Coming back with you

di Rey_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici. ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici. ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici. ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette. ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto. ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove. ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti. ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno. ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue. ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre. ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro. ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque. ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei. ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette. ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto. ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove. ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta. ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno. ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue. ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatré. ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro. ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque- Epilogo. ***
Capitolo 36: *** ...ehm, I'm back! ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


 
Capitolo 1.
 
 
 
Jenny.
 
 


Andare a svegliare mia sorella era una cosa che odiavo fare infinitamente. Prima di tutto perché ci voleva come minimo mezz’ora, perché quando partiva, poteva anche scoppiare la terza guerra mondiale e lei non se ne sarebbe accorta, dormiva beatamente come un ghiro e per farla risvegliare dal letargo ci voleva o una secchiata d’acqua gelata, o il rumore di due pentole sbattute tra loro.
E secondo, ma questo problema fino a due mesi fa ancora non l’avevo, era perché entrare nella sua camera da letto, che divideva con Liam, era piuttosto imbarazzante, considerando che non potevo sapere in che condizioni li avrei trovati.
La prima mattina che ci eravamo trasferite da loro, ero entrata tutta tranquilla, probabilmente troppo ingenua, e trovarli completamente nudi, anche se addormentati, sotto le coperte era stato alquanto traumatizzante.
Così avevo imparato in fretta a bussare una buona mezz’ora, prima di aprire la porta ed andare a svegliarla con la forza.
Ma quella mattina non avevo tutta questa pazienza, ero già in ritardo e arrivare a lezione già iniziata il primo giorno di scuola, significava essere etichettata come la ritardataria cronica e non fare un bell’effetto sui professori.
Ed io non volevo assolutamente alcuna etichetta compromettente alla mia media scolastica.
Così bussai solo una volta, abbastanza forte, e la fortuna sembrava essere dalla mia parte, perché un assonnato Liam venne ad aprirmi, solo con i pantaloni indosso, ma almeno le parti imbarazzanti erano coperte.
“Umh, ‘giorno Jen” mi salutò ancora con la voce impastata dal sonno.
“Si, ciao Liam. Cher dorme ancora?” chiesi frettolosamente, sbirciando all’interno della loro camera.
“Si. Le avevi chiesto di accompagnarti a scuola?” mi chiese stropicciandosi gli occhi.
“Già” scoppiò a ridere e mi diede un buffetto sulla guancia.
“Allora buona fortuna” mi disse, uscendo dalla stanza e alludendo al fatto che mi sarebbe servito un carro armato per buttarla giù dal letto. Grugnii qualcosa entrando come una furia nella sua stanza e togliendole le coperte velocemente, aprendo le finestre e illuminando la stanza. Cher si rigirò nel letto, ancora addormentata.
Sbruffai frustata.
Solo a me bastava un minimo rumore per tornare nel mondo dei vivi?
Cominciai a scuoterla per le spalle, con vigore, finché non la sentii mormorare un’imprecazione a mezza bocca e sospirai di sollievo.
“Dai, Cher, alzati o facciamo tardi” cominciai, quasi urlando. Lei mugugnò qualcosa infastidita e affondò la testa nel cuscino. Alzai gli occhi al cielo, sfilandoglielo, e lei alzò la testa per riservarmi un’occhiata di fuoco.
“Perché devi odiarmi così tanto?” sbottò. Le sorrisi e le scompigliai i capelli.
“Io non ti odio, mia adorata sorellina” mormorai divertita. Lei grugnì qualcosa.
“E allora perché mi svegli sempre nel bel mezzo dei miei bellissimi sogni?”
“Sei tu che ti sei offerta di accompagnarmi a scuola” mi difesi. Lei mi guardò e strabuzzò gli occhi.
“Dici sul serio? Oggi è già lunedì?” chiese sorpresa. Sospirai rassegnata.
“Si, bella addormentata nel bosco. E rischio di arrivare in ritardo se non alzi quel culo immediatamente”
Lei scattò in piedi e si diresse in bagno, raccattando qualche vestito qua e là.
“Potevi svegliarmi prima” si lamentò.
“Si, come se fosse stato possibile” replicai stizzita. La sentii armeggiare in bagno e nel giro di un quarto d’ora uscì, vestita e profumata.
“Ho il tempo per una colazione veloce?” chiese facendo un’espressione buffa. Guardai l’orologio che avevo al polso e sospirai.
“Hai cinque minuti” le concessi. Lei mi illuminò con un sorriso e mi baciò la guancia, schizzando fuori dalla stanza.
“Buongiorno, comunque” urlò. Sorrisi scuotendo la testa e la seguii. Ma la mia direzione fu deviata immediatamente da due braccia forti che mi afferrarono la vita e mi spinsero contro il muro.
“’Giorno, piccola” mormorò Harry con voce roca, prima di baciarmi dolcemente le labbra. Un sorriso automatico mi spuntò sul viso e lo morsi, facendolo sobbalzare.
“Buongiorno anche a te”
Lui mi fece uno splendido sorriso, prima di baciarmi la punta del naso e lasciarmi andare.
Mi prese la mano e mi accompagnò verso la cucina, dalla quale sentivo provenire i soliti schiamazzi, segno che anche gli altri ragazzi erano tutti svegli.
“Allora, che prevede il programma della giornata?” gli chiesi, ormai abituata ai mille impegni che gli occupavano a volte interamente il giorno e alle poche ore che avevamo a disposizione per vederci.
A volte avevo rischiato di impazzire, ma poi ripensavo a quei quasi quattro mesi di lontananza forzata quando era in America e mi trattenevo, ripetendomi che ero più che fortunata a vederlo così spesso, senza considerare che pur vivendo sotto lo stesso tetto lo vedevo praticamente solo la sera quando rientrava, spesso troppo tardi per riuscire ancora a tenere gli occhi aperti e bearmi della vista della perfezione fatta persona.
“Mh, questa mattina abbiamo un’intervista in radio e oggi pomeriggio stranamente siamo liberi” mi informò, con un sorrisetto malizioso.
Alzai impercettibilmente gli occhi al cielo, riconoscendo al volo quell’espressione e i significati che lui attribuiva al senso di pomeriggio libero.
“Bene, perché avrò bisogno di conforto dopo la mattinata che aspetta a me” borbottai, rabbrividendo al pensiero che tra nemmeno mezz’ora avrei dovuto mettere piede nella nuova scuola, piena di sconosciuti, e sarei dovuta sopravvivere, completamente sola.
“Oh, piccola. Non sai quanto vorrei accompagnarti, ma…”
“No, lo so” lo interruppi con un sorriso tirato “Non puoi farti vedere troppo in giro, soprattutto in una scuola piena di ragazzine in preda ad una crisi ormonale che impazzirebbero vedendoti” ripetei le sue parole alla perfezione, dopo tutte le volte che me le aveva dette le avevo imparate a memoria.
Aveva ragione, ma io, egoisticamente, me ne infischiavo della possibile reazione delle mie future compagne, avrei solo voluto il mio ragazzo vicino. Lui mi bloccò di nuovo, appena prima che riuscissi ad entrare in cucina, e mi guardò con i suoi occhi verdi che sembravano leggermi fin dentro l’anima.
“Ti prego, dimmi che non sei arrabbiata” sussurrò, con sguardo implorante. Sospirai, spostando alcuni ricci ribelli dalla sua fronte e carezzandogli la guancia. Lui chiuse gli occhi a quel contatto e si lasciò andare contro la mia mano.
“Non ce l’ho con te. È solo che…vorrei averti con me più spesso” mi imbronciai, e lui riaprì gli occhi.
“Ma io ci sono. Solo che…”
“Lo so. Non puoi farti vedere troppo in giro perché…” le mie parole furono interrotte dalle sue labbra che calarono a forza sulle mie.
Si staccò e mi sorrise.
“Ti adoro quando fai la capricciosa” mugugnò ghignando.
“Ruffiano” lui mi baciò di nuovo mordicchiandomi il labbro inferiore.
“Vengo a prenderti. Giuro che riuscirò ad essere lì all’ora d’uscita. In macchina, con cappuccio e occhiali da sole, ma ci sarò” mi promise di getto, staccandosi. Sorrisi, abbracciandolo di slancio.
“Tanto ti riconoscerei anche tra mille persone” gli assicurai. Lui mi regalò un altro sorriso luminoso, mettendo in mostra le fossette e poi raggiungemmo gli altri in cucina.
“’Giorno piccioncini” ci salutò un coro di voci divertite e leggermente sfottenti.
Feci una boccaccia a Niall, solo perché era il primo che mi ero ritrovata davanti e distolsi lo sguardo imbarazzata da mia sorella e Liam che si stavano, come al solito, baciando.
Oppure divorando, era la stessa cosa.
“Ragazzi, un po’ di contegno” li ammonì Zayn, lasciandosi scappare come me una smorfia disgustata.
“Già, siete disgustosi” commento Niall, affondando poi il viso nella sua tazza di cereali. Scoppiai a ridere e gli scompigliai i capelli.
“Senti chi parla”
Lui mi fece la linguaccia, prima di dedicarsi nuovamente alla sua colazione.
“Allora, andiamo Jen?” mi chiese Cher, staccandosi finalmente dal polipo che era il suo ragazzo. Annuii, un po’ tesa, e mi voltai per salutare Harry, che mi guardava sofferente.
“Che c’è?” gli chiesi. Lui mise il broncio e mi afferrò per i fianchi.
“E’ che già so che dovrò uccidere mezza popolazione maschile della scuola se tu entrerai lì dentro” borbottò. Scoppiai a ridere e gli scompigliai i ricci.
“Solo mezza?” chiesi maliziosamente. Lui puntò i suoi occhi verdi nei miei.
“Attenta, piccola. Potrei fare una strage se mi dici così” mi sussurrò. Scossi la testa e gli lasciai un bacio a fior di labbra.
“Tranquillo, farò la brava bimba” gli assicurai, sciogliendo l’abbraccio.
“Non sei tu che mi preoccupi, sono gli altri che devono stare attenti a dove posano gli occhi” replicò, lanciandomi uno sguardo così carico di sottintesi da farmi arrossire.
“Allora indosserò il mantello dell’invisibilità di Harry Potter così nessuno mi vedrà” assicurai. Harry scoppiò a ridere, insieme agli altri ragazzi, mentre Louis scuoteva lentamente la testa.
“Che cosa triste” mormorò, riferendosi alla mia battuta. Gli feci la linguaccia.
“Beh, che vuoi? Non sei l’unico che può fare battute”
“Ma almeno le mie fanno ridere!”
“Questo lo dici tu”
“Ok, basta battibecchi. Andiamo, Jen, o farai tardi” ci interruppe Cher, tirandomi per un braccio. Harry mi prese il viso tra le mani e mi schioccò un altro bacio veloce sulle labbra.
“Ti aspetto all’uscita” mi sussurrò, prima che mia sorella mi trascinasse fuori.
 
 
“Dai, Jenny. Andrà tutto bene. E poi abbiamo fatto i salti mortali per arrivare qui in tempo, non vorrai ritardare solo perché hai paura! Sono persone normali, non ti mangiano mica!” mi spronò per l’ennesima volta Cher, spazientita dalla mia titubanza e dal mio assurdo rifiuto a scendere dalla macchina. Sospirai e guardai i ragazzi che entravano allegri nella scuola, chiacchierando e ridendo. Aprii lo sportello e Cher sorrise.
“Brava, fatti coraggio”si complimentò, divertita. Mi voltai per farle una smorfia e lei scoppiò a ridere.
“Allora non ti vengo a prendere all’uscita?” chiese. A quelle parole mi aprii in un sorriso sollevato.
“No, viene Harry” annunciai gongolante. Lei scosse la testa divertita ed io scesi dalla macchina, incoraggiata dal pensiero che mancavano solo quattro ore e poi avrei rivisto Harry.
Sembrava che non potevo più fare a meno di lui, ormai.
E la cosa non mi spaventava minimamente perché in tutto quello che faceva, lui mi faceva capire che i miei sentimenti erano pienamente ricambiati.
Con il sorriso ancora stampato in faccia entrai nella scuola e persi poco tempo a guardarmi intorno, dirigendomi direttamente alla segreteria, rendendomi conto che avevo perso troppo tempo e che rischiavo seriamente di arrivare in ritardo.
La segretaria, una donna grassottella sulla cinquantina, mi sorrise affettuosa e mi consegnò un plico di fogli e una cartina della scuola, indicandomi la classe di biologia dove avrei dovuto trascorrere la prima ora.
Quasi correndo, riuscii a raggiungere la classe appena in tempo prima che la campanella suonasse e il professore mi accolse con un sorriso, indicandomi il posto vuoto al primo banco.
Inutile dire che sentivo gli sguardi di tutti i presenti addosso, cercai di ignorarli e ringraziai mentalmente il professore che non mi aveva presentata davanti a tutti mettendomi in imbarazzo.
“Buongiorno, ragazzi. Allora, oggi c’è una novità in classe” cominciò il professore appena tutte le chiacchiere si smorzarono, sorridendomi e venendo verso di me.
Appunto.
Cosa avevo appena detto?
Sentii il sangue colorarmi le guance, mentre il professore mi indicava.
“Lei è Jenny, una vostra nuova compagna. Cercate di farla sentire a vostro agio” si raccomandò con un altro sorriso, prima di tornare alla sua cattedra.
Lo maledii in tutte le lingue conosciute e desiderai ardentemente sotterrarmi, mentre sentivo i bisbigli e le risatine dei miei nuovi compagni.
“Imbarazzante, eh?” bisbigliò qualcuno al mio fianco. Mi voltai, notando per la prima volta la ragazza seduta accanto a me. Aveva il viso allegro, un po’ paffutello e circondato da una cascata di capelli mossi e tendenti al rosso.
Gli occhi erano azzurri e il naso piccolino, contornato da qualche lentiggine qua e là.
Era graziosa e ispirava simpatia.
“Abbastanza” replicai abbozzando un sorriso. Lei ricambiò con uno incoraggiante.
“Tranquilla, se gli vai a genio può fare anche di peggio”
“Incoraggiante” soffiai ridendo. Lei mi fece l’occhiolino e mi porse la mano.
“Io sono Catherine, ma puoi chiamarmi Cat” mi disse con un sorriso luminoso. Strinsi la sua piccola mano e mi venne spontaneo ricambiare di nuovo il sorriso.
L’ho già detto che ispirava simpatia?
“Jenny”
“Lo so” rispose con una risata. In quel momento il professore tossicchiò richiamando la nostra attenzione ed io mi concentrai su di lui e sulla lezione sul DNA, leggermente sollevata dal fatto che non ero più completamente sola.
Al suono della campanella, sospirai di sollievo e Cat, accanto a me, si lasciò andare poggiando la testa sul banco.
“E’ stata la lezione più pesante della mia vita” borbottò. Sorrisi e mi alzai, raccattando le mie cose.
“Un ottimo benvenuto, no?” lei mi guardò, imitandomi e prendendo svogliatamente le sue cose.
“A questo punto penso che l’abbia fatto per terrorizzarti e spingerti a scappare da questa scuola”
Scoppiai a ridere, mentre uscivamo insieme dalla classe e ci immergevamo nel corridoio pieno di studenti.
“Fallo, finché sei in tempo” continuò con sguardo serio, prima di scoppiare a ridere.
Scossi la testa divertita e la seguii fino al suo armadietto.
“Che lezione hai ora?” mi chiese, sbirciando il foglio con gli orari che avevo in mano. Arricciai le labbra.
“Uhm, storia”
“Peccato, io ho matematica” mi disse, scacciando improvvisamente tutto il mio sollievo sull’avere trovato un po’ di compagnia.
“Dai, ti accompagno in classe” propose con un sorriso, riprendendo a camminare velocemente. A fatica riuscii a stare al suo passo, sgusciando tra i mille ragazzi che sembravano spuntare da ogni angolo.
Ma quanto diavolo era popolata quella scuola?
Nella mia, arrivavamo massimo a trecento persone.
“Eccoci qui. Ti do una dritta: se vuoi piacere a Miss Wood non smettere mai di fissarla. Anche se mentalmente sarai in un altro mondo lei penserà che stai seguendo la sua lezione e sarà soddisfatta” mi disse con un sorriso dolce.
“Ok, grazie”
“Di niente. Ora vado, ci vediamo dopo a ricreazione, ok?” mi disse, prima di sfuggire via al suono della campanella e affrettarsi a raggiungere la sua classe.
Con un sospiro entrai e mi diressi verso gli ultimi banchi, trovandone uno all’ultimo posto accanto alla finestra.
Leggermente rincuorata dal fatto che almeno lì avrei potuto respirare un pochino, mi accomodai e feci come mi aveva suggerito Cat: appena la prof. entrò non smisi mai di fissarla e la lezione volò, nonostante non avessi sentito neanche mezza parola di quello che aveva detto.
Quando suonò la campanella, feci per uscire, ma la prof. mi bloccò, con uno strano sorriso sulle labbra coperte da uno strato di rossetto scuro.
“Signorina…”
“Foster”
“Si, signorina Foster. So che lei è appena arrivata e non vorrei che restasse indietro con il programma” cominciò, scrutandomi attentamente.
Mi sforzai di sorridere e mostrarmi sicura.
“Oh, non si preoccupi Miss Wood, nella mia vecchia scuola eravamo arrivati proprio a questo punto, quindi sono più o meno in pari con il resto della classe” le assicurai, ed era vero.
E poi non volevo che mi assegnasse qualcuno da cui prendere ripetizioni o qualcosa del genere.
L’ultima cosa che volevo era obbligare qualche ragazzo della mia classe ad odiarmi per avergli occupato il pomeriggio.
“Come vuole” mi concesse, prima di lasciarmi andare. Con un sorriso falso uscii dalla stanza e vidi Cat che mi aspettava.
“Scommetto che voleva affibbiarti una specie di tutor per non farti rimanere indietro con il programma” tirò ad indovinare.
“Ci hai preso” lei scoppiò a ridere, battendo le mani.
“Non cambierà mai”
“Si, ma io l’ho fregata. Le ho detto che non ne avevo bisogno e me ne sono andata” affermai con un sorriso soddisfatto. Lei annuì e ricambiò.
“Ben fatto. Sei forte, Jenny” commentò. Non feci in tempo a replicare perché mi scaraventai contro qualcuno che stava praticamente correndo nella direzione opposta alla mia.
Prima che potessi finire a terra, una mano mi afferrò il braccio e mi tirò su.
“Oh, scusa. Non ti avevo…vista” Alzai lo sguardo e incrociai due occhi azzurri che mi sembrava di aver visto già da qualche parte.
“Dio, Luc, sei sempre il solito imbranato” commentò Cat infastidita accanto a me. Ma lui la ignorò, guardandomi sbalordito.
“Jenny?” chiese. Al suono della sua voce ricollegai tutto.
“Ciao, Lucas” mormorai, sforzandomi di sorridere.




 







BAAAAM! I'm baaack.
Ok,ok, andiamo con calma.
Avevo promesso un seguito per
Summer paradise with you e..eccolo qui :)
Spero che la ff sia abbastanza e che non rovini le ottime recensioni che ha avuto l'altra.
Spero anche di non cadere nel banale e che non vi stufi perchè so che di solito un seguito non piace mai come la storia iniziale, quindi...cercherò di fare il mio meglio perchè questo non accada ;)
Anyway, il primo capitolo l'ho scritto solo dal punto di vista di Jenny perchè cercherò di portare avanti le due storie in modo separato, scrivendo un capitolo pov Jenny, e uno pov Cher o Liam.
E se ci capità ci inserirò anche qualche pov Harry, poi si vedrà.
Ah, beh, se non vi ricordate chi è Lucas, è un vecchio 'amico' di Harry che lei ha conosciuto in quella mini vacanza a Londra (se volete, rileggetevi i capitoli 24 e 25)
Vabbè, detto questo vi lascio, pregando con tutto il cuore che vi piaccia.
Fatemi sapere, aspetto i vostri pareri :)
Tanto lov.
Sara.

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***






*OCCHI A ME, PLEASE*
Allora, prima di lasciarvi leggere il capitolo, oltre che a ringraziarvi per aver recensito ed essere state così meravigliosamente meravigliose, vorrei chiarirvi alcuni punti.
Questa ff è ambientata temporalmente appena dopo l’ultimo capitolo di Summer paradise with you, cioè appena si trasferiscono da loro, quindi mooolto prima dell’epilogo.
Per altri punti in cui avete dei dubbi, credo si capirà con l’andare dei capitoli.
E scusate se non posso rispondervi, ma le cose sono due: o scrivo, o rispondo alle recensioni.
E dato che ho solo una misera ora al giorno, se non di meno, mi sto concentrando a portare avanti la storia.
Quindi, scusatemi. Ma sappiate che le leggo tutte e vi adoro, come sempre :)
Ora vi lascio al capitolo, tanto lov.
Sara.

 
 
Capitolo 2
 

Cher.
 


Dopo aver accompagnato Jenny a scuola, che era scesa titubante dalla macchina e con lo sguardo un po’ spaurito e il passo strascicato era entrata nella sua nuova scuola, decisi di andarmi a fare un giro in centro, dato il fatto che da quando eravamo arrivate a Londra non ne avevo mai avuto il tempo, né la voglia.
Quella mattina però ero completamente libera e non avevo per niente la fantasia di tornarmene in quella casa che sarebbe stata vuota fino alle prime ore del pomeriggio.
Così parcheggiai la macchina e mi avviai a piedi per le vie affollate della città. Non ero uscita molto quel primo mese, preferivo stare il più tempo possibile con Liam, e lui di certo non poteva prendere e uscire come qualsiasi ragazzo normale: le fan l’avrebbero assalito e noi avremmo dovuto dire addio alla nostra passeggiata.
A pensarci bene quella situazione un po’ mi scocciava ed era in quei momenti che sentivo di più la nostalgia di casa, dove potevamo starcene tranquilli e andare dove volevamo senza il rischio che qualcuno lo riconoscesse.
Ma la cosa che mi mancava di più era il mio mare e, stranamente, il mio lavoro. Le giornate erano decisamente più piene quando avevo qualcosa da fare e, anche quando la tavola calda era vuota, c’era Mike a riempirla con le sue chiacchiere infinite e la sua allegria.
Il mio migliore amico mi mancava più del previsto, così cercavo di pensarci il meno possibile e mi ripetevo che potevo tornare a casa quando volevo, bastava prendere uno stupido aereo e lui sarebbe stato lì ad aspettarmi.
Quei pensieri un po’ nostalgici furono interrotti dalla vista di un cartello giallo appeso fuori un negozio di musica.
Cercasi personale.
Presa da un’improvvisa voglia di fare qualcosa, entrai, facendo trillare il campanello.
Il negozio era carino, non troppo grande, ma piacevole. La parete era ricoperta da chitarre di ogni tipo e colore e pensai all’istante che Niall avrebbe adorato quel posto.
“Buongiorno, posso esserti utile?” mi distrasse una voce femminile e allegra. Mi voltai e vidi una ragazza più o meno della mia età dietro al bancone. Era carina, il suo viso ti metteva allegria solo a guardarlo, e aveva una cascata di ricci castani che le incorniciavano il viso dai tratti delicati.
“Ho letto il cartello fuori” risposi ricambiando il suo sorriso.
“Oh, certo! Sei interessata al lavoro?”
“Si, non mi farebbe male fare qualcosa” abbozzai timidamente. Lei sorrise di nuovo, improvvisamente piena di entusiasmo.
“Oh, bene. Allora vieni che ti spiego più o meno come funziona” mi avvicinai e lei cominciò a parlare e a raccontare tutto quello che c’era da sapere su quel negozio.
Era un negozio di famiglia e se ne occupava lei insieme alla sorella dato che i genitori erano troppo vecchi. Lei si chiamava Grace e amava infinitamente la musica, soprattutto suonare la chitarra, a differenza della sorella che aveva un’altra passione e aveva trovato un lavoro come ballerina non capii bene dove. Quindi lei era rimasta da sola e le ore lavorative erano diventate troppo pesanti.
Il mio turno sarebbe stato di mattina, se ero disponibile, in modo che lei avrebbe potuto riprendere gli studi. Accettai di buon grado, pensando che i ragazzi avevano sempre qualcosa di fare la mattina e che anche Jenny ormai era impegnata a tempo pieno.
“Perfetto! Non sai quanto mi fa piacere averti qui, pensavo di impazzire da un momento all’altro” risi, contagiata dalla sua allegria, e lei mi passò un foglio con gli orari e un modulo da compilare.
“Di dove sei?” mi chiese, mentre scrivevo.
“Weymouth”
“Oh, adoro quel posto!” esclamò.
“Ci sei mai stata?” le chiesi sorpresa, mentre le consegnavo il foglio perfettamente compilato. Lei annuì.
“Si, un paio di volte. Mia sorella però dice di odiarlo” ridacchiò.
“Davvero, e perché?” le chiesi aggrottando le sopracciglia.
“Oh, non ne ho idea. Ma vai a capirla, quella è una psicopatica” risi con lei, poi arrivò un cliente e lei si dedicò completamente al suo lavoro.
La osservai, era gentile con tutti e molto professionale. Il sorriso non le scompariva mai dal viso e mi convinsi di aver fatto veramente bene ad accettare quel posto di lavoro.
Certo, non sarebbe stato come lavorare con il mio migliore amico, ma sarebbe stata una collaborazione piacevole.
“Bene” esordì, tornando da me non appena il cliente uscì.
“Quando inizio?” le chiesi, entusiasta.
“Per me puoi tornare anche domani mattina. Presto, così ti dico come devi fare” mi disse con un sorriso.
“Perfetto. Allora a domani, Grace” la salutai. Lei annuì.
“Ciao, Cher” mi disse. Uscii, con un peso in meno sul petto e passeggiai tranquilla per il resto della mattina.
Avevo già detto a Liam di voler trovare un lavoro. Primo perché non volevo sentirmi assolutamente una mantenuta e, anche se di poco, volevo dare il mio contributo, sia per me che per mia sorella. E poi perché avevo davvero bisogno di svagarmi in qualche modo per non impazzire chiusa da sola in casa ogni volta che loro avevano qualcosa da fare. Lui si era dichiarato contento e mi aveva quasi pregato per permettergli di accompagnarmi, ma mi ero categoricamente rifiutata perché sapevo che andare a cercare lavoro con un membro della band più famosa del momento non avrebbe mai dato i suoi frutti. Si sarebbero soffermati tutti a fissare sbavando il mio ragazzo e mi avrebbero dato il lavoro solo perché ero la ragazza di Liam Payne.
Io però volevo ottenere le cose grazie al mio impegno e al mio valore.
Era un pensiero tanto sbagliato?
Senza che me ne rendessi conto si fece l’una del pomeriggio e pensai che Jenny sarebbe uscita da un momento all’altro da scuola e il minimo che potevo fare per tirarla su dopo il primo estenuante giorno era farle trovare il pranzo pronto. Così tornai a casa e mi misi ai fornelli.
Mentre canticchiavo, apparecchiando la tavola, le urla che di solito precedevano l’arrivo dei ragazzi mi fecero sorridere e preparare ad accoglierli.
“Siamo a casa” ululò la voce inconfondibile di Louis. Scossi la testa divertita.
“Sono in cucina” risposi urlando a mia volta. Venni raggiunta in un battito di ciglia da Liam che, incurante che avevo le mani piene si posate, si avventò su di me e mi prese tra le braccia, facendomi girare.
Scoppiai a ridere, mentre lui mi rimetteva a terra e mi stampava un bacio dolcissimo sulle labbra.
“Mi sei mancata” soffiò, facendo aumentare come suo solito il battito del mio cuore.
“Lo vedo” mormorai, alludendo al suo improvviso entusiasmo. Il suo sorriso si fece stranamente malizioso e si avvicinò di più a me, per non farsi sentire dagli altri ragazzi che si erano catapultati in cucina, Niall dritto a controllare cosa ci fosse sul fuoco.
“Che ne dici se scappiamo e ce ne stiamo un po’ da soli?” sussurrò in modo provocante.
“Ehi, che fine ha fatto il mio dolce e tenero ragazzo?” replicai scostandomi un po’ da lui. Il suo sorriso si allargò e mi rubò un bacio veloce.
“Si è nascosto da qualche parte”
“Mmh, va bene. Ora mangiamo e poi andiamo a cercarlo” scherzai, sciogliendo l’abbraccio. Lui si imbronciò ed io mi trattenni dal ridere, scompigliandogli i capelli.
Poi scoccai un’occhiata di fuoco a Niall, che aveva alzato il coperchio della pentola con sguardo affamato.
“Non ci pensare neanche” lo ammonii. Lui alzò gli occhi probabilmente sentendosi chiamato in causa e sorrise innocentemente, lasciando andare immediatamente il coperchio.
“Beccato” rise Louis, venendo verso di me per schioccarmi un bacio sulla guancia.
“Siediti, biondino. Mangiamo tutti insieme” gli ordinai, ammorbidendo però il tutto con un sorriso. Lui annuì e, con espressione da cucciolo indifeso, si accomodò accanto a Zayn, che lo guardava divertito.
“Harry?” chiesi.
“E’ andato a prendere Jenny e ha detto che la portava a pranzo fuori” rispose automaticamente Liam, sedendosi accanto a Louis.
“Bene, allora siamo solo noi” mormorai, cominciando a servire il pranzo. Niall mi regalò uno splendido sorriso luminoso prima di tuffarsi su quello che sapevo era il suo piatto preferito.
Dopo il pranzo che, con mia grande soddisfazione, fu spazzato via dai ragazzi, ci buttammo tutti sul divano, io tra le braccia di Liam che mi carezzava distrattamente i capelli.
“Com’è andata l’intervista?” chiesi, le palpebre pesanti, prese dal solito momento di sonno che viene dopo un pasto.
Louis sbadigliò e Zayn aprì appena gli occhi, per rispondermi.
“Bene. Il nostro singolo è ancora primo nelle classifiche” si vantò. Risi e sentii Liam sorridere, mentre mi carezzava la guancia.
“Bene” sussurrai, chiudendo del tutto gli occhi e lasciandomi andare ad uno sbadiglio.
“Io ho trovato un nuovo lavoro” annunciai. Sentii Liam muoversi e alzai il viso per incrociare il suo sguardo interessato.
“Davvero?”
“Si. Avevo detto che volevo collaborare alle spese”
“Ma non ce n’è bisogno, Cher…” provò a intervenire Zayn. Lo zittii con uno sguardo.
“Non importa. Io voglio farlo e ho bisogno di uno svago. Voi avete il vostro lavoro, Jen la scuola ed io non voglio essere l’unica a rimanere senza niente da fare” mi impuntai. Liam mi sfiorò la guancia, per attirare la mia attenzione.
“Di cosa si tratta?” mi chiese con sguardo dolce. Gli sorrisi e mi accoccolai meglio tra le sue braccia.
“Niente di che. La commessa in un negozio di musica” mormorai stringendomi nelle spalle.
“Però la proprietaria è simpatica e il negozio molto carino” mi affrettai ad aggiungere “Ah, Niall” richiamai l’attenzione del biondino, che faticava anche a tenere gli occhi aperti.
“Mmh?”
“C’è una parete piena di chitarre, di tutti i tipi. Ti piacerebbe quel posto” gli dissi con un sorriso. Il suo sguardo si illuminò all’istante e ricambiò il mio sorriso.
“Penso che ci farò un salto appena possibile. E poi ci sarà una commessa molto simpatica che mi farà lo sconto, vero?” scherzò. Risi.
“Certo”
Liam mi strinse leggermente e mi stampò un bacio sulla tempia.
“Sono contento per te” sussurrò. Lo guardai e sentii come al solito il cuore riempirsi dell’amore soffocante che provavo per lui.
“Grazie” Lui strofinò il naso contro il mio fino a far incontrare le sue labbra con le mie.
“Ok, credo sia ora che noi ce ne andiamo” esordì Louis, alzandosi e trascinando con se un ciondolante Niall.
“Già. Poi io mi devo vedere con una ragazza” aggiunse Zayn, alzandosi a sua volta. Lo guardai sorpresa.
“Come, come? Hai una ragazza e non ci dici niente?”
Tre paia di occhi, compresi i miei, si puntarono su Zayn, che si passò imbarazzato una mano tra i capelli.
“Beh, si. Ma non ne farò parola finché non sarà una cosa seria. Non vorrei che voi la terrorizzaste” rispose, lanciando poi un’occhiata eloquente a Louis, che lo guardò sbalordito.
“Ti riferisci a me?” chiese innocentemente. Soffocai una risata e Zayn alzò gli occhi al cielo.
“Esattamente. Ora vado, ci vediamo” disse, prima di uscire a grandi passi.
“Questa me la paga” mormorò offeso Niall. Louis sospirò.
“Dai, biondino. Lasciamo questi due a fare le loro cose” disse, prima di salutarci con un sorriso furbetto e trascinare via Niall, ancora imbronciato e sorpreso dalla nuova scoperta.
Liam mi sembrava rilassato, continuava a carezzarmi i capelli in silenzio, così alzai lo sguardo e lui mi sorrise.
“Tu lo sapevi”
“Zayn mi dice sempre tutto” annuì con un altro sorriso. Spalancai la bocca e mi tirai su, per guardarlo meglio.
“Beh, che aspetti a dirmi chi è?” chiesi impaziente. Lui scosse categoricamente la testa, serrando le labbra.
“Spiacente, ho promesso di non farne parola”
Sbruffai, lanciandogli un’occhiataccia.
“La tua lealtà è terribilmente fastidiosa” commentai acida. Lui scoppiò a ridere e fece per baciarmi, ma io mi tirai indietro, incrociando le braccia al petto.
“Dai, non mettere il muso” mi pregò, chinandosi a baciarmi il collo. Sussultai, sentendomi sciogliere piano piano.
Le sue labbra scorrevano delicate sul mio collo, fino al mento, senza baciarlo veramente e mandandomi il cuore il gola.
Era scorretto, e lo sapeva. Sapeva che quello era il mio punto debole e lo usava sempre a suo favore, per ottenere tutto quello che voleva.
Certo, ero io che avevo scarse doti di resistenza, ma lui se ne approfittava!
Lo sentii sorridere, quando mugolai di piacere e sospirai. Lui alzò il viso di scatto e sorrise vittorioso. Lo guardai di traverso, senza riuscire a trattenere un sorriso.
“Sei odioso” Lui rise e mi afferrò il mento tra due dita, per schioccarmi un bacio a labbra chiuse.
“Non è vero, tu mi ami” affermò convinto.
Non riuscii a protestare quell’affermazione, perché era la verità nuda e cruda.
“E io amo te” aggiunse poi, inchiodandomi con i suoi occhi dolci e carezzandomi la guancia.
“Uhm, non so perché ma riesci sempre a scampartela, ragazzo” mormorai assottigliando gli occhi. Lui si illuminò in un sorriso.
“Che ne dici di spostarci in camera a continuare questo discorso?” propose, una nota provocante nella sua voce. Sarei andata a fuoco da un momento all’altro, ne ero certa.
Non poteva guardarmi in quel modo, dannazione!
Ogni volta risvegliava la ragazza sconsiderata  e sfacciata che era in me.
Come in quel momento.
“E di cosa vorresti parlare, sentiamo” mormorai, mordendomi il labbro inferiore.
I suoi occhi parlavano per lui, liquidi e pieni di un desiderio incontrollabile. Non so con quale forza si trattenne dal saltarmi addosso in quell’istante, ma arricciò il naso e mi sorrise.
“Mh, meglio se te lo faccio vedere” affermò, prendendomi in braccio e trascinandomi nella nostra stanza dalla quale non saremmo usciti fino a tarda sera.
 
 



Liam.
 



Stare in quel modo con Cher era una cosa meravigliosa. Eravamo complici, in ogni cosa che facevamo, e ci capivamo solo con un semplice sguardo. Quando aveva accettato di venire con me  a Londra non mi era sembrato vero e non avrei mai immaginato che vivere con lei sarebbe stato così bello e naturale. Sentivo di amarla ogni giorno di più e che niente avrebbe mai fatto cambiare quel sentimento, talmente forte che mi faceva venire voglia di urlarlo al mondo intero.
Ma non potevo farlo, lo sapevo e lo sapeva anche lei. Vedevo che a volte le scocciava il fatto che non potevamo uscire tranquillamente come una normale coppia. Lo capivo dalla piccola ruga contrariata che appariva tra le sue sopracciglia quando ero costretto a rifiutare una sua proposta. Lei sorrideva e diceva che non importava, ma io vedevo dai suoi occhi che non era affatto così, ormai lei per me era come un libro aperto.
“Che c’è?” bisbigliò, alzando il viso su di me, poggiando il mento sul mio petto nudo.
Le carezzai i capelli e lei mi sorrise, ancora rossa in viso e leggermente ansante per il piacevole sforzo appena commesso.
“Pensavo a quanto sono fortunato a stare con te”
Il suo sorriso si allargò e posò un bacio caldo sul mio petto, facendomi rabbrividire.
“Lo so, ancora non ti sembra vero” scherzò, accennando una risata. Aggrottai le sopracciglia, leggermente infastidito dal fatto che non mi stesse prendendo sul serio.
“Dico davvero. Tu avresti potuto scegliere qualsiasi altro ragazzo, ma non l’hai fatto” mi impuntai. Lei mi guardò, improvvisamente seria e attenta alle mie reazioni.
“Perché dici questo?” chiese con voce flebile. Alzai gli occhi sul soffitto.
“Perché so quanto è difficile stare con uno come me e so che tu un giorno poterti stancarti e lasciarmi. Mi ritengo fortunato perché posso ancora stringerti tra le mie braccia, ma non so quanto potrà durare questa mia fortuna” dissi di getto. La piccola ruga preoccupata comparve tra le sue sopracciglia e lei si alzò, mettendosi seduta incurante che avesse addosso solo la biancheria intima e che fosse decisamente bellissima e attraente. Mi ci volle uno sforzo quasi sovraumano per non saltarle di nuovo addosso.
“Stammi a sentire, Liam Payne” cominciò, lanciandomi uno sguardo di rimprovero. “Non ho idea del perché tu ti stia impicciando il cervello con questi pensieri, ma devi sapere che quello che temi non accadrà mai. Io non mi stancherò mai di te, mettitelo bene in testa. E anche se volessi non potrei mai scegliere nessun’altro ragazzo. Perché il mio cuore ormai è completamente tuo, e a meno che tu non decidessi di buttarlo via, sarà così per sempre” assicurò con voce dolce e arrossendo, diventando sempre più bella. Un piccolo sorriso comparve sulle mie labbra e lo strano peso che sentivo sul petto sparì all’istante.
Mi alzai seduto anch’io e la baciai si slancio, sorprendendola. Si irrigidì per un secondo e poi ricambiò il bacio, infilando la mano tra i miei capelli.
“Anche il mio cuore è completamente tuo” sussurrai sulle sue labbra, prima che lei mi baciasse di nuovo.
Non sapevo da dove erano usciti quegli assurdi dubbi, sapevo solo che lei con la sua dolcezza era riuscita a scacciarli via alla velocità della luce, facendomi sentire per l’ennesima volta l’uomo più felice del mondo per averla con me.
Non l’avrei mai lasciata andare.










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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Capitolo 3.
 
 

Jenny.
 
 


“Che cosa ci fai qui?” mi chiese il ragazzo di fronte a me, per niente cambiato nonostante fosse passata una buona manciata di mesi dall’ultima volta che l’avevo visto. Mi ritrovai a sorridere contagiata dalla sua aria allegra e mi strinsi timidamente nelle spalle.
“Mi sono trasferita qui” annunciai. Il suo sorriso si allargò.
“Fantastico! Quindi ora vieni a scuola qui!” esclamò.
“Si, intelligentone. Altrimenti che starebbe a fare qui, a scuola?” intervenne Cat, con voce sarcastica. Mi voltai verso di lei, che alzò esasperata gli occhi al cielo.
“Quindi deduco che vi conoscete e che non devo fare alcuna presentazione…” mormorò. Scossi la testa e Lucas mi sorrise, di nuovo. Cominciammo a camminare verso il cortile e Cat lanciò un’occhiata infastidita a Lucas, che però non se ne accorse perché continuava a guardare me, quasi meravigliato.
“Smettila di fissarla, Luc. Così la consumi” lo riprese Cat con voce sarcastica, ridacchiando. Lui le riservò un’occhiata di fuoco e poi si sforzò di sorridere.
“Allora…” cominciò Lucas, attirando la mia attenzione e ficcandosi con forza le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa.
Si, perché in quella scuola era obbligatorio indossare una divisa e quella femminile necessitava di una gonna e dei calzettoni lunghi fino al ginocchio, neanche fossimo protagonisti di una stupida commedia americana.
Ero in quella scuola solo da un giorno e già avevo parecchi motivi per cominciare ad odiarla.
“Stai ancora con quel broccolo?” fece la sua domanda Lucas, con un sorriso tirato. Lo guardai immediatamente male, mentre il sorriso di Cat si allargava, sorpresa.
“Non chiamarlo così” ammonii Lucas, che alzò le mani a mo’ di resa.
“Hai un ragazzo?”chiese curiosa Cat. Mi sforzai di sorridere, scuotendo la testa e farfugliando qualcosa, improvvisamente senza sapere bene cosa dire.
Insomma, Harry mi aveva suggerito, per il mio bene e soprattutto per proteggere la mia privacy, di non dire niente di noi due. Ma non mi piaceva mentire, soprattutto davanti ad una persona che sapeva la verità e che avrebbe potuto smascherarmi da un momento all’altro.
“Oh, si. Com’è che si chiama? No, aspetta. Io lo so bene: Ha…” riprese Lucas, attirando l’attenzione di Cat. Lo bloccai, spingendolo di lato, proprio prima che dicesse il suo nome.
“Harvey. Si chiama Harvey” ripresi frettolosamente, arrossendo leggermente. Cat ci guardò un po’ confusa, poi sorrise, mentre Lucas soffocava una risata.
“Ok” mormorò Cat, lanciandoci un’occhiata “Voi due siete decisamente strani” commentò, proprio nel momento in cui suonò la campanella, accorrendo in mio aiuto.
Ecco, quella era una delle cose che non avrei mai odiato in quella scuola. Cat saltò giù dal muretto in cui ci eravamo seduti e si avviò verso la porta della scuola.
“E visto che non voglio impazzire ancora di più provando a decifrare cosa vi passa per la testa, me ne vado in classe. Che se la Wood mi vede arrivare un’altra volta in ritardo mi uccide. Tu che lezione hai?” mi chiese, con il suo solito sorriso. Cominciavo ad abituarmi a tutta quella gentilezza e allegria. E dovevo ammettere che non mi dispiaceva affatto.
Presi il foglietto con gli orari e lessi velocemente.
“Mh, educazione fisica”
Feci una smorfia: odiavo fare ginnastica. Ogni cosa che richiedeva del movimento non faceva decisamente per me.
“Perfetto. Luc, le fai vedere te dov’è la palestra?” chiese. Lui annuì con un sorriso.
“Allora ci vediamo dopo, Jenny” mi salutò, prima di scomparire tra la folla. Sbruffai, mentre Lucas mi indicava la direzione da prendere. Lo seguii, mugugnando qualcosa, e lui mi guardò curioso.
“Com’è quell’aria scontrosa?”
“Odio l’ora di educazione fisica. Odio qualunque tipo di sport”
Lui scoppiò a ridere improvvisamente, stupendomi di quanto fosse contagiosa e tranquillizzante la sua risata.
“Allora devi proprio andare d’accordo con Har…vey” osservò, correggendosi all’ultimo nel pronunciare il nome e lanciandomi un’occhiata complice “Mi ricordo che quando veniva a scuola inventava ogni tipo di scusa per non presentarsi in palestra” continuò, frenando poi le risate. Arrossii e sorrisi al pensiero di Harry come un normale ragazzo, che frequenta una normale scuola e che fa di tutto per sfuggire all’ora di educazione fisica.
Peccato che non c’era niente di normale ormai nella sua vita. Anche solo pensare di andare a buttare la spazzatura era pericoloso per lui e per qualsiasi altro dei ragazzi.
Sembrava che le loro fan sapessero tutto di loro, anche quante volte al giorno respiravano, o sbattevano le palpebre.
Nonostante tutto però cercavo di non infastidirmi per questo, perché prima anch’io ero come loro e sapevo cosa significava passare tutto il giorno con il pensiero dei propri idoli e a sperare di incontrarli e vederli da qualche parte.
Era scoraggiante, soprattutto quando ti rendevi conto che probabilmente non sarebbe mai successo.
“Beh, allora mi farò dire come faceva. Tutto pur di saltare quell’ora di tortura” replicai riprendendomi. Lui sorrise e si strinse nelle spalle.
“Allora devo anche avvisarti che erano più le volte in cui lo beccavano che quelle che riusciva a starsene rilassato” disse con un sorriso. Sbruffai, arrendendomi. Sapevo che non era un genio, quel ragazzo. Ma almeno qualche piano utile avrebbe potuto inventarselo! Mica per niente, giusto per poi suggerirlo a me.
“Se vuoi puoi lasciarti aiutare da me” se ne uscì Lucas in un sussurro. Alzai immediatamente lo sguardo su di lui, che sorrideva, ma leggevo un po’ di tensione nei suoi occhi. Sorrisi dolcemente, per riportare la situazione all’ordine.
“Penso sia meglio presentarmi, almeno alla prima lezione. Se mi servirà ti farò sapere” gli dissi.  Lui annuì e tornò a sorridere come prima. Continuavamo a camminare in silenzio e il dubbio che stesse allungando volutamente il percorso mi sfiorò, ma poi lui mi riscosse dai miei pensieri prima che la domanda potesse arrivare alle mie labbra.
“Perché non hai detto la verità a Cat?” chiese improvvisamente. Lo guardai, un po’ sorpresa e presa in contropiede dalla sua domanda.
“Perché Harry è una persona famosa, ed io non voglio orde di paparazzi che scavano nella mia vita per sapere chi è la ragazza di uno dei più famosi cantanti del momento” risposi quasi meccanicamente. Lui annuì, concentrato sulle mie parole.
“Lei non l’avrebbe detto a nessuno. E comunque che gusto c’è a stare con una persona se non puoi dirlo a nessuno? E’ come…se non fosse vero”
Deglutii, di nuovo sorpresa dal tono della sua voce e dalle sue parole. Non voleva mettermi a disagio, sembrava volesse solo capire il perché di quel gesto.
“Beh, a me non… interessa dirlo agli altri. L’importante è che lo sappiamo  io e lui” riuscii a farneticare, dicendo la prima cosa che mi era passata per la testa. Lui mi guardò, una strana luce negli occhi che fu scacciata via dal suo solito sorriso.
“Come vuoi”
“Tu e Cat…vi conoscete bene” osservai, tentando di cambiare discorso e di spostare l’attenzione dalla mia storia con Harry. Odiavo essere giudicata e quella era una cosa che riguardava solo me e lui.
Lucas sorrise di nuovo e annuì.
“Si, ci conosciamo da quando siamo bambini. Però lei è venuta solo l’anno scorso in questa scuola, per questo probabilmente non conosce Harry. Cioè, non lo conosce come lo conosco io e tutti i ragazzi della mia classe” precisò. Annuii, accorgendomi finalmente di essere arrivati davanti alla palestra.
“Ecco la tua stanza delle torture” annunciò lui con una risata. Sbruffai, lanciandogli un’occhiata implorante.
“Dimmi almeno che il professore è un tipo apposto” mugugnai. Lui si affrettò ad annuire.
“Oh, si. Soprattutto quando si mette in testa di giocare a calcio, o a pallavolo. Lo adoro quando ci rompe i timpani con il suo fischietto” disse sarcastico. Gli lanciai un’occhiataccia.
“Grazie per l’incoraggiamento”
“Cerca di restare ai margini del gruppo e ti lascerà in pace” mi consigliò facendomi l’occhiolino.
“Ci si vede” aggiunse poi, girandosi e facendo un cenno a mo’ di saluto, prima di affrettarsi per il corridoio, probabilmente in ritardo per la sua lezione. Sorrisi, felice per aver trovato già un’altra persona con cui parlare e su cui fare riferimento in quella scuola piena di sconosciuti, e mi preparai ad affrontare la lezione che sapevo avrei odiato per tutto l’anno.
 
 
 
Al suono della campanella dell’ultima ora mi lasciai andare ad un sonoro sospiro di sollievo e mi alzai, il sorriso stampato in faccia e l’impazienza di uscire da quell’inferno che mi costringeva quasi a correre.
Salutai frettolosamente Cat, che seguiva l’ultima lezione con me, e uscii all’aria aperta, guardandomi intorno entusiasta.
Aveva promesso che sarebbe venuto a prendermi, e lui manteneva tutte le promesse.
Anche perché se non l’avesse fatto l’avrei odiato a morte, dato il fatto che avevo passato le ultime due ore a fare il conto alla rovescia perché non vedevo l’ora di rivederlo.
Mi guardai intorno, scandagliando attentamente ogni angolo del parcheggio, tra le centinaia di ragazzi che si affrettavano a prendere l’autobus e quelli che invece salivano nelle macchine dei genitori.
Quando scorsi una figura incappucciata lontano da tutto e tutti, il mio cuore perse un colpo per poi riprendere la sua corsa più veloce del normale.
Sorrisi, avvicinandomi a passo svelto.
“Posso aiutarla, signore?” chiesi. Lui sobbalzò, voltandosi verso di me spaventato, per poi aprirsi in un meraviglioso sorriso.
“Jen” sospirò “Mi hai fatto prendere un colpo”
“Pensavi fosse una fan impazzita che ti aveva riconosciuto?” scherzai, lasciandomi stringere in un abbraccio.
“Tu ci scherzi, ma io sto seriamente rischiando la vita” mormorò con tono melodrammatico. Arricciai il naso, infastidita dai suoi occhiali da sole che mi coprivano il colore dei suoi occhi e glieli tolsi. Lui si guardò intorno preoccupato ed io gli afferrai il mento con la mano, per portare la sua attenzione su di me.
“Se fai finta di niente nessuno si accorgerà di te” mormorai. Lui sorrise e strofinò il naso contro il mio.
“Non credo sia un metodo efficace” soffiò sulle mie labbra. Mille brividi mi risalirono la schiena e mi costrinsero ad avvicinarmi ancora di più a lui, facendo aderire il mio petto al suo.
Quasi potevo sentire il battito del suo cuore aumentare, o forse era il mio che batteva veloce per entrambi.
“Mh, allora prova a baciare la tua ragazza. Nessuno si azzarderà a disturbarci” ci riprovai, con un sorrisetto. Vidi i suoi occhi farsi liquidi, ma si trattenne ancora, un vago sorriso malizioso sulle labbra.
“Non credo neanche che si fermeranno solo per questo” sussurrò di nuovo. Il suo odore dolce mi invase le narici e sapevo che da un momento all’altro non avrei più saputo resistere.
“Io dico di si” mi impuntai. Il suo sorriso si allargò e il suo naso arrivò a sfiorare il mio.
“Mh, e perché?”
“Perché sarei pronta ad uccidere qualunque ragazza si avvicinerebbe” bisbigliai. Lui scoppiò a ridere, piegando la testa all’indietro e interrompendo quel contato. Mi imbronciai, mentre lui cercava di calmarsi.
“Adoro quando sei gelosa” disse, per poi attirarmi a se e baciarmi d’impeto, togliendomi il fiato. Mi immobilizzai sorpresa, ma ci volle meno di un secondo per farmi sciogliere. Bastarono le sue mani sui miei fianchi, il pollice che era riuscito ad intrufolarsi sotto la mia maglia e che mi stuzzicava la pelle nuda.
“Mi sei mancata, stamattina” sussurrò, staccandosi lo stretto indispensabile. Sorrisi, come sempre emozionata dalla dolcezza delle sue parole, non ci avrei mai fatto l’abitudine.
“Anche tu”
“Sarei curioso di chiederti com’è andata, ma c’è un bisogno più urgente al momento…” lasciò la frase in sospeso, con un sorriso provocante. Deglutii e sciolsi l’abbraccio, irrigidendomi.
“Giusto. Sto morendo di fame” mormorai. Il sorriso scomparve dal suo viso e sbuffò, arrendendosi.
Sapevo che mi stavo comportando da ragazzina, sfuggendo ogni volta alla sua proposta, ma non mi sentivo ancora pronta.
Quando avevo deciso che non avremmo dormito nello stesso letto, dopo essermi trasferita da lui, sembrava aver accettato di buon grado la cosa.
Sapeva che non ero pronta e che, nonostante tutto, avevo appena sedici anni e che per me lasciarmi andare con lui completamente era una cosa importante.
Pensavo sarebbe riuscito a resistere e ad aspettare, ma da una settimana a questa parte era diventato più pressante con le sue battutine e allusioni
Certo, non mi avrebbe mai costretta a fare niente, ma sapevo che la mia rigidità lo scocciava, e anche parecchio.
“Si, andiamo a mangiare” acconsentì, sforzandosi di sorridere e prendendomi la mano.
In macchina calò il silenzio e nessuno si sporse ad accendere la radio, segno che sapevamo entrambi che c’era qualcosa di cui avremmo dovuto parlare, ma orgogliosi com’eravamo era una grande lotta decidere chi avrebbe aperto il discorso.
Sospirai più volte, prima che lui si voltasse verso di me e mi lanciasse un’occhiata esasperata mista al divertimento.
“Non ce l’ho con te” esordì, capendo al volo cosa mi girava per la testa. Trattenni il sorriso che cercava di fare capolino e mi strinsi nelle spalle.
Lui alzò gli occhi al cielo e accostò, voltandosi completamente verso di me e guardandomi attentamente.
“Che c’è?” mi chiese. Presi un bel respiro e mi sforzai di incrociare il suo sguardo, nonostante sapevo che se l’avessi fatto probabilmente la mia concentrazione avrebbe vacillato.
“Mi dispiace non poterti…accontentare” mugugnai, arrossendo dalla vergogna e distogliendo lo sguardo. Lui mi poggiò un dito sotto al mento, senza darmi via di scampo.
“Scusa” bisbigliò. Lo guardai aggrottando le sopracciglia.
“Mi dispiace che tu ti senti così” spiegò  “Non sei obbligata a ricambiare i miei…desideri. E non devi scusarti di niente, io so aspettare” mi assicurò con un sorriso.
“Lo so”
“Però…?” mi incalzò, notando la mia titubanza.
“Però ho paura che tu possa stufarti. Insomma io non so quando…sarò pronta. E non vorrei che tu…” mi interruppe, carezzandomi la guancia e posando un dito sulle mie labbra.
“Non devi neanche provare a pensarle queste cose. Io non mi stancherò di te, come pensi possa essere possibile?” chiese con un gran sorriso “A me basta sapere che sei al mio fianco e che mi ami tanto quanto io amo te. Per il resto abbiamo tutto il tempo del mondo”
Avevo detto che non sarei mai riuscita ad abituarmi alla sua dolcezza, soprattutto alle sue dichiarazioni cosi appassionate. Gli occhi mi si riempirono di lacrime e lui mi fece un sorriso tenero.
“Adesso non piangere. Lo so che sono commovente, però…” mi disse, riassumendo la sua aria strafottente che lo caratterizzava. Lo colpii con un pugno sulla spalla e lui scoppiò a ridere.
“Ora mi picchi?” chiese sbalordito. Alzai gli occhi al cielo e lui si sporse verso di me per afferrarmi il mento con una mano e rubarmi un bacio veloce.
“Sei adorabile, è impossibile non amarti” affermò convinto. Arrossii e mi scostai, cercando di riprendere fiato.
“Sei un ruffiano” lo accusai, senza riuscire a trattenere un sorriso.
“Lo so” ammise lui, mettendo in moto “E ora questo ruffiano ti porta a pranzo perché ha sentito il tuo piccolo stomaco brontolare” aggiunse sarcastico, riprendendo a guidare.
“E questo ruffiano sa che lo amo anche io?”
Vidi l’angolo della sua bocca sollevarsi.
“Si, ma fa sempre piacere sentirselo dire” bisbigliò, allungando una mano verso la mia e stringendola.













CIAAAO.
Dio, sto sclerando perchè tra circa un'ora ho la partita contro la squadra più forte del campionato e ho il vago presentimento che farò una grandissima figura di merda çç
Sto andando nel panico, ho bisogno che qualcuno mi aiuti a calmarmi...aaaaah o.o
Ok, la pianto *respira profondamente*
Cerco di tornare in me, giuro.
Cosa stavamo dicendo?
Ah, si...il capitolo.
Beh, non succede niente di così eclatante e comincio a pensare che questa ff possa annoiarvi :/
Non mi abbandonate, please. Sono i primi capitoli, noiosi, ma sono solo i primi.
E la storia non sarà così tranquilla, ormai dovreste conoscermi,
qualche casino succede sempre, non può essere tutto rose e fiori con me *risata malefica*
Quindi, spero che abbiate un po' di pazienza,
e ringrazio infinitamente tutte quelle che hanno recensito lo scorso capitolo :')
Non odiatemi se non riesco a rispondere, mi sento già una stronza di mio uu
Ok, detto questo torno al mio momento di sclero sperando di non impazzire del tutto e almeno di arrivare viva alla partita, tralasciando il fatto che probabilmente crollerò appena l'arbitro mi chiamerà per fare il sorteggio tra palla e campo.
Non ce la posso fare çç
Pregate per me.
Tanto amore.
Sara.






 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


 
Capitolo 4.

 


Cher.
 
 


“Ciao, Cher” mi accolse con un gran sorriso Grace, quando feci la mia entrata in negozio. Erano solo le otto della mattina, ma sembrava che Grace mi stesse quasi aspettando sulla porta.
“Sono in ritardo?” chiesi timidamente, notando come si era affrettata prendere le sue cose e a raggiungermi sulla porta.
“No, no, affatto. Sono io che vado di fretta. Senti, quello che devi fare è piuttosto semplice: servire i clienti. Ce la puoi fare?” mi chiese.
“Si, certo. Lavoravo in una tavola calda, prima”
“Oh, giusto. Me l’avevi anche detto” esclamò schiaffeggiandosi la fronte. Le sorrisi e lei ricambiò al volo, cercando di sistemarsi la cascata di ricci castani che non volevano rimanere al loro posto.
“Perfetto, allora. Stacchi all’una. Queste sono le chiavi” me le lanciò e poi aprì la porta.
“Scusami se sono così di fretta, se ce la faccio passo prima che finisca il tuo turno” mi promise.
“Tranquilla, me la caverò” le assicurai. Lei sospirò di sollievo e uscì, quasi mettendosi a correre per salire sull’autobus che aveva appena fatto la sua fermata davanti al negozio.
Sospirai, guardandomi intorno. Il silenzio era quasi assordante lì dentro ed io non avevo la più pallida idea di cosa fare.
Insomma, il mio compito era servire i clienti, ma di clienti non c’era neanche l’ombra considerando il fatto che le persone sane di mente probabilmente a quell’ora stavano dormendo. Comunque, raggiunsi il bancone dove era posizionata una cassa ed un computer e mi sistemai seduta, tamburellando con le dita sul legno.
Solo due minuti e già mi stavo annoiando. Sentivo bruciante la mancanza di Mike in quel momento e mi alzai di scatto decidendo che dovevo assolutamente trovare qualcosa da fare se non volevo impazzire. Mi intrufolai nella stanza sul retro, il magazzino, e con mio grande piacere trovai tre scatole di nuovi arrivi appena aperte con un post-it attaccato sopra.
Da sistemare.
Perfetto.
Con un sorriso soddisfatto ne afferrai una per volta portandole sul bancone e le aprii guardando cosa c’era dentro. Per poco non scoppiai a ridere quando scoprii il contenuto della prima scatola: decine di cd dei One Direction.
Scuotendo la testa divertita e canticchiando qualche canzone tra me e me cominciai a sistemare sugli scaffali anche il resto contenuto nelle altre scatole.
Dopo circa due ore, la città cominciava a popolarsi e quando avevo ormai esaurito tutte le cose possibili da fare, i primi clienti cominciarono ad entrare nel negozio.
Ma quelli che proprio non mi aspettavo di vedere fecero il loro ingresso, illuminando la stanza con il loro sorriso smagliante.
“Che ci fate voi qui?” chiesi sorpresa, mentre Liam mi salutava con un bacio sulla guancia e Niall si guardava attorno con aria spaesata.
“Siamo venuti a vedere come te la cavi”
“Beh, non c’è tanto da fare. Fino ad ora ho venduto solo due cd” mi lamentai. Niall fece spallucce, mentre continuava a vagare con lo sguardo. Quando i suoi occhi cristallini si posarono sulla parete piena di chitarre, rimase letteralmente a bocca aperta, indicandola senza proferire parola.
Liam scoppiò a ridere, mentre Niall si voltava verso di me con gli occhi che gli brillavano.
“Posso provarne una?” chiese con espressione da bambino il giorno di Natale.
Annuii e lui si aprì in un meraviglioso sorriso.
“A patto che non la rovini, non vorrei essere licenziata il primo giorno!” esclamai. Lui annuì, già nel suo mondo, e si sporse ad afferrarne una, semplice, per poi sedersi su uno sgabello lì vicino e cominciare a strimpellare qualche accordo.
“Tranquilla, tratta le chitarre meglio di se stesso” mi assicurò Liam, sussurrando. Gli sorrisi e lui prese a guardarsi intorno.
“Sei sola?”
“Si, Grace aveva da fare”
“E a che ora stacchi?” mi chiese, sfiorandomi la guancia con una carezza.
“All’una”
Mi illuminò con un sorriso.
“Perfetto. Ti aspettiamo, allora. Ti dispiace?” mi chiese, sporgendo il labbro all’infuori.
“Scherzi? Rischio di morire di noia qui da sola!” esclamai. Il suo sorriso si allargò e si sporse sul bancone per stamparmi un bacio sulle labbra.
“Vieni, Cher. Cantiamo qualcosa” mi chiamò Niall, ormai appropriatosi completamente della chitarra, con la quale sembrava aver già stretto amicizia. Raggirai il bancone e mi avvicinai per sedermi accanto a lui.
Cominciò a suonare e canticchiare una delle loro nuove canzoni, ma prima che potessi capire di quale si trattasse, un movimento al margine del mio campo visivo attirò la mia attenzione.
“Merda” esclamò Liam, accorgendosi come me delle due ragazzine che, ridendo, stavano entrando nel negozio.
“Dietro al bancone, veloci” squittii. Loro, quasi senza pensarci obbedirono e schizzarono dietro al bancone, accucciandosi appena prima che le ragazze alzassero lo sguardo sorridenti.
“Buongiorno” salutai con un sorriso teso, prendendo posto sullo sgabello dietro al bancone evitando di guardare sotto di me, dove sentivo la risata soffocata di Niall.
“Ciao” risposero loro in coro, per poi ridacchiare. Avevano più o meno l’età di mia sorella e si guardavano intorno con aria curiosa.
“Posso aiutarvi?” chiesi, notando come stessero cercando qualcosa. La ragazza dai capelli rossi annuì, ma prese parola l’altra, con il viso sorridente e i capelli biondi legati in una coda alta.
“Si, siamo passate ieri per un cd e la ragazza che c’era ci ha detto che sarebbe arrivato oggi” cominciò. Annuii e la rossa prese la parola, arrossendo lievemente.
“Il cd dei One Direction, è arrivato?” chiese con voce flebile. Mi morsi il labbro per evitare di ridere, mentre qualcuno sotto di me non era riuscito a trattenersi. Tossicchiai per nascondere la risata soffocata di Liam e lo colpii con un calcetto per farlo tacere. Le ragazze osservarono confuse la mia reazione, mentre mi piegavo per prendere il cd dallo scaffale alle mie spalle. Le due si illuminarono ed io sorrisi, riprendendo il contegno.
“E’ un regalo, è possibile incantarlo?” mi chiese la bionda.
“Certo” annuii e mi alzai per prendere la carta da regalo e i nastri che avevo visto prima nello stanzino. Quando tornai, le trovai ad osservare la foto di copertina tutte sognanti.
“Sono proprio belli” sospirò la rossa. Mi morsi l’interno guancia, mentre lei mi porgeva il cd e cominciavo ad incartarlo.
“Tu li conosci?” mi chiese con un piccolo sorriso.
Altra risata soffocata sotto di me.
“Vagamente. Mia sorella è una loro fan” biascicai, evitando di guardarle per non scoppiare a ridere.
Che situazione assurda.
“Harry è proprio una meraviglia” si aggiunse la bionda, adocchiando la foto. Guardai anch’io la copertina del cd, decidendo di stare al gioco.
“Mh, qual è?” chiesi. Lei me lo indicò all’istante con un sorriso.
“No, io preferisco Liam. E’ la dolcezza fatta persona” si intromise la rossa, indicandomi il mio ragazzo che sulla foto si era arrampicato su una cabina telefonica e afferrava Louis per aiutarlo a fare lo stesso.
Idioti.
Sussultai alle parole della ragazza, che arrossì sorridendo. Che ne sapeva lei della dolcezza di Liam? Qualcuno ridacchiò sotto di me ed io mi promisi di fargliela pagare più tardi.
“A te chi piace di più?” mi chiese la ragazza bionda, servendomi la mia vendetta su un piatto d’argento. Lanciai uno sguardo alla foto, per far credere che stessi valutando al primo sguardo quei cinque ragazzi che invece conoscevo come le mie tasche, e poi indicai Niall.
“Mah, direi lui. Sembra quello più simpatico di tutti”
“Niall” annuì la ragazza “Ha una voce fantastica” mormorò, mentre qualcuno mi pizzicava il polpaccio.
“Ahi” mi scappò di bocca e le ragazze mi guardarono all’istante sorprese.
“Ho sbattuto il ginocchio” mi giustificai arrossendo. Loro sorrisero appena, per poi tornare al loro discorso e porgendomi il cd in modo che finissi di impacchettarlo.
“Tutti hanno una voce fantastica, se no non sarebbero dove sono ora” replicò la rossa. L’altra annuì, tranquillizzandola con un sorriso.
“Lo so, conosco a memoria ogni loro singola sfumatura” le ricordò, roteando gli occhi al cielo. Sorrisi, facendo un fiocco con il nastro.
Porsi il pacco alle ragazze e loro mi pagarono, ringraziandomi.
“Grazie a voi” risposi, mentre si allontanavano.
“Comunque si dice che sono tornati a Londra, quindi potremo incontrarli da qualche parte” borbottò la bionda.
“Si, certo. Con la nostra fortuna, poi…” replicò l’altra.
“Arrivederci” le salutai. Loro mi risposero in coro con un altro “Ciao” prima di chiudersi la porta alle spalle.
Senza più riuscire a resistere scoppiai a ridere, tenendomi la pancia con le mani. I due a fatica si tirarono su dal loro nascondiglio stiracchiandosi la schiena. Liam mi fulminò con un’occhiata, facendo aumentare ancora di più le mie risate.
“Ah, così è Niall il tuo preferito” mormorò con sguardo duro. Mi asciugai le lacrime che erano riuscite a sfuggirmi, mentre Niall ridacchiando mi posava un braccio sulle spalle.
“Certo, non siamo una bellissima coppia?” gli chiese. Gli feci l’occhiolino e Liam sbruffò, incrociando le braccia al petto.
“Bellissimi, si” mugugnò Liam, dandoci le spalle. Sorrisi e lo abbracciai da dietro, poggiando il mento sulla sua schiena, mentre Niall ridacchiava tra se e se.
“Gelosone” mormorai. Lui non si mosse, rimanendo con le braccia incrociate al petto e apparentemente innocuo al mio abbraccio. Aggrottai la fronte e spostai le mani sulla sua pancia, scorrendo i suoi addominali e lo sentii sussultare. Sorrisi e gli pizzicai la pancia, facendolo sobbalzare.
Lui finalmente si voltò verso di me, circondandomi i fianchi con le braccia, con un mezzo sorriso sulle labbra imbronciate. Niall sospirò e si posizionò di nuovo con la sua chitarra, cercando di ignorarci.
“Che vuoi? Perché non vai ad abbracciare il tuo preferito?” mi provocò, aumentando però la stretta. Feci spallucce, indifferente, e cercai di divincolarmi.
“Ok” mormorai, facendo per allontanarmi. Ma lui non mi lasciò fare, riafferrandomi e incollandomi praticamente a lui.
“Dove credi di andare?” soffiò, arrivando fino a sfiorare il mio naso con il suo.
“Ad abbracciare Niall” replicai innocentemente. Lui sorrise e si chinò ancora di più su di me, uccidendo all’istante tutte le mie facoltà mentali.
Sfiorò le mie labbra con le sue, senza veramente toccarle, e mandandomi in fibrillazione. Il mio cuore rischiava di impazzire, come al solito.
“Dicevi?” soffiò, un accenno di malizia nella sua voce. Il mio cervello era completamente scollegato e, anche se avrei voluto rispondere con una battuta tagliente, continuando quello stupido battibecco, non ci sarei mai riuscita, perché lui ormai aveva preso il totale controllo della situazione.
“Che devo baciare all’istante il mio ragazzo, che è decisamente il mio preferito, se non voglio rischiare un collasso” replicai quasi in trance, ipnotizzata dai suoi occhi color cioccolato. Il suo sorriso si allargò, ma non si decideva a muoversi, rimaneva con la bocca lì, a mezzo millimetro dalla mia, in una lunga tortura che non faceva altro che far impazzire i miei ormai andati ormoni.
“E se lui non volesse?” continuò a provocarmi. Non so come, trovai la forza di schioccare la lingua e lanciargli un’occhiata che doveva essere, almeno sembrare, esasperata.
“Allora credo che cambierò le mie preferenz…” prima che potessi finire la frase, mi baciò, sorridendo poi sulle mie labbra.
Gli mordicchiai il labbro inferiore e lui aumento la stretta sui miei fianchi, togliendomi il respiro.
“Quando hai detto che stacchi?” sussurrò, ansante, appena si staccò dalle mie labbra. Una scarica elettrica mi percorse la schiena, mentre il solito fuoco caldo e lento cominciò a bruciarmi un po’ più in basso.
“Tra un’oretta” riuscii a biascicare, con il fiato corto.
Sbruffò.
“Sarà l’ora più lunga della mia vita” borbottò, staccandosi appena prima che l’incendio mi scoppiasse dentro. Cercai di riprendere fiato, mentre lui si sedeva, rosso in viso, accanto a Niall, che continuava a strimpellare evitando di guardarci.
“Ti va di aspettare? Così torniamo a casa insieme” chiese al biondino, facendomi l’occhiolino. Gli sorrisi, dirigendomi a passo meccanico dietro al bancone, mettendo più distanza possibile tra me e lui per evitare un assalto improvviso.
Da parte mia, ovviamente.
Niall alzò lo sguardo scettico su di lui, per poi passare a guardare me.
“A dire la verità, no. Ma penso sia meglio che rimanga a controllarvi, per evitare che vi saltiate addosso da un momento all’altro” dichiarò, continuando ad osservarci e notando sicuramente la nostra espressione impaziente e decisamente accaldata.
Mi uscì una risata mezza isterica e lui scosse la testa sconsolato, mentre Liam lo colpì con una spallata.
Lui riprese a suonare e cominciò a canticchiare, insieme a Liam, qualche canzone che era nel loro repertorio.
Sorrisi, beandomi delle loro voci melodiose e scoccando continue occhiatacce all’orologio intimandogli mentalmente di accelerare l’andatura di quelle odiose lancette che sembravano non spostarsi mai.
















 

HOOOOLA :)
Vi sono mancata? **
ok, non siete obbligate a rispondere uu
Sto pubblicando oggi perchè sta sorgendo another little problem:
domani ho l'interrogazione di biologia e non sono esattamente sicura di riuscire a prendere la sufficienza.
'Vai a studiare, allora!' Penserete voi, ma no, non è quello il problema.
Le cose le so praticamente tutte, il fatto è che poi quando vedo quel topo davanti a me pronta a farmi le domande mi dimentico tutto uu
Quindi, prevedendo un'imminente punizione talmente lunga che mi farà dimenticare anche come si accende il computer, pubblico oggi il capitolo sperando di non sparire e di riuscire a portare avanti la ff.
Se vedete che non mi faccio più viva, saprete il motivo çç
Comunque, è un capitoletto un po' nonsense, di passaggio, così.
Dovrete aspettarne un altro paio, al massimo tre, prima che la storia cominci ad entrare nel vivo ^^
Sempre che quella stronza domani mi metta la sufficenza.
Ora sloggio, spero vi piaccia e che lascerete qualche recensione :)
Tanto amore.
Sara.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


Capitolo 5.
 
 

Jenny.
 


Sapevo che quella giornata sarebbe stata un vero disastro. Tralasciando il bellissimo, come al solito, risveglio, con la voce roca di Harry che mi riportava alla realtà e al suo bacio delicato che rimetteva in moto il cervello all’istante, sapevo che sarebbe andata male dal messaggio di Cat che mi arrivò un attimo dopo, ricordandomi che la professoressa di latino avrebbe riportato i compiti in classe svolti una settimana prima.
Era passato un mese dal mio arrivo nella nuova scuola e, a parte qualche carenza in matematica, dove comunque riuscivo sempre a cavarmela con un rifilato sei, potevo affermare che andavo piuttosto bene e la mia media era anche abbastanza alta.
Se lasciavo da parte il latino e non consideravo gli ormai abituali quattro alle interrogazioni e l’ultimo compito consegnato praticamente in bianco.
Ero un disastro, lo sapevo, ma non potevo farci niente. Nella mia vecchia scuola non facevamo latino ed arrivare in una classe dove lo studiavano già da tre anni, non aiutava affatto.
Sbruffai, lanciando il cellulare sul letto e attirando l’attenzione di Harry. Dovevo dire che restare concentrata era piuttosto difficile, considerando il fatto che si era appena svegliato anche lui e che la prima cosa che aveva fatto era raggiungermi nella mia stanza, di conseguenza aveva addosso solo i suoi boxer neri che lasciavano veramente poco all’immaginazione. Mi imposi di non guardare più al di sotto del suo  mento, mentre lui si sfregava gli occhi ancora decisamente assonnati e cercava di sistemarsi il groviglio di ricci che aveva in testa.
“Che c’è, piccola? Non ti è piaciuto il risveglio?” mugugnò, lasciandosi scappare il suo solito sorrisetto malizioso. Sorrisi, affrettandomi ad infilare i pantaloni del pigiama, ricordandomi solo grazie al suo sguardo improvvisamente acceso di aver dormito senza. Lui si imbronciò appena gli coprii la vista che doveva piacergli particolarmente ed io gli scompigliai ancora di più i ricci.
“No, il risveglio è stato perfetto. E’ quello che mi aspetta a scuola a preoccuparmi” mormorai sospirando sconfitta, già consapevole dell’imminente insufficienza che avrei riportato a casa, peggiorando ulteriormente la situazione.
“Che c’è che non va?” mi chiese lui, preoccupato. Sospirai, prendendogli la mano e trascinandolo con me al piano di sotto.
“Vado male a latino. Non l’ho mai studiato e sono decisamente indietro rispetto agli altri, oggi la prof. riporterà i compiti e sono sicura di aver preso un’altra grave insufficienza” mormorai sconfitta, mentre scendevamo le scale.
“Mi dispiace” mormorò lui “Cosa posso fare per aiutarti?” gli sorrisi, rincuorata dalla sua preoccupazione e mi alzai sulle punte dei piedi per baciarlo.
“Niente. Dovrò cavarmela da sola e mettermi sotto” replicai stringendomi nelle spalle. Lui annuì ed io gli sorrisi, sperando che lui ricambiasse. Mi accontentò all’istante, alleggerendomi il peso che sentivo sul cuore e rallegrandomi decisamente la giornata.
“Potremo provare a studiare insieme, magari ti può essere d’aiuto” propose, senza perdersi d’animo. Il mio sorriso si allargò e annuii, stringendogli la mano.
“Ci proveremo” affermai, prima di entrare in cucina con lui, salutare gli altri e dedicarmi alla mia colazione.
 
 
 
 
Un disastro, come avevo previsto. Non appena la professoressa, con il suo sorriso sadico, posò il foglio del mio compito sul mio banco, con il tre in bella vista, sentii il mondo crollarmi addosso. Cat mi lanciò uno sguardo dispiaciuto, coprendo all’istante il suo rifilato sei meno.
Mi sforzai di sorriderle e lei ricambiò, ma prima che potesse dirmi qualsiasi cosa, la strega che avevamo al posto della professoressa, una donna decisamente trascurata, con un diavolo per capello e ogni tratto del suo viso che ti spingeva a pensare che l’unica cosa che aveva era la sua amata lingua morta, prese la parola.
“Come vedete, non sono andati benissimo i vostri compiti. A parte le solite persone che studiano regolarmente, siete tutti un po’ scesi” commentò, incrociando le mani e scandagliando dalla sua postazione tutti i nostri visi, soffermandosi poi sul mio.
Sbiancai, sperando che il suo sorriso diabolico fosse solo una mia impressione.
“Signorina Foster” capitolò, distruggendo tutte le mie speranze. Gli occhi di tutti i presenti puntarono su di me, chi sospirando e ringraziando che non fosse lui l’imputato, chi lanciandomi sguardi di comprensione, chi di scherno. Deglutii guardando Cat, che ricambiò preoccupata e mi strinse la mano sotto al banco, facendomi capire che era lì per me a sostenermi.
Era veramente una brava ragazza ed eravamo entrate subito in sintonia. Tempo una settimana e potevo affermare di aver trovato un’ottima amica, leale, dannatamente divertente, a cui già sentivo di essermi affezionata.
Tornai al presente, quando sentii lo sguardo bruciante della professoressa su di me.
“Non voglio farle dire il suo voto davanti a tutti, ma mi ritrovo quasi obbligata a consigliarle di cominciare a prendere ripetizioni. A meno che non voglia essere bocciata nella mia materia” disse, sempre con il suo sorriso sadico. Sentii il sangue colorarmi le guance mentre l’unica soluzione che avrei preferibilmente evitato si rivelava come l’unica che sarebbe potuta essere efficace.
Il fatto era che odiavo pesare alle persone e il pensiero di affidarmi ad uno sconosciuto che avrebbe dovuto spiegarmi il latino praticamente dal principio, mi scocciava. Forse perché sapevo che avrei tolto il tempo ad una persona alla quale probabilmente il fatto che io facessi schifo in quella materia non importava niente.
“Se non vuole confrontarsi con qualcuno più grande, può chiedere a qualche ragazzo del quinto anno. Nella mia classe sono tutti ottimi studenti e, oltre al fatto che la lezione sarebbe sicuramente più leggera, potrebbe anche essere una scelta economica” mi fece notare, con un altro falsissimo sorriso. Sospirai, sforzandomi di ricambiare con uno altrettanto falso che faceva invidia ad una moneta da tre euro.
“Ci penserò, prima chiedo in famiglia se c’è qualcuno che può aiutarmi” mi salvai in calcio d’angolo, ricordandomi della proposta accennata di Harry, prima che mi raccomandasse lei una qualche ragazza o ragazzo a cui chiedere aiuto.
“Come vuole. Comunque io provvederò a sentirla al più presto, per darle la possibilità di recuperare” mi informò. Io annuii e poi, ringraziando il Cielo, lei distolse l’attenzione da me per dedicarsi alla sua lezione.
“C’è qualcuno che può darti una mano?” bisbigliò Cat, avvicinandosi.
“Forse Har...vey. Lo studiava anche lui al liceo, vedrò di adattarmi” risposi. Ancora non avevo rivelato a Cat la vera identità del mio ragazzo. Non che non ce ne fosse stata occasione, semplicemente perché avevo paura che sarebbe potuto cambiare qualcosa. Tutte, ogni singola ragazza era fan dei ragazzi in quella scuola e avevo capito che anche a lei piacevano. L’ultima cosa che volevo era che le cose cambiassero tra noi, considerando il fatto che lei era l’unica amica degna di questo nome che avevo trovato.
Mi ero promessa che l’avrei fatto, prima o poi. E comunque finché lei non indagava oltre quello che le dicevo io potevo stare tranquilla. Non era una tipa impicciona e se capiva che ad un certo punto non volevo parlare più di un certo argomento, deviava all’istante l’attenzione su qualcos’altro.
“Sei sicura? Non pensi che sia meglio chiedere a qualcuno più allenato?” chiese preoccupata. Cercai di rassicurarla con un sorriso.
“Tranquilla, cercherò di impegnarmi” affermai decisa. Lei sorrise annuendo, prima di cominciare ad ascoltare la lezione.
Il resto della mattinata passò tranquillamente, non era un caso se avevo l’insufficienza solo in latino, in tutte le altre materie andavo bene, anche grazie ai professori che erano molto gentili e non esigenti come quella strega.
Al suono della campanella, quando pensavo che finalmente il peggio della giornata fosse passato e che potevo finalmente buttarmi tra le braccia del mio Harry e scacciare via tutti i turbamenti, scoprii che c’era qualcuno ad aspettarmi fuori dalla classe, qualcuno che non era proprio chi volevo vedere in quel momento.
“Ciao, Jenny” mi salutò Lucas, con un sorriso smagliante e facendomi un gesto con la mano. Mi sforzai di sorridergli, per cortesia, anche se l’unica cosa che volevo fare in quel momento era uscire da quella dannata scuola. Peccato che lui era di tutt’altra idea e sembrava proprio che voleva parlare.
“Ehi” mormorai.
“Oh, ciao Luc” lo salutò Cat, uscendo dalla classe dopo di me. Lui le sorrise  e poi lei si sporse verso di me per schioccarmi un bacio sulla guancia.
“Ci vediamo domani, chiama se hai bisogno di qualcosa” mi disse, probabilmente riferendosi ai compiti di latino che ci erano stati assegnati. Annuii e ricambiai il saluto, prima che lei scomparisse tra la folla, facendo proprio quello che desideravo fare io.
“Allora, ho sentito che ti serve una mano in latino” cominciò Lucas, camminando con mia grande gioia verso l’uscita. Lo seguii, lanciandogli un’occhiata di sottecchi. Lui mi sorrise.
“Me l’ha detto la professoressa. E’ stata una buona mezz’ora a blaterare di quanto possa essere vantaggioso per noi aiutare qualcuno in difficoltà in una materia in cui noi andiamo bene” cominciò.
“E allora?” chiesi diffidente. Il suo sorriso si allargò.
Guarda caso, mi è arrivata voce che hai qualche problema nella materia in cui vado meglio” continuò, lanciandomi un sorrisetto eloquente.
“E…?”
“E volevo dirti che se ti serve una mano, io sono disponibile. Più che disponibile, considerando che la prof. mi ha assicurato di tenere conto della nostra buona volontà e potrebbe alzarmi il voto. E dato che quest’anno io ho gli esami…” lasciò la frase in sospeso, ma non mi ci voleva tanto a capire che si era proposto di aiutarmi più per lui che per me.
Con un sorriso che sperai non risultasse tanto falso quanto lo era veramente, scossi la testa.
“Mi dispiace, ho già trovato chi può aiutarmi” rifiutai, stringendomi innocentemente nelle spalle. Lui alzò un sopracciglio, scettico.
“Sono il migliore studente della professoressa” mi informò lui, dicendomi tra le righe che non c’era nessuno migliore di lui a cui chiedere ripetizioni.
“Non ho chiesto a nessun’altro studente di aiutarmi” replicai, alzando il mento.
La sua espressione scettica si accentuò e incrociò le braccia al petto.
“E chi ti darà una mano, allora? Harry?” chiese, a voce più alta del normale. Lo fulminai con un’occhiata, afferrandogli il braccio istintivamente.
“Abbassa la voce”
“Allora è lui che ti darà una mano?” insistette. Grugnii qualcosa, riprendendo a camminare.
“Si, ma non sono affari tuoi” lui scoppiò in una risata di scherno.
“Non per  scoraggiarti, ma ti consiglio di cambiare idea se vuoi veramente recuperare. Come dire, non era una vera cima in latino, nonostante copiasse sempre da me” mi informò, mentre finalmente uscivamo alla luce del sole.
“Ti ho detto che non sono fatti tuoi” ribadii, distogliendo lo sguardo e cominciando a guardarmi intorno per cercare la mia ancora di salvezza. Lui fece spallucce, tirando le labbra probabilmente per nascondere un sorriso.
“Come vuoi. Io sono sempre disponibile, se hai bisogno” replicò di nuovo lui, prima di essere interrotto da una voce roca e leggermente infastidita che piombò alle nostre spalle.
“Piccola…” mi voltai di scatto, trovandomi davanti il viso di Harry, la mascella tesa e gli occhi fissi sul ragazzo accanto a me, e un sorriso spontaneo mi spuntò sulle labbra.
“Ciao” esclamai. I suoi occhi si spostarono automaticamente su di me e la sua espressione si addolcì, trasformandosi in un bellissimo sorriso contornato dalle sue adorabili fossette.
Mi stupì, afferrandomi velocemente la nuca per baciarmi di slancio, e barcollai un po’ all’indietro quando si staccò, per poi passarmi un braccio intorno alla vita e sostenermi.
“Ciao, Lucas” salutò il ragazzo che era rimasto a guardarci con espressione neutra, per poi aprirsi in un sorrisetto per niente amichevole.
“Harry. Come mai da queste parti?”
C’era un po’ di tensione tra i due. Lo vedevo da come gli occhi azzurri di Lucas sembrassero completamente di ghiaccio e da come la mano di Harry stringesse la mia quasi a volermela stritolare.
“Sono venuto a prendere la mia ragazza” rispose, calcando sulla parola ‘mia’ e alzando il mento a mo’ di sfida.
“Tu, piuttosto. Cosa vuoi da lei?” sputò. Deglutii rumorosamente, mentre Lucas sembrava rilassarsi.
“Beh, si da il caso che la tua ragazza…” cominciò imitando il suo tono di voce “Abbia bisogno di una mano in latino. Ero qui per offrirmi volontario” lo informò con un altro sorrisetto.
Mi innervosii all’istante. Non per il fatto che avesse snocciolato un mio problema come se nulla fosse, anche perché Harry lo sapeva, ma perché parlavano di me come se non fossi proprio lì davanti a loro.
“Nessun problema, ci sono io per lei” replicò all’istante Harry. Lucas scoppiò in una risata strafottente.
“Devo ricordarti di come eri pessimo in questa materia, Styles?”
Harry lo fulminò con lo sguardo.
“Ok, ora basta. Lucas, ti ringrazio per il tuo aiuto, ma non ce n’è bisogno. Harry sarà capace di aiutarmi” affermai con enfasi, intromettendomi nella conversazione con più entusiasmo del dovuto, e cominciando a trascinare via Harry, che stava sorridendo soddisfatto verso Lucas. Lui spostò lo sguardo su di me e mi sorrise.
“Ripeto: come vuoi. Io sono sempre disponibile” disse, prima di girarsi ed andarsene. Sbruffai, mentre Harry lo seguiva con lo sguardo.
“Lo odio” commentò.
“Dai, non pensarci. Andiamo a casa” lo pregai. Lui sembrò tornare in se, in un secondo riacquistò il sorriso, infilò gli occhiali da sole e, dopo avermi baciato dolcemente le labbra, mi guidò fino alla sua macchina per riportarmi finalmente a casa.














SONO ANCORA VIVA!
Si, sono proprio io, non è un miraggio.
Vi svelo subito il trucco: lunedì non sono andata a scuola.
Nè ieri, nè oggi.
Motivo: febbre a 39 çç
Sono distrutta, davvero. Calcolate che ieri notte mi sono svegliata e stavo cantando. Laura Pausini. La solitudine.
Ora ditemi che non sono da rinchiudere in una cantina buia, senza finestra, chidere la porta e buttare la chiave. Anzi, meglio murarla la porta uu
Ok, la pianto.
Questo, è un capitolo di passaggio, non succede praticamente niente, ma è il punto di svolta.
Preparatevi, perchè le incomprensioni e i litigi stanno per arrivare ^^
Bien, ora vado a studiare biologia, perchè prima o poi mi dovrà interrogare quella povera cristiana, no? *sbruffa*
Spero vi piaccia e che mi lasciate qualche recensione in più.
Andiamo, che vi costa sprecare due minutini del vostro tempo per dirmi cosa ne pensate?
Dai, fatelo per questo povero mostriciattolo che sta postando nonostante la febbre e i deliri spaventosi *fa gli occhi dolci*
La pianto, la pianto.
Tanto amore, sempre.
Sara.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


Capitolo 6
 
 

Liam.
 
 
“Uhm, quindi…prova a ripetermi la prima declinazione singolare” esclamò per l’ennesima volta Harry, le labbra corrucciate, studiando il libro di latino che aveva davanti. Jenny sbuffò, dopo mezz’ora che li stavo guardando avevo perso il conto ormai di tutte le volte che l’aveva fatto, e sbatté la testa sul tavolo.
“A, ae, ae, am, a, a” soffiò, continuando a tenere la testa poggiata sul tavolo. Soffocai una risata, perché l’unica domanda a cui lei era riuscita a rispondere era stata quella, e lui non aveva intenzione di cambiarla.
“Brava” si complimentò con un gran sorriso. Lei alzò la testa di scatto, quasi fulminandolo con gli occhi.
“Harry, è mezz’ora che ti ripeto la stessa cosa. Ormai l’ho imparata, andiamo avanti” lo pregò. Lui arricciò nuovamente le labbra e tornò con lo sguardo sul libro, pensieroso.
La scena era quasi comica, perché in due non riuscivano a farne una buona. In mezz’ora, Jen aveva ripetuto tre volte la prima declinazione e alcuni complementi, facendo una pausa almeno ogni cinque minuti, o implorata da lui, o dal suo cervello che chiedeva pietà.
Io me ne stavo lì in silenzio a guardarli, senza poter dare una mano perché non avevo studiato quella materia, cercando di far passare il tempo.
L’unica che sarebbe potuta essere d’aiuto era Cher, ma lei era al lavoro, in un turno speciale, chiamata da Grace che aveva urgentemente bisogno di lei al negozio.
Lei aveva accettato all’istante e in circa cinque minuti era passata dalla ragazza in pigiama e pantofole alla donna seria e responsabile.  Avevo messo su un mezzo broncio, contrariato dal fatto che per una volta che avevamo il pomeriggio libero dovevo vederlo sfumare via così, senza poterlo passare interamente con Cher come avevo programmato.
Ma il lavoro era il lavoro, così la lasciai andare controvoglia, promettendole che sarei andato a prenderla alla fine del turno, tre lunghissime ore dopo.
“Perché non provi a tradurre qualche frase? Al compito in classe dovrai farlo, non te la caverai solo sapendo la prima declinazione a memoria” osservai con un sorriso, mettendo in pausa i pensieri. I due alzarono contemporaneamente lo sguardo su di me, stupiti.
“Hai ragione” commentò Jen, quasi sbalordita che avessi potuto dire una cosa intelligente. Soffocai una risata e le allungai il libro degli esercizi che stavo sfogliando svogliatamente da un quarto d’ora.
“Prova queste, dovrebbero essere facili” le consigliai, indicandole il primo esercizio, dove alcune parole erano molto simili all’italiano e di conseguenza mi avevano fatto dedurre che probabilmente era un esercizio semplice e che non richiedeva molto sforzo.
Lei annuì, concentrandosi istantaneamente sul suo nuovo compito, mentre Harry sbruffò e cominciò ad osservarla, incrociando le mani sul tavolo.
Dopo una decina di minuti, vidi affiorare sul volto di Jenny un sorriso soddisfatto.
“Fatto. Sembrano quasi di senso compiuto, dev’essere un buon segno” commento, lanciandomi uno sguardo speranzoso. Le sorrisi al volo, mentre Harry si catapultava sul computer.
“Le controllo subito” mormorò, togliendole il foglio di mano e cercando le traduzioni su internet, anche se non ero sicuro di quanto potesse essere affidabile.
Jenny si morse il labbro inferiore e quasi mi venne da ridere a vederla così speranzosa e impaziente di vedere se quei due giorni di ‘ripetizioni’ con Harry avrebbero dato i loro frutti.
Di un’intera settimana lui era riuscito a liberarsi solo quegli ultimi due giorni e potevo affermare che avevano fatto di tutto tranne che concentrarsi sul latino; Harry era una costante distrazione per Jenny, mi dispiaceva dirlo, ma probabilmente non era la persona più adatta a cui chiedere aiuto in certi casi.
Harry si illuminò in un sorriso e le porse il cinque.
“Tutte giuste, sei un fenomeno” esclamò soddisfatto, facendola ridere. Lei batté il cinque e lui le afferrò all’istante la mano per attirarla vicino a se e schioccarle un bacio sulle labbra.
Sorrisi e scossi la testa, divertito. Per lui ogni scusa era buona per baciarla, toccarla, accarezzarla. Sembrava come se dovesse essere perennemente in contatto con lei, per essere tranquillo e felice.
“Ok, ora andiamo avanti. Passiamo alla seconda” annunciò Jenny, allontanandosi e riaprendo il libro che Harry aveva prontamente chiuso. Lui mise su il broncio e scosse la testa.
“Facciamo una pausa?” chiese piagnucolando. Alzai gli occhi al cielo, contemporaneamente a Jenny.
“Dai, è il momento buono, non fermiamoci proprio adesso” replicò lei, cercando di reprimere un sorriso davanti al viso imbronciato di Harry.
“Solo cinque minuti, poi riprendiamo. Promesso” provò ad insistere lui. Jenny sostenne il suo sguardo per qualche minuto, ma già sapevo che presto avrebbe ceduto.
Come la sorella, non riusciva a resistere davanti alle moine e agli occhi dolci di nessuno, soprattutto di Harry.
“Ok, cinque minuti” si arrese alla fine, cercando di suonare irremovibile sul limite di tempo. Harry si aprì in un grande sorriso e le prese la mano, trascinandola fuori nella veranda sul retro, probabilmente per prendere un po’ d’aria. Mi affacciai in salone, dove Niall e Louis giocavano alla play, senza quasi accorgersi della mia presenza, troppo impegnati nel gioco. Zayn era uscito da un paio d’ore, probabilmente con la ragazza che aveva preso a frequentare da un paio di settimane, e l’unica cosa che mi era rimasta da fare era infastidire un po’ quei due che stavano facendo un torneo di FIFA all’ultimo sangue.
“Di questo passo Jenny non riuscirà mai a recuperare” mormorai, sedendomi accanto a loro. Louis mi lanciò un’occhiata furtiva, per poi ritornare con lo sguardo sui suoi giocatori.
“Perché? Le ho sentito ripetere almeno venti volte la prima declinazione, sembra brava” replicò con un sorrisetto divertito.
“Si, ma le declinazioni sono cinque” disse prontamente Niall, non capendo il sarcasmo dell’avversario. Louis alzò gli occhi al cielo e gli mollò uno scappellotto sulla nuca.
“Stavo scherzando, nano” Niall saltò sul divano, con un grande sorriso sulle labbra.
“Sono cinque, come i goal che ti ho fatto” esultò. Louis grugnì qualcosa, lanciando il joystick sulla poltrona accanto.
“Non vale, mi sono distratto”
Niall alzò le spalle, con sguardo strafottente.
“Sono troppo forte, è questa la verità” si vantò. Schioccai la lingua e mi catapultai accanto a lui.
“Vediamo se lo sei anche con me” lo sfidai, scegliendo la mia squadra.
“Preparati a perdere”
“Liam, ma tu non dovevi andare a prendere Cher?” se ne uscì ad un tratto Louis, dopo aver casualmente posato lo sguardo sull’orologio. Lo feci anch’io e mi schiaffeggiai la fronte.
“Merda”
I due scoppiarono a ridere, mentre io balzavo in piedi cercando le scarpe correndo per tutta la casa.
“Fuori sta anche piovendo. Spera per te che non ha deciso di farsela a piedi, perchè altrimenti, quando arriverà, bagnata dalla testa ai piedi, ho il vago presentimento che ti ucciderà” scherzò Louis, riprendendo il suo joystick e giocando al posto mio.
“No, mi starà aspettando” quasi pregai dentro di me.
Quando aprii la porta in fretta e furia, pronto a catapultarmi in macchina per cercare di diminuire il mio enorme ritardo, trovai una figura femminile davanti a me pronta a bussare.
“Ruth?” chiesi sorpreso.
Mia sorella, completamente asciutta grazie all’ombrello che teneva in mano, mi sorrise.
“Ciao fratellino”
“Cosa ci fai qui?” esclamai. Lei mi guardò male.
“Un mese che non ci vediamo e mi saluti così?” replicò fingendosi offesa. Le sorrisi al volo e la abbracciai.
“Giusto, scusa” mormorai al suo orecchio. Lei scoppiò a ridere e sciolse l’abbraccio.
“Mi fai entrare?”
“Oh, si. Senti, io…sono un attimo di fretta. Tu accomodati, io torno tra cinque minuti” le dissi frettolosamente, superandola e uscendo di casa. Lei aggrottò le sopracciglia, guardandomi confusa.
“Devo andare a prendere Cher a lavoro” le spiegai con un sorriso di scuse.
Prima che lei potesse replicare, però, una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare.
“Non ce n’è bisogno” mormorò Cher, completamente bagnata, affrettandosi a salire gli scalini dell’entrata per ripararsi dalla pioggia scrosciante e lanciando un’occhiata invidiosa all’ombrello che Ruth teneva nella mano destra, mentre la sinistra era impegnata a reggere un enorme borsone.
“Oh, merda. Cher, mi…mi dispiace” cercai di scusarmi. Lei alzò lo sguardo per sorridermi, mentre si strizzava i capelli.
“Non fa niente” mormorò, per poi salutare mia sorella ed entrare in casa con un sorriso di scuse.
“Vado a cambiarmi, prima che mi prenda una polmonite” annunciò, sparendo su per le scale. Sospirai, entrando in casa dietro Ruth e chiudendomi la porta alle spalle. Mia sorella scosse la testa sconsolata.
“Ma dove hai la testa, tu?” mi chiese, quasi amareggiata.
“Lo so, sono un idiota. Vado a scusarmi, prima che cominci ad odiarmi del tutto” mormorai, schizzando anch’io sulle scale, non prima di aver sentito un “Ciao, Ruth” urlato da Louis, segno che i ragazzi si erano accorti della sua presenza.
Rischiando di inciampare nell’ultimo scalino, raggiunsi Cher in bagno mentre si toglieva in fretta i vestiti completamente zuppi. Appena sentì il rumore della porta alzò gli occhi, per riservarmi uno sguardo diffidente e poi riprendere a sfilarsi la maglietta.
“Cher…”
“Lo so, ti dispiace. Lo hai già detto” mormorò lei, senza degnarmi di uno sguardo.
Sospirai, avvicinandomi e aiutandola a sfilarsi del tutto la maglia che si era appiccicata alle sue spalle, incastrandola in una posizione scomoda.
“Grazie” soffiò, appena le porsi la maglietta e arrossendo leggermente, probabilmente rendendosi conto di essere rimasta solo in biancheria intima davanti a me.
Ma quasi non ci feci caso, il mio problema principale era far si che non ce l’avesse con me.
Quasi, perché comunque i miei occhi si posarono involontariamente sul suo corpo scosso dai tremiti e una fiammata calda mi invase.
Scossi la testa, cercando di tornare in me, mentre le porgevo velocemente una felpa asciutta, pregando che mi togliesse da davanti gli occhi quella bruciante tentazione.
“Cosa posso fare per farmi perdonare?” le chiesi, passandole anche un asciugamano e aiutandola a frizionarsi i capelli. Incrociai il suo sguardo nello specchio e lei mi sorrise debolmente.
“Non devi farti perdonare di niente. So che hai la testa un po’ bacata, capisco che possano sfuggirti un po’ di cose” mormorò sarcastica, il sorriso che si allargò. Con un mezzo sospiro sollevato, ricambiai il sorriso e le poggiai le mani sui fianchi, facendola girare verso di me.
Lei mi lasciò fare, curiosa di vedere la mia prossima mossa.
“E se io volessi farmi perdonare comunque?”
“Ti direi che per punizione non te lo lascerei fare” replicò al volo, stampandosi un sorriso beffardo sulla faccia. Arricciai le labbra, preso in contropiede dalla sua aria furba e dalla sua affermazione apparentemente irremovibile.
“Mh, e se io ti baciassi?” proposi, cercando di mostrarmi serio. Il suo sorriso si allargò.
“Te l’ho detto: non ti lascerei fare” affermò, però in contrasto con le sue parole si avvicinò a me, diminuendo pericolosamente la distanza tra i nostri visi.
Il respiro regolare e il controllo di me stesso divennero all’istante un lontano ricordo, mentre lei mi stuzzicava, sfiorando leggera la punta del mio naso con il suo.
“Questa è una vendetta bella e buona, lo sai?” mormorai affannato, stringendo la presa sui suoi fianchi e pregando che la smettesse di giocare all’istante, per la mia sanità mentale.
Rise.
“Si”
“E quanto hai intenzione di farmela pagare?”
“Tanto”
Sbruffai, lanciandole un’occhiata che doveva essere esasperata, ma ormai le emozioni avevano preso il sopravvento e sentivo le labbra fremere, ansiose del contatto con le sue.
“C’è tua sorella di sotto” mi ricordò lei, sempre con quel sorrisetto insopportabile.
“Lo so, ma può aspettare”
“Non la vedi da un mese” continuò.
“Appunto, due minuti in più non fanno così tanta differenza” replicai al volo. Lei sembrò pensarci su, poi sorrise e mi allacciò le braccia dietro al collo.
“Ok, però sappi che non te lo meriti” concluse, lo sguardo liquido e come il mio pieno di un desiderio ormai incontrollabile.
“Mi farò perdonare, promesso” affermai con foga, prima di annullare le distanze in un’unica mossa veloce.
Però, appena poggiai le labbra sulle sue, con l’intenzione di approfondire il bacio, lei si staccò e si voltò di scatto, portandosi una mano davanti alla bocca per poi starnutire.
 “Ok, questo me lo merito” borbottai esasperato. Lei rise e sciolse la mia presa, prendendo un fazzoletto e soffiandosi il naso.
“Si, direi di si”
Sbruffai di nuovo e poi le presi la mano, trascinandola fuori dal bagno.
“Andiamo di sotto, o mia sorella non mi perdonerà mai di averla lasciata solo con quei pazzi”
 
 


Cher.
 


Mentre raggiungevamo gli altri in salotto, mano nella mano, un forte mal di testa mi annebbiò i pensieri, rendendomi consapevole del fatto che probabilmente il giorno dopo mi sarei svegliata con un bel raffreddore.
Starnutii di nuovo, beccandomi un’occhiata piena di scuse da parte di Liam e entrai nella stanza insieme a lui, dove Louis e Niall si stavano urlando contro accusandosi entrambi di aver barato.
Ruth li guardava scandalizzata e, quando arrivammo noi, tirò un sospiro di sollievo.
“Ti prego, illuminami: dimmi come fai a vivere con questi tipi” supplicò, lo sguardo spaventato. Scoppiai a ridere, trascinando con me anche Liam, e poi feci spallucce.
“Dopo un po’ ti abitui”
Ruth sembrò  scandalizzarsi ancora di più.
“Spero solo che non contagino anche te e che non diventi come loro, non te lo perdonerei mai” borbottò. Le sorrisi e lei ricambiò, affettuosa.
L’avevo conosciuta il capodanno scorso, quando per evadere  dal manicomio che era la sua casa (sue testuali parole) era venuta a trovare Liam, trovando la casa praticamente sottosopra, piena di scatoloni, nel bel mezzo del trasloco mio e di Jenny.
Avevamo legato subito, nonostante fosse più grande di qualche anno, era una tipa a posto, mi piaceva ed era molto simpatica. Aggiungendo poi che aveva il sorriso dolce e rassicurante come quello del fratello, era impossibile non adorarla al primo sguardo.
“Allora, Ruth, come mai qui?” le chiese Liam, interrompendo i miei pensieri e riportandomi alla realtà.
Mentre Ruth rispondeva, rabbrividii, presa da un improvviso gelo, e all’istante Liam mi circondò le spalle con il braccio, cercando di riscaldarmi.
“Beh, perché mi mancava il mio fratellino e avevo voglia di passare un po’ di giorni con lui” rispose dopo un po’ con un sorriso incerto, ma la sua più che una replica sembrava una domanda. Liam la guardò, arricciando le labbra, e lei probabilmente capì che non se la beveva.  Roteò gli occhi alzando le braccia al cielo, esasperata.
“Okay” sbruffò, sprofondando nella poltrona. Liam mi afferrò la mano, incredibilmente bollente in confronto alla mia, e mi trascinò sul divano accanto a se, mentre Louis e Niall mettevano in pausa la partita, per ascoltare cosa aveva da dire Ruth.
“Papà è passato a salutare, ieri” cominciò, guardandolo dritto negli occhi per non perdersi la sua reazione.
Sentii i suoi nervi tendersi e capii all’istante che la confessione di Ruth l’aveva sorpreso.
Non vedeva il padre da prima delle vacanze d’estate, mi aveva detto. Quando i primi di Gennaio eravamo andati a Wolwerhampton, per accompagnare Ruth a casa e festeggiare il suo compleanno con la famiglia, lui non c’era.
Sapevo che i suoi genitori si erano separati quando lui era ancora piccolo, e sapevo anche quanto lui soffrisse per l’assenza del padre.
“Vai avanti” bisbigliò lui, riscuotendomi dai miei pensieri. Mostrava tranquillità, ma il respiro era accelerato e i suoi occhi chiarivano quanto in quel momento fosse a disagio. Gli strinsi la mano, disegnando piccoli cerchi sul dorso con il pollice, e lui mi lanciò un’occhiata fugace, sforzandosi di alzare un angolo della bocca in un sorriso che doveva sembrare rassicurante.
Ruth annuì, un po’ riluttante, e incrociò le mani davanti a se.
“Voleva vederci e passare una giornata padre e figli, era molto sorpreso di  non trovarti a casa, e non puoi immaginarti la sua faccia quando gli abbiamo detto che non vivi più con noi ormai da tempo” a quelle parole, la sua bocca si piegò in una smorfia e Liam grugnì qualcosa infastidito.
“Se si fosse preoccupato di farsi sentire, ogni tanto, l’avrebbe saputo molto prima” sputò tra i denti, passandosi nervosamente la mano libera sui capelli cortissimi. Ruth annuì, lanciandomi uno sguardo come di supplica, implorandomi di fare qualcosa, ma non sapeva neanche lei bene cosa.
Probabilmente sperava che riuscissi a calmarlo in qualche modo, ma io mi sentivo impotente e totalmente intrusa in una faccenda di cui non facevo parte. Mi strinsi nelle spalle, ricambiando la sua occhiata.
Lei sbruffò lievemente, tornando con gli occhi sul fratello, così come fecero Louis e Niall, preoccupati e completamente ammutoliti.
“Comunque” riprese Ruth “Dopo circa trenta secondi in cui è riuscito ad intavolare una conversazione quasi civile con mamma, tutto è degenerato, come al solito” sbruffò di nuovo e Liam deglutì rumorosamente.
“Cos’ha fatto, stavolta?” mormorò, a voce talmente bassa che faticai quasi a sentirlo. Mi si strinse il cuore a vedere la sua mascella tesa e i suoi occhi così pieni di tristezza e rammarico. In quell’istante avrei tanto voluto abbracciarlo e chiudere il resto del mondo fuori, in modo da cancellare ogni singolo sentimento negativo dal suo cuore.
Strinsi ancora più forte la sua mano, perché era l’unica cosa che mi era concessa fare.
“Niente, ha semplicemente sbattuto in faccia alla mamma, con molta nonchalance, che si frequenta con una donna e che voleva portarci a conoscerla, dato il fatto che sono ufficialmente fidanzati” disse tutto d’un fiato, con voce tranquilla. Ma i suoi occhi, come quelli di Liam, tradirono la sua facciata e lasciarono intendere tutto quello che stava provando in quel momento.
“La mamma?” chiese Liam, la preoccupazione che prevalse su tutto.
“Stava ancora urlando contro di lui, quando sono uscita di casa. Era diventata insostenibile, non resistevo più” ammise, abbassando gli occhi, colpevole. Liam sospirò e lasciò la mia mano, per poi alzarsi e farsi spazio sulla poltrona accanto a Ruth. Lei si raggomitolò e si lasciò stringere le spalle dalle braccia forti di Liam.
Niall e Louis saltarono in piedi, facendomi segno di seguirli. Un po’ titubante, mi alzai, lanciando un ultimo sguardo ai due e Louis mi poggiò una mano dietro la schiena, per spingermi fuori dalla stanza.
“Cher” mi chiamò Liam, alzando un poco lo sguardo preoccupato. Mi voltai subito, guardandolo pronta a fare qualsiasi cosa mi avesse chiesto.
“Se vedi Zayn, puoi dirgli che…ho bisogno di parlare con lui? Per favore” la sua voce si incrinò leggermente, mentre abbozzava un sorriso.
Annuii, ricambiando con uno tenero, e poi mi dileguai fuori dalla stanza, lasciando i due fratelli a consolarsi a vicenda. Non sapevo molto del rapporto che c’era tra loro e i loro genitori; per qualche motivo Liam non aveva mai aperto l’argomento e rispondeva a monosillabi alle domande che gli facevo io. Avevo capito che non gli piaceva come argomento, quindi avevo lasciato perdere, promettendomi che ne avrei parlato solo se fosse stato lui ad averne voglia.
Seguii Niall e Louis in cucina, mandando immediatamente un messaggio a Zayn.
Liam aveva bisogno di lui, in quel momento. Forse era l’unico che era in grado di stargli vicino in certe situazioni e, anche se una fitta di gelosia mi percorse lo stomaco, sperai con tutto il cuore che si sbrigasse a tornare, perché non potevo sopportare di veder Liam soffrire.








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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


 Capitolo 7
 
 


Liam.
 
