Kaleidoscope

di Nat_Matryoshka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'emblema del gelo ***
Capitolo 2: *** One day for a promise ***
Capitolo 3: *** Quando mi insegnavi a crescere ***
Capitolo 4: *** I used to call them home ***
Capitolo 5: *** Come uno specchio ***
Capitolo 6: *** A Thousand Rains' Symphony ***
Capitolo 7: *** Film perfetti a metà ***
Capitolo 8: *** Chrysalis ***
Capitolo 9: *** La solitudine degli Déi ***
Capitolo 10: *** There is a lady sweet and kind ***



Capitolo 1
*** L'emblema del gelo ***


L’emblema del gelo

 

Il corpo del Padre degli Dei, colui che governava su Asgard dall’alto della sua magnifica grandezza, giaceva a terra in stato comatoso, gli occhi chiusi, il volto solo ad una prima occhiata rilassato. Chiunque lo avesse visto in quel momento, lo avrebbe creduto immerso nel suo sonno periodico, il sonno che lo aiutava a ridare forza al suo potere… nessuno avrebbe pensato che Loki, uno dei principi ereditari, era in parte causa di ciò che era successo. Nessuno lo avrebbe visto allontanarsi a grandi passi dopo aver chiamato le guardie – la camminata nervosa di chi è spaventato e vuole mettere più distanza possibile tra sé e ciò che ha appena visto – né si sarebbe curato di consolarlo, di rassicurarlo sul fatto che suo padre non aveva nulla di grave, e si sarebbe rimesso presto: a nessuno importava nulla del Dio degli Inganni, per quanto si fosse trattato di un membro della famiglia reale. C’erano cose che non cambiavano durante gli anni, e la diffidenza degli Asgardiani nei confronti di chi era così diverso da loro (figuriamoci uno Jotun) era tra quelle.

L’eco delle sue grida ancora gli risuonava nelle orecchie, mascherava il rumore dell’ incedere per i corridoi, ma non riusciva a camuffare quello dei pensieri, che lo assordavano come se duemila trombe impazzite stessero suonando tutte assieme nella sua mente. Aveva finalmente ottenuto la verità che desiderava, che gli spettava, ma tutto ciò che gli restava era una confusione enorme, più grande di quella che aveva provato nell’essere toccato da un gigante a Jotunheim e vedere il proprio braccio diventare blu, come il ghiaccio.

Più del ghiaccio stesso.

Continuò a camminare, senza meta, come se il solo fermarsi lo avesse potuto condannare a rivivere la stessa scena infinite volte, un capriccio del Fato che, a quanto pareva, non aveva intenzione di rendere la sua vita più semplice… fortunatamente, in giro non sembrava esserci nessuno: la notizia che Odino era caduto nel suo sonno senza preavviso doveva aver allertato tutta la corte e gran parte del corpo delle guardie.
Fermò il flusso impazzito dei pensieri solo dopo essere entrato nella sua stanza, con la porta chiusa alle spalle a sigillare il segreto che gli rendeva il cuore pesante. Quanto ci sarebbe voluto, prima di riuscire ad accettare la situazione per quella che era?
Odino, il Padre Universale, non era il suo vero padre. Frigga, la donna che aveva chiamato madre per lunghi anni, che lo aveva cullato e allattato quando era solo un neonato, non era sua madre: il loro unico figlio era Thor, e così sarebbe sempre stato, per quanto il Padre continuasse a giurare di amare Loki come un figlio suo…
Tutte bugie? Non lo sapeva, non riusciva a capirlo. Era ironico che proprio il Dio degli Inganni non fosse capace di distinguere tra le bugie e la realtà, dopo aver vissuto una menzogna durata per troppo tempo.
Si prese il viso tra le mani, chiudendo gli occhi, come a volersi isolare in una realtà in cui tutto era rimasto al tempo della sua infanzia.

 

Era sempre stato diverso dagli altri bambini, diverso anche da Thor, col quale aveva condiviso giochi e risate, bisticci ma anche momenti di complicità, come quando sgattaiolavano senza farsi scoprire nella sala dei trofei del Padre per giocare coi cimeli riportati dalle battaglie, o quando facevano disperare le bambinaie e la Madre andandosi a nascondere nella foresta che circondava il palazzo e ne costituiva una parte dei giardini. Thor era forte e pieno di energia – che con l’adolescenza sarebbe diventata spavalderia imprudente – Loki era calmo, studioso e stranamente versato nella magia per essere un Asgardiano, ma il fratello non ci aveva fatto caso: per lui, ogni incantesimo era un piccolo miracolo, e vederlo trasformare una foglia in un sasso e viceversa soltanto toccandola costituiva un motivo di meraviglia e orgoglio. Nella sua ingenuità pura, non aveva mai sospettato che quella diversità avrebbe potuto rappresentare un pericolo.

Erano Hogun, Volstagg e Fandrall, assieme a Sif, a fare i sostenuti.

Forse per invidia, forse per la cattiveria misteriosa dei bambini, non erano mai stati amichevoli nei suoi confronti: Hogun si limitava a fingere che non esistesse, Volstagg era più impegnato a giocare e mangiare che ad inventare dispetti, ma Sif e Fandrall sembravano provare uno strano piacere nel maltrattarlo, escludendolo dai loro giochi o, semplicemente, non facendolo sentire parte del gruppetto perché diverso da loro. in qualche modo avevano intuito la verità senza conoscerla, rifletté amareggiato il giovane. Nonostante Thor lo avesse sempre difeso e avesse cercato di rimediare alle loro cattiverie, un seme di vendetta si era impiantato nel suo cuore, e germogliando aveva dato vita ad azioni che dovevano rappresentare una punizione per chi cercava continuamente di schiacciarlo: quando, da adolescente, aveva tagliato ciocca per ciocca i bei riccioli biondi di Sif, non aveva provato il minimo dispiacere. Né gli dispiaceva ora che era adulto, e che la vedeva ogni giorno correre per Asgard con le armi in mano e la coda di cavallo nera che le sfiorava la schiena.

Se non possono amarti, allora dovranno temerti.

 
Eppure, qualcosa doveva essere andato storto, perché il disprezzo negli occhi di quelli che erano stati per qualche tempo i loro compagni di scorribande non era mai calato, né col timore era subentrato il rispetto. Ancora se ne stupiva? Non si erano mai fidati di lui, e non si sarebbero fidati mai, finché avessero vissuto. Anche se fosse diventato re. Il timore non era sinonimo di rispetto. Odino poteva pensarla come preferiva: gli Asgardiani non avrebbero mai voluto un gigante di ghiaccio come erede al trono.
Si alzò in piedi di scatto e prese a passeggiare per la stanza, irrequieto.

Il dubbio era un tarlo piccolo, ma potente. Una creatura che entrava attraverso le orecchie, camuffata da frase pronunciata a mezza bocca, diceria, malalingua, e da lì si faceva strada nel cervello, andando a rodere, strato dopo strato, ogni consapevolezza, ogni barlume di sicurezza raccolto durante gli anni. E, piano piano, quando non trovava più barriere a fermare la sua azione, prendeva il controllo dell’ospite, contaminando ogni suo pensiero, spingendolo a mettere in pericolo la propria sanità mentale nel tentativo di cercare qualcosa.
Cosa sperava di trovare, tornando nella sala del Tesseract? Quale tarlo della follia, della disperazione lo aveva spinto a toccarlo?
Le sue dita si erano poggiate sulla superficie del cubo cosmico, esitanti: le aveva viste cambiare il loro colore in blu, ma questa volta lo spettacolo non lo aveva colto impreparato come su Jotunheim. Né aveva provato spavento a vedere i suoi occhi, riflessi dalla superficie bluastra, diventare rossi come due braci scappate dal caminetto. Una maschera luminosa gli rivolgeva un sorriso rassegnato, di chi ormai è pronto a tutto e sa di doversi arrendere a ciò che vede… il principe di Asgard, uno Jotun dal volto segnato da una lacrima.

Era stato lui stesso a scegliere di interrompere quell’inganno: da ogni sogno, prima o poi, ci si deve svegliare. E per quanto brutta potesse essere la realtà, l’avrebbe dovuta affrontare. Ma mai si sarebbe aspettato che l’inganno sarebbe venuto da chi, diversamente da lui, non era riconosciuto come ingannatore.  

 

Nel suo vagabondare avanti e indietro per la stanza, non si era accorto di essere di fronte alla finestra: le luci continuavano a brillare, Asgard proseguiva la sua giornata, la vita andava avanti, nonostante Odino si trovasse disteso sul suo letto, preda di un sonno naturale ma incalzato da una causa che nessuno conosceva, né doveva conoscere…
Aveva amato suo padre, anche la sua severità. Si era fidato di Thor, di sua madre, dei domestici, di tutti coloro che sembravano gentili e premurosi, ma che alla fine lo avevano nutrito di falsità, negandogli il diritto di scegliere se portare con consapevolezza il suo ruolo di estraneo accolto nella famiglia reale e destinato, un giorno, al regno, o rifiutarlo e cercarsi un’altra strada, un’alternativa. Come potevano pretendere di porre fine alle bugie, se loro erano i primi a crearne?

“Cosa sono, allora?”
“Sei mio figlio.”

Senza volerlo, i suoi occhi incrociarono quelli della sua immagine riflessa, incisa nel cielo notturno di Asgard come un ritratto sospeso nell’aria. Il viso era tornato chiaro, gli occhi da rossi erano verdi, ma ciò che si nascondeva nella sua anima fuori non si vedeva.
In fondo, aveva sempre pensato di essere diverso da chi lo circondava, solo che la sua parte più fragile non aveva mai voluto saperne di accettarlo.
Increspò appena le labbra, imitato dal suo riflesso, ma non si trattava di un vero sorriso: era piuttosto una reazione spontanea dei suoi pensieri, che prendevano forma senza che se ne accorgesse.

"Eri un bambino innocente…."

 
Non era più quello di una volta, il bambino che dipendeva dagli altri, che cercava senza tregua un po’ di sicurezza nelle braccia dei suoi familiari. Aveva dimenticato ciò che era. Ricreato un nuovo sé che, per quanto gli fosse in qualche modo estraneo, per quanto lo spaventasse, rappresentava il vero volto del suo cuore.
Alzò una mano, ricordandone il colore bluastro. Cos’altro era, se non un emblema del gelo?
Il ghiaccio era fuori, e dentro. Blu, scuro come i giorni senza luce di Jotunheim, blu come la luce calma (solo in apparenza) del cubo cosmico. Blu, senza sole. Il sole che non gli spettava.

Guardò di fronte a sé e sorrise, stavolta con la consapevolezza di farlo. Ma a sorridere, ora, non era Loki Odinson.

 
Era Loki Laufeyson.

*****

Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice
Chi mi conosce e segue le mie storie sa che sono di una indecisione che rasenta il patologico, per cui, dopo aver abbozzato una fanfiction, passano dalle due settimane ai mesi prima che decida finalmente di pubblicarla… e così è stato anche per questa, che avevo in mente già da un po’ – così come l’intera raccolta – ma a cui ho deciso di dare una forma “definitiva” solo ora. Diciamo che anche la sessione invernale di esami non mi ha aiutata!
Anyway, questa fiction è il risultato di una serie di idee che ho abbozzato per una raccolta di one-shot dedicata a pairing e personaggi singoli di Thor, tutte ovviamente movieverse. Il primo capitolo sarebbe dovuto essere una ThorJane, ma per varie ragioni ho preferito iniziare con una shot dedicata ad un personaggio singolo, Loki appunto. Ho già due capitoli pronti e un terzo in cantiere, per cui, per una volta tanto, studio permettendo, non lascerò a secco con aggiornamenti millenari i miei (eventuali) lettori.
Per quanto riguarda questo capitolo, spero di non essere andata OOC e di aver trasmesso almeno una parte dell’amore che provo per Loki, personaggio nel quale fin troppo spesso mi riconosco e che trovo caratterizzato molto bene, sia nel film che nel fumetto. Le parti in corsivo tra virgolette si riferiscono al discorso tra lui e Odino all’interno del film. Il titolo invece mi frullava in testa già da un po’, sollecitato anche da varie fanart che trattano l’accostamento Loki/gelo.

Ringrazio la solita pazienza degli amici che mi leggono e mi supportano, e TsunadeShirahime per aver betato instancabilmente il capitolo che gli ho sottoposto, e per i vari consigli richiesti dal caso <3
Che dire… chiudo qui questo primo papiro! Come sempre, critiche, consigli, pomodori in testa e reclami/recensioni sono sempre benaccetti :)

Nat

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Capitolo 2
*** One day for a promise ***


One day for a promise

 

 

I want to be a part of it,
New York, New York
[Frank Sinatra – New York]

 

 

 

 

“Abbiamo scelto di trasferirla lontano dalla sua sede attuale per ragioni di sicurezza. Non si preoccupi, le forniremo noi l’alloggio e la sede per continuare i suoi esperimenti, e poi si tratta di una sistemazione provvisoria; le chiediamo solo di portare pazienza e di affidarsi alla nostra decisione. E poi… penso che New York le piacerà, dopotutto”.

Quando uno degli agenti dello SHIELD – lo stesso che le aveva riconsegnato le sue preziose attrezzature – le aveva annunciato che, per motivi che le erano oscuri, sarebbe stata trasferita lontana dal New Mexico, lì per lì aveva sollevato obiezioni: lasciare il suo studio, la comoda seppur precaria sistemazione nel camper e soprattutto Erik e Darcy, le era sembrato fuori discussione. Ma dopo che lo stesso agente aveva parlato a lungo con Erik, chiedendogli di spiegarle la situazione e di convincerla ad accettare, si era dovuta piegare. C’era qualcuno di grosso in ballo, qualcosa che lei da sola non avrebbe potuto affrontare, e tutto ciò che poteva fare era dar retta a chi si era incaricato di aiutarla, se non altro come indennizzo per i problemi che avevano causato alle sue ricerche. Anche se a malincuore, aveva iniziato a fare i bagagli.
Una nota positiva in tutto quel trambusto c’era stata: il suo appartamento, al quattordicesimo piano di un bell’edificio né nuovissimo né troppo vecchio era spazioso e rappresentava un rifugio decisamente stabile. Avere finalmente una stanza da letto, una da usare come studio e riempire di libri e apparecchi, una cucina, un bagno e addirittura un salottino era più di quanto avesse mai sognato di possedere, ed era il minimo che potessero darle, visto e considerato quanto le avevano chiesto in cambio.

 

La prima settimana, dedicata ad arredare e sistemare gli ultimi dettagli della sua nuova sistemazione, l’aveva trascorsa senza pensare a nulla, completamente immersa in una sorta di trance organizzativa che le aveva sgombrato la mente. Una volta che tutto era tornato a posto, però, quando il nome JANE FOSTER era comparso, nuovo fiammante, sulla targhetta del citofono e la sua camera da letto aveva finalmente assunto un aspetto decente, si era accorta di quanto si sentisse sola.
Le mancava Darcy, le sue chiacchiere e lamentele, le sue battute divertenti e la leggerezza – anche eccessiva – con la quale affrontava certi argomenti; le mancava Erik, che riusciva sempre a infonderle coraggio con la sua gentilezza e il modo di fare quasi paterno… e poi le mancava lui, soprattutto lui. Thor.
Sospirò, passandosi le dita sulle tempie stanche dopo almeno tre ore di studio intensivo sui libri che aveva preso in prestito alla biblioteca. Darcy ed Erik li avrebbe potuti sentire al telefono, almeno, e chiedere loro se avevano voglia di trascorrere qualche tempo nella città che non dormiva mai… con Thor, invece, non aveva avuto più alcun tipo di contatto, e non aveva idea di come avrebbe potuto fare per averne ancora, a parte continuare con le sue ricerche.

Si alzò, decisa a prepararsi una tazza di tè e ad andare a letto.

Come poteva caderci così bene ogni volta? Era passata da un Donald Blake che capiva meglio i suoi pazienti della sua ragazza ad una cotta – perché di una cotta si trattava, nonostante il bacio che si erano scambiati e la sicurezza di essere ricambiata – per un tizio uscito fuori dal nulla che aveva investito due volte e che si era intrufolato nella base di un’organizzazione militare come se niente fosse. Se a tutto ciò si aggiungeva il fatto che si trattava di Thor, figlio di Odino, padre di tutti gli dei, la situazione si prospettava piuttosto complicata. Proprio quello che ci voleva.
Sbuffò e portò la tazza fino alla sua camera, sostituendo il libro che stava leggendo con un romanzo e concedendosi un po’ di relax. Lui le aveva promesso che sarebbe tornato, era vero, ma come poteva essere sicura che avrebbe mantenuto la sua parola? Per quanto in cuor suo desiderasse crederci, non era una stupida, e sapeva che rivederlo non sarebbe stato semplice.

Mentre si addormentava, sperando che la sua mente stanca le concedesse un po’ di tregua, si chiese se non fosse un suo marchio di fabbrica quello di trovare sempre qualche persona strana di cui innamorarsi.

 

****

Poco lontano dall’appartamento dell’astrofisica, un giovane biondo si girava fra le dita un foglietto stampato corredato di foto e indirizzo, con l’aria di chi sa di avere una missione molto importante da compiere e teme che il tempo a disposizione non sia sufficiente.

