Torno
tra voi con una ficcina piccina picciò. Nulla di che.
È
solo un ringraziamento a tutti coloro che hanno sempre letto le mie
storie.
Ma
è soprattutto una fic di SCUSE. Avrete notato che, da un anno, è
sparita dal web “Vampire Story” una mia long fiction.
Ebbene,
lo scorso anno ho riscritto integralmente la storia e ne ho fatto una
original, con una trama più complessa e una particolare attenzione
alla cultura nipponica, il tutto con l'aiuto della mia super
maxi
mega beta Seika.
Questa
storia, suddivisa in tre romanzi, sarà pubblicata nei primi mesi del 2013 presso la casa editrice Leucotea, di Sanremo.
Per
ragioni contrattuali, ho dovuto togliere in fretta e furia dal web la
mia fanfic.
Scusate
se non ho potuto avvertire nessuno.
Grazie
a tutti voi per il supporto che mi avete sempre dato.
Senza,
non avrei mai avuto il coraggio di contattare un editore!
Nella
prefazione del romanzo, c'è il mio ringraziamento anche a questo
sito, ovviamente, che mi ha dato lo spazio per i miei racconti.
Bacioni
e GRAZIE A TUTTI!!!
Viviana
My
Love
Kaede
soppresse l'ennesimo sbadiglio, camminando lentamente lungo il viale
alberato.
Tra
le sue braccia teneva stretto a sé il trasportino dal quale
provenivano gli incessanti miagolii dei suoi gattini.
Avevano
quasi cinque mesi, ma già possedevano un bel carattere.
Detestavano
fare i vaccini e non perdevano occasione per farglielo notare.
Capiva
perché, i suoi, non li avevano portati a lavoro con loro quella
mattina.
Giunti
in prossimità dell'edificio, intensificarono le loro proteste.
“Piccoli
ma non scemi.” pensò il ragazzo, sorridendo tra sé.
Avevano
in qualche modo riconosciuto la palazzina bianco latte ed intuito ciò
che li aspettava.
Veterinario,
quindi vaccino, quindi puntura.
Salutò
educatamente Madoka-san alla reception.
«Ecco
le piccole pesti!» sorrise la donna. «Tua madre mi ha detto che
hanno fatto a brandelli le tende del soggiorno.»
«Hn.»
«Per
fortuna non hanno toccato i tuoi palloni, vero?» scherzò,
facendogli l'occhiolino.
Kaede
piegò le labbra in un lieve sorriso.
Quella
donna lo conosceva bene. Era lì da quando i suoi avevano aperto lo
studio, prima ancora che lui nascesse.
Varcò
la soglia della sala d'attesa, incurante delle occhiatine delle
signore presenti.
Trasalì
impercettibilmente, quando si accorse della presenza del Do'hao.
Seduto
su una delle morbide poltrone blu che bordavano la stanza, teneva in
braccio un enorme gatto nero pece.
Purtroppo,
l'unico posto libero era quello accanto a lui.
Sbuffò,
andandogli vicino.
I
suoi erano i migliori veterinari di Kanagawa, chi possedeva un
animale domestico doveva passare da lì per forza.
Curioso
che non si fossero mai incontrati prima.
Strano
anche che avesse un gatto, si disse, accomodandosi in silenzio al suo
fianco.
Con
quel suo carattere così allegro ed espansivo, aveva più l'aria di
uno che andava d'accordo con i cani.
Hanamichi
lo guardò di sfuggita, atteggiando le labbra ad un piccolo broncio.
Rukawa
si stupì del suo silenzio. Era certo che lo avrebbe insultato come
al solito.
Il
rossino continuò ad accarezzare la testa del suo gatto.
Fu
allora che Kaede capì: non voleva spaventarlo alzando il tono della
voce.
Dalla
sua prigione, Lucky riprese a miagolare disperato.
Scuotendo
il capo rassegnato, cercò di calmarlo grattandogli la testolina
attraverso la grata.
Con
la piccola zampina scura lo allontanò, offeso.
Annusò
le sbarre in metallo, tentando di infilare la testa in un vano
tentativo di fuga.
«Do'hao.»
si lasciò sfuggire, guardandolo esasperato.
Hanamichi
si voltò d'istinto, per poi accorgersi che stava parlando al piccolo
gatto, rimasto incastrato tra due cilindri in metallo.
