Ventitré

di Gelidha Oleron
(/viewuser.php?uid=210538)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sedici (Parte Uno) ***
Capitolo 2: *** Sedici (Parte Due) ***
Capitolo 3: *** Sedici (Parte Tre) ***
Capitolo 4: *** Diciassette (Parte Uno) ***
Capitolo 5: *** Diciassette (Parte Due) ***
Capitolo 6: *** Diciassette (Parte Tre) ***
Capitolo 7: *** Diciassette (Parte Quattro) ***
Capitolo 8: *** Diciassette (Parte Cinque) ***
Capitolo 9: *** Diciotto ***
Capitolo 10: *** Ventidue ***
Capitolo 11: *** Ventitré (Parte Uno) ***
Capitolo 12: *** Ventitré (Parte Due) ***
Capitolo 13: *** Ventitré (Parte Tre) ***
Capitolo 14: *** Ventitré (Parte Quattro) ***
Capitolo 15: *** Ventitré (Parte Cinque) ***
Capitolo 16: *** Ventiquattro ***



Capitolo 1
*** Sedici (Parte Uno) ***


Beh, la buona notizia è che posso postarvi subito questa nuova storia…la cattiva è che, a causa dell’uragano Sandy, la mia partenza è rimandata a data indeterminata.  

Bando alle ciance: io ADORO Kaku, anche se spesso non viene preso molto in considerazione (nella lista dei personaggi c’è persino Kalifa!). In qualunque caso, devo dire che mi ha sempre ispirato tanta dolcezza (ecco perché il rating è insolitamente giallo), io credo che sia uno di quei personaggi che chiamo ‘finti antagonisti’ , perché alla fin fine non emana cattiveria, anzi: risulta essere un ragazzo responsabile, a dovere, che svolge semplicemente il proprio lavoro e che, alla fine del suo scontro con Zoro, accetta la sconfitta con sportività e dignità.

Che dire…io ho provato ad immaginare la sua storia, il suo passato e le varie motivazioni che possono averlo indotto a diventare un membro della CP9. Sperando di trovare altri fans del vento di montagna, vi saluto! ;)

 

 

Sono nato il sette agosto in una piccola isola chiamata Kodama, mio padre era un carpentiere e mia madre aveva una panetteria dove faceva il miglior pane di tutta l'isola. Avevo una sorella di nome Kyoko, sei anni più piccola di me, e un fratello di nome Milo, più giovane di me di tre anni.

Al villaggio ci conoscevano tutti, essendo mio padre uno degli uomini più cordiali e rispettabili dell'isola, ed essendo mia madre la panettiera più gentile e in gamba del villaggio.

"Hey, Kaku!"

"Buongiorno, Kaku!"

I cittadini mi salutavano sempre con calore, mentre andavo a scuola e cercavo di trascinare per un orecchio mio fratello minore alle lezioni.

"Non cambierai mai!" lo rimproveravo "Quando capirai che per diventare qualcuno abbiamo bisogno innanzitutto della cultura?"

"E piantala, sapu-Kaku!" si liberava dalla mia stretta così bruscamente da farmi quasi male "Io voglio fare il pirata! E per fare ciò non sono certo necessari questi stupidi libri!" 

Un tonfo rumoroso che ben conoscevo, riecheggiò nell'aria "Rialzali subito" sibilai con tono minaccioso.

Ma lo sguardo che mi lanciò Milo era provocatorio, quasi di sfida "Perché? Altrimenti cosa fai?" calpestò quei testi con forza, sporcandoli con il fango in cui si era lanciato poco prima.

Immediatamente, mi precipitai a salvare quegli sfortunati autori che erano capitati sotto le scarpe di mio fratello "I nostri genitori hanno dovuto fare degli extra per comprarteli" lo informai, stizzito "Potresti almeno mostrare un minimo di riconoscenza!"

"Credi di potermi dare degli ordini soltanto perché hai sedici anni!" attaccò con la sua solita litania "Ma ricorda che, anche se sono più piccolo di te, sarà il mio nome ad essere conosciuto per tutti i mari e non il tuo!" s'impuntò con le mani sui fianchi e mi guardò con rabbia.

Scossi la testa. Milo era proprio una testa dura: si piazzava ad osservarti con quegli occhietti neri e vispi e in quel momento dovevi fargli credere di essere seriamente intimorito dalla sua scenata. Guai se non si sentiva potente...avrebbe potuto continuare per tutto il giorno, e io non avevo tempo da perdere.

Raccolsi i libri e glieli restituii pazientemente, sospirando "Un giorno mi ringrazierai"

"Certo, come no" sputò a terra, dopodiché si pulì la bocca in modo animalesco "Quando gli asini voleranno"

Andare a scuola per me non era mai stato un problema: mi piaceva conoscere la storia, oppure mettere alla prova le mie capacità logiche con la matematica, o ancora imparare a distinguere le canaglie della società dalle brave persone.

Insomma, lo studio mi stimolava. Ne provavo piacere.

Ma anch'io, come tutti i ragazzini, tiravo un sospiro di sollievo quando la campanella si decideva a farsi sentire. 

Allora correvo fuori dall'istituto, contento, volando tra le casette a schiera di Kodama sotto gli sguardi sorpresi di tutti i cittadini.

"Hey, sapu-Kaku!" mi chiamava Milo dal basso "Ti sei dimenticato di me!"

Ma quelle parole non erano udibili alle mie orecchie inebriate dal vento. E continuavo a saltare gioioso per le strade del villaggio, sfiorando appena i tetti e afferrando pezzi di cielo limpido. L'aria mi solleticava il viso e mi scompigliava i capelli, inevitabilmente coperti dal fidato berretto nero. Potevo continuare per ore ed ore, dal centro dell'isola fino alla costa, fino a quando non avvertivo il profumo del pane di mia madre e i rumori dell'officina di mio padre.

"Hey, Kaku!" chiamava a gran voce quest'ultimo "Pronto per la lezione?"

"Arrivo!" allora scendevo dalle nuvole e trascorrevo del tempo con il miglior carpentiere della zona: aveva accettato d'insegnarmi l'arte del mestiere, con la speranza che tra qualche anno avrei potuto dargli una mano negli affari di famiglia.

Per lui non era un disturbo e per me era sempre piacevole imparare cose nuove: passavamo interi pomeriggi a studiare un singolo pezzo di legno, la sua derivazione, e a strutturare con cura le varie fasi della sua lavorazione.

Spesso costruivo attrezzi di cui mio padre si meravigliava persino "Che maestria!" si complimentò una volta, dopo che avevo fabbricato uno scalpello intagliato "Sei proprio figlio di tuo padre!"

"Dai, Kaku, adesso smettila di lavorare!" si lamentava mia sorella quando, di tanto in tanto, veniva a gironzolare per l'officina "Vieni a giocare con me!"

"Credo proprio che la piccola Kyoko darà di matto, se non passi un po' di tempo con lei" mi avvertiva scherzosamente il carpentiere.

Allora lasciavo il lavoro per un istante e la facevo volteggiare tra le mie braccia "Sììì!!! Più forte!!!"

Kyoko era dieci anni di pepe: alta come uno gnomo, castana come il legno, e con la lingua più lunga del diavolo. Troppo piccola per andare a scuola, solitamente si divertiva a fare compagnia alla mamma in panetteria, lasciando stupefatti tutti i clienti a causa delle sue chiacchiere.

Beh, almeno fino a quando non si annoiava e decideva di passare a trovare gli uomini di famiglia in officina.

"Cos'hai fatto oggi?" le chiesi un giorno, passandole una mano tra i capelli.

"Ho mangiato un insetto" sorrise lei, soddisfatta.

"COSA?!" io e mio padre sgranammo gli occhi, ma poi scoppiammo a ridere.

"Tua madre non può distrarsi un attimo" commentò papà con tono ironico.

"Adesso ti cresceranno tanti piccoli moscerini nello stomaco" entrò improvvisamente Milo.

"COSA?" sbottò Kyoko, terrorizzata "Non è vero! Kaku, non succederà! Non è così?"

"Ma certo che no, sorellina" la rassicurai, lanciando uno sguardo di rimprovero a mio fratello "Però la prossima volta cerca di stare più attenta, d'accordo?"

"Visto?" fece una linguaccia a Milo "Sei solo un bugiardo!"

"E tu sei una mangia-mosche!"

"Avanti, ragazzi, smettetela!" alzai gli occhi al cielo.

"Ma perché non andate fuori a giocare?" propose mio padre "Avervi tutti qui è una vera impresa!"

Per di più, quella sera si sarebbe tenuta un'importante festa popolare, alla quale avrebbe partecipato buona parte della popolazione dell'isola: la gara dei fuochi d'artificio.

I miei genitori erano molto impegnati con i preparativi, soprattutto mia madre: avrebbe dovuto cucinare un'enorme quantità di dolciumi per l'occasione. D'altra parte, io e i miei fratelli non eravamo mai stati molto bravi in cucina, per cui Kyoko e Milo si limitarono ad offrire il loro aiuto a nostro padre, il quale però aveva gentilmente declinato l'invito dicendogli che 'erano troppo rumorosi'.

E come dargli torto?

"Perché Kaku può fare tirocinio e io no?" aveva protestato Milo.

"Quando sarai più grande, potrai cominciare anche tu" l'aveva zittito il carpentiere di Kodama.

Fatto stava, che Kyoko premeva perché la portassi a fare un giro per il villaggio, e così decisi di lasciar perdere la lezione definitivamente "Riprenderemo domani, papà"

"Puoi contarci, figliolo"

"Allora, dove vorresti andare?" chiesi a mia sorella una volta che fummo fuori.

"Voglio toccare il cielo come fai tu" mi disse con sguardo sognante.

Mi venne da ridere. Tante volte mia madre mi aveva proibito di muovermi per la città in quel modo, tante volte mi aveva raccomandato di non osare coinvolgere in alcun modo mia sorella in queste azioni che lei considerava pericolose...

Eppure, di fronte a quegli occhioni imploranti non seppi dire di no "Acqua in bocca, però!"

"Evvai!" mi abbracciò, eccitata.

"Tieniti forte" la feci posizionare sulle mie spalle e, con un grande balzo, in meno di un secondo ci trovavamo già sul primo tetto.

"Che forza!" mormorò estasiata "Ancora, ancora!"

Saltai velocemente sul campanile della chiesa centrale, per poi andare a finire sul tetto della villa del sindaco "Divertente, eh?"

"Wow! Kaku, sei grandioso! Dovresti portarmi in groppa più spesso!"

Sorrisi, mentre la vedevo chiudere gli occhi e godersi il vento fresco sul volto. I gabbiani ci volavano accanto e ogni tanto ci tagliavano la strada, umani invidiosi e trasgressori sempre più vicini al loro mondo alato. 

Sfrecciammo lungo tutta l'isola, venendo illuminati di tanto in tanto dai raggi di sole che filtravano sempre più deboli attraverso le nuvole. 

Ma quando arrivammo nella zona portuale, improvvisamente persi l'equilibrio e caddi sul balcone di un'abitazione "Accidenti!"

"Ahi! Ma che fai, fratellone?" si lamentò subito Kyoko.

"Quella stupida nave mi ha distratto" bofonchiai, rialzandomi "Non ti sei fatta male, vero?"

"No, ma c'è mancato poco così!" avvicinò il pollice all'indice fino a che si sfiorassero impercettibilmente.

Non potei negarle un sorriso, ma subito dopo mi voltai in direzione dell'imponente imbarcazione che aveva causato la mia distrazione: 'Lady Catherine' c'era scritto sul suo fianco destro.

Era davvero bella: fatta di legno resistente e materiali pregiati. Mi chiesi da dove venisse, mentre i gabbiani non ci davano tregua nemmeno su quell'innocuo balcone.

"Uff!" sbuffò mia sorella "Non potremmo spostarci? Mi stanno dando sui nervi!"

"Ti va di venire con me a guardare da vicino quella nave?" le proposi.

"Perché no? Sembra carina" acconsentì, come se le fosse appena stato chiesto di partecipare ad un gioco molto divertente.

"Bene, andiamo!"

Con movimenti agili e veloci, riuscimmo a scendere da quel palazzo e ci dirigemmo con cautela verso il porto, il quale risultava sempre popolato dalla gente più insolita: persone vestite in modo strambo, turisti che si recavano a Kodama apposta per la gara, uomini in valigetta e apparenti furfanti che si aggiravano circospetti come ladri.

"Ci vorrà un salto bello grosso, per raggiungerla" confidai a mia sorella, mentre guardavo la nave con fare professionale.

"Sono pronta" mi fece un occhiolino lei.

Stretta al mio busto come una scimmietta, Kyoko affondò il volto nella mia maglia per non venire investita dal forte vento. Mi spostai abilmente tra le imbarcazioni ancorate al porto, saltando da una cima all'altra, fino a che non mi fermai dietro delle grandi scatole con su scritto 'Fragile', dove finalmente mi nascosi ad osservare la Lady Catherine silenzioso.

"Speriamo non ci veda nessuno" si lasciò sfuggire Kyoko.

Imponente, grande, maestosa: la Lady Catherine era una vera regina dei mari. Se ne stava lì immobile, solenne, mentre una folla di passeggeri scendeva dalla sua scaletta.

"Guarda, sorellina" dissi "Questa sì che è una signora nave!"

"Chissà da dove viene..." pensò ad alta voce la bambina.

Ma proprio mentre osservavamo estasiati quel capolavoro, una voce acuta e sottile alle nostre spalle ci fece sussultare "E voi chi siete?"

Ci girammo in modo repentino e, per la sorpresa, facemmo scontrare le nostre teste vicine "Ahi!"

La ragazzina che aveva parlato ci guardava accigliata, mentre io e Kyoko ci massaggiavamo le teste doloranti: indossava un vestitino rosa confetto e aveva i capelli biondi. I suoi occhi erano nocciola e aveva la pelle del bianco più bianco che avessi mai visto.

"Non venite dal Mare Occidentale, vero?" chiese con crescente curiosità.

Kyoko si nascose dietro di me "No, abitiamo qui"

"Oh" si meravigliò la bionda.

Vedendola sorpresa, mia sorella prese coraggio e si fece avanti "Sei scesa da quella grande nave laggiù?"

"Esatto" confermò "Mi chiamo Sophie, piacere di conoscervi" si aprì in un sorriso bello come il sole a primavera. Deglutii.

"Io sono Kyoko. E lui è mio fratello Kaku"

"Ciao" farfugliai.

Ma non appena ci fummo presentati, una voce femminile cominciò a chiamare il nome della nostra nuova conoscente "Sophie! Sophie, dove ti sei cacciata?"

La ragazzina si ridestò immediatamente "Adesso devo andare...ma spero di rivedervi presto!" si congedò con un sorriso cortese e corse via, oltre le scatole di legno e i furfanti travestiti da uomini d'affari. ©

 

 

 

 

 

Kodama” è un nome che ho preso dalla puntata 134: la ciurma di Cappello di Paglia sbarca su un’isola in cui si fa uno spettacolo di fuochi d’artificio e Usopp aiuta la protagonista, Kodama, a realizzare il suo sogno-ovvero far partire un fuoco d’artificio enorme che avevano preparato i suoi genitori prima di morire, o qualcosa del genere (pardon, non lo ricordo proprio bene).

 

Per qualsiasi errore (di qualsiasi genere) fatemi sapere ;)

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sedici (Parte Due) ***


Le strade di Kodama erano piene zeppe di turisti e cittadini che si godevano la festa popolare, c'era musica nell'aria e fitto chiacchiericcio di sottofondo.

"Vieni, Kaku!" mi tirò per un braccio mia sorella "Andiamo a vedere come se la stanno cavando mamma e papà!"

"Io direi piuttosto di intrufolarci dai cannonieri e far partire qualche fuoco d'artificio" propose Milo con un ghigno.

"Non ci provare" lo ammonii "Meglio se andiamo dai nostri genitori"

"Perché? Io voglio divertirmi un po'!"

Sospirai "Ci sono tante bancarelle e giocolieri per strada, devi per forza fare il piromane per divertirti?"

"Sei solo un saputello, sapu-Kaku!" mi fece una linguaccia.

Kyoko mi strattonò "Guarda, fratellone! C'è la bancarella dello zucchero filato! Ci andiamo?"

Mi voltai nella sua direzione "Certamente, piccola. Aspetta solo un attimo, che Milo...Milo?" mi girai confuso, ritrovandomi a conversare con il vuoto "Milo?...dannazione!"

"Che c'è?" chiese mia sorella "Dov'è andato Milo?"

"Kyoko, sai raggiungere da sola il chiosco della mamma?" le domandai, cercando di controllare il mio tono preoccupato "Io vado a recuperare quella testa calda di nostro fratello"

"Vengo con te" si offrì senza pensarci due volte.

"Non questa volta" frenai il suo entusiasmo "Sono sicuro che nostra madre ha bisogno del tuo aiuto più di quanto ne abbia bisogno io"

Sbuffò "E va bene. Sta' attento però!"

Le feci un occhiolino "Non ci metterò molto"

La osservai camminare nella direzione dei nostri genitori, dopodiché mi fiondai alla ricerca di quel testardo di mio fratello: Milo era un ribelle, un anticonformista, un bambino irrequieto già dalla nascita.

Scossi la testa "Speriamo che non si sia cacciato in qualche guaio"

Solo un attimo di distrazione mi ero concesso, e mi aveva messo nel sacco ugualmente.

Saltai sui tetti e scrutai la folla dall'alto, ma era buio e, nonostante le luci della festa, le persone erano visibili a malapena. Allora cercai di spostarmi sulle abitazioni più basse, che permettevano di avere una visione più chiara e immediata, ma anche in questo caso non ebbi risultati soddisfacenti.

"Stavolta mi sente" pensavo tra me e me, mentre mi arrampicavo su un festone di lanterne arancioni e cercavo di non dare nell'occhio. Improvvisamente, però, il festone si mosse, facendomi mollare la presa e cadere inevitabilmente a terra "Hey, ma cosa...ahi!"

Fortuna volle che fossi già abbastanza basso, per cui non riportai gravi dolori se non un lieve pulsare al fondoschiena. Mi sistemai il cappello e presi a massaggiarmi la parte lesa, rialzandomi con un po' di confusione "...cosa diavolo è stato?"

"Ciao, Kaku"

Alzai lentamente gli occhi e mi accorsi che di fronte a me c'era una ragazzina bionda che ben conoscevo.

"Ciao" balbettai un po' frastornato "Sei stata tu a tirare il festone?" mi pulii i pantaloni sporchi.

Bella mossa del cavolo, l'avrei rimproverata se fossi stato in vena.

"Sì" confermò lei con un sorriso "Ma l'ho fatto solo perché avevo paura che ti facessi male a saltellare così"

"Ah" riflettei per un istante "Che gesto premuroso...ma le cadute fanno più male dei salti, non credi?" mi lasciai sfuggire con un tono più offeso di quanto avessi voluto.

Ma il suo sorriso non si spense "Ti ricordi di me, vero?" cambiò discorso con nonchalance "Ci siamo incontrati oggi pomeriggio"

E come dimenticarti, avrei voluto dirle. Ma mi limitai ad annuire "Cosa ci fai in questo vicolo buio?" le chiesi poi.

Scrollò le spalle "Con tutte quelle luci non riesco a guardare le stelle. Speravo di poterle ammirare meglio da qui"

"Capisco" la buttai lì.

Seguì un momento di silenzio, in cui i nostri sguardi si fecero bassi. Stavo per dirle "Beh, io vado a cercare mio fratello...ci vediamo!" ma le parole che uscirono dalla mia bocca furono del tutto diverse "Ti andrebbe di vedere le stelle come si deve?"

I suoi occhi s'illuminarono "Dipende...che intenzioni hai?"

"Ho l'intenzione di farti fidare di me per un istante" le tesi la mano con crescente aspettativa.

Sophie s'immerse nei suoi pensieri, dopodiché adagiò la piccola mano nella mia "Purché non succeda nulla di rischioso"

"Non succederà, se resisti alla tentazione di tirare gli eventuali appoggi"

"Cosa?" non le diedi il tempo di comprendere appieno le mie parole, che l'afferrai velocemente e la feci saltare con me sul tetto di un'abitazione.

"Santo cielo!" si aggrappò alla mia schiena con presa salda, in un modo caloroso e confidenziale che non mi sarei mai aspettato "Sicuro di sapere quello che stai facendo?"

"Lascia fare a me" la rassicurai.

Mi spostai da un tetto all'altro in un batter d'occhio, fino a raggiungere quello della villa del sindaco, tra il vociare sempre più lontano della folla.

"Ecco" la feci scendere "Questo è il punto più alto dell'isola"

Sophie si guardò attorno estasiata "Davvero?"

Mi persi ad ammirare i suoi occhi sorpresi che scrutavano il cielo. Poi mi ridestai e mi stesi a pancia all'aria, incrociando le braccia sotto la testa.

Immediatamente, davanti a me si fece spazio con prepotenza la notte stellata: ne rimasi folgorato.

"E' davvero bellissimo, non trovi?" Sophie si stese accanto a me con espressione soddisfatta.

"Già" confermai, facendo confondere il mio sguardo tra le stelle, indeciso se soffermarmi più su una o su un'altra.

E furono minuti interminabili, immensi, che sarebbero rimasti per sempre incisi nella memoria di entrambi.

Poi la ragazza parlò "Sai, ho visto tua sorella prima..."

Mi voltai verso di lei per ascoltarla meglio: era terribilmente vicina.

"Credo che stesse mangiando...un insetto" disse storcendo il naso.

Non potei trattenere una risata "E' probabile"

"Come?"

"E' il suo piatto preferito" continuai a ridere pensando alle nuove abitudini di Kyoko, ma mi fermai di colpo quando mi accorsi che Sophie mi stava guarando con curiosità, in silenzio.

"Che c'è?" le domandai spontaneamente.

"Continua" fece in un sussurro.

"Continuo cosa?"

"A ridere...la tua risata..." cercò di riordinare il suo discorso, balbettando "...la tua risata è davvero bellissima"

Arrossii. Era una mia impressione oppure si era avvicinata ancor di più a me?

"Fammela ascoltare ancora, ti prego"

Ma non riuscivo nemmeno più a sorridere: m'irrigidii e non facevo altro che guardarla negli occhi insistentemente.

Tutt'a un tratto, posai la mano sulla sua guancia bianca e ci feci scivolare le dita: la sua pelle era liscia e morbida come quella di un bambino. 

"Puoi provare a prenderla, se ti piace tanto" le suggerii in un sibilo.

Il suo sguardo si fece interrogativo, non ero sicuro che avesse capito cosa intendessi. 

Allora decisi di aiutarla: avvicinai la bocca a un palmo dalla sua, sussurrando "Avanti, prova a rubarmela"

A quel punto, la ragazza premette delicatamente le labbra sulle mie con un avvertimento scherzoso "M'impossesserò della tua risata, Kaku. E non c'è niente che tu possa fare"

La baciai con lentezza, facendo rincorrere la mia lingua dalla sua e lasciando che le sue dita scivolassero sul mio naso lungo. 

Le stelle ci osservavano silenziose, forse erano abituate ad assistere a spettacoli come quelli.

"Ecco" le dissi, mentre adagiava la testa sul mio petto "Adesso è tutta tua" la strinsi a me e poggiai il capo sul suo, inebriandomi del profumo dei suoi capelli "Contenta?"

"Sì, molto" rispose lei semplicemente.

Non avrei mai pensato che il mio primo bacio sarebbe stato su un tetto. Eppure eccomi lì, a stringere una ragazza di cui non sapevo praticamente nulla e a dimenticarmi completamente di tutto il resto.

"Maledizione...Milo!" mi alzai di scatto.

"Cosa c'è?" chiese Sophie, visibilmente delusa dopo che avevo sciolto quell'abbraccio che tanto ci piaceva "Va tutto bene?"

"Sì, è solo che..." sbuffai "...mio fratello! Stavo cercando lui, quando ti ho incontrata!"

