Where do fallen angels go?

di WilKia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome ***
Capitolo 2: *** Road Tripping ***
Capitolo 3: *** Ogre Battle ***
Capitolo 4: *** A House is not a Home ***
Capitolo 5: *** I'll Stand by You ***
Capitolo 6: *** By the Sword ***
Capitolo 7: *** Imaginary ***
Capitolo 8: *** Don't Speak ***
Capitolo 9: *** Defeated ***
Capitolo 10: *** Going Under ***
Capitolo 11: *** Breakeven ***
Capitolo 12: *** Fall to Pieces ***
Capitolo 13: *** Who Knew ***
Capitolo 14: *** You'll be Fine ***
Capitolo 15: *** Ti Sento ***
Capitolo 16: *** Lithium ***
Capitolo 17: *** Loser Like Me ***
Capitolo 18: *** Patience ***
Capitolo 19: *** Permanent ***
Capitolo 20: *** Beat It ***
Capitolo 21: *** The Way I See It ***
Capitolo 22: *** Iris ***
Capitolo 23: *** Light On ***
Capitolo 24: *** Lean On Me ***
Capitolo 25: *** Toys in the Attic .I ***
Capitolo 26: *** Toys in the Attic .II ***
Capitolo 27: *** Just Feel Better ***
Capitolo 28: *** Conversations With My 13 Year Old Self ***
Capitolo 29: *** Because of You ***
Capitolo 30: *** My Immortal ***
Capitolo 31: *** Sweet Child O' Mine ***
Capitolo 32: *** One Night Only ***
Capitolo 33: *** Dancing Queen ***
Capitolo 34: *** Second Chance ***
Capitolo 35: *** Get Down, Make Love ***
Capitolo 36: *** Three Little Birds ***
Capitolo 37: *** Starlight ***
Capitolo 38: *** A Natural Woman ***
Capitolo 39: *** Call Me ***
Capitolo 40: *** New York, New York .I ***
Capitolo 41: *** New York, New York .II ***
Capitolo 42: *** New York, New York .III ***
Capitolo 43: *** Nightrain ***
Capitolo 44: *** The Game of Love ***
Capitolo 45: *** Jaded ***
Capitolo 46: *** Weight of the World ***
Capitolo 47: *** Family Portrait ***
Capitolo 48: *** You Keep me Hangin’ on ***



Capitolo 1
*** Welcome ***


Welcome

 
 
“Ecco a te.”
Borbottò il barista servendole il terzo bicchiere di Tequila.
Lei  lo prese ringraziandolo con un cenno della testa, che fece ondeggiare i suoi capelli scuri lunghi fino alle spalle.
In un angolo dello squallido locale un jukebox scassato suonava una vecchia e deprimente canzone country, quel genere non le era mai piaciuto, soprattutto nella sua versione più malinconica.
Che cavolo ci faceva in quel posto dimenticato da Dio?
Ah, già.. non ho un posto migliore in cui andare.
Ricordò con una smorfia autoironica.
Gli avventori del locale erano un’accozzaglia di operai, impiegati e ragazzini che giocavano a fare i grandi.
C’era anche un gruppetto di brutte facce che avevano ben pensato di fare gli spiritosi con lei quando era entrata, ma era bastato uno sguardo gelido dei suoi occhi scuri per rimetterli al loro posto.
Si rigirò in mano il mazzo di chiavi che aveva continuato a prendere e rimettersi in tasca per tutta la sera.
Ancora non aveva trovato il coraggio di andare in quella casa.
Osservò spassionatamente il borsone verde militare buttato sotto il suo sgabello.
Tutto ciò che le era rimasto della sua vita precedente era li dentro, aveva quel borsone e quel mazzo di chiavi che continuava a tormentare.
Il posto da cui veniva, non era poi molto diverso da quella cittadina, a parte la lingua che vi si parlava.
Stessa calma apparente, stesse persone meschine, bigotte e ipocrite.
La campanella sopra la porta del locale tintinnò allegramente e il gruppetto di brutti ceffi prese a fischiare e urlare oscenità, a quanto pare era entrata quella che loro consideravano un’altra possibile preda.
Ancora non riusciva a credere di averlo fatto veramente, di essere andata davvero lì.
Che poi cosa si aspettava? Davvero voleva andarla a cercare?
E una volta trovata, poi cosa le avrebbe potuto dire?
Scosse la testa e maledisse di nuovo quel bastardo egoista con cui aveva avuto la sfortuna di condividere metà del suo patrimonio genetico e che l’aveva abbandonata.
Che aveva abbandonato sua madre, spezzandole il cuore e precipitandola in un vortice di disperazione tale che non ne era più uscita.
Alla fine l’aveva lasciata anche lei.
Ma non riusciva proprio a fargliene una colpa.
E poi, a distanza di 16 anni, lui era ricomparso, o meglio era comparso il suo testamento, ecco come ci era finito quel maledetto mazzo di chiavi nelle sue mani.
E quella lettera, quella che aveva letto e riletto migliaia di volte, che aveva accartocciato e gettato via con rabbia, solo per poi andarla a ripescare in piena notte dal cassonetto.
La voce sarcastica e schifata di una ragazza la distolse dai suoi pensieri.
Il gruppo di gentaglia si era fatto più irrequieto e la voce che aveva sentito sembrava provenire proprio da in mezzo a loro.
Brutto segno..
Si guardò intorno nel locale rimasto ormai quasi vuoto, i pochi altri clienti rimasti si stavano affrettando a finire i loro drink per poi lasciare alcune banconote sotto i bicchieri e uscire alla chetichella.
Altro brutto segno.. a quanto pare sono finita in un paese pieno di cuor di leone.
In tutta calma si rigirò e si chinò verso la sua borsa per prendere il portafogli, estrasse delle banconote e le lasciò cadere sul bancone senza curarsi del fatto che fossero decisamente più del necessario.
La voce della ragazza stava assumendo un tono allarmato, ma continuava a tenere testa alla marmaglia che le si parava intorno.
Non male!
Pensò sogghignado, quando la sentì lanciare una battuta particolarmente pungente.
La vittima della battuta alzò la voce, con la coda dell’occhio lo vide avanzare verso il centro del gruppo.
Ok, show time.
Si alzò con movimenti fluidi e misurati e si intrufolò nel gruppetto di teppisti raggiungendo quello che stava urlando.
Gli mise una mano sulla spalla, proprio nel momento in cui lui aveva allungato il braccio per afferrare la ragazza.
“Direi che tu e i tuoi amici vi siete divertiti abbastanza, perché non tornate a bere e la lasciate in pace?”
Disse in tono neutro.
L’energumeno si voltò verso di lei, la sovrastava di tutta la testa, e anche gli altri membri del gruppo non erano da meno.
Cinque contro una.. poteva andarmi peggio.
“Lo decidiamo noi quando ci siamo divertiti abbastanza – rispose quello irritato, rovesciandole addosso l’alito che puzzava di whisky scadente – fossi in te mi toglierei dalle palle e mi farei i cazzi miei!”
Lo ignorò e si rivolse per la prima volta alla ragazza.
Ma che cavolo aveva in testa quando si è infilata qui dentro vestita così?
“Questi tizi ti stanno dando fastidio?”
La ragazza la fissò per un momento, indecisa sul da farsi, i suoi occhi neri avevano lo sguardo fiero di una abituata a cavarsela da sola.
La vide annuire lentamente, come se le costasse uno sforzo immane ammettere di aver bisogno di aiuto.
Tornò a rivolgersi al bestione che aveva davanti e sfoggiò il più intimidatorio dei suoi sguardi.
“Spiacente amico, ora sono ufficialmente cazzi miei.”
Lo superò e si avvicinò alla ragazza.
Avrà avuto 18 anni, forse meno.
Lunghi capelli neri, fisico asciutto e armonioso fasciato in un miniabito verde a righe nere.
Tratti ispanici.
Davvero molto bella.
Prima che riuscisse a raggiungerla si sentì afferrare per una spalla da una mano pesante.
“Forse non ci siamo capiti.”
Sbraitò il tipo costringendola a voltarsi verso di lui e piazzandosi a un millimetro dalla sua faccia.
“Qui non ci piace la gente che non si fa i cazzi suoi”
“Sei monotono amico, perché non provi ad imparare qualche frase nuova?”
Disse afferrando la sua mano e togliendosela dalla spalla con fare noncurante.
Fece per voltarsi di nuovo verso la ragazza, ma avvertì uno spostamento d’aria.
Si abbassò di colpo, per evitare il pugno e allungò la gamba destra verso l’esterno, approfittando del movimento di rotazione che aveva iniziato per colpirlo alle caviglie.
Il bestione, già sbilanciato per il pugno andato a vuoto, volò gambe all’aria, atterrando con un tonfo sordo sul pavimento polveroso.
Si rialzò in tutta calma.
“Fossi in te rimarrei giù.”
Commentò guardandolo con disprezzo.
Ma sapeva già che non sarebbe rimasto giù, i tipi come lui non rimanevano mai giù.
I tipi come lui si rialzavano, facevano un cenno ai loro degni compari ed attaccavano in massa.
Sperò fino all’ultimo che quella volta andasse diversamente, ma come al solito aveva ragione, e in quei casi odiava avere ragione.
 
 
 
 
 
Angolo della pazza
Saaaaalveeee!!!
Rieccomi a voi, questa volta ho deciso di buttarmi su una long.. spero di non pentirmene :D
Ci tengo a chiedere immediatamente perdono a chi vorrà seguirmi, perché  ho seri problemi di dialogo con la mia ispirazione che quando il discorso comincia a farsi serio scappa via e mi lascia in preda a quella che mi piace chiamare the White Syndrome.
I sintomi? molto semplice passo ore e ore davanti allo schermo bianco del pc senza riuscire a scrivere una sola parola, anzi il mio cervello stesso diventa bianco come lo schermo.
Comunque ecco qui ho dedicato il primo capitolo al mio nuovo personaggio, spero che abbiate capito chi è la “donzella in difficoltà”.. dai non è difficile, pensate a chi sta scrivendo e da chi è ossessionata :D
Spero di avervi incuriosito, il secondo capitolo è in forno e vedrò di postarlo entro un paio di giorni al massimo.
Chiudo qui coi miei deliri.
Grazie di aver letto, se vorrete lasciare qualche parolina di commento mi renderete una scrittrice pazza, ma contenta.
>.< 

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Capitolo 2
*** Road Tripping ***


Giusto una parolina prima di iniziare..
I fatti narrati sono ambientati subito dopo l’episodio 2x15 (Sexy)
così, giusto per farvi un’idea di dove siamo
e di cosa potrebbe passare per la mente di San.
Ovviamente i personaggi non mi appartengono,
tranne quello nuovo,
Lei è mia, e mia soltanto.
Ultimissima cosa, poi vi lascio leggere in pace, lo giuro.
Come vedrete, da qui in poi chiamerò i capitoli con titoli di canzoni.
Sono canzoni che richiamano l’atmosfera e/o l’argomento del capitolo
e vorrei invitarvi, se vi va di tentare l’esperimento con me,
ad ascoltare la canzone indicata nel titolo, mentre leggete,
lo so sono una scrittrice esigente, e anche rompiballe.
Per chi non lo sapesse,
la canzone di oggi è dei Red Hot Chili Peppers.
Enjoy
WilKia >.<
 
 
Road Tripping
 
Con un tonfo sordo la porta del locale si spalancò sulla notte vellutata.
Spinse la ragazza in strada e si voltò appena, a richiudere la porta in faccia ai loro inseguitori.
Il suono tintinnante di vetri infranti le disse che aveva raggiunto il suo scopo.
“Da questa parte.”
Afferrò la mano della ragazza e girò dietro l’angolo, dirigendosi verso un’auto bassa e aerodinamica.
Buttò il borsone attraverso il finestrino posteriore e si fiondò al volante.
“Sali!”
La incitò sentendo dei passi affrettati in avvicinamento.
La latina non se lo fece ripetere due volte, spalancò la portiera e si gettò sul sedile del passeggero, mentre lei stava già inserendo la marcia.
Schiacciò l’acceleratore e l’auto si lanciò rombando per il vicolo.
Quando si trovò davanti il primo dei loro inseguitori sterzò per evitarlo e spalancò di botto la portiera.
Colpito in pieno, l’uomo venne sbalzato indietro contro i suoi degni compari, che caddero a terra imprecando.
“Strike!”
Esultò ridacchiando, mentre faceva stridere le gomme, imboccando una curva a tutta velocità.
Scrutò la strada dietro di loro dallo specchietto retrovisore, in cerca di auto all’inseguimento.
Dopo aver svoltato altre due volte senza mai trovare alcuna auto nello specchietto, si rilassò e allentò un poco la pressione sull’acceleratore.
Sentiva quegli occhi neri scrutarla con curiosità e con un po’ di diffidenza.
“Stai bene?”
Chiese anche per spezzare quel silenzio che si stava facendo imbarazzante.
“Non sono io che ho fatto a botte con metà dei teppisti di Lima..”
Rispose lei sarcastica.
La guardò un momento, inarcando un sopracciglio.
La ragazza abbassò lo sguardo.
Lo interpretò come il suo modo per chiederle scusa del tono pungente che aveva usato.
“Tu stai bene?”
Chiese poi, senza però abbandonare il suo atteggiamento strafottente.
“Niente di rotto, ma probabilmente domattina mi sveglierò con qualche livido, era da un po’ che non mi capitava una bella scazzottata.”
Concluse con un ghigno.
“Comunque.. – riprese la ragazza titubante, fissandosi le ginocchia -  grazie per avermi liberata di quei Neanderthal.”
“Non c’è di che.”
Rispose.
“Ma sappi che ti dovrai sdebitare..”
L’ispanica si irrigidì  e incrociò le braccia sul petto.
“Tranquilla, tranquilla – continuò ridacchiando – nessuna proposta indecente. Sono appena arrivata in città e non ho la minima idea di come raggiungere un indirizzo.”
Non a casa, quella non poteva essere casa, non il posto che le aveva lasciato lui.
“Se mi aiuti ad arrivarci mi faresti davvero un gran favore, poi naturalmente ti porterei a casa..”
La latina tornò a rilassarsi.
“In effetti, non hai l’aria di una di Lima, sei... diversa.”
“Considerata la media delle persone che ho visto qui in giro, lo prendo per un complimento.”
Con la coda dell’occhio la vide annuire impercettibilmente.
“Allora dov’è che devi andare?”
“212 Lima Heights Adjacents.”
“Mi prendi per il culo?”
“Perché mai dovrei farlo, scusa?!”
“È a 6 case da dove vivo io..”
“Bene, buon per me, tutta benzina risparmiata.”
Rispose fermando l’auto davanti alla luce rossa di un semaforo.
“Ti spiace se metto su un po’ di musica?”
L’ispanica scrollò le spalle.
Spinse un bottone della radio e la voce inconfondibile di Freddie Mercury si diffuse nell’abitacolo.
“Sì, sono piastrine dell’esercito.”
Esclamò all’improvviso, facendo sobbalzare la ragazza.
“Io non..”
“Ahahah non ti preoccupare, non sono capace di leggere nel pensiero, ho solo notato che le guardavi.”
“Quindi è lì che hai imparato tutta quella roba.. da come ti muovevi, non sembrava ti fossi allenata solo nelle risse da bar.”
“Già, è lì che ho imparato tutta quella roba, ora sono in congedo, comunque.”
“Non sei un po’ giovane per essere già in congedo?”
“È un modo articolato per chiedermi quanti anni ho?”
La latina non rispose e abbassò lo sguardo.
“Facciamo così, io ti dico quanti anni ho, se tu mi dici i tuoi, ti sembra equo come scambio?”
“Ho 17 anni.”
“Lo supponevo.. io ne ho 23.
Giusto per curiosità... che ci faceva una diciassettenne tanto carina in un postaccio come quello alle 2 di notte?”
L’ispanica si strinse di nuovo le braccia al petto e guardò fuori dal finestrino.
“Ok, non sono affari miei, messaggio ricevuto.”
Per un po’ la conversazione ristagnò solo sulle indicazioni che la latina le dava per raggiungere la loro destinazione.
“Posso chiederti cosa ti porta a Lima? Non so, sei venuta a trovare qualcuno o..”
“È un posto come qualsiasi altro per me.”
Rispose scrollando le spalle.
“Con la differenza che qui ho un tetto sotto cui ripararmi.”
La ragazza assunse un’aria pensierosa, sembrava stesse cercando il coraggio di dire qualcosa.
“Posso chiederti un favore?”
Bingo.
“Lo so che hai già fatto tanto e che probabilmente non vedi l’ora di liberarti di me, ma..”
“Ma?”
La incoraggiò.
“Non voglio tornare a casa.. Potrei rimanere a dormire da te per questa notte?”
Chiese tutto d’un fiato.
“I tuoi genitori non si preoccuperanno per te, non vedendoti rientrare?”
La ragazza si lasciò sfuggire un verso sprezzante.
“Lo prenderò per un no.”
“Non hai un’amica da cui potrei portarti? Insomma qualcuno che conosci da più di cinque minuti.”
Un’ombra di dolore passò in quegli occhi neri.
“Senti, lascia perdere, ok. Fa come se non avessi parlato.”
Rispose riassumendo il suo tono strafottente.
“Ehi, io lo dicevo per farti un favore, ma se per te non ci sono problemi..”
Disse mentre l’auto imboccava Lima Heights Adjacents.
“Mhmm a dire il vero, però un problema ci sarebbe..”
Continuò, fermandosi davanti al numero 212 e guardando la latina negli occhi.
Lei ricambiò lo sguardo e attese con le sopracciglia sollevate in un’espressione interrogativa.
“Sai, ho la strana abitudine di voler sapere almeno il nome di chi si ferma a dormire da me..”
“Santana Lopez.”
Disse semplicemente porgendole la destra.
La strinse nella sua.
“Tu puoi chiamarmi Rain.”
 
 
 
Angolo della pazza.
Saaaaalveeee.
Avrei tanto voluto postare prima, ma stamattina mi sono svegliata e con mia grande gioia ho scoperto che la chiavetta su cui avevo salvato tuuuuttii i miei file, (tra cui questo capitolo e i prossimi due) era deceduta durante la notte facendomi così perdere ogni singola parola che avevo scritto.
Fortuna che ho una memoria abbastanza buona, ma ciò non toglie che ho dovuto riscrivere tutto.
Dunque.. questo è giusto un capitoletto di transizione, mi sto ancora scaldando, inoltre le mie ragazze qui, sono due tipe abbastanza diffidenti e hanno bisogno di studiarsi un pochino prima di fidarsi veramente l’una dell’altra, ma diciamo che a pelle si sono piaciute..
Ho approfittato del viaggio in macchina per darvi qualche informazione in più sul mio nuovo personaggio, ma la fanciulla è molto riservata e non si lascia certo andare a confidenze con i primi che capitano..
Che cosa porterà il risveglio?
Vedremo, dopo tutto anche io lo scopro solo poco prima di voi..
Vaa beeeneee la smetto di tediarvi con i miei soliloqui (ebbene sì ho davvero usato questa parola.. O_o)
Grazie mille se mi avete letto, se magari lasciaste anche qualche parolina, magari.. (mi piacerebbe tanto sapere cosa pensate della mia idea delle canzoni associate ai capitoli, e vi anticipo di già che ce ne saranno ben due legate al prossimo..)
Besitos
>.< 

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Capitolo 3
*** Ogre Battle ***


Rieccomi.
Le solite due paroline introduttive.
I primi due capitoli erano scritti dal punto di vista di Rain
Questo invece è dal punto di vista di San.
Penso che manterrò questa alternanza per tutta la storia,
non so se lo farò in modo regolare o meno..
entrambe le fanciulle vogliono dire la loro
ed hanno un bel caratterino,
perciò lascio che se la vedano tra loro
per decidere chi delle due deve parlare..
Enjoy
WilKia >.<
p.s. quasi dimenticavo.. le due canzoni,
i cui titoli sono uno il titolo del capitolo stesso,
mentre l’altro ve lo dice San,
appartengono entrambe al repertorio del
gruppo preferito di Rain..
avete indovinato qual è?
 
 
Ogre Battle
 
Una lama di sole s’insinuò tra le imposte malandate.
La luce strisciò sul pavimento polveroso, fino a inondare il volto della ragazza placidamente addormentata nel grande letto al centro della stanza.
Santana corrugò la fronte con disappunto sentendo quel calore indesiderato sugli occhi irritati e con un gesto di stizza si voltò dall’altra parte.
Un invitante aroma di caffè si diffuse nella stanza attraverso la porta spalancata, seguito in pochi istanti dalle note di una canzone dei Queen.
Senza minimamente pensare di aprire gli occhi, la mora si grattò una tempia.
“Dragon Attack.”
Pensò con un sorriso riconoscendo il giro di basso della canzone.
Strano, in casa sono l’unica che ascolta musica.
A quel pensiero i suoi occhi neri si spalancarono, e presero a guardarsi intorno spaesati e vagamente intimoriti nel non riconoscere il luogo.
Si trovava in una stanza spoglia e decrepita.
Le pareti sudice erano rivestite da della carta da parati che un tempo doveva essere stata azzurro cielo, ma che ora pendeva tristemente dai muri, ingiallita e strappata in più punti.
Oltre al letto su cui si trovava, l’unico elemento d’arredo a occupare il pavimento di assi di legno sconnesse, era un grande armadio a muro, con le ante scardinate e sforacchiate dai tarli.
Accanto al letto, su una vecchia sedia con una gamba più corta delle altre erano ripiegati una felpa blu e un paio di pantaloni di una tuta grigia.
Sotto la sedia era abbandonato un borsone verde militare.
Non appena lo vide, i ricordi della notte le invasero la mente.
La strada che scorreva sotto i suoi piedi.
Il cielo che si faceva sempre più buio, senza che lei se ne accorgesse, la mente rapita da pensieri e ricordi vorticanti.
No!
Strinse gli occhi per un momento per chiudere fuori quel pensiero.
 
 
 
Quello che l’aveva fatta uscire di casa sbattendo la porta, facendola camminare per chilometri senza fermarsi, senza sapere, né curarsi di dove stava andando.
Finché la notte l’aveva sorpresa davanti a quel bar.
Era entrata più che altro perché l’umidità della notte le si stava appiccicando alla pelle, facendola rabbrividire.
E poi i suoi pensieri erano talmente rumorosi che sentiva il bisogno fisico di aver dei suoni reali intorno a sé, e non solo il silenzio assordante della notte.
Un jukebox scassato diffondeva le note di una malinconica canzone country nel locale squallido e semi-deserto.
Madre de Dios! Ma che diavolo ci trova la gente in questa musica?!
Come aveva messo piede nel locale era partita una salva di fischi e urla alludenti e sconce dal tavolo centrale, circondato da una mezza dozzina di Neanderthal.
Oltre al gruppo di cavernicoli il bar era popolato dalla tipica fauna di Lima, operai e impiegatuccoli che si sbronzavano prima di tornare a casa.
Una ragazza solitaria e dall’aria malinconica sedeva al bancone sorseggiando quella che sembrava Tequila.
Buona idea.
Aveva pensato avviandosi al bancone per ordinare la stessa cosa, pronta a sfoderare il suo documento falso.
Aveva fatto solo pochi passi, quando uno dei cavernicoli si alzò dal tavolo e le bloccò il passaggio.
“Ehi, bellezza – l’apostrofò rivolgendole un sorriso lascivo – perché non vieni a sederti con noi?”
Perfecto! ¿Qué mejor manera para completar este día de mierda?!
Si lasciò affiorare sul volto la sua migliore espressione da stronza.
“Grazie dell’offerta Nendy.. ma ho di meglio da fare!”
Fece per aggirarlo, ma una mano la trattenne afferrandola per il polso.
Un altro troglodita si era alzato per dare manforte al suo compare.
“Dai, non fare la difficile.. vedrai che ci divertiamo.”
Il tizio la squadrò dall’alto in basso e ritorno, radiografandola con occhi ingordi.
“Senti, non è proprio giornata, quindi fai un favore a te stesso e lasciami andare prima di farti male sul serio.”
Soffiò liberandosi dalla sua stretta con uno strattone.
Si levò un coro di risa sguaiate, mentre il resto del branco si disponeva intorno a lei.
“Bene, bene – commentò il primo – a quanto pare questa gattina sexy ha gli artigli affilati. Attenta, anche io ho un’arma letale da sfoderare.. vuoi vedere?”
Santana cominciava a preoccuparsi, uno dopo l’altro gli altri avventori del bar si erano dati alla macchia, lasciandola in balia di quegli energumeni.
“Sì ho gli artigli e so bene come usarli! Non credo invece, che tu sappia come usare quel lombrico che chiami arma letale.”
“Come ti permetti, puttanella insolente! - sbraitò quello avanzando minaccioso verso di lei – ora ti faccio vedere io come ci si deve comportare!”
L’aveva ormai raggiunta, ma una mano si posò decisa sulla sua spalla, bloccandolo.
Lo sguardo di Santana si posò sulla proprietaria della mano.
Poco più alta di lei, indossava un paio di jeans sdruciti e una maglietta decisamente troppo grande per lei sulla quale campeggiava un teschio ghignante, circondato da schizzi di sangue che formavano la scritta “She takes no prisoners”.
L’abbigliamento era completato da una consunta giacca di pelle nera e da un paio di anfibi dello stesso colore, che le arrivavano poco oltre la caviglia.
Eccetto una coppia di treccine che le si appoggiavano sul lato destro del petto, i capelli castano scuro le arrivavano poco sopra le spalle, incorniciando un paio di occhi decisi, dal colore indefinibile nella fioca luce del bar.
La sua espressione era rimasta impassibile, mentre il bestione le urlava in faccia di farsi i cazzi suoi.
Senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, si sporse oltre la sua spalla, fissando quegli occhi calmi nei suoi.
“Questi tizi ti stanno dando fastidio?”
Le chiese con una voce calda e rassicurante.
Santana la squadrò, esitando.
Dopo tutto, non sapeva niente di quella tizia.
E lei non era certo il tipo da chiedere aiuto. Lei era Santana Lopez, il terrore del McKinley. Sua maestà stronzaggine in persona.
Era la migliore in assoluto quando si trattava di demolire qualcuno a parole, e certamente non si tirava indietro nemmeno quando c’era da menare le mani.
Ma un recente scontro con il grande rinoceronte bianco le aveva insegnato che forse doveva imparare a scegliersi le battaglie.
E quei tizi erano parecchio più grossi di lei, oltre a essere in netta superiorità numerica.
La guardò negli occhi e fu pervasa da uno strano senso di calma.
Annuì in silenzio.
La ragazza tornò a rivolgere la sua attenzione al Neanderthal e in quella frazione di secondo la sua espressione cambiò completamente.
Se per lei i suoi occhi avevano assunto un tono rassicurante, lo sguardo che rivolse all’energumeno che le si parava davanti era minaccia allo stato puro.
Sto osservando una maestra all’opera.
Pensò la latina con un misto di ammirazione e disappunto.
La sconosciuta si stava avvicinando a lei, ma il troglodita non voleva saperne di arrendersi e la bloccò prendendola per una spalla e costringendola a voltarsi ancora nella sua direzione.
Lei se lo scrollò di dosso con indifferenza e gli voltò di nuovo le spalle.
Fu a quel punto che partì l’attacco.
Prima che Santana potesse capire cosa stesse accadendo, il tizio era volato a terra sollevando una nuvola di polvere.
La sconosciuta gli aveva rivolto uno sguardo vagamente disgustato.
“Fossi in te, rimarrei giù.”
Aveva detto con quella voce tranquilla.
Ma il tizio non aveva seguito il consiglio.
Livido di rabbia per l’umiliazione di essere stato atterrato da una donna, si era alzato sbraitando.
“Prendetele, maledizione!”
La ragazza si parò davanti a lei bloccando il primo pugno in arrivo come se stesse scacciando una mosca.
Santana rimase a bocca aperta a fissare la scena.
Le mani di quella tizia sembravano essere ovunque, non appena colpiva un avversario, era già pronta per parare il colpo di un altro e quindi contrattaccare.
In men che non si dica tutti e cinque i bestioni erano stesi a terra in posizioni più o meno scomposte.
La sconosciuta li aveva osservati scuotendo la testa e poi si era girata verso di lei, ma un rumore di passi l’aveva fatta voltare verso il retro del locale, dove altri 7 Neanderthal avevano appena fatto il loro ingresso.
7 paia di occhi si erano puntate prima sulla strana ragazza al centro del bar e poi a turno sui tizi stesi doloranti sul pavimento.
La sconosciuta si fiondò a recuperare il suo borsone, poi corse verso la porta, afferrandola per una mano senza troppe cerimonie e trascinandola con sé all’esterno.
Mentre veniva scaraventata in strada sentì un tonfo e il tintinnare di vetri infranti.
Poi una mano calda e forte si serrò di nuovo sulla sua, trascinandola in un vicolo dietro il locale.
“Sali!”
La incitò la sconosciuta, mentre si gettava al volante di un’auto.
Santana prese velocemente posto sul sedile accanto.
Non aveva ancora chiuso la portiera che già l’auto sfrecciava per la strada.
Con una mossa degna di un film d’azione la sconosciuta aveva atterrato tutti i loro inseguitori, per poi imboccare una curva sbandando.
Dopo i primi momenti concitati il viaggio era stato.. interessante.
Come interessante era il nome con cui la ragazza si era presentata: Rain
“È il tuo vero nome?”
“È l’unico nome in cui mi identifico.”
Aveva risposto lei enigmatica, mentre scendeva dall’auto.
Osservando la casa davanti cui si erano fermate, la latina aveva pensato che forse, dopo tutto non aveva avuto poi una grande idea a chiederle se poteva fermarsi a dormire.. quella casa era un disastro.
“Wow.. la versione horror della stamberga strillante!”
Commentò scendendo dalla macchina e squadrando la casa con le sopracciglia inarcate e le labbra contratte nella sua tipica espressione di disgusto.
“Non avrei potuto trovare parole migliori..”
Rispose Rain che guardava l’edificio con le braccia appoggiate al tetto dell’auto e un’espressione accigliata dipinta sul viso.
Dopo alcuni minuti d’indecisione silenziosa, Rain si era gettata il borsone su una spalla e si era incamminata lungo il vialetto infestato dalle erbacce.
La donna sparì pochi minuti nello scantinato per poi riemergerne starnutendo a causa della polvere, ma con un’espressione trionfante sul volto.
“Sono riuscita a rimettere in funzione l’impianto elettrico, almeno non dovremo muoverci lì dentro al buio.”
Esclamò precedendola sui gradini scricchiolanti del portico.
Se l’esterno le aveva dato l’impressione di arrivare direttamente da un film horror, l’interno le confermò che era veramente così.
Quella casa era rimasta deserta per anni.
Quando Rain le aveva comunicato l’indirizzo, la latina non l’aveva collegato alla catapecchia abbandonata, dove lei e i suoi amichetti andavano a fare le prove di coraggio quando era bambina.
Gli stivali dell’ex soldato avevano lasciato profonde orme nello spesso strato di polvere che ricopriva il pavimento.
Il soffitto e i pochi mobili, anch’essi ricoperti di polvere, erano tappezzati di ragnatele, che dondolavano pigramente al loro passaggio.
Avevano esplorato la casa muovendosi lentamente per sollevare meno polvere possibile.
Salendo le scale si erano imbattute nella camera da letto e in un bagno trasandato, ma che, polvere a parte non era poi così sudicio.
Rain aveva osservato il lavandino con aria critica prima di avvicinarsi e girare tentativamente la manopola dell’acqua.
Santana sussultò quando le tubature presero a gemere indignate.
Dopo alcuni istanti uno zampillo d’acqua rossastra era sgorgato dal rubinetto spazzando via la polvere accumulata nel lavandino.
Alcuni minuti dopo, l’acqua aveva assunto un più rassicurante aspetto trasparente.
Setacciando l’armadio nella camera, avevano trovato delle lenzuola decorose e un paio di coperte.
“Allora, tu occupati di fare il letto – aveva disposto la donna - io vedrò di dare una ripulita al bagno, in modo da non prenderci il tetano nel caso avessimo bisogno di usarlo.”
La latina aveva annuito ringraziandola dentro di sé in tutte le lingue che conosceva (e anche in quelle sconosciute) per come aveva suddiviso i compiti.
In pochi minuti l’ispanica aveva raccolto la polvere sul pavimento in un angolo della stanza, con una scopa malandata che Rain aveva rinvenuto nel sottoscala, quindi si era occupata del letto.
Quando ebbe finito, andò a vedere come se la cavava l’ex-soldato.
Anche nel bagno la polvere era stata eliminata dalla maggior parte delle superfici.
Rain era china su un secchio e le sue mani avvolte in guanti di plastica strizzavano uno straccio consunto.
Si era sollevata il collo della maglietta fin sopra il naso.
Evidentemente l’aveva sentita arrivare, perché come entrò dalla porta, la donna alzò lo sguardo su di lei.
“Ehi – la salutò – allora, com’è messa la camera?”
La latina non riuscì a trattenere una smorfia sarcastica.
“Continua a essere una topaia, ma diciamo che se è solo per una notte dovremmo sopravvivere. Tu  a che punto sei? Posso darti una mano?”
Rain scosse la testa.
“Non mi manca molto ed è meglio che solo una di noi respiri i vapori tossici di questa roba.”
Disse indicando il secchio.
“Inoltre, quelli che ho messo sono gli unici guanti che ho trovato e ho paura che questa roba sia corrosiva..”
“C’è qualcos’altro che potrei fare?”
“A dire il vero, sì.”
Rispose l’ex-soldato dopo essere rimasta pensierosa per un momento.
“Torna in camera e infilati sotto le coperte, hai l’aria di una che ha avuto una giornataccia, episodio del bar escluso, e che avrebbe bisogno di farsi una bella dormita.”
Santana incrociò le braccia sul petto.
“Come fai a dirlo?”
“Intuito? Spirito d’osservazione? Chiamalo pure come vuoi, ci sono vari di sinonimi.”
“Immagino che vorrai metterti più comoda per dormire. – continuò poi togliendosi i guanti e dirigendosi in camera – ecco, questa dovrebbe essere abbastanza lunga da farti da camicia da notte.”
Le porse una maglia nera sulla quale era riportato “L’Urlo” di Munch circondato dalla frase “Can’t break the silence, it’s breaking me.”
“Non è la frase di una canzone?”
Chiese.
“Indovinato, sai anche dirmi di chi?”
Santana ci pensò un momento frugando nel suo vasto repertorio musicale.
“Evanescence?”
“E abbiamo una vincitrice, signori!”
Esclamò la ragazza con un sorriso.
“Ti lascio il bagno per cambiarti, finirò dopo. Poi mi andrò a spalmare su quella specie di divano che ho visto di sotto.”
“Cosa? Vorresti andare a dormire ad Acaropoli?”
Esclamò l’ispanica con una smorfia.
L’altra scrollò le spalle con indifferenza.
“Non se ne parla neanche! Il letto è abbastanza grande, ci stiamo tutte e due. Ci mancherebbe solo che dopo tutto quello che hai fatto stasera ti lascio dormire a Polverolandia!”
L’ex-soldato sogghignò.
“Perché non dici la verità e non ammetti che l’idea di dormire da sola in questa casa ti mette i brividi..”
La latina assunse la sua migliore espressione da stronza e sollevò l’indice della mano sinistra all’altezza del volto della ragazza.
“Ora ascoltami e fallo attentamente, perché non mi ripeterò.”
Rain la guardò sollevando le sopracciglia con aria interessata e divertita.
“Io sono Santana Lopez. – esclamò facendo un piccolo scatto laterale con la testa -  e per tua norma e regola Santana Lopez non ha paura di niente.”
Schioccò le dita e le voltò le spalle facendo ondeggiare i lunghi capelli neri, per poi chiuderle la porta del bagno in faccia.
Pochi istanti dopo la sentì scoppiare a ridere dietro la porta e a sua volta non riuscì a trattenere un sorriso.
“Ahahaha! Sei forte, ragazzina, mi piaci!”
 
 
 
Angolo della pazza
Hellooooo!! Is it me you’re lookin’ for?
Ok chiedo scusa, ma sono esattamente le 2.33 di mattina, mentre sto scrivendo ciò.
Siate comprensivi, già faccio fatica da sveglia..
Questo capitolo doveva essere diverso all’inizio, ma poi come sapete, ho perso il file originale e l’ho dovuto riscrivere, e a volte le storie prendono direzioni inaspettate e quello che doveva essere un capitolo dedicato al risveglio, si è trasformato in un lungo flashback di Santana..
È che la storia mi sembrava incompleta, dovevo dirvi quale era stata la prima impressione che la nostra chica latina aveva avuto sulla mia Rain, no?!
Spero abbiate colto il riferimento all’episodio 2x12.. se così non fosse, che aspettate? Correte a vedervelo :D
 
Risposta all’indovinello dell’introduzione:
il gruppo preferito di Rain sono i mitici Queen.
Dai, era facile, non ditemi che non ci eravate arrivati.
 
Bene vedremo cosa il mio PC sputerà fuori nel prossimo capitolo.
Grazie di aver letto, grazie a chi mi ha lasciato due paroline per i capitoli precedenti, grazie se ne vorrete lasciare due per questo.
E GRAZIE MILLE alla mia fratellina adorata che ha la pazienza di sopportare le mie paturnie e legge in anticipo.
Hasta luego!!
>.< 

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Capitolo 4
*** A House is not a Home ***


Mi scuso per l’ora tarda
ma Rain ha voluto portarmi a tutti i costi a vedere il concerto di Slash :P
ma non me la sentivo proprio di lasciarvi a bocca asciutta
quindi ecco qui..
Enjoy
WilKia >.<
 
 
A House is not a Home
 
 
Era rimasta quasi per un’ora da sola in quel letto dal materasso mezzo sfondato, prima che Rain la raggiungesse e si posizionasse dall’altro lato, quasi sul bordo.
Lei aveva tenuto gli occhi chiusi, ma non dormiva.
Con il silenzio e la solitudine, i pensieri erano tornati ad affollarle la mente.
Almeno non sono nel mio letto.
Aveva pensato.
In quella catapecchia, in quel letto schifoso, per lei era più facile tenere a bada i pensieri.
Molto più di quanto non lo fosse nel suo letto, in quella stanza piena di ricordi, piena di loro, dove ogni stupido oggetto le richiamava qualcosa alla mente, una risata, uno sguardo, un bacio.
Era decisamente troppo da sopportare per lei.
Così era scappata via.
Era riuscita ad addormentarsi solo dopo che Rain l’aveva raggiunta.
Stranamente sentire il peso della ragazza dall’altro lato del letto l’aveva tranquillizzata.
Il mattino era arrivato anche troppo in fretta.
Ma c’era quel profumo di caffè nell’aria a ridimensionare la sua irritazione.
Indossò i pantaloni che evidentemente erano stati lasciati lì per lei e trovò anche un paio di scarpe da ginnastica con un biglietto sopra.
Buongiorno miss Clay – diceva – immagino che tu voglia evitare strane malattie della pelle, quindi ti consiglio di mettere queste se vuoi scendere per la colazione.. sempre che tu non preferisca i tuoi tacchi..
R.
Le sopracciglia di Santana si aggrottarono per lo strano modo in cui la ragazza l’aveva chiamata nel messaggio.
Alzò le spalle e s’infilò le scarpe prima di scendere e dirigersi in cucina seguendo la musica.
Si fermò sulla soglia, appoggiandosi allo stipite (dopo aver controllato che farlo non le sarebbe costato la morte) e osservò la scena divertita.
Rain indossava una canotta bianca che aderiva perfettamente al suo corpo asciutto.
I vestiti sproporzionati che indossava la sera prima avevano tenuto nascoste le spalle ampie e le braccia muscolose, che non toglievano affatto armonia al suo fisico, anzi la accentuavano.
Ha il fisico da pugile o da nuotatrice.
Pensò Santana.
Più probabile la prima opzione.
Si corresse ripensando alla nottata appena trascorsa.
L’ex-soldato era girata di spalle, indaffarata davanti ai fornelli e cantava muovendosi al ritmo agitato di una canzone rock che la latina non aveva mai sentito prima, in realtà non riusciva a capire nemmeno una parola del testo.
Però, non è male..
La voce della ragazza era piena e sicura, e sovrastava senza problemi quella dell’uomo che cantava dalle casse collegate all’ipod sul tavolo.
La canzone finì e la musica fu sostituita dallo sfrigolare di.. qualsiasi cosa la donna stesse cucinando.
“Non ti hanno mai insegnato che non sta bene fissare le persone?”
Domandò Rain facendola sobbalzare.
La donna non si era nemmeno degnata di girarsi.
“Dì un po’, ma ti diverti a farmi venire degli infarti?”
Chiese la latina stizzita, mentre le si affiancava davanti ai fornelli.
“Come facevi a sapere che ero qui?”
La ragazza la guardò un momento, divertita, poi tornò ad occuparsi della colazione.
“Ti ho sentita camminare di sopra e scendere le scale.”
“Ma se avevi la musica a tutto volume..”
“Già, ma tu ti muovevi con la leggiadria di un ippopotamo..”
La schernì.
L’ispanica le rivolse uno sguardo assassino.
“Nell’esercito dovevo riuscire a distinguere gli ordini del mio comandante in mezzo a tutti i rumori del campo di battaglia..”
Spiegò seria.
“Riuscire o meno a farlo poteva fare la differenza tra vivere o morire.
Sono cose che una volta acquisite, non ti lasciano più..”
“Spero che ti piacciano i pancakes..”
Aggiunse poi, dandole un colpetto al fianco con il gomito e rivolgendole un sorriso.
“Miss Clay?”
Chiese la latina guardandola con le sopracciglia inarcate, non calcolando minimamente la sua domanda.
La ragazza sogghignò.
“Come Cassius Clay, il pugile.. hai presente? Stanotte ho fatto più fatica a parare i tuoi dritti di quanta non ne abbia fatta contro tutti quei bestioni, ma quanto ti agiti nel sonno?! ”
Santana non rispose. Fece vagare lo sguardo per la cucina che aveva assunto un aspetto meno inquietante con la luce del giorno, l’assenza di polvere sul pavimento e sui vari ripiani indicava che la sua ospite si era data da fare, mentre lei dormiva.
“È molto che sei sveglia?”
“Ti dico solo che, mentre tu eri tra le braccia di Morfeo, ho avuto tempo di quasi sterilizzare la cucina, farmi la doccia e andare a comprare qualcosa da mettere sotto i denti.. Caffè?”
Le offrì porgendole una tazza fumante.
“Tranquilla, la tazza l’ho comprata stamattina, è sicura..”
Santana accettò l’offerta con un sorriso e andò a sedersi al tavolo, scorrendo la playlist dell’ipod mentre sorseggiava la bevanda calda.
“Chi cavolo è Vasco Rossi?”
Domandò quando lesse quello strano nome sullo schermo.
“Un cantautore Rock italiano, uno dei migliori.”
“Sei italiana?”
Chiese incuriosita.
“Sono nata in Italia, ma io e mia madre ci siamo trasferite in America, quando ero bambina, ma ci siamo sempre tenute aggiornate sulla musica della nostra patria, almeno quella che valeva la pena di essere ascoltata.
Dopo il congedo ci sono tornata e ho vissuto lì per poco più di un anno.”
“Tuo padre è rimasto in Italia?”
La schiena dell’ex-soldato si irrigidì.
“Non ne ho idea. – rispose con voce fredda -  Ci ha abbandonate quando avevo 7 anni, non ne ho più saputo nulla fino a pochi mesi fa.. a quanto pare il bastardo ha pensato che sarebbe stato divertente lasciarmi questa catapecchia in eredità.”
Dispose i pancakes su due piatti, con movimenti secchi, quasi meccanici, e li portò in tavola per poi sedersi e fissare un punto imprecisato davanti a sé con espressione cupa.
Santana osservò il piatto non sapendo bene come rompere quel silenzio imbarazzante.
“Mi dispiace – cominciò esitante – io.. non vole..”
“Tranquilla.”
La interruppe uscendo dal suo stato di trance e rivolgendole un sorriso un po’ triste.
“Non ti devi scusare. Non sei stata tu ad abbandonarmi, e non potevi certo sapere che mio padre era uno stronzo..”
L’ispanica ricambiò il suo sorriso, leggermente imbarazzata.
“Ehi, guarda che non sono avvelenati.”
Disse la donna indicando il piatto di pancakes rimasti intoccati.
Santana si rese conto all’improvviso di essere affamata.
La sera prima non aveva toccato cibo e non mangiava mai molto a pranzo, nella mensa della scuola.. lì sì che correva il rischio di venire avvelenata.
“Bhè ora che sei qui che programmi hai?”
Chiese a Rain tra un boccone e l’atro.
La ragazza scosse le spalle e bevve un sorso di caffè.
“Non so.. per ora sono inchiodata qui, perciò penso che per prima cosa cercherò di rendere questo postaccio.. abitabile, anche se mi sembra una parola esagerata, credo che non lo sarà mai.
Prima però dovrò procurarmi almeno il necessario per fare le pulizie, e dovrò assolutamente liberarmi di quel letto, ho dormito su brande da campo milioni di volte più comode.
E dovrò trovarmi un lavoro.. ho un po’ di soldi da parte, ma ho la sensazione che mi basteranno appena per sistemare una sola stanza di questa catapecchia.
Bhè troverò la soluzione, me la sono cavata anche in situazioni peggiori.”
Concluse parlando forse più a sé stessa.
“Veniamo a te, piuttosto. – riprese - Immagino che ti sarai stufata di avermi intorno, prima di andare a comprare quello che mi serve ti accompagno a casa, o dove preferisci andare..”
Santana finì di masticare il boccone esagerato che si era infilata in bocca, con aria pensosa, poi bevve un sorso di caffè.
“È domenica mattina, sai dove mi piacerebbe andare? Al centro commerciale.”
“Santana, non devi sentirti in obbligo di aiutarmi, davvero.”
La latina la squadrò con la sua espressione sarcastica.
“Non ti montare la testa, lo faccio solo perché al momento non ho di meglio da fare..”
“Non hai.. non so, genitori da rassicurare? Persone da minacciare? Amiche da visitare?”
L’ispanica la guardò storto.
“Per la seconda volta nel giro di poche ore, ai miei non interessa quello che faccio, posso andare e venire come mi pare, loro non se ne accorgono neanche. Le persone da minacciare le troverò lunedì a scuola come al solito e, poiché odio praticamente tutti, no, non ho amiche da visitare. Sono tutta tua. Altre domande? Vuoi chiedermi, non so, se voglio passare dal mio ragazzo o a dar da mangiare a delle mucche?”
Rain ci pensò su un attimo, con espressione seria.
“Nha! Non mi sembri il tipo da frequentare una stalla.
E direi che non hai un ragazzo, se così fosse probabilmente ora non staremmo parlando in questa topaia di cucina.”
Santana rimase spiazzata dalla risposta.
“Cosa ti fa pensare che io non abbia un ragazzo?”
“Ma ti sei vista? Nessun ragazzo sano di mente perderebbe l’occasione di passare il sabato sera con te. La mia è semplice logica: se fossi fidanzata, avresti passato la serata col tuo ragazzo, perciò non saresti capitata in quel bar, e ora non staremmo qui a parlare, ma stiamo parlando, ergo non hai il ragazzo. Anche se sono sicura che sono in parecchi a morirti dietro.”
Mentre parlava, si era alzata e aveva iniziato a mettere i piatti e le pentole nel lavello.
“Oh e quella storia del odio tutti quindi non ho amiche da visitare, non me la bevo neanche per un secondo, sono sicura che c’è almeno una persona che non odi..”
La latina inarcò le sopracciglia.
“Ma davvero? E come puoi esserne sicura?”
“Lo so perché stanotte oltre che cercare di acchiappare folletti, ogni tanto parlavi e ripetevi sempre lo stesso nome. So che non sono affari miei e se non vuoi parlarne..”
Alla parola “folletti” qualcosa dentro Santana cedette.
Si prese la testa tra le mani, mentre calde lacrime cominciavano a sgorgare dai suoi occhi neri.
“Accidenti a me e alla mia boccaccia!”
Esclamò la donna, tornando accanto a lei.
“Ehi, ragazzina.. – sussurrò con quella voce calda, rassicurante – scusa, sono davvero una deficiente! Non sono proprio capace di tenere chiusa questa ciabatta.”
Dopo un attimo di esitazione le appoggiò una mano sulla spalla.
A quel contatto Santana cedette del tutto e si slanciò verso di lei, le strinse le braccia intorno al collo e prese a singhiozzare furiosamente con il viso nascosto contro la sua spalla.
Sentì Rain irrigidirsi nella sua stretta e prima di essere respinta si mosse per allontanarsi, ma la ragazza si sciolse subito e le appoggiò delicatamente le mani sulla schiena per trattenerla.
“Ok. È tutto ok, lasciati andare, sfogati, ti tengo io.”
La sentì sussurrare tra i suoi capelli, mentre le sue braccia la circondavano, stringendola con ferma dolcezza.
Il dolore che stava provando era tale che le si piegavano le ginocchia.
Senza allentare la presa, l’ex-soldato si mosse, camminando all’indietro fino ad appoggiare la schiena ad un mobile per poi lasciarsi scivolare a terra, permettendole di sedersi in braccio a lei.
“Vedrai, andrà tutto bene, si risolverà ogni cosa.”
Continuava a sussurrare accarezzandole piano i capelli.
Lentamente Santana cominciò a calmarsi.
Era da quando aveva 6 anni che nessuno la prendeva in braccio, che nessuno la stringeva per confortarla, permettendole di essere fragile.
I Lopez non piangono.
Le ripetevano sempre i suoi genitori.
E lei aveva imparato.
A non piangere, a non chiedere mai niente a nessuno, ma a prendersi ciò che voleva, perché era così che facevano i Lopez.
E aveva imparato a non aspettarsi mai niente dalle persone, e a colpire per prima.
Ma LEI era così innocente e ingenua, pura e meravigliosa.
Allora l’aveva lasciata entrare.
E quando il giorno prima si era vista respinta, anche da LEI.. semplicemente era stato troppo.
Era scappata via in lacrime.
Ma i Lopez non piangono, si arrabbiano, urlano, strepitano, e distruggono tutto ciò che incontrano sul loro cammino, ma non piangono, così si era asciugata le lacrime e quando era arrivata a casa non ve ne era più la minima traccia sul suo viso.
Ma quando Rain aveva parlato di folletti, senza sapere cosa quella parola significasse per lei, non ce l’aveva fatta, non era più riuscita a comportarsi come una Lopez.
Era crollata.
Ma, chissà perché, quella strana ragazza spuntata dal nulla non l’aveva lasciata cadere, l’aveva presa in braccio come nessuno aveva più fatto e l’aveva stretta a sé, cullandola.
E ora, mentre il suo pianto si placava, scoprì di sentirsi al sicuro in quell’abbraccio.
 