Thor sorrise automaticamente, rivolgendo lo sguardo agli occhi nocciola di Jane che lo osservavano dal foglietto. Ottenere quell’informazione era stato più semplice del previsto, ma non per quello la considerava meno importante, anzi: se non fosse stato per la gentile agente che gli aveva fatto la cortesia di scendere a patti con la creatura che chiamavano “stampante”, non avrebbe mai ottenuto un punto di partenza a cui appoggiarsi per cercarla.
Nonostante i più lo considerassero uno che si affidava maggiormente ai muscoli rispetto all’intelligenza, anche lui sapeva usare l’ingegno, e aveva capito che da solo non sarebbe mai stato in grado di far funzionare gli arnesi elettronici, né poteva perdere tempo provando a copiare i dati che gli occorrevano, col rischio di essere interrotto e dover fornire delle spiegazioni. Non restava che l’astuzia, e una giovane agente, impietosita dalla richiesta (tutto sommato innocente) di poter tenere una foto della ragazza che amava con sé, era stata la vittima ideale.
Non sarebbe mai arrivato ai livelli di Loki, ma sapeva cavarsela anche lui, rifletté tra sé. Specialmente se si trattava di una buona causa: sapeva che lo SHIELD aveva interesse nel proteggere Jane, ma voleva mantenere la sua promessa di andarle a fare visita finché ne aveva la possibilità, specie ora che suo fratello era lontano e non sembrava intenzionato a cercarla.

Tutto sembrava pronto per l’azione. Eppure, la parte più difficile doveva ancora arrivare: come poteva raggiungere casa di Jane?

In piedi in mezzo ad uno dei grandi marciapiedi che circondavano i grattacieli, si guardava intorno, un po’ disorientato, riflettendo sul da farsi. Era strano da pensare, ma proprio lui, il dio del Tuono che molti umani temevano e che gli altri dei rispettavano, si trovava in difficoltà nel compiere un’azione semplice come chiedere informazioni ad un passante qualsiasi.
Se lo avesse visto suo padre…
Quel pensiero bastò a farlo riscuotere: nessuno avrebbe mai assistito alla disfatta del potente figlio di Odino, anche se ad Asgard non avevano tutte quelle strane bestie meccaniche e le strade erano molto più ampie e meno intricate. E poi, in ogni caso, non voleva che i suoi compagni lo considerassero un vigliacco: bastava trovare un altro umano che si mostrasse gentile come l’agente, e avrebbe risolto in un attimo.
La soluzione sembrava essergli piovuta direttamente davanti, nella forma di un gruppo di persone che varcavano la soglia di un locale che un’insegna a caratteri rossi qualificava come Morrison Café.
La sua esperienza gli insegnava che un’azione rapida era sempre la strategia migliore: si avvicinò a grandi falcate alla porta contrassegnata dai cartellini che indicavano l’orario di apertura e di chiusura e l’elenco delle carte di credito accettate e la spalancò, illuminando per un attimo un gruppetto attonito di mattinieri che si godevano un caffè al bancone.

“Chi di voi è il figlio di Morris?”

Il barista lasciò cadere una delle tazze che stava lavando, alla vista dell’uomo biondo e decisamente massiccio che lo fissava con aria risoluta, chiedendosi dove fossero in momenti del genere gli avventori che si lamentavano di quanto fosse noioso il suo locale.

 

****

New York era una città dalle mille attrattive, quello non era da mettere in dubbio. Ma che si trasformasse in una giungla di automobilisti impazziti e passanti pronti a spintonarti se solo non avevi l’accortezza di spostarti in tempo appena iniziava a piovere, non glielo aveva detto nessuno: l’aveva sperimentato quella mattina, quando le era venuta la malaugurata idea di uscire e affidarsi ai mezzi pubblici per un paio di commissioni. Se solo si fosse portata dietro un ombrello o perlomeno una giacca col cappuccio si sarebbe risparmiata la corsa infinita dietro all’autobus che neppure si era degnato di aspettarla, e la conseguente inzuppata che l’aveva accompagnata fino a quando non aveva raggiunto il negozio in cui si riforniva di cibo… dove non aveva comunque trovato un po’ di pace, affollato com’era di casalinghe e gente che aveva avuto la sua stessa idea di fare la spesa durante l’orario di lavoro. Almeno si stava all’asciutto, rifletté. Per quanto cercasse di non pensarci, però, la differenza tra la sua nuova vita e quella fin troppo tranquilla del New Mexico le appariva sempre più evidente.

Riuscì a prendere quel tanto che bastava per non dover uscire un’altra volta durante la settimana e si sistemò sulla panchina della fermata dell’autobus, ansiosa di tornare a casa e di ributtarsi a capofitto tra studio e faccende domestiche che, almeno, avevano il potere di distrarla dai pensieri che la assillavano e non risparmiavano nemmeno i suoi sogni.
Sogni che, tanto per cambiare, avevano Thor per protagonista e si concludevano in maniera assurda, con il loro matrimonio in cima ad un grattacielo, o angosciante, con l’enorme mostro di ferro contro il quale l’aveva visto combattere che lo finiva mentre una voce stridula rideva. Si era svegliata con gli occhi pieni di lacrime – non sapeva neppure lei se di paura o di tristezza – e aveva deciso che, per quella notte, ne aveva abbastanza di brutti sogni: guardare la tv sul divano del salotto avvolta nel plaid di pile che le aveva regalato Darcy le sembrava l’unica maniera di dimenticare l’incubo.

A peggiorare ulteriormente le cose, quella stessa mattina, ad un’ora che qualunque essere umano con un po’ di buon senso avrebbe giudicato assurda, aveva ricevuto una telefonata nientemeno che dallo SHIELD, che l’aveva informata che si, era stata trasferita da poco a New York, ma che per ragioni logistiche dettate da ordini impartiti all’ultimo momento (o almeno così le era sembrato di capire, in quel turbinio di termini tecnici) era stato deciso un suo ulteriore trasferimento a Tromsø, in Norvegia, ovviamente pagato dall’organizzazione. Non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla se non di radunare la sua roba e stilare un elenco dei macchinari che avrebbe richiesto per la sua nuova sede: si sarebbero occupati loro del resto. Avevano colto inoltre l’occasione per augurarle una permanenza tranquilla, e dopo essersi assicurati che non c’era niente di cui la giovane potesse aver bisogno avevano riattaccato, lasciandola stordita, a chiedersi se quella conversazione fosse avvenuta davvero o se non si fosse piuttosto trattato dell’ultimo stralcio di uno strano sogno.

Dopo un inizio di giornata simile, rifugiarsi in Thor e nei pensieri che lo riguardavano rappresentava un sollievo, per quanto ingarbugliati potessero essere.
Com’era possibile che una persona che aveva frequentato così poco le avesse lasciato dentro tanti ricordi e sensazioni così difficili da gestire?

Non c’erano state tante parole tra lei e Thor. Mancavano le discussioni e le riappacificazioni, i confronti e i pensieri condivisi che l’avevano legata a Donald per tanto tempo, per quanto la loro diversità li avesse portati alla rottura; mancava la consapevolezza di essere nel bel mezzo di una relazione che, nel bene e nel male, la completava, la faceva sentire minuto dopo minuto una donna realizzata e innamorata. Ecco, forse stava proprio lì la differenza: con Thor non aveva mai dovuto pensare troppo.
I suoi sguardi, i tentativi prima impacciati poi sempre più sicuri di adattarsi a quell’ambiente del tutto nuovo per lui, le piccole attenzioni che le rivolgeva le scaldavano il cuore, solleticavano quella parte di lei che era rimasta affascinata dallo straniero caduto dal cielo dal primo istante in cui lo aveva visto. Poco importava se un universo intero sembrava dividerli; l’astrofisica così razionale da voler controllare anche un sentimento inafferrabile come l’amore (soprattutto dopo l’ennesima delusione) si era lasciata andare guidata da quella scintilla che l’aveva colpita, e tutto il resto non contava più nulla. Nel bacio che gli aveva lasciato prima che si separassero aveva infuso tutto il suo desiderio di fargli capire quanto avesse rappresentato per lei, nonostante il poco tempo a disposizione, e la volontà di lasciargli un segno, uno qualsiasi, purché mantenesse la sua promessa…

E invece se ne stava lì, a farsi coprire di pioggia e a riflettere su quanto fossero assurdi e sbagliati i suoi gusti in fatto di uomini, lontana chilometri dal luogo in cui era abituata a vivere, sola e costretta a farsi proteggere da un’organizzazione che fino a pochi mesi prima neppure aveva mai sentito nominare. Ah, e senza ombrello né acqua calda per farsi una doccia, ora che ci pensava, dato che quella mattina una vicina di pianerottolo l’aveva gentilmente informata che sarebbe mancata almeno fino al primo pomeriggio, a causa di alcuni lavori.
L’autobus per fortuna era arrivato. Facendosi largo per salire, Jane non poté trattenersi dal pensare che, se proprio lo SHIELD aveva intenzione di aiutarla, avrebbe fatto meglio a pagarle una vacanza di un anno in qualche posto lontano e riposante.

 

****

Quella della mattina appena trascorsa sarebbe rimasta tra le vittorie più memorabili della lunga carriera di guerriero di Thor: non solo era riuscito nel suo intento – trovare casa di Jane grazie alle indicazioni fornitegli dal barista figlio di Morris – ma si era anche introdotto nella sua abitazione senza creare altri problemi, in barba alla difficoltà presentatagli dalla porta dell’appartamento della ragazza, che sembrava programmata per resistere alle sue spallate. Era bastato un colpetto secco di Mjolnir (lo stesso martello che aveva suscitato più di un’occhiata curiosa da parte dei passanti, giù in strada), però, a convincere la serratura a cedere, nonostante quest’ultima ora penzolasse con aria un po’ malinconica dal lato della porta. Poco importava: ci avrebbe messo poco a sistemarla.

Decisamente soddisfatto, si era aggirato per l’appartamento, dando un’occhiata alla dimora dove Jane trascorreva le sue giornate. Conosceva già oggetti come il computer portatile, le mensole della cucina e il letto, ma ciò che lo aveva incuriosito maggiormente, ovvero la cabina doccia e il porta-asciugamani che fungeva anche da termosifone, si trovavano nel bagno. La doccia in particolare, dotata di una radio, era stata oggetto delle sue attenzioni: doveva esserci di sicuro una piccola donna imprigionata dal pannello di piastrelle, e un eroe al servizio della gente degno di questo nome non avrebbe esitato un attimo a liberarla. Dietro, ovviamente, non c’era niente, ma la prudenza non era mai troppa, e comunque anche quel danno avrebbe potuto sistemarlo senza fatica: almeno qualunque essere si fosse trovato in difficoltà lì dietro si sarebbe potuto mettere subito al sicuro.

L’ultima stanza a ricevere la sua visita fu quella dove la ragazza dormiva.

Rispetto alle altre, in quella regnava un certo ordine. Il letto era stato rifatto, la piccola libreria era ammassata di libri sistemati in pile e il tappeto dal disegno floreale abbinato alle tende sembrava essere stato sbattuto da poco. L’unico elemento che turbava quell’armonia apparente era il comodino. Thor gli si avvicinò incuriosito, per scoprirlo ingombro di vari oggetti capovolti, come se una manata li avesse colpiti all’improvviso: una scatola di pillole semi-aperta, un romanzo dalla copertina rigida rotolato a terra e una cornice rovesciata a faccia in giù, che ad un più attento esame rivelò contenere una sua foto.
Il giovane prese l’oggetto dagli angoli appena smussati tra le mani e lo rigirò un paio di volte, come se non credesse davvero a ciò che vedeva. Eppure, ricordava bene il giorno in cui Darcy, la strana assistente di Jane, gliel’aveva scattata, dicendo che sarebbe andata su un libro o qualcosa di simile, e il sorriso di Jane al vederla attaccare, in piccolo, sul tesserino che gli aveva creato un alibi con quelli dello SHIELD… più i ricordi si incastravano tra loro, più il motivo della sua visita gli pareva ovvio. E, assieme ai ricordi, iniziava a subentrare una leggera fitta di rimorso.

Chissà dov’era lei, in quel momento. Chissà se il suo arrivo le avrebbe fatto piacere. Con gli occhi della mente vedeva una Jane spaventata fare un incubo e rovesciare ciò che si trovava sul comodino, in un impeto di paura nel dormiveglia, poi cercare di calmarsi, accarezzare con le dita quella foto (lo avrebbe fatto davvero?) e tentare di ricominciare la sua routine quotidiana che l’avrebbe portata alle sue ricerche… senza sapere che, a non molti chilometri da lei, l’oggetto di quelle ricerche si era messo sulle sue tracce e la cercava, con la sua stessa testardaggine.
Solo che avrebbe potuto metterci molto meno, sospirò. E, per la prima volta in quella giornata, il suo sorriso baldanzoso sembrò sfumare.

****

Ladri.

Quella doveva essere la giornata delle sorprese, rifletté amaramente la giovane scienziata. Ricapitolando: incubi, pioggia, niente acqua calda, neppure un ombrello, autobus stipato, vestiti fradici addosso, buste della spesa che minacciavano di cedere, e ora anche dei ladri mattinieri? Oh, fantastico. L’ideale per completare la giornata!

I visitatori in questione non dovevano essere proprio dei maestri nel loro “lavoro”, dato che la maniglia era lì dove un forte colpo l’aveva mandata, e sia il pomello al centro della porta che lo stesso legno erano ricoperti di impronte. Il concetto però non cambiava: c’era qualcuno in casa, qualcuno che doveva essersi fatto pochi scrupoli a sfondare la sua porta (incurante del fatto che sul pianerottolo c’erano altri tre appartamenti abitati, pieni di persone che sarebbero potute accorrere allarmate dai rumori) e a penetrare all’interno, attratti dall’idea di poter accumulare un presunto bottino. Se non fosse stata preoccupata da quanto avrebbe potuto trovare in casa probabilmente le sarebbe scappata una grossa risata al pensiero che quella gente la ritenesse ricca, o come minimo in possesso di apparecchiature appetibili. Poveri illusi…
Varcò la soglia con attenzione, posando le buste alla base dell’attaccapanni e dirigendosi con la massima lentezza verso la sua stanza, laddove i rumori le sembravano più forti. Si rammaricò di non avere con sé un dissuasore elettrico, nonostante Darcy le avesse raccomandato caldamente di procurarsene uno (“È sempre utile, non ne potrai più fare a meno… ho steso quella montagna di muscoli del tizio biondo in un secondo, non male no?”), ma avrebbe comunque trovato un valido sostituto: setacciando il salotto con lo sguardo, l’occhio le cadde sulla scopa che aveva dimenticato di riporre dopo l’ennesimo tentativo di dare una ripulita. Se la sarebbe fatta bastare.

Armata alla bell’e meglio, silenziosa e battagliera (almeno sperava di sembrarlo), Jane Foster si acquattò lungo il muro del corridoio che l’avrebbe condotta dal salotto al resto delle stanze, stando ben attenta a non farsi sentire e tendendo contemporaneamente l’orecchio a qualsiasi suono. Stranamente i ladri non sembravano aver toccato nulla, né in salotto né in cucina (a parte il bagno, da cui proveniva una inquietante puzza di intonaco sbriciolato, ma a quello avrebbe pensato dopo), e non avevano ribaltato mobili o forzato cassetti per scoprirne il contenuto. Probabilmente immaginavano di trovare qualcosa di più prezioso in camera da letto, pensò la ragazza, e strinse più forte a sé la scopa: le era sembrato di intravedere una figura spostarsi con un fruscio leggero accanto alla sua libreria, e la sagoma di quello che sembrava un lungo drappo di tessuto, ma poteva benissimo essersi sbagliata da quella distanza.

A noi due, ladro.

Con un colpo rapido di gambe si portò di fronte alla porta della stanza, la scopa protesa sopra la testa in equilibrio precario, la bocca spalancata nell’anteprima di un grido che avrebbe dovuto spaventare il suo avversario…
Fu in quel momento che il ladro decise di voltarsi. E bastò uno sguardo a farla ammutolire, mentre la scopa cadeva a terra con uno schiocco sordo al quale nessuno prestò attenzione.

Nella sua camera da letto c’era Thor.

Era proprio Thor, quel Thor. Quanti altri avrebbero dovuti essercene, al mondo?
Jane aveva fantasticato a lungo sul suo ritorno, sia durante le notti insonni che nei momenti in cui si dedicava ai suoi studi: lo immaginava come un evento felice, si, ma decisamente poco realizzabile, almeno per il tempo in cui si trovava. L’idea che il giovane sarebbe potuto apparire così, all’improvviso, senza alcun avvertimento e soprattutto lasciando dietro di sé maniglie staccate e disastri non l’aveva minimamente presa in considerazione… eppure, la sua figura alta avvolta nel mantello che gli aveva visto addosso durante il loro ultimo incontro e Mjolnir stretto in mano lasciavano poco spazio alle alternative. E poi c’era il sorriso, quel sorriso nato da un misto di amore e spensierata felicità che, lo aveva scoperto presto, dedicava solo a lei, e i capelli che sembravano catturare la luce del sole, gli occhi che si piantavano nei suoi e li riempivano d’azzurro, e il suo sguardo, e…

La sua mente continuava ad inviarle messaggi impazziti di euforia, ma lei non riusciva a trasformarli in azioni. Le tremava il labbro, mentre cercava le parole adatte.
Farfugli poco comprensibili, di chi sembra riprendere un discorso interrotto da poco.