Sorrise
nel notare il nervosismo del cucciolo. Anche la sua Love, da piccola,
detestava andare dal dottore.
La
gatta si agitò nel suo abbraccio e lui cercò di trattenerla
massaggiandole la schiena.
«Sssh...
va tutto bene, piccola.» sussurrò con una dolcezza tale da
catturare l'attenzione della volpe.
Stentava
a riconoscerlo.
Era
tranquillo e, nei suoi occhi scuri, poteva leggervi un amore infinito
per quell'animale.
L'enorme
gatta si allungò verso il trasportino, incurante delle braccia del
padrone che tentavano di fermarla.
Con
il grande muso, annusò il piccolo Lucky leccandogli il nasino, come
a tranquillizzarlo.
Poi
adoperò la testa per aiutarlo a liberarsi dalle sbarre.
«Sei
una piccola Tensai.» sorrise Hanamichi, grattandole il mento.
«Tsk!
Do'hao.» mugugnò la volpe, istintivamente.
«Ehi,
tu! È quello scemo del tuo gatto che è rimasto incastrato.»
«È
un cucciolo. I cuccioli fanno sciocchezze. Tu che scusa hai?» lo
provocò, sollevando un sopracciglio scuro.
«Tsk!
Baka!» sibilò, cercando di allontanare la sua gatta da quello
stupido volpino. «Vieni qui, Love, quei gatti saranno scemi come il
padrone.»
«Se
non l'hai contagiata con la tua, di stupidità, i miei gatti non le
faranno niente!»
«Baka!»
«Do'hao!»
Mentre
i due giocatori litigavano, i cinque gattini avvicinarono i musetti a
quell'enorme gatto che cominciò a leccare i loro occhietti.
Pochi
istanti ancora e i micini presero a fare le fusa.
Attirati
dalle risatine delle signore attorno a loro, i due abbassarono la
testa, accorgendosi finalmente della vicinanza dei loro animali.
«Do'hao,
quella pantera ha più qualità di te.»
«Taci,
idiota. La mia gattina è speciale.» mugugnò, accarezzandole con
fierezza la possente schiena.
Guardò
incuriosito i gatti del suo acerrimo nemico.
Due
grigi, due rossicci e uno nero come la sua Love.
Allungò
il dito verso quest'ultimo, che lo annusò incuriosito.
«Quanto
hanno?» gli domandò, sorridendo a quel microbo che tentava di
morderlo per gioco.
«Quasi
cinque mesi.»
Hanamichi
increspò la fronte. «Ma... la madre dove...?» chiese confuso.
«Abbandonati.»
il rossino si intristì e Kaede cercò di strappargli quella brutta
espressione dal viso. «La tua?»
«Venticinque.»
replicò, ritrovando il sorriso.
La
volpe sollevò un sopracciglio scuro. «Mesi?!»
«Anni.»
dichiarò, gonfiando il petto. Rukawa lo guardò stranito. «Lei è
stata il regalo di nozze che mio padre fece alla mamma. È sempre
stata con me.» si lasciò sfuggire il rossino, grattandole
l'orecchio.
Era
strano parlare in modo civile con la volpe, ma Love aveva sempre
avuto il potere di tranquillizzarlo. Era il suo porto sicuro e
adorava parlare di lei.
«Venticinque
anni?!» ripeté la volpe, fissando la gatta.
«Già.
Adesso devo portarla qui più spesso, per essere certo che stia bene.
Vero, principessa?» rise, lasciando che gli leccasse il naso.
Rukawa
si ritrovò ad ammirare quell'insolita dolcezza. Gli donava.
Sobbalzò
a quella considerazione.
Che
ne sapeva, lui, di cosa donasse o no al Do'hao?
Di
come fosse la sua vita al di fuori della scuola? Nulla.
Neanche
sapeva che avesse un animale.
Osservò
Love con attenzione.
Muoveva
a fatica le zampe inferiori e il pelo era poco lucido e folto,
nonostante questo, non dimostrava affatto la sua età.
Spesso,
i suoi, gli avevano detto che gli animali percepivano l'affetto e
questo influiva sulla loro salute.
Notando
l'immenso amore del suo compagno di squadra, concluse che, quel
gatto, sarebbe stato di sicuro immortale.
Come
se lo avesse percepito, Love si voltò a guardarlo negli occhi.
