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Beh, la buona notizia è che posso
postarvi subito questa nuova storia…la cattiva è che, a causa dell’uragano
Sandy, la mia partenza è rimandata a data indeterminata.
Bando alle ciance: io ADORO Kaku, anche se spesso non viene preso molto in
considerazione (nella lista dei personaggi c’è persino Kalifa!).
In qualunque caso, devo dire che mi ha sempre ispirato tanta dolcezza (ecco
perché il rating è insolitamente giallo), io credo che sia uno di quei
personaggi che chiamo ‘finti antagonisti’ , perché alla fin fine non emana
cattiveria, anzi: risulta essere un ragazzo responsabile, a dovere, che svolge
semplicemente il proprio lavoro e che, alla fine del suo scontro con Zoro,
accetta la sconfitta con sportività e dignità.
Che dire…io ho provato ad
immaginare la sua storia, il suo passato e le varie motivazioni che possono
averlo indotto a diventare un membro della CP9. Sperando di trovare altri fans
del vento di montagna, vi saluto! ;)
Sono nato il sette agosto in una piccola isola chiamata Kodama,
mio padre era un carpentiere e mia madre aveva una panetteria dove faceva il
miglior pane di tutta l'isola. Avevo una sorella di nome Kyoko,
sei anni più piccola di me, e un fratello di nome Milo, più giovane di me di
tre anni.
Al villaggio ci conoscevano tutti, essendo mio padre uno degli uomini più
cordiali e rispettabili dell'isola, ed essendo mia madre la panettiera più
gentile e in gamba del villaggio.
"Hey, Kaku!"
"Buongiorno, Kaku!"
I cittadini mi salutavano sempre con calore, mentre andavo a scuola e
cercavo di trascinare per un orecchio mio fratello minore alle lezioni.
"Non cambierai mai!" lo rimproveravo "Quando capirai che per
diventare qualcuno abbiamo bisogno innanzitutto della cultura?"
"E piantala, sapu-Kaku!" si liberava
dalla mia stretta così bruscamente da farmi quasi male "Io voglio fare il
pirata! E per fare ciò non sono certo necessari questi stupidi
libri!"
Un tonfo rumoroso che ben conoscevo, riecheggiò nell'aria "Rialzali
subito" sibilai con tono minaccioso.
Ma lo sguardo che mi lanciò Milo era provocatorio, quasi di sfida
"Perché? Altrimenti cosa fai?" calpestò quei testi con forza,
sporcandoli con il fango in cui si era lanciato poco prima.
Immediatamente, mi precipitai a salvare quegli sfortunati autori che erano
capitati sotto le scarpe di mio fratello "I nostri genitori hanno dovuto
fare degli extra per comprarteli" lo informai, stizzito "Potresti
almeno mostrare un minimo di riconoscenza!"
"Credi di potermi dare degli ordini soltanto perché hai sedici
anni!" attaccò con la sua solita litania "Ma ricorda che, anche se
sono più piccolo di te, sarà il mio nome ad essere conosciuto per tutti i mari
e non il tuo!" s'impuntò con le mani sui fianchi e mi guardò con rabbia.
Scossi la testa. Milo era proprio una testa dura: si piazzava ad osservarti
con quegli occhietti neri e vispi e in quel momento dovevi fargli credere di
essere seriamente intimorito dalla sua scenata. Guai se non si sentiva
potente...avrebbe potuto continuare per tutto il giorno, e io non avevo tempo
da perdere.
Raccolsi i libri e glieli restituii pazientemente, sospirando "Un
giorno mi ringrazierai"
"Certo, come no" sputò a terra, dopodiché si pulì la bocca in
modo animalesco "Quando gli asini voleranno"
Andare a scuola per me non era mai stato un problema: mi piaceva conoscere
la storia, oppure mettere alla prova le mie capacità logiche con la matematica,
o ancora imparare a distinguere le canaglie della società dalle brave persone.
Insomma, lo studio mi stimolava. Ne provavo piacere.
Ma anch'io, come tutti i ragazzini, tiravo un sospiro di sollievo quando la
campanella si decideva a farsi sentire.
Allora correvo fuori dall'istituto, contento, volando tra le casette a
schiera di Kodama sotto gli sguardi sorpresi di tutti
i cittadini.
"Hey, sapu-Kaku!"
mi chiamava Milo dal basso "Ti sei dimenticato di me!"
Ma quelle parole non erano udibili alle mie orecchie inebriate dal vento. E
continuavo a saltare gioioso per le strade del villaggio, sfiorando appena i
tetti e afferrando pezzi di cielo limpido. L'aria mi solleticava il viso e mi
scompigliava i capelli, inevitabilmente coperti dal fidato berretto nero.
Potevo continuare per ore ed ore, dal centro dell'isola fino alla costa, fino a
quando non avvertivo il profumo del pane di mia madre e i rumori dell'officina
di mio padre.
"Hey, Kaku!"
chiamava a gran voce quest'ultimo "Pronto per la lezione?"
"Arrivo!" allora scendevo dalle nuvole e trascorrevo del tempo
con il miglior carpentiere della zona: aveva accettato d'insegnarmi l'arte del
mestiere, con la speranza che tra qualche anno avrei potuto dargli una mano
negli affari di famiglia.
Per lui non era un disturbo e per me era sempre piacevole imparare cose
nuove: passavamo interi pomeriggi a studiare un singolo pezzo di legno, la sua
derivazione, e a strutturare con cura le varie fasi della sua lavorazione.
Spesso costruivo attrezzi di cui mio padre si meravigliava persino
"Che maestria!" si complimentò una volta, dopo che avevo fabbricato
uno scalpello intagliato "Sei proprio figlio di tuo padre!"
"Dai, Kaku, adesso smettila di
lavorare!" si lamentava mia sorella quando, di tanto in tanto, veniva a
gironzolare per l'officina "Vieni a giocare con me!"
"Credo proprio che la piccola Kyoko darà di
matto, se non passi un po' di tempo con lei" mi avvertiva scherzosamente
il carpentiere.
Allora lasciavo il lavoro per un istante e la facevo volteggiare tra le mie
braccia "Sììì!!! Più forte!!!"
Kyoko era dieci anni di pepe: alta come uno gnomo, castana come il legno, e con
la lingua più lunga del diavolo. Troppo piccola per andare a scuola,
solitamente si divertiva a fare compagnia alla mamma in panetteria, lasciando
stupefatti tutti i clienti a causa delle sue chiacchiere.
Beh, almeno fino a quando non si annoiava e decideva di passare a trovare
gli uomini di famiglia in officina.
"Cos'hai fatto oggi?" le chiesi un giorno, passandole una mano
tra i capelli.
"Ho mangiato un insetto" sorrise lei, soddisfatta.
"COSA?!" io e mio padre sgranammo gli occhi, ma poi scoppiammo a
ridere.
"Tua madre non può distrarsi un attimo" commentò papà con tono
ironico.
"Adesso ti cresceranno tanti piccoli moscerini nello stomaco"
entrò improvvisamente Milo.
"COSA?" sbottò Kyoko, terrorizzata
"Non è vero! Kaku, non succederà! Non è
così?"
"Ma certo che no, sorellina" la rassicurai, lanciando uno sguardo
di rimprovero a mio fratello "Però la prossima volta cerca di stare più
attenta, d'accordo?"
"Visto?" fece una linguaccia a Milo "Sei solo un
bugiardo!"
"E tu sei una mangia-mosche!"
"Avanti, ragazzi, smettetela!" alzai gli occhi al cielo.
"Ma perché non andate fuori a giocare?" propose mio padre
"Avervi tutti qui è una vera impresa!"
Per di più, quella sera si sarebbe tenuta un'importante festa popolare,
alla quale avrebbe partecipato buona parte della popolazione dell'isola: la
gara dei fuochi d'artificio.
I miei genitori erano molto impegnati con i preparativi, soprattutto mia
madre: avrebbe dovuto cucinare un'enorme quantità di dolciumi per l'occasione.
D'altra parte, io e i miei fratelli non eravamo mai stati molto bravi in
cucina, per cui Kyoko e Milo si limitarono ad offrire
il loro aiuto a nostro padre, il quale però aveva gentilmente declinato
l'invito dicendogli che 'erano troppo rumorosi'.
E come dargli torto?
"Perché Kaku può fare tirocinio e io
no?" aveva protestato Milo.
"Quando sarai più grande, potrai cominciare anche tu" l'aveva
zittito il carpentiere di Kodama.
Fatto stava, che Kyoko premeva perché la portassi
a fare un giro per il villaggio, e così decisi di lasciar perdere la lezione
definitivamente "Riprenderemo domani, papà"
"Puoi contarci, figliolo"
"Allora, dove vorresti andare?" chiesi a mia sorella una volta
che fummo fuori.
"Voglio toccare il cielo come fai tu" mi disse con sguardo
sognante.
Mi venne da ridere. Tante volte mia madre mi aveva proibito di muovermi per
la città in quel modo, tante volte mi aveva raccomandato di non osare
coinvolgere in alcun modo mia sorella in queste azioni che lei considerava
pericolose...
Eppure, di fronte a quegli occhioni imploranti non seppi dire di no
"Acqua in bocca, però!"
"Evvai!" mi abbracciò, eccitata.
"Tieniti forte" la feci posizionare sulle mie spalle e, con un
grande balzo, in meno di un secondo ci trovavamo già sul primo tetto.
"Che forza!" mormorò estasiata "Ancora, ancora!"
Saltai velocemente sul campanile della chiesa centrale, per poi andare a
finire sul tetto della villa del sindaco "Divertente, eh?"
"Wow! Kaku, sei grandioso! Dovresti portarmi
in groppa più spesso!"
Sorrisi, mentre la vedevo chiudere gli occhi e godersi il vento fresco sul
volto. I gabbiani ci volavano accanto e ogni tanto ci tagliavano la
strada, umani invidiosi e trasgressori sempre più vicini al loro mondo
alato.
Sfrecciammo lungo tutta l'isola, venendo illuminati di tanto in tanto dai
raggi di sole che filtravano sempre più deboli attraverso le nuvole.
Ma quando arrivammo nella zona portuale, improvvisamente persi l'equilibrio
e caddi sul balcone di un'abitazione "Accidenti!"
"Ahi! Ma che fai, fratellone?" si lamentò subito Kyoko.
"Quella stupida nave mi ha distratto" bofonchiai, rialzandomi
"Non ti sei fatta male, vero?"
"No, ma c'è mancato poco così!" avvicinò il pollice all'indice
fino a che si sfiorassero impercettibilmente.
Non potei negarle un sorriso, ma subito dopo mi voltai in direzione
dell'imponente imbarcazione che aveva causato la mia distrazione: 'Lady Catherine'
c'era scritto sul suo fianco destro.
Era davvero bella: fatta di legno resistente e materiali pregiati. Mi
chiesi da dove venisse, mentre i gabbiani non ci davano tregua nemmeno su
quell'innocuo balcone.
"Uff!" sbuffò mia sorella "Non potremmo spostarci? Mi stanno
dando sui nervi!"
"Ti va di venire con me a guardare da vicino quella nave?" le
proposi.
"Perché no? Sembra carina" acconsentì, come se le fosse appena
stato chiesto di partecipare ad un gioco molto divertente.
"Bene, andiamo!"
Con movimenti agili e veloci, riuscimmo a scendere da quel palazzo e ci
dirigemmo con cautela verso il porto, il quale risultava sempre popolato dalla
gente più insolita: persone vestite in modo strambo, turisti che si recavano a Kodama apposta per la gara, uomini in valigetta e apparenti
furfanti che si aggiravano circospetti come ladri.
"Ci vorrà un salto bello grosso, per raggiungerla" confidai a mia
sorella, mentre guardavo la nave con fare professionale.
"Sono pronta" mi fece un occhiolino lei.
Stretta al mio busto come una scimmietta, Kyoko
affondò il volto nella mia maglia per non venire investita dal forte vento. Mi
spostai abilmente tra le imbarcazioni ancorate al porto, saltando da una cima
all'altra, fino a che non mi fermai dietro delle grandi scatole con su scritto
'Fragile', dove finalmente mi nascosi ad osservare la Lady Catherine
silenzioso.
"Speriamo non ci veda nessuno" si lasciò sfuggire Kyoko.
Imponente, grande, maestosa: la Lady Catherine era una vera regina dei
mari. Se ne stava lì immobile, solenne, mentre una folla di passeggeri scendeva
dalla sua scaletta.
"Guarda, sorellina" dissi "Questa sì che è una signora
nave!"
"Chissà da dove viene..." pensò ad alta voce la bambina.
Ma proprio mentre osservavamo estasiati quel capolavoro, una voce acuta e
sottile alle nostre spalle ci fece sussultare "E voi chi siete?"
Ci girammo in modo repentino e, per la sorpresa, facemmo scontrare le
nostre teste vicine "Ahi!"
La ragazzina che aveva parlato ci guardava accigliata, mentre io e Kyoko ci massaggiavamo le teste doloranti: indossava un
vestitino rosa confetto e aveva i capelli biondi. I suoi occhi erano nocciola e
aveva la pelle del bianco più bianco che avessi mai visto.
"Non venite dal Mare Occidentale, vero?" chiese con crescente
curiosità.
Kyoko si nascose dietro di me "No, abitiamo qui"
"Oh" si meravigliò la bionda.
Vedendola sorpresa, mia sorella prese coraggio e si fece avanti "Sei
scesa da quella grande nave laggiù?"
"Esatto" confermò "Mi chiamo Sophie, piacere di
conoscervi" si aprì in un sorriso bello come il sole a primavera.
Deglutii.
"Io sono Kyoko. E lui è mio fratello Kaku"
"Ciao" farfugliai.
Ma non appena ci fummo presentati, una voce femminile cominciò a chiamare
il nome della nostra nuova conoscente "Sophie! Sophie, dove ti sei
cacciata?"
“Kodama”
è un nome che ho preso dalla puntata 134: la ciurma di Cappello di Paglia
sbarca su un’isola in cui si fa uno spettacolo di fuochi d’artificio e Usopp aiuta la protagonista, Kodama,
a realizzare il suo sogno-ovvero far partire un fuoco d’artificio enorme che
avevano preparato i suoi genitori prima di morire, o qualcosa del genere
(pardon, non lo ricordo proprio bene).
Per qualsiasi errore (di qualsiasi
genere) fatemi sapere ;)
Le strade di Kodama erano piene zeppe di turisti
e cittadini che si godevano la festa popolare, c'era musica nell'aria e fitto
chiacchiericcio di sottofondo.
"Vieni, Kaku!" mi tirò per un braccio
mia sorella "Andiamo a vedere come se la stanno cavando mamma e
papà!"
"Io direi piuttosto di intrufolarci dai cannonieri e far partire
qualche fuoco d'artificio" propose Milo con un ghigno.
"Non ci provare" lo ammonii "Meglio se andiamo dai nostri
genitori"
"Perché? Io voglio divertirmi un po'!"
Sospirai "Ci sono tante bancarelle e giocolieri per strada, devi per
forza fare il piromane per divertirti?"
"Sei solo un saputello, sapu-Kaku!" mi
fece una linguaccia.
Kyoko mi strattonò "Guarda, fratellone! C'è la bancarella dello zucchero
filato! Ci andiamo?"
Mi voltai nella sua direzione "Certamente, piccola. Aspetta solo un
attimo, che Milo...Milo?" mi girai confuso, ritrovandomi a conversare con
il vuoto "Milo?...dannazione!"
"Che c'è?" chiese mia sorella "Dov'è andato Milo?"
"Kyoko, sai raggiungere da sola il chiosco
della mamma?" le domandai, cercando di controllare il mio tono preoccupato
"Io vado a recuperare quella testa calda di nostro fratello"
"Vengo con te" si offrì senza pensarci due volte.
"Non questa volta" frenai il suo entusiasmo "Sono sicuro che
nostra madre ha bisogno del tuo aiuto più di quanto ne abbia bisogno io"
Sbuffò "E va bene. Sta' attento però!"
Le feci un occhiolino "Non ci metterò molto"
La osservai camminare nella direzione dei nostri genitori, dopodiché mi
fiondai alla ricerca di quel testardo di mio fratello: Milo era un ribelle, un
anticonformista, un bambino irrequieto già dalla nascita.
Scossi la testa "Speriamo che non si sia cacciato in qualche
guaio"
Solo un attimo di distrazione mi ero concesso, e mi aveva messo nel sacco
ugualmente.
Saltai sui tetti e scrutai la folla dall'alto, ma era buio e, nonostante le
luci della festa, le persone erano visibili a malapena. Allora cercai di
spostarmi sulle abitazioni più basse, che permettevano di avere una visione più
chiara e immediata, ma anche in questo caso non ebbi risultati soddisfacenti.
"Stavolta mi sente" pensavo tra me e me, mentre mi arrampicavo su
un festone di lanterne arancioni e cercavo di non dare nell'occhio.
Improvvisamente, però, il festone si mosse, facendomi mollare la presa e cadere
inevitabilmente a terra "Hey, ma
cosa...ahi!"
Fortuna volle che fossi già abbastanza basso, per cui non riportai gravi
dolori se non un lieve pulsare al fondoschiena. Mi sistemai il cappello e presi
a massaggiarmi la parte lesa, rialzandomi con un po' di confusione
"...cosa diavolo è stato?"
"Ciao, Kaku"
Alzai lentamente gli occhi e mi accorsi che di fronte a me c'era una
ragazzina bionda che ben conoscevo.
"Ciao" balbettai un po' frastornato "Sei stata tu a tirare
il festone?" mi pulii i pantaloni sporchi.
Bella mossa del cavolo, l'avrei rimproverata se fossi stato in
vena.
"Sì" confermò lei con un sorriso "Ma l'ho fatto solo perché
avevo paura che ti facessi male a saltellare così"
"Ah" riflettei per un istante "Che gesto premuroso...ma le
cadute fanno più male dei salti, non credi?" mi lasciai sfuggire con un
tono più offeso di quanto avessi voluto.
Ma il suo sorriso non si spense "Ti ricordi di me, vero?" cambiò
discorso con nonchalance "Ci siamo incontrati oggi pomeriggio"
E come dimenticarti, avrei voluto dirle. Ma mi limitai ad
annuire "Cosa ci fai in questo vicolo buio?" le chiesi poi.
Scrollò le spalle "Con tutte quelle luci non riesco a guardare le stelle.
Speravo di poterle ammirare meglio da qui"
"Capisco" la buttai lì.
Seguì un momento di silenzio, in cui i nostri sguardi si fecero bassi.
Stavo per dirle "Beh, io vado a cercare mio fratello...ci vediamo!"
ma le parole che uscirono dalla mia bocca furono del tutto diverse "Ti
andrebbe di vedere le stelle come si deve?"
I suoi occhi s'illuminarono "Dipende...che intenzioni hai?"
"Ho l'intenzione di farti fidare di me per un istante" le tesi la
mano con crescente aspettativa.
Sophie s'immerse nei suoi pensieri, dopodiché adagiò la piccola mano nella
mia "Purché non succeda nulla di rischioso"
"Non succederà, se resisti alla tentazione di tirare gli eventuali
appoggi"
"Cosa?" non le diedi il tempo di comprendere appieno le mie parole,
che l'afferrai velocemente e la feci saltare con me sul tetto di un'abitazione.
"Santo cielo!" si aggrappò alla mia schiena con presa salda, in
un modo caloroso e confidenziale che non mi sarei mai aspettato "Sicuro di
sapere quello che stai facendo?"
"Lascia fare a me" la rassicurai.
Mi spostai da un tetto all'altro in un batter d'occhio, fino a raggiungere
quello della villa del sindaco, tra il vociare sempre più lontano della folla.
"Ecco" la feci scendere "Questo è il punto più alto
dell'isola"
Sophie si guardò attorno estasiata "Davvero?"
Mi persi ad ammirare i suoi occhi sorpresi che scrutavano il cielo. Poi mi
ridestai e mi stesi a pancia all'aria, incrociando le braccia sotto la testa.
Immediatamente, davanti a me si fece spazio con prepotenza la notte
stellata: ne rimasi folgorato.
"E' davvero bellissimo, non trovi?" Sophie si stese accanto a me
con espressione soddisfatta.
"Già" confermai, facendo confondere il mio sguardo tra le stelle,
indeciso se soffermarmi più su una o su un'altra.
E furono minuti interminabili, immensi, che sarebbero rimasti per sempre
incisi nella memoria di entrambi.
Poi la ragazza parlò "Sai, ho visto tua sorella prima..."
Mi voltai verso di lei per ascoltarla meglio: era terribilmente vicina.
"Credo che stesse mangiando...un insetto" disse storcendo il
naso.
Non potei trattenere una risata "E' probabile"
"Come?"
"E' il suo piatto preferito" continuai a ridere pensando alle
nuove abitudini di Kyoko, ma mi fermai di colpo
quando mi accorsi che Sophie mi stava guarando con
curiosità, in silenzio.
"Che c'è?" le domandai spontaneamente.
"Continua" fece in un sussurro.
"Continuo cosa?"
"A ridere...la tua risata..." cercò di riordinare il suo
discorso, balbettando "...la tua risata è davvero bellissima"
Arrossii. Era una mia impressione oppure si era avvicinata ancor di più a
me?
"Fammela ascoltare ancora, ti prego"
Ma non riuscivo nemmeno più a sorridere: m'irrigidii e non facevo altro che
guardarla negli occhi insistentemente.
Tutt'a un tratto, posai la mano sulla sua guancia bianca e ci feci
scivolare le dita: la sua pelle era liscia e morbida come quella di un
bambino.
"Puoi provare a prenderla, se ti piace tanto" le suggerii in un
sibilo.
Il suo sguardo si fece interrogativo, non ero sicuro che avesse capito cosa
intendessi.
Allora decisi di aiutarla: avvicinai la bocca a un palmo dalla sua,
sussurrando "Avanti, prova a rubarmela"
A quel punto, la ragazza premette delicatamente le labbra sulle mie con un
avvertimento scherzoso "M'impossesserò della tua risata, Kaku. E non c'è niente che tu possa fare"
La baciai con lentezza, facendo rincorrere la mia lingua dalla sua e
lasciando che le sue dita scivolassero sul mio naso lungo.
Le stelle ci osservavano silenziose, forse erano abituate ad assistere a spettacoli
come quelli.
"Ecco" le dissi, mentre adagiava la testa sul mio petto
"Adesso è tutta tua" la strinsi a me e poggiai il capo sul suo,
inebriandomi del profumo dei suoi capelli "Contenta?"
"Sì, molto" rispose lei semplicemente.
Non avrei mai pensato che il mio primo bacio sarebbe stato su un tetto.
Eppure eccomi lì, a stringere una ragazza di cui non sapevo praticamente nulla
e a dimenticarmi completamente di tutto il resto.
"Maledizione...Milo!" mi alzai di scatto.
"Cosa c'è?" chiese Sophie, visibilmente delusa dopo che avevo
sciolto quell'abbraccio che tanto ci piaceva "Va tutto bene?"
"Sì, è solo che..." sbuffai "...mio fratello! Stavo cercando
lui, quando ti ho incontrata!"
"Mmm..." si portò un dito sotto il
mento, pensierosa "Posso darti una mano, se vuoi"
Scoccò la mezzanotte: i rintocchi della campana della chiesa centrale ci
fecero sussultare.
"Meglio di no" decisi in un istante "Ci metterò un secondo,
tu non muoverti da qui"
Fece spallucce "D'accordo"
"Davvero?" le chiesi istintivamente. Di solito ero abituato
a sentirmi rispondere "Non se ne parla!" oppure "Vengo
anch'io!" da Kyoko o da Milo.
Aggiorno presto, un po’ per la noia
e un po’ perché con la scrittura sono già andata (molto) avanti! xD
Capitolo un po’ più breve del
precedente, ma spero comunque interessante.