 


Dopo aver tranquillizzato Ruth per una buona mezzoretta e averla convinta a rimanere per qualche giorno, non sopportavo vederla tornare a casa con quell’aria abbattuta, seguii una stremata Cher in camera da letto. Zayn non era ancora tornato ed io avevo un infinito bisogno di parlare con qualcuno e sapevo che non c’era persona migliore di lui ad ascoltare. Avrei potuto sfogarmi con Cher, ma lei non conosceva tutta la storia e non sapevo quanto poteva capire e soprattutto quanto poteva essermi d’aiuto. E poi non volevo turbarla più di quanto già non era, con i miei problemi e le mie assurde paranoie.
Avevo bisogno di un giudizio imparziale, che solo Zayn avrebbe potuto darmi perché lei, pur di vedermi felice, avrebbe detto sempre quello che avrei voluto sentirmi dire.
Non sentivo mio padre da quasi otto mesi. Avevo provato a chiamarlo un paio di volte, ma lui non aveva risposto e non si era degnato di richiamare, così avevo lasciato perdere.
Da due anni a questa parte il mio rapporto con lui era peggiorato drasticamente, senza un motivo ben preciso e nessuno dei due aveva fatto niente per provare a recuperarlo.
D’altra parte io ero della convinzione che se non ci provava lui non vedevo il  motivo per il quale avrei dovuto provarci io, e forse lui pensava la stessa cosa.
Sbruffai, passandomi nervosamente una mano sul viso cercando di muovermi il meno possibile per non svegliare Cher, accoccolata al mio petto e già nel mondo dei sogni.
Erano bastati trenta secondi, tempo di poggiare la testa sul cuscino ed era già crollata. Sorrisi debolmente, scostandole i capelli dal viso e accorgendomi di quanto fosse calda. Lei sospirò, senza aprire gli occhi, e sollevò un angolo della bocca in una specie di sorriso.
“Dormi” bisbigliò con un filo di voce, agganciando le dita alla mia maglietta e sfiorandomi la pelle nuda in un modo che mi fece passare ogni voglia di dormire.
“Liam, dormi. Risolveremo tutto, ma ormai è troppo tardi per farlo oggi. Ci penseremo domani, ora dormi
Sorrisi e mi chinai per lasciarle un bacio leggero sulla fronte. Lei mugugnò qualcosa e si sistemò meglio, affondando il viso nell’incavo tra il mio collo e la spalla. La strinsi a me e chiusi gli occhi, provando ad accontentarla per una buona volta.
Quando mi svegliai, disturbato nel bel mezzo del sogno da non so cosa, la prima cosa che sentii e la prima parola che mi invase la mente fu: caldo.
Infastidito spostai lo sguardo sulla sveglia sul comodino, che segnava le quattro e mezzo del mattino, e poi cercai di muovermi, prima di rendermi conto che era Cher a bloccarmi e che era lei ad emanare quel caldo anormale e soffocante.
Mettendo a fuoco la stanza illuminata solo dalla pallida e verdognola luce delle radiosveglie, capii anche cosa mi aveva svegliato.
Cher si muoveva nel sonno, mugugnando qualcosa, le sopracciglia aggrottate e la piccola ruga di preoccupazione più evidente del solito tra di esse. Cercando di fare piano le sfiorai la fronte, liberandola dalla cascata dei suoi capelli che erano diventati una massa informe e la mia mano bruciò al contatto.
Era bollente e uno strato di sudore le ricopriva la fronte.
“Cher” provai a svegliarla, continuando a carezzarle il viso e cominciando a preoccuparmi di quel calore troppo anomalo per i miei gusti.
Lei mugugnò qualcosa di incomprensibile, tremando e accucciandosi contro di me, ancora ad occhi chiusi.
“Cher, svegliati”
Lei scattò, uno di quei scatti che fai quando sogni di cadere dal letto, e questo sembrò riportarla alla realtà.
“Liam?” biascicò, alzando un poco la testa. Le sfiorai di nuovo la fronte.
“Sono qui”. Lei quasi si buttò su di me, affondando il viso nel mio petto e stringendomi talmente forte da farmi male.
“Ho fatto un sogno bruttissimo”
“L’ho notato, stai tremando” commentai, allentando un poco la sua presa per tornare a respirare. Lei sospirò, stringendosi le braccia al petto per cercare di alleviare il tremore.
“Ho freddo”
Con un sospiro le portai una mano sulla fronte, rovente al contatto, e le lanciai un’ occhiata preoccupata.
“Sei bollente”
“Traduzione: devo avere la febbre”
Sorrisi davanti alla sua espressione esasperata, non si lasciava scalfire proprio da niente.
Scossa da un altro improvviso fremito si portò le coperte fin sopra il naso e si raggomitolò al mio fianco, stringendo le ginocchia al petto.
“Ti vado a prendere qualcosa e recupero qualche altra coperta” le dissi, prima di lasciarle una carezza tra i capelli e scendere dal letto.
“E l’acqua, per favore. Ho la gola secca”
Scesi al piano di sotto il più in fretta possibile, ormai il sonno era l’ultimo dei miei pensieri, e raccattai tutto quello di cui avevo bisogno più il termometro. Rientrai in camera e mi accorsi che la situazione era peggiorata perché sotto il fagotto formato dalle coperte, Cher tremava convulsamente.
Con il cuore in gola le buttai sopra un’altra coperta e l’aiutai a infilarsi la felpa più calda che avevo, che la copriva bene fin sopra le ginocchia.
Le sfiorai di nuovo la fronte e le passai l’acqua, che lei buttò giù tutta in un sorso.
“Tieni, misurati la febbre” le dissi, porgendole il termometro. Lei mi lanciò uno sguardo terrorizzato, tirandosi su il cappuccio della felpa.
“Io dovrei infilare quel coso congelato sotto il mio braccio?” chiese, rabbrividendo. Alzai gli occhi al cielo e sorrisi.
“Si riscalderà in due secondi per quanto scotti”
Lei sbuffò e allungò la mano fuori dalla manica della felpa e in fretta infilò il termometro sotto l’ascella, rabbrividendo e tremando di nuovo, sprofondando la testa nel cuscino.
La coprii meglio e continuai a carezzarle la testa in silenzio, mentre lei teneva gli occhi serrati cercando di fermare i fremiti che le scuotevano continuamente le spalle.
Dopo qualche minuto mi allungò di nuovo il termometro e vidi che la colonnina blu era salita fino a trentanove e due tacche.
Quasi sbiancai.
“Qual è il verdetto?” chiese con un filo di voce che faticai a sentire.
“Hai più di trentanove, ma non posso darti niente se prima non mangi qualcosa”
Lei fece una smorfia disgustata, sempre ad occhi chiusi, e si girò dall’altra parte.
“Non ho fame” mormorò, la voce attutita dal cuscino.
“Lo so, Cher, ma se vuoi stare meglio devi mangiare”
“Mi scoppia la testa, non ho la forza per discutere adesso”
Roteai gli occhi al cielo e con uno strappo aprii il pacco di biscotti che avevo preso dalla dispensa.
“Allora non farlo e ascoltami per una volta”
Lei si girò piano verso di me, gli occhi socchiusi e le labbra serrate, mentre pensava a come ribattere.
Alla fine sbruffò e tirò su la testa, troppo in fretta però perché fu costretta a chiudere gli occhi e a ritirarsi giù, presa da un capogiro.
“Piano” mormorai, aiutandola a ritirarsi su con delicatezza. Lei si appoggiò a me e, quasi come se fosse una lenta tortura, riuscì a mandare giù due biscotti.
“Brava, piccola” mi complimentai sarcastico. Lei si illuminò in un sorriso, gli occhi resi lucidi dalla febbre alta, e adocchiò la scatolina della tachipirina sul comodino.
“Ora posso avere il mio premio?”
Risi e le allungai la pasticca insieme ad un bicchiere d’acqua. Lei la mandò giù e sospirò sollevata.
“Non vedo l’ora che cominci a fare effetto” mormorò. Le sorrisi e le spostai i capelli dal viso.
“Ora mettiti giù e prova a dormire” le dissi, e lei mi accontentò subito, raggomitolandosi al mio fianco. Mi chinai per lasciarle un bacio sulla fronte ma lei si ritrasse, guardandomi contrariata.
“Che c’è?”
“Vattene, non puoi prendere la febbre anche tu” mi disse aggrottando la fronte. Risi e scossi la testa.
“Tranquilla, io ho gli anticorpi forti e resistenti” le assicurai, sistemandomi sotto le coperte accanto a lei, che scivolò un po’ più lontana da me.
“Ma se ti è bastata una corsa di due minuti sotto la pioggia per ammalarti, l’ultima volta” replicò, ricordandomi di come fossi riuscito a farmi venire la febbre a luglio restando sotto l’acqua per appena dieci minuti.
“Senti chi parla” ribattei, alludendo al fatto che era per lo stesso identico motivo se in quel momento lei si trovava in quelle condizioni. Lei mi fece una smorfia e prese fiato per ribattere, ma io le tappai la bocca con la mano.
“Pensa a riposarti e non sprecare il fiato. Tanto qualsiasi cosa mi dici io non mi muovo di qui”
Lei sbruffò e finalmente chiuse gli occhi.
“Grazie” bisbigliò dopo un po’. Sorrisi.
“Sono qui per questo, piccola”
Detto questo chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi anch’io, ma questo purtroppo non mi fu possibile.
Si rigirò nel letto, tremando e lamentandosi sottovoce per un tempo indefinito e, quando finalmente sembrò aver preso sonno, probabilmente grazie alla tachipirina che cominciava a fare effetto, erano ormai le sette quindi decisi di alzarmi e lasciarla dormire un po’ in pace.
Scesi al piano di sotto alla ricerca disperata di caffè e trovai Jenny a fare colazione.
“Ti prego, dimmi che quello che stai bevendo è caffè” esordii, indicando la tazza che si stava portando alle labbra. Lei sorrise e annuì, porgendomela.
“Tieni”
Mi lasciai cadere sulla sedia libera davanti a lei e svuotai la tazza tutta d’un fiato.
“Oh, ti adoro Jenny Foster” la ringraziai, facendola ridere.
“Hai l’aria distrutta” commentò osservandomi meglio e scompigliandomi i capelli.
“Cher è stata male, non ho dormito” spiegai.
“Oh. Ora come sta?”
“Dorme, ma solo perché la tachipirina sta facendo effetto. Aveva la febbre alta”
“Non lasciarla sola, di solito comincia a delirare in questi casi” si raccomandò, alzandosi e prendendo le sue cose, sul viso un’espressione corrucciata.
“Tutto bene?” le chiesi. Lei alzò gli occhi su di me e si sforzò di sorridere.
“All’ultima ora ho latino” replicò, e quello spiegava tutto.
“Oh”
“Già, e questa è la volta buona che la prof mi fa fuori”
“Non pensi sia il caso di andare a prendere vere ripetizioni?” le chiesi con delicatezza. Lei sospirò e mi lanciò un’occhiata di sottecchi.
“Si, certo. E chi glielo dice ad Harry?” chiese sarcastica ed io alzai gli occhi al cielo.
“Oh, andiamo, a volte è un po’ infantile ma capisce quando si tratta di una cosa seria”
“Se lo dici tu” mormorò poco convinta. Non mi diede il tempo di ribattere che si affrettò uscire.
“Vedrò quello che posso fare, sta attento a Cher” mi disse, per poi dileguarsi sbattendo la porta e affrettandosi a prendere l’autobus che stava passando di li proprio in quel momento.
 
 



Jenny.
 




Avevo lasciato passare una settimana, avevo resistito e abbozzato, ma ormai al limite della pazienza, ero costretta ad ammetterlo: Harry era negato in latino.
Tralasciando il fatto che da quando gli avevo chiesto aiuto, lui era stato disponibile solo due volte a causa dei suoi milioni di impegni con la band, non eravamo comunque riusciti a concludere niente. L’unica cosa che sapevo esattamente a memoria era la prima declinazione, ma sapevo bene che quella non bastava per passare l’anno.
Dovevo ammettere che in parte era anche colpa mia: non riuscivo mai a stare concentrata quando c’era lui nei paraggi e acconsentivo ad ogni sua richiesta di fare pausa, perché in fondo ne avevo bisogno anche io.
Era per questo, quindi, che mi ritrovai a fare scena muta ad una delle tante esercitazioni che la professoressa mi costringeva a fare alla lavagna.
Sapevo che probabilmente, sotto quella sua aria da strega bisbetica, fosse preoccupata che una sua alunna non riuscisse a passare l’anno, ma nonostante questa consapevolezza non riuscivo a non odiarla.
Finita quella sottospecie di interrogazione, nella quale mi graziò mandandomi a posto senza voto, al suono della campanella mi richiamò e mi trattenne in classe togliendomi a forza dalla bocca le parole “Va bene, mi dica lei a chi posso chiedere aiuto”.
Nell’ esatto istante in cui le pronunciai, mi pentii di averlo fatto, pensando che Harry si sarebbe potuto offendere e realizzando che io già sapevo su chi sarebbe ricaduta la scelta della professoressa.
“Lucas Shaw. E’ il migliore studente che ho e sono sicura che potrà darti una mano” annunciò fiera la professoressa.
A vedere la sua boccaccia pronunciare quel nome, mi sentii sprofondare. Mi ci sarebbe voluto tutto il coraggio possibile per ritornare da Lucas e chiedergli aiuto senza che il mio orgoglio mi impedisse di farlo.
“E’ sicura? Non c’è proprio qualcun altro, che so, una ragazza?” tentai un’ ultima volta, incrociando le dita mentalmente. Lei sembrò pensarci su e poi mi lanciò uno sguardo attento.
“Pensa che non riuscirà a concentrarsi con il signor Lucas?” chiese. Per poco non mi strozzai con la mia saliva, diventando viola dall’imbarazzo.
“No, certo che no” esclamai, battendomi la mano sul petto.
La professoressa alzò le spalle, lo sguardo di nuovo indifferente, prendendo i suoi registri e la sua borsa.
“Allora non ci sono problemi, signorina Foster. Sono sicura che il signor Shaw sarà felice di aiutarla. E, ovviamente, farò in modo di essere aggiornata sui suoi progressi” detto questo, si dileguò, camminando dritta sui suoi tacchi e sparendo fuori dalla classe.
Mugugnando qualcosa di incomprensibile uscii anch’io dalla mia classe, dirigendomi a passo spedito verso il mio armadietto.
“Ciao, splendore” mi salutò Cat, incrociandomi per il corridoio mentre camminava nella direzione opposta. Cambiò immediatamente passo e mi seguì, mentre io sbattevo con non molta grazia i libri di latino nell’armadietto.
“Ciao” sputai, fulminando con lo sguardo lo sportello dell’armadietto che avevo appena sbattuto.
“Uoh, siamo nervose stamattina” commentò, alzando le mani davanti a se. Sospirai, sforzandomi di sorriderle per alleggerire la tensione.
“Scusa, è solo che mi gira male”
“Cosa succede, pasticcino?” mi chiese preoccupata, usando uno dei tanti ridicoli nomignoli che usava affibbiarmi.
“Devo chiedere aiuto a Lucas e non ne ho per niente voglia” replicai con voce fredda. Lei piegò un po’ la testa di lato e corrugò la fronte.
“E per quale motivo?”
“Perché odio dover ammettere di aver torto”
Lei scoppiò a ridere e mi diede un buffetto sulla guancia.
“Tranquilla, Luc non è così stronzo, non te lo farà pesare” disse, per poi ridere ancora più forte davanti all’assurdità delle sue parole. Le scoccai un’occhiataccia e sbattendo i piedi mi diressi verso l’uscita, sperando di non incontrare Lucas in modo di avere la scusa per non avergli chiesto niente.
Ma sapevo che la fortuna non girava dalla mia parte, quindi non mi sorpresi più di tanto quando me lo ritrovai praticamente addosso, mentre io svoltavo l’angolo e lui andava nel senso opposto. Ovviamente, invertì la sua direzione, mantenendo il nostro passo.
“Ciao, dolcezze. Oggi non vi ho visto per niente” ci salutò, con il suo solito sorriso allegro. Mi sforzai di sorridergli, ma quello che ne uscì fu una strana smorfia che fece scoppiare a ridere Cat. Lucas alzò le sopracciglia, sorpreso e un po’ confuso da quella reazione.
“Ciao, ragazzo che è bravissimo a dare ripetizioni di latino” lo salutò Cat, ridendo ancora più forte.
“Ti uccido, Cat” sibilai, fulminandola con lo sguardo. Lei alzò le mani a mo’ di resa, mordendosi il labbro inferiore per trattenere le risate.
Lucas ormai ci aveva dichiarate pazze, perché nel suo sguardo potevo quasi leggere il terrore di trovarsi in mezzo a noi due. Sospirai, cercando di riportare la calma, e mi voltai verso di lui, mentre uscivamo alla luce del pallido sole.
“Devo chiederti un favore” esordii, evitando di guardarlo negli occhi per la vergogna. Vidi il sorriso farsi spazio sulle sue labbra e sbruffai, dandomi della cogliona mentalmente.
“Mh, cosa?” chiese lui, lanciando uno sguardo divertito a Cat, che si sforzava senza successo di non farsi beccare a ridere sotto i baffi.
Sospirai e mi costrinsi a guardarlo, pregandolo con gli occhi di non farmi pesare quello che già mi sembrava un macigno da sopportare.
“Ho bisogno di aiuto con il latino. Sei ancora libero per quelle ripetizioni?” sputai fuori tutto d’un fiato, socchiudendo gli occhi e sperando che per una volta facesse il ragazzo serio e lasciasse le prese in giro da parte.
Lui sorrise, soddisfatto, e annuì, facendomi sospirare di sollievo.
“Certo. Tu quando sei libera?”
“Quando ti pare. Però ti prego, facciamo il più presto possibile, ho un sacco da recuperare” lo implorai. Lui arricciò le labbra e sembrò pensarci su.
“Possiamo fare oggi pomeriggio. Ho la casa libera, appena dopo pranzo va bene?” propose, tornando a sorridere.
“Perfetto”
“Ok, allora a dopo, mia prode alunna” mi salutò, sfottendo. Gli riservai un’occhiata di fuoco e lui scoppiò a ridere, prima di salutare Cat con un bacio sulla guancia.
“Non so dove abiti!” gli urlai dietro, ricordandomi all’improvviso di non avere la più pallida idea di dove sarei dovuta andare.
“Ti mando un messaggio con l’indirizzo” mi rispose lui, girandosi appena verso di me e facendo un gesto con la mano per salutarmi.
“Perché dovresti andare a casa sua?” chiese una voce alle mie spalle, leggermente fredda e infuriata. Chiusi gli occhi, mentre un’esclamazione soffocata proveniva da Cat, e mi bastò guardarla negli occhi, completamente assente e bianca in viso, per capire che quello che aveva parlato era veramente chi pensavo che fosse.
E che, come al solito, avevo combinato un bel casino.


 













Ehm, CIAO.
Allora, non voglio essere la rompicoglioni di turno, però dato che oggi sono già depressa, ve lo dico uu
Io...ci sono rimasta un po' male, ecco.
Quando ho detto che avrei pubblicato questa ff, mi siete sembrate tutte entusiaste ed io ho cominciato a scriverla soprattutto per voi, perchè ero contenta che non volevate che finisse.
Però ho notato che questo interesse non c'è più, le recensioni stanno diminuendo e praticamente non mi seguite più.
Non è che io pretendo recensioni su recensioni solo per vedere quel dannato numerino aumentare, solo che mi piacerebbe sapere se vi piace, se vi sta annoiando, se devo smettere di portarla avanti, se devo cambiare.
Tutto qui :)
Bene, la pianto e torno a sclerare.
Vi ricordate quel tizio che vi ho detto che gira a scuola e che è praticamente la fotocopia di Niall?
Ecco, sto impazzendo .-.
Io ci provo quando lo vedo
a ripetermi nonèluinonèluinonèlui...però è più forte di me. Praticamente gli sto sbavando dietro .-.
Aiutatemi, vi prego çç
Vado a studiare, si, che è meglio.
Spero di non essermi accollata troppo e che dopo questa mia uscita un po' capricciosa non comincerete ad odiarmi :/
Sempre tanto amore.
Sara.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


Capitolo 8
 
 
Cher.
 



Quando aprii gli occhi, con molta fatica devo ammettere, trovai quelli vispi di Liam a pochi centimetri di distanza.
“Ciao” mi salutò lui, aprendosi in uno splendido sorriso. Mi sforzai di ricambiare, ma mi facevano male le labbra e la testa mi pulsava.
Mhcià” biascicai, in una lingua completamente sconosciuta, chiudendo immediatamente gli occhi alla fitta che mi colpì la tempia. Liam rise sottovoce, carezzandomi la testa.
“Hai ancora la febbre, non sforzarti di parlare” mormorò dolcemente, sorridendomi. Socchiusi gli occhi e mugugnai qualcos’altro in tono interrogativo.
“Sempre trentanove” rispose, riuscendo non so come a capire quello che intendevo dire “E sono felice di dirti che questa notte grazie ai tuoi deliri io non ho per niente dormito”aggiunse, con un sorriso un po’ sarcastico e un po’ esasperato.
Lo guardai e il suo sorriso si allargò.
“E quindi te la farò pagare” concluse, divertito. Alzai gli occhi al cielo, l’unica cosa che stranamente non mi provocava alcuna fitta o capogiro.
“Allora, come sta la malata terminale?” fece il suo ingresso Louis, con il tono di voce come al solito più altro del dovuto. Gli scoccai un’occhiataccia.
“Louis” sibilai, tanto ormai il mal di testa era degenerato. Lui si scusò con un sorriso e si buttò sul letto sballottandomi. Gli lanciai un’altra occhiataccia, mentre Liam rideva sotto i baffi, osservandoci.
“Come stai, piccola?” mi chiese lui, illuminandomi con un largo sorriso.
“Stavo cercando di contenere il mal di testa e ci stavo riuscendo, prima che arrivassi tu” replicai con un filo di voce. Tossii e mi scappò uno starnuto. Lui indietreggiò, disgustato, e mi lanciò un pacchetto di fazzoletti.
“Spero che tu ti sia vendicata a dovere” commentò, lanciando uno sguardo di sottecchi a Liam, che arrossì lievemente e si strinse nelle spalle facendosi piccolo piccolo. Io scossi lievemente la testa e lo guardai tranquilla, intimandogli di smettere di preoccuparsi. Lui sembrò sollevato e si accomodò sul letto accanto a Louis, posando una mano sul mio ginocchio coperto dal piumone.
Louis attendeva ancora una risposta, il sopracciglio sollevato, scettico.
“Non l’ho fatto dormire, stanotte. Credo sia abbastanza”
Louis schioccò la lingua, visibilmente contrariato.
“Oh, andiamo. Quello era il minimo, ti stai rammollendo, sorella!” esclamò. Risi leggermente, per poi bloccarmi subito presa da una fitta alla tempia. Arricciai il naso e Louis mi guardò curioso.
“Quante ore sono passate, posso prendere un’altra tachipirina?” chiesi, quasi implorando una risposta positiva. Liam controllò l’ora sulla sveglia sul comodino e il suo sorriso mi fece sospirare di sollievo.
“Si, ma prima devi mangiare qualcosa”
Ecco, qualcosa che non andava doveva pur esserci. Lui scoppiò a ridere davanti alla mia espressione disgustata, mentre Louis scattava in piedi.
“Oh, allora vado a dire a Niall di non finirsi tutti i cornetti” esclamò, ma prima che potessi protestare e fermarlo, schizzò fuori dalla stanza, probabilmente preoccupato del fatto che il pozzo al posto dello stomaco che aveva il biondino avesse già potuto ingoiare tutta la colazione.
“Dai, fai un piccolo sforzo” mi pregò Liam, porgendomi una mano con un sorriso incoraggiante stampato sulle labbra. Sbruffai e con un’alzata d’occhi al cielo mi tirai su, afferrando la sua mano e lasciandomi aiutare a mettermi in piedi.
Sembrava tutto normale, finché i miei piedi si posarono sul pavimento e sentii una nebbia avvolgere quasi protettiva la mia testa, facendo girare la stanza tutta intorno a me. Barcollai e vidi il pavimento avvicinarsi pericolosamente al mio viso, poi due braccia forti mi afferrarono al volo e mi tirarono su, rimettendomi in piedi.
“Ehi” esclamò Liam preoccupato, stringendomi al petto. Chiusi gli occhi, cercando di fermare quella ruota che mi girava vorticosamente nella mente e lui mi sorresse circondandomi i fianchi con un braccio.
“Tutto bene?”
“Mi gira un po’ la testa” biascicai.
“Un po’?” fece lui sarcastico, carezzandomi la guancia. Sotto il suo tocco bollente aprii gli occhi, grata che la stanza aveva momentaneamente smesso di girare.
“Si. Credo…credo che se sto ferma va bene” constatai con un filo di voce. Lui scoppiò a ridere e allentò un po’ la presa, senza però smettere di guardarmi attentamente.
“Pensi di riuscire ad arrivare in cucina se ti aiuto?” chiese senza distogliere lo sguardo.
Ci pensai un po’ e poi gli presi la mano, intrecciando le dita tra le sue.
“Si, ma tu non lasciarmi”
Il suo sorriso si allargò e mi passò di nuovo un braccio intorno ai fianchi, per poi portarmi al piano di sotto, dritti in cucina, e depositarmi sulla prima sedia libera. Mi carezzò i capelli e mi regalò uno splendido sorriso, prima di voltarsi a salutare i ragazzi.
Trovai subito Niall e Zayn seduti di fronte a me che mi osservavano in silenzio.
“Stai uno schifo” commentò il biondino, per poi dare un bel morso al suo cornetto.
Gli scoccai un’occhiataccia, mentre Zayn sorrideva in silenzio, sorseggiando il suo caffè.
“Lei è sempre bellissima” replicò Liam, sedendosi accanto a me e porgendomi un cornetto con una tazza di caffè. Guardai Niall altezzosa, mentre lui schioccava la lingua e scuoteva la testa sconsolato.
“Sei quasi obbligato a dirlo, amico” gli ricordò con un sorrisetto divertito.
“L’avrebbe fatto comunque, ormai il suo cervello è partito per quel mondo a te sconosciuto chiamato amore” commentò Zayn, colpendolo con una spallata.
Sorrisi tra me e me, mentre i due continuavano a battibeccare e sentii lo sguardo pressante di Liam su di me. Incrociai i suoi occhi dolci e lui mi indicò con il mento il cornetto che giaceva sul tavolo di fronte a me.
“Hai intenzione di mangiarlo o continui semplicemente a contemplarlo?” chiese, con un vago sorrisetto divertito sulle labbra.
Labbra che avevo l’improvvisa voglia di baciare.
Era la febbre che mi faceva impazzire, sicuro.
“Se non lo vuoi, ci penso io” si intromise subito Niall, lo sguardo speranzoso. Lo guardai senza dire niente, mentre Liam scuoteva categoricamente la testa.
“Deve mangiare per prendere la medicina” affermò con una voce che non ammetteva repliche. Niall sbuffò, imbronciandosi e Zayn alzò gli occhi al cielo.
“Santo Dio, Niall! Ne hai mangiati tre, ancora non ne hai abbastanza?” esplose incredulo. Il biondino lo guardò innocentemente.
“La colazione è il pasto più importante della giornata. E poi non si ingrassa durante queste ore, quindi posso mangiare quanto voglio” dichiarò convinto, incrociando le braccia al petto.
Zayn scosse la testa, insieme a Liam, che poi mi diede un colpetto sul ginocchio con la mano.
“Dai, mangia. Così ti puoi prendere questa stramaledetta tachipirina e ti toglierai quell’espressione sofferente dalla faccia” mi disse, passandomi una mano sulla fronte corrugata dallo sforzo di rimanere lucida.
Con un sospiro rassegnato cominciai a piluccare il cornetto, mangiandone qualche pezzetto qua e là e mandandolo giù quasi a forza per la gola che mi bruciava.
“Brava, ragazza” mormorò, lisciandomi i capelli e sistemandomeli dietro l’orecchio. Sollevai un angolo delle labbra e ingoiai un altro boccone.
Lui distolse finalmente l’attenzione da me, per chiacchierare con i ragazzi.
“Dov’è andato Louis?” chiese loro, guardandosi intorno e accorgendosi solo allora della sua assenza, insieme a quella di Harry.
“E’ uscito con Ruth. Harry invece è andato a prendere Jenny” annunciò Zayn.
Appunto.
Liam annuì ed io riuscii ad ingoiare l’ultimo pezzetto di cornetto prima che lui posasse di nuovo gli occhi su di me. Mi sorrise e finalmente mi passò la pasticca con un bicchiere d’acqua, che buttai giù tutto d’un fiato.
“Bene” dichiarai con un piccolo sorriso, perché il mal di testa era aumentato. Liam mi carezzò di nuovo la guancia e un pensiero fulmineo mi attraversò la mente.
“Oh, merda devo lavorare oggi pomeriggio!” esclamai portandomi le mani sulla testa. Liam mi guardò alzando le sopracciglia e strinse le labbra.
“Oh, non se ne parla. Tu non vai da nessuna parte in queste condizioni” dichiarò, facendosi scuro in viso.
“Ma io…”
“Scordatelo. Chiamo io Grace e le dico che stai male, tu vai a farti un bel bagno rilassante” mi interruppe, alzandosi e aiutandomi a fare lo stesso. Sbruffai, lanciandogli un’occhiata esasperata.
“Ok, papà”mugugnai, facendo ridere Zayn e Niall, che stavano osservando la scena curiosi e in silenzio. L’espressione di Liam si addolcì e si aprì in un sorriso.
Lo seguii lentamente al piano di sopra e, con un altro sorriso, mi mollò in bagno, porgendomi un cambio di vestiti e l’accappatoio. Corrugai le sopracciglia e lui mi guardò confuso.
“Te ne vai così?” chiesi, sporgendo il labbro inferiore. Lui piegò un po’ la testa di lato, indeciso se ridere o alzare gli occhi al cielo esasperato.
Si avvicinò di qualche passo, prendendomi il viso con entrambe le mani e stampandomi un delicato bacio sulla fronte.
Lo guardai malissimo, forse per questo lui scoppiò in una risata fragorosa, piegando la testa all’indietro. Il suono della sua risata, così allegra e spensierata, mi fece sorridere automaticamente.
“Liam Payne, ti consiglio di baciarmi prima che comincio a starnutire” lo minacciai sottovoce. La sua risata si bloccò all’istante e arricciò le labbra, pensandoci su.
“Dici che poi dovrò farne a meno per un po’ di tempo?” chiese dubbioso, piegando un po’ la testa di lato e prendendosi il mento tra pollice e indice.
“Molto, moltissimo tempo” dichiarai stendendo le labbra in un sorriso. Allora lui alzò le spalle e sospirò.
“Allora credo che dovrò fare questo sforzo” mormorò fintamente sconsolato.
“Ehi” protestai colpendolo con uno schiaffo sulla spalla. Lui mi sorrise e mi afferrò di slancio, facendo scontrare il mio petto con il suo.
All’istante l’atmosfera di fece seria, i suoi occhi che bruciavano nei miei e il respiro di entrambi che cominciava a farsi più corto e irregolare. Con un ultimo sorrisetto impertinente si avvicinò e chiuse gli occhi, per poggiare le labbra sulle mie in un timido e casto bacio.
Prima che potessi anche lontanamente pensare di protestare, lui si avventò nuovamente su di me catturando le mie labbra in un bacio degno di chiamarsi tale. Le sue labbra sembravano fameliche e non si staccarono nemmeno per mezzo secondo dalle mie, mentre le sue mani roventi erano dappertutto.
Sembrò rendersi conto che ci stavamo baciando ormai da un tempo indeterminato solo quando rabbrividii e le mie gambe si fecero di gelatina, rischiando di farmi crollare a terra.
“Certo che non hai proprio una via di mezzo, tu” soffiai, cercando di riprendere fiato e strizzando gli occhi per mettere a fuoco la stanza che aveva cominciato a girare. Lui rise sottovoce e mi tenne in piedi, lasciandomi lo spazio per respirare.
“Devo fare scorta se non so quando potrò rifarlo” si giustificò, per poi lasciarmi andare e allontanarsi di qualche passo.
Si chinò per aprire l’acqua calda della vasca e versarci dentro qualche goccia di bagnoschiuma. Poi si voltò verso di me e mi sorrise.
“Ora ti lascio in pace, vado a chiamare Grace” mi disse, stampandomi un bacio sulla guancia ed uscendo dal bagno. Con un sospiro mi poggiai al muro, cercando di fermare in qualche modo la stanza che non la voleva smettere di girare.
 
 



Liam.
 



Non mi allontanai di molto, perché se Cher avesse avuto bisogno di qualsiasi cosa era meglio che fossi a portata di mano, soprattutto perché avevo visto la sua espressione un po’ spaesata e avevo sentito le sue gambe cedere sotto il suo peso.
Per stare più tranquillo sarei voluto rimanere direttamente con lei e tenerla d’occhio, ma non mi sembrava il caso, dato il fatto che avrebbe dovuto spogliarsi ed io ero pur sempre un ragazzo preda dei propri istinti. Sarebbe importato davvero poco ai miei ormoni che in quel momento Cher non era proprio in grado di sostenere uno sforzo e un’emozione del genere.
Da quando vivevamo insieme il ragazzo serio e responsabile che era in me era stato spazzato via dalla furia corpo-da-urlo Cher, che mi faceva impazzire solo con uno sguardo.
Ed ero ben felice di poter dire di avere lo stesso effetto su di lei, dato che sembrava non essere mai sazia di me, come non lo ero io di lei.
Sospirai e mi passai una mano sulla testa, ormai quasi priva di capelli, e presi il cellulare di Cher, cercando il nome ‘Grace’ sulla rubrica.
Aspettai che rispondesse tamburellando un piede nervosamente a terra.
“Pronto?”
Una voce allegra e vagamente familiare.
“Ciao, sono il ragazzo di Cher” esordii, un po’ impacciato.
Lei rimase un po’ in silenzio e poi cominciò a parlare a macchinetta.
“Oh, ciao! Tutto bene? E’ successo qualcosa a Cher? Devo preoccuparmi?”
Non lasciava passare neanche un secondo tra una domanda all’altra e molto presto scoppiai in una risata mezza isterica.
“No, no, va tutto bene” cercai di farmi sentire nella sua frenetica parlantina.
“Oh, bene” sospirò lei sollevata.
All’improvviso sentii uno strano trambusto e il suo sbuffo esasperato mi arrivò all’orecchio.
“Ma cosa diavolo stai facendo?!” esplose. Allontanai infastidito il telefono dall’orecchio.
“Scusa, mia sorella è un’idiota” ritornò con l’attenzione su di me.
“Allora, come mai hai chiamato?”
“Beh, chiamo da parte di Cher. Ha la febbre e oggi non ce la fa a …”
“Dan, porca merda sei un idiota!” esplose di nuovo, interrompendomi nel bel mezzo della frase. Sospirai, mentre qualcuno rispondeva alla sua accusa con un’altra poco colorita.
“Senti, scusa. Avrai capito che non è un buon momento. Dì a Cher di non preoccuparsi, c’è mia sorella qui che mi aiuta. Augurale di guarire presto per me. Ciao” detto questo tutto molto velocemente che faticai quasi a capirla, riattaccò prima che potessi risponderle. Feci spallucce, io il mio compito l’avevo fatto, e lanciai il telefono sul letto.
Prima che potessi pensare di fare qualsiasi cosa, la voce di Cher mi giunse flebile alle orecchie.
“Liam?”
Scattai, preoccupato dal suo tono di voce quasi implorante, e la raggiunsi in bagno. Era seduta sul bordo della vasca, con ancora i pantaloni e la canottiera indosso, la felpa in una mano e l’altra impegnata a massaggiarsi le tempie.
Mi accucciai immediatamente di fronte a lei, poggiandole entrambe le mani sulle ginocchia.
“Piccola, che succede?”
“Gira tutto” mugugnò ad occhi chiusi. Mi alzai per chiudere l’acqua che rischiava di uscire dal bordo della vasca e poi mi chinai di nuovo su di lei, prendendole entrambe le mani con delicatezza e aiutandola ad alzarsi.
“Piano, ti aiuto io” sussurrai, mentre lei faceva qualche passo barcollando. Le tolsi la felpa dalla mano e la lanciai a terra.
Deglutii rumorosamente, consapevole di quello che stavo per fare.
Lentamente, la aiutai a spogliarsi, evitando di guardare al di sotto del suo mento, anche se la tentazione era terribilmente forte e una vampata di calore cominciò a bruciarmi dentro.
Deglutii di nuovo quando mi abbassai per sfilarle i pantaloni della tuta, dato il fatto che non riusciva neanche a muoversi e probabilmente sarebbe svenuta se l’avesse fatto da sola. Lei si teneva poggiandomi una mano sulla spalla e quando alzai gli occhi trovai i suoi chiusi, ma un accenno di sorriso aleggiava sulle sue labbra.
“Che c’è da ridere?” borbottai, ritirandomi su e piegando nervosamente i pantaloni, per poi poggiarli sul marmo.
Lei aprì un poco gli occhi e mi intrappolò con le sue iridi verdi e lucide.
“Niente, immagino solo come ti stai sentendo in questo momento” soffiò, guardandomi di sottecchi, l’espressione furba. Sbuffai divertito e la guardai male.
“Ma cosa devo fare con te?” sbottai esasperato, non riuscendo però a trattenere una mezza risata, mentre mi sentivo andare completamente a fuoco. Lei ridacchiò e si strinse nelle spalle per tutta risposta. Poi arrossì violentemente ed io corrugai la fronte confusa.
“Ora voltati, devo spogliarmi” mi disse, afferrandomi però il braccio per mantenersi in equilibrio. Con un sorrisetto la accontentai, stringendo i denti e trattenendo il respiro, mentre lei scivolava fuori dagli ultimi indumenti rimasti.
“Ce la fai ad aiutarmi ad entrare nella vasca senza guardare?” chiese, senza mollare il mio braccio.
Respirai, sentendo il cuore battere frenetico fin nelle orecchie.
“Cher, ti ho già vista nuda” le ricordai con un filo di voce.
“Si, ma è diverso” si impuntò. Decisi che non era aria di litigarci, dato anche il fatto che faticava solo a reggersi in piedi e non avrebbe certo sopportato una discussione.
“Ok, non ti guardo” le promisi, voltandomi e puntando gli occhi nei suoi. Lei mi sorrise riconoscente ed io le afferrai i fianchi, la pelle bruciante al contatto con la sua, e la sollevai un poco aiutandola a scavalcare il bordo della vasca, sempre occhi negli occhi. Lei sprofondò dentro con un sospiro, nascondendosi sotto la schiuma e chiudendo immediatamente gli occhi.
“Grazie” sussurrò, le carezzai i capelli, legandoli in una crocchia alta, e mi chinai per lasciarle un bacio sulla fronte, resa un po’ più fresca dall’effetto della medicina.
“Di niente, piccola”
“Non andartene”
“No, non mi muovo di qui” le assicurai, carezzandole di nuovo la guancia. Lei sorrise, sempre ad occhi chiusi e si rilassò, sistemandosi meglio nella vasca.
Sospirai e mi accomodai sul pavimento accanto a lei, totalmente rapito a guardarla mentre piano piano si lasciava andare.
Ad un certo punto, nel silenzio più completo, un trillo fastidioso risuonò nella mia testa e mi ritornò alla mente la conversazione con Grace, così, fulminea e decisamente destabilizzante.
Ripassai alla mente il nostro dialogo, e quasi non morii soffocato, quando collegai chi era veramente Grace e con chi stava parlando in quel momento.
Mi scappò un gemito e Cher aprì immediatamente gli occhi, preoccupata.
“Che succede?”
“Non avremo mai pace, noi due” sibilai, chiudendo gli occhi sconfitto.














Morning, people! (?) Sono le cinque, ma vabbè, considerate che mi si è appena attivato il cervello, quindi per me è mattina adesso.
Beh, che volete? Ho talmente tanta matreria grigia che ci mette un po' ad attivarsi uu
La pianto, si.
Allora, per prima cosa vorrei ringraziare tutte le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, siete akfljfpkc **
E lo so che vi ho praticamente 'minacciate', ma voi siete sempre così dolcissime che mi fate sciogliere :')
Passando al capitolo; lo so, è un capitolo noioso, non succede niente, ma è solo di passaggio.
Oddio, qualcosa succede, ma io sono sicura che voi siete talmente tanto intelligenti che già l'avevate capito...chi pensate che sia la sorellina di Grace? :)
Ha-ah, non si toglierà mai di mezzo, io ve lo dico uu
Per chi si aspettava la sfuriata di Harry...è rimandata al prossimo capitolo!
Sempre che riesca a postarlo perchè sono pieeena di cosa da fare e di interrogazioni e compiti in classe, e ho voglia di uccidermi çç
Ora scappo, mi estraneo nel mio mondo con le mie amate cuffiette.
Ma l'avete viso oggi Amici? Avevano intenzione di farmi morire; prima mi cantano 'Viva la vida', poi 'Total eclipse of the heart'.
Dio, avevo le lacrime agli occhi, e col cavolo che ho sentito i cantanti di Amici, in testa avevo solo le loro voci **
Ok,ok, sparisco.
Spero vi piaccia, darlings.
Tanto amore.
Sara.



Ps. Ah, visto che tempo fa mi è stato chiesto...
Così io mi immagino le ragazze:



Cher:




Jenny:





E lui è Lucas:




Vabbè, i ragazzi sono i ragazzi. E Cat...Cat ce l'ho in testa ma non riesco a trovare una ragazza che renda l'idea, quindi immaginatela come volete :)
A presto, peipi!




 



 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***


Capitolo 9
 
 
Jenny

               
 
Mi voltai, molto lentamente e cercando di stamparmi un sorriso minimamente convincente sul viso, ed incrociai lo sguardo fiammeggiante di Harry.
“Ciao”
“Ciao. Allora, mi rispondi?” chiese, senza un accenno di sorriso, il fuoco che bruciava nei suoi occhi verdi.
“Calmati, deve solo darmi delle ripetizioni” gli risposi, serrando la mascella e incrociando le braccia al petto.
Sentii Cat deglutire, unico segno di vita da quando aveva visto Harry. Sapevo che probabilmente era sotto shock e avrei dovuto quantomeno presentarli, ma gli occhi di Harry mi inchiodavano sul posto e la sua aria fredda e incredibilmente stronza mi stava innervosendo.
“Avevamo deciso che ti avrei aiutato io” mi ricordò lui, sollevando un angolo delle labbra in un sorriso sprezzante. Gli lanciai un’occhiata.
“Si, e ci abbiamo provato. Ma hai visto anche tu che non funziona” cominciai. Lui sbruffò, ma prima che potesse protestare, ripresi a parlare.
“Non hai tempo anche per preoccuparti dei miei voti di latino, hai mille impegni e comunque non riusciamo mai a combinare niente. E’ inutile negarlo” conclusi, con voce secca.
Ci stavamo avvicinando più di quanto volessi a quella che sarebbe stata un vera e propria discussione.
Ero nervosa, perché non volevo affatto litigare con lui, avrei solo voluto andarmene a casa, mangiare in santa pace e poi mettermi finalmente a studiare quell’insulsa materia.
Ma la sua aria strafottente e il guscio in cui si chiudeva ogni volta che c’era qualcosa che non andava mi stavano mandando in bestia.
“Il tempo lo avremmo trovato e piano piano ci saremmo abituati” biascicò. Mi sforzai di non alzare gli occhi al cielo.
“Il problema è che io non ho tutto questo tempo, Harry. Devo recuperare, e anche parecchio. Lucas è lo studente migliore della professoressa, me l’ha consigliato lei. Credimi che se potessi ne farei volentieri a meno, sono entusiasta quanto te di passare interi pomeriggi con lui, ma a quanto pare è necessario”
Lui scosse la testa e per un attimo posò gli occhi sulla mia amica, ancora immobile accanto a me. La guardai per un secondo e lessi il panico nei suoi occhi, le guance rosse e le mani che tremavano leggermente.
Sospirai e le diedi una debole spallata, per farla tornare in se.
“Lei è Cat, una mia amica. Cat, lui è Harry” li presentai, indicandoli. Lei sembrava totalmente ipnotizzata da lui e riuscì solamente ad annuire, lasciandosi scappare un mezzo sorriso che lui ricambiò con uno più autentico, che però non sfiorò minimamente gli occhi.
Tornò a guardare me, l’espressione corrucciata.
“Non mi piace” decretò infine. Prima che Cat potesse andare nel panico pensando che si stesse riferendo a lei, sospirai, capendo al volo a cosa era destinato quel commento.
“Neanche a me. Il tempo di recuperare quest’insulsa materia e mi libererò di lui” gli assicurai. Lui scosse di nuovo la testa, un lampo di rabbia che gli attraversò gli occhi.
“Non voglio che passi il tuo tempo con lui”
“Neanch’io, ma devo farlo” replicai di nuovo, secca e decisa. Lui sbruffò e mi lanciò un’occhiataccia.
“Almeno potrò assistere alle lezioni?” ritentò, stringendo gli occhi.
“Credo sia meglio di no, saresti una distrazione”.
Schioccò la lingua e alzò le braccia al cielo.
“Oppure non potreste fare quello che volete” tradusse con espressione truce. Boccheggiai, presa in contropiede dalla sua accusa, e sentii che a quel punto non potevo più trattenermi, ero ormai arrivata al limite.
“Ma che problemi hai?” sbottai, alzando anch’io le braccia al cielo e, mio malgrado, anche la voce.
“E’ lui il mio problema” dichiarò. Lo squadrai, guardandolo in cagnesco, e lui ricambiò. Ci stavamo letteralmente uccidendo con lo sguardo.
“A me il problema sembra solo un eccessivo testosterone e l’orgoglio di non ammettere che un altro ragazzo possa essermi d’aiuto. O forse sei solo geloso e non ti fidi di me?” sputai con rabbia, assottigliando gli occhi. Lui boccheggiò, preso in contropiede dalla mia veemenza e fece un passo indietro.
“Non dire cazzate” mormorò.
“No, Harry, non dirle tu! Stammi a sentire, io oggi andrò in quella maledetta casa, faro quelle due maledette ore di ripetizione, poi tornerò a casa nostra e litigheremo, se è questo che vuoi. Ma ora, ti prego, sono già in ritardo”
“Non ho intenzione di litigare con te” si imbronciò lui, incrociando le braccia al petto, gli occhi che gli si addolcirono un pochino. Sospirai sommessamente, rilassando le spalle.
“Bene”
“E non ho intenzione di accompagnarti da lui” rincarò la dose, lo sguardo fiammeggiante. Roteai gli occhi al cielo, stringendo la mascella, il nervosismo che tornava di nuovo a galla.
“Bene. Cat, mi dai un passaggio?” sibilai, voltandomi verso la mia amica che rischiava di svenire da un momento all’altro, gli occhi puntati increduli su Harry, che ribolliva di rabbia. In un’altra occasione mi sarei di sicuro messa a ridere, per quanto era esilarante la sua espressione. Ma in quel momento avevo voglia di fare tutto tranne che ridere.
Che presuntuoso, testardo ragazzo!
Con uno sbruffo infastidito la afferrai per un braccio e la scossi, riportandola alla realtà.
“Cosa? Si, certo, ti accompagno” farfugliò, scuotendo velocemente la testa e diventando viola dall’imbarazzo. Rivolse un altro sorriso ad Harry e poi cominciò a cercare le chiavi della macchina nella borsa. Harry teneva gli occhi puntati nei miei, perso nei suoi pensieri e con le labbra arricciate.
“Trovate!” esultò Cat mostrandomi le chiavi. Deglutii e mi sforzai di sorriderle, mentre si avviava verso la sua macchina.
“Ci vediamo stasera” mormorai ad Harry. Lui mi schioccò un’occhiataccia.
“Ci puoi scommettere” sibilò, prima di girarsi e raggiungere la sua macchina a passi lunghi e ben distesi.
Sospirai passandomi una mano tra i capelli e salii in macchina, sbattendo lo sportello.
“Ehi, piano” si lamentò all’istante Cat, lanciandomi un’occhiataccia e mettendo in moto.
Sospirai di nuovo, sentendo le lacrime salire su. Ci mancava anche questa, ora.
L’ultima cosa che volevo era litigare con Harry ed essere arrabbiata con lui. Non potevo sopportare che lui ce l’avesse con me e quel silenzio carico di tensione tra di noi mi aveva quasi uccisa.
Avrei dovuto sistemare le cose, subito, prima che il tutto degenerasse.
Erano solo stupide ripetizioni e la mia solita sfiga aveva fatto si che fosse Lucas quello più adatto a darmele. Non poteva prendersela con me se lui era il più bravo della scuola, non l’avevo di certo scelto io!
“Quindi…” cominciò Cat, lanciandomi un’occhiata veloce “Tu…lui…?", sembrava non riuscisse a formulare una frase di senso compiuto
“Si, lui è Harry Styles ed è il mio ragazzo. Non esiste nessun Harvey o compagnia bella, ti ho mentito” tagliai corto, torturandomi le mani tra di loro. Lei mi lanciò un’altra occhiata indecifrabile.
“Perché?”
“Perché avevo paura di dirti la verità”confessai con un altro sospiro.
“Uhm…quindi conosci anche gli altri ragazzi?” chiese ancora, accostando in una via piena di villette. Mi guardai intorno, prima di ritornare con gli occhi su di lei, che aspettava in silenzio.
“Certo, vivo insieme a loro”
La sua reazione mi fece scoppiare a ridere: spalancò la bocca talmente tanto che la mascella gli arrivò quasi ai piedi. Per non parlare degli occhi, che rischiavano di uscire fuori dalle orbite.
“Chiudi la bocca, o potrebbe entrarci qualche mosca” sghignazzai, dandole un colpetto sulla spalla.
“Dimmelo, tu mi odi” riuscì a balbettare, posandosi una mano sul cuore. Corrugai la fronte.
“Ma cosa dici?”
“Allora perché mi avresti tenuto nascosta questa informazione vitale?”sbottò lei, spalancando di nuovo gli occhi. Scrollai le spalle, lanciandole una mezza occhiata esasperata.
“Perché…non lo so. Forse volevo che tu fossi mia amica comunque”
“Sarei stata tua amica comunque! Ma, cazzo, tu conosci i One Direction!” urlò, sbalordita.
“Già” mi strinsi nelle spalle.
“E sai cosa comporta questo, vero?” continuò, con un’occhiata emozionata, mordendosi il labbro.
“Cosa?”
“Che dovrai farti perdonare”annunciò, gli occhi che le brillavano letteralmente.
“E sai cosa dovrai fare per ottenere il mio perdono?”
Si, lo sapevo. Non era difficile da immaginare. Sospirai e il suo sorriso si allargò.
“Ho capito, ho capito. Si, ti porto a conoscerli. Vado, prima che tu riesca a strapparmi qualche altra promessa indecente”. Lei fece un gridolino di gioia e si sporse sul sedile per abbracciarmi di slancio.
“Ti voglio bene, fiorellino” mi strillò all’orecchio. Mi allontanai arricciando il naso infastidita, ma senza riuscire a trattenere un sorriso divertito.
“Si, anch’io” mormorai, aprendo lo sportello e saltando giù dalla macchina.
“E buona fortuna per le ripetizioni” ammiccò con un gran sorriso. La guardai male e chiusi lo sportello.
“Non sfottere tanto, se dovessi lasciarmi con Harry non conosceresti mai i tuoi angioletti” le ricordai con un sorrisetto, una morsa che mi strinse immediatamente il cuore a quell’assurdo pensiero. Lei impallidì e scosse la testa.
“Nah, lui non ti lascerà. Ho visto come ti guarda, quello è amore” annunciò convinta. Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa.
“Ok, vado. Prima iniziamo, prima finiamo, giusto?” mormorai. Lei rise e mi salutò, per poi mettere in moto e lasciarmi lì da sola sul vialetto.
Dopo cinque minuti buoni passati davanti alla porta di quella deliziosa villetta, trascorsi a rimuginare e a sperare che un meteorite cadesse sopra di me proprio in quel momento, mi decisi a suonare il campanello, con la convinzione che una volta passato l’imbarazzo iniziale il tempo sarebbe trascorso velocemente.
Doveva essere così, perché io non vedevo l’ora di tornare a casa e parlare con Harry, non sopportavo il pensiero che ci fosse qualcosa di non detto tra di noi.
Quando Lucas venne ad aprirmi, mi illuminò immediatamente con uno dei suoi sorrisi amichevoli e la sua vista mi stupì: era totalmente diverso da quando era a scuola, il suo viso era più rilassato e i suoi occhi brillavano, per quanto erano azzurri e sorridenti.
O forse, l’unica cosa che me lo faceva apparire diverso, erano i capelli sciolti che gli ricadevano ondulati appena sopra le spalle e gli circondavano il viso, dandogli quell’aria da cattivo ragazzo che con me non aveva mai attaccato.
“Ciao” mi salutò lui, con un sorrisetto soddisfatto dal mio sguardo stupefatto e dal mio silenzio imbarazzato.
Arrossii, senza ragione, e mi sforzai di sorridere.
“Ehm, ciao” mormorai, dandomi dell’idiota mentalmente. Lui piegò divertito la testa di lato e si scostò, facendomi entrare in casa. Non persi tempo a guardarmi intorno, perché il silenzio imbarazzante fu interrotto all’improvviso dal mio stomaco brontolante che mi ricordava che non mangiavo niente dalla colazione. Lui rise sottovoce e mi guardò.
“Fame?”
Diventai viola dall’imbarazzo, posandomi una mano sullo stomaco e abbozzando un timido sorriso.
“Non ho mangiato” spiegai, stringendomi nelle spalle. Il suo sorriso si allargò e mi fece segno di seguirlo.
“Allora mangia con me, non avevo ancora finito” mi invitò, sistemando un piatto di pasta davanti al suo mezzo vuoto e invitandomi a sedermi.
Sempre più imbarazzata, non riuscivo a capire dove diavolo fosse andata a finire la mia sicurezza, lo ringraziai e iniziai a mangiare con lui in silenzio.
Dopo aver soddisfatto il mio stomaco che aveva deciso di peggiorare sempre di più le situazioni già di per se imbarazzanti, lo aiutai a sparecchiare e liberare il tavolo.
Allora lui mi guardò, sbattendo le mani e facendomi un grande sorriso.
“Allora, che vogliamo fare?” chiese divertito.
Lo guardai alzando un sopracciglio.
“Ehm, latino?” azzardai. Lui scoppiò a ridere e fece spallucce, arricciando il naso.
“Nah, non sono in vena di cominciare adesso. Prima rilassiamoci un po’” propose e, prima che potessi anche solo pensare di dire qualcosa, mi afferrò la mano a tradimento e fece per trascinarmi fuori dalla stanza. Sbarrai gli occhi e puntai immediatamente i piedi, sciogliendo la presa come se fossi stata colpita da una scossa elettrica.
Il sorriso scomparve dal suo volto appena si accorse della mia espressione sconcertata e vagamente disgustata; aveva decisamente azzardato troppo.
“Che c’è?” bisbigliò, facendo una piccola smorfia. Presi un bel respiro, passandomi una mano tra i capelli e guardandolo dritto nei gli occhi.
“Senti, Lucas, io sono qui solo per quelle dannate ripetizioni. Mettiamo subito le cose in chiaro, perché non voglio avere altri problemi. Se per te non va bene, troverò qualcun altro, ma dimmelo subito” dissi seriamente, senza distogliere nemmeno per un secondo gli occhi dai suoi. Lui piegò un poco la testa di lato, riflettendo sulle mie parole, e poi annuì semplicemente.
“Altri problemi?” chiese, calcando sulla parola ‘altri’ e corrugando le sopracciglia. Sospirai di nuovo, una morsa che mi strinse automaticamente lo stomaco.
“Si, diciamo che non è stata una passeggiata venire qui” borbottai, rabbuiandomi.
“Harry?” capì al volo. Incrociai il suo sguardo e annuii debolmente.
“E’ geloso” chiarì con una mezza risata.
“Terribilmente”
“E non voleva che tu venissi qui” continuò. Scossi la testa e poi sbuffai, lanciandogli un’occhiata esasperata.
“Però questi non sono problemi tuoi, li risolverò da sola. Ora, per favore, possiamo fare quello per cui sono venuta qui?” quasi lo implorai e lui, con un sorriso dolce, annuì e mi fece sego di seguirlo, guidandomi in un salone accogliente, con una grande scrivania, una libreria ed un divano soffice che quasi ti implorava di sederti e rilassarti.
Lui si accomodò su una sedia, recuperando i libri di latino e assumendo un’aria professionale che non gli apparteneva minimamente. Lo imitai, scrutandolo curiosa, e intrecciai le mani davanti a me, aspettando la sua prossima mossa.
Come avevo sperato, le due ore trascorsero velocemente e, per la prima volta, capii qualcosa di quella materia. Lucas era un bravo insegnante, molto paziente a giudicare da come si era trattenuto dal mandarmi al diavolo come avrei fatto io al posto suo, e riusciva a farmi capire anche la cosa più complicata, anche se a dirla tutta non c’era molto da capire, l’unica cosa da fare era studiare, studiare e ancora studiare.
A parte un paio di volte in cui si era lasciato andare ad allusioni e battutine non molto divertenti che mi avevano imbarazzata, si era attenuto ai patti ed era riuscito a farmi entrare in testa molto più di quello che aveva fatto la professoressa in due mesi di scuola.
Allo scadere delle due ore, con un gran bel sospiro, si lasciò andare poggiandosi sullo schienale della sedia.
“Finito” dichiarò, con un sorriso stanco. Ricambiai al volo, cominciando a sistemare le mie cose.
“Stremato?” chiesi divertita, lanciandogli un’occhiata. Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto.
“Devo ammettere che sei una testa dura”
“Sei ancora in tempo per tirarti indietro” commentai alzandomi, sperando però che non lo facesse, perché dopo quella lezione ero totalmente convinta che con lui sarei riuscita a recuperare. Lui scosse la testa con un altro sorrisetto.
“Nah, la prof mi ha promesso almeno un voto in più per queste ripetizioni” mi ricordò. Roteai gli occhi al cielo; dimenticavo che non era certo per me che mi stava aiutando.
“E poi mi fa piacere aiutare un’amica” continuò facendomi l’occhiolino, come se avesse potuto leggermi nel pensierino.
Arrossii e mi spuntò un sorriso automatico.
“Grazie, allora” mormorai, prendendo le mie cose e dirigendomi verso la porta, smaniando per uscire di lì e tornarmene finalmente a casa.
Lui rise e mi accompagnò alla porta.
“Impaziente di andare via, eh?”
“Ho delle questioni in sospeso da risolvere” replicai, reprimendo a stento una smorfia infastidita.
Lui annuì e mi aprì la porta di casa, appoggiandosi poi allo stipite una volta uscita.
“Beh, dì al tuo amichetto che non deve preoccuparsi. Terrò le mani a posto, per adesso” borbottò, assottigliando lo sguardo e fissando qualcosa dietro di me.
Mi voltai, e il cuore mi schizzò in gola quando vidi davanti al vialetto la macchina di Harry, accesa e pronta a partire. Mi voltai di nuovo verso Lucas, per salutarlo, e lui mi sorprese facendo due passi avanti veloci e posandomi una mano sul fianco, per poi chinarsi su di me e schioccarmi un bacio sulla guancia.
Fu tutto così veloce che quasi non me ne resi conto, ma potevo quasi sentire lo sguardo di fuoco che mi stava fulminando attraverso il finestrino della macchina.
Lucas si fece indietro, riassumendo quel suo sorrisetto soddisfatto, guardando apertamente verso la macchina.
“Questo non dovevi farlo” lo rimproverai, guardandolo male. Lui si strinse innocentemente nelle spalle e mi sorrise.
“Non posso salutare una mia amica?” chiese retorico. Sbruffai, lanciandogli un’ultima occhiataccia.
“Ci vediamo domani”
“Certo, piccola” rispose lui, divertito. Mi voltai di nuovo, lo sguardo fiammeggiante.
“Non chiamarmi piccola” sibilai. Lui alzò le mani davanti a se a mo’ di resa.
“Scusa” mormorò, sforzandosi di non ridere, e poi con un altro sospiro esasperato mi avviai verso la macchina, salendo e stampandomi un sorriso sulle labbra.
Harry non mi degnò di uno sguardo, gli occhi puntati sulla strada, le mani strette sul volante.
“Ciao” mormorai, sentendo la tensione che emanava e che rischiava di soffocarmi.
Lui annuì debolmente verso di me, prima di mettere in moto e partire, senza nemmeno accennare a dire una parola. Mi imbronciai, incrociando le braccia al petto, restando in religioso silenzio anch’io.
Di certo non gli avrei dato la soddisfazione di aprire io il discorso, era lui il bambino cocciuto e testardo che si era arrabbiato per niente.
Entrammo in casa ancora senza parlarci e lui, gli occhi bassi e il viso contratto, schizzò in camera senza salutare nessuno. I ragazzi lo seguirono con gli occhi, in silenzio, mentre Ruth, che si era fermata da noi per qualche giorno, mi guardò sbalordita, per poi ammorbidire il suo sguardo probabilmente alla vista della mia espressione sconvolta.
“Cosa succede, piccola?” chiese, alzandosi e venendomi incontro. Lanciai la borsa a terra e mi lasciai stringere il suo braccio intorno alle spalle.
Non la conoscevo bene e sicuramente non potevo considerarla mia amica, ma in quel momento erano le prime braccia amichevoli che erano disponibili e sapevo che potevo fidarmi di lei.
“E’ arrabbiato con me” mugugnai. Lei sospirò.
“Quello l’ho notato. Cosa è successo?”
Sospirai, sentendomi gli sguardi di tutti i ragazzi addosso, e sciolsi l’abbraccio, passandomi una mano tra i capelli.
“E’ per la storia delle ripetizioni?” provò ad indovinare Niall. Lo guardai e annuii tristemente. Lui schioccò la lingua, contrariato, mentre Zayn scuoteva la testa.
“E’ proprio testardo quando ci si mette” commentò.
Non volendo sentire altro e decisamente giù di morale, decisi di andarmene anch’io in camera.
Salutai tutti e mi infilai velocemente a letto, una morsa fastidiosa che mi chiudeva lo stomaco, come ogni volta che lasciavo qualcosa in sospeso, e con la convinzione che avrei risolto tutto ad ogni costo.
Magari dopo una bella dormita, dopo aver sotterrato l’orgoglio il più profondamente possibile.
 


















Buona sera a tutte!
Sono di fretta oggi perchè è il compleanno del mio fratellino e devo andare a festeggiare.
Oh, dodici anni si compiono solo una volta nella vita uu
Beh, vi aspettavate tutte una bella sfuriata però...
non so, non sono riuscita a farlo arrabbiare più di tanto, io lo vedo troppo cucciolo quel ragazzo **
Come al solito, ringrazio tuuuutte quelle che continuano a leggere e a seguirmi e a recensire, vi amo.
Dalla prima all'ultima :')
Spero vi piaccia, alla prossima.
Tanto amore.
Sara.

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci. ***


Capitolo 10

 

Cher.

 

“Liam, la pianti di muoverti? Mi stai facendo venire da vomitare” sbottò Louis, lanciandogli uno sguardo esasperato. Eravamo tutti seduti in salotto, ognuno perso nelle sue cose da fare, e Liam era talmente nervoso che non riusciva a stare fermo nemmeno per un secondo, camminava avanti e indietro per tutta la stanza.
Non aveva voluto dirmi cosa lo turbava, aveva solo detto quella frase: ‘Non avremo mai pace, noi due’.
Ma cosa diavolo significava?
E poi, quando gli avevo chiesto spiegazioni, mi aveva risposto sgarbatamente che avrei capito quando sarei tornata al lavoro.
Oh, accidenti, qui sembrava lui quello con gli squilibri ormonali, neanche avesse il ciclo!
Indignata, e con la testa che ancora girava leggermente, ero scesa al piano di sotto con i ragazzi, decisa a tenergli il broncio finché non l’avesse smessa di essere così dannatamente intrattabile e avesse ripreso ad essere il ragazzo dolce che si era preso cura di me fino a due minuti prima.
Ringraziando il Cielo la medicina stava facendo effetto, quindi avevo la forza per essere arrabbiata con lui.
Lui sbruffò e finalmente si lasciò cadere non molto delicatamente sul divano, sballottando Niall che era seduto accanto a lui.
Gli lanciò uno sguardo divertito; quel ragazzo non faceva altro che sorridere, e poi mi guardò.
“Ma che gli prende?” mi chiese accennando una risata. Mi strinsi nelle spalle, trucidando il diretto interessato con lo sguardo, per poi tornare con gli occhi sul biondino.
“Quando si degnerà di parlarmi, te lo dirò” grugnii. Liam sbruffò di nuovo, voltandosi e puntando i suoi occhi su di me, ma io non lo guardai, decisa a continuare ad essere arrabbiata con lui.
“Oh, Liam. Certo che sei proprio una testa dura”commentò Ruth, alzando gli occhi al cielo. Lui la fulminò con lo sguardo e poi si alzò per sedersi sul bracciolo della poltrona su cui ero appollaiata io.
“Cher” cominciò con un bisbiglio.
“Ecco che l’anima da romanticone esce fuori” canticchiò Louis, sprofondando nella poltrona accanto a noi e sorridendo complice a Ruth e Niall. Liam lo guardò male, prima di tornare con l’attenzione su di me.
“Mi dispiace essere stato così scorbutico, ma ho scoperto una cosa che non ti piacerà affatto”
“Beh, dimmela!” sbottai, esasperata. Lui sospirò di nuovo e si passò una mano tra i capelli corti, chiudendo gli occhi.
“Non è così semplice, uscirai fuori di testa quando te lo dirò” mormorò sempre ad occhi chiusi. I ragazzi, che assistevano alla scena, ormai non c’era più un minimo di privacy in quella casa, tutti sapevano tutto, si ammutolirono incuriositi.
“Oh, non farla tragica. Nella peggiore delle ipotesi è tornata Danielle, quindi non c’è da preoccuparsi” commentò Niall, schioccando la lingua contrariato. Sussultai a quel nome, nello stesso istante in cui Liam spalancava gli occhi e si voltava verso il biondino, sbalordito.
Una morsa mi strinse lo stomaco e mi alzai di scatto, guardando Liam che era ancora a bocca aperta.
“E’ tornata D-danielle?” balbettai con un filo di voce. Liam abbassò lo sguardo e sospirò.
“E non è tutto” mormorò.
“Non ci posso credere, sono un genio” esclamò Niall sorpreso, mentre tutti gli altri sembravano sotto shock.
“Liam, dimmi che non è vero” mugolai, quasi pregandolo. Lui puntò i suoi occhi dolci nei miei e annuì debolmente.
“Oh, ma cosa vuole ancora?” sbottai, alzando le braccia al cielo, tremando appena.
Lui si alzò e mi venne incontro, stringendomi tra le braccia.
“Niente, non vuole niente perché non ha provato a chiamarmi e non lo farà” sussurrò, cercando di convincersi da solo.
“E allora come fai a sapere che è qui?” gli chiesi.
“Adesso arriva il peggio” mi avvisò.
“Uuh” si lasciò scappare Louis. Scocciata, mi voltai verso di lui, che mi sorrise automaticamente.
“Ehi, sei peggio di una vecchia pettegola” lo accusai, per poi prendere Liam per mano.
“Ce ne andiamo di là, per parlare in privato” annunciai, beccandomi le risate divertite dei ragazzi e lo sguardo complice di Ruth, che alzò il pollice verso di me.
Le sorrisi e trascinai Liam in cucina, costringendolo e sedersi su una sedia di fronte a me.
“Liam” cominciai, guardandolo dritto negli occhi.
“Mi dici cosa succede?” chiesi con un filo di voce.
Sentivo che avrei dovuto cominciare a preoccuparmi; già il fatto di sapere che lei fosse nella nostra stessa città, che avrebbe potuto rifarsi viva da un momento all’altro distruggendo di nuovo l’equilibrio che ci eravamo creati, mi faceva stringere lo stomaco in una morsa quasi soffocante.
Ma Liam aveva detto ‘E non è tutto’, quindi c’era di più, ancora peggio di quello che immaginavo.
“So che Danielle è in città perché me l’ha detto Grace” bisbigliò. Corrugai la fronte.
“Grace?”
“Cioè, non me l’ha detto. Ma io l’ho capito” continuò, guardandomi negli occhi e attendendo poi in silenzio che assimilassi le sue parole e cominciassi ad elaborarle.
Grace.
Lui l’aveva chiamata per avvisarla che non sarei potuta andare a lavoro.
Cosa c’entrava Danielle con questo?
“Oh” balbettai, collegando il tutto.
“Già. La sorella” borbottò, senza distogliere lo sguardo dal mio. Sbattei le palpebre più volte, ricordandomi della nostra prima conversazione, quando mi aveva detto di avere una sorella ballerina. Ora che ci pensavo le somigliava, avevano gli stessi capelli ricci e lo stesso colore di carnagione.
Ma come avrei potuto immaginare che Grace fosse la sorella di Danielle?
La mia sfiga non poteva essere così dannatamente potente, maledizione!
“Non ci posso credere”
“Avrei dovuto capirlo. Insomma, ho visto poche volte Grace, ma sapevo che avevano un negozio di musica in centro e…diamine, avrei dovuto saperlo” borbottò, scuotendo la testa. Presi un bel respiro e lo guardai.
“Ok, diamoci una calmata” cominciai, ottenendo la sua attenzione, lo sguardo tormentato e i denti che torturavano il labbro inferiore.
“Io lavoro per Grace. Grace è la sorella di Danielle. Danielle è qui” elencai. Lui annuì, alzando impercettibilmente le sopracciglia.
“Beh, dov’è il problema?” esclamai poi. Lui ci pensò un po’ su, poi sorrise.
“Hai ragione, lei è qui ma questo non vuol dire niente” affermò convinto.
“Infatti. Potrà anche odiarmi, ma ho un ottimo rapporto con Grace e non credo mi manderà via. In caso contrario, troverò un altro lavoro” continuai sforzandomi di sorridere.
Il fatto era che sapevamo entrambi che il problema non era per niente il mio lavoro. Il problema era che lei era tornata in città e la sua promessa di non arrendersi risuonava malefica nella mia testa.
A meno che non si fosse magicamente innamorata di qualcun altro, sapevamo entrambi che prima o poi si sarebbe fatta viva per reclamare quello che una volta era suo.
Ma in quel momento preferivamo arrampicarci sugli specchi e ignorare tutto il resto.
Lui mi incoraggiò con un grande sorriso.
“Si, infatti. Non c’è niente di cui preoccuparsi” affermò convinto, alzandosi e porgendomi la mano.
“Mi dispiace di averti fatta preoccupare per niente” sussurrò, passandomi un braccio introno ai fianchi e attirandomi in un abbraccio.
“Non importa” mormorai contro il suo petto, stringendogli le braccia intorno alla schiena e aggrappandomi alla sua maglietta. Lui mi lasciò un bacio tra i capelli e lo sentii sorridere stringendomi più forte.
All’improvviso, sentii sbattere la porta di casa e sobbalzai, mentre le esclamazioni soffocate dei ragazzi mi arrivavano alle orecchie. Sciolsi l’abbraccio di Liam e incrociai i suoi occhi preoccupati, prima di raggiungere i ragazzi, appena in tempo per vedere Harry, con il viso scuro, dirigersi a passo svelto su per le scale.
Stupita, guardai Jenny dietro di lui e vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime. Ma prima che potessi fare un passo, Ruth la raggiunse e la prese tra le braccia, prendendo il mio posto.
Che diavolo stava succedendo?
 
 
 


Jenny.
 


Mi rigirai per l’ennesima volta nel letto, sbruffando quando capii che non c’era verso, quella notte non avrei preso sonno.
Lo sguardo freddo e le labbra tirate in una smorfia tesa di Harry mi tormentavano, e ogni volta che chiudevo gli occhi mi invadevano la mente. Non ce l’avrei fatta a scivolare nel mondo dei sogni sapendo che lui ce l’aveva con me.
Un po’ titubante, mi alzai e in punta di piedi attraversai il corridoio, raggiungendo la camera di Harry. Socchiusi la porta, cercando di fare il meno rumore possibile e dal suo respiro pesante e regolare capii che stava dormendo.
Ignorando il mio orgoglio e la vocina martellante che avevo in testa che mi stava ordinando di tornare indietro e di farmi una camomilla se proprio non riuscivo a dormire, raggiunsi il suo letto e in un movimento veloce mi infilai sotto le coperte. Lui mi dava le spalle e sapevo che, se non l’avessi fatto io, non si sarebbe mai svegliato da solo.
Così, delicatamente, lo abbracciai da dietro, raggomitolandomi accanto alla sua schiena coperta solo da una leggera canottiera.
Lo sentii mugugnare qualcosa ed io mi strinsi ancora di più alla sua pelle calda, come se fosse indispensabile alla mia esistenza.
“Jenny…” mugugnò, girando la testa con gli occhi socchiusi. All’istante sembrò tornare in se e si voltò completamente, sciogliendo il mio abbraccio e guardandomi incuriosito.
“Che succede?” mi chiese, una nota di preoccupazione nella voce. Incapace di restare ancora lontana da lui, scivolai tra le sue braccia, affondando il viso nel suo collo. Lo sentii rabbrividire.
“Sei gelata” commentò, avvolgendomi all’istante tra le sue braccia e stringendomi forte. Strusciai il naso sul suo collo e intrecciai le mie gambe alle sue. Lui sobbalzò, quando posai i miei piedi congelati sui suoi polpacci.
“Non riuscivo a dormire” mormorai. Lui sospirò e il suo braccio mi strinse ancora più forte, sfregando con la mano sulla mia pelle in un tentativo di riscaldamento.
“Incubi?”
Scossi la testa.
“No, non potevo lasciar passare la giornata sapendo che tu sei arrabbiato con me” mugugnai. Lo sentii sospirare e poggiarmi due dita sotto al mento, per guardarmi dritto negli occhi. I suoi erano lucidi, caldi, e quel verde che amavo tanto fece come al solito accelerare il battito del mio cuore.
“Non sono arrabbiato”bisbigliò, senza però riuscire a trattenere una piccola smorfia.
“Strano, perché il tuo comportamento lasciava intendere il contrario” replicai sarcastica, scoccandogli un’occhiata.
“Lo so, ho esagerato. Solo che mi da fastidio pensare che tu debba passare il tuo tempo con quel parassita” sbottò nervosamente. Chiusi gli occhi e mi accucciai contro di lui, sospirando.
“Non è per divertirsi, Harry. Deve darmi solo ripetizioni” ripetei per l’ennesima volta, stanca.
“Lo so. Quello che non capisci è che lui ti sta usando” mormorò, carezzandomi ritmicamente la schiena per tutta la sua lunghezza, provocandomi brividi di piacere.
“Sono io che lo sto usando per recuperare!” esclamai, tornando a guardarlo stupita. Lui alzò gli occhi al cielo.
“No, non è così. Lui vuole vendicarsi per la storia di Nicole e sa che l’unica cosa che potrebbe farmi male sarebbe perdere te”disse.
Mi morsi il labbro inferiore, ammutolita. Non potevo ribattere a quest’affermazione, perché mi aveva totalmente colta alla sprovvista.
Avevo immaginato, anzi me lo aveva chiaramente lasciato intendere, che Lucas mi aiutasse perché sperava in un aumento del voto della professoressa.
Avevo completamente dimenticato la rivalità che correva tra i due, soprattutto il modo in cui era iniziata.
Una ragazza.
Ed ora Harry stava con me, quindi Lucas avrebbe potuto benissimo vendicarsi e fargli provare quello che Harry aveva fatto provare a lui portandogli via la sua ragazza.
“Oh” fu l’unica cosa intelligente che mi uscì fuori.
“Già” mormorò “E’ per questo che me la sono presa tanto. Ho sbagliato a farlo con te, ma tu sembravi così convinta che lui fosse il bravo ragazzo che si era offerto di aiutarti” continuò sarcastico, per poi schioccare la lingua. Puntò di nuovo i suoi occhi verdi nei miei, facendomi rabbrividire.
“Mi dispiace di averti urlato contro e di averti messo il muso” soffiò, strofinando il suo naso contro il mio. Una vampata di calore mi invase il corpo mentre la sua mano solleticava la pelle del mio fianco sotto la maglietta.
“Ok. A me dispiace di non averti ascoltato e di essermi subito arrabbiata” replicai con un mezzo sorriso.
Lui ricambiò, mettendo in mostra le sue adorabili fossette e chinandosi su di me fino a far incontrare le nostre labbra in un casto bacio a stampo.
“Ti amo” soffiò, facendo fermare il mio cuore. Sorrisi soddisfatta, abbracciandolo ancora più forte e raggomitolandomi accanto a lui in cerca di calore dato il fatto che, come al solito per dormire, avevo solo un paio di pantaloncini e una T-shirt sdrucita e piena di buchi.
Lo sentii trattenere il respiro, mentre mi stringevo a lui, per poi affondare il viso nei miei capelli.
Quando mi fui sistemata meglio, le sue mani scattarono a stringere i miei fianchi e gli si mozzò il respiro.
Aggrottai le sopracciglia, mentre lui respirava rumorosamente e stringeva convulsamente il lembo della mia maglietta.
“Jen, io ti amo e ti rispetto, lo sai” cominciò, parlando tra i denti “So che non sei ancora pronta per fare certe cose ed io ti ho detto che ti aspetterò, ma… cosi stai stuzzicando il cane che dorme” concluse con un mezzo singhiozzo, trattenendo ancora il respiro.
Solo allora mi accorsi di dove era andata a finire la mia gamba, in cerca di calore, e che qualche parte di lui in quel momento non dormiva proprio per niente. Diventai viola per l’imbarazzo, sentendomi andare improvvisamente a fuoco.
“Ops” sgusciai via, allontanandomi il più possibile da lui per quanto mi era concesso in quel lettino.
Che figura di merda.
Lui però non mi lasciò allontanare tanto, mi strinse la mano, intrecciando le sue dita tra le mie e mi ritirò vicino a lui, fianco contro fianco.
“No, aspetta, non andartene. Mi serve solo un secondo”mormorò ancora con il fiato corto. Incassai la testa nelle spalle, immobilizzandomi.
“Ok” mormorai in un soffio.
Che cosa imbarazzante.
Lui mi sorrise e mi guardò, stringendomi la mano.
“Ecco”
“Meglio?” chiesi titubante. Lui annuì e mi costrinse a tornare vicino a lui, stringendomi al petto.
Mi accoccolai contro di lui, attenta ad evitare posizioni ambigue e poggiai la testa sul suo petto, ascoltando il battito del suo cuore leggermente accelerato, niente in confronto al mio che mi rimbombava persino nelle orecchie.
“Scusa” mormorò imbarazzato dopo un po’. Sorrisi contro la sua maglietta, segretamente soddisfatta di fargli quell’effetto, e non gli risposi.
“Sono convinto che adesso stai sorridendo soddisfatta, piccola strega” disse dopo due secondi, stupendomi. Alzai lo sguardo su di lui, che stava sorridendo.
“Ti conosco come le mie tasche, ormai” affermò fiero. Risi.
“Allora si, stavo sorridendo soddisfatta”
“Non pensavi di avere quest’effetto su di me?” chiese poi, lo sguardo che bruciava nel mio. Arrossii violentemente, ringraziando la penombra della stanza che mascherava il colore delle mie guance e mi morsi il labbro, stringendomi nelle spalle.
“Non...boh” balbettai imbarazzata.
Il suo sorriso si allargò e alzò gli occhi al cielo, chinandosi poi su di me.
“Tu non hai la più pallida idea di quello che sento in questo momento, mentre ti stringo a me nel mio letto” bisbigliò al mio orecchio con voce maliziosa, facendomi sussultare.
“Hai caldo, forse?” balbettai, presa in contropiede dalla sincerità disarmante della sua voce.
“Si, ma non per quello che pensi tu” replicò un po’ esasperato.
“Ok, credo sia ora di andare a dormire” affermai, sciogliendo il suo abbraccio e facendo per alzarmi.
“Oh, no. Ora non mi lasci così” mugugnò, afferrandomi per i fianchi e ritirandomi giù.
“Harry!” esclamai sorpresa, ma non ebbi il tempo di formulare qualsiasi altro pensiero perché finii immediatamente sotto di lui, che poggiò le braccia ai lati dei miei fianchi per non pesarmi, e le mie labbra furono catturate all’istante dalle sue, impedendomi di protestare.
Si stava trattenendo, lo sentivo. Si limitava a baciarmi mentre il suo corpo fremeva e probabilmente desiderava spingersi oltre.
Appena formulato quel pensiero, però, le sue mani si intrufolarono leggere e bollenti sotto la mia maglietta e le sue labbra si spostarono dolce e delicate sul mio collo, lasciando una scia di piccoli baci.
Mi si mozzò il respiro, mentre mi sentivo andare a fuoco.
Andava piano, si, però se non l’avessi fermato io, lui non l’avrebbe mai fatto.
La mia mente in quel momento era divisa in due: una parte diceva, implorava, di spegnere il cervello e lasciarlo fare. L’altra, molto più diplomatica e tranquilla, mi stava spiegando le mille ragioni per cui avrei dovuto interrompere quel delizioso contatto.
Peccato che non la stavo affatto ascoltando, presa in contropiede da quel calore che si stava espandendo dentro di me e dalle sue labbra così dolci come non lo erano mai state che mi stavano mandano in fibrillazione.
Solo quando la mia maglietta volò via, insieme alla sua, e mi ritrovai con le mani sui suoi leggeri addominali, mentre le sue armeggiavano più in basso, che il solito trillo fastidioso risuonò nella mia testa e la parte calma e riflessiva di me prese il sopravvento.
“Harry” il suo nome mi uscì dalle labbra quasi come una preghiera e, se lui non mi avesse conosciuta bene, avrebbe pensato che fosse una richiesta di continuare. Ma dal mio flebile tono di voce capì che era arrivato il momento di sotterrare l’ascia di guerra e di fermarsi.
Rallentò all’istante, spostando le mani sui miei fianchi e tirandosi su per guardarmi negli occhi.
“Ho capito, mi fermo” mormorò, per poi chinarsi e stamparmi un ultimo bacio sulle labbra, scivolando via da me.
“Scusa, Harry. Io…”
“Sh, tranquilla” mi interruppe lui, attirandomi tra le sue braccia e stringendomi di nuovo al petto.
“Mi dispiace” mugugnai contro la sua pelle calda. Lui scosse la testa, posandomi un bacio tra i capelli.
“No, sono io che ho esagerato, sapevo che mi avresti fermato”
“Mi sento un idiota” ammisi. Lui rise.
“Non devi. Hai bisogno di tempo e ne hai quanto vuoi” replicò subito, baciandomi dolcemente la fronte, per poi scendere sulla mia guancia fino ad arrivare alle labbra, alle quali si dedicò dolce e delicato.
“Però…” ricominciò, attivando il mio campanello d’allarme e sciogliendo l’abbraccio per prendere qualcosa ai piedi del letto.
“Mettiti questa, perché il mio autocontrollo non è così perfetto” mi disse con un gran sorriso, porgendomi la mia maglietta. Ricambiai il sorriso e mi affrettai ad infilarla, per poi tuffarmi di nuovo tra le sue braccia.
“Dormi qui” sussurrò dopo un po’.
“Sicuro che…”
“Voglio sentirti vicina” mormorò con un filo di voce, affondando il viso tra i miei capelli.
Mi si fermò il cuore per un secondo, per poi riprendere a correre veloce, incontrollato.
“Ti amo, Harry” risposi sincera, perché in quel momento non c’era nient’altro da dire.





















Hi, everyone! :)
Allora allora, come state?
Io abbastanza bene, direi.
Sono piuttosto soddisfatta perchè questo è uno dei migliori capitoli che mi sia uscito fuori,
il che è tutto dire uu
Spero vi piaccia e che ignorate qualsiasi orrore ortografico, ma non ho voglia di rileggere lol.
Ok, torniamo a noi.
Lo so, probabilmente vi aspettavate che Jenny tenesse un po' di più il muso,
o che Harry spaccasse la faccia a Lucas (che io non so perchè, ma adoro),
però non ce l'ho fatta a farli rimanere arrabbiati più di tanto, sono troppo teneri :')
E poi, boh, stavo ascoltando Give me love mentre scrivevo questo capitolo,
quindi sono stata quasi obbligata a farli riappacificare .-.
Come al solito, ringrazio tutte le adorabili anime che hanno recensito lo scorso capitolo
e mi scuso infinitamente per non aver potuto rispondere, ma avevo un'interrogazione di storia in agguato.
Però è andata bene, dai. Un bel sette ed è passata tutta la preoccupazione :)
Okay, non sto a scocciarvi ancora perchè so di essere piuttosto pesante.
Solo una cosa: fatemi sapere, per favore, cosa ne pensate.
Non mi sembra di chiedere la luna, solo un semplice parere,
tanto per sapere se devo spararmi perchè quello che scrivo fa vomitare...
Ah, ho una piccola sopresa per voi che arriverà tra un paio di capitoli,
però non posso dirvi di più :)
Solo...quanto vi piace Cat da uno a dieci? Insomma, cosa ne pensate di lei?
So che non c'entra niente con questo capitolo, ma ho bisogno di saperlo ^^
Alla prossima, dolcezze.
Tanto amore.
Sara.




Ps. Tu, si dico proprio a te. Sappi che ho postato questo capitolo per esasperazione, così la smetti di stressarmi o.o
Love u, sempre <3









Non li trovate adorabili in questa gif? **

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Capitolo 11
*** Capitolo undici. ***


Capitolo 11
 

Cher.
 
 


“Voglio venire con te” si impuntò di nuovo Liam, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio. Alzai gli occhi al cielo, mentre mi infilavo la felpa.
“Liam, devo solo andare a lavorare, per favore” mormorai esasperata, la testa e le braccia incastrate nel tentativo di far scivolare la felpa per il busto. Lo sentii ridacchiare per poi aiutarmi a tirarla giù.
“Dai, ti accompagno e poi me ne vado, promesso”
“No, perché so che non sarà così. Lei ti vedrà e ricomincerà tutto da capo” risposi, decisa a non farmi mettere i piedi in testa e da non farmi abbindolare dalle sue preghiere quasi esasperanti.
Era più di mezz’ora che stavamo discutendo, anzi, la prima cosa che mi aveva detto quella mattina appena svegli era che sarebbe venuto al lavoro con me. Ma io, ovviamente, non potevo permetterlo.
Primo, perché avevo un certo orgoglio femminile, e non avevo bisogno di una scorta, perché sarebbe stato come ammettere di avere paura di lei.
E, per favore, era solo una semplice ragazza che avrebbe provato per l’ennesima volta a portarmi via l’unica persona che mi rendeva felice. Non c’era da preoccuparsi, insomma.
Secondo, avevo l’incontestabile intenzione di ritardare il loro incontro il più possibile: più tardi lei lo avrebbe rivisto, meglio sarebbe stato per noi.
Non c’erano ragioni per cui lui avrebbe dovuto accompagnarmi al lavoro, ma lui a quanto pare non voleva ascoltarmi.
“Ti prego, Cher” mugugnò ancora, sporgendo il labbro inferiore. Roteai gli occhi al cielo, afferrandogli le guance con una mano e scuotendo categoricamente la testa.
“No” proclamai, senza lasciargli il tempo di protestare “Non voglio che lei ti veda, così va bene?” confessai, avvampando e mollando subito la presa, puntando gli occhi sulle mie scarpe.
Lo sentii sospirare e poi le sue dita cercarono immediatamente il mio viso, alzandomelo e costringendomi ad incrociare il suo sguardo incredibilmente dolce, in quel momento velato da un sottile strato di dolore.
“Ti senti ancora minacciata da lei?” chiese, una nota di accusa nel tono di voce. Sospirai, chiudendo gli occhi perché non c’era altro modo di sfuggire al suo sguardo pieno di rammarico e scossi lievemente la testa, ma sapevo che non potevo continuare a prendere in giro me stessa: aveva ragione lui.
Che lo volessi o meno, vedevo Danielle come una costante minaccia che si abbatteva su di noi con l’intento di portarci via quella piccola felicità che ci eravamo creati.
Non potevo farci niente, era più forte di me, e lui avrebbe potuto dirmi qualsiasi cosa ma quel pensiero sarebbe rimasto comunque.
“Dimmi quello che provi Cher, per favore” bisbigliò, il suo fiato sul mio viso che fece come al solito aumentare il battito del mio cuore.
Ma quello non era il momento per lasciarsi andare ed ascoltare gli ormoni che fremevano, stavamo affrontando un discorso che speravo avevamo chiuso nel più profondo dei cassetti della memoria, ma che così purtroppo non era.
Aprii gli occhi, trovando i suoi a mezzo centimetro di distanza, troppo poco per la mia concentrazione che solo sentendo il suo odore vacillava. Mi ritrovai ad annuire senza nemmeno rendermene conto, perché lui riusciva sempre a tirarmi fuori la verità, non potevo nascondergli niente.
Sospirò, carezzandomi la guancia e chiudendo gli occhi, la sua fronte poggiata sulla mia.
“Non devi” soffiò, rimanendo ad occhi chiusi.
“Liam…” cominciai, ma lui scosse la testa, il respiro corto.
“No, per favore. Mi fa male sapere che tu non ti fidi di me” quasi singhiozzò. Mi si strinse il cuore e mi divincolai dalla sua presa, per guardarlo seriamente.
“Non ti azzardare a pensare una cosa del genere” sibilai, lanciandogli un’occhiata ammonitrice. Un angolo delle sue labbra si sollevò in una smorfia che probabilmente doveva sembrare un sorriso.
“Lo sai che mi fido di te” continuai, lui annuì.
“Scusa” borbottò. Mi sforzai di sorridergli, la morsa che mi stringeva il petto che si allentava all’istante.
“E’ solo che non la sopporto. Non sopporto il fatto che lei pensi di avere chi sa quale diritto su di te” mormorai, abbracciandolo e affondando il viso nel suo petto. Lui mi strinse a se e mi lasciò un bacio tra i capelli.
“Lei può pensare quello che vuole. Io sono tuo, è questo quello che conta” detto questo, sembrava non potesse più resistere, mi afferrò il mento tra pollice e indice e si chinò su di me per schioccarmi un bacio sulle labbra che ci mise meno di un secondo ad approfondire e a farlo diventare uno di quei baci che mi trasportavano in un’altra dimensione.
 
 
Quando arrivai in negozio, con ancora il sapore di Liam sulle labbra e il sorriso che mi era spuntato di conseguenza che ancora non se n’era andato, già sapevo chi mi aspettava all’interno, quindi cercai di darmi un tono ed entrare a testa alta.
Il campanello della porta tintinnò, attirando l’attenzione di Grace che alzò lo sguardo e mi illuminò all’istante con un sorriso.
“Cher, sei guarita!” esclamò, girando attorno al bancone e precipitandosi verso di me per stringermi in un abbraccio stritolante. Sorrisi e ricambiai con meno veemenza, però.
“Certo, come potevo lasciarti sola?” replicai. Lei ridacchiò e poi mi lanciò un’occhiata complice.
“Non puoi neanche immaginare quanto mi sei mancata. Mia sorella è negata in qualsiasi lavoro manuale” bisbigliò al mio orecchio.
Deglutii nervosamente, eccoci arrivati al punto cruciale.
Mi sforzai di sorriderle e la colpii con una spallata giocosa.
“Ora ci sono io qui, tranquilla”
Il suo sorriso si allargò e mi prese per mano, trascinandomi.
“Vieni, te la faccio conoscere” annunciò entusiasta.
Oh, non ce n’è bisogno.
Mi sforzai di sorridere, mentre una ragazza alta e slanciata con la testa ricoperta di ricci che sembravano essere ovunque, usciva dalla stanza sul retro e ci raggiungeva in negozio.
Mi dava le spalle, ma non ci voleva certo una laurea per capire che era lei.
“Dan, lei è la ragazza che lavora qui, Cher” attirò la sua attenzione. Quando pronunciò il mio nome, quasi potei vedere ogni singolo muscolo della schiena di Danielle irrigidirsi.
Quando si voltò, i suoi occhi fiammeggiavano. Le sorrisi, mentre Grace piegava la testa di lato, curiosa.
“Cher”. Il mio nome sulle sue labbra poteva quasi sembrare un insulto, ma me ne fregai.
“Ciao, Danielle” le risposi, cortese. Grace aggrottò le sopracciglia.
“Vi conoscete?” chiese confusa.
“Oh, si” risposi, nello stesso momento in cui Danielle sputava tra i denti un “Purtroppo” con il quale ero pienamente d’accordo.
“Oh, bene! Così sarà più facile lavorare insieme, oggi. Perché io, belle donzelle, me ne vado a studiare” annunciò con un gran sorriso.
Era la prima e forse l’unica persona che conoscevo che non vedeva l’ora di chiudersi in una camera con i suoi fedeli libri a studiare.
Non era pienamente normale, quel pensiero mi sfiorava ogni volta che mi mollava in negozio da sola per il suo appuntamento giornaliero con i libri.
Peccato che quella volta non mi avrebbe lasciata sola proprio per niente, anche se l’avrei preferito di gran lunga.
Danielle boccheggiò, rifilandomi un’altra occhiata di fuoco che non fece altro che farmi sorridere di più, e poi si rivolse alla sorella che, me ne accorsi solo in quel momento, le assomigliava in un modo spaventoso.
Lo stesso viso, la stessa voce, le stesse espressioni. Solo che Grace era simpatica e dolce, Danielle invece era la perfetta incarnazione della strega di Biancaneve.
“Tu intendi lasciarmi sola in negozio?” riuscì a sillabare, sorpresa. Grace alzò gli occhi al cielo, infilandosi la giacca.
“Non sarai sola. Fortunatamente ci sarà Cher, che non è imbranata come te” affermò, facendomi l’occhiolino. Le sorrisi e, prima che una delle due potesse dire altro, lei schizzò fuori.
“Ci vediamo più tardi, dolcezze” ci disse, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Il silenzio calò nel negozio, come un gelo quasi palpabile. Danielle sembrava non avere il coraggio di incrociare il mio sguardo e la cosa mi diede ancora più forza di quella che avevo improvvisamente scoperto di avere, facendomi capire che avrei potuto benissimo tenerle testa. Io avevo Liam, lei no.
E per quanto mi sembrasse un pensiero infantile ed egoista, era così. Ed ero felice per questo.
“Senti, Danielle” cominciai, usando lo stesso tono che usava lei quando diceva il mio nome e attirando la sua attenzione. Mi riservò una smorfia quasi disgustata, che ignorai bellamente, decisa a proporre una specie di tregua almeno negli orari lavorativi; il negozio era di sua sorella, quindi lei non rischiava niente, ma io avevo bisogno di quel lavoro e non avrei permesso ad un semplice sentimento di gelosia e rivalità di farmelo perdere.
“So che ci odiamo e possiamo a malapena guardarci in faccia…”
“Ottimo riassunto” mi interruppe lei, sprezzante. La ignorai di nuovo.
“Però io devo lavorare, quindi che ne dici di fare una specie di tregua almeno qui dentro?” chiesi, mostrandomi diplomatica e il più amichevole possibile, per quanto il mio odio verso di lei mi permetteva.
Lei alzò le sopracciglia e incrociò le braccia al petto, scettica.
“Per favore” mi imposi di sussurrare, per quanto doverla supplicare mi risultasse patetico e indecente.
“Come vuoi” mi concesse con un sospiro e un’occhiata gelida “Ma stai certa che non mi arrenderò”
Alzai gli occhi al cielo di fronte all’ennesima sua minaccia e annuii, un po’ esasperata, scrollando le spalle e dandogliela vinta, reazione che la fece innervosire ancora di più.
Con un sorrisetto soddisfatto mi dedicai al mio lavoro, più serena, cercando di non pensare a chi c’era insieme a me in quella stanza e continuando a ripetermi che non avrebbe potuto fare niente per far si che la sua minaccia si trasformasse in realtà.
Sembrava andasse tutto per il meglio, quasi mi ero dimenticata di lei, persa tra i miei pensieri, quando il campanello tintinnò di nuovo, segno che era entrato un altro cliente.
Continuai a sistemare i dischi nello scaffale, consapevole che Danielle si stava girando i pollici da più di mezz’ora e che quindi avrebbe servito lei chiunque fosse entrato.
“Oh, ma tu sei la ragazza di Liam” esclamò una voce sorpresa e delicata. Sorrisi, sentendomi chiamata in causa e voltandomi verso la voce che non poteva che essere di una bambina.
Inorridii all’istante quando capii che l’esclamazione non era rivolta a me.
Danielle mi lanciò uno sguardo di sfuggita, nel quale lessi una nota di soddisfazione, e si accucciò per sorridere alla bambina che le stava davanti e sfiorarle i capelli in una carezza.
Dovevo ammettere che nel passare per la ragazza tenera e sensibile ci sapeva fare, peccato che poi quando i fan, i media e qualsiasi altra persona gli voltasse le spalle, tornava ad essere la strega che era in realtà.
“Si, piccola” mormorò con voce pateticamente dolce. Mi sentii ribollire di rabbia e strinsi forte il disco che avevo nelle mani, digrignando i denti.
Ma che meschina e bugiarda.
Alla piccola si illuminarono gli occhi e batté le mani, un sorriso timido che le si dipinse sulle labbra.
“Oh, puoi fare una foto con me? E gli dici che è tanto bello e bravo e che gli voglio bene?” chiese, sempre con gli occhi che le brillavano e parlando velocemente, emozionata.
Danielle scoppiò in una risata cristallina che non potevo credere risultasse sincera anche alla più ingenua creatura di questo mondo, e si voltò verso di me.
“Certo” acconsentì alle richieste della bambina, che la ricompensò con un meraviglioso sorriso. “Cher, ci faresti gentilmente una foto?” mi chiese con un sorriso diabolico.
La foto te la ficco, gentilmente, su per il c…
“Ma certo” mi sforzai di sorridere, limitando la volgarità dei miei pensieri che in quel momento stavano sfornando insulti mai sentiti prima, e presi la macchinetta fotografica che mi porgeva la bambina, per poi aspettare che si mettessero in posa e scattare.
“Oh, grazie mille. Sei davvero fortunata ad avere Liam” canticchiò la bambina, per poi trotterellare via verso la madre che stava osservando curiosa la parete ricoperta dalle chitarre. Sentii Danielle ridacchiare e mi voltai per fulminarla con lo sguardo.
Lei si coprì la bocca con la mano ed io mi sentii andare a fuoco dalla rabbia.
L’avrei presa a pugni da un momento all’altro.
“A quanto pare Liam ancora non ha avuto il coraggio di raccontare la verità” osservò maligna.
Arrossii.
“L’ha fatto. Solo che la bambina è rimasta indietro” mi sforzai di rispondere, anche se sapevamo entrambe che stavo mentendo.
Lei rise, piegando la testa all’indietro per poi lanciarmi un’occhiata compassionevole.
Dio, se la odiavo!
“Oh, Cher, Cher. Ritorniamo al punto di pazienza, quando capirai che lui…”
“Lui niente” la interruppi con voce glaciale “Non tornerà mai da te, mai. Piantala di continuare a minacciarmi, non funziona più” dichiarai, seria e incontestabile. Lei rimase in silenzio, senza parole, limitandosi ad alzare il sopracciglio, ed io finalmente mi presi la mia piccola soddisfazione di averla zittita, ignorando il fatto che probabilmente non ebbe modo di rispondermi perché venne interrotta dalla signora e la sua bambina che chiedevano informazioni su una chitarra esposta.
Un po’ alterata dalla piccola discussione, mi ritirai in bagno per sciacquarmi la faccia con l’acqua fredda e per guardarmi allo specchio ripetendomi ‘ce la puoi fare’, neanche dovessi combattere un duello all’ultimo sangue.
Sopportare Danielle Peazer era decisamente più sfiancante.
Quando tornai nell’altra stanza, Danielle stava salutando la signora e stava chiudendo le serrande, segno che finalmente era arrivata l’ora di chiudere. Con un sospiro e senza rivolgerle la parola, la aiutai a sistemare.
Il tintinnio del campanello mi riscosse dai miei pensieri.
“Stiamo chiudendo” urlai, nello stesso momento in cui un’esclamazione soffocata proveniva da Danielle, insieme al suo sussurro sorpreso.
“Liam”
“Ciao, Dan”.
La sua voce mi fece voltare di scatto, facendomi spuntare automaticamente un sorriso sulle labbra. Lo guardai e lui mi sorrise, prima di voltarsi verso Danielle e osservarla in silenzio.
Sentii la tensione chiudermi lo stomaco e il fatto che lei lo stesse guardando con quegli occhi pieni di desiderio e che lui l’aveva salutata usando un soprannome non aiutò affatto a tranquillizzarmi.
“Come stai?” le chiese lui, educato. Repressi una battuta acida e mi sforzai di respirare, sistemando le ultime cose e prendendo la mia giacca, smaniando per portare via Liam e sottrarlo da quello sguardo troppo insistente per i miei gusti.
“Bene” rispose Danielle in un sussurro, senza staccare gli occhi da lui. Lui annuì e le sorrise.
Un sorriso di cortesia, che non arrivò nemmeno a sfiorare gli occhi, ma che fece si che quelli di Danielle si riempissero di lacrime.
“Chiudo io qui” mi disse, cercando di mantenere un certo contegno “Ci si vede” disse poi verso Liam, per poi sparire a passo svelto e testa bassa nella stanza sul retro.
La guardai chiudersi la porta alle spalle e, nonostante immaginavo come si sentiva in quel momento, non riuscii a dispiacermi per lei e, inspiegabilmente, mi sentii orribile per questo.
Scossi la testa e scacciai quegli assurdi pensieri proprio nel momento in cui Liam mi si avvicinò e mi prese la mano.
Lo guardai e non potei fare a meno di sorridere.
“Ti avevo detto che…”
“Lo so” mi interruppe lui, con un timido sorriso “Ma mi mancavi e, dato il fatto che le tue ragioni per cui non sarei dovuto venire qui mi sembravano assurde e insensate, ho deciso di farlo lo stesso” affermò, alzando il mento a mo’ di sfida.
Sbruffai e lo guardai male, mentre lui ridacchiava e mi attirava a se passandomi un braccio intorno ai fianchi.
“Sei incredibile” commentai.
“Lo so”
“Non era un complimento”
“Dettagli”
Scoppiai a ridere e lui fece lo stesso, per poi stringermi in un veloce e caldo abbraccio.
“Ma non hai mai niente da fare, te?” gli chiesi divertita, staccandomi quel poco per guardarlo negli occhi.
“No, oggi ho la giornata libera” annunciò fiero di se, come se fosse merito suo. Risi, sciogliendo la presa e lui si imbronciò.
Però riacquistò subito il sorriso, guardandomi con la testa un po’ piegata di lato, come se stesse decidendo una qualsiasi importante proposta da farmi.
“Quindi decidi: o passiamo il pomeriggio con i ragazzi, o andiamo a divertirci” proclamò dopo qualche secondo di silenzio. Aggrottai le sopracciglia, sorridendo.
“Dipende da cosa intendi tu per divertimento”
Il suo sorriso si allargò ed io cominciai a preoccuparmi.
“Ti fidi di me?” chiese, il sorriso sempre più malizioso e furbetto.
“Non quando fai quella faccia”
Lui scoppiò a ridere e mi afferrò la mano, per trascinarmi via.
Lanciai un ultimo sguardo alla porta dietro la quale era sparita Danielle, ma alla fine decisi che non era proprio il caso che mi preoccupassi per lei, e con un sorriso autentico e un po’ curioso seguii Liam in macchina.
 
 
 
“Non ci penso neanche” affermai subito, prima che potesse anche solo propormi di fare quello per cui mi aveva portato lì.
Un’enorme pista di ghiaccio si estendeva davanti a noi, completamente vuota. In teoria doveva essere chiusa ma Liam, con un paio di moine e occhi dolci alla ragazza che era all’entrata, riuscì, senza ascoltare le mie proteste, ad ottenere per una mezz’oretta la pista solo per noi.
Avrei preferito mille volte passare altre due ore a lavorare con Danielle.
Okay, quello forse no.
Lo guardai male per tutto il tempo, mentre la ragazza che, neanche a dirlo era fan dei One Direction, si diceva onorata di concedere ad uno di loro di pattinare sulla sua pista, anche se in teoria sarebbe stato vietato.
Lui rideva e chiacchierava con lei, mentre si infilava i pattini e aiutava me a fare lo stesso, mettendomi ai piedi quelle trappole mortali. Finalmente la ragazza ci lasciò in pace, ottenendo da me uno sguardo carico d’odio, ritirandosi nel suo ufficio.
Fulminai Liam con lo sguardo, mentre lui con un gran sorriso mi metteva in piedi e mi trascinava sul bordo della pista. Io mi dimenavo e ripetevo che non avrei messo per nulla al mondo piede in quel campo di battaglia.
“Dai, Cher, non fare tante storie” ridacchiò, continuando a tirarmi. Cercai di puntare i piedi, ma ero terrorizzata dal fatto che sarei potuta cadere a terra da un momento all’altro.
“Liam Payne, lasciami subito se non vuoi fare una brutta fine” sibilai. Lui rise, ovviamente senza ascoltarmi e praticamente lanciandomi sulla pista. Lanciai un urlo, scivolando sul ghiaccio e rovinando pietosamente a terra.
Lo trucidai con lo sguardo, mentre lui si tratteneva a stento dal ridere e correva da me per aiutarmi ad alzarmi.
“Non hai mai pattinato sul ghiaccio?” chiese a bocca aperta, accorgendosi di quanto fossi instabile e tenendomi per un braccio.
“Certo che no! Ti risulta che dove abito io ci sia il ghiaccio?” quasi strillai, andando nel panico.
“Abitavi” mi corresse lui, quasi automaticamente “Comunque ci sono io, ti insegno” mi disse con un sorrisetto.
“Oh, non ci penso neanche” borbottai, girandomi e facendo per andarmene. Ma le sue braccia forti, ovviamente, non me lo permisero afferrandomi per i fianchi e trattenendomi lì. Rischiai di cadere di nuovo, se non ci fosse stato lui con la sua stretta salda e forte.
“Dove credi di andare?” mi sussurrò all’orecchio.
Rabbrividii ma decisi di non farmi abbindolare come mio solito; non sarei rimasta su quella pista mortale che mi avrebbe provocato solo lividi e infinite figure di merda per un minuto di più.
“Via da qui. A fare qualcosa di divertente e decisamente meno pericoloso” dichiarai, cercando di divincolarmi dalla sua stretta. Lui mi lasciò andare, allontanandosi di qualche passo e mollandomi lì.
“Dove vai?” chiesi con voce acuta. Lui si strinse nelle spalle, volteggiando qua e là sui pattini come se fossero semplici scarpe.
“Se vuoi andartene, vai. Io non ti aiuterò di certo” affermò con sguardo innocente.
Grugnii spazientita.
“Ti odio quando sei così testardo”
Lui ridacchiò e tornò da me alla velocità della luce.
“Dai, accontentami per una volta. Vedrai che ti divertirai” mi pregò facendo gli occhi dolci.
Quasi riuscì a convincermi ed ero pronta ad arrendermi, se non avesse detto l’altra frase.
“Se poi ti sentirai in imbarazzo perché sarai sempre col culo per terra, cadrò anch’io”
Lo fulminai con lo sguardo più carico d’odio che potessi, scatenando solo la sua risata e, reggendomi al bordo, cercai in qualche modo di arrivare all’uscita.
“Dai, scherzavo. Quanto sei permalosa” mi riprese lui, frenando le risate e prendendomi tra le braccia, trascinandomi al centro della pista.
“Liam, accidenti! Così mi uccidi!” quasi urlai, rimediando solo la sua risata spensierata e divertita. Mi spuntò un sorriso automatico, mentre continuavo a pattinare trascinata da lui, stretta tra le sue braccia.
“Vedi? E’ divertente” mormorò notando il mio sorriso.
Mio malgrado, annuii, perché tutto era bello e divertente con lui.
“Perché ci sei tu”
“Io ci sono sempre, lo sai. E non ti lascerò mai” sussurrò con sguardo dolce.
“Ti conviene, se non vuoi avere una ragazza piena di lividi e con qualche osso rotto” borbottai, facendolo ridere.














Ciaaaaao, splendori!
No, vabbè, ma siamo arrivati a 16 recensioni, io vi amo! **
Davvero, siete dolcissime e spero che non smetterete mai di seguirmi e di dirmi cosa ne pensate,
perchè i vostri pareri sono veramente importanti per me.
Allora, torniamo a noi.
STO IMPAZZENDO.
Sul serio, ogni volta che incrocio quel tizio nel corridoio
(soprannominato da me e le mie amiche 'biondino', lo so, non abbiamo molta fantasia ùù),
mi si stringe il cuore e lo stomaco...aaah, non so più che pensare!
E' piccolo, dannazione! Però gli somiglia così tanto che quando lo vedo
ho un tuffo al cuore e vorrei tanto prenderlo e...no, okay, quello che stavo per dire è meglio censurarlo ^^
Bene, bene, passiamo al capitolo che è meglio.
A quanto pare Danielle è tornata all'attacco, anche se lievemente,
ma niente dice che non peggiorerà e non comincerà a reclamare sul serio
quel cucciolo adorabile che ERA  il suo ragazzo.
E poi, ho sempre quella sorpresina per voi che non vedo l'ora di pubblicare :3
Mi dileguo, spero vi piaccia.
Tanto amore.
Sara.






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Capitolo 12
*** Capitolo dodici. ***


Capitolo 12
 
 

Jenny.
 


