L'incenso non si usa in pozionistica

di Dama Grigia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incombenze ***
Capitolo 2: *** Disillusione ***
Capitolo 3: *** Dal Signore Oscuro ***
Capitolo 4: *** Velati scontri verbali ***
Capitolo 5: *** Topo, ci vediamo dopo. ***
Capitolo 6: *** Io sono Naye, professoressa signora. ***



Capitolo 1
*** Incombenze ***


 
“Mio Signore.”
Severus era in piedi di fronte a Lord Voldemort. Chiamarlo con l’appellativo di “Mio Signore” gli costava in quel momento più del solito. L’estate aveva fatto appena in tempo a cominciare che già Silente aveva fatto una delle più grosse sciocchezze della sua vita. Come aveva potuto essere così sventato da indossare quell’anello? E adesso, qual’era il risultato? Semplice. Severus avrebbe dovuto ucciderlo. Ovvio, no? Ormai era troppo tardi per l’anima del pozionista, meglio preservare quella di Draco. 
“Severus, benarrivato.”
Lo accolse Voldemort, fissandolo negli occhi, come ogni volta. Cercandovi una traccia d’insicurezza, di infedeltà, di inganno, come ogni volta. Non trovando nulla di tutto ciò, come ogni volta. A poco a poco stava dimenticando i dubbi su di lui: il ritardo con cui lui si era presentato al cimitero, tanto per dirne una.
“Vi ringrazio.”
Disse semplicemente il mago, volgendosi poi verso la donna che, altera e folle come al solito, se ne stava al fianco del Suo Signore. Bellatrix Lestrange. Annuì in sua direzione, sapendo bene che lei non l’avrebbe mai salutato per prima, non l’aveva mai fatto e non aveva motivo di farlo in quel momento.
“Bellatrix…”
In risposta ricevette poco più di uno sbuffo sdegnoso.
“Ti ho fatto chiamare perché ho bisogno di te, e sono certo che Bellatrix sarà più che lieta di darti il suo contributo, per quanto possa valere.”
La maga avvampò di rabbia e di indignazione al sentire come le sue capacità erano messe in dubbio dall’uomo che serviva, venerava e -verosimilmente- amava.
S’inchinò ossequiosamente fino a terra, i lunghi ricci neri a sfiorare la polvere.
“Sarò lieta di offrirle il mio umile contributo, Mio Signore.”
“Lo stesso vale ovviamente per me.”
Aggiunse rapidamente Severus.
Voldemort proseguì come se nemmeno li avesse sentiti. Dopotutto, dava per scontata la loro collaborazione. La loro stessa vita doveva essere adibita a collaborare con lui, a lavorare per lui, a servirlo.
“La profezia, Severus. Non sono riuscito a metterci le mani, come sai.”
Così dicendo lanciò un’occhiataccia a Bellatrix, che abbassò la testa addentandosi il labbro inferiore fin quasi a farlo sanguinare.
“Tuttavia, ho avuto modo di riflettere. E adesso voglio un’altra cosa. La donna che pronunciò la profezia, la veggente. Lavora ad Hogwarts, da quello che mi risulta. Qual è il suo nome?”
Questo non prometteva niente di buono. Cosa voleva il Signore Oscuro da lei? Sebbene quella donna fosse una ciarlatana, per quanto fosse fastidiosa, Severus sapeva perfettamente di esserle -come dire- affezionato. Più o meno. Diciamo che la sua eventuale dipartita gli avrebbe provocato dispiacere. Poteva sembrare scontato, ma per uno abituato a vedersi morire davanti colleghi e conoscenti era un indubbio sintomo di affetto. Dopotutto, da quanti anni lavoravano insieme? Quindici? Certo non erano amici, l’amicizia è altro. Lei usciva troppo di rado dalla sua torre per poter sviluppare con chiunque il tipo di rapporto assimilabile a ciò. Ad ogni modo, il fatto che il Signore Oscuro chiedesse di lei gli provocava una certa inquietudine. Dischiudendo appena le labbra, si decise a rispondere.
“Sibilla …”
un’esitazione. Qual era il suo secondo nome? Cassandra? No, lei era l’antenata.
“…Patricia Cooman, Mio Signore.”
Voldemort annuì, soddisfatto dell’usuale accuratezza di Severus nel riportargli qualsivoglia informazione.
“Da quello che mi è stato riferito, non è altro che una ciarlatana. Nonostante ciò, noi sappiamo bene quanto vera sia la profezia che lei stessa ha pronunciato. Puoi spiegarmi quest’incongruenza, Severus?”
Mascherare gli ordini da domande, una cosa che gli riusciva piuttosto bene.
“Sarà un piacere. Vedete, lei è effettivamente in grado di vedere qualcosa con quello che chiama “occhio interiore”, a volte. Ciò però non dipende dalla sua volontà a quanto pare, e ad ogni modo non ne ha ricordo. Almeno, questo è quanto è possibile evincere dall’episodio della profezia, e da poche altre visioni di carattere nettamente inferiore. Il resto sono probabilmente basi di astrologia e lettura dei tarocchi assimilabili da un qualsiasi libro di testo. Personalmente, sospetto che spesso inventi di sana pianta le sue “previsioni”, per non perdere il posto, immagino.”
