Made of glass.

di putoffia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lavender. ***
Capitolo 2: *** Out of her world. ***
Capitolo 3: *** For the love of a daughter. ***



Capitolo 1
*** Lavender. ***


Eccomi con una nuova longfic, che vi presento ansiosa di giudizi (ovviamente il più sinceri possibile, ve ne prego) e che spero apprezziate, anche perché è frutto di un lungo lavoro mio e della mia beta fantastica alias Shin83 che ha corretto e analizzato ogni singola parola e che ringrazio con tutto il cuore.
Ora vi lascio alla lettura, credo sia tutto abbastanza chiaro, se il primo capitolo sembra molto generico tutto si farà più chiaro in quelli successivi.  
Enjoy :D 







Lavanda. Ha sempre adorato la sua fragranza, il suo colore, il caldo di quell'abbraccio profumato e delicato.
Amava semplicemente annusarne un piccolo fiore, per poter viaggiare.
Si immaginava in un prato, libera, spensierata, lontana da tutto ciò che così dolorosamente la legava alla vita terrena.
Sperava di potersene andare, Quinn.
Andarsene lontano, dove nessuno avrebbe potuto turbare la sua pace.
Sì, avrebbe voluto solo fuggire.
Voleva che dopo la tempesta ci fosse la quiete. Con gli altri era costretta a fingere, a nascondersi, a camuffare quelle cicatrici e quei tagli.
Nessuno poteva realmente prenderla sul serio, aveva perso ogni particella di credibilità. Si era giocata tutto. Le rimaneva solo un pugno di speranza, troppa poca speranza per ricominciare.
Ricominciare. Da dove? Come?
Come avrebbe potuto ricominciare se la realtà fosse rimasta invariata?
Solo il profumo della lavanda le dava speranza.
Aveva una piccola pianta sotto la sua finestra, nel giardino, e quando si sentiva giù di morale più del solito si sedeva lì vicino, cercando di affinare l'olfatto ed inalare ogni singola nota di quel profumo così penetrante e piacevole.
Però non bastava: un semplice odore, per quanto appagante potesse essere, mai avrebbe potuto inglobare e rimuovere il dolore. L'odio. La sofferenza. Il passato. Il presente.
La lavanda semplicemente le apriva gli orizzonti sul futuro, facendole sperare di poter distruggere lei stessa il male.
Si vergognava di essere ancora così puerile da affidare le proprie gioie ad una semplice pianta, ma quello era tutto ciò che le rimaneva per sentirsi ancora bambina.
Lei era una bambina. Una diciottenne, catapultata in un mondo del quale non voleva far parte.
Aveva fatto parte delle Cheerios per i primi anni, ma piano piano, senza nemmeno rendersene conto, si era allontanata.
Aveva molti amici veri, che aveva perso per la sua fragilità e la sua incapacità di amare.
Era fidanzata con il quarterback della squadra di football, ma lui aveva preferito Rachel. Una semplice ragazza che sapeva amarlo.
Non amava, Quinn. Non sapeva amare. Non era capace di provare tale sentimento.
Come poteva amare se nessuno l'aveva mai amata?
La sua famiglia aveva fatto tutt'altro che amarla, e quei segni indelebili sulla sua pelle ne erano un'evidente prova.
Vi passava spesso i polpastrelli sopra, sperando che almeno al tatto scomparissero. E a quel punto provava un po' di sollievo, sperando che rimarginandosi le ferite sul suo corpo si sarebbero rimarginate anche quelle nel suo petto.
Quinn era fin troppo ottimista.
Tutti si lamentavano di aver messo su un chilo di troppo, di aver rotto il cellulare, di essere stati messi in punizione dai genitori.
Li invidiava, perché avevano qualcosa che creava un diversivo nelle loro vite. Tutto ciò, per quanto banale fosse, interrompeva la quiete e la felicità che lei non aveva mai avuto in vita sua.
In cuor suo desiderava solo una semplice cosa, qualcuno a cui confessare il suo dolore, quasi come se con le parole se ne potesse liberare in parte.
Cercava costantemente un briciolo di forza nel suo petto. Uno slancio che la spingesse a migliorare, a dare di più. A regalare a se stessa una vita finalmente diversa.
Riuscirò a vivere la mia vita, si ripeteva ogni istante come un mantra, scavando nell’unica risorsa a sua disposizione: il coraggio.