Una settimana. Erano bastati sette giorni perché la mia vita si stabilizzasse di nuovo e ricominciasse a sorridermi.
Harry, superata la gelosia schiacciante che lo tratteneva ancora dall’accompagnarmi da Lucas i giorni prestabiliti, era tornato il ragazzo dolce e un po’ pervertito che amavo e, nonostante leggevo la tensione nei suoi occhi e vedevo che era palesemente contrario, non aveva più fatto storie sul fatto che Lucas mi aiutasse.
Più che altro credo si fosse arreso, esasperato dal mio continuo ripetergli che ne avevo bisogno se non volevo essere bocciata e diventare un ignorante cronica che non sapeva fare una frase di senso compiuto.
Onestamente, non credevo che il latino avesse tutta questa importanza, ma era meglio esagerare per fare più effetto.
E Lucas…Lucas era entrato decisamente nelle mie grazie (sempre nei limiti dell’amicizia, ovviamente) perché gli era bastata una sola settimana per farmi pareggiare il livello con i miei compagni e per far si che la professoressa, invece di fulminarmi con lo sguardo ogni volta che mi incontrava per i corridoi, mi sorridesse sempre soddisfatta.
Quel giorno, poi, si era superata complimentandosi per la mia fantastica interrogazione da sei e mezzo, anche se il merito era decisamente tutto da attribuire a Lucas che, con una pazienza indescrivibile, era riuscito a inculcarmi a forza quella maledetta quinta declinazione, facendomi raggiungere il punto del programma a cui erano arrivati gli altri.
Certo, sei e mezzo non era il massimo dei voti, considerando che in tutte le altre materie avevo otto (esclusa matematica che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo proprio a comprenderla ma che fortunatamente riuscivo a strappare sempre un bel sei tranquillo), ma per me era una bella soddisfazione, considerando il fatto che fino a pochi giorni prima la mia colonna di voti di latino era piena di tre e quattro.
La professoressa si stava ancora complimentando con me, quando raggiunsi una scocciata Cat fuori dalla classe, che mi stava aspettando tamburellando nervosamente un piede a terra e con un broncio sulle labbra che non lasciava presagire niente di buono.
Era stata intrattabile tutta la mattinata, ma avevo attribuito quell’aria scontrosa al semplice fatto che non voleva, come al solito, essere a scuola.
Ma dato il fatto che la campanella dell’ultima ora era suonata e che il broncio non accennava a sparire, capii che la scuola non c’entrava affatto.
“La vuoi smettere di sorridere? E’ snervante” sibilò acidamente. La guardai alzando un sopracciglio, sforzandomi di assumere un’espressione neutra, ma non ci potevo fare niente, era una splendida giornata per me.
“Okay, Miss acidità, mi dici cosa ti prende?” le chiese, bloccandola e costringendola a guardarmi.
Lei sbruffò e scrollò le spalle.
“Niente, non ti sopporto quando sei così dannatamente felice. Ti sta per scoppiare la faccia per quanto sorridi” borbottò. Alzai gli occhi al cielo.
“Non raccontarmi balle. Non è che non sopporti me, oggi sembra che non sopporti proprio il mondo” le feci notare, beccandomi una sua occhiata rassegnata e colpevole.
Addolcii lo sguardo e il tono di voce, capendo al volo che c’era qualcosa che non andava.
“Cat, lo sai che puoi dirmi tutto. Sputa il rospo” mormorai, guardandola. Lei sospirò, e la sua facciata da dura e scontrosa si sgretolò, rivelando la ragazza debole che in quel momento soffriva.
Abbassò lo sguardo, fissandosi le scarpe.
“Non è niente. Solo qualche problema in famiglia” borbottò. Con un sospiro le passai un braccio intorno alle spalle.
“Non voglio immischiarmi, ma se ne vuoi parlare io ci sono, lo sai”
Lei annuì e si sforzò di sorridermi.
“Sto bene. Solo che i miei non fanno altro che litigare e io…” si bloccò, un singhiozzo che le scosse il petto. Aumentai la stretta e lei cercò di sorridermi di nuovo.
“Mi dispiace” bisbigliai, senza sapere bene cosa dire.
Forse per il fatto che io una famiglia non l’avevo mai avuta, a parte Cher, e non sapevo quali potessero essere i problemi che la preoccupavano.
Appena formulai quel pensiero, il solito senso di colpa con cui convivevo da due mesi buoni mi chiuse lo stomaco, ma lo scacciai alla svelta, concentrandomi sulla mia amica.
Non era il momento di pensare ai miei segreti e agli sbagli che continuavo a commettere.
“No, sto bene, davvero. Non preoccuparti” ribadì lei, questa volta con un sorriso più autentico.
Le sorrisi e le schioccai un bacio sulla guancia, per poi sciogliere la presa.
“Sai cosa ti dico? Non ce la faccio a non vederti sorridere per un giorno intero” cominciai. Lei mi guardò confusa, aggrottando le sopracciglia.
L’idea che mi era balenata in testa era decisamente perfetta per far tornare il buonumore alla mia amica.
“Oggi vieni a casa mia” annunciai, illuminandola con un sorriso. Lei piegò un po’ la testa di lato e ci mise qualche secondo di più ad assimilare le mie parole e a comprendere il significato che era sottinteso. Le si illuminarono gli occhi e le guance le diventarono rosse.
“Dici sul serio?” soffiò.
“Si”
“E me li farai conoscere?”
Il mio sorriso soddisfatto si allargò, come la sua bocca che cominciava a spalancarsi in contemporanea ai suoi occhi emozionati.
“Si”
“Dici sul serio?”
Scoppiai a ridere e annuii.
“Si”
Lei cacciò un urletto e mi abbracciò di slancio, per poi allontanarsi subito, agitata.
“Oh, però dovevi avvisarmi prima. Insomma, posso presentarmi così?” mormorò torva, indicandosi.
Era semplicemente deliziosa, anche se l’orribile divisa che eravamo costrette ad indossare avrebbe fatto sfigurare chiunque.
Pensavo che lei sarebbe stata bene con qualsiasi cosa addosso, perché il suo sorriso e il suo viso allegro attiravano tutta l’attenzione, mettendo in ombra tutto il resto.
Schioccai la lingua divertita.
“Ti prego, Cat, non devi mica conoscere la regina Elisabetta!” esclamai. Lei strabuzzò gli occhi.
“Scherzi? Quei ragazzi sono i più famosi in tutto il mondo ed io muoio loro dietro da quando erano seduti su quelle dannate scale!” esclamò con voce strozzata, fuori di se dalla gioia.
Sorrisi, rispecchiandomi in lei. Quella era stata quasi la mia reazione quando avevo scoperto che i ragazzi con cui usciva a divertirsi mia sorella a mia insaputa erano gli stessi che popolavano i miei sogni da sempre.
“Calmati, sono ragazzi normali. Lo so che non mi crederai, ma è davvero così e quando li conoscerai te ne renderai conto anche tu” le assicurai con un sorriso incoraggiante. Lei sembrò rilassarsi, ma non smetteva comunque di sorridere.
“Okay” mormorò, lo sguardo impaziente “Allora, andiamo?” chiese saltellando.
Scoppiai a ridere e la trascinai fuori dalla scuola. Prima che però potessimo uscire alla luce del sole, raggiungendo Harry che sicuramente mi stava aspettando, la bloccai guardandola seriamente.
“Solo una cosa: Harry è off limits” la avvisai. Lei rise e alzò le mani davanti a se.
“Tranquilla, quello l’avevo capito”
“Dico sul serio, Cat” insistetti.
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Sei schifosamente gelosa e mi dispiace che tu non ti fidi di me” commentò con un’occhiataccia.
Mi rilassai, sorridendole.
“La prudenza non è mai troppa”
Lei scosse la testa e prese a trascinarmi fuori, decisamente impaziente. Ridacchiai e la assecondai, aprendomi in un sorriso quando notai Harry aspettarmi poggiato alla sua macchina.
“Eccolo”
Cat mi osservò curiosa, un vago sorrisetto sulle labbra.
“Dovrei farti una foto. Ti brillano gli occhi e hai un sorriso assolutamente ridicolo” commentò divertita. Ignorai il suo commento e continuai a sorridere.
“Oh, Cat, è assolutamente perfetto. Ancora fatico a credere che lui è mio” mormorai con gli occhi lucidi, sognante. Cat scoppiò a ridere e mi passò un braccio intorno alle spalle, mentre Harry ci osservava da lontano, mentre camminavamo verso di lui.
 “Beh, sul fatto che è perfetto non c’è proprio niente da ridire” mormorò con un sorriso languido, puntando gli occhi su di lui. La guardai male e lei mi lasciò subito, alzando le mani davanti a se con aria divertita.
“Ehi, è la verità” si difese.
“Attenta a quello che dici, Catherine” l’avvisai con sguardo serio. Lei sembrò pensarci su, poi però scoppiò di nuovo a ridere.
“Sei adorabile”
Scossi la testa e lasciai cadere la conversazione, perché ero arrivata alla mia meta. Le braccia calde e protettive di Harry si avvolsero all’istante intorno a me, facendomi sentire di nuovo a casa.
“Ciao” mormorò al mio orecchio con la sua voce roca. Sorrisi e mi alzai sulle punte per lasciargli un veloce bacio sulle labbra, che fu ricompensato da un suo perfetto sorriso, con l’aggiunte delle sue adorabili fossette.
Sciolsi il suo abbraccio in fretta, prima che il mio cervello si scollegasse, e mi voltai verso Cat che ci guardava tutta sorridente.
“Ti ricordi di Cat?” gli chiesi, indicandola. Lui le sorrise e annuì.
“Certo. E scusa se l’altra volta…” mormorò imbarazzato. Cat lo interruppe con un gesto della mano e un gran sorriso.
Sembrava rilassata e non a rischio collasso com’ero io la prima volta che l’avevo visto. Mi tranquillizzai e le feci l’occhiolino.
“Tranquillo, tutto a posto. Allora, andiamo a conoscere gli altri quattro quinti?” chiese visibilmente impaziente. Harry ridacchiò e fece il giro della macchina, per salire. Cat mi regalò un altro splendido sorriso, che mi fece capire che qualsiasi cosa non andava nella sua famiglia, in quel momento non era tra i suoi pensieri e che era tutto merito mio.
Soddisfatta, salii anch’io e Harry mise in moto.
Per tutto il viaggio Cat non fece che chiacchierare con lui, anche se avevo il sospetto che sapesse già tutte le risposte alle sue domande.
Non mi preoccupai neanche per un secondo, non ero gelosa di lei, perché sapevo che era una persona leale e quella di poco prima era solo una facciata.
Mi era bastato vedere il modo innocente con cui guardava Harry, senza secondi fini e solo con l’intento di conoscere uno dei suoi idoli.
Quando arrivammo e Harry spense la macchina, la tensione si impossessò di nuovo di Cat, rendendola più bianca del solito.
La sentii deglutire rumorosamente, mentre scendeva lentamente dalla macchina. Alzai gli occhi al cielo, mentre Harry non la smetteva di ridacchiare, divertito dalla sua reazione.
“Dai, Cat, rilassati” mormorai per l’ennesima volta.
“Facile a dirlo per te” replicò al volo.
“Tranquilla, non ti mangeranno” le assicurò Harry, dandole una spintarella verso la porta di casa. Lei gli riservò un’occhiata di ghiaccio, e poi mi seguì.
“Siamo a casa!” annunciai con un gran sorriso. Cat deglutì e si spostò dietro la mia schiena, nascondendosi, rossa fino alla punta dei capelli.
Il cuore le batteva così forte che quasi potevo sentirlo anch’io e mi emozionai per lei, perché probabilmente stava realizzando un suo sogno.
Il primo a raggiungerci fu Niall, che si bloccò sul posto, deviando la sua direzione che sicuramente era la cucina da dove provenivano le risate e le chiacchiere del resto del gruppo. Gli sorrisi e poi guardai Cat, mentre anche gli altri ci raggiungevano, per gustarmi a pieno la sua reazione.
Dire che rimase a bocca aperta è dir poco. Rimase letteralmente paralizzata sul posto, gli occhi sbarrati e le orecchie viola.
“Ragazzi, lei è Cat” annunciai gongolante, mentre lei arrossiva ancora di più e Harry le sorrideva incoraggiante.
“Miao” commentò Louis. Roteai gli occhi al cielo, insieme a Zayn.
“Sei sempre il solito idiota” lo riprese, per poi fare un passo avanti e porgere la mano a Cat.
Le presentai i ragazzi uno per uno, godendomi il suo viso sempre più rosso e strabiliato, gli occhi lucidi che sembrava stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
“E ora, andiamo tutti a mangiare!” propose Cher con un gran sorriso, avvicinandosi a Cat e prendendola a braccetto. Dal suo sguardo capii che le andava a genio, e mi rilassai ancora di più, seguendole mentre i ragazzi borbottavano qualcosa alle nostre spalle, probabilmente stavano commentando la nuova arrivata, con le loro solite osservazioni idiote. Harry mi raggiunse e, quasi come se dovesse sentire assolutamente la mia presenza, mi mise un braccio intorno ai fianchi e mi baciò la tempia.
Una scossa elettrica mi attraversò il corpo e compresi che probabilmente non mi sarei mai abituata a lui e a tutte le sensazioni che mi trasmetteva con un semplice bacio o qualsiasi altro contatto.
Tutte le coppie normali, dopo un certo periodo di tempo, entrano nella loro routine e si danno per scontati, con Harry sapevo che non sarebbe mai stato così, perché ogni volta che mi sorrideva io scoprivo di amarlo ancora di più.
I ragazzi presero tutti posto a tavola e aggrottai le sopracciglia confusa quando notai che l’unico che sicuramente aspettava da tutto il giorno quel momento, non era lì con noi.
“Ragazzi, dov’è Niall?” chiesi.
“Ha detto che doveva prendere un po’ d’aria” rispose Liam circospetto, stringendosi nelle spalle. Rimasi a bocca aperta.
“All’ora di pranzo?” diede voce ai miei pensieri Harry, che aveva avuto la mia stessa reazione. Liam scrollò di nuovo le spalle, lasciando cadere il discorso e allungandosi verso Cher per schioccarle un improvviso bacio sulla guancia. Lei arrossì e si schiarì la gola, in imbarazzo.
Sorrisi automaticamente, mentre Cat si schiaffeggiava la fronte.
“Merda, ho lasciato il cellulare in macchina” sibilò. Louis e Zayn ridacchiarono, mentre la guardavano divertita. Lei diventò viola per l’imbarazzo e si alzò titubante, con un piccolo sorriso.
“Torno subito” annunciò, schizzando fuori dalla stanza.
“E’ carina la tua amica” commentò Liam, beccandosi una pacca dietro la nuca da Cher.
“Ehi, intendevo dire che sembra simpatica!” si difese subito lui, guardandola con quello sguardo innocente che sapevo l’avrebbe fatta sciogliere.
“Attento a dove posi gli occhi” mormorò lei, sorridendogli e, appunto, sciogliendosi tra le sue braccia che erano corse immediatamente a stringerla.
Quando Cat tornò, portandosi dietro Niall, che sembrava stranito da qualcosa e totalmente in un altro mondo, cominciammo a mangiare e a chiacchierare come sempre e sembrava che in cinque minuti Cat si fosse guadagnata la simpatia dei ragazzi, che la guardavano curiosi di conoscerla meglio.
All’improvviso mi vibrò il cellulare e sussultai, quando lessi il contenuto del messaggio.
‘Ciao, tesoro. Come stai? Mi manchi tanto’
Mi affrettai a rispondere, lanciando uno sguardo furtivo a Cher e sentendo la solita morsa colpevole stringermi lo stomaco.
Sapevo che stavo facendo una stronzata già quando risposi al suo primo messaggio, ma le mie dita sembravano dotate di vita propria e non avevo potuto farne a meno; sentivo la sua mancanza più del dovuto e il fatto che lei avesse cercato di rintracciarmi mi aveva scaldato il cuore, spingendomi a rispondere al suo messaggio di scuse.
Da quel giorno mi scriveva quasi tutti i giorni e piano piano tutto il rancore che provavo verso di lei stava scemando. Non potevo farci niente: era mia madre ed io nonostante tutto le volevo ancora bene.
Si frequentava con un uomo, mi aveva detto un giorno. Era una cosa normale, ma a quanto pareva con questo qui stava durando più del solito e lei sembrava veramente felice.
Se Cher fosse venuta a sapere che rispondevo alle sue chiamate e ai suoi messaggi mi avrebbe ucciso seduta stante, ma la mamma sembrava più serena e stabile, non si comportava come al solito, canticchiando e urlando ai quattro venti che questo era quello giusto; segno che la cosa era più seria di quanto potessi pensare. Per questo avevo deciso di lasciare uno spiraglio aperto della porta del mio cuore, per considerare almeno di darle una seconda possibilità.
E se quest’uomo era riuscito a tirare fuori quel poco di maturità che era radicato in lei, allora avrei voluto stringergli la mano e complimentarmi con lui.
Harry si accorse all’istante della mia reazione e dei miei muscoli che si erano irrigiditi. Mi lanciò uno sguardo interrogativo ed io gli mimai la parola ‘mamma’ con le labbra, in modo che nessuno si accorgesse della nostra conversazione silenziosa.
Lui annuì lievemente, un lampo di preoccupazione negli occhi.
Ovviamente, gli avevo raccontato tutto e, ovviamente, lui si era dichiarato contrario a questa mia resa immediata. Non sapeva tutta la storia, sapeva solo che sia io che Cher avevamo sofferto a causa sua e, da bravo ragazzo, non voleva che io ci ripassassi di nuovo.
Però era un problema mio, e lui non poteva opporsi più di tanto anche perché testarda com’ero non l’avrei ascoltato.
O forse ero semplicemente troppo buona e non avrei trovato la forza per sbattere la porta in faccia alla mamma di nuovo.
Riposi lentamente il cellulare nella tasca dei jeans, il cuore a tremila, e lanciai un altro sguardo a Cher, sentendomi tremendamente in colpa.
Le stavo mentendo, le nascondevo una cosa che sicuramente avrebbe voluto sapere e la cosa che mi faceva sentire ancora di più una merda era che sapevo che lei non l’avrebbe mai fatto.
Ma non potevo farci niente, era stato più forte di me e non riuscivo a trovare il coraggio di raccontarle niente. Continuavo a ripetermi che l’avrei fatto quando sarebbe arrivato il momento giusto, ma sapevo che per me non sarebbe mai arrivato, che avrei continuato a rimandare finché in qualche modo non l’avrebbe scoperto da sola.
Ancora non sapevo che questo sarebbe successo nel peggiore dei modi.














Buonsalve a tutte! :)
Allora, che si dice?
Io oggi sono piuttsto felice, non so perchè, ma non accade molto spesso,
quindi è meglio godersi il momento.
Sarà che oggi, finalmente, è tornata la mia amica a ricordarmi
che il biondino NON E' LUI, e sono riuscita a resistere dallo sbavargli dietro.
Però, dannazione, è troppo cucciolo quel tizio.
Anche se ha un nome di merda, me lo vorrei spupazzare ogni volta che lo vedo,
anche se poi rischio di essere denunciata per pedofilia .-.
No, scherzo. Ha solo un anno meno di me, ma a quest'età è praticamente un'eternità.
Comunque...perchè vi sto parlando di questa cosa?
A voi interessa? No, okay, la smetto.
Passiamo al capitolo; come al solito, capitoletto di passaggio,
ma da qui si collega la mia piccola sorpresina che sto per svelarvi.
C'entra Cat e... beh, capitelo da sole chi, tanto non ci vuole una laurea ^^
Ora sloggio, vado a passare il resto della serata insieme ai miei amici Petrarca e Boccaccio,
che spero riusciranno a farmi prendere un bel voto all'interrogazione uù
Spero vi piaccia, girls. E...lasciate qualche recensione, dai!
Due minutini del vostro tempo per prendervi tutto il mio amore incondizionato (?)
Bene, mi dileguo.
Tanto lov.
Sara.



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Capitolo 13
*** Capitolo tredici. ***


Capitolo 13
 

Liam.
 


“Giuro che un giorno di questi la uccido” sbottò Cher, buttandosi a peso morto sul letto, sprofondando la testa nel cuscino.
Sospirai e la raggiunsi delicatamente, sentendomi vagamente in colpa.
Da quanto mi raccontava, Danielle non le rendeva la vita certamente facile. La esasperava tutti i giorni con le sue battutine taglienti e i suoi riferimenti al nostro passavo che potevo solo immaginare quanto urtassero i nervi di Cher. E la cosa brutta era che anche se avessi voluto, non avrei potuto fare niente per aiutarla.
Le carezzai la schiena per tutta la sua lunghezza e lei voltò la testa verso di me, la guancia schiacciata sul cuscino.
“Che ha fatto oggi?” le chiesi con un altro sospiro. Lei chiuse gli occhi.
“Niente in particolare. Cerca solo di mettermi in difficoltà per far si che Grace mi mandi via a calci in culo” borbottò. Arrivai con la mano sulla sua testa e le carezzai i capelli infilandoci le dita.
“Perché non te ne vai tu…” la buttai lì. D’altra parte non aveva davvero bisogno di quel lavoro, potevo benissimo provvedere io ad entrambi, ma sapevo che lei, per un motivo di orgoglio che potevo comprendere, non avrebbe mai accettato l’idea.
Infatti aprì gli occhi di scatto, lo sguardo fiammeggiante.
“Puoi scordartelo, non gliela darò mai vinta” sibilò.
Ecco, al fatto che non voleva passare per una mantenuta, si aggiungeva anche la guerra contro Danielle.
“Cher, io voglio solo che tu sia felice. E non mi va di vederti nervosa tutti i giorni a causa sua” mormorai. Il suo sguardo si addolcì un poco e si tirò su, appoggiandosi su un gomito, per schioccarmi un bacio sulla mascella.
“Sono più forte di quanto pensi, la schiaccerò” annunciò con uno sguardo diabolico, fissando il vuoto. Ridacchiai e le scompigliai i capelli.
“Come vuoi, soldato”
Lei mi regalò un sorriso luminoso e poi intrufolò il viso nel mio collo, provocandomi i soliti piccoli brividi che mi risalirono la schiena.
“Meno male che Grace è un’anima buona piena di pazienza. A volte mi chiedo se siano davvero sorelle” mormorò contro la mia pelle.
Annuii, ricordandomi quel paio di occasioni in cui avevo visto Grace e di come mi era saltata subito all’occhio la sua aria tranquilla e la sua gentilezza con tutti.
“Chissà perché ti sei innamorato proprio di quella strega…”
Mi irrigidii, mentre lei posava un delicato bacio sul mio collo.
“Perché non cambiamo discorso?” chiesi, turbato.
“Ti da fastidio parlare di lei?”
“Mi da fastidio parlare di lei con te” precisai a denti stretti. Lei si tirò su per guardarmi negli occhi, la testa leggermente piegata di lato.
“Perché?”
Schioccai la lingua, alzando gli occhi al cielo.
“Perché so che qualunque cosa dico, tu la prendi, la rigiri, e ci trovi significati inesistenti che ti fanno solo tornare il nervoso e ti tolgono dalla faccia quello splendido sorriso” replicai, facendo si che le sue labbra si tesero ancora di più.
“Ok, allora…” mormorò, mordendosi il labbro inferiore con un lampo divertito negli occhi. Intrufolò di nuovo il viso nel mio collo, baciandolo, per poi risalirlo e passare alla mascella, con una scia di piccoli baci bollenti.
“Rilassati” soffiò, arrivando sulla mia guancia e proseguendo fino alle labbra.
Come se avesse detto una qualche parola magica, tutta la tensione scivolò via e i muscoli si sciolsero, abbandonandosi completamente a lei. La sentii sorridere sulle mie labbra, mentre si spostava, e il peso del suo corpo sul mio mi infiammò completamente.
“Sei brava a…” mi bloccai, mentre lei mi mordicchiava l’orecchio “…farmi rilassare” conclusi con voce strozzata. Lei ridacchiò e continuò con la sua dolce tortura, mandandomi a fuoco lentamente, ogni singola parte.
Sussultai quando con le mani bollenti afferrò il lembo della mia maglietta, sfiorandomi la pelle al di sotto e, incapace di trattenermi, con un movimento fulmineo le afferrai il viso tra le mani e la baciai di slancio, sorprendendola.
Ribaltai la situazione, poggiando i gomiti ai lati dei suoi fianchi per non pesarle, anche se in quel momento avrei tanto voluto sentire completamente il contatto con tutto il suo corpo.
Come succede nei migliori film, però, arrivò quel particolare a rovinare tutta la magia del momento.
“Se non smette di squillare lo butto giù dalla finestra” borbottò Cher tra le mie labbra, rivolgendosi al mio cellulare posato sul comodino che non squillava mai, ma che aveva deciso proprio di rovinare quel momento.
Con un sospiro tentai di staccarmi, ma Cher mi avvolse le gambe intorno alla vita, impedendomelo e riappropriandosi della mia bocca.
Sorrisi, assecondandola, mentre il cellulare si zittiva, facendo tornare il silenzio nella stanza, interrotto solo dai nostri sospiri e la risatina di Cher.
“Ha sentito la mia minaccia” mormorò, senza staccare le sue labbra dalle mie. Sorrisi ma, prima che potessi complimentarmi con lei, il cellulare riprese a squillare.
“Forse non sei stata molto convincente” sbruffai staccandomi, ormai tornato alla realtà. Lei mise il broncio e sciolse la sua presa, lasciandomi libero di afferrare quel dannato cellulare che in quel momento odiavo con tutte le mie forze, per rispondere.
“Pronto” sibilai non molto amichevolmente, mentre Cher si allungava per far scorrere il suo dito indice sulla mia guancia, il collo, il petto.
Tentatrice. Bellissima, irresistibile, tentatrice.
Le scoccai un’occhiata di sottecchi, cercando di sotterrare l’impulso di buttare davvero il cellulare dalla finestra e riprendere da dove ero stato interrotto.
“Ciao, Liam”
La voce dall’altra parte della cornetta mi gelò, spazzando via tutti quei dolci pensieri. Cher si accorse della mia reazione e aggrottò le sopracciglia, interrompendo le sue carezze.
“Papà?” chiesi, stupito. La sua risata burbera e sonora mi diede la conferma.
“Figliolo, è da tempo che non ci sentiamo, ma non ci credo che non riconosci neanche più la voce del tuo vecchio!” esclamò.
Chiusi gli occhi, il cuore che batteva veloce, e una morsa che mi strinse lo stomaco.
Mi mancava mio padre, ma non si era comportato esattamente bene con me e in quel momento ero totalmente spiazzato, e non avevo idea di cosa dire.
“Ehi, sei per caso crollato a terra morto?”
“No, sono qui” risposi, sbruffando appena per il suo contorto umorismo che non faceva mai ridere nessuno, se non se stesso.
Infatti, ridacchiò.
“Allora, che mi racconti? Come sta il mio ragazzo?”
Cher aveva capito chi era e, preoccupata dal mio sguardo e dal mio tono di voce strozzato, scivolò sul letto accanto a me e mi strinse la mano tra le sue, lanciandomi uno sguardo incoraggiante. Sospirai, rincuorato da quel contatto caldo e rassicurante.
“Papà” cominciai “Cosa vuoi?”
“Ehi, ehi. Cos’è questo tono ostile? Non posso neanche più sentire come stanno i miei figli?”
“Ti sei ricordato solo ora di averli?” replicai sarcastico. Sembrò punto nel vivo, perché esitò prima di rispondere, la stretta di Cher che aumentava.
“Hai ragione, mi dispiace. Ho avuto da fare negli ultimi tempi” cercò di giustificarsi, aveva già perso la sua aria spavalda con cui aveva aperto la telefonata.
“Ultimi tempi? Papà sono almeno cinque mesi che non ci sentiamo”
“Hai ragione”
“Lo so che ho ragione, smettila di ripeterlo!” sbottai infastidito, mentre Cher cercava di calmarmi disegnando cerchi con il pollice sul dorso della mia mano.
Sentii un sospiro e chiusi gli occhi, tremando.
“Senti, hai…” si bloccò, cambiando frase “So che sei arrabbiato con me, ma voglio cercare di recuperare. Non puoi sotterrare la tua ascia di guerra e darmi un’altra possibilità?”
Sospirai, sentendomi svuotato di tutte le mie forze.
“Perché proprio ora? Cosa ti ha spinto a farti vivo dopo tutto questo tempo?”
“Mi sono reso conto di non essere stato un buon padre, e voglio cercare di recuperare” confessò, la voce estremamente sincera. Non potevo rifiutare, lo sapevo fin dall’inizio.
“E cosa vuoi da me?”
“Una cena. Solo noi due, come ai vecchi tempi” propose, e quasi sentii un sorriso speranzoso nella sua voce.
Con ‘i vecchi tempi’, si riferiva a quando ero piccolo e, per evadere da quella casa piena di donne, tra mia madre e le mie sorelle, ogni venerdì mi portava a cena fuori. Solo io e lui, una cosa tra ‘uomini’.
“Okay, papà” acconsentii infine, con un gran sospiro, chiudendo gli occhi.
“Perfetto, ci vediamo domani, figliolo” e poi riattaccò.
Cher mi tolse il telefono di mano e cercò di scuotermi, perché ero rimasto in quella posizione e non accennavo a muovermi.
“Liam” sussurrò preoccupata, sfiorandomi il viso con le mani. Aprii gli occhi e incontrai i suoi, che mi calmarono all’istante, facendomi tornare in me.
“Era mio padre” mormorai, ma mi uscì come un verso strozzato, quasi incomprensibile. Lei annuì, l’aveva capito.
“Ha detto che vuole vedermi” spiegai. La preoccupazione invase i suoi occhi e mi prese il viso con entrambe le mani.
“Sei sicuro di quello che fai?” mi chiese osservandomi attentamente. Mi strinsi nelle spalle, avevo un’ incredibile voglia di piangere, ma ero un uomo, dannazione! Non potevo avere queste reazioni da femminuccia.
“E’ mio padre” commentai flebilmente. Aggrottò la fronte e quella piccola ruga di preoccupazione apparve tra le sue sopracciglia.
“Liam, questo non vuol dire che…”
“No, voglio vederlo. Voglio sentire cosa ha da dirmi” mormorai, brusco, sciogliendo la sua presa e voltandomi, perché sentivo quelle fottute lacrime salirmi agli occhi.
Lei camminò gattoni sul materasso, arrivando alle mie spalle, poggiando le sue piccole mani sulla mia schiena.
“Non chiuderti, parla con me” sussurrò, la voce che tremava leggermente. Strinsi gli occhi per impedire alle lacrime di uscire e i pugni per cercare di scaricare la tensione. Vedendo che non accennavo a muovermi, si ritirò, le sue mani che scivolarono via, il gelo che mi circondava il cuore e mi stringeva lo stomaco. Sentii il materasso rialzarsi, libero dal suo peso, mentre lei si allontanava a piccoli passi.
Che diavolo stavo facendo?
“No, Cher” la richiamai, dandomi dell’idiota mentalmente. La stavo mandando via, l’avevo respinta quando lei voleva solo aiutarmi e darmi una spalla su cui piangere.
Ero un povero idiota.
Lei si fermò con la mano sulla maniglia della porta, drizzando la schiena.
“Scusa, vieni qui” mormorai con un sospiro. La sentii sospirare lievemente, per poi girarsi ed avvicinarsi a me con sguardo basso.
Salì di nuovo sul letto ed io allargai le braccia, lasciandola accoccolare al mio petto. Le baciai i capelli e la strinsi a me.
“Scusa, sono un idiota” mormorai. La sentii sorridere.
“Lo so, tranquillo”
“Solo che la sua chiamata mi ha stupito, e io…”
“Va tutto bene, Liam” mi interruppe, strofinando il viso sulla mia maglietta, “Volevo solo che sapessi che io sono qui, se hai bisogno di parlare”
“Questo lo so, piccola. Tu ci sei sempre” mormorai, respirando tra i suoi capelli. Lei mi strinse ancora più forte.
“Quindi andrai a cena con lui…”
Annuii.
“Si, voglio sentire cosa ha da dirmi. Dopotutto è sempre mio padre, merita una seconda possibilità”
Lei sospirò.
“Vorrei riuscire a pensarla come te” mormorò, e capii all’istante a cosa si riferiva.
“E’ diverso, mio padre c’è sempre stato, solo ultimamente è sparito dalla circolazione. Mentre lei…”
“Lei si faceva vedere solo una volta ogni due mesi” concluse con voce amareggiata. Con un sospiro le baciai la fronte.
“Non pensarci, ormai è un capitolo chiuso, no?” mormorai, ricordandomi di come l’estate scorsa avesse finalmente chiuso la madre fuori dalla sua vita, o almeno così credevo.
Lei annuì e finalmente sollevò il viso verso il mio, le sue labbra vicinissime alla meta.
Mi sorrise, sfiorandomi il mento con il naso. Le mie mani strinsero automaticamente i suoi fianchi e un trillo allegro e impaziente mi informò che forse il momento di pausa era terminato e che di lì a poco avremmo ripreso da dove eravamo stati interrotti.
All’istante, tutto scivolò via. I sentimenti amari e carichi di rimorso che mi avevano fatto chiudere a riccio sparirono in un batter d’occhio, spazzati via dal solito fuoco che iniziava a bruciarmi dentro come ogni volta che incrociavo quello sguardo limpido e pieno d’amore.
Ricambiai il sorriso, trascinandola come poco prima su di me, le mie braccia a circondarle la schiena, mentre lei stuzzicava i miei capelli con le dita.
“Il secondo round?” mormorò maliziosamente, capendo le mie intenzione e portando le sue labbra sulle mie. Le mordicchiai il labbro inferiore e la sentii sussultare.
“Farò in modo che tu ti arrenda in fretta” replicai, prendendo possesso della sua bocca e dimenticando tutto il resto del mondo.
 
 
Il giorno dopo lo passai totalmente su di giri, con i nervi tesi e pronto a mangiarmi vivo chiunque mi contraddicesse anche nella più stupida cosa.
Chiamai Ruth, che era tornata a casa da un po’ di giorni, informandola del fatto che papà si era fatto vivo e chiedendole se avevo fatto bene ad accettare e sperando in una qualche illuminazione su come dovermi comportare e su cosa rinfacciargli.
Lei mi disse semplicemente di stare tranquillo, di comportarmi come volevo e di cercare di perdonarlo, perché era sempre stato un buon padre per noi e perché tutti potevano sbagliare.
A quanto pareva, il suo animo maturo e diplomatico ogni tanto usciva fuori.
Sospirai, infilandomi la felpa e chinandomi per allacciarmi le scarpe.
Mio padre mi aveva richiamato quella mattina per confermare il nostro appuntamento e per dirmi il luogo e l’ora. Quasi mi sembrava di dover andare ad una cena d’affari, mi sentivo teso e imbarazzato, come se non lo conoscessi affatto.
Nel profondo del cuore, speravo che come sempre rompesse lui il ghiaccio, togliendomi da qualunque imbarazzo e riportando le cose all’ordine come solo lui sapeva fare; con le sue battute idiote e per niente divertenti alle quali però ero abituato e che sapevo avrebbero riportato una sorta di normalità in tutto quel casino.
“Liam, farai tardi!” urlò Louis dal piano di sotto, per poi ridacchiare. Sbruffai di nuovo, affrettandomi a scendere le scale, per poi prendere la mia giacca.
Ovviamente avevo raccontato tutto ai ragazzi, escludendo il fatto di quanto mi avesse turbato la sua telefonata, e quindi sapevano dove stavo andando.
Non erano stati d’aiuto, perché chissà per quale motivo adoravano mio padre, lo trovavano estremamente divertente e alla mano.
Non avevo mai capito quell’effetto che aveva sugli altri.
Cher mi salutò con un lungo bacio sulle labbra, lasciandomi andare con un velo leggero di preoccupazione nei suoi splendidi occhi verdi.
Quando arrivai al ristorante dove papà mi aveva dato appuntamento, la tensione cominciò a sciogliersi, perché riconobbi il luogo in cui mi aveva portato a mangiare un paio di volte nelle nostre gite a Londra che facevamo nel fine settimana.
Entrai e lo trovai al tavolo.
Mi sorrise, ed io mi sforzai di ricambiare.
Non era cambiato di una virgola, anche se aveva qualche ruga in più. I capelli castano chiaro erano corti, a spazzola e leggermente brizzolati, mentre il sorriso era rimasto sempre lo stesso, caloroso e vagamente ironico.
Si alzò, porgendomi la mano, che io strinsi goffamente, e poi lui mi attirò in un abbraccio.
“Papà” mormorai in imbarazzo, guardandomi attorno e incrociando decine di occhiate curiose.
“Mi sei mancato, figliolo” mormorò.
“Si, anche tu. Però adesso lasciami andare, prima che soffochi” replicai, dandogli un paio di pacche sulla schiena. Lui ridacchiò e mollò la presa, sedendosi e facendomi segno di fare lo stesso.
“Allora, ho saputo che non vivi più con la mamma” aprì il discorso, mentre guardava distrattamente il menù. Alzai gli occhi al cielo.
“Papà, non abito più li da due anni ormai. Vivo qui con i ragazzi” gli ricordai. Lui sembrò illuminarsi.
“Oh, è vero. Come va la carriera da pop star?” chiese ammiccando. Mi sforzai di non tirare giù una serie di insulti indefiniti che affiorò inspiegabilmente sulle mie labbra.
“Bene” mugugnai.
“Deve essere difficile anche uscire di casa, per te” continuò con un altro sorrisetto, “Mi chiedo come farai a trovarti una bella ragazza, un giorno”
Ecco che tornava l’uomo allusivo e leggermente irritante di sempre.
“Non ne ho bisogno” borbottai arrossendo, mentre il suo sorriso si allargava.
“Figliolo, un uomo per vivere bene ha bisogno sempre di una donna accanto” pronunciò, divertito.
E se ne usciva con uno dei suoi proverbi inventati.
“Oh, certo, questo tu lo sai bene” replicai sarcastico, mentre il cameriere prendeva i nostri ordini e si dileguava con un sorriso gentile.
 “Era qui che volevo arrivare. Mi frequento con una donna” mi annunciò con un sorriso fiero. Sospirai, sapevo che c’era qualcosa sotto, era troppo bello per essere vero pensare che voleva vedermi solo perché gli mancavo.
“Lo so. Ruth mi ha detto di come ti sei preoccupato di informare gentilmente la mamma”
“Quella donna iper sensibile” borbottò contrariato.
“Piantala, sei stato scorretto” commentai, rifilandogli un’occhiataccia. Lui sbarrò gli occhi, del mio stesso identico colore, e schioccò la lingua.
“Scorretto? Quella donna mi ha tappato le ali per più di quarant’anni! Avrò diritto a rifarmi una vita, no?”
“Ehi, è di mia madre che stai parlando!” sbottai, infuriandomi. Lui alzò le mani a mo’ di resa, addolcendo lo sguardo.
“Scusa, cerchiamo di calmarci” implorò abbassando il tono di voce. Sospirai di nuovo, cercando di tenere a freno la lingua e i pensieri che, maligni, mi facevano pensare il peggio di lui.
Era mio padre, gli volevo bene e aveva il diritto di andare avanti con la sua vita, anche se questo implicava di lasciarsi alle spalle quella vecchia, in cui ero incluso anch’io. Almeno era quello che continuavo a ripetermi per cercare di calmarmi.
“Parlami di lei” mormorai dopo un po’, mentre il cameriere posava i piatti davanti a noi, allontanandosi di nuovo e lasciandoci liberi di mangiare. Lui alzò lo sguardo su di me, sorpreso del mio completo cambiamento di voce e di espressione, sicuramente più rilassata e pacata.
“Di chi?”
Alzai gli occhi al cielo.
“Della donna che stai vedendo!”
Il suo viso si aprì in un sorriso quasi emozionato, mentre cominciava a raccontarmi di lei, di come l’aveva conosciuta in viaggio in Italia, di come si erano presi subito e di come si erano innamorati nel giro di due misere settimane.
Vagai con i pensieri, ricordandomi di come fosse successo praticamente la stessa cosa con Cher, di come mi era entrata dentro in fretta, incatenandomi a lei e impedendomi di lasciarla stare.
 “Ho intensione di sposarla, presto” le sue parole mi riportarono alla realtà e mi fermai con la forchetta a mezz’aria, il respiro incastrato in gola.
“Cosa?”
“E devo anche dirti che avrai delle sorelle” continuò con un grande sorriso.
“Cosa?” ripetei, sempre più scioccato.
“Oh, andiamo, cosa c’è di così tanto sconvolgente?” fece lui, con un gesto distratto della mano, senza smettere di sorridere. La rabbia risalì velocemente, e mi sentii avvampare.
“Forse il fatto che mi richiami dopo cinque mesi per dirmi che stai per sposarti?!” quasi urlai, attirando gli sguardi indiscreti delle persone sedute ai tavoli accanto a noi.
“Calma, ragazzo” mi sgridò, lanciando un’occhiataccia alla signora che ci stava fissando spudoratamente, in attesa del continuo della nostra discussione.
“Ancora non le ho chiesto niente, era solo per avvisarti dei miei programmi” spiegò, abbassando il tono di voce e lanciandomi un’occhiata ammonitrice.
“Sai cosa? Non voglio sentirli” replicai amaramente, ricambiando la sua occhiataccia.
Ma cosa credeva? Che poteva rifarsi vivo dopo mesi e pretendere che io accettassi il suo improvviso matrimonio senza battere ciglio?
Era pazzo se pensava questo.
“Andiamo, Liam, sii ragionevole. Tua madre e io ci siamo separati da parecchi anni, è normale che io vada avanti con la mia vita” mi ricordò.
“Certo, come no, divertiti pure” continuai con il mio sarcasmo amaro, aumentando la sua irritazione.
“Adesso smettila. Io amo quella donna e intendo sposarla, non cerco certo la tua benedizione, volevo solo che tu ne fossi al corrente e che tornassimo in qualche modo ad essere una famiglia”
“La mia famiglia sei tu, e mia madre, e le mie sorelle. Non certo un’estranea che non ho mai visto prima” affermai convinto, evitando di aggiungere i ragazzi e Cher, che probabilmente era quanto di più si avvicinasse ad una famiglia felice che avevo avuto.
Non mi sembrava il caso, dato il fatto che avevo appena affermato che una sconosciuta non sarebbe mai entrata a far parte della mia famiglia, quando invece tutti loro l’avevano fatto.
“La conoscerai, volevo chiederti anche questo. Ci fermeremo a Londra per qualche settimana, te la senti di organizzare una cena per conoscervi? E’ una donna straordinaria, credimi” mi disse, sempre più emozionato. Grugnii qualcosa, senza trovare niente per obiettare.
Potevo forse dire di no davanti a quello sguardo speranzoso?
E poi, se proprio doveva sposarla, almeno avrei dovuto sapere come si chiamava.
Ma non ce l’avrei mai fatta da solo, quello lo sapevo bene.
“Bene, ma io porterò la mia ragazza” annunciai impassibile. I suoi occhi si spalancarono insieme al suo sorriso.
“Hai una ragazza?” chiese sorpreso.
“Si, e ora, se non ti dispiace, torno da lei” gli dissi, pulendomi la bocca con il tovagliolo e alzandomi, con un improvviso bisogno di uscire di li e di sentire il calore di Cher tra le mie braccia.
“Ma se non abbiamo ancora finito di mangiare!” protestò, alzandosi anche lui.
“Mi è passata la fame”
“Liam…”
“Per favore, papà. Devo prima sbollire e realizzare la situazione. Ci sentiamo, ok?” mormorai velocemente, quasi implorandolo con lo sguardo. Lui annuì riluttante, sedendosi di nuovo. Sospirai e mi sforzai di sorridere, afferrando la mia giacca.
“Ok. Ti prego, riflettici e non pensare sempre male” mormorò, ricambiando il sorriso.
“Certo, ci sentiamo in settimana, allora” gli dissi, prima di schizzare fuori e ricominciare a respirare, rinfrescato dall’aria fredda di Londra.
Avevo la testa che mi pulsava per le troppe emozioni. Avevo un disperato bisogno di parlare con qualcuno e scaricare il peso di quelle informazioni.
Mia madre diceva sempre che i problemi pesano di meno se divisi in due, ed io sapevo che Cher sarebbe stata disponibile ad ascoltarmi e ad aiutarmi a risolvere quella dannata situazione.
Forse per quello, ignorando i taxi, cominciai a correre, impaziente di tornare a casa.



 















 

Hallo!
Oggi mi sento molto deutsch perchè la prof di tedesco ci ha riportato i compiti e ho preso otto, yay!
Calcolate che avevo un'ansia immensa, perchè nella parte di letteratura credevo di aver fatto schifo, invece tutto bene *sospiradisollievo*
Però, cosa molto imbarazzante, ho scritto tipo un verbo in inglese.
Ma questi sono gli inconvenienti del liceo linguistico, ho una confusione di lingue in testa che non potete neanche immaginare o.o
Comunque, I know (tanto perchè oggi ero tedesca uù), questo capitolo è piuttosto noioso.
Ma giuro, GIURO, che presto le cose cominceranno a smuoversi. Molto presto, quindi cominciate a prepararvi ^^
Pppoi volevo dirvi che ho pubblicato quella 'sorpresa' di cui vi parlavo, un piccolo spin off che durerà al massimo sette capitoli.

You can take my heart.
Tornando a noi: No, dico, l'avete visto il video? **
Non ho parole per descriverlo, sul serio.
A parte che sono dei coglioncelli patentati, ma a quello ormai ci avevamo fatto l'abitudine, però sono di una dolcezza disarmante con quei bambini e...boh, io li amo sempre di più.
Me ne vado, okay, prima che mi ci mandiate a calci in culo :)
Tanto amore come sempre, spero vi piaccia. E...LASCIATE QUALCHE RECENSIONE, DAI!
Io mi spremo il cervello per scrivere qualcosa di decente (almeno spero), fatevi sentire anche voi :)
Wir sehen uns bald!
(che non vi dico cosa significa, muahaha)
Sara.





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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici. ***


Capitolo 14
 
 
Jenny.

 


Bussai delicatamente alla porta e l’“Avanti” sussurrato di Cat mi giunse flebile alle orecchie.
Quella mattina non era venuta a scuola perché si era svegliata con trentotto di febbre e quindi avevo deciso di passare a salutarla prima di andare, come tutti i giovedì, a casa di Lucas a studiare latino.
La casa di Cat era accogliente, normale e confortevole, se non per i milioni di giocattoli sparsi per i pavimenti di tutte le stanze a causa dei due fratellini gemelli che si rincorrevano e urlavano per tutto il tempo. Forse per questo Cat si era tappata in camera, sarebbe stato difficile contenere anche solo un semplice mal di testa con quei piccoli Attila in miniatura in giro per casa.
A vederli erano adorabili; gli occhi azzurri e i capelli rossicci come quelli di Cat. Poi però appena prendevano un po’ di confidenza eri finita.
Entrai stampandomi un bel sorriso sulle labbra, e trovai Cat appollaiata sul letto, con un libro in grembo.
“Ciao, malata” la salutai. Lei mi sorrise, chiudendo il libro e stringendosi nella sua maxi felpa, scossa da un brivido.
“Ciao” gracchiò. Mi buttai sul letto accanto a lei, tenendomi a debita distanza, e le sorrisi.
“Come stai?”
“Febbre, gola in fiamme e un mal di testa assordante. Trai tu le conclusioni”
Ridacchiai e lei mi lanciò un’occhiata esasperata.
“Dai, guarda il lato positivo: hai saltato due ore di fisica e una di filosofia. Al posto tuo ringrazierei di avere la febbre” scherzai. Lei scosse la testa divertita e rabbrividì di nuovo.
“Ma come hai fatto ad ammalarti? Tu, la sempre responsabile Cat?” la presi in giro, continuando a ridere. Le si mozzò il respiro e sbarrò un poco gli occhi, punta nel vivo. Corrugai le sopracciglia, confusa dalla sua reazione.
“Cat…”
“Cosa?”
“C’è qualcosa che non mi hai detto?” chiesi sospettosa, avvicinandomi a lei.
“Nein. Niente. Nothing. Nada de nada” si affrettò a precisare.
Scoppiai a ridere dalla sua espressione fintamente innocente e dal suo modo frettoloso di replicare.
“Sai qual è la cosa buffa? Che credi di riuscire a mentirmi” la presi in giro, ridacchiando. Lei arrossì e incassò la testa nelle spalle, facendo un timido sorriso.
Mi avvicinai di più, un sorrisetto malizioso che mi affiorò sulle labbra.
“Andiamo, Caty. Dimmi cosa mi nascondi, tanto so già di cosa si tratta” la incalzai.
Lei mi lanciò un’occhiataccia, arricciando le labbra.
“Non chiamarmi Caty” sibilò, “E poi voglio proprio sentire cosa stai pensando” continuò, incrociando le braccia al petto e alzando il mento a mo’ di sfida.
Le sorrisi, perché pensava davvero di potermi battere. Peccato che non sapeva una cosa: non ero stupida, e Harry mi aveva fatto notare quanto Niall fosse assente da quando aveva conosciuto Cat.
Collegandoci il fatto che anche lei sembrava sempre con la testa fra le nuvole e che, proprio il pomeriggio prima avevo fatto in modo che rimanessero da soli, non mi ci voleva molto a fare due più due.
“Cat, Cat, tu pensi davvero di poter fregare me? Ho visto come ti brillavano gli occhi davanti al biondino” la presi in giro. Lei arrossì violentemente, l’aria saccente che sparì all’istante dal suo viso.
Ridacchiai, capendo che l’avevo smascherata.
Alla fine si arrese, sbruffando e lanciandomi un’occhiata rassegnata.
“Siamo andati a mangiare, dopo che tu, traditrice, ci hai lasciati soli” cominciò, lanciandomi un’altra occhiataccia. Sorrisi, battendo le mani incuriosita e incrociando le gambe, tutta orecchi.
La sua aria corrucciata non durò molto, perché si aprì quasi subito in un sorriso smagliante e le guance le si colorarono di rosso.
“E cosa è successo? Dai, che lo so che ti piace!” la incoraggiai a continuare, dandole una pacca sul braccio. Lei sospirò, mordendosi il labbro inferiore.
“Beh, abbiamo un po’ chiacchierato, e poi mi ha riaccompagnata a casa, non però senza farci prima una bella sguazzata sotto la pioggia” raccontò. Il mio sorriso si allargò; sapevo che quei due covavano qualcosa.
Non mi erano sfuggiti gli sguardi che si lanciavano a pranzo, qualche giorno prima, e i ragazzi mi avevano esplicitamente detto che se Niall era così strano, era perché c’entrava sicuramente una ragazza.
Ma lui ultimamente non usciva quasi mai, quindi l’unica persona che avrebbe potuto fargli quell’effetto, era proprio la mia amica.
Non mi ci era voluto molto, insieme ad Harry, ad organizzare un incontro tra i due che, a quanto pareva, era andato a finire bene.
“E cosa vi siete detti?” chiesi, morendo dalla curiosità. Si rabbuiò, distogliendo lo sguardo a disagio.
“Oh, ti prego, Cat. Non dirmi che ne hai sparata una delle tue” mormorai, sapendo come diventava quando era nervosa; estremamente logorroica e senza filtro tra bocca e cervello.
Sospirò, abbattuta.
“Praticamente gli ho sbattuto in faccia che gli muoio dietro” confessò, lo sguardo basso.
“Cat!”
“Lo so, ma è stato lui a confondermi!” tentò di giustificarsi. La guardai contrariata, già immaginando di quanto stesse gongolando in quel momento Niall, che non credeva di poter mai piacere a qualcuno.
“Me l’immagino. Magari ti ha solo sorriso e tu sei partita per un altro mondo”
“Proprio così”
“Sei assurda” commentai, senza però trattenere un sorriso emozionato. Lei lo vide, e mi guardò speranzosa.
“Dici che ho qualche possibilità?”
Schioccai la lingua, lanciandole un’occhiataccia.
“Spero tu stia scherzando. Sei perfetta, Cat. E lui è un ragazzo dolce, qualsiasi cosa pensa di te, te la dirà, non ti prenderà mai in giro”
Quella, al momento, era l’unica cosa che potessi assicurarle perché, nonostante il fatto che Niall fosse ultimamente in un altro mondo poteva sembrare un indizio che ti portava a pensare che quello che provava Cat era ricambiato, non potevo esserne sicura, e l’ultima cosa che volevo era illuderla.
Dare tempo al tempo, questo era il mio motto.
Lei mi sorrise ed io le strinsi la mano che mi aveva teso.
“Speriamo che non ho come mio solito rovinato tutto. Quel ragazzo mi è piaciuto dalla prima volta che l’ho visto su una stupida foto” confessò, arrossendo. Le sorrisi e le carezzai i capelli.
“Ti capisco” sussurrai. Rimanemmo per un po’ in silenzio, ognuna persa tra i suoi pensieri, poi lei guardò l’orologio, per poi posare gli occhi confusi su di me.
“Ma non devi andare a ripetizioni, tu?” mi chiese.
Guardai anch’io l’orologio e schizzai in piedi, maledicendomi in tutte le lingue del mondo.
“Merda, sono in un ritardo mostruoso” imprecai. Lei ridacchiò, mentre velocemente mi infilavo la giacca.
“Non così tanto, dai”
“Si, se devo arrivarci a piedi. Credo proprio che dovrò mettermi a correre” sbruffai.
“A piedi?”
“Si, i ragazzi oggi avevano le prove. Sono venuta qui solo con la forza dei miei piedini, per vederti” le dissi con voce divertita. Lei mi scoccò un sorriso.
“Sei sempre così dolce, scricciolo”
Scossi la testa divertita e le mandai un bacio con la mano.
“Ci sentiamo domani, fammi sapere quando potrai tornare a scuola” le dissi, mentre aprivo la porta della sua camera.
Lei annuì e mi salutò con la mano.
“Ah, Jen…” mi richiamò “Cerca di strappare qualche informazione a Niall, non tenermi sulle spine”
“Ci penso io” affermai facendole l’occhiolino.
“Jen” mi chiamò di nuovo. La guardai, l’espressione stranamente seria sul suo viso sempre allegro.
“Con discrezione, non smascherarmi ancora di più”
Scoppiai a ridere.
“Sarò i tuoi occhi e le tue orecchie, la spia perfetta” le assicurai e detto questo, con la sua risata in sottofondo, uscii dalla sua camera e, dopo aver salutato educatamente la madre e i fratellini, mi avviai verso la casa di Lucas.
Stavo canticchiando allegramente e camminavo con il passo più veloce del normale, tentando di sbrigarmi per non arrivare in ritardo a casa di Lucas, quando il mio sguardo si posò accidentalmente sulla vetrina di un bar.
Non so cosa attirò la mia attenzione; se la ragazza che rideva allegramente, mentre faceva svolazzare i suoi lunghi capelli castani dietro le sue spalle, o se il ragazzo che aveva di fronte, che rideva con lei.
Come se fosse stata una scena al rallentatore, ci misi qualche secondo di più a realizzare che il ragazzo che stavo osservando aveva due splendidi occhi verdi che in quel momento brillavano, mentre rideva, e una massa informe di capelli ricci che gli circondava il viso.
Harry.
Mi bloccai sul posto, il cuore che sprofondava nel petto, e lo guardai meglio per esserne sicura, per farmi ancora di più del male.
Proprio in quel momento Harry scoppiò in un'altra risata ed io socchiusi gli occhi, immaginando il suo suono delizioso, e la ragazza si strinse timidamente nelle spalle, per poi dargli un buffetto sulla mano e carezzargli dolcemente la guancia.
Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, lei si chinò sul tavolo e gli schioccò un bacio sulla guancia, vicinissimo alle labbra.
Le mie labbra.
Lui le sorrise di nuovo ed io non ci vidi più, fui accecata dalla rabbia, dalla delusione e da un vago sentimento di tradimento che mi chiuse lo stomaco.
Il respiro mi si mozzò in gola, e sentii le gambe cedere sotto il mio peso.
Che cosa ci faceva Harry con quella? Chi era? E perché non era alle prove come mi aveva detto?
Milioni di domande mi ronzavano in testa e mi colpivano come pugnali, impedendomi di pensare lucidamente.
Decisi che per rimanere intera la cosa migliore da fare era allontanarmi di li il prima possibile, prima che lui mi vedesse, prima che arrivasse il momento di affrontare una qualsiasi conversazione o discussione con lui.
Costrinsi il mio cervello a rimettersi in moto, molto lentamente, e ripresi il comando delle gambe, ricominciando a camminare verso non sapevo neanche io dove.
Vedevo tutto appannato, probabilmente per le lacrime che minacciavano di uscire, ed ero talmente sotto shock che non riuscivo a pensare che forse quella poteva essere solo una vecchia amica che aveva incontrato per caso, o una fan sfacciata che gli aveva offerto il caffè.
No, il mio cervello urlava tradimento e metteva a tacere la vocina intelligente e riflessiva che stava provando a ricordarmi che io mi fidavo di lui.
Quando la porta di fronte a cui mi ero fermata si aprì, facendomi trovare davanti un Lucas abbastanza allegro, mi resi conto di dove ero andata a finire.
“Ciao, piccola, sei in perfetto orario” mi salutò lui, scoccandomi un sorriso smagliante. Lo fissai in silenzio, senza veramente vederlo, e poi lo scansai per entrare.
“Non chiamarmi piccola” gli risposi quasi meccanicamente, dirigendomi verso il salone, muovendomi in quella casa come se fosse la mia, dopo tutti i pomeriggi che ci avevo passato. Lui mi seguì, e con uno sguardo veloce, notai che aveva aggrottato le sopracciglia confuso.
Mi buttai sulla prima sedia che trovai libera, e lui si accomodò accanto a me, scrutandomi attento.
“Jen, che succede?”
Incrociai i suoi occhi azzurri e sentii i miei riempirsi di lacrime, mentre i peggiori pensieri mi invadevano la testa, mozzandomi il respiro e facendomi stringere il cuore. Tirai su con il naso non molto educatamente e scossi la testa, prendendo i miei libri dalla borsa.
“Niente, iniziamo?” chiesi con voce tremante, evitando il suo sguardo indagatore. Lui arricciò le labbra e poi, con un’alzata di spalle, annuì.
“Da dove vogliamo iniziare? La prof. ti ha dato qualche compito? Se vuoi li facciamo insieme”.
Assunse all’istante la sua aria professionale, guardandomi serio e senza neanche un accenno di sorriso, ed io mi sentii inspiegabilmente sprofondare, perché mi resi conto che in quel momento avevo un dannato bisogno di un abbraccio. Mentre lui mi guardava in attesa di una risposta, mi tremò il labbro e nel giro di mezzo secondo scoppiai.
“Jenny, piccola, cosa succede?” mi chiese lui subito, preoccupato dalle lacrime insensate che avevano cominciato a scorrermi sulle guance. Le asciugai in fretta, sentendomi una perfetta idiota.
“Ti ho detto di non chiamarmi piccola, Lucas” sibilai, guardandolo. Lui scosse la testa, confuso, e allungò una mano per asciugarmi le lacrime, ma io mi ritrassi di scatto.
Non che ci fosse tutto questo imbarazzo tra di noi; avevo ben specificato che tra noi c’era solo amicizia, e lui sembrava averlo accettato. Ma in quel momento non volevo essere toccata da nessuno, perché il mio cuore bruciava, e la voglia di tornare di corsa in quel bar e strappare Harry dalla vista di quella ragazza mi travolse.
Insieme alla rabbia che cominciava lentamente a fare capolino e rischiava di sopraffare tutti gli altri sentimenti.
“Okay, okay. Perché stai piangendo, cos’è successo?” si arrese lui, alzando le mani davanti a se. Lo guardai ancora, non sapendo cosa rispondere.
Il fatto era che stavo reagendo in modo esagerato, e lo sapevo. Solo che la paura di perderlo era talmente acuta che il solo vederlo appartato con una ragazza mi aveva spezzato il cuore e aveva allarmato ogni singola cellula del mio corpo, rendendomi emotivamente instabile.
“Niente. Non è successo niente”
“E da quando per niente si piange?”
“Io…oh, merda” balbettai, mentre un’altra ondata di lacrime mi travolgeva. Non volevo dirglielo, ma allo stesso tempo volevo sfogarmi ed esternare le mie preoccupazioni.
Solo che in quel momento avevo bisogno di qualcuno che mi rassicurasse e mi dicesse quello che avevo bisogno di sentirmi dire: che avevo di sicuro frainteso e pensato male, che quella era solo una semplice amica con cui stava chiacchierando.
Ma sapevo che se avessi detto a Lucas cosa avevo visto, lui non ci avrebbe pensato due volte a mettere il dito nella piaga.
Lui si alzò e girò la mia sedia, inginocchiandosi davanti a me in modo di avere la sua faccia all’altezza della mia. Mi inchiodò con i suoi occhi azzurri preoccupati e mi scostò i capelli dal viso, cercando di asciugarmi le lacrime che non smettevano di uscire.
Lo lasciai fare, perché ero troppo debole per protestare e perché in quel momento avevo voglia che qualcuno mi capisse e mi consolasse.
“Jenny, dimmi cosa ti prende, per favore. Non ti ho mai vista così” sussurrò, gli occhi che bruciavano. Deglutii e provai a frenare le lacrime mordendomi il labbro inferiore.
Lui mi sorrise dolcemente e mi prese le mani tra le sue.
“Io…” presi fiato “Ho visto Harry con una ragazza” confessai, mandando al diavolo i miei pensieri e il mio orgoglio. A quel punto realizzai che la rabbia cominciava a prendere il sopravvento, rischiando di farmi urlare da un momento all’altro.
Come si era permesso di uscire con un’altra ragazza? Non gli bastavo più io?
“E qual è il problema?” mi chiese lui, stupendomi. Spalancai la bocca.
“Il problema…era con una ragazza, Lucas!” esclamai. Lui mi sorrise di nuovo, cercando di calmarmi con lo sguardo.
“E allora? Anche io sono un ragazzo, fino a prova contraria. E tu sei qui con me” mi fece notare. Boccheggiai, presa in contropiede dalla sua osservazione più che giusta.
“E’ diverso, lui sa che sono qui con te” farfugliai. Lui mi sorrise di nuovo.
“Quindi se lui ti avesse detto che usciva con lei, andava bene?” mi incalzò. Rimasi di nuovo a bocca aperta.
Avrei preferito che buttasse benzina sul fuoco, invece di queste frasi intelligenti che mi spingevano a riflettere.
In quel momento non volevo pensare, volevo solo essere arrabbiata con Harry e volevo avere la conferma che avevo il diritto di esserlo.
A dire la verità, i miei sentimenti erano talmente contrastanti che non riuscivo neanche io a decifrare cosa volevo.
Mi imbronciai, arricciando le labbra, e il suo sorriso si allargò.
“Ti stai preoccupando per niente. Sai quanto mi sia poco simpatico Harry, ma magari era solo un’amica che gli ha offerto un caffè. Non condannarlo subito” mi consigliò, facendo però una smorfia in contrasto con le sue parole.
“Lei gli ha carezzato la faccia, e lui non si è tirato indietro” sputai con rabbia, perché non potevo credere che Lucas lo stesse difendendo, doveva appoggiarmi e dirmi che facevo bene ad essere infuriata, dannazione!
Lucas alzò gli occhi al cielo e sbruffò, per poi sorprendermi sfiorandomi la guancia con le dita. Mi tirai indietro, sorpresa.
“Anche gli amici si scambiano gesti affettuosi”
Lo guardai male.
“Non è vero. Non mi sembra che io vada a dispensare carezze a destra e manca” borbottai.
Lui sorrise e si imbronciò.
“Infatti con me sei piuttosto fredda” commentò con aria fintamente dispiaciuta.
“Perché so quanto può dare fastidio ad Harry. Ma a quanto pare a lui non interessa quello che penso io” sibilai, ritornando al punto principale della conversazione.
Lui alzò di nuovo gli occhi al cielo, tirandosi su e sedendosi di nuovo sulla sedia.
“Io direi che prima di incazzarti dovresti parlargli e chiedergli spiegazioni” mormorò, giocando con la matita, distratto.
Lo guardai sbalordita.
“Cos’è tutto questo improvviso buonismo?”
Lui mi scoccò un timido sorriso.
“Sono un ragazzo, e posso capirlo. Odio quando voi ragazze date le cose per scontato e non vorrei che tu stessi male solo per un grande e semplice equivoco” mi spiegò. Feci per ribattere, ma fui interrotta dalla suoneria del cellulare di Lucas, che annunciò l’arrivo di un messaggio.
Lui lo afferrò, alzando un dito verso di me per interrompermi, e lo lesse.
Vidi chiaramente i suoi occhi sbarrarsi e il suo colorito schiarirsi di qualche tonalità.
Alzò gli occhi su di me ed io capii che quello che stava per dirmi non sarebbe stato affatto piacevole.
“Okay, forse puoi cominciare ad incazzarti” mormorò. Corrugai le sopracciglia e lui mi porse il suo cellulare. Quasi glielo strappai dalle mani e sussultai, il cuore che tremò di dolore, quando lessi il messaggio.
“Ehi, Luc. Come stai? Sai, ho nostalgia dei vecchi tempi; ho visto Harry oggi, e l’ho trovato proprio bene. Mi siete mancati, voi due. Che ne dici di vederci? Vorrei proprio sapere come te la passi. Un abbraccio, Nicole”
“N-nicole?” chiesi balbettando. Lui annuì, piegando un po’ la testa di lato.
“Conosci la storia?” chiese cauto, scrutandomi attentamente. Annuii, cercando di mandare giù il groppo che mi chiudeva la gola.
“Merda”
 “Lucas, puoi accompagnarmi a casa? Lo ucciderò in fretta e poi potremo riprendere le ripetizioni” sibilai, la rabbia che prendeva il sopravvento insieme alla delusione e ad un sentimento di tradimento che mi stringeva il petto.












Aaaaaah, Malik 2 mi ha sorriso! SORRISO! **
Vi faccio un piccolo riassunto in caso non aveste letto il mio angolino dopo il secondo capitolo di You can take my heart:
c'è un tizio nuovo a scuola, che è molto figo, pakistano e fa di cognome Malik.
Rendo l'idea?
Vabbè, comunque, questo qui stamattina mi ha sorriso perchè ha fatto una figura di merda ed io come un idiota sono scoppiata a ridere, e lui era tutto imbarazzato. Che carino, asafnsalrdjak **
Calcolate che mi sono sciolta, e sicuramente ho fatto una faccia da deficente che rimarrà nella storia çç
So, passiamo al capitolo.
Ehm, io vi direi di prepararvi, perchè...no, okay, non posso anticiparvi niente :)
Spero vi piaccia e, per favore, LASCIATE QUALCHE RECENSIONE.
No, davvero, ho bisogno di voi!
Tanto amore, come sempre.
Sara.








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Capitolo 15
*** Capitolo quindici. ***


Capitolo 15

 

 


Cher
 


Sentirli cantare era una delle cose di cui non mi sarei mai stancata. Anche se solo in una sala prove, al chiuso, e con mille interruzioni, ogni volta che aprivano bocca mi facevano volare tra le stelle, le loro voci erano incredibilmente fantastiche.
Che non so se esiste come aggettivo in italiano, ma non c’è modo per spiegarlo meglio.
Quando Liam, quel pomeriggio, mi aveva chiesto di accompagnarlo alle prove, non ci avevo pensato due volte: ero impaziente di ascoltarli.
Anche se Niall sembrava totalmente in un altro mondo, su di giri e con il sorriso perennemente stampato in faccia, e Liam era preoccupato per suo padre, quando si posizionavano davanti al microfono tutto il resto del mondo scompariva.
Prendendosi l’ennesimo momento di pausa, dopo tre ore incessanti di prove, Liam mi si avvicinò e mi sorprese con le lacrime agli occhi e l’aria un po’ pensierosa.
“Ehi” mi disse, leggermente preoccupato, con la voce carica di dolcezza. Mi raggiunse con due falcate veloci e mi prese tra le braccia.
“Tutto bene?” chiese, puntando i suoi occhi caldi nei miei. Annuii e lui mi prese la testa tra le mani, asciugandomi le lacrime che erano riuscite a sfuggirmi con i pollici.
“Perché stai piangendo?”
Abbozzai un sorriso e mi strinsi nelle spalle.
“Siete bravi. Io…mi sono emozionata, tutto qui” sussurrai, arrossendo. Lui rise e mi strinse a se, affondando il naso tra i miei capelli. Io intrufolai il viso nel suo collo, mentre lui continuava a ridacchiare.
“Strano che la pensi così. I produttori non sono molto soddisfatti, oggi” mormorò facendo una smorfia. Alzai il viso per guardarlo negli occhi, dove lessi la perenne preoccupazione che li invadevano da quando aveva incontrato il padre.
“Siete fantastici” commentai, cercando di tirarlo su di morale. Lui mi sorrise e strofinò il naso contro il mio.
“Grazie, piccola”. Mi baciò delicatamente, mentre venivamo interrotti dallo sbruffo di Harry, che si buttò su una poltrona passandosi le mani freneticamente tra i ricci.
“Cercate di non sbattere in faccia la vostra felicità a chi sente la mancanza della propria ragazza” sibilò, rifilandoci un’occhiata infastidita. Schioccai la lingua divertita.
“Uoh, quanta acidità, ragazzo”
“Odio il fatto che Jenny non può essere qui in questo momento perché deve stare con quel bamboccio” grugnì, fulminando con gli occhi un qualche punto sul muro. Ridacchiai davanti alla sua espressione furiosa e Liam mi fece l’occhiolino.
“Dalle il tempo di recuperare e poi si libererà di lui” cercai di tranquillizzarlo con la voce, ma tutto quello che riuscii ad ottenere fu uno sbuffo e lui che si alzava di scatto, afferrando la sua giacca.
“Vado a prendermi un caffè, prima che scoppi. Dite a Edwin che ci prendiamo una pausa di una mezzoretta” mormorò, prima di schizzare verso la porta. Prima di uscire si voltò verso di me, come se si fosse appena ricordato qualcosa.
“Oh, volete qualcosa anche voi?” chiese, sbattendo nervosamente un piede a terra.
“No, Harry. Vai a prendere un po’ d’aria e cerca di calmarti, se no qui non ne usciamo vivi” lo congedò Liam con un sorriso dolce. Harry sospirò di sollievo e con un accenno di sorriso uscì fuori a grandi passi.
Sospirai, mentre Liam lo seguiva con lo sguardo preoccupato.
“Gli verrà un infarto se non smette di preoccuparsi” commentò scuotendo lievemente la testa. Mi alzai sulle punte dei piedi per baciargli la guancia e la sua espressione contrita si rilassò all’istante.
“Prova a metterti nei suoi panni. Ha solo paura di perderla”
“Già. Io non so se ce la farei a lasciarti andare tutti i giorni a casa di un ragazzino pronto a provarci con te” mormorò, per poi prendermi il viso tra le mani e strofinare il suo naso contro il mio.
“Jenny è in gamba, non si farà abbindolare da quel Lucas” dissi convinta, rimediando un suo bellissimo sorriso.
“Certo, ha preso tutto da sua sorella” acconsentì, facendomi l’occhiolino. Ridacchiai, prima di essere interrotta dalle sue morbide labbra che si impossessarono dolcemente delle mie.
“Dove diavolo è andato Harry? Dobbiamo continuare a provare!” l’urlo di Niall ci interruppe precedendolo solo di mezzo secondo, perché poi il biondino uscì dalla sala prove e ci raggiunse con un’espressione entusiasta e impaziente. Liam gli rifilò un’occhiata di ghiaccio, mentre io lo guardavo divertita.
Niall felice e su di giri era esilarante; non riusciva a stare fermo neanche per mezzo secondo e scoppiava a ridere qualsiasi cosa gli dicessi. Era adorabile, e quel giorno era più felice del solito, ma non aveva voluto dire a nessuno il perché, anche se i ragazzi, soprattutto Harry, sembravano averne intuito il motivo.
“E’ andato a prendersi un caffè. Cerca di limitare il tuo entusiasmo, biondino, mi stai facendo venire la nausea” lo ammonì Liam con una smorfia. Niall sembrò non sentire il suo consiglio, perché cominciò a saltellare, sempre sorridendo.
“Come a prendere un caffè? Dobbiamo provare!” esclamò.
“Niall, piantala, mi stai urtando i nervi” esordì Zayn, lanciandogli un’occhiata di sottecchi e buttandosi sulla prima poltrona libera, passandosi una mano sul viso e strofinandosi gli occhi chiusi.
“Sono stremato” affermò con un filo di voce.
“Già, anch’io” si unì un morente Louis, che si trascinava strusciando i piedi a terra. Mi si avvicinò e crollò con la testa sulla mia spalla.
Ridacchiai.
“Come mai siete tutti così stanchi e questo folletto invece sembra nel pieno delle energie?” chiesi, indicando Niall, che non aveva smesso un attimo di sorridere.
Mi fece l’occhiolino, mentre Louis sospirava sulla mia spalla.
“Non ne ho idea. Ma deve entrarci una ragazza, perché non l’ho mai visto così euforico” borbottò. Niall sembrò punto nel vivo, perché si immobilizzò e arrossì tutto insieme. I ragazzi, sorpresi di non sentire la replica immediata del biondino, alzarono tutti contemporaneamente lo sguardo su di lui.
“Beccato!” esclamò Liam, lasciandomi e buttandosi su di lui, travolgendolo. I ragazzi schizzarono in piedi e cominciarono a fargli tremila domande.
Niall cominciò a balbettare, rosso fino alla punta dei capelli, mentre i ragazzi lo assalivano, assetati di informazioni e curiosi di scoprire la causa per tanto buonumore, stupiti che potesse essere davvero una ragazza, perché Niall di solito non si faceva influenzare da queste cose.
Era più un tipo cibo e chitarra, solitario ma simpatico e solare con tutti. Erano tutti amici per lui, mai nessuna ragazza gli aveva rubato il cuore, chi sa se quel momento fosse appena arrivato.
Per tutto il resto del pomeriggio continuarono con le loro prove, Harry che li raggiunse dopo un’ora buona con la faccia decisamente sconvolta ma, dato che sembrava non riuscissero a combinare niente di buono, i produttori decisero di interrompere le prove dicendo che magari l’indomani sarebbe andata meglio. Così li congedarono e diedero finalmente loro il permesso di tornare a casa.
Harry, ancora leggermente confuso da qualcosa che probabilmente era successa nell’ora in cui si era assentato, mandò un messaggio a Jenny per chiederle a che ora dovesse andare a prenderla, ma lei gli rispose con un enigmatico ‘Non ce n’è bisogno, trovo il modo per tornare’.
Harry appena lesse il messaggio sbiancò, ma non fece commenti, rabbuiandosi e ammutolendosi.
Io feci spallucce alla sua richiesta muta di spiegazioni quando mi fece leggere il messaggio, così il discorso scivolò via e rientrammo in casa tutti tranquilli e allegri.
Louis sfidò, come solito, Niall ad una partita alla play. Lui accettò di buon grado, un lampo di sfida che gli attraversò gli occhi.
“Tanto ti straccio anche stavolta” affermò con un sorriso beffardo. Louis rise, seguito dallo sghignazzare silenzioso di Zayn.
“Non credo. Mi sono allenato, è meglio se stai in campana” lo avvisò. Niall scoppiò a ridere, trascinando anche me e Liam, perché era impossibile rimanere indifferenti ad una risata così allegra e spensierata.
“E con chi ti sei allenato? Con Harry? Ti ha lasciato vincere perché è innamorato di te, io non sarei così sicuro delle mie capacità se fossi in te” lo avvertì. Harry sembrò risvegliarsi dal suo stato catatonico e lanciò un’occhiata offesa al biondino.
“Ehi, non è vero” protestò.
“Si, invece. Tu faresti di tutto per farlo contento, quindi l’hai fatto vincere”
Harry tentò di mascherare un sorriso colpevole e Louis spalancò la bocca, indicandolo oltraggiato.
“Non ci credo! Mi hai mentito” esclamò assottigliando gli occhi. Harry si strinse innocentemente nelle spalle e Niall rise ancora più forte.
“Scusa, Lou. Non ce la facevo più a vederti perdere partite su partite” si giustificò. Louis sembrò addolcirsi e gli lanciò un sorrisetto compiaciuto.
I due continuarono a battibeccare ancora un po’, finché cominciarono a giocare e Niall sconfisse Louis come da copione.
Poi, prima che Louis potesse cominciare a protestare e a pretendere una rivincita, Niall annunciò che si ritirava in camera perché non si sentiva tanto bene.
Prima però che qualcuno potesse anche solo pensare di preoccuparsi per lui, il rumore di pneumatici sul vialetto ci distrasse.
“E’ Jenny” esclamò Harry, schizzando in piedi con un gran sorriso. Lo seguii per salutare mia sorella e mi bloccai quando gli finii addosso; si era bloccato sulla porta, la mano sulla maniglia e gli occhi spalancati dall’orrore. Seguii il suo sguardo e vidi Jenny scendere dalla macchina, seguita da Lucas, che le sorrise e le si avvicinò chiacchierando. Percepivo la tensione di Harry dalla sua postura rigida e dalle nocche della mano che erano diventate bianche per quanto stringeva forte la maniglia.
Quando Jenny si lasciò prendere tra le braccia del suo amico, che la strinse a se, Harry non ci vide più e uscì come una furia. Servirono a poco le proteste di Louis e il tentativo di calmarlo di Liam; era accecato dalla rabbia e dalla gelosia ed io avevo paura che potesse fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.
 
 




Harry
 



Appena quelle luride braccia avvolsero la mia ragazza, fu come se un velo di rabbia calò su di me, spegnendo il cervello e impedendomi di pensare lucidamente.
Scattai verso di loro, lanciando uno sguardo furioso a Lucas, che mi guardava saccente, mentre aumentava la stretta sulle spalle di Jenny.
La tentazioni di prendergli quelle cazzo di braccia e staccargliele a morsi era abbastanza forte, quindi strinsi i pugni per cercare di mantenere la calma.
“Togli quelle cazzo di mani dalla mia ragazza” sibilai, arrivato ad un passo da loro. Sentii Jenny sussultare, mentre si voltava verso di me, senza però allontanarsi da lui.
Mi lanciò uno sguardo indecifrabile, le labbra tese e l’espressione indifferente.
“Guarda che è capace di badare a se stessa, anzi” replicò Lucas con un sorrisetto. Sentii le orecchie andarmi a fuoco e affondai le unghie nel palmo della mano per impedirmi di saltargli addosso e riempirlo di pugni; mia madre mi aveva sempre insegnato che con la violenza non si risolve niente.
“Tu levale le mani di dosso comunque” sibilai di nuovo, già al limite della pazienza. Jenny gli lanciò uno sguardo e annuì lievemente, così che lui, finalmente!, la liberò dalla sua presa.
Guardai la mia ragazza in cerca di spiegazioni, ma lei si limitò a guardarmi alzando il mento a mo’ di sfida.
“Che c’è? Non posso abbracciare un mio amico?” chiese con voce fintamente innocente. Rimasi a bocca aperta, mentre il suo sguardo arrabbiato bruciava nel mio.
E ora cosa le prendeva?
Il senso di colpa mi invase lo stomaco, così come la paura che lei in qualche modo avesse potuto scoprirmi.
Sapevo di essere in torto in quel momento, ma non era esattamente colpa mia.
Ero semplicemente andato a prendere un caffè, avevo incontrato Nicole e, anche se sapevo che non stavo facendo proprio una cosa giusta nei confronti di Jenny, avevo accettato di farle compagnia.
Non la vedevo da un sacco di tempo, e lei sembrava avere così tante cose da raccontarmi, dopotutto era sempre stata una persona importante per me, in passato.
“Certo che puoi” mormorai circospetto. Lei strinse di più gli occhi.
“Bene, e allora perché tutte queste scenate?”
“Scenate? Non mi sembra di aver fatto alcuna scenata” mi difesi con orgoglio. Lei deglutì e sembrò mordersi la lingua per tenere a freno le proprie parole.
“Bene” si voltò verso Lucas e gli sorrise “Grazie, per tutto” gli disse con dolcezza. Lui ricambiò il suo sorriso e le fece l’occhiolino.
La rabbia mi assalì di nuovo.
Grazie?
Per tutto?
Cosa intendeva esattamente per tutto?
Poi lei si alzò sulle punte dei piedi e posò le sue morbide e bellissime labbra sulla guancia di quel pezzente. Il mio cuore fece un tonfo, sprofondando nel più profondo angolo del mio petto.
La guardai sgranando gli occhi, mentre l’idiota le sorrideva.
“Di niente, piccola. Io ci sono sempre per te” le rispose, calcando sull’ io e lanciandomi un’occhiata sprezzante.
Non ci vidi più, scattai in avanti e con una spinta per niente amichevole sulla sua spalla, lo costrinsi ad allontanarsi da Jenny. I suoi occhi fiammeggiarono, ma in quel momento non me ne poteva fregare un emerito cazzo se si sarebbe avventato su di me con l’intento di spaccarmi la faccia, anzi. Lo avrei accolto e ricambiato in un batter d’occhio, avevo le mani che mi prudevano.
Jenny spalancò la bocca, rifilandomi un’occhiata sorpresa, ma prima che riuscisse ad articolare anche mezza parola, Lucas la superò, i pugni chiusi.
“Non ti azzardare a mettermi le mani addosso” sibilò. Sorrisi, sprezzante.
“Scusa, ti ho rovinato l’acconciatura?” ribattei sarcastico. Lui grugni qualcosa, facendo un altro passo avanti minaccioso.
Dai, sto solo aspettando una tua minima mossa per spaccarti quella faccia da schiaffi che ti ritrovi.
Ma Jenny, togliendomi tutto il divertimento, lo bloccò afferrandolo per un braccio.
“Lascia stare, Lucas, non ne vale la pena. Ci penso io qui” gli disse, guardandolo dritto negli occhi.
Lui ricambiò il suo sguardo mentre io sentivo ogni singola parte di me andare a fuoco.
“Come vuoi, piccola. Se hai bisogno chiama” le disse aprendosi in un sorriso dolce, sfiorandole la guancia con la mano.
“Ti ho detto di non toccarla, stronzo!” sbottai, scattando nuovamente in avanti. Prima che però riuscissi ad arrivare alla mia meta, Jenny si piazzò tra di noi, le braccia incrociate sul petto e l’espressione fredda.
“Non fare un altro passo, Harry, o non farai che peggiorare la situazione” mi disse con voce monocorde, senza guardarmi negli occhi.
Boccheggiai, senza parole.
“Lucas, ci vediamo domani” lo congedò, voltandosi quel tanto per sorridergli.
Mi sentii ribollire dalla rabbia, mentre lui annuì e con un ultimo sorriso fece il giro della macchina, salì e ripartì.
Jenny mi dava ancora le spalle, fissava il punto in cui il suo nuovo amico era appena sparito, e non dava segno di volermi dare alcuna spiegazione su quello che stava succedendo.
“Che cosa significa?” chiesi, sforzandomi di rendere la voce il più possibile neutra, anche se in quel momento avrei tanto preferito urlare. Lei si voltò lentamente, riservandomi uno sguardo fiammeggiante, le labbra tese in una smorfia.
“Cosa significa?” ripeté, piegando un poco la testa di lato. Sbruffai, stringendo più forte i pugni.
“Si. Da quando sei amica intima con quello?”
“E’ mio amico. Ed io tratto i miei amici come voglio” replicò indifferente. Le lanciai un’occhiataccia.
“Vuoi dirmi cosa sta succedendo?” sbottai, capendo tra le righe che era successo qualcosa che aveva scatenato quella sua aria indifferente e apparentemente vendicativa.
Ti ha visto, continuava a ripetermi la vocina martellante nel mio cervello.
Ma non era possibile, perché in quel momento lei doveva essere già da Lucas, non poteva avermi visto insieme a Nicole, impossibile.
I suoi occhi si assottigliarono.
“Credo che tu lo sappia già, non c’è bisogno che te lo ripeta” sibilò, superandomi e avviandosi a passo spedito verso la casa, da cui i ragazzi ci stavano guardando curiosi, chi affacciato alle finestre, chi alla porta.
Vecchie pettegole.
Alzai gli occhi al cielo e la raggiunsi, afferrandole il braccio e costringendola a fermarsi. Lei si voltò di scatto, sciogliendo bruscamente la presa e allontanandosi da me come se fosse stata colpita da una scossa elettrica.
“Non toccarmi” sibilò, fulminandomi con lo sguardo e voltandosi di nuovo, accelerando il passo.
Dopo essermi ripreso dalla momentanea immobilità della sorpresa, scattai di nuovo e la superai, piazzandomi davanti a lei e bloccandola, senza però toccarla.
“Che diavolo è successo, Jenny?” chiesi, guardandola attentamente. I suoi occhi sfuggivano volutamente ai miei, mentre lei diventava rossa, non so se per la rabbia o se per qualcos’altro.
“Prova a farti un esame di coscienza e datti una risposta” mugugnò, cercando di evitarmi e di passare, ma ovviamente non gliel’avrei lasciato fare finché non avremmo chiarito.
Era più che evidente che c’era qualcosa che non andava, e mi sentivo incredibilmente in colpa, anche se il nervoso per la scena appena svoltasi tra lei e Lucas ancora mi bruciava lo stomaco.
“Per favore, Jen. Dimmi che ti prende” la pregai, con un sospiro esasperato.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
La vidi sgranare gli occhi, gonfiare le guance e prepararsi ad urlare ed inveire contro di me.
“Cosa mi prende?!” urlò, infatti. Indietreggiai di mezzo passo davanti alla sua furia.
“Ti ho visto, oggi” continuò, puntando i suoi occhi lucidi nei miei, colpendomi dritto al cuore.
Merda.
Sapevo che non avrei dovuto accettare l’invito di Nicole ma, ripensandoci, non era successo niente di che. Non riuscivo a capire perché Jenny fosse così infuriata. A parte un’innocente carezza dalla quale per educazione non ero riuscito a tirarmi indietro, e un bacio sulla guancia appena prima di salutarci, non c’erano stati altri contatti equivocabili tra di noi.
Che Jenny ci avesse visto proprio in quel momento?
Quella era proprio sfiga.
“Jenny…” cominciai, cercando disperatamente qualcosa da dire per spiegarle in fretta che non era successo niente.
Lei avvampò e distolse immediatamente lo sguardo, non abbastanza velocemente però da nascondermi le piccole lacrime che le erano salite agli occhi.
“Jenny” ci riprovai, con voce più dolce, accorciando le distanze e allungando una mano. Ma prima che potessi anche solo sfiorarla, lei si tirò indietro, lanciandomi un’occhiataccia.
“Ti ho detto di non toccarmi”
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli.
“Jenny, dannazione, è stato un caso. E’ solo una vecchia amica che ho incontrato e mi ha offerto un caffè, punto” le spiegai, affannandomi alla ricerca delle parole più convincenti che potessi trovare.
“Non me ne frega niente! Potevi semplicemente dirle di no, pensare a me e rifiutare quel cazzo di caffè!” urlò di nuovo. A quel punto non riuscii più a resistere, avevo anche un certo orgoglio.
“Pensare a te? Tu ci pensi mai a me quando te ne vai dal tuo Lucas?” replicai freddo.
Lei boccheggiò per qualche secondo, prima di arrossire, punta nel vivo.
“Non è il mio Lucas” precisò.
“Fa lo stesso. Tu puoi passare i tuoi preziosi pomeriggi con lui ed io non posso vedere una vecchia amica?” la incalzai, incatenandola con lo sguardo. Lei strinse le labbra.
“Harry, si da il caso che quella non è solo una tua vecchia amica” sibilò tra i denti.
Allora sapeva anche chi era.
Dannazione, sicuro gliel’aveva detto Lucas, non c’era altro modo in cui avrebbe potuto scoprirlo.
“Quelli sono dettagli” balbettai, facendo un gesto incurante con la mano, sentendomi una merda da solo per il mio comportamento. Lei arrossì.
“Sei proprio uno stronzo” sentenziò, facendo una smorfia, il labbro inferiore che cominciò a tremarle e gli occhi spalancati e incredibilmente lucidi.
Oh, la mia piccola…
Feci un passo avanti, dandomi mentalmente dell’idiota e cercando in qualche modo di recuperare.
“Jenny, scusa, mi dispiace. E’ stato un caso, non essere arrabbiata” la pregai, gemendo dalla frustrazione perché lei continuava imperterrita ad evitare i miei occhi.
“No, questa volta l’hai fatta grossa. Non mi interessa se è stato un caso. Lei ci stava provando con te, e tu non ti sei tirato indietro” soffiò, facendo un passo indietro, lontana da me. Sbruffai, alzando gli occhi al cielo.
“Oh, andiamo, non ci stava affatto provando…” provai a protestare.
“Non mi interessa! Hai chiuso, lasciami stare” mormorò, mentre ad occhi bassi mi superava per dirigersi verso la porta da cui, molto discretamente, Cher e Liam si erano tolti. Ma prima che potesse raggiungerla la bloccai di nuovo afferrandola per un braccio.
“Ho chiuso? Vuol dire che mi stai lasciando per una cazzata del genere?” chiesi sbalordito.
Lei sciolse la mia presa, lanciandomi un’occhiata di sottecchi.
“Non ti sto lasciando, pezzo di idiota. Come potrei farlo? Ma sono incazzata nera, ed è meglio per te se mi giri alla larga”
“Beh, se è per questo anche io sono incazzato con te!” sbottai, preso in contropiede dalla rabbia che risaliva a galla dentro di me, perché non riuscivamo a parlare, perché stavamo litigando per una cretinata, perché lei non mi guardava negli occhi.
“Con me?” schioccò la lingua.
“Si. Cosa significava quello spettacolino di poco fa con Lucas? Volevi farmela pagare?” la incalzai, con voce fredda, mentre lei arrossiva di nuovo.
“Lui è mio amico, e mi stava solo abbracciando”
“E’ la stessa identica cosa!” esclamai.
“No, invece!” urlò per tutta risposta.
“Si, invece!”
“Ragazzi, calmatevi. State dando spettacolo e rischiate di spaventare i vicini” intervenne Liam, affacciandosi alla porta con sguardo serio. Fulminai anche lui con un’occhiataccia.
“Che si fottano i vicini!” esclamai, alzando le braccia al cielo.
“Harry…” tentò di calmarmi lui, lanciandomi un’occhiata ammonitrice.
“Si, infatti. Che si fottano i vicini. Anzi, Harry, sai che ti dico? Fottiti anche tu” sibilò Jenny e, prima che potessi anche solo realizzare le sue parole che, appena arrivate al mio cuore lo fecero tremare, lei sparì dentro casa, salendo velocemente le scale e chiudendosi in camera sbattendo la porta.
Sotto lo sguardo di accusa di Liam mi passai nervosamente una mano tra i capelli, capendo che quella volta ero davvero nella merda, che avevo ferito sul serio Jenny, e che non sarebbe stato facile farmi perdonare.
“Cazzo” riassunsi tutti i miei pensieri in quell’esclamazione fatta sottovoce.
“Già. Evita di rimanere solo nella stessa stanza di Cher, se non vuoi morire senza palle” mi consigliò Liam, schioccando la lingua e mollandomi una pacca sulla spalla, spingendomi ad entrare in casa.
 






















I'm soooo sorry! D:
Lo so, sono in ritardo, ma questi giorni ho avuto un po' di problemi e non sono riuscita a pubblicare.
Però giuro che volevo farlo, ho il capitolo pronto da tipo una settimana!
E poi questa stronzetta di connessione fa come vuole, va e viene a suo piacimento e non so quanto tempo ancora mi rimane, quindi corro! .-.
Volevo dirvi solo una cosa, e scusatemi se vi sembrerò abbastanza stronza.
Ci sto rimanendo male. Lo so che ogni due per tre me ne esco con questo discorso, ma è così.
Il fatto è che io ci passo un sacco di tempo, mi spremo il cervello per scrivere, per cercare di essere puntuale. Lo faccio perchè mi piace, su questo non c'è dubbio, ma lo faccio anche per voi, perchè so che ci sono persone che tengono a questa storia ed io di conseguenza tengo a loro.
Solo che ho notato che state diminuendo a vista d'occhio e l'entusiasmo che c'era all'inizio sta scemando piuttosto velocemente.
Ecco, io non vorrei che questa ff venisse dimenticata e che nessuno se la cagasse più, perchè ci rimarrei veramente male.
Avrei bisogno di più segni di vita da parte vostra, tutto qui.
Ovviamente non siete obbligate, ed io non pretendo che mi lasciate milioni di recensioni, però ci tenevo a farvi sapere che come a voi fa piacere leggere, a me fa piacere sapere cosa ne pensate :)
La piaaaanto, si, che è meglio.
Torno in me, lo giuro, e cercherò di sotterrare la parte pesante di me che ogni tanto prende il sopravvento uù
Ragazze, devo farvi un annuncio: MI SONO INNAMORATA.
Aha (la risata alla Zayn **), scherzo (almeno spero), solo che il biondino...boh, ogni volta che lo vedo è sempre peggio.
Si può morire di crepacuore a sedici anni? No, perchè ogni volta che mi perdo in quegli occhioni azzurri ho il cuore che batte talmente forte che si sente anche a chilometri di distanza.
Devo darmi una regolata, vero?
Si, devo farlo uu
Okay, je vais, spero che il capitolo vi piaccia.
Non so, vi aspettavate una specie di scazzottata, vero?
Ma io sono un'anima buona, odio la violenza u.u
A parte quando è necessario usarla contro la mia migliore amica, lol.
Aha.
(non so, oggi mi è preso a scrivere così)
Vado, fatevi sentire!
CIAAAAO :)





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Capitolo 16
*** Capitolo sedici. ***


 Capitolo 16
 
 
Liam


“Questa volta l’ha combinata grossa” commentai, sedendomi sul divano accanto a Cher e guardando Harry che scendeva le scale mentre Jenny le saliva, senza rivolgergli un minimo cenno e nemmeno sguardo.
Lei annuì, le labbra tese e l’aria pensierosa. Sapevo che in quel momento era eccessivamente preoccupata, per sua sorella che erano due giorni che usciva dalla sua stanza solo per andare a scuola, per Harry che si era chiuso in un mutismo preoccupante e sembrava spiritato, e per me, perché ancora non le avevo detto cosa era successo con mio padre.
Il fatto era che non ne avevo avuto il tempo perché tutto quello che ero riuscito a fare appena tornato a casa dopo la nostra cena, era lasciarmi stringere tra le sue braccia per farmi tranquillizzare perché sembravo un pulcino in preda al terrore.
Ancora mi vergognavo terribilmente per essermi lasciato andare in quel modo, perché mai avrei pensato di farmi vedere così da una ragazza.
Ma Cher non era una ragazza, Cher era la mia salvatrice, l’ancora che mi teneva legato alla realtà e che mi faceva sentire sempre al posto giusto.
Poi, travolti dagli eventi, non eravamo più riusciti a parlarne, ed io la ringraziavo ogni volta mentalmente perché non cercava di riaprire il discorso, forse perché sentiva che ancora non ero pronto.
Il fatto era che non sapevo ancora esattamente come gestire questa cosa; mio padre stava per risposarsi e voleva che conoscessi la sua compagna, dopo mesi che non ci vedevamo, né sentivamo.
Dentro di me sapevo che sarei dovuto essere furioso con lui per come mi aveva trattato, ma la verità era che non ci riuscivo perché mi era mancato davvero, e perché, anche se non lo avrei mai ammesso, la curiosità di scoprire chi fosse questa fantomatica donna era abbastanza forte.
“Mi chiedo quando torneranno a parlarsi” bisbigliò Cher, seguendo con lo sguardo Harry che si trascinò fino alla porta di casa e uscì, senza mai alzare gli occhi da terra.
“Infatti. Sono due giorni che non si rivolgono la parola. Louis mi ha detto che Harry ha provato a parlarle, ma lei gli ha praticamente sbattuto la porta in faccia” la informai. Lei fece una smorfia e poggiò la testa sulla mia spalla.
“Non vuole parlare neanche con me, perché pensa che tutti siano pronti a difenderlo” mormorò. Sospirai e le carezzai i capelli con la mano.
“Invece io gli staccherei le palle solo perché la sta facendo soffrire” mi informò con voce leggermente sadica. Ridacchiai e lei alzò gli occhi su di me, sorridendo allegramente.
“Non sai ancora come sono andate le cose, non dare per scontato che sia solo sua la colpa” tentai di difendere il mio amico, che tutti reputavano lo stronzo di turno ma che io e i ragazzi sapevamo non fosse affatto così.
Harry aveva un cuore grande e buono, solo che era difficile entrarci dentro. Quando lo facevi, però, lui era capace di darti tutto il suo amore senza pretendere niente in cambio.
Cher per tutta risposta alzò gli occhi al cielo.
“E’ mia sorella, è ovvio che io dia ragione a lei, anche se fosse schifosamente in torto”
Aggrottai le sopracciglia e arricciai le labbra, scostandomi per guardarla meglio in viso.
“Beh, Harry è quasi un fratello per me, quindi è lo stesso da parte mia” replicai. Lei mi guardò alzando le sopracciglia e sciolse definitivamente il nostro abbraccio, un vago sorriso divertito che le aleggiava sulle labbra.
“Vorresti dire che ti schieri dalla parte di Harry?” chiese con voce fintamente oltraggiata. Alzai le spalle e le sorrisi di rimando.
“Ovvio”
Lei si morse il labbro per evitare di sorridere e incrociò le braccia al petto.
“Ti stai mettendo contro di me, signor Payne?”
“Affatto. Sto solo cercando di difendere il mio migliore amico, visto che tu lo accusi senza neanche sapere cosa è successo” replicai semplicemente, sorridendole. Lei fece una smorfia per mascherare un altro sorriso, ed evitò di guardarmi in faccia perché altrimenti saremmo scoppiati a ridere tutti e due.
“Okay, allora sappi che da questo momento, dato il fatto che apparteniamo a due fazioni diverse, non ci parleremo più” dichiarò, puntando i suoi occhi verdi nei miei, facendomi mio malgrado sussultare. La reazione al suo sguardo era sempre la stessa, che lo volessi o no.
“Come vuoi” accettai e, prima che lei potesse anche solo pensare a come replicare, la afferrai per la vita e la attirai a me, incollando le mie labbra sulle sue.
La sorpresa la immobilizzò, lasciandomi libero di trascinarla completamente su di me e carezzarle la schiena.
La sentii sorridere sulla mia bocca, poi però mi morse un labbro, fermando immediatamente il mio assalto. Mi tirai indietro e le lanciai un’occhiata curiosa mista all’irritato.
“Ahi”
“Cosa pensi di fare?” mi chiese lei maliziosa.
“Tu hai detto parlare. Non mi sembra aver sentito le parole ‘baciare o farsi le coccole’” mi imbronciai. Lei scoppiò a ridere e scivolò via da me.
“Era implicito nella frase”
“Beh, allora non mi sta bene” protestai, cercando di riafferrarla. Lei con un’altra risata sgusciò via e si alzò in piedi.
“Spiacente, hai già accettato” canticchiò, saltellando verso la porta e afferrando la sua giacca dall’attacca panni. Mi alzai anch’io e le corsi dietro, mentre lei si infilava la giacca.
“Perché rimango sempre fregato con te?”
“Perché sono troppo furba e non riesci a stare al mio passo” replicò, facendomi l’occhiolino.
“Quindi niente coccole e baci a tempo indeterminato?” chiesi conferma, scrutandola attentamente. Con mia grande soddisfazione vidi una piccola smorfia di insofferenza apparire sulle sue labbra, che lei però mascherò subito con un sorrisetto di sfida.
“Esatto”
“Bene. Sai che mi hai appena dichiarato guerra? Farò in modo che tu ceda al più presto” l’avvisai, incrociando le braccia al petto.
Lei si lasciò andare ad una risatina, per poi tornare seria all’istante e avvicinarsi lentamente a me, incatenandomi con lo sguardo. Arrivò ad un passo da me e si allungò per sfiorare la mia mascella con la punta del naso.
Un brivido forte mi risalì la schiena e le mie mani scattarono in avanti, ma prima che potessi afferrarle i fianchi come avrei voluto, vidi un sorrisetto soddisfatto apparire sulle sue labbra che mi fermò. Strinsi i pugni e trattenni il respiro, per evitare di sentire il suo odore che mi avrebbe solo confuso ulteriormente.
Lei respirò sul mio collo e depositò un casto e bollente bacio sulla mia gola, o forse ero io che mi sentivo andare a fuoco.
“E guerra sia…” soffiò, per poi staccarsi e scoccarmi uno splendido sorriso.
“Vado al lavoro!” annunciò urlando, probabilmente per chiarirmi che non lo stava dicendo a me, ma agli altri ragazzi.
“Ciao, Cher!” urlò di rimando Niall da un punto indefinito della casa, probabilmente la cucina.
“A stasera!” si aggiunse Zayn, dall’altra parte della casa.
Assottigliai lo sguardo, mentre lei mi sorrideva un’ultima volta prima di voltarsi ed uscire di casa.
Bene, mi aveva appena sfidato, avrei pensato ad un modo efficace per farla cedere ed ottenere la mia vittoria.
Non ero mai stato prima un ragazzo combattivo, pensavo sempre che l’importante era partecipare, ma con lei scoprivo ogni giorno qualcosa di nuovo e quel gioco che ci eravamo appena inventati scoprii mi piaceva più del dovuto.
L’avrei fatta cedere.
Oh, si che ci sarei riuscito.
 
 
 

Cher
 
Quel giorno, grazie al cielo, Danielle non era ancora arrivata in negozio e sperai che non lo facesse, dato il fatto che era così rilassante stare senza di lei.
Era pomeriggio, turno insolito per me, e Grace era impegnata a far provare una chitarra dopo l’altra ad un ragazzino esigente e terribilmente antipatico.
Probabilmente io al posto suo gli avrei sbattuto in testa già la quarta chitarra che aveva voluto provare, ma Grace aveva una pazienza insolita e andava avanti ad accontentare tutte le richieste di quel moccioso.
A volte avrei voluto essere come lei, ma poi pensavo che se fossi stata diversa da quello che ero, non sarei potuta piacere a Liam, quindi decidevo che andavo bene così com’ero, con i miei difetti e i miei pregi, anche se i primi superavano di gran lunga gli altri.
All’improvviso, mi ricordai della sfida che io e lui ci eravamo lanciati, e cominciai a pensare in che modo avrei potuto vincere, anche se farlo cedere era una delle cose che mi era sempre venuta meglio.
Anche se ancora non lo credevo possibile, avevo un certo potere su di lui dal lato fisico, lo vedevo da come i suoi occhi percorrevano il mio corpo ogni volta che ero nelle vicinanze, da come il respiro gli si facesse corto quando la distanza tra noi era minima e da come il suo corpo sprizzasse desiderio anche al minimo sfioramento tra di noi.
Con un sorrisetto soddisfatto decisi che avrei sfruttato queste mie conoscenze per vincere quella sorta di scommessa, preoccupandomi lievemente perché neanche io ero tanto indifferente a lui e perché sapevo che anche lui probabilmente ne era a conoscenza.
Il campanello alla porta tintinnò, riscuotendomi dai miei pensieri. Alzai gli occhi e fui piacevolmente sorpresa di scorgere una chioma rossiccia fare il suo ingresso seguita da due bambini, di si e no sei anni, praticamente uguali.
“Ciao, Cat!” salutai l’amica di mia sorella con un gran sorriso. Lei ricambiò al volo, sistemandosi la sciarpa sulla gola e tossicchiando.
Guardandola meglio notai che aveva le gote rosse e gli occhi un po’ lucidi.
“Tutto bene?” le chiesi preoccupata, mentre si avvicinava al bancone, seguita dai due bambini che saltellavano ridacchiando.
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Per niente, mi è a malapena passata la febbre ma sono stata costretta ad uscire” spiegò, starnutendo. Le sorrisi dispiaciuta e lei scrollò le spalle.
Guardai Grace, che mi lanciò uno sguardo interrogativo, allora assunsi la mia aria professionale.
“Come posso aiutarti?” le chiesi stampandomi un sorriso di cortesia in faccia, ma molto più sincero di quello usato solitamente con gli altri clienti.
“Oh, grazie a Dio ci sei tu. Ti prego, dimmi che hai taaanta pazienza”
Arricciai le labbra, mentre lei praticamente mi implorava con lo sguardo.
“Forse”
Lei sospirò.
“La loro maestra ha avuto la bellissima idea di fargli scegliere uno strumento da suonare ed io non so dove mettermi le mani” mi informò, indicandomi i due bambini uguali come due gocce d’acqua che mi guardavano curiosi e in religioso silenzio.
Sorrisi, intenerita dai loro musetti innocenti, sentendomi vagamente in soggezione per quegli occhioni azzurri che mi fissavano insistenti.
“Okay, vediamo cosa possiamo fare” sussurrai, facendo il giro del bancone e chinandomi davanti a loro.
Sentii Cat sospirare di sollievo, mentre spettinava affettuosamente i capelli di uno dei due fratelli.
“Allora, cosa vi piacerebbe suonare, piccoli?” chiesi loro con voce dolce. Fratello Numero Uno mi sorrise raggiante e mi indicò immediatamente la chitarra che aveva tra le braccia il ragazzino che stava esaurendo Grace.
Sbiancai e ridacchiai nervosamente, pensando che avrei fatto qualsiasi cosa per quei due angioletti, tranne che provare a disturbare quel ragazzino che solo a guardarlo mi urtava i nervi.
“Ehm, perché non provi a guardare qualcosa di più carino?” lo incalzai, trascinandolo davanti allo scaffale delle percussioni.
“Quelle, quelle!” urlò Fratello Numero Due, indicandomi due sgargianti maracas rosse. Cat ridacchiò davanti all’entusiasmo del suo fratellino ed io sorrisi, allungandomi per prenderle. Il bambino saltellava e batteva le mani impaziente e, quando gli consegnai le sue nuove maracas lanciò un urletto di gioia.
Ridacchiai, cogliendo l’occhiata quasi rassegnata di Cat, mentre Fratello Numero Uno lo guardava imbronciato. Mi chinai accanto a lui e gli sorrisi, mentre lui fulminava con gli occhi il suo fratellino che saltellava di gioia e sembrava non riuscire a stare fermo neanche mezzo secondo.
“Dai, piccolo, scegline uno anche tu” sussurrai. Lui mi lanciò un’occhiata dispiaciuta e mise il broncio.
“Ma quelle sono così belle” mugugnò. Cat alzò gli occhi al cielo, probabilmente pronta ad un loro litigio, ma io corrugai le sopracciglia e attirai di nuovo l’attenzione di Fratello Numero Uno.
“Scegline un altro, ce ne sono tanti più belli” mormorai incoraggiante. Lui sembrò pensarci su, guardando attentamente tutti gli altri strumenti.
“Guarda questo, fa un suono bellissimo” gli dissi, porgendogli un triangolo e facendolo tintinnare. Vidi i suoi grandi occhi azzurri brillare e un piccolo sorriso affiorare sulle sue labbra.
“Ti piace?”
Fratello Numero Uno annuì arrossendo e allungò le manine, pronto ad afferrare il suo nuovo strumento.
Con una risatina lo lasciai fare e mi tirai su, dirigendomi di nuovo al bancone con loro al mio seguito.
Cat mi lanciò un’occhiata piena di gratitudine.
“Non ci credo che sei riuscita ad accontentarli in dieci minuti senza che si scannassero. Ti farei una statua, credimi” mi disse, mentre tirava fuori il portafoglio dalla borsa.
Scoppiai a ridere mentre i bambini canticchiavano e si sfidavano a chi suonava meglio.
“Figurati, sono adorabili”
“Lo dici perché non li conosci abbastanza, credimi” affermò. Mi strinsi nelle spalle e le sorrisi.
“Come sta Jenny?” mi chiese improvvisamente lei, lo sguardo serio e leggermente preoccupato. Mi rabbuiai all’istante, la preoccupazione che mi chiuse lo stomaco.
“Tu sai cosa è successo?”
Scosse la testa, stringendo le labbra.
“Non mi ha detto niente, solo che c’è qualche incomprensione tra loro e che lui ha il cervello bacato, testuali parole” mi informò “Penso che a lei ha dato fastidio qualcosa che ha fatto lui e che lui non riesce a capirlo” continuò poi. Annuii sospirando.
“Almeno questo è quello che sono riuscita a tirare fuori a Lucas”
“Lucas?” chiesi sbalordita, lei annuì.
“Già. A quanto pare con lui si è confidata, ma con me sembra non averne intenzione” mormorò con voce flebile, abbassando lo sguardo risentita.
“Ehi, non prendertela. Sono sicura che non ha voluto dirtelo perché non ce n’è stata occasione. Insomma, la scuola non è un luogo adatto per fare discorsi delicati” tentai di rassicurarla, cercando di non sentirmi offesa anch’io del fatto che Jenny si fosse confessata con uno che conosceva da meno di un anno invece che con me o, se tanto le faceva schifo parlare con me, almeno con la sua migliore amica.
“Già” mormorò per niente convinta.
“Perché non fai un salto da lei? E’ a casa, non esce praticamente più. Magari riuscirai a capire cosa sta succedendo” le suggerii. Lei mi guardò, di nuovo sorridendo.
“Si, potrei passare…” rifletté, per poi rabbuiarsi guardando i fratellini che continuavano a suonare, “Ma come faccio? Ho queste due piccole pesti da tenere d’occhio”
Mi strinsi nelle spalle.
“A casa ci sono anche i ragazzi…” a quelle parole le brillarono gli occhi, “Possono pensarci loro, mentre tu parli con Jenny”
“Non gli dispiacerà?” chiese titubante.
“Nah, Niall adora i bambini, saprà tenerli occupati” le assicurai, ma vidi dai suoi occhi e dal suo sorriso emozionato che si era persa in un altro mondo. Quando sembrò tornare in se, prese per mano i bambini e schizzò verso la porta.
“Allora vado. Grazie davvero, Cher!” urlò, prima di scomparire e chiudersi la porta alle spalle.
Ridacchiai, mentre una stremata Grace mi raggiungeva al bancone guardando il suo piccolo inferno che usciva dal negozio soddisfatto, con la sua chitarra in mano, la prima che aveva provato.
Quasi mi innervosii per lei.
“Penso proprio che il prossimo ragazzino capriccioso lo lascerò a te” soffiò, lasciandosi andare sullo sgabello accanto al mio.
Ridacchiai.
“Non so quanto ti conviene” mormorai, rimediando un suo sorriso divertito e stanco.
 
 
Quando arrivai davanti casa, dopo una lunga camminata nell’aria fresca di Londra, per poco non mi prese un infarto quando una figura raggomitolata sulle scale spuntò tra la nebbia.
“Dio, Harry!” urlai riconoscendolo, posandomi una mano sul cuore che batteva all’impazzata.
Lui alzò a malapena lo sguardo su di me e mi sentii stringere il cuore quando vidi i suoi occhi verdi completamente vuoti, la sua espressione fredda, priva della sua solita vitalità.
Anche se in quel momento ce l’avevo con lui perché aveva fatto arrabbiare e piangere mia sorella, era impossibile non dispiacersi anche per lui, perché era evidente che soffrisse almeno quanto lei. Con un sospiro mi avvicinai e mi lasciai cadere sulle scale accanto a lui, decisa ad ascoltarlo almeno prima di aggredirlo.
Lui, in silenzio, si rigirava freneticamente qualcosa tra le mani.
Aguzzai lo sguardo e sbarrai gli occhi, quando vidi che l’oggetto misterioso era una sigaretta.
“Da quando fumi?” chiesi, attirando la sua attenzione. Lui puntò gli occhi verdi su di me e l’angolo delle sue labbra di sollevò in una specie di sorriso. Era orribile vederlo in quello stato; lui che aveva perennemente stampato in faccia un sorrisetto malizioso e sempre la battuta pronta per farti fare una bella risata.
Anche se a volte non lo sopportavo per le sue uscite da strafottente, mi dispiaceva vederlo così giù di morale.
“E’ di Zayn. L’ho rubata dal suo pacchetto” spiegò, mostrandomela. Lo colpii con la spalla e lui alzò di nuovo gli occhi su di me.
“E cosa intendi farci?”
“Non so. Avevo in mente di fumarla, per scaricare la tensione. Ma ho paura di morire soffocato” replicò aggrottando le sopracciglia. Scoppiai a ridere e vidi un sorriso confuso spuntare sulle sue labbra.
“Non si muore soffocati per una sigaretta, Harry”
Lui si strinse nelle spalle, tornando alla sua aria cupa e pensierosa.
“Cosa succede?” mormorai a bassa voce, non sopportando più tutti quei segreti, impaziente di sapere qual’era il motivo di tanta tensione tra di loro e sperando di poterli aiutare in qualche modo. Sentii il suo respiro farsi più pesante e chiuse gli occhi, l’aria afflitta.
“Sembra tutto così complicato” soffiò tra i denti.
“Con Jenny?”
Lui annuì debolmente e riaprì gli occhi puntandoli nei miei. Sospirai, stringendo le mani, decisa ad ascoltarlo fino in fondo, prima di cominciare a difendere a spada tratta mia sorella.
“Cosa c’è che non va?”
“Non lo so, sembra che non riusciamo più a capirci. Abbiamo litigato per un’idiozia ed io…io sono incredibilmente geloso di lei e non riesco a vederla con qualche altro ragazzo che non sia io” sbottò frustrato.
“Perché si è arrabbiata, cosa le hai fatto?” gli chiesi, cercando di reprimere la nota d’accusa nella mia voce. I suoi occhi schizzarono ai miei, colpevoli.
“Mi ha visto mentre prendevo un caffè con la mia ex” sputò fuori di getto. Sbarrai gli occhi, strabiliata.
“Beh, allora capisco perché è tanto arrabbiata. Ti ha beccato con lei, cosa pretendi?” chiesi sarcastica, schioccando la lingua schifata. I suoi occhi schizzarono ai miei, di nuovo.
Beccato? L’ho incontrata dopo le prove e mi ha invitato a prendere un caffè. Erano due anni che non ci vedevamo” esclamò, gli occhi spalancati, sinceri. Mi strinsi nelle spalle, troppo arrabbiata con lui per assecondare la sua giustificazione.
“E allora perché invece di urlarle contro, non hai provato a spiegarle quello che hai appena detto a me?” chiesi con voce dura. Lui sbruffò, lanciandomi un’occhiataccia.
“Sembra facile! La conosci meglio di me, sai quanto può essere testarda”
Mio malgrado, dovetti dargli ragione: mia sorella era una testa dura e quando si arrabbiava era quasi impossibile farla ragionare.
Sbruffai, lanciandogli un’occhiata di sottecchi.
“Okay,hai ragione. Ma non ci credo che avete litigato solo per questo, non siete così stupidi da non parlarvi per così tanto per un’idiozia del genere” affermai. Lui distolse di nuovo lo sguardo e sospirò tristemente.
“Le ho urlato contro perché si stava abbracciando con Lucas, e lei mi ha detto che può trattare i suoi amici come vuole. Okay, può farlo, ma almeno non davanti a me. Non con lui!” sbottò, passandosi freneticamente una mano tra i ricci.
Sospirai di nuovo.
“L’ha fatto per farti ingelosire, è evidente”
“Lo so! Ma a mente calda è un po’ difficile ragionare. Non sopporto di vederla tra le braccia di altri ragazzi, lei è mia” affermò con voce rabbiosa. Sorrisi sotto i baffi, compiaciuta che mia sorella potesse fare questo effetto ai ragazzi e felice che Harry ci tenesse così tanto a lei.
“Forse se provi a chiederle scusa…”
“Cosa? No! Non è solo colpa mia se adesso non ci parliamo, ha anche lei la sua parte di responsabilità” affermò imbronciandosi.
Ecco, parlare con Harry era come cercare di far ragionare un bambino dell’asilo. Probabilmente avrebbero capito meglio i due fratellini di Cat.
Sospirai, ma comunque non riuscii a proferire parola, perché Zayn uscì di casa, interrompendoci.
Quando vide la sigaretta tra le mani di Harry lo fulminò con lo sguardo.
“Eccola, l’ultima sigaretta del pacchetto. L’avevo detto a Louis che era impossibile se la fosse fumata uno di quei due demoni, anche se sono capaci di tutto” borbottò, strappandogliela di mano e sedendosi accanto a noi.
Gli lanciai uno sguardo interrogativo non capendo, mentre Harry sogghignava sotto i baffi.
Zayn mi lanciò un’occhiataccia.
“So che sei stata tu a dire a Cat di venire qui. Ti odio. E penso che da oggi in poi odierò tutti i bambini del mondo” affermò. Scoppiai a ridere, mentre dalla casa provenivano le urla di Fratello numero uno e due, mischiate a quelle dei ragazzi.











 
 

 
BONSOIR, MADEMOISELLES! :)
Come state?
Allora, per prima cosa vorrei ringraziare tutte le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e vorrei scusarmi con loro per non essere riuscita a rispondere, ma giuro che le ho lette tutte, e ad ognuna mi sono messa a piangere, perchè siete state tutte dolcissime e mi avete fatto capire quanto ci tenete a questa storia.
Per me è stato importante, davvero :')
Poi vorrei scusarmi per essere stata così dura nel chiedervi recensioni, ma mi ero un po' scoraggiata vedendo che alcune ff che, a mio parere che magari può contare meno di niente, non meritano, ricevono molte recensioni più di me.
Con questo non voglio dire di essere migliore di qualcun'altro, assolutamente non è nel mio essere pensare questo, perchè io sono una persona molto insicura e penso sempre di non essere abbastanza.
Però ci sono rimasta male, e sono consapevole che forse non avrei dovuto pretendere recensioni in quel modo, quindi vi chiedo infinitamente scusa *prega che la perdionate*
Ora, credo che me ne andrò a mangiare, non sono dell'umore per essere pazza come mio solito, perchè ho appena rischiato un omicidio di una mia compagna di squadra, che per poco non si è trovata spalmata sul muro dal mio pugno (come avrebbe dovuto fare Harry con Lucas, lol).
Lo so che ho detto di non essere violenta, ma questa volta ha talmente esagerato che rischiavo di perdere il controllo.
Ma non voglio stressarvi con i miei problemi, quindi sloggio.
Spero che il capitolo vi piaccia, e che se recensirete è perchè sentite di farlo, non perchè ve l'ho chiesto io :)
Ah, volevo dirvi che probabilmente queste due settimane gli aggiornamenti rallenteranno, perchè i professori si sono resi conto tutti insieme che tra poco ci saranno i pagellini, qunidi ci hanno riempiti di compiti in classe e interrogazioni.
Spero comunque di riuscire ad aggiornare almeno una volta a settimana.
Tanto amore, più di sempre.
Sara.





 

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette. ***


 Here I am!
Vi lascio un salutino veloce che devo correre ad aiutare mamma a fare la pizza! :)
Yes, sono riuscita a convincerla quindi ora mi dedico tutta a lei ^^
Voglio ringraziare infinitamente tutte quelle che hanno recensito,
e scusarmi per non essere riuscita a rispondere, ma tra compito di matematica,
filosofia e interrogazione di inglese ho rischiato di impazzire!
E la prossima settimana sarà anche peggio,
ve lo dico tanto per non farvi preoccupare se svanisco nel nulla uu
Ora vi lascio.
Hope u like it!
Ah, forse ho sforato un po' con il rating,
che sfiora l'ariancione, ma niente di che ;)
Tanto amore.
Sara.