Silenzio. Il Signore Oscuro stava riflettendo, e la cosa più intelligente in quel momento per i due Mangiamorte era attendere senza fiatare. Bellatrix continuava a chiedersi cosa c’entrasse lei con tutta quella storia. Sudava freddo, in realtà. Aveva fallito la sua missione, e il fatto che Lord Voldemort fosse tornato sull’argomento in sua presenza non lasciava presagire niente di buono.
“Ad ogni modo, è in grado di pronunciare profezie.”
“Ne abbiamo avuto la prova.”
“Ed è purosangue, giusto?”
“Indubbiamente, Mio Signore.”
“Diretta discendente di Cassandra Cooman. Era una notevole maga. Una veggente di grandi poteri ed immensa fama.”
“ Il nome di Cassandra Cooman è conosciuto anche dai bambini.”
“In questo caso, la voglio.”
“Mio Signore,” Intervenne Bellatrix, che cominciava a sentirsi vagamente come se stesse lì a fare tappezzeria.
“Mio Signore, è morta.”
Lord Voldemort squadrò la donna da capo a piedi.
“Quando?”
Domandò alla fine.
“Secoli fa!”
Per tutta risposta, la fulminò con lo sguardo.
“Non ti credevo tanto ottusa, Bellatrix! Non sto parlando di Cassandra. Io voglio la sua discendente. Mi pensi davvero sufficientemente stupido da essere convinto che una maga vissuta secoli or sono sia viva?”
La donna avvampò nuovamente e si prostrò ai piedi del Suo Signore, implorandone il perdono. Lui si voltò verso Severus, reprimendo l’istinto di ucciderla solo perché aveva bisogno di lei.
“Mio Signore, come le ho detto le sue eventuali visioni non dipendono dalla sua volontà.”
Dannazione, gliel’aveva appena spiegato, ed era stato chiaro anche sul fatto che lei non aveva memoria delle sue predizioni. Quindi, non avrebbe potuto costringerla ad avere visioni per lui, né tantomeno a ripetergli la profezia. Cosa voleva da lei? 
“Questo l’ho capito. Ma la guerra è iniziata, e preferisco averla come alleata che come nemica.”
Severus drizzò le orecchie. 
“Alleata?”
“Esattamente. Portamela qui, viva e possibilmente tutta intera. Le offrirò di collaborare con me. Starà a voi convincerla ad accettare.”
“Non sarà facile. Lei è solita starsene rinchiusa nel castello.”
“Per questo ti affianco Bellatrix. Desidero che questa missione coinvolga i miei migliori uomini. Voglio quella donna nelle mie file, ad ogni costo.”
“Perché ci tenete tanto, Mio Signore, se è lecito chiederlo?”
Non era difficile cogliere una nota di gelosia nel tono di Bellatrix.
“Credevo di essere stato chiaro. Lei potrebbe avere altre visioni, e preferisco venirlo a sapere io piuttosto che l’Ordine. Inoltre, è discendente di una grande maga, il suo sangue è puro e nobile.”
Severus annuì. Un pezzo da collezione, insomma. 
“Sarà fatto, Mio Signore.”
A quel punto Voldemort li lasciò. Aveva dato le sue disposizioni, che se la sbrigassero loro, a quel punto.
“C’è poco da dire. Tu la attiri fuori ed io la schianto, poi la portiamo qui.”
Fece sbrigativa la donna.
“Punto primo: sarà difficile farla uscire dal castello, già è un miracolo vederla venir fuori dalle sue stanze. Punto secondo, forse non ti sono chiare le direttive del Signore Oscuro. Ha detto che la vuole viva e intera. Nessuno schiantesimo, ti limiterai a disarmarla una volta che l’avrò portata fuori dai confini di Hogwarts, verso la Foresta Proibita. Da lì saremo liberi di smaterializzarci con lei direttamente qui.”
Obiettò Severus. Lei agitò una mano come se stesse scacciando una mosca.
“Come ti pare, basta che facciamo alla svelta. Domani mattina.”
Non era una proposta, era una data definitiva. Il mago annuì e si smaterializzò, per riapparire poco lontano da Hogwarts. Si avviò a passi pesanti verso il castello.
In effetti aveva proprio bisogno di complicarsi ulteriormente la vita. Come avrebbe fatto a convincere Sibilla ad uscire? E soprattutto, che sarebbe successo poi? Ad ogni modo, doveva farlo. Per il bene superiore, come avrebbe detto Albus. Per non vanificare gli sforzi fatti fino a quel momento da tutto l’Ordine. 
Era giunto ormai nei corridoi. Uccidere Albus, rapire Sibilla. Com‘era il detto? Non c‘è due senza tre. Quando Minerva, incrociandolo, gli augurò un buon pomeriggio, lui rispose con un poco rassicurante:
“Fossi in te farei gli scongiuri”.
Ciò detto si rifugiò nei sotterranei, dove avrebbe pensato ad una scusa valida per far uscire Sibilla la mattina seguente.


