Dita di cristallo

di goldenfish
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Introduzione ***
Capitolo 2: *** 2. Invisibile ***
Capitolo 3: *** 3. Morte ***
Capitolo 4: *** 4. Amore malato ***
Capitolo 5: *** 5. Madame I ***
Capitolo 6: *** 6. Bacio ***
Capitolo 7: *** 7. Blanc ***
Capitolo 8: *** 8. Ricordi ***
Capitolo 9: *** 9. Quadro ***
Capitolo 10: *** 10. Parigi,1907 ***
Capitolo 11: *** 11. Addio ***
Capitolo 12: *** 12. Dita di cristallo ***
Capitolo 13: *** 13. Come una Fenice ***
Capitolo 14: *** 14. Verità pt. 1 ***
Capitolo 15: *** 15. Verità pt.2 ***
Capitolo 16: *** 16. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Introduzione ***


-Dita di cristallo-

1.INTRODUZIONE

Francia 1903.

"Se un giorno dovessi morire, tutto ciò che mi appartiene sarà tuo David, tutto, tranne il mio cuore."

Mi disse così, all'improvviso.
Era come se lo sapesse già.
Due anni dopo morì.


La ragazza dalla collana di topazio.

"Sei il mio migliore amico, David tu devi sapere tutto di me.
"

Elèonore Bonnet era nata da una storia di una notte tra la signora Bonnet e uno sconosciuto, che i più dicevano essere suo primo cugino. Ma come si sa le persone si nutrono di scandali e i pettegolezzi non sono altro che il pane quotidiano di ogni donna e di ogni uomo, specialmente se si tratta di persone bene in vista come Marie Bonnet, ma a discapito di tutte le chiacchiere sul presunto rapporto incestuoso della giovane, la bambina era nata completamente sana di mente e di corpo, forse un po' magra.
Cresciuta come una signorina per bene, Elèonore aveva sempre manifestato un comportamento solitario e sadico, poteva stare le ore a tortuare una lucertola o un uccellino che era sfortunatamente capitato tra le sue mani dalle dita lunghe, finchè non avesse esalato l'ultimo respiro; un sorriso compiaciuto a quel punto si allargava sul suo viso spruzzato di lentiggini. Era un sorriso malato e folle, ma vedere quelle creaturine soffrire le provocava un pizzicorino allo stomaco fonte di grande piacere e soddisfazione.
Non poteva soffrire gli   altri bambini e si ritirava nel suo mondo fatto di morte e strane creature alate, con la faccia della Madonna e il corpo di aquila.
  

Mariè non aveva un buon rapporto con la figlia, era una donna sofisticata e temeva i pettegolezzi più della morte, aveva provato più volte a presentarle ragazzine della sua età sperando che le imitasse, ma lo sguardo alla loro vista era di puro disprezzo. Le vecchie la credevano l'anticristo e le suore si facevano il segno della croce al suo passaggio. Ma finchè a notare lo strano comportamento della ragazzina erano solo persone quasi sempre rinchiuse in convento o donne che avrebbero presto tirato le cuoia, Mariè non si preoccupava più di tanto.
Il fatto che più turbò la donna e i nobili animi parigini fu il tentativo della ragazza ti tagliare un dito ad una coetanea che le aveva fatto un torto durante le lezioni di pianoforte.
E per di più si trattava della bella Isabel Garcìa, figlia della famiglia più in voga a Parigi in quegli anni.

Lo scandalo fu inevitabile e Elèonore Bonnet fu cacciata in un convento di clausura noto per l'abilità di educatrici delle suore, con la speranza di correggere il suo animo sporco di sangue e di peccato.

La vicinanza con l'austero Cristo e le suore che la trattavano come un'appestata e una peccatrice non fece altro che incattivire l'anima della ormai quindicenne Elèonore.
Durante la permanenza nel convento, la ragazza veviva bastonata affinchè si purificasse.
Una volta la pichhiarono così forte da farla svenire per il dolore, mentre il sangue fluiva dalle ferite, la sua pelle stava diventando livida e le suore temettero davvero di averla ammazzata, non che si dispiacessero, ma uccidere è peccato.
Quando si ristabilì completamente, due settimane dopo, una notte cercò di strangolare una delle sorelle,non fece in tempo.

"PENTITI!" le urlavano le donne.
Elèonore era nuda davanti alla croce.
Ad ogni rifiuto, le sorelle urlavano ancora più forte, ma da quella bocca piegata in un ghigno non usciva neanche una parola.
"PENTITI!"
Elèonore cominciò a mormorare qualcosa, prima piano e poi sempre più forte, affinchè le sue educatrici potessero sentire bene. Nessuno sapeva cosa disse loro, ma qualunque cosa fosse,doveva essere davvero molto sconvolgente perchè le donne uscirono dalla stanza gridando e piangendo che la ragazza era indemoniata o peggio. Non ebbero mai il coraggio di riferire le parole avvelenate della ragazza.

Venne cacciata dal convento quella sera stessa.

Tornò a Parigi, ma mai a casa.

Successivamente mi confidò di avere recitato una preghiera al contrario, con la quale si era esercitata intensamente durante il periodo d'infemità.

Ci provai anche io, con una breve, ma per quanto mi impegnassi non riuscii mai a impararla a memoria.
La forza della determinazione è impressionante.
O forse sarebbe stato meglio per me dare peso alle macabre dicerie che aleggiavano intorno alla figura della seducente Elèonore Bonnet, per non finire nella trappola mortale che il destino cominciò a tessere dopo il nostro primo incontro.
Ma a 18 anni si è in piena tempesta ormonale, e non riuscii a resistere a quella strana e malinconica ragazza.

Mio primo e unico amore.

La incontrai una notte. Era seduta su una panchina, aveva i capelli raccolti in una lunga treccia color rame e gli occhi persi nel vuoto. La sua persona sembrava così effimera che temevo che se avessi sbattuto le palpebre lei si sarebbe dissolta.
Non era bella, aveva la mandibola pronunciata ed era leggermente strabica, le labbra erano irregolari e una cicatrice le fregiava orribilmente lo zigomo destro, ma non ricordo di avere mai incontrato persona più affascinante di lei. Aveva circa la mià età, anno più, anno meno. L'alone di mistero che l'avvolgeva mi portò a conoscerla e parlare con lei fino alle prime luci dell'alba. Era interessante, particolare e la sua voce era chiara e seducente.
Quello che mi colpì di più però, fu la preziosa collana che portava al collo: il ciondolo era un intreccio di fili d'argento e in mezzo era incastonato un topazio grosso come un'unghia. La collana spiccava sui vestiti lerci e sporchi.
Quando le chiesi chi glielo aveva dato, lei mi rispose sorridendo "Dita di cristallo".


nda: se ci sono errori di battitura, comunicatemeli, e mi scuso in anticipo, ma ho la tastiera vecchia che funziona male...
comunque, se avete commenti da fare,io sono ben felice di leggerli :D.














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Capitolo 2
*** 2. Invisibile ***


2.Invisibile


L'aveva vista per la prima volta in una carrozza del treno, doveva avere circa quindici anni, la faccia era livida e cinerea, e una profonda ferita fresca sullo zigomo destro era stata cucita da una mano inesperta, perché l'infezione era visibile anche un ignorante.

I morbidi capelli le rimbalzavano sulla schiena ad ogni passo.

Aveva un cappotto verde troppo largo e le lunghe gambe nude. Non trovando un posto in cui sedersi si era sistemata a pochi passi da lui, che la fissava incuriosito; aveva lo sguardo stanco e colmo di tristezza, ma si ostinava ad apparire fredda e distaccata.

Era notte fonda eppure il treno era pieno di persone. Un caso più unico che raro.

Lui, però, aveva occhi solo per lei e la guardava, eccome se la guardava, sicuro che non si sarebbe accorta di lui. Nessuna donna si accorgeva mai di lui,oppure gli lanciavano occhiate derisorie e poi si giravano. In vent'anni di età, non aveva mai avuto il piacere di tenere tra le braccia una ragazza, a parte le prostitute del bordello in cui si recava quando il desiderio si faceva incontenibile.

E come dare torto a tutte quelle ragazze? Aveva il viso insipido, asciutto e i lineamenti fragili come quelli di un ragazzino, gli occhi non trasmettevano alcuna sensazione e il sorriso era troppo banale per confondere quel volto vuoto e anonimo. Come la sua esistenza. Nella pensione in cui abitava, il proprietario neanche si ricordava di chiedergli l'affitto. Così il giovane ragazzo dall'infelice nome di Atrèe Garcìa aveva cominciato ad essere anonimo anche nell'anima e nei propri ricordi che brutalmente deformava, per dimenticare la pace e la serenità della casa paterna che si era tanto ostinato a lasciare,per fuggire alla ricerca di una vita fatta di divertimento e vizi, che si era inaspettatamente trasformata in un abisso di solitudine e di amarezza che gli corrosero la giovinezza prematuramente, fino a ridurlo nel reietto e patetico uomo che era diventato. Non aveva nient'altro da provare, e la noia e la povertà l'avevano reso patetico anche a se stesso. Atrèe Garcìa si faceva schifo da solo, e pensava di meritare appieno quel cuore gonfio di rimorsi e tristezza che si portava dietro, come un macigno da ormai troppo tempo.

Erano questi i sentimenti che lo animavano mentre guardava quella ragazza a pochi passi da lui, se solo non si fosse sentito così inutile le avrebbe sorriso, invece di limitarsi a fissarla con un volto privo di espressione.

Ad un certo punto però, lei si girò di scatto, come se sentisse i suoi occhi che la studiavano con interesse. Non si arrabbiò e non si spostò. Gli sorrise, semplicemente. Atrèe sentì un veloce calore pervadergli le guance, e una bomba esplodergli nello stomaco. Quella ragazza lo aveva stregato e di punto in bianco decise che sarebbe stata sua. Dopo tanti anni grigi e passati in solitudine, nei quali era l'unico a conoscere il proprio nome, gli sembrava che quel sorriso fosse la cosa più preziosa e più bella della sua vita, e la ragazza che lo portava doveva essere sicuramente un angelo, inviatogli da Dio, come segno che non l'aveva abbandonato e che non sarebbe morto nell'ombra e dimenticato da tutti, come aveva sempre creduto.

La ragazza scese la stazione dopo,a Parigi. Esattamente dove doveva scendere anche lui. Un altro segno del destino.

Si ravvivò i capelli biondi e seguì il suo angelo.

La ragazza si mise a fissare il vuoto, come se non sapesse dove fosse, ma poi sorrise passandosi la lingua sul labbro superiore e s'incamminò con passo spedito verso un luogo ignoto. Atrèe si sentì in dovere di seguirla, le stava appena dietro camminando con passi impercettibili, ma lei si accorse e si voltò.

Non trapelava nessun sentimento da quel viso tumefatto.

Mi segui?”

Si” ammise.

Perché?”

Non lo so”

Sei quello del treno, come ti chiami?”

Atrèe Garcìa”

Conoscevo un' Isabel Garcìa, è tua parente?”

No, io non ho più una famiglia...”

Io sono Elèonore Bonnet, e ora ti prego di non seguirmi più” e fece per incamminarsi, ma lui non voleva lasciarsela sfuggire e cercò di prendere del tempo.

Aspetta” lei si girò con la stessa inespressività di prima.

Dove stai andando a quest'ora della notte? E' pericoloso, i tuoi genitori saranno sicuramente preoccupati”

Se mia madre si fosse preoccupata per me, non mi avrebbe mai mandato in convento a farmi picchiare tutti i giorni. Vivo bene da sola, e comunque so dove andare. Ci si rivede, allora.” sorrise amara, e svanì dietro l'angolo della via.

Atrèe la lasciò così, immobile, aspettando che svanisse.

Gli aveva parlato. E gli aveva pure detto che si sarebbero rivisti. Non c'era dubbio, era proprio un angelo. “Non posso lasciarla scappare così” si disse, e trasgredendo all'ordine della ragazza, la raggiunse e la convinse a farsi accompagnare, nonostante tutte le preghiere di lei di lasciarla in pace.

Dopo qualche minuto raggiunsero un locale malfamato e male illuminato. Era un bordello.

Ecco io abito qui. Grazie per avermi accompagnato con la forza”

Rimase allibito. Un bordello. Il suo angelo non era altro che una vile prostituta?

Sei una puttana!”

No.” rispose lei indignata.

So leggere, scrivere,suonare il violino e rammendare, mi procuro da vivere così; vado dove servo e basta. Abito qui solo perché non ho altro posto in cui stare.” concluse dopo avergli chiuso la porta in faccia.

 

Atrèe quella sera tornò a casa e si masturbò pensando a quella giovane donna che gli aveva rapito il cuore e la mente, ridandogli di nuovo un senso per vivere.

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Capitolo 3
*** 3. Morte ***



 

3. Morte





Elèonore ed io divenimmo subito amici, tutti i pomeriggi ci vedevamo su quella panchina dove l'avevo incontrata la priva volta, e su quella panchina ci lasciavamo, quando il sole cominciava a calare.

Quando le chiedevo chi fosse “Dita di cristallo” lei si limitava a ridere e rispondeva sempre la stessa cosa “E' l'altra me stessa”, così dopo tanti tentativi per estrapolarle qualcosa su questa Dita di cristallo, che si rivelarono inutili decisi di seppellirla nei meandri dei miei ricordi e di godermi ogni minuto con lei.

Sapevo la sua condizione di vita e a volte le regalavo dei vestiti nuovi, che lei non metteva quasi mai perché quegli abiti da bambola, come diceva lei, la facevano sembrare più pura di quel che era.

Mi confessai un pomeriggio d'inverno, ma lei si limitò a sorridermi triste, dicendo che il nostro amore non era possibile. Non poteva donarmi il suo cuore. Né a me né a nessun altro.

 

Non era più suo, l'aveva regalato a Dita di cristallo.

 

Per il resto della sua vita, mi limitai a godere di quei momenti solo nostri, in giro per la Parigi che conoscevamo solo noi. Elèonore mi raccontava dell'alta società in cui insegnava ai bambini a suonare il violino e a qualche bambina il lavoro di cucito. Mi spiegò anche che la maggior parte della sua paga la regalava al bordello in cui abitava. Non per carità, diceva, ma perché lei non se ne faceva nulla.

“Presto David raggiungerò il mio più vecchio amico, sono cresciuta, ma non l'ho dimenticato sai? Un giorno tornerò completa e allora, forse, potrò amarti.”

 

Sapevo cosa intendeva dire. Una profonda malinconia mi pervase il corpo.

 

Elèonore aveva un'immaginazione unica e quello di cui parlava era solo la sua ombra - che aveva denominato Dita di cristallo- che negli anni della sua infanzia aveva trasformato nella parte “buona” di se. Lì teneva rinchiusi tutti i suoi sentimenti e il suo cuore, inaccessibile a tutti, persino a se stessa.

 

Certe esperienze ti portano a rinunciare alla tua umanità per non impazzire.

 

Io sapevo che lei, in fondo, mi amava. Solo che lo faceva a modo suo.

 

Dopo due anni di intensa amicizia lei non si fece più vedere alla panchina.

 

Avevo 21 anni, quando mi arrivò quel pacchetto avvolto in carta di giornale e non mi stupii più di tanto quando vidi i pochi vestiti che le avevo regalato e la collana di topazio.

Lei mi aveva sempre avvisato e io ero preparato.

Nessuna tomba sarebbe mai stata scavata per la mia amica, me lo aveva detto. Il suo corpo sarebbe stato buttato in una fossa comune in mezzo a tanti sconosciuti come lei.

Il dolore però era più forte della mia preparazione psicologica, e l'idea di non vederla più mi portò ad una crisi di pianto poco degna da descrivere.

Mi aveva spezzato il cuore. Una seconda volta.

Se ne era andata troppo veloce.

Ero li con quei vestiti stretti al petto, quando vidi scivolare ai miei piedi un foglietto. Lo presi con le mani tremanti e le lacrime che scendevano. Pensai che fosse una confessione in ritardo, che magari non aveva mai avuto il coraggio di darmi, ma ovviamente erano solo illusioni.

Lo lessi.

 

Una firma tremolante color azzurro.

 

Dita di cristallo.

 

Quella figura che per tanto tempo aveva ossessionato la mia mente e i miei sogni era tornata a galla, e per di più per comunicarmi la morte della mia amica.

Elèonore non era stupida, non era un caso. Per tanto tempo le avevo chiesto di Dita di cristallo e lei aveva sempre evaso il discorso.

Era come se, ora che era morta, mi permettesse di conoscere quel segreto.

 

E' l'altra me stessa, diceva.

 

Non poteva essere vero, se fosse stata una creatura della sua mente o, come credevo, la sua ombra non l'avrebbe mai scritto, ma se lo sarebbe portato nella tomba.

 

Dita di cristallo era una persona in carne ed ossa che probabilmente doveva centrare con la morte di Elèonore.

Si. Doveva essere così.

Fu come un fulmine a ciel sereno.

Rapidamente mi passarono davanti agli occhi migliaia di fatti e scene che formarono la mia ipotesi.

 

Dita di ghiaccio doveva essere il nome del suo assassino, probabilmente la collana era solo un sadico avvertimento da parte del misterioso uomo. Ecco perché mi dava l'impressione che lo sapesse da sempre che sarebbe morta presto.

Per quanto riguardava il foglio: prima di morire Elèonore doveva aver scribacchiato quel nome e lo aveva infilato nel pacco che mi avrebbe poi spedito.