"Mmm..." si portò un dito sotto il mento, pensierosa "Posso darti una mano, se vuoi"

Scoccò la mezzanotte: i rintocchi della campana della chiesa centrale ci fecero sussultare.

"Meglio di no" decisi in un istante "Ci metterò un secondo, tu non muoverti da qui"

Fece spallucce "D'accordo"

"Davvero?" le chiesi istintivamente. Di solito ero abituato a sentirmi rispondere "Non se ne parla!" oppure "Vengo anch'io!" da Kyoko o da Milo.

"Sì" sorrise lei "Va bene, aspetterò qui"

Scossi la testa, incredulo "Perfetto" sorrisi di rimando "Ci vediamo dopo" e con un salto scesi tra i comuni mortali, tra coloro che non conoscevano l'immensità delle stelle.©

 

 

 

Aggiorno presto, un po’ per la noia e un po’ perché con la scrittura sono già andata (molto) avanti! xD

Capitolo un po’ più breve del precedente, ma spero comunque interessante.

Ho deciso di intitolare i capitoli con dei numeri che rappresentano l’età del protagonista durante la vicenda (questo anche per mettere in risalto la saggezza e il senso di responsabilità di Kaku nonostante sia molto giovane…sono terribilmente di parte, si vede?).

C’è un po’ di ‘sentimentalismo adolescenziale’, dopotutto Kaku ha soltanto sedici anni. Inutile dirvi che non vedo l’ora di scrivere i capitoli in cui sarà più maturo e i suoi problemi saranno un tantino più seri ;)

Ringrazio Robin7, Archdeacon Chopen e Cola23! Sperando di trovare ancora altri fans del vento di montagna, vi saluto!***

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sedici (Parte Tre) ***


Rimbombava nei miei timpani il rumore dei fuochi d'artificio, mescolato ad una buona dose di vociare e ai fastidiosi rintocchi della campana di Kodama.

"Milo!" cominciai a chiamare a gran voce "Milo, maledizione, dove sei?"

Ma la folla soffocava le mie urla e rendeva mute le mie parole. Arrancai affannato fino alla strada principale, correndo e inciampando, mentre le orecchie prendevano a fischiarmi per l'eccessiva confusione di suoni.

Iniziavo seriamente ad essere preoccupato per mio fratello.

"Milo!" urtavo persone, oggetti, ma ormai non avevo più nulla da perdere: stavolta quel pasticcione l'aveva combinata grossa.

Improvvisamente, udii un suono particolare misto a quello dello spettacolo pirotecnico: sembravano spari fuori mano. Ma la gente non sembrava accorgersene, e allora continuai a correre, guardandomi intorno confuso.

Che Milo fosse andato sul serio dai cannonieri?

Mentre avanzavo, notavo che la folla attorno a me sembrava avere un aspetto diverso...c'erano anche prima, quei tipi loschi che minacciavano le signore?

Scossi la testa. Forse ero io che mi stavo immaginando tutto.

Eppure eccoli lì, gentaglia sporca che adesso si accaniva sui presenti e li derubava. Vedevo le bocche delle donne aprirsi e le loro espressioni farsi terrorizzate, ma la confusione copriva tutto il loro dimenarsi. 

Ma cosa diavolo stava succedendo?

Tutt'a un tratto, un uomo scuro e barbuto piantò una bandiera nera nel terreno e sorrise vittorioso. In quel momento, tutto mi fu spaventosamente chiaro: quello era un vero e proprio attacco pirata travestito da festa popolare, quei bastardi stavano approfittando del caos creato dai fuochi d'artificio per assalirci ed ucciderci.

Presi a correre più velocemente, mentre milioni di domande mi attraversavano la mente come lampi: quando erano sbarcati, quei furfanti? Che cosa volevano da noi? Che avessero preso mio fratello?

Avrei dovuto trovare i miei genitori al più presto. Così, decisi di dirigermi nella direzione dell'officina con l'animo in tumulto, all'apice dell'agitazione. 

Maledetti delinquenti.

Quando arrivai a destinazione, ci trovai la famiglia al completo "Milo!" gridai con rabbia, non accorgendomi della presenza dei pirati.

Mio fratello era nascosto dietro la gonnella di nostra madre, fifone che si vantava tanto di voler fare il temerario.

"Figliolo!" si lasciò sfuggire mamma.

"Fratellone!" la seguì Kyoko.

"Chi abbiamo qui?" si voltò il tipo con la barba che avevo visto poco prima "Il figlio maggiore, eh?"

"Proprio così" lo sfidai con sguardo minaccioso.

"Kaku!" fece mio padre, allarmato "Scappa! Scappate tutti quanti!"

E di fuoco divenne l'isola, rossa diventò Kodama sotto i colpi dei pirati inferociti, le case bruciavano e i pilastri crollavano.

"Vecchio" continuò il capitano, rivolgendosi a mio padre "Se mi offri diecimila berry, forse risparmierò la sudicia officina che difendi con tanto ardore"

"Ma..." balbettò papà "Noi non possediamo tanto denaro"

"Perché non vai a spillare soldi a qualcun altro?" m'intromisi, impavido "Non vedi che siamo una povera famiglia che campa alla giornata?"

"Kaku!" gridarono in coro mia madre e mia sorella "Vieni via!"

Il capitano pirata mi osservò da capo a piedi, meditabondo "Hai fegato, ragazzo" concluse "Perché non molli questi perdenti e ti unisci alla mia ciurma? Non camperesti più alla giornata, sai"

"Neanche se dovessi supplicarmi" risposi con tono glaciale.

Ma d'un tratto, avvertii uno spintone al braccio "Io posso diventare un tuo alleato!"

"Milo!" mi voltai verso mio fratello con occhi infuocati "Ma che sciocchezze vai blaterando?"

"Milo, no!" mia madre e mia sorella si portarono le mani alla bocca, mentre mio padre assisteva allo spettacolo sconvolto.

"E perché dovrei scegliere te, piccoletto?" lo sfidò il pirata, ridendo e dandosi di gomito con gli uomini della sua ciurma.

"Perché sono forte!" Milo fece qualche passo avanti con aria spavalda "Molto più di mio fratello! E poi voglio fare il pirata!"

"Ma davvero?" gli uomini scoppiarono a ridere sonoramente.

"Adesso basta" intervenni "Sta' indietro!"

Ma mio fratello mi spinse "No! Tu sta' indietro, sapu-Kaku! Questa è la mia occasione!"

"Lo credi veramente?" mi arrabbiai "E' questo che vuoi diventare, un criminale?"

"Non sono affari tuoi!"

"Molto bene, ragazzino" incalzò il delinquente "Se riuscirai a prendere diecimila berry a tuo padre, potrai considerarti un membro della mia ciurma"

Sgranai gli occhi "Che cosa? Milo, non oserai..."

Ma mio fratello era impietrito: provò ad avvicinarsi a nostro padre, ma le gambe gli tremavano.

"Avanti, minaccialo!" gli suggerì il pirata "Fagli capire chi comanda!"

Milo guardò negli occhi il nostro povero genitore: fu un momento interminabile ed intenso. Per un attimo credetti davvero che l'avrebbe fatto.

Ma non ci volle molto per farlo cadere in ginocchio e con le lacrime agli occhi "Mi dispiace...non posso"

Tirai un sospiro di sollievo "Grazie al cielo"

I fuorilegge risero in modo sguaiato e rumoroso "Hey, dov'è finita la sicurezza che avevi prima? Allora sei un pappamolle!"

Mio fratello si coprì il volto, mentre mio padre gli posava una mano sulla spalla e gli diceva "Hai fatto la cosa giusta, figliolo"

"Odio il lieto fine!" sbraitò il capitano "Datemi una pistola!"

"Cosa diavolo vuoi fare?" mi avvicinai "Non ti è bastato soggiogare mio fratello?"

Ma non ebbi terminato la frase, che svariati proiettili corsero nell'aria come fossero missili, accompagnati da un fastidioso rumore di spari continui.

"NO!" arrivarono alle mie orecchie le urla rotte di mia madre, ma erano lontane, come se provenissero da un'altra dimensione.

Il mio sguardo allarmato era concentrato negli occhi soddisfatti e assetati di sangue del capitano pirata, ma poco dopo mi accorsi che la pistola non era puntata verso di me.

"Papà!" mi girai di scatto. 

Mio padre era accasciato a terra, sanguinante, privo di sensi "PAPA'!" urlai, correndogli incontro.

Milo era stato spinto via, confuso, spaventato, mentre le due donne di famiglia erano già accanto al corpo del carpentiere di Kodama, e piangevano come mai le avevo viste fare prima di allora.

Passai una mano sul volto di mio padre, ma non batté ciglio. Il suo colorito si andava spegnendo.

"Ecco cosa succede a chi si rifiuta di collaborare!" sentenziò l'assassino alle nostre spalle.

"Maledetto..." sibilai tra i denti "MALEDETTO!" afferrai un pezzo di ferro crollato dall'officina e mi scagliai contro quell'uomo, ma senza risultati.

"Kaku!" gridò mia madre, in preda alla disperazione "Non anche mio figlio!"

"Fratellone, no!"

Il pirata grande e grosso mi scaraventò a terra, mentre tossivo e inghiottivo polvere.

"Andiamo, ciurma" si rivolse ai suoi uomini "Non c'è niente da vedere qui"

Nell'istante stesso in cui decisero di lasciarci in pace e s'incamminarono verso la costa, una ragazzina dai capelli biondi ci venne incontro "Kaku! Kaku!"

"Sophie!" la guardai avvicinarsi sbarrando gli occhi "Che ci fai qui?"

Ma lei mi corse tra le braccia e non volle sentir ragioni, finché le sue lacrime non smisero di bagnare la mia maglietta "I miei genitori..."

E così si squarciava il cielo di Kodama, sporcato dal fumo delle macerie e dei palazzi disastrati, invocato dai lamenti funebri e sognato da chi non ce l'aveva fatta.

Ancora una volta, erano stati i cattivi a vincere.

 

 

 

Per curare la mia patria, avrei dovuto innanzitutto curare la mia anima.

Fu la mattina del giorno successivo all'attacco, che mi recai negli uffici del sindaco a chiedergli istruzioni su come entrare a far parte del governo.

Mi scoppiò a ridere in faccia "Un ragazzino come te? Quanti anni hai, quattordici?"

"Sedici, signore. E non demordo"

Smise all'istante di sghignazzare e mi guardò con fare perplesso.

Era stata una decisione consequenziale, sofferta, che mi aveva attraversato la mente durante quella notte insonne trascorsa a raccogliere i cocci della nostra vita. Sentivo che tutto era cambiato di colpo, che da primogenito ero diventato l'uomo di famiglia , e avrei dovuto occuparmi di mia madre e dei miei fratelli. 

Ci voleva qualcosa di molto potente per sconfiggere quella delusione e quel male che si erano fatti spazio dentro di noi, quel senso di vuoto e di sconfitta che attanagliava i nostri cuori.

Non avevo mai pensato molto a cos'avrei fatto da grande. Credevo che sarei finito nella vecchia officina a fare il carpentiere e non mi sarei mai mosso dall'isola.

Ma quella notte, mi resi conto che avevo bisogno di qualcosa di più: non mi sarei accontentato della Marina, non bastava.

Avrei cercato di entrare nel Governo Mondiale, se ciò avesse significato proteggere le vite delle persone che amavo e contribuire a pulire la società dai criminali.

Ero deciso ad andare fino in fondo. ©

 

 

 

Io continuo ad aggiornare speranzosa, ma noto con dispiacere che Kaku nessuno se lo caga ahaha (perdonatemi la battuta insulsa, ma non vedevo l’ora di farla xD)...per fortuna l’ottimismo dell’autrice non si arrende e continua a portare avanti la sua storia con fermezza e solennità u.u

Bando alle ciance, questo forse si può considerare come il vero inizio: finora è stato necessario chiarire un po’ quella che era la situazione familiare di Kaku, ma finalmente in questo capitolo c’è l’input.

Probabilmente può risultare un po’ scontata l’idea del “classico attacco pirata” che spinge il protagonista a cambiare vita, ma secondo me c’era bisogno davvero di qualcosa di molto forte per spingerlo a diventare un assassino.

Ma ovviamente mi rimetto alle vostre opinioni :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Diciassette (Parte Uno) ***


"Non devi andare a lavoro oggi?" sussurrò Sophie sulle mie labbra.

"Non se continui ad accarezzarmi i capelli in questo modo" abbozzai un sorriso con gli occhi ancora chiusi.

"Ti amo"

"Ti amo anch'io"

"Beh, però qualcuno dovrà pur alzarsi, no?" sospirò "Siamo in ritardo entrambi"

La trattenni per un braccio "Non così presto"

"Non è tanto presto" rispose con tono divertito "Ci sarà già un mare di clienti ad aspettarti in officina"

"...e un mucchio di golosi ad attendere in panetteria!" sbadigliai, rigirandomi pigro tra le lenzuola, mentre Sophie si recava in cucina dicendo "Faresti meglio a sbrigarti, altrimenti Milo distruggerà tutto l'esercizio"

Mi strofinai gli occhi assonnati "Mio fratello è un caso perso..."

Stavamo cercando di guadagnare il minimo indispensabile con il mestiere di famiglia, anche se le poche cose che avevo insegnato a Milo non gli riuscivano granché bene. D'altra parte, anche mia madre e mia sorella cercavano d'incrementare le vendite in panetteria: da quando c'era Sophie, avevano cominciato a cucinare regolarmente anche dolci e biscotti.

Insomma, provavamo a sostentarci come meglio potevamo. Fino a quando, quel giorno, non arrivò una lettera inaspettata...

Quando andai in cucina, trovai Sophie intenta a leggere la posta "Qualcosa di interessante?" le chiesi distratto.

Si voltò verso me con sguardo incerto, confuso "Questa cos'è?" mi mostrò un foglio bianco riempito con una scrittura regale e sofisticata.

Mi sforzai per metterlo bene a fuoco "Fammi vedere" afferrai quel pezzo di carta e, dopo che ebbi finito di leggerlo, lo stupore nei miei occhi si confuse con quello negli occhi della ragazza.

"Che cosa significa, Kaku?" chiese con un po' di timore.

Non ebbi il coraggio di rispondere. Mi ressi al tavolo e feci profondi respiri, dandole le spalle.

"Tesoro..." si avvicinò e posò una mano sulla mia spalla "E' stato un errore, vero?" ma pian piano, percepivo il suo tono farsi tremante "Perché non dici niente? Dimmi che non è vero, ti prego" 

Percepivo che l'atmosfera di tenerezza di poco prima era stata del tutto risucchiata da una sensazione di tensione, di malessere ed ansia. Era stata tutta una questione di secondi, da così a così. Ed ora la persona che mi era accanto esigeva spiegazioni.

"Io..." farfugliai.

Sophie indietreggiò lentamente, portandosi le mani alla bocca "Non ci posso credere..." i suoi occhi divennero lucidi "No, non tu!"

Sospirai, temendo che quel fragile tavolo non sarebbe stato in grado di reggere i miei pensieri pesanti "E'...è passato tanto tempo..." riuscii a dire "Quasi me n'ero dimenticato"

Esitò, poi chiese"Perché?" mordendosi un labbro, amareggiata.

Scossi la testa "Non so, forse credevo di potermi rendere utile" il mio passato tornava a tormentarmi, quel passato che mi sembrava così lontano e che invece distava solo un anno.

"Renderti utile?" ripeté con foga "E non hai pensato alla tua famiglia? Non hai pensato a me?"

"Sophie" strinsi gli occhi, cercando di dosare le parole "L'ho fatto il giorno dopo che ci siamo conosciuti, non ero..."

"E allora? Io ero già innamorata di te!" ribatté con convinzione. I tratti del suo viso si fecero più duri "Era già successo tutto! Come...come hai potuto?" era incredula.

"Tesoro, ti prego, non prenderla sul personale. Tu non c'entri" cercai di rassicurarla.

"Tua madre sarebbe furiosa!" mi rimproverò "E anche Kyoko non approverebbe! Sei proprio...sei..." si portò le mani ai capelli, a corto di aggettivi.

"Per favore, basta così" la interruppi. Mi stava facendo scoppiare la testa.

Sgranò gli occhi "Dovrei anche starmene zitta, adesso? E magari lasciarti fare, lasciarti partire?"

Le rivolsi uno sguardo implorante e supplichevole: speravo che il dolore fosse evidente anche nei miei occhi. Ma non feci altro che farla piangere ancora di più "Fai sul serio? Vuoi abbandonarmi così?"

Non dissi nulla. Mi coprii il volto con le mani e confessai il dispiacere ai miei palmi.

Non lo meriti, amore mio. Non lo meriti.

"Kaku..." adesso la sua voce faceva più male di una pistola carica "Non puoi...insomma, sei tutto ciò che ho...da quando i miei sono morti, ho odiato quest'isola: ho odiato il fatto di dover restare qui, di non avere altra scelta, ho desiderato persino di non essere mai arrivata a bordo della Lady Catherine!"

Smettila, avrei voluto dirle. Abbi pietà di me, risparmiami. Ma la paura di tradire il magone che cercavo di inghiottire, mi strozzò le parole in gola. 

Sophie adagiò la testa sulla mia schiena e mi abbracciò calorosamente "Sei stato tu a convincermi a restare...tu e la tua famiglia mi avete accolta qui come fossi una di voi...perciò, amore mio, io ti chiedo di non andare. Facciamo finta che quella lettera non sia mai arrivata e cestiniamola. D'accordo?"

Come fai a dirle che invece la tua priorità è proprio partire, dare il tuo contributo alla lotta contro i malviventi anche a costo della vita, come fai?

"Sophie, ascoltami" mi girai e le presi le mani fredde e sottili "Ho fatto una promessa a me stesso. Devo farlo. Mi spiace se la cosa può ferirti, ma..."

"Ti prego..." sussurrò lei in un soffio "Non puoi...io...io ho bisogno di te. Non lasciarmi"

Non sapevo resistere a quei grandi occhi marroni, così distolsi il mio sguardo codardo e fissai il pavimento, incapace di proferir parola.

"Questo non servirà a vendicare tuo padre, lo sai?" divenne improvvisamente aggressiva. Forse le stava tentando tutte, pur di convincermi a rinunciare al mio obiettivo. 

"Ci sono tante brave persone come mio padre e i tuoi genitori che si ritrovano a fare i conti con dei criminali" le risposi prontamente.

Si liberò dalla mia presa e allargò le braccia, esasperata "E allora che li combattano! Ma ci sono migliaia di soldati e di organi del governo che se ne occupano! Perché, dannazione, devi andarci anche tu?"

"Mi chiedi perché?" mi scaldai. Cominciavo ad averne davvero abbastanza "Tu non c'eri quando quel pirata ha colpito mio padre!"

"Perdonami, ero troppo impegnata a cercare di salvare il mio, di padre!"

"E allora dov'è il problema? Sai anche tu che è per una giusta causa, quindi perché non dovrei..."

"Perché ti ucciderebbero!" sbottò, in preda alle lacrime e alla disperazione "E io non voglio perdere anche te! Perché ti amo!" cadde in ginocchio e affondò il volto bagnato tra le mani.

Non seppi controbattere. Restai in silenzio con i miei sensi di colpa, dopodiché abbandonai la stanza con un sonoro "Credevo che tra tutte le persone, tu saresti stata l'unica che avrebbe capito!" 

Ma i suoi singhiozzi non si curarono delle mie parole offese e continuarono ad avvelenarle l'anima. 

 

 

 

 

"Povera Sophie" commentò mia madre a cena "Se n'è stata tutto il giorno rinchiusa nella sua stanza a piangere. Ma dimmi, cosa le hai fatto, Kaku?"

"E' per via di quello stupido naso" s'intromise Milo con tono acido "Quale ragazza vorrebbe un fidanzato con un naso enorme così?"

"E piantala!" gli mollai uno scappellotto. 

"Io invece credo che Kaku sia molto carino" mi difese Kyoko.

"Tesoro" incalzò nuovamente mia madre con fare apprensivo "Non credi che le dovresti stare più vicino? Forse è stressata, o avvilita, oppure..."

"Sono certo che non si tratta di questo" ammisi con tono funereo "Ascoltate, io..." raccolsi le parole migliori e posai la forchetta sul tavolo, anche se non avevo toccato cibo "Ho un annuncio da farvi"

I miei familiari mi guardarono attentamente, con aspettativa e interesse: le loro espressioni si facevano sbigottite durante il mio discorso, a tratti persino scandalizzate. Avevo paura che non avrebbero retto, ma mi convinsi che avrei dovuto proseguire lo stesso.

Continuai imperterrito, informandoli della mia decisione "...pertanto, una nave del governo mi verrà a prendere l'indomani stesso"

"COSA?" sbottò mia sorella "Ma non è possibile, fratellone! Come...come ti è venuta in mente una cosa del genere?"

Milo batté con forza i pugni sul tavolo "Maledizione! Ho sempre pensato che fossi un idiota, ma non credevo che potessi arrivare a tanto!" sputò nel piatto "Un membro corrotto del governo...e poi hai il coraggio di criticare i pirati!" si alzò dalla sedia e mi rivolse uno sguardo sprezzante "Per me sei feccia, sapu-Kaku!" e sparì nella sua stanza prima che potessi dirgli qualcosa.

"Non è uno scherzo, vero?" chiese ancora Kyoko, speranzosa "Non lo è..." si disse sottovoce, dopo che ebbe constatato la presenza dell'afflizione e del dolore nel mio sguardo "Non posso credere che tu non me l'abbia confidato..." aggiunse in un sibilo, per poi correre anche lei fuori dalla cucina.

Restai solo con i miei pensieri colpevoli, aspettando un cenno da parte di mia madre che era rimasta silenziosa ad ascoltare i nostri battibecchi.

"Quindi non te l'ha detto" disse d'improvviso.

Alzai lo sguardo, non comprendendo la sua frase "Chi?"

Si asciugò una lacrima e si alzò, cominciando a sparecchiare "Figlio mio..." la rivelazione arrivò più devastante che mai, tagliente come una lama molto affilata, più violenta di una bomba a mano "Sophie è incinta"

 

 

 

 

 

 

Avanzava lenta la nave del governo sul mare, portandomi via dalla mia casa, dalla mia famiglia e da tutto ciò che amavo.

Kodama era bella di sera, illuminata dai fuochi d'artificio della festa popolare e da una musica che si faceva sempre più lontana.

Avevo fatto i bagagli in fretta e furia e me n'ero andato portandomi dietro solo rancore e facce tristi, solo parole cariche di rabbia e insulti che mi dipingevano come un testardo e un masochista. 

Poi, l'abbraccio di mia madre. E mi sembrò che il tempo si fosse fermato per un istante.

Sophie non aveva avuto il coraggio di dirmi addio e la mandai un bacio attraverso il vento, sperando che potesse raggiungere il letto nel quale riposava.

Perdonami, amore mio. Perdonami.

I fuochi d'artificio si aprivano rumorosi, sfavillanti, colorando quel cielo buio e dandogli vita in modo allegro e appariscente. L'anno precedente avevo baciato per la prima volta Sophie, durante quella pazza festa. Poi c'erano stati i pirati e la sofferenza e la disperazione.

Cercai di reprimere l'impulso primordiale del pianto affondando le unghie in quel dannato parapetto e graffiando il legno. 

Mi ripetei più volte che quella era la cosa giusta da fare: la mia vocazione, il mio desiderio, il mio dovere. 

E' che per quanto i tuoi sogni e le tue aspettative viaggino lontano, non puoi mai prevedere quali buchi neri e rivelazioni ha in serbo per te la vita.

Per cui, perdonami anche tu, piccolo nascituro: quello che volevo era soltanto un mondo migliore...chiedevo forse troppo? ©

 

 

 

Questo è finora uno dei miei capitoli preferiti! Spero sia stato anche di vostro gradimento.

Dunque, voglio precisare alcune cose: spero si sia capito che Sophie è stata ‘adottata’ dalla famiglia di Kaku dopo che ha perso i suoi genitori e adesso vive praticamente a casa del suo ragazzo (date per scontato che la madre di Kaku sia di ampie vedute…).