“Ti sei introdotto qui senza dire nulla. Mi hai distrutto la porta. Riempito il bagno di calcinacci. Impolverato tutti i pavimenti. E… e…”

Una pausa. Sentì le lacrime fare capolino all’angolo degli occhi, ma cercò di scacciarle. La voce, però, non voleva saperne di restare salda.

“Hai mantenuto la promessa”.

Lui si limitò a sorridere, di nuovo. “Sono tornato”.

Buttargli le braccia al collo e rannicchiarsi tra quelle del compagno come una bambina poteva non essere un’azione degna di Jane Foster, astrofisica e brillante studiosa, ma era più che sufficiente ad esprimere ciò che provava in quel momento.
Senza che se ne fosse resa conto, le lacrime erano iniziate a scorrere, e assieme a quelle i piccoli pugni che gli tempestavano il petto e facevano da intervallo ai tentativi di lui di farla star ferma, di rassicurarla sul fatto che era lì davvero, non si trattava né di un incubo destinato a sciogliersi, né di un sogno troppo realistico. Continuò a versare lacrime che non sapeva definire di gioia, di sollievo o di rabbia, e mentre ogni consapevolezza crollava sentiva di essere stupida, stupida a credere che quello sarebbe stato l’inizio di qualcosa di duraturo e ancora più stupida a voler tagliare ogni speranza alla radice, e intanto continuare a piangere, come se non ci fosse nient’altro intorno a loro, a quello scenario vagamente assurdo di una casa semi-dissestata dove un dio sceso da Asgard e un’umana che da troppo tempo non ascoltava i suoi sentimenti si incontravano…

“Jane? Jane, basta. Non devi piangere, ora. La mia presenza non è gradita?”

Il silenzio, ora totale, la assordava. Come mai non sentiva il battito del cuore? Eppure, da quanto sembrava darsi da fare sbattendo contro la cassa toracica, avrebbe dovuto risultare forte e chiaro, come un uccellino impazzito che cercava di sfondare un vetro…
Alzò gli occhi e, incontrando quelli di lui, sentì di conoscere la risposta ai dubbi che l’avevano assalita poche ore prima: aveva scelto Thor – lasciandosi Donald alle spalle – perché con lui non doveva mai fingere nulla.
Di fronte a quelle parole, alla protezione nata dal suo abbraccio, era impossibile arrabbiarsi, o anche solo pensare di aver fatto la scelta sbagliata: in fondo, gettare per un po’ la sua maschera di efficienza e restare la ragazza impacciata (innamorata) che si imbarazzava e non sapeva bene come rispondere al suo baciamano non poteva che farle bene. E Thor, per quanto potesse sembrarle inavvicinabile, impetuoso, assurdo… era la sua scelta.

Lo baciò di nuovo, con la stessa foga del loro ultimo bacio, attirando il suo viso verso il basso e affondando le mani nella chioma bionda, cercando di imprimersi nel cuore ogni secondo di quello strano lasso di tempo che li vedeva assieme.
Come risposta era più che eloquente.

 

****

Quindi, ti sei preso una sorta di pausa dallo SHIELD. Devono essere in vena di favori e gentilezze, se non hanno fatto nulla per fermarti…”

All’incontro burrascoso era seguita la tranquillità, come alla fine di una tempesta. Jane sapeva bene di non poter sprecare un solo istante, e si era comportata di conseguenza: dopo averlo pregato di cambiarsi (per fortuna disponeva di una t-shirt da uomo scovata nel suo guardaroba, dare nell’occhio come nel New Mexico era l’ultimo dei suoi desideri) si era mobilitata per andare ad acquistare qualcos’altro per preparare un minimo di cena adatto ad entrambi, e Thor si era offerto di accompagnarla. Era bello passeggiare per le strade di New York fianco a fianco, una bustina di stoffa sottobraccio e lo sguardo del giovane che non la lasciava un attimo, come a volersi assicurare di averla veramente ritrovata; sembrava una normale uscita per spese di una coppia, un assaggio di vita quotidiana che la rendeva felice.
“Diciamo che mi hanno concesso un giorno di riposo. Lo chiamate così, giusto? Un giorno di riposo per ringraziarmi dell’aiuto offerto loro… ovviamente non potevo rifiutarlo.”
Si fermò, esitante. Avrebbe potuto raccontare la verità, ossia che la situazione era problematica e che Loki probabilmente aveva preso il controllo su Erik (che quasi sicuramente Jane credeva al sicuro dove lo aveva lasciato), ma preferì omettere quella parte: voleva tenerla il più lontana possibile da quegli intrighi e da suo fratello. Così si limitò a cingerle la vita con dolcezza.

“Chissà cosa direbbero se ci vedessero camminare tranquillamente per le vie di New York, mentre secondo loro dovrei restarmene chiusa in casa nell’anonimato più totale per sfuggire a chissà chi” sbuffò, per poi riprendere con un sorriso rassegnato “tra l’altro, poco dopo il mio trasferimento mi hanno comunicato che la mia sistemazione qui è solo provvisoria, tra poco mi spediranno a Tromsø… c’è da dire che, dato il freddo di ieri, mi sto già allenando per il clima, ma la cosa non mi rende granché felice. La Norvegia è decisamente lontana…”
Sugli occhi nocciola di lei cadde un’ombra. Thor le strinse la mano, come a volerle ribadire il suo appoggio: “Vuol dire che prenderò Mjolnir e ti verrò a cercare, dovunque tu sia. La Norvegia somiglia ad Asgard, da quanto ho sentito.”
Al pensiero di un Thor appeso al suo martello che fiancheggiava un aereo di linea in volo tra le nuvole, Jane non riuscì a trattenere una risata divertita, liberatoria, così come non ne faceva da molto. L’autobus che avrebbero dovuto prendere spalancò le porte e la giovane scienziata le varcò con passo sicuro, accompagnata dal dio e da un senso di completezza al quale non poteva non rivolgere un caloroso bentornato.


****

Erano promesse, rifletté. Una serie di promesse che si intrecciavano e piantavano le loro radici nel desiderio comune di rivedersi, mantenuto vivo dalla sua cocciutaggine e dalla forza d’animo di Thor. Promesse, nient’altro. Una semplice parola che aveva funzionato da sigillo al contratto non materiale che avevano stipulato: ritornerò. Se le parole possiedono una forza, beh, quella aveva mosso ben due universi. Niente male…
Si sentiva sciogliere, la mente piacevolmente vuota (era ora), la consapevolezza di essere nuda e al calduccio tra le braccia del suo uomo che le solleticava appena i pensieri e le impediva di sprofondare nel sonno ristoratore che da tanto aspettava… non voleva addormentarsi subito, non poteva.

Si girò piano e sfiorò col dito la guancia di Thor, delineandone il profilo, giocando con le piccole rughe d’espressione che incontrava, beandosi nell’osservare il suo respiro lento e regolare fargli alzare e abbassare il petto, fremere appena un labbro: a vederlo così, nessuno avrebbe mai riconosciuto in lui il figlio di Odino, il futuro re di Asgard: non era altro che un giovane addormentato, tranquillo come un qualunque essere umano che riposava.
Un sottile spiffero d’aria sfuggì dalla finestra socchiusa e le morse la pelle della spalla, facendole per un attimo tornare alla mente la Norvegia. Ne scacciò il pensiero, come la sensazione di freddo, accoccolandosi più vicina a Thor e appoggiandogli la testa sul petto, facendosi cullare dal ritmo di orologio del suo cuore. C’era tempo per pensarci, c’era tempo per riflettere su molte cose (riparazione del bagno compresa) e per dire addio (o arrivederci?) ad altre; la notte sospendeva tutto, avvolgendolo nel suo corso lento e dolce. Abbandonarsi era l’unica soluzione, e le stava più che bene.
Jane sorrise, nel silenzio della sua stanza. Era bello dormire accanto a lui.

Quella notte, finalmente, fece bei sogni.

 

 

****

Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

Devo ammetterlo, adoro Thor e Jane come coppia, nonostante nel film siano stati caratterizzati poco. Sarà che amo Natalie Portman e la trovo brillante nelle sue interpretazioni, sarà che amo “indagare” psicologicamente le ragioni di una coppia (?), per cui non ho saputo resistere alla tentazione di scrivere la mia visione personale del perché il loro rapporto esista, come al solito sperando di mantenermi IC. (Ho sempre paura di non riuscirci, con Thor…).
Per il resto, la fic si svolge in un periodo abbastanza imprecisato, a grandi linee diciamo tra la fine di Thor e l’inizio di The Avengers, fino al momento in cui Jane viene trasferita in Norvegiab (nel film Thor vede il suo nome nel monitor che gli mostra Coulson). Ovviamente è una What if?, per cui prendete come licenze poetiche le eventuali sviste XD

Grazie a TsunadeShirahime come sempre, per la sua pazienza e la volontà di leggere i miei piccoli obbrobri, e ad _Eleuthera_, beta d’eccezione che ha letto questo capitolo poco dopo che l’avevo scritto e ha contribuito a portarlo alla “fase finale” coi suoi consigli. Vi sono debitrice! :)
Grazie anche a Timcampy_, Valery_Snape, Lady Sigyn e Vaneshalla per avere inserito la storia nei preferiti, e a Merihon per averla inserita nelle seguite… E a voi lettori “dietro le quinte”, ma se mi lasciaste una recensione o una critica – anche piccola piccola – mi rendereste ancora più felice!

Alla prossima,
Nat

 

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Capitolo 3
*** Quando mi insegnavi a crescere ***


 Quando mi insegnavi a crescere


“D
avanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi; riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due bambini: Hänsel e Gretel…”

Thor ascoltava concentrato, le gambe che dondolavano impercettibilmente. Momenti come quelli – di calma perfetta, tanto che dai corridoi non arrivava nessun rumore e la reggia di Asgard sembrava vuota – erano rari, e trascorrerli con suo padre che lo teneva sulle ginocchia e gli raccontava storie di luoghi lontani e di personaggi fantastici li rendeva ancora più preziosi.

Il suo animo di bambino scalmanato e amante dell’avventura si deliziava con quelle storie; non solo delle gesta di suo padre, ma di ogni piccolo dettaglio, che risvegliava in lui universi interi, popolati da spiriti, giganti, streghe e creature dei cieli e dei mari. Alcune lo lasciavano perplesso, come quella che gli stava raccontando; se anche lui si fosse addentrato nella foresta di Asgard, avrebbe trovato una casetta di marzapane abitata da una strega? Mano a mano che il racconto andava avanti, però, dava sempre meno importanza ai dettagli. In fondo, suo padre era più sapiente di cento saggi, e doveva aver acquisito molta esperienza attraverso i viaggi e il suo dominio sui Nove Regni…
Loki, seduto ai piedi del trono, puntava sul padre i suoi occhi verdi, magnetici, desideroso anche lui, a suo modo, di immergersi completamente nella storia sulla scia del racconto di Odino.

 
Il viso del Padre degli Dei era disteso, la voce tranquilla. Il temibile guerriero che aveva riportato innumerevoli vittorie in sella al suo destriero a otto zampe non era molto diverso da un normale padre affettuoso, desideroso di dedicare qualche ora del suo tempo al figlio.
Thor amava quei momenti trascorsi col padre, per quanto gli riuscisse difficile esprimerlo a parole.  Ogni membro della sua famiglia ricopriva un ruolo speciale nella sua esistenza: Frigga era il sostegno, la madre che lo stringeva a sé quando aveva paura o soffriva per qualcosa, l’insegnante che lo educava con fermezza e, allo stesso tempo, con dolcezza; Loki – per quanto potessero essere diversi e, a volte, anche in competizione – il complice e compagno di giochi, il fratellino che lo ammirava e lo affiancava in ogni avventura… ma era a suo padre che spettava il ruolo della guida, dell’eroe a cui avrebbe voluto somigliare in tutto e per tutto.

Quando arrivava il momento di dedicarsi ad affari importanti il bambino scendeva a malincuore dalle ginocchia di Odino, col broncio di chi non vuole arrendersi al fatto che il proprio padre sia effettivamente il sovrano regnante di Asgard. Ma bastava una carezza sulla testa a farglielo passare, sostituito da un sorriso fiducioso, che il padre sorprendentemente ricambiava con una spontaneità che gli illuminava i tratti severi.

***

Un pomeriggio come tanti altri avevano combinato un altro dei loro piccoli disastri, costringendo i servitori a riordinare tutto e Odino a spedirli in castigo nelle loro stanze per qualche ora. Luogo che i principi avevano accuratamente evitato, preferendo rifugiarsi nei giardini, dove nessuno li avrebbe disturbati.
Stava raccogliendo sassi dalla forma strana assieme a Loki, quando i contorni vaghi della storia ascoltata pochi giorni prima avevano preso forma.

“E se il Padre si fosse stufato di noi? Di averci come figli?”

Thor, che era occupato ad ammucchiare alcuni piccoli ciottoli sull’argine di un torrente, non gli rispose subito. Si voltò poco dopo, come se le parole del fratello gli fossero arrivate con un soffio di vento, leggere, all’orecchio.

“Perché non dovrebbe più volerci, Loki? Siamo i suoi figli!”

Gli occhi del fratello, appena coperti dai ciuffi di capelli scuri, gli apparivano tristi, tormentati da un dolore difficile da decifrare. Quando il Padre li sgridava, Thor cercava di sostenere il suo sguardo, fiero e spavaldo anche se sapeva di essere in torto; Loki invece lo abbassava subito, mortificato e in qualche modo timoroso di scatenare ulteriormente la sua ira. Il fratello non lo aveva mai visto fare l’offeso con Frigga o rispondere male al padre: era arrendevole, troppo, la sua bontà apparente nascondeva una insicurezza profonda.
Eppure, pensava che quei momenti di condivisione familiare avessero lasciato qualcosa nel cuore del fratello, come era successo a lui… a volte dimenticava quanto fossero diversi, anche in dettagli come quelli. Per quanto Loki non sembrasse amare il contatto fisico, in fondo voleva bene ai genitori, e cercava sempre di comportarsi bene e renderli orgogliosi di lui. Allora, perché quella domanda, così all’improvviso?

“Nella fiaba, Hansel e Gretel vengono abbandonati nel bosco perché i genitori non hanno più nulla da dar loro per sfamarli. Noi da mangiare ne abbiamo, è vero” - si tormentò un ciuffo di capelli vicino all’orecchio -  “ma se il Padre si fosse comunque stufato dei nostri dispetti? Se avesse deciso di lasciarci qui e non ci volesse veramente più?”

Quelle parole iniziavano a spaventare Thor. Si fidava di suo padre più di chiunque altro al mondo e non avrebbe mai messo in dubbio il suo amore per entrambi i figli, era vero… ma Loki a suo modo aveva ragione: e se veramente stesse meditando di spedirli lontano per punirli? O peggio, temeva che il suo amore, all’improvviso, si potesse trasformare in insofferenza.

Un bambino non sempre riesce a vedere oltre le frasi dette da un adulto durante una sgridata: le coglierà sempre nella sfumatura peggiore, come assolute e inequivocabili. Nonostante Thor temesse che quelle parole potessero contenere un fondo di verità, cercò di fare del suo meglio per non pensarci e per consolare il fratello, che aveva tutta l’aria di star per piangere.
Non servivano cerimonie, né abbracci: in quello era molto più brava sua madre, a lei sarebbe toccato il compito. Si limitò a prendergli la manina e a condurlo con sé di nuovo all’interno della reggia, confortandolo sul fatto che Odino li avrebbe di certo perdonati, facendolo persino sorridere inventando per lui, sul momento, le scuse che avrebbero potuto utilizzare per giustificare gli stivali bagnati e le mani sporche di terra (che andavano dalla lotta a mani nude contro un orso all’inseguimento di un folletto con conseguente caduta), comportandosi più come il piccolo ometto giudizioso – come lo chiamava Frigga – che sarebbe dovuto diventare che come un bambino della sua età. Ma, in cuor suo, tutto ciò che desiderava era sentirsi confortare da Odino un’altra volta, e scoprire che Loki si stava sbagliando.

***

Quella sera, a tavola, non aveva mangiato con il solito appetito poderoso: la tensione iniziava a farsi strada attraverso di lui, e assieme a quella anche la paura di trovare nel viso e nei gesti del padre qualche segno di cambiamento. Nonostante tutto, il racconto della fiaba era un loro appuntamento fisso, e non se lo sarebbe perso per nulla al mondo.
Camminò silenzioso per i corridoi del palazzo fino alla sala del trono con la voce dubbiosa del fratello che gli risuonava nella testa, scandendo i suoi passi come una sorta di canzone ripetitiva. Non poteva permettere al dubbio di divorarlo: aveva lasciato Loki alle cure di sua madre (con la quale sembrava avere un rapporto speciale, un’intesa maggiore rispetto a quella che lo legava a Odino), rassicurandolo che avrebbe ottenuto il perdono per entrambi e che avrebbe fatto tornare tutto a posto… ora doveva mantenere la sua promessa, anche se il pensiero di doversi confrontare con suo padre gli faceva battere il cuore.