 

Si stava preparando a morire.

 

Corsi al bordello in cui alloggiava sperando di trovare il suo assassino con le mani nel sacco. Erano le due di notte.

Arrivai trafelato davanti al fatiscente edificio.

All'entrata c'erano solo uomini ubriachi e fanciulle mezze nude. Solo un uomo attirò la mia attenzione: biondo, faccia insipida e sguardo senza emozione.

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Capitolo 4
*** 4. Amore malato ***


4.Amore malato


Atrée le faceva visita tutti i giorni, la fissava in lontananza finchè lei non si accorgeva della sua presenza, allora gli si avvicinava e gli sorrideva comprensiva.
Quel sorriso lo rigenerava nell'anima e allora anche lui distendeva le sue labbra sottili in un sorriso impacciato.
A volte le offriva una cioccolata o un the, che lei rifiutava con ostinazione.
La ferita si stava lentamente rimarginando formando una cicatrice rossastra e sporgente. Un'orribile deformità in quel viso dai lineamenti dolci e angelici, pensava Atrèe.
I capelli rossi erano perennemente legati in quella treccia spettinata e avevano un buon profumo di lavanda.
Elèonore si dedicava anima e corpo a quel ragazzo immaturo e impaurito. Se dapprima lo aveva odiato, ora provava per lui un sentimento di affetto incondizionato, le faceva compassione e l'adorazione che provava per lei era una forte botta per la sua autostima e la spingeva ad amarlo come a un fratello.

Atrèe godeva di quelle attenzioni e della sua compagnia.
Sapeva che il loro amore sarebbe presto sbocciato e di notte sognava di possederla.

Un giorno Elèonore si presentò con uno strano ciondolo al collo, era di topazio. Molto bello.
Molto costoso.

"Dove l'hai preso?"
"Me l'ha regalato Dita di cristallo"
"Chi è?"
"Una persona"
"Maschio o femmina?"
"Che t'importa?"

Atrèe sentì salire dentro di sè un sentimento di rabbia mista a gelosia, quel ciondolo doveva essere senza dubbio un pegno d'amore, Elèonore era troppo desiderabile come persona, non potevano non averla notata.
Forse un cliente del bordello o forse un rampollo dell' aristocrazia francese a cui dava lezioni di violino.

"Che cos'è?" ripetè il ragazzo con un tono di voce decisamente alto
"Non te lo dico" ribattè Elèonore serrando le labbra in un ghigno. Il sadico piacere di fare soffrire le persone, ormai assopito da tanto tempo, si stava lentamente risvegliando. Sapeva dell'instabilità mentale che quel giovane uomo aveva, ed era conscia dell'ossessione che aveva per lei, sapeva quale dolore gli avrebbe provocato quel dubbio; ma quella sensazione era troppo piacevole per essere fermata.
"DIMMELO!"
"No!"
"TE L'HA REGALATO UNO DEL BORDELLO NON e' VERO? TI SEI MESSA ANCHE TU A FARE LA PUTTANA, NON E' COSI' ELE'ONORE?"  le lacrime cominciarono a fluirgli dagli occhi grigi colmi di rabbia e follia.
"PERO' A ME NON TI SEI MAI CONCESSA!"
Elèonore non vide partire quella mano così fragile eppure così dolorosa. Cadde a terra con la guancia in fiamme, la ferita allo zigomo sanguinava copiosamente.Un dolore lancinante le pervase il corpo, quando lui la spinse violentemente contro il muro con un calcio.
La ragazza, dolorante, si teneva stretta la pancia con le mani, mentre i colpi al corpo le annebbiavano la vista. Si isolò da quel guscio, come faceva in convento e del dolore rimase solo un eco lontano, i colpi sordi dei calci rimbomavano nelle sue orecchie ma era come se non le appartenesse quel corpo martoriato.
Atrèe in preda a quella rabbia cieca, decise di farla sua con la forza.
Le strappò con impeto la camicetta verde scoprendo il piccolo e delicato seno, mai violato da uomo o donna. Elèonore fu brutalmente riportata alla realtà da quell'atto così sconsiderato e incontrò gli occhi carichi di sentimenti di Atrèe che sondava il suo corpo, così a lungo desiderato. Non sembrava notare i numerosi lividi e ferite che lui stesso aveva provocato e neanche le vecchie cicatrici, con le quali aveva ormai imparato a convivere.
Poco dopo la liberò anche della gonna e delle mutandine, lasciandola nuda al suo cospetto, si passò la lingua sulle labbra, mentre il desiderio continuava a crescere e si faceva sempre meno controllabile.
Atrèe si soffermò sul viso di Elèonore.
 
Freddo.

Inumano.

Malato.


Il ragazzo si allontanò spaventato da quella bambola rotta.
Giaceva per terra con un sorriso innaturale e cattivo.

"Cosa fai? Non vieni qui a fottermi?"

Elèonore si alzò , sorreggendosi al muro di mattoni freddo e umido.
Più il ragazzo si allontanava più lei si avvicinava, a completo agio nella sua nudità.

"Non vuoi più essere il primo?"
 
Poco dopo Atrèe era a terra dolorante, lo sguardo vitreo e il ginocchio rotto. Elèonore che piangeva accanto a lui, con la faccia nascosta tra le mani "scusami, scusami" diceva.
Ma il ferro era ancora li. Sporco di sangue.

Il ginocchi di Atrèe non si sarebbe mai riparato del tutto.
La rotula era troppo mal messa.
Avrebbe zoppicato per tutta la vita.
Un promemoria.

Quello che si aggiustò, invece, fu il rapporto tra Elèonore e Atrèe che archiviarono il fatto e continuarono la loro amicizia da emarginati e reietti della società.

Non nominarono mai più Dita di ghiaccio.



Ora a distanza di cinque anni, Atrèe era ancora li, davanti al bordello ad aspettarla. Come tutte le sere.
Quella volta non c'era.

Stava per andarsene quando vide arrivare verso di lui un giovane ragazzo di 20-21 anni al massimo. Castano, occhi verdi incoprensibili, e un'aria determinata sul volto. I lineamenti del viso erano decisi, ma giovanili e non appesantivano quel viso tanto particolare. La sua personalità sembrava così forte da poter essere fiutata e addirittura toccata.
Era tutto il suo contario.
Quello che aveva sempre sognato di diventare.

Sentì di odiarlo dal principio.

"Cosa fai qui?"gli chiese quello strano ragazzo, senza un briciolo di imbarazzo. Lo sguardo indecifrabile lo fece rabbrividire.
"Aspetto una ragazza"
"Ovvio, sei in un bordello"
"Lei non è una puttana" rispose, sentendosi offeso per conto di Elèonore
"Elèonore Bonnet, vero?"
"Chi sei? Come fai a conoscerla?"
"Mi chiamo David, Elèonore era la mia migliore amica e tu come la conosci?"
Atrèe si sentì confuso e completamente spaventato da quel contatto troppo diretto.
"E' anche mia amica, usciamo tutte le sere.La stavo aspettando, perchè cosa le è successo?"

Il ragazzo si zittì per qualche secondo, e sembrò che tutto quel sentimento che lo animava fino a qualche secondo fa, fosse svanito.
Senza neanche guardarlo negli occhi gli rispose con un sussurro.

"E' morta."


n.d.a. Allora non sono molti quelli che seguono questo racconto, ma mi sta particolarmente a cuore, quindi continuerò a scriverlo comunque.
Prego i lettori di recensirlo, giusto per sapere se v'interessa, se avete cosigli/critiche da dare/fare o se devo lasciarlo perdere.
_Golden


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Capitolo 5
*** 5. Madame I ***


5. Madame I



"E' morta" gli dissi semplicemente, mentre la voce si faceva flebile e sembrava voler morire, rapido gli mostrai il foglietto con la firma del misterioso Angelo della morte.

Vidi il ragazzo cadere in ginocchio, poco dopo essere sbiancato.

Ebbe più o meno la mia stessa reazione.
Si teneva la faccia con le mani mentre singhiozzava forte.

Mi accovacciai accanto a lui e gli passai una mano sulle spalle, per confortarlo, sapevo come si sentiva.

Quella ragazza era una vera maledizione.

Mi faceva davvero compassione, sembrava un bambino a cui hanno appena comunicato la morte della madre.
"Capisco come ti senti" gli dissi sussurrando
ma lui non mi diede retta e continuò a disperarsi.
"Anche io ho reagito così, Elèonore è come un sogno, quando sei con lei tutto ti sembra meraviglioso, e poi quando ti svegli lei scompare e ti senti privato di una parte di te, non è vero?"
Il ragazzo annuì.
"Questa storia però ha qualcosa di stonato, e io vorrei capire cos'è, non so, ti andrebbe di aiutarmi?"
Non so perchè glielo chiesi, forse per il sentimento di tenerezza e protezione che quel ragazzo mi suscitava.
A quelle parole lui si fermò di colpo, alzò il viso rigato dalle lacrime in mia direzione e mi chiese cosa ne pensavo e io gli spiegai la mia teoria, lui annuì convinto e mi spiegò anche dell'incidente avvenuto cinque anni prima sempre per colpa di Dita di cristallo. lo avevo capito dal primo momento che era una persona pericolosa, ma qualcosa mi spinse a fidarmi di lui. Sicuramente il fatto che fosse amico della mia Elèonore.
Decidemmo di entare nel bordello per parlarne con la proprietaria.

Il locale era poco illuminato e le ragazze più o meno giovani erano sdraiate sui divani in attesa di qualche cliente.

Mi colpì una in particolare.

Bionda, alta, occhi azzurri come zaffiri e un corpo che era il sogno di ogni uomo, i seni pieni erano fasciati in un corpetto color lilla che metteva in risalto la vita stretta e la gonna era lunga e vaporosa, ma rialzata in un lato, per mettere in mostra le lunghe gambe magre.
Notai che il mio compagno la stava fissando con la stessa bramosia che, probabilmente, si leggeva anche sulla mia faccia, lei ci guardava con superiorità, come se si facesse beffa dei nostri istinti animaleschi e sapeva benissimo dell'effetto che il suo generoso corpo aveva su ogni uomo, sembrava una dea irraggiungibile e intangibile. Ci fissava con i suoi occhi languidi, da sotto le folte ciglia nere aspettando che ci avvicinassimo, non sorrideva, ma muoveva impercettibilmente le labbra carnose rosso cremisi.

"Nessun uomo resiste al fascino di Madame I." ci disse una voce alle nostre spalle. Ci girammo: una ragazza che era poco più di una bambina ci guardava impettita, il suo corpo ancora acerbo probabilmente entrava nelle fantasie di solo qualche pervertito.
"Stiamo cercando la proprietaria" dissi io.
" Madame Laure E' morta due mesi fa, ora questo posto lo gestisce la donna su cui sbavavate poco tempo fa" rispose lei con aria maliziosa, "Madame I non si concede a nessuno però, Anche quando Madame Laure era in vita, era riservata  solo alle persone importanti" sembrava scocciata e nei suoi occhi si poteva chiaramente leggere invidia per quella donna alla quale non avrebbe mai potuto assomigliare.

"Adèle, vieni qui tesoro" un uomo sulla cinquantina richiamò l'attenzione della ragazza
"Bene, ora devo andare, state attenti a Madame I" ci disse poco prima di andarsene.

Io e Atrèe ci avvicinammo alla bella donna distesa sul divano di velluto rosso.
"Madame I, dobbiamo parlarvi"
La bella Madame alzò i suoi luminosi occhi blu in nostra direzione, quando si fermò sul volto del mio compagno sbiancò e vidi che la stessa reazione avvenne anche su di lui.

"I-Isabel?!" balbettò lui
"Atrèe cosa ci fai qui?" rispose lei imbarazzata, cercando di coprire le sue favolose gambe, ad un tratto la magnentica pantera che fino a poco tempo fa si faceva desiderare si era trasformata in una timida verginella tutta casa e chiesa.
"Cosa ci fai tu qui?"
"Che t'importa? Sei fuggito quando avevo 15 anni e non ti sei fatto più vedere!" rispose lei cattiva
"Scusami Isabel, ero giovane e quella vita mi stava uccidendo"
"Sei sempre stato un egoista Atrèe! Per colpa tua mia madre si è ammalata e adesso sta morendo!"
"E' anche mia madre!"
"NO! Non più"
"Isabel..." Quella donna che era apparsa tanto fredda e distante si lasciò andare a un pianto liberatorio mentre Atrèe abbaracciava quel fragile corpo scosso da singhiozzi.
"Non ho mai voluto fare la puttana Atrèe, devi credermi, ma quando sei fuggito, i nostri genitori ti hanno cercato così tanto,la mamma si è ammalata perchè non mangiava più e nostro padre ha tralasciato gli affari per lei e per te. Abbiamo perso tutto Atrèe, anche la casa, l'abbiamo venduta. Sono stata costretta a lavorare qui, ogni tanto mando dei soldi ai nostri genitori, ti prego, non giudicarmi."
Atrèe l'ascoltava in silenzio cullandola tra le sue braccia.
"Non ti giudico Isabel, sei mia sorella e io ti voglio bene, qualunque cosa tu faccia".

Quando lei si calmò, ci chiese cosa fossimo venuti a fare in quel posto, le parlammo di Elèonore tralasciando la parte della morte e di Dita di cristallo. Sentendo quel nome Madame I sorrise malinconica.
" E' andata via una settimana fa,mi ha detto che non sarebbe più tornata, tu sei David vero? Sono io che ti ho inviato quel pacco. Cosa c'era dentro?"
"Vestiti e basta, sai dov'è?"
"Non me lo ha detto"
"Possiamo vedere la sua stanza?"
"Sicuro, seguitemi"

Ci portò in una vecchia mansarda, piccola e buia, c'era solo un letto e un tavolino scheggiato.
"Io la conoscevo da tempo Elèonore, era una ragazza strana e malata, quando eravamo piccole cercò anche di tagliarmi un dito" disse sorridendo nostalgica, come se parlasse da sola, però non sembrava turbata da quel fatto, anzi.
"Venne qui una sera, pioveva e aveva un enorme squarcio sullo zigomo destro, era malnutrita e sporca, Madame Laure, donna di grande cuore, la accolse qui, da quel giorno non andò più via. Si procurava da vivere lavorando per la borghesia, dava quasi tutto quello che guadagnava a questo posto.Era difficile da amare, ma con il tempo ho imparato a volerle bene, un po' mi manca" concluse, mentre si allontanava dalla stanza.
"Devo tornare di sotto, fate pure con comodo" ci disse sorridendo cordiale. Poi svanì.

La stanza era perfetta, non c'era nulla di sospetto, così dopo poco l'abbandonammo, scoraggiati.

Qualcosa però mi era rimasto impresso: Elèonore aveva dato ordine a Madame I di inviarmi il pacco dopo una settimana. Perchè?

Poco prima di uscire dal bordello Isabel ci fermò
"Tornate a farmi visita, ci si sente così sole qui"
poi rivolgendosi al fratello
"mi sei mancato Atrèe, torna a casa, fatti vedere dai nostri genitori, saranno felici di sapere che stai bene"
lui la guardò dolce e poi rispose:" come ha detto tu, Isabel, ormai non sono più i miei genitori è passato troppo tempo, ormai sarei uno sconosciuto per loro e non voglio farli soffrire ulteriormente. Non dire loro che mi hai visto."
Poi, senza voltarsi indietro, uscì dal portone del bordello.
Io salutai quella bella donna che mi guardò triste e poi seguii Atrèe.





 

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Capitolo 6
*** 6. Bacio ***


nda: ormai scrivo per me e per quei 4/5 personaggi che hanno il coraggio di seguire questa storia. Mi appello a voi: vi prego di recensirla, perchè ho davvero bisogno di sapere cosa ne pensate sia in negativo che in positivo, per il semplice fatto che mi sta molto a cuore come racconto.
I need You

_Golden

 

6.Bacio

Erano circa le 4 di mattina e ci si poteva deliziare con i primi raggi dell'alba che illuminavano i notri visi stanchi e stravolti.
Sorrisi ad Atrèe, quel giovane uomo m'ispirava simpatia e mi dava l'idea che sotto quell'aspetto trascurato e anonimo, battesse un cuore forte che non è capace di arrendersi.
Lui assottigliò le labbra costringendole in un sorriso forzato che sapeva di amaro e con un cenno della testa mi salutò.
Atrèe s'incamminò nella direzione opposta alla mia.
"Dove ci vediamo?" gli gridai.
Non rispose.
"Allora oggi alle 17 circa!"
Non mi rispose.

Sperai che avesse sentito, ma non ne ero così sicuro così lo rincorsi e lo fermai per un braccio.
Lui lo tolse bruscamente e mi guardò con aria incredula mista a irritazione
"Cosa fai?"
"Scusa, volevo assicurarmi che avessi sentito"
"Non sai il detto 'chi tace acconsente'?"
"Scusa, io non volevo... ti devo accompagnare a casa?" chiesi per abbonirlo un po',
"No, grazie" rispose lui seccato "e per favore non farti più vedere
, continua la tua ricerca senza di me!"
Rimasi allibito.
 Gli domandai del motivo della sua collera nei miei confronti e lui mi rise sprezzante.