 
 
Angolo della pazza
 
Buonasseeeeeeraaaa
Non ho niente di particolare da aggiungere, tranne che tengo molto a questo capitolo.
Gli ho voluto bene sin dalle prime parole che ho scritto..
Grazie mille a tutti voi che leggete, grazie diecimila a tutti voi che oltre a leggere recensite, vi voglio bene, ma proprio tanto :D
La canzone del capitolo è ovviamente “A House is not a Home” di quel geniaccio di Burt Bacharach e cantata nella sua versione originale dalla sublime Dionne Warwick, ma ne esistono millemila versioni diverse tra cui, naturalmente anche quella di Glee, a voi scegliere se e quale versione ascoltare (personalmente vi consiglio quella originale, perché non vi potete proprio perdere la voce di Dionne Warwick.)
Bon, chiudo qui.
Alla prossima.
WilKia >.< 

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Capitolo 5
*** I'll Stand by You ***


I’ll Stand by You
 
 
“Oh e quella storia del odio tutti quindi non ho amiche da visitare, non me la bevo neanche per un secondo, sono sicura che c’è almeno una persona che non odi..”
Esclamò Rain dando le spalle alla latina per andare a mettere le stoviglie della colazione nel lavello.
Sentì gli occhi della ragazza puntarsi sulla sua schiena.
“Ma davvero? E come puoi esserne sicura?”
“Lo so perché stanotte oltre che cercare di acchiappare folletti, ogni tanto parlavi e ripetevi sempre lo stesso nome. So che non sono affari miei e se non vuoi parlarne..”
Disse voltandosi verso di lei.
La frase le morì sulle labbra quando vide la ragazza con la testa appoggiata tra le mani e le lacrime che le rigavano il volto.
Ma brava, complimenti! E l’oscar per la più idiota va a.. Rain!
Si disse.
“Ehi, ragazzina.. – sussurrò avvicinandosi a lei – scusa, sono davvero una deficiente! Non sono proprio capace di tenere chiusa questa ciabatta.”
Allungò lentamente una mano e la appoggiò sulla spalla della più piccola.
La ragazza fece uno scatto improvviso gettandole le braccia al collo e nascondendo il viso contro la sua spalla, iniziando a singhiozzare disperata.
Rain si irrigidì, il contatto fisico la metteva a disagio.
In battaglia aveva imparato a reagire in un certo modo, ad ascoltare il suo corpo fino al punto di agire muovendosi per puro istinto, senza pensare.
Questo le aveva salvato la vita innumerevoli volte.
Gli effetti collaterali si erano presentati dopo, una volta tornata dal fronte, quando il suo corpo non sapeva che quell’allerta costante non era più necessaria e interpretava come una minaccia, la mano di un passante che le si appoggiava su una spalla per chiederle l’ora, facendola scattare come una molla per atterrare il malcapitato in mezzo alla strada, nell’ora di punta.
Ancora adesso aveva dei seri problemi a controllare le sue reazioni se qualcuno la toccava dopo esserle arrivato alle spalle.
Per fortuna aveva visto Santana muoversi prima che le sue braccia si stringessero intorno al suo collo, e per fortuna era riuscita a mantenere la mente abbastanza lucida da ordinare ai suoi muscoli di non muoversi di un millimetro.
Ma l’ispanica doveva aver interpretato la sua reazione come un rifiuto, perché iniziò ad allontanarsi.
Si affrettò a rilassare i muscoli e appoggiò delicatamente le mani sulla sua schiena, invitandola a rimanere.
Strinse le braccia intorno al suo corpo esile, appoggiando la guancia sulla sua testa.
“Ok. È tutto ok, lasciati andare, sfogati, ti tengo io.”
Sussurrò.
È così piccola..
Si accorse che quello scricciolo tra le sue braccia faticava a stare in piedi, allora indietreggiò fino ad un mobile e si lasciò scivolare a terra facendola sedere sulle sue gambe.
Accarezzò quei capelli di seta nera, mormorando parole rassicuranti.
Lentamente i singhiozzi si placarono riducendosi a dei caldi respiri tremolanti che Rain avvertiva sulla sua pelle attraverso la stoffa bagnata di lacrime.
“Senti – disse piano – lo so che ci conosciamo da meno di 12 ore, ma forse parlarne con qualcuno potrebbe farti bene. Non so di cosa si tratta e non voglio certo forzarti, ma sono qui e se vorrai sono pronta ad ascoltarti.. ok?”
La sentì annuire impercettibilmente contro la sua spalla.
“Grazie.”
Rispose in un sussurro spezzato.
Allentò la presa e le passò una mano sul viso, asciugandole le lacrime.
Santana prese alcuni lunghi respiri per ricomporsi e poi si alzò, passandosi le mani sugli occhi per bandire le ultime lacrime vagabonde che vi affioravano.
Rain si alzò da terra scrollandosi i pantaloni e scuotendo la testa con un’espressione di disappunto sul viso.
“Accidentaccio.. – esclamò attirando l’attenzione della latina – temo proprio che questi li dovrò bruciare.”
Con sollievo vide le sue labbra dischiudersi in un sorriso.
“Allora sei sicura di voler passare una noiosissima giornata di pulizie generali?”
L’ispanica tirò su con il naso e annuì.
“Come ti ho detto non ho nulla di meglio da fare.”
“Va bene, allora sarà meglio vestirci e metterci all’opera, la maggior parte della mattina se n’è già andata.”
“Possiamo passare da casa mia prima? Così recupero dei vestiti adatti..”
“Certo, nessun problema. Ah, sono riuscita a rimettere in moto lo scaldabagno, l’acqua esce appena tiepida, ma almeno non è ghiacciata. Non so, se vuoi farti una doccia..”
La più piccola la guardò di sbieco.
“È il tuo modo per dirmi che puzzo?”
Chiese ritrovando il suo tono strafottente.
“Già, puzzi come una fogna.. – rispose con un ghigno – stavo solo pensando che potresti voler toglierti di dosso le schifezze che aleggiano nell’aria di questa topaia..”
“In effetti, non è una cattiva idea.”
“In bagno trovi il necessario, asciugamani e tutto.. ti ho preso anche uno spazzolino.”
L’ispanica annuì e uscì dalla cucina, fermandosi però sulla soglia e voltandosi a guardarla.
“Grazie. Di tutto.”
Disse prima di sparire su per le scale.
Rain lavò i piatti e quando sentì l’acqua iniziare a scorrere nel bagno al piano di sopra tornò in camera per cambiarsi.
Sostituì i morbidi pantaloni della tuta con i jeans della sera prima e si sfilò la canotta ancora umida di lacrime.
Oh, dannazione!
Pensò vedendo l’enorme macchia nera che si era formata sul retro della canotta, dove si era appoggiata al mobile.
Gettò l’indumento in un angolo e si sedette sul bordo del letto tuffandosi poi dentro il suo borsone in cerca di una maglietta pulita.
In quel momento, un urlo terrorizzato le giunse alle orecchie.
Il suo corpo reagì all’istante.
Si alzò di scatto, coprì in un attimo la distanza che la separava dal bagno e diede una spallata alla porta.
I cardini arrugginiti cedettero subito e la porta si ribaltò all’interno atterrando con uno schianto sul pavimento.
Rain entrò nel bagno e si bloccò alla scena che le si presentò davanti.
Santana era in piedi sul water, avvolta in un asciugamano, con l’acqua che le colava ancora dai capelli bagnati e una buffa espressione di disgusto misto a stupore dipinta in volto.
“Che succede? Perché hai urlato?”
Per tutta risposta la latina sollevò un dito ad indicare qualcosa che si muoveva sotto il lavandino.
Rain scoppiò a ridere.
“Tutto qui? – disse dandole le spalle e chinandosi per prendere l’animaletto in mano e farlo uscire dalla finestra – Tutto questo chiasso per un topolino? Eppure mi era sembrato di capire che Santana Lopez non ha paura di niente..”
Si girò con un ghigno e notò la strana espressione con cui la guardava la ragazza.
E si rese conto di essere piombata lì con addosso solo i pantaloni e il reggiseno.
“Che ti è successo?”
Chiese l’ispanica con un filo di voce.
“Oh, ti riferisci a queste?”
Esclamò indicandosi la schiena con un gesto vago.
La latina si avvicinò e passò le dita su una delle cicatrici che le solcavano la pelle.
Rain s’irrigidì e si allontanò da lei di un passo.
“Sono solo souvenir di battaglia, niente di che.”
Disse con voce fredda, scrollando le spalle.
Vedendola allontanarsi la ragazza abbassò gli occhi imbarazzata per il suo gesto istintivo.
“Scusa, mi sono presa troppe libertà..”
Datti una calmata, Rain! È solo una ragazzina, non sei  più in guerra.
“Non importa, Santana. Ma già che ci siamo, e visto che passeremo la giornata insieme, ci tengo a darti delle piccole istruzioni per l’uso.”
Rispose con voce un po’ nervosa.
La ragazza sollevò lo sguardo, puntandolo nei suoi occhi, in attesa.
“Sai, funziono in modo un po’ strano, ricordi prima, quando ti ho detto che ci sono cose che una volta acquisite non ti lasciano più?”
La mora annuì.
“Bene. Vedi, il mio corpo si è talmente abituato a stare sempre sul chi vive che tende ancora ad interpretare ogni tentativo di contatto come una minaccia e a reagire di conseguenza. Ci sto lavorando e sono molto migliorata rispetto a qualche mese fa, ma il contatto fisico mi crea ancora seri problemi. Quindi se proprio non puoi evitare di toccarmi assicurati sempre di farlo quando sei all’interno del mio campo visivo, in modo che il mio cervello registri la tua presenza prima del mio corpo. L’ultima cosa che voglio è rischiare di farti male perché non riesco a controllare le mie reazioni.”
Santana annuì.
“Capisco.”
Rain abbassò la testa, stringendo i pugni.
“Spero di non averti spaventata con questo discorso.. ora penserai che sono una pazza violenta..”
Una piccola mano ambrata entrò nel suo campo visivo per poi andare a posarsi delicatamente sulla sua.
Sollevò lo sguardo, stupita.
Con un cenno del capo Santana le indicò la finestra, dove il colpevole del precedente trambusto le guardava incuriosito da dietro il vetro.
“Chiunque avrebbe preso una scopa e avrebbe inseguito quel topolino finché non fosse riuscito a spiaccicarlo sul pavimento. Tu, invece, lo hai preso in mano e l’hai lasciato andare, non lo definirei il comportamento di una pazza violenta.”
Sentì la tensione abbandonare il suo corpo e prese la mano della ragazza nella sua stringendola per un attimo.
“Grazie di aver capito.”
Sussurrò, mentre la latina ricambiava la sua stretta.
Prese un respiro sollevato.
“Wow, meno di 24 ore a Lima e guarda quante cose ti sono già successe, hai fatto a botte, sei entrata in una casa degli orrori, hai sfondato porte.. – elencò contando sulle dita e guardando il soffitto con aria pensosa -  starti accanto sembra interessante..”
Rain rise sommessamente al commento della mora.
“Veramente la mia giornata a Lima era stata del tutto noiosa finché non ho incontrato te. – commentò con il suo tipico mezzo sorriso – ho paura di essere inciampata in una calamita per guai!”
Le lasciò la mano e si chinò per raccogliere la porta.
“Ecco un’altra cosa da aggiungere alla lista riparazioni.”
Disse appoggiandola alla parete.
“Dai, vestiti che è tardi.”
La incitò uscendo dal bagno per tornare in camera.
Si lasciò cadere sul letto, stendendosi a braccia larghe e fissando il soffitto.
L’ultima ora l’aveva spossata, molto più del viaggio e della rissa il giorno prima.
La fatica fisica non era mai stata difficile da sopportare per lei.
Le emozioni erano un discorso a parte.
Si passò le mani sul volto sospirando e si rimise seduta, tornado a frugare nel suo borsone.
La sua mano incontrò un pezzo di carta e istintivamente lo afferrò estraendolo da quella bolgia.
Rain fissò la lettera stropicciata per alcuni minuti, rifiutandosi però di leggerla per l’ennesima volta.
Già troppe nuove emozioni per una sola mattina, meglio non mescolarle con le vecchie.
Rimise la lettera al suo posto e s’infilò una maglietta nera su cui spiccava una Harley Davidson cavalcata da uno scheletro sormontato dalla scritta “I’m on the Higway to Hell!”
“Ma quante ne hai di quelle magliette?”
Chiese Santana affacciandosi dalla porta.
“Ho SOLO queste magliette.”
Rispose sollevando le sopracciglia.
“Problemi al riguardo?”
“Nono!! Ero solo curiosa. Allora tiratardi, andiamo?”
Chiese sparendo dietro l’angolo in un turbinio di capelli neri.
Rain scosse la testa e la inseguì giù dalle scale.
 
Due ore più tardi Rain spingeva un carrello strabordante di prodotti per le pulizie e oggetti d’arredo più o meno indispensabili, molti dei quali erano stati scelti da Santana al grido di “Non puoi vivere senza!”.
Mentre si dirigeva al parcheggio, non poteva non domandarsi come avrebbe fatto a far entrare tutta quella roba nel bagagliaio della sua auto.
Arrivate alla macchina aprì il portellone e si mise le mani nei capelli.
“Cazzo, mi sono dimenticata di levarla dal bagagliaio!”
“Che succede?”
Chiese Santana spuntando da dietro il carrello con la sua tipica faccia inquisitoria.
Rain estrasse una custodia tappezzata di adesivi di gruppi rock.
“Hai una chitarra? Suoni la chitarra e non me lo hai detto?”
“Scusa tanto se nelle – si guardò l’orologio – 11 ore che abbiamo passato insieme da quando ci siamo conosciute, non ti ho rivelato questo dettaglio fondamentale.”
Rispose sarcastica, mentre appoggiava amorevolmente la custodia nella parte posteriore dell’abitacolo, dietro il sedile passeggero.
Intanto la latina aveva cominciato a scaricare il carrello, disponendone il contenuto alla rinfusa dentro al bagagliaio.
“Ferma, ferma! Che stai facendo? Così ci starà a malapena 1/4 della roba che abbiamo preso.”
Disse raggiungendola e prendendo in mano la situazione.
Mezzora e varie imprecazioni in tre lingue diverse dopo, tutto quanto era stato stivato nel bagagliaio della macchina, che sembrava sul punto di impennarsi tanto era il peso caricato nel vano posteriore.
Rain si sedette al volante sospirando.
“Non so tu, ma io sto morendo di fame!”
Esclamò l’ispanica, lasciandosi cadere sul sedile.
“Anche io. Conosci un posto dove poter mettere qualcosa sotto i denti?”
Chiese voltandosi verso di lei.
La ragazza le rivolse un sorriso enorme.
“Ci puoi giurare!”
 
“Breadstix.”
Recitava l’insegna sopra la porta del ristorante.
Rain si domandò chi era il genio che aveva scelto quel nome per il locale visto che i grissini che vi venivano serviti erano praticamente immangiabili.
Per il resto la cucina era degna di nota e le due giovani si godettero un buon pasto.
Stavano aspettando il conto, quando un uomo passò accanto al loro tavolo e si fermò.
“Santana.. ”
“Oh, professor Schue, buongiorno.”
Rain osservò l’uomo, doveva avere meno di una decina d’anni più di lei.
Alto, fisico atletico capelli ricci castani.
Indossava un paio di jeans, una camicia azzurra e un gilet nero.
Si era rivolto alla ragazza con un ampio sorriso che si era esteso anche agli occhi castani.
“William Schuester.”
Si presentò porgendole la mano.
“Rain.”
“Cosa la porta da queste parti professore?”
Chiese la latina.
“C’è un problema per il Glee – spiegò lui -  ieri ho ricevuto una lettera, martedì dovrò partire per un corso di aggiornamento e starò via tutta la settimana. Purtroppo la signorina Hollyday è a Cleveland e non può sostituirmi, così ero venuto ad incontrare un possibile sostituto, ma non si è presentato. Per la classe di spagnolo c’è già un supplente, ma il Glee è scoperto. E tra poco abbiamo le regionali..”
“Il suo sostituto deve essere per forza un insegnante?”
Chiese l’ispanica con un’espressione pensierosa che fece passare un brivido lungo la schiena di Rain.
Sta architettando qualcosa, e ho paura che non mi piacerà.
“A questo punto mi accontenterei anche di Howard Bamboo..”
Rispose il professore con un sospiro scoraggiato.
“Ho qualcosa di meglio a disposizione.”
Disse l’ispanica indicandola con un cenno della mano e ignorando totalmente i sempre più frenetici cenni di diniego che le stava rivolgendo.
Lo sguardo del professore si illuminò.
“Lei ha esperienza con la musica?”
Le chiese.
“Prima di tutto, possiamo darci del tu?”
L’uomo annuì con un sorriso.
“Come preferisci. Allora, hai esperienza con la musica?”
“Ha una voce bellissima, gusti musicali ottimi, e suona anche la chitarra.”
Elencò Santana senza darle il tempo di rispondere.
“È meglio di quanto sperassi. E saresti in grado di occuparti di dodici adolescenti?”
“È stata nell’esercito, una settimana al Glee sarà una passeggiata per lei.”
Continuò la ragazza, sempre impedendole di parlare.
“Fantastico, patriottico com’è, Figgins non farà nessun tipo di problema!”
“Naturalmente non ti chiedo di farlo gratis, verrai pagata per il tuo lavoro e per il disturbo di aver avuto così poco preavviso.”
Continuò William sempre più su di giri.
“È fantastico Mr. Schue. Assolutamente perfetto.”
“Allora siamo d’accordo, ti aspetto domattina nel mio ufficio, per sistemare i particolari, e poi domani pomeriggio alle 15.30 ti farò conoscere i ragazzi, magari prepara un paio di canzoni per presentarti. – esclamò lui stringendole forte la mano – Oh, grazie, grazie mille, mi stai salvando la vita!
Ciao Santana, ci vediamo domani a scuola.”
Concluse allontanandosi verso l’uscita.
“Arrivederci Mr. Schue.”
Trillo la latina rivolgendogli un cenno della mano.
“Che c’è? Non stavi cercando lavoro?!”
Le chiese guardandola negli occhi con quella che probabilmente doveva essere un’espressione angelica, non fosse stato per il sorrisetto diabolico che l’accompagnava.
“Questa me la paghi ragazzina!”
Esclamò tentando di suonare minacciosa, ma fallendo miseramente il tentativo scoppiando a ridere.
 
 
 
Angolo della pazza
Hi everyone!
Come va la vita?
Eccovi qui il 5 capitolo, la canzone di oggi la trovate nella prima serie di Glee, naturalmente, nell’episodio 1x10, la versione originale la cantano i Pretenders.
Sto iniziando a mescolare un po’ le carte in tavola, quali atroci tormenti attendono Rain nella famigerata William McKinley High School?
Lo saprete tra una settimana, perché domani parto e dove andrò, non c’è la connessione internet e non potrò aggiornare.
Grazie ancora e ancora a chi legge i miei deliri e a chi recensisce, a chi mi segue, ricorda, preferisce.
Un mega bacio a tutti voi, ci risentiamo tra sette giorni.
WilKia >.< 

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Capitolo 6
*** By the Sword ***


Rieccomi a voi dopo la mia vacanzina..
Le canzoni e i personaggi qui riportati non mi appartengono,
a parte Rain che è un parto della mia mente malata.
Buona lettura.
Enjoy
WilKia >.<
 
By The Sword
 
 
Rain fermò l’auto davanti a casa di Santana e diede un colpo di clacson per informarla del suo arrivo.
Dopo 10 minuti la latina uscì e salì in macchina.
“Buongiorno, Signore!”
Esclamò la ragazza facendole il saluto militare.
Rain roteò gli occhi.
“Hai preso tutto? Guarda che non torno indietro..”
“Stai bene? – chiese lei, dopo aver annuito, scrutandola con occhi indagatori – ti vedo un po’ pallida.”
“Sto bene, sto bene! È che non mi piace l’idea di dovermi esibire, tutto qui..”
“Così l’intrepida militare ha il panico da palcoscenico..”
La prese in giro.
“Ecco, brava, sfotti. Così sì che mi aiuti.”
“Dai Rain, di che ti preoccupi? Io ti ho sentita cantare e posso assicurarti che farai un figurone.”
“Tu mi hai sentita cantare con la musica a tutto volume sulla falsa riga del cantante originale.. salire su un palco, in un auditorium, dove gli unici suoni saranno la mia chitarra e la mia voce, è un po’ diverso.”
“Senti, Mr. Shue ti ha chiesto di preparare due canzoni, ti sentiresti più tranquilla se cantassi con te? Potremmo fare un duetto e poi canterai da sola la seconda canzone.
Ho in mente una canzone che sarebbe perfetta e potremmo provare in un’aula vuota durante la pausa pranzo.”
“Hai proprio pensato a tutto eh?”
Chiese fermandosi al semaforo e osservandola di sottecchi.
“Io penso sempre a tutto!”
Rispose lei serafica.
“Allora com’è il tuo nuovo letto improvvisato?”
Chiese alcuni minuti dopo.
Rain pensò al materasso gonfiabile da campeggio, formato matrimoniale, che aveva piazzato per terra al centro della camera, al posto del letto scassato e polveroso.
“Milioni di volte più comodo del suo predecessore. Più tardi, penso che porterò un po’ di ciarpame in discarica e mi libererò anche di quello strumento di tortura travestito da letto.”
“Mettiti pure li, per oggi ti cedo il mio solito parcheggio.”
Esclamò Santana indicandole un posteggio con la mano.
Erano in anticipo, così la ragazza le fece fare un rapido giro della scuola e l’accompagnò all’ufficio del professor Schuester.
“Eccoci qui. Riposo, soldato.”
Rise vedendola roteare gli occhi.
“Ci vediamo qui alle 12.30, mi raccomando, puntuale.”
La salutò allontanandosi con i libri sottobraccio.
“A dopo, ragazzina.”
Sospirò e bussò alla porta che si spalancò un attimo dopo.
“Oh, Rain, sei puntualissima. È un piacere vederti.”
Esclamò il professore rivolgendole un caloroso sorriso di benvenuto.
“Ciao, William.”
Rispose stringendogli la mano.
“Vieni, ti faccio fare il giro della scuola. E chiamami pure Will..”
“Come preferisci, Will.
Il giro me l’ha già fatto fare Santana.”
“Ottimo. Allora andiamo direttamente dal preside a sistemare un po’ di scartoffie.”
Si avviarono fianco a fianco nei corridoi ingombri di studenti.
“Santana mi diceva che sei stata nell’esercito.. in quale corpo?”
“Navy Seals.”
Rispose lei incupendosi.
“Tutto bene?”
“Sì, sì. Scusa, è che non amo parlarne.”
“Deve essere stata dura..”
Annuì, ma non fece altri commenti.
Il preside Figgins era un ometto di bassa statura.
Indiano naturalizzato americano, estremamente patriottico, come Will le aveva anticipato.
In un primo momento si era dimostrato scettico a concederle di occuparsi del Glee club, ma non appena aveva saputo che era stata nell’esercito aveva fatto cadere tutti i suoi dubbi ed aveva sfoderato una pila apparentemente infinita di fogli da farle firmare.
Alla fine di quel colloquio Rain aveva i crampi alla mano.
“Bene, ora ho lezione e devo proprio scappare.. – disse Will una volta usciti dall’ufficio di Figgins – possiamo vederci per pranzo così ti spiego qualcosa a proposito dei ragazzi e del lavoro che facciamo al Glee.”
“Ti ringrazio, ma non ti devi preoccupare, Santana mi ha già raccontato tutto e mi ha ampiamente descritto i suoi compagni.. e comunque a pranzo mi devo vedere con lei per preparare una delle due canzoni con cui mi presenterò ai tuoi ragazzi.”
“Sarà per un’altra volta allora, ci vediamo per le 15.30 in auditorium. E grazie ancora.”
“Di niente Will. A più tardi.”
Rain uscì dalla scuola per tornare ad occuparsi della casa dov’era costretta a vivere.
Mentre saliva in macchina sentì vibrare la tasca ed estrasse il cellulare per leggere il messaggio che le era arrivato, avendo già un’idea piuttosto precisa di chi fosse.
Ehi soldato– diceva – vedi di essere puntuale per le 12.30 e di portare un rancio decente da dividerci, sempre che tu non voglia tentare il suicidio e mangiare alla mensa della scuola..
A più tardi S.
Scosse la testa e si rimise il telefono in tasca.
Passò la mattinata a smontare il letto e altri mobili marcescenti, che accumulò in giardino, in attesa di essere portati in discarica.
A mezzogiorno preparò dei panini e fece ritorno al WMHS.
Santana l’aspettava davanti allo studio di Will.
Si infilarono in una classe vuota e si raccontarono le rispettive giornate tra un boccone e l’altro.
Passarono l’ora seguente a provare la canzone che Santana aveva suggerito di cantare insieme e Rain si rifiutò categoricamente di farle sentire anche quella che avrebbe cantato da sola.
Alle 3 e un quarto si diressero in auditorium.
La latina raggiunse i suoi compagni in platea, mentre Will la raggiungeva dietro le quinte.
“Pronta?”
Le chiese con un sorriso incoraggiante.
Si limitò ad annuire e a mettersi la chitarra a tracolla.
“Bene, allora andiamo in scena.”
Will uscì dalle quinte.
“Allora ragazzi, vi ho voluti tutti qui oggi perché domani devo partire per un corso di aggiornamento che mi terrà impegnato tutta la settimana.”
“Ma Mr. Schue.. come facciamo per le regionali?”
Chiese una voce petulante di ragazza.
“È proprio per questo che vi ho voluti in auditorium, per presentarvi la persona che mi sostituirà in questi giorni.
Accoglietela con un bell’applauso.. Miss Rain.”
Concluse scendendo dal palco e facendole cenno di prendere il suo posto.
Prese un bel respiro e entrò in scena con la chitarra a tracolla, trascinandosi dietro uno sgabello.
“Ciao a tutti, io sono Rain, amo molto la musica e penso che per presentarmi come si deve non ci sia modo migliore che con un paio di canzoni. Ma ho un problema, per la prima mi occorre aiuto.. ci sono volontari?”
Subito una mano scattò in aria.
Apparteneva ad una ragazza piuttosto bassa, con lunghi capelli castani, vestita in un’orribile maniera infantile.
“Non pensarci neanche, Berry! Ce l’aveva con me.”
Le giunse la voce strafottente e perentoria di Santana.
La ragazza la raggiunse sul palco, mise uno sgabello accanto al suo e si sedette con grazia, dopo aver sistemato due microfoni, uno per la chitarra e uno per la voce, davanti a lei.
Rain le rivolse uno sguardo divertito.
Poi si concentrò.
Posizionò le dita sulle corde e si immerse nella musica.
La voce calda e piena di Santana si mescolò alla melodia.
 
She sits in her corner
Singin’ herself to sleep
Wrapped in all of the promises
That no one seems too keep
She no longer cries to herself
No tears left to wash away
Just diaries of empty pages
Feelings gone astray
But she will sing..
 
Rain levò la voce intrecciandola a quella della latina.
 
Till everything burns
While everyone screams
Burning their lies
Burning my dreams
All of this hate
And all of this pain
I’ll burn it all down
As my anger rains
Till everything burns.
 
Santana tacque lasciandole cantare da sola la strofa successiva.
 
Walkin’ through life unnoticed
Knowing that no one cares
So confused in their masquerade
No one sees her there
But still she sings
 
Di nuovo le loro voci si unirono.
 
Till everything burns
While everyone screams
Burning their lies
Burning my dreams
All of this hate
And all of this pain
I’ll burn it all down
As my anger rains
Till everything
 
Everything burns
Everything burns
Watching it all fade away
All fade away
And everyone scream
Everyone scream
 
Till everything burns
While everyone screams
Burning their lies
Burning my dreams
All of this hate
And all of this pain
I’ll burn it all down
As my anger rains
Till everything burns.
Whatchin’ it all fade away
Everything burns
Watchin’ it all fade away
 
Rain pizzicò le corde negli ultimi accordi e l’auditorium si riempì di applausi.
Santana si spostò applaudendo a sua volta, lasciandole la scena.
Rain attaccò la chitarra a un amplificatore e riguadagnò il centro del palco, mentre i musicisti che di solito suonavano per il glee si disponevano intorno a lei.
 
With the horses that you ride
And the feelings left inside
Comes the time you need to live
All that behind
 
And they claim they’d like to know
And they want to let you go
And the people gather ‘round
For the last show
 
Well there is a reward
To live and die by the sword
Well they tried to complicate you
But you left it all behind
All the worldly possessions
Are left for recollection
And finally it’s all gone
 
They’re releasing all the hounds
What is lost can still be found
When you hop up on your feet
Your onward bound
Well there’s some who choose to run
Following the setting sun
And now it seems
The journey has begun
 
Well there is a reward
To live and die by the sword
Well they try to complicate you
But you left it all behind
All the worldly possessions
Are left for recollection
And finally it’s all gone
 
Rain lasciò la parola alla sua chitarra acustica, modificata per suonare anche elettrica all’occorrenza.
 
Oh with the horses that you ride
And the feelings left inside
Comes the time you need
To live all that behind..
 
Well there is a reward
To live and die by the sword
Well they tried to complicate you
But you left it all behind
All the worldly possessions
Are left for recollection
And finally it’s all gone!
 
Concluse tenendo l’ultimo accordo in sospeso nell’aria immobile dell’auditorium.
Vide Santana alzarsi in piedi con un sorriso enorme sul viso, applaudendo con foga.
I ragazzi presero a urlare e fischiare entusiasti tra gli applausi.
Un ragazzo con la testa rasata e la cresta sollevò le mani facendo le corna.
Si tolse la chitarra dalle spalle e fece un inchino.
Will la raggiunse sul palco e guadagnò l’attenzione dei suoi studenti.
“Allora, cosa ne pensate? Ho trovato una sostituta adatta?”
I ragazzi ripresero ad applaudire.
Alcuni minuti dopo era seduta in aula canto con i dodici ragazzi schierati davanti a lei e Will.
“In onore della nostra ospite ho pensato che il tema di questa settimana sarà il grande Rock ‘n’ Roll. Sceglietevi quella che per voi è la migliore canzone Rock di tutti i tempi e al mio ritorno daremo il nostro Rock ‘n’ Glee show..”
La campanella suonò e i ragazzi uscirono dall’aula salutandola con entusiasmo e augurando buon viaggio al loro professore.
Non c’era stato nemmeno il tempo per fare tutte le presentazioni.
Will la salutò ringraziandola di nuovo e scappò a fare gli ultimi preparativi per il viaggio.
“Allora, è stato così tremendo?”
Le chiese Santana che era rimasta per ultima in classe.
Stava per rispondere, ma notò il viso imbronciato di una ragazza bionda che le fissava da dietro il vetro della porta da cui era appena uscita con il resto del Glee.
Santana seguì il suo sguardo e la sua espressione si incupì, mentre la ragazza se ne andava.
Rain non ebbe più alcun dubbio che quella fosse la proprietaria del nome che la latina aveva ripetuto all’infinito nel sonno.
“Ce ne andiamo da qui?”
Rain raccolse la sua chitarra e seguì la latina fuori dalla scuola.
“Posso rimanere a dormire da te? – le chiese quando furono in macchina – i miei non ci sono neanche..”
La guardò di sottecchi domandandosi quanto di quella richiesta dipendesse dall’assenza dei suoi genitori e quanto invece dallo sguardo imbronciato e malinconico della biondina dietro la porta.
“Certo, se non hai problemi a dormire a 10 centimetri dal pavimento..”
L’ispanica scrollò le spalle e non proferì parola per il resto del viaggio.
“Ho dei compiti per domani, ti dispiace se non ti aiuto con i restauri?”
Chiese quando arrivarono, lasciandosi cadere su una sedia al tavolo della cucina.
“Tranquilla, io devo uscire a cercare un carretto per rimorchiare fino in discarica tutte le schifezze da buttare senza dover fare migliaia di viaggi.”
“Quindi intendi lasciarmi qui.. da sola?”
“Guarda che la casa non ti mangia mica.. io ho dormito qui da sola ieri notte e come puoi ben vedere sono ancora viva e vegeta..”
Rispose leggermente divertita.
“Lo so benissimo che la casa non mi mangia – rispose la ragazza indispettita incrociando le braccia sul petto – sono più preoccupata delle bestiacce che la infestano.”
“Fidati, hanno più paura loro di te che tu di loro.
A dopo, ragazzina.”
Le rivolse un cenno di saluto mentre usciva.
“Vedi di portare la cena.”
Le urlò dietro Santana.
 
Era quasi un’ora che Rain girava per la città, quando il motore della sua auto iniziò a tossire e si spense.
“NO!”
Scese e aprì il cofano.
Una nuvola di fumo grigio si levò dal motore.
Rain imprecò in un miscuglio di inglese e italiano sventolando le mani per disperdere il fumo.
Esaminò il motore continuando ad imprecare.
Merda!
Estrasse il cellulare dalla tasca e chiamò un numero per le informazioni chiedendo di mandarle un carro attrezzi.
“Ci mancava solo che mi lasciassi a piedi anche tu!”
Borbottò all’indirizzo della macchina, quando ebbe riattaccato.
Poi avvertì Santana che avrebbe fatto tardi a causa del guasto.
10 minuti dopo arrivò il carro attrezzi che rimorchiò la sua macchina fino ad un meccanico.
Un uomo sulla quarantina con un berretto da baseball calcato sulla testa e con una tuta da lavoro blu le andò incontro, pulendosi le mani in uno straccio macchiato di nero.
“Buongiorno.”
La salutò.
“Salve. L’iniettore della benzina ha ben pensato di rompersi. E attualmente la macchina mi serve parecchio..”
L’uomo la squadrò sorpreso, probabilmente era la prima volta che incontrava una donna che ci capiva qualcosa di motori.
Sollevò il cofano dell’auto e un rapido sguardo gli confermò la diagnosi fatta dalla ragazza.
“Non l’ho mai vista da queste parti, è nuova in città?”
“Sono arrivata da due giorni.”
Annuì Rain.
“Per quando le serve l’auto?”
“Per quando me la può sistemare?”
L’uomo sollevò il cappello prendendolo per la visiera e si grattò la testa rasata.
“Purtroppo al momento ho carenza di personale e ho molto lavoro arretrato.”
Rain si passò una mano tra i capelli sbuffando.
“Quanto tempo le serve per recuperare il pezzo?”
“Per quello ci vorranno un paio di giorni, il tempo di ordinarlo e di ricevere la consegna.”
“Sarebbe disposto a lasciarmi usare la sua officina e i suoi attrezzi? Ho davvero bisogno dell’auto. Naturalmente la pagherei come se avesse fatto lei il lavoro.”
“Mi sembra che sappia il fatto suo..”
Rispose l’uomo interessato.
Rain guardò l’auto con orgoglio.
“Ho assemblato questo gioiellino con le mie mani.”
“Vorrei farle una proposta. Io ho bisogno di personale, lei ha bisogno di un lavoro rapido. Potrebbe aiutarmi a rimettermi in pari con il lavoro mentre aspettiamo che consegnino il pezzo che le occorre. Non dovrà pagarmi né la riparazione, né il pezzo di ricambio, anzi sarò io a pagare lei. Che ne pensa?”
“Mi sta offrendo un lavoro?”
“Diciamo un periodo di prova..”
“Cavoli, non posso certo negare di essere interessata, ma al momento sono disponibile solo al mattino, al pomeriggio sono impegnata al McKinley.”
“Davvero? Mio figlio frequentava quella scuola, e il figlio di mia moglie è il quarterback della squadra di football ed è membro del Glee club. Che deve fare alla scuola?”
“Devo sostituire il professor Schuester proprio al Glee.”
Rispose Rain sorpresa di quanto fosse piccola quella città.
“Chi è il figlio di sua moglie?”
“Finn Hudson.”
“Ah, sì. Un ragazzo molto alto, giusto?”
L’uomo annuì.
“Se al pomeriggio è impegnata con il Glee, per me non è affatto un problema; quei ragazzi sono molto importanti per mio figlio, sono dei buoni amici per lui.
Allora che ne dice? Le piacerebbe lavorare qui?”
Rain si guardò intorno, di certo il lavoro non mancava, e l’uomo sembrava una brava persona, inoltre aveva da sempre una passione per i motori.
“Sarebbe un piacere signor..”
“Hummel, Burt Hummel.”
Rispose, stringendo la mano che lei gli aveva teso.
“Ma può darmi del tu, e chiamarmi Burt.”
“Rain. Stai già facendo molto per me, Burt, ma ho un problemino che forse mi puoi aiutare a risolvere.”
“Sentiamo.”
“Devo portare un mare di ciarpame in discarica per questo mi serve l’auto, stavo cercando un piccolo rimorchio quando l’iniettore mi ha mollata..”
“Puoi prendere il pickup dell’officina, le chiavi sono nel cruscotto, basta che quando hai finito rifai il pieno al serbatoio.”
“Burt, mi stai salvando la vita, davvero.”
“Ci vediamo domattina, alle 9.”
Rispose lui tornando al suo lavoro.
Rain lo ringraziò di nuovo.
Salì a bordo del pickup ammaccato e ritornò a prendere i mobili da buttare.
Due offerte di lavoro in due giorni.. forse quella ragazzina più che una calamita per guai è un porta fortuna.
 
 
Angolo della pazza
Ciao a tuuuuttiii!
Rieccomi, questo capitolo è stato un parto.
Non avevo idea di quali canzoni far cantare a Rain e ci sono varie parti che non mi convincono tanto..
Spero di non aver fatto una schifezza.
Le due canzoni sono “Everything Burns” di Ben Moody con Anastacia e “By the Sword” di Slash con Andrew Stockdale.
Alla prossima.
 
>.< 

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Capitolo 7
*** Imaginary ***


Due paroline..
Questo capitolo può risultare un po’ incasinato,
perché ho mescolato insieme le due narrazioni,
dal punto di vista di Rain e da quello di San.
Spero non sia un disastro.
La canzone che dà il titolo al capitolo è degli Evanescence
nella versione dell’album “Fallen”.
Enjoy
WilKia >.<
 
 
Imaginary
 
Erano le 8 passate, quando sentì un’auto fermarsi davanti alla casa.
“Ehi, ragazzina. Come procedono i compiti? Wohohoh, e quelli che cosa sono?”
Santana sollevò lo sguardo dai libri per salutare Rain.
Se chiunque altro avesse provato a chiamarla ragazzina probabilmente gli si sarebbe scagliata addosso imprecando in spagnolo, ma c’era qualcosa nel tono che Rain usava per chiamarla così..
Semplicemente non le dava fastidio, anzi quasi le piaceva.
“Ti riferisci a questi?”
Domandò, indicando gli occhiali dalla montatura nera che portava sul naso.
“Veramente parlavo di coda, corna e  forcone.”
Rispose l’ex-soldato con un ghigno, depositando dei sacchetti sul tavolo.
“Ti hanno già risistemato la macchina?”
Chiese alzandosi e iniziando a frugare nei sacchetti.
“No, ma ho trovato un’auto sostitutiva e un lavoro.”
“Un altro?”
“Quello al Glee è solo un impegno temporaneo, alla fine della settimana sarei stata di nuovo al punto di partenza..”
“E che lavoro è?”
“Lavorerò all’officina di Burt Hummel.”
“Il padre di Kurt?”
“Lo conosci?”
“Certo, noi del Glee abbiamo cantato al suo matrimonio con la madre di Finn. Kurt veniva al McKinley fino a poco tempo fa, era un membro del Glee.”
“Come mai se n’è andato?”
“Dave Karofsky, uno della squadra di football lo aveva preso di mira. Aveva problemi con il fatto che Kurt sia gay e lo tartassava di continuo. I ragazzi del Glee hanno provato a fermare Karofsky, ma alla fine Kurt non ce l’ha fatta più e adesso è alla Dalton Accademy, abbiamo pareggiato con loro alle provinciali e gareggeranno contro di noi anche alle regionali..”
Rain annuì.
“E il preside non ha potuto fare qualcosa per sistemare la situazione?”
“Chi, Figgins? Ma lo hai visto?”
Rain ci pensò su un attimo poi annuì con una smorfia ironica.
“Comunque all’epoca Figgins era stato sostituito dalla coach Sylvester, ma nemmeno lei ha potuto fare niente perché non c’erano prove concrete.”
“Chi è?”
“La coach delle Cheerios, la squadra di cheerleader del McKinley. Oltre che il principale terrore della scuola.”
“Ma come?! E io che credevo fossi tu..”
“Bhè certo, se si parla solo del corpo studentesco, ma se si includono anche gli insegnanti..”
“E come mai tu sei nel gruppo di sfigati del Glee e non nelle Cheerios?”
“Ero nei Cheerios, l’anno scorso sono stata anche il capitano per un po’. Sono entrata nel Glee per fare da spia alla Sylvester, ma poi ci ho preso gusto..
Dovevamo partecipare al campionato nazionale. La coach aveva deciso che per rendere il nostro numero più spettacolare avrebbe sparato Brittany da un cannone attraverso il campo da football.”
Rain sollevò le sopracciglia.
“Mi prendi in giro?”
“Mai stata tanto seria.”
“Cavolo, quella tizia è una psicopatica..”
“Quella stessa sera ci saremmo dovute esibire con il Glee per lo spettacolo dell’intervallo della finale di football, così prima di partire per le nazionali Britt, Quinn e io abbiamo mollato le Cheerios. Lo spettacolo dell’intervallo è stato un successo e il McKinley ha vinto il campionato di football, mentre le Cheerios si sono esibite con un numero improvvisato, senza le loro tre performer di punta. Stiamo ancora aspettando la vendetta della Sylvester..”
“Wow. Sembra una cosa seria.”
“Allora che hai portato per cena?”
Chiese cambiando argomento.
“Cinese, spero ti piaccia.”
Santana annuì.
“Oh, quasi mi dimenticavo, ho assunto un disinfestatore a tempo pieno.”
“Ah sì?! Ottima idea.”
“Vieni, te lo faccio conoscere..”
Le sopracciglia di Santana si incurvarono.
“Lo hai portato qui? Adesso?”
“Certo, te l’ho detto che è assunto a tempo pieno, starà qui giorno e notte.”
La seguì all’esterno e la guardò infilare il busto nell’abitacolo del pickup per poi rispuntare fuori stringendo qualcosa al petto.
“Ti presento Kirk.”
Disse porgendole un gattino rosso tigrato.
“E quest’affarino pelle e ossa lo chiami disinfestatore?”
Domandò con la fronte aggrottata nella sua tipica espressione perplessa, prendendo il gattino e osservandolo con aria critica.
“Sarà un miracolo se sopravvivrà 10 minuti in questa casa.. ho visto scarafaggi tre volte più grossi di lui.”
Il gattino la studiò, annusandole le mani.
Poi, apparentemente soddisfatto della sua ispezione, si acciambellò e si mise a dormire.
“Visto, il ragazzo non ha paura di niente, neanche della terribile Santana Lopez. È perfetto per questo lavoro.”
Esclamò Rain con il suo mezzo sorriso.
“Dove l’hai trovato questo soldo di cacio?”
“Stavo scaricando i mobili vecchi in discarica e questo affarino è sbucato fuori da una pila d’immondizia e ha iniziato a seguirmi.”
“E hai ben pensato di portartelo a casa..”
Commentò con il suo tono ironico restituendole il gattino.
“Ehi, è un duro. È uno che se l’è sempre cavata da solo – rispose guardandola negli occhi – quelli come noi devono darsi man forte, restare uniti.”
“Ti stai paragonando ad un gatto?”
Chiese nel suo tono strafottente costringendosi ad ignorare l’allusione dell’ex-soldato.
“Perché no..”
Rispose lei rientrando in casa.
 