Per fortuna, Odino era al solito posto: la sala del trono, vuota, faceva sembrare la sua figura ancora più maestosa, ammantata di un’aura di potere e grandezza che avrebbe intimidito chiunque. Thor lo salutò con il solito affetto – leggermente più misurato del solito, ma comunque sincero – e si sedette sulle sue ginocchia, ansioso di riprendere la storia da dove l’avevano lasciata.

Il terzo giorno, quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel. "Io mangerò un pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è dolce…"

Odino raccontava, e Thor, appoggiato contro la pelle ruvida della casacca del padre, rimaneva perso nei suoi pensieri, senza riuscire ad introdurre l’argomento che lo faceva soffrire. Fu il Padre degli Dei ad accorgersi che, effettivamente, qualcosa non andava.

“Thor? Sei troppo silenzioso, non mi hai fatto neppure una delle tue solite domande… cosa c’è che non va?”

Il bambino si staccò di soprassalto, sgranando gli occhi celesti e fissando l’unica pupilla del padre, accesa di una luce interrogativa. Si era lambiccato il cervello per tutta la giornata cercando le parole con cui iniziare il suo discorso, non immaginando neppure che potesse essere Odino a introdurlo… ora che potevano chiarirsi, non doveva perdere l’occasione.

“Padre… non vuoi più bene a me e Loki? Come il padre di Hansel e Gretel?”

Il silenzio, palpabile, li avvolgeva come un vetro liquido. Thor era così teso da sentire il proprio cuore rombare nel petto, il sangue che lo scaldava e faceva più rumore di un carro lanciato in corsa lungo l’acciottolato di una strada. Aspettava la risposta del padre come un verdetto che avrebbe deciso la sua sorte… per cui, quando udì la voce inaspettatamente dolce parlare dopo istanti che erano sembrati durare secoli, girò la testa per incontrare il suo sguardo, stupito.

“Thor… non sempre un padre può essere affettuoso e comprensivo con i suoi figli. Ci sono momenti in cui tu e Loki mi fate arrabbiare, ma ciò non significa che io smetta automaticamente di volervi bene, o di considerarvi con amore per questo. Nella vita non va sempre tutto bene… ci sono le sgridate e i momenti felici, ma l’importante è che capiate cosa c’è dietro alle mie arrabbiature, per evitare di comportarvi male in futuro.”

Il Padre degli Dei gli accarezzò la testa come sempre faceva quando era in compagnia del figlio, ma stavolta con più delicatezza, come a volerlo rassicurare sulla sincerità delle sue parole. Thor sentiva di non riuscirlo a capire fino in fondo (era pur sempre un bambino di otto anni, ne aveva di tempo per crescere…), ma finché suo padre lo assicurava di amarli, e che mai e poi mai li avrebbe abbandonati, il suo cuore spiccava un piccolo balzo, come un salto dalla scogliera delle sue paure.
Odino prese il figlio per le spalle e lo voltò, in modo che potesse guardarlo negli occhi.

“E poi, non hai ancora sentito il finale della fiaba. Hansel e Gretel vengono abbandonati nel bosco, ma dopo aver sconfitto la strega riescono a tornare a casa, dal loro padre che li amava e li accoglie a braccia aperte, ora che la matrigna non può più costringerlo a lasciarli di nuovo.
Thor non riuscì a trattenersi: si strinse con forza al fianco del padre, affondandogli il visetto rotondo nelle pieghe della casacca e inspirando il suo profumo di forza, di casa, di protezione, assimilandolo fino all’ultima goccia, cercando di imprimerselo addosso per ricordare bene quella sensazione, per avere la conferma che Odino non li avrebbe mai abbandonati. E, in un attimo, tutta la paura, l’insicurezza che l’aveva accompagnato durante quella giornata svanì, sostituita da un meraviglioso tepore e dal desiderio di dormire, data anche l’ora tarda.

Avrebbe voluto che Loki fosse lì con lui, per beneficiare di quella sicurezza che lo inebriava. Ma sentiva che, in quel preciso momento, il fratello doveva trovarsi nella sua stessa condizione: Frigga lo stava sicuramente rassicurando con il suo amore di madre, cancellando ogni incubo dalla sua mente con un semplice sorriso, una carezza sui capelli neri come la notte.


***

Rimase seduto per un tempo che gli parve infinito sulle ginocchia del Padre degli Dei – suo padre – che, cambiando genere di storia, gli raccontava delle sue gesta durante la conquista di uno dei Nove Regni. Sentiva la sua voce, ma non lo ascoltava del tutto: la sua mente di bambino era impegnata, come sempre, a rielaborare con la fantasia le sue gesta, vivendole come un’avventura in movimento al di là delle palpebre socchiuse, proiettata sullo schermo colorato dei sogni. E quando Odino lo prese in braccio e lo portò nella cameretta, distendendolo sul letto e sfiorandogli la fronte con un bacio leggero, fu felice di riuscire a restare sveglio l’attimo necessario per rivolgergli un piccolo sorriso, che per quanto assonnato voleva significare che era orgoglioso del proprio eroe.

Nonostante giocasse con spade e lance, per quanto l’ambiente in cui stava crescendo fosse più adatto a forgiare guerrieri che bambini spensierati, Thor era sereno. Non poteva vedere il futuro, e quindi la gran parte delle discussioni e delle sfuriate che sarebbero arrivate in seguito - ah, l’adolescenza…- gli erano sconosciute, ma dentro di sé era certo di una cosa: poteva fidarsi di Odino. Poteva continuare a immaginarlo come un guerriero mitico, immenso per forza e saggezza, ma la sua grandezza non stava solo in quello: li portava sulle sue spalle da quando erano nati, alternando la loro cura al dominio su un regno che si estendeva a perdita d’occhio, e ancora trovava il tempo per dargli la buonanotte e accompagnare i suoi pensieri con i racconti che tanto amava. Chi altro l’avrebbe fatto?

Essere Padre degli Dei e regnante di Asgard non era semplice. Ma essere padre di due figli, rifletté, doveva essere anche più difficile.



****




Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

Con questa fic ho ufficialmente dato inizio ai miei tentativi di scrivere sul rapporto genitore/figli tra Odino, Thor e Loki, che mi hanno sempre ispirato ma su cui non ho mai avuto tempo di produrre nulla… il contest è stato un ottimo “trampolino di lancio”, e sapere che la storia sia piaciuta tanto da meritare il terzo posto mi ha resa ovviamente molto felice <3
(Grazie soprattutto alla pazienza delle giudici, che hanno corretto e valutato tutti i nostri lavori con grande precisione, nonostante i vari impegni e disguidi di studio!).

La favola di Hansel e Gretel è stata la prima che mi è venuta in mente e ho deciso subito di utilizzarla, anche perché mi sembrava quella più adatta da inserire nel contesto… tecnicamente il contest riguardava il fandom di The Avengers, ma essendo la storia incentrata sul passato di Thor – ed essendoci Odino, che nel film non è presente – alla fine mi è sembrato più giusto includerla nella raccolta.
Come sempre… aspetto i vostri consigli/rimproveri/recensioni/commenti, un paio di minuti per voi rappresenta un grande miglioramento per un fanwriter! *campagna di sostegno recensioni mod:on*
Grazie anche a chi ha inserito la storia nei preferiti, a chi l’ha messa nelle seguite, a TsunadeShirahime per l’instancabile b(i)etaggio e a Vannagio per l’ultima recensione!

See ya, gente!
Nat

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** I used to call them home ***


I used to call them home

 

 

La Madre degli Dei, Frigga, era nota per una certa fermezza di carattere.
Aveva i suoi momenti di fragilità, certo – neanche gli dei ne sono esenti, per quanto gli umani li ritengano perfetti – ma li aveva sempre superati con un autocontrollo notevole. Per quel motivo, l’ancella che le vide cadere l’ago da ricamo all’improvviso, all’annuncio che la sua presenza era urgentemente richiesta al cospetto del Padre degli Dei, pensò immediatamente che un fatto grave doveva essere accaduto.

Frigga si era alzata dal posto che occupava e si era diretta nelle sue stanze da sola: aveva percepito qualcosa. Per quanto non avesse sposato Odino per amore, col tempo si era creato un certo legame, che l’aveva portata a sintonizzarsi sui suoi pensieri e a capire quando qualcosa non andava bene. E, in quel momento, quel che sentiva non le piaceva per niente. Accelerò il passo, senza accorgersene.
La sua camminata frettolosa l’aveva condotta nella loro stanza, dove i servitori avevano portato Odino, che ora dormiva profondamente, disteso sul letto.

Il marito sembrava essere caduto nel suo solito sonno periodico - e fin lì la cosa non l’avrebbe preoccupata più di tanto – ma le parole confuse sussurrate da un servitore le avevano fatto capire che Loki era coinvolto in quella situazione, e che l’ultimo ad aver parlato col Padre degli Dei prima che si addormentasse era stato lui.
Non sapeva se il marito era in grado di sentirla attraverso la cortina nebulosa del suo sonno, né cosa provasse in quel momento. Tutto ciò che poteva fare era stargli accanto e stringergli la mano nel tentativo di comunicargli ciò che provava, chiedendosi se anche solo una piccola parte dei sentimenti dell’uomo potessero arrivarle in quel modo.

Penso io a Loki. Sta affrontando ciò che gli tenevi nascosto, sapevi che sarebbe arrivato il momento… posso solo fare in modo che tutto ciò che ha scoperto lo faccia soffrire il meno possibile.

 

Chiuse gli occhi, la pesantezza di quella situazione che la schiacciava, la faceva sentire una ragazzina inesperta, una regina alle prime armi. Sfiorò ancora una volta la mano del Padre degli Dei, più per dare coraggio a sé stessa che a lui, e sospirò: l’ora della verità era arrivata.
 

****

Il giorno della battaglia contro i Giganti di Ghiaccio, la Regina non aveva chiuso occhio. Tormentata dall’ansia, aveva girato per le stanze della reggia come un’anima in pena, tentando di trovare un’occupazione che distogliesse i suoi pensieri da quanto stava accadendo a Jotunheim. Thor era ancora piccolissimo: le si era stretta accanto e lo aveva cullato per ore, raccontandogli storie e cantando vecchie canzoni per lui fino a seccarsi la gola.

Era passato il giorno, era arrivata anche la notte, e Frigga era rimasta lì, accanto al figlio che dipendeva così tanto da lei, chiedendosi suo malgrado cosa stesse succedendo là fuori, dove le donne come lei non erano ammesse. Thor non piangeva: le aveva piantato addosso gli occhioni celesti e la guardava come se capisse la situazione, come se volesse già dimostrarle che sarebbe stato un bravo bambino e un ottimo figlio. E poi era entrato Odino nella loro stanza, coi segni della battaglia sul volto e un piccolo fagotto sporco di sangue tra le mani.
Lei gli era corsa incontro, un misto di sollievo e preoccupazione sul bel viso, senza fare inizialmente caso a ciò che aveva portato via dalla scena della battaglia: era stato il marito a metterle l’involto tra le braccia, guardandola negli occhi con una gravità e una tenerezza che le erano nuove.

“Il figlio di Laufey è sopravvissuto”.

Non aveva detto altro, ma Frigga aveva capito.

“È solo un bambino…”

Le mani della donna avevano svolto con delicatezza il fagotto, liberando la testina del bambino e il suo corpicino magro: era un neonato, troppo piccolo per essere un Gigante di Ghiaccio, gli occhi verdi socchiusi e una delle manine chiusa a pugno sulla bocca. Al tocco della donna si doveva essere spaventato, perché aveva iniziato a piangere quasi immediatamente, agitandosi come un piccolo animale strappato alla madre troppo presto.
Frigga capì cosa aveva intenerito suo marito: quel bambino doveva avere al massimo un anno meno di Thor, ma era completamente diverso, come il giorno dalla notte. Eppure, il bisogno di protezione, la fragilità, erano le stesse. Come Thor la guardava con i grandi occhi spalancati quando la madre lo stringeva al seno per farlo addormentare, così il piccolo Jotun si era calmato quando Frigga lo aveva abbracciato, avvolgendolo nel suo scialle per riscaldarlo. E, una volta al sicuro, si era addormentato di nuovo.

“Accetti Loki come tuo secondo figlio?”

La donna aveva alzato gli occhi dal bambino, guardando un’altra volta il marito: tra loro non c’era bisogno di lunghi discorsi. Dopo averlo baciato sulla testa glielo aveva porto, sorridendo per confermare la sua decisione al Padre degli Dei.

“Loki Odinson andrebbe presentato a suo fratello maggiore. Non credi?”

 

****

Eppure, tutto era caduto in pezzi.
Inevitabilmente, come temeva sarebbe successo.

Loki era nella sua stanza, seduto in un angolo con la testa fra le mani, come aveva fatto tante volte da bambino quando combinava qualche guaio e da adolescente, quando qualcosa lo turbava. La madre aveva esitato: cosa avrebbe potuto fare lei, per sanare quanto era successo nella mente e nel cuore del figlio? Poteva provarci, sperando che il danno non fosse già troppo grande… sperando che Loki decidesse di lasciarle uno spiraglio aperto per raggiungerlo, nonostante la confusione che sicuramente doveva provare.

“Madre? Ti ho sentita arrivare da lontano.”

Loki la fissava con gli occhi verde profondo, lo sguardo stanco ma comunque fiero, quello di un principe che, per quanto ferito e sconfitto, tenta di mostrare il proprio valore. La donna gli si sedette accanto, attenta a mantenere una certa distanza ma decisa a confortarlo: voleva molto bene a Loki, e sentiva di doverlo proteggere, anche se lui si sarebbe opposto sicuramente.

“Tu sapevi? Sapevi, e non mi hai detto nulla?”

Aveva toccato il punto della questione. Doveva essere una sua caratteristica, quella di guardare attraverso coloro che lo circondavano, come se fossero fatti di vetro: come faceva ad indovinare pensieri che a Frigga stessa erano difficili da esprimere a parole?
Fu proprio quella domanda disarmante a darle sicurezza.

“Avrei voluto che tu conoscessi la verità già da molto tempo, Loki. Ormai sei un uomo, e fin da ragazzino ti sei mostrato maturo e in grado di gestire le tue emozioni… ma tuo padre non ha voluto. Pensava che avrebbe rovinato la tua infanzia. Non voleva renderti più triste…”

“Per cui ha preferito consolarmi con una bugia, vero? Una bugia adatta al Dio degli Inganni. Come potevate pensare che gli altri abitanti di Asgard mi avrebbero accettato, se eravate voi i primi a tenermi nascosto a me stesso, prima ancora che a voi? Come, madre?”

La donna restava in silenzio, cercando di convincere le parole a radunarsi nella sua mente.
Le domande erano troppe e non portavano alcuna certezza in una risposta, ma a Loki non sembrava importare.

“Avete pensato solo a voi, alla vostra bella corte, a quello che gli altri avrebbero potuto pensare, alle apparenze. Non v’importava di mostrare a nessuno il mio vero aspetto, fino a che non si fosse trattato di recitare una parte, ossia quella dei sovrani che vogliono unire Jotunheim e Asgard grazie al figlio adottivo strappato ai perfidi Giganti… se il Padre davvero prova amore per me, avrebbe dovuto capire subito che avrei meritato la verità. Ma non l’ha fatto. E pretende che ora io lo capisca, e che perdoni Thor. Dopo tutto questo.”

Era calmo, ma era proprio quella calma gelida e tremante a preoccupare Frigga: il Loki che vedeva in quel momento era diverso anni luce da quello che aveva conosciuto, sia dal bambino silenzioso e dolce che dall’adolescente taciturno, ma che sapeva farsi valere con le sue ottime maniere e il suo acume. Chi fosse davvero il figlio che aveva cresciuto, non lo sapeva più.

“Noi ti amiamo, Loki, lo abbiamo sempre fatto. Tuo padre, ed io. E Thor. Come avremmo potuto non farlo? Sei il nostro secondo figlio…”

Si era alzata in piedi e lo aveva raggiunto, spinta dalla forza propria di ogni madre, che le alimenta e le rende capaci di sopportare ogni dolore per il bene dei propri figli: quel neonato che aveva stretto al seno come se fosse suo ora era ben più alto di lei – tanto che per stringergli le braccia dietro la schiena doveva alzarsi sulle punte – ma ciò non le impediva di cercare un contatto fisico, meravigliandosi dell’arrendevolezza con cui Loki si era lasciato cingere. Aveva un buon profumo, e tentava di apparire così forte e severo nella sua armatura che alla donna scappò un sorriso indulgente.

“Sai madre, quali sono le cose che mi rendono più frustrato? Quelle che non posso cambiare. Quelle che, per quanto io possa remarvi contro, tentare di porvi un qualsiasi rimedio, restano quelle che sono, e mi fanno soffrire anche di più per il solo fatto di averci provato senza riuscirci. Perché mostrano quanto io sia debole, quanto sia impotente di fronte alle mie difficoltà”. Si voltò e la afferrò per le spalle, un bambino adulto con gli occhi pervasi dalla disperazione. “Nessuno può cambiare la mia diversità, il fatto che io non sia come voi. Né potrò accettarlo io per primo madre, lo sai. Eppure, dentro di me desidero più di ogni altra cosa che quanto mi ha raccontato mio padre non sia vero. Che sia un’altra bugia, una bugia confortante, sicura. Questo non è un comportamento degno di un principe, ma di un pazzo che farnetica e cerca di negare ogni evidenza… ma chi può dirmi cosa sono in realtà? Un orfano? Un Gigante? Un principe? O semplicemente un folle?”