Non
aveva mai incontrato un animale dallo sguardo così umano.
Lo
stava valutando.
Kaede
non rinunciò alla sfida e, dopo alcuni istanti, la gatta allungò la
lingua, leccandogli la mano posata sulla grata del trasportino.
Hanamichi
schiuse le labbra, sorpreso da quel gesto di affetto.
Love
non dava confidenza a nessuno.
Persino
a Yohei, che conosceva da anni, permetteva solo qualche sporadica
carezza sulla testa e nulla di più.
Con
quella volpaccia, invece...
La
porta dello studio si aprì e il dottore Sawaki sorrise alle signore
presenti, avvicinandosi con eleganza ai due giocatori.
«Ciao,
ragazzi.»
«Dottore,
buongiorno.» disse Hanamichi, alzandosi in piedi.
«Ciao,
pa'.» mugugnò Kaede.
Il
ragazzo sgranò gli occhi, scioccato. «È tuo padre?!»
Conosceva
da anni sia il dottore Sawaki che la dottoressa Midori Rukawa, sua
moglie e socia dello studio, ma non credeva fosse imparentata con il
compagno di squadra.
Rukawa
era un cognome abbastanza comune nella prefettura.
«Di
che mi stupisco?» si disse, con uno sbuffo divertito. «Una volpe
non poteva che avere come genitori due veterinari!»
«Do'hao!»
sibilò Kaede, inviperito.
Il
dottore inarcò le sopracciglia. «È lui il Do'hao?!» chiese
stupito.
«Tensai,
prego.» lo corresse il ragazzo, gonfiando il petto.
«Hn...»
«Vieni
Hana-chan, fai accomodare la “signorina”.» sorrise
l'uomo, grattando la testa di Love. «Allora, Ka-chan? Hai finalmente
fatto la conoscenza della nostra Highlander.
Venticinque anni.
Non riesco ancora a crederci!»
«È
la gatta del Tensai. È speciale.» gongolò il rossino, entrando
nello studio.
Kaede
rimase a guardare la porta bianca.
Conosceva
di nome quella famosa gatta, ma non l'aveva subito collegata a Love.
Era
un argomento ricorrente tra i suoi, soprattutto negli ultimi anni.
Ma
non poteva essere lei.
Non
poteva esserlo, perché il proprietario di quella gatta era un
ragazzo orfano che viveva a casa della zia.
La
madre morta presto e il padre venuto a mancare alcuni anni prima. No,
non poteva essere il Do'hao.
Suo
padre doveva essersi sbagliato.
“Già.
Ma quanti gatti di quell'età vivevano nella prefettura?”
«Che
piacevole coincidenza.» squittì Midori, aprendo il frigorifero.
«Hn...»
«E
così, il nostro Hana-chan è il famoso Do'hao. Non è un nomignolo
molto gentile.» gli fece notare, sedendosi accanto al figlio.
«Hn...»
«Come
sta la piccola Love?» chiese al marito.
«Bene.
Nonostante l'età avanzata, gode di ottima salute. È una gatta
davvero unica.»
«Meno
male.» sospirò la donna. «A conti fatti, è l'unica famiglia che è
rimasta a quel ragazzo, sua zia passa quasi tutto l'anno all'estero.»
rimase alcuni istanti sovrappensiero. «Sai... ho sempre pensato che
Love stia vivendo per lui, per non lasciarlo solo. È un pensiero
troppo romantico?» chiese, arrossendo imbarazzata.
Rei
posò una mano sulla sua. «Assolutamente no. Lo credo anch'io.»
lanciò una veloce occhiata al figlio, intento a pugnalare con le
bacchette la sua cena. «E così Hana-chan è il Do'hao...» ripeté,
lanciando una rapida occhiata alla moglie.
«Hn?»
Rukawa sollevò un sopracciglio scuro, sentendosi oggetto dello
sguardo gongolante dei suoi genitori.
Che
cavolo era preso a quei due?!
«Beh,
borbotti sempre il suo nome...» buttò lì il padre.
«Quando
siamo venuti a vedere le partite, ho notato che gli hai parlato
spesso.» proseguì la donna.
«Lo
insulto. È diverso.» fece loro notare, incrociando le braccia al
petto.
Rei
nascose un sorriso. «Ma tu non parli mai. Soprattutto quando
giochi.»