 


Capitolo 17

 


Jenny

 


 


Qualcuno bussò alla porta, ed io sprofondai la testa sotto il cuscino, alzando il volume del mio Ipod, perché non volevo parlare con nessuno, anche se sapevo che chi si aspettava una risposta da me in quel momento non avrebbe letto tra le righe i miei desideri.
Infatti, bussò di nuovo.
Chiusi gli occhi, sperando ardentemente che non fosse Harry che riprovava a parlarmi perché, anche se sapevo che la mia era una reazione spropositata e che tenergli il muso non avrebbe portato niente di buono, per il mio dannato orgoglio avevo deciso di portare avanti questa facciata.
Solo che sapevo che se lui si fosse ripresentato alla mia porta con quella sua aria abbattuta non avrei resistito; mi mancava troppo.
Mi mancavano i suoi abbracci, i suoi baci, i suoi occhi verdi in cui mi perdevo, i suoi sorrisi che da dolci riuscivano a diventare maliziosi e provocanti nel giro di mezzo secondo.
Erano passati solo due giorni e già sguazzavo nella depressione, mi odiavo da sola.
All’ennesima bussata, scattai in piedi, lanciando ai  piedi del letto l’Ipod e urlai un “Avanti” che lasciava intendere quanta voglia di vedere qualcuno avessi.
La testa di Cat fece capolino, e lei mi lanciò un timido sorriso.
“Ehi”
Nonostante avessi appena affermato che in quel momento non avessi voglia di vedere nessuno, appena incrociai il suo sguardo cristallino e preoccupato, scattai verso di lei buttandomi tra le sue braccia.
Lei capì le mie intenzioni all’istante, entrando in camera e accogliendomi nel suo caldo abbraccio.
“Cosa succede, tesoro?” mi chiese con voce preoccupata, spingendomi delicatamente verso il letto e facendomi sedere accanto a lei. Mi carezzò i capelli, mentre io la guardavo sofferente, cercando di calmare il piccolo attacco di panico che mi aveva preso.
“Con me puoi parlare, lo sai” bisbigliò, usando le stesse parole che usavo io quando capivo che c’era qualcosa che non andava e che aveva paura di raccontarmi. Sospirai e distolsi lo sguardo, arrendendomi all’istante.
Potevo fidarmi di lei, e soprattutto avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno che, magari, poi mi avrebbe dato un consiglio su come comportarmi.
“Ho litigato con Harry”
“Lo so, tesoro. E siamo tutti preoccupati per questo” replicò, continuando a lisciarmi i capelli. Sospirai, incrociando il suo sguardo preoccupato, e lei mi sorrise dolcemente.
“Cosa è successo?” ripeté, esortandomi a rispondere con lo sguardo.
“L’ho visto con la sua ex” mormorai a voce bassissima, mentre la solita fitta al solo pensiero mi colpiva lo stomaco.
“Oh”

“Si, e lei gli ha carezzato la guancia, e poi l’ha baciato” mi affrettai ad aggiungere, rendendomi conto che magari solo la prima frase non poteva giustificare la litigata e il fatto che dopo due giorni ancora non ci rivolgevamo la parola.
Pensandoci bene, comunque, il mio atteggiamento non era giustificano ugualmente: io mi fidavo di lui, ma mi aveva dato fastidio comunque il fatto che era con lei e che non aveva fatto niente per respingerla.
In più, aveva accusato me per essere andata, a prendere ripetizioni, da Lucas.
Assurdo.
E magari pretendeva anche le mie scuse per la mia sfuriata.
Beh, poteva anche sognarsele.
Cat arricciò le labbra, pensandoci su, senza distogliere per un attimo lo sguardo dal mio.
“Hai provato a parlarci e a chiedergli spiegazioni?”
“Certo che no! A cosa mi servono le spiegazioni, è tutto evidente!”
“Jenny…”
“No, non cominciare anche tu. Io…io mi sono sentita tradita, ok? Si, solo perché stava bevendo un cazzo di caffè con quella mi sono sentita tradita. E lo so che c’è molto di peggio, ma io sono fatta così” sbottai, dando sfogo finalmente a tutta la rabbia che avevo cercato di domare negli ultimi due giorni.
Cat sospirò di nuovo, ammorbidendo lo sguardo e tentando di calmarmi.
“Okay, ti sei sentita tradita. Ma non pensi che comunque ci sia bisogno di un chiarimento tra voi?”
“Mi ha anche accusata di fregarmene di lui quando vado da Lucas. Assurdo! Io vado lì per le ripetizioni, non per spassarmela con il mio ex!” continuai imperterrita, senza minimamente ascoltare la ragionevole Cat.
Non avevo voglia di riflettere, volevo solo continuare ad essere arrabbiata, come se fosse l’ultima cosa che mi era rimasta, perché senza Harry non ero proprio niente, e non potevo permettermi di dipendere così completamente da una persona quando questa si comportava da stronza.
“Calmati adesso, fiorellino” disse Cat, lanciandomi uno sguardo di ammonimento.
“Non riesco a capire cosa hai bisogno di sentirti dire in questo momento, ma, a quanto vedo, non qualcosa di ragionevole, vero?” chiese con un sorrisetto, leggendomi i pensieri.
Sbruffai.
“No, hai ragione. Forse dovrei parlarci, ma…lui non capisce. E’ questo che mi da fastidio: non capisce quanto possa darmi fastidio quello che ha fatto. Continuava a dire che era stato solo un caso e che lei non ci stava provando…”
“Perché magari è veramente così”
“Fa lo stesso! Ha visto che ero arrabbiata, perché invece di negare non ha pensato a fare subito pace con me? E poi, per rincarare la dose, ha dato la colpa a me, perché ero da Lucas” esclamai, interrompendola.
“Lascia un attimo da parte la storia di Lucas, sappiamo entrambe che gli ha sempre dato fastidio e che non ha mai fatto niente per nascondertelo” cominciò, riflettendo, “Ma ora è un altro il problema: non vi parlate da due giorni, Jen” mi ricordò. A quelle parole, mi rabbuiai, incrociando le braccia al petto per cercare di alleviare il vuoto che sentivo al posto del cuore.
“Lo so”
“E quanto pensi di andare avanti a tenergli il muso?” mi chiese con dolcezza, dandomi un buffetto sulla guancia. Alzai gli occhi su di lei, imbronciandomi.
“Non lo so. Ma mi sembra inutile fare pace con lui se non riesce neanche a capire perché sono arrabbiata” mugugnai, cocciuta.
Lei sbruffò, alzando gli occhi al cielo.
“Okay, allora se è questo il problema, sai che non mi piace impicciarmi e che di solito questi giochetti mi disgustano, ma… a questo punto credo che l’unico modo per farglielo capire è ripagarlo con la stessa moneta” sbottò, lievemente esasperata.
 “Cioè?”
“Lui non capisce cosa possa aver significato per te vederlo con un’altra? Fa glielo capire facendo lo stesso. Esci con Lucas” disse semplicemente, stringendosi nelle spalle con sguardo tranquillo.
“Cosa?” strillai, rimanendo a bocca aperta, strabiliata. Lei si strinse nuovamente nelle spalle.
“Lo so, è abbastanza azzardata come cosa, ma tu sei talmente cocciuta che sono sicura non gli rivolgerai più la parola finché non verrà da te strisciando, implorandoti di perdonarlo per aver sbagliato”
“Ma…perché con Lucas?” balbettai. Lei alzò gli occhi al cielo.
“Andiamo, lo sappiamo tutti che gli piaci”
“Siamo solo amici” la interruppi automaticamente, lei schioccò la lingua, spazientita.
“Forse per te, tesoro. Ma ti assicuro che lui farebbe carte false per cambiare la situazione” affermò facendomi l’occhiolino.
“Io…io…”
“Ehi, non ti ho mica detto che devi farlo per forza. Per me la cosa migliore sarebbe scendere ora quelle scale ed andare a parlare con Harry. Ma so che non lo faresti neanche sotto tortura, quindi…”
“Quindi pensi che se io faccio la stessa cosa che ha fatto Harry, lui capirà perché mi sono infuriata?” riflettei, cominciando a vedere quell’assurdo piano dalla prospettiva giusta.
L’unica cosa che stonava era che probabilmente Harry si sarebbe arrabbiato ancora di più e che questa volta mi sarei davvero comportata da stronza. E poi avrei usato Lucas senza ritegno, ma, pensandoci, anche lui lo stava facendo con me, per aumentare il suo voto di latino, questo me l’aveva ripetuto fino alla nausea, quindi avevo la scusa buona.
Magari se avessi informato Lucas di questo assurdo piano i miei sensi di colpa sarebbero stati più leggeri, anche se questo non era assolutamente un atteggiamento maturo e tipico di me.
Ci pensai su per qualche minuto, mentre Cat mi guardava, il silenzio rotto solo dai rumori e gli strilli provenienti dal piano di sotto.
Quando sentii l’urlo esasperato di Zayn, che non perdeva mai la pazienza, mi preoccupai.
“Cosa succede?” mormorai. Cat sbruffò, alzandosi.
“Ci sono Matty e Dustin di sotto, devo fare la babysitter tutto il giorno, oggi” mormorò abbattuta. Le sorrisi.
“I tuoi fratellini sono adorabili”
“Si, certo. Forse quando dormono” replicò sarcastica. Poi si chinò e mi scoccò un bacio sulla guancia, lisciandomi i capelli.
“Cerca di tirarti un po’ su, eh”
“Stai andando via?” le chiesi, alzandomi anch’io, cercando una qualsiasi scusa banale per tenerla lì con me, perché avevo bisogno di lei, dopo due giorni che non parlavo praticamente con nessuno.
“Non vorrei che i mostriciattoli uccidessero qualcuno dei ragazzi”
“No, resta ancora un po’, per favore”
Lei sembrò toccata dalla mia voce implorante, perché sorrise e annuì.
“Almeno scendiamo, quando ci sono io sono più calmi e disciplinati”
“C’è Harry di sotto?” chiesi con voce flebile, sperando in una risposta positiva, perché volevo anche solo vederlo, ma anche in una negativa, perché sentire il suono della sua voce non rivolto a me mi avrebbe uccisa ancora.
“Era fuori quando sono arrivata io” mi disse, stringendosi nelle spalle. Sospirai, distogliendo lo sguardo, la solita fitta che mi colpì lo stomaco.
“Ascolta, fiorellino” mi disse lei, carezzandomi dolcemente la testa. La guardai e lei mi sorrise.
“Non puoi continuare ad evitarlo, abitate nella stessa casa. Non vuoi parlarci? Okay, non sei obbligata a farlo. Ma non comportarti da bambina, scendi con me” mi disse, prendendomi la mano e trascinandomi verso la porta della camera.
Non protestai, e scesi le scale con lei, perché sapevo aveva ragione e che comportandomi da bambina non avrei fatto altro che dimostrare quello che lui aveva sempre affermato: che ero troppo piccola e debole.
Non potevo dargli quella soddisfazione così, a testa alta e petto infuori, neanche fossi un soldato che stava andando in guerra, raggiunsi i ragazzi in salotto, che si zittirono all’unisono, sorpresi di rivedermi nel mondo dei vivi.
Quando poi rientrò anche Harry e i miei occhi volarono a lui, capii che mi ero lasciata convincere da Cat solo perché avevo un disperato bisogno di vederlo. Lui si immobilizzò, sorpreso quanto gli altri, e puntò gli occhi su di me.
Codarda, ero solo una schifosa codarda, perché abbassai di scatto i miei, togliendogli la vista di quei pozzi verdi che mi mancavano come l’aria.
 
 


Cher
 
 

“Dio, sono stremato” affermò Liam, buttandosi di peso sul letto, affondando la testa nel cuscino.
In silenzio, lo raggiunsi appollaiandomi accanto a lui.
Cat era andata via da una decina di minuti, portandosi dietro i due demoni che ci avevano reso un inferno la serata. Si era scusata almeno un centinaio di volte, ma non era colpa sua, piuttosto del diavolo che aveva posseduto quei due bambini dal visetto d’angelo.
Mai nella mia vita avevo dato un giudizio a prima vista più sbagliato.
Si erano rincorsi per tutta la casa per tutto il tempo, a poco erano serviti i quindici minuti di pausa che era riuscito a darci Niall, intrattenendoli con la sua chitarra, e i due scarsi in cui Zayn aveva provato ad insegnare a Dustin a suonare il triangolo: quei due erano implacabili, e si stancavano all’istante di ogni nuovo gioco proposto.
Quando finalmente se ne erano andati, la casa sembrava ancora rimbombare delle loro urla scatenate.
Sospirai stanca, poggiando la testa sul mio cuscino e chiudendo gli occhi.
Sentii Liam muoversi, voltando la testa verso di me e afferrandomi la mano che era poggiata passivamente sul mio stomaco.
Giocò con le mie dita e aspettò che lo guardassi, per sorridermi dolcemente.
“Siamo ancora in sfida, noi due?” bisbigliò, guardandomi intensamente negli occhi e accennando a tutto il tempo passato insieme in cui mi ero categoricamente vietata di dirgli mezza parola, mettendo in atto la sfida fatta qualche ora prima.
Lui, da parte sua, aveva tentato a farmi cedere, ma non c’era stato verso. Abbozzai un sorriso, stringendomi lievemente nelle spalle, mentre lui si tirava su, poggiandosi su un gomito per guardarmi meglio.
“Forse…” mormorai con un filo di voce, lanciandogli un’occhiata di sottecchi. Il suo sorriso si allargò e un lampo di malizia gli brillò negli occhi.
“Ho parlato con il nemico” confessai poi arricciando le labbra. Lui parve sorpreso e abbandonò all’istante la sua aria giocosa.
“Con Harry?”
“Si, quindi ho infranto il patto” mi strinsi nuovamente nelle spalle, guardandolo innocentemente.
“Molto bene” annuì con un sorriso soddisfatto, per poi chinarsi su di me, facendo per baciarmi. Misi una mano sulla sua bocca appena prima che quest’ultima sfiorasse la mia. Lui corrugò le sopracciglia, facendo una smorfia contrariato.
“No, invece. E’ un peccato, perché avevo trovato il modo di farti perdere la sfida” mi lamentai, stringendo le labbra per trattenere un sorriso. Lui alzò gli occhi al cielo, senza spostarsi di mezzo millimetro, respirando sulle mie labbra semichiuse.
“Ah, si?” soffiò, assottigliando gli occhi. Annuii sorridendo.
“Mh, mh”
“Allora facciamo finta che non sia successo niente. Siamo ancora in guerra, soldato” annunciò con un sorriso malizioso, chinandosi ancora di più su di me. Con espressione neutra, rotolai di lato, sottraendomi alla sua presa, per poi ribaltare la situazione e mettermi cavalcioni su di lui, bloccandogli le braccia lungo i fianchi.
“Sicuro?” chiesi conferma, perché avevo intenzione di torturarlo fino a farlo implorare una tregua.
“Sicuro”
“Lo hai voluto tu” mormorai con un sorrisetto, chinandomi su di lui e sfiorando il suo viso con la punta del naso. Tracciai i contorni della sua mascella forte, del collo, la gola, lasciandogli un bacio proprio sotto il pomo d’Adamo.
Lui si irrigidì e contrasse le braccia, ancora bloccate dalle mie mani.
Con studiata lentezza mollai la presa, percorrendo le sue braccia con le dita, leggera, provocandogli la pelle d’oca, ruvida al contatto con la mia pelle surriscaldata.
Avevo deciso di torturarlo facendolo impazzire, ma non avevo considerato il fatto che avrei potuto cedere io prima di lui, perché solo il suo odore dolce mi dava alla testa.
Tentai di ignorarlo, tirando su la testa per guardarlo negli occhi mentre le mie dita facevano lo stesso percorso del mio naso, sfiorando tutti i tratti del suo viso, le palpebre chiuse che tremolarono sotto il mio tocco, il naso, gli zigomi…le labbra.
Lui sussultò, dischiudendo la bocca e baciandomi il polpastrello, mentre le sue mani scattavano a stringermi i fianchi, arpionando la pelle sotto la maglietta. Mi scappò un sorrisetto soddisfatto, mentre lui riapriva gli occhi, lucidi e pieni di desiderio.
Mi mossi, strusciando contro di lui, facendolo tremare e aumentando il desiderio che gli leggevo nello sguardo.
“Sei sleale” boccheggiò, senza fiato, stringendo la sua presa. Ridacchiai, chinandomi per stampargli un bacio veloce all’angolo della bocca.
“Non abbiamo fissato nessuna regola, mi sembra”. Lui respirò tra i denti, mentre io scendevo a baciargli il collo e a mordicchiargli il lobo dell’orecchio. Lui si mosse sotto di me, inquieto e agitato, apparentemente entusiasta di quella situazione.
“Sei fortunata che sono un gentiluomo, perché non puoi neanche immaginare cosa potrei farti adesso” sibilò, la voce spezzata, richiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Sogghignai, soddisfatta di fargli quell’effetto.
“Non è la gentilezza che voglio da te in questo momento” sussurrai, baciandogli le labbra per poi ritrarmi subito, mentre lui si tendeva verso di me insoddisfatto da quel lieve contatto.
“Non tentarmi, Cher”
“E’ proprio quello che ho intenzione di fare” bisbigliai, baciandolo di nuovo. Lo sentii trattenere il respiro, mentre le mie mani scendevano sul suo petto fino all’orlo della maglia, preoccupandosi subito di sfilarla.
Lui assecondò i miei movimenti, alzando le braccia sopra la testa per aiutarmi e, una volta libero di quell’inutile indumento, tornò a stringermi i fianchi e ribaltò la situazione, incastrandomi sotto di lui.
Il suo petto si alzava e abbassava ritmicamente, più veloce del normale, mentre le sua bocca assaliva la mia. Sorrisi sulle sue labbra e prima che approfondisse il bacio lo spinsi via, tornando alla posizione di poco prima.
“Cosa credi di fare? Sono io che comando qui” gli ricordai, infilando le dita tra i suoi capelli che cominciavano a ricrescere e facendolo sorridere, alzando le mani a mo’ di resa.
“Come vuoi” si arrese subito, curioso di vedere quale fosse stata la mia prossima mossa. Sorrisi e lo baciai, per poi ricominciare a scendere come poco prima, riprendendo da dove ero stata interrotta.
Questa volta, però, lui non mi fermò, permettendomi di scendere fino al suo petto, mentre con le mani tracciavo il profilo dei suoi fianchi, disegnando piccolo cerchi con le dita sulla sua pelle morbida e calda, facendolo sussultare di tanto in tanto.
Quando le mie dita arrivarono timide e fintamente esitanti sulla sua pancia, sfiorando il bordo dei suoi jeans, sembrò non resistere più e ribaltò di nuovo la situazione, incollando le labbra alle mie e approfondendo il bacio con passione, desiderio, bisogno.
 Lo lasciai fare, stringendogli le gambe intorno alla vita e arpionandogli la schiena con le mani per avvicinarlo ancora di più a me. Lui grugnì qualcosa e si sbarazzò in un nano secondo della mia maglia, che finì in un posto indefinito della camera insieme alla sua, e dedicandosi con fretta alla cinta dei miei pantaloni, praticamente litigandoci, mentre io non potevo fare a meno di ridere, anche se mi sentivo andare completamente a fuoco.
Sapevo che saremmo andati a finire a questo punto, e sapevo anche che se non l’avessi fermato nel giro di due minuti avrei ceduto anch’io mandando all’aria tutto il mio piano.
Liberatosi dei miei, passò a slacciare anche i suoi pantaloni, ma io lo fermai, posando una mano sopra la sua e sorprendendolo.
Pensando che volessi farlo io, lasciò stare il bottone appena slacciato e tornò a baciarmi, infilando le mani tra i miei capelli.
Con la poca lucidità che mi era rimasta, vagai con la mano in quella parte del suo corpo, per poi riallacciare lentamente il bottone che era riuscito a slacciarsi e ritirando le mani, poggiandole sul suo petto e spingendolo via.
Lui sbarrò gli occhi sorpreso e rotolò di fianco a me, la bocca ancora arrossata dai miei baci e il respiro corto.
“Perché ti sei fermata?” chiese sbalordito, gli occhi che gli brillavano in un modo che accese qualcosa dentro di me. Lo ignorai, sorridendo allegramente.
“Perché ho vinto” cinguettai, raccattando la mia maglia e infilandola velocemente, per poi tornare sul letto e infilarmi sotto le coperte.
“Cosa?! Era questo il tuo gioco?” esclamò con voce strozzata, cercando di riprendere fiato. Chiusi gli occhi e mi girai dall’altra parte, ridacchiando.
“Ah, ah”. Lui soffocò un grido di frustrazione, buttandosi sul materasso e fissando torvo il soffitto.
“Sei odiosa”
“Lo so, ti avevo detto di non metterti contro di me” canticchiai, mentre lui borbottava tra se e se, fulminando tutto quello che gli capitava a tiro.
“Ma…Cher!” piagnucolò poi, girandosi verso di me e scivolando accanto alla mia schiena.
“Lo so, sono terribile. Ora dormiamo, ho sonno e domani devo lavorare” sussurrai divertita, lieta che non potesse vedere la mia espressione.
“Non ci credo che lo stai facendo davvero” mormorò con voce monocorde.
“Buonanotte, Liam”
“Questa me la pagherai” continuò.
“Sogni d’oro”
Grugnì qualcosa esasperato ed io ridacchiai sottovoce, stringendomi le coperte al petto. Lui, dopo un paio di sospiri, scivolò ancora più vicino a me, il suo petto contro la mia schiena.
“Almeno posso abbracciarti? Non allontanarti così” piagnucolò, strofinando il naso contro il mio collo. Scivolai all’indietro facendo aderire meglio la mia schiena contro il suo petto e lui mi circondò i fianchi con le braccia.
Potevo ancora sentire l’effetto che gli avevano fatto i miei baci e le mie carezze, e quasi mi dispiaceva lasciar passare il momento, ma ormai quel che era fatto era fatto, non potevo rimangiarmi la parola o avrei perso tutta la mia credibilità.
Anche se il calore del suo corpo contro il mio accendeva il mio desiderio che rischiava di diventare insopportabile. Però quello che avevo fatto a lui era molto peggio, quindi se era riuscito a resistere lui, ce l’avrei fatta anch’io.
Con un altro sospiro che mi solleticò la pelle, intrufolò il naso nell’incavo tra il mio collo e la spalla e ci lasciò un caldo bacio, incendiandomi.
Okay, ora toccava a me pagarne le conseguenze.
Mi strinsi ancora di più a lui e lo sentii sorridere sulla mia pelle.
“Eh, no. Ora stai buona” mi ammonì sussurrando, carezzandomi la pancia sotto il tessuto della maglietta e mandandomi a fuoco.
Dannazione, avevo esagerato.
“Liam” mugugnai, ma mi zittii all’istante, perché le sue mani si erano fermate, stanziandosi sul mio ventre, calde e morbide, senza muoversi di mezzo millimetro.
Mi baciò dietro l’orecchio.
“Tranquilla, io non sono cattivo come te. Rilassati, ora” sussurrò, sistemandosi meglio, rimanendo poi completamente immobile per lasciarmi dormire, anche se mi sarebbe stato impossibile con le sue mani lì vicino.
Dopo qualche minuto passato in un tentativo di calmare il respiro così come il battito accelerato del cuore, Liam mi aiutò distraendomi con un argomento che avevamo messo a tacere.
“Papà mi ha detto che vuole presentarmi la sua compagna” sussurrò, la voce che si spezzò lievemente sull’ultima sillaba. Sentii il suo corpo tendersi e posai le mie mani sulle sue, intrecciando le nostre dita.
“E tu cosa hai risposto?” mormorai.
“Che dovevo pensarci”
“E ci hai pensato?”
“Non lo so. E’ che tanto ormai non posso farci niente, lui vuole sposarla, posso oppormi a questo? A questo punto, credo che tanto vale conoscerla per sapere a cosa sto andando incontro” disse, riflettendo ad alta voce e agitandosi dietro di me. Cercai di nascondere la mia preoccupazione e di concentrarmi solo su quello che voleva fare lui, perché sapevo di non poter essere imparziale, dato il fatto che in quel campo avevo solo che brutte esperienze.
“Quando ci andrai?”
“Non lo so. Credo che verranno loro quando chiamerò papà, e…Cher…io vorrei che tu fossi con me” concluse,  poggiando la sua guancia sul mio collo, le ciglia che solleticavano la mia pelle. Mi si scaldò il cuore e sentii un sorriso spuntarmi sulle labbra.
“Liam, non devi neanche chiederlo, io sono qui per te” gli ricordai con voce dolce. Lui mi baciò il collo e annuì.
“Lo so, ed io ti amo per questo” replicò con voce visibilmente sollevata. Mi sentii all’istante meglio e mi spinsi ancora di più contro di lui, che mi accolse stringendomi forte.
“Anche io” sussurrai.
“Anche se mi hai mandato in bianco” aggiunse con tono amaro. Ridacchiai e lui spostò lievemente le mani sulla mia pancia, facendomi sussultare.
“Domani vedrò come farmi perdonare, ora è tardi, dormiamo” gli promisi, con il fiato corto. Lui allontanò di nuovo le mani, lasciandomi respirare, e sorrise, lo sentii dal tono di voce.
“Ci conto, allora. Buonanotte, piccola” bisbigliò, allungandosi su di me per baciarmi dolcemente le labbra.












Un'ultima, piccola cosa: per chi se lo fosse perso, questo è il link dello spin off su Cat e Niall :)
You can take my heart.




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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto. ***


Vi stresso poco, lo giuro!
Voglio solo ringraziare come al solito quelle che continuano a seguirmi e,
dato che ho poco tempo perchè devo studiare biologia
(lo so, viene voglia di uccidermi anche a me çç), vi devo avvisare su una piccola cosina:
i prossimi capitoli saranno un po' depressi...
so che dicendovi così vi spingo a chiudere all'istante la pagina e ad odiarmi,
ma dovevo dirvelo, così non vi aspettate subito il sole,
perchè dovrà piovere un bel po' prima (?).
Lo so, oggi sono molto poetica uu
Anyway, armatevi di fazzolettini, coraggio e una bella dose di buonumore, e stringete i denti,
che prima o poi torneranno anche i momenti felici, almeno questo ve lo posso assicurare! ;)
Comunque, spero che non mi abbandoniate e che ricordate che io ho bisogno di voi, sempre.
Vado a studiare, buona lettura!
Tanto amore.
Sara.










Capitolo 18
 


Jenny



 
Sapevo che non dovevo farlo già dal primo istante in cui il pensiero di poterlo fare ingelosire mi era balenato nella testa.
Era un comportamento meschino, egoista e sicuramente non da me, però avevo bisogno che lui capisse come mi ero sentita io e che provasse le mie stesse sensazioni, in modo che sapesse perché mi fossi arrabbiata così tanto.
Però sapevo, lo sentivo nel più profondo del mio cuore, che era schifosamente sbagliato e che probabilmente questa mia mossa da ragazzina non avrebbe portato a niente di buono.
Ma non so perché, decisi di non andare ascolto al mio cervello e mi lasciai guidare dalla parte ferita di me che in quel momento gridava vendetta.
La cosa che mi faceva più male, era che sembrava non gli importasse il fatto che non ci rivolgevamo la parola: dopo il primo tentativo di parlare da me respinto, non aveva più fatto niente neanche per farmi pensare che stesse provando a sistemare le cose, mentre io mi sentivo morire ogni volta che i suoi occhi sfuggivano ai miei e che avevo qualcosa di nuovo da raccontargli ma non potevo farlo.
Ero certa del fatto che non fossi l’unica a soffrire di questa situazione, perché vedevo che anche lui era più taciturno del solito e dalle voci che mi arrivavano dai ragazzi era sempre tra le nuvole e non faceva più neanche mezzo sorriso.
Ma ero orgogliosa, e non sarei mai andata io per prima a provare a chiarire le cose.
“Sei sicura?” mi chiese per l’ennesima volta Cat, camminando accanto a me, quando intercettò la testa bionda di Lucas nel corridoio.
La guardai e arricciai le labbra, prendendo fiato per poi buttarlo fuori con uno sbuffo, senza rispondere. Lei alzò gli occhi al cielo.
“Oh, al diavolo!” esclamò, “Lucas!” lo chiamò poi, facendo si che il sangue mi colorasse alle guance. In quell’istante desiderai scappare, ma Cat mi prese a braccetto, trattenendomi lì con lei.
Sentii il cuore accelerare il battito e la vocina nella mia testa che continuava a ripetermi di andarmene.
La ignorai, ormai ero obbligata a farlo, mentre Lucas fischiettando continuava ad allontanarsi, perché non aveva sentito, come se anche quello fosse un segno che mi diceva di non essere stupida e di non peggiorare la situazione.
Ma non feci in tempo a pensarci, perché Cat senza esitare lo richiamò, a voce più alta.
Questa volta la sentì, girandosi verso di noi confuso e sfilandosi una cuffietta. Appena ci vide fece un gran sorriso, venendoci incontro. Nel frattempo Cat aveva preso a saltellare, sempre con quel suo solito sorriso allegro stampato sulla faccia.
“Ciao, Luc!” salutò Lucas, che stava scuotendo la testa divertito dal perenne entusiasmo di Cat, che poteva essere collegato solo ad una cosa. Anzi ad una persona.
“Ciao, Cat” le disse scoccandole un bacio sulla guancia. Poi si girò verso di me con un gran sorriso.
“Ciao, piccola” mi salutò, chinandosi verso di me per baciarmi la guancia. Lo lasciai fare per poi lanciargli un’occhiata di ammonimento. Lui capì al volo a cosa mi stavo riferendo e ridacchiò, alzando le mani a mo’ di resa.
“Scusa, ricominciamo” si arrese, con un sorriso “Ciao, Jenny” esclamò sarcastico.
“Ciao, Lucas” replicai, ingoiando la bile che mi risaliva la gola per quello che stavo per fare.
“Che succede?” chiese, alternando lo sguardo da me a Cat.
Arrossii, la mente improvvisamente vuota e sentendomi una completa idiota, perché non avevo pensato prima a cosa potergli dire. Guardai Cat, che era impallidita, e aveva cominciato a balbettare nervosamente.
“V-volevo sapere…quanto hai preso tu al compito di arte?” inventò, gesticolando animatamente e arrossendo sempre di più.
Lucas la guardò aggrottando le sopracciglia, mentre io mi mordevo il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
“Otto, perché?” ribatté Lucas, piegando un po’ la testa di lato. Cat si imbronciò.
“Ecco, lo sapevo! Quella è proprio una stronza: a me ha messo sette, ed ero sicura di essere riuscita a copiare tutto nel miglior modo!” esclamò. Lucas scoppiò a ridere, mentre Cat cercava di rilassarsi e mi faceva un veloce occhiolino, senza farsi notare da lui.
“Forse è proprio perché hai copiato tutto e non ci hai messo del tuo” azzardò lui, stringendosi nelle spalle. L’espressione corrucciata di Cat si accentuò.
“Cosa ci dovevo mettere di mio nella descrizione dei capitelli!?” esclamò, schioccando la lingua.
Lucas scoppiò di nuovo a ridere, scuotendo la testa.
“Forse allora è perché era un argomento diverso dal mio ed era più difficile” ci riprovò. Cat scosse la testa.
“No, è una stronza e basta” affermò, arricciando le labbra.
“Okay, se ne sei convinta tu” si arrese infine Lucas, che sapeva meglio di me quanto potesse essere testarda Cat quando si metteva in testa una cosa.
“Oh, accidenti! Devo andare” esclamò improvvisamente lei, sorprendendoci entrambi. La guardai allarmata.
“Già, fiorellino. Non posso accompagnarti a casa, devo passare a prendere Matty e Dustin” mormorò, fintamente dispiaciuta. La guardai malissimo, senza farmi vedere da Lucas, e gli mimai un ‘ti odio’ con la bocca, perché avevo capito che lo stava facendo apposta.
“Torno a casa a piedi, mi farà bene camminare” tentai di salvarmi in calcio d’angolo. Cat assottigliò lo sguardo, ma non fece in tempo a dire niente, perché Lucas la anticipò.
“Non c’è problema, ti accompagno io” si offrì, sorridendomi. Lo guardai e mi sforzai di ricambiare il sorriso.
“Davvero?” mormorai, la voce flebile. Lui annuì con un altro sorriso.
“Certo, tanto non ho niente da fare”. Si strinse nelle spalle e Cat si illuminò.
“Perfetto, allora! Ci sentiamo dopo, fiorellino, così mi aggiorni sugli sviluppi con Harry” esclamò.
“Cat!” sibilai contrariata. Lei arrossì e si mise una mano davanti alla bocca.
“Ops!”
Accidenti, poteva anche dirgli chiaramente che volevo far ingelosire Harry con lui, già che c’era!
“Ehm…me ne vado, ciao!” esclamò, non sapendo più come uscire da quella situazione, salutando frettolosamente entrambi e sparendo poi tra la folla che si affrettava ad uscire dalla scuola.
“E’ sempre più strana” commentò Lucas con una risatina. Annuii, grugnendo qualcosa e promettendomi di farle una bella strigliata d’orecchie la prossima volta che l’avessi vista.
“Puoi dirlo forte”
Lui rise e mi fece segno di seguirlo.
“Poso questi nel mio armadietto e poi andiamo” mi disse, indicandomi i libri che aveva in mano. Annuii e lo seguii per il corridoio, stringendo le mani tra di loro e cercando disperatamente qualcosa da dire senza rivelare quale era il piano di Cat, che in teoria avevo accettato di mettere in atto.
Ma come potevo chiedergli di aiutarmi a fare una cosa che fondamentalmente non volevo fare neanche io e che mi avrebbe fatto passare solo per una ragazzina stupida ed egoista?
Quando arrivammo al suo armadietto, lo aprì e mi lanciò un’occhiata di sottecchi prima di mettersi a cercare qualcosa al suo interno.
“Allora, com’è andata a finire con Harry?” mi chiese, con la faccia ancora infilata nell’armadietto. Mi irrigidii, sentendomi arrossire e mi schiarii la gola, mentre lui chiuse il suo armadietto e si concentrò su di me, scrutandomi attentamente.
“Abbiamo litigato e non ci parliamo da quattro giorni” confessai, arrossendo e abbassando lo sguardo, ignorando la fitta che mi aveva colpito al petto, ormai cominciavo a farci l’abitudine.
“Ahia. Stai una merda, vero?” mi chiese lui preoccupato. Annuii, senza alzare gli occhi, e lo sentii sospirare.
“Potrei dire di essere soddisfatto per questo, perché sarebbe a mio favore, ma…mi dispiace” mormorò, sorprendendosi delle sue stesse parole. Poggiandomi un dito sotto al mento mi costrinse ad incrociare il suo sguardo in quel momento incredibilmente dolce.
“Jenny, le cose si risolveranno”. Alzai gli occhi al cielo e allontanai la mano, stizzita.
“Smettetela di dire tutti la stessa cosa! Le cose non si risolvono da sole, e sembra che a lui non interessa fare qualcosa per cambiare la situazione!” sbottai, stringendo i pugni dalla frustrazione. Lucas sospirò e arricciò le labbra.
“Tu che hai fatto, invece?” mi chiese improvvisamente, facendomi sbarrare gli occhi dalla sorpresa.
Tentennai prima di azzardare una risposta.
“E’ lui che ha sbagliato, io non devo fare proprio niente”. Gli scappò un sorrisetto e poi scosse la testa, fintamente sconsolato.
“Quanto capisco il vecchio Harry…” mormorò, passandosi una mano tra i capelli quel giorno lasciati sciolti.
“Bene. Ora anche tu sei dalla sua parte, sono molto contenta” sbottai, facendo per andarmene, arrabbiata anche con lui.
Perché sembrava che la cattiva della situazione fossi io? Era Harry che aveva sbagliato e, anche se io stavo segretamente progettando di fargliela pagare nel modo più brutto che potessi fare, lui ancora non aveva fatto niente per meritarsi la compassione degli altri.
Va bene che i ragazzi erano dalla sua parte a prescindere, anche se Niall mi aveva sorpresa venendo a parlare con me dicendo che questa volta forse il suo amico aveva esagerato, ma che anche Lucas, che lo aveva sempre odiato e aveva cercato di ostacolare la storia tra noi due, si schierava dalla sua parte, era troppo!
“Ehi, fermati” mormorò Lucas, afferrandomi per un polso e costringendomi a girarmi verso di lui.
“No, davvero, sono contenta che voi due torniate ad essere amici. Perché non andate anche a cena insieme stasera? Così potrete parlare di quanto io sia pesante e permalosa” gli dissi sarcastica, sciogliendo bruscamente la sua presa e lanciandogli uno sguardo di fuoco.
Lui alzò gli occhi al cielo e sorrise esasperato.
“Io non sono amico proprio di nessuno. Anzi, lo sono di te, e voglio solo aiutarti” mi assicurò, con un sorrisetto innocente. Tentai di calmarmi e di respirare profondamente, perché lui aveva appena detto la frase che volevo sentirgli dire da quando Cat lo aveva chiamato.
“Davvero, è stato uno stronzo ad uscire con Nicole senza dirti niente, dovresti fargliela pagare” mi disse con un vago sorrisetto malizioso sulle labbra.
In quell’istante ero sicura che me lo stesse dicendo perché sapeva che era quello che volevo sentirmi dire, per questo gli scoccai un’occhiata di traverso.
“Non prendermi in giro, dimmi quello che pensi” sussurrai, abbattuta. Lui piegò un poco la testa di lato e mi regalò un sorriso sincero.
“Penso che Nicole sia una ‘donna dai facili costumi’ e che sicuramente ha incastrato Harry in qualcosa che non voleva neanche fare. Ma penso anche che tu hai fatto bene ad arrabbiarti, perché mi sarei arrabbiato anch’io a vedere la mia ragazza con il suo ex. Quindi non sono dalla parte di nessuno, però sono disposto ad offrirti una spalla su cui piangere” mi offrì con un sorriso.
Gli sorrisi di rimando, sentendomi lievemente più leggera.
“Grazie” sussurrai. Lui ridacchiò e mi diede un buffetto sulla guancia.
“Di niente, piccola, io sono qui per te, te l’ho detto”.
Dopo qualche istante di imbarazzante silenzio mi fece segno di andare.
“Dai, ti accompagno a casa”. Uscimmo in fretta dalla scuola e salii in macchina con un sospiro tremante.
Tutta quell’idea mi sembrava tremendamente stupida e la cosa che mi dispiaceva di più era la consapevolezza che da un momento all’altro avrei fatto soffrire Harry. Ma ormai ero partita, ed io ero come un treno in corsa ad alta velocità: finché non arrivavo alla meta non mi fermavo.
Quando arrivammo davanti casa, scese anche lui dalla macchina per salutarmi. A quel punto mi sentii tremendamente imbarazzata, mi sembrava veramente brutto mandarlo via così dopo che sapevo che lo stavo solo usando e che lui era stato così gentile con me a confortarmi e a dirmi quello che pensava.
O forse, era solo la parte diabolica di me che aveva preso il sopravvento, mettendo a tacere il cervello.
“Vuoi entrare?” gli chiesi tutto d’un fiato, ignorando le fitte dolorose che mi colpivano il cuore al solo pensiero che da un momento all’altro avrei rivisto Harry e la sua espressione delusa.
Lucas parve sorpreso dalla mia domanda, mi osservò alzando le sopracciglia e arricciando le labbra. Ci pensò su per un po’, poi mi scoccò un sorriso di chi la sapeva lunga.
“Me lo chiedi perché vuoi far ingelosire Harry, vero?”. La velocità con cui era arrivato alla verità mi lasciò strabiliata, e arrossii violentemente, sentendomi una completa idiota.
L’espressione soddisfatta di Lucas si accentuò.
“Io…” balbettai, non sapendo più come tirarmi fuori da quella situazione.
“Tranquilla, ho capito. Tu vuoi fargli vedere cosa si prova e hai scelto me perché sai quanto poco mi sopporta” si strinse nelle spalle, facendo una piccola smorfia.
Mi sentii sprofondare, e colpevole dalla testa ai piedi abbassai lo sguardo.
“Mi dispiace” soffiai, rischiando di mettermi a piangere da un momento all’altro. Non solo volevo far soffrire Harry di proposito, ma lo stavo facendo anche a Lucas, facendolo sentire solo un giocattolo usato.
Non pensavo che un giorno sarei potuta diventare una persona del genere, in quel momento mi schifavo da sola.
“Non importa. Capisco il motivo per cui l’hai fatto, e ti voglio bene, quindi ti aiuterò” mi disse, sforzandosi di sorridere, anche se era evidente che ci era rimasto male.
“No, non devi farlo. Io…me la caverò da sola” assicurai, un nodo che mi chiudeva la gola.
Come avevo potuto essere così meschina?
“No, voglio farlo, voglio aiutarti”
“Lucas…”
“Dico sul serio” insistette, annuendo con un sorriso convinto. Lo guardai per qualche minuto restando in silenzio, valutando cosa sarebbe potuto succedere se io mi fossi lasciata aiutare davvero: Harry forse avrebbe capito il motivo per cui io mi ero arrabbiata e, sentendosi come me, forse si sarebbe risolto tutto. Ma Lucas ci avrebbe sicuro sofferto, perché non ero stupida e avevo capito che se da parte mia c’era solo amicizia, da parte sua forse non era proprio così.
“Jenny, non rimuginarci troppo. Mi hai chiesto di entrare ed io ho accettato, punto. Non c’è nessun secondo fine, no?” mormorò con un sorriso, facendomi segno di precederlo verso la porta di casa. Sospirai, e in quel momento mi sentii infinitamente grata verso quel ragazzo: mi stava aiutando, anche se era consapevole che a lui non sarebbe giovato per niente. In quel momento mi resi conto che era di una gentilezza infinita e che forse avrei dovuto cominciare a considerarlo come un buon amico davvero.
“Okay” mi arresi infine, avviandomi verso la porta, il cuore che mi rimbombava fin nelle orecchie. Entrai, Lucas dietro di me si chiuse la porta alle spalle, e venni subito accolta da uno sguardo di ghiaccio che mi fece capire che probabilmente stavo solo peggiorando la situazione.
 
 


Harry
 



Stavo andando in cucina a bere un bicchiere d’acqua, quando il mio cuore si fermò completamente.
Jenny era appena tornata, e non era di certo per lei, per quegli occhi che finalmente dopo quattro giorni si legarono ai miei, che mi gelai sul posto.
Era per la persona che gli stava sorridendo, il ragazzo che sapevo fin dall’inizio che me l’avrebbe portata via: Lucas.
Lo stronzo la affiancò all’istante, e lei ebbe un singulto, distogliendo lo sguardo dal mio, mentre io mi limitavo a fissarli in silenzio, facendo nella mia testa mille congetture per capire il motivo per il quale lui fosse lì con lei.
Aveva deciso di rimpiazzarmi con quel tipo?
Quando mi aveva detto che non poteva lasciarmi stava mentendo? O forse si era semplicemente rimangiata la parola?
Perché vederla lì con lui mi portava a pensare solo a quello, facendomi stringere il cuore.
Assottigliai lo sguardo, mentre Lucas mi faceva un cenno di saluto.
“Ciao, Harry”
“Cosa ci fai qui?” sibilai, mentre con la coda dell’occhio osservavo Jenny, che aveva abbassato lo sguardo, come se fosse colpevole di qualcosa, e si era stretta nelle spalle, come faceva sempre quando era in difficoltà. Lucas scrollò le spalle.
“Jenny mi ha invitato ad entrare, e mi sembrava stupido rifiutare un invito del genere, no?” ammiccò, lanciandomi un’occhiata maliziosa.
A quel punto, mi sentii invadere dalla rabbia e da una gelosia bruciante che mi fece vedere tutto rosso.
A Jenny sfuggì un singulto e il suo sguardo corse al mio viso, per poi spostarsi con un’occhiata vagamente di rimprovero su Lucas.
“Bene, allora divertitevi” sputai con rabbia, stringendo i pugni per evitare di assalirlo. Avrei tanto voluto prenderlo a schiaffi e strappargli dalla faccia quel sorriso saccente, ma non potevo farlo, non davanti a Jenny.
Lui fece spallucce e Jenny sospirò, per poi superarmi e dirigersi verso il salone, spinta delicatamente dalla mano di Lucas che si era posata sulla sua schiena.
Sentii la gelosia corrodermi lo stomaco, ma nonostante tutto li seguii, perché non potevo lasciarla nelle mani di quello lì senza controllare che non esagerasse.
“Ciao, Jenny!” esclamò Niall quando lei raggiunse i ragazzi, tutti schierati in salotto tranne Liam e Cher, che erano chissà dove a fare le loro cose. Anche gli altri ragazzi stavano per salutarla, ma si bloccarono sorpresi quando dietro di lei sbucò il suo nuovo amico.
Zayn spalancò la bocca assieme a Niall, mentre Louis mi lanciò un’occhiata più che preoccupata, quando entrai dietro di loro, scuro in viso.
“Ciao, ragazzi” mormorò la voce flebile di Jenny, che si accomodò tra Niall e Lucas, che continuava a sorridere come se non si rendesse conto degli sguardi di fuoco che gli lanciavano i ragazzi.
Jenny era rossa in viso, visibilmente in difficoltà, probabilmente perché c’ero io, e non era abituata a stare nella mia stessa stanza senza potermi guardare o toccare.
Lo stesso valeva per me perché, nonostante fossi seduto sulla poltrona nel lato opposto della stanza, lei mi attirava a se come fosse una calamita, e in quel momento più che mai avrei voluto prenderla tra le braccia e mettermi tra lei e Lucas, che la stava sfiorando troppo per i miei gusti.
“Va tutto bene?” bisbigliò Louis, sporgendosi verso di me preoccupato. Non staccai gli occhi dai due, ma tesi le labbra e mi sforzai di rispondere alla sua domanda. Il mio “No” uscì come un sibilo strozzato,  ero senza fiato perché la morsa che mi chiudeva lo stomaco mi impediva quasi di respirare.
Louis mi mollò una pacca sul ginocchio e tese le labbra, rifilando un’occhiataccia a Lucas, che stava cercando di chiacchierare e far sorridere Jenny, anche se era evidente che lei non collaborava.
“Ci penso io” mormorò Louis, assottigliando lo sguardo. Sospirai e non risposi, perché sapevo che l’unica cosa che in quel momento poteva farmi stare meglio era che quel coglione uscisse da casa mia. Anzi, che uscisse direttamente dalla vita di Jenny, perché lei era mia e lui non poteva permettersi di portarmela via.
“Ehi, biondo, non ti hanno detto che gli anni ’80 sono passati di moda?” chiese Louis, con un sorrisetto angelico, attirando l’attenzione di Lucas e Jenny.
Lui lo guardò sorpreso, mentre Jenny si stringeva sempre di più nelle spalle, come se volesse scomparire. Mi mancava così tanto in quel momento che avrei tanto voluto correre ad abbracciarla e nasconderla da qualunque cosa la preoccupasse. Ma probabilmente ero io a farla sentire così a disagio, quindi non potevo fare niente se non andarmene, ma non l’avrei mai fatto, non finché Lucas rimaneva in casa accanto a lei.
“Scusa?”
“Ma si, i capelli lunghi andavano vent’anni fa. Non ti senti un po’ ridicolo ad andare in giro così?” continuò Louis, facendo ridacchiare Zayn e Niall, che assistevano alla scena come se fossero seduti al cinema.
“A me piacciono così, non mi interessa quello che pensi tu, grande pop star” replicò Lucas, con un sorriso amichevole e un tono di scherno.
“E poi, parli tu che ti vesti come se fossi un marinaio. Dovresti vergognarti, hai vent’anni e porti ancora le bretelle per tenere su i pantaloni” lo prese in giro. Jenny lanciò uno sguardo di scuse a Louis, sentendosi probabilmente impotente davanti a quel battibecco che si era venuto a creare. Non sapevo perché, ma sentivo che da un momento all’altro sarebbe degenerato, soprattutto perché a Louis potevi toccare tutto, ma non il suo modo di vestirsi.
“Si da il caso che almeno io piaccio alle ragazze, mentre tu devi accontentarti di quelle degli altri” sibilò infatti, assottigliando lo sguardo. Jenny sussultò, mentre Lucas strinse i pugni, pronto a reagire.
“Okay, facciamola finita. Louis, perché non vieni a farti un giro con me?” propose Zayn, alzandosi e afferrando Louis per un braccio, costringendolo a fare lo stesso mentre i due continuavano a fulminarsi con lo sguardo.
Quando furono usciti dalla stanza Niall ci guardò preoccupato, alternando lo sguardo da me a Lucas, indeciso se rimanere o darsela a gambe anche lui. Probabilmente per amore di Jenny decise di rimanere seduto accanto a lei, per non lasciarla in balia di un litigio che sarebbe scoppiato da un momento all’altro.
“Beh, è evidente io la tratto meglio del suo ragazzo, se lei passa così tanto tempo con me” borbottò Lucas, deciso a non lasciare l’ultima parola a Louis, anche se lui era ormai uscito.
A quella frase, scattai in piedi, colpito nell’orgoglio.
“Okay, mi dici che cazzo vuoi da lei?” sbottai, piazzandomi davanti a Lucas, che mi guardava dal basso, seduto ancora sul divano. Jenny alzò gli occhi sorpresa, ma io evitai di incrociare il suo sguardo, puntando il mio su Lucas, che si alzò prontamente, cercando di fronteggiarmi, ma io ero almeno una spanna più alto di lui.
“Io non voglio proprio niente. E’ mia amica e di certo non passo il tempo con lei per ottenere qualcosa” sibilò, facendo un altro passo verso di me.
Credeva di farmi paura, ma non sapeva che l’adrenalina, aumentata da una rabbia e una gelosia brucianti, mi stava facendo fremere dalla voglia di stenderlo.
“Che cosa intendi dire?” sibilai, già sapendo però dove voleva andare a parare: l’Harry che conosceva lui, quello di due anni fa, era il ragazzo che usciva con le ragazze solo per uno scopo, e sapevo bene quante ne avessi fatte soffrire, cosa di cui non andavo per niente fiero.
Ma ero cambiato, e lui poteva dire tutto tranne che stavo usando Jenny: io ero innamorato di lei, e lei lo sapeva bene, almeno credevo.
“Lo sai bene. Cosa, sei uscito con Nicole perché lei non ti soddisfaceva più?” mormorò con un sorrisetto, arrivando ad un palmo dal mio viso.
“Lucas” sussurrò Jenny, alzandosi e cercando di trattenerlo.
Ma ormai l’aveva detto, e il mio pugno era partito, stampandosi bene sul suo naso.
Sentii l’osso scricchiolare e una fitta acuta colpirmi la mano.
Lui indietreggiò sorpreso, portandosi le mani sul naso, mentre Jenny mi guardava strabiliata e Niall schizzava in piedi, aggrappandosi al mio braccio per trattenermi.
“Non ti azzardare neanche a dire una cosa del genere. Sei tu che le metti in testa queste cose, eh, stronzo?” chiesi, indicando Jenny che in quel momento mi guardava spaventata e tremante.
Evitai di guardarla, non potevo permettere che la rabbia scivolasse via e mi lasciasse vulnerabile davanti a un Lucas che stava tornando alla carica.
“Io non gli metto in testa proprio niente, ha un cervello per pensare da sola. Evidentemente ha capito quanto sei stronzo tu!” sbottò, prima di avventarsi su di me con un pugno che mirò dritto al mio zigomo, facendomi cadere a terra.
“Harry!” strillò Jenny, spostandosi davanti a Lucas preoccupata, cadendo in ginocchio accanto a me.
Accidenti, era più basso ma molto più forte di me, avrei dovuto ricordarmelo. Chiusi gli occhi, sentendo un dolore acuto partire dallo zigomo e risalire fino a pulsare nella tempia.
“Merda, ragazzi, datevi una calmata!” esclamò Niall, gli occhi azzurri spalancati e l’espressione impotente.
“Vaffanculo” sputai, ignorando Jenny e facendo per rialzarmi, Lucas già pronto a colpirmi di nuovo.
“No, basta!” strillò di nuovo Jenny, le lacrime che le scorrevano sulle guance. Si rialzò e spinse via Lucas.
“Non doveva finire così, vai via” singhiozzò, poggiando le sue piccole mani sul suo petto e spingendolo via. Lui distolse lo sguardo da me per posarlo su di lei, preoccupato e colpevole.
“Mi dispiace, piccola” bisbigliò. Jenny si asciugò le lacrime con i polsi e annuì flebilmente.
A quella parola, quel nomignolo che usavo sempre io con lei, non ci vidi più. Con un gesto veloce mi rialzai, liberandomi all’istante della presa di Niall, e mi avventai su di lui, spostando bruscamente Jenny e spingendo lui a terra.
Anche Jenny cadde e le uscì un gemito quando la sua testa andò a finire contro lo spigolo del mobile accanto al divano.
Il mio pugno si fermò a mezz’aria, sospeso davanti al naso di Lucas, bloccato da quel piccolo verso strozzato che mi schiarì la mente.
“Cazzo” sibilò Niall, accorrendo in aiuto di Jenny, che cercava di rialzarsi tastandosi la testa ad occhi chiusi.
Niall la sorresse per le spalle ed io lasciai all’istante Lucas, guardandomi le mani schifato e sentendomi un verme per aver fatto del male alla ragazza a cui tenevo più della mia stessa vita.
Ma, ovviamente, i pensieri di Lucas non erano sulla mia lunghezza d’onda e, lasciato libero dalla mia presa, si rialzò e mi mollò un altro pugno sullo stesso zigomo di prima, la pelle che mi si squarciò e il sangue caldo che cominciò a colarmi sulla guancia.
Poi si rialzò, lanciò uno sguardo veloce e preoccupato a Jenny e, considerando che potevo rialzarmi nel giro di due secondi, se la diede a gambe, uscendo di casa sbattendo la porta.
Cercai di rialzarmi, anche se la testa mi girava, e mi tastai lo zigomo, chiudendo gli occhi dolorante.
“Stai bene?” mi chiese Niall, aiutandomi a rimettermi in piedi, mentre Jenny cercava di sedersi sul divano, una smorfia di dolore sul viso.
“No, per niente” sibilai, lanciando un’occhiataccia alla porta da cui era scappato Lucas, che proprio in quel momento si aprì, facendo entrare uno scocciato Louis e un quasi divertito Zayn.
“Cosa diavolo è successo?” esclamò quest’ultimo, vedendomi sanguinante.
Louis corse subito verso di me, preoccupato.
“Niente, non è successo niente! Potete lasciarci da soli, per favore?” chiesi, al limite della pazienza, la rabbia che cominciava a ribollirmi dentro al pensiero che tutto quello non sarebbe successo, se a Jenny non fosse venuta la brillante idea di portare quell’idiota a casa.
Ma cosa le passava per la testa? Voleva farmi ingelosire?
Bel tentativo riuscito bene!
Niall fece per ribattere, lanciando un’occhiata preoccupata a Jenny, che però annuì, facendo in modo che tutti uscissero dalla stanza, lasciandoci in un silenzio carico di tensione.
“Si può sapere cosa ti è passato per la testa?” sbottai, senza riuscire più a trattenermi. Lei alzò finalmente lo sguardo su di me, stupita.
“Cosa?”
“Si, fai anche finta di niente! Ho capito cosa volevi fare!” continuai quasi urlando, senza rendermi conto che ormai non avevo più freni e che avrei potuto tirare fuori parole di cui poi mi sarei pentito.
I suoi occhi si spalancarono e le tremò il labbro, ma ero troppo arrabbiato per preoccuparmi di questi particolari.
“Spero che ora sei contenta. Mi hai fatto uscire di testa e hai permesso che facessi una cosa del genere! Ho capito, ho capito come ti sei sentita quando mi hai vista con Nicole, grazie dell’illuminazione! Ma almeno io non sono stato così stronzo da farlo di proposito!” urlai, allargando le braccia e sfogando tutta la rabbia repressa trattenuta in quei giorni. Lei rimase a bocca aperta, gli occhi che le si riempirono di lacrime.
“No, ma l’hai fatto lo stesso” balbettò con voce flebile, senza sapere a cos’altro attaccarsi. Schioccai la lingua.
“Lo so, dannazione! E ti ho chiesto scusa, che motivo c’era che tu portassi Lucas qui, oggi? Volevi che lo prendessi a pugni e ti facessi una scenata di gelosia? Eccoti servita, spero che ora tu sia soddisfatta!”
“Non volevo niente del genere, dovresti saperlo” mormorò, distogliendo lo sguardo, le prime lacrime che cominciarono a scenderle sulle guance. Ma non potevo farmi abbindolare ogni volta dalla sua sofferenza. Anche io in quel momento stavo soffrendo, e non di certo fisicamente, non potevo sempre ingoiare e lasciar passare tutto, sarei scoppiato prima o poi.
“No, invece, non lo so! Non riesco più a capirti, dove diavolo è andata a finire la mia ragazza? Quella dolce che non vuole mai far soffrire nessuno? Io non la vedo più!” esclamai con voce strozzata, rischiando di finire a piangere anch’io da un momento all’altro.
“Io sono sempre qui”
“Si, ma ti sei messa una dannata maschera che non mi fa capire più chi sei” mi accorsi che stavo cominciando ad esagerare, ma non riuscii comunque a fermarmi, ormai ero partito.
“In questo momento mi sembri solo una ragazzina viziata che è stata offesa e aveva bisogno di una vendetta per sentirsi meglio! Beh, l’hai avuta, sono fiero di te. Oh, guarda, poi: potrai mostrarlo al mondo intero perché dovrò girare per un bel mese con questo cazzo di livido sotto l’occhio” sbottai, rimediando una sua occhiata piena di dolore, che mi fece stringere il cuore.
“Cosa sta succedendo qui?” chiese Cher, capitolando nella stanza, guardando prima Jenny, poi me, l’espressione mista allo stupore e alla rabbia.
“Fanculo!” sbottai, alzando le braccia al cielo e uscendo a grandi passi.
Fanculo a me che non ero riuscito a trattenermi, a Lucas che mi aveva procurato un bel taglio sotto l’occhio, a Jenny che aveva causato tutto questo, a Cher che si intrometteva sempre costringendomi a lasciare il discorso a metà. Fanculo a tutto perché non ce la facevo più a reggere quella situazione.
















     




Non viene voglia anche a voi di passare per lo schermo del computer e andarli a picchiare per come si stanno facendo del male? uù
La smetto di delirare, si...non è colpa mia, è questo cazzo di DNA che mi frigge il cervello!
CIAO!

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove. ***


Capitolo 19

 

 

Cher

 

 


 

“Piccola, cosa è successo?” mi fiondai su mia sorella, che era seduta sul divano, il viso pallido e gli occhi ancora arrossati, segno che aveva pianto. La preoccupazione mi chiuse lo stomaco, mentre cercavo di ricollegare Lucas che scappava correndo nel vialetto, Harry con lo zigomo sanguinante e il fumo che gli usciva dalle orecchi e Jenny, che sembrava completamente confusa e tremava come una foglia.
A quanto pareva mi ero persa qualcosa di molto importante, e dire che ero mancata solo per qualche ora!
Presi entrambe le mani di mia sorella tra le mie e la guardai negli occhi, lucidi di pianto e leggermente spaesati.
Nel frattempo Liam mi aveva raggiunta, e osservava la scena in silenzio accanto a noi, mentre sembrava che il resto del gruppo fosse andato a recuperare Harry.
“Jenny, tesoro, parlami” la implorai, carezzandole i capelli. I suoi occhi si posarono su di me e aprì la bocca per parlare, ma ne uscì solo un verso strozzato e le lacrime le riempirono di nuovo gli occhi.
“Mi gira la testa” mugugnò ondeggiando pericolosamente. Le afferrai saldamente le spalle, mentre lei chiudeva gli occhi e singhiozzava silenziosamente.
“Okay, ti porto in camera, ce la fai ad alzarti?” le chiesi, fissandola attentamente, il dolore per vederla così piccola e indifesa che mi chiudeva la gola. Perché non ero riuscita a proteggerlo da questo? Qualunque cosa fosse successa, io non c’ero, e lei si era ritrovata ad affrontarla da sola.
La spiegazione era solo una: stava crescendo e, purtroppo, io non potevo più farci niente e non potevo più proteggerla dal resto del mondo.
“Si” sussurrò, chiudendo gli occhi e allargando le braccia. Capii al volo le sue intenzioni e l’abbracciai, stringendola al mio petto e cullandola come facevo quando era ancora una bambina e aveva avuto un qualche incubo.
Lei scoppiò a piangere, e mi si strinse il cuore.
“Non fare così, piccola, mi fai preoccupare” la implorai con un gemito.
“N-non devi. Sono una persona orribile e non merito questo” disse tra i singhiozzi, sciogliendo l’abbraccio e asciugandosi con stizza le lacrime. Aggrottai le sopracciglia, mentre Liam, in silenzio, si avvicinava a noi e si sedeva accanto a lei.
“Perché dici questo? Cosa è successo?” le chiese con delicatezza. Lei boccheggiò, guardandolo come in cerca d’aiuto, poi spostò gli occhi su di me e le lacrime ripresero a scorrere sulle sue guance accaldate.
“Io…l’ho trattato malissimo. Ho combinato un casino, e lui ora mi odia” si morse il labbro inferiore per trattenere un singhiozzo ed io mi scambiai un’occhiata confusa con Liam.
“Lucas?” chiese lui, corrugando le sopracciglia.
“Harry!” replicò lei, scossa dai fremiti. Sospirai e le carezzai il viso, riportando l’attenzione su di me.
“Ascoltami, lui non ti odia. Non potrà mai farlo, qualsiasi cosa tu gli faccia. Ora, cerca di calmarti. Ti fai una bella doccia e ti rilassi, vedrai che dopo non ti sembrerà così tragica” la incoraggiai. Lei annuì semplicemente, forse perché non aveva la forza per ribattere e rifiutare il mio consiglio.
Le sorrisi e le carezzai i capelli.
“Dai, ti aiuto io. Liam, tu vai a vedere come sta Harry, per favore” gli dissi, più perché avevo bisogno di un momento da sola con mia sorella che per altro. Si, ero preoccupata per Harry, che era uscito di casa piuttosto infuriato e malridotto, ma il mio animo da sorella maggiore metteva tutto in seconda posizione, quando c’era Jenny che stava male.
Liam annuì e mi baciò le labbra delicatamente, prima di alzarsi e sparire, raggiungendo gli altri.
“Okay, tesoro, ora siamo solo noi e non devi preoccuparti di niente” le assicurai in un bisbiglio, aiutandola ad alzarsi e a raggiungere il piano di sopra, conducendola nel suo bagno.
Lei si stringeva a me come se fossi la sua ancora di salvezza ed io cercavo di tranquillizzarla carezzandole i capelli, ma qualsiasi cosa fosse successa l’aveva sconvolta, e il dolore che provava in quel momento gli si poteva leggere tutto negli occhi. Ed era spaventosa la sua portata.
Jenny si lasciò cadere sul water mentre io aprivo l’acqua calda e riempivo la vasca, versandoci qualche goccia del suo profumato bagnoschiuma. Mi voltai a guardarla e incrociai le braccia al petto, pronta a sentirla parlare a lungo, perché non sarei uscita da quel bagno finché non mi avesse detto cosa diavolo stava succedendo. Lei incrociò il mio sguardo e sembrò capire, perché sospirò rumorosamente e si asciugò le ultime lacrime rimaste.
“Ho combinato un casino” esordì.
“Quello l’avevo capito, sono un po’ di giorni che questa casa sembra un covo di pazzi. Ti decidi a dirmi cosa sta succedendo? Perché odio vederti così e voglio sapere chi è la causa per cui tu stai così male” le dissi, guardandola attentamente, mentre lei abbassava gli occhi e si stringeva le braccia attorno al corpo, tremando.
“E’ solo colpa mia” mormorò con voce flebile. Piegai un po’ la testa di lato, mentre lei tornava a guardarmi.
“Cosa?”
“Hai sentito. E’ solo colpa mia, che sono estremamente permalosa, che non rifletto, e per questo carattere di merda sto rischiando di perdere il ragazzo che amo” sbottò, gli occhi di nuovo pieni di lacrime. Tirò su con il naso e si impose di non piangere, mentre si alzava per chiudere il rubinetto.
“Vuoi parlarne? Per favore, spiegami, magari posso esserti d’aiuto” la pregai, mentre lei cominciava a spogliarsi per poter entrare nell’acqua calda. Sbruffai, perché quando si chiudeva a riccio, non c’era verso per farla parlare, e lo sapevo bene.
“Ora non ce la faccio” dichiarò, chiudendo gli occhi e sprofondando nella schiuma. Sospirai e mi allungai per sfiorarle il viso con una carezza.
“Okay, ti aspetto di la” mi arresi, uscendo dal bagno, non del tutto insoddisfatta, perché non aveva detto che non avrebbe parlato con me, aveva semplicemente detto ‘ora’. Quindi in un altro momento magari sarebbe riuscita ad aprirsi e a dividere il peso che portava sul petto, qualunque esso fosse, con me, come faceva una volta.
Quando uscì dal bagno, mi trovò seduta sul suo letto a sfogliare un album di fotografie di quando era piccola e si fiondò subito accanto a me. Le circondai le spalle con un braccio, respirando il suo profumo dolce e fresco, mentre lei si accoccolava contro il mio petto.
“Scusami se non ti dico più niente” borbottò. Chiusi l’album, capendo che era arrivato finalmente il momento di parlare.
“Sembra come se non ti fidi più di me. Io sono tua sorella, non vado ad urlare tutto quello che mi dici ai quattro venti”.
Le scappò mezzo sorriso, contagiando anche me.
“Lo so, ma tu hai Liam e…non sei più solo mia come una volta” borbottò, lanciandomi uno sguardo timido da sotto le lunghe ciglia.
La guardai scettica, schioccando la lingua.
“Questa potevi anche risparmiartela, anche tu hai Harry se è per questo” le ricordai, un lampo di dolore che le attraversò all’istante gli occhi.
Ops!
“Non ne sarei così sicura, adesso come adesso” mormorò con voce spezzata, chiudendo gli occhi. La guardai e le presi il mento con due dita, aspettando che aprisse gli occhi per incrociare i miei.
“Vuoi dirmi cosa sta succedendo? Parlarne ti farà stare meglio” le assicurai.
“No, parlarne lo farà sembrare ancora più reale, mentre io vorrei solo tornare indietro nel tempo e uccidere quella stronza che lo ha invitato a prendere il caffè” sbottò. Le sorrisi e lei mugugnò qualcosa, allungandosi sul letto e infilandosi sotto le coperte, facendomi segno di raggiungerla. La accontentai e la feci accoccolare al mio petto, stringendola tra le braccia.
“Sono stata orribile con lui, e ha fatto bene a sbattermelo in faccia. Non lo biasimo se ora mi odia” cominciò. La guardai e le baciai la fronte.
“Raccontami tutto, piccola”
“Prometti di non giudicarmi?” mi chiese preoccupata, alzando gli occhi su di me.
“Sono tua sorella, è mio dovere giudicarti” replicai sarcastica, scoccandole un sorrisetto angelico.
“Per favore, so già di aver sbagliato, non ho bisogno di sentirmelo dire anche da te” implorò, mettendo il muso. Alzai gli occhi al cielo.
“Jen, stavo scherzando. Parla e stai tranquilla, io sono qui per te” le assicurai con un sorriso. Lei sospirò e prese a raccontarmi tutto quello che era successo in quegli ultimi giorni.
Ad essere obiettivi, non si era comportata molto bene con Harry, ma in sua difesa si poteva dire che aveva appena sedici anni, che era piccola e non aveva esperienza in questo genere di cose.
Non aveva mai avuto un ragazzo prima di lui, di conseguenza non aveva mai provato la sensazione di sentirsi traditi, cosa che l’aveva portata a fare cose di cui non andava per niente fiera.
Quando mi disse che Harry si era picchiato con Lucas, non uscendone molto illeso, mi scappò un singulto.
“Lo so, è tutta colpa mia e non mi perdonerà mai” affermò con tono disperato, affondando il viso nel mio collo per nascondersi.
“Non dire così…Era arrabbiato, per questo ti ha detto quelle cose” tentai di calmarla.
“Si, ma tu non hai visto il suo sguardo. Mi odia, Cher” piagnucolò. Risi davanti a quell’assurdità.
“Jenny, lui non può odiarti, mettitelo bene in testa. E’ arrabbiato, si, ma non ti odia” le assicurai. Lei scosse la testa, stringendosi a me.
“Non hai visto il suo sguardo” ribadì, con voce tormentata. Sospirai, carezzandole i capelli per tutta la loro lunghezza.
“Non ti convincerò mai del contrario, vero?” mormorai. Lei scosse la testa ed io ridacchiai.
“Allora è inutile che te lo ripeta”.
Scosse di nuovo la testa e mi strinse un braccio intorno al fianco.
“Allora cerca di rilassarti e di dormire un pochino. Non hai una bella cera,ti farà bene” le suggerii con un bisbiglio. Lei si limitò ad annuire e a chiudere gli occhi, sistemandosi bene nell’incavo tra la mia spalla e il collo.
Sospirai e la sentii rilassarsi pian piano.
“Brava, piccola”. Lei mugugnò qualcosa e ci mise davvero ben poco a scivolare nel mondo dei sogni, decisamente scossa ed esausta. Aspettai che il suo respiro si regolarizzasse e diventasse pesante, prima di scivolare delicatamente fuori da quell’abbraccio e di farla adagiare sul cuscino. Lei non si mosse, profondamente addormentata, ed io le carezzai un’ultima volta la testa, prima di scendere dal letto e fare per andarmene.
Prima che però riuscissi ad aprire la porta, il cellulare di Jenny squillò sul comodino, segno che le era arrivato un messaggio. Mi affrettai a prenderlo e a schiacciare un tasto a caso, per evitare di svegliarla, e poi uscii dalla stanza.
Distrattamente, posai gli occhi sul cellulare che avevo in mano e per poco non crollai a terra, il cuore completamente congelato.
 
Ciao, tesoro, tutto bene? Sono due giorni che non mi chiami, cosa succede?
                                                               
Non fu il contenuto del messaggio in se a sconvolgermi, era chiaramente un tono preoccupato e apprensivo, anzi, avrei anche sorriso, felice che ci fosse qualcuno oltre me che si preoccupasse per mia sorella.
La cosa che mi gelò sul posto, spezzandomi il cuore a metà, fu il mittente del messaggio; cinque semplici lettere, due vocali e due consonanti, che avevano la potenza di un uragano: mamma.
Mi scappò un singulto, mentre mi lasciavo cadere in ginocchio, le mie gambe che sembravano non poter reggere più il mio peso, gli occhi che continuavano a fissare quella parolina, mentre la mia mente sembrava completamente vuota.
Sentii dei passi sulle scale, ma non ebbi la forza di alzare lo sguardo, così mi spaventai un pochino quando qualcuno si inginocchiò accanto a me.
“Cher?” chiese Zayn, piegando la testa di lato e scrutandomi vagamente preoccupato. Alzai gli occhi su di lui, ma quasi non lo vidi, perché nella mia testa continuavano a danzare quelle parole, tutte seguite da quel nome, quella persona che avevo tagliato fuori dalla mia vita e che non capivo per quale motivo fosse ancora in quella di Jenny.
“Cher va tutto bene?” ci riprovò Zayn.
…tutto bene?
Sono due giorni che non mi chiami…
Cosa significava quel messaggio? Come era riuscita a rintracciare Jenny? E perché mi sembrava che non fosse il primo messaggio ad arrivare?
Presa da un lampo di lucidità, riportai gli occhi sul cellulare e, anche se mi sembrava dannatamente immorale, scorsi anche gli altri messaggi e impallidii quando notai che la maggior parte erano proprio di lei.
“Cher, mi stai facendo preoccupare, sembra che tu sia in un altro mondo” cercò di richiamare l’attenzione Zayn, sventolandomi una mano davanti alla faccia.
Confusa, e con un dolore terribile all’altezza del petto, incrociai il suo sguardo preoccupato, rimanendo ancora in silenzio, perché avevo perso la facoltà di parlare.
…tesoro…
“Cosa succede?”. La voce di Liam mi riportò alla realtà e alzai appena gli occhi in tempo per vederlo realizzare la situazione e correre immediatamente da me, chinandosi accanto a Zayn e puntando i suoi grandi occhi dolci nei miei.
“Piccola, tutto bene?” chiese con voce preoccupata. Zayn si strinse nelle spalle e si rialzò, continuando ad osservare la scena dall’alto. Io mi limitai a scuotere la testa, gli occhi che cominciarono a pizzicare, un sentimento di tradimento che mi chiuse lo stomaco.
Restare in un altro mondo per alcuni secondi mi aveva aiutato a realizzare e a capire cosa stava succedendo: Jenny non aveva affatto chiuso fuori dalla sua vita lei, non aveva mantenuto la promessa che ci eravamo fatte, continuava a sentirla, continuava a volerle bene.
A quel pensiero mi scappò un singhiozzo e le braccia di Liam si chiusero all’istante intorno a me.
“Piccola, no, che cosa sta succedendo? Mi stai facendo preoccupare!” esclamò, stringendomi a se. Sprofondai la testa nel suo petto e gli porsi il cellulare, facendo si che arrivasse alla mia stessa conclusione. Confuso, corrugò le sopracciglia e lesse in silenzio, per poi sbarrare gli occhi e fissarli nei miei, stupito.
“Okay, io mi sento un tantino di troppo. Quando tornerete tutti normali, dato il fatto che anche Harry e Jenny sembrano usciti di testa, fatemi un fischio” sbruffò Zayn, alzando le braccia al cielo e sparendo nella sua stanza. Le sue parole scocciate volarono via con lui, perché la mia testa era tutta assorbita in quel pensiero: Jenny mi aveva mentito.
Mi aveva mentito nel peggior modo che potesse fare, nascondendomi che continuava a sentire lei, la persona che avevamo promesso di tagliare fuori dalla nostra vita, perché non aveva fatto altro che rovinarcela.
“Oh, accidenti” sussurrò Liam, prendendomi la testa tra le mani e scrutandomi negli occhi, come se cercasse di capire cosa stessi pensando in quel momento, quando neanche io riuscivo a decifrarlo.
“Spostiamoci di qui, okay? Andiamo in camera” mi propose, rialzandomi di peso (perché probabilmente ancora non riuscivo a reggermi in piedi da sola) e portandomi nella nostra stanza, adagiandomi seduta sul letto. Mi prese le mani tra le sue e puntò i suoi grandi occhi dolci nei miei.
“Non dare di matto” mi pregò, l’angolo sinistro delle labbra che si alzò in un mezzo sorriso.
Scossi la testa, chiudendo gli occhi.
No, non avrei dato di matto.
Avrei solo urlato contro di Jenny finché non avessi finito il fiato, perché era caduta di nuovo nella sua trappola, poi sarei andata a cercare mia madre ovunque fosse e l’avrei uccisa per aver cercato di rientrare nelle nostre vite.
Che poi ci fosse riuscita era un dettaglio, lei non doveva neanche provarci.
Lui mi carezzò il viso, tirandomi indietro i capelli e sistemandomeli dietro le orecchie. Riaprii gli occhi e trovai i suoi vicinissimi, attenti e preoccupati.
“Non pensare sempre al peggio. Magari…”
“Non…provare a difenderla, Liam” lo interruppi con voce strozzata.
Questa volta aveva esagerato, mi aveva ferita, spezzato il cuore completamente a metà e aveva messo di nuovo in pericolo la nostra stabilità, perché nostra madre non avrebbe fatto altro che portare altri guai nella nostra vita, come se non fossimo già abbastanza incasinate.
Poi, quello che non riuscivo a spiegarmi era perché.
Non le bastavo io come punto di riferimento? Perché aveva cercato di nuovo lei, che non aveva fatto altro che ferirla in tutti gli anni della sua vita?
“Non stavo cercando di difenderla. Cercavo solo di…”
“Di trovare qualcosa di buono in questa situazione, lo so. Tu cerchi di farlo sempre. Ma questa volta non sarà possibile, non so ancora cosa mi trattiene da andare a svegliarla e cercare di capire cosa passa per quella testa bacata!” sbottai, tremando leggermente, la rabbia che cominciava a salire.
Le braccia di Liam si avvolsero all’istante intorno a me, ed io incrociai le braccia al petto, per evitare di andare in pezzi.
Avrei potuto capirla se si fosse sentita sola, se fossi stata assente, se avesse sentito bisogno di una figura di riferimento a cui fare affidamento.
Avrei potuto capirla in questi casi se avesse cercato di ricostruire una specie di rapporto con la persona che era la sola causa della nostra vita altalenante.
Ma lei non ne aveva avuto bisogno, aveva me, dannazione! Aveva i ragazzi, Cat, Harry. Era felice, perché allora le aveva permesso di farsi avanti di nuovo?
Voleva tornare a soffrire, mettendo suo malgrado di mezzo anche me?
“Le ha sempre voluto bene, lo sai” bisbigliò lui al mio orecchio. Chiusi gli occhi e tremai di nuovo.
“Lo so, ma non riesco a capire perché”
“Forse non devi capirlo, forse devi solo accettarlo” mi suggerì. Scossi la testa, sciogliendo il suo abbraccio e alzandomi.
“No, sono stanca di capirla. Deve imparare a crescere e se ha deciso che mentendomi si trova nel giusto, vorrà dire che potrà fare a meno di me” sibilai, assottigliando lo sguardo. Liam sospirò e si alzò, raggiungendomi e prendendomi una mano.
“Non essere così dura con lei” sussurrò. Mi voltai di scatto verso di lui, guardandolo male.
“Dura con lei? Questo è il minimo. Tu forse non capisci, ma mi ha tradita, altro che Harry! Credo che deve imparare a capire che lei non è il centro dell’universo e che ci sono altre persone che possono soffrire come lei”. Liam sospirò di nuovo e intrecciò le nostre dita, disegnando piccoli cerchi con il pollice sul dorso della mia mano, cercando di calmarmi.
“Okay, ora cerca di respirare e calmati. Non arrabbiarti anche con me, sto solo cercando di evitare che tu faccia qualcosa di cui poi potrai pentirti” sussurra con quello sguardo da cucciolo talmente tenero che riesce a scacciare almeno una buona parte del mio nervosismo, strappandomi anche un mezzo sorriso.
“Okay” acconsentii, stringendogli la mano. Lui mi sorrise, raggiante, e si chinò su di me per stamparmi un bacio sulle labbra.
“Ora andiamo a prenderci un bel bicchiere d’acqua. Stai tremando e hai bisogno di tranquillizzarti” mormorò apprensivo. Annuii e mi lasciai trascinare al piano di sotto, persa tra i miei pensieri e un dolore sordo che mi circondava il cuore.
Quella era la peggior cosa che mia sorella potesse farmi. Lo sapeva, ma non le era interessato minimamente.
Al momento non avevo idea di come comportarmi, speravo solo in un’illuminazione e in un aiuto di Liam che mi avrebbe trattenuta, perché la rabbia aumentava così pericolosamente che rischiava di far uscire la parte impulsiva e senza freni di me che avevo sempre odiato.
 



Liam
 



Non avevo mai visto Cher così sconvolta e giù di morale.
Se fosse stata solo tristezza quella che le aveva procurato quel muso lungo che le arrivava fin quasi ai piedi, spazzando via ogni accenno di quel sorriso che amavo tanto, forse sarei riuscito a fare qualcosa per rimediare.
Ma quello che le faceva tremare le mani e la faceva sbruffare ogni due secondi, era una rabbia eccessiva che più passava il tempo più aumentava, ed io non avevo idea di come domarla, perché non conoscevo ancora quella parte di lei.
Si, l’avevo vista arrabbiata, un paio di volte almeno. Ma quello era niente, perché ora alla rabbia si aggiungeva anche un sentimento di tradimento che provocato da una sorella deve essere almeno tre volte peggio che da qualsiasi altra persona.
Non avevo un rapporto tanto stretto come quello tra Cher e Jenny con le mie sorelle, e già immaginavo che se loro mi avrebbero fatto una cosa del genere sarei uscito di testa, per questo compresi che la portata del dolore di Cher doveva essere davvero insopportabile, soprattutto perché Jenny le aveva tenuto nascosta l’unica cosa che avrebbe dovuto dirle, anche se farlo avrebbe solo anticipato il litigio che si sarebbe svolto di li a qualche minuto, perché proprio in quel momento una ancora assonnata Jenny stava scendendo le scale barcollando.
“Ditemi che c’è qualcosa di dolce da mangiare, perché la testa mi gira in una maniera impressionante” mugugnò, crollando sulla prima sedia che trovò libera, passandosi una mano sul viso.
Sentii Cher irrigidirsi accanto a me e la mia mano scattò ad afferrare la sua, per trattenerla.
Anche se sapevo che era Jenny tra le due la ‘colpevole’, non riuscii comunque a non provare un po’ di dispiacere per lei, per la sua espressione stanca e piena di dolore, per le sue occhiaie pronunciate sotto agli occhi, incredibilmente rossi e gonfi, segno che doveva aver pianto un bel po’.
Improvvisamente mi resi conto che non era proprio un bel periodo per lei e, anche se non avevo ancora ben capito le dinamiche del suo litigio con Harry, sapevo che ci doveva stare dannatamente male e destino aveva voluto che sua sorella scoprisse anche il suo segreto.
Ancora non lo sapeva, ma la sua situazione sarebbe peggiorata drasticamente da un momento all’altro, e probabilmente non ci sarebbe stato nessuno questa volta a consolarla, perché l’unica persona che sarebbe stata sempre e comunque dalla sua parte, in quel momento la stava trucidando con lo sguardo.
Quando Jenny non sentì alcuna risposta da noi, gli unici presenti in casa, dato che i ragazzi erano completamente svaniti nel nulla, alzò gli occhi confusa. Louis e Niall avevano trascinato via Harry non sapevo dove, probabilmente per distrarlo, mentre Zayn era al piano di sopra, ma era come se non ci fosse, perché era talmente silenzioso che ci si dimenticava di lui, anche se in quel momento non mi avrebbe di certo fatto schifo un appoggio morale, dato il fatto che stavo per assistere ad un litigio di proporzioni colossali.
“Che succede?” chiese, alternando lo sguardo da me a Cher. Sentii la mia ragazza ribollire di rabbia, mentre cercavo di lanciare sguardi inequivocabili a Jenny, dicendole con gli occhi di iniziare a preoccuparsi.
“E lo chiedi anche?” sibilò Cher, digrignando i denti. Jenny sbarrò un poco gli occhi, ma potevo vedere dalla sua espressione che ancora non aveva capito la gravità della situazione e non aveva idea del perché Cher fosse così improvvisamente infuriata con lei.
“Cos’ho fatto?” chiese rivolta a me, mentre Cher stritolava la mia mano, facendomi leggermente male. Non protestai e mi limitai a stringermi nelle spalle, perché non erano affari miei e non potevo intromettermi tra i loro problemi, soprattutto perché non sapevo come avrebbe potuto reagire Cher e l’ultima cosa che volevo era che si arrabbiasse anche con me.
Per tutta risposta, Cher fece scivolare il cellulare di Jenny sul tavolo, mandandolo a sbattere contro il suo gomito. Jenny spalancò gli occhi dalla sorpresa e impallidì, mentre guardava il display del suo cellulare, leggendo il messaggio che aveva aperto Cher.
“Oh, merda” mugugnò, mentre Cher soffocava un grido di rabbia.
“Ora, io non so cosa ti passava per quella testa bacata mentre rispondevi ai suoi messaggi e alle sue chiamate, ma sappi che io so bene cosa passa per la mia e credimi, se ti dico che hai preso proprio una strada sbagliata” sibilò, lo sguardo di fuoco, mentre Jenny si alzava in piedi, le mani alzate in segno di resa, l’espressione supplicante.
“Cher, per favore, fammi…”
“Non ci provare nemmeno” la interruppe con voce brusca, “Non voglio sentire neanche una mezza giustificazione. Mi hai mentito, Jennifer. E su l’unica cosa che sapevi non dovevi tenermi nascosta. Mi hai spezzato il cuore, e sappi che a questo non c’è rimedio” proclamò, la voce talmente fredda che mi provocò un brivido fastidioso che mi risalì la schiena. Gli occhi di Jenny si riempirono di lacrime e capii che era veramente troppo; ne stava passando di tutti i colori in quei giorni e stava arrivando al limite, ma purtroppo io non potevo farci niente.
“Cher…”
“Zitta, Jenny. Hai superato il limite, e non me ne frega niente se in questo momento sei debole, se hai litigato con Harry, se hai bisogno di me…al diavolo tutto! Hai chiuso con me, sappilo. Hai fatto l’unica cosa che non dovevi fare, e lo sai” concluse, facendo si che le lacrime cominciassero a scorrere sul viso di Jenny, completamente sconvolta.
Sospirai e guardai Cher, che la fissava con sguardo gelido, le labbra tese e le mani che le tremavano leggermente.
“Cher…” bisbigliai. Lei si voltò verso di me e scosse velocemente la testa.
“Lo sai, Liam, lo sai quanto ci sono stata male” sussurrò, chiudendo gli occhi e poggiandosi contro di me. A Jenny scappò un singhiozzo e Cher strinse ancora di più gli occhi.
“Mi dispiace, Cher, non fare così ti prego”
“Andiamo via, per favore” mi pregò Cher, ignorando le suppliche della sorella. Da persona matura, avrei dovuto oppormi a quella richiesta e mi sarei dovuto imporre sul fatto che dovessero parlarne all’istante.
Ma Cher era la cosa più importante che avevo, ed ero quasi obbligato ad accontentarla in tutto, perché non volevo che soffrisse, anche se probabilmente ormai era troppo tardi.
“Okay” sussurrai, prendendola per mano e portandola via, mimando con le labbra un patetico ‘scusa’ a Jenny, che crollò scoppiando in singhiozzi che mi fecero stringere il cuore.
Cher quasi corse via, uscendo di casa e stringendomi spasmodicamente la mano, mentre si mordeva il labbro per evitare di piangere.
Sul vialetto di casa incontrammo Harry, che ci guardò confuso. Mi fermai solo il tempo necessario per mollargli una pacca sulla spalla, cercando di avvertirlo con lo sguardo e sperando con tutto il mio cuore che almeno lui avrebbe avuto un po’ di pietà per la piccola Jenny.
“Che diavolo…?”
“Spero che almeno tu riesca a perdonarla, Harry, qualsiasi cosa ti abbia fatto. Perché di risentire la mia voce può anche scordarselo” sibilò Cher rivolta ad Harry, prima di riprendere a camminare come una furia verso non so dove. Harry mi lanciò uno sguardo interrogativo ed io scrollai le spalle. Avrei tanto voluto informarlo dell’accaduto e pregarlo di stare vicino a Jenny e di mettere da parte tutti gli screzi che li avevano portati a litigare.
Ma in quel momento non avevo tempo, Cher aveva bisogno di me e lei era e sarebbe sempre stata la mia priorità.












 

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Capitolo 20
*** Capitolo venti. ***


Capitolo 20
 


Jenny
 
 


Quando mia sorella uscì di casa assieme a Liam, sbattendo la porta, sentii come il resto del mio cuore frantumarsi in mille pezzi.
Mi trascinai a passo pesante sul divano, la prima superficie abbastanza morbida su cui raggomitolarmi, e mi strinsi le braccia al petto per evitare che quei pezzi si spargessero ed andassero persi.
Si era frantumato tutto nella mia vita: prima Harry, che avevo trattato in un modo che sicuramente non meritava e che probabilmente in quel momento mi odiava con tutto se stesso; poi Cher, che aveva scoperto il segreto che sapevo fin dall’inizio non avrei dovuto tenere con lei.
Se da una parte ero stata felice che mia madre tornasse a far parte della mia vita, dall’altra sapevo che stavo facendo un enorme sbaglio tenendo Cher all’oscuro di tutto.
E, come per dimostrarmi quanto fossi stata scorretta negli ultimi tempi, il destino o chiunque decidesse della nostra vita, aveva deciso di smascherarmi, peggiorando la mia già precaria situazione.
In quel momento sarei solo voluta sparire, volevo scappare via lontano da tutto e tutti, perché ormai ero rimasta sola, e il vuoto che sentivo all’altezza del petto pesava talmente tanto da mozzarmi il respiro.
Le due persone che amavo di più al mondo avevano chiuso il loro cuore, tutto per colpa mia.
Mi sentivo tanto un granello di sabbia inutile in mezzo ad un deserto.
Singhiozzai, incassando la testa tra le ginocchia, cercando di fare meno rumore possibile per non attirare l’attenzione. La persona di cui avevo più bisogno in quel momento non c’era, ma comunque nessuno avrebbe potuto aiutarmi, perché stavo per crollare.
Dai rumori al piano di sopra, però, capii che qualcun altro era in casa, e non volevo farmi vedere da nessuno in quelle condizioni, soprattutto perché sapevo che era colpa mia e gli sguardi di rimprovero di altre persone non avrebbero fatto altro che peggiorare il mio già precario equilibrio emotivo.
Quando l’ennesimo singhiozzo mi scosse il petto, mozzandomi il respiro, il rumore della porta e di passi che entravano in casa fecero riecheggiare il lontano battito del mio cuore nel mio petto ormai vuoto.
Un sospiro, altri passi, il cuore che ricominciava a pompare sangue nelle vene.
Mi raggomitolai ancora più stretta, intimando a chiunque mi stesse guardando di andare a farsi fottere e di non avvicinarsi, perché non ero di certo un bello spettacolo in quel momento.
Un altro sospiro, poi le molle del divano cigolarono, informandomi che qualcuno si era seduto accanto a me.
“Jenny…”.
La sua voce. La sua stramaledetta roca e bellissima voce mi fece singhiozzare ancora più forte.
“No, piccola, no. Non piangere ti prego” mormorò quasi tra se e se, allungandosi verso di me e sfiorandomi esitante una spalla. Un fremito mi percorse la schiena, mentre il punto in cui mi aveva toccato bruciava, facendomi capire quanto mi era mancato.
Un’altra ondata di lacrime mi travolse, ma non avevo il coraggio di alzare la testa, perché sapevo che vedere il suo sguardo arrabbiato e i suoi occhi non più pieni d’amore mi avrebbe uccisa del tutto.
La pressione sulla mia spalla aumentò, e lui mi carezzò il braccio per tutta la lunghezza, cercando di tranquillizzarmi ma ottenendo l’effetto contrario. Stavo bollendo di desiderio, avevo bisogno che lui mi abbracciasse e scacciasse via tutti i problemi e le incomprensioni che stavano rendendo la mia vita un inferno.
Come se mi leggesse nel pensiero, mormorando parole incomprensibili, scivolò accanto a me e mi circondò i fianchi con un braccio, sollevandomi delicatamente e facendomi sedere sulle sue ginocchia.
Trattenni il respiro, mordendomi il labbro inferiore per impedirmi di singhiozzare ancora, mentre lui mi stringeva a se. Il cuore riprese a battere incontrollato nel mio petto dopo giorni di inattività e mi fece quasi male.
Con un altro sospiro mi costrinse a tirare su il viso, mi scostò i capelli dal viso, ma io tenevo ancora gli occhi chiusi. Lui li baciò, asciugandomi le lacrime, poi mi baciò la fronte, stringendomi al suo petto.
Io lo circondai con le braccia e affondai il viso nel suo collo, smettendo piano piano di piangere e sentendomi viva finalmente, inspirando il suo dolce odore.
Lui mi strinse ancora più forte, un brivido che ci percorse entrambi.
“Piccola. Sei così piccola e hai tanto bisogno di un abbraccio…” bisbigliò, lasciandomi un bacio tra i capelli e aumentando ancora la stretta.
Restammo lì, senza dire un’altra parola, per un tempo che mi sembrò infinito. Poi, quando le lacrime sembrarono cessare, e c’erano le braccia di Harry che si occupavano di tenere incollati i miei pezzi, mi sforzai di parlare.
“M-mi…dispiace” sussurrai sulla sua pelle. La sua stretta aumentò impercettibilmente, il suo pollice che sfiorava la pelle nuda del mio fianco sotto la maglietta.
“Shh, non importa, va tutto bene”
“No, Harry. Sono stata una stronza. Io…mi dispiace” un’altra lacrima scivolò lungo la mia guancia, lui mi tirò su il viso e si affrettò ad asciugarla con un bacio.
Finalmente, dopo interi giorni di silenzio, i miei occhi incrociarono i suoi, verdi, brillanti e pieni di amore.
Mi sentii di nuovo piena e padrona di me stessa.
“Anche io, piccola. Ci siamo comportati male entrambi. Ma si fanno sempre cose pazze quando si è innamorati, no?” mormorò, accennando un sorriso, le fossette che apparsero per mezzo secondo.
“Mi dispiace tanto”.
Non sapevo che altro dire per farmi perdonare, e lui sembrò accettare quelle che per me erano delle scuse più che sincere.
Scosse lentamente la testa, sorridendo, e strofinò il naso contro il mio.
“Lo so, dispiace anche a me, non immagini neanche quanto. Questi giorni senza di te erano praticamente vuoti” soffiò. Chinai la testa, sentendomi estremamente in colpa.
“Anche per me”
“Promettimi che non litigheremo più così. Dobbiamo parlarne, Jen, tenerci il muso ci fa solo male” disse, la voce quasi implorante. Incrociai i suoi grandi occhi verdi e annuii.
“Hai ragione, sono stata un idiota”
“Lo siamo stati entrambi, smettila di prenderti tutta la colpa” mormorò schioccando la lingua per poi sorridermi di nuovo.
Anche se non ci eravamo praticamente detti niente, che i problemi e le incomprensioni che ci avevano spinto a litigare erano ancora tutti lì, mi sentii leggermente meglio, perché capii che lui era di nuovo con me e il suo amore era rimasto intatto, così come il mio.
“Mi dispiace per…” sfiorai la sua guancia colpita e lui chiuse gli occhi. Un nodo mi chiuse lo stomaco, quando mi resi conto che era tutta colpa mia, tutto, fin dall’inizio.
“Non importa” bisbigliò. Scossi la testa, cercando di ingoiare il nodo che mi chiudeva la gola.
“Dovresti odiarmi per questo. Non riesco neanche a pensare di averlo fatto” sussurrai disgustata da me stessa. Gli scappò un sorriso e riaprì gli occhi, quelle iridi verdi e lucide che mi erano mancate da morire.
“Non sei stata tu a mollarmi un pugno” replicò sarcastico. Alzai gli occhi al cielo ed intrufolai di nuovo la testa nel suo collo.
“Ma è stata comunque colpa mia”. Lui rise sottovoce e mi strinse a se, lasciandomi un bacio tra i capelli.
“Quel che è fatto è fatto, è inutile continuare a pensarci” sussurrò, poggiando la sua testa sulla mia. Sospirai e chiusi gli occhi, rilassandomi in quell’abbraccio e ringraziandolo mentalmente per essere così maturo e ragionevole, per aver capito le mie ragioni e per aver represso la sua rabbia per potermi perdonare in fretta.
Non lo meritavo affatto, per questo mi ritenevo più che fortunata ad avere un ragazzo come lui.
“Non andrò più da Lucas” sussurrai d’un tratto, gli occhi ancora chiusi, il cuore finalmente di nuovo attivo.
“Cosa?” chiese lui, come se l’avessi distratto da chissà quale pensiero. Aprii gli occhi e incrociai i suoi, verdi, tranquilli e caldi.
“Non andrò più da Lucas, non lo frequenterò più, anche se non è giusto per lui, non voglio che ci siano altre incomprensioni tra noi” spiegai, senza distogliere lo sguardo, mordendomi poi il labbro per aspettare una sua risposta.
Era ingiusto nei confronti di Lucas, che decidessi di ignorarlo così su due piedi, dopo che lui aveva provato ad aiutarmi ed era stato sempre gentile con me.
Ma era tanto egoista pensare che Harry fosse più importante e che volevo evitare qualsiasi cosa che avrebbe potuto provocare di nuovo un qualsiasi litigio tra di noi?
“Io non voglio che tu limiti le tue amicizie per me” mormorò confuso, aggrottando le sopracciglia. Scossi la testa, poggiando la fronte sulla sua.
“Ma io so che ti da fastidio, e non voglio più litigare con te, quindi…”, mi strinsi nelle spalle e lui si aprì in un sorriso.
 “Sei sicura? Non voglio obbligarti a fare niente, puoi essergli amica, se vuoi. Anche se dopo quello che ha fatto vorrei tanto ucciderlo” concluse con voce amara, facendo una smorfia. Sfiorai il taglio fresco sul suo zigomo con un dito, i sensi di colpa che mi fecero contorcere lo stomaco.
“Mi dispiace tanto, se non l’avessi fatto entrare adesso…”
“Adesso non ci parleremmo neanche. Da una parte è stato meglio così perché, anche se ci ho rimediato un bel pugno, ora tu sei di nuovo tra le mie braccia”
Mi si riempirono gli occhi di lacrime a sentire quelle parole così cariche di dolcezza e affondai di nuovo il viso nel suo collo, per non fargli capire quanto in quel momento mi sentissi fragile e indegna.
“Io non merito uno come te” mi lasciai sfuggire in un mugolio, mentre una morsa mi stringeva violentemente il cuore. Mi posai una mano sul petto, sorpresa dall’intensità di quella sensazione, sentendomi mancare il respiro. Lui scosse la testa e mi strinse impercettibilmente per i fianchi, rimanendo però in silenzio, un silenzio che non fece che aumentare il mio disagio.
Stavo per iniziare a sproloquiare una marea infinita di scuse, quando lui prese un bel respiro e mi tirò su il viso, poggiando la sua fronte sulla mia e guardandomi intensamente negli occhi, con quei due pozzi verdi che allentarono di un poco la morsa del mio petto.
“Questo lo pensi tu” soffiò, chiudendo impercettibilmente gli occhi, per poi sforzarsi di sorridere, le fossette che spuntarono leggermente sulle sue guance, “Ma che sia così o meno, io ormai sono tuo, e questo non potrà mia cambiare”. I suoi occhi brillano, quasi emozionati, ed io riuscii a malapena a trattenere le lacrime, che mi gonfiarono gli occhi. Gli scappò un mezzo sorriso e mi passò il pollice sotto gli occhi, per asciugarli.
“Lo so che sono commovente, ma non piangere, per favore” disse con un gran sorriso, la voce sarcastica. Mi uscì una risata mezza isterica, mischiata con le lacrime, e lui ridacchiò, strofinando il naso contro il mio.
“Promettimi che non mi nasconderai più niente, che ci diremo sempre tutto e che non litigheremo più” lo pregai, chiudendo gli occhi e tornando seria. Lui premette la fronte contro la mia, i nostri respiri mischiati, il suo profumo che mi invase le narici.
“Te lo prometto, non voglio più stare lontano da te neanche per tre secondi” mormorò. Sospirai di sollievo e aprii gli occhi. Lui mi sorrise e mi strinse al petto, senza dire un’altra parola, proprio come me.
Non avevamo bisogno di parlare in quel momento, ci eravamo praticamente detti tutto, avevamo solo bisogno di ritrovarci, di riprendere contatto l’uno con l’altro, di alleviare la mancanza che avevamo provato entrambi.
Quando riaprii gli occhi, presa da un improvviso brivido di freddo, mi ritrovai sola sul divano, con una coperta a coprirmi e un silenzio pressante intorno a me.
Mi ero addormentata.
Harry non c’era.
Ma prima che potessi cominciare a preoccuparmi e a farmi milioni di film pensando che lui ci avesse ripensato e avesse deciso di essere ancora arrabbiato con me, o peggio che il mio fosse stato solo un sogno, incrociai lo sguardo di Niall e Louis, seduti sul divano accanto a me che riuscivano a giocare alla play restando stranamente in silenzio.
Mi alzai in fretta, mettendomi seduta e serrando gli occhi presa da un improvviso capogiro.
“Oh, buongiorno bella addormentata” mi sorrise Niall, con voce squillante, “Anche se è un po’ strano dirlo a quest’ora”. Piegai un poco la testa di lato, sforzandomi di ricambiare il sorriso, mentre intercettavo un’occhiata diffidente di Louis, probabilmente ancora arrabbiato con me per aver trattato male Harry.
“Mh, che ore sono?” mugugnai, con la voce impastata dal sonno, non riuscendo a credere di essermi davvero addormentata, per poi risvegliarmi da sola.
Dov’era Harry?
“Le dieci” mi informò Louis con voce monocorde. Lanciai uno sguardo alla finestra, notando di come fosse buio e constatando che avevo dormito per un bel po’; era stata una giornata davvero lunga e dovevo averne avuto bisogno.
“Dove…” mi bloccai, quando Louis mi lanciò uno sguardo di fuoco, “…sono gli altri?” conclusi, deglutendo nervosamente.
Avevo il vago presentimento che ce l’avesse con me e, oltre che scusarmi e farmi perdonare da Harry, dovevo fare i conti pure con Louis.
Niall, incurante della tensione tra me e Louis, scrollò le spalle, continuando a giocare e segnando gol su gol, approfittandosi della distrazione di Louis, anche se avevo l’impressione che anche se fosse stato super attento avrebbe perso lo stesso.
“Cher e Liam dormono, o perlomeno sono in camera loro” ammiccò, e al nome di mia sorella mi si strinse il cuore: c’era un’altra persona a cui avrei dovuto chiedere scusa al più presto.
“Zayn invece è uscito” concluse poi, riscuotendomi dai miei pensieri. Annuii distrattamente, notando di come non mi avesse dato l’informazione che bramavo di più.
“Harry?” chiesi in un sussurro, rimediandomi una sua occhiata confusa, e facendo si che Louis si voltasse di scatto verso di me, gli occhi fiammeggianti.
“B-beh…lui…” balbettò Niall, confuso dal fatto che chiedessi di lui, non sapevano ancora che bene o male avevamo chiarito.
“Perché? Vuoi torturarlo ancora un po’?” sibilò Louis sarcastico. Sospirai, sostenendo il suo sguardo e cercando di calmarlo con il mio.
“No, Lou, non lo farei mai”
“Strano, perché mi sembra che in questi giorni tu non abbia fatto altro. Conosco Harry da tanto ormai, abbastanza per dire di non averlo mai visto così distrutto” mi accusò con voce tagliente.
“Lou…” sospirò Niall, lanciandomi un’occhiata preoccupata. Louis schioccò la lingua, guardandolo male.
“No, deve sapere. E’ per colpa sua se sta così male e se sono giorni che non lo vedo sorridere” borbottò. Sospirai di nuovo, continuando a ripetermi che meritavo tutte quelle accuse e che non dovevo prendermela se Louis si stava sfogando: aveva ragione ad avercela con me e ad essere preoccupato per il suo amico.
“Ascoltami, Louis. Hai ragione, mi sono comportata male con lui, ma abbiamo parlato, prima che mi addormentassi e che lui sparisse non so dove. So che sei arrabbiato con me, come lo era lui, ma a quanto pare mi ha perdonata, quindi ti sarei molto grata se mi dicessi dov’è, così posso continuare a parlare con lui del nostro litigio che, per la cronaca riguarda solo noi due” precisai, con voce tranquilla e espressione serena. Non volevo litigare anche con lui, avevo ricevuto abbastanza odio in quei giorni che mi sarebbe bastato per una vita intera.
Lui mi scrutò corrucciato per qualche minuto in silenzio, poi annuì riluttante, e fece una smorfia.
“E’ in camera sua. E si, è un problema vostro, ma sappi che se lo farai ancora soffrire, poi te la vedrai con me” minacciò, senza tanta convinzione.
Gli sorrisi, e lui contrasse le labbra per non ricambiare.
“Lo so. Stai tranquillo, non riuscirei mai più a farlo” deglutii, la sensazione di solitudine e amarezza che mi aveva accompagnata in questi giorni che risaliva a galla.
No, avrei fatto di tutto per non riprovarla mai più, per far si che stessimo bene senza più intralci di nessun tipo.
Lui annuì e distolse lo sguardo, anche se l’ombra di un sorriso gli apparve sulle labbra. Niall mi fece l’occhiolino ed io gli sorrisi, per poi affrettarmi a salire al piano di sopra, dirigendomi a passo di marcia verso la camera di Harry. La porta era socchiusa, così sbirciai e vidi Harry steso sul letto, probabilmente addormentato.
Aprii un po’ di più la porta ed entrai, attenta a non fare rumore.
Il suo respiro pesante e regolare mi diede la conferma: stava dormendo.
Lentamente e cercando di non sballottarlo, mi stesi accanto a lui, che dormiva a pancia in sotto, la testa sprofondata nel cuscino. Mi girai su un fianco per guardarlo meglio e sorrisi.
Era così tenero mentre dormiva, il viso rilassato, le labbra socchiuse, tutta la rabbia e il dolore che aveva provato che sembravano essere scivolati via per sempre.
Un altro brivido mi percorse la pelle, facendomi tremare, così scivolai piano accanto a lui e mi intrufolai sotto il suo braccio, assorbendo il suo calore. Lui mugugnò qualcosa e si mosse, socchiudendo gli occhi.
“Jen” mormorò confusamente, probabilmente ancora per metà nel mondo dei sogni. Sorrisi, chiudendo gli occhi e affondando il viso nel suo collo, dove lasciai un piccolo bacio. Lui si svegliò del tutto, un piccolo brivido che lo scosse.
“Scusa” mormorai, mentre lui mi stringeva a se, affondando il viso tra i miei capelli e respirando forte, “Non volevo svegliarti, ma mi mancavi” cercai di giustificarmi. Lo sentii sorridere e aumentare la stretta.
“No, scusa tu. Ti sei addormentata e ti ho lasciata li”
“Non fa niente”. Il silenzio calò tra di noi, un silenzio rilassante, mentre ci abbracciavamo stretti, scaldandoci a vicenda e respirando l’uno il profumo dell’altra.
“Perché piangevi quando sono rientrato in casa, oggi? Cos’è successo con Cher?” chiese lui dopo un po’ in un sussurro. Mi si strinse il cuore, ricordando lo sguardo freddo di Cher prima che uscisse di casa. Mi odiava, ne ero certa.
“L’ha scoperto” dissi, la voce che mi si spezzò. Non c’era bisogno che gli dicessi cosa o che gli dessi altre spiegazioni, lui lo sapeva e mi aveva sempre avvertita sul fatto che sarebbe potuta succedere una cosa del genere.
“Merda” commentò, alzandomi il viso per incrociare il mio sguardo sofferente.
“Adesso mi odia anche lei, e non posso darle tutti i torti”. Lui alzò gli occhi al cielo, per poi sorridermi teneramente
“Io non ti odiavo, e neanche lei. E’ arrabbiata, tutto qui, le passerà, come è passata a me”. Scossi la testa, stringendo le labbra per evitare di piangere. Ero patetica, quei giorni, non facevo altro che piangere e non ne potevo davvero più. Avrei finito la scorta di lacrime prima o poi?
“E’ diverso. Lei odia nostra madre, lo sai, e sentirla era la cosa peggiore che potessi farle”
“Il rapporto che ha con vostra madre è un problema suo, non può coinvolgere anche te. Se tu le vuoi bene, non può impedirti di sentirla” replicò lui, convinto, le sopracciglia corrucciate. Sospirai e scossi lievemente la testa.
“Lo so, ma ha ragione: lei non ha fatto altro che farci del male, per questo la vuole fuori dalla nostra vita”
“Okay, allora perché tu non vuoi chiuderla fuori?” mi chiese lui, guardandomi dritto negli occhi. Ci misi qualche secondo di più a rispondere, perché il suo sguardo mandò in tilt il mio cervello.
“Perché…penso che tutti meritano una seconda possibilità. E lei è mia madre, anche se Cher non lo capisce, ho bisogno di lei e le voglio bene, nonostante tutto quello che ha fatto. Forse…forse dobbiamo solo imparare ad accettare che lei è fatta così, e non possiamo cambiarla, dobbiamo tenercela così com’è. Dopotutto, non è che possiamo sceglierla” mormorai, esprimendo per la prima volta a voce alta il mio vero pensiero su quell’argomento, una cosa che non avevo mai trovato il coraggio di dire a nessuno. Lui sorrise, soddisfatto dalla mia risposta, e mi sfiorò il naso con un dito.
“Perché queste cose non le dici a Cher?” mi chiese dolcemente. Sbarrai gli occhi e scossi categoricamente la testa.
“Perché non proverebbe nemmeno ad ascoltarmi. L’argomento ‘mamma’ è un tabù per lei”
“Beh, non potrà tenerti il muso per sempre, è impossibile farlo, prima o poi dovrà ascoltarti e provare a capirti” borbottò lui, imbronciandosi. Sorrisi e passai un dito sulle sue labbra, che si dischiusero al mio tocco, facendomi rabbrividire.
“Sa essere testarda quando vuole” mormorai.
“Lo so, credo di cominciare a conoscerla, ma so anche che tu sei altrettanto cocciuta e che quando ti metti in testa una cosa riesci a farla” mi scoccò un sorriso furbo e poi si chinò su di me, sfiorando il mio naso con il suo in una carezza che mi provocò mille brividi sulla schiena.
“Ora direi di smetterla di parlare, eh?” mormorò, il suo respiro caldo che mi solleticò la pelle. Rabbrividii di nuovo, tutti i pensieri coerenti che evaporarono in un secondo dalla mia mente.
In quel momento c’era solo lui così pericolosamente vicino e la mancanza del suo tocco che bruciava tra di noi. Annuii lievemente, perché non sarei riuscita a emettere nessuna frase di senso compiuto, e lui mi sorrise di nuovo, socchiudendo gli occhi.
Sembrava farlo apposta: si avvicinava lentamente, troppo lentamente, e la corrente che c’era tra di noi mi stava facendo tremare, impaziente, bollente e su di giri.
Vidi un sorriso apparire furbetto sulle sue labbra e non resistetti più, mi allungai ed incollai le nostre bocche, facendo allargare il suo sorriso.
Al contatto, fu come se mi sentissi di nuovo completa, tutta un fremito, ma di nuovo felice.
Lui mi strinse, una mano posata sulla mia guancia, dalla nuca al mento, l’altra alla base della mia schiena per avvicinarmi ancora di più a se, il corpo premuto contro il suo, completamente.
“Mi sono mancate le tue labbra” mormorò staccandosi, il respiro leggermente spezzato, gli occhi fissi su di me, la fronte premuta sulla mia.
“Anche a me” ansimai vergognosamente, senza fiato, ma me ne fregai, perché lui finalmente era di nuovo con me. Ridacchiò e mi stampò  un dolce e casto bacio sulle labbra, facendomi infiammare.
“Bene, allora direi che possiamo rimediare”.
















Morning, people!
Vi avviso che ho ancora gli occhi mezzi chiusi, quindi potrei scrivere cazzate più del solito,
se non volete restare traumatizzate, smettete di leggere ora.
No, a parte gli scherzi, minchia!
Siamo arrivati già al capitolo 20? o.o
Mi sembra ieri di aver postato il primo e di aver cominciato a sclerare
perchè non avevo idea di cosa far succedere :')
Che bei momenti...
Non che ora stia tanto meglio...avete presente i blocchi dello 'scrittore'?
Ecco, in questi giorni ho la mente completamente vuota,
e scrivere questo capitolo è stato quasi un parto, quindi non ho idea di quando posterò di nuovo,
perchè il mio cervellino non vuole collaborare, prendetevela con lui ùù
Okay, torniamo a noi.
Hanno fatto pace! *partono i fuochi d'aritificio*
Giuro che mi ero detta questa volta di farlo durare di più,
ma proprio non ce la faccio a tener separati quei due, sono peggio delle calamite .-.
Beh, spero vi piaccia e...preparatevi, che tra poco arriva il BOOM
(se riesco a scriverlo, perchè l'idea ce l'ho, sono le parole che mancano çç).
Vado a fare colazione, il mio stomaco reclama cibo!
Au revoir, mademoiselles!
Tanto amore.
Sara.