Atrèe proprio non sopportava quel ragazzo, tutto di lui emanava felicità e coraggio, a lui sempre mancati
. Perchè avesse accettato di aiutarlo gli era ancora ignoto, ma la possibilità di tirarsi indietro l'aveva presa al volo; non potevano essere compatibili e la rabbia che gli cresceva dentro ogni volta che lo guardava sembrava soffocarlo e si era fatta  ingestibile. Era meglio per tutti e due che le loro vite prendessero strade parallele.
Fu questo ciò che gli disse, mentre gli occhi verdi di David strasudavano
incredulità e tristezza, Atrèe era sicuro di averlo offeso e si congratulò con se stesso: era questo a cui aspirava.
Si preparò psicologicamente ad un insulto o comunque a una qualche risposta da parte del ragazzo e, affinchè questa fosse il più possibile dura e feroce, assunse anche un atteggiamento di superiorità e uno sguardo di sfida, tagliente come un pezzo di vetro.
David invece si limitò a sorridergli, stanco e rassegnato.
Non era concepibile per lui che quel fottuto ragazzino potesse sorridere dopo tutto quello che gli aveva detto, l'invidia nei suoi confronti
lo fece innervosire a tal punto da decidere di umiliarlo in altro modo, se le sue corazze erano impassibili di fronte alle offese non lo sarebbero state altrettanto di fronte ad un'umiliazione diretta, di quelle che lasciano il segno, di quelle per cui si perde il sonno.
Questa volta non avrebbe fallito e David lo avrebbe odiato.

Atrèe ammorbidì la sua espressione.
Prese il giovane viso di David tra le sue mani e lo baciò.

Che quel gesto fosse una lama a doppio taglio, Atrèe lo sapeva bene, ma per lui ormai non aveva più alcun senso: la sua esistenza era troppo vuota e quell'esperienza sarebbe stata una sola tra le tante. Senza alcun peso.

Eppure si sbagliava.

Le labbra che trovò non erano schifite, nè si ritrassero
.

Erano avide. E sapevano di miele.




Non sapevo il perchè lo avesse fatto, ma lo avevo intuito, sentivo l'odio che quel bacio mi trasmetteva.
Intuivo che lo avesse fatto per umiliarmi in qualche modo e, in un certo senso, ci era riuscito eppure mi eccitava.
Era un bacio malato e peccaminoso, ma erotico.
Sentivo ogni fibra del mio corpo vibrare. Il contatto con quel corpo fremente di desiderio almeno quanto il mio, mi faceva desiderare sempre di più quelle labbra dal sapore stantio e di morte.
Quando insinuò la linguà tra le mie labbra dovetti staccarmi:mi mancava il fiato. Ma poi quando reincontrai i suoi occhi carichi di desideri mi riconcessi.
Prima di allora non ero mai stato con un uomo,nè mai, prima di allora, lo avevo desiderato.
Ma come diceva sempre mia madre 'Come fai a dire che non lo desideri se non lo hai mai provato?'

"Forse è per questo che cercavo di tenerti alla larga, tu David sei il mio esatto opposto, e come tale ti odio e ti amo allo stesso tempo."
Non dissi nulla.

A volte un silenzio vale più di mille parole.

"Allora alle 17 qui?" chiesi come in trance.
"Non so se ci sarò. Ma tu aspettami." rispose, questa volta con un sorriso sincero.

Sapevo che non avrei mai dovuto avvicinarmi a quella ragazza dalla treccia color rame.

Non era amore, lo sapevo, o quanto meno era ancora troppo presto da dire, ma ero sicuro che in quell'attimo l'aria era così densa di sentimenti e passione da poter essere toccata.
Rimasi li a fissare il vuoto, mentre la nebbia mattutina risucchiava il leggero corpo che fino a qualche minuto fa era stato la causa di tanto erotismo e eccitazione.

Le labbra, ancora calde, mi pulsavano leggermente.


"Cosa significa amare?"
"Esattamente non lo so, di una cosa sono sicuro però: quando ami qualcuno saresti pronto a morire per lui"
"Penso di amarti"
"Amare è difficile, saresti pronta ad amare uno come me?"
"Si"
Le sfiorò leggermente le mani: fredde come il ghiaccio, mentre la guardava con rassegnazione e malinconia.
"Ti prometto che ti amerò per sempre"
"Non promettere cose che non puoi mantenere"

Si sentì uno scricchiolio. Come quando un vetro, o un cristallo, si rompe.

"Scusa, non volevo rompertelo" disse Elèonore con aria colpevole.
"Oh, non ti preoccupare, è tutto così fragile qui... ormai ci sono abituato e non provo più nulla."
Le sorrise con tenerezza, poi le chiese di chiamare il signor Francisco Moliner per sistemare il danno.
Ubbidì senza battere ciglio.
Qualunque cosa dicesse, lei ormai gli aveva regalato il suo cuore e lui non poteva fare altro che accettarlo. Poteva, però, decidere come trattarlo: se coservarlo nel panno di seta o in quello di iuta, a Elèonore non sarebbe interessato.
Era a questo che pensava mentre si girava tra le mani il ciondolo di topazio che lui le aveva reagalato "Signor Moliner, è successo di nuovo".
L'uomo, di origine ispanico-italiche, si passò una mano tra i folti capelli neri e sbuffò.










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Capitolo 7
*** 7. Blanc ***



7. Blanc



Atrèe camminava avvolto nel suo cappotto beige, con il colletto rialzato e il viso seppellito nel bavero che odorava di fumo e di stantio.
Il ricordo del bacio era ormai un eco lontano nella sua mente, accantonato assieme ad altre cento situazioni che avrebbe voluto dimenticare ma che, mentre dormiva, tornavano a galla più nitidite che mai, facendogli perdere il sonno.
Quando si trovò di fronte al suo appartamento non si stupì neanche tanto di vedere le sue poche cose sistemate malamente sul pianerottolo di casa, sulla scrivania scheggiata e tarmata si distingueva una lettera di sfratto, causa: i suoi mancati pagamenti. Eppure, lo sapeva, prima o poi si sarebbero accorti anche di lui. Sorrise e si allontanò. Non ne valeva la pena di recuperare quella robaccia, non avrebbe neanche potuto venderla talmente era vecchia e malandata.
Passò la mattinata steso sulla panchina del parco davanti alla sua ex-pensione, dormicchiò un po', avvolto in una vecchia coperta.
Decise di andare all'appuntamento, quel pomeriggio alle cinque.
Ormai non aveva niente da perdere.
Questa volta per davvero.
Si sentì ancora più misero del solito e se si fosse visto da fuori si sarebbe sputato in faccia.


Ero li, in piedi davanti alla vetrina della pasticceria Moreau, dove mi ero separato da Atrèe, e anche luogo del nostro eventuale incontro.
Erano le 17.30 e ormai stavo per andarmene quando vidi il riflesso sulla vetrina di un uomo, mi girai ed era li, in piedi che mi guardava impassibile e visibilmente assonnato.
Mi sembrava un fantasma, neanche mi ero accorto del suo arrivo, eppure aveva camminato per raggiungermi e si era fermato anche a poca distanza da me.
"Atrèe" feci "non ti ho sentito arrivare"
"Oh, tranquillo, non sei l'unico"
"Sembri stanco, non hai dormito?"
"Mi hanno sfrattato"
Non continuai il discorso, non sapevo cosa dirgli.
Mi stupii di me stesso nel capacitarmi che riuscivo a guardarlo negli occhi nonostante tutto, e senza alcuna difficoltà ammisi anche che l'accaduto di quella mattina aveva la stessa importanza di un avvenimento sognato e decisi di dimenticare l'accaduto e di non parlarne mai con lui.
Probabilmente aveva pensato lo stesso perchè non disse nulla.
"Ho pensato ad una cosa Atrèe...dovremmo chiedere a tua sorella se ha dei contatti con i cliendi di Elèonore"
"Io non voglio rivederla" disse abbassando lo sguardo e calciando un sasso.
"Se vuoi vado io e tu mi aspetti fuori"
Annuì.
Entrai al bordello da solo, il miscuglio di profumi da quattro soldi e di fumo mi invase le narici facendomele pizzicare.
Madame I era sempre li sul divanetto a fumare una sigaretta, appena mi vide allargò le sue labbra carnose in un delizioso sorriso.
"Che cosa ti porta una seconda volta nel mio bordello?"
"Madame I, prima ho dimenticato di chiedervi se avevate dei contatti con i clienti di Elèonore"
"Qualcuno, ma solo perchè sono anche clienti miei, Atrèe dov'è?"
"E' rimasto fuori"
"Capisco, comunque, seguimi che ti do gli indirizzi e i nomi"
La donna mi portò in una camera da letto con un'enorme scrivania piena di fascicoli e fogli, c'era anche qualche libro, letture semplici ed elementari. Passò le sue mani guantate su un quaderno di carta giallognola e macchiata di rossetto e trucchi vari, afferrò qualche foglio e me li porse.
"Tieni, sono tutti signorotti di alta società, mi raccomando sono informazioni che non dovrei darti per la loro reputazione, ma mi fido, usufruiscine solo personalmente".
"Certo Madame I", dissi baciandole la mano, arrossì leggermente e mi scortò fuori.
Mi salutò con la mano e poi rientrò nel suo locale.
Mostrai a Atrèe gl'indirizzi e mi stupii nel vedere che ne conosceva la metà, eppure dovevo capirlo, sapevo che faceva parte di una famiglia nobile, anche se ormai in bancarotta, aveva frequentato i migliori salotti parigini durante le feste dedicate ai borghesi. Mi guidò esperto verso i quartieri alti, quando ad un certo punto si fermò davanti ad una maestosa abitazione ormai soffocata dalle rampicanti e con il giardino sfatto, la guardò con un moto di nostalgia e amarezza.
"Era casa mia questa, guarda da cosa sono fuggito" disse con la voce tremante per i troppi ricordi che stavano tornando a galla.
Accarezzò dolcemente il cancello di ferro battuto, chissà da quanto tempo non tornava più nella casa paterna.
Benchè avessi fretta capii la situazione e pazientai.
"Non siamo qui per me però" disse, quasi leggendomi nel pensiero.

Gl'indirizzi erano davvero troppi e optammo per quelli scritti più spesso.

Il primo portava ad una grande casa diroccata, molto gotica e opprimente. Apparteneva ad una nota famiglia parigina, famosa nel mondo del commercio, grazie al quale si era notevolmente arricchita.
La famiglia in questione era la rispettabile famiglia Blanc.
I Blanc erano rispettati da più di cinque generazioni e tutti desideravano deliziarsi della loro presenza nelle feste o negli eventi particolarmente importanti, I coniugi correnti erano interessanti e acculturati.
La signora Blanc, nota per la sua bellezza e la sua raffinatezza, era morta durante il parto del terzo figlio. Il marito si era risposato con una giovane donna, che si atteggiava a gran signora, ma che risultava pacchiana e ignorante. Il suo ostentare era antipatico ai più, e la sua figura era da sempre circondata da pettegolezzi velenosi tra cui un presunto incesto.
Ebbene la nuova sinora Blanc non era altro che la giovane Mariè Bonnet, che si era risposata qualche mese dopo aver abbandonato la figlia nel convento.
Mariè stravedeva per i figliastri, nei quali vedeva reincarnati l'eleganza e la perfezione che tanto desiderava nella figlia; li sfoggiava ovunque lodandone ed esaltandone la bellezza, le abilità e l'intelligenza, quasi fossero oggetti di cui vantarsi, ma la sua superficialità era nota e la gente aveva imparato ad ignorarla.

Battemmo con forza alla porta, ad aprirci fu un' inserviente dai capelli canuti raccolti in un piccolo chignon.
"Se cercate la signorina Audrey, non c'è è uscita con la signora Blanc"
Si riferiva alla figlia minore, la famosa Audrey Blanc, che aveva ereditato la raffinatezza della madre e l'acume del padre.
"In realtà cercavamo il signor Blanc"
la cameriera ci guardò un po' stupita, ma ci fece accomodare nell'austera sala da pranzo, informandoci che il signore sarebbe arrivato.


"Chi mi cerca?" disse una voce roca e fredda.
"Buon pomeriggio, mi chiamo David Masson" dissi all'uomo sulla cinquantina che mi si piazzò davanti.
Si ravvivò i capelli brizzolati e mi lanciò un'occhiata interrogativa, di Atrèe non se ne era neanche accorto. QUello che diceva allora era vero, e una morsa di tristezza mi strinse il cuore.
" E lui è il mio amico Atrèe Garcia" dissi indicando il giovane ragazzo che si stava mimetizzando con l'arredamento della sala, l'uomo ruotò gli occhi e fece un segno in sua direzione, Atrèe non rispose e continuò a studiare i dipinti.
"Cosa volete dunque?"
"Conoscete Elèonore Bonnet?"
"DI Bonnet conosco solo mia moglie, una Elèonore la conosco, ma si chiama Blanc ed è mia cugina"
"Quindi non veniva nessuna ragazza che insegnava ai vostri figli a suonare il violino o a leggere?"
"Sì, qualche volta ma si chiamava Sophie e aveva circa il doppio dei tuoi anni, ragazzo"
"Ma Madame I ci ha detto che voi..." non mi lasciò finire la frase perchè a quel nome strabuzzò gli occhi ghiaccio e indurì l'espressione, la faccia gli diventò tutta rossa e mi urlò incontro che lui con conosceva nessua Elèonore e che, per nulla ragione al mondo, dovevo nominare quella donna in casa sua, che lui non aveva nulla a che fare con le sue puttane eccetera.
Dalla sua reazione capì che mentiva, almeno sul conto di Madame I.
Ci cacciò via in malo modo, ma poco prima di chiuderci la porta in faccia la cameriera dai capelli bianchi mi sussurrò qualcosa all'orecchio "La signora Bonnet non sa soddisfare il signore e la signora Sophie non era riuscita a insegnare a suoi ragazzi a suonare il violino, ma lei si...lei era brava".
Non mi disse chi, ma io avevo capito.

Quella famiglia sapeva qualcosa su Elèonore e io l'avrei scoperto.




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Capitolo 8
*** 8. Ricordi ***


 

8. Ricordi




Parigi,13 settembre 1900

 

Rispettabile Francois Blanc,

 

vi prego di perdonare la mia assenza, ma ho avuto problemi di salute per cui non potrò allontanarmi dal mio alloggio.

Se non creo troppi disagi ai vostri figli, potrei tornare ad insegnare loro l'abile arte del violino la prossima settimana. Se, per qualsiasi motivo, dovreste avere bisogno di me non esitate a contattare la mia benefattrice, la signorina Isabel Garcìa.

 

Omaggi

Elèonore B.

 

Non puoi andare avanti così Elèonore” disse Madame I mentre firmava la lettera con la sua perfetta calligrafia da donna colta e ben istruita, quale era stata circa 4 o 5 anni prima.

Si che posso, e non c'è bisogno che ogni volta scrivi una lettera per scusarti, non è colpa mia se quell'uomo ha cercato di toccarmi”

Non dovevi colpirlo e poi non voglio perdere un così importante cliente!”

Tanto non può dirlo, altrimenti gli chiederebbero il motivo. Non si rovinerebbe mai la reputazione.” disse Elèonore mentre un crudele sorriso le si allargava sul viso.

 

Prima di lavorare da Madame Laure, aveva trovato un'occupazione come cameriera nella tenuta di campagna di una ricca signora, a Reims, poco lontano dal convento da cui l'avevano cacciata.

Era laboriosa e silenziosa e l'anziana donna deliziava della sua compagnia, quando morì, i figli ereditarono la proprietà, e con essa anche la servitù.

I nuovi proprietari erano l'opposto della loro amorevole madre e trattavano male il loro personale.

Una volta Elèonore, mentre puliva, urtò un grosso vaso cinese, molto prezioso; il padrone la picchiò con il bastone da passeggio squarciandole lo zigomo destro, e l'avrebbe fatta sanguinare liberamente se non fosse stato per la sarta che, con quello che il cucito le aveva insegnato, le ricucì i due lembi di pelle; fu un lavoro facile perché la ragazza non emise un lamento durante quella macabra e improvvisata operazione, si limitava a versare lacrime di ira miste a dolore. Il risultato riuscì abbastanza bene se non fosse stata per l'imminente infezione che la colpì qualche tempo dopo, dovuta alla scarsa igiene.

Elèonore non si adirò mai con il padrone che l'aveva colpita, da parte sua non ci fu nessuna lite, nessun grido e nessuna minaccia, semplicemente lo ritrovarono morto, con il volto mezzo scorticato due settimane dopo.

Elèonore non c'era già più.

Le dispiaceva solo per la sarta. In fondo le si era affezionata.

Alla magione non mangiava quasi mai e, dopo un intenso periodo di fuga, si ritrovò stremata a strisciare per le vie malfamate di Parigi, fino ad accasciarsi nella scalinata di un bordello, che sarebbe diventato la sua futura casa.

 

Cosa mi dici di lui?” continuò Isabel, dopo aver riletto attentamente la lettera in cerca di un eventuale errore.

Lui chi?”

L'unica persona che ti trova simpatica” scherzò tristemente Isabel, in fondo anche lei le voleva bene e benché avesse solo tre anni in più, si comportava con lei come se fosse sua madre, forse lo faceva in memoria di Madame Laure o forse era per l'incondizionato sentimento di protezione che Elèonore le ispirava.

Elèonore sorrise nel vedere la bella signora assorta in un qualche pensiero, così decise di lasciarla stare senza rispondere alla domanda sull'unica persona che la rendeva fragile e incapace di ragionare.

 

 

Quella volta andò Atrèe a bussare a casa dei Blanc, sapevo che, con ogni probabilità, non si sarebbero ricordati di lui e mi sentii un verme nello sfruttare la situazione a dir poco squallida del mio amico, ma lui accettò di buon grado. Forse anche per ripagarmi dell'ospitalità che gli avevo offerto finché non avesse ritrovato una casa.