A
quelle parole, Kaede increspò la fronte.
Era
vero.
Non
si era mai lasciato coinvolgere da niente e da nessuno.
Soprattutto
in campo.
Non
esisteva altro se non lui, la palla e il canestro.
Ma,
da quando era allo Shohoku, da quando aveva incontrato il Do'hao, ad
essere precisi, lui... parlava.
«Qualcuno
vuole il dolce?» trillò Midori, sorridendo al marito.
«Milano?
E dov'è?» domandò Mito, spegnendo la sigaretta.
«In
Italia, ignorante.» sbuffò Hanamichi, scendendo dal muretto che
costeggiava il lato destro della palestra.
Si
stiracchiò pigramente. «Ho fatto fatica a convincere la zia a
partire. Ma è la capitale della moda, per il suo lavoro è
fondamentale. Essere scelta dal suo capo per organizzare le sfilate è
un premio per il suo duro lavoro. Non volevo esserle di intralcio.»
«Ma
se lei resta lì... tu non ti trasferisci, vero?» mugugnò l'amico,
nascondendo la sua preoccupazione.
«Certo
che no. Miku viaggia in continuazione, perché stavolta dovrebbe
essere diverso? Potrei cercarmi un lavoretto part-time per pagarmi
luce e gas, così da non esserle di peso.»
«Dubito
che te lo lascerà fare. È orgogliosa tanto quanto te.»
«Già!»
sorrise lentamente, pensando alla sua zietta.
Nonostante
i quarant'anni suonati, Miku era molto giovanile. Non stava quasi mai
in Giappone, ma il poco tempo che passavano insieme non sminuiva
l'affetto reciproco.
«Vieni
a stare da me, mentre lei è via!» propose Mito.
Nell'ultimo
anno, Hanamichi era rimasto molto tempo da solo.
«Scherzi,
vero? La mia Love è abitudinaria. Vuole la sua stanza, cioè la mia,
la sua lettiera, il suo giardino e la sua poltrona. Non posso
traslocare da te con mezzo mobilio.» scherzò, dandogli una pacca
sulla spalla, ringraziandolo così per quel pensiero gentile.
Prese
il borsone da terra quando scorse, in lontananza, Akagi e Kogure con
in mano le chiavi della palestra.
Kaede
appoggiò la bicicletta vicino al cancello senza perdere il suo
broncio contrariato.
Adesso
gli toccavano anche le visite a domicilio e a casa del Do'hao, per
giunta!
Fu
accolto dalle risate degli amici della scimmia, che contribuirono a
peggiorare il suo umore.
Seguendole,
giunse sul retro di quella villetta, situata a due isolati da casa
sua.
«Kitsune?!»
Hanamichi lo guardò stranito.
Seduto
sul patio, con in braccio la sua pantera nera, non riusciva a dire
altro, troppo stupito della sua presenza.
Tsk!
Aveva trovato un modo per farlo tacere.
Magari
funzionasse anche in allenamento.
Mito,
al suo fianco, fece un cenno di saluto al nuovo arrivato.
«Hn.
Le vitamine.» mugugnò la volpe, mostrandogli le due scatole che gli
aveva affidato sua madre.
Love
sollevò la testa dalle ginocchia del padrone e allungò una zampa,
per spostare Yohei.
«Qualcuno
qui s'è presa una cotta.» sogghignò il ragazzo, lasciando il posto
a Kaede. «Accontentala, se non vuoi essere sbranato.» scherzò,
sollevando le mani.
«Hn.»
Una
volta sedutosi accanto a loro, Love si spostò sulle sue ginocchia,
cominciando a soffiare contro il Guntai.
«Ma
che ti prende?!» le chiese Hanamichi, stupito dalla sua reazione.
Fino
a pochi istanti prima stava sonnecchiando tranquilla e adesso
scacciava i suoi amici.
«Al
cuor non si comanda!» rise ancora Mito, raggiungendo il cancello
insieme agli altri. «Ci vediamo domani!»
Rimasti
soli, la volpe riferì il messaggio. «Devi sbriciolare una pillola
nel cibo. Ne deve prendere una al giorno.»
Il
rossino annuì, poi tornò a guardare la gatta, che non aveva alcuna
intenzione di spostarsi dal suo comodo giaciglio.
«Va
bene, va bene! Hai un pessimo gusto in fatto di uomini, sai?»