Santana si svegliò di colpo quando un tuono esplose sulla casa.
Fuori diluviava e vari lampi illuminavano il cielo a giorno.
Il sacco a pelo accanto a quello che occupava lei era vuoto.
Guardò lo schermo del cellulare.
L’orologio indicava le 3.15.
“E adesso dove cavolo è andata a cacciarsi?”
Si alzò, scompigliando il pelo di Kirk che dormiva beatamente in fondo ai suoi piedi.
Premette l’interruttore della luce, ma doveva essere saltata la corrente.
Rabbrividì.
Il temporale rendeva l’atmosfera di quella casa ancora più lugubre.
Scese le scale.
“Rain?”
Chiamò guardandosi intorno, incerta su dove potesse essere la ragazza.
Un rumore attirò la sua attenzione verso la sala.
“Rain, sei lì?”
Sobbalzò quando un altro tuono ruppe il silenzio.
“Rain, sarà meglio che non spunti fuori all’improvviso per spaventarmi.. sappi che ho ucciso per molto meno.”
Un lampo illuminò la finestra e Santana vide un’ombra stagliarsi nell’oscurità.
“Rain?”
Si avvicinò, dimenticandosi completamente il discorso che l’ex-soldato le aveva fatto sul contatto fisico, e le mise una mano sulla spalla.
Rain si voltò di scatto e la spinse via con violenza, mandandola a sbattere contro il muro.
L’urto le mozzò il respiro.
L’ex-soldato si avvicinò, chinandosi su di lei.
Si scansò, temendo che volesse colpirla.
Nell’attimo prima che la scaraventasse via aveva visto uno sguardo strano nei suoi occhi, sembrava distante anni luce da lì.
“Santana, stai bene?”
Domandò con voce incerta, l’ispanica si chiese che fine avesse fatto il suo solito tono calmo e rassicurante.
Sollevò lo sguardo e la vide accasciarsi al suolo dalla parte opposta della stanza, stringendosi convulsamente le braccia intorno al corpo e nascondendo il volto contro le ginocchia.
“Perdonami, ti prego..”
Bisbigliò con voce rotta.
Vedendola così disperata e fragile Santana dimenticò all’istante lo spavento che aveva preso.
Si alzò e si avvicinò lentamente a lei.
“Rain, calmati. Sto bene.
Guardami. È tutto a posto.”
L’ex soldato non diede segno di averla sentita, si raggomitolò ancora di più su sé stessa, il corpo scosso da singhiozzi incontrollabili.
La latina si inginocchiò davanti a lei.
“Rain, ascoltami per favore. Ora ti metterò una mano sulla spalla. Ok? Hai capito?”
La testa della ragazza si mosse quasi impercettibilmente.
Santana lo interpretò come un sì.
Lentamente allungò la mano fino a posargliela sulla spalla, trattenendo il fiato in attesa della sua reazione.
Se possibile, Rain si contrasse ancora di più, soffocando i singhiozzi contro le ginocchia.
“Shhh, calma. Sono qui, va tutto bene.”
Bisbigliò stringendole leggermente la spalla.
Un altro lampo illuminò la cucina a giorno seguito dal boato del tuono.
Rain sollevò la testa di scatto.
I suoi occhi erano asciutti, ma avevano ancora quello sguardo strano.
Era quello a spaventare Santana, molto più di quanto l’avesse spaventata l’essere stata scagliata contro al muro.
“Ehi, torna qui. Rain, sono io, sono Santana.”
Con suo enorme sollievo vide gli occhi della ragazza focalizzarsi su di lei, mentre un bagliore di consapevolezza prendeva il sopravvento su quello sguardo smarrito.
“Santana?”
La sua voce era ancora incerta, confusa.
“Sì, sono Santana, ricordi? La rissa nel bar?”
La ragazza annuì incerta.
Poi sembrò riconoscerla sul serio e capire dove fossero.
“Oddio, ti ho colpita? Ti ho fatto male?”
“Sto bene, tranquilla, mi hai solo dato uno spintone. Lauren picchia più duro di te.”
Rispose con un sorriso rassicurante.
La prese per le spalle, invitandola a stendersi e le fece appoggiare la testa sulle sue gambe.
“Stai bene?”
L’ex-soldato annuì.
“Ti va di dirmi che è successo?”
 
Rain correva sul campo di battaglia, immersa nel buio della notte.
I proiettili fischiavano intorno a lei, il peso immobile che aveva sulle spalle la rallentava, ma non aveva alcuna intenzione di liberarsene.
“Ce la farò! Ce la faremo!”
Continuava a ripetersi mentre correva.
Poi, un’esplosione sopra la sua testa.
Si era gettata a terra, rotolando lungo un pendio scosceso.
Nonostante i suoi sforzi, aveva perso la presa sul suo carico.
Appena riuscì a fermarsi, si rimise in piedi e tentò di raggiungere ciò che le era sfuggito.
Altre esplosioni la costrinsero a schiacciarsi di nuovo a terra, a respirare la polvere del suolo che puzzava di bruciato, sudore e sangue.
Non si arrese, aveva quasi raggiunto la sua meta quando si sentì afferrare ad una spalla.
Si voltò di scatto spintonando via il suo aggressore.
C’era qualcosa di strano, però.
Era stato troppo facile, la sua spinta quasi non aveva trovato resistenza.
 
Guardò il suo aggressore.
Era solo una ragazza, si avvicinò per vederla meglio.
Un lampo di consapevolezza l’attraversò.
“Santana, stai bene?”
La vide tentare di allontanarsi da lei e capì cosa aveva fatto.
Si spostò dall’altra parte della stanza e si raggomitolò su sé stessa, mentre nella sua mente i ricordi di quella notte si accavallavano con la coscienza di aver ferito qualcuno a cui teneva.
Sentì una presenza vicino a sè e si chiuse ancora di più in sé stessa.
Persa tra i suoi ricordi, non sapeva dove fosse, non sapeva chi c’era lì con lei.
Voleva solo scomparire.
Una voce si fece strada nella sua confusione, aveva qualcosa di familiare.
Lentamente quella voce bandì i ricordi riportandola al presente, un po’ alla volta.
Con estrema delicatezza, una mano si posò sulla sua spalla.
Un altro boato le fece sollevare la testa.
Si trovò davanti un volto.
Non capiva chi fosse, ma le parlava e quella voce.. sì la conosceva.
“Santana?”
Chiese mettendo a fuoco quegli occhi neri che la guardavano preoccupati e spaventati.
Improvvisamente ricordò dove si trovava e capì cosa era successo.
“Oddio, ti ho colpita? Ti ho fatto male?”
“Sto bene, tranquilla, mi hai solo dato uno spintone. Lauren picchia più duro di te.”
Le rispose la latina sorridendole.
Poi la fece stendere e le fece appoggiare la testa sulle sue gambe.
“Ti va di dirmi che è successo?”
Le chiese passandole una mano tra i capelli.
Sospirò.
Le faceva male la testa.
“Scusa, non volevo spaventarti, men che meno farti del male.”
“Lo so. Tranquilla, ti ho già detto che non mi hai fatto male.
Ma sono preoccupata, Rain. Che ti è successo?”
“Io.. ho avuto un incubo. Più che altro era un ricordo di quando ero in guerra. Poi devo essermi svegliata e non ho riconosciuto il posto in cui mi trovavo. Poi, il temporale e i tuoni hanno fatto il resto.”
“Credevi di essere ancora in battaglia..”
“Già..”
“Ti succede spesso? Di avere questi incubi intendo..”
“A volte, ma di solito una volta sveglia riesco a capire di non essere più laggiù.”
L’ispanica non fece altri commenti, continuò ad accarezzarle la testa dolorante, dandole un vago sollievo.
Era la prima volta che le capitava di avere qualcuno accanto dopo uno dei suoi incubi.
Santana si domandò cosa doveva aver passato Rain se un semplice temporale era in grado di gettarla in quello stato.
“Vieni, torniamo a dormire.”
L’ex-soldato si sollevò sedendosi a gambe incrociate.
“Tu vai pure, io non riesco mai a riaddormentarmi dopo questi sogni..”
“Perché non provi? Domani ti aspetta una giornata pesante.”
“Lo so, ma.. davvero, so come funziona, ogni volta è lo stesso. Una volta che mi sono svegliata se richiudo gli occhi mi ritrovo ancora quelle immagini davanti e non c’è verso di farle andare via.”
Santana ripensò alle volte in cui lei e Brittany avevano passato insieme la notte e la bionda aveva avuto degli incubi.
Ma sì, facciamo un tentativo.
“Sai, Britt ha un’immaginazione molto fervida ed è capitato che avesse degli incubi..”
Rain la guardò negli occhi.
Era la prima volta che le parlava di Brittany, almeno, sotto un aspetto così personale.
La latina si alzò e le porse una mano per aiutarla a fare lo stesso.
Rain la guardò indecisa se accettare, non voleva rischiare che i suoi incubi prendessero di nuovo il sopravvento.
“Coraggio, vediamo se il mio metodo per farle passare la paura di riaddormentarsi funziona anche con te.”
Rain si lasciò convincere e si alzò da terra.
Salirono in camera e rientrarono nei rispettivi sacchi a pelo.
Kirk sbadigliò  guardandole con gli occhietti annebbiati dal sonno.
Si alzò stiracchiandosi e si arrampicò addosso all’ex-soldato, fino ad andare ad acciambellarsi contro il suo fianco destro, facendo le fusa.
Rain sorrise e gli grattò la testolina tonda.
“Allora, com’è questo tuo sistema?”
Santana sorrise vedendo quell’affarino peloso abbandonarsi al sonno con tanta fiducia.
“Di solito, quando Britt si sveglia da un incubo, io le faccio appoggiare la testa qui.”
Indicò l’incavo della sua spalla.
“Tempo 5 minuti, al massimo, e si è già riaddormentata.”
A Rain non sfuggì la nota malinconica nella sua voce.
“E vorresti fare la stessa cosa con me?”
“Non vedo perché non possa funzionare anche per te..”
Rimase pensierosa per un attimo.
“Sai, pensandoci bene, in effetti se io fossi un incubo avrei paura di te.”
Esclamò serissima.
Santana alzò gli occhi al cielo.
“Allora soldato, vuoi provare?”
“Però ti propongo una variante – disse allargando il braccio sinistro verso di lei – dai, vieni qui..”
Santana esitò, poi il suo sguardo cadde di nuovo sul gattino beatamente addormentato dall’altro lato della ragazza.
Si avvicinò e appoggiò la testa sulla sua spalla.
Il cuore di Rain pulsava sicuro sotto il suo orecchio.
Si addormentò senza nemmeno accorgersene.
Rain accarezzava la pelliccia morbida di Kirk, respirando il profumo di lavanda che si sprigionava dai capelli di Santana.
Quelle due sensazioni, così diverse dalla crudezza di quelle vissute nei suoi incubi, la calmarono, accompagnandola lentamente in un profondo sonno senza sogni.
 
 
Angolo della pazza
Ma buonaseeeraaa come va?
Capitoletto che secondo i miei progetti non doveva essere così, ma le dita si sono mosse da sole sulla tastiera e hanno prodotto sta roba qua..
Come vi ho detto, io stessa scopro come va la storia solo poco tempo prima di voi.
So che probabilmente l’ultima parte farà preoccupare chi (come me) è Brittana inside, ma non temete.. Brittana Is The Way!
Non aggiungo altro o rischio di rovinare l’attesa.. sappiate solo che c’è una sorpresa nella mia testa.. anche se non so ancora quando arriverà il momento di svelarla.
Basta ho spoilerato anche troppo.
Grazie mille a chi mi legge, grazie diecimila a chi recensisce.
Vi amoooo
Alla prossima.
Baci
WilKia >.< 

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Capitolo 8
*** Don't Speak ***


Don’t Speak
 
 
Santana scivolò lentamente fuori dal sonno.
Era abbracciata ad un corpo caldo e per un primo momento pensò si trattasse di Brittany.
Si sentiva al sicuro, protetta.
Ma quel fisico era troppo muscoloso e il braccio avvolto protettivamente intorno alle sue spalle conservava una certa tensione, invece Brittany si rilassava completamente quando dormiva.
Aprì gli occhi e scrutò la persona a cui era avvinghiata.
Rain dormiva ancora, evidentemente esausta per la nottataccia che aveva avuto.
Santana la osservò, come aveva osservato milioni di volte la sua Britt, mentre dormiva.
Così come il suo corpo, anche il viso di Rain manteneva una certa tensione.
Come se anche nel sonno continuasse a tenere tutto sotto controllo.
Si sollevò per vederla meglio.
Le sopracciglia dell’ex-soldato si contrassero e i suoi occhi si aprirono.
Scrutò la stanza confusa per alcuni istanti, poi si voltò verso di lei e i loro sguardi si incontrarono.
“Buongiorno.”
Le disse sorridendo.
“Ciao, ragazzina. – esclamò rispondendo al suo sorriso – dormito bene?”
Annuì.
“Sei sorprendentemente comoda come cuscino.”
La ragazza le rivolse il suo mezzo sorriso, poi tornò seria e prese un lungo respiro guardando il soffitto.
“Grazie, Santana. – disse girandosi a guardarla negli occhi – grazie per quello che hai fatto per me ieri notte.
Di solito devo affrontare da sola queste cose, averti vicina.. – sospirò ancora abbassando lo sguardo – Grazie.”
Appoggiò lievemente le labbra sulla sua fronte e strinse un po’ di più il braccio intorno alle sue spalle.
Santana ricambiò l’abbraccio, stringendola forte.
Sentì qualcosa di duro contro la guancia e sollevò il viso.
Prese le piastrine appese al collo di Rain e le osservò.
“Comandante L. E. O’Ryan.. è questo il tuo vero nome?”
La ragazza le sfilò le piastrine dalle dita e le strinse nel pugno.
“No.”
La latina la guardò perplessa.
“Queste non sono le mie piastrine – spiegò – le mie le ho seppellite tempo fa..”
“E queste di chi sono?”
L’ex soldato si sciolse dall’abbraccio e si alzò.
“Vieni Kirk, è ora di colazione.”
Disse uscendo dalla camera con il gattino che le trotterellava dietro.
E questo è un modo neanche tanto velato per dirmi di farmi gli affari miei..
Si sedette sul bordo del materasso risistemandosi i capelli con una mano.
Andò a lavarsi e si vestì prima di scendere.
“Scusa, non volevo essere invadente.”
Disse alla schiena di Rain che era impegnata ai fornelli.
La donna si voltò, rivolgendole un sorriso un po’ triste.
“Va bene, tranquilla.
Ci conosciamo da poco ed è logico che tu sia curiosa visto che non sai quasi nulla di me, ma ci sono cose di cui preferisco non parlare.”
“Lo capisco. Anche io ho degli argomenti che voglio evitare.”
“Lo so.
Diamoci del tempo, ok? Magari più avanti riusciremo a tirare fuori i nostri rispettivi scheletri dall’armadio.”
Concluse Rain tornando ad occuparsi della colazione.
Santana pensò che se mai avesse deciso di parlare con qualcuno di Brittany, quel qualcuno sarebbe potuta essere solo Rain.
 
Dopo colazione l’ex-soldato l’accompagnò a scuola per poi andare all’officina del signor Hummel, salutandola con il suo mezzo sorriso.
“Ciao, ragazzina. Ci vediamo alle 15.30 al Glee.”
La salutò con la mano, mentre si allontanava.
Ad un tratto sentì uno strano calore, una sensazione familiare, come di uno sguardo che ben conosceva che le si posava addosso.
Prese un bel respiro e si dipinse sul volto la sua espressione incurante, pronta a sfoggiarla a beneficio di quegli occhi azzurri che sentiva ancora puntati su di sé, ben decisa a non incontrare quello sguardo.
Si voltò.
A quanto pare la sua espressione da stronza funzionava ancora, perché un paio di ragazzine del primo anno la guardarono intimorite e si allontanarono a testa bassa.
Sentì che quegli occhi la abbandonavano e fu come se le fosse stata strappata una calda coperta di dosso.
Si arrischiò a guardare nella direzione da cui quello sguardo l’aveva sfiorata e la vide.
Madre de Dios! Com’è bella.
Studiò ogni suo gesto, ogni espressione del suo viso, il modo in cui la luce del sole faceva splendere i suoi capelli dorati.
La vide sorridere e fu come se un’onda di gioia la investisse, non riuscì ad impedire anche alle sue labbra di incurvarsi in un lieve sorriso malinconico.
Poi seguì il suo sguardo e vide avvicinarsi due ruote.
Capì che quel sorriso era per lui.
L’onda di gioia si trasformò in uno tsunami di dolore che le tolse il respiro, affogandola.
Incrociò le braccia sul petto, come ad impedire al suo cuore di scoppiare.
La vide allontanarsi spingendo la sedia a rotelle del suo ragazzo ed entrare nella scuola insieme a lui.
Appena Brittany scomparì all’interno dell’edificio, Santana trasse un lungo respiro, non si era neppure resa conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.
Si accorse di essere di nuovo osservata e si voltò verso Jacob Ben Israel che la stava fissando con la sua solita aria da ebete arrapato.
“Que pasa? Si no dejas de mirarme, te juro que voy a arrancarte los ojos!”
(Che vuoi? Se non la smetti di fissarmi ti giuro che ti strappo gli occhi)
Gli intimò.
Sicuramente lui non aveva capito cosa gli aveva detto, ma come tutti a scuola, sapeva bene che quando Santana Lopez si metteva a imprecare in spagnolo era meglio girare al largo e dileguarsi il prima possibile.
Soddisfatta della reazione immediata dello sfigato mantenne la sua espressione da stronza ed entrò nella scuola a testa alta, lanciando sguardi minacciosi a chiunque osasse alzare gli occhi a livello dei suoi.
Santana ringraziò tutte le divinità conosciute e non, per il fatto di non avere lezioni in comune con Brittany quel giorno, perciò non l’avrebbe vista fino alla riunione del Glee.
La giornata scivolò via lentamente, sembrava non finire più.
Nonostante tutti i suoi sforzi per evitare che accadesse, la sua mente continuava a vagare intorno al pensiero di Brittany.
Finalmente la campanella dell’ultima ora suonò e andò a pranzo, l’idea che di lì a poco avrebbe visto Rain le risollevò un po’ il morale.
Fu la prima ad arrivare in aula canto.
L’ex- soldato era già lì.
Era seduta al piano e leggeva degli spartiti.
“Ehi, ragazzina.”
La salutò senza voltarsi.
Santana scosse la testa.
“Dì la verità, hai gli occhi anche dietro la testa.
Come cavolo facevi a sapere che ero io?”
Rain si voltò.
“Lo sapevo e basta.”
Si appoggiò al pianoforte.
“Come è andata stamattina?”
“Solita vita – rispose con un gesto vago della mano – compagni da minacciare, lezioni noiose da seguire..
Tu invece?”
“È stata una mattinata dura, ma mi sono anche divertita. Burt sa il fatto suo e pretende molta professionalità da chi lavora con lui.”
“Allora, che hai preparato per la tua prima lezione a capo del Glee?”
“Spiacente, niente anticipazioni.”
In quel momento la porta dell’aula si aprì e il resto del gruppo entrò salutando allegramente.
Santana notò lo sguardo imbronciato che Brittany le rivolse e si adombrò.
Si andò a sedere in alto, nell’angolo opposto a quello in cui Britt si era sistemata con due ruote.
Sam la raggiunse e appoggiò il braccio sullo schienale della sua sedia.
Rain si era alzata dal pianoforte e aveva raggiunto il centro dell’aula, rivolgendole uno sguardo storto come a dire Ma dai.. quello?!
“Allora, prima di tutto mettiamo bene in chiaro le cose.. io non sono una professoressa. Fate il favore di evitare di chiamarmi prof e robe simili. E non sono poi tanto più grande di voi, quindi datemi pure del tu e chiamatemi semplicemente Rain.”
Fece una pausa e il suo sguardo tranquillo assunse un vago tono intimidatorio, passando sui volti di tutti.
Come cavolo fa? Devo chiederle di insegnarmelo.
“Questo naturalmente non significa che potete fare tutto quello che volete. Qui continuano a vigere le stesse regole che ci sono in presenza del prof. Schuester. Totale libertà di espressione, ma senza mancare di rispetto a nessuno, chiaro?!”
Dodici teste si mossero in segno d’assenso.
La sua espressione tornò tranquilla e allegra.
“Molto bene. Allora, let’s Rock! Qualcuno di voi ha già pronto qualcosa?”
Quello spinse la sua sedia a rotelle accanto al pianoforte.
“Molto bene, ecco il primo volontario. Tu sei.. Abrams, giusto?”
Chiese Rain alzando gli occhi per incontrare lo sguardo di Santana in cerca di conferma, mentre il ragazzo era impegnato a mettersi la chitarra a tracolla.
Annuì, cercando di trattenere una smorfia.
“Rilassati, vai alla grande!”
Le mimò con le labbra, guadagnandosi il suo mezzo sorriso in risposta.
“Chiamami Artie.”
“Allora Artie, cosa ci fai sentire oggi?”
“Un pezzo dei Bon Jovi , ma ho bisogno di qualcuno che faccia la seconda voce e l’intro di chitarra, mi dai una mano?”
 “Certo, Artie. Ti aiuto volentieri."
Rispose l’ex-soldato prendendo a sua volta la chitarra.
 “Allora attacca.”
Rain pizzicò le corde della sua chitarra acustica e Artie iniziò a cantare.
 
 
It's all the same, only the names will change
Everyday it seems we're wasting away
Another place where the faces are so cold
I'd drive all night
Just to get back home

I'm a cowboy, on a steel horse I ride
I'm wanted dead or alive
Wanted dead or alive

Sometimes I sleep, sometimes it's not for days
And people I meet always go their separate ways
Sometimes you tell the day
By the bottle that you drink
By the bottle that you drink
And times when you're all alone
And all you do is think

I'm a cowboy, on a steel horse I ride
on a steel horse I ride
I'm wanted
wanted
Dead or alive
Wanted

wanted
Dead or alive Dead or alive

I walk these streets, a loaded six string on my back a loaded six string on my back 
I play for keeps, 'cause I might not make it back
I been everywhere,

Oh yeah
Still I'm standing tall
I've seen a million faces
I've seen a million faces
And I've rocked them all And I've rocked them all

Cause
I'm a cowboy, on a steel horse I ride on a steel horse I ride
I'm wanted
wanted
Dead or alive
Wanted

wanted
Dead or alive Dead or alive


Conclusero suonando insieme gli ultimi accordi e l’aula si riempì di applausi.
“Ottima scelta, Artie! Davvero un gran bell’inizio.”
Due ruotetornò al posto a godersi le coccole di Britt.
Que asco, podrìa vomitar!
(Che schifo, potrei vomitare!)
Dopo la canzone, Rain fu molto più sciolta.
Fece sentire loro la canzone che intendeva proporre come numero di gruppo a conclusione dello spettacolo che stavano preparando e distribuì i fogli con il testo perché iniziassero a studiarla a casa.
“E anche questa è sistemata – disse osservando l’orologio  - abbiamo ancora tempo per una canzone, altri volontari?
Puck si alzò.
“Io ho preparato un pezzo un po’ più in chiave blues, ma non significa che non spacchi ugualmente.”
Disse rivolgendo all’ex-soldato lo sguardo da lumacone che la latina conosceva più che bene.
Rain lo fulminò con gli occhi, facendogli sparire l’espressione da pesce lesso.
Santana non potè trattenere un sorrisetto compiaciuto.
“Inoltre il pezzo è connesso a quello che ha cantato Artie..”
“Molto bene, Puck. Facci sentire.”
Commentò lasciandogli la scena e andandosi a sedere al suo posto davanti a Santana.
 

The warden threw a party in the county jail.
The prison band was there and they began to wail.
The band was jumpin' and the joint began to swing.

You should've heard those knocked out jailbirds sing.

La prima strofa fu suonata solo dalla batteria e dal basso, ma quando partì il ritornello, tutta la band si unì alla melodia. Brittany e Mike saltarono in piedi e raggiunsero Puck, improvvisando una coreografia di Rock acrobatico.
 
 
Let's rock, everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block
was dancin' to the Jailhouse Rock.

Spider Murphy played the tenor saxophone,
Little Joe was blowin' on the slide trombone.
The drummer boy from Illinois went crash, boom, bang,
the whole rhythm section was the Purple Gang.



Questa volta tutti i ragazzi si alzarono e raggiunsero il centro dell’aula ballando e saltando al ritmo trascinante della canzone.
 
Let's rock, everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block
was dancin' to the Jailhouse Rock.

Number forty-seven said to number three:
"You're the cutest jailbird I ever did see.
I sure would be delighted with your company,
come on and do the Jailhouse Rock with me."


Let's rock, everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block
was dancin' to the Jailhouse Rock.

The sad sack was sittin' on a block of stone
way over in the corner weepin' all alone.
The warden said, "Hey, buddy, don't you be no square.
If you can't find a partner use a wooden chair."


Santana si accorse che Rain era ancora seduta e li guardava divertirsi con il suo mezzo sorriso stampato sulle labbra.
“Andiamo soldato – le disse prendendole la mano e trascinandola con sè a ballare. – non puoi startene seduta, mentre tutti gli altri ballano”
Si perse lo sguardo triste che Brittany rivolse loro, mentre ballava con Mike.
 
Let's rock, everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block
was dancin' to the Jailhouse Rock.

Shifty Henry said to Bugs, "For Heaven's sake,
no one's lookin', now's our chance to make a break."
Bugsy turned to Shifty and he said, "Nix nix,
I wanna stick around a while and get my kicks."


A questo punto tutti si misero a cantare il ritornello più volte incitando la band a continuare a suonare.
Le acrobazie di Mike e Brittany ormai avevano raggiunto livelli da circo
 
Let's rock, everybody, let's rock.
Everybody in the whole cell block
was dancin' to the Jailhouse Rock.

 
 
Alla fine la campanella suonò a decretare la fine della lezione.
“A domani ragazzi.”
Salutò Rain, mentre gli altri uscivano ancora ridendo e applaudendo.
“Complimenti, prof. Bella lezione.”
Le disse raggiungendola.
“Grazie, ma ti conviene non chiamarmi più in quel modo se non vuoi ritrovarti qualche insetto nel sacco a pelo la prossima volta che rimani da me a dormire.”
“A proposito, posso rimanere anche oggi? – le chiese in tono vago – i miei sono ancora fuori città.”
Rain la guardò storto.
“Ok, ma voglio sapere cosa c’è sotto..”
“Cosa c’è sotto?”
“Andiamo, mi pare di capire che i tuoi sono spesso fuori città, è probabile che per te non sia un problema rimanere a casa da sola.
Quindi deve esserci una ragione se preferisci dormire accampata nella Stamberga Strillante in versione Horror,  invece che nel tuo lettino comodo e per niente polveroso.”
Ma come fa? Certe volte sembra capirmi meglio di me stessa.
La verità era che in realtà aveva dormito pochissime volte da sola, perché quando i suoi genitori erano via, Brittany passava la notte da lei.
Ma ora questo non era più possibile.
Non dopo quello che le aveva detto.
Non dopo che aveva preferito due ruote a lei.
E il suo letto le ricordava troppe cose, troppe notti.
Decise di dire a Rain solo una mezza verità.
“Non mi piace saperti da sola in quel postaccio, soprattutto dopo quello che è successo ieri..”
“Quindi lo staresti facendo.. per me?”
Chiese in un tono esageratamente incredulo.
Si limitò ad annuire.
“Ok, chi sei tu? Che ne hai fatto di Santana Lopez?”
Le rivolse uno sguardo inceneritore.
“Meglio, così sì che ti riconosco ragazzina.”
Commentò Rain, ridendo.
“Devo passare un attimo a lasciare dei libri nell’armadietto, ci vediamo nel parcheggio.”
Le disse uscendo dalla classe.
“Ok ti aspetto lì.”
Santana si affrettò per il corridoio, svoltò l’angolo.. e il suo cuore perse un battito.
Lei era lì, appoggiata al suo armadietto e la stava aspettando.
Continuò a camminare mettendo su la sua faccia da stronza.
Quanto odiava usarla con lei.
“Ciao.”
Incrociò le braccia sul petto.
“Ciao.”
Rispose evitando i suoi occhi azzurri.
“Come stai?”
“Una meraviglia, ti potresti spostare? Così posso mollare i libri nell’armadietto e andarmene a casa.”
“Vai via con Rain?”
“Sì, sto andando da lei.. ha bisogno di una mano a sistemare casa sua che è un vero disastro..”
“Quindi voi due siete.. amiche?”
“Già.”
“Strano, non mi hai mai parlato di lei..”
“E perché mai avrei dovuto?”
La interruppe bruscamente, chiudendo l’armadietto con uno scatto.
Brittany alzò le spalle, imbronciata.
“Hei ragazze! Britt, sei pronta?”
Santana si voltò fulminando Artie con lo sguardo.
“Io devo andare.”
Borbottò tra i denti.
Se ne andò senza più voltarsi, stringendo convulsamente gli occhi per impedire alle lacrime di uscire.
Rain doveva sicuramente essersi accorta del suo stato pietoso perché la guardò preoccupata, ma non fece commenti, né domande, guadagnandosi tutta la sua gratitudine.
“Allora, ragazzina. Oggi non mi va di condividere la cena con gli scarafaggi.”
Le disse riuscendo a strapparle un vago sorriso.
“Cosa ne dici, stasera pizza?”
Le chiese con il suo mezzo sorriso e uno sguardo incoraggiante.
“E pizza sia.”
Rispose mentre l’ex-soldato metteva in moto e si allontanava dalla scuola.
 
 
Angolo della pazza.
Cominciamo con le note tecniche..
La canzone del titolo è dei No Doubt, quella cantata da Artie è “Wanted dead or alive” di Bon Jovi, le parole scritte + in piccolo indicano le parti cantate da Rain in seconda voce.
La canzone cantata da Puck, invece è Jailhouse Rock  del RE Elvis Presley, ma mentre scrivevo nella mia testa suonava la versione fatta da John Belushi e Dan Aykroyd alla fine del film cult “The Blues Brothers” che è un po’ più veloce.. vi consiglio vivamente di andarvela a sentire, meglio ancora vedetevi questo film fantastico.
 
Ok questo capitolo NON MI PIACEEEEE
Scriverlo è stata una vera faticaccia e non mi sento per niente soddisfatta del risultato finale.
L’ho letto e riletto, modificato, cancellato aggiunto, riletto ancora.. ormai mi viene da vomitare, ma non trovo proprio cos’è che non funziona e se vado avanti ancora un po’ finisce che mollo lì tutta la ff, quindi beccatevelo così..
A voi decidere se fa schifo come sembra a me.. recensite, Recensite, RECENSITE!!!


 
Alla prossima
WilKia >.< 

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Capitolo 9
*** Defeated ***


Defeated
 
Rain capì che qualcosa non andava, semplicemente guardando Santana avvicinarsi dallo specchietto retrovisore.
Quando si sedette in macchina accanto a lei, ebbe la conferma dei suoi sospetti.
Cosa può essere successo in questi 5 minuti per farle fare quella faccia?
Si chiese rivolgendole uno sguardo preoccupato.
Poi ricordò un paio di tristi occhi azzurri puntati sulla schiena della ragazza, quando l’aveva presa per mano per trascinarla a ballare durante la lezione al Glee.
Oh.. sì potrebbe essere quello.
Gli occhi della latina la implorarono di non farle domande.
“Che ne dici di una pizza?”
Le propose mentre metteva in moto e usciva dal parcheggio.
Santana rimase stranamente silenziosa per tutta la serata e quando tornarono dalla pizzeria disse di avere sonno e se ne andò subito a dormire.
“E questo, Kirk – disse rivolta al gattino che la osservava in attesa di coccole – si chiama scappare di soppiatto.”
“Meow?”
“Esattamente.”
Commentò ridendo e prendendolo in braccio.
Soddisfatto il micio si accoccolò tra le sue mani e iniziò a fare le fusa.
“Eh, sì Kirk. Lo so per certo, io sono un’esperta in ritirate strategiche.”
Disse con un sospiro, mentre accarezzava il suo pelo morbido.
“Vieni, lo vuoi un po’ di latte?”
Rain si indaffarò a sistemare la cucina.
“Cosa ne dici, le ho lasciato abbastanza tempo per far finta di dormire, se vuole?”
Chiese, sbadigliando.
“Meow?”
Si stiracchiò stanca e andò di sopra.
Le bastò entrare in camera per sapere che Santana non stava dormendo.
La ragazza si sforzava di respirare silenziosamente e di rimanere immobile.
Rain si infilò nel suo sacco a pelo e intrecciò le mani dietro la testa, fissando il soffitto con un sospiro.
“Rain? Stai dormendo?”
Chiese Santana in un sussurro alcuni minuti dopo.
“Sono sveglia.”
“Posso?”
Domandò avvicinandosi un po’ a lei.
“Ma certo, vieni.”
Le fece appoggiare la testa sulla sua spalla e l’abbracciò come la sera prima.
Rimase in silenzio, lasciando che fosse la ragazza a decidere se e quando parlare.
“Grazie di avermi fatta restare, non mi andava di dormire da sola.. sai, di solito quando i miei non ci sono Britt viene a passare la notte da me.”
“Cosa c’è di diverso questa volta? – chiese cautamente -  Avete litigato?”
Santana fece un lungo sospiro.
“Sì. No. Più o meno.”
“Mi sembra di capire che la situazione sia parecchio ingarbugliata.”
La sentì annuire contro la sua spalla, mentre una lacrima calda cadeva a bagnarle la maglia.
“È tutta colpa mia, ho incasinato tutto!”
Disse stringendo un lembo della sua maglietta nel pugno.
“Perché non ho tenuto la bocca chiusa? Potevo lasciare le cose com’erano, continuare ad accontentarmi..”
Si interruppe come se avesse avuto paura di aver detto  troppo.
Povera piccola, è spaventata a morte. Bene, Rain, a quanto pare è il momento di raccontarle qualcosa di te..
“Avevo 19 anni, ero nell’esercito da 3. Sai a 16 anni ho falsificato i miei documenti, sembravo più grande rispetto alla mia età e dato che avevo superato tutti i test attitudinali e non c’era nessuno che potesse vantare diritti di tutela su di me..
Comunque non ho mai frequentato la scuola regolarmente e non avevo amici della mia età.. in realtà non avevo proprio amici. Una volta nell’esercito le cose sono cambiate, ho stretto delle amicizie, in un certo senso mi sono finalmente sentita parte di una famiglia..
E mi sono innamorata.”
Santana sollevò il viso rigato di lacrime per guardarla.
“Ma non sono mai stata calcolata da quel punto di vista.. – spiegò con un sorriso malinconico – per il resto eravamo inseparabili, la migliore squadra che si fosse vista sul campo. – sospirò – Il suo nome di battaglia era Storm, per questo hanno iniziato a chiamarmi Rain, perché ero sempre insieme a lei.”
“LEI?”
Annuì.
“Alla fine me ne sono fatta una ragione, lei aveva già una compagna e stavano pensando di ingrandire la famiglia. Ma siamo rimaste ottime amiche. Dopo un po’ siamo diventate come sorelle.”
“Perché mi stai raccontando tutto questo?”
“Devo davvero spiegarti il motivo?”
Santana rimase in silenzio.
“Non devi parlarne con me se non vuoi, ma credo di aver capito cosa, o meglio, CHI..  ti frulla per quella testolina.
Ti ho detto queste cose.. solo per farti capire che da me non devi temere giudizi o incomprensioni di nessun tipo, OK?! Con me puoi parlare di tutto quello che vuoi, quando vuoi.”
Sottolineò la frase depositandole un lieve bacio sulla fronte.
“Come.. come lo hai capito?”
“Sono solo brava a capire le persone, lo sono dovuta diventare..”
Rimasero entrambe in silenzio.
“Rain?”
“Mhmm”
“Noi.. siamo amiche?”
La strinse più forte e la sentì ricambiare il suo abbraccio.
“Certo che lo siamo, ragazzina.”
Santana sospirò e tirò su col naso.
“Britt è sempre stata la mia migliore amica. Lei è così.. ingenua e spensierata e libera da qualsiasi pregiudizio. Non le è mai importato niente del fatto che io fossi una stronza con tutti. È sempre riuscita a vedere oltre quel lato di me..
Ho avuto molti ragazzi, ma non mi è mai veramente importato di nessuno di loro, l’unico con cui ho davvero avuto una specie di relazione è Puck.”
Fece una pausa.
“E quel biondo coi labbroni che era con te oggi al Glee?”
Le chiese più che altro per alleggerire un po’ l’atmosfera.
“Chi, Sam? È solo un passatempo e la mia personale vendetta su miss Quinn Smagliatura Fabray.”
“Sì, ha senso!”
Commentò facendola ridere.
“Poi, quando abbiamo iniziato il liceo le cose sono cominciate a cambiare..
Un giorno, eravamo a casa mia e stavamo studiando. Britt si annoiava e ha cominciato a parlare di cose senza senso, riuscendo a farle sembrare perfettamente coerenti, come suo solito.”
Rain la sentì sorridere contro la sua spalla.
“Ad un certo punto è saltata su a chiedersi che sapore avessero le labbra di una ragazza e.. prima che me ne rendessi conto ci stavamo baciando.
Non avevo mai provato niente di simile con nessun ragazzo.”
Santana smise di parlare, sembrava immersa nei suoi ricordi.
Rimase in silenzio, lasciandola libera di fluttuare nei suoi pensieri e di riprendere il racconto quando fosse stata pronta.
“Giorno dopo giorno abbiamo cominciato a parlare di meno e a baciarci di più e sempre con maggiore intensità, finché un giorno..”
“Siete passate alla fase successiva.”
Concluse Rain togliendola dall’imbarazzo.
Santana si limitò ad annuire.
“E poi ho iniziato a capire che per me non era semplicemente fare sesso con un’amica per passare il tempo, ma che provavo dei sentimenti davvero profondi per lei. E ho avuto paura. Allora ho fatto la cosa più stupida che potessi fare.”
“L’hai allontanata.”
“E lei è andata da due ruote. – commentò con rabbia – all’inizio l’ha fatto solo per farmi ingelosire, ma poi hanno iniziato a fare sul serio.
Noi comunque abbiamo continuato a baciarci e ad andare a letto insieme come se niente fosse, sempre evitando accuratamente di parlare di sentimenti. Finché circa una settimana fa, lei mi ha detto di essere confusa su quello che c’era tra noi. Per farla breve, sabato scorso sono andata davanti al suo armadietto e le ho confessato di essere innamorata di lei – la sentì prendere un lungo respiro tremulo, mentre altre lacrime andavano a bagnarle la maglietta – ma lei ha preferito rimanere con quello.
“E tu sei scappata via, fino a quel bar.”
Alla latina sfuggi un singhiozzo sommesso.
“Wow, non mi sbagliavo quando ho detto  che avevi avuto una giornataccia.”
Commentò accarezzandole i capelli.
“Già, ci avevi preso in pieno.
E adesso è tutto così strano e io vorrei farmi consolare dalla mia migliore amica, ma non posso farlo perché sto soffrendo proprio per lei, perché mi sono esposta, per la prima volta in vita mia ho detto ti amo e lei mi ha respinta.”
Singhiozzò di nuovo.
“Vorrei solo.. che le cose tornassero come prima.”
Strinse forte i pugni intorno alla sua maglietta e prese a piangere senza controllo.
“Shh”
Si girò sul fianco e la strinse forte.
Lentamente la ragazza si calmò e smise di singhiozzare.
“Devo smetterla di piangerti addosso, così mi rovino la reputazione.”
Disse cercando di allontanarsi.
Rain però non la lasciò andare.
Le fece sollevare il viso fino ad incontrare il suo sguardo.
“Fanculo la reputazione. Con me non ti devi preoccupare di queste stronzate, chiaro?!”
Le disse con un sorriso.
“Le cose non si possono cambiare, non si torna mai indietro. Questa è un’altra cosa che ho dovuto imparare.. ora sta a te decidere cosa fare.
Puoi continuare a piangere e disperarti, puoi passare oltre e trovarti qualcun altro, o puoi dichiarare guerra e andartela a prendere.
In ogni caso io sono qui.”
“Tu cosa hai fatto quando.. lo sai.”
“Quando Storm mi ha respinta?”
L’ispanica annuì.
“Storm non mi ha mai dovuta respingere. Io non ho minimamente avuto il fegato di dirle quello che provavo. Mi ero quasi decisa a farlo, ma poi l’ho vista con la sua compagna e ho capito che erano davvero fatte l’una per l’altra e mi sono ritirata. Ci vuole molto coraggio per fare ciò che tu hai fatto, io non l’ho avuto e probabilmente mi chiederò per tutta la vita come sarebbe andata se solo.. comunque, credo sia stato meglio così alla fine.
Ma non importa più ormai, adesso siamo qui per te.”
Santana sospirò.
“Non devi decidere adesso cosa fare, dormici sopra, prenditi il tempo che ti serve. Anche se conoscendoti, credo che tu abbia già preso la tua decisione.”
Rain vide una luce combattiva e decisa accendersi in fondo a quegli occhi neri.
 
 
“Rain, da questa parte.”
Si rialzò da terra e seguì Storm attraverso l’ingresso di una casupola.
Le cose non stavano andando come previsto.
Quella doveva essere una semplice ricognizione, invece la loro squadra si era ritrovata nel bel mezzo di un fuoco incrociato.
Alla fine erano rimaste isolate dal resto del gruppo che si era sparpagliato per rendere più difficile il compito ai tiratori che li avevano presi di mira.
Fecero una rapida ricognizione del piccolo ambiente, quando lo trovarono deserto si rilassarono, abbandonandosi esauste sul pavimento.
Storm le passò una borraccia.
“Tieni sorellina.”
Stava morendo di sete e bevve avidamente.
“La radio continua a non dare segni di vita, temo che dovremo continuare ad arrangiarci..”
“Non importa, ragazzina. Io e te siamo maestre nel cavarcela da sole.”
Aveva concluso con uno scintillio vagamente divertito negli occhi azzurri.
Storm era così, più la situazione era pericolosa e più si divertiva.
Le rilanciò la borraccia ridendo.
“Mancano un paio di ore al tramonto, direi di aspettare qui che faccia buio e poi tagliare la corda.”
“Certo, Storm. Sei tu il capo. Nel frattempo che si fa? Ricominciamo la sfida?”
“Non sei ancora stanca di prenderle?”
Chiese togliendosi l’elmetto e ravviandosi i capelli corvini.
“Ma se l’ultima volta ti ho lasciata praticamente in mutande.”
Rispose sarcastica tirando fuori un mazzo di carte e iniziando a mescolarle.
“Non montarti la testa, ragazzina. Hai vinto solo perché io te l’ho permesso.”
“Sì, sì. Continua pure a ripetertelo.”
 
Rain spalancò gli occhi quando sentì qualcosa di umido e ruvido passare sul suo braccio destro.
Si guardò intorno spaesata, non riconoscendo il luogo in cui si trovava.
Si accorse che qualcuno l’abbracciava e girò la testa.
Quando vide i lunghi capelli neri sparpagliati sul cuscino e addosso a lei, per un attimo sperò che si trattasse di Storm.
Poi i ricordi si riaffacciarono alla sua memoria.
Si passò una mano sugli occhi.
Ma quanto sono stupida..
Sveglia, Rain!
Non può essere lei, non è mai stata lei, non potrà mai essere lei.
Guardò alla sua destra e vide Kirk acciambellato contro il suo fianco, intento a leccarsi con cura il pelo rosso, evidentemente poco prima doveva aver deciso che anche il suo braccio aveva bisogno di una bella lavata. Gli grattò la testolina tonda e lui prese a fare le fusa.
Voleva alzarsi, ma il suo braccio sinistro era ancora immobilizzato sotto il corpo di Santana, che dormiva pacificamente con la testa sulla sua spalla.
Non l’aveva mai vista così rilassata, come se nel sonno avesse abbandonato tutte le sue difese, fiduciosa che lei l’avrebbe protetta.
Sorrise.
Dopo lo sfogo della sera prima era ovvio che fosse esausta.
Non ricordo di aver mai dormito così profondamente e tranquillamente in tutta la mia vita.
Proteggersi sempre, questa era la sua regola.
Guardala qui, cosa ho fatto per meritare tanta fiducia?
Abbandonò ogni proposito di alzarsi, non l’avrebbe svegliata neanche per fuggire da una calamità naturale.
Guardò l’orologio del suo cellulare, indicava le 6.15.
Wow,  questa sì che è  una novità. In quale universo parallelo io riesco a dormire tutta notte?
In effetti era da quando era tornata dal fronte che i suoi incubi la tormentavano, impedendole di dormire serenamente.
Da quando..
La vibrazione del  suo telefono interruppe i suoi pensieri.
Sul display apparve il logo di un messaggio ricevuto.
Ehi, straniera – diceva – allora, com’è l’Ohio?
Qui sentiamo tutti la tua mancanza.
Reneè mi chiede continuamente tue notizie, dovresti chiamarla.. è preoccupata per te.
Ora veniamo al motivo principale di questo messaggio.
Forse ho trovato qualcosa, ho una probabile pista da seguire.. ancora non è niente di certo, ma tu mi hai chiesto di avvertirti per ogni novità, quindi..
Appena so qualcosa di più preciso ti chiamo.
Mi manchi scoppiata che non sei altro.
Un bacio.
F.
Rain sorrise.
 Anche tu mi manchi pazza da legare..
Grazie di tutto, sapevo di poter contare su di te. Sei la migliore.
Ti prego, non dire niente a Reneè, limitati ad assicurarle che sto bene.. e dille di dare un bacio da parte mia a lei.
Ci sentiamo presto.
R.
Inviò il messaggio, poi impostò la sveglia per le 7.30
Strinse leggermente il braccio intorno alle spalle di Santana e si concesse un’altra oretta di sonno.
 
 
Angolo della pazza.
Buonaseeeeraaa
Sono esattamente le 2.25 di mattina e un raptus grafomane si è impossessato di me, quindi ecco qui il capitolo 9. Che viene postato come al solito intorno alle 21 – 21.30, comunque..
 Il titolo è quello di una bellissima canzone di Anastacia, del suo ultimo album “Heavy Rotation” vi consiglio di andarla ad ascoltare, perché è davvero stupenda.
 
Che dire, finalmente le nostre due fanciulle si sono lasciate un po’ andare, soprattutto San, Rain ancora non è pronta a raccontare proprio tuttotuttotutto, ma cercate di capirla, ne ha passate davvero tante. Però almeno un pochino si è sbottonata, dai..
 