 

Atrèe era li, nel salone che aveva visitato appena tre giorni prima ma , come aveva previsto David, non si ricordavano già più di lui.

E' settimana di visite” trillò una donna dai lunghi capelli rossi, il viso da volpe e gli occhi leggermente violacei sondarono il viso asciutto e neutro di Atrèe. Il ragazzo ebbe un guizzo al cuore, quella donna assomigliava in modo impressionante alla sua Elèonore, con l'unica differenza che, pur essendo cento volte più bella, non aveva lo stesso fascino. David lo aveva avvertito: si trovava di fronte alla madre del suo angelo, la stessa che l'aveva ripudiata.

Sentì crescere un sentimento di odio e di ira nei suoi confronti e non riuscì nemmeno a guardarla negli occhi per il ribrezzo che provava nei suoi confronti.

Tesoro! Questo bel ragazzo ti aspetta!” ogni sua parola risultava ipocrita, come la sua immagine, che spruzzava veleno e viscidume da tutti i pori. Se c'era davvero qualcosa in cui Atrèe era bravo era quella di capire al volo che genere di persona avesse davanti, sia per lo sguardo, sia per la voce. Ci azzeccava quasi sempre.

Non ci siamo già visti ragazzo?”

Non credo”

Cosa vuoi allora?” disse cordiale l'uomo

Vorrei un lavoro” disse prendendo due piccioni con una fava: dall'interno avrebbe potuto indagare meglio e, in più, avrebbe guadagnato quanto gli serviva per una nuova casa.

Non che ce ne serva, devo essere sincero, ma voglio aiutarti, mi sembri molto messo male, da quanto non mangi?”

Da molto” mentì “comunque so leggere, scrivere e suonare il pianoforte”

Attività da nobili” scherzò il signor Blanc “dove hai imparato”

Un po' qui, un po' la” mentì vago Atrèe, gli era facile mentire, con quel suo volto che da cui non trapelava mai alcuna emozione.

Di solito qui facciamo insegnare il violino, ma il pianoforte è un bello strumento, perché non provi?”

Si, devo farvi sentire qualcosa?”

Magari” rispose raggiante l'uomo.

Atrèe venne guidato fino alla sala da musica: ampia con il pavimento in marmo e le colonne di granito verde, il soffitto era riccamente decorato e, in mezzo, si ergeva un meraviglioso pianoforte di mogano, tutto impolverato.

Lo suonava la mia prima moglie” disse Blanc con nostalgia
“Lei si che era talentuosa, non come la puttanella che mi sono sposato adesso, ma che volete? Quelle c'ingannano sempre” gli confessò.

Atrèe si mise alla tastiera e suonò perfettamente un motivo complesso mettendoci tutti i sentimenti che aveva represso in quegli anni, aveva dimenticato quanto gli piacesse suonare. Blanc aveva gli occhi lucidi per l'emozione.

Sei bravo come lei” disse “ Ti aspetto domani allora...come hai detto che ti chiami?”

Non l'ho detto...comunque sono Atrèe” tralasciò volontariamente il cognome

Sicuro che non ci siamo mai visti? Hai un non so che di famigliare”

Sicurissimo” disse sorridendo.

 

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Capitolo 9
*** 9. Quadro ***


 

9.Quadro


Era bello per Atrèe poter lavorare in una villa così sontuosa, nonostante quell'aspetto gotico e buio che assumeva quando il sole iniziava a tramontare.
Stare li, anche se solo per qualche ora, lo riportava ai bei tempi in cui viveva nelle agiatezze e nella ricchezza della sua famiglia.
I figli dei Blanc erano abbastanza affabili e sicuramente degni della loro fama, non erano maleducati ne rumorosi, e ascoltavano con partecipazione ciò che lui insegnava loro.
La sua allieva preferita era sicuramente Audrey, che in un certo senso gli ricordava la sorella che, per il lavoro che faceva, aveva dovuto abbandonare in fretta la freschezza e l'innocenza della sua età, di cui Audrey era in pieno possesso.
La ragazza viveva ogni giorno come se fosse l'ultimo, era piena di vita e altamente virtuosa, non si lasciava mai sopraffare dalle delusioni o dalla tristezza e guardava il lato positivo di ogni situazione, quando suonava dava tutta se stessa e se stonava qualche nota, continuava, come se non fosse successo nulla. La giovane ragazza seguiva Atrèe ovunque e lo guardava con aria sognante e piena di ammirazione, era un modello per lei e si era innamorata del suo modo di suonare; invidiava la sua freddezza e la sua capacità di essere sempre obiettivo.
Il suo viso la intrigava perché era segnato dalla sofferenza, sentimento che le era totalmente estraneo.
Per quanto fosse un amore totalmente platonico, per via della differenza d'età, Atrèe godeva di tutte quelle attenzioni e dell'adorazione che la giovane Blanc gli dedicava.

Per la prima volta nella sua vita si sentiva apprezzato. E le sorrideva spesso.

Erano sorrisi autentici i suoi, ricchi di gratitudine e affetto.

Era proprio come la sua amata sorella, quella che aveva abbandonato 5 anni prima, e che il tempo si era portato via; la sua adorata Isabel che non avrebbe più rincontrato, quella giovane bionda che ballava in giro per casa, con il sorriso innocente e gli enormi occhioni azzurri che brillavano di gioia.
Quella che aveva visto al bordello era solo l'ombra di Isabel, una bambina che era dovuta diventare donna troppo in fretta, trasformandosi così, in una perfetta Madame I delusa dalla vita e dalle persone che amava di più, la cui malinconia era più grande della sua stessa figura, la tristezza che aleggiava attorno a quella, che una volta era sua sorella, era irrespirabile per lui, al punto da non volerla più vedere.
Per quanto riguardava gli altri figli dei Blanc, i gemelli Alphonse e Cèdric, ad Atrèe piacevano, erano dei ragazzi intraprendenti e spiritosi, meno virtuosi della sorella, ma ugualmente dotati; erano circondati di amici ed erano degli ottimi intrattenitori, la facilità con cui entravano in confidenza era impressionante, ed erano capaci di parlare ore senza essere mai né noiosi né banali.
Anche il signor Blanc era un brav'uomo, forse un po' troppo freddo e duro,ma erano quelle le caratteristiche che richiedeva l'alta società ad un padre di famiglia, nonché ricco commerciante; l'unica che non sopportava era Mariè Bonnet, Atrèe proprio non capiva come potesse essere la madre della persona a cui teneva di più; si vedeva benissimo che neanche lei lo sopportava, ma era così falsa e costruita da fare finta di trovarlo simpatico e gli faceva spesso dei regali, che lui prontamente ridava o regalava a David come pagamento per l'ospitalità.

Anche la servitù non era male, la cameriera dai capelli canuti gli aveva spiegato la storia della villa e di ogni suo oggetto, persino dei quadri.

Quello che aveva colpito di più Atrèe era un ritratto di famiglia, era stato dipinto poco prima della morte della vecchia signora Blanc: era seduta su un'elegante poltrona e aveva i lunghi capelli corvini sciolti, che le ricadevano sulle spalle e gli occhi così verdi da sembrare smeraldi.
Il signor Blanc era molto più giovane, i gemelli erano dei bambini di 2 o 3 anni e Audrey era un pargoletto di stoffa adagiato sue grembo della madre.

Un giorno la giovane Blanc lo sorprese mentre studiava quel quadro, immerso nei suoi pensieri.

Quella sono io, vedi?” gli chiese indicando il fagotto

Ero appena nata e mio padre dice che assomigliavo tanto a quella bambola di porcellana” disse indicando una figura cicciottella, con la pelle color alabastro e gli occhi verdi incorniciati da folte ciglia.

effettivamente ha i tuoi stessi occhi, sono molto belli” ragionò ad alta voce Atrèe, Audrey deliziata da quel complimento arrossì.

Sai, non dovrei dirtelo, ma mi fido di te” fece una pausa per aumentare la suspance

Questo quadro contiene un segreto, me lo hanno detto i miei fratelli, ma non mi vogliono dire qual è, forse non lo sanno neanche loro” concluse soddisfatta la ragazza, contenta della curiosità che aveva destato nel suo maestro di pianoforte.

Quindi se chiedo ai gemelli loro potrebbero rispondermi?”

Chi lo sa...” rispose enigmatica Audrey poco prima di sorridere nostalgica ad una madre che non conosceva se non nei suoi sogni più profondi e puri.

Ora devo uscire con Mariè, che mi porta a comprare un nuovo abito” disse con aria scocciata la ragazza.

Atrèe salutò la sua allieva preferita con un buffetto sulla guancia e la osservò allontanarsi con i morbidi capelli neri che le rimbalzavano sulla schiena.

 

Un segreto?” si domandò a quel punto, avrebbe aspettato l'arrivo dei gemelli o lo avrebbe scoperto da solo?

La sua indole di uomo annoiato e svogliato gli consigliò di aspettare i ragazzi, ma, quasi senza accorgersene, cominciò ad accarezzare la tela, i tocchi di colore passavano sotto i suoi polpastrelli dandogli una piacevole sensazione di solletico, quando passò sulla tenda rossa, però, la pittura si fece più spessa, come se fosse stato pitturata in un secondo momento, anche la tenda, infatti, era diversa rispetto a quella dipinta sull'altra parte del quadro.

Era chiaro che i Blanc volevano nascondere qualcosa che, molto probabilmente, poteva risultare scomodo se non distruttivo per la famiglia.

 

Un segreto, appunto.

 

Atrèe sentì una scossa percorrerlo, era la seconda volta a distanza di pochi anni che aveva quella magnifica sensazione.

 

Per la seconda volta si sentiva vivo.

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Capitolo 10
*** 10. Parigi,1907 ***


 

Parigi,1907



Lo guardavo dormire spesso, seduto accanto a lui, mi veniva voglia di accarezzargli i sottili capelli biondi, l'avevo anche fatto una volta. Non glielo dissi mai, mi vergognavo troppo.
Sembrava un bambino che aveva bisogno di protezione, così rannicchiato in un lato del letto con le mani sotto il cuscino, non faceva rumore e il suo respiro era impercettibile, la sua pelle bianca lo faceva sembrare morto.
Mi ero affezionato a lui, il mio coinquilino abusivo che mi pagava a vestiti e libri. Sapevo che non li comprava lui, ma potevo solo accettarli e sorridergli grato.
Non parlavamo quasi mai, ma ci bastava un'occhiata per capirci e di una cosa ero sicuro: anche lui era capace di amare, e quando mi parlava di Isabel o di Elèonore vedevo i suoi occhi illuminarsi di una luce particolare; un misto di orgoglio e amore. Il destino era stato crudele, aveva preso di mira una persona tanto ingenua quanto fragile trasformandola in uno spettro che viveva a metà tra il passato e il presente che lui stesso inventava.
A volte vaneggiava, raccontava situazioni comuni ingigantendole di cento volte. Io lo ascoltavo divertito e partecipe per non risultare offensivo nei suoi confronti, in cambio lui mi guardava sorridendo e quello che leggevo nei suoi occhi era gratitudine.
Si era appassionato alla nostra ricerca e dava tutto se stesso per carpire informazioni dai Blanc e, benché non scoprisse mai nulla di nuovo, continuava imperterrito, anche perchè il lavoro d'insegnate lo gratificava particolarmente.
Mi raccontò del misterioso quadro, assicurandomi che prima o poi avrebbe scoperto cosa c'era sotto lo spesso strato di vernice rossa.
Dovetti rassegnarmi a lasciare ad Atrèe il compito di scoprire il mistero, io ero inutile e non potevo aiutarlo, ormai eravamo sicuri che il segreto di Elèonore era rinchiuso in quella casa, l'unica cosa che potevo fare era di indagare su Dita di cristallo, ma più ci provavo più non arrivavo a nessuna conclusione, nessun artista aveva questo pseudonimo, nessuno scrittore e nessun musicista, così archiviai il caso e mi rassegnai a considerarlo solo un personaggio inventato dalla mente malata di Elèonore, un angelo della Morte che lei si era creata per rendere l'addio meno doloroso.

L'amico che conservava il suo cuore era venuto a reclamarla per unirla di nuovo a ciò che lei gli aveva donato anni prima.

La collana doveva essere un dono del signor Blanc che, probabilmente, era anche il colpevole della sua morte, per quanto ne sapevo avrebbe fatto di tutto pur di conservare la propria reputazione impeccabile.

Anche uccidere.

Parigi, 1907

Gli anni passarono lunghi e i giorni scivolavano via lentamente, l'immagine di Elèonore stava diventando solo un dolce ricordo e la sua risata un eco lontano, i suoi capelli si fondevano con il fuoco del bordello; arrivai perfino ad archiviarla nella sezione “sogni” del mio cervello, se pensavo a lei non sentivo più battere il cuore.
Finché il tempo non fece il suo corso e consumò lentamente l'immagine dell'unica donna che avevo mai amato, il suo viso non aveva più lineamenti e la sua voce non aveva più suono.
Ora passavo molto tempo con Isabel e ormai eravamo diventati amici, la andavo a trovare quasi tutti i giorni e le parlavo spesso. A volte la invitavo a cena, era una donna molto spiritosa ed elegante, e aveva il fascino maturo e vissuto che solo una “Madame” ha.

Avevo 23 anni, e avevo abbandonato quella bizzarra e inconcludente caccia all' uomo o, in questo caso, alla morte. Elèonore riposava in una fossa comune, come lei stessa aveva predetto.

Per me esisteva solo questa verità.

Dobbiamo smetterla con questa storia” dissi una volta ad Atrèe, lui mi guardò incredulo e spalancò gli occhi grigi, per avere quasi 30 anni era ancora molto infantile e ingenuo.
Non vuoi più scoprire chi ha ucciso Elèonore e chi è Dita di cristallo?!”
Ascoltami Atrèe, Dita di cristallo non esiste, ho cercato un possibile artista con questo pseudonimo e non c'è nessuno. E' chiaro che è un' invenzione di Elèonore” risposi spazientito.
Ma i Blanc hanno un segreto, lo dici anche tu
Non sappiamo se riguarda Elèonore”
Ma Eloise – la cameriera dai capelli canuti- ci aveva detto che frequentava quella casa assiduamente, e poi a me ne ha parlato tante volte. Elèonore insegnava il violino ai gemelli e ad Audrey, ma pare che avesse alzato uno scandalo interno costringendo il signor Blanc a prendere provvedimenti. Da quel giorno li non fu più vista, è ovvio che c'è qualcosa di marcio in quella casa!” obiettò giustamente Atrèe.
Atrèe! Non lo capisci che è stato il signor Blanc ad ucciderla? E' così ovvio! Ma noi non possiamo fare nulla perché non abbiamo prove!”
Non è possibile! E' un uomo buono, tu non lo conosci David... e comunque vuoi abbandonarmi così? A un passo dalla soluzione?” rispose adirato lui, poi mi prese per le spalle e fissandomi continuò “Ci sono quasi, capisci?! Quel quadro mi darà una risposta, lo sento...non volevo dirtelo, ma la signora Bonnet ha intenzione di fare dipingere un altro quadro di famiglia per sostituire quello vecchio, pare che non sopporti la vista della vecchia signora Blanc. Potrei comprare quello vecchio!”
Stai vaneggiando Atrèe! Tieni i soldi della paga per te, così potrai permetterti una casa, non sprecarli per una cosa così sciocca!” gli risposi liberandomi dalla sua stretta maniacale.
ELE'ONORE NON E' UNA COSA SCIOCCA!” mi urlò all'improvviso “se per te lo è diventato è uguale, ma per me non lo è, e tu non hai il diritto di toccarla” fece una lunga pausa “non capisci David? Io la amavo...” disse sull'orlo delle lacrime.
Mi lasciò basito “Allora continua questa ricerca se è così importante per te, ma non tirarmi in mezzo, io mi dissocio, potremmo immischiarci in situazioni troppo pericolose” risposi freddo

Non è questo tu l'hai dimenticata ed è troppo doloroso ammetterlo per te. Preferisci eliminarla dalla tua vita invece che confrontarti con il suo ricordo...non è vero?”
Si” ammisi, mentre spostavo il mio sguardo dal suo viso al pavimento “Ma non hai il diritto di giudicarmi”
Neanche tu” rispose lui distaccato. Ecco l' Atrèe che conoscevo: freddo, distante e piatto. Provai un moto di disgusto nei suoi confronti.
E poi, penso di essermi innamorato di Isabel” conclusi.
Non sono affari miei, non più.” ribatté lui piatto.
Se volevo ferirlo non c'ero riuscito, il tempo aveva spezzato il forte legame fraterno tra i due, così che Isabel era diventata un'estranea o, forse, era semplicemente più maturo di me e non aveva voluto cogliere la mia infantile provocazione.

Ora, se non ti dispiace, vado dai Blanc”

Atrèe era un essere troppo difficile da capire alternava momenti di alta maturità a momenti di infantilismo, mi sforzavo di comprenderlo ma non ci riuscivo, il mio errore fu quello di rinunciarvici.

