Dancing With Your Demon

di Ronnie02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue + 1. Tomo, what? You're crazy! ***
Capitolo 2: *** Death calls my name ***
Capitolo 3: *** Stranger In A Strange Land ***
Capitolo 4: *** California. My only home ***
Capitolo 5: *** Secrets And Mistakes ***
Capitolo 6: *** You're so... ***
Capitolo 7: *** It's Almost Easy ***
Capitolo 8: *** Dynasty ***
Capitolo 9: *** A moment I try to forget ***
Capitolo 10: *** Who I really am? ***
Capitolo 11: *** Lend me your light ***
Capitolo 12: *** Magic, right? ***
Capitolo 13: *** Edge Of The Earth ***
Capitolo 14: *** Mars are the only exception ***
Capitolo 15: *** Hidden in the scars ***
Capitolo 16: *** Nightmare ***
Capitolo 17: *** Battle Of One ***
Capitolo 18: *** Set in my DNA... ***
Capitolo 19: *** ...and deep inside my blood ***
Capitolo 20: *** Can It Be? ***
Capitolo 21: *** Not Only A Story ***
Capitolo 22: *** I don't believe in fairytales ***
Capitolo 23: *** There Was A Time ***



Capitolo 1
*** Prologue + 1. Tomo, what? You're crazy! ***


Salve! Eccomi con la mia seconda FF sui Mars a più capitoli. Se c'è gente che già mi conosce per "One Day We'll Meet Again", con il sequel "I Will Never Regret"... BENTORNATI! Mentre per tutti gli altri.... BENVENUTI!
Sappiate già che sono un pò matta, e questo si vedrà anche nella mia storia. Mi piace mettere sempre un pò di me ovunque ;D
Bè... forse con questo primo capitolo può sembrare la solita storia, ma, credetemi, non lo è per niente. Non ho messo il rating rosso perchè non sono presenti scene forti molto spesso, anche se ci sono, ma l'avviso "Contenuti forti" spero vi sia saltato all'occhio, per ogni vostra scelta legittima. 
Direi per il resto basta, spero vi piaccia la storia, anche se è appena iniziata. Buona lettura 

 
                         

 

Prologue
 

 
Ormai vederla fare certe cose non avrebbe dovuto fargli così effetto, o almeno non dopo così tanto tempo passato da quella rivelazione, ma ancora pensava fosse uno scherzo. Non perché fosse qualcosa di sbagliato, ma era totalmente illogica come situazione da farlo impazzire.
Invece lei giocava allegra come se fosse normale, normale come prendere una bambola e farle vivere mille avventure, ma sapeva benissimo che prima o poi avrebbe capito da sola che ciò che faceva non era usuale per tutti.
Shannon continuava a guardarla sorridente, sempre meravigliato, anche perché lui, grazie al suo carattere più aperto e solare del fratello, riusciva ad accettare meglio quel dono come normalità.
Tomo cercava di imitarla, ovviamente fallendo miseramente ogni volta, così alla fine rideva e lasciava a lei tutto il bello dello spettacolino che stava offrendo loro. E come lui, Vicki la incitava a continuare con sorrisi e battiti di mani.
Emma non c’era, se n’era andata da un pezzo, credendoli tutti dei pazzi… la capiva, in fondo era difficile pensare il contrario.
Guardò la ragazzina muovere le mani e sorridere del risultato; era… se stessa, e mai si sarebbe permesso di portarla via dal suo mondo. Poi si voltò a guardare la ragazza che li aveva portati fin lì, la quale sorrideva fiera, aiutando la più piccola dove non riusciva.
Davvero era finita lì? Nessun problema o pericolo in vista?
Davvero potevano finalmente godersi la vita che si erano creati?




Chapter 1. Tomo, what? You’re crazy!


 

“Tesoro, ci siamo. È il momento”, disse Vicki, abbastanza triste, guardando ciò che c’era nella piccola culla verdognola che i ragazzi avevano regalato loro tempo prima.
“Non potremmo aspettare ancora un anno?”, chiese Tomo, dolce e sempre iperprotettivo, seguendo lo sguardo della neo moglie. Era stato tutto così maledettamente veloce: lei, lui, il tour, i ragazzi, l’album, questo…
“Tesoro, non possiamo, lo sai. Tu devi lavorare, io sto rischiando di impazzire e lui conoscerebbe dei piccoli amici, ambientandosi un po’ con persone che non siano i miei genitori o noi”, gli spiegò la donna, sorridendo intenerita dalla possessività dell’uomo.
“Ma ha solo un anno!”, si lamentò il croato, anche se sapeva che quando sua moglie si metteva in testa una cosa, difficilmente cambiava idea. Ormai lei aveva deciso tutto dall’inizio dell’estate. Già a giugno aveva ottenuto tutte le informazioni necessarie e ora era pronta a fare tutto per bene.
“Ti prego, Tomo, non ce lo rapiscono mica. Lo lasciamo lì la mattina presto, mentre vai dai ragazzi e passiamo a portarlo a casa poco dopo mangiato. Emma dice che lì lavorano delle ragazze molto brave”, cercò di convincerlo sorridente, mentre prendeva in braccio l’interessato. Ricordò quello che avevano passato in quell’anno con lui e un po’ capì il marito.
Ma ovviamente se lui provava ogni giorno per il nuovo disco e lei aveva deciso di tornare a lavorare come fotografa, dopo che le sue foto erano state comprate da un riccastro newyorchese, come potevano stargli dietro come un tempo?
Ogni mattina, da qualche mese a quella parte, Vicki doveva portarlo dai suoi genitori perché non poteva lasciarlo sempre dai ragazzi, che con la musica alta non lo potevano far dormire.
“Credi che sia la scelta migliore?”, chiese per l’ultima volta sapendo che ormai non c’era niente da fare, mentre Vicki rideva. Erano anni, praticamente da quando si erano conosciuti, che lei riusciva a capirlo al volo, e ovviamente ora si dava una vittoria certa.
“Assolutamente certa, Tomo. Domani andremo a vedere e, se sarai convinto, lo iscriveremo. Ma ti prego… ti prego, ti prego, ti prego… pensaci bene!”, disse facendo gli occhi da cucciolo a cui il marito mai avrebbe negato nulla.
Lui annuì, ormai sconfitto, e Vicki rimettendo il povero interessato ammutolito nella sua culla, tornando in cucina per mettere su qualcosa da mangiare.
Non cucinò grandi cose, sapeva che doveva fare in fretta per poi tornare a lavorare, e in più Tomo sarebbe rimasto in quella piccola camera ancora a lungo.
Finì di preparare e si sedette a tavola, da sola. La loro cucina aveva una grande finestra da cui si poteva vedere gran parte della città e molte volte restava ammirata. Molte foto aveva scattato da quella prospettiva e mai una era simile all’altra. Era spettacolare.
E parlando di fotografia, si convinse di finire di mangiare in fretta per tornare al lavoro. E così fece, dopo aver pulito il suo piatto e sistemando le sue cose.
Lasciò un piccolo post-it sul frigorifero come loro solito e si chiuse nella loro camera, dove sulla scrivania c’era già il suo personal computer acceso sul programma per le foto. L’aveva lasciato lì dopo pranzo, forse dimenticandosi di spegnerlo.
Cominciò a lavorare: zoomando, modificando, colorando, tagliando… doveva guardare ogni singolo millimetro della foto, esaminare ogni minimo particolare o avrebbe dovuto rifare tutto dall’inizio e non ne aveva intenzione.
Ci mise parecchie ore e verso l’una decise di terminare lì il compito. Era a buon punto, forse il giorno dopo avrebbe potuto consegnare la foto e prendersi la sua paga. Andò a prepararsi per dormire, mentre sentiva Tomo camminare verso la camera.
Così sorrise, spense il computer salvando tutto, prese il beauty e il pigiama e corse in bagno per una doccia rilassante.
Nello stesso momento, Tomo aprì la porta della loro camera, stanco della giornata.
Aveva passato tutta la mattina a provare e riprovare testi che magari alla fine nemmeno avrebbero inserito nel disco, ma sapeva quanto Jared ci tenesse a fare tutto per bene, anche se non era indispensabile. Il pomeriggio invece era stato un momento di pausa per lui, ma era rimasto da loro per vedere provare Shannon e sistemare alcuni vocalizzi di Jared, dopodiché erano usciti a farsi un giro per la città.
Certo, lavorare al quarto album era fantastico, avevano appena fatto un VyRT per festeggiare il primo, anche se lui non ne faceva esattamente parte, e tutto sembrava andare alla grande… ma era stanco. Stanco come mai prima di quel momento.
Forse era invecchiato, perché ne per A Beautiful Lie ne per This Is War si era mai sentito così scombussolato. O forse era perché ci stavano mettendo tutti se stessi. Non potevamo permettersi errori dopo la fama di This Is War e tutti contavano su di loro per una buona riuscita.
Ma cavolo… se per il terzo album sembrava di essere andati all’Inferno per due anni e essere tornati sulla Terra più carichi di prima (da una famosa citazione del suo amico cantante), per quell’album ancora innominato erano andati oltre l’Inferno.
Ma almeno alla sera si ritrovava in quella cameretta, sorridente come poche volte nella sua vita, a rilassarsi. Vicki di solito stava lì con lui ma in questi giorni aveva un lavoro troppo importante e ormai aveva capito la sua idea. Non potevano più andare avanti così…
A mezzanotte era andato a farsi uno spuntino con quello che Vicki aveva preparato, trovando il suo post-it e fermandosi a mangiare davanti alla finestra. L’aveva fatta costruire apporta per lei.
In realtà quella era solo una delle grandi vetrate di casa loro. Infatti molti muri esterni erano stati abbattuti e rimpiazzati con grandi finestre che offrivano un panorama mozzafiato.
Quella era stata problematica perché, essendo praticamente sempre estate a Los Angeles, il caldo entrava da quella finestra senza pietà e a volte stare lì dentro era impossibile. Ma Dio… la visuale era troppo bella per lasciarla coperta da un muro in cemento.
Dopo la piccola cena aveva sistemato ed era andato nel suo piccolo studio, ovvero una cameretta minuscola insonorizzata, con dentro chitarra e amplificatore. Lì poteva fare ciò che voleva e quella sera si era messo a suonare ‘Alibi’ e i veloci accordi di ‘L490’, tanto per rilassarsi un po’.
A volte pensava al futuro e sinceramente, dopo quasi un anno di pausa, ancora aveva voglia di andare in tour con i ragazzi, anche se l’adrenalina passava appena si rendeva conto di quello che avrebbe lasciato a casa.
Alla fine, all’una di notte, decise di andare a dormire e infatti eccolo lì a vedere il computer spegnersi e l’acqua cominciare a gocciolare dalla doccia. Forse Vicki era appena entrata in bagno dopo una serata di lavoro; così la lasciò fare con calma, andando a sdraiarsi sul letto, aspettando la sua dolce metà. Ma nel mentre, chiuse gli occhi e finì per addormentarsi, pensando per ultima cosa a quello che in questo tempo gli aveva cambiato così tanto la vita.
Suo figlio. Devon.
Devon Mile Milicevic.
 
Era arrivato il momento decisivo, e Tomo era pronto per vedere se era una buona idea. Al suo fianco Vicki era al settimo cielo. Per lei questa era un’ottima occasione per il piccolo e in fondo anche il marito le dava ragione. Infatti, pensando a tutto ciò che stava succedendo loro, era meglio così.
Entrarono in un edificio tutto colorato con Devon nel passeggino che mugugnava versi sconnessi tanto per far percepire la sua presenza. Si diressero verso la segreteria, dove videro una donna sulla trentina, con i capelli rossi arancini tranne che per una sola ciocca rosso sangue di lato, evidentemente tinta. Era seduta dietro ad un bancone, a sfogliare fogli e sottolineare righe con un evidenziatore giallo fosforescente.
Si avvicinarono e Tomo si schiarì la voce, in un evidente tentativo di far capire la loro presenza.
Questa alzò il viso, scioccata ad un primo approccio, ma poi mise via tutti i fogli, dando loro attenzione. Li sorrise, chiedendo gentilmente il loro nome per prima cosa, e poi cominciò a spiegare in poche e veloci parole cosa avrebbe potuto fare Devon in quell’asilo e come sarebbe stato trattato.
Vicki era molto interessata e stava per fare una domanda, quando, appena provò a parlare, si sentì un rumore assordante e una decina di bambini uscirono da una delle classi più vicine all’entrata dell’edificio.
“Matt, Dan, non osate ricominciare a pitturare sui muri!”, disse una voce femminile, giovane, che apparteneva ad una ragazza che comparve poco dopo, con un sorrisone e una pila enorme di fogli. Si mise in mezzo al cerchio ordinato che i bambini avevano creato al suo arrivo e consegnò ad ognuno di loro un minimo di due fogli. “Qui invece potete disegnare tutto ciò che volete, ok?”.
Due bambini, probabilmente i primi e gli unici nominati, fecero una smorfia, ma poi accettarono volentieri la carta e, con le matite e i pennarelli che avevano già in mano, cominciarono a divertirsi.
Lei sorrise e arruffò i capelli ad entrambi, per poi rimettersi al centro del cerchio e sedersi per terra, controllando ognuno di loro. Si guardava in giro molte volte, o aiutava qualche bambino a disegnare, ma non sembrava una maestra. Era più simile ad una sorta di sorella maggiore, da come si relazionava con loro.
“Lei è Ash Connor, la nostra ‘babysitter’, per così dire”, sorrise la donna in segreteria, facendo le virgolette con le dita appena pronunciò quella parola.  I Milicevic si voltarono al suono della sua voce, così concentrati entrambi a vedere quello che stava accadendo. “Tiene i bambini più piccoli e visto che vostro figlio rientrerebbe in quella categoria, potrebbe esservi sicuramente utile andare a parlare con lei. Poi, se vi ha convinto, tornate pure qui da me per terminare la parte burocratica”.
E così, sempre con un sorriso, la donna si spostò dal bancone e indicò ai due consorti di seguirla. Vicki era praticamente alle stelle – se avesse potuto avrebbe saltellato di gioia – visto che la ragazza le stava già simpatica a pelle, mentre il marito non era della stessa opinione. Aveva una sensazione strana, come se quella ragazza nascondesse qualcosa.
Ma, vedendo la moglie così felice del luogo e delle persone che ci lavoravano, decise di lasciar perdere la sua mente e le sue congetture.
“Ash, questi sono i coniugi Milicevic con loro figlio, Devon Mile”, li presentò la donna, per poi sorridere a tutti e andarsene al suo posto di lavoro.
“Piacere di conoscervi, signori”, sorrise la ragazza, stringendo la mano ad entrambi molto educatamente, per poi accucciarsi di fianco al passeggino, prendendo una manina di Devon, come per salutare anche lui. “E tu che bel nome che hai!”.
“Devon significa ‘difensore’ e Mile è un nome croato, come mio marito”, spiegò pronta Vicki, con un sorriso. Era seriamente troppo contenta per essere ragionevole. Se fosse rimasta ancora qualche minuto avrebbe cominciato a straparlare dalla gioia, come quando Tomo le aveva chiesto di sposarlo o avevano saputo che lei era incinta. Sparava parole a caso tanto da far venire mal di testa e molte volte non era affatto divertente.
“Decisamente un nome stupendo”, confermò Ash, sempre piegata su Devon che la guardava ammirato. Lei gli porse la mano, così lui le prese un dito e cominciò a giocarci. “Bè, se avete qualche domanda sono più che felice di rispondervi”.
In pochi secondi si staccò dalla presa di Devon e si ritirò in piedi, guardandoli felice. Vicki fece un verso stridulo per meno di un secondo, ma che fece vergognare Tomo per lo stesso arco di tempo. Decisamente Ash Connor stava simpatica a sua moglie.
“Non fatevi problemi”, sorrise visto che i due non parlavano, ma sembravano in coma, allucinati forse da non sapeva che visione mistica.
Ash Connor aveva una voce brillante e decisa, per niente stridula, come invece si poteva pensare ad un primo sguardo. Ispirava sicurezza e protezione, cosa che piacque subito a Vicki.
Sempre sorridente, era una ragazza sprizzante, sulla ventina, con dei lunghi capelli biondi e lisci, tinti sulle punte di un blu puffo molto ribelle, che in quel momento stava arrotolando attorno all’indice, giocandoci un po’. Il blu contro la sua pelle risaltava moltissimo il suo colore pallido, piuttosto anormale se si vive in California.
Tomo sorrise guardando quel colore, ricordandosi del suo compagno di band, Jared, e il mitico periodo nel quale anche lui era diventato un mezzo puffo.
Di sicuro a lui sarebbe piaciuta quella ragazza: aveva un bel fisico, occhi grigi che ti fermavano il cervello e un sorriso simpatico che non aveva paura di usare e che ti ispirava molta fiducia.
Era vestita con una maglietta a maniche corte e dei pantaloni di jeans a tre quarti, con ovviamente delle All Stars.
Strano, di solito le ragazze della sua età le vedevi in spiaggia con dei bikini o degli shorts a godersi gli ultimi giorni delle vacanze estive prima di tornare nei banchi di scuola.
“…e quindi credo che vostro figlio si troverà benissimo”, rise finendo un discorso che la ragazza aveva appena concluso e di cui Tomo non aveva sentito nemmeno una parola se non quest’ultima frase.
“Tu cosa ne pensi, tesoro?”, chiese sua moglie, guardandolo eccitata, senza accorgersi (fortunatamente) che lui non stava pensando all’asilo del figlio.
Così scosse impercettibilmente la testa e sorrise alla moglie. “Credo sia perfetto?”, domandò senza nemmeno rendersene conto. Ma nessuno sembrò notare la domanda implicita ed entrambe le ragazze di fronte a lui la presero come un’affermazione.
A Vicki s’illuminarono gli occhi e annuì più volte, presa da chissà quale adrenalina.
“Se volete ora lo tengo io il piccolo per farlo ambientare, anche solo per un’ora e poi tornate a prenderlo”, propose Ash mentre si avvicinavano di nuovo alla segreteria.
“Oh, non saprei. In realtà dovevamo proprio scappare”, disse Tomo, pensando alle prove con i Thirty Seconds To Mars.
“Bè, tu e i ragazzi potreste venire qui a prenderlo dopo, mentre io finisco di lavorare. Va bene se te lo lasciamo per un paio di ore?”, chiese la moglie, mentre Ash annuiva sorridente. Quel bimbo le stava già simpatico, e in più era bellissimo.
“Allora penso che possa andare bene… Sei sicura, Vicki?”, domandò Tomo alla moglie, sapendo comunque che non era la prima volta che lasciavano il piccolo da solo. Vicki lo lasciava spesso dai nonni e poche volte aveva pianto davvero tanto per la sua mancanza.
“Certo, e tu non dovrai avere mille pensieri e andrai a suonare più tranquillo”, sorrise Vicki, prendendo suo figlio in braccio e abbracciandolo con amore.
Tomo sorrise a vederla così e poi andò dalla donna rossa per firmare le carte per l’iscrizione del figlio, annoiandosi a morte come poche volte nella sua intera vita.
Quando finii di sistemare il tutto, fu il suo turno di abbracciare il piccolo Devon, coccolandolo un po’ prima di poggiarlo tra le braccia della ragazza.
Lei sorrise e gli assicurò che sarebbe andato tutto bene. Ovviamente lui le credette.
 
“Tomo, dai non è così grave!”, disse Jared, cercando di non sentirsi troppo in colpa per l’accaduto. Cosa ne poteva sapere lui, in fondo, che sarebbe andata a finire così?
“Fottiti, stronzo del cazzo”, rispose il croato, tenendosi una mano sulla testa, con il sangue che scendeva dalle dita ancora caldo. Stavolta Vicki l’avrebbe ucciso sul serio, e con lui quel coglione del cantante.
“Ma che simpatico”, sussurrò Jared.
“Fratello, vai a prendere dal ghiaccio invece di lamentarti? Grazie!”, chiese per la terza volta il più grande dei Leto, cercando di fermare il flusso di sangue che scendeva dalla testa capelluta dell’amico. Meno male che Jared da piccolo si tagliava in continuazione cadendo ovunque e così Constance gli aveva insegnato come medicare anche ferite di quel genere.  
“Scusa, ma Vicki stavolta mi ammazza davvero… dovevo andare a prendere Devon un quarto d’ora fa e sono ancora qui con la testa spaccata in due, cazzo!”, si lamentò Tomo cercando di trovare una soluzione.
Vicki stava lavorando duro e di certo non poteva chiamarla per dirle che aveva un fottuto buco in testa e non poteva andare all’asilo pieno di sangue. Se l’avesse saputo ora gli avrebbe urlato dietro per ore. Preferiva farglielo sapere a casa, con Devon tra le braccia, sperando che restasse tranquilla.
“Manda Jared”, disse Shannon come se fosse la cosa più ovvia nell’intero universo. “Jared, cazzo vieni qui!”, urlò poi.
Shannon sorrise all’amico, come se volesse tranquillizzarlo, e aspettò che il fratello tornasse. Quando quello arrivò, con tanto di prezioso ghiaccio al seguito, si voltò verso i due, che lo guardavano con un preoccupante sorrisino malandrino sulla faccia.
“Che volete dalla mia vita?”.
“Oh niente, fratellino… solo la tua anima!”, scherzò Shannon alzando un sopracciglio e facendo scoppiare a ridere Tomo.
“Cosa?!”, si preoccupò il cantante, scioccato, per poi  puntare il dito contro suo fratello. “Oddio io lo sapevo che eri il Diavolo! Ne ero certo!”.
“Ma quanto cazzo sei cretino?”, commentò il fratello maggiore, scuotendo la testa con un sorriso, per poi aggiungere: “E io lo sapevo che ti eri fottuto il cervello! Ne ero certo!”.
Tomo ridacchiò ancora, divertito dalla sceneggiata, ma poi tornò serio. “No, Jared. Volevo solo chiederti se potevi andare a prendere Devon all’asilo... me lo devi!”.
“Cosa?! No, no, no. Voi siete tutti pazzi, no!”, si scandalizzò Jared, ancora più scioccato di prima. “Quel bambino mi odia!”.
“Non ti odia, smettila”, disse Shannon, mentre ridacchiava. “Ha solo trovato qualcuno del suo stesso livello d’intelligenza con cui confrontarsi… e poi non è che i bambini vomitano ventiquattro ore su ventiquattro”.
“E perché quando lo fanno sono io il bersaglio?”, s’infuriò Jared, ricordando l’accaduto e lasciando passare l’insulto del fratello. “No, non ci vado, scordatevelo”.
“Nemmeno se la maestra è una biondina tutto gambe e forme al posto giusto con due occhi di ghiaccio e qualche ciocca blu puffo nei capelli?”, chiese Tomo usando l’arma segreta. Le donne erano il punto debole di quei quarantenni fumati. Sapeva che avrebbero fatto qualsiasi cosa con una scusa del genere.
“Vado io!”, urlò Shannon, cercando di dare a qualcuno il ghiaccio, ma Tomo se lo tenne stretto. Non sarebbe rimasto a farsi medicare da Jared.
“Predo la giacca”, sbuffò il cantante, arrabbiato, ma pregustando la serata con la biondina.
Una serata che però non avrebbe vissuto mai…
“Okay, ma sappi che lo faccio solo per la biondina”, dichiarò ancora Jared, ricevendo in risposta un dito medio del chitarrista, che rise un secondo dopo. “Bene… ci vediamo all’Inferno”.
Poi prese le chiavi della macchina di Tomo, dove c’era già il passeggino e il sedile apposta per il bambino, e uscì di casa.
Insomma, odiava stare con Devon: non perché non gli volesse bene, in fondo era figlio di Tomo e alla sua nascita avevano festeggiato per una settimana, però sembrava che appena arrivasse lui, il bambino entrava in modalità ‘bimbo stronzo’.
Evitò di pensarci e parcheggiò davanti all’edificio che Tomo gli aveva indicato all’inizio delle prove, mentre gli avvisava gli sarebbero dovuto passare di lì al ritorno.
Era carino e colorato… logico, era un asilo!
Entrò ed era tutto in silenzio, non vedeva nessuno, tranne per una donna all’entrata, la stessa rossa che aveva accolto i Milicevic quella mattina.
“Ha bisogno di aiuto?”, gli chiese guardandolo fare passi incerti e confusi.
“E’? Oh, sì. Sono un amico dei Milicevic, mi hanno chiesto di portare a casa loro figlio visto che hanno avuto degli impegni importanti”, spiegò il cantante, mentre la segretaria lo fissava poco convinta, ma anche molto affascinata da quell’uomo.
“Oh, d’accordo mi segua pure”, rispose la donna, non credendo molto alle sue parole. Ma in fondo, ormai chi credeva più alle parole di Jared Joseph Leto?
Lo fece avanzare verso una classe piccola, contenente una decina di bambini tutti addormentati in piccoli lettini. Poi la rossa si rivolse ad una ragazza piegata su uno di loro, forse mentre gli cantava una ninna nanna.
Si alzò e Jared notò il biondo dei capelli mischiato al blu. Era lei la biondina prescelta?
“Ash, questo signore dice che lo mandano i Milicevic”, lo presentò la donna per poi riuscire dalla classe, lasciandoli soli in mezzo a quei nanetti.
“Oh, signor Leto!”, gli sorrise la biondina, andando a stringergli la mano. Uhm, molto carina… ottima scelta, sì.
Wait, un secondo.
“Come fai a conoscere il mio nome?”, chiese il cantante, abbastanza scioccato.
“Oh, credo di saper riconoscere un cantante famoso quando ce l’ho davanti, soprattutto se il chitarrista della sua band è venuto qualche ora prima per lasciarmi suo figlio”, ridacchiò a bassa voce per evitare che i bambini si svegliassero. Uno di loro si mosse nel sonno, ma poi si rimise a dormire.
Ovviamente Jared era sicuro che ogni benedetto bimbo in quella stanza fosse pazzamente innamorato della biondina, come lo erano tutti a quell’età con la propria baby-sitter o anche la mamma. Anche lui lo era stato e in fondo quella ragazza non era nemmeno così brutta, anzi.
“Ci conosce?”, divenne curioso, abbassando anche lui la voce per non ritrovarsi addosso un’ondata di bambini gelosi e appena svegli.
“Prima di tutto non ho sessant’anni, quindi chiamami pure Ash e dammi del tu. Secondo, sì vi conosco anche se non vi seguo molto”, rispose prontamente la biondina, con l’immancabile sorriso.
“Ash? Ash, da Ashley?”, chiese il cantante, cercando di ammaliarla come suo solito, mentre nella testa della ragazza prendeva vita una sola domanda: “Ma i cazzi tuoi?”.
“No, Ash da Ash”, rispose secca, infatti, indicando poi i bambini addormentati attorno a loro. “In realtà l’aspettavo una mezz’oretta fa, signor Leto…”.
“Jared, ti prego”, sorrise il cantante mentre lei cercò di non tirargli un pugno in faccia. Odiava che ci provassero così spudoratamente con lei.
“Sì, certo, come preferisce”, provò a non alzare gli occhi al cielo per educazione e continuò il suo discorso. “Le stavo dicendo… visto che non arrivava ho preferito far addormentare Devon con tutti gli altri bambini, quindi faccia con calma e non alzi troppo la voce, nemmeno in macchina. E non faccia manovre eccessive”.
“Oh… sì, certo, va bene”, sussurrò deciso. Di certo non voleva farlo vomitare di nuovo addosso a lui.
Lei sorrise e andò verso una delle poche culle per i bambini più piccoli in fondo alla classe. Si accucciò di fianco a una di colore bluastro violaceo, borbottando parole che sembravano fatte di miele.
Poi si alzò e prese in braccio quello che ormai era suo nipote acquisito e si avvicinò verso di lui, che era rimasto fermo tutto il tempo. Quando fu abbastanza vicina notò qualcosa di strano: le ciocche blu si erano dimezzate e al loro posto erano comparse alcune ciocche viola… che fossero rimaste nascoste nei capelli e sia lui che Tomo non le avessero viste prima?
“Eccolo qui”, sussurrò Ash, sperando che se ne andasse presto, passandogli il bambino tra le braccia, mentre Jared ci mise qualche secondo a capire come prenderlo bene in modo da non svegliarlo. “Non è molto pratico con i bambini. Dico male… Jared?”.
“Ho avuto a che fare con loro solo per qualche film o foto con i fan… lui è il primo che devo davvero tenere d’occhio, visto che è del mio migliore amico”, disse Jared usando una scusante abbastanza credibile, per poi passare al suo reale interesse. “Ash, ora…”.
“Ora dica pure ai signori Milicevic di portarlo domani mattina, sarò già qui con tutti gli altri. E dica loro anche che questo bambino è un amore: ha pianto pochissimo, al contrario di altri suoi coetanei”.
“E’ una roccia”, sorrise lo zio mancato, per poi tornare serio come sempre… bè non esattamente come sempre. “Va bene, riferirò tutto quanto. Invece noi…”.
“No, non uscirò con lei, signor Leto”, sorrise ironica Ash, riprendendo la forma di cortesia, decisamente seccata. “E tantomeno verrò nel suo letto. Arrivederci”.
E detto questo si ritrovò, senza sapere esattamente come, fuori dalla classe, con Devon in braccio. Che testarda!
Ma avrebbe visto…
Se Jared Leto voleva una ragazza, quella ragazza sarebbe arrivata da lui, costi quel che costi. Era guerra aperta.
 

 

....
Note dell'Autrice:
Il nome "ASH" so che sembra quello dei Pokemon (-.-) ma vuol dire cose meravigliose e perfette per la storia. Spero vi piaccia. Secondo, Mile è un nome croato e Demon, come Ash, significa molto (sono fissata con i nomi, se non si era capito :D). Terzo, non fatevi ingannare da Jared, questa NON è una storia romantica. Ci saranno dei momenti, ma principalmente è avventura/azione.
Direi, questo è quanto. Spero vi sia piaciuto stare in mia compagnia. 
Tenterò di aggiornare ogni martedì, salvo impegni scolastici (maledetta scuola), quindi ci vediamo settimana prossima, no?
Abbraccioni a tutti, Ronnie

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Capitolo 2
*** Death calls my name ***


Salve Echelon! Scusate ieri non ho aggiornato... ero in crisi da lettura :) Ho cominciato a leggere una saga sabato pomeriggio e BUM,  mi sono letta tre libri (senza contare domenica perchè non ho potuto leggere) in tre giorni! Ora mi manca il quarto.... *sono ossessionata, lo so*
Bene, però oggi sono qui con un capitolo. Sappiate che anche se non capite bene che cavolo sta succedendo è normale, è fatto apposta. Spero che la storia vi piaccia e..... recensite :D
Buona lettura, Ronnie





Chapter 2. Death calls my name




 
Merda, ci mancava solo quello stupido cantante a farmi innervosire e cambiare il colore dei miei capelli!, pensò Ash, cercando di tornare calma, guardando quei piccoli angeli che dormivano. Angeli che non conoscevano nulla del mondo, di nessun mondo. Beati loro…
Sbuffò; tra qualche minuto i genitori sarebbero tornati a prendersi i loro figli e lei sarebbe potuta tornare nella sua casetta, al sicuro da tutto e da tutti. Avrebbe  preso la macchina e avrebbe parcheggiato nel secondo parcheggio a destra, per poi arrivare a piedi fino al suo appartamento. Come faceva tutti i giorni.
Ma no, il destino non era d’accordo.
“Ash, c’è qualcuno che chiede di te”, la chiamò Janet, la segretaria, entrando nell’aula nel modo più silenzioso possibile, anche se aveva un viso pallido di paura e gli occhi spalancati. E da quando Jared Leto era diventato uno stupratore che spaventata le vittime facendole chiamare a sé? Sembrava veramente impaurita.
“Può anche dire al signor Leto che sto lavorando e che…”, cominciò a dire la ragazza, ma Janet scosse la testa di scatto, chiudendo gli occhi, come per estraniarsi dalla realtà che la circondava.
“Non è il signor Leto…”, sussurrò tremando, guardando i bambini appisolati intorno a loro.
“Allora resta qui con loro. Vado a vedere cosa vuole questa persona misteriosa”, le rispose Ash lasciandola lì ad annuire con un’espressione da ‘stai attenta’ sul volto.
Uscì e chiuse bene la porta, facendo girare per due volte la chiave, anche se sapeva che sarebbe  stato inutile. Poi si voltò verso l’uscita e vide che, sullo stipite dell’ingresso, era appoggiata con un posa di sfida una figura nota.
“Devi scappare”, disse una voce maschile. Una voce conosciuta, molto conosciuta. L’uomo era completamente coperto da abiti neri, tranne che per un cappello completamente bianco, appoggiato in modo da coprire gli occhi e non farsi riconoscere. Sì, certo…
“Ciao Edmund”, ridacchiò lei. Era capace di mascherarsi quanto lei di trovarsi in due posti contemporaneamente. “Come stai? Male?! Spero di sì, guarda”.
“Smettila Ash!”, la rimproverò, non muovendosi di un centimetro, ma più arrabbiato che mai.
“Cos’è, ora  tifi per noi? Ti seguono? Te l’avevo detto che…”, cercai di parlare, ma mi sovrastò con la sua voce.
“Stai zitta! Devi solo scappare, c’è troppo poco tempo ormai per le chiacchiere! Se vuoi lasciare la vita a questi bambini, devi scappare!”, gracchiò l’uomo davanti a lei, avanzando e alzando lo sguardo.
I suoi occhi, un tempo marroni cioccolato, erano ora di un colore indefinito, tendente al rosso marcio… marcio come la sua anima.
Ash scosse la testa. “Quindi ora fai di nuovo la spia?”, sbuffò lei, come se fosse un insulto. “Sai bene che se non mi trova farà una strage. E sai bene che se mi trova non mi farà del male. Gli servo… al contrario tuo”.
“Non toccherà nessuno, te lo giuro… scappa, ti prego!”, la supplicò Edmund avvicinandosi sempre di più e cercando le sue mani, che prontamente lei ritrasse, allontanandosi.
“Sei proprio uno stronzo”, finì la biondina, sorpassandolo mentre lui sospirava più tranquillo. Dio, se lo odiava!
E mentre i suoi capelli venivano macchiati completamente di viola, sia chiaro che tendente al nero, rendendola completamente irriconoscibile, solo una cosa le venne in mente: Spia del cazzo.
 
“Non così!”, scherzò Vicki, cercando di vestire Devon, che però non aveva la minima intenzione di assecondarla.
Si continuava a muovere nella piccola maglietta nera che zio Shannon gli aveva comprato, chiedendo continuamente alla madre di smetterla con lamentele infinite composte da mugolii.
Vicki rideva e lo vestiva con un gran sorriso, che alla fine convinse il figlio che non era poi così male essere vestito.
“Tomo, lo portate voi, quindi?”, chiese al marito, che stava prendendo la chitarra e uno dei suoi amplificatori per metterli in macchina, visto che al Lab se n’era rotto uno.
“Sì, a quanto pare la Connor ha dato una bella gatta da pelare a Jared”, rise Tomo ripensando alla discussione che aveva avuto con il cantante quando era tornato dall’asilo. Shannon e Tomo non erano riusciti a non ridere.
Jared era ormai un caso perso: tutte le ragazze lo volevano e un rifiuto l’aveva maledettamente ferito nell’orgoglio. Quindi avrebbe assillato quella ragazza fino a che non sarebbe riuscito ad averla. Oh, povera Ash Connor!
“Wow… avrei davvero voluto vedere la scena”, disse Vicki dando un bacio sulla guancia a Devon, per poi sistemargli bene i capelli, e guardandolo nel suo splendore, bello pulito e vestito. Lo spinse un poco e quello andò gattonando da suo padre. “Vedi di fare il bravo con papà e gli zii, okay?”.
Il bambino si voltò sentendo la voce della mamma e sorrise, per poi ritornare verso il papà, che lo prese in braccio. Continuava a fare borbottii strani, che in teoria per lui erano l’intonazione delle note.
Faceva sempre così quando andava con Tomo da Jared e Shannon, come se capisse che andava a trovarli. Certo, questa volta non sarebbe nemmeno entrato a casa di Jared.
Tomo salutò la moglie con un leggero bacio a fior di labbra e poi si diresse verso l’auto, dove poggiò Devon sul sedile apposta dietro di lui. Poi si sedette al posto di guida e cominciò il viaggio verso l’asilo.
C’era una cosa che non capita: quella dannata sensazione che la Connor aveva qualcosa di strano continuava a vagargli in testa, soprattutto dopo che Jared gli aveva raccontato che era successo.
Il cantante aveva notato, dopo averla irritata un po’, che le ciocche della ragazza avevano cambiato colore, diventando sia blu puffo (come lui aveva visto la mattina), ma anche di uno strano viola. In più dopo che era partito con l’auto era arrivato un uomo completamente vestito di nero, da fare quasi paura, con un solo cappello bianco.
Strano, troppo strano.
Certo l’uomo non poteva essere collegato per forza alla ragazza, ma i capelli… era certo di non aver visto nessuna ciocca viola in quel biondo, nemmeno per un secondo.
Allora cos’era? Perché ad un tratto i suoi capelli cambiavano colore?
“Tu hai notato niente di strano, Devon?”, chiese al figlio, che giocherellava con il solito pupazzo che mettevano in macchina. Devon alzò lo sguardo e batté le mani, sorridendo felice.
Mai prima d’ora era stato felice di essere abbandonato in giro, nemmeno dai nonni. Invece Jared aveva detto loro che era stato bene e quella mattina aveva particolarmente voglia di farsi un giro, quel piccolino.
“Se tu parlassi capirei molto meglio”, sorrise il croato, lasciando perdere le sue congetture che alla fine non avrebbero portato a nulla. Svoltò verso il parcheggio dell’asilo e sistemò lì l’auto, facendo il più in fretta possibile per arrivare puntuale alle prove.
Uscì dall’auto e andò a prendere Devon in braccio, il quale si strinse al suo collo così forte da fargli mancare il fiato. Poi chiuse la macchina e andò verso l’edificio, che sembrava irrimediabilmente più spento del giorno prima. Le giostre si muovevano lente, scricchiolando a causa del vento, le luci erano spente, sebbene era uno dei pochi giorni l’anno in cui a Los Angeles di mattina mancava il sole.
“Buongiorno…”, aprì la porta d’ingresso l’uomo, vedendo che comunque l’interno era normale, anche se non si sentiva volare una mosca.
“Oh, salve signor Milicevic”, disse svelta la segretaria del giorno prima, piombandogli davanti con un sorriso tirato. Tomo notò che aveva un ematoma sulla guancia, nascosto male sotto del trucco, ma preferì non commentare e sorridere a sua volta.
 “Sono venuto a portare Devon”, disse indicando suo figlio appiccicato al suo collo, stranamente impaurito. “Ash è già qui?”.
“Oh, no, no, no, no. In verità Ash non ci sarà per alcuni giorni… ma se vuole c’è qui Natalie, una sua validissima collega”, balbettò la donna, facendogli segno di seguirla, quasi fosse nervosa.
“E’ successo qualcosa?”, chiese Tomo, coccolando suo figlio sulla schiena, che stava cominciando a singhiozzare. Troppo strano. “Calma, Devon, c’è papà”.
“No, niente… assolutamente niente!”, disse decisa la segretaria, come se qualcuno la stesse ascoltando. Li lasciò davanti a una classe simile a quella del giorno prima, sorridendo in fretta, per poi dileguarsi.
Bussò alla porta ed entrò. Seduta su una sedia, a parlare a bassa voce con un bimbo, c’era una donna più grande di Ash Connor, mora e un po’ bassina.
“Oh, muy encantada señor!”, disse la donna, sorridendogli e andandogli incontro. Pelle marrone-caramello, occhi scuri… spagnola o sudamericana, poco ma sicuro. “Yo soy Natalie, pero tu puedes llamarme Nat”.
“Scusa, ma so poco o niente di spagnolo… una traduzione momentanea?”, scherzò il croato e lei rise, anche se sembrava comunque all’attenti. Erano tutti troppo tesi quel giorno…
“Scusami, ma a volte mi faccio prendere troppo”, rispose, guardando Devon pian piano slacciarsi dal collo di suo padre, solo un po’ più tranquillo. “Le stavo dicendo che io sono Natalie, ma lei può darmi del tu e chiamarmi anche Nat”.
“Ok Nat. Lui è Devon… di solito non è così timido, anzi lo è diventato circa due minuti fa”, ridacchiò Tomo provando a guardare suo figlio, che però al tocco della donna si era di nuovo attaccato a lui.
“Oh, ma non deve avere paura… non di me”, disse la donna provando ad avvicinarsi. Lei non era la persona cattiva che il giorno prima aveva spaventato tutti, lei compresa.
“In verità prima era tutto contento di venire qui…”, borbottò l’uomo, riuscendo a liberarsi dalla presa  di suo figlio, per passarlo a Natalie, che lo prese subito in braccio sussurrandogli paroline spagnole.
“Oh mi corazon, no tienes que llorar… yo soy tu amiga”, continuava a dire mentre Devon cominciava a singhiozzare. “Lei può andare, sono certa che tra qualche minuto si calmerà”.
“Tornerò a prenderlo verso le tre, va bene?”, annuì Tomo, cercando di resistere all’impulso di prendere suo figlio e trascinarlo via. Non gli piaceva quella situazione, non gli piaceva proprio per niente.
“Meglio che arrivi puntale”, lo ammonì Natalie, stringendo Devon quasi preoccupata. Ma che avevano tutti quel giorno?!
 
“Ehy, direi che le hai fatto davvero paura, Jared”, scherzai appena arrivato al Lab, dove Jared e Shannon mi accolsero sorridenti. Oh, finalmente qualcuno di tranquillo e sereno!
“Che intendi dire?”, chiese il cantante, confuso.
“Ash Connor si è presa delle ferie a quanto pare… e quel posto ha qualcosa di strano. Santo Signore, sembrava che tutti stessero per avere un immediato attacco di panico”, li informò alzando le spalle, come a non capire ciò che era successo.
“Bah, tutte le baby-sitter sono strane, Tomo”, ridacchiò Shannon, che indicò al suo amico la sua chitarra con le sue drumstick. “Lascia perdere la casa degli orrori, Devon sta  bene. Aiutaci a suonare dai”.
“Certo, arrivo”, concluse il croato, andando a sistemare la chitarra e l’amplificatore che si era portato dietro. Sorrise e entrò in quella che per molti versi era anche casa sua. Ci aveva passato così tanto tempo lì dentro da sembrare eterno, ma mai si era stancato di quelle mura, di quei disegni o dediche campate per aria, che sporcavano il muro bianco del Laboratorio. Lì era il posto in cui era nato per stare e si sentiva davvero bene.
“Tomo?!”, lo chiamò Jared ridendo e muovendo la mano davanti alla sua. “Oddio l’abbiamo perso  completamente”.
“Smettetela, stavo pensando!”, si lamentò il chitarrista sorridendo. Si stava perdendo via  troppe volte, lo sapeva.
“Riproviamo Up In The Air o andiamo sul classico?”, chiese Jared, cercando i fogli con i testi. Non li usavano quasi mai, ma erano sempre lì davanti a loro per ogni inconvenienza.
“E se riproviamo qualche testo del primo album? Abbiamo appena fatto i dieci anni da quel momento, rivediamo un po’ i suoni”, propose il batterista battendo suoi piatti, per poi cominciare con Capricorn.
“In effetti si può fare, mi va di tornare ai vecchi tempi. Tomo?”, chiese il cantante, preparandosi. Era una vita che non li cantava e al VyRT era stato felicissimo di divertirsi a cantarli in playback. Non aveva la voce di una volta ma di sicuro poteva farcela egregiamente a farli di nuovo dopo dieci anni.
“Perfettamente d’accordo. Avrei tanto voluto esserci mentre li registravate”, sorrise il croato, pensando a quando era arrivato a bordo di quella pazzia.
“Già. Solon però era un ottimo chitarrista… dite che se lo richiamo torna a farci da bassista permanente? Mi ricordo che suonava anche il basso!”, ebbe un’idea Jared, guardando il suo amatissimo Blackberry.
“Secondo me appena sente la tua voce riattacca!”, lo prese in giro Shannon, ridendo con Tomo e cominciando a suonare qualcosa seriamente.
 
Trovarsi per terra in mezzo al fieno che ti punge ogni centimetro del tuo corpo non era l’aspettativa di vita migliore che Ash poteva di certo sognare.
Vaffanculo Edmund, pensò e ogni secondo continuava a ripeterlo nella sua mente come un mantra. Perché l’aveva seguito? Ancora non lo capiva ma aveva preferito così piuttosto che restare all’asilo e cominciare una guerra.
Avrebbe rivelato troppo a troppi e la cosa non era positiva. Sarebbe finita nei guai anche se ne fosse uscita vincente, e la cosa era parecchio improbabile.
“Dovresti solo ringraziarmi”, sbottò lui, che alla fine era nelle sue stesse condizioni. Ash lo guardò nel modo peggiore che conoscesse, senza dire una parola. Però la pensò, e fu ‘stronzo’. “In fondo ti ho salvato la vita… di nuovo”.
“In fondo l’hai fatto dopo avermela rovinata tipo un centinaio di volte… stronzo!”, esplicitò i suoi pensieri stavolta, guardandolo con un sorrisino ironico e fretto che fece rabbrividire Edmund, il quale la fissava come per scusarsi.
“Non avrei mai voluto, lo sai”, disse il ragazzo. La sua voce era diversa da come Ash la ricordava. Che gli aveva fatto?
“Non ne sono più così sicura”, sbottò lei, avvicinando le ginocchia al petto e circondandole con le braccia.
“Ti ho appena salvato la vita e ancora non mi credi? Cazzo Ash, se non me ne fregasse più niente di te non sarei venuto ad avvisarti!”, s’infuriò lui. Aveva ragione, ma poteva anche essere una bugia.
In realtà magari non sarebbe mai arrivato nessuno all’asilo e Edmund la sta portando proprio dal suo nemico.
“Sei nato come spia. Come posso fidarmi di una spia?”, domandò Ash, provando a capire dove cavolo stano andando. Di certo non erano più nella solita Los Angeles.
“Prima ti fidavi di me. Essere una spia è solo il mio lavoro… un lavoro pericoloso e con conseguenze letali ma che faccio per il bene di tutti, soprattutto per il tuo!”, gracchiò, per non urlare e non farsi sentire da nessuno. Ash si sentì male per l’offesa che gli aveva fatto, ma in fondo lo conosceva e non poteva più fidarsi come un tempo.
“Non sei sempre stato dalla nostra parte. E non si finisce mai bene quando si cambia alleati…”, cercò di parlare mentre un nodo alla gola la lasciava muta.
Il tuo amico ti ha tradito… sei sola!
“Sono sempre stato con voi! Solo che non potevo dirtelo. Non sono mai cambiato davvero, lo sai. Quello che loro fanno…”, provò a spiegarsi.
“Avrebbe potuto obbligare te a farlo di nuovo. E un’altra vita se ne sarebbe andata, come la sua. Perché Lei se n’è andata, Edmund! E’ morta e non tornerà mai indietro ed è solo colpa di gente come te che lavora all’oscuro di tutto e tutti! Gente su cui credi di poterti fidare ma in realtà commetti l’errore più grande della tua vita”, urlò senza paura Ash, per poi ammutolirsi e allontanarsi da lui, mentre un ricordo la spezzava in due… di nuovo. “E io ho sbagliato a fidarmi di uno che fa lo stesso lavoro di quello che ha ucciso una delle persone più importanti della mia vita”.
 
“Allora, piccola stupida… di te cosa ne facciamo?”, disse una voce maschile, lenta, come trascinata. Aveva un tono di voce basso, come se la volesse cullare, ma quell’uomo era tutt’altro che buono e dolce.
Le sue mani erano sporche di un assassinio, e i suoi vestiti erano impregnati dell’odore della morte. Le faceva venire il voltastomaco.  
Ash provò a concentrarsi, per difendersi da quell’uomo orribile, ma l’unica cosa che ottenne fu un piatto rotto al suo fianco, con cui per sbaglio cadde e si tagliò anche il polso.
Dalla ferita, pian piano e gocciolando, uscì parecchio sangue, che man mano le sporcava il vestito arancione che si era messa. Piccole gocce rosse, che cadevano con una lentezza infinita si posavano su quella stoffa, rendendola dannatamente impura.
Provò a non pensare al dolore provocato dalla ceramica tagliata, che sembrava perforarle la mente e il corpo come mille foglietti di carta, e gattonò lontano dalla voce, con fatica.
Davanti a lei c’era una porta sconosciuta, in cui pensò di trovare rifugio, ma non  ci arrivò mai.
Scivolò con la mano tagliata su un liquido denso che pioveva dalla maniglia della porta e scorreva sotto di essa, ritrovandosi il polso doppiamente sporco e la guancia bagnata. Ma sempre della stessa lurida e impura sostanza.
Lanciò un urlo, sperando che qualcuno arrivasse da dietro quella porta, ma sapeva che era sola e che lì dentro nessuno più respirava. Neanche uno l’avrebbe aiutata, neanche uno sarebbe venuto a salvarla.
“Oh, ora hai paura, piccoletta? Mi piace assaporare la paura prima di finire una preda”, sghignazzò quel pazzo, sempre lentamente, come se più lenta fosse la frase, più terrore avrebbe provato la bambina.
Si avvicinò a lei guardandola come se fosse un trofeo, e sul suo viso vigliacco si formò un sorriso. Aveva vinto, lui che tutto aveva sopportato, avrebbe finalmente avuto la sua vendetta.
Aveva solo bisogno di un ultima cosa: il sangue di quella creatura.
Intanto i capelli di Ash, man mano che lui arrivava più vicino, diventavano verdognoli e le sue gambe cominciarono a tremare. Rimase quindi seduta, su quel liquido dolente, sporcandosi completamente quel vestitino che con tanto amore le avevano dato. I suoi piedi non riuscivano a muoversi, il suo cervello non sapeva più donarle un pensiero ragionevole.
“Non ho paura di te”, sbottò infatti, senza credere nemmeno ad una parola di quello che aveva detto. Sua madre però le aveva sempre detto di mostrarsi forte, perché chi era debole sarebbe sempre stato una vittima.
“Non ne sei certa nemmeno tu, bambolina”, scoppiò a ridere lui, ormai cosciente di avere vinto, stavolta parlando più velocemente. Portò una mano verso di lei, facendole diventare i capelli verdi accesi. La paura cominciò a impossessarsi di lei. “Tutto il tuo corpo sa di avere una tremenda angoscia”. Accentuò ‘tremenda’e sorrise malefico.
Chiuse gli occhi, completamente spiazzata, sapendo che sarebbe finita lì, in quella stanza di sangue e morte. Lo fece così forte da farle perfino male, sussurrando solo ‘voglio andare da papà’, come ogni bambina impaurita che si rispetti.
E il suo corpo sembrò volare.
 
“Ringrazia di essere qui”, la osservò una donna che lei conosceva benissimo. Tutti la soprannominavano Sorrow, sebbene ovviamente non fosse il suo vero nome. Nessuno sapeva davvero come si chiamasse e Ash dubitava fortemente che qualcuno volesse conoscerla così a fondo tanto da domandarglielo.
“A volte preferirei essere morta con lei”, sbottò la ragazza, mentre il biondo dei capelli tornava insieme a qualche ciocca blu. “Almeno non dovrei rivederti. Brutte notizie?”.
“Sei sempre più simpatica, vedo”, rispose Sorrow, facendole segno di alzarsi dal fieno e andare al suo fianco. “Come è andato il viaggio?”.
“Ero su un carro per il trasporto di mucche, pieno di fottuto fieno grattapelle con lui… tu cosa ne dici?”, ribatté Ash sorpassandola. Conosceva la zona in cui l’avevano portata e molto probabilmente sapeva già anche dove Sorrow voleva condurla.
“Qualche anno addietro mi avresti ringraziato”, le fece il verso la donna, muovendo le lunghe mani smaltate di blu nei capelli neri.
“Ora non sono più la ragazza di qualche anno addietro!”, ripeté la stessa frase, quasi a prenderla in giro. Funzionò, visto che Sorrow smise di ridere e fece il broncio.
“Ti ha salvata”, rispose soltanto.
“Sapete dire solo questo ora? Siete monotoni”, cercò di rimanere calma la ragazza, mentre si puliva i vestiti da tutto quel fieno rompiscatole.
“E tu stai diventando maleducata come loro. Tua madre non avrebbe mai voluto una figlia così…”, cominciò a parlare la donna.
“Fottiti Sorrow, e non osare parlare di mia madre con me!”, urlò Ash, prima di farle un sano dito medio e sedersi pesantemente su una panchina lì vicino.
Alcune persone si voltarono a guardarla, ma non ci fece caso. Stazione del cazzo all’ora di punta! Sorrow fece un sorriso per scusarsi e lasciò correre.
“Hai finito di fare la bambina viziata? Noi dovremmo andare!”, disse innervosita Sorrow, mentre lei guardava  il cielo di quel paese che anni prima aveva considerato casa sua. Un cielo blu, senza nuvole, che prometteva protezione e libertà. Sì, certo, libertà…
Rimarrai qui dentro in eterno, lurida combinaguai!
“Sorrow, faccio io”, sussurrò Edmund alla donna, che, inviperita, si voltò e se ne andò, facendo battere pesantemente i tacchi ad ogni suo passo, ma sempre con la sua grazia inaudita.
“Non devi fare nulla, se non seguirla e non rompermi le palle”, disse lei nervosa, tanto che un po’ di viola cominciò a colorare i suoi capelli.
“Stai perdendo il tuo noto autocontrollo, lo sai?”, sorrise lui, sedendosi al suo fianco e prendendo una ciocca di capelli, che pian piano ritornò bionda, mentre lei si calmava.
Maledetto lui e il suo fottuto potere che l’ammaliava!, diede in escandescenze nel suo cervello.
“E’ tanto che non venivo qui”, sussurrò più calma, sperando che lui non andasse via. Vero, era un pensiero stupido paragonato a quello che lui le aveva fatto, ma non riusciva a staccarsi dalla calma che le infondeva. Era sempre stato così, anche se lei si odiava per questo. Avrebbe  preferito non vederlo mai più, invece che trovarsi in questa situazione.
Ma lui giocava su questo appositamente per mandarla fuori di testa.
“Non ti manca stare qui? Perché vorresti tornare da tutti quegli Incompleti?”, chiese, usando sempre quello stupido nome.
“Odio quando li chiamate così, smettila”, ribatté sbuffando e guardando un treno arrivare. Ormai quello su cui era stata l’ora precedente se n’era andato più veloce di come era arrivato.
“Ci sei troppo affezionata”, commentò Edmund.
“E tu non li conosci! È per questo che questo posto mi manca da morire ma non ci voglio tornare. Voi vi credete migliori di loro solo perché sapete fare i vostri stupidi giochetti”, spiegò lei, muovendo le mani per fargli capire meglio.
Un bimbo la vide e le sorrise, indicando a sua madre ciò che aveva fatto. La donna, forse riconoscendo l’oggetto delle risate del figlio, cominciò ad accelerare e superare Ash e Edmund.
Di certo non avrebbe potuto riconoscere lei, essendo troppo cresciuta dall’ultimo ricordo che i cittadini del paesino avevano, ma Edmund aveva la divisa dei nemici, sebbene avesse buttato il cappello da qualche parte.
“Anche tu sai fare questi stupidi giochetti. E non sono stupidi, Ash, possono anche uccidere!”, disse lui, piegando la testa verso di lei, notando una macchia nera sotto i suoi capelli, sulla scapola. Un tatuaggio?
“Questo non vuol dire che loro siano inferiori a noi, Edmund. Non abbiamo il diritto di giudicarli… e smettila di fissarmi così!”, gracchiò lei, per poi scoppiare a ridere. Quel discorso l’avevano fatto così tante volte da farle girare la testa e lo sguardo del ragazzo la metteva a disagio.
“So che non ti piace giudicare nessuno, quindi va bene, non li chiamerò più… come ho fatto prima”, decretò il ragazzo, sorridendole, per poi indicare la macchina. “Non l’hai fatto sul serio, vero?”.
“Perché non avrei dovuto?”, domandò Ash con un sorrisetto vincente.
“Perché è un fottuto tatuaggio vero! Sai che potrebbe farti alla pelle, quel coso?”, si stupì lui, mentre lei alzava gli occhi al cielo.
“Sì, guarda, potrebbe uccidermi sul posto!”, sbuffò ancora. “Quanto sei melodrammatico Edmund! Ci sono cose che potrebbero farmi molto più male di un fottuto tatuaggio, ora come ora”.
“Anche Lay ne aveva uno sulla gamba e alla fine…”, si fermò all’improvviso, immaginando Ash al posto di quella ragazza. No, non poteva permetterlo.
“Quello di Lay era una tortura fatta con il veleno, questo è un tatuaggio normalissimo con inchiostro sano”, spiegò la ragazza toccandosi la scapola e mostrando la mano a Edmund. “Se lei lo toccava il suo veleno ammalava qualsiasi cellula a contatto, rendendola rosso sangue. La mia mano invece è intatta, quindi non c’è pericolo”.
“Va bene, va bene, hai vinto… come sempre”, disse lui facendole comparire un sorriso fiero in faccia. “Ma ora andiamo da Sorrow. La morte ha chiamato il tuo nome e non le permetterò di rifarlo un’altra volta”.
“Sei troppo protettivo, Edmund”, sbuffò lei, alzandosi in piedi, diretta al solito rifugio.
“E tu ormai troppo incosciente di quello che sei”, rispose il ragazzo. Come tutti, lui era a conoscenza di chi la cercasse e perché. Solo lei non capiva che era speciale.
Per lui era speciale in qualsiasi cosa facesse, ma per il resto del mondo era ancora di più.
Era diversa… diversa da chiunque in qualsiasi mondo andasse.
Era unica nella sua specie.
 
 
 ...
Note dell'Autrice:
mmmmm.... le cose si fanno complicate :D Spero che i ricordi di Ash non vi sconvolgano *era per questo che ho messo Contenuti forti* perchè non sono le ultime e nemmeno le più forti... ANZI! 
Così va la vita, in questo caso la storia ma fa niente! Spero che vi sia piaciuto il capitolo e mi farebbe davvero piacere se lasciaste un commento, così... per sapere se sto facendo le cose per bene, se vi piace... o vi fa schifo anche! LOL

Comunque vi mando un abbraccione,
Ronnie02

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Capitolo 3
*** Stranger In A Strange Land ***


Salve Echelon! Come va? 
Come ho detto nelle risposte delle recensioni che mi sono arrivate, mi scuso se la storia è un pò intricata, ma è stata pensata più come originale, per poi l'aggiunta dei nostri amati Mars. Ed è nella categoria "Mistero" per un motivo, quindi mi dispiace se questi capitoli possono risultare noiosi o incomprensibili, ma vedrete che alla fine tuuuuuutto sarà più chiaro.
Detto questo vi lascio alla lettura. :)




Chapter 3. Stranger In A Strange Land

 




Quello che lei aveva sempre chiamato rifugio era decisamente cambiato in questi ultimi anni. Non ci andava da parecchio ed era assurdo credere di essere di nuovo lì.
Quando si era trasferita aveva rinunciato a tutto, ma evidentemente la sua natura non era d’accordo... mannaggia alla sua natura!
“Questo è un bentornata a casa, sai?”, l’avvisò Edmund sorridendole come faceva un tempo. Oh, Signore Santo salvami!, disse lei mentalmente.
“Sarà un bentornata a casa quando toccherò il suolo di Los Angeles, Edmund. Non cominciare...”, disse cercando di non sembrare fredda come però si sentiva. “E poi non dovrebbe essere una riunione sulla mia futura morte?”.
“Smettila di farmi immaginare te morta, non lo sopporto”, sbuffò lui, mentre lei sorrideva. Le piaceva stuzzicarlo e quello era il suo modo preferito. Macabro, ma decisamente efficace. Infatti qualche ciocca dei suoi capelli si colorò di arancione. Lui la guardò male e scosse la testa, come se fosse deluso. “Quei capelli ti manderanno alla rovina”.
“Sei solo geloso perché a te servono le tinte e a me no”, fece la linguaccia Ash, toccandosi i suoi capelli, sempre più arancioni fuoco.
“Sì, certo… comunque sì, è una riunione importante, per quello è stata invitata anche Sorrow. Ma appena finiamo si festeggia il tuo ritorno”, l’informò il ragazzo, mentre lei fece una smorfia e i suoi capelli tornavano biondicci.
“Un ritorno di qualche ora… al massimo qualche giorno”, disse lei, mentre Edmund faceva il broncio. “Mi dispiace, ma voglio tornare a casa mia”.
“Non riuscirò mai a capire questa tua ossessione. Qui hai tutto e puoi essere te stessa, senza paura di essere scoperta”, sussurrò lui, allargando le braccia come per mostrare ciò che diceva.
Era vero, tutto attorno a lei rispecchiava il suo vero essere, ma non le importava di sembrare sempre sotto chiave. Quello non era il luogo in cui voleva vivere.
“Troppi ricordi, Edmund. Ormai non gioco più da anni”, sorrise lei amaramente, tornando alla metafora di prima dei giochetti. Giochetti su cui lei aveva studiato per metà della sua esistenza e su cui aveva lavorato per qualche mese. Giochetti che le avevano portato lontano persone di cui lei aveva un bisogno estremo.
“Lì sei una straniera... non sei come loro”, le disse arrivando alla porta del rifugio, dove con la solita combinazione aprì la porta fin troppo facilmente.
“Lo sono ovunque io vada, Edmund. Per questo mi cerca: sarò sempre una straniera in terra straniera”, rispose lei seguendolo. Entrò nel piccolo corridoio e si sentì totalmente a disagio. “Questo posto mi metteva e continuerà a mettermi i brividi”.
Lui lasciò perdere la prima affermazione, sapeva che in verità aveva ragione, e sorrise alla seconda.
Si guardò attorno e si ritenne a casa, una casa che lei non avrebbe mai ritenuto tale, al contrario suo.
Il pavimento era in legno, completamente rimesso a nuovo, mentre le pareti erano ridotte maluccio a causa dei lunghissimi anni di vita. Attaccate ad esse c’erano, come sempre, dei quadri di persone famose, che molti chiamavano eroi.
Ash aveva sempre odiato quei quadri. Lei era stata molto più eroica di chiunque appeso a quella parete eppure tutti la ricordavano come la vigliacca che l’aveva abbandonata. Bugie, solo bugie. Lei sola sapeva tutta la verità. Lei sola l’aveva vissuta quella verità. Tanto da non riuscire a pronunciare più il suo nome…
“Edmund!”, sentii una voce maschile, anziana, andarle incontro. Erano ormai alla fine del corridoio e davanti a loro una porta si aprì, lasciando intravedere un salotto dall’aspetto antico, in quanto a mobili, ma ben ristrutturato. Quel posto aveva fatto progressi dall’ultima volta in cui Ash ci aveva messo piede!
“Seamus, che piacere rivederti”, sorrise Edmund entrando nel salotto, dove erano sedute davanti a lui quattro persone. L’uomo che aveva salutato era in piedi, di fianco alla porta, con i suoi capelli bianchi e il suo completo impeccabile. Sulle tre poltrone invece erano seduti in fila Sorrow, Zoe, Joel.
“Lei è Ash, non è così?”, chiese una delle due donne sulle poltrone. Doveva essere per forza Zoe, visto che Ash conosceva già Sorrow.
“In carne e ossa… per ora. Non è così, Connor?”, sorrise malefica Sorrow, credendo di essere simpatica. Ah ah ah… non lo sei!, la guardò male  Ash.
“Sorrow, non siamo qui per fare battutine”, l’ammonì Joel. Ash non lo conosceva, al contrario di tutti gli altri a quanto pare. Era un uomo sui quarant’anni, ma li dimostrava molto di più di Jared Leto, per quello che aveva constatato il giorno prima. Aveva i capelli neri, con la pelle abbronzata come se fosse appena tornato da una giornata sotto il sole cocente di Los Angeles, e gli occhi marroni.
Non era nulla di particolare, ma era comunque un bell’uomo.
“Esatto; in effetti siamo qui per il contrario”, disse Seamus, avvicinandosi a lei e toccandole il braccio, gentilmente, come se la volesse invitare a mettersi al centro della stanza per presentarla a tutti. Ma prontamente Ash rifiutò il tocco e si allontanò di scatto.
La tua pelle è liscia… e profumata.
“Deve nascondersi. Anche solo per qualche giorno”, disse Joel, facendo finta di nulla e guardandola negli occhi, che lei abbassò immediatamente.
Occhi di ghiaccio, i tuoi. Al confronto i miei sembrano così impuri…
“Qui di certo non può arrivare. Le guardie sono presenti a tutte le entrate esistenti”, avvisò loro Zoe, mentre Ash pensava a quando erano arrivati.
“Guardie?”, chiese confusa, guardando dietro di sé.
“Sono invisibili, o almeno lo sono finchè la persona che li ha commissionati li rende visibili a chiunque”, rispose Sorrow, sempre con il suo sorrisino da so-tutto-io che Ash avrebbe volentieri preso a sberle. “Credevi davvero che ora si poteva entrare all’ Esis così facilmente?”.
Esisera il vero nome del rifugio. Ovviamente da ‘resistance’, visto che ormai la Resistenza era davvero qualcosa di segreto. Chi ne faceva parte decideva di portare con sé oltre al peso della responsabilità anche quello del segreto.
E lei ci era finita senza nemmeno volerlo. Tanto un segreto in più rispetto agli altri non faceva così differenza.
“Sorrow”, la riprese sottovoce Zoe, ma tanto ormai Ash aveva capito che come sempre quella donna l’avrebbe fatta dannare.
“Forte”, si limitò a rispondere. “Comunque se Sorrow è qui vuol dire che è capitata qualche sfiga… ovvero?”.
“L’asilo in cui lavoro è stato preso di mira, come potevi prevedere”, cominciò a parlare Seamus, mentre dentro di lei si squarciava la sua parte più umana. Quell’asilo era la sua casa e quei bambini erano la sua famiglia… almeno Devon se n’era già andato.
“Non hanno lasciato vittime, cercavano solo te in fondo, quindi hanno risparmiato tutti. Sappiamo solo che hanno terrorizzato il personale, nel modo peggiore che esista. E si fanno vedere ogni giorno, verso pomeriggio, per cercarti”, continuò Joel, cercando di  farle entrare nella testa un concetto fondamentale: tu non tornerai mai più laggiù.
“Non posso permettere che tu continui ad andare a lavorare in quel posto, Ash”, cominciò a dire Edmund, girandosi e provando ad avvicinarsi a lei.
Non posso permettere che tu rubi il mio prestigio, ragazzina.
“Smettila! Non resterò rinchiusa qui per l’eternità: vi do una dannata settimana e poi, costi quel che costi, tornerò a casa. Che mi venga pure a prendere!”, urlò, andando a sbattere contro il muro dietro di lei, mentre Zoe la guardava compassionevole. Ma a lei non serviva la pietà!
“Sei diventata tutta scema ora?! E come credi di vincere se nemmeno sai tenere a bada i tuoi capelli! Sono anni che non ti alleni!”, le rispose a tono Edmund, prendendole una ciocca tendente al viola.
“Allora allenami. Ma ti do solo una settimana, altro non posso fare”, tolse la sua ciocca dalle mani del ragazzo e incrociando le braccia. “Io. Tornerò. A. Casa”.
“Tu sei a casa, ficcatelo in testa”, le gridò Sorrow, sfinita dalla lite.
“Fanculo”, sussurrò Ash, viola di rabbia, voltandosi e camminando verso il corridoio. Edmund provò a fermarla, ma lei lo spinse via. “Non seguirmi… spia!”.
E uscì dal rifugio.
 
“Devon!”, sorrise Tomo prendendo in braccio suo figlio, sano e salvo in quel posto che continuava a dargli i brividi.
“E’ stato bravissimo oggi. Un po’ timido, ma alla fine è stato davvero un ometto”, gli assicurò Natalie mentre guardava Devon con gli occhi dolci, controllandosi però sempre attorno. “De verdad, mi amor? Pero ahora tienes que volver a tu casa, cariño”.
“Non capisco cosa dici, ma di sicuro hai un’intonazione della voce troppo dolce”, ridacchiò Tomo, mentre suo figlio, un po’ addormentato, lo stringeva sul collo. Cominciò a coccolarlo sulla schiena e quello sorrise, anche se aveva il ciuccio in bocca.
“Mi piace parlare in spagnolo con i miei alunni. Capiscono tutto dal modo che hai di parlare e  poco importa se non sanno cosa voglia dire”, disse lei, camminando verso l’uscita per farsi seguire. Tutti i genitori erano ormai  tornati a casa con i propri bambini e mancava solo lui. Non aveva fretta di tornarsene al suo appartamento, ma aveva paura che il piccolo potesse non riuscire a fare lo stesso.
“Mentre con gli adulti sei obbligata a farti capire”, concluse il croato, mentre lei annuiva.
“Già, una vera rottura”, rispose lei, come a chiudere la conversazione. Tomo prese l’invito volentieri e uscì dall’edificio, per andare verso la macchina, parcheggiata lì davanti.
“Lo porterò domani alla stessa ora, okay?”, l’avviso lui, mentre lei annuiva, per poi tornare dentro verso le sue classi ormai vuote e silenziose.
Tomo sospirò e andò verso la sua macchina, aprendola da lontano con la chiave elettrica e facendo illuminare i fari. Quando arrivò, aprì la portiera e mise il bambino seduto bene sul suo sedile e gli allacciò la cintura.
Devon aveva smesso di restare nel dormiveglia e ora lo fissava con gli occhi sbarrati, ma non impauriti, con il ciuccio in bocca. Era come se lo guardasse per dirgli ‘ancora non hai capito che succede lì dentro?’.
“Tu sai che sta capitando, vero? Scommetto anche che Nat ti ha detto tutto in quel suo spagnolo per cui Shannon darebbe di matto”, scherzò suo padre, ridacchiando. Ma Devon continuava a fissarlo. “Ehy, ometto… davvero smettila, piccolo”.
E mentre suo padre si alzava e stava per chiudere la portiera, Devon alzò il braccino, facendo movimenti strani con le mani. Ma, agguantato in un palmo, aveva qualcosa di strambo.
Si riavvicinò a suo figlio, che giocherellava facendo versetti divertiti per poi spostare ancora una volta lo sguardo sul padre, sempre come se cercasse di fargli capire qualcosa.
Devon guardò Tomo muovere la testa come a capire che aveva in mano, così glielo consegno senza fare nulla, solo allungando la mano e aprirla.
“Che hai preso, biricchino?”, sorrise Tomo, prendendo dalle mani del figlio quello che sembrava un pezzo di plastica, forse preso da qualche gioco rotto.
Aveva i contorni irregolari sulla parte destra, come se fosse stato tagliato varie volte prima di romperlo, mentre al centro c’era una strana solcatura. Era inciso.
Era un simbolo strano: era una specie di treccia composta da tre diversi fili di fuoco di tre diversi colori, ovvero viola, nero e indaco, che formavano la lettera A, scritta però in greco. Ai lati della treccia erano incisi anche due rose blu.
“E questo da dove arriva?”, si chiese da solo rigirandosi tra le mani quel pezzo di plastica più volte, cercando di riconoscere quel simbolo. Ma nulla, il suo cervello non sembrava collaborare. “E che diavolo ci fa in un asilo?”.
Devon ad un tratto cominciò a battere le mani, impaziente, e piagnucolare, come a fargli capire che voleva andarsene da lì.
“Sì, tesoro, adesso andiamo a casa”, disse alla fine mettendosi in tasca la plastica e chiudendo la portiera del bimbo, per poi sedersi al posto di guida.
Fece entrare la chiave nella toppa del volante e il motore partì di colpo. Mise in moto e uscì dal parcheggio, anche se prima di svoltare vide nel finestrino che qualcuno entrava nel cortile dell’asilo.
Aveva dei vestiti neri e un cappello bianco. Di nuovo.
“Ma che cazzo succede?”, pensò ad alta voce, mentre man mano che si allontanavano Devon sembrava tranquillizzarsi, e sulla sua faccia compariva un sorriso sincero.
Dopo poco si addormentò di nuovo.
 
“Tesoro, non credi che dovresti prenderti una pausa?”, chiese Vicki a suo marito, fuori dallo studio insonorizzato, aprendo di un poco la porta. Ma Tomo non stava suonando nulla: aveva la chitarra in mano, certo, ma aveva i viso fisso sul computer che aveva portato lì dentro.
“No”, rispose soltanto, quasi staccato.
Lei si stupì della risposta, non era da Tomo essere così frettoloso, e si fece avanti nella stanza, senza che nessuno le disse nulla. Senza far rumore si avvicinò al marito con un sorriso e andò dietro di lui.
La pagina che stava osservando presentata mille e mille simboli, sia religiosi e non, come anche la Triade.
“Avete bisogno di idee per il prossimo album? Credevo che aveste già deciso il nuovo simbolo”, commentò lei tutt’un tratto, facendo spaventare il croato.
“Che stai facendo?”, gracchiò Tomo, chiudendo subito la pagina e mettendo il pezzo di plastica trovato da Devon in un cassetto, prima che lei individuasse solo la sua presenza.
“Sto cercando di stare un po’ con mio marito, ma se vuoi me ne vado!”, s’arrabbiò Vicki, incrociando le braccia e facendo il muso.
Tomo si calmò un momento e le sorrise. Quanto l’amava… l’adorava quando era gelosa, anche solo di un computer.
“No, vieni qui”, disse il croato alzandosi dalla sedia e abbracciandola stretta, mentre lei si lasciava stringere, prendendo in mano la maglietta del marito, come per non lasciarlo scappare.
“Sei così distante da quando ho cominciato a lavorare… soprattutto in questo ultimo periodo con Devon all’asilo”, gli spiegò Vicki, tenendoselo stretto ancora di più.
“Perché tu sei presa da tutte quelle foto. Voglio dire, sono contento, ma non vedo l’ora che tu finisca quel lavoro per rilassarti un po’”, la fece dondolare Tomo, dandole un bacio sui capelli scuri. “In più quel dannato asilo mi mette i brividi da quando Ash è andata via”.
“Ash Connor, la ragazza a cui ho affidato mio figlio, è andata via?!”, si prese un infarto Vicki, staccandosi veloce da Tomo, preoccupata.
“Sì, oggi l’ha tenuto una certa Natalie… brava, parla sempre in spagnolo con i bimbi…”, cercò di calmarla il marito, riabbracciandola.
“Oh, bene… allora di che ti preoccupi?”, chiese la donna, sorridendo e accettando volentieri il contatto che tanto le era mancato.
“Quando siamo andati lì a iscriverlo era tutto pieno di colori, bambini che ridevano, Ash che li faceva giocare e quella segretaria sempre sorridente… ora sembra tutto spento, i bambini sono sempre a dormire quando porto o prendo Devon, Ash non c’è, Natalie sembra costantemente all’erta e quella donna ha gli occhi perennemente sgranati dalla paura, con anche un livido su uno zigomo…”, spiegò tutto Tomo, allontanandola un po’ e guardandola negli occhi. “Devon, il giorno dopo che Ash Connor l’ha tenuto con lei era così felice di tornare, ti ricordi?”.
“Certo, borbottava allegro come quando viene da voi tre”, sorrise la donna, spaventata un pochino dal racconto del croato.
“Bè, appena siamo arrivati a smesso di sorridere, si è appiccicato a me, stringendomi come se fossi la sua unica salvezza e quando l’ho passato a Natalie ha cominciato a piangere… aveva paura”, sussurrò l’uomo e un po’ si sentì stupido. Okay, le cose non quadravano, ma era totalmente assurda come situazione…
“Paura che il giorno prima non ha mai dimostrato”, si fermò a ragionare Vicki, pensando a tutte le nuove informazioni ricevute. “E ora che stavi cercando?”.
“Quando stamattina l’ho portato all’asilo, Natalie mi ha detto di essere puntuale, ma sembrava una sorta di avvertimento”, disse Tomo prendendo dalla tasca il pezzo di plastica inciso e passandolo a sua moglie, chiedendosi se fosse una buona idea. “Quando sono tornato aveva  fretta di lasciarci andare a casa e, mentre sistemavo Devon, l’ho visto giocare con questo”.
A… ma a di cosa?”, si chiese Vicki pensierosa, studiando il pezzo di plastica e guardandolo a fondo, toccando anche le solcature dell’incisione.
“Non ne ho idea… non ci capisco più niente. Shannon dice che non ci devo pensare, ma è tutto troppo strano”, commentò Tomo.
“Domani andremo tutti. Voglio vedere che succede e mi piacerebbe sapere l’opinione anche di quei due. Jared in primis, ha fiuto per queste cose”, sorrise Vicki, per poi mettere il pezzo di plastica sulla scrivania dove prima Tomo stava fissando il computer. Lui annuì, completamente d’accordo. “Ma intanto godiamoci la serata”.
Vicki sorrise malandrina, prendendo la sua maglietta ancora più stretta fra le dita.
Quella stanza era insonorizzata, Devon dormiva beato e loro avevano bisogno di rilassarsi. Sì, certo, rilassarsi
“Oh, facciamo le cattive bambine?”, disse Tomo ridendo, prendendo il volto di sua moglie con le mani, dolcemente, e dandole un bacio tenero, senza pretese.
“Stai zitto, grizzly di colore!”, lo prese in giro la donna ridendo, per poi continuare il bacio, che Tomo riprese volentieri.
La prese per la vita e se la strinse forte addosso, per poi tirarla su di peso e metterla a sedere sulla scrivania. Lei gli circondò il corpo, sia con le braccia sul collo che le gambe attorno ai fianchi, impedendogli una vita d’uscita.
Non che lui volesse scappare, anzi…
Da tutti era considerato il Dio degli Echelon, il Santo Patrono dei Leto che li calmava e li teneva a bada… bè, non era pienamente vero. Se si parlava di divertirsi, Tomo raramente si tirava indietro e questo è stato uno dei motivi per cui i Leto l’avevano accettato.
Come in ogni tradizione che si rispetti, tutti gli angioletti hanno la coda di diavolo. E in quel momento non si rese conto di quanto la cosa potesse essere vera…
Vicki scese con le mani, lasciando il suo collo e andando sulla maglietta, che stropicciò tanto quel che bastava per far sorridere Tomo e staccarselo un secondo per togliergliela.
 Ok, molte persone avrebbero potuto dire che il fisico di Tomo non era eccellente come quello di Jared, o Shannon; lui stesso si copriva sempre anche quando i suoi compagni si vestivano con magliette slargate che non erano nemmeno più magliette. Ma lei non aveva mai visto niente di più bello.
Niente di più suo.
Era fiera di quello che era suo marito, anche fisicamente, e mai si sarebbe lasciata influenzare. Neppure lei era una modella: era bassina, semplici occhi e semplici capelli corti sempre portati in una piccola coda di cavallo con la stessa frangia. Non aveva un fisico eccellente o gambe da panico… era solo Vicki. E lui l’amava.
Questo per lei era tutto ciò che contava. Nient’altro.
A reclamarla dai suoi pensieri fu la mano di Tomo, che navigava malandrina sotto la sua maglietta, facendole un po’ di solletico. Sorrise e lasciò il petto del marito, per aiutarlo a disfarsi pure di quella, mentre lui mi baciava allegramente il collo.
Mannaggia a lui, stavo già dando di matto.
Quando le parti superiori del loro vestiario furono eliminate, quindi anche il reggiseno della donna che Tomo aveva accuratamente sganciato in poco tempo, Vicki cominciò a lavorare sulla cintura dei pantaloni del marito.
Slacciò in fretta anche quella e, afferrando anche i boxer, liberò in fretta le gambe del marito. “Ehy, piano”, l’ammonì lui sorridendole mentre giocherellava con i suoi pantaloncini, spostandola dalla scrivania.
Lei gli prese la mano e se lo riavvicinò, baciandolo mentre indietreggiava. Quando sentì la stoffa del divano sui suoi polpacci lo spinse di nuovo verso di lei e caddero sui cuscini morbidi su cui Tomo di solito sedeva per creare musica.
“Uh, interessante”, giocherellò Tomo con i capelli scompigliati della moglie per poi sorriderle. Lei alzò un sopracciglio, sicura che prima o poi lui avrebbe finito di fare tutto il tenero. “Mamma mia che antipatica”.
“Ah sì?”, disse lei, per poi spingerlo via. “Fanculo Milicevic”.
“No, perdonami dai!”, sorride lui facendole il solletico, andando sempre più in basso con le mani, toccando l’intimo della donna e, in pochi secondi, stracciarlo via. “Così va meglio… e Devon ha bisogno di compagnia, sai?”.
“Sei un fottuto cretino, Tomo!”, sorrise lei, baciandolo e continuando a giocare.
 
La batteria non voleva funzionare come voleva. E che cazzo!
“Christine, ti prego, non complicarmi l’esistenza”, la pregò Shannon, chiamandola per nome come se fosse una figlia, mentre questa continuava a dare problemi.
Prima il pedale rotto, e va bene.
Poi i piatti smollati, e Shannon cominciava innervosirsi.
Poi le bacchette scomparse, e lì non ci vide più.
“Sto impazzendo”, ridacchiò Shannon, capendo che non era colpa di Christine, povera batteria inanimata. Si accasciò sulla gran cassa e cominciò a battere il piede, senza cercare davvero un ritmo.
“Fratello, fai una pausa o ti scoppia la testa”, entrò Jared nel Lab, con un bicchiere di Starbucks e un sorriso sulle labbra.
Labbra visibili. Mento visibile. Niente barba. Capelli tagliati.
“Ti hanno preso di nuovo per uno spot di Hugo Boss?”, chiese Shannon, scioccato. Erano mesi che avevano deciso di provare a far crescere la barba, al contrario di Tomo che aveva deciso di rimanere con il suo stile.
“No, ma lo sai che dopo un po’ mi stufo”, sorrise il fratello buttandosi su uno dei divanetti del Lab, bevendo dal classico bicchierone bianco e verde.
“Però non ti eri mai fatto due capigliature uguali…”, disse il batterista, alzandosi dalla sua Christine e andando a ispezionare la testa di Jared.
“Infatti non è uguale”, specificò il cantante, appena notò il fratello girargli intorno.
“Wo oh!”, esultò Shannon. “Sei tornato vent’enne?”.
“No, ho visto un tipo e volevo vedere come mi stava”, disse toccandosi la nuca con la mano. Rasato; aveva i capelli un po’ rasati alla fine della testa.
Non si notava molto, ma era una bella idea e sembrava di sicuro molto più giovane, come sempre.
“E magari questo nuovo ringiovanimento è dato da una ragazza bionda e blu con gambe da urlo che ti scoperesti volentieri?”, sorrise Shannon, toccandosi la barba. Avrebbe dovuto farci qualcosa anche lui…
Non ora, ci avrebbe pensato all’uscita del disco, quando avrebbe dovuto presentarsi al mondo come batterista e non come scimmia.
“Chi?”, fece il finto tonto Jared, continuando a bere.
“Se ciao fratello!”, ridacchiò Shannon, saltando oltre il divano, per poi stendersi comodamente a fianco del cantante e appoggiare i piedi sulle sue gambe, sorridendogli.
“Togli i tuoi arti o giuro che li faccio a pezzi”, minacciò il fratello guardandolo truce.
“E poi che fai? Li porti ad Ash Connor come trofeo?”, lo prese in giro Shannon facendola linguaccia.
“No, all’obitorio con il resto del cadavere, stronzo!”, gli disse sposandogli i piedi e facendolo sedere.
“Che antipatico…”, sorrise Shannon. “E comunque che nome è Ash? A me piace di più la versione lunga, Ashley… no?”.
“Ha detto che non si chiama Ashley, ma proprio Ash”, commentò il cantante. “Chi la capisce è bravo”.
“Mi ricorda quello dei Pokemon. Si chiamava Ash, giusto?”, scherzò il batterista. “Magari è andata via perché i suoi Pokemon dovevano affrontare la finale del Torneo!”.
“Ma quanto sei cretino”, rise Jared finendo il suo caffè. “Però non è  strano? Che se ne sia andata proprio il giorno dopo il nostro arrivo?”.
“Magari non ti voleva più vedere”, fece lo sbruffone.
“Dio se sei un coglione!”, s’offese Jared, per poi andare a provare qualche nuova canzone nella cabina del canto.
Shannon si mise sdraiato di nuovo, ridendo ancora un po’. Però, dopo che Jared ebbe finito di cantare la prima canzone e attaccò con la seconda, gli venne un dubbio.
Seriamente… com’era possibile che di punto in bianco una ragazza decida di andarsene in ferie per un paio di giorni senza avvisare? E per quale motivo?
 


