Kaleidoscope di Nat_Matryoshka (/viewuser.php?uid=39154)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'emblema del gelo ***
Capitolo 2: *** One day for a promise ***
Capitolo 3: *** Quando mi insegnavi a crescere ***
Capitolo 4: *** I used to call them home ***
Capitolo 5: *** Come uno specchio ***
Capitolo 6: *** A Thousand Rains' Symphony ***
Capitolo 7: *** Film perfetti a metà ***
Capitolo 8: *** Chrysalis ***
Capitolo 9: *** La solitudine degli Déi ***
Capitolo 10: *** There is a lady sweet and kind ***
Capitolo 1 *** L'emblema del gelo ***
L’emblema
del gelo
Il corpo del Padre
degli Dei, colui che governava su Asgard
dall’alto della sua magnifica grandezza, giaceva a terra in
stato comatoso, gli
occhi chiusi, il volto solo ad una prima occhiata rilassato. Chiunque
lo avesse
visto in quel momento, lo avrebbe creduto immerso nel suo sonno
periodico, il
sonno che lo aiutava a ridare forza al suo potere… nessuno
avrebbe pensato che
Loki, uno dei principi ereditari, era in parte causa di ciò
che era successo. Nessuno
lo avrebbe visto allontanarsi a grandi passi dopo aver chiamato le
guardie – la
camminata nervosa di chi è spaventato e vuole mettere
più distanza possibile
tra sé e ciò che ha appena visto –
né si sarebbe curato di consolarlo, di
rassicurarlo sul fatto che suo padre non aveva nulla di grave, e si
sarebbe
rimesso presto: a nessuno importava nulla del Dio degli Inganni, per
quanto si fosse
trattato di un membro della famiglia reale. C’erano cose che
non cambiavano
durante gli anni, e la diffidenza degli Asgardiani nei confronti di chi
era
così diverso da loro (figuriamoci
uno
Jotun) era tra quelle.
L’eco
delle sue grida ancora gli risuonava nelle orecchie,
mascherava il rumore dell’ incedere per i corridoi, ma non
riusciva a camuffare
quello dei pensieri, che lo assordavano come se duemila trombe
impazzite
stessero suonando tutte assieme nella sua mente. Aveva finalmente
ottenuto la
verità che desiderava, che gli spettava, ma tutto
ciò che gli restava era una
confusione enorme, più grande di quella che aveva provato
nell’essere toccato
da un gigante a Jotunheim e vedere il proprio braccio diventare blu,
come il
ghiaccio.
Più
del ghiaccio stesso.
Continuò
a camminare, senza meta, come se il solo fermarsi lo
avesse potuto condannare a rivivere la stessa scena infinite volte, un
capriccio
del Fato che, a quanto pareva, non aveva intenzione di rendere la sua
vita più
semplice… fortunatamente, in giro non sembrava esserci
nessuno: la notizia che
Odino era caduto nel suo sonno senza preavviso doveva aver allertato
tutta la
corte e gran parte del corpo delle guardie.
Fermò il flusso impazzito dei pensieri solo dopo essere
entrato
nella sua stanza, con la porta chiusa alle spalle a sigillare il
segreto che
gli rendeva il cuore pesante. Quanto ci sarebbe voluto, prima di
riuscire ad
accettare la situazione per quella che era?
Odino, il Padre Universale, non era il suo vero padre. Frigga, la
donna che aveva chiamato madre per lunghi anni, che lo aveva cullato e
allattato quando era solo un neonato, non era sua madre: il loro unico
figlio
era Thor, e così sarebbe sempre stato, per quanto il Padre
continuasse a
giurare di amare Loki come un figlio suo…
Tutte bugie? Non lo sapeva, non riusciva a capirlo. Era ironico
che proprio il Dio degli Inganni non fosse capace di distinguere tra le
bugie e
la realtà, dopo aver vissuto una menzogna durata per troppo
tempo.
Si prese il viso tra le mani, chiudendo gli occhi, come a volersi
isolare in una realtà in cui tutto era rimasto al tempo
della sua infanzia.
Era
sempre stato
diverso dagli altri bambini, diverso anche da Thor, col quale aveva
condiviso
giochi e risate, bisticci ma anche momenti di complicità,
come quando
sgattaiolavano senza farsi scoprire nella sala dei trofei del Padre per
giocare
coi cimeli riportati dalle battaglie, o quando facevano disperare le
bambinaie
e la
Madre
andandosi a nascondere nella foresta che circondava il palazzo e ne
costituiva
una parte dei giardini. Thor era forte e pieno di energia –
che con
l’adolescenza sarebbe diventata spavalderia imprudente
– Loki era calmo,
studioso e stranamente versato nella magia per essere un Asgardiano, ma
il
fratello non ci aveva fatto caso: per lui, ogni incantesimo era un
piccolo
miracolo, e vederlo trasformare una foglia in un sasso e viceversa
soltanto
toccandola costituiva un motivo di meraviglia e orgoglio. Nella sua
ingenuità
pura, non aveva mai sospettato che quella diversità avrebbe
potuto
rappresentare un pericolo.
Erano
Hogun, Volstagg e Fandrall, assieme a Sif, a fare i
sostenuti.
Forse
per invidia, forse per la cattiveria misteriosa dei bambini,
non erano mai stati amichevoli nei suoi confronti: Hogun si limitava a
fingere
che non esistesse, Volstagg era più impegnato a giocare e
mangiare che ad
inventare dispetti, ma Sif e Fandrall sembravano provare uno strano
piacere nel
maltrattarlo, escludendolo dai loro giochi o, semplicemente, non
facendolo
sentire parte del gruppetto perché diverso
da loro. in qualche modo avevano intuito la verità senza
conoscerla, rifletté
amareggiato il giovane. Nonostante Thor lo avesse sempre difeso e
avesse
cercato di rimediare alle loro cattiverie, un seme di vendetta si era
impiantato nel suo cuore, e germogliando aveva dato vita ad azioni che
dovevano
rappresentare una punizione per chi cercava continuamente di
schiacciarlo:
quando, da adolescente, aveva tagliato ciocca per ciocca i bei riccioli
biondi
di Sif, non aveva provato il minimo dispiacere. Né gli
dispiaceva ora che era
adulto, e che la vedeva ogni giorno correre per Asgard con le armi in
mano e la
coda di cavallo nera che le sfiorava la schiena.
Se
non possono amarti,
allora dovranno temerti.
Eppure, qualcosa doveva essere andato storto, perché il
disprezzo
negli occhi di quelli che erano stati per qualche tempo i loro compagni
di scorribande
non era mai calato, né col timore era subentrato il
rispetto. Ancora se ne
stupiva? Non si erano mai fidati di lui, e non si sarebbero fidati mai,
finché
avessero vissuto. Anche se fosse diventato re. Il timore non era
sinonimo di
rispetto. Odino poteva pensarla come preferiva: gli Asgardiani non
avrebbero
mai voluto un gigante di ghiaccio come erede al trono.
Si alzò in piedi di scatto e prese a passeggiare per la
stanza,
irrequieto.
Il dubbio era un
tarlo piccolo, ma potente. Una creatura che
entrava attraverso le orecchie, camuffata da frase pronunciata a mezza
bocca,
diceria, malalingua, e da lì si faceva strada nel cervello,
andando a rodere,
strato dopo strato, ogni consapevolezza, ogni barlume di sicurezza
raccolto
durante gli anni. E, piano piano, quando non trovava più
barriere a fermare la
sua azione, prendeva il controllo dell’ospite, contaminando
ogni suo pensiero,
spingendolo a mettere in pericolo la propria sanità mentale
nel tentativo di
cercare qualcosa.
Cosa sperava di trovare, tornando nella sala del Tesseract? Quale
tarlo della follia, della disperazione lo aveva spinto a toccarlo?
Le sue dita si erano poggiate sulla superficie del cubo cosmico,
esitanti: le aveva viste cambiare il loro colore in blu, ma questa
volta lo
spettacolo non lo aveva colto impreparato come su Jotunheim.
Né aveva provato
spavento a vedere i suoi occhi, riflessi dalla superficie bluastra,
diventare
rossi come due braci scappate dal caminetto. Una maschera luminosa gli
rivolgeva un sorriso rassegnato, di chi ormai è pronto a
tutto e sa di doversi
arrendere a ciò che vede… il principe di Asgard,
uno Jotun dal volto segnato da
una lacrima.
Era
stato lui stesso a scegliere di interrompere quell’inganno:
da
ogni sogno, prima o poi, ci si deve svegliare. E per quanto brutta
potesse
essere la realtà, l’avrebbe dovuta affrontare. Ma
mai si sarebbe aspettato che
l’inganno sarebbe venuto da chi, diversamente da lui, non era
riconosciuto come
ingannatore.
Nel suo vagabondare
avanti e indietro per la stanza, non si era
accorto di essere di fronte alla finestra: le luci continuavano a
brillare,
Asgard proseguiva la sua giornata, la vita andava avanti, nonostante
Odino si
trovasse disteso sul suo letto, preda di un sonno naturale ma incalzato
da una
causa che nessuno conosceva, né doveva conoscere…
Aveva amato suo padre, anche la sua severità. Si era fidato
di
Thor, di sua madre, dei domestici, di tutti coloro che sembravano
gentili e
premurosi, ma che alla fine lo avevano nutrito di falsità,
negandogli il
diritto di scegliere se portare con consapevolezza il suo ruolo di
estraneo
accolto nella famiglia reale e destinato, un giorno, al regno, o
rifiutarlo e
cercarsi un’altra strada, un’alternativa. Come
potevano pretendere di porre
fine alle bugie, se loro erano i primi a crearne?
“Cosa
sono, allora?”
“Sei mio figlio.”
Senza
volerlo, i suoi occhi incrociarono quelli della sua immagine
riflessa, incisa nel cielo notturno di Asgard come un ritratto sospeso
nell’aria. Il viso era tornato chiaro, gli occhi da rossi
erano verdi, ma ciò
che si nascondeva nella sua anima fuori non si vedeva.
In fondo, aveva sempre pensato di essere diverso da chi lo
circondava, solo che la sua parte più fragile non aveva mai
voluto saperne di
accettarlo.
Increspò appena le labbra, imitato dal suo riflesso, ma non
si
trattava di un vero sorriso: era piuttosto una reazione spontanea dei
suoi
pensieri, che prendevano forma senza che se ne accorgesse.
"Eri
un bambino
innocente…."
Non era più quello di una volta, il bambino che
dipendeva dagli
altri, che cercava senza tregua un po’ di sicurezza nelle
braccia dei suoi familiari.
Aveva dimenticato ciò che era. Ricreato un nuovo
sé che, per quanto gli fosse
in qualche modo estraneo, per quanto lo spaventasse, rappresentava il
vero
volto del suo cuore.
Alzò una mano, ricordandone il colore bluastro.
Cos’altro era, se
non un emblema del gelo?
Il ghiaccio era fuori, e dentro. Blu, scuro come i giorni senza
luce di Jotunheim, blu come la luce calma (solo in apparenza) del cubo
cosmico.
Blu, senza sole. Il sole che non gli spettava.
Guardò
di fronte a sé e sorrise, stavolta con la consapevolezza di
farlo. Ma a sorridere, ora, non era Loki Odinson.
Era Loki Laufeyson.
*****
Angolo
(dei pensieri
sparsi) dell’autrice
Chi
mi conosce e segue le mie storie sa che sono di una
indecisione che rasenta il patologico, per cui, dopo aver abbozzato una
fanfiction, passano dalle due settimane ai mesi prima che decida
finalmente di
pubblicarla… e così è stato anche per
questa, che avevo in mente già da un po’
–
così come l’intera raccolta – ma a cui
ho deciso di dare una forma “definitiva”
solo ora. Diciamo che anche la sessione invernale di esami non mi ha
aiutata!
Anyway, questa fiction è il risultato di una serie di idee
che ho
abbozzato per una raccolta di one-shot dedicata a pairing e personaggi
singoli
di Thor, tutte ovviamente movieverse. Il primo capitolo sarebbe dovuto
essere
una ThorJane, ma per varie ragioni ho preferito iniziare con una shot
dedicata
ad un personaggio singolo, Loki appunto. Ho già due capitoli
pronti e un terzo
in cantiere, per cui, per una volta tanto, studio permettendo, non
lascerò a
secco con aggiornamenti millenari i miei (eventuali) lettori.
Per quanto riguarda questo capitolo, spero di non essere andata
OOC e di aver trasmesso almeno una parte dell’amore che provo
per Loki,
personaggio nel quale fin troppo spesso mi riconosco e che trovo
caratterizzato
molto bene, sia nel film che nel fumetto. Le parti in corsivo tra
virgolette si
riferiscono al discorso tra lui e Odino all’interno del film.
Il titolo invece
mi frullava in testa già da un po’, sollecitato
anche da varie fanart che
trattano l’accostamento Loki/gelo.
Ringrazio
la solita pazienza degli amici che mi leggono e mi
supportano, e TsunadeShirahime per
aver betato instancabilmente il capitolo che gli ho sottoposto, e per i
vari
consigli richiesti dal caso <3
Che dire… chiudo qui questo primo papiro! Come
sempre, critiche,
consigli, pomodori in testa e reclami/recensioni sono sempre benaccetti
:)
Nat
|
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Capitolo 2 *** One day for a promise ***
One day for a promise
I
want to be a part of it,
New York, New York…
[Frank
Sinatra – New York]
“Abbiamo
scelto di trasferirla lontano dalla sua sede attuale per
ragioni di sicurezza. Non si preoccupi, le forniremo noi
l’alloggio e la sede
per continuare i suoi esperimenti, e poi si tratta di una sistemazione
provvisoria; le chiediamo solo di portare pazienza e di affidarsi alla
nostra
decisione. E poi… penso che New York le piacerà,
dopotutto”.
Quando
uno degli agenti dello SHIELD – lo stesso che le aveva
riconsegnato le sue preziose attrezzature – le aveva
annunciato che, per motivi
che le erano oscuri, sarebbe stata trasferita lontana dal New Mexico,
lì per lì
aveva sollevato obiezioni: lasciare il suo studio, la comoda seppur
precaria
sistemazione nel camper e soprattutto Erik e Darcy, le era sembrato
fuori
discussione. Ma dopo che lo stesso agente aveva parlato a lungo con
Erik,
chiedendogli di spiegarle la situazione e di convincerla ad accettare,
si era
dovuta piegare. C’era qualcuno di grosso in ballo, qualcosa
che lei da sola non
avrebbe potuto affrontare, e tutto ciò che poteva fare era
dar retta a chi si
era incaricato di aiutarla, se non altro come indennizzo per i problemi
che
avevano causato alle sue ricerche. Anche se a malincuore, aveva
iniziato a fare
i bagagli.
Una nota positiva in tutto quel trambusto c’era stata: il suo
appartamento, al quattordicesimo piano di un bell’edificio
né nuovissimo né
troppo vecchio era spazioso e rappresentava un rifugio decisamente
stabile.
Avere finalmente una stanza da letto, una da usare come studio e
riempire di
libri e apparecchi, una cucina, un bagno e addirittura un salottino era
più di
quanto avesse mai sognato di possedere, ed era il minimo che potessero
darle,
visto e considerato quanto le avevano chiesto in cambio.
La prima settimana,
dedicata ad arredare e sistemare gli ultimi
dettagli della sua nuova sistemazione, l’aveva trascorsa
senza pensare a nulla,
completamente immersa in una sorta di trance organizzativa che le aveva
sgombrato la mente. Una volta che tutto era tornato a posto,
però, quando il
nome JANE FOSTER era comparso, nuovo fiammante, sulla targhetta del
citofono e
la sua camera da letto aveva finalmente assunto un aspetto decente, si
era
accorta di quanto si sentisse sola.
Le mancava Darcy, le sue chiacchiere e lamentele, le sue battute
divertenti e la leggerezza – anche eccessiva – con
la quale affrontava certi
argomenti; le mancava Erik, che riusciva sempre a infonderle coraggio
con la
sua gentilezza e il modo di fare quasi paterno… e poi le
mancava lui,
soprattutto lui. Thor.
Sospirò, passandosi le dita sulle tempie stanche dopo almeno
tre
ore di studio intensivo sui libri che aveva preso in prestito alla
biblioteca.
Darcy ed Erik li avrebbe potuti sentire al telefono, almeno, e chiedere
loro se
avevano voglia di trascorrere qualche tempo nella città che
non dormiva mai…
con Thor, invece, non aveva avuto più alcun tipo di
contatto, e non aveva idea
di come avrebbe potuto fare per averne ancora, a parte continuare con
le sue
ricerche.
Si
alzò, decisa a prepararsi una tazza di tè e ad
andare a letto.
Come
poteva caderci così bene ogni volta? Era passata da un
Donald
Blake che capiva meglio i suoi pazienti della sua ragazza ad una cotta
– perché
di una cotta si trattava, nonostante il bacio che si erano scambiati e
la
sicurezza di essere ricambiata – per un tizio uscito fuori
dal nulla che aveva
investito due volte e che si era intrufolato nella base di
un’organizzazione
militare come se niente fosse. Se a tutto ciò si aggiungeva
il fatto che si
trattava di Thor, figlio di Odino, padre di tutti gli dei, la
situazione si
prospettava piuttosto complicata. Proprio quello che ci voleva.
Sbuffò e portò la tazza fino alla sua camera,
sostituendo il libro
che stava leggendo con un romanzo e concedendosi un po’ di
relax. Lui le aveva
promesso che sarebbe tornato, era vero, ma come poteva essere sicura
che
avrebbe mantenuto la sua parola? Per quanto in cuor suo desiderasse
crederci,
non era una stupida, e sapeva che rivederlo non sarebbe stato semplice.
Mentre
si addormentava, sperando che la sua mente stanca le
concedesse un po’ di tregua, si chiese se non fosse un suo
marchio di fabbrica
quello di trovare sempre qualche persona strana di cui innamorarsi.
****
Poco lontano
dall’appartamento dell’astrofisica, un giovane
biondo
si girava fra le dita un foglietto stampato corredato di foto e
indirizzo, con
l’aria di chi sa di avere una missione molto importante da
compiere e teme che
il tempo a disposizione non sia sufficiente.