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Capitolo 11
*** 11. Addio ***


 

Addio




La signora Bonnet si sedette impettita sulla stessa poltrona del ritratto di famiglia, sorrideva. Si era messa il vestito da festa e i capelli ramati erano raccolti in un'elaborata acconciatura, accanto a lei si ergeva l'importante figura del marito che, però, non sorrideva: si limitava a conservare la sua aria autoritaria e fiera.
A destra del signor Blanc i due giovani gemelli e a sinistra della matrigna la bella Audrey Blanc che, nonostante la povertà del vestito e i capelli legati in una semplice treccia, facilmente oscurava la figura di Mariè. Il seno generoso era stretto nel corpetto ciano e la gonna dello stesso colore scendeva sinuosa lungo le sue gambe, sorrideva fiera ad Atrèe che la guardava con sincera ammirazione.
Quando il pittore finì la sua opera,parecchie ore dopo, Mariè Bonnet rimase soddisfatta del risultato, benché non fosse paragonabile al meraviglioso quadro appeso nell'entrata. Quello nuovo era più piccolo e meno ricco di particolari, le pieghe degli abiti erano accennate e poco precise, ma Francois Blanc accettò a sostituirlo con quello vecchio, lui stesso preferiva sbarazzarsi della continua presenza della ex moglie che gli tormentava i sogni, ricordandogli continuamente dell'errore che aveva commesso sposando la bella Mariè Bonnet.

Cosa ci farete con il vecchio quadro?” chiese con nonchalance Atrèe al signor Blanc.
Non lo so ragazzo...Mariè non vuole vederlo quindi non potrei neanche appenderlo da un'altra parte...”
Potrei comprarlo?” chiese a quel punto lui, illuminandosi
Come, scusa?” domandò esterrefatto l'uomo
Mi piace molto...potrei comprarlo?”
Tesoro, sei molto strano sai? Se vuoi posso commissionare una copia di quello nuovo...” s'intromise Mariè con la sua voce languida e viscida allo stesso tempo.
No. Voglio quello vecchio, è un peccato accantonarlo, se lo avessi io almeno non andrebbe dimenticato, né si rovinerebbe con la polvere” rispose Atrèe freddo, sorridendo falso.
Mariè, vedi? Atrèe capisce la vera arte...quello che abbiamo fatto oggi non si può assolutamente paragonare a questo” disse accarezzando al figura dell'ex moglie
Puoi prendertelo ragazzo...” concluse Blanc sorridendo, era fiero di quel giovane: era razionale e apatico, le qualità necessarie per fare una carriera rilevante.
Quando furono soli il signor Blanc continuò: “C'è una sola condizione, non devi assolutamente rovinarlo, verrò a trovarti spesso per controllare il suo stato. Se trovo anche un solo striscio nel colore ti ammazzo, quel dipinto contiene un segreto e tale deve rimanere” Atrèe sussultò sconvolto dalla semplicità con cui quell'uomo parlava di morte, era sicuro di quello che diceva e non notò alcuna crinatura nella sua voce. “Mi piaci Atrèe, dico davvero, non farmi pentire della mia decisione” gli disse appoggiandogli una mano sulla spalla, poi gli porse il pesante dipinto.

Quella sera Atrèe rimase ore a fissare la tenda rossa del dipinto, non aveva cenato, David lo aveva tormentato un'ora chiedendogli di quel quadro e di come lo avesse ottenuto, ma Atrèe era ferreo: se si tirava fuori dalla faccenda rinunciava a tutto.
Il ragazzo cercò delle strategie per eliminare lo stato di vernice senza rovinare il quadro, cosa assolutamente impossibile. L'unico modo era trovare il pittore che aveva rifatto la tenda e fargliela ridipingere nuovamente, non sapeva neanche il nome e quindi anche questa ipotesi era da scartare; lui non poteva ridipingerla perché non ne era in grado e David nemmeno, poteva cercare un pittore qualunque sperando che la riproducesse nella maniera più fedele possibile ma, per il signor Blanc che lo aveva avuto davanti agli occhi per tanti anni, sarebbe stato una sciocchezza riconoscerne l'autenticità.
Quella notte non dormì, ogni soluzione gli sembrava impossibile e irrealizzabile e, per quanto lo negasse, iniziava ad avvicinarsi sempre più all'unica conclusione che gli sembrava concreta.

La mattina successiva dopo la visita del signor Blanc, si attrezzò di un piccolo tagliacarte e, con delicatezza, iniziò a staccare la vernice rossa, fu un lavoro minuzioso e complicato agevolato, però, dallo spessore della vernice. Mano a mano che la vernice rossa cadeva Atrèe si sentiva più elettrizzato, osservava incuriosito il blu che appariva e il grigio scuro ancora macchiato di rosso, ad un certo punto, però, si fermò di colpo facendo cadere il tagliacarte per terra. Le mani gli tremavano ed era impallidito, sentì un grande senso di nausea.

Aveva scoperto un volto. Un volto di bambino, il grigio era il colore della sua giacca e il blu quello dei pantaloni.
Era pallido e aveva uno sguardo stanco e malaticcio, doveva avere circa l'età dei gemelli.
Ecco il segreto dei Blanc. Chi era quel bambino? Perché lo avevano nascosto sotto uno stato di vernice?
Atrèe si sedette sulla poltrona, non riusciva a tenersi in piedi e studiò quel ragazzino: forse un figlio morto? Ma perché dovevano coprirlo? Anche la signora Blanc era morta, ma non era stata coperta.
Atrèe cerco di trovare un senso logico a quell'azione, ma proprio non lo trovava.

Aveva poco senso ormai.

Chiamò David e gli mostrò il dipinto e quello che aveva scoperto
David, io non ti ho mentito, vedi?”
Si Atrèe...avevi ragione, ma io proprio non me la sento di riprendere la ricerca”
Ti prego David...”
Non puoi farlo tu? Ti ho detto già come la penso”
Si, posso ma ho bisogno di te, da solo non posso farcela, sei il migliore amico che abbia mai avuto, non abbandonarmi”
David lo guardò con i suoi laghi verdi colmi di sentimenti

D'accordo Atrèe, ma solo per te...”
E per Elèonore”
Sorrise triste “No, solo per te”
Atrèe gli prese le mani e gliele strinse grato “Grazie, davvero”.

Atrèe gli offrì la cena in un ristorante di lusso per festeggiare, diceva lui. Spese quasi tutto il suo denaro, ma mangiò sempre con il sorriso sulle labbra, gli occhi sprizzavano gioia autentica, una gioia mai provata prima e Atrèe assaporò ogni secondo di quella cena, dalle battute di David ai sorrisi dei camerieri, fatti per circostanza.
Parigi, quella sera gli pareva ancora più bella, le luci delle case e dei lampioni rendevano calda l'atmosfera, contrastando l'aria fredda che gli faceva lacrimare gli occhi grigi.
Era bello poter condividere quei momenti con David, assaporava ogni cosa con minuziosa attenzione e s'imprimeva nella memoria ogni particolare di quella serata: il cibo, il colore della tovaglia, i fiori nel centrotavola e i pesciolini nell'acquario. Tutti lo avevano sempre paragonato ad un pesce, ma per lui era un complimento, gli piacevano, con quelle code colorate che sembravano fluttuare nell'aria, i riflessi delle squame che cambiavano ad ogni movimento.
I pesci erano animali eleganti e aggraziati, che non si lasciavano toccare. Potevi solo limitarti ad osservarli incantato. Ti permettevano di fare solo quello.
Atrèe cominciò a pensare ad Elèonore, avrebbe tanto voluto che lei fosse li con loro, a sorridere e, se si sforzava, riusciva anche a vederla: li osservava da dietro l'acquario, bella come sempre con la treccia che le scendeva lungo la spalla. Gli stava sorridendo con gli occhi leggermente violacei ereditati dalla madre, era proprio come se la ricordava: la collana di topazio che pendeva dal suo collo di cigno stava sbattendo contro il vetro dell'acquario, Atrèe alzò una mano per salutarla e lei contraccambiò, poi sussurrò qualcosa, il ragazzo sorrise dolce e annuì poi si girò. Quando tornò a guardare l'acquario Elèonore era sparita.
David lo fissava divertito e lui imbarazzato spostò lo sguardo sul piatto.

Quella sera nevicò, era la prima volta dopo tanti anni e Atrèe ringraziò la natura perché per una volta era riuscita a renderlo felice, il cielo era bianco.Gli era sempre piaciuto il bianco, per lui era assenza e presenza di tutto, potevi trovare solitudine o compagnia in quel colore, bastava solo scegliere. Aveva sempre cercato la solitudine, quella sera invece cercò la compagnia, decise così. Quando fu ora di tornare Atrèe chiese a David di rimanere un po' da solo con il quadro e lui acconsentì ritirandosi nella sua camera da letto.
Il biondo accarezzò la tela scalfita del dipinto.
Passò il dito affusolato lungo i contorni che delineavano la figura del bambino e non si accorse neppure di sorridere, piano piano quel sorriso di trasformò in una risata argentea, una risata pura. Non aveva mai riso così i gusto. Il motivo? Non c'era nessun motivo, era questo che rendeva la cosa così divertente. Nell'altra stanza David sentì quella risata e fu contento nel sentire che anche il suo amico ne era capace.

Atrèe si alzò presto, afferrò il quadro e ritagliò la figura del bambino la nascose sotto la federa del materasso, poi scrisse un biglietto a David per indicargli il nascondiglio e altre cose irrilevanti poi, con il quadro sotto il braccio, uscì di casa affondando con i piedi nella neve e venendo inghiottito dalla nebbia.
Aveva deciso che,per una volta, non sarebbe stato l'uomo vigliacco e vile che si era sempre dimostrato. Sarebbe stato un vero Garcia, si sarebbe dimostrato degno del suo cognome. Ripensò ad Isabel e ai suoi genitori: li avrebbe resi orgogliosi di lui, mentre le lacrime scorrevano lungo il suo viso i ricordi lo invasero e si soffermò sugli occhi azzurri di sua madre e sul sorriso rassicurante di suo padre.

La neve aveva ormai assorbito tutto il sangue colorandosi di rosso, ma non sentiva più dolore, era come se il corpo si fosse addormentato e, anche se il logoro cappotto color beige era tutto inzuppato, lui non aveva freddo. Non sentiva nulla.

Solo un gran senso di pace.

Se avesse dovuto scegliere un colore che rappresentasse la morte, avrebbe scelto il bianco. Come la neve. Non poteva chiedere altro.

Sentiva ancora l'odore di Audrey e le sue lacrime che cadevano sul suo viso freddo e bianco come il suo letto di morte. Il sangue spiccava su quel corpo inanime, il signor Blanc non aveva sbagliato il colpo: la pallottola si era infilata dritta nel suo cuore. L'aveva avvertito.
Al quadro mancava quel pezzo. Ucciderlo non avrebbe avuto senso, era solo una piccola vendetta, Francois Blanc lo aveva rispettato fino alla fine, ammirava il suo coraggio e la sua freddezza. Peccato, pensò, sarebbe potuto diventare un ottimo imprenditore, avrebbe fatto strada. Il signor Blanc ignorava, però, i sentimenti che la figlia provava per quel ragazzo che appariva più bello nella morte che nella vita, Audrey pianse sul corpo tutte le sue lacrime incurante del freddo e dei continui richiami da parte di matrigna e fratelli, il padre portandosi via la vita di quell'uomo si era portato via anche il suo cuore, non sarebbe più riuscita a perdonarlo.

Così finiva la vita di Atrèe Garcia, nato come nessuno e morto allo stesso modo, ma con un cuore che, finalmente, aveva conosciuto l'amore e l'amicizia, quella vera che solo in pochi possono vantare.

Ti aspetto” gli aveva detto Elèonore, quella sera al ristorante.

 

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Capitolo 12
*** 12. Dita di cristallo ***


 

Dita di cristallo



Al funerale di Atrèe Garcia erano presenti solo tre persone: io, Isabel e Audrey Blanc. Un bel modo per salutare una delle migliori persone che abbia mai conosciuto.
Tre visi parzialmente conosciuti a piangere su una tomba di uno sconosciuto.
Ancora non mi capacitavo della sua morte, eppure era successo, un avvenimento comune nella vita di ogni uomo, e allora perché sconvolge tanto?
Forse perché era così giovane, forse perché viveva con me o forse perché ci accomunava l'amore per la stessa persona? Qualunque fosse la risposta, sarebbe certamente stata incomprensibile alla mente umana, incomprensibile come i legami che tesse il ragno delle relazioni, invisibili ma resistenti come il titanio che solo la morte può, appunto, distruggere; eppure non ne ero così sicuro: comunque sarebbe andata sarei rimasto legato a quel ragazzo per sempre.
L'avrei rivisto ogni notte, quando la nebbia avvolge le strade e confonde le sagome degli alberi e dei marciapiedi e dei lampioni, l'avrei rivisto davanti a me, con i capelli biondi e l'impermeabile beige mentre sorrideva.
La neve mi stava facendo perdere sensibilità ai piedi, ma non osavo muovermi, l'aria pesante impediva qualsiasi movimento e ulteriore tristezza si andava sommando a quella già enorme che ricopriva le gracili spalle di Isabel Garcia.
Quella donna dalla pelle cinerea fissava con sguardo vuoto la lapide che portava scritto il nome del fratello perso già una volta.

 

Atrèe Garcia

Parigi 18 gennaio 1879 - 17gennaio 1907

rispettabile amico e amorevole fratello

 

Era buffo: era morto il giorno prima del suo compleanno. Sorrisi, nonostante il momento grigio e triste. Anche la natura sembrava piangere la sua scomparsa: il vento non soffiava più e aveva smesso anche di nevicare, Audrey mi aveva rivelato che Atrèe era morto con il sorriso, più probabilmente era una smorfia. Non glielo dissi, soffriva già abbastanza.

 

Gli volevo bene” mi disse Isabel

Anche io”

Lui non voleva più vedermi ma è normale, in tutti questi anni non l'ho mai cercato” continuò cominciando a singhiozzare

No, non posso piangere: è troppo facile farlo adesso, quando tutto è finito” si disse cercando di trattenere l'ennesimo singhiozzo.

Isabel, piangere ti farà bene” cercai di suggerirle io

Se continuassi a farlo non mi fremerei più: si piange per tutti gli errori commessi, non lo sai?”

Scossi la testa, mi rattristai pensando quanto poco si volesse bene Isabel, sentiva sulle spalle tutte le colpe della sua vita e, probabilmente, si addossava anche quelle altrui. Le lanciai un'occhiata di sfuggita, il suo volto era tornato quello di una bambola di porcellana distaccato e bellissimo. Mi fece paura. In quei tratti riconobbi il viso di Atrèe, dopotutto erano fratelli. Anche se erano completamente diversi, scorreva lo stesso sangue nel loro corpo e portavano lo stesso cognome, in un certo senso stare con Isabel era come stare con Atrèe.
Penso fosse stato normale pensare quelle cose, quando muore una persona importante, non si riesce ad accettarlo e quindi si trovano scappatoie per sentirsi, in qualche modo, ancora vicini a quella persona.
Eppure il suo corpo freddo ed esangue era qualche metro sottoterra e sarebbe passato poco tempo prima che la putrefazione lo decomponesse, nelle sue viscere si sarebbero sviluppati i vermi, quelli bianchi e cicciotti: le larve della putrefazione, appunto. Di lui sarebbero rimaste solo le ossa e qualche capello, avrebbe passato l'eternità a fissare il coperchio della bara con le sue orbite vuote e il cranio lucido.

La Morte. Già una volta mi ero confrontata con essa. La signora della vita.

La vita sarebbe continuata per tutti, tranne che per noi tre che, con il cuore che sanguinava, ci cingemmo a lasciare il cimitero innevato.

Fu come dare “l'addio” definitivo ad Atrèe.

 

Audrey svanì dietro il primo angolo con le guance rigate dalle silenziose lacrime che non avevano mai smesso di scorrere.
Rimanemmo solo io e Isabel.
O meglio.
Rimasi solo io. E l'ombra di Isabel.
La mia amica era ancora al cimitero, nella tomba assieme al fratello.

Da quand'è che sei morta?”
E tu?”
Mi lasciò così. La vidi allontanarsi strisciando i piedi nella neve fresca, la gonna bagnata e il vecchio cappellino nero. Finalmente capii quello che intendeva Atrèe quando diceva che Isabel era una bambina cresciuta troppo in fretta.

 

Il signor Moliner gli aggiustò la mano con una fasciatura, era l'ottava di quel mese. C'erano stati periodi peggiori in cui le fratture non si limitavano solo alla mano, eppure aveva imparato a vivere così, aveva accettato la sua malattia che gli degenerava le ossa fino a farle diventare della stessa consistenza del cristallo.
Il suo nome? Che importanza aveva saperlo? Nessuno lo chiamava.
Per lei era “Dita di cristallo”, gli piaceva: lo faceva sentire prezioso nella sua fragilità, come un tesoro, così lo fece suo.
Viveva li, rinchiuso da ormai troppi anni e lei era l'unica che lo venisse a trovare per piacere e non per circostanza.
Elèonore era innamorata di lui e lui lo sapeva, ma non meritava di esserlo e così l'aveva respinta più di una volta sperando che si stancasse di lui e lo lasciasse morire nella sua solitudine, la sua vita era effimera e inutile e, una ragazza come Elèonore così vitale e sana, non meritava di amare una persona la cui vita era appesa ad un filo. L'amore è cieco, però ed Elèonore non lo abbandonò mai.

Certo, anche Dita di cristallo l'amava, ma non come avrebbe voluto: non potevano toccarsi né sfiorarsi potevano solo parlarsi. Questo lo distruggeva: avrebbe tanto voluto intrecciare le sue dita tra i fili di rame della ragazza, accarezzarle la pelle e assaporare il sapore delle sue labbra, ma non poteva.