Ho sempre immaginato che Kaku fosse entrato a far parte delle forze governative molto piccolo, quasi in età infantile, questo per permettergli di ottenere un ottimo addestramento e di farlo diventare una spia esperta e professionale. Però all’interno della storia non ho potuto renderlo al di sotto dei 16 anni, altrimenti mi sarebbe andato a scombussolare la gravidanza di Sophie (cosa che ci tenevo particolarmente ad inserire).

L’ultima parte spero non risulti troppo angosciante: l’ho scritta ascoltando “Starlight” dei Muse, di cui ho riportato anche le parole “Black holes and revelations”…vabbè, ma ve ne frega? xD

Grazie alle anime pie che mi seguono e mi recensiscono! Se ci siete battete un colpo, oh! ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Diciassette (Parte Due) ***


"Più veloci, avanti, più veloci!"

Tentai con tutta la mia determinazione d'incrementare il numero di flessioni al minuto, ma dopo un quarto d'ora ero sfinito e senza fiato.

"Cosa fai, soldato, ti arrendi? Mai arrendersi in ambito di guerra!"

Rivolsi uno sguardo appannato all'addestratore, mentre le gocce di sudore scendevano inflessibili sul mio volto affaticato.

"Mi hai sentito?" continuò quello, avvicinandosi "Scattare, forza, scattare!"

Con l'ultimo respiro affannoso, mi armai di buona volontà e ripresi ad allenarmi.

Nella terra sacra di Marijoa, mi era subito parso evidente che l'addestramento non sarebbe stato una passeggiata: infatti avevano diviso immediatamente in gruppi i nuovi arrivati, e il giorno seguente avevano già cominciato gli allenamenti.

Ore sei: sveglia; ore sei e mezza: colazione; ore sette: lezione di kendo; ore otto: lotta corpo a corpo; ore nove: lezione speciale Rokushiki; ore dieci: addestramento con armi da fuoco; ore undici: lezione di resistenza in situazioni estreme; ore dodici: esercizi liberi; ore tredici: pausa pranzo.

E si continuava così per tutto il pomeriggio, in vortice continuo di sforzi fisici e ambizione. E di quest'ultima bisognava averne proprio tanta, per non mollare tutto il primo giorno...

"Necessito una boccata d'aria..." annaspai una volta, rialzandomi a fatica dopo la prova di resistenza. 

Quella mattina ci avevano fatti immergere in un'acqua infestata da piranhas e squali bianchi, facendo sì che mettessimo in pratica gli insegnamenti difensivi che ci avevano mostrato la settimana precedente.

"Cos'è che necessiti?" si avvicinò l'addestratore, implacabile "Non credo di aver sentito bene..."

"Una..." balbettai, ma un violento pugno allo stomaco mi fece zittire all'istante.

Fu allora che imparai che avrei dovuto cavarmela da solo, sempre e comunque. Vivere in quell'ambiente ostile non faceva altro che rendere le cose ancora più difficili, ma avrei dovuto farcela. A tutti i costi. 

I primi cinque mesi furono i più duri: portavo il mio corpo oltre il limite e spesso stramazzavo al suolo senza più un briciolo di forze. Ciò che mi rincuorava era il massiccio ricovero di cadetti in infermeria, soprattutto dopo la prova in acqua: sentirmi uno dei pochi 'superstiti' giovò non poco al mio orgoglio.

Poi, il sesto mese, arrivò Rob Lucci...

"Buon pomeriggio, Karl" entrò in palestra con aria solenne, squadrandoci tutti da capo a piedi con diffidenza.

"Buon pomeriggio a lei, Signor Lucci" si prostrò il nostro allenatore al suo cospetto "Cosa la porta da queste parti?"

L'altro fece qualche passo avanti, non staccando gli occhi da noi e facendo ondeggiare il suo cappotto nero "Come procede l'addestramento delle reclute?" chiese dopo un po', incurante della domanda precedentemente postagli.

L'allenatore fece un sorrisetto furbo "Può testare con mano, se ne ha voglia"

Lucci proseguì il suo cammino indagatore, facendo rimbombare nell'ambiente silenzioso il rumore delle sue scarpe. Poi un sorriso beffardo gli increspò le labbra "Mi tenti, Karl" 

"Ne ha tutto il diritto, Signor Lucci, io sono solo..."

"Solo un momento, però. Devo essere ad Enies Lobby entro mezz'ora" il suo sguardo s'incrociò pericolosamente con il mio "Tu, vieni avanti"

Sobbalzai. Aveva detto proprio a me?

Mi avvicinai lentamente, non sapendo se sentirmi onorato per essere stato scelto tra tutti i presenti, o avrei dovuto temere quell'uomo che sprigionava superiorità da ogni singola cellula. 

I suoi occhi neri scavarono a fondo nei miei, mentre gli altri osservavano intimoriti "Qual è il tuo nome, soldato?" chiese semplicemente.

Storsi il naso: possibile che uno del suo calibro volesse sapere il nome di un novellino qualunque?

"Mi chiamo..." tentai comunque di rispondere ma, come a conferma dei miei pensieri, un potente destro cercò di abbattersi nel mio corpo, approfittando della distrazione.

"Tekkai" reagii immediatamente.

I cinque mesi di addestramento mi avevano insegnato a non farmi cogliere alla sprovvista, ma ciò non bastò ad impedire a quella forza sovrumana di penetrarmi lo stomaco. Infatti, dopo una debole resistenza, Rob Lucci mi scaraventò a terra senza troppe cerimonie.

"E' così che si comportano i tuoi uomini di fronte a una minaccia, Karl?" alzò un sopracciglio "Piuttosto deludente"

"Shigan" mi rialzai e cercai di attaccare quell'uomo che mi aveva umiliato, ma finii col causare soltanto ilarità al mio avversario: Lucci si era scansato facilmente, sotto gli sguardi allibiti dei presenti.

"Siamo vivaci, eh?" aveva ghignato con tono crudele "Karl, permettimi d'insegnare le buone maniere ai tuoi uomini indisciplinati...Soru"

Fu un istante: l'addestratore cercò di aprire la bocca, ma non ebbe il tempo di replicare, intanto Lucci mi afferrò per il bavero della divisa e mi spedì dritto nello specchio che ricopriva la parete della palestra di Marineford, provocando un fastidioso rumore di vetro.

Il silenzio regnò per i successivi dieci secondi, mentre mi rialzavo tremante e inghiottivo sangue. Cercai di strapparmi dal braccio i pezzi di vetro e mi pulii la bocca bagnata.

Quello era un diavolo...

"Sei un bravo ragazzo" si era fatto schioccare le ossa del collo "Ma questa vita non fa per te" s'incamminò verso la porta con aria sdegnosa. 

"Si-Signor Lucci..." balbettò Karl "Lo specchio...no-non ce lo rimborseranno..."

Lucci gli rivolse uno sguardo sprezzante e carico di disgusto "Lo specchio..." ripeté in un sibilo, dopodiché gli si avvicinò lentamente e gli lanciò addosso una cascata di quattrini "Comprati un po' di dignità, adulatore opportunista" e sparì oltre l'uscio, lasciandoci in un clima teso e umiliato.

Karl si tolse le banconote dalla faccia, rosso in volto "Che avete da guardare?" sbraitò "A lavoro, SUBITO!"

 

 

 

 

Più forte. Più forte. Ancora più forte.

Avrei dovuto impegnarmi al massimo, se volevo sperare di raggiungere almeno un terzo della potenza di Rob Lucci.

Quell'uomo mi aveva davvero strabiliato: padroneggiava le Rokushiki come fossero pane, nel suo sguardo si percepiva una ferocia fuori dal comune e aveva una forza che avrebbe messo fuori gioco anche il più pericoloso dei criminali.

Voglio diventare come lui, pensiero che mi accompagnò durante i successivi mesi di addestramento, pensiero che mi diede la grinta di tirar fuori gli artigli e di mostrare agli altri che ero degno del titolo a cui ambivo, pensiero che ebbi la determinazione di tradurre in abilità, divenendo il migliore in tutte le discipline e suscitando l'invidia delle altre reclute, pensiero che mi fece perdere di vista la ragione e spesso mi fece comportare come uno scellerato.

Per questo motivo, l'adrenalina era alle stelle quando, un giorno, Karl ci comunicò che eravamo pronti per la missione prova...

"Al termine di essa, eleggeremo chi tra voi ha mostrato più talento e valuteremo chi potrebbe essere in grado di partecipare anche a missioni più importanti. Pertanto...vedete di non tremare come donnicciole svenevoli"©

 

 

Capitolo estremamente breve e vi chiedo scusa, ma non avevo proprio nient’altro da aggiungere. Entra in scena Rob Lucci in veste di ‘pezzo grosso’, perché come ben sapete lui faceva parte delle forze governative già a quindici anni (ed era già considerato pericoloso).

Un’altra cosa: non so se l’addestramento delle reclute delle Cipher Pol è uguale a quello dei giovani marines, né se si tratta di un addestramento unico. Se voi siete più informati di me, per favore, non esitate a farmi notare eventuali errori. Se sbaglio mi corrigerete! xD  Gli allenamenti quotidiani ovviamente sono inventatissimi, ma spero di essermi avvicinata almeno un po’ a quelli reali.

Stavolta ci sono andata un po’ più pesante con la musica, infatti mi sono lasciata ispirare da “Fuel” dei Metallica…ma non ve la prendete con loro per ciò che ne è uscito! xD

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Diciassette (Parte Tre) ***


Marijoa non era soltanto la sede del Governo Mondiale, ma anche la dimora fissa dei cosiddetti Draghi Celesti, importantissimi nobili conosciuti in tutto il mondo come i discendenti diretti dei fondatori delle forze governative. I Draghi Celesti non si vedevano spesso in giro: preferivano rinchiudersi tra le imponenti mura dei loro lussuosi alloggi ed evitare qualsiasi tipo di contatto con quella che ritenevano 'una razza inferiore'.

Quel giorno, però, i più giovani avevano deciso di uscire allo scoperto e fare una passeggiata per il vicino Arcipelago Sabaody, ovviamente sotto la supervisione di esperte guardie scelte apposta per loro ed espressamente richieste dal loro genitore.

"Ciò che dovete fare voi" spiegò il nostro addestratore "E' assicurarvi che nessuno si avvicini ai nobili, né alle guardie del governo. Intesi?"

"Sì, signore"

E in un istante eccoci arrivati a Sabaody, nel bel mezzo di una folla di persone, pirati, commercianti ambulanti e bambini che giocavano. 

"E' davvero bellissimo..." mi lasciai sfuggire, mentre mi perdevo a guardare estasiato le bolle che si alzavano dal suolo e le gigantesche Mangrovie che rendevano l'ambiente insolito e caratteristico. 

I Draghi Celesti erano due: una ragazzina sui dodici anni e suo fratello piagnucolone, entrambi trasportati da uno schiavo che comandavano a bacchetta "Avanti, striscia più veloce! Io e mia sorella ci stiamo annoiando!"

Mi guardavo intorno circospetto, facendo ben attenzione ai passanti e svolgendo con devozione il mio (seppur di poco prestigio) lavoro. Fino a quel momento, il corteo era andato avanti indisturbato, circondato da una decina di pezzi grossi e ammirato dagli abitanti dell'Arcipelago, i quali s'inchinavano intimoriti al nostro passaggio.

La giornata volò via veloce, accompagnando i due fratelli al Sabaody Park e poi in giro per la zona turistica. Tutti sembravano rispettarli in modo ossessivo, e guai se qualcuno non s'inginocchiava o mostrava un minimo segno di indifferenza: avrebbe anche potuto restarci secco.

"Mia sorella vuole un gelato! Sentito, schiavo?" San Charloss calciò con forza l'uomo che gli stava sotto i piedi, infilandosi un dito in una narice con fare strafottente "Fermati subito!"

Con un rantolo sommesso, lo schiavo si arrestò e fece scendere i suoi padroni altezzosi, ignorando le fitte di dolore che probabilmente questi ultimi gli stavano infliggendo alla schiena. Mi concessi un sospiro, mentre i due nobili erano scortati in gelateria e discutevano sui dolciumi da acquistare.

Dopotutto, quel misero incarico non era tanto male: se non altro, potevo godermi la visita di quel posto affascinante senza essere disturbato. Il mio pensiero volò alla lontana Kodama, chissà quanto Kyoko si sarebbe divertita a giocare con quelle enormi bolle...

Ma non ebbi tempo per concentrarmi su quelle riflessioni, perché furono prontamente spazzate via dai due ragazzini che uscirono subito dal negozio, lamentandosi a più non posso "Questo gelato è troppo freddo!"

"Ha un assortimento da morir di fame!"

"Ma hai visto quelle caramelle? Sembravano scadute da millenni!"

"Non saremmo dovuti entrare in uno schifoso negozio qualunque...nostro padre non ce lo perdonerebbe!"

Tra le loro voci, la mia attenzione fu catturata da uno strano rumore metallico che si faceva sempre più vicino. Voltai lo sguardo vigile prima degli altri e, prima ancora che il pericolo fosse evidente, mi ero già lanciato davanti ai due fratelli prima delle altre guardie: una decina di coltelli lanciati nell'aria alla velocità della luce, che fortunatamente riuscii a fermare singolarmente con precisione e sangue freddo.

Mi ritrovai con quelle armi taglienti tra le mani senza rendermene conto. Era successo tutto troppo in fretta e mi venne da sgranare gli occhi. 

L'unica cosa di cui mi accorsi, fu che gli altri uomini del governo si erano buttati addosso al mendicante da cui era partito l'attacco, poi arrivarono alle mie orecchie le urla dei nobili "Aaah! Siamo morti! Ci ha uccisi!"

"Tutto bene" si affrettò a replicare una guardia, mentre immobilizzava l'attentatore con fare esperto "Tutto sotto controllo, principessa Shalulia!"

"Dio salvi la nobiltà!" urlò il colpevole, evidentemente ubriaco e incapace d'intendere e di volere.

"NON E' TUTTO SOTTO CONTROLLO!" sbraitò la ragazza "Cosa stavate guardando, branco di buoni a nulla?!"

Prima che potessi accorgermene, un pezzo grosso aveva già provveduto a neutralizzare l'uomo, cominciando a soffocarlo davanti agli sguardi allucinati delle persone circostanti, incurante delle sue urla di dolore.

"Se non fosse stato per...a quest'ora..." continuò a balbettare Santa Shalulia, mentre suo fratello leccava il gelato con espressione scombussolata e con naso gocciolante, finché lo spettacolo non terminò e l'uomo si accasciò a terra, privo di sensi.

"E' questa la giusta punizione da infliggere a chi si mette contro di noi" sputò ancora la nobile attraverso la sua maschera resinosa.

La gente che si trovava nei paraggi si portò le mani alla bocca, spaventata, ma non osò controbattere né esporsi.

"Torniamo a casa, sorellina. Questo Sabaody non è proprio nulla di speciale"

 

 

 

 

"Mio padre dovrà recarsi a Shinoka domani, Grandammiraglio Sengoku. Mi aspetto che le guardie che l'accompagneranno saranno più competenti di quelle che avete appioppato a me e mio fratello"

"Certamente, principessa. Le sceglierò personalmente, posso assicurarglielo"

"E per quanto riguarda oggi...beh, posso dire che sono profondamente delusa da lei e da tutti i suoi uomini. Credevo che almeno voi deste la giusta importanza a ciò che siamo, invece vi siete rivelati soltanto dei comuni esseri umani"

"Sono desolato per l'increscioso episodio di oggi pomeriggio, nobile Shalulia, e le prometto che non si verificheranno mai più errori del genere. Ha la mia parola"

La ragazza si voltò nella mia direzione "Solo quest'uomo è stato in grado di proteggermi. Chi è?"

Abbozzai un sorriso "Solo solo un s..." sottoposto, stavo per dire, sottoposto dei grandi capitani di Marijoa.

Ma un uomo dal viso scuro e dai capelli biondi mi precedette "Spia" si affrettò a rispondere prima di me "Una spia della CP7" sorrise soddisfatto, mentre Sengoku si allontanava parlando con San Charloss.

Lo guardai sbarrando gli occhi. Poi, in seguito, mi spiegò che era il capo della Cipher Pol 7 e che proprio quella mattina un agente era stato ucciso sul lavoro.

"Non farne parola con Sengoku, o non ci penserà due volte a sbattermi fuori" mi aveva raccomandato non prima di essersi acceso una sigaretta e aver fatto un profondo tiro "Beh, sembra che tu piaccia molto alla ragazzina celeste..." aveva ammiccato con tono ironico "Domani partirai con i miei uomini per scortare suo padre a Shinoka. Non ci vorrà molto" fece per andarsene, poi tornò indietro "Ah, di' a Karl che è un imbecille e che d'ora in poi sei sotto il mio comando"

 

 

 

 

 

Quella sera, mi ritirai nel mio dormitorio e preparai il necessario per il giorno seguente, senza farne parola con gli altri cadetti. 

Ero ansioso di partire e non vedevo l'ora di mostrare le mie capacità agli altri. Corgi mi aveva offerto di lavorare per lui, ma la sua richiesta (o forse dovrei dire la sua imposizione) era stata semplicemente dettata dalla simpatia che provava per me Santa Shalulia e, caso fortuito, da un improvviso posto libero nella CP7.

In qualsiasi caso, si trattava di una grande opportunità e non avrei mancato di mettere in pratica tutto ciò che sapevo fare: Corgi non si sarebbe pentito della sua scelta.

Quando andai a raccogliere le mie cose in palestra, Karl mi salutò con un grugnito "Sei stato fortunato per l'episodio di oggi pomeriggio. Ma questo non fa di te un eroe, sai?"

"Assolutamente" afferrai la borsa che avevo lasciato lì il giorno prima.

"Si è trattato soltanto di un caso" continuò con tono velenoso, mentre metteva a posto svariati attrezzi con cura meticolosa.

"Lo so" lo assecondai con sguardo basso.

"Poteva capitare a chiunque"

"Certamente" concordai, voltandomi verso il mio interlocutore con aria di superiorità. Probabilmente mi ero già montato la testa "A proposito, Corgi mi ha detto di riferirle che d'ora in poi sarò sotto il suo comando" l'espressione sul volto del mio allenatore divenne di uno strano colore verde e i suoi occhi si fecero più larghi "Pertanto...beh, io qui la saluto" 

Me ne andai senza degnarlo di ulteriori spiegazioni, mentre con lo sguardo seguiva inebetito la traiettoria dei miei passi. 

Poi, un grido in lontananza "Figlio di puttana!" © 

 

 

 

Prima di far entrare Kaku nella CP9, ho pensato che fosse necessario fargli fare un po’ di gavetta, almeno per rendere le cose un tantino più credibili. E allora il mio pensiero è andato subito ai Draghi Celesti, giacché sono residenti a Marijoa…e poi a Corgi, che è un personaggio che si vede davvero pochissimo: non si sa effettivamente che ruolo abbia e io ho ‘approfittato’ di ciò per immaginarlo a capo della CP7.

Poi qui spero che non mi lincerete: ho dato per scontato che Sengoku non sapesse della missione prova fissata per quel giorno a Sabaody, ecco perché non si è soffermato sull’identità di Kaku. So che probabilmente è una negligenza che non avrebbe, ma dati i suoi numerosissimi impegni, forse non è a conoscenza dell’organizzazione interna di tutte le Cipher Pol, ma solo delle più importanti. Mentre le minori sono magari amministrate da uomini di cui si fida ciecamente (come Corgi, per esempio).  La cosa non mi sembra tanto fattibile, perché credo che ci sia una certa burocrazia a regolamentare i membri delle varie forze governative, ma è qui che entra in gioco l’immaginazione: immaginate insieme a me, sennò non ne usciamo vivi xD

Un ringraziamento speciale ad Archdeacon Chopen che è sempre la prima a recensire! Lettori silenziosi, fatemi sentire il vostro supporto, su! ;)

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Diciassette (Parte Quattro) ***


Shinoka non era un posto tranquillo: la popolazione viveva in condizioni misere, mentre i pochi nobili che governavano il regno si crogiolavano nel lusso e nelle ricchezze. Era detta, per questo la 'Terra del Contrasto', dove da un lato spiccavano la povertà e la disperazione, e da un altro lo sfarzo sfrenato.

Non appena sbarcammo, Corgi ci disse che il nostro compito consisteva nel neutralizzare qualsiasi minaccia all'incontro tra San Roswald e San Jalmack.

"Mi aspetto che facciate un ottimo lavoro" ci avvertì con tono quasi minaccioso.

"Sasasasa! Senz'altro, capo!" rispose un tipo dai capelli bianchi e dalla risata strana.

Quando fummo in servizio, mi spiegò che si chiamava Wanze e che gli era stato offerto di entrare nella CP7 per un colpo di fortuna "Io sono un cuoco, in verità. Pratico il ramen kenpo! Sasasasa!"

Scossi la testa. Quello doveva avere qualche rotella fuori posto.

Tutti i membri della Cipher Pol si erano posizionati agli estremi del palazzo reale dove sarebbe avvenuto il grande incontro: non avrebbero potuto mangiare, andare in bagno o fare altro durante tutta la giornata.

E così sarebbe stato, se non fosse stato per i continui bisogni di Wanze: il cuoco si trovava proprio all'estremo poco distante dal mio, di conseguenza potevo sentire benissimo le sue interminabili lamentele.

"Sasasasa, mi scappa proprio! Dove potrei...sasasa, adesso ho anche sete!"

Alzai gli occhi al cielo "Riesci a controllarti per un istante, dannazione? Siamo qui per sorvegliare il palazzo!"

Prendevo il mio nuovo lavoro molto sul serio. Ero deciso a dimostrare quanto valevo, se non al mondo intero, almeno al mio capo. 

Il pomeriggio fu interminabile, scandito dalle solite chiacchiere del cuoco matto e dai raggi del sole cocente. 

"Sicuro di non avere fame? Ho della farina in tasca, potrei impastarla nella mia bocca e poi far uscire il ramen dalle narici, così..."

Cercai di reprimere un moto di disgusto "Sto bene così, Wanze, ti ringrazio"

Ma quando calò la notte, qualcosa sembrò muoversi nell'oscurità: un'ombra, un fruscio, un impercettibile movimento felino. Wanze sbadigliò, sostenendo che fosse solo la nostra immaginazione che 'fa brutti scherzi a quest'ora, sasasasa!'.

Ma io non mi lasciai ingannare: conoscendo le tensioni esistenti sull'isola, si sarebbe anche potuto trattare di un'imboscata bell'e buona. 

I movimenti sospetti andarono avanti per diversi minuti, finché alle nove in punto non si udì una voce possente tuonare "DIO SALVI LA NOBILTA'!" seguita da un "Sììì!!!" d'incoraggiamento da parte della massa nascosta.

Prima che potessimo metterli a fuoco nel buio, i ribelli stavano già avanzando verso noi, armati e senza pietà "A MORTE SAN JALMACK!" era il loro grido d'attacco.

Non persi tempo: tirai fuori le armi di cui ci aveva provvisti Corgi e presi a corrergli incontro, sotto le urla spaventate di Wanze "Cosa fai, ragazzino? Sono tantissimi!" urla che presto seminai, lanciando fendenti a destra e a sinistra senza nemmeno vedere chi colpivo.

Che fortuna, pensavo tra me e me, non aspettavo altro che un'occasione come questa per mostrare chi sono veramente...

Improvvisamente, un uomo armato di spada si scagliò contro di me "Shiganma mi bastò perforargli la spalla destra per scrollarmelo di dosso in quattro e quattr'otto.

Nel caos, mi accorsi della presenza di altri membri della CP7 "Ragazzi!" cercai inutilmente di chiamarli "Che qualcuno avvisi San Roswald!" 

"A MORTE IL GOVERNO MONDIALE!" un altro avversario si accanì su di me, ma con scarsi risultati "Tekkai"

E andai avanti con la repressione, fermando prima un rivoltoso "Soru", poi un altro "Shigan", non mi risparmiai e continuai a colpirli senza pietà, smanioso di voler dimostrare chissà cosa.