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Capitolo 2
*** Out of her world. ***


“Ragazzi, oggi non vi do nessun tema in particolare. Vi considererete fortunati, ma in realtà sarà un compito molto più arduo del solito.”
Il professor Schuester scrisse a caratteri cubitali sulla lavagna emozioni e si girò verso la folla astante, curiosa e perplessa.
“Dovete semplicemente individuare una canzone che esprima le vostre emozioni, i vostri sentimenti attuali. Una canzone dove possiate mettere il cuore. L’anima. Che riassuma tutto, ma veramente tutto. Chiaro?”
Rachel come al solito alzò la mano per una delle sue consuete domande.
“Dobbiamo cantarne solo una?”
Il prof. alzò gli occhi al cielo.
“Sì, Rachel, una sola canzone… Sono sicuro che ne troverai una che rispecchi perfettamente il tuo stato d’animo.”
La mora si sedette nuovamente e bisbigliò qualcosa nell’orecchio di Finn, che la guardava al solito assente ed indifferente.
Quinn assistette alla scena con assoluta apatia: da un bel po’ ormai non si faceva più trascinare da simili iniziative, e finiva per seguire le indicazioni del tema pedissequamente.
Ma in quel momento si trovò smarrita: tema libero. Le emozioni. Dio, sarebbe stato così difficile cantare il proprio stato d’animo.
E come farlo, senza rivelare quegli spessi strati di insicurezza e di sofferenza?
Sospirò e cercò di distrarsi, osservando i soliti battibecchi dei suoi compagni del Glee.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Joe. “Quinn, tutto bene? Hai già una canzone in mente?”
“No, a dire il vero. Tu?”
Joe esitò e poi sorrise compiaciuto.
“Credo che porterò una canzone che rifletta il mio stato d’animo di gratitudine verso il Signore. Sai, i ringraziamenti non sono mai troppi per la sua grande opera quotidiana di bene.”
A Quinn quasi venne da ridere. Un po’ per la sua ingenuità e purezza, un po’ perché apprezzava questo suo spirito positivo.
Nonostante credesse in Dio, non aveva mai ricevuto nessun segno positivo o aiuto da lui. Le era capitato di tutto: era rimasta incinta, in famiglia non aveva una situazione poi così rosea, non riusciva a mantenere una persona al suo fianco più di qualche settimana, non aveva veri amici. Era sola. Sapeva che non poteva affidarsi solo a un’entità così lontana. Aveva bisogno di una persona concreta accanto.
“Mi sembra una scelta… Saggia.” e sorrise fintamente, come sempre negli ultimi mesi.
Nessuno sapeva cosa stesse vivendo. Nessuno si interessava. Nessuno avrebbe capito.
“Mio padre vuole che stasera torni a casa per le undici… Ho diciotto anni, non cinque! Dio quanto lo odio quando fa così!”
Urlò tutt’a un tratto Kurt dall’altra parte della stanza, impugnando il suo cellulare nervosamente.
Rachel si voltò di scatto e replicò energicamente: “non parlarmene, mi hanno tolto il computer e la videocamera per un mese perché sabato sera ho fatto tardi con Finn!”
Quinn osservò incredula quei dibattiti. Dio, davvero si lamentavano di certe cose? Avrebbero dovuto solo ringraziare di avere dei genitori premurosi, e invece…
“Dovreste solo considerarvi fortunati, sapete?” non riuscì a trattenere quelle parole Quinn, proprio non ci riuscì. Non poteva lasciarli nella loro puerile convinzione di avere genitori spietati.
“Non avete pensato forse che il fatto che i vostri genitori vi pongano dei limiti sia per il vostro bene?”
Tutti si voltarono sbalorditi verso Quinn, stupiti della sua saggezza.
Non aveva parlato quasi per niente negli ultimi mesi, e anche per cantare si era sempre infiltrata tra i coristi, sfuggendo ogni tentativo di affidarle un assolo.
E finalmente, aveva parlato.
E aveva maledettamente ragione.
Il professore la guardò soddisfatto e si rivolse agli altri, in particolare a Rachel e Kurt.