...
Note dell'autrice:
dai, che prima o poi tutti i nodi vengono al pettine, piccolo Shannon indagatore (??). 
Abbiamo anche un piccolo momento Tomo//Vicki, per la mia felicità (li adoro troppo quei due, sono i miei Zeus//Era al confronto degli antichi greci.... ok lasciatemi perdere, oggi non ci sono proprio xD)
Va be, spero che vi sia piaciuto e ....recensiteeeeeeeeeeeeeeee. Mi farebbe piacere, sul serio, sapere cosa ne pensiate. E ringrazio tutte le lettrici, o chi ha messo la storia tra preferite o seguite. GRAZIE
Ronnie02

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Capitolo 4
*** California. My only home ***


Ed eccoci qui! Bentornati *-*
Io sto aggiornando mentre studio matematica (non capirò mai nulla, peggio di questa storia, mannaggia!), ma vi vogio tanto bene, quindi ecco il capitolo. Qui comincia un pò a vederci chiaro, qualcuno, ma chissà chi :D
Bè, buona lettura :)



Chapter 4. California. My only home




 
“Tu stai male, seriamente!”, urlò Ash, in preda alla rabbia, colorandosi di viola. Aveva evitato per un millimetro un attacco di Edmund e una piccola ferita si estendeva sul suo bracco. “Sei un cazzo di idiota!”.
“Ehi, calmati, avresti semplicemente potuto spostarti molto più velocemente”, fece il sapientino con un sorriso idiota. Quanto lo odiava quando faceva così!
“Oh ma vaffanculo!”, gridò, sempre più arrabbiata, facendogli anche segno di andare a farsi fottere. Sì, era molto fine e lo mostrava anche con molta gentilezza. “Sei il solito stronzo, Edmund!”.
“Senti, se vuoi farti valere per una santa volta nella tua senza che io debba seguirti come un cagnolino, devi essere più veloce di così”, la derise, facendola diventare completamente viola. Bene, il suo obiettivo era raggiunto.
Quando Ash si arrabbiava diventava una belva e cominciava a lottare molto meglio.
Voleva che fosse più veloce? Bastava chiedere… avrebbe fatto mangiare la polvere a quel rompipalle.
“La prima volta…”, disse cominciando ad avanzare verso di lui, segno che voleva aprire le danze. Si mossero contemporaneamente, piano, come a studiare la preda, rimanendo alla stessa distanza. Ash sorrise, come a provocarlo, e attaccò di colpo. Lui però si scansò facilmente, sorridendole in segno di sfida. “Sarei stata capace di farcela benissimo da sola!”.
“Ehy Ash, ora hai pure il fidanzatino che ti protegge? Ma come siete carini!”. E tutti risero.
“La seconda volta…”, elencò di nuovo, mentre lui ricordava insieme a lei tutte le volte che aveva rischiato di rimanerci secca. Si avvicinò un po’ di più, ma sempre lentamente, come se volesse finirla e parlargli; ma invece lo attaccò, mancandolo di pochissimo. Sapeva ammaliare bene le persone. “Non c’eri solo tu, ma eravate una squadra, quindi tiratela di meno”.
Un’autopsia. La sua gamba sembrava essere stata aperta davanti ai suoi occhi come durante un’autopsia. Vedeva l’osso: era bianco, pieno di sangue e il muscolo tagliato le doleva in un modo allucinante. Avrebbe preferito morire bruciata da fuoco vero piuttosto che provare ancora quel dolore.
Ma poi arrivò il suono che l’avrebbe salvata.
“La terza volta…”, ripeté con fatica, stanca e concentrata, mentre lanciava un terzo attacco, facendo una finta. Lo colpì sul braccio, strappandogli la manica e slogandogli la spalla. “Ovvero qualche giorno fa, il mio recupero ti è stato di certo ordinato da Sorrow o Seamus…”.
Cercò di abbracciarla, ma lo spinse via, sedendosi in quell’angolino di treno che ospitale non era di certo. Che schifo.
“Soluzione: Evita. Di. Provocarmi. Pivello”, sottolineò ogni singola parola, quasi sputandogliela in faccia. Pian piano i suoi capelli prendevano a scolorirsi e tornarono biondissimi e le ciocche blu ripresero a brillare.
La sfotteva? Bè, ora l’aveva battuto.
Sorrise cattiva, come ad avvisarlo che si era vendicata della battuta antipatica, e Edmund si ritrovò per terra, nel giro di qualche secondo, agonizzante.
“Non hai… dimenticato… nu-nulla”,  cercò di dire lui, tendendosi dal dolore che provava nella sua testa. “Allora perché… n-non controlli i… capelli?”.
“Perché sono parte integrante di me, come il mio sorriso o le mie lacrime”, spiegò lei, mollandolo e aiutandolo a tirarsi in piedi come meglio poteva.  
Lui si sedette per terra, non riuscendo a fare altro, e la guardò, perso nei ricordi di qualcosa che lei preferiva dimenticare.
“Mi manca il rosso”, sussurrò piano lui, mentre lei abbassava gli occhi, triste al pensiero.
“Non ritornerà mai più per merito tuo, Edmund. Mi dispiace”, commentò lei, uscendo da quella sottospecie di sala da ginnastica che usavano per allentarsi nelle lotte.
Edmund rimase lì, con le parole di Ash nella mente, che non riuscivano a prendere forma razionalmente. Era stata fredda, come se davvero non gli importasse più nulla. Come aveva potuto dimenticarlo?
Lui non l’aveva fatto.
Lui non l’avrebbe mai fatto.
E in realtà neppure lei, sebbene non sarebbe mai tornata indietro.
 
‘I bambini sono la bocca della verità’.
Chi l’ha  detto è un emerito coglione!
Ash era sdraiata per terra, con le mani dietro la testa, che guardava il cielo. Di solito vedeva le nuvole muoversi e cambiare forma, facendola giocare con la sua fantasia, ma stavolta il cielo era limpido.
Blu, blu come i suoi capelli.
Blu, blu come gli occhi di Jul, la sua migliore amica pelosa.
Blu, blu come il mare in cui si era tuffata qualche giorno prima, quando suo padre le aveva promesso di portarla in un posto speciale.
Il mare. Non sapeva cosa fosse il mare prima, e aveva ben dieci anni. Lei e suo padre ci erano andati mentre sua madre parlava con le amiche, ed era bello. Lei avrebbe abitato lì , un giorno. Avrebbe sposato il mare.
“Ti sei addormentata?”, chiese il bambino che sedeva accanto a lei. L’aveva già  visto ma non sapeva il suo nome.
Si era comodamente piazzato lì vicino, forse in attesa di parlarle, ma lei rimaneva zitta, come se fosse davvero addormentata.
“Jul mi sta leccando i piedi”, ridacchiò il bambino, facendola ridere, non credendogli: Jul aveva paura delle persone, si fidava solo di Ash.
“Non è vero”, fece una smorfia Ash, ridendo divertita. Ed ecco che un po’ di arancione comparve nel biondino della bimba.
“Non mi stai guardando, come fai a saperlo?”, chiese lui, forse arrabbiato con sé stesso per una scusa così  banale.
“Sei un bugiardo”, si voltò lei, guardandogli i piedi e notando che Jul era ancora a fianco a lei, che dormiva. “Sei cattivo e bugiardo”.
“E tu sei antipatica”, stabilì il bambino, mettendo il muso. Lei gli fece la linguaccia e lui sorrise. “Però mi piacciono le antipatiche”.
E a quel punto, come ogni volta che amava o si sentiva amata, l’arancione prese fuoco, diventando rosso, come le sue guance.
“Bè, però a me non piacciono i bugiardi!”, cercò una scusa, tirandosi su a sedere e richiamando Jul. Pian piano il rosso scivolò via dai suoi capelli, presa com’era dalla gioia del cagnolino mentre giocava con lei, ma sorrideva comunque ripensando a quel complimento.
“Questo è da vedere!”, rispose per sé il bambino, guardandola andare via.
 
“Fanculo”, commentò Ash, cercando invano una sigaretta. In quel maledetto posto i vizi del genere non erano ammessi… che odio!
“Puoi andare da Joel, lui le prende a Los Angeles”, le sorrise Zoe, venendole incontro, per poi sedersi di fianco a lei, sulla panchina che avevo scelto.
Era nel parchetto di fronte alla ‘palestra’, che loro chiamavano come sempre Me.Co, da quello stupido detto latino ‘mens sana in corpore sano’.
“Un viaggio di un’ora per delle sigarette? Che voglia!”, commentò Ash facendo di no, ma ringraziandola dell’offerta con un sorriso. Al contrario del solito però, lì il linguaggio del corpo era molto più notato.
“Un’ora per chi usa il treno”, sorrise lei. “Ma noi facciamo parte dell’Esis”. Le fece l’occhiolino e scoppiò a ridere.
“Oh, quindi hai il diritto di piombare in faccia alla gente come prima, no?”, comprese sorridendo. Però… essere nella Resistenza non era poi mica così male!
“Da quando sei così dannatamente ostile, Ash? Non ti conosco, ma so per certo che da piccola adoravi questo posto”, disse  guardandola con la testa piegata da un lato, in modo che i capelli scivolassero lungo le spalle.
“Da piccola questo posto era diverso”, commentò guardando una coppia di ventenni, come lei, rincorrersi nel parco. “Ma questo luogo non è privato?”.
“Quando eri piccola c’era il terrore e il caos. Ora rimane il terrore ma la gente tende a nasconderlo. Non credi che sia più giusto?”, concluse Zoe. “E comunque no, il parco è comunale”.
“Più giusto?! Un asilo è stato ridotto alla paura più terribile solo perché io lavoravo lì e tu credi che sia meglio stare zitti e fare finta che tutto vada alla grande?! Tu stai male!”, le rinfacciò alzandosi di scatto, arrabbiata. La gente lì ormai non capiva più niente. Era completamente pazza, secondo la bionda. “Voi tutti state male e questo è il primo motivo per cui non tornerei a vivere qui neanche se dovessi morire!”.
“Credi invece che sia meglio rinchiudere tutti in casa? Dio santo, Ash, lavori in un asilo: cosa penseresti se dovessi vedere tutti quei bambini ingabbiati nelle loro camere, da soli e impauriti?”, le spiegò Zoe, guardandola negli occhi.
“Allora meglio dimenticare chi è caduto in battaglia? O chi rischia la vita tutti i giorni per vincere questa dannata guerra?!”, continuò Ash, imperterrita nei suoi pensieri.
“La pensiamo diversamente, è ovvio”, Zoe lasciò perdere capendo che tutti avevano ragione: Ash non cambia mai idea.
“E quindi?”, chiese Ash come se non avesse intenzione di lasciar cadere il discorso. “Quindi finisce qui? Voi continuate con le vostre idee e io con le mie?”.
“E che dovrei fare? Costringerti a pensarla come me? Io sono sicura che ciò che stiamo facendo è giusto e mi basta”, disse Zoe.
Ash scosse la testa e sorrise, cattiva. “Bene, ho chiuso allora”.
“Che vuoi fare?”, chiese Zoe guardandola tornare verso la palestra, per poi svoltare a destra. Andava verso l’uscita del rifugio. “Ash!”.
“Vi ho sempre detto che non sarei rimasta qui a lungo. Sono passati tre giorni in cui mi sono allenata giorno e notte, oggi ho battuto Edmund. Fidati, posso cavarmela, e non intendo rimanere qui!”, le rispose la ragazza, fermandosi e guardandola arrabbiata.
“Se tornerai al lavoro lui ti ucciderà”, disse semplicemente la donna, tentando di fermarla. Invano, però.
“Così sarà finalmente felice, no?”, commentò Ash voltandosi e ricominciando a camminare. “Avrà ciò che desidera e la guerra finirà. Troppe persone sono morte o stanno ancora morendo solo per questo capriccio… mi sono rotta!”.
“A cosa è valso allora vedere quel sangue, Ash?”, urlò Zoe, pregando di rimanere viva lei stessa dopo quella frase. Non avrebbe dovuto osare tirare in ballo l’argomento.
“A niente! Non è mai valso a niente!”, gridò di rimandò Ash, fermandosi di nuovo, tremante al ricordo. “E in quel sangue sarebbe dovuto finire anche il mio!”.
Il sangue sulle sue mani sembrava una stupida tinta maleodorante.
“Se tu muori… noi finiamo di vivere”, l’informò la donna, di nuovo con l’ennesimo tentativo di fermarla.
“Combatterò Zoe, smettila, non sono così stupida da consegnarmi liberamente”, si voltò Ash per la millesima volta. La stava facendo parecchio innervosire. “Ma lasciami andare a casa mia. E casa mia non è qui, lo sai”.
“Stai attenta”, sussurrò Zoe, vedendola sorridere e uscire dall’ Esis. Sorrow l’avrebbe ammazzata… “Stai attenta”.
 
Altro cambiamento. Gli stava facendo girare la testa tutta questa situazione.
Il giorno dopo aver trovato il pezzo di plastica inciso, Vicki accompagnò Tomo con i Leto, per vedere cosa succedeva e sentire l’opinione di tutti.
Appena erano arrivati Devon si era, come sempre, appiccicato forte a  Tomo, singhiozzando leggermente per non farsi abbandonare. Vicki era rimasta scioccata: la segretaria era davvero strana e a mala pena la salutava. La nuova insegnante di Devon, Natalie, ormai aveva due occhiaie enormi e si guardava sempre in giro, anche dopo aver preso in braccio il piccolo Milicevic e calmato con dolci paroline spagnoleggianti che fecero impazzire Shannon, come aveva previsto Tomo.
Shannon aveva quell’amore innato per lo spagnolo, e nessuno aveva mai capito perché. Non che lo volesse studiare, ma amava sentirlo parlare e cominciò ad adocchiare Natalie per il resto del tempo che restarono lì.
Vicki, quando tornarono in macchina e si guardarono per capire cosa ne pensavano, aveva risposto che in effetti c’era qualcosa che non andava. Ma per il resto Ash Connor poteva benissimo aver chiesto delle ferie e le altre erano stressate dal doppio turno.
Shannon era d’accordo sulle probabili ferie della ventenne, ma di certo per lui non era lo stress a dannare Natalie o la segretaria. Era successo qualcosa, e nella sua immaginazione erano presenti terroristi che chiedevano qualche riscatto di un debito.
Jared no, per lui Ash Connor aveva preso la fuga appena era tornato a casa con Devon. Qualcuno o qualcosa doveva averla indotta ad andarsene così repentinamente da non avvisare né le colleghe né lui, a cui aveva chiesto di dire a Tomo che ci sarebbe stata il giorno seguente. E quel qualcuno o qualcosa doveva ovviamente aver spaventato anche il resto del personale dell’asilo.
Tomo… Tomo? Lui ero d’accordo con Jared, per quanto pazzoide fosse la sua teoria. Insomma quella ragazza li avrebbe avvisati, o l’avrebbe detto a Jared, se sapeva che il giorno dopo sarebbe partita. Non aveva alcun senso, in quel momento…
Ma il tempo per chiederglielo lo trovarono dopo una settimana dalla sua scomparsa, più o meno.
Quando, con Vicki, arrivò all’asilo, Devon si svegliò di colpo, cominciando a battere le mani. L’aveva fatto solo una volta, ovvero prima di rendersi conto che Ash Connor era andata via.
Che succedeva?
Vicki prese in braccio Devon, che invece di stringersi a mo’ di koala come al solito, guardava in giro, sorridendo e muovendo le manine, e s’incamminò verso l’edificio.
Il marito chiuse la macchina e la seguì cercando di capire il nuovo cambiamento del bambino.
Entrarono nel piccolo parco all’entrata e si guardarono intorno. Sembrava che di nuovo tutto avesse ripreso vita, sebbene nell’aria ci fosse  comunque una nota di preoccupazione.
“Devon!”, sentirono una vocina non molto lontana chiamare loro figlio. Era un bambino dell’asilo, che avevano visto il primo giorno. Matt?
“Ciao piccolo, come stai?”, si accucciò Vicki vicino a lui, facendolo avvicinare anche a loro figlio, con il qualche cominciò a giocare.
“Bene. Matt scappa, Matt vuole portare Devon con lui a cercare il tesoro!”, si esaltò il bambino indicando il moro tra le braccia della donna. Devon ridacchiò e cercò di andare verso di lui.
“Matt? Oh, Matt dove sei finito?”, sentirono una voce conosciuta. Entrambi i Milicevic si guardarono in un forte senso di deja-vù: quel bambino combinava un pasticcio e la sua maestra arrivava a rimproverarlo.
E la sua maestra era di nuovo Ash Connor.
La videro arrivare da uno degli angoli dell’edificio, segno che era già fuori per cercarlo, e quando li notò sorrise, salutandoli. Poi spostò lo sguardo verso Matt e scosse la testa.
“Tu sei un cattivone”, sbottò per poi ridere e scompigliare i capelli al bambino. “Mentre guarda che angioletto che è Devon!”.
Fece un sorriso a loro figlio e giocò con le sue manine, mentre Devon la guardava ammaliato.
“E’ tornata dalle ferie?”, chiese Vicki alzandosi con ancora Devon in braccio e sorridendole.
“Sì, sono andata a trovare… la mia famiglia, per qualche giorno”, sorrise fintamente, mentre Tomo cercava di capire il perché di quella pausa. “E comunque mi dia pure del tu”.
“Allora chiamami pure Vicki anche tu, Ash”, sorrise la moglie mentre Devon si allungava nelle sue braccia per raggiungere quelle di Ash.
“Gli sei mancata molto”, esordì Tomo, mentre lei prendeva in braccio suo figlio, tenendo comunque  un occhio su Matt.
“Oh, sono sicura che Nat sia stata all’altezza di questo piccolino”, gli sorrise la ragazza, facendolo giocare con le sue perfette ciocche blu. Lui cominciò a provare a prenderle e ridacchiare.
“Bè, allora credo che noi possiamo andare”, disse Vicki dando un bacio sulla guancia al suo piccolo, tra le braccia della maestra, il quale la tenne stretta un momento, per poi lasciarla andare con un sorriso..
“Sì, penso che tornerò io a prenderlo. Oppure i Leto, ricordi?”, chiese l’uomo mentre lei annuiva.
“Come dimenticare…”, sussurrò per poi scoppiare a ridere. “No, tranquillo va bene, basta che…”.
“Basta che sia prima delle tre, come sempre”, sorrise Tomo, ripetendo ciò che tutti gli ammonivano da una settimana a quella parte.
“Sì… sì esatto”, rispose confusa Ash, come se in realtà non volesse dire quello, in partenza.
“Bene, saremo puntuali”, sdrammatizzò la situazione Vicki, salutando tutti con la mano e facendosi imitare dal marito.
Si voltarono, tornando al parcheggio, e andarono via in macchina, sotto lo sguardo della ragazza.
“Allora piccoli, che volete fare?”, sorrise attirando l’attenzione dei due bambini. “Diciamo che per prima cosa torniamo dentro, okay?”.
Si voltò anche lei, verso però l’entrata stavolta, e si fece seguire da quell’uragano formato bambino di Matt, mentre teneva in braccio Devon che studiava con attenzione le sue perfette ciocche blu.
Una volta dentro lasciò giocare Matt con gli altri bambini della sua età, mentre portò Devon dentro la classe, per posarlo tra Caroline e Michelle, due bambine di un anno come lui che si stavano colorando la faccia con tinte apposta.
“Carrie, non mangiarla, fa male”, sorrise Ash, prendendo un fazzoletto e pulendole la bocca dalla tinta rossa, che trattava come se fosse un rossetto.
“Ma Caie… spoare”, si giustificò Michelle, provando a rimetterle la tinta appiccicosa sulle labbra. Le solite bambine che sognavano quella gran cerimonia chiamata matrimonio.
“Mich, capisco, ma Carrie ha le labbra rosse già di suo. È un dono prezioso, lasciale così”, fece  l’occhiolino ad entrambe. “E poi con chi si sposa Carrie?”.
“Deon! Deon… preao ora… shì”, disse Michelle lasciando stare Carrie e andando a dare una manata leggera di colore blu sulla guancia di Devon, lasciandogli il segno della tinta.
“Sì, belo Deon”, commentò Carrie sorridendo e mettendosi un po’ di verde sul vestito. Oh, povera mamma!
“No, Carrie. Il vestito è perfetto così, non rovinarlo. E poi verde non è il colore adatto ad un matrimonio”, disse Ash provando a togliere la macchia.
Carrie si fermò un attimo, come a pensarci bene, e poi annuì a ciò che aveva detto Ash.
“Ma… qui no ianco”, disse la bambina guardando la vasta gamma di colori, a cui mancava il bianco. Dovevano averlo finito nel tempo in cui era stata via perché ricordava di averlo visto l’ultima volta.
“Oh, non importa. Devon ti crede bella lo stesso”, le fece l’occhiolino Ash, mentre Carrie si spostava e, in temporanea con Mich che aveva finito di pitturarlo, gli diedero due baci sulle guancie.
Devon divenne viola, sotto il colore che Mich gli aveva messo, e poi andò, gattonando, a giocare con Simon, un bambino poco più grande ma sempre in quella classe.
Quando lui se ne andò, Carrie e Mich tornarono a truccarsi a vicenda, e Ash andò a sedersi dietro la cattedra. Per ora doveva solo tenerli d’occhio e visto che stavano facendo i bravi si mise a disegnare qualcosa sui fogli che si era portata dietro.
Ad un tratto le cadde la matita con cui stava lavorando e sbuffò. Ma ovviamente non fu un gran problema: in pochi secondi tornò al suo posto con un movimento di mani veloce, presa com’era dalla settimana che aveva passato.
“Vola!”, la vide Helen, una bambina sui tre anni che era entrata con Nat, la quale si era persa la scena, fortunatamente.
“Ma che dici, piccolina?”, scherzò Nat, pensando davvero che forse uno scherzo. Lasciò andare Helen a giocare con le altre bimbe e si diresse verso Ash, che sorrideva sforzatamente.
Da troppo non commetteva un simile errore… le giornate di allenamento erano finite, e doveva mettersi di nuovo in testa che doveva evitare certe cose.
“Ehy, che succede?”, incominciò un nuovo discorso, sperando che Nat non desse retta a Helen.
“Niente di che. Ero venuta a chiederti se quando finisci il turno di Devon e Simon ti andava di prenderti una pausa con me”, le domandò guardando i due bambini interessati. Erano più o meno gli ultimi ad andarsene e poi avrebbe finito il suo turno.
“Tu non devi continuare fino alle sei?”, rispose Ash.
“Oggi no, qualche bambino da un po’ di giorni viene portato via prima… poi ti spiego…”, le disse, anche se comunque sapeva già tutto, seppur non nei particolari. La domanda era: Nat credeva che lei fosse coinvolta?
“Ok, allora ci vediamo all’uscita appena finisco”, accettò Ash. Voleva sapere cos’era successo e doveva sapere cosa pensavano della sua piccola scomparsa.
Nat le sorrise e salutò i bambini presenti. “Hasta luego, niños”, cantilenò nel suo spagnolo perfetto che tutti i bimbi adoravano. Ash la salutò con la mano e lei uscì.
La bionda riprese a disegnare, mentre teneva comunque d’occhio che i piccoli non si facessero male.
A metà disegno si fermò un attimo, vedendo Carrie da sola e andò da lei a giocare un po’. Michelle l’aveva abbandonata per giocare con Helen, così Ash la prese e la fece ballare un pochino, giocando. “Non si può non ballare al proprio matrimonio”, le disse facendola ridere.
Dopodiché la bimba andò da Simon e Devon, cominciando a modificare tutte le costruzioni dei due bambini, che comunque l’accolsero volentieri.
Sistemata Carrie, controllò fuori che Matt e gli altri più grandi avessero finito la loro pausa senza danni. Ora Nat li stava portando in classe e avrebbero fatto silenzio per un po’, visto che per loro era il momento della nanna.
Tornò dentro e continuò a disegnare, fino a che, lasciandolo in bianco e nero, la palestra dell’ Esis fu completata. Di spalle, tutto in nero, aveva disegnato pure Edmund, con attorno a lui una specie di aurea. Scura, come parte della sua anima.
“Diventerai come loro, Edmund! Tutti alla fine diventano come loro!”, pianse la ragazza, sapendo il destino che l’attendeva. Nessuno tornava mai come prima, una volta arruolato.
“No, devi solo fidarti di me. Io sarò diverso, io..,”, cercò un abbraccio, ma Ash non glielo permise. Era finita.
“No. Tu cambierai come tutti gli altri. E io non posso fidarmi di una spia”.
“Ok, bimbi, è ora di dormire”, si distrasse dai suoi pensieri, pensando ai piccoli ragazzini davanti a lei. Poggiò il disegno in uno dei cassetti della cattedra e si alzò per sistemare la classe.
I bambini sembrarono collaborare, visto che si separarono dai giochi in fretta, e lei li rimise al loro posto, per poi portare fuori le piccole brandine.
Devon e Mich, i più piccoli, si accaparrarono le culle che aveva a disposizione quella classe, mentre gli altri cinque bimbi si dovettero accontentare del solito posto.
Tirò giù le tapparelle e cantò una ninna nanna tranquilla per farli addormentare.
Dopo qualche minuto si ritrovò sola, a pensare a se stessa. Quindi tornò sedersi sulla cattedra e chiuse gli occhi, tornando al rifugio. L’aveva combinata grossa, quello era ovvio. Zoe si era di certo presa una sgridata epica da Sorrow perché non l’aveva fermata, ma poco le importava.
Dopo un tempo che sembrò, contemporaneamente, infinito ma anche troppo veloce, qualcuno bussò, scacciandola da quel posto e dalle continue insinuazioni di quella donna che tanto odiava.
Guardò l’orologio. Erano già le tre… dio santo, quando era passato tutto quel tempo?!
Si alzò e andò ad aprire la porta della classe. Come una settimana prima, il signor Jared Leto era tornato a prendere Devon. Ash sperò solo che non tornasse anche Edmund in quel deja-vù…
“Sono qui per… oh ciao!”, disse con voce troppo alta, l’uomo. Ash stava per alzare gli occhi, ma poi lo guardò bene. Si era tagliato i capelli e si era rasato del tutto la barba.
Uh, stava parecchio bene…
“Abbassa la voce, cantante!”, lo sgridò lei sottovoce. “Devon sta dormendo, ora te lo porto”.
Jared, come la volta precedente, cominciò ad osservarla. E, contento ma anche stupito, l’aveva notato: nei suoi capelli nessuna traccia di viola, mentre era assolutamente sicuro che c’era la volta prima.
E come un deja-vù, lei svegliò piano Devon e glielo portò. “Eccolo qui”, sorrise Ash porgendo il bambino al cantante, che non si era mosso di un centimetro.
“Grazie mille”, disse Jared, stavolta più sciolto su come prenderlo in braccio. Devon, addormentato, si stiracchiò su di lui, per essere più comodo. Jared lo coccolò sulla schiena, felice che quel bambino gli volesse bene più di quanto dimostrasse di solito.  “Domani alla stessa ora, giusto?”.
“Certamente. Aspetto Tomo e Vicki come sempre, allora”, disse lei, sperando che non andasse oltre. Ma lui era Jared Leto, e Jared Leto non si arrendeva mai.
Anche dopo una settimana la sua idea era quella: la guerra è iniziata, biondina.
“Certo. E se magari tu volessi venire a cena con me una di queste sere, sono sicuro che ti troveresti benissimo”, la invitò l’uomo, senza paura o vergogna. La guardava sorridente, ma non sapeva di giocare con il fuoco.
“Per oggi passo, ma sono sicura che avrà modo di trovare qualcun’altra”, gli sorrise fintamente Ash, ridendo dentro di sé. “Ma vedrò di controllare i miei impegni per i prossimo giorni ovviamente”.
“Sono certo che lo farà”, rispose Jared, usando la sua voce più seduttrice, cosa che colpì anche Ash. Infondo era comunque una donna anche lei… “Ci si rivede, biondina”.
“Ci si rivede, Leto”, rispose lei, irritata dall’epiteto, ma non abbastanza da diventare viola, vedendolo uscire dalla classe con il bambino in bracco. Oh povero Devon, che zio non biologico doveva sopportare!
Ridacchiò e tornò alla cattedra, ma in poco tempo arrivarono anche tutti gi altri genitori, salutandola e ringraziandola di essere tornata. Lei sostenne tutte le chiacchiere e, dopo aver sistemato tutta la classe, uscì dall’asilo.
“Sono felice che tu sia tornata”, la salutò Janet, dal suo posto in segreteria. “E Nat ti sta già aspettando fuori”.
“Grazie mille, Janet!”, ricambiò il saluto con un sorriso e si sistemò i capelli che ricadevano sui suoi occhi.
Uscì dalla porta e si guardò attorno. Nessun vestito nero, nessun cappello bianco, nessun pericolo. C’era solo Natalie che la salutava con la mano e con un sorriso stampato in faccia.
“Allora usciamo?”, chiese la spagnola abbracciandole le spalle con un braccio, come faceva sempre.
“Certo, sono pronta”, la prese in giro Ash, come se dovesse andare in guerra. E in un certo senso in guerra ci era già, solo che nessuno lo sapeva.
“Bè, Ash Connor… mi devi spiegare parecchie cose, quindi andiamo da Starbucks a prenderci un super frappuccino e poi andiamo dritte alla spiaggia”, la punzecchiò Natalie, pensando di essere divertente.
Mi devi spiegare parecchie cose… o cazzo, che aveva capito la spagnola di tutta quella situazione?!

...
Note dell'autrice:
Che avrà capito Natalie? Mmm... lo scoprirete nella prossima puntata!
E Jared... sei il solito pervertito xD *spunta Jared e fa la linguaccia a Ronnie* ...rimani comunque un pervertito! *Ronnie fa la linguaggia a Jared, che se ne va*

...ok, sono pazza, la matematica mi fa male!
AHAHA Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Recensiteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee *_*
Vi aspetto settimana prossima, dolcezze.
Ronnie02

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Capitolo 5
*** Secrets And Mistakes ***


Salve gente! Scusate ma la scuola chiama e mi ha trattenuta. PLUS, sono diventata un puffo (capelli blu :D) quindi l'euforia mi ha cancellato di mente l'aggiornamento. Chiedo umilmente perdono, sapete quanto io odi tenervi sulle spine per troppo tempo.
Ma ora vi lascio leggere, signori e signore.




Chapter 5. Secrets and mistakes

 





Andare da Starbucks non l’aveva mai preoccupata così tanto in tutta la sua intera vita. Ed è tanto a dirsi.
Natalie sembrava allegra come al solito, il che le fece sperare che non avesse capito nulla, oppure era veramente una brava attrice. Se avesse saputo la verità non sarebbe stata allegra… giusto?
Entrarono nella caffetteria e cominciarono a fare la fila. L’amica era totalmente rilassata e guardava in giro per cercare un posto dove sedersi. Dopo qualche persona toccò il loro turno e, senza lasciare parlare Ash, la spagnola ordinò due frappuccini: uno al caffè, il preferito di Natalie, e uno alla vaniglia, quello per cui andava matta Ash.
A volte ciò che gli Incompleti riuscivano a fare era davvero eccezionale. Edmund non l’avrebbe mai capito, ma ormai lei li apprezzava molto più di quelli che avrebbe dovuto considerare come fratelli.
“Allora signorina…”, sorrise Natalie appena si sedettero nel posto più nascosto della caffetteria e lei le passò il suo frappuccino perfetto. Okay, la ragazza aveva centrato il posto perfetto per parlare. “Va bene qui o dobbiamo andare via per parlare? Non so più se la spiaggia vada bene”.
Questo avrebbe dovuto rassicurarla? Natalie era sveglia, se non aveva capito le mancava davvero poco e la cosa la spaventava peggio di qualsiasi malattia letale o minaccia.
E soprattutto non so più se la spiaggia vada bene cosa dovrebbe averle fatto capire?
“Qui va benissimo”, disse preoccupata guardandosi intorno. Lo spazio attorno a loro era vuoto e nessuno avrebbe potuto disturbarle. “Ma dimmi che è successo dopo che sono andata via”.
“Chi era quel tipo vestito tutto di nero, tranne per il cappello?”, chiese però, senza rispondere ad Ash, spontanea, come se le avesse chiesto di che colore era la sua maglietta.
“Cosa?”, si stupì Ash. Non credeva che Natalie l’avesse vista in quel momento.
“Janet mi ha detto di aver visto un ragazzo, forse, vestito tutto di nero, tranne che per un cappello bianco ottico da far male agli occhi in confronto al resto. Non ha visto il viso però”, le spiegò Natalie, come se fosse una difesa perfetta.
“Si chiama Edmund”, si arrese Ash. “E’ un vecchio… conoscente. E’ venuto a chiedermi di tornare a casa”.
“E tu l’hai fatto? Così, di punto in bianco?”, chiese stupita Natalie, che sapeva quando Ash preferisse Los Angeles alla sua vera casa, sebbene questa non le avesse mai rivelato davvero dove abitasse prima del trasferimento nella città degli angeli.
Era ovviamente stupita, non si aspettava una risposta del genere. Sebbene avesse diversi sospetti, credeva fermamente che la scusa delle ferie per trovare la sua famiglia era una bugia. Eppure…
“Non li vedevo da anni ormai… avevo bisogno di ritrovarli”, mentì fermamente Ash, provando a tornare sul piano ora le domande le faccio io. Rivelarle di Edmund andava bene, forse, ma non sarebbe andata oltre.
“Sì, certo… era un tuo ex?”, entrò nel particolare la spagnola. Dio, sapeva che sarebbe finita così.
Natalie era certa che c’era dell’altro. Troppe cose non quadravano.
“Sì, Natalie… era un mio ex e ci siamo mollati di merda, quindi non volevo assolutamente rivederlo”, sbottò Ash, senza rendersi conto che in questo modo il suo alibi era caduto, in totale contraddizione con le precedenti affermazioni. Natalie si fece curiosa e sicura che Ash, in un modo o nell’altro, le avrebbe rivelato tutto.
“Quindi, facendo il punto della situazione: il tuo ex arriva all’asilo, ti chiede di tornare a casa e tu, visto che vi siete mollati orribilmente e non vuoi vederlo… ci vai?! Ora spiegami la tua teoria completamente logica e razionale, te ne prego”, ricapitolò Natalie, quasi a prenderla in giro.
Il problema era che Ash, seguendo la logica dell’amica, avrebbe dovuto risposto ‘non lo so!’ o ‘magari non avrei voluto che fosse finita…’, ma non era la verità. Non lo sarebbe mai stata e lei con le menzogne non ci voleva mai più avere a che fare.
Ma quando aveva deciso di trasferirsi lì aveva dovuto giurare a se stessa di non dire niente a nessuno, di mentire. Questa ormai era la sua vita.
Una bellissima bugia.
Se voleva dire a Natalie la verità, la miglior risposta sarebbe stata ‘stavo per morire e piuttosto che farmi uccidere da un emerito coglione che vuole la mia pelle, ho preferito svignarmela con quella spia del mio ex ragazzo che ora mi sta altamente sul cazzo’.
Quella sì che sarebbe stata una risposta con i fiocchi. Ma sarebbe finita in un mare di guai, peggio di quelli in cui già era immersa.
“Natalie, è andata così punto e basta. Sono dovuta tornare a casa”, cercò di riferirle il messaggio, sperando che lei capisse. Capisse cosa poi, Ash non l’aveva ancora afferrato davvero.
La sua mente era leggermente contorta, in quel momento, e Natalie voleva scoprire più cose possibili. Era come affamata di verità e nessuna delle risposte datale da Ash sembrava convincerla, men che meno saziarla.
Per lei era decisamente impossibile riuscire a capire perché Ash se n’era andata così all’improvviso con un ragazzo che, a quanto pareva, odiava con tutto il suo cuore, ma l’avrebbe scoperto.
“Va bene, lasciamo perdere il misterioso perché, Ash. Si può almeno sapere dove sei andata allora con questo tipo?”, cercò di scoprire più cose possibili la spagnola.
“Te l’ho detto: a casa”, rispose Ash, senza dire di più. Infondo in quella frase c’era una parte di verità. Altro non doveva dire.
Non poteva, ma Natalie ovviamente voleva saperlo. E l’avrebbe saputo, bastava solo essere concentrati sull’obiettivo.
“Non mi hai mai parlato di casa tua…”, sussurrò quasi delusa l’amica, mentre Ash desiderava ardentemente di alzarsi da quel tavolo e andare a casa. Non poteva farle questo.
Quando aveva accettato aveva creduto che sarebbe stata lei a scoprire qualcosa, mentre invece ora Natalie stava cercando qualsiasi modo per tirarle fuori quella verità che non poteva assolutamente comunicare a nessuno.
Ma che soprattutto la faceva star male più di ogni altra cosa al mondo. Fatemi andare via… piuttosto esco con Jared Leto!, pensò, quasi sperando che qualcuno la sentisse e la venisse a prendere.
“Non mi piace parlarne, lo sai Nat”, gli disse fredda, come se si fosse arrabbiata tutta d’un tratto. Non lo era, Natalie in fondo non poteva capire, ma in quel mondo sarebbe riuscita a salvare la verità.
Già solo al pensiero di parlare di casa sua, che poi non lo era affatto ormai, le faceva male, in più sapeva che Natalie ne sarebbe rimasta colpita… in tutti i sensi.
Loro non erano tenuti a sapere e in caso contrario, in questo periodo soprattutto, questi potevano anche venire uccisi. E lei non ci pensava proprio a far fare quella fine a Nat.
Se solo lei lo avesse capito…
“Avanti Ash, può averti fatto male, ma non puoi cancellarla del tutto quella parte della tua vita!”, rispose Natalie, mentre Ash sperava con tutto il cuore di rimanere bionda a ciocche blu.
“No, Nat, tu non sai niente! Posso eccome e ora non voglio parlarne”, alzò la voce, ma appena comparve del viola cercò di calmarsi, per tornare normale. Perché doveva fare così? Nat, basta, ti prego!, la supplicò mentalmente. “Lo sai come penso su casa mia, quindi ti pregherei di non chiedermi altro”.
“Va bene, Ash, okay. Calmati ora!”, sbuffò quella, non capendo il perché di tutta questa rabbia improvvisa.
Mai Ash Connor le aveva parlato a quel modo. Mai, in due anni che si conoscevano.
Certo, era poco in confronto ad amicizie secolari, ma Ash era sempre stata così tranquilla e sorridente con lei da non aspettarselo.
“Ora, per piacere, puoi spiegarmi che è successo? Sono in ansia da giorni!”, chiese Ash, sbagliando di nuovo. Le sue stupide domande mi faranno andare al manicomio, cazzo!, scosse la testa, preoccupata seriamente di non uscirne viva.
“Ma se l’hai saputo stamattina da Janet!”, l’accusò Natalie, per poi pensarci meglio, di nuovo curiosa. “Perché l’hai saputo da Janet, no? Oppure no… chi te la detto, Ash? Da quanto lo sai?”.
Cazzo Nat, lo so perché sono andata via proprio per quello!, avrebbe voluto rispondere la bionda, ma sapeva che non ci doveva nemmeno pensare.
Cercò di pensare svelta ad una soluzione, per sviare l’argomento, o sarebbe impazzita. Come se non lo fosse già abbastanza, poi. “Era per esagerare, Nat, non farmi il terzo grado. E comunque ancora non mi hai detto che cazzo è successo!”.
“Sei diventata parecchio strana, Connor, sappilo”, commentò la spagnola, chiamandola per cognome. Era da un anno e più che aveva smesso di farlo…
“E tu antipatica. Vuoi dirmelo o posso tornarmene a casa?”, le chiese scocciata Ash, tamburellando le dita sul tavolo, in preda ad una seria crisi di nervi.
Natalie sgranò gli occhi, la guardò malissimo e si ammutolì. “Sai una cosa? Visto che io sono antipatica, vai a cercarti qualcuno di più simpatico che ti racconti quello che è successo”, si alzò, prendendo la borsa e andandosene via. “Stronza!”.
“Oh, Natalie, finiscila”, la inseguì Ash, sperando che si fermasse e le raccontasse ogni cosa. Ma a quanto pare la scenata di prima non era andata molto a genio alla spagnola.
Allora lei cosa doveva dire? La stava praticamente interrogando su qualcosa che avrebbe compromesso la sua intera esistenza, senza alcuna pietà!
“Facciamo così, Miss Sei Antipatica”, si voltò Natalie, quasi a minacciarla. “Visto che ti sei arrabbiata per una stronzata, puoi anche farti gli affari tuoi e scappare con chiunque ti capiti a tiro, ma non venirmi a chiedere poi spiegazioni di quello che ti sei persa”.
“Natalie, lo sai che è un tasto dolente…”, cercò di spiegare Ash, provando invano di sistemare le cose. Ma voleva davvero tornare a parlare di quel posto con Nat?
No, per niente. Doveva sapere cos’era successo, però, e la testa le stava scoppiando. Che Dio mi salvi!, pensò.
“Siamo amiche da due fottuti anni, Ash, se non di più. Mi sono rotta il cazzo dei tuoi umori pazzi e dei tuoi segreti”, s’infuriò. “Finchè tu non mi dirai la verità, e voglio dire tutta la verità, tu non scoprirai niente di ciò che è successo”.
“Nat…”, provò a fermarla ancora.
Adios… amiga!”, la salutò ironicamente, andandosene via evidentemente furiosa. Bene… e ora?
Uscì lentamente dalla caffetteria, sotto lo sguardo scioccato dei clienti, e si appoggiò al muro color panna. Starbucks era solito essere nelle grandi piazze, e quello non era da meno, quindi evitò di scoppiare lì davanti a tutti.
Riprese le sue forze e, a testa bassa, tornò nel suo appartamento, non lontano. Intanto i suoi capelli si fecero sempre più scuri.
Era da tanto che non diventavano di quel colore. Era ancora una bambina quando era successo l’ultima volta.
Erano neri… neri come la pace.
Neri come un’anima spaccata in due dalla tristezza.
E nel mentre una lacrima cadde a terra.
 
“Merda!”, urlò Jared nel microfono, sotto lo sguardo stupito di Shannon e Tomo. “E vaffanculo, con tanto di grazie tante!”.
“Ehm… bro… che succede?”, provò a parlarci Shannon, entrando nella cabina di registrazione.
Jared era in piedi, davanti al microfono, senza chitarra alla mano e stava dando di matto. Tomo si stava preoccupando, ma lasciò fare ai fratelli, uscendo dal Lab per chiamare Vicki e sapere come andava il lavoro.
Stava lavorando su una nuova consegna, ma stavolta era più facile e stavano riuscendo a passare molto più tempo insieme, anche con Devon.
Intanto Shannon  guardava suo fratello come se lo dovesse studiare, in modo da non farlo arrabbiare più di quanto non fosse.
“Niente, non succede niente, merda!”, imprecò ancora, tirando un pungo al muro. Shannon si allontanò per un secondo, ma appena Jared coprì la mano con l’altra, ringhiando leggermente, si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla.
“Sei sicuro, bro?”, cercò di farlo parlare, con amore fraterno che tra loro avevano poche volte.
Non che non si volessero bene, anzi, ma poche volte avevano questi momenti affettuosi. Erano molto indipendenti tra di loro e provavano sempre a farcela senza l’aiuto di nessuno, ma a volte era meglio avere vicino il proprio fratello e Shannon sapeva che quello era uno di quei momenti.
“No, fanculo…”, si  voltò verso di lui, per poi girarsi a prendersi una sedia, abbandonata in un angolo della cabina, e sedersi pesantemente.
“Centra forse Ash Connor?”, provò a tirargli su il morale Shan, prendendolo un po’ in giro.
“Perché tutto deve collegarsi a quella bionda? Me la voglio scopare, non sposare!”, disse il fratello minore, alzando le mani come se volesse chiedere un qualche aiuto divino.
“Allora che succede?”, domandò il batterista, poggiando una mano sulla sedia, stanco di stare in piedi.
“Non lo so, ma più mi concentro per finire questa maledetta canzone più la testa mi scoppia. Trovo una nota e cancello un’intera frase, scrivo una parola e la musicalità va a puttane…”, spiegò il fratello, porgendo a Shannon il foglio che aveva davanti a sé.
Il batterista cominciò a leggere. Conosceva la canzone, Jared ci stava lavorando da mesi e per un attimo aveva pensato che l’avesse già finita. Invece aveva aggiunto solo poche cose e per il resto era tutto cancellato.
“Fratello basta con questa canzone, prenditi una pausa!”, gli disse Shannon spostando la mano dalla sedia alla spalla del fratello. “E’ ovvio che ti da alla testa dopo un po’; stacca un attimo”.
“Sì, forse hai ragione”, rispose Jared guardando Shannon, per poi alzarsi in piedi. “Vado a farmi un giro a prendere aria: questa stanzetta mi sta facendo impazzire”.
“Come vuoi, io provo un po’ la batteria, nel mentre”, sorrise il maggiore, mentre Jared lo salutava e usciva dal Lab. Andò nel giardino, dove c’era anche la grande piscina, e lì salutò Tomo, ancora al telefono con la sua bella.
Il croato ricambiò il saluto, solo con la mano, e così Jared lo sorpassò e uscì di casa.
Los Angeles.
La sua città. Era come sentirsi perennemente a casa.
Bossier City per lui era solo la cittadina in cui era nato, ma ci era stato davvero così poche volte e per così poco tempo che non riusciva a sentirsela sua. E così per tutti i posti in cui si erano trasferiti.
Los Angeles invece era la città che aveva sempre sognato, in cui aveva conosciuto uno dei suoi migliori amici e dove aveva realizzato tutti i suoi sogni.
Mise le cuffie nelle orecchie per sentire un po’ di musica e cominciò a camminare, pensando alla canzone. Shannon aveva detto di lasciarla perdere ma non ci riusciva. Si sentiva in dovere di finirla.
In strada c’era chiunque. Artisti senza casa, mamme con i passeggini, uomini d’affari di corsa, ragazzi in giro a non fare nulla e qualcuno che faceva jogging verso la spiaggia.
Il mare… era da una vita che davvero non andava al mare per un po’ di tempo. Era chiuso da troppo tempo in casa, quasi si era scordato com’era veramente uscire per farsi un giro.
Seguendo la folla di persone per strada, riprese a camminare, più veloce, e in pochi minuti arrivò in spiaggia. Casa sua non era in centro, ma ad arrivare al litorale ci si metteva comunque poco.
Il sole gli coceva quel poco di pelle che metteva in mostra – strana conseguenza dell’essere entrato negli anta, ma che appena sarebbe tornato a cantare in pubblico avrebbe dimenticato – ma si addentrò comunque nella sabbia.
C’era tanta gente, come ovvio visto che erano alla fine di Agosto e il turismo in quel periodo era alle stelle, così se ne stette di lato, camminando per arrivare agli scogli, che man  mano di facevano più alti.
Arrivato a destinazione decise di sedersi su uno dei sassi, lasciando che il vento si schiantasse sul suo cappello, che nascondeva il nuovo taglio di capelli.
Se lo tolse e alzò la testa verso il cielo, chiudendo gli occhi. Che lo vedessero pure e che gli facessero tutte le foto che volevano, a lui in quel momento non importava.
Abbassò la musica, fino a decidere che era ancora troppo alta e la spense del tutto. Il mare s’infrangeva sugli scogli e lo tranquillizzava. Provò a trarne una melodia per completare quella infinita su cui lavorava, ma, come sempre, più ci pensava più le cose non combaciavano.
“Fanculo”, disse a bassa voce. “Ha ragione Shannon”.
E lo pensava davvero, ma testardo com’era non riusciva a metterla da parte per crearne una nuova. Era come se fosse obbligato dal suo cervello a trovare una soluzione che non riusciva a cogliere, sebbene di sicuro era vicina più del mare, che gli spruzzava acqua dal basso.
“Sì, sono d’accordo”, sentì ridacchiare una voce femminile, dietro di lui. Si voltò e vide quella bionda di Ash Connor. Ok, il mio cervello è andato a puttane del tutto, pensò.
“Wow, Ash Connor mi parla come una persona normale”, sorrise lui, mentre lei si sedeva al suo fianco, guardando davanti a sé.
“Wow, Jared Leto ricorda il mio nome, ovvero di una comune mor… mortale”, disse Ash balbettando. Jared socchiuse gli occhi, come a cercare di capire il perché di quella pausa, ma lei nascose il viso con i biondi capelli. “E comunque mi dispiace, sei solo l’ultima spiaggia”.
“Cosa?”, s’offese lui, senza aver ben compreso che volesse dire.
“Ho litigato con Natalie, la mia collega nonché unica amica…”, spiegò lei, spostando la barriera di capelli e mostrando il suo profilo, ma sempre con lo sguardo fisso davanti a lei.
Jared si mise seduto bene e spostò la testa di lato, per guardarla meglio. Il blu dei suoi capelli era più scuro del solito… e i suoi occhi, anche se grigi come sempre, erano contornati da vene rosse.
“Hai pianto?”, chiese  lui.
Ash si voltò di scatto verso di lui, con uno sguardo strafottente e rimase così per qualche secondo. Jared la fissò per capire che aveva detto di male e alla fine lei fece un sorriso sforzato.
“Non sono una fottuta debole”, rispose lei, quasi come se fosse una scusa.
“Non ho mai detto questo. Le lacrime non ci rendono deboli”, disse lui, cercando di spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ma lei rifiutò il contatto.
“Pensavo di venire qui a sfogarmi con la natura, ma invece trovo te che mi dici frasi filosofiche da perfetto cantautore quale sei… che fortuna, eh?”, fece la spiritosa, cercando di trattenere le lacrime che, da quando era uscita da quella stupida caffetteria, volevano uscire.
Il ragazzo però era confuso.
“Sfogarti con la natura? Volevi prendere a pugni gli scogli?”, domandò.
Lei, in risposta, scoppiò a ridere, ma senza finzioni. Quel sorriso le aveva contagiato gli occhi e per un secondo fece sentire sollevato anche Jared.
Una frase perfetta gli saltò alla mente.
Eyes that laugh agaist the Hell.
Di sicuro l’avrebbe tenuta per la canzone, magari ci sarebbe stata bene. Ci avrebbe pensato poi.
“No, ma che dici?”, sorrise lei, per poi farsi più seria. “Pensavo di… di tuffarmi dagli scogli, tanto da buttar fuori un po’ di adrenalina”.
“Sì, sarebbe stata un’ottima soluzione”, commentò lui. “Ma se vuoi ti lascio fare”.
“No”, rispose lei, alzandosi di poco la maglietta, mostrando una pancia piatta, ma soprattutto pallida. “Niente costume”.
“E odi il sole, magari?”, sorrise lui, indicando il pallore della sua pelle. “Una californiana pallida mi mancava”.
“Anche tu sei pallido”, commentò lei, credendo di averla vinta. Ma quello non era il suo giorno fortunato a quanto pare.
“Io me ne sto rinchiuso in casa da Aprile  o anche prima, ovvero quando abbiamo deciso di partire a comporre per il nostro quarto album… tu che scusa hai?”, ridacchiò Jared, trovando la scusa migliore e lasciando Ash a bocca aperta.
“Va bene, vampiro dei miei stivali. Hai vinto tu, qui l’anormale sono io…”, disse lei, per poi continuare a bassa voce, dicendo: “Come se già non lo sapessi!”.
“Che intendi dire?”, chiese Jared, curioso, guardandola voltarsi verso di lui, sorpresa che avesse sentito il suo borbottio.
“Udito fine, sei davvero un vampiro allora”, scherzò lei, sperando di riuscire a farlo cambiare discorso. Oggi non era giornata, faceva un errore dopo l’altro. Era stata troppo tempo a contatto con il segreto da non essere più abituata a nasconderlo.
“A quanto pare…”, sussurrò lui. “Ma non hai risposto alla mia domanda”.
Merda, era convinto di poter strapparle la verità. Come in fondo aveva fatto anche Natalie.
Jared la guardò, provando a capire cosa le frullasse in quella testa bionda, ma senza capirci molto.
“Ecco io… non mi sono mai sentita… inserita, se così possiamo dire. Non vado mai d’accordo con le persone, mi fido di quelle sbagliate, oppure sono troppo irascibile per tenermele strette”, cominciò a parlare Ash, dicendo tutto quello che sentiva, seppur non rivelando qualcosa d’importante. “In più, non sono californiana, mi sono trasferita solo da qualche anno.
“Non mi sentivo a mio agio tra quelle persone, ma, comunque, sia qui che a casa mia… mi sento sbagliata. Laggiù ero strana, non ero come gli altri ragazzi o ragazze, e qui non sono abbastanza sociale per essere considerata”.
“Io non ti trovo strana”, le disse Jared, togliendo lo sguardo da lei e fissando l’orizzonte davanti a loro.
“Tu non mi conosci abbastanza”, sbottò Ash, in un sorriso triste e malinconico. “Se sapessi davvero chi io sia, avresti paura di me e non diresti che sono normale”.
“Che intendi dire? Che forse sei tu il vampiro, al posto mio?”, disse lui, forse prendendola come un gioco.
Sinceramente troppe cose non riusciva a capire di quello che Ash diceva. Ci provava, ma mancava sempre qualcosa.
“L’avrei seriamente preferito”, sorrise lei, senza essere davvero felice, come invece lo era stata quando lui le aveva detto di voler prendere a pugni gli scogli. “In realtà, io… non sono niente”.
“Niente?”, chiese Jared, sempre più curioso.
“Sono una Signora Nessuno a cui nessuno importa un bel niente”, riprese lei, cercando di non andare troppo nello specifico, visto che già stava rischiando grosso.
“Una volta ho fatto un film chiamato Mr. Nobody. Sei forse mia moglie e io non lo sapevo?”, sdrammatizzò Jared, mentre Ash lo guardò sorridendo, stavolta per davvero.
Come faceva a far stare così bene le persone con se stesse, senza nemmeno conoscerle a fondo?
“Wow… mi hai fatto sorridere due volte in meno di un’ora…”, commentò infatti.
“Sono bravo, eh?”, scherzò lui, facendola ridere. “Oh, ora siamo a tre. Mi merito proprio un premio speciale”.
“Già, hai ragione”, disse lei, mettendosi in piedi, e guardandolo dall’alto. “In fondo ho controllato la mia agenda come mi avevi consigliato e ho scoperto che venerdì sera sono libera”.
“Che fortuna. Direi che alle otto e mezza passo da te?”, chiese lui, contento di averla fatta franca, almeno in quel campo.
“No, non mi piace sapere che tu conosca il posto dove abito. Fammi sapere dove vuoi portarmi da Tomo, quando porta Devon, e mi farò trovare lì alle nove”, decise lei, sorridente.
“Mi sembra corretto”, accettò lui, pensando ‘tanto non ci metterò molto ad entrare in casa tua’.
“Bè, au revoir allora”, ridacchiò Ash, salutandolo con la mano e andandosene via.
Certo, quella ragazza lo intrigava parecchio, ma un appuntamento era un’altra storia. Qui si ritornava in guerra e lei aveva appena firmato una tregua.
Ma ovviamente lui aveva già programmato il trucchetto per sedurla nel modo più preciso ed efficace possibile. Un Leto, in fondo, non sbaglia mai.
“Arrivederci, biondina misteriosa”, sussurrò lui, tornando a guardare il mare.
She don’t really know what he wants from her.
 

...
Note dell'Autrice:
allora, punto 1. spero di riuscire ad aggiornare settimana prossima perchè: primo, è Carnevale e penso sarò impegnatissima; secondo, sono ad un punto morto dove sono arrivata sul mio pc, quindi penso ritarderò un pò. MI DISPIACE, sul serio. Vi farò sapere quando riaggiornerò, ma sarò o settimana prossima verso la fine, o inizio settimana dopo (non mesi, don't worry).
COMUUUUUUUUUUNQUE. Natalie, come siamo cattive, su! Un pò di fiducia! ...io sinceramente avrei dato di matto anche peggio di lei, ma fa niente :''D 
Jared... Jared, ci prova, come sempre. Ma riuscirà stavolta a fare qualcosa? (PS. tenete a mente la canzone).
PLUS, volevo dire una cosa: il fatto che Jared abbia cambiato look a Shan, qualche capitolo scorso, dicesse che fosse per un nuovo spot per Hugo Boss è stato un caso. Al tempo in cui scrissi quella parte non avevo davvero idea che lui avrebbe rifatto una pubblicità per quel profumo... anzi mi sono messa a ridere quando l'ho scoperto!
Bè, dopo questo papiro, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate, quindi recensitee  (senza obblighi ovviamente) :D

A presto, Ronnie02

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Capitolo 6
*** You're so... ***


ECCOMI QUI! Sono tornata, un pò in ritatdo (come avevo predetto, scusate), ma sono tornata. Spero non abbiate aspettato troppo. Quuuuuuuuuuuuuuindi, vi lascio subito leggere e parliamo in fondo (in realtà non vi interessa ma io scrivo lo stesso :P)
Buona lettura :)




Capitolo 6. You’re so…

 




“Con cosa l’hai torturata?”, gli chiese Shannon, ridendogli in faccia. Ma che fratello simpatico che si ritrovava!
“Ho usato il buon vecchio trucco ‘consolala e te ne sarà grata’ che usavo anni orsono, quando ancora avevo bisogno di impegnarmi per portarmi a letto qualcuna”, sorrise Jared, quasi soddisfatto. In realtà Ash era diversa da tutte le ragazze con cui era uscito e non voleva classificarla come la solito ragazza alla mano che mi sbava dietro. Però quella rimaneva una serata in cui lui ci avrebbe provato.
“Secondo me è il metodo più stronzo della storia”, commentò Shannon, battendo sulla batteria.
“Concordo”, s’intromise Tomo, che stava accordando la sua chitarra mentre ascoltava la loro conversazione. “Insomma, ti ha parlato dei tuoi problemi, magari fidandosi anche troppo, e tu la ripaghi usandola per il tuo piacere… è orribile”.
“Se Vicki fosse qui ti farebbe una statua”, ridacchiò Shannon, comunque dalla parte del croato.
“Grazie”, si batté la mano sul petto, fiero, il chitarrista.
“Oh, ma dai! Se fosse stata una qualunque mi avreste fatto i complimenti! Che ha di diverso una baby-sitter?”, chiese il cantante, rompendosi delle loro lamentele.
“Prima, fossi in te, vorrei sapere ciò che è davvero successo in quell’asilo e che fine abbia fatto lei in quella settimana, poi sarei in grado di decidere se andarci a letto o no”, spiegò Tomo, facendo annuire il batterista e, pian piano, anche Jared. “Anche se sinceramente ora sono molto più curioso di quel niente”.
“Che vuoi dire?”, chiese Shannon.
“Bè, Ash ti ha detto che avrebbe preferito essere un vampiro al posto di questo… niente, giusto Jared?”, si rivolse al piccolo Leto, che annuì pronto. “Bè, visto che già hai intenzione di fare il viscido e qui ci stiamo spappolando il cervello per trovare una soluzione: diventa suo amico e fatti dire la verità”.
“No, questo è fare schifo, seriamente, Tomo!”, si lamentò Jared. “Non le caverò fuori di bocca parole che non vuole dirmi. Non la obbligherò a fare niente!”.
“Bè, allora stasera andrai in bianco”, concluse Shannon.
“Non sei simpatico”, rispose Jared, facendogli la linguaccia.
“Vuoi scommettere?”, propose il più grande, allungando la mano verso il minore. Jared pensò a quanto ci aveva messo per portarla fuori… non poteva perdere contro Shannon, era contro i suoi valori morali.
“Fanculo”, rifiutò la sfida, incrociando le braccia.
Shannon rise, sapendo quindi di aver ragione. “Buona notte in bianco, mio caro”.
“Ripeto: fanculo”, precisò il fratello, facendo ridere Tomo. “E’ solo una difficile, me la voglio lavorare per bene”.
“E con me la voglio lavorare per bene intendi…”, cercò di capire il batterista.
“Esattamente quello che diceva Tomo. Non voglio obbligarla a rivelarmi niente  che non vorrebbe, ma sembra debole e magari riesco a scoprire qualcosa”, spiegò Jared, facendo annuire gli altri due. “Ogni volta che si lascia scappare un dettaglio prova a rimediare, inutilmente. E in quel poco che abbiamo parlato ne ha lasciati intendere parecchi di indizi. Figuriamoci in un’intera serata!
“E’ come se stasera fosse un’ispezione sul campo. Voglio esaminare tutte le prove che riesco ad ottenere… la seduzione verrà da sé o più avanti”.
“Sei sempre il solito. Fai un discorso serio, per poi finire con le tue porcate”, lo prese in giro Tomo, alzando gli occhi al cielo.
“A me sembra di essere entrato in una puntata di CSI, ragazzi”, disse Shannon dopo qualche minuto. “Voglio dire: cercare prove, fare indagini, scoprire cosa nasconde quella ragazza… fa tanto da telefilm criminale!”.
“Sì… però a me intriga questa cosa”, sorrise Tomo, curioso. “Voglio dire, quante possibilità abbiamo di ritrovarci in una situazione del genere? Io non me la farei scappare, fossi in te, Jared”.
“Allora vai tu alla cena”, propose il cantante.
“Io sono sposato… e poi vi ci vedo insieme, sai?”, lo prese in giro il chitarrista, mentre Jared sgranava gli occhi.
“Ha la metà dei miei anni… anche se ovviamente sembro un suo coetaneo”, disse Jared, difendendosi subito con il suo immenso e sconfinato ego.
“Sì, va be… è arrivato Mister Bellezza Eterna… ma per piacere!”, sbuffò Shannon. “Comunque sono d’accordo con Tomo: tutto questo, per quanto assurdo, mi incuriosisce”.
“Soprattutto per la frase ‘Se sapessi davvero chi io sia, avresti paura di me e non diresti che sono normale’. Insomma perché dovremmo aver paura di lei?! Chi è davvero?”, domandò Tomo, riempiendo tutti quanti, perfino se stesso, di una curiosità accecante.
“Devo assolutamente scoprire qualcosa. Iniziano i giochi, ragazzi, Jared Leto ha deciso che capirà il mistero”, annunciò il piccolo Leto.
“Tan tan tan ta!”, esclamò il batterista, imitando un suono angosciante, da perfetto film horror.
“Vai così, bro!”, gli sorrise Tomo, mentre il quarantenne li mandò entrambi a quel paese ed entrò in cabina per registrare una canzone e svuotarsi la mente.
A venerdì sera mancavano pochi giorni e dopo quella cena era sicuro che ci avrebbe capito qualcosa in più. Mancava solo un dettaglio: perché se continuava a commettere errori, aveva proposto l’uscita?
Era un’altra svista, di cui poi si era pentita, oppure l’aveva fatto apposta? Perché poi?
Per metterla in guardia dal suo segreto? Era davvero così terrificante quella verità?
Non ci capiva niente, ma più domande aveva in testa più la voglia di conoscere le risposte si faceva grande.
Sperò solo che non scomparisse di nuovo, come la prima volta.
 
Venerdì sera era arrivato e lei si sentiva troppo vulnerabile per andare ad una cena con Jared Leto.
Si sentiva impreparata. Una settimana con Edmund le aveva fatto dimenticare tutto il duro lavoro di due anni per riuscire a trattenersi. Com’era possibile?
Perchè è la tua natura, le avrebbe di certo risposto lui, se fosse stato lì, arrogante e schifato da tutte quelle persone ‘a metà’ di cui lei si circondava. Ma lei non voleva seguire la sua natura e ci stava provando, anche con successo, prima che lui tornasse.
Ora, in questo casino, non riusciva a pensare e di conseguenza il suo corpo scattava in difesa, non tenendo conto degli sguardi indiscreti puntati su di lei.
Si guardò allo specchio, ma poi chiuse subito gli occhi, tenendoli sigillati per qualche secondo.
Obbligò se stessa a respirare piano, con calma, e provò a far capire al suo cervello come sarebbero dovute andare le cose quella sera. Nessuna stranezza era ammessa, nessun giochetto.
Ma lui, quasi a prenderla in giro, non appena riaprì gli occhi, le fece trovare l’abito e le scarpe perfette proprio sul letto. Oh cazzo, non sarebbe mai riuscita a passare indenne quella serata!
Guardò l’abito corto, blu elettrico, quasi a riprendere i suoi capelli, molto attillato. Andava bene, visto che lei era abbastanza magra, ed il colore era perfetto.
Bè, perfetto se i tuoi capelli non mutavano! Il cambiamento, con un vestito del genere, sarebbe balzato all’occhio in pochissimo tempo, e ciò voleva dire che doveva fare molta attenzione.
Il vestito non aveva spalline, quindi cambiò il reggiseno che aveva addosso con uno a fascia color pelle. Sistemata la biancheria si infilò nell’abito, notando che finiva parecchio sopra il ginocchio.
Se avesse avuto qualche forma in più sarebbe di sicuro apparsa volgare, ma con le sue taglie un po’ piatte era perfetto. Sorrise e andò avanti a vestirsi.
Le scarpe che aveva trovato lì vicino erano nere, con alcune strisce di diverse tonalità di blu, quasi fossero fuochi del colore del cielo. Avevano un plateau e il tacco dodici, su cui era abituata a camminare, e se le mise senza problemi.
I capelli, sperando di mascherare un’ eventuale trasformazione, erano legati dietro la testa con un mollettone biancastro giallognolo – l’unica cosa che si poteva mascherare nel biondo – che provocava una grande cascata di riccioli. Li aveva creati apposta per la serata con la piastra e ballonzolavano in giro come tanti piccoli cavatappi biondi e blu. Aveva lasciato fuori solo qualche ciuffetto davanti, per incorniciare il viso.
Il trucco che aveva scelto non era pesante, sebbene si notasse molto la matita nera sotto l’occhio e la riga scura di eye-liner. Ma era andata sul leggero con l’ombretto, color pelle, un po’ brillantino, una passata di mascara e si era messa un po’ di terra, tanto per dare vita alla palla di neve che si trovava al posto della faccia.
Smalto nero appena rimesso, qualche bracciale qua e là, una collana con un gufo come ciondolo e due orecchini lunghi.
Con i capelli raccolti in quel modo si riusciva bene a vedere il piercing che aveva nella parte alta dell’orecchio destro e cominciò a giocherellarci.
Ne aveva già in programma altri, oltre che aggiungere nella sua collezione qualche tatuaggio in più, ma avrebbe aspettato ancora un po’.
Prese una borsetta dove infilare il portafoglio, cellulare, chiavi di casa, o qualunque cosa potesse servirle, e andò a guardarsi allo specchio per la seconda volta. Ce l’avrebbe mai fatta?
L’avrebbe saputo solo andando a quella cena.
Così uscì di casa e si precipitò verso l’auto, parcheggiata lì vicino, per poi mettersi alla guida in fretta e guidare verso il luogo che Tomo le aveva detto quella mattina, quando aveva portato Devon all’asilo.
 
Aveva guidato senza troppa fretta. Era terrificata dall’idea di combinare guai  e voleva rallentare il tempo per evitare di uscire con Jared. I suoi capelli ormai vagavano tra il blu e qualche accenno insensato di verde e viola.
Appena parcheggiò la macchina si obbligò a prendere un respiro profondo, chiudendo gli occhi per qualche secondo.
Quando li riaprì si sentì un po’ più calma e infatti i suoi capelli erano tornati normali. Sorrise nello specchietto, controllandosi il trucco per un’ultima volta, e poi scese dall’auto.
Jared era già sulla porta d’entrata ad aspettarla.
Appena la  vide si drizzò per bene e le sorrise, salutandola con la mano. Ovviamente non era vestito molto elegante – era pur sempre Jared Leto – ma indossava dei jeans e una camicia  nera, con i primi due bottoni slacciati.
I capelli, rasati sulla parte finale della testa, erano liberi. Nessun cappello, niente barba e niente anfibi aperti. Era venuto con un paio di vecchie Superga nere a strisce bianche.
Inspiegabilmente era tornato al suo stile di qualche anno prima ma stava molto bene.
“Buona sera”, le disse, cercando di incantarla. Che tentativo inutile… lei sarebbe riuscita a farlo meglio, in pochi secondi e con un tecnica stupefacente.
“Lieta di rivederla”, rispose lei, quasi a prenderlo in giro mentre faceva il gentiluomo e l’accompagnava a braccetto all’interno del ristorante.
Jared aveva evitato posti da vip o supercostosi, certo che quello non era il suo stile, e così aveva scelto qualcosa di più semplice.
“Wow…”, sussurrò Ash, al contrario, meravigliata da un posto del genere. Jared era troppo abituato a stare in posti meravigliosi che non capiva che per Ash bastava un salone pieno di lampadari a goccia per farla ammaliare.
“Ti piacciono?”, sorrise lui, andando a parlare con il cameriere. “Ho prenotato a nome  Othello, grazie mille”.
Il cameriere annuì distratto, mentre  Ash lo guardava confusa, cercando  di capirci qualcosa.
Arrivati a destinazione, il cameriere se ne andò e Jared fece segno alla ragazza di sedersi.
“Othello?”, chiese subito lei, in un sorriso, mentre prendeva posto, guardando ancora la stupenda sala in cui erano entrati e in cui sarebbero rimasti per almeno un ora.
Le ricordava la sua scuola, così ricca di particolari affascinanti.
Questo posto è così…
“Magico”, sussurrò Jared, fissando i dipinti attorno a loro, facendo sussultare Ash.
“Che hai detto?!”, gracchiò lei, facendo ruotare la testa del moro di lato, curioso della sua reazione.
“Che qui sembra tutto così magico, quasi. Non credi, Ash?”, le chiese il cantante, mentre lei si calmava e sorrideva. Doveva tenere sotto controllo la situazione.
Sorrise e si mise comoda sulla sedia, prendendo un respiro forte per rilassarsi e non dare nell’occhio.
“Oh, sì... certo, è perfetto”, ridacchiò Ash, che per lo spavento aveva perso come minimo cinque anni di vita. “Ma non hai risposto alla mia domanda, in ogni caso. Perché Othello?”.
“Bè, prima di tutto, a parte le ultime due lettere, è il mio cognome al contrario, solo con una h in più”, sorrise lui, come se fosse la scoperta del secolo. “E poi è il nome del protagonista di una delle tragedie del grande William Shakespeare!”
“Wow”, rise ancora la ragazza, ammirata però dal ragionamento del cantante. Sapeva che molte cose riguardanti i Thirty Seconds To Mars erano impregnate di ragionamenti davvero intricati, ma mai avrebbe pensato, dal suo aspetto, che Jared Leto fosse in grado di crearli.
L’aveva sottovalutato. Grosso errore.
“In realtà…”, disse Jared tornando serio, per una volta nella sua intera vita. “Lo facciamo solo perché non vogliamo avere milioni di Echelon alle calcagna per chiederci come sta andando l’album. Prima usavo Cubbins, ma orma non funziona più visto che quel nome è diventato famoso”.
“Echelon?”, chiese Ash. aveva già sentito quella parola, ma non ricordava esattamente che c’entrasse con loro.
“E’ una lunga storia, ma se proprio vogliamo parlarne di fretta direi che gli Echelon sono i nostri fan, anche se noi li consideriamo una famiglia”, sussurrò Jared, come se quello fosse un segreto nazionale.
“Quindi avete una sorta di legame fraterno?”, domandò Ash, curiosa. Lei non aveva mai avuto una vera famiglia con cui sentirsi a proprio agio… o meglio, non del tutto. C’era Lei, ma se n’era andata via troppo un fretta.
Era stata il suo arcobaleno: bellissima e affascinante nei pochi minuti in cui ti è vicina, ma dopo qualche minuto comincia a svanire, piano piano, scomparendo nel nulla. E l’aveva lasciata sola, abbandonata.
“Decisamente. Niente per noi è più importante della famiglia, di qualsiasi essa si tratti”, sorrise Jared, pensando a sua madre, a Bosssier City, che vagava per il parco guardando i bambini giocare. Avrebbe dovuto chiamarla, gli mancava parecchio.
“Sembra davvero figo”, sorrise lei.
“E tu? Tu non hai una famiglia da cui tornare a casa la sera? O anche una coinquilina con cui dividere le spese?”, domandò lui, non sapendo di toccare un tasto dolente.
Ma questo andava anche bene. Poteva rispondergli, sebbene dovesse nascondere praticamente tutti i dettagli.
“Ti rispondo con una sola frase per entrambi le domande: i miei genitori se ne sono andati anni fa, lasciandomi questa casa. Quindi no, sono completamente sola”, spiegò Ash.
“Mi dispiace”.
“Non voglio la tua pietà”, girò la testa Ash, notando una bambina giocare con la sua bambola.
“Non era un segno di pietà”, gli rispose Jared, serio. “Non sei l’unica ad essere stata abbandonata da piccola”.
“Che intendi dire?”, domandò Ash, curiosa. Che anche il famoso Jared Leto avesse dei segreti nascosti?
“Niente di speciale. Prima di tutto mia madre non è mai stata una santa: è nata da genitori sempre in conflitto, vissuta come hippy, ci ha cresciuti da sola quando nostro padre se l’è filata. Sposata più volte, ma anche ora è single. E’ sempre stata una donna libera, in fondo”, spiegò il cantante, facendo sorridere la ragazza. “Quindi, per quanto sia fantastica… non abbiamo mai avuto un vero punto di riferimento come padre e a volte questo mi da fastidio”.
Ash, per quel poco che lui le aveva detto, si stava immaginando una donna sulla sessantina tutto sorriso e battute, ancora giovane dentro, con magari qualche strana tinta ai capelli.
In fondo era la madre di due pazzi: tutto poteva essere.
“Ma scommetto che vi vuole un bene dell’anima”, commentò Ash, poggiando l’indice della mano destra sul bicchiere e facendolo girare sul bordo. “E anche voi le volete un gran bene, da come ne parli”.
“Sì, moltissimo”, sorrise Jared, guardandola concentrarsi su quel bicchiere, con la testa appoggiata sull’altra mano, come annoiata. “Ti diverte?”.
“Sì, moltissimo”, ripeté lei, quasi a prenderlo in giro. Alzò la testa, spostandosi i capelli biondi dalla faccia e scoppiò a ridere. “Scherzo, non prendermi sul serio. Sono solo scioccata… non ti facevo figlio di una hippy”.
“La nostra famiglia è sempre stata un po’ strana”, ridacchiò lui.
“Anche gli… Echelon?”, cercò di ricordare il termine usato prima dal cantante, mentre lui annuiva.
“Specialmente gli Echelon! Loro sono come dei nostri piccoli figli, cresciuti su Marte”, rispose Jared.
“Sarebbe figo venire da un altro pianeta, no?”, azzardò lei, cercando di capire se era pazzo o credeva davvero in ciò che diceva. “Voglio dire: vivere anche con… creature diverse da noi. Addirittura di un altro… mondo”.
“Sei una fan del soprannaturale?”, chiese Jared, guardando sempre il dito di Ash sul bicchiere, che non smetteva mai di toccare il bordo.
“Tu che ne dici?”, sviò la domanda.
“Dico che sei una maleducata a rispondere con una domanda ad una domanda”, ridacchiò lui, facendo alzare le spalle ad Ash. “Ed anche per questo”.
“Vai avanti, nonno. Non sono qui per farmi fare la predica”, si stufò lei, non staccando l’indice.
“Io penso che tu ci creda parecchio. Quasi fossi certa dell’ esistenza di un vero altro mondo”, si buttò Jared, provando a non sembrare un idiota patentato di prima categoria. “Mi sbaglio?”.
“Forse sì… forse no”.
E quando Ash disse l’ultima parola, caricandola senza accorgersene, un sorso d’acqua comparve nel suo bicchiere.
Non lo fece apposta: come al solito si era dimenticata che non era più con Edmund, all’Esis, per allenarsi; ma con Jared Leto ad una cena in centro Los Angeles.
Merda.
 
E, come in quei film thriller in cui, quando accade un colpo di scena da infarto, tutto si oscura per qualche secondo per metterti ancora più ansia di quanto tu non abbia già, Ash perse i sensi per almeno quattro secondi.
Cosa diavolo aveva combinato?
“Ash? Ash che diamine è successo?”, sentì la voce di Jared entrarle nelle orecchie e riportarla alla realtà.
Non era cambiato nulla: aveva solo chiuso gli occhi e si era accasciata sul tavolo, tra le sue stesse braccia incrociate. Come se si fosse addormentata.
Alzò il volto di scatto e davanti a lei vide il bicchiere incriminato, pieno d’acqua, e Jared che la guardava confuso. E ora che gli avrebbe detto?
“Niente… niente, tranquillo”, rispose la ragazza, cercando di ricomporsi. Ma Jared non abboccò.
“Non scherzare, Ash. So che è successo qualcosa, non provare a negarlo!”, gracchiò infatti provando a non spaventare nessuno del ristorante. “Ti ho vista!”.
“Mi hai vista fare cosa?”, chiese Ash, cercando di tenere la calma e non cambiare colore. Forse se gli faceva credeva di essere un pazzo visionario l’avrebbe fatta franca.
“Okay, la cosa è totalmente assurda, ma ti ho guardata per un minuto buono se non oltre, incessantemente, mentre giocavi con il bordo di quel bicchiere. E sono certo che, per tutto quel tempo in cui ti osservavo, era… vuoto”, spiegò il cantante, confuso persino della sua spiegazione, cercando di non sembrare ridicolo. “Ma poi è come… sgorgata dell’acqua. Ho visto dell’acqua schizzare fuori dal fondo di quel dannato bicchiere. Come… come se una bottiglia trasparente lo stesse riempiendo”.
“E’ da pazzi, Jared!”, commentò lei, sapendo però che alcune delle sue ciocche si stavano sicuramente colorando di verde. Paura.
“E quelle?”, sbottò lui, indicando esattamente i capelli, che lei prontamente sciolse, per poi risistemarli nell’acconciatura.
“Si sta schiarendo il colore, tutto qui”, disse lei con calma, provando a farle ritornare normali. Lui la guardò per qualche minuto, studiandola, ma alla fine annuì, come convinto.
“Sì, ma non mi basta, Ash. Questo non è normale”, rispose il cantante ricominciando con la storia del bicchiere. Edmund le avrebbe fatto passare ore d’inferno al suo ritorno. Perché l’avrebbe saputo in qualche mondo, era una spia in fondo. Oh, ma perché era finita in quel guaio?! Che aveva fatto di male per meritarselo? “In più tu hai sempre detto di non ritenerti normale. Parli di mondi estranei, creature diverse e… a volte parli in modo strano, non capisco cosa intendi dire”.
“Amo il soprannaturale, te l’ho già detto”, deviò lei, per poi avere un’idea strepitosa. Dio ringrazi la sua borsa! “E sono una maga”.
“Cosa?!”, urlò Jared, scioccato. Qualcuno si girò ad osservarli, ma lui sorrise in segno di scuse e tutti ripresero a mangiare.
“Non intendo dire che faccio magie come se fossi Harry Potter, non essere ridicolo”, cercò di sembrare convincente. Ash sorrise e prese qualcosa dalla borsa: carte truccate, la sua salvezza. “Ecco qui: sono brava a fare questi trucchetti; li uso spesso con i bambini per farli giocare”.
“Questo non spiega il bicchiere però”, sbottò Jared, curioso di vedere qualche gioco. Era sempre stato attratto da questo tipo di cose e gli piaceva indovinare i trucchi usati dal mago. Ci sarebbe riuscito con Ash?
“Si chiama illusione, Jared”, disse felice, dato che lui aveva abboccato. Era totalmente salva da ogni stranezza ora. “Ti ho abbindolato con il movimento del dito sul bicchiere, facendoti dedicare tutta la tua attenzione su quello. Nel mentre, con l’altra mano, ho versato l’acqua. Non te l’ho detto subito perché non mi piace ipnotizzare così la gente, non era mia intenzione”.
“Oh… fico”, commentò lui, credendoci fermamente. Già immaginava tutto il lungo procedimento che Ash aveva fatto per riuscire a illuderlo… era davvero brava, allora. “Ma ora vediamo che sei in grado di fare”.
Lui sorrise convinto, ma non aveva notato che il verde tra i capelli di Ash era completamente scomparso. Al contrario la ragazza aveva paura che potesse notare quel poco di arancione che l’euforia del momento le provocava.
Lei chiuse gli occhi per mezzo secondo e provò a calmarsi, per evitare altri problemi inutili. Si concentrò sul gioco e mischiò le carte.
“Credi di poter capire il trucco, cantante marziano?”, lo sfidò lei, quasi sovraeccitata, ridacchiando.
“Assolutamente. A volte ci mettiamo a giocare nei backstage dei concerti, tanto per passare il tempo”, disse lui quasi fiero.
Ash sorrise: oltre al mazzo truccato, lei poteva sempre contare su altri mille modi per fregarlo in pochi attimi.
“Scommettiamo?”, propose lei. “Se vinco io chiudiamo qui la faccenda dei… giochetti”. Giochetti… anche con Edmund li aveva definiti così. Ma erano davvero solo inutili giochetti per lei?
“Se invece vinco io… ottengo un’altra uscita con la maga qui presente”, sorrise lui, credendo di averla fatta franca.
Ash accettò, stringendogli la mano, quasi triste della poco fantasia uscita da quella bella testa geniale che aveva Jared Leto.
Bah, non lo avrebbe mai capito quell’uomo!
“Vedremo come va a finire”, concluse la ragazza, buttando sul tavolo le carte, sapendo esattamente cosa fare.
Mentre lei sistemava il mazzo, Jared la guardava attentamente. Rispondeva sempre alle sue domande, come ‘Cosa credi che sia questa carta?’ oppure ‘Hai capito il trucco?’, o faceva tutto quello che lei gli chiedeva di fare, ad esempio il tipico ‘Pesca una carta, guardala ma non dirmi niente’ ma anche ‘Autografa questa qui’, porgendogli una penna.
Da quando avevano iniziato, Ash ne aveva fatti almeno cinque, contando che Jared le aveva chiesto di rifarli per capire il meccanismo. Meccanismo che anche dopo tre volte non aveva compreso, fortunatamente per la ragazza.
Era passata quasi più di mezz’ora e lei stava sorridendo, decidendo di mettere via le carte per dichiarare la sua vittoria, ma Jared la fermò.
“Fanne uno più difficile”, chiese e Ash decise di provare a fregarlo con il gioco del disegno. Era il trucco più difficile e infatti per quello usava sempre un… aiuto, non essendo sicura di farcela da sola.
Annuendo, prese una carta e cominciò a disegnarci sulla parte bianca, contornata da un due di quadri. La penna nera cominciò a macchiare il bianco e Jared vide formarsi sempre di più un piccolo canarino che volava.
Ma la cosa che lo colpì di più non fu il disegno in generale, aveva guardato molti artisti comporre i loro disegni in una maniera eccellente, ma quando Ash cominciò a disegnare le ali, qualcosa lo incuriosì.
Erano perfette, in ogni loro sfumatura. Ogni piuma era essenziale e poteva riconoscere tutte le ossa o muscoli che componevano quella parte di canarino.
Era come se Ash conoscesse l’anatomia di quegli arti come se fosse sua e sapesse disegnarla meglio di qualsiasi altra cosa.
“La vedi? Vedi che carta ho disegnato?”, chiese Ash, quando ebbe finito tutto il lavoro.
“Sì, due di quadri”, annuì il cantante.
Sorrise e mise la carta in mezzo al mazzo, la mischiò con le altre e le fece girare per qualche secondo. Dopo chiese a Jared di pescare una seconda carta, senza però dirle qual’era.
Il cantante fece come gli era stato detto e poi, sotto ordine di Ash, mise la seconda carta in fondo al mazzo.
Lei mischiò di nuovo il mazzo e ricominciò a far girare le carte. Intanto che faceva così, osservava Jared, attirando la sua attenzione. Con lo sguardo fisso verso di lui e le mani che toccavano ogni carta, copiò il disegno su tutte le carte del mazzo senza alcuna difficoltà e, appena finì, smise di mischiare.
Mise il mazzo sul tavolo e prese il bicchiere prima incriminato, poggiando una goccia sulla parte coperta della prima carta. Quella si macchiò, diventando più scura nel punto in cui l’acqua era penetrata.
Riprese il mazzo in mano, cogliendo l’occasione di toccare tutte le carte per finire in bellezza, e lo sparse per tutto il tavolo, mostrandole a Jared.
“Come…?”, chiese lui, stupefatto, notando che tutte le carte da gioco utilizzate erano bagnate nello stesso punto della prima, tranne due. Quelle due, al posto che una sola macchia, ne avevano quattro.
“Che carte sono?”, domandò lei, ridendo.
Jared le prese in mano e le mostrò le carte. La prima, disegnata di penna, era il due di quadri. La seconda, con la copia del disegno, era il due di cuori. Due e due, quattro macchie.
“E’ la seconda carta che hai pescato?”, continuò Ash, soddisfatta.
“Cazzo, sì!”, rise lui, ridandole le carte, che lei prese subito e le mischiò al mazzo, preoccupandosi di cancellare tutti i disegni e tutte le macchie d’acqua.
Così, appena Jared le chiese il mazzo, non vide nessuna copia del canarino e Ash vinse il gioco.
“Ok, questo nemmeno ci provo a capirlo”, ridacchiò ancora lui, guardandola stupefatto. “Sei così… magica!”.
“Sì, certo”, sbottò lei, cercando di sembrare naturale mentre metteva le carte nella sua borsa. “Comunque direi che ho vinto”.
“Okay, quindi… basta domande sulle tue stranezze, giusto?”, si ricordò lui, maledicendosi da solo. “Mangiamo ora?”.
“Non vedevo l’ora che me lo chiedessi!”, sorrise Ash, chiamando il cameriere.
 