Thor
sorrise automaticamente, rivolgendo lo sguardo agli occhi
nocciola di Jane che lo osservavano dal foglietto. Ottenere
quell’informazione
era stato più semplice del previsto, ma non per quello la
considerava meno
importante, anzi: se non fosse stato per la gentile agente che gli
aveva fatto
la cortesia di scendere a patti con la creatura che chiamavano
“stampante”, non
avrebbe mai ottenuto un punto di partenza a cui appoggiarsi per
cercarla.
Nonostante i più lo considerassero uno che si affidava
maggiormente ai muscoli rispetto all’intelligenza, anche lui
sapeva usare
l’ingegno, e aveva capito che da solo non sarebbe mai stato
in grado di far
funzionare gli arnesi elettronici, né poteva perdere tempo
provando a copiare i
dati che gli occorrevano, col rischio di essere interrotto e dover
fornire
delle spiegazioni. Non restava che l’astuzia, e una giovane
agente, impietosita
dalla richiesta (tutto sommato innocente) di poter tenere una foto
della
ragazza che amava con sé, era stata la vittima ideale.
Non sarebbe mai arrivato ai livelli di Loki, ma sapeva cavarsela
anche lui, rifletté tra sé. Specialmente se si
trattava di una buona causa:
sapeva che lo SHIELD aveva interesse nel proteggere Jane, ma voleva
mantenere
la sua promessa di andarle a fare visita finché ne aveva la
possibilità, specie
ora che suo fratello era lontano e non sembrava intenzionato a cercarla.
Tutto
sembrava pronto per l’azione. Eppure, la parte più
difficile
doveva ancora arrivare: come poteva raggiungere casa di Jane?
In
piedi in mezzo ad uno dei grandi marciapiedi che circondavano i
grattacieli, si guardava intorno, un po’ disorientato,
riflettendo sul da
farsi. Era strano da pensare, ma proprio lui, il dio del Tuono che
molti umani
temevano e che gli altri dei rispettavano, si trovava in
difficoltà nel
compiere un’azione semplice come chiedere informazioni ad un
passante
qualsiasi.
Se lo avesse visto suo padre…
Quel pensiero bastò a farlo riscuotere: nessuno avrebbe mai
assistito alla disfatta del potente figlio di Odino, anche se ad Asgard
non avevano
tutte quelle strane bestie meccaniche e le strade erano molto
più ampie e meno
intricate. E poi, in ogni caso, non voleva che i suoi compagni lo
considerassero un vigliacco: bastava trovare un altro umano che si
mostrasse
gentile come l’agente, e avrebbe risolto in un attimo.
La soluzione sembrava essergli piovuta direttamente davanti, nella
forma di un gruppo di persone che varcavano la soglia di un locale che
un’insegna a caratteri rossi qualificava come Morrison
Café.
La sua esperienza gli insegnava che un’azione rapida era
sempre la
strategia migliore: si avvicinò a grandi falcate alla porta
contrassegnata dai
cartellini che indicavano l’orario di apertura e di chiusura
e l’elenco delle
carte di credito accettate e la spalancò, illuminando per un
attimo un
gruppetto attonito di mattinieri che si godevano un caffè al
bancone.
“Chi
di voi è il figlio di Morris?”
Il
barista lasciò cadere una delle tazze che stava lavando,
alla
vista dell’uomo biondo e decisamente massiccio che lo fissava
con aria risoluta,
chiedendosi dove fossero in momenti del genere gli avventori che si
lamentavano
di quanto fosse noioso il suo locale.
****
New York era una
città dalle mille attrattive, quello non era da
mettere in dubbio. Ma che si trasformasse in una giungla di
automobilisti
impazziti e passanti pronti a spintonarti se solo non avevi
l’accortezza di
spostarti in tempo appena iniziava a piovere, non glielo aveva detto
nessuno:
l’aveva sperimentato quella mattina, quando le era venuta la
malaugurata idea
di uscire e affidarsi ai mezzi pubblici per un paio di commissioni. Se
solo si
fosse portata dietro un ombrello o perlomeno una giacca col cappuccio
si
sarebbe risparmiata la corsa infinita dietro all’autobus che
neppure si era
degnato di aspettarla, e la conseguente inzuppata che l’aveva
accompagnata fino
a quando non aveva raggiunto il negozio in cui si riforniva di
cibo… dove non
aveva comunque trovato un po’ di pace, affollato
com’era di casalinghe e gente
che aveva avuto la sua stessa idea di fare la spesa durante
l’orario di lavoro.
Almeno si stava all’asciutto, rifletté. Per quanto
cercasse di non pensarci,
però, la differenza tra la sua nuova vita e quella fin
troppo tranquilla del
New Mexico le appariva sempre più evidente.
Riuscì
a prendere quel tanto che bastava per non dover uscire
un’altra volta durante la settimana e si sistemò
sulla panchina della fermata
dell’autobus, ansiosa di tornare a casa e di ributtarsi a
capofitto tra studio
e faccende domestiche che, almeno, avevano il potere di distrarla dai
pensieri
che la assillavano e non risparmiavano nemmeno i suoi sogni.
Sogni che, tanto per cambiare, avevano Thor per protagonista e si
concludevano in maniera assurda, con il loro matrimonio in cima ad un
grattacielo, o angosciante, con l’enorme mostro di ferro
contro il quale
l’aveva visto combattere che lo finiva mentre una voce
stridula rideva. Si era
svegliata con gli occhi pieni di lacrime – non sapeva neppure
lei se di paura o
di tristezza – e aveva deciso che, per quella notte, ne aveva
abbastanza di
brutti sogni: guardare la tv sul divano del salotto avvolta nel plaid
di pile
che le aveva regalato Darcy le sembrava l’unica maniera di
dimenticare
l’incubo.
A
peggiorare ulteriormente le cose, quella stessa mattina, ad
un’ora che qualunque essere umano con un po’ di
buon senso avrebbe giudicato
assurda, aveva ricevuto una telefonata nientemeno che dallo SHIELD, che
l’aveva
informata che si, era stata trasferita da poco a New York, ma che per
ragioni
logistiche dettate da ordini impartiti all’ultimo momento (o
almeno così le era
sembrato di capire, in quel turbinio di termini tecnici) era stato
deciso un
suo ulteriore trasferimento a Tromsø,
in Norvegia, ovviamente pagato
dall’organizzazione. Non si sarebbe dovuta preoccupare di
nulla se non di
radunare la sua roba e stilare un elenco dei macchinari che avrebbe
richiesto
per la sua nuova sede: si sarebbero occupati loro del resto. Avevano
colto
inoltre l’occasione per augurarle una permanenza tranquilla,
e dopo essersi
assicurati che non c’era niente di cui la giovane potesse
aver bisogno avevano
riattaccato, lasciandola stordita, a chiedersi se quella conversazione
fosse
avvenuta davvero o se non si fosse piuttosto trattato
dell’ultimo stralcio di
uno strano sogno.
Dopo
un inizio di giornata simile, rifugiarsi in
Thor e nei pensieri che lo riguardavano rappresentava un sollievo, per
quanto
ingarbugliati potessero essere.
Com’era possibile che una persona che aveva frequentato
così poco
le avesse lasciato dentro tanti ricordi e sensazioni così
difficili da gestire?
Non
c’erano state tante parole tra lei e Thor. Mancavano le
discussioni e le riappacificazioni, i confronti e i pensieri condivisi
che
l’avevano legata a Donald per tanto tempo, per quanto la loro
diversità li
avesse portati alla rottura; mancava la consapevolezza di essere nel
bel mezzo
di una relazione che, nel bene e nel male, la completava, la faceva
sentire
minuto dopo minuto una donna realizzata e innamorata. Ecco, forse stava
proprio
lì la differenza: con Thor non aveva mai dovuto pensare
troppo.
I suoi sguardi, i tentativi prima impacciati poi sempre più
sicuri
di adattarsi a quell’ambiente del tutto nuovo per lui, le
piccole attenzioni
che le rivolgeva le scaldavano il cuore, solleticavano quella parte di
lei che
era rimasta affascinata dallo straniero caduto dal cielo dal primo
istante in
cui lo aveva visto. Poco importava se un universo intero sembrava
dividerli;
l’astrofisica così razionale da voler controllare
anche un sentimento
inafferrabile come l’amore (soprattutto dopo
l’ennesima delusione) si era
lasciata andare guidata da quella scintilla che l’aveva
colpita, e tutto il
resto non contava più nulla. Nel bacio che gli aveva
lasciato prima che si
separassero aveva infuso tutto il suo desiderio di fargli capire quanto
avesse
rappresentato per lei, nonostante il poco tempo a disposizione, e la
volontà di
lasciargli un segno, uno qualsiasi, purché mantenesse la sua
promessa…
E
invece se ne stava lì, a farsi coprire di pioggia e a
riflettere
su quanto fossero assurdi e sbagliati i suoi gusti in fatto di uomini,
lontana
chilometri dal luogo in cui era abituata a vivere, sola e costretta a
farsi
proteggere da un’organizzazione che fino a pochi mesi prima
neppure aveva mai
sentito nominare. Ah, e senza ombrello né acqua calda per
farsi una doccia, ora
che ci pensava, dato che quella mattina una vicina di pianerottolo
l’aveva
gentilmente informata che sarebbe mancata almeno fino al primo
pomeriggio, a
causa di alcuni lavori.
L’autobus per fortuna era arrivato. Facendosi largo per
salire,
Jane non poté trattenersi dal pensare che, se proprio lo
SHIELD aveva
intenzione di aiutarla, avrebbe fatto meglio a pagarle una vacanza di
un anno
in qualche posto lontano e riposante.
****
Quella della mattina
appena trascorsa sarebbe rimasta tra le vittorie
più memorabili della lunga carriera di guerriero di Thor:
non solo era riuscito
nel suo intento – trovare casa di Jane grazie alle
indicazioni fornitegli dal
barista figlio di Morris – ma si era anche introdotto nella
sua abitazione
senza creare altri problemi, in barba alla difficoltà
presentatagli dalla porta
dell’appartamento della ragazza, che sembrava programmata per
resistere alle
sue spallate. Era bastato un colpetto secco di Mjolnir (lo stesso
martello che
aveva suscitato più di un’occhiata curiosa da
parte dei passanti, giù in
strada), però, a convincere la serratura a cedere,
nonostante quest’ultima ora
penzolasse con aria un po’ malinconica dal lato della porta.
Poco importava: ci
avrebbe messo poco a sistemarla.
Decisamente
soddisfatto, si era aggirato per l’appartamento, dando
un’occhiata alla dimora dove Jane trascorreva le sue
giornate. Conosceva già
oggetti come il computer portatile, le mensole della cucina e il letto,
ma ciò
che lo aveva incuriosito maggiormente, ovvero la cabina doccia e il
porta-asciugamani che fungeva anche da termosifone, si trovavano nel
bagno. La
doccia in particolare, dotata di una radio, era stata oggetto delle sue
attenzioni: doveva esserci di sicuro una piccola donna imprigionata dal
pannello di piastrelle, e un eroe al servizio della gente degno di
questo nome
non avrebbe esitato un attimo a liberarla. Dietro, ovviamente, non
c’era
niente, ma la prudenza non era mai troppa, e comunque anche quel danno
avrebbe
potuto sistemarlo senza fatica: almeno qualunque essere si fosse
trovato in
difficoltà lì dietro si sarebbe potuto mettere
subito al sicuro.
L’ultima
stanza a ricevere la sua visita fu quella dove la ragazza
dormiva.
Rispetto
alle altre, in quella regnava un certo ordine. Il letto
era stato rifatto, la piccola libreria era ammassata di libri sistemati
in pile
e il tappeto dal disegno floreale abbinato alle tende sembrava essere
stato
sbattuto da poco. L’unico elemento che turbava
quell’armonia apparente era il
comodino. Thor gli si avvicinò incuriosito, per scoprirlo
ingombro di vari
oggetti capovolti, come se una manata li avesse colpiti
all’improvviso: una
scatola di pillole semi-aperta, un romanzo dalla copertina rigida
rotolato a
terra e una cornice rovesciata a faccia in giù, che ad un
più attento esame
rivelò contenere una sua foto.
Il giovane prese l’oggetto dagli angoli appena
smussati tra le
mani e lo rigirò un paio di volte, come se non credesse
davvero a ciò che
vedeva. Eppure, ricordava bene il giorno in cui Darcy, la strana
assistente di
Jane, gliel’aveva scattata, dicendo che sarebbe andata su un
libro o qualcosa
di simile, e il sorriso di Jane al vederla attaccare, in piccolo, sul
tesserino
che gli aveva creato un alibi con quelli dello SHIELD…
più i ricordi si
incastravano tra loro, più il motivo della sua visita gli
pareva ovvio. E,
assieme ai ricordi, iniziava a subentrare una leggera fitta di rimorso.
Chissà
dov’era lei, in quel momento. Chissà se il suo
arrivo le
avrebbe fatto piacere. Con gli occhi della mente vedeva una Jane
spaventata fare
un incubo e rovesciare ciò che si trovava sul comodino, in
un impeto di paura
nel dormiveglia, poi cercare di calmarsi, accarezzare con le dita
quella foto (lo avrebbe fatto davvero?)
e tentare di
ricominciare la sua routine quotidiana che l’avrebbe portata
alle sue ricerche…
senza sapere che, a non molti chilometri da lei, l’oggetto di
quelle ricerche
si era messo sulle sue tracce e la cercava, con la sua stessa
testardaggine.
Solo che avrebbe potuto metterci molto meno, sospirò. E, per
la
prima volta in quella giornata, il suo sorriso baldanzoso
sembrò sfumare.
****
Ladri.
Quella
doveva essere la giornata delle sorprese, rifletté
amaramente la giovane scienziata. Ricapitolando: incubi, pioggia,
niente acqua
calda, neppure un ombrello, autobus stipato, vestiti fradici addosso,
buste
della spesa che minacciavano di cedere, e ora anche dei ladri
mattinieri? Oh,
fantastico. L’ideale per completare la giornata!
I
visitatori in questione non dovevano essere proprio dei maestri
nel loro “lavoro”, dato che la maniglia era
lì dove un forte colpo l’aveva
mandata, e sia il pomello al centro della porta che lo stesso legno
erano
ricoperti di impronte. Il concetto però non cambiava:
c’era qualcuno in casa,
qualcuno che doveva essersi fatto pochi scrupoli a sfondare la sua
porta
(incurante del fatto che sul pianerottolo c’erano altri tre
appartamenti
abitati, pieni di persone che sarebbero potute accorrere allarmate dai
rumori)
e a penetrare all’interno, attratti dall’idea di
poter accumulare un presunto
bottino. Se non fosse stata preoccupata da quanto avrebbe potuto
trovare in
casa probabilmente le sarebbe scappata una grossa risata al pensiero
che quella
gente la ritenesse ricca, o come minimo in possesso di apparecchiature
appetibili. Poveri illusi…
Varcò la soglia con attenzione, posando le buste alla base
dell’attaccapanni e dirigendosi con la massima lentezza verso
la sua stanza,
laddove i rumori le sembravano più forti. Si
rammaricò di non avere con sé un
dissuasore elettrico, nonostante Darcy le avesse raccomandato
caldamente di
procurarsene uno (“È sempre utile, non ne potrai
più fare a meno… ho steso
quella montagna di muscoli del tizio biondo in un secondo, non male
no?”), ma
avrebbe comunque trovato un valido sostituto: setacciando il salotto
con lo sguardo,
l’occhio le cadde sulla scopa che aveva dimenticato di
riporre dopo l’ennesimo
tentativo di dare una ripulita. Se la sarebbe fatta bastare.
Armata
alla bell’e meglio, silenziosa e battagliera (almeno
sperava di sembrarlo), Jane Foster si acquattò lungo il muro
del corridoio che
l’avrebbe condotta dal salotto al resto delle stanze, stando
ben attenta a non
farsi sentire e tendendo contemporaneamente l’orecchio a
qualsiasi suono.
Stranamente i ladri non sembravano aver toccato nulla, né in
salotto né in
cucina (a parte il bagno, da cui proveniva una inquietante puzza di
intonaco
sbriciolato, ma a quello avrebbe pensato dopo), e non avevano ribaltato
mobili
o forzato cassetti per scoprirne il contenuto. Probabilmente
immaginavano di
trovare qualcosa di più prezioso in camera da letto,
pensò la ragazza, e
strinse più forte a sé la scopa: le era sembrato
di intravedere una figura
spostarsi con un fruscio leggero accanto alla sua libreria, e la sagoma
di
quello che sembrava un lungo drappo di tessuto, ma poteva benissimo
essersi
sbagliata da quella distanza.
A
noi due, ladro.
Con
un colpo rapido di gambe si portò di fronte alla porta della
stanza, la scopa protesa sopra la testa in equilibrio precario, la
bocca
spalancata nell’anteprima di un grido che avrebbe dovuto
spaventare il suo
avversario…
Fu in quel momento che il ladro decise di voltarsi. E bastò
uno
sguardo a farla ammutolire, mentre la scopa cadeva a terra con uno
schiocco
sordo al quale nessuno prestò attenzione.
Nella
sua camera da letto c’era Thor.
Era
proprio Thor, quel
Thor. Quanti altri avrebbero dovuti essercene, al mondo?
Jane aveva fantasticato a lungo sul suo ritorno, sia durante le
notti insonni che nei momenti in cui si dedicava ai suoi studi: lo
immaginava
come un evento felice, si, ma decisamente poco realizzabile, almeno per
il
tempo in cui si trovava. L’idea che il giovane sarebbe potuto
apparire così,
all’improvviso, senza alcun avvertimento e soprattutto
lasciando dietro di sé
maniglie staccate e disastri non l’aveva minimamente presa in
considerazione…
eppure, la sua figura alta avvolta nel mantello che gli aveva visto
addosso
durante il loro ultimo incontro e Mjolnir stretto in mano lasciavano
poco
spazio alle alternative. E poi c’era il sorriso, quel sorriso
nato da un misto
di amore e spensierata felicità che, lo aveva scoperto
presto, dedicava solo a
lei, e i capelli che sembravano catturare la luce del sole, gli occhi
che si
piantavano nei suoi e li riempivano d’azzurro, e il suo
sguardo, e…
La
sua mente continuava ad inviarle messaggi impazziti di euforia,
ma lei non riusciva a trasformarli in azioni. Le tremava il labbro,
mentre
cercava le parole adatte.