“Ha perfettamente ragione! Che motivo avete di lamentarvi quando siete a dir poco fortunati? Ci sono persone che devono sopportare violenze in famiglia, problemi di gioco, alcolismo, droga, e voi non avete niente di tutto ciò.”
A Quinn scese una lacrima trasparente e leggera, che asciugò prontamente con il dorso della mano. Non poteva farsi scoprire così palesemente. Abbassò la testa e fissò il proprio grembo per qualche istante, cercando di calmarsi senza attirare attenzione, rimanendo nella penombra delle sue emozioni.
Mentre il professore continuava a parlare, arrivò al culmine della resistenza e della sopportazione. Uscì di scatto dall’aula e si rifugiò in bagno. Era abituata a farlo Quinn. Lo faceva da una vita, sia a scuola che a casa. Era un posto isolato, riservato, nel quale nessuno avrebbe potuto disturbarla. Aveva bisogno solo di solitudine.
Alcuni cercarono di seguirla ma lei si chiuse dentro a chiave e tacque.
Semplicemente, rimase in silenzio.
Ingoiò pesantemente il dolore, come se fosse rimasto sullo stomaco, come se volesse ingoiare la sofferenza. Ma non poteva, quella rimaneva lì, a tormentarla, a proporle flashback su flashback, a non lasciarla mai in pace.
Dopo una mezz’oretta, al suono della campanella, decise di uscire: compito di biologia. Quale occasione migliore, fare un compito in quelle condizioni. Si asciugò le lacrime e si rinfrescò il viso e, come al solito, uscì dal bagno facendo finta di avere avuto un cedimento, un calo di pressione, la nausea. Ogni scusa era buona pur di celare il reale motivo dietro quei suoi attimi di alienazione, di fuga, di isolamento.
Coloro che la conoscevano poco non sospettavano di niente, ma c’erano delle persone che ci tenevano a lei, nonostante lei non permettesse a nessuno di avvicinarsi.
Si era isolata. Si era creata un muro impenetrabile con i mattoni della sua stessa sofferenza. Era il suo scudo naturale, la aiutava a respingere tutto e tutti, sia momenti dolorosi che persone a lei care.
Era difficile filtrare quando non si fidava neanche di se stessa.
In aula capitò proprio accanto a lei: la petulante, saccente, logorroica Rachel Berry. Sospirò e si sedette rassegnata.
“Sei pronta per il compito? Io insomma, ieri sai, sono stata con Finn dal giudice di pace per stabilire la data del matrimonio. Ci credi che da qui a 6 mesi non hanno nemmeno un posto libero? E quindi siamo andati su tutte le furie, perché non è ammissibile-”
“Rachel, arriva al dunque.”
“E quindi abbiamo stabilito la data per il 16 maggio.”
“Quindi?” disse la bionda mentre batteva nervosamente l’estremità della matita sul banco.
“Quindi mi farebbe molto piacere se tu partecipassi.”
“Non mi sembra il caso, ma ti ringrazio.”
Sorrise nuovamente in modo da celare ogni insicurezza o cedimento e a salvarla fu l’arrivo della professoressa, che cominciò a distribuire le prove.
Rachel rimase a fissare Quinn per qualche istante. C’era qualcosa che non andava, se lo sentiva. Da un po’ di tempo era molto più asociale, distaccata, non cercava popolarità né visibilità, aveva abbandonato ogni tentativo di tornare nelle Cheerios, insomma, non era Quinn.
Abbassò lo sguardo sul proprio compito e rinunciò a capire cosa le passasse per la testa: era impenetrabile, le sue espressioni apatiche e spesso fintamente sollevate. Era come se indossasse una maschera che le impediva di piangere davanti a tutti, di ridere veramente, di essere se stessa. E niente avrebbe potuto fare per permetterle di aprirsi e di sentirsi a suo agio. Niente.
In fondo, tra lei e la bionda non c’era mai stato un grande rapporto: avevano litigato per lo stesso ragazzo, per la popolarità nel Glee Club, per mille altri motivi che la stessa Rachel faticava a ricordare.
Però sentiva di dover fare qualcosa, di dover compiere un passo verso quell’indecifrabile roccaforte che erano le emozioni di Quinn. Sentiva di doverlo fare, al più presto.