 
 ...
Note dell'autrice:
alloooooora, sì qui entriamo nel vivo del segreto, quindi INTERCETTATE! ahhaa ma Jared... Jared è un idiota quindi lasciamo perdere -.-"
Shannon è un grande, all'inizio, e Tomo... bè è Tomo! *anche se ha i capelli tagliati, rimarrà sempre Jesus*
Spero che vi sia piaciuto e ringrazio tutti quelli che leggono e apprezzano questa storia. Mi fa davvero piacere
(fatevi sentire, così magari miglioro :D)

Un abbraccione a tutti, 
Ronnie02

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Capitolo 7
*** It's Almost Easy ***


I'm fucking BACK! ....gente è troppo una figata aggiornare questo capitolo mentre di sottofondo gli Avenged suonano "Almost Easy" AHHAHAHAH
Vabbè, lasciatemi perdere, oggi non ce la posso fare
Vi lascio al capitolo e ci vediamo sotto, che è meglio :D





Chapter 7. It’s almost easy





 
Alla fine era stata una bella serata: lo spavento iniziale di Ash era scomparso e lei in verità si era divertita parecchio a far scervellare Jared con quei giochi dai trucchi impossibili.
In più ci aveva guadagnato l’immunità da ogni tipo di domanda nel caso sospettasse di qualche stranezza.
“Allora, niente più domande, eh?”, commentò infatti lui, vicino alla macchina di Ash, visto che avevano deciso che era ora di andarsene a casa.
“Esatto”, sorrise lei, aprendo la macchina, ma appoggiandosi solamente alla carrozzeria e guardarlo soddisfatta. “Mi sono decisamente rotta di dare spiegazioni su cosa io sia”.
Okay, questa l’aveva fatta apposta, ma adorava vedere quel finto ventenne uccidersi di curiosità.
“Questo è esattamente qualcosa di cui mi piacerebbe capire di più”, sorrise lui, mettendosi le mani in tasca come un ragazzino al suo primo appuntamento. Oh, forza Leto, puoi fare di meglio! “E non ho nemmeno una seconda uscita sicura in programma”.
“Bè, quello non è per forza un problema. Potresti sempre impegnarti a conquistarla, come con la prima, invece di vincerla”, sorrise la ragazza, aprendo la portiera della sua macchina e infilandosi dentro. Si sedette comoda sui sedile e poi chiuse la portiera. Con il finestrino ancora un po’ aperto, lo salutò con la mano. “Buonanotte, zio Leto”.
Lui sorrise, pensando a quell’epiteto. Di certo avrebbe avuto più rispetto per quella peste di Devon ora. Avrebbe dovuto pure fargli una statua!
La guardò, ricambiando il saluto con la mano, e lei partì in fretta, lasciandosi dietro Jared, immobile, intento sempre a fissarla.
Che serata, cavolo!
Aveva quasi scoperto tutto e  invece ora aveva perso la scommessa e non poteva più scoprire niente, a meno che non fosse Ash a volergli dire qualcosa.
I ragazzi lo avrebbero ucciso, poco ma sicuro. Se lo sentiva, non sarebbe mai dovuto tornare a casa.
Tomo di certo lo avrebbe preso in giro, magari spalmandosi la mano sulla fronte per fargli capire il disastro, mentre Shannon lo avrebbe preso per il culo in eterno.
Bei fratelli che si era andato a pescare!
 
“Vedi che allora sei rimbecillito?!”, lo offese Tomo, rimanendo comunque abbastanza fine, avendo in braccio suo figlio, molto attento a ciò che dicevano visto che si era appena svegliato.
“Concordo fratello. Cavoli, c’eri quasi”, continuò Shannon, seduto sul divano a gambe all’aria, ancora in pigiama e con le bacchette nei pantaloni, stretta nell’elastico. Le portava quasi sempre in giro, quando era a casa, per battere un ritmo ovunque fosse, appena gli arrivava l’ispirazione. “Praticamente ti stava rivelando tutta la verità, e poi…”.
“E poi ti ha fottuto”, finì in bellezza quella gran donna di Vicki, che entrò di sorpresa nel Lab, con qualcosa da mangiare per colazione.
“Vicki!”, la riprese Tomo, indicando Devon che si allungò nelle braccia del padre per liberarsi. Allora il chitarrista lo fece scendere e il bambino gattonò felice fino alle chitarre, dove cominciò a giocare ridendo.
“Non rompere ancora con questa storia delle parolacce! Non so se hai notato, ma… hai presente con chi ha a che fare?”, rispose lei, prendendosi un biscotto e sedendosi vicino a Shannon, il quale la imitò, ingozzandosi con almeno tre frollini insieme. Che schifo…
Lei intanto, con una faccia che esprimeva solo ovvietà, indicò i due Leto, ovvero i maggiori produttori di parolacce e coloro che probabilmente usavano di più la parola fuck.
Tomo seguì il suo sguardo e capì che come al solito aveva perso la guerra. Inutile discutere, Vicki aveva sempre ragione.
“E comunque rimane il fatto che Leto Junior è un fottuto idiota”, concluse di nuovo la donna.
“Grazie tante,  Vicki, sul serio. Mi mancava questa perla di saggezza!”, commentò Jared, annoiato. L’aveva detto che era sicuro che lo avrebbero preso per il culo?
Bene, in caso non l’avesse fatto… era totalmente certo che alla fine non l’avrebbe passata lisca e aveva fatto centro.
Il problema era che non aveva idea di come difendersi, visto che avevano anche ragione.
“Però devo ammettere che quella ragazza è una grande”, continuò Vicki, sorridendo e prendendo un secondo biscotto, prima che Shanimal – non soprannome più adatto non potevano dargli – li finisce tutti da solo. “Insomma, non ha solo evitato una situazione a lei sfavorevole, ma ha ribaltato anche la scena in maniera eccezionale, trovando pure il modo di non farla riaccadere una seconda volta… è un fottuto genio!”.
“Vuoi anche farle una statua o ti basta così? Ti ho chiesto di aiutarmi a venirne fuori, non di farmi sentire peggio!”, chiese Jared, leggermente irritato da tutti gli elogi della sua non-cognata, che lo facevano sentire ancora più idiota.
“Okay, scusami se difendo la mia categoria! Infatti, in quanto donna, e quindi essere superiore”, disse sorridendo fiera di sé, mentre Shannon alzava gli occhi al cielo, “ho una grande idea per scoprire ancora qualcosa”.
 
Wait. Dove cazzo era finita?
Diciamo pure che, ovviamente, trovarsi tra le braccia di Edmund, in una stanza anonima  peggio di un ospedale non era la sa maggiore ispirazione. Oh cazzo, che era successo?
Okay, era vestita di tutto punto, lui anche, quindi cazzate non ne avevano fatte, però aveva ancora addosso la mise usata per la serata passata con Jared.
Ricordava solo di essere andata via in macchina con un ‘Buona notte, zio Leto’ ed essere tornata a casa. Cosa era mai potuto accadere nel mentre?
Prima di tutto, decise di alzarsi e allontanarsi da Edmund, prima che la sua mente ricordasse i tempi migliori. O peggio ancora, che lui si fosse svegliato con le sue braccia.
Ti ha usata, Ash. Non dimenticarlo, le disse il suo cervello, insieme al suo cuore. Guardò quindi truce il ragazzo nel letto e si alzò di scatto.
Fanculo a lui, non aveva nemmeno voglia di pensare a quel periodo triste. Uscì da quella stanza così asettica e cominciò a vagare, cercando di capire dove fosse. Non ci mise molto: quelli erano i dormitori dell’ Esis, in cui aveva abitato per quasi un anno.
Ma come ci era finita? Quando era arrivata?
Scosse la testa, evitando di pensarci, e andò verso la mensa, ovvero una piccola stanzetta con alcuni tavoli e poche sedie.
Sorrise: da quanto non mangiava lì? Sembravano passati tantissimi anni…
Prese posto a sedere e davanti a lei comparve la sua colazione preferita: frittelle al cioccolato con una bella spalmata di miele sopra e da bere un po’ di latte.
“Quanto mi piace vivere la parte migliore dei due mondi”, sussurrò cominciando a infilzare le frittelle per mangiarle. Poi, alzando la voce, disse: “Bel lavoro, Frank!”.
Il cuoco, vedendola dopo tanti anni, così sorridente e mattutina, la ricambiò saltellando qua e là, con un grande sorrisone. “Di niente, Ash”.
Lei ridacchiò e tornò alla sua colazione.
A volte si fermava, provando a pensare a cosa fosse successo la sera prima e guardava il sole, fuori dalle finestre, così attentamente che alla fine cominciarono a bruciarle gli occhi.
Distolse lo sguardo dai raggi e bevve il latte, facendo poi un gran respiro per tranquillizzarsi.
“Oh, ma buongiorno!”, sentì una voce amichevole chiamarla. Ash alzò lo sguardo e vide il volto simpatico di Joel. I capelli erano disordinati, segno che si era appena svegliato, ma sotto gli occhioni marroni c’erano profonde occhiaie.
“Grazie”, rispose educatamente Ash. “Ma forse è meglio che tu torni a dormire”.
“Non ora che sei sveglia, mia cara”, sorrise lui, senza alcun segno di divertimento nella voce. Gli occhi si posarono su di lei, come preoccupati, e poi tornarono alla sua colazione, comparsa sul tavolo nel posto di fianco a quello di Ash.
Per lui una bella tazza di caffè e una brioche alla crema, a quanto pare. Molto più professionale e adulto.
“Che intendi dire?”, chiese Ash continuando a mangiare, ma guardandolo con la coda dell’occhio.
“Non ricordi? Strano…”, ridacchiò lui, come se lei lo stesse prendendo in giro.
“Cosa dovrei ricordare? In realtà nemmeno so come sono arrivata qui”, si lamentò la ragazza, posando violentemente la posata e girandosi verso l’uomo.
Lui mise giù la tazza, molto più gentilmente di Ash, e la guardò, provando a capire se mentiva o no. Quando ebbe avuto la sua piccola conferma, sgranò gli occhi e la fissò scioccato, come se lo credesse impossibile.
“Allora?!”, continuò Ash, aspettando una risposta.
“Guarda laggiù: che cosa vedi?”, chiese Joel, indicandole la porta da cui era entrata. Era rimasta aperta e da lì intravedeva delle persone che pulivano il muro. Persone che prima, quando era passata da quel corridoio, non aveva nemmeno notato.
“Chi sono? Quando sono arrivati?”, domandò lei, presa dal panico. Ancora non capiva con quale facilità si muovessero le persone dentro l’ Esis e non sapeva mai se fosse una cosa buona o cattiva.
Non si sentiva per niente protetta e questo non le faceva granché bene.
“Questo non è importante. Ciò che dovrebbe interessante è un’altra cosa… piccola stupida”, sussurrò lui, piano, come a conficcarle quelle parole in testa.
Tentativo inutile, visto che quelle parole le sapeva già a memoria. Le aveva sentite quella notte, da Lui, mentre le faceva del male.
Non c’era bisogno di sussurrarle, perché urlavano già nella sua mente, facendole fare incubi su incubi.
“Come puoi chiamarmi così?”,  gracchiò arrabbiata, stringendo forte la forchetta e facendo colorare i suoi capelli in un misto d viola e verde. Perché sì, aveva anche paura, non poteva negarlo.
“Tu sai perché quegli uomini puliscono il muro? Non sai davvero cosa stanno lavando via?”, la stuzzicò Joel, volendo che ricordasse da sola.
Non poteva aver dimenticato una cosa del genere; doveva ricordare e quello era l’unico mondo.
E infatti funzionò.
La mente di Ash perse la cognizione spazio-temporale per alcuni secondi e chiuse gli occhi. I ricordi della sua mente cominciarono a farsi vedere e le cominciò a girare la testa.
In dieci secondi aveva visto lei da bambina, con Edmund a giocare per quel piccolo paese, oppure a fare piccoli cumoli di neve con Lei quando ancora sorrideva felice, o ancora andare a scuola e conoscere tante persone come lei ma comunque diverse, trasferirsi a Los Angeles e ricominciare una sua vita.
Rivide se stessa litigare con Natalie per quella stupida assenza o a cena con Jared, giocando a carte per nascondere la verità. Cercò di ricordare cosa successe dopo, cosa aveva fatto appena aveva lasciato il ristorante dove lei e Jared avevano cenato.
E capì.
 
Che serata, ragazzi!
Finalmente era finita e poteva andarsene a dormire tranquilla, nel suo letto, sperando che gli incubi non le facessero di nuovo compagnia. Era stanca e nemmeno aveva voglia di guidare, però stette attenta e riuscì ad arrivare a casa sana e salva. Parcheggiò nel secondo parcheggio a destra, per poi arrivare a piedi fino al suo appartamento.
La consuetudine si era ripetuta anche quel giorno.
I tacchi le facevano male e quando si trovò davanti alla porta d’entrata ringraziò il Signore che fosse arrivata. Prese le chiavi dalla borsa che si era portata dietro e le infilò nella serratura, girando due volte e facendo scattare il meccanismo.
Si spostò i capelli biondi dalla faccia, che si erano liberati dall’acconciatura come al solito, e rimise le chiavi al loro posto, per poi aprire la porta.
Accese la luce e sospirò, entrando e sentendosi un po’ meglio. Poggiò la borsa sul comodino di fianco all’entrata e si tolse le scarpe in fretta, per poi prenderle in mano e andando a metterle nella scarpiera, non lontano da lì.
Attraversò gran parte della casa, in cerca della tuta barra pigiama per prepararsi ad andare a dormire, quando si rese conto che qualcuno la stava osservando. Entrata in sala, notò la solita figura conosciuta guardarla maliziosa, seduta sul divano, con le braccia poggiate sulle gambe, piegato in avanti.
“Edmund!”, si spaventò appena lo vide.
“Ciao bellezza”, la salutò lui, facendo un sorriso sghembo che, invece di farla sorridere, la fece solo rabbrividire. Dio, che squallore.
“Smettila, mi dai sui nervi, lo sai”, sbottò lei, con in mano i vestiti di casa. Si sentiva parecchio ridicola, ma non importava in quel momento.
“Una volta ti piaceva”, commentò lui. Una volta, una volta… che palle! Se si diceva ‘una volta’ voleva dire che ora non lo provava più, no?!
“Già, una volta”, sottolineò il concetto, irritata. “Passiamo al presente, ti va? Come sei entrato in casa mia?”.
Edmund, per tutta risposta, scoppiò a ridere. “Sono sempre stato più  bravo di te in questo, non ricordi?”, disse per poi comparire alle sue spalle.
Lei non si mosse di un centimetro e non sembrò spaventata dalla cosa, anzi ci aveva provato così tante volte che le faceva solo venire il mal di testa. “Non puoi farlo se non sai dove abito. Chi te l’ha detto?”.
“Non ci vuole niente a distrarre la vostra cara segretaria per trovare qualche informazione… utile”, le fece l’occhiolino.
‘Adesso lo ammazzo’, pensò Ash mentre le fremevano le mani dal nervoso e i capelli cominciavano a diventarle viola.
“Che sei venuto a fare?”, ghignò.
“Calmati, bambolina, dovresti solo ringraziarmi”, provò a dirle lui, ma in due secondi si ritrovò per terra con un pugno in un occhio e le mani legate dietro la schiena.
“Dimmi. Che. cavolo. Sei. Venuto. A. Fare”, lo minacciò ancora lei, mettendosi in ginocchio davanti a lui, arrabbiata.
Edmund riuscì a liberarsi, essendo più forte e più preparato di lei, come al solito, ma si tenne il vero pugno in faccia.
“Sempre il solito caratterino… okay okay, parlo”, si difese lui, cercando di alzarsi in piedi. “Guarda solo dietro di te e capirai”.
Ash, confusa, lo guardò male, ma poi fece come le era stato detto. Si voltò e, sul muro dell’entrata, compresa la porta, un’enorme scritta color vermiglio occupava la parete.
Non era sangue, non aveva lo stesso odore.
“Con cosa è stata scritta?”, si preoccupò principalmente.
“Materiale sconosciuto, non riesco a capire quale. Sorrow arriverà qui fra poco e lo esaminerà. Ma… non ti preoccupa?”, le chiese Edmund, mentre lei si alzava e lo lasciava da solo.
Non gli rispose, non ce n’era bisogno. I suoi capelli pian piano tornarono verdi, ma il biondo cominciò anche a scurirsi. Scuro, sempre più scuro, diventando neri come la pece, per la seconda volta in troppo poco tempo.
La scritta enorme faceva troppo male al suo povero cuore dolorante, evocava troppi ricordi.
Si avvicinò fino a toccare il rosso e lo annusò. No, non aveva idea di cosa potesse essere.
Ma leggeva bene il messaggio che quello strano materiale aveva composto, senza alcuna pietà, distruggendola ancora una volta nel profondo.
‘Oh, piccola stupida. Credi di potermi sfuggire? Il suo cuore batte tra le mie mani, e ancora attendo il tuo… sanguinante e pulsante’.
Era tornato davvero.
E voleva la sua vita.
 
“Di cosa era fatta la scritta?”, domandò in fretta, senza attendere oltre. Non era passato molto tempo – la sua testa andava alla velocità della luce e il ricordo era breve – e Joel era ancora lì a guardarla per farle capire qualcosa.
Appena pronunciò la domanda, lui sorrise e smise di bere il suo caffè, voltandosi più verso di lei, anche con il busto.
“Di cosa persi sia fatta?”, ripeté la domanda lui, confondendola.
“Non era sangue, l’odore era diverso”, ribatté pronta Ash, ricordandosi quel profumo acido e sgradevole.
“Era un mix tra sangue secco e alimentari, per renderlo di nuovo fluido. Quando ci hai chiamato Edmund aveva già rimesso una volta a causa dell’odore… orripilante”, le raccontò lui.
“Sangue di chi?”, lo interrogò Ash, andando sul punto che più le premeva.
“Non siamo riusciti a ricavarlo. Era mischiato troppo bene e con troppe cose per estrarne la sola particella di sangue… mi dispiace”, sorrise lui, come per scusarsi.
“Hai detto che vi ho chiamato. Quando è successo?”, ritornò in sé Ash, dopo aver ragionato su chi potesse aver uccido quel pazzo.
“Prova a ricordarlo”, la sfidò lui, sapendo che una delle poche cose che la ragazza non ammetteva a se stessa di fare era proprio perdere.
E infatti Ash si mise d’impegno:  chiuse gli occhi e si imprigionò nella sua mente, per tirare fuori qualche dettaglio.
Quando aveva chiamato l’Esis? Chi era arrivato oltre a Joel?
Poteva farcela, ne era sicura…
 
“Tu ora vieni con me”, la prese Edmund per il braccio, senza alcuna delicatezza. Ma Ash non si mosse di un centimetro, non ne era nemmeno in  grado.
“Vuole me”, sussurrò la ragazza, impassibile. Era come se ne fosse già convinta e ora aveva la prova. Sapeva che sarebbe tornato a reclamarla, prima o poi. Solo non era a conoscenza di quando… bè, ora l’aveva capito.
“Non oserà nemmeno sfiorarti. Vieni, non resti qui in questa gabbia di matti”, la scosse di nuovo, per farla muovere, provando a trascinarla in quel posto che lui considerava sicuro, ma che era peggio di quello in cui erano in quel momento.
Lei restò ferma, come una statua di marmo, con lo sguardo sempre fisso su quella scritta. Ma stavolta non si mosse apposta.
“In questa gabbia di matti non ci sono persone capaci di tali atti”, disse indicando la scritta.
“Oh, scommetto che bizzeffe di Incompleti minacciano le altre persone scrivendo sui muri, Ash”, la rimproverò lui, lasciandole il braccio e provando a convincerla con le parole.
“Non sono certa che gli… esseri umani si divertano a giocare con i cuori altrui, sanguinanti e pulsanti”, sbottò lei, voltandosi un attimo verso di lui, con aria arrabbiata, per poi tornare a fissare la scritta, scioccata. Come poteva avere il suo cuore? Non era possibile. “Non credi?”.
“Ti ha trovata all’asilo. Ti ha trovata qui. Non puoi più stare in questa città, a meno che tu non voglia suicidarti e far uccidere anche altre persone”, provò a dirle lui, cercando di persuaderla con il suo altruismo.
“Non farà del male a nessuno se io mi offro volontariamente”, concluse Ash.
“Non oseresti”, borbottò Edmund, spaventato di poterla perdere di nuovo. E per sempre stavolta.
“Sì, forse hai ragione…”, sussurrò Ash, cadendo apposta per terra, battendo sulle ginocchia e buttando in avanti il collo, come per svenire. Edmund si allungò verso di lei, prendendosi un bello spavento, ma lei si ritrasse, sentendolo vicino, e lui vide che stava bene… almeno fisicamente. “Non mi farei mai uccidere davvero anche se vorrebbe dire salvare molte vite umane”.
“Ed è giusto. La tua vita vale molto di più della loro. Tu sei…”, provò a consolarla lui.
“Speciale? Unica? No, Edmund, finiamola con queste bugie, lo sai bene anche tu”, scosse la testa la ragazza. “O meglio, sì, è vero che sono queste cose. Però io sono, più che altro, solo un esperimento. E per piacere, non muovere la testa per provare a negarlo, perché menti. Conosci la verità”.
“Per me non sei un esperimento”, concluse lui, vedendo Ash muoversi e cercare di tirarsi in piedi, barcollando. Lui la prese tra le braccia per reggerla in piedi, ma lei si divincolò, per provarci da sola.
“E tu per me non sei più quello che eri un tempo”, ripeté tristemente lei per la millesima volta, dopo l’ennesimo tentativo di Edmund di provarci con lei.
Lui abbassò un attimo gli occhi e lei si appoggiò al muro per non cadere a terra di nuovo, stavolta perdendo anche conoscenza.
“Allora preferiresti essere come loro?”, disse Edmund, indicando la finestra e il mondo esterno che mostrava. “E’ fin troppo facile vivere la misera vita da miseri Incompleti!”.
“E’ quasifacile, Edmund. Non credere che loro non abbiano dei problemi. La loro vita è quasi facile quanto lo è anche la nostra…”, controbatté Ash, chiudendo gli occhi. “E ora basta, chiama pure l’Esis per analizzare la scritta. Io ho sonno”.
 
“Sono svenuta?”, chiese la ragazza tornando alla realtà.
“Sì, quando siamo arrivati eri sul tuo divano, sdraiata. A Zoe è venuto un mezzo infarto quando ti ha vista così”, ridacchiò lui.
“Sorrow sarà stata felice, vero?”, si prese in giro da sola, conoscendo bene la donna cinica della loro squadra. In fondo non aveva ricevuto quel nome per niente….
“Non credo. In realtà sa bene quanto tu possa contare in questa missione e anche in questo mondo”, sorrise lui, provando a commuoverla.
Oh, ora mi sciolgo… sì, certo, pensò invece la ragazza, mentre tornava a mangiarsi la sua colazione.
“E come ci sono finita abbracciata al disgraziato?”, chiese poi, ricordando che non si era risvegliata in qualche stanza a caso.
“Edmund era sveglio, tu eri svenuta. Il poveretto era preoccupato e…”, cominciò lui.
“Sorrow voleva divertirsi un po’”, conclusero insieme. Poi Ash andò avanti a parlare. “Ci avrei giurato. Quella donna mi odia”.
“Non capisce il tuo amore incondizionato per il mondo Incompleto… così come tutti noi, ma almeno noialtri rispettiamo la tua scelta. Ormai sei grande per decidere da sola della tua vita”, spiegò lui.
“Lì mi sento più al sicuro che qui”, rispose la ragazza, mangiando. “E sebbene passerei per un essere abominevole se dovessi essere scoperta, per ora sono solo una semplice ragazza… non l’esperimento o la sopravvissuta di una specie sconosciuta su cui fare analisi eterne”.
“L’Esis ha sempre odiato le tue sperimentazioni”, l’informò Joel, sorridendole.
“Lo so, ma è sempre arrivato troppo tardi”, disse lei, come per fargli venire i sensi di colpa.
“Non mi sembra che l’ultimo intervento ti sia dispiaciuto”, rimbeccò una voce nuova. Solo una persona poteva essere così odiosa anche di prima mattina.
“Ciao Sorrow”, concluse Joel, come se la pacchia fosse finita e dovesse tornare a fare il bravo bambino a scuola.
“Sei simpatica quanto un calcio… lasciamo perdere, tu odi le persone volgari”, riprese Ash, toccandosi il petto con una mano, con fare sconsolato. “Cazzo, che sfiga, eh?”.
Joel scoppiò a ridere e finì la sua colazione, prima di farla sparire com’era arrivata.
“Cuciti la bocca, allora”, rispose fredda Sorrow mentre Ash si divertiva.
E a proposito di arrivare, la stanza cominciò a popolarsi, visto che entrarono anche Zoe e Edmund. Mancava Seamus… forse aveva di meglio da fare che guardare quella banda di pazzi.
Zoe le sorrise e si mise a chiacchierare con Joel, sedendosi di fianco a lui e facendo comparire la sua colazione, mentre Edmund prese posto alla sua destra, guardandola adulatore.
Oh porca miseria!
Ash gli lanciò un’occhiataccia piena di disgusto e si alzò prontamente, intenzionata a lasciare la mensa e anche l’Esis.
“Dove stai andando?”, le domandò Sorrow, tenendola ferma, mentre lei si voltava e la inceneriva con gli occhi. Magari non fosse solo un proverbio… “Dobbiamo parlare”.
“Fate pure senza di me”, sbottò Ash.
“Siediti”, sillabò Sorrow in un noioso ordine. Ash sbuffò rumorosamente, provocando parecchia irritazione alla donna, e si sedette lasciandosi cadere sulla sedia.
Sorrow era fissata con le regole di galateo, perciò Ash era intenzionata a rompere tutte, una alla volta.
“Maledetto il giorno in cui mi hanno affidato il tuo caso, ragazzina impertinente”, sussurrò Sorrow.
“Dovresti ringraziarmi: grazie alle mie vicende nessuno ricorda il tuo vero nome e ora ti chiamano tutti Dolore. Non ti senti onorata?”, la prese in giro Ash mentre Sorrow si voltava verso Joel.
“Non ci riesco. Parlale tu o vado in crisi isterica”, sbuffò Sorrow.
“Che peccato!”.
“Ash!”, la riprese Joel, stavolta serio. “Basta, ti prego. Abbiamo da discutere su cose serie ora”.
“Ovvero?”, chiese annoiata la ragazza.
“Ti è stato proibito il ritorno a casa”, disse fiero Edmund, alle sue spalle.
“COSA?!”.
 
 
...
Note dell'autrice:
Alloooooooooooooooooooooooooooooora. 1. Jared è un idiota (ma va? ....*Jared spunta e fa la faccia da divaH offesa*. Piccolo, mi dispiace, ma idiota rimani *Jared fa la linguaccia e se ne va offeso*
2. Vicki che ci difende... sei una figa *Vicki appare e stringe la mano a Ronnie*
3. Edmund mi stai sul cazzo *non arriva nessuno perchè Edmund potrei ucciderlo*

....ok a parte la mia evidente pazzia che oggi si fa sentire anche più spesso.... piaciuto?
Cosa ne pensate? Fatemi sapere, mi fa piacere conoscere i vostri pensieri sulla storia, davvero :)

Un abbraccione a tutti, Ronnie02
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Dynasty ***


*chiede pietà* SCUSATE GENTE, SERIAMENTE. so che sono in ritardo di... bè, tanto e mi dispiace davvero, ma in questi giorni è successo un pandemonio e non sono riuscita ad aggiornare *si mette in ginocchio*
SCUSATE, DAVVERO.
ora vi lascio leggere, così mi faccio perdonare... forse




Chapter 8. Dynasty

 


 
“E’ per la tua salute e vita, Ash, mi dispiace”, si scusò Zoe.
“Non me ne può fregare di meno, Zoe”, urlò Ash, che si era alzata in piedi, scioccata. “Non potete obbligarmi a stare qui. Sono maggiorenne, posso stare dove voglio”.
“Ash…”, provò a fermarla Joel.
“Avete deciso per me ogni cosa da quella dannata sera, voglio la mia indipendenza, ora!”, continuò la ragazza. “Voi non avete il diritto di dirmi cosa devo fare. Non mi importa se Lui vuole uccidermi, non mi importa se sono un fottuto scherzo della natura. Io tornerò a casa, che lo vogliate o no”.
“Ash, ti prego, ragiona”, le chiese Zoe, usando il suo tono più dolce, quasi come se fosse una sorella. Che brutta similitudine per Ash… “Non sei più al sicuro a Los Angeles. Quando ti abbiamo dato il permesso di trasferirti credevamo di darti la possibilità di salvarti, ma a quanto pare abbiamo sbagliato. Ti sembrerà ingiusto, ma dovrai restare qui”.
“E’ ingiusto. E io odio le cose ingiuste”, sbottò la bionda, diventando verde di rabbia, e non solo metaforicamente. Edmund provò a toccarla, per farla calmare, ma lei scosse così forte il braccio per toglierselo di dosso in fretta che lo fece cadere dalla sedia e allontanarsi di qualche metro. “Provateci! Provate a lasciarmi qui: scapperò. Sapete tutti che tenterò di scappare e prima o poi ci riuscirò anche. Quindi provateci, ma sarà inutile!”.
“Ash, come credi di sopravvivere a Los Angeles?”, chiese Joel.
“In qualche modo farò”, rispose lei.
“Non puoi andartene Ash”, riprese parola Sorrow, mentre la ragazza provava a tornare alle camere. “Sai che posso scomodare dei giudici per farti rimanere qui. Vuoi tornare in tribunale? Vuoi tornare in ospedale come l’ultima volta? Sai che posso farlo, Ash”.
“Non oseresti”, commentò la ragazza, fermandosi di colpo, senza voltarsi.
“Cosa te lo fa pensare?”, provò a sfidarla Sorrow, credendo di averla vinta.
Ash sorrise, senza farsi vedere. “Perché se mi porti in tribunale, capiranno cosa sono davvero. E se lo faranno, mi porteranno in ospedale. Ma lì troveranno le mie vecchie pratiche, che manderanno ai giudici”, ipotizzò Ash. “A quel punto, non solo condanneranno te per aver firmato al posto dei miei genitori in modo da avviare gli esperimenti, ma anche tutto l’Esis per non averli fermati”.
“Cosa? Era per quello che non riuscivamo mai a salvarla?”, gracchiò Edmund.
“Oh sì, mio caro idiota”, scoppiò a ridere Ash, voltandosi ma guardando solo Sorrow. “La nostra qui amata e stimata delinquente barra responsabile barra grandissima stronza ha sempre accettato di farmi massacrare e, per mantenerci la faccia, faceva arrivare l’Esis appena in tempo per capire che mi avevano già esaminata, ma senza mai prendere il colpevole”.
“Sorrow, potresti marcire in prigione in eterno per questo”, commentò Joel, togliendo le parole di bocca ad Edmund, arrabbiatissimo.
“Oh no, a me basta un permesso scritto e firmato entro due ore il quale dichiara che Sorrow mi permette di abitare barra vivere ovunque io voglia per il resto dei miei giorni e che lei barra nessuno di voi abbia il controllo della mia vita per lo stesso arco di tempo”, li minacciò, sempre con lo stesso sorrisino. “In caso contrario dite addio a Sorrow nella nostra divisione”.
“Come sei venuta a saperlo?”, chiese Sorrow, prendendo tutte le attenzioni.
“Dall’alba dei tempi, mia cara Sorrow. Attendevo solo il momento perfetto per usarlo nella maniera migliore”, la informò Ash, quasi professionale. “Infatti, devo informarti, che per quanto il secondo nome di mia madre davvero sia Roslyn, lei non ha mai usato questo nome nelle sue firme, se non nei documenti ufficiali della Rivoluzione. Ti sei fregata da sola, tesoro”.
E con questo andò a fare i bagagli, attendendo il documento richiesto.
 
“Allora questa grande idea?”, chiese Jared.
Vicki, dopo aver annunciato il suo colpo di genio, se n’era bellamente andata a dare da mangiare a suo figlio lasciandoli di suspense, come si soleva dire.
In quel momento era appena tornata, lasciando Devon a dormire sul divano morbido nella sala di casa Leto.
“Oh, ma stai calmo, una volta nella tua vita, piccolo sfigato che si è lasciato portar via la sua unica possibilità di scoprire qualcosa su questa ragazza misteriosa”, lo prese in giro la ragazza, facendo scoppiare a ridere gli altri due.
“Vedo che la simpatia l’hai lasciata in cucina”, commentò lui.
“Non direi, ma se vuoi vado a controllare”, rispose lei, facendo dietrofront e tornando indietro. Ma Jared, prontamente, la braccò e la fece sedere vicino al proprio marito.
“No, stai qui. Parla!”, le ordinò.
“Sono certa che Constance ti ha insegnato ad essere gentile con le donne… bè, metti questi insegnamenti in pratica poche volte nella tua vita, ma sono certa che in questo momento tu possa farcela”, continuò a ridere.
“La vuoi finire?!”, si lamentò lui.
“Scusa Jared, ma sfotterti è uno dei lati positivi di avervi attorno tutto il giorno… bè, forse direi anche l’unico”, continuò Vicki.
“Grazie!”, ridacchiò Shannon.
“Non c’è di che, animale”, disse lei mandandogli un bacio con la mano. Lui fece lo sguardo da seduttore e Tomo scosse la testa, amareggiato.
Non sarebbero mai cambiati.
“Allora?!”, chiese Jared, e così Vicki sbuffò e si mise sull’orlo della sedia, per avvicinarsi di più al piccolo Leto.
“E’ un piano così semplice per te che faccio fatica a credere che tu non ci sia già arrivato, davvero”, sbottò, mentre Jared alzò gli occhi al cielo. “Ma vediamo se riesco a fartelo capire”.
 
Un fottuto campanello li distrasse dall’elaborazione del piano di azione messo in atto da Vicki. Alla fine non era veramente così impossibile da capire e Jared si chiese davvero come avesse fatto a non pensarci prima.
“Vado io”, disse Shannon,  alzandosi velocemente e andando fuori dal Laboratorio.
“Chi può essere?”, chiese Vicki cercando di vedere il batterista ritornare, mentre gli altri due alzavano le spalle e tornavano a discutere del piano.
Alla fine anche lei smise di domandarsi chi stesse intrattenendo Shannon alla porta e ridefinì i dettagli.
Ma qualcuno era davvero arrivato, e Shannon cercava di trovare un modo gentile per mandarlo via.
“Emma”, commentò sulla soglia di casa, vedendo la ragazza sorridergli con le sue labbra sottili. Gli occhi azzurri erano felici e i capelli legati in una treccia laterale bionda come il grano.
Molti la consideravamo bella, lui la considerava molto più di quell’aggettivo, ma da un po’ di tempo qualcosa non andava in lui. Si sentiva come indifeso o non considerato.
Lei aveva comunque gli occhi puntati su Jared e la sua agenda, come se non avesse altra vita e ciò lo irritava parecchio.
“Shan!”, lo salutò lei, abbracciandolo di colpo, mentre lui cercava di non cedere. In fondo era sempre un po’ arrabbiato: di sicuro era qui per Jared e non per lui.
Era sempre stato Shannon a chiederle di uscire, di fare qualcosa, di cenare insieme o robe del genere. Lei non prendeva mai iniziativa, se non centrava con il suo lavoro.
“Come mai qui?”, chiese lui, cercando di sorriderle, mentre lei si staccava ed entrava in casa.
“Come siamo freddi oggi”, constatò lei, fermandosi e girandosi verso di lui. Lo scrutò per qualche istante e poi continuò. “Che succede Shan?”.
“Niente… come al solito, no?”, rispose Shannon facendo fare a lei il broncio. “Ti ho solo chiesto come mai sei qui”.
“Faccio finta di non sentire il tuo tono lamentoso”, sbottò lei, mentre lui alzava gli occhi al cielo. “E comunque sono qui per Vicki, volevo sapere come andava all’asilo con Devon e salutarla”.
Certo, mica eri qui per me.
“Oh, come no. Come mai non ci ho pensato”, disse lui, cattivo, chiudendo fortemente la porta, facendo spaventare un po’ Emma.
“Smettila, Shan”, rispose lei nello stesso tono. “Devi capire che la mia vita concerne anche altre persone, non posso stare solo con te”.
“Cosa?!”, scoppiò a ridere Shannon, in una risata senza nessuna allegria. “Ti prego, Emma, evita, ok? Non sono in vena.
“Adesso ti metti pure a fare a me la predica? Sei patetica. Andava tutto bene finchè non hai ricominciato a pensare al tuo cazzo di lavoro e ad evitarmi come fosse la peste.
“Se io non ti chiamassi non ci vedremmo mai, se io non mi facessi il culo per questa cosa, sarebbe finita già da un pezzo. La tua vita riguarda anche gli altri? No, tesoro, la tua vita riguarda solo gli altri! Perché non ti sei mai fatta vedere senza avviso per me, o non hai mai fatto nulla per stare con me!”.
“Ah, è così, quindi?”, disse seccata la bionda.
“Perché, tu come la vedi?”, andò avanti lui. “Dimmi una sola volta in cui hai avuto il rischio di farci scoprire. Cavolo Emma, la tua vita riguarda così tanto me che nemmeno lo sa qualcuno, cazzo!”.
“Oh ma piantala, Shannon! Abbiamo deciso insieme di non dirlo a nessuno, non fare il solito melodrammatico!”, ribatté lei, arrabbiandosi sul serio. Emma non era abituata a stare con qualcuno per lungo tempo e aveva sempre pensato che il suo lavoro andasse prima di tutto. Era semplicemente abituata a pensarla così, non voleva davvero ferire Shannon.
Ma lui non cedeva. Non si sentiva bene in quella situazione. Non si sentiva bene per niente. “Sì… due mesi fa. E in due mesi nessuno ha sospettato nulla”.
“Shannon, finiscila. Non sono in vena”, concluse lei, con voce bassa e fredda, guardandolo male. “Vicki dov’è? Nel Lab?”.
“Sì certo. C’è anche Jared, se vuoi. Così… per evitare di non perdere ore di lavoro”, la prese in giro, sorpassandola e allontanandosi dall’ingresso, per salire nella parte abitabile di quella casa. Andò in camera sua e cercò di riposarsi.
Dio, se gli dava sui nervi!
Ma Emma, in fondo, cercava solo di essere una buona amica. Così lasciò andare Shannon di sopra a fare ciò che voleva e si diresse ai bassipiani, dove il resto della ciurma stava parlando da solo.
“E così Ash dovrebbe finire per dirti tutto, se i miei calcoli vanno per il verso giusto”, sentì dire da Vicki, mentre entrava nella stanza.
“Ciao ragazzi!”, li salutò, evitando di chiedere qualcosa su ciò che aveva sentito di sfuggita.
I tre si girarono di colpo e Jared impallidì nel vederla. In pochi secondi lui tornò normale, scuotendo la testa, frenetico, mentre i coniugi Milicevic continuavano a stare zitti.
“Ho interrotto qualcosa?”, chiese innervosita. Prima Shannon e ora loro… ma che avevano tutti?!
“No, tranquilla. Parlavamo di… di cose inutili”, cercò di scusarsi Vicki, provando a non dire nulla.
“Ma Shannon?”, cambiò discorso Tomo, grattandosi nervosamente la testa e guardando la moglie.
“E’ andato di sopra, non so perché… ma che stavate dicendo di così  inutile?”, cominciò a domandare, mentre Jared finse di dover andare a prendere qualcosa.
“Chi? Cosa? Niente, bellezza! Hai visto il mio… non te lo so spiegare… meglio che vada a cercarlo, non credi?”, disse infatti il cantante, gesticolando parecchio.
“Jared… stai bene?”.
“Io? Sì, certo, ovvio, assolutamente!”, borbottò lui, cercando sempre di svignarsela. “Perché non dovrei?”.
“Stavate parlando di qualcosa che non posso sapere, per caso?”, si fece curiosa Emma, mentre Jared di grattava il collo, nervoso come il chitarrista.
“No, stanno solo spettegolando su quella strafiga di Ash Connor!”, arrivò Shannon, tranquillissimo, mentre Jared lo si fermava e lo guardava come se stesse per svenire.
E lui come era comparso di nuovo?
“Di chi?”, si irritò Emma fino al limite concesso, sentendo quell’aggettivo detto in modo fin troppo malizioso per i suoi gusti.
“Una maestra dell’asilo in cui ci hai consigliato di portare Devon. Ottima scelta, direi”, disse lui, per farla ancora più ingelosire. Ti brucia, eh?, pensò sorridendo. Okay, non gli piaceva vederla star male, ma non poteva subire sempre e solo lui. “Lei è una bionda tutta gambe e sorrisi, molto attraente. In più una sua collega spagnola… Nat credo che si chiami, no? Ecco… molto carina, sì!”.
“Molto carina…”, ripeté sottovoce la segretaria, cominciando a tremare con le mani.
“Sì. Vero, Jared?”, chiese al fratello, che si era calmato un po’, ma non del tutto.
“Sì, Shannon ha ragione. Molto… molto carina, sì”, commentò frenetico, tornando vicino a Vicki, che guardava malissimo Shannon. Lei sapeva della loro storia, in realtà Emma le aveva sempre detto tutto senza che Shannon lo venisse a sapere, e conosceva anche la situazione negli ultimi tempo.
Pensava che una scena del genere non sarebbe servita a niente e infatti non lo fece continuare.
“Smettila di fare il coglione, Shannon”, lo ammonì, mentre Tomo la guardava stranito. Mai aveva parlato in tono così autorevole ai suoi amici.
“Perché?! Ora non posso nemmeno dire che delle ragazze sono davvero molto belle? Cosa… chi me lo impedisce, Vicki?”, domandò lui.
“Chi è questa Ash?”, continuò a interrogarlo Emma, lasciando perdere la ramanzina di Vicki.
“Nessuno, Emma… nessuno”, intervenne Jared. “Solo una ragazza che tiene Devon. Perché ti preoccupi? Non è mica un… mostro”.
Si maledisse mentalmente per l’ultima parola, sapendo in qualche modo che di certo Ash non era normale, ma almeno Emma parve rinsavire.
“Sì… perché dovrebbe importarmi in fondo?”, disse lei, non staccando gli occhi da Shannon da quando quella scena sconclusionata era iniziata.
“Emma…”, cercò di parlare Vicki.
“Vicki! Ero venuta proprio per te, in realtà. Volevo chiederti come andasse all’asilo, ma a quanto pare va tutto alla grande, no?”, chiese la bionda, andandosi a sedere vicino all’altra ragazza, provando a evitare lo sguardo del batterista.
“Sì, abbastanza… normale”, generalizzò la moretta, sorridendole, mentre Jared prendeva il braccio di Shannon per portarlo via.
“Scusate, mi sa che Jared ha avuto un’idea per una canzone… meglio andare a sentire cos’ha da dire”, si dileguò anche Tomo, lasciandole parlare da sole, senza che Vicki dicesse nulla.
Intanto lui andò a cercare dove fossero finiti quei maledetti fratelli, prima che ne combinassero una delle loro.
Infatti li trovò in cucina, con Shannon appoggiato al muro e con la gamba piegata, che non ascoltava una parola di suo fratello, che invece era davanti a lui e gli stata facendo una solita paternale.
“Ma che cazzo fai?!”, urlava Jared quando Tomo entrò nella stanza.
“Che problemi hai, Jared? Non le ho mica detto tutti i filmini mentali che ci stiamo facendo, le ho solo detto che Ash è carina… e non mi sembra proprio che tu sia in disaccordo con la mia teoria”, spiegava Shannon, dando ancora più sui nervi a Jared.
Il cantante sbuffò e si girò verso il chitarrista. “Salvami, Tomo, e digli tu qualcosa”.
Tomo ridacchiò. Sembrava che Shannon fosse il bambino cattivo e lui e Jared i genitori che dovevano assegnare la giusta punizione.
“Shannon posso farti solo una domanda?”, chiese Tomo, per poi veder Shan fare un gesto con le mani, come per dargli via libera. “Perché sembrava che volessi far ingelosire Emma?”.
Lui si fermò, guardò il croato come se non avesse capito la domanda e poi sbuffò. Non aveva alternativa, ormai doveva parlarne con la sua piccola famiglia.
“Ok, vediamo di sputare il rospo”, rispose per poi invitare i due compagni di band attorno al tavolo e cominciare a raccontare.
 
Nello stesso istante, in un mondo nascosto alla band, lungo gli antichi corridoi dell’Esis, Ash Connor stava camminando tranquilla, guardandosi in giro. Quel posto era stato ristrutturato perfettamente ed era diventato molto più moderno dall’ultima volta in cui lei ci aveva messo piede, prima che questa catena di disgrazie cominciasse a crearsi.
L’avevano anche ampliato parecchio e la nuova ala era stata completamente rimodernata, ma non le era stato concesso l’ingresso di quella parte. Lì ci stavano i tecnici e tutti gli uffici dei più fidati agenti, come Sorrow.
Era lì da troppo e ormai doveva soccombere la voglia di tornare a casa con altro, per non impazzire. Quella mattina era andata ad allenarsi, sotto invito di Edmund, sempre in caso di difesa se Lui sarebbe venuto a farle una visitina.
Era riuscita ad evitare la predica del ragazzo sui mille e uno pericoli che poteva passare a casa e l’aveva battuto pure qualche volta, specialmente per fargli vedere che se la poteva cavare benissimo anche da sola, a casa sua.
Invece al pomeriggio decise semplicemente di farsi un giro nella vecchia parte di quel rifugio tanto agonizzato da bambina. Ricordava parecchi corridoi dove da piccola scappava per evitare le riunioni dei grandi, oppure per seminare gli agenti che volevano interrogarla su quello che le era capitato.
Era così strano ripercorrerli quasi con calma e con molti anni in più.
“Ma chi si vede!”, la sorprese Zoe, trovandosela di fianco con passo felpato, anche se aveva una montagna di libri tra le braccia. Ash fece non poca fatica a riconoscerla, visto che i volumi le coprivano quasi tutta la testa: sbucavano solo gli occhi e la fronte, coperta dai capelli.
“Io però non ti vedo”, sorrise la bionda, facendo ironia e spostandosi ai lati di Zoe per riuscire ad inquadrarla meglio.
Zoe scoppiò a ridere, rischiando di far cadere qualche libro, ma riuscì a riprendere tutto in fretta.
“Dove te ne vai?”, continuò la bionda, curiosa di tutti quei libri.
“In biblioteca; devo fare una ricerca su un piccolo caso… ti va di darmi una mano a portarli?”, chiese Zoe, mentre Ash annuiva. Aveva sempre amato i libri e i tomi antichi l’avevano affascinata dai tempi della scuola. “Almeno riesco a vedere dove vado!”.
Ma Ash non sentì la battuta di Zoe; era completamente persa nel suo primo giorno di scuola da infiltrata.
 
Camminava saltellando come ogni bimba della sua età, cercando qualche coetaneo. Ma erano tutti più grandi in quella scuola, molto più grandi.
“Hey nana, ora ammettono anche i poppanti qua dentro?”, sentì qualcuno ridacchiare alle sue spalle, facendo scoppiare a ridere tutto il resto del suo stupido gruppo di amici.
I suoi capelli cominciarono a diventare viola.
“Non sono una poppante!”, rispose fermandosi, mettendo il broncio in faccia e guardandoli male.
“Uhuh, che paura! Una bimba con il potere di farsi tinte orribili ai capelli mi sta minacciando!”, disse sempre l’idiota, mentre una ragazza con i capelli corvini e corti lo abbracciava ridendo.
“Non mi conosci neanche”, disse Ash. “Non puoi giudicarmi”.
“Sei una nana, a me basta”, rimbeccò, facendo di nuovo ridere tutti, mentre Ash sprofondava, dentro di sé.
“Simon, faresti bene a startene zitto una volta tanto”, spuntò qualcuno da dietro di lei, mettendole una mano sulla spalla. Dapprima le venne un grande spavento, ma poi, vedendo che la difendeva, si sentì al sicuro.
“Oh, è arrivato Dean-l’eroe!”, disse la ragazza.
“Quinn, io fossi in te non scherzerei. Tua madre è molto amica della mia; non vorrei che venisse a conoscenza di certi aneddoti… piccanti, riguardo la sua piccola e innocente figliuola”, rispose il ragazzo, Dean a quanto pareva.
La ragazza di ammutolì e, tutti insieme, girarono i tacchi e se ne andarono, lasciando in pace la bimba.
“Nuova?”, si rivolse a lei il suo salvatore, accucciandosi sulle ginocchia per stare alla sua altezza.
Era davvero così piccola?
“Infiltrata”, sorrise Ash, quasi fiera del suo essere fuori dalla norma in quel posto. “Non vado ancora a lezione, ma so leggere e scrivere. Mi tengono qui perché non posso stare più a casa… Lui potrebbe farmi ancora male”.
“Lui?”, chiese di scatto, per poi capire chi potesse intendere quella bambina. “Aspetta… tu sei la piccola cugina di Jade Isabel Denver?”.
“Sì…”, sussurrò Ash, per poi abbassare lo sguardo e la testa. Sua cugina… quanti ricordi cominciarono a volare nella mente di quella bambina dai capelli d’oro.
“No, non piangere, piccola”, la abbracciò il ragazzo, senza che lei se lo aspettasse. Ma era da tanto che qualcuno l’abbracciava e in quel momento ne aveva davvero bisogno. Ringraziò mentalmente il suo salvatore, sperando che capisse. “Io comunque sono Dean, Dean Scott. Ti va se ti porto a vedere una cosa?”.
E Ash ovviamente annuì. Almeno aveva rimediato un amico.
 
Dean Scott. La sua prima cotta, ovviamente. Era una bambina e lui l’aveva salvata.
In realtà non era stata proprio una vera cotta, ma più una totale devozione per lui in conseguenza a ciò che aveva fatto. Era una bambina e reagiva come tale, non c’era nulla di strano.
Quel giorno, dopo averla calmata con una merenda presa nel refettorio dell’edificio, l’aveva portata nella biblioteca della scuola e le aveva fatto leggere i suoi libri scolastici dei primi anni per farle imparare qualche trucchetto.
Ma man mano che si trovavano, Ash cominciava a leggere volumi sempre più enormi, avanzando di anno in anno, e imparava sempre di più. Era insaziabile di sapere e non c’era giorno in cui non tentasse di sperimentare cose nuove.
Dean era esterrefatto e non capiva bene come potesse essere possibile, ma nemmeno Ash sapeva cosa fosse realmente, perciò non poteva rivelargli nulla.
Non era solito che una bambina della sua età riuscisse ad arrivare ad un certo livello, ma insieme decisero di non dire niente a nessuno: Ash si sentì  bene a tenere un segreto con Dean; era come avere un gruppo tutto suo senza che nessuno potesse rovinarlo e questo la faceva sentire bene.
Così cominciò la scuola e non ci fu giorno in cui Dean non le chiedesse che cosa aveva fatto.
 
“Ehy nana”, la chiamò il ragazzo, come per prenderla in giro. Okay, alla fine aveva capito che un gigante non era, ma ciò non implicava che potesse chiamarla così.
“Ehy idiota”, ribatté lei, con l’unica parolaccia che il suo cervello conosceva. Dean scoppiò a ridere.
“Eh sì, credo proprio che dopo questo insulto dovrò ritirarmi in camera e piangermi addosso dal dolore che mi hai causato”, disse lui, fingendo di mettersi a piangere. Poi si inginocchiò davanti a lei e le prese la mano. “Ash Connor… vorresti perdonarmi?”.
“No”, rispose pronta Ash, sorridendogli cattiva.
“Ok, allora oggi niente giro in biblioteca”, la minacciò lui, facendosi pensieroso. “Cavolo, proprio questo pomeriggio che volevo insegnarti questa nuova ma…”.
“Smettila, ti prego, va bene!”, si rassegnò lei. “Non dovresti mai minacciarmi con la biblioteca, sei ingiusto”.
“Dovrò pur difendermi dal tuo caratterino, sorellina”, la prese in giro Dean scompigliandole i capelli. Lei sorrise e lasciò che si divertisse; non le importava.
“Cosa devi insegnarmi?”, domandò lei, dopo qualche secondo. Era maledettamente curiosa.
“Niente di importante, ma lo sai che amo comunque farti attendere”, sorrise lui, quasi cattivo.
“E io odio aspettare e soprattutto odio le sorprese!”, cominciò Ash di nuovo per la milionesima volta.
“Bè allora non sarai felice… uh la campanella, guarda un po’! Ciao nana!”, la salutò, mentre lei lo guardava storto e…
“Bello il terreno, vero Scott?”, lo prese in giro guardandolo per terra. Oh sì, a volte un semplice sgambetto era meglio di qualsiasi trucchetto che Dean le insegnava.
“Ottimo lavoro, Connor”, cercò di dire lui, alzando il braccio e facendole l’okcon il dito.
 
Si era divertita così tanto in quegli anni, che per un attimo era come se potesse dimenticarsi di tutto l’orrore che aveva vissuto. In fondo era solo una bambina e avrebbe dovuto comportarsi da tale.
Dean le aveva offerto la possibilità di vivere anni come una semplice ragazza come tutte le altre in quella scuola, con i suoi libri e i suoi insegnamenti.
Ormai era diventato il suo migliore amico e ogni cosa che accadeva si sentiva in dovere di parlarne con lui.
Ma poi arrivò il giorno in cui Dean si diplomò… e lei rimase da sola in quella scuola fino al compimento dei diciotto anni.
Senza nessuno con cui parlare, con cui confidarsi, con cui divertirsi. Dopo che Dean se ne fu andato non ci fu più anima viva che si avvicinasse a lei e in poco tempo in dolore che si era dissolto grazie alla presenza del ragazzo tornò più forte di prima.
 
“Congratulazioni, Scott”, gli disse Ash, abbracciandolo da dietro e aggrappandosi a lui, come era solita fare da piccola.
Sentì la risata di Dean partirgli dal profondo del petto e le sue braccia provarono ad aiutarla a sistemarsi meglio sulla sua schiena.
“Grazie Connor”, rispose lui, cominciando a saltellare un po’ in giro, tanto per farle venire il mal di testa. Ash si aggrappò al suo collo, chiudendo gli occhi per evitare di stare male e gli graffiò la gola, per provare a fermarlo. “Ok, ok. Tranquilla, oggi è un giorno di festa, non ti farò star male”.
In un secondo, Ash mollò la presa e scivolò giù dalla schiena di Dean, senza dire una parola e abbassando gli occhi. Il pavimento era diventato davvero molto interessante. Marrone, in legno, un pochino consumato e abbasta…
“Ash”, la chiamò il suo amico, con tono confidente. Sapeva che era il momento del discorso sarò via, ma andrà tutto bene, ok?che l’avrebbe distrutta. Avrebbe preferito svegliarsi un giorno e sapere che se n’era andato invece di parlare di addii e vederlo scappare via.
Un taglio netto sarebbe stato decisamente meglio.
“No, Dean hai ragione”, si voltò lei, mostrandogli il viso rigato di lacrime. In fretta e furia si passò il braccio sugli occhi per spazzarle via e ritornò a guardarlo. “E’ un giorno di festa e dovresti festeggiare. Quindi è meglio che vada, no?”.
“Sai che ti voglio qui con me: sei la mia migliore amica, o una sorta di piccola sorella… comunque sai che ti voglio un bene dell’anima”, cominciò lui, prendendola per un braccio e spingendola in un angolo per poterle parlare senza che gli altri sentissero. “Ash, so che cosa hai passato e ho cercato con tutto me stesso di farti più provare quel dolore.
“E non l’ho fatto per pietà o per diventare il famoso consolatore dell’unica superstite di quell’assassino… ma perché quando ti ho difesa quel giorno ho visto dentro di te una forza di vivere che mai avrei aspettato di trovare in una bambina con un passato così orribile.
“Sono tuo amico perché meriti di averne uno e sono felice di esserlo stato, di averti insegnato tutte quelle cose, di esserti stato di aiuto e conforto. Sul serio”, finì il discorso appena una lacrima di Ash toccò il suo braccio.
“E ora te ne andrai, lasciandomi in balia di tutti questi stupidi studenti presuntuosi”, concluse la biondina.
“Sai che non vorrei, sai quanto vorrei rimanere. E io ci sarò sempre, lo sai. Anche se non esattamente come ora, sarò vicino a te e andrà tutto bene”, l’abbracciò.
La stessa frase d’addio di tutte le scene d’addio di ogni santa storia in cui c’è un addio.
Ash odiava queste situazioni.
 
“Ash?”, la richiamò alla realtà Zoe, che leggeva attentamente uno di quei grandissimi tomi storici che si era portata in biblioteca.
La bionda scosse il capo e la guardò attenta, tentando di distruggere quei ricordi per l’ennesima volta.
“Sì, dimmi, Zoe”, le rispose con un sorriso di scuse, mentre Zoe ricambiò sincera, sfogliando il libro. Aveva le pagine tutte consumate dal tempo…
“Come hai detto che si chiama quel ragazzo?”, chiese l’agente senza staccare gli occhi dalle parole d’inchiostro.
“Chi? L’uomo che era passato prima che Edmund arrivasse all’asilo la prima volta?”, chiese spiegazioni. Zoe annuì solamente, troppo presa dalla storia che leggeva per rispondere. “Jared Leto… perché?”.
“Oh, interessante”, sorrise Zoe, girando il libro per farlo leggere ad Ash, indicando con l’indice perfettamente smaltato una particolare frase, la quale stupì la bionda oltre ogni immaginazione. “Si da il caso che abbiamo un Leto abbastanza importante anche nella nostra civiltà”.
Non ci poteva credere. Non poteva essere reale. Non poteva esssere…
Lui.

....
Note dell'Autrice:
ed eccoci qui, gente mia cara... come va? piaciuto il capitolo?
Allora vediamo di dire un pò di cose: 1. Sorrow... si è stronza e sappiate che non la smetterà presto, ma saprete amare anche lei prima o poi, fidatevi. 
2. Emma... ho sempre pensato che tra Emma e Shan ci fosse qualcosa. Non so perchè, ma ho questa sensazione. Però credo anche che da veri fidanzati non reggerebbero un mito... come infatti qui è successo.
3.Dean... Bè Dean è Dean! *sparge amore per Dean*... è uno dei miei preferiti, anche solo perchè è l'ancora di salvezza di Ash e,... poi vedrete! 
4. Leto. Mmmmm, Leto Leto Leto. Chi sarà mai il loro Leto?! *tan tan ta.. TA!*

Ok, me ne vado.
Alla prossima! Un grosso abbraccio, Ronnie02

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Capitolo 9
*** A moment I try to forget ***


Hello people! come state? io sono staaaaaaaaaanca! la scuola mi sta letteralmente uccidendo!
Ma sono tanto brava e quindi sono riuscita a fermarmi un attimo da tutto per aggiornare *batte le mani per se stessa*
Vi lascio leggere, su. Ci vediamo sotto.
Buona lettura




Chapter 9. A moment I try to forget




 
Sdraiata sul letto della sua odiosissima stanza datale all’Esis si stava scervellando per trovare qualsiasi collegamento che potesse dividere la dinastia di Jared Leto a quella del suo incubo peggiore.
Com’era possibile, in fondo?
Jared non c’entrava nulla con il suo mondo, o l’avrebbe subito capito. Bastava uno sguardo ai suoi capelli e Jared avrebbe potuto rivelarle che non era come tutti gli altri nemmeno lui, avrebbero potuto coalizzarsi. Lei sapeva intercettare molto bene i Completi in giro per il mondo e Jared non le era sembrato uno di quelli.
Allora che collegamento poteva esistere? Non c’era nessun legame possibile!
“Ti farai scoppiare il cervello”, sentì una voce femminile arrivare dalla porta.
Ash si voltò, scattando a sedersi sulle coperte, e guardò la nuova arrivata con fare divertito. Nulla di interessante come aspetto fisico: nella norma, capelli tinti di rosso ramato, occhi neri come la pece, pelle abbronzata e qualche lentiggine in giro.
In realtà, al contrario suo, molti la definivano una bellezza rara, ma quel colore di capelli stonava troppo con il resto, secondo la bionda.
Era Clelia, una ragazza italiana.
Un nome, un programma: era l’agente più coraggiosa dell’intero Esis e partecipava alle missioni peggiori. Audace così come lo era la Clelia che da’ il nome al mito degli antichi romani, in fondo.
“Ciao, rossa”, le sorrise Ash, facendole cenno di entrare, vedendola appoggiata sullo stipite, in attesa.
“Dovrei cambiare colore, quindi?”, fece la spiritosa Clelia, quasi a prenderla in giro. Si andò a sedere di fianco ad Ash, molto lentamente, e alla fine la guardò.
“Come se avessi bisogno di conferme”, si difese la bionda, sentendola ridacchiare. La nota positiva di Clelia era che, sebbene fosse amata da tutti, rimaneva la solita ragazza semplice e simpatica.
“Che ama fare il suo lavoro di agente senza ragazzi che le sbavano dietro. Sì, sono io”, finì Clelia, scoppiando poi a ridere. “Scusa, non dovevo, ma è stato più forte di me”.
“Sì, ricordo ancora come funziona”, rispose Ash sorridendo alla vecchia compagna di scuola, ricordando i vecchi tempi, dopo che Dean si era diplomato.
“Tu eri fin troppo brava per non avere la tentazione di usarti, scusa!”, si scusò Clelia, ricordando i loro epici scherzi. “In più sei sangue del sangue di Jade, essendo sua cugina.
“Ricordi? ‘Sta arrivando, cazzo, sta arrivando!’. Tutti che scappando, credendo di salvarsi e poi, BUM… beccati!”.
“Ti credevano troppo buona per usare il tuo potere contro di loro”, rispose Ash, tornando a quei tempi.
Clelia era arrivata da lei fin troppo tardi per apprezzare sinceramente la sua compagnia. Erano rimaste insieme per un anno e mezzo, certo, ma dopo la lunga amicizia con Dean e gli anni passati da sola sotto le ingiustizie degli altri non si fidava ancora così tanto di lei.
Era una compagna di scherzi e anche di studi, ma nulla più.
“E mi dispiace, lo sai”, disse poi Ash, vedendo la ragazza intristirsi.
“So chi sei e so anche che fidarti degli altri non è il tuo forte. Va bene così. Solo… torna più spesso, ok? Mi sei mancata”, le rispose Clelia, con il suo solito sorriso.
“Sai che non mi piace tornare qui”, commentò la bionda, toccandosi la testa. “Tu sai sempre tutto”.
“Io non so sempre tutto. Nessuno di noi lo sa, nemmeno Dmitri ci riesce completamente”, la contraddisse Clelia.
“Il che è scioccante…”, commentò Ash.
 
Dei passi. Dei passi decisi e non spaventati come al solito le stavano venendo in contro.
Era seduta al suo solito posto in biblioteca, aspettando che la sedia davanti a li venisse occupata da Dean come tutti i pomeriggi. Ma come al solito sarebbe rimasta vuota.
Erano ormai tre anni che nessuno si sedeva di fianco a lei.
Stavolta però, quei passi si facevano sempre più vicini e non sembravano voler rallentare. In men che non si dica, la sedia si mosse e qualcuno la occupò.
Ma non era Dean.
Era una ragazza dai capelli lunghi, scuri e ricciolini, con la pelle abbronzata, occhi dannatamente scuri e un po’ di lentiggini.
Chi era?
“Clelia Dawson, piacere”, rispose quasi alla sua domanda mentale, sorridendole felice. “E sono qui per farti una domanda”.
Ash rimase un po’ interdetta, ma preferì non dire nulla. Non ce la faceva più a stare da sola, aveva bisogno di qualcuno e quello era il primo essere vivente dotato di intelligenza che le si avvicinava da tre anni. “Certamente”.
“Ti piace fare scherzi?”, chiese la ragazza mora, Clelia a quanto pareva.
La bionda ci pensò un attimo. Si ricordò delle sue marachelle a casa sua o con sua cugina prima che… bè, prima che fu spedita in quella scuola. Oppure di tutti i pomeriggi passati a scherzare con Dean.
Sì, adorava fare scherzi.
“Ovvio. Perché?”, chiese Ash, sorridendole.
“Perché la tua reputazione di regina degli scherzi con l’ormai diplomato Dean Scott qualche volta ritorna alla mente di questi stupidi studenti nullafacenti che preferiscono vederti come un vegetale”, commentò Clelia, scuotendo la testa. “Una massa di dementi, fai bene a non farci caso”.
“Che intendi dire? Che vuoi da me?”, continuò a domandare Ash.
“Io e il mio ragazzo, Dmitri, stiamo organizzando un bello scherzetto: domani notte, ai ragazzi dell’ultimo anno. Ci sono i ragazzi che ti danno fastidio tra quelli, no?”, chiese Clelia, aspettando una risposta da parte della ragazzina. Ash annuì. “Bene, allora dovresti proprio aggregarti a noi”.
“E se qualcosa va storto?”, domandò Ash.
“Niente può andare storto, fidati di me”, ridacchiò Clelia. “Insomma, tu sei una maga degli scherzi e hai in squadra una leggi-mente e un veggente…. Sii onorata!”.
“Wow… no, aspetta!”, capì Ash. “Tu leggi nel pensiero?”.
“Bè, diciamo che sono felice di essere il primo essere vivente dotato di intelligenza che ti si è avvicinato da tre anni a questa parte”, le fece l’occhiolino, ridendo, Clelia. “Fatti trovare, così sistemiamo bene i dettagli. Buona giornata”.
E se ne andò.
 
“Sono stata un po’ troppo dura quella volta?”, chiese Clelia, notando il pensiero che vorticava nella mente di Ash.
“No, sei stata perfetta”, sorrise la bionda.
Clelia aveva fatto bene, alla fine. Se non fosse arrivata, Ash avrebbe continuato a starsene da sola fino al diploma e decisamente non ne aveva la minima voglia. 
“Saresti diventata una mummia a startene sempre lì seduta da sola”, le rispose Clelia.
“Già”, concluse Ash, guardando fuori dalla finestra. Ad un tratto si accorse che, per quanto fosse lì da qualche giorno, mai era andata fuori dall’Esis.
L’unico contatto con la sua cittadina era avvenuto la primissima volta che era tornata: alla stazione, con Sorrow e Edmund.
“E non ti sembra assurdo?”, chiese Clelia, riguardando come sempre nei suoi pensieri.
“No”, rispose solamente Ash. “Ogni cosa, lì fuori, mi riporta alla mente qualcosa che dovrei dimenticare per sempre… mi manderebbe solo fuori di testa vivere là fuori”.
“Mentre stare rinchiusa qui ha il suo senso?”, domandò di nuovo.
“Non ci resterò per molto, Clelia”.
“Non puoi scappare da quello che sei, Ash!”, la rimproverò Clelia, alzandosi in piedi e guardandola male, facendola sentire tremendamente in colpa. “Dean, quando ha capito chi fossi, ti ha rinchiusa in una stanza? No, con lui sei diventata la regina degli scherzi per tutta al scuola! Oppure ti ha fatto scappare via? No, ha fatto mangiare la polvere agli idioti che ti stavano appresso!
“Non avrebbe mai voluto vederti andare via. Io non ho mai voluto vederti partire e non tornare più! Non puoi mollare il tuo mondo perché quello stronzo ti ha rovinato… gliela daresti vinta più di quanto non abbia già fatto”.
“Clelia… tu non capisci…”, provò a difendersi Ash, ma in fondo sapeva benissimo che aveva ragione. E appena lo pensò, la rossa fece una risata isterica.
“Non capisco ma ho ragione”, commentò infatti.
“Io devo tornare a casa. In California. Nel mondo che preferisco”, rincarò la dose la bionda, facendole capire quanto detestasse tornare lì.
“Ma rimane un mondo a cui non appartieni e a cui non apparterrai mai, Ash”, concluse Clelia. “Capisco il tuo punto di vista: hai trovato un rifugio. Ma qui la battaglia è ancora aperta e se tu non resti con noi, non ci guidi… moriremo tutti mentre tu te ne starai a prendere il sole su una spiaggia californiana”.
“Lui vuole me… non vi toccherà mai, lo sai”, ribatté Ash.
“Oh, certo. Prova a chiederlo a Dean”, le rinfacciò Clelia, mentre Ash sgranava gli occhi. Che avevano fatto a Dean?! “Non lo sai? Quando tu te ne andasti in California, Lui tornò a cercarti per qualche mese. Prese le persone che i suoi scagnozzi consideravano alleati e li torturò. Dean non era nell’Esis, Dean non aveva copertura, Dean è stato catturato e torturato… Dean è uscito di testa”.
“Dov’è?”, scattò in piedi Ash, preoccupata fino al midollo. Era il suo migliore amico, suo fratello… non potevano avergli fatto del male! Non a lui!
“Lo sai già”, le rispose Clelia, facendole intendere il peggio. Non era possibile…
 
Quell’edificio le aveva sempre messo paura, fin da quando era una bambina. In quel posto avevano ricoverato lei, tentando disperatamente di rimetterle in sesto il cuore, senza poi alcun successo. In quel posto avevano ricoverato proprio Ash, dopo di danno di quello stesso attacco.
In quel posto lei aveva passato settimane, se non mesi, provando a ricomporre tutti i ricordi che aveva per dare delle prove agli agenti.
Odiava quell’edificio come non aveva mai fatto.
Ed ora era toccato a Dean entrarci. Per colpa sua. E chissà per quanto tempo ci sarebbe dovuto rimanere.
Stava male solo a pensiero.
“Io ho fatto il danno, io rimedio”, si disse da sola, prendendo il respiro ed entrando nella struttura che, nel mondo Incompleto, molti avrebbero definito “ospedale”.
Era come se lo ricordava. Non era cambiato nulla.
In quella che molti definivano entrata c’era sempre la grande aula centrale, nella quale solitamente i pazienti venivano portati per rilassarsi o per passeggiare lungo il piccolo giardinetto al centro.
Era come un immenso cortile a porte chiuse e vedeva le persone sorridere, chiacchierare o semplicemente riposare.
Per quanto ricordasse, quella struttura aveva una pianta centrale. Si entrava da un largo corridoio che si apriva subito su quella sala, che occupava tutto il centro dell’edificio. Poi, a cerchi concentrici sui lati, si trovavano le camere dei pazienti disposte in ordine di gravità (il cerchio più vicino alla sala grande era quello con rischi minori e si andava sempre più esternamente con quelli peggiori).
In un altro edificio, poi, praticamente attaccato a questo, c’erano le sale operatorie, di controllo, o anche d’incontro (con, per esempio, psichiatri e psicologi). Questo aveva base rettangolare ed era disposto su tre piani, che alla fine rispettavano le sale in cui dovevano accedere i pazienti.
Ash era passata solamente al terzo piano, ovvero le sale d’incontro, anche se ci era stata così tante volte che le bastava così. 
Rabbrividì al pensiero e tornò al presente, guardando alcuni pazienti voltarsi dalla sua parte, curiosi della nuova arrivata.
Davanti a lei, sorridente e dall’aspetto giovanile, arrivò una donna vestita con un camice bianco.
Wow… non si era mai accorta di quanto le due realtà in cui viveva fossero così simili, in fondo.
“Oh… la signorina Connor, non è vero?”, le domandò, sempre con il sorriso stampato in faccia. Ash annuì, senza dire una parola. “Ricordo ancora quando eravate una bambina… come mai qui?”.
“Non sono venuta per restare. Dovrei fare visita ad un paziente; è possibile?”, chiese la biondina, senza sorridere. Sapeva di dover conoscere quella donna, ma la sua mente l’aveva cancellata dai ricordi.
“Ma certamente. Chi dovreste visitare?”, chiese gentilmente la donna, sempre raggiante.
“Dean Scott”, ammise.
E a quel punto il sorriso della donna cessò di esistere.
“Mi spiace, ma non è possibile accedere alla sua stanza, e il signor Scott non può uscire”, la informò.
“Che peccato… vorrà dire che sei Lui tornerà vi difenderete da soli”, la minacciò Ash, sorridendo fintamente. La donna deglutì e provò a pensare ad una soluzione. “Ora: sappiamo entrambe che succederà, quindi lei dà una mano a me e io darò una mano a voi.
“Fatemi entrare in quella stanza, fatemi parlare con Dean Scott, e avrete il vostro aiuto appena davvero ne avrete bisogno”.
“Il signor Scott è imprevedibile: potrebbe farle del male, signorina Connor”, le spiegò la donna.
“E’ il mio migliore amico. Mi riconoscerebbe anche in fin di vita”, le rispose Ash. “Non mi toccherà”.
L’ infermiera, se così si poteva chiamare, parve pensarci a lungo, ma alla fine annuì leggermente con la testa, arrendendosi. Ash sorrise e cominciò a seguirla oltre la sala di ‘riposo’, per addentrarsi nei vari cerchi.
Più si spostavano verso l’esterno della struttura più Ash si sentiva in colpa. Non riusciva a camminare sapendo che avrebbe potuto trovarlo nell’ultimo girone, ovvero dei pazienti terminali.
“Manca ancora molto?”, chiese quando sorpassarono la metà.
“Un po’”, rispose la donna, andando avanti a camminare.
L’ansia continuava a crescere, senza mai una certezza o una speranza che la frenasse un poco.
Dean, dove sei?, pensò Ash, quando mancavano solo tre gironi. Si stava sentendo davvero male, ma quando arrivarono a metà del penultimo, la donna si fermò.
Ash ringraziò il cielo: se stava lì voleva dire che era gravissimo, ma almeno non era in fin di vita.
“Eccoci qui”, la avvisò la donna, fermandosi davanti ad una porta fin troppo bianca. Ash non disse una parola e la lasciò tornare verso la sala, al centro dell’edificio.
Tocca a me, pensò guardando la maniglia. Dall’altra parte di questo muro c’è Dean… in condizioni orribili per colpa mia. E’ il mio turno.
La prese in mano e la spinse verso il basso, aprendo la porta.
 
“Jared?”, chiese Vicki, non trovandolo più da nessuna parte. Dove poteva mai essere andato a finire?! “Jared? Jared, dove sei?”.
A volte quell’uom… ragazzino era peggio di Devon! Le sembrava di vivere in mezzo a dei poppanti eterni al posto che gente di quarant’anni, escluso il suo bellissimo marito.
“BU!”, la spaventò quel deficiente del cantante, sbucando all’improvviso e facendola saltare di qualche centimetro.
“Ma vedi che sei un coglione, allora!”, lo insultò la ragazza mentre lui si teneva il petto da quanto rideva.
“Oh donna, non hai idea dell’espressione che hai fatto!”, la prese in giro Jared, continuando a ridere senza ritengo. “Meravigliosa!”.
“Vedi di andartene a fanculo, Jared!”, continuò lei, picchiandolo con un leggero pugno sulla spalla magra. “Mi hai fatto prendere un colpo! Dove eri finito, idiota?”.
“A fare due passi. Perché? È vietato?”, domandò lui.
“No, scemo”, ridacchiò lei. “Solo, magari, avvisa la prossima volta, ok? Così evito di morire giovane”.
“Sì, senti… vai a fare un giro fuori dal Lab, eh! Tomo sta facendo la doccia, magari faresti meglio a raggiungerlo”, la cacciò lui, parlando maliziosamente.
“Sei sempre il solito porco!”, rispose Vicki, ridendo e accettando volentieri di andarsene.
“No, sono il brav’uomo che vi ricorda i vostri doveri coniugali”, si difese lui, mentre lei scoppiava a ridere di nuovo e se ne andava, lasciandolo solo.
Sorride e andò nelle sale di registrazione, prese Artemis, si sedette sul divano più comodo e cominciò a strimpellare qualcosa.
Oh, la sua Artemis… quanto poteva amare quella chitarra? Erano anni che suonava solo con lei o Pythagoras e ormai erano abbastanza rovinate… ma erano come le sue piccole e le adorava.
Fece qualche accordo, dai suoni un po’ dark, e provò ad andare avanti. Gli piaceva quella melodia e  nella sua testa comparvero parole che già aveva detto… mentre tentava di portare avanti quella vecchia canzone incasinata che stava scrivendo, in presenza di Ash Connor.
 
She don’t really know what he wants from her.
Eyes that laugh agaist the Hell.
 
Cosa gli nascondeva ancora?
“Bro, continua che era bella!”, lo esortò Shannon, entrando all’improvviso nella stanza. “Fammi indovinare a chi è ispirata. Mmm… Ash Connor?”.
“Oddio! Guarda che non esiste al mondo solo quella ragazza, Shan! Devi smetterla”, mentì Jared, domandandosi invece perché davvero Ash non riusciva a staccarsi dalla sua mente.
D’altro canto Shannon era felice di vederlo scherzare con lui: quando gli aveva detto di Emma si era un po’ scazzato, ma alla fine era andato tutto bene.
Shan sperò che finisse bene anche fra lui e la diretta interessata; ma questa è un’altra storia.
“Oh sul serio? Allora non ti interesserà sapere che è sparita di nuovo”, la buttò giù facile il batterista, mentre Jared fermava le mani dalla chitarra. Sgranò gli occhi e Shannon scoppiò a ridere. “Sì, hai sentito bene, signor ‘non esiste al mondo solo quella ragazza’. Tomo dice che è sparita un’altra volta: stavolta hanno detto che è malata”.
“Non ci credo nemmeno se lo vedo”, commentò Jared. “Oh signore, non capirò mai niente di Ash Connor!”. Posò la chitarra al suo fianco e si poggiò i gomiti sulle ginocchia, unendo le mani.
“Calmati fratello, prima o poi capiremo che succede”, lo rassicurò Shannon, sedendosi vicino e lui e sorridendogli.
Jared si voltò, sentendosi osservato. E in effetto Shannon lo guardava strano, troppo strano.
“Che vuoi?”, chiese il cantante.
“Sembri innamorato pazzo, lo sai?”, lo prese in giro, scoppiando a ridere. “Insomma, sei tutto preoccupato e in crisi esistenziale solo per lei…”.
“Oh, ma finiscila!”, lo fece smettere Jared, spingendolo via. “E’ solamente che odio non capire cosa succede attorno a me”.
“Sì, lo so, lo so”, intese il batterista. “In effetti è tutto così assurdo…”.
“Già. Insomma, in questo momento magari sta ridendo di noi, poveri sfigati, perché non capiremo mai nulla”, ridacchiò Jared, pensando a dove potesse essere Ash Connor a quell’ora.
“Esattamente in questo momento, sì…”, commentò Shannon, senza pensare.
 