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* Nota: questo è il primo capitolo di una long fic che intendo aggiornare in maniera il più possibile regolare. Il secondo ed il terzo capitolo sono già pronti, in attesa di essere pubblicati, e sinceramente mi piacciono entrambi più del primo, per cui date una possibilità a questa long fiction se vi va, e lasciatemi due righe magari. 
Grazie a Lady Cooper per il supporto ;) *
 
 

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Capitolo 2
*** Disillusione ***


Toc. Toc. Toc.
Tre colpi alla botola, uno dopo l’altro, lenti e cadenzati. Per la sorpresa, a Sibilla cadde di mano il mazzo di carte. Queste ultime andarono a spargersi per tutto il pavimento, strappando alla maga un lamento frustrato. Non era solita ricevere visite, ed ogni volta che succedeva era una sorta di avvenimento. Ragion per cui, si era stampata in mente il modo in cui ciascuno dei docenti era solito bussare. Piccola strategia indispensabile alla sopravvivenza della sua immagine. Sapeva che dietro quella porta c’era Severus, così come avrebbe riconosciuto il tocco affettato di Minerva o l’inconfondibile “ritmo” che Silente componeva con le nocche ogni volta che doveva parlarle.
Tentò di rimediare al pasticcio spingendo le carte sotto un tavolo (la cui “tovaglietta” arrivava a toccare terra) con entrambe le mani .
Diciamo che, se ricevere visite le faceva piacere, ricevere visite da lui la rendeva piuttosto felice. Si sedette alla scrivania ricoperta da drappi colorati ed assunse una posa composta, fissando la sua inseparabile sfera.
“Vieni avanti, Severus.”
Disse ad alta voce. Il mago entrò: come al solito non sembrava stupito dal fatto che lei l’avesse riconosciuto in anticipo. Aveva capito il trucco o era convinto delle sue doti? A Sibilla piaceva la seconda ipotesi. Anche perché lei era la prima ad aver fiducia nelle sue capacità, il fatto che ogni tanto le “incentivasse” era di secondaria importanza.
“Buongiorno, Sibilla.”
Disse lui piuttosto distaccato, cercando di ignorare l’odore di incenso che gli aveva appena invaso violentemente le narici.
“Buongiorno, caro. Vuoi scusarmi un secondo? Sto vedendo … ooooh, povera ragazza … mi duole informarti che una studentessa della tua casa si ferirà entro la fine dell’anno.”
Considerato che Diane Forrest aveva richiesto l’ingresso in squadra per l’anno successivo, consideranto che sua madre era un’influente e corrotto membro del Winzengamot, e considerato anche che la giovane sapeva a malapena stare su una scopa, chiunque avrebbe potuto pronosticare che sarebbe stata senza dubbio disarcionata alla prima partita. Tuttavia, Severus assunse un’espressione interessata che non avrebbe ingannato nemmeno un bambino.
“Davvero? Grazie per avermelo detto, in questo caso.”
 Forse un bambino no, ma Sibilla si gonfiò d’orgoglio. 
“Dovere, caro, dovere.”
Come farsi schifo da soli, disponibile in tre comodi volumi a cura di Severus Piton. 
“Allora, vogliamo arrivare al punto? So che non sei qui per sentirmi parlare della sorte degli alunni.” Tagliò corto lei, alzandosi con un sorriso radioso.
Solo per oggi con l’allegato speciale “sentirsi un verme in poche semplici mosse”.
“Certamente. Possiamo uscire? Non sono abituato a tutto quest’incenso.”
Come se non passasse serate intere rinchiuso tra i fumi decisamente poco salubri del calderone.
Lei non si scompose, anzi, colse la palla al balzo.
“Sapevo che me l’avresti chiesto. Come vedi, indosso già lo scialle.”
“Tu indossi sempre almeno un paio di scialli.”
Obiettò il mago.
“Ma non questo, vedi? È quello pesante, da passeggio.”
… meglio non contraddirla ulteriormente, decise lui.
“Giusto, non l’avevo notato. Vogliamo andare o pensi di continuare a martoriarmi i polmoni ancora a lungo?”
Lei parve offendersi, ma fu questione di un attimo.
“Oh ... Non c‘è problema, caro. Andiamo pure.”
Perché. Diamine. Doveva. Sempre. Usare. Quello. Stupido. Appellativo?
Severus si diresse a passo di marcia verso il parco di Hogwarts, seguito da Sibilla che per stargli dietro senza inciampare continuava a sollevarsi freneticamente l’orlo dell’abito.
Quando furono sufficientemente inoltrati nel parco, lui rallentò, permettendole di raggiungerlo. 
“Adesso posso sapere di cosa vorresti parlarmi?”
Fece lei, tradendosi.
“Credevo lo sapessi.” 
Non era riuscito a trattenersi. In fondo, come poteva Sibilla sapere cosa lui voleva dirle se nemmeno lui lo sapeva con precisione? Aveva deciso che avrebbe inventato qualcosa sul momento. Inoltre, se davvero Sibilla avesse previsto quanto stava per accadere, si sarebbe ben guardata dall’uscire allo scoperto.
“Certo che lo so!”
Arrossì la maga, pensando disperatamente ad una scusa.
“Ma devi essere tu a parlarmene. Sai, è una questione di principio.”
Lui fece valere tutto il suo autocontrollo per non ribattere.
“Sì.”
Avanti, qualche decina di metri e sarebbero stati fuori dalla protezione che impediva di smaterializzarsi. Doveva tirare avanti solo per un minuto o due.
“Volevo un tuo consiglio, in effetti.”
“Davvero, caro? A che proposito?”
Bella domanda. E adesso che le diceva?
“Più che altro, si tratta di un parere.”
“Dimmi pure, perché continui a tirarla così per le lunghe, caro?”
Basta con quel dannatissimo “caro”! Che dirle, che dirle?
“Ho sentito parlare di una pozione …”
“Non sei tu l’esperto nel campo?”
Momento di silenzio. Ancora pochi metri.
“Si tratta di una pozione in grado di rendere più chiara la lettura delle foglie di the. Vorrei sapere che ne pensi.”
Era consapevole di aver appena detto una sciocchezza? Sì, lo era.
“Che sciocchezza.”
Appunto. 
Tre metri.
“Dici?”
“Certo! Non esistono pozioni in grado di fare cose del genere, caro. Chi ti ha detto una cosa simile?”
Due metri.
“Oh… qualcuno deve avermelo detto. Non ricordo bene.”
In quell’istante, lei sorrise. Gli afferrò il braccio sinistro con entrambe le mani e, senza smettere di camminare, parlò a voce bassa.
“Non hai bisogno di scuse per fare una passeggiata con me, Severus.”
Che cosa?
Un metro.
Non era possibile. Si era voltata, nel vano tentativo di nascondere il sorriso, ed era palesemente arrossita. No. Non poteva essere. Sibilla provava qualcosa per lui? Questo era quello che si evinceva dal suo comportamento. Ed effettivamente si spiegavano anche diversi episodi passati. La consapevolezza di quanto stava per farle lo travolse. Stava per essere profondamente delusa dall’uomo che, verosimilmente, amava.
Solo per le prime dieci telefonate, in regalo una pala per scavarsi una buca in terra.
Dall’ombra balzò fuori Bellatrix. La bacchetta puntata, in un secondo disarmò Sibilla, senza abbandonare nemmeno per un secondo la sua espressione da pazza.
La veggente gridò e si nascose come poteva dietro al collega, contando sul fatto che l’avrebbe protetta.
Con un modico supplemento sarà disponibile il primo volume dell’ “enciclopedia del pezzo di merda.”
Severus sospirò. Prese Sibilla per le braccia e, costringendosi a guardarla in faccia, le disse con voce quanto più possibile distaccata:
“Vieni con noi. Non fare resistenza e andrà tutto bene.” 
Il volto della donna divenne di colpo marmoreo. Negli occhi le si dipinsero la delusione, il dolore, la disillusione.
Si lasciò trascinare via senza nemmeno provare ad opporsi, i muscoli non le rispondevano, le braccia le ricadevano inermi lungo il corpo.
Sarà inoltre possibile abbonarsi all’enciclopedia completa, che consta di ventisette pratici fascicoli.