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Capitolo 3
*** For the love of a daughter. ***


Quinn si svegliò quella notte. Si destò dopo uno degli incubi peggiori che la perseguitava fin da piccola. Si svegliò e pensò a quella scena, a quell’indelebile momento della sua infanzia nel quale suo padre ruppe qualcosa in lei.
Quinn aveva sempre avuto l’ambizione di essere snella e in forma. Puntava sull’aspetto fisico per celare quello che era l’aspetto in lei più ombroso e complesso: il suo carattere, la sua indole, i suoi segreti.
E perciò non mangiava, mentiva sul cibo, raccontava balle ai genitori pur di illuderli di aver mangiato a sufficienza e non farli arrabbiare.
Ma non mangiava, Quinn. E se lo faceva, vomitava. Si sentiva grassa, imperfetta, inadeguata, e non mangiare era ciò che la purificava.
Una calda sera di metà maggio, per l’ennesima volta, Quinn non aveva mangiato niente.
“Hai mangiato oggi a mensa?”
Quinn annuì, intimidita dalla figura di suo padre.
“Ah, strano. Ho chiamato oggi a scuola e mi hanno detto che non ordini il pranzo da circa due mesi. Sai darmi una spiegazione?”
“Non ho fame, tutto qua.”
“Spiegami il motivo per cui fai tutto ciò. Io pago il tuo cibo, il cibo che tu non mangi e che altri mangiano per te. Ti sembra logico, eh?”
Suo padre si avvicinò a lei minaccioso, facendole spuntare delle timide lacrime all’angolo dell’occhio.
La piccola scosse la testa, intimidita.
“Io non voglio malate in casa mia. Chiaro? Non accetto roba del genere da mia figlia. Cosa penserà la gente eh? Che sei anoressica o altre cavolate simili che propinano in tv? Che hai disturbi alimentari? Che figura vuoi farmi fare eh? Anche a casa, credi che sia cieco? Vedo che non mangi niente, e che se mangi corri in bagno. Sei una vergogna, la vergogna della famiglia.”
E quel momento, quel singolo istante che precedette lo schiaffo, Quinn si sentì sospesa. Nel nulla. Sentì il suo corpo abbandonare la sua mente, ed essere riportato alla realtà dei fatti da quel colpo fin troppo forte.
Tutto ciò che riuscì a fare a 12 anni fu scappare e rinchiudersi nella sua camera.
Quella camera così piccola e rassicurante, e con la finestra che dava sulla siepe di lavanda.
Sognava Quinn, sognava sempre quel momento in cui attratta da quella fragranza si sedette sul davanzale e stette lì immobile tutta la notte, aspettando che la lavanda facesse il suo effetto.
Neanche quella notte riuscì a dormire. Quell’incubo, quello spettro del suo passato spesso non la faceva riposare.
E si metteva a fissare il soffitto, cercando di svuotare la mente da tutti i pensieri negativi che la affollavano. Ma allontanandone alcuni, ne avvicinava altri: sembrava inevitabile.
Si coricò su un fianco e chiuse gli occhi, sperando finalmente di riaddormentarsi.
 