“Sei un fantasma?”, sentì un’antica voce amica provenire dall’interno della stanza incolore. “Ti sento, ma sei lento e, per ora, ancora invisibile…”.
Oh Dean.
Ash si mosse più velocemente in avanti, vedendo comparire alla sua vista il letto dove stava il ragazzo, o meglio fratello, che l’aveva sempre salvata.
Andava, seppur più veloce, con una lentezza disarmante e pian piano scorgeva qualche particolare in più. Camminava in avanti e, avvicinandosi, notava la figura di Dean diventare completa.
Alla fine si mostrò in tutto e per tutto ed il ragazzo, ormai uomo, provò a sedersi per riuscire a vederla meglio. Ash scorgeva nei suoi occhi solo felicità, mista a curiosità ed incredulità.
I capelli di Ash diventarono bicolori in pochi istanti: alcune ciocche cominciarono a colorarsi di verde e rosso. Aveva paura, come al solito in queste situazioni, ma si sentiva tanto amata e tanto a suo agio con Dean.
“Non sederti, ti farai male”, commentò lei, spezzando il silenzio che era venutosi a creare. Lui annuì, piano, appoggiando solo i gomiti sul materasso (ovviamente bianco).
“Sei un fantasma?”, ripeté ancora, stavolta più serio. “Oppure sono morto io?”.
“Non sei morto, Dean. Io non sono un fantasma: sono Ash… Ash Connor”, spiegò lei andando vicino a lui, di fianco al letto, per vederlo meglio.
E solo in quel momento notò il suo volto: i capelli erano quasi completamente rasanti, gli occhi spenti e di uno strano, pauroso e innaturale color vinaccia intorno alla pupilla, pelle pallida e quasi trasparente. Era dimagrito, parecchio, ma il suo sorriso era rimasto lo stesso, sebbene una delle due labbra era diversa da come la ricordava; forse gliel’avevano rotta nel modo peggiore che Ash potesse immaginare.
“Sei tornata?”, chiese subito, pauroso e tremante. Poi mosse le mani, quasi nel tentativo di avvicinarsi ad Ash, ma non riusciva bene a muoverle per il movimento a scatti che gli provocavano i brividi.
Quelle dita che l’avevano sempre accarezzata in modo così fraterno e l’avevano sempre consolata, ora erano magrissime, con le ossa sporgenti e le vene azzurrine, visto il pallore cutaneo che gli avvolgeva le vene.
Ash gli prese la mano velocemente e si rese conto di quanto fosse fredda. Così provò a scaldarla, tenendola tra le sue, anche se Dean rimase un po’ scioccato del gesto.
“Non rimarrò qui a lungo, ma non credere che gli permetterò di nuovo di farti passare ancora momenti come quelli, Dean”, rispose lei, vedendo il sorriso appena accennato del suo amico diventare un po’ di malinconico. “Ovviamente tornerò a trovarti, te lo prometto”.
“Nessuno osa toccarmi, parlarmi e men che meno venirmi a trovare da quel giorno… sono diventato un perfetto asociale!”, piagnucolò Dean, senza alcuna ragione.
“Ti hanno resto autistico”, commentò la ragazza, ricordandosi di Josh, un bambino più o meno nelle sue stesse condizioni che aveva dovuto accudire per un anno all’asilo. Dean sembrò non capire e lei spiegò. “Ci sono dei bambini Incompleti che vengono definiti autistici: non vogliono farsi toccare da nessuno, a meno che non sia una persona di altissima fiducia, e se qualcuno prova ad avvicinarsi troppo non rispondono di loro. Non sanno esprimere nel modo migliore le loro stesse emozioni, sono difficili da gestire e tendono ad essere parecchio asociali…”.
“Come me…”, concluse lui, al posto della bionda, con uno sguardo triste.
“Ma questo non li ferma dal provare a vivere una vita come quella di tutti gli altri, Dean”, rispose lei, stringendogli più la mano per fargli coraggio. “Puoi riuscirci anche tu”.
“Puoi aiutarmi solo tu, Ash… ma tu te ne sei andata e te ne andrai di nuovo”, pianse di nuovo, provando a togliere la mano da quella dell’amica. Lei lo lasciò fare e lui si voltò di lato con tutto il suo corpo, isolandosi.
“Io tornerò… e tornerò solo per te, Dean!”, sorrise lei, toccandogli la spalla che vedeva. Era davvero magro.
“Sul serio?”, chiese lui, quasi tentato di guardarla ancora. Sentiva la sua mano calda ed era come tornare di nuovo al sicuro dopo tanto, troppo, tempo.
Ash lo capiva: si era sentita nello stesso modo quando l’aveva abbracciata lui, molti anni prima, la prima volta che l’aveva difesa, dopo quello che le era capitato.
“Ho solo bisogno di tornare a casa, Dean. Nella mia vera casa, in California, dai miei bambini”, sorrise lei, mentre lui pian piano tornava a guardarla.
“Bambini? Sono diventato zio acquisito di qualcuno?”, sorrise lui, mentre Ash diventava viola in volto. Stavolta non furono i capelli a cambiare.
“No, ma che dici! Lavoro in un asilo”, sorrise e lui ridacchiò scusandosi. “E’ che… ho bisogno di rivederli, di sentirmi normale, capisci? Vivere come le persone Incomplete, tranquillamente. Poi tornerò certamente a trovarti. Verrò ogni volta che mi trascineranno di nuovo qui, te lo prometto… ma ora devo andare”.
“Ti piace proprio stare lì, vero?”, commentò il suo amico, guardandola di nuovo con quegli occhi sofferenti. Ash annuì, sorridendogli. Come al solito lui la capiva. “Bè, allora sono felice di non avergli mai rivelato nulla”.
BUM! Colpo basso, Dean.
Ash si sentì ancora più in colpa.
“Che ti hanno fatto?”, chiese infatti con piccole lacrime e singhiozzi nascosti ancora per poco dalla sua poca forza di volontà.
Lui le sorrise e cercò di consolarla, come al solito. “Non devi sentirti male per me,  piccola sorellina”, la chiamò come facevano a scuola. “Per ora non voglio dirti nulla di quello che ho passato in quei giorni; per te soprattutto. Ma sappi solo che sono fiero di averti difesa come sempre, di averti salvata e fatta diventare la ragazza che ho davanti… sei diventata ancora più bella, sai?”.
Oddio, adesso ricomincia, sorrise lei.
“Smettila”, ridacchiò Ash, spostandolo con una leggera sberla simpatica. Lui scoppiò a ridere con lei. “Mi difendi dal primo momento in cui mi hai incrociata… non ti sei stufato?”.
 “E tu non ti sei stufata di presentarti da me appena ho bisogno di te?”, le disse facendole capire che non avrebbe mai smesso di difenderla. Poi si fece più serio. “E so che tornerai ancora… ma per adesso devi andare a casa, Ash”.
I capelli di Ash cominciarono a diventare scuri, a diventare neri, e ovviamente Dean sapeva cosa stavano a significare.
“No, Ash… va tutto bene”, cercò di dire.
“No, non va tutto bene, ok? Ti ho abbandonato e Dio solo sa che ti hanno fatto”, lo fermò lei. “Ora stai bene, certo, ti vedo. Ma è solo colpa mia, ok?”.
“Smettila, Ash. E’ colpa sua, che deve sempre distruggere qualsiasi cosa”, le sorrise Dean, notando che il biondo tornava in maggioranza in quei lunghi capelli. Annuì e la spinse via. “Torna a casa, piccola idiota”.
“Ciao, grande idiota”, rispose lei, sorridendo al solito modo in cui si chiamavano anni prima.
Uscì dalla stanza e provò a fare quello che non le era mai riuscito. Chiuse gli occhi e si impegnò, mettendoci dentro tutta l’emozione che stava provando.
Si sentì tagliare da mille foglietti di carta, portare via da un turbine troppo forte e spingere ovunque, ma alla fine riuscì  a farcela, sebbene si trovò con una slogatura ad una caviglia.
“Merda”, commentò cominciando a zoppicare verso la sua camera, camminando nei corridoi dell’ Esis.
“Dove credi di andare”, si materializzò Edmund davanti a lei, fermandole la corsa. O ma che due coglioni!, imprecò nella sua mente.
“A casa. Evitami la fatica, ti prego, Edmund, non ne ho proprio voglia”, disse Ash, continuando a zoppicare senza degnarlo di uno sguardo. Lo sorpassò con una spallata e lo lasciò da solo. “Sorrow ha scritto ciò che doveva e io ho bisogno di tornare a casa mia”.
“Non puoi farlo!”, provò a fermarla di nuovo.
Si vede la differenza tra e il mio migliore amico, sai Edmund? E non mi piace, pensò la ragazza.
Ash arrivò alla sua stanza e si voltò di scatto verso di lui. “E chi me lo impedisce?”, lo guardò cattiva, entrando poi nella sua stanza e sbattendogli la porta in faccia.
Dio, che fastidio che era diventato! Come aveva potuto passare anni della sua vita con un ragazzo del genere?! Bah…
Si voltò verso la stanza e cominciò a sistemare le sue cose per il ritorno a casa, tentando anche di sistemarsi la sua povera caviglia.
California, sto tornando!, pensò felice, sorridendo a se stessa.
 
La biblioteca aveva sempre avuto quello scomparto segreto in cui nessuno, se non i migliori agenti, aveva il permesso di accedervi. Ash Connor, infatti, non ci aveva mai messo piede ed era esattamente per quello che aveva così tante domande per la testa.
Ma lei ormai lavorava lì da così tanto tempo ed era così  brava che da qualche mese le avevano dato le chiavi per quei libri troppo interessanti.
Zoe aveva con sé una piccola lampada ad olio in mano e leggeva ad uno ad uno tutti i titoli dei tomi che si ritrovava davanti.
Ad un tratto lo vide: ‘Leggende e verità della nostra storia – ultimo secolo’.
Perfetto.
Lo spostò dallo scaffale impolverato e lo prese in mano, pulendolo dalla polvere che aveva addosso. Si guardò intorno e andò a sedersi in uno dei tavoli da lettura lì vicini, per poi appoggiarvi sopra la lampada e farsi ancora più luce.
Aprì il libro e andò a cercare la verità. Sapeva già cosa cercare, le mancava solo la certezza che i suoi pensieri fossero realtà.
Sfogliò il libro diverse volte, ma alla fine le capitò la pagina giusta tra le mani.
Trovato.
 
Bloody Knife, la leggenda incarnata della scuola… Leto.
Era davvero Lui.
Lui era un Leto.



...
Note dell'Autrice:
e ora?!?! Ehehe, lo scoprirete solo vivendo.
Comunque stavolta i Mars sono stati poco presente, lo so, ma avranno il loro tempo. Clelia tornerà anche lei e Edmund... è un coglione, punto.
Dean.... eh Dean è Dean, che ci volete fare! ahahah

Spero vi sia piaciuto questo capitolo *recensiteeeeeeeee :D*
Un forte abbraccio da Ronnie che deve studiare.

Alla prossima, Echelon!

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Capitolo 10
*** Who I really am? ***


Echelon, scusatemi il ritardo davvero, ma tra Up In The Air (so much love per quella canzone *_*) e  la scuola ho avuto la testa occupata! ahahah
Bè... ora avete questo capitolo, anche un pò lunghetto, tanto per farmi perdonare :D
Buona lettura, ci vediamo in basso ;)




Chapter 10. Who I really am?





 
 
“O madre santissima!”, disse Jared disperato, appena Devon aprì bocca. Aveva urlato solo perché il cantante l’aveva preso in braccio e ci mancava poco che svegliasse il vicinato, che poi non esisteva.
Inutile nasconderlo: Devon lo odiava intensamente per chissà quale motivo illogico.
“Devon, fa’ il bravo, su. E’ solamente Jared… lo zio Jared!”, cantilenò Tomo facendo delle facce buffe al bambino. Devon smise un attimo di lamentarsi e guardò il padre, come se capisse davvero cosa volesse da lui.
Poi fissò Jared con i suoi occhioni scuri e storse le labbra. Sembrava che non fosse convinto di quello che Tomo gli stava dicendo e infatti suo padre scoppiò a ridere. Poi però poggiò una manina sulla guancia del cantante, e alla fine indicò i suoi occhi azzurri.
“Pace?”, chiese Jared, annuendo, come se Devon gli avesse fatto una domanda. Tomo intanto guardava suo figlio, fiero come sempre.
Devon sorrise, come ad accettare il patto e tutte le sue condizioni, come ad esempio non vomitargli più in faccia od urlare appena lo prendeva in braccio.
“Alleluia al Signore, finalmente anche voi due la finirete di litigare!”, esultò Tomo prendendo dal divano il piccolo zainetto di Devon, per poi porgerlo a Jared. “Bene, ora che siete best friend forever andate a quel maledetto asilo”.
“Prova a ridirlo e sei fuori dalla band”, lo minacciò Jared, scioccato dalla seconda frase del suo chitarrista. Tomo ridacchiò ma il cantante lo fermò. “No, seriamente non scherzo”.
“Oddio, Jared, ho capito!”, continuò a ridere Tomo, cacciandoli praticamente di casa, visto che tra un po’ sarebbe tornata Vicki e voleva farle una piccola festa. Era andato bene il lavoro, l’album stava terminando e loro avevano bisogno di pace.
Era il momento perfetto.
“Va bene, grande saggio, vado. Tieni da conto la tua bella!”, lo prese in giro Jared, andandosene via con Devon tra le braccia, ridendo.
Andò in macchina, sistemando bene il bambino, e partì verso l’asilo, con davvero poca voglia. Ma era stato mandato in missione, se così possiamo chiamarla.
Il giorno prima Ash Connor era ritornata di nuovo al lavoro e quindi a Jared toccava il compito di farsi dire il più possibile da quella ragazza. Sarebbe stato difficile ma sperava di farcela.
“Non puoi parlarci tu?”, chiese al bambino, come se potesse rispondergli. “Voglio dire, lei ti adora e sono certo che tu sappia molte più cose di noi… mannagia a te!”.
Devon continuò a giocare, tutto allegro, con i giochi sulla macchina dello zio acquisito, senza destargli minimamente attenzione.
Bah, non l’avrebbe mai capito quel bambino. Era come se venisse da un altro mondo, tutto suo.
Sorrise e continuò a guidare, guardando le macchine passare, i cartelli tutti disegnati da qualche ragazzo che non aveva avuto niente da fare, i murales in giro per la città. Los Angeles era particolare anche per quello e lui l’adorava.
Devon mugugnò qualcosa, ridacchiando, e Jared si voltò per qualche secondo. Lo vide giocare, al sicuro, e tornò a stare attento alla strada. I borbottii di Devon l’avevano sempre preoccupato quando era da solo con lui, perché non sapeva bene cosa volessero dire, ma forse si stava solo divertendo con i suoi giochi.
Arrivati all’asilo, svoltò nel parcheggio e sistemò la macchina vicino all’entrata. Spense il motore e tolse le mani dal volante, per poi voltarsi e guardare Devon, che aveva smesso di giocare e guardava fuori.
“Come…?”, chiese retoricamente il cantante. Era come se il bambino avesse capito che erano arrivati e che era ora di scendere dalla macchina.
‘Ripeto: io questo bambino non lo capirò mai’, si disse ancora mentalmente.
Scuotendo la testa, uscì dalla macchina e andò a prendere il bambino in braccio, togliendolo dai suoi giochi. Devon, al contrario di urlare come al solito, gli sorrise e ridacchiò, guardandolo dolce.
Non era da lui, almeno non da lui quando era da solo con Jared.
“Tu sei davvero strano, non smetterò mai di dirtelo”, lo prese in giro il cantante, rispondendo al suo sorriso. “Andiamo, forza. Siamo in missione, piccolo soldato”.
Sistemò meglio il cappellino leggero di Devon e cominciò a camminare verso l’entrata dell’asilo, tenendolo il braccio.
Anche l’asilo era diverso: non c’era più quell’ansia che aveva caratterizzato la scomparsa di Ash Connor, la prima volta. Tutto era tranquillo e illuminato dal sole, anche se non c’erano bambini a giocare fuori.
Era uno di quei pochissimi anni in cui già a Settembre fa un po’ freddo e non era il caso di lasciare dei bimbi a giocare in giardino. Forse ci sarebbe stata anche la neve a Natale, se continuava così.
“Eccoci arrivati, campione pazzo”, disse aprendo la porta d’ingresso e entrando nell’edificio, che era pieno di giochi sparsi in giro, forse perché erano appena tornati tutti in classe.
La segretaria non era al solito posto, ma stava sistemando il grande salone riempito di giocattoli. Jared tossì, per farsi notare, e la donna si girò all’istante.
“Oh, buongiorno!”, disse arrivando verso di loro con passo veloce, sorridente. “Scusate il trambusto”.
“Si figuri, è pur sempre un asilo”, fece il gentile Jared, mentre Devon si allungava tra le braccia dello zio acquisito per avvicinarsi ai giocattoli.
“Devon! Come sta il nostro ometto, eh?”, chiese la donna, facendogli segno di passargli il bambino. Jared obbedì e si liberò del peso, sorridente. La donna prese Devon e gli passò un gioco che aveva in mano. “Ash sarà felice di vederti!”.
“A proposito, i Milicevic mi hanno chiesto se posso parlare con lei”, cominciò Jared.
“Qualche problema con Ash?”, chiese scioccata la segretaria.
“No, anzi… ma vorrei poterne discutere solo con lei”, si difese il cantante, mentre quella annuiva, sempre allegra, e gli fece segno di seguirla verso la classe in cui Ash stava insegnando.
Jared la seguì guardò anche Devon tra le sue braccia, tutto contento e sorridente che giocava. Sorrise e arrivati davanti alla classe si fermò, sotto ordine della donna. Lei, invece, entrò con il bimbo, e andò a chiamare la bionda.
Il cantante rimase lì ad aspettare, ma non ci volle molto prima che anche Ash Connor uscì dalla porta.
“Buongiorno signor Leto. Ha bisogno di me?”, chiese, dandogli ancora del lei.
“Dopo una cena ancora mi dai del lei?”, domandò lui in risposta, scherzando, mentre Ash alzò gli occhi al cielo.
“Buongiorno Jared. Hai bisogno di me?”, ripeté la domanda, ridendo, mentre lui fece un’espressione scocciata.
“Oh che cambiamento!”, commentò.
“Ovviamente. Devo ripetere o mi rispondi?”, si stufò Ash, guardandolo ironica. Non era arrabbiata, aveva ancora i capelli del solito biondo mechato di blu.
“Ok, va bene. Volevo sapere dov’eri finita in questi giorni”,  disse Jared, grattandosi la nuca, imbarazzato. Che missione idiota, si sentiva un ragazzino!
“Oh, be a casa. Non stavo molto bene, quindi…”, si giustificò la bionda, riprendendo la bugia che aveva usato Edmund per giustificare la sua futura assenza, prima di portarla all’Esis.
“Bè, lo capisco. Comunque Devon sarà molto felice di ritornare sotto il tuo controllo”, commentò il cantante, sorridendo.
“Ne sono certa”, rispose Ash, per poi mordersi un labbro, come se si dovesse decidere sul fare o no una domanda. “Posso… posso chiederti una cosa?”.
“Certamente, fa pure”, le permise.
“Hai mai avuto parenti alla lontana che abitavano lontano da qui? Zii, più che altro”, domandò lei, pensando ad una specifica persona, mentre Jared non capì molto.
“No… voglio dire da parte di mamma arriviamo da Bossier City, se lo vuoi sapere. Da parte di padre… be la questione tra i nostri padri è molto complicata. Consanguinei veri non credo di conoscerli neanche”, disse Jared imbarazzato. La sua situazione famigliare non era certo un modello esemplare e in più non si aspettava una domanda del genere.
“Oh… va bene, grazie comunque”, sorrise lei, senza essere davvero felice.
“Davvero sei stata malata, Ash?”, ritornò alla carica lui, desideroso di capire cosa davvero nascondesse quella ragazza.
“Credi che io menta?”, rispose lei, con un’altra domanda. “Piuttosto, Jared… raccontami di te. Non conosco il tuo passato”.
“Nemmeno io il tuo, ma sono certo che non me lo diresti mai”, la sfidò lui.
“Mettimi alla prova”, accettò lei.
“Una volta mi hai detto che ti sei trasferita a Los Angeles perché non ti trovavi a tuo agio a casa tua”, commentò Jared, mentre Ash si faceva curiosa. “Ma dov’è davvero casa tua?”.
“Vengo da… da… da un paesino abbastanza sconosciuto del… Montana”, sparò a caso, non sapendo cosa dire. I capelli cominciarono a diventare verdognoli: aveva paura di essere scoperta.
“Montana? Eppure la segretaria una volta aveva detto a Tomo che vieni dal North Carolina”, chiese Jared, sapendo di averla intrappolata. Vicki, tu sì che sei un genio, continuò, pensandolo.
“Sì… voglio dire sono nata nel North Carolina e mi sono trasferita varie volte. Prima di venire qui sono stata nel Montana”, riprese a parlare Ash.
Poi però, lasciando morire la domanda di Jared nella sua bocca, si voltò e chiamò la segretaria. “Scusami, ma ora dovrei tornare”, provò a salvarsi.
“Ma certo, ne riparleremo”, la lasciò andare, salutandola con una stretta di mano fin troppo professionale. Lei si voltò e scappò letteralmente in classe, mentre la donna che l’aveva accompagnato fino a lì uscì dalla stanza.
“E’ tutto sistemato?”, chiese la segretaria.
“Perfettamente… ci sarebbe solo una cosa che potrebbe fare per me, se non le dispiace”, fece il gentile Jared, guardandola sorridente.
“O-okay”, balbettò la donna.
Era andata. Se tutto procedeva secondo i piani di Vicki era fatta. Sarebbero riusciti ad intrappolarla nelle sue stesse bugie e farle dire la verità.
 
L’odore di sangue era ovunque nella stanza.
Faceva star male solo a metterci piede e loro, invece, dovevano pure stare lì a guardare. Dio, che orrore!
Il pavimento della stanza era ricoperto di quel liquido rossastro tendente al nero che dovrebbe rimanere all’interno del nostro corpo, al posto che sporcare una casa intera. Proveniva tutto dal corpo abbandonato addosso al muro, seduto per terra e rigido a causa della morte che l’aveva colpito.
Di fianco ad esso tante, tantissime impronte rosse di dita o mani che forse tentavano di scappare, di liberarsi, forse uccidere ma senza successo. Aveva lottato, era certo, ma non aveva vinto.
Il corpo era di una studentessa, come tutti quelli che erano morti a causa sua.
Lilian Wendy Anderson, diciotto anni, pelle d’avorio, capelli scuri, occhi color cioccolato e un sorriso stupendo: ecco come era ricordata da tutti.
Una vita stroncata sul nascere per essere usata come inchiostro. Ciò che aveva scritto con il sangue della Anderson era scritto su tutta la parete su cui la ragazza era poggiata; segno che di sangue ne aveva perso ancora di più di quello che già non fosse sul pavimento.
Scappi, scappi, ma tanto torni sempre, recitava il messaggio, misto al suo nome. Ash Connor: quel nominativo riempiva tutti gli spazi vuoti che il messaggio lasciava.
Edmund riguardò di nuovo le scritte, mentre il suo stomaco cercava di funzionare come al solito, ma invano.
Joel e Zoe provavano a cercare qualche altro indizio, stando attenti che non ci fosse più nessuno in quella casa.
Sorrow, invece, esaminò il cadavere, come al solito. Il volto era sfigurato, forse bruciato durante una tortura orribile, il collo presentava dei piccoli tagli che però non andavano mai a scontrarsi con l’arteria, che invece era stata completamente lacerata da un solco unico e maggiore.
Il corpo era coperto da vestiti leggeri, strappati in punti illogici, ma coprivano a malapena le altre aperture che le erano state inferte per raccogliere più sangue. Quasi tutte le vie di maggior scorrimento del liquido erano state aperte e il cuore era completamente fuori dalla gabbia toracica.
Guardò il viso e notò che sul collo, vicino all’attaccatura dei capelli, aveva il suo marchio. Quella a che spaventava il loro mondo da fin troppi anni…
Sorrow chiuse gli occhi per qualche secondo e poi coprì il buco con la camicetta che la ragazza indossava.
Riguardo allo scheletro, le aveva rotto due costole, la tibia sinistra, una spalla e qualche dito. Forse per punizione perché provava a liberarsi.
Non c’era mai stata compassione in quel mostro… nemmeno Sorrow era riuscita a rimanere forte e cinica davanti a quella visione.
Una diciottenne era morta così… per scrivere un messaggio di morte ad un’altra sua quasi coetanea. E per quando Sorrow potesse odiare Ash, non sopportava l’idea che quest’ultima venisse uccisa nello stesso modo.
L’aveva vista distrutta dopo quello che le era capitato, dopo tutti gli esperimenti, dopo tutte le sue esperienze. Non se lo meritava alla fine e lei l’avrebbe fermato.
Si alzò in piedi e ordinò agli agenti di portare via il corpo. Poi andò da Joel e Zoe, che erano in cucina ha discutere sul perché avesse scelto la Anderson e come avesse fatto a compiere l’omicidio. Chiese loro di liberare la casa e di portare via anche Edmund.
Una volta sola, Sorrow andò nella vecchia camera di Lilian e prese carta e penna. Lei era diversa, non sarebbe arrivata a usare il suo sangue per fare una cosa del genere.
Si fece coraggio e compose il messaggio di risposta, per poi lasciarlo sulla scrivania della ragazza.
Lui sarebbe tornato a vederlo, ne era certa.
“Ora torniamo a casa”, sussurrò, controllando ancora il messaggio e poi uscire da quella stanza pura, da quella sala insanguinata, e andarsene via da quella famiglia distrutta.
‘Non l’avrai mai. La proteggeremo sempre’.
 
“Mamma!”, esultò Jared, vedendo sua madre davanti alla sua porta di casa. “Oddio, ma che ci fai qui? Sono così felice di vederti!”.
“Oh tesoro”, sorrise la donna, fiera del suo bambino troppo cresciuto, ma sempre così caro. “Ho deciso di farvi una sorpresa! Dov’è quel pazzo di tuo fratello? Mi siete mancati tanto”.
“Anche tu, mamma. Aspetta… Shannon?! Shannon, muoviti, c’è mamma!”, urlò dentro casa, facendole cenno di seguirla. “Shannon! Ma ti svegli?!”.
Lei alzò gli occhi al cielo, vedendo suo figlio più piccolo dirle di sedersi sul divano della sala e attenderlo lì, mentre chiamava suo fratello. Era sempre stato così: Jared era costantemente su di giri, felice e spensierato quando stava con sua madre, mentre Shannon era più tranquillo, rimaneva sempre lo stesso.
Jared era sempre stato il mammone della famiglia: la cercava sempre, aveva bisogno del suo parere su ogni cosa facesse o dicesse e doveva starle vicino.
“Ora arriva… forse”, tornò Jared, salterellando per sedersi al suo fianco. “Staccarlo dalla batteria è impossibile a volte!”.
“Nuovo pezzo?”, chiese la donna.
“Sì, vuole finirlo finchè ha questa grandiosa idea… parole sue non mie”, spiegò il figlio, comportandosi come un ragazzino. Non aveva potuto esserlo alla giusta età, era bene che lo facesse ora, sebbene nei momenti opportuni.
“Immagino…”, commentò sorridente la donna. “Bè, come va la vita?”.
“Mmm… okay”, disse il cantante, pensando se dirle tutta la verità, una mezza verità oppure non dirle proprio niente.
“Va bene, questo indica chiaramente che qualcosa non va”, intuì Constance, mentre Jared sgranava gli occhi. “Oh, non fare quella faccia, tesoro. Sono tua madre, ti conosco meglio di qualsiasi altro… ti ho visto per prima, ti ho fatto il bagnetto per prima; ho ricevuto dei poteri da mamma grazie a queste esperienze”.
Constance la mise sul ridere ma evidentemente non era così divertente, perché Jared sorrise divertito, ma rimane un attimo serio.
“No, davvero tesoro, che succede?”, continuò la donna.
Ok, in fondo era sua madre, perché non diglielo? Ne aveva parlato con Vicki, Tomo e suo fratello… magari anche Constance forse l’avrebbe aiutato.
“C’è questa ragazza, mamma, Ash Connor… no, non pensare che sia la mia nuova fiamma. È solo una babysitter dell’asilo dove Tomo porta suo figlio, ha vent’anni credo, ma…”, cominciò il ragazzo.
“Ma?”, chiese curiosa sua mamma, evidentemente interessata alla faccenda.
“Ma è tutta andata!”, arrivò all’improvviso Shannon, in tutta la sua eleganza, completamente sudato fradicio, segno che aveva suonato seriamente per un bel po’, senza fermarsi.
“Shannon! Non si dicono certe cose sulle ragazze; cosa ti ho insegnato?”, lo riprese Constance, severa.
“No, davvero, mamma, quella è tutta matta. Voglio dire, o è un genio incompreso o ha il cervello non molto a posto. Tu non l’hai mai vista, ne sentita parlare”, continuò il batterista, mentre la donna lo spedì subito a farsi una sana doccia rinfrescante.
“Magari si pulisce anche il cervello ed evita di dire baggianate”, commentò, per poi tornare su Jared. “Cosa stavi dicendo, tesoro?”.
“Che Ash Connor sembra una ragazza come tutte le altre, ma… ma non lo è, mamma, e Shannon ha ragione, in parte”, spiegò lui, mentre Constance continuava a diventare sempre più curiosa. “Continua a sparire per giorni e giorni con scuse come le ferie o una malattia ma nessuno sa dove va o come sta. Se ne va senza preavviso, da un giorno all’altro… voglio dire, non è possibile che tu non avvisi prima se devi andare in ferie, no?
“Oppure dice cose assurde… come se venisse da un altro pianeta. Una volta aveva sussurrato che avrebbe preferito di gran lunga essere un vampiro piuttosto di quello che è, ovvero il niente… fa paura se ci pensi.
“Poi se ne esce con la storia che, in realtà, è dovuta tornarsene a casa, ma appena le chiedi di dove sia, ti risponde ogni volta con una versione diversa, come se stesse inventando tutto di sana pianta”.
“E quindi ti stai scervellando per capire quale mistero nasconda, non è così? Vuoi capire da dove arrivi questa ragazza?”, chiese Constance.
“Non solo quello… ma anche che cosa sia davvero. Accadono cose un po’ strane quando lei è nei paraggi”, aggiunse sottovoce, come se rivelasse un segreto a cui nemmeno lui credeva. “La prima volta che l’ho vista, ho notato che alcune ciocche dei suoi capelli avevano cambiato colore, dal blu tinto al violaceo. La seconda volta, invece, mentre eravamo a cena, ho visto sgorgare acqua dal suo bicchiere di vetro vuoto… insomma lei mi ha fatto credere che fosse un gioco di magia, ma…”.
“E se fosse davvero magia?”, disse la donna.
“Non esiste la vera magia, mamma”, rispose Jared, razionalmente.
“Allora perché stai impazzendo per capire cosa nasconda questa ragazza se tutto ciò che dici riporta ad una sola conclusione?”, gli domandò, mettendogli dubbi ovunque. “E’ una maga. Che sia vera o falsa, se così  vogliamo definirla, sta a te pensarci”.
“Mamma… non ci hai cresciuti con le favolette per bambine e non ho mai creduto in mondi o creature fantastiche. Perché dovrei cominciare ora?”, chiese Jared a sua madre, mentre gli sorrideva, come se già conoscesse la risposta.
“A volte, Jared, la verità non è mai come la conosciamo… voglio dire, anche ai tempi di Galileo l’universo e i suoi movimenti erano cose fantasiose, oppure con Edison, con la sua elettricità appena accennata”, spiegò Constance. “Noi non abbiamo mai visto certe cose, ma questo non implica che non esistano”.
“Mi stai dicendo che esiste un mondo… come quello delle favole?”, si stupì il cantante.
“Una volta tuo padre mi raccontò di casa sua: non ci eravamo mai stati insieme, ma diceva sempre che era un posto meraviglioso… incantato”, sorrise la donna. “Lui però era visto un po’ negativamente, perché era diverso da tutta la sua famiglia. Così decise di trasferirsi e, devo ammettere, fu una fortuna, perché così lo incontrai”.
“Mio padre biologico?”, domandò Jared.
“Carl Leto, tesoro. Per quanto fossi sposata, cedetti e cominciai a vedermi con lui, mentre mio marito andava via per lavoro. Sono abbastanza certa che mi tradisse anche lui, in fondo la scelta di sposarci era stata avventata…”, cominciò a raccontare sua madre. “Bè, non sto qui a raccontarti tutta la storia perché non basterebbe una vita intera, Jared. Solo che nacque Shannon, così io e mio marito ci lasciammo.
“Carl allora mi chiese di andare ad abitare con lui nella cittadina di Bossier City, dove aveva trovato lavoro, e così feci. Qualche anno dopo nascesti tu, io e Carl decidemmo di sposarci e così poté riconoscere anche Shan come figlio biologico”.
“Alla fine però morì”, commentò Jared, triste. Suo padre era stato, per quel che ricordava, una figura davvero importante nella sua vita. E quando scomparve, verso i suoi quattordici anni, se non sbagliava, ci stette male per molto tempo.
Anche Shannon si era affezionato molto a lui, infatti avevano deciso entrambi di appoggiare la scelta della madre sui loro cognomi. Leto era davvero il cognome che meritavano.
“Morì perché dovette tornare a casa”, commentò Constance. “Jared, io non so se le due storie, la mia e la tua, possano trattare dello stesso mondo, ma tuo padre era sempre perso tra le nuvole, immaginava spesso universi diversi, con creature fantastiche… credevo fosse solo fervida immaginazione, ma a questo punto non so a cosa pensare”.
“Nostro padre è parente di Ash?”, spuntò di nuovo Shannon, con i capelli bagnati, da dietro di loro. Evidentemente era riuscito ad ascoltare un bel pezzo della conversazione tra suo fratello e sua madre.
“Non ho detto questo… vorrei potervi dirvi posso chiederglielo, ma non credo sia possibile”, disse Constance, e Jared l’abbracciò. Ricordava bene il dolore della donna alla morte di Carl Leto e non voleva che stesse di nuovo male.
“Dovremmo parlarne con Vicki”, commentò il più grande, avvicinandosi ai due e dando un bacio sui capelli alla madre.
“Già, dovremmo”, commentò Jared, pensandoci su.
Davvero poteva essere figlio di uno di loro? Ma sul serio poteva esistere un altro mondo? Con diverse creature?
Scosse la testa: non ci avrebbe mai capito niente, poco ma sicuro.
 
 ...
Note dell'Autrice:
CONSTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAANCE! E' arrivata la donna migliore del mondo! ahahah scusate, ma io adoro troppo quella donna, non ci posso fare nulla. E anche qui aiuta i nostri piccoli grandi eroi (?) a capire un pò più il mistero. Chi sarà mai Ash?
Che Carl Leto nascondesse qualcosa di simile?
....e chi cavolo è Lilian Wendy Anderson? Nessuno d'importante, povera vittima sfigata. Ma immagino abbiate capito chi l'abbia usata come Bic ;) *pessima, lo so, scusate* ahhha

Il sole mi rende euforica, UITA mi fa impazzire e sono stanca, quindi parlo a caso :D

Comunque un abbraccione a tutte,
Ronnie 02

*recensiteeeee*

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Capitolo 11
*** Lend me your light ***


Scusate gente, sul serio scusate! Sono pessima e sono in un ritardo esagerato, ma l'arrivo delle vacanze implica anche milioni di verifiche.... il tempo finale sta arrivando e i test mi stanno distruggendo.
Ma... ma l'altro ieri ho prenotato il mio primo tatuaggio (la triade) e sono bvfrtyujmkloiuyfdrtyuj super felice!!! *è pazza, ormai lo sapete*
Bene, vi lascio alla lettura :D




Chapter 11. Lend me your light




 
 
Foto. Aveva solo bisogno di una dannata foto.
Cavolo, era la leggenda tramutata in realtà più famosa dell’intero secolo, portava macchie di sangue di milioni di persone, era accaduta per la prima volta nella scuola più importante dei dintorni… ma niente. Nemmeno una dannatissima foto.
“Ti odio”, commentò Zoe, cercando sempre nello stesso scomparto segreto della biblioteca, sfogliando mille e mille volumi.
“Ormai non sei l’unica”, ridacchiò una voce maschile. Seamus.
Che ci faceva lì?
“Buongiorno Seamus. Che ti porta in biblioteca?”, domandò Zoe, distogliendo lo sguardo dal libro.
L’uomo si sedette accanto a lei, guardò il tomo che aveva in mano e continuò a ridere sotto i baffi.
“Scusami, cara. Ma non lo vedrai mai su un libro… è un evento recente, se considerato come storico”, commentò Seamus, criptico.
“Quindi? Dove dovrei cercarlo?”, continuò a chiedere la ragazza, stressata. Dopo ore di ricerche arrivava lui con tutte le sue risposte nascoste: era troppo stanca per pensare, ora.
“Prima di tutto nella mente di tutti noi. Ognuno possiede un ricordo sul quella tragedia: scoprilo”, le disse il capo, sorridente. “E, in secondo luogo… leggi i giornali, Zoe. Non sono sempre stata carta straccia”.
Ma certo! Che stupida che era stata!
Scoppiò a ridere, dando ragione a Seamus. “Giusto… come ho fatto a non pensarci prima?!”.
Lo ringraziò e uscì di corsa dalla sezione nascosta, per poi andare verso lo scomparto in cui tenevano tutti i giornali con le notizie più importanti. Sì, li tenevano lì all’Esis, in caso ritornassero utili per delle inchieste.
Le toccava cercare un giornale di circa quindici anni prima, quindi cercò la data sugli scaffali. Ce n’erano davvero tanti, per ogni anno… quante cose accadevano?!
Andò avanti, sorpassando quasi un decennio di avvenimenti su cui concentrarsi. Assassinii, morti improvvise, rapimenti, torture, processi… qualsiasi cose che potesse essere ritenuta interessante per la Resistenza era stata catalogata così bene in quella parte di libreria.
Arrivò finalmente alla data di quel mistero e si alzò sulle punte per prendere tutti i giornali relativi a quell’anno. Trenta.
Trenta testimonianze di quella storia.
Tutti con il medesimo titolo.
 
Sangue, vedetta, leggende che tornano in vita… ancora ‘a’  macchiate di orribili crimini.
 
Quella a che avrebbe per sempre spaventato a morte tutta la loro gente finchè la questione non si sarebbe risolta. Quei colori, quelle rose, quegli intrecci… era la sua firma, e il nome era sempre lo stesso.
Leto.
Ma stavolta aveva a disposizione anche un viso, sebbene non chiaro e troppo giovane per ritrovarlo nello stesso stato.
Era, però, qualcosa su cui lavorare.
 
Tomo scoppiò a ridere, vedendo sua moglie rincorrere loro figlio per convincerlo a mettersi la felpina verde che gli aveva comprato giorni prima.
Quel bambino non voleva proprio saperne di coprirsi e cercava di nascondersi da sua madre. Oddio, gli ricordava Jared, che pretendeva di non avere freddo durante i concerti verso inizio inverno con addosso solo una maglietta a maniche corte.
Forse era per quello che non erano mai andati molto d’accordo: erano davvero troppo simili.
“Acchiappato!”, disse ridendo, quando suo figlio, credendolo un alleato, gli corse accanto e lui lo afferrò di scatto, prendendolo in braccio e facendolo volare un po’. Devon mugugnò, deluso e imbronciato, ma Tomo sapeva come tirargli su il morale. “Dai, prima ti vesti, prima mamma ti porta all’asilo”.
Devon scosse la testa e Vicki arrivò sbuffando. “Scusa già usata… non è così infallibile come pensavo”.
Tomo le baciò la testa e l’abbracciò, formando un bel quadretto famigliare. “Devon, fa il bravo, per favore. Non costa nulla mettere quella felpa. Mamma te l’ha comprata con tanto amore”.
Il bimbo si fece pensieroso, come a decidere sul da farsi. Vicki  lo guardò sorridente, accarezzandogli una guancia paffuta, e Tomo lo fece giocare, dondolandosi.
“Bravo il mio bimbo”, cantilenò Vicki, mettendo l’indumento a Devon, che intanto giocava con suo padre, sconfitto all’idea di vestirsi.
“Visto? Non è così brutto stare al caldo”, gli disse Tomo, mettendolo giù, per farlo camminare.
“Lascia perdere, tanto se lo toglierà appena arriva da Ash”, sospirò la donna, per poi sentire le braccia del marito attorno al suo corpo. Ridacchiò, voltandosi verso Tomo, e gli mise le braccia al collo. “Siamo tutti un po’ coccolosi oggi, a quanto vedo”.
“Ti amo”, rispose solo il chitarrista, dandole un bacio dolce sulla testa, per poi scendere sulla punta del naso e finire sulle labbra, lievemente.
“Tutto questo romanticismo a cosa è dovuto?”, chiese Vicki, rispondendo al bacio per qualche secondo. Poi arrivò Devon, camminando sbilenco e rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi ad ogni passo. “Oh, il mio piccolo combinaguai”.
Tomo scoppiò a ridere, lasciando la moglie per permetterle di andare a prendere loro figlio in braccio, spupazzandolo per bene. “Diventerà molto viziato”.
“Come se non lo fosse già”, rise la ragazza. “Ma ora dobbiamo andare”.
“Ti aspetto stasera”, la salutò Tomo con un altro bacio, facendole l’occhiolino.
“Arrivo appena consegno le foto. Spero di fare il prima possibile”, rispose lei abbracciandolo goffamente, avendo ancora addosso Devon come un koala. “Ti amo anche io, comunque”.
Il croato scosse la testa, ridendo, e li salutò con la mano, per poi uscire dalla stanza e prepararsi ad andare alle prove.
Vicki invece andò verso la macchina, l’accese e mise Devon sul passeggino nei sedili posteriori, legandolo bene con le cinture. “Tu, monello caloroso, vedi di fare il bravo oggi con Ash”, lo ammonì lei, ridendo.
Lui la guardò, quasi perso nei suoi pensieri, ma poi sorrise e cominciò a giocare con i pupazzi che avevano sempre in macchina.
Oh Devon, quando parlerai e ti farai capire sarà un bel giorno.
 Vicki rise e, finito di sistemarlo, chiuse la sua portiera, per poi andare al posto di guida e partire.
L’asilo, non passando dai Leto, non era molto lontano, quindi non ci mise molto ad arrivare. Stranamente quel giorno erano arrivati con altre mamme, infatti il parcheggio era abbastanza trafficato.
“Forza signore belle…”, commentò Vicki, sbuffando. Poi intercettò un posteggio e ci si infilò di fretta, esultando. “Devon, che mamma mitica che hai!”.
Devon sorrise e mugugnò, quasi a sostenerla, così Vicki spense la macchina e scese dal suo posto, per liberare suo figlio dal passeggino. Lo slegò e lo prese in braccio, chiudendo a chiave l’auto e andando verso l’entrata.
“Deon!”, sentì urlare una bambina, vicino a lei. Suo figlio sorrise ma non sembrò darle molta importanza, così Vicki non si fermò, ma fece solo un sorriso alla mamma della piccola, come ad imitare Devon.
Entrò nell’edificio e lì vide la solita segretaria che accoglieva i genitori dell’ora di punta, mandandoli nelle varie aule. Vedendo Vicki corse da lei.
“Buongiorno signora Milicevic. Come va?”, le domandò, quasi seriamente interessata.
“Bene, grazie mille. Lei?”, rispose gentile la ragazza.
“Perfettamente. Ieri il signor Leto ha parlato con Ash a nome suo e di suo marito”, arrivò al punto la donna. “E’ tutto okay? Ash non ha mai ricevuto critiche e volevo sapere se qualcosa non…”.
“Oh no! No no no no no… non si preoccupi”, la fermò subito Vicki, sorridente. Quanti malintesi che si stavano creando per quell’asilo e su quella ragazza. “Stia tranquilla, va tutto bene con Ash, davvero”.
“Bene, spero allora che abbiate risolto”, concluse.
“Certamente”, mentì Vicki. ‘Certamente no. Dovremmo indagare ancora fino a che la sua babysitter non ci dirà tutto’, sarebbe stata una bella risposta.
“Bè, Ash è nella terza classe a destra da oggi. Hanno dovuto cambiare perché hanno portato nuove culle per i più piccoli, come Devon, quindi si è spostata”, le disse, indicandole l’aula.
“Grazie mille”, rispose la ragazza, mentre quella le sorrideva e passava alla mamma successiva.
Vicki cominciò a camminare e, arrivata davanti alla porta, bussò, per poi entrare a passo felpato.
“Ciao Vicki!”, la salutò Ash, ricordandosi di darle del tu. La mora sorrise, ricambiando il saluto amichevole.
Quel giorno Ash era quasi euforica e, in effetti, c’era aria di allegria dappertutto. I capelli biondi e blu erano legati in una folta e liscia treccia laterale che le finiva sotto il seno, coperto da una maglietta nera, sopra la quale mostrava una simpatica salopette a pantaloncino di blu jeans. Le scarpe erano delle Vans blu e portava un cappellino stile basco, nero.
“Sei splendida oggi”, commentò Vicki, lasciandole Devon, il quale sorrideva e borbottava felice.
“Oh, anche tu”, sorrise lei. “Questa volta quando venite a prenderlo?”.
“Come al solito penso… ma che succede qui?”, chiese Vicki.
“Lascia perdere, voglio morire”, scoppiò a ridere la bionda. “Oggi sarebbe il giorno delle foto, quindi tutte le mamme hanno portato i loro figli nella forma più smagliante… ma il fotografo mi ha dato buca e quindi tocca a farle a me. Ok, non sono una frana ma nemmeno una professionista”.
Vicki scoppiò a ridere… in fondo poteva anche consegnare le foto al ritorno e fare un favore ad Ash. Ci avrebbe rimediato fiducia e quindi più segreti.
“Hai davanti a te una fotografa!”, rise ancora la mora. “Se vuoi ti aiuto io in questo sporco lavoro”.
“No, davvero?!”, esclamò Ash, abbracciandola. “Dio, mi faresti un favore immenso”.
“Considerati in debito”, la prese in giro Vicki, scherzando e facendo ridere Ash.
“Seriamente… ok, se vuoi dovremmo iniziare tra un’oretta e mezza. Puoi stare qui con Devon oppure tornare dopo”, le propose Ash.
Mmm… magari riusciva a sistemarsi anche con il lavoro. “Facciamo che ci vediamo dopo, così mi sistemo”.
“Perfetto!”, disse Ash, contenta, mentre Vicki ricambiava e andava a salutare il figlio. Dio, era perfetto, senza ombra di dubbio. L’aveva salvata… ma ora era in debito.
Questo era un problema, visto che se Jared l’avesse scoperto le avrebbe chiesto di svelarle un suo segreto, poco ma sicuro.
Ci avrebbe pensato poi, ora doveva almeno godersi la giornata tranquilla, visto che Vicki l’aveva salvata.
“A dopo!”, la salutò la mamma di Devon, andando via.
Ash ricambiò e poi, dopo che ebbe chiuso la porta, si voltò verso i bimbi che erano arrivati. “E ora che volete fare?!”.
 
Dean era straiato sul suo letto bianco, in attesa, come sempre. Era così strano stare così rinchiuso, ora che aveva voglia di correre via e aiutare Ash. Chissà dov’era in quel momento…
“Signor Scott, come andiamo oggi?”, arrivò una di quelle infermiere, sorridente. Già… un’ottima attrice, niente da obiettare.
“Benissimo… posso fare un giro nella sala?”, chiese di getto il ragazzo, desideroso di uscire finalmente da quelle lenzuola deprimenti.
“Da quando vuole davvero andare?”, domandò in risposta la donna, mantenendo le distanze. Aveva paura che Dean potesse scattare da un momento all’altro già da sola, figurarsi in mezzo agli altri pazienti.
“Da ora. La signorina Connor sa convincere molto bene le persone a guarire”, spiegò lui, sottolineando il nome di Ash. “E sono certo che sarebbe molto felice di vedermi migliorare, se non addirittura uscire di qui, il prima possibile”.
“Questo è tutto da vedere”, commentò la donna, scettica all’idea che lui se ne andasse in giro senza nessun controllo. “Andrò a chiedere ai medici…”.
Errore: ricordiamo che lui era sempre Dean Scott, re degli scherzi insieme ad Ash Connor.
La ragazza se ne andò, socchiudendo la porta e lui si preparò a farla franca. Era ora di agire o non avrebbe mai avuto un’altra simile occasione. O la va o la spacca!
Slacciò tutti i fili che aveva attaccato al corpo e, con molta difficoltà vista la poca quantità di muscoli e la fragilità delle ossa, per non parlare di quanto fosse magro, provò a spostare le gambe per uscire da lì.
Le fece scivolare fuori dalle lenzuola e le mise a penzoloni oltre il letto. Si tenne ai lati con entrambe le mani, anche se tremanti e fragili, e si spinse giù.
Terra. Pavimento. Piastrelle.
Qualunque cosa fosse, la stava toccando con i piedi nudi. Era fredda, ma lui si sentiva al settimo cielo.
Staccò le mani dal letto e si tenne in equilibrio perfetto.
Dio quanto era bello poter stare anche solo fuori da quella cella!
Sorridendo, provò a muovere la gamba in avanti, per potersi spostare da lì, ma il primo tentativo non andò come sperava. Tentennò per qualche secondo e poi dovette riappoggiarsi al letto.
Ma non si diede per vinto. Si rimise in piedi, con più facilità, e riprovò di nuovo. Ancora non ce la fece.
E di nuovo. In piedi, sposare la gamba, tentennamento, appoggio; in piedi, spostare la gamba, tentennamento, appoggio.
Ogni volta riusciva a migliorare qualcosa, senza rendersi conto che ormai la ragazza sarebbe dovuta tornare.
In verità non aveva sentito la porta aprirsi, non aveva visto il dottore guardarlo e poi nascondersi per tenerlo d’occhio. Non aveva notato la speranza negli occhi nel medico.
Un paziente al limite del terminale tornava nel pieno delle sue volontà in pochi attimi. Solo grazie ad una visita.
Ovviamente non sperava che le sue condizioni psichiche dell’adattamento o del non farsi toccare fossero sparite o stessero migliorando, ma bastava anche solo questo piccolo aumento di amor proprio.
Era un enorme passo avanti… lo stesso che riuscì a fare Dean dopo una mezz’ora di prove.
Si mosse. Un passo.
“Oddio, sì!”, gracchiò felice, per non urlare, mentre si dava dell’idiota, mentalmente. Gli sembrava di essere regredito di vent’anni ed essere tornato piccolo, tanto da dover imparare a camminare.
Ma l’avrebbe fatto: si sarebbe definito volentieri un bambino pur di uscire di lì e  poter stare tranquillo con la sua migliore amica e sorella.
Dal primo passo provò il secondo, e dopo il secondo il terzo, e dopo il terzo il quarto… fino a camminare attorno al letto senza quasi mai doversi appoggiare.
Ci avrebbe messo almeno una settimana di allenamento continuo prima di poter solo arrivare alla porta senza appoggiarsi, ma era un buon inizio.
Altroché se lo era! E i ringraziamenti andavano solo ad Ash, che l’aveva quasi… illuminato. Sì, gli aveva passato quella voglia di vivere che le brillava negli occhi parlando della sua casa. Gli aveva prestato quella luce.
 
Tic, tac, tic, tac, tic, tac.
Il tempo a volte era decisamente una fregatura.
Ormai era passato un giorno o due da quando Ash era tornata a casa e lui non aveva la minima idea di come riportarla indietro. Non capiva l’ossessione della ragazza di quel mondo e mai l’avrebbe compresa.
Il suo posto non era in mezzo a tutti quegli Incompleti! Non meritava una misera vita, qual’era la loro. Le sue capacità dovevano essere ampliate, evolute, controllate.
Ma no, lei non voleva. Lei voleva essere normale.
Odiava che Ash rinnegasse di essere ciò che era davvero, odiava che preferisse quel mondo al loro. Non riusciva proprio a capire come facesse.
In fondo non poteva dimenticare cosa fosse, visto che ogni notte non poteva far altro che accettare il suo essere più vero; quindi perché non finirla di nascondersi?
“Edmund, vuoi smetterla?”, gracchiò Joel, sbuffando. Edmund stava ticchettando il piede per terra, nella sala dell’Esis, mentre tutti erano in silenzio assoluto per tranquillizzarsi.
Joel, invece, era lì per leggere, dopo la sua solita fumata clandestina. Edmund odiava il fumo… anche Ash aveva il vizio di fumare, sebbene per quanto ne sapesse lo faceva di rado, al contrario del suo collega.
“Non rompere”, commentò il ragazzo, facendo abbassare a Joel il libro e alzare gli occhi, meritandosi un’occhiataccia.
“Come siamo volgari! Sorrow non sarebbe fiera di te, piccolo cocco”, rispose a tono Joel, prendendolo in giro.
“Vaffanculo Joel”, grugnì Edmund.
“Che, ti sei offeso? Insomma non puoi negare che qualunque cosa faccia Sorrow, a parte acconsentire gli esprimenti su Ash, che oltretutto è roba vecchia, tu sei sempre lì a sostenerla!”, spiegò Joel, mettendo il segnalibro e chiudendo il volume.
“Poteva farla rimanere”, lo contraddisse il ragazzo.
“Sarebbe finita in carcere. E non dire di no, perché sappiamo tutti che Ash, pur di tornare, l’avrebbe fatto”, lo fermò Joel, spiegandosi. “E Sorrow ci serve”.
Edmund si zittì, contrariato all’idea. Chissene fregava di Sorrow, avrebbe preferito tenere lì Ash, al sicuro, e vedere l’agente in carcere a questo punto.
Ma dopo qualche secondo le sue congetture furono fermate da quella pazza di Zoe che, con in mano almeno una ventina di giornali, stava saltellando verso di loro.
Arrivata lì, buttò letteralmente i giorni per terra, davanti a noi, e ci fece leggere il primo della lista, tutto sottolineato da poco.
“Notate qualcosa?”, chiese lei ironica.
“No”, commentarono insieme gli altri due, mentre lei alzava gli occhi al cielo, quasi sconfitta.
“Il cantante e il batterista dei 30 Seconds To Mars sono i nuovi super amici di Ash Connor”, cominciò a dire la ragazza.
“I 30 che?”, chiese Joel, curioso.
“E’ una band Incompleta, non rompere… bè, Incompleta mica tanto”, commentò di nuovo Zoe, indicando un tratto sottolineato. “Di cognome quei due fanno… Leto”.
E capirono, mentre gelava loro il sangue.
Ora, però, che si poteva fare?
 
“Siete sempre più bravi”, sorrise Ash, ballando goffamente con Simon e Devon, che ridevano forte. “Tra un po’ dovrete insegnarmi voi a ballare, sì sì”.
Devon la guardò, sempre ridendo, e poi si staccò dalle sue mani, mentre Simon continuava quella specie di ballo, pretendendo tutte le sue attenzioni ora. Lei, però, tenette lo sguardo anche sul piccolo Milicevic.
Stava attraversando la sala, andando un po’ da tutti i bambini, come se stesse decidendo in quale gruppo stare, ma alla fine prese la via per l’uscita.
“Simon, aspettami qui. Vado a sistemarmi un po’, perché voglio imparare bene”, finse lei, fermandosi e dando un bacio sulla testa a Simon, che annuì e si mise seduto, giocherellando da solo.
Lei camminò spedita, senza dare l’impressione spaventata che però sentiva dentro di sé. Raggiunse l’uscita nella metà del tempo impiegato da Devon e lo vide in giardino, da solo.
Anche a lei piaceva uscire ad esplorare da piccola. Soprattutto quando…
Oh merda, pensò tra sé e sé la ragazza, senza raggiungere il piccolino. Guardava il bimbo fissare le foglie che cadevano, in mezzo al leggero venticello che c’era quel giorno. Era davvero tenero.
Senza disturbarlo, stavolta Ash uscì dall’asilo, andando in giardino e camminò verso di lui.
Ma Devon la vide e le sorrise, indicando le foglie che man mano si staccavano. Capiva anche lui che era un evento raro che in California arrivasse l’autunno e l’inverno?
“E’ bello vedere che possiamo essere normali anche noi, vero?”, chiese Ash, sorridendogli e arrivando al suo fianco. Si sedette vicino a lui e gli mise il suo basco. “Ti sta bene… insomma, ci credi, piccolo? Finalmente un po’ di sano cambiamento di stagioni”.
Lui sembrò capire, rintanandosi nel cappello, divertito. Gli piaceva davvero e ci giocherellò un po’. Mugugnò qualcosa, ma Ash non afferrò il concetto.
Devon allora sorrise e chiuse gli occhi, come a dirle di imitarlo.
“Devo fare come te?”, chiese lei, mettendosi le mani davanti alla faccia per qualche secondo. Le tolse e lo vide annuire, così sorrise e serrò le palpebre.
Si mise ad ascoltare tutto ciò che le accadeva intorno, senza preoccuparsi di ciò che Devon avrebbe potuto combinare.
Sentiva le foglie staccarsi e cadere a terra, il vento sbattere contro la sua pelle, i capelli svolazzare, le giostre scricchiolare e i piedini del bimbo muoversi in cerca di qualcosa, di fianco a lei.
Alla fine la mano di Devon la scosse un po’ sulla spalla e lei aprì gli occhi. Il bambino si trovava davanti a lei, con lo sguardo innocente, mostrando i palmi sporchi di terra.
“Che hai fatto?”, sorrise Ash, mentre lui le indicava qualcosa dietro di lei, quasi fiero del suo lavoro.
Si voltò e vide un piccolo alberello, già cresciuto, anche se alto solo un metro. In teoria ci avrebbe messo mesi a diventare così… per un Incompleto.
“L’hai fatto tu?”, chiese lei, guardando Devon sorridere e sedersi di fianco all’albero. Lui annuì, sempre felice, diventando man mano più contento e ridendo di più.
“Io però sono più brava”, ridacchiò la ragazza, muovendo le mani e facendo i giochetti che faceva da piccola, con Dean, le prime volte che andavano insieme i biblioteca. “Belle le luci, vero? Un giorno te le presterò”.
Scherzava, sentendosi un po’ capita e decisamente meglio di prima, guardando Devon.
Poi però qualcosa, nel viso del bambino cambiò. Il sorriso si spense e guardò confuso alle spalle di Ash.
“O cazzo…”, imprecò una voce alle spalle della ragazza, la quale si voltò e capì di essere nei peggiore dei guai.
Cazzo, sì, pensò infatti.
Vicki era dietro di lei e la fissava sconvolta, senza capire cosa stesse accadendo. O forse lo capiva ma non voleva crederci.
Perché in fondo cosa poteva dirle? Non di certo la verità. Ma quale bugia avrebbe raccontato stavolta?
“Credo di aver bisogno di una spiegazione”, sussurrò la mora, quasi senza fiato.
“Vicki… io penso che… che…”, cercò di difendersi Ash.
“Che cosa sei, Ash Connor?”, chiese la madre di Devon, senza lasciarla finire, con tono severo, come se fosse un ordine.
Le aveva chiesto cosa, non chi.
Aveva capito. Avevano capito tutti.
E lei era fottuta. Stavolta seriamente.
 
 
....
Note dell'Autrice:
e mo' so' cazzi Ash Connor! ehehehe Vicki osserva e comprende (?)
Che Costance avesse ragione? Chi lo sa.
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, magari vi chiarisce alcuni passaggi. Ma vedrete che ci stiamo avvicinando a capire tutta la storia. Alla fine questa FF è nella sezione "Mistero" mica per niente :D

Bacioni, Ronnie02

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Capitolo 12
*** Magic, right? ***


Salve Echelon! Scusate il ritardo, sul serio, ma sto avendo un pò di problemi ad andare avanti. Non per le idee, ma proprio per il tempo: riesco a scrivere solo di sera e molte volte sono talmente stanca che riesco a mettere giù solo una misera paginetta e mezza. 
Scusate, cercherò di recuperare un pò di tempo, ma sono davvero molto impegnata. Comunque non abbandono la storia - non sia mai! - solo avrò qualche giorno di ritardo in più del solito.
Scusate.
Ora vi lascio alla lettura :D




Chapter 12. Magic, right?




 
 
Ci stava mettendo troppo, porca miseria. Com’era possibile che rimanesse in quel mondo per così tanto tempo? Lui le doveva parlare, doveva farle vedere come stava diventando bravo…
Dove sei, Ash?, pensò, chiamandola mentalmente come al solito. Ma non sarebbe arrivata, non così presto.
Però le mancava, davvero tanto, ed era l’unica capace di invogliarlo a muoversi. Più non la vedeva e più perdeva la voglia: aveva bisogno di ricaricarsi e l’unico modo per farlo era vedere lei.
Forse avrebbe potuto chiedere a qualcuno di farla portare lì da Edmund, o da Sorrow, ma se lei lo avesse saputo lo avrebbe preso a calci in culo per il resto della sua esistenza.
Si sedette sul letto, portando fuori le gambe e muovendole avanti e indietro, canticchiando qualche canzoncina come faceva da bambino.
I bambini di Ash… e così lavorava con dei bambini.
Bè, lo sapeva già, Dean, che sarebbe stato il suo destino. Era brava, sarebbe stata un’ottima madre, se non avesse dovuto fare la guerriera per il resto della sua vita senza nemmeno un’altra scelta.
Sorrise, quasi melanconico.
Quando erano a scuola facevano i duelli, lottavano contro le loro vittime che si arrabbiavano per lo scherzo, andavano in giro a scherzare… e lei aveva una dote così particolare che non poteva passare inosservata.
Lei la odiava, lui la riteneva un dono.
 
La camera da letto di Ash era in una stanza a parte, lontano a dove dormiva il resto della scuola, in un punto che pochi sanno scovare. Prima di tutto, perché era ancora troppo piccola per dormire con le altre ragazze e, secondo, non aveva comunque la ben che minima intenzione di farlo.
La notte l’avrebbe sempre passata volentieri da sola, se non voleva essere cacciata da lì. Lo sapeva già ormai.
Ash ora guardava fuori dalla finestra, pensierosa, come se il cielo potesse darle una risposta. In realtà in quel cielo poteva fare ben altro, ma quella sera non aveva voglia di allontanarsi dalla sua camera per fare un viaggetto.
Invece, si toccò la causa della sua diversità, sospirando sconsolata, sempre guardando fuori. Erano così estremamente belle, così altamente utili, ma così maledettamente sbagliate, almeno per lei.
Qualcuno avrebbe detto che il suo fosse un vero dono, una rarità che va colta al momento, veramente preziosa… per lei era solo una barriera che la rendeva diversa dal mondo che conosceva.
E il mondo lo conosceva bene, sebbene fosse molto piccola.
Aprì la finestra e sentì l’aria fredda dell’inverno colpirle il dolce viso, insieme a quei piccoli fiocchi che avevano cominciato a scendere.
La neve… quel posto diventava ancora più bello con la neve e quell’anno di certo non sarebbe cambiato. Era sempre affascinante e le luci che di solito abbellivano le mura, in attesa del Natale erano spettacolari.
Sentivi la gioia invadere il tuo corpo solo a guardarle e non era un caso che il Natale fosse la festa preferita di Ash.
“Ash, è tornata! Guarda, la neve è to…”, sentì urlare Dean, che aveva aperto la porta di scatto, senza neppure bussare. Sempre il solito maleducato, che ovviamente arriva nei momenti inopportuni!  
Ash si voltò di scatto, sgranando gli occhi dalla paura, e corse svelta a nascondersi in un angolo buio della stanza. L’unica luce proveniva da fuori la finestra, da uno dei lampioni attaccati alla parete della scuola, ma non bastava a illuminare la camera.  
Anzi era quasi tutta completamente al buio e Ash riuscì a nascondersi in fretta, per sua fortuna.
Ma ormai Dean l’aveva vista, e anche bene visto che la ragazza stava proprio guardando il panorama al di fuori del vetro. La luce, però, gli aveva mostrato anche qualcosa che non avrebbe dovuto sapere.
“Ash?”, domandò leggermente, cauto, andando a tentoni nel bel mezzo della stanza. Ci mancava solo questa… quella poveretta non ne aveva già passate abbastanza?
“Vattene, vattene via, Dean”, piagnucolò lei, da una parte indefinita della camera, ma molto vicina al ragazzo.
“Ash, non devi nasconderti, lo sai”, la esortò lui, ma sentì solo degli spostamenti. Si era mossa, ma la stanza era troppo piccola per non trovarla anche al buio.
“Ti prego, va’ via”, mugugnò tristemente Ash, praticamente di fianco a lui. Trovata, piccola birbante!
Dean, allora, si accucciò davanti al punto in cui credeva ci fosse Ash e allungò la mano. Non ci mise molto prima di trovare qualcosa, anche se rimase scioccato.
“Questa è la vera Ash?”, domandò lui, provando ad abbracciarla, mentre lei si scansava, paurosa. 
“L’orribile Ash Connor”, commentò la ragazza, tristemente, provando a farsi piccola, ma senza successo. “Sono solo un mostro. Un mostro orrendo”.
“Io credo, invece, che questo ti renda ancora più bella, sai?”, sorrise lui, stringendola di scatto e non lasciandola scappare. Lei all’inizio provò a ribellarsi, ma poi si calmò sotto il calore dell’amico. “Per me potresti anche essere uno gnomo con le caratteristiche di un vampiro, o una fata simile ad un elfo… ma rimarresti bellissima, e soprattutto la migliore”.
“Vorrei pensarla come te”, rispose Ash, appoggiando la sua testa alla spalla dell’amico, piangendo.
“Non ci metterai tanto”, la rassicurò lui, carezzandole i capelli biondicci e blu, guardando i piccoli fiocchi di neve cadere giù dal cielo, leggeri e tranquilli, senza alcuna paura.
 
Ma alla fine lei non lo pensò mai.
Ash Connor aveva quell’odiosa capacità di farsi dei problemi mentali grandi quanto quella stessa cittadina ed era orribile.
In parte aveva ragione: in molti non l’avrebbero accettata, ma, in fondo, tutti abbiamo dei nemici a questo mondo. Non possiamo, allora, abbatterci solo per qualche persona che ci giudica; dobbiamo andare avanti, senza alcuna paura e difendere la nostra posizione.
Ash, però, era ancora troppo debole, sebbene fossero passati quasi una quindicina di anni dall’assassinio. Non sarebbe mai cambiata, sebbene volesse dimostrare il contrario.
Bè, non importava. Come al solito lui l’avrebbe aiutata, appena lei avrebbe finito di aiutare lui, tirandolo fuori dall’ospedale, senza ombra di dubbio.
Ma dove sei, Ash?
 
“Allora?” , le domandò ancora Vicki, non vedendola rispondere.
“Vicki, non è così facile da spiegare…”, cominciò Ash, ma vedendo la ragazza incuriosirsi si disse che non era stato un ottimo inizio, se voleva uscirne viva. “Insomma… è un giochetto che ricorre del tempo per impararlo e non è così facile da insegnare”.
“Senti, parliamoci chiaro”, rispose decisa la mora, guardandola sorridente, un po’ superba. Non attaccava con lei, non era stupida. “La scusa di giochi di magia la puoi rifilare a Jared, che riesce anche a farsi intrappolare con una scommessa che vincerebbe pure mia nonna. Io voglio la verità”.
“Ma io non posso dirtela, Vicki”, guardò in basso la bionda, sconfitta. Non le avrebbe detto la verità, poco ma sicuro, però ormai non poteva negare l’evidenza. Le avrebbe fatto solo capire che altro non poteva fare.
“Perché no?”, continuò la madre di Devon, avvicinandosi alla babysitter, mentre il bimbo cominciava a camminare verso di loro, testando il suo precario equilibrio.
“Perché non posso”, disse Ash. “E’ come se voi foste in vacanza, qualcuno ti vedesse e ti chiedesse dove tu e i ragazzi alloggiate. Glielo diresti?”.
“No, avremmo la vacanza rovinata da miliardi di persone che voglio vederli. Per l’amor di Dio, tutto il rispetto per gli Echelon, ma almeno in vacanza…”, fu d’accordo Vicki, pensandoci su. “Ma puoi darmi degli indizi”.
“Ne ho già dati troppi a Jared”, rispose la bionda.
“Non posso fidarmi di te se non so né cosa né chi tu possa essere”, concluse allora Vicki, prendendo il braccio Devon. “Ben che meno posso affidarti mio figlio”.
“No! No, ti prego, non portare via Devon”, supplicò Ash, vedendo in quel bambino uno strano legame con la sua, sfortunatamente, vera essenza. “Lui mi capisce, ti prego”.
“Forse dovremmo rientrare”, si voltò Vicki verso la scuola, quasi pensando a cosa fare.
In realtà era tutto parte del suo piano perfetto che aveva raccontato a Jared. Certo, le cose si erano velocizzate grazie a questa opportunità delle foto, ma l’idea generale si stava attuando perfettamente.
“Credo di sì… vuoi ancora fare le foto?”, chiese allora Ash, guardando il bimbo imitare i movimenti delle mani che aveva fatto lei prima, sperando nei medesimi risultati.
“Io mantengo sempre le mie promesse, Ash”, commentò fredda la mora, per poi avviarsi verso l’entrata, dove ancora i genitori brulicavano, per riuscire a vedere lo scatto del proprio figlio, dire quante ne voleva o se andava bene e poi andarsene al lavoro.
Ash la seguiva come un cagnolino, con lo sguardo fisso su Devon e i suoi movimenti. Entrarono nell’edificio e lì si divisero: Vicki andò a parlare con la segretaria su come e dove fare le foto – affidando Devon a Natalie, intristendo di parecchio Ash – mentre la bionda ritornò nella sua classe, per controllare i bambini.
Vicki non voleva essere cattiva, no di certo, ma se voleva scoprire qualcosa questo era l’unico modo. In più non capiva questo grande e strano rapporto che la ragazza aveva con Devon.
 Lui mi capisce. Come se fosse strano quanto lei… ma no, Devon era normale, ne era certa. Era sempre stato un bambino come gli altri, nemmeno i genitori di Vicki avevano notato qualcosa di strano.
Quindi perché tutto questo affetto? Perché non un altro bambino, perché lui? Come poteva capirla, se lei era completamente diversa da chiunque, per quanto ora la mora potesse saperne.
Ash aveva tutte le risposte, ovviamente, ma come poteva parlarne a Vicki? Non poteva, semplicemente.
Gli Incompleti a conoscenza della verità rischiano grosso, rischiano tutto. Come poteva fare questo ai Leto e ai genitori di Devon? Non poteva.
Ma se Devon era quello che pensava, non ci sarebbero stati problemi, certo. Il problema era capire se davvero le teorie di Ash erano corrette e per ora il bimbo era troppo piccolo.
Troppo piccolo… in realtà non sapeva se c’era un età base di inizio, ma non aveva mai visto bambini coetanei di Devon fare certe cose.
Per forza, però, doveva esserci qualcosa. Ash se lo sentiva, in fondo, che lui la capiva, che lui potesse darle ragione, che non la considerasse solo un mostro impazzito, ma un essere simile a lui.
“Dio, non ci capisco niente”, sussurrò, chiudendo gli occhi dai troppi pensieri. Le girava la testa: c’erano voci ovunque, di piccoli e di adulti, e i suoi ragionamenti le facevano scoppiare il cervello.
“Ash?”, la chiamò Janet, aprendo la porta. Ovvio che non fosse venuta Natalie: era ancora arrabbiata a morte con lei e per giunta ora si stava strapazzando Devon. Che ingiustizia! “Noi siamo pronti”.
“Arrivo”, rispose stanca la ragazza, alzandosi lentamente e richiamando svogliatamente i bambini all’ordine. La giornata era decisamente iniziata troppo bene per finire altrettanto.
Nel salone tutti erano pronti a cominciare e Vicki stava provando la macchina scattando foto ai bambini che giocavano. I genitori erano tutti entusiasti e i loro figli facevano a gara su chi fosse il più bello.
Devon era ancora tra le braccia di Natalie, ma appena Ash uscì con la sua classe quello cercò di uscire dalla morsa della spagnola. Voleva andarle incontro, lo sapeva.
La stava fissando e capiva che in qualche modo Devon voleva tornare a giocare con lei come prima che arrivasse Vicki. Era ovvio… in fondo se le teorie di Ash erano giuste, era la sua natura.
Ma Natalie non lo mollò un secondo, sotto lo sguardo attento della nuova fotografa, che intanto aveva deciso di far sistemare i bambini in fila indiana, dal più piccolo al più grande.
“E’ stata una vera fortuna, vero?”, le si avvicinò Janet, guardando Vicki fare le foto, molto velocemente. Più scatti faceva, più genitori se ne andavano.
“Già…”, sbuffò Ash, guardandola fotografare suo figlio almeno tre volte prima di chiamare il prossimo bimbo. Janet la fissò confusa, ma Ash le fece segno di lasciar perdere. “Vado a prendere un po’ d’aria, scusa”.
Si dileguò in fretta, quasi correndo in mezzo alla folla dei papà e delle mamme rimaste ad ammirare i loro pargoli, uscendo dall’edificio e andando oltre l’alberello di Devon.
Al suo passaggio, il piccolo albero cominciò a perdere vita e in pochi secondi sembrò marcire.
“Oh, non sono in vena di patire la tua compassione”, passò avanti Ash, parlando seriamente a quella vita vegetale.
Uscì anche dal cancelletto dell’asilo e andò nel parcheggio. Si sedette sul marciapiede e tirò fuori una delle sue sigarette. Non fumava mai eccessivamente, ma quando lo faceva si sentiva libera.
Era come buttare fuori tutti i suoi problemi, e per un istante fece finta di trovarsi in un posto isolato, da sola e senza nessuno che le desse fastidio. In libertà.
“Dovresti smetterla di fumare. Fa male, sai?”, sentì  ridacchiare davanti a lei, proprio mentre si stava godendo quel suo momento prezioso senza che nessuno la disturbasse.
E ora chi cavolo era?!
Ash alzò lo sguardo, arrabbiata, ma, con sua grande sorpresa, si trovò davanti a lei la figura di Joel che rideva. Lui si sedette accanto a lei e guardò la sua cicca, quasi gliela volesse rubare. Nemmeno i Completi erano capaci di inventarsi nuovi modi per scroccare sigarette!
“Te la scordi. Non do via le mie bimbe così”, rifiutò Ash, tenendo il pacchetto nella tasca posteriore dei pantaloncini della salopette.
“Io fumo più di te, ne ho il diritto”, ribatté il Completo, ridendo come se fosse ovvio.
“Dovresti smetterla di fumare. Fa male, sai?”, ripeté allora lei saccente, come a prenderlo in giro. Lui mise il broncio. “Vattele a comprare”.
“E dai, per una sola sigaretta!”, si lamentò lui, facendo sbuffare la bionda. Così Ash si alzò leggermente e prese ne prese una dalla tasca, passandogliela. La avvicinò alla sua e gliel’accese.
“Sono troppo buona”, commentò ridendo Ash, fumando ancora la sua sigaretta.
“Già… grazie della tua bontà nell’avermi dato una cicca, Sua Altezza”, la prese in giro lui.
“Lo so! Ma lo faccio solo per te, perchè sei il più simpatico della squadra, Joel”, confessò Ash, togliendo la sigaretta delle labbra e voltandosi verso di lui. “Edmund a quest’ora mi avrebbe fatto mille scene su cosa potrebbe farmi il fumo, Zoe credo sarebbe rimasta così impassibile da farmi perfino irritare e Sorrow mi avrebbe detto che facevo bene, almeno se fossi morta lei avrebbe avuto un problema in meno.
“Tu, invece, mi tratti come se fossi normale, come fossi una di voi… in qualsiasi situazione. Ed è per questo che non voglio tornare laggiù, Joel: perché solo tu ti comporti così con me”.
“So che a volte è dura, Ash, ma non puoi evitare il tuo mondo solo perché qualcuno non ti accetta. Anche qui sarà successo, ma non hai mai pensato di andartene, no?”, le chiese Joel, prendendo una boccata.
“Sono solo un mostro…”, commentò lei, senza davvero rispondere ma guardando solo davanti a sé, anche se in realtà non fissava davvero qualcosa in particolare.
“Bè, il mostro è riuscito a far alzare Dean Scott dal suo letto”, la buttò lì Joel, quasi fosse roba da nulla.
“Cosa?!”, urlò la ragazza, tornando a sorridere.
“Era quello che ti volevo dire in realtà”, rispose lui, ridendo e guardandola sistemarsi, agitata. “Ti volevamo portare un attimo a trovarlo. Ti va?”.
“Se mi eviti le solite slogature sarò ben contenta di accettare”, rispose lei, alzandosi in piedi e prendendo lui per mano, per aiutarlo a fare lo stesso.
“Allora ci converrà prendere il solito treno”, convenne lui, facendola sbuffare. Oddio, di nuovo il carro merci no!
 
Quella ragazza la stava facendo davvero innervosire. Dove si era cacciata ora?
“Signora Milicevic, ha bisogno di qualcosa?”, le chiese la segretaria, dopo che ebbe ripreso suo figlio con l’intento di tornarsene a casa, come del resto tutti i genitori che erano già venuti.
Ormai era rimasta la sola in quell’edificio, quindi poteva anche andarsene, però avrebbe prima voluto parlare con Ash. La ragazza, però, era come sparita. Di nuovo.
Ma porca miseria!
“Cercavo Ash Connor… l’ha vista?”, domandò Vicki, guardandosi ancora in giro.
“No, mi dispiace. Credo sia tornata a casa…”, rispose vaga la donna, evitando il suo sguardo. Infatti se ne andò via poco dopo, di fretta, salutando Vicki con la scusa di dover fare delle ultime commissioni prima di chiudere.
Ash era tornata a casa? Casa dove?
Forse, anzi di sicuro, se n’era andata un’altra volta senza che nessuno sapesse dove, così Vicki lasciò perdere e si diresse fuori l’edificio, andando verso la macchina. Intanto Devon, in braccio a lei, guardava il suo albero marcio e il suo volto si coprì di una smorfia triste.
Arrivata all’auto aprì la portiera e mise Devon sul suo passeggino. Lo guardò per un attimo e le parve di vedere gli occhi del bambino diventare umidi.
“Ehy, che hai, piccolo della mamma?”, chiese la ragazza, sorridendo a suo figlio. Lui però continuò a guardare in basso, davvero triste, così Vicki gli diede un bacio sulla testa, tra i capelli scuri, e gli passò uno dei suoi giochi.
“Dai, torniamo da papà”, continuò Vicki, chiudendo la portiera e salendo al posto del guidatore.
Vicki mise in moto e si diresse verso casa Leto, visto che quei due avevano deciso di far rimanere lì Tomo, e quindi invitare anche lei e suo figlio, a mangiare per la serata.
Avevano finito un’altra canzone e quindi dovevano festeggiare.
“Vicki!”, la salutarono tutte e tre, appena parcheggiò davanti alla super villa dei Leto, ben nascosta in una densa vegetazione. Shannon fu il primo ad arrivare davanti a lei, abbracciandola, mentre Tomo le diede un bacio veloce, andando a prendere Devon. Jared arrivò con calma, con la chitarra a tracolla e la matita appoggiata sopra l’orecchio.
“Eri in fase di scrittura?”, chiesi guardandolo tutto indaffarato, mentre Devon giocherellava con suo padre e Shannon cominciava ad avviarsi verso casa.
“Solo io. Shannon stava sistemando, visto che abbiamo già ordinato le pizze, mentre Tomo ti stava aspettando”, mi rispose mentre ci mettemmo a seguire Shannon. “Hai scoperto qualcosa?”.
“Potrei riempire un intero libro su quello che ho scoperto oggi”, cominciò a raccontare, incuriosendo tutti i presenti. Appena entrarono nel Lab si sedettero sul divano, mentre Devon giocava sul tappeto davanti a loro con le bacchette di Shan, e Vicki incominciò a raccontare.
Non ci volle molto, e alla fine erano tutti stupiti, senza saper cosa dire o fare. Come al solito solo Leto Senior seppe sdrammatizzare.
“Jared ora dice: ‘io non ci capirò mai niente’, vero?”, chiese retorico Shannon, imitando suo fratello, che mise il broncio.
“Perché tu sai darmi una spiegazione logica?”, ribatté Jared.
“Sì. Mamma ha ragione: è una maga… e intendo una maga vera”, concluse Shannon, come se fosse una cosa da nulla.
“Ho detto logica, non campata per aria, dai!”, si lamentò Jared.
“Secondo me, invece, Constance ha ragione. Jared… che altre possibilità abbiamo?”, chiese Tomo.
“Cioè… seriamente preferite pensare alla magia, sempre ritenuta inesistente da quando l’umanità intera ha cominciato a far andare il cervello, al posto che trovare ancora una spiegazione razionale?”, domandò in risposta Jared, con un’espressione scioccata. “Davvero?”.
“Cos’altro dovremmo trovare, Jay?”, continuò Shannon. “Secondo me solo Devon sa cosa davvero sta succedendo, ma per ora possiamo solo immaginare che sia magia”.
“Ye. Ma-aa-gic”, qualcuno ridacchiò all’istante.
Oh, merda, cazzo, non ci posso credere, o per l’amore del Signore che tanto ha perdonato, porca miseriaccia!, pensarono tutti e quattro nello stesso arco di tempo.
Era stato Devon…
“Te l’avevo detto che lui lo sapeva”, se ne uscì Shannon, ridacchiando, mentre gli altri non dissero una parola, troppo scioccati.
 
Ok, era ora di finirla con questa storia.
Lui avrebbe scoperto che cosa stava accadendo, e l’avrebbe fatto quel giorno.
Dopo che Devon ebbe finito di dire le sue prime due parole si scatenò il delirio: Shannon fece la sua battuta teatrale, Tomo e Vicki impazzirono di gioia per almeno le seguenti quattro ore, mentre Jared continuò a non credere alle loro teorie, anche se festeggiò per il risultato del bambino.
Ovviamente si era chiesto del perché proprio di quella parola, ma in fondo poteva essere un caso.
Sì, un caso… era tutto troppo strano per essere un caso.
“Buongiorno signor Leto! Deve lasciare qua Devon?”, chiese la donna in segreteria.
No, devo andare in palestra e lui me lo porto dietro per usarlo come peso!, pensò il cantante, scocciato. Oggi non aveva voglia di perbenismi.
“Sì, grazie. C’è Ash?”, disse guardando la donna annuire e indicagli la classe. “Dovrei informarla di alcune cose da parte di Vicki Milicevic… sa, per le foto dei bambini”.
“Oh, ma certamente. Gliela chiamo immediatamente”, sorrise la segretaria, sorpassandolo ed entrando prima di lui nella classe di Ash Connor.
Oh, stavolta non mi scappi, bambolina. La guerra era partita fin dall’inizio ed era ora di giocare la battaglia finale.
“Sei ancora qui?”, lo sorprese Ash dai suoi pensieri, mentre prendeva Devon e lo dava alla donna rossa, per portarlo in classe. Sembrava scocciata di vederlo, o forse aveva solo paura di continuare l’ultima conversazione che avevano avuto.
“E tu non sei mai stata nel Montana, ne nel North Carolina, vero?”, cominciò subito le danze, Jared.
“Non dovevi dirmi qualcosa da parte di Vicki?”, cambiò discorso, sempre impaurita. Quel giorno i suoi capelli erano racchiusi in uno chignon, quindi non riuscì a vedere se erano cambiati di colore, ma ne era abbastanza certo.
“Infatti. Vuole sapere esattamente questo”, andò avanti Jared.
“Sono fatti personali, non credo che te lo debba dire. Men che meno qui”, s’intestardì. Bene, bomba numero uno pronta al lancio.
“Allora anche Devon è un affare personale dei Milicevic, quindi mi hanno detto che era meglio non lasciarlo qui. Men che meno a te”, rispose il cantante in tono di sfida, vedendola sbiancare.
Qualsiasi cosa la tenesse legata a quel bambino, lo necessitava davvero tanto.
“Bene…”, cominciò a confessare, guardando in basso. “No, non ci sono mai stata, Jared”.
“Allora dove vai di solito quando sparisci? Dove sei stata ieri?”, continuò con l’interrogatorio.
“A trovare un mio amico, Jared”, rispose, deglutendo. “Nel paese dove abito”.
“Ovvero?”, la fece andare avanti.
“Senti, ma che ti importa? Non sono affari tuoi dove vado io, ok? Mi vuoi portare via Devon? Fallo! Ma non sono certa che ti ringrazierà”, si arrabbiò, quasi isterica. “Non ti conosco nemmeno, con che pretese vieni da me a farmi queste domande?! Non credo che lo chiederesti a Nat, se Devon fosse affidato a lei”.
“Attorno a Natalie non sembrano accadere cose… inspiegabili”, azzardò Jared.
“Non sei troppo grande a credere nel sovrannaturale, Leto?”, lo chiamò con il cognome. Errore, Connor, bomba numero due pronta al lancio.
“E tu? Tu non sei troppo grande? Oppure per te non vale… visto che ne fai parte!”, abbassò la voce, come se fosse una grande rivelazione.
“Questa è pura follia”,  si provò a difendere, la ragazza.
“Allora come mai i tuoi capelli ora sono completamente verdi, mechati di viola, sul tuo chignon? Prima erano blu!”, notò lui, sapendo di averla in pungo.
“Sono… sono…”, cercò una scusa. “Merda, Jared, sei proprio un rompicoglioni!”.
“Quindi?”, disse lui, ridendo. Oh, yeah, aveva vinto.
“Vieni con me”, lo spinse via.