Ho deciso di intitolare i capitoli
con dei numeri che rappresentano l’età del protagonista durante la vicenda
(questo anche per mettere in risalto la saggezza e il senso di responsabilità
di Kaku nonostante sia molto giovane…sono
terribilmente di parte, si vede?).
C’è un po’ di ‘sentimentalismo
adolescenziale’, dopotutto Kaku ha soltanto sedici anni.
Inutile dirvi che non vedo l’ora di scrivere i capitoli in cui sarà più maturo
e i suoi problemi saranno un tantino più seri ;)
Ringrazio Robin7, ArchdeaconChopen e Cola23!
Sperando di trovare ancora altri fans del vento di montagna, vi saluto!***
Rimbombava nei miei timpani il rumore dei fuochi d'artificio, mescolato ad
una buona dose di vociare e ai fastidiosi rintocchi della campana di Kodama.
"Milo!" cominciai a chiamare a gran voce "Milo, maledizione,
dove sei?"
Ma la folla soffocava le mie urla e rendeva mute le mie parole. Arrancai
affannato fino alla strada principale, correndo e inciampando, mentre le
orecchie prendevano a fischiarmi per l'eccessiva confusione di suoni.
Iniziavo seriamente ad essere preoccupato per mio fratello.
"Milo!" urtavo persone, oggetti, ma ormai non avevo più nulla da
perdere: stavolta quel pasticcione l'aveva combinata grossa.
Improvvisamente, udii un suono particolare misto a quello dello spettacolo
pirotecnico: sembravano spari fuori mano. Ma la gente non sembrava
accorgersene, e allora continuai a correre, guardandomi intorno confuso.
Che Milo fosse andato sul serio dai cannonieri?
Mentre avanzavo, notavo che la folla attorno a me sembrava avere un aspetto
diverso...c'erano anche prima, quei tipi loschi che minacciavano le signore?
Scossi la testa. Forse ero io che mi stavo immaginando tutto.
Eppure eccoli lì, gentaglia sporca che adesso si accaniva sui presenti e li
derubava. Vedevo le bocche delle donne aprirsi e le loro espressioni farsi
terrorizzate, ma la confusione copriva tutto il loro dimenarsi.
Ma cosa diavolo stava succedendo?
Tutt'a un tratto, un uomo scuro e barbuto piantò una bandiera nera nel
terreno e sorrise vittorioso. In quel momento, tutto mi fu spaventosamente chiaro:
quello era un vero e proprio attacco pirata travestito da festa popolare, quei
bastardi stavano approfittando del caos creato dai fuochi d'artificio per
assalirci ed ucciderci.
Presi a correre più velocemente, mentre milioni di domande mi attraversavano
la mente come lampi: quando erano sbarcati, quei furfanti? Che cosa volevano da
noi? Che avessero preso mio fratello?
Avrei dovuto trovare i miei genitori al più presto. Così, decisi di
dirigermi nella direzione dell'officina con l'animo in tumulto, all'apice
dell'agitazione.
Maledetti delinquenti.
Quando arrivai a destinazione, ci trovai la famiglia al completo
"Milo!" gridai con rabbia, non accorgendomi della presenza dei
pirati.
Mio fratello era nascosto dietro la gonnella di nostra madre, fifone che si
vantava tanto di voler fare il temerario.
"Figliolo!" si lasciò sfuggire mamma.
"Fratellone!" la seguì Kyoko.
"Chi abbiamo qui?" si voltò il tipo con la barba che avevo visto
poco prima "Il figlio maggiore, eh?"
"Proprio così" lo sfidai con sguardo minaccioso.
"Kaku!" fece mio padre, allarmato
"Scappa! Scappate tutti quanti!"
E di fuoco divenne l'isola, rossa diventò Kodama
sotto i colpi dei pirati inferociti, le case bruciavano e i pilastri
crollavano.
"Vecchio" continuò il capitano, rivolgendosi a mio padre "Se
mi offri diecimila berry, forse risparmierò la
sudicia officina che difendi con tanto ardore"
"Ma..." balbettò papà "Noi non possediamo tanto denaro"
"Perché non vai a spillare soldi a qualcun altro?" m'intromisi,
impavido "Non vedi che siamo una povera famiglia che campa alla
giornata?"
"Kaku!" gridarono in coro mia madre e
mia sorella "Vieni via!"
Il capitano pirata mi osservò da capo a piedi, meditabondo "Hai
fegato, ragazzo" concluse "Perché non molli questi perdenti e ti
unisci alla mia ciurma? Non camperesti più alla giornata, sai"
"Neanche se dovessi supplicarmi" risposi con tono glaciale.
Ma d'un tratto, avvertii uno spintone al braccio "Io posso diventare
un tuo alleato!"
"Milo!" mi voltai verso mio fratello con occhi infuocati "Ma
che sciocchezze vai blaterando?"
"Milo, no!" mia madre e mia sorella si portarono le mani alla
bocca, mentre mio padre assisteva allo spettacolo sconvolto.
"E perché dovrei scegliere te, piccoletto?" lo sfidò il pirata,
ridendo e dandosi di gomito con gli uomini della sua ciurma.
"Perché sono forte!" Milo fece qualche passo avanti con aria
spavalda "Molto più di mio fratello! E poi voglio fare il pirata!"
"Ma davvero?" gli uomini scoppiarono a ridere sonoramente.
"Adesso basta" intervenni "Sta' indietro!"
Ma mio fratello mi spinse "No! Tu sta' indietro, sapu-Kaku!
Questa è la mia occasione!"
"Lo credi veramente?" mi arrabbiai "E' questo che vuoi
diventare, un criminale?"
"Non sono affari tuoi!"
"Molto bene, ragazzino" incalzò il delinquente "Se riuscirai
a prendere diecimila berry a tuo padre, potrai
considerarti un membro della mia ciurma"
Sgranai gli occhi "Che cosa? Milo, non oserai..."
Ma mio fratello era impietrito: provò ad avvicinarsi a nostro padre, ma le
gambe gli tremavano.
"Avanti, minaccialo!" gli suggerì il pirata "Fagli capire
chi comanda!"
Milo guardò negli occhi il nostro povero genitore: fu un momento
interminabile ed intenso. Per un attimo credetti davvero che l'avrebbe fatto.
Ma non ci volle molto per farlo cadere in ginocchio e con le lacrime agli
occhi "Mi dispiace...non posso"
Tirai un sospiro di sollievo "Grazie al cielo"
I fuorilegge risero in modo sguaiato e rumoroso "Hey,
dov'è finita la sicurezza che avevi prima? Allora sei un pappamolle!"
Mio fratello si coprì il volto, mentre mio padre gli posava una mano sulla
spalla e gli diceva "Hai fatto la cosa giusta, figliolo"
"Odio il lieto fine!" sbraitò il capitano "Datemi una
pistola!"
"Cosa diavolo vuoi fare?" mi avvicinai "Non ti è bastato
soggiogare mio fratello?"
Ma non ebbi terminato la frase, che svariati proiettili corsero nell'aria
come fossero missili, accompagnati da un fastidioso rumore di spari continui.
"NO!" arrivarono alle mie orecchie le urla rotte di mia madre, ma
erano lontane, come se provenissero da un'altra dimensione.
Il mio sguardo allarmato era concentrato negli occhi soddisfatti e assetati
di sangue del capitano pirata, ma poco dopo mi accorsi che la pistola non era
puntata verso di me.
"Papà!" mi girai di scatto.
Mio padre era accasciato a terra, sanguinante, privo di sensi
"PAPA'!" urlai, correndogli incontro.
Milo era stato spinto via, confuso, spaventato, mentre le due donne di
famiglia erano già accanto al corpo del carpentiere di Kodama,
e piangevano come mai le avevo viste fare prima di allora.
Passai una mano sul volto di mio padre, ma non batté ciglio. Il suo
colorito si andava spegnendo.
"Ecco cosa succede a chi si rifiuta di collaborare!" sentenziò
l'assassino alle nostre spalle.
"Maledetto..." sibilai tra i denti "MALEDETTO!" afferrai
un pezzo di ferro crollato dall'officina e mi scagliai contro quell'uomo, ma
senza risultati.
"Kaku!" gridò mia madre, in preda alla
disperazione "Non anche mio figlio!"
"Fratellone, no!"
Il pirata grande e grosso mi scaraventò a terra, mentre tossivo e
inghiottivo polvere.
"Andiamo, ciurma" si rivolse ai suoi uomini "Non c'è niente
da vedere qui"
Nell'istante stesso in cui decisero di lasciarci in pace e s'incamminarono
verso la costa, una ragazzina dai capelli biondi ci venne incontro "Kaku! Kaku!"
"Sophie!" la guardai avvicinarsi sbarrando gli occhi "Che ci
fai qui?"
Ma lei mi corse tra le braccia e non volle sentir ragioni, finché le sue
lacrime non smisero di bagnare la mia maglietta "I miei genitori..."
E così si squarciava il cielo di Kodama, sporcato
dal fumo delle macerie e dei palazzi disastrati, invocato dai lamenti funebri e
sognato da chi non ce l'aveva fatta.
Ancora una volta, erano stati i cattivi a vincere.
Per curare la mia patria, avrei dovuto innanzitutto curare la mia anima.
Fu la mattina del giorno successivo all'attacco, che mi recai negli uffici
del sindaco a chiedergli istruzioni su come entrare a far parte del governo.
Mi scoppiò a ridere in faccia "Un ragazzino come te? Quanti anni hai,
quattordici?"
"Sedici, signore. E non demordo"
Smise all'istante di sghignazzare e mi guardò con fare perplesso.
Era stata una decisione consequenziale, sofferta, che mi aveva attraversato
la mente durante quella notte insonne trascorsa a raccogliere i cocci della
nostra vita. Sentivo che tutto era cambiato di colpo, che da primogenito
ero diventato l'uomo di famiglia , e avrei dovuto occuparmi di mia madre e dei
miei fratelli.
Ci voleva qualcosa di molto potente per sconfiggere quella delusione e quel
male che si erano fatti spazio dentro di noi, quel senso di vuoto e di
sconfitta che attanagliava i nostri cuori.
Non avevo mai pensato molto a cos'avrei fatto da grande. Credevo che sarei
finito nella vecchia officina a fare il carpentiere e non mi sarei mai mosso
dall'isola.
Ma quella notte, mi resi conto che avevo bisogno di qualcosa di più: non mi
sarei accontentato della Marina, non bastava.
Avrei cercato di entrare nel Governo Mondiale, se ciò avesse significato
proteggere le vite delle persone che amavo e contribuire a pulire la società dai
criminali.
Io continuo ad aggiornare
speranzosa, ma noto con dispiacere che Kaku nessuno
se lo caga ahaha (perdonatemi la battuta insulsa, ma
non vedevo l’ora di farla xD)...per fortuna l’ottimismo
dell’autrice non si arrende e continua a portare avanti la sua storia con
fermezza e solennità u.u
Bando alle ciance, questo forse
si può considerare come il vero inizio: finora è stato necessario chiarire un
po’ quella che era la situazione familiare di Kaku,
ma finalmente in questo capitolo c’è l’input.
Probabilmente può risultare un
po’ scontata l’idea del “classico attacco pirata” che spinge il protagonista a
cambiare vita, ma secondo me c’era bisogno davvero di qualcosa di molto forte
per spingerlo a diventare un assassino.
"Non devi andare a lavoro oggi?" sussurrò Sophie sulle mie
labbra.
"Non se continui ad accarezzarmi i capelli in questo modo"
abbozzai un sorriso con gli occhi ancora chiusi.
"Ti amo"
"Ti amo anch'io"
"Beh, però qualcuno dovrà pur alzarsi, no?" sospirò "Siamo
in ritardo entrambi"
La trattenni per un braccio "Non così presto"
"Non è tanto presto" rispose con tono divertito "Ci sarà già
un mare di clienti ad aspettarti in officina"
"...e un mucchio di golosi ad attendere in panetteria!"
sbadigliai, rigirandomi pigro tra le lenzuola, mentre Sophie si recava in
cucina dicendo "Faresti meglio a sbrigarti, altrimenti Milo distruggerà
tutto l'esercizio"
Mi strofinai gli occhi assonnati "Mio fratello è un caso
perso..."
Stavamo cercando di guadagnare il minimo indispensabile con il mestiere di
famiglia, anche se le poche cose che avevo insegnato a Milo non gli riuscivano
granché bene. D'altra parte, anche mia madre e mia sorella cercavano
d'incrementare le vendite in panetteria: da quando c'era Sophie, avevano cominciato
a cucinare regolarmente anche dolci e biscotti.
Insomma, provavamo a sostentarci come meglio potevamo. Fino a quando,
quel giorno, non arrivò una lettera inaspettata...
Quando andai in cucina, trovai Sophie intenta a leggere la posta
"Qualcosa di interessante?" le chiesi distratto.
Si voltò verso me con sguardo incerto, confuso "Questa cos'è?" mi
mostrò un foglio bianco riempito con una scrittura regale e sofisticata.
Mi sforzai per metterlo bene a fuoco "Fammi vedere" afferrai quel
pezzo di carta e, dopo che ebbi finito di leggerlo, lo stupore nei miei occhi
si confuse con quello negli occhi della ragazza.
"Che cosa significa, Kaku?" chiese con
un po' di timore.
Non ebbi il coraggio di rispondere. Mi ressi al tavolo e feci profondi
respiri, dandole le spalle.
"Tesoro..." si avvicinò e posò una mano sulla mia spalla "E'
stato un errore, vero?" ma pian piano, percepivo il suo tono farsi
tremante "Perché non dici niente? Dimmi che non è vero, ti
prego"
Percepivo che l'atmosfera di tenerezza di poco prima era stata del tutto
risucchiata da una sensazione di tensione, di malessere ed ansia. Era stata
tutta una questione di secondi, da così a così. Ed ora la persona che mi era
accanto esigeva spiegazioni.
"Io..." farfugliai.
Sophie indietreggiò lentamente, portandosi le mani alla bocca "Non ci
posso credere..." i suoi occhi divennero lucidi "No, non tu!"
Sospirai, temendo che quel fragile tavolo non sarebbe stato in grado di
reggere i miei pensieri pesanti "E'...è passato tanto tempo..."
riuscii a dire "Quasi me n'ero dimenticato"
Esitò, poi chiese"Perché?" mordendosi
un labbro, amareggiata.
Scossi la testa "Non so, forse credevo di potermi rendere utile"
il mio passato tornava a tormentarmi, quel passato che mi sembrava così lontano
e che invece distava solo un anno.
"Renderti utile?" ripeté con foga "E non hai pensato alla
tua famiglia? Non hai pensato a me?"
"Sophie" strinsi gli occhi, cercando di dosare le parole
"L'ho fatto il giorno dopo che ci siamo conosciuti, non ero..."
"E allora? Io ero già innamorata di te!" ribatté con convinzione.
I tratti del suo viso si fecero più duri "Era già successo tutto!
Come...come hai potuto?" era incredula.
"Tesoro, ti prego, non prenderla sul personale. Tu non c'entri"
cercai di rassicurarla.
"Tua madre sarebbe furiosa!" mi rimproverò "E anche Kyoko non approverebbe! Sei proprio...sei..." si portò
le mani ai capelli, a corto di aggettivi.
"Per favore, basta così" la interruppi. Mi stava facendo
scoppiare la testa.
Sgranò gli occhi "Dovrei anche starmene zitta, adesso? E magari
lasciarti fare, lasciarti partire?"
Le rivolsi uno sguardo implorante e supplichevole: speravo che il dolore
fosse evidente anche nei miei occhi. Ma non feci altro che farla piangere
ancora di più "Fai sul serio? Vuoi abbandonarmi così?"
Non dissi nulla. Mi coprii il volto con le mani e confessai il dispiacere
ai miei palmi.
Non lo meriti, amore mio. Non lo meriti.
"Kaku..." adesso la sua voce faceva più
male di una pistola carica "Non puoi...insomma, sei tutto ciò che ho...da
quando i miei sono morti, ho odiato quest'isola: ho odiato il fatto di dover
restare qui, di non avere altra scelta, ho desiderato persino di non essere mai
arrivata a bordo della Lady Catherine!"
Smettila, avrei voluto dirle. Abbi pietà di me, risparmiami. Ma la
paura di tradire il magone che cercavo di inghiottire, mi strozzò le parole in
gola.
Sophie adagiò la testa sulla mia schiena e mi abbracciò calorosamente
"Sei stato tu a convincermi a restare...tu e la tua famiglia mi avete
accolta qui come fossi una di voi...perciò, amore mio, io ti chiedo di non
andare. Facciamo finta che quella lettera non sia mai arrivata e cestiniamola.
D'accordo?"
Come fai a dirle che invece la tua priorità è proprio partire, dare il tuo
contributo alla lotta contro i malviventi anche a costo della vita, come fai?
"Sophie, ascoltami" mi girai e le presi le mani fredde e sottili
"Ho fatto una promessa a me stesso. Devo farlo. Mi spiace se la cosa può
ferirti, ma..."
"Ti prego..." sussurrò lei in un soffio "Non puoi...io...io
ho bisogno di te. Non lasciarmi"
Non sapevo resistere a quei grandi occhi marroni, così distolsi il mio
sguardo codardo e fissai il pavimento, incapace di proferir parola.
"Questo non servirà a vendicare tuo padre, lo sai?" divenne
improvvisamente aggressiva. Forse le stava tentando tutte, pur di convincermi a
rinunciare al mio obiettivo.
"Ci sono tante brave persone come mio padre e i tuoi genitori che si
ritrovano a fare i conti con dei criminali" le risposi prontamente.
Si liberò dalla mia presa e allargò le braccia, esasperata "E allora
che li combattano! Ma ci sono migliaia di soldati e di organi del governo che
se ne occupano! Perché, dannazione, devi andarci anche tu?"
"Mi chiedi perché?" mi scaldai. Cominciavo ad averne davvero
abbastanza "Tu non c'eri quando quel pirata ha colpito mio padre!"
"Perdonami, ero troppo impegnata a cercare di salvare il mio, di
padre!"
"E allora dov'è il problema? Sai anche tu che è per una giusta causa,
quindi perché non dovrei..."
"Perché ti ucciderebbero!" sbottò, in preda alle lacrime e alla
disperazione "E io non voglio perdere anche te! Perché ti amo!" cadde
in ginocchio e affondò il volto bagnato tra le mani.
Non seppi controbattere. Restai in silenzio con i miei sensi di colpa,
dopodiché abbandonai la stanza con un sonoro "Credevo che tra tutte le
persone, tu saresti stata l'unica che avrebbe capito!"
Ma i suoi singhiozzi non si curarono delle mie parole offese e continuarono
ad avvelenarle l'anima.
"Povera Sophie" commentò mia madre a cena "Se n'è stata
tutto il giorno rinchiusa nella sua stanza a piangere. Ma dimmi, cosa le hai
fatto, Kaku?"
"E' per via di quello stupido naso" s'intromise Milo con tono
acido "Quale ragazza vorrebbe un fidanzato con un naso enorme così?"
"E piantala!" gli mollai uno scappellotto.
"Io invece credo che Kaku sia molto
carino" mi difese Kyoko.
"Tesoro" incalzò nuovamente mia madre con fare apprensivo "Non
credi che le dovresti stare più vicino? Forse è stressata, o avvilita,
oppure..."
"Sono certo che non si tratta di questo" ammisi con tono funereo
"Ascoltate, io..." raccolsi le parole migliori e posai la forchetta
sul tavolo, anche se non avevo toccato cibo "Ho un annuncio da farvi"
I miei familiari mi guardarono attentamente, con aspettativa e interesse:
le loro espressioni si facevano sbigottite durante il mio discorso, a tratti
persino scandalizzate. Avevo paura che non avrebbero retto, ma mi convinsi che
avrei dovuto proseguire lo stesso.
Continuai imperterrito, informandoli della mia decisione "...pertanto,
una nave del governo mi verrà a prendere l'indomani stesso"
"COSA?" sbottò mia sorella "Ma non è possibile, fratellone!
Come...come ti è venuta in mente una cosa del genere?"
Milo batté con forza i pugni sul tavolo "Maledizione! Ho sempre
pensato che fossi un idiota, ma non credevo che potessi arrivare a tanto!"
sputò nel piatto "Un membro corrotto del governo...e poi hai il coraggio
di criticare i pirati!" si alzò dalla sedia e mi rivolse uno sguardo
sprezzante "Per me sei feccia, sapu-Kaku!"
e sparì nella sua stanza prima che potessi dirgli qualcosa.
"Non è uno scherzo, vero?" chiese ancora Kyoko,
speranzosa "Non lo è..." si disse sottovoce, dopo che ebbe constatato
la presenza dell'afflizione e del dolore nel mio sguardo "Non posso
credere che tu non me l'abbia confidato..." aggiunse in un sibilo, per poi
correre anche lei fuori dalla cucina.
Restai solo con i miei pensieri colpevoli, aspettando un cenno da parte di
mia madre che era rimasta silenziosa ad ascoltare i nostri battibecchi.
"Quindi non te l'ha detto" disse d'improvviso.
Alzai lo sguardo, non comprendendo la sua frase "Chi?"
Si asciugò una lacrima e si alzò, cominciando a sparecchiare "Figlio
mio..." la rivelazione arrivò più devastante che mai, tagliente come una
lama molto affilata, più violenta di una bomba a mano "Sophie è incinta"
Avanzava lenta la nave del governo sul mare, portandomi via dalla mia casa,
dalla mia famiglia e da tutto ciò che amavo.
Kodama era bella di sera, illuminata dai fuochi d'artificio della festa popolare
e da una musica che si faceva sempre più lontana.
Avevo fatto i bagagli in fretta e furia e me n'ero andato portandomi dietro
solo rancore e facce tristi, solo parole cariche di rabbia e insulti che mi
dipingevano come un testardo e un masochista.
Poi, l'abbraccio di mia madre. E mi sembrò che il tempo si fosse fermato
per un istante.
Sophie non aveva avuto il coraggio di dirmi addio e la mandai un bacio
attraverso il vento, sperando che potesse raggiungere il letto nel quale
riposava.
Perdonami, amore mio. Perdonami.
I fuochi d'artificio si aprivano rumorosi, sfavillanti, colorando quel cielo
buio e dandogli vita in modo allegro e appariscente. L'anno precedente avevo
baciato per la prima volta Sophie, durante quella pazza festa. Poi c'erano
stati i pirati e la sofferenza e la disperazione.
Cercai di reprimere l'impulso primordiale del pianto affondando le unghie
in quel dannato parapetto e graffiando il legno.
Mi ripetei più volte che quella era la cosa giusta da fare: la mia
vocazione, il mio desiderio, il mio dovere.
E' che per quanto i tuoi sogni e le tue aspettative viaggino lontano, non
puoi mai prevedere quali buchi neri e rivelazioni ha in serbo per te la vita.
Questo è finora uno dei miei capitoli
preferiti! Spero sia stato anche di vostro gradimento.
Dunque, voglio precisare alcune
cose: spero si sia capito che Sophie è stata ‘adottata’ dalla famiglia di Kaku dopo che ha perso i suoi genitori e adesso vive
praticamente a casa del suo ragazzo (date per scontato che la madre di Kaku sia di ampie vedute…).
Ho sempre immaginato che Kaku fosse entrato a far parte delle forze governative
molto piccolo, quasi in età infantile, questo per permettergli di ottenere un
ottimo addestramento e di farlo diventare una spia esperta e professionale.
Però all’interno della storia non ho potuto renderlo al di sotto dei 16 anni,
altrimenti mi sarebbe andato a scombussolare la gravidanza di Sophie (cosa che
ci tenevo particolarmente ad inserire).
L’ultima parte spero non risulti
troppo angosciante: l’ho scritta ascoltando “Starlight”
dei Muse, di cui ho riportato anche le parole “Black holes
and revelations”…vabbè, ma ve ne frega? xD
Grazie alle anime pie che mi
seguono e mi recensiscono! Se ci siete battete un colpo, oh! ;)
Tentai con tutta la mia determinazione d'incrementare il numero di
flessioni al minuto, ma dopo un quarto d'ora ero sfinito e senza fiato.