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Capitolo 3
*** Dal Signore Oscuro ***


 
 
Si stava sforzando di non tremare, per quanto le fosse possibile. Nessuno aveva mai avuto interesse a lei, né come amica, né come donna. Lei non esisteva, per il resto del mondo. Eppure l’avevano appena rapita, ma a che scopo?
La cosa peggiore era che per anni si era illusa di poter conquistare Severus. Il suo sentimento per lui era nato piano piano, quasi senza che lei se ne accorgesse, per poi crescere lentamente. Certo, sapeva che era un amore disperato, che aveva una possibilità su mille di essere notata dal pozionista, però c’era sempre quella dannatissima briciolina di speranza che le faceva venire un tuffo al cuore ogni volta che sedevano vicini.
In quel momento però quell’unico sogno che il cuore di Sibilla avesse mai osato era stato distrutto, preso a sassate e gettato nel cassonetto dell’umido insieme ai torsoli di mela: uno dei rapitori era proprio lui. Severus Tobias Piton. Non riusciva a opporre resistenza, non riusciva nemmeno a piangere, non riusciva a fare un bel niente se non lasciarsi trascinare. 
Tornò alla realtà quando si rese conto che si erano fermati. Erano davanti a quella che appariva come un’anonima casa in periferia. Con la coda dell’occhio guardò i due che la scortavano. La prima era una donna che colpiva subito per la sua espressione: una faccia da pazza che avrebbe spaventato i Grifondoro più degni. 
Quindi queste sono le persone che frequenta. E poi mi dice che IO sono fuori di testa.
Non poté fare a meno di pensare. Ovviamente si riferiva a Severus. Osservò anche lui: freddo, distaccato, non un’espressione lasciava trapelare qualcosa sui suoi pensieri.
Entrarono. L’interno era decisamente più grande di quanto apparisse da fuori.
Sibilla cominciò a sudare freddo quando vide le decine di persone che affollavano quel luogo, tutte vestite rigorosamente di nero e con il volto coperto da una maschera d’argento.
Mangiamorte.
Posò lo sguardo su uno di essi, voltato di spalle. Indossava un lungo mantello nero e la sua testa era coperta da un cappuccio, ma l’attenzione del gruppo sembrava essere completamente su di lui.
“Mio Signore.”
Disse deferente quella che Sibilla aveva identificato come la famigerata Bellatrix Lestrange.
L’uomo col cappuccio si voltò. La veggente sgranò gli occhi terrorizzata nel rendersi conto di essere di fronte a Lord, emh, al Signore Oscuro. Aveva paura anche a pensarne il nome. 
Stai calma, stai calma, qualunque cosa voglia non si rivolgerà a te di persona. Delegherà a Severus, senza dubbio. Sì. Lo sento. Me lo dice il mio occhio interiore.
Mentre pensava ciò, Sibilla vide il mago oscuro venirle incontro con passo deciso.
Anche se potrei sbagliarmi.
“Sibilla Cooman.”
Lei fece appena in tempo a fermare l’impulso di rispondere “presente”. 
“Sarò breve. Ho il potere di ucciderti e di salvarti. La scelta è tua.”
Silenzio. La donna non riusciva a parlare, non riusciva a muoversi. Riusciva solo a fissare Voldemort terrorizzata. Lui proseguì, imperterrito.
“Immagino che la seconda opzione sia quella più allettante, tuttavia ha un prezzo. Come ogni cosa.”
Pausa. Sapeva come enfatizzare le proprie parole.
“Io voglio che tu entri nelle mie file. Ti voglio come alleata, non come nemica. Quindi, è piuttosto semplice: chi mi è fedele, vive. Chi si oppone, muore.”
Ciò detto, si limitò a guardare i due Mangiamorte che scortavano la donna. Ovviamente il significato di quello sguardo fu chiaro ad entrambi.
-Ho posto le mie condizioni. Pensateci voi adesso.-
 
 
Annuirono.
Lui si allontanò, per dedicare la sua attenzione ad altro.
Poi, con uno scatto, Bellatrix le afferrò la gola.
“Tu vieni con me, adesso. C’è tanto spazio nella segrete della Villa.”
Questo avrebbe significato innanzitutto torture, Severus lo sapeva. La fortuna di Sibilla (se tale la si poteva definire) era racchiusa nelle parole del Signore Oscuro, “ti voglio come alleata”. A queste si appigliò il pozionista mentre toglieva bruscamente la mano di quella pazza dalla gola di Sibilla.
“Non mi sembra che tu abbia capito le parole del nostro Signore.”
Lei lo fissò come se davanti avesse un elfo domestico affetto da spruzzolosi (ammesso che gli elfi domestici contraessero tale malattia).
“Che ti prende adesso?”
Fece, indignata.
“Lui è stato chiaro. La vuole come alleata. Preferibilmente, con le buone. Non mi sembra che ciò sia compatibile con le segrete che hai nominato. Inoltre, sono costretto a contraddirti per quanto riguarda lo spazio che sostieni esservi. Se non sbaglio, sono piuttosto “affollate”, in effetti.”
“Puoi anche avere ragione,” ammise lei stizzita, “ma per quanto ne so non c’è altro posto dove gettarla.”
“Gettarla”. Non è un fazzoletto sporco.
In realtà un posto c’era, ma Severus non era certo che fosse una buona idea. Peccato che fosse l’unica idea possibile, oltre a Villa Malfoy. 
“Posso tenerla in casa mia. Non potrà fuggire se terrò io la sua bacchetta.”
Glielo doveva. 
“Tu? Davvero te l’accolleresti?”
Era ancora in tempo per ripensarci, ma non l’avrebbe fatto.
Sibilla sembrò rilassarsi di colpo. Severus era e restava l’unico volto conosciuto a cui aggrapparsi, nonostante la delusione che le aveva procurato.
“Se posso reggere Minus, lei non sarà certo un problema.”
Disse, pregando che Bellatrix non facesse altre domande. Quella rise sguaiatamente.
“Mi è giunta voce del tuo nuovo inquilino.”
Lo sbeffeggiò.
“È deciso, la tengo io.”
Tagliò corto lui.
“Come ti pare, una grana in meno.”
Senza più una parola, il mago si allontanò, continuando a tenere la collega per il braccio.

