The New Girl & The Punk

di youfoundme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Come può una telefonata cambiare i progetti di una vita? È una domanda che solitamente ci si fa spesso, magari in varie situazioni della vita.
Ma questo Rachel Barbara Berry non poteva saperlo o comunque immaginarlo quando uno dei suoi due padri le diede la notizia che per motivi lavorativi avrebbero dovuto lasciare New York, la città in cui era nata, cresciuta e avrebbe fatto ruotare tutta la sua futura carriera lavorativa. No, decisamente non sapeva che per una telefonata tutti i suoi piani sarebbero sfumati come se niente fosse.

"È solo per un anno, piccola mia. Passerà in fretta, vedrai", le disse cercando di rassicurarla Hiram - l'innocente fra i due padri, secondo Rachel.

La bomba era stata sganciata la mattina dopo la festa di fine anno del suo liceo e sicuramente il mal di testa che era scoppiato successivamente non era dovuto semplicemente all'aver ingerito una quantità d'alcol che il suo corpo non poteva reggere. Le urla che seguirono da parte della Diva investirono le mura dell'appartamento in cui era cresciuta scontrandosi con le espressioni semi impassibili dei suoi due padri; l’unica cosa che effettivamente i due avevano fatto per tutto il tempo era scambiarsi delle occhiate che fecero infuriare ancora di più la ragazza quando se ne accorgeva. Solo dopo qualche ora – ovvero, tutto il giorno - Rachel si decise a conoscere i dettagli della notizia che aveva messo sotto sopra la sua vita, del luogo in cui sarebbero sbarcati da li ad un mese e dove avrebbe trascorso il suo ultimo anno di liceo.

Solo in quel momento realizzò che questo significava anche una serie di novità alle quali non aveva pensato neanche minimamente: nuova scuola, nuovi docenti, nuovo Glee          Club – sempre se ne esisteva uno nel liceo dove sarebbe capitata - e.. Nuovi amici. La cosa più difficile nel nuovo scenario della sua vita – della sua intera vita.
Rachel Berry era conosciuta per essere una fantastica artista, futura stella di Broadway, ma non nel farsi nuove amicizie soprattutto non in un posto dove le sue abilità canore – o comunque sceniche – sicuramente non sarebbero state apprezzate come invece era successo sin da subito a New York, malgrado anche nella Grande Mela era sempre stata vista con sguardi che esprimevano più invidia che vera ammirazione; in particolar modo da parte di quei coetanei, che, anche loro, aspiravano ad entrare nel mondo dei musical.

Quelle che adesso riempivano la sua rubrica telefonica, la lista degli amici su Facebook, o i follower su twitter erano compagni del suo Glee Club dal primo anno di liceo, gente conosciuta durante varie competizioni e fan sparsi per la scuola, nella quale in qualche modo si era fatta una certa reputazione - grazie ai Nazionali vinti per due anni di seguito. Questi si erano trasformati in veri amici, veri confidenti e per un certo tempo, qualcuno si era trasformato anche come l’oggetto dei desideri della stessa Rachel ed in seguito qualcosa di più.
Ricominciare tutto da capo non era nei programmi per l’ultimo anno di liceo di Rachel Berry, anzi, tutto il contrario; rafforzare le amicizie, vedere chi sarebbe rimasto nella Grande Mela, iniziare a spuntare le varie opzioni per i College durante l’estate insieme ai suoi amici più cari, fare audizioni ed esercitarsi nel canto. Tutto ciò doveva riguardare i mesi estivi e quelli a venire. Ed invece i suoi genitori avevano deciso di rovinarle i piani che lei, minuziosamente, aveva programmato con impegno.

Il giorno dopo si era affidata all’ultima ancora di salvezza che le era rimasta, la carta che secondo lei era la vincente nel mazzo, ma nemmeno un’accurata presentazione in PowerPoint ed un discorso di oltre un’ora aveva fatto sì che i suoi genitori si lasciassero convincere nel lasciarla da sola a New York o insieme alla famiglia di qualche suo amico, andandola a trovare quando potevano nei fine settimana prima delle vacanze Natalizie.
Tutto inutile. Una perdita di tempo che, secondo suo padre Leroy, doveva incanalare nel:

“Fare le valigie. Rachel, né io e né tuo padre libereremo la tua stanza per traslocare. Abbiamo altre cose da fare, come svuotare il resto della casa e preparare gli ultimi dettagli nei nostri rispettivi lavori. Quindi è meglio che inizi sin da subito, se non vuoi che quando saremo in Ohio qualcosa sia rimasta qui senza possibilità di poterla recuperare fino al prossimo anno”, il tono che suo padre aveva usato era quello che non avrebbe accettato nessuna replica di nessun tipo e Rachel questo lo sapeva bene.