Cosa si prova a vivere qui?”

Quello che provi tu”

Elèonore storse il naso “Io non provo nulla”

Appunto.”


nda: ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita fin qua! :D

 

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Capitolo 13
*** 13. Come una Fenice ***


 

Come una Fenice



Tornai a casa distrutto fisicamente e psicologicamente, mi sembrava di essere stato investito da una di quelle automobili che tutti i nobili aspiravano ad avere, già una volta mi era capitato: era una Mercedes simplex, inventata da un certo Emil Jellinek, un tedesco. Quella volta me la cavai con una frattura alla caviglia, niente di più o,almeno, nessuna ferita emotiva.
Ero così stanco che mi trascinai in camera, chiusi gli occhi ma non riuscii a dormire,la casa era stata marchiata dalla presenza di Atrèe: nell'aria aleggiava ancora il suo odore, mi alzai spossato dal letto e mi recai nella stanza del mio amico deciso a chiuderla per sempre, tanto per esorcizzare la sua presenza e concentrarla in quella che una volta era la sua stanza.
Quando entrai sentii le lacrime premere contro gli occhi, impazienti di uscire, ma non potevo piangere per la stessa ragione di Isabel, con grande difficoltà le ricacciai dentro e sondai la stanza alla ricerca di una traccia di Atrèe da poter conservare. Non c'era nulla però, era entrato nella mia vita come un fantasma e ne era uscito allo stesso modo, senza lasciare nessun segno della sua presenza.
C'era solo un foglietto sul comodino, accanto al letto. Un appunto forse; lo presi e lo lessi:

Avrei dovuto dirtelo a voce, lo so, ma proprio non me la sentivo. Ho fatto una cosa irreparabile, che mi costerà la vita. E' stata una scelta ardua, forse la più ardua della mia vita, ma l'ho fatta perché finalmente posso morire per qualcosa di giusto a cui tengo veramente, posso morire dignitosamente come uomo e non come fantasma.
Prima di incontrare Elèonore, te e Audrey non ero nessuno e la mia vita mi pesava come fosse una condanna, ero sicuro di morire solo e dimenticato, ora non sarà più così. Posso assicurarti che questa scelta mi dà gioia infinita, quindi non rattristarti se non mi vedrai più, anzi, fingi che io sia partito per un lungo viaggio e che,come ogni viaggio, prima o poi finirà; dunque ci rincontreremo.

Post Scriptum: Sotto la fodera del materasso c'è la risposta all'enigma, rispetta la promessa David.

Amico tuo

A.G.

Rimasi semplicemente basito, lessi e rilessi più volte il foglietto: la calligrafia era minuscola ma decisa e l'inchiostro nero non faceva sbavature, ripiegai il biglietto e lo infilai nella tasca della camicia, alzai il materasso, tolsi la fodera e lì trovai un pezzo di tela, riportava l'immagine del bambino che mi aveva mostrato, ancora sporca di vernice rossa.
In un attimo ripercorsi tutta quella strana vicenda: dal mio incontro con Elèonore al bacio di Atrèe al funerale. Perché? Perché quella ragazza ci aveva trascinato nella sua trappola mortale? Perché non poteva morire in silenzio? Perché aveva portato con se anche Atrèe? Sentii un'inspiegabile rabbia nei confronti di Elèonore, ma mi ripresi subito era stupido e assurdo da parte mia prendermela con un morto, sarebbe stato come prendersela con un sasso: inutile.
Inutile, già. Come la ricerca che Atrèe stava inseguendo, la stessa che lo aveva condotto nelle braccia fredde della Morte. Ripresi il foglietto e rilessi l'ultima frase “
rispetta la promessa, David.

Si Atrèe, la rispetterò” dissi all'ombra incombente che si celava in quella stanza.

Per te...” sorrisi “e per Elèonore”. Mi resi conto a quel punto, di quanto l'amassi nonostante tutto. Ma come si può amare un fantasma?
Ad un certo punto mi venne in mente il volto di Isabel e sentii il desiderio di andarla a trovare: in due si soffre meno, pensai.

 

Isabel era tornata al bordello. Sola come sempre, sicura che anche David l'avrebbe abbandonata ora che il fratello era morto, la loro vita ruotava attorno ad uno spirito che li aveva ammaliati entrambi, quando aveva incontrato gli occhi verdi di David aveva sperato che fosse lui l'uomo che sarebbe stato capace di ridonarle la sua innocenza ma, come sempre, si era fatta solo illusioni: lui viveva per Elèonore.
Si legò i soffici capelli biondi in una coda e si lavò di quel poco trucco che le era rimasto: la maggior parte se lo erano portato via le lacrime che non era riuscita a trattenere poco dopo essersi specchiata.
Odiava ogni cosa di quel viso, se pensava a tutti quei clienti che lo avevano visto ansimante e accaldato le veniva da vomitare, quanti uomini e donne l'avevano toccata nelle sue intimità, quante persone casuali l'avevano violata rubandogli, ogni volta, un pezzetto della sua anima. Lei però non era abbastanza forte per iniziare una nuova vita e così era andata avanti continuando quel mestiere. Piano piano diventò la sua unica fonte di vita, fino a diventare un tutt'uno con quel luogo malfamato.

Isabel Garcia era morta durante il suo primo rapporto sessuale.

Ecco quando” disse ad alta voce la donna “ecco quando...”
tristemente si riguardò allo specchio, Dio quanto odiava gli specchi!

Ti odio” disse alla sua immagine riflessa e con rabbia scagliò la spazzola che andò a colpire il suo riflesso deformandolo orribilmente sotto le incrinature dello specchio.
Così sei più bella” si disse con odio guardando la sua immagine riflessa, poi si accasciò a terra e si lasciò andare ad un pianto disperato, lacrime amare come il suo odio cadevano dai sui occhi azzurri bagnandole i guanti neri, pianse davvero per tutto. Per le sue colpe e per quelle degli altri.

Posso entrare?” dissi io bussando sulla porta della stanza di Isabel Gracia, l'avevo sentita piangere e non volevo essere invadente.

No” disse una voce tremolate dall'altra parte.

Possiamo parlare lo stesso?”

Si”

Perché piangevi?”

Per lo stesso motivo per cui hai pianto tu”

Io non ho pianto”

Sei più forte di me, allora”

Non più forte, meno emotivo, meno empatico, non puoi continuare ad addossarti le colpe altrui Isabel”

Non è questo David...”

Cos'è allora?”

Sai, quando ero piccola sognavo di sposarmi con una persona che mi avrebbe amato davvero, ero molto romantica. Credevo nell'amore, quello vero che si legge nei libri poi, un giorno, tutti questi sogni andarono in mille pezzi, e lì capii che si erano sempre trattati di illusioni create da una bambina. Quando venni violata per la prima volta sentii tutte le mie speranze e la mia fanciullezza scivolare via, ad un tratto ero diventata donna, capisci?”
fece una pausa, capivo quanto potesse essere difficile parlarmi di quelle cose

Mi hai chiesto quando fossi morta no?! Ebbene, sono morta quel giorno”

Isabel io...”

“Aspetta David, non interrompermi adesso, che altrimenti non riuscirò più a parlare... quando ti vidi pensavo che tu fossi un uomo come gli altri, sai, quando mi concedo ai clienti io non provo nulla, davvero. Gli uomini mi disgustano e sono completamente disillusa su di loro. Quando ho visto te, però, ho provato qualcosa e conoscendoti meglio ho capito che stare con te mi faceva stare bene, ero felice come non mi capitava da tempo. Ora, so che tu non potrai mai corrispondermi, ma io te lo domando ugualmente, David...continuerai a starmi vicino durante questi anni? Se non come amante, come amico almeno...”

Rimasi senza parole, la donna forte che mi era parsa di conoscere, non era altro che una bambina disillusa dalla vita.

Mi apriresti Isabel, per favore?”

No, per favore, non riuscirei a guardarti negli occhi...”
“Isabel, io ti rimarrei accanto qualunque cosa accadesse, non ti amo, è vero, ma provo un sentimento per te che è molto vicino all'amore. Perciò abbi fiducia in me e, se è vero quel che dici, apri al porta, guardami negli occhi e ridimmi quello che hai detto poco tempo fa”

Mi aprii, davanti a me c'era una figura quasi trasparente consumata dal pianto, ma sorrideva. Tutte quelle lacrime e le confessioni l'avevano finalmente ripulita dalla tristezza che l'appesantiva, nei suoi occhi brillava una nuova luce: speranza e gioia. Non avrebbe mai riacquistato la sua innocenza, è vero e i suoi sogni non si sarebbero mai riparati, ma i nuovi sentimenti che l'animavano l'avrebbero aiutata ad affrontare la difficile vita di una Madame di bordello.

Isabel Garcia era rinata dalle ceneri, come una fenice. Una fenice bellissima.

Mi prese il viso con le mani tremanti e guardandomi negli occhi sussurrò “Ti amo David Masson, rimani con me, te ne prego.” questa volta la sua voce, per quanto flebile, era decisa e carica di sentimento “Si Isabel e per sempre.”
Quando uscii dal bordello mi girai e le dissi: “Signorina Isabel vi piacerebbe ,quando tutta questa storia sarà risolta, unirvi a me e diventare mia moglie?” Non rispose, rimase a fissarmi mentre lacrime di gioia le sgorgarono dagli occhi “la prendo come una proposta signor Masson, ci penserò e poi voi mi farete la dichiarazione ufficiale, sempre se ne avrete ancora il desiderio” rispose atteggiandosi a gran dama, il suo comportamento mi divertì e annuendo mi allontanai da quel luogo.

Meriti di meglio che vivere in un bordello Isabel” mi dissi mentre mi recavo alla dimora dei Blanc, probabilmente il destino odiava i Garcia tanto da trasformarli in reietti e miserabili, che sguazzavano nell'autocommiserazione e nella tristezza, in qualche modo Atrèe si era salvato da solo, ma Isabel non riusciva ad uscire dal baratro che lei stessa si era creata, così decisi di aiutarla almeno, a vedere la luce dell'uscita. Ero sicuro che sarebbe stata un'ottima moglie: amorevole e gentile, e avremmo concluso insieme la nostra vita, benché il mio cuore avrebbe sempre continuato a battere per Elèonore.

Per un fantasma.

 

 

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Capitolo 14
*** 14. Verità pt. 1 ***


 

Verità
pt.1



Quando arrivai a casa dei Blanc fu sempre la solita cameriera dai capelli canuti ad accogliermi.

Bentornato signor...volete scusarmi, ma ho scordato il vostro nome”

Non si preoccupi, è passato tanto tempo, sono David Masson”

Sicuro, chi volete incontrare oggi signor Masson?”

Volevo parlare con Audrey”

La signorina è nella sua stanza, venite che l'accompagno”

Seguii la donna che, con passi lenti, mi guidò nell'enorme maniero, attraverso infiniti corridoi e le immense stanze. Ci fermammo davanti ad una porta bianca e la donna bussò.

Chi è?” disse una voce femminile al suo interno

Signorina, c'è il signor Masson che vorrebbe parlarvi” rispose la cameriera con la sua voce dolce

Lo faccia entrare”

Quando fummo soli le dissi che per Atrèe lei era stata molto importante e che spesso me ne parlava, mi sorrise grata mentre si asciugava una lacrimuccia che si liberò dai suoi occhi verdi.

Non è per questo che sei qui” mi disse all'improvviso, fui sconvolto da questo cinismo

Hai ragione” ammisi.

Sei qui per il quadro vero?”

Si”

Cosa vuoi sapere?” sospirò lei stanca e amareggiata

Chi è questo bambino” risposi io sventolandogli il pezzo di tela sotto gli occhi.

Sai, quando mio padre uccise Atrèe per colpa di quel quadro lo costrinsi a raccontarmi tutto, gli promisi che l'avrei perdonato se l'avesse fatto, purtroppo non ce l'ho fatta a mantenere questa promessa” disse con tono rassegnato e amaro

Quanti anni hai, Audrey?”

18” rispose lei “Perché me lo chiedi?”

Perché sei troppo giovane per lasciarti andare, è giusto soffrire, ma non lasciarti cadere nel baratro della disperazione ricordi Isabel? La sorella di Atrèe? Lei sarebbe morta li dentro se io non l'avessi aiutata, Audrey cerca di reagire”

Certo, David, tu non capisci” rispose lei

Oh, si anche io ho perso l'amore della mia vita”

Davvero e come si chiamava?”

Elèonore, Elèonore Bonnet”

Audrey sbiancò “come la mia matrigna”

La tua matrigna, Audrey, è la madre naturale di Elèonore”

La ragazza si sedette e prese a giocherellare nervosamente con una ciocca dei suoi capelli corvini

Ecco perché mi preme tanto di sapere la storia del bambino nel quadro, nella tua famiglia è nascosto un segreto che s'intreccia con quello della morte di Elèonore”

Ti dirò tutto, David, ma promettimi di non tornare più qui, cancellami dalla tua mente e dai tuoi ricordi. Quel quadro ha portato fin troppi mali” disse riferendosi all'omicidio di Atrèe.

“Promesso, ma tu promettimi di non lasciarti andare, troverai un alto uomo che ami e che ti sappia amare”

E dimmi David con che cuore lo potrei amare? Ti prego, non infierire, lasciami raccontare e dopo vattene e non farti più vedere”

Rimasi in silenzio colpito da quelle dure parole, uscite da una bocca così piccola.

 

Parigi 1882

 

La signora Collette Blanc diede alla luce un bambino minuscolo, dalla pelle diafana; era una donna debole e per miracolo sopravvisse al parto.
Francois Blanc era troppo innamorato della moglie per pensare ad un probabile tradimento, prese il bambino e lo strinse tra le braccia, lo chiamarono Cèdric, come voleva il padre di Collette “Ad una sola condizione: chiamerete il vostro primogenito Cèdric, come me” disse l'uomo quando accettò il matrimonio tra la figlia e il giovane Francois Blanc.
Il bambino crebbe malaticcio e debole, la pelle bianca com'era metteva in risalto le vene, aveva le sclere blu e le ossa erano fragili e sottili, ogni minimo trauma gli provocava una frattura. La malattia delle ossa di cristallo la chiamavano.
La signora Blanc, religiosa com'era, pensò subito a una punizione da parte di Dio per il suo tradimento e piangeva tutte le sere davanti al crocifisso chiedendo perdono e pregando affinché suo figlio sopravvivesse.
In sogno le apparve un angelo che le consigliò di dire la verità al marito, e se lo avesse fatto Dio l'avrebbe perdonata, così la mattina dopo Collette confessò il suo adulterio a Francois che non si adirò mai con lei, semplicemente riversò la sua rabbia e frustrazione sul figlio illegittimo che si ritrovò chiuso in una stanza dell'abitazione per tutti gli anni avvenire, con la scusa che il mondo esterno era troppo pericoloso per le sue ossa, all'inizio ci aveva creduto, poi abbandonò quelle illusioni e imparò a vivere guardando il mondo con obiettività e cinismo.
Due anni dopo Collette Blanc partorì due gemelli, il primo dei due lo chiamarono Cèdric, perché era il primogenito nato dal loro matrimonio, anche quella volta la donna rischiò la vita per un'emorragia che la colpì durante il parto, ma fortunatamente, si arrestò quasi subito. Alla nascita di Audrey invece l'emorragia fu inarrestabilità e la portò alla morte. Il signor Blanc era così distrutto che commissionò un quadro costosissimo ad un dei migliori pittori di Parigi, pregandolo di dipingere anche la sua defunta moglie.
Non si può dire che il signor Blanc non avesse perso il senno infatti, affinché il pittore rispettasse decorosamente l'immagine della moglie, prima che venisse celebrato il funerale il cadavere della signora Blanc fu sistemato su una sedia e gli fu posta in braccio la neonata Audrey, per l'occasione il piccolo Cèdric Blanc fu liberato dalla sua prigionia e ritratto come ufficiale membro della famiglia.
Il pittore che ritrasse la macabra scena, dipinse la bella Collette come se fosse viva: con gli occhi verdi aperti e un sorriso dolce sulle labbra.
Anni dopo Blanc rivedendo il quadro iniziò a non sopportare più l'immagine del bambino nato dall'adulterio e lo fece coprire dal figlio del pittore
originale.
Cèdric Blanc fu isolato da tutti e i fratelli non conoscevano che la sua presenza, e non si curavano mai di andarlo a trovare, Audrey non seppe mai di lui.
Qualche anno dopo la morte della sua amata Collette, Francois si ritrovò ammaliato da una borghesuccia di nome Mariè Bonnet, l'aveva incontrata durante una delle tante feste a cui veniva invitato. I suoi occhi violacei avevano qualcosa di magnetico che lo stregarono subito, la sua voce era così vellutata che lo solleticava ogni volta che parlava inoltre il signor Blanc era sempre stato attratto dalle rosse, soprattutto se erano seducenti come quella. L'amore fu corrisposto anche da Mariè che si congratulò con se stessa per essersi trovata un partito tanto importante: avrebbe finalmente coronato il suo sogno di entrare nell'alta borghesia francese. I due si sposarono l'anno successivo. La donna non volle mai figli e amò immensamente quelli del marito.
Se i primi periodi erano saturi di passione pura e amore, quelli successivi divennero noiosi e monotoni, Blanc si rese conto dell'immenso errore che aveva fatto sposando la bella Mariè Bonnet: un guscio vuoto completamente privo di qualsiasi virtù, un continuo ostentare la nobiltà che non le apparteneva; così Blanc si ritrovò spesso tra le braccia avide delle prostitute che lavoravano nel bordello della famosa Madame I, la pantera bionda, come la chiamavano lì.
Ad allietare l'atmosfera carica di erotismo di quel luogo malfamato era il suono di un violino, la musicista non era altro che la copia della moglie, solo più giovane e meno bella; negli occhi dello stesso colore di quelli di Mariè, si leggeva solitudine e sofferenza. Un giorni decise di parlarle

Mi presento sono Francois Blanc e voi siete?”