Chiudo a risentirci alla prossima.
 
WilKia >.<
 
P.S.
Ehi tu.
Sì, sì. Proprio tu, che hai letto fino a questo punto, parlo proprio cono te.. dai, lascia due righe di commento, che ti costa?
Puoi anche perdere due minutini per buttare giù quattro parole e fare contenta una povera pazza che la notte invece di dormire si perde in questi deliri.
Un mega bacione.
SMACK!! 

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Capitolo 10
*** Going Under ***


Due paroline..
A parte l’inizio, il capitolo è molto Rain-centrico..
Enjoy
WilKia >.<
 
 
 
Going Under
 
 
 
 
 
I want you to know that I'm happy for you.
I wish nothing, but the best for you both.
An older version of me,
is she perverted like me?
Would she go down on you in a theatre?
Does she speak eloquently?
And would she have your baby?
I'm sure she'd make a really excellent mother.
 
Rain non era propriamente d’accordo con il tono aggressivo della canzone scelta da Santana, ma non si era tirata indietro.

'Cause the love that you gave that we made
wasn't able to make it enough for you to be open wide, no
And every time you speak her name,
does she know how you told me you'd hold me
until you died, 'til you died?
But you're still alive!
 
Quando la ragazza le aveva chiesto di aiutarla suonando la chitarra e facendo i cori si era resa immediatamente disponibile, le aveva promesso che sarebbe stata lì per lei e si poteva dire qualsiasi cosa su Rain, ma non che non fosse totalmente leale verso gli amici.
E una volta fatta una promessa non importava cosa le sarebbe costato, l’avrebbe mantenuta.

But I'm here to remind you
of the mess you left when you went away.
It's not fair to deny me
of the cross I bear that you gave to me.
You, you, you oughta know.
 
E poi questa era la battaglia di Santana e stava a lei decidere come gestirla.

You seem very well, things look peaceful.
I'm not quite as well, I thought you should know.
Did you forget about me, Mr. Duplicity?
I hate to bug you in the middle of dinner.
It was a slap in the face how quickly I was replaced.
Are you thinking of me when you fuck her?

'Cause the love that you gave that we made
wasn't able to make it enough for you to be open wide, no.
And every time you speak her name,
does she know how you told me you'd hold me
until you died, 'til you died?
But you're sill alive!

But I'm here to remind you
of the mess you left when you went away.
It's not fair to deny me
of the cross I bear that you gave to me.
You, you, you oughta know.
 
L’ispanica cantava con sicurezza, caricando a testa bassa le note con la sua voce piena e graffiante, gridando tutta la sua rabbia.
Non guardava Brittany, in realtà non guardava nessuno.
Teneva gli occhi chiusi, concentrata solo su sé stessa e sulla musica.

'Cause the joke that you laid in the bed that was me
and I'm not gonna fade
as soon as you close your eyes and you know it.
And every time I scratch my nails down someone else's back
I hope you feel it. Well, can you feel it?
 
Brittany aveva capito, naturalmente, e si agitava nervosa sulla sedia, mentre gli altri ragazzi battevano il tempo con le mani, entusiasti.
Non avevano mai visto la loro compagna così carica e coinvolta in una canzone, sapevano quanto fosse brava, ma ora sembrava quasi trasfigurata.

But I'm here to remind you
of the mess you left when you went away.
It's not fair to deny me
of the cross I bear that you gave to me.
You, you, you oughta know.

But I'm here to remind you
of the mess you left when you went away.
It's not fair to deny me
of the cross I bear that you gave to me.
You, you, you oughta know.
 
La canzone finì e tutti balzarono in piedi applaudendo e corsero a stringere Santana in un abbraccio di gruppo.
Brittany rimase per ultima e aspettò che gli altri si fossero spostati per scambiare con la latina un breve, ma intenso abbraccio, quindi tornò a sedersi accanto ad Artie.
Appena la bionda la lasciò andare, Santana andò ad abbracciare anche lei.
“Molto bene, Santana. Grande pezzo, e complimenti davvero per l’interpretazione.”
Esclamò scatenando un’altra salva di applausi, mentre la ragazza tornava a sedersi.
“Bene, chi si fa avanti adesso?”
Quasi tutti i ragazzi presero a guardare ovunque tranne che nella sua direzione.
“Eh lo so! È dura doversi esibire dopo questa mia performance.”
Disse la latina sollevando le sopracciglia con aria compiaciuta.
“Ahah avanti, nessuno vuole raccogliere la sfida?”
La ragazza più bassa seduta in prima fila, come sempre, si alzò con fare altezzoso e una luce competitiva negli occhi.
“Davvero, nanerottola, credi di poter competere con me?”
Commentò l’ispanica con tono sarcastico.
“Sei stata molto brava, Santana, ma sappiamo tutti chi è la voce migliore nel Glee.”
“La competizione si accende! Bene Rachel, facci sentire che sai fare.”
La cantante si rivolse ai ragazzi della band.
“Attacate.”
 
If I'm a bad person,
you don't like me
Well, I guess I'll make my own way
It's a circle
I mean cycle
I can't excite you anymore
 
Where's your gavel? Your jury?
What's my offense this time?
You're not a judge
but if you're gonna judge me
Well sentence me to another life
 
Don't wanna hear your sad songs
I don't wanna feel your pain
When you swear it's all my fault
Cause you know we're not the same,
yeah we're not the same
Oh we're not the same
 
Yeah the friends who stuck together
We wrote our names in blood
But I guess you can't accept
that the change is good
It's good
It's good
 
You treat me just like
another stranger
Well it's nice to meet you sir
I guess I'll go
I best be on my way out
 
You treat me just like
another stranger
Well it's nice to meet you sir
I guess I'll go
I best be on my way out
Ignorance is your new best friend
Ignorance is your new best friend
 
This is the best thing
that could've happened
Any longer and I wouldn't have made it
It's not a war no, it's not a rapture
I'm just a person but you can't take it
The same tricks that,
that once fooled me
They won't get you anywhere
I'm not the same kid from your memory
Well now I can fend for myself
 
Don't wanna hear your sad songs
I don't wanna feel your pain
When you swear it's all my fault
Cause you know we're not the same,
yeah we're not the same
Oh we're not the same
 
yeah we used to stick together
 
We wrote our names in blood
But I guess you can't accept
that the change is good
It's good
It's good
 
You treat me just like
another stranger
Well it's nice to meet you sir
I guess I'll go
I best be on my way out
 
You treat me just like
another stranger
Well it's nice to meet you sir
I guess I'll go
I best be on my way out

Ignorance is your new best friend
Ignorance is your new best friend
Ignorance is your new best friend
Ignorance is your new best friend
 
You treat me just like
another stranger
Well it's nice to meet you sir
I guess I'll go
I best be on my way out
 
You treat me just like
another stranger
Well it's nice to meet you sir
I guess I'll go
I best be on my way out
 
Anche il pezzo di Rachel era aggressivo, e sicuramente la ragazza lo sentiva ed era dotata di grande talento, ma Santana ci aveva davvero buttato tutta l’anima in quella canzone.
L’esibizione di Rachel scatenò comunque molti applausi, compresi quelli della latina che si unì alla standing ovation di tutta la classe.
“Bravissima, Rachel – esclamò applaudendo – due canzoni davvero arrabbiate, qualcuno vuole provare a smorzare un po’ i toni?”
“Io e Sam abbiamo preparato una canzone insieme.”
Disse Finn alzandosi e andando alla batteria.
“Sì, un vero classico che eseguiremo solo con chitarra e batteria.”
Commentò Sam raggiungendolo e prendendo la chitarra.
“Ottimo, sentiamo che sapete fare.”
Si spostò per lasciare la scena ai ragazzi e infilò le mani in tasca.
Le sue dita sfiorarono della carta e si strinsero istintivamente intorno alla lettera che quella mattina aveva tirato fuori dal borsone.
Si gelò, non ricordava nemmeno di essersela messa in tasca.
Sentì vagamente che Finn e Sam si erano lanciati nella loro versione di Crazy Little Thing Called Love. Un angolo della sua mente si indignò un po’ perché i Queen erano il suo gruppo preferito e per come la vedeva lei nessuno era degno di cantare i Queen.
Ma in quel momento se ne accorgeva a malapena.
Sfilò la lettera dalla tasca e la fissò come ipnotizzata.
Ad un tratto si sentì osservata e si girò verso Santana che la guardava preoccupata.
Si affrettò a rimettersi la lettera in tasca e le rivolse un mezzo sorriso per rassicurarla.
La campanella decretò la fine della lezione.
“Molto bene, bella prova ragazzi. – disse a Finn e Sam – Ci vediamo domani.”
Salutò tutti frettolosamente e uscì dalla classe.
Era seduta in macchina da dieci minuti, fissando il vuoto davanti a sé, quando sentì bussare al finestrino.
Tirò giù il vetro e fissò lo sguardo in quello di Santana.
“Terra chiama Rain. Rain, mi senti?”
Rise.
“Ehi soldato, che succede? È da stamattina che hai la testa tra le nuvole..”
Le chiese incrociando le braccia nel vano aperto del finestrino ed appoggiandoci il mento.
“Tranquilla non è niente.. stamattina presto ho ricevuto un messaggio e.. non è niente, davvero.”
“Però! Sembra darti parecchio da pensare questo niente.”
Commentò girando la testa e alzando le sopracciglia con aria critica.
Rain abbassò lo sguardo.
“Ehi – la richiamò la latina – volevo solo ricordarti che, di qualsiasi cosa si tratti, io sono qui, come tu ci sei stata per me. Ok?”
Annuì.
“Grazie ragazzina. – sospirò – Oggi che intenzioni hai? Resti ancora da me?”
L’ispanica abbassò lo sguardo.
“Ecco.. dovrei uscire con gli altri del Glee, sai una volta alla settimana usciamo tutti insieme e ci vediamo anche con Kurt..”
“Il figlio di Burt Hummel, giusto? Il ragazzo che ha cambiato scuola.”
“Senti, se vuoi posso..”
“Non pensare neanche per un secondo di rinunciare ad uscire con i tuoi amici.”
La interruppe.
“È che mi sembri in una giornata no.. e non me la sento di lasciarti da sola.”
“Ho passato da sola tante giornate no prima d’ora, Santana.”
Le rispose con uno dei suoi mezzi sorrisi.
“Ma fa piacere sapere che qualcuno se ne accorge e si preoccupa per me.”
“Comunque, poi vengo da te, ok? E sappi che la mia non è una richiesta.”
“Ok. Mangi fuori o devo preparare qualcosa per cena?”
“La porto io..”
“Ehi, mamasita.. – la chiamò Mercedes – andiamo?”
“Ci vediamo dopo.”
“Divertiti ragazzina.”
La guardò allontanarsi, poi mise in moto e tornò a lavorare alla sua catapecchia.
 
Lavorò sodo quel pomeriggio.
Le piaceva il lavoro manuale, la fatica fisica l’aiutava a mantenere la mente sgombra.
E quel giorno ne aveva davvero bisogno.
L’aver parlato la sera prima con Santana e il messaggio ricevuto quella mattina avevano fatto riaffiorare molti, troppi ricordi.
Riuscì a ripulire completamente l’altra stanza situata al secondo piano, non era molto spaziosa, ma aveva già deciso come utilizzarla.
Il giorno precedente, prima della lezione al Glee, era andata a procurarsi tutto il necessario.
Il gancio del lampadario faceva proprio al caso suo.
Si arrampicò su una scala, sganciò il vecchio lampadario arrugginito e lo sostituì con l’attrezzatura che aveva comprato il giorno prima.
In un paio d’ore la stanza aveva cambiato completamente faccia.
Sistemò lo stereo in un angolo, inserì un cd su cui aveva registrato una playlist di musica rock e metal e schiacciò play, mettendo a tutto volume.
Si cambiò, indossando i pantaloni di una tuta e un top, si fasciò le mani e finalmente provò il suo nuovo sacco.
Tirare di boxe le era mancato terribilmente.
Una delle tante cose che Storm le aveva insegnato.
L’aveva anche spinta ad entrare nella squadra di pugilato femminile dell’esercito.
Rain aveva battuto tutti, donne e uomini.
Storm era l’unica che non era riuscita a sconfiggere, ma la cosa non le era mai pesata.
Dopo mezz’ora di lavoro al sacco, passò a saltare la corda davanti allo specchio, e quindi si dedicò al sacco veloce.
Lo stava usando da una ventina di minuti, quando partì “By the Way” dei Red Hot Chili Peppers. Andò ad alzare ancora di più il volume e iniziò a massacrare il sacco.
Alla fine della canzone si piegò in avanti, appoggiando le mani sulle ginocchia, esausta.
“Cavoli, sembrava una cosa personale.. ricordami di non farti mai arrabbiare.”
Si girò verso la porta dove Santana la osservava appoggiata allo stipite con le braccia incrociate sul petto e un sorriso ironico dei suoi stampato sulle labbra.
Kirk era seduto accanto ai suoi piedi, composto ed impettito e la osservava curioso.
“Wow, che è successo qui dentro? È passata un’impresa di costruzioni?”
“No, ho fatto tutto io.”
Rispose ansimando.
“Oggi pomeriggio?”
“Già.”
“Mi stai dicendo che hai smontato la stanza, l’hai pulita, l’hai trasformata in una palestra di Boxe e poi ti sei anche messa ad allenarti e hai fatto tutto questo oggi pomeriggio?!”
Annuì, non aveva ancora abbastanza fiato per parlare.
“Dopo aver passato la mattinata a lavorare all’officina del signor Hummel ed aver fatto lezione al Glee?!”
Annuì di nuovo.
“Ma ti fai di steroidi per caso?”
“No, mi drogo solo di caffeina e di musica.”
Rispose ridendo.
“Guarda un po’, sono le mie stesse sostanze preferite..”
“Le migliori in circolazione. – confermò con un sorriso. – com’è andata con i ragazzi, vi siete divertiti?”
“Sì, è stato un pomeriggio tranquillo, caffè e chiacchiere, niente di rilevante.
Comunque lo supponevo..”
“Cosa?”
“Che sei un pugile..“
“Non lo sono, non più almeno. Ma sono stata nella squadra di pugilato dell’esercito.”
“Come hai iniziato?”
“Storm.. lei mi ha insegnato. Una sera, eravamo in libera uscita e siamo andate in un bar, un tizio ha iniziato a fare il cascamorto e quando l’ho respinto ha tentato di fare i suoi comodi comunque, usando la forza. Allora io gli ho tirato un destro e l’ho steso. Il giorno dopo Storm mi ha portata in palestra e mi ha insegnato a tirare di boxe.”
Kirk scelse quel momento per iniziare a strusciarsi contro le sue caviglie.
“Che c’è giovanotto, hai fame? È già ora di cena?”
“Lascia, ci penso io. – si offrì l’ispanica – Tu vai a farti una doccia, io intanto do la pappa a Kirk e preparo anche per noi.”
“Non dirmi che sai anche cucinare..”
“Certo, sono un asso a riscaldare qualsiasi piatto preso al take away.”
Rispose la latina allontanandosi con il gattino in braccio.
Seguì il consiglio di Santana e si concesse una lunga doccia, poi andò in camera a vestirsi.
Indossò un paio di pantaloncini da basket e la sua maglietta preferita, sulla quale Wile E. Coyote si ingegnava a studiare un piano per catturare lo struzzo che voleva per cena.
Prima di scendere tolse la lettera dalla tasca dei pantaloni, in cui era rimasta tutto il giorno, per riseppellirla nel suo borsone.
 
Era tornata dal fronte da quasi un anno ormai.
Di notte dormiva appena, gli incubi la tormentavano.
Si arrabattava a trovare qualche lavoretto, in modo da avere almeno i soldi per pagarsi l’affitto.
C’erano giorni in cui non mangiava neanche.
Continuava a ripetersi di essere tornata in Italia per ritrovare le sue origini, ma non ci credeva nemmeno lei.
Il vero motivo era che stando lì aveva un intero oceano a separarla dai suoi fantasmi.
Ma alla fine l’avevano trovata comunque.
E l’avevano raggiunta tramite un notaio il quale, con voce impostata,  le aveva comunicato la triste dipartita di un padre che l’aveva abbandonata quando aveva più bisogno di lui.
E, ora che era cresciuta, che aveva dimenticato di aver avuto un padre, lui le imponeva di nuovo la sua esistenza.
Il notaio le aveva letto con voce atona le ultime volontà di “suo padre” consegnandole le chiavi di una casa in Ohio che “suo padre” le aveva lasciato, insieme a quella lettera che “suo padre” le aveva scritto.
Il suo primo istinto era stato di bruciarla.
Aveva già l’accendino in mano, ma qualcosa l’aveva bloccata.
Mentre tornava dalla cucina con l’accendino le era caduto lo sguardo sul mazzo di chiavi che il notaio le aveva consegnato.
I suoi occhi erano stati attirati dal portachiavi: un ciondolo a forma di gufo, identico a quello che sua madre le aveva regalato poco prima di togliersi la vita.
Si era accasciata a terra, improvvisamente incapace di qualsiasi cosa.
Dopo un tempo indefinibile aveva aperto la lettera.
La prima cosa che aveva notato era il suo nome, preceduto dalla parola “cara”.
Aveva immediatamente strappato via la parte superiore della pagina, accartocciandola e lanciandola lontano, come se fosse infetta.
Come si permetteva dopo 16 anni di silenzio, 16 anni in cui non si era mai neppure degnato di ricordarsi della sua esistenza.. come osava rivolgersi a lei con tanta familiarità, come se niente fosse.
Le ci erano voluti diversi minuti per calmarsi.
Poi aveva ripreso il foglio e si era messa a leggere.
Aveva letto tutto d’un fiato e alla fine aveva accartocciato la lettera e l’aveva gettata via.
Ma per il resto della giornata quelle parole avevano continuato a tormentarla, finché nel bel mezzo della notte era uscita in strada e si era messa a frugare nel cassonetto per recuperarla.
Tre settimane dopo si era licenziata, aveva annullato il contratto d’affitto, stipato le sue cose nel borsone militare, ed aveva preso il primo volo per Lima, Ohio.  
 
Seduta sul bordo del materasso da campeggio che usava come letto, Rain aprì la lettera piegata in quattro.
Osservò il margine superiore strappato, le pieghe rimaste sulla pagina quando l’aveva accartocciata, la grafia dritta, fredda e impersonale delle parole che vi erano incise.
I suoi occhi corsero alle prime righe, in realtà l’aveva imparata a memoria ormai, ma leggerla gliela faceva sembrare più reale.
“Rain, scendi, è pronto.”
La voce di Santana la strappò via dai suoi pensieri.
Sospirando ripiegò la lettera e la cacciò in fondo al borsone.
“Rain?!”
“Arrivo ragazzina. Arrivo!”
 
 
 
 
 
Angolo della pazza.
 
In questo capitolo ho voluto farvi sapere qualcosina in più sulla mia Rain, spero di non avervi annoiato..
 
Veniamo alla musica..
Il titolo del capitolo è di una bellissima canzone degli Evanescence, che mi sembrava molto adatta alla situazione di Rain.
Spero che abbiate riconosciuto “You oughta know” di Alanis Morrisette che nella 2x16 viene citata dalla nostra San alla domanda di Mr. Schue “What’s your favourite song ever?”
Rachel canta invece “Ignorance” dei Paramore.
Ho voluto mettere tre canzoni nella stessa lezione del Glee, ma non potevo proprio inserire i testi di tutte e tre.. quindi mi sono limitata a citare solo il titolo della terza.. (inoltre, la penso come Rain riguardo al fatto che nessuno è degno di cantare i Queen) che ne dite del duetto Finn – Sam??

Fatemi sapere che pensate del capitolo.. recensiteRecensiteRECENSITE.. non vorrete far arrabbiare Rain e San, VEEROOO???!!!
 
Alla prossima
 
WilKia >.<  

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Capitolo 11
*** Breakeven ***


Salve.. le solite due paroline
Questo capitolo è ambientato due giorni dopo i
fatti narrati in quello precedente,
quindi siamo a venerdì..
 
 
Breakeven
 
 
Santana si svegliò da sola quella mattina, proprio come era successo il giorno prima.
Era da mercoledì che Rain sembrava immersa in un mondo a parte.
Sentì dei tonfi attutiti provenire dall’altra stanza, l’ex-soldato si stava allenando. Di nuovo.
Anche la sera prima stava facendo lo stesso, quando lei era andata a dormire.
Sgusciò fuori dal suo sacco a pelo e si mise seduta sul bordo del materasso.
Kirk sollevò la testa e la guardò assonnato, sbadigliò e scese a terra stiracchiandosi, per poi andarsi a strusciare goffamente contro le sue gambe, facendo le fusa a tutto spiano.
Non riuscì a trattenere un sorriso e prese ad accarezzarlo dietro le orecchie, le piaceva quel soldo di cacio.
Molto più di quanto non le fosse mai piaciuto Lord Tubbington, quella palla di lardo era troppo possessiva nei confronti di Britt e si metteva sempre in mezzo, quando invece lei avrebbe voluto avere la bionda tutta per sé.
Si alzò stiracchiandosi e andò a farsi una doccia.
Una volta vestita raggiunse Rain in palestra.
“Buongiorno ragazzina.”
Le disse l’ex-soldato, smettendo di colpire il sacco.
“Ciao. Non dirmi che sei lì da ieri sera..”
Rain sciolse le bende che aveva intorno alle mani e guardò l’orologio.
“Verso le 3 ho schiacciato un pisolino, ma non avevo particolarmente sonno e alle 5 mi sono rimessa in pista.”
“Vedo..”
Commentò osservando le profonde occhiaie disegnate sotto gli occhi della ragazza.
Per quello che ne sapeva neppure la notte prima aveva dormito.
Cominciava a preoccuparsi.
Avrebbe voluto capire cosa le stava accadendo, aiutarla come Rain aveva fatto con lei.
Ma questo significava anche aspettare che fosse Rain a decidere di aprirsi e a confidarle cosa ci fosse che non andava.
Negli ultimi due giorni l’aveva vista spesso con un foglio sgualcito tra le mani, lo fissava per qualche minuto senza mai aprirlo e leggere quello che c’era scritto, poi se lo rimetteva in tasca.
Ma l’espressione che aveva mentre lo fissava le rimaneva impressa sul volto, come se in realtà non avesse smesso di guardarlo.
Era un misto di rabbia, rimpianto, delusione e qualcos’altro che faticava ad identificare, aspettativa, forse.
Santana stava letteralmente morendo di curiosità e le dispiaceva tantissimo vedere l’amica in quello stato, ma avrebbe rispettato i tempi di Rain.
“Allora, hai finito di massacrare quel povero sacco?”
“Per ora.. vieni, preparo la colazione.”
“Stai scherzando.. – commentò con aria schifata – guarda che a me non piace il caffè corretto con il tuo sudore.”
La sua battuta fu premiata da uno dei mezzi sorrisi tipici dell’ex-soldato, erano molto diminuiti negli ultimi due giorni. Per non parlare delle risate vere e proprie che erano quasi scomparse.
“Quindi, cosa proponi? Non vorrai metterti a preparare la colazione, vero?”
“Sei in vena di battute stamattina, eh?! Dai soldato, vai a farti una doccia e preparati a uscire che stamattina andiamo a fare colazione fuori, offro io.”
 
Fecero colazione al Lima Bean.
Santana provò in tutti i modi ad intavolare una conversazione, ma nonostante tutti i suoi tentativi Rain si limitò a rispondere a monosillabi, rimanendo immersa nel suo mutismo.
Dopo colazione l’accompagnò a scuola e poi scappò a lavorare all’officina del signor Hummel.
Santana osservò corrucciata il pickup allontanarsi, il comportamento di Rain iniziava davvero a preoccuparla.
“Ehi, che succede?”
Impensierita dallo stato d’animo dell’ex-soldato, Santana non si era accorta che Brittany le si era avvicinata nel parcheggio. Sentire la sua voce così vicina la fece sussultare.
Si affrettò a ritrovare il suo solito contegno.
“Niente, stavo solo salutando Rain.”
“Lei sta bene? Mi sembra che qualcosa la preoccupi, ieri al Glee non ha parlato quasi per niente.”
Santana aveva quasi scordato quanto la bionda fosse sensibile.
“Non lo so, è da mercoledì che è un po’ strana..”
“E non ti ha detto che cos’ha? Credevo foste amiche..”
“Lo siamo.. sto aspettando che sia pronta per parlare con me.”
Brittany la guardò stupita.
“Che c’è?”
Le chiese secca.
“Niente, solo che.. di solito non sei così – abbassò lo sguardo fissando l’asfalto – non con gli altri.”
Stava per rispondere, ma Brittany non aveva finito.
“Sai, sono contenta che tu abbia incontrato qualcuno che riesca a farti tirare fuori questo lato di te.”
Disse sollevando gli occhi ad incontrare i suoi e rivolgendole un sorriso triste e malinconico.
“Britt..”
“Scusa, devo andare. Artie mi aspetta.”
Santana la guardò allontanarsi verso la scuola, con un gran peso che iniziava ad opprimerle il petto, rendendole difficile respirare.
 
Santana rimase con la testa tra le nuvole tutta la mattina, mentre nella sua mente si alternavano il ricordo dello sguardo triste di Brittany e quella strana espressione sul volto di Rain.
La giornata scivolò via così in fretta che quasi non se ne accorse e prima ancora di essersi resa conto che era suonata la campanella della prima ora, si era ritrovata in aula canto con Sam seduto sulla sedia accanto alla sua ed un braccio intorno alle sue spalle.
Quella situazione iniziava a seccarla.
In quel periodo desiderava rimanere da sola, soprattutto al Glee, ma Sam le stava sempre appiccicato come un chewingum sotto una scarpa.
A peggiorare la situazione contribuì l’arrivo di due ruote amorevolmente spinto da Britt.
Distolse lo sguardo per risparmiarsi la scena stomachevole, perdendosi lo sguardo che la bionda le rivolse prima di sedersi.
Rain arrivò leggermente in ritardo, cosa molto strana per lei, che di solito era la prima ad arrivare quando ancora i ragazzi erano a zonzo per i corridoi dopo pranzo.
A Santana sembrava ancora più stanca e smarrita nel suo mondo di quanto non lo fosse stata quella mattina.
Non aveva l’espressione persa che le aveva visto negli occhi la notte in cui i suoi incubi avevano avuto il sopravvento su di lei, ma era più che evidente che qualcosa non andava.
La osservò scuotere la testa come a schiarirsi le idee e muovere le spalle per rilassare i muscoli.
“Allora. Brittany, sei pronta?”
Esordì l’ex-soldato prendendo la chitarra.
L’ispanica guardò stupita la bionda raggiungere il centro dell’aula.
Vedere Brittany offrirsi volontaria per cantare era un avvenimento più che raro, di solito preferiva cantare nel coro e ballare insieme a Mike.
Il fatto che Rain sapesse già che Brittany avesse preparato un pezzo contribuì solo ad aumentare il suo stupore.
La bionda le rivolse uno strano sguardo, prima di fare un cenno a Rain indicandole di essere pronta.
La band iniziò a suonare un pezzo molto blues, lento e malinconico.
 
Shadows are falling all over town
Another night and this blues got me down
Oh misery I sure could use some company
 
Brittany cantava con voce sicura, ad occhi chiusi.
 
Since he’s been gone
I ain’t been the same I ain’t been the same
I carry the weight
Like an old ball and chain
Guess it all meant to be Guess it all meant to be
For love to cause me misery
 
La voce di Rain si unì a quella della bionda, armonizzandosi perfettamente, accompagnandola senza sovrastarla, nonostante avesse più potenza.
 
Oh misery
Oh misery
Tell me why does my heart
Make a fool of me
Guess it all meant to be
For love to cause me misery
 
And oh
I’ve been down this road before
With a passion
That turns into pain
And each time I saw love walk out the door
I swear never get caught again
 
Rain lasciò che Brittany cantasse da sola le frasi successive.
 
But aint it true
It takes what it takes
And sometimes
We get too smart to leave
 
Fu il turno dell’ex-soldato.
 
One more heartache for me
Another night of misery
 
Poi fu solo il suono straziato della chitarra elettrica di Rain a riempire il silenzio dell’aula, prima che le due voci si levassero di nuovo insieme.
 
Oh misery
Oh misery
Tell me why does my heart
Make a fool of me
Oh mirsery
Ohuoh misery
Tell me why why why why
Does this heart
Make a fool of me
Guess it all meant to be
For love to cause me misery
Misery
Guess it all meant to be
For love
To cause me
Misery
 
Santana aveva tenuto gli occhi chiusi per tutta l’esibizione dell’amica, lasciandosi invadere dalla sua voce e dalle parole della canzone.
Strinse forte le palpebre per ricacciare indietro le lacrime.
Sollevò lo sguardo e vide che Brittany la guardava, mentre tornava a sedersi accompagnata dagli applausi entusiasti dei compagni.
Anche i suoi occhi azzurri erano pieni di lacrime non versate.
La bionda si sedette accanto al suo ragazzo voltandole le spalle.
Interrompere il contatto con quegli occhi fu come vedere il cielo oscurarsi.
Santana tornò a concentrarsi su Rain che stava chiedendo se ci fossero altri volontari.
Tina si alzò e prese posto al piano.
“Ho preparato una canzone di uno dei miei gruppi preferiti, gli Evanescence. Vorrei dedicarla al mio ragazzo, Mike.”
E ti pareva.. figuriamoci se miss occhi a mandorla non si metteva a dedicare una canzone smielata a mister occhi a mandorla.
Pensò incrociando le braccia sul petto.
L’asiatica posò le dita sui tasti e iniziò a suonare una lenta melodia, seguita dai ragazzi della band con gli archi.
 
Under your spell again
I can’t say no to you
Crave my heart
And it’s bleeding in your hand
I can’t say no to you
 
Shouldn’t have let you
Talk to me so sweetly
Now I
Can’t let go off this dream
I can’t breathe
 
But I feel
Good enough
I feel good enough
For you
 
Drink up sweet decadence
I can’t say no to you
And I’ve completely lost myself
And I don’t mind
I can’t say no to you
 
Shouldn’t have let you
Conquer me completely
Now I
Can’t let go off this dream
I can’t believe
 
That I feel
Good enough
I feel good enough
It’s been such a long time coming
But I feel good
 
And I’m still waiting
For the rain to fall
Pour real life
Down on me
Cause I can’t hold on
To anything
 
That’s good enough
Am I good enough?
For you to love me to?
 
So take care
Of what you ask of me
Cause I can’t say no
 
La canzone finì e Santana si rese conto di aver tenuto tutto il tempo lo sguardo puntato su Brittany.
Sentì qualcosa di umido su una guancia e si affrettò ad asciugarsi quell’unica lacrima disubbidiente che le era sfuggita, ringraziando del fatto di essere seduta in fondo alla classe, dove nessuno la poteva vedere.
Nessuno tranne Rain, che l’aveva tenuta d’occhio e ora le rivolgeva un sorriso incoraggiante, carico di comprensione.
Sentì un forte moto di affetto verso quella giovane donna che nonostante i suoi problemi personali faceva così tanto per lei, pur essendo entrata nella sua vita solo da pochi giorni.
“Bravissima Tina, davvero una canzone stupenda, è una delle mie preferite, sai. – commentò l’ex- soldato alzandosi e guadagnando il centro dell’aula – bene ragazzi, domani tornerà il prof. Schuester, quindi questa è la mia ultima lezione.”
Un coro di proteste deluse si levò dalla classe.
“Domani ci vedremo comunque, perché farò da assistente a Will. Inoltre abbiamo ancora il nostro spettacolo da mettere su.”
Rain fece una pausa, mentre i ragazzi commentavano eccitati.
“Mi è piaciuto molto lavorare con voi, in questa settimana ho imparato a conoscervi, a rispettarvi e ad apprezzarvi, perciò non credete di liberarvi di me tanto facilmente, non è affatto escluso che torni a trovarvi una volta o l’altra.”
La campanella suonò, coperta dagli applausi e i ragazzi si avviarono all’uscita.
La raggiunse e si appoggiò al piano.
“Dì un po’.. cos’era quel pezzo che hai fatto con Britt?”
Rain la guardò storto, con uno dei suoi mezzi sorrisi.
“Ieri è venuta da me dopo la lezione e mi ha detto che aveva trovato una canzone che le sarebbe piaciuto presentare al Glee. Ma visto che non si esibisce spesso in assolo, e che in effetti la canzone è un duetto, mi ha chiesto se potevo cantare con lei.”
“E tu hai accettato.”
“Mi sembra evidente..”
“Potevi anche dirmelo.”
“No, non potevo, Brittany mi ha chiesto di non dire niente a nessuno, voleva che fosse una sorpresa. Dovresti essere contenta, non ci sono dubbi su chi fosse indirizzata..”
Commentò dandole un colpetto a una spalla, per poi tirare fuori il cellulare dalla tasca e leggere un messaggio.
“A Burt è arrivato il pezzo di ricambio che mi serviva – le disse – devo passare in officina a sistemare la mia macchina, sono stufa di girare con il pickup, non mi è mai piaciuto.. anche se speravo di portare avanti i lavori di ristrutturazione.
Ti accompagno da me, o a casa o da qualche altra parte, prima di andare?”
In quel momento un’idea lampante le attraversò la mente.
“No, vai pure, oggi mi devo fermare qui in biblioteca per preparare una ricerca.. ci vediamo più tardi da te.”
Rain la scrutò dubbiosa, era evidente che aveva capito che stava architettando qualcosa.
Santana pregò che la ragazza decidesse di non indagare.
“Va bene, allora ci vediamo stasera. Ciao ragazzina.”
“Ciao, a più tardi.”
La salutò.
Appena l’ex-soldato fu uscita dall’aula canto, la latina estrasse il cellulare ed avviò una chiamata in teleconferenza, mentre un ghigno le si disegnava sulle labbra.
 
 
 
 
Angolo  della pazza.
 
Dunque sono le 3.52 e come al solito sto delirando invece di dormire…
 
Il titolo del capitolo è di una canzone dei The Script.
La canzone che canta la nostra Brittbritt è “Misery” di P!nk con Steven Tyler degli Aerosmith, canzone che io trovo assolutamente STUPENDA andatevela a sentire..
Non so se si adatta molto alla voce di Britt, ma l’ho scelta principalmente per  il significato del testo..
Per Tina invece ho scelto “Good Enough” degli Evanescence, anche in questo caso la scelta è basata principalmente sul significato del testo e sulla sua attinenza con la storia, ma mi pare che la voce di Tina si sposi abbastanza bene con quella di Amy Lee e poi lei mi sembra parecchio tipo da Evanescence, no?!
 
Il prossimo capitolo probabilmente sarà dal punto di vista di Rain, o forse farò un misto, non ho ancora ben deciso..
Cosa starà architettando San???
Lo scoprirete presto..
Alla prossima bacio.
WilKia >.<
 
P.S.
Grazie mille a chi mi ha lasciato due parole di commento ai capitoli precedenti, in particolare a leti_angels che li ha recensiti quasi tutti..
Voi altri che mi leggete, dai, non fate i pigroni, la vostra opinione mi interessa, il vostro parere mi può aiutare a migliorare, non vi chiedo dei poemi, ma almeno due paroline piccinepiccinepicciò potete lasciarle, no??
Ok smetto di tediarvi.
Baci. 

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Capitolo 12
*** Fall to Pieces ***


Come preannunciato
questo capitolo è un miscuglio
tra il punto di vista di San e quello di Rain.
Spero non venga fuori un casino.
Il titolo è di una canzone dei Velvet Revolver,
ma mentre scrivevo ascoltavo
la versione acustica che c’è nell’album solista di Slash,
cantata da Myles Kennedy..
comunque entrambe le versioni sono stupende
e si adattano perfettamente all’atmosfera del capitolo.
Enjoy
WilKia >.<
 
 
Fall to Pieces
 
 
 
Per tutto il tragitto fino all’officina, Rain si domandò cosa stesse architettando Santana.
Era sicura che la mente diabolica della latina fosse impegnata in qualche piano, poco prima di lasciarla le aveva visto passare negli occhi lo stesso lampo che l’aveva poi portata ad essere incastrata nel ruolo di supplente del Glee.
“Ehi, Burt.”
Salutò scendendo dal pickup.
“Ciao”
“Ho fatto il pieno al pickup, è di nuovo tutto tuo.”
Burt sogghignò.
“Non vedevi proprio l’ora di liberartene eh?!”
“Niente di personale, è solo che mi manca la mia bimba.”
Rispose rivolgendo uno sguardo amorevole alla sua auto.
“Bene, allora vedi di rimetterla in pista.”
Commentò l’uomo lanciandole il pezzo che le serviva.
Rain lo prese al volo, indossò la tuta da lavoro sopra ai suoi vestiti e si tuffò nel cofano dell’auto mettendosi all’opera.
“Ehi, Kurt. Vieni, voglio farti conoscere una persona.”
L’ex-soldato riemerse dal motore della sua macchina, sentendo una coppia di passi che si avvicinava.
“Kurt, questa è Rain. Rain, mio figlio Kurt.”
Si pulì le mani in uno strofinaccio e porse la destra al ragazzo che si trovò di fronte.
Capelli castani perfettamente in ordine, occhi chiari, allegri e molto intelligenti, vestito con cura e uno stile decisamente personale.
“Così sei tu la novità più sensazionale di Lima. – commentò il ragazzo ricambiando la sua stretta di mano – i miei amici non fanno che parlare di te e di come stai gestendo il Glee.”
Rise imbarazzata.
“Spero non mi abbiano massacrata troppo..”
“Stai scherzando? Sono tutti entusiasti. – assunse un’espressione malinconica – mi sarebbe piaciuto poter assistere anche io alle tue lezioni..”
“Bhè ormai ho quasi finito il mio impegno al Glee, dalla settimana prossima sarò a lavorare qui anche al pomeriggio.. sempre che tuo padre voglia che continui a lavorare per lui.. – aggiunse guardando Burt – se vuoi un giorno potrei portare la chitarra e potremmo cantare insieme. O meglio ancora, potremmo organizzare qualcosa anche con i ragazzi, che ne dici?”
“Sarebbe fantastico! – rispose il ragazzo con un sorriso enorme, per poi rivolgersi al padre – guai a te se non la tieni a lavorare qui, non ti rivolgerei più la parola.”
Burt rise.
“Tranquillo, piccolo. Questa settimana è stata qui solo alla mattina e mi ha già aiutato a smaltire i due terzi del lavoro arretrato, non me la lascio certo scappare.”
“Ottimo, Ora devo proprio andare, mi aspettano.. in un posto – si inceppò per un solo attimo, ma la cosa a Rain non sfuggì – e sono in ritardo. Piacere di averti conosciuta, Rain.”
“Piacere mio, Kurt. E per favore salutami tutti, in particolare Santana..”
“Certo, lo far.. aspetta un attimo. Come facevi a sapere che devo vedermi con loro?”
Fece spallucce.
“Ho molte capacità.”
Esclamò con il suo mezzo sorriso.
 
“Era ora che arrivassi, nanerottola. Mancavi solo tu!”
Disse Santana con il solito tono acido che usava per rivolgersi a Rachel.
“Scusate, non trovavo dei vecchi vestiti adatti alla situazione.. roba che non mi preoccuperei di rovinare”
Rispose la cantante rivolgendosi a tutti i presenti.
“Era questo il tuo problema Berry? Potevi benissimo pescare a caso dal tuo armadio, rovinare uno qualsiasi dei tuoi indumenti sarebbe un guadagno più che una perdita! – sogghignò la latina – Bene, sapete tutti perché siamo qui. Questa è una lista delle cose più urgenti, come vedete il lavoro non manca, quindi sceglietevene una e iniziate a darvi da fare.”
I ragazzi si divisero in gruppetti di due o tre, sparpagliandosi ad occuparsi dei vari compiti.
Stavano lavorando da circa un’ora quando Santana sentì da fuori la voce di Puck che la chiamava.
Si sporse dalla finestra.
“Che c’è Puck?”
“C’è qui un tizio che ha portato un pacco enorme e c’è da firmare.. vieni giù tu?”
“Arrivo. Kurt, finisci tu qui?”
“Sì, sì. Non ti preoccupare, tanto non è rimasto molto da fare.”
Scese ed andò incontro al pony express che la stava aspettando con una grossa scatola tra le mani.
“Puck, prendila tu e portala dentro.”
Dispose mentre firmava per la consegna.
Rientrò e scrutò lo scatolone  con aria critica.
“Ehi, qui c’è un biglietto. – disse Puck – dice: credo sia giusto che questi li abbia tu. R.”
“Nient’altro?”
“No, niente.”
“Ok, adesso non c’è tempo per risolvere il mistero, abbiamo ancora un sacco di lavoro da fare.”
“Adoro quando ti metti a dare ordini.”
Commentò il ragazzo rivolgendole uno sguardo malizioso e tornando al suo incarico all’esterno.
Scosse la testa alzando gli occhi al cielo e, dopo un ultimo sguardo al pacco misterioso, tornò anche lei al lavoro.
 
“Ok, prova adesso..”
Disse a Burt, seduto nell’abitacolo della sua auto.
L’uomo girò la chiave nel quadro e, dopo aver tossicchiato un paio di volte, il motore si avviò rombando.
“Sì! È un piacere risentire la tua voce, piccola.”
Controllò bene che tutto funzionasse a dovere, poi chiuse il cofano, dando un paio di pacche affettuose alla carrozzeria.
Burt spense il motore ed uscì lanciandole le chiavi.
“Per oggi direi che hai lavorato abbastanza, portala a fare un giro.”
“Sicuro? Se hai bisogno di me, posso rimanere ancora un po’. C’è quella vecchia ford che avrebbe proprio bisogno di una controllata..”
“Sparisci, soldato.”
Rain saltellò, rivolgendo all’uomo un sorriso, uscì dalla tuta da lavoro e si fiondò al volante.
“Grazie, Burt, ci vediamo domattina.”
“Ciao, Rain.”
 
Santana stava fissando i barattoli di vernice domandandosi quale colore sarebbe stato più adatto.
“Io direi di usare il giallo. È un bel colore. Mi fa pensare all’allegria.”
Disse Brittany affiancandosi a lei e sollevando un secchio di vernice.
“Dici che ci starebbe bene?”
“Ne sono sicura!”
Confermò porgendole il secchio.
“D’accordo – sospirò prendendolo – allora, giallo sia. Meglio che mi metta subito al lavoro, rischio di non finire in tempo.”
“Se vuoi posso aiutarti io, di là ho finito e in due faremo prima.”
Si offrì la bionda.
Si morse un labbro, non era sicura che fosse una buona idea.
Apparentemente Brittany considerò il suo silenzio come un assenso, perché prese due pennelli e la precedette nella stanza.
Fece un profondo respiro e la seguì.
“Allora, direi di iniziare da questo angolo – dispose, cercando di non pensare al fatto che erano da sole nella stessa stanza per la prima volta da quando le aveva confessato i suoi sentimenti – poi io girerò in un senso e tu nell’altro, così faremo due pareti a testa per poi incontrarci all’altro angolo..”
“Ok.”
Rispose la bionda intingendo il pennello nella vernice gialla e iniziando a dipingere la parete.
Lavorarono sodo, senza parlare, scambiandosi solo qualche sguardo e qualche sorriso, quando si incontravano al centro della stanza per intingere i pennelli nel colore.
Poco meno di un’ora dopo avevano finto.
Chissà come, Brittany era riuscita a far finire su di sé tanta vernice quanta ne aveva messa sul muro.
“Guardati, sei tutta gialla..”
Le disse non riuscendo a trattenere un sorriso dolce.
“Mi sono adattata alla stanza – rispose la bionda come se fosse la cosa più ovvia del mondo – tu, invece, non ti sei applicata abbastanza..”
Continuò indicando i suoi vestiti che presentavano solo alcune goccioline gialle qua e là.
“Aspetta, ti aiuto io.”
Prima che potesse realizzare cosa stesse accadendo, Brittany si era avvicinata a lei e le aveva appoggiato il palmo della mano, completamente ricoperto di vernice fresca, sul viso, per poi allontanarsi ed osservare il risultato come avrebbe fatto un pittore con il suo quadro.
Rimase un attimo interdetta dal gesto dell’amica, poi le sue sopracciglia si incurvarono pericolosamente e la bionda si voltò ridendo e iniziò a scappare.
“BRITT! Questa me la paghi!”
Urlò partendo all’iseguimento.
 
Girò per le strade di Lima per circa un’ora, con la musica a tutto volume.
Le piaceva guidare, girare da sola per la strada, sentire l’asfalto correre via sotto le ruote, cantando a squarciagola e battendo il tempo sul volante.
Alla fine si decise a tornare al 212 di Lima Heights, per rimettersi al lavoro sulla catapecchia in cui era costretta a vivere.
Voltò l’angolo e aggrottò le sopracciglia confusa, sembrava che ci fossero delle persone nel giardino della casa e sembravano molto indaffarate.
Man mano che si avvicinava le sembrò di conoscere quelle persone.
Fermò l’auto davanti al cancello e uscì spalancando gli occhi, vedendo Noah Puckerman e Finn Hudson sporchi di vernice ed impegnati a ridipingere la facciata della casa.
In quel momento una Brittany ricoperta di vernice gialla uscì in giardino ridendo a crepapelle, inseguita da Santana con in mano un pennello sporco della suddetta vernice e un’espressione assassina stampata in faccia.
In realtà in faccia aveva stampata anche l’impronta gialla di una mano che Rain sospettò appartenere proprio alla bionda.
Le due ragazze si rincorsero facendo un paio di giri intorno alla casa, alla fine Brittany la vide ed inchiodò e Santana le piombò addosso di slancio.
Si sbilanciarono e cominciarono a rotolare a terra in un groviglio di capelli neri e biondi, ridendo come Rain non aveva mai sentito ridere Santana.
Vedendole così non riuscì a trattenere un sorriso.
Erano davvero fatte l’una per l’altra e chiunque non se ne accorgesse era cieco e sordo.
In quel momento Brittany si ricordò di lei ed alzò la testa per guardarla.
Scattò in piedi e le corse incontro gettandosi tra le sue braccia.
“Ciao Rain! Finalmente sei tornata, ti piace come sta venendo la casa? San ha avuto davvero una bella idea vero?!”
Rain rimase spiazzata dall’accoglienza della bionda.
Si irrigidì ritrovandosela addosso così all’improvviso, se avesse dato retta al suo istinto probabilmente l’avrebbe sollevata in aria per poi schiantarla sull’asfalto.
Calma Rain, concentrati e limitati a ricambiare l’abbraccio.
Vide Santana osservarla un po’ spaventata con una mano sulla bocca.
Si rilassò e le rivolse un sorriso per tranquillizzarla, mentre ricambiava l’abbraccio di Brittany.
La bionda la lasciò, afferrandole però la mano e trascinandola nel giardino dove si stavano radunando anche tutti gli altri ragazzi del Glee, più Kurt che le rivolse un cenno di saluto con la mano.
Rain si guardò intorno sopraffatta, non poteva credere che Santana avesse organizzato tutto quello per lei, tanto meno che i suoi compagni avessero accettato e che avessero fatto un lavoro così ben fatto.
“Ragazzi.. io, non so che dire, davvero. Sembra un’altra casa, non posso credere a quello che avete fatto.”
Riuscì a dire guardando la casa ammirata e commossa.
Si girò verso Santana e si avvicinò a lei.
“E tu..”
La strinse forte e sentì che la latina ricambiava il suo abbraccio, appoggiandole la testa su una spalla.
“Grazie. - sussurrò al suo orecchio – ti voglio bene.”
La ragazza la strinse un po’ più forte a quelle parole.
“Ti voglio bene anche io.”
Un altro paio di braccia si  strinsero intorno a loro, accompagnate da un forte odore di vernice.
“Britt! – protestò l’ispanica – così ci macchierai completamente.”
“Pazienza – commentò Rain, ridendo – tanto peggio di così.”
Altre braccia le circondarono, finché si ritrovarono tutti stretti in un abbraccio di gruppo.
“Grazie, ragazzi. Grazie davvero!”
Dopo alcuni istanti si sciolsero da quella stretta.
“Bene – disse Santana – noi non abbiamo ancora finito qui. Quindi perché non vai a prendere delle pizze per tutti, mentre facciamo gli ultimi ritocchi?!”
“Mi sembra un’ottima idea.”
Più tardi avevano improvvisato un allegro pic-nic a base di pizza e coca cola nel giardino dietro alla casa.
Rain aveva anche acceso un piccolo falò intorno a cui si erano riuniti.
Alla fine avevano tirato fuori le chitarre ed avevano iniziato a cantare, mentre Brittany giocava felice con Kirk, osservata a distanza da Santana.
Dopo cena le fecero fare il giro della casa per mostrarle i frutti del loro duro lavoro.
Santana sapeva dove teneva il suo fondo ristrutturazioni e avevano fatto una colletta per raccogliere qualche soldo in più, dopo di che aveva diviso i soldi e spedito Kurt, Mercedes e Quinn a cercare gli arredi, mentre Mike, Artie e Puck si occupavano degli attrezzi e delle vernici.
Lei e gli altri intanto avevano smantellato le stanze.
Rain non poteva credere ai suoi occhi.
Avevano tolto la vecchia carta da parati ammuffita e ritinteggiato le pareti.
Tende leggere di colore rosso scuro erano drappeggiate alle finestre e la casa era stata arredata giusto con i mobili essenziali, e con grande semplicità.
Il salotto era caldo e accogliente, tutta la casa lo era.
Guardandosi intorno e vedendo quei ragazzi che invece di passare il pomeriggio a divertirsi, avevano lavorato sodo per lei, per la prima volta in vita sua Rain si sentì davvero a casa.
 