 

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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno. ***


Capitolo 21

 

 

Liam
 



Cher continuava a camminare avanti e indietro davanti alla panchina su cui mi ero seduto. Era ormai mezz’ora che eravamo lì, e il parco cominciava a svuotarsi perché stava calando la sera e cominciava anche a fare piuttosto freddo.
Ma a quanto pare Cher era in tutt’altro mondo, perché bolliva di rabbia e stava quasi per fare il solco sul terreno, per quante volte aveva percorso quel paio di metri davanti a me.
Io mi limitavo a guardarla in silenzio, perché non avevo la più pallida idea di cosa dirle, ma anche per lasciarla sbollire un po’, prima che attaccasse anche me.
“Non ci posso credere” sbottò, ripetendo per l’ennesima volta quelle quattro parole. L’avevo sentite così tante volte nel giro di dieci minuti che cominciavano a perdere di significato e mi chiedevo se avessero davvero un senso.
Lei grugnì qualcos’altro, mentre io rimanevo in silenzio a guardarla. Avevo provato a farla ragionare un paio di volte, ma mi aveva lanciato uno sguardo talmente bruciante che mi aveva praticamente costretto a chiudere la bocca. E, dato che non volevo morire fulminato dalla ragazza di cui ero innamorato, preferivo starmene zitto finché non si fosse sfogata e fosse tornata in se, magari riuscendo ad intavolare una conversazione civile.
“Non ci posso credere” sussurrò. Faticai a trattenere un sorriso, perché la scena era davvero esilarante, o forse perché stavo uscendo di testa anch’io. Lei mugugnò qualcosa e finalmente si lasciò cadere sulla panchina, accanto a me, la testa poggiata sulla mia spalla.
Sospirai, cercando di tornare in me e le circondai le spalle con un braccio.
“Ti sei calmata un pochino?” bisbigliai. Lei alzò gli occhi per incrociare i miei e boccheggiò, per poi sbruffare.
“Non ci…” scattai e le tappai la bocca con la mano.
“Ti prego, smettila di dirlo” dissi guardandola seriamente. Lei si limitò ad annuire ed io la lasciai andare, sorridendole.
“Scusa” borbottò, “E’ che…io…non so come comportarmi” si arrese, espirando bruscamente.
E lo dici a me?
Presi fiato, concentrandomi tenendo gli occhi chiusi per qualche secondo, poi la guardai attentamente, lei che fremeva in cerca di aiuto, o di qualcosa o qualcuno su cui sfogare la sua rabbia, il suo dolore, la sua incredulità.
“Ascoltami” cominciai, “Cerca di respirare e libera la mente” le dissi, poggiandole entrambe le mani sulle spalle e cercando di farla calmare, perché sapevo che quando era agitata era impossibile farla ragionare. Lei mi guardò dritto negli occhi e prese un bel respiro. Le scoccai un sorriso d’incoraggiamento e lei fece una piccola smorfia.
“Bene. Ora, cerca di reprimere i tuoi istinti omicidi verso di me e prova a pensare; mettiti nei suoi panni, so che ti fa male, ma prova a capire il suo punto di vista” cercai di riflettere insieme a lei, per trovare un punto d’accordo da cui partire per provare almeno a risolvere la situazione.
“Ma…” cominciò a protestare, per poi sospirare tremante senza sapere cosa dire.
“Lo so” mormorai, capendola al volo, “Ma ha una sua testa ed io la reputo una ragazza intelligente, quindi deve averci pensato su, non credo che sia stata precipitosa o incosciente” le dissi, senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi dai suoi, leggendoci tutti i sentimenti contrastanti che stava provando.
Lei ci ha rovinato la vita, Liam. Jenny mi aveva promesso che ce la saremmo lasciata alle spalle” si lamentò, lasciandosi scappare un piccolo gemito.
“E’ sempre sua madre” provai a dirle, prima di bloccarmi davanti al suo sguardo improvvisamente fiammeggiante.
“E’ anche la mia, ma questo non toglie che non gliene è mai importato di noi, quindi perché a me dovrebbe importare di lei?” sbottò, diventando rossa in viso. Sospirai, cercando di calmarla con lo sguardo, perché non avevo intenzione di discutere con lei; primo perché sapevo che non l’avrei mai avuta vinta, secondo perché in quel momento sapevo che aveva solo bisogno di qualcuno che le dicesse che aveva ragione e che la appoggiasse in tutte le sue decisioni, qualunque queste fossero state.
“Forse Jenny non è come te” provai comunque a farla ragionare, tentando un’ultima volta, “Forse lei non riesce ad essere così ferma nelle sue decisioni, forse ha ancora bisogno di lei”
“Bisogno di lei per fare cosa?! Non c’è mai stata e non ha mai fatto niente per lei, se non spezzarle il cuore ogni volta che se ne andava!” prese fiato, perché il respiro le si era bloccato in gola ed io mi avvicinai a lei preoccupato dal suo sguardo sofferente.
“Lo farà di nuovo, io lo so. Appena sarà sicura di essersi riguadagnata il suo ruolo da mamma, scapperà di nuovo”, strinse gli occhi e tremò leggermente. Io scattai e le presi le mani, per attirarla in un abbraccio, baciandole la fronte. Lei chiuse gli occhi e sospirò pesantemente.
“Calmati, per favore” sussurrai.
“Questo è niente in confronto a quello che sentirà Jenny quando lei se ne andrà, la spezzerà ancora, ed è troppo piccola per sopportarlo di nuovo”
“Non è vero, non è troppo piccola” protestai con un bisbiglio, carezzandole delicatamente la schiena. “Sta crescendo, ed evidentemente ha bisogno di sbatterci la testa contro per capire le cose. Lasciala fare” le suggerii, stringendola. Lei intrufolò il viso nel mio collo, facendomi rabbrividire leggermente e strinse la mia maglietta tra le dita.
“Ormai lo sta già facendo, ma questa volta non ci sarò io ad asciugarle le lacrime, sono stanca di farmi carico anche dei suoi dolori, ne ho abbastanza” mormorò, dopo averci riflettuto un po’ su.
Sollevato dal fatto che forse eravamo arrivati ad un punto d’incontro, in cui le cose non erano così tragiche come apparivano agli occhi di Cher, mi lasciai scappare un mezzo sorriso. Lei ne abbozzò uno di rimando, quindi mi chinai e le stampai un casto bacio sulle labbra.
A quel punto sorrise davvero, e come solito il mio cuore perse qualche battito.
“Grazie, riesci sempre a farmi ragionare” bisbigliò, chiudendo gli occhi e sporgendosi per baciarmi di nuovo. Questa volta però la accolsi in un modo in cui la castità non sapeva nemmeno dov’era di casa e le sue mani si intrufolarono sulla mia schiena sotto la maglietta, mentre le mie andavano a stringere i suoi fianchi.
Con lei era così: un attimo andava fuori di testa e sembrava non riuscire a pensare, l’attimo dopo si trasformava nella ragazza dolce e piena di attenzioni di cui mi ero innamorato.
Non mi sarei mai stancato di questo, anche perché ormai avevo fatto l’abitudine ai suoi rari sbalzi d’umore e avevo imparato a gestirli.
Proprio in quel momento però, arrivò lo squillo del mio cellulare a rovinare l’atmosfera.
“Giuro che prima o poi quel telefono farà una brutta fine” borbottò Cher sulle mie labbra, facendomi scoppiare a ridere. Lei si staccò, cercando di reprimere un sorriso divertito ed infilò la mano nella tasca posteriore dei miei jeans per tirare fuori il cellulare, facendomi schizzare un brivido di piacere su per la schiena.
“Rispondi e fai in fretta” mi ordinò divertita. Risi e annuii, portandomi il cellulare all’orecchio, senza perdere di vista Cher, che si mordicchiava nervosamente l’interno guancia, perdendosi di nuovo nei suoi pensieri.
Accidenti! La distrazione sembrava già essere finita…
“Pronto?”
“Ciao, figliolo” mi salutò la voce allegra di mio padre, mentre Cher si allontanava per lasciarmi il mio spazio, abbozzando un sorriso e passandosi una mano tra i capelli.
Ecco, avevo proprio bisogno che mio padre si rifacesse vivo proprio in quel momento, tanto per rimanere in tema.
Soffocai uno sbruffo infastidito, mentre seguivo con sguardo preoccupato Cher, che sembrava si stesse rabbuiando di nuovo.
Una risata all’altro lato della cornetta richiamò la mia attenzione, facendomi innervosire.
“Papà, che succede?”
“Frena i toni ostili, ragazzo, volevo solo parlare” rispose alla mia domanda posta con un tono poco educato. Sbruffai e guardai Cher, che si stringeva le mani, lo sguardo basso.
“Papà non è il momento” mormorai, Cher che alzò il viso di scatto per incontrare i miei occhi. Scosse la testa e si sforzò di sorridere, allora io mi avvicinai di nuovo a lei, prendendole una mano.
“Oh, andiamo. Non hai un paio di minuti per il tuo vecchio?” ridacchiò mio padre. Alzai gli occhi al cielo, mentre Cher si appoggiava al mio petto ed io le stringevo un braccio intorno alle spalle.
“Se sono solo due minuti…”
“Farò finta di non aver sentito. Allora, quella cena di cui stavamo parlando, ci hai pensato?” mi chiese, con voce piena di speranza.
Merda, adesso mi ci voleva anche questa.
“Papà, non adesso, per favore” mi lasciai scappare. Cher mi guardò e scosse di nuovo la testa, mimandomi con le labbra di rispondere alla sua domanda, che probabilmente aveva sentito anche lei.
“Perché no? Dobbiamo metterci d’accordo, non staremo in città all’infinito, ed io voglio davvero fartela conoscere” mi disse con voce brusca. Sbuffai e chiusi gli occhi, perché Cher mi stava fulminando con i suoi ed io non ero nel pieno delle facoltà mentali per dare una risposta intelligente…
“Okay, per te quando va bene?”
Appunto. Cosa stavo appunto dicendo?
“Il prima possibile, ragazzo. Domani sarebbe perfetto” esclamò, entusiasta. Strinsi gli occhi e sospirai di nuovo.
“Perfetto, domani sera, allora, a casa mia. Ti mando l’indirizzo per messaggio”
“Ci saranno anche i tuoi amici?” chiese lui. Aprii gli occhi e trovai Cher che mi stava sorridendo incoraggiante.
“Si, e anche la mia ragazza” lo informai con voce monocorde. Cher mi scoccò un bacio sulla guancia, regalandomi un gran sorriso.
A quanto pareva era più entusiasta di me all’idea di vedere mio padre.
“Perfetto, voglio proprio conoscere la donzella che ha rubato il cuore a mio figlio!”
“Papà!” esclamai indignato, diventando rosso fino alla punta dei capelli, mentre Cher ridacchiava sotto i baffi.
“E’ lì con te, vero?”
“Accidenti, si!”, lui scoppiò a ridere e Cher si mise una mano davanti alla bocca per non farsi sentire.
“Okay, figliolo, allora vi lascio alle vostre cose, ci sentiamo domani mattina” detto questo riattaccò ed io sbruffai, infastidito, mentre Cher se la rideva.
“Sei adorabile quando ti imbarazzi” riuscì a dire tra le risate. Mi imbronciai e incrociai le braccia al petto, allontanandomi e puntando lo sguardo lontano, grugnendo qualcosa infastidito.
“Dai, non fare così” mormorò, frenando le risate e avvicinandosi a me, sbattendo le palpebre più volte e guardandomi con i suoi occhi dolci. Sbruffai di nuovo ma non riuscii comunque a trattenere un sorriso. Aprii le braccia e lei ci si tuffò dentro, poggiando la testa sul mio petto e stringendosi a me.
“Torniamo a casa? Comincia a fare freddo” sussurrò dopo pochi minuti, o ore, non riuscivo a capirlo, perché quando stavo con lei in quel modo, tutto il resto del mondo spariva.
“Okay. Ma non dire niente ai ragazzi, parlerò loro domani con calma, per favore” la implorai, perché non volevo che l’entusiasmo dei ragazzi nel rivedere mio padre, che davvero non capivo cosa ci trovassero in lui di così simpatico, mi contagiasse, perché avevo bisogno di mantenere la calma e di essere attento: avrei dovuto conoscere la futura compagna della vita di papà, e dovevo capire se era davvero adatta a lui, così poi da poter fare le mie osservazioni.
“Come vuoi” mormorò lei, sorridendomi e chiudendo gli occhi, sporgendosi poi verso di me per far incontrare le nostre labbra in un dolce bacio.
Ce l’avrei fatta, si. Mi sarei sforzato di accettarlo. D’altra parte mio padre era ancora abbastanza giovane, e aveva il diritto di rifarsi una vita, anche se mi dispiaceva per mia madre, che ero convinto non fosse pienamente d’accordo per il divorzio, ma era passato tanto tempo, tanti anni, e la vita andava avanti.
Lui ora stava con quella donna, che mi sembrava avesse anche altri figli, ed io l’avrei accettato, soprattutto perché sapevo cosa si provava. Sapevo come si sentiva mio padre, mi bastava guardare Cher negli occhi e stringerle la mano come stavo facendo in quel momento per capire che all’amore non c’è scampo.
 
 
 


Jenny
 
 

Non c’era cosa più perfetta in quel momento che sentire le mani calde e morbide di Harry giocare con i miei capelli, lisciandoli e attorcigliandoli con le sue lunghe dita, il suo respiro caldo che mi solleticava la pelle, mentre giacevo assonnata sul suo petto.
“Sei sveglia?” mormorò con voce roca, probabilmente accorgendosi di come il mio respiro fosse cambiato, o forse semplicemente perché stavo sorridendo.
“Mh, mh”
“Hai fame?” mormorò, ridacchiando e stampandomi un bacio sulla fronte.
“No, voglio rimanere a letto con te” mugugnai, allungando il viso per lasciargli un bacio sul collo che lo fece rabbrividire leggermente. Lo sentii trattenere il respiro e mi scappò un sorrisetto soddisfatto.
“Sarei tentato, ma il mio stomaco sta brontolando da circa mezz’ora, e rischio di morire se non mangio subito qualcosa, e potrebbe essere un tuo dito, se non trovo altro di commestibile” minacciò ridacchiando. Alzai lo sguardo, perdendomi immediatamente in quelle iridi verdi, così dolci e tranquille che mi erano mancate tanto.
Arricciai le labbra e lui si allungò su di me per stamparmi un bacio sul naso.
“Se vuoi, mangio qualcosa e poi torniamo subito qui a fare altro” propose a voce bassa, roca e provocante. Deglutii rumorosamente, un caldo piacevole che mi invase il corpo e gli sorrisi.
“Forse, se non trovo di meglio da fare” replicai, prima di alzarmi alla svelta, sotto il suo sguardo sorpreso, e avviarmi verso la porta, solo con una maglietta e la biancheria intima, indumenti con cui avevo dormito. Non sapevo dove erano andati a finire i pantaloni, quindi non mi sforzai neanche di cercarli e aprii la porta della camera. Prima che riuscissi a fare mezzo passò, però, una mano si posò sulla porta, richiudendola.
“Dove credi di andare così?” mi chiese in un sussurrò, passandomi un dito sulle spalle, per poi scendere sul braccio.
Dire che stavo andando a fuoco in quel momento era dire poco.
Mi voltai, per peggiorare ancora di più la situazione, perché lui era vicino, molto, troppo vicino, e i nostri corpi erano divisi solo da un sottile strato d’aria, che lui si preoccupò subito di eliminare.
“Stavo andando…a fare colazione” mormorai con un filo di voce, seguendo con lo sguardo il suo dito, che era arrivato ai fianchi, per poi risalire sul braccio, il collo, la guancia, fino al mento, e fece pressione per far incontrare i nostri occhi.
“Senza pantaloni?”
“Non so dove siano. Ti ricordo che sei stato tu a disfartene” replicai con un audacia che non sapevo di avere, dato il fatto che il battito del cuore incontrollato mi stava distraendo e il sangue mi pulsava nelle vene, facendomi ribollire.
Sarei dovuta essere abituata a queste sensazioni; ogni volta che lui si avvicinava mi trasformavo in una stufetta e perdevo tutte le mie facoltà mentali. Ma lui era sempre così imprevedibile che non riuscivo mai a capire cosa volesse fare o dire, e di conseguenza non riuscivo mai a prepararmi, con la conseguenza che il mio cervello se ne andava sempre in vacanza in queste situazioni.
Lui arricciò le labbra, probabilmente per nascondere un sorriso.
“Mh, hai ragione, non ne avevi bisogno. Ma credo che ora ti servano, perché non permetterò che nessuno guardi solo dove i miei occhi possono posarsi” bisbigliò, avvicinandosi pericolosamente con sguardo malizioso e allungando una mano a sfiorare la mia coscia, provocandomi la pelle d’oca e una fitta di piacere che mi fece contorcere lo stomaco.
Boccheggiai per cercare di riprendere fiato, rendendomi conto che stavo forse trattenendo il respiro da troppo tempo e rischiavo di perdere i sensi.
Anche se ero sicura che se Harry non si fosse allontanato entro due secondi sarebbe andata a finire allo stesso modo, perché solo il suo odore dolce mi stava facendo girare la testa.
Nel frattempo, scivolò con un braccio a cingermi la vita, spingendomi con il corpo contro il legno duro della porta, mentre l’altra mano risaliva la mia coscia, intrufolandosi sotto la maglia e stanziandosi sul mio fianco.
Il mio cuore si fermò completamente e mi tremarono le gambe. Lui ridacchiò e cominciò a disegnare piccoli cerchi con le dita sulla mia pelle bollente.
“Respira” soffiò, solleticandomi le labbra.
Ci provai, ma i miei polmoni non volevano collaborare, ero tutta un fremito, e la mano di Harry si stava spostando pericolosamente verso l’interno.
Potevo vagamente immaginare quali fossero le sue intenzioni, potevo vederlo dalla reazione che stava avendo il suo corpo, ma non riuscii a muovermi di mezzo millimetro, né a proferire parola.
“Sei così morbida, e mi sei mancata tanto” bisbigliò, spostandosi sempre di più, sempre più delicatamente, quasi in punta di dita, massaggiandomi dolcemente e facendomi battere il cuore così forte che sembrava volesse fracassarmi le costole.
Le sue labbra cercarono di distrarmi, posandosi dolci e umide sul mio collo e risalendo la mascella, ma c’era qualcosa più in basso che attirava tutta la mia attenzione, facendo esplodere il desiderio dentro di me.
Quando le sue dita arrivarono alla meta, incollai le mie labbra alle sue, per nascondermi in quel bacio, ribollendo di desiderio, tremando, sentendolo.
Mi scappò un mezzo gemito e lui mi spinse ancora di più contro la porta, coprendomi completamente con il suo corpo, come se volesse nascondermi dal resto del mondo, ed io gli circondai il collo con le braccia, stringendolo forte, mentre lui mi faceva provare sensazioni nuove, sconosciute, ma dannatamente piacevoli.
Stavo completamente andando a fuoco e avevo il cervello in panne, i pensieri annebbiati e non capivo più niente, se non che qualcosa di cui fino a due secondi prima mi sarei vergognata solo a pensarci, stava accadendo, ed io cominciavo a rendermi conto di cosa mi ero persa fino a quel momento.
Lo sentii sorridere sulle mie labbra, mentre mi lasciavo andare ma, quando le sue dita si infilarono sotto all’elastico degli slip, facendo per tirarli giù, mi irrigidii e tornai in me all’istante.
Lui sentì subito che qualcosa era cambiato e si fermò, rimanendo però con le mani lì.
Mi guardò, in cerca di una risposta, di un invito a continuare, o di un rifiuto.
Qualcosa mi diceva dai suoi occhi che era proprio questo che si aspettava ed io mi ritrovai sull’orlo di un burrone: o mi buttavo e mi lasciavo cadere assieme ad Harry, verso l’ignoto, o tornavo indietro e mi mettevo al sicuro. Non sapevo che fare, così Harry sembrò prendere la decisione per me, forse leggendomi la titubanza negli occhi e interpretandola nel modo giusto.
Ritirò lentamente le mani, facendole risalire sui miei fianchi e abbracciandomi, per stamparmi un casto bacio sulle labbra, che non aveva niente a che vedere con quelli bollenti di poco prima.
“Arriverà il momento, ma non adesso” mormorò, dando voce ai miei pensieri confusi. Annuii, facendo una smorfia dispiaciuta e serrando gli occhi.
Perché non riuscivo a lasciarmi andare e a fidarmi completamente di lui?
“Tranquilla, ho esagerato” bisbigliò, stampandomi un bacio sulla fronte.
“Ho bisogno di tempo, scusa. Io…non riesco a lasciarmi andare” confessai, arrossendo fino alla punta dei capelli e sentendomi una perfetta idiota. Lui scosse la testa e mi sorrise dolcemente, mettendo in mostra le fossette e strofinando il naso contro il mio.
“Non importa, ho detto che posso aspettare, solo…” si interruppe, lanciandomi uno sguardo di sottecchi e sorridendo,“Solo che ho paura che posso impazzire se questo momento non si sbriga ad arrivare” concluse con una risata. Sospirai e ricambiai il suo sorriso.
“Confido nella tua pazienza”
“Ti amo, questo ti fa stare un po’ più tranquilla?” mi disse di getto, facendo fermare il mio cuore per mezzo secondo.
“Decisamente” bisbigliai, affondando il viso nel suo collo. Lui mi strinse a se e mi lasciò un bacio tra i cappelli.
“Bene”
“Ora andiamo a fare colazione?” chiese, mettendosi una mano sullo stomaco che aveva cominciato a brontolare. Annuii, ancora senza fiato, lui scoppiò a ridere e sciolse l’abbraccio, recuperando i pantaloni del mio pigiama e porgendomeli.
“Tieni” mi disse con un lampo malizioso negli occhi. Gli lanciai un’occhiata di sottecchi, mentre lui seguiva ogni mio singolo movimento con gli occhi.
“Andiamo, prima che mi venga la voglia di toglierteli di nuovo” esclamò, prendendomi la mano e trascinandomi fuori dalla stanza, un lampo acceso di desiderio negli occhi.
Scendemmo al piano di sotto ancora ridendo e, entrando in cucina, incrociai lo sguardo sorpreso di Cher, che si indurì all’istante, per poi spostarsi lontano da me. La mia risata si bloccò all’istante, feci una smorfia e il mio cuore tremò. Harry, che entrò dietro di me, si accorse subito della mia tensione e mi afferrò di scatto la mano, tirandomi accanto a lui e stringendomi al suo fianco.
Mi baciò dolcemente la tempia e mi sorrise.
“Stai tranquilla, passeremo anche questa” mi sussurrò all’orecchio. In quel preciso istante mi rilassai perché sapevo che, finché il soggetto fosse stato ‘noi’, avrei potuto affrontare qualsiasi cosa.
















Hi, everyone! :D
Mh, credo di aver sforato di nuovo il rating, ma vabbè.
E' che sto leggendo cinquanta sfumature di grigio, e mi sento piuttosto pervertita questi giorni ^^
Allora, che mi dite?
Dopo questo capitolo, è evidente che i due hanno chiarito del tutto,
quindi credo che su quel fronte non ci sia più bisogno di preoccuparsi ;)
Quindi mancano le due sorelle, e poi sembra che tutto possa tornare alla normalità.
Sembra, perchè con me il pericolo è sempre in agguato (?)
Vi dico di stare sull'attenti, solo questo *sguardo malefico*
So, ora comincio a sclerare perchè oggi ho fatto una delle mie solite figure di merda:
stavo camminando e... vi ricordate Malik 2? Ecco, mi è venuto addosso e mi ha anche chiesto scusa (molto educato u.u), solo che io, sorpresa di ritrovarmelo a due centimetri di distanza e imbambolata da quegli occhi che...
boh, mi imbambolano, ho fatto una faccia da ebete e mi è scappata una mezza risata da deficente.
Dopo questa, credo che mi abbia classificata come classica ragazza fuori di testa, che alla fine un po' sono uù
Ora vi lascio, vado al cinema a vedere The Host! snandkj **
Se non avete letto il libro, leggetelo perchè è meraviglioso :3
Spero vi piaccia il capitolo, e che lasciate qualche recensione.
Dai, che state diminuendo :(
Love u all.
Sara.






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Capitolo 22
*** Capitolo ventidue. ***


Capitolo 22
 
 

Cher
 


Quando mia sorella entrò in cucina, mi venne quasi spontaneo abbassare lo sguardo ed ignorarla. Nonostante le parole quasi convincenti di Liam, che mi avevano quasi spinta a pensare che magari non si era comportata così tanto male e che c’era una via d’incontro tra di noi, il mio risentimento mi costrinse ad annullare i pensieri coerenti e continuare ad avercela con lei comunque, perché mi aveva mentito, ed io non sopportavo le bugie, soprattutto quelle di grande portata.
E quella lo era di sicuro.
Quello che più mi faceva male, poi, era che aveva parlato con lei, probabilmente ci si era anche confidata, dicendole cose che a me aveva taciuto.
Forse la mia era anche un po’ gelosia, gelosia verso quella donna che ci aveva sempre voluto bene a metà, superficialmente, ma che comunque si era meritata la fiducia di Jenny. Non potevo sopportarlo e il suo sguardo triste e colpevole non bastava a far passare il mio malumore.
“Buongiorno a tutti” esordì Niall, facendo il suo ingresso in cucina e illuminando tutti con il suo sorriso luminoso. Mi sforzai di ricambiare, anche se improvvisamente ero tesa e avevo solo il desiderio di uscire da quella stanza, che si faceva sempre più piccola. Liam mi afferrò la mano ed incrociai i suoi occhi, accompagnati dal suo sorriso dolce.
Non sapevo come faceva, ma sembrava come se mi leggesse nel pensiero, che capisse i miei disagi ed era sempre lì per appoggiarmi.
Lo amavo sempre di più e ringraziavo ogni giorno per avere una persona come lui accanto.
“Posso entrare o qualcuno mi urla contro senza motivo?” chiese Zayn con voce sarcastica, fermandosi sulla porta. Ridacchiai, mentre Jenny scuoteva lentamente la testa e si spostava per lasciarlo entrare. Lui sospirò e ci osservò uno per uno, per poi aprirsi in un sorriso.
“Finalmente un po’ di normalità” esclamò, facendo ridere Niall.
“Beh, non saremmo noi se fossimo normali” commentò Louis, bevendo il suo caffè e facendomi l’occhiolino. Gli feci una smorfia e lui scoppiò a ridere.
“Oh, tu sicuro sei tutto tranne che normale” replicò al volo Zayn, sedendosi accanto a lui e sfilandogli la tazza di caffè dalle mani, rimediandosi un’occhiataccia da quest’ultimo.
“Lo so. E sono perfetto così” mormorò con voce teatrale, facendo un gran sospiro. A quel punto scoppiammo tutti a ridere, perché la convinzione di Louis per la cretinata che aveva detto era esilarante e finalmente mi sentii un po’ più leggera, non ce la facevo più a tenere il muso ed essere arrabbiata; avevo bisogno di ridere e fortunatamente avevo loro, e far ridere era la cosa che gli riusciva meglio.
A parte cantare, ovviamente.
“E dammi il mio caffè” borbottò Louis, mettendo il broncio e strappando di mano a Zayn la sua tazza. Prima che quest’ultimo si avventasse su di lui per riprendersela, dando vita ad uno dei loro soliti litigi, Liam lo fermò porgendogli la sua e schiarendosi la voce con fare teatrale, attirando l’attenzione di tutti i ragazzi, che si ammutolirono all’unisono, spostando gli occhi su di lui.
Leggermente rosso in viso, Liam si spostò nuovamente accanto a me ed io gli presi istintivamente la mano, stringendola.
“Visto che siamo tutti qui ve lo dico ora: questa sera papà viene a cena da noi” annunciò tutto d’un fiato, sospirando poi come se si fosse tolto un gran peso dal petto.
“Fico! Mi manca il vecchio Geoffry!” esclamò Louis, rompendo il silenzio. Liam respirò piano, mentre anche tutti gli altri si mostravano entusiasti della notizia; Liam ci aveva visto giusto, i ragazzi adoravano quell’uomo, ed improvvisamente ero curiosa di sapere il perché.
“Fermi, non è tutto” cercò di placare i ragazzi Liam, alzando le mani davanti a se. I ragazzi si ammutolirono di nuovo, improvvisamente attenti e tutti con un bel sorriso stampato sulla faccia, tranne Jenny che, come me, probabilmente si chiedeva il motivo per tutto quello strano entusiasmo.
Mi lanciò un’occhiata di sottecchi, come a cercare da me una risposta ed io stavo per stringermi nelle spalle e scuotere la testa sconsolata, ma poi mi resi conto che non potevo mostrarle quella complicità, sarebbe come ammettere che non ero più arrabbiata.
Forse era proprio così: non ero arrabbiata con lei. No, lei mi aveva semplicemente ferita, che era molto peggio a mio parere.
Distolsi subito lo sguardo, mentre Liam prendeva fiato per lanciare la notizia che per lui era stata quasi una bomba.
“Porterà la sua nuova compagna” annunciò quasi in un bisbiglio. I ragazzi spalancarono gli occhi e Niall si bloccò a metà morso del cornetto, lasciandolo cadere sul tavolo.
“Cosa?!” esclamò Zayn per primo, alzandosi in piedi. Liam annuì.
“Si, ha una nuova compagna”
“E quando avevi intenzione di dircelo?”
“Lo sto facendo adesso”.
Lo sentii deglutire rumorosamente, e mi accostai a lui, che mi circondo immediatamente i fianchi con un braccio, come se volesse sentire la mia presenza accanto a lui.
Sono qui, Liam, non ti lascio solo.
“Questo vuol dire che…dovremmo pulire casa?” se ne uscì Niall, facendo una smorfia disgustata. Piombò un silenzio improvviso per qualche secondo, poi scoppiammo tutti a ridere contemporaneamente.
“Ma ti pare che di tutte le cose tu devi preoccuparti proprio di questa?!” esclamò Harry, mollandogli una pacca sulla testa, mentre lui si imbronciava.
“Beh, mettiti tu a pulire tutta la casa in quanto? Otto ore? Io non sono una ditta di pulizie” borbottò incrociando le braccia al petto.
“Beh, in effetti questa casa sembra quasi un porcile” intervenne Jenny facendo una smorfia divertita.
“Ma che dici, piccola? Noi siamo bravi ragazzi puliti” mormorò Harry, sbattendo le palpebre e rubandole un bacio veloce, afferrandola per la vita prima che lei riuscisse a scappare, facendo un verso disgustato per poi ridere con lui.
Liam ridacchiò, leggermente divertito dalla scena, mentre Zayn ignorava i suoi amici e si avvicinava a noi, scrutando Liam attentamente. Mi lanciò un’occhiata veloce, per poi rivolgersi a lui.
“Come stai?” bisbigliò, senza farsi sentire dagli altri, che nel frattempo cominciarono a battibeccare su chi dovesse pulire cosa.
Erano peggio dei bambini dell’asilo quando ci si mettevano, in quel momento stavano litigando perché nessuno di loro voleva pulire il bagno al piano di sopra.
Io di certo non l’avrei fatto: quello era il bagno che usavano solitamente loro maschi, non ci avrei messo piede neanche se mi avessero pagato oro.
Liam scrollò le spalle e si sforzò di sorridere.
“Sto bene. E’ la sua vita, può fare quello che vuole”. Zayn fece una smorfia e scosse lentamente la testa.
“Perché non me ne hai parlato prima? Io…”
“Cosa avresti fatto, Zayn? E’ un problema mio, devo solo accettare che mio padre si sta facendo una vita senza di noi, una nuova famiglia, lasciandoci da parte” lo interruppe con voce amara, un fremito che gli scosse le spalle.
“Non dire così” mormorai, stringendomi a lui e attirando la sua attenzione. I suoi occhi si allacciarono ai miei ed io gli sfiorai la guancia con la mano, strappandogli un accenno di sorriso.
“Ha trovato l’amore, ma questo non vuol dire che lascerà te e le tue sorelle da parte. Vi vuole sempre bene, altrimenti non vi avrebbe reso parte di questa sua nuova esperienza” gli feci notare con delicatezza.
“Si, ha ragione. Se non gli importava niente di te, non te l’avrebbe detto, e di sicuro non te l’avrebbe fatta conoscere” annuì Zayn, lo sguardo serio. Liam sembrò rilassarsi e finalmente si aprì in uno dei suoi soliti dolci sorrisi.
“Grazie” sussurrò, guardando entrambi riconoscenti. Zayn schioccò la lingua mollandogli una pacca amichevole sulla spalla, mentre io mi alzavo sulle punte dei piedi per lasciargli un bacio sulla guancia.
“Okay, piantatela, pulirò io il bagno al piano di sopra!” esclamò Zayn, mettendo fine al litigio con un sospiro esasperato. Niall e Louis sospirarono sollevati, mentre Harry sembrava indifferente, perché probabilmente era già dell’idea che non avrebbe pulito quel bagno per nulla al mondo.
“Però voi dovrete pulire le stanze, e anche la mia” annunciò Zayn, con un vago accenno malizioso sul suo sorriso.
Ew, che schifo, chi sa cosa combini con la tua ragazza lì dentro” esclamò disgustato Niall. Zayn ridacchiò, scambiandosi uno sguardo complice con Liam, che scosse la testa sconsolato, mentre Niall rabbrividiva.
“E’ questo il bello di avere una ragazza, amico” mormorò Louis, facendogli l’occhiolino. Niall arrossì improvvisamente per qualche motivo, mentre cercava di trattenere un sorriso. Mi incuriosii per la sua reazione, lui lo notò e mi lanciò uno sguardo allarmato, che mi costrinse a chiudermi la bocca, perché probabilmente l’avrei messo in imbarazzo con i ragazzi facendo qualsiasi domanda.
Gli feci l’occhiolino e lui mi lanciò uno sguardo sollevato, facendomi segno che ne avremmo parlato dopo.
“Okay, cerchiamo di metterci d’accordo, perché entro stasera questa casa dovrà brillare!” annunciò Liam, facendo partire lamenti e versi disgustati da tutti quanti. Scoppiai a ridere, insieme a Jenny, e mi bloccai subito, incrociando il suo sguardo.
Mi mimò con le labbra un ‘possiamo parlare?’, che io ignorai, perché non era ancora il momento per sotterrare l’ascia di guerra. Liam mi guardò contrariato ed io mi tuffai tra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto per sfuggire al suo sguardo e a quello di Jenny, che sentivo bruciarmi la schiena.
Ero orgogliosa, permalosa e cocciuta. Dovevo rimanere fedele al mio caratteraccio e non arrendermi tanto facilmente. Mi aveva fatto male, perché dovevo dargliela vinta come sempre?
Doveva capire che non tutto si può risolvere facilmente, che ci sono anche altre persone nel mondo oltre lei.
Liam mi circondò con le braccia e mi lasciò un bacio tra i capelli.
“Sai che prima o poi dovrai parlarci, anche per dirle che ce l’hai a morte con lei?” mi sussurrò all’orecchio. Mi irrigidii e lo strinsi ancora più forte, serrando gli occhi.
“Si, ma non ora”
“Come vuoi” mormorò lui arrendendosi.
“Bene, mentre voi discutete, io accompagno Jenny a scuola. Sono disponibile a fare tutto, ma non mi avvicinerò mai alla stanza di Niall, sappia telo” annunciò Harry, distraendomi dai miei pensieri.
“E perché?” chiese Niall, oltraggiato.
“Perché solo Dio sa il cibo che ti nascondi là dentro, e non vorrei mai incappare nel cadavere di qualche barretta di cioccolato”. A Niall sfuggì un sorriso furbetto mentre Jenny scoppiava a ridere, scuotendo la testa.
“Okay, forse potresti avere ragione” ammise.
“Sai cosa, Niall? Credo che la tua stanza la pulirai da solo” intervenne Louis, facendo una smorfia.
Harry ridacchiò e prese per mano Jenny, trascinandola fuori.
“A dopo” salutò tutti. Li guardai uscire, e proprio in quel momento Jenny si voltò verso di me. Questa volta non riuscii a sfuggire al suo sguardo, così sofferente e colpevole, e mi ritrovai a deglutire, una morsa che mi stringeva il petto alla consapevolezza che se in quel momento soffriva, era a causa mia.
Non sapevo come ci riusciva, ma con un solo sguardo mi faceva dimenticare che se lei soffriva a causa mia, era perché prima avevo sofferto io a causa sua.
Forse era perché il mio istinto materno verso di lei mi spingeva a fare di tutto pur di vedere sempre presente il sorriso sul suo viso.
Ma questa volta avrei represso questo istinto, doveva capire quanto aveva sbagliato da sola, pagandone le dovute conseguenze.
Per questo, sotto il suo sguardo implorante, strinsi le labbra e scossi la testa duramente, intimandole di andarsene e di distogliere lo sguardo, che mi aveva incatenato a lei. Lei annuì tristemente e sembrò ascoltarmi, perché si lasciò portare via da Harry senza guardare più verso la mia direzione.
Liam mi accarezzò i capelli ed io incrociai i suoi occhi dolci.
Sapevo che non avrei resistito a lungo: il mio dolore era legato da un doppio filo al suo, e niente poteva separarlo. Continuando in questo modo, avrebbe continuato a soffrire lei, ed io avrei sofferto il doppio.
Dovevamo risolvere questa situazione, ma sarei riuscita a mettere da parte l’orgoglio?
 
 


Jenny
 
 
 
“Eccoci” mormorò Harry, spegnendo la macchina e incrociando le mani davanti a se, guardando fuori dal finestrino e osservando le decine di studenti che si affrettavano ad entrare a scuola, segno che la campanella era già suonata. Sospirai e mi sporsi verso di lui, slacciandomi la cintura e afferrandogli il mento per incrociare i suoi occhi vigili e leggermente preoccupati. Gli sfiorai con il pollice la cicatrice, ancora contornata da un brutto livido, e lui fece una piccola smorfia.
“Cerca di non preoccuparti, starò alla larga da lui” bisbigliai, senza distogliere nemmeno per un secondo gli occhi dai suoi. Lui piegò leggermente la testa di lato e strinse le labbra.
“Te l’ho detto, non voglio che ti senti obbligata a farlo per me” mormorò, la tensione che gli si leggeva nello sguardo. Scossi la testa e gli baciai dolcemente la guancia.
“Non lo faccio per te, lo faccio per noi” gli assicurai, “Lucas non è indispensabile per me, tu si. E non voglio altri problemi” conclusi, prendendo il mio zaino e scendendo dalla macchina.
“Ci vediamo dopo” lo salutai, rimediando un bellissimo sorriso. Chiusi lo sportello e girai attorno alla macchina, avviandomi verso la scuola. Il rumore del finestrino che si abbassava richiamò la mia attenzione e rallentai il passo con un vago sorrisetto che spingeva per spuntare sulle labbra, mentre la sua voce roca mi richiamava.
“Jen?”
Mi voltai con sguardo interrogativo e lui mi fece segno di avvicinarmi con il dito, un sorriso malizioso sulle labbra piene.
“Che c’è?”
“Te ne vai senza salutarmi?” chiese con sguardo innocente. Sorrisi sotto i baffi e mi strinsi nelle spalle, rimanendo a distanza di sicurezza.
“Ti ho salutato”
“Non come voglio io” mormorò imbronciandosi. Sorrisi e mi avvicinai lentamente, mentre lui si sporgeva fuori dal finestrino.
“E come vorresti essere salutato?”. Il suo sorriso si allargò e socchiuse leggermente gli occhi, afferrandomi per il colletto della camicetta e tirandomi più vicina a lui.
“Te lo faccio vedere subito” soffiò, prima di incollare le labbra sulle mie. Sorrisi, mentre lui pressava per approfondire il bacio e lo lasciai fare, praticamente incollata alla portiera della macchina, mentre lui mi afferrava il viso con l’altra mano, passandola tra i capelli e mandando in tilt il mio cuore, che correva veloce.
“Soddisfatto ora?” chiesi, quando si staccò, passandosi la lingua sulle labbra con un sorrisetto. Lui piegò un po’ la testa di lato e sembrò pensarci su.
“A dire la verità no. In questo momento sarei tentato di togliere di mezzo questo sportello e portarti via con me, ma…”
“Ma devo andare a scuola” conclusi con una risatina nervosa, facendolo sorridere ancora di più.
“Già” mormorò, “Che peccato”.
Risi e mi sporsi per lasciargli un altro bacio a fior di labbra.
“Ci vediamo dopo”
“Certo, piccola”
Con un bel sorriso stampato sulle labbra mi avviai verso la scuola ma, prima che riuscissi a metterci piede dentro, due braccia mi avvolsero forte, quasi stritolandomi.
“Buongiorno, fiorellino!” squittì Cat al mio orecchio, per poi sciogliere l’abbraccio e illuminarmi con un sorriso.
Era stranamente raggiante, e potevo immaginare il perché. Anche se nessuno dei due mi aggiornava più ed ero rimasta indietro sulla loro storia, ero quasi sicura che tra Cat e Niall fosse successo qualcosa.
Ma forse ero stata troppo impegnata a gestire i miei problemi per preoccuparmi di quello che accadeva tra di loro.
“Ciao!” esclamai sorridendo, mentre lei mi baciava le guance.
“Devo dedurre dal tuo sorriso e dal cavaliere che ti ha appena accompagnata a scuola che il nostro piano ha funzionato!” esclamò, alzando le sopracciglia e facendo un cenno di saluto ad Harry,che ci stava fissando dalla macchina. Lui ridacchiò e scosse la testa divertito, salutandola con la mano.
Sorrisi, pronta a raccontarle tutto, quando Lucas ci passò accanto, un cappellino calato sugli occhi che non riusciva comunque a coprire il brutto livido che aveva sul naso, conseguenza dei pugni di Harry.
Cat rimase a bocca aperta e lo seguì con lo sguardo, finché non sparì dietro l’angolo, sfilandoci accanto senza degnarci di un’occhiata, le spalle rigide e le labbra tese.
“Oppure no” mormorò Cat, lanciandomi un’occhiata confusa. Feci una smorfia e mi voltai verso Harry, che mi fissava impassibile, prima di accennare un sorriso e mettere in moto.
Sospirai e presi Cat a braccetto, entrando dentro la scuola.
“Non è andata proprio come avevamo previsto” cominciai, avviandomi verso il mio armadietto.
“Cos’è successo?”
Sospirai e mi preparai a farle un resoconto dettagliato, perché sapevo che non mi avrebbe lasciata in pace finché non le avessi raccontato tutto nei minimi particolari.
“Lucas mi ha accompagnata a casa” cominciai, e lei annuì vigorosamente.
“Si, fino lì ci ero arrivata anch’io”  mormorò, sventolando la mano e facendomi segno di accelerare.
“L’ho invitato ad entrare, perché mi sembrava brutto mandarlo via così, ma prima abbiamo parlato, e lui aveva intuito il nostro piano, quindi ho specificato che oltre quello, non c’era un doppio fine da parte mia” mi affrettai ad aggiungere, perché ero stanca di essere considerata la stronza di turno.
Si, mi ero comportata davvero male, ma avevo detto a Lucas quale era il mio intento, anzi l’aveva capito da solo, e anche se non era assolutamente dei più giusti e intelligenti, lui aveva comunque accettato di aiutarmi.
Che poi tutto fosse degenerato era un’altra storia.
“Jenny, lo so perché l’hai fatto, non devi precisare queste cose con me. E so che volevi solo suscitare una reazione da parte di Harry. Ma, diamine, hanno addirittura fatto a pugni!” esclamò lei strabiliata, dopo averle raccontato come fosse andata a finire.
Nel frattempo eravamo arrivate nella nostra classe di latino, e la professoressa ci aveva appena lanciato un’occhiataccia perché probabilmente stavamo disturbando.
“Shh” mormorai, facendo segno a Cat di abbassare la voce. Lei alzò le mani in segno di resa, lanciando uno sguardo di scuse alla professoressa, che scosse la testa sconsolata e cominciò la sua lezione.
“Fammi capire bene” bisbigliò, avvicinandosi al mio orecchio per non farsi sentire, “Tu l’hai fatto entrare, Harry era lì e l’ha preso a pugni?!” sibilò, gli occhi che le luccicavano di ammirazione, o di invidia, non so.
“Beh, non è andata proprio così, ma il risultato è stato quello”
“Gran bel risultato! Due ragazzi che fanno a pugni per te, sei una leggenda, sorella!” esclamò con un gran sorriso. Le lanciai un’occhiataccia.
“Io invece non mi sento tanto fiera di questo, sai? Con il nostro piano sconsiderato ho rischiato di perdere Harry e ho rovinato una buona amicizia” mugugnai. Lei schioccò la lingua e fece un gesto secco con la mano.
“Harry non l’avresti mai perso e non diciamoci fesserie, a te di Lucas non importa niente” mi accusò duramente. Rimasi a bocca aperta, senza niente di intelligente con cui replicare.
“Beh, non è vero” protestai flebilmente. Lei mi guardò scettica, alzando un sopracciglio.
“Non posso dire che ha la stessa importanza di Niall, o tua, ma è stato sempre gentile con me, e non meritava di essere trattato in quel modo” borbottai. Cat mi sorrise dolcemente e mi prese la mano.
“No, forse non lo meritava. Ma conosco Lucas, e so che non porta rancore a nessuno; nel giro di due giorni se ne sarà dimenticato, anche perché sapeva che con te non aveva comunque speranza, che ci avesse provato o no” mi assicurò. Mi impuntai e incrociai le braccia al petto.
“Questo non toglie che si merita delle scuse, e devo dirgli che è meglio se evitiamo rapporti tra di noi. Non voglio ferirlo ancora e non voglio avere altri problemi con Harry”
“Come vuoi” mi concesse lei, prima di lanciare un’occhiata di sottecchi alla professoressa che ci stava minacciando con lo sguardo.
“Ora cerchiamo di seguire la lezione, non vorrei che mandasse anche me a ripetizioni da Lucas. Non voglio problemi con…” si bloccò a metà frase, arrossendo violentemente. Mi scappò un sorrisetto, mentre lei si mordeva il labbro inferiore per impedirsi di sorridere, guardandomi imbarazzata.
“Cosa mi sto perdendo, Caty?” le chiesi con voce idiota. Lei mi scoccò un’occhiataccia.
“Non te lo dico perché mi hai appena chiamata Caty” sibilò. Ridacchiai e la sua espressione imbronciata si rilassò lievemente.
“Tanto non hai scampo. E se non me lo dirai tu, farò parlare Niall. Puoi stare certa che conosco molti modi per farlo confessare” la minacciai con un sorriso malizioso.
“Non lo faresti”
“Oh, si che lo farei. E in cambio potrei dirgli come si illumina il tuo viso ogni volta che parli di lui, e come gli occhi ti diventano a forma di cuoricino” continuai, sorridendo sotto i baffi. Lei assottigliò lo sguardo, tendendo le labbra.
“Sei sleale” mi accusò. Mi strinsi nelle spalle, indifferente.
“Lo so”
“Okay, ti dirò tutto quello che vuoi sapere!” esclamò, soffocando un grugnito di rabbia, “Però per favore non accennare a niente con lui” mi supplicò, sbattendo le palpebre e giungendo le mani a mo’ di preghiera. Ridacchiai di nuovo e le diedi un buffetto sulla guancia.
“Tranquilla, i tuoi segreti sono al sicuro con me”
“Strega bisbetica” borbottò, rimediando un mio sorriso.
“Signorine, volete anche un cappuccino e dei biscotti? Io sto cercando di fare lezione!” tuonò la professoressa, ormai al limite della pazienza, fulminandoci con lo sguardo.
Arrossimmo entrambe e, cercando di non ridere, mormorammo uno “Scusi, prof”, prima di concentrarci sulla lezione. Anche se per me era abbastanza difficile, perché sapevo che prima o poi avrei incontrato Lucas, e avrei dovuto parlargli. Avevo provato a prepararmi un discorso, ma tanto sapevo che sarebbe stato inutile.
Avrei perso un amico, rimanendo con i rimorsi di non essere stata corretta con lui a vita. Continuavo a ripetermi che lo facevo per una giusta causa, ma quanto giusta sarebbe stata per lui?
 

















Il giorno dopo...
CIAO!
Si, sono proprio io che aggiungo l'angolo autrice in ritardo :D
Scusate, ma ieri rischiavo un attacco di panico ogni secondo, perchè c'era il derby e, lo so che non ve ne frega niente, ma io ho praticamente il cuore mezzo giallo e mezzo rosso e rischiavo un collasso dall'ansia, quindi non avevo tempo voglia di scrivere altro, mi sono limitata a postare il capitolo.
Comunque, sarò breve, volevo solo dirvi che il prossimo sarà solo un capitolo di passaggio, e poi arriva quello BOOM.
Quindi preparatevi :)
A presto, hope u like it.
Tanto amore.
Sara.


Ps. Se dovessi sparire da un momento all'altro, sappiate che è per colpa dei colloqui ai quali la mia mammina è appena andata. Pregate per me che vadano bene, o rischio una punizione colossale che mi farà dimenticare anche come si accende il computer çç

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Capitolo 23
*** Capitolo ventitre. ***


 Capitolo 23
 


Jenny
 
 


Battevo nervosamente il piede a terra da circa un quarto d’ora, mentre aspettavo che la classe con cui avremmo dovuto dividere la palestra in quell’ora di educazione fisica uscisse dagli spogliatoi.
Se non avessi dovuto fare quello per cui il mio stomaco era in subbuglio, mi sarei dichiarata fortunata, perché la classe era quella di Lucas e almeno avrei avuto una persona, un amico, che non mi avrebbe presa in giro per le quasi sicure figure di merda che avrei fatto.
Ma aspettavo Lucas per tagliare i nostri rapporti, e in quel momento nel più profondo del mio cuore avrei voluto essere da tutt’altra parte, a rilassarmi e non pensare più a tutto il casino che avevo creato.
Quando lui entrò in palestra, sghignazzando con i suoi amici, senza il cappellino che l’aveva coperto quella mattina, una morsa mi strinse lo stomaco mozzandomi il respiro. Anche Harry teneva ancora i segni del loro scontro, un bel taglio sotto l’occhio, e sarei dovuta essere arrabbiata con Lucas per averglielo fatto, ma lui aveva un brutto livido su tutto il naso, che gli finiva in un paio di occhiaie che lo facevano sembrare terribilmente assonnato.
Quando i suoi occhi si posarono su di me, facendo scomparire il sorriso dal suo viso, mi scappò un singulto. Mi avvicinai titubante, e i suoi amici vedendomi si allontanarono in silenzio.
“Ciao” esordii con un filo di voce. Lui mi guardò alzando un sopracciglio ed io cercai di non guardare il suo brutto livido, schiarendomi nervosamente la gola.
“Ciao” rispose lui, la voce inflessibile.
“Possiamo parlare?”
Avanti, Jenny, devi solo dirgli che non vi parlerete più, cosa c’è di male?
Lui sembrò pensarci su e poi annuì riluttante, facendomi segno di andare sugli spalti, in un angolino in cui nessuno si sarebbe accorto di noi.
“Ho detto ai miei amici di aver colpito un palo mentre guardavo il culo di una ragazza, cerca di non smontarmi” mormorò mentre ci sedevamo, accennando un sorriso.
Mi morsi il labbro per evitare di ridere, perché non c’era niente di divertente in quella situazione.
“Vorrei chiederti scusa…” cominciai, ma lui si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo.
“Non sei stata tu a mollarmi un pugno” replicò al volo, interrompendomi e usando le stesse identiche parole che mi aveva detto Harry.
“Lo so, ma non è solo per quello che devo chiederti scusa” mi impuntai, guardandolo dritto negli occhi, che mi scrutavano curiosi. Deglutii e puntai il mio sguardo sulle scarpe, in imbarazzo.
“Io…ti ho usato, in un modo vergognosamente schifoso e tu non lo meritavi, mi dispiace”.
Lui si strinse nelle spalle e mi sorrise.
“Sapevo cosa stavo facendo e non mi è dispiaciuto aiutarti” mi interruppe di nuovo. Scossi la testa e gli lanciai un’occhiata esasperata.
“Perché sei così buono con me?”
“Perché ti voglio bene, e non provavo il brivido di una scazzottata da troppo tempo. Anche se non ho avuto la meglio, non mi è dispiaciuto aiutarti, sempre che alla fine sia riuscito ad esserti utile” concluse, piegando la testa di lato, curioso. Chiusi gli occhi, scuotendo la testa.
“Questo non importa… Insomma, non mi odi? Ti ho trattato malissimo, perché non sei arrabbiato con me?” gli chiesi frustrata. Lui ridacchiò e mi diede un buffetto sulla guancia.
“Te l’ho detto: tu mi avevi avvertito a cosa andavo incontro, ma forse la speranza che sarei riuscito a cambiare qualcosa mi ha spento il cervello. E’ chiaro che ormai sei persa per Harry, io volevo solo provarci un’ultima volta” spiegò, stringendosi nuovamente nelle spalle e facendomi arrossire per la sua sincera confessione.
Accidenti, sarebbe stato più difficile di quanto credevo!
In fondo al cuore speravo che si arrabbiasse con me, che mi odiasse, per riuscire a dirgli più facilmente che era meglio che non ci parlassimo più.
Ma così era ancora più difficile: lui mi voleva bene, ci teneva a me, ed io gli avrei spezzato un'altra volta il cuore.
“Oh, Lucas…” mormorai, chiudendo gli occhi abbattuta. Lo sentii sorridere e carezzarmi i capelli.
“Non devi scusarti, questo brutto livido passerà in fretta, ed io dimenticherò tutto”
“Si, ma non dimenticherai quello che sto per dirti” mugugnai, riaprendo gli occhi e guardando la sua espressione improvvisamente allarmata.
Sbuffai, torcendomi le mani tra di loro, mentre lui mi osservava in attesa.
“Io…credo che sia meglio che noi due…”
“Vuoi smettere di essere mia amica, vero?” mi interruppe, inspirando tra i denti. Incrociai il suo sguardo ferito e mi sentii sprofondare.
“Non si può smettere di essere amico di qualcuno, credo solo che sia meglio che noi smettessimo di vederci, ecco” tentai di salvarmi in calcio d’angolo, ma ormai la bomba l’avevo lanciata, e dovevo pagarne le conseguenze.
“Certo, tanto mi sembra che tu abbia recuperato, non hai più bisogno di me per le ripetizioni” replicò con voce asciutta, le labbra tese. Sospirai.
“Non intendevo questo, Lucas”
“Ho capito! Ho capito che non vuoi più vedermi, o parlarmi, o sorridermi perché hai paura che qualcosa possa rovinare il tuo rapporto con Harry. Non sono stupido, ho capito, sto solo cercando di mantenere un po’ intatto il mio orgoglio!” sbottò, le mani leggermente tremanti.
Perché facevo male a tutti? Perché le persone che mi volevano bene come ricompensa avevano solo il dolore?
Ero così tanto un disastro?
“Mi dispiace, io…”
“Non devi dispiacerti. L’avrei fatto anch’io al posto tuo, avrei messo la mia ragazza davanti a tutti. Anzi, l’ho fatto già; credi che non sapessi che Harry sbavava dietro a Nicole quando stava con me? Lo sapevo eccome, lo conoscevo troppo bene per non accorgermene. Ma me ne sono fregato, perché non volevo perdere lei e non volevo metterla di fronte ad una scelta” sbottò, cercando di calmare il respiro affannoso.
“Ti capisco, ma puoi permettermi di rimanerci un po’ male?” fece sarcastico. Abbassai lo sguardo, colpevole, e annuii flebilmente.
“Grazie tante!”
“Ehi, Lucas, vuoi giocare?” una voce proveniente dal campo ci distrasse, e alzammo tutti e due contemporaneamente lo sguardo. Un suo amico ci stava guardando, in attesa di una risposta. Sospirai, e Lucas annuì, mandandolo via.
“Mi dispiace” mormorai, ripetendo per la milionesima volta le due parole che mi ero ritrovata a dire più spesso nei giorni passati. Lui annuì velocemente.
“Lo so. Spero che tu sia felice con il tuo Harry” grugnì, sforzandosi di farmi un sorriso, prima di alzarsi e raggiungere i suoi amici.
Un improvviso sconforto mi invase, il cuore che tremò leggermente mentre lo vedevo allontanarsi e ridere con i suoi amici.
Avevo chiarito la situazione, gli avevo detto quello che dovevo dirgli e avevo fatto in modo che tra me e Harry non ci sarebbe stato nessun’altro intralcio.
Ma la consapevolezza di aver appena perso un amico, una persona che si era dimostrata fedele e apprensiva nei miei confronti, non mi permise di rilassarmi del tutto.
Ma dovevo imparare che la vita è fatta di scelte, e non sempre si può ottenere tutto ciò che si vuole.
 
 
 


Cher
 
 


“Sul serio non sei capace a rifare un letto?!” chiesi sconvolta, fissando Louis a bocca aperta, mentre si stringeva timidamente nelle spalle.
“A casa lo faceva mia madre, qui ci ha sempre pensato Liam” spiegò. Mi sforzai di non scoppiare a ridere e chiamai Liam, che era al piano di sotto e ci mise mezzo secondo a raggiungerci nella stanza di Louis. Dovevo assolutamente trovare qualcosa per distrarlo, per alleggerire l’atmosfera, perché sapevo che il suo cervellino stava macchinando qualcosa e avevo paura potesse uscire di testa e farsi prendere dal panico. Dopotutto stava per conoscere la donna che aveva preso il posto di sua madre nel cuore di suo padre, ed io lo conoscevo abbastanza per capire che lui la vedeva quasi come una sconfitta. Era un ragazzo romantico, l’avevo capito al primo sguardo, e probabilmente pensava che l’amore vince sempre su tutto.
Non in questo caso, però. O perlomeno non nel modo che avrebbe preferito lui.
Dovevo distrarlo, e Louis faceva proprio al caso mio.
“Liam!” esclamai, quando ci raggiunse, lanciandogli un’occhiata.
“Che c’è?” mi chiese, vagamente preoccupato. Gli feci l’occhiolino, senza farmi vedere da Louis per tranquillizzarlo, e lui si rilassò, lasciandosi scappare un sorriso.
“Come pretendi che crescano se gli fai ancora il letto?” esclamai, fingendomi oltraggiata. Il suo sguardo danzò da me, a Louis, al letto, per poi tornare su di me. Si morse il labbro e trattenne il fiato per non scoppiare a ridere, e il mio cuore si gonfiò vedendo quanto si stava rilassando e divertendo. Avrei sempre voluto vedere quel sorriso sul suo viso, ma avevo il presentimento che presto sarebbe sfumato: poteva fingersi felice quanto voleva, io sapevo che nel profondo ci stava male per questa situazione.
Louis sbuffò e a quel punto Liam sembrò non riuscire più a resistere: scoppiò a ridere, e la sua risata piena di gioia, a voce alta, come se fosse una liberazione, trascinò anche me, togliendomi il fiato e facendomi salire le lacrime agli occhi.
Louis arrossì e incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio offeso.
“Dai, ti insegno io” lo stuzzicai, frenando le risate e dandogli un buffetto sulla guancia, mentre Liam ridacchiava ancora.
Cercò di calmarsi, poggiandosi al muro e osservando la scena divertito, mentre Louis mi guardava quasi spaurito, rischiando di farci scoppiare a ridere di nuovo.
Provai a spiegare a Louis come fare, mentre lanciavo occhiate di sottecchi a Liam, che sembrava perso nei suoi pensieri, nonostante continuava a sorridere.
Sapevo che la malinconia sarebbe stata difficile da tenere lontana, ma avevo bisogno dei ragazzi per distrarlo, io non potevo fare più di tanto, erano loro quelli che lo conoscevano meglio di tutti.
Sospirai, mentre anche dalle altre stanze provenivano urla e esclamazioni disgustate: i ragazzi stavano pulendo le camere da letto (tranne quella di Niall, a cui stava pensando da solo), io mi sarei dovuta occupare del bagno e Liam della cucina, ma l’avevo distratto chiamandolo ad assistere alla scena in cui Louis si rifiutava di fare il letto perché non ne era capace.
In teoria non avrei dovuto stupirmi: sapevo che i ragazzi non ne sapevano molto di ordine e pulizia, sembrava che prima del nostro arrivo l’unico a cercare di mantenere un minimo di civiltà in quella casa era Liam.
Ma, andiamo, a ventun anni è impossibile non sapere ancora come fare un letto!
“Louis, devi tirare su prima il lenzuolo!” urlai, ritornando alla realtà quando lo vidi tirare su il piumone lasciando il lenzuolo attorcigliato sotto.
Era un disastro.
Gli tirai un cuscino in faccia e Liam ci guardò scuotendo la testa sconsolato, non riuscendo a trattenere un magnifico sorriso.
Louis assottigliò lo sguardo e mi ritirò il cuscino, colpendomi in pieno.
“Non trattarmi male!” strillò di rimando, per poi scoppiare nella sua risata quasi isterica. Guardai Liam e risi anch’io, mentre lui stringeva le labbra divertito. Buttai Louis sul letto e lo aggirai, per andare da Liam e abbracciarlo.
Non sopportavo vederlo così pensieroso, così giù di morale da non riuscire neanche a ridere. Lui mi strinse immediatamente per i fianchi ed io gli baciai la guancia.
“Cerca di non pensarci” bisbigliai. Lui mi sorrise.
“Ci sto provando”
“Ehi, tu! Devi aiutarmi o amoreggiare con il tuo ragazzo? Mi sento escluso qui!” mi richiamò Louis, con voce offesa. Alzai gli occhi al cielo e tornai da lui, mentre Liam ridacchiava.
“Finisco di lavare i piatti” annunciò. Mi voltai verso di lui, che mi fece l’occhiolino prima di uscire dalla stanza e tornare in cucina.
Sospirai insieme a Louis e incrociai il suo sguardo preoccupato.
“Non è tranquillo” commentò.
“No”
“Cosa possiamo fare?” si lamentò, facendo una smorfia. Mi strinsi nelle spalle e gli passai il cuscino, beccandomi un suo sorrisetto.
“Non lo so. Dobbiamo cercare di distrarlo, ma…” mi strinsi di nuovo nelle spalle e lo guardai, completamente senza idee.
“Qui l’unica che può distrarlo sei tu, ragazzina” disse maliziosamente. Alzai gli occhi al cielo e gli tirai l’altro cuscino.
“Idiota”
“Smetti di prendermi a cuscinate!” esclamò, ritirandomelo. Ridacchiai e alzai le mani a mo’ di resa.
“Okay, cerchiamo di fare questo benedetto letto così pensiamo a come distrarre Liam” mormorai, tirando su il lenzuolo, mentre lui mi aiutava dall’altro lato.
“Beh, io sono dell’idea che un modo per distrarlo c’è, ma quello dipende da te”
“Ma che ti prende oggi? Sei un piccolo pervertito” lo ripresi con un sorriso. Lui si strinse nelle spalle, sorridendo.
“Sarà che mi manca Eleonor”
“Beh, allora spero che la rivedi presto, sei insopportabile”. Lui rise e fece il giro del letto per stritolarmi in un abbraccio.
“Non lo pensi davvero, tu mi vuoi bene” borbottò, stringendomi e scompigliandomi i capelli. Lo spinsi via guardandolo male.
“Di certo non quando mi impicci i capelli. Ti odio” gli dissi, cercando di sistemarmi lo scompiglio di capelli che aveva creato. Grugnii qualcosa e lui rise, cercando di aiutarmi.
Quando finimmo di fare il letto, lo aiutai a sistemare la stanza e poi raggiungemmo Liam in cucina, che stava finendo di lavare i piatti.
Lui mi sorrise e si sporse verso di me, immerso nel sapone fino al gomito, ed io mi allungai per baciargli le labbra, strofinando il naso contro il suo.
“Lo vedi? Avevo ragione io” mormorò Louis con un sorrisetto provocante. Liam corrugò la fronte ed io scossi la testa, alzando gli occhi al cielo.
“Lascia stare, comincia a svalvolare. Tu lavi ed io asciugo?” proposi con un sorriso. Lui annuì e mi passò il piatto che aveva appena insaponato. Io lo sciacquai e lo asciugai, per poi metterlo nella credenza.
Louis sbuffò e si lasciò cadere su una sedia.
“Sono sfinito” dichiarò. Ridacchiai e schioccai la lingua.
“Ma se hai fatto solo un letto!”
“Si, ma è stato molto faticoso” si difese. Vidi un angolo delle labbra di Liam sollevarsi in un sorriso e cercai di rilassarmi.
“Si, certo…”
Un urlo disgustato mi interruppe e ci voltammo tutti di scatto, guardandoci confusi.
“Zayn! Che schifo ma qui c’è…c’è un…ew, che schifo!” urlò Niall, dalla stanza di Zayn. Scoppiammo a ridere tutti insieme, mentre si sentivano i passi di Zayn correre veloci verso la sua stanza.
“Piantala di fare il bambinetto innocente, come se tu non li avessi mai usati!” esclamò per difendersi, mentre Niall continuava a lamentarsi disgustato.
“Sono incredibili” commentò Liam a bassa voce, sorridendo.
“Sono tuoi amici” gli ricordai, dandogli una spallata giocosa. Lui annuì, rassegnato, senza perdere però il sorriso.
Si, erano suoi amici e lui gli voleva bene per come erano. Probabilmente se non fossero stati tutti così pazzoidi, ognuno con il carattere completamente diverso dall’altro, uno più isterico dell’altro, non sarebbero nemmeno andati d’accordo.
“Si, ma almeno io non li lascio in giro dopo averlo fatto! Oh, ti prego vieni a toglierlo tu, sto per vomitare” urlò di nuovo Niall, mentre la risata di Harry rieccheggiava per la casa, proveniente da chissà quale stanza. Louis lo seguì a ruota e uscì dalla cucina probabilmente per raggiungerli e godersi la scena.
“Ragazzi, per favore, c’è una donna qui!” li riprese Liam, alzando la voce per farsi sentire. Niall si lamentò di nuovo, mentre Zayn ci raggiungeva in cucina. Mi fece un gran sorriso, nascondendo qualcosa tra le mani. Arricciai il naso e chiusi gli occhi, mentre Liam lo guardava sconsolato. Zayn si strinse nelle spalle, buttando nel cestino della spazzatura quello che teneva in mano.
“Guarda che io li uso per salvaguardare proprio loro, non si deve certo scandalizzare” si giustificò.
“Sei disgustoso” commentò Niall, raggiungendoci, leggermente verde in faccia.
“Oh, povero piccolo, è scandalizzato” lo prese in giro Zayn, scuotendo la testa e scimmiottandolo. Lui assottigliò lo sguardo e tese le labbra.
“Non sfidarmi” lo minacciò. Zayn scoppiò a ridere, mentre io e Liam osservavamo la scena divertiti.
“Altrimenti che fai?” lo sfidò. Niall strinse ancora di più gli occhi e si guardò intorno, probabilmente alla ricerca di qualche spunto per togliere dalla faccia a Zayn quel sorrisetto impertinente. Quando il suo sguardo si posò su Liam, sulle sue mani insaponate e sul lavandino pieno d’acqua, sorrise.
Prima che potessi anche solo pensare di spostarmi, con un balzo veloce mi tolse il bicchiere che stavo asciugando di mano, lo riempì d’acqua saponata e schizzò Zayn, bagnandolo completamente e facendo si che il suo ciuffo si abbassasse.
Oh-oh.
Liam lo guardò a bocca aperta e il silenziò calò per qualche secondo nella stanza, mentre il sorriso di Niall si allargava e Zayn cominciava a diventare rosso dalla rabbia.
“Mi hai tirato l’acqua sui capelli?” chiese con aria minacciosa. Guardai Liam e mi morsi il labbro, mentre anche lui tratteneva a stento un sorriso divertito: stava per scoppiare una rissa, ne ero certa. A Zayn si poteva toccare tutto tranne che i capelli, e Niall lo sapeva bene.
“Anche sulla faccia e…oh, sta colando anche sulla maglietta” rispose Niall, con aria innocente. Ridacchiai sottovoce e Liam mi fece l’occhiolino.
“Ora lo uccide” bisbigliò. Annuii, mentre Zayn stringeva gli occhi e pensava a cosa fare.
Come prima, la sua mossa fu talmente tanto veloce che quasi non me ne accorsi.
Niall era ancora abbastanza vicino al lavandino, per questo Zayn lo schizzò direttamente da lì, bagnando anche me e Liam.
“Zayn!”
“Che succede qui?” capitolò Harry, seguito appena dopo da Louis, che ci scrutò attentamente e si aprì in un sorriso entusiasta.
“E’ guerra!” esclamò, alzando il pugno al cielo e avventandosi su di noi. Liam riuscì appena a fare in tempo ad afferrarmi per i fianchi, con le mani ancora insaponate e a spostarmi, mentre Louis e Harry riempivano bicchieri e scodelle, bagnando tutti quanti.
La ‘guerra’ scoppiò come annunciato da Louis e, tra risate e urla, nel giro di mezzo minuto la cucina fu sotterrata dal sapone e il pavimento talmente scivoloso che, appena provai a fare un passo per scappare da quella bolgia, scivolai a terra trascinandomi dietro Liam, che aveva cercato di riprendermi al volo.
“Oh, accidenti!” esclamai, mentre Liam scoppiava a ridere sopra di me. Mi scostò i capelli dal viso, insaponandomeli con un sorriso furbetto.
“Liam!” protestai, dimenandomi cercando di spostarlo. Ma lui era pesante, e non potevo muovermi più di tanto. Lui rise e mi insaponò tutta la faccia e i capelli, mentre gli altri continuavano ad urlare e ad impiastrare la cucina che avevamo appena pulito.
“Ferma, ferma!” rise, cercando di tenermi buona mentre cercavo di spostarlo. Alla fine non riuscii più a trattenermi e risi anch’io, mentre lui mi riempiva di sapone e Zayn ci svuotava ridacchiano una pentola piena d’acqua addosso, sciacquandoci.
“Oh, vi odio!” esclamai, spostandomi i capelli appiccicati alla faccia, mentre Liam finalmente si spostava e mi aiutava a rialzarmi. Mi fece uno di quei sorrisi però, uno di quelli grandi, belli, felici, che il mio broncio passò subito e ribaltai la posizione con un sorriso soddisfatto, spingendolo a terra, mentre lui continuava a ridere.
“Me la pagherai, Payne” lo minacciai, facendo aumentare le sue risate.
“Non vedo l’ora di vedere come”.
Alzando gli occhi al cielo lo baciai, finalmente sollevata dal fatto che eravamo riusciti a distrarlo, felice che finalmente era tornata un po’ di ilarità nei suoi occhi e con il cuore in gola per quanto ero innamorata di lui.
Ogni giorno che passava questo sentimento aumentava sempre di più, e avevo il presentimento che non avrebbe mai smesso di farlo.
“Sai di sapone” bisbigliò ridacchiando quando mi staccai, facendo una piccola smorfia.
“E’ colpa tua”.
Lui si strinse nelle spalle e mi baciò di nuovo.
“Sei buona anche così. Tu mi piaci in tutti i modi” sussurrò, strofinando il naso contro il mio. Sentii il cuore gonfiarmi il petto e gli sorrisi, prima di venire interrotta dalla risatina di Louis.
“Credo proprio che abbiamo fatto un bel casino” commentò, guardandosi intorno, finalmente calmo, mentre anche gli altri si tranquillizzavano, con il fiatone.
“Io non c’entro niente!” se ne tirò fuori Harry, alzando le mani e facendo per andarsene, “Mi faccio una doccia e vado a prendere Jenny” annunciò con un sorriso furbo, prima di dileguarsi.
“Harry!” lo richiamo Zayn, indignato, grugnendo dalla rabbia.
“Lascialo stare”
“Certo, tanto qui ci siamo noi a ripulire il tutto, no?” esclamò, mettendo il broncio. Con un sorriso mi tirai su e gli lasciai una pacca sulla spalla.
“Esatto. Tu e Niall, che avete dato l’inizio a tutto” gli dissi facendogli l’occhiolino.
“Ma…” provò a protestare il biondino.
“Ha ragione, ragazzi, prendetevi la responsabilità delle vostre azioni” proclamò Louis, con finta aria saggia, facendoci scoppiare a ridere tutti insieme.
“Si, certo, certo” lo spinsi via, scuotendo la testa. Lui mi scoccò un gran sorriso e si tolse la maglietta completamente zuppa.
“Io nel frattempo vado a farmi una bella doccia” annunciò, mandando un bacio ai due che lo stavano guardando in cagnesco e uscendo velocemente. Liam si alzò ridacchiando e mi circondò i fianchi con un braccio.
“Faccio una doccia anch’io e poi vengo ad aiutarvi” disse con voce dolce, rassegnata. Niall e Zayn sospirarono di sollievo, probabilmente non sapendo neanche da dove cominciare per ripulire tutto quel casino. Corrugai le sopracciglia mentre Liam mi trascinava fuori dalla cucina con se.
“Dove stiamo andando?”
“A farci la doccia” mi rispose tranquillamente, come se fosse la cosa più ovvia.
“Insieme?” gli chiesi con voce leggermente stridula, mentre il cuore mi martellava nel petto. Lui si strinse nelle spalle e mi sorrise.
“Certo”. Sorrisi, sentendo il sangue colorarmi le guancie.
“Perché stai sorridendo?” mi chiese lui, l’aria divertita. Fu il mio turno di stringermi nelle spalle e fingermi indifferente.
“Perché mi piaci quando prendi l’iniziativa”. Lui scoppiò a ridere e mi trascinò in bagno.
Quando tornammo in cucina, di nuovo asciutti e profumati, erano ormai le cinque del pomeriggio. Liam non aveva mantenuto la promessa fatta ai ragazzi, un po’ per colpa mia, che l’avevo trattenuto in camera, quindi ci aveva pensato Jenny ad aiutarli a sistemare tutto.
Fosse stata un’altra situazione l’avrei ringraziata per averci coperti, ma ancora non ci parlavamo, quindi mi limitai a lanciarle un’occhiata indifferente, continuando ad ignorarla, facendo finta che non ci fosse.
Non ero ancora pronta ad affrontare il problema, e ce ne era uno più urgente di cui preoccuparsi: l’imminente cena.
“Bell’amico, ci hai lasciati nel momento del bisogno” lo accusò Niall, quando ci sedemmo entrambi sul divano accanto a loro. Lui alzò gli occhi al cielo ed io mi accoccolai nel suo abbraccio, scoccando a Niall un sorriso radioso.
“E’ colpa mia” tentai di difenderlo con voce tranquilla.
“L’avevamo immaginato” replicò Zayn, assottigliando lo sguardo.
Louis ridacchiò e mi fece l’occhiolino.
“Io ho voglia di gelato” se ne uscì dopo un po’ Harry, scambiandosi un’occhiata complice con Jenny, che gli sorrise e gli scompigliò i capelli. Louis alzò gli occhi al cielo, mentre un’idea sgradevole mi balenava in testa.
“Gelato…Gelato! Liam, non abbiamo il dolce!” esclamai, alzandomi in piedi. Lui mi guardò confuso, poi sembrò capire.
“Oh, non importa, mio padre non guarda queste cose” dileguò la mia preoccupazione con un gesto della mano, facendomi segno di ritornare tra le sue braccia. Scossi la testa testarda e incrociai le braccia al petto.
“Non se ne parla, abbiamo bisogno del dolce, vado a prenderlo” annunciai, prendendo la mia giacca e andando alla ricerca delle scarpe. Liam sospirò e si alzò.
“Okay, come vuoi” si arrese, probabilmente capendo che non gliel’avrei data vinta facilmente.
“No, tuo padre potrebbe arrivare da un momento all’altro” gli dissi, facendogli segno di sedersi, “Mi accompagna Louis, stai tranquillo” gli dissi, chinandomi su di lui per stampargli un bacio sulle labbra, mentre Louis si alzava sbruffando.
“Fai presto” mi sussurrò con un sorriso.
“Prestissimo”.
 
 
“Ora devi spiegarmi perché mi hai trascinato qui. Sai che se mi riconosce qualcuno non ne usciremo prima di domani mattina?” si lamentò per l’ennesima volta Louis, trascinandosi dietro di me con aria annoiata. Alzai gli occhi al cielo, mentre entravamo nel primo supermercato che avevamo trovato aperto.
“Piantala di lamentarti e aiutami a cercare” borbottai. Lui sbuffò, mentre cercavamo di orientarci in quell’enorme posto.
“Comunque, Liam sembrava più tranquillo quando siamo usciti” commentò dopo un po’, camminando pigramente accanto a me. Lo guardai e annuii con un sorriso.
Lui mi scoccò un sorrisetto malizioso.
“Hai usato la mia tattica di distrazione?” ammiccò. Schioccai la lingua e lo allontanai con una spinta, senza riuscire a trattenere un sorriso.
“Idiota”.
Lui scoppiò a ridere ed io scossi la testa.
“Senti, dividiamoci, altrimenti non ne usciamo vivi davvero” proposi, indicandogli di andare verso destra. Lui annuì e mi mandò un bacio con la mano, prima di sparire dietro agli scaffali. Ancora sorridendo, cominciai a guardarmi intorno, curiosando tra gli scaffali e approfittando dell’occasione per prendere i miei biscotti preferiti.
Li avevo appena trovati e stavo sorridendo soddisfatta, girando l’angolo per raggiungere Louis, quando mi scontrai con qualcuno.
Quando alzai lo sguardo, pronta a scusarmi con la donna a cui ero finita completamente addosso, rischiando di farle cadere la bottiglia di vino che teneva in mano, le parole mi morirono in gola.
“Mamma?” mi uscì un verso strozzato, e lei alzò lo sguardo sbarrando gli occhi.
“Cher?”





















Ehm, ciao?
*sbircia cautamente per paura di attacchi omicidi*
NON TRAETE CONCLUSIONI AFFRETTATE!
No, sul serio, lo so che probabilmente in questo momento vorreste uccidermi per le ultime due frasi del capitolo, ma davvero non date tutto per scontato, nulla è come sembra (?)
Okay, la pianto.
Allora, cosa posso dirvi?...
Ah, oggi avevo la partita di volley con la scuola e indovinate un po'?
Sugli spalti, a parte mezza scuola, c'era anche il biondino e Malik 2.
Ecco, immaginatevi me che gioco a pallavolo con le gambe tremanti e con gli occhi che hanno tipo una calamita verso gli spalti. Stavo impazzendo, sul serio o.o
Tutti e due insieme io non posso resistere **
Poi abbiamo perso, ma questi sono dettagli.
E ho fatto anche qualche figura di merda, tipo cinque ricezioni di seguito sbagliate, ma anche questi sono dettagli, no?NO? :/
Okay, respiro profondamente e torno in me *fiuu*
Vi dico solo quest'ultima cosa e poi sloggio a studiare storia dell'arte:
non odiatemi, ma ho deciso che se non ricevo un tot recensioni smetto di aggiornare.
Non è per fare la stronza, è che semplicemente io ci metto il cuore e l'anima per questa storia e vorrei che chi ci tiene veramente lo facesse vedere, altimenti mi sembro solo io (con le adorabili ragazze che recensiscono sempre, che io amo con tutto il cuore :3) che scrivo a vuoto.
Non prendetelo come un obbligo, recensite solo se volete, ovviamente, però volevo solo farvelo sapere, ecco :)
Detto questo, me ne vado sul serio.
Love u all.
Ah! Preparatevi che dal prossimo tornano i troubles! :D
Sara.










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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro. ***


Capitolo 24
 



Cher
 



Guardai mia madre sbarrando gli occhi, la bocca spalancata e il cuore che tamburellava forte nel petto.
Non era cambiata molto: i soliti capelli lunghi e lisci, lasciati sciolti, gli occhi verdi, come i miei e quelli di Jenny, un leggero trucco, il fisico asciutto stretto in un abito blu che le arrivava appena sotto le ginocchia, e per concludere un paio di scarpe con i tacchi che le davano un’aria sofisticata.
A dire il vero, non l’avevo mai vista conciata così bene e i miei occhi schizzarono all’istante verso la sua mano sinistra, con il terrore che fosse riuscita ad incastrare un qualche uomo e a sottrargli poi tutti i suoi averi.
“Che cosa ci fai qui?” chiedemmo contemporaneamente, anche lei guardandomi sorpresa, probabilmente rendendosi conto che non ero proprio dove mi aveva lasciata l’ultima volta.
Si, mamma, anche io mi sono fatta una vita senza di te.
“Io sono qui con…” non fece in tempo a finire la frase, ma comunque riuscii ad intuire cosa stesse per dire, che un uomo alto e ben piazzato fece il suo ingresso nella scena, raggiungendoci con un’altra bottiglia di vino in mano.
“Amore, questo va….bene…?” la sua voce si affievolì, lasciando la domanda quasi a metà, mentre piegava leggermente la testa di lato per scrutarmi, con un sorriso curioso sulle labbra.
“Oh!” esclamò mia madre, agitandosi. Guardò prima lui, poi me, poi di nuovo lui e mi indicò.
“Geoffrey, questa è Cher. Mia…figlia” annunciò con voce flebile. L’uomo, Geoffrey, sorrise di nuovo e mi porse la mano.
“Oh, Cher. Ho sentito tanto parlare di te” mi disse, stringendomi la mano che era rimasta passiva lungo il mio fianco.
Ero ipnotizzata. Dai suoi occhi color cioccolato e dal suo sorriso dolce.
E anche un po’ scioccata, perché nel giro di mezzo minuto avevo realizzato che la causa di tutto il dolore che stavamo provando io e Jenny era proprio lì davanti a me e che, per di più, aveva un compagno che non era lo stesso che l’aveva fatta allontanare da noi l’ultima volta.
Lui mi guardò attentamente, per poi sorridere a mia madre e stringere la bottiglia tra le mani.
“Vado a vedere se ce n’è uno migliore” annunciò, sparendo di nuovo da dove era venuto. Mia madre continuava a scrutarmi con gli occhi sbarrati, come se non riuscisse a credere che fossi davvero lì davanti a lei.
“Cosa ci fai qui, Cher?” mi chiese di nuovo, quando sembrò riacquistare le sue facoltà mentali.
“Io…abito qui ora” mormorai guardinga, mentre i suoi occhi si spalancarono di nuovo.
“Sul serio? E la casa a Weymouth?” mi chiese. In quel momento cominciai ad innervosirmi: non la vedevo né sentivo da mesi, anche se ero convinta che lei sapesse più di quanto volessi su di noi grazie a Jenny, e ora pretendeva che io le raccontassi gli ultimi mesi della mia vita?
“Non…non sono affari tuoi!” esclamai, arrossendo dalla rabbia. Incrociai le braccia al petto e strinsi le labbra, mentre lei boccheggiava.
“Chi è quello?” le chiesi poi, indicando l’angolo dietro il quale era sparito l’uomo che l’accompagnava. Lei sbatté le palpebre e aprì la bocca, per poi richiuderla.
“E’…Geoffrey. Il mio…il mio compagno”
“E Michael?” sibilai. Lei sembrò riprendersi e assottigliò lo sguardo.
“Non andava” si limitò a rispondere, incrociando anche lei le braccia al petto. Mi scappò una mezza risata isterica e lei accennò un sorriso.
“Certo, oppure non aveva abbastanza soldi” replicai acida. Lei arrossì e gonfiò le guance.
“Cher!” mi riprese stizzita. Mi strinsi nelle spalle, l’espressione neutra e per niente dispiaciuta della mia accusa: era la pura e semplice verità.
“Cosa? Vuoi che stia zitta? Quante menzogne hai raccontato a quest’uomo, mamma?” sbottai, alzando le braccia al cielo, mentre lei arrossiva visibilmente.
“Smettila, lui sa tutto” sussurrò, mentre il diretto interessato faceva ritorno, lanciandoci un’occhiata di sottecchi e dondolandosi sui talloni, rimanendo però a debita distanza.
“E sa anche come sei fatta? Che appena c’è qualcosa che non va tendi a scappare lontano? Questo lo sa?” continuai, fregandomene che lui avesse potuto sentirmi, era ancora in tempo per salvarsi, ed io gli stavo dando una possibile via di fuga.
“Questa volta è diverso” balbettò lei, abbassando la voce e pregandomi con lo sguardo di finirla. Non mi feci abbindolare dai suoi occhioni imploranti e strinsi le labbra in una linea dura.
“Lo dici tutte le volte, e poi puntualmente succede la stessa cosa”
“Io lo amo” confessò di getto, e potei vedere l’angolo delle labbra di Geoffrey sollevarsi in un sorriso, segno che aveva sentito la confessione spassionata di mia madre. Peccato che, anche se sembrava incredibilmente sincera, lui non sapeva come era fatta, non sapeva che prima o poi se ne sarebbe andata, perché lo faceva sempre, puntualmente ogni volta che le cose sembrassero andare per il meglio.
“Si, come amavi Michy, Bob, Scott, sono stati così tanti che non me li ricordo più!” esclamai tra i denti. Lei arrossì ancora di più e mi lanciò un’occhiata truce.
“Cher, adesso smettila!” sibilò, le mani tremanti. Assottigliai lo sguardo, mentre Geoffrey, allarmato dalla tensione quasi palpabile tra di noi si avvicinava, le mani alzate davanti a se e gli occhi fissi nei miei, come se potessi aggredirlo da un momento all’altro.
“Ehm, tesoro, perché non usciamo? Stiamo facendo tardi, magari possiamo portare Cher con noi” propose con voce dolce, sorridendo. Mamma sembrò calmarsi un pochino e si voltò verso di lui, sorridendogli, per poi prendere fiato per rispondere. La anticipai, prima che potesse anche solo pensare di chiedermelo.
“Io non vengo proprio da nessuna parte” sibilai. Geoffrey strinse le labbra deluso e mia madre sussultò.
“Cher! Ho trovato il gelato alla nocciola e alla stracciatella! Però dobbiamo tenerlo lontano da Niall altrimenti…” la voce squillante di Louis ci interruppe, precedendolo solo  di mezzo secondo, perché poi ci raggiunse tutto esuberante, con due scatole di gelato tra le mani. Si bloccò quando vide che non ero sola e i suoi occhi azzurri si spalancarono un pochino, mentre un sorriso sorpreso affiorò sulle sue labbra, guardando le persone davanti a noi. Corrugai le sopracciglia, osservandolo: perché era quasi felice di vedere mia madre? E poi come faceva a sapere che era lei? Non l’aveva mai vista.
Poi, mezzo secondo dopo, disse le parole che mi fecero comprendere il suo sorriso, ma che furono anche la causa della mia distruzione.
“Oh, salve signor Payne!” esclamò, alzando la mano a mo’ di saluto.
In quel preciso istante, sentii distintamente il mio cuore andare in mille pezzi, mentre l’orrore mi invadeva lo stomaco.
Ecco perché mi sembrava così familiare, ecco perché i suoi occhi color cioccolato e il suo sorriso dolce mi avevano per un attimo immobilizzata.
Liam.
Mi scappò un singulto mentre Geoffrey, non volevo neanche pensare a chi fosse veramente, stringeva amichevolmente la mano di Louis, e lui si voltò curioso verso di me.
Mi indicò e sorrise a Louis.
“Voi due vi conoscete? E’ la tua ragazza?” gli chiese. Louis scoppiò a ridere fragorosamente, mentre lui aggrottava impercettibilmente le sopracciglia e mia madre sorrideva silenziosamente, probabilmente contagiata dalla risata spensierata di Louis.
“No, no” mormorò, incurante del fatto che stesse per scatenare una tempesta, “Lei è Cher, la ragazza di Liam” disse, ancora ridacchiando. Chiusi gli occhi, il cuore ormai attorcigliato,il respiro corto e le vertigini.
Sentii chiaramente lo schiocco della mandibola di Geoffrey che si spalancava, probabilmente insieme a quella di mia madre, mentre Louis si zittiva improvvisamente.
“Liam?” squittì mia madre, io barcollai, la testa che cominciò a girarmi leggermente, “Tuo figlio?” continuò scandalizzata. Aprii un poco gli occhi e barcollai di nuovo pericolosamente, mentre sul viso dei presenti cominciava a mostrarsi un’espressione di orrenda sorpresa.
Louis mi afferrò al volo prima che mi schiantassi a terra, stringendomi tra le braccia.
“Cher, che ti prende?”
“Louis…lei è mia madre” soffiai, richiudendo gli occhi e lasciandomi andare tra le sue braccia. Lui mi sostenne, irrigidendosi e spalancando la bocca.
“Oh, mio Dio” sibilò mia madre. Annullai tutti i suoni, serrai gli occhi e le labbra, chiudendo tutto fuori e concentrandomi sul mio respiro ancora corto.
Non ci volevo pensare, non ci potevo pensare.
Era assurdo, impossibile, inaccettabile.
Di tutte le persone che abitavano questo mondo non era possibile che mia madre avesse incontrato proprio lui, che lui volesse chiederle di sposarla, che lui fosse il padre del ragazzo che amavo più di me stessa e che in quel momento era all’oscuro di tutto, probabilmente impaziente di conoscere la nuova compagna di suo padre.
“Cazzo” la parola sussurrata di Louis mi riportò al presente, costringendomi a riaprire gli occhi, mentre lui mi guardava preoccupato e mia madre e Geoffrey sembravano due statue di pietra. Louis mi lasciò andare, quando capì che ero di nuovo più o meno stabile sui miei piedi ed io cercai di respirare, anche se la morsa che mi stringeva il petto lo rendeva difficile.
“Andiamo a casa…devo parlare con Liam. Non… non…” mi scappò un singhiozzo, senza lacrime, ero come prosciugata, non riuscivo ad uscire da quel turbine di orrore che mi aveva assalita.
Le braccia di Louis mi avvolsero di nuovo, mentre posava un bacio sulla mia testa.
“Si, andiamo, andiamo” mormorò frettolosamente. Lanciai uno sguardo a mia madre, che mi fissava sbalordita.
“Cher, dobbiamo parlarne!” provo a dire, ma Geoffrey, intelligentemente, la bloccò e ci lasciò fuggire via.
Stavo per scoppiare, non avrei retto tutte quelle sensazioni a lungo, avevo bisogno di Liam, avevo bisogno di proteggerlo e di fare in modo che non scoprisse il disastro nel modo rude in cui avevo fatto io.
Anche se sapevo che, per quanto avessi potuto dirglielo delicatamente, le conseguenze sarebbero state le stesse, ed io avevo il terrore di pensare a cosa sarebbe potuto succedere.
 
 
 
 


Jenny

 



“Ma quando tornano? Ci stanno mettendo un’eternità” si lamentò per l’ennesima volta Liam, rialzandosi dal divano in cui Zayn l’aveva costretto a sedersi e riprendendo a camminare avanti e indietro per la stanza. Harry alzò gli occhi al cielo e tuffò il viso tra i miei capelli, ispirando forte, facendomi irrigidire tra le sue braccia. Lo sentii ridacchiare mentre mi lasciava un bacio dietro l’orecchio, provocandomi i soliti, fastidiosi, brividi.
“Liam, smettila. Arriveranno, cerca di calmarti” tentò di farlo ragionare Niall, che ancora offeso con Zayn evitava di guardarlo in faccia.
Le conseguenze della loro ‘guerra d’acqua’ ancora si vedevano dai capelli umidi di Niall e si sentivano dal profumo dolce di bagnoschiuma alle fragole di Harry, che poi era il mio bagnoschiuma, ma a lui piaceva così tanto che lo lasciavo fare quando me lo rubava.
Sorrisi, mentre Zayn ridacchiava sotto i baffi probabilmente ripensando a quello successo qualche ora prima, mentre io ero ancora a scuola.
Quanto avrei voluto essere lì e godermi la scena: non è da tutti trovare il coraggio di rovinare l’acconciatura di Zayn.
In quel momento ero fiera del biondino, peccato che poi fosse stato lui a rimetterci, ritrovandosi bagnato e insaponato dalla testa ai piedi, così come tutta la cucina.
Beh, d’altra parte solo degli idioti come loro potevano pasticciare la cucina in quel modo, dopo averla appena pulita e sapendo che di lì a qualche ora avrebbero avuto ospiti.
Ma stavamo parlando di loro, niente ormai mi avrebbe più stupita.
“E’ già un’ora che sono fuori, mio padre sarà qui da un momento all’altro ed io…” mormorò frettolosamente, prima di lasciarsi andare ad uno sbruffo liberatorio.
Trattenni a stento un sorriso intenerito: Liam nel panico era adorabile, ed era evidente che in quel momento aveva un disperato bisogno di Cher, che lo calmasse e tranquillizzasse.
Solo che era praticamente scomparsa con Louis, alla ricerca di un dolce per rendere la cena perfetta, da brava, appunto, perfezionista.
“Amico, stai tranquillo, Cher tornerà presto” lo stuzzicò Harry, ridacchiando. Lo colpii con uno schiaffo sullo stomaco, mentre Liam lo guardava male.
“Ahi” si lamentò lui sottovoce.
“Vorrei vedere te al suo posto” sibilai, mentre Liam riprendeva a camminare avanti e indietro e Zayn, sbruffando esasperato, spariva nell’altra stanza.
“Mi stai facendo venire da vomitare, peggio della schifezza nella stanza di Zayn” borbottò Niall, facendo sorridere Harry.
“Che mi sono persa?”, lui scosse la testa e mi baciò la guancia, mentre Niall rabbrividiva con un’espressione disgustata sulle labbra.
“Vado a mangiare qualcosa” annunciò poi, alzandosi e sparendo in cucina.
Liam sbruffò e si lasciò cadere sul divano accanto a noi, che eravamo accoccolati stretti in un angolo, io tra le sue gambe, le sue braccia che mi avvolgevano completamente da dietro.
Harry mi poggiò la testa sulla spalla, osservando Liam mentre sprofondava la testa tra le mani, battendo nervosamente un piede a terra.
“Che cosa ti preoccupa?” gli chiesi io sottovoce, facendolo sobbalzare. Lui alzò lo sguardo verso di me, mentre il respiro fresco di Harry mi solleticava la pelle del collo, distraendomi.
“Io…sto per conoscere la compagnia di mio padre” rispose Liam, sbattendo le palpebre. Gli sorrisi e mi strinsi nelle spalle.
“Perché ti preoccupi così tanto? E’ solo la compagna di tuo padre, non devi mica sposartela, e se lui te la fa conoscere è perché ti ritiene pronto ad affrontare una cosa del genere”
“Secondo me ti stai facendo mille problemi per niente, Lee” si aggiunse bisbigliando Harry, mentre lui ci guardava sbattendo le palpebre, assorbendo le nostre parole in silenzio.
“Io…” sbruffò e gli scappò un mezzo sorriso.
“E’ che…”
“Hai paura, vero?” intervenne Zayn dalla porta, poggiato con nonchalance allo stipite, le braccia incrociate e l’espressione neutra. Liam si strinse nelle spalle, guardandolo.
“Credo di si” ammise arrossendo e distogliendo lo sguardo, puntandolo sulle sue scarpe, visibilmente imbarazzato.
“Perché?” mormorai, cercando di farlo parlare, perché sapevo per esperienza che in quel modo forse si sarebbe sfogato e avrebbe eliminato i dubbi che gli impedivano di stare tranquillo. Lui mi guardò di nuovo, leggermente spaesato.
“Io…credo di avere paura che lei possa pensare di prendere il posto di mia madre. Ho paura che non mi piaccia, ma che comunque devo farmela andare bene per forza, ho paura di vedere mio padre felice, perché so che lo è senza mia madre. Ho paura di tutto, dei cambiamenti, in sostanza” bisbigliò, stringendo le mani tra loro e ammutolendosi. Vidi un sorriso dolce apparire sulle labbra di Zayn, mentre si avvicinava a lui per mollargli una pacca amichevole sulla spalla.
“Perché queste cose non ce le hai dette prima? Noi avremmo cercato di aiutarti” mormorò, mentre Liam lo guardava sofferente.
“Già, amico, dovevi dircelo” si aggiunse Niall, in una lingua quasi sconosciuta a causa di una quantità infinita di cibo che aveva in bocca, sputacchiando qua e là.
A volte mi sembrava uno scoiattolo…erano loro quelli che conservavano il cibo in bocca, no?
“Sei disgustoso” commentò Zayn, facendogli una smorfia, che il biondino replicò al volo.
“Senti chi parla”. Zayn alzò gli occhi al cielo mentre Liam ridacchiava, ritrovando finalmente il sorriso.
“Grazie, ragazzi” mormorò, strofinandosi il viso vigorosamente per poi sorridere di nuovo.
“Nessun problema, lo sai che ci siamo sempre” rispose Harry con un gran sorriso, circondandomi i fianchi con le braccia e facendomi di nuovo rabbrividire.
“Solo che non riesco a capire che diavolo di fine abbiano fatto Cher e Louis” mugugnò subito dopo, alzandosi di nuovo in piedi. Alzai gli occhi al cielo e, a malavoglia, con una forza che non so dove trovai, sciolsi l’abbraccio di Harry per alzarmi dal divano.
“Andiamo, ti faccio una bella camomilla così ti calmi” borbottai, afferrando Liam per un braccio e trascinandolo in cucina. I ragazzi ridacchiarono e Niall ci seguì nel suo habitat naturale, sedendosi su una sedia a caso e riprendendo a mangiare come un pozzo senza fondo.
“Grazie, Jen” mormorò lui, mentre mettevo su un po’ d’acqua e prendevo le bustine della camomilla. Gli scoccai un sorriso.
“Di niente”
“Cher mi odierà, quando tornerà e mi troverà in questo stato. Mi aveva detto di stare tranquillo” mormorò dopo un po’. Sorrisi, irrigidendomi leggermente al nome di mia sorella.
“Cher capirà, non c’è nessuno di più comprensivo di lei” mugugnò Niall, facendogli l’occhiolino. Annuii con un sorriso, proprio nel momento in cui il rumore della porta d’ingresso riecheggiò per la casa.
“Liam!” lo chiamò Zayn con voce esasperata, e lui scattò nell’altra stanza. Lo seguii e mi immobilizzai con lui, davanti a Cher, che sembrava in un altro mondo, e a Louis, che era a dir poco sconvolto.
“Cher?” chiese Liam, mentre lei incrociava il suo sguardo e i suoi occhi si riempivano di lacrime, il viso fino a quel momento pallido che sembrava riprendere colore.
“Cos’è successo?” chiese Harry, scattando in piedi e alternando lo sguardo da Cher a Louis.
“B-beh…” balbettò Louis, per poi guardare Cher e ammutolirsi. Lei boccheggiò, vagamente sconvolta, e poi si fiondò tra le braccia di Liam, che la strinse immediatamente a se, sorpreso.
“D-devo…dirti una cosa, io…è bruttissima e…”
“Shh, calmati” bisbigliò lui, carezzandole i capelli e guardandoci stupito, mentre Louis si torturava le mani, per poi passarsele tra i capelli, frustrato e sconvolto.
“Mi volete dire cosa diavolo sta succedendo?” sbottò Liam, mentre Cher tremante si stringeva a lui, attorcigliandosi la sua maglietta tra le dita.
“Tuo…padre…” cominciò Louis, ma venne interrotto dal campanello che suonava. Sobbalzammo tutti, al limite della tensione e Cher trattenne il respiro, mentre Harry andava ad aprire la porta.
“Liam, figliolo!” fece il suo ingresso un uomo, il padre di Liam, con aria preoccupata e le mani alzate davanti a se a mo’ di resa.
“Papà?” chiese lui, mentre Cher mugugnava qualcosa. Aggrottai le sopracciglia, mentre un’altra persona faceva il suo ingresso in casa, lasciandomi basita, la bocca spalancata.
“Mamma?” chiesi stridula, facendo si che tutte le teste dei presenti, esclusa quella di Cher ancora sotterrata nel petto di Liam, si voltassero verso di me.
“Ciao, tesoro” mi disse lei, accennando un sorriso, e allora, con orrore, capii tutto.
Ecco perché Cher e Louis erano così sconvolti, ecco perché non erano riusciti a dire mezza parola.
Mia madre, e il padre di Liam. Insieme.
“Cosa…cosa vuol dire questo?” chiese Liam con voce leggermente stridula, mentre Cher si stringeva ancora più a lui, come a volersi nascondere e a voler ignorare quello che stava succedendo.
“Io non sapevo niente, non avrei mai pensato che lei…” cominciò il padre di Liam, con voce preoccupata.
“Frena, frena. Ho bisogno di un attimo di respiro. Cazzo, anche questa no!” sbottò, serrando gli occhi e sbuffando dal naso. Un fremito gli scosse le spalle e Cher alzò il viso per guardarlo.
“Usciamo un secondo, ti prego” sussurrò a Cher che annuì all’istante e, senza guardare in faccia nessuno lo trascinò verso la porta che dava sul giardino sul retro, scomparendo insieme a lui.
Mi voltai di nuovo verso mia madre, che nel frattempo aveva fatto un passo avanti e stringeva la mano del padre di Liam, Geoffrey mi sembrava si chiamasse.
“Mamma” mormorai, sentendo il cuore gonfiarsi leggermente al pensiero che fosse davvero lì davanti a me, nelle circostanze peggiori possibili, ma era lì.
Lei mi sorrise e allora, a passo titubante, la raggiunsi e mi buttai tra le sue braccia, lasciandomi stringere nel calore di quelle braccia che mi erano mancate da morire.
I ragazzi restarono pietrificati, mentre Geoffrey ci guardava in silenzio, sospirando appena.
“Questo si che è un bel casino” interruppe il silenzio Niall, che aveva finalmente ingoiato tutto quello che aveva in bocca e ci stava guardando stranito.
Mi voltai verso di loro e lessi sui loro visi un’espressione incredibilmente preoccupata, mentre Harry mi osservava guardingo, analizzando bene mia madre. Mi staccai da lei e lo raggiunsi, prendendogli la mano.
“Io credo che dovremmo parlare un attimo” esordì Geoffrey, facendo per avviarsi verso la porta sul retro. Zayn si spostò davanti a lui, bloccandogli il passaggio.
“Io credo sia meglio lasciarli un attimo realizzare, signore” replicò, la mascella tesa. Con la mano che avevo libera, presi quella di mia madre, che mi sorrise, e la tirai verso il divano.
“Perché non cominciate col dire a noi come diavolo vi siete conosciuti?” proposi, facendo segno agli altri di appoggiarmi.
“E come diavolo siete finiti insieme! Ma perché la mia vita mi sembra sempre di più una puntata di Beautiful?” esclamò Niall, lasciandosi cadere sul divano, gli occhi trasparenti spalancati dalla curiosità, pronto ad ascoltare un lungo racconto.





 















*si affaccia con un sorriso smagliante*
CIAO bellissime, dolcissime, altissime, purissime, levissime... (?) ragazze! :D
Lo so che volete uccidermi in questo preciso momento,
ma pensate che se lo fate non saprete mai come va a finire la storia :D
*spera di poter tirare un sospiro di sollievo*
Soooo, prima di tutto vorrei ringraziare tutte quelle che hanno recensito lo scorso capitolo
e scusarmi in ginocchio per non essere riuscita a rispondere;
causa interrogazione scienze, letteratura francese e letteratura inglese.
Quindi prendetevela con i prof uù
Comunque le ho lette tutte e, anche se praticamente sotto minaccia,
siete state dolcissime e sono davvero contenta che questa fanfic vi piaccia così tanto.
Grazie, davvero :')
Poooi, complimenti a tutte quelle che l'avevano capito (anche se era piuttosto prevedibile)!
Dai, non prendetevela, non potevo dirvi che avevate ragione, che gusto c'era poi?
Comunque, brave perchè avete un ottimo intuito ;)
Ora sloooggio a fare qualcosa.
Non so bene cosa ma sono dettagli.
Spero vi piaccia e che non sia caduta nel ridicolo con questo capitolo .-.
See u soon.
Tanto love.
Sara.








 

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Capitolo 25
*** Capitolo venticinque. ***


Capitolo 25
 
 
 







A te, che sei la mia ‘musa’ e risolvi sempre tutti i miei dubbi.
Grazie per aiutarmi a sistemare ogni capitolo,
grazie semplicemente per esserci.
Ti voglio bene.

 
 
 





Jenny
 




“Allora…” cominciai, mordicchiandomi l’interno guancia e continuando a guardare mia madre come se non potessi credere che fosse veramente lì davanti a me. Mi era mancata, tanto, ma la cosa di cui non riuscivo a capacitarmi era che, nonostante fossimo rimaste in contatto, nessuna delle due sapeva che eravamo nella stessa città e che presto, molto presto, le nostre vite si sarebbero intrecciate di nuovo. Nel peggiore dei modi, a mio parere.
Lei si sedette di fronte a noi, accanto al suo nuovo compagno, ed io continuai a guardarla con un vago sorrisetto sulle labbra.
Anche se avrei dovuto preoccuparmi per le condizioni psicologiche ed emotive di mia sorella e di Liam, anzi mi stupiva il fatto che non fossero ancora usciti di testa e non avessero cominciato ad urlare e a correre per la casa, non riuscivo a smettere di sorridere perché lei era veramente lì, in carne ed ossa.
La mia mamma.
“Perché non mi hai detto che eravate andate via di casa? Sarei venuta prima a trovarvi” mi disse mia madre, sorridendomi. Mi strinsi nelle spalle, improvvisamente impacciata perché, che lo volessi o no, non avevo un bel rapporto di confidenza con lei: parlavamo, le dicevo cosa mi succedeva e viceversa ma, a conti fatti, lei non mi conosceva come una madre normale avrebbe dovuto fare.
Ma niente era mai stato normale nella mia vita, quindi non mi facevo tanti problemi.
Harry con un sospiro si accomodò accanto a me e mi strinse la mano, per infondermi coraggio.
“Perché…non ero sicura di quello che stava succedendo tra noi” confessai, arrossendo dalla vergogna. Mamma spalancò un po’ gli occhi, leggermente interdetta, ed io mi strinsi di nuovo nelle spalle.
“Te l’avrei detto quando mi avresti assicurato che non te ne saresti andata di nuovo” continuai, puntando gli occhi nei suoi, un vago velo di dolore che li oscurava.
“Hai ragione, mi dispiace” mormorò, sbattendo più volte le palpebre probabilmente per trattenere le lacrime.
“Ma ora sono qui, non vado da nessuna parte” sussurrò, tenendo una mano verso la mia, con un sorriso rassicurante. L’afferrai e la strinsi, mentre un silenzio imbarazzante calava intorno a noi.
In effetti la situazione era un po’ strana e mi sentii arrossire sotto lo sguardo di tutti i ragazzi puntati su di noi. Mi raddrizzai e lei fece lo stesso, schiarendosi la gola.
“Io credo che vado a vedere come stanno quei due” mormorò Zayn, alzandosi e uscendo senza neanche lasciarci il tempo di replicare.
Louis e Harry rimasero fermi, indecisi sul da fare, guardando prima me, poi mia madre e poi l’uomo che le sedeva accanto.
Non sapevano se uscire per lasciarci un po’ di privacy, anche se la storia che avrebbero raccontato di lì a poco interessava me tanto quanto loro, o rimanere seduti lì apposta per non perdersela.
Niall invece non sembrava affatto titubante: faceva saltare i suoi occhi cristallini da me a mia madre, impaziente di sentire cosa avessero da dire, talmente eccitato che per poco non si metteva a saltellare per la stanza.
Per lui non c’era mai niente di sbagliato in nessuna cosa, vedeva il lato positivo in tutto.
In quel momento probabilmente stava pensando che fosse una figata che mia madre stesse con il padre di Liam, in modo da formare una grande e unita famiglia.
Forse non si rendeva conto che sarebbe stato piuttosto strano per Cher e Liam diventare quasi…fratelli?
Che merda.
Strinsi la mano di Harry, per intimargli di restare accanto a me, perché avevo bisogno di lui. Lui mi scrutò con i suoi occhi verdi preoccupati e poi annuì lievemente verso Louis, che si rilassò sulla poltrona.
“Da dove cominciamo?” si schiarì la gola mia madre, in imbarazzo, guardando in cerca d’aiuto Geoffrey. Lui la guardò e le sorrise, circondandole le spalle con il braccio. Le fece un veloce occhiolino e poi si voltò verso di me con un gran sorriso.
“Prima di tutto, sono contento di conoscerti, Jenny, tua madre mi ha parlato molto di te” mi sorrise, ed io fui quasi costretta a ricambiare per quanto era dolce e amichevole il suo viso.
“Beh, devo dire che è un gran bel casino quello che si è venuto a creare, ma credo che se ne parliamo in modo civile…”
“Come si fa a parlarne in modo civile?” sbottò Harry, interrompendolo. Lo guardai sorpresa, mentre Geoffrey rimaneva a bocca aperta.
“Mi dispiace, signor Payne, lei mi è sempre andato a genio, ma questa volta stiamo sfiorando il ridicolo” continuò, alterandosi e diventando leggermente rosso. Si spostò, senza lasciare però la mia mano, e puntò le sue iridi verdi e arrabbiate in quelle sbalordite di Geoffrey.
“Insomma, ha appena scoperto che suo figlio è fidanzato con la figlia della sua donna, come fa a prenderla così leggera?” chiese, alzando le braccia al cielo, la mano sinistra ancora intrecciata alla mia. Posai la mano libera sul suo braccio per tentare di calmarlo, mentre Geoffrey stringeva le labbra pensieroso.
“Prima di tutto io ancora non ho ben capito quanto sia importante questo legame che c’è fra di loro, ne dovremmo parlare tutti insieme e trovare un compromesso” azzardò. Louis spalancò gli occhi, mentre Niall seguiva lo scontro in silenzio, limitandosi a spostare lo sguardo in base a chi parlava, come se stesse seguendo una qualche partita di tennis.
“Compromesso? Cosa vorrebbe dire? Il rapporto che c’è tra Liam e Cher è di sicuro più forte di quanto crede lei dicendo queste parole” intervenne Louis, con voce calma e ragionevole. Era la prima volta che lo vedevo restare serio per più di dieci secondi, era preoccupante.
Geoffrey strinse di nuovo le labbra.
“Questo sarà da vedere” mormorò tra se e se. Sentii Harry respirare tra i denti e decisi di intervenire, prima che uscisse di testa. Non c’era bisogno di un altro litigio in quella casa, dovevamo cercare di mantenere la calma.
“Come vi siete conosciuti? Insomma, è strano che proprio voi due siate finiti insieme” buttai lì la prima cosa che mi passò per la mente, e vidi gli occhi di mia madre illuminarsi, mentre il viso di Geoffrey si rilassava in un sorriso.
“Beh, noi ci conosciamo da un bel po’ di tempo ormai” intervenne Geoffrey con una risata. Corrugai le sopracciglia e mamma annuì.
“Quando voi ragazzi eravate bambini, Geoffrey veniva in villeggiatura lì con la famiglia. Credo anche che Liam e Cher giocassero insieme qualche volta” arricciò le labbra, persa tra i suoi pensieri, mentre io assorbivo quelle informazioni sempre più stupita.
“Comunque, ero in giro per l’Europa con…” si bloccò, lanciandomi uno sguardo veloce. Non serviva che lo dicesse, sapevo cosa stava per dire, sapevo chi era quello che ce l’aveva portata via l’ultima volta, uno dei tanti che l’aveva fatto.
“Insomma, ero in Italia, a Firenze, quando ci siamo incontrati così, in strada. Abbiamo parlato un po’, ritirato fuori i vecchi tempi e ci siamo innamorati” sospirò, con un sorriso sognante, mentre io rischiavo di scoppiare a ridere per quanto assurda e idiota mi sembrava quella storia.
Ma che avevano dodici anni che si innamoravano così, solo parlando?
Forse, per la prima volta, cominciavo davvero a capire come fosse fatta mia madre, e quello che vidi non mi piacque per niente.
“Ma lei però era già occupata, quindi avevo perso le speranze ancora prima di trovarle” intervenne Geoffrey con un sorriso.
E quest’uomo sembra ancora più sciocco di lei.
Come si poteva essere così superficiali e menefreghisti?
Accidenti, non finivo mai di stupirmi.
“Però sai come sono fatta, sono dell’idea che all’amore non si può sfuggire. Quindi ho lasciato Michael, che tra l’altro non si stava comportando nel migliore dei modi, e sono tornata in Inghilterra con il mio Geoffrey” concluse con un altro sospiro sognante, sorridendo al suo uomo, che la strinse a se.
Rimasi a bocca aperta, come il resto dei presenti, mentre i due ridacchiavano tra di loro.
Non ci potevo credere, doveva essere tutto uno scherzo, non potevo aver assistito sul serio ad una scena del genere.
“Cioè, fammi capire” provai a fare il punto della situazione, alzando un dito davanti a me. Loro mi guardarono in attesa, mentre Harry scuoteva la testa vagamente disgustato, una smorfia sulle labbra.
“Tu hai lasciato l’uomo per cui te ne sei andata di casa per uno che non sentivi né vedevi da anni? Solo perché Michael non si stava comportando bene? Stai scherzando?” chiesi con voce acuta, incredula davanti a tanta fretta e, se mi era permesso dirlo, stupidità.
Mia madre annuì, per niente pentita della sua scelta, anzi quasi soddisfatta e fiera di se.
Roba da non crederci.
“Proprio così. Ho capito subito che era amore, perché avrei dovuto farmi tanti problemi?” chiese, stringendosi nelle spalle e poggiandosi al petto di Geoffrey, che sorrideva tutto contento.
Com’è il detto? Dio prima li fa, poi li accoppia.
Non c’era niente di più giusto in quel momento.
“Non ci posso credere” sussurrai sconvolta.
“Scusa, piccola, ma non ce la faccio a sentire un’altra mezza parola” mi bisbigliò Harry all’orecchio, sciogliendo le nostre mani. Si alzò, leggermente tremante, e fece segno a Louis di seguirlo.
“Vado a vedere come sta il mio amico, che per questo ‘amore’ sono sicuro sta soffrendo come un matto” borbottò, vagamente schifato.
Poi uscì a grandi falcate con Louis al seguito. Li seguii con lo sguardo e poi incrociai gli occhi strabiliati di Niall, che mi fissava a bocca aperta.
Gli lanciai un’occhiata implorante e lui si strinse nelle spalle.
“Perché ti stupisci tanto, tesoro?” mi chiese mia madre, attirando di nuovo la mia attenzione. Mi voltai verso di lei, che stava sorridendo innocentemente.
“Non è la stessa cosa che provi tu per quel ragazzo?”
Spalancai la bocca, scuotendo la testa.
“Mamma, vorrei farti notare che qualcuno sta soffrendo per la tua mossa avventata, hai sconvolto una famiglia intera, non ti senti proprio per niente toccata?” chiesi, alzando un poco il tono di voce. Niall schizzò con lo sguardo su di lei, impaziente di sentire la sua risposta.
Se non fossi stata così incredula e stupita probabilmente sarei scoppiata a ridere per la sua faccia innocente in quel momento così animata.
Mia madre si strinse nelle spalle, mentre Geoffrey sorrideva.
“Non sapevamo di certo che venire qui insieme avrebbe causato tutto questo scompiglio” esclamò.
“Vedrai che le cose si risolveranno, tesoro, siete solo ragazzi, quanto vuoi che duri un sentimento del genere tra di voi?” chiese, sorridendo.
In quel momento, mi sentii invadere dalla rabbia, perché era evidente che non aveva capito proprio niente e che il cervello le era andato davvero in fumo.
Strinsi gli occhi e presi un bel respiro, per evitare di cominciare ad urlare.
“Solo ragazzi? Come puoi dire una cosa del genere quando sei tu la prima a comportarti da bambina, a scappare quando non sai affrontare una situazione o non vuoi risolvere un problema?” sbottai, arrossendo e facendo si che i suoi occhi si spalancassero, sorpresi e anche leggermente offesi.
Me ne fregai, perché ormai aveva acceso la miccia e stavo per esplodere.
“Non sai quello che stai dicendo, mamma!” continuai, alzando le braccia al cielo, “E sappi che anche se io e Cher non stiamo passando un bel periodo, che non mi metterò a raccontare perché immagino che tu lo affronteresti con il sorriso, io difenderò sempre lei, perché è stata proprio lei a crescermi e a farmi da madre, a farsi il culo al lavoro per mantenermi e insegnarmi l’educazione. E non ti permetterò di allontanarla dall’unica cosa che lei vuole e dall’unico ragazzo che ama, perché se lo merita” conclusi, le lacrime che mi pizzicavano gli occhi, le mani che tremavano leggermente, mentre lei mi fissava sofferente e il suo compagno sorpreso.
Era l’ultima persona sulla faccia della Terra a poter fare un discorso del genere, ed io non ero riuscita a trattenermi dal sputarglielo in faccia.
              