...
Note dell'Autrice:
Ehehe che avrà Ash da nascondere durante la notte? Cosa ha scoperto Dean? Chi lo sa! ahha
Bè, Vicki e Natalie come al solito cercano di indagare, ma poi arriva Devon e capisce tutto senza fatica (amo quel bambino se non si era capito!) ahhahaah :)
Comunque, Leto Jn. sta arrivando alla conclusione del mistero (sì, per ora). Nel prossimo capitolo finalmente si capirà qualcosina in più, ma essendo una storia di misteri e intrighi, come sempre vi dico che non si saprà mai tutto da un capitolo all'altro :D
Il piano di Vicki ormai credo l'abbiate capito: farle tante domande insieme così da farle dire la verità. Spero che si sia capito :)

Bene, ho detto tutto quindi penso sia ora di augurarvi buon week-end; io me ne vado  a Bergamo a fare un musical, spero vada tutto bene!
Un bacione come sempre a tutti (recensite, se vi va, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!)
Ronnie02

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Capitolo 13
*** Edge Of The Earth ***


*entra con passi leggiadri e felpati per non venire linciata*
.... *viene colpita*
ODDIO SCUSATE, SUL SERIO NON VOLEVO RITARDARE COSI' TANTO, E' LA SCUOLA LA VERA COLPEVOLE!
Ok, ora la pianto. No, sul serio gente, mi dispiace un sacco di questi continui ritardi, ma mi sta scoppiando la testa. Vi giuro che proverò ad essere puntuale, giuro. 
Ora vi lascio leggere, visto il tempo che ho impiegato ad aggiornare.
Bye bye, buona lettura





Chapter 13. Edge Of The Earth






“Ash!”, la chiamò Dean, appena la vide arrivare. “Wow, sei uno schianto!”. L’aveva sempre trovata bellissima, ma quel giorno, con la salopette e il basco, aveva un non so che di particolare.
“Smettila”, lo riprese subito lei, andandolo ad abbracciare. “Come stai?”.
“Oh, meglio di quanto non fossi mai stato… e tutto grazie a te!”, le rispose, sedendosi un po’ sul letto. Ora stava mangiando di più, era più in carne e un pochino meno fuori di testa. Così, senza che nessuno lo toccasse, l’avevano spostato di un livello. Essere almeno un po’ più lontano dei terminali, dopo più di un anno, era come stare in Paradiso. “E grazie Joel per avermela portata”.
“E’ stato un piacere”, disse il ragazzo, per poi lasciarli soli.
“Lui mi piace molto di più del tuo stupi… scusa, del tuo amorevole fidanzato”, commentò Dean, guardando Joel andarsene dalla stanza.
“Ehm… insultalo pure, Dean. E’ una vita che ho mollato Edmund”, confessò Ash, stupita in realtà dal fatto che non lo sapesse.
“Sul serio?! Wow, non mi ricordavo questa bella notizia. E ancora non abbiamo festeggiato?! Mannaggia a te…a festeggiare con una passeggiata, subito!”, esultò Dean, guardandola ridere. “No, sul serio Ash, posso camminare fino alla sala se mi tengo a qualcosa”.
“Io sarei il tuo qualcosa?”, chiese fintamente offesa, ma molto felice della novità.
“Ovviamente”, scoppiò a ridere Dean, mentre lei gli tirava un buffetto sulla spalla, senza fargli male. Cavolo, era seriamente migliorato!
Lo aiutò a scendere da quel letto e gli mise un braccio attorno alla vita, mentre lui si appoggiava alle sue spalle con il suo. Quando si furono sistemati per bene, pian piano, cominciarono a camminare.
Ash era semplicemente stupefatta del progresso del suo amico. Ed era successo solo perche lei era andata a trovarlo!
Non lo credeva possibile, invece Dean era lì, con lei, a camminare meglio che poteva, fuori dalla sua nuova stanza.
“Grazie Ash”, sussurrò lui, mentre entravano nella sala, dove altri pazienti, accompagnati dalle infermiere, facevano il loro giro. “Sai che uscirò da quella porta grazie a te, vero? Appena riuscirò a camminare per conto mio mi faranno uscire!”.
“Sul serio?”, disse lei, stringendolo un po’ di più, come in un abbraccio.
“Sì, il dottore ha detto che il mio problema… psichico non cambierà mai e potrebbe solo peggiorare stando chiuso qui dentro”, esultò lui, restando con lo sguardo fisso sulla porta tanto agognata.
“Ne sono certa anche io. E così io potrò tenerti d’occhio”, commentò lei. “I tuoi parenti non sono pronti a starti dietro, io ne so qualcosa. Potresti venire da me e stare più tranquillo”.
“E’ una proposta di convivenza, amore mio?”, la prese in giro, sbattendo le ciglia e provando a baciarla, anche se in realtà era veramente entusiasta.
“Vaffanculo”, rispose lei, spostandolo. “Allora, sì o no?”.
“Certo che sì, scema!”, disse lui, spingendola in basso con il braccio, per farlo un dispetto. Era già più bassa di lui, odiava le facesse scherzi del genere e lui lo sapeva benissimo.
“Sempre il solito simpaticone, vero?”, rispose lei senza vendicarsi del gesto, come avrebbe fatto di solito. “Sei risparmiato solo perché ti voglio fuori di qui presto”.
“Oh, come sei buona!”, sorrise lui.
“Non è la prima volta che me lo dicono”, scoppiò a ridere Ash, con fare melodrammatico.
 
“Bel posto appartato”, la prese in giro Jared, quando andarono nel piccolo parchetto dietro l’asilo. Oh merda, adesso lo meno, pensò la ragazza.
“Senti, è già un miracolo per te che io accetti di raccontarti questa cosa, quindi non farmene pentire!”, gli disse, sbattendolo contro il muro, arrabbiata. “Ora ascolti, muto e non fai nemmeno una domanda”.
“Mi devi raccontare la storia della tua vita? Io ti avevo chiesto solo di darti una spiegazione a quello che fai, mica di scrivermi un libro”, rispose lui, sbruffone.
“Oh, davvero? Va bene, mi risparmi aria”, commentò lei, lasciandolo lì al muro, mentre lei si distaccava e si allontanava da lui.
Si mise dritta con la schiena e respirò forte. Era arrivato il momento.
“Allora?”, disse Jared, senza notare che stava iniziando a parlare.
“Sono una strega”.
Un attimo di panico, un attimo di silenzio, un attimo che durò un’eternità per entrambi, si estese tra di loro.
“O santa merda”.
 
I momenti peggiori sono quelli in cui, come in un film, tutto si appanna dopo una rivelazione e per alcuni istanti non capisci se chi stava parlando è morto, svenuto, l’hanno ucciso o semplicemente sta aspettando che l’altro si decidi a parlare.
E porca miseria Leto, esponiti!, pensò Ash, vedendo Jared veramente scioccato. Oh cazzo, è morto!.
“Tu… tu…”, balbettò il cantante.
Lo preferivo morto, continuò a pensare la ragazza, guardandolo come sfinita dalla stanchezza.
“Stai scherzando?”, chiese ancora Jared, distogliendo lo sguardo da lei, quasi fosse… cosa, un mostro?
Grazie, Leto, davvero! Ora lo uccido io, cazzo!, s’arrabbio Ash, diventando completamente viola.
“Ehy, ehy… il viola significa che sei arrabbiata quindi? È… è una magia?”, chiese, quasi dandosi dello stupido, finalmente guardandola.
Facciamo un passo avanti, Leto, ma ho ancora voglia di ucciderti, lo fissò, calmandosi un po’.
“Ora sei tu che non parli, però”, la rimproverò Jared, guardandola tornare bionda. “E il biondo blu è quando ti stabilizzi… giusto? Scommetto che il verde vuol dire che hai paura”.
“Sei un ottimo osservatore, l’ho sempre detto”, rispose Ash, sorridendo un po’, più tranquilla. Non sei scappato… bene, ti posso anche risparmiare. “Non è una magia, comunque, è… solo parte di me”.
“Quindi tutti i… maghi o streghe… sono capaci di farlo?”, domandò ancora, davvero curioso. E quindi sua madre aveva ragione, avevano tutti avuto ragione.
La magia esisteva davvero, era la soluzione. Solo che, come in tutte le storie che si rispettino, andava tenuta nascosta.
“No, solo io”, continuò Ash, facendolo tornare alla realtà. Così Jared provò ad avvicinarsi un po’, mentre Ash tentava di stare immobile, senza avere paura.
Ormai il gioco è fatto. Non se n’è andato… va bene, no?, continuò a ripetersi.
“Quanti siete?”, chiese Jared, arrivando a sedersi al suo fianco, esattamente di fronte a dove era prima.
“Pochi, pochissimi… qui”, rispose lei, evitando il suo sguardo. A quegli occhi azzurri avrebbe detto di tutto, ma non poteva lasciarsi incantare.
“Qui? Qui in California?”, continuò a domandarle. Oh Dio, se ci sei, salvami!, tornò a pensare.
“No, Jared. Qui nel tuo mondo!”, lo corresse lei. “Ma non posso dirti altro, mi dispiace. Sai già troppo”.
“Troppo? Io non so un bel niente!”, si lamentò il cantante alzandosi in piedi, in segno di protesta. “Non… non mi hai detto nulla, scusa! Ormai il gioco è fatto, finiscilo”.
“Jared, perché credi che sia un segreto?”, ribatté Ash, prendendogli il polso come per farlo sedere di nuovo. “Perché diventeremmo tutti casi clinici, gli ‘strambi’ di un altro universo… e non posso permetterlo”.
“Non lo direi a nessuno. Forse al resto della band e a Vicki, ma sai che non andremmo a urlarlo in giro, Ash!”, disse Jared, allargando le braccia.
“Non siete voi il problema, Jared… siamo noi. Se qualcuno lo viene a sapere, e fidati lo verranno a sapere, voi siete finiti. Non vi manderò a morte così facilmente, non posso”, si spiegò Ash, alzandosi in piedi per andare via.
“Perché dovrebbero capirlo?”, la seguì Jared.
“Perché seguono me ventiquattro ore su ventiquattro come minimo. Non siete al sicuro con me, Jared. Guarda quante volte sono costretta a scappare”, si voltò di scatto Ash, spaventandolo. “Essere me è la cosa più brutta di tutti i mondi esistenti e stare anche solo vicino a me… può seriamente significare la morte”.
“Ora esageri”, commentò Jared, guardandola come se volesse estorcerle tutti i suoi segreti. No, occhi azzurri, non posso.
“Mi dispiace, Jared”, concluse lei. “Ma davvero, pensaci! Come potete essere al sicuro con me? No, Jared, non posso farvi questo”.
“Lo fai per noi… o lo fai per te?”, non demorse il moro, superandola e bloccandole la camminata. “Non dovresti prima informarci dei pericoli per vedere poi se siamo pronti ad affrontarli?”.
“Se vi dico tutto non avete scelta. O così, sapendo di potervi salvare, o conoscere tutta la verità e non poterne più scappare”, gli diede un’ultima possibilità di capire che era come spararsi un colpo in testa.
Jared la guardò, come a valutare tutte le varianti, per qualche minuto. Ancora una volta nell’arco di nemmeno un’ora ci fu un periodo di silenzio troppo lungo perché i nervi dei due potessero reggere.
“Diccelo”, disse Jared alla fine, mordendosi l’interno del labbro inferiore.
“No, non posso”, lo superò di scatto Ash, correndo via troppo veloce perché lui riuscisse a prenderla. Fosse stata anche più temeraria avrebbe potuto andarsene anche più velocemente, ma non era più neanche in grado di farlo dopo così tanto tempo.
Sono nella merda, fu il suo ultimo pensiero.
 
Ancora una volta, gli serviva inchiostro.
Per cosa poi? Per continuare a scrivere quel maledetto nome. Non sarebbe andata avanti per molto questa storia, prima o poi l’avrebbe trovata. Ash Connor non voleva tornare all’Esis, ma lui continuava a cercarla in una maniera morbosa e ossessiva.
Mancava solo lei alla sua lista nera.
“Mi fa sempre più paura”, balbettò Zoe, tremando mentre esaminava il messaggio sulla parete. ‘Sento il tuo sangue sulla mia pelle… ti prenderò, piccola stupida’.
“Arriverà presto. Odia mietere vittime innocenti se ha la sua preda preferita sotto mano”, disse Sorrow, deglutendo davanti all’orrore che si trovava davanti.
Una casa come tante altre, con un ingresso come tanti altri, con una sala… macchiata di un crimine. Come la volta precedente, tutti i mobili erano sottosopra, come dopo una rapina, e, appoggiata al muro, la vittima.
Simon Taylor Collins, ventenne, studente della stessa scuola di tutte le altre vittime. Perfetto sportivo, fidanzato da due anni, promessa della giurisprudenza del loro mondo… ucciso, martoriato, torturato senza pietà.
Zoe scappò via, non riusciva a stare lì dentro, mentre Sorrow si fece forza e si avvicinò al cadavere. Era il suo lavoro, non poteva tirarsi indietro.
Come per la ragazza precedente, i suoi vestiti erano completamente lacerati nei punti di maggior scorrimento del sangue, più qualche taglio leggero sul collo. Tanto per fargli male, senza davvero ucciderlo.
Gli alzò la maglietta, leggermente, per paura di cosa potesse trovare, e notò del sangue ancora fresco scivolare sul petto. Interessante… non doveva essere passato tanto tempo quindi.
Continuò a tirarla su e notò che il sangue aumentava. Ormai non ne fu sorpresa… come la volta precedente, la gabbia toracica era stata completamente dilaniata e il cuore era stato tagliato fuori, provocando un’emorragia abbastanza notevole da inondare gran parte del pavimento attorno a lui e essere sufficiente anche per il messaggio.
Era stato rimesso al suo posto malamente, freddo e biancastro, tagliato ovunque.
Sorrow chiuse gli occhi e risistemò la maglietta intrisa di sangue a posto, come meglio poteva. Si stava per sentire male, ma non poteva.
Così riaprì gli occhi e guardò il viso del ragazzo. I capelli neri erano sparati in aria con del gel, a cui si era appiccicato del sangue già solidificato. Magari l’aveva preso per i capelli con le mani sporche, per sistemarlo contro il muro…
La pelle era fredda e bianca, con alcune ferite viola sulle guance, mentre il labbro superiore e il naso erano stati spaccati, forse mentre tentava di scappare.
E rieccolo. Il simbolo dell’orrore. Sempre sul collo, vicino all’attaccatura dei capelli corti del ragazzo, c’era incisa la a che indicava l’assassino.
Sorrow si alzò, lentamente, e guardò gli arti del ragazzo. Completamente storti, rotti fino all’inverosimile, come se fosse un giocattolo a fili. Era stata la sua marionetta per un pomeriggio di giochi mentre pensava alla frase più orribile da scrivere con il suo sangue.
Quando era morto questo povero ragazzo? Quanto aveva sofferto prima che, finalmente, il suo cuore disperato aveva smesso di battere?
“Perché?”, sussurrò Sorrow, senza davvero dirlo a nessuno. “Perché lui? Perché un ragazzo innocente deve perdere la vita per colpa tua?!”.
Con tutta la forza che aveva, si allontanò dalla vittima e non guardò il messaggio, andando da Zoe.
Lei era fuori dalla casa, con Joel, che cercava indizi per dove fosse andato Lui.
“Inutile che guardi. Non ha camminato fuori da quella stanza: è arrivato e se n’è andato in quel punto”, disse Sorrow, arrivando agile. Zoe le sorrise, mentre Joel si tirò in piedi e le diede le spalle, andandosene in fretta, usando la stessa tecnica che aveva usato Lui. “Uh, nervosetto, il ragazzo”.
“Lascialo perdere, è nervoso”, lo scusò Zoe, guardando Sorrow che alzava il sopracciglio. “Non lo sto difendendo!”.
“Oh, l’amore”, la prese in giro Sorrow, cominciando a camminare a fianco con Zoe, che era arrossita.
“Non è vero…”, disse la ragazza, distogliendo lo sguardo da Sorrow e fissando la strada. Le meraviglie di quel posto riuscivano a farle dimenticare l’orrore che aveva appena visto.
“La prossima volta vi mando in missione sopra uno di quelli”, disse Sorrow indicando il ‘mezzo di trasporto’ tipico degli innamorati. Zoe la guardò malissimo e lei ridacchiò. “Tranquilla, io non gli dico niente!”.
“Non c’è niente da dire, Sorrow, smettila”, chiuse il discorso. “Cioè, volevo dire: non c’è niente da dire Sam, smettila”.
“Sei la prima che mi chiama ancora Sam dopo tutta una vita, da quando quella peste della Connor ha cominciato a chiamarmi Sorrow, sai?”, scoppiò a ridere Sorrow, ricordandosi del suo vero nome. Non era più abituata ad essere chiamata con il suo nome di battesimo: Samantha Gair… si poteva dimenticare una cosa del genere?
“Sì, lo so… ma essere chiamata Sorrow non ti da fastidio?”, chiese Zoe, ridendo.
“Ormai mi chiamano tutti così, quindi non c’è problema”, cominciò a raccontare con un sorriso. “Prima ero conosciuta come Sam o Sammy; lo sono stata almeno fino a quando ho conosciuto Ash. Ma dopo la sua storia mi hanno affidato le missioni di ricerca di assassini, il che implicava avere a che fare principalmente con… cadaveri”.
“E tu eri quella che li esaminava e che avvisava i parenti… portando loro dolore, giusto”, finì Zoe per lei.
“Ash ci vede giusto con i soprannomi. Il suo caso non è mai stato chiuso, sai? Prima che arrivassi tu, Joel e Edmund eravamo almeno in dieci a stare vicino e ci guidava il capo Ylan Coff”, ricordò la donna. Frederic, John, Daniel, Kathrine, Kate, Hailey, Walter, William, Maggie… quanto le mancavano, quante ne avevano passate insieme, dietro quella pazzoide? “Eravamo una squadra unita e lei, quando era fuori da scuola, era obbligata a darci ragione, essendo minorenne. Le ragazze le facevano da mamma, i ragazzi erano i suoi amici e io guardavo un po’ che non succedessero casini, insieme a Ylan…
“Ma poi Ash compì diciotto anni e chiese di andarsene, visto che ormai Lui non attaccava da moltissimo tempo. Tutti furono d’accordo e a quel punto non riuscii ad evitarlo. Così ottenne il permesso da Ylan, se ne andò e la squadra si divise. Quando Lui cominciò a tornare fui l’unica che, essendo parte ancora dell’Esis, si riuscì a salvare. A quel punto il team si ricompone e Seamus venne definito come nuovo capo in carica del caso. Chiamò voi e… bè da qui in poi la storia la conosci anche tu”.
“Sì, in effetti la conosco bene”, sorrise Zoe, pensando a ciò che Sorrow le stava raccontando. “Com’era la Resistenza, prima di… tutto questo?”.
“Bè, innanzitutto non esisteva l’Esis. Quello fu creato dopo l’esperienza di Ash. Prima c’era la D.I.S.I., ovvero ‘Diritti Inequivocabili per Stregoni e Incompleti’, ma tutti la sciolsero per paura che Lui li trovasse.
“Così noi superstiti ci nascondemmo e creammo l’E.S.I.S., in totale segreto. Non potevamo rischiare di essere scoperti, così cambiavamo sede ogni volta che ci vedevamo”.
“Wow… non avrei mai pensato che avessi avuto una vita così emozionante”, sorrise Zoe, entrando nell’Esis.
“Sì, mille avventure sono belle da ricordare, anche se è una fatica viverle tutte”, commentò Sorrow, persa nelle sue memorie, con i suoi compagni, mostrando un sorriso sul volto.
“Bè… ho una nuova avventura per te”, disse sorridendo furba, guardando la sua amica.
“Parla”, sorrise curiosa Sorrow,  mentre seguiva Zoe all’interno della sede della Resistenza. “Avanti, Zoe, dimmi!”.
“La nostra cara Ash Connor ha trovato dei nuovi amici davvero teneri e carini… che di cognome fanno Leto”, ammise, appena arrivarono nella sala dove aveva lasciato i giornali trovati all’Esis.
“Cosa?!”, urlò Sorrow, spaventata. No, non poteva essere…
“Tranquilla, sono degli Incompleti, ma sto cercando i possibili legami di parentela con Lui. Hanno una band e a quanto pare il loro compagno di gruppo ha un figlio che viene affidato da Ash, nel suo asilo”, disse Zoe, facendole vedere anche delle notizie Incomplete, che aveva scovato grazie alle conoscenze di Joel su quel mondo.
“Oh, meno male”, si toccò il cuore Sorrow, più tranquilla. “Mi hai spaventata da morire”.
“Secondo te che legame hanno con Lui?”, chiese Zoe, analizzando i suoi documenti, più i pochi libri che parlavano dell’assassino del ragazzo trovato oggi a casa sua.
“Se li avesse mandati Lui, Ash Connor sarebbe già sotto tre metri di terra e non avrebbe ucciso quei ragazzi per dirci che stava arrivando”, commentò Sorrow.
“E se invece stesse aspettando per fare in modo che lei si fidi di loro? In fondo, come potrebbe sapere di essere così vicino a lei, tanto da dire che sente il suo sangue sulla sua pelle”, si domandò Zoe.
Sorrow, a quel punto, sbiancò di nuovo per la paura. “Zoe, troviamo tutto quello che possiamo su questi due. E dì a Seamus di mandare Joel a scovare qualcosa su di loro più da vicino!”.
 
“Avevamo ragione, quindi?”, sorrise Vicki, mentre abbracciava Devon, che sorrideva e parlocchiava. Da quando aveva detto magic continuava a pronunciare lettere sconnesse, ma dopo un po’ riusciva a formulava una parola giusta.
“Dammi il cinque, sorella”, esultò Shannon, battendo pugno con Vicki e Tomo, che fecero la linguaccia al fratello piccolo, invece. Jared fece il broncio e smise di raccontare cosa era successo.
“Oh, forza Jay, non ti offendere! In fondo non puoi negare che avevamo ragione noi, scusa”, gli sorrise Vicki, lasciando suo figlio a Tomo e andando ad abbracciare il cantante. Lui scoppiò a ridere e la strinse di rimando, per poi prendere la testa e sfregare il pugno sui capelli, scompigliandoli.
“Sei sempre più simpatico, Jared, eh!”, si staccò da lui, dandogli un pugno sulla spalla. Tornò a sedersi con Devon, per terra, in mezzo ai giocattoli, mentre Jared, andò avanti con il racconto.
“Quindi non mi ha detto altro, se non che saremmo finiti male in caso avremmo saputo qualcosa di più”, finì la storia, deludendo i presenti.
“Cosa?! E non ti ha detto più niente? Ma no!”, si lamentò Shannon, scioccato.
“Non credo che sapere così poco ci aiuti, perché, alla fine, la cosa più importante per cui ci dovrebbero cercare la sappiamo, no?”, disse saggiamente Tomo, come suo solito.
“Oh, come al solito le tue perle di saggezza ci colpiscono in pieno, Tomo”, lo prese in giro Jared, ridendo.
Vicki, invece, non disse nulla, guardando Devon fissare la porta che dava allo studio di suo marito. Oh, cavolo.
“To-Tomo?”, balbettò la ragazza, un po’ impaurita. E se, invece, suo figlio non fosse normale come credeva? Se il legame che aveva con Ash era per colpa della natura di Ash?
E se anche suo figlio fosse come lei?
“Che succede, tesoro?”, chiese Tomo, non capendo dove volesse arrivare la moglie.
“Hai ancora nel tuo studio il piccolo pezzo di plastica inciso?”, rispose la donna, indicando suo figlio, che fissava la stanza.
“Credi che c’entri qualcosa?”, domandò Tomo, mentre Jared e Shannon non capivano cosa si stessero dicendo i coniugi Milicevic.
“Sono certa che c’entri con Ash… ma perché Devon sta fissando quella stanza?”, ribatté Vicki, alzando la voce di due toni.
Tomo, vedendo che i Leto non li seguivano più, cominciò a spiegare loro dello strano simbolo che era stato inciso su un pezzo di plastica che poi Devon aveva trovato e portato a casa.
“Non lo so, Vicki”, concluse poi, ritornando su sua moglie, che seguiva gli occhi di suo figlio su quella stanza.
Era tutto così strano e sconclusionato…
Troppi tasselli mancanti per un puzzle troppo grande per loro quattro.
“STATE GIU’!”, urlò qualcuno, da fuori la porta. Tutti si abbassarono spaventati, dopodiché la porta scoppiò in mezzo al fuoco, facendo urlare tutti quanti, tranne Devon.
Il bambino, infatti, si liberò dalle braccia di sua madre, e andò verso il fuoco, gattonando, senza paura. Man mano che si avvicinava, il fuoco diminuiva, lasciando spazio al fumo.
“Devon, sta’ indietro”, lo richiamò Vicki, mentre Tomo la teneva stretta a sé. Il bambino si voltò, nello stesso istante che tutti volsero lo sguardo su di lui.
Intanto il fumo si stava spargendo, facendo comparire un ombra scura, che spaventò i ragazzi all’interno, mentre Devon era tranquillo davanti alla nebbia, in attesa.
“NON MUOVETEVI!”, urlò l’ombra, entrando in casa. Jared, quasi preso dall’adrenalina, uscì dalla morsa in cui Shannon l’aveva chiuso per proteggerlo, e andò davanti a Devon.
“Chi sei?”, chiese nervoso, tenendo il bambino dietro le sue gambe.
L’ombra diventò sempre più riconoscibile come essere umano, mentre Devon inclinava la testa per vedere lo sconosciuto, anche se si teneva a Jared.
“Chi vi ha detto di Ash?! CHI?!”, urlò il ragazzo, uscendo dal fumo, con la mano piena di luce, quasi un lampo elettrico bianco e blu. I capelli li aveva scuri, esattamente come gli occhi.
Jared e Tomo lo guardarono curiosi. Aveva una faccia davvero familiare, e quello che aveva appena fatto era un segno che faceva parte dello stesso mondo di Ash.
“Oh, cazzo”, disse Shannon.
“E questo?”, continuò Vicki, spaventata.
“Sei il tipo del cappello bianco!”, se ne uscì Tomo, alzandosi di scatto e facendo girare verso di lui tutti i presenti. Il ragazzo lo guardò scioccato, abbassando la mano elettrica.
“Sì! E’ vero! La prima volta che Ash se n’è andata ho visto te che arrivavi all’asilo!”, lo accusò Jared, indicando il ragazzo. “Che cazzo le hai fatto, pezzo di merda?”.
“Jared!”, disse Vicki, indicando Devon.
“Non osare!”, grugnì il… mago. Guardò male Jared e in un attimo tutto il suo braccio si ricoprì di fulmini elettrici. “Non sai con chi hai a che fare”.
“Sì che lo so”, lo sfidò Jared, mentre Devon continuava a guardare il nuovo arrivato.
“E non dovresti!”, urlò il ragazzo, muovendo il braccio nella direzione del cantante, che d’istinto si coprì il volto.
“Edmund, no!”, sentirono tutti una nuova seconda voce, che si fece vedere qualche secondo dopo. Stavolta nessuno lo riconobbe, ma di certo era uno di loro.
“Joel, che cazzo vuoi?! Lo sanno!”, ribatté il primo arrivato, guardando il secondo.
“Fermo! Credi che ti ringrazierà se li farai fuori?”, lo convinse Joel, a quanto sembrava che si chiamasse. “Ti odierà ancora di più, quindi sta’ buono”.
“Sanno tutto… e vuoi lasciarli andare?”, domando Edmund, scioccato, mentre gli Incompleti presenti se ne stavano in silenzio, senza capire niente.
“Devono sapere”, concluse il secondo, fermando la carica elettrica del primo, che sparì completamente dal suo corpo.
E ora? Scusate, vi pagheremo la porta, ciao?
Joel si voltò e, mentre la sua mano si coprì di una strana foschia, come un vento infinito attorno al suo braccio, che man mano risistemava casa Milicevic come se non fosse successo niente.
Ditemi che è solo un incubo.
“Domani all’asilo di Ash Connor. Così appena porterete il bambino potremmo parlare anche con lei”, disse Joel, mentre tutti gli Incompleti annuirono, completamente persi. “E tu, muoviti, cazzo di idiota!”.
Edmund abbassò la testa e lo seguì, chiudendo la porta dietro di sé, la stessa che aveva sfasciato quando era ‘entrato’.
“Qualcuno sa spiegarmi che cazzo è successo?”, disse Shannon, ancora per terra, tossendo per la polvere ancora in giro.
“Ma sti due coglioni non potevano anche pulirmi casa, già che c’erano?!”, se ne uscì Vicki, alzandosi in piedi con suo marito, per andare a prendere Devon, ancora attaccato alle gambe di Jared. “Pensa te questi!”.
 

...
Note dell'autrice:
No, ma mi dicono che questi maghi sono davvero simpatici!
AHAHAHHAAH comunque, ALLELUIA *partono i cori d'angelo* Jared ha capito l'arcano! Il primo arcano, il più semplice, è svelato... ma sappiate che non  è finita! Non è mai finita qui ahhhahahah
Ora, Dean è il solito tesorone che... bo, è il mio preferito oltre a quell'idiota di Leto, poco ma sicuro. E' un mito.
Come al solito, spero che gli assassinii non  siano così terribili a leggere, ma in un certo senso mi piacerebbe essere capace di scandalizzarvi (vena sadica e cinica pronta all'azione).
Vicki è una grande e, come già detto, Edmund e Joel non sanno che altro fare quindi, per essere davvero dei simpaticoni, si mettono a sfasciare case. YEEEEEE

Va be, ora vi lascio, che vi ho già preso troppo tempo.
Scusate ancora per il ritardo, chiedo pietà.
Un abbraccione a tutte/i (se esistono maschi :D), Ronnie
 

 
 

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Capitolo 14
*** Mars are the only exception ***


Scusate Echelon se sono in ritardo ma questa settimana sono stata (e sono) in uno stato di coma/depressione che non mi lasciava aggiornare. Mi spiace, oggi sarò un pò atona, infatti vi lascio subito al capitolo.
Buona lettura :)




Chapter 14. Mars are the only exception





 
“Oh merda”, disse Jared, nervoso, mentre erano tutti in macchina per andare all’asilo. “Oh merda, merda, merda… ho già detto merda? Oh merda”.
“Vaffanculo, Jay! Mi stai facendo venire l’ansia, cazzo”, lo zittì il fratello, sempre molto finemente.
“Ormai non ve lo dico neanche. Tanto so che mio figlio dirà comunque più parolacce di tutti noi insieme continuando così”, commentò Vicki, facendo ridere Tomo, mentre Shannon lasciava perdere il fratello per giocare con Devon.
“Ma come fate a stare così calmi?! Potrebbero farci secchi tutti quanti!”, impazzì il piccolo Leto, senza che nessuno gli diede corda.
“Jared, vedi che non ascolti mai?”, chiese Tomo, ridendo. “Ieri uno di quei pazzi ha detto che noi ‘dovevamo sapere’. Quindi che problemi ti fai? Il peggio che ci può succedere è che ci obblighino a prendere la strada della seconda scelta che Ash ci aveva offerto: sapere tutto e non poter tornare più indietro”.
“Infatti. Sta’ calmo, Dio santissimo, bro!”, lo rimproverò Shannon, continuando a giocare con il bambino, provando a farsi ripetere il suo nome, sempre senza successo.
“Ah… giusto”, si tranquillizzò Jared, spalmandosi sul sedile dell’auto e poggiando la testa. Era stanco, non aveva dormito quella notte e aveva solo bisogno di riposo.
In fondo come si può dormire quando due pazzi di un altro universo ti entrando in casa distruggendo mezzo muro con la pelle piena di fulmini o vento, dicendo che ti dovrebbero ammazzare, ma poi si pentono e ti chiedono di incontrarsi la mattina dopo?
Non puoi.
“Hey, ma ti sei addormentato, fratello?”, lo risvegliò Shannon dai suoi pensieri, mentre guardava fuori dal finestrino. In effetti non si era accorto che erano già arrivati.
“Io vado a portare Devon e a chiamare Ash, nel caso fosse ancora con i bambini”, disse Vicki, scendendo dalla macchina e andando a recuperare Devon dal sedile posteriore.
“Noi invece andiamo a cercare quei pazzi”, continuò Tomo, imitando la moglie e facendoli scendere tutti dall’auto. La chiuse e si incamminarono verso l’edificio.
Vicki entrò, mentre loro restarono nei paraggi, controllando se arrivasse qualcuno, visto che per ora il giardino era vuoto.
“Bu!”, urlò qualcuno, alle spalle di Shannon, facendogli perdere almeno vent’anni di vita. Si voltò e notò quel gran pezzo di me... mago di Edmund che si spanciava dal ridere. “Oh, quanto siete divertenti!”.
Nel frattempo era comparso lì vicino anche il secondo mago, Joel, senza che nessuno lo notasse. Come facevano a spuntare così, dal nulla?
Bè, erano maghi, potevano fare tutto, loro.
“Simpatico, lo stronzo”, sussurrò Shannon, riferendosi al piccolo scherzo precedente. “Vorrei vedere cosa succede se gli tirassi in testa la gran cassa di Christine! Oh, che risate che mi farei!”.
“Finitela voi due. Dio, Edmund sei sempre il solito bambino”, arrivò Ash, scioccata, seguita da una Vicki saltellante, tutta felice.
La bionda, quel giorno, aveva indossato delle leggins nere, con dei perfetti anfibi ai piedi dello stesso colore, e una maglietta lunga dei Guns’n’Roses lacerata un po’ alla fine, apposta. Sopra aveva una giacca di pelle, aperta a mostrare la maglia. I cappelli li aveva lasciati sciolti e le ciocche erano sempre blu, mentre si era truccata leggermente di più gli occhi, mettendo anche l’ombretto nero, oltre a matita e mascara.
Ottimo stile ragazza.
“Dovresti buttarla quella roba”, commentò invece l’idiota a cui lei aveva appena dato del bambino, quasi orripilato dalla mise della ragazza.
“E tu dovresti restare zitto per andartene a fanculo con onore e decenza, perché ormai la dignità te la sei giocata”, rispose lei, prendendosi un batti cinque da Tomo e Shannon, ridendo.
Lui rimane zitto e Joel prese il comando del raduno. Si sedettero tutti sulle panchine del giardinetto e lui cominciò a parlare, mentre Ash fissava i presenti molto attentamente, come a studiare le loro reazioni.
“Allora, ci dispiace prima di tutto per il comportamento di ieri sera di Edmund. E’ stato dovuto a… un errore”, cominciò il mago, mentre la bionda lo guardava confusa. “Ecco, vedi Ash, Edmund potrebbe aver capito male…”.
“Ha buttato giù la porta di casa Milicevic urlando in milleduecentottantanove lingue!”, disse Shannon, interrompendo il racconto di Joel. “Errore?! E vaffanculo all’errore!”.
Joel deglutì, ma Jared notò un sorriso nascosto nel suo volto. Forse aveva apprezzato la sincerità del Leto più grande, anche se non voleva ammetterlo per evitare litigi inutili.
“Tu sei fottutamente morto, spia del cazzo”, sibilò Ash a Edmund, anche se il Leto più piccolo riuscì a sentirla. Spia? “E’ meglio se cominci a correre, perché se ti prendo potrei farti male. In fondo siamo famosi anche per questo, no?”.
Jared non capì cosa intendesse, ma non sapendo cosa i maghi potessero fare davvero lasciò perdere.
“Va bene, sorvoliamo su questo accaduto. Alla fine non è stato niente di grave, no?”, ritornò al comando Joel, mentre tutti annuivano alla sua domanda. “Ecco. Abbiamo voluto ritrovarvi qui per una scelta fatta da Ash, che ovviamente avrebbe potuto evitare”.
“Certo, avrei tanto voluto vedere te al mio posto, con addosso quattro mosche che provano a scoprire qualsiasi cosa”, interruppe Ash, guardando la band e Vicki. “E ringrazia solo Edmund. Se lui la prima volta non fosse venuto, adesso loro non saprebbero nulla”.
“Ok, va bene. Sei esonerata da ogni punizione, ma rimane il fatto che loro devono sapere ormai”, continuò Joel, seguendo lo sguardo di Ash sui suoi nuovi amici. “E sono certo che saranno d’accordo con me”.
“Certamente”, esultò Shannon, come suo solito.
“Dovremmo ucciderli, non spifferare loro ogni nostro segreto, Joel!”, si lamentò Edmund, facendo arrabbiare sia Ash che il batterista.
“Ma lo sai che mi stai proprio sul cazzo?!”, rispose infatti Shannon, senza peli sulla lingua.
“Concordo, non ti si può sopportare”, disse la ragazza, dando il cinque al Leto più grande, mentre Joel aspettava che lo spettacolino finisse.
“Edmund, finiscila con questa storia”, lo guardò con attenzione Joel, facendogli capire qualcosa, toccandosi l’attaccatura dei capelli, sul collo. Che voleva dire? E che doveva capire?, si domandò Jared, fissandoli in ogni mossa che facevano.
 “Come vuoi”, sbuffò il ragazzo, alzandosi e andandosene via. “Io ti aspetto sul marciapiede, non ho voglia di stare qui”.
Ash non lo guardò nemmeno, rimase concentrata a guardare Joel, come anche Tomo e Vicki, mentre Jared e Shannon esultarono per la dipartita del mago.
Joel rimase impassibile e continuò il discorso. “Vorrei solo dirvi che in questo periodo, nel nostro mondo, sta capitando qualcosa di brutto e quindi dovremmo tenere d’occhio Ash, perché non si faccia male”.
“Cercano lei?”, chiese Tomo, mentre la bionda lasciò scivolare i capelli davanti al volto, creando una barriera tra lei e gli sguardi che Jared e Vicki le riservavano.
“Sì, cercano lei. E noi dobbiamo proteggerla più che possiamo. I modi sono estremamente riservati, quindi non possiamo dirvelo”, rispose il ragazzo.
“Ma chi la sta cercando? E perché poi?!”, domandò Vicki, davvero confusa, vedendo Ash così persa nei suoi pensieri.
“Qualcosa che è meglio non conosciate, per ora”, concluse Joel. “Ash, vuoi dire altro?”.
Shannon si alzò e si mise davanti a lei, come per sostenerla. Si sedette per terra e inclinò la testa. Lo imitarono anche gli altri, in ascolto. Nel frattempo Edmund controllava che nessuno arrivasse a dare fastidio.
“Io ho già detto loro di starmi lontano”, cominciò la ragazza, alzando il viso e guardando tutti loro. “Ma a questo punto credo che dovrebbero dare ragione più a te. E no, non ho altro da dire. Per oggi, quindi, potete anche andare”.
“Andare? Basta così?”, chiese Jared, ricordando tutta l’ansia che l’aveva attanagliato prima. Tutto quello… per due parole?.
“Saprete le cose con calma, a loro tempo. Per ora non vi serve altro, mi dispiace”, finì Joel, sorridendo. Poi salutò la ragazza, la quale si alzò dalla panchina e rientrò nell’edificio senza degnare Edmund di uno sguardo, e scomparì com’era arrivato.
“Ehm…”, balbettò Vicki, notando poi che anche Edmund si era dileguato allo stesso modo. “Va bè... andiamo a casa?”.
 
Il pomeriggio arrivò in fretta e decisero di tornare tutti al Lab per provare le solite canzoni del nuovo album, o ripetere quelle vecchie, tanto per ripassare.
Alla fine non era andata tanto male, anzi tutti pensavano decisamente peggio: Jared si era messo ansia per niente, rilassandosi dopo mentre cantava tranquillo una delle sue opere; Shannon si era fatto una nuotata nella piscina fuori dalla sala di registrazione, mentre immaginava un mondo pieno di streghe, maghi ed enormi draghi sputafuoco; Tomo guardava Devon combinare lettere a caso, sorridente, pensando anche a cosa poteva cambiare della loro vita quel mondo appena scoperto; Vicki, invece, era persa nei suoi momenti artistici, fotografando la vegetazione attorno alla casa, sognando fate e elfi al suo interno.
Anche gli altri, come loro, facevano il punto della situazione, però.
Ash stava tenendo d’occhio i suoi bimbi, pensando al suo migliore amico e a cosa avrebbe fatto lui nella sua stessa circostanza; Edmund cercava di calmarsi e capire che, anche se non avesse voluto, loro avrebbero dovuto saperlo in ogni caso prima o poi; Joel stava girando per Los Angeles, ammirando il mondo Incompleto e le sue invenzioni che avevano potuto sostituire la magia dei Completi; Zoe era nella biblioteca dell’Esis, cercando ancora notizie; Sorrow, invece, era nella palestra, ad allenarsi un po’ con un suo collega, senza sapere quello che era avvenuto quella mattina all’asilo di Ash.
Ma le catastrofi non arrivano mai sole, nemmeno se i destinati erano tre musicisti famosi in tutto il mondo.
“Jared, dovresti nuotare più spesso, sai?”, disse Shannon, mettendosi sul divano con addosso solo il costume da bagno e l’accappatoio, ovviamente aperto.
“E tu dovresti coprirti più spesso, sai?”, arrivò Vicki, seguita dal marito, sedendosi di fronte al batterista. Tomo cominciò a suonare la chitarra, dentro la cabina di registrazione, ma tenendo la porta aperta per sentirli, mentre Devon gattonò fino al tappeto, di fianco a sua madre.
“Che c’è, non ti piaccio?”, chiese sbruffone il batterista, guardando suo fratello che alzava gli occhi, stanco.
“Sì, veramente mi fai schifo”, scherzò Vicki, facendogli la linguaccia, mentre Jared andava di sopra, sentendo il campanello suonare. Tomo guardò Shannon rabbuiarsi e scoppiò a ridere.
“Dai, Shan, non può sempre essere Jared ad avere un due di picche da Ash; a volte tocca anche a te”, lo prese in giro, mentre il batterista scoppiava a ridere con Vicki.
“Già… o porca merda, ragazzi, ma capite che ci sta succedendo? Voglio dire, è assurdo ma è fantastico!”, esultò all’improvviso, come preso da una gioia tutta sua.
“Direi che hai azzeccato il termine”, sorrise Vicki, mentre pensava alla piccola riunione a cui avevano partecipato quella mattina. “Anche se sono certa che manchi ancora tanto da scoprire…”.
“Prima di tutto perché Ash è ricercata”, stabilì Tomo, facendo annuire gli altri due. “Voglio dire, che senso ha rendere la vita un inferno ad una maga come lei, per di più a Los Angeles?”.
“Forse è proprio l’essere una maga come lei che le causa questa situazione. Magari non è solo quello che sembra”, rispose Vicki, mentre le veniva in mente una cosa che Jared aveva detto loro. “Ricordate la conversazione tra lei e Jared sugli scogli? Ecco bravi. Lei diceva che noi avremmo avuto paura di lei se avessimo scoperto cos’era davvero. E che lei avrebbe voluto essere tutto tranne quello che era davvero”.
“Perché desiderare di non essere una strega? Credo che sia molto elettrizzante la loro vita!”, commentò Shannon.
“Ma forse lei è qualcosa di più di una maga… ed ecco perché la vuole, chiunque voglia farle del male”, concluse Tomo, mentre dietro di loro si sentì un rumore.
Jared, con la mano spiaccicata sulla faccia, era dietro ad una persona che mai avrebbe dovuto sentire quella conversazione.
Emma.
“Oh, cazzo”, si lasciò scappare Shannon, mentre tutti s’immobilizzarono, tremendamente impauriti e imbarazzati. E ora che potevano dire?!
“Che state blaterando?”, cominciò Emma, confusa.
“Niente… niente, baggianate!”, cercò di salvare la situazione, Jared, già in crisi d’ansia.
“Sì certo, però a me sembravano serissimi i tuoi amici! E se fossero solo sciocchezze perché tu staresti sudando freddo?”, ribatté lei, pronta.
“Adesso siamo i suoi amici, non Shannon, Tomo e Vicki”, commentò il batterista, sbuffando, facendo voltare la bionda.
“Tu muto, non sono in vena di sentirti parlare”, lo guardò male.
“Ha parlato la regina: tutti zitti, ragazzi, non sia mai disobbediamo ai suoi voleri”, controbatté Shannon, davvero irritato, alzandosi in piedi e andando verso Emma, mentre Jared, sconfitto, andò vicino ai Milicevic, in cerca di conforto. “Ma io mi sono davvero rotto di star dietro a tutte le tue fottute voglie o ordini! Non sono il tuo cagnolino o un tuo cliente, cazzo!”.
“Che vuoi dire, Shannon?”, sussurrò lei, colpita nel profondo. Shan era importante per lei, alla fine, ma era vero che negli ultimi tempi si erano ritrovati troppo lontani. Prima era bello, divertente, anche eccitante, vivere la loro storia, in segreto, come fosse un gioco… ma ora? Ora c’era la realtà di fronte a loro e dovevano affrontarla.
Ma non erano abbastanza uniti per farcela.
“Quindi ti diverti ad andare dietro a quelle… babysitter?”, disse Emma, sprezzante, quasi fosse un insulto.
“Non vado dietro a nessuno. Vivo solo questa avventura”, concluse lui, guardando quegli occhi che tanto credeva di amare. Amare… no, non li aveva mai amati. Gli piacevano, ma il verbo ‘amare’ era troppo importante.
“Quale avventura?!”, domandò Emma. “Mi volete spiegare? Che significa tutto questo discorso su maghi e streghe? Vi siete fumati qualcosa?”.
“Emma, la cosa è più complicata…”, cercò di spiegare Jared, ma Vicki lo fermò in tempo.
“Non te lo possiamo dire, mi dispiace, Emma”, disse la ragazza, mentre la segretaria aprì la bocca, senza dire nulla, completamente scioccata. “Sul serio, mi dispiace”.
“Ti dispiace? Ti dispiace?! Io credevo fossi mia amica, invece te la fai con loro solo perché tuo marito fa parte di questa gabbia di matti! Sei una traditrice, Vicki”, insinuò Emma, completamente infuriata. Tomo cercò di difendere la moglie, ma la bionda non lo fece parlare. “Siete tutti pazzi, completamente! Non ne posso più di starvi dietro.
“Non ce la faccio a seguire Jared, ad essere trattata come una mezza serva facendo le cose più inutili di questo intero universo. Non ce la faccio più con Shannon, a stare insieme a qualcuno che non conosco, con cui di certo non voglio passare la mia vita. E non ce la faccio più nemmeno con voi due! Siete strani forti!”.
“Tu fai parte di questa gabbia di matti, sai?”, disse Jared, citandola.
“No, no, no… scordatelo, Jared. Io ho chiuso. Chiuso!”, concluse lei, indietreggiando. “Io me ne torno a casa, mi licenzio! Non cercarmi più, okay? Trovati qualcuno capace di sopportarvi, io ho chiuso”.
Così si voltò, sotto lo sguardo scioccato ma anche sollevato di tutti i presenti, e se ne andò via da casa Leto, senza rimorsi o rimpianti. Vide il sole e sorrise. Ora poteva cominciare per lei una nuova vita.
Ma nel frattempo, sempre nel Lab, i ragazzi si domandarono come questa visita potesse cambiare qualcosa. Alla fine Emma non aveva capito nulla, li aveva solo presi per folli, quindi non avevano colpa.
Shannon, però, era abbastanza giù di morale. Sapeva già che la loro storia non sarebbe durata molto, ma sentirselo dire così e in quella situazione gli aveva fatto male. Così, dopo una pacca di consolazione sulla spalla da parte di Jared, sorrise a tutti e se ne andò in camera, a stare un po’ tranquillo.
Jared era dispiaciuto per il fratello, ma sapeva che l’avrebbe superata. Ora doveva trovare una nuova segretaria, ma non era di certo un problema. Avrebbe trovato qualcuno in fretta. Infatti si guardò in giro, tranquillo, per poi alzarsi e andare a fare un giro fuori, attorno alla piscina.
Tomo e Vicki erano quindi rimasti soli, così decisero di salutare i fratelli Leto e tornare all’asilo a prendere Devon. Magari, trovandoci Ash, avrebbero potuto avere qualche consiglio, oppure ottenere qualche informazione in più.
Presero la macchina e partirono, guidando con calma e con i Linkin Park come sottofondo. Da dove spuntasse, nella macchina di Tomo, un cd dei Linkin Park non si sapeva, ma Vicki lo trovò e decise di risentirsi quelle canzoni che tempo prima aveva imparato a memoria.
Dopo qualche traccia, però, arrivarono, così Vicki spense la radio e scese dalla macchina, andando a prendere Devon nel suo seggiolino sui sedili posteriori.
Tomo sorrise a vederla così materna, e la seguì andando verso l’entrata dell’asilo.
“Ehy”, lo riprese la moglie, indicandogli un punto all’interno del giardino dell’asilo, mentre Devon fissava ammirato.
In mezzo all’erba appena tagliata e ai giochi colorati, Ash stava parlando con lo stesso ragazzo antipatico della riunione; ma, dopo qualche  secondo in cui gli fece il broncio, lui le prese un braccio e sparirono.
Così, come se pian piano diventassero sempre più trasparenti, come se la loro corporeità si affievolisse.
Tomo fissò Vicki, completamente scioccata dalla scena, con la bocca un po’ aperta. Devon invece, tra le sue braccia, era tranquillo e guardava il parchetto allegro, come se la scena non fosse assolutamente anormale.
Che cavolo era successo?
 
“Oh, wow, già mi mancavi, sai?”, sbuffò Ash, seduta con le gambe accavallate sulla sedia da maestra della sua classe. Quando era entrato perfino i bambini lo avevano guardato male, come se fosse un estraneo estremamente pericoloso. Bè… non avevano tutti i torti in effetti. “Ma guarda, stai sul cazzo anche ai bimbi”.
Lui alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Adesso si possono dire le parolacce davanti a loro? Ma che brava maestra che sei!”, fece l’ironico, mentre lei cambiava espressione, diventando irritata.
“Che vuoi, spia?”, lo accusò, sottolineando l’epiteto che fece fare una smorfia a Edmund. Odiava essere chiamato in quel modo, ma non poteva dire che Ash non avesse ragione, alla fine.
“Sorrow e Seamus vogliono parlare con te riguardo i tuoi… amici”, riferì lui, restando immobile come fosse un soldato. E in effetti lo era: tutte le spie ricevevano un addestramento degno di una perfetta caserma Incompleta.
“Oppure tu vuoi trascinarmi via con te per dirmi quanto stupida sono stata a dire loro la verità?”, lo guardò male, mentre lui si avvicinava. Ash riconosceva l’andamento dei suoi movimenti: doveva seguirlo, punto e basta.
“Ti devono parlare seriamente”, borbottò lui. “E non preoccuparti della segretaria… è leggermente confusa”.
“L’hai incantata?!”, urlò lei, spaventando i bambini, ma zittendosi subito dopo. “Va bene, lascia perdere”.
Mosse il braccio, lasciando che un luccichio innevato le coprisse la mano e pensò a cosa fare. Quando ebbe finito guardò la sua opera con un sorriso.
“Wow… e poi rimproveri me”, disse contrariato Edmund.
“Io non ho incantato i bambini”, rispose Ash, guardando la sua stessa proiezione, vicino alla finestra con aria attenta su ciò che i piccoli stavano combinando. “Ma se Nat viene qui e non mi vede capirà qualcosa. E non va bene”.
Lui grugnì, ma lei sorrise contenta, sapendo di aver ragione, al contrario del mago. Si alzò in piedi e seguì Edmund fuori dall’asilo, vedendo Janet imbambolata sui suoi fogli. Povera… tempo un’ora e sarebbe scoppiata in un gran mal di testa.
Uscirono in giardino e Edmund la guardò. “Ce la fai da sola o ti devo portar dietro?”.
“Vedo che la galanteria  non ti manca!”, sbuffò lei, innervosendosi di nuovo, con uno spruzzo viola tra i capelli. “Non cambi mai, vero?”.
“Finiscila e dammi almeno la mano… o preferisci una gamba rotta?”, fece lo spiritoso.
“Quasi quasi preferisco la gamba rotta, sai?”, disse mettendo il broncio e voltandosi dall’altra parte. Edmund roteò gli occhi e, senza molta grazia, le afferrò il braccio. Pensò alla meta da raggiungere e, in pochi secondi, si sentì perdere peso, diventando sempre più leggero e sempre più incorporeo. Ash divenne, come lui, sempre più trasparente e, alla fine, un vortice travolse entrambi, facendoli chiudere gli occhi.
Continuarono così per alcuni secondi, fino a che non si ritrovò a terra, sul pavimento di un corridoio dell’Esis.
“Wow… che brutto atterraggio”, lo incolpò Ash, sbruffona, mentre si ritirava in piedi, cercando di evitarlo.
“Mi hai trascinato per terra, cazzo! La prossima volta stringi un po’ meno o mi ritrovo il braccio all’altro mondo”, si lamentò lui, imitandola. Erano finiti esattamente davanti alla sala riunioni, la prima che Ash aveva visto quando Edmund l’aveva portata lì, settimane prima.
“Quale tragedia sarebbe, vero Edmund?! Chi avrebbe potuto mai guarire un dolore simile?”, lo prese in giro lei, avanzando verso la sala e aprendo la porta, mentre lui rimaneva indietro.
Nella stanza, Sorrow troneggiava a capotavola, guardando Ash in maniera truce, mentre Seamus camminava avanti e indietro senza fermarsi mai.
“Wow, è arrivata”, sbuffò Sorrow, mentre Ash prendeva posto al suo opposto, chiaramente per sfidarla. La donna sbuffò rumorosamente, nell’esatto momento in cui Seamus si fermò e si sedette in mezzo. Edmund, invece, chiuse la porta e si appoggiò al muro, in silenzio, restando nell’ombra.
Tipico comportamento da spia, pensò Ash, distogliendo lo sguardo da lui, per poi parlare con Seamus.
“Joel ci ha aggiornato di tutto, Ash, e sinceramente mi stupisce il fatto che tu ti sia legata ad un… Leto”, cominciò il capo. La ragazza cercò di parlare, ma lui la fermò. “E lascia perdere Edmund. Al suo casino ci penseremo con lui”.
“Oh bene”, commentò lei, per poi tornare all’argomento più importante. “E comunque loro non sanno niente del loro padre naturale. Era davvero stupito di sapere l’esistenza di un nuovo mondo come il nostro”.
“E’ un attore, sa fingere”, ribatté cattiva Sorrow, intervenendo al posto di Seamus.
“So riconoscere chi mente e Jared non mi ha mentito. La moglie di Carl ha insegnato loro a non credere in nessun tipo di favole fin da quando erano piccoli”, fece l’altezzosa la bionda, tanto per innervosire Sorrow. “Loro non hanno nulla a che vedere con Lui”.
“Tanto sei tu che ci rimetti se sbagli”, rispose Sorrow, ricevendo una brutale occhiata dal capo.
“Sorrow, Ash è un elemento di vitale importanza in questa storia, quindi è necessario capire se sia o no in pericolo. Non dimenticare contro chi dobbiamo avere a che fare”, l’ammonì, per poi guardare la ragazza, che era tornata seria. “Ash… davvero credi che loro non c’entrino con Lui?”.
“Assolutamente certa”, disse convinta, facendo annuire Seamus.
“Bene. So che il figlio del loro amico ha mostrato particolari qualità, non è così?”, cambiò di un po’ l’argomento.
“Sto indagando sulle sue potenzialità prima di portarli qui. Non vorrei che sia solo un momento causato dalla mia presenza. Di solito è un periodo di qualche settimana… se continuerà, vedrò di organizzare qualcosa”, commentò Ash, professionale e fredda come aveva imparato a fare fin da piccola quando si trattava di riportare avvenimenti del genere.
“Perfetto, tienimi aggiornato”, concluse Seamus.
“Bene, ora parliamo del perché sei qui”, cominciò ancora Sorrow, appoggiando i gomiti sul tavolo. Ash la imitò fissò, con un sorriso sghembo capace di mandare l’altra sui nervi in poco tempo. “Perché mai hai dovuto dire tutto?!”.
“E perché devi sempre fare domande stupide? L’ho detto già a tutti, non ho intenzione di ripetermi”, commentò la ragazza, mentre Seamus alzò gli occhi al cielo, lasciandole discutere in pace.
“Sempre troppo gentile, ragazzina”, ribatté Sorrow.
“Ovviamente… tu invece? Hai qualche disgrazia da annunciare o stai finalmente per andare in pensione?”,  sorrise Ash, facendo diventare qualche punta dei suoi capelli arancioni. Si stava divertendo davvero.
“Finiscila”, commentò la donna, un po’ stupita della risposta ricevuta.
“Perché rinnegare il tuo nome? Te ne vergogni?”, ridacchiò Ash, vedendo Seamus sbuffare.
“Smettila! E’ colpa tua, l’hai inventato tu, non io! Odio quel nome!”, scoppiò Sorrow, sbattendo il pugno sul tavolo. Sospirò arrabbiata, alzandosi e puntando un dito contro Ash. “Vuoi rovinarti la vita? Stai con loro! Dì tutto! E, no Seamus non mi importa, se vuole il pericolo, che lo cerchi. Non mi importa”.
Sbuffò e poi se ne andò, lasciando che Seamus si sedesse al suo posto, guardando Ash con un aria complice.
“Quando la finirete di azzannarvi a vicenda?”chiese, mentre i capelli di Ash tornarono dei colori originali. “Non andrete da nessuna parte così”.
“Perché no? E’ una convivenza d’odio ed equilibrio… assolutamente perfetta, non credi?”, fece la spiritosa, così che nacque un sorriso anche sul viso del capo.
“L’importante è che lei resti al suo posto e ti difenda. E Ash… per favore, non renderle il lavoro più difficile”, l’avvisò.
“Tranquillo, Seamus. Mi fido di loro… sono le uniche persone su cui mi fido, sebbene le conosca da così poco”, ci pensò su. “E quel bambino… quel bambino è speciale e devo assolutamente scoprire se le mie teorie sono vere”.
“Se lo sono sarà tutto più facile, soprattutto per loro”, annuì Seamus, per poi farle segno che poteva andare. “Devo finire alcuni lavori, conosci la strada. Joel è fuori che ti aspetta”.
“Perché?”, chiese curiosa.
“Dean”.
 
Joel era davvero fuori ad aspettarla, con una macchina ultimo modello che di certo avrebbe soddisfatto il desiderio di adrenalina che le aveva fatto venire Sorrow. Oh yeah, amava andarle contro!
Ridacchiò e si avvicinò all’uomo, che era appoggiato sulla carrozzeria, mentre giocherellava con le chiavi.
“Wow… hai fatto spese?”, commentò Ash, quando Joel le andò incontro, per aprirle la portiera. “Carino”.
“Non vorrei mai che ti spaccassi qualcosa solo per guadagnare tempo. Possiamo anche fare con calma, viaggiando comodi comodi con questa bellissima auto sportiva e superveloce”, disse lui, entrando nell’auto e mettendo le mani sul volante, dolcemente come se stesse accarezzando un gatto.
“Sì, direi che è una scelta più che appropriata”, sorrise Ash, guardando Joel dare gas e partire. “Le gioie che prova un Incompleto…”.
“Ovviamente l’invenzione è loro, ma io sono riuscito ad apportare qualche modifica”, disse indicando le spalle della ragazza.
“Non voglio vedere, ora. C’è gente in strada… e già non è contenta di quello che sta succedendo. Come mai hai il permesso di usarla?”, chiese la ragazza, mettendosi comoda sul sedile e poggiando la testa sul finestrino freddo.
“I piaceri dell’essere un agente”, scoppiò a ridere lui, sfrecciando tra le strade. Tutti questi benefici per gente che, in realtà, dovrebbe lavorare in segreto… oh, il mondo era davvero strano!
Lei scosse la testa, ridendo e lasciandolo stare, per poi guardare il cielo e le poche nuvole che sporcavano quel blu intenso. Le ricordava gli occhi di Jared, che la fissavano dopo aver scoperto quella piccola verità… no, non poteva mentirle. Lui non sapeva nulla di suo padre o l’avrebbe davvero capito.
Dopo qualche minuto arrivarono davanti all’ospedale dove Dean era ancora in cura. Joel le sorrise e fermò la macchina più vicino possibile all’ingresso.
“Grazie”, disse, facendo per uscire dall’auto. Poi però i fermò e prese qualcosa dalla piccola borsa che aveva con sé. “Un piccolo scambio equo”.
“Ottima scelta”, rispose Joel, prendendo contento il suo nuovo pacchetto di sigarette e lasciandola scendere.
Ash avanzò verso l’edificio, sentendo le ruote della macchina di Joel partire e sgommare sull’asfalto. Sorrise e ritornò sui suoi passi.
Parlò con la segretaria, ricordandosi che in quel momento Janet doveva essere già tornata in sé, e andò in camera di Dean, che l’aspettava già seduto sul letto.
Entrò nella stanza e ridacchiò, vedendo le sue gambe a penzoloni e lui che sorrideva al loro movimento.
“Sei sempre il solito bambino”, incominciò lei, facendolo girare di scatto, al suono della sua voce. Il suo sorriso di allargò ancora, rendendo il volto di Dean simile a quello di un bimbo che vede i regali al giorno di Natale.
“Sei arrivata”, disse il ragazzo, mentre lei si avvicinava. Saltò giù dal letto, attento a dove mettere i piedi.  Ash si prese un colpo, ma quando completò la discesa rimase a bocca aperta. “In piedi, da solo. Sono bravo, eh?”.
Lei non si mosse, ma lo invitò ad avvicinarsi. Lui capì cosa volesse e si spinse verso di lei, muovendo i piedi con calma. Regredire di più di una dozzina d’anni solo perché era stato trattenuto a letto per qualche anno. Che schifo…
“Ce la puoi fare”, lo incitò Ash, vedendo che stava per appoggiare il piede con un equilibrio perfetto. Dean completò il movimento e provò a saltare di gioia. Si dovette tenere al letto, nella discesa, ma alla fine Ash si spinse verso di lui e lo chiuse in un abbraccio.
“Ce l’ho fatta!”, esultò Dean, mettendo il suo viso tra i suoi capelli.
“Sei sempre stato un grande”, restò attaccata a lui per qualche minuto, piena di gioia. Era il suo migliore amico ed era troppo tempo che non stava così bene come non lo era con lui.
Restarono così per qualche minuto, ma poi Dean ridacchiò, spostando il volto dai suoi capelli e guardandola in faccia. “Mi è giunta voce che continui a combinare guai anche senza di me, non è vero?”.
“Per completare il piano mi servi tu quindi vedi di guarire in fretta”, rispose lei, quasi offesa, staccandosi del tutto. Cominciarono a camminare, lentamente e con attenzione, fuori dalla stanza, per cominciare il loro solito giro.
“Allora illuminami: cosa pensi di fare?”, le domandò Dean, quasi prendendola in giro.
“Non lo so, in realtà. Prendo tutto un po’ come viene”, disse Ash, scoppiando a ridere. Poi però, si fece più seria. “Sono successe così tante cose, tutte insieme, in poco tempo, Dean. Sono confusa e non so più che fare”.
“Ti fidi di loro?”, le chiese il suo amico, quando arrivarono alla porta che apriva sulla sala. Entrarono e, insieme agli altri pazienti accompagnati, cominciarono il loro giro.
“Sì… sì, mi fido di loro”, rispose Ash, seguendo i passi di Dean verso il piccolo spazio di verde che la sala offriva. Lui prese una rosa blu, dai contorni azzurri chiari, e gliela passò. Non era modificata, semplicemente la flora e la fauna erano diverse dal mondo Incompleto. Ash l’accettò e se a portò al naso, per sentirne il profumo. “Due rose blu…”.
Il ragazzo sgranò gli occhi e si poggiò violentemente una mano sulla fronte. “Oh cazzo, mi ero completamente dimenticato!”.
“Lascia perdere”, sorrise Ash. “Rimangono comunque i miei fiori preferiti… e sono felice che tu te ne ricordi”.
“Come potrei dimenticarlo?”, le domandò lui, ricordandosi di tanti anni prima.
 
Erano nel grande parco che la scuola offriva agli studenti, i quali erano quasi tutti sdraiati all’ombra degli alberi per evitare il sole cocente di inizio giugno.
Come loro, anche Ash e Dean stavano scherzando tra le foglie di una delle grandi querce che costeggiavano il giardino. Erano seduti sui rami possenti: Ash leggeva uno dei libri dell’amico, con attenzione, mentre Dean giocherellava con i suoi poteri, aspettando che lei le facesse qualche domanda, se non capiva.
“Basta, sono stanca”, annunciò la ragazzina, poggiando il libro della loro storia sulle gambe e guardando il suo amico andarle ancora più vicino. “Ho voglia di sorprese”.
“E da quando?”, si scioccò Dean, scoppiando a ridere.
“Solo per oggi, offerta speciale”, lo prese in giro lei, seguendolo nella sua risata.
“Allora meglio approfittare di questo miracolo”, disse, obbligando Ash a chiudere gli occhi e appoggiarsi completamente con la schiena al tronco dell’albero. Lei obbedì e attese qualche secondo, sempre più in ansia per la voglia di sapere cosa stesse combinando l’amico.
Dopo qualche secondo Dean le annunciò che poteva riaprire gli occhi e, davanti a lei, era apparso un piccolo bouquet di rose blu, contornate di azzurrino, con al centro dei gigli e delle campanelle lillà.
“O mio dio!”, esclamò la ragazzina, buttandosi addosso a Dean per abbracciarlo.
Lui fece sparire il bouquet e ricambiò l’affetto, assicurandole che il regalo era finito sul suo piccolo lettino, al sicuro da tutto e tutti. Ash lo ringraziò con tutto il cuore.
“Hai beccato il mio fiore preferito, ovvero la rosa blu, e quelli che preferisco”, gli rivelò Ash, mentre Dean arrossiva un po’.
“In realtà lo sapevo già che erano i tuoi preferiti”, confessò il ragazzo, guardando poi lo sguardo confuso di Ash. “Ho le mie buone fonti, non ti allarmare”.
“Okay”, disse lentamente, quasi prendendolo per pazzo.
“Non ti facevo tipo da rose blu… però ricordano un po’ i tuoi occhi”, concluse lui, facendola ridere.
“Grazie, fratellone”. E lo abbracciò di nuovo.


....
Note dell'Autrice:
sebbene sappia quanto siano finte le rose blu nel nostro mondo (:D) sono comunque i miei fiori preferiti insieme alle campanelle. Le amo. Il loro simbolo in questa storia lo capirete, non preoccupatevi :)
Spero che vi sia piaciuto il capitolo, lasciate qualche recensione se vi va*-*
Un abbraccio forte, 
Ronnie02 *che torna a guardare l'orizzonte atona*

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Capitolo 15
*** Hidden in the scars ***


ABBIATE PIETA' HO COMPIUTO 18 ANNI!
No, seriamente, scusate per il mancato aggiornamento settimana scorsa, ma essendo il 2 maggio il mio 18° compleanno questa settimana è stata veramente un via vai di impegni allucinanti. Scusatemi, sul serio!
Bè, che posso dire. Com'è andata? Ho fatto la triad sul mignolo (e ora sta facendo delle crepe/crosticine che so essere normali ma mi preoccupano lo stesso) e Conquistador è uscita il giorno del mio compleanno, diventando la mia canzone preferita e fonte di lacrime di gioia.
Ora, a voi questo non importa e lo capisco, quindi vi lascio al capitolo.
Scusate ancora per il ritardo!




Capitolo 15. Hidden in the scars

 
 


Dean scoppiò a ridere per l’ennesimo ricordo che, insieme, avevano riportato a galla, quel pomeriggio. Ash aveva riportato a galla uno scherzo di tanti anni fa, da cui sembrava passata un’intera vita.
“Quello era stato il tuo diploma degli scherzi, o mia Regina”, ridacchiò lui, seduto sul letto. Erano tornati nella sua stanza, dopo una mezz’oretta o più a camminare in tondo.
“O mio Re, tutto merito dei tuoi insegnamenti”, rise Ash, accanto a lui, guardando gli occhi del ragazzo diventare sempre più allegri. Avevano sempre quell’orrenda sfumatura vinaccia attorno alla pupilla, ma le ricordavano ancora i bei momenti insieme.
“Wow… era da troppo tempo che desideravo passare una giornata come questa”, commentò Dean, guardando davanti a lui, senza però farci caso. Poi si voltò verso l’amica, con un sorriso. “Grazie”.
“Lo sai che sono sempre qui quando hai bisogno di me”, rispose lei, poggiando la sua testa sulla spalla, ancora troppo magra ma non come la prima volta che l’aveva visto, dell’amico.
“Mi piacerebbe venire via con te… dagli Incompleti”, continuò ad immaginare lui, sorridendo.
“Los Angeles ti piacerebbe, secondo me. Mare, spiaggia, sole, ragazze in bikini…”, scoppiò a ridere Ash, mentre lui la guardava confuso. “Oh Dean. Bikini: costume da bagno diviso in due pezzi, coprendo solo il necessario per la decenza”.
“Ah… ma sai, non essendoci mai stato al mare!”, la rimproverò lui, ricordandole che non tutti avevano avuto la fortuna di viaggiare tra mondi, come invece faceva spessissimo lei. “Non è colpa mia!”.
“E’ bellissimo…”, sospirò lei. “Un giorno ti ci porterò. Anzi, il giorno stesso in cui ti dimetteranno da qui, giuro che prendiamo il treno per andare a LA!”.
“Grazie… sul serio, Ash”, disse lui, chiudendo un po’ le palpebre, stanco. “Non so che farei senza di te”.
Ash scese dal letto e lo aiutò a sdraiarsi, capendo che ora aveva bisogno di riposo. “Io senza di te ora sarei morta, probabilmente dopo una lentissima e dolorosa tortura… sono io che ti devo la vita, Dean”.
“Bè, mi stai ripagando il debito proprio ora”, la rincuorò lui, facendole capire che era importante ciò che stava facendo. “Senza di te me ne sarei qui immobile, senza nessun desiderio di guarire, almeno fisicamente”.
“E’ il mio dovere da sorella cattiva, quale sono”, lasciò cadere il discorso la ragazza, dandogli un bacio sulla fronte. “E smettila di urlare alle infermiere… o peggio”.
“Sanno che non devono avvicinarsi troppo. Men che meno toccarmi!”, si difese lui e Ash lo capì. Era proprio un autistico, fatta eccezione per come si comportava con lei.
“Ora dormi. Io vado a casa, ma torno presto, okay?”, promise Ash, vedendolo addormentarsi pian piano, mentre annuiva leggermente per darle conferma. “Buonanotte Re degli Scherzi”.
“Notte, mia regina”, rispose flebile lui, con un sorriso.
Pochi istanti dopo si addormentò e Ash decise che era tempo di tornare a casa, per vedere come andava la situazione all’asilo e con i Leto.
 
Parlare. Ecco il nuovo hobby preferito di Devon.
Erano giorno ormai che aveva iniziato a dire qualcosa da quel magic e già adesso Tomo e Vicki non ne potevano più.
Prima era divertente, quasi elettrizzante, vederlo per casa a spiccicare le poche parole che riusciva ad imparare. In un secondo momento Vicki aveva lodato il Signore che ancora non ripetesse le parolacce che si dicevano in giro, con l’aiuto degli zii. Ma alla fine cominciarono a pregare che dormisse di più o sarebbe venuto loro il mal di testa.
Ora lo stavano portando all’asilo, per lasciarlo almeno un po’ da Ash, e stava parlocchiando mentre giocava con i suoi soliti giocattoli, facendo discorsi incomprensibili.
Vicki sorrise a sentirlo, quasi esasperata dall’impegno che suo figlio faceva a fare una frase completa di senso logico. Tomo invece si godeva la parlantina, che per una volta non gli faceva venire il mal di testa. Ancora per poco.
 “Ma perché stavamo a preoccuparci del fatto che non parlasse?”, disse poi Vicki, scherzando, mentre parcheggiavano la macchina davanti all’asilo. “Mi mancano già i bei tempi di quanto stava zitto!”.
“Ma finiscila”, le diede un buffetto suo marito, ridendo e dandole poi un bacio a fior di labbra, appena spense la macchina.
Vicki gli sorrise, guardandolo ammirata, e lasciò che Tomo scendesse dalla macchina per prendere loro figlio in braccio, con attenzione. Poi uscì anche lei, chiudendo a chiave l’auto.
“Ci sarà oggi Ash?”, chiese Tomo, ridendo. “Ormai è sempre un terno al lotto”.
“Secondo me oggi c’è”, disse la donna, convinta, mentre sentiva l’aria raffreddarsi un po’.
Era quasi la fine di Settembre e di solito a Los Angeles faceva ancora veramente caldo in quel periodo: qualcosa stava cambiando anche nel tempo atmosferico. Come se non prospettasse niente di buono.
“Nervosa?”, sussurrò Tomo, entrando nel vialetto, quando la guardò con più attenzione.
“Sono una mamma ora. Ho imparato ad osservare le cose con più attenzione”, cominciò. “E oggi ho un brutto presentimento… anche se non so perché”.
“Bè, allora speriamo che il tuo sesto senso si sbagli stavolta”, sdrammatizzò Tomo, mentre in cuor suo si preoccupava. Vicki non sbagliava mai in queste cose, seppur fosse scioccante. Avrebbero dovuto far attenzione.
“N…non…nono…”, borbottò Devon, stringendosi a Tomo. Ok, la cosa non era per niente di buon auspicio.
“Sta’ calmo, Devon. C’è papà qui a proteggerti”, sussurrò lui, cullandolo un po’, mentre con Vicki entrava nell’edificio.
L’atmosfera, all’interno, era tutt’altro che triste, al confronto di quello che accadeva fuori, ma si poteva sentire fin dall’entrata che qualcosa non andava.
Tutti i bambini stavano nella sala principale, colorando o giocando allegramente, la segretaria era impegnata nei suoi affari al telefono, donando loro solo un sorriso, Ash e Natalie si erano sedute agli opposti e controllavano da sole i propri bambini.
C’era anche una terza ragazza, più piccola. Aveva i capelli mori, cortissimi, ed era vestita con dei jeans, anfibi e felpa abbastanza larga.
Ash li notò e sorrise, facendo segno alla nuova di stare con lei. Andò incontro ai Milicevic, mettendo Devon un po’ più a suo agio.
“Buongiorno ragazzi! Ciao Devon!”, li salutò allegra, prendendo una manina del bambino mentre lui cominciava con i suoi discorsi. “Uh, vedo che facciamo progressi con la tua parlantina!”.
“Già… a volte mi chiedo se non sia veramente nipote di Jared”, commentò Vicki, scherzando.
“In effetti”, l’appoggiò lei, ridendo. Poi però si voltò verso la ragazzina e la presentò loro. “Lei è Summer. E’ la sorella maggiore di uno dei bambini, ma è qui anche in prova”.
“Felice di conoscerti”, dissero insieme Tomo e Vicki, sorridendole.
“E’ un po’ timida, ma… bè, farle conoscere i genitori dei bimbi mi sembrava un buon modo per iniziare”, spiegò Ash, abbracciando le spalle della ragazza. “Lei si occuperà un po’ di tutti oggi… tranne che di Devon. Lui è mio”.
“Possessiva”, commentò Summer, che intanto aveva stretto la mano ai Milicevic, un po’ emozionata. “E comunque io ti conosco”, disse indicando Tomo, “sei il chitarrista dei 30 Seconds To Mars”.
“Echelon?”, chiese Vicki.
“No, ma una mia amica sì. È pazza di voi, quindi vi riconosco facilmente”, scoppiò a ridere Summer. “Fate buona musica, in ogni caso”.
“Grazie”, disse Tomo, passando poi Devon ad Ash. “Ma devi sapere che la qui presente si tiene stretto mio figlio quasi come se fosse suo”.
“Ci sono affezionata!”, si difese Ash, giocherellando con la manina di Devon chiusa a pugno attorno al suo dito. “Puoi farmene una colpa? Guardalo in faccia, è troppo tenero per non amarlo!”.
Vicki scoppiò a ridere, così la lasciò fare. Gli riferì che quel giorno sarebbero arrivati un po’ tardi, per problemi al Lab, ma che avrebbero fatto il prima possibile.
“Oh, non vi preoccupate. Lo tengo volentieri”, rispose la bionda, mentre Summer se la filava dai bambini.
“Sappiamo che è in mani sicure”, disse Tomo, sorridendo, come Vicki. “Buona giornata”.
“Buona giornata anche a voi”, li salutò, vedendoli andare via. Appena furono usciti dall’asilo, però, si voltò verso Devon e fece un gran sorriso al bambino, che la guardava complice. “Allora, bello di Ash, che vogliamo fare? Pazzie? Sciocchezze?! Hai qualche idea geniale?!”.
Lui mugugnò qualcosa, per poi parlocchiare. “Gio…gioare… gioc…”.
“Sìsì, andiamo a giocare, piccolo logorroico!”, scoppiò a ridere. “Eh sì, hai preso veramente da tuo zio non biologico a quanto pare”.
Si allontanarono dall’entrata andarono verso il centro della sala, dove alcuni bambini stavano disegnando. Devon si sporse dalle sue braccia, riconoscendo Simon e Carrie che litigavano per un pastello.
Ash lo mise giù, andando da loro. “Buoni voi due, ce n’è per tutti”, li divise, guardando Devon giocare già con un bambino di solo un anno più grande di lui, Thomas.
Lo lasciò stare e si voltò, per tornare al suo posto e sedersi. Ma non poté farlo, visto che Nat le bloccava la strada.
“Ehm… ciao?”, provò a dirle Ash, mentre lei la guardava arrabbiata.
“Ancora non vuoi dirmi nulla?”, la sfidò la spagnola. Inutile: ormai sapere o non sapere cosa quel giorno fosse successo non era importante. Ora doveva concentrarsi sulle conseguenze.
“No, mi dispiace”, si finse triste la bionda, riuscendo a sorpassare Natalie e tornando al suo posto.
Non era in vena di litigare quel giorno, voleva solo stare tranquilla con i suoi bambini. Ma quando mai era stata tranquilla?
 
Aveva lasciato l’auto all’Esis appena era tornato dal Lightness. Quell’ospedale era angosciante e lasciare lì Ash non era proprio la sua aspirazione, ma aveva dovuto farlo.
Ora stava camminando per la cittadella e si guardava in giro, con le mani nelle tasche. Oh, se gli Incompleti avrebbero scoperto quel mondo sarebbero stati davvero shockati. Tutti le loro invenzioni fisiche e matematiche risultavano veramente inutili, anche se ingegnose. Per loro Completi bastava poco per ottenere quello che gli Incompleti hanno cercato di ottenere per anni e anni.
“Joel”, lo chiamò Julian, un commerciante del posto, amico dell’agente. “Come stai, vecchio mio?”.
“Oh bene, Julian. Tu, invece?”, chiese Joel, sempre cortese, avvicinandosi all’uomo e trovandolo dimagrito. Strano, visto che conosceva l’elemento.
“Male… c’è qualcosa che non mi convince oggi, nell’aria”, disse respirando profondamente. “Ma lasciamo perdere le superstizioni, come se qui servissero a qualcosa”.  
“Dovresti andare da un oracolo, allora”, sorrise lui, immagazzinando la notizia. In effetti quel giorno era troppo grigio e cupo rispetto al solito.
“Oh, quei pazzi ciechi furiosi che chiedono cifre esorbitanti per poi non dirti nulla di nuovo”, si lamentò Julian.
“E la famiglia? Tutto bene?”, domandò ancora Joel.
“Sì, andiamo avanti. Laura è ancora in attesa, sai?”, annunciò l’uomo, facendo sorride Joel.
“Oh, ma è una notizia eccezionale!”, gli strinse la mano. “Vecchio mio, ancora congratulazioni!”.
“Già… sarà la terza piccola marmocchia”, scoppiò a ridere Julian.
“Sapete già che è femmina, quindi?”, notò Joel, vedendo Julian intristirsi.
“Sì. Clare e Logan vogliono decidere il nome… oh, chissà che ne verrà fuori!”, sorrise Julian. “Quei due sono matti. Pensandoci, è da tanto che non li vedi”.
“Saranno… due anni?”, tirò ad indovinare Joel, per poi vedere Julian annuire, come a dare conferma. “Wow… è davvero tanto! Aspettati una mia visita in questi giorni allora. Quanti anni hanno?”.
“Sei sempre il benvenuto, lo sai”, disse Julian. “Bè, Logan ormai ne ha otto, mentre Clare ne deve fare sei tra qualche mese”.
“Ancora piccola per la scuola”, commentò Joel.
“Già, ma non mi dispiace averla in giro per casa”, ridacchiò Julian, sistemandosi la camicia addosso. “Bè, che ci facevi da queste parti?”.
“Un giro. Una passeggiata mattutina”, spiegò Joel.
“Giusto, tu sei sempre stato quello sano e in forma”, lo picchiò dolcemente sulla spalla. “E l’amore?”.
“Quando lo vedi digli di starmi lontano”, rispose l’agente, ridendo con l’amico. “L’amore arriverà al momento giusto, ora non mi sembra il caso”.
“Chissà se finiranno mai questi tempi bui, eh?”, disse ironico Julian, annuendo. “Bè, ragazzo mio, devo tornare al lavoro. Vieni quando vuoi, comunque: a Laura farebbe davvero piacere rivederti”.
“Sarà fatto”, promise Joel, allontanandosi e riprendendo la sua passeggiata.
Wow, era così strano poter rincontrare i vecchi amici, fare un giro, guardare la vita dei suoi simili andare avanti senza dover essere richiamato ogni secondo per drammi universali.
A volte invidiava tutti loro, sia Completi che non. Erano all’oscuro di tutto, specialmente i poveri Incompleti di cui Ash andava matta, e potevano godersi meglio la vita di quanto non facesse lui, conoscendo davvero tutta la situazione.
Ogni giorni doveva lottare e avere tempo libero ormai era diventato quasi un miracolo.
Era nelle vicinanze della stazione, con il treno di passaggio in partenza, quando notò Sorrow ed Edmund vicino alle rotaie. Perché partivano con quel mezzo?
Ma soprattutto perché partivano?
La situazione non gli piacque per niente.
 
“Seriamente, dovremmo parlare”, annunciò Natalie, piantandosi davanti ad Ash, che stava disegnando con i bambini.
“Io non ho nulla da dirti, quindi non vedo perché dovremmo parlare. Vuoi insultarmi? Sai che non posso dirti niente”, rispose Ash, alzandosi e guardandola negli occhi. “Ti chiedo solo di fidarti di me senza questo piccolo dettaglio. Che importa da dove vengo?”.
“Non voglio insultarti, Ash… sei comunque una mia amica, lo sai”, disse Natalie, sospirando. “Ma perché tutti questi segreti? Che hai fatto, hai ucciso qualcuno?”.
“Ma che stai dicendo?! Per piacere...”, la interruppe Ash.
“Era un esempio! Ma tu non la smetti mai di fare la finta egoista?! Abbassa le mura, apriti un po’ al mondo, Ash!”, digrignò Nat, per non urlare.
Devon intanto si era avvicinato ad Ash e divideva le due, come a difenderla. “Io non sono un’ asociale, che vuoi da me?!”.
“Sì, è vero… con quelle rockstar non fai la ragazza strana. Scommetto che a loro hai spifferato tutti i tuoi segreti!”, si arrabbiò la spagnola, mentre Ash la guardava stupita.
“Credi… sul serio pensi che mi fidi più di loro che di te? Ti conosco da quasi due anni, loro solo da quale mese!”, sbottò la bionda, mentre le tremavano le mani. Sarebbe dovuta svignarsela presto e i capelli le sarebbero diventati di nuovo neri davanti a tutti.
“Sì, certo come no…”, sbuffò Natalie. “Senti, io odio le bugie e non capisco questa tua mania a tenermi nascosta una cosa del genere. E la cosa peggiore è che mentre litighiamo tu te la vada a spassare con gente appena conosciuta! So che sei uscita a cena con il cantante”.
“E questo che c’entra?”, gridò Ash, non trovando la logica nel discorso di Natalie. Era stupita, davvero.
“Fai meno la stronza, chiaro?”, l’avvertì Natalie.
“Spero tu stia scherzando”, l’ammonì Ash, arrabbiata.
“Ehi, finitela voi due. E niente parolacce, siamo in un asilo!”, le divise davvero Summer, arrivata subito.
“Hai passato il limite Nat”, disse Ash, prendendo Devon in braccio, mentre la spagnola la trucidava con lo sguardo e se ne andava, portando i suoi bambini in classe.
“Ca…iva…va”, parlottò Devon.
“No, non è cattiva. È solo arrabbiata”, continuò Ash, mentre gli occhi le si inumidirono. “Arrivo subito, piccolino”.
Andò in bagno in fretta, chiedendo a Summer di controllare la situazione. Si piantò davanti allo specchio e continuò a guardarsi, fissando ogni singolo capello. Si obbligò a calmarsi e pian piano riuscì a far tornare normale quelle ciocche di diverso colore, che fortunatamente Nat non aveva notato.
Respirò profondamente per due volte, per poi uscire dal bagno.
In sala c’erano già dei genitori che tornavano a prendere i loro figli, salutando anche Summer, timida come sempre. Ash guardò l’orologio: quasi le tre.
Dopo qualche minuto arrivarono i genitori di Summer, che portarono via sia lei che il fratello, e, quando se ne andarono via tutti, anche Nat e Janet decisero di darsela a gambe e tornare a casa.
“Non vieni anche tu, Ash?”, domandò la segretaria, sorridendole e indicandole dove stavano le chiavi.
“No, sistemo un paio di cose e poi vado via”, disse Ash, prendendo le chiavi e indicando Devon. “In più lui è ancora qui”.
“Giusto… bè, buon lavoro allora”, sorrise Janet, salutandola.
“Buon ritorno”, sospirò la bionda, appena la donna fu fuori dall’edificio. Ash si voltò verso il bambino e si avvicinò a lui, prendendolo in braccio.
Devon le si arpionò al collo, piagnucolando. Che succedeva?
“Mamma e papà arrivano presto, te lo giuro”, cercò di consolarlo, ma pochi secondi dopo cadde in ginocchio, con Devon ancora in braccio.
Lui riuscì a mollare la presa e cadere a terra senza farsi nulla, mentre la mente di Ash venne pervasa da miliardi di flashback che le uccidevano la testa.
 