Farfugli poco comprensibili, di chi sembra riprendere un discorso
interrotto da poco.
“Ti
sei introdotto qui senza dire nulla. Mi hai distrutto la
porta. Riempito il bagno di calcinacci. Impolverato tutti i pavimenti.
E… e…”
Una
pausa. Sentì le lacrime fare capolino all’angolo
degli occhi,
ma cercò di scacciarle. La voce, però, non voleva
saperne di restare salda.
“Hai
mantenuto la promessa”.
Lui
si limitò a sorridere, di nuovo. “Sono
tornato”.
Buttargli
le braccia al collo e rannicchiarsi tra quelle del
compagno come una bambina poteva non essere un’azione degna
di Jane Foster,
astrofisica e brillante studiosa, ma era più che sufficiente
ad esprimere ciò
che provava in quel momento.
Senza che se ne fosse resa conto, le lacrime erano iniziate a
scorrere, e assieme a quelle i piccoli pugni che gli tempestavano il
petto e facevano
da intervallo ai tentativi di lui di farla star ferma, di rassicurarla
sul
fatto che era lì davvero, non si trattava né di
un incubo destinato a
sciogliersi, né di un sogno troppo realistico.
Continuò a versare lacrime che
non sapeva definire di gioia, di sollievo o di rabbia, e mentre ogni
consapevolezza
crollava sentiva di essere stupida, stupida a credere che quello
sarebbe stato
l’inizio di qualcosa di duraturo e ancora più
stupida a voler tagliare ogni
speranza alla radice, e intanto continuare a piangere, come se non ci
fosse
nient’altro intorno a loro, a quello scenario vagamente
assurdo di una casa
semi-dissestata dove un dio sceso da Asgard e un’umana che da
troppo tempo non
ascoltava i suoi sentimenti si incontravano…
“Jane?
Jane, basta. Non devi piangere, ora. La mia presenza non è
gradita?”
Il
silenzio, ora totale, la assordava. Come mai non sentiva il
battito del cuore? Eppure, da quanto sembrava darsi da fare sbattendo
contro la
cassa toracica, avrebbe dovuto risultare forte e chiaro, come un
uccellino
impazzito che cercava di sfondare un vetro…
Alzò gli occhi e, incontrando quelli di lui,
sentì di conoscere la
risposta ai dubbi che l’avevano assalita poche ore prima:
aveva scelto Thor –
lasciandosi Donald alle spalle – perché con lui
non doveva mai fingere nulla.
Di fronte a quelle parole, alla protezione nata dal suo abbraccio,
era impossibile arrabbiarsi, o anche solo pensare di aver fatto la
scelta
sbagliata: in fondo, gettare per un po’ la sua maschera di
efficienza e restare
la ragazza impacciata (innamorata) che si imbarazzava e non sapeva bene
come
rispondere al suo baciamano non poteva che farle bene. E Thor, per
quanto
potesse sembrarle inavvicinabile, impetuoso, assurdo…
era la sua scelta.
Lo
baciò di nuovo, con la stessa foga del loro ultimo bacio,
attirando il suo viso verso il basso e affondando le mani nella chioma
bionda,
cercando di imprimersi nel cuore ogni secondo di quello strano lasso di
tempo
che li vedeva assieme.
Come risposta era più che eloquente.
****
“Quindi, ti sei preso
una sorta di pausa dallo SHIELD. Devono essere
in vena di favori e gentilezze, se non hanno fatto nulla per
fermarti…”
All’incontro
burrascoso era seguita la tranquillità, come alla
fine di una tempesta. Jane sapeva bene di non poter sprecare un solo
istante, e
si era comportata di conseguenza: dopo averlo pregato di cambiarsi (per
fortuna
disponeva di una t-shirt da uomo scovata nel suo guardaroba, dare
nell’occhio
come nel New Mexico era l’ultimo dei suoi desideri) si era
mobilitata per
andare ad acquistare qualcos’altro per preparare un minimo di
cena adatto ad
entrambi, e Thor si era offerto di accompagnarla. Era bello passeggiare
per le
strade di New York fianco a fianco, una bustina di stoffa sottobraccio
e lo
sguardo del giovane che non la lasciava un attimo, come a volersi
assicurare di
averla veramente ritrovata; sembrava una normale uscita per spese di
una
coppia, un assaggio di vita quotidiana che la rendeva felice.
“Diciamo che mi hanno concesso un giorno di riposo. Lo
chiamate
così, giusto? Un giorno di riposo per ringraziarmi
dell’aiuto offerto loro…
ovviamente non potevo rifiutarlo.”
Si fermò, esitante. Avrebbe potuto raccontare la
verità, ossia che
la situazione era problematica e che Loki probabilmente aveva preso il
controllo su Erik (che quasi sicuramente Jane credeva al sicuro dove lo
aveva
lasciato), ma preferì omettere quella parte: voleva tenerla
il più lontana
possibile da quegli intrighi e da suo fratello. Così si
limitò a cingerle la
vita con dolcezza.
“Chissà
cosa direbbero se ci vedessero camminare tranquillamente
per le vie di New York, mentre secondo loro dovrei restarmene chiusa in
casa
nell’anonimato più totale per sfuggire a
chissà chi” sbuffò, per poi riprendere
con un sorriso rassegnato “tra l’altro, poco dopo
il mio trasferimento mi hanno
comunicato che la mia sistemazione qui è solo provvisoria,
tra poco mi
spediranno a Tromsø…
c’è da dire che, dato il freddo di ieri, mi
sto già allenando per il clima, ma la cosa non mi rende
granché felice. La Norvegia è
decisamente
lontana…”
Sugli occhi nocciola di lei cadde un’ombra. Thor le strinse
la
mano, come a volerle ribadire il suo appoggio: “Vuol dire che
prenderò Mjolnir
e ti verrò a cercare, dovunque tu sia. La Norvegia
somiglia ad Asgard, da quanto ho
sentito.”
Al pensiero di un Thor appeso al suo martello che fiancheggiava un
aereo di linea in volo tra le nuvole, Jane non riuscì a
trattenere una risata
divertita, liberatoria, così come non ne faceva da molto.
L’autobus che
avrebbero dovuto prendere spalancò le porte e la giovane
scienziata le varcò
con passo sicuro, accompagnata dal dio e da un senso di completezza al
quale
non poteva non rivolgere un caloroso bentornato.
****
Erano promesse,
rifletté. Una serie di promesse che si
intrecciavano e piantavano le loro radici nel desiderio comune di
rivedersi,
mantenuto vivo dalla sua cocciutaggine e dalla forza d’animo
di Thor. Promesse,
nient’altro. Una semplice parola che aveva funzionato da
sigillo al contratto
non materiale che avevano stipulato: ritornerò. Se le parole
possiedono una
forza, beh, quella aveva mosso ben due universi. Niente male…
Si sentiva sciogliere, la mente piacevolmente vuota (era ora), la
consapevolezza di essere nuda e al calduccio tra le braccia del suo
uomo che le
solleticava appena i pensieri e le impediva di sprofondare nel sonno
ristoratore che da tanto aspettava… non voleva addormentarsi
subito, non
poteva.
Si
girò piano e sfiorò col dito la guancia di Thor,
delineandone
il profilo, giocando con le piccole rughe d’espressione che
incontrava,
beandosi nell’osservare il suo respiro lento e regolare
fargli alzare e
abbassare il petto, fremere appena un labbro: a vederlo
così, nessuno avrebbe
mai riconosciuto in lui il figlio di Odino, il futuro re di Asgard: non
era
altro che un giovane addormentato, tranquillo come un qualunque essere
umano che
riposava.
Un sottile spiffero d’aria sfuggì dalla finestra
socchiusa e le
morse la pelle della spalla, facendole per un attimo tornare alla mente
la
Norvegia. Ne scacciò
il pensiero, come la sensazione di freddo, accoccolandosi
più vicina a Thor e
appoggiandogli la testa sul petto, facendosi cullare dal ritmo di
orologio del
suo cuore. C’era tempo per pensarci, c’era tempo
per riflettere su molte cose
(riparazione del bagno compresa) e per dire addio (o arrivederci?) ad
altre; la
notte sospendeva tutto, avvolgendolo nel suo corso lento e dolce.
Abbandonarsi
era l’unica soluzione, e le stava più che bene.
Jane sorrise, nel silenzio della sua stanza. Era bello dormire
accanto a lui.
Quella
notte, finalmente, fece bei sogni.
****
Angolo
(dei pensieri
sparsi) dell’autrice
Devo
ammetterlo, adoro Thor e Jane come coppia, nonostante nel
film siano stati caratterizzati poco. Sarà che amo Natalie
Portman e la trovo
brillante nelle sue interpretazioni, sarà che amo
“indagare” psicologicamente
le ragioni di una coppia (?), per cui non ho saputo resistere alla
tentazione
di scrivere la mia visione personale del perché il loro
rapporto esista, come
al solito sperando di mantenermi IC. (Ho sempre paura di non riuscirci,
con
Thor…).
Per il resto, la fic si svolge in un periodo abbastanza
imprecisato, a grandi linee diciamo tra la fine di Thor e
l’inizio di The
Avengers, fino al momento in cui Jane viene trasferita in Norvegiab
(nel film
Thor vede il suo nome nel monitor che gli mostra Coulson). Ovviamente
è una
What if?, per cui prendete come licenze poetiche le eventuali sviste XD
Grazie
a TsunadeShirahime
come sempre, per la sua pazienza e la volontà di leggere i
miei piccoli
obbrobri, e ad _Eleuthera_, beta
d’eccezione che ha letto questo capitolo poco dopo che
l’avevo scritto e ha
contribuito a portarlo alla “fase finale” coi suoi
consigli. Vi sono debitrice!
:)
Grazie anche a Timcampy_, Valery_Snape, Lady
Sigyn e Vaneshalla
per avere inserito la storia nei preferiti, e a Merihon
per averla inserita nelle seguite… E a voi lettori
“dietro
le quinte”, ma se mi lasciaste una recensione o una critica
– anche piccola
piccola – mi rendereste ancora più felice!
Alla
prossima,
Nat
|
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Capitolo 3 *** Quando mi insegnavi a crescere ***
Quando
mi insegnavi a crescere
“Davanti
a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che
sfamarsi;
riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due
bambini:
Hänsel e Gretel…”
Thor
ascoltava concentrato, le gambe che dondolavano impercettibilmente.
Momenti come
quelli – di calma perfetta, tanto che dai corridoi non
arrivava nessun rumore e
la reggia di Asgard sembrava vuota – erano rari, e
trascorrerli con suo padre
che lo teneva sulle ginocchia e gli raccontava storie di luoghi lontani
e di
personaggi fantastici li rendeva ancora più preziosi.
Il suo
animo di bambino scalmanato e amante dell’avventura si
deliziava con quelle
storie; non solo delle gesta di suo padre, ma di ogni piccolo
dettaglio, che
risvegliava in lui universi interi, popolati da spiriti, giganti,
streghe e
creature dei cieli e dei mari. Alcune lo lasciavano perplesso, come
quella che
gli stava raccontando; se anche lui si fosse addentrato nella foresta
di Asgard,
avrebbe trovato una casetta di marzapane abitata da una strega? Mano a
mano che
il racconto andava avanti, però, dava sempre meno importanza
ai dettagli. In
fondo, suo padre era più sapiente di cento saggi, e doveva
aver acquisito molta
esperienza attraverso i viaggi e il suo dominio sui Nove
Regni…
Loki,
seduto ai piedi del trono, puntava sul padre i suoi occhi verdi,
magnetici,
desideroso anche lui, a suo modo, di immergersi completamente nella
storia
sulla scia del racconto di Odino.
Il
viso
del Padre degli Dei era disteso, la voce tranquilla. Il temibile
guerriero che
aveva riportato innumerevoli vittorie in sella al suo destriero a otto
zampe non
era molto diverso da un normale padre affettuoso, desideroso di
dedicare
qualche ora del suo tempo al figlio.
Thor
amava quei momenti trascorsi col padre, per quanto gli riuscisse
difficile
esprimerlo a parole. Ogni
membro della
sua famiglia ricopriva un ruolo speciale nella sua esistenza: Frigga
era il
sostegno, la madre che lo stringeva a sé quando aveva paura
o soffriva per
qualcosa, l’insegnante che lo educava con fermezza e, allo
stesso tempo, con
dolcezza; Loki – per quanto potessero essere diversi e, a
volte, anche in
competizione – il complice e compagno di giochi, il
fratellino che lo ammirava
e lo affiancava in ogni avventura… ma era a suo padre che
spettava il ruolo
della guida, dell’eroe a
cui avrebbe
voluto somigliare in tutto e per tutto.
Quando
arrivava il momento di dedicarsi ad affari importanti il bambino
scendeva a
malincuore dalle ginocchia di Odino, col broncio di chi non vuole
arrendersi al
fatto che il proprio padre sia effettivamente il sovrano regnante di
Asgard. Ma
bastava una carezza sulla testa a farglielo passare, sostituito da un
sorriso
fiducioso, che il padre sorprendentemente ricambiava con una
spontaneità che
gli illuminava i tratti severi.
***
Un
pomeriggio come tanti altri avevano combinato un altro dei loro piccoli
disastri, costringendo i servitori a riordinare tutto e Odino a
spedirli in castigo nelle loro stanze per qualche ora. Luogo che i
principi
avevano accuratamente evitato, preferendo rifugiarsi nei giardini, dove
nessuno
li avrebbe disturbati.
Stava
raccogliendo sassi dalla forma strana assieme a Loki, quando i contorni
vaghi
della storia ascoltata pochi giorni prima avevano preso forma.
“E
se il
Padre si fosse stufato di noi? Di averci come figli?”
Thor, che
era occupato ad ammucchiare alcuni piccoli ciottoli
sull’argine di un torrente,
non gli rispose subito. Si voltò poco dopo, come se le
parole del fratello gli
fossero arrivate con un soffio di vento, leggere,
all’orecchio.
“Perché
non dovrebbe più volerci, Loki? Siamo i suoi
figli!”
Gli occhi
del fratello, appena coperti dai ciuffi di capelli scuri, gli
apparivano
tristi, tormentati da un dolore difficile da decifrare. Quando il Padre
li
sgridava, Thor cercava di sostenere il suo sguardo, fiero e spavaldo
anche se
sapeva di essere in torto; Loki invece lo abbassava subito, mortificato
e in
qualche modo timoroso di scatenare ulteriormente la sua ira. Il
fratello non lo
aveva mai visto fare l’offeso con Frigga o rispondere male al
padre: era
arrendevole, troppo, la sua bontà apparente nascondeva una
insicurezza
profonda.
Eppure,
pensava che quei momenti di condivisione familiare avessero lasciato
qualcosa
nel cuore del fratello, come era successo a lui… a volte
dimenticava quanto
fossero diversi, anche in dettagli come quelli. Per quanto Loki non
sembrasse
amare il contatto fisico, in fondo voleva bene ai genitori, e cercava
sempre di
comportarsi bene e renderli orgogliosi di lui. Allora,
perché quella domanda,
così all’improvviso?
“Nella
fiaba, Hansel e Gretel vengono abbandonati nel bosco perché
i genitori non
hanno più nulla da dar loro per sfamarli. Noi da mangiare ne
abbiamo, è vero” -
si tormentò un ciuffo di capelli vicino
all’orecchio - “ma
se il Padre si fosse comunque stufato dei
nostri dispetti? Se avesse deciso di lasciarci qui e non ci volesse
veramente
più?”
Quelle
parole iniziavano a spaventare Thor. Si fidava di suo padre
più di chiunque
altro al mondo e non avrebbe mai messo in dubbio il suo amore per
entrambi i
figli, era vero… ma Loki a suo modo aveva ragione: e se
veramente stesse
meditando di spedirli lontano per punirli? O peggio, temeva che il suo
amore,
all’improvviso, si potesse trasformare in insofferenza.
Un
bambino non sempre riesce a vedere oltre le frasi dette da un adulto
durante
una sgridata: le coglierà sempre nella sfumatura peggiore,
come assolute e
inequivocabili. Nonostante Thor temesse che quelle parole potessero
contenere
un fondo di verità, cercò di fare del suo meglio
per non pensarci e per
consolare il fratello, che aveva tutta l’aria di star per
piangere.
Non
servivano cerimonie, né abbracci: in quello era molto
più brava sua madre, a
lei sarebbe toccato il compito. Si limitò a prendergli la
manina e a condurlo
con sé di nuovo all’interno della reggia,
confortandolo sul fatto che Odino li
avrebbe di certo perdonati, facendolo persino sorridere inventando per
lui, sul
momento, le scuse che avrebbero potuto utilizzare per giustificare gli
stivali
bagnati e le mani sporche di terra (che andavano dalla lotta a mani
nude contro
un orso all’inseguimento di un folletto con conseguente
caduta), comportandosi
più come il piccolo ometto
giudizioso –
come lo chiamava Frigga – che sarebbe dovuto diventare che
come un bambino
della sua età. Ma, in cuor suo, tutto ciò che
desiderava era sentirsi confortare
da Odino un’altra volta, e scoprire che Loki si stava
sbagliando.
***
Quella
sera, a tavola, non aveva mangiato con il solito appetito poderoso: la
tensione
iniziava a farsi strada attraverso di lui, e assieme a quella anche la
paura di
trovare nel viso e nei gesti del padre qualche segno di cambiamento.
Nonostante
tutto, il racconto della fiaba era un loro appuntamento fisso, e non se
lo
sarebbe perso per nulla al mondo.
Camminò
silenzioso per i corridoi del palazzo fino alla sala del trono con la
voce
dubbiosa del fratello che gli risuonava nella testa, scandendo i suoi
passi
come una sorta di canzone ripetitiva. Non poteva permettere al dubbio
di
divorarlo: aveva lasciato Loki alle cure di sua madre (con la quale
sembrava
avere un rapporto speciale, un’intesa maggiore rispetto a
quella che lo legava
a Odino), rassicurandolo che avrebbe ottenuto il perdono per entrambi e
che
avrebbe fatto tornare tutto a posto… ora doveva mantenere la
sua promessa,
anche se il pensiero di doversi confrontare con suo padre gli faceva
battere il
cuore.