Non vedevo più nessun membro della Cipher Pol accanto a me e in men che non si dica mi ritrovai solo contro tutti a difendere il palazzo con le unghie e con i denti.

"Fatti da parte, ragazzino! Qui non abbiamo bisogno di eroi!"

"Questo lo dite voi" sorrisi beffardo e, con una velocità inaudita, affondai nuovamente le dita nei loro corpi fragili, scaraventandone a terra più di una decina.

Che razza d'incompetenti, ripensai ai miei presunti colleghi che se l'erano data a gambe levate di fronte alla minaccia. 

Come poteva essere possibile una cosa del genere? Dov'era andata a finire la professionalità?

Ma nell'istante stesso in cui formulai questi pensieri, mi furono accanto Corgi e un altro uomo di media statura che portava una maschera sulla metà destra del viso "Ottimo lavoro, Kaku" si complimentò il mio capo "Ma adesso torna dentro: qui ci pensa la CP9"

"La...cosa?" provai a chiedere, ma la mia domanda fu sovrastata dalle urla dei ribelli che adesso si erano fatte più acute, strazianti, come se qualcuno gli stesse lacerando l'anima.

Voltai lo sguardo stanco in direzione del tumulto e ciò che vidi mi lasciò senza parole: sei persone vestite di nero erano intente a darle di santa ragione a qualsiasi vittima gli capitasse a tiro, spesso in modo tanto veloce da non essere neppure visibili. Sgranai gli occhi.

"Abbiamo sottovalutato la situazione, ma adesso se ne occuperanno loro" mi spiegò Corgi, costatando che ero ancora lì impalato "Kaku, sei stato bravo. Ma ora basta, torna dentro" insistette, ma il suo tono sembrava quello di uno che ha appena ricevuto una delusione da parte dei suoi sottoposti.

Mi girai a fissare le sue pupille con aria sorpresa, mentre uno strano sapore ferreo m'invadeva la bocca. I lineamenti del suo volto divennero tutt'a un tratto sbiaditi. Persi i sensi.

 

 

 

"Sta muovendo la testa, sasasasa!"

Aprii gli occhi lentamente "Cosa...?" una sagoma indistinta era proprio davanti alla mia vista offuscata "Dove...sono?"

"Sei con me, ragazzino! Sasasasa!"

La mia testa sembrava straordinariamente pesante, ma dopo un lieve sforzo riuscii a distinguere il volto che mi stava di fronte "Wanze..." mormorai debolmente, accorgendomi della profonda ferita sanguinante che aveva all'altezza della fronte "Come hai...come te la sei procurata?" pareva davvero seria e, considerando il suo sguardo stanco, si sarebbe detto che aveva combattuto fino allo stremo.

"Questa?" si portò le mani sul taglio, urlando dal dolore "Sasasasa, non è niente! Dovresti pensare piuttosto alle tue azioni avventate, ragazzino!"

Provai ad alzarmi, ma un forte capogiro mi costrinse a restare seduto. Mi guardai attorno: a giudicare dai motivi floreali che decoravano le pareti, avrei detto che ci trovavamo nel palazzo di San Jalmack.

"Wanze...dove sono gli altri?" 

Prima che il cuoco potesse rispondermi, si aprì una porta da cui entrarono Corgi e l'uomo mascherato che avevo visto poco prima "Ti sei ripreso, Kaku?" mi chiese il capo della CP7 "Seguici"

L'osservai confuso, ma poi feci come aveva detto nonostante la stanchezza fisica: con grande stupore da parte di Wanze, mi lasciai guidare in una stanza adiacente a quella in cui ci trovavamo, all'interno della quale vi erano i sei massacratori che avevo visto combattere prima contro i ribelli.

Mi squadrarono da capo a piedi e io feci altrettanto: riconobbi immediatamente Rob Lucci; accanto a lui c'era una donna dai capelli biondi magra e slanciata; poi figurava un tipo dalla pelle scura e dall'aria minacciosa; un'altra creatura strana con una cerniera al posto della bocca; un uomo con due corna per capelli; e infine un tizio strano dai capelli lunghi.

"E così sarebbe questo il 'grande eroe'?" fece l'uomo dalla carnagione bruna con tono derisorio, mettendo particolare enfasi sulle ultime due parole "A me non sembra tanto speciale...fa fatica persino a mantenersi in piedi" aggiunse velenoso.

"Capita a tutti, al primo scontro" mi difese il tizio cornuto.

"Già" si trovò d'accordo Corgi "Devo ricordarti di quando sei svenuto tra le braccia di Akainu a Marineford, Jabura?"

Il tipo che aveva parlato arrossì all'istante, mentre io gli rivolgevo uno sguardo stranito, ma poi il suo capo m'impedì qualsiasi tentativo di risposta "Allora, tu devi essere Kaku" ammiccò "Io sono Spandam, capo della Cipher Pol 9" si aprì in un largo sorriso di presunzione.

"La Cipher Pol 9?" chiesi con scatto piuttosto naturale "Ero convinto che la sua esistenza fosse solo una leggenda"

La bionda soffocò un risolino "Che bambino ingenuo"

"Beh, in effetti nessuno ne è a conoscenza a parte pochi eletti" confermò Spandam con soddisfazione "E' proprio questo che permette alla CP9 di svolgere missioni in modo assolutamente impeccabile" si strofinò le mani con fare lugubre.

"Che fine hanno fatto tutte quelle persone arrabbiate?" ancora una volta, la mia domanda istintiva suscitò parecchia ilarità.

"Ovvio: li abbiamo battuti, no?" s'intromise la creatura con la cerniera "Messi al tappeto, neutralizzati, resi inoffensivi, chapapa!"

"Oi oi, in questo modo San Jalmack ha potuto beneficiare della visita di San Roswald senza intoppi!" ci tenne a precisare un altro.

Scossi la testa "Sì, ma...io cosa c'entro con tutto questo?"

L'idea di una promozione non mi aveva neanche lontanamente sfiorato: personalmente, credevo di aver fatto soltanto il mio lavoro e aver eseguito gli ordini del capo.

Eppure, cogliendomi completamente di sorpresa, Spandam mi volle nella sua squadra (con grande rammarico da parte di Corgi, il quale l'aveva rimproverato di 'rubare sempre i suoi uomini migliori'): il mio nuovo capo mi presentò ai membri della CP9, che poi scoprii chiamarsi Califa, Jabura, Kumadori, Fukuro, Blueno e, ovviamente, Lucci "Quelle Rokushiki..." sussurrò non appena mi fu vicino, riferendosi alle tecniche che avevo usato in combattimento davanti al palazzo "Roba da niente" sentenziò sdegnoso, mettendo in chiaro il fatto che per lui non valevo quanto credevano gli altri.

Rob Lucci aveva una personalità misteriosa: ero sicuro che non si fosse dimenticato di me, eppure ci teneva a trattarmi come l'ultima ruota del carro, nonostante i miei interminabili sforzi per cercare di eguagliare almeno in parte la sua potenza, e nonostante gli avvenimenti di quella sera.

Sospirai. Il suo messaggio era chiaro, ma in fin dei conti ormai ero dentro.

"Ciao, Wanze" lo salutai calorosamente "E' stato un piacere averti conosciuto" sorrisi "E rimettiti presto"

Stranamente, mi ero ritrovato ad affezionarmi a quel cuoco matto che mi era stato accanto durante quella lunga giornata: anche qualche anno dopo, non mancavo mai di andare a salutarlo appena avevo un po' di tempo...

 

 

 

 

 

 

 

"Avanti, sparagli"

Mi voltai verso Lucci sgranando gli occhi e impallidendo.

"Che c'è?" inarcò le sopracciglia "Provi pietà per un lurido schiavo?"

Concentrai di nuovo il mio sguardo in quello del vecchio spaventato che mi stava di fronte: era inginocchiato, ammanettato, terrorizzato e sembrava che da un momento all'altro gli sarebbe venuto un attacco di cuore.

La pistola che reggevo nella mano destra non smetteva di tremare e il sudore che m'imperlava la fronte non si decideva ad asciugarsi: davanti alla morte siamo tutti uguali.

"Coraggio" m'incitò ancora e mi prese la mano "Così...proprio in mezzo agli occhi"

La sua pelle era fredda e ruvida e avrei giurato di vedere una scintilla di eccitazione nei suoi occhi perversi e iniettati di sangue.

Allora tornai a guardare la vittima, mentre abbassava lo sguardo bagnato e si mordeva le labbra, disperato. Mi misi nei suoi panni, sperai che si trattasse di un malvivente o, in qualunque caso, di una persona cattiva: fu un istante intenso...ma non sparai.

Rob Lucci sbuffò e fece per allontanarsi "Giusto perché tu lo sappia: non sei tanto speciale come credi, ragazzino..."

Insomma, togliere la vita ad una persona...sporcarsi le mani...diventare un assassino...era proprio questo ciò che volevo?

"Non meriti di far parte della CP9"  le sue parole arrivarono taglienti alle mie orecchie, crudeli e spietatamente veritiere.

Fu per questo motivo che, nel momento ovattato e silenzioso che mi si era creato attorno, strinsi gli occhi e premetti il grilletto in un impeto di rabbia.

Lo sparo m'invase i timpani e prese a rimbombarmi nella testa come il senso di colpa, ma Rob Lucci si voltò soddisfatto e sfoderò un sorriso sghembo.

Non ebbi il coraggio di guardare il cadavere, ma sapevo per certo che ormai era fatta: ero diventato anch'io un mostro.

Quell'iniziazione non la dimenticherò mai: butta a terra la pistola ancora fumante, voltati indietro e corri, corri più forte che puoi verso il tuo dormitorio con le risate sadiche di Lucci che t'inseguono. Chiudi la porta a chiave, fai lunghi respiri profondi e poi accendi una candela per ammirare una vecchia foto.

Ma le mie dita erano impaurite al suo contatto, le mie ginocchia quasi cedevano...

Sophie...non guardare ciò che sono diventato, ti prego. Non soffermarti sulla mia identità spappolata e sulle mie buone intenzioni ridotte in macerie. In cuor mio, so che tutto questo non è giusto eppure qualcosa mi motiva ad andare avanti, sempre più avanti, sentendo che il mio dovere non è ancora compiuto. 

Sarò per i criminali il terrore, il tremare delle loro mani e il sudare delle loro fronti preoccupate, non mi darò pace finché non avranno la punizione che meritano, perché la giustizia trionferà, ne sono certo.

Questo, amore mio, lo devo alla brava gente.

 

 

...poi, lentamente, la foto brucia. ©

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sto riempendo questa storia di emotività! Spero non risulti troppo una lagna xD

Ebbene, come già detto nel capitolo precedente, Kaku riesce ad entrare nella CP7: ve lo ricordate Wanze, il cuoco matto? E’ un membro della CP7 che appare solo una volta (sul treno per Enies Lobby) ma che mi sta molto simpatico, quindi sono stata contenta di inserirlo.

Finalmente adesso il protagonista è riuscito a passare al livello successivo, e quindi ad entrare nella famigerata CP9.

Questo capitolo è stato scritto sulle note di “Trying your luck” degli Strokes <3

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Diciassette (Parte Cinque) ***


Non riuscivo a crederci: ero riuscito a convincere Spandam a lasciarmi andare un giorno a Kodama prima di trasferirmi definitivamente ad Enies Lobby. 

In verità, mi avevano semplicemente dato ventiquattr'ore di tempo per preparare le valigie, ma dato che avevo finito entro la mattinata, avrei potuto fare una corsa ed essere a Kodama per cena. E poi, ovviamente, fare un'altra corsa ed essere ad Enies Lobby entro la mattina successiva.

In qualsiasi caso, ne sarebbe valsa la pena.

M'imbarcai che fremevo, entusiasta, ma dovevo ammettere che c'era anche un brivido di paura dentro me: mancavo ormai da un bel po' di mesi e non sapevo quale sarebbe stata la reazione nel vedermi arrivare.

Lo scoprii presto: quando scesi dalla nave, le mie narici s'inebriarono immediatamente del profumo del pane caldo e i miei capelli corti furono subito scompigliati dal vento fresco che era proprio della mia terra natale.

Sono a casa, pensai con un sorriso.

"Kaku...fratellone!" Kyoko si lanciò letteralmente tra le mie braccia non appena entrai in panetteria. 

Era cresciuta: adesso i suoi capelli erano più lunghi ed era diventata anche più alta "Kyoko! Sono felice di vederti!"

"Oh, mio Dio..." mia madre si avvicinò tremante "Sei proprio tu...figlio mio!" mi strinse a sé calorosamente ed ebbi la sensazione di essere tornato indietro nel tempo, come un bambino che si accoccola contro il petto protettivo del proprio genitore.

Furono lontani i giorni dell'addestramento, lontane anni luce le sparatorie, avevano cessato di esistere persino le mie ambizioni. Per un istante...

Anche i clienti mi salutarono con affetto "E' tornato il figliol prodigo!" mi presero in giro.

"Sono così felice di vedervi tutti quanti!" ammisi con un sorriso. Ero proprio lì ed era proprio la realtà.

E nello stesso istante cominciarono ad arrivare le domande "Allora, sei diventato un marine?"

"Ci proteggerai dai pirati, Kaku?"

"Hai conosciuto Sengoku il Buddha?"

"Non è diventato più bello, mio figlio?" mia madre mi accarezzò la spalla, amorevole.

Arrossii "Dai, mamma, mi metti in imbarazzo"

"Fratellone, devi raccontarmi tutto!" mi prese per un braccio mia sorella "Ci sono avversari potenti? Hai combattuto contro mutanti?"

Scoppiai a ridere "Una domanda alla volta, Kyoko"

Ma lei m'ignorò completamente "Devi insegnarmi TUTTE le mosse! Quanto tempo ti tratterrai qui?"

"Non molto, purtroppo" confessai con amarezza.

Un "Nooo!!!" disperato invase la panetteria.

"Già" mi portai una mano dietro la nuca con lieve timidezza. Tutto quell'affetto mi lusingava. 

Cercai di assassinare la tentazione di restare lì e mollare tutto, incurante della mia carriera, ma poi scossi la testa e tornai in me "Dove sono Milo e Sophie?"

Lo sguardo di mia madre si fece triste "Tuo fratello è in officina...ma credo sia meglio che tu vada da Sophie" affermò con serietà "Lei ha decisamente più bisogno di te in questo momento"

Sospirai. Non potevo credere che Milo ce l'avesse ancora con me.

"D'accordo" conclusi "Verrò a salutarvi più tardi...spero" aggiunsi con tristezza.

Purtroppo non mi restava che un'ora: il viaggio si era rivelato più lungo del previsto, il tempo in panetteria era spaventosamente volato, e per di più i marinai avevano annunciato che per quella sera si prevedeva tempesta. Di cuori.

Arrivai a casa eccitato, ma anche leggermente preoccupato: raccolsi le chiavi sotto il tappeto, dove mia madre le teneva sempre nascoste, ed entrai. 

Quasi mi vennero le lacrime agli occhi: quella era davvero casa mia, i vecchi mobili, i soliti odori...che fosse tutto un sogno? Mi pizzicai il braccio.

"Chi è?" arrivò tesa la voce della ragazza dalla camera da letto.

La felicità mi pervase, non stavo più nella pelle, ma l'ultima cosa che volevo fare era spaventarla: mi avvicinai lentamente e aprii la porta sussurrando il suo nome "Sophie..."

Fu un momento interminabile: la donna si trovava in piedi, le mani sul ventre rigonfio, era aperta la finestra ed una leggera brezza rinfrescava le lenzuola bianche e donava colore alle guance rosee della fanciulla.

Sgranò gli occhi e cominciò a tremare "Tu..." balbettò "Sto sognando?"

Parole sensate non riuscirono ad uscire dalla mia bocca. Semplicemente, caddi in ginocchio davanti a lei, che probabilmente si stava ancora chiedendo se fosse desta o se si trattasse soltanto della sua immaginazione, e posai lentamente le mani su quel ventre rotondo. Liscio. Caldo.

Ci poggiai la bocca, sentendo chiaramente il suo corpo rilassarsi, e presi a baciare la sua pelle con tutta l'accortenza del mondo. Fermai il tempo con dolcezza, sfiorando con le labbra quella rotondità e avvertendo le mani di Sophie sul mio volto, e allora baciai anche quelle, ubriacandomi delle sue dita.

Era tutto reale: adagiai la testa e chiusi gli occhi, accostai l'orecchio e percepii chiaramente delle pressioni.

Sei tu? Sei veramente tu?

Poi Sophie s'inginocchiò davanti a me "Lei ti ama, Kaku" mi accarezzò il viso "E ti amo anch'io" mi baciò con passione, facendo inoltrare le piccole mani nei miei capelli e trasportandomi completamente.

Non fermarti. Portami con te. Trascinami nel passato, nel futuro, a Kodama, A NOI. 

Trascinami ancora...ancora...

 

 

 

 

"Eleanor" affermò decisa "Come mia madre"

"D'accordo" acconsentii con gioia.

"E' un vero peccato che tu te ne debba andare tanto presto...ma sono contenta di vedere che stai bene"

"Già, anch'io" non riuscivo a smettere di sorridere.

"Sono tutti gentili con te?" chiese con una nota di preoccupazione, mordendosi un labbro.

"Certo, tranquilla" la rassicurai "E anche se così non fosse, saprei come farmi rispettare"

Si fece pensierosa "Non comportarti da stupido, Kaku...tu non sei cattivo"

"No..." mi rabbuiai "Non lo sono"

"E...ti fanno stancare molto?" domandò ancora.

Non potei fare a meno di ridere "Sophie, hai passato troppo tempo con mia madre!"

"Rispondi" insistette.

"Beh, diciamo che..." ero stato messo alle strette, ma dovevo pur cominciare a fare pratica con le menzogne "L'addestramento è decisamente sopravvalutato, ecco"

"E il tuo capo? Ti tratta bene?"

"Santo cielo, tesoro!" scossi la testa "Ma perché tutta quest'agitazione? Va tutto bene, rilassati" le cinsi la vita, mentre m'inchiodava con lo sguardo "Non mentirmi, Kaku. Non mentirmi mai"

"Non lo farò" cercai di risuonare il più convincente possibile.

"E' che..." incalzò, poi abbassò lo sguardo.

Le alzai il mento con un dito "Cosa?"

I nostri occhi si scrutarono a lungo, dopodiché lei parlò "C'è qualcosa di...diverso...non so, come se mi nascondessi qualcosa"

Sospirai "Sophie, io credo che..."

"No" mi fermò con l'indice sulle labbra "Non dire niente. Voglio solo che tu non dimentichi chi sei. Resta sempre la persona che amo"

La baciai nuovamente, cercando di trattenere un po' del suo sapore sulla lingua e sperando di portarlo via con me "Ora devo andare..."

Risultava sempre più difficile staccarmi da lei, ma raccolsi tutta la mia forza di volontà e indietreggiai.

"Dove ti manderanno?"

"Non puoi saperlo. Questo...lo capisci, vero?"

"Già..." sospirò "Fa' attenzione"

"Come sempre"

 

 

 

 

Dopo aver ricevuto la benedizione di Sophie, arrivai ad Enies Lobby con uno spirito diverso: ero più sollevato, più deciso e forse anche più sfrontato.

Non mi aspettavo che la fanciulla mi desse il suo sostegno per l'imminente lavoro, non sapendo né cosa andavo a fare né tra quanto tempo ci saremmo rivisti, ma basandosi unicamente sulla fiducia.

Insomma, era forte. Quella ragazza non smetteva mai di sorprendermi...

"Allora, sei andato a fare visita alla fidanzatina?" mi accolse un Jabura particolarmente sarcastico alla Torre della Giustizia.

Il suo modo di fare mi ricordava terribilmente quello di mio fratello: la cosa mi mandava in bestia.

"A quanto pare, non sono l'unico ad avercela" gli risposi a tono, alludendo all'inserviente con cui era stato visto poco prima.

"Ti piacerebbe una come Gatherine, eh?" ammiccò.

"Per niente" lo delusi "Sophie è dieci volte più bella ed è anche intelligente" 

Diventavo un bambino in compagnia di Jabura, questo l'avrei scoperto nei mesi successivi: le sue continue provocazioni non facevano altro che farmi pensare a Milo e, inevitabilmente, non riuscivo proprio a misurare le mie reazioni.

Fece una grossa risata "Sophie, hai detto che si chiama? Oh, ragazzino, scappa da quelle intelligenti! Sono le peggiori!"

"Ma come diavolo ti permetti?" stavo per partire, quando una forte presa alle spalle mi bloccò i movimenti.

"Ben fatto, Blueno" entrò anche Spandam "Qui non vogliamo litigi. Vero, Califa?"

La donna si scostò una ciocca di capelli dal viso "Mi stai facendo delle avances, capo?" 

Le rivolsi uno sguardo stranito, al che ella attaccò "E tu cos'hai da guardare, con quegli occhi da pesce lesso? Vedi qualcosa che t'interessa?"

Scossi la testa, senza riuscire a mascherare un'espressione d'incredulità: quei tizi erano tutti matti...

Pian piano, entrarono tutti all'interno dell'ufficio del capo e per ultima, ma non meno importante, l'imponente figura di Rob Lucci.

"Molto bene, ragazzi" sorrise sadico Spandam, adagiando sulla scrivania svariati fogli "Questi sono i vostri prossimi incarichi. Comincerete tra un mese, durante il quale potrete allenarvi"

"Così tanto?" si lamentò la bionda, visibilmente allarmata.

"Hai paura che ti vengano le doppie punte?" la sbeffeggiò Jabura.

"Taci, lupo!"

"Almeno il lupo non è entrato nella CP9 per raccomandazione!"

Un filo spinato si avvolse attorno al corpo dell'uomo, il quale sorrise come se niente fosse "La verità fa male, eh?"

"Piantala, Jabura" lo rimproverò Spandam "Lasky era un ottimo agente, ma Califa non è certo qui per conto di suo padre. Vero?" le rivolse un occhiolino.

"Ci stai provando di nuovo, capo!" 

Intanto, Lucci se ne stava in disparte a giocherellare con il suo cappello senza dire una parola.

"Oi oi quali sono gli incarichi?" chiese improvvisamente Kumadori.

"Già, di che si tratta? Chapapa!" si aggiunse Fukuro.

"Leggete e lo scoprirete" il suo sorriso enigmatico non lasciava trapelare alcuna informazione.©

 

 

Enies Lobby, CP9, World Govt.

 

Quattro agenti. Arma Pluton. Water Seven.

 

 

Eh beh, il ritorno a Kodama ha sorpreso anche me xD Vi confesso che ero un po’ scettica ad inserirlo, ma poi mi piaceva troppo l’idea che Kaku vedesse Sophie incinta!

Dal prossimo capitolo (finalmente!) finiranno questi due anni di grandi cambiamenti (16/17) e comincerà il diciottesimo anno di età per il nostro protagonista, di conseguenza anche l’avventura a Water Seven ;)

Ho inserito le note Missing Moments e Otherverse: la prima perché si parla dei retroscena della vita di un personaggio, seppur con un po’ d’immaginazione; la seconda perché voglio parlare anche di St Popula (miniavventure della CP9 inserite solo nel manga). Sono pignola, lo so, ma volevo precisarlo xD

Grazie a chi recensisce (Archdeacon Chopen!!!) e a chi segue la storia!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Diciotto ***


Water Seven: la metropoli dell'acqua.

Era una fresca mattinata primaverile quando io e Lucci arrivammo. C'era stato un dibattito piuttosto acceso per decidere quali sarebbero stati i quattro agenti a cui affidare l'incarico, ma dopo un'accurata analisi di ciò che ci aspettava, la scelta cadde su me, su Lucci, su Califa e su Blueno.

Il compito era quello d'insediarci all'interno della Galley Company e fingere di essere degli esperti carpentieri, il che non doveva risultare particolarmente difficile per il sottoscritto.

"Sei stato scelto solo per questo, naso lungo!" mi aveva rinfacciato Jabura.