Più tardi i ragazzi salutarono lei e Santana profondendosi in numerosi abbracci e tornarono alle rispettive dimore.
Dopo aver chiuso la porta Rain tornò in cucina e si aprì una birra.
“Ehi.”
Disse Santana entrando in cucina.
“Ehi, ragazzina..”
Rispose prima di bere un lungo sorso.
“Tutto bene?”
Per tutta risposta Rain appoggiò la bottiglia sul tavolo, coprì in un istante la distanza che le separava e la strinse in un forte abbraccio.
La latina rimase un’attimo interdetta da quel gesto da parte dell’ex-soldato, prima di ricambiare l’abbraccio.
“Nessuno – disse allontanandosi quel tanto che le bastava per guardare l’ispanica negli occhi – nessuno aveva mai fatto per me una cosa del genere, in tutta la mia vita. Grazie Santana.”
La strinse di nuovo.
Santana ricambiò l’abbraccio commossa, non immaginava che per Rain il gesto suo e dei ragazzi avrebbe significato tanto.
“Quasi dimenticavo – esclamò anche un po’ per smorzare tutta quella tensione emotiva – oggi è arrivato un pacco per te..”
“Un pacco?”
“Già, l’ho messo di là.“
Si spostarono in sala e la latina le consegnò lo scatolone.
Rain lo studiò corrucciata. Staccò il biglietto e lesse il breve messaggio.
Santana la vide adombrarsi.
“Vado a dare del latte a Kirk..”
Disse per lasciarle un po’ di privacy.
“Rimani pure, ragazzina. Ma grazie del pensiero.”
L’ex-soldato prese un coltello e tagliò accuratamente il nastro adesivo che lo avvolgeva.
Poi sollevò il coperchio con la stessa espressione di un artificiere impegnato a scoperchiare una bomba.
Rain trattenne il fiato davanti al contenuto e Santana fece lo stesso.
Lo scatolone era pieno zeppo di vinili.
Led Zeppelin, AC/DC, Guns & Roses, Aerosmith, la collezione completa degli album dei Queen e molti altri ancora, tutti lì in quello scatolone spedito da chissà chi.
Rain estrasse un paio di dischi e li osservò con espressione assorta.
“Posso?”
Chiese Santana a bassa voce, quasi temendo di disturbarla.
L’ex-soldato si limitò ad annuire.
La latina sollevò un disco dallo scatolone e lo guardò, era un disco originale, prima edizione, un pezzo da collezione. Doveva valere un sacco di soldi.
Prese un altro disco, anche quello prima edizione e così tutti gli altri che esaminò.
Ad un tratto sollevando un disco si accorse di qualcosa di strano.
Lo spessore era uguale a quello di tutti gli altri, ma era più pesante, come se ci fosse qualcos’altro dentro.
Osservò la copertina.
Era “Innuendo” dei Queen, uno degli album più belli mai pubblicati.
Aprì la custodia e osservò all’interno.
“Rain, qui dentro c’è qualcosa..”
Disse porgendole il disco.
“Oh, Innuendo. – commentò l’ex-soldato prendendolo – È con questo album che ho scoperto i Queen, Storm me lo fece ascoltare il giorno che ci siamo conosciute..”
Rain guardò dentro la custodia e si gelò.
Tese la mano e capovolse il disco lasciandosi cadere sul palmo il piccolo oggetto che conteneva.
Era chiuso in una bustina di plastica perché non rovinasse il disco.
Rain aprì il sacchettino ed estrasse ciò che conteneva con mani tremanti.
Si rigirò il piccolo oggetto tra le dita guardandolo con gli occhi sgranati che lentamente si riempivano di lacrime.
Poi Santana lo vide, quello sguardo perso.
Rain indietreggiò fino ad un angolo e si lasciò cadere a terra, raccogliendo le ginocchia al petto e mettendosi le mani sulle orecchie come per ripararle da suoni troppo forti per essere tollerati.
Santana le si avvicinò lentamente e si inginocchiò di fronte a lei.
“Rain.”
Cercò i suoi occhi con i propri.
“Avanti, guardami. Rain.”
“Storm..”
Sussurrò la ragazza.
“Cosa? No Rain, sono io, Santana.”
Con estrema delicatezza le prese i polsi e portò le sue mani verso di sé, per poi stringerle nelle sue.
A quel contatto, Rain sembrò ritornare al presente e il suo sguardo ritrovò lentamente lucidità.
“Ehi.”
Disse piano.
“Ehi, ragazzina.”
La latina sospirò di sollievo sentendosi chiamare così.
“Lo sai, dovresti smetterla di fare così, ogni volta mi fai perdere degli anni di vita da quanto mi spaventi.”
“Scusa.”
“Che cosa succede, Rain? Di chi sono quei dischi? Chi te li ha mandati?”
“Sono di Storm.. ha sempre detto che avrei dovuto farmi una collezione di dischi seria. È stata Reneè, lei me li ha mandati.”
“Chi è Reneè?”
“La compagna di Storm.”
“Non capisco, se Storm voleva regalarteli perché non te li ha mandati lei?”
Rain fissò il pavimento.
“Non poteva..”
“Che significa che non..”
Santana si interruppe quando vide una goccia cadere a bagnare il pavimento.
“Rain?”
Un’altra goccia si unì alla prima.
“Rain, che succede?”
L’ex-soldato allungò la mano verso di lei e lasciò cadere nel suo palmo l’oggetto che stava ancora stringendo.
Si trattava di una medaglia d’oro a forma di croce, decorata da una striscia di tessuto che riproduceva la bandiera americana.
L’ispanica se la rigirò tra le mani e notò l’incisione sul retro.
Diceva
Comandante L. E. O’Ryan “Storm”
Per il suo sommo sacrificio.
“Oh, Rain..”
La strinse forte tra le braccia mentre la ragazza si abbandonava ad un pianto disperato.
“Io ci ho provato – singhiozzò – io ho davvero tentato in ogni modo, ma non sono arrivata in tempo..”
Scivolò lentamente fino a sdraiarsi a terra appoggiando la testa sulle sue ginocchia.
Santana non sapeva cosa fare.
Cosa si può dire a qualcuno che ha vissuto una cosa del genere? Non ci sono parole adatte.. qualsiasi cosa io possa dire suonerebbe come una banalità, una frase fatta..
Le accarezzò i capelli, cullandola dolcemente.
E ricordò cosa le aveva detto Rain quando era stata lei a crollare, la prima mattina che avevano passato insieme.
“Va tutto bene, sono qui con te. Sfogati, lasciati andare. Ti tengo io.”
Rain pianse come non aveva mai fatto.
Non sul campo di battaglia, quando era successo. Non alla funzione funebre, quando aveva lasciato le sue piastrine nella bara di Storm, legandosi al collo quelle dell’amica. Aveva versato solo poche lacrime, quelle che nonostante tutti i suoi sforzi si erano ostinate a cadere, mentre il trombettista suonava “Il Silenzio” e lei consegnava la bandiera ripiegata a Reneè.
Storm non l’avrebbe voluta vedere piangere.
Lentamente riuscì a calmarsi.
“Ti va di parlarne?”
Sussurrò Santana, dopo vari minuti di silenzio, senza smettere di passarle le dita tra i capelli.
Rain sospirò.
Non era facile, ma si teneva tutto dentro da troppo, rischiava di esplodere.
“Ok, tranquilla. Quando vorrai, sai dove trovarmi, ok? E giusto nel caso che non ti ricordassi, ti basterà cercare la strafiga dai capelli neri che regna incontrastata al McKinley.”
La vide ridacchiare sommessamente alla sua battuta, prima di prendere un lungo respiro profondo.
“Avevamo localizzato una prigione militare, dove sapevamo essere detenuti alcuni dei nostri – iniziò con voce stentata – Storm guidava la missione, io ero il suo secondo, come al solito. Doveva essere una missione piuttosto semplice, avevamo un gancio all’interno. Dovevamo semplicemente entrare, prendere i nostri e uscire, un gioco da ragazzi.”
Sbuffò, soffiando forte, come per cacciare via il nodo che le stringeva la gola, rendendole difficile parlare.
“Purtroppo il nostro gancio faceva solo finta di essere passato dalla nostra parte e, una volta entrati, ci ritrovammo nel bel mezzo di un’imboscata coi fiocchi. Fu un vero inferno, c’erano pochissimi ripari e alcuni di noi non ebbero nemmeno il tempo di accorgersi di cosa stesse accadendo.
Non so bene come, ma nonostante l’effetto sorpresa, alla fine eravamo riusciti ad avere la meglio e avevamo recuperato i nostri uomini.”
Non riuscì a trattenere le lacrime, che ripresero a scorrere sul suo viso.
“Ci eravamo aperti un varco per la ritirata, quando un tizio è spuntato fuori dal nulla e mi ha puntato il mitra addosso. Credevo fosse arrivata la mia ora. Ho sentito gli spari e – singhiozzò – lei si è gettata davanti a me, ed è stata colpita in pieno, al posto mio.”
Santana ascoltava in silenzio, senza riuscire a sua volta a trattenere le lacrime.
“Indossava il giubbetto antiproiettile, ma un colpo l’ha raggiunta ad una spalla ed un altro alla coscia – continuò tra i singhiozzi – non riusciva a camminare, non riusciva nemmeno ad alzarsi. Ci stavano circondando. Allora ho mollato tutto, liberandomi di tutto il peso che potevo, anche dell’antiproiettile, me la sono caricata sulle spalle e ho iniziato a correre. Poi ho sentito un’esplosione e mi sono gettata a terra, ci stavano lanciando dietro delle granate. Ho perso la presa su di lei e siamo ruzzolate in direzioni diverse, mentre le granate ci piovevano addosso.
Alcune schegge mi avevano colpita alla schiena, ma al momento non ci ho fatto neanche caso. Mi sono rialzata per correre a riprenderla, ma uno di loro mi aveva raggiunto e mi aveva afferrata.
Abbiamo lottato e alla fine ho avuto la meglio, ma quando sono riuscita a raggiungere Storm..
era già in shock, priva di conoscenza. Me la sono ricaricata in spalla, riprendendo a correre, ma quando abbiamo raggiunto i soccorsi, non c’era più nulla da fare, se n’era andata. Il proiettile che l’aveva colpita alla gamba le aveva reciso l’arteria femorale, aveva perso troppo sangue.”
Fece una pausa, per riprendersi dallo sforzo immane che le era costato fare quel racconto.
“Avevo riportato delle ferite, così mi mandarono a casa insieme a lei. Due settimane dopo ho chiesto ed ottenuto il congedo.. e sono scappata in Italia.”
Sospirò, asciugandosi le lacrime che ancora sfuggivano dai suoi occhi.
Si sentiva svuotata.
A parte che con Reneè, e in un freddo ed impersonale rapporto militare, non aveva mai parlato con nessuno di quella notte.
Le dita di Santana che continuavano a passarle tra i capelli le davano un conforto inatteso.
“Non sapevo che le avessero assegnato la medaglia al valore, Reneè non me lo ha mai detto, non capisco perché l’abbia voluta dare a me..”
“Io lo capisco..”
Girò la testa per intercettare gli occhi neri dell’ispanica.
“L’ha voluta dare a te, perché non ti sei arresa – le spiegò asciugandole le lacrime con un dito – perché non ti sei preoccupata di quello che poteva accaderti, ma hai fatto tutto ciò che potevi per riportarla a casa.”
“Ma non ci sono riuscita..”
“Hai tentato, e anche se lei non c’è più, almeno grazie a te, ha potuto riposare in un luogo in cui chi la amava può andarla a trovare.”
Rain chiuse gli occhi. Non era più tornata sulla sua tomba, non ce l’aveva fatta.
“Ehi – la richiamò Santana -  mi sembri esausta e si è anche fatto piuttosto tardi. Vieni, andiamo a dormire.”
Si alzò e si lasciò guidare fino in camera, dove si gettò sul letto senza nemmeno cambiarsi. La latina si accoccolò accanto a lei, appoggiando la testa sulla sua spalla e stringendola forte.
Entrambe erano ancora sporche della vernice gialla che Brittany aveva lasciato loro addosso con i suoi abbracci, ma non ci fecero caso.
A pensarci bene, Santana era contenta di addormentarsi con almeno un po’ d’allegria addosso.
 
 
 
Angolo della pazza
 
Eccoci qua..
 
Capitolone  lungo e piuttosto pesante, da leggere, anche da scrivere, credetemi!
Mi sono dovuta fermare un paio di volte e ricordare a me stessa che è tutto soltanto un parto della mia mente malata..
Questo è probabilmente l’ultimo aggiornamento che faccio per le prossime due settimane visto che sono in partenza e non so se avrò modo di connettermi, e ci tenevo a lasciarvi qualcosa di significativo, spero di essere riuscita nel mio intento..
comunque tenterò almeno di portarmi avanti con la scrittura in modo di avere qualcosa da postarvi al mio ritorno :D
grazie mille a chi mi ha seguita fin qui, grazie millemila a chi mi ha fatto anche sapere cosa pensa dei miei deliri, vi voglio strabene.
Vi prego fatemi sapere cosa pensate anche di questo, perché amo profondamente questo capitolo, e ci tengo a conoscere il vostro parere.
Alla prossima.
Besitos
WilKia >.< 

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Capitolo 13
*** Who Knew ***


Who Knew
 
 
Santana sentì uno strano ronzio e qualcosa di morbido sfregò contro il suo viso facendole il solletico.
Aprì gli occhi e si trovò naso a naso con Kirk che, dopo averla studiata per un secondo, sfregò la testolina contro la sua guancia facendo le fusa.
Ridacchiò regalandogli una generosa grattata dietro alle orecchie, dopo di che il gattino se ne andò via, soddisfatto.
Osservò Rain che stava ancora dormendo e si sentì stringere il cuore al ricordo di ciò che l’amica le aveva raccontato la sera precedente.
Per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, la vide dormire davvero profondamente, come se il racconto del giorno prima l’avesse sfinita, privandola anche delle forze che le permettevano di rimanere all’erta anche durante il sonno.
Vedendola dormire così tranquillamente, si rese conto di quanto in realtà fosse giovane.
Aveva solo 23 anni, e quando aveva la sua età era già nell’esercito da un anno.
Si chiese cosa l’avesse portata a fingersi più grande e ad andare a rischiare la sua vita sui campi di battaglia.
Una lama di luce filtrava dalla finestra, risalendo lentamente il letto fino a posarsi sul volto della giovane donna.
Sentì il braccio intorno alle sue spalle stringere leggermente la presa su di lei, poi gli occhi castani di Rain si aprirono lentamente e incontrarono i suoi, la luce del sole conferì loro una profonda tonalità di verde cupo.
“Buongiorno.”
Le disse sbadigliando, sembrava ancora sfinita.
“Buongiorno a te. Come ti senti?”
Domandò dopo un attimo di esitazione.
Rain guardò il soffitto con aria assente.
“Meglio di quanto pensassi.. non ne avevo mai veramente parlato con nessuno. Credo che mi abbia fatto bene.”
Santana le rivolse uno sguardo stupito.
“Nel senso che non mi ero mai sfogata fino a ieri sera.. – spiegò – ho dovuto parlarne nel rapporto militare che ho consegnato dopo la missione, ma quella era una semplice descrizione fredda e lucida dei fatti, niente di più. Poi ho dovuto raccontarlo a Reneè, non avrei permesso a nessun altro di farlo. E non potevo lasciarmi andare con lei, capisci? Dovevo essere forte, per lei.”
Sospirò forte nel silenzio che era calato.
“È stata colpa mia.”
Sussurrò con voce rotta.
Santana alzò lo sguardo e vide grosse lacrime scorrere sul volto di Rain.
“No, ehi. Non dire così, non è vero.”
Si sollevò e la abbracciò.
“Sì, è così. Se solo fossi stata più attenta a quello che mi succedeva intorno, se avessi capito ciò che intendeva fare..”
Per la seconda volta l’ispanica si ritrovò a domandarsi cosa avrebbe potuto dirle, senza cadere in frasi fatte o banalità, così si limitò a stringerla più forte, invitandola in quel modo a lasciarsi andare e sfogare il dolore che si era tenuta dentro fino ad allora.
“Non è giusto.. – bisbigliò Rain contro la sua spalla – sarebbe dovuto toccare a me, non a lei. Non ha alcun senso che io sia ancora qui, mentre Storm è morta.”
Santana poteva sentire le sue lacrime bagnarle la pelle attraverso la stoffa della maglietta, mentre la ragazza piangeva piano.
Non c’era disperazione nel suo pianto, solo rassegnazione, malinconia e un profondo senso di colpa che l’ex-soldato si era trascinata dietro per tutto quel tempo, alimentandolo nella sua solitudine e nel suo esilio auto inflitto.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero che Storm sia morta – si fermò un attimo per cercare le parole giuste – Dal poco che mi hai raccontato, doveva essere davvero una donna eccezionale.”
Le prese il viso gentilmente, ma con fermezza e la costrinse a incontrare il suo sguardo.
Probabilmente più per la sorpresa per quel gesto, che per altro, le lacrime di Rain si fermarono.
“E non credo che vorrebbe sentirti dire che si è sacrificata per niente, se l’ha fatto è perché ti voleva bene e perché aveva visto qualcosa in te.. Storm ti ha fatto un dono, non sprecarlo continuando a colpevolizzarti.
Tanto per dirne una, se tu non fossi sopravvissuta, non saresti potuta essere in quel bar.. e non oso immaginare cosa sarebbe stato di me se tu non ci fossi stata quella notte..”
Le posò lievemente le labbra sulla fronte e la strinse, mentre Rain rispondeva con forza al suo abbraccio.
L’ex-soldato rimase ancora un momento tra le sue braccia, poi si alzò asciugandosi gli occhi ed andò verso la porta.
“Sono contenta di essere entrata in quel bar, davvero.”
Disse, girandosi ad incontrare il suo sguardo.
“Sì, anche io.”
Le rispose, mentre spariva nel corridoio.
 
Quel pomeriggio il Glee si riunì in auditorium per le prove generali dello spettacolo e per mostrare a Mr. Schue come avevano lavorato in sua assenza.
Il professore si dimostrò a dir poco entusiasta del lavoro svolto da Rain e per quel giorno si limitò a fare da spettatore lasciando ancora a lei la gestione del club.
Le prove andarono bene, senza intoppi e Mr. Schue applaudì elettrizzato a tutte le esibizioni, riservando una standing ovation al numero finale di gruppo.
“Lavoro davvero eccellente ragazzi. Rain, non so davvero come ringraziarti!
Grazie al tuo contributo questo spettacolo sarà davvero epico.”
“Hanno fatto tutto i tuoi ragazzi, io mi sono limitata a dare loro una mano..”
Rispose modestamente l’ex-soldato.
“Avrei una domanda.”
Rain che ormai si era abituata a quella frase pronunciata da quella voce in particolare alzò gli occhi al cielo e si voltò.
“Sì, Rachel?”
“Esattamente questo spettacolo dove dovrebbe tenersi? E per chi?”
Scambiò uno sguardo con Will e il professore la invitò a parlare con un gesto della mano.
“Avrete l’onore di esibirvi per un pubblico esclusivo, una vera elite.. – fece una pausa ad effetto guardando i ragazzi uno ad uno – terremo lo spettacolo nell’auditorium del centro veterani di guerra dell’Ohio a Cleveland.”
I ragazzi si misero a saltare, applaudendo e urlando entusiasti, le trasferte erano sempre le benvenute.
La campanella suonò a decretare la fine dell’ultima lezione di Rain alla guida del Glee club e i ragazzi si strinsero in un abbraccio di gruppo intorno a lei.
 
La mattina dopo si ritrovarono tutti di buon ora nel parcheggio della scuola e si arrampicarono nel pulmino militare che era stato messo loro a disposizione dal centro veterani.
Rain si presentò in uniforme accolta da una salva di applausi, fischi e commenti vari riguardanti il suo abbigliamento e si mise al volante, mentre il prof Schue si occupava dell’appello.
Il viaggio fu allegro, i ragazzi si sbizzarrirono a cantare qualsiasi cosa gli passasse per la mente, mescolando tutti i generi musicali.
Trovarono anche il tempo di ripassare le canzoni che avrebbero eseguito durante lo spettacolo e alcuni dormirono un po’.
Tre ore dopo, in perfetto orario, arrivarono al centro veterani di guerra. Rain scortò i ragazzi nelle due stanze che erano state messe a loro disposizione come camerini e accompagnò il prof Schue a conoscere gli organizzatori, dopo di che lo lasciò in platea e raggiunse i ragazzi dietro le quinte.
“Allora, tutti pronti?”
Dodici teste annuirono contemporaneamente, alcune più convinte di altre.
Santana le rivolse un sorriso incoraggiante.
“Bene, sapete tutti cosa dovete fare e quando dovete entrare.
Indipendentemente da come andrà lo spettacolo oggi, sono fiera di avervi conosciuti e di aver lavorato con voi questa settimana.
Queste persone ne hanno viste di tutti i colori, quindi non sono facilmente impressionabili, ma sono sicura che voi ci riuscirete, perciò ora andiamo là fuori e diamo tutto quello che abbiamo. Forza, qui le mani!”
Esclamò tendendo la destra davanti a sé e invitando i ragazzi a unirsi a lei.
“FACCIAMOLO!”
Gridarono in coro.
Rain sollevò il pollice verso di loro e raggiunse il palco.
L’accolse un applauso pacato.
La ragazza si mise sull’attenti e rivolse un saluto militare al pubblico.
“Buongiorno signori. A nome delle Nuove Direzioni vi ringrazio per averci invitati a cantare per voi, speriamo che lo spettacolo sia di vostro gradimento. Prima di cominciare vorrei invitarvi ad alzarvi tutti in piedi e rendere omaggio a tutti coloro che non possono essere qui oggi, perché non hanno fatto ritorno.”
Tutti scattarono sull’attenti e portarono la destra alla fronte nel saluto militare.
“Ai nostri fratelli caduti. – disse portando una mano sul cuore dove teneva, in una tasca interna, la medaglia al valore di Storm – questa musica è anche e soprattutto per voi.”
Imbracciò la chitarra e iniziò a suonare, mentre sullo sfondo scorrevano le foto di alcuni dei caduti dell’Ohio di vari conflitti.
 
You took my hand
You showed me how
You promised me you’d be around
Oh, oh that’s right
I took your words and I believed
In everything you said to me
Oh, oh that’s right
 
If someone said three years from now
You’d been long gone
I’d stand up and punch them out
Cause they’re all wrong
I know better
Cause you said forever
And ever..
Who knew?
 
Remember when we were such fools
And so convinced
And just too cool
Oh no, no, no
I wish I could touch you again
I wish I could still call you friend
I’d give anything
 
When someone says
Count your blessing now
‘Fore they’re long gone
I guess I just didn’t know how
I was all wrong
But they knew better
Still you said forever
And ever..
Who knew?
 
I’ll keep you locked in my head
Until we meet again
And tell me
Until we meet again
And I won’t forget you my friend
What happened?
 
If someone said three years from now
You’d been long gone
I’d stand up and punch them out
Cause they’re all wrong
And that last kiss I’ll cherish
Until we meet again
And time makes it harder
I wish I could remember
But I keep your memory
You visit me in my sleep
My darling
Who knew?
My darling I miss you
My darling
Who knew?
 
La fine della canzone venne salutata da un applauso commosso e Rain lasciò il palco dopo un inchino.
Come fu dietro le quinte Santana le andò incontro e la strinse in un breve abbraccio.
“Stai bene?”
Le chiese preoccupata.
Si limitò ad annuire.
Gli occhi neri della latina cercarono i suoi.
Le rivolse uno dei suoi mezzi sorrisi.
“Ok, così va meglio.”
Disse rispondendo al suo sorriso, stava per dire altro, ma Rain la interruppe.
“Dovresti prepararti, tra poco tocca a te.”
Santana colse il messaggio.
Dopotutto lei e Rain erano molto simili, raramente permettevano a qualcuno di avvicinarsi abbastanza da conoscerle veramente, sembrava quasi incredibile che due persone così guardinghe nei confronti degli altri si fossero avvicinate tanto l’una all’altra in così poco tempo.
Santana sapeva che insistere non sarebbe servito a nulla, quindi annuì e tornò dai suoi compagni che stavano facendo le ultime prove.
 
I ragazzi diedero il massimo e ricevettero molti applausi.
Il numero di Puck accompagnato dalla coreografia di Brittany e Mike riscosse un grande successo, ma gli applausi non furono risparmiati per nessuno.
Alla fine Rain ritornò sul palco accompagnata da tutte le Nuove Direzioni.
Per il numero conclusivo avevano tutti indossato una semplice maglia bianca e dei pantaloni in tessuto mimetico.
La banda dell’esercito al completo li raggiunse sul palco e iniziò a suonare.
Puck partì con la prima strofa.
 
I could stay awake
Just to hear you breatin’
Watch you smile while
You are sleepin’
While you’re far away
And dreamin’
 
Finn si inserì al posto dell’amico.
 
I could spend my life
In this sweet surrender
I could stay lost in this moment forever
Every moment spent with you
Is a moment I treasure
 
Le voci di tutto il Glee si unirono.
 
I don’t wanna close my eyes
I don’t wanna fall asleep
Cause I’d miss you baby
And I don’t wanna miss a thing
Cause even when I dream of you
The sweetest dream would never do
I’d still miss you baby
And I don’t wanna miss a thing
 
La voce di Rachel prese il sopravvento.
 
Lying close to you
Feelin’ your heart beating
And I’m wanderin’
What you’re dreamin’
 Wanderin’ if it’s me
You’re seeing
 
Fu il turno di Mercedes.
 
And then I kiss your eyes
And thank God
We’re together
And I just wanna stay with you
In this moment forever
Forever and ever
 
I don’t wanna close my eyes
I don’t wanna fall asleep
Cause I’d miss you baby
And I don’t wanna miss a thing
Cause even when I dream of you
The sweetest dream I never do
I’d still miss you baby
And I don’t wanna miss a thing
 
Le voci di Rain e Santana si levarono insieme, mentre gli occhi della latina cercavano istintivamente Brittany.
 
And I don’t wanna miss one smile
I don’t wanna miss one kiss
And I just wanna be with you
Right here with you
And just like this
And I just wanna hold you close
And feel your heart so close to mine
And just stay here
In this moment
For all the rest the time
Yeah
 
I don’t wanna close my eyes
I don’t wanna fall asleep
Cause I’d miss you baby
And I don’t wanna miss a thing
Cause even when I dream of you
The sweetest dream I never do
I’d still miss you baby
And I don’t wanna miss a thing
 
Gli applausi scrosciarono copiosi nell’auditorium e i veterani si alzarono in una standing ovation, mentre le nuove direzioni si stringevano per mano, inchinandosi sorridenti.
Non poteva esserci una migliore iniezione di autostima in vista delle regionali.
 
Il viaggio di ritorno fu ancora più allegro dell’andata, ma a metà strada l’adrenalina cominciò a defluire dai ragazzi, lasciando il posto a una stanchezza soddisfatta, che fece scivolare nel sonno la maggior parte di loro.
Era ormai ora di cena quando arrivarono a Lima.
Il Professor Schuester era così soddisfatto dello spettacolo, che volle offrire a tutti la cena da Breadstix, con somma gioia dei ragazzi e in particolare di Santana.
 
Il sole stava tramontando quando Rain fermò l’auto davanti al 212 di Lima Heights Adjacents stiracchiandosi con uno sbadiglio esausto.
Era stata una lunga giornata.
“Che hai da guardare, ragazzina?”
Domandò sentendosi puntati addosso gli occhi neri di Santana.
“Niente, stavo solo pensando..”
La latina si interruppe cogliendo con la coda dell’occhio un movimento nel vialetto della casa dell’amica e voltandosi a guardare.
Rain si sporse in avanti per vedere cosa avesse attirato la sua attenzione e si gelò.
Sentendola irrigidirsi accanto a lei Santana si voltò appena in tempo per vederla scendere dall’auto con movimenti meccanici e raggiungere il centro del vialetto dove una bambina sui 3 – 4 anni le corse incontro, gettandosi ad abbracciarle le gambe.
“Zia Rain!”
Gridò felice stringendole le piccole braccia al collo, mentre l’ex-soldato la sollevava.
Santana intanto le aveva raggiunte e osservava la scena tenendosi in disparte.
“Ciao piccola peste.”
Esclamò Rain con un sorriso, velato di tristezza.
“Chi è quella?”
Chiese la bambina curiosa, indicandola con fare cospiratorio.
L’ex-soldato sembrò ricordarsi all’improvviso della sua presenza e le rivolse uno sguardo imbarazzato.
“Lei è una mia amica – spiegò sistemando una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio della bambina – perché non vai a presentarti?”
Suggerì adagiandola a terra.
La piccola si avvicinò a lei e le tese la manina paffuta.
“Ciao, io sono Evelyn. Tu sei un’amica di zia Rain?”
Le chiese seria, puntando nei suoi, gli occhi pieni di intelligente curiosità, erano bellissimi, di un verde impressionante.
“Sì. Mi chiamo Santana.”
Le rispose, stringendo delicatamente quella manina nella sua.
“Allora se sei una sua amica, puoi chiamarmi Evy.”
Esclamò, mentre il suo visino serio si apriva in un bellissimo sorriso a cui la latina non riuscì a non rispondere con uno dei suoi.
“E tu puoi chiamarmi San.”
I suoi occhi seguirono lo sguardo di Rain che era ancora immobile in mezzo al vialetto e guardava una donna alzarsi dai gradini del portico di casa sua ed avvicinarsi.
Aveva i capelli rossicci, ma gli occhi erano dello stesso bellissimo verde di quelli della bambina, sebbene sembrassero velati dalla malinconia e da un profondo dolore.
“Ciao, Rain. – disse semplicemente – cavolo, è parecchio difficile trovarti..”
Aggiunse con un sorriso stanco.
Rain la fissò negli occhi.
“Ciao, Reneè.”
 
 
Angolo della pazza
 
Saaaaalveeee!!
Come va?
Ebbene sì sono tornata.
Durante le mie vacanze ho scritto poco e niente e quel poco mi faceva anche abbastanza schifo, ma pur avendo affrontato 4 – 5 ore di viaggio per tornare a casa stanotte non sono proprio riuscita a prendere sonno e alle 3.22 del mattino mi sono rimessa al pc sperando che mi avrebbe aiutata a stancarmi abbastanza da farmi almeno addormentare sulla tastiera, e invece all’alba delle 6.07 ho finito di sfornare sto capitoletto di transizione..
Vi dirò il risultato non è che mi soddisfi poi più di tanto, mi sembra decisamente moscio.. che ne dite?
 
Coooomunqueeeee..
Le canzoni sono “Who Knew” di P!nk e “I don’t want to miss a thing” degli Aerosmith.
 
GraziegraziegraziegrazieGRAZIEEEEEEE
Per le recensioni al cap precedente. Tornare a casa e trovarle è stato un bellissimo regalo di fine vacanza per me vi amoooooo!!
 
Grazie per chi mi ha letto fin qui e grazie a chi mi lascerà un commento su sto delirio scritto ad un orario davvero indecente anche per i miei standard.
Chiudo baci e abbracci.
WilKia >.< 

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Capitolo 14
*** You'll be Fine ***


You’ll be Fine
 
 
 
Lo sguardo di Santana passava continuamente dalla bambina, a Rain, alla donna che stava di fronte all’ex-soldato.
La voce di Rain era rimasta ferma, tranquilla, mentre parlava con la bambina e salutava la donna, ma Santana stava ormai imparando a decifrare il linguaggio del corpo dell’amica e vedeva tutti i piccoli segni che indicavano che era ad un passo dal crollare e stava facendo uno sforzo immane per non infrangersi in mille pezzi.
Le due donne si fissavano in silenzio, studiandosi.
Santana si sentì tirare per la mano e seguì la bambina verso di loro.
“Mamma, mamma – esclamò indicandola con il ditino – lei è San.”
Gli occhi verdi della donna si posarono sulla figlia e un po’ della tristezza che il velava scomparve.
Poi rivolse la sua attenzione a lei.
Decise di rompere il ghiaccio.
“Santana.”
Si presentò porgendole la mano.
“Piacere, io sono Reneè.”
“È tanto che aspettate?”
Chiese Rain.
“In effetti siamo qui già da un po’..”
“Venite, entriamo.”
Disse avviandosi a grandi passi verso la casa.
Santana la seguì osservandola preoccupata.
“Vedo che hai ricevuto il mio pacco..”
Commentò Reneè, una volta dentro, avvicinandosi al mobiletto in cui Rain aveva sistemato i dischi e accarezzandoli con lo sguardo.
“Già, immagino che, quando mi sono arrivati, mi sarei dovuta aspettare una tua visita.”
Evy entrò correndo in salotto, stringendo un indignatissimo Kirk che tentava in ogni modo di liberarsi dalle sue braccia.
“Mamma, mamma, guarda! Zia Rain ha un gattino.”
Le due donne sorrisero e Rain andò a sedersi a gambe incrociate davanti alla bambina, sottraendo la povera bestiola dalla sua stretta impacciata.
“Attenta, piccola peste, così rischi di fargli male.”
Disse con affetto.
“Ma lui si agita, scappa e non vuole giocare con me”
Rispose la piccola mettendo su il broncio.
Il gattino si appollaiò su un ginocchio dell’ex-soldato, lisciandosi il pelo.
“Vedi, piccola.. i gatti sono animali molto indipendenti e orgogliosi – spiegò regalandole una carezza – non li si può costringere a fare qualcosa che non vogliono. Ma ti svelerò un segreto.”
Continuò avvicinandosi di più a lei.
La bimba pendeva letteralmente dalle sue labbra e la fissava ad occhi sgranati.
“Sono estremamente curiosi. Quando trovano qualcosa di nuovo, devono subito studiarlo per capire di cosa si tratta e fanno così anche con le persone. Se tu lo lasci tranquillo, verrà lui a cercarti per capire chi sei. All’inizio sarà diffidente..”
“Cosa vuol dire?”
“Vuol dire che gli servirà un po’ di tempo per fidarsi di te. ma quando avrà capito che tu vuoi solo coccolarlo e giocare con lui ed essere sua amica, allora diventerà l’amico migliore che tu possa avere. Ma ricordati sempre di rispettarlo e di lasciargli la sua libertà, perché se lo costringerai a rimanere vorrà scappare, ma se lo lascerai libero di andare e venire come vuole, ritornerà sempre da te.”
Le scompigliò i capelli con una mano, sorridendo.
“Capito?”
“Sì.”
“Brava. Ora dammi la mano.”
La piccola allungò la manina verso di lei, fiduciosa. Rain la prese e la guidò sotto il nasino roseo di Kirk, che incuriosito iniziò ad annusarla meticolosamente, scatenando le risa deliziate di Evy.
“Mi fai il solletico.”
Il gattino continuò la sua ispezione,sporgendosi in avanti e in poco tempo si spostò completamente in braccio alla bambina che prese ad accarezzarlo delicatamente.
Santana osservò l’espressione estasiata con cui Rain osservava la bimba.
Era evidente che l’adorava e che le era mancata.
“Allora, dove sei stata tutto il giorno?”
Chiese Reneè, quando l’ex-soldato lasciò Evy a divertirsi con Kirk.
“Cioè siete state qui ad aspettarmi tutto il giorno?”
Chiese lei incredula.
“Bhè, più o meno. Siamo arrivate in città stamattina e ci è voluto un po’ per trovare casa tua, quando si è fatto mezzogiorno e tu non eri ancora comparsa siamo andate a mangiare e abbiamo fatto un giro. Siamo tornate qui verso le 16 e siamo rimaste ad aspettare.”
Rain scosse la testa incredula.
“Complimenti per la pazienza.”
“Non è stato facile trovarti, sarei rimasta ad aspettare anche fino a domani se fosse stato necessario.”
Lo sguardo deciso nei suoi occhi verdi non lasciava dubbi che l’avrebbe fatto davvero.
“Ero a Cleveland, ho accompagnato Santana e i suoi compagni al centro Veterani.”
Spiegò la ragazza indicandola con un cenno della testa.
“Non mi dirai che ti sei messa ad insegnare al liceo..”
Esclamò Reneè in tono divertito.
“No, no. Assolutamente..”
Fece un lungo sospiro come se fosse riluttante ad aggiungere altro.
“Rain si è occupata di gestire il Glee Club nella mia scuola questa settimana.”
Intervenne Santana con un tono che sembra quasi dire “La cosa ti crea problemi? Bhe risolviteli.”
Non conosceva Reneè, ma non le era piaciuto come si era comportata prima mandando quel pacco a Rain e poi imponendole la sua presenza presentandosi a casa sua senza nessun preavviso.
La donna batté le palpebre confusa dal suo tono aggressivo, poi sorrise voltandosi di nuovo a scrutare il volto di Rain.
La latina rimase sconcertata dalla dolcezza di quel sorriso.
“Ti si addice. – poi si rivolse ancora a lei – e dimmi, come se l’è cavata?”
“È stata grande.”
Rispose guardando l’ex-soldato.
“Non sarebbe potuto essere altrimenti.”
Commentò la donna.
“Quindi eravate a Cleveland per un’esibizione?”
Domandò ancora.
Chiacchierarono tranquillamente per un po’, Rain preparò dei panini per le due ospiti inattese, mentre Santana raccontava dello spettacolo e Reneè fece varie domande anche sul Glee e su come Rain fosse finita a gestirlo, per poi ridere di gusto quando l’ex-soldato le spiegò come la latina l’avesse incastrata.
Nonostante la tranquillità apparente, Santana poteva sentire il disagio quasi palpabile che pervadeva la stanza, era evidente che le due donne si stessero rifugiando nelle banalità per evitare argomenti molto più dolorosi.
A un certo punto Evy si avvicinò alla madre stropicciandosi gli occhi.
“Mammina, ho sonno.”
Esclamò sbadigliando.
“Vieni qui, nuvoletta.”
Disse Reneè sorridendole e prendendola tra le braccia per iniziare a cullarla dolcemente.
“Si è fatto tardi, sarà meglio che andiamo a cercarci un albergo per la notte.”
“Se non avete prenotato da nessuna parte è inutile che vi mettete a cercare a quest’ora. – disse Rain – rimanete, il posto non mi manca.”
“Grazie Rain, ma..”
“Niente ma. – la interruppe – non ti lascio andare in giro a quest’ora e con la mia nipotina che crolla di sonno.”
La donna si arrese.
“D’accordo.
Vieni, nuvoletta, andiamo a fare la nanna.”
“Voglio la zia Rain.”
Borbottò la bimba assonnata.
Reneè sollevò lo sguardo ad incontrare quello del’ex-soldato, che sorrise ed annuì allungando le braccia per prenderla.
“Vieni qui piccola peste, andiamo a dormire nel lettone.”
Si alzò e si arrampicò su per le scale con la piccola in braccio.
“Eccoci qui – esclamò sollevando le coperte e facendo sedere Evy sul bordo del letto – per prima cosa via queste.”
Le slacciò una scarpa, sfilandogliela dal piedino e poi se la portò al naso annusandola per poi gettarla via con aria schifata.
“Bleah, che puzza – commentò tappandosi il naso mentre la bimba rideva – ma hai dei topi morti al posto dei piedi?”
“Non è vero, i miei piedi non puzzano – esclamò Evy ridendo - senti.”
Le sventolò un piedino sotto il naso.
“Ah, mi vuoi uccidere? Ma tu guarda, ti sembra questo il modo di trattare la tua povera zia?”
“Sì!”
“Ma davvero? E allora io ti mangio.”
Gridò saltando sul letto con lei e iniziando a mordicchiarle i piedini, per poi farle il solletico, mentre Evy rideva a crepapelle.
“Ok piccola peste, ora basta giocare. E’ ora di fare la nanna.”
Disse dopo un po’, rimboccandole le coperte e dandole un bacio sulla fronte.
“Zia Rain, mi canti una canzone?”
Chiese la piccola trattenendola con la manina, prima che si allontanasse.
“Certo, nuvoletta.”
 
You’re so perfect heaven blessed
Never felt a love like this
Why you?
Why now?
So helpless
Sound so crazy I must confess
There ain’t a thing I wouldn’t sacrifice
Cause I won’t let you go without a fight
 
Pieces of a dream unfolded
What happened to the fairytales
Words of love are never spoken
Things in life aren’t always fair
I’ll protect you and I’ll guide you
And I’ll give you all the love that is mine
Just know, in time you’ll be fine
 
Places, faces aren’t to blame
I promise forever my love won’t change
Be strong, hold on
Don’t let go
What’s a perfect ending
No one knows
There ain’t a thing I wouldn’t sacrifice
Cause I won’t let you go without a fight
 
Pieces of a dream unfolded
What happened to the fairytales
Words of love are never spoken
Things in life aren’t always fair
I’ll protect you and I’ll guide you
And I’ll give you all the love that is mine
Just know, in time you’ll be fine
 
You’re so perfect heaven blessed.
 
 
Appena Rain scomparve con la bambina in braccio, un silenzio imbarazzato calò nella stanza.
“Allora – chiese la donna – tu e Rain vi conoscete da molto?”
“No, in realtà ci siamo incontrate solo la settimana scorsa.”
Un’espressione stupita si dipinse sul volto di Reneè.
“Eppure tu sai chi sono, vero?”
La latina si limitò ad annuire.
“Wow..”
Commentò con uno sguardo pieno di curiosità, sembrava studiarla in cerca di un qualche segreto.
“Qualcosa non va?”
“Scusa, è che… Rain non è il tipo di persona che si apre con chiunque, sono solo stupita.
Posso chiederti come vi siete conosciute?”
Santana le fece un rapido riassunto della rissa nel bar e Reneè si mise a scuotere la testa ridendo.
“È proprio tipico di Rain, quando entra nella vita di qualcuno le piace farlo con stile..”
“Ero con lei quando ha ricevuto il tuo pacco.”
La interruppe, gli occhi neri puntati nei suoi, le sopracciglia aggrottate.
“Non le ha fatto bene.”
Reneè abbassò la testa e fissò il tavolo.
“Continua a darsi la colpa di ciò che è successo, vero?”
Annuì.
“E che mi dici di te? Anche tu lo fai?”
Chiese con voce dura.
Sapeva che la donna che aveva davanti ne aveva passate tante, sapeva che aveva perso la sua compagna, ma lo sguardo perso di Rain era ancora troppo vivido nella sua mente, i suoi singhiozzi disperati risuonavano ancora nelle sue orecchie e sentiva ancora il tocco delle sue lacrime sulla pelle.
“No, non l’ho mai fatto. Avrei voluto, sarebbe stato più facile. Ma so che non è stata colpa sua.
So che ha tentato di salvarla.”
Sospirò.
“Non era mia intenzione farle male – continuò – ma sapevo che Storm avrebbe voluto che avesse lei quelle cose.”
“Avresti potuto fargliele avere in un altro modo, farle trovare così quella medaglia è stato un colpo basso. Non hai idea dello stato in cui si è ridotta quando l’ha vista.”
Reneè la fissò sorpresa e dispiaciuta, come se non avesse considerato che il suo gesto avrebbe potuto fare tanto male alla ragazza.
“Mi dispiace, avrei dovuto pensarci – sospirò – so cosa provava per lei. Avrei dovuto ricordarmene quando ho deciso di spedirle quelle cose.”
“Tu.. tu lo sai?!”
Annuì.
“L’ho capito subito, fin dal momento in cui l’ho conosciuta. Il modo in cui la guardava.. all’inizio non mi fidavo di lei, ma non ha mai fatto niente per mettersi tra di noi. Anzi, quando abbiamo avuto dei problemi Rain ha sempre fatto il tifo per noi, ci è stata accanto nelle nostre battaglie, ha sofferto e gioito con noi.. la migliore amica che potessimo avere.
Quando poi è successo.. mi è stata accanto, vedevo che soffriva, ma si è sempre occupata solo di Evy e di me, non ha mai ceduto, è stata l’ancora che mi ha impedito di andare alla deriva. – tirò su con il naso e si asciugò una lacrima che era scesa a rigarle il volto. – finché una mattina, quando avevo iniziato a stare meglio, trovai un peluche a forma di drago sul seggiolone di Evy e un biglietto che diceva solo ciao nuvoletta e capii che era andata via.”
Un suono di passi che scendevano le scale attirò la loro attenzione ed entrambe si affrettarono a ricomporsi.
“Evy vorrebbe Palla di Fuoco e anche una delle tue bellissime storie.”
Disse Rain entrando, rivolta a Reneè.
“Io adesso esco un attimo per riaccompagnare Santana, torno presto.”
“Ok, a dopo allora.”
Rispose tirando fuori un piccolo drago viola dalla sua borsa, poi si avvicinò di nuovo a lei porgendole la mano.
“È stato un piacere conoscerti Santana, spero di rivederti presto.”
Dall’espressione nei suoi occhi capì che era sincera.
“Sì, anche io.”
Le rivolse un sorriso e poi si affrettò a raggiungere sua figlia di sopra.
Non appena Reneè se ne fu andata, Santana si avvicinò a Rain e la strinse in un abbraccio.
Come sempre la sentì irrigidirsi un po’, prima di ricambiarlo.
“Ehi, a cosa devo questo trattamento?”
Chiese con tono divertito.
“Mi sembrava solo che ne avessi bisogno.”
Le braccia forti della donna la strinsero un po’ di più, mentre sospirava.
“Avevi ragione.
È stata un lunga giornata.. vieni, ti accompagno a casa.”
Non avrebbe voluto lasciarla da sola, ma probabilmente lei e Reneè avevano bisogno di parlare a quattr’occhi.
Passeggiarono con calma lungo la via deserta, senza parlare.
Ci misero poco per arrivare a casa sua.
“Buonanotte.”
La salutò l’ex-soldato voltandosi per tornare.
“Rain.”
La richiamò.
“Dimmi.”
Chiese senza girarsi.
“Starai bene?”
Si girò quel tanto che le bastava per rivolgerle il suo mezzo sorriso.
“Per qualunque cosa, io sono qui. Ok?!”
Annuì.
“Grazie, Santana.”
Rimase sul portico ad osservarla allontanarsi, finché non venne inghiottita dalla notte.
 
