittima troppe volte.
Lo spintonò via, cercando di frapporre più spazio possibile fra i loro corpi. Ma la stretta di Stefano non le lasciava scampo, come i suoi occhi più profondi del buio che avvolgeva il cielo e la vita di Ginevra prima che arrivasse.  Lui le avvicinò la bocca al lobo dell’orecchio, brividi di piacere fecero riscuotere Ginevra.
«So che lo vuoi anche tu…so che mi vuoi.» a quelle parole tutto l’autocontrollo che Ginevra si era imposta svanì come polvere nel vento. Gli affondò le mani nei capelli e lo attirò a sé in un istante di passione. Le loro labbra si incontrarono in un’esplosione di passione e desiderio sfrenato che vincolava i loro corpi come catene indistruttibili. Le loro lingue si toccarono e un fremito fece sussultare entrambi. In quel momento Ginevra capì che il suo amore per Stefano andava oltre la dannazione che avvolgeva la sua vita fin dalla sua nascita. Andava oltre la morte che fra pochi attimi l’attendeva. Andava oltre tutto e tutti, persino oltre il destino.
Gli attorcigliò le gambe al petto, cercando di avere più parti del suo corpo contro il proprio. Lo desiderava ardentemente, più di quanto avesse immaginato. E, per un attimo, la paura della sua imminente morte svanì. E, in quell’attimo, il corpo di Ginevra ebbe un sussulto ed i suoi occhi si riaprirono con la consapevolezza che Stefano l’amava veramente.
***
Stefano solcava il cielo a velocità impressionante, la sagoma opprimente di Karl che lo seguiva ormai da mezz’ora nel firmamento scuro.
Doveva riuscire a seminarlo, a prendere tempo perché Micaela ed Edoardo riuscissero a rafforzare l’incantesimo che teneva Lucifero vincolato a Ginevra. Già, Ginevra, la sua stella condottiera che sapeva rischiarargli la via anche in una notte buia  e tenebrosa. Il centro della sua vita, o meglio, delle sue vite. Lei era la creatura più pura che avesse mai visto, l’unica che era andata oltre l’oscurità che popolava i suoi occhi.
Karl gli si materializzò davanti, gli occhi appesantiti dalla fatica di quel lungo volo.
«Fine della corsa, traditore innamorato.» gli sorrise beffardo puntandogli il dito indice addosso. Stefano gli si lanciò contro in un impeto di rabbia, e Karl fu colto di sorpresa. Stefano gli assestò un forte pungo allo stomaco, sentendo il rumore agghiacciante delle costole di Karl che si fratturavano sotto la forza del suo pugno. Il demone sputò sangue avvolse la mani sul collo di Stefano. Strinse più forte che poté, animato dall’odio che per secoli gli aveva corroso l’animo dannato. La visuale di Stefano cominciò ad annebbiarsi, la stretta di Karl era quasi più potente della sua. Cercò di divincolarsi, ma l’altro non glielo permise e aumentò l’intensità della sua stretta. Stefano allora aprì la bocca, rivoli di sangue che uscivano dalle sue labbra un tempo rosee ed ora screpolate e corrose. Una lingua di fuoco uscì dalla bocca del demone innamorato e andò ad attorcigliarsi sul corpo di Karl. Il demone, colto di sorpresa, allentò la presa su Stefano che lo sfruttò a suo vantaggio sferrando un forte calcio sulla mascella di Karl e spezzando la presa che il demone aveva sulla sua gola. I due si guardarono per qualche istante, l’odio che cresceva ogni minuto di più.
«Tanto sai come andrà a finire.» lo provocò Karl. « lei morirà e anche tu; quindi perché non arrendersi ora invece di prolungare questa tua stupida speranza?» la sua voce tagliente risuonò nelle orecchie di Stefano come il sussurro del vero male. rifletté qualche secondo, ma le parole che Karl aveva detto erano vere. Come potevano vincere avendo contro il diavolo stesso?
Ma decise di ignorare tutto ciò, sapeva che Karl voleva solo indebolirlo, e non gli avrebbe dato corda. Così gli alzò il dito medio e gli si scagliò contro tirando fuori tutto l’odio che aveva.
I due precipitarono nel vuoto.
***
La croce di Rebecca emanava raggi di luce opalescenti che rischiaravano il completo nero che avvolgeva quella battaglia violenta e sanguinosa. La donna la puntava al collo di Lucifero che era steso a terra, disarmato dal peso del suo piede sopra il suo petto muscoloso.
«Cosa credi di fare, vecchia?» le chiese tagliente Lucifero, gli occhi di giada in quelli sbiaditi di Rebecca.
La donna avvicinò il suo viso a quello del diavolo e in un soffio gli sussurrò :«Eliminare dalla faccia della terra la tua feccia da demone e ridare a mia nipote la vita che si merita.» calò la croce sul viso di Lucifero con un gesto rapidissimo, ma il diavolo non si fece cogliere impreparato. Un vortice di fiamme nere si levò sui loro corpi e li circondò in un abbraccio mortale. I capelli di Rebecca volteggiavano a causa del forte vento che il vortice creava, e la sua espressione era calma e pacata. Sapeva che Lucifero non era appieno delle sue forze, altrimenti l’avrebbe giù uccisa da molto tempo. E sapeva anche che Edoardo e Micaela stavano per finire di rafforzare l’incantesimo sul corpo di Ginevra, dunque doveva resistere solo per poco. La calma e la pazienza erano le sue virtù, e non le avrebbe abbandonate nemmeno in punto di morte.