Tutti gli altri avevano acconsentito pacificamente, anzi, quando gli avevo offerto il mio aiuto sulle tecniche del mestiere, mi avevano fatto una risata in faccia "Tu non capisci proprio con chi hai a che fare" aveva commentato freddo Rob Lucci.

"Mio Dio, ma chi l'ha mandato questo qui?" si era lamentata Califa, sistemandosi gli occhiali da vista.

"Come non detto" avevo alzato le mani in segno di resa.

Ogni giorno di più, avevo maturato la convinzione che quella gente fosse a dir poco intrattabile...

 

 

 

Era la prima volta che prendevo il treno marino. A dirla tutta, non sapevo nemmeno che potesse esistere un apparecchio simile: cercavo di contenere il mio entusiasmo infantile, perché se sei costretto a fare un viaggio seduto accanto a uno come Lucci devi per forza imbavagliare il Peter Pan che è in te.

Ma la vera meraviglia arrivò alla vista dell'isola: era mastodontica e si ergeva di fronte a noi con imponenza e maestosità.

L'acqua veniva giù da una grande fontana centrale e tutt'intorno era cosparso di canali e casette dai tetti rossi; le persone intonavano svariati cori e i bambini urlavano e ridevano, mentre io mi guardavo attorno con il crescente desiderio di riempirmi gli occhi di quelle immagini spensierate.

Una volta arrivati al centro della città, non ci volle molto per trovare il Dock 1: ci accolse un tipo dai capelli biondi con un sigaro fumante tra le labbra "Voi dovete essere i novellini" aspirò il fumo con aria circospetta "Entrate" 

Aprì il massiccio portone grigio e ci introdusse in quello che mi sembrò essere il cantiere più grande che avessi mai visto: numerosi uomini erano al lavoro, costruivano navi o trasportavano pesanti travi di legno, ma il tutto accompagnato da una buona dose di buonumore collettivo.

Mi voltai verso Rob Lucci, ma la sua espressione era indecifrabile.

"Accomodatevi qui" il ragazzo ci fece sedere all'interno dell'edificio, nella sala d'attesa "Il Signor Iceburg sarà qui a momenti" fece per andarsene, ma poi tornò indietro "A proposito, io mi chiamo Paulie. Voi siete...?"

Mi aprii in un largo sorriso "Io sono Kaku, piacere di conoscerti" gli strinsi la mano calorosamente "E lui è il mio amico Lucci"

"Perfetto" aspirò altro fumo "Buona fortuna, ragazzi. Ci vediamo dopo"

"Devi spiegarmi questa storia del mutismo" mi rivolsi a Lucci non appena fu fuori "Ha qualche senso?"

Il moro accarezzò il piccione che teneva sulla spalla "So quello che faccio" sorrise beffardo "Sei tu piuttosto che dovresti lavorare sul tuo alibi. Sorprendimi" si passò la lingua sulle labbra.

In verità, non sapevo proprio da che parte cominciare: durante il mese di allenamento ad Enies Lobby, mi era stato detto più volte che per essere una brava spia avrei dovuto saper costruire con cura i miei personaggi, come una sorta di attore che si prepara ad andare in scena con la sua maschera migliore.

Rob Lucci, a quanto avevo capito, era deciso ad impersonare un carpentiere senza voce che riusciva a comunicare solo attraverso il volatile che aveva sulla spalla; Califa si sarebbe offerta come segretaria del capo della Galley Company; Blueno avrebbe rivestito il ruolo di barista; e per quanto riguardava me, non mi restava che puntare sull'unica arma che avevo: l'affabilità.

Sarei stato il carpentiere simpatico e disponibile che tutti avrebbero ammirato e rispettato, pronto ad aiutare chiunque si fosse trovato in difficoltà e pronto a difendere gli interessi della giustizia.

L'obiettivo era far fidare le persone di me, convincerli che un ragazzo così a modo non poteva che essere una brava persona.

Almeno, questo era ciò che m'illudevo che fossi...

Quando conoscemmo il Signor Iceburg, capimmo subito che non sarebbe stato semplice impossessarci dei progetti di Pluton: infatti, si trattava di un uomo composto, che sapeva il fatto suo e che di certo non si sarebbe lasciato ingannare dal primo che passava. 

Ma noi non avevamo fretta.

"Potete occuparvi di ciò che ritenete più opportuno" ci aveva detto semplicemente, infilandosi un dito in una narice con aria indifferente "Io ho molto da fare"

Breve, chiaro e conciso.

Immediatamente, io e Lucci ci adoperammo per renderci utili come meglio potevamo nel cantiere, affiancati da Paulie e da altri due uomini chiamati Lulu e Tilestone.

"Ce l'avete fatta, fratelli!" sorrise il biondo "Benvenuti alla Galley Company!"

Dopo circa due settimane, arrivarono anche Blueno e Califa e in meno di tre mesi ci eravamo già fatti una buona reputazione.

Ambientarsi a Water Seven non era stato difficile: le persone erano tra le più disponibili e amabili di questo mondo. Gli abitanti dell'isola erano soliti spostarsi con dei bizzarri pesci chiamati  Bull, che risalivano per tutti i canali e procedevano sorprendentemente veloci; c'era un attrezzo chiamato ascensore acquatico che portava ai vari livelli della città proprio grazie all'innalzamento/abbassamento dell'acqua; e c'erano negozi riforniti di carne, dolci e maschere a volontà.

Insomma, era davvero una meraviglia di posto. 

 

 

 

Ma dovresti vederla la sera, tesoro.

Water Seven è illuminata dalle luci dei lampioni tutt'intorno e riscaldata dall'atmosfera delle taverne.

Ho deciso di esplorarla meglio e di saltare sui tetti, guardandola dall'alto, respirando l'aria fresca e permettendole di far ampliare i miei polmoni desiderosi.

Non lo facevo da troppo tempo: è stato come tornare bambino, come risentire la voce della mamma che mi rimproverava, ricordi?

Poi sono sceso a fare un giro su un Bull nascondendomi dai miei colleghi e sono rimasto strabiliato: le urla, le risate, l'acqua, la gente...qui sembra tutto così giocoso e mi sto lasciando convincere a giocare anch'io, cercando di dimenticare per un istante il vero motivo per cui sono qui.

Il cielo è stellato stasera, mi ha fatto pensare a te. E' stato su un tetto che ci siamo baciati la prima volta, ricordi?

E le navi che si costruiscono qui, Dio, assomigliano tutte terribilmente alla Lady Catherine!

Vorrei davvero che tu potessi sapere dove mi trovo, o meglio venire anche tu in questo posto stupendo: sono certo che ti piacerebbe da morire.

Sai, alle volte ti sogno, sei ancor più bella di quanto ricordassi; altre volte il sogno diventa incubo e ci sei tu, e ci sono le doglie, e allora cominci ad urlare il mio nome in preda agli spasmi, piangi e ti chiedi per quale stramaledetto motivo il padre di tua figlia non è lì accanto a te.

Spesso mi sveglio sudato nel cuore della notte e corro a sciacquarmi la faccia. Aiuta davvero.

Ma poi i miei pensieri volano sulle nuvole che si spostano col vento, e allora mi chiedo se mai arriveranno da te.

Ti amo, amore mio. Ti amo tanto.

 

 

 

 

Testo di una lettera che non PUO' essere inviata.©

 

 

 

 

 

Eccomi qui, sempre puntuale! Il capitolo è breve (anche più romantico e sdolcinato di quanto avessi voluto), ma spero vi piaccia comunque.

Ci tenevo a rappresentare l’arrivo di Kaku a Water Seven e l’impatto con questa nuova realtà.

Continuo imperterrita con questa storia, anche se non ha molti seguaci…ma se vi va di farmi sentire la vostra presenza, non mi offendo mica! ;)

Alla prossima!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ventidue ***


Chi avrebbe mai detto che sarebbe durato tanto...

Un anno, due anni, ma di certo non mi sarei aspettato di doverci restare di più: il mio problema non era la noia, anzi: ero diventato parte integrante della popolazione a tal punto da confondere la vita reale con quella fasulla.

Ma chi è questo Kaku? Chi è questo nasone che si diverte a costruire navi sulla nostra isola e ci prende in giro con innata abilità?

Rischiavo di non saper rispondere nemmeno io a domande simili...

La cosa positiva era che avevo smesso di pensare ossessivamente alla mia famiglia, o addirittura cercare tra le ragazze quella che assomigliasse di più a Sophie, semplicemente per starla a guardare e ricordarmi dei tratti del suo viso.

Le persone di Water Seven avevano preso l'abitudine di chiamarmi 'Vento di Montagna' a causa del mio strano modo di muovermi per la città: mi piaceva, mi faceva sentire ancor di più uno di loro.

Quattro anni erano volati via in un lampo, ero migliorato anche come combattente: non mi separavo mai dai miei coltelli e, periodicamente, arrivavano sull'isola svariati pirati attaccabrighe che, se non altro, mi permettevano di divertirmi un po'.

Ma il divertimento c'era anche con gli altri carpentieri della Galley Company, con i quali ogni tanto ci scappava anche qualche bicchierino...

"Giù, giù! Kaku, giù!" scoppiò a ridere Paulie, già brillo da un bel po'.

Risi anch'io "Non dovresti bere tanto, sai?"

"Sciocchezze!" minimizzò, rosso in volto "Avanti, Blueno, dagli un'altra pinta!"

"Chi è che offre oggi?" chiese il finto barista, mentre lavava dei bicchieri sporchi.

"Lucci ovviamente!" il biondo sghignazzò e mi diede di gomito, voltandosi in direzione del ventriloquo "Vero, amico mio?"

"Scommetto che hai di nuovo problemi con gli esattori" commentò l'altro.

Paulie s'indispettì "Ma cosa dici? Sono un uomo pulito, io!"

"Certo, come no" fece con sarcasmo Lulu.

Poi, improvvisamente, udimmo la porta spalancarsi e vedemmo Califa entrare suadente, effettuando movimenti sinuosi che di certo non passavano inosservati "Ciao, ragazzi"

Paulie arrossì "Califa! Cos'è quella minigonna cortissima? Copriti, svergognata!"

La donna sorrise e si sistemò gli occhiali da vista "Blueno, offri un bicchiere anche a me?" si accomodò accanto a noi e accavallò le gambe.

Il biondo era a dir poco scandalizzato "Cosa fai, insisti? Ma sei proprio..."

"E dai, Paulie" scossi la testa, sorridendo "Basta non guardarla, no?"

"Ma Kaku, tu..." cercò di controbattere, ma subito dopo sgranò gli occhi, come se solo in quel momento si fosse accorto di una cosa piuttosto evidente "Hey, a pensarci bene non ti ho mai visto con una ragazza" fece un tiro di sigaro, scrutandomi scrupolosamente "Cosa c'è, quelle di Water Seven non sono abbastanza carine per te?"

Abbassai lo sguardo sul boccale di birra, simulando un sorriso triste "No, è solo che..."

"AAAH! ESATTORI!" urlò non appena vide entrare due signori in giacca e cravatta che lo indicarono, dopodiché uscì di corsa dalla locanda inseguito da quegli uomini con cui doveva essere indebitato fino al collo.

Non potei trattenere una risata. Quel ragazzo non sarebbe mai cambiato.

E passavano così le giornate, tra le battute di Paulie e le urla di Tilestone, tra il ciuffo ribelle di Lulu e gli innumerevoli impegni cancellati del Signor Iceburg.

Quando tutto questo finirà, tremerai...

Ma il nostro capo era stanco di aspettare e si prevedeva un attacco di lì a breve: a quel punto, tutti avrebbero capito da che parte stavamo, ci avrebbero odiati e mai più avremmo potuto mettere piede sull'isola.

Uscimmo dal locale e ci dirigemmo alla Galley Company, camminando tra le strade asciugatesi da poco dall'Acqua Laguna, mangiai qualche dolcetto acqua-acqua e poi mi ritirai nella mia stanza assieme a Lucci.

Il mio collega era già pronto per dormire, mentre io me ne stavo ancora seduto davanti alla finestra ad ammirare il cielo stellato "Ancora perso nei tuoi sogni da ragazzino, Kaku?" mi provocò.

Le mie labbra smisero per un istante di giocare con la cerniera della felpa arancione "Ancora per un po', Rob" ingoiai quel sapore metallico e freddo "Ancora per un po'"

 

 

 

 

 

Fino a quel giorno, io non sapevo nemmeno chi fosse Cappello di Paglia. Certo, ne avevo sentito parlare, ma la cosa non mi aveva sfiorato più di tanto: avevo pensato semplicemente che si trattasse di un maledetto pirata come tutti gli altri.

Quando si presentò sull'isola con la sua strana combriccola, in verità noi eravamo intenzionati a catturare solo Nico Robin (di questi criminali minori se ne sarebbero occupati i comuni marines): il suo arrivo a Water Seven fu per noi la svolta, la mossa decisiva, il momento in cui avremmo potuto avere sia lei che i famigerati progetti dell'arma ancestrale.

I patti si rivelarono inaspettatamente semplici, dal momento che la ragazza si era consegnata spontaneamente e senza troppe cerimonie. A quel punto, risolvemmo che sarebbe stato il momento adatto per impossessarci anche dei progetti e concludere così il nostro lungo lavoro.

Mettere alle strette Iceburg non fu facile ma, con spiccato spirito di squadra, riuscimmo ad avere il nome tanto agognato.

Cutty Flam o Franky, si trattava comunque della stessa persona: dell'uomo che era stato allievo di Tom assieme al sindaco dell'isola, dell'amico quasi fratello che era cresciuto con Iceburg e di cui si fidava ciecamente.

Così, in una notte piovosa, li portammo entrambi ad Enies Lobby, sgattaiolando sui tetti di Water Seven come ladri e abbandonando quel posto meraviglioso a bordo dell'ultimo treno marino. 

E così lasciai lì le risate, abbandonai lì le giornate di sole trascorse a costruire imbarcazioni e passate in allegria con gli amici, lì la vita, l'amicizia, la spensieratezza e la gioia. Era già la seconda volta che mi ritrovavo a lasciare una parte della mia anima in un luogo. Ma quest'anima quanto ancora avrebbe dovuto spezzarsi?

Mi mancherai, Water Seven. Mi mancherai davvero. ©

 

 

 

Sì, avete ragione: questo capitolo è anche più corto del precedente L vi chiedo umilmente scusa! Ma volevo mettere in evidenza il rapporto che si è creato con gli altri carpentieri e la tristezza che ha invaso Kaku nel momento di lasciare Water Seven.

Insomma, l’obiettivo era di calcare soltanto le cose più importanti e non soffermarmi troppo: ho in mente un finale piuttosto complesso, quindi tra un po’ si avvicinerà la ‘parte critica’ della storia (e anche più impegnativa).

Per farmi perdonare vi lascio un’immagine carina *fa occhietti dolci e vi sorride, evitando i pomodori* :D


Image and video hosting by TinyPic

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Ventitré (Parte Uno) ***


Soqquadro. L'isola giudiziaria era stata messa a soqquadro.

I lumacofoni impazzavano, i marines urlavano, tutta l'organizzazione ci stava velocemente sfuggendo dalle mani. 

E mi sembrò per un attimo di essere caduto al centro dell'inferno, con quei dannati allarmi che non la smettevano di trapanarmi le orecchie e quell'assurda fretta di mettere tutto a tacere.

Enies Lobby bruciava come Kodama molti anni prima. A provocare il tumulto erano stati, anche questa volta, degli sporchi pirati.

A quante stragi un uomo deve assistere, per sentirsi realmente tale?

Spandam si portò le mani ai capelli e quasi li strappò, infuriato "UCCIDETELI! NON ABBIATE NESSUNA PIETA'!" dopodiché ci consegnò delle chiavi che sarebbero servite a confondere la ciurma di Cappello di Paglia, sotto lo sguardo spaventato della prigioniera.

"E' inutile che ti dai tante arie, naso squadrato" mi distrasse Jabura "Fukuro avrà anche detto che sei più forte di me, ma è tutto da vedere"

Gli risposi con un ringhio, ma nello stesso istante io e Califa fummo richiamati dal capo "Ho un regalo per voi, ragazzi" ci mise di fronte due frutti del diavolo colorati che sembravano tutto fuorché buoni.

"Un frutto del diavolo?" ripetei pensieroso "Non ci avevo mai pensato..."

"Che aspetti a mangiarlo?" mi rivolse un gran sorriso Spandam, come a voler dire 'così potrai proteggermi meglio', ma io feci finta di niente.

Quello che avevo sentito dal balcone della Torre della Giustizia mi aveva aiutato a capire che per sconfiggere quei pirati sarebbe stata necessaria una spinta in più: quei matti, infatti, erano riusciti a raggiungere l'isola nonostante il mal tempo e ora si ritrovavano a dover combattere contro l'intero governo mondiale solo per salvare una loro amica.

La mia considerazione di quella ciurma di scalmanati oscillava tra gli incoscienti e gli stupidi.

Il loro cecchino aveva addirittura bruciato la nostra bandiera e il capitano aveva fatto uscire la vita da Nico Robin: "IO VOGLIO VIVERE!" erano state le angoscianti parole della ragazza, in preda alle lacrime.

Non capii se si trattasse di un piano premeditato o semplicemente di una donna che decide di sacrificarsi per salvare chi ama ma che, inevitabilmente, è salvata a sua volta. Erano pur sempre criminali, in qualsiasi caso.

Seppi con certezza che ciò che stavo vivendo era molto potente: per via informativa, lavorativa ed emotiva.

Insomma, Nico Robin: i tuoi amici devo desiderarti almeno quanto il governo stesso, se hanno deciso di scavalcarci tutti pur di riprenderti insieme a loro.

Erano arrivati anche gli amici di Cutty Flam, il quale però aveva appena dato fuoco ai progetti di Pluton.

Volete la guerra? E guerra sia.

Mentre i pirati mettevano a ferro e fuoco l'isola, io mi ritirai nella mia stanza e provai i poteri appena acquisiti: sentii un lieve formicolio all'altezza della nuca, dopodiché prese atto la trasformazione: alta, imponente, agile e scontrosa, ero diventato un'enorme giraffa.

Immediatamente, un pensiero deluso mi attraversò la mente: Lucci si trasformava in un leopardo, Jabura in un lupo...perché la giraffa era toccata a me? 

Decisi di non pensarci, anzi, di sfruttare al massimo le possibilità che quella mutazione poteva offrire e mi chiesi invece quali poteri avesse acquisito Califa.

Tornai alla mia forma naturale e mi accomodai nella poltrona davanti al camino: neanche un attimo di attesa, che arrivò subito uno di loro con aria minacciosa "Tu hai una chiave che potrebbe aprire le manette di Nico Robin, vero?" fu con mio immenso piacere che mi ritrovai di fronte Roronoa Zoro, lo spadaccino "Dammela, sennò ti faccio secco"

Mi voltai verso di lui e sorrisi beffardo "Oh, andiamo! Mi è dispiaciuto quella volta alla sede della Galley Company di non aver potuto vedere le tue qualità" confessai, dopotutto combattere contro una taglia come la sua avrebbe fatto gola a chiunque "Ma sai...non mi aspettavo certo che dei pirati fossero in grado di arrivare fin qui" fui di nuovo sincero.

Era quasi una fortuna che fossero riusciti a raggiungerci, si prospettava una battaglia molto interessante.

I suoi occhi si fecero più rabbiosi e riuscii a percepire il tintinnio delle sue spade impazienti "Sta' attento, perché adesso sono più forte di quella volta"

"Sì, ti credo" risposi cordiale "Sento la tua energia. Sei come una creatura selvaggia, ti reputo un uomo molto temibile" afferrai le armi ai lati della poltrona, a metà tra l'adulatore e lo scontroso, e mi preparai ad entrare in guerra "Tuttavia, ti avverto che sono il miglior spadaccino della CP9: non mi sottovalutare" cominciai a far roteare le spade, fino a creare delle lame invisibili.

"Tecnica a due spade?" chiese conferma, lievemente disorientato.

Risi "Veramente a quattro" e colpii con ferocia.

Battermi con Roronoa Zoro si rivelò una delle cose più avvincenti che avessi mai fatto: il giovane era sfrontato, coraggioso, la mia stima nei suoi confronti cresceva ad ogni attacco. 

Diedi il meglio di me, come di consueto, nonostante i commenti sarcastici di Jabura che, malauguratamente, avevo trovato nella stanza in cui eravamo precipitati dopo essermi tramutato in giraffa "Kaku, grandioso il tuo potere!" era scoppiato a ridere sguaiatamente, seguito a ruota da quello stupido ragazzino che doveva essere il cecchino di Cappello di Paglia "Eccezionale!" 

Infastidito, offeso e troppo orgoglioso per dargliela vinta, decisi di dare una dimostrazione del potere distruttivo della giraffa "Amanedachi!" e in quattro e quattr'otto tagliai in due la Torre della Giustizia.

Non riuscivo ancora a controllare alla perfezione il mio nuovo corpo, ma la mia professionalità mi permetteva di trarre a mio vantaggio anche gli imprevisti "Lascia perdere, ragazzino. Non puoi battermi" 

Lo spadaccino persisteva, continuando imperterrito a schivare colpi e a lanciarne di nuovi, sembrava davvero che le sue motivazioni fossero delle più forti. Per un momento, mi ricordò terribilmente me stesso qualche anno prima: durante l'addestramento, andavo avanti con la stessa invidiabile ambizione ed era stato proprio grazie a quest'ultima che mi trovavo dov'ero adesso: non avrei permesso ad un piccolo pirata di sconfiggermi.

"La pagherete cara" sentenziai velenoso, ricorrendo alla necessaria formazione della violenza verbale, da utilizzare per indebolire moralmente l'avversario. Non era una delle tecniche che preferivo: mi faceva peccare di arroganza e di superiorità, ma dopotutto era questo che mi aveva sempre indottrinato Rob Lucci.  

Per di più, in una situazione come quella, non mi sarei fatto scrupolo ad usarla "La pagherete cara voi e la vostra amica Nico Robin, in nome della giustizia!"

Fu la goccia che fece traboccare il vaso: s'iniettarono di sangue gli occhi di Zoro, come due fuochi ardenti mi minacciarono di morte e il suo corpo divenne improvvisamente ambiguo.

Sgranai gli occhi: erano davvero tre teste quelle che avevo visto?

"La determinazione, se è sincera, può travolgere qualsiasi avversario" fece sdegnoso, saltando in aria e preparandosi a scagliare un attacco che avrebbe segnato la mia fine "Asura Ichibugin!"

Fu un istante...

Grigio, grigio davanti agli occhi e nell'anima. Di un grigiore cupo e tetro che mi avvolgeva e mi voleva fare sua preda. Niente più davanti alla vista, semplicemente un profondo dolore lungo tutto il corpo e una caduta al suolo morbida, stanca e sconfitta.

Asura, è dunque questo il nome del demone che prenderà la mia vita?

Tutt'a un tratto, mi sembrò che il tempo si fosse fermato: era finito il tempo degli scontri, ora era il momento di godersi questa tregua momentanea e arrendersi all'evidente, seppur incredibile, superiorità di quei ragazzi.

Era finita, era finita per davvero.

Non c'era più niente: solo il rumore del ruscello della stanza di Jabura, le mani insanguinate sul prato fresco e l'affanno del vincitore, il quale si apprestava a togliersi la stoffa verde dalla testa, mormorando pacato "Ho un messaggio per te da parte di Paulie, il capo della Galley Company"

Annaspai sentendo quel nome, ma ogni mio respiro risultava difficile, ostacolato dal sangue, dalla stanchezza e da inguaribili tormenti "Mi dispiace, ma sei stato licenziato"

Poi vennero ad illuminarmi il viso i raggi del sole filtrati attraverso la torre tagliata. Avevo distrutto io quell'edificio, come avevo distrutto migliaia di altre cose...

"Vi ho sempre considerati amici, dei meravigliosi compagni, persone di cui potevo fidarmi!" 