 
Angolo della pazza
Hey, come va??
Rieccoci con un capitolo decisamente più denso del precedente.
Spero che desti anche più interesse..
La canzone che Rain canta a Evy e che dà il titolo al capitolo è di Anastacia.
 
Recensite, recensite, recensite.
 
Baciotti
 
WilKia >.< 

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Capitolo 15
*** Ti Sento ***


Ti Sento
 



Rain si sedette sugli scalini del portico e inspirò a fondo l’aria fresca della notte.
Avrebbe voluto scappare, mettersi a correre e continuare finché le gambe l’avessero retta.
Si prese il volto tra le mani.
Che cazzo di situazione!
Si passò le dita tra i capelli.
Sentiva un peso sul petto e una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
Aveva un urlo incastrato tra le corde vocali, che spingeva forte le pareti della sua gola e premeva verso l’alto tentando di forzare le sue labbra per uscire e spezzare il silenzio della notte.
Chiuse il pugno intorno alle piastrine che aveva appese al collo, strinse così forte da farsi male.
Storm, ti prego aiutami, perché non so se ce la faccio ad entrare lì dentro, non so se ne ho la forza.
Hai visto la vostra nuvoletta come si è fatta grande? Mi dispiace tanto di esserle stata lontana, non intendevo abbandonarla, ma non ce la facevo davvero più, avevo bisogno di stare un po’ per conto mio..
È davvero stupenda, tra qualche anno farà strage di cuori, sarà una preda ambita, ma non ti preoccupare, ci penserò io a minacciare i suoi pretendenti al posto tuo.
Una lieve brezza si sollevò e la avvolse.
Chiuse gli occhi immaginando di sentire in quel vento leggero un paio di braccia che la stringevano confortanti.
Quel pensiero alleviò un po’ la sua tensione.
Sentì il cellulare vibrare e un paio di note si levarono dalla sua tasca.
Lo prese e osservò lo schermo che indicava una chiamata persa.
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso quando lesse il nome di Santana sul display e il peso che le stringeva il petto si alleviò un poco.
Non era ancora pronta ad entrare, non poteva ancora affrontare quegli occhi verdi e il dolore che vi leggeva in fondo, non era pronta ad essere forte per loro.
Aveva bisogno di qualcosa che la calmasse, che l’aiutasse ad alleviare la tensione e conosceva una sola cosa in grado di farlo.
Si alzò ed aprì il baule della macchina tirando fuori la chitarra, per poi lasciarsi cadere di nuovo sui gradini.
Sfiorò le corde per assicurarsi che fosse accordata e poi, pensando alla sensazione che il vento le aveva ispirato, iniziò a suonare.
 
Ti sento
Nell’aria che è cambiata
Che anticipa l’estate
E  che mi strina un po’
Io ti sento
Passarmi nella schiena
La vita non è in rima
Per quello che ne so
 
Ti sento
Nel mezzo di una strofa
Di un pezzo che era loffio
E adesso non lo è più
Io ti sento
Lo stomaco si chiude
Il resto se la ride
Appena arrivi tu
 
Qui con la vita non si può mai dire
Arrivi quando sembri andata via
Ti sento dentro tutte le canzoni
In un posto dentro
Che so io
 
Ti sento
E parlo di profumo
Ti infili in un pensiero
E non lo molli mai
Io ti sento
Al punto che disturbi
Al punto che è già tardi
Rimani quanto vuoi
 
Qui con la vita non si può mai dire
Arrivi quando sembri andata via
Ti sento dentro tutte le canzoni
In un posto dentro che so sempre io
Oh, oh
 
Io ti sento
C’ho il sole dritto in faccia
E sotto la mia buccia
Che cosa mi farai?
 
Pizzicò gli ultimi accordi.
“Evy si è addormentata?”
Reneè rise.
“Come un sasso. Vedo che non hai perso il tuo tocco.. fa piacere sapere che certe cose non cambiano.”
Si era accorta che era lì e che aveva ascoltato quasi tutta la canzone.
Ripose la chitarra nella sua custodia e si girò a guardarla.
“Mi piace quando canti in Italiano. Piaceva anche a lei.”
“Lo so.”
“Diceva sempre che la tua voce sembrava provenirti direttamente dall’anima quando lo facevi, ma finora non avevo mai capito cosa intendesse.”
“Perché sei qui Reneè?”
“Evy sentiva la mancanza della sua zia preferita.”
Il telefono vibrò di nuovo e Rain lesse il messaggio che aveva ricevuto.
 
Rain è tutto il giorno che non sento Reneè.
Credo che la settimana scorsa abbia trovato il tuo indirizzo quando è passata da me, quindi è probabile che venga a cercarti.
F.
 
Ah adesso ti svegli..
Pensò.
 
Grazie dell’avvertimento, scoppiata.
Potevi dirmelo prima che me la trovassi davanti alla porta di casa..
Ci sentiamo presto.
R.
 
“Fammi indovinare.. Frenzy?”
“Già, quella stordita di Fren si è accorta che non ci sei e mi ha avvertito che probabilmente saresti venuta qui.”
“In ritardo come al solito..”
“Già, tipico di Fren.”
Sorrise ripensando all’amica.
“Reneè, perché sei venuta?”
Chiese di nuovo.
“Ero preoccupata per te, Rain. Quando sei sparita.. non sai quanto mi sono spaventata, ho pensato di tutto, ho temuto che ti fossi fatta del male. Sono stata in ansia finché Fren non mi ha detto che era in contatto con te e che stavi bene.”
Sospirò.
“Scusa, non volevo che ti preoccupassi, ma..”
“Ho capito perché te ne sei andata, quello che non capisco è perché hai chiuso ogni contatto con noi? Perché ho potuto avere solo vaghe notizie di seconda mano di te?”
“Perché io.. – si interruppe cercando le parole – avevo bisogno di tempo per me, per rimettere insieme i miei pezzi. Sapevo che non sarebbe stato facile per voi, ma ormai eravate in grado di cavarvela anche senza di me. Ma se mi fossi tenuta in contatto, se avessi sentito di nuovo la voce adorabile di quella piccoletta, non ce l’avrei fatta a restare lontana. Non volevo che lei mi vedesse crollare e ormai non avrei resistito ancora a lungo e lo sai anche tu.”
Concluse abbassando gli occhi.
Reneè si sedette accanto a lei.
“Mi chiedevo se quell’episodio avesse avuto qualcosa a che fare con la tua partenza improvvisa..”
Evitò i suoi occhi.
“Rain, guardami.”
Sospirò forte e poi intercettò il suo sguardo.
“Non è stata colpa tua. La cosa è partita da me.”
“Ma io ho partecipato.”
“Ma ti sei anche fermata e hai fermato me, prima che potessimo fare qualcosa di cui poi ci saremmo davvero pentite.”
“Non cambia il fatto che noi..”
“È stato solo un bacio, Rain.”
“Se la memoria non mi inganna non è stato solo un semplice bacio.”
“Ok era più di un bacio, erano molti baci, ma se ricordi bene in quel periodo non eravamo.. come dire.. emotivamente stabili.”
“Non mi va di parlarne Reneè.”
Disse abbassando lo sguardo.
Calò un silenzio imbarazzato.
“Tipetto interessante quella tua amica.”
Esclamò Reneè dopo alcuni minuti.
Sogghignò.
“Già.”
“Dì un po’ è di quel tipo che abbaia, ma non morde?”
“Oh, no – rispose ridendo – ti assicuro che abbaia E morde.”
Sollevò di nuovo gli occhi per incontrare i suoi.
“Perché questa domanda?”
“Prima, quando hai portato Evy a dormire, mi è quasi saltata in testa. Era arrabbiata per come ti ho fatto avere i dischi di Storm e lo era ancora di più per la medaglia.”
Al pensiero non riuscì a trattenere il suo mezzo sorriso.
“Già, Santana tende ad essere molto protettiva con le persone a cui tiene.”
“Sono contenta che tu abbia trovato una buona amica che si preoccupa per te. Te lo meriti.”
“Sei sempre stata qui? Tutto questo tempo?”
Chiese dopo un’altra pausa.
“No. Avevo bisogno di mettere il maggior numero di chilometri possibile tra me e il mio passato. Fino alla settimana scorsa ero in Italia.”
“Però, quando scappi lo fai davvero per bene.. cosa ti ha portata qui?”
“Se te lo dicessi, probabilmente non mi crederesti..”
Reneè le rivolse uno sguardo pieno di curiosità.
“Mio padre.”
Le sopracciglia della donna si incurvarono verso l’alto in un’espressione sbalordita.
“Te l’avevo detto che non mi avresti creduto..”
“L’hai visto? Hai.. hai parlato con lui?”
Scosse la testa.
“È morto. Mi ha lasciato lui questa casa. Ma non è per questa che sono tornata da questo lato dell’oceano e sono venuta fino in Ohio..”
“Perché allora?”
Sospirò, infilandosi una mano in tasca e ne estrasse quella lettera da cui non riusciva più a separarsi.
La guardò per un istante prima di darla a Reneè.
La donna la osservò in silenzio, poi puntò di nuovo gli occhi verdi nei suoi, come a chiederle il permesso.
Le fece un cenno di assenso.
Reneè dispiegò il foglio e iniziò a leggere.
La sua espressione passò dall’indignato, all’arrabbiato e infine al sorpreso.
“Non ci posso credere, che gran figlio di..”
Prese un bel respiro per controllarsi.
“Quindi sei qui per questo. Ed è questo il grande mistero su cui Fren sta lavorando, vero?”
“Lei mi sta dando una mano, sì. Sta facendo le sue magie informatiche frugando nei database in cerca di informazioni per me. Ma fin’ora non ha trovato niente.”
“E cosa pensi di fare se dovesse  avere successo?”
“Sinceramente?  - sospirò – Non ne ho la minima idea.. ma sai come sono, non mi piace pianificare troppo le cose, preferisco seguire l’istinto, se e quando ci saranno novità vedrò come comportarmi.”
Rimasero in silenzio ad osservare le poche stelle che si intravedevano, sbiadite per la luce dei lampioni.
Reneè si sbilanciò appena contro di lei, dandole un colpetto con la spalla.
“Mi sei mancata.”
“Anche tu.”
 
Lunedì mattina arrivò troppo presto per Santana.
Aveva dormito poco e niente quella notte.
Era troppo preoccupata per Rain e per di più si era ritrovata a dover dormire da sola in una casa deserta e nel suo letto.
Così si recò a scuola con un umore molto più irritabile del solito.
Appena arrivata si trovò davanti la scena raccapricciante di due ruote che entrava baldanzoso a scuola tenendo Britt seduta sulle sue ginocchia.
Si sfogò terrorizzando un gruppetto di ragazzine del primo anno che avevano avuto l’ardire di incrociare il suo sguardo.
Le cose non migliorarono, quando si recò in aula canto per la riunione del Glee.
Come al solito Sam si sedette accanto a lei cingendole le spalle con un braccio.
Dios mio! Que los nervios!
Poi il prof. Schuester era entrato in classe con la faccia da funerale dicendo che aveva ricevuto una lettera che li diffidava dal cantare “Sing” alle regionali e tanto per migliorarle ulteriormente la giornata la Berry aveva tirato fuori di nuovo la sua idea assurda di presentarsi alle regionali con delle canzoni originali.
“Chi vota contro questa proposta per la seconda volta?”
Domandò alzando la mano, seguita a ruota da gran parte dei suoi compagni.
E poi era successo l’incredibile..
Quinn Fabray si era schierata dalla parte della nanerottola e si era proposta di scrivere la canzone con lei.
Subito appoggiata da quel troglodita di Finn.
“No scusate, voi due scriverete pezzi per le regionali? Non se ne parla. Ognuno di noi dovrebbe scrivere una canzone.”
Sam per una volta si rese utile schierandosi con lei e il professore li congedò entusiasta per quell’iniziativa.
Si liberò di Sam e andò a mettere i libri nell’armadietto per poter andare subito da Rain e vedere come stava dopo la chiacchierata notturna che sicuramente aveva avuto con Reneè.
Stava armeggiando con il lucchetto quando Brittany la raggiunse.
“Ciao. Posso chiederti una cosa?”
Non rispose e continuò a litigare con il lucchetto.
“Mi sembra che non siamo più amiche come prima..”
“Aspetto ancora la domanda.”
Odiava fare la stronza con lei, ma proprio non era giornata. Non ce la faceva ad affrontare anche quegli occhioni azzurri che la scrutavano malinconici.
“Ho fatto qualcosa di male?”
Si voltò di scatto verso di lei.
“Ah guarda, non lo so. Secondo te? So solo che mi hai dato il ben servito per fare la badante ad Artie Abrams. Ok, peggio per te. Così potrò scrivere una bella canzone d’amore eterosessuale ispirata a Sam e la canterò alle regionali.”
“Stai ancora con Sam? Ma hai detto che sei innamorata di me..”
“Non so come mi sia saltato in mente. – esclamò ritornando a trafficare con il lucchetto, ma quello sguardo triste non la abbandonò – La smetti di fissarmi? Mi fai scordare la combinazione!”
“Ma guarda chi si vede.. abbiamo lady tonta e miss meloni contraffatti.”
Perfecto! Faltaba justo ella..
Pensò alzando gli occhi al cielo e voltandosi per fronteggiare Sue Sylvester.
Que he matado en mi vida anterior para merecer esto?
“Lei non può trattarci così, non è più la nostra coach!”
Sentire Brittany parlare in difesa di entrambe la stupì. Da quando avevano lasciato i Cheerios era sempre stata lei a tenere testa alla Sylvester.
Si voltarono di nuovo verso gli armadietti, mentre la loro ex-coach blaterava di tradimento e di giocare sporco, per poi allontanarsi con passo marziale.
Finalmente riuscì a inserire la combinazione del lucchetto ed aprì lo sportello.. e venne investita da una valanga di terriccio umido e maleodorante.
Si girò cercando di togliersi quella robaccia dagli occhi e vide che anche Brittany era ricoperta della stessa sostanza.
“Non ricordavo di averci messo dentro questa roba..”
Borbottò la bionda sputacchiando.
“Britt, è stata la Sylvester.”
La bionda la guardò confusa.
“L’ha fatto per vendicarsi. – richiuse l’armadietto con un colpo secco e prese la ragazza per mano dirigendosi verso gli spogliatoi – dai vieni, vediamo di darci una ripulita..”
Gli spogliatoi erano deserti, per fortuna: passare per i corridoi additata da tutti gli studenti che si trovavano sul loro percorso le era più che bastato.
Si tolse la camicia e la scrollò per togliere la terra che vi era rimasta attaccata, poi andò ad infilare la testa sotto la doccia per eliminare quella che le era rimasta tra i capelli e sul viso.
Prese un asciugamano per tamponarsi i capelli e quando si voltò rimase incantata.
Brittany era davanti a lei, mezza nuda e con un’espressione concentratissima sul volto imbronciato, mentre tentava di spazzolare via il terriccio dalla sua maglietta.
I suoi capelli e il suo viso erano ancora ricoperti di terra, eppure non le era mai sembrata tanto bella.
Si riscosse e prese un altro asciugamano, lo bagnò e si avvicinò a lei.
“Aspetta, ti do una mano.”
Passò delicatamente il telo umido sul viso della bionda che rimase ferma ad occhi serrati durante tutta l’operazione.
“Ecco fatto. – sussurrò passando un’ultima volta sulla punta del suo naso – tutta bella pulita.”
Brittany rise e riaprì gli occhi, fissandoli nei suoi.
Santana si perse in quei due pezzi di cielo.
“Grazie, San!”
Esclamò lei per poi avvicinarsi e abbracciarla.
Il suo cuore sembrò esplodere.
Quanto le era mancato quel contatto.
Respirò il profumo dei suoi capelli, che nemmeno l’odore del terriccio riusciva a coprire, ma improvvisamente ricordò la loro conversazione di poco prima.
Si riscosse e si sciolse dall’abbraccio.
“Scusa, ora devo proprio andare.”
Si voltò, recuperò la sua camicia e scappò via, inseguita dalla voce di Britt che la chiamava sempre più triste e sconfortata.
 
 
Angolo della pazza
 
Eccoci qui.. ho riletto gli ultimi due capitoli e con orrore mi sono resa conto di una cosa: NON HO PIU’ PARLATO DI BRITTANA AAAAAAHHHHH come è potuto succedere?? Come ho potuto fare qualcosa di così imperdonabile??
Chiedo umilmente perdono, mi sono lasciata coinvolgere troppo dalla storia di Rain che mi ha fuorviata, spero tanto che la seconda parte di questo capitolo sia sufficiente almeno perché iniziate a perdonarmi..
Ho mantenuto i dialoghi originali per le parti che ho preso dal TF (spero di non aver commesso errori..)
Bene, ora vado a fustigarmi, voi, invece, vi prego, lasciatemi due righe.
Anche solo per insultarmi della mia manchevolezza verso le nostre due ragazze.
(E che pensate di Reneè? E della piccola Evy?)
Bene chiudo qui.
Al prossimo capitolo
Besitos!!
WilKia >.<
 
P.S. quasi mi dimenticavo, che scema, la canzone che canta Rain e che dà il titolo al capitolo è di Ligabue. Se non la conoscete vi consiglio di andarvela a sentire perché è davvero bellissima :D 

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Capitolo 16
*** Lithium ***


Lithium
 
 
Rain sentì una macchina fermarsi davanti all’officina e riemerse dal cofano dell’auto su cui stava lavorando.
Alzò la mano in segno di saluto, quando vide che al volante c’era Santana.
La osservò meglio.
Ma che cavolo..?
“Ehi, Burt – gridò – ti spiace se faccio una pausa?”
“Nessun problema, vai pure.”
Le giunse la voce dell’uomo dall’altra parte dell’officina.
Prese uno straccio e si avviò verso l’auto della ragazza, mentre si ripuliva le mani unte d’olio di motore.
“Ehi, ragazzina. Ma che ti è successo?”
Santana sembrava essere a dir poco furibonda.
I lunghi capelli neri erano bagnati fradici e c’era qualcosa di scuro e grumoso incastrato tra una ciocca e l’altra.
Stringeva convulsamente il volante tra le mani, tanto che le nocche erano sbiancate.
Tremava di rabbia.
Rain la scrutò attentamente e, sepolta sotto il suo sguardo furente, vide quella nota malinconica nei suoi occhi neri che ormai aveva imparato ad associare a Brittany.
La latina non l’aveva ancora guardata, non aveva proferito parola, continuava a fissare la strada davanti a sé come se ce l’avesse con l’asfalto.
Rain iniziò a preoccuparsi.
“Santana.”
La chiamò piano, mettendo una mano sulla sua attraverso il finestrino aperto.
Finalmente la ragazza si riscosse e incrociò lo sguardo con il suo.
“Mi insegni a tirare di boxe, per favore? Perché sento il bisogno impellente di prendere a pugni qualcosa.”
“Ok. La situazione è seria.. aspettami qui un momento.”
Rientrò rapidamente in officina e si avvicinò al signor Hummel.
“Ehi, Burt. Hai bisogno di me per qualche lavoro urgente?”
L’uomo sollevò lo guardo dal modulo che stava compilando e assunse un’espressione pensierosa.
“Bhè no. I lavori urgenti li abbiamo smaltiti questa mattina. Perché? Devi andare via?”
“Solo se non è un problema..”
“È successo qualcosa?”
“Non ne sono sicura, per questo avrei bisogno di staccare prima..”
Burt osservò l’orologio appeso alla parete.
“Manca meno di un’ora alla chiusura, posso fare a meno di te.”
“Grazie mille Burt, prometto che domani faccio un’ora di straordinari per recuperare.”
“Non preoccuparti. Ci vediamo domani.”
“A domani. E grazie mille.”
Si tolse la tuta da lavoro e tornò alla macchina di Santana.
La ragazza non si era mossa e continuava a fissare un punto imprecisato davanti a sé, con un’espressione in grado di incenerire.
“Avanti – disse aprendo la portiera – passa sull’altro sedile per favore.”
L’ispanica la guardò corrucciata.
“Sei troppo arrabbiata per guidare. Avanti, fai la brava e lascia a me il volante.”
La latina la guardò storto per un momento, poi cedette e si spostò sul sedile passeggero.
“Grazie.”
Disse sedendosi in macchina e mettendo in moto.
Poco dopo fermò l’auto davanti alla casa di Santana che per tutto il tragitto era rimasta in perfetto silenzio guardando fuori dal finestrino.
“Perché siamo qui?“
Chiese quando vide dove si erano fermate.
“Da me ci sono Reneè e Evy..”
Le ricordò, mentre scendeva dall’auto.
L’ispanica annuì ed andò ad aprire la porta.
La seguì all’interno, resistendo all’impulso di guardarsi intorno.
Era da un po’ che era curiosa di vedere quella casa, ma in quel momento Santana aveva bisogno di tutta la sua attenzione, la sua curiosità poteva attendere ancora un po’.
Appena entrata si trovò davanti un’enorme foto di famiglia incorniciata ed appesa alla parete.
Le tre persone che vi erano ritratte sorridevano, ma non sembravano affatto felici, i loro sguardi erano spenti.
Santana assomigliava a sua madre in modo impressionante, mentre sembrava non aver preso assolutamente nulla da suo padre.
“Vuoi qualcosa da bere?”
Le chiese con voce atona, quando entrarono in salotto.
Si avvicinò a lei e le mise le mani sulle spalle, cercando i suoi occhi neri.
“Santana, che è successo?”
La ragazza indietreggiò di un passo, scostando le sue mani con un colpo e iniziò ad urlare in spagnolo ad una velocità allucinante.
La lasciò sfogare, non l’aveva mai vista così furiosa.
In quella valanga verbale che la ragazza le stava riversando contro riuscì a distinguere solo i nomi Britt e Sylvester.
Dopo cinque minuti buoni di urla incomprensibili, decise che era il momento di vederci più chiaro in quella faccenda.
Si avvicinò di nuovo a lei, catturando le mani che la latina stava agitando in aria.
“Ehi, ehi. D’accordo, urla pure quanto vuoi, ma ti prego così non riesco a capire.”
Santana tentò di divincolarsi dalla sua stretta, finché alla fine si arrese e crollò addossò a lei tremante.
La sostenne prendendola tra le braccia, e si sedette a terra con lei.
“Ok, tranquilla. Sono qui.”
“Sono una stupida!”
Bisbigliò la ragazza, il viso nascosto contro la sua spalla.
“Perché non mi racconti tutto dall’inizio?”
E Santana iniziò a parlare come un fiume in piena.
Le raccontò della nottataccia passata a rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno, tormentata dai ricordi e preoccupata per lei.
Della scena stomachevole che si era trovata davanti appena arrivata a scuola, della lettera di diffida che il Glee aveva ricevuto.
Di quanto ormai non riuscisse più a sopportare Sam che tentava di fare il fidanzatino con lei.
E poi prese un bel respiro e le parlò di Brittany, di come le si era avvicinata per parlarle, dopo la lezione al Glee, di come lei si fosse comportata da stronza perché era l’unica difesa che aveva per non crollarle davanti.
E le raccontò della Sylvester e della sorpresina che aveva lasciato nei loro armadietti.
Si fermò respirando affannosamente, schiumante di rabbia.
L’aveva ascoltata in perfetto silenzio, senza commentare, limitandosi a lasciarle qualche lieve carezza sui capelli ancora umidi e sulla schiena.
“Ok. E adesso dimmi il vero motivo per cui sei così arrabbiata – chiese dopo un istante di silenzio – che altro è successo?”
L’ispanica si strinse ancora di più a lei e le raccontò cosa era successo negli spogliatoi.
“Mi ha preso alla sprovvista – spiegò al termine del racconto – non mi aspettavo quell’abbraccio, anche se conoscendola avrei dovuto. Non capisco proprio come lei riesca sempre a farmi abbassare la guardia..”
“Per questo sei arrabbiata? Perché le hai permesso di nuovo di avvicinarsi a te?”
La sentì sospirare forte contro la sua spalla e lo prese come un sì.
La strinse.
Ah, l’amore.. – commentò amaramente – Senti, è inutile che ti arrabbi.. per Brittany distribuire abbracci è quasi come respirare. Inoltre, da ciò che mi hai raccontato, il vostro rapporto è sempre stato molto fisico, anche prima che smettesse di essere una semplice amicizia..”
“Già, ma ora è tutto diverso.. hai una vaga idea di cosa mi si scatena dentro anche solo quando la vedo? Per quanto io provi a non pensarci, per quanto io tenti di essere forte, per quanto mi sforzi di ignorare..”
Si fermò, respirando a fatica, lasciandosi sfuggire un singhiozzo strozzato.
“Ok, adesso però calmati.”
Sussurrò cullandola piano.
“Ti stai facendo venire un attacco di panico..”
La sentì stringersi convulsamente a lei, il respiro affannato.
“Shhh, va tutto bene. Tranquilla, sono qui con te, non vado da nessuna parte.”
Continuò ad accarezzarle lievemente la schiena e i capelli, finché non sentì che iniziava a rilassarsi e il suo respiro si faceva più regolare.
“Perché non vai a farti una bella doccia calda – suggerì – lavati via questa giornataccia di dosso. Io intanto ti preparo qualcosa di caldo da buttare giù.”
Le posò un lieve bacio sulla fronte.
“Sì, direi che è una buona idea..”
Rispose sciogliendosi dal suo abbraccio e alzandosi.
Stava per uscire dal salotto, quando si bloccò, voltandosi di nuovo verso di lei.
“Accidenti, sono davvero pessima, non ti ho nemmeno chiesto come è andata ieri sera..”
Sorrise.
“Ne parliamo dopo, ok?”
Rain si avventurò in cucina ed aprì il frigorifero.
Non si stupì affatto nel trovarlo quasi completamente vuoto.
Iniziò ad aprire sportelli a caso, in cerca di qualcosa di commestibile.
Dopo alcuni minuti di perquisizione accurata studiò il suo bottino accatastato sul tavolo.
Aveva recuperato due peperoni rossi, mezza bottiglia di salsa di pomodoro, varie spezie e una scatola di pasta.
“Poteva essere peggio..”
Frugò ancora un po’ ed estrasse una padella e una pentola che riempì d’acqua e mise sul fuoco a bollire.
Inviò un messaggio a Reneè, informandola che non sarebbe rientrata per cena.
Trovò un tagliere e un coltello, si lavò accuratamente le mani e iniziò a tagliare i peperoni a listarelle.
“Non posso crederci.. sai anche cucinare?”
Si voltò rivolgendole il suo mezzo sorriso.
“Ho molte capacità.”
L’ispanica aveva indossato i pantaloni di una tuta e una grande felpa rossa con il cappuccio.
“Fammi indovinare, è stata Storm ad insegnartelo.”
Rise.
“Grazie al cielo, no. Ho mangiato una sola volta qualcosa cucinato da lei e per poco non sono morta avvelenata.”
“Allora è un fatto genetico? Sono le tue radici italiane?”
“Mi ha insegnato mia madre..”
Santana si avvicinò e osservò i suoi movimenti precisi intorno ai fornelli.
“È la prima volta che ti sento parlare di lei.”
Era decisamente più calma.
“Di solito non ne parlo..”
Sentì che quegli occhi neri la scrutavano curiosi.
“Quando mio padre – pronunciò con fatica quelle due parole – se ne andò.. mia madre cadde in uno stato di profonda depressione. Non usciva quasi mai dal suo stato di apatia. Cucinare era diventato l’unico mezzo di comunicazione tra noi.”
La ragazza l’abbracciò lievemente.
“Quando avevo 14 anni lei.. andò a fare il bagno e quando vidi che non tornava andai a vedere perché ci metteva tanto e..”
Prese un lungo respiro.
“Si era tagliata i polsi. Chiamai l’ambulanza, ma ormai non c’era niente da fare. I due anni successivi li ho passati cambiando una casa famiglia dopo l’altra, finché a 16 anni mi sono stancata di quella vita, sono scappata prima che i servizi sociali venissero a trasferirmi per l’ennesima volta, ho falsificato i miei documenti e mi sono arruolata.”
Si girò a guardarla.
“Ehi, cos’è quel muso lungo? Sto bene, sono diventata grande e grossa lo stesso..”
“Mi chiedevo cosa ti avesse portata ad arruolati nell’esercito, ma non immaginavo.. Rain, mi dispiace davvero tanto.”
“Ormai è passato tanto tempo..”
“Non così tanto.”
“Abbastanza.”
Assaggiò la pasta per verificarne la cottura e spense il fuoco.
Scolò la pasta e la versò nella padella del sugo mescolando con cura.
“Molto bene, se recuperi un paio di piatti possiamo metterci a tavola.”
Fece le porzioni e sedettero al bancone della cucina.
Santana scrutò il piatto corrucciata prima di assaggiare titubante una forchettata di pasta.
Rain la osservò mentre la sua espressione passava dal dubbioso all’entusiasta.
“Rain, ma è.. assolutamente squisita!”
La latina iniziò a mangiare di gusto.
“Posso chiederti una cosa?”
Domandò la ragazza alcuni minuti dopo.
Sollevò lo sguardo ad incontrare il suo ed attese.
“Com’era lei? Storm, intendo.”
Sospirò, era da un po’ che si aspettava quella domanda.
“Lei.. era la persona più incredibile che abbia mai incontrato.”
Tirò fuori una foto e la porse a Santana.
“Quando ci siamo conosciute.. non so spiegartelo, ma è come se avesse capito tutto di me dal primo sguardo. Quegli occhi sapevano leggerti dentro, non le sfuggiva mai niente.”
“Ma, Evy.. insomma chi è sua madre?”
Domandò la latina scrutando la foto.
“Me lo stai chiedendo perché hai notato quanto le assomiglia, vero?”
La ragazza annuì.
“Evy è figlia di Reneè. Quando hanno deciso di allargare la famiglia, hanno chiesto al fratello maggiore di Storm di aiutarle.. Evy ha preso tanto da lui, ma Reneè ha sempre detto che assomiglia a Storm, desiderava così tanto che prendesse anche gli stessi occhi di ghiaccio, ma Storm era felicissima che invece abbia quelli di Reneè.”
“È una bambina davvero meravigliosa.”
“Già, non sai quanto mi sono sentita onorata quando mi hanno chiesto di essere la sua madrina..”
“Non avrebbero potuto fare scelta migliore.”
Abbassò gli occhi, imbarazzata.
“Bene, tu hai cucinato, quindi io lavo i piatti. Perché ora non vai tu a farti una bella doccia calda, poi magari potremmo guardare un po’ di televisione.
Vieni, vediamo se trovo qualcosa di pulito da farti mettere.”
La seguì al piano di sopra.
La camera di Santana non era come se l’era immaginata.
In realtà non sapeva esattamente come se l’era immaginata, ma di sicuro non era così che se l’aspettava.
Le pareti erano rivestite di una carta da parati nera decorata da un motivo a fiori, a sua volta nero, ma in un tessuto diverso che rifletteva la luce, in un effetto catarifrangente.
Al centro della stanza si trovava un letto spazioso, ingombro di cuscini e avvolto in lenzuola nere e lucide.
L’unica nota di colore veniva conferita da un grande poster che sovrastava il letto e dalle foto attaccate allo specchio.
Rain si avvicinò per studiarle, mentre l’ispanica frugava nel suo armadio.
C’erano varie foto di lei in divisa da cheerleader e perfino alcune con i suoi compagni del Glee, ma soprattutto, c’erano un sacco di foto di lei e Brittany.
L’ex-soldato non poté non notare la netta differenza tra i bellissimi sorrisi sfoggiati dalle due ragazze in quelle foto e quelli freddi e apatici del ritratto di famiglia che aveva visto entrando in casa; sembravano quasi tre estranei riuniti a forza e costretti ad essere fotografati insieme.
In quel momento Santana riemerse trionfante dall’armadio.
“Guarda un po’ cosa ho trovato..”
Erano i suoi pantaloni e la maglietta che le aveva prestato per dormire la sera che si erano conosciute.
“Ah.. mi domandavo che fine avessero fatto.”
“Bhè sì, li ho portati a casa per lavarli prima di restituirteli, ma poi mi è passato di mente..
Il bagno è la prima porta a sinistra del corridoio, trovi gli asciugamani nel mobiletto sotto al lavandino. Io intanto cerco un film da vedere.”
“Ok, allora a dopo.”
Commentò con il suo mezzo sorriso, mentre usciva dalla stanza.
Un’ora più tardi erano spalmate entrambe sul divano davanti alla televisione.
Rain era seduta in un angolo, con la testa reclinata contro lo schienale e le gambe appoggiate al tavolino, su cui erano raggruppate varie bottiglie di bibite, due bicchieri e una ciotola di popcorn.
Santana occupava tutto il resto del divano, le gambe rannicchiate contro il busto e la testa posata sulle gambe dell’ex-soldato, che le aveva appoggiato il braccio destro intorno alle spalle.
“Come è andata ieri sera con Reneè?”
Domandò la latina a metà di “Pirati dei Caraibi”.
“Bene, abbiamo chiacchierato un po’.. è rimasta colpita da te.”
Disse guardandola di sottecchi.
“Mi ha detto che le hai fatto la predica per via dei dischi e della medaglia..”
Santana sollevò la testa e la guardò imbarazzata.
“Io, ecco..”
Scoppiò a ridere.
“Va tutto bene, l’hai solo lasciata a bocca aperta. Sai credo non sia abituata a pensare al fatto che posso avere anche io dei momenti di fragilità e tu glielo hai sbattuto in faccia. – fece una pausa – grazie di averglielo ricordato, non mi capita spesso che qualcuno prenda le mie difese.”
La ragazza la scrutò attentamente.
“Dì la verità, hai passato la nottata a massacrare il sacco, vero?”
“Ma cosa sei, una veggente?”
Commentò con il suo mezzo sorriso.
“Eh, ormai non hai più segreti per me, soldato.”
Rispose lei con un ghigno divertito ostentando la sua espressione di superiorità.
“Spero che la cosa non ti dia troppo fastidio..”
Chiese poi abbassando lo sguardo.
Rimase un momento a pensarci su.
Poi si chinò a darle un lieve bacio sulla fronte.
“Sinceramente no. Anzi, direi che è una bella sensazione.”
La ragazza si rilassò e tornò ad appoggiare la testa sulle sue gambe, rivolgendo di nuovo la sua attenzione al film.
Poco tempo dopo la sentì rilassarsi completamente sotto il suo braccio e il suo respiro divenire lento e regolare.
Rimase a guardare distrattamente il film, accarezzando piano i capelli neri di Santana.
Si addormentò senza nemmeno rendersene conto.
 
 
 
 
 
Angolo della pazza
 
Che faticaaaaaaa…
Scrivere la seconda parte di questo capitolo è stata davvero una faticaccia.
Spero che il risultato finale si all’altezza dello sforzo che mi è costato..
 
Fatemi sapere che ne pensate.
 
Il titolo è di una canzone degli Evanescence. (Ebbene sì sono uno dei miei gruppi preferiti..)
 
Wow mi seguite in 19 e mi preferite in 9.. sono commossa, davvero, non me lo sarei mai aspettata. vi amo alla follia :D
 
Grazie mille a tutti voi che mi avete lasciato due parole di commento.
In particolare ringrazio nicole89 che nel giro di mezza giornata ha recensito tutti i capitoli.

Besitos
WilKia >.<  

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Capitolo 17
*** Loser Like Me ***


Loser Like Me
 
 
 
Aprì gli occhi lentamente e sollevò la testa trattenendo un gemito.
Non ricordava di essere mai stata così anchilosata, nemmeno dopo il suo primo addestramento era ridotta così male.
Le sembrava di aver dormito su uno scoglio.
Ruotò lentamente la testa cercando di dare un po’ di sollievo ai muscoli del collo.
Si guardò intorno cercando di capire dove fosse e vide Santana ancora placidamente addormentata, la testa appoggiata alle sue gambe e una mano che stringeva la sua.
Guardò l’orologio del telefono, erano le 4 di mattina, fuori era ancora buio pesto, l’alba era ancora lontana.
Notò il simbolo di un messaggio in arrivo lampeggiare nell’angolo in alto del display.
 
Ciao stordita..
Mi dispiace, ma la pista di cui ti parlavo qualche giorno fa si è rivelata un colossale buco nell’acqua.
Vorrei poter fare di più, ma le informazioni che abbiamo sono troppo vaghe.. per quanto ne sappiamo potrebbe benissimo non essere più in Ohio, potrebbe anche non esserci mai stata..
Ho pensato che forse invece che cercare lei potrei incominciare a cercare traccia degli spostamenti di tuo padre negli “anni incriminati”.
Spero di arrivare a qualcosa in questo modo..
 
Scusa per non averti avvertita prima del possibile arrivo di Reneè,
Spero che sia tutto a posto.
 
Mi manchi.
Ci sentiamo appena ho qualche notizia per te.
Baci
F.
 
 
Ehi scoppiata
Grazie di tutto quello che stai facendo, lo so che è una bella rogna..
Non preoccuparti per la storia di Reneè, lo sai com’è fatta. Prima o poi mi avrebbe trovata comunque.
Anche tu mi manchi.
 
La tua idea mi sembra valida, aspetto le prossime notizie.
Grazie ancora.
Bacio
R.
 
Era una risposta molto concisa, ma era davvero troppo stanca per elaborare un messaggio più lungo.
Con estrema delicatezza liberò la mano dalla stretta di Santana e allungò le braccia per stiracchiarsi.
Le articolazioni delle sue spalle schioccarono indignate e lo stesso fecero le sue vertebre quando inarcò la schiena per darle un po’ di sollievo dalla posizione in cui era rimasta fino a quel momento.
Infilò la mano sotto la testa della ragazza e la sostenne, mentre si alzava, quindi infilò l’altro braccio dietro le sue ginocchia e la sollevò con la stessa facilità con cui avrebbe sollevato Evy, caricandosela in braccio.
Istintivamente Santana avvolse le braccia intorno al suo collo, sospirando nel sonno.
Rain salì le scale e raggiunse la camera della latina.
La appoggiò piano sul suo letto, facendo attenzione a non svegliarla.
Le drappeggiò le coperte intorno alle spalle e si chinò a lasciarle un lieve bacio tra i capelli.
Fece un passo indietro per tornare a dormire sul divano, ma venne trattenuta per un lembo della maglietta.
“Rimani.”
Sussurrò Santana quasi impercettibilmente.
Per un momento pensò che stesse parlando nel sonno, ma vide che aveva gli occhi semiaperti, lucidi nella penombra della stanza.
Si stese su un fianco dietro di lei, sopra alle coperte, infilando un braccio sotto la sua testa e abbracciandola con l’altro.
La sentì sospirare e rilassarsi di nuovo, dopo essersi rannicchiata contro di lei.
Non ci volle molto prima che si riaddormentassero.
 
 
 
Guppy Face,
Trouty Mouth,
Is that how people's lips look where you come from in the South?
Grouper Mouth,
Froggy Lips,
I love suckin' on those salamander lips.

Wanna put a fish hook in those lips, so cherry red
If you tried hard enough, you could suck a baby's head!

Wooh!
 
 
“Ok. La smettiamo con queste battute sulla mia bocca?!”
Sam scattò in piedi con aria arrabbiata.
“Ti puoi sedere?! Non ho finito.”
Esclamò incrociando le braccia e aggrottando la fronte.
“Oh sì, invece. Non mi dirà che vuole andare alle regionali con Trouty Mouth?”
Chiese il biondo a Schuester.
Il professore cominciò a blaterare sul fatto che la canzone non fosse abbastanza epica per le regionali e Puck si alzò prendendo la chitarra per proporre il suo pezzo.
Si andò a sedere imbronciata, mentre Noah cantava la sua canzone dedicata al grande rinoceronte bianco.
Il resto dei suoi compagni sembrò apprezzare il pezzo, ma di certo non era adatto alle regionali, infatti il professor Schue li rimise al lavoro nel tentativo di comporre qualcosa insieme.
Alla fine dell’ora erano tutti stanchi e scoraggiati, non erano riusciti a tirare fuori nulla di decente.
“Santana.”
La fermò il professore prima che uscisse dall’aula canto.
“Sì, Mr. Schue?”
“Frequenti ancora Rain?”
Annuì.
“Credo che ci serva una mano in più se vogliamo comporre questa canzone prima delle regionali. Potresti chiederle se vorrebbe unirsi di nuovo a noi?”
“Certamente, Mr. Schue. Vedrò di convincerla.”
“Grazie Santana. A domani.”
“Arrivederci.”
 
Accidenti, questa ragazza ci sa proprio fare con la voce!
Rain era felice di essere di nuovo in aula canto con quei ragazzi, si era divertita lavorando con loro e quando Santana le aveva detto che gli serviva di nuovo il suo aiuto, non ci aveva pensato due volte ad accettare.
Per fortuna Burt non aveva fatto problemi.
Mercedes finì di cantare il suo pezzo, ricevendo gli applausi di tutti.
Will le fece i complimenti, ma stabilì che nonostante fosse una splendida canzone non era adatta alle regionali.
“Professor Schuester – intervenne Santana – ho scritto un’altra strofa per Trouty Mouth.”
Rain cercò di trattenere un ghigno, la sera prima Santana aveva fatto morire dal ridere Evy, cantandole quella canzone e divertendosi ad aggiungere nuovi versi tutti riguardanti i labbroni di Sam.
“No, grazie. – esclamò Will – ragazzi, pensateci. Qual è per voi la canzone più bella di tutti i tempi?”
“My headband.”
Rispose subito Brittany.
“You oughta know di Alanis Morrisette.”
Disse Santana.
Alcuni altri dissero la loro.
“E queste canzoni di cosa parlano?”
Chiese di nuovo Schue.
“Di cerchietti?!”
Commentò Brittany.
Rain decise di intervenire.
“Nascono dal dolore. Tutte queste canzoni vi piacciono perché rispecchiano le vostre stesse emozioni. È da quelle che dovete attingere per scrivere questo pezzo. Fino ad ora ho sentito delle belle canzoni, che però non mi hanno trasmesso quasi nessuna emozione. So che siete molto giovani e non avete molte esperienze a cui attingere, ma so anche che alla vostra età il liceo è il vostro campo di battaglia. Qui avete vissuto tutte le esperienze che vi servono per scrivere questa canzone, dovete solo trovare il giusto filo conduttore.”
Will annuì, soddisfatto del suo discorso, mentre i ragazzi riflettevano.
“Bhè – disse Artie – la Sylvester ci tortura senza ragione e tenta farci odiare da tutta la scuola..”
Uno dopo l’altro tutti i ragazzi elencarono una qualche angheria subita dalla coach dei Cheerios, mentre Will prendeva appunti sulla lavagna scrivendo delle parole chiave.
Alla fine tre parole incorniciate campeggiavano in mezzo alla lavagna.
“Ragazzi, avete appena trovato la vostra canzone. – commentò Schue orgoglioso – su, mettiamoci a scrivere!”
Lavorarono sodo e si divertirono da morire.
Rain lavorò con la chitarra insieme a Puck per comporre la melodia, mentre ognuno dava il suo contributo per scrivere i versi.
Le uniche assenti erano Rachel e Quinn che stavano lavorando alla ballad.
Quando suonò la campanella, la canzone aveva ormai preso forma.
L’ex-soldato stava per seguire i ragazzi fuori dall’aula, quando Will la richiamò.
“Grazie mille per il tuo contributo, non so se saremmo riusciti in questa impresa senza di te.”
Abbassò la testa modestamente.
“Sono sicura che avreste comunque fatto un ottimo lavoro. I tuoi ragazzi sono in gamba e tu sei davvero un bravo insegnante, Will. Farete faville alle regionali.”
“A questo proposito. Alle regionali si devono presentare tutti i membri delle New Directions..”
Alzò gli occhi  e lo guardò con aria interrogativa, non era sicura di ciò che il professore stesse dicendo.
“Sei diventata parte integrante di questo gruppo. Non puoi esibirti con i ragazzi visto che non frequenti la scuola, ma ormai sei una di noi e ci piacerebbe davvero averti alle regionali, almeno come accompagnatrice.”
Abbassò lo sguardo commossa, non si era aspettata una simile richiesta.
“Sarà un onore.”
 