“Hai un buon profumo, sai?”, disse lui, stando con il viso troppo vicino al suo braccio sanguinante e pulsante di dolore.
Lei gemette e provò a distanziarlo, ma lui le afferrò l’arto dolorante e le piantò le unghie nella carne, facendola urlare. Una bambina della sua età non avrebbe mai dovuto urlare in quel modo…
“Decisamente un profumo delizioso”, commentò, avvicinandosi ancora un po’, leccando parte del liquido rosso, mentre la pelle di Ash si ripugnava del contatto, diventando tesa. “Ottimo per vivere ancora cento anni…”.
“Non sono un unicorno”, disse lei, spaventata così tanto da avere perfino le sopracciglia verdi. Non era decisamente il massimo della bellezza, ma a quell’età, e soprattutto in quel momento, la cosa non la toccava minimamente.
“No, infatti. Sei ancora più rara”, rispose, leccando ancora un po’ del suo sangue, senza che lei potesse muoversi.
 
“Guarda come sanguina! Guarda!”, la obbligò, mentre sua cugina si dibatteva fra le mani di quel mostro. “Ti mostrerò il suo cuore pulsante e sanguinante… sarà bellissimo, non credi?”.
“Lasciala, non puoi farle del male!”, urlò la bambina, in preda ad una crisi di pianto. La cugina, intanto prendeva l’uomo per i vestiti, avvicinandolo a sé.
“Non. Andare. Da. Lei. Sono io la causa di tutto, lei non c’entra!”, urlò la ragazza, mentre Ash gridava un forte no! a sentire quella frase.
“Oh, ma succederà comunque”, sorrise maligno. “Tu sei una rivincita, questa è la tua punizione…. Ma lei è il mio premio!”.
Detto questo, scaraventò sua cugina a terra e le conficcò una mano nel petto, senza nessuna fatica, come se avesse le unghie fatte di lame.
Ash sentì la cugina urlare, in un modo che mai aveva sentito e che mai avrebbe dovuto sentire. Un urlo gutturale, pieno di dolore e paura.
Un urlo che si fermò appena lui mosse la mano verso un polmone, togliendole l’aria.
Tolse le dita dal corpo di Jade e se le leccò. “Non mi piace il tuo sangue. Ma questo è solo l’inizio dei giochi. Il dessert lo avrò alla fine”.
 
“Ash nasconditi!”, urlò sua cugina, mentre la richiudeva in camera, al buio, da sola, mentre sentì la porta principale aprirsi con un rumore assordante.
“Jade!”, urlò più volte la bambina, ma non ebbe mai risposta.
Solo dopo qualche secondo la porta si sfondò, cadendo al peso di sua cugina che veniva sbattuta contro di essa.
Jade cadde sul pavimento, con la gamba piena di sangue, ma tentò subito di rialzarsi per difendere Ash.
Davanti a loro un’ombra scura invadeva le loro visuali.
 
“Dove sei?!”, sentì urlare nella sua mente, quando ad un tratto si trovò in un letto bianco, macchiato dal suo stesso sangue, dopo che aveva sperato di tornare da suo padre.
Era la sua voce. La sua orribile voce.
“Non piangere, piccola. Ora sei al sicuro”, le disse una donna, davanti a lei. “Io sono Samantha, ma puoi chiamarmi Sammy. Benvenuta alla Arrant School. Starai qui per un po’”.
Chiuse gli occhi e per un momento la voce della donna svanì. Sentiva solo la sua voce.
‘Sarai mia. E a quel punto sarò immortale, piccola stupida!’.
 
Alcune mani la toccavano, alcune voci preoccupate la circondavano, alcuni odori si mescolavano fra di loro. Dov’era?
“Ash, Ash mi senti?”, sentì la voce di Vicki che a chiamava, mentre tentava di aprire gli occhi. Quando ci riuscì, sbatté le palpebre un po’ di volte, accecata dalla luce, prima di vederci qualcosa.
“Sì… forte e chiaro”, borbottò con voce impastata, cercando di muoversi. Continuò a muovere le palpebre per quale secondo, ma dopo inquadrò bene tutto.
Era sdraiata su delle piccole sedie, con la testa sulle gambe di Jared, con Vicki accanto a lei, Shannon al suo fianco, che le toccava la testa con un fazzoletto a caso bagnato, e Tomo ai suoi piedi con in braccio Devon, che la guardava in lacrime, spingendosi verso di lei.
“Che è successo?!”, le chiese la donna, spaventata. “Quando siamo arrivati eri svenuta a terra e Devon era al tuo fianco in lacrime! Ho perso dieci anni di vita”.
“Non lo so… Devon ha cominciato a piangere e ad un tratto ho sentito un dolore atroce alla testa”, spiegò la bionda, provando a mettersi seduta. Jared però la tenne ferma, mentre sbuffava. “Ho ricordato cose che avrebbero dovuto rimanere chiuse nell’angolo più buio e tetro della mia mente…”.
“Perché?”, chiese Shannon, sempre raffreddandole la fronte.
“Non ne ho idea… ma so solo che quei ricordi… quella casa e ciò chè è successo al suo interno non dovrebbero più ritornare nella mia mente se voglio rimanere sana”, commentò Ash.
Shannon non capì. “Ok, mi sono perso. Che casa? Casa tua… in quell’universo?”.
“Sì, esattamente”, disse solamente Ash.
“Potremmo mai vederla?”, chiese Jared. “Sono curioso di come sia la vita laggiù”.
“Scordatelo! Non posso portarvi in quel paese, se non siete come me!”, rifiutò categoricamente la ragazza. “In più a casa mia non entrerò mai più nemmeno io”.
“Ma…”, si lamentò Vicki.
“Niente ma. È la legge: nessuno di voi può arrivare laggiù”.
“Sei cattiva!”, scherzò Tomo, sorridendole. “Non fa niente, Ash, lo possiamo capire”.
“No, non  potete!”, urlò isterica, riprendendo a tremare, i capelli sempre più verdi, la pelle pallida peggio del solito. “Non andrete mai laggiù, anche perché sareste più in pericolo di quanto lo siate già qui”.
“In pericolo?”, chiese Shannon, ricordandosi che Ash, in realtà, era davvero nei guai nel suo mondo.
“Io sto per morire, gente!”, urlò Ash, tirandosi seduta, vincendo la forza di Jared che provava a farla stare ferma. Guardò Vicki, e poi Devon. “Mi troverà e mi ucciderà. E se non mi scova, torturerà voi per vendetta”.
“Non puoi esserne certa”, balbettò Tomo, stringendo suo figlio, come a proteggerlo. “Qui sei al sicuro”.
“L’ha fatto al mio migliore amico qualche anno fa; non ci penserà due volte a rifarlo ancora”, sussurrò Ash, in preda ancora ad una crisi isterica, tenendosi i capelli con le mani, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Singhiozzò anche, mentre Vicki tentava di abbracciarla. “Non sono al sicuro da nessuna parte… non lo sarò mai”.
Dondolò su se stessa, seduta su una delle piccole sedie colorate su cui si era svegliata, mentre gli altri si zittivano, non sapendo cosa fare.
Un senso di colpa si attanagliò in ognuno di loro, soprattutto in Jared: se non avessero obbligato Ash a rivelare loro la verità, in questo momento magari sarebbe stata meglio, non avrebbe sofferto per loro, cercando di tenerli al sicuro.
Ma in fondo sapevano anche che, in qualche modo, potevano aiutarla. L’avrebbero difesa, costi quel che costi. Ormai erano arrivati fino a lì, bisognava solo seguire la strada.
“Erano solo ricordi…”, la consolò Vicki, sedendosi di fianco a lei, stringendola ancora, mentre Devon cominciò a muoversi tra le braccia del padre.
“Ah.. S… Ash…”, la chiamò, provandoci più volte, mentre si sporgeva verso di lei.
La ragazza alzò il viso e sorrise, per poi fare una smorfia di paura. Vicki prese in fretta suo figlio e se lo mise sulle gambe, lasciando che toccasse Ash sul braccio, quasi a consolarla.
Ma Devon non lo fece. La guardava e basta, mentre lei lo fissava spaventata.
“Che sta succedendo?”, chiese irritato Shannon, sentendosi decisamente tagliato fuori dalla situazione.
“Non ne ho la minima idea”, scosse la testa Tomo, insieme a Jared.
Vicki non chiedeva nulla: fissava suo figlio e la sua maestra guardarsi a vicenda, come presi da una terrificante conversazione mentale.
“Che ore sono, Tomo?”, chiese Ash, dopo qualche minuto.
“Ehm… le tre… e trentasei. Perché?”, domandò.
“Non avreste mai, e ripeto mai, dovuto tornare a prenderlo dopo le tre”, disse una voce in lontananza, di una donna mai vista.
“Sorrow?”, si voltò Ash, prima di immobilizzarsi con gli occhi sbarrati, come in preda ad un dolore atroce.
Poi un urlo.
Ti trovo bene, piccola stupida. Oh, che bello, hai portato anche un amico?
 
 
...
Note dell'autore:
i prossimi due//tre capitoli spiegheranno molte cose e saranno piuttosto travagliati. Da chi, lo potete capire molto bene :)
Mi piace lo spacco di Ash e Dean perchè... perchè adoro i loro ricordi della scuola! E anche Joel nel loro mondo, con tutti i brutti presagi, gli oracoli e Julian. Un pò di vita usuale del mondo di Ash.
Riguardo a Natalie... in fondo ha ragione Ash, è solo arrabbiata e in fondo la capisco. Io, fossi in lei, farei di tutto per capite, ma se fossi Ash non le direi nulla ugualmente :)
Alla fine... bè non credo ci sia molto da dire. Capirete bene nel prossimo. GIURO DI ESSERE PUNTUALE LA PROSSIMA VOLTA!

Un abbraccio, Ronnie

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Capitolo 16
*** Nightmare ***


Lo so, sono peggio dei Mars, sono sempre in ritardo. 
Ma capitemi, è Maggio: tra verifiche, interrogazioni e certificazioni di inglese//spagnolo (con 2 giorni di differenza) sto scoppiando e devo concentrarmi con lo studio.
Quindi fino alla fine dell'anno scusatemi se non sarò puntuale ma in queste tre settimane ho bisogno di tempo per i libri.
Ora, eravamo rimasti all'arrivo di un qualcuno e i flashback di Ash su sua cugina. 
Bene, vediamo che cosa succede :)
Buona lettura 




Capitolo 16. Nightmare





 
 
“Nascondetevi! E portate via il bambino!”, urlò Edmund, mentre i due nuovi arrivati correvano verso Ash. Sorrow indicò ai musicisti un nascondiglio perfetto e li spinse ad andarsene, evitando una catastrofe.
Vicki e Jared lanciarono un ultimo sguardo ad Ash, di nuovo agonizzante sul pavimento, in preda ad urli e convulsioni, ma poi Tomo e Shannon, con Devon in braccio, li trascinarono via con loro.
“Ash! Ash, rispondimi! Ash è solo un incubo, Ash! Sono solo ricordi!”, si piegò su di lei il ragazzo, mentre la donna stava davanti a loro, il braccio interamente ricoperto di una leggera pioggia che però non cadeva a terra. Era ritmica, incessante e scandiva il tempo.
Ma Ash non riusciva a vederla, presa com’era da attimi di tempo passato che avrebbe voluto cancellare. Non sentiva nemmeno la voce di Edmund, ricoperta dalle grida di Jade.
 
“Lasciala, lasciala, ti prego!”, piangeva la bambina, vedendo l’uomo aprire ferite lungo il petto della cugina, con la sua mano coperta da una sottile nuvola nera.
La pelle si apriva al contatto e il sangue fuoriusciva veloce, mentre gli occhi di Jade si chiudevano dal dolore e le sue urla si espandevano nella stanza.
Le ripassava più volte, facendole diventare sempre più profonde, e ogni volta ne aggiungeva altre, in vicinanza del cuore.
“Bleed, bleed little baby, bleed!”, canticchiava allegro, come se fosse un gioco. “Bleed”.
 
“Ash! Ash ti prego!”, la supplicava Edmund, mentre lei non riusciva a stare ferma. Portava più volte le sue mani verso il ragazzo, quasi ad arpionarsi per uscire da quel dolore, mentre altre si toccava il cuore, piangendo isterica. “Ash, basta… è solo un ricordo”.
 
“E così difendi la piccola cugina speciale, eh?”, disse l’uomo, con voce strisciata, camminando verso Jade, a terra. “Che dolce che sei… chissà se lo è anche il tuo sangue”.
“Ero sicura fossi tu! Sei solo un pazzo, lo sei sempre stato!”, lo minacciò Jade, mentre Ash cercava di farsi sempre più piccola, in un angolo della stanza.
“Mi avete ucciso!”, urlò lui, scaraventandosi su di lei, tenendola ferma al suolo, e bloccandole i polsi con le sue mani.
“Era uno scherzo! Se tu fossi stato più attento non ti saresti fatto nulla… e poi non mi sembri così morto”, lo insultò lei, peggiorando la situazione. Ma lei era fatta così: avrebbe combattuto la sua battaglia fino alla fine. “Kate è morta, Logan è morto, e Dio solo sa che hai fatto a William!”.
“Sono tutti in attesa della tua compagnia”, disse avvicinandosi al suo viso, mordendole un labbro, senza pietà. Jade provò a toglierselo di dosso, ma il risultato fu un dolore maggiore. Attese la rottura e, quando le lacrime le bagnarono gli occhi, lui si sostò. “Strano, si blaterava in giro che ti piacesse… troia!”.
“Vattene a fanculo, Den!”, sputò lei.
“Troia!”, ripeté lui, senza che Ash ne capisse il senso, essendo troppo piccola. Poi sentì Jade urlare e vide il suo corpo volare, abbattendosi poi su un altro muro.
Cadde a terra e vomitò sangue, tenendosi a malapena seduta.
 
“Fatti vedere, invece di torturarla, codardo!”, urlò Sorrow al nulla, continuando a vegliare su Ash ed Edmund, che intanto stava provando tutte le magie che conosceva per renderla immune a quell’attacco. “Vieni fuori, pezzo di merda!”.
Ash urlò di nuovo, più forte. Lanciò un’occhiata a Sorrow e lei smise di provocarlo. Più faceva così, più i ricordi di Ash si facevano dolorosi.
 
Il corpo di Jade era appeso sul lampadario della sala, come un bellissimo trofeo. Aveva le braccia appese ai rami del piccolo alberello che dava la forma alla lumiera e la testa era piegata in avanti.
Il petto era ormai una macchia rossa scura, dove, al posto del cuore, regnava il nero. Il muscolo mancante era per terra, coperto di liquido viscido.
Lo toccava, quasi fosse un gioco, con l’indice da tutte le parti. Era veramente nauseante.
“Che bello quando avrò il tuo, piccola stupida”, ridacchiò guardando Ash, a terra davanti a lui e il cuore, a qualche metro di distanza. “Avrà un odore e un sapore migliore”.
Si leccò il dito e poi si alzò, andando verso la bambina.
“Allora, piccola stupida… di te cosa ne facciamo?.
 
“Ma che bello… sei di nuovo la sua servetta, Sorrow?”, disse una voce strascicata, spaventosa, mentre Ash buttò fuori l’aria che le rimaneva e si lasciava andare, sdraiandosi completamente a terra.
Aveva la mente vuota, le forze quasi del tutto andate e le veniva da vomitare.
“Fatti vedere”, lo minacciò la donna, portando in avanti la mano, quasi come se impugnasse una pistola. La pioggia si estese fino alla spalla e anche sull’altro palmo.
“Come sta tuo padre, Edmund? E tua madre?”, ridacchiò la voce, facendo tremare di rabbia il ragazzo.
Edmund sgranò gli occhi e si alzò in piedi, urlando. “Figlio di puttana, vieni fuori! Ti ammazzo con le mie stesse mani, stronzo!”.
Miliardi di lampi luccicanti ricoprirono il suo braccio, che mosse in fretta, lanciandoli in qualunque direzione.
“Sei ancora un po’ scarso. Controlla la tua rabbia, piccolo Wayce”, continuò la voce, provocandolo, chiamandolo per cognome.
“Hai ucciso i miei genitori!”, lanciò altri lampi, che distrussero irreparabilmente parte della parete davanti a loro. “E ora io ucciderò te”.
“Come loro erano delle spie, lo sei anche tu”, continuò Lui. “Eri un servo fedele… ecco perché non mi fidavo di te. Troppo curioso degli affari importanti, troppo fissato con la ragazza per essere davvero degno di fiducia”.
“Però sono riuscivo a scoprire tante cose”, lo sfidò Edmund, guardando Sorrow, che lo difendeva, al suo fianco.
“Sì, hai sventato il mio primo attacco qui all’asilo, ma è troppo cocciuta per riuscire a darti retta e salvarsi”, scoppiò a ridere la voce.
“Vattene a fanculo, Den!”, urlò Ash, ripetendo le parole di sua cugina. Si alzò lentamente in piedi e il suo braccio si coprì di una piccola bufera di neve luccicante.
Si appostò tra Sorrow ed Edmund, vedendo comparire davanti a loro una macchia nera, gocciolante di sangue.
“Era da tanto che ti aspettavo, piccola stupida… sei troia quanto tua cugina, sai?”.
 
Jared, Shannon, Tomo, Vicki e Devon, nel mentre, erano nascosti in uno sgabuzzino dimenticato da Dio di quell’asilo.
Stavano stretti come poche altre volte nella loro vita, in più Devon continuava a piagnucolare e dimenarsi tra le braccia di Shannon.
Jared canticchiava sottovoce ninnananne per farlo stare calmo, ma più passava il tempo, più quello impazziva.
“Ash deve star dando di matto se lui fa così”, concluse Shan, parlando con il tono più basso che potrebbe mai usare.
“Non ci aiuti!”, lo ammonì Tomo, preoccupato fino alle unghie dei piedi per la ragazza. L’ultima volta che l’avevano vista era come nel bel mezzo di una crisi epilettica e il fatto che Devon si agitasse non migliorava la situazione.
“Secondo voi è arrivato il pazzo che la cerca?”, disse Jared dopo qualche minuto.
“No, guarda… sta così male perché c’è lì il Presidente degli Stati Uniti d’America!”, rispose Shan, cercando di colpirlo sotto il collo. “Sei un idiota!”.
“Zitti!”, li sgridò Vicki, prendendo Devon in braccio e cominciando a dondolare. “Ti prego, sta’ buono…”.
“Vado a vedere che succede”, se ne uscì Jared, prendendosi sberle da tutti.
“Sei coglione, allora?! Vuoi farti uccidere?”, lo zittì Shannon.
“Non ho intenzione di cercare un nuovo cantante, Jared. Sta’ fermo!”, continuò Tomo.
“Muoviti di un passo e giuro che ti ammazzo io”, finì Vicki. “Ci hanno mandato via per non farci fare una brutta fine e tu vuoi andare là?!”.
“Esco un secondo, solo per vedere se sento qualcosa. Torno subito”, spiegò lui.
“Giuro che se non torni non ti faccio il funerale, bro”, lo minacciò Shannon.
Lui sbuffò e provò a farsi largo, per raggiungere la maniglia e uscire da quel buco di posto.
 
“Wow, sei cresciuta, piccola stupida”, commentò Lui, guardandola.
“Sei qui per parlare o che cosa?”, lo sfidò Ash, mentre mandava via Edmund con un ‘ va’ a vedere che combinano… ti prego’. Lui non si mosse per i primi secondi, ma poi decise di fare quello che diceva.
Sorrow intanto cercava di contattare nel modo più indiscreto possibile Joel, Zoe e tutti gli agenti dell’Esis disponibili.
Dovevano solo distrarlo per il tempo necessario, prima che arrivassero tutti gli altri ad aiutarli.
“No, non mi piace parlare… preferisco uccidere”, commentò Lui, sorridendo. “Tu dovresti saperlo bene, ormai”.
“Vattene a fanculo, Den”, disse ancora, sputando verso di lui.
“Sei sempre come tua cugina… lurida troia”, la insultò lui, mentre lei ringhiava, capendo cosa stesse dicendo, questa volta.
“Sai”, cominciò Sorrow, facendo distogliere l’attenzione dalla  ragazza, che si rimise un po’ in sesto. “Mi sono sempre chiesta come avrei dovuto chiamarti. Dennis, Adam, Namel, Bloody Knife… non ti sei stufato di darti nomi falsi?”.
“Namel andrà più che bene”, rispose lui, facendosi prendere da quella strana conversazione.
“Wow, ti prendi gioco di un grande mito della nostra storia”, commentò Sorrow, mettendosi in posizione di attacco. “Brutta mossa”.
“E’ la mia storia! Io e Namel siamo come la stessa persona, pazza!”, urlò Lui, facendo tremare il terreno sotto di loro.
“Ok, ok, come vuoi. Namel ti sta molto bene come nome”, fece un finto sorriso la donna.
“Smettiamola con questi giochetti!”, s’alterò Namel, guardando Ash, che nel mentre era prova a battersi. “Wow… ora sei davvero una guerriera degna di portare questo nome”.
“Mia cugina sarebbe fiera di me. Scommetto che desidererebbe che ti staccassi la testa e me la mangiassi a colazione”, lo insultò, alzando il braccio verso di lui.
“Un luccichio innevato. Bianco, candido e puro… come ali d’angelo”, commentò Namel, guardando la sua particolare magia. “Ottimo per te”.
Lui alzò il suo, il quale si coprì ancora di più di quella nube nera, quasi pronta a esplodere in una tempesta. “E tu? Oscurità, tenebre e paura… decisamente degno di quello che fai, non trovi?”.
“Devo completare il mio lavoro perfetto”, spiegò lui.
“Io non c’entro niente con quella loro stupida scommessa”, ringhiò Ash, facendo tremare la mano.
“La tua stupida cugina è stata la causa di tutto. Per colpa sua è nata questa storia”, le rispose allo stesso modo Namel.
“Non credi allora che la sua morte sia sufficiente?”, chiese, anche se in verità non avrebbe ammesso la giustizia della morte di Jade nemmeno sotto tortura.
“Per gli altri sì, ma lei meritava una punizione peggiore”, disse come se fosse ovvio, cominciando ad avvicinarsi alle due donne.
Sorrow si avvicinò ad Ash, coprendola quasi del tutto. “L’hai appesa ad un fottuto lampadario! Hai… bevuto il suo sangue! Non ti basta aver distrutto la sua vita?”, urlò di rabbia Ash, cosicché i suoi capelli divennero violacei.
“No. Io voglio anche te”, finì lui. “Sai, dicono che il vostro sangue rende immortali. E soprattutto dicono che è quasi una droga: più ne bevi, più ne desideri. Non ti andrebbe di scoprire se è vero?”.
“Fottiti”, sputò la ragazza.
E lì, cominciò la guerra.
Namel puntò il braccio verso Ash e la nube la inghiottì in un attimo, rendendola ceca, mentre la pioggia di Sorrow cercava in tutti i modi di liberarla.
Sentiva su di sé uno di quei tanti incantesimi di attacco che studiava a scuola con Dean, sono molto, molto, molto più intenso. Si trattava di una magia che riusciva a farti spezzare in mille pezzi e di solito si usava per buttare via vecchi oggetti. Mai da usare sulle persone.
Mai, se non sei un mago squilibrato.
“Pezzo di merda!”, urlò Ash, dopo aver sentito la caviglia cigolare e rompersi del tutto. Riuscì a liberarsi e attaccò di nuovo, mentre Sorrow cercava di tenere Namel occupato, togliendogli la vista sporadicamente, per confonderlo.
Ash lanciò un incantesimo di difesa. Semplicemente faceva cadere a terra l’avversario, in modo da poterlo dominare ai tuoi piedi.
Lo tenne fermo per qualche secondo, grazie anche alla confusione che aveva in testa per colpa di Sorrow, ma alla fine Lui riuscì a tornare in piedi, urlando di rabbia.
“Morirai!”, gridò lanciandogli la maledizione peggiore, che, se l’avesse colpita si sarebbe accasciata a terra e sarebbe morta dissanguata. Ti apriva tutti i vasi sanguigni e ti bruciava un pezzo di pelle per riversare fuori il liquido, lasciandoti completamente priva di sangue.
“No, tu morirai”, gridò Edmund, spostando Ash in modo da evitare l’incantesimo. Era appena tornato e muoveva il braccio, lanciando un fulmine blu elettrico addosso a Namel, dandogli una tale scossa da farlo indietreggiare.
Continuarono così per parecchio tempo, sempre a colpi di difesa e attacco sempre nuovi e sempre più precisi e dolorosi.
Ash aveva ormai la caviglia rotta, il braccio sanguinante e un labbro spaccato. Si era avvicinata troppo ed era riuscito a scaraventarla addosso ad un muro, per poi farla cadere a terra esattamente di faccia.
Edmund si teneva il diaframma, dove Namel gli aveva lanciato una magia capace di tagliare qualunque cosa. Il sangue era anche sulle mani, ma era troppo difficile notarlo sotto quella foschia di lampi.
Sorrow continuava il suo giochetto, ma con fatica. Capendo la sua strategia, Namel attaccava lei appena uno degli altri due cadeva a terra, e ormai aveva una mano rotta e la testa sanguinante. L’aveva colpita di fianco alle tempie nello stesso modo in cui aveva tagliato Edmund, ma più in profondità. Aveva un mal di testa tale che ormai provava più a difendersi che entrare nella mente di Namel per stordirlo.
Avevano decisamente bisogno di aiuto.
 
“Li hai mandati da soli?!”, gridò Joel, in riunione con Zoe e Seamus.
“Non sappiamo se arriverà davvero. Sorrow ci ha mandato segnali troppo incomprensibili”, cercò di spiegare il capo, sotto pressione.
“Quindi non facciamo nulla? Dobbiamo fare qualcosa, potrebbero essere in grossi guai! Potrebbero non uscirne vivi!”, urlò ancora l’uomo, evidentemente sconvolto dalla pessima scelta di Seamus.
“Concordo. Se fosse davvero lì, e ci sono buone particolarità che sia vero, Sorrow ed Edmund non hanno speranze da soli, dovendo difendere anche Ash!”, si ostinò anche Zoe. “E se uccide Ash allora sarà meglio scappare, visto che a quel punto sarà un vero Inferno. L’Ade sarà solo una bella favola, al confronto”.
“Ok, allora come vorreste procedere?”, chiese l’uomo, non sapendo più che fare. Joel alzò gli occhi al cielo, sconsolato.
“Prepara l’esercito e gli agenti! Hanno bisogno di aiuto! Dio santo, come hai potuto mandarli da soli?! Da soli, dico io!”, si lamentò Joel, uscendo dalla stanza per andare a cambiarsi, come fece anche Zoe.
Era ora di battersi e non poteva andarci in jeans e camicia. Mise dei pantaloni larghi, pieni di tasche dove poter mettere ogni tipo di pozione o aiuto nel caso si fosse fatto male gravemente. Maglietta e felpa sportiva, per agevolare i movimenti. Scarpe comode, per scappare più in fretta. Ma soprattutto braccia libere e mani scoperte. Il vento si impossessò della sua pelle, rilasciando adrenalina nel suo corpo.
Zoe era vestita nello stesso modo, ma lei aveva il braccio pieno di piccoli pezzi di ghiaccio. Grandine: ottima da lanciare all’avversario mischiata ad incantesimi. Se resa reale faceva davvero male.
“Pronta?”, chiese lui, per poi guardare nella stanza precedente, dove ora Seamus stava raggruppando tutto l’esercito.
“Sempre pronta”, disse lei, prendendo la mano di Joel e dissolvendosi da quella stanza, per finire nel bel mezzo di Los Angeles.
“Andiamo”, la spinse via lui, correndo verso l’asilo.
 
Sorrow era svenuta dal dolore che aveva alla testa ed era sdraiata in mezzo alla stanza, come se niente fosse. Ash si sentì male a lasciarla lì, ma l’avrebbero rianimata dopo: ora dovevano mandare via Namel.
Deviò un attacco ed Edmund ne parò un altro, che arrivava verso di lei. Qualche secondo dopo tentò di rispondere ancora con un fulmine, ma non fu abbastanza veloce da difendere anche se stesso, sfregiandosi il fianco destro.
Ormai la ferita si estendeva a tutta la larghezza del petto e la mano sinistra era attorcigliava attorno ad essa, come per farla smettere di sanguinare.
A fare magie per guarire ci avrebbe troppo tempo e in quel momento ogni millisecondo era necessario per la sopravvivenza. Continuò a parare gli attacchi ad Ash per qualche tempo, ma alla fine la ragazza lo scansò.
“Se fai così peggiori la tua situazione, spia”, lo insultò Ash, più per salvarlo che per provocarlo. Lui si staccò da lei e continuò a difendersi,  mentre Namel lasciava attacchi annuvolati alla ragazza.
“Sei forte. Non pensavo…”, commentò Namel, quando riuscì ad averla in pugno, senza dar troppo peso alle scariche elettriche che Edmund gli dava. Erano potenti davvero, ma riusciva a sopportarle. Sentiva già il sangue della ragazza scorrergli in gola e niente importava.
“Che strano. E così tu pensi?”, fece la spiritosa Ash, rispondendo all’attacco e allontanandolo, mentre lo rinchiudeva in una morsa di neve ghiacciata che lo fermò per alcuni istanti.
“Sei stata fuori dal nostro mondo per due anni, Ash. Chi avrebbe mai creduto che avresti tenuto così tanto il passo?”, la prese in giro Namel ridacchiando.
“Segreto”, commentò lei, attaccando di nuovo. Ma lui fu più veloce, evitò la fattura e ne lanciò una a lei, che le tagliò un po’ di pelle sulla spalla.
Era decisamente malato. Lui e la sua ossessione del sanguinare.
“Tanto ormai sei abituata a mentire, dico bene?”, andò avanti Namel, guardando Edmund e torturandolo un po’, come aveva fatto prima con lei. Provò a fermarlo, ma Namel la buttò a terra. “Com’era bella tua madre, Edmund. Una donna davvero saggia e forte. Di una bellezza unica e veramente rara, devo dire”.   
Se il ragazzo avrebbe potuto parlare gli avrebbe dato del figlio di puttana, ma non riuscì ad esprimersi, perso nei ricordi.
 
Suo padre non era nemmeno tornato a casa. La sua famiglia era completamente sfasciata.
Dicevano che si sarebbe trovato bene dai nonni e che sarebbe venuto a trovarlo presto.
Dicevano che prima o poi il dolore passa, e rimane una sensazione che ti fa sentire bene, perché sai che è in un posto migliore.
Dicevano che erano dispiaciuti per lui.
Ma erano bugie, come tutta la sua vita, alla fine. Si mise le mani sul volto e pianse, nel bel mezzo del temporale.
Sua madre. La sua bellissima madre era stata uccisa e martoriata senza alcuna pietà.
La sua pelle, solitamente rivestita di creme profumate, ora era sporca solo di sangue.
I suoi occhi, accesi e luminosi, erano chiusi, spenti e orribilmente spaventati sotto tre metri di terra.
I suoi capelli, sempre in ordine con una cura quasi maniacale, le erano stati tolti con forza, quasi selvaggiamente, forse nel frangente in cui l’aveva spinta per tutta la casa, tenendola stretta per la sua bella chioma.
I suoi abiti, così allegri e giovanili, l’ultima volta che l’aveva vista li portava stracciati e sporchi.
Sua madre.
La sua stupenda madre che tanto l’aveva amato, più di chiunque altro. Nessuno avrebbe mai colmato il vuoto che lei aveva lasciato, andandosene  senza nemmeno volerlo.
 Portata via, così, come se fosse carta straccia.
 
“Lascialo stare!”, urlò Ash, provandosi a mettersi seduta e afferrando la caviglia a Namel.
“Come sei ripetitiva, Ash. E come al solito mi rubi sempre tutto il divertimento”, sbuffò lui, liberando Edmund dai suoi ricordi. Poi si voltò verso di lei, arpionata alla sua gamba.
Si abbassò e si trovarono faccia a faccia. Bianco contro nero. Purezza contro cattiveria.
Due titani. Due leggende incarnate, che si guardavano negli occhi, con l’odio che correva nelle loro vene l’uno per l’altra.
“Sai che ti ucciderò”, continuò lui, con quella voce lenta e trascinata che la spaventava più di qualsiasi incubo. “Perché combattere?”.
“Morirai prima tu di me”, ringhiò lei, lanciandolo lontano, nello stesso modo in cui lui aveva sbattuto Jade contro la porta, tanti anni prima.
Sentì, nell’impatto contro il muro, una delle costole di Namel incrinarsi, ma lui si rimise subito in piedi, quasi non fosse successo nulla. La guardava ancora più truce, mentre Ash indietreggiava, ma sempre pronta all’attacco.
Intanto Edmund stava ancora cercando di alzarsi, ma i lampi non riuscivano a coprirgli sempre il braccio. Andavano e venivano, ad intermittenza.
La sua testa ciondolava, le mani ormai coperte di sangue e gli occhi assenti. Sarebbe svenuto da un momento all’altro.
“Ma tu non ti stanchi mai?”, gridò Namel, lanciandogli un incantesimo in fretta, mentre Ash ancora lo stava analizzando, senza riuscire a fermarlo.
In pochi secondi il corpo di Edmund fu ricoperto di nube nera e cominciarono le urla del ragazzo, immobilizzando Ash, mente Namel se la rideva.
Lo stava facendo sanguinare, poco ma sicuro. Ash conosceva quella risata, sapeva cosa voleva dire.
Infatti, qualche minuto dopo, la nube si affievolì, lasciando cadere a terra Edmund, svenuto ma ancora in vita. Era coperto interamente di tagli, come quelli provocati dai fogli di carta. Non c’era un pezzo di pelle che non fosse stato lacerato.
Ma respirava. E per ora bastava.
“E fuori uno”, commentò Namel, guardandolo a terra, con quell’orribile sorriso. Poi spostò lo sguardo e inclinò la testa, come un bambino.
Ash era ancora immobile, con gli occhi fissi sul ragazzo a terra, respirando veloce. I suoi capelli erano diventati completamente verdi, con pochissimi accenni al viola, che però continuavano ad essere presenti.
“Dov’è finita l’altra?”, s’infuriò poi ad un tratto l’uomo, guardandosi in giro.
Ash si riprese e notò che Sorrow non era più dove era svenuta prima. Era come scomparsa.
“E’ tornata a casa”, cercò di mentire Ash, sapendo che però Sorrow non l’avrebbe mai lasciata lì da sola. Poteva essere andata solo da una parte: dai mortali.
“Come no… credi ancora che non sappia del prodigio presente in questa stanza?”, scoppiò a ridere Namel, come a sfidarla.
Devon!
“Merda”, sussurrò Ash, partendo a correre più veloce della luce, anche se la caviglia le bruciava in un modo allucinante.
Sentiva Namel dietro di lei e capiva che non era una buona idea portarlo da Devon, ma restando lontani non avrebbero potuto proteggerlo meglio. Doveva stare nei paraggi per controllarlo, e doveva capire come stava Sorrow.
“Piccola stupida, pessima mossa”, disse Namel quando la vide inciampare, a pochi metri da dove Vicki, con in braccio il bambino, stava scappando, sotto ordine di Sorrow.
La donna si parò davanti a loro, lanciando una fattura a Namel, che indietreggiò di qualche metro, colpito in pieno stomaco.
Ash intanto vedeva Jared, dietro Namel, guardarlo arrabbiato, con una pistola in mano. Dove cavolo l’aveva trovata?!
La ragazza gattonò il più velocemente possibile verso Sorrow, con la caviglia che urlava di dolore, mentre Namel ritornava al suo posto, con gli occhi infiammati di odio.
Puntava verso la bionda, con una mano tesa verso di lei, pronta ad attaccarla.
E Jared sparò.
 
L’esercito gli avevano raggiunti ed erano quasi arrivati all’asilo dove Ash lavorava.
“Cosa pensi che troveremo?”, chiese Zoe, stanca della corsa, ma continuando a muovere le gambe, quasi in automatico. Teneva la mano in quella di Joel e lo guardava. Il suo sguardo era impassibile, preso com’era dalla situazione.
“Ho solo paura di arrivare troppo tardi. Ci penseremo lì a cosa troveremo”, disse subito l’uomo, che in un attimo fu affiancato da uno dei soldati.
“Ci saranno tanti Incompleti?”, chiese a Joel, impaurito.
“Nessuno. Forse nelle case vicine, quindi alcuni dovranno rimanere fuori a insonorizzare l’area e fare in modo che nessuno si avvicini”, ordinò, vedendo il soldato annuire. Zoe non seppe riconoscere il grado dell’uomo, ma non importava. Ora tutti seguivano Joel. “Poi falli venire dentro. Non saremo mai abbastanza se lui è lì davvero. Ognuno di noi sarà utile”.
“Principale obiettivo da difendere?”, domandò ancora il soldato.
“Due obiettivi”, comandò Joel, facendo incuriosire Zoe. “Ash Connor e Devon Milicevic”.
“Chi, signore?”, non capì.
“Il bambino. Deve rimanere in vita, costi quel che costi”.
 
Namel era a terra, con un buco alla spalla, completamente insanguinato a causa della pallottola che Jared gli aveva conficcato nella pelle.
“Fottuto Incompleto!”, si voltò verso di lui, pronto ad assalirlo, ma Ash fu più veloce. Lo bloccò, congelandolo parzialmente, per qualche secondo.
“Non lo riconosci, Den?”, chiese, provandosi a mettersi in piedi. “Non riconosci il sangue del tuo sangue?”.
“Cosa?!”, urlarono tutti gli altri, esclusa Sorrow, che conosceva la verità, così come Ash.
“Sei fin troppo brava a mentire, piccola stupida”, si rimise in posizione di attacco Namel, sorridendo. “Ma non così tanto”.
Mosse veloce il bracco e una nuvola nera cominciò a correre. Ma non puntava ad Ash.
Colpì Sorrow in pieno petto, esattamente sul cuore, e in un attimo la nube si trasformò in tantissimi animaletti che coprirono la pelle di Sorrow, mangiandole la carne.
Le urla della donna si estesero per tutto lo spazio che li circondava e il suo corpo cadde a terra, presa da scariche di dolore fortissime. Tutti rimasero a guardarla, senza poter fare niente, mentre Namel chiuse in una morsa Ash, obbligandola a vedere la scena.   
“Guarda come sanguina! Guarda!”, ripeté le stessa parole di quella volta, mentre Sorrow si contorceva dal dolore, urlando a causa della magia di quel mostro. “Ti mostrerò il suo cuore pulsante e sanguinante… sarà bellissimo, non credi?”.
“Lasciala! Lasciala!”, continuò a gridare Ash, vedendo gli animaletti andare sempre più in profondità. “Ti prego, lasciala!”.
“Non la odiavi così tanto, piccola stupida?”, chiese Namel, mentre i ragazzi guardavano la scena quasi immobili. Troppo immobili per essere ancora attenti: doveva averli incantati. “Guarda ora come muore… come muore per te!”.
Namel la strinse ancora più forte e Ash sentì un osso del braccio sinistro spezzarsi, mente vedeva Sorrow piangere di dolore quando arrivarono alle costole, spaccandogliele pian piano, entrando nei nervi.
“Ti prego, non farle più del male!”, gridò Ash, con le lacrime agli occhi.
“Soffrirà di più se la lascio vivere. Morirà di una lentissima agonia… quindi tanto vale godersi ora lo spettacolo”, rise lui, sopra le urla della donna. Avevano raggiunto la muscolatura del cuore e stavano aprendo un varco.
Non riusciva a stare ferma, non poteva non urlare. Si strappava animaletti dal petto, graffiandosi la parte mangiata, e facendosi ancora più male. Ma erano troppi e continuavano a torturarla.
Ash provò a muoversi, ma non poteva fare nulla. “Mi dispiace, Sorrow! Ti prego, mi dispiace… Sammy”, pianse vedendo il cuore della donna smettere di pulsare, completamente maciullato. Gli animaletti tornarono a formare una nube e svanirono nel nulla.
Sorrow non si mosse più, ma i suoi occhi erano aperti.
Aveva sofferto, ma aveva affrontato la morte senza paura, per difendere Ash. Erano aperti, e il suo era viso piegato verso di lei.
Perdonami, disse Ash nella sua mente.
 

...
Note dell'autrice:
Madonna quante cavolo di cose che ho scritto! ahhah
Prima di tutto... E' ARRIVATO! Quel bastardo, figlio di puttana - non non è vero! - è arrivato a rompere le palle. Bene, ora vediamo di farlo fuori, gente.
Quindi, Jared è un emerito coglione perchè si mette sempre in mezzo, Zoe e Joel - meno male che ci sono - arriveranno e Sorrow.... oh, gente, Sorrow può starvi maledettamente sul cazzo ma in fondo, molto molto molto molto in fondo, vuole bene ad Ash. 
*un inchino a Sorrow*
I ricordi di Ash sono importanti per capire bene la storia, se sono troppo pesanti, ma non mi sembra, scusate, ma così devono essere. Spero di non aver scioccato nessuno.
La battaglia comunque non è mica finita, gente. "now you're nightmare comes to liiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiive" 

Ok, ora emigro altrove :D
Buona settimana, 
Ronnie

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Capitolo 17
*** Battle Of One ***


Ehm.... ok, lo so, lo so, lo so. Sono una miserabile e dovrei vergognarmi. Ma è colpa della scuola, mi dispiace! Faccio il possibile!
Su... perdonatemi *s'inginocchia*
Be, mentre decidete vi lascio il capitolo *fa occhioni dolci*. Per ricapitolare: in mezzo alla battaglia di Namel, i Mars, Vicki e Devon sono incantati, Sorrow è morta e Edmund è svenuto. Yu-hu.
Chi mai li salverà?
buona lettura :)






Capitolo 17. Battle of One

 




 
“E così siamo rimasti io e te”, commentò Namel, mentre Ash non riusciva a non guardare il corpo di Sorrow, perso per sempre, a terra, davanti a Vicki e Devon, ancora immobili.
“Perché? Che senso aveva ucciderla?”, disse Ash, sconvolta.
“Diventi estremamente più combattiva da arrabbiata, non credi?”, sussurrò Namel, lasciandola andare. “E ora su, in piedi!”.
“Che vuoi fare?”, domandò Ash, provando a tirarsi su, con la caviglia un po’ più sana di prima.
“Vediamo quanto vale la cugina della troia. Hai detto che hai imparato con un gran segreto… fammi vedere cosa sai fare”, indietreggiò di qualche passo, lasciando Jared a metà strada.
Se lei avesse sbagliato mira, il cantante ci avrebbe rimesso. L’aveva fatto apposta.
“Bella mossa”, commentò Ash, indicando Jared, mentre lui rideva, con quella risata che le fece accapponare la pelle. Si guardò dietro e vide ancora una volta il corpo di Sorrow, completamente martoriato, e si promise di attaccarlo anche per lei.
“Fatti avanti, piccola stupida. Bramo il tuo sangue da troppo tempo, ormai”, ringhiò Namel, cominciando le danze.
Si mise in posizione di attacco e il suo braccio si ricoprì all’istante di una tenebrosa nuvola scura, pronta per essere lanciata verso di lei. Ash lo imitò, restando in difesa, fino a che il solito luccichio innevato le coprì il braccio.
Namel si mosse per primo, lanciandole una maledizione, che però Ash riuscì a deviare per poco. Si girò su un lato in fretta, mandando un incantesimo addosso a lui, stando attenta alla mira.
Lui lo evitò con semplicità, per poi riattaccare. Un po’ della nuvola nera si staccò dal suo braccio e partì verso di lei, colpendola sulle gambe e facendola cadere a terra, sulle ginocchia.
Non riusciva più a muoverle, come se non fossero più attaccate al corpo, anche se le vedeva. Si sedette, per quello che poteva, per terra, e lo vide avvicinarsi verso di lei.
“Allora, cosa pensi di fare?”, la insultò, sorridendo. “Sei diventata come loro”, indicò Vicki e suo marito, “non meriti il tuo grande potere”.
“Rimarrà comunque mio!”, cercò di indietreggiare Ash, ma non troppo o avrebbe sbattuto contro il corpo della povera Sorrow. “Non ci faresti niente di buono tu!”.
“Il mondo non è buono, Ash Connor. E per sopravvivere bisogna adattarsi a ciò che ci viene offerto e a ciò che abbiamo intorno, non credi?”, rispose lui, abbassandosi per arrivarle più vicino.
Ancora il suo braccio divenne nero e la stessa nuvola che le aveva colpito la gamba ora era sul suo braccio, bruciandola come un fuoco.
 
“Ash! Ash, sta’ attenta o ti scotterai”, scoppiò a ridere Jade, spostandola dal fuoco che aveva fatto apparire. Prima era attorno alla sua mano, ma poi sua cugina aveva toccato un pezzo di legno, per metterlo nel camino.
Ash era ammaliata, voleva solo prendere quel fuoco per giocarci con sua cugina. Ma appena aveva provato a toccarlo aveva sentito male al dito, togliendolo di scatto.
“Ma tu ci giocavi prima! Voglio giocare con te”, fece l’offesa Ash, incrociando le braccia sul petto.
“Fammi vedere come tu giochi con la neve”, le chiese, invece Jade, senza rispondere alle lamentele della bambina.
Ash fece una smorfia e mise avanti il braccio, che si ricoprì di un lieve strato di neve luminosa, facendo tante lucine dorate.
Jade allora le affiancò il suo, che si infiammò di un fuoco potente, rosso e arancione, con anche alcune sfumature bluastre vicino alla pelle.
Caldo e freddo. Si compensavano a vicenda, come loro due.
 
La pelle ustionata le faceva male, ma riuscì a congelare in fretta tutto, evitando che la ferita peggiorasse. La neve inghiottì la nuvola nera, e Namel si allontanò.
“Belli i tuoi ricordi. Mi lasciano abbastanza tempo per poterti attaccare meglio”, fece le sbruffone, mentre Ash si metteva in ginocchio, sentendo già di più le gambe. “Oh, ma non c’è bisogno di questa adorazione, Ash Connor. Voglio solo il tuo sangue”.
“Vattene a fanculo, Den”, disse ancora. Era diventato il suo mantra in quella situazione, ma la rendeva più forte ripetere le parole della cugina. In più lui sembrava arrabbiarsi ogni volta di più, quando sentiva il suo nome originario.
“Ti pentirai di fare sempre la saputella, mia dolce Ash”, ringhiò Namel. “Quando ti farò sanguinare fino a svenire, pregherai per avere un destino come quello della povera Sorrow, piccola stupida”.
Ash deglutì a fatica, ricordandosi ancora della donna che era appena morta.
 
Arrant. La Arrant era una bella scuola in effetti.
La donna che aveva trovato appena si era svegliata, Sammy, non era particolarmente simpatica e allegra, ma faceva del suo meglio per farla sentire a proprio agio, lo capiva.
In quel momento le stava mostrando le bellezze dell’edificio, costruito come due secoli prima da un mago magnanimo, con l’intenzione di educare tutti i piccoli Completi.
Prima, le aveva raccontato Sammy, l’educazione avveniva di padre in figlio, ma ogni famiglia conosceva determinati incantesimi e non esistevano libri specializzati. Niente storia, niente teoria delle magie, niente di niente. Solo pochi incantesimi tramandati da secoli ancora più passanti.
Così l’uomo trovò una piccola reggia abbandonata e decise di farne una scuola. Un gesto nobile, credeva la piccola Ash, guardandosi intorno.
In effetti aveva tutta l’aria di una reggia, messa a nuovo com’era in quel momento, con tutti i suoi quadri, le colonne e i corridoi infiniti. Si estendeva in enormi dimensioni, su pochi piani, tranne per alcune piccole torri, che mostravano il resto del paesaggio.
Sammy la fece girare per tutte le sale, enormi e ben arredate, per tutte le aule, grandi e illuminate da finestroni gotici, alcune anche con vetrate meravigliosamente colorate, per i campi, pieni di fiori o piante a lei ancora sconosciute, oppure da gioco, per i divertimenti degli alunni. Poi, salendo al terzo piano, l’ultimo, c’erano tutte le stanze degli studenti, piccole ma accoglienti, con il necessario per sistemare i propri averi.
Poi salirono sulle varie torri: in una c’era un enorme telescopio che si muoveva da solo, guardando l’universo intero. Se trovava qualcosa, si illuminava una piccola luce nella stanza.
Sammy le spiegò che gli studenti andavano lì per registrare le nuove scoperte o provarne a farne di nuove, oltre a studiare le precedenti. Era altamente necessario, per loro, che tutti avessero la piena conoscenza del cielo.
In un'altra torre, non molto alta e abbastanza larga, stavano gli animali degli alunni, solitamente gli Incompleti Speciali, su vari piani per ogni specie. I primi erano i gatti, poi i cani, in seguito, per ordine, criceti, uccelli e… varie.
Varie, secondo Sammy, erano tutti gli animaletti strani che gli studenti volevano portarsi. Diceva che ci fosse anche un cucciolo di ippogrifo lì dentro, ma dubitava seriamente della cosa, anche perché era illegale.
L’ultima torre non era altissima come la prima, ma arrivava bene oltre all’ultimo piano della reggia, quello dei dormitori. Sammy disse che lì si tenevano le riunioni: sia tra insegnanti che tra alunni.
Ma la donna la portò ancora oltre le sale, su una scala a chiocciola di legno scurissimo, al buio. Ash si strinse a lei e la seguì.
“Benvenuta nella tua nuova casa”, le disse, arrivando in cima alla piccola salita, dove aprì una porta, sempre di legno scuro. Davanti a loro si apriva una stanza più grande dei soliti dormitori. Era come se tutto fosse ingrandito: il letto era matrimoniale, la porta era doppia, come anche la finestra, il soffitto era più alto. Solo l’armadio e il comodino erano delle stesse proporzioni delle altre stanze.
Ma lo capiva. Lei era la diversa, e non doveva, ne poteva, stare con gli altri.
“Non potranno venire da me, vero?”, chiese Ash a Sammy, in lacrime.
“Devi restare al sicuro”, disse atona la donna, mandandola avanti per vedere il posto.
“Come no… Sorrow”.
 
“Fa male essere diversi, vero?”, chiese Namel, vedendo Ash alzarsi in piedi con tutte le forze che riusciva a trovare. “Dev’essere stato difficile, per te. Sempre la stessa storia… e non sempre solo di notte”.
“Smettila di frugare nel mio cervello”, si arrabbiò Ash, cosicché i suoi cappelli cominciarono a diventare viola sempre più in fretta. “Sono i miei ricordi!”.
“Sì, ma mi ritengo la causa di tutta la tua misera vita, quindi ho il pieno diritto di vedere il corso degli eventi che ho creato”, disse Namel, come se fosse  una cosa ovvia.
Ash ringhiò e mosse veloce il braccio verso di lui, facendo partire una bufera di nere che lo colpì in piena faccia, congelandolo per qualche secondo.
“Puoi fotterti”, rispose lei, completamente viola di rabbia, lanciando altri mille incantesimi verso di lui, senza star attenta alla mira. La maggior parte colpirono il bersaglio, che indietreggiò di parecchio, stordendolo per qualche minuto.
Ma due, anche abbastanza pesanti, arrivarono a Jared, svegliandolo dall’incantesimo e facendolo cadere a terra, agonizzante. Urlò per il tempo stesso impiegato da Namel per riuscire a mettersi in piedi, e lui lo ammutolì.
“Che gli hai fatto?”, pianse Ash, stanca di tutti quei dolori a causa sua.
“E’ parzialmente svenuto… e poi sono io il cattivo”, commentò Namel, sempre con quel suo sorrisetto idiota. “Sapevo che prima o poi avresti perso la pazienza e l’avresti colpito”.
“Ho preso anche te”, disse lei, distogliendo lo sguardo dal cantante e notando le ferite che gli aveva inferto. Gamba sinistra zoppa, petto squarciato per buona parte, spalla lussata, labbro spaccato.
“Non varresti un minuto contro di me se usassi la tua stessa raffica”, sputò sangue di lato, pulendosi poi la bocca. Lei fece una smorfia e si preparò all’attacco, quando una piccola luce accecante andò addosso a Namel, facendolo quasi cadere per terra.
Ash sentì la tibia dell’uomo incrinarsi e si voltò. Devon era di nuovo sveglio e la guardava serio, con il braccio coperto da un lieve fascio di luce solare, come pronto a difenderla.
Solo i Completi potevano fare una cosa del genere.
Solo i Completi avevano quel potere.
Solo i Completi si svegliano prima da quell’incantesimo.
Tutte le sue teorie erano vere.
“Che cavolo vuol dire questo?!”, si riprese Namel, cercando la causa di quella luce. Quando arrivò a Devon, Ash gli si parò davanti, ma ormai il gioco era fatto. “Ah, eccolo qui”.
“Toccalo e sei finito”, lo minacciò Ash, mentre Devon continuava a sbucare fuori per farsi vedere, con lo sguardo perfido. Per essere un bambino di un anno, quasi mezzo, era bravo. Veramente bravo.
“Oh, che paura, Ash… sei sempre rimasta una piccola stupida”, sbuffò lui, avvicinandosi ancora, quasi senza accorgersi che la ragazza stava ringhiando, tenendo Devon dietro di sé.
“Non toccarlo!”, urlò di nuovo, quando Namel fu quasi ad un passo da lei. indietreggiò, spingendo Devon a fare lo stesso, di qualche centimetro e si mise in posizione di attacco. “Non farai del male anche a lui”.
“Una creatura così rara non dovrebbe essere trattata male, cara mia piccola stupida”, commentò Namel con un sorrido sadico. “E’ un evento più che strabiliante il fatto che uno di… loro sia in grado di fare queste cose a questa età”.
“Però le creature come me e le loro famiglie invece possono anche morire con tremende agonie e punizioni”, sputò Ash, mentre lui alzava il labbro sulla destra, ringhiando leggermente.
“La tua famiglia… la tua cara Jade andava punita per quello che mi ha fatto”, rispose Namel, sbuffando come se avesse ripetuto mille volte la stessa cosa. “E tu sei il mio premio. Chi ha mai detto che il mio obiettivo è ucciderti? Mi serve solo il tuo cuore”.
“Non è la stessa cosa?”, urlò Ash, non notando che Devon si era un po’ esposto per vedere il suo zio non biologico che si muoveva, alle spalle di Namel.
“Come potrebbe? Se tu morissi avrei un’immortalità fittizia”, ridacchiò amaramente. “Insomma, se qualcuno mi colpisse infinite volte con la giusta potenza, alla fine potrebbe davvero uccidermi… ma se tu continui a vivere, io posso bere ciò che mi serve ogni volta che mi sento debole”.
“Non posso sopravvivere senza un cuore che batte nel mio petto”, gli ricordò Ash, quasi come se fosse pazzo. “Nessuno può”.
“I vampiri lo fanno”, disse come se fosse ovvio. “Il loro cuore non batte più dopo la trasformazione, eppure sono vivi e possono anche sanguinare, se feriti in un certo modo”.
“Non è il loro sangue. La ferita brucia,  ma è come se vomitassero il loro cibo”, fece una smorfia Ash. “E io non sono un vampiro, Namel”.
“Ma non sei un’umana, e nemmeno una come me, lo sai”, le rispose lui. “Puoi sopravvivere a cose che non puoi neanche immaginare. Se il cuore torna al suo posto, tu continui a vivere e io posso permettermi la mia immortalità”.
“Mai”, decretò Ash. “Mai diventerò la tua schiavetta donatrice di sangue. Mai”.
“Lo farai, se vuoi salva la vita di tutti loro”, Namel indicò le altre persone nella stanza. Poi guardò Sorrow. “Hai già fatto un errore ed un altro è svenuto nell’atrio. Non puoi permetterti di uccidere anche gli altri”.
“A te servo viva”, s’ingegnò lei. “Se io li facessi scappare in un posto a te sconosciuto e poi mi uccidessi, vincerei io. E anche se tu li trovassi e li uccidessi tutti, vincerei comunque io: alla fine moriresti in ogni caso”.
“Sembri sicura di tutto quello che dici, ma ricordati che sei solo una piccola stupida”, fece lo smorfioso Namel.
“Non. Chiamarmi. In. Quel. Modo. Chiaro?”, gridò Ash, avventandosi in un secondo su di lui, spingendolo per terra e  strisciando con lui per qualche metro.
Mise le mani a terra e fece una capriola per rimettersi in piedi con un salto, grazie a tutto l’allenamento che aveva fatto con Edmund. Poi mise un braccio attorno al collo di Namel e all’improvviso s’infiammò di neve.
“Congelerai come una fottuta granita”, ringhiò lei, mentre il viso di Namel si faceva sempre più freddo. Lui provò a togliersi dalla sua presa, ma Devon gli salì sul petto e lo accecò con la poca luce che riusciva ad emanare. “Bravo, piccolo”.
Namel si mosse di scatto e fece cadere Devon di lato, riprendendo leggermente la vista. Prima di perderla di nuovo, per colpa del freddo, però, riuscì a sollevare il braccio e prendere la spalla di Ash, riempiendola di nube nera.
Credendo fosse la stessa maledizione con cui aveva ucciso Sorrow, Ash ebbe l’istinto di allontanarsi in fretta e indietreggiare, trovandosi di fianco a Jared, che sembrava ancora addormentato.
Namel, ripresa un po’ di lucidità, se avvicinò a lei, entrandole ancora una volta nella mente.
 
Papà aveva detto che ero speciale, ma mamma si era messa a piangere quando l’aveva detto. Ash era triste per questo, non riusciva a spiegarlo. Non era felice di avere una figlia così brava?
Le avevano spiegato tante cose, ma faceva ancora fatica a comprenderle del tutto. Si chiedeva, più che altro, come fosse possibile che gli altri non fossero come lei.
Jade, quando i suoi genitori la portarono a casa degli zii, l’accolse con un abbraccio, come sempre, prendendo la borsa che si era portata dietro, senza salutare i genitori di Ash.
Non era la prima volta che la bambina dormiva da lei, ma Ash ancora non sapeva che quella borsa le sarebbe dovuta bastare per tutta la vita.
Jade la portò nella camera degli ospiti, dove avrebbe dormito da quel giorno in poi, e Ash si sedette veloce sul letto. La cugina sapeva della novità e le chiese di spiegarle ogni cosa. Ash cominciò a parlare, senza rendersi conto che, nell’altra stanza, i loro genitori stavano discutendo su chi avrebbe dovuto curarla.
Jade li sentiva, ma doveva tenere al sicuro la sua cuginetta, o avrebbe sofferto ancora di più, senza alcun motivo.
Quando Ash finì di raccontare, Jade la pregò di mostrarle ciò che prima le aveva spiegato, ma prima che Ash potesse fare qualsiasi cosa, la porta si aprì.
“Ciao tesoro”, disse il padre della bambina, abbracciandola. “Ci mancherai, ma starai con Jade ora e  ci rivedremo”.
“Quando? Quando torno a casa?”, chiese Ash, non capendo quella frase.
“Sei a casa”, abbassò lo sguardo, mentre sua madre le dava un veloce ma forte abbraccio, sussurrando un lieve ‘Ti voglio bene’.
E poi non  li rivide mai più.
 
“Esci dalla mia testa!”, urlò Ash, mettendosi seduta sul pavimento, prendendosi la testa nelle mani. “Basta! Basta, ti prego!”
Devon sembrò volersi avvicinare, mentre la ragazza si dondolava su se stessa, quasi fuori di testa per colpa di ciò che aveva ricordato, ma fu fermato da Namel, che lo prese per un braccino.
“Oh, piccolo tesoro! Ciao, come stai?”, chiese al bambino, fingendosi tenero e paterno.
Il piccolo Milicevic lo guardò, curioso, ma dopo qualche secondo indietreggiò di scatto, socchiudendo gli occhi. Il suo braccino si riempì di nuovo del leggero strato di luce solare.
“Cattivo”, balbettò malamente, mentre Namel sorrideva, andando ancora più vicino.
“Non osare toccarlo!”, si riprese un po’ Ash, anche se sembrava ancora in balia dei suoi ricordi. “No! Stagli lontano! Lontano!”.
“Oh, quando imparerai a controllarti, eh?”, si voltò verso di lei l’uomo, guardandola come una pazza. “Guardati, piccola stupida, sei completamente folle…”.
“Stagli lontano ho detto!”, gridò, provando ad avvicinarsi ai due, mentre Devon sembrava piagnucolare al vederla così.
“Sta’ zitta!”, le urlò contro Namel, facendola cadere a terra, ancora tra i peggio ricordi.
 
Tutti gli sguardi erano su di lei.
Tutti, nessuno escluso.
Ovvio, ora non era più quella di un tempo. La partenza di Dean l’aveva cambiata radicalmente e ormai non c’era anima viva o morta che le rivolgesse uno straccio di parola.
La sua divisa, prima sempre perfetta, ora era un ammasso di stoffe rotte e rovinate, a causa dei graffi che lei faceva, in preda alla rabbia. I suoi capelli erano costantemente neri, a parte qualche striscia bionda, se era una giornata passabile. La sua pelle sempre più pallida e i suoi occhi contornati di nero.
Aveva cominciato a truccarsi pesantemente, al contrario di prima, proprio per evitare che le si rivolgesse la parola, come se fosse sul punto perenne di prendere a sberle chiunque le andasse vicino.
In quel momento tutti la guardavano, come al solito, perché uno degli idioti più grandi aveva fatto una brutta battuta sul suo conto, tirandole qualcosa.
Non l’aveva fermato, si era solo spostata per evitare di essere colpita. Aveva girato il volto e si era messa a guardare la neve cadere, fuori dalla finestra. La neve… Dean l’aveva scoperta mentre la neve era ancora  sul terreno.
“Guardatela… la piccola scopamica di Dean fa l’offesa”, continuò il ragazzo, facendo una vocina stupida, che la irritò non poco. Sì, era la stessa battuta di prima.
Chiuse gli occhi, obbligandosi a non piangere, perché se lo avesse fatto si sarebbe odiata in eterno. Lei non era una debole.
“Sai, tua cugina deve essere stata davvero troia per essere finita in quel brutto guaio!”, si sporse troppo oltre l’idiota. “E ora provi anche a imitarla? Wow, davvero intelligente”.
Tutti si ammutolirono.
Nessuno, nessuno, nessuno, in tutti gli anni in cui lei era stata lì (ed erano tanti) aveva mai azzardato di nominare sua cugina davanti a lei, soprattutto insultandola. Nessuno.
Gli occhi di Ash si aprirono e scattarono sul ragazzo, a qualche tavolo di distanza da lei. Il suo braccios’infiammò di neve bianca, e dalla sua bocca uscì un lieve ringhio.
Il ragazzo sorrise, lasciando che Ash si alzasse e lo trucidasse con lo sguardo.
“Ora che fai? Combatti? Le troie perdono in principio, Connor… come tua cugina”, osò dire.
E si ritrovò a terra, con un taglio sul petto da cui sgorgava parecchio sangue. Era profondo e largo e dovettero accorrere in fretta per portarlo in infermeria.
Quando lui alzò lo sguardo Ash Connor era sparita e la finestra era aperta, lasciando entrare la neve che stava cadendo dal cielo.
 
“Hai scelto un ricordo sbagliato da farmi vedere”, ringhiò Ash, provando di nuovo a tirarsi su, mentre Namel era ancora piegato su Devon, che la guardava con un misto di coraggio e terrore. “Ti ridurrò in piccoli pezzi sanguinolenti, facendoti diventare ombra e cenere”.
“Orazio. Ottima scelta… ma io di certo non morirò”, si voltò Namel, lasciando perdere il bambino e mettendosi in posizione di attacco davanti a lei. “Non ora e non qui. E soprattutto non di certo per mano tua, piccola stupida”.
“Allora sarà per mano di un semplice umano”, disse una voce.
Jared.
Ash si voltò verso il punto in cui ricordava fosse svenuto, ma non era più lì. Era dietro Namel e gli circondava il collo con la stessa pistola di prima, puntata sulla giugulare dell’uomo.
“Dovresti essere fiero di lui, sai?”, barcollò Ash davanti a loro, mettendosi in piedi, mentre Namel tentava di togliersi di dosso il cantante. “Dovresti essere fiero di tuo nipote, Dennis Adam… Leto”.
 
“Attaccate tutte le entrate”, urlò Joel, davanti all’edificio. “Voglio controllare ogni centimetro quadrato”.
Tutti si misero in posizione e Zoe si avvicinò al capo della situazione, guardandolo. “Sono tutti pronti, Joel”.
“Bene, perché è ora di entrare in azione”, disse mentre la solita brezza autunnale gli comparve sul braccio. La grandine coprì, invece, quello di Zoe e entrambi li puntarono verso la porta, buttandola giù in un colpo.
Ora iniziava la guerra.


....
Note dell'Autrice:
DA-DAN! Devon è un completo... un ottimo Completo direi!
E Namel è un bastardo, ma fin qui tutto regolare. 
I ricordi ecc... come al solito servono così come sono, anche se perfino a me mettono ansia/tristezza quando li scrivo. Poor Ash.
E Joel e Zoe? Arriveranno mai in tempo?

Alla prossima
Un bacione, Ronnie

Ps. se non vi è chiaro qualcosa ditemi 

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Capitolo 18
*** Set in my DNA... ***


E' FINITA LA SCUOLAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA! 
Missione "no debito in matematica, quindi media del 7" COMPIUTA, e quindi.... scriverò tutta l'estate! 
Lol, non so cosa possa interessarvi a voi, ma non fa niente :D
Allora
noi eravamo rimasti alla battaglia e, più che altro, all'arrivo dell'Esis dopo "Dennis Adam Leto".
Il titolo di questo capitolo ha i "..." perchè è legato al prossimo :)

Buona lettura!





Capitolo 18. Set in my DNA…

 





 
Nessuno fece in tempo a rispondere a ciò che aveva detto Ash che una tempesta di ghiaccio colpì in pieno la parete dietro di loro, formando un grosso buco, che dava su un altro corridoio. Ash si voltò di scatto, come gli altri presenti che riuscivano a muoversi.
“Zoe! Zoe qui!”, urlò in fretta, mentre Namel dava un pugno in pancia a Jared che, troppo preso dall’accaduto per rendersene conto, non stava più attento al nemico e cadde a terra, sputando sangue.
Ash si girò verso il cantante e lanciò un incantesimo a Namel, che lo evitò in fretta. Quello colpì la parete, fondendo parte di essa, che si liquefece.  La ragazza ringhiò e lui rispose all’attacco, direzionando verso di lei una nuvola grigiastra.
Lei rotolò di lato, evitandola, e così colpì uno dei soldati dell’Esis, appena uscito dal varco che Zoe aveva fatto.
L’uomo cadde a terra, preso da convulsioni tremende. Dopo qualche secondo vomitò e pianse sangue denso, rallentando i movimenti e morendo con urla di dolore.
Ash lo guardò per pochi attimi, presa dallo sconforto, e senza volerlo lasciò l’occasione a Namel di colpirla.
Cadde in avanti, attaccata di spalle, e si sentì mancar l’aria, mentre le sue gambe cominciarono a perdere il controllo, e più passavano i secondi meno se le sentiva.
Si voltò a pancia in su e provò a sedersi, cercando di curarle, mentre altri soldati le si pararono davanti.
Attaccarono Namel e l’unica cosa che riuscì a dire fu: “Devon! Prendete prima Devon!”.
Vide Zoe sorriderle, forse nel vederla viva o forse per farle capire che lo avrebbe fatto, ma Ash cominciò a lacrimare. Se anche Zoe fosse morta in quell’attacco non se lo sarebbe mai perdonato, come per Sorrow.
“Ash!”, sentì la voce di Joel prendere il sopravvento e lo guardò avvicinarsi a lei, per vedere come stava. Ma la testa le girava, vedeva tutto confuso e offuscato, mentre il suono le arrivava ovattato nelle orecchie.
Sentì a malapena uno scoppiò provenire da dove si sarebbero dovuti trovare Tomo, Vicki, Shannon e il cadavere di Sorrow e vedeva Joel muovere le labbra. Non capiva che le stava dicendo, perché tutto era coperto da un ronzio incessante che le frastornava il cervello.
Sbatté le palpebre alcune volte, provando a portare le braccia verso le gambe per tentare di guarirle di nuovo, ma la testa cominciò a girarle  e cadde all’indietro.
Una mano l’afferrò in tempo, prima che colpisse il terreno e si provocasse un trauma cranico, e vide un soldato, vestito con la tenuta di battaglia, sorriderle e poi correre verso Namel.
L’aveva già visto, quel volto.
Dmitri.
 
“E così Ash Connor vuole tornare a fare scherzi?”, sorrise lui, cingendo con un braccio la vita di Clelia, la ragazza che le aveva parlato il giorno prima. Il ragazzo rise e le offrì l’altra mano, come per presentarsi. “Sto scherzando, sono contento che ti sia aggiunta”.
“Vendetta”, commentò Ash, guardando tutto attorno a lei con serietà e attenzione. “Faccio questo per vendetta”.
“Bè, ma senza divertimento lo scherzo non riesce, dovresti saperlo”, le sorrise Clelia, provando a farla sentire a suo agio. Sì, a suo agio con una ragazza che le leggeva tutti i suoi pensieri e un ragazzo che poteva vedere tutte le sue future mosse.
“Sì, lo so”, cercò di sorridere. In fondo, come diceva Dean, più il gruppo è strano più gli scherzi migliorano.
“Credo che Dean diventerà famoso per le sue teorie”, rise Clelia, come a rispondere al pensiero di Ash. “Scusa, non volevo”.
“Non fa niente, penso che dovrò solo abituarmici”, cominciò a sentirsi meglio Ash, guardando i due ragazzi. Erano gli unici che le parlavano dopo anni e sentiva di poter contare su di loro.
Non fidarsi, ma solo per avere qualcuno con cui passare il tempo, per tenere occupata la mente.
“Domani mangeremo insieme a pranzo”, commentò ridendo Dmitri, con gli occhi vitrei, sul futuro. “Oh, Ash ti metterai la divisa al contrario!”.
“Grazie dell’avvertimento”, commentò Ash, ridacchiando.
“Oh no, adesso sei normale… mannaggia, non avrei dovuto dirti nulla”, continuò con il suo sguardo verso il futuro. Poi si riprese e guardò la sua ragazza, sbattendo le palpebre. “Bè, comunque dovrebbero arrivare nel giro di qualche secondo”.
“Bene. Ash, sei pronta?”, chiese Clelia, con un sorriso malefico sul volto.
“Oh sì!”, rispose lei, mentre Dmitri rideva e l’avvicinò, quasi a fare un abbraccio di gruppo.
“Benvenuta nel club, allora”.
 
“Dmitri…”, sbiascicò Ash, provando a sentire o vedere qualcosa, mentre ancora Joel le stava a fianco, difendendola da tutti gli attacchi che riceveva.
Sentì la voce di Joel che, da lontano, la calmava dicendo che sarebbe andato tutto bene, per poi deviare un colpo. Vide un incantesimo finirgli nel fianco, tagliandolo un pezzo di pelle e il sangue cominciò ad uscire.
Lei si sporse per vedere il danno ma lui le fermò le mani e provò a rimetterla nella posizione di prima, senza guardare la ferita che aveva appena ricevuto.
La situazione non sembrò cambiare per i successivi minuti, o almeno così sembrò ad Ash che, da  praticamente sdraiata, si perdeva tutta la battaglia e vedeva solo incantesimi evitati scontrarsi contro le pareti o sangue schizzare via.
Dopo un po’ riuscì a sentire le gambe, almeno per piegarle lentamente con la propria forza di volontà. Joel la stava ancora proteggendo e si alzò e attaccò qualcuno, mandandogli addosso il vento che gli circondava il braccio.
Ash sentì il corpo cadere a terra e sbatté di scatto le palpebre.
Si voltò verso il suo amico e provò a capire che le stesse dicendo. Ora sentiva dei brusii, ma sempre più pronunciati.
“…à… sh… no… lo…”, sentiva, senza trovare alcun senso a ciò che diceva. Poi la voce di Joel si fece più regolare, provocandole un grosso mal di testa. “Andrà tutto bene, Ash. Ce l’hanno quasi fatta, lo finiremo”.
Si portò le mani sulle orecchie e chiuse gli occhi, stringendoli tanto forte da farle male. Riusciva a sentire tutto ora, come sempre, ma il cambiamento le stava distruggendo il cervello.
Lui l’abbassò di scatto, stringendole la testa contro il suo petto. “Sta’ calma, sta’ calma”, le cantilenò leggero Joel, dondolandola per quel che poteva, mentre lei, con la coda dell’occhio notava davanti a loro una muraglia di soldati dell’Esis che la difendevano.
Ma sentiva comunque tutti i rumori della battaglia, anche se la voce di Namel si era completamente persa. Forse stava cedendo prima di quanto chiunque avesse immaginato.
Certo, com’era possibile che potesse resistere ad un esercito quando lei era riuscita a tenerlo occupato per così tanto tempo? La risposta era semplice: lei le serviva viva, a quanto pare, quindi per lui era solo stato un gioco divertente, in attesa del momento buono per prendere il suo sangue.
L’esercito invece era sotto completo attacco di un pazzo maniaco a cui non importava nulla di quante persone potesse far fuori.
“Non varresti un minuto contro di me se usassi la tua stessa raffica”, le aveva detto, quando lei aveva cercato di colpirlo disperatamente. E ora lui le stava dimostrando che aveva ragione.
“Ash, va tutto bene…”, la dondolò ancora un po’ Joel, mentre il suo cervello stava cominciando a sopportare meglio i rumori. “Sul serio, Ash, magari riusciamo a finire questa guerra”.
Ma lei sapeva che non era vero.
E bastò un secondo per capire che Ash aveva ragione.
Un soldato del muro che li copriva cadde a terra, come se fosse una statua di pietra, e  si scontrò contro al suolo, immobile e con gli occhi fissi sopra di lui, aperti e senza vita. Dietro di lui, con la mano ancora in avanti, c’era Namel che ringhiava contro di lei.
“Tornerò a prenderti, piccola stupida”, urlò, prima che nessuno potesse fare nulla. “E il tuo sangue mi renderà immortale”.
Detto questo, come era arrivato, se ne andò, lasciando tutti senza fiato.
 
Vicki si “risvegliò” quasi tramortita, senza ricordarsi dove diavolo fosse, cosa ci facesse lì e , soprattutto, che era successo.
Era in mezzo ad una sala mezza distrutta e, quando fece per voltarsi le venne un giramento di testa.
“Dovrebbe stare ferma. Per voi Incompleti certi incantesimi sono fin troppo difficili da sopportare”, le disse una voce, con un suono gentile. In un certo senso odiava essere così… inutile e indifesa. Così… Incompleta.
La voce si mostrò e Vicki riuscì a vedere un uomo sorridente, vestito con pantaloni scuri, un po’ larghi e con molte tasche, e con felpa sportiva. Sul torace aveva una cintura messa a tracolla con ogni tipo di pugnale e anche una pistola.
“Lei deve essere Vicki, la madre del piccolo Completo”, le sorrise di nuovo, come se fosse davvero contento di conoscerla. “Io sono Randy, Randy Miller. Dovrebbe essere davvero fiera di suo figlio”.
Lei sbatté le palpebre più volte. Piccolo Completo?
Che era successo a Devon? E da quando era un Completo?! Sia lei che Tomo erano semplici umani come tutti gli altri…
“Dov’è Devon?”, chiese con voce flebile mentre il soldato, Randy, l’aiutava a mettersi seduta senza troppi giramenti.
La sala era quella dell’asilo dove lavorava Ash, ma era completamente distrutta e con anche parecchio sangue in giro. Alcune pareti erano state sventrate e la segreteria era inesistente.
Come avrebbero riparato una cosa del genere senza chiamare la polizia?
“Le porto un viso amico, magari così si tranquillizza un po’”, disse Randy, mentre Vicki lo guardava confusa. L’uomo si allontanò e la lasciò lì da sola, a guardarsi in giro, circondata da tutti gli altri soldati. Ma perché era lì da sola?
“Secondo te ho combinato un bel casino?”.
Vicki sorrise e si voltò verso la voce, che riconobbe come quella di Ash, ma fu stupita da ciò che vide. Era vestita come al solito, ma i suoi abiti erano logori e insanguinati, bruciati sulle braccia e sporchi di terra.
Sotto i tagli dei vestiti, Vicki vedeva le ferite, e il volto della bionda era decorato da qualche livido, tra alcuni tagli. I capelli erano sempre biondi e blu, ma scompigliati e annodati.
“Bel look”, commentò solamente Vicki, quando Ash arrivò a sedersi di fianco a lei. “Ti fanno male?”.
Ash seguì lo sguardo della donna e capì che si riferiva il sangue che aveva addosso. “Non più del solito”.
Vicki fece una smorfia, guardandosi ancora in giro. “Che è successo, Ash? Non mi ricordo nulla e mi gira la testa in una maniera allucinante”.
La bionda sorrise, senza però un vero segno di allegria nel volto, e cominciò a raccontare. “Siamo stati attaccati dal pazzo che mi vuole morta… bè, non esattamente morta ma una cosa molto simile. Vi ha incantati per farvi stare fermi, per questo non ricordi nulla e stai così male: gli Incompleti non sono abbastanza resistenti per subire incantesimi. Se somministrati più volte possono anche causare la morte”.
“E le persone che sono arrivate per farci nascondere?”, ricordò Vicki, con un po’ di sofferenza nel riattivare i pochi ricordi che aveva.
“Edmund e Sorrow sono arrivati in tempo per portarvi via, anche se forse era meglio trascinarvi a casa”, commentò Ash, diventando improvvisamente triste. Si voltò e le mostrò la sala, dove dei soldati erano disposti a cerchio in due zone diverse. “Edmund è stato attaccato in modo grave, ma è solo svenuto. Una settimana al Lightness e si rimetterà, ne sono certa”.
Immaginando cosa Ash intendesse per il Lightness, Vicki le chiese qualcos’altro. “E Sorrow?”.
“Mi ha difesa… fino alla fine”, ammise Ash, abbassando la testa. “Lei è… Sammy è morta”.
“Mi dispiace”, cercò di consolarla Vicki, provando ad avvicinarsi. Ma appena si mosse, la biondina alzò il voltò e tirò su col naso, provando a fare un sorriso. Falso, ma almeno ci aveva provato.
“Ci siamo sempre odiate… o almeno così credevo. Però mi ha difesa… mi ha difesa a costo di venire uccisa con una maledizione che non avrei augurato a nessuno. Mai”, concluse Ash, sbattendo le ciglia più volte, provando a fermare le lacrime. “Ma non dispiacerti, non sei tu la causa”.
“E dopo che loro due non sono più riusciti ad aiutarti?”, chiese allora Vicki. “Come hai fatto a fare tutto da sola?”.
“Non ero da sola”, ammise Ash, stavolta sorridendo davvero. “Vieni con me”.
Le tese la mano, alzandosi in piedi e aiutando Vicki a fare lo stesso, facendola camminare in mezzo alla sala.
C’erano gruppetti di persone ovunque, e molte di loro aiutavano i più gravi a rimettersi in sesto. Alcune abbracciavano i compari e, pian piano, sembravano scomparire. I feriti erano molti, le perdite di sangue erano parecchie. I morti, Vicki, non li vedeva però.
Quando arrivò, con Ash, in una delle aule, dove la porta era stata abbattuta, vide i ragazzi e lasciò andare un sospiro di sollievo. Poi, in braccio a Joel, c’era Devon, che le sorrideva.
Tomo si alzò e  andò subito ad abbracciare la moglie, vedendo che stava bene; successivamente si aggiunsero anche Shannon e Jared, che la fecero dondolare, ridendo.
Dopo qualche dondolio, però, Vicki si staccò dal gruppo, che cominciò a parlare con Ash di come avrebbero potuto sistemare quel posto, e andò verso Joel, che provava ad intrattenere Devon.
“Guarda! Guarda chi c’è, Devon: la mamma!”, fece tante moine, cosicché il bambino si agitò ancora di più tra le sue braccia.
Vicki corse a prenderlo e se lo strinse al petto, sentendo le manine di Devon pizzicarle i capelli corti e poggiare la testa sul suo collo, sentendosi al sicuro.
“E’ stato bravissimo: un vero ometto”, continuò Joel, accarezzandogli la piccola schiena.
“Che è successo?”, chiese Vicki, cullando Devon tra le braccia, che intanto si era voltato e guardava il mago tutto allegro.
“Bè… è diventato a pieno quello che è”, le rispose Joel, ridendo dopo aver visto lo sguardo confuso di Vicki. “Suo figlio è un Completo, signora Milicevic. Può succedere che in alcuni dna Incompleti si formi il nostro filamento magico.
“La parte scioccante, ed è per questo che molti dei nostri soldati si sono schierati in sua difesa appena arrivati, è che lui sia il primo bambino a riuscire ad usare i propri poteri a soli quasi due anni di vita”.
“Come fate a saperlo? Che è capitato?”, ripeté la donna, felice e preoccupata nello stesso tempo di quella notizia. Per quanto speciale fosse, Devon non sarebbe mai stato un bambino ed un uomo normale. Non sarebbe mai stato come lei.
“Si è svegliato prima dall’incantesimo che affliggeva voi altri e non ne ha subito le conseguenza. Ma cosa più importante”, disse con un leggero orgoglio nella voce. “Ha difeso Ash. Per poco, ma ovviamente per le sue capacità è stato bravissimo”.
“Ha difeso Ash?”, si stupì Vicki, guardando poi suo figlio alzare il bracco e infiammarlo di luce dorata, come se fosse un piccolo sole. Si spaventò a morte, ma Joel sorrise.
“Ha il potere del Sole. Bello, luminoso… ma scottante”, le spiegò mentre Devon muoveva il braccio, facendo un po’ di luce ovunque. “E’ riuscito ad accecare Namel per il tempo necessario, almeno fin quando non siamo arrivati noi”.
“Lui… lui…”, balbettò Vicki, senza sapere più che dire.
“E’ un Completo. Uno di noi”, intervenne Ash, seguita dai ragazzi, che guardavano scioccati il piccolo tra le braccia di Vicki.
“Lo ucciderà? Lo cercherà ovunque come fa con te?!”, gridò la donna, facendo girare tutti verso di lei.
“Vicki, sta’ calma”, cercò di dirle Ash, senza risultati.
“Chi sei tu, Ash Connor?! Perché ti vuole così tanto?”, le domandò Vicki, fuori di sé, stringendosi contro Devon, che però provava ad avvicinarsi alla sua maestra.
“E’ una lunga storia… e per niente allegra”.
 