Tornarono a scalfirmi la memoria le parole di Paulie, intrise di dolore e delusione, parole che non avrebbero dovuto avere effetto alcuno sul cuore cinico di un assassino, ma che proprio non riuscivo a neutralizzare: non voleva andarsene dalla mia testa l'immagine della sua espressione affranta, quella sera nella stanza del Signor Iceburg

Piangeva, Paulie, piangeva come un bambino, constatando che a guardia della camera c'erano solo due pupazzi e che i cattivi eravamo noi: probabilmente si era visto crollare il mondo addosso, forse aveva pensato che i suoi amici erano morti e che le persone che aveva conosciuto durante quei cinque anni non esistevano nemmeno.

Non pensare che la nostra amicizia sia stata una farsa, amico mio. Faceva parte del piano, ma non era mia intenzione. 

Quello che hai visto a Water Seven era Kaku in tutto e per tutto: era Kaku che ti dava di gomito quando Iceburg si metteva le dita nel naso, era Kaku che ti diceva di piantarla ogni volta che ci andavi giù pesante con il gioco d'azzardo, era Kaku che trascorreva con te gli assolati pomeriggi al cantiere e con cui ridevi per le sciocchezze più banali.

"E' così che ha detto Paulie? Certo, non posso fargliene una colpa..." 

Perdonami, amico mio, se puoi...

"Ma purtroppo se sei un killer, non ci sono molti altri lavori che puoi fare"

Mai più mi chiameranno Vento di Montagna, mai più i bambini m'indicheranno, mai più potrò saltare nel sole su quei meravigliosi tetti...

"Però potresti sempre provare in uno zoo" sdrammatizzò Zoro, evidentemente accortosi del mio essere assorto.

"Niente male" mi sforzai di sorridere, ma ciò che avrei voluto veramente fare era piangere, piangere a dirotto e senza vergogna, liberando tutti i rimorsi che si stavano prendendo gioco di me e che ora mi danzavano davanti agli occhi come dei sogni infranti.

"Questa è davvero buona" allungai la mano ferita e gli consegnai la chiave numero cinque. Dopotutto, se l'era sudata.

Eccomi, papà. Sto venendo a riabbracciarti. ©

 

 

 

 

 

 

Ebbene, spero di essermi fatta perdonare almeno un po’ per la figura di merda  per il capitolo precedente! Rileggendolo, ho avuto l’impressione di aver, come si dice dalle mie parti, arronzato parecchio…però, come vedete, ho cercato di rimediare J

Stavolta mi sono preparata proprio bene: ho rivisto gli episodi dello scontro tra Kaku e Zoro e ho riportato le stesse parole. Spero, essendo una missing moment e una delle scene su cui si scrive tanto, di essere stata abbastanza personale. Ma ovviamente a voi l’ardua sentenza!

Questo capitolo mi ha presa così tanto che ora sento di portare addosso anch’io un po’ di tristezza di Kaku! L’ultima frase, naturalmente, è il suo pensiero credendo che sia giunta la sua ora.

Però la storia non finisce qui, eh u.u

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Ventitré (Parte Due) ***


Passi. Acqua. Un fastidioso dondolio.

E' così che arriva la morte?

Mi sforzai per aprire gli occhi e questi furono immediatamente inondati dalla luce, tanto da costringermi a richiuderli ed emettere un lamento sommesso.

"Ben svegliato, principino" udii la voce di Jabura e, con aria confusa, mi accorsi che ero sulle sue spalle.

"Oi oi! Kaku ce l'ha fatta!" risuonarono lontane le parole di Kumadori.

Cercai di mettere insieme quegli stimoli cognitivi per capire cosa stesse succedendo, ma ci pensò Blueno a delucidarmi "Stiamo andando in un luogo sicuro. Non devi preoccuparti" mi accorsi con la coda dell'occhio che reggeva il corpo privo di sensi di Rob Lucci.

Era vero. Ero vivo, allora. Com'era potuto accadere? 

E se invece fosse tutto un sogno e quella non era altro che un'illusione?

"Ma bene!" sbottò Califa "Queste erano le mie scarpe migliori!" s'infuriò con i binari del treno marino sui quali ci stavamo muovendo.

"Ma sentitela!" le ringhiò contro Jabura "Siamo appena stati sconfitti da una banda di pirati da quattro soldi e il suo unico pensiero sono le sue fottute scarpe!"

"Che disfatta ad Enies Lobby, chapapa!" finalmente sentii anche Fukuro "Ma per fortuna l'abbiamo scampata al Buster Call!"

"Già" continuò l'uomo-lupo "Ma le cose si ribalteranno presto, vedrai. Intanto vediamo di raggiungere questa dannata San Popula"

"E' da quella parte, stai sbagliando strada" lo informai improvvisamente, accorgendomi prima degli altri di quanto la mia voce fosse debole e roca.

"Fantastico, si è ripreso anche Kaku!" fece lui con tono sarcastico "Se ti senti così bene, perché non scendi dalla mia maledetta schiena e cammini con i tuoi luridi piedi? Kaku?" tutto, attorno a me, divenne nuovamente buio "Hey, giraffone gonfiato, mi senti?"

Nulla. Zero. Sprofondare.

Vuoto...

 

 

 

 

San Popula era un'isola bellissima: c'erano ciliegi dappertutto e profumo di fiori aleggiante nell'aria primaverile. Potevo passare ore intere ad inebriarmi di quell'odore e ad osservare quei petali rosei che, di tanto in tanto, si posavano sui tetti delle case.

La vita continuava. E mi sorprendeva nel modo più affascinante possibile, con i suoi colori e i suoi aromi invitanti, affinché la considerassi non come una sconfitta, ma come un dono. Mi scoppiava davanti agli occhi e sembrava dicesse "Dai, perdonami...posso ancora regalarti tanto"...

I primi giorni furono i più critici: Kumadori si esibiva in strada per racimolare soldi che sarebbero serviti a pagare le spese mediche per Lucci, qualche giorno dopo a lui si aggiunsero anche Blueno e Jabura con il loro 'animal show', e Califa s'impegnò a ripulire le strade.

Io fui quello che si riprese più lentamente, dopotutto le ferite da armi da taglio non smettono di sanguinare tanto facilmente, ma non appena mi sentii meglio mi adoperai anch'io per la nostra causa comune: così, nonostante qualche fitta che ancora ci teneva a far sentire la sua presenza, mi trasformai in giraffa e feci divertire i bambini sul 'giraffa scivolo'.

Infanti, infanti e ancora infanti sul mio dorso che ridevano e si godevano la nuova giostra, e chissà che non avrei dovuto farci l'abitudine, ma almeno per il momento non potevo ancora permettermi di pensarci...

Mi piacevano i bambini: quando mi trovavo in loro compagnia tornavo piccolo anch'io e, forse, fu per questo motivo che interruppi il mio gioco con una nota di dispiacere, quando Califa e Fukuro tornarono dallo shopping e ci chiesero di seguirli per discutere sul da farsi.

"Ecco qua" la bionda svuotò la borsa soddisfatta, una volta che ci fummo seduti al bar "Questi sono alcuni beni di primaria importanza dei quali non possiamo proprio fare a meno"

"Una lametta?" chiesi disorientato, prendendo uno dei tanti affari che erano stati catapultati sul tavolino.

"Oi oi! Un rossetto?" domandò un Kumadori particolarmente sorpreso.

"E questo che roba è?" fece Jabura afferrando un piccolo pacchetto di colore rosa.

Califa arrossì all'istante, strappandogli l'oggetto dalle mani e insultandolo "Sei un porco, non cambierai mai!"

Anche l'uomo-lupo arrossì, rendendosi conto di cosa contenesse in realtà quel pacchetto e sfregandosi le mani rugose come se avesse appena toccato qualcosa di disgustoso "Cazzo, avresti potuto avvisarmi! Che schifo!"

A quel punto, tutti scoppiammo a ridere e nello stesso istante arrivò la cameriera con le ordinazioni "Il the è tuo?" mi chiese con sguardo languido.

Annuii senza darle troppo conto, ancora preso dalla scena comica di poco prima.

"Sei soltanto un lupo pervertito, ma non credere che io..."

"Mi spieghi cosa diavolo ce ne facciamo dei tuoi acquisti da femminuccia? Avresti potuto comprare del cibo, no?"

"Io almeno mi sono prodigata per andare a fare qualcosa di utile, invece di..."

"Idiota con la cerniera, tu chi cazzo stavi guardando? Perché non hai fatto qualcosa, ora come..."

"Ragazzi!" ci raggiunse Blueno con il fiatone "Venite! Sembra che Lucci si sia svegliato"

"Ma che bella notizia, chapapa!"

Jabura si alzò e diede un forte scossone alla sedia "Avanti, vai a portargli uno dei tuoi rasoi effemminati!"

"Sei proprio uno..."

Non sentii l'ultima parte della frase, perché mi ero già alzato e diretto verso la cassa: contai le monete che avevo in tasca e, con un sorriso di chi sa già come vanno a finire le cose tra due accaniti litiganti, pagai la nostra consumazione scuotendo la testa.

"Siete turisti, vero?" mi chiese la cameriera che poco prima mi aveva servito il the.

"Sì" annuii non riuscendo a smettere di sorridere, incautamente e senza presentimento alcuno.

"Da dove venite, se posso?" fece con occhi curiosi ma anche brillanti.

Mi rabbuiai tutt'a un tratto. Da dove venivamo?

Ma poi, per fortuna, la mia esperienza nel mentire ebbe la meglio "Dal Mare Occidentale"

"Capisco" si aprì in un radioso sorriso, mentre incassava i soldi e tralasciava alcune monete "Il tuo the l'ha offerto la casa, d'accordo?" 

La guardai sorpreso: in un istante interminabile i nostri sguardi s'incrociarono, dopodiché lei mi fece un occhiolino e sparì ad occuparsi di altri clienti.

Incredibile essere trattato come un ragazzo normale. Mi ricordò tremendamente la sensazione che provavo quand'ero il carpentiere del Dock 1, essere una persona tra le persone, senza poteri particolari, senza licenza di uccidere.

Ma fino a che punto mi piaceva essere uno qualunque?

In breve tempo anche Lucci si riprese e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, noi tutti sapevamo che ci era riconoscente per ciò che avevamo fatto: stavamo riscoprendo un nuovo gioco di squadra, uno spirito che non si basava più sulla semplice collaborazione lavorativa, ma che s'insinuava anche nei rapporti interpersonali e sfociava in qualcosa che, in maniera molto sbiadita, forse rasentava l'amicizia.

Il pensiero venne confermato quella sera al bowling, quando tutti ci divertimmo a sfidarci in un semplice sport che non era necessariamente fare a fette le persone o estorcere informazioni sotto tortura, ma era svago spensieratezza e la prova schiacciante che anche la temuta CP9 poteva vivere serenamente come tutti gli altri esseri umani.

E quanta gente abbiamo fatto soffrire, per arrivare a questo: pensai a Paulie, a Lulu, a Tilestone o allo stesso Signor Iceburg

Segretamente, clandestinamente e molto profondamente, vi porterò nel cuore assieme al sole di Water Seven.

SEMPRE...

I problemi arrivarono la mattina successiva, quando sull'isola sbarcarono i pirati di Candy "Buongiorno, cari sudditi della regina di primavera! Pronti a consegnarci i vostri soldi?"

Sotto lo sguardo allibito degli abitanti dell'isola, in qualità di delegati della giustizia ci battemmo contro quei miseri pirati e li sconfiggemmo in un batter d'occhio, causando non pochi commenti sorpresi circa la nostra forza.

Fu un gioco da ragazzi nonostante le ferite ancora in via di guarigione, ma di certo questi avversari non avevano nulla a che vedere con i pirati di Cappello di Paglia: la grinta di quei ragazzi, diavolo, superava di gran lunga quella di qualsiasi marinaio del globo.

Ero felice di aver combattuto contro di loro. Ero stato felice sin dal momento in cui Roronoa Zoro mi aveva lasciato in agonia nella Torre della Giustizia. 

Ma dopo quell'episodio, era giunto davvero il momento di lasciare San Popula: i cittadini ci acclamarono con ardore, ci chiesero di restare, ma Jabura ci disse che l'isola in cui era stato addestrato per diventare un membro del governo distava solo pochi giorni di navigazione, quindi decidemmo di dirigerci lì: se non altro, almeno uno di noi poteva finalmente tornare a casa.

Ma di fatto ci sentimmo a casa tutti quanti, quando vedemmo i piccoli aspiranti agenti segreti allenarsi duramente e venerarci come degli dei: ed eccomi di nuovo tra i bambini, inconsciamente, a provare la stessa strana sensazione di aspettativa che mi aveva turbato a San Popula.

I ragazzini ci chiedevano consigli, ci ammiravano e ci costringevano ad insegnargli tutto quello che sapevamo, spesso venendoci anche a svegliare nel cuore della notte solo per provare un determinato attacco che non gli era riuscito bene, oppure per domandarci come avevamo fatto ad arrivare dove eravamo.

Insomma, il tutto creava un certo impatto emotivo. Spesso mi passavo una mano sulla fronte, cercando di mettere a tacere vecchi ricordi.

Prima o poi il passato ti verrà a cercare, questo lo sai, vero?

Furono piacevoli quelle due settimane, volate via come il vento, ma si sa che tutto ciò che è bello non può durare: come a confermare questa vecchia scuola di pensiero, arrivarono i marines a guastarci le feste.

Dopo gli avvenimenti di Enies Lobby, eravamo stati accusati di poca efficienza, di scarso senso della giustizia e di mancata applicazione delle leggi. Insomma, Spandam aveva fatto di noi dei criminali.

"Quel figlio di puttana!" si arrabbiò Jabura "Vi rendete conto che ora non ci darà più pace? Brutto pezzo di merda di quella..."

Dopo aver sconfitto i marines senza nessuna difficoltà, Rob Lucci afferrò un lumacofono in tutta calma: nessuno di noi sapeva quello che stava facendo "Buonasera, Spandam. E' il suo subordinato Rob Lucci che le parla..."

Dall'altro capo silenzio, tensione e una crescente paura percepibile anche a distanza: era lui, era l'indegno.

"Noi torneremo" e con queste parole ferme e solenni, la comunicazione s'interruppe, lasciando questo messaggio chiaro e conciso.

"Ma allora ve ne andate?" piagnucolarono i bambini.

Califa accarezzò i capelli ad una biondina alla quale si era particolarmente affezionata "Dobbiamo"

E così lasciammo anche quella terra, con un po' di amarezza ma anche più determinati che mai.© 

 

 

 

 

 

Ebbene, ecco a voi il capitolo di San Popula! Per chi non lo ricordasse, questi avvenimenti sono riportati nelle miniavventure del manga dal capitolo 491 al 528, si tratta di semplici immagini con qualche didascalia, ma io ovviamente ci ho ricamato sopra…a questo punto la mia strada si separa da quella tracciata da Oda e dal prossimo aggiornamento si tratterà soltanto della mia fin troppo fervida immaginazione.

La sfumatura che si percepisce tra Califa e Jabura non era prevista, ma alla fine mi divertiva così tanto che ho deciso di lasciarla!

P.S. Con la nuova funzione di efp abbiamo la possibilità di far inserire Kaku nella lista dei personaggi: ci servono 15 voti, quindi su!!! Chi segue questa storia ha il dovere morale di votarlo u___u conto su di voi!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Ventitré (Parte Tre) ***


Poco a poco, si fece strada dentro me la lontana idea di tornare a casa. Idea che fino ad allora era stata utopica, sbiadita, ma allo stesso tempo tanto desiderata: quante volte avevo immaginato di rimettere piede al porto di Kodama, quante volte avevo fantasticato sulla sorpresa che avrebbe avuto la mia famiglia nel vedermi arrivare.

Loro, loro che non sapevano nemmeno dove diavolo ero stato duranti quei cinque lunghi anni, loro che avevano solo una piccola percezione del mio ruolo all'interno del governo mondiale, loro ai quali mi ero vietato di pensare, perché se vuoi essere un esperto membro di un'organizzazione segreta non devi avere né passato né scrupoli a tormentarti.

E forse ero proprio diventato un killer spietato, forse non mi avrebbero neanche riconosciuto, forse chiudere in un cassetto i ricordi fa sì che quando li riapri ti cadano addosso in modo così violento da seppellirti sotto il loro peso...

Ma quando scoprimmo che Kodama era vicina, decidemmo subito di dirigerci lì: non ci pensai due volte a fiondarmi a casa, ormai rappresentava una sorta di meritato riposo dopo un lavoro che mi era sembrato ininterrotto.

Così, dopo qualche giorno di navigazione, raggiungemmo finalmente il paradiso: non mi sembrava vero...era davvero giunto il momento di ricongiungermi con la mia terra.

Ricordati di Kodama in festa, del porto addobbato e delle grandi imbarcazioni che sovrastavano regine tutte le altre, del vento fresco e dell'inconfondibile profumo del pane appena sfornato...sogno o son desto?

Non appena sbarcammo, prendemmo immediatamente a camminare per le vie della città e tutto mi parve proprio come l'avevo lasciato: i ladri travestiti da imprenditori, la villa del sindaco, la chiesa centrale, le casette a schiera...le casette a schiera.

Mentre i miei colleghi si guardavano ancora attorno, balzai come un felino sul tetto rosso di un'abitazione "Giraffone!" mi chiamò Jabura dal basso "Ti sembra il momento di fare stronzate?"

Il vento cercò di portarmi via il cappello "Sì" mormorai assorto, godendomi lo spettacolo da sogno che si poteva ammirare da lassù "Questo è proprio il momento adatto per le stronzate"

"Oi oi Jabura! Ricordati che Kaku non vede il suo villaggio da cinque anni!"

"E allora? Anch'io non vedevo l'isola in cui mi ero allenato da tanto tempo, eppure non ho fatto tutte queste moine, quando..."

L'aria e i gabbiani che mi sfrecciavano accanto mi fecero perdere le parole dell'uomo-lupo, ma non le rimpiangevo: in un istante ero tornato un diciassettenne, ero libero, libero come un gabbiano in volo e non vedevo l'ora di saltare sempre più in alto, sempre più in alto come il vento di montagna...

Eccola, era tornata quell'aria familiare a dare adito ai miei polmoni, il tempo non era mai passato, ero lì come lo ero sempre stato anche quand'ero lontano e quei tetti li cercavo nei tetti di Water Seven, speranza insistente messa a tacere dal senso del dovere e dall'imposizione personale.

Sorvolai la piazza, il parco, la vecchia scuola, il centro storico, per poi distinguere l'invitante profumo della panetteria. Fermai i miei salti e feci un respiro profondo: ci siamo.

Con cautela, scesi dal tetto sotto gli sguardi sorpresi dei passanti che solo in quel momento cominciarono a capire chi fossi, dopodiché entrai nel negozio senza troppe cerimonie.

E i nostri cuori persero tre battiti, mentre ci guardavamo negli occhi e pian piano ci riconoscevamo...

Diversi panini caddero rovinosamente a terra, sfuggiti alla presa di mia madre divenuta improvvisamente nulla, e svariate monete li raggiunsero subito dopo, quando anche mia sorella si fu accorta del mio ingresso.

"KAKU!" tuonarono entrambe, dimenticandosi completamente dei clienti e correndo ad abbracciarmi, quasi travolgendomi.

"Oh, mio Dio!" pianse mia madre "Sei davvero tu?"

"Fratellone!" anche Kyoko mi bagnò la felpa "Sapevo che saresti tornato!"

Cercai di reprimere le lacrime e mi sforzai invece di ridere, ridere a crepapelle per quell'affetto ritrovato "Sono felice di vedere che state bene" il periodo trascorso nella CP9 mi aveva insegnato a controllare le mie emozioni "Kyoko! Sorellina, quanto sei cresciuta!" 

La sedicenne fece una giravolta, sorridendo soddisfatta "Però gli insetti sono sempre il mio piatto preferito!"

"Questa volta sei tornato per restare, spero" esclamò mia madre, asciugandosi gli occhi lucidi.

"Mamma, ho portato gli strumenti di legno che mi avevi..." la voce alle nostre spalle si bloccò, inghiottita, strangolata non appena tutti e tre ci voltammo verso la porta. I clienti erano tutti usciti, soltanto un ragazzo più giovane di me di qualche anno e che mi assomigliava terribilmente si era appena pentito di aver attirato la nostra attenzione. 

"Milo..." mormorai con un filo di voce.

"Kaku..." fece lui di rimando, abbassando lo sguardo.

Mia madre mi diede una gomitata, così mi avvicinai a mio fratello e, ormai senza più riserva, lo strinsi in un forte abbraccio e a quel punto, malgrado gli sforzi da professionista, l'acqua non ne volle sapere di restare nei condotti lacrimali "Mi sei mancato, coglione!"

"Anche tu!" riuscii a sentire un certo tremolio anche nella sua voce "Ma resterai sempre un presuntuoso del cavolo, sapu-Kaku!"

In un istante, anche Kyoko e la mamma furono accanto a noi e completammo il quadro di una famiglia che per troppo tempo era stata separata: il mio sogno più ricorrente, era ormai tornato ad essere la semplice, naturale e meravigliosa realtà.

E il mio cuore rischiava di esplodere dal petto, troppe volte l'avevo incatenato e costretto ad eseguire gli ordini del suo intransigente e severo proprietario. Ora, finalmente, poteva considerarsi di nuovo libero: libero di sprizzare nuova linfa vitale, libero di non avere più segreti e misteri da nascondere.

Ci vedi, papà, da lassù? 

"Dovete conoscere i miei amici" dissi con entusiasmo "Abbiamo lavorato e viaggiato insieme e per un po' resteranno su quest'isola"

"Sono curiosa di vederli, fratellone! Sono tutti forti come te? E tu quanto sei migliorato dall'ultima volta?"

Scoppiai a ridere "Sono certo che ti piaceranno un sacco"

E in effetti non mi sbagliavo: Kyoko adorò gli altri membri della CP9 a prima vista e anche da parte loro ci fu subito simpatia (soprattutto tra Milo e Jabura, che parvero essere fatti l'uno per l'altro), mia madre per l'occasione decise di chiudere la panetteria e farci accomodare tutti a casa.

"...e Sophie?" osai finalmente chiederle sottovoce.

"E' in casa ad aspettarti" mi posò una mano sulla spalla, cercando d'infondermi un po' della sua sicurezza.

Chiusi gli occhi e sospirai: avrei dovuto essere pronto...avevo immaginato la scena tante di quelle volte, eppure ero sicuro che sarei rimasto spiazzato ugualmente.

Preparazione psicologica, vieni a mancare giusto nel momento del bisogno e mi abbandoni inerme, senza difese di fronte all'inevitabile.

Sophie ebbe la stessa reazione di cinque anni prima: sgranò gli occhi marroni osservandomi, il suo sguardo non conobbe gli altri e, dopo un attimo di scombussolata esitazione, si gettò tra le mie braccia "Ti amo" mi baciò profondamente, stringendomi il collo e lasciando che la stringessi anch'io, trasmettendole tutto il mio calore "Ti amo anch'io"

Le sue labbra avevano lo stesso amorevole sapore di sempre e la strinsi ancora più forte, fino a pensare di poterle fare del male.

"Insomma, dateci un taglio!" sbottò Milo "Non avrete mica intenzione di farne un altro?"

Le nostre labbra si lasciarono lentamente, come se una vecchia certezza ci avesse invasi da lontano, dopodiché notai una bambina che si nascondeva dietro la porta della camera da letto. Calò il silenzio: Sophie mi sorrise dolcemente, cercando probabilmente d'incoraggiarmi, poi m'inginocchiai e mi misi anch'io ad osservare quella piccola persona che mi stava scrutando di nascosto.

"Io sono Kaku" cercai di dire con il tono più affabile del mondo e allungai una mano.

Pian piano, la bambina prese coraggio e si fece avanti timorosa, stringendo tra le braccia un buffo orsacchiotto rosa. Ne avevo visti di bambini, ma quella era certamente la più bella del mondo: i suoi capelli erano color dell'oro e i suoi occhi sembravano cioccolato fuso, per di più non c'era ombra dei miei tratti squadrati sul suo volto, ma soltanto una carnagione bianca e dei lineamenti gentili che la rendevano la copia esatta di Sophie. Me ne rallegrai.