Ohio.

Uno stato che non aveva neanche lontanamente attraversato la sua mente, se non per future tappe degli spettacoli in cui avrebbe fatto parte. E sicuramente non a Lima, città in cui le maggiori celebrità erano ex giocatori di football o di baseball, o giornalisti sempre inerenti ad attività sportive.
Lima, Ohio – era come se urlasse a gran voce: benvenuta nel tuo peggior incubo, Rachel Berry.

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Capitolo 2
*** 1 ***


1



Dopo tutto il mese di luglio passato a impacchettare mobili ed oggetti, dando disposizioni agli addetti per il trasloco, consumando pennarelli per scrivere sui vari cartoni che occupavano un intero furgone, la scritta ‘Benvenuti a Lima, Ohio’ aveva fatto capolino fuori dal finestrino del SUV della famiglia Berry, affondando ancora di più il coltello, che già aveva fatto il suo percorso, all’interno del corpo di Rachel; alla vista di quel cartello, automaticamente chiuse gli occhi concentrandosi sulla musica che veniva emanata dai due auricolari del suo iPod, cercando di concentrarsi sulle note della canzone che stava ascoltando.
E in un battito di ciglia, un altro mese era passato. Luglio lasciava posto ad agosto, uno dei mesi più caldi di quell’estate; uno dei mesi più orribili nei suoi diciassette anni di vita per Rachel Berry.


Un mese. Trentuno giorni di pura agonia ed infelicità. Trentuno giorni in cui l’unica cosa che Rachel era riuscita a fare era stato sistemare tutti i suoi libri, trofei, foto e peluche fuori dagli scatoloni e posizionarli sulle varie mensole sistemate in giro per la stanza che aveva minuziosamente personalizzato per farla assomigliare il più possibile a quella che aveva lasciato a New York, sebbene entrambi i suoi padri avevano insistito per non farla assomigliare alla sua vecchia camera.

“Dovresti utilizzare questo momento per un nuovo inizio, un nuovo capitolo nel libro della tua vita. Rimanere ancorata alla vita che avevi a New York è sbagliato, piccola”.

Ma la Diva in erba non aveva sentito ragioni; aveva continuato a mettere in ordine i suoi vestiti nell’armadio, a caricare settimanalmente nuovi video su MySpace – e qualcuno anche su Facebook, giusto per informare i suoi “fan” che malgrado il trasferimento il suo sogno era ancora vivido – e guardare il soffitto della sua stanza con tutto l’interesse di questo mondo, uscendo poco da quella stanza – se non addirittura casa – tralasciando ogni opportunità che i suoi genitori le offrivano per visitare quella cittadina in cui non si sarebbe mai sentita a suo agio, mai a casa.

I suoi padri le prime settimane avevano provato, infatti, a renderla partecipe nel voler creare un’atmosfera se non uguale almeno simile a quella che c’era nella loro vecchia casa d’appartenenza, a spronarla a farsi un giro per Lima e a conoscere gente della sua età, ma ogni proposta era rimandata al mittente con un’occhiataccia o con una serie di urla che crescevano d’intensità fino a quando la ragazza non entrava in camera sua sbattendo la porta, accusandoli di aver trasformato la sua vita in un perfetto romanzo da quattro soldi che, sicuramente, un giovane scrittore sarebbe riuscito a vendere ad un mucchio di adolescenti e a vecchie signore.

E a meno di una effettiva settimana dall’inizio della scuola, la tensione in casa era diventata sempre più pesante ed iniziava ad essere difficile da gestire sia per Hiram che per Leroy, il quale veniva sempre preso di mira con frecciatine appena udibili direttamente dette dalla più giovane in famiglia. Un comportamento del genere non se lo sarebbe mai aspettato, neanche nel suo peggior incubo.