L’aveva scossa con forza: lo sguardo spaventato negli occhi di Frigga glielo aveva confermato. Ma l’abbraccio della donna – un altro abbraccio, un altro tentativo di rassicurarlo, di sentirlo più vicino a sé – non si fece attendere, e fermò qualsiasi altro tentativo di porre un muro tra la madre e i propri sentimenti.
Lasciati andare, Loki. Mostrami la tua anima, come facevi tempo fa. Piangi anche se devi. Solo… non distruggerti così. Ti prego.

Lo tenne stretto per quella che poteva essere un’eternità, o pochi minuti di silenzio immobile, quindi gli prese il viso tra le mani, con la certezza di essere riuscita ad aggrapparsi ad un brandello della sua anima e di doverla tenere stretta:

“Hai la possibilità di cambiare le cose, Loki. Ora sei tu il re. E sarai un ottimo re, se solo lo vorrai.”

Non avrebbe saputo dire cosa passasse nella mente del figlio a quelle parole, ma non le importava di scoprirlo: voleva fidarsi di Loki. In fondo, era quello che anche suo marito avrebbe voluto, quello che Thor le ripeteva sempre quando lei gli chiedeva cosa pensasse del fratello… Loki ha solo bisogno di essere capito, e amato. Ma come possiamo pretendere che cresca felice, se noi per primi abbiamo confezionato una bugia in cui farlo vivere?


****

Uscì dalla stanza dopo avergli accarezzato la testa, con la consapevolezza che non sarebbe finita lì. Eppure, durante la notte, quando entrò silenziosamente in quella stessa stanza per guardare il figlio dormire (e agitarsi nel sonno), sperò che i semi dell’amore che aveva gettato nel suo cuore anni prima portassero a qualcosa. Loki aveva ragione: erano le cose che non possono cambiare in nessun modo a far soffrire di più, e anche lei continuava a sperare ininterrottamente in ciò che non poteva avere in quel momento: che Thor venisse richiamato dal suo esilio, che suo marito si svegliasse dal suo sonno e la rassicurasse che tutto sarebbe andato bene, che Loki e suo figlio primogenito tornassero ad essere i due ragazzini spensierati che erano una volta… molti di quello erano solo sogni, ne era consapevole. Fermarli, però, era impossibile.
Aveva baciato sulla guancia il futuro re, attenta a non svegliarlo, e aveva lasciato un’altra volta la stanza, sperando in un sonno ristoratore o almeno in una notte che le portasse consiglio. Era lontana da chi amava, nonostante due di loro le fossero vicini fisicamente, ma doveva restare forte. Non aveva altra scelta.

“Una volta, eravamo una famiglia”.

Ripensando alla frase di Loki, si chiese dove avesse sbagliato. E, per un attimo, fu felice che il corridoio non fosse pieno di gente che potesse assistere a quell’attimo di debolezza della Madre degli Dei.

 

 

****

Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

 Con questa shot, credo di aver toccato il picco massimo di insoddisfazione per la riuscita di una fic (che novità!).
Scherzi a parte, amo il personaggio di Frigga e il modo in cui si rapporta a Loki nelle poche scene in cui si ritrovano insieme: ho sempre voluto scrivere una sorta di momento introspettivo in cui si confrontavano, ma quando ho iniziato a lavorarci su i capricci della mia Musa hanno avuto la meglio ed è uscita fuori questa cosa qui, che oltretutto presenta una percentuale di dialoghi ben superiore a quella a cui sono abituata e che per questo mi ha richiesto un lavoro di correzione immane!
Il momento di svolgimento, ovviamente, è subito dopo il sonno di Odino, all’incirca quando Frigga dichiara Loki re in assenza di Thor. I pensieri di entrambi – e lo svolgimento effettivo – seguono comunque una versione rimaneggiata da me, e spero veramente non sia troppo OOC, dato che ho sempre difficoltà a trattare Loki come personaggio…

Come sempre, grazie al mio bro TsunadeShirahime per il suo lavoro di beta! :3
E anche a LadyKokatorimon per aver inserito la storia tra le seguite.

Insomma… fatemi sapere se questa piccola scempiaggine nata dai miei deliri vi è piaciuta! Se sono andata troppo OOC, se invece c’è qualcosa che vi ha convinto… la vostra opinione è sempre importante, gente!

Alla prossima,
Nat

 

 

 

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Capitolo 5
*** Come uno specchio ***


Come uno specchio

 

 

 

“Thor? Non ti alleni con noi oggi?”

 I passi cadenzati di una figura femminile percorrevano i pavimenti di marmo dei corridoi del palazzo di Asgard, incidendo il loro ritmo lieve eppure deciso nelle venature che li segnavano. Per quanto la grazia apparente di lady Sif avesse tratto in inganno più di un uomo che la osservava per la prima volta, la giovane era tutt’altro che una fanciulla dolce e indifesa: la lancia che stringeva tra le dita ne era una testimonianza più che evidente. Un bel fiore ben protetto dalle spine, come scherzavano in molti quando la ragazza non era a portata d’orecchio. Eppure, erano in pochissimi a conoscere quello che di importante c’era da sapere su di lei…

Lo aveva trovato in piedi davanti a uno dei balconi, l’aria assente. Non ci aveva messo molto a capire che stava pensando a qualcuno, e Sif sapeva fin troppo bene chi fosse quel qualcuno.

“Siamo nel cortile dietro le stalle. Volstagg per una volta tanto non si è portato un bue intero da mangiare e Fandrall si comporta da persona quasi seria” aveva sospirato, senza riuscire a trattenere uno sbuffo di seccatura. “Non ti unisci a noi? È da tanto che non ci alleniamo tutti insieme…”
Aveva lasciato cadere il discorso, esitante. Lui si era voltato e l’aveva ripagata con uno sguardo gentile e un altro sorriso, diverso anni luce da quelli ampi e radiosi che ricordava.

“Precedetemi pure, tra poco vi raggiungerò volentieri. Grazie, Sif.”

Non aveva avuto altra scelta se non quella di ritirarsi con rispetto, scivolando nuovamente attraverso i corridoi del palazzo di Asgard, facendo propria la tranquillità delle sue zone più nascoste fondendosi con lo stesso rumore dei suoi passi, sempre leggero, sempre uguale. Tump. Tunf. Tump. Tunf. Tump.
A pensarci bene, aveva una gran voglia di esercitarsi con la lancia: da quanto tempo non ci si dedicava? Mesi, di sicuro, se si escludeva il breve scontro con il Distruttore su Midgard. Anche se in compagnia di Fandrall, Volstagg e Hogun, quando si trovava faccia a faccia con la sua arma si isolava completamente dal resto del mondo, per entrare in quella dimensione solo sua in cui contavano la velocità, la destrezza, i riflessi. Ne usciva stanca, certamente, ma in qualche modo anche ricaricata.

Quel giorno, però, un semplice allenamento forse non sarebbe bastato a farle dimenticare quel viso assorto.

 

***

 

L’aria fresca del mattino di Asgard la rimise quasi subito di buon umore, così come l’aver ripreso finalmente possesso della sua arma, che fremeva come se non chiedesse altro che di essere impugnata e adoperata. E lei non si sarebbe di certo fatta pregare.
I suoi amici si erano sistemati ad una certa distanza da lei e avevano già iniziato il loro allenamento, rivolgendole qualche cenno col capo e un paio di considerazioni generiche sul tempo. Lei li aveva salutati a sua volta e aveva scherzato come al solito ma, terminati quei convenevoli, la forza che scaturiva dalla sua lancia l’aveva assorbita del tutto. Come faceva ad ignorarla ancora?

Iniziò subito con una serie di scarti e affondi, ritirandosi e allungandosi verso un bersaglio immaginario con eleganza e forza, spostandosi velocemente quando necessario e contrattaccando con precisione, come se si trovasse davanti non ad un solo avversario, ma ad un intero esercito schierato in battaglia. Era facile: una volta ripresa la mano, le sembrò di non aver mai lasciato quell’abitudine alle esercitazioni mattutine, e i movimenti le riuscirono sempre più fluidi, anche più dell’ultima volta.
Sorrise tra sé e sé, e per un attimo le sembrò di aver sconfitto la Sif insicura che dormiva dentro di lei, quella che cercava di indurla a scoraggiarsi ogni volta che non si comportava dalla guerriera perfetta che ormai tutti si aspettavano fosse. Erano bastate una lancia, una bella mattina, e un po’ di sicurezza…

I pensieri, però, sembravano non volersi fare da parte tanto facilmente.

Pensava a Thor, ovviamente, e a quanto sembrasse strano da quando era tornato da Midgard: sicuramente era meno rumoroso, più silenzioso, in qualche modo più maturo… non che ci fosse nulla di male – prima o poi sarebbe dovuto accadere, in fondo era destinato a succedere a suo padre Odino come re di Asgard – ma lo conosceva troppo bene e capiva che gran parte di quella improvvisa serietà era dovuta ad un groviglio di idee che gli afferravano la mente, come stava succedendo a lei in quel momento. E ricondurle all’umana era stato quasi naturale.

Continuò a piegarsi e a scartare. L’aveva avuta davanti agli occhi per pochissimo tempo, troppo poco per farsene un’opinione vera e propria, ma quanto aveva visto di Jane Foster era bastato a farle capire che, sotto l’apparenza fragile e delicata di una giovane donna mortale, si nascondeva un cuore forte, la tenacia di chi desidera qualcuno e non vuole lasciare andare l’oggetto del proprio amore. In qualche modo, la ammirava: avrebbe potuto scappare in ogni momento, andarsene via e lasciarsi tutto alle spalle alle prime avvisaglie di pericolo, e invece era rimasta e non si era mai arresa, neppure quando sembrava che tutto fosse perduto. In quello si somigliavano, ammise.

Allora, perché Thor non ha scelto me?

Lanciò l’arma con troppa foga, mandandola ben più lontana di quanto avrebbe voluto. Perché doveva lasciarsi condizionare da quei pensieri? Non aveva mai immaginato Thor in quel modo, eppure, da quando lady Frigga le aveva parlato della depressione che sembrava averlo preso in scacco, chiedendole di aiutarlo ad uscirne, quello che era stato solo un caro amico d’infanzia e una persona sulla quale contare era diventato qualcosa di più, qualcosa che non sapeva spiegarsi ma che la faceva soffrire. Una puntura piccola, come quando si bucava il dito con l’ago nel tentativo di ricamare qualcosa. Una puntura che però restava ferma nel suo cuore a lungo.

Chiuse un’altra serie di assalti e si fermò, le orecchie che le ronzavano fastidiosamente.

Decise di fermarsi: accumulare fatica invece di scaricarla era inutile, avrebbe fatto meglio a riposarsi un attimo davanti al piccolo stagno del giardino della reggia e a raccogliere i pensieri per poi buttarli via tutti. Per cui si sedette e strinse le braccia intorno alle ginocchia, togliendosi i capelli dagli occhi e gettando uno sguardo all’acqua sotto di sé senza volerlo, attirata da quella superficie come una bambina curiosa.
E proprio come quando era bambina osservò il viso che ricambiava il suo sguardo dall’altra parte, chiedendosi se davvero fosse il suo riflesso quello che la osservava e non gli occhi grandi e spauriti di una qualche creatura marina, che aveva preso le sue fattezze per ingannarla. Gli spiriti non esistono, e nemmeno le creature acquatiche, le ricordò una vocetta acuta che sembrava proprio appartenere ad una Sif di pochi anni. Eppure… qualcuno aveva mai provato il contrario?

Un raggio di luce la costrinse a socchiudere gli occhi, facendo brillare l’acqua di una sfumatura dorata.

***

Aveva sei anni la prima volta che si era sentita diversa dalle bambine che vedeva passeggiare per il palazzo, al seguito delle loro madri o delle loro insegnanti, pronte a diventare delle piccole dame di corte perfette. Lei era come loro, eppure non in tutto uguale: preferiva correre e cavalcare piuttosto che danzare e imparare a ricamare, e l’unica canzone della quale voleva imparare le note era quella della spada, dell’arco e della lancia. Forse era l’influenza dei ragazzi che frequentava, del principe Thor in particolare. Forse no, forse si trattava semplicemente di carattere, o del fatto che avrebbe voluto seguire suo padre dovunque e imitarlo come se fosse stata anche lei un membro della guardia reale. Fatto stava che aveva iniziato ad intraprendere quella strada che l’avrebbe portata a diventare Sif, la lady guerriera, anche se ancora non lo sapeva, e continuava a vivere le sue giornate di bambina vivace tra lo studio e le corse sfrenate per i giardini di Asgard, senza pensieri come solo una ragazzina poteva esserlo.

Come tutti, anche lei era cresciuta. C’erano stati scontri e vittorie, un cambio inaspettato di aspetto (merito di Loki e della sua inesauribile voglia di fare scherzi. A dirla tutta, però, non le dispiacevano quei capelli così scuri, così forti, anche se avevano perso la loro lucentezza simile all’oro lucidato), le solite stupidaggini tra compagni e i festeggiamenti… tra le righe di ogni momento, stava già serpeggiando qualcosa. Eppure non se n’era accorta: con Thor era sempre la stessa, si prendevano in giro e lottavano da vecchi amici quali erano, tanto che nessuno aveva mai sospettato nulla. Neppure lei stessa. Perché allora quei pensieri avevano iniziato a tormentarla tutti insieme?

 
Si alzò in piedi di scatto, frantumando l’immagine riflessa che continuava a guardarla, aspettando una sua reazione. Non sapeva neppure lei cosa aspettarsi da Sif, la dea della guerra. Che prendesse in mano la sua vita, che si dichiarasse (quella parola le suonava strana, come se il suo vocabolario non la ammettesse neppure), che facesse capire all’amico di una vita che la mortale di cui si era invaghito non era nulla in confronto a lei, agli anni che avevano passato insieme, ai loro trascorsi? No, non era da lei. Lei combatteva, non persuadeva a parole la gente. E poi, a cosa sarebbe servito convincerlo di qualcosa che neppure sapeva definire?
Le sue dita incontrarono di nuovo il ferro della lancia: era freddo, sicuro. L’unica certezza che riusciva a trovare in quel groviglio di punti sospesi era proprio la sua consapevolezza di essere lady Sif. La guerriera, la ragazza dura e forte, la dea fragile che si proteggeva con un elmo di nebbia e un’armatura di convinzione. Lei.

E non voleva cambiare. Non sarebbe cambiata.

 

Lo specchio d’acqua ai suoi piedi le restituì un sorriso spavaldo, perfetto per la ragazza che lo indossava. Non c’era bisogno di trucchi, quando si trovava di fronte a sé stessa.
Ricominciò con gli affondi, tese il suo corpo come un elastico, sfogò quello che provava trasformandolo in forza, in movimenti precisi e fulminei.

Devo essere soddisfatta di quello che sono. Forse lo sarà anche lui, un giorno.
Magari già lo è.

 

Lady Frigga aveva ragione, rifletté mentre tornava dai suoi compagni: a volte, quando si condivideva troppo, si finiva col diventare più di una ragazza, ma meno di una donna.
Eppure… se esisteva un compromesso, avrebbe continuato ad essere la donna con l’armatura che la sua immagine riflessa le regalava.

 

 

 

 

****

Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

Ok, detesto quando ho in mente da millenni cosa scrivere riguardo ad un personaggio e poi, una volta davanti al foglio, tutto quello che mi era venuto in mente diventa qualcos’altro. Classico.
Anyway, era da parecchio che volevo scrivere una Thor/Sif (anche se in questo caso forse è più una Sif!centric) e raccontarla dal mio punto di vista… nonostante di Sif si sappia poco o nulla – riguardo al film, almeno – mi intriga moltissimo come personaggio, e la vedo come una ragazza molto forte, anche se con qualche tentennamento, soprattutto dopo la comparsa di Jane. Anche perché in originale è lei la compagna di Thor, quindi…
Come sempre, spero di non essere andata OOC!

Il titolo fa schifo ma la mia vena creativa si era esaurita, pardon. L’episodio dei capelli tagliati da Loki l’ho ripreso dalla mitologia, viene citato anche nel fumetto e non nel film, ma era funzionale ai fini della trama. Non vogliatemene <3
Grazie 9Pepe4 e a __Sayuri__ per le belle recensioni, e sempre a Sayuri per aver inserito la storia nelle seguite! Grazie anche a tutti voi “lettori silenziosi”, ma sappiate che il vostro contributo è sempre importante, con critiche, consigli e varie :)

Alla prossima!
Nat

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Capitolo 6
*** A Thousand Rains' Symphony ***


A Thousand Rains’ Symphony

 

 
Q
uando un immortale decide di scendere tra gli uomini, lo fa più per un capriccio personale che per un motivo valido. Asgard è la reggia degli dei, certo. Non manca di attrattive, né di una quantità più che sufficiente di agi e meraviglie. Eppure, capita di voler evadere, di scoprire cosa c’è oltre il mondo perfetto e immutabile degli dei.

Loki, però, non fa parte di coloro i quali la pensano in questo modo.