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Capitolo 4
*** Velati scontri verbali ***


Severus si domandò come gli fosse saltato in mente di mettersela in casa.
Se lo chiese per la quindicesima volta in dieci minuti.
Durante quel breve lasso di tempo, cioè da quando erano arrivati a Spinner’s End, Sibilla non aveva fatto che piagnucolare il proprio disappunto, ripetendo che non avrebbe dovuto fidarsi.
“Se tu fossi una veggente tanto potente quanto sostieni avresti previsto a quale pericolo stavi andando incontro.”
Disse lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo. La frecciatina sortì l’effetto desiderato, e la donna si zittì di colpo, scottata.
“Hai almeno intuito quali siano le aspettative del Signore Oscuro su di te? Non c’è bisogno del tuo fantomatico Occhio Interiore per arrivarci.”
Curioso come il silenzio possa, a volte, essere più eloquente di qualunque risposta.
“Non è particolarmente difficile come concetto. Sei purosangue, discendi da una grande veggente, e c’è la remota possibilità che tu abbia perfino ereditato qualche capacità da lei. Sei senza dubbio più utile come alleata.”
Ancora silenzio, che stavolta Severus non pareva intenzionato a rompere. 
“Io dovrei allearmi con voi?”
Non fu difficile cogliere il profondo disprezzo di cui quel “voi” era impregnato, tanto che perfino Minus, impegnato come suo solito ad origliare, ci fece caso. Questo lo portò a tradire la sua posizione, lanciando un gridolino d’indignazione. Una piccola fattura scaturì come al solito dalla punta della bacchetta di Severus, facendo scappare l’animagus con il braccio pieno di bolle infiammate.
“Non è così difficile da capire, te l’ho detto.”
“Io, ecco, non intendo nemmeno pensarci.”
Non che avesse un tono di voce particolarmente convinto. Stava probabilmente facendo un grosso sforzo di volontà per negare il proprio consenso, le andava riconosciuto.
“Perché, sei solita pensare, per caso? Non mi risulta.”
Lei fece per inalberarsi, ma si morse le labbra e stette in silenzio. Anche se si trattava di Severus, era comunque segregata in casa sua ed era stata privata della bacchetta.
“E tu sei solito rapire la gente?”
“No, ma per te ho fatto un’eccezione.”
“Non credo di poter accettare.”
“Non “credi“? Lascia che ti spieghi come stanno le cose. Rifiuta la tua collaborazione al Signore Oscuro, e sarà l’ultima cosa che farai.”
La cosa che colpì la strega non fu tanto il significato di quelle parole, quanto il tono con cui Severus le aveva pronunciate.
Tranquillo, pragmatico, inespressivo. La stessa fredda passività di chi sta parlando di cose a cui è semplicemente abituato. Ad ogni modo, la risposta non cambiò.
“No.”
Dopotutto, doveva ben più che un posto di lavoro a Silente, e la parte più profonda di lei, sepolta dall’orgoglio, lo sapeva bene.
Severus, per tutta risposta, aprì la porta e chiamò ad alta voce Codaliscia, che li raggiunse dopo pochi secondi.
“Non stavo origliando! Devi credermi, Severus.. Tu mi conosci!”
“Proprio per questo ho la certezza che tu fossi appostato dietro la porta con l’esatta intenzione di ascoltare la conversazione. Tuttavia, io sto andando ad Hogwarts. Devo trovare un modo per giustificare l’improvvisa assenza di una docente. Ammesso che qualcuno se ne accorga.”
Dopo quest’ultima frecciatina lasciò in fretta la casa.
Doveva assolutamente avvertire Silente dell’accaduto. Il preside non aveva passato la notte ad Hogwarts, ed era rientrato solo da un paio d’ore, per cui Severus non aveva avuto tempo di informarlo. 
 
***
 
“Quindi adesso si trova a casa tua, Severus?”
Domandò il preside, fissando l’insegnate di Pozioni in piedi di fronte a lui.
“Non potevo fare altrimenti, Albus, lo sai.”
Silente annuì.
“Sono d’accordo con te. Confido che, se riuscirai a convincerla a collaborare, non le succederà niente di particolarmente spiacevole, finchè resta con te.”
Il mago si lasciò sfuggire uno sbuffo di disappunto. 
“Non mi resta che un dubbio a questo punto, Severus.” Proseguì l’altro, ignorandolo. “Lei adesso è chiusa in casa tua con Peter Minus?”
“Evidentemente.” Confermò lui. “Non che ci fossero alternative. Perché?”
“Non so tu, ma personalmente non lo trovo il genere di persona alle cui cure affiderei una puffola pigmea.”
Severus inarcò un sopracciglio, domandandosi se il preside lo stesse prendendo in giro. Che significava “non so tu”? Doveva forse ricordargli le ottime ragioni che aveva per non riporre fiducia nell’uomo che aveva tradito i Potter, che aveva condannato Lily? Sempre che si potesse definirlo un “uomo”.
“Ti ripeto che non avevo alternative.”
“Sì, immagino che tu abbia ragione.” Convenne Silente. “Ad ogni modo, adesso dovresti tornare da quei due.”
“In effetti dovrei sbrigare un paio di faccende qui ad Hogwarts, prima.”
Puntualizzò il professore.
“Sono certo che potranno attendere.”
Tagliò corto l’anziano mago, ponendo fine alla discussione sul nascere.
Rassegnato, Severus si congedò e prese la direzione per Spinner’s End, seppur vedendo con un certo scetticismo i dubbi di Albus.
Nelle due ore scarse in cui era stato via non poteva essere successo niente, in fondo.
No?




***Angolo autrice: scusate per l'attesa, lo so, ci ho messo una vita ad aggiornare e un paio si sono anche stufati, togliendo la storia dalle seguite T.T Grazie ai 7 che hanno avuto la pazienza di aspettare un aggiornamento per un mese e mezzo, ai 2 che l'hanno messa fra le preferite, a chi l'ha messa tra le ricordate e a chi ha avuto la gentilezza di recensire! Anzi, se vi va lasciate una recensione anche a questo capitolo ;) Giuro che non vi farò attendere di nuovo così tanto per il prossimo capitolo!***

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Capitolo 5
*** Topo, ci vediamo dopo. ***