Lucifero si liberò dal peso del suo piede e si eresse in piedi al centro del vortice. Una risata disumana uscì dalla sua bocca perfetta e si espanse velocemente.
«Davvero pensavi di aver vinto?» ridacchiò mettendosi le mani sui fianchi. Lei lo guardò con fermezza cercando nel suo animo la risposta. Voleva rispondere sinceramente, senza usare la menzogna come facevano gli sporchi demoni come lui.
«No.» sussurrò. «io non ho vinto» aggiunse emozionata sentendo la forza di Pietro che animava le sue labbra. «ma l’amore di Stefano e Ginevra sì.» Lucifero rimase spiazzato da quelle parole così sincere e reali alo stesso tempo. il suo sguardo si spense per un attimo e la consapevolezza della sua sconfitta cominciò a invadergli la bocca con un sapore amaro. Diede uno sguardo verso il corpo della sua vittima, e vide i due angeli imprimergli addosso incantesimi di rafforzamento. Aggrottò la fronte e gli occhi verdi si colorarono di riflessi neri come il petrolio e la sua anima, se ne aveva ancora una.
«Come vedi Micaela ed Edoardo hanno quasi finito di accrescere l’incantesimo che ti tiene legato a mia nipote. Non manca molto perché la tua essenza venga risucchiata nel suo corpo.» la voce di Rebecca arrivò alle sue orecchie come la voce della verità, quella che non si può cambiare nemmeno con tutto il Potere del mondo. Si voltò e la penetrò con le sue iridi sempre più nere. «Sta zitta, vecchia!» ringhiò, la sua lingua che schioccava mossa dalla rabbia che lo erodeva dentro.
Rebecca lo guardò pietosa. «Povero, piccolo demone. Brucia la verità?» chiese alzando un sopracciglio. Tempi un secondo che la furia di Lucifero la travolse. Il demone le si gettò addosso. I due rotolarono al limite del vortice di fuoco, pochi centimetri a dividerli dal muro di fiamme nere che delimitava il tornado. Lucifero era sopra Rebecca, nel viso la solita espressione maliziosa. La sovrastava imponente, cercando di schiacciarla, oltre che sotto al suo peso, con il terrore che trasmetteva alla gente con ogni suo sguardo. ma la donna non si fece incantare, aveva fatto troppi allenamenti con Pietro per poter cedere ad semplice sguardo demoniaco.
Gli afferrò i polsi e cercò di rotolare sopra di lui, ma Lucifero era troppo pesante perché riuscisse  farlo.
Lui le avvicinò la lingua dio catrame al viso, leccandole le guance pallide e screpolate. «Qualcuno morirà, e non sarò certo io.» le sussurrò. Poi il vortice di fiamme diminuì la sua circonferenza fino a toccare il viso di Rebecca. La donna fu travolta dalle fiamme.
***
Stefano e Karl precipitavano come due meteoriti verso terra. Mancava poco all’impatto, che sarebbe stato devastante. Entrambi sapevano che appena avrebbero toccato il suolo si sarebbero disintegrati dalla forza di gravità. Nessuno dei due si sarebbe salvato.
Stefano si vide passare davanti la sua vita come proiettata su un monitor. Non aveva fatto nulla di buono, nulla per cui fosse degno di andare in paradiso, l’ultimo luogo dove si sarebbe sognato di andare. Dopotutto lui era un demone, una creatura dannata e rinnegata da Dio. Lui era il male. Ma si sa, anche nel male più profondo esiste una briciola di bene. E per lui quella briciola era Ginevra, l’unica che fosse riuscita a salvarlo dalla sua eterna dannazione. L’unica che fosse riuscita a fargli provare emozioni umane come la tenerezza e l’amore; quello che teneva in ostaggio il suo cuore e lo corrodeva come una fiamma viva che gli ricordava chi era veramente la persona a cui doveva affidare la sua vita. Perché Stefano gliel’avrebbe consegnata senza esitazione, se fosse servito a salvarla.
“Stupido!” si disse; come mai aveva capito solo ora di amarla? Come mai ci erano voluti omicidi sanguinosi e duecento vite passate per capirlo?
Intanto il suolo si avvicinava sempre più, e con lui la consapevolezza che la sua vita stava per finire. Una lacrima gli rigò il viso, la prima che avesse mai osato uscire da quelle iridi fatte d’odio e dannazione. La lacrima che testimoniava la sua angoscia; non avrebbe mai più potuto rivederla.
«Ecco, Stefano, benvenuto alla tua morte.» gli disse beffardo Karl. A lui non importava di morire, il suo padrone era stato liberato, e sarebbero arrivati altri a spezzare l’incantesimo che lo teneva legato al corpo di Ginevra. a quanto sembrava, il gioco si ripeteva, con una piccola eccezione. Lui non ci sarebbe stato più.