"Cosa fai, soldato, ti arrendi? Mai arrendersi in ambito di
guerra!"
Rivolsi uno sguardo appannato all'addestratore, mentre le gocce di sudore
scendevano inflessibili sul mio volto affaticato.
"Mi hai sentito?" continuò quello, avvicinandosi "Scattare,
forza, scattare!"
Con l'ultimo respiro affannoso, mi armai di buona volontà e ripresi ad
allenarmi.
Nella terra sacra di Marijoa, mi era subito parso
evidente che l'addestramento non sarebbe stato una passeggiata: infatti avevano
diviso immediatamente in gruppi i nuovi arrivati, e il giorno seguente avevano
già cominciato gli allenamenti.
Ore sei: sveglia; ore sei e mezza: colazione; ore sette: lezione di kendo;
ore otto: lotta corpo a corpo; ore nove: lezione speciale Rokushiki; ore dieci: addestramento con armi da
fuoco; ore undici: lezione di resistenza in situazioni estreme; ore dodici:
esercizi liberi; ore tredici: pausa pranzo.
E si continuava così per tutto il pomeriggio, in vortice continuo di sforzi
fisici e ambizione. E di quest'ultima bisognava averne proprio tanta, per non
mollare tutto il primo giorno...
"Necessito una boccata d'aria..." annaspai una volta, rialzandomi
a fatica dopo la prova di resistenza.
Quella mattina ci avevano fatti immergere in un'acqua infestata da piranhas e squali bianchi, facendo sì che mettessimo in
pratica gli insegnamenti difensivi che ci avevano mostrato la settimana
precedente.
"Cos'è che necessiti?" si avvicinò l'addestratore, implacabile
"Non credo di aver sentito bene..."
"Una..." balbettai, ma un violento pugno allo stomaco mi fece
zittire all'istante.
Fu allora che imparai che avrei dovuto cavarmela da solo, sempre e
comunque. Vivere in quell'ambiente ostile non faceva altro che rendere le cose
ancora più difficili, ma avrei dovuto farcela. A tutti i costi.
I primi cinque mesi furono i più duri: portavo il mio corpo oltre il limite
e spesso stramazzavo al suolo senza più un briciolo di forze. Ciò che mi
rincuorava era il massiccio ricovero di cadetti in infermeria, soprattutto dopo
la prova in acqua: sentirmi uno dei pochi 'superstiti' giovò non poco al mio
orgoglio.
Poi, il sesto mese, arrivò Rob Lucci...
"Buon pomeriggio, Karl" entrò in palestra con aria solenne,
squadrandoci tutti da capo a piedi con diffidenza.
"Buon pomeriggio a lei, Signor Lucci" si prostrò il nostro
allenatore al suo cospetto "Cosa la porta da queste parti?"
L'altro fece qualche passo avanti, non staccando gli occhi da noi e facendo
ondeggiare il suo cappotto nero "Come procede l'addestramento delle
reclute?" chiese dopo un po', incurante della domanda precedentemente
postagli.
L'allenatore fece un sorrisetto furbo "Può testare con mano, se ne ha
voglia"
Lucci proseguì il suo cammino indagatore, facendo rimbombare nell'ambiente
silenzioso il rumore delle sue scarpe. Poi un sorriso beffardo gli increspò le
labbra "Mi tenti, Karl"
"Ne ha tutto il diritto, Signor Lucci, io sono solo..."
"Solo un momento, però. Devo essere ad Enies
Lobby entro mezz'ora" il suo sguardo s'incrociò pericolosamente con il mio
"Tu, vieni avanti"
Sobbalzai. Aveva detto proprio a me?
Mi avvicinai lentamente, non sapendo se sentirmi onorato per essere stato
scelto tra tutti i presenti, o avrei dovuto temere quell'uomo che sprigionava
superiorità da ogni singola cellula.
I suoi occhi neri scavarono a fondo nei miei, mentre gli altri osservavano
intimoriti "Qual è il tuo nome, soldato?" chiese semplicemente.
Storsi il naso: possibile che uno del suo calibro volesse sapere il nome di
un novellino qualunque?
"Mi chiamo..." tentai comunque di rispondere ma, come a conferma
dei miei pensieri, un potente destro cercò di abbattersi nel mio corpo, approfittando
della distrazione.
"Tekkai" reagii
immediatamente.
I cinque mesi di addestramento mi avevano insegnato a non farmi cogliere
alla sprovvista, ma ciò non bastò ad impedire a quella forza sovrumana di
penetrarmi lo stomaco. Infatti, dopo una debole resistenza, Rob
Lucci mi scaraventò a terra senza troppe cerimonie.
"E' così che si comportano i tuoi uomini di fronte a una minaccia,
Karl?" alzò un sopracciglio "Piuttosto deludente"
"Shigan" mi rialzai e
cercai di attaccare quell'uomo che mi aveva umiliato, ma finii col causare
soltanto ilarità al mio avversario: Lucci si era scansato facilmente, sotto gli
sguardi allibiti dei presenti.
"Siamo vivaci, eh?" aveva ghignato con tono crudele "Karl,
permettimi d'insegnare le buone maniere ai tuoi uomini indisciplinati...Soru"
Fu un istante: l'addestratore cercò di aprire la bocca, ma non ebbe il
tempo di replicare, intanto Lucci mi afferrò per il bavero della divisa e mi
spedì dritto nello specchio che ricopriva la parete della palestra di Marineford, provocando un fastidioso rumore di vetro.
Il silenzio regnò per i successivi dieci secondi, mentre mi rialzavo
tremante e inghiottivo sangue. Cercai di strapparmi dal braccio i pezzi di
vetro e mi pulii la bocca bagnata.
Quello era un diavolo...
"Sei un bravo ragazzo" si era fatto schioccare le ossa del collo
"Ma questa vita non fa per te" s'incamminò verso la porta con aria
sdegnosa.
"Si-Signor Lucci..." balbettò Karl "Lo specchio...no-non ce
lo rimborseranno..."
Lucci gli rivolse uno sguardo sprezzante e carico di disgusto "Lo specchio..."
ripeté in un sibilo, dopodiché gli si avvicinò lentamente e gli lanciò addosso
una cascata di quattrini "Comprati un po' di dignità, adulatore
opportunista" e sparì oltre l'uscio, lasciandoci in un clima teso e
umiliato.
Karl si tolse le banconote dalla faccia, rosso in volto "Che avete da
guardare?" sbraitò "A lavoro, SUBITO!"
Più forte. Più forte. Ancora più forte.
Avrei dovuto impegnarmi al massimo, se volevo sperare di raggiungere almeno
un terzo della potenza di Rob Lucci.
Quell'uomo mi aveva davvero strabiliato: padroneggiava le Rokushiki come fossero pane, nel suo sguardo si
percepiva una ferocia fuori dal comune e aveva una forza che avrebbe messo
fuori gioco anche il più pericoloso dei criminali.
Voglio diventare come lui, pensiero che mi accompagnò durante i
successivi mesi di addestramento, pensiero che mi diede la grinta di tirar
fuori gli artigli e di mostrare agli altri che ero degno del titolo a cui
ambivo, pensiero che ebbi la determinazione di tradurre in abilità, divenendo il
migliore in tutte le discipline e suscitando l'invidia delle altre reclute,
pensiero che mi fece perdere di vista la ragione e spesso mi fece comportare
come uno scellerato.
Per questo motivo, l'adrenalina era alle stelle quando, un giorno, Karl ci
comunicò che eravamo pronti per la missione prova...
Capitolo
estremamente breve e vi chiedo scusa, ma non avevo proprio nient’altro da
aggiungere. Entra in scena Rob Lucci in veste di
‘pezzo grosso’, perché come ben sapete lui faceva parte delle forze governative
già a quindici anni (ed era già considerato pericoloso).
Un’altra
cosa: non so se l’addestramento delle reclute delle CipherPol è uguale a quello dei giovani marines, né se si tratta
di un addestramento unico. Se voi siete più informati di me, per favore, non
esitate a farmi notare eventuali errori. Se
sbaglio mi corrigerete! xDGli allenamenti quotidiani ovviamente sono
inventatissimi, ma spero di essermi avvicinata almeno un po’ a quelli reali.
Stavolta
ci sono andata un po’ più pesante con la musica, infatti mi sono lasciata
ispirare da “Fuel” dei Metallica…ma non ve la
prendete con loro per ciò che ne è uscito! xD
Marijoa non era soltanto la sede del Governo Mondiale, ma anche la dimora fissa
dei cosiddetti Draghi Celesti, importantissimi nobili conosciuti in tutto il
mondo come i discendenti diretti dei fondatori delle forze governative. I
Draghi Celesti non si vedevano spesso in giro: preferivano rinchiudersi tra le
imponenti mura dei loro lussuosi alloggi ed evitare qualsiasi tipo di contatto
con quella che ritenevano 'una razza inferiore'.
Quel giorno, però, i più giovani avevano deciso di uscire allo scoperto e
fare una passeggiata per il vicino Arcipelago Sabaody,
ovviamente sotto la supervisione di esperte guardie scelte apposta per loro ed
espressamente richieste dal loro genitore.
"Ciò che dovete fare voi" spiegò il nostro addestratore "E'
assicurarvi che nessuno si avvicini ai nobili, né alle guardie del governo.
Intesi?"
"Sì, signore"
E in un istante eccoci arrivati a Sabaody, nel
bel mezzo di una folla di persone, pirati, commercianti ambulanti e bambini che
giocavano.
"E' davvero bellissimo..." mi lasciai sfuggire, mentre mi perdevo
a guardare estasiato le bolle che si alzavano dal suolo e le gigantesche
Mangrovie che rendevano l'ambiente insolito e caratteristico.
I Draghi Celesti erano due: una ragazzina sui dodici anni e suo fratello
piagnucolone, entrambi trasportati da uno schiavo che comandavano a bacchetta
"Avanti, striscia più veloce! Io e mia sorella ci stiamo annoiando!"
Mi guardavo intorno circospetto, facendo ben attenzione ai passanti e
svolgendo con devozione il mio (seppur di poco prestigio) lavoro. Fino a quel
momento, il corteo era andato avanti indisturbato, circondato da una decina di
pezzi grossi e ammirato dagli abitanti dell'Arcipelago, i quali s'inchinavano
intimoriti al nostro passaggio.
La giornata volò via veloce, accompagnando i due fratelli al Sabaody Park e poi in giro per la zona turistica. Tutti
sembravano rispettarli in modo ossessivo, e guai se qualcuno non
s'inginocchiava o mostrava un minimo segno di indifferenza: avrebbe anche
potuto restarci secco.
"Mia sorella vuole un gelato! Sentito, schiavo?" San Charloss calciò con forza l'uomo che gli stava sotto i
piedi, infilandosi un dito in una narice con fare strafottente "Fermati
subito!"
Con un rantolo sommesso, lo schiavo si arrestò e fece scendere i suoi
padroni altezzosi, ignorando le fitte di dolore che probabilmente questi ultimi
gli stavano infliggendo alla schiena. Mi concessi un sospiro, mentre i due
nobili erano scortati in gelateria e discutevano sui dolciumi da acquistare.
Dopotutto, quel misero incarico non era tanto male: se non altro, potevo
godermi la visita di quel posto affascinante senza essere disturbato. Il mio
pensiero volò alla lontana Kodama, chissà quanto Kyoko si sarebbe divertita a giocare con quelle enormi
bolle...
Ma non ebbi tempo per concentrarmi su quelle riflessioni, perché furono
prontamente spazzate via dai due ragazzini che uscirono subito dal negozio,
lamentandosi a più non posso "Questo gelato è troppo freddo!"
"Ha un assortimento da morir di fame!"
"Ma hai visto quelle caramelle? Sembravano scadute da millenni!"
"Non saremmo dovuti entrare in uno schifoso negozio qualunque...nostro
padre non ce lo perdonerebbe!"
Tra le loro voci, la mia attenzione fu catturata da uno strano rumore
metallico che si faceva sempre più vicino. Voltai lo sguardo vigile prima degli
altri e, prima ancora che il pericolo fosse evidente, mi ero già lanciato
davanti ai due fratelli prima delle altre guardie: una decina di coltelli
lanciati nell'aria alla velocità della luce, che fortunatamente riuscii a
fermare singolarmente con precisione e sangue freddo.
Mi ritrovai con quelle armi taglienti tra le mani senza rendermene conto.
Era successo tutto troppo in fretta e mi venne da sgranare gli occhi.
L'unica cosa di cui mi accorsi, fu che gli altri uomini del governo si
erano buttati addosso al mendicante da cui era partito l'attacco, poi
arrivarono alle mie orecchie le urla dei nobili "Aaah!
Siamo morti! Ci ha uccisi!"
"Tutto bene" si affrettò a replicare una guardia, mentre
immobilizzava l'attentatore con fare esperto "Tutto sotto controllo,
principessa Shalulia!"
"Dio salvi la nobiltà!" urlò il colpevole, evidentemente ubriaco
e incapace d'intendere e di volere.
"NON E' TUTTO SOTTO CONTROLLO!" sbraitò la ragazza "Cosa
stavate guardando, branco di buoni a nulla?!"
Prima che potessi accorgermene, un pezzo grosso aveva già provveduto a
neutralizzare l'uomo, cominciando a soffocarlo davanti agli sguardi allucinati
delle persone circostanti, incurante delle sue urla di dolore.
"Se non fosse stato per...a quest'ora..." continuò a balbettare
Santa Shalulia, mentre suo fratello leccava il gelato
con espressione scombussolata e con naso gocciolante, finché lo spettacolo non
terminò e l'uomo si accasciò a terra, privo di sensi.
"E' questa la giusta punizione da infliggere a chi si mette contro di
noi" sputò ancora la nobile attraverso la sua maschera resinosa.
La gente che si trovava nei paraggi si portò le mani alla bocca,
spaventata, ma non osò controbattere né esporsi.
"Torniamo a casa, sorellina. Questo Sabaody
non è proprio nulla di speciale"
"Mio padre dovrà recarsi a Shinoka domani, GrandammiraglioSengoku. Mi
aspetto che le guardie che l'accompagneranno saranno più competenti di quelle
che avete appioppato a me e mio fratello"
"Certamente, principessa. Le sceglierò personalmente, posso
assicurarglielo"
"E per quanto riguarda oggi...beh, posso dire che sono profondamente
delusa da lei e da tutti i suoi uomini. Credevo che almeno voi deste la giusta
importanza a ciò che siamo, invece vi siete rivelati soltanto dei comuni esseri
umani"
"Sono desolato per l'increscioso episodio di oggi pomeriggio, nobile Shalulia, e le prometto che non si verificheranno mai più
errori del genere. Ha la mia parola"
La ragazza si voltò nella mia direzione "Solo quest'uomo è stato in
grado di proteggermi. Chi è?"
Abbozzai un sorriso "Solo solo un s..." sottoposto, stavo
per dire, sottoposto dei grandi capitani di Marijoa.
Ma un uomo dal viso scuro e dai capelli biondi mi precedette
"Spia" si affrettò a rispondere prima di me "Una spia della
CP7" sorrise soddisfatto, mentre Sengoku si
allontanava parlando con San Charloss.
Lo guardai sbarrando gli occhi. Poi, in seguito, mi spiegò che era il capo
della CipherPol 7 e che
proprio quella mattina un agente era stato ucciso sul lavoro.
"Non farne parola con Sengoku, o non ci
penserà due volte a sbattermi fuori" mi aveva raccomandato non prima di
essersi acceso una sigaretta e aver fatto un profondo tiro "Beh, sembra
che tu piaccia molto alla ragazzina celeste..." aveva ammiccato con tono
ironico "Domani partirai con i miei uomini per scortare suo padre a Shinoka. Non ci vorrà molto" fece per andarsene, poi
tornò indietro "Ah, di' a Karl che è un imbecille e che d'ora in poi sei
sotto il mio comando"
Quella sera, mi ritirai nel mio dormitorio e preparai il necessario per il
giorno seguente, senza farne parola con gli altri cadetti.
Ero ansioso di partire e non vedevo l'ora di mostrare le mie capacità agli
altri. Corgi mi aveva offerto di lavorare per lui, ma
la sua richiesta (o forse dovrei dire la sua imposizione) era stata
semplicemente dettata dalla simpatia che provava per me Santa Shalulia e, caso fortuito, da un improvviso posto libero
nella CP7.
In qualsiasi caso, si trattava di una grande opportunità e non avrei
mancato di mettere in pratica tutto ciò che sapevo fare: Corgi
non si sarebbe pentito della sua scelta.
Quando andai a raccogliere le mie cose in palestra, Karl mi salutò con un
grugnito "Sei stato fortunato per l'episodio di oggi pomeriggio. Ma questo
non fa di te un eroe, sai?"
"Assolutamente" afferrai la borsa che avevo lasciato lì il giorno
prima.
"Si è trattato soltanto di un caso" continuò con tono velenoso,
mentre metteva a posto svariati attrezzi con cura meticolosa.
"Lo so" lo assecondai con sguardo basso.
"Poteva capitare a chiunque"
"Certamente" concordai, voltandomi verso il mio interlocutore con
aria di superiorità. Probabilmente mi ero già montato la testa "A proposito,
Corgi mi ha detto di riferirle che d'ora in poi sarò
sotto il suo comando" l'espressione sul volto del mio allenatore divenne
di uno strano colore verde e i suoi occhi si fecero più larghi
"Pertanto...beh, io qui la saluto"
Me ne andai senza degnarlo di ulteriori spiegazioni, mentre con lo sguardo
seguiva inebetito la traiettoria dei miei passi.
Prima
di far entrare Kaku nella CP9, ho pensato che fosse
necessario fargli fare un po’ di gavetta, almeno per rendere le cose un tantino
più credibili. E allora il mio pensiero è andato subito ai Draghi Celesti,
giacché sono residenti a Marijoa…e poi a Corgi, che è un personaggio che si vede davvero pochissimo:
non si sa effettivamente che ruolo abbia e io ho ‘approfittato’ di ciò per
immaginarlo a capo della CP7.
Poi
qui spero che non mi lincerete: ho dato per scontato che Sengoku
non sapesse della missione prova fissata per quel giorno a Sabaody,
ecco perché non si è soffermato sull’identità di Kaku.
So che probabilmente è una negligenza che non avrebbe, ma dati i suoi
numerosissimi impegni, forse non è a conoscenza dell’organizzazione interna di
tutte le CipherPol, ma
solo delle più importanti. Mentre le minori sono magari amministrate da uomini
di cui si fida ciecamente (come Corgi, per esempio). La cosa non mi sembra tanto fattibile, perché
credo che ci sia una certa burocrazia a regolamentare i membri delle varie
forze governative, ma è qui che entra in gioco l’immaginazione: immaginate
insieme a me, sennò non ne usciamo vivi xD
Un
ringraziamento speciale ad ArchdeaconChopen che è sempre la prima a recensire! Lettori
silenziosi, fatemi sentire il vostro supporto, su! ;)
Shinoka non era un posto tranquillo: la popolazione viveva in condizioni misere,
mentre i pochi nobili che governavano il regno si crogiolavano nel lusso e
nelle ricchezze. Era detta, per questo la 'Terra del Contrasto',
dove da un lato spiccavano la povertà e la disperazione, e da un altro lo
sfarzo sfrenato.
Non appena sbarcammo, Corgi ci disse che il
nostro compito consisteva nel neutralizzare qualsiasi minaccia all'incontro tra
San Roswald e San Jalmack.
"Mi aspetto che facciate un ottimo lavoro" ci avvertì con tono
quasi minaccioso.
"Sasasasa! Senz'altro, capo!" rispose
un tipo dai capelli bianchi e dalla risata strana.
Quando fummo in servizio, mi spiegò che si chiamava Wanze
e che gli era stato offerto di entrare nella CP7 per un colpo di fortuna
"Io sono un cuoco, in verità. Pratico il ramenkenpo! Sasasasa!"
Scossi la testa. Quello doveva avere qualche rotella fuori posto.
Tutti i membri della CipherPol
si erano posizionati agli estremi del palazzo reale dove sarebbe avvenuto il
grande incontro: non avrebbero potuto mangiare, andare in bagno o fare altro
durante tutta la giornata.
E così sarebbe stato, se non fosse stato per i continui bisogni di Wanze: il cuoco si trovava proprio all'estremo poco distante
dal mio, di conseguenza potevo sentire benissimo le sue interminabili
lamentele.
"Sasasasa, mi scappa proprio! Dove potrei...sasasa, adesso ho anche sete!"
Alzai gli occhi al cielo "Riesci a controllarti per un istante,
dannazione? Siamo qui per sorvegliare il palazzo!"
Prendevo il mio nuovo lavoro molto sul serio. Ero deciso a dimostrare
quanto valevo, se non al mondo intero, almeno al mio capo.
Il pomeriggio fu interminabile, scandito dalle solite chiacchiere del cuoco
matto e dai raggi del sole cocente.
"Sicuro di non avere fame? Ho della farina in tasca, potrei impastarla
nella mia bocca e poi far uscire il ramen dalle
narici, così..."
Cercai di reprimere un moto di disgusto "Sto bene così, Wanze, ti ringrazio"
Ma quando calò la notte, qualcosa sembrò muoversi nell'oscurità: un'ombra,
un fruscio, un impercettibile movimento felino. Wanze
sbadigliò, sostenendo che fosse solo la nostra immaginazione che 'fa brutti
scherzi a quest'ora, sasasasa!'.
Ma io non mi lasciai ingannare: conoscendo le tensioni esistenti
sull'isola, si sarebbe anche potuto trattare di un'imboscata bell'e
buona.
I movimenti sospetti andarono avanti per diversi minuti, finché alle nove
in punto non si udì una voce possente tuonare "DIO SALVI LA
NOBILTA'!" seguita da un "Sììì!!!" d'incoraggiamento
da parte della massa nascosta.
Prima che potessimo metterli a fuoco nel buio, i ribelli stavano già
avanzando verso noi, armati e senza pietà "A MORTE SAN JALMACK!" era
il loro grido d'attacco.
Non persi tempo: tirai fuori le armi di cui ci aveva provvisti Corgi e presi a corrergli incontro, sotto le urla
spaventate di Wanze "Cosa fai, ragazzino? Sono
tantissimi!" urla che presto seminai, lanciando fendenti a destra e a
sinistra senza nemmeno vedere chi colpivo.
Che fortuna, pensavo tra me e me, non aspettavo
altro che un'occasione come questa per mostrare chi sono veramente...
Improvvisamente, un uomo armato di spada si scagliò contro di me "Shigan" ma mi bastò perforargli la spalla
destra per scrollarmelo di dosso in quattro e quattr'otto.
Nel caos, mi accorsi della presenza di altri membri della CP7
"Ragazzi!" cercai inutilmente di chiamarli "Che qualcuno avvisi
San Roswald!"
"A MORTE IL GOVERNO MONDIALE!" un altro avversario si accanì su
di me, ma con scarsi risultati "Tekkai"
E andai avanti con la repressione, fermando prima un rivoltoso "Soru", poi
un altro "Shigan", non mi
risparmiai e continuai a colpirli senza pietà, smanioso di voler dimostrare
chissà cosa.
Non vedevo più nessun membro della CipherPol accanto a me e in men che non si dica mi ritrovai solo
contro tutti a difendere il palazzo con le unghie e con i denti.
"Fatti da parte, ragazzino! Qui non abbiamo bisogno di eroi!"
"Questo lo dite voi" sorrisi beffardo e, con una velocità
inaudita, affondai nuovamente le dita nei loro corpi fragili, scaraventandone a
terra più di una decina.
Che razza d'incompetenti, ripensai ai miei presunti colleghi che se
l'erano data a gambe levate di fronte alla minaccia.
Come poteva essere possibile una cosa del genere? Dov'era andata a finire
la professionalità?