Erano ancora seduti in quella stanza, tra i piccoli banchi degli alunni dell’asilo. Joel, invece, era contro lo stipite di quella che una volta era stata la porta e controllava che non li sentisse nessuno o che non ci fossero emergenze.
Ash si stava torturando le mani, ma capiva che doveva parlare. Aveva tutti gli sguardi su di sé e Devon era al centro, come per darle coraggio. Vicki si era calmata, ma voleva comunque sapere.
“Mia madre e mio padre erano semplici Completi, come chiunque nella cittadina dove sono nata. Nacqui in casa, durante una giornata di neve e sole”, sorrise muovendo il braccio, per mostrare la sua magia. “Si dice che sia collegato alla tua nascita, questo potere, ma non ne sono totalmente certa”.
Tomo e Vicki cercarono di ricordare che tempo facesse alla nascita di Devon, ma in quel momento niente tornava alla loro mente.
“Per i miei primi cinque anni di vita tutto andò alla grande: ero una delle piccole pesti del villaggio, andavo al lago a giocare con il mio cagnolino, avevo un rapporto strano di amicizia barra antipatia con Edmund, mio padre mi insegnava alcuni trucchi e a volte andavo a trovare mia cugina”, spiegò Ash, sorridendo al ricordo di quel periodo nel quale ancora credeva di essere normale. “Ma poi le cose cambiarono: i miei genitori se ne andarono dal paese e mi lasciarono da mia zia, dove Jade, mia cugina, mi crebbe come una sorella minore.
“Ma lei aveva il mio stesso dannato amore per una cosa che le avrebbe ridotto la vita un inferno: gli scherzi. Con il suo gruppo di amici – Kate, Logan e William – organizzarono lo scherzo del secolo, sempre con la solita vittima. Dennis. Il mostro che ha appena ucciso Sorrow”.
“Perché lui?”, chiese Shannon.
“Perché prima era lo sfigato di turno, un facile obiettivo per scherzi più o meno innocenti. Peccato che quella volta il piano non aveva niente di innocente: rischiarono di ucciderlo… e molti credevano di averlo davvero visto morto”, continuò Ash, sistemandosi i capelli, nervosa. “Ma poi Kate morì, Logan fu trovato torturato e ucciso, e William sparì dalla circolazione come se non fosse mai nato.
“Sapevano tutti che era opera sua. E che l’avrebbe anche terminata: gli mancava solo Jade. Ma da Jade trovò me e decise che la vita di mia cugina non era abbastanza, voleva anche un premio.
“Così quando riuscii a salvarmi non ci vide più. La prese come faccenda oltre il personale e la sua voglia di vendetta crebbe. Con quella però nacque anche la sete di potere, e quindi venne ritenuto nemico di stato, da annientare”.
“Ma nessuno ci è ancora riuscito”, concluse Tomo, guardando suo figlio, che ciondolava allegro, come niente fosse.
“Vuole vostro figlio perché desidera tutto il potere di questo mondo, e per la maggior parte delle volte vuol dire anche voler eliminare gli Incompleti.
“Vostro figlio, anche se nato da Incompleti, porta con sé un potere così grande da poter essere ritenuto perfino il suo… secondo in comando, un’ icona da cui attingere. Il bambino perfetto della nostra civiltà”, Ash indicò Devon, che le sorrise. “Dovreste essere davvero fieri di lui”.
“Sono fiera di lui”, disse Vicki, prima che Tomo riuscisse a parlare e concordare con lei. “Ma ho solo paura che questo possa portarlo alla morte certa”.
“Lo difenderemo”, concluse Ash, seria. “Lui mi ha salvato la vita, anche se ha rischiato la sua. Ed ha solo un anno. Io ne ho venti… e devo ripagarlo come si deve”.
“Quindi ora che si fa?”, le chiese Joel, guardandola mentre Vicki prendeva in braccio Devon, stringendoselo ancora.
“Dov’è Edmund? Voglio portarlo al Lightness”, disse Ash e Joel le borbottò qualcosa, senza che la band e Vicki non capissero di cosa  stessero parlando.
Ash si alzò e uscì veloce dalla stanza, mentre i ragazzi si guardarono, stanchi. “Lo possiamo chiedere a te?”, chiese Shannon al mago, che era rimasto lì, zitto.
“Cosa?”, domandò Joel, capendo che il batterista stava parlando con lui.
“Ora che si fa?”, ripeté la sua domanda.
“Penso vi convenga tornare a casa e farvi una bella dormita”, disse l’agente. “Le vostre case sono state controllate poco fa e non c’è segno di pericolo. Non vi conosce, quindi non vi attaccherà”.
“Siete sicuri?”, chiese Tomo, preoccupato per la sua famiglia.
“Sì, certamente”, sorrise. “Andate a dormire, suonate, componete… fate quello che facevate di solito. Andrà tutto bene”.
“E Ash dove andrà?”, domandò Jared, cercando di capire dove fosse finita quella ragazza.
“Al nostro quartier generale”, rispose semplicemente Joel. “Lì sarà al sicuro: è controllato minuziosamente ventiquattro ore su ventiquattro e ormai lei è abituata a stare lì con noi. Non preoccupatevi”.
“Non le succederà nulla?”, chiese Shannon.
“No, a meno che un’orda di vampiri accaniti, accompagnati da licantropi e ippogrifi impazziti riescano a sfondare le porte e oltrepassare le guardie”, ridacchiò Joel, anche se fu l’unico. “Scusate, umorismo Completo. No, non le succederà nulla, ve lo posso garantire”.
“Ora dov’è andata?”, concluse Tomo con le domande, lasciando perdere la battuta di Joel.
“Wow, aveva ragione a dire che gli Incompleti si legano facilmente agli sconosciuti”, commentò Joel.
“Noi conosciamo Ash. Non magari nei particolari, ma la sua vita è in pericolo e a noi basta per volerla proteggere”, ribatté Vicki, provocando un sorriso da parte di Joel.
“Siete migliori di quanto noi Completi vi avremmo mai immaginati”, sussurrò, per poi andare avanti. “E comunque è andata all’ospedale. Lì hanno portato praticamente tre quarti di questo piccolo esercito… bè, anche Edmund è stato spostato al Lightness, quindi credo sia andata a trovare lui e Dean”.
“Chi è Dean?”, s’incuriosì Jared.
“Geloso?”, scoppiò a ridere Joel. “Dovresti chiederlo a lei, non sono affari che mi riguardano.
“Comunque, seguite il mio consiglio. Uscite da qui e filatevela immediatamente a casa… starete meglio dopo una bella dormita”
E detto questo se ne andò.
“Bene… e adesso chi cazzo è questo Dean?”, si intestardì Jared.
 
“Edmund Wayce”, comunicò Ash alla ragazza in sala.
“Oh, certo: secondo girone, stanza 40. Lei è…?”, la informò la donna, per poi annunciarla alla camera di Edmund.
“Ash Connor”, rispose Ash.
“La sta aspettando, signorina Connor”, le sorrise la ragazza, facendola innervosire.
Calmati, Ash, fa solo il suo lavoro, si disse la bionda, oltrepassando la sala e andando al secondo girone. Non male come posizione, pensava che fosse messo molto peggio.
Guardò i numeri delle camere e aspettò di arrivare alla numero 40, camminando tranquilla e guardandosi in giro, curiosa. Quando arrivò, aprì la porta ed entrò nella stanza, dove un dottore se ne stava andando.
Dopo uno scambio di battute di cortesia come “Buongiorno” o “Arrivederci” con l’uomo, Ash si ritrovò da sola con Edmund, sdraiato nel letto, con una fasciatura enorme sul petto.
Era limpida, segno che avevano già sistemato la ferita.
“Qualche giorno e ti faranno uscire di qui a calci”, commentò la maga, guardandolo con un sorriso. Quando qualcuno stava male non riusciva ad essere cattiva, anche se non era grave. In più, vederlo in quel modo, le ricordava i tempi in cui la sua strana mente le aveva fatto accettare di essere la sua ragazza.
“Così dicono”, rispose lui con lo stesso sorriso sulle labbra. “Oggi sei di buon umore mi dicono”.
“Solo perché sei qui dentro”. Ed ecco che Ash-la-stronza torna all’attacco!
“Grazie”, cominciò Edmund, senza alcun risentimento nella voce per colpa della battuta. “Insomma… non so nemmeno perché, ma grazie. Per tutto quello che fai: per aver deciso di combattere, di aiutarci, per avermi difeso…”.
“Edmund io ti ho cacciato mentre cercavi tu di difendere me”, sottolineò Ash, sorpresa. “Di cosa dovresti ringraziarmi? Per averti provocato quella stupida ferita?”.
“Andrà via presto, lo sai”, commentò lui. “Bè, comunque sappi che non è finita. Almeno non sono morto”.
“No, tu non sei morto”, s’intristì Ash, abbassando la testa e sbattendo le palpebre un paio di volte.
“Sorrow sarebbe stata fiera del tuo lavoro. Ti sei battuta alla grande”, cercò di consolarla il ragazzo.
“Lo spero… non avrei mai voluto che finisse così. Insomma… non la volevo morta”, provò a spiegarsi Ash, con poche parole.
“E nemmeno lei voleva davvero che tu morissi o sparissi. Alla fine ti conosceva da quando avevi… quanti? Cinque, forse sei anni! Ti voleva bene”, sorrise Edmund. “A modo suo, ma ti voleva bene”.
“E tu, Edmund?”, chiese Ash, alzando la testa. “Tu che cosa provi per me ora? Dopo tutto quello che ti ho fatto passare”.
“Lo sai”.
 


....
Note dell'autrice:
DA DAAAAAAAAAAAAAAAAN! Ehehe Edmund, lo sappiamo bene tutti. 
Bene, bo(?) in realtà non so che dirvi, credo che sia tutto chiaro e che vi sia piaciuto. Volevo solo dire che, visto che continuate a seguirmi sebbene in questo periodo sia stata una ritardataria allucinante, vi do un piccolo spoiler :D
...
...

“Ti hanno mai parlato prima di lei?”, domandò.
Ci pensò un attimo, quasi per ricordarsi di qualcosa, e mise l’indice sinistro contro le labbra. [...]
“No”, rispose Jo
.

 

...
...
Piaciuto?! Chi sarà mai Jo? 
Bah, lo scoprirete settimana prossima!
Bacioni a tutti, Ronnie
(E BUON INIZIO VACANZEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE)

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Capitolo 19
*** ...and deep inside my blood ***


Gente, scusatemi. Scusatemi davvero ma EFP fa i capricci per non so che motivo... avrà le sue cose, non so (??)
Sta di fatto che non riuscivo ad aprire il sito o, se lo apriva, mi faceva fare poco o niente. Si sistemava solo  su tablet o ipod, ma non avendo lì la storia non potevo aggiornare.
Ora sto usando Explorer (con Chrome non va proprio) e va abbastanza. Piano ma va.
Speriamo che si ripigli presto e mi scuso ancora per il mega ritardo. But it wasn't my fault, dude.
Ora, buona lettura

 




Capitolo 19. …and deep inside my blood




 

 
 
Era davvero successo tutto quel casino? Che mal di testa…
Jared non era nemmeno riuscito ad alzarsi dal letto quella mattina e se ne stava ancora sdraiato, con la mano sulla fronte, per cercare di capire, di ricordare.
Era come perso in ricordi che credeva non esistessero. Ma se erano davvero reali o solo un vago ritorno ad incubi passati?
This nightmare can only make you want to die.
Sì, ‘only’ proprio. Però… bella frase, se la sarebbe appuntata più tardi.
“Dimmi che ieri sera abbiamo solo visto un film in cui Ash faceva la parte della protagonista o la mia testa potrebbe imputtanarsi seriamente”, commentò Shannon, comparendo sulla soglia della camera di Jared e facendolo saltare di almeno cinque centimetri dal materasso.
“Solita finezza, fratello”, se ne uscì Jared, chiudendo gli occhi. “Mi sa che devi dire addio anche al tuo ultimo neurone e far andare in pensione le sinapsi, Shan. Ho paura che sia tutto vero”.
“Ti sei appena svegliato?”, chiese Shannon.
“No, sono qui sdraiato da un po’, non avevo la voglia e la forza di affrontare il mondo oggi”, rispose Jared. “Tu?”.
“Svegliato da un messaggio di Tomo. Dice che Ash si è trovata con una specie di capo d’esercito dell’Esis a casa che vuole vedere Devon. Deve fare dei test, a quel che ho capito, per capire quanta forza abbia, da dove arriva e a quali poteri è più affine… robe varie”, lo informò il fratello, ciondolando dentro la camera di Jared, cercando goffamente di non inciampare nelle chitarre, nei fili in giro o molto più semplicemente nei pantaloni o nei suoi stessi piedi.
“Wow… procedure normali?”, domandò il più piccolo.
“E che ne so! Mi ha scritto un messaggio, mica un tema di dieci facciate, Jared”, si lamentò Shannon, superassonnato. “Su, alzati che andiamo al covo Milicevic, così avrai le risposte alle tue domande”.
“Al covo Milicevic?”, lo citò Jared, con uno sguardo confuso.
“Sì, sai… quel posto oscuro, pieno di persone dai poteri sovrannaturali”, scherzò Shannon, con una voce misteriosa. “Si dice che lì viva un vecchio sosia di Gesù Cristo con il potere di suonare davvero bene la chitarra e far muovere divinamente i suoi capelli. La sua dolce moglie, a quanto so, è venerata come protettrice della natura. Suo figlio, invece, è un figlio del male… pratica magia oscura”.
“Quanto sei cretino”, lo liquidò Jared, alzandosi dal letto e mettendosi seduto, per passarsi una volta le mani sul volto, come a scacciare i brutti pensieri.
“Che stai pensando?”, disse Shannon, sedendosi vicino a lui.
“A niente, tranquillo. Andiamo da Tomo, avanti”, lo spinse Jared, facendolo alzare.
Si vestirono con i loro soliti abiti poco appariscenti – anche se forse era meglio togliere il forse ormai – e fecero una semplice colazione: tè per Jared e caffè per Shannon, come ormai era da tradizione. Appena furono pronti, presero la macchina e partirono vero la casa di Tomo e Vicki.
 
“Sta bene? Dov’è? Che le ha fatto?! Dov’è finito?”, continuò a chiedere Dean, appena Joel lo andò a trovare al Lightness, anche per aggiornarlo di ciò che era accaduto.
Era rimasto in fondo alla sala, attento agli sbalzi d’umore del ragazzo, che controllava accuratamente solo in presenza di Ash.
Dean era seduto sul letto e stringeva a sé le coperte bianche con una forza che aveva riacquistato da pochissimo, senza accorgersene. Avrebbe voluto alzarsi e picchiare Joel per non aver protetto Ash, ma la sua mente capiva che era una pazzia. Doveva solo controllarsi.
“Ash ora sta bene, tranquillo”, cercò di calmarlo Joel, con un sorriso amichevole. “E’ a casa, a Los Angeles. Namel l’ha trovata al suo posto di lavoro, da sola con gli Incompleti con cui si vede e…”.
“Era da sola?!”, scoppiò Dean, tentando di alzarsi, ma Joel lo fermò appena in tempo.
“Sono arrivati Sorrow ed Edmund a soccorrerla!”, disse svelto, vedendo Dean ritornare un po’ più calmo. “E poi siamo arrivati noi. Ha parecchie ferite e giramenti di testa, ma niente di eccessivo. Contando che è il giorno dopo dell’incidente e può già andarsene in giro è un ottimo risultato”.
“Bene”, commentò apatico Dean. “E Namel? Quel lurido figlio di un troll bavoso…”.
“E’ sparito, ma lo rintracceremo presto, Dean”, l’informò l’agente, professionalmente.
“Che sia dannato”, esclamò Dean, rimettendosi tranquillo a letto, sdraiato. Gli venne un conato di vomito, da tutta l’ansia che aveva appena avuto, ma non ci fece caso. Chiuse gli occhi e aspettò che passasse tutto il dolore che sentiva.
“Se vuoi posso mandartela qui”, gli disse Joel, avvicinandosi di qualche passo, come a fargli intendere che poteva fidarsi di lui. “Posso andare a Los Angeles e portarla qui in pochi attimi, se lo desideri. In fondo, credo che…”.
“No”, lo fermò Dean, riaprendo gli occhi.
“Posso fare altro allora?”, domandò l’altro, curioso.
“In effetti una cosa ci sarebbe…”, sussurrò Dean, con il suo solito sguardo malandrino. Stava  programmando un piano. E i suoi piani non sbagliavano mai.
“Mi sto mettendo in guai seri, vero?”, indovinò Joel.
“Non immagini quanto”, ridacchiò il ragazzo, con un sorriso sghembo.
 
Casa Milicevic era molto grande, considerato che Ash viveva in un semplice monolocale oppure in quattro metri quadrati di stanza dell’Esis. La cameretta di Devon, a parere suo, era la più bella: era tutta colorata e illuminata da grandi vetrate, con adesivi di personaggi di cartoni e fumetti.
Ash si era documentata, prima di incominciare a lavorare all’asilo, e ne riconosceva alcuni: certi avevano come protagonista Paperino, altri Topolino, altri ancora i Pokemon…
“Lui i… si… chiama… ome… come… te”, cercò di parlare Devon, impegnandosi ad ogni parola a dirla corretta. “Ash”.
Lo vide camminare veloce e senza alcun equilibrio verso di lei, indicandogli un ragazzino con addosso un cappello da baseball al contrario. Oh già, Ash l’addestratore.
Quando Devon arrivò al suo fianco, lei lo prese in braccio, cosicché lui si accucciò contro di lei, mettendosi comodo. Lei indicò l’adesivo e lui annuì, battendo le mani.
“A… ma… tu… sei iù… più bella”, arrossì Devon, facendo ridere sotto i baffi la ventenne, che lo ringraziò e lo fece giocare ancora per qualche minuto, mentre aspettava che Harold, il generale dell’esercito, ispezionasse tutta la dinastia della famiglia.
Era la solita proceduta per gli Incompleti che mostravano poteri magici, quindi non si preoccupò. Harold era un ottimo lavoratore e lei riponeva tutta la sua fiducia in lui.
Quando Vicki arrivò a chiamarli in camera, Ash vide tutta la preoccupazione sul volto della donna. Prese il bambino in braccio e la seguì in salotto, dove Harold era arrivato.
“Signorina Connor!”, la salutò, rivelando ai coniugi la sua vera identità. Per quanto fosse muscoloso, corpulento e con una voce bassa, simile davvero ai Vichinghi Incompleti… era un cucciolone.
Sapeva maneggiare armi più grandi di lui con una destrezza inimmaginabile, aveva una forza magica veramente potente e spaventava chiunque; ma aveva il cuore d’oro ed era dolcissimo, con chi meritava la sua fiducia.
Bè… Ash era una di quelle persone.
“Harold! Come sta Danielle?”, chiese Ash, passando Devon a Tomo ed andando ad abbracciare l’omone, che ricambiò immediatamente.
“Benissimo, direi! Ieri era tutta contenta, prima di sapere dell’attacco, perché Frederic ha fatto qualche magia”, sorrise, fiero come un perfetto padre dovrebbe essere. Ash sorrise felice. “Quando poi le hanno riferito il tutto era davvero preoccupata. Ti manda i suoi saluti e è felice di sapere che stai bene”.
“Ricambia i saluti, dovrei anche passare a salutarvi qualche volta! Non ci vediamo da tanto ormai! Frederic avrà avuto cinque anni alla mia ultima visita”, ricordò Ash.
“Ora ne ha sette… non è passato molto tempo, se ci pensi; tranquilla”, ridacchiò Harold, per poi voltarvi verso i padroni di casa. “Scusate la poca gentilezza, vi abbiamo esclusi”.
“Oh, ma si figuri”, sorrise Tomo, porgendogli la mano, che il generale strinse. “Io sono Tomo, questa è mia moglie Vicki e lui è Devon”.
“Il piccolo Completo prodigio…”, sussurrò Harold. “Quanti anni ha?”.
“Uno e… bè, tra un mese ne compie due”, disse Vicki, nervosa… o impaurita. Ash non sapeva distinguere le emozioni della donna in quel momento. “E’ piccolo ma dimostra più della sua età”.
“Decisamente piccolo per saper già fare magie”, commentò Harold, pensando. “Già tu, Ash, eri stata precoce, ed avevi quattro anni e mezzo... ma prima!”.
“E’ Devon. È speciale”, sorrise Ash, tutta felice.
“Sono assolutamente d’accordo”, gli rispose il generale, avvicinandosi al bambino. “Forse magari vi faccio paura ma vi posso assicurare – e Ash certamente mi darà ragione – che non farò nulla a vostro figlio. Solo devo stare con lui per un po’… da solo”.
“Dobbiamo andarcene?”, chiese stupita Vicki.
“Potrebbe sentirsi in imbarazzo ad avere tanta gente in giro, mentre se è da solo farà quello che più si sente di fare, liberamente”, spiegò Ash, tranquillamente, appoggiando l’uomo. “Non è niente di preoccupante, l’hanno sempre fatto a tutti i bambini. Anche a me”.
“Sicura che andrà tutto bene?”, chiese Tomo.
“Al cento per cento, davvero”, sorrise la ragazza, facendo annuire i due coniugi. Così Vicki si decise a lasciare Devon tra le braccia di Harold, che cominciò a giocarci con calma, mettendolo a suo agio.
Ash portò in un’altra stanza Tomo e Vicki, tanto per tenerli occupati, quando suonò il campanello.
“Sono di sicuro Shannon e Jared”, disse Tomo. “Li ho chiamati stamattina. Ho fatto male?”.
“No, non fa niente. Ma portali qua con noi”, rispose Ash con un sorriso, mentre si guardava in giro.
Quello doveva essere lo studio di Tomo: era insonorizzato, c’erano diverse chitarre – una anche sul divano – e cd sparsi, una grande libreria appoggiata al muro e tanti fogli di canzoni in giro.
“Deve essere bello starsene così a stretto contatto con la musica”, commentò Ash, senza parlare con qualcuno in particolare. Si avvicinò ad una chitarra, una Gibson, e alzò lo sguardo verso Vicki. “Posso?”.
“Sai suonarla?”, annuì la donna, facendole spazio vicino a lei per sedersi. Ash accettò e si mise a guardare la chitarra.
“No, ma…”, cominciò, senza poi finire la frase.
Con grande stupore di Vicki – che ormai avrebbe dovuto essere quasi abituata, ma era sempre come la prima volta – il braccio di Ash si coprì della solita piccola turbina di neve mattutina e la ragazza mise la mano quasi a contatto con le corde.
Pian piano, senza che le dita toccassero nulla, una melodia lenta cominciò a suonare.
Era dolce, soave, come una ninna nanna mista ad un canto religioso. Ispirava tranquillità e pace, riuscendo a calmare Vicki dalla sua paura per Devon. La mora chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle note che Ash riusciva a creare.
“Wow”, la interruppe la voce di Shannon, alla porta.
‘Che classe’, pensò Ash, sorridendo, mentre Vicki apriva gli occhi e lo fulminava con lo sguardo. La foschia sparì subito dall’avambraccio di Ash e le note finirono di invadere la stanza.
“Bell’acustica comunque. Passerei le giornate in questa stanza!”, si complimentò Ash con Tomo, il quale le sorrise mentre gli riconsegnava la chitarra.
“Scusa se ti abbiamo fermata”, disse Jared. “Ma a quanto pare Shannon deve sempre dimostrare la sua presenza”.
Il fratello si grattò la testa, come imbarazzato, ma Ash rise. “Non preoccupatevi, non fa niente”.
“Come hai fatto, comunque?”, chiese Vicki, all’improvviso, come se solo in quel momento si fosse risvegliata dalla musica.
“Non è ovvio?”, mosse il braccio la bionda. “Di solito lo facciamo con le arpe, ma il procedimento è lo stesso”.
“Le arpe?”, si stupì Shannon.
“Sì. Da noi le chiamiamo Reije”, spiegò Ash. Ma vedendo le facce confuse dei suoi amici, andò avanti. “E’ lingua antica. Molti termini, come Completo o Incompleto, sono stati tradotti, per comodità di chi nasceva mago anche senza una dinastica. Però altri termini si imparano e sono rimasti quelli di una volta”.
“E voi avete queste… Reije?”, chiese Vicki.
“Sì, sono strumenti molto simili alle arpe Incomplete. Le usiamo di più perché… bè per il loro potere”, sorrise la bionda. “Insomma: calma i bambini, rilassa gli adulti e fa dormire gli anziani. Se modificate con la magia vengono anche usate in battaglia per intontire il nemico”.
“E non avete qualcosa di più… movimentato? Se capisci che intendo dire”, chiese Shannon, imitando le sue mosse davanti alla batteria.
“Ovviamente”, scoppiò a ridere Ash. “Credi che i maghi adolescenti ascoltino il suono delle arpe?
“Abbiamo i quihi, che sono una specie di chitarra, ma che suona come l’elettrica senza bisogno dell’amplificatore. Credo abbia anche una  corda in più e i movimenti delle dita sono diversi.
“Poi c’è la ibke. E’ simile alla batteria, ma ha un suono un po’ diverso e viene suonata senza bacchette. Di solito la suonano i Glifi”.
“Glifi?”, chiese Tomo, guardandosi il braccio, dove spuntava un tatuaggio rosso, con dei simboli, e una scritta nera che passava sopra.
“Sì, per i greci i glifi erano i caratteri di scrittura, lo so”, commentò Ash. “Ma per noi sono delle cosette rompiscatole alte come una quindicenne, con quattro braccia. Per quello suonano la ibke… hanno più mani”.
“Wow… ma quante creature esistono?”, si meravigliò Shannon.
“Oh, molto più di quello che immagini. I Glifi, per esempio, derivano da un accoppiamento di una fata e qualche specie estinta, per quello che so. Essendo mezze fate vivono a lungo e hanno caratteristiche simile a loro, ma hanno quattro braccia e un carattere abbastanza irascibile”, raccontò la bionda. “Mai mettersi contro un Glifo”.
“Un perfetto batterista”, ridacchiò Shannon, pensando che quando aveva i nervi a fior di pelle suonava meglio.
“E poi? Altri strumenti?”, disse Jared, per farla andare avanti.
“Oh, bè non saprei. Usiamo tanto anche la lin, che è come un violino e un flauto a traverso insieme. Tieni lo strumento sulla spalla, di traverso; con una mano suoni la parte con le corde, come facevo io prima, e con l’altra lo tieni fermo mentre soffi. Il suono cambia in base al tono, come se fischiettassi”.
“Sembra complicato”, commentò Vicki.
“Un pochino, ma chi la sa suonare fa davvero una bella figura”, rispose Ash.
“E dove le imparate tutte queste cose?!”, chiese Tomo, stupefatto.
“Bè… ce le abbiamo nel sangue”, sorrise Ash. “La maggior parte si trasmettono di padre in figlio, come per esempio la capacità a suonare uno strumento, mentre le materie tipiche… bè si va a scuola come voi”.
“Avete una scuola? Devon dovrà andare a scuola?”, s’interessò Vicki, mentre Shannon faceva una smorfia.
“Esistono le scuole anche lì. Fine del divertimento, nipote”, scherzò, ridendo con suo fratello minore.
Vicki li guardò male ed esortò Ash ad andare avanti, cosa che la ragazza fece. “Quando avrà l’età giusta. Io ci andai prima, ma senza seguire i corsi. Era solo un posto dove stare, visto che i miei erano scappati e mia cugina, dove ero rimasta fino a quel momento, era appena morta”.
“E quando inizia la scuola?”, riprese il discorso Tomo, vedendo Ash intristirsi.
Lei sorrise malamente e continuò. “Verso gli otto anni circa, o comunque da quando cominci a fare magie. Dipende molto dal bambino. Poi si va avanti fino quasi a vent’anni di età. Si rimane lì a scuola sempre, tranne per le vacanze e, se qualcuno vuole, i fine settimana. A volte qualcuno non rimaneva nemmeno lì a dormire, ma solo perché aveva casa molto vicina”.
“E cosa si impara?”, domandò Jared, interessato anche lui.
“Qualunque cosa. Io mi ero appassionata a tutti i tipi di incantesimi e con Dean facevamo a gara a chi li sapeva fare meglio”, ridacchiò Ash, mentre Jared la guardava male. Ancora quel Dean… ma chi era? “Però c’erano altri corsi: storia della nostra civiltà, pozioni, addestramento, lingue antiche, allevamento di tutte le creature animali, astronomia, caccia, incantesimi di difesa, attacco, trasformazione…
“Poi verso i diciotto anni cominciano i corsi per i lavori futuri: medicina, politica, anche una sorta di scuola militare. Cose molto più pratiche e molto più simili alle vostre”.
“E lì ci sono tutte le creature che ci dicevi prima?”, chiese Tomo.
“Come i Glifi? Oh no, loro hanno solo un’educazione familiare, non hanno scuole. Forse solo in rarissimi casi la Arrant accoglie non-maghi, ma anche perché loro non ne hanno bisogno”, rispose Ash.
“Fico”, finì in bellezza Shannon, prima che i Milicevic potessero interrogare ancora la ragazza.
E dopo il suo commento fu il turno di Harold di interrompere quel piccolo incontro nello studio di Tomo.
“Vostro figlio è… una bomba!”.
 
Zoe stava scribacchiando qualcosa su un foglio quando Joel buttò il libro sul comodino del salotto dove stavano, facendo rumore.
Lei alzò gli occhi, magari sperando che le parlasse, ma lui era già quasi fuori dalla stanza, andandosene fuori. Aveva bisogno di aria, di stare tranquillo, e in tutti quei libri non riusciva a trovare la pace.
Strano.
Insolito.
Uscì nel parchetto dell’Esis e cominciò a camminare, tirando un sassolino e mettendo le mani in tasca. Socchiudeva gli occhi, sentendo una musica leggera nelle orecchie, e sorrise.
Reije. Oh quanto tempo, pensò, dando un nome a ciò che sentiva. Era nella sua testa, quel suono che tanto aveva amato da bambino, e gli venne nostalgia. Sua madre gli suonava la reije per farlo addormentare, con una ninna nanna dolcissima.
“Joel”, si sentì chiamare, voltandosi per vedere chi fosse.
Clelia. Era a qualche metro da lui e lo invitava ad avvicinarsi con il braccio, senza però alcun sorriso.
La raggiunse velocemente, per poi fermarsi davanti e lei, curioso di sapere cosa volesse dirgli.
“Facciamo quattro passi?”, chiese la ragazza, e Joel annuì.
Cominciarono a camminare, intorno a quel parco che stava prendendo veloce i colori dell’autunno, per lo più in silenzio. Ma l’agente non voleva ammirare, voleva sfogarsi.
Voleva dire tutto di quel pomeriggio, dire ogni cosa, come se così potesse far tornare Sorrow.
“I funerali si terranno stanotte”, commentò Clelia, sapendo cosa gli passasse per la testa. Joel sapeva che andarsene in giro con lei avrebbe portato a questo, ma era proprio quello di cui aveva bisogno.
“Ne sono felice. Questa notte Venere splenderà molto di più degli altri pianeti… è la notte perfetta”, cercò di sorridere, ma senza alcun risultato.
“Perché sei così triste, Joel? Certo, Sorrow era una tua compagna di divisione, ma…?”, provò ad entrare nella sua testa.
Lui la lasciò fare, senza bloccare la sua intrusione. Perchè… perché lei sapeva tutto e voleva aiutarmi. Lei… era l’unica con cui riuscissi a parlare anche se la odiavo per come si comportava con Ash.
Clelia riuscì a vedere alcune immagini, veloci come il vento, di Joel e Sorrow nel bel mezzo di una discussione, o mentre si stavano abbracciando, oppure anche spiando… Zoe.
“Dovresti parlare con lei, non con me”, commentò la rossa.
“E’ una mia collega. Non accetterà mai”, chiuse il discorso Joel, ritornando a pensare a Sorrow. “Cosa userete per il funerale?”.
“Betulle”, rispose Clelia. “Si sedeva spesso sotto le betulle da ragazza, mi hanno detto”.
“Strumenti?”, domandò ancora.
“Ci saranno vari quihi e due bashie”, dondolò, come ad imitare il lento ballo che si faceva al suono delle bashie. Erano strumenti particolarmente allegri, ma avevano anche un suono dolcissimo, se suonate nella giusta maniera. Erano un incrocio tra i clarinetti e le trombette Incomplete.
“Sorrow le adorava” , disse il ragazzo, lasciando vagare ancora un po’ la mente. Clelia sorrise, ma lo lasciò in pace.
Solo qualche minuto dopo ritornarono a parlare, ma del più e del meno, tanto per riposare. Quella sera Joel avuto tutto il tempo di dire addio a Sorrow: ora doveva fare altro.
“E così Ash torna qui oggi?”, chiese Clelia, tutta felice nel pensare di vedere la ragazza.
“Dovrebbe. Harold è andato stamattina a guardare Devon, il piccolo Completo”, la informò Joel. “Dmitri come sta?”.
“Benone. Un pomeriggio al Lightness a farsi sistemare in fianco e ora è tutto a posto, anche con le costole”, sorrise la rossa, pensando al suo ragazzo. “Vuole portarmi a festeggiare, domani sera. Sai… al Sedna”.
“Wow… un bagno nel mare sotto la luna piena?”, chiese Joel, immaginandosi i due rincorrersi come al solito mentre si tiravano la sabbia sotto la luce bianca del satellite.
“Sì, sarà meraviglioso”, sorrise sognante Clelia, mentre arrivavano al punto di partenza. “Oh, siamo già qui”.
“Anche noi!”, piombò una voce dietro di loro. Clelia fu travolta da qualcuno e Joel, dietro di lui, vide le facce divertite degli amici di… Ash.
Harold era in fondo al gruppo e lo salutava. Ricambiò il saluto e l’omone se ne andò, lasciandoli soli, per andare a fare il resoconto del test a Seamus, forse.
“Ash!”, la salutò Clelia appena capì che cosa l’aveva afferrata facendola cadere a terra. Si tirò in piedi e guardò curiosa i nuovi arrivati, che erano ancora un po’ sotto shock, forse il paesaggio. “Ciaaao!”.
Ash scoppiò a ridere, come mai nessuno degli Incompleti presenti l’aveva vista fare, e li presentò. “Quelli sono Jared e Shannon, mentre loro sono Tomo e Vicki. Il bimbo è quel gran bel maghetto di Devon”.
“Piacere, Clelia”, rispose la rossa, andando più vicina al bambino. “Sì, ho sentito parlare parecchio di te, sai? Sei stato bravo ieri!”.
Devon le sorrise e mosse le manine verso di lei, con una piccola luce dorata, come un raggio di sole. “Iao… caeli roshi… si”.
Clelia lo guardò confusa, mentre lui le toccava i capelli, divertito. Ash allora andò in suo soccorso. “Gli piace il colore dei tuoi capelli”.
“Ah… lo so, solo questa rompiscatole di Ash dice che sono brutti, sai?”, chiese a Devon, con un sorriso.
“No… bei”, rispose lui, mentre Ash si fingeva offesa.
“Va bè, ma così non vale”, decretò. “E comunque… io devo parlare con te Joel”.
“Oh, ma certo”, disse l’agente, avvicinandosi a lei. “Da soli o possono saperlo tutti?”.
“No, è solo una domanda”, fece la vaga. “Solo… quello che ho trovato a casa mia, il messaggio, è stato l’unico?”.
Clelia si immobilizzò, continuando a guardare Devon e farlo giocare con i suoi capelli, mentre Joel deglutiva.
“No… in verità erano Zoe e Sorrow che se ne occupavano il più delle volte, ma non è stato l’unico messaggio. Credo siano state due o tre le vittime… e queste volte è stato usato solo il loro sangue”, le confessò Joel, mentre Ash tratteneva il fiato.
Se lo aspettava, era tipico di Namel, ma saperlo era un’altra cosa. Dei poveri ragazzi innocenti erano morti solo per causa sua, solo per essere usati come inchiostro.
La rabbia le crebbe ancora di più. “Chi erano?”.
 “Simon Taylor Collins e Lilian Wendy Anderson, per quel che ricordo. Li altri erano solo un caso di Sorrow”, rispose Joel. “Erano studenti dell’Arrant o comunque appena dopo la fine degli studi”.
“Facevano scherzi?”, chiese Ash, stupendo tutti… tranne Clelia.
“Non lo so… bè, non erano i leader dei propri gruppi ma erano ragazzi conosciuti ed amati, questo è sicuro”, pensò l’agente.
“Sta prendendo di mira tutti gli studenti che si comportano come Jade… o come noi”, rifletté Clelia. “Dovete dire alla scuola di alzare le difese, anche sui appena diplomati”.
“E su Clelia e Dmitri”, concluse Ash, mentre la rossa rimase stupita.
“Noi?”.
“Non fare quella faccia, Clelia. Stava per uccidere Dean e lo rifarà appena metterà piede fuori dall’ospedale se vuole. Ma voi non siete al sicuro qui, in questa situazione”, le spiegò Ash.
“Io combatterò”, incrociò le braccia Clelia, come a non sottostare alla decisione della bionda.
“Lo farai… ma per ora ho bisogno di sapere che siate al sicuro”, compromise. “Vi prego”.
L’amica di pensò su, quasi non sicura della promessa di Ash di farla combattere. Sapeva che se avesse potuto, avrebbe rinchiuso tutti i suoi conoscenti in un bunker e avrebbe combattuto da sola. Tutto pur di non far del male alle persone a cui voleva bene.
Ma… ma aveva ragione in fondo. “Okay”.
“Grazie”, sorrise la ragazza.
Devon, intanto, sussultò tra le braccia di Vicki, come se volesse scendere immediatamente. Ash si voltò a vedere che succedeva e tutti si girarono verso il bambino.
“Avanti, Devon, non fare i capricci”, cercò di calmarlo Vicki, senza però risultati. Tomo ridacchiò, parlando di quanto fosse iperattivo quel bambino e scherzando con Shannon, mentre Jared guardava verso l’entrata dell’ Esis.
“E loro chi sono?”, chiese, prendendo il braccio di Ash per farle notare ciò che stava arrivando verso di loro.
Vicki decise di lasciar scendere Devon per terra, sull’erba appena tagliata, e vide con gli altri due figure femminili.
“Zoe, che cavolo st…”, ridacchiò Clelia, mentre Ash s’immobilizzava sul posto.
Aveva sentito parlare di lei. Era quasi la fotocopia di sua cugina, soprattutto nei movimenti. Ed era sua cugina, solo non la stessa.
“Jo”.
 
Seduta su una poltrona bordeaux, Jo stava muovendo le gambe, in silenzio, come tutte le bambine di cinque anni che si rispettino. Jade era bionda di capelli, con gli occhi marroni e il viso spigoloso, mentre Jo aveva i capelli molto più chiari, quasi argentei, e gli occhi grigi-rosati. La sua pelle era pallida, al contrario dell’abbronzato di Jade, ma le forme del corpo del viso erano identiche, sebbene Jo fosse ancora una bambina.
Ash sapeva della sua esistenza, l’aveva scoperto dopo il primo anno all’Arrant, ma non l’aveva mai conosciuta.
“Come ti chiami?”, chiese Vicki, sorridente, con in braccio Devon. Lo muoveva, facendolo giocare un po’ a cavalluccio, e Jo li guardava ammirata, anche se tutti guardavano lei.
“Jo”, disse la bambina, con un tono divertito. Aveva una voce molto simile a quella di Jade: decisa, né bassa né alta, sicura di sé. “Joanie Kady Denver”.
Kady… Jade amava quel nome, voleva darlo a sua figlia.
“Sai chi è lei?”, chiese Tomo, indicando Ash. La ragazza lo guardò scioccata, ma non disse nulla. Sperava che Jo sapesse della sua esistenza, ma non era sicura che la bimba la riconoscesse.
“Zoe mi ha detto che si chiama Ash ed è mia cugina”, rispose semplicemente Jo.
Tomo annuì, per poi dare la parola a Joel, che si era sporto verso la bambina.
“Ti hanno mai parlato prima di lei?”, domandò.
Jo ci pensò un attimo, quasi per ricordarsi di qualcosa, e mise l’indice sinistro contro le labbra. Clelia sorrise a quel gesto, ma poi la gioia sparì dal suo viso.
Un secondo dopo Ash capì il perché.
“No”, rispose Jo, senza aggiungere altro.
Tutti rimasero zitti, come se avesse detto che sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale, e gli sguardi dei presenti ballavano tra la bimba e la ragazza, cercando di vedere delle differenze.
Ma Jo continuava a dondolare le gambe, non rendendosi conto della dura verità, mentre Ash era immobile, con lo sguardo basso e perso nel vuoto, senza dire una parola.
Sono stata cancellata, pensò, quasi con le lacrime agli occhi. Mi hanno cancellato definitivamente.
Si alzò, con una forza quasi inaudita, e scappò fuori dalla stanza, per non piangere in pubblico.
Nessuno la seguì. Forse perché Clelia aveva visto tra i suoi pensieri che non desiderava compagnia.
Voleva solo scappare, o stare da sola. Anche solo per poco.
 
“Tornerà”, disse Clelia, fermando Jared dal seguire la bionda. “E’ solo lo schock del momento. Quindici minuti e ritorna”.
“Ne sei sicura?”, chiese Jared, guardandola scettico.
“Talmente sicura, Jared Joseph Leto, da poter farti capire che dovresti credermi invece di dubitare”, alzò un sopracciglio scuro, facendo sgranare gli occhi a Jared.
“Ma che…?”, cominciò lui.
“Sa leggere i pensieri”, la finì Zoe, quasi annoiata. “Per questo sa che Ash vuole tornare”.
“E sa che io sono vicino”, scoppiò a ridere… nessuno dei presenti, per quello che Jared poteva vedere.
Si girò verso Shannon, ma lui si stava guardando in giro come Tomo e Vicki, per capire di chi fosse la voce. Poi una risata, e qualcosa cadde dietro di loro, come un ombra.
“Dmitri, piacere”, atterrò un ragazzo, stringendo loro la mano e poi andando dietro Clelia, per prenderle la mano. “Buongiorno, tesoro”.
Lei si voltò e lo fece abbassare, per baciarlo sulle labbra, leggermente, come per salutarlo e rispondere alle sue parole.
Jo li guardava sorridente, come facevano tutte le bambine con i film romantici, alla fine. Zoe, invece, si voltò dall’altra parte, nervosa.
“Ho ragione? Un quarto d’ora?”, chiese Clelia a Dmitri, come se stesse scherzando. Lui chiuse gli occhi per qualche secondo e poi li riaprì, facendo una smorfia.
Scompigliò i rossi capelli tinti di Clelia e ridacchiò. “Ho visto solo che l’orologio del capellone avrebbe segnato le cinque meno dieci”, rispose Dmitri.
Tomo, sentendosi chiamato in causa, guardò il suo orologio e notò che erano le quattro e trentanove. “Ok, hai visto male. Sono le…”.
“Ho visto nel futuro, è diverso”, schioccò la lingua Dmitri, per poi sorridere. Si girò verso quella che quindi doveva essere la sua ragazza e la guardò come per prenderla in giro. “Meno di un quarto d’ora”.
“Pignolo”, commentò Clelia, mentre Dmitri si perdeva con lo sguardo, facendo voltare tutti verso di sé.
Così non si accorsero di alcuni passi che si avvicinavano di nuovo, incerti, e capirono solo quando lui tornò nel presente e si voltò verso la porta.
“Sei tornata prima… e anche più presto di quanto mi aspettassi”, urlò.
Tutti i presenti, che ormai guardavano ogni cosa insieme, quasi girandosi contemporaneamente, videro la figura di Ash Connor sulla soglia.
“Facciamo un giro?”, chiese la ragazza, con la voce ancora un po’ spezzata, ma provando a fare un sorriso.
Se proprio non si ricorda di me, vediamo di creare nuovi ricordi, pensò, facendo ricevere il messaggio a Clelia, che sorrise.


...
Note dell'autrice:
mi sono divertita un sacco a scrivere la prima parte, con il covo dei Milicevic e tutto quindi spero che piaccia anche a voi :D
Riguardo ai nomi in lingua... bo mi piace inventare e mi sono piaciuti così.
La parte di Jo... la dovevo ad una persona e sono felie di averla inserita nella mia storia e sarà utile più anvanti. E a propostito di più avanti, nel prossimo capitolo (che vedrò di aggiornare presto visto il ritardo di ora) riguarderà la cittadella.
grazie per aver letto la storia (se vi piace, recensite :D)

alla prossima,Ronnie

 
 
  

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Capitolo 20
*** Can It Be? ***


Ehm... sì... ecco.... CHIEDO PERDONO!

Scusate, davvero, faccio schifo, ma mi sono dimenticata di aggiornare!

Ormai non conto più i giorni (tranne per il concerto -9!!!!) e non mi ricordo mai di aggiorare la storia (e anche di scriverla... me maledetta!)

Ma ora mi rimetto in sesto, giuro!

Intanto vi lascio al capitolo. ULTRAIMPORTANTE (ps. so che è impossibile - già io faccio fatica - ma ricordate i nomi delle cose "nuove" , perchè serviranno)




Chapter 20. Can it be?

 
 



Jo saltellava per la strada, mano nella mano di Shannon, che si divertiva a tenerla per non farla cadere. Ash li guardava sorridendo, di fianco a Jared, mentre Tomo e Vicki osservavano la città, meravigliati.
“Guarda lì, Devon! Guarda quello! Ehi, e questo?  No, ma dai, che roba!”, continuava ad esultare Tomo, indicando tutto quello che vedeva senza mai fermarsi. Sua moglie rideva e lo lasciava fare.
“Wow… è un mondo così folle”, commentò Jared, senza avere un vero interlocutore.
“Per noi è tutto normale. Anzi, il vostro è folle”, rispose però Ash, al suo fianco, con un sorriso sincero. “Insomma: niente magia, niente creature magiche, niente di niente. Chissà come fate a vivere…”.
“Tu ci sei riuscita”, la guardò Jared, distogliendo lo sguardo dalle casine attorno alla strada.
“Davanti ai tuoi occhi”, lo fissò di rimando, sempre allegra.
Lui scosse la testa, ridacchiando. “Non ti ho mai visto così felice…”.
“A Los Angeles mi sento bene, ma devo comunque nascondermi”, disse Ash. Anche qui, ma solo in parte, pensò ancora, ma non lo aggiunse. “E’ l’effetto Annwyn”.
“Effetto che?”, chiese Jared, mentre Vicki si bloccava e li guardava.
“Il regno delle fate?!”, domandò in contemporanea con il cantante.
“Sapevo che una lettrice come te avrebbe ricordato il nome, Vicki”, scoppiò a ridere, mentre tutti i presenti, anche Jo, si misero accanto a lei, quasi per invitarla a raccontare. “Avete presente i cicli bretoni e carolingi da cui, per voi, nascono tutte le leggende?”.
“Re Artù e Avalon?”, chiese Shannon, ricordandosi qualcosa dei tempi passati i cui dormiva sul banco al liceo, al posto che sentire quelle storie.
“Esattamente”, confermò Ash, camminando più veloce di loro per fermarsi a qualche metro di distanza. Allargò le braccia, come per mostrare il panorama, e sorrise. “Signori e signore, Completi e Incompleti… benvenuti ad Annwyn, o anche meglio conosciuta come Avalon!”.
 
Shannon era impietrito.
Jared la guardava come se fosse matta.
Vicki era come emozionata.
Tomo si guardava intorno come se volesse avere delle prove.
Devon e Jo battevano le mani, insieme, come se Ash avesse presentato chissà che.
“Troppe notizie insieme?”, chiese la bionda, riprendendo il gruppo e facendoli muovere di nuovo.
“Sì, quindi spiegati”, rispose subito Jared, cosicché Ash scoppiò a ridere.
“Questo posto esiste da milioni di anni. È un mondo vecchio quanto il vostro, ma con diverse abilità che gli hanno permesso di nascondersi e farsi la propria storia”, cominciò a raccontare. “E’ stato portato il nome Avalon nella vostra cultura grazie ad alcuni di noi che, come me, hanno deciso di varcare il confine e scoprire come si viveva in quel mondo che poco aveva ma che tanto riusciva a creare.
“Qualche creatura magica deve aver vissuto a stretto contatto con i vostri maggiori poeti e scrittori del Medioevo, ispirando così le loro storie, e da lì la moda si è diffusa. Fortunatamente per noi, alla fine vi siete stufati, pensando che fossimo solo frutto della loro mente.
“E ci fu proibito di tornare, a meno che non rinunciassimo ai nostri poteri. Io sono stata la prima dopo secoli a rimanere nel mondo Incompleto per così tanto tempo ancora con le mie abilità.
“Si possono fare viaggi brevi, e magari farsi vedere. Ma solo come se fossimo delle visioni, tanto per far tornare quell’idea di mistico e immaginario, che tanto state perdendo, nelle vostro menti. Non causiamo mai, però, cambiamenti del tempo. Ci è vietato, con pene molto gravi anche”.
“Quindi tutte le leggende, tutti i miti, tutte le storie… sono reali, qui?”, chiese Shannon, che pendeva dalle labbra della ragazza. A quanto pare il fantasy lo attirava parecchio.
“Quasi tutte”, lo corresse Ash. “Ancora non abbiamo trovato il Sacro Graal”.
“Oh, che sfortuna deve essere!”, sospirò teatralmente Tomo, portando una mano sul cuore. I presenti risero e continuarono con la loro marcia.
Jo, intanto, si era avvicinata ad Ash, sorridendole e prendendole la mano, per camminare insieme. Nessuno ci fece caso, o almeno non lo fece notare, lasciando le due da sole.
“Dove sei stata fino ad adesso?”, chiese la bambina, guardando Ash che le afferrava la mano, davvero felice che si stesse cominciando a fidare di lei.
“In tanti posti. Tu ne conosci di sicuro uno: l’Arrant”, le rispose sorridendo e immaginandosi Jo in quella scuola dove tutto era praticamente possibile.
“Oh sì, mi piace andare lì!”, esultò lei, cominciando a saltellare, sempre però con la mano stretta a quella di Ash. “Mamma e papà mi hanno portato anche un anno prima perché dicono che sono abbastanza brava”.
“Frequenti le lezioni?”, si stupì la bionda, ricordandosi che lei non era mai stata ammessa alle classi prima della giusta età.
“Due. Incantesimi base e  astrologia… anche se la seconda è difficile”, commentò Jo, indicando il due con la manina libera. “Però mi piace vedere le stelle da vicino”.
“Anche a me piaceva”, sorrise la ragazza, pensando poi un’altra cosa, più triste. ‘Jade amava l’astrologia’. “Ma complimenti per essere già stata ammessa”.
“Grazie”, sorrise Jo, piena di sé, muovendo i suoi capelli argentati.
“Posso chiederti da chi hai preso quel colore di capelli?”, domandò Ash, guardandola meglio. ‘E quello degli occhi, della pelle…’, pensò
“Da nessuno. Mamma mi diceva che la magia è così potente per me che si è presa i miei colori per farmi diventare più brava” le rispose Jo, innocentemente, anche se un po’ le pesava questa cosa.
“Gli occhi ti diventano rossa durante la notte, se guardi la luna?”, le chiese Ash.
“Sì…”, s’incupì subito la bambina, abbassando gli occhi.
Albinismo. Quella parola risuonò nella mente si Ash, vorticando tra mille spiegazioni. Ma era impossibile, i Completi non soffrivano quasi mai di malattie genetiche, o al massimo erano derivate tra lo scambio di sangue di diverse specie.
Non erano mai esisti albini tra i Completi.
“Che succede?”, disse Ash, fermandosi a guardare Jo, che non alzava il viso. I suoi occhi, un po’ lacrimanti, stavano passando dal grigio al rosino chiarissimo e i capelli biancastri le scendevano sul volto.
“A scuola a volte mi prendono in giro. Dicono che i vampiri mezzi lupi mannari non dovrebbero mai essere ammessi a scuola”, borbottò la bambina.
Vampiri, perché i suoi occhi diventavano quasi rossi, e lupi mannari, perché il colore diventava più forte e la pelle si faceva più pallida di notte, soprattutto con la luce bianca della luna piena.
“Senti, anche io venivo presa in giro alla tua età, ma…”, cominciò Ash. Ma poi arrivò Dean e tutto andò meglio. No, Jo non avrebbe avuto nessun Dean. Però ora aveva lei. Sarebbe potuta rimanere con Ash, se avesse voluto. “Lasciali perdere, ok? Non meritano nemmeno una risposta”.
“Sono cattivi”, piagnucolò Jo, buttandosi al collo di Ash, che si era abbassata per vederla bene in faccia. La bionda la strinse e maledì tutti i fottuti idioti che avevano il coraggio di parlare così a sua cugina.
“Sì, ma noi non dobbiamo guardarli, ok? Non esistono”, le rispose Ash, spostandola un pochino, mostrandole il braccio innevato. “Puff, spariti nel nulla per noi”.
Fece una nuvoletta di neve e poi la fece scoppiare, come se qualcuno l’avesse lanciata contro ad un muro.
“Grazie”, sorrise Jo, abbracciandola di nuovo, ma con più calma. Ash la prese bene in braccio e la tirò su di peso, per non farla camminare ancora.
“E issa!”, ridacchiò Ash, per poi ritornare dal gruppo, che le stava fissando felici. Vicki le fece l’occhiolino: le avrebbe parlato dopo, ne era certa.
“Adesso che facciamo?”, chiese Tomo, con anche lui in braccio Devon.
“Andiamo al parco. Abbiamo il 90 per cento di incontrare lì Dmitri e Clelia. Lasciamo a loro Jo e Devon per farli giocare e intanto noi finiamo il giro”, propose Ash.
“Come fai ad essere sicura che ci saranno?”, le domandò Jared, mentre gli altri annuirono.
“Dmitri riesce a vedere il futuro. Per poco tempo e in modo un po’ confusionale, ma abbastanza preciso per quello che dobbiamo fare”, gli ricordò Ash. “Se capiscono che voglio vederli al parco, li vedremo al parco. E dato che mi tengono sempre d’occhio, lo sapranno”.
“Come sei ingegnosa”, le disse Shannon, quasi flirtando. Poi scoppiò a ridere e Ash lo spintonò via, scherzando.
Jo, ancora in braccio a lei, rise e batté le mani, quasi a prenderlo in giro. Vicki si aggiunse alla risata collettiva e alla fine Shannon fece il broncio, fingendosi offeso.
“Dai muoviamoci, non abbiamo tutta la giornata”, cercò di battere le mani Ash, mentre teneva tra le braccia Jo, per riacquistare l’attenzione di tutti.
“Abbiamo sempre la notte”, propose Tomo. “A me sono sempre piaciute le città di notte. Chissà come è questa…”.
“Di notte non esistono gite turistiche, ne’ ora ne’ mai”, si affrettò a dire Ash, quasi in ansia. “Mi spiace Tomo, ma non sono disponibile durante le tenebre”.
“Che hai tanto da fare, biondina?”, la provocò di nuovo Shannon, cosicché lei alzò gli occhi al cielo.
“Possono portarli in giro i vampiri”, disse Jo, quasi contemporaneamente al batterista, guardando Tomo con un sorriso. O forse guardava Devon, ma stava di fatto che era felice.
“No, non se ne parla. Senza di me non se ne vanno in giro da soli”, rifiutò Ash, scuotendo la testa.
“Oh, ma dai!”, si lamentò Jared, come un adolescente.
“Mamma sei cattiva”, lo seguì a ruota Shannon.
“Siete veramente asfissianti... ma in ogni caso ve lo scordate”, finì il discorso Ash, riprendendo a camminare. “Non avete idea di come si vive qui o della gente che ci vive. Non sapreste distinguere un elfo da un lupo mannaro, figurarsi trovarne uno di fiducia. Tzé!”.
Tomo borbottò, non d’accordo, ma Vicki gli diede una piccola gomitata nello stomaco, per farlo stare zitto. Infondo capiva Ash: lei non l’avrebbe mai lasciata andare in giro da sola, di notte, in una città del loro mondo che non conosceva, sapendo che qualcuno la voleva morta.
E ora il pazzo che li aveva attaccati voleva morti anche loro, oltre che Ash. Erano i genitori e gli zii acquisiti di Devon; se voleva lui doveva far fuori tutti.   
Vicki si voltò di nuovo verso il marito, notando che stava verseggiando con loro figlio, che rideva come sempre, balbettando qualcosa.
Era a suo agio, per quanto quel posto fosse strano. Bè… strano per lei, forse. Alla fine, Devon era nato per vivere in quel mondo, quindi era più predisposto a credere tutto reale, essendo anche molto piccolo.
Ma per lei… la strada per ora era vuota, ma già da come era fatta e da come era costituito il paesaggio si sentiva un’estranea. Aveva sempre vissuto in città e ora camminava su un viale di terriccio e pietre e, anche se piccolo, qualche muretto basso ai lati.
Le case erano disposte come le tipiche villette a schiera nella periferia delle cittadine inglesi, ma avevano forme molto strane. Alcune erano storte, come la torre di Pisa, altre circolari con dei pinnacoli, come una grande torta di compleanno, altre ancora sembravano rettangolari da fuori, ma avevano piante diverse all’interno.
“Qui chi ci abita?”, chiese Jared, guardando, come Vicki, tutte le abitazioni ai lati del viale, che a volte si divideva in più piccole stradine. Non era una landa desolata, era un villaggio ben costruito e affollato, sebbene ora non ci fosse nessuno in giro.
“Solo noi maghi. Gli altri stanno più che altro nella foresta. Alcuni vampiri o dei lupi hanno casa anche qui, essendo stati forse dei maghi in passato, ma non ci vengono tanto spesso”, spiegò Ash.
“E dove sono tutti ora?”, domandò finalmente Vicki, chiedendosi con quale tranquillità e spensieratezza Ash parlasse di creature che, fino a qualche mese prima, tutti loro credevano inesistenti.
“Nessuno esce molto per il pericolo, in questo periodo. In secondo luogo, siamo in un pomeriggio di autunno, ovvero quando i ragazzi sono a scuola e gli adulti al lavoro o in missione. In terzo luogo, i maghi anziani, durante questa stagione, amano rintanarsi nelle stanze di pozioni per fare intrugli”, sorrise la ragazza. “La scuola è a qualche chilometro da qui, non molto lontano, mentre i centri lavorativi sono sparsi per il villaggio”.
“Ma… Annwyn è la città o tutto il vostro mondo?”, chiese Vicki, di nuovo.
“Entrambi. Non ci è mai piaciuto dividere il territorio, non abbiamo stati, regioni e città come voi. Questa”, e indicò la terra, “o questo”, e puntò il dito contro il cielo, “è la stessa cosa. Annwyn”.
“Vuoi dire che non ci sono mai state guerre di territorio?”, si stupì Shannon.
“Più che altro di diritti tra maghi e creature magiche. Loro hanno il loro territorio, limitato più che altro nella foresta, ma anche quello fa parte di Annwyn, come tutti i nostri centri cittadini”, raccontò Ash, mentre Jo, che non ne voleva sapere di scendere dalle sue braccia, le attorcigliava i capelli con le dita. “Le nostre più grandi e famose guerre sono state battute per il rispetto che le creature pretendevano di avere. Con ovviamente tutta la ragione del mondo”.
“Siete molto pacifisti allora”, commentò Tomo, mentre svoltavano in una via dove, in lontananza, poteva vedersi del verde. Il parco?
“Non direi proprio. Anche se il premio erano i diritti, il sangue veniva versato, e anche in parecchie quantità, purtroppo”, ammise Ash, andando più veloce. “Poi vi dirò meglio. Ora andiamo, sono arrivati Clelia e Dmitri”.
 
“E’ l’ennesimo favore che vi chiedo, scusatemi”, disse Ash a Clelia, mentre Dmitri era impegnato a inseguire Jo, facendola ridere.
“Figurati, non c’è problema. Sono dei bambini, ci divertiremo a tenerli un po’”, sorrise Clelia, scuotendo la testa alla vista del suo ragazzo, che aveva deciso di acciuffare la bambina e farle il solletico. Oh, Dmitri! “Se sono stanchi li portiamo all’Esis, comunque. Sai dove trovarci”.
“Perfetto”, concluse Ash, sorridendo. Abbracciò l’amica e la salutò, augurandole buona fortuna con quei tre.
Clelia rispose al saluto lasciandola andare e poi si voltò, comandando già a bacchetta tutti. Ash rise, vedendola, e tornò indietro, dove erano rimasti i Mars e Vicki.
“Pronti per la seconda parte del giro?”, chiese tutta eccitata, o forse solo per accorciare i tempi e finire prima.
Tutti annuirono, con un sorriso, e partirono. Uscirono dall’Esis e tornarono sulle strade di Annwyn, vicini al centro della cittadina. Stavolta Ash non li portò nella zona residenziale, dove era possibile più vedere le case tipiche o la vita più tranquilla, ma al centro, con i loro negozi.
“Questa è la via principale, ora giriamo a destra e vedrete la piazza”, spiegò loro Ash, stando sempre davanti, con a fianco Jared, mentre Tomo e Vicki si guardavano in giro, maledicendosi di aver dimenticato la fotocamera a casa.
“Si sarebbe vista Annwyn in foto?”, chiese Tomo, facendo scoppiare a ridere Ash, mentre svoltavano.
“Certamente… ma poi saresti stato punito in caso qualcuno di sconosciuto avesse visto le tue foto”, rispose lei, facendoli fermare. “Ma per ora, goditela dal vivo”.
La piazza era… stupefacente. Sembrava piazza San Marco a Venezia, tanto era bella.
Lasciava i tratti medioevali della periferia per aprire le porte ad una tipica bellezza rinascimentale. Forse alcuni di loro erano stati anche dopo l’età media nel mondo Incompleto.
“E’ stata costruita in onore di Henry Glade, uno dei più grandi maghi che unirono tutti i piccoli villaggi di Annwyn per farne un unico mondo”, spiegò Ash, mostrano il grande edifico, che ai ragazzi ricordava la cattedrale di San Marco. “Quello è l’edificio di amministrazione, il wisder, come lo chiamava Glade in lingua antica”.
“Un po’ come il nostro comune?”, chiese Vicki.
“All’incirca. Ma lì ci sono anche le nostre ‘poste’, che sono però molto diverse”, sorrise lei, indicando il wisder. “Vedete quella torre, un po’ staccata?”, chiese, mostrano loro quella che sembrava una delle colonne della piazza italiana, “è la torre di messaggio, la Lettera. Non ha nomi antichi, essendo stata creata dopo. Lì vengono spediti e ricevuti tutti i messaggi, sia persali che amministrativi”.
“Con i gufi, stile Harry Potter?”, chiese Jared, ricordandole quella volta che gli aveva detto “Non intendo dire che faccio magie come se fossi Harry Potter, non essere ridicolo”. Be era vero, il ragazzo dei libri aveva una bacchetta, lei no.
Ash sorrise, sia per il suo pensiero che per la domanda di Jared, e poi rispose. “Con tutto. Hanno diversi animali là dentro che mandano come messaggeri. Dipende dalla distanza che deve coprire”.
Tomo mimò un wow con le labbra e si guardò intorno di nuovo. La piazza era piena di mattonelle colorate di un bianco rosaceo e l’arancione chiaro, simile a sabbia. Di fianco al wisder c’erano vari edifici, più piccoli e un po’ più moderni.
Shannon, ora che ci faceva caso, la paragonava più a piazza del Duomo a Milano, sempre in Italia, dove c’era la piazza con l’enorme edificio artistico con attorno i nuovi negozi moderni.
“Quelli che sono?”, indicò Jared un piccolo edificio con l’insegna a forma di boccale.
“Sempre il solito ubriacone”, lo prese in giro Ash, scherzando e camminando per di là. “Quella è la locanda, una sorta di vostro bar Incompleto. Si chiama Perletta, poi capirete perché”.
Quando furono arrivati – Jared scelse proprio quello dall’altro lato di dove si trovavano loro – entrarono e guardarono con attenzione il locale.
Non era niente di particolare, visto a primo impatto: tutto in legno, con tavole, rotonde e piccole nel salone mentre rettangolari ai lati e di fianco alle finestre, e il bancone in fondo, illuminato di vari colori.
C’era un po’ di gente, ma non troppa. Nessuno si voltò a guardarli, in un primo momento, ma poi qualcuno cominciò a sussurrare.
Ash chiese a Jared il suo cappello e lo indossò, schiacciandoci dentro anche tutti i capelli, in quel momento un po’ violacei. Ma il gruppo non si fermò, e andò avanti.
Ora capivano cosa c’era di speciale in quella locanda: sembrava davvero piccola, appena entrati, ma più camminavano più il bancone sembrava lontano.
“Incantesimo di Spazio”, disse Ash, vedendo i volti dei ragazzi, completamente increduli. “Dall’esterno sembra tutto normale, ma l’interno è immenso. Si usa più che altro per armadi e borse, ma anche per i bar torna utile”.
“E’ una vera figata”, sussurrò Shannon, passando davanti ad un uomo che, al sentirlo, fece una smorfia.
“Incompleto”, sputò, come se fosse un insulto.
Ash si voltò di scatto, fermandosi sul posto e incenerendo il mago con lo sguardo. “Oh, ma caro Flin, come va la vita? Il tuo piccolo Mancato come sta?”.
 L’uomo ringhiò, ma non rispose. Si alzò e se ne andò, non guardandosi indietro.
“Ash, dovresti smetterla di farmi perdere clienti”, si sentì una risata cristallina e tutti si voltarono verso destra, da dove arrivava la voce.
Una donna dall’aspetto fatato si presentò davanti a loro e nessuno si stupì molto nel vedere le piccole ali di fiori che portava sulla schiena. Era bassina e non toccava mai il terreno, muovendo freneticamente quegli arti floreali. Vestiva con un abito azzurrino, fatto di steli di fiori colorati, e i suoi capelli erano come l’acqua di un ruscello. Era leggermente luminosa, tanto che lo spazio attorno a lei era illuminato da luce blu, simile al colore dei suoi capelli.
“Ragazzi, vi presento Fata Jiney”, sorrise Ash, indicandola. “Ma potete chiamarla anche Perletta”.
“Perletta? Quindi gestisci tu questo posto?”, chiese Jared, notando che al collo, lungo e pallido, portava una collana di rami con una perla bianca come ciondolo.
“Esattamente”, rispose lei con la stessa voce melodiosa di prima. Si avvicinò a lui e lo guardò attentamente. Jared poté così notare i suoi occhi, con l’iride nera come la pece e rossastri attorno.
Rabbrividì e la fata si allontanò.
“Scusami, non era mia intenzione spaventarti”, disse Perletta, con un sorriso perfetto. Poi, sempre battendo velocemente le alette, tornò da Ash. “Che ti porta qui?”.
“Una gita turistica”, la guardò bene Ash, per poi sorriderle. “Ma non prenderemo nulla per oggi. La strada è ancora lunga”.
“Oh, posso immaginare. Ma promettimi che tornerai presto, Ash… ho un grande desiderio di parlarti”, s’avvicinò ancora la fata, prima che la bionda scattò lontano, portandosi dietro tutta la comitiva.
“Ci vediamo, Perletta”.
“Arrivederci, miei cari amici”, rispose Jiney, con un sorriso.
 
“Strana creatura”, commentò Vicki, guardandosi indietro, verso la locanda. “Insomma era…”.
“Un miscuglio tra il bene e il male. Belle, ma ingannevoli. Dicono la verità, ma vogliono una ricompensa”, finì la frase Ash, attraversando di nuovo la piazza.
“Che vuoi dire?”, non capì Shannon.
“Voglio dire che quando una fata di dice che vuole fare due chiacchiere con te… bè, scappa”, spiegò la ragazza. “Lei prometterà di non dire nulla, a meno che tu le faccia una promessa. Ma non conterà mai nulla il vostro accordo: lei avrà ciò che vuole, e tu rimarrai con niente, o peggio”.
“L’aspetto è...”, cominciò il batterista, ma non riuscì a finire la frase.
“Da fata. Da creatura dei boschi”, commentò Ash. “Sono poche quelle che abitano qui in città, perché la maggior parte resta confinata alle foreste. Sono nate laggiù, hanno sempre vissuto come parte integrante di quel luogo; per questo hanno caratteristiche pienamente naturali”.
“Wow, certo che è davvero una grandissima figat… aaah!”, iniziò ancora Shannon, per poi mettersi ad urlare, quando un rumore di zoccoli si fece sentire sopra di lui.
Si mise le braccia sulla testa, come per coprirsi, e sentì un forte spostamento d’aria. Qualcosa poi gli atterrò fin troppo vicino, andandogli addosso e spintonandolo di lato tanto forte da farlo cadere.
“Fermo! Fermo!”, gridò qualcuno, andando loro incontro. “Per la miseria, a questo dannato ippogrifo dovrebbero controllare la vista!”.
Ippo che?
Shannon sentì Ash ridacchiare e aprì gli occhi, che aveva chiuso nell’impatto. Si trovò la bionda davanti a lui, che gli offriva la mano, mentre Jared aveva lo sguardo puntato in avanti, allibito.
Si alzò con l’aiuto di Ash e guardò nella stessa direzione del fratello, dove vide una specie di cavallo alato zoccolare innervosito di fianco ad un uomo sulla quarantina, che tentava di calmarlo.
“Quello è un ippogrifo”, commentò Ash, dopo un sussurrato commento di Jared, il quale di chiedeva in che modo fosse finito in Harry Potter senza saperlo. “Simile ad un cavallo, ma con la testa e le ali d’aquila. Hanno una vista eccezionale, per questo li usiamo per duellare o per, semplicemente, mandare messaggi”.
“Vista eccezionale?!”, si scandalizzò Shannon. “Mi ha investito!”.
“Purtroppo Darken comincia ad avare dei problemi, dovrei mandarlo a farlo sistemare, in effetti”, spiegò l’uomo che teneva l’ippogrifo. “Mi dispiace che ti abbia colpito, ma è davvero buono, se lo si lascia fare”.
“Devo inchinarmi o mi uccide?”, chiese Jared, avvicinandosi.
“Sono Incompleti, vero?”, chiese scocciato l’uomo ad Ash, che ridacchiava.
“Sì, ma hanno il permesso di venire qui, Gael”, rispose la bionda, sorpassando Jared e andando ad accarezzare le piume sul petto dell’ippogrifo.
L’animale mosse la testa, andandole incontro, e lei gli toccò le tempie, facendogli fare un grugnito simile a fusa, ma più potente. Ash rise e indicò ai ragazzi e Vicki di avvicinarsi.
“Ma può volare?”, chiese Tomo. “Voglio dire, senza che vada addosso a qualcuno”.
“La sua pecca è l’atterraggio, ma Darken è uno dei più veloci. Per questo ho scelto lui per questa lettera”, disse Gael, prendendo il contenuto della sacca dell’ippogrifo. Nessuna l’aveva notata, nascosta com’era da una delle due ali argentate.
Gael si mise il messaggio in tasca e gli sorrise. “Comunque io sono Gael Firehood, mago e commerciante a tempo pieno”.
“Il nostro pozionista migliore. Ha una bottega in centro, ben rifornita a quanto ricordo”, spiegò Ash, passando ad accarezzare il busto dell’ippogrifo, con i peli corti e ruvidi tipici di un cavallo.
“Ricordi bene, mia cara. Ma voi siete…?”, chiese l’uomo, con un sorriso.
“Tomo Milicevic e questa è mia moglie, Vicki. Nostro figlio, Devon, è un Completo”, si presentò Tomo, con estrema facilità, tanto da stupire tutti.
Era talmente preso da quel posto che era fuori di sé dalla gioia.
“Il bambino prodigio?”, domandò Gael.
“Esattamente”, sorrise Ash, per poi puntare una mano contro i fratelli che stavano dietro di lei. “Mentre loro sono Jared e Shannon… Leto”.
“Leto? Leto come… Carl Leto?”, si stupì Gael.
“Sì, era nostro padre. Perché, cosa sai di lui?”, gli si avvicinò Jared, ricordando ciò che sua madre gli aveva detto, tempo prima. 
Shannon gli fu subito accanto, come sempre. “Come fai a conoscerlo?”.
“Bè, è nato qui, anche se tanti anni fa. Ho conosciuto bene vostra nonna… amava Carl come se fosse un piccolo tesoro perduto, ma sfortunatamente il fato volle che tutta la fortuna andò a  Dennis”, cominciò a raccontare Gael.
“A chi?”, chiese Tomo.
“A Namel”.
Aveva parlato Ash, con voce funeraria, affondando il viso tra le piume biancastre di Darken. 





...
Note dell'Autrice:
*si nasconde* fa schifo?!
io cerco di staccarmi dallo sfregiato di Potter (serpeverde inside, scusate :D) ma a volte non ce la faccio proprio ahhaha se è uguale e faccio schifo ditemelo, perchè ne sono già sicura di mio.
Comunque.... piaciuto? Bo, nemmeno i nomi mi ispirano, ma mi piacevano quando scrivevo, quindi eccoci qui. *sono lunatica, lo so*
Direi... ecco tutto. Avrei milioni di cose da dire ma tanto qui non legge niente nessuno - non lo farei nemmeno io, tranquille xD - e poi fa un caldo e bestiale e dovrei studiare per patente (HELP).
Quindi... bo, ditemi voi!
Fatemi sapere, davvero *-*

Un abbraccione e buone vacanze a chi se le fa
Ronnie

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Capitolo 21
*** Not Only A Story ***


Ecco... lo so, sono in ritardo. Ma capitemi.

Ero in vacanza e sono pure andata a Padova per il concerto dei Mars. Ed ora è passata una settimana, e sono depressa, e voglio tornare a domenica, e vorrei avere un Giratempo ma quella cogliona di Hermione l'ha ridato indietro. E sto vaneggiando perchè ho una depressione post-concerto ATROCE, anche se andrò anche a quello di Milano. 

Bo, scusatemi ancora TANTISSIMO per il ritardo e spero che il capitolo vi piaccia (se ci siete battete un colpo, dai, non vi mangio mica hahahaha :D)







Capitolo 21. Not only a story

 
 






“Che c’entra con nostro padre?”, chiese Shannon, dopo un attimo di panico. Jared era immobile, zitto come pochissime volte nella sua vita, Tomo teneva stretta Vicki, che guardava Ash. 
La ragazza non si era voltata, stava ancora coccolando l’ippogrifo e non dava segni di attenzione. Solo una mano, ferma sulle piume dell’animale, era stretta a pugno, triste.
“Bè, erano fratelli”, concluse Gael, come se fosse ovvio, facendo risvegliare Jared.
Il cantante scattò e lo prese per il colletto della camicia che indossava, ringhiando. “Io l’ho visto quel pazzo e conoscevo mio padre. Non erano fratelli, non sono simili, non lo saranno mai! Mio padre era un brav’uomo, mentre… Dennis, o Namel, come volete chiamarlo, è un maniaco omicida!”.
“Ma erano fratelli”, rispose l’uomo, togliendosi di dosso Jared con facilità. “Avevano lo stesso sangue nelle vene, sangue che, un po’, avete anche voi. Non si può cambiare il proprio dna, Jared Leto. Nemmeno volendo”.
“Ma non è possibile! Il padre di Jared, se fosse stato il fratello di quel pazzo, sarebbe stato un mago, così come dovrebbero esserlo pure Shannon e Jared”, riprese vita Tomo, facendo annuire Shannon.
“Ma vostro padre non era un mago… non del tutto almeno”, concluse Gael, mentre Ash ritornava in sé. Si avvicinò all’uomo, seguita da Darken che la guardava attento alle sue mosse. Gael non disse più nulla, lasciando a lei la parola.
“A volte succede”, continuò Ash, guardando i suoi amici. “Famiglie magiche danno alla vita figli Incompleti. Accade raramente, ma accade; e noi diamo loro il nome di Mancati”.
Mancati… Jared ricordava che, al pub, Ash aveva parlato di un Mancato con l’uomo che era andato via, dopo aver dato dell’Incompleto a Shannon.
“Nostro padre… nostro padre era un Mancato?”, chiese Jared.
Ash annuì ma fu Gael a tornare a raccontare. “Vostra nonna andò in depressione, quando lo scoprì. Dennis era il figlio maggiore, ma era timido, debole e inadatto a qualsiasi compito; non sarebbe mai stato capace di portare avanti il nome dei Leto, secondo lei. In fondo erano una delle famiglie più importanti del nostro mondo. Uno come Dennis l’avrebbe rovinata del tutto.
“Quindi tutta la sua speranza si riversò su Carl, il giorno in cui scoprì di essere incinta. La ricordavo… com’era allegra allora! Ero piccolo e la sentivo cantare nei giorni in cui mio padre mi portava in piazza.
“Ma poi vostro padre nacque e nei suoi occhi nessuno vide la solita scintilla magica. È… come un segno, che percepiamo alla nascita di uno di noi. Vostra nonna, però, non si diede per vinta. Fece finta di nulla e allevò Carl come un vero Completo.
“Gli anni passarono e lui non scampò al suo destino. Non diede mai nessun segno di magia. Passati così i sette anni lo mandarono comunque a frequentare la Arrant, senza che passò in nessun caso alcun esame, non essendo in grado.
“Così all’età di diciannove anni se ne andò, sentendosi troppo diverso e inappropriato. Lasciò qui ogni bene… bene che fu obbligatoriamente assegnato al fratello più grande, Dennis”.
“A diciannove anni conobbe nostra madre”, notò Shannon.
“Dennis impazzì, anche se questa è un’altra storia. Ma da questa pazzia non riusciva ad uscire e credevamo tutti che l’unico che poteva fermarlo fosse il fratello, sentendosi inappropriato come lui. Fu così che chiamammo Carl in nostro aiuto”, disse Gael.
“Esattamente ventisette anni fa… quando morì”, concluse Jared.
“No”, lo corresse l’uomo. “Ventisette anni fa, Carl tornò per lasciare la sua moglie mortale dopo essersi reso conto delle troppe bugie che le aveva raccontato. Non sopportava più di dover mentire, così decise di fingersi morto e tornare qui.
“Ma non restò in alcuna città di Annwyn. Si recò nei boschi, visse molto con gli gnomi e le fate. Non si sa bene come fece…”.
“Cosa?! Ma perché? Perché lasciare tutto per tornare in un luogo dove tutti erano contro di lui? Nel nostro mondo era al sicuro, era felice… aveva noi”, disse Jared, pensando a quanto la sua famiglia aveva sofferto per suo padre.
“Ma rimaneva un mondo a cui non apparteneva e a cui non sarebbe appartenuto mai”, parlò Ash, ricordandosi ciò che Clelia, tempo prima, le aveva detto. “Alla fine, per quando si può soffrire… le foreste di Annwyn e tutte le sue città sono casa nostra”.
“Sta di fatto che alla fine lo ritrovammo”, finì Gael. “E lo pregammo perché tornasse a fermare suo fratello”.
“Ma non lo fece. Non è tornato, no? E’ ancora vivo?”, chiese Shannon, speranzoso.
“Tornò”, lo fermò Ash. “E morì… morì per me”.
 
Non era mai stato così bello. Mai.
Non era mai stata così lontana dalla sua stanza, ma non le andava di pensarci. Era il suo momento, l’unico che poteva avere in tutto il giorno.
La luna splendeva forte e illuminava tutta la radura come se fosse giorno. Rischiava di essere scoperta, ma non le importava.
Accelerò e si beò del vento forte che le andava addosso, facendole attrito e lisciandole i capelli, portandoli indietro. Chiuse gli occhi e sorrise, decidendo di fare un po’ di ginnastica.
Provò una capriola e poi ripartì con la corsa, ridendo di se stessa. Lo rifece altre due volte, in tutte le direzioni, facendo anche varie trottole, ma poi si fermò.
Era stanca e lontana. Doveva tornare indietro, la luna stava scendendo.
“Merda”, esclamò Ash, ma non fece tempo a ripartire che un urlo spezzò il silenzio di quella notte immacolata. Si voltò di scatto e si lanciò, seppur stanca, verso la fonte del rumore, impaurita.
Non era un elfo, non era uno gnomo. Di certo non era una fata, e di sicuro quella non era la voce di un kaiw.
Era un umano.
Si addentrò nella foresta, attenta a non inciampare o incastrarsi tra gli alberi. Non fece alcun rumore e nemmeno ne sentì qualcuno, ma sapeva di essere vicina a chi aveva urlato, chiunque fosse stato.
Lontana di qualche falcata, infatti, c’era una grandissima quercia, aperta in due. Nel buco che si era creato c’era un uomo coperto di sangue, quasi incosciente, che si lasciò andare e cadere per terra, senza più alcuna forza.
Poi qualcuno lo raggiunse. Qualcuno che Ash non vedeva da molto tempo. Qualcuno che mai avrebbe voluto rivedere.
Strappò il cuore dell’uomo accasciato in pochi secondi, senza alcuna fatica, e bevve il sangue, ancora caldo, fluido e scuro. Poi gettò l’organo, lasciandosi beare della visione orripilante che aveva davanti.
“Che ne pensi, fratellino? La ragazzina sarà dolce come te?”, chiese all’uomo, evidentemente morto. “Di certo lei non procreerebbe con una sporca Incompleta, facendo degli stupidi figliacci immondi”.
La ragazza sussultò e lui parve sentirla, voltandosi verso di lei. In un secondo, però, Ash uscì dagli alberi e tornò verso la strada di casa, sentendo le urla dell’assassino chiamarla, maledicendola.
L’ultima cosa che fece, alla vista ancora un po’ lontana della sua stanza, fu cadere in picchiata, rompendosi le sue povere ossa che quella notte aveva usato fin troppo.
Si alzò a malapena, guardando l’alba iniziare, dietro di lei, e tornò al sicuro, cercando di dimenticare ogni cosa.   
 