***
 
La mattina dopo fu un vero e proprio incubo. Si alzò controvoglia e si infilò il suo vestitino preferito, semplice, bianco con un nastro in vita. Lo adorava perché gliel’aveva regalato sua madre un paio di anni prima per Natale, e da allora aveva un posto speciale nel suo guardaroba.
Prese la sua solita e ormai consunta borsa e si avviò a scuola: ad aspettarla c’era una giornata abbastanza pesante, e non avrebbe potuto mancare, anche se la stanchezza si faceva sentire ogni passo sempre di più.
Arrivata davanti a scuola, sospirò ed aprì la porta di ingresso del McKinley High. Immediatamente davanti a lei si fiondò una Rachel alquanto preoccupata e più strana del solito.
“Quinn, oggi ci sei alle prove del Glee?”
La bionda alzò gli occhi al cielo e cercò di proseguire, sperando di poterla evitare. Dio, quanto sapeva essere entrante ed irritante.
“Finché non mi rispondi non me ne vado okay?” continuò a seguirla caparbia.
Quinn raccolse tutta la pazienza che aveva e abbozzò fintamente un sorriso.
“Certo. Perché?” rispose con sufficienza, in modo forse un poco maleducato.
“Perché avevamo pensato che potevi iniziare tu a cantare la canzone per il progetto della settimana.”
Quinn spalancò gli occhi.
“E per quale motivo scusa?”
“Sentiamo l’esigenza di darti più spazio, sai, ultimamente sei in un mondo tutto tuo… E vorremmo riportarti con i piedi per terra… Tutti ci tengono a te, Quinn.”
Quinn abbozzò un mezzo sorriso, compiaciuta dalle parole della mora, e si fermò un istante, voltandosi verso di lei.
“Bene, volete che io apra le danze… Ci sto. Ora vado a lezione, ci vediamo alle 15” e si allontanò a testa bassa, stringendo a sé la borsa e accelerando il passo verso l’aula.
Sul volto di Rachel si aprì un ampio sorriso, e capì che forse c’era la possibilità che Quinn si stesse aprendo e sciogliendo.
 
***
 
La lezione del Glee arrivò fin troppo velocemente.
Quinn cominciò a tormentarsi le mani, era incerta sulla scelta da fare per la canzone, ma doveva farsi coraggio: in fondo, era solo un minuto di esibizione, sarebbe sopravvissuta.
Quando arrivarono tutti, Rachel scattò in piedi emozionata.
“Insieme ai miei compagni del Glee Club, abbiamo deciso che Quinn sarà la prima ad esibirsi”, facendo diventare Quinn di cinquanta sfumature di viola.
Il professor Schuester si avvicinò entusiasta alla bionda, che per l’imbarazzo fissava i commenti delle mattonelle beige del pavimento.
“Mi sembra un’ottima idea! Allora, che ci porti?”
La ragazza si alzò timidamente e si diresse verso Brad che stava dall’altra parte dell’aula, al piano, e gli mormorò qualcosa nell’orecchio di incomprensibile.
Si alzò e si sedette davanti a tutti gli altri ragazzi del Glee, che nel frattempo la guardavano in modo enigmatico.
Il pianista cominciò a suonare, e Quinn sorrise verso di lui prima di chiudere gli occhi e concentrarsi sulla canzone.
 
Four years old, with my back to the door
All I could hear was the family you wore
Your selfish hands always expecting more
Am I your child or just a charity ward?
 
Ogni nota risuonava nel petto di Quinn, la possedeva, la plasmava su di sé.
 
You have a hollowed out heart but it’s heavy in your chest
I try so hard to fight it but it’s hopeless
Hopeless
You’re hopeless
Oh father, please father
I have to leave you alone, but I can’t let you go
Oh father, please father
Put the bottle down for the love of a daughter
 
Le lacrime premevano nei suoi occhi, ma alzò la testa cercando di rassicurare gli altri.
 