Fece appena in tempo ad entrare in casa prima di rendersi conto che forse Albus non si era sbagliato, poco prima.
Abbandonato su un ripiano della cucina faceva bella mostra di sé un pentolone contenete una massa informe che nella concezione del suo artefice, ovvero Codaliscia, doveva essere equiparabile ad un pranzo. Peccato che fossero quasi le due. Come mai non avevano ancora mangiato?
Aveva una sensazione spiacevole. Possibile che fossero stati trovati da qualche Auror? Improbabile.
Un istante dopo aver notato una manciata di perline colorate a terra, udì distintamente un “NO!” provenire dalla stanza adiacente. Quantomeno, Sibilla era ancora lì, e verosimilmente non era da sola.
Scattò verso la porta che conduceva al modesto salotto, per restare poi immobile sulla soglia ad osservare la scena.
Minus -invariabilmente viscido- teneva la Veggente per un polso, mentre con la mano argentata le cercava l’orlo della gonna. Lei, ovviamente, non gli stava facilitando il compito, dimenandosi e scalciando.
La comprensione fu come un lampo, al mago sembrò di poter vedere la scena: lui che le afferrava un polso, il braccialetto che si staccava, le perline che cadevano a terra.
Avvertì un senso di profondo disgusto salirgli dalla bocca dello stomaco.
Quell’uomo (ammesso che così si potesse definirlo) stava molestando una donna. In casa sua.
Quelle quattro mura avevano ospitato per anni le vessazioni subite da sua madre, Eileen Prince. Nessun’altra donna sarebbe stata tormentata sotto quel tetto.
“Basta. Così.”
Scandì con voce mortalmente fredda. Se si potessero lanciare incantesimi con la sola forza del pensiero, senza bisogno di brandire bacchette, si sarebbe detto che Severus avesse appena pietrificato l’animagus. Tuttavia, a volte non serve la magia per far restare di sasso una persona, in particolar modo nel caso in cui tu risponda al nome di Severus Piton.
Dopo un attimo di sorpresa, la strega sgusciò dalla presa di Peter e si rifugiò dall’altra parte della stanza, vicino al collega. Bastava guardarla in faccia per rendersi conto di quanto fosse sconvolta. Una persona emotivamente fragile come lei, appena diventata oggetto di un rapimento, non poteva reggere anche le molestie di uno degli esseri più viscidi che abbiano mai frequentato Hogwarts.
Con un tremito che le scosse tutto il corpo, prese a piangere istericamente, in preda ai singhiozzi.
La situazione cominciava a mettere a disagio il mago. A disagio nella sua stessa casa. Trattenendo l’irritazione, intimò a Sibilla di calmarsi, ottenendo in cambio un gemito più forte degli altri e nessun accenno a diminuire da parte della lacrime.
Minus, dal canto suo, se ne stava in fondo alla stanza, senza ben sapere cosa fare. Alla fine parve decidere di tentare un passo in avanti, provocando uno strillo isterico da parte della donna, che Severus interpretò come un “Stammi lontano!”
L’altro prese a squittire alcune parole probabilmente in propria difesa, aumentando l’irritazione del padrone di casa, che sibilò:
“Fate silenzio. Entrambi.”
Forse fu grazie al tono calmo e freddo (da pazzo omicida) usato da Severus, sta di fatto che l’ordine venne eseguito all’istante. Per un lasso di tempo indefinibile tutti e tre stettero immobili, in silenzio, statue di sale bloccate in quella situazione incresciosa. A rompere quell’illusione di stasi fu Sibilla, che biascicò con quella poca dignità che le rimaneva:
“Tienimelo lontano. Farò quello che vuoi, farò quello che vuole tu-sai-chi. Ma tienimi lontano questo … schifoso!”
I nervi del mago si calmarono di botto per lasciare che fossero i neuroni a mettersi in moto. Questa poteva essere l’occasione buona per convincere la strega a fare la sola scelta che le avrebbe permesso di restare in vita. Certo, sarebbe stato piuttosto meschino sfruttare così quella situazione, tuttavia era la sola soluzione che vedeva, al momento.
“Davvero lo farai?”
“Cosa…?
“Davvero farai quello che Lui ti chiede? Ti unirai ai Mangiamorte?”
“Sì! Però prometti.”
“Prometto che ti terrò lontano Minus. Lui non costituirà più fonte di fastidio per te, ma tu devi giurare che farai quanto hai detto.”
“Lo giuro, ma non dimenticare ciò che hai promesso.”
“Non lo farò” Le assicurò lui. “Ora vai nella tua stanza, meglio che riposi.” La congedò seccamente.
Lei obbedì senza pensarci due volte, dirigendosi a passi malfermi verso la camera che le era stata assegnata, per poi chiudervisi dentro e mettersi a singhiozzare, tentando invano di non farsi sentire.
Rimasto solo con Peter, Severus dette sfogo a tutta la propria indignazione.
“Cosa. Ti. Salta. In. Testa?” Scandì.
“Io non volevo!” Squittì il suo indesiderato ospite.
“Non volevi? Mi era parso proprio il contrario.” Obiettò Severus.
“Sì, ma non credevo che te ne curassi.”
“Ah, no?”
“Già, che ti importa se io e quella … insomma-”
“Non accetto, non ammetto, non permetto simili comportamenti in casa mia. Sei libero di fare quello che vuoi quando te ne vai a Nocturn Alley, ma in casa mia devi portare rispetto a me così come a lei, dal momento che, ti ricordo, il Signore Oscuro la vuole come propria alleata. Cosa direbbe se sapesse che hai tentato di molestare una sua alleata?”
Il panico si dipinse sul volto del Mangiamorte.
“Ma io non pensavo!”
“Esatto, non pensi mai. Dovresti imparare a farlo. Fuori di qui adesso. Non voglio vederti per un pezzo. Vai dove ti pare, basta che tu sparisca dalla mia vista immediatamente.”
“”Non agitarti, non è successo niente alla fine!”
“Solo perché io sono arrivato in tempo. Ti ripeto l’invito a congedarti per l’ultima volta.”
Quello finalmente si decise ad andarsene, lasciando il mago solo con se stesso.

***Per favore, leggete questa nota!***
Prima di tutto, il titolo è un omaggio al film "La Tigre e la Neve" di roberto Benigni.
Ora, va bene, avete diritto a una spiegazione. Tre mesi di attesa sono troppi. Scusate, soprattutto gli undici che mi seguono, e che sono diventati 12 proprio negli ultimi giorni. Questa cosa in particolare mi ha stupito, dato che non aggiorno da un pezzo. Dunque, queste spiegazioni: in primo luogo, mi ero iscritta a un contest per long fiction ed ho dovuto scrivere nove capitoli. A breve pubblicherò anche questa long, e dal momento che è completa almeno aggiornerò puntualmente.
Ma la cosa che più di ogni altra ha ritardato la pubblicazione di questo capitolo è il contenuto dello stesso. Insomma, diciamocelo, la molestia è un cliché, come mi ha giustamente fatto notare Charlotte, una fanwriter più che esperta. Avevo, ed ho tuttora, paura di cadere nel banale e trasformare i protagonisti in Mary Sue e Gary Stu. Dunque, tutto quello che posso dirvi è che la storia non proseguirà con una lei “sensualmente” spaventata e indifesa che si nasconde dietro le sottane di Severus e cambia personalità diventando OOC. Né tantomeno vedrete un Severus che magicamente prende a comportarsi da fesso perché di botto si innamora senza uno straccio di spiegazione. Quello che tento di fare con tutta me stessa è mantenere IC i personaggi, quindi… niente. Grazie per aver continuato a seguire la long nonostante l’attesa.