«Hai
una bella gatta.»
«Non
sono il padrone, ma una sua proprietà.» sbuffò, guardandola
appollaiata sulle ginocchia di Kaede. «Vuoi un'aranciata, Kitsune?»
si arrese, rientrando in casa.
Fece
accomodare il compagno di squadra sul divano, mentre andava in cucina
a cercare da bere.
«Con
te, signorina, faremo i conti più tardi!» brontolò all'indirizzo
della gatta, che stava facendo spudoratamente le fusa, sotto il tocco
leggero di Kaede. «Ti ho viziata troppo.»
Love
puntò i suoi penetranti occhi verdi in quelli dell'ospite.
Di
nuovo.
Non
sapeva bene cosa stesse facendo quell'animale, però era certo che
volesse dirgli qualcosa.
Quando
il rossino li raggiunse, la trovò a sonnecchiare placidamente sul
petto della volpe.
«Negli
ultimi tempi dorme molto.» disse a mo' di scuse.
Kaede
annuì distrattamente. «È normale.»
«Già.»
Si
guardarono di sottecchi, non sapendo cosa dirsi.
Erano
abituati ad insultarsi e a fare a botte.
Parlare
in modo civile era strano.
Titubanti,
parlottarono di basket e delle amichevoli che sarebbero iniziate il
mese successivo.
Un'ora
dopo, Love si spostò sulla propria poltrona, con un miagolio
soddisfatto.
Libero
dalla prigionia, Kaede poté finalmente accomiatarsi.
Strano
a dirsi, ma un po' gli dispiaceva andare via. La scimmia sembrava
dannatamente piccola, in quella grande casa vuota.
Da
quel giorno in poi, Hanamichi e Kaede si incontrarono spesso nella
sala d'aspetto del veterinario.
La
volpe aveva il sospetto che, i suoi, combinassero di proposito le
loro visite una dietro l'altra.
La
gatta del Do'hao aveva bisogno di accertamenti, data l'età; mentre,
le sue piccole pesti, dovevano fare i vaccini.
«Perché
non li fate a casa? Sarebbe più comodo, no?» gli chiese il rossino,
grattando la testolina di Lucky.
«Hn.»
scosse la testa. «Potrebbero non sentirsi più al sicuro. Portandoli
qui sanno cosa li aspetta, ma lo associano all'edificio e non ai
miei.»
Il
rossino scoppiò a ridere. «Che cos'è? Psicologia felina?!»
Rukawa
sbuffò, trattenendo un sorriso. «Una specie.»
Love
spostò la testa, ricominciando a guardare Kaede.
Non
perdeva mai occasione di scrutarlo, alla ricerca di qualcosa di
indefinito.
«Ehi?
Dove vai?» sussurrò Hanamichi, sentendola muoversi. «Sta buona.»
La
gatta non si calmò fino a quando non si fu appollaiata sul
trasportino, posato sulle ginocchia di Kaede.
Di
nuovo, puntò i suoi occhi smeraldo in quelli del giocatore.
Hanamichi
sussultò quando la vide leccargli il naso.
Era
un gesto che aveva sempre riservato a lui e a nessun altro.
Mai.
Geloso,
atteggiò le labbra ad un broncio che lasciava trasparire tutto il
suo disappunto.
«Scimmia,
riprenditi questa pantera. Pesa!» brontolò Kaede, accarezzandole la
testa scura.
«Vieni
qui, cucciola. Le volpi sono antipatiche, l'ho sempre detto, io.»
«Do'hao!»
«Baka!»
La
grande gatta cominciò a fare le fusa, sotto la grande mano del
rossino.
Una
sera di inizio dicembre, Kaede rientrò a casa, accolto dalla voce
tesa della madre.
«Forse
mi sto agitando troppo.»
«Credo
invece che tu abbia ragione. È strano.» Rei scorse suo figlio sulle
scale. «Kae? Hai visto Hanamichi, oggi?»
«Hn?
No, il Do'hao è assente da due giorni. Credo.» aggiunse in fretta.
Non
che lui lo controllasse, ovviamente.
Anzi,
senza la scimmia gli allenamenti era decisamente noiosi.
Tranquilli!
Voleva
dire tranquilli.
Adesso
che ci pensava, aveva anche saltato l'appuntamento all'ambulatorio.