Il grande giorno era arrivato.
Santana era seduta sul pulmino sforzandosi per non mangiarsi le unghie dal nervoso, rovinando così i frutti della sua accurata manicure.
Erano tutti a bordo, mancava solo il prof Schue e ormai tutti quanti cominciavano a innervosirsi sul serio per quel ritardo.
“D’accordo, ora lo vado a cercare – disse Rain alzandosi – vedete di non distruggere il pulmino mentre non ci sono.”
Santana era davvero contenta che anche l’ex-soldato li accompagnasse, quando le aveva comunicato la notizia le era saltata addosso stringendola in un abbraccio per poi improvvisare un balletto di festeggiamento, facendola scoppiare a ridere.
Passarono dieci minuti buoni senza che né Rain, né tanto meno il prof Schuester ricomparissero, così la latina spazientita decise di andare a vedere che fine avessero fatto.
Scese dal pulmino e si infilò all’interno della scuola dirigendosi a passo spedito verso l’ufficio del professore, dove pensava sarebbe stato più facile trovare entrambi.
Non si era sbagliata, infatti erano tutti e due lì, ma non erano soli.
Sue Sylvester era piazzata a gambe larghe davanti a Rain, sul volto la sua espressione più pericolosa, che lei conosceva bene avendola vista milioni di volte quando ancora era nei Cheerios.
A quanto pare aveva appena finito di rivolgere una delle sue minacce all’ex-soldato.
Dietro di lei il professor Schue sembrava pietrificato.
Qui finisce male..
Osservò il volto dell’amica, attendendo che i suoi occhi assumessero quello sguardo che emanava pura minaccia, ma quello non comparve.
Accadde invece qualcosa che non si sarebbe mai aspettata.
Il viso di Rain si rilassò aprendosi in un sorriso a trentadue denti e la ragazza allungò la destra verso la coach augurandole buona fortuna per la gara.
Alla latina per poco non cadde la mascella per la sorpresa.
Apparentemente lo stesso valeva anche per la Sylvester che rimase a fissare quel volto sorridente per alcuni istanti, per poi girare sui tacchi e allontanarsi senza più proferire parola.
A quel punto Rain si voltò verso di lei e le fece l’occhiolino.
“E quello cos’era? – domandò incredula avvicinandosi all’amica – mi aspettavo che vi saltaste alla gola da un momento all’altro e tu ti sei messa a sorridere?!”
“Bisogna saper valutare il proprio nemico per scegliere la tattica giusta con cui affrontarlo. – spiegò l’ex-soldato – Sue è abituata a ricevere una certa reazione alle sue minacce, quindi si aspettava lo stesso anche da me. Invece io l’ho spiazzata, l’ho messa in condizione di non sapere più cosa aspettarsi così lei si è ritirata. Probabilmente ora starà studiando qualche nuova frase ad effetto su misura per me..”
Concluse assumendo un’aria pensosa, per poi scrollare le spalle.
Il professor Schuester sembrò riscuotersi in quel momento dallo stupore e guardò l’orologio appeso alla parete del suo ufficio.
“Accidenti, rischiamo di fare tardi. Andiamo!”
Si avviarono in fretta per il corridoio e si arrampicarono sul pulmino tra gli applausi nervosi dei ragazzi, che non ne potevano più di aspettare.
 
Arrivarono appena in tempo per assistere alla prima esibizione, quella degli Aural Intensity, il Glee club di Sue, che presentò una canzone che sembrava fatta apposta per leccare il culo alla giuria.
Prese posto accanto a Santana con una smorfia per il cattivo gusto di quella canzone, mentre l’esibizione andava avanti.
Ma per favore.. la giuria non si berrà questa schifezza, spero.
Pensò guardandosi intorno. Nel frattempo la canzone era finita tra gli applausi entusiasti del pubblico e Sue si era alzata trionfante urlando che quelli erano i suoi ragazzi.
La sala venne di nuovo riempita dal buio e dal silenzio, mentre i Warblers e Kurt guadagnavano il palco.
Kurt si esibì in un duetto con un altro ragazzo.
La chimica tra loro era più che evidente, erano entrambi molto bravi.
Alla fine della canzone tutti i ragazzi delle New Directions applaudirono più forte che poterono, alzandosi in una standing ovation per il loro amico.
Poi si scatenarono al ritmo di “Raise your glass” incitando molto sportivamente il Glee club avversario.
Appena finì l’esibizione dei Warblers, le New Directions andarono a prepararsi dietro le quinte.
Rain li accompagnò insieme a Will e dopo un ultimo incitamento di gruppo, Rachel raggiunse il centro del palco per esibirsi nella ballad che aveva scritto.
Quando l’aveva sentita per la prima volta, Rain era rimasta molto impressionata: quella ragazza aveva davvero del talento, persino Santana lo aveva ammesso, prima di minacciarla di morte se solo avesse provato a farsi sfuggire davanti ad altri quella sua concessione all’hobbit.
Rachel cantò divinamente, guadagnandosi non una, ma ben due standing ovation dal pubblico, che poi accolse calorosamente anche gli altri ragazzi, quando la raggiunsero sul palco e si schierarono di spalle, pronti per l’esibizione corale.
L’ex- soldato sentì partire l’intro di chitarra che aveva composto, mentre i ragazzi iniziavano la coreografia. Poi Rachel si girò verso il pubblico e iniziò il vero spettacolo.
 
Yeah, you may think that I'm a zero
But, hey, everyone you wanna be
Probably started off like me
You may say that I'm a freakshow (I don't care)
But, hey, give me just a little time
I bet you're gonna change your mind

All of the dirt you've been throwin' my way
It ain't so hard to take, that's right
'Cause I know one day you'll be screamin' my name
And I'll just look away, that's right

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care
Keep it up, I'm tunin' up to fade you out
You wanna be
You wanna be
A loser like me
A loser like me

[Cory Monteith/Finn]

Push me up against the locker
And hey, all I do is shake it off
I'll get you back when I'm your boss
I'm not thinkin' 'bout you haters
'Cause hey, I could be a superstar
I'll see you when you wash my car

All of the dirt you've been throwin' my way
It ain't so hard to take, that's right
'Cause I know one day you'll be screamin' my name
And I'll just look away, that's right

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care
Keep it up, I'm tunin' up to fade you out
You wanna be
You wanna be
A loser like me
A loser like me
A loser like me

Hey, you, over there
Keep the L up-up in the air
Hey, you, over there
Keep the L up, 'cause I don't care
You can throw your sticks, and you can throw your stones
Like a rocket, just watch me go
Yeah, l-o-s-e-r
I can only be who I are

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care
Keep it up, I'm tunin' up to fade you out
You wanna be
You wanna be
A loser like me
A loser like me

Just go ahead and hate on me and run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the words you got and knock me down
Baby, I don't care


Keep it up, I'm tunin' up to fade you out
You wanna be
You wanna be
A loser like me (A loser like me)
A loser like me (A loser like me)
A loser like me

 
La folla appaludì in delirio.
Rain e Will battevano forte le mani dietro le quinte.
L’ex-soldato non si era mai sentita tanto orgogliosa e guardando Will fu certa che anche per lui fosse lo stesso.
 
 
Angolo della pazza
 
Saaaaaalveeeee.
Come va?
Non c’è bisogno che vi dica i titoli delle canzoni di questo capitolo, né chi le canta… VEROOOOOOO?
 
Ok questo capitolo, non mi piace, mi fa proprio schifo.. ero partita lanciatissima, poi mi sono dovuta fermare  e quando ho ripreso sono stata assalita da un attacco violento di white syndrome..
Un disastro, un vero disastro..
 
Cooooomunque.
Sto cominciando a lanciare qualche altro impulso.. ci avete capito qualcosa del messaggio ricevuto da Rain?? Forza, forza.. voglio conoscere le vostre supposizioni, vediamo se avete intuito cosa sta architettando il mio cervellino bacato.
 
Grazie mille a chi mi legge grazie millemila a chi mi ha lasciato qualche parolina per il mio cap. precedente grazie millemilaeuno a chi mi lascerà due paroline per questo..
 
infine un ringraziamento speciale alla mia sorellina El che mi ha dato una mano a rendere sta cosa meno orripilante..

Besitoooooos
WilKia >.< 

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Capitolo 18
*** Patience ***


Patience
 
 
Un piacevole aroma di caffè la accompagnò dolcemente fuori dal sonno.
Era di nuovo lunedì e Santana avrebbe tanto voluto poter rimanere a dormire ancora un po’.
I festeggiamenti per la vittoria alle regionali si erano protratti fino a notte inoltrata, finché l’adrenalina non era defluita dalle vene dei ragazzi delle New Directions lasciandoli esausti per i festeggiamenti e l’emozione dell’esibizione e della vittoria.
Si mise seduta sul materasso da campeggio che occupava il centro della sala dove lei e Rain avevano dormito, visto che l’ex-soldato aveva ceduto la sua camera da letto a Evy e Reneè, e si stiracchiò sospirando.
“Buongiorno. Rain mi ha detto della vostra vittoria.. complimenti!”
La salutò Reneè quando entrò in cucina.
“Grazie mille. E buongiorno anche a te.”
Nei giorni precedenti aveva iniziato a conoscerla meglio ed aveva concluso che non era poi tanto male, ma non riusciva a capire il suo modo di interagire con Rain, sembrava ci fosse qualcosa di irrisolto tra loro.
Le due donne alternavano momenti di complicità, soprattutto quando giocavano con Evy, a momenti di grande disagio, in cui sembravano incerte su come comportarsi l’una con l’altra.
Santana pensava dipendesse dal fatto che entrambe erano state innamorate della stessa persona.
“Rain?”
Chiese notando l’assenza dell’ex-soldato.
“È di sopra che smaltisce l’adrenalina residua..”
Rispose la rossa puntando l’indice verso il soffitto.
“Ancora? Ma non si stanca mai di tirare pugni a quel maledetto sacco?!”
Esclamò alzando gli occhi al cielo.
“A quanto pare no..”
“Almeno ha fatto colazione?”
“Bhè, considerando che mi sono svegliata sentendo i suoi pugni che impattavano con il sacco e che qui ho preparato io, direi di no.”
Santana scosse la testa rassegnata e andò a versare due tazze di caffè per poi salire le scale e raggiungere la palestra domestica.
Si affacciò alla porta e rimase ad osservare, sapendo bene che l’amica probabilmente aveva rilevato la sua presenza quando lei era ancora sul primo scalino.
Rain si muoveva saltellando intorno al sacco, potente ed aggraziata.
Per una volta non stava ascoltando la solita compilation Rock/Metal, la piccola stanza era invece inondata dalle note dell’“Inverno” di Vivaldi.
Quando la musica finì, l’ex-soldato si piegò in avanti appoggiando le mani sulle ginocchia, mentre riprendeva fiato.
Santana si avvicinò e le porse una tazza.
“Caffè nero e fumante come piace a te, soldato.”
Rain l’accettò rivolgendole un cenno di ringraziamento con la testa, per poi accasciarsi stanca su un materassino.
“Scelta musicale interessante..”
Commentò l’ispanica sorseggiando la bevanda amara.
Rain sogghignò.
“Ogni tanto mi piace variare, la musica classica può essere molto trascinante, sai.”
“Me ne sono accorta. Stavi per staccare il sacco dal soffitto..”
Si sentì il rumore di piccoli passi affrettati e Evy, con ancora il pigiama addosso entrò di corsa nella stanza, inseguita da Kirk che di tanto in tanto allungava una zampetta nel tentativo di prenderle la caviglia.
La bimba si gettò tra le braccia di Rain che aveva prontamente appoggiato la tazza a terra, fuori dalla sua traiettoria, ed era pronta a riceverla.
“Zia Rain!”
Esclamò la piccola felice, stampandole un bacio sulla guancia.
“Buongiorno, Nuvoletta. Hai fatto bei sogni stanotte?”
La bimba annuì.
“Ciao, San.”
Trillò allegra per poi andare ad abbracciarle le gambe.
“Ciao, Evy.”
Rispose scompigliandole i capelli.
Di solito non amava i bambini, ma Evy era davvero adorabile.
“Hai già salutato la mamma?”
Chiese l’ex-soldato.
La piccola scosse la testa.
“Allora che aspetti, corri da lei. Ma stai attenta sulle scale, tieniti alla ringhiera.”
Le gridò dietro, mentre la bimba stava già correndo fuori.
La donna scosse la testa ridacchiando.
“Che hai da guardare con quel ghigno, ragazzina?”
Chiese poi alzando lo sguardo su di lei.
“Niente, niente. Solo l’espressione da cucciolo adorante che ti si dipinge in faccia ogni volta che tu e quella piccoletta siete nella stessa stanza.”
“Non so proprio di cosa tu stia parlando.”
Asserì a metà tra il serio e il divertito.
“Hai presente il gatto con gli stivali di Shrek, quando spalanca gli occhioni? Ecco più o meno è la faccia che fai tu...”
Lasciò la frase a metà e si affrettò a ripararsi con le braccia ridendo, mentre Rain le lanciava un guantone.
“Oh, a quanto pare ci ho preso.”
Rincarò lanciandole indietro il guantone e mancandola miseramente.
“Io direi che mi hai mancato di almeno un metro e mezzo.”
Rise Rain osservando il guantone abbandonato a terra.
“Forse dovresti metterti gli occhiali, prima di lanciare qualcosa..”
“Per caso stai criticando la mia mira?”
Domandò, avvicinandosi all’ex-soldato e assumendo la sua aria da stronza, ma mantenendo un sorrisetto sulle labbra.
“Chi, io?! – esclamò Rain con espressione fintamente indignata – non lo farei mai e poi mai. Il solo fatto che tu pensi questo di me mi offende profondamente.”
“Oh, povera cucciola offesa.”
Ghignò Santana chinandosi a pizzicarle la guancia.
La reazione della donna fu immediata.
Prima ancora che potesse anche solo sfiorarla, le afferrò il polso con una mano ed una caviglia con l’altra, facendola cadere pesantemente sul materassino accanto a lei, per poi attaccarla ai fianchi facendole il solletico.
Dopo un attimo di indecisione a causa della sorpresa, Santana iniziò a divincolarsi per passare al contrattacco, ridendo per il solletico.
“Bene, bene, bene. E io che pensavo di dover badare ad una sola bambina, a quanto pare quassù ce ne sono altre due.”
La voce di Reneè le distolse dalla lotta senza esclusione di colpi in cui si trovavano avvinghiate, con Rain che cercava di tenerle bloccate entrambe le mani con una delle sue, mentre con l’altra le faceva il solletico dietro un ginocchio che lei cercava di difendere tenendo la gamba premuta contro quella dell’amica.
Si bloccarono, guardando la donna appoggiata alla porta, che le osservava con un’espressione estremamente divertita.
Si sciolsero dalla presa in cui si erano fermate, scoppiando a ridere.
“Bene. – sospirò Rain, alzandosi – sarà meglio che vada a farmi una doccia e a prepararmi per il lavoro.”
Santana notò lo strano sguardo che Reneè le rivolse, mentre usciva dalla stanza con in mano il suo caffè ancora fumante.
Decise di andarsi a preparare anche lei per la scuola e si alzò dal materassino su cui era ancora seduta.
“Sai, non l’avevo mai vista così..”
La voce di Reneè la fece fermare a metà del corridoio.
Si voltò verso la donna in attesa che continuasse, ma sembrava indecisa.
“Cosa sai del suo passato? A parte Storm, intendo.”
“So dei suoi genitori, se è questo che ti interessa..”
La rossa annuì.
“Vedi, la depressione di sua madre le ha impedito di avere una vera infanzia. E quello che poi è successo gliel’ ha portata via del tutto.
Da quando la conosco, non l’avevo mai vista concedersi dei momenti di spensieratezza. Perfino quando Storm era ancora con noi e tutte e tre giocavamo insieme ad Evy, manteneva sempre e comunque un certo distacco, come una barriera invisibile tra lei e noi.
Come per impedirsi di avvicinarsi troppo.
Per non parlare di quando poi Storm è..”
Abbassò lo sguardo, non le aveva ancora mai sentito pronunciare quella parola.
“Prima, quando stavate giocando.. non ho visto quella barriera tra voi.”
C’era una nota strana nella sua voce e nei suoi occhi, che Santana cercò di identificare.
“Non so perché tu le faccia questo effetto, ma sono davvero contenta che Rain abbia incontrato qualcuno che riesca a tirare fuori la bambina che c’è ancora in lei.”
Le appoggiò una mano sulla spalla e tornò al piano di sotto senza aggiungere altro.
Per la miseria!
Pensò, guardandola allontanarsi.
Quella era gelosia.. non c’è alcun dubbio.
Deve essere successo qualcosa tra loro, prima che Rain andasse in Italia. Ecco perché sono così in imbarazzo tra loro certe volte. Come ho fatto a non capirlo prima?
Santana Lopez, non ti riconosco più.
Ok stasera costi quel che costi devo saperne di più e arrivare in fondo a questa storia.
 
 
“Ehi.”
Brittany le andò incontro sorridente.
“Ehi.”
Rispose incrociando le braccia sul petto.
“Allora, non dirmi che stai ancora festeggiando per la vittoria alle regionali.”
Disse per spezzare il silenzio imbarazzante che si stava creando tra loro.
 “Stasera guarda la televisione.”
Esclamò la bionda, continuando a sorridere allegra e senza considerare minimamente la sua domanda.
“Perché?”
Chiese perplessa.
“È una sorpresa..”
Stava per tornare all’attacco per capirne di più, quando un fluido rosso invase il suo campo visivo; seguito da una sensazione di umidità gelata che le investì il volto e la testa, diffondendosi rapidamente verso il basso, lungo il suo collo e le spalle, facendola rabbrividire.
Sputacchiò la sostanza dolciastra, stringendo gli occhi che bruciavano come l’inferno.
Non ci poteva credere.
Proprio lei, Santana Lopez, il terrore del McKinley, aveva appena ricevuto la sua prima granita in faccia.
“Oh, scusa. Mi dispiace tanto.”
Si voltò lentamente, cercando di muoversi il meno possibile per non far colare ulteriormente quella schifezza dalla sua testa.
“Karofsky, ringrazia il cielo che questa roba mi sia finita negli occhi, perché se solo ci vedessi saresti già in ospedale per farti sostituire le palle!”
Gli urlò dietro, mentre il giocatore di football si allontanava sghignazzando.
Sentì una mano calda insinuarsi delicatamente nella sua e si lasciò condurre via dal corridoio e dagli sguardi divertiti degli studenti che lo affollavano.
Brittany la fece sedere su una panchina dello spogliatoio e le passò un asciugamano sul viso e sui capelli per togliere l’eccesso di granita di cui era ricoperta.
“Forse è meglio che ti levi quella roba bagnata di dosso, prima che ti venga un raffreddore.”
Tirò fuori una maglietta dal suo zaino.
“Tieni, puoi metterti questa.”
“Sarà meglio anche che mi dia una sciacquata, o rimarrò appiccicosa tutto il pomeriggio.”
Rispose la latina, togliendosi la maglia fradicia di granita.
“Aspetta, ci penso io..”
Come aveva fatto lei qualche giorno prima, Brittany inumidì un asciugamano e iniziò a passarglielo delicatamente sul viso, sul collo e sulle spalle.
Il suo profumo la avvolse, inebriandola.
Sentiva la pelle in fiamme per il suo tocco leggero.
Alzò lo sguardo sul suo viso, così vicino che poteva contarne le lentiggini.
Adorava il broncio che assumevano le sue labbra quando era concentrata a fare qualcosa.
Quelle labbra che le mancavano così tanto.
Quelle labbra che adesso erano così vicine..
Prima di rendersi conto di quello che stava facendo, si sporse in avanti e le sfiorò con le proprie.
Lei non si ritrasse.
Al contrario si fece più vicina, intensificando quel lieve contatto, come se non stesse aspettando altro.
Brittany appoggiò le braccia sulle sue spalle e si sedette sulle sue ginocchia, mentre il loro bacio si approfondiva.
A Santana girava la testa.
Strinse le braccia intorno alla vita della bionda, che si avvicinò ancora di più a lei, come se tutte le cellule dei loro corpi bramassero quel contatto.
Insinuò le mani sotto la maglietta di Brittany, accarezzando la pelle morbida della sua schiena.
Entrambe respiravano affannosamente, ma non accennavano neanche minimamente a separarsi. L’unica fonte d’ossigeno che serviva loro era il respiro dell’altra.
Improvvisamente una musica spezzò il silenzio.
Brittany si allontanò piano da lei, tenendo la fronte appoggiata alla sua ancora per un momento, prima di alzarsi e rispondere al cellulare.
Santana rimase lì seduta tremante, il respiro affannato e lo sguardo perso nel vuoto, incapace di pensare a qualsiasi cosa.
“Devo andare – disse piano Brittany accarezzandole il viso – mi raccomando, ricordati di guardare la televisione stasera. Alle 21, il canale locale. Ok?”
L’ispanica annuì, incapace di proferire parola.
La sentì allontanarsi.
Quando capì che se ne era andata si lasciò scivolare a terra, il viso rigato di lacrime silenziose.
 
Angolo della pazza
 
Buonasera.
Ecco il cap. 18 appena sfornato per voi.
Lo so, non è molto lungo, ma le mie dita mi dicono che deve finire così e se provassi a forzarle ad andare avanti finirei per scrivere una schifezza, quindi temo che vi dovrete accontentare.
 
La canzone del titolo è dei Guns n’ Roses, andatevela a sentire perché è a dir poco meravigliosa.
 
Non ci posso credere sono arrivata ad avere 50 recensioni per questo mio delirio.
Vi amo tutti alla follia!!
Se non fosse per voi non avrei continuato a scrivere.
Grazie mille anche ai miei lettori silenziosi.. su fatemi sapere anche il vostro parere, che vi costa?
 
Chiudo qui.
Bacioni a tutti.
WilKia >.< 
 

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Capitolo 19
*** Permanent ***


Permanent
 
 
Rain era in sala, mezza seduta e mezza distesa sul materasso da campeggio con lo sguardo sul televisore che trasmetteva la pubblicità.
Santana era accoccolata accanto a lei, le braccia strette intorno alla sua vita e gli occhi ancora lucidi dopo averle raccontato della sua prima granitata e di quel bacio.
Quando era rientrata dopo la scuola non aveva rivolto la parola a nessuno.
Si era fatta la doccia per togliersi di dosso gli ultimi residui appiccicosi di granita, si era rimessa addosso la maglietta di Brittany e si era seduta sul materasso davanti alla televisione, senza più muoversi o parlare finché l’ex-soldato non si era seduta davanti a lei in silenzio, attendendo pazientemente il suo sfogo.
“Esattamente cosa stiamo aspettando di vedere?”
Le chiese.
“Sinceramente non ne ho idea. Britt ha detto solo che è una sorpresa e non sono riuscita a chiederle nient’altro perché Karofsky mi ha ricoperta di granita.
Conoscendola potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa, da un documentario sulle anatre all’ennesima replica di Lilly e il Vagabondo.”
L’attenzione di Rain ritornò sul televisore quando dagli altoparlanti si diffusero le note di una canzone dei Van Hallen.
Guardò il piccolo schermo e sgranò gli occhi.
“Ma quelli.. siete voi???!”
Lo schermo era invaso dai ragazzi delle New Directions che saltellavano in pigiama su pile e pile di materassi, mentre cantavano Jump e sembravano divertirsi un mondo.
Santana sollevò la testa per guardare il televisore e ridacchiò.
“Sì, siamo proprio noi. Abbiamo girato questo spot l’anno scorso, prima delle provinciali – spiegò – abbiamo anche rischiato di non poter più partecipare alla gara.”
“Perché?”
“Perché il proprietario della Casa del Materasso per cui abbiamo fatto la pubblicità ci ha fatto trovare una pila di materassi in aula canto, questo poteva essere considerato come un pagamento per la nostra performance estromettendoci dalla categoria dei dilettanti e quindi dalla gara.”
“E come si è risolta la questione?”
“Abbiamo restituito tutti i materassi, tranne uno che era stato usato dal prof Schue. Così lui è stato squalificato e noi siamo andati alle provinciali con la Pillsbury.”
In quel momento Reneè entrò in sala con Evy in braccio.
“Forza Nuvoletta, vai a dare la buona notte a zia Rain e a Santana e poi andiamo a fare la nanna.”
Rain allungò le braccia mentre la donna le porgeva la bambina, che si sporse allegra verso di lei per essere presa.
“Mammina posso restare a vedere la TV con zia Rain e San?”
Chiese la piccola stringendo le braccia intorno al suo collo e guardando la madre con gli occhioni da cucciolo.
“Per favore.”
Aggiunse poi con la sua vocina.
Reneè guardò amorevolmente la figlia prima di incontrare i suoi occhi.
Alzò le spalle per farle capire che per lei non c’era alcun problema.
“D’accordo, ma solo 10 minuti. Poi a nanna ok?”
“Evviva! Grazie mamma.”
Esultò la bimba allungandosi a darle un bacio, per poi sistemarsi comodamente in grembo a Rain che le scompigliò i capelli.
“Rimani anche tu?”
“Sono esausta, la mia piccola peste mi ha fatto correre tutto il giorno. Pensavo di approfittare dei tuoi servigi di zia-babysitter e andarmene a dormire presto.”
Rispose Reneè con un sorriso.
“Ok – rispose ricambiando il sorriso – allora tra un po’ te la porto su a farti compagnia.”
“Buonanotte ragazze.”
“Notte”
Risposero Rain e Santana in coro.
“A dopo Nuvoletta. Fai la brava con la zia Rain.”
Si chinò a dare un bacio a Evy e si diresse di sopra.
Rain sentì su di sé lo sguardo degli occhi neri di Santana e si voltò per incontrarli.
“Si?”
Chiese inarcando le sopracciglia.
“Niente.”
Affermò la latina scuotendo la testa e tornando a guardare il televisore, mentre regalava una carezza alla testolina di Evy.
La osservò di sottecchi, di sicuro aveva qualcosa in mente, ma conoscendola non si sarebbe scucita finché non fossero state da sole.
Evy si sistemò più comodamente contro di lei e allungò una manina verso Santana che la prese nella sua.
Rain non riuscì a trattenere un sorriso.
“Qualsiasi cosa sia, sembra che stia iniziando..”
Esclamò l’ispanica.
Dagli altoparlanti del televisore si diffuse una musichetta e il piccolo schermo venne occupato dal viso di un uomo di mezza età con i capelli impomatati e molto probabilmente tinti, che esibiva un sorrisetto viscido e auto compiacente.
“Buonasera Ohio occidentale, è il vostro Rod Remington che vi parla e questo è lo Show dei Secchioni.
Rain e Santana si scambiarono uno sguardo perplesso.
Per quale strano motivo Brittany voleva che vedessero quello show?
“Bene, andiamo a conoscere gli sfidanti di questa sera. – continuò il presentatore – alla mia sinistra la squadra del liceo Carmel.”
La telecamera fecce una panoramica sui quattro componenti della squadra, schierati lungo un tavolo con davanti un pulsante rosso e una targhetta con il loro nome, quindi ritornò sul volto del presentatore.
“Alla mia destra, invece, abbiamo i Genialoidi del William McKinley High School.”
“Cosa?!”
Esclamarono contemporaneamente le due ragazze, mentre la telecamera inquadrava i volti sorridenti di Tina, Mike, Artie e..
“Che cavolo ci fa Britt nella squadra di decathlon accademico?”
Chiese Rain stupefatta.
La bionda rivolse un cenno di saluto alla telecamera, poi prese una caramella dalla lunga fila, in perfetta sequenza cromatica, che aveva schierata davanti e prese a masticare felice.
“Non ne ho idea.. – Santana era a dir poco incredula – le materie scolastiche l’hanno sempre confusa..”
Il presentatore diede inizio alla sfida che si rivelò subito molto serrata.
Le due squadre arrivarono in parità alla fase semi-finale.
Brittany aveva passato tutto il tempo nel suo mondo, mangiando caramelle e senza rispondere ad alcuna domanda lasciando la competizione ai compagni.
Quella fase di gioco prevedeva un testa a testa tra i componenti delle due squadre che avrebbero dovuto rispondere a delle domande su argomenti scelti da loro stessi tra quelli proposti in un tabellone alle spalle del presentatore.
Entrambe le squadre si difesero bene, e si arrivò al punteggio di 500 a 50 in favore del Carmel, quando ancora l’unica a non aver partecipato era Brittany.
Santana si sollevò per poter vedere meglio.
La telecamera inquadrò la biondina che scambiò uno sguardo d’intesa con Artie, mettendo in bocca l’ennesima caramella.
“Prendo Patologie Feline.
Disse dopo aver studiato un attimo il tabellone.
“Questa malattia è stata diagnosticata per la prima volta a Calcutta nel 2001”
Appena Rod finì di leggere la prima domanda, Brittany schiacciò il pulsante rosso.
Rimase silenziosa per un secondo, riflettendo.
In salotto Rain e Santana trattennero il fiato, mentre la latina stringeva convulsamente la mano al’ex-soldato.
“AIDS felina.”
“Esatto.”
“Sì!”
Gioirono le due amiche.
“Brava.”
Esclamò Evy battendo le manine, contagiata dal loro entusiasmo.
Nei minuti successivi, Brittany rispose correttamente a tutte le domande, spesso prima ancora che il presentatore finisse di leggerle.
“Quella ragazza è un genio!”
Esclamò Rain stupefatta dalle conoscenze della bionda, che aveva riportato il punteggio in perfetta parità.
“Certo che lo è! – commentò la latina orgogliosa – Brava Britt. Fai vedere come si fa a quegli stronzi che ti danno della stupida.”
Evy si girò a guardare la ragazza e poi si rivolse a lei mettendo una manina vicino alla bocca come per non farsi sentire.
“Zia Rain. San ha detto due parole brutte.”
Disse sgranando gli occhi.
Tentò di non scoppiare a ridere e le fece una carezza.
“Santana. – esclamò in tono di rimprovero, ma senza riuscire a trattenere un ghigno divertito – ti sembra questo il modo di parlare? Non si dicono le parolacce. Così le fai imparare anche alla mia Nuvoletta..”
La ragazza la guardò perplessa per poi spostare lo sguardo sulla bimba che la osservava seria.
“Oh, scusa. Sono proprio cattiva. Ma Evy, invece è una brava bambina e lo sa che queste parole non si dicono. Vero Evy?”
La piccola annuì soddisfatta e si risistemò con la schiena contro al suo petto, sbadigliando.
Rain se ne accorse e iniziò a canticchiare sommessamente, dondolando piano per cullarla.
Lo show finì con la vittoria schiacciante della squadra del McKinley su quella del Carmel e Santana spense la televisione sorridendo.
Stava per dire qualcosa, ma Rain la interruppe mettendosi un dito sulle labbra per poi indicare Evy che dormiva profondamente tra le sue braccia.
“La porto di sopra.”
Bisbigliò, alzandosi piano per non svegliarla.
Reneè stava già dormendo, ma sentendola entrare aprì gli occhi e sorrise vedendo la figlia già addormentata; sollevò le coperte per aiutarla a metterla nel letto insieme a lei.
“Sogni d’oro, Nuvoletta.”
Sussurrò depositandole un bacio sulla guancia morbida.
“Buonanotte, Reneè.”
“Notte.”
Uscì chiudendo la porta e andò ad infilarsi nel suo sacco a pelo.
Non appena si fu sistemata Santana si accoccolò accanto a lei, appoggiandole la testa sulla spalla e si mise a guardarla con insistenza.
“Ok, che c’è? Che hai da guardarmi con quella faccia?”
Domandò quando capì che la latina aveva qualcosa in mente e che non avrebbe smesso di fissarla finché non avesse ottenuto ciò che voleva.
“Ho una domanda da farti e stavo decidendo se prenderla da lontano o se andare dritta al punto.”
Sollevò la testa per incontrare il suo sguardo e inarcò le sopracciglia.
“Santana Lopez che è indecisa se essere diretta? D’accordo ora sono veramente preoccupata.”
“È che mi rendo conto che potrebbe essere un argomento.. delicato”
“Bhè abbiamo affrontato parecchi argomenti delicati prima d’ora e io sono brava ad incassare, quindi spara pure.”
“Ok. Allora vado diretta?”
Chiese di nuovo guardandola negli occhi.
Le rivolse un cenno d’invito con la mano.
“D’accordo, allora te lo chiedo. Che cosa è successo tra te e Reneè prima che tu partissi per l’Italia?”
A Rain per poco non si stacco la mandibola per la sorpresa.
Ma come diavolo???
“Lei.. ti ha detto qualcosa?”
L’ispanica scosse la testa.
“Allora come sai che..”
“Tu sei brava a leggere le persone, io sono brava a leggere i segnali tra le persone.
Quindi ho ragione, no?! Qualcosa c’è stato..”
Abbassò lo sguardo e annuì.
“Per questo sei andata via?”
“Non solo per questo, ero già intenzionata a partire.. mi mancava solo la spinta finale..”
Santana si mise seduta a gambe incrociate davanti a lei, il mento appoggiato su una mano, pronta a sentire tutta la storia.
“E va bene..”
Sospirò mettendosi seduta a sua volta e fissando un punto imprecisato del materasso.
“In effetti è successo due giorni prima della mia partenza..
Avevamo avuto una giornata decisamente no che si era conclusa con la ciliegina sulla torta, quando al momento di andare a dormire Evy si era messa a piangere perché voleva che mamma Storm tornasse e le cantasse una ninnananna. A quel punto per Reneè è stato molto difficile resistere, ma in qualche modo è riuscita a trattenersi almeno finché non siamo riuscite a calmare Evy. Dopo di che l’ho praticamente cacciata via dalla cameretta e sono rimasta con la bambina finché non si è addormentata.
Ho trovato Reneè raggomitolata sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto e ho ben pensato che fosse il caso di sciogliere un po’ di tensione nell’alcol.. così ho recuperato delle birre, mi sono seduta accanto a lei e ho cercato di tirarla un po’ su di morale, mi sono messa a fare battute cretine e cose così. Alla fine non eravamo ubriache, ma di certo non eravamo nemmeno sobrie..
Dopo una mia battuta particolarmente riuscita, che non ricordo minimamente, ci siamo abbracciate e lei mi ha ringraziato per come la stavo aiutando e per come ero stata vicina a lei e soprattutto a Evy.. – sospirò – e mi ha dato un bacetto sulle labbra, niente di che.. se non fosse che poi ci siamo baciate di nuovo.
Eravamo già mezze nude quando mi sono resa conto di quello che stavamo facendo. Così mi sono allontanata da lei, ho farfugliato qualcosa tipo non possiamo, ho recuperato i miei vestiti e sono scappata fuori.
Il giorno dopo abbiamo evitato accuratamente l’argomento, in realtà quasi non ci siamo parlate, la sera ho fatto i bagagli e la mattina successiva sono scappata più lontano che potevo.”
“E non ne avete mai parlato? Non vi siete mai chiarite?”
Scosse la testa.
“Giusto un accenno la sera che lei e Evy sono piombate qui, ma no non ne abbiamo mai veramente parlato.”
“Sai forse dovreste, insomma.. lo so che non mi riguarda, ma è evidente che questa cosa è rimasta irrisolta e non vi fa bene.”
Scosse la testa evitando lo sguardo di Santana, ma la ragazza non si arrese e la costrinse a guardarla negli occhi.
“Ora che è passato del tempo e avete avuto modo di pensarci, forse dovreste cercare di capire cosa c’è stato dietro a quell’episodio. Dovreste cercare di capire se davvero è stato solo un momento causato dal dolore e dall’alcol o se alla base c’è qualcosa di diverso.”
“Dove vuoi arrivare?”
“Non voglio arrivare da nessuna parte.. dico solo che voi due avete affrontato insieme una situazione davvero difficile e pesante e in questi casi spesso si creano dei legami..”
“Senti perché non la smetti con i giri di parole e arrivi al punto.”
Sbottò.
Quel discorso cominciava davvero a non piacerle.
Santana sospirò.
“Forse provate dei sentimenti l’una per l’altra che non sono di semplice amicizia..
Non sto dicendo che è così. – aggiunse in fretta vedendo la sua espressione che iniziava ad essere arrabbiata – ma forse dovreste parlarne e togliervi ogni dubbio. Perché è più che evidente che i dubbi ci sono.. da entrambe le parti.”
Detto questo la ragazza tornò a stendersi, sbadigliando.
Rain rimase ancora un istante a fissare il nulla, incerta se essere arrabbiata o no.
Alla fine decise che no, non lo era, dopotutto Santana era solo preoccupata per lei, e se c'era una cosa che aveva apprezzato da subito della latina era la sua schiettezza.
Spense la luce e si sdraiò.
“Sei arrabbiata?”
Chiese la ragazza esitando ad avvicinarsi.
Allungò il braccio nell’oscurità fino a cingerle le spalle e la trascinò verso di sé per poi posarle un bacio sulla fronte.
“Nha, mi è praticamente impossibile arrabbiarmi con te..”
La latina si rilassò e in poco tempo il suo respiro si fece lento e regolare.
Rain invece rimase sveglia a lungo, fissando il buio davanti a sè.
Quando fu chiaro che per quella notte non avrebbe dormito, scivolò lentamente dalla stretta di Santana, recuperò l’ipod e le cuffie e andò al piano di sopra a sgombrare la mente contro il sacco.
 
 
 
Angolo della pazza
 
Hola Classe!
Sì lo so ci ho messo un po’ a sfornare questo capitolo e sinceramente non sono molto sicura del risultato..
Sto cercando di intrecciare al meglio gli episodi ufficiali con la storia partorita dalla mia mente malata e in questo caso mi è risultato meno semplice di quanto pensassi..
 
Comunque.. come potete vedere Rain ha le idee parecchio confuse.. chissà cosa le starà passando per la testa, a me non l’ha ancora voluto dire.
 
La canzone alla quale ho “rubato” il titolo è del signor David Cook, non so in quanti lo conoscano, personalmente io adoro la sua voce, il ragazzo ha vinto un’edizione di American Idol..
 
Allora visto il primo episodio della terza stagione?
Io l’ho adorato, ma San farà meglio a decidersi a mollare il Team Sue e Will farà meglio a riprenderla nel Glee il prima possibile o gli sguinzaglio contro Rain!!
Avete visto la faccina di Britt quando San è stata bandita? Cuuuuccioooolaaaa.
 
Va bene chiudo qui il delirio post episodio.
Hasta Luego!
WilKia >.< 
 

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Capitolo 20
*** Beat It ***


Beat It
 
 
“Storm, vuoi darti una calmata per favore? Sto cercando di guidare e mi stai distraendo”
“È passato più di un quarto d’ora da quando hanno chiamato, vuoi darti una mossa?!”
“Sto già infrangendo tutti i limiti di velocità esistenti, ho bruciato tutti i semafori rossi che abbiamo incontrato è molto probabile che mi ritirino la patente a vita.
Scusa tanto se quando abbiamo deciso di costruire questa macchina non ho pensato di dotarla di un paio d’ali, ma mi sembra che l’idea non sia venuta nemmeno a te.”
“Smettila di fare del sarcasmo e schiaccia quel maledetto acceleratore.”
“Lo sto schiacciando già talmente tanto che rischio di perforare il telaio.”
“Siamo arrivate. Dai molla l’auto lì davanti e andiamo.”
“Ti lascio all’entrata e vado a cercare un parcheggio..”
“Non se ne parla neanche. Tu vieni su con me.”
“Avanti non essere isterica adesso, vi raggiungo dopo. Immagino vogliate stare un po’ tra voi.”
Disse fermando l’auto.
Storm si voltò verso di lei e le prese il viso tra le mani piantandole quegli occhi di ghiaccio nei suoi.
“Ora stammi bene a sentire, Rain. Tu verrai lassù con me, la mia non è una richiesta. Ci sei sempre stata per tutto questo tempo e non ti permetterò di startene in un angolo sullo sfondo proprio adesso, chiaro?!”
Abbassò un attimo lo sguardo per poi rincontrare i suoi occhi.
“Inoltre, non so se ce la faccio senza il mio secondo.”
Le sorrise.
Uno dei suoi veri sorrisi, che si vedevano così raramente.
Quelli che le facevano scintillare gli occhi come due zaffiri.
“Ok comandante. Andiamo ti copro io le spalle.”
Scesero insieme dalla macchina, lasciandola lì dov’era e corsero all’interno dell’edificio.
Si affacciò ad una porta e vide ciò che stavano cercando.
“Storm, è qui.”
Si fece da parte per lasciarla entrare e poi la seguì all’interno della stanza.
“Amore mio, sono qui.”
Esclamò Storm lanciandosi al fianco di Reneè e prendendole la mano.
“Come sta andando?”
Chiese poi al medico.
“Fino ad ora tutto bene, ci siamo quasi.”
“Hai sentito, piccola? Stai andando alla grande.”
Reneè le sorrise, ma una contrazione trasformò il sorriso in una smorfia.
“Ci siamo – esclamò il dottore – Reneè, adesso voglio che alla prossima contrazione inizi a spingere.”
Storm la fece sollevare, spostò i cuscini e si mise dietro di lei, facendola appoggiare contro il suo petto e stringendole le mani.
“Forza amore mio.”
Sussurrò dandole un bacio tra i capelli sudati.
Reneè iniziò a spingere, stringendo gli occhi e gridando.
Il tempo sembrava essersi fermato.
Rain non si rese nemmeno conto che stava trattenendo il respiro.
Finché non sentì un lungo grido indignato, proveniente da un corpicino roseo e sporco di sangue che si agitava tra le mani del dottore.
Era il suono più vivo che avesse mai sentito.
“Complimenti, è una bambina bellissima.”
Commentò un’infermiera.
Reneè si era abbandonata esausta e sorridente tra le braccia di Storm, che rideva tra le lacrime.
“Allora – chiese il medico – chi taglia il cordone ombelicale?”
“Voglio che lo faccia lei.”
Disse Storm indicandola.
Il dottore le si avvicinò con la piccola tra le mani e la guidò nell’operazione per poi affidare la bimba ad un’infermiera.
“Ecco qui – disse la donna porgendo la piccola a Reneè, dopo averla lavata e avvolta in una copertina – vai a conoscere la tua mamma.”
“Ciao Evelyn.”
Reneè studiò a lungo i minuscoli tratti del viso della sua bambina, sorridendo e piangendo allo stesso tempo.
“È perfetta.”
Bisbigliò Storm, quando la sua compagna le porse la piccola.
“La mia bellissima Nuvoletta.”
Si avvicinò a lei.
“Vieni Evy, mamma Storm ti deve presentare una persona molto importante.
Ecco, lei è zia Rain. È la tua madrina e la migliore amica che si possa desiderare. Fidati sempre di lei.”
Alzò gli occhi per incontrare i suoi.
“Avanti ragazzina, vieni qui.”
La invitò con un sorriso.
Rain si avvicinò e Storm le mise la bambina tra le braccia per poi tornare da Reneè e darle un lungo bacio sulle labbra.
“Ciao piccolina – mormorò incontrando per la prima volta quegli occhietti, verdi come quelli di sua madre – sei fortunata, sai? Di solito i bambini hanno una sola mamma, tu invece ne hai due e sono tutte e due magnifiche.”
La cullò piano accarezzandole il visino con un dito, poi la restituì a Storm e andò ad abbracciare Reneè.
“Sei stata bravissima.”
“Grazie, Rain. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi in questi mesi.”
Scrollò le spalle modestamente.
“Ce l’avreste fatta benissimo anche senza di me. Siete bellissime ragazze. Sono molto fiera di voi.”
Storm restituì la piccola e Reneè e poi allargò le braccia per stringerle tutte in un grande e dolce abbraccio che sapeva di famiglia.
 
Sentì uno spostamento d’aria improvviso.
Il suo braccio destro scattò in avanti e la sua mano si strinse intorno ad un polso sottile, mentre spalancava gli occhi e si sollevava a sedere.
Si trovò davanti un paio di occhi neri stupefatti.
Santana si riprese quasi subito dalla sorpresa.
“Buongiorno soldato.”
Esclamò con un sorriso.
Alcuni istanti dopo abbassò gli occhi sul suo polso ancora stretto nella sua presa.
“Pensi di restituirmi la mano? Sai durante il giorno potrebbe servirmi.”
Rain la lasciò andare e si sfregò gli occhi per poi stiracchiarsi sbadigliando.
“Scusa. Che ore sono?”
“Le 7..
Non dirmi che hai passato la notte a tirare pugni, di nuovo..?”
Abbassò lo sguardo ed annuì.
“È colpa di quello di cui abbiamo parlato ieri sera?”
Insistette la ragazza chinando la testa finché non riuscì ad incontrare di nuovo i suoi occhi.
Non rispose, non ce ne fu bisogno.
Santana appoggiò la mano sulla sua.
“Scusa, non volevo toglierti il sonno. Ma è più forte di me, non ci riesco proprio a farmi gli affari miei..”
Le sorrise, stringendole la mano e alzò le spalle con fare noncurante.
“Nell’ultimo anno mi sono abituata a dormire poco..
Ehi, ragazzina – la richiamò, quando abbassò lo sguardo – non provare minimamente a sentirti in colpa. Il problema c’era già, tu non hai fatto altro che costringermi ad ammettere la sua esistenza. E hai ragione io e Reneè dovremmo parlarne.”
Si alzò stiracchiandosi.
“Pessima idea dormire su quel materassino.”
Sospirò, sentendo le sue vertebre scrocchiare.
L’ispanica la osservò con aria critica.
“Eh, già. Quando si comincia ad avere una certa età non si possono più fare certe cose.. dovresti davvero iniziare a pensare a darti una regolata, sai.. rallentare un po’.”
Commentò con un ghigno divertito.
“Mi stai dando della vecchia, ragazzina?!”
Chiese assumendo il suo sguardo più minaccioso.
“Ehi non sono io ad avere tutte le giunture scricchiolanti – rispose la ragazza con un ghigno ancora più ampio – vecchietta..”
Quasi non le diede il tempo di finire di parlare.
Scattò verso di lei piegata in due, appoggiando la spalla contro il suo addome e afferrandole le gambe con un braccio e la sollevò.
“RAIN! – strillò la latina indignata e sorpresa – mettimi giù immediatamente.”
Ordinò.
Ma Rain sentì anche la risata nascosta nella sua voce.
Per tutta risposta iniziò a saltellare per la stanza, mentre Santana si agitava e le dava degli schiaffi e pugni sulla schiena nel tentativo di liberarsi.
“Agitati pure quanto vuoi, posso tenerti lassù anche tutto il giorno”
Esclamò cambiando la presa sulla ragazza e iniziando a farla roteare sulle sue spalle.
“Allora, chi è la vecchietta adesso eh?”
La ragazza non riuscì più a fingersi arrabbiata e iniziò a ridere.
“Anch’io zia Rain, Anch’io!”
Gridò Evy entrando di corsa nella stanza, probabilmente richiamata dalle urla e dalle risate.
“Hai sentito Santana, la mia Nuvoletta vuole volare – commentò avvicinandosi al materassino su cui aveva dormito – fine della corsa per te.”
La lasciò cadere a peso morto sul materasso e si girò a sollevare Evy per poi lanciarla in aria e riprenderla al volo diverse volte tra le sue risa divertite.
“Ancora.”
Chiese la piccola quando Rain smise di farla saltare.
La strinse in un abbraccio e iniziò a ricoprirle il viso di baci, mentre la piccola rideva stringendole le braccia al collo.
In quel momento Reneè si affacciò alla porta, sorridendo davanti alla scena.
“Ehi, guarda Nuvoletta. La mamma è sveglia. Corri a darle un bacione.”
La piccola non se lo fece ripetere e corse subito tra le braccia della madre.
“Ciao piccola peste. Hai già iniziato a far corre zia Rain?”
La bimba annuì.
“Buongiorno ragazze.”
Disse Reneè dopo che ebbe salutato per bene la sua piccola, riempiendola di baci.
“Giorno.”
Bofonchiò Santana ancora spalmata sul materassino.
“Che le è successo?”
Chiese la rossa.
“Niente, niente. Sta solo facendo della scena.”
Rispose scrollando le spalle.
“Avete già mangiato?”
“No, ci siamo appena alzate.”
“Ok, allora ci penso io. Vieni Nuvoletta. Andiamo a preparare la colazione.”
Rain le osservò, mentre andavano di sotto.
“Non ci provare neanche.”
Esclamò, avvertendo un movimento dietro di sé.
Si voltò lentamente e trovò Santana a pochi centimetri da lei, pronta a saltarle addosso e con una buffa espressione tra lo stupito e il contrariato dipinta sul volto.
“Prima o poi ci riuscirò a prenderti di sorpresa.”
Disse la latina in tono di sfida.
“Mhmm. Continua pure a ripetertelo, ragazzina.”
Commentò con un ghigno, scompigliandole i capelli.
“Ma fossi in te, non ci spererei troppo.. lo sai che potrei reagire male.”
“Era forse una minaccia?”
“No, ti stavo solo ricordando il mio piccolo problema.”
Rispose ridiventando seria.
Santana si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
“Ehi, non ti sei accorta di quanto sei migliorata in questo periodo? Quasi non ti irrigidisci più.. almeno non con me. Ormai ti sei abituata ad avermi intorno. – le sorrise – perciò, quando riuscirò a prenderti di sorpresa, perché credimi, io ci riuscirò.. dovrai incassare e ammettere la sconfitta.”
Le lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza.
Rain la seguì con lo sguardo, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Il suo cellulare squillò e andò a prenderlo per leggere il messaggio che le era arrivato.
 