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Capitolo 6
*** Io sono Naye, professoressa signora. ***


Peter fece ritorno a Spinner’s End la mattina successiva.
Entrò in casa come un ladro, salvo lanciare uno stridulo grido nel trovarsi faccia a faccia con Severus. Quest’ultimo lo osservò, disgustato dalle innumerevoli tracce di una notte di bagordi a Nocturne Alley, ma alla fine si fece da parte e gli permise di sgattaiolare fino alla sua branda. Sibilla non si era ancora svegliata, sebbene i singhiozzi sommessi udibili accostando l’orecchio alla porta suggerissero che non avesse mai preso sonno. Ad ogni modo, non aveva ancora messo il naso fuori da quella stanza. 
Gettò un’occhiata distratta alla pendola. Quasi le nove.
Dannazione, non poteva perdere tempo. Doveva andare ad Hogwarts per parlare con Silente degli ultimi sviluppi, e degli stessi sviluppi doveva informare anche il Signore Oscuro. Peccato però che non avesse la minima intenzione di lasciare di nuovo il gatto e il topo da soli.
A quella similitudine, Severus sorrise, realizzando che in essa il gatto era rappresentato da un topo, in un certo senso. Un secondo dopo si dette dell’idiota per la sua battuta inutile quanto inopportuna, ricominciando a cercare una soluzione al suo problema.
Mandare Sibilla nelle segrete di Villa Malfoy era fuori discussione, tuttavia non poteva scacciare Minus.
Quindi, restava una sola cosa da fare.
Il suono inconfondibile di una materializzazione rese noto a Severus che la sua soluzione era appena giunta.
“Grazie per aver fatto così presto, Naye. Seguimi.”
Disse alla nuova arrivata, per poi raggiungere la stanza di Sibilla e bussare, tre colpi ben scanditi.
“Sei sveglia?”
Silenzio.
“Posso entrare?”
Ancora nulla. Il mago decise di essere più drastico.
“Io starò via tutta la mattina.”
Di colpo udì chiaramente la donna precipitarsi in direzione della porta e aprirla quel tanto che bastava per mettere fuori la testa. Era impossibile non notare gli aloni scuri sotto gli occhi arrossati.
“Te ne vai? E quello?”
“Minus resterà a casa. Dal momento che ho promesso di tenerti al sicuro, e non ho intenzione di venire meno a tale impegno, ho deciso di delegare il mantenimento della tua sicurezza in mia assenza a qualcuno di cui so di potermi fidare.”
Ciò detto si spostò di lato, rivelando la presenza dietro di sé. 
“Lei è Naye.”
“Tu hai un elfa domestica?”
Chiese Sibilla, senza riuscire a nascondere la sorpresa, aprendo di più la porta.
“Evidentemente. Naye,” aggiunse poi rivolto alla diretta interessata “questa è la donna di cui ti ho scritto nella lettera. Come anticipato, il tuo compito è quello di proteggerla in mia assenza, in particolar modo da Codaliscia. Non credo che azzarderà un secondo tentativo, ma le ho fatto una promessa e non voglio correre rischi. Fai quanto in tuo potere per renderle questo soggiorno forzato quantomeno sopportabile.” 
Detto ciò tornò a rivolgersi alla collega.
“Sibilla, io sto andando da Lui per comunicargli la tua decisione. Se hai ripensamenti, dillo adesso e forse la tua morte per mano dell’Oscuro sarà un po’ meno dolorosa.”
Le spiegò seccamente. Non voleva spaventarla, o almeno non per il gusto di farlo. Voleva solo che fosse consapevole di cosa significasse rifiutarsi a Lord Voldemort.
“Dunque?”
Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo.
“No, abbiamo un patto, giusto? Tu stai facendo la tua parte, così come io farò la mia.”
Mormorò.
“Ottima decisione.” Convenne lui. “Tornerò appena posso, Naye.” Si congedò poi. Attraversò il corridoio che lo separava dall’ingresso e uscì, silenzioso come suo solito.
L’elfa si voltò sorridente verso la donna.
“Ehm, piacere … come hai detto di chiamarti?”
“La professoressa signora non si ricorda di Naye, ma Naye si ricorda di lei.” Rispose l’altra.
“Oh? In che occasione ci siamo incontrate?”
Fece Sibilla. In effetti aveva qualcosa di familiare, ma per lei gli elfi domestici si somigliavano un po’ tutti.
“Naye è tra gli elfi che le portano i pasti nella sua torre, professoressa, signora.”
La Veggente si sentì improvvisamente imbarazzata. Sapeva, da quanto le aveva detto Silente, che un gruppetto di una decina di elfi era adibito a portarle i pasti. Si davano il cambio.
Appena dieci, sempre i soliti per quindici anni, eppure non l’aveva riconosciuta. Doveva ammetterlo, non aveva mai dato loro importanza: considerava inferiori a lei i suoi colleghi, figurarsi quelle creature bruttine e coperte di stracci. 
Era stata una presuntuosa, a dir poco, e ora se ne rendeva conto.
“Credevo fossi l’elfa domestica di Se -ehm- del professor Piton.”
“Naye lo è, infatti.” Confermò l’altra.
“Per quale ragione lavori ad Hogwarts, allora?”
“Professoressa signora, è una storia lunga.”
“Se c’è una cosa che non mi manca è il tempo, cara.”
“Naye non sa se può raccontare.”
“Ti è stato vietato?”
“Non espressamente,professoressa signora. Ma Naye crede che al Padrone non farebbe piacere.”
“Se non te l’ha vietato puoi parlare. Non lo saprà mai da me, parola.”
L’elfa parve dubbiosa, ma alla fine, tormentandosi le mani, annuì. 
“Avanti allora!” La spronò Sibilla, a cui la curiosità pareva aver fatto dimenticare temporaneamente la brutta esperienza della sera prima.
“Naye aveva un altro padrone, una volta. Padron Lennis, si chiamava. La professoressa signora conosce la vita di noi elfi, dobbiamo servire i maghi. Qualcuno si chiede se agli elfi questo vada bene, se desideriamo la libertà. Naye la desiderava quando viveva con Padron Lennis, o almeno lo credeva. Il Padrone era crudele, ora posso dirlo perché non gli appartengo più. Costringeva Naye a punirsi, anche se faceva quanto richiesto, e lo faceva bene. Naye è ancora piena di cicatrici.” 