Midori
sembrò leggergli nella mente. «Oggi aveva una visita ma non si è
visto. È la prima volta che accade da quando lo conosciamo. Sono
preoccupata.»
«Che
ne dici se andassimo a trovarlo?» propose il marito. «Non abita
molto distante da qui. Ci sentiremmo tutti più tranquilli.»
Suo
malgrado, Kaede accompagnò i suoi.
L'agitazione
di sua madre era contagiosa, si rese conto, scoprendosi a camminare a
passo spedito.
La
villetta era avvolta nel silenzio più totale e il cancello era
aperto.
Strano.
Davvero
strano.
Raggiunto
il retro del giardino, trovò Hanamichi, seduto sul patio con la sua
adorata gatta tra le braccia.
«Do'hao!
Ci hai fatto...!»
«Aspetta.»
Rei lo afferrò per un braccio, scrutando con attenzione il ragazzo.
Kaede
fece lo stesso e impallidì di colpo.
Il
rossino aveva gli occhi persi nel vuoto e Love non aveva sollevato
la testa, cercandolo come al solito.
Era
morta.
Quella
stranissima gatta dagli occhi umani, era immobile tra le braccia del
suo adorato padrone.
La
testa posata sul braccio destro del giocatore e una zampa che
penzolava nel vuoto.
Con
cautela, Kaede si sedette al suo fianco.
Non
sapeva bene cosa fare, perciò si lasciò guidare dall'istinto.
Gli
circondò le spalle con un braccio mentre, con la mano libera, gli
sospinse il viso contro la sua spalla.
«Va
tutto bene, Do'hao. Non preoccuparti di nulla. Va tutto bene.»
Era
proprio sua quella voce così dolce?
Non
l'aveva mai sentita prima. Era strana.
Così
com'era strana l'immobilità del suo compagno di squadra.
A
fatica, i suoi genitori tolsero Love dalle braccia di Hanamichi,
permettendo alla volpe di abbracciarlo meglio.
Lo
sentì tremare.
«Va
tutto bene, Do'hao.» ricominciò a dire, accarezzandogli la schiena.
Hanamichi
era freddissimo.
Quando
gli parlava sembrava calmarsi.
Perché
non provare?
Che
avesse conservato la voce per quel momento?
Pensiero
non da lui, si rimproverò Kaede. Davvero sciocco.
Lo
aiutò ad alzarsi e raggiungere una camera da letto piena di libri e
poster.
Non
serviva un genio per capire che era la sua.
Si
stese sul letto continuando a stringerlo a sé, massaggiandogli le
braccia infreddolite.
Era
certo che fosse rimasto lì fuori per ore. Giorni, forse.
Non
poteva lasciarlo da solo.
Lasciarlo
solo.
Increspò
la fronte, ricordando sia la teoria di sua madre che lo strambo
comportamento di Love.
La
gatta gli aveva affidato quel Do'hao. Ecco cosa aveva cercato in lui.
Una
conferma.
Nel
momento in cui aveva capito di aver compiuto la scelta giusta, si era
lasciata finalmente morire.
«Ho
ereditato un Do'hao.» pensò interdetto. «Poteva
andarmi
peggio.» si disse, trattenendo un sorriso, mentre si
stendeva
sul corpo del compagno.
Hanamichi
affondò le iridi nocciola nel soffitto appannato.
Era
rimasto solo.
E
si sentiva un verme, perché aveva una zia che lo adorava, degli
amici leali e la squadra di basket.
Però
Love era l'unico legame che gli era rimasto con i suoi genitori e, in
quel momento, sentiva di averli realmente persi.
Non
era un animale domestico, ma la sua più cara amica e adesso si
sentiva completamente vuoto.
Abbandonato.
Kaede
sollevò il viso e gli leccò la punta del naso.
Sobbalzò,
guardandolo scioccato. «Che... che stai facendo?!» gli chiese
allarmato.
«Hn.
Sei stato affidato a me, scimmia. E io non manco mai alla mia
parola.»
«M-Ma
che cosa....?!»
Batté
le palpebre, ricordando.
Lo
strano comportamento della sua gatta, il suo attaccamento a Kaede.
Come
se avesse voluto mostrargli cosa fare in sua assenza.
Ma
era una teoria assurda.
«Do'hao,
adesso sono io il tuo Love. Dormi.»