Ma doveva aspettarselo, era solo la pedina su una scacchiera che non teneva conto di nessuno. L’avrebbero rimpiazzato senza porsi il minimo problema, e a lui andava bene. Queste erano le regole del gioco perverse che era il mondo, e lui aveva accettato di giocare conoscendo le condizioni. Dunque era pronto a morire per la sua patria, se l’inferno si poteva considerare tale. Il suolo grigio era così vicino che bastava allungare la mano per toccarlo.
«Addio, Stefano.» sussurrò il demone a denti stretti. Stefano gli rivolse un ultimo sguardo per poi pensare a lei, per cui stava dando la vita.
«Addio, Ginevra.»
***
Il corpo di Rebecca si agitava come fosse posseduto; violente fiamme giravano attorno al suo corpo come in una danza tribale africana. Lucifero guardava la donna divertito, le braccia incrociate in attesa che il vortice di fiamme nere che aveva avocato bruciasse completamente la sua anima da sciocca umana. Ma ciò non accadeva, ormai da diversi minuti aspettava quel momento che non voleva saperne di presentarsi. Era pur sempre una sua piccola vittoria, uccidere Rebecca. dopotutto non poteva ritornare nel corpo di quella ragazzina senza prima avere compiuto qualche azione degna della sua fama. Camminava nervosamente in cerchio, osservando i due angeli rafforzare il sempre crescente filamento opalescente che collegava il suo cuore a quello della ragazzina. Non poteva far nulla per impedir loro di fermarsi, solo Stefano poteva distruggere quel legame, e, a quanto pareva, non era intenzionato a farlo. Lui era l’unico a possedere il potere necessario per recidere quel maledetto incantesimo. Ma sarebbe bastato aspettare, la Corte Infernale avrebbe inviato altri in grado di eseguire il compito che quel traditore si era rifiutato di fare.
Bastava far trascorrere un po’ di tempo, quello che per anni era stato il suo unico compagno oltre alla stupida e flessibile mente di Ginevra.
Intensificò l’intensità delle fiamme, le urla di Rebecca che gli giungevano all’orecchio come musica di usignolo. Intanto, Rebecca, al centro del vortice f fiamme, pregava perché il suo sacrificio fosse servito a qualcosa. Sapeva fin dall’inizio della battaglia che sarebbe morta, dopotutto proteggere Ginevra era il suo compito in quanto membro dell’Ordine. Non avrebbe mai rinnegato la sua appartenenza, anche se Lucifero le avesse offerto la salvezza. Era sempre stata una donna leale e forte, che non trasgrediva mai le regole. Almeno, non quando si trattava di amore. Quello era sempre stato l’imprevisto della sua vita, l’incognita che solo dopo aver conosciuto Pietro era riuscita a decifrare. Perché l’amore non seguiva regole, ma l’istinto, la passione, il desiderio, tutti quei sentimenti a cui Rebecca aveva sempre paura di perdere il controllo.
Una colomba candida planò accanto a lei, le piume che si disperdevano ad ogni battito d’ali. Le si appollaiò sulla spalla, le fiamme nere che non riuscivano a sfiorarla.
Rebecca capì all’istante cos’era, o meglio, chi era. Girò la testa di lato cercando gli occhi di quella colomba che sapeva essere il suo Pietro. Quando i loro sguardi si incontrarono fu come se il tempo fosse tornato indietro al loro primo incontro; quando i suoi occhi aveva incontrati quelli di lui senza sapere a cosa il loro amore l’avrebbe condotta. Senza sapere che lui sarebbe stata la sua dannazione, l’errore maledettamente più bello della sua vita.
La colomba alzò un’ala verso il viso della donna, come ad accarezzarle le guance. Un’aura candida avvolse il volatile e una figura di uomo le comparve davanti.
Lucifero guardava sprezzante la scena, tentando di inghiottire i corpi di entrambi nelle fiamme. Ma non riusciva, come se il loro amore fosse uno scudo che annientava qualunque forma di male avessero attorno. Come se l’amore fosse il loro potere più grande.
Lucifero gridò frustrato, il filamento bianco che lo teneva legato a Ginevra che stava raggiungendo le dimensioni di una spessa fune. Il suo tempo sulla terra stava scadendo, e con esso la possibilità di uccidere Rebecca. Puntò il dito indice contro la donna, un vento scarlatto la travolse e la sbalzò all’indietro, facendola inghiottire da una vampata di fiamme che aveva intanto innalzato dal terreno. Ma, anche quando la donna fu abbracciata dalle fiamme, sul suo viso stava un sorriso. Perché sulle sue labbra si erano posate quelle di Pietro; il loro amore aveva vinto la morte.
Ormai l’incantesimo che teneva Lucifero legato a Ginevra era rafforzato, mancavano solo pochi secondi perché il demone fosse di nuovo risucchiato nel suo corpo.
L’uomo si girò verso Micaela ed Edoardo, che lo guardavano stremati dall’enorme sforzo che avevano compiuto.