Il dio degli inganni non agisce mai per caso: se ha scelto di scendere su Midgard c’è una ragione, e fin troppo valida, a sentire lui. Oltre a scoprire qualcosa di più sui mondi che lo circondano – chissà, potrebbe sempre tornargli utile – vuole occuparsi di persona di qualcuno che lo preoccupa. Una donna, per la precisione, e non una donna qualsiasi, ma Jane Foster.
Proprio la Jane Foster di cui suo fratello si è innamorato, e che ha visto trascorrere qualche tempo con lui nel luogo chiamato New Mexico.

Loki non ha bisogno dell’aiuto di Heimdall per scendere sulla Terra, e nemmeno dei consigli di chi, prima di lui, si è avventurato in quel territorio sconosciuto (se ce ne sono stati, di avventurieri disposti a tentare la fortuna lì, a parte suo fratello e i suoi amici); vuole contare solo su se stesso, e così farà. Nessuno può competere in magia e astuzia col dio degli inganni, e nessuno potrà prendersi il merito di avergli fatto da guida, pensa, mentre il luogo dove è stato accolto da bambino diventa sempre più lontano, e quel puntolino bianco e blu verso il quale si sta dirigendo si avvicina e gli sembra sempre più chiaro.

 
****

Jane lo trova in un giorno di pioggia, nel caffè che ha iniziato a frequentare da poco perché, a detta di Darcy, il proprietario è nuovo della zona ma prepara dei dolci che sono la fine del mondo. Piove raramente nel New Mexico, e quando succede la ragazza viene assalita dalla malinconia, che le impedisce di restare a casa a leggere o a guardare la tv come fanno tanti altri. Lei deve uscire, immergersi totalmente nell’umidità e nel peso che lascia addosso ai meteoropatici come lei per non esserne più colpita: una vera e propria cura urto. Così, incurante delle gocce che la inzuppano con sempre maggior decisione e del traffico che la circonda, si tuffa in quel locale non tanto affollato, in cerca di un modo per riempire il suo “vuoto esistenziale da pioggia”.

E lì gli occhi di Loki le si posano addosso.

Sulle prime Jane non lo nota neppure. Pensa che si tratti di un cliente come tanti altri, solo più appariscente, con quella sua lunga giacca nera e la sciarpa sui toni del verde che vivacizza l’abbigliamento scuro. Una persona strana come ce ne sono tante. Dopo un po’ neppure ci fa più caso, e si sottrae ai suoi sguardi ignorandolo.
Ma Loki l’ha inquadrata, e continua ad osservarla, come se si trovasse davanti ad una creatura intrappolata nella teca di un museo, un essere che potrà essere scoperto e compreso soltanto osservandolo molto da vicino. È grato del fatto che suo fratello non sia lì con lei, avrebbe reso solo il suo lavoro da osservatore più difficile, con quelle sue stupide manie di protezione.

 
****

La seconda volta in cui Jane lo vede, sono entrambi nella piccola libreria della città. La proprietaria ha messo su un disco di Cole Porter, e l’aria è pervasa da una piacevole colonna sonora che si intona perfettamente col tempo. Piove ancora, ma questa volta la ragazza sa come affrontare la situazione, e ha provveduto immediatamente a fare una buona scorta di libri.
L’uomo che ha già visto da La Parisienne è seduto su una delle poltroncine che mai aveva trovato occupate fino a quel momento – quelle foderate di verde, agli angoli delle librerie di noce – e sta sfogliando con interesse quello che ha tutta l’aria di essere il libro illustrato di mitologia per bambini, “I Nordici e i loro miti”. Proprio quello che Erik e Darcy avevano consultato con lei quando si erano ritrovati Thor in casa, spuntato all’improvviso da chissà dove. La coincidenza la spinge a tenere d’occhio l’uomo, mentre finge di cercare un libro nella sezione più vicina al giovane, “viaggi e turismo”.

Il visitatore misterioso legge con calma, accarezza le pagine come se fossero pervase da una magia che solo lui sa percepire, segreta come quei miti e altrettanto misteriosa. C’è qualcosa di affascinante in lui che attira Jane come una calamita, ma allo stesso tempo la respinge e la inquieta un po’. Per quanto cerchi il più possibile di non farsi vedere, mentre rimette a posto i volumi ne sposta altri e il rumore fa girare Loki: due occhi verdi come smeraldi, come la luce che traspare dalle foglie di un albero colpite da un raggio di sole la inquadrano e sembrano leggerle dentro, come se fosse fatta di vetro.
Jane cerca una frase qualsiasi, un modo per togliersi dall’imbarazzo e provare a sembrare disinvolta, ma per quanto si affanni, dopo un minuto che dura millenni, esordisce con voce incerta:

“È un appassionato di mitologia norrena?”

Lui sorride appena, quasi si aspettasse la domanda.

“Si, diciamo pure che amo espandere le mie conoscenze. In qualunque campo… che siano viaggi, o storie che qualcuno ha già raccontato” termina criptico, chiudendo il libro e rimettendolo a posto. “Come lei, del resto. Vedo che è interessata ai viaggi in Estremo Oriente. È forse una turista?”

“Quando capita” risponde Jane, incerta e altrettanto criptica, senza sapere cosa rispondere ad una persona tanto sicura di se, che sembra sapere sempre cosa dire. Ma a Loki non importa, ha ottenuto ciò che desiderava e ora può anche lasciarla andare senza problemi, confusa ma allo stesso tempo incantata, un conflitto di sentimenti che non riesce a spiegarsi.

****

Passano i giorni, Jane non lo incontra più in giro, eppure ogni tanto le capita di pensare a Loki, e rivede i suoi occhi intensi che la scrutano. Il lavoro finisce per assorbirla del tutto, ma ogni volta che entra in libreria non può fare a meno di cercarlo con lo sguardo nell’angolo dedicato alla lettura.
È un po’ di tempo che non piove più sul New Mexico: l’estate si sta avvicinando, accompagnata dalla calura, dalla voglia di evadere verso il mare, dalla siccità, dalle lamentele della gente. Jane continua a lavorare, a fare ricerche, a percorrere i passi che ha ormai percorso tante volte e ad unirli al desiderio di ritrovare Thor, come ha promesso a se stessa. Sa che sarà dura, ma vuole riuscirci.

****

 

E poi, come seguendo un rito prestabilito, arriva il temporale, insieme a Loki.

Il cielo tuona e scarica pioggia e fulmini sulla Terra, quasi fosse arrabbiato con i suoi abitanti; il giovane invece passeggia tranquillo come sempre, sicuro che le circostanze gli faranno incontrare la persona che cerca ancora una volta. Sembra anzi godersi quel tempo da lupi, quasi che le strade vuote lo facciano sentire libero, da seccature e da sguardi indiscreti.
Passeggia finché non si trova davanti ad una porta a vetri, e lì si ferma, il solito sorriso sulle labbra, un piano fisso in mente e solo un segnale da attendere prima di attuarlo. Ma non ha fretta, sa che il suo tempo arriverà. Deve arrivare.

Piove ancora, la terza volta in cui Jane Foster lo incontra, ma questa volta si tratta di un temporale: è questo forse ad abbattere le sue difese e a farle aprire la porta dell’ufficio, stupita ma in maniera positiva dal suo improvviso visitatore.
È proprio lui, il tipo misterioso che ha già visto due volte, ma oggi sembra essere capitato lì per una ragione precisa, non per caso o a seguito di una passeggiata interrotta dalla pioggia. Come se aspettasse il suo arrivo, governata da una strana forza invisibile (qualcuno la chiama destino, forse si tratta di quello), lei gli sorride in maniera del tutto nuova, e una sicurezza che non ha mai provato inizia a guidarla.

“Ci incontriamo di nuovo, allora. E ancora una volta piove.”

 

È la voce suadente di lui a iniziare quel pensiero, una frase che Jane ha appena formulato mentalmente, ma nel ticchettio della pioggia non sembra accorgersene. Pensa a Thor, a quando l’ha visto per la prima volta, steso nella terra secca del deserto, e in qualche modo avverte una vicinanza tra i due, non fisica, piuttosto spirituale, come se esistesse un legame tra quello straniero dagli occhi verdi e il dio biondo che soltanto lei riesce ad avvertire.
Forse è per quello che non può non fidarsi di quell’individuo, per quanto la sua razionalità continui a dirle che potrebbe risultare pericoloso accogliere uno sconosciuto in quel modo.

“Così sembra. Vuole entrare ad asciugarsi? Dovrebbe smettere presto di piovere…”

Jane parla del tempo, e piano piano tutto il resto le riesce più semplice; entrano in laboratorio e si siedono , guardando la pioggia senza dire nulla, accompagnati dal suono lievemente ritmico delle gocce.

“Tu conosci Thor.”

Di nuovo, gli occhi profondi di Loki si girano e la guardano.

Quel nome la fa sobbalzare, come se fosse appena uscita da un sogno. L’uomo la sta guardando e ora Jane non ha più dubbi, quell’uomo sa chi è Thor e conosce anche lei, in qualche modo conosce ogni cosa. Quel sorriso troppo fermo nel tempo che scorre non sembra terreno – la consapevolezza la colpisce come una stilettata – e la stanza per un attimo si perde nello spazio, si confonde nel temporale, svanisce con le parole.

“Come fa a saperlo?”

Non è una domanda intelligente, lo sa, eppure sente di aver perso la facoltà di esprimersi correttamente. All’improvviso lo capisce: quello è un dio. E una fitta al cuore le ricorda che Thor è lontano, e nessuno è lì per spiegarle cosa stia succedendo.

“Io conosco ogni cosa, mia cara. So chi sei, cosa ha fatto Thor mentre era qui, so a cosa stai pensando in questo momento… so che sei stupita. E che in qualche modo ti fidi di me, e hai capito che io e Thor condividiamo un legame. Altrimenti non mi avresti accolto qui in casa tua.”

Per l’ennesima volta da quando quella conversazione è iniziata, a Jane mancano le parole adatte per rispondergli. Riesce solo a guardarsi intorno, a chiedersi per quale motivo Loki si sia scomodato a raggiungerla – da dovunque sia sceso – e a rigirarsi le dita ormai sudate in grembo, stretta dall’attesa e dai dubbi, dalle domande che la assillano. Ma è la pioggia stessa ad imporle il silenzio, e lei la segue.
Le gocce continuano a cadere, indifferenti.

Anche Loki pensa, e guardando la donna che ha di fronte non riesce a credere che si tratti proprio di lei, della Jane Foster che ha visto dall’alto di Asgard fare tanto per cambiare il carattere borioso e superbo del fratello. Come può aver fatto breccia nel suo cuore di guerriero una ragazza così tranquilla e accomodante, un’anima gentile che invece di diffidare di due dei, come sarebbe stato naturale, ha aperto loro la porta e li ha accolti in casa? Proprio Thor, che aveva intorno donne fiere e forti, donne del calibro di Sif, come può essersene innamorato?

La ragazza che si è alzata per sistemare le tende e cercare qualcosa nella credenza (dopo essersi scusata della sua assenza momentanea e avergli chiesto se gradisse una tazza di tè, o un bicchier d’acqua) è così piccola, così indifesa e tragicamente umana che a Loki fa ridere il solo pensiero di averla potuta considerare una minaccia. Ha commesso un errore di calcolo, immaginandola forte e autoritaria, una persona in grado di mettere in riga suo fratello, un errore che quasi lo fa esplodere in una risata amara, sarcastica. Perché sta sperimentando cosa significhi cambiare per amore, e capisce che con Thor ha sbagliato tutto anche lui, fin dall’inizio. Solo che era troppo fermo nei suoi errori di calcolo per capirlo.
Le riflessioni si interrompono bruscamente all’arrivo di Jane, e del bicchiere di acqua fresca con le bollicine che lei gli porge, cortese come sempre.

“Sono il fratello di Thor, o meglio, il suo fratellastro. La cosa ti stupisce?

Le gocce tracciano righe sfumate sui vetri, si perdono, creano un disegno intricato sul pavimento di pietra, sulla terra del deserto. Plic, plic, plic.

“Non quanto penserebbe. Qualcosa di lei mi ricorda Thor, anche se all’apparenza siete molto diversi… non saprei dire cosa, ma ho sentito di potermi fidare. Mi dia pure della pazza, o della incosciente, ma è così. E se Thor e i suoi amici sono stati i benvenuti qui, perché lei non dovrebbe esserlo?” Jane prende un sorso dal suo bicchiere e lo riappoggia sul tavolino, in un gesto naturale che rende quella conversazione ancora più assurda e surreale, da romanzo.

“Perché sono una persona pericolosa, Jane. Il dio degli inganni, colui che crea il caos e fa precipitare il mondo degli dei nelle tenebre, il male, l’oscurità. Non esattamente una brava persona. Sei ancora sicura di poterti fidare di me?”

Di nuovo, la pioggia sembra sospendere l’atmosfera, spingendo la stanza in un luogo indefinito. Un tempo strano, in cui tutto può succedere, in cui un dio e un’umana si conoscono e si innamorano, e ciascuno impara dall’altro quello che prima non sapeva di un mondo lontano. E poi arriva un altro dio a giocare le sue carte, a scompagnare i pezzi di quel puzzle che sembrava ormai completo, pronto ad essere riposto. Le conseguenze quali saranno?

Il sorriso di Jane è limpido, come neppure la pioggia potrebbe mai arrivare ad essere.

“Un dio desideroso di uccidermi lo avrebbe fatto la prima volta che ha incrociato il mio sguardo, nel primo pomeriggio di pioggia in cui mi aveva vista. Se siamo entrambi ancora qui, significa che mi ha concesso un’altra possibilità.”

Plic, plic, plic.

 

****

Loki poggia il bicchiere che ha appena vuotato sul tavolino davanti a sé, e realizza che uccidere quella ragazza sarebbe una fatica inutile. In qualche modo – cerca di far tacere una vocina interiore, ma quella strepita dentro la sua mente per farsi ascoltare, e alla fine ci riesce – ha sempre saputo che non avrebbe potuto farlo. O forse voluto? No, non è possibile, il dio degli inganni non si fermerebbe davanti a nulla quando sono in gioco i suoi interessi, men che mai di fronte ad un’umana qualsiasi, un’abitante di Midgard. La donna che Thor ha amato, che ancora ama. La Jane Foster che lo osserva senza paura, lì nell’angolo della stanza.
Capisce che potrebbe farle del male con un solo dito, se solo volesse. Ma non vuole, e questo desiderio lo turba.

Fuori ha smesso di piovere. La gente ricomincia ad uscire di casa, la terra respira sotto un lieve strato d’acqua, e il cielo è di nuovo azzurro, contornato da nuvole di caldo appena accennate. La cittadina inizia di nuovo a muoversi, e la stanza finalmente si ferma.

“È ora che io vada.”

Non aggiunge altro: uno sguardo eloquente, pieno di parole non dette e difficili da interpretare, è l’unico segno di riconoscenza (se così la si può chiamare) che Loki lascia dietro di sé. La ragazza lo guarda camminare fuori dalla stanza e perdersi nella nebbiolina leggera che sprigiona dal suolo; si chiede se sia veramente accaduto quello che le è appena successo e, mentre la porta si chiude piano, e Loki scompare all’improvviso, silenzioso come è arrivato, l’idea che sia stato solo uno strano sogno creato dalla sua immaginazione continua ad accompagnarla. Eppure, i bicchieri sono ancora lì, e il libro di mitologia che ha consultato le riporta lo stesso nome, corredato dalle parole che ha già letto: Loki, il dio degli inganni, il dio del caos.
Ma il caos prima o poi cessa, e dalle sue rovine nasce l’ordine. Non va forse sempre così?

 

Fuori ha smesso di piovere, e per un bel po’ di tempo non ricomincerà. Loki torna ad Asgard: la tempesta ha visto una parte nuova di sé alzare la testa e poi sparire, portata via dal temporale, ma nessuno ne verrà mai a conoscenza.

Sorride tra sé e guarda Midgard allontanarsi.

 

 

 

****

 

Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

 

Penso che, arrivata a questo punto, qualcuno verrà a levarmi la penna dalle mani per quanto ho appena scritto. Perché, per quanto legga e rilegga questo capitolo, mi sembra sempre tremendamente nonsense, dall’idea di fondo alla realizzazione. Per non parlare del “pairing”, che è abbastanza insolito e a cui non avrei mai pensato… e che in effetti non è neppure un pairing vero e proprio, ma vabbé. Avevo voglia di sperimentare, ed eccovi l’esperimento!
Diciamo che sono partita dall’idea di fondo di un Loki che scende su Midgard e vuole conoscere la ragazza che ha cambiato tanto suo fratello, almeno da quanto ci hanno detto gli sceneggiatori del film, e trova una persona completamente diversa dalle sue aspettative, tanto che dalla sorpresa decide di non farle nulla. Magari non è nello stile di Loki, ma era funzionale all’idea che costruisce la fic, per cui… se siete riusciti a leggerla senza abbandonarla dopo due righe, non posso non ringraziarvi <3

Il locale, il libro e la musica di Cole Porter sono tutti piccoli “abbellimenti narrativi”, non c’entrano nulla ma mi è piaciuto inserirli!
Molto probabilmente i dialoghi appariranno un po’ OOC, ma spero non in maniera fastidiosa… diciamo che è proprio un esperimento fine a se stesso, anche perché non segue arc narrativi in particolare, non essendo post-Thor né pre-Avengers. Spero che risulti comunque piacevole, e non totalmente assurdo!