Per
fortuna, Odino era al solito posto: la sala del trono, vuota, faceva
sembrare
la sua figura ancora più maestosa, ammantata di
un’aura di potere e grandezza
che avrebbe intimidito chiunque. Thor lo salutò con il
solito affetto –
leggermente più misurato del solito, ma comunque sincero
– e si sedette sulle
sue ginocchia, ansioso di riprendere la storia da dove
l’avevano lasciata.
“Il
terzo giorno,
quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta
di pane
e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci
siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel.
"Io mangerò un
pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è
dolce…"
Odino
raccontava, e Thor, appoggiato contro la pelle ruvida della casacca del
padre, rimaneva
perso nei suoi pensieri, senza riuscire ad introdurre
l’argomento che lo faceva
soffrire. Fu il Padre degli Dei ad accorgersi che, effettivamente,
qualcosa non
andava.
“Thor?
Sei troppo silenzioso, non mi hai fatto neppure una delle tue solite
domande…
cosa c’è che non va?”
Il
bambino si staccò di soprassalto, sgranando gli occhi
celesti e fissando
l’unica pupilla del padre, accesa di una luce interrogativa.
Si era lambiccato
il cervello per tutta la giornata cercando le parole con cui iniziare
il suo
discorso, non immaginando neppure che potesse essere Odino a
introdurlo… ora
che potevano chiarirsi, non doveva perdere l’occasione.
“Padre…
non vuoi più bene a me e Loki? Come il padre di Hansel e
Gretel?”
Il
silenzio, palpabile, li avvolgeva come un vetro liquido. Thor era
così teso da
sentire il proprio cuore rombare nel petto, il sangue che lo scaldava e
faceva
più rumore di un carro lanciato in corsa lungo
l’acciottolato di una strada. Aspettava
la risposta del padre come un verdetto che avrebbe
deciso la sua sorte… per cui, quando udì la voce
inaspettatamente dolce parlare
dopo istanti che erano sembrati durare secoli, girò la testa
per incontrare il
suo sguardo, stupito.
“Thor…
non sempre un padre può essere affettuoso e comprensivo con
i suoi figli. Ci
sono momenti in cui tu e Loki mi fate arrabbiare, ma ciò non
significa che io
smetta automaticamente di volervi bene, o di considerarvi con amore per
questo.
Nella vita non va sempre tutto bene… ci sono le sgridate e i
momenti felici, ma
l’importante è che capiate cosa
c’è dietro alle mie arrabbiature, per evitare
di comportarvi male in futuro.”
Il
Padre
degli Dei gli accarezzò la testa come sempre faceva quando
era in compagnia del
figlio, ma stavolta con più delicatezza, come a volerlo
rassicurare sulla
sincerità delle sue parole. Thor sentiva di non riuscirlo a
capire fino in
fondo (era pur sempre un bambino di otto
anni, ne aveva di tempo per crescere…), ma
finché suo padre lo assicurava
di amarli, e che mai e poi mai li avrebbe abbandonati, il suo cuore
spiccava un
piccolo balzo, come un salto dalla scogliera delle sue paure.
Odino prese il figlio per le
spalle e lo voltò,
in modo che potesse guardarlo negli occhi.
“E
poi, non hai ancora sentito il finale della fiaba. Hansel e Gretel
vengono abbandonati nel bosco, ma dopo aver sconfitto la strega
riescono a
tornare a casa, dal loro padre che li amava e li accoglie a braccia
aperte, ora
che la matrigna non può più costringerlo a
lasciarli di nuovo.
Thor non riuscì a trattenersi: si strinse con forza al
fianco del
padre, affondandogli il visetto rotondo nelle pieghe della casacca e
inspirando
il suo profumo di forza, di casa, di protezione, assimilandolo fino
all’ultima
goccia, cercando di imprimerselo addosso per ricordare bene quella
sensazione,
per avere la conferma che Odino non li avrebbe mai abbandonati. E, in
un
attimo, tutta la paura, l’insicurezza che l’aveva
accompagnato durante quella
giornata svanì, sostituita da un meraviglioso tepore e dal
desiderio di
dormire, data anche l’ora tarda.
Avrebbe
voluto che Loki fosse lì con lui, per beneficiare di
quella sicurezza che lo inebriava. Ma sentiva che, in quel preciso
momento, il
fratello doveva trovarsi nella sua stessa condizione: Frigga lo stava
sicuramente rassicurando con il suo amore di madre, cancellando ogni
incubo
dalla sua mente con un semplice sorriso, una carezza sui capelli neri
come la
notte.
***
Rimase seduto per un
tempo che gli parve infinito sulle ginocchia
del Padre degli Dei – suo padre
– che,
cambiando genere di storia, gli raccontava delle sue gesta durante la
conquista
di uno dei Nove Regni. Sentiva la sua voce, ma non lo ascoltava del
tutto: la
sua mente di bambino era impegnata, come sempre, a rielaborare con la
fantasia
le sue gesta, vivendole come un’avventura in movimento al di
là delle palpebre
socchiuse, proiettata sullo schermo colorato dei sogni. E quando Odino
lo prese
in braccio e lo portò nella cameretta, distendendolo sul
letto e sfiorandogli
la fronte con un bacio leggero, fu felice di riuscire a restare sveglio
l’attimo
necessario per rivolgergli un piccolo sorriso, che per quanto assonnato
voleva
significare che era orgoglioso del proprio
eroe.
Nonostante
giocasse con spade e lance, per quanto l’ambiente in
cui stava crescendo fosse più adatto a forgiare guerrieri
che bambini
spensierati, Thor era sereno. Non poteva vedere il futuro, e quindi la
gran
parte delle discussioni e delle sfuriate che sarebbero arrivate in
seguito - ah,
l’adolescenza…- gli erano
sconosciute, ma dentro di sé era certo di una cosa: poteva
fidarsi di Odino. Poteva
continuare a immaginarlo come un guerriero mitico, immenso per forza e
saggezza, ma la sua grandezza non stava solo in quello: li portava
sulle sue
spalle da quando erano nati, alternando la loro cura al dominio su un
regno che
si estendeva a perdita d’occhio, e ancora trovava il tempo
per dargli la
buonanotte e accompagnare i suoi pensieri con i racconti che tanto
amava. Chi
altro l’avrebbe fatto?
Essere
Padre degli Dei
e regnante di Asgard non era semplice. Ma essere padre di due figli,
rifletté,
doveva essere anche più difficile.
****
Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice
Con
questa
fic ho ufficialmente dato inizio ai miei tentativi di scrivere sul
rapporto genitore/figli
tra Odino, Thor e Loki, che mi hanno sempre ispirato ma su cui non ho
mai avuto
tempo di produrre nulla… il contest è stato un
ottimo “trampolino di lancio”, e
sapere che la storia sia piaciuta tanto da meritare il terzo posto mi
ha resa
ovviamente molto felice <3
(Grazie
soprattutto alla pazienza delle giudici, che hanno corretto e valutato
tutti i
nostri lavori con grande precisione, nonostante i vari impegni e
disguidi di
studio!).
La
favola
di Hansel e Gretel è stata la prima che mi è
venuta in mente e ho deciso subito
di utilizzarla, anche perché mi sembrava quella
più adatta da inserire nel
contesto… tecnicamente il contest riguardava il fandom di
The Avengers, ma
essendo la storia incentrata sul passato di Thor – ed
essendoci Odino, che nel
film non è presente – alla fine mi è
sembrato più giusto includerla nella
raccolta.
Come sempre…
aspetto i vostri consigli/rimproveri/recensioni/commenti, un paio di
minuti per
voi rappresenta un grande miglioramento per un fanwriter! *campagna di
sostegno
recensioni mod:on*
Grazie anche a chi ha inserito la storia nei preferiti, a chi
l’ha messa nelle
seguite, a TsunadeShirahime per
l’instancabile
b(i)etaggio e a Vannagio per
l’ultima
recensione!
See
ya,
gente!
Nat
|
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Capitolo 4 *** I used to call them home ***
I used to call them home
La
Madre
degli Dei, Frigga, era nota per una
certa fermezza di carattere.
Aveva i suoi momenti di fragilità, certo – neanche
gli dei ne sono
esenti, per quanto gli umani li ritengano perfetti – ma li
aveva sempre
superati con un autocontrollo notevole. Per quel motivo,
l’ancella che le vide
cadere l’ago da ricamo all’improvviso,
all’annuncio che la sua presenza era
urgentemente richiesta al cospetto del Padre degli Dei,
pensò immediatamente
che un fatto grave doveva essere accaduto.
Frigga
si era alzata dal posto che occupava e si era diretta nelle
sue stanze da sola: aveva percepito qualcosa. Per quanto non avesse
sposato
Odino per amore, col tempo si era creato un certo legame, che
l’aveva portata a
sintonizzarsi sui suoi pensieri e a capire quando qualcosa non andava
bene. E,
in quel momento, quel che sentiva non le piaceva per niente.
Accelerò il passo,
senza accorgersene.
La sua camminata frettolosa l’aveva condotta nella loro
stanza,
dove i servitori avevano portato Odino, che ora dormiva profondamente,
disteso
sul letto.
Il
marito sembrava essere caduto nel suo solito sonno periodico -
e fin lì la cosa non l’avrebbe preoccupata
più di tanto – ma le parole confuse
sussurrate da un servitore le avevano fatto capire che Loki era
coinvolto in
quella situazione, e che l’ultimo ad aver parlato col Padre
degli Dei prima che
si addormentasse era stato lui.
Non sapeva se il marito era in grado di sentirla attraverso la
cortina nebulosa del suo sonno, né cosa provasse in quel
momento. Tutto ciò che
poteva fare era stargli accanto e stringergli la mano nel tentativo di
comunicargli ciò che provava, chiedendosi se anche solo una
piccola parte dei
sentimenti dell’uomo potessero arrivarle in quel modo.
Penso
io a Loki. Sta
affrontando ciò che gli tenevi nascosto, sapevi che sarebbe
arrivato il
momento… posso solo fare in modo che tutto ciò
che ha scoperto lo faccia
soffrire il meno possibile.
Chiuse
gli occhi, la pesantezza di quella situazione che la
schiacciava, la faceva sentire una ragazzina inesperta, una regina alle
prime
armi. Sfiorò ancora una volta la mano del Padre degli Dei,
più per dare
coraggio a sé stessa che a lui, e sospirò:
l’ora della verità era arrivata.
****
Il
giorno della
battaglia contro i Giganti di Ghiaccio, la Regina
non aveva chiuso occhio. Tormentata
dall’ansia, aveva girato per le stanze della reggia come
un’anima in pena,
tentando di trovare un’occupazione che distogliesse i suoi
pensieri da quanto
stava accadendo a Jotunheim. Thor era ancora piccolissimo: le si era
stretta
accanto e lo aveva cullato per ore, raccontandogli storie e cantando
vecchie
canzoni per lui fino a seccarsi la gola.
Era
passato il giorno, era arrivata anche la notte, e Frigga era
rimasta lì, accanto al figlio che dipendeva così
tanto da lei, chiedendosi suo
malgrado cosa stesse succedendo là fuori, dove le donne come
lei non erano
ammesse. Thor non piangeva: le aveva piantato addosso gli occhioni
celesti e la
guardava come se capisse la situazione, come se volesse già
dimostrarle che
sarebbe stato un bravo bambino e un ottimo figlio. E poi era entrato
Odino
nella loro stanza, coi segni della battaglia sul volto e un piccolo
fagotto
sporco di sangue tra le mani.
Lei gli era corsa incontro, un misto di sollievo e preoccupazione
sul bel viso, senza fare inizialmente caso a ciò che aveva
portato via dalla
scena della battaglia: era stato il marito a metterle
l’involto tra le braccia,
guardandola negli occhi con una gravità e una tenerezza che
le erano nuove.
“Il
figlio di Laufey è sopravvissuto”.
Non
aveva detto altro, ma Frigga aveva capito.
“È
solo un bambino…”
Le
mani della donna avevano svolto con delicatezza il fagotto,
liberando la testina del bambino e il suo corpicino magro: era un
neonato,
troppo piccolo per essere un Gigante di Ghiaccio, gli occhi verdi
socchiusi e
una delle manine chiusa a pugno sulla bocca. Al tocco della donna si
doveva
essere spaventato, perché aveva iniziato a piangere quasi
immediatamente,
agitandosi come un piccolo animale strappato alla madre troppo presto.
Frigga capì cosa aveva intenerito suo marito: quel bambino
doveva
avere al massimo un anno meno di Thor, ma era completamente diverso,
come il
giorno dalla notte. Eppure, il bisogno di protezione, la
fragilità, erano le
stesse. Come Thor la guardava con i grandi occhi spalancati quando la
madre lo
stringeva al seno per farlo addormentare, così il piccolo
Jotun si era calmato
quando Frigga lo aveva abbracciato, avvolgendolo nel suo scialle per
riscaldarlo. E, una volta al sicuro, si era addormentato di nuovo.
“Accetti
Loki come tuo secondo figlio?”
La
donna aveva alzato gli occhi dal bambino, guardando un’altra
volta il marito: tra loro non c’era bisogno di lunghi
discorsi. Dopo averlo
baciato sulla testa glielo aveva porto, sorridendo per confermare la
sua
decisione al Padre degli Dei.
“Loki
Odinson andrebbe presentato a suo fratello maggiore. Non
credi?”
****
Eppure,
tutto era
caduto in pezzi.
Inevitabilmente, come temeva sarebbe successo.
Loki
era nella sua stanza, seduto in un angolo con la testa fra le
mani, come aveva fatto tante volte da bambino quando combinava qualche
guaio e
da adolescente, quando qualcosa lo turbava. La madre aveva esitato:
cosa
avrebbe potuto fare lei, per sanare quanto era successo nella mente e
nel cuore
del figlio? Poteva provarci, sperando che il danno non fosse
già troppo grande…
sperando che Loki decidesse di lasciarle uno spiraglio aperto per
raggiungerlo,
nonostante la confusione che sicuramente doveva provare.
“Madre?
Ti ho sentita arrivare da lontano.”
Loki
la fissava con gli occhi verde profondo, lo sguardo stanco ma
comunque fiero, quello di un principe che, per quanto ferito e
sconfitto, tenta
di mostrare il proprio valore. La donna gli si sedette accanto, attenta
a
mantenere una certa distanza ma decisa a confortarlo: voleva molto bene
a Loki,
e sentiva di doverlo proteggere, anche se lui si sarebbe opposto
sicuramente.
“Tu
sapevi? Sapevi, e non mi hai detto nulla?”
Aveva
toccato il punto della questione. Doveva essere una sua
caratteristica, quella di guardare attraverso coloro che lo
circondavano, come
se fossero fatti di vetro: come faceva ad indovinare pensieri che a
Frigga
stessa erano difficili da esprimere a parole?
Fu proprio quella domanda disarmante a darle sicurezza.
“Avrei
voluto che tu conoscessi la verità già da molto
tempo,
Loki. Ormai sei un uomo, e fin da ragazzino ti sei mostrato maturo e in
grado
di gestire le tue emozioni… ma tuo padre non ha voluto.
Pensava che avrebbe
rovinato la tua infanzia. Non voleva renderti più
triste…”
“Per
cui ha preferito consolarmi con una bugia, vero? Una bugia
adatta al Dio degli Inganni. Come potevate pensare che gli altri
abitanti di
Asgard mi avrebbero accettato, se eravate voi i primi a tenermi
nascosto a me
stesso, prima ancora che a voi? Come, madre?”
La
donna restava in silenzio, cercando di convincere le parole a
radunarsi nella sua mente.
Le domande erano troppe e non portavano alcuna certezza in una
risposta, ma a Loki non sembrava importare.
“Avete
pensato solo a voi, alla vostra bella corte, a quello che
gli altri avrebbero potuto pensare, alle apparenze.
Non v’importava di mostrare a nessuno il mio vero aspetto,
fino a che non si
fosse trattato di recitare una parte, ossia quella dei sovrani che
vogliono
unire Jotunheim e Asgard grazie al figlio adottivo strappato ai perfidi
Giganti… se il Padre davvero prova amore per me, avrebbe
dovuto capire subito che
avrei meritato la verità. Ma non l’ha fatto. E
pretende che ora io lo capisca,
e che perdoni Thor. Dopo tutto questo.”
Era
calmo, ma era proprio quella calma gelida e tremante a
preoccupare Frigga: il Loki che vedeva in quel momento era diverso anni
luce da
quello che aveva conosciuto, sia dal bambino silenzioso e dolce che
dall’adolescente taciturno, ma che sapeva farsi valere con le
sue ottime
maniere e il suo acume. Chi fosse davvero
il figlio che aveva cresciuto, non lo sapeva più.
“Noi
ti amiamo, Loki, lo abbiamo sempre fatto. Tuo padre, ed io. E
Thor. Come avremmo potuto non farlo? Sei il nostro secondo
figlio…”
Si
era alzata in piedi e lo aveva raggiunto, spinta dalla forza
propria di ogni madre, che le alimenta e le rende capaci di sopportare
ogni
dolore per il bene dei propri figli: quel neonato che aveva stretto al
seno
come se fosse suo ora era ben più alto di lei –
tanto che per stringergli le
braccia dietro la schiena doveva alzarsi sulle punte – ma
ciò non le impediva
di cercare un contatto fisico, meravigliandosi
dell’arrendevolezza con cui Loki
si era lasciato cingere. Aveva un buon profumo, e tentava di apparire
così
forte e severo nella sua armatura che alla donna scappò un
sorriso indulgente.
“Sai
madre, quali sono le cose che mi rendono più frustrato?
Quelle
che non posso cambiare. Quelle che, per quanto io possa remarvi contro,
tentare
di porvi un qualsiasi rimedio, restano quelle che sono, e mi fanno
soffrire anche
di più per il solo fatto di averci provato senza riuscirci.
Perché mostrano
quanto io sia debole, quanto sia impotente di fronte alle mie
difficoltà”. Si
voltò e la afferrò per le spalle, un bambino
adulto con gli occhi pervasi dalla
disperazione. “Nessuno può cambiare la mia
diversità, il fatto che io non sia
come voi. Né potrò accettarlo io per primo madre,
lo sai. Eppure, dentro di me desidero
più di ogni altra cosa che quanto mi ha raccontato mio padre
non sia vero. Che sia
un’altra bugia, una bugia confortante, sicura. Questo non
è un comportamento
degno di un principe, ma di un pazzo che farnetica e cerca di negare
ogni
evidenza… ma chi può dirmi cosa sono in
realtà? Un orfano? Un Gigante? Un
principe? O semplicemente un folle?”