«Non dimenticate, angeli dei mie stivali, che il male non morirà mai. E dov’unque esso si annidi, io ci sarò» dette queste parole una fascio luce lo avvolse e il suo corpo venne trasformato in una sfera nera. Essa fu ben preso risucchiata verso il corpo di Ginevra, e la ragazza ebbe un sussulto quando Lui ritornò dentro di lei.
Micaela ed Edoardo si guardarono negli occhi per poi tirare un sospiro di sollievo.
Era finita.





Ehi, popolo di efp, eccomi tornato dopo solo un giorno! nn potevo resistere!
allora, vi è piaiciuto?? critiche? pareri positivi? sn in acolto!
nel prossimo capitolo (epilogo) arrivano i ringraziamenti per ognuno dei recensori!
vi voglio bn, ragazzi\e! vi è piaciuita come fine?? dite che ho esagerato con la battaglia??
e ve lo asptetavate che la nonna era una guerriera?? e cosa succedrà a Stefano??
al prossimo, ed ultimo, capitolo.
baci
F99 (ps. visto, Lucrezia, che ho aggiornato prima per te??)

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Capitolo 27
*** 25.Epilogo ***


Epilogo
 

Era l'alba, il cielo infiammato dalla luce che da est si levava lentamente. L’aria rarefatta odorava di cenere e distruzione, ed una leggera brina avvolgeva l’erba secca facendola risplendere come se al suo interno ci fossero piccoli diamanti iridescenti.
Ginevra aprì lentamente gli occhi. Li sbatté un paio di volte per cercare di dare forma alle sagome sfuocate che aveva davanti. Una era alla sua destra; una cascata bionda sulle spalle e il viso dolce. L’altra, alla sua sinistra, aveva folti ricci castani e gli occhi di un colore indefinito che la scrutavano colmi di preoccupazione.
Entrambe le sagome la sovrastavano ed enormi ali bianche partivano maestose dalle loro scapole.
Ginevra non ci mise molto a realizzare chi fossero. Micaela ed Edoardo, naturalmente.
«C-cosa è successo…?» sussurrò frastornata. Prese a massaggiarsi nervosamente la tempie per scacciare il fo
rte dolore che le avvolgeva il capo. Da quando Karl l’aveva attaccata era come caduta in un sonno profondo, solo visioni confuse avevano popolato i suoi sogni.
«Dov’è Stefano?» chiese tirandosi a sedere. Lui era il suo unico pensiero, l’unico che era riuscito a penetrare nel suo sonno silenzioso e a infiltrarsi nelle visioni che l’avevano assillata per tutto quel tempo.
Micaela assunse un’espressione grave.
«Lui…» si morse il labbro in cerca delle parole giuste da dirle. Sapeva quanto Ginevra fosse fragile in quel momento, e la rivelazione che stava per farle non rendeva di certo le cose più facili. La verità era che non aveva più notizie di Stefano dall’inizio del combattimento, e dubitava che fosse rimasto in vita.
Aiutò l’amica ad alzarsi con fare premuroso e sempre attenta a non toccarle i tagli sul viso e sui fianchi.
Ginevra la guardò negli occhi, voleva sapere la verità. Cercò di ignorare le enormi ali candide dell’amica, a quello avrebbe pensato dopo. In quel momento le importava solo di Stefano, tutto il resto passava in secondo piano rispetto alla consapevolezza di averlo amato più di una volta. Più di una vita. Il loro era un amore eterno, che trovava radici più profonde del tempo stesso. Un amore che superava la dannazione e la morte, che bruciava nonostante fosse seppellito dal persistente male che circondava le vite di entrambi.
«Parlate! Dannazione!» gridò Ginevra frustrata. La sua voce era animata dalla preoccupazione di dove lui si trovasse, dall’im
minente verità che Micaela stava per rivelarle.
«Ginevra, lui…» balbettò Micaela evitando gli occhi dell’amica, a cui non era mai riuscita a nascondere nulla. Come fossero quelli lucidi di un bambino, a cui non si può mentire.
«Non sappiamo dove sia.» la voce dirompente di Edoardo alle loro spalle la fece sussultare. Ginevra si girò di scatto verso di lui, gli occhi pronti a capire se era la verità. Ne ebbe la conferma quando incontrò il suo sguardo, e quando l’angoscia cominciò a eroderle lo stomaco. Crollò su sé stessa, Micaela la sorresse fulminea passandole una mano sulle spalle.
Ginevra socchiuse gli occhi, la consapevolezza di non poterlo più rivedere che prendeva il sopravvento sui suoi occhi colmandoli di dolore muto.
«E’…è morto?» chiese in un soffio.
«Può esserlo come non può esserlo. Non abbiamo idea di dove sia, ne se sia ancora in vita o no.» le rispose Edoardo serio. Micaela non osava parlare, sentiva anche lei il dolore dell’amica sul petto, e gliel’avrebbe volentieri alleviato se fosse stata in grado di farlo. Si limitò a tenere in piedi Ginevra, a essere il bastone su cui poteva sempre contare.