Ma nell'istante stesso in cui formulai questi pensieri, mi furono accanto Corgi e un altro uomo di media statura che portava una
maschera sulla metà destra del viso "Ottimo lavoro, Kaku"
si complimentò il mio capo "Ma adesso torna dentro: qui ci pensa la
CP9"
"La...cosa?" provai a chiedere, ma la mia domanda fu sovrastata
dalle urla dei ribelli che adesso si erano fatte più acute, strazianti, come se
qualcuno gli stesse lacerando l'anima.
Voltai lo sguardo stanco in direzione del tumulto e ciò che vidi mi lasciò
senza parole: sei persone vestite di nero erano intente a darle di santa
ragione a qualsiasi vittima gli capitasse a tiro, spesso in modo tanto veloce
da non essere neppure visibili. Sgranai gli occhi.
"Abbiamo sottovalutato la situazione, ma adesso se ne occuperanno
loro" mi spiegò Corgi, costatando che ero ancora
lì impalato "Kaku, sei stato bravo. Ma ora
basta, torna dentro" insistette, ma il suo tono sembrava quello di uno che
ha appena ricevuto una delusione da parte dei suoi sottoposti.
Mi girai a fissare le sue pupille con aria sorpresa, mentre uno strano
sapore ferreo m'invadeva la bocca. I lineamenti del suo volto divennero tutt'a
un tratto sbiaditi. Persi i sensi.
"Sta muovendo la testa, sasasasa!"
Aprii gli occhi lentamente "Cosa...?" una sagoma indistinta era
proprio davanti alla mia vista offuscata "Dove...sono?"
"Sei con me, ragazzino! Sasasasa!"
La mia testa sembrava straordinariamente pesante, ma dopo un lieve sforzo
riuscii a distinguere il volto che mi stava di fronte "Wanze..."
mormorai debolmente, accorgendomi della profonda ferita sanguinante che aveva
all'altezza della fronte "Come hai...come te la sei procurata?"
pareva davvero seria e, considerando il suo sguardo stanco, si sarebbe detto
che aveva combattuto fino allo stremo.
"Questa?" si portò le mani sul taglio, urlando dal dolore "Sasasasa, non è niente! Dovresti pensare piuttosto alle tue
azioni avventate, ragazzino!"
Provai ad alzarmi, ma un forte capogiro mi costrinse a restare seduto. Mi
guardai attorno: a giudicare dai motivi floreali che decoravano le pareti,
avrei detto che ci trovavamo nel palazzo di San Jalmack.
"Wanze...dove sono gli altri?"
Prima che il cuoco potesse rispondermi, si aprì una porta da cui entrarono Corgi e l'uomo mascherato che avevo visto poco prima
"Ti sei ripreso, Kaku?" mi chiese il capo
della CP7 "Seguici"
L'osservai confuso, ma poi feci come aveva detto nonostante la stanchezza
fisica: con grande stupore da parte di Wanze, mi
lasciai guidare in una stanza adiacente a quella in cui ci trovavamo,
all'interno della quale vi erano i sei massacratori che avevo visto combattere
prima contro i ribelli.
Mi squadrarono da capo a piedi e io feci altrettanto: riconobbi
immediatamente Rob Lucci; accanto a lui c'era una
donna dai capelli biondi magra e slanciata; poi figurava un tipo dalla pelle
scura e dall'aria minacciosa; un'altra creatura strana con una cerniera al
posto della bocca; un uomo con due corna per capelli; e infine un tizio strano
dai capelli lunghi.
"E così sarebbe questo il 'grande eroe'?" fece l'uomo dalla
carnagione bruna con tono derisorio, mettendo particolare enfasi sulle ultime
due parole "A me non sembra tanto speciale...fa fatica persino a
mantenersi in piedi" aggiunse velenoso.
"Capita a tutti, al primo scontro" mi difese il tizio cornuto.
"Già" si trovò d'accordo Corgi
"Devo ricordarti di quando sei svenuto tra le braccia di Akainu a Marineford, Jabura?"
Il tipo che aveva parlato arrossì all'istante, mentre io gli rivolgevo uno
sguardo stranito, ma poi il suo capo m'impedì qualsiasi tentativo di risposta
"Allora, tu devi essere Kaku" ammiccò
"Io sono Spandam, capo della CipherPol 9" si aprì in un largo sorriso di
presunzione.
"La CipherPol
9?" chiesi con scatto piuttosto naturale "Ero convinto che la sua
esistenza fosse solo una leggenda"
La bionda soffocò un risolino "Che bambino ingenuo"
"Beh, in effetti nessuno ne è a conoscenza a parte pochi eletti"
confermò Spandam con soddisfazione "E' proprio
questo che permette alla CP9 di svolgere missioni in modo assolutamente impeccabile"
si strofinò le mani con fare lugubre.
"Che fine hanno fatto tutte quelle persone arrabbiate?" ancora
una volta, la mia domanda istintiva suscitò parecchia ilarità.
"Ovvio: li abbiamo battuti, no?" s'intromise la creatura con la
cerniera "Messi al tappeto, neutralizzati, resi inoffensivi, chapapa!"
"Oi oi, in questo modo San Jalmack ha potuto beneficiare della visita di San Roswald senza intoppi!" ci tenne a precisare un altro.
Scossi la testa "Sì, ma...io cosa c'entro con tutto questo?"
L'idea di una promozione non mi aveva neanche lontanamente sfiorato:
personalmente, credevo di aver fatto soltanto il mio lavoro e aver eseguito gli
ordini del capo.
Eppure, cogliendomi completamente di sorpresa, Spandam
mi volle nella sua squadra (con grande rammarico da parte di Corgi, il quale l'aveva rimproverato di 'rubare sempre i
suoi uomini migliori'): il mio nuovo capo mi presentò ai membri della CP9, che
poi scoprii chiamarsi Califa, Jabura,
Kumadori, Fukuro, Blueno e, ovviamente, Lucci "Quelle Rokushiki..." sussurrò non appena mi fu
vicino, riferendosi alle tecniche che avevo usato in combattimento davanti al
palazzo "Roba da niente" sentenziò sdegnoso, mettendo in chiaro il fatto
che per lui non valevo quanto credevano gli altri.
Rob Lucci aveva una personalità misteriosa: ero sicuro che non si fosse
dimenticato di me, eppure ci teneva a trattarmi come l'ultima ruota del carro,
nonostante i miei interminabili sforzi per cercare di eguagliare almeno in
parte la sua potenza, e nonostante gli avvenimenti di quella sera.
Sospirai. Il suo messaggio era chiaro, ma in fin dei conti ormai ero
dentro.
"Ciao, Wanze" lo salutai calorosamente
"E' stato un piacere averti conosciuto" sorrisi "E rimettiti
presto"
Stranamente, mi ero ritrovato ad affezionarmi a quel cuoco matto che mi era
stato accanto durante quella lunga giornata: anche qualche anno dopo, non
mancavo mai di andare a salutarlo appena avevo un po' di tempo...
"Avanti, sparagli"
Mi voltai verso Lucci sgranando gli occhi e impallidendo.
"Che c'è?" inarcò le sopracciglia "Provi pietà per un lurido
schiavo?"
Concentrai di nuovo il mio sguardo in quello del vecchio spaventato che mi
stava di fronte: era inginocchiato, ammanettato, terrorizzato e sembrava che da
un momento all'altro gli sarebbe venuto un attacco di cuore.
La pistola che reggevo nella mano destra non smetteva di tremare e il
sudore che m'imperlava la fronte non si decideva ad asciugarsi: davanti alla
morte siamo tutti uguali.
"Coraggio" m'incitò ancora e mi prese la mano
"Così...proprio in mezzo agli occhi"
La sua pelle era fredda e ruvida e avrei giurato di vedere una scintilla di
eccitazione nei suoi occhi perversi e iniettati di sangue.
Allora tornai a guardare la vittima, mentre abbassava lo sguardo bagnato e si
mordeva le labbra, disperato. Mi misi nei suoi panni, sperai che si trattasse
di un malvivente o, in qualunque caso, di una persona cattiva: fu un istante
intenso...ma non sparai.
Rob Lucci sbuffò e fece per allontanarsi "Giusto perché tu lo sappia: non
sei tanto speciale come credi, ragazzino..."
Insomma, togliere la vita ad una persona...sporcarsi le mani...diventare un
assassino...era proprio questo ciò che volevo?
"Non meriti di far parte della CP9" le sue parole arrivarono
taglienti alle mie orecchie, crudeli e spietatamente veritiere.
Fu per questo motivo che, nel momento ovattato e silenzioso che mi si era
creato attorno, strinsi gli occhi e premetti il grilletto in un impeto di
rabbia.
Lo sparo m'invase i timpani e prese a rimbombarmi nella testa come il senso
di colpa, ma Rob Lucci si voltò soddisfatto e sfoderò
un sorriso sghembo.
Non ebbi il coraggio di guardare il cadavere, ma sapevo per certo che ormai
era fatta: ero diventato anch'io un mostro.
Quell'iniziazione non la dimenticherò mai: butta a terra la pistola ancora
fumante, voltati indietro e corri, corri più forte che puoi verso il tuo
dormitorio con le risate sadiche di Lucci che t'inseguono. Chiudi la porta a
chiave, fai lunghi respiri profondi e poi accendi una candela per ammirare una
vecchia foto.
Ma le mie dita erano impaurite al suo contatto, le mie ginocchia quasi
cedevano...
Sophie...non guardare ciò che sono diventato, ti prego. Non soffermarti
sulla mia identità spappolata e sulle mie buone intenzioni ridotte in
macerie. In cuor mio, so che tutto questo non è giusto eppure qualcosa mi
motiva ad andare avanti, sempre più avanti, sentendo che il mio dovere non è
ancora compiuto.
Sarò per i criminali il terrore, il tremare delle loro mani e il sudare
delle loro fronti preoccupate, non mi darò pace finché non avranno la punizione
che meritano, perché la giustizia trionferà, ne sono certo.
Sto riempendo questa storia
di emotività! Spero non risulti troppo una lagna xD
Ebbene, come già detto nel
capitolo precedente, Kaku riesce ad entrare nella
CP7: ve lo ricordate Wanze, il cuoco matto? E’ un membro
della CP7 che appare solo una volta (sul treno per Enies
Lobby) ma che mi sta molto simpatico, quindi sono stata contenta di inserirlo.
Finalmente adesso il
protagonista è riuscito a passare al livello successivo, e quindi ad entrare
nella famigerata CP9.
Questo capitolo è stato
scritto sulle note di “Tryingyourluck” degli Strokes <3
Non riuscivo a crederci: ero riuscito a convincere Spandam
a lasciarmi andare un giorno a Kodama prima di
trasferirmi definitivamente ad Enies Lobby.
In verità, mi avevano semplicemente dato ventiquattr'ore di tempo per
preparare le valigie, ma dato che avevo finito entro la mattinata, avrei potuto
fare una corsa ed essere a Kodama per cena. E poi,
ovviamente, fare un'altra corsa ed essere ad Enies
Lobby entro la mattina successiva.
In qualsiasi caso, ne sarebbe valsa la pena.
M'imbarcai che fremevo, entusiasta, ma dovevo ammettere che c'era anche un
brivido di paura dentro me: mancavo ormai da un bel po' di mesi e non sapevo
quale sarebbe stata la reazione nel vedermi arrivare.
Lo scoprii presto: quando scesi dalla nave, le mie narici s'inebriarono
immediatamente del profumo del pane caldo e i miei capelli corti furono subito
scompigliati dal vento fresco che era proprio della mia terra natale.
Sono a casa, pensai con un sorriso.
"Kaku...fratellone!" Kyoko si lanciò letteralmente tra le mie braccia non appena
entrai in panetteria.
Era cresciuta: adesso i suoi capelli erano più lunghi ed era diventata
anche più alta "Kyoko! Sono felice di
vederti!"
"Oh, mio Dio..." mia madre si avvicinò tremante "Sei proprio
tu...figlio mio!" mi strinse a sé calorosamente ed ebbi la sensazione di
essere tornato indietro nel tempo, come un bambino che si accoccola contro il
petto protettivo del proprio genitore.
Furono lontani i giorni dell'addestramento, lontane anni luce le
sparatorie, avevano cessato di esistere persino le mie ambizioni. Per un
istante...
Anche i clienti mi salutarono con affetto "E' tornato il figliol
prodigo!" mi presero in giro.
"Sono così felice di vedervi tutti quanti!" ammisi con un
sorriso. Ero proprio lì ed era proprio la realtà.
E nello stesso istante cominciarono ad arrivare le domande "Allora,
sei diventato un marine?"
"Ci proteggerai dai pirati, Kaku?"
"Hai conosciuto Sengoku il Buddha?"
"Non è diventato più bello, mio figlio?" mia madre mi accarezzò
la spalla, amorevole.
Arrossii "Dai, mamma, mi metti in imbarazzo"
"Fratellone, devi raccontarmi tutto!" mi prese per un braccio mia
sorella "Ci sono avversari potenti? Hai combattuto contro mutanti?"
Scoppiai a ridere "Una domanda alla volta, Kyoko"
Ma lei m'ignorò completamente "Devi insegnarmi TUTTE le mosse! Quanto
tempo ti tratterrai qui?"
"Non molto, purtroppo" confessai con amarezza.
Un "Nooo!!!" disperato invase la
panetteria.
"Già" mi portai una mano dietro la nuca con lieve timidezza.
Tutto quell'affetto mi lusingava.
Cercai di assassinare la tentazione di restare lì e mollare tutto,
incurante della mia carriera, ma poi scossi la testa e tornai in me "Dove
sono Milo e Sophie?"
Lo sguardo di mia madre si fece triste "Tuo fratello è in
officina...ma credo sia meglio che tu vada da Sophie" affermò con serietà
"Lei ha decisamente più bisogno di te in questo momento"
Sospirai. Non potevo credere che Milo ce l'avesse ancora con me.
"D'accordo" conclusi "Verrò a salutarvi più
tardi...spero" aggiunsi con tristezza.
Purtroppo non mi restava che un'ora: il viaggio si era rivelato più lungo
del previsto, il tempo in panetteria era spaventosamente volato, e per di più i
marinai avevano annunciato che per quella sera si prevedeva tempesta. Di cuori.
Arrivai a casa eccitato, ma anche leggermente preoccupato: raccolsi le
chiavi sotto il tappeto, dove mia madre le teneva sempre nascoste, ed
entrai.
Quasi mi vennero le lacrime agli occhi: quella era davvero casa mia, i
vecchi mobili, i soliti odori...che fosse tutto un sogno? Mi pizzicai il
braccio.
"Chi è?" arrivò tesa la voce della ragazza dalla camera da letto.
La felicità mi pervase, non stavo più nella pelle, ma l'ultima cosa che
volevo fare era spaventarla: mi avvicinai lentamente e aprii la porta
sussurrando il suo nome "Sophie..."
Fu un momento interminabile: la donna si trovava in piedi, le mani sul
ventre rigonfio, era aperta la finestra ed una leggera brezza rinfrescava le
lenzuola bianche e donava colore alle guance rosee della fanciulla.
Sgranò gli occhi e cominciò a tremare "Tu..." balbettò "Sto
sognando?"
Parole sensate non riuscirono ad uscire dalla mia bocca. Semplicemente,
caddi in ginocchio davanti a lei, che probabilmente si stava ancora chiedendo
se fosse desta o se si trattasse soltanto della sua immaginazione, e posai
lentamente le mani su quel ventre rotondo. Liscio. Caldo.
Ci poggiai la bocca, sentendo chiaramente il suo corpo rilassarsi, e presi
a baciare la sua pelle con tutta l'accortenza del
mondo. Fermai il tempo con dolcezza, sfiorando con le labbra quella rotondità e
avvertendo le mani di Sophie sul mio volto, e allora baciai anche quelle,
ubriacandomi delle sue dita.
Era tutto reale: adagiai la testa e chiusi gli occhi, accostai l'orecchio e
percepii chiaramente delle pressioni.
Sei tu? Sei veramente tu?
Poi Sophie s'inginocchiò davanti a me "Lei ti ama, Kaku"
mi accarezzò il viso "E ti amo anch'io" mi baciò con passione,
facendo inoltrare le piccole mani nei miei capelli e trasportandomi
completamente.
Non fermarti. Portami con te. Trascinami nel passato, nel futuro, a Kodama, A NOI.
Trascinami ancora...ancora...
"Eleanor" affermò decisa "Come mia madre"
"D'accordo" acconsentii con gioia.
"E' un vero peccato che tu te ne debba andare tanto presto...ma sono
contenta di vedere che stai bene"
"Già, anch'io" non riuscivo a smettere di sorridere.
"Sono tutti gentili con te?" chiese con una nota di
preoccupazione, mordendosi un labbro.
"Certo, tranquilla" la rassicurai "E anche se così non
fosse, saprei come farmi rispettare"
Si fece pensierosa "Non comportarti da stupido, Kaku...tu
non sei cattivo"
"No..." mi rabbuiai "Non lo sono"
"E...ti fanno stancare molto?" domandò ancora.
Non potei fare a meno di ridere "Sophie, hai passato troppo tempo con
mia madre!"
"Rispondi" insistette.
"Beh, diciamo che..." ero stato messo alle strette, ma dovevo pur
cominciare a fare pratica con le menzogne "L'addestramento è decisamente
sopravvalutato, ecco"
"E il tuo capo? Ti tratta bene?"
"Santo cielo, tesoro!" scossi la testa "Ma perché tutta
quest'agitazione? Va tutto bene, rilassati" le cinsi la vita, mentre
m'inchiodava con lo sguardo "Non mentirmi, Kaku.
Non mentirmi mai"
"Non lo farò" cercai di risuonare il più convincente possibile.
"E' che..." incalzò, poi abbassò lo sguardo.
Le alzai il mento con un dito "Cosa?"
I nostri occhi si scrutarono a lungo, dopodiché lei parlò "C'è
qualcosa di...diverso...non so, come se mi nascondessi qualcosa"
Sospirai "Sophie, io credo che..."
"No" mi fermò con l'indice sulle labbra "Non dire niente.
Voglio solo che tu non dimentichi chi sei. Resta sempre la persona che
amo"
La baciai nuovamente, cercando di trattenere un po' del suo sapore sulla
lingua e sperando di portarlo via con me "Ora devo andare..."
Risultava sempre più difficile staccarmi da lei, ma raccolsi tutta la mia
forza di volontà e indietreggiai.
"Dove ti manderanno?"
"Non puoi saperlo. Questo...lo capisci, vero?"
"Già..." sospirò "Fa' attenzione"
"Come sempre"
Dopo aver ricevuto la benedizione di Sophie, arrivai ad Enies
Lobby con uno spirito diverso: ero più sollevato, più deciso e forse anche più sfrontato.
Non mi aspettavo che la fanciulla mi desse il suo sostegno per l'imminente
lavoro, non sapendo né cosa andavo a fare né tra quanto tempo ci saremmo
rivisti, ma basandosi unicamente sulla fiducia.
Insomma, era forte. Quella ragazza non smetteva mai di sorprendermi...
"Allora, sei andato a fare visita alla fidanzatina?" mi accolse
un Jabura particolarmente sarcastico alla Torre della
Giustizia.
Il suo modo di fare mi ricordava terribilmente quello di mio fratello: la
cosa mi mandava in bestia.
"A quanto pare, non sono l'unico ad avercela" gli risposi a tono,
alludendo all'inserviente con cui era stato visto poco prima.
"Ti piacerebbe una come Gatherine, eh?"
ammiccò.
"Per niente" lo delusi "Sophie è dieci volte più bella ed è
anche intelligente"
Diventavo un bambino in compagnia di Jabura,
questo l'avrei scoperto nei mesi successivi: le sue continue provocazioni non
facevano altro che farmi pensare a Milo e, inevitabilmente, non riuscivo
proprio a misurare le mie reazioni.
Fece una grossa risata "Sophie, hai detto che si chiama? Oh,
ragazzino, scappa da quelle intelligenti! Sono le peggiori!"
"Ma come diavolo ti permetti?" stavo per partire, quando una
forte presa alle spalle mi bloccò i movimenti.
"Ben fatto, Blueno" entrò anche Spandam "Qui non vogliamo litigi. Vero, Califa?"
La donna si scostò una ciocca di capelli dal viso "Mi stai facendo
delle avances, capo?"
Le rivolsi uno sguardo stranito, al che ella attaccò "E tu cos'hai da
guardare, con quegli occhi da pesce lesso? Vedi qualcosa che t'interessa?"
Scossi la testa, senza riuscire a mascherare un'espressione d'incredulità:
quei tizi erano tutti matti...
Pian piano, entrarono tutti all'interno dell'ufficio del capo e per ultima,
ma non meno importante, l'imponente figura di Rob
Lucci.
"Molto bene, ragazzi" sorrise sadico Spandam,
adagiando sulla scrivania svariati fogli "Questi sono i vostri prossimi
incarichi. Comincerete tra un mese, durante il quale potrete allenarvi"
"Così tanto?" si lamentò la bionda, visibilmente allarmata.
"Hai paura che ti vengano le doppie punte?" la sbeffeggiò Jabura.
"Taci, lupo!"
"Almeno il lupo non è entrato nella CP9 per raccomandazione!"
Un filo spinato si avvolse attorno al corpo dell'uomo, il quale sorrise
come se niente fosse "La verità fa male, eh?"
"Piantala, Jabura" lo rimproverò Spandam "Lasky era un ottimo
agente, ma Califa non è certo qui per conto di suo
padre. Vero?" le rivolse un occhiolino.
"Ci stai provando di nuovo, capo!"
Intanto, Lucci se ne stava in disparte a giocherellare con il suo cappello
senza dire una parola.
"Oi oi quali sono gli incarichi?"
chiese improvvisamente Kumadori.
"Già, di che si tratta? Chapapa!" si
aggiunse Fukuro.
Eh
beh, il ritorno a Kodama ha sorpreso anche me xD Vi confesso che ero un po’ scettica ad inserirlo, ma poi
mi piaceva troppo l’idea che Kaku vedesse Sophie
incinta!
Dal
prossimo capitolo (finalmente!) finiranno questi due anni di grandi cambiamenti
(16/17) e comincerà il diciottesimo anno di età per il nostro protagonista, di
conseguenza anche l’avventura a Water Seven ;)
Ho
inserito le note MissingMomentse Otherverse: la
prima perché si parla dei retroscena della vita di un personaggio, seppur con
un po’ d’immaginazione; la seconda perché voglio parlare anche di St Popula (miniavventure della CP9
inserite solo nel manga). Sono pignola, lo so, ma volevo precisarlo xD
Grazie
a chi recensisce (ArchdeaconChopen!!!)
e a chi segue la storia!
Era una fresca mattinata primaverile quando io e Lucci arrivammo. C'era
stato un dibattito piuttosto acceso per decidere quali sarebbero stati i
quattro agenti a cui affidare l'incarico, ma dopo un'accurata analisi di ciò
che ci aspettava, la scelta cadde su me, su Lucci, su Califa
e su Blueno.
Il compito era quello d'insediarci all'interno della Galley
Company e fingere di essere degli esperti carpentieri, il che non doveva
risultare particolarmente difficile per il sottoscritto.
"Sei stato scelto solo per questo, naso lungo!" mi aveva
rinfacciato Jabura.
Tutti gli altri avevano acconsentito pacificamente, anzi, quando gli avevo
offerto il mio aiuto sulle tecniche del mestiere, mi avevano fatto una risata
in faccia "Tu non capisci proprio con chi hai a che fare" aveva
commentato freddo Rob Lucci.
"Mio Dio, ma chi l'ha mandato questo qui?" si era lamentata Califa, sistemandosi gli occhiali da vista.
"Come non detto" avevo alzato le mani in segno di resa.
Ogni giorno di più, avevo maturato la convinzione che quella gente fosse a
dir poco intrattabile...