L’aveva
scossa con forza: lo sguardo spaventato negli occhi di
Frigga glielo aveva confermato. Ma l’abbraccio della donna
– un altro
abbraccio, un altro tentativo di rassicurarlo, di sentirlo
più vicino a sé –
non si fece attendere, e fermò qualsiasi altro tentativo di
porre un muro tra
la madre e i propri sentimenti.
Lasciati
andare, Loki.
Mostrami la tua anima, come facevi tempo fa. Piangi anche se devi.
Solo… non
distruggerti così. Ti prego.
Lo
tenne stretto per quella che poteva essere
un’eternità, o pochi
minuti di silenzio immobile, quindi gli prese il viso tra le mani, con
la
certezza di essere riuscita ad aggrapparsi ad un brandello della sua
anima e di
doverla tenere stretta:
“Hai
la possibilità di cambiare le cose, Loki. Ora sei tu il re.
E
sarai un ottimo re, se solo lo vorrai.”
Non avrebbe saputo dire cosa passasse
nella mente del figlio a
quelle parole, ma non le importava di scoprirlo: voleva fidarsi di
Loki. In fondo,
era quello che anche suo marito avrebbe voluto, quello che Thor le
ripeteva
sempre quando lei gli chiedeva cosa pensasse del fratello… Loki ha solo bisogno di essere capito, e amato.
Ma come possiamo pretendere che cresca
felice, se noi per primi abbiamo confezionato una bugia in cui farlo
vivere?
****
Uscì
dalla stanza dopo
avergli accarezzato la testa, con la consapevolezza che non sarebbe
finita lì. Eppure,
durante la notte, quando entrò silenziosamente in quella
stessa stanza per
guardare il figlio dormire (e agitarsi nel sonno), sperò che
i semi dell’amore
che aveva gettato nel suo cuore anni prima portassero a qualcosa. Loki
aveva
ragione: erano le cose che non possono cambiare in nessun modo a far
soffrire
di più, e anche lei continuava a sperare ininterrottamente
in ciò che non
poteva avere in quel momento: che Thor venisse richiamato dal suo
esilio, che
suo marito si svegliasse dal suo sonno e la rassicurasse che tutto
sarebbe
andato bene, che Loki e suo figlio primogenito tornassero ad essere i
due
ragazzini spensierati che erano una volta… molti di quello
erano solo sogni, ne
era consapevole. Fermarli, però, era impossibile.
Aveva baciato sulla guancia il futuro re, attenta a non
svegliarlo, e aveva lasciato un’altra volta la stanza,
sperando in un sonno
ristoratore o almeno in una notte che le portasse consiglio. Era
lontana da chi
amava, nonostante due di loro le fossero vicini fisicamente, ma doveva
restare
forte. Non aveva altra scelta.
“Una
volta, eravamo una famiglia”.
Ripensando
alla frase di Loki, si chiese dove avesse sbagliato. E,
per un attimo, fu felice che il corridoio non fosse pieno di gente che
potesse
assistere a quell’attimo di debolezza della Madre degli Dei.
****
Angolo
(dei pensieri
sparsi) dell’autrice
Con
questa shot, credo di aver toccato il picco massimo di
insoddisfazione per la riuscita di una fic (che novità!).
Scherzi a parte, amo il personaggio di Frigga e il modo in cui si
rapporta a Loki nelle poche scene in cui si ritrovano insieme: ho
sempre voluto
scrivere una sorta di momento introspettivo in cui si confrontavano, ma
quando
ho iniziato a lavorarci su i capricci della mia Musa hanno avuto la
meglio ed è
uscita fuori questa cosa qui, che oltretutto presenta una percentuale
di
dialoghi ben superiore a quella a cui sono abituata e che per questo mi
ha
richiesto un lavoro di correzione immane!
Il momento di svolgimento, ovviamente, è subito dopo il
sonno di
Odino, all’incirca quando Frigga dichiara Loki re in assenza
di Thor. I pensieri
di entrambi – e lo svolgimento effettivo – seguono
comunque una versione
rimaneggiata da me, e spero veramente non sia troppo OOC, dato che ho
sempre
difficoltà a trattare Loki come personaggio…
Come
sempre, grazie al mio bro TsunadeShirahime per
il suo lavoro di beta! :3
E anche a LadyKokatorimon
per aver inserito la storia tra le seguite.
Insomma…
fatemi sapere se questa piccola scempiaggine nata dai
miei deliri vi è piaciuta! Se sono andata troppo OOC, se
invece c’è qualcosa
che vi ha convinto… la vostra opinione è sempre
importante, gente!
Alla
prossima,
Nat
|
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Capitolo 5 *** Come uno specchio ***
Come
uno specchio
“Thor?
Non ti alleni con
noi oggi?”
I
passi cadenzati di una figura femminile percorrevano i pavimenti
di marmo dei corridoi del palazzo di Asgard, incidendo il loro ritmo
lieve
eppure deciso nelle venature che li segnavano. Per quanto la grazia apparente di lady Sif avesse tratto in
inganno più di un uomo che la osservava per la prima volta,
la giovane era
tutt’altro che una fanciulla dolce e indifesa: la lancia che
stringeva tra le
dita ne era una testimonianza più che evidente. Un bel fiore
ben protetto dalle
spine, come scherzavano in molti quando la ragazza non era a portata
d’orecchio.
Eppure, erano in pochissimi a conoscere
quello che di importante c’era da sapere su di lei…
Lo
aveva trovato in piedi davanti a uno dei balconi, l’aria
assente. Non ci aveva messo molto a capire che stava pensando a
qualcuno, e Sif
sapeva fin troppo bene chi fosse quel qualcuno.
“Siamo
nel cortile dietro le stalle. Volstagg per una volta tanto
non si è portato un bue intero da mangiare e Fandrall si
comporta da persona
quasi seria” aveva sospirato, senza riuscire a trattenere uno
sbuffo di
seccatura. “Non ti unisci a noi? È da tanto che
non ci alleniamo tutti
insieme…”
Aveva lasciato cadere il discorso, esitante. Lui si era voltato e
l’aveva ripagata con uno sguardo gentile e un altro sorriso,
diverso anni luce
da quelli ampi e radiosi che ricordava.
“Precedetemi
pure, tra poco vi raggiungerò volentieri. Grazie,
Sif.”
Non
aveva avuto altra scelta se non quella di ritirarsi con
rispetto, scivolando nuovamente attraverso i corridoi del palazzo di
Asgard,
facendo propria la tranquillità delle sue zone
più nascoste fondendosi con lo
stesso rumore dei suoi passi, sempre leggero, sempre uguale. Tump. Tunf. Tump. Tunf. Tump.
A pensarci bene, aveva una gran voglia di esercitarsi con la
lancia: da quanto tempo non ci si dedicava? Mesi, di sicuro, se si
escludeva il
breve scontro con il Distruttore su Midgard. Anche se in compagnia di
Fandrall,
Volstagg e Hogun, quando si trovava faccia a faccia con la sua arma si
isolava
completamente dal resto del mondo, per entrare in quella dimensione
solo sua in
cui contavano la velocità, la destrezza, i riflessi. Ne
usciva stanca,
certamente, ma in qualche modo anche ricaricata.
Quel
giorno, però, un
semplice allenamento forse non sarebbe bastato a farle dimenticare quel
viso
assorto.
***
L’aria
fresca del
mattino di Asgard la rimise quasi subito di buon umore, così
come l’aver
ripreso finalmente possesso della sua arma, che fremeva come se non
chiedesse
altro che di essere impugnata e adoperata. E lei non si sarebbe di
certo fatta
pregare.
I suoi amici si erano sistemati ad una certa distanza da lei e
avevano già iniziato il loro allenamento, rivolgendole
qualche cenno col capo e
un paio di considerazioni generiche sul tempo. Lei li aveva salutati a
sua
volta e aveva scherzato come al solito ma, terminati quei convenevoli,
la forza
che scaturiva dalla sua lancia l’aveva assorbita del tutto.
Come faceva ad
ignorarla ancora?
Iniziò
subito con una serie di scarti e affondi, ritirandosi e
allungandosi verso un bersaglio immaginario con eleganza e forza,
spostandosi
velocemente quando necessario e contrattaccando con precisione, come se
si
trovasse davanti non ad un solo avversario, ma ad un intero esercito
schierato
in battaglia. Era facile: una volta ripresa la mano, le
sembrò di non aver mai
lasciato quell’abitudine alle esercitazioni mattutine, e i
movimenti le
riuscirono sempre più fluidi, anche più
dell’ultima volta.
Sorrise tra sé e sé, e per un attimo le
sembrò di aver sconfitto la Sif
insicura che dormiva
dentro di lei, quella che cercava di indurla a scoraggiarsi ogni volta
che non
si comportava dalla guerriera perfetta
che ormai tutti si aspettavano fosse. Erano bastate una lancia, una
bella
mattina, e un po’ di sicurezza…
I
pensieri, però, sembravano non volersi fare da parte tanto
facilmente.
Pensava
a Thor, ovviamente, e a quanto sembrasse strano da quando
era tornato da Midgard: sicuramente era meno rumoroso, più
silenzioso, in
qualche modo più maturo… non che ci fosse nulla
di male – prima o poi sarebbe
dovuto accadere, in fondo era destinato a succedere a suo padre Odino
come re
di Asgard – ma lo conosceva troppo bene e capiva che gran
parte di quella
improvvisa serietà era dovuta ad un groviglio di idee che
gli afferravano
la mente, come stava succedendo a lei in quel momento. E ricondurle
all’umana
era stato quasi naturale.
Continuò
a piegarsi e a scartare. L’aveva avuta davanti agli occhi
per pochissimo tempo, troppo poco per farsene un’opinione
vera e propria, ma
quanto aveva visto di Jane Foster era bastato a farle capire che, sotto
l’apparenza fragile e delicata di una giovane donna mortale,
si nascondeva un
cuore forte, la tenacia di chi desidera qualcuno e non vuole lasciare
andare
l’oggetto del proprio amore. In qualche modo, la ammirava:
avrebbe potuto
scappare in ogni momento, andarsene via e lasciarsi tutto alle spalle
alle
prime avvisaglie di pericolo, e invece era rimasta e non si era mai
arresa,
neppure quando sembrava che tutto fosse perduto. In quello si
somigliavano,
ammise.
Allora,
perché Thor
non ha scelto me?
Lanciò
l’arma con troppa foga, mandandola ben più lontana
di
quanto avrebbe voluto. Perché doveva lasciarsi condizionare
da quei pensieri?
Non aveva mai immaginato Thor in quel modo,
eppure, da quando lady Frigga le aveva parlato della depressione che
sembrava
averlo preso in scacco, chiedendole di aiutarlo ad uscirne, quello che
era
stato solo un caro amico d’infanzia e una persona sulla quale
contare era
diventato qualcosa di più, qualcosa che non sapeva spiegarsi
ma che la faceva soffrire.
Una puntura piccola, come quando si bucava il dito con l’ago
nel tentativo di ricamare
qualcosa. Una puntura che però restava ferma nel suo cuore a
lungo.
Chiuse
un’altra serie di assalti e si fermò, le orecchie
che le
ronzavano fastidiosamente.
Decise
di fermarsi: accumulare fatica invece di scaricarla era
inutile, avrebbe fatto meglio a riposarsi un attimo davanti al piccolo
stagno
del giardino della reggia e a raccogliere i pensieri per poi buttarli
via
tutti. Per cui si sedette e strinse le braccia intorno alle ginocchia,
togliendosi i capelli dagli occhi e gettando uno sguardo
all’acqua sotto di sé
senza volerlo, attirata da quella superficie come una bambina curiosa.
E proprio come quando era bambina osservò il viso che
ricambiava
il suo sguardo dall’altra parte, chiedendosi se davvero fosse
il suo riflesso
quello che la osservava e non gli occhi grandi e spauriti di una
qualche
creatura marina, che aveva preso le sue fattezze per ingannarla. Gli spiriti non esistono, e nemmeno le
creature acquatiche, le ricordò una vocetta acuta
che sembrava proprio
appartenere ad una Sif di pochi anni. Eppure… qualcuno aveva
mai provato il
contrario?
Un
raggio di luce la costrinse a socchiudere gli occhi, facendo
brillare l’acqua di una sfumatura dorata.
***
Aveva
sei anni la prima
volta che si era sentita diversa dalle bambine che vedeva passeggiare
per il
palazzo, al seguito delle loro madri o delle loro insegnanti, pronte a
diventare delle piccole dame di corte perfette. Lei era come loro,
eppure non
in tutto uguale: preferiva correre e cavalcare piuttosto che danzare e
imparare
a ricamare, e l’unica canzone della quale voleva imparare le
note era quella
della spada, dell’arco e della lancia. Forse era
l’influenza dei ragazzi che
frequentava, del principe Thor in particolare. Forse no, forse si
trattava
semplicemente di carattere, o del fatto che avrebbe voluto seguire suo
padre
dovunque e imitarlo come se fosse stata anche lei un membro della
guardia reale.
Fatto stava che aveva iniziato ad intraprendere quella strada che
l’avrebbe
portata a diventare Sif, la lady
guerriera, anche se ancora non lo sapeva, e continuava a
vivere le sue
giornate di bambina vivace tra lo studio e le corse sfrenate per i
giardini di
Asgard, senza pensieri come solo una ragazzina poteva esserlo.
Come
tutti, anche lei era cresciuta. C’erano stati scontri e
vittorie, un cambio inaspettato di aspetto (merito di Loki e della sua
inesauribile voglia di fare scherzi. A dirla tutta, però,
non le dispiacevano
quei capelli così scuri, così forti, anche se
avevano perso la loro lucentezza
simile all’oro lucidato), le solite stupidaggini tra compagni
e i
festeggiamenti… tra le righe di ogni momento, stava
già serpeggiando qualcosa.
Eppure non se n’era accorta: con Thor era sempre la stessa,
si prendevano in
giro e lottavano da vecchi amici quali erano, tanto che nessuno aveva
mai
sospettato nulla. Neppure lei stessa.
Perché allora quei pensieri avevano iniziato a tormentarla
tutti insieme?
Si alzò in piedi di scatto, frantumando
l’immagine riflessa che
continuava a guardarla, aspettando una sua reazione. Non sapeva neppure
lei
cosa aspettarsi da Sif, la dea della guerra. Che prendesse in mano la
sua vita,
che si dichiarasse (quella parola le suonava strana, come se il suo
vocabolario
non la ammettesse neppure), che facesse capire all’amico di
una vita che la
mortale di cui si era invaghito non era nulla in confronto a lei, agli
anni che
avevano passato insieme, ai loro trascorsi? No, non era da lei. Lei
combatteva,
non persuadeva a parole la gente. E poi, a cosa sarebbe servito
convincerlo di
qualcosa che neppure sapeva definire?
Le sue dita incontrarono di nuovo il ferro della lancia: era
freddo, sicuro. L’unica certezza che riusciva a trovare in
quel groviglio di
punti sospesi era proprio la sua consapevolezza di essere lady Sif. La
guerriera, la ragazza dura e forte, la dea fragile che si proteggeva
con un
elmo di nebbia e un’armatura di convinzione. Lei.
E
non voleva cambiare. Non sarebbe cambiata.
Lo
specchio d’acqua ai suoi piedi le restituì un
sorriso spavaldo,
perfetto per la ragazza che lo indossava. Non c’era bisogno
di trucchi, quando
si trovava di fronte a sé stessa.
Ricominciò con gli affondi, tese il suo corpo come un
elastico, sfogò
quello che provava trasformandolo in forza, in movimenti precisi e
fulminei.
Devo
essere
soddisfatta di quello che sono. Forse lo sarà anche lui, un
giorno.
Magari già lo è.
Lady
Frigga aveva ragione, rifletté mentre tornava dai suoi
compagni: a volte, quando si condivideva troppo, si finiva col
diventare più di
una ragazza, ma meno di una donna.
Eppure… se esisteva un compromesso, avrebbe continuato ad
essere
la donna con l’armatura che la sua immagine riflessa le
regalava.
****
Angolo
(dei pensieri
sparsi) dell’autrice
Ok,
detesto quando ho in mente da millenni cosa scrivere riguardo
ad un personaggio e poi, una volta davanti al foglio, tutto quello che
mi era
venuto in mente diventa qualcos’altro. Classico.
Anyway, era da parecchio che volevo scrivere una Thor/Sif
(anche
se in questo caso forse è più una Sif!centric) e
raccontarla dal mio punto di
vista… nonostante di Sif si sappia poco o nulla –
riguardo al film, almeno – mi
intriga moltissimo come personaggio, e la vedo come una ragazza molto
forte,
anche se con qualche tentennamento, soprattutto dopo la comparsa di
Jane. Anche
perché in originale è lei la compagna di Thor,
quindi…
Come sempre, spero di non essere andata OOC!
Il
titolo fa schifo ma la mia vena creativa si era esaurita,
pardon. L’episodio dei capelli tagliati da Loki
l’ho ripreso dalla mitologia,
viene citato anche nel fumetto e non nel film, ma era funzionale ai
fini della
trama. Non vogliatemene <3
Grazie 9Pepe4
e a __Sayuri__ per le belle
recensioni, e
sempre a Sayuri per aver inserito la storia nelle seguite! Grazie anche
a tutti
voi “lettori silenziosi”, ma sappiate che il vostro
contributo è sempre
importante, con critiche, consigli e varie :)
Alla
prossima!
Nat
|
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Capitolo 6 *** A Thousand Rains' Symphony ***
A
Thousand Rains’ Symphony
Quando
un immortale
decide di scendere tra gli uomini, lo fa più per un
capriccio personale che per
un motivo valido. Asgard è la reggia degli dei, certo. Non
manca di attrattive,
né di una quantità più che sufficiente
di agi e meraviglie. Eppure, capita di
voler evadere, di scoprire cosa c’è oltre il mondo
perfetto e immutabile degli
dei.
Loki,
però, non fa parte di coloro i quali la pensano in questo
modo.