Una scintilla si accese sul viso di Ginevra. Dunque Stefano non era sicuramente morto, c’era ancora qualcosa in cui sperare. Uno spiraglio a cui attaccarsi per sopravvivere senza lasciarsi cadere nel baratro oscuro che era la disperazione.
Si staccò dalle braccia di Micaela e le si parò davanti. La trafisse con i suoi occhi d’oceano che brillavano di una luce innaturale. Non sapeva come esprimere il bene che le voleva in quel momento, non  sapeva come farle capire quanto tenesse al legame che nei secoli si era creato fra loro due. Perché adesso sapeva tutto, conosceva le sue vite passate e i personaggi sempre uguali che l’avevano guidata verso il suo destino. Conosceva quanti sforzi aveva fatto Micaela pur di tenerla in vita, conosceva la loro a
micizia spontanea che si verificava ogni volta che si conoscevano di nuovo. Sapeva tutto.
Abbracciò l’amica mossa da un moto di tenerezza e le schioccò un bacio sulla guancia. L’altra rimase impietrita, era la prima volta che si abbracciavano in quella vita. Poi avvicinò la sua bocca all’orecchio e le sussurrò:
«Grazie per esserci ora. Grazie per esserci sempre stata.» una lacrima di commozione rigò il viso di Micaela, che non cercò di eliminare quell’emozioni tipicamente umana di cui un tempo non sarebbe andata fiera. Ma in quel momento era diverso, tutto era diverso. Erano riusciti a salvarla, tutto il resto, le spiegazioni, i litigi, potevano anche aspettare.
«Per te ripeterei questa avventura all’infinito.» le rispose Micaela stritolando Ginevra nel suo abbraccio colmo di sentimenti veri che solo l’amicizia può suscitare. «Ferma! Così mi stritoli!» si oppose Ginevra. le due scoppiarono a ridere, e la loro risata cristallina arrivò alle orecchie di Edoardo come il premio per i suoi enormi sforzi. Perché era a quello che la missione ambiva, la felicità. Ma non quella terrena, quella momentanea e falsa. Ma quella vera, che arrivava dritta dal paradiso, dove le emozioni erano pure ed inviolate, non corrotte dall’avidità degli uomini.
Quando entrambe sciolsero l’abbraccio si guardarono un’ultima volta negli occhi scambiandosi più sensazione di quanto avessero potuto fare a parole.
«Va da lui.» le disse Micaela, seria. Ginevra la ringraziò con un cenno del capo e si girò verso Edoardo. L’uomo le scrutava a braccia conserte, un sorriso stranamente reale che gli animava il viso. Lui e Ginevra si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Lei gli si avvicinò piano, in attesa di cosa lui le avrebbe detto. L’uomo mosse impercettibilmente le labbra.
«Fa ciò che vuoi. Ama chi vuoi.» le sussurrò. E quelle parole, per Ginevra, valsero come monete cadute dal cielo. Lui le stava regalando la possibilità di amare incondizionatamente Stefano, di donarsi completamente a lui anche se questo avrebbe potuto mettere a repentaglio la missione.
«Grazie.» fu l’unica cosa che riuscì a dire. Poi prese a correre per l’immenso giardino, dove l’erba secca si sgretolava al suo passaggio, segno che c’era appena stato un incendio.
 Corse per la radura, gli occhi animati da un bagliore intenso quanto l’amore che provava per lui e che la guidava verso il suo corpo. Aumentò la velocità della sua corsa, i capelli le si staccarono dalle schiena e presero a muoversi come zampe di un ragno in cerca della sua preda. In cerca del suo amore.
Vide in lontananza un enorme un’enorme cratere, che era situato proprio al centro del giardino. Montagne di detriti gli giacevano ai lati, segni della violenza dell’impatto che l’aveva originato. Brividi di terrore assalirono Ginevra, cosa significava quella cosa? Dov’era Stefano? Precipitato al centro di qu
ell’enorme cratere  dove la luce, come i suoi occhi, non riuscivano ad arrivare?
Si precipitò ai confini della cavità, facendosi largo fra le montagne di detriti che ostruivano il passaggio. Erano davvero moltissime; tutta terra che prima colmava l’enorme voragine che si era originato. Saltò un paio di albero sradicati e arrivò ai margini della conca con il fiatone, e con la consapevolezza che si stava avvicinando al corpo di Stefano. O di ciò che ne restava. Il terrore l’assalì, sapeva che ciò che avrebbe trovato non le sarebbe piaciuto. Lui poteva essere ferito, o peggio. morto. In quel caso non sapeva cosa avrebbe fatto. Tutta la sua vita si basava su quell’apparente banale informazione, tutta la sua vita era basata su di lui. Lo era sempre stata, e solo ora aveva la maturità adatta per riconoscerlo. Lacrime di paura le rigarono le gote arrossate, testimoniando ulteriormente la sua insicurezza. Aveva bisogno di lui; delle sue labbra e della sua voce suadente che da sempre sapeva rassicurarla come nessun altro. Si fece forza pensando che lui non l’avrebbe voluta vedere così.