Liam
 



Ero pietrificato, la gola secca, i pensieri annebbiati. Non riuscivo a realizzare quello che era appena accaduto nel salone di casa mia, casa nostra.
Guardai Cher, che si lasciò cadere sull’erba fresca del prato dietro casa, tirandomi per la mano e facendomi cadere accanto a lei.
Automaticamente, lei si strinse a me ed io la circondai con le braccia, fissando il vuoto davanti a me.
“Dimmi che non è vero” bisbigliai dopo un po’. Restando in silenzio ad osservare il cielo abbracciato a lei sembrava quasi che davvero non fosse successo niente e il suo odore e il suo respiro regolare erano così rilassanti che quasi dimenticai tutto.
Avrei tanto voluto dimenticarlo piuttosto che affrontarlo.
“Io non riesco ancora a crederci” mormorò lei, sprofondando la testa nel mio petto, mentre io la stringevo a me.
“Cosa facciamo ora?”
Eccola, la domanda che non avrei mai voluto sentirmi fare.
Cosa facciamo ora?
Come spieghiamo a quei due che i loro figli stanno insieme? Che si amano? Come faccio a dire a mio padre che non può sposare la madre dell’unica ragazza di cui mi importa?
Come faccio ad uscirne vivo?
“Non lo so” sbuffai, mentre lei alzava il viso per guardarmi. Gli occhi le si riempirono di lacrime ed io la accarezzai.
“Ehi” mormorai, passandole un pollice sul labbro tremante, “Non preoccuparti, okay? Risolveremo anche questa” provai a tranquillizzarla, cercando di convincere anche me stesso, anche se sapevo che risolvere la situazione, questa volta, sarebbe stato veramente difficile.
“Come?”
“Non lo so, Cher, non lo so. Ma non lascerò che niente e nessuno ti porti via da me” bisbigliai, assicurandole l’unica cosa di cui ero certo. A costo di sentirmi fuori posto, di sentirmi in torto, sbagliato, e immorale, non l’avrei lasciata per nulla al mondo.
“Perché capitano tutte a noi, Liam? Perché non possiamo vivere tranquilli e felici?” chiese con voce strozzata. Sospirai, posandole un bacio tra i capelli.
“Probabilmente non sarebbe stato così bello se fosse stato tutto più facile”
“Beh, io preferirei di gran lunga la monotonia, che i nostri genitori che…” un singhiozzo bloccò le sue parole, ed io automaticamente la strinsi più forte.
“Il destino è contro di noi” mormorò dopo un po’ con voce amara, facendomi scappare un mezzo sorriso.
“Beh, allora non avrà vita lunga, perché noi lo sconfiggeremo”
Lei si accucciò ancora di più contro di me.
“Scappiamo via, ti prego, non ho la forza per affrontare anche questo” mormorò tremante.
“Si che ce l’hai”
Lei scosse la testa e poi l’alzò per guardarmi, gli occhi pieni di lacrime ancora a stento trattenute.
“No. Non solo mia madre è tornata prepotentemente nella mia vita, ma ha rovinato tutto di nuovo, facendomi sentire sbagliata” singhiozzò. Le asciugai la lacrima che era scivolata giù con un bacio.
“Non provare neanche a pensare una cosa del genere” la ammonii con voce seria. Lei tirò su con il naso e puntò gli occhi nei miei.
“E’ la prima cosa che mi viene da pensare: i nostri genitori si frequentano, Liam, non pensi anche tu che…”
“No” la interruppi di nuovo, perché non volevo assolutamente sentire quello che stava per dire.
Chiusi gli occhi e respirai tra i denti, cercando di mantenere la calma.
“Sono loro che sono sbagliati. Noi stiamo insieme da prima, loro sono arrivati dopo” mormorai. Le scappò una mezza risata amara che mi costrinse a riaprire gli occhi.
“Il tempismo non vuol dire niente, è il fatto quello che importa”
“No, invece. Noi ci amiamo, Cher, da prima che loro si incontrassero di nuovo. Non puoi pensare di essere sbagliata per questo, noi non siamo sbagliati, non pensare così, per favore” la pregai, lasciandomi scappare un mugolio sofferente. Lei spalancò gli occhi e si mosse, finendo in ginocchio davanti a me, tra le mie gambe, prendendomi il viso tra le mani.
Tu non fare così” sussurrò, gli occhi lucidi, le labbra forzate a sorridere.
Mi carezzò la guancia ed io chiusi gli occhi quando le sue dita sfiorarono le mie labbra.
“No, non siamo sbagliati” sussurrai, soffiando tra le sue dita. La sentii sussultare e le avvolsi la vita con le braccia, tirandola ancora più vicina a me.
“Non ci pensare, lei non ha mai significato niente per te, perché deve iniziare proprio ora ad importarti?” continuai imperterrito, il cuore che pulsava di dolore al solo pensiero che Cher non volesse più quello che volevo io.
“A te importa di tuo padre, e che lo voglia o no lei è sempre mia madre” mormorò, “Cosa ne penserebbe la gente?”
Spalancai gli occhi e incrociai i suoi, sofferenti.
“La gente? Ti preoccupi di quello che potrebbero pensare gli altri? Che si fottano! A me importa solo di te, di noi, fregatene di tutto il resto!” sbottai, facendole scappare mezzo sorriso. Lei mi carezzò di nuovo le guance e si chinò su di me per lasciarmi un bacio a fior di labbra. Io mi rilassai leggermente, mentre lei si tirava indietro tremando.
“Come puoi fregartene di quello che pensano gli altri, se la tua vita è spiattellata su tutti i giornali?” chiese delicatamente. Strinsi le labbra.
“Non è vero. Nessuno sa di te, siamo riusciti a tenerlo segreto e a vivere in pace almeno da quel punto di vista. Nessuno deve sapere per forza che mio padre se la fa con tua madre, sarà come se non fosse successo niente” mi impuntai, corrugando le sopracciglia.
Lei sorrise debolmente e mi sfiorò la fronte con una carezza.
“Noi lo sappiamo”
“Ma a me non me ne frega niente! Per quanto mi riguarda mio padre può andare con chi gli pare! A te non interessa niente di tua madre, dove sta allora il problema?” sbottai, ormai mandando a farsi fottere la solita tranquillità del mio tono di voce anche nelle situazioni peggiori.
Non era quello il momento di moderarsi, stavo davvero per perdere la calma.
Lei posò una mano sul mio cuore e si chinò fino ad incastrare il suo viso nel mio collo, accoccolandosi tra le mie braccia.
“Hai ragione” si arrese infine, con un piccolo sospiro. “Non c’è nessun problema, non agitarti” mormorò. La strinsi a me e mi rilassai, anche se avevo l’impressione che quelle parole fossero solo un modo per darmela vinta, dette perché sapeva che era quello che volevo sentirmi dire e, anche se alleggerirono per un momento il peso che sentivo sul petto, mi lasciarono vagamente insoddisfatto.
“Liam?” la voce di Zayn ci fece sobbalzare e sciogliere l’abbraccio. Feci appena in tempo a vedere un lampo di sofferenza negli occhi di Cher, come se stesse pensando a qualcosa di terribilmente doloroso, prima che lei guardasse Zayn e mascherasse tutto con un espressione neutra.
Corrugai le sopracciglia e la guardai, ma ormai quel piccolo momento di debolezza era passato.
“Come va?” chiese Zayn, lasciandosi cadere accanto a noi sull’erba. Mi strinsi nelle spalle, fingendomi indifferente.
“Come deve andare? Bene, tutto normale, non c’è niente di strano” risposi meccanicamente, stringendomi di nuovo nelle spalle.
Lui mi scrutò attentamente, mentre Cher distoglieva lo sguardo e si mordeva il labbro inferiore.
“Stai bene?” ci riprovò lui, confuso e preoccupato. Gli lanciai uno sguardo di fuoco.
“Ti ho detto che sto bene, perché mi sembrate tutti così paranoici?” sbottai, allargando le braccia esasperato e alzandomi, per scaricare la tensione camminando. Vidi Cher scuotere lentamente la testa, mentre Zayn si alzava e mi bloccava, posandomi una mano sulla spalla.
“Va bene che sei un po’ sconvolto, Liam. Insomma, tuo padre sta con la madre della tua ragazza, va bene se tu…”
“Io cosa?! Ti ho detto che sto bene! Perché dovete essere così tragici? Non mi importa di quello che fanno i nostri genitori, io.amo.la.mia.ragazza., e non permetterò a niente e nessuno di portarmela via” quasi urlai, mettendo a tacere la parte razionale di me che mi diceva di darmi una calmata.
Ero nervoso e irritabile e le loro allusioni non facevano che peggiorare la situazione.
Va bene, i nostri genitori dicevano di amarsi, e allora?
Questo ci impediva forse di stare insieme?
No. Primo perché nessuno dei due aveva questo gran legame con il proprio genitore, e poi perché dovevamo farci tanti problemi? C’eravamo prima noi.
In un vago lampo di genio mi resi conto che forse mi stavo comportando nel modo sbagliato, forse mi stavo intestardendo su una cosa sbagliata. Ma quel lampo fu talmente veloce che non ebbi il tempo neanche di prenderlo in considerazione.
Cher era mia, io ero suo. Tutta la merda che c’era intorno non mi sarebbe interessata.
“Calmati, amico, va bene” mormorò Zayn, alzando le mani a mo’ di resa, mentre anche Harry e Louis ci raggiungevano con sguardo preoccupato. Mi passai con foga una mano sul viso, cercando di rallentare il respiro e di tornare in me. Chiusi gli occhi e mi pizzicai la base del naso.
“Cosa dicono?” chiesi, continuando a tenere gli occhi chiusi. Non li riaprii neanche quando sentii una mano intrecciarsi alla mia e un braccio circondarmi i fianchi: avrei riconosciuto il suo odore a miglia di distanza e il calore del suo corpo era inconfondibile.
“Che si amano” sputò Harry tra i denti.
“E che si sono incontrati in Italia, ricordandosi dei vecchi tempi. Tua madre è scappata con lui lasciando l’altro” concluse Louis, rivolgendosi a Cher. La sentii annuire debolmente, probabilmente aspettandosi una risposta del genere.
“Come stai, Liam?” chiese poi. Aprii gli occhi di scatto, appena in tempo per vedere Zayn ammonirlo con lo sguardo e lui impallidire. Mi morsi la lingua per impedirmi di sputare qualche altra frase velenosa e richiusi gli occhi.
“Andiamo dentro, Liam” sussurrò Cher accanto a me, rabbrividendo. Annuii e le presi la mano, preparandomi ad affrontare di petto la situazione.
Quando entrai, Cher mezza nascosta dietro di me, mio padre e la sua compagna si alzarono, guardandoci entrambi preoccupati.
“Liam!”
“Papà” lo interruppi, prima che potesse tirare fuori qualsiasi frase delle sue, “Ho bisogno di un po’ di tempo per respirare, ti dispiace rimandare la cena ad un’altra volta?” gli chiesi, cercando di mostrarmi il più gentile possibile, anche se avrei tanto voluto prenderlo ad insulti per quello che, consapevolmente o no, ci stava facendo.
Lui rimase interdetto dalla mia domanda e boccheggiò per qualche secondo, finché la madre di Cher, ancora non sapevo come si chiamava, gli strinse la mano e si fece avanti, sorridendomi cordialmente.
“Certo, Liam, non c’è problema. Anche noi dobbiamo realizzare la situazione, abbiamo tutti bisogno di una pausa” disse con voce tranquilla.
No, io ho bisogno che voi spariate dalla nostra vita, è diverso.
Scossi la testa per scacciare quell’ultimo maligno pensiero e mi sforzai di sorridere.
“Grazie…”
“Annabel” mi sorrise, io annuii. Lei poi spostò lo sguardo da me, posandolo alle mie spalle e sorridendo di nuovo.
“Mi dispiace esserci ritrovate in una circostanza del genere, Cher, spero che le cose si risolvano” disse con dolcezza. Sentii Cher irrigidirsi e trattenere il respiro, senza rispondere, provocando un’espressione delusa sul viso di sua madre.
“Bene. Allora ci risentiamo, figliolo” mormorò mio padre, stringendomi goffamente la mano. Annuii e poi lui passò un braccio sulle spalle della sua compagna, che stava salutando Jenny con un abbraccio veloce e inspiegabilmente rigido.
Salutando freddamente anche i ragazzi, che erano rimasti visibilmente scioccati e increduli, finalmente uscirono di casa portandosi dietro tutti i problemi che avevano creato.
“Ora che si fa?” se ne uscì Niall, cercando di alleggerire l’atmosfera.
Mi guardai intorno e sospirai.
“Io punto quella bottiglia di vino, non provate neanche a pensare di potermene fregare una goccia”.
 
 
 
 
 





















Hello, beautiful people!
Lo so, lo so, questo capitolo è abbastanza pesante,
ma ho voluto cercare di spiegare meglio la situazione,perché leggendo le vostre recensioni
(a cui non ho potuto rispondere e mi sento una merda per questo, scusate çç),
ho capito che c’era qualcosa non molto chiaro.
Insomma, i genitori già si conoscevano, perché se ricordate bene Liam e Cher erano amici da bambini,
di conseguenza anche i loro genitori dovevano conoscersi.
Per il fatto che Cher non ha riconosciuto Geoffrey e Liam non ha riconosciuto subito Annabel,
è semplicemente perché erano troppo piccoli per ricordarsi di loro.
Calcolando che non si ricordavano neanche della loro amicizia!
Poi, a qualcuno è sembrata esagerata la reazione di Cher…beh, provate a mettervi nei suoi panni:
cosa pensereste voi se scopriste che il vostro ragazzo è il figlio dell’uomo con cui sta tua madre?
Insomma, io personalmente ci rimarrei di merda, poi sono punti di vista.
Cher è solo un po’ sconvolta, tutto qui.
E poi (questa è l’ultima, giuro che poi smetto di rompervi),
per favore, non siate così cattive con Jenny: va bene che la madre sta rovinando come suo solito tutto,
ma è sempre la madre e, anche se nelle circostanze peggiori, è normale che sia felice di vederla.
Poi vabbè, forse io la vedo così perché ho un istinto sconfinato nel capire e proteggere i miei personaggi,
ma penso sia normale :3
Okay, detto questo sloggio, spero che il capitolo vi piaccia e stringete i denti,
presto uscirà di nuovo il sole! ;)
Love u all.
Sara.







Ps. Avrei bisogno di un piccolo aiutino, qualcuno che possa dirmi come fare un banner per la prossima fanfict,
perché io non ho la più pallida idea di come funziona .-.
Se qualcuno è disponibile, contattatemi! :s






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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei. ***


Ciao, bellezze!
Oggi sarò un flash, devo uscire con mamma che mi sta aspettando sulla porta
minacciando di lasciarmi qui se non mi muovo...
però non posso lasciarvi un altro giorno senza capitolo! :s
Ecco, so che probabilmente quando avrete finito di leggerlo il vostro pensiero sarà:
che palle, ma questa non riesce a farli vivere in pace senza problemi?
Beh...NO! lol.
Ci deve essere sempre qualche problema,
odio le storie troppo smielate in cui va tutto bene u.u
Comunque, prometto che i prossimi due capitoli saranno meno pesanti,
e ci saranno solo Jenny e Harry, che si sentono un po' trascurati u.u
Scappo, spero vi piaccia!
E grazie, grazie, grazie, per le recensioni, siete adorabili :3
Tanto amore.
Sara.

 






Capitolo 26

 



Cher

 

 


Quando aprii gli occhi, quella mattina, era la prima volta che mi svegliavo accanto al mio ragazzo e che non mi sentivo completamente felice.
Avevo imparato, quando entravo in camera con Liam, a chiudere tutto il resto del mondo fuori, perché quello era il nostro piccolo paradiso felice, in cui niente e nessuno poteva disturbarci. Ma quella mattina, svegliandomi, le immagini del giorno precedente mi invasero la mente, facendo battere veloce il mio cuore e spazzando via tutta la tranquillità data dal sonno.
Scattai, come quando sogni di cadere dal letto, e con il mio movimento veloce svegliai Liam, che si voltò subito verso di me, stropicciandosi gli occhi ancora mezzi chiusi.
“Ehi” mugugnò con la voce impastata dal sonno.
“Ciao. Scusa, non volevo svegliarti, torna a dormire” mormorai, sforzandomi di sorridere, anche se sicuramente lui non se ne accorse, perché aveva gli occhi incollati.
Ma qualcosa, forse una nota nel mio tono di voce, o il tremore che mi scuoteva le spalle, lo fece svegliare del tutto, facendomi ritrovare i suoi occhi cioccolato legati ai miei.
Scivolò accanto a me, poggiandosi su un gomito e guardandomi dall’alto.
“Buongiorno” mi salutò di nuovo, con un bel sorriso, allungando una mano per sfiorarmi il viso. Cercai di nuovo di sorridere, senza grande successo, e lui increspò le labbra, contrariato.
“Ci stai pensando, vero?”
Annuii e lui sbuffò, lasciandosi ricadere pesantemente con la testa sul cuscino.
“Perché deve essere tutto così difficile? Io me ne frego, perché tu continui a pensarci?” chiese esasperato.
Da una parte aveva ragione ad averne le scatole piene: la sera prima, insieme ai ragazzi, avevamo valutato i pro e i contro di quella situazione e, se non si considerava il fatto che chi non ci conosceva, sapendo dell’unione dei nostri genitori, ci avrebbe considerati fratelli, il problema non era così irrisolvibile come sembrava.
Bastava dimenticarsi che i nostri genitori uscivano, si abbracciavano, si baciavano.
Dovevamo solamente pensare che erano una coppia normale, tralasciando il fatto che fossero mia madre e suo padre e che sembravano un paio di adolescenti che scoppiava d’amore.
Tutto a posto, insomma.
Allora perché io non riuscivo a togliermi quella sensazione amara dalla bocca, come se fosse una cosa incredibilmente sbagliata, ingiusta e immorale?
Avevo letto libri, visto film, sentito storie su quel tipo di incesto e, anche se effettivamente non si trattava di questo, perché io e Liam fortunatamente a parte un amore sconfinato l’uno per l’altra non condividevamo niente, io non riuscivo a togliermi quella fastidiosa parola dalla testa.
“Non riesco a non pensarci, okay? E’ più forte di me, Liam” mormorai, chiudendo gli occhi, perché non riuscivo a reggere quello sguardo pieno di dolore e frustrazione.
“Credo che devo farci prima l’abitudine, devo realizzare, ma mi ci vuole tempo” provai a trovare una via di fuga, un punto d’incontro con lui, perché non avevo voglia di discutere, per il momento il nostro rapporto era già abbastanza incasinato, che lui lo volesse o no.
Sbruffò di nuovo e mi lanciò un’occhiata di traverso, per poi ritirarsi su e afferrare una ciocca dei miei capelli tra le dita, cominciando a giocarci.
“Hai tutto il tempo che vuoi, piccola, basta che non ti fai prendere dal panico come ieri. Non voglio più vederti in quello stato” rabbrividì, mentre lo sguardo gli diventava vacuo, ricordando la sera prima, in cui sicuramente non ero pienamente consapevole di quello che facevo o dicevo, troppo sconvolta per pensare lucidamente.
Arricciai il naso e feci una smorfia.
“Senti chi parla. Tu sei stato intrattabile per tutta la giornata, divorato dall’ansia com’eri” replicai, mettendo il broncio. Le sue labbra si stesero in un sorriso ed io mi sentii subito meglio, come accadeva ogni volta che lui mi sorrideva.
“Beh, io mi aspetto sempre il peggio, almeno sviluppo gli anticorpi se questo si verifica davvero. Per questo sono così tranquillo e la prendo con filosofia: quei due si frequentano? Buon per loro. E’ la loro vita, possono fare quello che vogliono” mi disse con un gran sorriso, l’espressione tranquilla, beata, come se davvero la cosa non lo turbasse minimamente.
Quanto avrei voluto pensarla come lui e ignorare le fitte che mi colpivano lo stomaco ogni volta che pensavo a mia madre.
Non riuscivo a sopprimerle, e avevo paura che avrebbero potuto portare a qualcosa di più doloroso, a qualcosa che sarebbe stato difficile da risolvere.
Ma non volevo pensarci, non in quel momento, non mentre il sorriso di Liam era così accesso. Volevo solo rilassarmi nel nostro piccolo mondo, e fortunatamente c’era lui ad aiutarmi nel mio intento.
Sorrisi, chiudendo tutti i pensieri maligni in un cassetto della mia mente, e allungai una mano per sfiorargli il viso, carezzandogli la tempia, la guancia, la mascella forte, la punta del naso ed infine le labbra, che si schiusero leggermente al mio tocco, facendomi sussultare.
Continuai a scendere sul suo collo, sulle sue spalle, lui mi sorrise e i suoi occhi sembrarono brillare, prima di chiudersi, completamente rapito dalle mie mani che lo sfioravano, carezzando ogni parte di lui, assorbendo il suo calore e il suo amore.
“Sto così bene con te, Cher, mi sento completo, forte. Come se niente potesse sconfiggermi” mormorò, socchiudendo gli occhi e piegando le labbra in un piccolo sorriso timido, che ricambiai al volo.
“Niente può sconfiggerti, Liam. Il tuo cuore è il più forte e buono che io conosca” soffiai, mentre lui apriva del tutto gli occhi e si chinava su di me, facendo sfiorare ripetutamente i nostri nasi, come in un saluto eschimese.
Ridacchiai e lui arricciò il naso, prima di schioccarmi un casto bacio sulle labbra.
“Si…” mormorò, “Ed è tutto tuo” affermò, arrossendo leggermente.
Inutile dire che in quel momento i miei pensieri, la mia anima e il mio cuore erano interamente assorbiti da lui e dal suo amore, e avrei tanto voluto fermare il tempo in quel preciso momento, per rimanere così per l’eternità, solo io, lui, e i nostri cuori che battevano all’unisono, l’uno legato incondizionatamente all’altro.
“E il mio è tuo”
“Lo so” fece una faccia buffa, ed io scoppiai a ridere, provocando un suo sorriso quasi meravigliato. Gli circondai il collo con le braccia e lo tirai a me, chiudendo gli occhi e baciandogli dolcemente le labbra, un brivido che ci percorse entrambi, facendoci aprire gli occhi contemporaneamente.
Sorrise sulle mie labbra e ci mise meno di un secondo ad approfondire il bacio, alzandomi leggermente per far passare le braccia sotto alla mia schiena e stringermi a se, mozzandomi il respiro.
La verità era che sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa, avrei potuto avere qualsiasi pensiero, qualsiasi impedimento verso di lui, ma il legame e l’attrazione che ci univa era talmente forte da non potersi mai spezzare, per quello il mio cervello si scollegò completamente, quando le sue mani finirono sotto la mia maglia, alzandola e facendo per sfilarmela. Rabbrividii, di certo non dal freddo, perché la sua pelle era rovente al contatto con la mia.
Lo sentii sorridere sulle mie labbra, mentre prendeva possesso della mia bocca, facendomi schizzare una fitta di desiderio su per lo stomaco.
E sentii anche il suo, di desiderio, crescere su di me.
Non so con quale forza, pensai che forse era meglio frenare gli entusiasmi prima che la situazione degenerasse e la sua, ma anche la mia, passione prendesse il sopravvento.
“Devo andare al lavoro” mormorai senza fiato, staccandomi e facendo schioccare rumorosamente le nostre labbra. Lui scosse la testa e si tuffò nel mio collo, facendomi rabbrividire.
“No, non devi” mugugnò, mordicchiandomi la pelle.
“Ahi!” lo colpii con uno schiaffetto sulla testa e lui ridacchiò, alzando la testa per farmi un sorriso furbetto, schiacciandosi ancora di più contro di me.
“Dai, rischio di fare tardi” cercai di scrollarmelo di dosso, ma lui mise il broncio e assalì di nuovo le mie labbra, strappandomi un gemito di sorpresa misto ad un sorriso.
“Sai che se ti alzerai da questo letto te ne pentirai amaramente?” mi chiese staccandosi e alzando le sopracciglia, provocante. Trattenni a stento un sorriso e annuii.
“Probabilmente si, ma devo andare lo stesso, non riuscirai a convincermi” affermai convinta, anche se dentro di me speravo che trovasse un modo per convincermi davvero, perché l’idea di scendere da quel letto proprio in quel momento mi sembrava quasi inaccettabile. Lui mi scrutò per qualche secondo, arricciando le labbra e fissandomi negli occhi.
Stavo per cedere. Giuro che stavo per cedere sotto quello sguardo penetrante che sembrava leggermi fin dentro l’anima, finché lui si alzò di scatto, porgendomi la mano per aiutarmi a fare lo stesso.
“Ti lascio andare solo per la povera Grace, che senza di te è sicuramente persa” mi disse sarcastico, tirandomi su e mettendomi in piedi. Mi sorrise, e il suo braccio mi circondò i fianchi, tirandomi a se e facendo aderire il mio petto al suo, cuore contro cuore. Puntò gli occhi dritti nei miei, avvicinandosi, strofinando con dolcezza il suo naso contro il mio, per poi socchiudere gli occhi e sfiorarmi le labbra leggermente, infiammandomi e facendomi immediatamente desiderare di più.
Lo abbracciai ai fianchi e lui con un bel respiro si staccò, posandomi poi le labbra sulla fronte.
“Se non ti allontani subito mi rimangerò la parola, senza pentirmene” mormorò con voce divertita, stringendomi un’ultima volta, per poi lasciare andare i miei fianchi.
Sorrisi e mi alzai sulle punte dei piedi per baciargli velocemente le labbra e allontanarmi del tutto.
“Grace ti sarà sicuramente riconoscente” affermai, facendogli l’occhiolino.
“Il mio amico dei piani bassi invece credo proprio di no” mormorò a bassa voce, lanciandomi uno sguardo da sotto le lunghe ciglia.
Spalancai la bocca.
“Liam!”
“Che c’è? Sei tu che mi fai questo effetto!”
Ci guardammo per mezzo secondo, io sconvolta, lui imbarazzato, poi scoppiammo a ridere contemporaneamente.
“Dai, vai, o farai tardi” mi disse dopo un po’, frenando le risate e spingendomi delicatamente verso la porta.
“Mi stai cacciando?” gli chiesi fingendomi oltraggiata e piantandomi davanti alla porta della camera, le braccia incrociate al petto. Lui alzò gli occhi al cielo e mi fece un sorrisetto malizioso.
“No, ma rischi che se rimani un altro mezzo secondo qui dentro, poi non ne esci più” disse, con la voce talmente ruvida e provocante da farmi arrossire, poi si strinse con nonchalance nelle spalle.
“Sta a te decidere cosa fare”
Lo guardai male e, con un sorriso indifferente, aprii la porta, uscendo.
“Solo una cosa…” mi richiamò, afferrandomi il polso e costringendomi con delicatezza a voltarmi verso di lui.
Lo guardai, gli occhi improvvisamente preoccupati, privati dell’ilarità che li riempiva neanche mezzo secondo prima.
Corrugai le sopracciglia, mentre lui mi sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Mi prometti di stare tranquilla e non pensarci? Io ho bisogno di sapere che stai bene, altrimenti non ti lascio andare” sussurrò, sollevando un angolo delle labbra in una specie di sorriso.
Mi ammorbidii all’istante, sorridendo e abbracciandolo di nuovo, posando la testa sul suo petto.
“Te lo prometto” mormorai con un sospiro. Dentro di me sapevo che stavo mentendo, perché ero al corrente del fatto che non appena mi sarei allontanata da Liam, dal suo effetto rilassante su di me, tutti i pensieri e i dubbi che mi avevano torturata durante la notte sarebbero tornati a galla.
Ma non era necessario che Liam condividesse la mia inquietudine e se lui era tranquillo sapendo che non ci avrei pensato, che male c’era dirgli che non l’avrei fatto?
Dopotutto lui non poteva entrare nella mia testa e non avrebbe saputo che, quasi sicuramente, appena avessi messo piede fuori casa i miei pensieri sarebbero volati inevitabilmente lì. Ricordandomi cosa era accaduto il giorno prima, ricordandomi che mia madre era tornata con forza nella mia vita, facendo tutto quello che aveva in potere di fare per rovinarmela, anche se, dovevo ammetterlo, inconsapevolmente.
Mi lavai e feci colazione in fretta, realizzando di essere schifosamente in ritardo. Quasi volando, salutai i ragazzi con un “Ciao!” urlato dal corridoio principale, in modo che sarebbe arrivato in qualsiasi stanza si trovassero, e Liam con un bacio veloce, che gli fece spuntare un piccolo broncio sulle labbra, costringendomi a tornare da lui, buttarmi tra le sue braccia e baciarlo di nuovo.
Quando finalmente mi lasciò andare, un po’ stordita e barcollante uscii di casa, quasi correndo per prendere l’autobus che mi avrebbe portato al lavoro.
Arrivai al negozio con appena dieci minuti di ritardo e sospirai di sollievo, quando entrai e trovai solo Danielle, seduta pigramente dietro al bancone, segno che Grace non era ancora arrivata.
Anche se praticamente il negozio apparteneva ad entrambe, a me premeva di più evitare di fare brutte figura con Grace, forse perché cercavo di ignorare completamente l’esistenza della sorella.
Danielle alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo quando sentì il campanello d’entrata suonare, e mi riservò come suo solito un’occhiata glaciale quando mi riconobbe. Una smorfia apparse immediatamente sulle mie labbra, come sulle sue, spazzando via il poco buonumore che avevo accumulato grazie a Liam.
“Buongiorno” mormorai, più per educazione che per altro. Lei mi scoccò uno sguardo diffidente, misto al divertito ma con anche una nota di disprezzo.
Era sempre così con lei e, anche se mi innervosivo ogni volta solo a guardarla, avevo imparato a farci l’abitudine.
Mi bastava ricordare che, se mi trattava in quel modo, era solo perché io avevo Liam e lei no.
“Ciao, superstar” rispose con voce acida, riprendendo il suo giornale e lanciandomi un’altra occhiata glaciale. Corrugai le sopracciglia e decisi di ignorare quell’assurdo nomignolo, togliendomi la giacca e sistemando le mie cose.
“Spero che tu sia soddisfatta di essere riuscita nel tuo intento” continuò, probabilmente non contenta del fatto che non gli avessi dato corda. Mi voltai verso di lei, che sventolava con un’espressione soddisfatta il giornale che aveva in mano.
“Cosa stai dicendo?” le chiesi, non capendo. Lei ghignò e mi indicò la foto in prima pagina, che dalla mia posizione non riuscivo a vedere.
“Beh, sapevo che prima o poi non avresti resistito al richiamo di farti paparazzare con il tuo Liam” e sottolineò la parola “tuo” con una smorfia disgustata, fulminandomi con lo sguardo.
Continuavo a non capire, e lei sbruffò, leggendomi l’articolo che aveva sotto gli occhi.
Liam Payne, il cantante dei One Direction, ha una nuova fiamma, che sembra andare molto d’accordo anche con il resto della band… Vado avanti o ti basta?” chiese acidamente. Spalancai gli occhi, sorpresa, e le strappai il giornale di mano, per trovarmi a guardare in prima pagina una foto di me e Liam abbracciati, al parco, che risaliva probabilmente al giorno in cui avevo litigato con Jenny.
E l’articolo che seguiva era pieno di dettagli, di altre foto di me e lui, di me e Louis al supermercato, e vecchie foto di lui e Danielle, con una confortante x rossa sul viso di quest’ultima.
“Spero che ora tu sia contenta, hai fatto sapere a tutto il mondo che Liam è tuo”
Tornai con gli occhi su di lei, che si stava stringendo nelle spalle, “Peccato che ora la maggior parte delle persone ti odierà, perché hai sconvolto una delle più amate coppie della band” mi fece notare.
A quel punto mi infuriai, stringendo convulsamente il giornale tra le mani, rischiando di strapparlo.
Non solo il mondo era venuto a sapere di noi, rovinando la nostra intimità, sbattendo in faccia a tutti le nostre foto, i nostri sentimenti, mandando all’aria tutti i nostri tentativi di tenerli nascosti per mantenere una sorta di normalità nella nostra vita; ma ora anche lei che mi sgridava perché probabilmente avevo deluso tutte le ragazzine che erano fan della band, era inaccettabile.
“Senti, io non so se stai cercando di litigare, ma io non ne ho voglia, quindi ti dico come stanno le cose: a differenza tua, a me non interessa stare su una fottuta pagina di un giornale, non mi interessa far sapere al mondo che sono la ragazza di Liam e non mi interessa se le sue fan preferiscono te. Anche perché è talmente tanto tempo che vi siete lasciati e che non vi vedete insieme, che se le vostre ‘sostenitrici’ fossero un po’ sveglie, avrebbero capito già da un bel pezzo che c’era qualcosa che non andava. Quindi non credo che qualcuno sarà rimasto sconvolto da questa notizia” sputai con rabbia, cercando di respirare profondamente per calmarmi. L’espressione di Danielle rimase neutra, mentre mi fissava dritto negli occhi, con quella sua aria da so tutto io che cominciava a darmi sui nervi.
“Questo lo dici tu, che ancora non hai capito come funziona questo mondo” rispose con voce tranquilla, “Non mi stupirei se nel giro di due giorni ti ritrovassi circondata dai fotografi, seguita dappertutto in modo che tu non riesca neanche a respirare. Ti ritroverai coperta di insulti di ogni tipo, di flash che ti accecheranno gli occhi e ti stancherai così in fretta di questa vita, tu che sei abituata solo a parlare con i pesci, che tempo una settimana e te ne tornerai correndo al tuo paesino sperduto” proclamò, con un sorrisetto impertinente. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene, mentre stringevo i pugni per cercare di scaricare la rabbia.
“Ma cosa ne vuoi sapere tu di cosa provo io? Ma ti senti quando parli? Io e Liam ne abbiamo passate talmente tante che quattro fotografi alla ricerca dello scoop non ci scalfiranno minimamente. Che tu lo voglia accettare o no, io e lui ci amiamo, e presto se ne faranno una ragione anche le tue amate fans. Che poi devo ancora capire come facciano ad amarti, strega come sei” sibilai, assottigliando lo sguardo. Lei fece per alzarsi e rispondermi a tono, ed io non aspettavo altro, con l’adrenalina che mi scorreva nelle vene e la voglia di prenderla a pugni che rischiava di prendere il sopravvento.
E pensare che io ero una persona che odiava la violenza.
Peccato però che il suono del campanello ci distrasse, costringendo entrambe a voltarsi verso la porta e a incontrare il sorriso smagliante di Grace, che entrava quasi saltellando in negozio.
“Buongiorno, splendori” ci salutò, accecandoci con il suo sorriso, che mi costrinse quasi a ricambiare.
Era così contagioso e trasmetteva talmente tanta allegria e tranquillità che mi rilassai all’istante, stiracchiando le dita che mi facevano male per quanto le avevo strette a pugno.
“Che sono quelle facce scure?” continuò, alternando lo sguardo da me a Danielle. Quest’ultima sbuffò e si alzò per andarsene nella stanza sul retro, non prima di lanciare a Grace il giornale, che afferrò al volo, e mormorare:
“La tua amichetta è finita in prima pagina”
Poi sparì nell’altra stanza.
Grace lesse in silenzio le prime righe del giornale, mentre io mi accasciavo con un gran sospiro sullo sgabello.
Un sorriso sorpreso e quasi felice apparve sulle sue labbra, poi alzò gli occhi e mi guardò.
“Beh, complimenti! Ma addirittura due di loro? Liam non ti bastava?” ridacchiò, incurante del fatto che il ragazzo in questione fosse l’ex di sua sorella.
Sorrisi e alzai gli occhi al cielo.
“Louis mi ha solo accompagnato a fare la spesa, è Liam che…”
“Che ti ha rubato il cuore” concluse con occhi sognanti. Annuii con un sorriso timido.
Mi sembrava strano parlarne come se fosse una cosa nuova, dato il fatto che erano mesi ormai che andava avanti la nostra storia. Ma probabilmente eravamo stati tanto bravi a tenerla segreta che per il resto del mondo era una novità, anche se il rischio di venire scoperti l’avevamo corso già l’estate prima, quando tra noi ancora non c’era un nulla di fatto, facendo si che per due giorni una folla scatenata di ragazzine si piazzasse davanti alla casa che avevano affittato per le vacanze, di fronte alla mia. Poi però i loro manager avevano smentito prima di subito quella notizia, e tutto era tornato alla normalità, io fortunatamente me ne stavo ancora nell’anonimato.
Era proprio grazie a tutto ciò che io e Liam ci eravamo baciati per la prima volta.
Sorrisi al ricordo, mentre una scarica di piacevoli brividi mi risaliva la schiena.
Danielle tornò tra noi, distraendomi dai miei pensieri e lanciandoci un’occhiataccia. Grace la guardò male e le rilanciò il giornale, facendole una smorfia.
“Non fare quella faccia, è colpa tua se non sei riuscita a tenertelo stretto il ragazzo” le disse, facendomi sorridere sotto i baffi. Danielle spalancò gli occhi sorpresa ed io mi coprii la bocca con la mano per mascherare la mia risata.
“Che vuoi? E’ la verità”  Grace si strinse nelle spalle, voltandosi verso di me per farmi un veloce occhiolino.
“B-beh…” provò a ribattere Danielle, ma era evidente che non aveva niente da dire, perché Grace aveva perfettamente ragione: Liam amava Danielle, un tempo molto, molto lontano, e lei se l’era lasciato sfuggire tradendolo con un altro.
Ora di cosa voleva lamentarsi?
Il treno era passato ormai per lei, e si era fermato alla mia stazione, possibilmente per rimanerci tutta la vita.
Almeno così speravo.
“E’ inutile che provi ad inventarti qualche scusa. Sappiamo entrambe come è andata, anzi dovresti ringraziare Liam per non aver reso pubblico quello che gli hai fatto. Povero ragazzo” mormorò, scuotendo la testa sconsolata.
In quel momento l’adorai con tutta me stessa.
Danielle si limitò ad arrossire e a scuotere la testa, salvata per sua fortuna dal primo cliente della mattinata che faceva il suo ingresso in negozio.
E anche questa era andata. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, anche se avrei preferito che le conseguenze non fossero state così sgradevoli.
 
 
“Io vado, ci vediamo domani!” salutai Grace, che mi urlò un “A domani!” dall’altra stanza, poi uscii dal negozio immergendomi nell’aria grigia di Londra. Nonostante fossimo ad Aprile, il sole era coperto da una coltre di nebbia e nuvole che lo rendeva quasi invisibile.
Decisi di camminare un po’, tanto per sgranchirmi le gambe e rilassare i pensieri, che avevano fatto a braccio di ferro per distrarmi durante quella giornata di lavoro.
Jenny. Mia madre. Il padre di Liam. Il giornale. E infine Danielle.
Se mi fossi lasciata prendere dallo sconforto probabilmente in questo momento sarei stata depressa e sotto un treno, perché come al solito le cose brutte sembravano accadere tutte insieme.
Invece io avevo semplicemente ignorato tutto quanto, chiudendolo nel più buio cassetto della mia mente, e sotterrandolo finché non vedesse neanche il minimo spiraglio di luce.
La notte sarebbe stata abbastanza lunga per ripensare a tutto quanto.
Per questo, quando arrivai all’angolo prima della via che mi avrebbe riportata a casa, davanti al parco in cui correvamo sempre a rifugiarci quando volevamo un po’ di tranquillità, non mi accorsi che il gruppo di ragazzine che lo occupava interamente, costringendomi a camminare sulla strada per deviarlo, stava aspettando proprio me.
“Ehi, tu!” urlò una di loro, più o meno dell’età di mia sorella, con un cipiglio arrabbiato. Mi voltai, sorpresa, con un sorriso cordiale pensando che probabilmente volesse chiedermi informazioni, anche se appena notai la sua espressione quella possibilità scivolò via.
“Dici a me?”
“Si, proprio a te, culona” rispose un’altra, facendosi avanti. Boccheggiai davanti a quell’insulto gratuito e feci un passo indietro, mentre le cinque, o sei, ragazzine avanzavano verso di me con aria minacciosa.
“Si, è proprio lei” mormorò un’altra, osservandomi attentamente.
Cominciai a preoccuparmi. Non perché sembrassero minacciose in se per se, solo per il fatto che erano sei contro una e, qualsiasi cosa avessero in mente di fare, non sarei riuscita a cavarmela da sola.
“Tu sei la ragazza del giornale, quella che se la fa con Liam” disse la prima, facendomi capire all’istante quale fosse il problema. Mi rilassai leggermente: di quell’argomento si poteva discutere civilmente.
Pensiero sbagliato.
“Si, stronza, sono sicura che Liam ha tradito Danielle con te, vero? Li hai fatti lasciare!” mi accusò un’altra.
Per poco non scoppiai a ridere davanti all’assurdità di quella frase.
“Quello che è successo tra me e Liam non sono certo affari vostri. Ora, con permesso, vorrei tornarmene a casa” dissi con finta indifferenza, perché un certo nervosismo si stava facendo largo nel mio stomaco.
“Non tu non vai da nessuna parte!” mi bloccò una di loro, piazzandosi davanti a me, le braccia incrociate al petto.
“Devi lasciar stare Liam, hai capito? Lui sta con Danielle, lei è perfetta, tu sei solo una culona che cerca fama a sue spese” sputò un’altra, facendomi scoppiare a ridere.
“Prima di accusare le persone, informati meglio su come sono andate le cose, ragazzina. E lasciami stare. Dovresti sapere che Liam è un ragazzo abbastanza intelligente da sapere cosa fare della sua vita, no?” chiesi retorica, alzando un sopracciglio. La ragazza scosse la testa e schioccò la lingua, mentre tutte le altre ci guardavano in silenzio, fulminandomi con lo sguardo.
“Non quando qualche strega affonda i suoi artigli su di lui” mugugnò, poi fece un passo avanti.
“Devi lasciarlo stare, hai capito?”
Scoppiai a ridere davanti a quella minaccia, incredula, ma anche per nascondere il tremore che mi stava percorrendo le spalle.
“Tu non mi dici quello che devo fare, non ti conosco, e non sai quello che c’è tra di noi. Non hai diritto di dire una cosa del genere. E ora lasciatemi in pace, per favore” sibilai, per poi sorpassarle e avviarmi a passo svelto verso casa.
Sapevo che ce le avevo ancora alle calcagna, probabilmente insoddisfatte per non essere riuscite a spaventarmi.
“Ehi, aspetta, non abbiamo ancora finito!” urlò una di loro.
“Si, dobbiamo parlare!”
Accelerai ancora di più il passo e quasi mi misi a correre quando vidi la porta di casa. Con un sospiro di sollievo, ma anche un po’ spaventato, aprii la porta e velocemente la richiusi alle mie spalle, poggiandomici contro e respirando profondamente.
Liam si affacciò dalla cucina e piegò un po’ la testa di lato, curioso.
“Ciao, piccola” mi salutò, facendomi un gran sorriso. Notando che non rispondevo, ancora leggermente traumatizzata, corrugò le sopracciglia e mi si avvicinò, mentre anche Niall e Louis si affacciavano dalla cucina.
“Ehi, che succede?” mi chiese Liam, prendendomi la mano, che tremava leggermente, cercando di calmarmi con lo sguardo.
“Secondo me ha letto il giornale e si è arrabbiata perché non è venuta bene sulla foto” intervenne Louis, facendomi l’occhiolino. Niall ridacchiò e Liam li fulminò con lo sguardo, per poi voltarsi di nuovo verso di me, sfiorandomi la guancia con una carezza.
“Hai letto il giornale?” mi chiese, con una nota preoccupata nella voce.
“Si, ma non è quello il problema. Non mi importa se tutti sanno di noi…” mi affrettai a rassicurarlo.
“Ehi, ma che cos’è quel casino lì fuori alla porta?” mi interruppe Zayn, dal salone, probabilmente affacciandosi alla finestra.
“Ecco…hanno seguito me” balbettai. Liam, Louis e Niall spalancarono gli occhi contemporaneamente.
“Ti hanno seguita?” esclamò Liam incredulo, mentre anche Zayn ci raggiungeva.
“Si, e insultata più che altro” mormorai, cominciando a rilassarmi, al sicuro in casa, con i miei amici, con il mio ragazzo.
“Volevano farmi sapere quanto Danielle fosse più giusta per te, quanto eri felice con lei e…ah, si, hanno detto anche che ho il culo grosso” elencai, lasciandomi scappare un mezzo sorriso. Liam corrugò le sopracciglia e aprì la bocca per protestare.
“A parte il fatto che tu hai un culo perfetto…” disse velocemente, buttando fuori tutto il fiato. I ragazzi scoppiarono a ridere ed io arrossii violentemente.
“Liam...” mormorai, ammonendolo con lo sguardo. Lui mi sorrise imbarazzato, per poi rabbuiarsi di nuovo.
“Certo che faccia tosta che hanno” commentò Zayn con un sorriso quasi di ammirazione, prima di sparire di nuovo in salone.
“Infatti, come si permettono? Ora gli faccio vedere io” affermò deciso Liam, afferrandomi la mano e aprendo la porta di casa.
“Liam, che stai facendo?” chiesi con voce acuta, mentre lui mi trascinava sul vialetto, sotto lo sguardo attonito delle ragazze che mi avevano seguita e quello divertito dei ragazzi.
“Fanculo a Danielle e ai manager, tu sei la mia ragazza e tutti devono saperlo e accettarlo” borbottò, prima di attirarmi tra le sue braccia e incollare le sue labbra alle mie, in un bacio che di casto non aveva proprio niente.
Rabbrividii di piacere e sentii il sangue salirmi al cervello, poi lui si staccò, troppo presto, troppo velocemente, facendomi barcollare. Mi afferrò per i fianchi e, a muso duro, si rivolse alle sei ragazze davanti a noi che si erano trasformate in statue di pietra, a bocca aperta.
“E ora, vi sarei grato se ci lasciaste vivere in pace, portate i miei saluti a Danielle” sibilò, prima di riprendere la mia mano e trascinarmi di nuovo dentro, insieme alle risate dei ragazzi che fecero scoppiare un applauso.
Erano uno più idiota dell’altro, ma come si faceva a non amarli?















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Capitolo 27
*** Capitolo ventisette. ***


Capitolo 27
 



Harry
 



Tamburellai le dita sul volante della macchina, sistemandomi meglio sul sedile e sorridendo, quando sentii il rumore lontano della campanella d’uscita che suonava. Puntai gli occhi sulla porta della scuola, per cercare di scorgere Jenny tra l’ondata di adolescenti che si riversava in cortile neanche fosse scoppiato un incendio nella scuola, tutti impazienti di fuggire via da quell’inferno.
A ripensarci, io neanche ricordavo cosa si provasse a stare cinque ora seduti dentro una classe, circondato da compagni, amici, sempre in ansia per qualche interrogazione o compito in classe.
O peggio, con il pensiero fisso di cercare di superare l’anno senza debiti.
Non mi ricordavo più cosa si provasse, sapevo solo che sicuramente la sensazione era più leggera di quando stonavi durante un concerto, di quando dovevi stare attento ad ogni cosa che facevi, perché la tua vita era monitorata e tenuta sotto controllo da mezzo mondo.
E allora non ti potevi lasciare andare neanche mezza volta, dovevi sempre mantenerti nelle righe, perché al primo sbaglio ti avrebbero ricoperto di critiche e insulti che a volte erano talmente forti da sotterrarti.
Ecco, a volte avrei preferito non fare quel provino e continuare con la scuola.
Magari sarei diventato un ottimo avvocato e a questo punto starei leggendo il giornale e ridendo davanti ai soliti scoop dei giovani cantanti.
Poi però pensavo che se non avessi preso quella strada, non avrei mai conosciuto i ragazzi, i miei amici, quelli che ormai erano diventati la mia famiglia a tempo pieno, e mi ritrovavo improvvisamente soddisfatto di tutto quello che avevo fatto, errori e cazzate comprese.
E poi, se non avessi preso quella strada, non avrei conosciuto Jenny.
Proprio in quel momento, una testa rossa uscì dalla scuola ed io mi riattivai all’istante, lasciando da parte i miei pensieri perché sapevo che dov’era Cat, c’era anche Jenny.
Infatti, al seguito di un’allegra Cat che saltellava ridacchiando, c’era Jenny, che sorrideva divertita, ma con l’aria un po’ stanca. Quando uscì alla luce del sole, che poi tanta luce non c’era perché come al solito il cielo era ricoperto di nuvole grigie e pesanti, prese un bel respiro e cominciò a vagare con lo sguardo per il parcheggio, finché non individuò la macchina in cui la stavo aspettando.
In quell’istante, si illuminò in un meraviglioso sorriso.
Sentii il cuore accelerare impercettibilmente, mentre lei salutava Cat e si avviava a passo svelto verso di me, come se non vedesse l’ora di vedermi.
Almeno per me era così.
Quando salì in macchina, mi fece un gran sorriso, ma io non le diedi il tempo di dire niente che mi sporsi verso di lei e la baciai, facendola sorridere sulle mie labbra.
“Ciao, piccola”
Lei ridacchiò e mi baciò di nuovo, per poi staccarsi e passarsi la lingua sulle labbra, un gesto che mi fece infiammare completamente.
“Ciao” mormorò, piegando le labbra in un sorriso timido.
Le feci l’occhiolino e misi in moto, mentre lei si allacciava la cintura.
“Che si dice a casa?” mi chiese, mentre uscivo dal parcheggio della scuola, stringendomi nelle spalle.
“Il solito. Sono tutti un po’ fuori di testa perché sembra ci sia una foto di Liam e Cher su tutti i giornali. E la preoccupazione di Cher è riuscita anche a far deprimere Niall, quindi immagina l’atmosfera”
Lei sbruffò e si rabbuiò.
“Non ho per niente voglia di deprimermi, la mia giornata di scuola è stata già abbastanza pesante” borbottò. A quel punto, sorrisi.
Lei mi guardò corrugando le sopracciglia.
“Perché sorridi?”
“Perché speravo di sentirtelo dire” confessai, voltandomi per farle l’occhiolino, “Oggi ti rapisco, ragazzina, e non ti riporto a casa fino a stasera” la avvisai, notando con la coda dell’occhio di come mi scrutasse meravigliata e già impaziente.
“Devo preoccuparmi?”
Risi e le lanciai uno sguardo malizioso.
“Può darsi”
Lei sembrò imbronciarsi e incrociò le braccia al petto, continuando a fissarmi.
“Non hai intenzione di dirmi nient’altro, vero?”
Scossi la testa stringendo le labbra divertito, pregustando la sua frustrazione, perché sapevo quanto odiasse non essere al corrente delle cose.
Infatti, sbruffò sonoramente e mi lanciò un’occhiataccia, che colsi nonostante stessi guardando la strada.
“Ci vuole pazienza” la stuzzicai, voltandomi appena per farle l’occhiolino, “Ti piacerà dove ti sto portando, vedrai” abbozzai un sorriso, sperando davvero che fosse così.
Non avevo intenzione di fare chi sa che, semplicemente volevo staccare un po’ la spina, portarla lontano da tutto e da tutti, per essere solo noi, senza problemi, né cattivi pensieri, e rilassarci insieme.
“Lo sai che odio quando mi nascondi le cose” borbottò, puntando lo sguardo fuori dal finestrino. Soffocai una risata e allungai una mano per posarla sulla sua gamba e carezzarla.
La sentii rabbrividire e sussultare, mentre l’angolo delle sue labbra si sollevava in un sorriso.
“Lo so, ma ne varrà la pena”
Lei si voltò verso di me e, tranquillizzata dalle mie parole, mise la sua mano sulla mia, intrecciando le nostre dita.
Continuai a guidare in silenzio, mentre lei si sporgeva per accendere la radio, selezionare una qualsiasi stazione, per poi rilassarsi sul sedile e chiudere gli occhi, sempre con la mano stretta nella mia.
Sorrisi e le passai il pollice sulle nocche, notando di come gli angoli delle sue labbra morbide si sollevavano impercettibilmente.
Il viaggio che avevo intenzione di fare non sarebbe stato eccessivamente lungo, ma Jenny era talmente stanca, o talmente rilassata, che nel giro di un buon quarto d’ora cominciò a sonnecchiare, lasciandomi da solo con la musica e i miei pensieri.
Quando arrivammo, parcheggiai la macchina sul ciglio della strada ed ispirai forte quell’odore che mi era tanto mancato, che mi fece rilassare all’istante e sorridere, facendomi sentire come se tutti i problemi, i pensieri cattivi e la stanchezza che entrambi avevamo provato in quell’ultimo periodo, fossero in un mondo completamente diverso.
Un borbottio infastidito mi fece tornare alla realtà. Mi girai verso Jenny, che si stava stiracchiando, strofinandosi gli occhi con i pugni e arricciando il naso, probabilmente rendendosi conto anche lei di quell’odore inconfondibile che aveva fatto da sfondo ai giorni in cui ci eravamo conosciuti.
“Harry” mugugnò, “Perché sento i gabbiani e…l’odore del mare?” biascicò, ancora mezzo addormentata. Il mio sorriso si allargò, mentre lei si sforzava di aprire gli occhi e sbatteva le palpebre velocemente, l’espressione che da assonnata si tramutava in stupita, la bocca formò una piccola ‘o’ e un delizioso rossore le colorò le guance.
“Perché siamo al mare, piccola” le risposi ridacchiando. Lei si voltò di scatto verso di me, lo sguardo strabiliato ed entusiasta e, mezzo secondo dopo, si catapultò tra le mie braccia, stritolandomi in un abbraccio.
“Mi hai davvero portata al mare?” chiese, voltandosi appena, strusciando il viso sul mio petto per riportare gli occhi su quella distesa blu, infinita. Annuii e le posai un bacio tra i capelli, facendola sospirare.
“Certo, non è come casa tua, però è sempre acqua salata, no?” mi strinsi nelle spalle, vagamente imbarazzato, mentre i suoi occhi verdi finalmente si legavano ai miei, verde scuro nel verde smeraldo.
Mi sorrise e allungò il collo per baciarmi dolcemente la guancia.
“E’ perfetto, e ci voleva proprio. Grazie”
Sciolse l’abbraccio e riprese a fissare emozionata fuori dal parabrezza, quasi immobilizzata davanti a quello che probabilmente le ricordava la sua infanzia, la sua casa, alla quale non era più tornata da quando si era trasferita a Londra.
Alzai gli occhi al cielo, soddisfatto per il sorriso meraviglioso che si era stampato su quelle labbra, e aprii la portiera della macchina.
“Dai, scendiamo, non ti ho portata qui per guardare il panorama dalla macchina” la esortai. Lei, con l’espressione tutta eccitata, si affrettò ad uscire dalla macchina e a fare il giro, per correre da me e prendermi la mano, intrecciando le nostre dita.
Saltellò sul posto entusiasta, mentre io scoppiavo a ridere. Quando avevo pensato di portarla in questa gita fuori città non credevo che avrebbe avuto questo effetto su di lei: sapevo che le mancava casa, il mare, e tutto quello che aveva lì giù. Lo vedevo da come ogni tanto si estraniasse nei suoi pensieri e, dato il fatto che da quando avevamo chiarito il nostro litigio dormivamo insieme, in camera mia, l’avevo sentita parlare nel sonno, e mi aveva raccontato che aveva sognato di farsi un bel bagno nel suo mare.
Mi si era stretto il cuore, perché avevo capito che per quanto fosse felice di essere lì con me, qualcosa le mancava per rendere la sua felicità perfetta.
L’avevo fatto per farle tornare il sorriso, ma avevo ottenuto molto di più.
“Sei sicuro che puoi lasciare la macchina qui?” mi chiese lei, arricciando le labbra e guardando dubbiosa la macchina, posteggiata proprio sotto al cartello che quasi urlava il divieto di parcheggio.
In effetti, la macchina lì non avrebbe potuto starci, ma io ero così impaziente di rivedere quel sorriso meravigliato sulle sue labbra piene, che mi strinsi nelle spalle e la tirai per la mano, verso la spiaggia.
“Si, tranquilla, ti pare che i vigili proprio oggi devono passare? E poi non c’è nessuno, la spiaggia è tutta per noi” la tranquillizzai, lasciandomi scappare un sorriso malizioso. Lei sembrò pensarci su per qualche altro secondo ma poi, probabilmente impaziente come me, fece spallucce e si lasciò trascinare verso la spiaggia.
Cominciai a correre, la mano stretta nella sua, e lei scoppiò a ridere, cercando di stare al passo, per poi rotolare sulla sabbia insieme a me una volta raggiunta la meta.
Mi lasciai cadere a terra, i granelli di sabbia che mi si infilarono nella camicia, e lei scivolò sopra di me, continuando a ridere, emozionata, elettrizzata, bellissima.
Nonostante il sole fosse coperto da un sottile strato di nuvole, i suoi occhi sembravano brillare lo stesso, i capelli biondi erano accesi da sfumature chiare, il viso così sorridente e gioioso che la faceva sembrare un angelo.
La mia risata si fermò, ero troppo concentrato ad ammirare tanta bellezza, e mi poggiai sui gomiti, mentre lei cercava di tirarsi su da me, ancora ridacchiando.
Con un sorriso, allungai una mano e le spostai una ciocca di capelli dagli occhi, perché non volevo perdermi neanche la minima sfumatura di quel verde brillante. Lei sembrò calmarsi e, scoccandomi un gran sorriso, si avvicinò, strofinando il naso contro il mio.
“Hai un pessimo equilibrio” mi accusò, alludendo al fatto che mi erano bastati due passi sulla superficie morbida e instabile della spiaggia, per crollare rovinosamente a terra.
Schioccai la lingua e il suo sorriso si allargò.
“Se facciamo una gara su una superficie liscia ti batto senza problemi, ragazzina” replicai con un sorrisetto. Lei alzò gli occhi al cielo e fece per alzarsi, ma io la bloccai, afferrandola per la vita e facendola crollare di nuovo su di me.
“Dove credi di andare?” mormorai, socchiudendo gli occhi. Sentii le pulsazioni del suo cuore aumentare, a contatto con il mio petto, le sue braccia ai lati dei miei fianchi per sostenersi. Lei mi sorrise ed io alzai la testa, facendo per baciarla. Mi inumidii le labbra, impaziente e, nel momento in cui stavo per fare mie le sue, una manciata di sabbia mi arrivò in faccia, facendomi serrare gli occhi e girare la testa di scatto. Jenny, libera dalla mia presa, si tirò su e cominciò ad allontanarsi, camminando all’indietro e trattenendo a stento una risata.
Mi passai una mano sul viso e la guardai stupefatto.
“Non ci credo che tu l’abbia fatto” esclamai. Lei ridacchiò e mi indicò.
“Hai i capelli tutti pieni di sabbia” rise, e la sua risata cristallina, divertita e spensierata mi fece spuntare un sorriso automatico, che cercai di mascherare mordendomi il labbro.
 “I tuoi faranno sicuro una fine peggiore” la avvisai, alzandomi con una mossa agile, sbattendo le mani sui pantaloni e scuotendo la testa, cercando di liberarmi dalla sabbia.
Lei spalancò un poco gli occhi, fintamente terrorizzata, e cominciò ad accelerare il passo.
“Prima dovrai prendermi” annunciò, appena mezzo secondo prima di scattare, cominciando a correre per la spiaggia completamente vuota.
Era aprile, e solo due sconsiderati come noi potevano andare al mare in quel periodo, dove in Inghilterra, come del resto tutto l’anno, erano ancora frequenti i temporali e le infinite giornate di pioggia.
Quel giorno sembrava che fossimo stati salvati, almeno per il momento.
Partii all’inseguimento con un grugnito, già sapendo che non l’avrei mai raggiunta, perché le sue gambe erano più leggere e sembravano volare sulla sabbia, mentre io, scoordinato com’ero, sembrava che al posto dei piedi avessi due blocchi di cemento.
Qualche decina di metri più avanti, Jenny si fermò, piegandosi sulle ginocchia e respirando profondamente, mentre ridacchiava.
“Sei proprio una lumaca, Styles!” mi prese in giro, arricciando il naso. Le lanciai un’occhiataccia, lasciandomi cadere dov’ero, senza fiato.
“Sono solo fuori allenamento” mi difesi, sdraiandomi completamente per riprendere fiato.
La sentii ridacchiare e tornare indietro, per poi lasciarsi cadere accanto a me, a pancia in su, e fissare il cielo nuvoloso.
“Sei riuscito a farti battere da me, che sono un disastro nello sport. Non vedo l’ora di dirlo ai ragazzi” ridacchiò, voltandosi verso di me per osservare la mia reazione. Io rimasi immobile per qualche secondo, gli occhi chiusi, il respiro corto. Poi con un colpo di fianchi mi tirai su, mettendomi cavalcioni su di lei e bloccandole le braccia sopra la testa.
Lei mi guardò stupita, un leggero rossore che le colorava le guance, il respiro ancora corto per la corsa.
La guardai con un vago sorrisetto malizioso, mentre lei sembrava capire le mie intenzioni. Mi lanciò uno sguardo contrariato e strinse le labbra.
“Non provarci” mi intimò. Il mio sorriso si allargò e il suo sguardo passò ad essere implorante.
“No, Harry, ti prego. Io ho i capelli più lunghi dei tuoi” squittì, chiudendo gli occhi.
“Vorrà dire che mi divertirò di più” mormorai, per poi afferrare velocemente una manciata di sabbia e scompigliandole i capelli.
“Harry!” urlò, ridacchiando.
Per mia fortuna, correndo, ci eravamo avvicinati al bagnasciuga, quindi la sabbia in quel punto era leggermente più bagnata. Così ne presi un po’, mentre lei ridendo cercava di divincolarsi dalla mia presa, e passai la mia mano insabbiata sulla sua guancia, facendole cacciare un urletto divertito.
“No, Harry, dai!” mi implorò, mentre ricoprivo di sabbia tutto il resto del suo viso.
“L’hai voluto tu” mi giustificai divertito, mentre con cura ricoprivo ogni singolo centimetro della sua pelle.
“Oh, ti odio” si arrese infine con uno sbuffo divertito, smettendo di divincolarsi e lasciandomi fare con un’alzata d’occhi.
Finita la mia opera, sorrisi soddisfatto e sbattei le mani tra loro per togliere gli ultimi residui di sabbia.
Lei mi lanciò un’occhiata esasperata da sotto di me.
“Contento ora?”
“Certo. Così sei ancora più bella” la presi in giro, ridacchiando. Lei sbruffò, alzando di nuovo gli occhi al cielo e poi mi spinse via, mettendosi in ginocchio e spingendomi sulla sabbia.
“Sei proprio un bambino cattivo, lo sai?” mi chiese, maliziosa. Poi, prima che potessi pensare di replicare, si chinò velocemente su di me e mi stampò un sonoro bacio sulle labbra, veloce, leggero e salato.
Feci una smorfia disgustata e lei ridacchiò, per poi infilarmi le mani tra i capelli e attirarmi di nuovo a se, questa volta per baciarmi veramente.
Le sue labbra sapevano di mare, di risate, di lei, e i granelli di sabbia si mischiarono quasi subito ai nostri sospiri, alle nostre lingue che giocavano insieme, al suo sorriso sulle mie labbra, al battito dei nostri cuori che accelerava all’unisono.
Quando si staccò, ricoprì anche il resto del mio viso di baci, lasciandomi residui di sabbia bagnata dappertutto.
“Sei odiosa” le dissi, cercando di pulirmi. Lei mi sorrise e mi baciò di nuovo.
“Tu invece sei adorabile” mormorò, arricciando il naso e facendo una smorfia. Le sorrisi, il sorriso più grande che potessi farle, sapendo quanto adorasse quando mi spuntavano le fossette. Infatti i suoi occhi si illuminarono e mi strinse le guancie con una mano, chinandosi per rubarmi un altro bacio veloce.
Poi si alzò, stiracchiandosi e puntando lo sguardo sulle onde del mare. Prese un bel respiro e si voltò verso di me per lanciarmi un sorriso furbetto che non prometteva niente di buono.
“Voglio fare il bagno” annunciò, quasi contemporaneamente alla mossa fulminea con cui si sfilò la felpa. Corrugai le sopracciglia, alzandomi e guardandola contrariato.
“Jenny non puoi, siamo ad aprile, fa freddo” le dissi, bloccandole le mani che erano scese a slacciare la camicetta della divisa della scuola. Lei mi guardò, imbronciandosi leggermente.
“Io non ho freddo, voglio fare il bagno” si impuntò, continuando a slacciare la camicetta, di nuovo il sorriso entusiasta comparve sulle sue labbra quando la lasciai fare.
Il problema era che, accidentalmente, lo sguardo mi era caduto dove le sue dita stavano indugiando, e per poco non mi strozzai con la mia saliva.
Deglutii rumorosamente, puntando gli occhi nei suoi, cercando una via di fuga da quell’incendio che rischiava di scoppiare dentro di me.
“Jenny, ti ammalerai. E poi sta per piovere, per favore” la implorai con un filo di voce, mentre lei mi ignorava, sfilandosi con un gesto veloce la camicetta, rimanendo in reggiseno, mostrando la sua pelle chiara, morbida, invitante.
Mi si mozzò il respiro e le proteste mi morirono in gola.
Ero davvero contrario al fatto che volesse buttarsi tra quelle acque gelide; sicuramente le sarebbe preso qualcosa.
Ma i miei ormoni impazziti mi impedirono di proferire qualsiasi altra parola quando le sue mani finirono sulla gonna e cominciò ad ancheggiare per tirarla giù.
Oh, merda santissima.
Le sue gambe lunghe, affusolate, scoperte, mi fecero fermare il cuore.
L’avevo già vista seminuda, non era quello il problema.
Il fatto era che così, alla luce del sole, con il suo sorriso innocente e il rumore del mare in sottofondo, la vista di Jenny in reggiseno e mutandine nere mi infiammò completamente.
Lei si chinò per poggiare accuratamente i vestiti sulla sabbia, io distolsi lo sguardo per non cedere all’istinto che stava per travolgermi, poi si voltò con un sorriso smagliante verso di me e si legò i capelli in una coda alta.
“Vado, mi tuffo e torno. Ci metto due secondi, ma non togliermi questo sfizio, per favore” mi imploro, le labbra imbronciate.
Non ci stavo capendo più niente, era impossibile tirare fuori una qualsiasi frase di senso compiuto. Lei, incoraggiata dal mio silenzio, mi buttò le braccia al collo, mi baciò le labbra, e prima che me ne rendessi conto le mie braccia erano già corse a stringere i suoi fianchi, schiacciando il suo petto appena coperto contro il mio, che si sentiva stretto e asfissiato nella camicia leggera. Lei si staccò e boccheggiò, ma io non la lasciai andare, perché ormai la mia testa era partita, e mi ritrovai a baciarle il collo, mordicchiarle la mascella, mentre il suo corpo era scosso da brividi di piacere.
Lei sembrò dimenticarsi all’istante dei suoi programmi, come se il resto della spiaggia, il mare, il mondo intero scomparisse, e restassimo solo noi.
Infilò le sue dita tra i miei capelli, giocando con i miei ricci e stringendosi a me, provocandomi una scossa elettrica che mi risalì la schiena.
Sarà stata la situazione, il modo in cui era poco vestita lei, o semplicemente la sensazione della sua pelle calda sotto le mie dita, ma qualcosa dentro di me si risvegliò, qualcosa di cui anche lei poteva accorgersi e che avrebbe dovuto mettermi in imbarazzo, ma era colpa sua se mi faceva quell’effetto.
Quando quella parte di me accidentalmente entrò in contatto con lei, sfiorandole la pancia, la sentii sussultare e cercare freneticamente le mie labbra, come a volersi nascondere dall’imbarazzo, o dal desiderio che la avvolgeva come me.
Le mie mani percorrevano lentamente tutta la lunghezza della schiena, bloccandosi infastidite ogni volta che arrivavano al gancetto del reggiseno.
Quanto avrei voluto liberarmi di quell’aggeggio ingombrante, che fermava il mio cammino…
Ma non potevo farlo, no.
Eravamo su una dannatissima spiaggia, all’aperto, lei non era pronta e…Dio, le sue labbra erano così calde, la sua pelle così morbida, le sue dita così delicate.
Stavo rischiando di perdere il controllo lì, in quel momento, in quel modo.
E non potevo permettermelo. Avrei dovuto resistere, per lei, per non spingerla a fare qualcosa che non voleva fare, qualcosa che in quelle circostanze avrebbe potuto tirare nei guai entrambi, perché decisamente non era il luogo adatto, anche se il momento e la situazione erano terribilmente invitanti.
Lei mi mordicchiò il labbro inferiore e quel punto decisi che era arrivato il momento di fermarsi.
“Jenny” sussurrai, il mio cervello che stava andando contro tutto il resto del mio corpo, “Credo proprio che dovresti andare a fare il bagno, prima che inizi a piovere” le dissi, la voce ridotta ad mormorio roco, eccitato.
Lei si staccò e mi lanciò uno sguardo, le guance arrossate, il respiro corto, gli occhi lucidi, pieni di desiderio.
“Subito” aggiunsi, sarcastico, perché se mi avesse guardato anche solo per un altro mezzo secondo in quel modo sarei crollato.
Lei ridacchiò e sciolse il suo abbraccio, per poi lasciarmi un ultimo casto bacio sulle labbra.
“Scusa” mormorò abbassando lo sguardo imbarazzata e abbozzando un sorriso.
Non feci in tempo a reagire, a dirle che non era colpa sua e che, se proprio voleva continuare avevamo la macchina a disposizione, che schizzò via, correndo verso l’acqua.
Io la guardai in tutta la sua bellezza, cercando di calmare il respiro e di controllare gli ormoni che sembravano impazziti.
La verità è che la desideravo con tutto me stesso. Con la testa, il cuore, l’anima…e anche qualcos’altro. 
E non sapevo quanto ancora sarei riuscito a resistere.
























HOOOLA!! :)
Finalmente sono tornati!
Lo so che li ho lasciati un po' troppo da parte in questi ultimi capitoli,per questo,
questo capitolo e il prossimo, sono completamente sulla coppia Henny o Jarry, come volete voi ;)
Però, devo dirvelo, i drammi non sono finiti e credo si prolunghino per qualche altro capitolo.
Ma, don't worry, ho riscritto la scaletta,
dovrete sopportarmi solo per altri cinque, massimo sei capitoli.
Poi tutto finirà çç
Okay, credo sia meglio non pensarci da adesso,
o quando arriverà il momento uscirò fuori di testa uu
So, volevo dirvi che molto probabilmente in queste due settimane non riuscirò a postare tanto spesso,
perchè si sa, il mese di Maggio i professori si risvegliano dal letargo e ci ammazzano di compiti ed interrogazioni.
Io questi giorni sto facendo molta amicizia con Aristotele e Platone,
provate a capire come mi ritrovo psicologicamente o.o
Vado, spero che il capitolo vi piaccia, e che non diminuiate ancora.
Ho paura che sia perchè la storia inizia ad annoiarvi ma, per favore,
non abbandonatemi proprio adesso che sta giungendo al termine.
Io ho bisogno del vostro sostegno per dire addio a questi ammmori che sono con me dalla bellezza di 60
(no, dico, SESSANTA! o.o) capitoli :')
A presto, spero, con sempre tanto amore.
Sara.





















Ps. Passereste da questa meraviglia?  Amy... E' una ragazza fantastica e, anche se purtroppo non ho il tempo per accertarmene io stessa, sono convinta che le sue storie meritano ;) 
Grazie di tutto,
Amy <3

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Capitolo 28
*** Capitolo ventotto. ***








Salve a tutte!
Allora, oggi ho deciso di ritagliarmi il mio angolino prima del capitolo
perchè vorrei che lo leggeste tutto d'un fiato e che rimarreste con le ultime parole,
non con qualche mia cazzata sparata senza senso ;)
Non voglio anticiparvi niente, solo spero che vi piaccia,
perchè ci ho messo il cuore in questo capitolo, sul serio.
E devo ringraziare una persona che so che sta leggendo, se riesco sempre a scrivere cose che,
almeno spero, non fanno cagare, perchè lei è sempre lì con me,
mi ispira e mi corregge.
Tu lo sai, ti voglio bene.
Scappo, non voglio rubarvi altro tempo.
Un grazie infinito per le recensioni, siete dolcissime e vi adoro sempre di più :')
Tanto amore, come sempre.
Sara.





Ps. A perhaps_ : giuro, te lo posso assicurare, che ho scritto il capitolo prima della tua recensione.
Non so come tu abbia fatto, ma mi hai letto nel pensiero, ragazza o.o
Spero che, anche se per te non sarà una sorpresa, ti piaccia lo stesso ;)









Capitolo 28
 
 


Jenny

 




Quando una goccia pesante e fredda mi scivolò sulla fronte, aggiungendosi alle gocce d’acqua salata, capii che forse era arrivato il momento che uscissi dall’acqua. Mi voltai verso la spiaggia dove Harry, seduto a terra, si sbracciava facendomi segno di uscire. Lo osservai sorridendo, in tutta la sua bellezza, e mi sentii avvampare al ricordo di cosa stava per succedere appena qualche minuto prima.
Stavo per perdere il controllo e la cosa bella era che, anche se me ne ero resa conto, non volevo fermarmi comunque, volevo che lui perdesse il controllo insieme a me.
Solo che poi qualcosa nella sua mente, una volta tanto in cui doveva rimanere spenta, si era risvegliata e mi aveva costretta a fermarmi, perché probabilmente sarebbe stato poco carino farci beccare a fare determinate cose in una spiaggia pubblica.
E poi sarebbe stato poco coerente da parte mia lasciarmi andare proprio in quel momento, dopo essermi rifiutata per tutto quel tempo.
La mia prima volta doveva essere speciale, il fatto era che sapevo che il momento e il luogo non sarebbe stato importante, perché la ‘cosa’ speciale era Harry, e sapevo che sarebbe stata comunque meravigliosa con lui.
Harry, notando che non avevo intenzione di uscire, si alzò in piedi e continuò a farmi segno di sbrigarmi, con un cipiglio frustrato sul viso.
Sorrisi e mi affrettai a raggiungerlo, decidendo di evitare di farlo spazientire, era stato così carino e dolce a farmi quella sorpresa, che si meritava il pomeriggio perfetto.
Nel frattempo gocce d’acqua sempre più pesanti e continue cominciavano a cadere dal cielo, mentre una folata di vento gelido mi fece rabbrividire e aumentare il passo.
“Te l’avevo detto che avrebbe iniziato a piovere da un momento all’altro” mi disse Harry, quando uscii dall’acqua, allargando le braccia e avvolgendomi nella mia felpa calda, mentre cominciavo a tremare dal freddo e lui evitava di guardarmi al di sotto del mento.
Sorrisi sotto i baffi e mi strinsi nelle spalle.
“Ne è valsa la pena, saresti dovuto venire anche tu” mormorai, facendogli l’occhiolino. Lui roteò gli occhi al cielo e mi sorrise esasperato, mentre la pioggia aumentava sempre di più, rischiando di farci ritrovare zuppi da un momento all’altro, anche se io, a parte i capelli che avevo evitato di bagnare legandoli in una coda alta, già lo ero.
“Si, così domani, oltre te, avrò anch’io la febbre e il raffreddore” replicò sarcastico, per poi lanciare un’occhiataccia la cielo, come ad intimargli di smettere di piovere, perché ci stava rovinando la giornata.
Ridacchiai e lui abbassò i suoi occhi verdi su di me, addolcendosi.
“Anche se credo che se non ci muoviamo e andiamo a metterci al riparo, faremo una brutta fine tutti e due” continuò, per poi infilarmi la felpa e chiudere la zip, indugiando con gli occhi sulle mie gambe rimaste scoperte.
“Che c’è?” gli chiesi, sbattendo le ciglia innocentemente. Lui ispirò bruscamente e puntò di nuovo gli occhi nei miei, fiammeggianti e liquidi.
“Credo che tu debba rivestirti. In fretta” mormorò. Sentii il sangue colorarmi le guance, mentre lui distoglieva imbarazzato lo sguardo, o forse era diventato troppo guardare e resistere allo stesso tempo, anche se mi sembrava ancora assurdo che potessi fargli questo tipo di effetto.
Voglio dire, non che a me fosse indifferente, andavo a fuoco solo guardandolo!
Però era sempre strano notare l’effetto che potevo avere io su di lui, di come il suo sguardo diventasse liquido, pieno di desiderio, di come dovesse sempre sfiorarmi, le mani, il viso, i fianchi, come per accertarsi che fossi veramente lì, che fossi sua in tutto e per tutto.
“Andiamo in macchina, in fretta. Mi rivestirò lì” replicai, prendendogli la mano e tirandolo verso la strada, impaziente di ripararmi al calduccio della macchina, perché in quelle condizioni rischiavo davvero di prendermi un brutto raffreddore.
Lui ridacchiò e mi seguì, cercando di rimanere in equilibrio, raccattando tutte le nostre cose, la camicia già bagnata, che gli si appiccicava alla pelle, e i ricci che gli ricadevano scomposti sulla fronte.
Quando ci lasciammo la spiaggia alle spalle, raggiungendo la strada, lasciai la sua mano e mi guardai intorno spaesata.
La strada era completamente vuota, non c’era traccia di una macchina, c’eravamo solo io, Harry e il cartello di divieto di parcheggio.
La macchina era sparita.
“Cazzo!” sibilò Harry, passandosi una mano tra i capelli, la pioggia che ormai ci aveva inzuppati. Mi voltai verso di lui con sguardo stralunato, mentre lui calciava furiosamente un sasso, mandandolo a sbattere contro il cartello della rimozione dell’auto.
Mi guardò impotente, tirandosi indietro i ricci bagnati che gli andavano a finire davanti gli occhi.
“Ci hanno portato via la macchina” annunciò tristemente. Sbarrai gli occhi.
“Cosa?”
“Si, l’hanno portata via, tu la vedi?” sbottò nervosamente, grugnendo qualcos’altro dalla rabbia.
“Ma io avevo la borsa in macchina, il cellulare, tutto!” esclamai, alzando le braccia al cielo.
“Lo so! Anche io! Ho lasciato tutto lì dentro, non ho un fottuto cellulare con me e Dio solo sa quanto è distante un cazzo di paese da qui!” urlò frustrato, perdendo subito la pazienza. Lo guardai male, incrociando le braccia al petto e affrettandomi ad infilare la gonna, tirarmi su il cappuccio della felpa e chiudere la zip fino al collo, per ripararmi dal freddo e dall’umidità.
“Per fortuna che i vigili non dovevano passare oggi…” mormorai sarcastica, incrociando le braccia al petto frustrata.
Perfetto, tutto il nostro pomeriggio stava andando a rotoli.
In quel momento eravamo zuppi, infreddoliti, in un luogo sconosciuto, senza un minimo collegamento con la civiltà.
Saremmo potuti morire di freddo e nessuno se ne sarebbe accorto.
“Non fare la spiritosa, quegli stronzi si girano i pollici tutti i giorni, proprio oggi dovevano scassare le…”
“Smettila di dire parolacce!” lo interruppi, lanciandogli un’occhiataccia, “Non risolvi niente imprecando senza sosta, vedi di calmarti e di trovare una soluzione, non ho intenzione di morire di freddo qui” continuai, cercando di mantenere la calma e di riflettere. Lui sembrò pensarci su e si lasciò cadere su una pietra abbastanza grande da sostenerlo.
“E dove vorresti andare? L’ultimo paese a cui siamo passati davanti per venire qui è almeno a venti chilometri di distanza” mormorò con un sospiro, arrendendosi. Mi strinsi nelle spalle e mi avvicinai a lui, prendendogli la mano e tirandolo su.
“Allora vorrà dire che cammineremo finché non arriviamo al prossimo paese. E poi…ti pare che non passa nemmeno una macchina da queste parti? Qualcuno ci troverà, ma dobbiamo muoverci e ripararci da qualche parte, sembra proprio che stia venendo giù il diluvio universale” commentai, guardando le nuvole nere che continuavano ad addensarsi e la pioggia fitta che non accennava a smettere. Lui sbuffò e si alzò, stringendomi per i fianchi e baciandomi la fronte, rabbrividendo.
“Okay, camminiamo” acconsentì, cominciando ad avanzare sul ciglio della strada, stringendomi a se, in cerca di calore. Gli circondai i fianchi con un braccio e rabbrividii, starnutendo e beccandomi una sua occhiata divertita.
“Mi dispiace”
“Non importa, è andata così” scrollai le spalle, per poi guardarlo di sottecchi, “Ma non azzardarti più ad uscire di testa come prima, non mi piace quando diventi volgare” lo accusai, provocando un suo sorrisetto divertito e provocante.
“Volgare?”
Annuii, mordendomi il labbro per evitare di sorridere.
“Si, volgare”. Lui rise e scosse la testa, stringendomi ancora di più a se.
“Okay, prometto che eviterò di essere volgare d’ora in poi” annunciò, più che divertito. Gli sorrisi e lui mi strizzò l'occhio.
“E di non andare nel panico” aggiunsi, facendogli la linguaccia. Lui si imbronciò.
“Non stavo andando nel panico” cercò di difendersi, ed io schioccai la lingua, guardandolo scettica.
“No? Solo per il fatto di essere senza cellulare sembrava che saresti morto da un momento all’altro” commentai. Lui mi guardò male.
“Beh, devi ammettere che se avessimo avuto il cellulare, in questo momento avremmo già chiamato qualcuno e…”
“Cosa? Chi ci verrebbe a prendere qui? Non sapresti neanche spiegare dove ci troviamo!” esclamai, voltandomi di continuo nella speranza di vedere una macchina salvatrice avanzare, ma sembrava che tutto il mondo avesse deciso di rimanere in casa, al caldo, a rilassarsi davanti alla tv.
Lui ci pensò un po’ su e poi si arrese, annuendo.
“Probabilmente hai ragione”
“Già” mormorai, lanciandogli un’occhiata di sottecchi.
“E tutto perché eri troppo pigro per cercare un altro parcheggio” lo presi in giro, guardandolo fintamente arrabbiata. Lui mi scoccò un sorriso a trentadue denti, che gli arrivava da un orecchio all’altro, mostrando le sue adorabili fossette.
“Beh, pensa che se avessi perso tempo a cercare un altro parcheggio, saremmo andati in spiaggia più tardi, avrebbe cominciato a piovere subito e tu non avresti potuto farti il tuo bagno in mare” elencò, guardandomi dall’alto. Arricciai le labbra e gli lanciai un’occhiataccia.
“Si, ma adesso saremmo nella tua bellissima macchina, al caldo, e non saremmo bagnati dalla testa ai piedi” replicai. Lui mi sorrise ancora.
“Grazie per il complimento, la mia bambolina ne sarà contenta” rispose con voce da deficiente. Lo guardai a bocca aperta e lui scoppiò a ridere davanti alla mia espressione.
Sciolsi l’abbraccio e mi allontanai di qualche passo, guardandolo scioccata.
“Non posso credere che tu l’abbia detto davvero” sussurrai. Lui rise più forte ed io mi allontanai ancora di più, finendo in mezzo alla strada.
Peccato che proprio in quel momento, l’unica macchina che aveva deciso di girare per quelle strade, stesse passando e, a causa della pioggia battente che copriva tutto, io non l’avessi vista.
Stavo ancora guardando Harry, quando lui sbarrò gli occhi e un’espressione di pure terrore si dipinse sul suo viso.
“Jenny, attenta!” urlò, praticamente buttandosi su di me e afferrandomi per un braccio, per poi ritirarmi sul ciglio della strada, con talmente tanta forza che quando sbattei contro il suo petto finimmo tutti e due a terra.
“Brutto stronzo!” urlò Harry, rialzandosi in fretta, al conducente della macchina, che suonò il clacson e sparì dietro la curva, senza neanche preoccuparsi di accertarsi che fossimo vivi.
Io, personalmente, ero quasi sotto shock e mi faceva male il braccio, su cui ero caduta, strusciandolo a terra e squarciando la manica della felpa.
Mi scappò un gemito di disgusto quando vidi il sangue colarmi sul braccio, e Harry si voltò di scatto verso di me, accucciandosi e afferrandomi per le spalle per aiutarmi a mettermi seduta.
“Stai bene?” mi chiese preoccupato, togliendomi i capelli dal viso, carezzandomi le guance e fissandomi con quegli occhi verdi grandi e pieni di preoccupazione che mi salirono le lacrime agli occhi.
“Avevi promesso che non saresti stato più volgare” balbettai la prima frase che mi passò per la testa. Lui scoppiò a ridere, sollevato dal fatto che riuscissi a fare ancora del sarcasmo, segno che la mia situazione non fosse poi così tanto grave.
In effetti, ignorando il cuore che mi martellava nel petto ad un ritmo spaventosamente irregolare, lo stomaco che si rivoltava, rischiando di farmi rigettare tutto il mio pranzo, e la paura che mi stava serrando la gola, ero tutta intera, e stavo bene.
“Hai ragione, scusa. Ma questa volta era strettamente necessario” mi rispose, assottigliando gli occhi, per poi sorridermi dolcemente e carezzarmi di nuovo la guancia.
“Sicura di star bene?” mi chiese di nuovo, afferrandomi per i fianchi e aiutandomi ad alzarmi.
Annuii distrattamente, mentre guardavo il sangue colarmi dal braccio. Lui seguì il mio sguardo e fece una smorfia.
“Oh, accidenti, questo deve far male” commentò, finendo di strappare la manica della mia felpa e legandocela sopra, per fermare il flusso del sangue. Lo guardai all’opera, le ciocche di capelli che gli finivano sugli occhi, lo sguardo concentrato, le labbra tese e la mascella serrata.
Mi scappò un sorriso, proprio mentre lui rialzava gli occhi.
“Che c’è?” mi chiese, sorridendo di rimando. Mi strinsi nelle spalle e lui sorrise di nuovo.
“Lo so, sono stupefacente, ho fatto anche dei corsi di pronto soccorso, quando andavo a scuola” si vantò, sventolando una mano in aria. Scoppiai a ridere e lui arricciò il naso e mi fece una smorfia divertita.
“Ma piantala!” esclamai, dandogli una piccola spinta e allontanandolo da me, per poi lanciare uno sguardo terrorizzato alla strada. Lui se ne accorse e smise all’istante di ridere, avvicinandosi di nuovo e prendendomi il viso tra le mani.
“Non fare mai più una cosa del genere” mi ammonì, puntando le sue iridi verdi nelle mie, “Quella macchina stava per prenderti in pieno e io…” la sua voce si spezzò, mentre le pupille si dilatarono dalla paura.
Senza sapere bene cosa dire, perché la sua paura rispecchiava la mia, gli strinsi i fianchi con le braccia e sprofondai il viso nel suo petto, chiudendo gli occhi e stringendolo forte.
Lui mi circondò all’istante con le sue forti braccia e affondò il naso tra i miei capelli, ispirando forte e rilassandosi.
“Scusa” borbottai, mentre lui lasciava un bacio tra i miei capelli e mi stringeva un’ultima volta, prima di lasciarmi andare e afferrarmi la mano con un sorriso.
“Ormai è passata, continuiamo a camminare e a cercare un fott…” si bloccò e mi lanciò uno sguardo d’intesa, “Un posto in cui ripararci alla svelta” concluse, facendomi l’occhiolino e spostandomi dall’altro lato del ciglio della strada, in modo da tenermi lontana dal pericolo.
Gli feci un sorrisetto ed in silenzio riprendemmo a camminare sotto la pioggia incessante.
Quando alzai lo sguardo, molto tempo dopo, e notai un po’ di luci in fondo alla strada, quasi mi parve un miraggio.
Mi voltai verso di Harry, che stava guardando nella mia stessa direzione, per poi voltarsi anche lui verso di me.
“Civiltà!” esclamò, facendomi scoppiare a ridere. Lui mi seguì e, armati di un nuovo entusiasmo, quasi cominciammo a correre per arrivare in fretta in quel centro abitato di cui non sapevamo neanche il nome.
Entrammo al volo nel primo motel che ci saltò all’occhio, sospirando di sollievo e rabbrividendo.
Eravamo zuppi, infreddoliti, sicuramente raffreddati, ma finalmente eravamo salvi.
Ci sorridemmo e Harry si avvicinò subito alla reception, richiamando l’attenzione dell’uomo annoiato che sedeva dietro la scrivania.
“Salve” salutò, entusiasta. L’uomo, sulla cinquantina, alzò lo sguardo e lo scrutò in silenzio, per poi passare con lo sguardo su di me ed osservare il modo in cui eravamo conciati.
“Salve, come posso aiutarla?” chiese con voce burbera, strascicata, mettendo via di malavoglia il giornale che stava leggendo.
Qualcosa mi diceva che la nostra presenza non era affatto gradita.
Al diavolo, volevo tornare a casa.
“Beh, avremmo bisogno di un telefono per chiamare casa, siamo rimasti bloccati qui e ci hanno portato via la macchina. Potremmo usare quello dell’albergo?” chiese Harry molto cortesemente, sorridendo. L’uomo lo scrutò alzando un sopracciglio.
“Sono saltate tutte le linee a causa del temporale” ci informò, per poi stringersi nelle spalle, come se  dire quella frase avesse usato tutte le sue energie.
Cominciavo a spazientirmi e a tremare dal freddo, così fulminai con lo sguardo l’uomo e affiancai Harry.
“Beh, lei non ha un cellulare da prestarci?” sbottai. L’uomo mi guardò alzando anche l’altro sopracciglio, mentre Harry mi afferrava la mano per calmarmi.
“Nel mio contratto non c’è scritto che devo essere gentile con i clienti così antipatici” replicò lui con noncuranza. Spalancai la bocca e diventai rossa dalla rabbia, prendendo fiato per ribattere. Harry mi fermò, stringendomi la mano e interrompendomi.
“Allora prendiamo una stanza” disse, lanciandomi un’occhiata tranquilla e facendomi l’occhiolino.
“Bene” borbottò l’uomo voltandosi per prendere un mazzo di chiavi.
“Ma Harry, io voglio tornare a casa” borbottai sottovoce, lanciandogli un’occhiata frustrata.
“Ci torneremo domani, è inutile insistere. Nessuno ci verrebbe mai a prendere, fa freddo, è tardi e abbiamo entrambi bisogno di una doccia calda” rispose lui bisbigliando e facendomi un sorriso raggiante. Sbuffai, mentre lui prendeva il mazzo di chiavi che l’uomo gli stava porgendo.
“Pagate in contanti o con carta di credito?”
“Contanti” annunciò Harry, per poi tirare fuori dalla tasca sul retro dei pantaloni il portafoglio e fare una smorfia, “…contanti bagnati” concluse, tirando fuori delle banconote completamente zuppe.
L’uomo le osservò per qualche secondo, poi si strinse nelle spalle e le afferrò, appiattendole sulla scrivania.
“Sono sempre soldi” mormorò, poi ci scoccò un sorriso e ci indicò le scale.
“Terzo piano, stanza tredici. Se usate la doccia, fate in fretta, l’acqua calda finisce subito” ci disse, congedandoci e riprendendo il giornale.
Lo fulminai con lo sguardo, mentre Harry ridacchiando mi prendeva la mano e mi trascinava via, portandomi su per le scale e raggiungendo la nostra stanza, per poi sospirare di sollievo una volta chiusa la porta alle sue spalle.
Accese la luce ed io mi lasciai cadere sul letto matrimoniale, incrociando le braccia al petto e bagnando il copriletto.
Harry chiuse a chiave la porta e poi si voltò verso di me, sorridendo davanti alla mia espressione imbronciata.
“Dai, non sarà tanto male, la stanza non è così orribile” cercò di tirarmi su. Corrugai le sopracciglia e fulminai qualsiasi cosa che mi capitasse a tiro.
“No, infatti. E’ il personale che fa schifo” borbottai, facendolo ridere. Si avvicinò e mi tirò su, circondandomi con le braccia e strofinando il naso contro il mio, facendomi rilassare.
“Non pensarci, ora sei qui con me” sussurrò, socchiudendo gli occhi e sfiorandomi lievemente le labbra con le sue.
“E ho una doccia calda a disposizione” aggiunsi con un sorrisetto, che lui ricambiò al volo.
“Mezza” mi corresse, lasciandomi andare, “Ho bisogno di darmi una sciacquata anch’io” mi disse facendomi l’occhiolino.
“Non sei già abbastanza bagnato?” replicai innocentemente.
“Ah-ah, divertente”, mi spinse verso il bagno, entrando con me.
“Mi spiace, ma oggi metto da parte la galanteria, ho le ossa congelate” annunciò, cominciando a slacciarsi la camicia, che era deliziosamente appiccicata alla sua pelle, mettendo in mostra tutte le sue forme; le spalle larghe, la pancia piatta, gli addominali scolpiti.
Deglutii, sentendomi avvampare, e alzai lo sguardo per incrociare i suoi occhi divertiti, probabilmente perché si era accorto di dove era andato a finire il mio sguardo.
“Uhm, allora credo che dovrò regolarmi” balbettai, sentendomi andare a fuoco e distogliendo lo sguardo da lui, per poi allontanarmi e sfilarmi la felpa, attenta a non toccare il braccio ferito.
Sentii Harry trattenere il respiro e feci appena in tempo a voltarmi, per vedere i suoi occhi fiammeggiare e i suoi passi lenti e provocanti verso di me.
Deglutii, mentre i suoi occhi non si staccavano dai miei.
“Che ne dici se la facciamo insieme? Così non rischi di prenderti anche la mia parte di acqua calda” propose, con voce innocente, anche se il suo sguardo diceva tutt’altro.
Deglutii di nuovo, sentendo il sangue pulsare veloce nelle vene, le farfalle che mi invasero lo stomaco, cominciando a svolazzare.
“Uhm” mormorai, senza sapere cosa rispondere, il cervello che si spense non appena la sua mano si allungò verso di me, per spostarmi una ciocca di capelli che era sfuggita all’elastico dietro l’orecchio.
“Non ti toccherò, se non vuoi” mormorò, a voce talmente bassa che faticai a sentirlo.
Il mio cuore perse un battito, mentre il mio subconscio cominciava a sbandierare e a mostrare striscioni con scritto: “Toccami, toccami! Certo che voglio che mi tocchi!”.
Accidenti, stavo impazzendo!
Un fremito mi scosse le spalle e lui accennò un sorriso.
“Hai freddo, vieni” mi disse, prendendomi delicatamente la mano e avvicinandomi alla doccia. Mi lasciò la mano, senza distogliere mai gli occhi dai miei, slacciando il bottone dei suoi pantaloni. I miei occhi corsero alle sue mani, mentre lui si tirava giù i pantaloni e poi si sfilava la camicia, rimanendo con i suoi boxer neri che lasciavano davvero poco all’immaginazione.
Il mio respiro si fece improvvisamente corto, mentre il sangue mi schizzava alla testa, facendomi perdere l’equilibrio.
Lui, attento ad ogni mia reazione, allacciò di nuovo i nostri sguardi e si avvicinò, lentamente, prendendomi il viso tra le mani e sfiorandomi delicatamente le guance, le tempie, per poi afferrarmi il mento con una mano e avvicinarmi a se, per baciarmi delicatamente le labbra.
“Respira” soffiò, staccandosi e guardandomi, mentre io faticavo a tenere gli occhi aperti, le palpebre pesanti.
Ci provai, cercai di riprendere il controllo dei polmoni, ma non potevo respirare se lui mi guardava in quel modo!
Le sue mani, leggere come le ali di una farfalla, arrivarono ai bottoni della mia camicetta, slacciandone uno, per poi lanciarmi un’occhiata da sotto le lunghe ciglia. Ne slacciò un altro, poi un altro ancora, fino alla fine, e la camicetta si aprì, facendomi rabbrividire.
Lui, sempre molto lentamente, passò alla lampo della mia gonna e la tirò giù, respirando tra i denti, lo sguardo bruciante.
Mi guardò di nuovo, come in cerca del mio permesso, ed io mi limitai ad annuire flebilmente, la testa che mi girava.
Con delicatezza, fece scivolare lungo le mie gambe la gonna, sfiorando con le dita la mia pelle che all’improvviso era bollente.
Poi si tirò su e, sorridendo, fece cadere a terra anche la mia camicetta.
“Vieni” sussurrò, prendendomi la mano e guidandomi nella cabina della doccia, sotto il getto dell’acqua calda che, a causa della differenza della temperatura, mi fece rabbrividire.
Harry mi sorrise, ed io mi rilassai, mentre mi faceva voltare e cominciava a massaggiarmi le spalle, sciogliermi i capelli, districandoli con le dita.
Il cuore mi martellava furiosamente nel petto, ma cercavo di seguire il suo consiglio e respirare, perché lui era Harry, mi voleva bene, ed io ero sicura di quello che facevo.
Per questo, quando un sospiro spezzato gli uscì dalle labbra, mi voltai di scatto e gli circondai il collo con le braccia, per poi alzarmi sulle punte dei piedi e baciarlo, gli occhi serrati, il cuore gonfio e lo stomaco in subbuglio.
Lui ci mise meno di mezzo secondo a rispondere al bacio, e la sua veemenza mi spinse contro il muro, schiacciandomi  con il suo corpo contro le mattonelle fredde e stringendomi i fianchi con le braccia.
Ormai persa, infilai le dita tra i suoi ricci e mi lasciai andare. A lui, alle sue labbra morbide e calde, alle sue mani delicate, al suo tocco esperto, al suo corpo bollente che rispondeva al mio, al suo cuore che batteva forte contro il mio petto.
Si staccò con furia dalle mie labbra e riprese fiato, mentre mi afferrava sotto le cosce per aiutarmi a tirarmi su e a circondargli la vita con le gambe. Allungò una mano dietro di se e chiuse l’acqua, per poi tornare a baciarmi, stringendomi forte, coprendomi con il suo corpo.
“Credo proprio che la doccia si possa rimandare” mormorò, per afferrarmi i glutei con le mani e portarmi fuori dalla doccia, fuori dal bagno, nell’altra stanza, e poggiarmi con delicatezza sul letto.
Si stese sopra di me, carezzando ogni singolo centimetro della mia pelle, mandandomi a fuoco, facendomi dimenticare di tutto il resto del mondo.
Mi accorsi a malapena del mio reggiseno che volò via, mentre sentii perfettamente ogni centimetro di pelle in cui passavano le sue dita roventi, finché non finimmo entrambi, completamente, pelle contro pelle, il respiro mozzato, il cuore talmente gonfio che rischiava di scoppiare.
“Ti amo. Questo lo sai, vero?” sussurrò, baciandomi dolcemente le labbra, mentre tremavo leggermente.
Annuii e lui alzò il viso per guardarmi attentamente, in cerca di un mio segnale, per sapere se era il caso di andare avanti o meno, anche se pensavo che fermarsi, arrivati ormai a quel punto, era impossibile.
“Ti amo anch’io” sussurrai, con l’unica cosa che potevo rispondere, l’unico pensiero che avevo in testa.
Lui mi ricompensò con un sorriso timido, pieno d’amore, che mi fece salire le lacrime agli occhi.
Poi, dolcemente, tornò su di me e, molto presto, tra la sua gioia, la mia paura, e il nostro amore, fummo persi.
L’uno nell’altra.
















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Capitolo 29
*** Capitolo ventinove. ***


Capitolo 29
 
 


Liam

 



“Si può sapere dove sono finiti?” sbottò Louis, alzandosi dal divano e cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza.
Il problema quella volta?
Harry e Jenny sembravano spariti nel nulla.
Sapevamo tutti del piano di Harry, o almeno sapevamo il minimo indispensabile, quello che aveva lasciato intendere: appena uscita da scuola, l’avrebbe portata da qualche parte lontana da ‘tutta la follia che circondava la casa’, sue testuali parole.
Peccato che non erano ancora tornati, nonostante fossero le undici di sera passate, e fuori sembrava ci fosse il diluvio universale.
“Saranno per strada, cerca di restare calmo” lo ammonì Zayn, con la sua solita aria serafica, tranquilla, che niente e nessuno riusciva ad alterare.
Lo guardai e lui si strinse nelle spalle, mentre Louis sbuffava di nuovo, riprendendo con stizza il suo cellulare e facendo almeno per la trentesima volta il numero di Harry.
Lo fece squillare a vuoto per un’eternità, sbattendo il piede a terra e muovendo ritmicamente la gamba come se avesse un tic nervoso, poi lanciò con rabbia il cellulare sul divano, rischiando di colpire Niall che ci era rannicchiato sopra, ormai da un bel pezzo nel mondo dei sogni.
Sospirai, alzandomi e poggiando una mano sulla spalla di Louis.
“Tranquillo, Louis, avrà il cellulare scarico” provai a tranquillizzarlo, mentre lui mi guardava con i suoi occhi azzurri preoccupati.
“Okay, ma almeno poteva dirci dove diavolo aveva intenzione di andare, invece di farci stare così in ansia” sbottò, gesticolando animatamente, “Dio solo sa cosa potrebbe succedere lì fuori, piove, è buio, e quel cretino ha una pessima guida” rabbrividì, probabilmente immaginando le conseguenze che poteva implicare la sua ultima frase.
Mi scappò un sorriso, mentre Zayn ridacchiava.
“Dai, non è così male, e poi c’è Jenny che lo tiene sotto controllo” lo rassicurai. Lui sbruffò, continuando a tamburellare con il piede a terra.
“Hai provato a chiamare Jenny?” chiese Zayn, con voce tranquilla, mandando un messaggio con il suo cellulare, probabilmente alla sua ragazza, dalla quale sembrava non riuscire a stare lontano nemmeno per un secondo.
Ci voltammo tutti verso di lui, perché quell’idea, effettivamente scontata, non ci aveva nemmeno sfiorati. Louis aprì la bocca, sorpreso, poi senza ribattere riprese il cellulare e cominciò a fare il numero.
“L’ho già chiamata io” lo interruppe Cher, bisbigliando, facendoci voltare tutti verso di lei, rannicchiata accanto a Niall, la testa sostenuta pigramente dal braccio poggiato sulla spalliera del divano.
La postura sembrava quasi rilassata, ma i suoi occhi gridavano panico e preoccupazione.
Louis la guardò come in cerca di una risposta e lei si strinse nelle spalle.
“E’ staccato”
Louis grugnì di rabbia e lanciò di nuovo il cellulare sul divano, colpendo questa volta Niall sulla gamba, che sobbalzò e si svegliò.
“Ehi” mugugnò infastidito, stropicciandosi gli occhi con i pugni. Louis lo ignorò e sbruffò di nuovo.
“Ma ti pare il modo di sparire così, senza dirci niente?! Se proprio volevano fare le cose loro, c’è un fottuto albergo alla fine della strada!” sbraitò, lasciandosi finalmente cadere sulla poltrona vuota, tendendosi la testa con le mani.
Niall sbadigliò e si guardò intorno spaesato, procurandosi un sorriso dolce da parte di Cher, probabilmente perché quel folletto faceva sempre tenerezza a tutti.
“Secondo me ti stai preoccupando troppo, amico. Sono grandi e vaccinati, Harry è maggiorenne e lo conoscono tutti. Se gli fosse successo qualcosa di brutto stai sicuro che già lo eravamo venuti a sapere” mormorò Zayn, stringendosi nelle spalle. Louis lo fulminò con lo sguardo, mentre io mi trattenevo dal ridere perché se da una parte c’era Louis che stava per uscire di testa, dall’altra c’era Zayn che sembrava il ritratto della tranquillità, ed era esilarante, perché il ragazzo che era praticamente scomparso, era amico di entrambi.
Poi c’era Niall, che sembrava totalmente indifferente, talmente tranquillo da riuscire ad addormentarsi.
Io ero preoccupato, ma anche abbastanza tranquillo perché sapevo che Harry poteva essere un incosciente, ma quando serviva metterci la testa, lui aveva un bel cervello per poter ragionare.
E poi mi fidavo di Jenny, e sapevo che era praticamente uguale a Cher e che si sarebbe presa cura di lui togliendolo da qualsiasi guaio in cui si poteva cacciare.
“Io vado a farmi un tè” annunciò Cher, alzandosi ed evitando di guardarmi negli occhi, “Chi ne vuole?” chiese poi, guardando i ragazzi. Niall alzò prontamente la mano, con un gran sorriso e Zayn annuì.
“Anche se penso che a Louis farebbe meglio una camomilla” commentò, scoccandogli un sorrisetto. Il diretto interessato gli lanciò un’occhiataccia e poi si rivolse a Cher, sforzandosi di calmarsi.
“Un tè va più che bene, grazie piccola” gli disse. Cher annuì e schizzò via, lanciandomi un’occhiata di sottecchi.
Corrugando le sopracciglia confuso, la seguii in cucina, chiudendomi la porta alle spalle e facendola voltare verso di me, distogliendola da quello che stava facendo.
“Che succede?” le chiesi, scrutandola attentamente, mentre lei mi lanciava un’occhiata quasi straziata, in cerca d’aiuto. Mi immobilizzai all’istante, mentre lei chiudeva gli occhi e scuoteva la testa.
“Spero che il tuo amico abbia la testa sulle spalle, Liam, perché sono ore che non li sentiamo, e mi sto seriamente preoccupando” bisbigliò, riaprendo gli occhi in attesa di una mia risposta rassicurante, come se il fatto che io le dicessi che presto sarebbero tornati, sarebbe bastato a convincerla.
“Oh, piccola” mormorai, avvicinandomi di un passo e allargando le braccia, nelle quali lei si catapultò, il viso premuto contro il mio petto.
“Stai tranquilla, torneranno tutti interi, presto” mormorai, lasciandole un bacio tra i capelli e stringendola a me. Lei mi passò le braccia dietro la schiena e alzò il viso, poggiando il mento sul mio petto.
“Lo spero, per Harry. Perché se succede qualcosa a mia sorella lo uccido” affermò, un lampo di rabbia negli occhi. Sorrisi e lei fece una smorfia.
“Soprattutto perché non voglio che…insomma, non abbiamo ancora chiarito, e non ci parliamo, e lei non può…” borbottò, gli occhi spalancati, la voce talmente piena di ansia e preoccupazione da non riuscire a fare una frase di senso compiuto.
“Ehi, ehi, rilassati” la interruppi, prendendole il viso tra le mani e lisciandole i capelli.
“Torneranno a casa, tu parlerai con lei, e picchierai Harry, se vuoi”
Lei finalmente sorrise, e si alzò sulle punte dei piedi per baciarmi dolcemente le labbra.
“Ricordati che mi hai dato il permesso” bisbigliò, sorridendo ancora e baciandomi di nuovo.
Poi mi prese le mani intrecciate dietro la sua schiena e sciolse l’abbraccio, voltandosi per riprendere ad armeggiare con il bollitore per fare il tè.
Sospirai e aprii la dispensa in cerca di biscotti, già sapendo che Niall li avrebbe sicuramente chiesti.
“Tanto ci penserà Louis ad ucciderlo prima di te” scherzai, ridacchiando. Cher annuì con un sorriso divertito.
“Già, non l’avevo mai visto così preoccupato”
“E’ perché è rimasto all’epoca in cui Hazza aveva sedici anni e doveva prendersi cura di lui. E’ come un fratello maggiore” le spiegai, stringendomi nelle spalle. Lei sospirò, tremando leggermente.
“Allora lo capisco, se succedesse qualcosa a Jenny…” rabbrividì, senza finire la frase. La guardai di sbieco, e lei si strinse nelle spalle facendomi un timido sorriso.
“Ti ho detto di stare tranquilla”
“Lo so, ma con tutto quello che sta succedendo in questi giorni…” sbuffò, lanciandomi un’occhiata esasperata, “Sembra che il destino si sia messo contro di me” esclamò con amarezza. Risi e la attirai tra le mie braccia, strofinando il naso contro il suo.
“Ci sono io qui a proteggerti” le assicurai, baciandole la punta del naso. Lei fece una piccola smorfia e posò la mano sul mio petto, all’altezza del cuore.
“Lo so” abbozzò un sorriso, facendo scorrere le mani sul mio petto, per poi allacciarle dietro al mio collo, puntando i suoi occhi verdi, liquidi e innocenti nei miei.
La solita scarica elettrica mi risalì la schiena, facendomi rabbrividire, mentre qualcos’altro di caldo si scatenava nel mio stomaco e in qualche altra parte del corpo.
Le mie mani le percorsero le braccia, la vita, e si depositarono sui fianchi, intrufolandosi sotto la maglia, tastando la sua pelle morbida, vellutata, e incredibilmente calda.
Lei sorrise, afferrandomi la nuca e avvicinandomi a se, sfiorando le sue labbra con le mie, una scarica di brividi che la fece tremare.
Bastò quello, quel lieve, quasi inesistente contatto, per mandare all’aria tutto il resto del mondo.
Era normale che ogni volta andasse così?
Ogni volta che ci sfioravamo minimamente, spariva tutto quanto, anche se eravamo nella peggiore della situazione, era come se Cher fosse il mio sole che eclissava tutto quanto, come se fossi costretto a vedere solo lei, come se esistesse solo lei.
A volte questo mi faceva paura, ma poi mi rendevo conto che per lei era lo stesso, e allora forse la mi a preoccupazione scemava leggermente.
Come in quel momento, dove fino a due secondi prima era tremendamente preoccupata per la sorella, e un attimo dopo mi stava baciando, stringendosi così tanto a me che quasi formavamo una cosa sola, ogni singola parte dei nostri corpi a contatto.
Quando le mordicchiai il labbro inferiore, le scappò un gemito, ed io mi infiammai completamente, afferrandola per i fianchi e facendola sedere sul bancone della cucina, per avere più libero accesso alle sue labbra. Lei infilò le mani tra i miei capelli e strinse le gambe intorno ai miei fianchi, continuando a baciarmi come se l’unico ossigeno che potesse respirare proveniva dalla mia bocca.
“Ehi, ma questo tè lo stai fabbricando, Cher?” ci interruppe la voce di Niall, che lo precedette di mezzo secondo, perché poi una testa bionda fece capolino in cucina, costringendoci a staccarci di scatto. Mi allontanai dal bancone, sentendomi andare a fuoco, mentre Cher arrossiva violentemente e si tirava giù la maglia che le avevo alzato.
Niall arrossì all’istante e serrò gli occhi.
“Oh, scusate, credo di aver interrotto qualcosa” mormorò, con voce dispiaciuta. Mi scappò mezzo sorriso, mentre cercavo di regolarizzare il respiro, anche se in quel momento avevo una gran voglia di spedirlo a calci fuori dalla cucina.
“Tranquillo, vieni che ti faccio il tè” rispose Cher, saltando giù dal bancone e sistemandosi i capelli, per poi lanciarmi un’ultima occhiata prima di voltarsi verso i fornelli e mettersi al lavoro. Niall, guardandomi di sottecchi, entrò in punta di piedi in cucina e si accomodò su una sedia, lanciandomi uno sguardo di scuse imbarazzato. Scossi la testa e gli sorrisi, mentre anche gli altri due ci raggiungevano borbottando tra loro.
 