Il
dio degli inganni non agisce mai per caso: se ha scelto di
scendere su Midgard c’è una ragione, e fin troppo
valida, a sentire lui. Oltre
a scoprire qualcosa di più sui mondi che lo circondano
– chissà, potrebbe
sempre tornargli utile – vuole occuparsi di persona di
qualcuno che lo
preoccupa. Una donna, per la precisione, e non una donna qualsiasi, ma
Jane
Foster.
Proprio la Jane
Foster
di cui suo fratello si è innamorato, e che ha visto
trascorrere qualche tempo
con lui nel luogo chiamato New Mexico.
Loki
non ha bisogno dell’aiuto di Heimdall per scendere sulla
Terra, e nemmeno dei consigli di chi, prima di lui, si è
avventurato in quel
territorio sconosciuto (se ce ne sono stati, di avventurieri disposti a
tentare
la fortuna lì, a parte suo fratello e i suoi amici); vuole
contare solo su se
stesso, e così farà. Nessuno può
competere in magia e astuzia col dio degli
inganni, e nessuno potrà prendersi il merito di avergli
fatto da guida, pensa,
mentre il luogo dove è stato accolto da bambino diventa
sempre più lontano, e
quel puntolino bianco e blu verso il quale si sta dirigendo si avvicina
e gli
sembra sempre più chiaro.
****
Jane
lo trova in un
giorno di pioggia, nel caffè che ha iniziato a frequentare
da poco perché, a
detta di Darcy, il proprietario è nuovo della zona ma
prepara dei dolci che
sono la fine del mondo. Piove raramente nel New Mexico, e quando
succede la
ragazza viene assalita dalla malinconia, che le impedisce di restare a
casa a
leggere o a guardare la tv come fanno tanti altri. Lei deve uscire,
immergersi
totalmente nell’umidità e nel peso che lascia
addosso ai meteoropatici come lei
per non esserne più colpita: una vera e propria cura urto.
Così, incurante
delle gocce che la inzuppano con sempre maggior decisione e del
traffico che la
circonda, si tuffa in quel locale non tanto affollato, in cerca di un
modo per
riempire il suo “vuoto esistenziale da pioggia”.
E
lì gli occhi di Loki le si posano addosso.
Sulle
prime Jane non lo nota neppure. Pensa che si tratti di un
cliente come tanti altri, solo più appariscente, con quella
sua lunga giacca
nera e la sciarpa sui toni del verde che vivacizza
l’abbigliamento scuro. Una
persona strana come ce ne sono tante. Dopo un po’ neppure ci
fa più caso, e si
sottrae ai suoi sguardi ignorandolo.
Ma Loki l’ha inquadrata, e continua ad osservarla, come se si
trovasse davanti ad una creatura intrappolata nella teca di un museo,
un essere
che potrà essere scoperto e compreso soltanto osservandolo
molto da vicino. È
grato del fatto che suo fratello non sia lì con lei, avrebbe
reso solo il suo
lavoro da osservatore
più difficile,
con quelle sue stupide manie di protezione.
****
La
seconda volta in cui
Jane lo vede, sono entrambi nella piccola libreria della
città. La proprietaria
ha messo su un disco di Cole Porter, e l’aria è
pervasa da una piacevole
colonna sonora che si intona perfettamente col tempo. Piove ancora, ma
questa
volta la ragazza sa come affrontare la situazione, e ha provveduto
immediatamente a fare una buona scorta di libri.
L’uomo che ha già visto da La
Parisienne è
seduto su una delle poltroncine che mai aveva trovato occupate fino a
quel
momento – quelle foderate di verde, agli angoli delle
librerie di noce – e sta
sfogliando con interesse quello che ha tutta l’aria di essere
il libro
illustrato di mitologia per bambini, “I Nordici e i loro
miti”. Proprio quello
che Erik e Darcy avevano consultato con lei quando si erano ritrovati
Thor in
casa, spuntato all’improvviso da chissà dove. La
coincidenza la spinge a tenere
d’occhio l’uomo, mentre finge di cercare un libro
nella sezione più vicina al
giovane, “viaggi e turismo”.
Il
visitatore misterioso legge con calma, accarezza le pagine come
se fossero pervase da una magia che solo lui sa percepire, segreta come
quei
miti e altrettanto misteriosa. C’è qualcosa di
affascinante in lui che attira
Jane come una calamita, ma allo stesso tempo la respinge e la inquieta
un po’.
Per quanto cerchi il più possibile di non farsi vedere,
mentre rimette a posto
i volumi ne sposta altri e il rumore fa girare Loki: due occhi verdi
come
smeraldi, come la luce che traspare dalle foglie di un albero colpite
da un
raggio di sole la inquadrano e sembrano leggerle dentro, come se fosse
fatta di
vetro.
Jane cerca una frase qualsiasi, un modo per togliersi
dall’imbarazzo e provare a sembrare disinvolta, ma per quanto
si affanni, dopo
un minuto che dura millenni, esordisce con voce incerta:
“È
un appassionato di mitologia norrena?”
Lui sorride appena, quasi
si aspettasse la domanda.
“Si,
diciamo pure che amo espandere le mie conoscenze. In
qualunque campo… che siano viaggi, o storie che qualcuno ha
già raccontato”
termina criptico, chiudendo il libro e rimettendolo a posto.
“Come lei, del resto.
Vedo che è interessata ai viaggi in Estremo Oriente.
È forse una turista?”
“Quando
capita” risponde Jane, incerta e altrettanto criptica,
senza sapere cosa rispondere ad una persona tanto sicura di se, che
sembra
sapere sempre cosa dire. Ma a Loki non importa, ha ottenuto
ciò che desiderava
e ora può anche lasciarla andare senza problemi, confusa ma
allo stesso tempo
incantata, un conflitto di sentimenti che non riesce a spiegarsi.
****
Passano
i giorni, Jane
non lo incontra più in giro, eppure ogni tanto le capita di
pensare a Loki, e
rivede i suoi occhi intensi che la scrutano. Il lavoro finisce per
assorbirla
del tutto, ma ogni volta che entra in libreria non può fare
a meno di cercarlo
con lo sguardo nell’angolo dedicato alla lettura.
È un po’ di tempo che non piove più sul
New Mexico: l’estate si
sta avvicinando, accompagnata dalla calura, dalla voglia di evadere
verso il
mare, dalla siccità, dalle lamentele della gente. Jane
continua a lavorare, a
fare ricerche, a percorrere i passi che ha ormai percorso tante volte e
ad
unirli al desiderio di ritrovare Thor, come ha promesso a se stessa. Sa
che
sarà dura, ma vuole riuscirci.
****
E
poi, come seguendo un
rito prestabilito, arriva il temporale, insieme a Loki.
Il
cielo tuona e scarica pioggia e fulmini sulla Terra, quasi
fosse arrabbiato con i suoi abitanti; il giovane invece passeggia
tranquillo
come sempre, sicuro che le circostanze gli faranno incontrare la
persona che
cerca ancora una volta. Sembra anzi godersi quel tempo da lupi, quasi
che le
strade vuote lo facciano sentire libero, da seccature e da sguardi
indiscreti.
Passeggia finché non si trova davanti ad una porta a vetri,
e lì
si ferma, il solito sorriso sulle labbra, un piano fisso in mente e
solo un
segnale da attendere prima di attuarlo. Ma non ha fretta, sa che il suo
tempo
arriverà. Deve arrivare.
Piove
ancora, la terza volta in cui Jane Foster lo incontra, ma
questa volta si tratta di un temporale: è questo forse ad
abbattere le sue
difese e a farle aprire la porta dell’ufficio, stupita ma in
maniera positiva
dal suo improvviso visitatore.
È proprio lui, il tipo misterioso che ha già
visto due volte, ma
oggi sembra essere capitato lì per una ragione precisa, non
per caso o a
seguito di una passeggiata interrotta dalla pioggia. Come se aspettasse
il suo
arrivo, governata da una strana forza invisibile (qualcuno la chiama
destino,
forse si tratta di quello), lei gli sorride in maniera del tutto nuova,
e una
sicurezza che non ha mai provato inizia a guidarla.
“Ci
incontriamo di nuovo, allora. E ancora una volta piove.”
È
la voce suadente di lui a iniziare quel pensiero, una frase che
Jane ha appena formulato mentalmente, ma nel ticchettio della pioggia
non
sembra accorgersene. Pensa a Thor, a quando l’ha visto per la
prima volta,
steso nella terra secca del deserto, e in qualche modo avverte una
vicinanza
tra i due, non fisica, piuttosto spirituale, come se esistesse un
legame tra
quello straniero dagli occhi verdi e il dio biondo che soltanto lei
riesce ad
avvertire.
Forse è per quello che non può non fidarsi di
quell’individuo, per
quanto la sua razionalità continui a dirle che potrebbe
risultare pericoloso
accogliere uno sconosciuto in quel modo.
“Così
sembra. Vuole entrare ad asciugarsi? Dovrebbe smettere
presto di piovere…”
Jane
parla del tempo, e piano piano tutto il resto le riesce più
semplice; entrano in laboratorio e si siedono , guardando la pioggia
senza dire
nulla, accompagnati dal suono lievemente ritmico delle gocce.
“Tu
conosci Thor.”
Di
nuovo, gli occhi profondi di Loki si girano e la guardano.
Quel
nome la fa sobbalzare, come se fosse appena uscita da un
sogno. L’uomo la sta guardando e ora Jane non ha
più dubbi, quell’uomo sa chi è
Thor e conosce anche lei, in qualche modo conosce ogni cosa. Quel
sorriso
troppo fermo nel tempo che scorre non sembra terreno – la
consapevolezza la
colpisce come una stilettata – e la stanza per un attimo si
perde nello spazio,
si confonde nel temporale, svanisce con le parole.
“Come
fa a saperlo?”
Non
è una domanda intelligente, lo sa, eppure sente di aver
perso
la facoltà di esprimersi correttamente.
All’improvviso lo capisce: quello è un
dio. E una fitta al cuore le ricorda che Thor è lontano, e
nessuno è lì per
spiegarle cosa stia succedendo.
“Io
conosco ogni cosa, mia cara. So chi sei, cosa ha fatto Thor
mentre era qui, so a cosa stai pensando in questo momento…
so che sei stupita.
E che in qualche modo ti fidi di me, e hai capito che io e Thor
condividiamo un
legame. Altrimenti non mi avresti accolto qui in casa tua.”
Per
l’ennesima volta da quando quella conversazione è
iniziata, a
Jane mancano le parole adatte per rispondergli. Riesce solo a guardarsi
intorno, a chiedersi per quale motivo Loki si sia scomodato a
raggiungerla – da dovunque sia
sceso – e a rigirarsi le
dita ormai sudate in grembo, stretta dall’attesa e dai dubbi,
dalle domande che
la assillano. Ma è la pioggia stessa ad imporle il silenzio,
e lei la segue.
Le gocce continuano a cadere, indifferenti.
Anche
Loki pensa, e guardando la donna che ha di fronte non riesce
a credere che si tratti proprio di lei, della Jane Foster che ha visto
dall’alto di Asgard fare tanto per cambiare il carattere
borioso e superbo del
fratello. Come può aver fatto breccia nel suo cuore di
guerriero una ragazza
così tranquilla e accomodante, un’anima gentile
che invece di diffidare di due
dei, come sarebbe stato naturale, ha aperto loro la porta e li ha
accolti in
casa? Proprio Thor, che aveva intorno donne fiere e forti, donne del
calibro di
Sif, come può essersene innamorato?
La
ragazza che si è alzata per sistemare le tende e cercare
qualcosa nella credenza (dopo essersi scusata della sua assenza
momentanea e
avergli chiesto se gradisse una tazza di tè, o un bicchier
d’acqua) è così piccola,
così indifesa e tragicamente umana
che a Loki fa ridere il solo
pensiero di averla potuta considerare una minaccia. Ha commesso un
errore di
calcolo, immaginandola forte e autoritaria, una persona in grado di
mettere in
riga suo fratello, un errore che quasi lo fa esplodere in una risata
amara,
sarcastica. Perché sta sperimentando cosa significhi
cambiare per amore, e
capisce che con Thor ha sbagliato tutto anche lui, fin
dall’inizio. Solo che
era troppo fermo nei suoi errori di calcolo per capirlo.
Le riflessioni si interrompono bruscamente all’arrivo di
Jane, e
del bicchiere di acqua fresca con le bollicine che lei gli porge,
cortese come
sempre.
“Sono
il fratello di Thor, o meglio, il suo fratellastro. La cosa
ti stupisce?
Le
gocce tracciano righe sfumate sui vetri, si perdono, creano un
disegno intricato sul pavimento di pietra, sulla terra del deserto. Plic, plic, plic.
“Non
quanto penserebbe. Qualcosa di lei mi ricorda Thor, anche se
all’apparenza siete molto diversi… non saprei dire
cosa, ma ho sentito di
potermi fidare. Mi dia pure della pazza, o della incosciente, ma
è così. E se
Thor e i suoi amici sono stati i benvenuti qui, perché lei
non dovrebbe
esserlo?” Jane prende un sorso dal suo bicchiere e lo
riappoggia sul tavolino,
in un gesto naturale che rende quella conversazione ancora
più assurda e
surreale, da romanzo.
“Perché
sono una persona pericolosa, Jane. Il dio degli inganni, colui
che crea il caos e fa precipitare il mondo degli dei nelle tenebre, il
male, l’oscurità.
Non esattamente una brava persona. Sei ancora sicura di poterti fidare
di me?”
Di
nuovo, la pioggia sembra sospendere l’atmosfera, spingendo la
stanza in un luogo indefinito. Un tempo strano, in cui tutto
può succedere, in
cui un dio e un’umana si conoscono e si innamorano, e
ciascuno impara
dall’altro quello che prima non sapeva di un mondo lontano. E
poi arriva un
altro dio a giocare le sue carte, a scompagnare i pezzi di quel puzzle
che
sembrava ormai completo, pronto ad essere riposto. Le conseguenze quali
saranno?
Il
sorriso di Jane è limpido, come neppure la pioggia potrebbe
mai
arrivare ad essere.
“Un
dio desideroso di uccidermi lo avrebbe fatto la prima volta
che ha incrociato il mio sguardo, nel primo pomeriggio di pioggia in
cui mi
aveva vista. Se siamo entrambi ancora qui, significa che mi ha concesso
un’altra possibilità.”
Plic,
plic, plic.
****
Loki
poggia il
bicchiere che ha appena vuotato sul tavolino davanti a sé, e
realizza che
uccidere quella ragazza sarebbe una fatica inutile. In qualche modo
– cerca di
far tacere una vocina interiore, ma quella strepita dentro la sua mente
per
farsi ascoltare, e alla fine ci riesce – ha sempre saputo che
non avrebbe potuto farlo. O forse
voluto? No, non è
possibile, il dio degli inganni non si fermerebbe davanti a nulla
quando sono
in gioco i suoi interessi, men che mai di fronte ad un’umana
qualsiasi,
un’abitante di Midgard. La donna che Thor ha amato, che
ancora ama. La Jane Foster
che lo osserva senza paura, lì
nell’angolo della stanza.
Capisce che potrebbe farle del male con un solo dito, se solo
volesse. Ma non vuole, e questo desiderio lo turba.
Fuori
ha smesso di piovere. La gente ricomincia ad uscire di casa,
la terra respira sotto un lieve strato d’acqua, e il cielo
è di nuovo azzurro,
contornato da nuvole di caldo appena accennate. La cittadina inizia di
nuovo a muoversi,
e la stanza finalmente si ferma.
“È
ora che io vada.”
Non
aggiunge altro: uno sguardo eloquente, pieno di parole non
dette e difficili da interpretare, è l’unico segno
di riconoscenza (se così la
si può chiamare) che Loki lascia dietro di sé. La
ragazza lo guarda camminare
fuori dalla stanza e perdersi nella nebbiolina leggera che sprigiona
dal suolo;
si chiede se sia veramente accaduto quello che le è appena
successo e, mentre la
porta si chiude piano, e Loki scompare all’improvviso,
silenzioso come è
arrivato, l’idea che sia stato solo uno strano sogno creato
dalla sua
immaginazione continua ad accompagnarla. Eppure, i bicchieri sono
ancora lì, e
il libro di mitologia che ha consultato le riporta lo stesso nome,
corredato
dalle parole che ha già letto: Loki, il dio degli inganni,
il dio del caos.
Ma il caos prima o poi cessa, e dalle sue rovine nasce
l’ordine.
Non va forse sempre così?
Fuori
ha smesso di
piovere, e per un bel po’ di tempo non
ricomincerà. Loki torna ad Asgard: la
tempesta ha visto una parte nuova di sé alzare la testa e
poi sparire, portata
via dal temporale, ma nessuno ne verrà mai a conoscenza.
Sorride
tra sé e guarda Midgard allontanarsi.
****
Angolo
(dei pensieri
sparsi) dell’autrice
Penso
che, arrivata a questo punto, qualcuno verrà a levarmi la
penna dalle mani per quanto ho appena scritto. Perché, per
quanto legga e
rilegga questo capitolo, mi sembra sempre tremendamente nonsense,
dall’idea di
fondo alla realizzazione. Per non parlare del
“pairing”, che è abbastanza
insolito e a cui non avrei mai pensato… e che in effetti non
è neppure un
pairing vero e proprio, ma vabbé. Avevo voglia di
sperimentare, ed eccovi l’esperimento!
Diciamo che sono partita dall’idea di fondo di un Loki che
scende
su Midgard e vuole conoscere la ragazza che ha cambiato tanto suo
fratello,
almeno da quanto ci hanno detto gli sceneggiatori del film, e trova una
persona
completamente diversa dalle sue aspettative, tanto che dalla sorpresa
decide di
non farle nulla. Magari non è nello stile di Loki, ma era
funzionale all’idea
che costruisce la fic, per cui… se siete riusciti a leggerla
senza abbandonarla
dopo due righe, non posso non ringraziarvi <3
Il
locale, il libro e la musica di Cole Porter sono tutti piccoli
“abbellimenti
narrativi”, non c’entrano nulla ma mi è
piaciuto inserirli!
Molto probabilmente i dialoghi appariranno un po’ OOC, ma
spero
non in maniera fastidiosa… diciamo che è proprio
un esperimento fine a se
stesso, anche perché non segue arc narrativi in particolare,
non essendo
post-Thor né pre-Avengers. Spero che risulti comunque
piacevole, e non
totalmente assurdo!