Si sporse per vedere il fondo del cratere, ma il buio lo avvolgeva nelle sue brame oscure e distorte, che non permettevano al suo sguardo di vedervi attraverso. Avrebbe dovuto arrivare laggiù per scoprire se c’era il suo corpo. Doveva dunque calarsi nell’oscurità, che fino a sei mesi prima considerava la sua unica compagna, ma di cui ora aveva una paura mortale. Chiuse gli occhi per interminabili attimi, cercando di trovare il coraggio per saltare nel vuoto. Ma la consapevolezza che lo avrebbe fatto per lui superava ogni timore. Si immaginò i loro corpi l’uno contro l’altro, i forti brividi di piacere che solo il contatto con la sua pelle gli procurava. Se non fosse saltata non avrebbe potuto rivedere tutto ciò, non avrebbe potuto più sentire l’odore della sua pelle e il sapore dolce e accattivante dei suoi baci.
Avanzò di un passo, la tensione che aumentava ad ogni suo movimento. Osservò dubbiosa la cortina di buio che avvolgeva il cratere, e lasciò che la sua mente rivivesse gli attimi della loro relazione. Questo gli diede la forza di saltare in avanti, e di farsi inghiottire dalle brame del buio.
L’aria le sfilava accanto velocissima, facendo agitare i suoi capelli e le sue vesti lacere. Sentiva l’odore metallico del sangue perforarle le narici mentre il suo corpo scendeva sempre più. Non sapeva come avrebbe fatto ad atterrare, ma n
on le importava. Ogni sua fibra era concentrata su un unico pensiero. Stefano.
Quando riaprì gli occhi vide quello che aveva potuto ammirare anche lasciandoli chiusi. Il solito buio, il solito nero pece che occupava tutta la sua visuale e nel quale i capelli corvini si mescolavano rendendosi invisibili. Sentiva su tutto il corpo la sensazione di galleggiare, di essere sospesa in un fluido nero come il petrolio. Si sentiva smarrita, come l’ultima pecorella del gregge che ormai ha smarrito la strada di casa. Ma si fece forza, doveva farlo per lui.
Osservò la massa oscura che l’avvolgeva fino a quando sentì la terra sotto ai piedi. La sensazione che provò quando essi toccarono qualcosa di solido fu indescrivibile, come fosse un marinaio che dopo giorni di tempesta avvista la terra ferma. Non si chiese come aveva fatto ad atterrare tanto l’immagine di Stefano sanguinante era vivida nella sua mente.
Restò immobile qualche istante, i nervi a fior di pelle. La verità si stava avvicinando, era giunto il momento di vedere se lui era ancora vivo. Udì dei gemiti strozzati provenire da est. Senza pensarci due volte seguì i rumori, le braccia protese ad afferrare il suo corpo.
Urtò una mucca nel terreno, il suo corpo cadde rovinosamente a terra. Ma ciò non le permise di andare avanti. Si rialzò come non fosse accaduto nulla, e riprese a correre più forte che poteva.
«Stefano!» le sue grida riempirono il cratere, nella sua voce si potevano intuire due emozioni ben distinte. La prima era il terrore, quello che aveva accompagnato la sua vita fino a sei mesi prima, quando l’aveva incontrato. Le seconda era l’amore, quello che animava le sue membra a correre no
nostante le gravi ferite.
Cadde di nuovo, sopraffatta dal dolore lancinante che le avvolgeva il corpo. Tentò di rialzarsi, ma esso la teneva ancorata al terreno come un forte macigno. Iniziò così a strisciare, senza smettere di urlare il suo nome a squarciagola. Sentiva la terra ruvida graffiarle le braccia e le gambe, ma non si diede per vinta. L’avrebbe ritrovato, a qualsiasi costo.
«G-Ginevra…» sentì un sussurro a pochi metri di distanza. Quasi non svenne quando capì che si trattava della sua voce. Lacrime di sollievo le rigarono le guance e si fusero con la terra.
«Ginevra? S-sei tu…?» chiese febbrilmente Stefano, il suo corpo a pochi metri dalla ragazza.
«Sì, sono io. Sono venuta a prenderti.» gli rispose ansimante. Sentì una mano sfiorare la sua e le dita di Stefano intrecciarsi nelle sue. Si avvicinò strisciando al corpo di lui, sentendo il suo respiro affannoso farsi più forte per l’emozione. Si distese accanto a lui, le loro gambe che si sfioravano.
«S-sei ferito?» chiese Ginevra.
«Solo qualche graffio per la caduta.» mentì lui. Aveva profondi tagli attorno al collo e su tutto il corpo. Le ali erano spezzate e sentiva qualche costola rotta dall’impatto che aveva subito dopo la sua caduta con Karl. Il demone stava a pochi metri da loro, il corpo senza vita che giaceva immerso nel buio, da dove era stato generato.
Restarono in silenzio, i loro respiri per
fettamente sincronizzati. Restarono così per un po’, il silenzio che avvolgeva entrambi. Nessuno osava parlare, interrompere il loro scambio di dialoghi muti che le loro menti innamorate si scambiavano. Perché l’amore non è un’emozione, ma è un legame che ti lega all’altro per sempre, come nel loro caso. E il silenzio, a volte, vale più di mille parole.