Don’t you remember I’m your baby girl
How could you push me out of your world?
Lie to your flesh and your blood
Put your hands on the ones that you swore you love
 
La fine della canzone si stava avvicinando, e per Quinn tutte queste emozioni erano veramente troppe da gestire e tenere dentro.
 
Don’t you remember I’m your baby girl
How could you throw me right of your world
So young when the pain had begun
Now forever afraid of being in love
 
Un ultimo sospiro.
 
Oh father, please father
Put the bottle down for the love of a daughter.
 
La canzone terminò e tutti rimasero a bocca aperta, increduli. Lo stesso professore stava per commuoversi.
“Cavolo, hai fatto veramente un ottimo lavoro. Ecco ragazzi, questo è ciò che intendo quando vi dico che una canzone deve esprimere le vostre emozioni. Anche quando la cantate, dovete sentirla vibrare nelle vostre corde e nel vostro petto. E direi che Quinn ha colto in pieno l’essenza della settimana. Complimenti.”
La bionda sorrise impercettibilmente e tornò a sedersi, con Rachel che la fissava interrogativa: sì, c’era definitivamente qualcosa che non andava. Le fughe, le bugie, le lacrime malcelate, la canzone appena cantata così carica di dolore e sofferenza… Troppe cose combaciavano.
Si sedette accanto a Quinn e le posò una mano sulla spalla.
“Quinn, sei stata magnifica.”
“Ti ringrazio.”
Quinn si girò dall’altra parte, cercando invano di trattenere le lacrime. Un sottile, caldo rivolo di acqua salata le solcò la guancia ma lo asciugò prontamente con il dorso della mano.
“Devi sapere che per qualsiasi cosa, veramente, qualsiasi… Io sono qua, e ti ascolto. Chiaro? Tutti qui siamo disponibilissimi a farlo. Non esitare. Siamo una famiglia. Ti abbiamo vista quando eri incinta ed eri intrattabile, quando ti si sono rotte le acque in mezzo all’esibizione delle regionali, quando avevi il tuo periodo punk del quale ancora, sinceramente, non ho compreso il motivo. Siamo cresciuti con te in questi tre anni. Permettici di starti accanto.”
“Grazie Rachel, ma non ho bisogno di nessuno.”
Si alzò di scatto e si diresse verso la porta. Per l’ennesima volta da qualche mese a questa parte.
Ormai tutti, persino il professore, si erano abituati a questa sua abitudine, ma non osavano dirle niente: la ricollegavano a una qualche insofferenza provocata dai suoi continui sbalzi d’umore. In realtà, se fosse stato così semplice, Quinn non sarebbe stata così male.
Tornò a casa a fine giornata, evitando accuratamente suo padre, come al solito. Accese il computer: tre mail.
Una era sulla solita pubblicità spazzatura, che immediatamente cestinò senza neanche aprire.
Una era del professor Schuester, che ricordava a tutti che il 15 dicembre ci sarebbero state le regionali: cavolo, meno di un mese. Deglutì e passò alla terza mail.
Sempre pubblicità, ma una pubblicità alquanto insolita.
 
Da: DVN – Domestic Violence Network
A: quinn.fabray@gmail.com;
Oggetto: Nuovo network per la violenza domestica
 
Salve a tutti.
Il nostro nuovo network per la violenza domestica è attivo: un team di esperti vi potrà aiutare ad affrontare questo problema che fin troppo spesso viene nascosto con vergogna.
Se anche voi volete dire basta a tutto ciò, iscrivetevi al nostro sito e parlate con un nostro consulente.
 
E a seguito, c’era una serie interminabile di indirizzi, su come, cosa, quando, dove contattare i consulenti.
Cliccò sul link del sito e cominciò a leggere.
Decise di iscriversi, sembrava interessante l’offerta del programma.
Dopo una decina di minuti, le si aprì una chat.
 
Ehi Quinn, ciao. Benvenuta nella comunità di DVN. Siamo a tua disposizione.
La ringrazio.
Come posso esserti utile?
Io mi sono iscritta… Perché ho questo tipo di problemi, ecco.
Subisci violenze in famiglia?
 