Stavolta
mi appello a voi: i pomodori in testa e le critiche sono
più che benvenute, anche perché il vostro
supporto è sempre utilissimo.
Grazie
alla betatrice migliore del mondo (TsunadeShirahime)
per la pazienza nella lettura/correzione e il
supporto che mi fornisce sempre, e a __Sayuri__
per le recensioni! Grazie anche a chi ha inserito la storia nei
preferiti (Scillan, Timcampy_,
Valery_Snape)
e a chi la segue (ice_shadow, Il_Filo_Di_A90, LadyInDark,
LadyKokatorimon,
Merihon e __Sayuri__).
Alla prossima!
Nat
|
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Capitolo 7 *** Film perfetti a metà ***
Film
perfetti a metà
Se
qualcuno le avesse
chiesto un aggettivo a caso per descrivere Jane, Darcy avrebbe
impiegato alcuni
minuti per riflettere. Mordendosi il labbro e succhiandolo con
l'incisivo per
qualche attimo, ci avrebbe pensato, emettendo anche dei mormorii
concentrati e
poi avrebbe finito col rispondere "eroina da film commedia del sabato
sera". Che non era esattamente un aggettivo, ma rappresentava la sua
idea
di Jane: una ragazza che non ha mai tempo per pensare all'amore, un
giorno per
caso conosce un bel principe misterioso e, puf! ci cade dentro con
tutte le
scarpe.
Si innamora, ed essendo nuova a situazioni del genere impegna anima e
corpo
nelle sue fantasticherie finché non accade qualcosa che
ribalta la situazione,
il principe ritorna e si sposano in pompa magna con champagne, abiti
firmati e
damigelle che piangono e spargono fiori. I classici filmetti che
guardava nel
weekend tentando di coinvolgere anche Jane, quasi sempre troppo
impegnata e
nervosa per darle retta. Non poteva farci nulla: per quanto ci
ripensasse, la
sua "datrice di lavoro" era perfetta in quel ruolo, e anche Thor non
era da meno, con quel bel viso sempre sorridente, gli occhi chiari e il
sorriso
splendente da attore di Hollywood.
Jane non avrebbe potuto trovare di meglio,
rifletteva. Assolutamente
niente di meglio.
****
Dopo tre ore di lavoro che non avevano fatto altro
che minare il suo
sistema nervoso già debilitato, una sosta in terrazza era un
lusso che Jane
sentiva assolutamente di meritare. Con una tazza di caffè
solubile stretta in
mano e nelle orecchie l'eco ronzante e indistinto delle ultime canzoni
che
Darcy l'aveva costretta ad ascoltare, fu un sollievo raggiungere la
piccola
brandina che si era fatta aiutare a portare lì e sedercisi
finalmente sopra,
per ricaricarsi dopo una giornata lunghissima.
Anche se...
"Vorrei davvero che fossi qui."
La sera arrivava come una sorta di appuntamento tra lei e lui, l'unico
momento
della giornata in cui poteva sgombrare la mente e conversare col cielo
che la
sovrastava, come se Thor, ovunque si trovasse, potesse sentirla. Le
piaceva
stare lì da sola: riacquistava quella
tranquillità necessaria a riflettere su
sé stessa, su cosa avrebbero dovuto portare i suoi
sacrifici. Riusciva a
sentirsi meglio anche solo rivolgendo lo sguardo in alto,
tranquillizzata dalle
stelle e dall'idea che dopotutto aveva percorso molta strada e il suo
sogno non
era poi così impossibile da realizzare. Potevano prenderla
per pazza quanto
volevano -per quello si assicurava ogni volta di essere sola- ma aveva
bisogno
di quell'attimo di calma assoluta, di solitudine. E poi, guardare il
paesaggio
da lì le trasmetteva un senso di euforia difficile da
definire a parole, con la
brezza della sera che le spostava i capelli da un lato e finalmente
rendeva
l'aria più respirabile.
"Sai? Non è cambiato tanto da quando te ne sei andato. Darcy
sta bene,
ogni tanto ripete qualche tua frase e mi fa sorridere. Anche Erik.
Io...
diciamo che cerco di cavarmela. Mi ricordo ancora la tua promessa, se
non sarai
tu a mantenerla sarò io a trovarti, non ho assolutamente
intenzione di
arrendermi!"
L'occhio le cadde inevitabilmente sul disegno
dell'Yggdrasil che Thor
aveva tracciato per lei. Si distese sulla brandina senza dire nulla,
limitandosi a coprirsi appena con la trapunta a fiori: le piaceva
osservare le
stelle, tenendo strette nella mente le conversazioni che gli avrebbe
dedicato.
"Solo... non farmi aspettare troppo, ti prego. Noi umani non abbiamo
esattamente l'eternità davanti a noi."
****
Quando un film finiva e non c'era un solo canale che
trasmettesse
qualcosa di decente, Darcy usciva e andava a farsi un giretto per la
città, a
prendere qualcosa da mangiare o semplicemente a respirare un po' d'aria
fresca
fuori dal laboratorio. Il più delle volte però
cercava Jane e la convinceva a
fare quattro chiacchiere davanti ad una Coca-Cola. Jane ne aveva un
gran
bisogno, soprattutto in quel momento: l'idea di ritrovare Thor la
assorbiva
completamente, tanto che era quasi impossibile trovarla impegnata in
attività
che non fossero lo studio o la lettura di qualche libro complicato. E a
cosa
serviva un'assistente, se non a tirare su di morale una principale che
stava
perdendo la bussola? Per cui, spenta la televisione, Darcy non
esitò un attimo
a salire in cima al tetto del laboratorio, sicura di trovare la ragazza
stesa
al solito posto, sotto le stelle.
"Capo?" nessuna risposta.
"Capo? Ti ho portato qualcosa da bere, ti va?"
Niente. Jane dormiva o faceva finta. Darcy sospirò.
"Ok, allora se ti sei addormentata resto qui a vegliarti mentre mi
scolo
questa bella bottiglietta versione vintage. Così io posso
parlare e tu non sei
obbligata ad ascoltarmi, va bene per entrambe no?"
E senza aspettare una risposta si sistemò accanto alla
brandina di Jane, tirando
fuori di tasca un apribottiglie e stappando la prima delle due
bottigliette che
aveva portato con sé.
"Qui si sta bene, tira un po' di vento. Che dici capo?"
****
Dalla figura distesa di Jane provenne un mugolio
sommesso. Aveva fatto
tanta fatica a trovarsi un angolino di calma, ed ecco che Darcy tornava
a
cercarla. Come era riuscita a capire che con tanti posti aveva scelto
proprio
quello per rifugiarsi? Più volte aveva sospettato che Darcy
possedesse una
sorta di radar pro-scocciatura, in grado di localizzarla ovunque e di
trovarla
nel preciso istante in cui desiderava stare da sola.
Si girò e le piantò addosso uno sguardo a
metà tra l'assonnato e l'annoiato,
spostando di lato la coperta. "Darcy, spero che tu abbia un buon motivo
per interrompere l'unico attimo in cui sono riuscita a prendere sonno.
Perché
altrimenti ti licenzierò seduta stante, anche se a rigor di
logica non hai un
contratto regolare."
Lei incurvò le labbra in un sorrisetto porgendole la
bottiglia. "Una Coca
non è un motivo più che sufficiente per fare una
pausa?"
Dannata Darcy. Lei e i suoi sorrisi gratis sempre disponibili.
Che altro poteva fare se non berla e continuare a pensare? La
scienziata sbuffò
e accetto la bottiglietta sorseggiandone un po' mentre Darcy
fischiettava a mezza
bocca quella che sembrava una canzone di Lady Gaga. In altre
circostanze
avrebbe attaccato le casse del suo iPod alla prima presa di corrente
disponibile e si sarebbe messa a cantare accompagnandosi con il
tamburellare
delle dita, ma sembrava aver capito anche lei che non era il caso di
disturbare
ulteriormente il suo angolino silenzioso. Meno male.
"Stavi pensando a lui, capo? A Thor?"
Un altro sospiro. Come faceva a nascondere le cose a Darcy? Doveva
espatriare,
o scappare in un laboratorio del Polo Sud? In un modo o nell'altro non
poteva
fare a meno di confidarsi con lei quando le cose si mettevano in quel
modo:
Darcy era confusionaria, rumorosa, vivace e fin troppo energica, ma
possedeva
una qualità che Jane apprezzava profondamente ed era la
sincerità. Qualunque
cosa avesse fatto o le fosse successa, sapeva che la ragazza l'avrebbe
spalleggiata come al solito offrendole una battuta ironica e la sua
amicizia.
Era per quello che apprezzava la sua compagnia, anche se difficilmente
lo
avrebbe ammesso sia a Darcy che a sé stessa.
"Colpevole" per la prima volta in tutta la sera, aveva sorriso. Non
era riuscita ad aggiungere altro, ma Darcy aveva capito benissimo.
"Lasciami indovinare: hai trovato il modo per raggiungere Mister Bel
Sorriso e farlo ritornare con noi! Per quello ti isoli ogni sera e stai
sempre
a scribacchiare, e quando avrai rimesso tutto a posto..."
"Darcy..."
"Creerai, non so, una specie di macchina spaziotemporale o un tunnel
collegato al suo pianeta e una volta infilato Thor là dentro
sarebbe un gioco
da ragazzi ripor-"
"Darcy!" Jane la sgridò senza riuscire a nascondere una
risata. Già
si sentiva più rilassata. "Non riuscirò mai a
fare una cosa del
genere da sola! Già sarebbe tanto ricevere un segno
qualsiasi da lui,
anche piccolo... ci sto provando. E chissà, forse
più avanti..."
Bevve un altro sorso.
Darcy giocherellava con uno dei tappi, distratta, ma
riprese poco dopo.
"Sai, capo?"
"Darcy, perchè accidenti mi chiami capo? Mi sento tanto
Piperita Patty che
sgrida Marcie nei Peanuts e le dice di non chiamarla capo.
Cos'è, una nuova
moda?" sbuffò Jane, girandosi finalmente verso Darcy e
fulminandola con
un'occhiata eloquente. Lei riprese come se niente fosse.
"Ok va bene ma stavo dicendo, capo, vedendovi insieme tu e Thor non
sembrerebbe proprio che proveniate da due realtà diverse.
Voglio dire, vi siete
intesi perfettamente da subito e sembrava proprio che tu gli piacessi.
Non
capita spesso, no? Un gran figo, che oltretutto è gentile e
ti fa sentire una
principessa... è proprio da film. E tu sei un'eroina da
film, capo, di quelle
che non mollano mai e alla fine arrivano alla meta, che quasi sempre
è il
grande amore e in questo caso sarà un viaggio intergalattico
verso il tuo
bello."
"Se mai ci sposeremo ti farò fare da damigella, che ne
dici?"
aggiunse Jane ridendo.
Darcy ridacchiò. "Sarebbe uno spettacolo stupendo, capo. Tu
in abito
bianco? Dovrei assolutamente farti una decina di foto e metterle su
tutti i
social network in cui ho un account, sarebbe uno scoop! Jane Foster, la
scienziata talmente sommersa di lavoro da non accorgersi minimamente
dell'esistenza dell'amore, incontra l'uomo perfetto e si sistema, con
cerimonia
interplanetaria annessa!"
Gli occhi di Jane erano tornati al cielo, l'espressione assorta. Darcy
se ne
accorse e, prima che la ragazza potesse fermarla, le aveva messo un
braccio
intorno alle spalle, stringendosela contro in quello che doveva essere
una
specie di abbraccio affettuoso-stritolante da orso.
"Mi sento così stupida, Darcy. E se fosse
tutta una perdita di tempo,
la mia? Magari è giusto che io e lui restiamo separati,
dopotutto io appartengo
alla Terra e lui al suo pianeta. Non lo so, ogni giorno mi sveglio
felice e
soddisfatta di quello che faccio e la sera finisco sempre per
scoraggiarmi." sospirò, sistemandosi meglio la coperta sulle
spalle.
"E sono una lagna, oltretutto."
"Ah, ma quale lagna capo, è l'amore! Solo e soltanto
l'amore, che ti fa
sentire un minuto una meraviglia e quello dopo uno schifo. E tu hai la
fortuna
di avere una consulente d'eccezione, ossia me! Va bene che devo tutto
alla mia
meravigliosa nonna che mi ha trasmesso i suoi consigli, insieme alla
ricetta
dei migliori pancake al mondo, ma la pratica è tutta mia e,
cavolo, ha sempre
funzionato!"
Jane non riuscì a trattenere un sorriso,
questa volta bello ampio e
caldo come non le capitava da tanto. Perché in fondo
quell'assistente sempre
sarcastica, allegra e ironica le piaceva, e anche tanto. Come avrebbe
fatto ad
affrontare le minacce di tristezza incombenti senza di lei e quella
leggerezza
saggia che metteva in ogni sua frase? Si alzò dalla brandina
e si sedette a
terra, le gambe incrociate e quello che restava della sua Coca-Cola in
mano,
nella bottiglietta che tintinnava contro il pavimento.
"Capo!"
"Sì, Darcy?"
"Animo! Secondo me anche Thor ti pensa."
Un attimo dopo, erano
due i sorrisi che si rivolgevano al
cielo: chissà, magari Thor ovunque si trovasse poteva
vederle, e sorrideva con
loro.
********
Angolo (dei pensieri sparsi) dell'autrice:
Finalmente sono riuscita a ritagliarmi un angolino per continuare la
raccolta,
ed è venuta fuori una cosa del genere. Il rapporto tra Jane
e Darcy mi ha
sempre incuriosita, principalmente perché nel film
interagiscono poco, ed era
da un po' che volevo "muovere" Darcy come personaggio, per cui ho
preso spunto dalla prima stesura della JaneThor della raccolta ("One
Day
for a Promise") e l'ho sviluppata come un dialogo tra Jane e Darcy,
ovviamente in ambito post-Thor. Non ho idea se Darcy sia OOC o meno...
spero di
averci preso abbastanza!
Grazie a __sayuri__ per l'ultima recensione, e a tutti quelli che hanno
inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite. Sappiate che un
vostro
parere è sempre benaccetto!
E alla mia amanuense TsunadeShirahime, che ha la pazienza di una santa
e
qualcosa di più XD
Alla prossima,
Nat
|
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Capitolo 8 *** Chrysalis ***
Chrysalis
Seduta
al cospetto
degli Déi, durante il banchetto imbandito per il ritorno di
Thor, Sif passa
distrattamente le dita tra i capelli neri, sfiorandone la consistenza
morbida,
ammirandone con la coda dell'occhio il riflesso nero nella luce dei
piatti che
scintillano. Non sono più dorati come i raggi del Sole,
eppure la loro bellezza
è rimasta la stessa, come le ha detto Frigga, come anche
Thor le ha fatto
capire una delle poche volte in cui l'ha vista come una donna e non
solo come
la guerriera che appare.
Il
Dio che, ridendo,
le ha tagliato una ciocca dopo l'altra sostituendole con dei capelli
magici non
è lì, ma la sua presenza resta nelle frasi a
mezza bocca scambiate dai
presenti, nell'espressione addolorata che la madre degli Déi
non riesce a
nascondere. Sif fissa nella mente l'attimo in cui Loki l'ha osservata,
beffardo,
dall'alto del trono appena conquistato e stringe un pugno in grembo.
Arriverà
il tuo momento, Loki. Quando
meno te lo aspetti.
Poi
arriva la notte,
Sif è sola coi suoi pensieri e non può evitare
che un sogno ricorrente -un
incubo- le si intrufoli nella mente, distruggendo le sue difese: Loki
le
rivolge un altro dei suoi innumerevoli sguardi altezzosi, di sfida, e
questa
volta la priva del suo corpo, rubandoglielo come si ruberebbe una
corona o una
spada. Ora davanti a lei c'è una sconosciuta in un involucro
che ha sempre
sentito su di sé ma che non ha mai visto davvero, e quella
sconosciuta la
guarda, le punta un dito contro, ride di lei con una scintilla malvagia
negli
occhi.
Mi
vestirò delle tue membra come di un
abito da sera, Lady Sif. Oro e smeraldi, sete preziose e pellicce, non
sono
altro che ornamenti, non valgono nulla in confronto a te, forgiata
dalla
guerra, temprata dalle battaglie eppure bellissima. Lascialo a me.
Diventerà
un'arma, ma sarò io ad impugnarla.
La
risata di Loki
continuava ad echeggiarle nella testa anche mentre si svegliava,
coperta di
sudore nel suo letto: il corpo c'era tutto, ma la sensazione di mancare
di una
parte di sè restava. Ed era con quella sensazione ancora
impressa che viveva le
sue giornate tra esercizi e passeggiate per Asgard, riflettendo,
aspettando.
****
In
una cella buia,
in un luogo che pochi Déi conoscono e che nessuno di loro ha
mai visto, Loki
siete in solitudine, osservando le pareti bianche della cella. Il sogno
è
ancora vivido nella sua mente -al contrario di tanti altri che ha fatto
finora-
tanto che, se sfiorasse i suoi capelli scuri senza aprire gli occhi,
potrebbe
pensare di avere ancora addosso l'abito di cui si è vestito,
rubandolo a Sif.
Ma il Dio degli Inganni che siede in un angolo, e nient'altro che un
inganno è
quello che ha appena costruito, plasmandolo nella forma di un dispetto
rivolto
a quella che è stata da sempre un ostacolo, nient'altro.
Loki sorride.
Arriverà
il tuo momento, Sif. Quando meno
te lo aspetti.
Il
Dio dallo sguardo
beffardo chiude ancora gli occhi, lascia che i sogni fluiscano nella
sua mente,
che la riempiano. Tra le tante immagini di guerra e distruzione caotica
che lo
accompagnano, ce n'è una che spicca in particolare: il viso
di Sif e la sua
espressione incredula nel momento in cui l'ha privata dei suoi capelli
d'oro,
filo per filo.
Sarà
l'abito più bello a cui io possa
aspirare, Lady Sif.