Il classico ‘momento di fortuna’ si presentò un tardo pomeriggio, il fine settimana precedente la settimana d’inizio scuola.

“Ehi, tesoro”, proferì Leroy, accompagnando quelle parole con un leggero bussare allo stipite della porta della figlia.
“Sì?”

Un inizio. Un ottimo inizio.Nessuna occhiataccia o porta sbattuta in faccia o urla isteriche.

“Dai, alzati dal letto. Tuo padre ha fatto una lista della spesa per alcuni ingredienti che gli mancano per la sua nuova ricetta ed ha ordinato che dobbiamo andare a comprarli immediatamente”, proferì Leroy con un velo di ironia nel tono della voce, rimanendo sulla soglia della stanza di sua figlia, osservandola mentre si metteva seduta in mezzo al letto, con la tipica espressione di chi sta ponderando le varie scelte a sua disposizione.

Non che ce n’erano molte.

Rimanere a rimuginare sulla sua situazione guardando il nulla o uscire da quelle quattro mura e provare a dare una chance a quella che sarebbe stata la sua vita per i prossimi nove mesi?
Rachel annuì, le labbra che si piegarono in un mezzo sorriso, avvicinandosi a suo padre per poi seguirlo giù per le scale e successivamente in macchina, decidendo lei la stazione musicale da sentire per tutto il tragitto – andata e ritorno.  

 

#


Il super market non si trovava molto distante da casa, ed il tragitto fu più tranquillo di quello che Leroy aveva previsto all’inizio, con domande piene di curiosità da parte della figlia che adocchiava fuori dal finestrino i dettagli che aveva perso in quel mese passato dentro casa che fuori a godersi la sua ultima estate spensierata. Ogni domanda fu colmata da una risposta, e quelle alle quali Leroy non riusciva a rispondere nella maniera più precisa possibile, venne lasciata in disparte con il solito:

“A casa chiederemo a tuo padre, lo sai che è lui quello che tiene conto di questo genere di cose”.

Dividendosi le cose da prendere anticipatamente, il giro all’interno del super market fu abbastanza veloce, ed in poco tempo si ritrovarono alle casse, parlando allegramente del più e del meno, aspettando che tutta la spesa venisse battuta, e sistemandola un po’ per volta nelle rispettive buste.

“Sono 25 dollari e 35 centesimi, signore”, disse il ragazzo alla casa sorridendo ad entrambi e spostando lo sguardo da Leroy a Rachel, soffermandosi però qualche secondo in più su quest’ultima che ricambiò automaticamente il sorriso.

Il ragazzo era alto, un po’ troppo rispetto alla media, con capelli corti e scuri, un fisico decisamente atletico e l’età che dimostrava in apparenza s’avvicinava a quella di Rachel; la targhetta con il nome che era appuntata sulla maglietta arancione diceva che si chiamava Finn.

“Non vorrei sembrare scortese..”, incominciò, tornando a guardare il capo famiglia, incerto ovviamente se continuare o meno, “Ma non credo di averti mai visto per i corridoi del McKinley”. Concluse, con quel mezzo sorriso che non lasciava il suo posto dalle labbra, guardando infine Rachel, aspettandosi chiaramente una risposta da parte della ragazza.
“In effetti ci siamo trasferiti qui a Lima da poco più di un mese”, rispose la diretta interessata, prendendo in mano una delle buste, ricambiando sempre il sorriso che le veniva dato dal coetaneo.
“Oh. Benvenuta a Lima allora, anche se con leggero ritardo. Il mio nome è Finn”, disse, allungando la destra per ricevere i soldi da parte di Leroy – che nel frattempo osservava la scena che avveniva davanti ai suoi occhi -, mettendosi successivamente in moto per dargli il resto, continuando ad adocchiare Rachel.
“Sì, lo so. C’è scritto sulla targhetta”, indicando con l’indice della mano libera il petto del ragazzo.

Il mezzo sorriso di Finn diminuì per una frazione di secondo, prima di annuire e borbottare, “Certo, che stupido”, ridacchiando appena, scuotendo la testa e recuperando subito dopo il sorriso, porgendo i soldi a Leroy.