Stavolta mi appello a voi: i pomodori in testa e le critiche sono più che benvenute, anche perché il vostro supporto è sempre utilissimo.

Grazie alla betatrice migliore del mondo (TsunadeShirahime) per la pazienza nella lettura/correzione e il supporto che mi fornisce sempre, e a __Sayuri__ per le recensioni! Grazie anche a chi ha inserito la storia nei preferiti (Scillan, Timcampy_, Valery_Snape) e a chi la segue (ice_shadow, Il_Filo_Di_A90, LadyInDark, LadyKokatorimon, Merihon e __Sayuri__).

 
Alla prossima!
Nat

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Capitolo 7
*** Film perfetti a metà ***


Film perfetti a metà


 
Se qualcuno le avesse chiesto un aggettivo a caso per descrivere Jane, Darcy avrebbe impiegato alcuni minuti per riflettere. Mordendosi il labbro e succhiandolo con l'incisivo per qualche attimo, ci avrebbe pensato, emettendo anche dei mormorii concentrati e poi avrebbe finito col rispondere "eroina da film commedia del sabato sera". Che non era esattamente un aggettivo, ma rappresentava la sua idea di Jane: una ragazza che non ha mai tempo per pensare all'amore, un giorno per caso conosce un bel principe misterioso e, puf! ci cade dentro con tutte le scarpe.
Si innamora, ed essendo nuova a situazioni del genere impegna anima e corpo nelle sue fantasticherie finché non accade qualcosa che ribalta la situazione, il principe ritorna e si sposano in pompa magna con champagne, abiti firmati e damigelle che piangono e spargono fiori. I classici filmetti che guardava nel weekend tentando di coinvolgere anche Jane, quasi sempre troppo impegnata e nervosa per darle retta. Non poteva farci nulla: per quanto ci ripensasse, la sua "datrice di lavoro" era perfetta in quel ruolo, e anche Thor non era da meno, con quel bel viso sempre sorridente, gli occhi chiari e il sorriso splendente da attore di Hollywood.

Jane non avrebbe potuto trovare di meglio, rifletteva. Assolutamente niente di meglio.

****

Dopo tre ore di lavoro che non avevano fatto altro che minare il suo sistema nervoso già debilitato, una sosta in terrazza era un lusso che Jane sentiva assolutamente di meritare. Con una tazza di caffè solubile stretta in mano e nelle orecchie l'eco ronzante e indistinto delle ultime canzoni che Darcy l'aveva costretta ad ascoltare, fu un sollievo raggiungere la piccola brandina che si era fatta aiutare a portare lì e sedercisi finalmente sopra, per ricaricarsi dopo una giornata lunghissima.
Anche se...
"Vorrei davvero che fossi qui."
La sera arrivava come una sorta di appuntamento tra lei e lui, l'unico momento della giornata in cui poteva sgombrare la mente e conversare col cielo che la sovrastava, come se Thor, ovunque si trovasse, potesse sentirla. Le piaceva stare lì da sola: riacquistava quella tranquillità necessaria a riflettere su sé stessa, su cosa avrebbero dovuto portare i suoi sacrifici. Riusciva a sentirsi meglio anche solo rivolgendo lo sguardo in alto, tranquillizzata dalle stelle e dall'idea che dopotutto aveva percorso molta strada e il suo sogno non era poi così impossibile da realizzare. Potevano prenderla per pazza quanto volevano -per quello si assicurava ogni volta di essere sola- ma aveva bisogno di quell'attimo di calma assoluta, di solitudine. E poi, guardare il paesaggio da lì le trasmetteva un senso di euforia difficile da definire a parole, con la brezza della sera che le spostava i capelli da un lato e finalmente rendeva l'aria più respirabile.
"Sai? Non è cambiato tanto da quando te ne sei andato. Darcy sta bene, ogni tanto ripete qualche tua frase e mi fa sorridere. Anche Erik. Io... diciamo che cerco di cavarmela. Mi ricordo ancora la tua promessa, se non sarai tu a mantenerla sarò io a trovarti, non ho assolutamente intenzione di arrendermi!"

L'occhio le cadde inevitabilmente sul disegno dell'Yggdrasil che Thor aveva tracciato per lei. Si distese sulla brandina senza dire nulla, limitandosi a coprirsi appena con la trapunta a fiori: le piaceva osservare le stelle, tenendo strette nella mente le conversazioni che gli avrebbe dedicato.
"Solo... non farmi aspettare troppo, ti prego. Noi umani non abbiamo esattamente l'eternità davanti a noi."

****

Quando un film finiva e non c'era un solo canale che trasmettesse qualcosa di decente, Darcy usciva e andava a farsi un giretto per la città, a prendere qualcosa da mangiare o semplicemente a respirare un po' d'aria fresca fuori dal laboratorio. Il più delle volte però cercava Jane e la convinceva a fare quattro chiacchiere davanti ad una Coca-Cola. Jane ne aveva un gran bisogno, soprattutto in quel momento: l'idea di ritrovare Thor la assorbiva completamente, tanto che era quasi impossibile trovarla impegnata in attività che non fossero lo studio o la lettura di qualche libro complicato. E a cosa serviva un'assistente, se non a tirare su di morale una principale che stava perdendo la bussola? Per cui, spenta la televisione, Darcy non esitò un attimo a salire in cima al tetto del laboratorio, sicura di trovare la ragazza stesa al solito posto, sotto le stelle.
"Capo?" nessuna risposta.
"Capo? Ti ho portato qualcosa da bere, ti va?"
Niente. Jane dormiva o faceva finta. Darcy sospirò.
"Ok, allora se ti sei addormentata resto qui a vegliarti mentre mi scolo questa bella bottiglietta versione vintage. Così io posso parlare e tu non sei obbligata ad ascoltarmi, va bene per entrambe no?"
E senza aspettare una risposta si sistemò accanto alla brandina di Jane, tirando fuori di tasca un apribottiglie e stappando la prima delle due bottigliette che aveva portato con sé.
"Qui si sta bene, tira un po' di vento. Che dici capo?"

****

Dalla figura distesa di Jane provenne un mugolio sommesso. Aveva fatto tanta fatica a trovarsi un angolino di calma, ed ecco che Darcy tornava a cercarla. Come era riuscita a capire che con tanti posti aveva scelto proprio quello per rifugiarsi? Più volte aveva sospettato che Darcy possedesse una sorta di radar pro-scocciatura, in grado di localizzarla ovunque e di trovarla nel preciso istante in cui desiderava stare da sola.
Si girò e le piantò addosso uno sguardo a metà tra l'assonnato e l'annoiato, spostando di lato la coperta. "Darcy, spero che tu abbia un buon motivo per interrompere l'unico attimo in cui sono riuscita a prendere sonno. Perché altrimenti ti licenzierò seduta stante, anche se a rigor di logica non hai un contratto regolare."
Lei incurvò le labbra in un sorrisetto porgendole la bottiglia. "Una Coca non è un motivo più che sufficiente per fare una pausa?"
Dannata Darcy. Lei e i suoi sorrisi gratis sempre disponibili.
Che altro poteva fare se non berla e continuare a pensare? La scienziata sbuffò e accetto la bottiglietta sorseggiandone un po' mentre Darcy fischiettava a mezza bocca quella che sembrava una canzone di Lady Gaga. In altre circostanze avrebbe attaccato le casse del suo iPod alla prima presa di corrente disponibile e si sarebbe messa a cantare accompagnandosi con il tamburellare delle dita, ma sembrava aver capito anche lei che non era il caso di disturbare ulteriormente il suo angolino silenzioso. Meno male.
"Stavi pensando a lui, capo? A Thor?"
Un altro sospiro. Come faceva a nascondere le cose a Darcy? Doveva espatriare, o scappare in un laboratorio del Polo Sud? In un modo o nell'altro non poteva fare a meno di confidarsi con lei quando le cose si mettevano in quel modo: Darcy era confusionaria, rumorosa, vivace e fin troppo energica, ma possedeva una qualità che Jane apprezzava profondamente ed era la sincerità. Qualunque cosa avesse fatto o le fosse successa, sapeva che la ragazza l'avrebbe spalleggiata come al solito offrendole una battuta ironica e la sua amicizia. Era per quello che apprezzava la sua compagnia, anche se difficilmente lo avrebbe ammesso sia a Darcy che a sé stessa.
"Colpevole" per la prima volta in tutta la sera, aveva sorriso. Non era riuscita ad aggiungere altro, ma Darcy aveva capito benissimo.
"Lasciami indovinare: hai trovato il modo per raggiungere Mister Bel Sorriso e farlo ritornare con noi! Per quello ti isoli ogni sera e stai sempre a scribacchiare, e quando avrai rimesso tutto a posto..."
"Darcy..."
"Creerai, non so, una specie di macchina spaziotemporale o un tunnel collegato al suo pianeta e una volta infilato Thor là dentro sarebbe un gioco da ragazzi ripor-"
"Darcy!" Jane la sgridò senza riuscire a nascondere una risata. Già si sentiva più rilassata. "Non riuscirò mai a fare una cosa del genere da sola! Già sarebbe tanto ricevere un segno qualsiasi da lui, anche piccolo... ci sto provando. E chissà, forse più avanti..."
Bevve un altro sorso.

Darcy giocherellava con uno dei tappi, distratta, ma riprese poco dopo.
"Sai, capo?"
"Darcy, perchè accidenti mi chiami capo? Mi sento tanto Piperita Patty che sgrida Marcie nei Peanuts e le dice di non chiamarla capo. Cos'è, una nuova moda?" sbuffò Jane, girandosi finalmente verso Darcy e fulminandola con un'occhiata eloquente. Lei riprese come se niente fosse.
"Ok va bene ma stavo dicendo, capo, vedendovi insieme tu e Thor non sembrerebbe proprio che proveniate da due realtà diverse. Voglio dire, vi siete intesi perfettamente da subito e sembrava proprio che tu gli piacessi. Non capita spesso, no? Un gran figo, che oltretutto è gentile e ti fa sentire una principessa... è proprio da film. E tu sei un'eroina da film, capo, di quelle che non mollano mai e alla fine arrivano alla meta, che quasi sempre è il grande amore e in questo caso sarà un viaggio intergalattico verso il tuo bello."
"Se mai ci sposeremo ti farò fare da damigella, che ne dici?" aggiunse Jane ridendo.
Darcy ridacchiò. "Sarebbe uno spettacolo stupendo, capo. Tu in abito bianco? Dovrei assolutamente farti una decina di foto e metterle su tutti i social network in cui ho un account, sarebbe uno scoop! Jane Foster, la scienziata talmente sommersa di lavoro da non accorgersi minimamente dell'esistenza dell'amore, incontra l'uomo perfetto e si sistema, con cerimonia interplanetaria annessa!"
Gli occhi di Jane erano tornati al cielo, l'espressione assorta. Darcy se ne accorse e, prima che la ragazza potesse fermarla, le aveva messo un braccio intorno alle spalle, stringendosela contro in quello che doveva essere una specie di abbraccio affettuoso-stritolante da orso.

"Mi sento così stupida, Darcy. E se fosse tutta una perdita di tempo, la mia? Magari è giusto che io e lui restiamo separati, dopotutto io appartengo alla Terra e lui al suo pianeta. Non lo so, ogni giorno mi sveglio felice e soddisfatta di quello che faccio e la sera finisco sempre per scoraggiarmi." sospirò, sistemandosi meglio la coperta sulle spalle. "E sono una lagna, oltretutto."
"Ah, ma quale lagna capo, è l'amore! Solo e soltanto l'amore, che ti fa sentire un minuto una meraviglia e quello dopo uno schifo. E tu hai la fortuna di avere una consulente d'eccezione, ossia me! Va bene che devo tutto alla mia meravigliosa nonna che mi ha trasmesso i suoi consigli, insieme alla ricetta dei migliori pancake al mondo, ma la pratica è tutta mia e, cavolo, ha sempre funzionato!"

Jane non riuscì a trattenere un sorriso, questa volta bello ampio e caldo come non le capitava da tanto. Perché in fondo quell'assistente sempre sarcastica, allegra e ironica le piaceva, e anche tanto. Come avrebbe fatto ad affrontare le minacce di tristezza incombenti senza di lei e quella leggerezza saggia che metteva in ogni sua frase? Si alzò dalla brandina e si sedette a terra, le gambe incrociate e quello che restava della sua Coca-Cola in mano, nella bottiglietta che tintinnava contro il pavimento.
"Capo!"
"Sì, Darcy?"
"Animo! Secondo me anche Thor ti pensa."

Un attimo dopo, erano due i sorrisi che si rivolgevano al cielo: chissà, magari Thor ovunque si trovasse poteva vederle, e sorrideva con loro.


********

Angolo (dei pensieri sparsi) dell'autrice:

Finalmente sono riuscita a ritagliarmi un angolino per continuare la raccolta, ed è venuta fuori una cosa del genere. Il rapporto tra Jane e Darcy mi ha sempre incuriosita, principalmente perché nel film interagiscono poco, ed era da un po' che volevo "muovere" Darcy come personaggio, per cui ho preso spunto dalla prima stesura della JaneThor della raccolta ("One Day for a Promise") e l'ho sviluppata come un dialogo tra Jane e Darcy, ovviamente in ambito post-Thor. Non ho idea se Darcy sia OOC o meno... spero di averci preso abbastanza!

Grazie a __sayuri__ per l'ultima recensione, e a tutti quelli che hanno inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite. Sappiate che un vostro parere è sempre benaccetto!
E alla mia amanuense TsunadeShirahime, che ha la pazienza di una santa e qualcosa di più XD

Alla prossima,
Nat



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Capitolo 8
*** Chrysalis ***


Chrysalis

 

Seduta al cospetto degli Déi, durante il banchetto imbandito per il ritorno di Thor, Sif passa distrattamente le dita tra i capelli neri, sfiorandone la consistenza morbida, ammirandone con la coda dell'occhio il riflesso nero nella luce dei piatti che scintillano. Non sono più dorati come i raggi del Sole, eppure la loro bellezza è rimasta la stessa, come le ha detto Frigga, come anche Thor le ha fatto capire una delle poche volte in cui l'ha vista come una donna e non solo come la guerriera che appare.

Il Dio che, ridendo, le ha tagliato una ciocca dopo l'altra sostituendole con dei capelli magici non è lì, ma la sua presenza resta nelle frasi a mezza bocca scambiate dai presenti, nell'espressione addolorata che la madre degli Déi non riesce a nascondere. Sif fissa nella mente l'attimo in cui Loki l'ha osservata, beffardo, dall'alto del trono appena conquistato e stringe un pugno in grembo.

Arriverà il tuo momento, Loki. Quando meno te lo aspetti.

Poi arriva la notte, Sif è sola coi suoi pensieri e non può evitare che un sogno ricorrente -un incubo- le si intrufoli nella mente, distruggendo le sue difese: Loki le rivolge un altro dei suoi innumerevoli sguardi altezzosi, di sfida, e questa volta la priva del suo corpo, rubandoglielo come si ruberebbe una corona o una spada. Ora davanti a lei c'è una sconosciuta in un involucro che ha sempre sentito su di sé ma che non ha mai visto davvero, e quella sconosciuta la guarda, le punta un dito contro, ride di lei con una scintilla malvagia negli occhi.

Mi vestirò delle tue membra come di un abito da sera, Lady Sif. Oro e smeraldi, sete preziose e pellicce, non sono altro che ornamenti, non valgono nulla in confronto a te, forgiata dalla guerra, temprata dalle battaglie eppure bellissima. Lascialo a me. Diventerà un'arma, ma sarò io ad impugnarla.

La risata di Loki continuava ad echeggiarle nella testa anche mentre si svegliava, coperta di sudore nel suo letto: il corpo c'era tutto, ma la sensazione di mancare di una parte di sè restava. Ed era con quella sensazione ancora impressa che viveva le sue giornate tra esercizi e passeggiate per Asgard, riflettendo, aspettando.

****

In una cella buia, in un luogo che pochi Déi conoscono e che nessuno di loro ha mai visto, Loki siete in solitudine, osservando le pareti bianche della cella. Il sogno è ancora vivido nella sua mente -al contrario di tanti altri che ha fatto finora- tanto che, se sfiorasse i suoi capelli scuri senza aprire gli occhi, potrebbe pensare di avere ancora addosso l'abito di cui si è vestito, rubandolo a Sif. Ma il Dio degli Inganni che siede in un angolo, e nient'altro che un inganno è quello che ha appena costruito, plasmandolo nella forma di un dispetto rivolto a quella che è stata da sempre un ostacolo, nient'altro. Loki sorride.

Arriverà il tuo momento, Sif. Quando meno te lo aspetti.

Il Dio dallo sguardo beffardo chiude ancora gli occhi, lascia che i sogni fluiscano nella sua mente, che la riempiano. Tra le tante immagini di guerra e distruzione caotica che lo accompagnano, ce n'è una che spicca in particolare: il viso di Sif e la sua espressione incredula nel momento in cui l'ha privata dei suoi capelli d'oro, filo per filo.

Sarà l'abito più bello a cui io possa aspirare, Lady Sif.