"Papà?" si fermò ad un palmo da me e non seppi dire se per lo sguardo che mi rivolse, o per il tono con cui me lo chiese, oppure per la parola in sé, ma sentii il cuore balzarmi in petto.

Infatti riuscii solamente ad annuire debolmente, sentendomi gli sguardi di tutti i presenti addosso "Ciao, Eleanor" sussurrai.

La piccola abbozzò un sorriso, ma invece di toccare la mia mano, fece scivolare le minuscole dita sul mio naso "Dici un sacco di bugie, papà?"

Non potei fare a meno di ridere e, dietro me, percepii anche altre risate "Qualche volta" confessai.

A quel punto, Eleanor mostrò i primi dentini e mi abbracciò, felice come una Pasqua: restai sorpreso da quel contatto, ma poi mi sciolsi anch'io, trascinato dal suo amore infantile e facendole sentire il mio amore paterno ed incondizionato.

Un attimo dopo, accanto a noi ci fu anche Sophie, suggellando quell'abbraccio e ricordandomi che, ormai, di famiglie ne avevo due.

"Coraggio, ragazzi" ci riscosse mia madre, anche se avrei giurato di vedere una lacrima sul suo volto "Sarete affamati, accomodatevi a tavola"

Non seppi dire chi fosse più infantile tra mia sorella e mia figlia, le quali si divertivano a giocare con la stramba capigliatura di Blueno e con la cerniera di Fukuro, mentre Milo sghignazzava con Jabura, Califa conversava con Sophie e Kumadori aiutava la mamma a servire le pietanze con tanto di grembiule casalingo.

Soltanto Rob Lucci se ne stava taciturno e in disparte ma io sapevo che in fondo, ma proprio in fondo, un po' faceva piacere anche a lui stare in nostra compagnia.

Fu una cena piacevole e divertente, nonostante le continue richieste di parlare del nostro lavoro e del perché ci trovassimo tutti lì: mi sembrò di essere tornato ai vecchi tempi, ma con la presenza di nuove, straordinarie persone.

Quando tutto fu finito e i piatti lavati, io e Sophie andammo a mettere a letto Eleanor "Si è fatto molto tardi, non è abituata" sorrise sua madre, mentre osservava divertita il mio tenerla tra le braccia addormentata.

Adagiai con delicatezza il corpicino sul letto e, spegnendo la luce, uscimmo dalla stanza "Ti ha amato dal primo momento" risuonarono gradevoli le parole di Sophie ai miei timpani "L'hai conquistata con una semplice risata, proprio come me"

Mi venne da sorridere, mentre entravamo nella nostra camera e la ragazza si sedeva sul letto "Quanto mi sei mancata" la baciai con passione, allungando le mani sulle sue cosce e lasciando che mi avvolgessero.

"Mi sei mancato anche tu" rispose al mo tatto, offrendomi il collo e facendo sì che le mie labbra si posassero fameliche anche lì.

Per qualche assurdo motivo, credevo che sarebbe stata intimorita dai muscoli che avevo sviluppato durante l'addestramento, ma dovetti convincermi del contrario: Sophie mi saltò letteralmente addosso, tastando quelle nuove forme e spogliandomi più velocemente del dovuto.

E così mi gettai a capofitto tra le sue grazie, dimenticando il resto del mondo per un istante, il lavoro, Water Seven, Cappello di Paglia, Enies Lobby, Roronoa Zoro, tutto in un vorticoso turbine che si azzerò nella femminilità della mia donna...

 

 

 

 

"C'è una cosa che devo mostrarti" avvertii Sophie con tono serio.

Lei sorrise "Una cosa eccitante?"

Scoppiai a ridere "No, ma spero ti piaccia ugualmente" mi sbottonai il colletto della camicia "Non spaventarti"

L'espressione della fanciulla si fece pensierosa, ma dopo che mi fui trasformato trattenne a stento la sorpresa "Tesoro, cosa ti è successo?"

Nel giro di un secondo, si era ritrovata di fronte un'enorme giraffa imbarazzata "Beh..." dissi piano "E' stato un regalo del mio ex capo. Ti piace?"

Sophie si portò le mani alla bocca, arrossendo lievemente, ma poi proruppe in una sonora risata "Assolutamente sì!"

"Su, non ridere" fu il mio turno di arrossire "Piuttosto, credi che ad Eleanor farà paura?"

Si portò un dito sotto il mento, ma continuò ad avere quell'adorabile sorriso divertito "Possiamo fare un tentativo"

E infatti dopo lo sbalordimento iniziale, Eleanor si mostrò tutt'altro che spaventata: anzi, volle subito salirmi in groppa e fare un giro sul suo nuovo animaletto.

"Tieniti forte, tesoro" le suggerii con apprensione, al che la bambina si aggrappò al mio dorso e fu ben felice di sfrecciare con me nella zona immediatamente fuori casa.

Poi, improvvisamente, comparve mia madre con un bastone tra le mani e me lo puntò contro con aria minacciosa "Lascia subito la piccola, brutto giraffone!"

"Mamma, sono io!" cercai di scansare i suoi colpi evitando di attaccarla, mentre Eleanor se la rideva, beata.

"Ora ti faccio vedere io, brutto..."

"Mamma!"

Quando finalmente mi riconobbe, erano già accorsi tutti gli altri e risero di gusto in coro, facendomi arrossire ancora di più "Figliolo, perdonami, non potevo immaginare!"

"Certo, mamma, certo"

"La gioia di ritrovarsi una giraffa come figlio" rise sfacciatamente Jabura.

"E come padre!" lo seguì a ruota Milo.

I giorni trascorsero veloci e spaventosamente belli, così tanto da temere di svegliarmi dal sogno da un momento all'altro; spesso io e Sophie ci ritrovavamo a letto senza nulla di speciale da dirci, ma semplicemente a godere l'uno della compagnia dell'altra, forse in questo modo avremmo compensato gli anni in cui eravamo stati lontani; e quello era proprio uno di questi momenti, una mattina in particolare, in cui nessuno dei due aveva voglia di alzarsi: quando Sophie si decise a farlo, tra uno sbadiglio e l'altro, si avvicinò alla finestra che dava sul porto e mi rivolse una domanda alquanto strana "Tesoro, aspettavi visite?"

"Cosa?" feci distrattamente e, dopo che mi fui alzato anch'io, la raggiunsi e le cinsi i fianchi.

"Cosa sono tutte quelle navi?" chiese ancora, con lo sguardo stranito puntato fuori dalla finestra.

Tutt'a un tratto, anche i miei occhi si posarono sul panorama in lontananza: sul mare si stagliavano bianche le vele di una larga moltitudine di vascelli.

Le mie mani scivolarono dal corpo della donna, mentre un'espressione sconvolta prese forma sul mio viso "Sophie..." riuscii a dire debolmente "Chiama Lucci e gli altri...la battaglia non è ancora finita" ©

 

 

 

Chiedo scusa per il ritardo: questo capitolo ha richiesto un po’ di lavoro in più! Spero vi sia piaciuto, anche se quando l’ho scritto mi sembrava più lungo xD avrete notato i riferimenti al capitolo in cui Kaku torna a Kodama dopo qualche mese dall’addestramento, e il rapporto di complicità che si è creato tra Milo e Jabura.

Non amo molto il fluff, ma che ci volete fare, l’aria natalizia contagia proprio tutti! Buon Natale J

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Ventitré (Parte Quattro) ***


"Kaku, che succede?" Kyoko uscì dalla sua stanza come una furia "Mi rispondi, per favore?"

"Lucci, sono qui" mi rivolsi immediatamente al mio compagno, avviandomi in cucina e non degnando mia sorella della minima attenzione "Califa, Blueno, sono venuti a prenderci!"

"Figliolo, chi è venuto a prendervi?" mi corse incontro la mamma, cercando di tranquillizzarmi, ma non ci fu verso: mi portai le mani nei capelli e presi a camminare nervosamente avanti e indietro "Non è possibile...sono venuti fin qui"

"Di chi diavolo stai parlando, sapu-Kaku?" mio fratello mi guardò come se fossi impazzito.

"Tu lasciali venire" rispose finalmente Rob Lucci, il quale se ne stava placido a sorseggiare the seduto al tavolo "Gli faremo un'ottima accoglienza"

"Già, è da tanto che non faccio a pezzi qualcuno" rise Jabura, guadagnandosi un'occhiata sconvolta da parte di mia madre.

"Sta solo scherzando, non si preoccupi" la calmò Califa, mollando un possente pugno nelle costole all'uomo-lupo.

"Ma vi ha dato di volta il cervello?" sbottai improvvisamente "Cos'è questa serenità?" ero a dir poco incredulo "I marines stanno arrivando! Distruggeranno l'isola se non facciamo subito qualcosa!"

Mi raggiunse Sophie, stringendosi uno scialle attorno alle spalle e accarezzandomi il braccio "Tesoro, cos'è questa storia? Perché sei scappato così dalla camera da letto?"

Mi portai una mano sul volto "Mi dispiace...mi dispiace, Sophie, non era così che dovevano andare le cose"

"Vuoi darti una calmata, per favore?" mi prese le mani e mi guardò negli occhi.

"Non volevo portarli qui..." sussurrai a mezza voce "E' stata una stupidaggine, li ho condotti fino a voi"

"Hey, hey" mi sfiorò il viso con le mani sottili e appoggiò la fronte sulla mia "Va tutto bene, ti prometto che fronteggeremo qualsiasi complicazione. E poi...i tuoi amici non sembrano così preoccupati"

"Certo, perché è la mia famiglia che faranno fuori!" mi liberai dalla sua presa e ringhiai contro Jabura, il quale mi fermò "Ascolta, giraffone incacchiato: quegli smidollati non cercano solo te e tu lo sai, perciò..."

"Combatteremo tutti insieme, chapapa!" 

"Oi oi, come abbiamo sempre fatto!"

Riuscii a regolarizzare il respiro per un istante, scrutando le espressioni tutt'altro che impaurite dei miei compagni "Non devi agitarti, Kaku" fece Blueno "Non li faremo avvicinare alla tua famiglia"

Non potei dire nulla, riuscii solo a deglutire pesantemente. I pensieri mi si azzerarono e i brutti presentimenti cessarono per un nanosecondo.

"Qualcuno vuole spiegarmi che cavolo sta succedendo?" urlò tutt'a un tratto Kyoko, piantando le braccia lungo i fianchi e stringendo i pugni.

"Te lo spiego io" si offrì volontaria Califa.

Dopo un attimo, però, udimmo il pianto di Eleanor provenire dalla sua stanza "Vado io" disse subito Sophie.

"Vengo con te" mi aggiunsi senza pensarci.

Quando entrammo nella camera della bambina, la presi in braccio e le accarezzai i capelli con delicatezza, mentre sua madre le baciava una piccola mano "Non è niente, tesoro, non è niente"

"Ho sentito..." singhiozzò sulla mia spalla "Ho sentito che vogliono fare del male a papà...non voglio, ho paura!"

Le baciai la fronte "Tranquilla, Eleanor. Nessuno mi farà del male, né gli permetterò di farne a te" sgranò i grandi occhi marroni nei miei e mi ricordò terribilmente Sophie "Devi credermi, piccola mia"

Non avrei permesso a nessuno di portarmi via la mia famiglia ritrovata. Avrebbero dovuto passare sul mio corpo, spiaccicarlo se necessario, ma non me ne sarei stato con le mani in mano: li avrei protetti fino all'ultimo briciolo di forze che mi sarebbe rimasto in corpo.

Dopo circa cinque minuti, risuonò per tutta Kodama una possente voce da un megafono "CP9! So che siete qui! Venite fuori, prima che appicchi il fuoco in questo maledetto porto!"

I miei occhi si fecero sbigottiti, come probabilmente dovevano essere quelli dei miei compagni: Spandam.

"Venite" guidai Sophie ed Eleanor fuori dalla stanza, dopodiché ci ritrovammo di nuovo in cucina con tutti gli altri: Kyoko, Milo e la mamma mi guardarono con apprensione, ma anche determinazione, forse Califa aveva appena finito di raccontare loro della nostra avventura ad Enies Lobby.

"Blueno" dissi con fermezza "Porta la mia famiglia in un luogo sicuro, dopo ci raggiungerai al porto"

"Cosa?" protestarono in coro i miei fratelli "No!"

"Se c'è da combattere, voglio aiutarti!" mi gridò in faccia Milo "Tu non lo sai, ma sono diventato piuttosto bravo con le spade!"

"Posso farlo anch'io!" continuò Kyoko "Ti prego, fratellone, non costringerci a non collaborare!"

"Kaku..." riuscì a dire debolmente mia madre con un'espressione affranta che le avevo visto solo in rare occasioni.

"Oi oi, può essere pericoloso!" li avvertì Kumadori "Non avete idea di cosa vi aspetta!"

"Non m'importa!" lo sfidò ancora mia sorella.

Feci cenno a Blueno di non ascoltarli e, infatti, l'uomo aveva già aperto una porta nel vuoto e si apprestava a farci entrare mia madre "Se non volete andare di vostra spontanea volontà" gli dissi con le lacrime agli occhi "Allora vi farò entrare con la forza"

A quel punto, la donna si convinse che sarebbe stato meglio per tutti e mosse il primo passo, trascinando con sé anche i due figli nonostante le lamentele e i dimenamenti, perché se c'era una dote in cui mia madre eccelleva quell'era la perspicacia: aveva capito che, probabilmente, ci sarebbero stati solo d'impiccio ed io, segretamente, le ero grato.

Così, con un lacrimoso "Sta' attento, figlio mio" sparì dalla mia vista.

Cercai d'ignorare il magone che mi aveva assalito e baciai Sophie con tutto l'amore che mi era rimasto "Vi amo. Perdonatemi" accarezzai una guancia ad Eleanor.

"Dobbiamo andare anche noi, papà?" pianse la bambina, terrorizzata "Vieni anche tu!"

"Kaku" mi trattenne sua madre "Non voglio perderti di nuovo, ti prego"

"CP9!" tuonò ancora Spandam dal megafono.

E, senza il tempo di rassicurarla, la vidi inghiottita da quella porta sospesa. 

Se li avrei rivisti? Non ci volevo pensare, lungi da me l'idea di perdere per sempre quella gioia.

"Andrà tutto bene, chapapa!" Fukuro provò a consolarmi appoggiandomi una grossa mano sulla spalla.

"Grazie, amico"

E decisi come soldati in guerra, camminammo fieri verso il campo di battaglia.

 

 

 

 

 

"Chi non muore si rivede!" ci accolse Spandam con un ghigno malevolo.

La tentazione di saltargli addosso e ridurlo a brandelli era forte, ma riuscimmo a controllarci "Riporti ancora delle ferite, vedo" notò Rob Lucci in tutta tranquillità.

"Anche tu, mio devotissimo...LUCCI" intrise d'odio il nome del mio compagno, sfoderando la sua spada-elefante come fosse una portentosa arma distruttiva. Ma cosa sperava di fare con quel giocattolo?

"Che fine hanno fatto tutte le autorità portuali che erano qui?" mi guardai attorno circospetto, accorgendomi che attorno a noi non c'erano altro che marines con le armi puntate verso il nemico.

"Hanno deciso di sgomberare il campo" m'informò con un sorriso crudele "Ma non preoccuparti, mio caro Kaku: è stato fatto pacificamente, senza nessuna macchia di sangue" non potei fare a meno di rivolgergli un'occhiataccia, credevo ben poco alle sue luride parole falsamente cordiali "Questa è la tua terra natale, vero?" continuò "Pensavi davvero che sarebbe stata al sicuro?"

"Che diamine vuoi dire, bastardo?" avanzai verso lui, ma Kumadori mi trattenne.

"Uomini!" chiamò improvvisamente, dopodiché alcuni marines tirarono fuori Blueno, la mia famiglia, Sophie ed Eleanor.

"NO!" urlai, in preda al panico "Come...BLUENO! Ma che diavolo..."

Erano tutti legati, compreso il mio collega con l'agalmatolite e sembravano dispiaciuti "Mi dispiace, Kaku, ma..." le manette non gli concessero di terminare la frase, troppo debole per emettere alcun suono.

Spandam rise come un forsennato "Tranquillo, amico giraffa: non gli è stato torto un capello! La tua adorabile figlioletta te lo può confermare, vero?"

Non mi voltai a guardarli, sentivo soltanto il pianto di Eleanor che mi scuoteva l'anima e sapevo che avrei dovuto agire, avrei dovuto assassinare davanti a loro e mostrargli così il mostro della giustizia che ero diventato.

"Consegnatevi al governo mondiale" ci diede un ultimatum l'indegno "E a questi cittadini innocenti non verrà fatto alcun male. Non costringetemi a liberare il carico ventitré" aggiunse con una punta di malizia.

"Che cazzo è questo carico ventitré?" chiese Jabura con crescente rabbia.

"Lo vedrete presto" si strofinò le mani e rise in modo poco promettente.

E a quel punto capimmo che avremmo dovuto dichiarare guerra perché, si sa, non avremmo avuto altra scelta: ci schierammo in fila orizzontale, facendo schioccare le dita e i colli e preparandoci all'inevitabile.

Non mi guardare, ti prego, non mi guardare. Mai avrei voluto farti assistere a spettacoli come questi.

Quando fu sferrato il primo colpo, si generò la battaglia: senza pensarci due volte, io mi fondai immediatamente verso il responsabile, ma questi fu prontamente coperto da una decina di subordinati.

"Levatevi di mezzo, ragazzini" li colpii uno ad uno velocemente "Mi siete d'intralcio"

In un istante la carneficina ebbe inizio e mi parve di sentirmele dentro, le preghiere che si soffocavano nel cuore di mia madre, lo stringersi di Eleanor tra le braccia di Sophie, la voglia matta di dare un contributo per la difesa dell'isola di mia sorella e mio fratello.

Non temete: ci penserò io a proteggere Kodama, dovete fidarvi.

Le mie spade fluttuarono nell'aria e andarono a tagliare i corpi di svariati uomini per poi tornare nella mia ferrea presa, sentivo gli altri combattere al mio fianco, mentre mi ripetevo quanto fosse codardo Spandam a non battersi personalmente.

Ma sotto il comando di chi ero stato per tutto quel tempo?

Ben presto si alzò una fitta polvere, mentre facevo roteare le mie armi e udivo rumori metallici a destra e a manca "Storm Leg

Cos'avrebbero detto le persone dell'isola? Speravo vivamente che nessuno avrebbe osato avvicinarsi al porto.

"Soru" Lucci si era avvicinato alla mia area di combattimento e ne faceva fuori uno dopo l'altro "Shiganper lui doveva essere un gioco da ragazzi, nonostante non si fosse ancora ripreso completamente da Enies Lobby.

Saltai e feci roteare i piedi in aria, dopodiché sferrai un colpo mortale con le lame che ferì anche diverse navi ancorate: il rumore fu martellante, grandi quantità di legno caddero rovinosamente in acqua e si spappolarono su altre.

Non voltarti a guardare Sophie che si porta le mani alla bocca, sotto shock per il tuo gesto "Kaku..." la senti sussurrare tra le grida, la sua voce miracolosamente ti arriva più di tutte le altre, ma sai che non puoi fermarti.

"Tekkaicontinuai ad usare imperterrito le Rokushiki, ma poi mi accorsi che Jabura si era già trasformato in lupo e combatteva egregiamente grazie ai poteri del frutto del diavolo.

L'atmosfera si evolse e si distaccò del tutto da quelle affrontate in precedenza: a motivarmi, infatti, non c'era più solo la mia ambizione, ma una vera e propria missione: salvare la mia casa e la mia famiglia. A tutti i costi.

D'un tratto eccolo, Spandam, alzarsi sulla folla e tuonare come se niente fosse "LIBERATE IL CARICO VENTITRE'!"

Non riuscii a reprimere un moto di preoccupazione, che ben presto si tramutò in paura: ne avevo sentito parlare, ma non ero sicuro che il governo avesse deciso di finanziarli veramente: i pacifista.

I pacifista avanzarono dalla parte retrostante di una massiccia nave da guerra e vennero verso noi, più decisi e spietati che mai, e sapevo che anche i miei compagni erano rimasti sorpresi da una simile mossa.

Non avere paura, piccola. Papà li sistemerà, vedrai.

La loro massa si ergeva imponente di fronte a noi, il viso di Orso Bartholomew fu improvvisamente dappertutto: non bastavano i marines a guastare le feste, ci volevano anche quei dannati cyborg.

In meno di un secondo, iniziarono a lanciare esplosivi in tutte le direzioni, sembrava quasi che andassero a ruota libera, impazziti, non ancora perfettamente collaudati: parecchi marines furono colpiti e scaraventati a terra senza pietà, mentre la nostra squadra ancora resisteva e scansava i laser con la forza della disperazione.

Con la coda dell'occhio riuscii a vedere che Milo e Kyoko erano riusciti a liberarsi ed ora si accingevano a tagliare le corde che imprigionavano nostra madre e Sophie; mentre Blueno, probabilmente già libero da un pezzo e Dio sa come, si occupava delle guardie circostanti.

Inghiottii un ringhio rabbioso, quegli incoscienti non conoscevano il pericolo al quale si stavano esponendo, ma allo stesso tempo tirai fuori tutta la mia determinazione e assunsi la forma animale.

Provate ad avvicinarvi, miseri umani.

Tutt'a un tratto, però, la mia attenzione fu richiamata da urla che conoscevo bene "Aiuto! Mollami, sudicio soldato corrotto!"

"Mamma!"

Il mio olfatto animale non ci vide più dalla rabbia quando percepì l'odore del sangue di Sophie: il suo sangue sacrificato per un così banale motivo. Mi voltai finalmente di spalle e la vidi alle prese con un marine che l'aveva colpita alla mano sinistra, Milo e Kyoko erano troppo impegnati a difendere Eleanor dagli altri avversari per occuparsi anche di lei.

Così, spinto dall'odio accecante, corsi verso il colpevole, il quale non appena vide una giraffa inferocita andargli incontro, prese la sua vittima e se la caricò sulle spalle "Kaku!"

"Figlio di..." mi lasciai sfuggire, cominciando a rincorrerlo e raggiungendolo solo quando fu arrivato nella zona dell'officina di mio padre "Sei tremendamente veloce, te lo concedo" una volta raggiunto, potei finalmente affondare gli zoccoli nel suo corpo, liberare la ragazza e batterlo "Ma oggi non è proprio il tuo giorno fortunato"

Inaspettatamente, prima che si accasciasse al suolo, mi fece momentaneamente perdere i sensi con una lama di agalmatolite "Kaku!" udii la voce di Sophie e una morbida stretta al braccio, dopodiché riaprii gli occhi e mi resi conto di essere tornato alla forma umana.

"Che cavolo..." mi premetti una mano sul petto e mi accorsi che sanguinavo, ma almeno il marine era stato sconfitto e giaceva a terra, immobile.

"Stai bene, tesoro?" Sophie mi cinse tra le braccia, tossendo.

"Tu stai bene?" mi accertai prima di tutto, nonostante il sempre maggiore dolore e il rosso che mi colorava i vestiti.

"Non permetterò che ti arrestino" ignorò la mia domanda e mi disse deliberatamente "Tu non hai fatto niente di male, io lo so"

Veloce come un lampo, le spinsi la testa a terra, mentre il laser di un pacifista ci prendeva di mira "Sono arrivati fin qui!" imprecai, rialzandomi a fatica.

"Vieni" mi trascinò lei, scappando dalla portata dell'arma e finendo nell'officina polverosa "Sei ferito, non puoi continuare a..." non terminò la frase perché non appena entrai in quel luogo il mio sguardo si perse: non avevo ancora avuto l'occasione di tornarci ed ora trovavo terribilmente familiare quell'aria umida e quell'odore legnoso che si respirava tra quelle quattro mura.