 
 
 


Cher
 




Un calore asfissiante che sembrava provenire da ogni angolo intorno a me mi svegliò, facendomi fare una smorfia infastidita. Cercai di cambiare posizione, gli occhi ancora serrati, ma qualcosa di caldo e pesante mi bloccava. Con uno sbruffo, mi sforzai di aprire un occhio e capii perché sentivo caldo e non potevo muovermi. Mi ero addormentata sul divano,la testa poggiata sul petto di Liam, il suo braccio attorno a me che bloccava qualsiasi mio movimento, Niall accucciato sulle mie gambe, tutti e due profondamente addormentati.
Cercai di muovermi e di sgusciare via da quella posizione senza svegliarli, ma era praticamente impossibile, perché il braccio di Liam era stretto attorno a me e il biondino, anche se non sembrava dalla sua corporatura esile, era abbastanza pesante.
Insomma, da qualche parte doveva pur metterlo tutto il cibo che mangiava!
Soffocando un lamento, alzai gli occhi guardandomi attorno, e incrociai quelli azzurri e stanchi di Louis sull’altro divano, che mi guardava con Zayn accanto, anche lui addormentato.
Corrugai le sopracciglia, e gli occhi rossi e le borse che aveva Louis mi fecero capire che sicuramente non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
“Hai bisogno di una mano?” bisbigliò, accennando un sorriso stanco.
Mi fermai e sbuffai.
“No, sto così bene incastrata qui. Sai, mi piace soffocare dal caldo” risposi sarcastica, facendo allargare il suo sorriso.
“Eravate così teneri, mentre dormivate” mormorò, prendendomi in giro. Gli lanciai un’occhiataccia, riuscendo a tirare fuori un braccio da quel groviglio per indicarlo.
“Scommetto che tu invece non hai chiuso occhio per tutta la notte”
Lui strinse le labbra e scosse la testa.
“Non riuscivo a dormire. Ho provato di nuovo a chiamare, ma…” la sua voce si spezzò e tutta la preoccupazione che cercava di arginare si riversò nel suo sguardo.
“Se non tornano entro due ore chiamiamo la polizia”
Ma non feci in tempo a finire la frase, grazie al Cielo, che la porta di casa che si apriva ci fece sobbalzare, mentre la voce squillante di Harry ci raggiungeva le orecchie, facendo tranquillizzare all’istante i nostri nervi tesi.
“Finalmente siamo a casa!” esclamò, seguito dalla risatina di Jenny.
Scattai in piedi, districandomi dall’abbraccio di Liam e facendo rotolare a terra Niall, e corsi verso l’entrata, preceduta da Louis.
“Harry!” urlò lui, stringendolo in un abbraccio. Harry spalancò gli occhi sorpreso, le braccia aperte, prima di ricambiare un po’ titubante il suo abbraccio.
Appena vidi Jenny dietro di lui, sorridente anche se leggermente confusa da quella accoglienza, ma soprattutto sana e salva, mandai al diavolo il mio orgoglio e corsi verso di lei, stritolandola in un abbraccio. Lei si irrigidì e sentii le esclamazioni soffocate degli altri ragazzi che ci avevano appena raggiunti, ma me ne fregai, le lacrime che spingevano per uscire dagli occhi, la preoccupazione che si dissolveva, togliendomi un peso dal petto che non mi ero neanche resa conto di avere.
Jenny, titubante, mi strinse leggermente, ma dopo qualche secondo ricambiò la mia vigorosa stretta, affondando il viso nel mio collo e sciogliendosi.
“Non ti azzardare a farmi più una cosa del genere” le sussurrai al’orecchio, baciandole i capelli e stringendola un’ultima volta prima di lasciarla andare, senza però sciogliere le nostre mani, che rimasero intrecciate.
Nel frattempo anche Louis si era staccato da Harry, non prima di mollargli una pacca sulla nuca e lanciargli un’occhiataccia.
“Sei un cretino, mi hai fatto perdere dieci anni di vita dalla preoccupazione” lo accusò, incrociando le braccia al petto e mettendo il muso.
“Davvero, ragazzi, ma che razza di fine avevate fatto? Stavamo per chiamare la polizia” intervenne Liam, con la voce rilassata e un sorriso finalmente sollevato.
“E’ colpa sua” rispose al volo Jenny, indicando Harry con la mano libera. Lui boccheggiò, prima di guardarla di sottecchi, facendola ridacchiare.
“Tu” sibilai, assottigliando lo sguardo e puntandolo su Harry, che indietreggiò istintivamente di un passo, alzando le mani davanti a se. Jenny mi strinse la mano, forse per calmarmi, ma in qualche modo dovevo pur scaricare la mia tensione, no?
Feci un passo avanti, puntandogli il dito contro.
“Non provare più a sparire così con Jenny, o io…” mi bloccai, indecisa su quale minaccia potesse essere più spaventosa. Piegai un po’ la testa di lato quando realizzai che probabilmente non ce n’era una abbastanza terrificante, e alzai un dito, arricciando le labbra e facendo segno di aspettare.
A quel punto, Niall scoppiò a ridere, trascinando con la sua risata contagiosa anche il resto dei presenti e anche Harry si rilassò, nonostante lo stessi ancora fulminando con lo sguardo.
“Okay, mentre tu pensi a cosa dirgli per farlo pisciare sotto dal terrore, io direi di fare colazione perché qualcuno…” Niall si bloccò nel bel mezzo della frase per lanciarmi un’occhiata inequivocabile, “…mi ha svegliato non nel migliore dei modi, quindi ho bisogno di riprendermi” affermò, alzando il mento con aria di sfida. Lo guardai di sottecchi, mentre Jenny prendeva la parola, sorridendo entusiasta e lasciando la mia mano.
Un brivido freddo mi percorse, ma cercai di scacciarlo via, rassicurata dal fatto che lei fosse lì e che avevamo tutto il tempo di chiarire i nostri vecchi litigi.
“Ci penso io biondino a tappare il tuo stomaco. Chi vuole i pancakes?” chiese con un gran sorriso. Niall si illuminò e la abbracciò di slancio, mentre anche gli altri sembrarono improvvisamente risvegliarsi, probabilmente ricordandosi delle doti culinarie di mia sorella.
Harry la prese per mano e si avviarono verso la cucina.
“Si, così nel frattempo ci spiegate che fine avevate fatto” borbottò Louis, ancora imbronciato ma visibilmente sollevato del fatto di avere lì il suo amico, sano, salvo e troppo sorridente.
Jenny gli lanciò un’occhiata complice ed arrossì, mentre Harry gli faceva l’occhiolino tutto felice.
Quei due avevano combinato qualcosa, non c’era dubbio.
Liam mi si avvicinò e seguì il mio sguardo indagatore, prima di lanciarmi un’occhiata interrogativa. Mi abbracciò da dietro, posandomi le mani sulla pancia, e poggiò il mento sulla mia spalla, mentre io seguivo il gruppo con lo sguardo.
“Che c’è?” bisbigliò, posandomi un delicato bacio sul collo, che mi distrasse all’istante. Ruotai il viso quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi e gli sorrisi, stringendomi nelle spalle.
“Niente, pensavo solo che quei due ci nascondono qualcosa. Qualcosa che farò in modo di scoprire molto presto” affermai, stringendo le labbra. Lui scoppiò a ridere e mi fece voltare tra le sue braccia. Gli circondai il collo con le braccia, mentre lui ancora ridacchiava.
“Che ne dici di andare a fare prima colazione, Sherlock?” chiese, piegando la testa di lato e facendomi l’occhiolino.
“Forse hanno un po’ bisogno di riprendersi. Non so tu, ma io ho notato che erano un pochino stravolti, e stanchi” continuò con un sorrisetto. Corrugai le sopracciglia e poi mi strinsi nelle spalle.
“Okay, ma tanto prima o poi mi verrà qualcosa in mente per minacciare Harry, e allora gli chiederò cosa ha combinato, perché i sorrisi che si lanciavano erano abbastanza equivocabili” mormorai.
Lui scoppiò a ridere di nuovo e si chinò velocemente su di me per stamparmi un bacio sulle labbra, talmente fulmineo che non ne sentii nemmeno il sapore, nonostante lo conoscessi bene.
“Non fare la gelosa, sono grandi e sanno quello che fanno” mi ammonì con un sorriso. Sbruffai e decisi di smetterla di comportarmi da bambina, afferrandolo di nuovo e tirandolo verso di me.
“Okay, farò come vuoi, però adesso voglio un bacio come dico io” mormorai, socchiudendo gli occhi. Lui replicò con un sorrisetto malizioso e mi passò le braccia attorno ai fianchi, tirandomi velocemente a se e facendomi scontrare contro il suo petto, mozzandomi il respiro.
“E come lo vuoi?” mi chiese, soffiando sulle mie labbra che si schiusero all’istante. Sorrisi, alzandomi sulle punte dei piedi per far sfiorare le punte dei nostri nasi.
“Ora ti faccio vedere”.
 
 
 

Dopo la giornata stressante di ieri, la nottata praticamente in bianco e il cambio repentino di umore dovuto alla ricomparsa di quei due che mi aveva leggermente destabilizzato, ci voleva proprio una bella camminata uscita dal lavoro.
Mi piaceva passeggiare per le strade di Londra e sgranchirmi le gambe, anche se tutte le persone normali, dopo una giornata sfiancante di lavoro, avrebbero preferito di gran lunga sedersi e riposarsi.
Ma io in qualche modo a casa dovevo arrivarci, i ragazzi erano impegnati in una riunione con i manager, quel pomeriggio, in cui avrebbero dovuto discutere del prossimo tour, e l’autobus aveva deciso di non passare, quindi l’unica soluzione era camminare.
Non mi dispiaceva affatto, anche se a causa dell’uscita di quel maledetto articolo, ero costretta a cercare di passare inosservata, tattica che non funzionava quasi mai, perché qualcuno mi riconosceva sempre, e quindi mi dovevo fermare a rispondere a domande e accuse che diventavano sempre più snervanti.
Dovevo ammettere che non erano tutti così terribili: c’erano anche ragazze che mi ringraziavano per aver ‘salvato Liam dagli artigli di quella strega’, loro testuali parole, ed io mi sentivo soddisfatta.
Però gli insulti e le accuse erano quelli più ricorrenti, e il mio orgoglio e la mia autostima ne risentiva sempre di più, anche se cercavo di ignorarli e di pensare al bene mio e di Liam, che mi aveva pregato di non ascoltare quello che mi diceva la gente, perché non sapeva niente di noi, di quello che avevamo passato, degli ostacoli che avevamo superato, dell’amore che provavamo l’uno per l’altra.
Quindi camminavo a testa alta, senza intenzione di farmi abbattere da nessuno.
Appena svoltato il primo angolo dopo il negozio, una macchina imponente, nera, mi affiancò, e il conducente abbassò il finestrino.
“Ciao, Cher” mi salutò una voce allegra, fastidiosamente familiare. Mi voltai e riconobbi all’istante il sorriso dolce del padre di Liam, che mi faceva segno di avvicinarmi alla macchina.
Lo accontentai e mi affacciai al finestrino, imponendomi di sorridere.
“Salve, signor Payne” salutai, leggermente in imbarazzo.
Lui mi sorrise e mi fece un gesto veloce con la mano.
“Puoi chiamarmi Geoffrey” affermò, per poi indicarmi il sedile accanto a lui, “Stai andando a casa? Ti do un passaggio” si offrì.
Avrei voluto camminare, ma mi sembrava terribilmente irrispettoso rifiutare, considerando anche il comportamento che avevo avuto quando l’avevo conosciuto e, anche se nel profondo del cuore un po’ lo odiavo per come si era comportato con Liam e per quello che ci stava facendo, era sempre il padre del mio ragazzo, ed io dovevo portargli rispetto e cercare di farmi accettare.
Con un sorrisetto che speravo sembrasse almeno il minimo amichevole, aprii lo sportello e salii, allacciandomi la cintura e sentendo il sangue colorarmi le guance, torturandomi le mani dalla tensione.
Dovevo rilassarmi con una camminata, per far scivolare via tutta la preoccupazione che avevo accumulato in quei giorni; invece mi ritrovavo in macchina con una delle cause che mi aveva tolto il sonno per due notti intere, con l’intenzione di mostrarmi almeno un po’ disposta a parlare civilmente, anche se avrei preferito urlargli addosso tutto il mio risentimento.
“Allora, Cherry, come va con mio figlio?” chiese Geoffrey, interrompendo i miei pensieri e facendomi fare una smorfia al sentire il mio nome sbagliato così malamente.
“Mi chiamo Cher, signore” mormorai, drizzandomi sul sedile e cercando di assumere un’aria tranquilla e sicura.
Lui mi lanciò un’occhiata dispiaciuta e un sorriso di scuse.
“Oh, scusa” mormorò. Scrollai le spalle e sorrisi, per poi rispondere alla sua domanda.
“Comunque va tutto bene, grazie. Liam è un ragazzo straordinario” affermai, il cuore pieno d’orgoglio. Vidi le labbra di Geoffrey curvarsi in un sorriso e mi rilassai un pochino.
“Ah, e…volevo scusarmi per l’altra sera” cominciai, abbozzando un sorriso imbarazzata, mentre sentivo il sangue ribollirmi le guance. Lui si fermò al semaforo e mi lanciò un’occhiata interrogativa.
Mi strinsi nelle spalle.
“Ecco, non sono stata molto accogliente con…te – faticavo a dargli del tu- e con mia madre. Ma dopo tutto quello che ho passato con lei, ritrovarmela davanti tutto d’un tratto, con te, è stato un po’ uno shock” provai a spiegarmi, gesticolando imbarazzata e sentendomi in dovere di dargli una spiegazione per il mio comportamento poco educato, perché non volevo passare per la ragazza che non ero.
Lui si schiarì la gola e ripartì appena scattò il verde, dandomi la possibilità di riprendermi da quello sguardo così profondo e serio.
“Era qui che volevo arrivare” mormorò, lasciandomi intendere che forse non l’avevo incontrato proprio per caso. Guardai il suo profilo un po’ preoccupata e lui sospirò.
“Mi è sembrato di capire che non è molto facile per te accettare il fatto che io e tua madre stiamo insieme…” cominciò.
“Per chi sarebbe facile, signore?” replicai all’istante, con una nota di sarcasmo nella voce.
Lui mi lanciò un’occhiata fugace e riprese fiato.
“Lo so, ma tu devi pensare anche al bene di Liam” riprese, guadagnandosi tutta la mia attenzione, “Voglio dire, pensi che gli faccia bene che tu fai tutti questi problemi? Se lo ami così tanto come i tuoi amici hanno lasciato intendere, dovresti sapere cosa si prova: io ho intenzione di sposare tua madre e, anche se tu ti opponi con tutte le tue forze, costringendo Liam a scegliere da che parte stare, io la sposerò comunque” continuò, lasciando prendere al discorso una piega che non mi sarei mai aspettata.
Boccheggiai per qualche secondo, poi corrugai le sopracciglia, irritata dalla sua insinuazione.
“Cosa vorrebbe dire con questo? Io non ho intenzione di mettere Liam davanti a nessuna scelta. Lui sta con me, il fatto che lei vuole sposarsi con mia madre, non cambierà le cose” affermai, ritornando al lei.
A Geoffrey scappò un mezzo sorriso ed io mi sentii invadere dalla rabbia.
“Non pensi, Cherry,…”
“Cher” lo corressi.
“Si, Cher, non pensi che il fatto che i vostri genitori si sposino vi costringa quasi a mettere in dubbio la vostra storia?” e disse quella parola come se fosse una barzelletta, facendomi saltare letteralmente i nervi.
“Ma che cosa sta dicendo?” esplosi, le mani che cominciarono a tremare. Geoffrey mi guardò, perdendo di vista la strada e rischiando anche di mandarci a schiantare.
“Siamo onesti, Cherry, siete giovani, due ragazzi freschi, liberi, con tutta la vita davanti. Quanto vuoi che duri questa cosa che c’è tra di voi? Presto vi stancherete e vi lascerete, prendendo ognuno la vostra strada. Ho avuto anch’io la vostra età, so come vanno a finire queste cose. Perché opporsi ad una cosa sicura come il matrimonio per una storiella d’adolescenti” disse, con una voce così tranquilla che mi fece capire che credeva davvero in quello che stava dicendo, facendo si che la mia bocca si spalancasse sempre di più dall’incredulità.
In quel momento rischiai seriamente di aprire lo sportello della macchina ed uscire, anche se il veicolo era in corsa, perché avevo una immensa voglia di prendergli la testa e sbattergliela sul volante, ma non potevo farlo, perché io non ero una persona violenta e lui era sempre il padre del mio ragazzo.
Anche se, dannazione, sembrava se la stesse cercando!
Presi un bel respiro per calmarmi, perché mettermi ad urlare quanto quello che stava dicendo non stava né in Cielo né in terra non mi sembrava molto appropriato.
“Ecco, vede? Lei e mia madre siete perfetti insieme, ragionate con lo stesso cervello” sputai con rabbia, mettendo tutto il veleno che potessi, “Come può permettersi di venirmi a dire una cosa del genere, quando non sa neanche cosa c’è fra me e Liam, non sa da quanto tempo stiamo insieme e non immagina neanche quello che proviamo l’uno per l’altra. La verità è che io so cose di Liam che lei non può nemmeno immaginare; non si è fatto sentire per mesi e adesso spunta all’improvviso perché vuole fargli conoscere la donna che prenderà il posto di sua madre! Questo fa male a Liam, lei non crede?” quasi urlai, mentre lui finalmente posteggiava la macchina davanti al vialetto di casa. Le luci che provenivano dalla finestra mi tranquillizzarono un pochino, facendomi pensare che mi bastava fare dieci passi per ritrovarmi di nuovo nel mio mondo felice.
 “Cherry, per favore…”
“Mi chiamo Cher, dannazione!” urlai di nuovo, prima di aprire la portiera della macchina e saltare giù, con la vaga consapevolezza di non essermi affatto comportata nel migliore dei modi e affrettandomi a rientrare in casa, mentre i passi di Geoffrey mi seguivano.
Entrai in casa e mi catapultai sulle scale, attirando gli sguardi stupiti delle persone che incontrai, ma correvo così veloce ed ero così arrabbiata che non riuscii a riconoscere neanche chi fossero.
Sbattei la porta della camera e mi lasciai scivolare contro il muro, la lacrime che mi appannavano gli occhi, la testa che scoppiava e la voglia di fuggire lontano da tutta quella merda.
Non ci volle molto prima che Liam mi raggiungesse, trovandomi nel bel mezzo di un singhiozzo e accucciandosi immediatamente di fronte a me, le mani sulle mie ginocchia che tenevo strette al petto, l’espressione terribilmente preoccupata.
“Cher, piccola, che succede?” chiese con voce allarmata. Scossi la testa, le lacrime che ormai scendevano copiose sulle mie guance, ed io mi arresi, perché tanto non sarei riuscita a fermarle.
La verità era che mi mostravo tanto forte, che mi battevo con sicurezza contro qualsiasi cosa, ma dentro di me avevo la forza di un pulcino bagnato, e rischiavo seriamente di lasciarmi sopraffare da tutte quelle sensazioni negative che mi chiudevano lo stomaco e mi appannavano la mente.
“Cher, tesoro, perché stai piangendo? E perché c’è mio padre di sotto?” chiese ancora, sfiorandomi il viso con le mani, carezzandomi i capelli, la tempia, le labbra. Ma in quel momento volevo solo rimanere da sola e pensare, cercare di trovare una soluzione a tutto quel casino.
Scossi di nuovo la testa e mi scansai dalle mani calde e delicate di Liam, facendolo accigliare.
“Va tutto bene” riuscii a sillabare, la gola secca, gli occhi gonfi. Lui mi guardò male e strinse le labbra.
“Come puoi dire che va tutto bene quando stai piangendo? Cher, per favore, dimmi cosa sta succedendo” mi ordinò, la voce tesa. Scossi la testa e chiusi gli occhi, esausta.
“Niente, ho detto che va tutto bene, ho solo bisogno di restare un po’ da sola, per favore” lo pregai, ancora ad occhi chiusi.
“No, non ti lascio da sola in queste condizioni” si impuntò lui e quasi potei immaginare la sua espressione decisa e imbronciata. Sentii affiorare un sorriso, ma ero troppo stanca anche solo per piegare le labbra.
“Liam, per favore, così non ottieni niente, lo sai. Mi innervosisco e basta. Ho bisogno di pensare, da sola, per favore” sospirai, pregando mentalmente che per una volta mi ascoltasse. Lo sentii sfiorarmi i capelli con una mano ed io mi ritrassi, aprendo gli occhi per incrociare i suoi improvvisamente spaventati.
“Poi me lo dici?” mormorò, spalancando gli occhi. Annuii flebilmente.
“Certo, ora và da tuo padre, che ti sta aspettando, ti raggiungo più tardi” mormorai. Lui finalmente si alzò, lanciandomi un’ultima occhiata sofferente.
“Okay” sussurrò. Richiusi gli occhi e sentii i suoi passi leggeri allontanarsi, poi il tonfo della porta che si chiudeva, e i suoi passi che scendevano le scale.
Ispirai bruscamente e riaprii gli occhi, asciugandomi le lacrime con i polsi.
Sapevo che stavo sbagliando, che ero solo spinta dall’esasperazione, ma lo feci lo stesso.
Presi il cellulare e composi il numero del mio vecchio migliore amico.
Rispose al secondo squillo.
“Ciao, Mike”
“Tesoro, cosa succede?
“Ho bisogno di te”.













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Capitolo 30
*** Capitolo trenta. ***


 Capitolo 30
 
 


Jenny
 
 


Sbadigliai, stiracchiandomi e chiudendo gli occhi, mentre Liam e i ragazzi salutavano un’ultima volta Geoffrey, che mi sorrise dalla porta. Ricambiai il sorriso,chiedendomi per l’ennesima volta cosa ci facesse a casa nostra, e perché Cher se n’era andata in camera senza più uscirne.
Sospettavo che lui potesse averle detto qualcosa. Qualcosa dello stesso genere di ciò che aveva detto mia madre a me, il giorno in cui avevamo scoperto tutto.
In quel caso, me la sarei presa anche con Geoffrey; mia sorella era già paranoica di suo, ci mancava anche che qualcun altro le mettesse qualche strana idea in testa.
“Stanca?” interruppe i miei pensieri una voce roca, provocante e divertita. Aprii gli occhi e trovai Harry in piedi davanti a me, che me ne stavo appollaiata sul divano, che mi scrutava dall’alto con quella sua solita aria da pivello.
Gli sorrisi e mi strinsi nelle spalle, sbadigliando di nuovo.
“Un po’” mormorai, provocando un suo ampio sorriso che fece perdere un battito al mio cuore che ormai si era dimenticato anche come si andava ad un ritmo regolare, dopo la notte scorsa.
A quel pensiero, avvampai, e Harry corrugò le sopracciglia, confuso da quel cambio repentino di espressione.
“Siamo tutti stanchi, di questa situazione” mormorò Louis, lanciando un’occhiata di sottecchi a Liam, che sembrava totalmente su un altro mondo, mentre Zayn gli diceva qualcosa sottovoce, probabilmente per tranquillizzarlo.
Il fatto era che non sapevo da cosa: la visita di Geoffrey era stata molto pacifica e non aveva portato alcuno scompiglio, se non si considerava il fatto dell’espressione sconvolta di mia sorella e della sua assenza durante tutta la serata.
Liam sospirò e annuì flebilmente, prima di lanciarci uno sguardo di scuse e schizzare su per le scale, probabilmente diretto a fare l’interrogatorio a Cher perché, conoscendolo, non l’avrebbe lasciata in pace finché non gli avesse detto il motivo della sua strana reazione alla visita di Geoffrey.
Immaginavo il motivo, ma quasi speravo che non fosse così, perché avrei ucciso prima mia madre e poi Geoffrey, se il loro cavolo di amore avrebbe messo in dubbio quello tra Cher e Liam che, fino a prova contraria, era quello più forte che avessi mai visto, anche più forte di quello che c’era tra me e Harry, dovevo ammetterlo.
Tra loro era così facile, semplice, amarsi.
Come respirare, e smettere di farlo li avrebbe portati alla distruzione.
Zayn sbruffò e si lasciò cadere sul divano accanto a me, mentre gli altri lo guardavano preoccupati.
“Cosa succede?” chiese Louis. Zayn ci guardò uno ad uno, poi sbruffò di nuovo.
“Pare che Geoffrey voglia sul serio sposare Annabel. Deve ancora chiederglielo, ma è venuto ad informare ufficialmente Liam” spiegò con voce monocorde.
“E perché Cher si è chiusa in camera sua?” chiesi io, impaziente di capire il motivo dell’assenza di mia sorella, insomma, la cosa riguardava anche lei, forse in prima persona.
Zayn mi guardò e si strinse nelle spalle.
“Questo non lo so, Liam è andato a parlare con lei. Probabilmente le dirà anche delle intenzioni del padre, quindi non penso che sarà una bella serata per loro” sospirò tristemente. Mi rabbuiai, mentre un silenzio pressante calava tra di noi.
Perché quei due non potevano avere un attimo di pace?
Da quando stavano insieme, era come se il destino avesse deciso di mettere fine in ogni modo alla loro storia, e il fatto che loro riuscissero sempre a rialzarsi insieme dopo ogni caduta non lo scoraggiava affatto; ne aveva sempre una nuova per farli impazzire.
Sbadigliai, sentendo le palpebre pesanti e Harry ridacchiò sottovoce, allungando una mano verso di me.
“Andiamo, piccola, hai bisogno di riposarti” mormorò. Guardai la sua mano, poi i ragazzi, che sembravano tutti persi nei loro pensieri, e l’afferrai, lasciandomi tirare su. Lui mi sorrise e mi circondò i fianchi con un braccio, baciandomi dolcemente la tempia.
“Vi dispiace se noi ce ne andiamo a dormire? Tanto non c’è niente qui che possiamo fare” chiese Harry hai ragazzi, attirando i loro sguardi. Zayn si strinse nelle spalle, indifferente, mentre a Louis cominciò a spuntare un vago sorrisetto sulle labbra, che mi fece all’istante pensare che Harry non aveva tenuto affatto la bocca chiusa su quello che era successo.
Non che mi vergognassi di qualcosa, affatto; era stato così meraviglioso, così perfetto, dolce e tenero, che cominciavo a rimpiangere tutte le volte in cui mi ero tirata indietro, perdendomi un’emozione indescrivibile e assolutamente impareggiabile.
Però era imbarazzante sapere che Louis o qualsiasi altro ragazzo sapesse, insomma, era una cosa privata, no?
O forse mi stavo facendo troppi problemi perché, d’altra parte, anche io l’avevo subito raccontato a Cat, il giorno dopo, durante l’ora di letteratura, riuscendo a distoglierla dal suo amato Shakespeare e rischiando di farla strozzare con la sua stessa saliva.
Sicuramente non si aspettava una confessione del genere da parte mia, ma in quel momento avevo il disperato bisogno di dirlo a qualcuno, come se facendolo mi facesse rendere conto che fosse successo davvero e che non fosse stato solo l’illusione di un sogno.
Cat era rimasta sbalordita, poi però era partita con il momento delle confessioni e mi aveva detto, scusandosi per non averlo fatto prima, che le cose tra lei e Niall sembravano andare bene, anche se non c’era niente di ufficiale perché il biondino era completamente paranoico, ma quello io lo sapevo bene.
“Si, dormire…” mormorò sottovoce Louis, lanciandomi un’occhiata di sottecchi, facendomi avvampare. Sentii Harry irrigidirsi  e alzai gli occhi appena in tempo per vederlo fulminare Louis con uno sguardo, mentre Niall sospirò.
“Credo che anch’io me ne andrò a dormire. Tanto è una cosa che devono risolvere da soli, noi saremmo solo d’impiccio” affermò, per poi alzarsi, salutarci tutti e salire le scale in tre passi, saltando anche quattro scalini alla volta senza cadere pietosamente a terra come sicuramente avrei fatto io se solo avessi pensato di provare a salire due scalini insieme.
“Già, speriamo che riescano a risolverla, però” sospirò Zayn, prima di passarsi una mano tra i capelli. Una morsa mi strinse lo stomaco a notare la sua preoccupazione, che rispecchiava la mia, e mentalmente pregai che davvero tutto tornasse alla normalità, perché sentivo quanto quella situazione stesse stressando i ragazzi, anche se loro non era propriamente coinvolti.
“Che dici, amico, ci facciamo una partita alla play per sdrammatizzare?” chiese Louis, con un gran sorriso, dando di gomito a Zayn. Lui lo guardò alzando un sopracciglio e Harry ridacchiò, strappandomi un sorriso divertito.
“Ma tu non ce l’hai una ragazza a cui accollarti?” replicò Zayn con uno sbruffò, afferrando comunque il joystick accanto a lui. Louis si illuminò e afferrò il suo, accendendo la sua amata play.
“Si, certo, ed è bellissima. Però è negata con i videogiochi” replicò, tutto concentrato.
“Sai che con la tua ragazza puoi fare altre cose oltre che giocare alla play?” lo rimbeccò Harry, tirandomi accanto a lui. Ridacchiai e Louis alzò lo sguardo verso di noi, con uno sguardo malefico.
“Oh, sono sicuro che tu lo sappia bene, Hazza” mormorò, mordendosi il labbro inferiore. Mi irrigidii, diventando paonazza, mentre Louis e Zayn scoppiavano a ridere davanti alla mia espressione e Harry cercava di nascondere il sorriso con uno sbuffo fintamente esasperato.
“Okay, credo che sia meglio che ce ne andiamo” mormorò, lanciandomi un’occhiata di sottecchi.
Lo guardai male, evitando accuratamente gli sguardi divertiti e leggermente pervertiti dei ragazzi.
“Si, è meglio” sibilai, sciogliendo la sua presa e avviandomi verso le scale sbattendo i piedi.
Stavo fumando di rabbia e avrei voluto sotterrarmi dall’imbarazzo: non solo Harry aveva chiaramente raccontato a tutti quello che era successo, ma loro si prendevano anche il permesso di prendermi in giro a tutto spiano.
Li odiavo.
“Se me l’avete fatta incazzare giuro che vi uccido” sentii mormorare Harry ai ragazzi, prima di affrettarsi a raggiungermi. Mi prese la mano e provò a bloccarmi, ma io sciolsi la presa e continuai a camminare sbattendo i piedi fino alla ‘nostra stanza’, che poi era quella di Harry, ma ormai ci dormivamo insieme perchè lui aveva il letto a due piazze.
“Dai, non dirmi che ti sei arrabbiata” mormorò, mentre cercavo di chiudergli la porta in faccia. Lui ci infilò il piede in mezzo e si sforzò di non scoppiarmi a ridere in faccia davanti alla mia espressione furiosa.
Si, perché quando mi arrabbiavo avevo la faccia buffa, così diceva lui per giustificarsi ogni volta che rideva invece di preoccuparsi di farmi calmare.
“Si, invece” sibilai, e lui non resistette più: scoppiò a ridere, facendomi indignare ancora di più.
“No, dai, aspetta” mi implorò tra le risate, mentre spingevo per chiudere la porta, fregandomene che ci fosse il suo piede infilato in mezzo.
“Vaffanculo” sibilai, grugnendo. Lui si bloccò e mi lanciò un’occhiata fintamente sbalordita.
“Signorina Foster, cos’è questa volgarità?” mi chiese, mettendosi una mano sul cuore e sbarrando gli occhi.
Non ci riuscii, era più forte di me: sorrisi.
“Dai, fammi entrare” mi disse, incoraggiato dal mio sorriso. Corrugai le sopracciglia, guardandolo male e stringendo le labbra feci di no con la testa.
Lui alzò gli occhi al cielo.
“Non è colpa mia se Louis è un cretino, dai, piccola, fammi entrare” implorò ancora, sbattendo teatralmente le palpebre e facendomi un piccolo e tenero sorriso.
“E’ colpa tua perché glielo hai detto, e poi è tuo amico, prenditi le tue responsabilità” replicai, alzando il mento. Lui si morse il labbro per non ridere e mi lanciò un’occhiataccia.
“Che significa, che mi lascerai fuori per tutta la notte?”
“Puoi sempre andare a dormire con il tuo amico e fare cose pervertite con lui” gli dissi, facendo spallucce, indifferente.
Lui assottigliò lo sguardo e mi osservò per qualche secondo, in silenzio. Attesi, le mani ben salde sulla porta, pronte a chiuderla non appena lui avesse ritirato il piede.
Peccato che non lo fece e, invece che ritirarlo, afferrò con entrambe le mani la porta, spingendo per aprirla e riuscendo ad insinuare anche il ginocchio. Strabuzzai gli occhi, scivolando all’indietro sorpresa da tanta forza.
“No, no!” urlai, lasciandomi scappare una risata, mentre riprendevo a spingere nel verso opposto al suo.
Lui grugnì qualcosa e respirò profondamente.
Peccato che tra me e lui non c’era storia: la sua forza superava di gran lunga la mia, o semplicemente  la sua forza di volontà era maggiore, perché in fondo non volevo tenerlo lontano da me così a lungo e non mi sarebbe dispiaciuto se fosse riuscito ad aprire la porta.
Così, quando quasi scaraventandomi a terra riuscì ad aprire del tutto la porta e a fare un passo avanti, lanciai un urletto e riprendendo l’equilibrio cercai di aggirarlo per scappare, ma lui con una mossa fulminea chiuse la porta, girando la chiave  e posizionandocisi davanti, a braccia conserte.
“E ora come scappi?” chiese, con voce bassa e roca. Sorrisi, il cuore che correva veloce, e girai intorno al letto, mantenendomi a distanza di sicurezza.
“Devi sapere, piccola Jenny, che l’unica persona con cui voglio fare cose pervertite, sei tu” sussurrò, mordendosi il labbro inferiore con fare provocante.
Sentii il cuore perdere un battito, mentre le gambe si facevano di gelatina, rischiando di farmi sciogliere a terra.
“Mh, interessante” gracchiai, la gola improvvisamente secca. Le sue labbra si curvarono in un sorriso dolce che mi tranquillizzò leggermente e lui avanzò verso di me. Alzai un dito.
“Non avvicinarti, sono ancora arrabbiata con te” mentii, balbettando, mentre lui si bloccava nel bel mezzo di un passo, lanciandomi un’occhiata sorpresa.
“Perché?”
“Perché dovevi almeno dire ai tuoi amici di non fare battute idiote. Mi sono sentita in imbarazzo e non voglio neanche immaginare cosa tu possa avergli raccontato” mormorai, avvampando e incrociando le mani, che avevano cominciato a tremare. Lui corrugò le sopracciglia e piegò un poco la testa di lato.
“Cosa pensi che possa avergli detto?” replicò, la voce vagamente offesa. Mi strinsi nelle spalle, mentre lui fece qualche altro passo verso di me, senza distogliere nemmeno un secondo i suoi occhi verdi e lucenti dai miei.
“Non lo so” soffiai senza fiato, perché lui ormai aveva aggirato il letto ed era a meno di dieci centimetri da me.
Gli sarebbe bastato allungare un po’ il braccio per toccarmi, o sporgere appena la testa per baciarmi.
Ma non fece niente di tutto questo, si limitò a fissarmi in silenzio, l’aria che c’era tra di noi che sembrava carica di elettricità.
“Ho detto loro solo quanto quello che è successo sia stato meraviglioso, magico, come mai prima. Per la prima volta, Jenny, mi sono sentito davvero completo, e non lo dico perché mi è piaciuto a livello fisico, ma perché tu mi coinvolgi in tutti i sensi e condividere qualcosa con te in quel modo…è stata l’esperienza più bella della mia vita” mormorò tutto d’un fiato, gli occhi che sembravano brillare, lucidi, emozionati, vogliosi.
Sentii il respiro bloccarsi in gola, mentre il cuore si gonfiava a dismisura e nello stomaco c’era un’intera mandria di rinoceronti che ballava la conga.
Harry sorrise davanti alla mia espressione, passandomi teneramente un dito lungo il profilo della mia guancia, lasciando una scia di fuoco sulla mia pelle.
“Solo questo” sussurrò, stringendosi nelle spalle, afferrandomi il mento tra pollice e indice e avvicinandosi ancora di più. “Il fatto che loro siano degli imbecilli patentati che non sanno tenere la bocca chiusa non è colpa mia. Ignorali” mi suggerì, socchiudendo gli occhi e facendo un altro passo, così che tra i nostri corpi non ci fosse neanche più un minimo strato di aria.
Strofinò il naso contro il mio e sorrise.
“Anche per me è stato meraviglioso” me ne uscii, senza collegare il filtro bocca-cervello e avvampando di conseguenza. Il suo sorriso si allargò, mostrando le sue adorabili fossette, e chiuse gli occhi prima di alzarmi il viso verso il suo e baciarmi delicatamente le labbra, un semplice, breve e bruciante contatto.
Poi si staccò, lasciandomi andare e allontanandosi di qualche passo, con un lieve sorrisetto provocante sulle labbra.
Si sfilò la maglietta, lasciandomi lì, tremante e poco stabile sulle gambe, per poi sedersi sul letto.
Lo guardai e lui mi lanciò un’occhiata fintamente innocente.
“Che cosa stai facendo?” gli chiesi in un flebile sussurro.
“Mi metto a dormire, non eri stanca?” mi stuzzicò, lanciandomi uno sguardo da sotto le lunghe ciglia.
Stronzo.
Lo guardai male e drizzai le spalle, mentre lui si mordeva il labbro per non ridere.
“Infatti. Mi faccio una doccia” annunciai, fingendomi indifferente alla sua provocazione: prima mi aveva fatta infiammare, poi mi aveva lasciato con l’amaro in bocca, probabilmente aspettandosi che facessi io la prima mossa.
Beh, poteva aspettare quanto voleva; non ero ancora abbastanza intraprendente  per prendere l’iniziativa.
Gli lanciai un’occhiata veloce, appena in tempo per vederlo corrugare le sopracciglia, prima di schizzare verso il bagno e chiudermi la porta alle spalle, per poi prendere un bel respiro e calmarmi.
Velocemente, perché non vedevo l’ora di tornare da lui, anche se aveva un modo di fare davvero irritante, mi spogliai e aprii il getto dell’acqua, aspettando che si riscaldasse abbastanza prima di entrare nella cabina della doccia.
Chiusi gli occhi sotto l’acqua calda che mi bagnava completamente, rilassandomi e sospirando pesantemente.
Mi ero appena voltata per prendere lo shampoo, quando mi scontrai contro qualcuno alle mie spalle.
Cacciai un urlo, quando realizzai che Harry era proprio dietro di me, nella doccia, totalmente rilassato, mentre eravamo tutti e due completamente nudi. Lui mi tappò la bocca con la mano per attutire il mio urlo che avrebbe potuto far preoccupare i ragazzi. Chiusi gli occhi, sentendo il cuore che lentamente riscendeva al suo posto, dopo essere schizzato su per la gola.
Lui aspettò che mi calmassi, con un sorrisetto impertinente, prima di togliere la mano dalla mia bocca e percorrendomi interamente con lo sguardo.
Avvampai, cercando di coprirmi in qualche modo, e cercando assolutamente di guardare solo il suo viso, anche se la tentazione di osservare anche il resto del corpo fosse terribilmente alta.
“Harry! Che diavolo stai facendo?” squittii, arrossendo ancora di più sotto il suo sguardo di apprezzamento.
Il suo sorriso si allargò, mentre con un passo verso di me mi costringeva ad appiattirmi contro l’angolo della doccia.
“Abbiamo una doccia da recuperare, ricordi?” mormorò con voce roca, facendo risvegliare ogni mia singola terminazione nervosa al di sotto dello stomaco.
Mi schiarii la gola, sentendo il sangue salirmi al cervello.
“Si, ricordo, ma non mi pare il caso” balbettai, cercando di diventare un tutt’uno con il muro del bagno, mentre lui ormai arrivava ad un passo dal mio naso, facendo sfiorare i nostri corpi.
“Perché? Siamo qui, tutti e due, sfruttiamo il momento” mormorò con tono convincente.
Deglutii rumorosamente, mentre i suoi fianchi sfioravano i miei e scosse di calore si irradiavano dal mio basso ventre fino allo stomaco, facendolo torcere ripetutamente.
Chiusi gli occhi e mi imposi di respirare, anche se in quel momento avrei voluto concentrare la mia attenzione su altro, invece che preoccuparmi di far entrare e uscire l’aria dai polmoni.
“Beh, ma non è il caso. I-insomma, io…” balbettai, cominciando a tremare dalla tensione, l’imbarazzo, o il desiderio, non lo sapevo.
Ero una concentrazione di emozioni e sentimenti e non riuscivo distinguerne neanche mezzo di quelli che provavo.
Lui spalancò un poco gli occhi davanti alla mia agitazione, alzando le mani davanti a se e facendo mezzo passo indietro.
“Ehi” mormorò dolcemente con un sorriso, “Voglio solo fare una doccia con te, come quella che abbiamo iniziato l’altra volta, non deve per forza finire in quel modo” concluse con voce rassicurante. Mi sorrise ancora e mi sfiorò il viso con una carezza.
“Respira, Jenny” mi ordinò con un sorrisetto divertito. Inspirai a fondo e poi buttai fuori tutta l’aria, cercando di calmarmi e di non pensare che, anche se Harry era così tranquillo e rassicurante, effettivamente se ne stava tutto nudo davanti a me.
“Okay” mormorai, riprendendo il controllo di me stessa, o almeno delle poche facoltà mentali che mi erano rimaste.
“Non ti costringo a fare niente” continuò lui, scuotendo lievemente la testa e facendomi l’occhiolino. Sbuffai e gli lanciai un’occhiataccia.
“Tutto ciò che faccio con te non è dato da nessuna costrizione” puntualizzai, incrociando le braccia al petto. Il suo sorriso si allargò e per un secondo apparvero le sue adorabili fossette, prima che il suo sguardo si facesse di nuovo intenso, le labbra schiuse e il respiro leggermente corto.
Sbarrai un poco gli occhi, preoccupata da quel cambio di espressione e di atmosfera tra di noi, e lui respirò tra i denti, chiudendo gli occhi per tornare in se.
“Non ti tocco, promesso”
Deglutii ancora, mentre lui si chinava su di me, le braccia dietro la schiena, per baciarmi teneramente le labbra. Corrugai le sopracciglia, mentre lui mi lanciava uno sguardo divertito, tirandosi di nuovo indietro e posizionandosi sotto il getto dell’acqua.
Mi distrassi a guardare le goccioline che cadevano dal suo mento scivolare sul suo collo, per arrivare al petto che si alzava e abbassava ritmicamente, le seguii lungo l’addome, giù sulla pancia e…
Alzai di scatto lo sguardo, avvampando e sbarrando gli occhi, mentre lui ridacchiava. Mi coprii le mani con gli occhi, desiderando sotterrarmi dall’imbarazzo.
“Fai finta che non sia successo niente, ti prego” soffiai con un filo di voce, insultandomi mentalmente per aver permesso al mio sguardo distratto di vagare in luoghi proibiti.
Che cosa imbarazzante!
Lui ridacchiò e mi fece segno di girarmi, prendendo lo shampoo e versandosene un po’ tra le mani.
Deglutii e lo accontentai, capendo le sue intenzioni, ma trovando il tutto estremamente ridicolo e imbarazzante.
Peccato che, quando iniziò a massaggiarmi la cute e a far passare le sue dita lunghe e affusolate tra i miei capelli, ogni mio singolo senso si rilassò. Chiusi gli occhi e mormorai qualcosa sollevata, mentre lui faceva scendere le sue mani a massaggiarmi le spalle, il collo, le braccia, per poi scendere sui fianchi, la pancia, e ancora più giù.
Mi irrigidii leggermente, ma lui passò oltre, scendendo sulle gambe, i polpacci, le caviglie, infine i piedi.
Poi si tirò su e batté le mani.
Tornai indietro dal mio mondo felice e mi voltai, per trovarlo con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, mentre si sforzava di mantenere un’espressione tranquilla, anche se negli occhi aveva il fuoco.
“Contento ora?” chiesi con una risatina, mentre lui annuiva vigorosamente.
“Si, ora vieni qui, devi sciacquarti” mormorò, prendendomi la mano e tirandomi verso di se, sotto il getto dell’acqua calda. Nascosi il viso contro il suo petto mentre lui mi circondava con le braccia, ogni singola parte del nostro corpo a contatto.
Lasciai un bacio sulla sua pelle bagnata e lo sentii rabbrividire, mentre mi stringeva ancora più forte.
“Grazie” sussurrai contro il suo petto. Lui mi baciò i capelli e si strinse nelle spalle.
“Un giorno ricambierai” rispose semplicemente, per poi scoppiare a ridere. Alzai lo sguardo e sciolsi il suo abbraccio, spingendolo via con una smorfia divertita.
“Chi te lo garantisce?”
Lui mi lanciò un’occhiata da sotto le lunghe ciglia e sorrise, malizioso.
“Fidati, non sapresti resistere” affermò, con sguardo altezzoso, indicandosi. Lo guardai alzando le sopracciglia e schioccando la lingua.
“Vogliamo scommettere?” replicai, decidendo di non dargliela affatto vinta. Lui sorrise e un lampo di sfida gli passò negli occhi.
“Non ti conviene sfidarmi, ragazzina, non sai contro chi ti stai mettendo” mi avvisò, lo sguardo più cupo e intrigante.
Sentii il cuore perdere qualche battito, ma ormai avevo preso la mia strada.
“Non mi fai paura, Mr Modesto” lo presi in giro, facendogli la linguaccia.
Gli scappò un sorriso e scosse lentamente la testa.
“Te la faccio passare perché siamo tutti e due stanchi e abbiamo bisogno di dormire” mormorò,  una punta di delusione che mi fece fare una smorfia, “Ma mi ricorderò queste parole, quindi stai in campana” mi avvisò, facendomi l’occhiolino e afferrandomi per la vita, tirandomi sotto l’acqua per farmi sciacquare meglio.
Completata la sua opera, mi scoccò un gran bel sorriso e poi mi baciò.
Un bacio vero, che sapeva di shampoo alla fragola, di acqua calda, di risata, di morsi, di Harry.
Sentii lentamente scivolare via tutta la tensione, la paura, l’indignazione; il desiderio sostituì in un secondo tutte le altre sensazioni, infiammandomi dalla testa ai piedi e facendomi desiderare di più.
Ma lui evidentemente era di un’altra idea, perché si staccò, mi aiutò ad uscire e si legò un asciugamano intorno ai fianchi, prima di avvolgermi nel suo enorme accappatoio blu e stringermi tra le sue braccia.
“Sei piccola e coraggiosa, Jenny” sussurrò, per poi alzarmi il viso e baciarmi le labbra. “Vedrò cosa posso fare per farti passare tutta la voglia di dichiararmi guerra” scherzò, mordicchiandomi il labbro inferiore. Una scarica di brividi mi percorse la schiena ma, prima che potessi ribattere, o finire di baciarlo, lui si staccò con un sorrisetto.
“Vado a vestirmi, ti aspetto a letto”. Detto questo mi lasciò da sola in bagno.
Mi lasciai cadere sul bordo della vasca, cercando di tornare in me e di regolarizzare il respiro perché, anche se mi sforzavo di passare per disinvolta e di fare l’indifferente, la verità era che lo desideravo con tutta me stessa, e bastava un suo sorriso per infiammarmi, un suo tocco per risvegliare il lato più oscuro di me.
Era come se da quando avevamo fatto l’amore fosse nata una nuova Jenny, come se lo sentissi di più, come se fossi più sensibile alla sua presenza.
La cosa brutta era che non sapevo se considerare questo come positivo o negativo.
Scrollando le spalle, mi asciugai alla meglio e infilai una delle sue T-shirt che usavo come pigiama, perché erano lunghe, abbastanza da coprirmi fino alle cosce, e profumavano di lui.
Uscii dal bagno e mi fiondai sul letto, dove lui mi aspettava con solo i pantaloni della tutta addosso, e mi rannicchiai contro il suo petto, lasciandomi stringere dal suo abbraccio.
Lui mi baciò la fronte e spense la luce, coprendo entrambi con il piumone.
Chiusi gli occhi, ascoltando il battito leggermente accelerato del suo cuore e sospirai.
“E’ colpa tua che mi provochi, se io ti sfido sempre” sussurrai. Lo sentii sorridere, mentre aumentava la stretta.
“Lo so, ma mi piace giocare con te. E soprattutto mi piace vincere per poi prendermi il mio premio”
Alzai il viso per guardarlo negli occhi, accessi di un divertimento alquanto languido. Strinsi le labbra.
“E quale sarebbe il tuo premio questa volta? Sentiamo”. Lui mi sorrise e strofinò il naso contro il mio, per poi scuotere la testa.
“Lo vedrai. Sempre che tu ti lasci battere” piegò le labbra in un sorrisetto innocente ed io corrugai le sopracciglia.
“Lo sai che sei insopportabile quando fai cosi?” replicai per tutta risposta. Lui scoppiò a ridere e mi baciò a stampo.
“Lo so, ma tu mi ami lo stesso” affermò, lasciandosi scappare un sorriso tenero.
Mi sciolsi.
“Sempre” affermai, arrampicandomi su di lui per prendergli il viso tra le mani e baciarlo davvero, come lui avrebbe dovuto fare da prima, da quando era entrato in quella fottuta doccia, infiammandomi, riempiendomi di desiderio, per poi lasciarmi inspiegabilmente insoddisfatta.
Lo sentii sorridere sulle mie labbra, mentre le mie dita si infilavano tra i suoi capelli e le sue braccia andavano a circondare i miei fianchi, portandomi completamente su di lui.
“Mh, credo che questa volta potrei anche arrendermi” mormorò contro la mia bocca, per poi tirare il mio labbro inferiore con i denti, scatenandomi un’ondata di adrenalina ed elettricità che mi fece tremare.
“Adesso chiudi quella bocca” sussurrai, esasperata. Lui grugnì qualcosa e ribaltò le posizioni, affondando su di me e trasportando entrambi in un’altra dimensione.
 
 
Quando mi svegliai, disturbata dai capelli di Harry che mi solleticavano il viso, sentii un rumore sordo provenire dalla stanza accanto alla nostra.
Aguzzai le orecchie e sentii chiaramente dei passi percorrere il corridoio per scendere poi le scale.
Corrugai le sopracciglia e sbadigliai, per poi lanciare uno sguardo sfuggente alla sveglia sul comodino e constatare che fossero solo le cinque del mattino.
Presa da un’improvvisa curiosità e dato il fatto che tornare a dormire sarebbe stato impossibile a causa del russare leggero ma comunque fastidioso del Bell’Addormentato accanto a me, scivolai fuori dal suo abbraccio caldo e scesi dal letto con un saltello, per poi uscire dalla stanza e chiudermi la porta alle spalle, attenta a non fare rumore.
Scesi le scale con l’intenzione di andare in cucina a bere qualcosa per svegliarmi del tutto, ma mi bloccai nel corridoio principale, quando notai Cher, con la giacca e una borsa sicuramente troppo grande per contenere solo lo stretto necessario, che scribacchiava velocemente qualcosa sul quaderno riadattato a rubrica accanto al telefono.
Lei si accorse della mia presenza e alzò lo sguardo, sobbalzando e portandosi una mano sul cuore.
“Jenny” sussurrò, chiudendo gli occhi e riprendendo fiato.
“Che cosa stai facendo?” le chiesi, adattando anch’io la mia voce ad un sussurro, per evitare di svegliare gli altri.
Lei mi lanciò un’occhiata stranita e la vidi deglutire, in difficoltà.
“Cosa ci fai in piedi a quest’ora? Torna a dormire, o non reggerai la giornata di scuola” cambiò discorso, la voce che si spezzò a metà frase, gli occhi che le si riempirono di lacrime.
Mi avvicinai preoccupata, lanciando un’occhiata al suo borsone e alla penna che teneva stretta tra le mani, con cui aveva appena scritto qualcosa sul quaderno.
Feci due più due e impallidii.
“Te ne stai andando?” chiesi con voce acuta. Lei chiuse gli occhi e le sfuggì un singhiozzo.
“Si” sussurrò, la voce appena udibile. Mi si strinse il cuore e allungai una mano verso di lei, per poi rendermi conto che non potevo fare niente per trattenerla, e che una reazione del genere avrei dovuto aspettarmela: Cher non era così forte come lasciava intendere, il suo cuore non poteva sopportare tanto dolore.
“A casa”. Lei annuì.
“Senza dirgli niente” osservai. Lei riaprì gli occhi, sforzandosi di non scoppiare a piangere, e si morse il labbro inferiore.
“Non ce la farei a lasciarlo guardandolo negli occhi” affermò, la voce strozzata, lo sguardo pieno di dolore e sensi di colpa.
“Per mamma” sussurrai, facendole notare l’assurdità della situazione: stava andando via, stava lasciando Liam, per una persona con cui non aveva mai voluto avere niente a che fare.
Lei chiuse di nuovo gli occhi e le scappò un gemito.
“Lo so, ma non ce la faccio”. Le sfuggì una lacrima e fu automatico il mio passo avanti verso di lei. Mi buttai tra le sue braccia, stringendola a me, pregandola silenziosamente di restare, anche se sapevo che non era possibile, perché se ormai aveva preso quella decisione, l’avrebbe seguita fino alla fine.
“Tornerai?” bisbigliai contro il suo petto. La sentii ispirare tra i denti e tremare leggermente.
“Non lo so. Ora lasciami andare, Jenny, prima che si svegli” implorò, il dubbio che stesse facendo la cosa sbagliata che le bloccava il respiro.
Sciolsi l’abbraccio e lei mi baciò leggermente la fronte.
“Ti voglio bene, okay?” mormorai, le lacrime agli occhi. Lei annuì e tirò su con il naso.
 “Anche io”
“Chiamami quando arrivi”. Lei annuì e il panico le attraversò lo sguardo.
“Lo farò” affermò, per poi prendere un bel respiro, “E…cerca di spiegargli, e…” balbettò cominciando a gesticolare, le lacrime che ormai scendevano copiose sulle sue guancie. Le bloccai le mani con le mie e le sorrisi.
“Ci penserò io, tranquilla” le assicurai, maledicendomi mentalmente perché non sarei mai riuscita a guardare Liam negli occhi spiegandogli qualcosa che non sapevo bene neanche io.
Svegliarsi senza di lei lo avrebbe distrutto, ed io non sapevo se avrei avuto la forza per vedere quel tipo d’amore scivolare via.
“Grazie” mormorò riconoscente, prendendo il suo borsone e baciandomi la guancia.
Annuii, aiutandola ad allacciarsi la giacca.
“Salutami Mike” mormorai, mentre lei apriva la porta.
“A presto” sussurrammo in coro, prima che uscisse di casa. Mi appoggiai alla porta, guardandola allontanarsi per il vialetto, ma non mi preoccupai.
Non glielo dissi, ma sapevo, ne ero certa, che ci saremmo riviste più presto di quanto credeva.
























CIAO.
Scusate per il ritardo, ma non sono riuscita a pubblicare prima.
Un po' per la scuola, che sono sicura sapete di come i professori sembrano risvegliarsi tutti insieme e fissare compiti e interrogazioni ogni singolo giorno;
un po' anche perchè speravo che le recensioni aumentassero un pochino, ma vabbè ;)
Spero solo che non vi stia davvero iniziando ad annoiare,
anche perchè sta per finire, e non sopporterei che mi abbandonaste
proprio adesso che ho bisogno di un po' di supporto,
perchè non ho idea di come riuscire a mettere un punto a questa storia :s
E poi, domani compio un anno su EFP! **
Cavolo, mi sembra ieri che mi sono iscritta e, con un coraggio che non so neanche da dove mi sia venuto,
ho pubblicato il prologo della mia prima Fanfiction.
Ne è passato di tempo...
Comunque, oggi è un giorno di merda.
Scusate se mi sfogo con voi, ma ne ho davvero bisogno.
E' che svegliarsi con la consapevolezza che loro sono qui,
non così lontani come pensi, e di non poterli vedere...
ecco, non è che mi mette tanto di buonumore.
E' tutta la mattina che mi trascino per casa senza senso,
ho un muso lungo che mi arriva fino ai piedi e mia madre ha già dichiarato di non sopportarmi più.
Il fatto è che fa male sapere che non posso vederli, sentirli, abbracciarli, anche se sono così vicini.
Che palle.
La cosa brutta è che non riesco neanche ad essere felice per le ragazze che li vedranno,
sono troppo depressa e triste per provare altre sensazioni.
Spero che si divertano e che anche io un giorno riuscirò a realizzare questo fottuto sogno.
Io ho bisogno di vederli, non so se mi capite, ma è davvero un bisogno fisico.
La smetto, che altrimenti finisco a piangere e non mi va proprio.
Spero che il capitolo vi piaccia e che possa tenere compagnia
a quelle che come me stasera saranno lì solo con il cuore.
Tanto amore.
Sara.
























 

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Capitolo 31
*** Capitolo trentuno. ***


Capitolo 31
 


Cher
 
 
 
“Cosa significa ‘stai venendo qui’?” lo squittio di Mike mi fece sobbalzare, facendo voltare la signora che era seduta accanto a me sul treno, probabilmente perché l’esclamazione stupita di Mike era arrivata fino alle sue orecchie. Sospirai, schiacciandomi contro il finestrino per allontanarmi il più possibile.
“Significa che sto tornando a casa” sussurrai, chiudendo gli occhi alla fitta di rimorso che mi colpì lo stomaco a quella frase.
Si, stavo tornando a casa, la mia vecchia casa, quella in cui non c’era Liam.
“Cosa? Perché? Quando?” urlò il mio amico, sbalordito, probabilmente già dimenticandosi del fatto che erano le sei di mattina ed io lo avevo svegliato chiamandolo al cellulare.
Se fosse stato in se e io non lo avessi così sorpreso, probabilmente mi avrebbe mandata al diavolo chiudendomi il telefono in faccia.
Ma lui sapeva che lo chiamavo in momenti opportuni solo quando era strettamente necessario e, in quel momento, con il cuore a pezzi e la terribile sensazione di star facendo un grande sbaglio, avevo bisogno di sentire la voce di qualcuno che sarebbe stato sempre dalla mia parte.
“Mike, non fare domande, per favore. Ho solo bisogno di sapere che ci sei” mormorai, serrando gli occhi per evitare che le lacrime che sentivo stavano salendo a galla uscissero trasformandomi in una fontana. Non dovevo piangere, assolutamente.
Avevo preso la mia decisione, anche se abbastanza pilotata dagli avvenimenti che erano accaduti, ma ormai ero salita su quel treno e tornare indietro sarebbe stato impossibile, a meno che non volessi schiantarmi sulle rotaie.
“Certo che ci sono!” si affrettò a rassicurarmi Mike, con voce agitata. Ed era vero; da quando mi ero trasferita a Londra, avevo sempre fatto in modo di trovare qualche minuto libero, o qualche ora, per chiamarlo almeno una volta a settimana per raccontargli cosa succedeva a me e farmi raccontare cosa succedeva a lui. Solo che ultimamente non l’avevo fatto, per evitare di farlo preoccupare o più semplicemente perché ammettere ad una persona esterna che c’erano davvero dei problemi nella mia vita, sarebbe stato come farli sembrare più reali, e quello spaventava. “Sempre per te, tesoro, ma…” continuò, prima di essere interrotto dalla mia voce brusca.
“Non chiedere, ti prego. Ne parliamo quando arrivo” mormorai, tirando su con il naso e asciugandomi stizzita le prime lacrime che cominciavano a cadere. No, non potevo piangere quando ero da sola; sarei caduta in pezzi e nessuno mi avrebbe raccolto e tenuta intera.
“Okay…” mormorò mogio, indeciso se insistere o lasciar perdere.
“Cher, stai piangendo?” probabilmente la via dell’apprensione gli era sembrata la più giusta. Chiusi gli occhi e tirai di nuovo su con il naso.
“No, ora devo andare” borbottai. Sentii un sospiro dall’altra parte della cornetta, segno che Mike si era arreso, probabilmente capendo che in quel momento mi ero chiusa a riccio e sarebbe stato difficile farmi parlare.
Ci sarebbe stato tempo, comunque. Tutto il tempo per finire le lacrime e lasciarmi divorare dai sensi di colpa.
“Va bene, piccola, ti aspetto” concluse in fine, con una nota così dolce e incoraggiante nella voce da farmi salire altre lacrime agli occhi.
“Grazie, Mike” sussurrai senza fiato, prima di chiudere la chiamata e infilare con stizza il cellulare nella tasca dei jeans. Portai le ginocchia al petto, stringendole con le braccia e rannicchiandomi, ignorando bellamente lo sguardo di rimprovero della signora accanto a me, probabilmente scandalizzata dalla maleducazione dei ragazzi d’oggi.
Me ne fregai, perché ormai non avevo niente e nessuno a cui rendere conto.
La cosa che mi faceva stare peggio, tralasciando la consapevolezza di Liam che sicuramente non avrebbe avuto un bel risveglio e non avrebbe capito il perché di quel mio gesto, era che avevo fatto esattamente ciò che avevo criticato per tutta la mia vita.
Mi ero comportata come mia madre: al primo problema, ero scappata.
Forse un pochino mi salvavo, perché non era esattamente il primo problema che mi si presentava davanti, ma una serie infinita di questi che mi aveva portato all’esasperazione, ma il fatto era sempre lo stesso: ero scappata.
Me ne ero andata, avevo lasciato Liam a Londra, senza di me, senza spiegargli niente.
Non l’avevo salutato, non l’avevo baciato, non l’avevo abbracciato.
Lui non mi aveva sorriso, non aveva strizzato gli occhi divertito, non aveva strofinato il naso contro il mio per l’ultima volta.
Me ne ero andata senza permettere né a me né a lui di provare a sistemare ancora la situazione.
Semplicemente era troppo: prima mia madre, poi le fan, poi il padre.
La mia testa e il mio cuore non potevano sopportare tutto questo, ero debole, patetica e codarda.
Non avevo scuse, e mi odiavo per questo.
In un lampo di lucidità e amarezza, mi tornarono anche in mente le parole di Danielle che, con orrore, mi fecero realizzare che probabilmente le avevo spianato la strada per tornare a lottare per ciò che lei considerava ancora suo. Lo aveva detto, mi aveva avvertita che non sarei riuscita a reggere il peso della sua vita, ed io avevo negato, mi ero battuta con orgoglio e forza.
Caratteristiche che non mi appartenevano, peccato che l’avevo capito troppo tardi.
Quando il treno arrivò in stazione, ormai ero in uno stato pietoso, gli occhi gonfi e rossi, le gambe tremanti, il cuore a pezzi.
Quando Mike mi vide scendere dal treno, trascinando il mio borsone con fatica, mi corse incontro e, ignorando il mio terribile aspetto, mi strinse tra le braccia, affondando il naso tra i miei capelli e inondandomi con il suo odore dolce che mi era sempre piaciuto.
Lì, tra quelle braccia così calde che potevo considerare casa, mi lasciai andare, lasciando alle lacrime rompere la diga che avevo con difficoltà tirato su, lasciandole scivolare silenziose sulle mie guance e bagnare la maglietta di Mike, mentre i singhiozzi mi scuotevano il petto.
Mike mi strinse più forte che poté, senza dire una parola e posandomi un bacio rassicurante e morbido sulla fronte.
“Piccola, sono qui” sussurrò, carezzandomi i capelli.
Gli volevo bene, con tutta me stessa, ed ero veramente felice che lui fosse sempre pronto ad offrirmi una spalla su cui piangere e appoggiarmi in tutto. Ma per quanto la sua presenza fosse rassicurante, io avevo bisogno d’altro, un’altra persona alla quale sapevo di aver imposto il mio stesso dolore, andandomene.
“Andiamo a casa, per favore” riuscii a mormorare. Lui annuì frettolosamente e sciolse l’abbraccio, per poi prendere la mia borsa e circondarmi la vita con un fianco, guidandomi per le strade del paese.
Lo osservai attentamente, per distrarmi, ma anche per realizzare meglio che ero veramente con il mio migliore amico, e che mi era mancato da morire.
Alla fine era sempre lo stesso; stessi capelli, leggermente schiariti dal sole, stessi occhi furbetti, anche se velati da un’immensa preoccupazione, stessa bocca, che però in quel momento non sorrideva come faceva di solito.
Si accorse che lo stavo guardando e mi lanciò un’occhiata confusa, aumentando la stretta.
“Stai proprio bene, Mike” commentai, notando il suo fisico asciutto, sentendo le sue braccia decisamente più muscolose dell’ultima volta che mi avevano stretta. Lui mi scoccò un sorriso fiero.
“Non posso dire lo stesso di te, ma…grazie” replicò, facendomi l’occhiolino. Azzardai un sorriso e lui fece una piccola smorfia.
“Lo sai che non ti lascerò in pace finché non mi dirai chi è lo stronzo che ti ha ridotta così, vero?” chiese, un lampo di rabbia che gli attraversò lo sguardo, mentre il pensiero, sicuramente, volava a Liam.
Mi affrettai a scuotere la testa e ad ingoiare il nodo che mi chiudeva la gola.
“Non c’è nessuno con cui prendersela a parte me” dichiarai. Lui mi guardò contrariato, poi lasciò perdere.
“Okay, ora pensiamo ad arrivare a casa, poi ne parliamo” mormorò, continuando a camminare in direzione di casa sua.
Forse, se ne avrei trovato il tempo e la forza, sarei passata anche a casa mia più tardi, se la vista della porta di fronte alla mia non mi avrebbe fatta crollare.
Meglio non pensarci e concentrarsi su Mike, che stava entrando in casa sua trascinandomi con lui, per poi lanciare la mia borsa a terra, tirarmi per la mano e trascinarmi in cucina. Mi depositò su una sedia e cominciò ad armeggiare ai fornelli.
“Ti faccio un tè” annunciò fiero. Mike era convinto che il tè potesse risolvere tutti i problemi, se fosse stato veramente così, mi sarei fatta portare un intero camion di tè da scaricare sulla mia vita, forse qualcosa di buono sarei riuscita a salvare.
Lui mi guardò in attesa di una risposta ed io annuii, sospirando e guardandomi intorno, mentre lui si metteva all’opera. Conoscevo quella casa come le mie tasche, dopo averci passato giornate intere, ma quei momenti sembravano appartenere ad un’epoca lontana.
Pensandoci meglio, erano solamente cinque mesi che mi ero trasferita a Londra, ma erano successe talmente tante di quelle cose che mi sembrava un’eternità.
Invece avevo resistito ben poco. Forse assomigliavo a mia madre più di quanto volessi.
“Ecco qui” mormorò, posandomi una tazza fumante di tè davanti al naso e sedendosi di fronte a me con la sua, incrociando le mani e fissandomi negli occhi.
Distolsi lo sguardo, puntandolo sulla mia tazza e girando il cucchiaino con aria annoiata.
Lui sospirò e mi diede un calcio sotto al tavolo.
“Ehi!” protestai indignata, lanciandogli un’occhiataccia. Lui mi riservò un sorriso angelico ed io sentii una morsa chiudermi lo stomaco, realizzando che quello che avevo fatto stava diventando reale, pronunciato ad alta voce.
“Vuoi dirmi cosa è successo? Non ti ho mai vista stare così male, neanche quando Liam…” si bloccò, leggendo il lampo di dolore che mi attraversò gli occhi a quel nome. Feci una smorfia mentre lui concludeva la frase titubante.
“…neanche quando Liam…è andato…in tour…”. Seguì con lo sguardo la lacrima che scivolava sulla mia guancia e si allarmò.
“Cher. Liam ti ha lasciata?” chiese con voce acuta. Scossi la testa e la poggiai sul tavolo.
“No, non lo farebbe mai” risposi, sentendo il dolore travolgermi ad ondate. Lui sospirò di sollievo e sentii il sorriso nella sua voce.
“Oh, grazie al Cielo! Stavo già immaginando di dover andare a staccargli le palle. E non avrei paura, solo che ha quegli altri quattro dietro che sicuramente…”
“L’ho fatto io” interruppi il suo monologo con voce fredda, di ghiaccio, come me in quel momento.
Lo sentii deglutire e quasi immaginai i suoi occhi spalancarsi, seguiti a ruota dalla bocca, assumendo la sua espressione sorpresa che riusciva a far ridere anche il più depresso del mondo per quanto era esilarante.
Peccato che in quel momento non avevo neanche la forza di alzare la testa per guardarlo.
“Cosa!?” urlò con voce strozzata. Sospirai, mentre lui si alzava, faceva il giro del tavolo e si chinava accanto a me, aspettando che lo guardassi. Lo accontentai imponendomi di non piangere di nuovo.
“Cher, dimmi che stai scherzando” mi pregò. Scossi la testa e mi tremò il labbro.
“Oh, merda! Qui altro che tè, ci vuole una bella bottiglia di vino!” esclamò, riuscendo a strapparmi mezzo sorriso.
 
 
 
Dopo avergli raccontato per filo e per segno cosa fosse successo, a partire dal litigio con Jenny e per finire con la discussione con il padre, Mike si ammutolì, perso tra i suoi pensieri. Io sospirai, almeno per la centesima volta in un’ora, e rigirai il cucchiaino nel tè, che ormai era diventato ghiacciato e sicuramente disgustoso.
Non avevo avuto il tempo di berlo, perché Mike mi aveva trascinato in camera sua, costretta a sedermi sul letto accanto a lui e a raccontargli ogni singola cosa che gli avevo taciuto in quelle ultime settimane.
“Dì qualcosa” lo pregai, perché nella stanza si sentiva ancora l’eco delle mie parole, che erano uscite senza sosta e interruzione dalla mia bocca, lasciandomi la gola secca. Lui mi guardò sbattendo le palpebre.
“Cosa dovrei dirti? Capitano tutte a te!” esclamò. Chiusi gli occhi e annuii, rannicchiandomi contro di lui, che mi strinse all’istante, in cerca di rassicurazione.
“Lo so. Dimmi che non ho fatto un terribile sbaglio” supplicai, la voce strozzata. Lo sentii sospirare, indeciso sul da farsi; se essere sincero e dirmi cosa stava pensando, o dirmi semplicemente cosa volevo sentirmi dire.
“Hai sbagliato ad andartene senza parlare con lui”, optò per la sincerità e quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco.
Lui si accorse dei miei muscoli tesi e si affrettò a continuare, per salvare gli ultimi residui di lacrime che non avevo ancora versato.
“Voglio dire, hai preso la tua decisione andandone, suppongo che tu ci abbia riflettuto e che la tua non sia stata una scelta affrettata. Però dovevi parlargli, magari dirgli che avevi bisogno di un po’ di respiro…”
“Gli ho lasciato un biglietto” mormorai cercando di difendermi. Lui mi scompigliò i capelli e mi sorrise dolcemente.
“Cosa pensi che se ne faccia di un biglietto? Non voglio farti stare peggio, ma come pensi si sia sentito svegliandosi senza di te e scoprendo che l’hai lasciato con uno stupido biglietto?” mi fece notare con delicatezza. Boccheggiai per i sensi di colpa che mi travolsero più forte di prima.
“Io non l’ho lasciato, non voglio lasciarlo” singhiozzai. Lui mi afferrò il mento con le dita e mi costrinse ad incrociare i suoi occhi sinceri, carezzandomi la guancia e sorridendomi.
“Non vuoi lasciare lui, ma la sua vita piena di casini. Ed è praticamente la stessa cosa” mi fece notare. Serrai gli occhi e il cuore tremò, mentre lui mi baciava la fronte.
“Lo so che è difficile. Ma non puoi stare con lui se non riesci a reggere il peso di tutto quello che lo circonda” mormorò, rincarando la dose.
Sapevo che diceva quelle cose perché erano la pura e semplice verità, ma in quel momento avrei tanto voluto che mi dicesse di non preoccuparmi, che Liam sarebbe venuto a prendermi e che tutto si sarebbe risolto.
“La sua vita non è mai stata un problema, sono entrata a farci parte senza subire tanti cambiamenti” mormorai. Lui scosse la testa.
“Trasferirti in un’altra città, in un’altra casa, lasciando il posto in cui sei cresciuta ti sembra poco? Il fatto è che sei accecata dall’amore che provi per lui e non vedi tutto quello che c’è intorno. O almeno fino a poco fa era così: ora hai cominciato ad aprire gli occhi, e questo è il risultato” mi fece notare.
Aveva ragione, terribilmente ragione. Ed io ero stata solo cieca.
Il fatto era che pensavo che l’amore che provavo per Liam avrebbe superato tutto quanto, volevo che fosse così, perché ormai non potevo immaginare la mia vita senza di lui.
Erano solo quattro ore che non lo vedevo e già mi mancava come l’aria, come avrei potuto resistere tutta la vita?
“Ma io non posso stare senza di lui” sussurrai, le lacrime che mi appannavano la vista. Lui mi carezzò la guancia e mi sorrise teneramente.
“Questo lo so, ma non puoi neanche chiedergli di lasciare tutto quello che ha” mi fece notare.
“Lo so, perché pensi che me ne sia andata? Non potevo chiedergli di scegliere tra me e la sua vita, è ovvio questo” sbottai, tremando. Lui mi strinse forte e mi baciò di nuovo la fronte.
“Piccola, passerà, vedrai. E’ solo un momento difficile e tu sei forte, supererai questa crisi” mormorò. Spalancai gli occhi e lo guardai allarmata.
“E’ proprio questo il problema! Pensate tutti che io sia forte, che riesca a resistere, ma non è così! Io sono proprio come mia madre, scappo! E mi odio, mi odio da morire a pensare che Liam possa provare anche solo la metà del dolore che sto provando io in questo momento” piagnucolai. Mike ridacchiò ed io mi infuriai.
“Tu sei forte, Cher, e non sei affatto come tua madre. Sei solo accecata da un senso di sconfitta che non so perché stai provando. E Liam è un ragazzo intelligente, non ti lascerà fare quello che stai facendo” proclamò con uno sguardo furbetto. Spalancai un poco gli occhi e mi sentii impallidire.
“Cosa vorresti dire?”
Lui rise e mi diede un buffetto sulla guancia.
“Ci scommetto quello che vuoi che tempo due giorni e viene a riprenderti”
“Gli ho chiesto di non cercarmi” balbettai. Lui alzò gli occhi al cielo e mi guardò esasperato.
“E tu pensi che ti darà ascolto? Non si lascerà certo comandare da te, anche perché sono sicuro che ha capito come pensi”
“E come penso io? Sentiamo” replicai, incrociando le braccia al petto. Lui mi guardò alzando un sopracciglio e trattenendo a stento un sorriso.
“E’ contorto, il tuo modo di pensare. Ma ti dico che lui l’ha capito, e che al massimo dopodomani sarà qui” proclamò, facendomi sudare freddo.
“E tu pensi che questo possa risolvere le cose? Se lui venisse qui, non cambierebbe niente. Suo padre e mia madre stanno per sposarsi, le sue fan mi odiano, Danielle mi dichiara guerra ogni singolo giorno. Questo rimarrà sempre” dissi agitandomi e rabbuiandomi, perché non riuscivo a trovare una soluzione.
Lui si strinse nelle spalle, sorridendo.
“Su questo non posso dire niente, sono cose che dovrete risolvere tra voi” mormorò. Scossi la testa e mi passai una mano tra i capelli, esausta.
“Il problema è proprio che non si risolveranno mai, ed io non posso tornare a Londra con questo peso sul cuore” dichiarai. Lui sospirò e mi afferrò il viso con entrambe le mani.
“Ora non pensarci, sei qui, lui è lontano e hai bisogno di distrarti” dichiarò, baciandomi la punta del naso e schizzando in piedi. Mugugnai qualcosa e affondai la testa nel suo cuscino, chiudendo gli occhi.
“L’unica cosa che voglio fare adesso è stare da sola”
Lui ridacchiò e mi tirò per una caviglia.
“Lo so, ma dato il fatto che non voglio che tu ti deprima, ora mi accompagni al lavoro, che se arrivo tardi papà mi uccide” ordinò, trascinandomi giù dal letto e costringendomi a mettermi in piedi.
“Devo per forza?”
“Certo, basta lacrime e musi lunghi. Hai preso una decisione, ora continua sulla tua strada e ignora il dolore. Prima o poi passerà” mi disse facendomi l’occhiolino. Replicai con una smorfia.
“Mike, stiamo parlando di Liam” gli ricordai. Lui alzò gli occhi al cielo.
“Lo so, ma ti farebbe sentire meglio sentirti dire che non ne uscirai mai perché sei innamorata persa di lui?” mi fece notare, alzando entrambe le sopracciglia.
“No, credo di no” ammisi dopo qualche secondo di silenzio. Lui mi scoccò un gran sorriso e mi prese di nuovo per mano.
“Perfetto, allora andiamo. Ho qualcosa da farti vedere” mormorò, trascinandomi dietro di lui quasi correndo.
Incuriosita da tanto entusiasmo, lo seguii cercando di mantenere il passo, anche se il suo era decisamente più veloce e lungo del mio. Dopo qualche minuto, in cui evitai di guardarmi intorno per non rischiare di essere assalita da ricordi felici, arrivammo alla tavola calda, nella quale già brulicava un bel po’ di gente.
Mike si fermò fuori, davanti alla porta e mi guardò come in cerca di conferma, anche se non aveva senso, dato il fatto che ormai eravamo lì e che, entrando o meno, era come se sentissi Liam accanto a me comunque, quel posto era pieno di lui, dei ragazzi, e dei giorni felici trascorsi lì.
Presi un bel respiro e cercai di ingoiare il nodo che mi chiudeva la gola, sforzandomi di sorridere a Mike e di annuire convincente. Lui mi guardò un po’ sconsolato, poi mi diede un buffetto sulla guancia e, sempre tenendomi per mano mi fece entrare dietro di lui.
Il posto non era cambiato per niente, ma potevo immaginarlo: a Tom non piacevano i cambiamenti, e probabilmente il locale sarebbe rimasto sempre come l’avevano costruito, e forse per quello un’ondata di nostalgia mi travolse e quando vidi Tom dietro il bancone, impossibile non notarlo per la sua grandezza, mi salirono le lacrime agli occhi.
Anche lui mi vide e si bloccò nel bel mezzo della frase, il volto arrossato e l’espressione frustrata, probabilmente l’avevo interrotto mentre stava sgridando il ragazzo accanto a lui, che si guardava le scarpe con aria colpevole.
Mi gustai ogni singola emozione dipingersi sul suo volto, prima la frustrazione, poi la confusione, la sorpresa, la consapevolezza e infine la gioia.
“Cher!” mi accolse, raggiante, facendo il giro del bancone e venendomi incontro, il ragazzo che sospirò di sollievo lanciandomi un’occhiata riconoscente. Chissà cosa aveva fatto per far arrabbiare quel gigante buono.
“Hai visto che sorpresa, papà?” esclamò Mike, mentre Tom mi abbracciava, tirandomi su e facendomi girare. Ridacchiai e ricambiai la stretta, sorprendendomi dell’intensità della felicità che provavo nel rivederlo: quel posto mi era mancato più di quanto pensassi, e così tutte le persone che ci avevo lasciato.
“Una gran bella sorpresa!” esclamò Tom, rimettendomi giù, le mani sulle mie spalle, gli occhi raggianti e leggermente emozionati.
“Cosa ci fai qui, dolcezza?” mi chiese. Gli sorrisi sincera, perché era evidente che fosse davvero felice di rivedermi. Mi strinsi nelle spalle, mentre Mike mi lanciava un’occhiata preoccupata.
“Mi sono presa una piccola pausa dalla vita di città” azzardai, abbozzando un sorriso rassicurante verso Mike. Tom rise, con la sua voce roca e potente.
“Ci avrei scommesso che prima o poi saresti tornata, non sei tipa da città tu” scherzò, dandomi un buffetto giocoso sulla guancia.
A quelle parole mi rabbuiai e Tom piegò la testa di lato, confuso dal cambiamento repentino della mia espressione.
“Okay, ora lasciala stare, papà” intervenne Mike, superando il colosso che era suo padre e afferrandomi per un braccio.
“Vieni, ti faccio conoscere Cameron!” squittì poi, gli occhi improvvisamente che gli brillavano.
Tom sbruffò alzando gli occhi al cielo.
“Si, vai a fargli conoscere quel broccolo! E avvisalo che se combina qualche altro casino lo licenzio!” sentenziò, alzando il tono di voce in modo da farsi sentire dal diretto interessato che impallidì e sbarrò gli occhi. Mike schioccò la lingua, trascinandomi verso di lui.
“Sempre il solito esagerato” mormorò, mentre io mi ritrovavo ad osservare attentamente il ragazzo preso in questione, che stava asciugando alcuni bicchieri dietro il bancone.
Era abbastanza alto, i capelli biondi leggermente lunghi e lisci che gli finivano costantemente davanti agli occhi. Quando alzò gli occhi verso di noi e ricambiò il sorriso raggiante che gli stava rivolgendo Mike, notai di come i suoi occhi fossero incredibilmente scuri, con il taglio a mandorla, e il suo sorriso incredibilmente allegro, nonostante fosse arrivata anche alle sue orecchie la minaccia di licenziamento.
“Ciao, Cam!” lo salutò Mike a gran voce. Il ragazzo arrossì leggermente e ricambiò il saluto sempre sorridente. Dimostrava qualche anno di meno di Mike, ma doveva averne almeno diciotto.
“Cher, lui è Cam, il tuo ‘sostituto’” mi disse Mike ridacchiando e facendomi l’occhiolino. Cam mi osservò attentamente piegando un poco la testa di lato.
“Cam, lei è la mia amica Cher” concluse le presentazioni Mike con voce solenne. Cam mi porse la mano che io affrettai a stringere e mi sorrise.
“Piacere di conoscerti” mormorò. Io annuii, ricambiando il sorriso e, anche se non c’era un motivo valido, lo trovai subito simpatico.
“Ehi, ma tu non sei la ragazza di Liam, quella che ha fatto arrabbiare metà generazione femminile?” mi chiese poi, facendomi ricredere neanche due minuti dopo. Sbiancai, mentre lui continuava ad osservarmi e Mike si schiariva rumorosamente la gola.
“Ma si, sei tu!” esclamò, scoccandomi un bel sorriso, “Mia sorella ti adora, non fa altro che parlare di te, di quanto sia contenta che finalmente Liam si sia fidanzato con una ragazza normale” rise, scuotendo la testa, mentre il cuore cominciava a rimbombarmi nelle orecchie.
“Le hai dato una speranza; ora crede di poter conquistare Harry, anche se ha solo dodici anni”.
Mike fece una risatina nervosa e fece il gesto di tagliarsi la gola, gli occhi sbarrati. Cameron corrugò le sopracciglia, aprendo le braccia confuso.
“Che c’è?” gli chiese lui, rimediandosi un’occhiataccia da parte di Mike.
“Cambia argomento” gli sibilò. Afferrai una mano a Mike e mi sforzai di sorridere, per tranquillizzare entrambi.
“No, non c’è problema. Si, sono io…la ragazza di…Liam” -perché dire il suo nome mi faceva così male?- affermai, facendo una smorfia.
La bocca di Cam formò una piccola ‘o’ e gli occhi gli brillarono di curiosità.
“Oh, e perché non sei con lui adesso?”
Un pungo. Un doloroso pugno nello stomaco, ecco cosa furono le sue parole.
Barcollai leggermente, facendo qualche passo indietro, mentre Camerono sbarrava gli occhi.
“Oh, accidenti, ma tu sei il campione del tempismo!” sbottò Mike, poggiandomi una mano sulla spalla, mentre io cercavo di riprendere fiato e Camerono ci guardava confuso.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente, mentre Mike mi passava un braccio intorno ai fianchi e mi baciava la tempia, cercando di farmi sentire meglio.
“No, va tutto bene” mormorai, sciogliendo l’abbraccio e allontanandomi, evitando di guardarlo negli occhi.
“Devo…devo solo prendere un po’ d’aria” sussurrai, lanciando una veloce occhiata a Cameron.
“E’ stato un piacere” gli dissi frettolosamente, per poi avviarmi verso la porta.
“Cher…” cercò di fermarmi Mike, correndomi dietro. Mi voltai e gli sorrisi, le lacrime che spingevano per uscire.
“No, tranquillo, faccio una passeggiata e torno in me” gli assicurai, afferrandogli la mano e stringendola, pregandolo con lo sguardo che mi lasciasse andare.
Lui sospirò per niente convinto, ma annuì.
“A dopo” mormorai, prima di uscire e respirare l’aria fresca e salata, chiudendo gli occhi cercando di quantizzare il dolore che provavo in quel momento all’altezza del petto.
Cameron aveva colpito proprio il punto giusto: perché non ero con Liam?
Perché avevo permesso che tutto quello che c’era intorno a noi mi spingesse ad andarmene?
Perché non avevo dato credito al nostro amore?
 
 
 
 



Liam
 
 


Quando mi svegliai, quella mattina, e tastai con la mano il materasso vuoto accanto a me, capii subito che c’era qualcosa che non andava. Il materasso era freddo, segno che Cher si fosse alzata da un bel po’, o che addirittura non avesse dormito con me, ed io sentii il cuore stringersi al ricordo dei suoi occhi persi e spauriti quando era entrata in casa seguita da mio padre.
Non c’era stato verso di farle dire cosa l’avesse turbata così tanto, e mio padre aveva borbottato senza senso quando gli avevo posto quella stessa domanda.
Comunque, non mi ero preoccupato più di tanto: probabilmente aveva fatto una di quelle sue battute infelici che aveva offeso Cher, ma quando se ne era andato permettendomi finalmente di tornare in camera da Cher, lei si era rannicchiata in silenzio contro di me, pregandomi di non dire niente e di abbracciarla in silenzio.
L’avevo accontentata, anche se il suo comportamento mi era sembrato abbastanza strano, ma ero talmente stanco dopo quella giornata che ero crollato nel giro di qualche minuto, cullato dal suo calore e dal suo dolce profumo.
Per quello, quando mi svegliai senza quelle solite sensazioni che mi facevano sorridere ancora prima di aprire gli occhi, sentii un campanello d’allarme risuonarmi nella testa.
Stropicciandomi gli occhi e facendo una smorfia mi alzai, infilandomi una maglietta a caso e scendendo le scale con passo pesante, per poi dirigermi in cucina, dove trovai, ovviamente, Niall intento a divorare un’intera confezione di biscotti.
“Ciao, biondino” lo salutai sbadigliando, per poi versarmi una tazza del caffè che era rimasto.
“Mmh” borbottò lui, scoccandomi un sorriso, troppo impegnato a masticare per potermi rispondere. Ridacchiai e sbadigliai di nuovo, per poi guardarmi intorno.
Jenny sicuramente era già uscita, dato che erano le nove del mattino, e sicuramente neanche Harry era in casa.
“Dove sono gli altri?” chiesi a Niall, che mi guardò facendo spallucce e ingoiando.
“Non lo so, mi sono svegliato trenta secondi prima di te e sei la prima persona che vedo” mi informò. Scossi la testa divertito e gli scompigliai i capelli.
“Va bene, torna a fare la tua colazione, vado a cercarli io” dissi ridendo. Lui annuì e senza tanti ripensamenti tornò a mangiare.
Uscii dalla cucina e feci per andare in salone, quando un movimento ai margini del mio campo visivo attirò la mia attenzione.
Mi voltai e trovai Zayn, in pigiama, in piedi davanti al telefono di casa, gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
Corrugai le sopracciglia e mi avvicinai mentre Louis, accanto a lui, mi guardava a braccia incrociate, lo sguardo preoccupato e incredibilmente sofferente.
“Ciao, ragazzi. Cosa succede?” chiesi, facendo qualche passo avanti. Zayn sobbalzò sentendo la mia voce e mi guardò, gli occhi tormentati e il viso pallido.
“Liam…” mormorò con voce strozzata, lanciando uno sguardo al quaderno usato come rubrica, come se contenesse il numero del diavolo.
Mi accigliai ancorai di più, mentre Louis continuava a guardarmi preoccupato.
“Cosa sta succedendo?” chiesi, alzando un po’ la voce. Zayn chiuse gli occhi e fece un passo indietro, mentre Louis gli metteva una mano sulla spalla.
“Mi dispiace, amico” mormorò quest’ultimo, seguendomi con lo sguardo mentre mi affrettavo a leggere ciò che li aveva così tanto sconvolti.
Quando riconobbi la grafia disordinata e tremolante di Cher e realizzai le parole che aveva scritto, quasi mi sentii male.
Se n’era andata.
 
 
 



















'sera dolcezze! :3
Scusate per il ritardo, ma questo capitolo è stato un parto;
l’ho iniziato, cancellato, riiniziato, cancellato e scritto ancora almeno per una trentina di volte.
E so che probabilmente il risultato non è così entusiasmante,
ma tanto non c’è verso che venga un po’ allegro, praticamente questo capitolo è la depressione.
Però vabbè, ogni tanto ci vuole, no? L’importante è che (se) poi tutto si risolve ;)
Allora, non sto qui tanto a rompervi le balls, ma probabilmente non pubblicherò più tanto spesso,
perchè le recensioni sono diminuite drasticamente,
e io mi sto spremendo le meningi per portare a termine questa storia,
quindi se rallentate voi, rallento anche io.
Non voglio risultare antipatica, presuntuosa o qualcosa del genere,
ma sono stanca, la fine della scuola sfinisce, credo che lo sappiate bene,
quindi me la prenderò comoda per non uscire completamente di testa ;)
Comunque, spero che il capitolo vi piaccia.
Vado di fretta, ho bisogno di una beeeella e calda doccia rilassante
dopo un'intera giornata passata a Roma a dare un fottuto esame di tedesco. 
Se mi bocciano, uccido la prof. u.ù
Vado, sempre tanto amore.
Sara.






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Capitolo 32
*** Capitolo trentadue. ***


Capitolo 32
 

Jenny
 
 

“Cos’è quel faccino imbronciato, tesoro?” mi chiese Cat, mentre passavamo da una classe all’altra per cambiare lezione. Non ero riuscita a parlarle per tutte le prime tre ore, causa due compiti in classe e la lezione di storia che non seguivamo insieme.
Lei aveva subito capito che c’era qualcosa che non andava; erano due giorni che mi trascinavo per la scuola con un muso lungo che mi arrivava fino ai piedi, ma mi aveva lasciata in pace pensando che qualsiasi cosa mi fosse presa avrei sbollito da sola.
Solo al secondo giorno, però, aveva ceduto: non poteva vedermi così triste senza neanche provare a fare niente per farmi sentire meglio.
Era un’amica fantastica e ogni giorno ringraziavo per aver trovato una persona come lei.
La guardai, sforzandomi di sorridere, ma non c’era proprio niente di allegro in quelle giornate: mia sorella se n’era andata, era tornata a casa senza neanche salutare i ragazzi. Non avrebbe salutato neanche me se non l’avessi beccata proprio nel momento della fuga.
Mi aveva chiamata quando era arrivata, poi aveva chiamato Mike mentre lei era sotto la doccia per chiedermi dove diavolo fosse andata a finire tutta la vitalità della sua amica, poi niente.
Il silenzio completo.
Non mi preoccupavo, perché sapevo che lei era al sicuro e, anche se non propriamente tranquilla, stava bene.
Però mi mancava, e mancava anche a Liam, da morire, tanto da strappare dal suo viso quel sorriso che niente e nessuno era riuscito a togliergli.
Da quando aveva letto quello che Cher aveva lasciato scritto per lui, sembrava tutta un’altra persona: aveva un’ombra in faccia che spaventava, gli occhi spenti e le spalle sempre basse.
Non parlava, come se fosse inutile sprecare fiato e voce quando non c’era Cher a sentire quello che ne usciva fuori.
Non mangiava, perché non aveva fame.
Non usciva, non rideva, non chiacchierava. Non cantava più.
Aveva già saltato due interviste ed una prova in sala di registrazione; i ragazzi erano molto preoccupati, ma lui non ne voleva sapere, era come se Cher andandosene si fosse portata via la parte migliore di lui.
E faceva male vederlo così giù e sapere che l’unica cosa che potesse farlo stare meglio era impossibile da poter andare a recuperare.
Mia sorella non era cattiva, né egoista, ma se prendeva una decisione allora doveva portarla a termine.
Sapevo che non sarebbe mai tornata di sua spontanea volontà, non sapendo che tornando avrebbe ritrovato tutti i problemi che con quella fuga notturna aveva sperato di lasciarsi alle spalle.
Per questo pensavo che l’unica cosa che Liam potesse fare, invece che trasformarsi in uno zombie, fosse andare a riprendersela.
Ma purtroppo era troppo triste e sconvolto per attivare la materia grigia che aveva nella testa, per questo avevo deciso che se non avrebbe preso l’iniziativa da solo, l’avrei spedito a Weymouth a calci nel didietro.
Anche se sapevo che sarebbe stato inutile, perché riportarla indietro non avrebbe risolto tutti i problemi che l’avevano spinta ad andarsene.
Sospirai e tornai alla realtà, mentre Cat saltellava accanto a me fissandomi in attesa di una risposta. La guardai sconsolata e poi scrollai le spalle.
“Cher se n’è andata” lanciai la bomba. Cat impallidì e spalancò la bocca, bloccandosi sul posto nel bel mezzo del corridoio rischiando che un paio di ragazzini del primo anno le finissero addosso. Questi la guardarono male e le girarono intorno, mentre lei mi fissava sconvolta.
“Cosa significa se n’è andata? E’…?”
Risi a quell’affermazione lasciata in sospeso e mi affrettai a negare scuotendo la testa e tranquillizzandola con un sorriso; in effetti la mia frase poteva essere fraintesa.
“Non se n’è andata in quel senso. E’ solo tornata a casa, dove stavamo prima” spiegai, abbozzando un altro sorriso. Cat mi lanciò un’occhiataccia e prese un bel respiro, posandosi una mano sul cuore.
“Mi hai quasi fatto venire un infarto” mi rimproverò mugugnando, poi tornò in se e si concentrò su di me.
“Perché se n’è andata? Ha litigato con Liam?” chiese, corrugando le sopracciglia.
Probabilmente anche lei come me pensava che quella non sarebbe stata una scusa sufficiente per lasciarlo: si amavano troppo per permettere ad un semplice litigio di separarli.
Dietro c’era ben altro questa volta.
Scossi di nuovo la testa e mi lasciai andare ad un sospiro sconsolata, guardandola.
“No, non hanno litigato. Lei non l’ha neanche salutato, se n’è andata via così” mormorai. Cat si accigliò, stringendo le labbra mentre ormai eravamo arrivate davanti alla classe di letteratura.
“Non è da Cher” commentò dopo averci pensato un po’ su. Annuii all’istante, entrando in classe e accomodandomi al mio banco mentre anche il resto dei nostri compagni faceva lo stesso e il professore finiva di scrivere qualcosa alla lavagna.
“Lo so. Ma credo sia arrivata al limite” mormorai. A quel punto Cat annuì e sospirò; sapeva tutto quello che era successo in quell’ultimo periodo, perché mi ero sfogata con lei e le avevo raccontato tutto, o forse era stato Niall, ma comunque era al corrente di tutti i drammi che avevano assalito la nostra vita rendendola un inferno.
“Sai, avevo pensato che prima o poi sarebbe andata a finire così” bisbigliò, chinandosi verso di me mentre il professore richiamava il silenzio e faceva l’appello. La guardai e lei si strinse nelle spalle.
“Fossi stata in lei l’avrei fatto già da un bel pezzo. Certo, non ho idea di quello che c’è tra lei e Liam, ma ha avuto tanta pazienza e ci vuole molta forza di volontà per reggere tutto quello che ha sopportato lei. Io non so se ci sarei riuscita” spiegò. Mi ritrovai ad annuire e a riflettere sulle sue parole: io che avrei fatto se mi fossi trovata nella sua stessa situazione?
Al momento la mia storia con Harry era ancora nella tranquillità della vita privata, nessuno sapeva di noi e nessuna fan mi aveva aggredita intimandomi di lasciarlo perché la sua ex era migliore di me.
Forse lui neanche ce l’aveva un’ex così importante da meritarsi l’affetto delle sue fan, probabilmente ero io la sua prima storia seria.
E poi, fortunatamente, mia madre non si stava per sposare con suo padre.
Già, pensandoci, Cher aveva resistito fin troppo. Forse l’amore che c’era tra lei e Liam era forte, indistruttibile, ma Cher non era così forte e tutto quello che la circondava aveva spezzato qualcosa dentro di lei.
Anche se ero sicura al cento per cento che Liam le mancasse da morire e che non sarebbe mai riuscita ad andare avanti da sola, forse aveva pensato che anche la sua salute mentale era importante e  non valeva la pena perdere la testa e stare male per le scelte di altre persone, anche se poi, lontana da Liam, avrebbe sofferto lo stesso, forse di più.
“Forse hai ragione, forse doveva andare così” sospirai. “Però sono sicura che entrambi ci stanno male, Liam è depresso, e sicuramente Cher non è da meno”
“L’hai sentita?”
Scossi la testa e sospirai di nuovo.
“Mi ha chiamata solo quando è arrivata. Poi ho sentito Mike; non se la passa tanto bene”
“Posso immaginarlo” mormorò Cat, ammutolendosi persa tra i suoi pensieri.
“I ragazzi hanno provato a parlare con Liam e a fare qualcosa?” chiese poi, illuminandosi. Scossi la testa e strinsi le labbra.
“Non vuole sentire nessuno, è come se si fosse trasformato in un guscio vuoto: non parla, non mangia, a malapena respira! Non l’ho mai visto così e i ragazzi non sanno che fare” replicai abbattuta. Cat mi scrutò con una nota di speranza nello sguardo.
“Secondo me devi parlarci tu. Nessuno conosce Cher meglio di te, forse tu puoi convincerlo che deve fare qualcosa per sistemare tutto questo casino” mormorò, entusiasmandosi sempre di più, come se dentro di lei stesse prendendo vita un piano infallibile che sarebbe riuscito a cancellare tutta quella merda.
“Deve andare a riprenderla, si, non possono stare l’uno senza l’altro, è ovvio!” esultò, forse a voce troppo alta, perché il professore ci lanciò un’occhiataccia intimandoci di stare in silenzio se volevamo evitare di finire entrambe dal preside, e non avevo proprio voglia di aggiungere altri problemi alla mia lista.
“Cat, questo non è uno stupido film, è la vita reale. Anche se lui va a riprenderla, pensi che risolverebbe qualcosa? Cher non tornerà mai sapendo che facendolo ritroverà gli stessi problemi che l’hanno spinta ad andarsene” riflettei, bisbigliando e stringendo i pugni, frustrata perché era evidente che non c’era una soluzione semplice da poter trovare.
Cat sospirò, arrendendosi.
“Hai ragione, credo che debbano risolversela da soli”
“Il problema che Liam ormai è andato, non riflette più, sembra totalmente perso e non prenderà mai l’iniziativa da solo” sbuffai, “Devo parlarci, deve fare qualcosa, al diavolo i problemi, mia sorella è più importante” conclusi convinta, ma ormai Cat non mi stava più ascoltando, piuttosto guardava imbarazzata dietro di me, con un sorrisetto di scuse sulle labbra.
“Sono contento che nutre tutto questo affetto per sua sorella, signorina Foster, ma ora vorrei che avesse lo stesso interesse per Shakespeare!” tuonò il professore alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
Tutta la classe si voltò verso di me ed io desiderai ardentemente sotterrarmi. Avvampai e feci un sorrisetto.
“Senz’altro, signore” replicai, raddrizzandomi sulla sedia e scambiandomi uno sguardo complice con Cat, pronta a sentire la lezione e sapendo cosa avrei dovuto fare appena tornata a casa.
Quando finalmente riuscii a mettere piede fuori dalla scuola, mi affrettai a raggiungere la macchina di Harry, sulla quale mi stava aspettando con un sorriso stanco.
Prima che potessi arrivarci, però, sentii una presenza camminare silenziosamente dietro di me. Mi voltai di scatto e quasi mi scontrai con Cat, che praticamente mi stava appiccicata come un’ombra.
“Ma che diavolo stai facendo?” le chiesi, mentre lei sbarrava gli occhi e arrossiva.
“Ti sto seguendo”
“E perché?”
“Perché voglio venire a casa con te e vedere cosa hai intenzione di fare” mi rispose con aria circospetta, aprendosi poi in un sorriso angelico. Sbruffai e le lanciai un’occhiataccia.
“Non guardarmi così, so che gira qualcosa per quella testolina bacata, qualcosa di losco, e non ho intenzione di perdermi niente” affermò, raddrizzandomi e guardandomi con aria di sfida. La osservai per qualche secondo seriamente, poi scoppiai a ridere davanti alla sua aria fiera.
“Non servivano tutti questi sotterfugi, bastava chiedere” le feci notare, ma lei scacciò via le mie proteste con la mano e mi superò, abbagliando Harry con un sorriso e salendo in macchina con un saltello. Ancora ridacchiando la imitai e saltai su, chiudendo lo sportello sotto lo sguardo confuso di Harry, che ricambiò il saluto squillante di Cat, per poi guardarmi strabiliato.
Mi limitai a scuotere la testa e a lanciargli un’occhiata esasperata, per poi chinarmi su di lui, afferrargli il mento con una mano e scoccargli un bacio a fior di labbra.
“Tranquillo, è una cosa normale” mormorai facendomi sentire solo da lui, mentre Cat canticchiava. Lui puntò i suoi occhi verde splendente nei miei e, dopo averci pensato mezzo secondo, annuì e fece spallucce, per poi baciarmi di nuovo e mettere in moto la macchina.
“A cosa devo la compagnia di questa splendida signorina?” chiese dopo un po’, facendomi l’occhiolino per poi lanciare un’occhiata a Cat dallo specchietto. Mi voltai verso di lei per vederla arrossire visibilmente; non era da tutti i giorni ricevere un complimento da uno dei più famosi cantanti del momento, potevo capirla bene.
Si morse il labbro inferiore e si strinse nelle spalle.
“Volevo solo passare un po’ di tempo con la mia amica” balbettò. Harry scoppiò a ridere e a quel suono sorrisi anch’io automaticamente: era come se la sua allegria fosse collegata con un filo alla mia. Quando sorrideva lui, mi era impossibile trattenermi, ero quasi costretta a sorridere, perché mi bastava sapere che lui era felice, per esserlo anche io.
“Mh, certo. Non mi freghi, signorina, so benissimo che non è con Jenny che vuoi passare il tuo tempo” ammiccò Harry, con il suo solito sorrisetto strafottente e il tono di voce provocante. Cat arrossì ancora di più, mentre io soffocavo una risata.
Avevo vagamente intuito che non era proprio per me, o per Liam, che si era aggregata. Forse un po’ si, ma il vero motivo per cui le brillavano gli occhi e le batteva forte il cuore, era perché sapeva che di li a poco avrebbe rivisto Niall.
“Che vai a pensare? Non ho mai secondi fini, io” mormorò Cat, fingendosi indignata, per poi lanciarmi un’occhiata colpevole.
Ridacchiai, mentre Harry faceva lo stesso e le lanciava un’occhiata di chi la sapeva lunga.
“Si, certo, lo vedremo tra poco quando arriveremo a casa e scoprirai che Niall non c’è perché doveva uscire…” la buttò li Harry, uscendo dal parcheggio della scuola e lanciandole un’occhiata veloce dallo specchietto. Cat si bloccò, la bocca piegata in una smorfia di delusione.
“C-come non c’è?” le scappò di bocca, per poi arrossire subito dopo. Harry scoppiò a ridere.
“Beccata! Lo sapevo!” sghignazzò. Cat lo guardò malissimo, ma riuscii a captare comunque il suo lieve sospiro di sollievo nel capire che quello era solo uno stupido scherzo di Harry; era evidente che non vedeva l’ora di vedere il biondino.
“Non sei divertente, Styles” grugnì, incrociando le braccia al petto e puntando gli occhi fuori dal finestrino, indignata.
Harry rise ancora e scosse la testa.
“Si, invece, e sarà ancora più divertente raccontarlo a Niall”
“Oh, no, tu non lo farai!” esplose Cat, sbarrando gli occhi e schizzando in avanti.
Osservai la scena divertita, consapevole del fatto che Harry era capace di fare una cosa del genere, non aveva paura di mettere in imbarazzo le persone, tutto pur di divertirsi un po’. Ma sapevo anche che Cat era piuttosto determinata e non gli avrebbe mai permesso di farla vergognare davanti a Niall, per nulla al mondo.
Sarebbe stata una guerra piuttosto combattuta, e anche molto divertente per chi assisteva.
“Niente me lo impedisce” replicò Harry, facendo spallucce e voltandosi verso di me per farmi l’occhiolino.
“Io non ne sarei così sicura” gli bisbigliai.
“Non ti permetterò di farmi fare brutta figura con Niall, signorino Styles. Sono pronta a tutto per difendere la mia dignità, sappilo” ribatté Cat.
“Te l’avevo detto” sussurrai ancora. Harry ridacchiò e scosse la testa.
“Perché brutta figura? Sei così tenera, così innamorata” la scimmiottò. Cat diventò viola dall’imbarazzo, quasi si poteva vedere il fumo uscirle fuori dalle orecchie, mentre lo inceneriva con uno sguardo.
“Non ti azzardare neanche a pensare quella parola in sua presenza” lo minacciò, puntandogli un dito contro. Harry ridacchiò e parcheggiò la macchina, spegnendola e voltandosi verso di lei.
“Mi stai sfidando, Cat, e non va bene. Fatti dire da Jenny cosa succede quando qualcuno mi dichiara guerra” le disse con voce incredibilmente seria, lanciandomi un’occhiata di sottecchi, prima di voltarsi e scendere dalla macchina con un balzo. Io e Cat ci guardammo per mezzo secondo, immobili.
“Lo devo prendere alla lettera?” mi chiese preoccupata.
“Credo di si”, a quelle parole scattò fuori dalla macchina e lo raggiunse correndo, attaccandosi al suo braccio e puntando i piedi per bloccare la sua camminata veloce e sicura.
La seguii più lentamente, prendendo la mia borsa e godendomi la scena.
“Harry, Harry, Harry. Fermo, per favore” lo implorò, tirandolo per il verso opposto in cui lui stava camminando.
Lui la guardò, poi guardò verso di me, sorrise e ricominciò a camminare, trascinandola con se.
“Troppo tardi” affermò.
“No, dai, ti prego. Non rovinarmi tutto” lo implorò con voce stridula, cercando di bloccarlo. Harry la ignorava, sorridendo sotto i baffi, pregustando già il momento in cui l’avrebbe messa in imbarazzo con le sue insinuazioni provocanti verso il biondino.
Non so, forse la lealtà che Cat aveva sempre dimostrato nei miei confronti, o forse perché non volevo che Harry rovinasse davvero qualcosa tra quei due, che già sembravano faticare da soli; fatto sta che accelerai il passo e afferrai Harry per una mano, facendolo bloccare subito, gli occhi nei miei, curiosi.
“Che c’è?” mi chiese bisbigliando, mentre Cat continuava a piagnucolare e a tirarlo per un braccio.
Gli sorrisi e guardai verso di Cat.
“Dai, lasciala stare” gli dissi. Cat si ammutolì all’istante e lui corrugò le sopracciglia, pensieroso.
“Su, ci sono già abbastanza problemi lì dentro, loro lasciali tranquilli” continuai. Cat annuì vigorosamente.
“Si, ti prego, non c’è bisogno che anche Niall resti turbato da qualcosa” aumentò il carico, un lampo di speranza negli occhi. Harry sembrò pensarci su e dopo qualche minuto alzò gli occhi al cielo e sbruffò.
“Okay, hai ragione. Lì dentro ci sono già abbastanza incomprensioni, ma me ne ricorderò” si arrese, per poi puntualizzare l’ultima parte della frase guardando Cat con aria di sfida. Quest’ultima sospirò di sollievo e finalmente lasciò il suo braccio, ricomponendosi.
“Grazie” gli disse, per poi lanciarmi un’occhiata riconoscente. Lui fece una smorfia e allora Cat si avviò verso la porta di casa, più tranquilla. Feci per seguirla, ma Harry intrecciò le sue dita alle mie e mi tirò verso di se, facendomi scontrare contro il suo petto.
Con la mano libera mi scostò i capelli dal viso, tirandomeli indietro per poi carezzarmi la guancia.
“La tua amica deve proprio ringraziarti. Avevo in mente qualcosa che le avrebbe fatto venire la voglia di sotterrarsi” sussurrò, il suo fiato fresco che mi solleticò le labbra.
Alzai gli occhi al cielo e allacciai le mie mani dietro i suoi fianchi.
“Sei troppo competitivo, ragazzo”
“Puoi dirlo forte!” esclamò lui, illuminandosi in un sorriso. Ridacchiai e vidi i suoi occhi verdi brillare. Si chinò su di me fino a far sfiorare le punte dei nostri nasi e strofinò il suo contro il mio.
“Sei così bella quando ridi” mormorò, facendomi quasi svenire fissandomi con quegli occhi limpidi e grandi.
Arricciai le labbra e lui mi circondò la schiena con un braccio, attirandomi ancora di più contro il suo petto.
“E tu soffri di sicuro di personalità multipla, devi farti vedere da qualcuno” replicai, accennando al fatto che neanche mezzo minuto prima fremeva dalla voglia di rendere la vita complicata a qualcuno.
Il suo sorriso si allargò e spuntarono le sue tenere fossette sulle guancie, facendomi chiudere lo stomaco.
Era così bello, così perfetto. Assurdo che uno come lui fosse capitato proprio a me, ancora dovevo convincermene.
“A me piace quando mi guardi tu” sussurrò, lanciandomi uno sguardo talmente languido e perverso che era impossibile fraintendere il doppio senso della sua frase.
Alzai gli occhi al cielo e sciolsi l’abbraccio, tentando di allontanarmi.
“Te l’ho detto, doppia personalità, devi fare qualcosa” affermai. Lui rise e mi riafferrò al volo, circondandomi i fianchi con le braccia e sollevandomi in aria. Cacciai un urletto mentre lui mi faceva girare, stringendomi forte a se.
“Harry, mettimi subito giù” gli ordinai, lasciandomi scappare una mezza risata. Lui scosse la testa e mi strinse ancora più forte, un braccio intorno ai miei fianchi, un altro sotto le mie ginocchia: mi teneva stile principessa e, anche se sembrava incredibilmente patetico, avevo il cuore a mille e le farfalle che svolazzavano nello stomaco.
“Solo se prima mi dai il bacio che mi spetta” affermò, alzando il mento e stringendo le labbra. Alzai gli occhi al cielo e gli circondai il collo con le braccia, per tenermi meglio.
“E chi ti ha detto che ti spetta un bacio?”
“Sei mia, mi spetta almeno un bacio al giorno per diritto” affermò convinto. Gli sorrisi, sfiorando i suoi ricci con una mano, per poi posarla sulla sua guancia.
“Dillo di nuovo” sussurrai. Lui mi capì al volo e mi sorrise, con il sorriso più adorabile che potesse fare.
“Sei mia, piccola. Tutta mia” bisbigliò, allungando il viso verso il mio in una muta richiesta. Con gli occhi che mi brillavano, lo accontentai e mi chinai su di lui, fino a far incontrare le nostre labbra in un caldo, morbido bacio.
“Per sempre” sussurrai contro le sue labbra, prima che lui mi baciasse di nuovo.
Quando si staccò, scalciai un pochino per tentare di scendere, perché avevo paura di potergli pesare, ma anche perché sarebbe stato imbarazzante se qualche ragazzo si fosse affacciato per vedere che fine avessimo fatto.
“Dai, andiamo dentro adesso” gli dissi, mentre lui finalmente mi faceva tornare con i piedi per terra, senza però farmi allontanare troppo.
“Come vuoi, ragazzina” borbottò, facendomi una smorfia. Gli feci la linguaccia e gli presi la mano, tirandolo verso la casa.
Appena varcai la soglia, sentii subito l’atmosfera che aleggiava lì dentro, e tutta la spensieratezza e la felicità scivolarono via, lontano da quella casa. Harry mi strinse la mano, mentre il suo sguardo seguiva il mio, oltre la porta della cucina, dove c’era Liam seduto a tavola con lo sguardo perso nel vuoto.
Mi si strinse il cuore, mentre Louis ci si avvicinava, guardando anche lui il terribile spettacolo.
“Ciao, ragazzi” bisbigliò con un filo di voce.
“Quant’è che va avanti così?” gli chiesi, voltandomi verso di lui. Lui abbassò gli occhi.
“Tutto il giorno. Non ha detto neanche una parola” rispose Zayn, abbattuto. Corrugai le sopracciglia, mentre i ragazzi sospiravano all’unisono.
No, non si poteva andare avanti così.
Lasciai la mano di Harry e mi avviai a passo deciso verso la cucina.
“Jenny, che…?” sentii chiedere dietro di me da Harry, ma lo ignorai, catapultandomi in cucina e sbattendo il pugno sul tavolo, in modo da essere sicura di attirare l’attenzione del fantasma di Liam.
Infatti lui alzò lo sguardo stralunato verso di me, il volto stanco e gli occhi spenti.
“Liam” lo salutai. Lui stiracchiò le labbra in quello che doveva sembrare un sorriso, ma non raggiunse l’effetto desiderato. Comunque non sembrò curarsene troppo, perché distolse di nuovo lo sguardo, puntandolo davanti a se. Alzai gli occhi al cielo e colpii di nuovo il legno duro del tavolo, facendomi male e facendo sobbalzare i ragazzi che osservavano la scena dalla porta.
Liam mi guardò di nuovo, leggermente infastidito, probabilmente perché l’avevo riportato alla realtà sottraendolo al suo mondo nebuloso.
“Che succede, Jenny?” si costrinse a chiedermi, con una voce piatta che non sembrava neanche la sua. Strabuzzai gli occhi, sentendomi un vulcano che si accingeva ad esplodere.
“Che succede? Mi chiedi che succede?!” , non mi trattenni più e tutta la frustrazione nel vedere quanto soffrisse e come non facesse niente per sistemare la situazione salì a galla.
Lui corrugò le sopracciglia e prese fiato, ma non gli diedi il tempo di ribattere, quello non era il momento per tornare a parlare.
“Succede che ti sei trasformato in un perfetto fantasma! Non vivi più Liam, sei assente, perché Cher non c’è, eppure non fai niente per farla tornare!” quasi urlai. Lui spalancò gli occhi, un po’ spaventato, un po’ sofferente. Ignorai i sensi di colpa e la consapevolezza di fargli del male tirandogli in faccia la realtà: doveva darsi una svegliata.
“C-cosa dovrei fare?” balbettò, così piano che feci fatica a sentirlo.
Boccheggiai, spalancando la bocca e alzando le braccia al cielo, mentre Harry mi affiancava, incoraggiato dal fatto che il suo amico ricominciava a parlare dopo due giorni.
“Beh, per prima cosa, invece di deprimerti e piangere tutto il giorno, vai a riprendertela, cazzo!” sbottai. Harry si voltò sorpreso verso di me, l’ombra di un sorriso sulle labbra piene.
“Ehi, ma non eri tu quella a cui non piaceva la volgarità?” mi chiese sussurrando. Lo guardai per mezzo secondo, trattenni un sorriso e mi voltai di nuovo verso di Liam, che ci osservava curioso.
“Non mi interessa” allontanai la sua frase con un gesto della mano, poi mi concentrai sugli occhi spauriti di Liam.
“Non lasciare che faccia lo stesso errore di nostra madre, non lasciarla andare via, Liam, combatti!”
“Ma lei ha deciso di lasciarmi…” provò a protestare lui, un brivido che lo fece tremare.
“Lei non ha deciso un bel niente!” replicai al volo,  “Credi che voglia davvero lasciarti e non vederti mai più? Ma sei rincoglionito?”
“E’ andata via” sussurrò, come se fosse una spiegazione abbastanza ovvia. Alzai gli occhi al cielo e feci il giro del tavolo per prenderlo per le spalle e scuoterlo, pensando magari di riuscire a dargli una svegliata.
“Lei sta aspettando che tu vada a riprenderla!” gli urlai in faccia, almeno così avrebbe capito. Lui mi guardò con gli occhi spalancati, in silenzio, senza emettere nemmeno un fiato. Decisi di riprovarci con le buone, abbassando i toni.
“Liam, devi capire che Cher non è affatto forte quanto dimostra, e la sua pazienza e la sua resistenza hanno un limite, che probabilmente è stato superato. Tutto è andato a puttane in questo periodo, lei ha solo bisogno di ristabilire un certo ordine nella sua vita. Ma non può farlo senza di te, tu devi farglielo capire!” lo incoraggiai, sorridendo. Lui scosse lievemente la testa, le lacrime che gli riempirono gli occhi. Sembrava un bambino indifeso che si era perso e cercava la sua casa, non il giovane uomo che era stato fino a poco tempo prima. Era terribile vederlo in quello stato.
“E come?” mugugnò.
“Oh, Dio Santo! Devi. Andare. Da. Lei. In che lingua devo dirtelo?” sbottai.
“Ma…”
“Piantala, Liam, e muovi quel culo” lo interruppe Harry, guardandolo dritto negli occhi, attirando tutta l’attenzione di Liam che sembrava risvegliarsi piano piano da un lungo letargo.
“Oh, grazie amore” sospirai. Lui mi fece l’occhiolino.
“Di niente piccola”
“Ma la band, il concerto, gli impegni…” ricominciò Liam, passandosi le mani tra i capelli, frustrato.
“Fottitene! Pensi che trascinandoti come uno zombie e facendo scena muta in sala prova risolvi qualcosa?” gli feci notare, sempre, ovviamente, con il mio tono di voce delicato.
“No, ma…”
“Liam, sei capace a pensare solo a te stesso almeno per un giorno?” intervenne Zayn, entrando in cucina anche lui, le mani nelle tasche dei jeans. Liam lo guardo e boccheggiò.
“Io…beh, no…”
“Provaci!”
“Ma…come faccio? Adesso non posso prendere e andare da lei. Come mi presento, cosa le dico? Io…” stava andando nel panico, dovevo cercare di salvare la situazione prima che degenerasse.
“Oh, andiamo! Devi salire su un fottuto treno, andare lì e basta. Non serviranno le parole, solo il fatto che tu andrai lì le basterà per capire che non ha scampo” gli dissi. Lui mi guardò speranzoso, come se avesse bisogno che gli assicurassi che sarebbe andata proprio così.
“E come faccio a convincerla a tornare con me?” mugugnò.
“Questo non lo so, dovrai parlarle con il cuore, ed io non so cosa c’è li dentro” mormorai più dolcemente, posando una mano sulla sua e sorridendogli.
“E se lei non vorrà ascoltarmi? Non lo reggerei, Jen” disse con voce strozzata. I ragazzi si ammutolirono e uscirono uno dietro l’altro dalla stanza, lasciandoci soli. Mi accucciai davanti a lui e gli sorrisi dolcemente, posandogli le mani sulle ginocchia.
“Ti ascolterà, Liam. Ti ama troppo per mandarti via senza sentire cosa hai da dirle. E poi te l’ho detto, le basterà sapere che sei andato a riprenderla, per buttarsi tra le tue braccia”
“E mio padre? Cosa gli dico, come facciamo ad ignorare il fatto che i nostri genitori stanno per sposarsi?” si agitò. Scossi la testa e presi la sua tra le mani, costringendolo a calmarsi e a guardarmi negli occhi.
“Liam, fregatene di tutto quello che c’è intorno a voi. Focalizza solo Cher, quello che provi per lei e quello che potresti diventare senza di lei” gli ordinai.
“Non posso vivere senza di lei” replicò sorpreso, come se ci fosse arrivato solo in quel momento.
“Appunto. Devi andare” sbottai esasperata, alzandomi e guardandolo speranzosa.
“Ora!” urlò Louis dall’altra stanza, facendo scappare un sorriso ad entrambi.
“A che ora c’è il prossimo treno?” mi chiese, alzandosi e guardandomi con ritrovata vitalità negli occhi. Sorrisi, sentendo il cuore gonfiarsi nel vedere che finalmente si era ripreso.
“Tu pensa a darti una ripulita, ci penso io al biglietto e alle altre cose” gli dissi, spingendolo verso le scale.
Lui annuì e cominciò a salirle, per poi bloccarsi e scendere di nuovo giù con due balzi. Non mi diede neanche il tempo di protestare, che mi afferrò e mi strinse in un abbraccio da orso.
“Grazie, Jen” mi bisbigliò all’orecchio. Mi si riempirono gli occhi di lacrime e lo spinsi via.
“Dai, muoviti, mia sorella non ti aspetterà tutta la vita” mugugnai, ridacchiando davanti alla sua espressione preoccupata. Poi, finalmente, si aprì nel suo bellissimo e tenero sorriso, prima di schizzare su per le scale.
Soddisfatta, mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo.
Finalmente, ce l’avevo fatta. Avevo salvato il loro amore, sarei stata un ottimo Cupido nella prossima vita.
