 Ginevra fissava il cielo che si poteva intuire a tratti, oscurato dal perenne nero che incombeva su di loro. e poi le loro bocche si cercarono. Stefano si voltò verso di lei e le prese il viso fra le mani per poi attirarlo a sé in un momento di desiderio estremo. Le loro labbra si incontrarono e un fremito fece sobbalzare entrambi. Lei gli avvolse il collo fra le mani per attirarlo più a sé, ma lo sentì gemere. Gli aveva toccato la ferita che Karl gli aveva impresso nel loro combattimento in cielo.
Così la ragazza ritirò le mani, me lui gliele riprese e se le mise attorno al collo. Non gli importava del dolore, perché quando era con lei esso scompariva, eclissato dalla forza del loro amore. Avvicinò il proprio corpo al suo, desiderava tutto di lei in quel momento.
Le avvinghiò le mani alla vita ripensando a quanti sforza aveva affrontato per poterla stringere fra le br
accia di nuovo. A quanti tormenti interiori aveva subito per capire i suoi veri sentimenti, e a quanto dolore aveva patito sulla pelle solo per sfiorare le sue labbra un’ultima volta. Ma l’avrebbe rifatto di nuovo, se era necessario.
Le loro lingue si cercarono, e quando si sfiorarono entrambi sentirono potenti scariche elettriche corrergli lungo la schiena. Poi Stefano interruppe quello scambio di effusioni, e le mise un dito sopra le labbra.
La guardò intensamente prima di sussurrare ciò che il suo cuore gli comandava.
«Ti amo.» la sua voce era colma di sentimento, e il ragazzo dovette trattenere le lacrime per l’emozione.
Lei rimase qualche istante sbigottita, quelle due semplici parole attivarono in lei qualcosa che da tempo non credeva di possedere. Avvicinò il suo viso a quello di lui, appoggiando la propria fronte contro la sua e sentendo le sue lacrime cald
e sulla pelle. Gli accarezzo i capelli e gli mise la mani sulle sue, come per consegnargli qualcosa. Il suo amore.
«Questo boccio d’amore, aprendosi sotto il soffio dell’estate, quando quest’altra volta ci rivedremo, forse sarà uno splendido fiore. Una dolce pace e una dolce felicità scendano nel cuor tuo, come quelle che sono nel mio petto.» citò da Romeo e Giulietta, lacrime di felicità che si fondevano a quelle di Stefano.
«Oh, parla ancora, angelo sfolgorante! Poiché tu sei così luminosa a quest’oscurità.» le rispose avvolgendo il dono che Ginevra gli porgeva. Quando aprì le mani una luce sfolgorante squarciò la cortina di buio che li avvolgeva, illuminando i loro volti e il corpo senza vita di Karl in un angolo buio. Si guardarono per istanti interminabili, perdendosi gli uni negli occhi degli altri. Poi lui si portò la luce alle labbra, come per trattenere il germoglio che era diventato il loro amore.
Si baciarono di nuovo, la luce che rischiarava i loro volti pieni d’amore e tenerezza.
Entrambi sapevano che le loro vite, quel giorno, avevano conosciuto qualcosa di più grande, che nemmeno Lucifero poteva controllare.
Stefano guardò il cadavere Karl, una strana compassione gli strinse il cuore. Era defunto senza aver conosciuto niente che non fossero l’odio e morte. ma lui aveva conosciuto l’amore, che l’aveva strappato via dalla morte che ogni giorno era costretto ad infierire senza avere altra scelta.
“Come l’amore, come la morte” pensò, prima di gettarsi completamente nell’amore eterno di Ginevra.


Note dell' autrice
Sob..sob...non riesco a smettere di piangere! e sapete pk? perchè scrivere Poison è stato un lungo viaggio,
ed è solo grazie al vostro aiuto che sono riuscito a portarlo a termine. voi, cari recensori, ci siete SEMPRE stati. e vi ringrazio con tutto il cuore, che ora è assalito da emozioni tristi e felici allo stesso tempo. è solo grazie a voi che il mio stile di scrittura è migliorato, è solo grazie a voi se sto versando mari di lacrime in qs momento. spero che attraverso qs storia vi abbia regalato vere emozioni, che io stesso ho provato mentre la scrivevo.
vi è piaciuto qs finale? ha saziato la vostra curiosità?
e, una domanda, volete un poison 2?
Alla fine Ginevra e Stefano sono riusciti a stare insieme, che teneri ù.ù. Ginevra rappresenta tutte le mie paure, i miei timori, e sn molto legato al suo personaggio. Stefano rappresenta la parte più forte di me, che non si piega davanti a nulla e desidera solo bene per sé e per tutti. in tutti i personaggi c'è qualcosa di me, pk qs "libro" parla di me, anche se nn direttamente. Rebecca è morta, ma il suo sacrificio è servito a Ginevra e Stefano per coronare il loro amore immortale e dannato. Qs testiomonia come anche dalle cose dolorose si possa trarre qualcosa di positivo. la tastiera è inondata di lacrime, i tasti sembrano imbarcazioni galleggianti su un mare di lacrime.