Era la prima volta che prendevo il treno marino. A dirla tutta, non sapevo
nemmeno che potesse esistere un apparecchio simile: cercavo di contenere il mio
entusiasmo infantile, perché se sei costretto a fare un viaggio seduto accanto
a uno come Lucci devi per forza imbavagliare il Peter Pan che è in te.
Ma la vera meraviglia arrivò alla vista dell'isola: era mastodontica e si
ergeva di fronte a noi con imponenza e maestosità.
L'acqua veniva giù da una grande fontana centrale e tutt'intorno era
cosparso di canali e casette dai tetti rossi; le persone intonavano svariati
cori e i bambini urlavano e ridevano, mentre io mi guardavo attorno con il
crescente desiderio di riempirmi gli occhi di quelle immagini spensierate.
Una volta arrivati al centro della città, non ci volle molto per trovare il
Dock 1: ci accolse un tipo dai capelli biondi con un sigaro fumante tra le
labbra "Voi dovete essere i novellini" aspirò il fumo con aria
circospetta "Entrate"
Aprì il massiccio portone grigio e ci introdusse in quello che mi sembrò
essere il cantiere più grande che avessi mai visto: numerosi uomini erano al
lavoro, costruivano navi o trasportavano pesanti travi di legno, ma il tutto
accompagnato da una buona dose di buonumore collettivo.
Mi voltai verso Rob Lucci, ma la sua espressione
era indecifrabile.
"Accomodatevi qui" il ragazzo ci fece sedere all'interno
dell'edificio, nella sala d'attesa "Il Signor Iceburg
sarà qui a momenti" fece per andarsene, ma poi tornò indietro "A proposito,
io mi chiamo Paulie. Voi siete...?"
Mi aprii in un largo sorriso "Io sono Kaku,
piacere di conoscerti" gli strinsi la mano calorosamente "E lui è il
mio amico Lucci"
"Perfetto" aspirò altro fumo "Buona fortuna, ragazzi. Ci
vediamo dopo"
"Devi spiegarmi questa storia del mutismo" mi rivolsi a Lucci non
appena fu fuori "Ha qualche senso?"
Il moro accarezzò il piccione che teneva sulla spalla "So quello che
faccio" sorrise beffardo "Sei tu piuttosto che dovresti lavorare sul
tuo alibi. Sorprendimi" si passò la lingua sulle labbra.
In verità, non sapevo proprio da che parte cominciare: durante il mese di
allenamento ad Enies Lobby, mi era stato detto più
volte che per essere una brava spia avrei dovuto saper costruire con cura i
miei personaggi, come una sorta di attore che si prepara ad andare in scena con
la sua maschera migliore.
Rob Lucci, a quanto avevo capito, era deciso ad impersonare un carpentiere
senza voce che riusciva a comunicare solo attraverso il volatile che aveva
sulla spalla; Califa si sarebbe offerta come
segretaria del capo della Galley Company; Blueno avrebbe rivestito il ruolo di barista; e per quanto
riguardava me, non mi restava che puntare sull'unica arma che avevo:
l'affabilità.
Sarei stato il carpentiere simpatico e disponibile che tutti avrebbero
ammirato e rispettato, pronto ad aiutare chiunque si fosse trovato in
difficoltà e pronto a difendere gli interessi della giustizia.
L'obiettivo era far fidare le persone di me, convincerli che un ragazzo
così a modo non poteva che essere una brava persona.
Almeno, questo era ciò che m'illudevo che fossi...
Quando conoscemmo il Signor Iceburg, capimmo
subito che non sarebbe stato semplice impossessarci dei progetti di Pluton: infatti, si trattava di un uomo composto, che
sapeva il fatto suo e che di certo non si sarebbe lasciato ingannare dal primo
che passava.
Ma noi non avevamo fretta.
"Potete occuparvi di ciò che ritenete più opportuno" ci aveva
detto semplicemente, infilandosi un dito in una narice con aria indifferente
"Io ho molto da fare"
Breve, chiaro e conciso.
Immediatamente, io e Lucci ci adoperammo per renderci utili come meglio
potevamo nel cantiere, affiancati da Paulie e da
altri due uomini chiamati Lulu e Tilestone.
"Ce l'avete fatta, fratelli!" sorrise il biondo "Benvenuti
alla Galley Company!"
Dopo circa due settimane, arrivarono anche Blueno
e Califa e in meno di tre mesi ci eravamo già fatti
una buona reputazione.
Ambientarsi a Water Seven non era stato difficile: le persone erano tra le
più disponibili e amabili di questo mondo. Gli abitanti dell'isola erano soliti
spostarsi con dei bizzarri pesci chiamati Bull, che risalivano per tutti
i canali e procedevano sorprendentemente veloci; c'era un attrezzo chiamato
ascensore acquatico che portava ai vari livelli della città proprio grazie
all'innalzamento/abbassamento dell'acqua; e c'erano negozi riforniti di carne,
dolci e maschere a volontà.
Insomma, era davvero una meraviglia di posto.
Ma dovresti vederla la sera, tesoro.
Water Seven è illuminata dalle luci dei lampioni tutt'intorno e riscaldata
dall'atmosfera delle taverne.
Ho deciso di esplorarla meglio e di saltare sui tetti, guardandola
dall'alto, respirando l'aria fresca e permettendole di far ampliare i miei
polmoni desiderosi.
Non lo facevo da troppo tempo: è stato come tornare bambino, come risentire
la voce della mamma che mi rimproverava, ricordi?
Poi sono sceso a fare un giro su un Bull nascondendomi dai miei colleghi e
sono rimasto strabiliato: le urla, le risate, l'acqua, la gente...qui sembra
tutto così giocoso e mi sto lasciando convincere a giocare anch'io, cercando di
dimenticare per un istante il vero motivo per cui sono qui.
Il cielo è stellato stasera, mi ha fatto pensare a te. E' stato su un tetto
che ci siamo baciati la prima volta, ricordi?
E le navi che si costruiscono qui, Dio, assomigliano tutte terribilmente
alla Lady Catherine!
Vorrei davvero che tu potessi sapere dove mi trovo, o meglio venire anche
tu in questo posto stupendo: sono certo che ti piacerebbe da morire.
Sai, alle volte ti sogno, sei ancor più bella di quanto ricordassi; altre
volte il sogno diventa incubo e ci sei tu, e ci sono le doglie, e allora
cominci ad urlare il mio nome in preda agli spasmi, piangi e ti chiedi per
quale stramaledetto motivo il padre di tua figlia non è lì accanto a te.
Spesso mi sveglio sudato nel cuore della notte e corro a sciacquarmi la faccia.
Aiuta davvero.
Ma poi i miei pensieri volano sulle nuvole che si spostano col vento, e
allora mi chiedo se mai arriveranno da te.
Un anno, due anni, ma di certo non mi sarei aspettato di doverci restare di
più: il mio problema non era la noia, anzi: ero diventato parte integrante della
popolazione a tal punto da confondere la vita reale con quella fasulla.
Ma chi è questo Kaku? Chi è questo nasone che si
diverte a costruire navi sulla nostra isola e ci prende in giro con innata
abilità?
Rischiavo di non saper rispondere nemmeno io a domande simili...
La cosa positiva era che avevo smesso di pensare ossessivamente alla mia
famiglia, o addirittura cercare tra le ragazze quella che assomigliasse di più
a Sophie, semplicemente per starla a guardare e ricordarmi dei tratti del suo
viso.
Le persone di Water Seven avevano preso l'abitudine di chiamarmi 'Vento di
Montagna' a causa del mio strano modo di muovermi per la città: mi piaceva, mi
faceva sentire ancor di più uno di loro.
Quattro anni erano volati via in un lampo, ero migliorato anche come
combattente: non mi separavo mai dai miei coltelli e, periodicamente,
arrivavano sull'isola svariati pirati attaccabrighe che, se non altro, mi
permettevano di divertirmi un po'.
Ma il divertimento c'era anche con gli altri carpentieri della Galley Company, con i quali ogni tanto ci scappava anche
qualche bicchierino...
"Giù, giù! Kaku, giù!" scoppiò a ridere
Paulie, già brillo da un bel po'.
Risi anch'io "Non dovresti bere tanto, sai?"
"Sciocchezze!" minimizzò, rosso in volto "Avanti, Blueno, dagli un'altra pinta!"
"Chi è che offre oggi?" chiese il finto barista, mentre lavava
dei bicchieri sporchi.
"Lucci ovviamente!" il biondo sghignazzò e mi diede di gomito,
voltandosi in direzione del ventriloquo "Vero, amico mio?"
"Scommetto che hai di nuovo problemi con gli esattori" commentò
l'altro.
Paulie s'indispettì "Ma cosa dici? Sono un uomo pulito, io!"
"Certo, come no" fece con sarcasmo Lulu.
Poi, improvvisamente, udimmo la porta spalancarsi e vedemmo Califa entrare suadente, effettuando movimenti sinuosi che
di certo non passavano inosservati "Ciao, ragazzi"
Paulie arrossì "Califa! Cos'è quella minigonna
cortissima? Copriti, svergognata!"
La donna sorrise e si sistemò gli occhiali da vista "Blueno, offri un bicchiere anche a me?" si accomodò
accanto a noi e accavallò le gambe.
Il biondo era a dir poco scandalizzato "Cosa fai, insisti? Ma sei
proprio..."
"E dai, Paulie" scossi la testa,
sorridendo "Basta non guardarla, no?"
"Ma Kaku, tu..." cercò di
controbattere, ma subito dopo sgranò gli occhi, come se solo in quel momento si
fosse accorto di una cosa piuttosto evidente "Hey,
a pensarci bene non ti ho mai visto con una ragazza" fece un tiro di
sigaro, scrutandomi scrupolosamente "Cosa c'è, quelle di Water Seven non
sono abbastanza carine per te?"
Abbassai lo sguardo sul boccale di birra, simulando un sorriso triste
"No, è solo che..."
"AAAH! ESATTORI!" urlò non appena vide entrare due signori in
giacca e cravatta che lo indicarono, dopodiché uscì di corsa dalla locanda
inseguito da quegli uomini con cui doveva essere indebitato fino al collo.
Non potei trattenere una risata. Quel ragazzo non sarebbe mai cambiato.
E passavano così le giornate, tra le battute di Paulie
e le urla di Tilestone, tra il ciuffo ribelle di Lulu
e gli innumerevoli impegni cancellati del Signor Iceburg.
Quando tutto questo finirà, tremerai...
Ma il nostro capo era stanco di aspettare e si prevedeva un attacco di lì a
breve: a quel punto, tutti avrebbero capito da che parte stavamo, ci avrebbero
odiati e mai più avremmo potuto mettere piede sull'isola.
Uscimmo dal locale e ci dirigemmo alla Galley
Company, camminando tra le strade asciugatesi da poco dall'Acqua Laguna,
mangiai qualche dolcetto acqua-acqua e poi mi ritirai nella mia stanza assieme
a Lucci.
Il mio collega era già pronto per dormire, mentre io me ne stavo ancora
seduto davanti alla finestra ad ammirare il cielo stellato "Ancora perso
nei tuoi sogni da ragazzino, Kaku?" mi provocò.
Le mie labbra smisero per un istante di giocare con la cerniera della felpa
arancione "Ancora per un po', Rob" ingoiai
quel sapore metallico e freddo "Ancora per un po'"
Fino a quel giorno, io non sapevo nemmeno chi fosse Cappello di Paglia.
Certo, ne avevo sentito parlare, ma la cosa non mi aveva sfiorato più di tanto:
avevo pensato semplicemente che si trattasse di un maledetto pirata come tutti
gli altri.
Quando si presentò sull'isola con la sua strana combriccola, in verità noi
eravamo intenzionati a catturare solo Nico Robin (di questi criminali minori se
ne sarebbero occupati i comuni marines): il suo arrivo a Water Seven fu per noi
la svolta, la mossa decisiva, il momento in cui avremmo potuto avere sia lei
che i famigerati progetti dell'arma ancestrale.
I patti si rivelarono inaspettatamente semplici, dal momento che la ragazza
si era consegnata spontaneamente e senza troppe cerimonie. A quel punto,
risolvemmo che sarebbe stato il momento adatto per impossessarci anche dei
progetti e concludere così il nostro lungo lavoro.
Mettere alle strette Iceburg non fu facile ma,
con spiccato spirito di squadra, riuscimmo ad avere il nome tanto agognato.
CuttyFlam o Franky, si
trattava comunque della stessa persona: dell'uomo che era stato allievo di Tom
assieme al sindaco dell'isola, dell'amico quasi fratello che era cresciuto con Iceburg e di cui si fidava ciecamente.
Così, in una notte piovosa, li portammo entrambi ad Enies
Lobby, sgattaiolando sui tetti di Water Seven come ladri e abbandonando quel
posto meraviglioso a bordo dell'ultimo treno marino.
E così lasciai lì le risate, abbandonai lì le giornate di sole trascorse a
costruire imbarcazioni e passate in allegria con gli amici, lì la vita,
l'amicizia, la spensieratezza e la gioia. Era già la seconda volta che mi
ritrovavo a lasciare una parte della mia anima in un luogo. Ma quest'anima
quanto ancora avrebbe dovuto spezzarsi?
Sì,
avete ragione: questo capitolo è anche più corto del precedente L vi chiedo
umilmente scusa! Ma volevo mettere in evidenza il rapporto che si è creato con
gli altri carpentieri e la tristezza che ha invaso Kaku
nel momento di lasciare Water Seven.
Insomma,
l’obiettivo era di calcare soltanto le cose più importanti e non soffermarmi
troppo: ho in mente un finale piuttosto complesso, quindi tra un po’ si
avvicinerà la ‘parte critica’ della storia (e anche più impegnativa).
Per
farmi perdonare vi lascio un’immagine carina *fa occhietti dolci e vi sorride,
evitando i pomodori* :D
Soqquadro. L'isola giudiziaria era stata messa a soqquadro.
I lumacofoni impazzavano, i marines urlavano,
tutta l'organizzazione ci stava velocemente sfuggendo dalle mani.
E mi sembrò per un attimo di essere caduto al centro dell'inferno, con quei
dannati allarmi che non la smettevano di trapanarmi le orecchie e quell'assurda
fretta di mettere tutto a tacere.
Enies Lobby bruciava come Kodama molti anni prima. A
provocare il tumulto erano stati, anche questa volta, degli sporchi pirati.
A quante stragi un uomo deve assistere, per sentirsi realmente tale?
Spandam si portò le mani ai capelli e quasi li strappò, infuriato
"UCCIDETELI! NON ABBIATE NESSUNA PIETA'!" dopodiché ci consegnò delle
chiavi che sarebbero servite a confondere la ciurma di Cappello di Paglia,
sotto lo sguardo spaventato della prigioniera.
"E' inutile che ti dai tante arie, naso squadrato" mi distrasse Jabura "Fukuro avrà anche
detto che sei più forte di me, ma è tutto da vedere"
Gli risposi con un ringhio, ma nello stesso istante io e Califa fummo richiamati dal capo "Ho un regalo per
voi, ragazzi" ci mise di fronte due frutti del diavolo colorati che
sembravano tutto fuorché buoni.
"Un frutto del diavolo?" ripetei pensieroso "Non ci avevo
mai pensato..."
"Che aspetti a mangiarlo?" mi rivolse un gran sorriso Spandam, come a voler dire 'così potrai proteggermi
meglio', ma io feci finta di niente.
Quello che avevo sentito dal balcone della Torre della Giustizia mi aveva
aiutato a capire che per sconfiggere quei pirati sarebbe stata necessaria una
spinta in più: quei matti, infatti, erano riusciti a raggiungere l'isola
nonostante il mal tempo e ora si ritrovavano a dover combattere contro l'intero
governo mondiale solo per salvare una loro amica.
La mia considerazione di quella ciurma di scalmanati oscillava tra gli
incoscienti e gli stupidi.
Il loro cecchino aveva addirittura bruciato la nostra bandiera e il
capitano aveva fatto uscire la vita da Nico Robin: "IO VOGLIO
VIVERE!" erano state le angoscianti parole della ragazza, in preda alle
lacrime.
Non capii se si trattasse di un piano premeditato o semplicemente di una
donna che decide di sacrificarsi per salvare chi ama ma che, inevitabilmente, è
salvata a sua volta. Erano pur sempre criminali, in qualsiasi caso.
Seppi con certezza che ciò che stavo vivendo era molto potente: per via
informativa, lavorativa ed emotiva.
Insomma, Nico Robin: i tuoi amici devo desiderarti almeno quanto il governo
stesso, se hanno deciso di scavalcarci tutti pur di riprenderti insieme a loro.
Erano arrivati anche gli amici di CuttyFlam, il quale però aveva appena dato fuoco ai progetti di Pluton.
Volete la guerra? E guerra sia.
Mentre i pirati mettevano a ferro e fuoco l'isola, io mi ritirai nella mia
stanza e provai i poteri appena acquisiti: sentii un lieve formicolio
all'altezza della nuca, dopodiché prese atto la trasformazione: alta,
imponente, agile e scontrosa, ero diventato un'enorme giraffa.
Immediatamente, un pensiero deluso mi attraversò la mente: Lucci si
trasformava in un leopardo, Jabura in un
lupo...perché la giraffa era toccata a me?
Decisi di non pensarci, anzi, di sfruttare al massimo le possibilità che
quella mutazione poteva offrire e mi chiesi invece quali poteri avesse
acquisito Califa.
Tornai alla mia forma naturale e mi accomodai nella poltrona davanti al
camino: neanche un attimo di attesa, che arrivò subito uno di loro con aria
minacciosa "Tu hai una chiave che potrebbe aprire le manette di Nico
Robin, vero?" fu con mio immenso piacere che mi ritrovai di fronte Roronoa Zoro, lo spadaccino "Dammela, sennò ti faccio
secco"
Mi voltai verso di lui e sorrisi beffardo "Oh, andiamo! Mi è
dispiaciuto quella volta alla sede della Galley
Company di non aver potuto vedere le tue qualità" confessai, dopotutto
combattere contro una taglia come la sua avrebbe fatto gola a chiunque "Ma
sai...non mi aspettavo certo che dei pirati fossero in grado di arrivare fin
qui" fui di nuovo sincero.
Era quasi una fortuna che fossero riusciti a raggiungerci, si prospettava
una battaglia molto interessante.
I suoi occhi si fecero più rabbiosi e riuscii a percepire il tintinnio
delle sue spade impazienti "Sta' attento, perché adesso sono più forte di
quella volta"
"Sì, ti credo" risposi cordiale "Sento la tua energia. Sei
come una creatura selvaggia, ti reputo un uomo molto temibile" afferrai le
armi ai lati della poltrona, a metà tra l'adulatore e lo scontroso, e mi
preparai ad entrare in guerra "Tuttavia, ti avverto che sono il miglior
spadaccino della CP9: non mi sottovalutare" cominciai a far roteare le
spade, fino a creare delle lame invisibili.
"Tecnica a due spade?" chiese conferma, lievemente disorientato.
Risi "Veramente a quattro" e colpii con ferocia.
Battermi con Roronoa Zoro si rivelò una delle
cose più avvincenti che avessi mai fatto: il giovane era sfrontato, coraggioso,
la mia stima nei suoi confronti cresceva ad ogni attacco.
Diedi il meglio di me, come di consueto, nonostante i commenti sarcastici
di Jabura che, malauguratamente, avevo trovato nella
stanza in cui eravamo precipitati dopo essermi tramutato in giraffa "Kaku, grandioso il tuo potere!" era scoppiato a ridere
sguaiatamente, seguito a ruota da quello stupido ragazzino che doveva essere il
cecchino di Cappello di Paglia "Eccezionale!"
Infastidito, offeso e troppo orgoglioso per dargliela vinta, decisi di dare
una dimostrazione del potere distruttivo della giraffa "Amanedachi!" e in quattro e
quattr'otto tagliai in due la Torre della Giustizia.
Non riuscivo ancora a controllare alla perfezione il mio nuovo corpo, ma la
mia professionalità mi permetteva di trarre a mio vantaggio anche gli
imprevisti "Lascia perdere, ragazzino. Non puoi battermi"
Lo spadaccino persisteva, continuando imperterrito a schivare colpi e a
lanciarne di nuovi, sembrava davvero che le sue motivazioni fossero delle più
forti. Per un momento, mi ricordò terribilmente me stesso qualche anno prima:
durante l'addestramento, andavo avanti con la stessa invidiabile ambizione ed era
stato proprio grazie a quest'ultima che mi trovavo dov'ero adesso: non avrei
permesso ad un piccolo pirata di sconfiggermi.
"La pagherete cara" sentenziai velenoso, ricorrendo alla
necessaria formazione della violenza verbale, da utilizzare per indebolire
moralmente l'avversario. Non era una delle tecniche che preferivo: mi faceva
peccare di arroganza e di superiorità, ma dopotutto era questo che mi aveva
sempre indottrinato Rob Lucci.
Per di più, in una situazione come quella, non mi sarei fatto scrupolo ad
usarla "La pagherete cara voi e la vostra amica Nico Robin, in nome della
giustizia!"
Fu la goccia che fece traboccare il vaso: s'iniettarono di sangue gli occhi
di Zoro, come due fuochi ardenti mi minacciarono di morte e il suo corpo
divenne improvvisamente ambiguo.
Sgranai gli occhi: erano davvero tre teste quelle che avevo visto?
"La determinazione, se è sincera, può travolgere qualsiasi
avversario" fece sdegnoso, saltando in aria e preparandosi a scagliare un
attacco che avrebbe segnato la mia fine "Asura Ichibugin!"
Fu un istante...
Grigio, grigio davanti agli occhi e nell'anima. Di un grigiore cupo e tetro
che mi avvolgeva e mi voleva fare sua preda. Niente più davanti alla vista,
semplicemente un profondo dolore lungo tutto il corpo e una caduta al suolo
morbida, stanca e sconfitta.
Asura, è dunque questo il nome del demone che prenderà la mia vita?
Tutt'a un tratto, mi sembrò che il tempo si fosse fermato: era finito il
tempo degli scontri, ora era il momento di godersi questa tregua momentanea e
arrendersi all'evidente, seppur incredibile, superiorità di quei ragazzi.
Era finita, era finita per davvero.
Non c'era più niente: solo il rumore del ruscello della stanza di Jabura, le mani insanguinate sul prato fresco e l'affanno
del vincitore, il quale si apprestava a togliersi la stoffa verde dalla testa,
mormorando pacato "Ho un messaggio per te da parte di Paulie,
il capo della Galley Company"
Annaspai sentendo quel nome, ma ogni mio respiro risultava difficile,
ostacolato dal sangue, dalla stanchezza e da inguaribili tormenti "Mi
dispiace, ma sei stato licenziato"
Poi vennero ad illuminarmi il viso i raggi del sole filtrati attraverso la
torre tagliata. Avevo distrutto io quell'edificio, come avevo distrutto migliaia
di altre cose...
"Vi ho sempre considerati amici, dei meravigliosi compagni, persone di
cui potevo fidarmi!"
Tornarono a scalfirmi la memoria le parole di Paulie,
intrise di dolore e delusione, parole che non avrebbero dovuto avere effetto
alcuno sul cuore cinico di un assassino, ma che proprio non riuscivo a
neutralizzare: non voleva andarsene dalla mia testa l'immagine della sua
espressione affranta, quella sera nella stanza del Signor Iceburg.
Piangeva, Paulie, piangeva come un bambino,
constatando che a guardia della camera c'erano solo due pupazzi e che i cattivi
eravamo noi: probabilmente si era visto crollare il mondo addosso, forse aveva
pensato che i suoi amici erano morti e che le persone che aveva conosciuto
durante quei cinque anni non esistevano nemmeno.
Non pensare che la nostra amicizia sia stata una farsa, amico mio. Faceva
parte del piano, ma non era mia intenzione.