 

 

*****

 

Angolo (dei pensieri sparsi) dell'autrice

Quello che avete appena letto è un piccolo esperimento Loki/Sif nato in gran parte dalla lettura del secondo numero di Thor: Dio del Tuono, in particolare la storia che vede protagonista Sif. Nel fumetto Loki le prende il corpo e lo usa per le sue macchinazioni, nella mitologia invece le taglia i capelli, ma dato che nel film non viene trattato nessuno dei due aspetti ho preso un po' di qua e un po' di là, mettendoli nel mio frullatore mentale assieme al trailer di Thor 2 e al finale di Thor. Risultato? Questa cosina qui, che come al solito spero non sia un delirio di OOC!

La frase che si riferisce al corpo di Sif come ad un abito da sera, ovviamente, è una citazione all'episodio del fumetto. Se non lo conoscete leggetelo, perché merita quanto il film, secondo me.

Grazie come al solito alla mia amanuense-nonostante-il-caldo TsunadeShirahime, e a tutti i lettori che hanno letto i capitoli precedenti. Sappiate che un commento o una critica sono sempre benaccettissimi, anche pomodori lanciati! Non fatemi sentire sola, pipòl <3

Alla prossima!

Nat

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Capitolo 9
*** La solitudine degli Déi ***


La solitudine degli Déi

 

Quando aiuto Jane a rimettere a posto il suo studio o a sistemare la cucina, mi ringrazia con un sorriso e una frase gentile per dimostrarmi che il mio intervento è stato prezioso. Il solo gesto di incurvare le labbra mi porta a risponderle con un altro sorriso ed a considerare cosa rappresento in realtà per lei.
Per lei, e per gli altri esseri umani che la circondano.
Erik mi ha esaminato con sospetto per i primi tre, quattro giorni, dopodiché ha iniziato piano piano a fidarsi di me e ad aprirsi ai racconti: antiche leggende e storie della sua infanzia, popolate da giganti e Déi, da Odino e dalle sue gesta, da Geri e Freki e da Fenrir e i suoi figli. Ci siamo anche io e Loki in quei racconti, e sentirci nominare mi fa pensare a quanto siano potenti le storie che gli umani inventano mischiandole con le loro credenze, a quanto possano condizionare le loro vite e quelle delle generazioni successive. Sono in quei racconti, ma allo stesso tempo siedo di fronte ad Erik che racconta e mi chiede come sia Asgard, e penso a quanto tutto ciò possa essere splendido ed incredibile. Quasi divino.
Darcy mi scatta foto e commenta quanto il mio sorriso la lasci a bocca aperta, convinta che non possa sentirla. Jane guarda le stelle con me e si gode ogni istante della nostra vicinanza, anche col silenzio. Da parte mia dono loro la mia presenza e tutto ciò che posso offrir loro come aiuto, chiedendomi se vedano in me qualcosa di divino o semplicemente una presenza umana più speciale delle altre.

Cammino per le strade senza una meta precisa, guardandomi intorno come farebbe un turista qualsiasi in procinto di stabilirsi per un certo periodo in città. Non sono i negozi ad attirare la mia attenzione, ma le persone che mi circondano, il loro modo di comportarsi.

Cosa rappresenta un Dio per gli umani di oggi?
Di certo non sono abituati a pregarmi, né a considerarmi una divinità appartenente al loro pantheon. Ma i loro Déi che fine hanno fatto? Si sono perduti? Vagano tristi per il deserto tra rovine della loro epoca e testimonianze del progresso in cui vivono? Non ne ho idea. Non ne vedo intorno a me e se anche ci fossero dubito che mi riconoscerebbero. Non li riconoscerei neppure io per ciò che sono realmente, a meno che non si mostrino nel loro vero aspetto.
Svoltando davanti al laboratorio di Jane, penso a come lei mi abbia accolto senza pensarci troppo e soprattutto senza continuare a chiedersi per troppo tempo se le mie fossero le parole di un pazzo oppure no. Qualcosa l’ha spinta a fidarsi di me e delle mie storie spontaneamente, con la stessa fermezza dei primi uomini che hanno parlato di noi Déi. Una fermezza che i più scambiavano per ingenuità, ma che nascondeva il dono di poter guardare al di là dell’aspetto, per cogliere l’essenza della creatura che li stava guardando, uomo o Dio che fosse.

Tra le dune e le rocce spaccate dal sole, fuori città, c’è la base dove l’agente figlio di Coul mi aveva portato, dove Loki si è manifestato nelle sue vesti umane e mi ha dato la notizia che nostro padre era morto ed io ero stato bandito da Asgard. Mi sembra di vederlo qui accanto a me, con un’espressione che in pochi riuscivamo a vedere quanto tormentata fosse, e una fitta mi colpisce al cuore pensando che si trova lontano miglia, sia da Asgard che da Midgard, irraggiungibile. Mio fratello, che soffriva perché nessun essere umano chiedeva i suoi servigi, e per questo ha trasformato in rabbia il desiderio di essere riconosciuto, in voglia di distruggere ogni cosa. Se sei un Dio esisti per essere adorato. Ma se gli umani non rivolgono più a te le loro preghiere, smetti di essere considerato una divinità? Forse Loki si è dannato per cercare una risposta e, non trovandola, ha tentato di ridefinirsi: un Dio che gli umani potessero pregare affinché li risparmiasse.

Le nostre strade ci hanno portati ad intraprendere due viaggi differenti e solo ora posso capire quanto fosse giusto che io abbia iniziato il mio. Dall’alto di Asgard neppure sapevo che esistessero altri Déi, immerso com’ero nella visione boriosa di me stesso, un Dio forte e potente che governerà l’Universo. Una volta giunto qui, non essere più venerato né temuto dai midgardiani mi ha scosso, trasformandomi gradualmente in quello che sono.
Credo che mio padre, in fondo, desiderasse questo.

Nella mente degli uomini non governiamo più la vita e gli elementi, è vero. Ma ciò non significa che non ci rispettino, anche se di noi sanno poco o nulla. La vecchia Hera dell’emporio ha chiamato le sue figlie come due divinità greche, l’ho scoperto chiedendolo proprio a lei. Ogni tanto qualche sciamano pellerossa passa in città col suo carico di talismani, pietre e Déi ben assicurati ai suoi ricordi. Déi che non conoscevo, ma che ora comprendo e che –se sono in giro per Midgard come me- sentiranno di avere ancora un posto nel cuore delle persone, per quanto le ere e gli anni siano passati.

Forse è proprio questo che Loki non ha mai capito: qualunque ruolo possiamo avere tra i mortali, finchè abitiamo nelle loro storie e nelle loro tradizioni, la nostra solitudine prima o poi ha fine.

 

 

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Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

Aggiungiamo alla raccolta un esperimento random, olé!
Non c’è molto da dire, se non che ho cercato di portare avanti una “riflessione alla Gaiman” attraverso Thor, attingendo anche dalle lettura di Le Fatiche di Loki, un volume autoconclusivo a fumetti che ho amato particolarmente. La riflessione sul desiderio di Loki di essere adorato come un dio viene da lì, per il resto ho rielaborato più o meno quello che la mia ispirazione mi suggeriva. Muovere Thor mi risulta sempre difficile, ma spero che gradiate lo stesso!
Grazie a luvlogyn, KayeJ e Smith of lies per aver aggiunto la storia tra le seguite. Mi fa piacere ricevere le vostre critiche e i vostri pareri, giuro che non mordo <3
E grazie infinitamente, come sempre, a TsunadeShirahime. :3

Alla prossima, gente!
Nat

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Capitolo 10
*** There is a lady sweet and kind ***


There is a lady sweet and kind

 

Era iniziato tutto da un sorriso e dalla più semplice delle domande. Per quanto potesse pensarci e ripensarci, Sigyn lo vedeva sempre allo stesso modo: quello con Loki non poteva essere stato un incontro casuale. Se c’era un fato –e in qualche modo sentiva che esisteva- li aveva voluti insieme fin dall’inizio.

 
Fra tutte le dame di Asgard, quella che spiccava per eleganza e grazia era Lady Sigyn, la bella. Tutti gli déi conoscevano le sue maniere gentili e la dolcezza, così come la sua bravura nella medicina e nel canto, arti in cui eccelleva. Sua madre Freya e la regina Frigga erano legate da una solida amicizia, che aveva dato modo alla giovane di conoscere bene i due principi figli di Odino e di essere coinvolta nei progetti matrimoniali della regina, o almeno così mormoravano in molti. Quando si spogliava di quei panni per rilassarsi e ritrovare sé stessa, però, era semplicemente Sigyn Iwaldidóttir: una ragazza semplice e tranquilla, desiderosa solo di vivere le sue giornate come ogni altra sua coetanea.
A Sigyn piaceva leggere poesie. Era una passione che le aveva trasmesso sua madre, e ogni volta che le si presentavano dei momenti liberi portava sempre con sé una raccolta e si godeva la brezza degli alberi dei giardini di Asgard, in compagnia di quei versi. Non si stupiva più di tanto di essere da sola: era sicura che quella passione fosse caratteristica di pochi, ma la cosa non la disturbava. Le bastava poco per essere felice.
Fu principalmente per quel motivo che una mattina la vista di un’altra persona accanto a quelli che ormai considerava i suoi alberi l’aveva incuriosita, portandola ad abbassare lo sguardo ed a posarlo nientemeno che sul principe Loki, apparentemente assorto nella lettura di un grosso volume.
Loki era considerato strano dalla maggior parte degli abitanti di Asgard senza un vero e proprio motivo, riflettè la ragazza tra sé. Silenzioso e ombroso, era molto versato nella magia fin da bambino e per quanto riuscisse a ricordare forse era quello uno dei motivi per cui gli altri lo evitavano. Lei no, però: aveva sempre nutrito interesse per ciò che gli altri scansavano e Loki non faceva eccezione. Avrebbe desiderato rivolgergli la parola, anche solo per chiedergli cosa stesse leggendo ma la paura di disturbarlo le impediva qualunque contatto.
Il Loki bambino si isolava per continuare a studiare ed esercitare le proprie capacità dove nessuno l’avrebbe disturbato, mentre Sigyn lo osservava in silenzio da lontano, leggendo anche lei e cercando il coraggio di avvicinarsi a lui. Ora che quella situazione si ripresentava, forse sarebbe finalmente riuscita nel suo intento.

Le stagioni ad Asgard trascorrevano scandite dalle occupazioni della Corte come in ogni altro regno, e a Sigyn piaceva osservarle tramite il cambiamento della natura. I fiori che ricoprivano gli alberi salutavano la primavera, ed erano quei fiori che la ragazza si era attardata ad osservare, incerta sulle parole da usare per iniziare una qualsiasi conversazione con Loki. Lui era seduto sotto gli alberi e sfogliava piano le pagine, lei si torceva le mani in grembo e il vento soffiava lieve, placido.
Intanto, un sorriso non avrebbe guastato l’atmosfera.
“Sembra interessante, quel libro che state leggendo.”
Un attimo dopo gli occhi verdi di Loki si erano alzati e posati su di lei.

Le foglie estive erano appena spuntate sostituendo i fiori e Sigyn sedeva accanto a Loki, giocando distrattamente col margine di un foglio.
Si erano incontrati varie volte in biblioteca, dove la ragazza aveva scoperto quanto Loki amasse leggere ed imparare ciò che non sapeva sul loro e su altri mondi, tramite la lettura, e quanto questa passione li avvicinasse.
“Non hai paura del fatto che io sappia usare la magia? Agli Asgardiani non piace particolarmente.”
“Come potrebbe farmi paura? Senza di voi non avrei scoperto cos’è davvero, quante cose permette di fare. Voi piuttosto? Non trovate strano che ad una donna piaccia tanto leggere e non ricamare o passeggiare con altre ragazze?”
Era stato il turno di Loki di sorridere. Sigyn aveva capito tutto senza bisogno di altre parole.

Era arrivato anche l’autunno e tra le foglie secche che cadevano sotto i loro piedi Sigyn aveva capito che qualcosa in lei stava cambiando e che il tempo passato con Loki nella loro piccola radura diventava sempre più prezioso. Ormai avevano preso l’abitudine di leggere qualche poesia assieme; di solito era Loki a cominciare e lei ad ascoltare la sua voce scandire quei passi, mentre la ragazza pensava a quanto fosse strano che il loro rapporto si fosse tanto approfondito, al punto che Loki le mancava nei momenti in cui non erano insieme. Ora camminavano uno a fianco all’altra nei corridoi e si salutavano con sorrisi d’intesa, cosa che sicuramente faceva mormorare quelli che li osservavano ma che rendeva immensamente felice la ragazza. Loki, da parte sua, sembrava apprezzare la compagnia di lei: se non la vedeva seduta al solito posto si spingeva a cercarla fino all’ala del palazzo dedicata al seguito della regina e durante le cerimonie sembrava accertarsi con lo sguardo che la ragazza fosse lì nei paraggi.
A Sigyn era sempre bastato poco per essere felice. Le sue poesie, l’ombra di un albero e, adesso, Loki lì accanto a lei a condividerle.

L’inverno e i suoi freddi si facevano sentire. Le foglie ormai erano cadute tutte e i due giovani avevano dovuto spostare la sede dei loro incontri nella biblioteca della reggia, ma a nessuno dei due importava: trovavano la tranquillità necessaria anche lì. Era stato in quel luogo che Loki le aveva chiesto, per la prima volta in tutta la sua vita, se avesse avuto voglia di accompagnarlo ad una cerimonia in onore di una vittoria di Odino. Con sua grande sorpresa –per i suoi standard di ragazza silenziosa e introversa- gli aveva risposto di sì e tutto il resto era arrivato di conseguenza, in maniera naturale.
Con Loki non c’era mai stato bisogno di troppe parole, l’aveva capito: insieme riuscivano a comunicare anche solo con un cenno o uno sguardo e così sarebbe sempre stato. Aveva avuto inizio quando gli si era seduta accanto la prima volta, timida e timorosa di disturbarlo, e continuava in quel momento in cui ballavano nella sala grande come se fossero sempre stati legati. Quante cose cambiano in un anno. Così tante che l’anno successivo, ripensando a quanto si è vissuto, tutto sembra appartenere ad una vita precedente invece che a sole quattro stagioni prima. 

Era iniziato tutto da un sorriso e dalla più semplice delle domande.
Per quanto le stagioni potessero essere trascorse, Sigyn continuava a sedere sotto agli alberi di Asgard di tanto in tanto e a leggere con Loki –suo marito- quei libri che affascinavano entrambi.
Mentre appoggiava uno di quei volumi tra le mani di suo figlio Váli, osservando Loki che guidava le sue piccole dita a seguire le lettere, pensò che il destino, se davvero esisteva, a volte riusciva a compiere incantesimi potenti quanto quelli che Loki amava studiare.

 

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Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

Ed ecco finalmente anche la Loki/Sigyn, dopo un’elaborazione eterna e un centinaio di cancellature/riscritture. Avevo iniziato con uno schema di come dovesse andare la storia completamente diverso da come è effettivamente venuta fuori, ma piano piano ho superato “l’ansia da prestazione” che provavo nello scrivere su entrambi e ho provato ad ambientarla in un ipotetico arc pre-Thor, rileggendo il personaggio di Sigyn a modo mio. La mia solita paura è di essere andata OOC, spero di non esserci caduta!
Ovviamente non ho idea se ci siano o no le stagioni su Asgard: le ho immaginate uguali a quelle terrestri, concedetemi la licenza poetica in funzione della storia. XD
Il titolo della storia riprende la poesia di Thomas Ford, l’ho ascoltata la prima volta nella raccolta “If Poems” letta da Tom Hiddleston… recuperatela assolutamente se dovesse capitarvi!

Ora viene il momento dei saluti e dei ringraziamenti: con questa shot termina ufficialmente la mia raccolta su Thor. Ho adorato scriverle perché amo questo fandom e i suoi personaggi, per cui penso che mi mancheranno parecchio… ma ho in cantiere altri progetti su altri fandom. Per ora non anticipo nulla, ma chiunque bazzichi in quelli di Wolverine (fumetto) e Game of Thrones può trovarmi lì. Nel caso comunque voleste lasciare un commento/critica a una qualsiasi delle storie della raccolta, vi risponderò volentieri!

Per chiunque avesse domande o curiosità da chiedere sulla storia o sui miei prossimi lavori, qui c’è il mio ask: www.ask.fm/Natmatryoshka .

Il primo dei ringraziamenti va, come sempre, a TsunadeShirahime. Mi hai fatto da beta, da amanuense, da consigliera e da spalla, per cui penso non ci sia altro da aggiungere: grazie per la pazienza, bro <3 sei una persona speciale e una lettrice insostituibile!
Poi a _Eleuthera_, per averci regalato una caratterizzazione di Sigyn tanto bella e complessa. Questa fic è un piccolo omaggio alla coppia e, anche se non è all’altezza delle tue storie, spero che ti piaccia lo stesso :)
Last but not least, ai lettori e ai recensori: grazie a Lady Sigyn, vannagio, 9Pepe4, _Sayuri_ e Madama Pigna per le recensioni, RobysRasia, Scillan, Timcampy_ e Valery_Snape per averla inserita nelle preferite e Il_Filo_Di_A90, KayeJ, LadyInDark, luvlogyn, Merihon, Smith of lies e _Sayuri_ per averla inserita nelle seguite. Grazie anche a voi lettori silenziosi, che non recensite ma che magari l’avete apprezzata comunque.

Alla prossima, allora! 

Nat

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