Tese automaticamente le mani a mostrare i segni della crudeltà usatale dal suo primo padrone: bruciature, tagli, abrasioni raggiungevano l’altezza del gomito.
“Oh, ma è orrendo, mia cara!”
Naye si ritrasse. Non era abituata a quell’appellativo.
“Prosegui, ti prego.”
“Un giorno Padron Lennis dovette scappare via. Faceva cose illegali, il Padrone, cose che non andavano bene al Ministero, e quando fu scoperto fece le valigie. 
Prese l’essenziale, lasciandosi alle spalle ciò che non gli serviva: i mobili, le pozioni, i cani.
E Naye.”
“Ti abbandonò?”
“Stava andando via. Guardò Naye come distratto, come una fastidiosa moscaccia, poi gettò alla sua elfa che lo supplicava di non lasciarla lì un vecchio guanto. Disse che adesso Naye non era più un suo problema. Naye non l’ha mai più visto.”
“Quindi eri libera, finalmente! Come sei finita nelle mani di Severus, dopo aver ottenuto la libertà che tanto volevi, mia cara?”
La piccola narratrice deglutì, sull’orlo delle lacrime. Gli elfi erano creature piuttosto deboli dal punto di vista emotivo, per quanto potenti nelle arti magiche. Forse era stato questo a facilitare la loro sottomissione ai maghi. 
“Vieni con me.” Le disse la donna, per poi raggiungere la cucina. Aprì sportelli e cassetti per un minuto buono, ma alla fine trovò sia la teiera che le foglie per l’infuso. Mise a bollire l’acqua, aspettando in silenzio che l’elfa si calmasse. 
Quando il tè fu finalmente pronto, ne versò due tazze e ne porse una a Naye, che sussultò. Evidentemente non si aspettava che la bevanda fosse stata preparata per lei.
Un paio di sorsi furono sufficienti a rimetterla in sesto.
“Una buona tazza di tè ha un effetto rigenerante, ho una certa esperienza in fatto di infusi.” Non poté evitare di vantarsi la strega.
“Avanti, finisci di raccontare.”
“Naye era contenta. Aveva la libertà. Ma Naye era un elfa domestica, professoressa signora. Naye era nata e cresciuta con lo scopo di servire padron Lennis, e la libertà significò non sapere dove andare, cosa fare, a chi fare riferimento. Naye ricorda di avere camminato tanto, era così stanca, e alla fine si gettò in terra. Poi niente.”
“Sei svenuta?”
“Naye crede di sì.”
“Che altro ricordi?”
“Solo che quando ha aperto gli occhi, Naye era distesa su un cuscino, accanto a un caminetto. Questa povera elfa non sapeva né dov’era, né come ci era finita. Aspettò, forse un ora, ferma, perché era troppo debole per smaterializzarsi e scappare via. Alla fine entrò un uomo nella stanza. Aveva gli occhi incollati a un libro, si sedette su una poltrona e continuò a leggere assorto. Naye aveva paura, perché quell’uomo era vestito tutto di nero, e non si era nemmeno accorto di lei. Poi i suoi occhi cambiarono espressione, come se tornassero alla realtà dopo essersi persi nella lettura, e lui alzò la testa di scatto. Naye se lo ricorda ancora, quello sguardo, professoressa. Lui chiese a Naye come stesse. Era freddo, non di temperatura, di modi. Ma tenne Naye con sé fino al giorno in cui lei fu guarita. Allora disse che poteva andare via. Ma Naye, oh, Naye lo pregò tanto. Disse che gli era debitrice, che sarebbe stata la sua elfa, ma lui non voleva, non ne aveva bisogno. Allora Naye, sciagurata, raccontò la sua storia, anche se lui non l’aveva chiesto, e non voleva nemmeno saperla. Naye poi si è punita per questo, perché non doveva farlo. Alla fine, lui disse a Naye:
-Perché diamine mi hai detto tutto questo? Ora dovrò tenerti. Immagino che crolleresti di nuovo se ti cacciassi. Dannata elfa. Ripetimi un po’ come ti chiami?
Quella fu la prima e ultima volta che padron Severus alzò la voce con Naye.
Lei non si è mai più dovuta punire, da allora, nemmeno una volta. Per un po’ è rimasta con padron Severus, ma un giorno lui le propose di lavorare ad Hogwarts, rimanendo pur sempre al suo servizio.”
“Quindi,” la interruppe Sibilla, “tu sei l’elfa domestica di Severus, ma lavori ad Hogwarts?”
“Sì, almeno nei mesi in cui anche padron Severus è là. In estate Naye torna qui, a Spinner’s end, ma quest’anno no. Perché c’è l’altro, e padron Severus dice che ci pensa lui a fare le faccende. Dice anche che almeno si diverte a dare ordini a lui, al contrario che con me.
Così, Naye sta ad Hogwarts, e se padron Severus ha bisogno le manda un messaggio via gufo, come stamattina.”
“Un messaggio? Perché non ti chiama semplicemente, come si fa di solito?”
“Padron Severus l’ha spiegato, una volta. Dice che preferisce così, perché schioccare semplicemente le dita si fa con i cani. Invece mandare un messaggio è più … umano, questa è la parola che ha usato, professoressa signora.”
Terminò.
Sibilla rimase in silenzio a fissarla. Quello. Quello era il Severus che conosceva, o che credeva di conoscere. Intelligente. Giusto (eccetto quando si trattava di assegnare punti alle case). Magari era introverso, freddo. Diciamo pure glaciale, quando voleva. Ma molto … umano, per usare le sue stesse parole. 
Un profilo che si distaccava dall’idea di Mangiamorte. 
Istintivamente, Sibilla sorrise. Forse, dopotutto, l’uomo che amava esisteva davvero, non era solo un inganno, un  ricamo della sua fantasia.
“Naye?”
“Sì?”
“Chiamami Sibilla, per favore.”
“Come desidera, professoressa signora.”

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