Quello che hai visto a Water Seven era Kaku in
tutto e per tutto: era Kaku che ti dava di gomito
quando Iceburg si metteva le dita nel naso, era Kaku che ti diceva di piantarla ogni volta che ci andavi
giù pesante con il gioco d'azzardo, era Kaku che
trascorreva con te gli assolati pomeriggi al cantiere e con cui ridevi per le
sciocchezze più banali.
"E' così che ha detto Paulie? Certo, non
posso fargliene una colpa..."
Perdonami, amico mio, se puoi...
"Ma purtroppo se sei un killer, non ci sono molti altri lavori che
puoi fare"
Mai più mi chiameranno Vento di Montagna, mai più i bambini m'indicheranno,
mai più potrò saltare nel sole su quei meravigliosi tetti...
"Però potresti sempre provare in uno zoo" sdrammatizzò Zoro,
evidentemente accortosi del mio essere assorto.
"Niente male" mi sforzai di sorridere, ma ciò che avrei voluto
veramente fare era piangere, piangere a dirotto e senza vergogna, liberando
tutti i rimorsi che si stavano prendendo gioco di me e che ora mi danzavano
davanti agli occhi come dei sogni infranti.
"Questa è davvero buona" allungai la mano ferita e gli consegnai
la chiave numero cinque. Dopotutto, se l'era sudata.
Ebbene,
spero di essermi fatta perdonare almeno un po’ per la figura di merda per il capitolo precedente! Rileggendolo, ho
avuto l’impressione di aver, come si dice dalle mie parti, arronzato parecchio…però,
come vedete, ho cercato di rimediare J
Stavolta
mi sono preparata proprio bene: ho rivisto gli episodi dello scontro tra Kaku e Zoro e ho riportato le stesse parole. Spero, essendo
una missing moment e una delle scene su cui si scrive
tanto, di essere stata abbastanza personale. Ma ovviamente a voi l’ardua
sentenza!
Questo
capitolo mi ha presa così tanto che ora sento di portare addosso anch’io un po’
di tristezza di Kaku! L’ultima frase, naturalmente, è
il suo pensiero credendo che sia giunta la sua ora.
Mi sforzai per aprire gli occhi e questi furono immediatamente inondati
dalla luce, tanto da costringermi a richiuderli ed emettere un lamento
sommesso.
"Ben svegliato, principino" udii la voce di Jabura
e, con aria confusa, mi accorsi che ero sulle sue spalle.
"Oi oi! Kaku ce
l'ha fatta!" risuonarono lontane le parole di Kumadori.
Cercai di mettere insieme quegli stimoli cognitivi per capire cosa stesse
succedendo, ma ci pensò Blueno a delucidarmi
"Stiamo andando in un luogo sicuro. Non devi preoccuparti" mi accorsi
con la coda dell'occhio che reggeva il corpo privo di sensi di Rob Lucci.
Era vero. Ero vivo, allora. Com'era potuto accadere?
E se invece fosse tutto un sogno e quella non era altro che un'illusione?
"Ma bene!" sbottò Califa "Queste
erano le mie scarpe migliori!" s'infuriò con i binari del treno marino sui
quali ci stavamo muovendo.
"Ma sentitela!" le ringhiò contro Jabura
"Siamo appena stati sconfitti da una banda di pirati da quattro soldi e il
suo unico pensiero sono le sue fottute scarpe!"
"Che disfatta ad Enies Lobby, chapapa!" finalmente sentii anche Fukuro
"Ma per fortuna l'abbiamo scampata al Buster
Call!"
"Già" continuò l'uomo-lupo "Ma le cose si ribalteranno
presto, vedrai. Intanto vediamo di raggiungere questa dannata San Popula"
"E' da quella parte, stai sbagliando strada" lo informai
improvvisamente, accorgendomi prima degli altri di quanto la mia voce fosse
debole e roca.
"Fantastico, si è ripreso anche Kaku!"
fece lui con tono sarcastico "Se ti senti così bene, perché non scendi
dalla mia maledetta schiena e cammini con i tuoi luridi piedi? Kaku?" tutto, attorno a me, divenne nuovamente buio
"Hey, giraffone gonfiato, mi senti?"
Nulla. Zero. Sprofondare.
Vuoto...
San Popula era un'isola bellissima: c'erano
ciliegi dappertutto e profumo di fiori aleggiante nell'aria primaverile. Potevo
passare ore intere ad inebriarmi di quell'odore e ad osservare quei petali
rosei che, di tanto in tanto, si posavano sui tetti delle case.
La vita continuava. E mi sorprendeva nel modo più affascinante possibile,
con i suoi colori e i suoi aromi invitanti, affinché la considerassi non come
una sconfitta, ma come un dono. Mi scoppiava davanti agli occhi e sembrava
dicesse "Dai, perdonami...posso ancora regalarti tanto"...
I primi giorni furono i più critici: Kumadori si
esibiva in strada per racimolare soldi che sarebbero serviti a pagare le spese
mediche per Lucci, qualche giorno dopo a lui si aggiunsero anche Blueno e Jabura con il loro 'animal show', e Califa s'impegnò
a ripulire le strade.
Io fui quello che si riprese più lentamente, dopotutto le ferite da armi da
taglio non smettono di sanguinare tanto facilmente, ma non appena mi sentii
meglio mi adoperai anch'io per la nostra causa comune: così, nonostante qualche
fitta che ancora ci teneva a far sentire la sua presenza, mi trasformai in
giraffa e feci divertire i bambini sul 'giraffa scivolo'.
Infanti, infanti e ancora infanti sul mio dorso che ridevano e si godevano
la nuova giostra, e chissà che non avrei dovuto farci l'abitudine, ma almeno
per il momento non potevo ancora permettermi di pensarci...
Mi piacevano i bambini: quando mi trovavo in loro compagnia tornavo piccolo
anch'io e, forse, fu per questo motivo che interruppi il mio gioco con una nota
di dispiacere, quando Califa e Fukuro
tornarono dallo shopping e ci chiesero di seguirli per discutere sul da farsi.
"Ecco qua" la bionda svuotò la borsa soddisfatta, una volta che
ci fummo seduti al bar "Questi sono alcuni beni di primaria importanza dei
quali non possiamo proprio fare a meno"
"Una lametta?" chiesi disorientato, prendendo uno dei tanti
affari che erano stati catapultati sul tavolino.
"Oi oi! Un rossetto?" domandò un Kumadori particolarmente sorpreso.
"E questo che roba è?" fece Jabura
afferrando un piccolo pacchetto di colore rosa.
Califa arrossì all'istante, strappandogli l'oggetto dalle mani e insultandolo
"Sei un porco, non cambierai mai!"
Anche l'uomo-lupo arrossì, rendendosi conto di cosa contenesse in realtà
quel pacchetto e sfregandosi le mani rugose come se avesse appena toccato
qualcosa di disgustoso "Cazzo, avresti potuto avvisarmi! Che schifo!"
A quel punto, tutti scoppiammo a ridere e nello stesso istante arrivò la
cameriera con le ordinazioni "Il the è tuo?" mi chiese con sguardo
languido.
Annuii senza darle troppo conto, ancora preso dalla scena comica di poco
prima.
"Sei soltanto un lupo pervertito, ma non credere che io..."
"Mi spieghi cosa diavolo ce ne facciamo dei tuoi acquisti da
femminuccia? Avresti potuto comprare del cibo, no?"
"Io almeno mi sono prodigata per andare a fare qualcosa di utile,
invece di..."
"Idiota con la cerniera, tu chi cazzo stavi guardando? Perché non hai
fatto qualcosa, ora come..."
"Ragazzi!" ci raggiunse Blueno con il
fiatone "Venite! Sembra che Lucci si sia svegliato"
"Ma che bella notizia, chapapa!"
Jabura si alzò e diede un forte scossone alla sedia "Avanti, vai a portargli
uno dei tuoi rasoi effemminati!"
"Sei proprio uno..."
Non sentii l'ultima parte della frase, perché mi ero già alzato e diretto
verso la cassa: contai le monete che avevo in tasca e, con un sorriso di chi sa
già come vanno a finire le cose tra due accaniti litiganti, pagai la nostra
consumazione scuotendo la testa.
"Siete turisti, vero?" mi chiese la cameriera che poco prima mi
aveva servito il the.
"Sì" annuii non riuscendo a smettere di sorridere, incautamente e
senza presentimento alcuno.
"Da dove venite, se posso?" fece con occhi curiosi ma anche
brillanti.
Mi rabbuiai tutt'a un tratto. Da dove venivamo?
Ma poi, per fortuna, la mia esperienza nel mentire ebbe la meglio "Dal
Mare Occidentale"
"Capisco" si aprì in un radioso sorriso, mentre incassava i soldi
e tralasciava alcune monete "Il tuo the l'ha offerto la casa,
d'accordo?"
La guardai sorpreso: in un istante interminabile i nostri sguardi
s'incrociarono, dopodiché lei mi fece un occhiolino e sparì ad occuparsi di
altri clienti.
Incredibile essere trattato come un ragazzo normale. Mi ricordò
tremendamente la sensazione che provavo quand'ero il carpentiere del Dock 1,
essere una persona tra le persone, senza poteri particolari, senza licenza di
uccidere.
Ma fino a che punto mi piaceva essere uno qualunque?
In breve tempo anche Lucci si riprese e, anche se non l'avrebbe mai
ammesso, noi tutti sapevamo che ci era riconoscente per ciò che avevamo fatto:
stavamo riscoprendo un nuovo gioco di squadra, uno spirito che non si basava più
sulla semplice collaborazione lavorativa, ma che s'insinuava anche nei rapporti
interpersonali e sfociava in qualcosa che, in maniera molto sbiadita, forse
rasentava l'amicizia.
Il pensiero venne confermato quella sera al bowling, quando tutti ci divertimmo
a sfidarci in un semplice sport che non era necessariamente fare a fette le
persone o estorcere informazioni sotto tortura, ma era svago e spensieratezza e
la prova schiacciante che anche la temuta CP9 poteva vivere serenamente come
tutti gli altri esseri umani.
E quanta gente abbiamo fatto soffrire, per arrivare a questo: pensai a Paulie, a Lulu, a Tilestone o
allo stesso Signor Iceburg.
Segretamente, clandestinamente e molto profondamente, vi porterò nel cuore
assieme al sole di Water Seven.
SEMPRE...
I problemi arrivarono la mattina successiva, quando sull'isola sbarcarono i
pirati di Candy "Buongiorno, cari sudditi della regina di primavera!
Pronti a consegnarci i vostri soldi?"
Sotto lo sguardo allibito degli abitanti dell'isola, in qualità di delegati
della giustizia ci battemmo contro quei miseri pirati e li sconfiggemmo in un
batter d'occhio, causando non pochi commenti sorpresi circa la nostra forza.
Fu un gioco da ragazzi nonostante le ferite ancora in via di guarigione, ma
di certo questi avversari non avevano nulla a che vedere con i pirati di
Cappello di Paglia: la grinta di quei ragazzi, diavolo, superava di gran lunga
quella di qualsiasi marinaio del globo.
Ero felice di aver combattuto contro di loro. Ero stato felice sin dal
momento in cui Roronoa Zoro mi aveva lasciato in
agonia nella Torre della Giustizia.
Ma dopo quell'episodio, era giunto davvero il momento di lasciare San Popula: i cittadini ci acclamarono con ardore, ci chiesero
di restare, ma Jabura ci disse che l'isola in cui era
stato addestrato per diventare un membro del governo distava solo pochi giorni
di navigazione, quindi decidemmo di dirigerci lì: se non altro, almeno uno di
noi poteva finalmente tornare a casa.
Ma di fatto ci sentimmo a casa tutti quanti, quando vedemmo i piccoli
aspiranti agenti segreti allenarsi duramente e venerarci come degli dei: ed
eccomi di nuovo tra i bambini, inconsciamente, a provare la stessa strana
sensazione di aspettativa che mi aveva turbato a San Popula.
I ragazzini ci chiedevano consigli, ci ammiravano e ci costringevano ad
insegnargli tutto quello che sapevamo, spesso venendoci anche a svegliare nel
cuore della notte solo per provare un determinato attacco che non gli era
riuscito bene, oppure per domandarci come avevamo fatto ad arrivare dove
eravamo.
Insomma, il tutto creava un certo impatto emotivo. Spesso mi passavo una
mano sulla fronte, cercando di mettere a tacere vecchi ricordi.
Prima o poi il passato ti verrà a cercare, questo lo sai, vero?
Furono piacevoli quelle due settimane, volate via come il vento, ma si sa
che tutto ciò che è bello non può durare: come a confermare questa vecchia
scuola di pensiero, arrivarono i marines a guastarci le feste.
Dopo gli avvenimenti di Enies Lobby, eravamo
stati accusati di poca efficienza, di scarso senso della giustizia e di mancata
applicazione delle leggi. Insomma, Spandam aveva
fatto di noi dei criminali.
"Quel figlio di puttana!" si arrabbiò Jabura
"Vi rendete conto che ora non ci darà più pace? Brutto pezzo di merda di
quella..."
Dopo aver sconfitto i marines senza nessuna difficoltà, Rob
Lucci afferrò un lumacofono in tutta calma: nessuno
di noi sapeva quello che stava facendo "Buonasera, Spandam.
E' il suo subordinato Rob Lucci che le parla..."
Dall'altro capo silenzio, tensione e una crescente paura percepibile anche
a distanza: era lui, era l'indegno.
"Noi torneremo" e con queste parole ferme e solenni, la
comunicazione s'interruppe, lasciando questo messaggio chiaro e conciso.
"Ma allora ve ne andate?" piagnucolarono i bambini.
Califa accarezzò i capelli ad una biondina alla quale si era particolarmente
affezionata "Dobbiamo"
Ebbene,
ecco a voi il capitolo di San Popula! Per chi non lo
ricordasse, questi avvenimenti sono riportati nelle miniavventure
del manga dal capitolo 491 al 528, si tratta di semplici immagini con qualche
didascalia, ma io ovviamente ci ho ricamato sopra…a questo punto la mia strada
si separa da quella tracciata da Oda e dal prossimo aggiornamento si tratterà
soltanto della mia fin troppo fervida immaginazione.
La
sfumatura che si percepisce tra Califa e Jabura non era prevista, ma alla fine mi divertiva così
tanto che ho deciso di lasciarla!
P.S.
Con la nuova funzione di efp abbiamo la possibilità
di far inserire Kaku nella lista dei personaggi: ci
servono 15 voti, quindi su!!! Chi segue questa storia ha il dovere morale di
votarlo u___u conto su di voi!
Poco a poco, si fece strada dentro me la lontana idea di tornare a
casa. Idea che fino ad allora era stata utopica, sbiadita, ma allo
stesso tempo tanto desiderata: quante volte avevo immaginato di rimettere piede
al porto di Kodama, quante volte avevo fantasticato
sulla sorpresa che avrebbe avuto la mia famiglia nel vedermi arrivare.
Loro, loro che non sapevano nemmeno dove diavolo ero stato duranti quei
cinque lunghi anni, loro che avevano solo una piccola percezione del mio ruolo all'interno
del governo mondiale, loro ai quali mi ero vietato di pensare, perché se vuoi
essere un esperto membro di un'organizzazione segreta non devi avere né passato
né scrupoli a tormentarti.
E forse ero proprio diventato un killer spietato, forse non mi avrebbero
neanche riconosciuto, forse chiudere in un cassetto i ricordi fa sì che quando
li riapri ti cadano addosso in modo così violento da seppellirti sotto il loro
peso...
Ma quando scoprimmo che Kodama era vicina,
decidemmo subito di dirigerci lì: non ci pensai due volte a fiondarmi a casa,
ormai rappresentava una sorta di meritato riposo dopo un lavoro che mi era
sembrato ininterrotto.
Così, dopo qualche giorno di navigazione, raggiungemmo finalmente il
paradiso: non mi sembrava vero...era davvero giunto il momento di
ricongiungermi con la mia terra.
Ricordati di Kodama in festa, del porto addobbato
e delle grandi imbarcazioni che sovrastavano regine tutte le altre, del vento
fresco e dell'inconfondibile profumo del pane appena sfornato...sogno o son
desto?
Non appena sbarcammo, prendemmo immediatamente a camminare per le vie della
città e tutto mi parve proprio come l'avevo lasciato: i ladri travestiti da
imprenditori, la villa del sindaco, la chiesa centrale, le casette a schiera...le
casette a schiera.
Mentre i miei colleghi si guardavano ancora attorno, balzai come un felino
sul tetto rosso di un'abitazione "Giraffone!" mi chiamò Jabura dal basso "Ti sembra il momento di fare
stronzate?"
Il vento cercò di portarmi via il cappello "Sì" mormorai assorto,
godendomi lo spettacolo da sogno che si poteva ammirare da lassù "Questo è
proprio il momento adatto per le stronzate"
"Oi oiJabura!
Ricordati che Kaku non vede il suo villaggio da
cinque anni!"
"E allora? Anch'io non vedevo l'isola in cui mi ero allenato da tanto
tempo, eppure non ho fatto tutte queste moine, quando..."
L'aria e i gabbiani che mi sfrecciavano accanto mi fecero perdere le parole
dell'uomo-lupo, ma non le rimpiangevo: in un istante ero tornato un
diciassettenne, ero libero, libero come un gabbiano in volo e non vedevo l'ora
di saltare sempre più in alto, sempre più in alto come il vento di montagna...
Eccola, era tornata quell'aria familiare a dare adito ai miei polmoni, il
tempo non era mai passato, ero lì come lo ero sempre stato anche quand'ero
lontano e quei tetti li cercavo nei tetti di Water Seven, speranza insistente
messa a tacere dal senso del dovere e dall'imposizione personale.
Sorvolai la piazza, il parco, la vecchia scuola, il centro storico, per poi
distinguere l'invitante profumo della panetteria. Fermai i miei salti e feci un
respiro profondo: ci siamo.
Con cautela, scesi dal tetto sotto gli sguardi sorpresi dei passanti che
solo in quel momento cominciarono a capire chi fossi, dopodiché entrai nel
negozio senza troppe cerimonie.
E i nostri cuori persero tre battiti, mentre ci guardavamo negli occhi e
pian piano ci riconoscevamo...
Diversi panini caddero rovinosamente a terra, sfuggiti alla presa di mia
madre divenuta improvvisamente nulla, e svariate monete li raggiunsero subito
dopo, quando anche mia sorella si fu accorta del mio ingresso.
"KAKU!" tuonarono entrambe, dimenticandosi completamente dei
clienti e correndo ad abbracciarmi, quasi travolgendomi.
"Oh, mio Dio!" pianse mia madre "Sei davvero tu?"
"Fratellone!" anche Kyoko mi bagnò la
felpa "Sapevo che saresti tornato!"
Cercai di reprimere le lacrime e mi sforzai invece di ridere, ridere a
crepapelle per quell'affetto ritrovato "Sono felice di vedere che state
bene" il periodo trascorso nella CP9 mi aveva insegnato a controllare le
mie emozioni "Kyoko! Sorellina, quanto sei
cresciuta!"
La sedicenne fece una giravolta, sorridendo soddisfatta "Però gli
insetti sono sempre il mio piatto preferito!"
"Questa volta sei tornato per restare, spero" esclamò mia madre,
asciugandosi gli occhi lucidi.
"Mamma, ho portato gli strumenti di legno che mi avevi..." la
voce alle nostre spalle si bloccò, inghiottita, strangolata non appena tutti e
tre ci voltammo verso la porta. I clienti erano tutti usciti, soltanto un
ragazzo più giovane di me di qualche anno e che mi assomigliava terribilmente
si era appena pentito di aver attirato la nostra attenzione.
"Milo..." mormorai con un filo di voce.
"Kaku..." fece lui di rimando,
abbassando lo sguardo.
Mia madre mi diede una gomitata, così mi avvicinai a mio fratello e, ormai
senza più riserva, lo strinsi in un forte abbraccio e a quel punto, malgrado
gli sforzi da professionista, l'acqua non ne volle sapere di restare nei
condotti lacrimali "Mi sei mancato, coglione!"
"Anche tu!" riuscii a sentire un certo tremolio anche nella sua
voce "Ma resterai sempre un presuntuoso del cavolo, sapu-Kaku!"
In un istante, anche Kyoko e la mamma furono
accanto a noi e completammo il quadro di una famiglia che per troppo tempo era
stata separata: il mio sogno più ricorrente, era ormai tornato ad essere la
semplice, naturale e meravigliosa realtà.
E il mio cuore rischiava di esplodere dal petto, troppe volte l'avevo
incatenato e costretto ad eseguire gli ordini del suo intransigente e severo proprietario.
Ora, finalmente, poteva considerarsi di nuovo libero: libero di sprizzare nuova
linfa vitale, libero di non avere più segreti e misteri da nascondere.
Ci vedi, papà, da lassù?
"Dovete conoscere i miei amici" dissi con entusiasmo
"Abbiamo lavorato e viaggiato insieme e per un po' resteranno su
quest'isola"
"Sono curiosa di vederli, fratellone! Sono tutti forti come te? E tu
quanto sei migliorato dall'ultima volta?"
Scoppiai a ridere "Sono certo che ti piaceranno un sacco"
E in effetti non mi sbagliavo: Kyoko adorò gli
altri membri della CP9 a prima vista e anche da parte loro ci fu subito
simpatia (soprattutto tra Milo e Jabura, che parvero
essere fatti l'uno per l'altro), mia madre per l'occasione decise di chiudere
la panetteria e farci accomodare tutti a casa.
"E' in casa ad aspettarti" mi posò una mano sulla spalla,
cercando d'infondermi un po' della sua sicurezza.
Chiusi gli occhi e sospirai: avrei dovuto essere pronto...avevo immaginato la
scena tante di quelle volte, eppure ero sicuro che sarei rimasto spiazzato
ugualmente.
Preparazione psicologica, vieni a mancare giusto nel momento del bisogno e
mi abbandoni inerme, senza difese di fronte all'inevitabile.
Sophie ebbe la stessa reazione di cinque anni prima: sgranò gli occhi
marroni osservandomi, il suo sguardo non conobbe gli altri e, dopo un attimo di
scombussolata esitazione, si gettò tra le mie braccia "Ti amo" mi
baciò profondamente, stringendomi il collo e lasciando che la stringessi
anch'io, trasmettendole tutto il mio calore "Ti amo anch'io"
Le sue labbra avevano lo stesso amorevole sapore di sempre e la strinsi
ancora più forte, fino a pensare di poterle fare del male.
"Insomma, dateci un taglio!" sbottò Milo "Non avrete mica
intenzione di farne un altro?"
Le nostre labbra si lasciarono lentamente, come se una vecchia certezza ci
avesse invasi da lontano, dopodiché notai una bambina che si nascondeva dietro
la porta della camera da letto. Calò il silenzio: Sophie mi sorrise dolcemente,
cercando probabilmente d'incoraggiarmi, poi m'inginocchiai e mi misi anch'io ad
osservare quella piccola persona che mi stava scrutando di nascosto.
"Io sono Kaku" cercai di dire con il
tono più affabile del mondo e allungai una mano.
Pian piano, la bambina prese coraggio e si fece avanti timorosa, stringendo
tra le braccia un buffo orsacchiotto rosa. Ne avevo visti di bambini, ma quella
era certamente la più bella del mondo: i suoi capelli erano color dell'oro e i
suoi occhi sembravano cioccolato fuso, per di più non c'era ombra dei miei
tratti squadrati sul suo volto, ma soltanto una carnagione bianca e dei
lineamenti gentili che la rendevano la copia esatta di Sophie. Me ne rallegrai.
"Papà?" si fermò ad un palmo da me e non seppi dire se per lo sguardo
che mi rivolse, o per il tono con cui me lo chiese, oppure per la parola in sé,
ma sentii il cuore balzarmi in petto.
Infatti riuscii solamente ad annuire debolmente, sentendomi gli sguardi di
tutti i presenti addosso "Ciao, Eleanor" sussurrai.
La piccola abbozzò un sorriso, ma invece di toccare la mia mano, fece
scivolare le minuscole dita sul mio naso "Dici un sacco di bugie,
papà?"