Elèonore”

Non hai un cognome?”

Bonnet, ma ci ho rinunciato quando mia madre mi ha cacciata di casa”

Blanc sussultò: la loro somiglianza non era solo una coincidenza

E come si chiama tua madre?”

Non lo ricordo”

Forse Mariè?”

“Si, probabile”

E' mia moglie adesso”

La cosa non mi riguarda” rispose lei asciutta

Suoni molto bene il violino, te lo ha insegnato lei?”

No, Madame Laure, è stata più madre lei di quanto lo sia stata Mariè”

Madame I mi ha spiegato che non sei una delle sue donne, domando... vi piacerebbe guadagnare qualche soldo?”

Si”

Vieni domani nella mia tenuta, insegnerai il violino ai miei figli”

Vi sono grata signore, ma non ho intenzione di rincontrare colei che mi abbandonò”

Ti prometto che non vi rivedrete”

E come?”

Ti farò venire quando lei è fuori e in casa verrai chiamata con uno pseudonimo, va bene?”

No...almeno il mio nome vorrei mantenerlo, in casa vostra non verrò chiamata affatto”

Francois Blanc accettò e dopo aver scribacchiato su un fazzoletto la via della sua villa uscì dal bordello.

Così, quando i gemelli avevano 16 anni e la giovane Blanc solo 10, entrò nella vita della nobile famiglia la ragazza dai lunghi capelli rossi perennemente legati in una treccia scomposta.

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Perché lo stiamo facendo Elèonore?”

Perché...perché sempre perchè”

Come fai ad essere così calma? Non è la tua prima volta?”

Mi sento sempre calma con te” rispose soddisfatta riprendendo a giocare con il suo capezzolo.

Isabel inarcò la schiena deliziata

Chi ti ha insegnato?”

Isabel, mi stupisco, dimentichi che viviamo in un bordello, ormai ho compreso come funziona... sei sempre così quando ti concedi?”

Così come?” chiese l'altra ansimante

Stupida” rispose lei sorridendo

Sei tu che sei troppo fredda, ti sei forse pentita?Non ti so soddisfare?” chiese Isabel maliziosa mentre le leccava il collo

Oh, no sei una puttana bravissima”

lo saresti anche tu”

Ho fatto la mia scelta”

Dopodiché non si dissero più nulla, perché le loro bocche si fusero in un bacio intenso e appassionato, Isabel ci sapeva fare, era stata più volte con le donne e accarezzava gentile i piccoli seni della sua protetta, i capezzoli le si ergevano e ogni volta che lei glieli sfiorava, la rossa gemeva di piacere. Con le dita esplorava la sua parte più intima anche se era decisa a preservarle la verginità. Isabel sapeva quanto potesse essere importante. A Elèonore però non sembrava interessare, guardava con occhi appesantiti dall'improvviso risveglio dei sensi i movimenti seducenti della sua Madame I, la ragazza si muoveva esperta sul suo corpo facendole sperimentare sensazioni mai provate e altamente afrodisiache. Elèonore era inesperta e impacciata, ma si muoveva con falsa sicurezza imitando i movimenti di Isabel.
Fu un'esperienza molto piacevole per entrambe. A quella sarebbero seguite altre sempre più soddisfacenti, senza il bisogno di violare la verginità di Elèonore. Le loro nottate finirono quando lei iniziò a dare lezioni private ai Blanc, Isabel ne intuì il motivo: non c'era spazio per più di una persona nel suo cuore, di punto in bianco era stata sostituita, Isabel sorrise “almeno una di noi due ora è felice, non era forse questo che cercavamo?” si domandò.

Isabel si svegliò nel cuore della notte. Quei ricordi ritornavano a galla sempre all'improvviso, nei momenti meno opportuni, sorrise ripensando all'aria maliziosa che assumeva il viso di Elèonore durante quegli incontri.
Era il loro segreto. Isabel non ci aveva mai trovato nulla di peccaminoso: erano solo due anime in cerca d'amore che si univano per amarsi teneramente durante le notti silenziose, erano momenti di grande purezza e passione. Elèonore, dopotutto, era più umana di quello che sembrasse e come tale era curiosa di sperimentare nuove esperienze e, essendo Isabel l'unica persona di cui si fidasse ciecamente e anche unica amica, aveva deciso che le avrebbe condivise con lei .
Rise al pensiero che David la trattava come un qualcosa di intangibile e effimero, lei l'aveva tenuta stretta tra le braccia, l'aveva accarezzata nelle sue intimità e l'aveva baciata. Decise di non rivelarlo mai a David, dopotutto rimaneva sempre un segreto.

Che onore” le diceva ogni volta che Elèonore s'infilava silenziosa nel suo letto, non poteva esserne sicura, ma le sembrava che arrossisse.
Isabel sorrise di nuovo, “Elèonore, tu che puoi, di a mio fratello che gli voglio bene” sussurrò prima cadere addormentata.

n.d.a.  A voi che state seguendo la mia storiella: devo informarmi che è quasi giunta al termine...ancora pochi capitoli e sarà finita! Quindi, se ce la fate, pazientate ancora un po' <3

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Capitolo 15
*** 15. Verità pt.2 ***



 

Verità
pt.2


 

Elèonore passeggiava per la casa dei Blanc indisturbata, ormai la sua presenza era diventata costante e anche i servi si erano abituati a lei, che si muoveva silenziosa tra le stanze e i corridoi. Non parlava quasi mai e per qualche strana ragione non si era affezionata a nessuno, si limitava a svolgere il suo lavoro d'insegnante e diventava insofferente quando sentiva nominare il nome di Mariè. La donna non sapeva neanche che lei ci fosse, ai servi e ai ragazzi era stato tassativamente proibito di parlare di lei con Mariè, che viveva inconsapevole della continua vicinanza con la figlia a cui aveva rinunciato anni prima.
Ogni pomeriggio, verso le quattro, Mariè Bonnet andava a trovare qualche amica, prendevano il tè e spettegolavano sulle famiglie più in voga in quel periodo, erano quelli i momenti in cui arrivava Elèonore, che silenziosa come un gatto, si materializzava nella stanza del pianoforte per istruire i giovani Blanc. Quando Mariè tornava lei spariva.
Un giorno però Mariè Bonnet rientrò a casa prima: aveva iniziato a piovere, e la nobil donna aveva preferito rientrare in anticipo per evitare l'imminente diluvio, che sfociò qualche ora più tardi. I servi non riuscirono ad avvisare Elèonore che, appena la sentì annunciare il suo ritorno a casa, sgusciò fuori dalla stanza del pianoforte a metà lezione e si arrampicò veloce per la scalinata principale; sapeva bene che Mariè Bonnet era una maniaca dell'ordine e faceva sempre il giro di ogni stanza per controllare che tutto fosse perfetto, anche quando vivevano insieme lo faceva. Si ricordò di quando la schiaffeggiava perché i letti non erano rifatti bene. Spaventata, corse alla cieca in giro per la villa cercando un luogo abbastanza appartato, magari uno sgabuzzino in cui potersi nascondere.

E fu proprio così che lo incontrò.

Elèonore aprì la porticina bianca vicino alla camera della cameriera dai capelli bianchi, che a quel tempo erano ancora brizzolati, convinta che si trattasse dello sgabuzzino. Quando si trovò all'interno di un'enorme stanza bene arredata con letto incluso si spaventò a morte. La stanza odorava di lavanda e stantio ed era circondata da un'opprimente penombra.
Chi sei?” le chiese una flebile voce alle sue spalle, era così impercettibile che Elèonore sbiancò immediatamente, il cuore cominciò a batterle forte e si sentiva praticamente paralizzata.
Non dite a Mariè che sono qui” riuscì solo a balbettare, mentre con le mani sudate continuava a stringere la maniglia d'ottone della porta.
Perché non ti giri?” le chiese la voce addolcendosi un po'.
No” rispose secca lei, ogni volta che la sentiva una leggera scossa le attraversava tutto il corpo. LE faceva venire i brividi.
La voce cercò di dire qualcosa, ma non le riuscì, non sapeva cosa dire difronte al diniego di Elèonore così secco e incisivo. Calò un silenzio imbarazzante tra i due. Lei continuava a studiare la carta da parati azzurro cielo e astringere in modo maniacale la maniglia.
L'odore di stantio contrastava con quello forte e aromatico alla lavanda facendosi insostenibile, quasi più del silenzio opprimente che aleggiava in quella stanza.

Puoi smettere di stringere la maniglia, nessuno entra qui, puoi stare tranquilla” riprese la voce, in cerca di un qualche colloquio.
Elèonore allentò la presa, ma continuava a rimanere voltata

Hai paura ragazza? Non sono un mostro puoi girarti”
Elèonore staccò completamente le sue mani pallide dalla maniglia e lentamente si voltò: avevo un'aria di sfida nei suoi occhi, non aveva paura, portava le cicatrici di troppe tragedie per essere spaventata da una voce appena percettibile.
Quando lo vide sgranò gli occhi violacei “Cosa sei?” esclamò

Dimmelo tu”
Effettivamente non poteva certo dirsi una comune persona: i capelli biondo cenere gli ricadevano lunghi sulle spalle e gli occhi verdi contrastavano orribilmente con le sclere azzurrine, era così magro che poteva addirittura vedergli attraverso, o forse era solo un'impressione data dalla sua pelle bianchissima e trasparente. Era in piedi davanti a lei, a pochi metri di distanza e la studiava dalla sua altezza, emanava lo stesso odore di lavanda e di stantio, come se fosse un tutt'uno con quella camera. Un arredamento dimenticato, lasciato a fare la polvere.

Sei un fantasma?”
Non penso di esserlo e tu chi sei?”
Insegno violino ai figli di Francois Blanc”
Davvero? Francois è sempre stato amante della musica, ma pensavo che l'avesse archiviata con la morte di mia madre”
Elèonore non lo stava ascoltando, stava ancora studiando la sua persona.

Cosa stai guardando?” le chiese lo strano ragazzo, leggermente divertito
Te” rispose senza vergogna Elèonore
E perché?”
Perché mi va” rispose irritata da tante domande, non era abituata a parlare così tanto, soprattutto se si trattava di sconosciuti, il ragazzo abbassò lo sguardo e le chiese scusa “Mi sento molto solo qui, non mi vengono mai a trovare tranne che per portarmi da magiare e per cambiare le lenzuola”
Io sono scappata quando Mariè mi rinchiuse nel convento” disse di rimando Elèonore, con il suo classico tono glaciale.
Io però non resisterei un giorno fuori di questa casa, ho le ossa fragili come una meringa”
La ragazza rimase attonita, sentendosi in colpa per la cattiveria con cui si era rivolta a quel ragazzo chiaramente malato e, dettata dai sensi di colpa che le ritorcevano lo stomaco, abbassò lo sguardo con aria avvilita.

Vedi” disse mostrandole la mano fasciata “ questa settimana è la seconda volta che mi rompo le dita”
Hai delle dita di cristallo, insomma” cercò di scherzare Elèonore nel tentativo di sdrammatizzare, e spezzare quell'aria pesante che li stava circondando. Non era mai stata divertente né, tanto meno, era capace di fare battute, ma il ragazzo sorrise. Per cortesia, forse o perché si era accorto di quanto quella ragazza fosse patetica e malinconica, come lui.
Già” sospirò il giovane dai capelli cinerei.
Perché non ti vengono mai a trovare...Dita di cristallo?” chiese affettuosamente la rossa, lui si sedette sul bordo del letto raccogliendo le mani in grembo.
Il mio patrigno mi odia”mormorò, Elèonore si sedette accanto a lui e sospirò.
Capiva cosa si provava nel sentirsi senza appoggio, quando la persona che avrebbe dovuto sostenerti ti volta le spalle. Lo sapeva bene. Ma non riusciva a dirlo così non disse nulla e si limitò a stringergli la mano sana. Sotto la sua leggera stretta sentì le ossa di quelle dita affusolate scricchiolare pericolosamente, le sembrava di stringere del vetro solo che questo non tagliava. Ritrasse immediatamente la mano e lo guardò con aria colpevole “Scusa” gli disse iniziando a torturare la treccia per l'imbarazzo.

Non preoccuparti, non è successo nulla, non si è rotto niente” rispose lui sorridendole, mentre si massaggiava la mano evidentemente dolorante.
A Elèonore piaceva la sua vicinanza, per quanto malato fosse, sentiva il calore che emanava quel corpo sottile, e l'odore di lavanda e stantio le parve più dolce di prima.

Per quanto rimarrai qui?”
Fin quando è necessario” rispose lei sorridendo
Domani torneresti?”
Si, perché no?” in realtà lei lo desiderava ardentemente: non seppe neanche lei come, ma quel ragazzo che viveva in bilico tra la vita e la morte era riuscito a frantumare la corazza fatta di spine che teneva racchiuso il suo cuore.
Si era fatta una promessa anni prima, mentre la sarta le stava ricucendo la ferita: avrebbe stretto il suo cuore in una morsa fatta di rovi e ghiaccio, una morsa impenetrabile e indistruttibile. Aveva sofferto già abbastanza nella sua vita miserabile e, per quanto non si considerasse degna di essere felice, si concesse almeno il lusso di non soffrire neanche più. C'era un prezzo alto da pagare però. Rinunciare ad ogni sentimento.
Ora che quel ragazzo aveva frantumato tutto, non poteva permettersi di tornare a soffrire quindi decise che il suo cuore e tutto quello che conteneva sarebbero stati suoi per sempre.
Finché la morte non sarebbe arrivata a riscattarli.
Già, la morte. A Elèonore non faceva paura: la vedeva come un'alleata che dona pace quando la vita è diventata insostenibile come un fardello, non che la sognasse, ma l'aveva accettata e viveva per morire, lo faceva da sempre e per sempre l'avrebbe fatto.

Tranne che in quei giorni, mesi, anni.

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Rimasi sconvolto da quel lungo racconto contorto e saturo di sofferenze e di ingiustizie. Ripensai alla mia vita da persona di ceto medio, che si guadagnava da vivere con lavori occasionali, ma per lo più mantenuto dai genitori, quante volte avevo condannato questa situazione apparentemente insoddisfacente e miserabile? Agli occhi di tutti quelli che avevo conosciuto risultavo come una persona che non ha mai sofferto, con una vita perfetta e serena, in cui i problemi sembrano limitarsi alla scelta dei vestiti la mattina o di cosa mangiare per pranzo. Una vita invidiabile.
Le sofferenze per me erano solo un eco lontano, che non mi avevano mai toccato, un qualcosa che esiste ma che s'ignora e ora, capii che invece mi erano più vicine di quello che avessi mai pensato, e mi sentii in debito verso ognuno di loro.
Verso Audrey che era stata tradita dalla persona che avrebbe dovuto proteggerla, verso Atrèe che era stato privato della sua vita, verso Isabel che non aveva avuto una fanciullezza, mentre io vissi spensierato fino all'età di 18/19 anni e anche verso Elèonore, per non averla conosciuta prima e per non essere riuscito ad alleviare i suoi dolori quando ce l'avevo vicina, lì, seduta accanto a me sulla panchina del parco.

Audrey, tu l'hai mai visto tuo fratello?”
Oh, no...so dov'è ma non voglio vederlo. Lui è solo un fantasma per me. Non esiste, gli ho parlato, quello si...ma da fuori dalla porta, per pochi minuti.”
Come puoi dire cose tanto orribili?”
Non sono orribili, David, come al solito tu non capisci...non sono ancora pronta per affrontare diciotto anni di menzogne”
Scusa, Audrey, non avrei dovuto attaccarti”
Vuoi vederlo?”
Tuo fratello?”
Si, ma dopo devi giurarmi che te ne andrai, questa volta e per sempre”
Annuii per quanto mi fu difficile farlo, sarebbe stata l'ultima volta che avrei rivisto il viso dolce e morbido di Audrey Blanc, i suoi capelli corvini dai riflessi blu e i suoi profondi occhi verdi. Dopo quel giorno non la vidi mai più e non seppi mai che fine avesse fatto.
Audrey mi guidò verso una porticina bianca che sembrava quella di un ripostiglio o di uno sgabuzzino, bussò un colpo ed entrò.