Quinn si morse il labbro, e digitò una breve risposta.
 
Sì.
Vuoi parlarci di te e della tua famiglia? Solo se ti va. Compi un passo per volta.
Non me la sento, mi scusi.
Non devi scusarti, Quinn. È normale.
No, purtroppo niente nella mia vita è normale.
Non intendevo questo, tranquilla, sono qua per aiutarti.
 
Si stava aprendo troppo.
Ma in fondo, quale sarebbe stato il pericolo peggiore? Era un completo sconosciuto, che era lì per ascoltarla. Avrebbe potuto fidarsi: in fondo, cercava solo qualcuno con cui parlarne.
 
Tutti dicono di potermi aiutare, ma alla fine in questa casa con mio padre ci devo stare sempre e solo io.
Sfogati pure, senza timore.
E’ da quando avevo quattro anni che mi picchia, che mi offende, che mi fa sentire uno schifo. Le sembra normale che mi abbia picchiata perché ho saltato un pasto, perché ho preso A-? A me non sembra normale. E poi ultimamente ha pure cominciato a bere, come se non bastasse… E a picchiare anche mia madre. Non so cosa fare. Vorrei solo dire basta, ma è pur sempre mio padre.
Non hai pensato a denunciarlo?
Sembra facile a dirsi. Ma è mio padre, il mio genitore, colui che mi ha messa al mondo. Come posso fargli una cosa del genere?
E non pensi che anche lui dovrebbe pensare lo stesso nei tuoi confronti?
Sì, ma non lo fa.
Appunto. E proprio tu devi avere sensi di colpa?
 
Quinn si bloccò a rileggere le ultime parole.
Proprio tu devi avere sensi di colpa?
Sì, in fondo lei si sentiva sempre in colpa per tutto, anche quando niente dipendeva da lei. Doveva smetterla. Era colpa solo di suo padre. La violenza, le umiliazioni, tutto.
Tutto dipendeva da quell’uomo che da fin troppo tempo temeva.
Non aveva mai letto una fiaba a sua figlia, mai le aveva fatto una carezza, mai le aveva detto quanto fosse bella.
Non era stato mai un padre, semplicemente.
Ricacciò indietro le lacrime, e scrisse.
 
Sa cosa penso? Che un padre dovrebbe essere la persona che ti ama incondizionatamente di più al mondo. Insieme ad una madre. E se ho mai ricevuto affetto da qualcuno, non è stato sicuramente da parte sua. Mi spiega perché non riesco a rompere i rapporti con lui, e con i miei amici che mi sono stati realmente vicino rovino tutto? Non riesco a cambiare. Non so perché…
È normalissima come cosa, non tormentarti cercando di darti una spiegazione. Reagisci, rifletti su cosa sta facendo tuo padre, e se merita l’affetto e le gratificazioni che cerchi di dargli… Se mai farai una cosa d’ora in poi, promettimi che la farai solo ed esclusivamente per te. Tu vieni prima di tutto e tutti. Okay?
 
Quinn lesse e rilesse le ultime due frasi. Cavolo, se aveva ragione.
Questo completo sconosciuto aveva saputo leggere dentro di lei meglio di quanto avesse potuto fare chiunque altro intorno a lei. Sorrise di fronte allo schermo, sentendosi un poco ingenua, e rispose brevemente prima di chiudere.
 
Ok. Grazie.
 
 
 
 
 


 
Capitolo un po’ angst, ma direi che le tematiche trattate lo richiedono. Per chiunque dovesse notare che la canzone cantata da Quinn, essendo di Demi Lovato, in realtà non potrebbe molto essere nelle sue corde, posso dire che è facilissimo abbassarla di qualche tonalità, è che Demi ha una voce di per sé spaventosa LOL.
La canzone ovviamente è For The Love of a Daughter della cantante appena citata :3
Spero che abbiate apprezzato la lettura, e al prossimo capitolo :) <3

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