Non potei fare a meno di ridere e, dietro me, percepii anche altre risate
"Qualche volta" confessai.
A quel punto, Eleanor mostrò i primi dentini e mi abbracciò, felice come
una Pasqua: restai sorpreso da quel contatto, ma poi mi sciolsi anch'io,
trascinato dal suo amore infantile e facendole sentire il mio amore paterno ed
incondizionato.
Un attimo dopo, accanto a noi ci fu anche Sophie, suggellando
quell'abbraccio e ricordandomi che, ormai, di famiglie ne avevo due.
"Coraggio, ragazzi" ci riscosse mia madre, anche se avrei giurato
di vedere una lacrima sul suo volto "Sarete affamati, accomodatevi a
tavola"
Non seppi dire chi fosse più infantile tra mia sorella e mia figlia, le
quali si divertivano a giocare con la stramba capigliatura di Blueno e con la cerniera di Fukuro,
mentre Milo sghignazzava con Jabura, Califa conversava con Sophie e Kumadori
aiutava la mamma a servire le pietanze con tanto di grembiule casalingo.
Soltanto Rob Lucci se ne stava taciturno e in
disparte ma io sapevo che in fondo, ma proprio in fondo, un po' faceva piacere
anche a lui stare in nostra compagnia.
Fu una cena piacevole e divertente, nonostante le continue richieste di
parlare del nostro lavoro e del perché ci trovassimo tutti lì: mi sembrò di
essere tornato ai vecchi tempi, ma con la presenza di nuove, straordinarie
persone.
Quando tutto fu finito e i piatti lavati, io e Sophie andammo a mettere a
letto Eleanor "Si è fatto molto tardi, non è abituata" sorrise sua
madre, mentre osservava divertita il mio tenerla tra le braccia addormentata.
Adagiai con delicatezza il corpicino sul letto e, spegnendo la luce,
uscimmo dalla stanza "Ti ha amato dal primo momento" risuonarono
gradevoli le parole di Sophie ai miei timpani "L'hai conquistata con una
semplice risata, proprio come me"
Mi venne da sorridere, mentre entravamo nella nostra camera e la ragazza si
sedeva sul letto "Quanto mi sei mancata" la baciai con passione,
allungando le mani sulle sue cosce e lasciando che mi avvolgessero.
"Mi sei mancato anche tu" rispose al mo
tatto, offrendomi il collo e facendo sì che le mie labbra si posassero
fameliche anche lì.
Per qualche assurdo motivo, credevo che sarebbe stata intimorita dai
muscoli che avevo sviluppato durante l'addestramento, ma dovetti convincermi
del contrario: Sophie mi saltò letteralmente addosso, tastando quelle nuove
forme e spogliandomi più velocemente del dovuto.
E così mi gettai a capofitto tra le sue grazie, dimenticando il resto del
mondo per un istante, il lavoro, Water Seven, Cappello di Paglia, Enies Lobby, Roronoa Zoro, tutto
in un vorticoso turbine che si azzerò nella femminilità della mia donna...
"C'è una cosa che devo mostrarti" avvertii Sophie con tono serio.
Lei sorrise "Una cosa eccitante?"
Scoppiai a ridere "No, ma spero ti piaccia ugualmente" mi
sbottonai il colletto della camicia "Non spaventarti"
L'espressione della fanciulla si fece pensierosa, ma dopo che mi fui
trasformato trattenne a stento la sorpresa "Tesoro, cosa ti è
successo?"
Nel giro di un secondo, si era ritrovata di fronte un'enorme giraffa
imbarazzata "Beh..." dissi piano "E' stato un regalo del mio ex
capo. Ti piace?"
Sophie si portò le mani alla bocca, arrossendo lievemente, ma poi proruppe
in una sonora risata "Assolutamente sì!"
"Su, non ridere" fu il mio turno di arrossire "Piuttosto,
credi che ad Eleanor farà paura?"
Si portò un dito sotto il mento, ma continuò ad avere quell'adorabile sorriso
divertito "Possiamo fare un tentativo"
E infatti dopo lo sbalordimento iniziale, Eleanor si mostrò tutt'altro che
spaventata: anzi, volle subito salirmi in groppa e fare un giro sul suo nuovo
animaletto.
"Tieniti forte, tesoro" le suggerii con apprensione, al che la
bambina si aggrappò al mio dorso e fu ben felice di sfrecciare con me nella
zona immediatamente fuori casa.
Poi, improvvisamente, comparve mia madre con un bastone tra le mani e me lo
puntò contro con aria minacciosa "Lascia subito la piccola, brutto
giraffone!"
"Mamma, sono io!" cercai di scansare i suoi colpi evitando di
attaccarla, mentre Eleanor se la rideva, beata.
"Ora ti faccio vedere io, brutto..."
"Mamma!"
Quando finalmente mi riconobbe, erano già accorsi tutti gli altri e risero
di gusto in coro, facendomi arrossire ancora di più "Figliolo, perdonami,
non potevo immaginare!"
"Certo, mamma, certo"
"La gioia di ritrovarsi una giraffa come figlio" rise
sfacciatamente Jabura.
"E come padre!" lo seguì a ruota Milo.
I giorni trascorsero veloci e spaventosamente belli, così tanto da temere
di svegliarmi dal sogno da un momento all'altro; spesso io e Sophie ci
ritrovavamo a letto senza nulla di speciale da dirci, ma semplicemente a godere
l'uno della compagnia dell'altra, forse in questo modo avremmo compensato gli
anni in cui eravamo stati lontani; e quello era proprio uno di questi momenti,
una mattina in particolare, in cui nessuno dei due aveva voglia di alzarsi:
quando Sophie si decise a farlo, tra uno sbadiglio e l'altro, si avvicinò alla
finestra che dava sul porto e mi rivolse una domanda alquanto strana
"Tesoro, aspettavi visite?"
"Cosa?" feci distrattamente e, dopo che mi fui alzato anch'io, la
raggiunsi e le cinsi i fianchi.
"Cosa sono tutte quelle navi?" chiese ancora, con lo sguardo
stranito puntato fuori dalla finestra.
Tutt'a un tratto, anche i miei occhi si posarono sul panorama in
lontananza: sul mare si stagliavano bianche le vele di una larga moltitudine di
vascelli.
Chiedo
scusa per il ritardo: questo capitolo ha richiesto un po’ di lavoro in più!
Spero vi sia piaciuto, anche se quando l’ho scritto mi sembrava più lungo xD avrete notato i riferimenti al capitolo in cui Kaku torna a Kodama dopo qualche
mese dall’addestramento, e il rapporto di complicità che si è creato tra Milo e
Jabura.
Non
amo molto il fluff, ma che ci volete fare, l’aria natalizia contagia proprio
tutti! Buon Natale J
"Kaku, che succede?" Kyoko uscì dalla sua stanza come una furia "Mi
rispondi, per favore?"
"Lucci, sono qui" mi rivolsi immediatamente al mio compagno,
avviandomi in cucina e non degnando mia sorella della minima attenzione "Califa, Blueno, sono venuti a prenderci!"
"Figliolo, chi è venuto a prendervi?" mi corse incontro la mamma,
cercando di tranquillizzarmi, ma non ci fu verso: mi portai le mani nei capelli
e presi a camminare nervosamente avanti e indietro "Non è possibile...sono
venuti fin qui"
"Di chi diavolo stai parlando, sapu-Kaku?"
mio fratello mi guardò come se fossi impazzito.
"Tu lasciali venire" rispose finalmente Rob
Lucci, il quale se ne stava placido a sorseggiare the seduto al tavolo
"Gli faremo un'ottima accoglienza"
"Già, è da tanto che non faccio a pezzi qualcuno" rise Jabura, guadagnandosi un'occhiata sconvolta da parte di mia
madre.
"Sta solo scherzando, non si preoccupi" la calmò Califa, mollando un possente pugno nelle costole
all'uomo-lupo.
"Ma vi ha dato di volta il cervello?" sbottai improvvisamente
"Cos'è questa serenità?" ero a dir poco incredulo "I marines
stanno arrivando! Distruggeranno l'isola se non facciamo subito qualcosa!"
Mi raggiunse Sophie, stringendosi uno scialle attorno alle spalle e
accarezzandomi il braccio "Tesoro, cos'è questa storia? Perché sei
scappato così dalla camera da letto?"
Mi portai una mano sul volto "Mi dispiace...mi dispiace, Sophie, non
era così che dovevano andare le cose"
"Vuoi darti una calmata, per favore?" mi prese le mani e mi
guardò negli occhi.
"Non volevo portarli qui..." sussurrai a mezza voce "E'
stata una stupidaggine, li ho condotti fino a voi"
"Hey, hey" mi
sfiorò il viso con le mani sottili e appoggiò la fronte sulla mia "Va
tutto bene, ti prometto che fronteggeremo qualsiasi complicazione. E poi...i
tuoi amici non sembrano così preoccupati"
"Certo, perché è la mia famiglia che faranno fuori!" mi liberai
dalla sua presa e ringhiai contro Jabura, il quale mi
fermò "Ascolta, giraffone incacchiato: quegli smidollati non cercano solo
te e tu lo sai, perciò..."
"Combatteremo tutti insieme, chapapa!"
"Oi oi, come abbiamo sempre fatto!"
Riuscii a regolarizzare il respiro per un istante, scrutando le espressioni
tutt'altro che impaurite dei miei compagni "Non devi agitarti, Kaku" fece Blueno "Non
li faremo avvicinare alla tua famiglia"
Non potei dire nulla, riuscii solo a deglutire pesantemente. I pensieri mi
si azzerarono e i brutti presentimenti cessarono per un nanosecondo.
"Qualcuno vuole spiegarmi che cavolo sta succedendo?" urlò tutt'a
un tratto Kyoko, piantando le braccia lungo i fianchi
e stringendo i pugni.
"Te lo spiego io" si offrì volontaria Califa.
Dopo un attimo, però, udimmo il pianto di Eleanor provenire dalla sua
stanza "Vado io" disse subito Sophie.
"Vengo con te" mi aggiunsi senza pensarci.
Quando entrammo nella camera della bambina, la presi in braccio e le
accarezzai i capelli con delicatezza, mentre sua madre le baciava una piccola
mano "Non è niente, tesoro, non è niente"
"Ho sentito..." singhiozzò sulla mia spalla "Ho sentito che
vogliono fare del male a papà...non voglio, ho paura!"
Le baciai la fronte "Tranquilla, Eleanor. Nessuno mi farà del male, né
gli permetterò di farne a te" sgranò i grandi occhi marroni nei miei e mi
ricordò terribilmente Sophie "Devi credermi, piccola mia"
Non avrei permesso a nessuno di portarmi via la mia famiglia ritrovata.
Avrebbero dovuto passare sul mio corpo, spiaccicarlo se necessario, ma non me
ne sarei stato con le mani in mano: li avrei protetti fino all'ultimo briciolo
di forze che mi sarebbe rimasto in corpo.
Dopo circa cinque minuti, risuonò per tutta Kodama
una possente voce da un megafono "CP9! So che siete qui! Venite
fuori, prima che appicchi il fuoco in questo maledetto porto!"
I miei occhi si fecero sbigottiti, come probabilmente dovevano essere
quelli dei miei compagni: Spandam.
"Venite" guidai Sophie ed Eleanor fuori dalla stanza, dopodiché
ci ritrovammo di nuovo in cucina con tutti gli altri: Kyoko,
Milo e la mamma mi guardarono con apprensione, ma anche determinazione, forse Califa aveva appena finito di raccontare loro della nostra
avventura ad Enies Lobby.
"Blueno" dissi con fermezza "Porta
la mia famiglia in un luogo sicuro, dopo ci raggiungerai al porto"
"Cosa?" protestarono in coro i miei fratelli "No!"
"Se c'è da combattere, voglio aiutarti!" mi gridò in faccia Milo
"Tu non lo sai, ma sono diventato piuttosto bravo con le spade!"
"Posso farlo anch'io!" continuò Kyoko
"Ti prego, fratellone, non costringerci a non collaborare!"
"Kaku..." riuscì a dire debolmente mia
madre con un'espressione affranta che le avevo visto solo in rare occasioni.
"Oi oi, può essere pericoloso!" li
avvertì Kumadori "Non avete idea di cosa vi
aspetta!"
"Non m'importa!" lo sfidò ancora mia sorella.
Feci cenno a Blueno di non ascoltarli e, infatti,
l'uomo aveva già aperto una porta nel vuoto e si apprestava a farci entrare mia
madre "Se non volete andare di vostra spontanea volontà" gli dissi
con le lacrime agli occhi "Allora vi farò entrare con la forza"
A quel punto, la donna si convinse che sarebbe stato meglio per tutti e
mosse il primo passo, trascinando con sé anche i due figli nonostante le
lamentele e i dimenamenti, perché se c'era una dote in cui mia madre eccelleva
quell'era la perspicacia: aveva capito che, probabilmente, ci sarebbero stati
solo d'impiccio ed io, segretamente, le ero grato.
Così, con un lacrimoso "Sta' attento, figlio mio" sparì dalla mia
vista.
Cercai d'ignorare il magone che mi aveva assalito e baciai Sophie con tutto
l'amore che mi era rimasto "Vi amo. Perdonatemi" accarezzai una
guancia ad Eleanor.
"Dobbiamo andare anche noi, papà?" pianse la bambina,
terrorizzata "Vieni anche tu!"
"Kaku" mi trattenne sua madre "Non
voglio perderti di nuovo, ti prego"
"CP9!" tuonò ancora Spandam
dal megafono.
E, senza il tempo di rassicurarla, la vidi inghiottita da quella porta
sospesa.
Se li avrei rivisti? Non ci volevo pensare, lungi da me l'idea di perdere
per sempre quella gioia.
"Andrà tutto bene, chapapa!" Fukuro provò a consolarmi appoggiandomi una grossa mano
sulla spalla.
"Grazie, amico"
E decisi come soldati in guerra, camminammo fieri verso il campo di
battaglia.
"Chi non muore si rivede!" ci accolse Spandam
con un ghigno malevolo.
La tentazione di saltargli addosso e ridurlo a brandelli era forte, ma
riuscimmo a controllarci "Riporti ancora delle ferite, vedo" notò Rob Lucci in tutta tranquillità.
"Anche tu, mio devotissimo...LUCCI" intrise d'odio il nome del
mio compagno, sfoderando la sua spada-elefante come fosse una portentosa arma
distruttiva. Ma cosa sperava di fare con quel giocattolo?
"Che fine hanno fatto tutte le autorità portuali che erano qui?"
mi guardai attorno circospetto, accorgendomi che attorno a noi non c'erano
altro che marines con le armi puntate verso il nemico.
"Hanno deciso di sgomberare il campo" m'informò con un sorriso
crudele "Ma non preoccuparti, mio caro Kaku: è
stato fatto pacificamente, senza nessuna macchia di sangue" non potei fare
a meno di rivolgergli un'occhiataccia, credevo ben poco alle sue luride parole
falsamente cordiali "Questa è la tua terra natale, vero?" continuò
"Pensavi davvero che sarebbe stata al sicuro?"
"Che diamine vuoi dire, bastardo?" avanzai verso lui, ma Kumadori mi trattenne.
"Uomini!" chiamò improvvisamente, dopodiché alcuni marines
tirarono fuori Blueno, la mia famiglia, Sophie ed
Eleanor.
"NO!" urlai, in preda al panico "Come...BLUENO! Ma che
diavolo..."
Erano tutti legati, compreso il mio collega con l'agalmatolite
e sembravano dispiaciuti "Mi dispiace, Kaku,
ma..." le manette non gli concessero di terminare la frase, troppo debole
per emettere alcun suono.
Spandam rise come un forsennato "Tranquillo, amico giraffa: non gli è stato
torto un capello! La tua adorabile figlioletta te lo può confermare,
vero?"
Non mi voltai a guardarli, sentivo soltanto il pianto di Eleanor che mi
scuoteva l'anima e sapevo che avrei dovuto agire, avrei dovuto assassinare
davanti a loro e mostrargli così il mostro della giustizia che ero diventato.
"Consegnatevi al governo mondiale" ci diede un ultimatum
l'indegno "E a questi cittadini innocenti non verrà fatto alcun male. Non
costringetemi a liberare il carico ventitré" aggiunse con una punta di
malizia.
"Che cazzo è questo carico ventitré?" chiese Jabura
con crescente rabbia.
"Lo vedrete presto" si strofinò le mani e rise in modo poco
promettente.
E a quel punto capimmo che avremmo dovuto dichiarare guerra perché, si sa,
non avremmo avuto altra scelta: ci schierammo in fila orizzontale, facendo
schioccare le dita e i colli e preparandoci all'inevitabile.
Non mi guardare, ti prego, non mi guardare. Mai avrei voluto farti
assistere a spettacoli come questi.
Quando fu sferrato il primo colpo, si generò la battaglia: senza pensarci
due volte, io mi fondai immediatamente verso il responsabile, ma questi fu prontamente
coperto da una decina di subordinati.
"Levatevi di mezzo, ragazzini" li colpii uno ad uno velocemente
"Mi siete d'intralcio"
In un istante la carneficina ebbe inizio e mi parve di sentirmele dentro,
le preghiere che si soffocavano nel cuore di mia madre, lo stringersi di
Eleanor tra le braccia di Sophie, la voglia matta di dare un contributo per la
difesa dell'isola di mia sorella e mio fratello.
Non temete: ci penserò io a proteggere Kodama,
dovete fidarvi.
Le mie spade fluttuarono nell'aria e andarono a tagliare i corpi di
svariati uomini per poi tornare nella mia ferrea presa, sentivo gli altri
combattere al mio fianco, mentre mi ripetevo quanto fosse codardo Spandam a non battersi personalmente.
Ma sotto il comando di chi ero stato per tutto quel tempo?
Ben presto si alzò una fitta polvere, mentre facevo roteare le mie armi e
udivo rumori metallici a destra e a manca "StormLeg"
Cos'avrebbero detto le persone dell'isola? Speravo vivamente che nessuno
avrebbe osato avvicinarsi al porto.
"Soru" Lucci si era avvicinato alla mia area di
combattimento e ne faceva fuori uno dopo l'altro "Shigan" per lui doveva essere un gioco da
ragazzi, nonostante non si fosse ancora ripreso completamente da Enies Lobby.
Saltai e feci roteare i piedi in aria, dopodiché sferrai un colpo mortale
con le lame che ferì anche diverse navi ancorate: il rumore fu
martellante, grandi quantità di legno caddero rovinosamente in acqua e si
spappolarono su altre.
Non voltarti a guardare Sophie che si porta le mani alla bocca, sotto shock
per il tuo gesto "Kaku..." la senti
sussurrare tra le grida, la sua voce miracolosamente ti arriva più di tutte le
altre, ma sai che non puoi fermarti.
"Tekkai" continuai ad usare
imperterrito le Rokushiki, ma poi mi
accorsi che Jabura si era già trasformato in lupo e
combatteva egregiamente grazie ai poteri del frutto del diavolo.
L'atmosfera si evolse e si distaccò del tutto da quelle affrontate in
precedenza: a motivarmi, infatti, non c'era più solo la mia ambizione, ma una
vera e propria missione: salvare la mia casa e la mia famiglia. A tutti i
costi.
D'un tratto eccolo, Spandam, alzarsi sulla folla
e tuonare come se niente fosse "LIBERATE IL CARICO VENTITRE'!"
Non riuscii a reprimere un moto di preoccupazione, che ben presto si
tramutò in paura: ne avevo sentito parlare, ma non ero sicuro che il governo
avesse deciso di finanziarli veramente: i pacifista.
I pacifista avanzarono dalla parte retrostante di una massiccia nave da
guerra e vennero verso noi, più decisi e spietati che mai, e sapevo che anche i
miei compagni erano rimasti sorpresi da una simile mossa.
Non avere paura, piccola. Papà li sistemerà, vedrai.
La loro massa si ergeva imponente di fronte a noi, il viso di Orso Bartholomew fu improvvisamente dappertutto: non bastavano i
marines a guastare le feste, ci volevano anche quei dannati cyborg.
In meno di un secondo, iniziarono a lanciare esplosivi in tutte le
direzioni, sembrava quasi che andassero a ruota libera, impazziti, non ancora
perfettamente collaudati: parecchi marines furono colpiti e scaraventati a
terra senza pietà, mentre la nostra squadra ancora resisteva e scansava i laser
con la forza della disperazione.
Con la coda dell'occhio riuscii a vedere che Milo e Kyoko
erano riusciti a liberarsi ed ora si accingevano a tagliare le corde che
imprigionavano nostra madre e Sophie; mentre Blueno,
probabilmente già libero da un pezzo e Dio sa come, si occupava delle guardie
circostanti.
Inghiottii un ringhio rabbioso, quegli incoscienti non conoscevano il
pericolo al quale si stavano esponendo, ma allo stesso tempo tirai fuori tutta
la mia determinazione e assunsi la forma animale.
Provate ad avvicinarvi, miseri umani.
Tutt'a un tratto, però, la mia attenzione fu richiamata da urla che
conoscevo bene "Aiuto! Mollami, sudicio soldato corrotto!"
"Mamma!"
Il mio olfatto animale non ci vide più dalla rabbia quando percepì l'odore
del sangue di Sophie: il suo sangue sacrificato per un così
banale motivo. Mi voltai finalmente di spalle e la vidi alle prese con un
marine che l'aveva colpita alla mano sinistra, Milo e Kyoko
erano troppo impegnati a difendere Eleanor dagli altri avversari per occuparsi
anche di lei.
Così, spinto dall'odio accecante, corsi verso il colpevole, il quale non
appena vide una giraffa inferocita andargli incontro, prese la sua vittima e se
la caricò sulle spalle "Kaku!"
"Figlio di..." mi lasciai sfuggire, cominciando a rincorrerlo e
raggiungendolo solo quando fu arrivato nella zona dell'officina di mio padre
"Sei tremendamente veloce, te lo concedo" una volta raggiunto, potei
finalmente affondare gli zoccoli nel suo corpo, liberare la ragazza e batterlo
"Ma oggi non è proprio il tuo giorno fortunato"
Inaspettatamente, prima che si accasciasse al suolo, mi fece momentaneamente
perdere i sensi con una lama di agalmatolite "Kaku!" udii la voce di Sophie e una morbida stretta al
braccio, dopodiché riaprii gli occhi e mi resi conto di essere tornato alla
forma umana.
"Che cavolo..." mi premetti una mano sul petto e mi accorsi che
sanguinavo, ma almeno il marine era stato sconfitto e giaceva a terra,
immobile.
"Stai bene, tesoro?" Sophie mi cinse tra le braccia, tossendo.
"Tu stai bene?" mi accertai prima di tutto, nonostante il sempre
maggiore dolore e il rosso che mi colorava i vestiti.
"Non permetterò che ti arrestino" ignorò la mia domanda e mi
disse deliberatamente "Tu non hai fatto niente di male, io lo so"
Veloce come un lampo, le spinsi la testa a terra, mentre il laser di un
pacifista ci prendeva di mira "Sono arrivati fin qui!" imprecai,
rialzandomi a fatica.
"Vieni" mi trascinò lei, scappando dalla portata dell'arma e
finendo nell'officina polverosa "Sei ferito, non puoi continuare
a..." non terminò la frase perché non appena entrai in quel luogo il mio
sguardo si perse: non avevo ancora avuto l'occasione di tornarci ed ora trovavo
terribilmente familiare quell'aria umida e quell'odore legnoso che si respirava
tra quelle quattro mura.
Ma senza preavviso, uno scoppio "STA' GIU'!" Sophie urlò, mentre
una parete andava a farsi benedire "Merda, ci hanno raggiunti"
sfoderai le mie spade, dopodiché offrii una vecchia pistola di mio padre alla
ragazza "Tieni, prendi questa"
"Che cosa?" la prese tra le mani spaventata, sgranando gli occhi
come se avesse appena toccato qualcosa di molto pericoloso "Kaku, io non ho mai sparato a nessuno, non so
nemmeno..."