Ciao Cèdric” disse con la voce tremolante, strizzai gli occhi per distinguere la sagoma del ragazzo che mi stava difronte, quando mi abituai alla penombra dovetti fare l'abitudine anche a lui: bianco e morte furono le prime parole che mi balenarono nella mente. Non avevo mai visto niente di simile, come si reggesse ancora in piedi me lo domandai più di una volta, potevo contargli al fitta rete di venature che solcavano le sue braccia sottili.
Audrey, che bello poterti finalmente vedere, i gemelli mi avevano parlato di te, non immaginavo che fossi così bella” disse lui sinceramente sorpreso, la sua voce era poco più che un sussurro, se in quella stanza ci fosse stato del vento non si sarebbe sentito nulla. Ad Audrey tremò il mento, e quando cercò di parlare uscirono solo dei versi sconnessi per via delle lacrime e dei singhiozzi
Scusa, scusa, scusa, se non ti sono mai venuta a trovare...io, io non volevo vederti...scusa...” il fratello fluttuò alle sue spalle e le accarezzò delicatamente i capelli. Di me non si era quasi accorto. Sorrise triste e rassicurò la sorella con parole dolci, ma essenzialmente vuote: come pensavo quel ragazzo non era capace di provare veri sentimenti, cosa assolutamente comprensibile data la sua vita di reclusione e solitudine. Come non ne fosse uscito pazzo non lo seppi spiegare. Forse lo era, ma lo eravamo anche noi, tutta quella vicenda era stata folle e delirante, come un sogno. Questa era vera, però.
Chi è lui, un tuo amico, un fidanzato?” chiese Cèdric accorgendosi finalmente di me.
“No, è un amico di Elèonore” disse Audrey asciugandosi le lacrime con il dorso della mano; quando sentì quel nome il ragazzo si rabbuiò e indietreggiò come per prendere le distanze.

Cosa vuoi da me?” chiese sulla difensiva
Sapere la verità” risposi freddo
Su cosa?”
Su di lei, sulla sua morte”
Mi lanciò un'occhiata derisoria e poi di sfida.

Allora!” insistetti
Allora...” ripeté “Perché ti preoccupi tanto? E' morta, fine”
Perché non è così scontato. Perché mi hai mandato il pacchetto con la tua firma? Chi eri tu per lei?”
Allora tu sei David, mi aveva avvisato che eri furbo, ma lei lo era di più”
Rispondi alla mia domanda, Cèdric,non ho molto tempo” ripresi con tono più placo, per ingentilirlo. Per quanto avesse vissuto in una stanza da solo si era inselvatichito e incattivito. Era cinico e spietato e questo mi poneva in svantaggio rispetto a lui.
Non c'è nulla che tu possa fare, comunque”
Rispondi.” L'unico modo era fingermi più spietato di lui:dovevo domarlo.
Sorrise falso.

Mi spiace che Elèonore non ti abbia detto la verità, probabilmente non si fidava di te.” aggiunse sapendo di ferirmi
Lei si fidava di me...” ribattei io pateticamente
“Pensaci, cosa ti ha detto poco prima di morire?”
Ci pensai “'Se un giorno dovessi morire, tutto ciò che mi appartiene sarà tuo David, tutto, tranne il mio cuore'” gli recitai.
Ecco... tutto, tranne il cuore...”
Quello l'hai tu, non è vero?”
Si, vedi? Non si fidava”
I miei propositi di rimante freddo e inattaccabile vennero sfaldati da quell'insinuazione velenosa, persi la calma

TU NON SAI NULLA DEL NOSTRO RAPPORTO!” gli urlai; lui rimase impassibile, con la faccia diafana e la bocca tirata in un sorriso derisorio.
David, Elèonore non è morta” rispose come se nulla fosse. Calmo.
Non..è...morta?!” ripetei senza crederci minimamente
Perché non me l'ha detto?” chiesi a me stesso, mentre tutte le convinzioni che mi ero fatto sulla nostra amicizia crollavano inesorabilmente.
Perché doveva scappare e aveva paura che tu l'avresti seguita, sapeva che non l'avresti lasciata andare, non si fidava...”
LEI SAPEVA CHE L'AMAVO!” lo riattaccai completamente vulnerabile, mi sentii tradito da lei “IO L'AVREI SEGUITA PERCHE' TENEVO A LEI...MENTRE SAPEVA CHE TU NON L'AVRESTI FATTO!”
Cosa puoi saperne tu?” sentii il suo tono incrinarsi: l'avevo ferito, avevo colpito la sua parte vulnerabile “Secondo te io non l'avrei fatto?! Non avrei lasciato questa prigione per scappare via con lei?! Ma non ho potuto...e sai perché?” fece una pausa e inspirò “Per colpa di questo corpo corrotto, questo corpo fatto di cristallo” concluse rispondendo alla propria domanda, con il massimo del tono che la sua flebile voce poteva raggiungere.
Quella che era stata una frecciatina da parte mia mi si ritorse contro: che stupido insensibile ero stato! Mi maledissi per la mia impulsività e per non aver mantenuto il contegno che s'addice ad un uomo di 23 anni.

Credi che non mi senta già abbastanza in colpa?!” continuò “Sapevo quanto lei ti volesse bene: ogni volta che mi parlava di te le brillavano gli occhi, mentre io mi rodevo dall'invidia, tu sei bello e sano, avresti potuto regalarle una dignitosa vita, mentre io no...” inspirò di nuovo, probabilmente parlare così tanto lo affaticava “E' colpa mia se è dovuta scappare, voleva che mio padre mi riconoscesse, l'aveva minacciato di rivelare le sue scappatelle con le donne di Madame I. Mio patrigno cercò di assassinarla, ma lei riuscì a scappare. Mi disse che doveva scomparire, ma non voleva farlo senza prima avvertirti così inscenò la morte. Lo fece per te” abbassò lo sguardo “e io non so neanche dov'è andata” concluse sospirando.
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e lo guardai, rimasi sorpreso nel vedere quanto mi rispecchiasse, se non fisicamente almeno interiormente.
Chissà se Elèonore avesse mai pensato a noi, durante quella fuga. La sensazione di tradimento era stata sostituita da una profonda tristezza, così si concludeva la mia ricerca, il mistero che per tanto tempo aveva annebbiato la mia mente. Dita di ghiaccio l'inafferabile angelo della morte non era altro che un ragazzo ammalato e Atrèe aveva dato la vita per una faccenda totalmente banale e scontata, tutte le mie illusioni vennero bruciate. Sorrisi. Cosa speravo di scoprire? Cosa VOLEVO scoprire? Una vita buttata al vento e un cadavere che non si rifiuta di morire. Un'amore fondato sul ricordo e un matrimonio di pietà. Ecco cosa avevo ottenuto per dare retta alla mia curiosità.
Sarebbe stato meglio non scoprire nulla. In fondo.
Davvero?
Non lo seppi dire.
"Addio Cèdric, e grazie per tutto, davvero" lo salutai con tono piatto
"Addio David" rispose lui con lo stesso tono.
Seguii Audrey lungo il corridoio, fino alla porta.

Elèonore era viva, ma in un certo senso era come se fosse morta e, per me era meno doloroso immaginarla così, perciò nei miei ricordi Elèonore se ne era andata. La morte l'aveva presa con se e lei mi aveva avvisato. Tutto qui.
Abbandonai la dimora dei Blanc, ma prima di solcare la soglia per andarmene per sempre mi feci promette da Audrey di continuare le visite a suo fratello, perché sapevo quanto potesse sentirsi vuoto e inutile recluso com'era.
Lei non mi sorrise neanche, ma sapevo che prima o poi ne sarebbe stata capace di nuovo.

Mentre affondavo i piedi nella soffice neve bianca sulla via del bordello, tornai con i ricordi a quelle giornate passate in compagnia di Elèonore, potevo ancora vederla ridere con i suoi occhi leggermente strabici e l'orribile cicatrice sullo zigomo destro, risentii la sua voce tanto affascinante e il suo profumo al limone. Sorrisi. E, in quel momento, le dissi addio.


Come temevo se avessi sbattuto le palpebre, lei si sarebbe dissolta. Purtroppo è impossibile rimanere con gli occhi aperti per sempre. Lo avevo fatto. Li avevo sbattuti.

E lei era scomparsa.

Addio Elèonore, e questa volta per sempre.


'La incontrai una notte. Era seduta su una panchina, aveva i capelli raccolti in una lunga treccia color rame e gli occhi persi nel vuoto. La sua persona sembrava così effimera che temevo che se avessi sbattuto le palpebre lei si sarebbe dissolta.'

 

 

n.d.a. Bene siamo arrivati al penultimo capitolo :') un po' mi spiace di doverla conludere eheheh... comuqnue spero che l'abbiate apprezzata e chiedo scusa per gli errori di battitura...il la rileggo anche ma ogni volte ne lascio qualcuno...continuate a farmeli notare così li posso correggere!!
Golden

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Capitolo 16
*** 16. Epilogo ***



 

Epilogo



Quella mattina mi svegliai prestissimo, fuori era quasi buio e il vento ululava impetuoso, facendo sbattere gli esili rami dell'acacia contro la vetrata della mia camera da letto.
Era appena iniziato maggio e l'acacia si era ricoperta di quei meravigliosi fiori bianchi che mangiavo di tanto in tanto. Erano dolci e mi piacevano.
Isabel era sdraiata accanto a me, dormiva profondamente e aveva i suoi profumati capelli biondi sparsi su tutto il cuscino, come un'aureola. Anche lei pareva un angelo e i tenui raggi del sole le facevano risplendere la pelle color porcellana come se fosse di cera. Le baciai la morbida guancia: era mia moglie da ormai sette anni passati in armonia con me stesso e con il mondo. I giorni con lei affianco erano gioiosi e lieti e stavo imparando ad amarla, mi rendeva un uomo completo.
C'erano giorni, però, in cui rimandavo la mia mente a vagare lontano, tra i ricordi, fino a fermarmi su quella vecchia panchina che ormai era stata sostituita da un più moderna e, prima di addormentarmi, ritornavo ad incontrare Elèonore: il suo viso si era sfumato e i suoi lineamenti erano confusi, ma la sua voce risuonava limpida e chiara nelle mie orecchie.
Isabel e io non ne parlavamo mai, era solo un ricordo lontano, di cui non valeva la pena spenderci del tempo.
Vivevamo la vita di tutti i giorni come i coniugi Masson. E basta.
Isabel aveva definitivamente abbandonato il ruolo di Madame al bordello, ma non dimenticava mai di mandare parte del denaro che guadagnava con il lavoro da sarta a quel luogo che, per tanti anni, era stata la sua casa. Nei primi periodi scrivevamo spesso lettere ad Audrey Blanc e a Cèdric, ma ogni volta tornavano indietro, senza minimo segno di apertura così, dopo qualche mese, perdemmo le speranze e rinunciammo a mantenere un qualche rapporto con quella famiglia che aveva tanto sconvolto la nostra vita.
Pensavo a questo mentre m'infilavo il cappotto grigio per venire risucchiato da quel crepuscolo di maggio. L'aria era tiepida e profumava di quel classico odore che ha la primavera, tutto intorno a me era immerso nel silenzio e sapeva di vita e di speranza, seguendo l'istinto mi diressi verso il luogo in cui incontrai per la prima volta Elèonore: la panchina nuova era verde bottiglia e di metallo, molto più confortevole di quella in legno scheggiato di tanti anni prima.
Man mano che mi avvicinai riuscii a distinguere una sagoma, lunghi capelli color rame ricadevano liberi sulle spalle di quella donna di cui vedevo solo la schiena nuda. Mi avvicinai a lei e la spiai da sopra le spalle, teneva un libro aperto sulle ginocchia coperte da un leggero abito color ciano.
Fu come ritornare nel passato: l'intenso odore di limone mi riempì le narici e quando la donna si girò riconobbi nel suo viso la mia Elèonore.
La cicatrice era meno visibile di un tempo, ma era sempre li a solcare quello zigomo, vidi i suoi occhi violetti stringersi in due fessure e senza dire nulla mi invitò a sedermi accanto a lei. Avevo fantasticato tante volte su un possibile incontro, avevo immaginato di saltarle al collo e di abbracciarla. Ma non fu così: il tempo era passato, ma non attraverso il nostro legame così quando la vidi fu come se tutti quegli anni non fossero mai esistiti. Fu come rivederla dopo un giorno.

Ciao Elèonore” riuscii a dire dopo un infinito silenzio caldo come il vento che tirava.
Ciao David” rispose lei, sentii un brivido percorrermi la pelle. Solo allora mi accorsi di quanto mi fosse mancata e di quanto fosse immutato e forte il sentimento che provavo per lei.
Quanto tempo è passato da allora?” chiesi io, lei mi strinse la mano con la sua, le sue lunghe dita avvolsero il dorso della mia mano facendomelo bruciare.
Nove anni” rispose lei con tono pacato “Ti ho pensato tanto lo sai?”
Anche io, anche se ho sempre cercato di non farlo” ammisi
Immagino, devo aver portato tanta sofferenza”
Tanta, ma voluta e gioia” risposi ripensando ad Atrèe
Cosa intendi dire?” mi chiese lei stupita
Niente” non le spiegai di Atrèe, né che avevo conosciuto Dita di cristallo, sarebbe stato troppo doloroso e inutile.
Lei scrollò le spalle e riprese: “Quando ero qui avevo un altro amico, chissà che fine ha fatto, era un ragazzo strano ma gli volevo bene” mormorò come se parlasse con se stessa, non dissi nulla. Sapevo che si stava riferendo ad Atrèe. Sarebbe stato bello averlo con noi, in quel momento.

Dove vivi adesso?” le domandai
Non serve che te lo dica” rispose sorridendomi.
Era tipico di Elèonore: non ti permetteva di sapere nulla di lei che non ritenesse opportuno. Improvvisamente mi appoggiò la testa sulla spalla e chiuse gli occhi “Vorrei tornare al tempo in cui avevamo 18 anni e scappare con te, da qualche parte” mormorò, il cuore prese a battermi forte e la circondai con il braccio, anch'io lo desideravo. Un tempo.

Mi ami ancora David?” mi chiese poi
Si” risposi sentendomi in colpa verso Isabel “Ma ora amo di più un'altra donna” mentii
Lo immaginavo, e dimmi come si chiama?” chiese dolcemente lei
Isabel, Isabel Garcia” le rivelai, Elèonore sorrise malinconica “buffo” disse “Abitavo nel suo bordello, quando vivevo qui a Parigi” sorridendo presi a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli che, per la prima volta li vedevo sciolti: erano molto più corti di prima “Lo so, me lo ha detto.”
Ti arrivò il mio pacchetto?”
Si, ho ancora i tuoi abiti e la tua collana” le guardai la mano che continuava a stringere la mia, niente anelli. Come sospettavo Elèonore era rimasta selvatica e libera com'era quando la conobbi. Una donna che è capace di farti perdere la testa e il cuore, ma che non ti aiuta a ritrovarli, o peggio che non te li rende. Chissà quanti uomini aveva stregato durante questi anni, chissà con quanti era stata a letto e chissà quanti ne aveva amati. Molti, molti, nessuno. Mi risposi.
A cosa pensi David?” mi chiese
A te”
Lei rise divertita “Ma sono qua”

Per quanto ancora lo sarai?”
Per poco, penso, non avrei mai immaginato di incontrarti ancora una volta” rispose lei abbassando lo sguardo.
Oh, David vorrei stare tutto il giorno a parlare con te...” esclamò con aria nostalgica, poi mi accarezzò la guancia e si alzò dalla panchina. Si mise in piedi, davanti a me e mi si avvicinò pericolosamente, mentre i battiti del mio cuore aumentavano vertiginosamente il suo respiro si faceva sempre più vicino, fino ad accarezzarmi la pelle, sentì i brividi percorrermi la pelle. “...Ma non posso” concluse mentre appoggiava le sue labbra sulle mie. Sapeva di limone e di acacia. Non dimenticai mai quel bacio: un turbinio di sentimenti che si portarono via il mio corpo, mi liberarono da quell'involucro lasciandomi nudo di fronte a lei, puro e trasparente come l'acqua. Liberò il David Masson inviolato e incontaminato. Fu un sensazione magnifica.
Si staccò da me e mi sorrise malinconica “Addio per sempre David” disse mentre si allontanava, no, non potevo lasciarla andare via un'altra volta. Le corsi dietro e l'afferrai per un braccio

Elèonore non andare via ti prego...” la pregai
David, il tuo posto è qui, con Isabel...non con me. Non lo è mai stato e non lo sarà mai.” mi rispose lei con un tono caldo e rassicurante “Ora ti prego lasciami andare”. La guardai bene per l'ultima volta in modo da imprimermi ogni suo particolare, non avrei più permesso al tempo di scalfire la sua immagine. Era adulta ora e i suoi occhi brillavano di una luce più matura che lasciava trapelare tutte le tragedie che aveva vissuto, ma che risplendevano come quelli di una bambina. Sapevo che, per quanto cercassi di non farlo, l'avrei rievocata più e più volte durante i sogni.
Lentamente la liberai dalla mia stretta.
Aveva ragione: a casa mi aspettava la migliore moglie che potessi mai desiderare, una donna buona e premurosa che faceva di tutto per deliziarmi e mi amava intensamente.
'Ti amo Elèonore ora e per sempre' pensai mentre la vedevo allontanarsi, coi capelli al vento e il leggero vestito che ondeggiava ad ogni suo passo.

Dove andrai ora?” le urlai
Non si fermò, continuò a fluttuare lungo il viale alberato.

A riprendermi il cuore” rispose mentre il sole sorgeva.

Sorrisi amaro. Come io non l'avevo mai smessa di amare lei non aveva mai smesso di amare lui.
Il protettore del suo cuore. L'unico che avesse mai scalfito le sue corazze.

Lui.

Cèdric Blanc.

Dita di cristallo.
 

Fine

Nda: Bene siamo arrivati alla conclusione di questo racconto...spero vi sia piaciuto e che non sia diventato noioso nel corso della storia. Ringrazio tutti coloro che l' hanno seguito e recensito. Mi hanno fatto tanto piacere tutte le vostre recensioni e sono contenta che abbiate apprezzato.
Vi saluto, Goldenfish :D

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