*****
Angolo
(dei pensieri sparsi) dell'autrice
Quello
che avete appena
letto è un piccolo esperimento Loki/Sif nato in gran parte
dalla lettura del
secondo numero di Thor: Dio del Tuono, in particolare la storia che
vede
protagonista Sif. Nel fumetto Loki le prende il corpo e lo usa per le
sue
macchinazioni, nella mitologia invece le taglia i capelli, ma dato che
nel film
non viene trattato nessuno dei due aspetti ho preso un po' di qua e un
po' di
là, mettendoli nel mio frullatore mentale assieme al trailer
di Thor 2 e al
finale di Thor. Risultato? Questa cosina qui, che come al solito spero
non sia
un delirio di OOC!
La
frase che si riferisce
al corpo di Sif come ad un abito da sera, ovviamente, è una
citazione
all'episodio del fumetto. Se non lo conoscete leggetelo,
perché merita quanto
il film, secondo me.
Grazie
come al solito alla
mia amanuense-nonostante-il-caldo TsunadeShirahime,
e a tutti i lettori che hanno letto i capitoli precedenti. Sappiate che
un
commento o una critica sono sempre benaccettissimi, anche pomodori
lanciati!
Non fatemi sentire sola, pipòl <3
Alla
prossima!
Nat
|
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Capitolo 9 *** La solitudine degli Déi ***
La
solitudine degli Déi
Quando
aiuto Jane a
rimettere a posto il suo studio o a sistemare la cucina, mi ringrazia
con un
sorriso e una frase gentile per dimostrarmi che il mio intervento
è stato
prezioso. Il solo gesto di incurvare le labbra mi porta a risponderle
con un
altro sorriso ed a considerare cosa rappresento in realtà
per lei.
Per
lei, e per gli altri esseri umani che la circondano.
Erik
mi ha esaminato con sospetto per i primi tre, quattro giorni,
dopodiché ha
iniziato piano piano a fidarsi di me e ad aprirsi ai racconti: antiche
leggende
e storie della sua infanzia, popolate da giganti e Déi, da
Odino e dalle sue
gesta, da Geri e Freki e da Fenrir e i suoi figli. Ci siamo anche io e
Loki in
quei racconti, e sentirci nominare mi fa pensare a quanto siano potenti
le
storie che gli umani inventano mischiandole con le loro credenze, a
quanto
possano condizionare le loro vite e quelle delle generazioni
successive. Sono
in quei racconti, ma allo stesso tempo siedo di fronte ad Erik che
racconta e
mi chiede come sia Asgard, e penso a quanto tutto ciò possa
essere splendido ed
incredibile. Quasi divino.
Darcy
mi scatta foto e commenta quanto il mio sorriso la lasci a bocca
aperta,
convinta che non possa sentirla. Jane guarda le stelle con me e si gode
ogni
istante della nostra vicinanza, anche col silenzio. Da parte mia dono
loro la
mia presenza e tutto ciò che posso offrir loro come aiuto,
chiedendomi se
vedano in me qualcosa di divino o semplicemente una presenza umana
più speciale
delle altre.
Cammino
per le
strade senza una meta precisa, guardandomi intorno come farebbe un
turista
qualsiasi in procinto di stabilirsi per un certo periodo in
città. Non sono i
negozi ad attirare la mia attenzione, ma le persone che mi circondano,
il loro
modo di comportarsi.
Cosa
rappresenta un
Dio per gli umani di oggi?
Di
certo non sono abituati a pregarmi, né a considerarmi una
divinità appartenente
al loro pantheon. Ma i loro Déi che fine hanno fatto? Si
sono perduti? Vagano
tristi per il deserto tra rovine della loro epoca e testimonianze del
progresso
in cui vivono? Non ne ho idea. Non ne vedo intorno a me e se anche ci
fossero
dubito che mi riconoscerebbero. Non li riconoscerei neppure io per
ciò che sono
realmente, a meno che non si mostrino nel loro vero aspetto.
Svoltando
davanti al laboratorio di Jane, penso a come lei mi abbia accolto senza
pensarci troppo e soprattutto senza continuare a chiedersi per troppo
tempo se
le mie fossero le parole di un pazzo oppure no. Qualcosa l’ha
spinta a fidarsi
di me e delle mie storie spontaneamente, con la stessa fermezza dei
primi
uomini che hanno parlato di noi Déi. Una fermezza che i
più scambiavano per
ingenuità, ma che nascondeva il dono di poter guardare al di
là dell’aspetto,
per cogliere l’essenza della creatura che li stava guardando,
uomo o Dio che
fosse.
Tra
le dune e le
rocce spaccate dal sole, fuori città,
c’è la base dove l’agente figlio di Coul
mi aveva portato, dove Loki si è manifestato nelle sue vesti
umane e mi ha dato
la notizia che nostro padre era morto ed io ero stato bandito da
Asgard. Mi
sembra di vederlo qui accanto a me, con un’espressione che in
pochi riuscivamo
a vedere quanto tormentata fosse, e una fitta mi colpisce al cuore
pensando che
si trova lontano miglia, sia da Asgard che da Midgard, irraggiungibile.
Mio
fratello, che soffriva perché nessun essere umano chiedeva i
suoi servigi, e
per questo ha trasformato in rabbia il desiderio di essere
riconosciuto, in voglia
di distruggere ogni cosa. Se sei un Dio esisti per essere adorato. Ma
se gli
umani non rivolgono più a te le loro preghiere, smetti di essere
considerato una
divinità? Forse Loki si è dannato per cercare una
risposta e, non trovandola,
ha tentato di ridefinirsi: un Dio che gli umani potessero pregare
affinché li
risparmiasse.
Le
nostre strade ci hanno portati ad intraprendere due viaggi differenti e
solo
ora posso capire quanto fosse giusto che io abbia iniziato il mio.
Dall’alto di
Asgard neppure sapevo che esistessero altri Déi, immerso
com’ero nella visione
boriosa di me stesso, un Dio forte e potente che governerà
l’Universo. Una
volta giunto qui, non essere più venerato né
temuto dai midgardiani mi ha
scosso, trasformandomi gradualmente in quello che sono.
Credo
che mio padre, in fondo, desiderasse questo.
Nella
mente degli
uomini non governiamo più la vita e gli elementi,
è vero. Ma ciò non significa
che non ci rispettino, anche se di noi sanno poco o nulla. La vecchia
Hera dell’emporio
ha chiamato le sue figlie come due divinità greche,
l’ho scoperto chiedendolo
proprio a lei. Ogni tanto qualche sciamano pellerossa passa in
città col suo
carico di talismani, pietre e Déi ben assicurati ai suoi
ricordi. Déi che non
conoscevo, ma che ora comprendo e che –se sono in giro per
Midgard come me-
sentiranno di avere ancora un posto nel cuore delle persone, per quanto
le ere
e gli anni siano passati.
Forse
è proprio questo che Loki non ha mai capito: qualunque ruolo
possiamo avere tra
i mortali, finchè abitiamo nelle loro storie e nelle loro
tradizioni, la nostra
solitudine prima o poi ha fine.
------------------------
Angolo
(dei
pensieri sparsi) dell’autrice
Aggiungiamo
alla raccolta un esperimento random, olé!
Non c’è molto da dire, se non che ho cercato di
portare
avanti una “riflessione alla Gaiman” attraverso
Thor, attingendo anche dalle
lettura di Le Fatiche di Loki, un volume autoconclusivo a fumetti che
ho amato
particolarmente. La riflessione sul desiderio di Loki di essere adorato
come un
dio viene da lì, per il resto ho rielaborato più
o meno quello che la mia ispirazione
mi suggeriva. Muovere Thor mi risulta sempre difficile, ma spero che
gradiate
lo stesso!
Grazie a luvlogyn,
KayeJ e Smith
of lies per aver aggiunto la storia tra le seguite. Mi fa
piacere ricevere le vostre critiche e i vostri pareri, giuro che non
mordo
<3
E grazie infinitamente, come sempre, a TsunadeShirahime.
:3
Alla
prossima, gente!
Nat
|
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Capitolo 10 *** There is a lady sweet and kind ***
There is a lady
sweet and kind
Era iniziato tutto
da un
sorriso e dalla più semplice delle domande. Per quanto
potesse pensarci e
ripensarci, Sigyn lo vedeva sempre allo stesso modo: quello con Loki
non poteva
essere stato un incontro casuale. Se c’era un fato
–e in qualche modo sentiva
che esisteva- li aveva voluti insieme fin dall’inizio.
Fra tutte le
dame di
Asgard, quella che spiccava per eleganza e grazia era Lady Sigyn, la
bella.
Tutti gli déi conoscevano le sue maniere gentili e la
dolcezza, così come la
sua bravura nella medicina e nel canto, arti in cui eccelleva. Sua
madre Freya
e la regina Frigga erano legate da una solida amicizia, che aveva dato
modo
alla giovane di conoscere bene i due principi figli di Odino e di
essere
coinvolta nei progetti matrimoniali della regina, o almeno
così mormoravano in
molti. Quando si spogliava di quei panni per rilassarsi e ritrovare
sé stessa,
però, era semplicemente Sigyn Iwaldidóttir:
una ragazza
semplice e tranquilla, desiderosa solo di vivere le sue giornate come
ogni
altra sua coetanea.
A Sigyn piaceva leggere poesie. Era una passione che le
aveva trasmesso sua madre, e ogni volta che le si presentavano dei
momenti
liberi portava sempre con sé una raccolta e si godeva la
brezza degli alberi
dei giardini di Asgard, in compagnia di quei versi. Non si stupiva
più di tanto
di essere da sola: era sicura che quella passione fosse caratteristica
di
pochi, ma la cosa non la disturbava. Le bastava poco per essere felice.
Fu principalmente per quel motivo che una mattina la
vista di un’altra persona accanto a quelli che ormai
considerava i suoi alberi
l’aveva incuriosita, portandola ad abbassare lo sguardo ed a
posarlo nientemeno
che sul principe Loki, apparentemente assorto nella lettura di un
grosso
volume.
Loki era considerato strano dalla maggior parte degli
abitanti di Asgard senza un vero e proprio motivo, riflettè
la ragazza tra sé.
Silenzioso e ombroso, era molto versato nella magia fin da bambino e
per quanto
riuscisse a ricordare forse era quello uno dei motivi per cui gli altri
lo
evitavano. Lei no, però: aveva sempre nutrito interesse per
ciò che gli altri
scansavano e Loki non faceva eccezione. Avrebbe desiderato rivolgergli
la
parola, anche solo per chiedergli cosa stesse leggendo ma la paura di
disturbarlo
le impediva qualunque contatto.
Il Loki bambino si isolava per continuare a studiare ed
esercitare le proprie capacità dove nessuno
l’avrebbe disturbato, mentre Sigyn
lo osservava in silenzio da lontano, leggendo anche lei e cercando il
coraggio
di avvicinarsi a lui. Ora che quella situazione si ripresentava, forse
sarebbe
finalmente riuscita nel suo intento.
Le stagioni ad
Asgard trascorrevano scandite dalle
occupazioni della Corte come in ogni altro regno, e a Sigyn piaceva
osservarle
tramite il cambiamento della natura. I fiori che ricoprivano gli alberi
salutavano la primavera, ed erano quei fiori che la ragazza si era
attardata ad
osservare, incerta sulle parole da usare per iniziare una qualsiasi
conversazione con Loki. Lui era seduto sotto gli alberi e sfogliava
piano le
pagine, lei si torceva le mani in grembo e il vento soffiava lieve,
placido.
Intanto, un sorriso non avrebbe guastato l’atmosfera.
“Sembra interessante, quel libro che state
leggendo.”
Un attimo dopo gli occhi verdi di Loki si erano alzati
e posati su di lei.
Le foglie estive
erano appena spuntate sostituendo i
fiori e Sigyn sedeva accanto a Loki, giocando distrattamente col
margine di un
foglio.
Si erano incontrati varie volte in biblioteca, dove la
ragazza aveva scoperto quanto Loki amasse leggere ed imparare
ciò che non
sapeva sul loro e su altri mondi, tramite la lettura, e quanto questa
passione
li avvicinasse.
“Non hai paura del fatto che io sappia usare la magia?
Agli Asgardiani non piace particolarmente.”
“Come potrebbe farmi paura? Senza di voi non avrei
scoperto cos’è davvero, quante cose permette di
fare. Voi piuttosto? Non
trovate strano che ad una donna piaccia tanto leggere e non ricamare o
passeggiare con altre ragazze?”
Era stato il turno di Loki di sorridere. Sigyn aveva
capito tutto senza bisogno di altre parole.
Era arrivato anche
l’autunno e tra le foglie secche che
cadevano sotto i loro piedi Sigyn aveva capito che qualcosa in lei
stava
cambiando e che il tempo passato con Loki nella loro piccola radura
diventava
sempre più prezioso. Ormai avevano preso
l’abitudine di leggere qualche poesia
assieme; di solito era Loki a cominciare e lei ad ascoltare la sua voce
scandire quei passi, mentre la ragazza pensava a quanto fosse strano
che il
loro rapporto si fosse tanto approfondito, al punto che Loki le mancava
nei
momenti in cui non erano insieme. Ora camminavano uno a fianco
all’altra nei
corridoi e si salutavano con sorrisi d’intesa, cosa che
sicuramente faceva
mormorare quelli che li osservavano ma che rendeva immensamente felice
la
ragazza. Loki, da parte sua, sembrava apprezzare la compagnia di lei:
se non la
vedeva seduta al solito posto si spingeva a cercarla fino
all’ala del palazzo
dedicata al seguito della regina e durante le cerimonie sembrava
accertarsi con
lo sguardo che la ragazza fosse lì nei paraggi.
A Sigyn era sempre bastato poco per essere felice. Le
sue poesie, l’ombra di un albero e, adesso, Loki
lì accanto a lei a
condividerle.
L’inverno
e i suoi freddi si facevano sentire. Le
foglie ormai erano cadute tutte e i due giovani avevano dovuto spostare
la sede
dei loro incontri nella biblioteca della reggia, ma a nessuno dei due
importava: trovavano la tranquillità necessaria anche
lì. Era stato in quel
luogo che Loki le aveva chiesto, per la prima volta in tutta la sua
vita, se
avesse avuto voglia di accompagnarlo ad una cerimonia in onore di una
vittoria
di Odino. Con sua grande sorpresa –per i suoi standard di
ragazza silenziosa e
introversa- gli aveva risposto di sì e tutto il resto era
arrivato di
conseguenza, in maniera naturale.
Con Loki non c’era mai stato bisogno di troppe parole,
l’aveva capito: insieme riuscivano a comunicare anche solo
con un cenno o uno
sguardo e così sarebbe sempre stato. Aveva avuto inizio
quando gli si era
seduta accanto la prima volta, timida e timorosa di disturbarlo, e
continuava
in quel momento in cui ballavano nella sala grande come se fossero
sempre stati
legati. Quante cose cambiano in un anno. Così tante che
l’anno successivo,
ripensando a quanto si è vissuto, tutto sembra appartenere
ad una vita
precedente invece che a sole quattro stagioni prima.
Era iniziato tutto
da un sorriso e dalla più semplice
delle domande.
Per quanto le stagioni potessero essere trascorse,
Sigyn continuava a sedere sotto agli alberi di Asgard di tanto in tanto
e a
leggere con Loki –suo marito- quei libri che affascinavano
entrambi.
Mentre appoggiava uno di quei volumi tra le mani di suo
figlio Váli, osservando Loki che guidava le sue piccole dita
a seguire le
lettere, pensò che il destino, se davvero esisteva, a volte
riusciva a compiere
incantesimi potenti quanto quelli che Loki amava studiare.
****
Angolo
(dei
pensieri sparsi) dell’autrice
Ed
ecco finalmente anche la Loki/Sigyn, dopo
un’elaborazione eterna e un centinaio di
cancellature/riscritture. Avevo
iniziato con uno schema di come dovesse andare la storia completamente
diverso
da come è effettivamente venuta fuori, ma piano piano ho
superato “l’ansia da
prestazione” che provavo nello scrivere su entrambi e ho
provato ad ambientarla
in un ipotetico arc pre-Thor, rileggendo il personaggio di Sigyn a modo
mio. La
mia solita paura è di essere andata OOC, spero di non
esserci caduta!
Ovviamente non ho idea se ci siano o no le stagioni su
Asgard: le ho immaginate uguali a quelle terrestri, concedetemi la
licenza
poetica in funzione della storia. XD
Il titolo della storia riprende la poesia di Thomas
Ford, l’ho ascoltata la prima volta nella raccolta
“If Poems” letta da Tom
Hiddleston… recuperatela assolutamente se dovesse capitarvi!
Ora
viene il momento dei saluti e dei ringraziamenti:
con questa shot termina ufficialmente la mia raccolta su Thor. Ho
adorato
scriverle perché amo questo fandom e i suoi personaggi, per
cui penso che mi
mancheranno parecchio… ma ho in cantiere altri progetti su
altri fandom. Per
ora non anticipo nulla, ma chiunque bazzichi in quelli di Wolverine
(fumetto) e
Game of Thrones può trovarmi lì. Nel caso
comunque voleste lasciare un
commento/critica a una qualsiasi delle storie della raccolta, vi
risponderò
volentieri!
Per
chiunque avesse domande o curiosità da chiedere
sulla storia o sui miei prossimi lavori, qui c’è
il mio ask:
www.ask.fm/Natmatryoshka .
Il
primo dei ringraziamenti va, come sempre, a
TsunadeShirahime.
Mi hai fatto da beta, da amanuense, da consigliera e da
spalla, per cui penso non ci sia altro da aggiungere: grazie per la
pazienza,
bro <3 sei una persona speciale e una lettrice insostituibile!
Poi a _Eleuthera_,
per averci regalato una
caratterizzazione di Sigyn tanto bella e complessa. Questa fic
è un piccolo
omaggio alla coppia e, anche se non è all’altezza
delle tue storie, spero che
ti piaccia lo stesso :)
Last but not least, ai lettori e ai recensori: grazie a
Lady Sigyn, vannagio, 9Pepe4, _Sayuri_ e Madama Pigna per le
recensioni, RobysRasia,
Scillan, Timcampy_ e Valery_Snape per
averla inserita nelle preferite e
Il_Filo_Di_A90,
KayeJ, LadyInDark,
luvlogyn, Merihon, Smith of lies e _Sayuri_
per averla inserita nelle seguite. Grazie anche a voi lettori
silenziosi, che
non recensite ma che magari l’avete apprezzata comunque.
Alla
prossima, allora!
Nat
|
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