"Nasconditi!" la spinsi dietro l'armadietto degli attrezzi,
mentre anch'io mi nascondevo dal lato opposto.
Erano diventati tre adesso, tre potentissimi pacifista che avrebbero distrutto
l'intero edificio fino a quando non ci avrebbero trovati: dovevamo solo
attendere.
E' proprio l'attesa l'arma peggiore, la micidiale ansia che uccide e
sfracella le membra, colei che può ridurti in ginocchio a suo piacimento.
"Come...come fai ad essere così calmo?" domandò Sophie facendo
tremare la pistola, guardandomi mentre facevo roteare le spade in tutta
tranquillità.
"Tesoro, sono addestrato" le risposi semplicemente.
"Beh..." rifletté ad occhi bassi "Non mi aspettavo certo
tanto trambusto, né di ritrovarmi con un uomo ricercato..."
"Mi dispiace, io..."
"...ma sappi che ti amo, qualunque cosa accada"
E il suo sorriso riuscì così tanto a sciogliermi, che per un istante
dimenticai della ferita sanguinante e mi feci quasi cogliere di sorpresa da quello
sparo successivo: l'officina di mio padre era a pezzi, ci cadevano addosso
macerie ad ogni passo, ma con un po' di fortuna riuscimmo ad uscirne e a
seminare i nemici.
Quando fummo di nuovo all'esterno, constatammo che la situazione era
peggiorata: Milo e Kyoko si erano buttati nella
mischia a lanciare fendenti, grazie al cielo arrivò subito un marine a
distrarmi; Jabura stava masticando un arto coperto di
sangue, Dio solo sapeva quanto quell'uomo mi desse il voltastomaco ogni giorno
di più; Blueno, Fukuro e Kumadori erano riusciti a stendere buona parte dei soldati;
Califa aveva finalmente capito di poter mandare in
tilt i meccanismi dei pacifista con il suo potere; ma non riuscii a vedere
Lucci, mi chiesi dove si fosse cacciato.
Così lasciai Sophie al riparo con mia madre e la piccola e, con il
sottofondo delle loro proteste a riguardo, andai di nuovo tra i combattenti:
dopotutto, la questione mi riguardava in prima persona. Sfrecciai come il vento
attraverso la folla e d'improvviso divenni più alto, più agile e con un collo
piuttosto lungo "Sei di nuovo tra noi, sapu-Kaku?"
Allora,
partiamo dal presupposto che non mi piace particolarmente scrivere di azione:
qui ci stava e spero davvero con tutto il cuore di averla resa bene e non
monotona! Inoltre, spero non risulti sgradevole la troppa alternanza con il
corsivo, ma certe frasi mi piaceva enfatizzarle la verità è che leggo troppo
Baricco.
Capitolo
scritto sulle note di “Reptilia” degli Strokes (ormai tutta la storia mi è stata dettata dalle
canzoni degli StrokesxD)
Che
dire, siamo agli sgoccioli J ormai mancano soltanto due
capitoli e mi auguro saranno di vostro gradimento. Buone feste!
P.S.
Sì, se ve lo state chiedendo ho visto SkyfallxD
Un rumore di zoccoli, i miei forse, mi rimbombava nelle orecchie rischiando
di farmele sanguinare; la camicia era diventata di un acceso colore cremisi a
furia d'ignorarla; per di più la polvere negli occhi non mi faceva vedere quasi
più niente.
Le grandi sagome scure che mi stavano di fronte si accasciavano al suolo
una dopo l'altra: dopo vari sforzi riuscii a distinguere la figura di Califa che, grazie all'aiuto di Jabura,
di tanto in tanto saltava in aria e mollava potenti calci di sapone ai circuiti
dei pacifista, poi dei suoni elettrici, piccole scosse che li rendevano
inoffensivi, dopodiché si sistemava gli occhiali da vista soddisfatta,
nonostante le evidenti ferite che, come tutti noi, riportava sul corpo.
Combattere divenne quasi un atto meccanico, involontario, colpivo marines e
pacifisti senza nemmeno accorgermene, così potei guardare con la coda
dell'occhio gli attacchi di mio fratello: era vero, lui e Kyoko
erano diventati discretamente bravi con le spade, forse durante la mia assenza
si erano esercitati, chissà, stava di fatto che ci stavano offrendo un valido
aiuto per la protezione dell'isola.
Improvvisamente ebbi bisogno di pulire l'aria, di qualcosa che mi
permettesse una visuale chiara ed immediata e che mi facesse inquadrare gli avversari
senza problemi: pensai a lungo, ma agii in quattro e quattr'otto "Amanedachi!" feci roteare il corpo più volte,
generando un forte vortice che disperse la polvere e i detriti, ma che colpì
inevitabilmente anche le navi, i marines e tutti i presenti: ci fu un attimo di
esitazione da parte di tutti, ma ben presto ognuno poté distinguere chiaramente
ogni singola persona che gli stava di fronte.
La battaglia riprese più viva e cruda che mai e d'improvviso lo vidi, Spandam, mentre rideva subdolo davanti ad un pacifista
straordinariamente più grande degli altri: un timer lampeggiava pericolosamente
sul suo petto e segnava il numero quaranta.
Poco più distante, Rob Lucci si era portato le
mani sulle ferite che gli si erano riaperte e cielo, lo sguardo rabbioso che
gli vidi mi fece temere che fosse davvero finita.
Ma in combattimento, cosa risaputa, non ci si può concedere un attimo di
distrazione: un marine mi ferì dov'ero già sanguinante e ciò mi costrinse ad
assumere nuovamente la forma umana sotto le urla strazianti di mia madre e
Sophie "KAKU!"
Mi strinsi una mano sulla parte lesa e digrignai i denti, sputando sangue
con stizza.
Incoscienti, incoscienti, incoscienti! Ma non gli avevo detto di restare al
riparo?
Poi, tutt'a un tratto, le sentii urlare più violentemente "Lasciami!
Non mi toccare!" e a quel punto la rabbia raggiunse realmente livelli
spropositati.
Mi voltai verso loro e provai a corrergli in aiuto, ma una forte presa ai
piedi mi fece cadere immediatamente a terra e tossire al suolo "Kaku, NO!" gridarono per l'ennesima volta le donne,
forse erano semplicemente stanche di ostentare coraggio e sentivano la
necessità di liberare le proprie paure.
Non volevo costringervi a comportarvi da eroine, né tantomeno a diventare
vittime di guerra.
In qualunque caso, quello non era proprio il momento opportuno per fare il
diplomatico: cercai di liberarmi dalla stretta dell'uomo che mi aveva
imprigionato, ma lui per tutta risposta mi trascinò al suo cospetto con
avidità, facendomi striare il terreno con le unghie e facendomi sentire inutile
davanti al pericolo che attanagliava Sophie e mia madre.
Sfinito, stordito e sanguinante, mi battei con il nemico tentando con tutto
me stesso di sfoderare al meglio le mie capacità, ma ci pensò un fendente di
Milo a salvarmi da quella situazione "Sembri in difficoltà, sapu-Kaku" sorrise sfacciato, probabilmente sapeva
quanto mi stava rendendo fiero in quel frangente "Non preoccuparti per la
mamma e Sophie, ci penserà Kyoko a liberarle"
"Grazie, fratello" non mi persi in convenevoli, ma andai subito a
raggiungere Lucci.
Trentacinque.
Il sangue aveva dato tregua per un istante a Rob
Lucci, il quale adesso si apprestava a malmenare Spandam
"Maledetto..." mi avvicinai anch'io come una furia "StormLeg" lo
ridussi a pancia all'aria, sembrava un insetto appena calpestato a cui avevano
tagliato le ali e ora si contorceva, si contorceva come un ossesso per cercare
di rimettersi in piedi.
Trentatré.
"Arriverà la giustizia!" balbettò con gli occhi violacei e le
labbra gonfie "Se non è oggi, sarà domani! E' inutile continuare
a..."
"Taci" Lucci gli mollò un calcio in pieno stomaco "I vermi
non parlano" sentenziò con una voce da brivido, mentre lo scrutavamo
entrambi dall'alto con solennità "Striscia, lurido, striscia"
Trentuno.
Improvvisamente, rise "Voi state qui a calciarmi, mentre la bomba
esploderà tra tre, due, uno..."
"Merda!" mi venne da imprecare astiosamente, dopodiché mi fiondai
senza perdere tempo verso il pacifista con il timer "Califa!"
chiamai a gran voce nel bel mezzo del tumulto.
Ventotto.
"Califa!"
"Kaku, sono qui!" mi corse incontro
trafelata, il braccio destro le sanguinava e i lunghi capelli biondi erano
insolitamente impiastricciati di sudore "Per questo ci vorrà del sapone
extra" arricciò il naso.
"Questa non me la voglio perdere" ci fu accanto anche Jabura.
Venticinque.
Mettemmo al tappeto i distrattori, dando alla
nostra compagna il tempo d'insaponare per bene il pacifista programmato per
esplodere: fortuna volle che, a differenza di tutti gli altri, non aveva il compito
di attaccare.
"NON VI LASCERO' MANDARE A MONTE IL MIO PIANO!" gli sbraiti di Spandam fecero tremare i pochi soldati che ancora si
reggevano in piedi "NON IL CARICO VENTITRE'!"
Improvvisamente, tutto per me si ridusse ad un semplice numero: le sorti della
battaglia, il futuro di Kodama, il senso della
giustizia, le urla di mia madre, il placarsi delle lacrime di Eleanor e la mia
vita...
Ventitré.
Ventitré come i miei anni.
Ventitré come le stagioni in cui ero stato lontano dalla mia Sophie.
Ventitré come i passi che feci per raggiungere l'indegno.
Ventitré come i secondi che mi separavano dalla morte.
L'esplosione ci fu, ma si rivelò talmente debole e fiacca che quasi passò
inosservata: Califa aveva fatto davvero un ottimo
lavoro, non si era lasciata intimorire o mettere sotto pressione e aveva
danneggiato i meccanismi della bomba fino a renderla del tutto futile.
Nel frattempo, io e Lucci avevamo ormai raggiunto per la seconda volta il
nostro ex capo e ci accanivamo come bestie feroci su di lui: le persone si
dispersero, i pochi marines che avevano resistito fino ad allora ne
approfittarono per darsela a gambe, e la mia famiglia poté finalmente
considerarsi fuori pericolo.
La brama di vendetta si fece beffe della mia ragione e, insieme a Lucci,
calciai Spandam fino ad ucciderlo, il sangue
schizzava da ogni singola porzione del suo misero corpo, ma noi non avevamo
ancora finito: lo calpestammo ancora, senza ritegno, arrivavano lontane le voci
degli altri "Basta così, ragazzi", "L'avete ucciso",
"Smettetela!".
Poi, tra tutte, riecheggiò la sua "Kaku...non
dimenticare mai chi sei..."
Immediatamente, ritirai il piede dallo stomaco dell'indegno e sgranai gli
occhi: quello non ero io. La battaglia era ormai conclusa, cosa ci facevo
ancora ad assassinare il cadavere di Spandam?
In fretta e furia, raccolsi le manette di agalmatolite
con cui era stato imprigionato Blueno e me le misi
"Perdonatemi" rantolai, con un ferroso sapore rosso che mi correva
sulla lingua e le ferite al petto che mi risultarono tutt'a un tratto doloranti
"Io non sono un mostro" potei sentire le forze abbandonarmi, mentre
l'agalmatolite faceva il suo effetto e si nutriva
della mia volontà "Non devi aver paura, Eleanor..." balbettai,
guardando negli occhi mia figlia spaventata e temendo che quel terrore fosse
dovuto al fatto di avere un killer come padre "Non ti farò del
male..." e con queste ultime parole udii un fastidioso fischio alle
orecchie che si risolse in un brusco svenimento, le mani di qualcuno che mi
afferrarono e il buio più totale.
"Papà..." giunse come amplificata la flebile voce di Eleanor ai
miei timpani.
Aprii gli occhi stancamente, non potevo deluderla e non rispondere al suo
richiamo "Tesoro..."
"Papà!" si lanciò immediatamente tra le mie braccia, facendomi
urlare di dolore "Sapevo che era una delle tue bugie!"
"Piano, Eleanor, piano" la trattenne Sophie con le lacrime agli
occhi.
Sbattei le palpebre più volte e storsi il naso, accorgendomi solo in quel
momento di trovarmi in ospedale: più aghi mi entravano nelle braccia e si
collegavano a diverse macchine posizionate accanto al letto, mentre nell'aria
aleggiava un fastidioso odore di disinfettante.
"Kaku..." Sophie mi accarezzò le dita
che sbucavano dalla fasciatura alla mano destra e per un istante mi parve che
la vita danzasse sui miei polpastrelli freddi e addormentati "Sono così
contenta che tu abbia aperto gli occhi, sei stato davvero un eroe"
"Bravo, papà!" sorrise la piccola, al che non potei fare a meno
di scompigliarle debolmente i capelli e ricambiare il sorriso.
"Come stanno gli altri?" chiesi subito.
"Tutti vivi e vegeti, tranquillo" mi rassicurò la donna "E
grazie a te. Hai salvato Kodama, hai salvato la
nostra famiglia e..." esitò, poi scoppiò a piangere "...e ora hai
salvato anche me" adagiò la testa sul mio petto assieme ad Eleanor e,
nonostante le profonde ferite, non potei che provare contentezza ad averle così
vicine.
"Coraggio, non versate lacrime inutilmente" le strinsi forte, per
quel poco di forza che mi era rimasta "E' tutto finito, dovete essere
felici" a quel punto presi a ridere, a ridere incontrollatamente,
ricordandomi di quanto la mia risata facesse star bene entrambe e trascinandole
con me nel mondo dell'ilarità.
Era finita davvero: niente più Spandam, niente
più CP9, niente più menzogne e omicidi, niente più giustizia violenta.
Posai il capo delicatamente su quello di Sophie e, con la mia ricchezza più
grande tra le braccia, feci sogni tranquilli e beati. Al mattino ci dissero
che ci trovarono così, addormentati spensieratamente e con l'ombra di una gioia
incontenibile che increspava le labbra di tutti e tre.
Avrete
notato le parole dell’introduzione: ebbene sì, l’idea di questa storia è
partita proprio dal finale. Me l’ero visto già tutto davanti gli occhi, la
bomba, Spandam, gli sforzi di Kaku
per cercare di salvare la sua famiglia, la sua paura di risultare un mostro agli occhi di sua figlia e tutto il resto.
Sono
arrivata a questo capitolo proprio forzatamente perché credo di averla portata
troppo per le lunghe, così tanto da annoiarmi persino a scrivere. Ma ora ormai
siamo giunti alla fine, manca soltanto un ultimo capitolo che si può
considerare anche come extra, dato che la vicenda ha già trovato una
conclusione. A presto allora! J
Mancavano ormai pochi minuti all'inizio della cerimonia: mi guardai allo
specchio e mi sistemai il nodo alla cravatta, tradendo un tremolio emozionato.
Era da tanto che aspettavo quel giorno e finalmente era arrivato: si erano
riuniti per noi tutti i nostri amici e parenti, anche i più lontani, per
imprimere nella memoria quel momento così importante nella vita di entrambi.
Diedi un ultimo sguardo al riflesso nello specchio, dopodiché mi sforzai di
guardare altrove. La tenda bianca che mi ospitava era stata attrezzata con tutti
i comfort necessari: pettine, gel, dopobarba e profumo da uomo molto costoso.
Ma il mio nervosismo non si concesse pace e sbirciai nuovamente la mia
immagine nell'attrezzo ovale che mi stava di fronte con ancora più perplessità:
una nuova figura però catturò la mia attenzione, un'ombra bianca alle mie
spalle che notai solo grazie all'ausilio dello specchio e che mi fece
sussultare.
"Sophie!" mi voltai immediatamente con occhi sbarrati
"Che...che ci fai qui?" non potei fare a meno di squadrarla da capo a
piedi e di constatare quanto fosse bella in abito da sposa: il suo vestito era
lungo e semplice, così come la sua chioma bionda sciolta sulle spalle e il suo
trucco appena accennato.
"Shhh!" portò un dito sulla mia bocca e
mi sorrise "Non resistevo, ero troppo curiosa di vederti" mi osservò
compiaciuta anche lei "Stai benissimo"
Il suo commento gentile mi fece arrossire parecchio "Ma...sai che
porta sfortuna vedersi prima? Perché non..." ammutolì i miei balbettii
impacciati con un lungo bacio.
"Mi piaci, sposo" le sue parole non fecero altro che farmi
increspare le labbra in un malizioso sorriso.
"Davvero?" non riuscii a trattenermi e presi a baciarla sul
collo, mentre lei mi stringeva i capelli.
"Sai, mi sei sempre piaciuto senza quello stupido capello" confessò
sinceramente, adagiando il suo corpo sul tavolino in legno alla nostra destra e
attirandomi a sé con la cravatta.
Sbuffai "Ma che dici?" mi portai istintivamente una mano sulla
testa, ma per tutta risposta la ragazza ne approfittò per liberarmi dalla giacca
nera.
"Sophie..." sussurrai con ardore, mentre le mie mani non si
arrestavano e tendevano lussuriose verso le sue gambe ormai scoperte "Non
dovremmo...sai..."
Ma in un istante il nodo alla cravatta fu allentato e i primi bottoni
dell'immacolata camicia bianca sbottonati "Ti amo, amore mio"
"Ti amo anch'io, ma..." scoppiai a ridere, mentre cercava di
provocarmi aggrovigliando le gambe attorno al mio bacino "Per favore, non
rovinarmi la reputazione di bravo ragazzo: la stai mettendo seriamente a rischio"
Rise anche lei, cercando di alzarsi e vedendo i suoi tentativi ostacolati
dai miei continui baci impazienti "Sei sempre il solito, Kaku"
Una volta che fummo in piedi, posò delicatamente la testa sul mio petto e
si strinse tra le mie braccia, ammirando la nostra immagine allo specchio
insieme a me "E' davvero un bel ritratto, non trovi?" le chiesi con
dolcezza, passandole una mano tra i capelli.
Lei sospirò, poi improvvisamente sciolse l'abbraccio e prese il mio volto
tra le mani "Promettimi..." incalzò seria "Promettimi che mi
resterai accanto qualunque cosa succeda, che sarai con me ed Eleanor nel bene e
nel male, che chiuderai i battenti alla violenza e tornerai a fare il
carpentiere qui a Kodama" esitò, i suoi occhi
nei miei "Ti rendeva così felice...ristruttureremo l'officina di tuo padre
e vivremo di cose semplici, come abbiamo sempre fatto...promettimelo prima di
salire sull'altare, Kaku"
I miei pensieri andarono in tilt per un attimo: la mia esperienza nelle
forze governative mi aveva insegnato tanto, mi aveva fatto fare cose orribili
per poi farmi capire che tutto era sbagliato, che nella vita tutto è fugace e
precario, che in un momento puoi trovarti all'apice del successo e il secondo
successivo ritorni in profondità, nel fallimento, a rischiare di perdere le
cose più importanti.
Ma qual era per me la cosa più importante? Gli occhi esigenti e preoccupati
che mi stavano di fronte erano la risposta.
Sophie, come avrei potuto dirti di no? In tutte le vittime che mi ritrovavo
a sacrificare, temevo di ammazzare e far fuori per sempre il ragazzino di cui
tanto tempo fa ti sei innamorata, ho creduto più volte che non esistesse più
questo fantomatico e contraddittorio me stesso, che mi stessi giocando tutto
pur di avanzare nella mia irrefrenabile lotta contro il mondo intero.
Ma niente e nessuno ha cancellato noi, amore mio, nemmeno l'acqua di Water
Seven ha saputo lavar via il ricordo di te e di questo cuore che ti è sempre
appartenuto.
"Te lo prometto" conclusi con felicità, al che la ragazza mi
abbracciò contenta e mi baciò di nuovo.
"Ora devo andare" si congedò poco dopo "Tua madre mi
ammazzerà quando scoprirà che sono venuta da te"
"Ci vediamo all'altare allora" lasciai con rammarico la sua mano,
consapevole che quando l'avrei ripresa sarebbe stata la mano di mia moglie.
Al pensiero, mi rallegrai: stava succedendo davvero.
Feci un respiro profondo e mi decisi a varcare la soglia della chiesa con
le mani che mi sudavano, pensai probabilmente di star affrontando l'ennesima
battaglia e quindi raccolsi tutto il mio coraggio. Ma non appena
attraversai il corridoio, mi sentii immediatamente rinfrancato: a destra mia
madre in lacrime, commossa forse dal grande passo che si apprestava a fare il
suo primogenito; accanto a lei mia sorella Kyoko
sorridente e radiosa, la quale mi scoccò un occhiolino d'assenso; e seduta
in un piccolo angolino mia figlia Eleanor che reggeva soddisfatta le fedi su un
cuscinetto bianco e rosa come il suo vestito, la quale mi sussurrò affettuosa
un "Ti voglio bene" tra il silenzio.
Feci guizzare lo sguardo a sinistra, dove lo spettacolo era più o meno
simile: primo tra tutti spiccava Rob Lucci in giacca
grigia, che indugiò sui miei passi impassibile ed inespressivo; accanto a lui Jabura e Califa mano nella mano,
il primo a sbraitare contro Lucci perché non l'aveva ancora perdonato per la
questione di Gatherine, la seconda a sospirare a
causa delle delicatezze del compagno e a guardarmi con affetto; poi Fukuro che cercava di zittire Kumadori
per il suo incessante parlare della propria madre defunta; infine Blueno che si limitò a rivolgermi uno sguardo compiaciuto.
Voi: la mia forza, la mia motivazione, la mia spinta ad andare avanti.
Presi postazione agitato, ma anche rassicurato e, quando entrò Sophie, i
nostri occhi s'incontrarono e non poterono mascherare una nota divertita di cui
soltanto noi potevamo conoscere la ragione.
Accanto a lei mio fratello Milo, il quale si era offerto volontario di
accompagnarla con un grande sforzo emotivo, dato che nei miei confronti si era
sempre imposto di mostrarsi competitivo e polemico "Tutta tua, sapu-Kaku" mormorò al mio orecchio, mentre baciavo la
fronte della ragazza e le sorridevo con gioia.
Annotai mentalmente di ringraziarlo: dopotutto, non era da lui indossare
completi eleganti e comportarsi bene e il fatto che il giorno del mio
matrimonio rappresentasse un'eccezione, mi lusingava.
Tutto andò alla perfezione, filando liscio ed intenso come il pianto di mia
madre e, quando giunse il turno di Eleanor, la incoraggiai felice: la piccola
fece piccoli passi verso noi e ci porse le fedi con aria solenne.
E dal momento in cui gli anelli presero posto sulle nostre dita, non ci fu
più un numero a regolare le sorti della mia vita, ma una parola: una parola
semplice, breve e concisa, una parola che pronunciai con convinzione e di cui
non mi sarei mai pentito, una parola che ci avrebbe accompagnati tutti i santi
giorni e sarebbe diventata la nostra risposta preferita al tempo trascorso
insieme, una parola che, inevitabilmente, avrebbe suggellato il patto perfetto
per l'eternità.
E
così finisce definitivamente “Ventitré”! Ero scettica sull’inserire o meno
questa parte del matrimonio, ma dopo aver partecipato a quello di mia sorella
mi sono decisa a scriverlo: paradossale, ma ci pensavo proprio il giorno stesso
della cerimonia xD E contando che sto parlando del 27
ottobre, vi faccio capire come la conclusione di questa storia fosse già ben
fissata nella mia mente da diversi mesi: il problema, come sempre, è il tempo
che richiede il mettere le idee a poco a poco nero su bianco.
Ma
spero che questo finale, come tutta la storia, sia stato di vostro gradimento e
vi ringrazio di vero cuore per avermi seguita! Soprattutto te, Archi!