Ciao, ragazzacce!
Come va?
Scusate per il ritardo, non sono riuscita a pubblicare prima,
non sto a ripetervi il motivo, tanto lo sapete e sicuramente siete nelle mie stesse condizioni çç
Maledetta scuola!
Comunque, sono leggermente di fretta perchè il signor Aristotele mi sta aspettando.
Volevo solo ringraziarvi per le recensioni, siete state dolcissime
e finalmente sono riuscita a rispondere a tutte :3
Sono fiera di me u.u
E poi, vi avviso che la storia sta...per...arrivare...alla...conclusione.
Ehm.
Già, proprio così.
Ho scritto l'ultima scaletta e mancano due capitoli e poi l'epilogo.
Dopo di questo, fine.
Mi viene da piangere solo a pensarci.
Okay, ora sloggio. Spero che il capitolo vi piaccia :)
Tanto amore.
Sara.
















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Capitolo 33
*** Capitolo trentatré. ***


 Capitolo 33
 

 

 
 
Liam
 




Non sapevo perché, ma sembrava che avessi bisogno dell’intervento di Jenny per farmi rendere conto che stavo facendo una stronzata non facendo niente. O meglio, l’avevo capito, me l’ero ripetuto almeno un migliaio di volte che dovevo mettere in moto il cervello e fare qualcosa per non lasciarmi inghiottire dal buio che c’era intorno a me causato dall’assenza di Cher, ma era come se la parte del mio cervello che urlava di alzarmi e muovermi fosse completamente sovrastata e messa a tacere da una nebbia insensata che mi impediva di pensare lucidamente.
L’unico pensiero che avevo in testa e che mi pungeva tassativamente ogni due secondi come se fosse un’ape fastidiosa, era il fatto che Cher se ne era andata.
Via. Lontano da me. Mi aveva lasciato.
Non potevo crederci e, oltre ad avere il cuore spezzato perfettamente in due, ero anche molto arrabbiato.
Arrabbiato della sua poca fiducia in noi perché, in fondo, sapevo benissimo qual’era stato il motivo della sua fuga.
Non se n’era andata perché non mi amava più, quello era poco ma sicuro; non ero presuntuoso, ma sapevo quanto il suo amore fosse forte nei miei confronti, semplicemente perché il mio lo rispecchiava al cento per cento.
Lei se n’era andata per paura. Paura di non riuscire a sopportare tutto lo stress che, purtroppo, era regolare nella mia vita.
Ne aveva visto solo una parte, scontrandosi con alcune mie fan e con Danielle ancora sul piede di battaglia, e già si era dichiarata sconfitta.
Ero arrabbiato con lei perché, oltre che in noi, non aveva avuto fiducia in se stessa, era scappata perché si era convinta del fatto che non poteva reggere il confronto con le altre persone che mi circondavano.
Ero arrabbiato perché io invece sapevo che poteva farcela benissimo, perché non era sola, perché c’ero io e io non l’avrei mai lasciata da sola o messa in secondo piano. Ed ero arrabbiato perché sapevo che se lei mi avesse parlato delle sue paure, delle sue preoccupazioni, io l’avrei rassicurata e le avrei detto tutto quello che pensavo, senza arrivare a questo punto in cui, sicuramente, entrambi eravamo ridotti a pezzi.
Ero arrabbiato, da morire, e appena sarei arrivato da lei le avrei urlato in faccia tutto il mio risentimento e il mio sdegno.
Dopo averla abbracciata per ore per sentire il suo calore e il suo odore dolce e confortante, ovviamente.
Da quando ero salito su quel treno, dopo aver salutato i ragazzi e aver assicurato loro che l’indomani sarei stato di ritorno con Cher, che lo volesse o no, per non perdermi neanche una delle cose che avevamo in programma, non ero riuscito a stare fermo neanche per mezzo secondo.
Il problema era che non riuscivo a dominare i miei sentimenti: passavo dallo sconforto dell’essere stato lasciato, all’arrabbiatura se pensavo al motivo per cui era successo.
Forse Cher non era forte come me ma, al posto suo, me ne sarei fregato di tutto quello che avevo intorno. Lo stavo già facendo, lei non era l’unica a trovare terribilmente strano il fatto che i nostri genitori stessero insieme, ma io l’avevo ignorato, perché era più importante lei per me.
Lei veniva prima di ogni cosa, e faceva male sapere che, dato il fatto che se n’era andata, probabilmente per lei non era la stessa cosa.
Insomma, quando sarei arrivato avremmo dovuto fare un bel discorsetto, per mettere in chiaro prima di tutto i nostri sentimenti, perché non potevo credere che tenesse più ad un’immagine o ad un’etichetta, piuttosto che all’amore che provava per me.
Era assurdo, e totalmente snervante.
Zayn mi aveva chiamato già due volte per chiedermi se fossi arrivato, Niall invece per farsi dire, curioso come una vecchietta, cosa avrei detto a Cher quando me la sarei trovata davanti.
A quella domanda, però, non avevo trovato una risposta. La cosa che mi mandava più in paranoia era proprio quella: come avrei fatto a farle capire che non era lì che doveva essere e che doveva tornare a Londra con me? Cosa le avrei detto per convincerla del fatto che dovesse fregarsene di quello che pensava la gente di lei, di me, di noi?
Il problema era che sapevo che mi sarebbero mancate le parole perché, vedendola, tutta la parte lucida del mio cervello sarebbe evaporata e le uniche due cose che sarei riuscito a fare sarebbero state abbracciarla e stringerla forte quasi fino a farla smettere di respirare.
Perché mi mancava, sentivo le braccia fremere dalla voglia del contatto con la sua pelle, il cuore tremare al pensiero che di lì a poco mi sarei di nuovo perso nel verde dei suoi occhi, avrei bramato il contatto con le sue labbra morbide, avrei desiderato vedere spuntare quel suo sorriso genuino, semplice e splendido che aveva solo quando era con me.
Sapevo che sicuramente sarei rimasto imbambolato, in silenzio, come un cretino davanti a lei, finché un piccolo cambiamento nella sua espressione, o nei suoi occhi, mi avrebbe spinto ad attirarla in un abbraccio che non sarebbe finito mai, se fosse dipeso da me.
Quando, affacciandomi dal finestrino, riconobbi il paesaggio che scorreva sempre meno veloce, il cuore mi balzò in gola e mi irrigidii, cominciando a tamburellare il piede nervosamente a terra.
“Quanto manca alla stazione di Weymouth?” chiesi all’anziano signore che mi sedeva di fronte, vestito di tutto punto che cercava di leggere un libro del quale non avevo la minima curiosità di sapere di cosa parlasse.
L’uomo mi guardò con disappunto, per poi riportare gli occhi sulla pagina del libro.
“E’ la prossima, grazie al Cielo” sibilò, lanciandomi un’altra occhiataccia. Sospirai e non risposi: aveva ragione, avevo reso quel viaggio insopportabile, non restando fermo neanche per un secondo e lui non aveva di certo trattenuto sbuffi e occhiate fulminanti, ma avevo fatto in modo di ignorarle, troppo concentrato a non farmi venire un infarto dalla tensione.
“Bene” replicai con un filo di voce, infilando la giacca e prendendo la mia misera borsa in cui in fretta e furia avevo infilato un cambio di vestiti per ogni evenienza.
Speravo davvero che mi fossero serviti e che Cher non mi avrebbe rispedito a Londra la sera stessa, a quel punto avrei davvero potuto dichiararmi sconfitto, e con il cuore a pezzi.
Ma ero molto determinato, e non mi sarei lasciato spaventare o fermare da niente e nessuno: lei era mia, io ero suo e le avrei dimostrato quanto fosse indispensabile che le cose rimanessero così.
Quando finalmente il treno frenò in stazione, il mio compagnio di viaggio fece un gran sospiro di sollievo mentre mi alzavo e mi salutò con un’occhiataccia e un “Spero che almeno riesci a fare quello per cui sei venuto qui” sibilato. Lo ringraziai con un sorriso tirato e scesi dal treno, affrettandomi ad allontanarmi dai binari e ad uscire dalla stazione.
Stavo per tirarmi su il cappuccio della felpa e a infilare gli occhiali da sole scuri, quando ricordai il posto dov’ero e che sicuramente nessuno mi avrebbe riconosciuto. Un po’ più tranquillo, sorrisi e mi avviai quasi correndo verso casa di Cher, dove speravo di trovarla al primo colpo.
Ogni passo che facevo in quel paese, su quei marciapiedi, su quelle strade, era un colpo al cuore, una scarica di ricordi e un aumento della tensione.
Sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie e ignorai bellamente la voglia di fermarmi un attimo, respirare quell’odore e quella freschezza che mi era mancata, puntando direttamente alla porta della vecchia casa di Cher, attaccandomi al campanello come se fosse una questione di vita o di morte.
Ci misi qualche secondo di scampanellio a vuoto a capire che la casa era vuota e che probabilmente nessuno ci metteva piede da un bel pezzo, considerando le serrande chiuse e l’erbaccia alta che era cresciuta fino al vialetto d’ingresso.
Reprimendo a stento un grido di rabbia mi rigirai sui miei tacchi e mi avviai verso la spiaggia. Il paese non era per niente grande e contavo di trovare Cher piuttosto facilmente entro sera, a patto che rimanesse dove si trovava in quel momento.
Il mio programma iniziale, quello di andare a casa sua e chiudermi dentro con lei finché non avessimo chiarito tutto quello che c’era da chiarire già era andato in fumo. Ora mi rimaneva solo sperare che si trovasse in uno dei luoghi che avevo aggiunto alla lista dopo casa sua.
La mia prossima tappa era la spiaggia, dove avevamo passato tutti insieme splendide giornate, divertenti, allegre e spensierate. Quasi correndo raggiunsi lo scoglio dove ci eravamo confessati i nostri sentimenti e dove sapevo che lei andava sempre a rifugiarsi quando aveva bisogno di stare sola a pensare.
Ma un’occhiata da lontano mi bastò a capire che non era neanche li e la spiaggia, nonostante fossimo già a Maggio, era completamente vuota, facilitandomi il lavoro: non c’era nessuno nel raggio di due chilometri, questo significava che la mia ultima speranza era riposta nel ragazzo che sicuramente la stava ospitando dandole un appoggio come il migliore degli amici avrebbe fatto.
La mia giornata sembrava una maratona, da quando Jenny era tornata da scuola non avevo fatto altro che correre da una parte all’altra, ed ero leggermente stanco. Mi ero fermato solo il tempo del viaggio sul treno, anche se ci aveva pensato il mio cervello a correre con i pensieri, non prendendosi nemmeno un secondo di pausa, facendomi arrivare a quel momento con appena la forza di respirare.
Ma dovevo stringere i denti e trovare Cher.
Dovevo abbracciarla e dirle che andava tutto bene, che ero lì e che nessuno ci avrebbe mai più separati, sperando di riuscire a reprimere tutta la rabbia che avevo dentro.
Lo scampanellio della porta della tavola calda fece alzare lo sguardo ai due ragazzi che erano dietro al bancone. Riconobbi subito Mike, non era cambiato di una virgola, e non potei trattenere un sorriso. Mi era mancato quel posto, me ne rendevo conto solo in quel momento e l’incredulità dello sguardo di Mike quasi non mi fece scoppiare a ridere; si, non mi arrendo tanto facilmente, riporterò con me la tua amica.
“Liam?” chiese lui, sbarrando gli occhi e spalancando la bocca per poi fare il giro del bancone e fissarmi stupito. Annuii cercando di riprendere fiato e non persi tempo neanche a guardarmi intorno e a farmi assalire dai ricordi, per quello ci sarebbe stato tempo dopo.
“In persona” sibilai con il poco fiato che mi era rimasto, sforzandomi di stiracchiare le labbra in un sorriso.
“Cosa…ciao!” esclamò lui, scoppiando in una risata di gioia, troppo allegra per i miei gusti: era evidente che non fosse solo felice di rivedermi, sapeva che dietro alla mia improvvisa apparizione c’era ben altro, e qualcosa mi faceva pensare che non vedeva l’ora che mi facessi vivo.
“Ciao” replicai, mentre lui mi stringeva in un abbraccio delicato. Nel frattempo il mio respiro si era calmato, ma il mio cuore ormai correva veloce da tempo indeterminato, fremevo per metterlo finalmente a tacere e sapevo che c’era solo una persona capace di farlo.
“Senti, mi piacerebbe tanto salutarti come si deve e farti le solite domande che implicano una certa educazione, ma adesso avrei bisogno di…”
“Oh, wow! Ma tu sei Liam Payne dei One Direction!” mi interruppe una voce squillante, alle spalle di Mike. Chiusi gli occhi per mezzo secondo, respirando profondamente.
No, ti prego, non adesso.
Riaprii gli occhi e trovai accanto a Mike lo stesso ragazzo che era con lui dietro al bancone, con un sorriso esagerato sulle labbra e le mani giunte a mo’ di preghiera.
“Non ci posso credere, se mia sorella sa che ti ho visto uscirà di testa!” squittì, osservandomi come se fossi un alieno. Cercai di sorridere, mentre Mike alzava gli occhi al cielo e sbruffava.
“Liam, lui è Cam, il mio collega. Cam, perché non torni a fare quello che stavi facendo e lasci Liam in pace?” chiese con voce inequivocabile, lanciandogli un’occhiataccia. Il ragazzo lo ignorò e sospirò, con gli occhi quasi a forma di cuore.
“Sei venuto a trovare Cher, vero? Che cosa dolce” esclamò, sospirando di nuovo sognante. A quel nome una scossa elettrica mi risvegliò, portandomi alla realtà.
Sorrisi, per poi guardare Mike, che mi ricambiava con fare preoccupato.
“No, non sono venuto a trovarla. Sono venuto a riprendermela” affermai convinto. A quel punto Mike sorrise e mi parve vederlo sospirare di sollievo, prima di lanciare un’altra occhiata esplicita a Cam che tradotta a parole era “Togliti dai piedi”.
Quest’ultimo sembrò cogliere il significato come me e, con un sorrisetto compiaciuto mi fece l’occhiolino.
“Non stavamo aspettando altro” mi confessò.
“Cam, piantala” sibilò Mike, spingendolo via. Il ragazzo ridacchiò e alzò le mani a mo’ di resa.
“Afferrato, torno a lavorare” canticchiò, tornando al suo posto.
“Adesso capisco perché papà continua a insistere nel licenziarlo” borbottò tra se e se, prima di concentrarsi nuovamente su di me con occhi circospetti.
Chiusi gli occhi e presi un bel respiro: sapevo che non sarebbe stato facile far confessare a Mike dove Cher fosse andata a nascondersi, sapevo quanto poteva essere forte la lealtà tra due amici e sapevo anche quanto Mike fosse protettivo nei suoi confronti, quindi dovevo giocare bene le mie carte.
“Mike” cominciai, quasi a bassa voce, con occhi imploranti.
 “Lo so che tu adesso pensi che sia colpa mia questa situazione, e forse un po’ lo è, ma ho bisogno davvero di vedere Cher. Puoi dirmi dov’è, per favore?” gli chiesi, senza distogliere nemmeno un secondo gli occhi dai suoi.
Vidi un sorriso soddisfatto affiorare sulle sue labbra fini, mentre un qualcosa di sinistro appariva nei suoi occhi, però rimase in silenzio.
“Mike, ti prego, ho bisogno di vederla, di parlarle, non posso permetterle di fare quello che sta cercando di fare!” continuai, sentendo che la mia pazienza cominciava a scivolare via. Se non mi avrebbe detto entro due minuti dov’era, me ne sarei andato e avrei ispezionato il paese per tutta la notte, finché non l’avrei trovata.
“Sai, Liam, le avevo detto che prima o poi saresti venuto a riprendertela. Devo dire che speravo tu lo facessi prima, forse anche per questo Cher tra ieri e oggi ha un po’ perso la speranza, ma credo che nel profondo del cuore lei ti stia aspettando” disse, molto lentamente e continuando a sorridere.
Cominciava a darmi sui nervi.
“Certo che mi sta aspettando, accidenti! Lo sa che non la lascerò mai andare!” sbottai esasperato, attirando l’attenzione dei clienti, che alzarono gli occhi dalla loro cena per puntarli curiosi su noi due.
Il sorriso di Mike si allargò, mentre lanciava sguardi di scuse ai suoi clienti, per poi concentrarsi di nuovo su di me.
“Evita di urlare, per favore, spaventi le persone” mi ammonì. Alzai gli occhi al cielo e sbruffai.
“Smetterò di urlare se mi dici dove diavolo è! Per favore, Mike, ne ho bisogno”. Il mio conto alla rovescia era cominciato, se non mi avrebbe dato la risposta entro dieci secondi l’avrei mandato al diavolo e sarei andato alla deriva da solo.
“Non posso dirtelo” disse, sospirando rassegnato. Lo guardai malissimo, ma lui non si lasciò influenzare.
“Perché?! Non sei sempre stato a favore dell’amore, tu?” sibilai, cercando di regolare il tono di voce perché, che lo volessi o no, la mamma mi aveva inculcato una buona educazione.
“Si, certo, soprattutto del vostro. Ma ho promesso” replicò, stringendosi nelle spalle. Soffocai un grido di frustrazione e presi in considerazione l’idea di torturarlo finché non avesse parlato, quando se ne uscì con la frase che mi fece capire tutto quanto.
“Però, se la conosci veramente, sai dove trovarla” sussurrò con un sorriso dolce.
Mi bloccai nel bel mezzo di un respiro, il cuore che prese a battere veloce, senza sosta, mentre un’ondata di ricordi mi invase i pensieri, rimettendoli tutti nel giusto ordine.
Ma certo, c’era solo un luogo dove Cher poteva essere, un posto che conosceva solo lei, che aveva scoperto lei e dove mi aveva portato per farmi superare la mia paura dell’acqua.
Solo in quel luogo poteva rifugiarsi senza la paura che qualcuno la disturbasse.
Qualcuno al di fuori di me.
Mike sorrise, probabilmente rendendosi conto che la sua frase ad effetto stava risvegliando qualcosa in me. Lo guardai e quasi scoppiai a ridere, pieno di frenesia e impazienza.
Lo abbracciai di slancio, velocemente, e lui rise.
“Grazie, Mike, vado a riprendermi la mia ragazza!” esclamai, schizzando verso la porta ed uscendo con la sua risata di sollievo di sottofondo.
Non mi importava che fossi ormai senza forze, che il cuore rischiava di scoppiarmi nel petto e che respiravo a malapena: corsi più forte che potevo sulla spiaggia, inciampando più volte ma rialzandomi sempre in piedi, fino a raggiungere la scogliera dal lato opposto alla tavola calda. Non calcolai la distanza o la fatica che impiegai, realizzai soltanto che avevo percorso un bel pezzo di spiaggia in pochi secondi: quello si che era un bel record.
Quando si dice che per amore si è capaci di tutto…
Con il fiatone che mi rendeva difficile respirare e i polmoni che bruciavano per la mancanza d’ossigeno risalii la stradina che portava alla spiaggia, raggiungendo il parcheggio dove avevamo lasciato il furgoncino quando ‘eravamo’ venuti a fare surf. Ci misi qualche frustrante minuto ad individuare il quasi invisibile passaggio tra due enormi scogli, coperto da un’infinita quantità di cespugli. Cercando di non rimanere incastrato e di non graffiarmi ci passai in mezzo e scesi in spiaggia dove, finalmente, da lontano la vidi.
Era rannicchiata sulla sabbia, piuttosto vicina al bagno asciuga, con le ginocchia strette al petto e il mento poggiato sopra di esse.
Era ormai il tramonto e i raggi del sole coloravano di riflessi ramati i suoi capelli neri scompigliati dal vento fresco.
Mi avvicinai lentamente e silenziosamente, anche se a causa del rumore delle onde del mare non avrebbe mai potuto sentirmi. Ogni passo era un battito in meno del mio cuore, che si arrestò del tutto quando notai di come si stringesse nella sua felpa blu, quella che aveva rubato dal mio armadio tempo prima, la mia preferita, ma che non mi era mai piaciuta così tanto da quando l’aveva indossata lei.
Sentii gli occhi pungere e bruciare, ma respirai profondamente e mi concentrai su quello che provavo: avevo voglia di prenderla e stringerla tra le mie braccia più forte che potevo, ma un’improvvisa rabbia e frustrazione sembrò spazzare via tutto il resto. Avevo le mani che tremavano e il respiro irregolare sicuramente non a causa della corsa, ma comunque mi avvicinai, perché ormai l’avevo trovata e dovevo portare a termine la mia missione.
Scivolai silenziosamente accanto a lei, sedendomi a pochi centimetri di distanza, il cuore che mi batteva così forte che sicuramente lo aveva sentito anche lei.
Non si voltò verso di me, ma capii che si era accorta della mia presenza dal leggero irrigidirsi dei suoi muscoli e da come avesse serrato gli occhi, come se facendolo sarei sparito.
“Ciao” esordii, non molto originale, ma fu la prima cosa che mi passò per la testa. Lei strinse le labbra e le scappò un sussulto.
“Sei un’illusione, non puoi essere davvero tu” mormorò tra se e se. Corrugai le sopracciglia, mentre lei stringeva convulsamente le mani tra di loro.
“No, invece, sono proprio io”
“Non saresti mai venuto di tua spontanea volontà, non puoi essere davvero qui” replicò lei in un bisbiglio, come se davvero stesse cercando di convincersi di avere ragione: non voleva che io fossi lì con lei. Quel pensiero mi spezzò il cuore, ma lo ignorai, perché sentivo che la rabbia cominciava a scorrermi nelle vene.
“E’ per mettermi alla prova che te ne sei andata?” sibilai, molto acidamente, dovevo ammettere.
“Lo sai perché me ne sono andata” replicò in un mormorio talmente basso che rischiai di non capire le sue parole, se non fossi stato così bravo a leggerle il labiale. Peccato che sapevo che se avrei guardato le sue labbra per altri due secondi le sarei saltato addosso mandando al diavolo tutto il resto: mi era mancata troppo.
“No, invece, stranamente non ci sono ancora arrivato!” esclamai sarcastico, notando di come le sue spalle avevano cominciato a tremare leggermente. Una fitta mi colpì il cuore e lei aprì gli occhi, senza però azzardare a voltarsi verso di me. Da una parte gliene fui grato, perché sapevo che avrei perso tutta la mia concentrazione se l’avesse fatto.
“Sei arrabbiato” constatò, sospirando.
“Come sei perspicace”
“Non essere così duro con me, ho dei motivi per aver fatto quello che ho fatto” si difese, la voce che le si spezzò. Si morse un labbro e si sforzò di trattenere le lacrime che, anche se non potevo vederlo, sapevo che si stavano addensando nel fondo dei suoi occhi. Respirai profondamente e chiusi i miei, per concentrarmi.
“Oh, di questo ne sono certo” risposi,  “Ma lo sai qual è la cosa che mi ha fatto più male?” chiesi poi, riaprendo gli occhi e guardandola.
Trovai due fari verdi e lucenti puntati nei miei, che mi destabilizzarono leggermente, facendomi salire il cuore in gola.
Lei non rispose e continuò a guardarmi in silenzio, gli occhi lucidi e profondi che mi stavano trasmettendo mille emozioni.
“E’ che hai preso questa decisione senza discutere con me, te ne sei andata senza dirmi niente” conclusi respirando profondamente.
“Lo so, mi dispiace” balbettò lei, ritraendo i suoi occhi e puntandoli di nuovo sul sole che stava calando lentamente. Strinsi i pugni e sbuffai.
“Delle tue scuse non me ne faccio niente” la informai.
“Sei venuto qui per rinfacciarmelo e per farmi sentire ancora peggio?” replicò lei, voltandosi di nuovo verso di me, le guance rosse e gli occhi sofferenti.
“No, sono venuto qui a dirti che nonostante tutto ti amo, e che questa volta non ti lascerò fare di testa tua” risposi con più calma, perché non volevo assolutamente che lei piangesse, non volevo farla soffrire ancora, anche se lei non ci aveva pensato due volte a spezzarmi il cuore.
Questa volta?”
“Si, questa volta decido io per noi. Sono venuto a riprenderti e accetterò un tuo rifiuto solo se mi dici guardandomi negli occhi che non mi ami più, a tutto il resto c’è rimedio” le dissi tranquillamente perché, che lo volesse o no, sapevo quanto ci teneva a me e non avrebbe potuto dirmi che non mi amava più, e quella era l’unica cosa che poteva convincermi a tornarmene a casa da solo e con la coda fra le gambe.
“Lo sai che non potrei mai dirlo” rispose lei.
Appunto. A quel punto sorrisi, e tutta la rabbia scivolò via.
“Perfetto, allora possiamo ancora risolvere tutto”
“Liam…” cominciò lei, voltandosi verso di me con occhi lucidi. Scossi la testa e la interruppi.
“Ti sto chiedendo solo di ascoltarmi, adesso. Se poi vuoi mandarmi al diavolo, fai pure, ma almeno fammi parlare” la pregai. Lei sospirò e una lacrima le scivolò veloce sulla guancia.
Senza più riuscire a trattenermi mi sporsi verso di lei e l’asciugai con una carezza, sfiorando poi le sue labbra dischiuse con il pollice. Lei chiuse gli occhi e soffocò un singhiozzo.
“Perché ci stiamo facendo questo, Cher?” mormorai. Lei scosse la testa contro la mia mano, continuando a tenere gli occhi chiusi.
“E’ colpa mia, non sono abbastanza forte per te, per i ritmi della tua vita e per renderti felice” rispose, elencando le tre cose come se se le fosse ripetute mille volte a mente, come un mantra, e si fosse convinta di quello che pensava.
Fu il mio turno di scuotere la testa, lei aprì gli occhi ed io cercai di trasmetterle tutto il mio disappunto con i miei.
“No, Cher, non è così” replicai. Lei fece per ribattere, ma io le afferrai il viso con entrambe le mani, avvicinandolo al mio e guardandola dritta in quelle iridi verdi che amavo con tutto me stesso, come il resto di lei, perché io la amavo tutta e non c’era ormai via di scampo.
“Tu non sei forte abbastanza perché hai cercato di affrontare tutto da sola. E nessuno è forte da solo, le persone sono forti insieme. Tu hai preferito tenerti tutti i problemi per te, ed è qui che hai sbagliato. Perché se tu me ne avessi parlato, io ti avrei detto che insieme avremmo risolto tutto, perché noi due insieme siamo imbattibili” le dissi, scivolando ancora di più vicino a lei. Lei serrò gli occhi, mentre le lacrime ormai scendevano a fiotti sulle sue guance arrossate.
“Tu sei troppo buono e fiducioso, Liam. E’ questo che ti porta fuori strada; io non posso farcela. Sono solo un peso per te, una palla al piede che ti costringe a rimanere a terra. Fidati, senza di me saresti più leggero, potresti spiccare il volo e fare tutto ciò che vorresti fare”.
Quasi non scoppiai a ridere a quelle parole, sembrava veramente convinta di quello che stava dicendo, così tanto da non accorgersi del fatto che io senza di lei non avrei potuto fare proprio niente.
Lei era quella che mi teneva a terra, si, ma in senso buono. Lei mi teneva legato alla realtà, una realtà che era perfetta con la sua presenza, una realtà che, se fossi stato solo, mi avrebbe spaventato. Ma da quando c’era lei, il mio mondo sembrava finalmente cominciare a girare nel verso giusto.
“Ma ti senti? Tu non hai idea di quello che stai dicendo e fa male sapere che per tutto questo tempo tu hai pensato queste cose. Mi fa capire che non mi credi quando ti dico che ti amo, che non mi vedi quando sorrido solo se sorridi tu, che non hai mai fatto caso a come mi batte forte il cuore quando sono con te. E potrò anche sembrare un bambinetto innamorato, ma non mi interessa. Cher, tu sei tutto quello che voglio, ti amo con tutto me stesso e sarei capace anche di lasciare tutto quello che c’è intorno a me e che ti spaventa, se servisse a farti tornare da me, perché io, senza di te, non sono niente” le confessai con il cuore in mano, senza tanti giri di parole, perché era inutile negare l’evidenza.
I suoi occhi ormai si erano trasformati in due fontane ma, oltre tutte quelle lacrime, cominciavo a vedere che stava riflettendo sulle mie parole, che stava riattivando la parte intelligente del suo cervello, quella che da almeno tre giorni era andata in letargo.
“Liam, non puoi lasciare la tua vita, hai delle responsabilità verso i tuoi amici, verso le persone che ti vogliono bene. Io…io posso stare da parte, davvero. Prima o poi ti passerà e andrai avanti come se non fosse successo niente” insistette con voce flebile, ma ormai era così poco convinta delle sue stesse parole che sapevamo entrambi che le stava dicendo per riflesso condizionato, perché le aveva imparate a memoria e aveva provato così tante volte questo discorso che sarebbe stato uno spreco non pronunciarlo perfettamente.
Scossi di nuovo la testa e le sorrisi dolcemente, carezzandole le guance e scostandole i capelli dal viso.
“No, invece. Io non ho niente, se non ho te. Riesco a vivere la mia vita solo perché so che quando torno a casa ci sei tu, che mi riporti alla normalità, che riempi la parte della mia vita fuori dai riflettori, che mi fai sentire un ragazzo come gli altri, come a volte vorrei essere. Io stringo i denti e resisto anche quando vorrei arrendermi solo perché so che ci sei tu. Come ti ho detto prima, le persone sono forti in due, e da quando ci sei tu io mi sento il ragazzo più forte del mondo. Tu vuoi metterti da parte per facilitarmi le cose, ma non capisci che così mi distruggi e basta?”. Rischiavo di scoppiare a piangere da un momento all’altro, e non avrei fatto una gran figura, di certo non dopo aver appena affermato di essere forte.
Lei singhiozzò e chiuse gli occhi per un secondo.
“Io non voglio che tu stia male per me” sussurrò.
“Perché non ce n’è bisogno! Cher, ascoltami, tu riusciresti a vivere la tua vita tranquilla qui, con Mike, senza di me? Perché se tu mi dici che ci riusciresti, io me ne vado e ti lascio in pace, te lo giuro. Ma devi dirmelo, e devi esserne sicura” le dissi, lasciando il suo viso e scostandomi un po’ indietro. Lei spalancò subito gli occhi, allarmata, e piegò le labbra in una smorfia di dolore.
“Perché dev’essere così difficile?” si arrese infine, dopo qualche minuto di silenzio passato ad osservarmi, probabilmente alla ricerca del coraggio di mentire per mandarmi via. Ma quello che provava per me era più forte, e avrebbe vinto su tutto, sempre.
“Tu pensavi davvero che prendendo quello stupido treno avresti risolto le cose? Dovresti saperlo che io, per te, non mi arrenderò mai” le dissi, lasciandomi andare ad una risata di sollievo. Lei mi guardò, un piccolo sorriso che le spuntò sulle labbra in mezzo a tutte quelle lacrime.
Le carezzai di nuovo le guance, per tranquillizzarla, e strofinai il mio naso contro il suo.
“E come facciamo con i nostri genitori? E le tue fan, Danielle?” chiese, con una smorfia sofferente. Scossi la testa e le asciugai le lacrime con i pollici.
“Fregatene di tutto il resto, per favore. Io ti amo, e se per te è la stessa cosa, affronteremo tutto insieme quando arriverà il momento” le dissi. Lei mi sorrise, finalmente, e sospirò.
“Certo che ti amo, Liam, e non smetterò mai di farlo”. Sorrisi e infilai le mani tra i suoi capelli.
“Bene” sospirai, mentre il cuore mi schizzava in gola e le labbra mi tremavano dalla voglia di incontrare le sue.
“Adesso, affrontiamo il nostro primo problema” mormorai. Lei spalancò gli occhi, allarmata, ed io sorrisi.
“Dovremo riuscire a limitarci a baciarci, adesso. Anche se, te lo confesso senza vergogna, mi piacerebbe fare l’amore con te proprio qui” le confessai, a voce bassa. Lei arrossì violentemente e tremò, mentre io sogghignavo soddisfatto.
“Non si può” mi ammonì con sguardo serio.
“Lo so, non si può”
“Però se non mi baci entro due secondi non avrai neanche quello” mi minacciò, con un sorriso furbetto. Non me lo feci ripetere due volte e, con uno slancio veloce e quasi disperato, incollai le labbra alle sue nel bacio più dolce, lungo e passionale che potessi darle.
E anche se non avevamo neanche iniziato ad affrontare i nostri problemi e per il momento eravamo riusciti solo a posizionare la base del progetto che stavamo costruendo, io, davanti a quello splendido tramonto, ero di nuovo intero, felice, forte.
Perché noi due insieme eravamo imbattibili, presto lo avrebbe capito anche lei.

























Ciaaaaaao, bellezze! :D
Oggi sono particolarmente schizzata per vari motivi;
uno, la scuola domani finisce *saltella felice per tutta la casa*
due, Malik 2 è sempre più figo e io comincio a prenderci più confidenza. 
(lo so che non vi ho più aggiornato su questa storia, ma vi dico che va sempre meglio e lui è veramente figo :3)
tre, ...boh, credo che i punti belli siano finiti qui.
Poi ci sono quelli brutti, ma non mi va di elencarli,
vi dico solo che in cima c'è il fatto che questo è il penultimo capitolo
e che sono cinque giorni che provo a scrivere l'ultimo ma proprio non ci riesco çç
E' che al pensiero che è l'ultimo e che poi dopo finisce mi prende troppo male e mi si blocca il cervello.
Credo sia una difesa naturale che ha la mia testolina contro la fine di questa storia u.u
Comunque, mi sforzerò di scriverlo e almeno entro la prossima settimana dovrei riuscire a postare,
poi ci sarà l'epilogo, poi fine.
Lo so che ve l'ho detto anche nel mio angolino dello scorso capitolo,
ma ho bisogno di ripeterlo così me ne convinco da sola e almeno, forse,
qualcun'altro sarà in grado di capirmi çç
So, ora vado. Cercherò di scrivere un po'.
A presto, tanto amore.
Sara.

 










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Capitolo 34
*** Capitolo trentaquattro. ***


Capitolo 34
 
 
 
 
Harry
 
 
 
Svegliarsi con le urla di un certo biondino sempre affamato nelle orecchie non era certo una bella cosa, e se fossi stato in me sicuramente mi sarei alzato di scatto per uccidere la fonte di quel “Buongiorno” urlato a gran voce, talmente forte da sfondarmi i timpani e rimbombarmi nel cervello. Ma la sera prima eravamo rimasti alzati fino a tardi, e in quel momento non ero ancora nel pieno delle mie facoltà mentali neanche per minacciare di morte quel piccolo folletto che sicuramente, prima o poi, me l’avrebbe pagata cara.
“Dai, sveglia, il sole è alto nel cielo e c’è una splendida giornata davanti tutta da vivere!” urlò ancora Niall, entrando come una furia in camera mia, senza neanche preoccuparsi di bussare.
Figurarsi, già era tanto che aveva controllato che fossimo tutti e due vestiti e che lo fosse anche lui. Anzi, mi stupivo del fatto che ancora non aveva spalancato le finestre e si fosse messo a cinguettare con gli uccellini appostati sul davanzale.
Jenny, raggomitolata accanto a me, mugugnò qualcosa e si rigirò nel letto, infilando la testa sotto il mio braccio. Grugnii qualcosa anch’io mentre Niall, come se mi avesse letto nel pensiero, si affrettava a spalancare le finestre e a far entrare la luce del sole nella stanza, che mi colpì gli occhi come uno schiaffo.
“Niall, accidenti!” sbottai, mentre Jenny borbottava qualcosa, sbruffando e stringendosi sempre di più a me, come se potesse fondersi con il mio corpo e non doversi svegliare mai più. La coprii anche con l’altro braccio, per evitarle quel brusco risveglio che a quanto pare Niall aveva premeditato per tutti e due.
“Non borbottare, ragazzino e alza quel culo! Stanno tornando Liam e Cher, dobbiamo accogliere la nostra amichetta fuggitiva” mi rimproverò Niall, salendo in piedi sul letto e cominciando a saltare, rischiando di farci male se avesse messo un piede su una delle nostre gambe.
Stavo per protestare di nuovo, quando Jenny, risvegliata improvvisamente dalle parole del biondino, si tirò su a sedere di scatto, i capelli tutti arruffati e gli occhi ancora mezzi chiusi, ma con uno splendido sorriso sulle labbra che le illuminava tutto il viso ed era più lucente della stessa luce del sole.
Ma non mi sarei mai riparato da quella luce, no, quella era l’illuminazione più bella che si potesse avere.
“Dici sul serio?!” esclamò, aprendo del tutto gli occhi e puntandoli sul biondino che ricambiò il suo sorriso, complice.
“Sul serio” annuì. Jenny si lasciò scappare un urletto eccitato e saltò in piedi anche lei, sul letto, per afferrare entrambe le mani di Niall e saltellare con lui. Alzai gli occhi al cielo e sprofondai la testa nel cuscino, mentre i due saltellavano.
“Davvero stanno tornando? Quando hanno chiamato, come ha fatto Liam a convincerla così facilmente? Quando arriveranno?” chiese Jenny a raffica, facendo ridacchiare Niall.
“Calmati, calmati!” esclamò, scoppiando a ridere, mentre Jenny continuava a lanciare urletti felici. Grugnii qualcosa e tirai loro un cuscino.
“Potreste andare a fare festa da un’altra parte? Io devo ancora svegliarmi!” sbottai, lasciandomi cadere all’indietro sul cuscino con uno sbuffo esasperato.
I due si ammutolirono all’istante ed io aprii gli occhi appena in tempo per vederli scambiare un’occhiata complice e sorridere maligni. Li guardai preoccupato, mentre Niall scendeva con un balzo dal letto e Jenny mi guardava con un sopracciglio alzato.
“Pensaci tu, io vado a svegliare Zayn” gli disse Niall, guardandomi di sottecchi. Jenny annuì e aspettò che Niall si chiudesse la porta alle spalle, per poi buttarsi letteralmente sopra di me.
“Ow, Jenny!” esclamai, piegandomi per la botta allo stomaco appena presa. Jenny ridacchiò e si mise cavalcioni su di me, cominciando a farmi il solletico sulla pancia nuda.
“Adesso ti faccio svegliare io, brontolone” mormorò tra se e se, senza neanche darmi tempo per riprendere fiato.
“Dai, smettila!” la implorai tra le risate, un paio di lacrime che mi scivolarono sulle guance e lo stomaco che mi si chiudeva dai singhiozzi. Lei ridacchiò ma non accennò a smettere, un lampo di sfida negli occhi, allora decisi di prendere in mano la situazione.
Con una mossa veloce le afferrai entrambe le mani e vidi i suoi occhi spalancarsi dalla sorpresa, prima che ribaltassi la situazione schiacciandola sul materasso e posizionandomi sopra di lei.
Mi lanciò un’occhiata preoccupata ed io ghignai, cominciando a pensare a come fargliela pagare.
“Okay, ora mi hai svegliato” le dissi, tenendole le braccia bloccate sopra la testa. Le scappò un sorriso e potei vedere un lampo d’eccitazione negli occhi, evidentemente curiosa di vedere cosa mi sarei inventato.
“Era anche ora” mormorò, mordendosi il labbro inferiore. Deglutii, improvvisamente più che sveglio.
Possibile che bastasse solo un suo sguardo equivocabile per infiammarmi?
“Mmh, ora però ti toccherà pagarne le conseguenze” continuai, piegando un po’ la testa di lato e lasciandomi scappare un sorriso. Lei arrossì e si spostò leggermente sotto di me, facendo sfiorare accidentalmente le nostre parti del corpo più vulnerabili e sensibili.
“Sta tornando mia sorella, che non vedo da due giorni” mi ricordò lei, con fare provocante. La guardai alzando entrambe le sopracciglia e mi strinsi nelle spalle per evitare di lasciarle andare le mani, anche se sapeva che l’avrei fatto da un momento all’altro per avere le mie libere di esplorare tutto quello che volevano.
“Conoscendo Niall, Liam e Cher avranno appena chiamato per dire che forse tornano” riflettei, “Lui però ha sempre l’entusiasmo a mille per tenersi dentro anche la minima cosa. Quindi, secondo i miei calcoli, abbiamo tempo” annunciai fiero di me. Lei si morse il labbro per evitare di sorridere e provò a scivolare via da me, agitandosi, ma io la tenevo stretta.
“Dove credi di andare?” le chiesi, sdraiandomi completamente su di lei per bloccarle le gambe con le mie. Lei si lasciò scappare un sospiro un po’ frustrato, un po’ divertito e si fermò, guardandomi di sottecchi.
“Lo sai che Niall verrà a recuperarci da un momento all’altro?”
“Lo sai che se prova a mettere piede in questa camera se ne pentirà amaramente?” replicai al volo, per poi pensarci meglio e lasciarla andare di scatto, balzare giù dal letto e correre alla porta per chiuderla a chiave. Nel frattempo anche Jenny si era alzata e con una risata schizzò verso la porta, cercando di anticiparmi ed uscire, ma io l’afferrai per i fianchi e la feci ruotare su se stessa, spingendola fino al muro, poggiandola contro e chiudendole qualsiasi via d’uscita.
“Che hai intenzione di fare, Harry?” mi chiese lei , con voce innocente, sbattendo le palpebre e poggiando le mani sulle mie braccia, ai lati dei suoi fianchi, per tenersi in equilibrio, il fiato leggermente corto.
“Te l’ho detto che non devi sfidarmi o poi ne paghi le conseguenze…” sussurrai, senza staccare gli occhi dai suoi, notando di come il sangue cominciasse a colorarle le guance e di come il mio respiro si facesse sempre più irregolare. “Ma sembra proprio che tu non vuoi sentirmi” conclusi facendo spallucce.
Un piccolo sorriso furbetto le spuntò sulle labbra costringendo a sorridere anche me.
“No, a quanto pare no” mormorò lei, socchiudendo gli occhi e alzando il viso verso il mio. Sorrisi e mi chinai fino a far sfiorare i nostri nasi.
“Qualcosa mi dice che lo fai perché pensi che le ‘conseguenze’ siano sempre piacevoli, vero?”
“Fino ad adesso devo dire che mi è andata piuttosto bene” mormorò lei in risposta, ammettendolo tra le righe. A quel punto ghignai e mi tirai indietro appena prima che le nostre labbra si toccassero, facendole fare una smorfia infastidita.
Ridacchiai, senza allontanarmi più di tanto, e la osservai dalla testa ai piedi, con aria pensierosa anche se avevo già ben stampato in testa cosa fare.
“Hai detto bene. Fino ad adesso” le dissi, appena prima di afferrarla per i fianchi e caricarmela in spalla. Jenny lanciò un urlo e si aggrappò ai miei fianchi per paura di cadere, anche se sapeva che non l’avrei mai lasciata andare.
“Harry! Mettimi giù!” squittì, colpendomi la schiena con un pugno debole, cominciando a scalciare. Ridacchiai e aprii la porta, scuotendo la testa.
“Non ci penso nemmeno, adesso ci divertiamo”
“Dai, Harry, tra poco arriverà Cher” piagnucolò lei, scalciando e cercando di liberarsi.
“Appunto, devi renderti presentabile, e cosa c’è di meglio che una doccia di prima mattina?” replicai, dirigendomi a passo veloce verso il bagno.
Lei cacciò un altro urletto e, a testa in giù, tentò di liberarsi in tutti i modi, ma non c’era verso che la lasciassi andare, era troppo divertente.
“Oh, no, per favore” mormorò, arrendendosi e lasciandosi portare come un sacco inerme, dondolando le gambe e tenendomi stretto per i fianchi.
“Spiacente, ho già preso una decisione” le annunciai, superando un assonnato Zayn che ci guardò come se fossimo due alieni, aprendo poi la porta del bagno con un calcio.
Lasciai scendere Jenny direttamente nella vasca da bagno e mi voltai velocemente a chiudere la porta a chiave prima che lei potesse anche solo pensare di poter scappare, poggiando mici contro e osservandola mentre mi guardava con aria implorante, in piedi dentro la vasca, i capelli ancora arruffati dalla dormita, gli occhi accesi, le guance arrossate e la mia maglia con cui dormiva la notte deliziosamente alzata sulle cosce nude.
“Adesso, ci divertiamo” annunciai, battendo le mani. Jenny alzò gli occhi al cielo e mise un piede fuori dalla vasca.
“No, correggi: l’unico che si divertirà sarai tu” sibilò, lanciandomi un’occhiataccia, mettendo anche l’altro piede fuori. Ridacchiai e mi avvicinai di un passo.
“Hai così poca fiducia in me?” le chiesi poggiandomi una mano sul cuore, fingendomi oltraggiato e facendo altri passi avanti. Lei alzò gli occhi al cielo lasciandosi scappare un mezzo sorriso e cercò di aggirarmi sulla destra, ma io glielo impedii. Allora cercò di passare sulla sinistra, ma io mi muovevo di riflesso come uno specchio, impedendole di passare, il suo sorriso che si allargava sempre di più, divertito, esasperato e anche un po’ rassegnato.
Mi conosceva bene, sapeva che quando mi mettevo una cosa in testa dovevo farla, ma sapeva anche che se me l’avrebbe data vinta subito non avrei più smesso di torturarla.
“No, Harry, ma so già come andrà a finire” replicò lei, alzando di nuovo gli occhi al cielo e fermandosi finalmente sul posto, a braccia incrociate, aspettando la mia prossima mossa.
“Allora farò in modo di sorprenderti” le sussurrai, spingendomi verso di lei e schioccandole un bacio veloce sulle labbra imbronciate. Lei chiuse gli occhi e le spuntò un dolcissimo sorriso sulle labbra, leggermente rilassato, allora non aspettai un secondo di più. La presi di nuovo per i fianchi e con facilità la sollevai. Lei squittì e si aggrappò con le braccia al mio collo per paura di cadere. Con un balzo entrai nella vasca con lei in braccio e la posizionai esattamente sotto la doccia, per poi allontanarmi e aprire l’acqua al massimo.
“Harry!” urlò di riflesso, facendo un saltello all’indietro e schizzando praticamente tutto il bagno. Scoppiai a ridere e, attento a non finirci anch’io, la ritirai sotto il getto dell’acqua, completamente congelata.
“E’ fredda!” si lamentò lei, rabbrividendo e stringendosi le braccia al corpo, saltellando sul posto e cercando di allontanarsi dal getto dell’acqua.
Ridacchiai e lo spostai leggermente, facendo uscire l’acqua tiepida, per poi tirarla verso di me, ignorando il fatto che eravamo entrambi ancora vestiti e che il getto dell’acqua ormai stava inzuppando anche me.
“Vieni qui, ti scaldo io”
Lei si lasciò avvicinare rimanendo a braccia incrociate con il broncio sulle labbra. Le sorrisi piegando un po’ la testa di lato e le circondai il corpo con le braccia, stringendola a me, i nostri vestiti bagnati che si appiccicarono facendomi venire voglia di toglierli subito di mezzo.
Lei infilò la testa nell’incavo del mio collo e si rilassò leggermente, mentre le accarezzavo la schiena per tutta la sua lunghezza, sfiorandole la spina dorsale e sentendola rabbrividire ad ogni mio semplice tocco.
“Fino a qui eri facilmente prevedibile” mugugnò contro la mia pelle, lasciandomi un bel morso sul collo. Sobbalzai e scoppiai a ridere, sentendola sogghignare sottovoce, mentre faceva passare le sue braccia intorno alla mia schiena, sotto la maglia, sfiorandomi la pelle calda.
“Non continuare a sfidarmi, ragazzina, potrei tenerti chiusa qui dentro tutto il giorno” le sussurrai all’orecchio, mordendole il lobo e facendo sobbalzare anche lei. Mi pizzicò la schiena e io ridacchiai.
“Non puoi, sta tornando mia sorella” mi ricordò, stringendosi nelle spalle e alzando il viso per puntare quei dannati e bellissimi occhi nei miei.
“Sicuramente saprà che sei qui con me… ti sentirà”. Lei ci mise un secondo di più a capire la mia allusione e spalancò la bocca, senza parole, per poi fare un passo indietro, arrossendo violentemente.
“Harry!” esclamò, senza sapere cos’altro dire. Davanti alla sua espressione oltraggiata, imbarazzata e completamente piena di vergogna scoppiai a ridere, mentre lei mi fissava ancora ad occhi spalancati, le guance rosse.
“Dai, quanto sei pudica” la presi in giro, cercando di riafferrarla e avvicinarla a me, perché il mio abbraccio non era ancora finito. Lei si allontanò trattenendo a stento un sorriso, finendo però suo malgrado con le spalle al muro.
“Sei disgustoso” commentò, cercando di tenermi lontano. Ridacchiai e le afferrai entrambe le mani con una delle mie, bloccando i suoi tentativi di allontanarmi.
“Peccato che non pensi questo di me quando…”
“Ah, smettila!” urlò, sovrastando la mia voce e bollendo dall’imbarazzo. Mi fermai e la guardai divertito, incrociando le braccia al petto e godendomi tutto il suo imbarazzo: era semplicemente adorabile.
Si vergognava anche solo a pensare a certe cose, ma quando però era nel mentre, altro che ragazzina timida, si trasformava in tutt’altra persona e, Dio, quanto rimpiangevo tutto il tempo perso.
“Ti odio quando fai così” mugugnò, mettendo il broncio. Mi lasciai sfuggire un sospiro intenerito e piegai la testa di lato, allargando le braccia e sorridendole.
“Dai, scusa. Non dico più niente, promesso” le assicurai, tenendo le braccia aperte verso di lei, sapendo che non poteva resistere a lungo. Lei mi osservò da sotto le lunghe ciglia ed io cercai di non distrarmi, anche se la maglietta bagnata che le aderiva perfettamente al corpo mi rendeva le cose piuttosto difficili.
“Se ti abbraccio mi lasci andare?” mi chiese con voce da bambina. Le sorrisi e annuii.
“Si, ma ora vieni qui”. Lei non se lo fece ripetere due volte e si catapultò tra le mie braccia, facendomi vacillare. Persi l’equilibrio e caddi all’indietro, ma prima di atterrare di schiena sul marmo duro della vasca l’afferrai per i fianchi e la trascinai con me. Con un urlo soffocato atterrò perfettamente sopra di me, poggiandosi con le mani ai lati della mia testa per sorreggersi.
Le sorrisi, circondandole la schiena con le braccia e lei ricambiò, scostandomi i capelli bagnati dal viso, lisciandomeli all’indietro e infilando le dita tra i ricci.
“Lo sai che sei proprio bello?” si lasciò scappare, carezzandomi il viso, la punta del naso, le labbra. Scoppiai a ridere e le baciai i polpastrelli appena prima che lei ritirasse le mani per andare a giocherellare con il ciondolo della mia catenina.
“Si, lo so” risposi con un sorriso. Lei alzò gli occhi al cielo e mi fece una smorfia.
“Sempre il solito modesto” borbottò. Ridacchiai e infilai una mano sotto la sua maglia bagnata, carezzandole la schiena e facendola sussultare.
“Perché dovrei mentire? Io dico sempre la verità” mi giustificai stringendomi nelle spalle e allargando la mano sulla sua schiena per stringerla ancora di più a me. Lei mi lasciò fare e arrivò a sfiorare il mio naso con il suo, facendomi un’altra smorfia divertita.
“A volte potresti anche stare zitto” mi consigliò, strofinando il naso contro il mio. Ridacchiai e mi sporsi per rubarle un bacio a fior di labbra, prima che lei si tirasse indietro di scatto, con sguardo provocante.
“Che c’è?” le chiesi, guardandola alzando le sopracciglia e alzandomi sui gomiti per avere più libero accesso alla sua bocca. Lei si strinse nelle spalle, improvvisamente distratta da qualcosa nei miei occhi, dato che non riusciva a smettere di fissarli, e accaldata dalle mie labbra, visto che ci si era buttata sopra come se fossero una fonte di vita.
Con un gemito accolsi il suo bacio e la strinsi a me, lasciandomi di nuovo scivolare sulla schiena e sistemandola bene sopra di me.
Le sue dita finirono di nuovo tra i miei capelli e le mie sotto la sua maglia, facendo per tirarla su e toglierla finalmente di mezzo, quando con un sussulto e una forza di volontà che non so dove trovò, si staccò quel poco che le permise di respirare e di riattivare il cervello, anche se avrei preferito che rimanesse in standby ancora per un po’.
Mi sforzai di riaprire gli occhi proprio mentre lei si passava la lingua sulle labbra, ancora ad occhi chiusi, infiammandomi completamente e convincendomi del fatto che probabilmente non l’avrei fatta sul serio uscire più da quel bagno.
“Avevi detto che mi avresti lasciata andare” mi ricordò con il fiato corto. Alzai gli occhi al cielo e sorrisi esasperato. Quel lato di se non sarebbe mai riuscita ad evitarlo: doveva sempre puntualizzare ogni cosa e ricordare alle persone di mantenere la parola data, perché lei l’avrebbe sempre fatto.
Era una buona dote, a mente fredda. Peccato che sembrava tirarla fuori sempre nei momenti meno opportuni.
Ignorando le sue flebili proteste la baciai di nuovo di slancio, stringendola contro il mio petto e togliendole il fiato.
Ansimò quando smisi di torturarle le labbra per farla tornare a respirare, e le sorrisi, passando a baciare il suo collo candido, dove la pelle era sempre più morbida e calda di tutto il resto del corpo.
“Io non ti lascerò mai andare, piccola, dovresti saperlo”. Lei schioccò la lingua e sussultò quando le mordicchiai la pelle.
“Sei un fottuto bugiardo, lo sai?” replicò, stringendo di riflesso i miei capelli tra le dita. Feci spallucce e tornai con il viso all’altezza del suo, aspettando che aprisse gli occhi per annegarci dentro.
“Forse. Ma in fondo non credo che tu voglia andartene proprio ora” le feci notare con nonchalance e con la mia solita punta di sarcasmo e provocazione nella voce. Lei fece finta di pensarci su, guardando il soffitto e arricciando le labbra, ma non mi avrebbe mai fregato: sentivamo entrambi quanto batteva forte il suo cuore in quel momento e quanto fremeva dalla voglia di tornare a baciarmi.
“No, in effetti credo di no” si arrese infine con un gran sospiro. Sorrisi e le misi una mano dietro la nuca per attirarla a me.
“Molto bene” dichiarai, per poi baciarla di nuovo e sentirla lasciarsi andare completamente.
In quel momento era nelle mie mani ed io non avevo aspettato altro per tutto il tempo.
Mugugnai soddisfatto quando si sistemò meglio su di me e diventò parte attiva di quel bacio, ricambiando con la stessa passione che ci stavo mettendo io. Sentivo che da un momento all’altro saremmo scoppiati tutti e due dal desiderio se non avessimo fatto qualcosa per acquietarlo, così decisi di prendere l’iniziativa.
Mi liberai, finalmente, di quella maglietta che avevo odiato per tutto il tempo, notando solo quando finì sul pavimento che sotto di essa Jenny non aveva niente.
Mi si bloccò il respiro e lei sussultò, ma sembrò apprezzare perché mi mordicchiò il labbro inferiore facendo aumentare il mio desiderio di farla mia all’istante.
Peccato che qualcuno ignorava il fatto che eravamo piuttosto occupati in quel momento, cominciando a bussare e a urlare a squarciagola fuori la porta del bagno.
Grugnii di rabbia e Jenny si bloccò, fulminando la porta con gli occhi.
“Accidenti” sbottai, mentre quel qualcuno continuava a bussare. Jenny sibilò qualcosa e mi baciò di nuovo, tappandomi le orecchie con le mani e facendomi sorridere.
Ma quello non bastava a distrarmi da chiunque era lì fuori, anche perché rischiava di buttare giù la porta per quanto stava bussando forte.
“Harry, apri questa porta, è urgente!” urlò Louis, continuando a bussare. Mi irrigidii e sbuffai, allora a quel punto anche Jenny si arrese e mi lasciò andare, tirandosi su.
“Andiamo, ragazzi, lo so che siete tutti e due lì dentro, ma io ho bisogno del bagno!” esclamò ancora, con voce strozzata.
“Ci sono altri due bagni nella casa!” urlai di rimando, anche se ormai era inutile, perché Jenny si stava infilando di nuovo la maglietta e, anche se Louis se ne fosse andato, il momento era ormai sfumato.
“In uno ci si è chiuso Zayn, e sai quanto ci mette se passa davanti allo specchio. L’altro l’ha allagato Niall e io non posso aspettare che pulisca. Ho bisogno di andare in bagno, adesso!” urlò ancora. Jenny ridacchiò e cercò di asciugarsi alla meno peggio per evitare di sgocciolare in giro per casa, poi tornò vicino alla vasca e mi porse la mano per aiutarmi a tirarmi su.
“Dai, o rischia di farsela sotto” mi disse ridacchiando, mentre io mi rimettevo in piedi e mi toglievo la maglietta completamente zuppa. Vidi i suoi occhi spalancarsi leggermente e sorrisi soddisfatto, prima che Louis ci facesse sobbalzare di nuovo bussando alla porta.
“Andiamo ragazzi, qui fuori c’è una necessità primaria!” esclamò di nuovo. Alzai gli occhi al cielo e mi promisi di fargliela pagare al più presto. Jenny mi sorrise e mi carezzò la guancia prima di andare ad aprire la porta.
Louis schizzò in bagno, non aspettò nemmeno che Jenny uscisse e si tirò giù i pantaloni per liberarsi.
“Louis!” esclamai sconvolto.  Lui mi guardò, l’espressione sofferente che pian piano si alleviava.
“Che c’è? Ho la stessa cosa che hai tu!” replicò, mentre Jenny faceva un verso disgustato e si copriva gli occhi con le mani, voltandosi dall’altra parte.
“Si, ma qui c’è una ragazza se non te ne fossi accorto. La mia ragazza” gli feci notare, fulminandolo con lo sguardo. Finalmente libero e rilassato si ricompose e fece spallucce.
“E allora? Vuoi farmi credere che Jenny non abbia ancora visto il tuo amichetto?” ridacchiò, alzando entrambe le sopracciglia. Jenny arrossì violentemente e lo guardò oltraggiata. Io mi trattenni a stento dal ridere e le circondai le spalle con un braccio.
“Questo non vuol dire che debba vedere anche il tuo!” sbottai, mentre Louis se la rideva. Jenny strinse le labbra e grugnì qualcosa, prima di alzare le braccia al cielo.
“Non voglio sentire neanche mezza parola in più” dichiarò, sciogliendo il mio abbraccio e uscendo dal bagno viola dalla vergogna. Aspettai che si chiudesse in camera per scoppiare a ridere insieme a Louis. Lui si asciugò le lacrime e mi batté una mano sulla spalla.
“Credo di averla traumatizzata” biascicò tra le risate. Annuii e cercai di riprendere fiato.
“Si, e non azzardarti a farlo mai più” lo minacciai bonariamente. Lui schioccò la lingua.
“Si, come se non sapesse come siamo fatti lì giù noi ragazzi…stava per avere una dimostrazione in tempo reale” ammiccò, guardando verso il cavallo dei miei pantaloni, ancora leggermente rialzato.
Gli lanciai un’occhiataccia e mi coprii con le mani, ricordandomi all’istante che ci aveva interrotti proprio sul più bello.
“A proposito di questo…sei proprio uno stronzo!” lo accusai, facendolo scoppiare di nuovo a ridere. Allargò le braccia e sospirò innocentemente.
“Non è colpa mia se avete scelto il bagno per fare certe cose proprio nel momento in cui il mio willy stava per scoppiare” si giustificò.
Grugnii qualcosa e lo colpii con un colpo sulla nuca.
“Vuoi vedere come ti faccio scoppiare io adesso?” replicai. Lui mi guardò fingendosi spaventato ma, ancora una volta, venni interrotto sul più bello dal rumore della porta d’ingresso.
Io e Louis ci guardammo sorpresi per qualche secondo, immobili.
“Non possono essere Cher e Liam, hanno preso il treno appena mezz’ora fa” mormorò Louis, gli occhi spalancati. Jenny si affacciò in bagno con espressione preoccupata.
“Ehm, credo sia meglio che venite giù” ci disse. Non me lo feci ripetere due volte e schizzai sulle scale, con Louis al seguito, stringendo la mano di Jenny.
“Che succede?” chiese Louis, scendendo gli ultimi due scalini con un balzo.
La scena che ci ritrovammo davanti era abbastanza imbarazzante: Goffrey barcollava instabile nell’ingresso, il viso arrossato, con in mano la famosa scatolina blu di velluto che faceva impazzire tutte le donne.
Ma dall’odore forte e acre dell’alcool che emanava da tutti i pori e l’espressione sofferente capii che la sua donna non era proprio impazzita a quella vista.
“Geoffrey, cosa ci fai qui?” chiese Jenny con voce cauta, stringendo forte la mia mano. Geoffrey la guardò, senza però vederla veramente, gli occhi velati e un sorriso sghembo sulle labbra. La indicò e barcollò in avanti.
“Sono venuto a dirti che tua madre è proprio una stronza!” biascicò. Jenny sussultò ed io feci un passo in avanti, mettendomi tra lei e Geoffrey.
“Signore, credo che sia meglio che ora se ne vada” intervenne Louis affiancandomi, ma Geoffrey ci ignorò, puntando i suoi occhi su Jenny, che respirava a fatica accanto a me.
“No, devo dirle solo una cosa” continuò imperterrito, facendo altri passi avanti.
“Non credo sia il caso” sbottai, stringendo i pugni. Lui mi sorrise e mi diede un buffetto sulla guancia, facendomi spostare di scatto.
“Che c’è, la proteggi? Tanto è stronza come la madre, ti lascerà poco prima di andare all’altare come ha fatto con me!” sibilò, lanciandoci un’occhiata sprezzante.
Jenny sussultò.
“Se n’è andata?” chiese con voce flebile, attirando l’attenzione di Geoffrey, che si sporse a guardarla infastidito da me che gli impedivo il libero accesso.
“Si, le ho chiesto di sposarla e lei è sparita, se n’è andata quella stronza!” sbottò, quasi urlando.
“Adesso basta, Geoffrey, è meglio che tu te ne vada” disse Louis con voce dura, seria, come non l’avevo mai visto, mettendosi davanti a me. Geoffrey ci guardò uno per uno, con espressione schifata, poi barcollò all’indietro con le mani alzate a mo’ di resa.
“Me ne vado, okay. Ma se vedi tua madre, dille che è proprio…”
“Una stronza, si! Abbiamo capito, adesso vattene” sbottai. Geoffrey schioccò la lingua e uscì, chiudendosi la porta alle spalle e sparendo nello stesso modo in cui era apparso, lasciandosi indietro però un’atmosfera carica di tensione che non era per niente paragonabile a quella spensierata e quasi divertita che c’era prima che arrivasse.
Dopo qualche minuto in cui eravamo rimasti immobili come statue, alcuni passi saltellanti sulle scale ci fecero sobbalzare e voltare di scatto.
Niall, zuppo dalla testa ai piedi con uno straccio e un secchio in mano ci guardava sorpreso.
“Ehi, ragazzi! Sembra che avete appena visto un fantasma!” esclamò. A quelle parole tornai alla realtà e mi voltai di scatto per prendere Jenny tra le braccia e stringerla forte. Lei si aggrappò alla mia schiena, leggermente tremante.
“Va tutto bene” le sussurrai nell’orecchio, mentre Louis spiegava frettolosamente a Niall cosa era appena successo.
“Se n’è andata” mormorò Jenny per tutta risposta, “Di nuovo”.
“Lo so” sospirai, carezzandole la schiena.
Lei mi strinse forte, mentre venivamo raggiunti anche da Zayn e Louis raccontava anche a lui la novità.
“Ragazzi, la mia vita non è stata mai così entusiasmante e piena di colpi di scena!” esclamò Niall, alleggerendo l’atmosfera. Louis ridacchiò ed io sospirai, mentre Jenny si calmava e scioglieva l’abbraccio e si asciugava le lacrime che non mi ero accorto gli erano sfuggite.
Le carezzai la testa e lei mi sorrise debolmente.
Quella donna le aveva dato il colpo finale con quella sua ennesima fuga, speravo che almeno Jenny si fosse rassegnata al fatto che non avrebbe mai potuto avere una madre come punto di riferimento, a meno che non prendesse in considerazione Cher, che era l’unica che c’era sempre stata e che era sicura non l’avrebbe mai abbandonata.
“Ci credo, le tue uniche emozioni forti le provi quando riesci a segnarmi alla play!” ribatté Louis, schioccando la lingua. Zayn alzò gli occhi al cielo prevedendo il loro solito battibecco ed io mi lasciai andare ad un sospiro quasi esasperato.
“Ma se ti faccio sempre il culo, taci!” replicò il biondino, sventolando una mano in aria.
Louis schioccò la lingua ma non fece in tempo a ribattere che la porta di casa si aprì di nuovo, questa volta portando buone notizie.
Jenny schizzò immediatamente verso la porta non appena si accorse di chi ci fosse dietro e si catapultò tra le braccia della sorella, che sorrideva come non l’avevo più vista fare per parecchio tempo.
Liam, dietro di lei, finalmente era tornato se stesso, fiero, felice e completo mentre stringeva la mano alla sua ragazza.
Niall non diede loro nemmeno il tempo di entrare e urlò la novità, facendoli pietrificare sul posto.
Cosi ci trasferimmo tutti in salotto, per dare il bentornato a Cher e per aggiornarla su quello che si era persa.
Mentre i ragazzi parlavano e discutevano, però, io mi persi nei miei pensieri, osservando il sorriso di nuovo spensierato e tranquillo di Liam.
Quanto ci aveva messo ad ottenere quello che voleva?
Esattamente due giorni: tempo di arrivare a Weymouth, guardare Cher negli occhi, convincerla di poter essere felice solo con lui, fermarsi per la notte a fare le cose loro e ripartire poi il giorno dopo sullo stesso treno che aveva portato via prima Cher e poi Liam, però questa volta insieme.
A volte mi stupivo di quanto potesse essere forte la forza di volontà di quel ragazzo: solo un giorno prima sembrava privo di tutta la sua vitalità, uno zombie che si limitava a respirare e a trascinarsi per casa senza senso, mentre in quel momento era davanti a me con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro e la sua Cher stretta tra le braccia.
Era stato sempre considerato il più maturo del gruppo, l’unico in un certo senso con la testa sulle spalle, il nostro papà, ma la verità era che lui era l’uomo, perché solo di uomo si poteva trattare, da cui tutti noi prendevamo esempio, perché qualsiasi ragazzo di vent’anni avrebbe voluto avere la sua stessa maturità e intelligenza.
Forse per questo Cher era di nuovo tra noi, forse si era accorta che ci stava perdendo troppo andandosene e lasciandolo.
O forse, semplicemente, quello che c’era tra di loro era troppo forte per essere spazzato via dalla stanchezza, o dall’esasperazione che sapevo bene poteva provocare la nostra vita.
Ma nonostante tutto sentivo che ce l’avrebbero fatta, così come io e Jenny, sentivo come se niente e nessuno avrebbe potuto mettersi tra di noi, come se fossimo legati da un filo invisibile che nessuno poteva tagliare.
Magari era patetico pensare una cosa del genere, ma ero convinto del fatto che chiunque avrebbe ucciso per provare le sensazioni che provavo io solo guardandola negli occhi.
Era come se in quelle iridi verde smeraldo, leggermente più scure verso l’interno, io avessi trovato il mio posto nel mondo, il luogo dove sarei sempre stato felice.
E non sarebbe stato semplice, su questo non c’erano dubbi, perché ero sicuro che prima o poi anche la nostra storia sarebbe venuta fuori, ma non mi preoccupavo, perché noi eravamo più forti.
Più forti delle critiche, più forti delle occhiatacce, più forti di tutto.
Ed eravamo insieme, chi altro aveva la nostra fortuna?
“Ci pensi mai al futuro, Harry?” mi chiese Jenny, intrufolando il viso nel mio collo, posando un delicato bacio sulla mia pelle surriscaldata, quando il discorso sul fatto che Goffrey fosse rimasto fregato sembrò chiuso.
Sorrisi di riflesso e la strinsi a me.
Se pensavo al futuro? Dire che lo facevo era dire poco: ogni giorno immaginavo infinite opzioni, miliardi di modi in cui poteva essere il nostro futuro. Immaginavo che con i ragazzi sarebbe andata sempre alla grande, che saremmo stati sempre più famosi, che nessuno ci avrebbe mai abbandonati, finché un giorno, soddisfatti, avremmo deciso di dire basta, per rilassarci con la nostra famiglia, senza mai dimenticare i nostri fan.
Oppure immaginavo che con il tempo sarebbero stati i fan a lasciarci perdere, dimenticandosi pian piano di noi, acclamando i nuovi gruppi, i nuovi artisti, più giovani, più belli, più divertenti. E a quel punto ci saremmo messi l’anima in pace e saremmo andati avanti con la nostra vita, prendendo quel che veniva giorno per giorno.
O ancora, nel peggiore dei modi, che qualcuno di noi litigasse, mandando all’aria la band, le amicizie, costringendoci a lasciare tutto e a rintanarci nella nostra vita privata.
Ma questa era l’opzione che escludevo sempre e a cui evitavo di pensare, perché il legame che c’era tra di noi era indistruttibile e non c’era niente e nessuno che poteva mettersi tra di noi.
Comunque ne avevo immaginate fin troppe, di possibilità. E se c’era una cosa di cui ero sicuro era che, anche senza i ragazzi, io non sarei mai stato solo. Perché qualsiasi cosa ipotizzassi, Jenny era lì con me, nel bene e nel male.
“Si” le risposi dando vita ai miei pensieri, carezzandole i capelli e lasciandole un bacio sulla fronte, "E tu ci sei sempre”.



























Eccoci.
Siamo arrivati all'ultimo capitolo.
Dio, quanto mi sembra strano dirlo, non so, è come se questa storia ci fosse sempre stata e sapere che sta per finire...
boh, non riesco a realizzare che, dopo l'epilogo, non scriverò più di loro.
Non ci saranno più Cher che sclera, Liam che la consola, Harry che non capisce e Jenny che si incazza.
Niente più sfide alla play tra Louis e Niall, niente più silenzi misteriosi da parte di Zayn.
Chiuso, finisce tutto.
Forse sono troppo melodrammatica, sicuramente esagerata, ma boh, fa un po' male pensare queste cose.
Quindi la smetto, yay!
Allora allora...parliamo d'altro:
la canzone di Harry.
asgajshdoiwdkk **
Non riesco a smettere di ascoltarla, anche se mi sembra strano sentirlo cantare da solo, la prima volta che l'ho sentita era come se le mie orecchie cercassero automaticamente le altre voci.
E poi, sarò paranoica, ma questa cosa che hanno firmato contratti in cui sono liberi di cantare singolarmete mi preoccupa. 
Anche tanto.
Sento che stanno cambiando, crescendo, e non sono più i miei ragazzi, quelli che non avrebbero mai pensato di allontanarsi l'uno dall'altro.
Okaaaaay, basta Sara, oggi sei troppo depressa.
La pianto e me ne vado.
Ringrazio tutte quelle che hanno recensito lo scorso capitolo alle quali non sono riuscita a rispondere.
Il resto dei ringraziamenti me lo risparmio per l'epilogo, e ce ne sono davvero parecchi da fare :')
Ora me ne vado.
Spero che quest'ultimo capitolo vi piaccia çç
A presto, tanto amore.
Sara.













 

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Capitolo 35
*** Capitolo trentacinque- Epilogo. ***


 Capitolo 35- Epilogo
 
 



Jenny
 




Non c’era cosa più rilassante di passare l’intero pomeriggio sdraiata sulla spiaggia a prendere il sole. I ragazzi, finalmente dopo una mattinata a pregarmi di giocare a beach volley in modo da formare squadre complete, anche se chiamando me non avrebbero fatto di certo un buon acquisto, mi avevano lasciata in pace a poltrire come volevo dall’inizio della vacanza.
Era  la prima settimana di luglio, ed eravamo tornati a ‘casa’ per passare le vacanze estive prima che i ragazzi partissero di nuovo per un altro tour, però questa volta io e Cher non eravamo neanche sfiorate dalla paura di perderli, semplicemente perché saremmo andate con loro, ed io non vedevo l’ora di viaggiare per l’Europa con il mio ragazzo.
Sarebbe stato sempre impegnato, quello lo sapevo. Ma sapevo anche che avrebbe fatto in modo di trovare anche solo un paio d’ore al giorno da passare con me per farmi visitare quelle città che lui ormai conosceva bene essendoci stato già decine di volte.
L’unica cosa che mi dispiaceva era che Cat doveva rimanere a casa e, dato il fatto che da un mese a questa parte lei e Niall erano diventati inseparabili, sarebbe stato difficile per loro stare lontani per più di due mesi. Potevo capirla e potevo anche capire il piccolo sclero che aveva avuto quando Niall le aveva detto che sarebbe venuto in vacanza con noi. Quello che però lei non sapeva era che non sarebbe rimasto con noi tutti e tre i mesi, ma ad agosto sarebbe tornato a casa, da lei, per farle una sorpresa e per passare il più tempo possibile insieme prima della partenza.
Erano dolcissimi insieme ed ero contenta e soddisfatta del fatto che ero stata io a farli conoscere; lo dicevo sempre che sarei stata un ottimo cupido.
Sospirai e chiusi gli occhi, beandomi del calore del sole sulla mia pelle, sentendolo penetrare in ogni mio singolo poro e sentendo i muscoli rilassarsi, la stanchezza scivolare via e una vaga sensazione di pace e tranquillità insediarsi dentro di me.
Peccato che quella sensazione che avevo bramato per tutta la mattinata venne interrotta sul nascere da una cascata di acqua gelida che mi risvegliò all’istante dalla stato di torpore facendomi imprecare a mezza bocca e tirare su a sedere di scatto.
Sapevo che sarebbe stato impossibile rilassarsi in spiaggia quando c’erano quei cinque cretini lì intorno. Non perché erano assaliti da fan urlanti come accadeva a Londra o in qualsiasi altro posto, ma perché erano dei perfetti imbecilli e sembrava non potessero vedere una persona con gli occhi chiusi a sonnecchiare che dovevano darle fastidio, e in questo caso la persona presa di mira ero stata proprio io.
Quando aprii gli occhi, sputacchiando l’acqua salata che mi era finita in bocca, già sapevo chi avrei trovato davanti a me, l’unico che non era spaventato dalle possibili conseguenze del tirarmi una secchiata d’acqua mentre stavo quasi per addormentarmi. Gli altri ragazzi probabilmente erano terrorizzati dalla mia reazione, sapevano tutti quanto mi desse fastidio essere svegliata, ma c’era sempre una persona a cui non spaventavano le mie urla o lei mie minacce poco minacciose: Harry.
In quel momento se ne stava in piedi davanti a me, a qualche metro di distanza di sicurezza, con ancora in mano un secchiello probabilmente preso in prestito da uno dei bambini che stavano giocando sul bagno asciuga, e un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia.
Lo guardai in silenzio per qualche secondo, limitandomi a respirare profondamente e a scostarmi i capelli bagnati dalla faccia, mentre lui lasciava cadere a terra il secchiello e si metteva una mano sulla bocca per evitare di scoppiare a ridere.
Presi un bel respiro imponendomi di non collassare davanti alla vista del mio Harry in costume, con la pelle abbronzata, i ricci bagnati che gli ricadevano scomposti sulla fronte e gli occhi verdi che sembravano brillare alla luce del sole.
In quel momento dovevo rimanere lucida, arrabbiata e vendicativa.
“Harry” cominciai, respirando profondamente e fissando gli occhi nei suoi. Lui tossicchiò per mascherare una risata e mi lanciò uno sguardo innocente.
“Si?”
I ragazzi, dietro di lui che osservavano la scena, scoppiarono a ridere e si diedero di gomito, probabilmente scommettendo su quale sarebbe potuta essere la mia prossima mossa.
“Che cosa hai fatto?” sibilai, chiudendo gli occhi e respirando di nuovo. Gonfiò le guance d’aria per evitare di scoppiare a ridere e si strinse nelle spalle.
“Ho rinfrescato la mia ragazza che si stava cuocendo sotto il sole” replicò con nonchalance. Lo guardai male e mi alzai in piedi, facendogli fare automaticamente un passo indietro.
“E lo sai che alla tua ragazza da fastidio essere ‘rinfrescata’ con un secchio d’acqua gelata mentre si sta rilassando?” sbottai.
Lui mi sorrise e scrollò di nuovo le spalle, aprendo le braccia.
“Certo, ma io ho provveduto al suo bene, fregandomene dei suoi fastidi” replicò lui, con espressione tranquilla e un sorriso furbetto sulle labbra. Lanciai un’occhiataccia a Louis e Niall che si stavano sbellicando dalle risate, prima di tornare con gli occhi su Harry e fulminandolo con il peggiore degli sguardi che potessi avere.
“E poi” riprese, prima che potessi cominciare a pensare a come fargliela pagare, “Mi piace vederti bagnata” ammiccò, facendomi l’occhiolino. A quel punto scoppiò a ridere anche Zayn, che aveva osservato la scena in silenzio, e Niall e Louis si buttarono praticamente a terra, mentre io arrossivo dalla testa ai piedi.
“Questo è troppo” sibilai. Harry sembrò capire dal mio sguardo cosa volessi fare e anticipò ogni mia possibile mossa cominciando a correre lontano da me ridendo a squarciagola.
Partii all’inseguimento arrancando dietro di lui sulla sabbia, rischiando di rotolare a terra ogni due passi.
“Harry! Non fare il bambino e affronta le conseguenze, vieni qui!” gli urlai dietro ridacchiando, non riuscendo a trattenere la maschera da scocciata, perché ogni cosa con lui era divertente, anche quando il suo unico scopo era farmi innervosire o imbarazzare davanti agli altri.
“Non ci penso neanche!” mi urlò di rimando lui, accelerando e schizzando sulla sabbia veloce come non era mai stato.
Accidenti, dove andava a finire la sua goffaggine quando ne avevo bisogno?
“Tanto ti prenderò prima o poi!”
“Con quella andatura non credo proprio” sghignazzò, inciampando sulla sabbia, evitando all’ultimo secondo di finire faccia a terra.
Grugnii qualcosa e accelerai il passo passando davanti a Louis e Niall che ridevano come due assatanati, mentre Zayn scuoteva la testa divertito e Liam se ne stava con Cher sugli scogli a parlare delle loro cose.
“Ti stancherai di correre prima o poi, signorino” continuai a urlare, rischiando di farmi scoppiare i polmoni per il poco fiato che avevo e che stavo sicuramente sprecando per minacce inutili, perché sapevo che quella che si sarebbe stancata per prima di correre sarei stata io e non l’avrei mai raggiunto, perché aveva un bel po’ di metri di vantaggio che non sarei mai riuscita ad annullare.
“La prima a crollare sarai tu!” mi rispose infatti lui, quasi leggendomi nel pensiero. Allora cominciai a rallentare, lasciando che mettesse sempre più distanza tra di noi, per poi fermarmi completamente e piegarmi sulle ginocchia per riprendere fiato.
“Okay!” urlai, alzando le braccia al cielo, “Hai vinto, ma scordati di me stanotte!”. Quella era l’unica cosa che sapevo l’avrebbe fatto tornare sui suoi passi.
Infatti, come previsto, frenò bruscamente scivolando sulla sabbia, per poi rialzarsi con sguardo preoccupato cominciando a tornare indietro.
Sorrisi sotto i baffi e ripassai accanto ai ragazzi, Louis mi fece l’occhiolino e Niall alzò il pollice in segno di vittoria, mentre mi riaccomodavo sul mio asciugamano.
“Jenny, Jenny!” mi richiamò Harry, lasciandosi cadere sulla sabbia accanto a me, con un gran sorriso stampato sulle labbra. Lo guardai alzando un sopracciglio e lui sbatté le palpebre.
“Andiamo, stavo solo giocando”
“E io stavo solo dormendo” replicai scimmiottando la sua voce. Lui alzò gli occhi al cielo e arricciò le labbra.
“Dai, non prendertela così” mi pregò. Io feci spallucce e chiusi gli occhi, cercando di ignorarlo.
“Non me la sono presa, solo che credo che questa notte farà troppo caldo per dormire nello stesso letto” spiegai, mordendomi il labbro per non scoppiare a ridere e per non smascherarmi.
Sapevo quanto fosse indispensabile per lui dormire con me; non perché avesse sempre il disperato bisogno di darsi da fare, ma perché se non eravamo vicini, stretti in un abbraccio, con i nostri respiri mischiati, lui non riusciva più a dormire. E se io non sentivo le sue mani delicate tra i miei capelli, le sue labbra che mi sfioravano il viso e le sue lunghe gambe intrecciate alle mie, trovavo difficile anche pensare di riuscire ad addormentarmi.
Ormai eravamo dipendenti l’uno dall’altra e sarebbe stato difficile separarci in qualsiasi momento.
Quindi avevo un qualcosa con cui ricattarlo.
“Non è vero. Quando hai caldo è perché ci sono io, senza di me moriresti di freddo” si impuntò con voce dolce, allungando la mano e sfiorandomi il fianco, facendomi rabbrividire. Gli scoccai un’occhiata e trattenni un sorrisetto.
“Nessuno muore di freddo a luglio, Harry”. Lui ridacchiò e continuò a sfiorare la mia pelle già surriscaldata, rischiando di farmi davvero bollire, passando dai fianchi alla pancia, ripetendo lo stesso percorso più volte e, anche se non potevo vederlo e avevo gli occhi chiusi, sapevo che stava sorridendo beffardo, sapendo esattamente quali sensazioni mi stava provocando.
“E poi io non ho mai freddo, sono una persona calorosa, lo sai” continuai, aprendo gli occhi e sorridendogli. Lui strinse le labbra divertito e fermò il suo tocco, ritirando la mano.
Un lampo di sfida gli attraversò gli occhi ed io cominciai a preoccuparmi, perché quello era lo sguardo che aveva quando gli veniva in mente qualcosa che sicuramente sarebbe stata divertente per lui ma non per me.
“Bene, vediamo allora sei hai caldo bagnata dalla testa ai piedi” borbottò tra se e se, per poi alzarsi di scatto, piegarsi sulle ginocchia e tirarmi su come se non pesassi niente. Cacciai un urlo di sorpresa e lui ghignò stringendomi al petto e puntando la riva.
“Harry, su, non vorrai farlo davvero” cercai di farlo ragionare, allacciando le braccia dietro al suo collo per tenermi meglio, mentre i ragazzi lo guardavano divertiti. Praticamente stavamo dando spettacolo, sia a loro che alle altre poche persone che c’erano sulla spiaggia.
Sentii il sangue colorarmi le guance mentre gli occhi di tutti i presenti erano puntati su di noi e tornai a guardare Harry, che stava facendo l’occhiolino in direzione dei ragazzi che ridacchiavano divertiti.
“Fatti rispettare, Hazza!” urlò Niall, alzando il pugno al cielo. Lo fulminai con lo sguardo.
“Io e te faremo i conti dopo, biondino” lo minacciai. Lui sbarrò gli occhi e arrossì, Zayn gli diede una pacca sulla spalla e ridacchiò.
“Ahia. Saranno guai, amico” lo sentii mormorare, prima di concentrare di nuovo la mia attenzione su Harry, che si stava avvicinando a grandi passi al bagno asciuga.
“Harry, per favore, stavo scherzando” provai a dire. Lui mi lanciò un’occhiata eloquente e si fermò con l’acqua che gli arrivava ormai alle ginocchia. Mi strinsi ancora più forte a lui e lui sorrise.
“Non stavi scherzando, e comunque non era divertente” replicò, strofinando il naso contro il mio, “Questo è divertente” affermò, prima di provare a sciogliere l’abbraccio e buttarmi in acqua. Urlai e mi aggrappai a lui più forte, stile koala, ridacchiando.
“No! Possiamo provare a parlarne civilmente…”
“E staccati, sanguisuga” rise, prendendomi per i fianchi e buttandomi in acqua. Feci appena in tempo a prendere fiato e chiudere la bocca, impresa molto ardua dato il fatto che ero nel bel mezzo di una risata, poi affondai nell’acqua.
Quando riemersi in superficie Harry era piegato in due dalle risate e i ragazzi ci stavano raggiungendo correndo e urlando. Tossicchiai e mi abbracciai, rabbrividendo di freddo, mentre Louis batteva il cinque ad Harry, che mi guardava soddisfatto. Rabbrividii di nuovo, sentendo le labbra cominciare a tremare.
“Stronzo” sibilai. Lui piegò la testa di lato sorridendomi, mentre Niall mi si avvicinava ridacchiando.
“Povera Jenny, Harry è sempre così cattivo con lei” mormorò, circondandomi con le braccia. Guardai Harry oltre la spalla di Niall, che alzò gli occhi al cielo e si affrettò a scrollarmi il biondino di dosso.
“Togliti, nano, ci penso io a riscaldarla” borbottò, afferrandomi la mano e tirandomi verso di se. Mi imbronciai e feci resistenza.
“No, fottiti, mi riscaldo da sola” mormorai. Lui ridacchiò alzando gli occhi al cielo.
“Dai, vieni qui, hai già le labbra blu”
“Perché, se diventano blu ti fanno schifo e non mi baci più?” replicai, allontanandomi e incrociando le braccia al petto. Lui rise e mi prese la mano, intrecciando le nostre dita e sorridendomi teneramente.
Lo sapevo che non ero affatto credibile e che la mia forza di volontà era decisamente scarsa, ma come facevo a non sciogliermi davanti a quegli occhi, a quel sorriso, a quelle fossette?
Con un sospiro mi arresi e mi lasciai stringere in un abbraccio, rabbrividendo di nuovo e poggiando la testa sul suo petto.
“Ti bacerei anche se avessi le labbra marroni, verdi, nere. Ti bacerei comunque, perché è la cosa che mi piace fare di più” mi sussurrò all’orecchio, mentre i ragazzi, discretamente (lo so, è difficile crederlo) si allontanavano parlottando per i fatti loro.
“Beh…ripensandoci c’è qualcosa che mi piace di più fare” riprese Harry, con il solito tono di voce provocante. Schioccai la lingua e lo allontanai di nuovo avviandomi verso la spiaggia perché l’acqua era davvero gelata.
Lui mi corse dietro ridacchiando e passandomi un braccio intorno ai fianchi.
“Possibile che con te si va sempre a parare li?” gli chiesi lanciandogli un’occhiata esasperata. Lui rise sotto i baffi e si strinse nelle spalle.
“Tesoro, è il prezzo da pagare per stare con uno come me” spiegò con aria sufficiente. Lo guardai alzando un sopracciglio e lui scoppiò a ridere, sbilanciandomi all’indietro per farmi cadere sulla sabbia e finire sopra di me. Mi sorrise e infilò una mano tra i miei capelli, lisciandoli all’indietro mentre un’onda ci travolgeva. Ridacchiai e lui mi sfiorò il naso con il suo, socchiudendo gli occhi e provocandomi una scarica di brividi piacevoli che mi risalì la schiena.
Era sempre così con lui: un attimo prima mi stuzzicava, facendomi saltare i nervi, poi però diventava improvvisamente dolce da non riuscire a resistergli.
Era un continuo braccio di ferro tra noi due, la testardaggine di entrambi che un giorno ci avrebbe sicuramente portati all’esasperazione. Ma se fosse stato tutto dannatamente perfetto, quanto l’avremmo sopportato?
Stavamo bene così, ci amavamo completamente, compresi tutti i difetti, e non poteva andarci meglio.
“Però ti piace stare con uno come me, vero?” riprese Harry, mormorando con voce tenera, sporgendo il labbro inferiore all’infuori.
Scoppiai a ridere e a lui scappò un bellissimo sorriso.
“Harry, io amo stare conte” confessai senza imbarazzo, perché era la pura verità e lui lo sapeva bene. Mi abbagliò con un altro splendido sorriso ed io gli accarezzai le guance, sfiorando le sue adorabili fossette.
“Anche quando sono testardo, pervertito e un po’ stronzetto?” chiese ancora, baciandomi la punta del naso. Gli sfiorai i ricci e lo attirai a me, guardandolo dritto negli occhi.
“Io ti amo sempre, per sempre” puntualizzai. A quel punto non resistette più e si chinò su di me per premere le labbra sulle mie in un dolcissimo bacio.
“Sempre, piccolina mia” mormorò contro le mie labbra, per baciarmi di nuovo mentre venivamo colpiti da un’altra onda gelida. Ma in quel momento non ci accorgemmo di niente, né dei ragazzi che si stavano praticamente uccidendo in acqua, né di Liam e Cher presi a confabulare sugli scogli, né del resto della spiaggia.
Eravamo solo noi, nel nostro mondo felice. E quello era il posto dove avrei voluto passare tutto il resto della mia vita.
 
 
 

 
 
 




Cher
 
 


“Ehi piccola” mi chiamò Liam, arrampicandosi con fatica sullo scoglio in cui ero appollaiata a rilassarmi. Aprii gli occhi e ridacchiai quando mise un piede in fallo e scivolò giù finendo sulla sabbia. Lui sbuffò divertito e mi lanciò un’occhiata.
“Che ne dici di venire giù?”
Scoppiai a ridere e scossi la testa stringendo le labbra, allora lui sbuffò di nuovo e mi lanciò un’occhiataccia, riprendendo a salire sugli scogli.
Lo guardai trattenendo a stento una risata mentre arrancava rischiando di scivolare da un momento all’altro. Odiava quello scoglio, lo sapevo bene. Lo odiava perché aveva paura ogni volta ad arrampicarsi, ma anche perché sapeva che quando andavo lì era perché avevo bisogno di pensare e stare da sola.
Però quel pomeriggio non era per stare sola che mi ero raggomitolata lì, ma per guardare il tramonto sul mare come non avevo più fatto gli ultimi mesi, essendo stata a Londra, e per ripensare a tutti i bei momenti che avevamo passato insieme proprio su quella spiaggia.
Eravamo tornati per le vacanze estive e Liam, oltre ad avermi fatto la sorpresa di farmi ritrovare su una aereo diretto a casa, mi aveva anche mostrato i documenti del suo prossimo acquisto: la casa in cui ero cresciuta.
Con un sorriso emozionato mi aveva detto: “Così quando sentirai la mancanza del mare potremmo tornare qui e starcene insieme nella nostra nuova casa”, poi mi aveva abbracciato forte e lì non ero riuscita più a trattenere le lacrime. Lacrime sicuramente di gioia, non tanto per la casa, ma per il ragazzo che stavo stringendo tra le braccia.
Il ragazzo che non avrei più lasciato andare per niente al mondo.
“Ecco, ci sono” grugnì Liam, riscuotendomi tra i miei pensieri e scavalcando l’ultimo scoglio per sedersi accanto a me con un sorriso vittorioso stampato sulle labbra.
Scossi la testa divertita e lo guardai dall’alto in basso.
“Sei poco atletico, ragazzo, dovresti fare un po’ di palestra” lo presi in giro. Lui mi scoccò un’occhiataccia e mi pizzicò un fianco facendomi ridacchiare.
“Non è colpa mia se tu sei una scimmietta che si arrampica dappertutto” replicò, “Le persone normali se ne stanno normalmente sulla normale spiaggia” concluse poi, incrociando le braccia al petto e stringendo le labbra.
Scoppiai a ridere e lanciai un’occhiata alla spiaggia, dove i ragazzi stavano facendo il loro meglio per terrorizzare le persone lì intorno. Jenny e Harry erano persi nel loro mondo, mentre Louis e Niall stavano tentando di affogare Zayn, che non appena si sarebbe liberato di quei due sapevo non gliel’avrebbe fatta passare tanto liscia.
Quei due quando si mettevano insieme erano davvero insopportabili, capaci di far saltare i nervi anche alla persona più paziente del paese. Non so cosa avrebbe fatto Louis quando Niall sarebbe tornato a casa per stare un po’ di tempo con la sua Cat, avevo paura che sarebbe caduto in depressione senza il suo compagno di giochi.
Liam seguì il mio sguardo e abbozzò un sorriso.
“Okay, forse non ci sono proprio persone normali sulla spiaggia in questo momento ma…perché te ne stai qui tutta sola a deprimerti?” mi chiese, piegando un po’ la testa di lato e allargando le braccia.
Gli sorrisi e mi avvicinai a lui, accoccolandomi al suo petto e lasciandomi stringere.
Lui mi baciò la testa e intrecciò le dita alle mie.
“Non mi sto deprimendo, stavo solo pensando un po’” risposi tranquilla, per poi guardarlo.
“Questa è una cosa che fanno le persone normali, sai?” lo stuzzicai. Lui ridacchiò e mi baciò la punta del naso.
“Mmh, allora facciamo progressi”
“Già” replicai con un sorriso soddisfatto. Lui ricambiò e si chinò su di me per sfiorarmi le labbra con le sue in un veloce, tenero e stuzzicante bacio.
Mi passai la lingua sulle labbra e un lampo di desiderio gli attraversò gli occhi.
“Questa direi che è un’altra cosa che fanno le persone normali” mormorò, prendendomi la testa tra le mani, “E io voglio essere tanto normale adesso” soffiò, prima di baciarmi di nuovo, questa volta più profondamente.
Rabbrividii di piacere mentre lui mi stringeva a se, per poi ricordarsi improvvisamente che eravamo all’aria aperta e interrompere il bacio.
“Allora, nuova persona normale, a cosa stavi pensando?” mi chiese con un gran sorriso, mentre riprendeva fiato e controllo. Ricambiai il sorriso e mi sistemai tra le sue gambe, la schiena poggiata al suo petto in modo da sentire il suo cuore che martellava furioso.
“Pensavo a quando inizierà il tour” mormorai. Lui poggiò la sua guancia sulla mia e lo sentii sorridere.
“Scommetto che questa volta non vedi l’ora, vero?”
“Già. Perché so che sarò con te e non dovrò aspettare invano giornate intere un qualche tuo segnale di vita” ribattei leggermente acida, ricordandomi di come l’anno scorso avessi passato tutto l’autunno e l’inizio dell’inverno: con l’umore a terra aspettando una sua chiamata o un suo messaggio mentre lui se ne stava in America a far impazzire milioni di fan scatenate.
Lui sospirò e mi baciò la tempia.
“Non me lo perdonerai mai, vero?” borbottò. Sorrisi e chiusi gli occhi lasciandomi andare contro di lui.
“Stavo scherzando, lo so che non è stata colpa tua, in un certo senso”, alzai gli occhi per guardare nei suoi e sorrisi quando ci vidi un pizzico di rimorso e di preoccupazione. Allora mi voltai completamente verso di lui e gli presi il viso tra le mani.
“Liam, smettila di pensarci” lo ammonii, sfiorando le sue guance con le mani, “Stavo scherzando,io non ci penso neanche più. E poi se non fosse successo tutto ciò probabilmente non saremmo arrivati a questo punto. Io  non ho rimpianti, davvero” gli assicurai, sospirando quando vidi un sorriso affiorare sulle sue labbra piene.
“Grazie, piccola” mormorò, sbattendo le palpebre probabilmente per trattenere le lacrime. Per evitare il peggio, lo baciai, mettendo a tacere tutti i suoi pensieri negativi e trasmettendogli tutto l’amore che provavo per lui.
“Poi non vedo l’ora perché vedrò tutti posti bellissimi, viaggerò come non ho mai fatto prima, sono elettrizzata!” esclamai, battendo le mani e sorridendo. Lui ridacchiò, tornando finalmente in se e stringendomi come poco prima.
“Già, peccato che non avremo molto tempo per girare, sicuramente saremo costretti a passare intere giornate a fare le prove” mormorò sbruffando. Mi strinsi nelle spalle senza perdere minimamente l’entusiasmo.
“Beh, mentre voi farete le prove io e Jenny potremo andare a fare un giro e a visitare la città” spiegai, già immaginando io e mia sorella in giro per le città che avevo sempre desiderato vedere: Parigi, Berlino, Roma.
Non vedevo l’ora.
“Non credo proprio” borbottò invece Liam, distruggendo tutte le mie aspettative. Mi voltai verso di lui, sicura di non aver capito bene.
“Scusa?”
Lui mi guardò imbronciato.
“Non puoi andartene in giro tutta da sola, senza di me. Tu sei solo mia e di nessun’altro” si impuntò. Scoppiai a ridere e gli pizzicai la guancia.
“Ma che dici? Dovrei stare rinchiusa tutto il giorno il albergo?”
“No, ma non voglio che gli altri ti guardino e pensino a te in quel senso” borbottò, incrociando le braccia al petto. Ridacchiai e gli carezzai la guancia, trovandolo incredibilmente adorabile quando era così geloso.
“Non essere stupido, non posso mica andare in giro con un cartello con scritto: ragazza fidanzata, statene alla larga” esclamai. Qualcosa di sinistro gli illuminò gli occhi, mentre un sorriso gli affiorava sulle labbra imbronciate e il rossore cominciava a colorargli le guance. Piegai la testa di lato curiosa da quella strana e improvvisa reazione, mentre lui sembrava prendere fiato e coraggio con un lungo respiro.
“Beh, un cartello no. Ma un anello potrebbe bastare” la buttò li, gelandomi completamente sul posto.
Spalancai gli occhi, mentre lui mi fissava con un sorriso timido e le guance completamente rosse.
“Un c-cosa?” balbettai, il cuore che mi salì in gola e le orecchie che cominciarono a fischiarmi.
Lui respirò di nuovo profondamente, chiudendo per un attimo gli occhi, per poi riaprirli e fissarli inesorabilmente nei miei.
“Hai sentito” mormorò a mezza bocca, per poi sorridere, “Tu sei mia, solo e unicamente mia. Vuoi…vuoi sposarmi, Cher?” esplose, gli occhi lucidi e un sorriso incerto e preoccupato. Sentii gli occhi pizzicarmi e il cuore rimbombarmi nelle orecchie, mentre il mio stomaco era un groviglio di emozioni indescrivibile.
“Oh Dio” mi scappò. Mi coprii la bocca con le mani mentre Liam sorrideva e le lacrime cominciavano a scorrermi sulle guance.
“Non ci credo, lo hai…detto davvero?” chiesi conferma, la testa che cominciava a girarmi. Liam si lasciò scappare una mezza risata, ma dagli occhi si vedeva che era preoccupato dalla mia possibile risposta, anche se era praticamente scontato quale sarebbe stata.
Mi scoccò un’altra occhiata timida, completamente disarmante, e si infilò una mano nella tasca dei pantaloncini, tirando fuori un semplice anellino d’argento con un piccolo diamante al centro.
Mi scappò uno squittio e mi tappai di nuovo la bocca con le mani, mentre fissavo la mano grande di Liam che teneva un oggetto così piccolo ma di così grande importanza.
“Vuoi sposarmi, Cher?” chiese ancora. I miei occhi schizzarono ai suoi, emozionati ma anche un po’ spaventati, allora decisi di finirla di tenerlo sulle spine.
“Dio, si!” quasi urlai, buttandomi su di lui e stringendolo a me come se potessimo diventare una cosa sola. Lui, finalmente sollevato, scoppiò a ridere e affondò la testa tra i miei capelli, stringendomi più forte che poteva, le mani che gli tremavano leggermente mentre il mio cuore stava per scoppiare.
Con fatica lui si staccò, prendendomi per i fianchi e allontanandomi quel poco che bastava per guardarmi dritto negli occhi, ormai inondati così tanto di lacrime da impedirmi di vederlo lucidamente.
“Io ti amo, e questo lo sai, e entrando nella mia vita l’hai resa migliore. Hai fatto di me l’uomo che sono diventato. Ma adesso, accettando di diventare mia moglie…cavolo, come suona strano!” ridacchiò e mi asciugò le lacrime che scorrevano sulle mie guance.
“Beh, accettando di diventare mia moglie mi hai reso l’uomo più felice del mondo” confessò, con la voce gonfia e il suo tenero e timido sorriso.
Poi delicatamente mi prese la mano, la strinse, e infilò l’anellino sull’anulare, per poi alzare gli occhi su di me e guardarmi profondamente. Tirai su con il naso e gli sorrisi, strofinandomi gli occhi. Lui ricambiò il sorriso e mi attirò di nuovo a se, facendo incontrare le nostre labbra nel bacio che sigillava la nostra promessa, il nostro amore, che sarebbe stato per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
“Secondo te le ha chiesto di sposarla?”
“Si, Cam, lo ha appena fatto” rispose Mike, sorridendo e sbuffando appena davanti all’esclamazione del ragazzo. Cam squittì e saltellò, in una chiara reazione da ragazza.
Mike lo guardò con un sopracciglio alzato e Cam si portò entrambe le mani sulle guance, con aria sognante.
“Prima o poi tutti trovano il proprio principe azzurro, non vedo l’ora che tocchi anche a me” esclamò con voce acuta, tornando a fissare Cher e Liam che si abbracciavano, si baciavano, ridevano.
Principe.
Mike aveva sentito bene, Cam aveva detto proprio principe.
Era l’ultima conferma che gli serviva per fare quello che aveva desiderato fare da quando Cam aveva messo piede alla tavola calda per la prima volta.
Lo guardò e per mezzo secondo Cam si perse in quegli occhi senza capire bene cosa volessero dire, o forse Mike non gliene diede proprio il tempo, perché lo afferrò per il colletto della camicia e gli stampò un bel bacio sulla bocca.
“Credo sia appena arrivato il tuo momento” gli bisbigliò contro le labbra sorridenti.



 
 
 


 
 

THE END.
 
 
 
 
 
 



















Ehm…*prende fiato e si arma di fazzoletti*
Minchia, è davvero finita.
Sto tipo per piangere e cancellare tutto, lalala.
No, non lo farò sul serio, tranquille.
Bene, è strano, ma non mi ricordo affatto come si chiude una storia.
Non è vero Sara, lo sai ma non vuoi farlo.
HAHAHAHAHAHAHAH.
Sto sclerando.
Siete al corrente del fatto che potrei andare avanti a parlare con me stessa all’infinito pur di non smettere di scrivere e accettare che davvero è finita?
Si, è una specie di minaccia.
No, okay, cerco di fare le cose per bene per non lasciarvi un brutto ricordo di questa storia probabilmente rovinata da tutti gli angoli autrice scleranti che mi sono ritagliata a fine capitolo.
Andiamo con calma…tanto abbiamo tempo, no? çç
Allora, partiamo con il fatto che non avrei mai immaginato di arrivare a questo punto, alla fine reale di questa storia e di non riuscire proprio a spuntare quel fottuto quadratino.
Ho scritto e finite altre ff, che probabilmente sono finite nel dimenticatoio, anche se ognuna ha un piccolo angolo nel mio cuoricino. Ma questa sento che sarà molto difficile da dimenticare.
Forse per il fatto che è praticamente un anno che scrivo di loro e, anche se divisa in due, la storia è tutta una cosa unica e i personaggi che mi sono inventata di sana pianta, ormai sono diventati parte integrante delle mie giornate.
Forse per il fatto che non c’era giorno, ora o minuto che non mi chiedessi cosa fargli fare, come rendere loro la vita difficile, come farli litigare e poi farli riappacificare.
Gliene ho fatte passare tante, forse fin troppe, ma credo che ogni volta che si aggiungeva un problema alle loro già incasinate vite, era per il bisogno di allungare la storia il più possibile, per non arrivare mai a questo punto.
Considerate solo che la prima scaletta che avevo scritto per coming back with you arrivava appena ai 20 capitoli.
Comunque, uff, non so da che parte cominciare.
Cominciare? Hai già scritto un fottuto poema, cerca di farla breve!
Okay, senza fare troppo la melodrammatica, voglio ringraziare ogni singola persona che ha letto questa storia.
Le ragazze che mi seguono fin dall’inizio, dal primissimo capitolo in cui Liam e Cher giocavano con le biglie; le ragazze che hanno praticamente visto nascere questa storia e l’hanno seguita sempre, senza mai abbandonarla.
Le ragazze che si sono aggiunte dopo, quelle che l’hanno scoperta solo verso la fine, ma che comunque sono state presenti, dandomi il loro sostegno e facendo aumentare sempre di più la mia quasi inesistente autostima con le loro recensioni dolcissime piene di complimenti che ancora non realizzo di meritare.
Ma grazie anche alle lettrici silenziose, perché so che ci sono e, se non l’avete fatto fino ad adesso, fatevi sentire! Ho bisogno di sostegno in questo momento di merda çç
Un grazie speciale va alla ragazza, la primissima ragazza che ha recensito summer paradise with you che, anche se ormai non credo mi segua più, è stata fondamentale.
E poi vabbè, c’è lei che lo sa che è importantissima per me e amerò per sempre efp per avermi fatto conoscere una ragazza speciale come lei, anche se non crede di esserlo.
Grazie, di tutto.

Credevate avessi finito?
Hahah, no. Affatto.
Anche se è praticamente inutile perché loro non lo leggeranno mai, quasi mi sento in dovere di ringraziare anche i ragazzi.
Beh, è merito loro se mi sono avvicinata così alla scrittura, se sono riuscita a farmi coraggio e a far vedere cosa sapessi fare.
E’ grazie a loro se io oggi ho qualcuno a cui pensare quando sono triste, qualcuno che mi fa sorridere sempre e comunque, qualcuno che non mi fa mai sentire sola.
Quindi, beh, grazie.
Poooi…ho talmente tante cose da dire che sicuramente me ne sto dimenticando qualcuna.
Ah, si. Volevo dirvi che questo è anche una specie di addio.
Cioè, non è una cosa così tanto tragica perché io sono sempre qui con il cervello attivo e pronto a recepire qualsiasi idea mi venga in mente, ma al momento non c’è niente di sensato che svolazza per questa testolina, quindi credo che efp farà a meno di una mia fan fiction per un po’ di tempo.
Ho qualche os (qualcuna legata a questa storia) da postare, ma a parte quelle, niente di niente.
Quindi credo che vi saluto qui, sperando che questo epilogo sia stato all’altezza delle vostre aspettative e che non vi dimenticherete di questa storia.
Non vorrei andare, ma ho finito le cose da dire, fortunatamente per voi.
Per chi è arrivata alla fine senza mandarmi a fanculo prima…
GRAZIE, davvero, per tutto.
Siete le migliori lettrici che mi potessero capitare.
Vi voglio bene, con tutto l’amore del mondo.
Sara.
 
 
Ps. Cioè, vorrei farvi notare: i saluti sono quasi più lunghi del capitolo.
Sono da rinchiudere, lol.













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Capitolo 36
*** ...ehm, I'm back! ***




*sbuca fuori dal nulla*
CIAO A TUTTE!
Si, sono proprio io, di nuovo qui.
Lo so che avevo detto che sarei stata, per la vostra gioia, lontana da questo sito per un po' di tempo...
ma a quanto pare non ci sono riuscita proprio bene ;)
Quindi volevo dirvi che ho iniziato una nuova fanfiction,
questo è il link (che ffffigo adesso ho anche un banner :3) :





Beh, se volete fare un salto, io vi aspetto ;)
Tanto amore, come sempre.
Sara.

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