Vi voglio bn, con tutto il cuore.
e ora passiamo ai ringraziamenti.
Mirtilla Malcontenta: tu sei stata la prima recensitrice, quella che mi ha invogliato a riprendere la storia dopo che l'avevo abbandonata. se tu nn ci fossi non so cosa farei, e solo grazie a qs storia ti ho conopsciuto e ho avuto modo di capire che sei una persona fantastica, su cui posso sempre contare. spero di averti fatto volare con la mente leggendo qs epilogo, pk l'hjo scritto pensando a te e al tuo ragazzo. ti voglio tantissimo bn, ma penso tu lo sappia.
The Storm_: Sara, cosa posso dire di te? 1, ci sei Sempre per me, qualsiasi cosa accada, e te ne sono grato, pk sei sempre pronta ad ascoltarmi. 2, grazie per tutto ciò che mi hai dato, sia dentro sia fuori da efp, pk avevo bisogno di un'amica come te in qs momento. 3, spero tu possa avere il meglio dalla tua vita, pk tu sei una persona dolce e comprensiva, e meriti solo il meglio. ti voglio un mondo di bn.
Lucrezia2: cara, grazie di essere sempre stata la prima a recensire, e grazie per avermi deliziato con la tua storia. è come se avessi scritto ogni capitolo pk SAPEVO che tu l'avresti recensito.grazie di cuore.
laLori: dove sei finita?? cmq grazie anche a te, anche se sei l'ultima arrivata XD. condividiamo l'età,(13 anni), ma penso che attraverso la tua storia io possa aver condiviso una parte di te. anche se ti conosco da poco ti voglio bn.
e ora che ho finito, nn mi resta che cadere in depressione pk nn ci saranno più la timidezza di Ginevra , nn ci sarà più la saggezza di Rebecca, la simpatia di Micaela e l'amore incondizionato si Stefano ad accompagnarmi. può sembrarwe stupido, ma mancano, anche se nn sono reali.
un grande bacio a tutti,
F99

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Capitolo 28
*** SHADOWS l'accademia delle ombre ***


Eccoci qui, dopo due settimane dalla termonazione di POISON. Ho descio di prolungare l'avventura d'amore e dannazione di Stefano e Ginevra in un secondo "romanzo". Spero possa essere al confronto con Poison, per ora ho scritto solo la trama e devo acnora cominciare la stesura del prologo. Vi prometto una storia di passioni nascoste, colpi di scena e nuovi personaggi.
Ecco a voi la copertina e la trama:



"Avere dentro di sé Lucifero comporta non pochi problemi. Ginevra lo sa bene, e da quando l’ha scoperto la sua vita ha preso una piega a dir poco sovrannaturale. Ha scoperto l’esistenza di angeli e demoni, e di come questi ultimi siano strettamente intrecciati alla sua vita. O meglio, alle sue vite, visto che la ragazza è perseguitata da un amore maledetto che si incarna sotto forma di un bellissimo demone che la seduce ed ogni volta mette fine alla sua vita. Ma questa volta è diverso, l’amore che Ginevra prova per lui è riuscito a cambiare il corso della storia. Stefano l’ha risparmiata e, assieme ai suoi angeli protettori Micaela ed Edoardo è riuscito a sconfiggere il male che le stava intorno. Ma ogni cosa ha un prezzo, e le ombre delle vite passate di Ginevra stanno venendo a cercarla sotto forma di accattivanti demoni e seducenti angeli. Ginevra è costretta così a partire, lasciando in Italia la sua famiglia e i ricordi brucianti della relazione che ha vissuto con Stefano. Quando la nave che la porterà in Grecia salpa dal porto una nostalgia indescrivibile le stringe il cuore, perché né Stefano né Micaela sono autorizzati ad accompagnarla. Ginevra si ritrova in una nuova scuola, dove gli studenti sono demoni pentiti in cerca di redenzione e a cui viene insegnato come usare beneficamente i propri poteri. Anche Ginevra ha dentro di sé un demone, e per tanto sarà addestrata ad usare i poteri che Lucifero possiede. Ma il viaggio verso il raggiungimento del controllo di Lucifero sarà tortuoso e non facile, e la ragazza sarà aiutata da due studenti a dir poco particolari: Will, un demone pentito che le si avvicinerà molto e farà vacillare l’amore per Stefano e Kate, un’amica angelica capace di estirparle di dosso le preoccupazioni. Ma nulla è mai ciò che sembra, e la gente che la sta’ intorno cela intrighi e identità nascoste. Ginevra si ritrova in pericolo nel posto più protetto del mondo, e  il dolore che pensava aver lasciato in Italia la investe come un’onda anomala. Riuscirà a sopravvivere a tutto questo? Oppure Lucifero avrà la meglio su di lei? Ma la cosa che sembra più a rischio oltre la sua vita è l’amore che prova per Stefano, a cui dovrà non poche spiegazioni."
La pubblicherò fra più o meno una settimana, alla prossima
baci
F99


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