«Kitsune,
non dire scemenze! Lo sai che vuol dire?» sbraitò il rossino,
sopraffatto dagli ultimi avvenimenti. «Love significa...»
«Lo
so benissimo. E ora taci. Ho sonno.» mugugnò, posando la testa
sulla sua spalla.
Imbarazzatissimo,
Hanamichi non seppe dove posare le mani.
Cominciò
col materasso, per poi allungare titubante un braccio e adagiarlo
sulla schiena di Kaede.
Dopo
le prime carezze incerte, sembrò abituarsi a quel contatto.
Provò
quindi a sollevare la mano libera, affondandola tra i capelli scuri
del compagno di squadra.
Neri.
Neri
e serici.
Come
quelli della sua Love.
Diventare
l'eredità di una gatta.
Davvero,
non lo credeva possibile.
Eppure,
gli sembrò quasi palese l'intento della sua cara amica.
Love.
Kitsune
era diventato il suo love.
Amore.
Non
avrebbe mai funzionato.
«Kitsune?
Stanno finendo i croccantini!» urlò Hanamichi, dalla cucina.
«Hn?!
Di già? I tuoi gatti diventeranno obesi!» brontolò la volpe,
scendendo le scale.
«Perché
diventano i miei
gatti,
quando fanno qualcosa di fastidioso?» indagò il rossino, sedendosi
sul divano.
«Perché
sei un Do'hao.» fu l'ovvia risposta del compagno, che cominciò ad
armeggiare col telecomando.
Stava
per iniziare l'N.B.A.
Hanamichi
borbottò un paio di insulti, mentre si chinava ad accarezzare la
testolina del piccolo Lucky.
Piccolo,
mica tanto. Pensò guardandolo con attenzione.
Aveva
più di un anno.
Ormai,
lui e i suoi fratellini, riuscivano a salire e scendere da qualsiasi
superficie, letto compreso, tanto da essere diventato una loro
proprietà.
Gli
sorrise, la mente persa nel ricordo di un altro felino dalla chioma
scura.
Love.
«Hn...»
Kaede
posò una mano sulla sua guancia. Con il pollice, spazzò via le
silenziose lacrime che gli rigavano il viso.
«Sto
bene, volpe.» lo rassicurò con un sorriso.
L'altro
annuì, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Vivevano
nella casa della zia da quasi sei mesi e, con loro sommo sconcerto,
la cosa stava funzionando alla grande.
Al
videotelefono, zia Miku aveva dato la sua benedizione, più che lieta
nel sapere l'adorato nipote in compagnia.
Per
quanto riguarda i suoi, non aspettavano altro.
Era
più che certo che avessero compreso i suoi sentimenti, molto prima
di lui.
Nonostante
ciò, il suo Do'hao ancora soffriva per la perdita della sua amata
gatta, ma Kaede trovava sempre il modo di stargli vicino e distrarlo,
se necessario.
Lucky
si arrampicò sul divano per poi appallottolarsi sulle gambe del
rossino, mentre i fratelli giocavano sul tappeto, rincorrendo un
topolino di plastica.
Kaede
sorrise nel ricordare una citazione di Lillian Moore, letta alcuni
mesi prima.
«Quando
i verdi occhi di un gatto scrutano dentro di voi, potete essere certi
che, qualunque cosa intendano dirvi, è la verità.»
Aveva
ragione.
Era
pienamente felice, adesso, e lo doveva alla gatta più speciale che
avesse mai incontrato.
A
dirla tutta, anche lui come gatto in seconda non era affatto male.
Come
il suo Do'hao gli faceva spesso notare, come gli ronfava addosso lui,
non lo faceva nessuno.
Hanamichi
gli accarezzò la testa, guardando attentamente la partita.
Era
bravo anche a fare le fusa, pensò la volpe alzando il volume della
televisione.
O
a leccare, sogghignò, immaginando il viso imbarazzato del suo
ragazzo, se avesse osato pronunciare quell'affermazione ad alta voce.
«Kitsune?
Quel tuo sorrisino è a dir poco inquietante. A che stai pensando?»
«Che
sono il gatto numero uno di tutto il Giappone.» dichiarò serio, mentre
il rossino scoppiava in una fragorosa risata.
I
cani ci insegnano ad amare; i gatti ci insegnano a vivere. M.
Malloy
FINE
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