Ma senza preavviso, uno scoppio "STA' GIU'!" Sophie urlò, mentre una parete andava a farsi benedire "Merda, ci hanno raggiunti" sfoderai le mie spade, dopodiché offrii una vecchia pistola di mio padre alla ragazza "Tieni, prendi questa"

"Che cosa?" la prese tra le mani spaventata, sgranando gli occhi come se avesse appena toccato qualcosa di molto pericoloso "Kaku, io non ho mai sparato a nessuno, non so nemmeno..."

"Nasconditi!" la spinsi dietro l'armadietto degli attrezzi, mentre anch'io mi nascondevo dal lato opposto.

Erano diventati tre adesso, tre potentissimi pacifista che avrebbero distrutto l'intero edificio fino a quando non ci avrebbero trovati: dovevamo solo attendere.

E' proprio l'attesa l'arma peggiore, la micidiale ansia che uccide e sfracella le membra, colei che può ridurti in ginocchio a suo piacimento.

"Come...come fai ad essere così calmo?" domandò Sophie facendo tremare la pistola, guardandomi mentre facevo roteare le spade in tutta tranquillità.

"Tesoro, sono addestrato" le risposi semplicemente.

"Beh..." rifletté ad occhi bassi "Non mi aspettavo certo tanto trambusto, né di ritrovarmi con un uomo ricercato..."

"Mi dispiace, io..."

"...ma sappi che ti amo, qualunque cosa accada"

E il suo sorriso riuscì così tanto a sciogliermi, che per un istante dimenticai della ferita sanguinante e mi feci quasi cogliere di sorpresa da quello sparo successivo: l'officina di mio padre era a pezzi, ci cadevano addosso macerie ad ogni passo, ma con un po' di fortuna riuscimmo ad uscirne e a seminare i nemici.

Quando fummo di nuovo all'esterno, constatammo che la situazione era peggiorata: Milo e Kyoko si erano buttati nella mischia a lanciare fendenti, grazie al cielo arrivò subito un marine a distrarmi; Jabura stava masticando un arto coperto di sangue, Dio solo sapeva quanto quell'uomo mi desse il voltastomaco ogni giorno di più; Blueno, Fukuro e Kumadori erano riusciti a stendere buona parte dei soldati; Califa aveva finalmente capito di poter mandare in tilt i meccanismi dei pacifista con il suo potere; ma non riuscii a vedere Lucci, mi chiesi dove si fosse cacciato.

Così lasciai Sophie al riparo con mia madre e la piccola e, con il sottofondo delle loro proteste a riguardo, andai di nuovo tra i combattenti: dopotutto, la questione mi riguardava in prima persona. Sfrecciai come il vento attraverso la folla e d'improvviso divenni più alto, più agile e con un collo piuttosto lungo "Sei di nuovo tra noi, sapu-Kaku?"

"Più che mai" sorrisi con convinzione, pregustando la vittoria che sapevo ci sarebbe stata di lì a poco e che immaginavo essere smisuratamente epocale. ©

 

 

 

 

Allora, partiamo dal presupposto che non mi piace particolarmente scrivere di azione: qui ci stava e spero davvero con tutto il cuore di averla resa bene e non monotona! Inoltre, spero non risulti sgradevole la troppa alternanza con il corsivo, ma certe frasi mi piaceva enfatizzarle la verità è che leggo troppo Baricco.

Capitolo scritto sulle note di “Reptilia” degli Strokes (ormai tutta la storia mi è stata dettata dalle canzoni degli Strokes xD)

Che dire, siamo agli sgoccioli J ormai mancano soltanto due capitoli e mi auguro saranno di vostro gradimento. Buone feste!

P.S. Sì, se ve lo state chiedendo ho visto Skyfall xD

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Ventitré (Parte Cinque) ***


Un rumore di zoccoli, i miei forse, mi rimbombava nelle orecchie rischiando di farmele sanguinare; la camicia era diventata di un acceso colore cremisi a furia d'ignorarla; per di più la polvere negli occhi non mi faceva vedere quasi più niente. 

Le grandi sagome scure che mi stavano di fronte si accasciavano al suolo una dopo l'altra: dopo vari sforzi riuscii a distinguere la figura di Califa che, grazie all'aiuto di Jabura, di tanto in tanto saltava in aria e mollava potenti calci di sapone ai circuiti dei pacifista, poi dei suoni elettrici, piccole scosse che li rendevano inoffensivi, dopodiché si sistemava gli occhiali da vista soddisfatta, nonostante le evidenti ferite che, come tutti noi, riportava sul corpo.

Combattere divenne quasi un atto meccanico, involontario, colpivo marines e pacifisti senza nemmeno accorgermene, così potei guardare con la coda dell'occhio gli attacchi di mio fratello: era vero, lui e Kyoko erano diventati discretamente bravi con le spade, forse durante la mia assenza si erano esercitati, chissà, stava di fatto che ci stavano offrendo un valido aiuto per la protezione dell'isola.

Improvvisamente ebbi bisogno di pulire l'aria, di qualcosa che mi permettesse una visuale chiara ed immediata e che mi facesse inquadrare gli avversari senza problemi: pensai a lungo, ma agii in quattro e quattr'otto "Amanedachi!" feci roteare il corpo più volte, generando un forte vortice che disperse la polvere e i detriti, ma che colpì inevitabilmente anche le navi, i marines e tutti i presenti: ci fu un attimo di esitazione da parte di tutti, ma ben presto ognuno poté distinguere chiaramente ogni singola persona che gli stava di fronte.

La battaglia riprese più viva e cruda che mai e d'improvviso lo vidi, Spandam, mentre rideva subdolo davanti ad un pacifista straordinariamente più grande degli altri: un timer lampeggiava pericolosamente sul suo petto e segnava il numero quaranta.

Poco più distante, Rob Lucci si era portato le mani sulle ferite che gli si erano riaperte e cielo, lo sguardo rabbioso che gli vidi mi fece temere che fosse davvero finita.

Ma in combattimento, cosa risaputa, non ci si può concedere un attimo di distrazione: un marine mi ferì dov'ero già sanguinante e ciò mi costrinse ad assumere nuovamente la forma umana sotto le urla strazianti di mia madre e Sophie "KAKU!" 

Mi strinsi una mano sulla parte lesa e digrignai i denti, sputando sangue con stizza.

Incoscienti, incoscienti, incoscienti! Ma non gli avevo detto di restare al riparo?

Poi, tutt'a un tratto, le sentii urlare più violentemente "Lasciami! Non mi toccare!" e a quel punto la rabbia raggiunse realmente livelli spropositati.

Mi voltai verso loro e provai a corrergli in aiuto, ma una forte presa ai piedi mi fece cadere immediatamente a terra e tossire al suolo "Kaku, NO!" gridarono per l'ennesima volta le donne, forse erano semplicemente stanche di ostentare coraggio e sentivano la necessità di liberare le proprie paure.

Non volevo costringervi a comportarvi da eroine, né tantomeno a diventare vittime di guerra.

In qualunque caso, quello non era proprio il momento opportuno per fare il diplomatico: cercai di liberarmi dalla stretta dell'uomo che mi aveva imprigionato, ma lui per tutta risposta mi trascinò al suo cospetto con avidità, facendomi striare il terreno con le unghie e facendomi sentire inutile davanti al pericolo che attanagliava Sophie e mia madre.

Sfinito, stordito e sanguinante, mi battei con il nemico tentando con tutto me stesso di sfoderare al meglio le mie capacità, ma ci pensò un fendente di Milo a salvarmi da quella situazione "Sembri in difficoltà, sapu-Kaku" sorrise sfacciato, probabilmente sapeva quanto mi stava rendendo fiero in quel frangente "Non preoccuparti per la mamma e Sophie, ci penserà Kyoko a liberarle"

"Grazie, fratello" non mi persi in convenevoli, ma andai subito a raggiungere Lucci.

Trentacinque.

Il sangue aveva dato tregua per un istante a Rob Lucci, il quale adesso si apprestava a malmenare Spandam "Maledetto..." mi avvicinai anch'io come una furia "Storm Leglo ridussi a pancia all'aria, sembrava un insetto appena calpestato a cui avevano tagliato le ali e ora si contorceva, si contorceva come un ossesso per cercare di rimettersi in piedi.

Trentatré.

"Arriverà la giustizia!" balbettò con gli occhi violacei e le labbra gonfie "Se non è oggi, sarà domani! E' inutile continuare a..."

"Taci" Lucci gli mollò un calcio in pieno stomaco "I vermi non parlano" sentenziò con una voce da brivido, mentre lo scrutavamo entrambi dall'alto con solennità "Striscia, lurido, striscia"

Trentuno.

Improvvisamente, rise "Voi state qui a calciarmi, mentre la bomba esploderà tra tre, due, uno..."

"Merda!" mi venne da imprecare astiosamente, dopodiché mi fiondai senza perdere tempo verso il pacifista con il timer "Califa!" chiamai a gran voce nel bel mezzo del tumulto.

Ventotto.

"Califa!"

"Kaku, sono qui!" mi corse incontro trafelata, il braccio destro le sanguinava e i lunghi capelli biondi erano insolitamente impiastricciati di sudore "Per questo ci vorrà del sapone extra" arricciò il naso.

"Questa non me la voglio perdere" ci fu accanto anche Jabura.

Venticinque.

Mettemmo al tappeto i distrattori, dando alla nostra compagna il tempo d'insaponare per bene il pacifista programmato per esplodere: fortuna volle che, a differenza di tutti gli altri, non aveva il compito di attaccare.

"NON VI LASCERO' MANDARE A MONTE IL MIO PIANO!" gli sbraiti di Spandam fecero tremare i pochi soldati che ancora si reggevano in piedi "NON IL CARICO VENTITRE'!"

Improvvisamente, tutto per me si ridusse ad un semplice numero: le sorti della battaglia, il futuro di Kodama, il senso della giustizia, le urla di mia madre, il placarsi delle lacrime di Eleanor e la mia vita...

Ventitré.

Ventitré come i miei anni.

Ventitré come le stagioni in cui ero stato lontano dalla mia Sophie.

Ventitré come i passi che feci per raggiungere l'indegno.

Ventitré come i secondi che mi separavano dalla morte.

L'esplosione ci fu, ma si rivelò talmente debole e fiacca che quasi passò inosservata: Califa aveva fatto davvero un ottimo lavoro, non si era lasciata intimorire o mettere sotto pressione e aveva danneggiato i meccanismi della bomba fino a renderla del tutto futile.

Nel frattempo, io e Lucci avevamo ormai raggiunto per la seconda volta il nostro ex capo e ci accanivamo come bestie feroci su di lui: le persone si dispersero, i pochi marines che avevano resistito fino ad allora ne approfittarono per darsela a gambe, e la mia famiglia poté finalmente considerarsi fuori pericolo.

La brama di vendetta si fece beffe della mia ragione e, insieme a Lucci, calciai Spandam fino ad ucciderlo, il sangue schizzava da ogni singola porzione del suo misero corpo, ma noi non avevamo ancora finito: lo calpestammo ancora, senza ritegno, arrivavano lontane le voci degli altri "Basta così, ragazzi", "L'avete ucciso", "Smettetela!".

Poi, tra tutte, riecheggiò la sua "Kaku...non dimenticare mai chi sei..."

Immediatamente, ritirai il piede dallo stomaco dell'indegno e sgranai gli occhi: quello non ero io. La battaglia era ormai conclusa, cosa ci facevo ancora ad assassinare il cadavere di Spandam

In fretta e furia, raccolsi le manette di agalmatolite con cui era stato imprigionato Blueno e me le misi "Perdonatemi" rantolai, con un ferroso sapore rosso che mi correva sulla lingua e le ferite al petto che mi risultarono tutt'a un tratto doloranti "Io non sono un mostro" potei sentire le forze abbandonarmi, mentre l'agalmatolite faceva il suo effetto e si nutriva della mia volontà "Non devi aver paura, Eleanor..." balbettai, guardando negli occhi mia figlia spaventata e temendo che quel terrore fosse dovuto al fatto di avere un killer come padre "Non ti farò del male..." e con queste ultime parole udii un fastidioso fischio alle orecchie che si risolse in un brusco svenimento, le mani di qualcuno che mi afferrarono e il buio più totale.

 

 

 

 

 

 

 

 

"Papà..." giunse come amplificata la flebile voce di Eleanor ai miei timpani.

Aprii gli occhi stancamente, non potevo deluderla e non rispondere al suo richiamo "Tesoro..."

"Papà!" si lanciò immediatamente tra le mie braccia, facendomi urlare di dolore "Sapevo che era una delle tue bugie!"

"Piano, Eleanor, piano" la trattenne Sophie con le lacrime agli occhi.

Sbattei le palpebre più volte e storsi il naso, accorgendomi solo in quel momento di trovarmi in ospedale: più aghi mi entravano nelle braccia e si collegavano a diverse macchine posizionate accanto al letto, mentre nell'aria aleggiava un fastidioso odore di disinfettante.

"Kaku..." Sophie mi accarezzò le dita che sbucavano dalla fasciatura alla mano destra e per un istante mi parve che la vita danzasse sui miei polpastrelli freddi e addormentati "Sono così contenta che tu abbia aperto gli occhi, sei stato davvero un eroe"

"Bravo, papà!" sorrise la piccola, al che non potei fare a meno di scompigliarle debolmente i capelli e ricambiare il sorriso.

"Come stanno gli altri?" chiesi subito.

"Tutti vivi e vegeti, tranquillo" mi rassicurò la donna "E grazie a te. Hai salvato Kodama, hai salvato la nostra famiglia e..." esitò, poi scoppiò a piangere "...e ora hai salvato anche me" adagiò la testa sul mio petto assieme ad Eleanor e, nonostante le profonde ferite, non potei che provare contentezza ad averle così vicine.

"Coraggio, non versate lacrime inutilmente" le strinsi forte, per quel poco di forza che mi era rimasta "E' tutto finito, dovete essere felici" a quel punto presi a ridere, a ridere incontrollatamente, ricordandomi di quanto la mia risata facesse star bene entrambe e trascinandole con me nel mondo dell'ilarità.

Era finita davvero: niente più Spandam, niente più CP9, niente più menzogne e omicidi, niente più giustizia violenta.

Posai il capo delicatamente su quello di Sophie e, con la mia ricchezza più grande tra le braccia, feci sogni tranquilli e beati. Al mattino ci dissero che ci trovarono così, addormentati spensieratamente e con l'ombra di una gioia incontenibile che increspava le labbra di tutti e tre.

Finalmente, l'alba di una piena vita vissuta insieme poteva dirsi ufficialmente cominciata. © 

 

 

 

 

 

 

Avrete notato le parole dell’introduzione: ebbene sì, l’idea di questa storia è partita proprio dal finale. Me l’ero visto già tutto davanti gli occhi, la bomba, Spandam, gli sforzi di Kaku per cercare di salvare la sua famiglia, la sua paura di risultare un mostro agli occhi di sua figlia e tutto il resto.

Sono arrivata a questo capitolo proprio forzatamente perché credo di averla portata troppo per le lunghe, così tanto da annoiarmi persino a scrivere. Ma ora ormai siamo giunti alla fine, manca soltanto un ultimo capitolo che si può considerare anche come extra, dato che la vicenda ha già trovato una conclusione. A presto allora! J

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Ventiquattro ***


Mancavano ormai pochi minuti all'inizio della cerimonia: mi guardai allo specchio e mi sistemai il nodo alla cravatta, tradendo un tremolio emozionato.

Era da tanto che aspettavo quel giorno e finalmente era arrivato: si erano riuniti per noi tutti i nostri amici e parenti, anche i più lontani, per imprimere nella memoria quel momento così importante nella vita di entrambi.

Diedi un ultimo sguardo al riflesso nello specchio, dopodiché mi sforzai di guardare altrove. La tenda bianca che mi ospitava era stata attrezzata con tutti i comfort necessari: pettine, gel, dopobarba e profumo da uomo molto costoso.

Ma il mio nervosismo non si concesse pace e sbirciai nuovamente la mia immagine nell'attrezzo ovale che mi stava di fronte con ancora più perplessità: una nuova figura però catturò la mia attenzione, un'ombra bianca alle mie spalle che notai solo grazie all'ausilio dello specchio e che mi fece sussultare.

"Sophie!" mi voltai immediatamente con occhi sbarrati "Che...che ci fai qui?" non potei fare a meno di squadrarla da capo a piedi e di constatare quanto fosse bella in abito da sposa: il suo vestito era lungo e semplice, così come la sua chioma bionda sciolta sulle spalle e il suo trucco appena accennato.

"Shhh!" portò un dito sulla mia bocca e mi sorrise "Non resistevo, ero troppo curiosa di vederti" mi osservò compiaciuta anche lei "Stai benissimo"

Il suo commento gentile mi fece arrossire parecchio "Ma...sai che porta sfortuna vedersi prima? Perché non..." ammutolì i miei balbettii impacciati con un lungo bacio.

"Mi piaci, sposo" le sue parole non fecero altro che farmi increspare le labbra in un malizioso sorriso.

"Davvero?" non riuscii a trattenermi e presi a baciarla sul collo, mentre lei mi stringeva i capelli.

"Sai, mi sei sempre piaciuto senza quello stupido capello" confessò sinceramente, adagiando il suo corpo sul tavolino in legno alla nostra destra e attirandomi a sé con la cravatta.

Sbuffai "Ma che dici?" mi portai istintivamente una mano sulla testa, ma per tutta risposta la ragazza ne approfittò per liberarmi dalla giacca nera.

"Sophie..." sussurrai con ardore, mentre le mie mani non si arrestavano e tendevano lussuriose verso le sue gambe ormai scoperte "Non dovremmo...sai..."

Ma in un istante il nodo alla cravatta fu allentato e i primi bottoni dell'immacolata camicia bianca sbottonati "Ti amo, amore mio"

"Ti amo anch'io, ma..." scoppiai a ridere, mentre cercava di provocarmi aggrovigliando le gambe attorno al mio bacino "Per favore, non rovinarmi la reputazione di bravo ragazzo: la stai mettendo seriamente a rischio"

Rise anche lei, cercando di alzarsi e vedendo i suoi tentativi ostacolati dai miei continui baci impazienti "Sei sempre il solito, Kaku"

Una volta che fummo in piedi, posò delicatamente la testa sul mio petto e si strinse tra le mie braccia, ammirando la nostra immagine allo specchio insieme a me "E' davvero un bel ritratto, non trovi?" le chiesi con dolcezza, passandole una mano tra i capelli.

Lei sospirò, poi improvvisamente sciolse l'abbraccio e prese il mio volto tra le mani "Promettimi..." incalzò seria "Promettimi che mi resterai accanto qualunque cosa succeda, che sarai con me ed Eleanor nel bene e nel male, che chiuderai i battenti alla violenza e tornerai a fare il carpentiere qui a Kodama" esitò, i suoi occhi nei miei "Ti rendeva così felice...ristruttureremo l'officina di tuo padre e vivremo di cose semplici, come abbiamo sempre fatto...promettimelo prima di salire sull'altare, Kaku"

I miei pensieri andarono in tilt per un attimo: la mia esperienza nelle forze governative mi aveva insegnato tanto, mi aveva fatto fare cose orribili per poi farmi capire che tutto era sbagliato, che nella vita tutto è fugace e precario, che in un momento puoi trovarti all'apice del successo e il secondo successivo ritorni in profondità, nel fallimento, a rischiare di perdere le cose più importanti.

Ma qual era per me la cosa più importante? Gli occhi esigenti e preoccupati che mi stavano di fronte erano la risposta.

Sophie, come avrei potuto dirti di no? In tutte le vittime che mi ritrovavo a sacrificare, temevo di ammazzare e far fuori per sempre il ragazzino di cui tanto tempo fa ti sei innamorata, ho creduto più volte che non esistesse più questo fantomatico e contraddittorio me stesso, che mi stessi giocando tutto pur di avanzare nella mia irrefrenabile lotta contro il mondo intero.

Ma niente e nessuno ha cancellato noi, amore mio, nemmeno l'acqua di Water Seven ha saputo lavar via il ricordo di te e di questo cuore che ti è sempre appartenuto.

"Te lo prometto" conclusi con felicità, al che la ragazza mi abbracciò contenta e mi baciò di nuovo.

"Ora devo andare" si congedò poco dopo "Tua madre mi ammazzerà quando scoprirà che sono venuta da te"

"Ci vediamo all'altare allora" lasciai con rammarico la sua mano, consapevole che quando l'avrei ripresa sarebbe stata la mano di mia moglie.

Al pensiero, mi rallegrai: stava succedendo davvero.

 

 

 

 

 

Feci un respiro profondo e mi decisi a varcare la soglia della chiesa con le mani che mi sudavano, pensai probabilmente di star affrontando l'ennesima battaglia e quindi raccolsi tutto il mio coraggio. Ma non appena attraversai il corridoio, mi sentii immediatamente rinfrancato: a destra mia madre in lacrime, commossa forse dal grande passo che si apprestava a fare il suo primogenito; accanto a lei mia sorella Kyoko sorridente e radiosa, la quale mi scoccò un occhiolino d'assenso; e seduta in un piccolo angolino mia figlia Eleanor che reggeva soddisfatta le fedi su un cuscinetto bianco e rosa come il suo vestito, la quale mi sussurrò affettuosa un "Ti voglio bene" tra il silenzio.

Feci guizzare lo sguardo a sinistra, dove lo spettacolo era più o meno simile: primo tra tutti spiccava Rob Lucci in giacca grigia, che indugiò sui miei passi impassibile ed inespressivo; accanto a lui Jabura e Califa mano nella mano, il primo a sbraitare contro Lucci perché non l'aveva ancora perdonato per la questione di Gatherine, la seconda a sospirare a causa delle delicatezze del compagno e a guardarmi con affetto; poi Fukuro che cercava di zittire Kumadori per il suo incessante parlare della propria madre defunta; infine Blueno che si limitò a rivolgermi uno sguardo compiaciuto.

Voi: la mia forza, la mia motivazione, la mia spinta ad andare avanti.

Presi postazione agitato, ma anche rassicurato e, quando entrò Sophie, i nostri occhi s'incontrarono e non poterono mascherare una nota divertita di cui soltanto noi potevamo conoscere la ragione.

Accanto a lei mio fratello Milo, il quale si era offerto volontario di accompagnarla con un grande sforzo emotivo, dato che nei miei confronti si era sempre imposto di mostrarsi competitivo e polemico "Tutta tua, sapu-Kaku" mormorò al mio orecchio, mentre baciavo la fronte della ragazza e le sorridevo con gioia.

Annotai mentalmente di ringraziarlo: dopotutto, non era da lui indossare completi eleganti e comportarsi bene e il fatto che il giorno del mio matrimonio rappresentasse un'eccezione, mi lusingava.

Tutto andò alla perfezione, filando liscio ed intenso come il pianto di mia madre e, quando giunse il turno di Eleanor, la incoraggiai felice: la piccola fece piccoli passi verso noi e ci porse le fedi con aria solenne.

E dal momento in cui gli anelli presero posto sulle nostre dita, non ci fu più un numero a regolare le sorti della mia vita, ma una parola: una parola semplice, breve e concisa, una parola che pronunciai con convinzione e di cui non mi sarei mai pentito, una parola che ci avrebbe accompagnati tutti i santi giorni e sarebbe diventata la nostra risposta preferita al tempo trascorso insieme, una parola che, inevitabilmente, avrebbe suggellato il patto perfetto per l'eternità.

Sì. Mille volte sì. ©

 

 

 

 

 

 

 

E così finisce definitivamente “Ventitré”! Ero scettica sull’inserire o meno questa parte del matrimonio, ma dopo aver partecipato a quello di mia sorella mi sono decisa a scriverlo: paradossale, ma ci pensavo proprio il giorno stesso della cerimonia xD E contando che sto parlando del 27 ottobre, vi faccio capire come la conclusione di questa storia fosse già ben fissata nella mia mente da diversi mesi: il problema, come sempre, è il tempo che richiede il mettere le idee a poco a poco nero su bianco.

Ma spero che questo finale, come tutta la storia, sia stato di vostro gradimento e vi ringrazio di vero cuore per avermi seguita! Soprattutto te, Archi!

Ci sentiamo alla prossima, qualora lo vogliate ;)

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1344554