“Rachel, ti aspetto in macchina”, e con un occhiolino diretto alla figlia ed uno sguardo di avvertimento nei confronti di Finn, il capo famiglia sparì dalla vista di entrambi attraversando le porte automatiche del super market, buste della spesa in mano.
“Rachel, mh? Bel nome”, proferì Finn, facendo voltare la ragazza in questione che aveva seguito con lo sguardo la figura del padre, “Uhm.. Allora, lunedì dove incomincerai scuola? Carmel o McKinley? Ti avverto che siamo in rivalità con quelli della Carmel, sia a livello sportivo che a livello di Glee Club, anche se da loro va per la maggiore il Glee”, una breve pausa prima di continuare, con tono leggermente più curioso, “Di che anno sei?”.

Entrambe le mani vennero portato dietro la schiena, mentre ascoltava il breve discorso del ragazzo posto di fronte a lei, dietro la cassa. Fortunatamente a quell’ora del pomeriggio non c’erano altri clienti, quindi non avevano nessuna fretta d’interrompere la loro conversazione.

“Andrò al McKinley, in verità, e questo è il mio ultimo anno”, rispose, annuendo appena, “La Carmel High risultava troppo distante dalla zona della città dove abbiamo preso casa. Non che avevo una specifica scelta, onestamente”, disse Rachel con un’alzata di spalle, per poi deviare sull’oggetto di conversazione che Finn aveva portato in superficie, probabilmente senza rendersi conto che l’attenzione di Rachel si era proprio focalizzata su quello, “Quindi.. Voi del McKinley avete un Glee Club, eh? E.. com’è messo? Intendo, numero d’iscritti, competizioni vinte..”

“Oh beh.. Non vorrei deluderti, ma ogni anno riescono ad avere il numero minimo di partecipanti per potersi iscrivere alle Selezioni”, una pausa, prima di continuare, notando una nuova luce negli occhi di Rachel, “Ho partecipato durante il mio secondo anno di liceo, per alzare i crediti in Spagnolo. Quando non ce l’abbiamo fatta alle Regionali ho lasciato il Club per tornare a concentrarmi sul football. Sai”, e con un sorriso a trentadue denti, ed un’alzata di spalle come se non fosse un grande merito “..Sono capitano e quarterback della squadra, ed essendo questo il mio ultimo anno, non posso perdere tempo dietro canzoni e balletti coreografati”, concluse appoggiando entrambe le mani sulla superficie della cassa posta di fronte a sé.

Rachel continuò a guardarlo ma non osservandolo veramente, il discorso sui meriti e non, scolastici di Finn era passata in secondo piano alle orecchie della Diva così come il piccolo insulto sulla ragione della sua vita e del suo brillante futuro. Ormai tutti i suoi pensieri focalizzati su un unico discorso: il Glee Club del McKinley.

“Sai, posso presentarti al docente che segue il Club, questo lunedì, se t’interessa”, proferì il ragazzo, cercando di far concentrare la ragazza nuovamente su di sé. E quando il suo obiettivo venne realizzato – notando entrambe le sopracciglia sollevate da parte di Rachel – riuscì a continuare con le sue intenzioni, “Anzi, se vuoi.. Dammi il tuo numero, così ti mando il resto delle inf—“.
“Sì, sarebbe perfetto”.

Il discorso venne tagliato a metà, mentre Rachel ormai era in preda nel fare progetti per prendere in mano questo Glee Club e trasformarlo completamente.

“Vediamoci lunedì a scuola. Anch’io sono all’ultimo anno come ti ho già accennato, probabilmente avremo delle classi insieme, quindi sarà facile trovarci durante le ore scolastiche”, proferì, annuendo allo stesso tempo, “Ora devo andare, mio padre mi sta aspettando in auto da diverso tempo e non voglio farlo attendere ancora. E’ stato un piacere Finn”, iniziò ad allontanarsi verso l’uscita del super market e con un breve cenno della mano in segno di saluto, sparì dalla vista del ragazzo che rimase a guardarla con le labbra socchiuse e l’espressione del viso che manifestava la confusione di quello che era appena successo nell’argo di trenta e poco più secondi.

“Allora, ricevuto informazioni preziose da quel giovanotto lì, bambina mia?”, chiese Leroy, mettendo in moto la macchina e osservando sua figlia sistemarsi nel sedile del passeggero.
“Oh sì, papi. Penso che quest’anno non sarà poi così male come prevedevo”.

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