“Che vuoi fare?”, urlò Gael, dopo che Ash passò un minuto buono persa nei ricordi del passato. Nessuno aveva fiatato, nessuno era riuscito a fare nulla.
Ma appena riprese vita, Ash salì al galoppo dell’ippogrifo e provò a partire.
“So cavalcare un ippogrifo”, rispose lei. “L’ho imparato alla Arrant, come tutti del resto. E ogni animale che lavora per Annwyn può essere usato da qualsiasi abitante di Annwyn. Non è tuo”.
“Lo so, ma…”, cercò di dire Gael, ma Ash lo interruppe di nuovo.
“Chi vuol fare un giro?”, chiese la ragazza, facendo trottare l’ippogrifo intorno a loro, senza alcun redine.
Vicki scoppiò a ridere e si avvicinò all’animale, prendendo la mano che Ash le offriva. Darken si fermò e Vicki saltellò al galoppo.
Tomo, ora da solo, se ne stava sulle sue, ma Ash, con un sorriso, gli fece segno di salire anche a lui.
“Ci stiamo, ma stringetevi forte”, disse Ash non appena anche il chitarrista salì sull’ippogrifo. “E voi due… dopo facciamo un altro giro”, riprese indicando i Leto, che intanto si misero a parlare con Gael su quello che sapeva della loro nonna e di loro padre.
“Pronti?”, chiese Ash, preparandosi mentalmente a volare, dopo tanti anni. Si aggrappò alle piume di Darken, attenta a non fargli male, e sentì la stretta soffocante di Vicki sulla sua vita.
“Pronti!”, annuirono i coniugi Milicevic, cosicché Ash spronò l’animale a partire.
L’ippogrifo cominciò a correre, come un vero cavallo, per qualche metro, ma dopo spiegò le ali da aquila – che si rivelarono davvero enormi – e planò con forza.
“Oddio… oddio oddio oddio!”, urlò Vicki, seguita da un grido liberatorio di Ash e le risate di Tomo. “Sto volando!”.
“Stiamo volando su un fottutissimo ippogrifo”, gridò Tomo, con i capelli al vento, scoppiando ancora ridere, ma tenendosi stretto a Vicki.
Darken mugolò, spingendosi ancora più veloce, dopo che Ash gli ebbe accarezzato il petto.
“Questo è un ben tornato a casa?”, sorrise la ragazza, accucciandosi sulla testa dell’animale, per coccolarlo. Ad una nuova accelerata staccò entrambe le mani, come se fosse sulle montagne russe, e urlò di gioia.
Vicki urlò, aggrappandosi a lei e stringendo le gambe contro l’ippogrifo, paurosa ma felice. Era stupendo vedere Ash così contenta. E Tomo sorrise, vedendo la cittadella che diventava sempre più piccola e si allontanava sempre di più, mentre loro andavano incontro alle foreste.
“Quelli sono i Boschi Wigun, dove sono stati creati i primi villaggi delle aure”, commentò Ash, indicando ai suoi amici gli alberi.
“Aure?”, urlò Vicki, cercando di farsi sentire oltre il rumore del vento che le ali dell’ippogrifo creava.
“E’ una specie di un folletto che di solito appare di notte, soprattutto verso l'alba, diventando simile a un gatto con un cappello. Sono terribilmente rompiscatole e di solito ti stendono, per poi soffocarti con i loro peso”, spiegò Ash.
“Simpatici”, commentò Tomo.
“Sì… ma fanno morir dal ridere quando si arrabbiano, se gli rubi il capello”, scoppiò a ridere Ash, ricordandosi di uno scherzo con Dean.
“Scommetto che l’hai fatto”, ribatté il chitarrista.
“Ovviamente”, continuò con la sua risata la ragazza, libera come il vento che le si scagliava addosso.
“E poi mi chiedo pure come mai Devon stia imparando a fare il monello”, la riprese Vicki, ridendo anche lei.
Era assolutamente irreale come situazione, ma era quella che avrebbero vissuto per il resto dei loro giorni, per Devon, e dovevano abituarsi.
Tomo continuò a guardarsi in giro, cercando qualcosa nei boschi. Trovò qualcosa, in mezzo a una radura “E quelli invece?”.
“Quelli sono centauri”, rispose Ash, in tono solenne, facendo cenno all’ippogrifo di virare e abbassarsi leggermente. Si tenne ancora alle piume, come fecero anche Tomo e Vicki, e si avvicinò a quelle creature.
Vicki ne aveva sentito parlare, ne era sempre stata affascinata, ma vedere dal vero un cavallo per metà umano, che cavalcava insieme ad altri, mentre si lanciavano una palla… bè, quello sì che poteva definirsi ironicamente leggendario.
“Chi vince il torneo stavolta, Teris?”, urlò Ash, quando furono abbastanza vicini ai centauri. Darken si fermò per aria, muovendo lentamente le ali, solo per farli restare in volo.
Uno dei centauri, sentendosi chiamato, si staccò dal gruppo, fermando quella che poteva considerarsi una partita, e andò incontro a loro. “Ash Connor! Sei viva!”.
“Non hai risposto”, ridacchiò Ash.
“E poi saremmo noi centauri i burberi!”, si lamentò quello che doveva essere Teris. “E comunque sta vincendo quel dannato di Ragor”.
“Vieni a giocare Ash!”, urlò un altro centauro, più lontano. “Così lo battiamo!”.
Teris si voltò a ridere e Ash scosse la testa con una smorfia, per poi unirsi alla risata di tutti. “Mi spiace, ma oggi faccio la guida”.
“Lo vedo”, commentò Teris, da terra. “E’ meglio che allora tu vada avanti. Sono felice di averti rivista, Regina degli Scherzi”.
“Grazie, Protettore”, rispose Ash, sempre ridendo, ricordando tutte le volte che quel centauro l’aveva salvata. “Ci vediamo!”.
Salutò Teris con la mano e poi tornò a guidare Darken, facendolo di nuovo salire in alto, verso destra, per tornare vicino ai Leto. “Volete vedere altro?”.
“Qualche creatura strana?”, domandò Vicki, sentendosi davvero ridicola, ma ormai non se ne preoccupava più.
“Qualche drago magari! Shannon ne andrebbe pazzo”, commentò Tomo, fissando il cielo, limpido e blu.
“Mi spiace, niente draghi in questa zona. Ma abbiamo quello”, disse Ash, indicando un uccello lontano, che sbatteva delle grandi ali in continuazione.
“Che cos’è?”, chiese Tomo.
“Lo chiamiamo Safat. E’ uccello dalla testa di drago che vola in continuazione e non può posarsi mai”, spiegò la ragazza, cercando di avvicinarlo.
“Mai?”, si stupì Vicki.
“Mai. Infatti i piccoli, alla nascita, devono fare in fretta e imparare subito a volare”, riprese Ash, intercettando il safat appena in tempo. “Ma quasi tutti ce la fanno. E’ nel sangue”.
Tomo e Vicki alzarono lo sguardo e Darken passò di fianco all’uccello, veloce come la luce. La sua testa era davvero come quella di un drago, a squame rosse-verdastri, e gli occhi giallastri, con le pupille verticali.
“Wow”, si stupì Tomo, per poi tenersi in fretta alla moglie, quando Ash cominciò a far scendere Darken in picchiata, ad una velocità impressione.
“Sei matta?!”, gridò Vicki, per poi vedere che l’ippogrifo tornava in posizione orizzontale, per sorvolare la pianura e avvicinarsi alla città.
In fretta videro comparire i piccoli corpi di Jared e Shannon, che li guardavano tornare. Più si avvicinavano più le ali dell’animale andavano lente, quasi dolci, per muovere l’aria.
Pochi attimi dopo Ash si tenne stretta e virò di scatto verso destra, cosicché Darken poggiò a terra gli zoccoli di sinistra per primi, per poi cavalcare normalmente con entrambi, senza sbandare.
Ash urlò di gioia, facendo fare un’impennata all’ippogrifo e arrivando perfettamente di fianco ai Leto, ora da soli.
“Che figata!”, gridò Tomo di rimando, scendendo per terra.
 
“Davvero Leto era una casata magica importante?”, chiese Shannon, mentre sorvolavano Annwyn. A loro non importavano le creature, non in quel momento, così Ash si prese il tempo per spiegare loro un po’ della loro storia.
“Certamente. Da quel che so, prima di Namel e vostro padre, uno dei vostri antenati era il preside della Arrant, e molti sono stati anche comandanti di battaglia”, spiegò Ash.
“Battaglia?”, chiese il batterista.
“Ricordi cosa ho detto a Tomo? La magia non ci rende pacifisti nel midollo, Shannon. Alla fine, anche la creatura più magica ha in sé un pezzo di umanità”, rispose la ragazza.
“Quindi?”, la pregò di andare avanti Jared.
“Quindi… la sapete la storia di Latonia?”, domandò Ash, guardandoli per qualche secondo, distogliendo lo sguardo dal cielo. I due fratelli scossero la testa, ma Jared sembrò avere qualche ricordo. In ogni caso Ash decise di rispiegare loro tutta la leggenda. “Latonia – o Leto per gli antichi greci – nacque dai titani Febe e Ceo”.
“I vostri… nostri antenati Leto c’entrano con la mitologia greca?”, si stupì Jared.
“Te l’ho detto. Molti di noi attraversavano il confine verso il vostro mondo e, se troppo vistosi, venivano considerati dèi, in quella regione”, continuò Ash. “Comunque, Leto, sempre secondo la storia, possedeva il potere di manovrare la tecnologia a suo piacimento, così da aiutare gli umani nelle loro invenzioni. Ma un giorno venne ammaliata da Zeus e da lui ebbe i gemelli Apollo e Artemide. Il primo diventò un dio famoso e riconosciuto, mentre la seconda risedette all’Olimpo come dea della caccia, a volte vista anche come simbolo della luna.
“I miti dicono poi che Zeus, pauroso della moglie Era, allontanò da sé Leto poco prima che partorisse, così da non dover spiegare il tradimento. Sola e abbandonata, allora, Leto scappò su un’isola greca, dove nacquero Artemide e Apollo”.
“La storia è vera?”, chiese Shannon.
“E’ un mito… quindi no”, concluse Ash. “La vera storia è un’altra. Leto era una famiglia importante fin dall’antichità, nel nostro mondo, e una delle discendenti si chiamava Rodena Leto.
“Era una giovane maga, un po’ ribelle, che si divertiva a passare tra i due mondi. Era affascinata dal mondo Incompleto e parecchie volte si lasciò usare come modello. Ma non era divina e non ebbe figli.
“Semplicemente diede così tanto scalpore la sua bellezza che si crearono infinite storie. E, con il passare degli anni, le storie diventarono leggenda, appena Rodena tornò ad Annwyn”.
“E la storia finisce con…?”, la spronò Jared a continuare, mentre sotto di loro le foreste tornarono a diradarsi, visto che Ash stava tornando verso la città.
“Non finisce. O per lo meno non con lei. La casata dei Leto finirà con la morte di Dennis, ovvero l’unico Completo rimasto con quel nome. Ma Rodena, per noi, è passata alla storia come l’ amica degli umani. Per questo, sapere che proprio un Leto sta portando il terrore è sconvolgente. E per questo nessuno si è stupito che vostro padre si fosse sposato con una mortale, ci abbia fatto dei figli e alla fine fosse tornato solo per proteggerla”.
“Quindi noi, anche se abbiamo il sangue di una casata magica, non saremo mai dei maghi?”, domandò Shannon.
“Avreste potuto, anche se vostro padre era un Mancato, nel caso avesse sposato una Completa. E c’era una minuscola possibilità durante la vostra infanzia di provare a svegliare il vostro lato magico… ma a questo punto non credo funzionerebbe”, spiegò Ash, avvicinandosi di nuovo alla pianura, per la seconda volta.
“Potremmo tornare?”, chiese di nuovo il batterista.
“Potreste anche vivere qui, se volete. Avete un nipote, anche se non davvero biologico, Completo e siete dei Leto. Annwyn ha ospitato la vostra famiglia da generazioni… e perché forse non potrebbe continuare a farlo?”, sorrise la ragazza.
“Che vuoi dire?”, la interrogò Jared, vedendola allegra.
“Il dna magico vince su quello umano. Se voi sposaste una Completa i vostri figli sarebbero per il 70% dei casi – o anche più – dei maghi”, rivelò la ragazza.
Shannon guardò il fratello, che però evitò il suo sguardo, mentre Ash si preparò al difficile atterraggio. Darken non era preciso e quindi doveva riuscire a farlo girare sulla destra appena in tempo.
I fratelli, dopo qualche minuto, sentirono la presa sul terreno e videro l’ippogrifo trotterellare piano sul terreno, piegando le ali vicino al busto.
“E siamo arrivati anche noi”, annunciò Ash a Tomo e Vicki, che intanto erano stati raggiunti da Clelia e Dmitri, con Devon e Jo.
Shannon e Jared saltarono giù dall’ippogrifo e Ash gli accarezzò le piume, facendolo ripartire, da solo, per mandarlo via.
“A scuola ce ne sono tre” osservò la bambina, con i suoi strani e grandi occhi grigi-rosati.
“Davvero?”, si piegò Ash davanti a lei, per arrivare alla sua altezza. Jo sorrise e annuì. “E li sai cavalcare?”.
“Non ancora… tra qualche anno però lo farò!”, non si diede per vinta, facendo ridere tutti. Ash cercò la sua mano e Jo gliela offrì tranquillamente, per poi indicarle il cielo. “Il tramonto”.
Tutti si voltarono e rimasero affascinati. Alcuni uccelli volavano intorno insieme, per poi andare incontro quasi al sole che, mentre scendeva, colorava il cielo di arancione, rosso fuoco e un blu cupo. Tomo, con la mano, fece vedere a tutti la prima stella luminosa nel cielo e Vicki lo abbracciò con amore. Ash strinse i denti, sopportando la solita fitta alla schiena, e si preoccupò a vedere quella scena.
Doveva andarsene. Appena la notte sarebbe arrivata lei sarebbe dovuta scappare via.
Vado da Dean, pensò, per far ricevere il messaggio a Clelia.
“Forza ragazzi, è meglio tornare all’Esis. Ci sono delle stanze disponibili, dormirete qui questa notte”, disse infatti l’altra, velocemente, intercettando i pensieri di Ash e vedendo una piccola visione di Dmitri.
 
Li aveva lasciati con Joel nei dormitori della Resistenza. Erano al sicuro, non potevano essere colpiti laggiù. In più quella notte avrebbero detto addio a Sorrow un’ultima volta, quindi Namel non si sarebbe fatto vedere in presenza di così tanto maghi insieme. Ash non sarebbe andata. Non poteva.
Dopo aver lasciato i Leto e i Milicevic all’Esis era scappata via, verso il Lightness, per andare da Dean. Aveva intenzione di nascondersi lì per la notte, non potendo restare vicino ai suoi amici.
Entrò dalla finestra – durante la notte l’ospedale era chiuso per chiunque – e cominciò a camminare, il più silenziosamente possibile. Erano le nove e mezza, non affatto tardi, ma nessuno faceva guarda ai gironi; erano tutti a controllare le entrate.  
Superò la stanza di Edmund e camminò ancora più avanti. Sapeva che Dean non stava più nella sua vecchia stanza, per fortuna, ma l’avevano portato molto più vicino all’uscita. Quando trovò la giusta porta, girò lentamente la maniglia ed entrò nella stanza.
Era… strana. Niente vestiti in giro, una valigia piena appoggiata ad una delle sedie…
“Adesso dormo, va bene!”, si lamentò Dean, prima di vederla arrivare nel suo campo visivo.
Ash ridacchiò. “Per ora fare l’infermiera non è la mia aspirazione più grande; non mi attira molto”.
Dean, appena la vide, si mise seduto, ma lei gli fece segno di non fare rumore. Lui le sorrise e la invitò ad avvicinarsi.
“Che ci fai qui?”, chiese il ragazzo, vedendola sedersi sul letto accanto a lui. Le passò un braccio attorno alle spalle e lasciò che Ash appoggiasse la testa alle sue spalle.
“Abbiamo ospiti”, sussurrò triste Ash. “E io sono sempre il solito mostro notturno”.
“Tu non sei un mostro, smettila”, la rimproverò Dean.
“Se non lo fossi, stasera non ci sarebbe alcun funerale, Dean”, sospirò la ragazza, abbassando lo sguardo, mentre lui la stringeva e le carezzava i capelli.


...
Note dell'Autrice:
riguardo il voletto dei Mars e Vicki devo dire due cose: 1. alcune creature magiche sono inventate da me (come i Glifi di cui parlava Ash qualche capitolo fa o comunque di cui parlerò dopo), mentre altre sono prese da miti e leggende (anche il Safat è "esistente", mettiamola così).
2. La leggenda dei Leto, come madre di Apollo e Artemide, è vera. Se andate a cercare esiste davvero come mito. (Non a caso Artemide non era sposata come i Leto - era casta ma questo non contiamolo! ahahhaa - mentre Apollo era il dio della musica, oltre che del sole e della medicina. Combacia un pò tutto :D). Rodena invece è un invenzione mia.

Bè, continuo a dire che per Sorrow mi dispiace da morire, ma così vanno le storie :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto,
un abbraccionissimo forte! soprattutto chi è in depressione post-concerto... vi capisco, gente!

Ronnie 

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Capitolo 22
*** I don't believe in fairytales ***


Gente.... pugnalatemi, sul serio. Sono MESI che non aggiorno e davvero mi sento una merda. Ma tra vacanze, mare, scuola, patente (ho passato la teoriaaaaa) e scleri per acquisti vari (come tinte azzurre o sciarpe da Serpeverde *-*) non riuscivo mai a scrivere ne aggiornare.
MA, sono tornata - per (s)fortuna vostra!
Allora visto che è passato tanto tempo facciamo un riepilogo del capitolo passato: papà Leto è il fratello del grande nemico di Ash, abbiamo visto qualche bella creatura magica di Annwyn, Leto è una vecchia casata magica, Ash è andata a trovare Dean -ancora in ospedale.




Chapter 22. I don’t believe in fairytales

 

 

“Questo a che serve?”, disse Ash, indicando il borsone in fondo alla stanza di Dean.

“A mettere dentro i miei effetti personali”, rispose il ragazzo, con tono arrogante, per poi scoppiare a ridere. Dopo si diresse, ancora un pochino incerto sulle gambe, verso il suo armadietto per prendere un foglio di carta.

“Cos’è?”, chiese Ash.

“Leggi”, sorrise Dean, per poi sedersi di nuovo sul letto, con un una faccia allegra.

“Visti i notevoli miglioramenti che il signor Dean Jonathan Scott ha mostrato in queste ultime settimane, abbiamo accolto la richiesta formale di Joel Ethan Worden di dimetterlo”, sussurrò piano Ash, andando più lentamente man mano che capiva ciò che leggeva. “Dovrà comunque restare sotto tutela del signor Worden e dovrà tornare immediatamente in caso l’allontanamento dall’ospedale non sia efficace”.

Un minuto buono di silenzio invase la stanza, mentre il sole cominciava a risplendere di prima mattina.

Dean la guardava preoccupato, vedendola immobile, con la bocca socchiusa e gli occhi fissi sul pezzo di carta che aveva in mano.

Era tornata se stessa – non che prima non lo fosse – appena la notte era andata via, ma Dean aveva paura che si fosse pietrificata.

“Ash? Ash?”, la chiamò, scendendo piano dal letto e scrollandole le spalle.

“Sì, ci sono, scusa… è che…”, cominciò a balbettare, facendo scoppiare a ridere Dean. “Come… voglio dire… Joel ha davvero… non ci credo… è stupendo… e… e…”.

“E hai finito?”, rise ancora lui, vedendola in panico. Ash lasciò perdere le parole e lanciò all’indietro il biglietto, che cadde per terra dolcemente, mentre si buttò tra le braccia dell’amico, stringendolo forte.

“Dio, non ci credo!”, esultò di nuovo, stavolta collegando tutte le parole.

“Finalmente si torna a fare casino, Connor!”, rispose lui, facendola ridere.

“Ma come hai fatto?”, chiese la ragazza, staccandosi un po’ e guardandolo in faccia. I lineamenti erano tornati ad essere quasi normali, e non scheletrici, le occhiaie erano sparite e, sebbene il colore degli occhi non fosse tornato quello di un tempo, era tornato il Dean di sempre.

“Sono il Re degli Scherzi, donna, che ti credi?”, fece lo sbruffone. “E poi condizionare Joel è stato un gioco da ragazzi”.

“Sei sempre il solito…”, sbuffò lei, scuotendo la testa. “Povero Joel, in che casino l’hai cacciato?”.

“Nessuno, mi deve solo fare da babysitter, ma tanto io sono sempre così tanto bravo che…”, disse Dean.

“Che finirà in un grosso guaio appena metterai piede fuori da questo posto”, finì Ash, alzando un sopracciglio, non convinta della frase dell’amico.

“Donna di poca fede”, la guardò male il ragazzo, socchiudendo gli occhi.

“Sempre meglio poca che troppa, quando si parla di te”, fece la linguaccia Ash per poi ridere.

“Sempre la solita simpaticona”, rispose lui, sempre fingendosi profondamente offeso. “Basta, sei cattiva”.

Ash sgranò gli occhi e aprì la bocca, fintamente sbalordita. Ridendo poi, prese uno dei cuscini bianchi del letto e glielo tirò in faccia a Dean, che ne agguantò un altro e la colpì in piena pancia.

“Questa fa male!”, si piegò la ragazza, ancora con in mano il suo cuscino.

“Giorni sbagliati?”, chiese lui, guardandola sorridente ma anche un po’ ansioso di averle davvero fatto male.

“No, mossa sbagliata”, rise Ash alzandosi di colpo e tirando una cuscinata a Dean sotto il collo, alzandogli il viso. La testa di Dean andò all’indietro e lui mugugnò qualcosa, molto probabilmente di cattivo, vista la situazione.

Quando però si mise a posto, fermò Ash da colpirlo di nuovo e le disse di sedersi.

“Mi ricordo ancora di quando giocavamo alla torre”, disse lui, perso nel passato.

“Mi sentivo tanto Raperonzolo”, borbottò Ash, a bassa voce, e anche un po’ tristemente.

“Chi?”, chiese Dean, non a conoscenza delle fiabe Incomplete.

“Una delle varie principesse protagoniste delle storie per bimbe normali. Sai… la bambina viene rapita e rinchiusa in una torre. Poi però i suoi capelli, lunghi fino all’inverosimile, l’aiutano a scappare appena un principe arriva a salvarla. Questo si aggrappa ai capelli e scappa con la principessina. Così, come tutte le loro storie, vissero tutti felici e contenti”, raccontò Ash, mentre Dean si schifava del racconto.

“Bella merda, noi abbiamo assassini e vendetta per farci capire il duro mondo che potremmo affrontare, di solito con un brutto finale, mentre queste sembrano romanticherie di prim’ordine”, si lamentò il ragazzo.

“Non sembrano, lo sono. Più che altro sono diverse versioni della medesima storia. Per esempio Ariel, la principessa sirena, alla fine si sposa con l’umano che la scopre… ma nella versione originale lei muore e lui va con un’altra donna”, spiegò Ash. “Si chiamano Storie dei fratelli Grimm quelle originali, e sono simili alle nostre” .

“Wow, allora esistono favole fighe anche da quelle parti”, sorrise lui, mentre Ash alzava gli occhi al cielo. “Mi ricordo ancora di quando te le leggevo, a scuola”.

“Già… che cosa imbarazzante, non la raccontare mai a nessuno”, scoppiò a ridere lei.

 

“Non finisce bene”, commentò la piccola Ash, quando Dean ebbe finito di raccontarle la storia.

Tra poco lui se ne sarebbe andato – sebbene Ash  non avrebbe mai voluto mandarlo via – e lei sarebbe rimasta da sola. Perché lei aveva raccontato quella storia allora? Voleva farle venire gli incubi?

“Perché la vita di nessuno è facile, men che meno la tua, lo sappiamo bene entrambi”, le rispose lui, avvicinandosi al viso di Ash, che era coperto per metà dal copriletto. “Ma possiamo trovare una via alternativa. Questo Hulrich, per esempio, non ha avuto la fama, le ricchezze o i beni che aveva sempre desiderato… ma ha trovato qualcosa per cui valesse comunque vivere. Non è un ottimo insegnamento?”.

“Ma la sua amata è morta”, disse ancora la ragazzina, stringendo la coperta con le mani.

“La morte ci porta via fisicamente chi amiamo, ma così lo fa anche un trasferimento o un litigio… ma quella persona, nel nostro cuore o nella nostra mente, ci sarà sempre”, la consolò Dean, carezzandole la testa, con quei capelli biondi e blu sparpagliati ovunque. “Anche se non la sentivamo davvero… lei è con noi… vicino a te”.

“Jade? Jade è vicino a me?”, ripeté Ash, con un sorriso. Dean ricambiò il gesto, felice di averla tirata su di morale.

“Ovviamente. Finchè ricorderai il bene che lei ti voleva e quello che tu volevi a lei, lei sarà sempre con te. Ti ha salvato la vita, questo rende il vostro legame così profondo che nemmeno la morte può spezzarlo”, disse Dean.

“E tu? Tu, però, non andrai via, vero?”, domandò Ash, guardandolo avvicinarsi.

“No, io non andrò mai via. Mai. Mai e poi mai”, rispose il ragazzo, dandole un bacio sulla fronte, per poi alzarsi e uscire dalla stanza.

Ash chiuse gli occhi e, tranquilla, s’addormentò.

 

Era giunto il momento.

Tutto l’esercito e gli agenti si erano cambiati, indossando abiti da cerimonia di color cenere. Erano tutti abiti all’antica, rimasti tali dalle prime tradizioni di secoli passati.

Zoe aveva un abito lungo, suntuoso, grigio chiaro, con ricami bianchi e pizzi, il corpetto stretto di un bianco ottico e scarpe dello stesso colore, con un tacco leggero.

Joel, invece, aveva un completo vittoriano nerastro, con finiture in grigio scuro, e un capello a cilindro basso.

“Mi sento una dannata dama del 1800 e non un agente della Resistenza”, si lamentò Zoe, facendo una crocchia sul capo, mentre Clelia la guardava.

La rossa aveva un vestito simile al suo, ma i colori erano più scuri, e sulle spalle aveva della cenere appiccicata, quasi fossero dei glitter.

Clelia si era già acconciata con delle trecce, così aiutò la collega.

“Lo so, ma è la tradizione Zoe”, commentò toccandosi il bustino, un po’ troppo aderente. “Io ho rinunciato alla mia gita con Dmitri, quindi vedi di non sbuffare troppo”.

“Dico solo che potremmo portare anche la divisa”, ribatté Zoe.

“Non dirmi che non hai mai sognato di indossare uno di questi! Non ci credo…”, la prese in giro Clelia.

“Preferisco vivere. Questo coso mi sta veramente uccidendo”, disse l’altra, toccandosi il petto in cerca d’aria.

“Avanti, non sarà una cosa lunga”, la tirò su di morale la rossa, vedendo arrivare Joel, con il capello in mano.

Zoe si voltò a guardarlo e fece subito un sorriso, dimenticandosi del corpetto scomodo, ma appena notò lo sguardo addolorato dell’uomo, abbassò gli occhi.

“Credo che sia ora. Gli altri sono già fuori”, le avvisò Joel.

“Per arrivare al Sedna ci vorrà una decina di minuti, meglio metterci in marcia”, disse Clelia, finendo l’acconciatura di Zoe, che si alzò.

Raggiunsero Joel e camminarono verso l’uscita, nel silenzio, anche se tutto passava attraverso il cervello di Clelia.

Ancora non capisco come possa essere così triste per Sam. Voglio dire, eravamo tutti suoi colleghi, ma… io almeno con lei tenevo un segreto.

E così l’unica con cui potevo parlare se n’è andata. Grazie Namel! Un motivo in più per farti fuori… e ora con chi parlo? Clelia e Dmitri? No, grazie. Ash? Mi prenderebbe in giro…

Oh, quanti problemi!

Quei due pensavano a come dichiararsi mentre avrebbero dovuto provare dolore per Samantha Gair per il fatto che fosse una loro collega, e non la loro psicologa.

Clelia, innervosita, provò a buttarli fuori dalla sua mente, canticchiando a bassa voce per coprire il brusio. Erano quasi fuori e cercò il filo interrotto di pensieri provenienti da Dmitri, che di certo la stava aspettando.

Nella sua testa, infatti, apparve un’immagine nitida, così travolgente da farla fermare per tenere gli occhi chiusi. Zoe e Joel le chiesero come mai si fosse fermata così all’improvviso, ma lei non diede alcuna risposta.

In un attimo quei due non esistevano più, o almeno non erano lì con lei. Clelia era immersa in una grotta buia, solo con una luce davanti agli occhi che le indicava qualche metro di strada.

Al suo fianco c’erano Dmitri e gli amici di Ash.

Non c’era il bambino, però. O, per lo meno, non riusciva a vederlo.

“Lo troveremo?”,  chiese la madre del bambino, con la voce impregnata di paura e coraggio insieme.

“E’ qui… lo sento”, disse la luce, che sembrava essere Ash, anche se non riusciva a scorgerla. Qualcosa vibrò, in mezzo a quella luminosità, e i Leto tirarono fuori le armi.

Tornò tutto immediatamente scuro e Clelia si ritrovò con gli occhi aperti.

“Non so perché, ma sento che stasera è meglio che restiamo allerta”, commentò Joel, prendendo Clelia per un braccio, dolcemente, per aiutarla a rimettersi in pista.

Zoe gli andò a fianco, per fare strada, mentre scendevano le scale che davano al portone principale. Era aperto, con Dmitri che li attendeva.

Appena notò Clelia si avvicinò alla scalinata, mentre la ragazza accelerava il passo, lasciando gentilmente la presa di Joel, che la seguì con lo sguardo, attento che non inciampasse.

“Siamo tutti?”, chiese Dmitri, appena anche Joel e Zoe furono arrivati.

“Sì, gli altri sono già al Sedna, ma attendono noi”, annunciò il ragazzo, con gli occhi vitrei. “Oh, ci saranno anche i nostri ospiti, vestiti pure come si deve”.

“Davvero?”, chiese Zoe.

“Di certo non potevano restare qui da soli”, le rispose Joel. “E hanno fatto bene a vestirsi a dovere, con un po’ di rispetto”.

“Concordo… ma ora andiamo, è tardi”, li spinse Clelia, che già si era rimessa in sesto.

Cominciarono a camminare nelle vie ciottolose di Annwyn, verso la più remota periferia. Le rive del mare Sedna non erano piene di case o negozi, quello si preferiva farlo in città.

La natura in quel mondo era considerata quasi sacra, infatti si decideva di espandere un piccolo paese solo nel caso in cui una foresta veniva abbattuta per problemi con le creature al suo interno.

“Odio la polvere”, si lamentò ancora Zoe, guardandosi la fine del vestito lungo e vaporoso che cominciava a sporcarsi di terra, mentre camminava spedita.

Erano quasi arrivati e Clelia sbuffò. Delle volte Zoe era davvero insopportabile, anche se altre era la dolcezza fatta a persona. In questo specifico caso avrebbe preferito affogarla nel mare piuttosto che sentirla lagnarsi di nuovo.

Ed ecco la spiaggia, decorata con betulle a cerchio semichiuso, con l’unica apertura verso l’acqua. Il rumore delle onde dava una sana sensazione di libertà, mentre i quattro entravano nella riva.

“Buona sera, vi stavamo aspettando”, li accolse Seamus, vestito esattamente come Joel. Diede loro un ramo di betulla e fece loro strada, portandoli tra la folla di maghi – e stavolta anche non – che stavano davanti a loro.

“Possiamo incominciare”, disse un uomo con voce potente, facendosi sentire da tutti. Clelia e Dimitri andarono in prima fila e lo videro con in mano un vaso nero. “Questa notte, la notte in cui Venere splende nel cielo, diamo il nostro ultimo addio ad una grande donna.

“Per alcuni è stata una collega, per altri un’amica, e per altri ancora una figura su cui contare per ogni occasione. Una donna, comunque, che è morta per difendere ogni diritto di libertà e il diritto della vita.

“Una donna che si è battuta fino alla morte per salvarne un’altra da quell’uomo spregevole che vuole ucciderla. E’ per questo che dovrebbe essere ricordata sempre come un eroe.

“Per questo, stasera, ricordiamo te, Samantha Gair”, finì, indicando tutta la folla, “come una vera paladina. Cenere eri e cenere ritornerai… e che queste ceneri vadano disperse tra la brezza marina, così da portare nuova vita”.

E come da rituale, l’uomo poggiò il suo ramo di betulla accanto al vaso, lasciando poi lo spazio perché tutti gli altri lo imitassero. Si formò una grande fila ed un enorme brusio, da uccidere la testa di Clelia, che non capiva più la differenza tra i pensieri e le parole.

“E con questa pianta volerai, così che ti identifichi per sempre”, concluse l’uomo, quando tutti ebbero posato il proprio rametto di fianco a vaso. Scatenò una fiamma e le piantine presero fuoco, diventando in fretta cenere scura.

Poi l’uomo mischio la cenere a quella dentro nel vaso, per poi prenderlo e, nel mezzo di una folata di vento, inclinandolo. Il contenuto si sparse nell’aria e di Samantha Gair rimase solo il ricordo di quella donna che tanti errori aveva fatto, ma che tanto aiuto aveva sempre portato.

 

“Che aspettavi a dirmelo?”, spalancò la porta della sua stanza senza la minima delicatezza.

Ash, poco ma sicuro.

“Sono certo che ci sia una ragione logica per il quale tu sia venuta ad urlarmi addosso alle… sette del mattino!”, si stupì Joel, ancora a letto, controllando l’ora.

“Che. Aspettavi. A. Dirmelo?”, urlò di nuovo la bionda.

“Che cosa?!”, mugugnò l’agente, rigirandosi nel letto.

“Che Dean sarebbe uscito dall’ospedale, ecco cosa!”, si avvicinò Ash, tirandogli via le coperte con uno scatto veloce. “Uhm… bel pigiama”.

Joel cercò di coprirsi, mentre Ash rideva con un lembo di lenzuola in mano. Aveva un tenerissimo pigiama con dei cappelli da mago disegnati sopra e la scritta sul petto diceva ‘Completi è meglio’. Oh madre santa…

“Eddai!”, si lamentò Joel, alzandosi dal letto rassegnato, sistemandosi i capelli. Bè, in realtà non fece altro che renderli ancora più disordinati, ma non era quello il punto.

“Dimmi perché l’hai tenuto nascosto”, non lo ascoltò Ash.

“Senti, avevo altro a cui pensare, ok?”, si decise Joel a parlare. “E poi non te l’ho detto… per quanto? Meno di ventiquattro ore? Che vuoi da me, donna?!”.

“Devi dirmi queste cose! E appena le sai, ok? Non mi importa di cosa sta succedendo, io lo devo sapere”, decretò Ash, tirandogli il lenzuolo che aveva ancora in mano addosso.

 “Non capisco che ti cambia, l’hai saputo comunque”, borbottò lui, in piedi ma non molto stabile.

Ash ringhiò e lo prese per il colletto di quello stupido pigiama disegnato. “Perché sto male, mi preoccupo e sono nervosa! Perché se succede qualcosa a Dean, qualsiasi cosa, io lo devo sapere immediatamente! È chiaro?!”.

Joel alzò le mani, quasi in segno di resa. “Sì, ok, va bene”.

Ash lo lasciò andare e fece un respiro profondo. Joel la guardò curioso, ma decise di lasciar perdere quando notò le ciocche dei capelli di Ash completamente violacee.

“Scusami…”, disse dopo qualche minuto di silenzio la ragazza, mentre il colore tornava del normale blu. “E’ che, sul serio, sono preoccupata per Dean”.

“Lo capisco”, commentò Joel, mettendole una mano sulla spalla. “Ti prometto che ti dirò tutto la prossima volta”.

“Grazie”, sussurrò Ash, mentre l’agente lasciava la sua spalla e guardava davanti a lui.

“Buongiorno signorino Milicevic… si è perso, per caso?”, ridacchiò felice, facendo girare Ash verso la porta. Lei, vedendo il piccolo Devon sulla soglia, sorrise e gli andò incontro, prendendolo in braccio e lasciando Joel da solo per cambiarsi.

Devon l’abbracciò appena fu tra le sue braccia e Ash cominciò a camminare in cerca della stanza di Vicki e Tomo.

“Ricordi il numero di mamma e papà?”, chiese Ash al bambino, che mugugnava parole incomprensibili.

“Num…numeo… è?”, borbottò Devon, guardandola storto.

“Il numero della camera. Della porta, Devon”, gli rispose Ash, indicando la targhetta di un’altra stanza.

“Numeo… numero… caea… cam… came… numeo…”, s’impegnò Devon, mentre Ash chiudeva gli occhi, stanca.

“Camera 304, Ash”, spuntò Jo dal nulla, con un sorrisone rivolto sia alla ragazze che al bambino che aveva in braccio. “Ieri sera siamo andati al funerale e ci hanno dato le stanze, per quello lo so”.

“Tranquilla, non hai fatto nulla di grave. Anzi mi hai salvata”, rispose Ash, scompigliando i capelli biancastri della bambina e poggiandole il braccio libero attorno alla spalla.

“Che si fa oggi, cugina?”, chiese Jo, facendo sorridere Ash. Era da tanto che non si sentiva più chiamare cugina. Le faceva male, le ricordava Jade… ma era un grande piacere poter essere per Jo ciò che Jade era stata per lei.

“Vediamo che vogliono fare i grandi, ok?”, domandò Ash.

“Certo”, rispose la ragazzina, camminando spedita verso la camera dove ricordava fossero i genitori di Devon.

Ash la guardava sorridente, mentre Jo saltellava in giro per quei corridoi in cui anche lei, da piccola, aveva saltellato. Ma quando vide i suoi capelli bianchi, quella pelle pallida… come poteva essere vero?

Che non fosse figlia di entrambi i genitori di Jade? Impossibile, era identica a sua cugina e Jade era un mix di suo padre e sua madre.

Però erano rarissimi, quasi inesistenti o leggendari i casi di malati genetici ad Annwyn. Soprattutto se contraevano malattie Incomplete.

Arrivarono presto alla camera di Tomo e Vicky, così Jo bussò alla porta, molto educatamente.

“Ci siamo, ci siamo”, si sentì la voce di Tomo provenire da dietro la porta, mentre la maniglia si girava e mostrava il padre di Devon con i capelli un po’ alla rinfusa e, dietro di lui, una Vicki appena sveglia.

“Vi ho riportato il fuggitivo”, esordì Ash, mostrando ancora di più Devon, tra le sue braccia.

“Oh, ma dov’eri finito?!”, si alzò immediatamente Vicky, preoccupata. “Pensavo fosse a dormire nella piccola stanza che ci hanno dato…”.

“Non agitarti, era vagabondo nei corridoi, come anche Jo del resto. E puoi stare tranquilla, sono tutti sorvegliati nel migliore dei modi”, la calmò Ash.

“Io non ho visto niente e nessuno però”, si fece curioso Tomo. Anche Ash l’aveva fatto notare a Sorrow, tempo prima, e la ragazza ridacchiò al ricordo.

“L’essenziale è invisibile agli occhi, chitarrista”, citò la bionda, porgendo Devon a Vicki, che intanto li aveva raggiunti. Si mise a giocare con il figlio e Jo e rientrarono nella stanza, per stare comodi sul lettone.

“Allora… oggi altro giro?”, chiese Tomo, sorridendo.

“Come volete, oggi decidete voi”, diede libera scelta Ash. “Ma se volete possiamo anche tornare a casa”.

“A casa?”, domandò Vicki, alando la voce di qualche tono. “Cavolo, Tomo… il lavoro!”.

“Il disco!”, si piantò una mano sulla fronte il marito, che si scusò con Ash e corse per i corridoi, forse verso la stanza dei Leto.

Vicki intanto aveva abbandonato i bambini ai loro giochi e guardava davanti, completamente assente.

“Che succede?”, chiese Ash, un po’ preoccupata per la donna. “Vicki, che succede?”.

“Oh, Ash… è tutto andato a rotoli”, cominciò a piagnucolare inaspettatamente, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e coprendosi il volto con le mani.

Devon, a sentire la mamma piangere, s’intristì, ma Ash fece un segno a Jo per distrarlo, mentre lei la faceva uscire. “Andiamo a fare un giro in giardino, forza. Jo baderà a Devon”.

Vicki si fece trascinare all’aria aperta, per poi tirare su col naso e sedersi sulla prima panchina che trovarono. La bionda le si sedette a fianco, attendendo che parlasse per prima Vicki, lasciandole il suo tempo.

“Non è mai andato tutto rose e fiori, Ash…”, cominciò la donna, ancora singhiozzando. “Da quando ho cominciato a lavorare mi sento uno schifo come madre, non potevo tenere a bada Devon come vorrei.

“E no, non dirmi che non è vero, perché so di essere per Devon quello di cui ha bisogno. Ma io non voglio essere solo questo, voglio essere di più, voglio esserci sempre per lui.

“Questo mi fa sempre perdere la concentrazione e lavoro male, in più le occasioni di lavoro si stanno riducendo e non riesco mai a sostenere i tempi di consegna. Sono una frana…

“Però amo il mio lavoro e non vorrei mai abbandonarlo. Ne ho bisogno e… e ieri avevo questa importante cerimonia… e…”.

“E non ti sei presentata”, concluse Ash, senza però cattiveria. Era un dato di fatto.

“No… mi licenzieranno e nessuno più mi prenderà, ne sono certa”, abbassò il capo Vicki. “Ormai però è fatta, no? E’ inutile pensarci. Andrò a casa e lascerò il lavoro.

“Tomo ci mantiene tutti e tre in modo eccezionale e io voglio stare vicino a Devon giorno e notte visto quello che sta accadendo”.

“Quindi resterete nel mondo Incompleto? Anche perché Tomo deve lavorare, giusto?”, domandò Ash, chiedendosi quando li avrebbe rivisti, anche se fosse tornata anche lei. Ma sarebbe rimasta? Con tutta la pessima situazione con Natalie e quello che continuava a succedere all’asilo l’avrebbero riaccettata?

Certo, l’asilo era stato completamente risistemato, ma lei sapeva cos’era accaduto. Li avrebbe di nuovo messi tutti in pericolo?

Sì. Era egoista a dirlo, ma aveva bisogno di quel lavoro, di quei bambini.

“Ovviamente. Tomo ha la band, come anche i Leto; non possono abbandonare tutto. Vero anche che, nei giorni liberi, possiamo tornare qui, no?”, disse Vicki, più calma. “E appena Devon potrà, andrà a scuola”.

“Ci rivedremo ancora? Visto che non lo porterai più all’asilo, immagino che…”, chiese Ash.

“Ehi, finchè questa storia non sarà finita, noi ti terremo d’occhio giorno e notte. Anzi, verrai da noi anche a dormire, ti invito ufficialmente”, si offrì Vicki.

Oh merda, pensò Ash.

“Ehm… no dai, non vorrei disturbare… no, seriamente Vicki, sto bene nel mio appartamento e ora ci saranno guardie ovunque laggiù quindi staro bene”, si difese Ash. Appena vide Vicki annuire sospirò di sollievo. “Ma vi voglio vedere tutti i giorni”.

“Certamente… ma posso chiederti dove sei scappata ieri sera? Ti sei persa la cerimonia”, domandò Vicki, confusa.

Sono nella merda!, canticchiò ironicamente Ash, per poi pensare di dire una mezza verità.

“Dean. Ero da Dean in ospedale, e visto che sta per uscire sono stata da lui”, rispose pronta.

“Dean? Non sapevo avessi un ragazzo, credevo fos…”, incominciò Vicki.

“Cosa?! Ragazzo? Dean?”, scoppiò a ridere Ash. “No, ma figurati, è il mio migliore amico, praticamente un fratello…”. ‘A cui vuoi un bene dell’anima e provi per lui un sentimento che a volte molti scambiano per amore ma che entrambi dichiarate essere solo fidata amicizia, imbarazzati’, disse una voce nella sua testa.

Smettila, la intimidì Ash, per nulla convinta di quel ragionamento. Avanti, si stava parlando di Dean, Dean Scott!

La tua prima cotta. Era una bambina! Su, non traiamo conclusioni affrettate. Dean era suo fratello, punto e basta.

“Ah ok”, le rispose alla fine Vicki, anche se in realtà non era passato nemmeno mezzo minuto. Era come sollevata dalla notizia, come se potesse interessarle davvero o che fosse questione di vita o di morte. Bah…

“Quindi si parte?”, chiese Ash.

“Si parte!”, si asciugò gli occhi la mora, con un sorriso sincero.

 

“E così funziona in questo modo”, si guardò intorno Jared, quando scesero dal treno che li aveva riportati a Los Angeles.

Fortunatamente per loro, Ash aveva avuto il permesso di portarli nelle cabine, e non nascondersi, a patto che lei andasse sotto copertura, per sicurezza.

Appena usciti dalla stazione la ragazza si sentì osservata, ma vide delle guardie dell’Esis attorno a lei e si calmò. Quelle tornarono invisibili e continuarono a fare il loro lavoro.

“Già, funziona proprio così”, commentò la bionda, quasi sorridendo.

“Forte!”, esclamò Jo, facendo notare la sua presenza.

Sì, aveva fatto il viaggio con loro dopo un’ora e mezza di lamentele, come voglio stare con mia cugina per conoscerla meglio oppure non ci sono mai stata o anche Devon può andare!.

Insomma, aveva cinque anni ma era particolarmente sveglia quando si trattava di volere qualcosa.

Ash si voltò a sorriderle e le prese la mano, per tenerla sotto stretto controllo. Jo, intanto, si guardava in giro, completamente scioccata. Domandava a tutti cosa fosse ciò che vedeva e Tomo o Vicki le rispondevano contenti. Anche Shannon a volte s’intrometteva, ma rispondeva a tono, come a prenderla in giro per scherzare.

Jared, invece, li lasciava fare, godendosi il bentornato a casa, anche se alla fine non erano stati via molto.

“Ti manca così tanto Los Angeles dopo un giorno e mezzo?”, chiese Ash, avvicinandosi al Leto più piccolo, che si voltò a guardarla.

“Sono sempre stato male nei tour per la mancanza da casa, molto più di Shannon o Tomo. Non so, questo posto… mi sento completamente a mio agio, me stesso”, le cercò di spiegare Jared. “Non mi piace andare via, anche se devo”.

“A proposito, che punto siete con l’album?”, domandò Ash.

“Oh, buono. Dovremmo finire qualche particolare di una o due canzoni e poi registrare tutto perfettamente”, le rispose Jared. “Ma siamo alla fine di Settembre, abbiamo tutto il tempo”.

“Mi piacerebbe sentire qualche canzone”, sorrise la ragazza, mentre gli altri li chiamavano.

“Bè, resta con noi oggi”, le propose il cantante. “Torniamo a provare e tu stai con Vicki”.

Ash sembrò pensarci, ma prima che potesse dire nulla erano arrivati a destinazione. Li avevano portati in un bar per fare un pranzo un po’ decente, anche se avevano comunque fatto colazione ad Annwyn.

Si sedettero con i loro amici e i musicisti cominciarono a parlocchiare, mentre Vicki intratteneva i più piccoli. Ash cominciò a dondolarsi sulla sedia e aspettò di poter ordinare.

“Sì, dai, vieni da noi oggi”, disse ad un tratto Shannon, sorridendole sincero. “Sarà divertente!”.

“Concordo, Jared ha avuto una brillante idea”, lo seguì a ruota Tomo, che dovette anche spiegare di cosa stessero parlando alla povera Vicki. Alla fine anche lei la reputò una grande proposta, quindi Ash fu praticamente obbligata ad accettare, anche se non era una così grande sfortuna.

Ordinarono, mangiarono e fecero un po’ di conversazione – non su Annwyn, visto che qualcuno avrebbero potuto sentirli – per poi decidere che era arrivato il momento di tornare a casa Leto.

Vicki prese in braccio Devon, mentre Ash si faceva seguire ovunque da Jo, e cominciò a fare strada, visto che non erano molto lontani. Il problema nacque quando dovettero prendere la metro.

“Io non ci entro, non vado sotto terra”, piagnucolò Jo, a vedere il sottopassaggio. “Non sono un hurko, non ci vado”.

“Un che?”, chiese Shannon, confuso.

“Una specie di talpa, lascia perdere”, gli rispose Ash, di fretta, per poi tornare da Jo. Si accucciò davanti a lei e le parlò in modo dolce. “Non ti succederà nulla, è tutto sotto controllo, laggiù. Ci passano centinaia di persone al giorno e arriveremo in fretta a casa”.

“Lo sai quanto va veloce la metro? Gira tutta Los Angeles in mezz’ora e con questa puoi andare d’ovunque in città”, la spronò Vicki, con Devon sorridente. “Ci ho portato Devon molte volte; è divertente”.

Jo sembrava quasi convinta, ma ancora non riusciva  a muoversi.

“Se vieni con me ti dedico una canzone”, parlò Jared, facendole illuminare gli occhi.

“Davvero? A me?”, chiese Jo, muovendosi verso di lui, mentre le tendeva la mano.

“Certamente. Ma per farlo dobbiamo tornare a casa a prendere gli strumenti in fretta, quindi ci serve la metro”, le disse il cantante, facendola annuire, sotto lo sguardo scioccato dei presenti. “Allora, andiamo?”.

“O-ok-okay”, balbettò Jo, facendo qualche scalino incerto, stringendo forte la mano di Jared. Lui camminava tranquillo al suo fianco, reggendola per toglierle la paura.

Ash li guardò storto, quasi stupita, ma poi sorrise e lì seguì, come il resto della banda.

Pagarono i biglietti e andarono a prendere la metro, che giunse appena arrivarono. Jared fece saltare Jo sulla metro e la fece sedere sulle sue gambe magroline quando furono a bordo, mentre Vicki dondolava Devon, di fianco a Tomo, per farlo addormentare.

Ash era davanti a Jared, tenendo sotto controllo Jo, mentre Shannon era seduto al loro fianco.

“Oh ma che carina”, arrivò una ragazza di fianco a loro, indicando Jo seduta su Jared, giocherellando. “Le somiglia molto di viso, sa?”.

“Cosa?”, chiese Jared, stupito.

“Sì, a sua moglie”, si spiegò la giovane, facendo scoppiare a ridere Shannon, che però si trattenne appena Jared gli diede una gomitata nel fianco.

“No, no, no, no, no, no. Noi non siamo sposati, nemmeno fidanzati, no”, disse Ash, gesticolando con le mani in segno di rifiuto. “No, no, questa è mia cugina. No, no, non è nostra figlia, no. Decisamente no”.

“Oh, mi scusi… che figura”, sorrise la ragazza, per poi salutare Jo, gentile, e andare via.

“Wow… ben tredici no. Questo sì che vuol dire essere rifiutati”, commentò Jared, smettendo di far giocare Jo, che lo guardò strana. Ash capì che ciò che aveva detto non doveva essergli piaciuto così tanto, detto in quel modo soprattutto. Non disse niente, però; lo lasciò sbollire per qualche minuto, per poi tornare a giocare con sua cugina.

Jared teneva davvero così tanto a lei da sentirsi male al pensiero di essere rifiutato? Al pensiero di non essere desiderato come il marito di qualcuno?

Ash si voltò, vedendo Vicki e Tomo sorridere tra di loro, mentre Devon dormiva. Non si dicevano niente, ma i loro sguardi mostravano ciò che si stavano scambiando, in realtà: amore. Tanto amore. Così forte da superare ogni barriera.

Lei aveva mai avuto quello sguardo? Lo avrebbe mai avuto?

E con chi sarebbe successo?

 

Due accordi e Jo era già innamorata.

Erano bastati due accordi semplicissimi per far cadere Jo ai piedi di Jared, che rideva fiero di se stesso, anche se in realtà non aveva fatto nulla.

Non voleva metterci grandi testi, nella canzoncina per Jo, ma lasciò che le mani andassero per conto loro sul mani e sulla cassa, producendo un suono nuovo, diverso da tutti gli altri che aveva mai suonato.

Ash stava lì ad ascoltarlo, mentre gli altri se n’erano andati a prendere qualcosa da bere, lasciandoli da soli. La ragazza guardava le mani di Jared muoversi sullo strumento in un modo così leggero da ipnotizzarla. Anche lei sapeva suonare, ma solo con la magia; non sarebbe mai riuscita ad imparare tutti quei movimenti senza.

Per questo motivo amava stare con gli Incompleti: erano sempre stati bravi in tutto, riuscendo a rimpiazzare la magia che non avevano con talenti naturali o congegni inventati di sana pianta. Erano davvero ingegnosi.

“Forse un giorno ti insegnerò a suonarla, ok?”, propose a Jo il cantante, fermandosi di suonare.

“Sarebbe stupendo”, si lasciò ammaliare la bambina, guardando lo strumento tra le braccia di Jared.

“Sono sicura che riuscirai a diventare brava quanto lui”, lo prese in giro Ash, accucciandosi per raggiungere l’altezza di Jo. Jared sbuffò e poi si mise a ridere, vedendo arrivare Devon.

Correva sbilenco, con un sorrisone in faccia, seguito poi dai grandi. Vicki aveva in mano un vassoio con dei bicchieri e delle bibite, così da potersi servire da soli quello che si voleva.

Jared passò e non prese nulla, andando poi fuori dal Lab e stando sul bordo della sua bella piscina che usava anche poco sfortunatamente. Camminava attento ai lati, in bilico, come un bambino divertito, e guardava il vuoto con occhi vitrei.

Com’era cambiata la sua vita in quelle poche settimane?

Si ritrovò a pensare a tutto quello che gli era successo dalla prima volta che Vicki e Tomo avevano portato Devon all’asilo e milioni di immagini si stamparono nella sua testa.

Il suo modo di vivere era cambiato.

Il suo modo di pensare e tutte le sue convinzioni erano cambiate.

La sua intera esistenza, con tanto di antenati e storia, era cambiato.

Sapeva a malapena chi fosse, in quel momento. Aveva quarantun’anni e si sentiva un ragazzino di tredici, alle prese dei primi dubbi sulla propria personalità.

Aveva paura di perdersi, di no capire più cosa fosse giusto fare o chi fosse giusto essere. Era possibile?

“Cosa succederà ora?”, sentì la voce di suo fratello, facendolo voltare di scatto.

Shannon era seduto sul bordo della piscina, con i piedi ammollo e la testa rivolta verso il sole, quasi volesse abbronzarsi. Quando Jared si avvicinò, suo fratello lo guardò sorridente, senza dire una parola, per pochi attimi.

“Voglio dire… che si fa  ora? Si ritorna agli album, ai tour, alla vita normale? E magari qualche volta si va ad Annwyn tanto per passare il tempo?”, chiese ancora.

“Che vorresti fare, se non questo? Io non abbandono la musica o la vita che abbiamo costruito, Shan”, disse Jared, non capendo dove il fratello volesse arrivare.

“Lo so, lo so, nemmeno io. Ma… ma come la  mettiamo con questo mondo che sembra ospitare tutta la nostra storia? Se ci pensi… se papà fosse rimasto lì ora saremmo compari di Ash, vivendo in quella cittadina, facendo magie e cavalcando ippogrifi come se fosse normale”, spiegò meglio il batterista. “Io non voglio nemmeno abbandonare questo nuovo mondo. Voglio capire quanto e cosa di Annwyn sia rimasto dentro di me, dentro di noi. Voglio sapere se c’è un modo per essere parte questo mondo antico quanto quello in cui viviamo”.

“Ma senza lasciare i 30 Seconds To Mars, no?”, si spaventò Jared, preoccupato di dover perdere tutto per il suo passato.

“Te l’ho detto: non ho intenzione di finirla con la band. Se voglio esplorare questo nuovo mondo, prima devo finire di scoprire quello in cui sono nato”, sorrise.

“Concordo”, lo imitò Jared, porgendogli una mano e aiutando il fratello a rimettersi in piedi.

“Troia!”, si sentì urlare dall’interno del Lab, improvvisamente, mentre Shannon si stava sistemando. Un brivido percorse la schiena di entrambi i Leto, riconoscendo perfettamente la voce e anche il tono.

Poteva essere solo una persona.

Emma.

 

“E così te la fai con un mostro?”, urlò la donna, appena vide Jared e Shannon entrare nella stanza dove si trovava il resto della compagnia.

Vicki stava appoggiata al muro, fissando cattiva – anche lei stavolta – la figura di Emma. Tomo aveva in braccio Devon e provava a calmarlo, visto che si era spaventato per l’urlo della segretaria. Jo si teneva stretta per le gambe di Ash, impaurita. E Ash, alla fine, stava in piedi davanti alla segretaria, decisa e senza la minima paura nel volto. Anzi, era piuttosto combattiva e sembrava volesse sfidarla.

“Per fortuna non dovevi dirlo a nessuno, Jared”, lo accusò subito, con un sorriso sghembo che fece uscire dai gangheri Emma.

“Non sa un cazzo, ha solo sentito due frasi e le ha messe insieme nel modo più assurdo che il suo povero cervellino potesse fare”, la prese per il culo Shannon, ancora arrabbiato per la loro storia. “Ora che hai tutto il tempo libero  hai coltivato l’hobby di spaccare le palle alla gente?”.

“Oh, ma vattene a fanculo, Shannon. Chi cazzo è questa, si può sapere?”, domandò la bionda tinta, indicando Ash, sprezzante.

“E’ la maestra di Devon, l’ho invitata io perché ci sentisse suonare”, s’intromise Jared. “E prova a ridarle della troia e ti bandisco da questa casa”.

“Dimmi solo che cazzo è? Perché è così speciale da inserirla nel vostro gruppo, eh? Che cazzo sta succedendo?”, continuò a chiedere, senza che nessuno le desse risposta.

“Una persona migliore di te”, finì Shannon. “Ed ora fuori di qui”.


...
Note dell'autrice:
mi scuso immensamente ancora per il tragico ritardo, sul serio, mi dispiace, non accadrà piu lo giuro. Piccoli ritardi forse ce ne saranno ma di qualche giorno, NON mesi o settimane. NO.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io adoro il funerale di Sorrow, non so perchè. 
Grazie ancora, infinitamente!
Ronnie02

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Capitolo 23
*** There Was A Time ***


Allora gente. Scusatemi. 
No davvero sono una merda. Il problema è che la scuola mi assale. E' la quinta ed ho molto meno tempo di quanto già pensassi. In più sto rileggendo Harry Potter + un libro mio di mitologia + il libro che porto alla tesina + i libri che devo portare PER la tesina come collegamento.
Tutto questo nel poco tempo libero che ho. Di solito scrivo di sera, ma da due anni ho gli incubi e la giornata mi stressa, quindi dormo presto e non riesco a scrivere.
Gli aggiornamenti quindi si dilungheranno un pò.
Scusate, davvero. Seriamente. 
Però non posso fare altro, spero solo di finire di leggere in fretta (sto finendo quasi tutto quindi un mese e torno libera) e poi ricomincio.
Grazie per l'attesa, per chi aspetta e aspetterà.
O anche chi non lo farà o non lo fa. Va bene lo stesso :D

Buona lettura


 
Capitolo 23. There was a time




 
Jared andò a portare fuori Emma in fretta, non parlandole e lanciandole solo sguardi omicidi. Non poteva sopportare nemmeno di guardarla.
“Voglio solo capire che cos’è”, piagnucolò la donna, appena fuori dall’uscio della villa dei Leto. “Insomma, Jared, capiscimi! Qualche giorno fa vi sento parlare di lei come una strega e ora entro in casa vostra e vedo delle luci nella sua mani, come anche in quelle di Devon. Che significa?”.
“Te lo terrai per te? Non lo dirai mai a nessuno?”, le domandò Jared, seriamente, per la prima volta in vita sua.
“Certamente”, annuì Emma, davanti alla porta. “Te lo giuro, non dirò mai niente a nessuno”.
“Bene, allora puoi anche andare”, la spinse fuori Jared, mentre Emma sgranava gli occhi, confusa.
“Che intendi dire? Avevi detto che…”, cercò di fermarsi, mentre Jared giù aveva una mano sulla porta, per chiuderla.
“Ash Connor è la ragazza più bella, intelligente, simpatica, dolce, perfetta e, soprattutto, vera che abbia mai conosciuto, e non ammetto che venga definita ‘troia’ o ‘mostro’ da una come te, chiaro?”, si spiegò meglio il cantante. “E ora fuori di qui”.
“Ti sei innamorato, Leto?”, chiese Emma, fermando la porta con un piede. “Dicevo anche io le stesse cose su tuo fratello all’inizio, ed ero davvero innamorata”.
“Ora però non le diresti più, no?”, concluse Jared. Lei scosse la testa e abbassò gli occhi, così Jared colse l’occasione giusta per cacciarla. “E comunque, per quanto mi possa piacere Ash, non è quella adatta a me”.
 
Jared si guardò intorno, con la schiena contro la porta, prima di tornare indietro dagli altri. Che aveva appena fatto? Aveva davvero appena ammesso davanti a Emma – voglio dire, davanti a Emma! – di essere anche solo un po’ innamorato perso di Ash?
Insomma, non era possibile, il suo unico e vero scopo era stato portarsela a letto, fin dal principio!
Bè, in effetti questo scopo era durato ben poco, visto che poi tutta la situazione si è rivolta verso la natura della ragazza.
Ma ora che sapeva tutto? Si era affezionato tanto da voler rinunciare ad una notte di sesso sfrenato solo per non farla soffrire?
O si era… innamorato?
Jared chiuse un attimo gli occhi, stringendoli forte. No, Jared Leto non si innamorava, non più. Dopo la delusione di Cameron aveva giurato al mondo e al suo cuore di non innamorarsi più, di non provare mai più quel sentimento orribile di abbandono che comincia ad arrivare quando le cose vanno male. E nel suo caso, andavano sempre male.
In più… andiamo, Ash Connor? Ash Connor, la maga? La ragazza del mondo parallelo di cui facevano parte i suoi antenati, di cui uno è un pazzo furioso e pure assassino?
Sul serio Ash Connor?! Quella Ash Connor?!
“Va tutto bene?”, sentì una voce davanti a lui e, mentre apriva gli occhi, vide proprio Ash Connor.
Gli sorrideva, inclinando la testa un po’ di lato, come se fosse confusa, con i capelli biondi e blu che le ricadevano verso il basso. Jared sgranò gli occhi e poi provò a ricomporsi.
No, no, no, no, no, no. Non esiste, non poteva stare con Ash, non poteva innamorarsi di nessuna, era chiuso l’argomento, doveva dimenticare questi pensieri.
Si rimise a posto e provò con un sorriso, che in realtà alla ragazza parve una smorfia uscita anche male. “Sì, tutto perfetto, tutto regolare. Vado a provare con i ragazzi, se vuoi fai un giro con Vicki, Devon e Jo, sono sicuro che apprezzerebbero”.
“In realtà stavamo proprio per andare a passeggiare per lasciarvi suonare…”, scoppiò a ridere. “Ma torniamo prima di cena, Zoe ci vuole al quartier generale. Tutti quanti”.
Lui annuì e la sorpasso, senza interessarsi della notizia. Quel mondo l’avrebbe stressato ancora di più di quanto già non fosse, mamma mia.
La lasciò andare con Vicki, che incontrò mentre si dirigeva verso il Lab, e continuò la sua camminata verso i suoi compagni. La stanza dove prima Emma aveva fatto la sua scenata era praticamente vuota, se non fosse che Tomo stava registrando un pezzo di canzone, per finirla del tutto, e che Shannon stava battendo le mani sul tavolino davanti al sofà a ritmo.
I bambini erano scomparsi, le donne pure. Gli sembrava di essere tornato a prima che Tomo si sposasse, oppure agli inizi, quando c’era anche Solon e Matt.
“Hey, bro. Che succede?”, chiese Shannon, appena si sedette accanto a lui. Smise di suonare quella pseudo-batteria che era il tavolo e si voltò verso il fratello.
Jared scosse la testa, come se fosse stanco. Non aveva voglia di parlarne. Era inutile, poi. Doveva solo levarsi dalla testa quello stupido sentimento e poi sarebbe tornato lo stesso di sempre.
“Quante canzoni mancano?”, domandò il cantante, appena Tomo esultò per la sua perfetta riuscita.
Shannon scosse le spalle. “Non molte. Due o tre da ritoccare e una o due da finire. Siamo in perfetto orario anche dopo tutto questo casino”.
“Perfetto”, commentò Jared, ma nessuno gli diede davvero ascolto visto che Tomo e Shannon si stavano scambiando di posto. Il croato si mise di fianco a Jared, mentre Shannon si rinchiuse dentro la sala di registrazione, dove cominciò a scatenarsi senza che loro sentissero nulla.
“Sputi il rospo o rimarrai seduto qui come un’ameba senza fare nulla?”, cominciò Tomo, sorridendo. Jared lo guardò curioso, cercando di capire che volesse dire con quella frase. “Oh, andiamo! Sei uscito da questa stanza con Emma mezzo furioso, hai incontrato Vicki e Ash nel frattempo e sei tornato come uno zombie impaurito. Deve pur essere successo qualcosa!”.
“Non è successo niente, Tomo, sul serio. Sono solo stanco di tutta questa storia, in questo momento vorrei solo tornare alla semplicità e all’ignoranza del resto del mondo”, rispose Jared. Anche per evitare di innamorarmi di una strega che non mi vorrà mai… e avevo pure promesso a me stesso di non farmi più una cosa del genere. Sono un idiota, già, pensò poi mentalmente.
“E’ vero… ma alla fine è bello, no? Insomma abbiamo scoperto che non siamo i soli in questo dannato universo, abbiamo ribaltato le leggi del mondo, abbiamo saputo da dove viene la tua famiglia, abbiamo visto cose che nessun altro ha mai visto…. Non possiamo dire nulla, certo, ma questo cambia tutte le carte in tavola”, sorrise Tomo. “Pensa a tutte le canzoni che quel posto ci ispirerà. Pensa a tutte le avventure che vivremo, saltellando da un posto all’altro.
“Certo, sarà sfiancante, ma ormai cosa ci può fermare? Siamo stati in tour due anni, questa sarà una passeggiata. Sono sicuro che questo è un nuovo inizio, ma di cui non ci stancheremo mai”.
“Sempre il solito saggio, tu”, ridacchiò Jared.
“Ovviamente”, fece il belloccio Tomo, per poi scoppiare a ridere, non essendo per niente credibile.
“E comunque… oggi pomeriggio dove dobbiamo andare?”, chiese Jared, anche se gliel’aveva già detto Ash poco tempo prima. La sua memoria in quei giorni stava davvero cadendo a pezzi.
“All’Esis. A quanto pare Ash è davvero sorvegliata ovunque, e quindi hanno scoperto che Emma sa qualcosa. Vogliono solo parlare con noi e Ash per capire come risolvere la situazione”, lo informò di nuovo Tomo.
“Wow… sono emozionato”, commentò Jared.
“Sì, guarda… non vedo l’ora”, se ne uscì Shannon, spuntando dal nulla e spaventando entrambi.
 
“Sempre i soliti guastafeste”, borbottava Zoe in continuazione, mentre faceva strada. Era la prima del gruppo, mentre Ash stava in fondo, senza dire una parola. In mezzo, i ragazzi stavano parlocchiando di dove potessero star andando, mentre Vicki giocherellava con Jo e Devon, che erano venuti con loro.
Jared, vedendo la bionda stringersi le braccia attorno al petto, nervosa, si rallentò per andarle a fianco. Lei si voltò verso di lui e gli fece un sorriso, per poi riabbassare lo sguardo.
“Qualcosa non va?”, chiese il cantante. “Sembri a terra”.
“Mi stavo solo rendendo conto di una cosa…”, commentò vaga, senza staccare gli occhi dal pavimento.
“Ovvero?”, la spronò a parlare Jared, ruotando la testa.
Ash alzò il viso di scatto, fermandosi sul posto. Jared la imitò, lasciando che gli altri andassero avanti senza di loro. La ragazza lo guardava in modo strano, tra l’addolorato e il pazzo.
“Sai quanta gente è morta per me, Jared Leto?”, incominciò, con voce grave. “Sai cosa vuol dire avere sulle spalle la vita spezzata di tutte quelle persone? Sai che cosa si prova a sapere che, se tu non fossi mai esistita, loro ora sarebbero ancora felici, vive e sane? Sai perché amo vivere tra gli Incompleti? Sai quanto mi piacerebbe essere una di loro?”.
Jared, vedendola perdere le staffe, abbassò la testa, dicendo solo: “No”.
“Già… non lo sai e non puoi saperlo”, tirò su col naso la ragazza. “E nessuno può. Nessuno”. Chiuse gli occhi per un momento e poi si toccò le tasche posteriori dei pantaloni. Gli mostrò le mani e in esse Jared scorse una piccola arma mai vista: aveva l’impugnatura simile a quella di una pistola, ma era un coltello a doppia lama, seghettata. Decisamente molto pericolosa. “Prendila e fammi fuori, Jared. Sarebbe meglio per tutti e voglio che sia tu a farlo… mi fido solo di te in questo momento”.
“Cosa?! Ash, tu sei matta!”, si spaventò Jared, allontanando la mano della maga. “Non risolvi nulla morendo!”.
“Invece risolverei tutto, Jared!”, urlò la ragazza, ficcando l’arma in mano a Jared. “Pugnalami e uccidimi! Lui non vuole altro che il mio sangue, il mio cuore. Se muoio non lo avrà mai e morirà con me!”.
“Ucciderà altre persone se non lo fermiamo; e perdere te vorrebbe dire peggiorare la situazione”, provò a fermarla il cantante.
“NON VUOLE LE ALTRE PERSONE, VUOLE ME!”, gridò Ash, mettendosi le mani sul volto, quasi a nascondersi, per poi farsi vedere tra le lacrime. “Jared, davvero non capisci? Senza di me, senza il mio cuore o il mio sangue caldo, Lui muore.  MUORE!”.
“Perché? Perché dovrebbe?”, domandò Jared.
“Perché il mio sangue è l’unica cosa che lo farebbe vivere in eterno. E solo il mio potrà renderlo immortale… se io muoio Lui finirà per impazzire di rabbia, tanto da essere abbastanza pazzo da poter essere ucciso facilmente”, spiegò Ash. “Uccidimi, Jared. Piantami quel cazzo di coltello nel cuore. Ora!”.
Jared la guardò, in lacrime e davanti a lui, e ripensò a ciò che aveva detto Emma. Era sempre Ash, ma non la vedeva come la ragazza di cui innamorarsi… era una piccola dolce bambina indifesa, vittima di una vita orribile, che lui doveva difendere a tutti i costi.
Ash sarebbe sempre e solo stato questo per Jared. La sua anima da proteggere… neanche fosse un angelo custode!
 “Jared… ti prego, uccidimi… ti supplico”, sussurrò ancora Ash, guardandolo negli occhi azzurri.
Ghiaccio contro mare.
“No”, decretò lui, lanciando lontano il coltello e afferrandola con forza, per stringerla in un forte abbraccio, senza farla andare via. Ash provò a dimenarsi, ma poi lo lasciò fare, piangendo un po’ contro la sua camicia.
“Ho rovinato la vita a mezzo mondo di Annwyn solo per il fatto di avere quel dannato paio d…”, pianse, ma si fermò di scatto, senza finire la frase.
Jared la guardò curioso, allentando la presa, dalla quale lei si staccò velocemente per correre via, verso gli altri.
“Muoviti o ci daranno per dispersi”, disse, semplicemente, come se non fosse successo nulla.
Jared guardò quella specie di coltello, se lo mise in tasca e cominciò a seguirla, andando nella direzione che avevano preso gli altri.
“Che stavi dicendo prima?!”, la interrogò, mentre lei aumentava sempre di più la velocità, tanto che a Jared pareva di cominciare quasi a correre.
“Niente d’importante”, lo liquidò lei.
“A me non sembrava. Anzi doveva essere proprio l’indizio principale per capire a fondo tutta questa storia. O sbaglio?”, continuò lui, stando al passo sempre più veloce della ragazza.
“Non era niente d’importante”, ripeté lei, non guardandolo.
“Oh avanti, non può essere così brutta come notizia, Ash! Dopo che ho scoperto che sei una strega che altro può scalfirmi?”, le domandò Jared. “Avanti, dimmelo!”.
“Niente d’importante, Jared!”, urlò Ash, fermandosi davanti ad una porta, da dove provenivano dei brusii, che finirono appena la ragazza gridò. “Smettila! Dobbiamo entrare…”.
E così fecero, lasciando perdere il precedente discorso per andare a convincere la Resistenza che Emma era innocua.
 
“Le farà male?”, chiese Shannon, nel giardino dell’Esis, guardando Ash un po’ triste. Alla fine lo capivano, era preoccupato sebbene fosse piuttosto arrabbiato con lei.
“No, non sentirà nulla. La stordiranno e le toglieranno tutti i ricordi che può avere sulla magia. Il resto resterà intatto e lei non avrà nessuna controindicazione, se non un leggero mal di testa per qualche giorno”, spiegò Ash, facendolo calmare. “E’ una magia facile, s’impara al sesto anno di scuola, niente di trascendentale”.
“Bene, allora direi che è a posto. Quando le toglieranno la memoria?”, domandò Tomo.
“Stasera, ma voi non andrete a trovarla… potreste peggiorare i giramenti di testa e non è consigliato”, continuò la strega, mentre Jo cominciò ad attirare la sua attenzione, dopo aver giocato un po’ con Devon.
“Mamma mi ha dato qualcosa per te”, le disse innocentemente, facendo sgranare gli occhi alla cugina grande, che scosse la testa più volte.
“Cosa?!”, gracchiò Ash, sorpresa.
“Mi ero dimenticata… ma mamma, prima di lasciarmi a scuola, mi ha dato una cosa per te”, le spiegò la bambina.
“Che cosa?”, domandò Ash, mentre tutti gli altri guardavano la scena con attenzione.
Jo prese la mano della cugina e la spinse verso l’edificio, seguita da tutti gli altri, andando di fretta, usando tutta l’energia che le sue gambe riuscivano a trovare.
Shannon guardò suo fratello e il suo compare curioso, ma nemmeno loro seppero trovare una risposta alla situazione. Vicki provava a farsi dire qualcosa da Devon, ma anche lui, per una volta da quando aveva pronunciato la prima parola, non aveva nulla da dire. Se ne stava in braccio a sua madre, senza dare il minimo segno d’interessamento alla vicenda.
Forse era stanco per aver giocato con Jo, ma erano rari i momenti in cui Devon non sembrava quasi iperattivo.
La bambina li fece salire ai dormitori e li fece entrare nella sua piccola stanza, che era piena di mobili, colorata di un azzurro mare intenso.
“Era la mia camera… la camera che mi avevano dato dopo…”, sussurrò Ash, non finendo la frase, persa nei ricordi. Fece un giro su se stessa, mentre Jo cercava qualcosa, e rivedeva in ogni mobile un momento della sua permanenza lì.
Il colore lo aveva scelto lei, per ricordarsi di suo padre, che amava portarla al mare di Los Angeles quando nessuno poteva vederli. Le infondeva pace e serenità; cose che difficilmente riusciva a trovare al di fuori di quella stanza.
I mobili li avevano scelti i ragazzi della squadra che la teneva sotto controllo da piccola. Ricordava tutti i momenti passati con tutti quei pazzi e tutte quelle ragazze dolcissime… era come tornare indietro nel tempo.
Ma poi, nella sua testa, uno ad uno i componenti di quel team caddero a terra, morti e insanguinati, sul quello stesso pavimento dove giocavano con lei.
Ash chiuse gli occhi, cascando come loro sulle ginocchia, senza alcun preavviso. Sentiva le mani di Jared, lunghe e affusolate, sulle sue braccia, e quelle di Shannon, tozze e callose per via delle bacchette, che le toccavano il viso e la fronte, per vedere se stava bene.
Aprì gli occhi e vide davanti a sé gli occhi marroni, tendenti al verde, di Shannon, e provò a parlare.
“Voglio… Jo… Jo, che hai per me?”, disse, facendosi aiutare a sedersi su quel letto che tanti ricordi le riportava alla mente.
La bambina si fece largo tra i due Leto, che tenevano d’occhio la ragazza, e consegnò alla cugina un pacchetto. Era grande quanto un quaderno, ma molto più alto, avvolto con carta marrone e chiuso da una piccola cordicella colorata. Sul davanti erano scritte solo le parole “Jade’s Diary”.
 
 
22 Aprile
 
Caro diario,
oggi è stata una giornata un po’ strana. Ash è venuta da noi e sono abbastanza certa che rimarrà qui per un bel po’. Non che mi dispiaccia, adoro mia cugina, ma ho paura per lei.
Che le dirò quando capirà che sua mamma e suo papà non torneranno a prenderla?
Non lo so, penso che mi toccherà specializzarmi in improvvisazione e vedere cosa riesco a produrre al momento.
In fin dei conti però, non è male come cosa. Potrò tenerla d’occhio e non può che farmi piacere. Ash è una così grande carica di magia ed energia che ti rende migliore la giornata solo vedendola ridere qualche secondo.
Non avevo mai visto una tale potenza e allegria concentrata in una sola persona, e perfino così piccola! Sarà molto amata da grande, ne sono certa, e diventerà anche una strega con enormi qualità. Tutti si ricorderanno il suo nome, prima o poi.
E io spero solo che lei si ricordi di me. Mi basta anche solo un piccolo ricordo, per tutto l’amore che continuerò sempre ad offrirle, senza alcuno sforzo.
Sono certa che la Arrant sarà ben lieta di accoglierla.
E a proposito di Arrant! Non sai che cos’è successo a scuola, l’ultimo giorno, prima delle vacanze pasquali! E’ stata la cosa più divertente di tutto l’universo.
Questo scherzo rimarrà nella storia di Annwyn, te lo dico io, caro diario. Io e i ragazzi siamo la squadra migliore di tutto l’universo sotto questo punto di vista.
Non sto qui a raccontarti i dettagli, tanto non sono importanti: ti basti sapere che, per una volta nella vita, abbiamo deciso di risparmiare quel povero sfigato di Leto per darci ad altre prede, ma non per questo saremo più buoni!
Non vogliamo essere stronzi o cattivi, lo sai… ma, sai, quando si tratta di scherzi il nostro DNA freme dalla voglia di organizzare qualcosa. E’ più forte di noi, che ci possiamo fare!
Stavolta il nostro aiuto dal’esterno sarà Yal, quello del quinto anno, abbastanza bravo a mutare per sembrare simile al professore di Astronomia. Riusciremo nella nostra impresa?
Portami buona fortuna, caro diario, anche se ovviamente la nostra bravura già potrebbe bastare. Ma lo sai, male non fa!
Ti aggiornerò poi sul resoconto dello scherzo e su quello che combina Ash a casa… tanto è vacanza, posso scrivere quanto, quando e come voglio!
Jade
 
 
18 maggio
 
Caro diario,
quanto tempo! No, in verità ti ho scritto, ma su altre pagine che poi infilerò qui dentro, tanto non cambia nulla. Sei contento? Cresci sempre di più, c’è da andarne fieri!
Comunque… qui la vita procede abbastanza bene. Il gruppo domani viene a trovarmi a casa, così potranno conoscere Ash. So già che le insegneranno tanti di quegli incantesimi per scherzare che, poverina, ne uscirà con la testa dolorante.
Provvederò a salvarla, anche se una buona dose di queste lezioni non le fanno che bene.
E…. sai chi ho visto ieri, in piazza? Ahah, Leto!
Poverino, andava in giro con i suoi, ma sembravano un po’ troppo sospetti, soli soletti a camminare… bah, saranno in crisi per il fratello Mancato.
Ecco, di lui mi dispiace. Non ricordo il suo nome, ma ci ho parlato parecchie volte, mi sono pure offerta di fargli ripetizioni, prima di scoprire che, ovviamente, erano inutili.
Perché proprio il Leto simpatico doveva essere un Mancato? Non poteva esserlo quel rompiscatole mezzo scemo di Dennis? Almeno non avremmo dovuto impegnarci tanto sui suoi scherzi, la nostra vita sarebbe stata molto più semplice… anche se devo ammettere che prendere in giro Leto mago ha il suo perché! Come faremmo senza?
Già, gli vogliamo tanto bene, come puoi notare…
Oh, ecco, è arrivata una lettera di quei pazzi fuoriosi. Wow, parli di Leto e… si programma già un nuovo scherzo. Bello, mi piace. È complesso ma ci si può facilmente sistemare.
Vedremo di non sbagliare nulla.
Sarà molto divertente!
Jade
 
 
6 agosto
 
Caro diario, questo è solo un appunto. Ho altri fogli e li porterò con me in vacanza con gli altri… non vorrei mai che ti perdessi in giro. Sai come sono quei pazzi, potrebbero anche lanciarti in acqua e perderti per sempre.
‘Sti stronzi!
No, non può accadere.
Ti riempirò appena torno.
Per ora devi solo sapere che lo scherzo più epico ai danni di Dennis Adam Leto è programmato per i primi giorni dopo il ritorno alla Arrant, tanto per cominciare bene l’anno scolastico, no?
Bè, dimmi almeno buona fortuna. Stavolta serve, è davvero difficile, sai?
Ma vedrai che saremo troppo bravi e riusciremo anche in quest’impresa!
Jade
 
 
31 ottobre
 
Merda, caro diario. Siamo completamente nella merda.
E’ andato tutto a puttane, l’incantesimo era troppo potente e nessuno di noi è riuscito a fermarlo appena abbiamo capito la sua potenza. I nostri poteri, mescolati insieme, hanno fatto anche peggio.
Leto è in infermeria da quattro giorni, stasera lo poteranno al Lightness. Sono stata sospesa dalle lezioni, come gli altri, per due settimane, ma nessuno ha il coraggio di dirci quello che realmente abbiamo fatto.
Nemmeno noi ci rendiamo conto.
Ho paura. Paura che muoia, per la prima volta nella mia vita. Ho paura che quel maledetto sfigato mi trascini lontano da qui per colpa di uno stupido scherzo che lui stesso ha aumentato, non ascoltandoci.
Abbiamo provato a sistemarlo, ma lui continuava a fare altro, a lanciare incantesimi e facendosi ancora più male.
Come finirà, caro diario?
Come potrò prendermi cura di Ash se mi sbattono a Katachtho? Ho paura, caro diario... che mi succederà ora?
Jade
 
 
25 gennaio
 
E’ tornato… è tornato e Dio solo sa come. E’ tornato, caro diario. Quel cazzo di un fottuto Leto è resuscitato o quello che è… era morto stecchito fino a qualche settimana fa. Ed ora?
Ora Kate e Logan – che Dio li salvi –  sono stati ritrovati morti e William è scomparso, senza lasciare nessuno straccio di traccia. Vuole me, ora, ne sono certa! Dannato, vuole vendicarsi su di me adesso!
E so che è lui… quelle a sul collo delle vittime possono solo essere sue. Lui, fanatico di libri e di storia antica… quel mito di Namel, ecco da dove arriva la sua furia omicida.
Namel, tradito e mezzo ucciso dalla sua mezza umana Diriade, è il suo alterego. Leto, preso in giro e, a quanto pare, non del tutto ucciso da noi, ora vuole essere simile al mito che ha fondato la nostra società.
Vuole morte.
La mia morte.
Mamma, impaurita dalle mie ipotesi, se n’è andata, lasciandoci in una casa sperduta nell’universo, lontano da tutto e tutti. Spero che Leto non mi trovi ma so che lo farà.
E Ash è con me, non se la sono portata dietro, al sicuro.
Quel piccolo fagotto di bambina è qui con me e non ho la minima idea di come fare a proteggerla.
Come, come, caro diario, come?
Ho paura, ancora una volta. Ma non per me, so che morirò. Ho paura per Ash.
Ho paura che il suo dono venga ridotto in cenere, o peggio che le sia strappato via per usi meschini.
È cambiato, caro diario. Il Leto che prendevamo in giro nemmeno sapeva uccidere una mosca… e ora è un esperto assassino. Ho paura della mia futura e – ormai ne sono certa – dolorosa morte, perché comprendo che non sarà mai veloce e indolore.
Jade
 
 
2 febbraio
 
Lo sento. Sta aprendo la porta.
Ciao, caro diario.
Proteggi, per quello che puoi, queste parole e, quando sarà il momento, falle leggere ad Ash.
Ragazza mia… il tuo dono è unico e devi andarne fiera. Il tuo sangue è rarissimo, non sprecarlo mai e difendilo fin che puoi. Il tuo cuore batte per amore, ed è l’unico sentimento che può renderti invincibile contro il male che ci circonda.
Vola… vola lontano da qui. Vola più veloce del vento.  
Ti voglio bene, pic…
 
Strap. Pagina completamente distrutta, che finì ai piedi di Ash, completamente immobile, con i capelli neri come la pece.


...
Note dell'Autrice:
grazie per la lettura. Spero recensiate, tanto per sapere cosa ve ne pare, perchè qui entriamo nel vivo e vorrei davvero davvero davvero davvero sapere cosa ne pensate.
Ringrazio chi lo fa o chi ha messo tra preferite/seguite/ricordate... tanto amore per voi.
Chi non lo fa... tanto amore lo stesso *-*

Bene, Emma mi sta sulle palle. Cioè qui da morire, nella realtà un pò meno (è santa perchè sopporta Jared ma... Emma un sorriso per la stampa, su forza e coraggio!).
Le lettere sono essenziali, mi è piaciuto tanto scriverle. Jade la vedo come una persona meravigliosa... che forse sapeva e capiva molto più cose di quello che avrebbe dovuto.
Jared innamorato... ehehe chi lo sa. Vi dico solo che la JaredxAsh può essere ma come potrebbe non essere, è sempre un terno al lorro perchè a volte li vedo benissimo altre volte no. Ho qualche idea su di loro ma sinceramente... non ve lo dico AHAAHHAAHA
Ash suicida, il suo segreto... capirete tutto nel prossimo capitolo.
Sul serio.
Davvero.
Lo giuro.
AAHAHAHAAAHA quindi vedete di fare le brave e aspettare (???).
No scherzo.
Ok la smetto e me ne vado. Fatemi sapere.

Bacioni, Ron

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