Ciao pazzoide.
Ho una candidata.
Vive non molto lontano da dove sei tu, a Dayton.
Più tardi ti mando un’e-mail con tutti i particolari.
Bacio
F.
 
Rain infilò una mano in tasca e strinse la lettera nel pugno.
Non voleva farsi illusioni, ma..
Forse ci siamo.
 
 
La settimana passò in fretta.
Dopo essersi accordata con Burt, Rain aveva ripreso a lavorare alla mattina in officina, per poi passare il pomeriggio al McKinley come collaboratrice di Will al Glee.
Semplicemente non poteva più farne a meno.
Nel frattempo si stava organizzando per fare un viaggetto a Dayton e andare a verificare di persona le scoperte di Fren.
Per quel sabato sera il Glee aveva organizzato uno spettacolo per raccogliere i fondi per il viaggio alle Nazionali e per pagare la trasferta della squadra dei Genialoidi, che avevano ottime possibilità di vincere la competizione di decathlon accademico.
“Reneè, dai siamo in ritardo.”
Esclamò prendendo Evy in braccio, mentre entravano a scuola.
Quella sera non si sarebbe esibita, ma doveva occuparsi dell’impianto luci.
Ad un tratto la sua attenzione fu attirata da delle voci concitate.
Si affacciò dietro l’angolo del corridoio che stava percorrendo e vide Kurt e il suo ragazzo Blaine che stavano litigando con un energumeno che indossava la tuta della squadra di football.
Allungò un braccio per fermare Reneè che stava per svoltare l’angolo e le passò la bambina, facendole segno di rimanere in silenzio.
Blaine e il ragazzo iniziarono a spintonarsi.
Stava per intervenire, ma vide una figura esile frapporsi tra i due ragazzi e separarli.
“Ehi, ragazzi. Smettetela!”
Esclamò Santana.
“Forse dovresti intervenire?”
Bisbigliò Reneè preoccupata.
“Aspetta. Vediamo come se la cavano da soli.”
“Hai il coraggio di fare a botte, ma non di affrontare la verità.”
Esclamò Kurt fissando il ragazzo negli occhi.
“Quale verità?”
Domandò Santana perplessa.
“Non sono affari tuoi J.lo.”
La latina assunse un’espressione decisamente pericolosa.
“Cavoli.. sembra quasi te quando vuoi minacciare qualcuno.”
Commentò Reneè stupefatta dal repentino cambio di espressione della ragazza.
“Prima di tutto qualunque cosa fai è affar mio da quando hai deciso di lanciarmi una granita fra i denti.”
“Me la so cavare con una ragazza e due finocchi.”
Commentò il ragazzo.
“Ah, quindi è quello Karofsky..”
Bisbigliò Rain.
“Sicura non sia il caso di intervenire?”
“Tranquilla.”
“Ah, ok! – disse Santana avvicinandosi di un passo al ragazzo – ora ti spiego cosa succederà. Hai due scelte: rimani e io ti schiaccerò un testicolo, destro o sinistro questo lo lascio scegliere a te, oppure puoi sparire e vivere per essere un coglione un altro giorno. Oh e sai un’altra cosa? Ho delle lamette nascoste nei capelli. Mhmm a tonnellate – continuò l’ispanica agitando le mani intorno alla sua testa – tutte qua dentro!”
Karofsky fece un gesto di stizza dopodiché voltò le spalle e se ne andò con la coda tra le gambe.
“Per la miseria! – bisbigliò Reneè stupita e ammirata – certo che la ragazzina sa come farsi rispettare.”
“Puoi giurarci.”
Rispose Rain orgogliosa.
“Andiamo, vi accompagno in auditorium e poi raggiungo i ragazzi.”
Disse quando il corridoio fu di nuovo libero.
 
Rain fermò l’auto davanti a casa e lei e Reneè si voltarono ad osservare il sedile posteriore.
Si scambiarono uno sguardo e sorrisero.
Santana era mezza sdraiata con Evy accoccolata sulle sue ginocchia ed entrambe dormivano profondamente.
Rain aprì piano la portiera e sollevò lentamente Evy, per poi passarla alla madre.
Quindi si chinò di nuovo all’interno dell’abitacolo e prese la ragazza in braccio, stando attenta a non svegliarla.
Portarono entrambe di sopra e le sistemarono nel letto di Rain, rimboccandogli intorno le coperte.
“Buonanotte amore mio.”
Bisbigliò Reneè, lasciando un bacio sulla fronte della piccola prima di uscire dalla stanza.
L’ex-soldato finì di sistemare le coperte.
“Buonanotte Nuvoletta.”
Bisbigliò dando un bacio a Evy.
“Buonanotte ragazzina”
Accarezzò i lunghi capelli neri di Santana e uscì chiudendosi piano la porta alle spalle.
Reneè la stava aspettando con due bottiglie di birra in mano.
“Sicura di voler bere insieme a me? – chiese cercando di sorridere e prendendo una bottiglia – l’ultima volta stava succedendo un bel casino..”
“Già.. – commentò Reneè senza guardarla – Rain.. io ed Evy dobbiamo tornare a casa. Ho preso una vacanza al lavoro per venirti a cercare, ma alla fine della settimana prossima devo tornare.”
Alzò lo sguardo e tuffò quegli occhi verdi nei suoi.
Rimase in attesa che la donna continuasse.
“So perché sei qui, ma..”
“Avanti, Reneè. Che cosa mi vuoi chiedere?”
La interruppe.
“Sempre la solita Rain che va dritta al punto.. – sorrise – è incredibile quanto tu abbia assimilato da Storm. Hai i suoi stessi modi, hai imparto a rifare il suo sguardo minaccioso alla perfezione. Eri la sua allieva e lei era così orgogliosa di te, non faceva che ripetermelo. Mi ricordi lei così tanto..”
Le sfuggì una lacrima.
“Credo sia per questo che quella sera ti ho baciata. – continuò osservando la bottiglia che stringeva in mano – avevo bisogno di qualcuno che, in un certo senso, avesse qualcosa di lei. E credo che anche per te sia stata la stessa cosa, vero?”
Chiese incontrando di nuovo i suoi occhi.
“Tu ci ami, perché Storm ci amava..”
Rain si avvicinò a lei e la abbracciò.
“In parte è così, ma non è solo quello. Io ti voglio bene perché sei una donna straordinaria, Reneè. E perché abbiamo affrontato tante cose insieme e siamo amiche. E mi sarebbe impossibile non amare Evy.”
“Allora promettimi che non sparirai più. Perché noi abbiamo bisogno di te. So che tra noi non potrà mai esserci niente, perché sarebbe sbagliato per entrambe e ci sentiremmo in colpa pensando a Storm. Ma siamo comunque una famiglia. – sospirò – E voglio che tu ci sia nella vita di Evy. Non accetto un no come risposta.”
Rain lottò con tutte le sue forze per trattenere le lacrime.
“Ci sarò. Lo prometto. Verrò a trovarvi di continuo. Mi vedrete così spesso che non ne potrete più di me, ok?!”
La sentì annuire contro la sua spalla.
“Non me lo perdonerei mai se non vedessi crescere quella piccola peste.”
Si separarono ed entrambe presero un lungo sorso di birra.
Reneè si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
“Mi dispiace dover partire e lasciarti qui, sai.”
“Me la caverò..”
“Oh, non ne dubito.. e comunque ti lascio in ottime mani.”
Rain la guardò di sbieco.
“Parlo di Santana. – aggiunse con fare ovvio -  quella ragazza sa più che bene come gestirti. Mi piace molto la Rain che vedo quando sei con lei.. ammetto di essere un po’ gelosa, ma più che altro perché ho visto dei lati di te che non avevi mai tirato fuori prima, nonostante ci conosciamo da anni e che lei invece è riuscita già a farti mettere allo scoperto. Ti fa bene stare con lei. E sono sicura che la cosa è reciproca. Ti meriti davvero un po’ di serenità.
Sono contenta che vi siate trovate.”
Rain sorrise.
“Già, anche io.”
 
 
 
Angolo della pazza
Hola, como estas?
Ecco a voi il cap. 20, molto Rain-Reneè centrico, a parte per il grande momento di gloria della nostra San.
Finalmente Rain e Reneè si sono chiarite.
Non c’è molto altro da dire se non che tengo molto a questo capitolo.
La parte iniziale non è nata subito, rileggendolo mi sono resa conto che mancava qualcosa e così le dita hanno iniziato a volare sulla tastiera finché non è venuto fuori il sogno-ricordo di Rain.
Il titolo appartiene a una canzone di Michael Jackson ed è riferito soprattutto al momento di gloria della nostra San.
 
Ok direi che non c’è altro da aggiungere.
Grazie mille a chi mi legge e grazie millemila a chi mi fa sapere quello che pensa.
Vi voglio benerrimo.
Besitos
WilKia
>.< 

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Capitolo 21
*** The Way I See It ***


The Way I See It
 
 
 
“RAIN.”
Chiamò, mentre entrava in casa quasi di corsa.
“Sono di sopra, in bagno.”
Le arrivò la risposta ovattata dell’amica.
Si affrettò sulle scale e si affacciò alla porta aperta del bagno, dove Rain era impegnata a rifarsi le treccine.
“Non ti dovevi vedere con i ragazzi e Kurt oggi pomeriggio?”
“Sì sono solo passata a mettere giù dei libri.. – sorrise al suo riflesso nello specchio, preparandosi a raccontarle la sua nuova strategia - Ho trovato!”
Vide un’espressione confusa apparirle sul  volto.
“Sto per iniziare la mia campagna per essere eletta reginetta del ballo.”
Spiegò.
L’espressione dell’ex-soldato divenne ancora più confusa.
“Non sapevo che ti interessasse questa cosa.. insomma sei il terrore della scuola..”
“Ultimamente la mia reputazione è in calo, non devo ricordarti che la settimana scorsa mi sono presa una granitata, vero?”
“Quindi pensi di tornare al vertice facendoti eleggere reginetta..”
“Esattamente. Così potrò anche riavere Britt.”
Le sopracciglia della donna si inarcarono in un’espressione interrogativa.
“Intendo dirle che per decreto reale deve mollare due ruote e mettersi con me.”
Spiegò con un’alzata di spalle.
L’espressione di Rain divenne indecifrabile per un istante.
“E con chi pensi di candidarti? Non con Mr. Trouty Mouth, vero..?”
 Domandò litigando con le sottilissime ciocche che stringeva tra le dita e che sembravano essersi animate, annodandosi a casaccio.
“Vuoi una mano?”
Rain annuì e Santana si mise pazientemente a sciogliere quel groviglio, ricominciando a fare la treccina da capo.
“Sarebbe un suicidio dal punto di vista strategico.. – disse rispondendo alla domanda dell’amica -  Sam è arrivato a scuola quest’anno e si è unito subito al Glee che sta in fondo alla catena alimentare. No se voglio vincere devo candidarmi con il vertice della catena alimentare del McKinley.”
Le sopracciglia di Rain si sollevarono pericolosamente.
“Non starai pensando a chi credo io..”
“Dave Karofsky.”
“Ovvero lo stesso imbecille che ti ha ricoperta di granita..”
Commentò la ragazza scuotendo la testa.
“Vuoi star ferma? Sto cercando di farti una treccina decente.. – la sgridò – comunque sì parliamo dello stesso imbecille..”
“E cosa ti fa pensare che quel troglodita omofobo ti aiuterà nella tua campagna?”
La interruppe.
“Ho un asso nella manica.”
Rispose con un ghigno furbo, mentre finiva la treccina.
“Aspetta – disse Rain prendendo un cordino azzurro – finisco io.”
Le sfilò la sottilissima treccia dalle dita e vi annodò il cordino, mentre la latina incominciava a farle l’altra..
“Ebbene? Con cosa lo vorresti ricattare? Perché stiamo parlando di un ricatto, no?”
“Reggiti forte.. Dave Karofsky è Gay. Oggi l’ho beccato mentre radiografava il culo di Sam.”
“Quindi intendi minacciarlo di rivelare il suo segreto a meno che non si candidi con te per il ballo..”
“Diciamo che l’idea è quella. L’ho invitato per un caffè domani e metterò in atto il mio piano.”
Concluse concentrandosi su quello che stava facendo.
“Cosa?”
Domandò vedendo l’espressione corrucciata di Rain, quando ebbe finito.
L’ex-soldato fissò la treccina con un laccetto verde e si voltò verso di lei.
“Allora prima di tutto so che sei abituata a fare tutte le tue manipolazioni per restare al vertice, ma so anche che nel tuo rapporto con Britt ti sei sempre comportata lealmente nei suoi confronti e non hai mai approfittato del fatto che lei viva in un mondo tutto suo e so che non inizierai proprio adesso a farlo. Quindi smettila di raccontarmi cavolate e soprattutto di raccontarle a te stessa.”
Aprì la bocca per ribattere, ma Rain la interruppe.
“Non ho ancora finito.
Questa storia della reginetta del ballo, sinceramente non l’ho mai capita, ma come sai ho avuto un’adolescenza abbastanza anomala e del liceo e di tutte le sue dinamiche sociali non me n'è mai veramente fregato nulla.. detto questo, se ti vuoi candidare hai tutto il mio appoggio fai pure ciò che ritieni necessario per vincere.. ma perché per una volta non provi a impiegare le  tue energie in modo un po’ più costruttivo.. a fare qualcosa che vada al di là del tuo tornaconto personale.
Lo so che devi mantenere la tua reputazione di stronza numero 1 della scuola – continuò bloccando la sua obiezione sul nascere – ma lo puoi fare comunque, sei abbastanza abile come manipolatrice da fare qualcosa di buono, facendolo sembrare come una semplice macchinazione per qualche tuo scopo assolutamente egoistico.”
Concluse con il suo mezzo sorriso depositandole un bacio sulla fronte.
“Grazie per l’aiuto con le treccine.”
Aggiunse uscendo dal bagno.
Santana seguì con aria pensosa il riflesso della sua schiena sparire dallo specchio.
Rimase alcuni minuti con lo sguardo perso nel vuoto, ripensando al discorso dell’amica.
Osservò il suo riflesso nello specchio, domandandosi come fosse possibile che qualcuno entrato da così poco tempo nella sua vita la conoscesse così a fondo, e perché la sua opinione contasse tanto per lei.
 
 
Quella sera, quando andarono a dormire Santana si ritrovò a giocherellare con le treccine di Rain.
“Cosa significano?”
Le chiese tirandole piano, per farle capire di cosa stesse parlando.
“Perché mai un paio di treccine dovrebbero significare qualcosa?”
“Perché ti conosco.. e non sei il tipo di persona che fa qualcosa tanto per farla.”
Rispose sollevandosi in modo da guardarla in faccia.
Le sue labbra si incurvarono nel suo mezzo sorriso.
“Beccata.”
Esclamò puntandole l’indice contro una spalla.
“Sono un promemoria..”
Rispose enigmatica.
Rimase in silenzio attendendo che continuasse, ma Rain sembrava non voler aggiungere altro.
“Mhmm, tutto qui? Avanti soldato, non mi puoi lasciare così con le informazioni a metà.. poi finisce che non ci dormo la notte e domattina finisco per radere al suolo la scuola.”
La incitò facendola ridere.
L’ex-soldato ridivenne presto seria e fissò lo sguardo nel nulla.
Faceva sempre così, quando raccontava qualcosa di sé.
“Rappresentano le persone che considero la mia famiglia. Quella con il cordino azzurro è per Storm, l’altra è per Evy e Reneè. Quando ho conosciuto Storm e quando poi ho iniziato a frequentare anche Reneè ho iniziato per la prima volta a capire come ci si sente a far parte di una famiglia.. e poi è arrivata anche quella meravigliosa piccola peste.. prima che loro entrassero nella mia vita non.. – sospirò – sai dei miei genitori, non si può certo dire che mi abbiano trasmesso il senso della famiglia.”
Santana rimase silenziosa, certo il suo vissuto non era tragico come quello dell’amica, ma sapeva bene come fosse sentirsi degli estranei nella propria famiglia.
“Ehi ragazzina, ti sei addormentata? Non credevo di essere così noiosa.”
Rise.
“Ti voglio bene, Rain.”
Disse istintivamente, stringendola.
“Ti voglio bene anche io, ragazzina.”
Rimasero in silenzio per alcuni istanti.
“Allora hai pensato a quale canzone fare al Glee per il compito della settimana?”
Annuì.
“Ho trovato una canzone che sembra fatta apposta per me. Che ne dici, me la dai una mano con i cori?”
 
 
Mommy used to say to me
Bein’ you’s the best you can be
(And I) Make my mistakes
(But I) Don’t change my ways
Because I’m satisfied with me
 
I suoi compagni tenevano il tempo battendo le mani, mentre si esibiva.
Rain accanto a lei sfoggiava il suo mezzo sorriso e sembrava divertirsi un mondo.
 
See I don’t trip when my friends
They say to me
Damn you’re mean
Just because I see the same as they but differently
 
L’ex-soldato unì la voce alla sua per il ritornello.
 
Well you’re trippin’
If you’re thinkin’
I ain’t gonna speak my mind
Well pardon me for living
Expressing my opinion
That’s just the way I see it
Oh, oh, oh, oh
 
Even if I really could change
I think people would find me strange
They think I’m buggin’
Maybe on something
Just because they wouldn’t be me
 
So don’t get mad cause we
Don’t see the same
Cause that’s OK
You be you and I’ll
I’ll concentrate on being me
 
Well you’re trippin’
If you’re thinkin’
Yeah
I ain’t gonna speak my mind
Well pardon me for living
Expressing my opinion
That’s just the way I see it
Oh, oh, oh, oh
 
Yeah
I won’t apologize for being strong
Cause that’s ain’t wrong
I don’t know how to be
Nobody else but me
 
Well you’re trippin’
If you’re thinkin’
I ain’t gonna speak my mind
Well pardon me for living
Expressing my opinion
That’s just the way I see it
Well you’re trippin’
If you’re thinkin’
I ain’t gonna speak my mind
Well pardon me for living
Expressing my opinion
That’s just the way I see it
 
“Molto bene, Santana.”
Commentò il professor Schuester, mentre suonava la campanella.
“D’accordo ragazzi, ci vediamo domani.”
 
 
La lezione di quel giorno stava per iniziare quando si sentì bussare alla porta e il preside Figgins entrò in aula canto seguito da Dave Karofsky.
Dopo un primo momento di sorpresa i compagni di Santana iniziarono a protestare tutti insieme, indignati per la presenza del ragazzo.
“Per favore – li richiamò il preside – vi sto chiedendo solo di ascoltarlo.”
Il professor Schue e Rain lasciarono il centro dell’aula ai nuovi venuti e l’ex-soldato occupò la sedia dietro di lei, rivolgendole uno sguardo incuriosito, mentre le passava davanti.
Ovviamente ha già visto che c’è dietro il mio zampino.. ma come cavolo fa?
Dave recitò bene la sua parte, interpretando il ruolo del bullo pentito, mentre ripeteva il discorso che avevano concordato.
“Posso solo dirvi – concluse il ragazzo – che Santana mi ha aiutato ad aprire gli occhi.”
Tutti gli sguardi si puntarono su di lei mentre il ragazzo continuava il suo commovente racconto su come lei lo avesse redento.
“Aspetta – disse Quinn incredula puntando un dito verso di lei – Santana?”
Ok si va in scena.
“Questo Glee club non è completo – disse alzandosi per raggiungere Dave – non senza Kurt. Mi sono accollata la responsabilità di riabilitare Dave. Così Kurt vorrà tornare, probabilmente per vincere le Nazionali. L’ho fatto per tutti noi.”
Recitò tutta la sua parte in maniera ostentata, facendo sembrare che si fosse studiata il discorso apposta per quell’occasione.
“E intanto è successo qualcosa di inaspettato. – continuò prendendo la mano del ragazzo e scambiando con lui un perfetto sguardo da piccioncini – qualcosa chiamato amore.”
I suoi compagni reagirono con espressioni di disgusto alla notizia della sua storia con Karofsky, e quasi decise di buttare tutto all’aria vedendo lo sguardo triste che Brittany le aveva rivolto.
“Voglio che Kurt si senta sicuro di tornare. – riprese Dave cingendole le spalle con un braccio – per questo Santana ed io abbiamo creato un nuovo club: Gli Spazza Bulli.”
“Il nome è una mia idea.”
Fece un bel sospiro e sollevò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi scuri di Rain che le rivolgeva il suo mezzo sorriso.
Non riuscì a non ricambiare.
Lei aveva capito.
Non si era lasciata ingannare neanche per un secondo dalla sua recita ostentata.
Aveva capito che aveva seguito il suo consiglio e che stava davvero tentando di fare qualcosa di buono.
Vide qualcosa nei suoi occhi, che non seppe identificare, perché non si era mai vista guardare con quello sguardo.
Dave e Figgins finirono il loro discorso su come progettavano di far ritornare Kurt proprio sul finire dell’ora.
Tutti quanti uscirono dall’aula rivolgendole degli sguardi perplessi, come se sospettassero che stesse macchinando qualcosa, che ancora non riuscivano a capire.
Sam la guardò con aria ferita.
Finalmente mi sono liberata anche di lui.
Non ebbe il coraggio di incontrare gli occhi tristi di Brittany.
Se l’avesse fatto non avrebbe resistito e sarebbe finita col mandare tutto a monte.
Il professor Schue si limitò a metterle una mano sulla spalla, mentre le passava accanto.
Sentì un battito di mani ritmato e alzò lo sguardo su Rain che si avvicinava applaudendo con il suo mezzo sorriso stampato sulle labbra e ancora quello sguardo strano negli occhi.
“Complimenti. Un’attrice nata. Ti meriteresti l’oscar per questa interpretazione a dir poco superba. Brava, brava!
Sorrise imbarazzata e abbassò lo sguardo.
Non appena Rain le fu accanto, la prese per le spalle e la strinse in un abbraccio.
“Quasi non riesco a credere che tu mi abbia davvero ascoltata – bisbigliò al suo orecchio – sei stata bravissima nel mettere su questo teatrino per nascondere le tue nobili intenzioni.”
Continuò con un tono vagamente canzonatorio, ma ridivenne subito seria.
“Non avrei mai immaginato che arrivassi a fare così tanto.”
Si allontanò quel tanto che bastava perché i loro occhi potessero incontrarsi e vide ancora quello sguardo.
“Sono fiera di te, Santana. Sono molto, molto fiera di te.”
 
 
 
Angolo della pazza
Ce l’ho fattaaaa sono solo le 0.22 e ho finito il capitolo in 6 ore nette.. non male eh??!
Spero che la fretta non mi abbia fatto scrivere una cagata colossale.
La canzone che canta San e che dà il titolo al capitolo è di Anastacia.
 
Fatemi sapere che ne pensate
recensiteRecensiteRECENSITE
 
Besitos a todo el mundo
WilKia >.<

P.S. colleeeegaaaaaa hai visto che brava che ho aggiornato subito ;P 

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Capitolo 22
*** Iris ***


Allora giusto due paroline prima di cominciare..
Questo capitolo è un po’ diverso dai precedenti
In quanto ho sviluppato la seconda parte in modalità songfic
(Spero non venga fuori una schifezza mostruosa..)
Bene vi lascio alla lettura
 
Enjoy
WilKia >.<
 
 
 
Iris
 
Aprì gli occhi lentamente, svegliata dal suono allegro di forti risate provenienti dal piano di sopra.
Dall’altro lato del materasso, il sacco a pelo di Rain era vuoto.
Si stropicciò gli occhi e si stiracchiò sbadigliando, quindi decise di salire al piano di sopra e scoprire l’origine di tutto quel trambusto.
Le risate provenivano dalla camera da letto.
La porta era aperta, si affacciò nella stanza e si appoggiò a braccia incrociate allo stipite della porta per godersi lo spettacolo.
Rain era sul letto e si stava rotolando, cercando di divincolarsi dalla presa di Evy avvinghiata alle sue braccia, mentre Kirk si arrampicava su di lei, conficcando le unghiette nella stoffa dei suoi abiti e, probabilmente anche nella sua pelle, il tutto tra le risate divertite della piccola.
Reneè era seduta per terra, accanto al letto, che si teneva l’addome con le mani, a sua volta scossa dalle risate.
“Non lo sai che è da maleducati spiare?”
Domandò l’ex-soldato continuando a dare le spalle alla porta, mentre era ancora impegnata nel suo tentativo di liberarsi.
Santana scosse la testa ridendo, proprio non riusciva ad abituarsi a questa capacità che aveva l’amica di tenere sempre sotto controllo tutto ciò che le accadeva intorno.
Entrò nella stanza salutando Reneè che le rivolse un cenno senza riuscire a smettere di ridere.
“Che ne diresti di darmi una mano?”
Le chiese la ragazza, quando si fermò davanti a lei.
L’ispanica assunse un’aria pensosa, appoggiandosi un dito sul mento e alzando gli occhi al cielo.
“Mmm, sì potrei anche farlo.. – rispose un istante dopo, sfoggiando il suo ghigno da stronza – ma sai com’è, penso che sarebbe molto più divertente schierarmi con Evy.”
Esclamò lanciandosi sul letto e iniziando a farle il solletico, approfittando del fatto che l’amica avesse le braccia bloccate nella stretta della bambina.
“SANTANA!”
Gridò Rain tra le risate cercando di divincolarsi da quel triplo attacco.
“Santana Lopez, smettila immediatamente o ti giuro che te ne pentirai.”
La minacciò.
“Dai Evy che vinciamo noi, tienila forte.”
Incitò la piccola che rideva come una matta per quel gioco.
“Ok, adesso basta!”
Esclamò Rain.
Con uno scatto sollevò Evy, e riuscì a liberare un braccio dalla sua presa, afferrò Kirk per la collottola, mentre il gattino raggiungeva la sua spalla.
Contemporaneamente si sottrasse alla sua presa e rotolando sul letto riuscì a bloccarle le braccia stringendole i polsi tra i polpacci e incrociando le caviglie per avere maggiore presa.
“Direi che abbiamo una vincitrice.”
Decretò Reneè tra le risate generali.
Rain liberò Kirk, che saltò giù dal letto e iniziò a risistemarsi il pelo in disordine.
L’ex-soldato afferrò Evy con tutte e due le mani, rimanendo sdraiata di schiena e iniziò a farla ondeggiare per aria.
“Guarda mamma. Volo!”
Esultò la piccola allargando le braccia, felice per quel nuovo gioco.
“Che ne diresti adesso di lasciarmi andare?”
Domandò Santana, cercando di liberare i polsi ancora stretti nella sua presa.
“Mmm sì, potrei anche farlo, ma sai com’è, penso sia molto più divertente tenerti lì bloccata finché ne avrò voglia.”
Ritorse Rain rivolgendole un ghigno perfido.
“Così finirò per far tardi a scuola e tu al lavoro.”
“Per oggi ho chiesto la giornata libera a Burt, quindi non devo andare in officina. E il fare tardi a scuola è un problema solo tuo..”
“Maledizione. Dai Rain liberami.. per favore.”
Aggiunse cercando di ostentare un’espressione innocente ed innocua.
Non aveva realizzato subito che fosse sabato e che quella sera Reneè ed Evy sarebbero partite.
Rain si era liberata da tutti gli impegni quel giorno, compreso il Glee, per poter passare la giornata con loro.
“Ok, vi lascio da sole a risolvere la questione. – si intromise Reneè prendendo Evy dalle mani di Rain – vieni Nuvoletta, andiamo a fare il bagnetto.”
Uscì dalla stanza riempiendo il viso della piccola di baci, tra i suoi risolini estasiati.
L’ex-soldato si divertì ancora un attimo a tenerle le mani bloccate, prima di decidersi finalmente a liberarla.
“Finalmente! – esclamò massaggiandosi i polsi indolenziti – ma che hai, i polpacci di titanio?”
Rain rise, rilassandosi sul materasso, allungando gli arti per stiracchiarsi.
“Ehi..”
Disse piano vedendo un’ombra malinconica passare nei suoi occhi scuri.
Si stese accanto a lei e l’abbracciò.
“Ti mancheranno molto, vero?”
“Ho provato a non abituarmi a riaverle intorno.. ma non ci sono riuscita.”
Rispose Rain con un sospiro, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
Rimasero qualche istante in silenzio.
Anche a lei dispiaceva vederle partire, ormai si era affezionata ad Evy, e anche un po’ a Reneè, ammise.
“Tu e Reneè avete parlato.. di quella cosa?”
Chiese alzando lo sguardo su di lei.
Rain annuì.
“Bene, è già un risultato.”
Commentò riadagiando la testa sulla sua spalla.
L’ex-soldato si sollevò e la scrutò perplessa.
“Tutto qui? Mi aspettavo un terzo grado..”
“Nha.. non sono dell’umore adatto.
A che ora hanno il volo?”
“Alle 7 di stasera..”
“Vuoi che ordini qualcosa in particolare per cena?”
“Mi fermo io a prendere qualcosa mentre torno.
Ma i tuoi sono ancora fuori  città?”
“Cos’è, vuoi liberarti anche di me?”
Le chiese con un sorriso, spingendole la spalla.
“Proprio così, non sono ancora riuscita a starmene un po’ da sola in questa casa.. – rispose Rain, facendole la linguaccia – no seriamente, lo sai che adoro averti qui, ero solo curiosa.”
“Sono dispersi in un qualche albergo extralusso in Svizzera, credo. Staranno via anche il mese prossimo. Era una vita che volevano fare questa vacanza. Ovviamente con i rispettivi amanti al seguito.. – aggiunse sarcastica – bene, sarà meglio che mi prepari ad andare a scuola.”
Disse alzandosi, prima che Rain potesse dire qualsiasi cosa al riguardo.
Non le andava di parlare dei suoi genitori, lo considerava uno spreco di fiato e di tempo.
“Ci vediamo stasera.”
La salutò uscendo dalla stanza.
“A stasera ragazzina.”
 
 
Santana stava sistemando i suoi libri nell’armadietto, prima di andare in auditorium, quando una sorridente Brittany la raggiunse.
“Ehi. Ti piace la mia maglietta per il Glee club?”
Domandò la ballerina slacciandosi la giacca azzurra e mostrandole la maglietta bianca con impressa la frase I’m with stoopid corredata da una freccia puntata verso la sua testa.
“È perfetta – commentò sorridendo – guarda la mia.”
Continuò aprendo a sua volta la giacca e sfoggiando orgogliosa la parola Bitch.
“Che c’è? – domandò davanti all’espressione per nulla entusiasta di Brittany – è perfetta. La leggenda narra che appena nata ho dato della grassona all’ostetrica.”
“Bhè – disse la bionda estraendo un’altra maglietta dalla tasca della giacca – io ne avrei fatta un’altra per te.”
Santana guardò la maglietta che l’amica le stava mostrando, su cui campeggiava la scritta Lebanese.
“Sono ispanica.”
Commentò aggrottando le sopracciglia.
Poi ricordò con chi stava parlando e fu folgorata da un pensiero che le gelò il sangue nelle vene.
“Aspetta.. non intendevi lesbica, vero?”
“Perché, non si scrive così?”
Chiese Brittany confermando i suoi più cupi sospetti.
“Quando mi hai detto quelle cose l’altra settimana, ha significato davvero tanto per me. Vederti così onesta, soprattutto perché so quanto ti fa male.. Mi hai resa davvero orgogliosa di te.”
“Bhè non ti ci abituare. E soprattutto non pensare di dirlo a qualcuno.”
“Perché no? Insomma, sei tipo la ragazza più stupenda della scuola. Perché dovresti nascondere..”
“Sto uscendo con Karofsky adesso.”
La interruppe evitando quegli occhi azzurri.
“Bello schifo.”
Commentò lei delusa.
“Non hai alcun diritto di giudicare con chi mi vedo.”
Sbottò.
“Perché no? Perché io esco con qualcuno? – domandò la bionda iniziando ad arrabbiarsi – perché tu sei libanese e io penso di essere bicuriosa?”
“No. Perché io ti ho detto che ti amo. E tu non mi hai detto che mi ami anche tu.”
“Io ti amo – rispose in fretta Brittany – evidentemente ti amo molto più di quanto tu ami te stessa, o metteresti questa maglietta e balleresti con me.”
Le gettò la maglietta tra le mani e se ne andò via furiosa.
Santana osservò la maglia confusa e amareggiata.
Era la prima volta che vedeva Brittany davvero arrabbiata.
 
 
Alla fine non si era presentata al Glee, non ce l’aveva fatta.
Aveva indossato la maglietta di Brittany e lei e Dave si erano intrufolati in auditorium nell’oscurità della sala e avevano assistito avviliti al numero di Born this Way.
Era tornata a casa di Rain più depressa che mai e il fatto che l’ex-soldato non ci fosse contribuì solo a peggiorarle ulteriormente l’umore.
Attaccò le casse all’ipod e selezionò una playlist composta solo da canzoni deprimenti o  schifosamente romantiche, tanto per crogiolarsi ulteriormente nel suo malumore.
Si gettò sul divano sbuffando e passandosi le mani tra i capelli, mentre le prime note si diffondevano per la stanza.
Lasciò che la musica la avvolgesse, ma in realtà non la stava ascoltando. Non sapeva neanche quante canzoni erano già iniziate e finite da quando era entrata in quello stato apatico.
Brittany le mancava da morire, le mancavano i suoi sorrisi, i suoi abbracci, i suoi interminabili giri di parole senza senso che lei riusciva a far sembrare perfettamente logici.. almeno, nella sua logica.
Le mancava il modo in cui riusciva sempre a capirla, a vedere oltre la maschera che lei presentava al mondo.
 
And I’d give up forever
To touch you
Cause I know
That you feel me somehow
 
Suonarono alla porta.
Si affrettò ad alzarsi sperando che fosse Rain.
Aprì, preparando una frase ad effetto per accogliere l’amica..
E si bloccò davanti a quegli occhi azzurri, davanti a quel viso di cui conosceva a memoria ogni singola lentiggine, davanti a quei capelli biondi che si appoggiavano lucenti sulle sue spalle.
Improvvisamente si ritrovò incapace di proferire parola.
“Ciao – esordì Brittany – non ti sei fatta viva oggi al Glee.. a casa tua non ti ho trovata, quindi ho pensato che potevi essere solo qui o da Breadstix.”
Santana continuò a fissarla senza proferire parola, come se fosse una sorta di apparizione dovuta al suo stato mentale.
“Rain non c’è? Posso entrare?”
Continuò rivolgendole un lieve sorriso.
“No. Sì, certo. Vieni dentro.”
Rispose riscuotendosi e aprì di più la porta per lasciarla entrare.
Non poteva credere che fosse davvero lì. Non poteva credere che, dopo il modo in cui si erano lasciate fosse andata a cercarla, che fosse lì per lei.. al solo pensiero il suo cuore perse un battito.
 
You’re the closest to heaven
That I’ll ever be
And I don’t wanna go home right now
 
Il suo profumo la inebriò, mentre le passava accanto.
Cercò di ricomporsi e la seguì in salotto.
“Come mai sei qui, Britt?”
Chiese incrociando le braccia sul petto.
La bionda si voltò e piantò di nuovo quegli occhi azzurri e limpidi nei suoi.
“Scusa, per prima. Io non volevo arrabbiarmi.”
Rispose imbronciata.
Santana respirò a fondo, cercando di controllare le sensazioni che il profumo della ragazza le stava scatenando dentro.
 
And all I can taste is this feeling
And all I can breathe is your life
And sooner or later it’s over
I just don’t wanna miss you tonight
 
“Lo sai che odio litigare. Soprattutto con te – continuò, il broncio sempre più accentuato – soprattutto ora che non passiamo più insieme tutto il tempo che passavamo prima.”
Abbassò un attimo gli occhi e poi incontrò di nuovo il suo sguardo.
“Mi manchi, San.”
Santana sentiva il cuore batterle all’impazzata. Sembrava che stesse tentando di sfondarle il petto.
“Anche tu mi manchi Britt.”
Non riuscì a controllarsi.
Quelle parole uscirono dalle sue labbra come dotate di volontà propria.
“E anche a me dispiace per prima, come al solito mi sono comportata da stronza.”
“Lo fai sempre con tutti..”
“Ma non con te. – la interruppe per poi abbassare lo sguardo – ho capito quali erano le tue intenzioni, ma non posso espormi così.. capisci? Gli altri non sono come te, Britt. Non ci metterebbero neanche un secondo a distruggermi. Non devo dargli la possibilità di farlo.”
Si fermò e incrociò di nuovo i suoi occhi.
“Anche io odio litigare con te.. – sospirò – mi dispiace Britt.”
 
And I don’t want the world to see me
Cause I don’t think
That they’d understand
When everything’s made to be broken
I just want you to know
Who I am
 
“Quindi non sei più arrabbiata per prima?”
Chiese la ballerina speranzosa.
“Lo sai che non sono capace di rimanere arrabbiata con te.”
Rispose allargando le braccia in segno di resa.
L’espressione di Brittany cambiò all’improvviso, il sorriso in cui si stavano aprendo le sue labbra rimase bloccato a metà, mentre la fissava incredula.
“Britt?”
La ragazza si avvicinò lentamente a lei, con una strana espressione a metà tra la concentrazione e l’incredulità sul volto.
Santana venne investita dal suo profumo che le diede immediatamente alla testa.
Più Brittany si avvicinava e più si scopriva incapace di muoversi, come se tutti i suoi muscoli si fossero improvvisamente paralizzati.
Ormai erano vicinissime.
La bionda tese le mani verso di lei e aprì la giacca che aveva ancora addosso, lasciandola poi cadere a terra.
I suoi occhi azzurri fissavano stupefatti la scritta sulla maglietta che indossava.
“L’hai messa..”
Sussurrò.
La latina non si rese nemmeno conto che stava trattenendo il respiro.
Quando Brittany incontrò di nuovo il suo sguardo, si rese conto che aveva gli occhi pieni di lacrime.
“L’hai messa!”
Disse di nuovo, un po’ più forte, appoggiandole una mano sul viso.
 
And you can’t fight the tears
That ain’t coming
Or the moment of truth in your lies
When everything feels like the movies
Yeah you bleed just to know
You’re alive
 
“Britt.. io..”
La bionda annullò definitivamente le distanze tra di loro, sfiorando appena le sue labbra con le proprie.
A quel lieve contatto fu come se l’incantesimo, che l’aveva tenuta immobile fino a quel momento, si spezzasse.
Santana si ricordò improvvisamente di avere delle braccia e tutto ciò che voleva fare era stringerle intorno a quel corpo così vicino al suo.
L’avvolse in un abbraccio disperato, premendo con forza le labbra sulle sue.
 
And I don’t want the world to see me
Cause I don’t think
That they’d understand
When everything’s made to be broken
I just want you to know
Who I am
 
Sospirando, Brittany iniziò a mordicchiarle piano le labbra, assaporandole gentilmente.
Santana sussultò quando sentì la lingua della bionda sfiorarla delicatamente e dischiuse le labbra per accoglierla.
La ballerina le accarezzava piano il viso, mentre le loro lingue danzavano lentamente.
Rabbrividì sentendo una mano insinuarsi sotto la maglietta e iniziare ad accarezzale la schiena.
Le loro labbra non si erano ancora separate e i loro respiri si stavano facendo pesanti, mentre aumentava la foga con cui si baciavano.
Intrecciò le dita in quei capelli biondi, appoggiando una mano sulla nuca della ballerina, non voleva che si allontanasse, temeva che se l’avesse fatto si sarebbe svegliata improvvisamente sul divano, scoprendo che era stato solo un sogno.
Le labbra di Brittany lasciarono le sue, scivolando sul suo collo, gettò la testa all’indietro, ansimando, quando sentì la sua lingua sulla pelle.
La bionda si allontanò da lei un secondo, solo il tempo necessario per toglierle la maglietta e gettarla da qualche parte, per poi scostarle i capelli e iniziare a mordicchiarle una spalla, le sue dita fecero scivolare via lentamente la spallina del reggiseno che indossava, quindi si spostarono più in basso ad accarezzarle il seno.
 
And I don’t want the world to see me
Cause I don’t think
That they’d understand
When everything’s made to be broken
I just want you to know
Who I am
 
Si trascinarono verso il divano, stringendosi disperate l’una al corpo dell’altra, le mani che vagavano impazzite, le labbra in fiamme, mentre i vestiti cadevano intorno a loro.
Si lasciarono cadere sui cuscini, senza smettere un solo secondo di baciarsi, mordersi, accarezzarsi l’un l’altra, come se da quei gesti dipendesse la loro stessa vita.
Presto anche l’ultimo ostacolo tra i loro corpi venne rimosso e furono finalmente libere di amarsi.
 
And I don’t want the world to see me
Cause I don’t think
That they’d understand
When everything’s made to be broken
I just want you to know who I am
I just want you to know who I am
I just want you to know who I am
I just want you to know who I am
 
 
Angolo della pazza
 
Eccoci qui, sarò sincera, non sono soddisfatta di come è venuto il capitolo..
Ero partita lanciatissima ho scritto le prime due parti in pochissimo tempo.
 
(Angolo della depressa)
Avevo un’idea abbastanza precisa di come dovesse essere la parte conclusiva, ma non sono riuscita a renderla come volevo.
*piagnucola a testa bassa fissandosi le scarpe*
 
Cooomunque, voglio sapere che ne pensate voi quindi fate i bravi e lasciatemi due paroline di commento,daaaaaaaai
ç.ç
*occhioni coccolosi da gatto con gli stivali (come potete resistere?)*
La bellissima canzone del titolo e dell'ultima parte del capitolo è dei Goo Goo Dolls.
 
Grazie infinite a chi mi legge, segue, preferisce, ricorda, vi voglio benerrimo!
Alla prossima
Besitos
WilKia >.< 

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Capitolo 23
*** Light On ***


Light On
 
 
“Che ne diresti adesso di lasciarmi andare?”
Domandò Santana, cercando di liberare i polsi ancora stretti tra i suoi polpacci.
“Mmm sì, potrei anche farlo, ma sai com’è, penso sia molto più divertente tenerti lì bloccata finché ne avrò voglia.”
Ritorse rivolgendole un ghigno perfido.
In realtà non avrebbe resistito ancora molto a lungo, i muscoli tesi iniziavano a bruciare un po’ avvertendola che li stava sottoponendo ad uno sforzo troppo prolungato.
“Così finirò per far tardi a scuola e tu al lavoro.”
“Per oggi ho chiesto la giornata libera a Burt, quindi non devo andare in officina. E il fare tardi a scuola è un problema solo tuo..”
“Maledizione. Dai Rain liberami.. per favore.”
Aggiunse l’ispanica cercando di mimare un’espressione angelica e fallendo nel tentativo.
 “Ok, vi lascio da sole a risolvere la questione. – si intromise Reneè prendendo Evy dalle sue mani – vieni Nuvoletta, andiamo a fare il bagnetto.”
Si divertì ancora un attimo a tenerle le mani bloccate, prima di decidersi finalmente a liberarla.
“Finalmente! – esclamò la ragazza massaggiandosi i polsi – ma che hai, i polpacci di titanio?”
Rise e si stiracchiò.
La consapevolezza che di lì a qualche ora Reneè ed Evy sarebbero partite la investì all’improvviso, lasciandole una sensazione amara in bocca.
 
“E con questa mi devi esattamente 20$!”
Aveva esclamato trionfante mostrando a Storm la scala reale che aveva in mano.
Durante gli appostamenti, o mentre aspettavano il buio per una sortita, come in quel caso, era così che facevano passare il tempo, tra una partita di poker e l’altra, scommettendo piccole cifre insignificanti.
Ma Rain era diventata parecchio brava e quel giorno aveva infilato una vittoria dietro l’altra.
“Ma che cazz.. – Storm aveva osservato le carte e poi aveva spostato lo sguardo su di lei – non è possibile! Dove diavolo hai imparato a giocare così?”
“Mi ha insegnato la migliore.”
Gli occhi di ghiaccio della donna brillavano divertiti.
“Ma davvero?”
“Certo. Un giorno magari te la presento..”
Aveva risposto facendole la linguaccia.
“Ah. È così eh?!”
L’espressione di Storm, improvvisamente si era fatta minacciosa.
“Storm.. no, non lo fare.. – aveva alzato le mani verso di lei in segno di resa – tu lo sai che in realtà non lo vuoi fare.”
Per tutta risposta aveva scorto uno scintillio in fondo a quegli occhi di ghiaccio, mentre le labbra della donna si incurvavano in un ghigno perfido.
“Storm, pensaci bene. Potrebbero esserci conseguenze spiacevoli.”
Continuò, iniziando ad indietreggiare.
In quel momento la donna era balzata verso di lei e l’aveva afferrata cercando di immobilizzarla.
Ma Rain sapeva come reagire.
Ingaggiarono una lotta silenziosa, mentre ognuna cercava di rendere l’altra innocua.
Dopo svariati minuti di prese e contromosse si erano ritrovate in una posizione di stallo, con le braccia di Rain immobilizzate tra quelle di Storm e le gambe di quest’ultima bloccate da quelle della più giovane.
Si erano scambiate uno sguardo competitivo, nessuna delle due intendeva cedere.
Erano rimaste così per svariati minuti, fare una qualsiasi mossa avrebbe significato dare la possibilità all’altra di passare in vantaggio.
Alla fine erano scoppiate a ridere sottovoce e si erano accasciate una accanto all’altra, con i respiri affannati dallo sforzo.
Storm si era voltata verso di lei, gli occhi azzurri che scintillavano pieni di orgoglio.
“Sei diventata brava, ragazzina.”
“Te l’ho detto. Ho imparato dalla migliore.”
Aveva risposto con un sorriso.
Erano rimaste distese a terra per riprendere fiato.
“Rain..”
L’aveva richiamata Storm in tono serio.
Aveva voltato la testa verso di lei aspettando che parlasse.
“Oggi le cose non sono andate secondo i piani, quei cecchini sapevano esattamente quando e dove saremmo passati..”
“Bhè siamo ancora qui, no?Abbiamo avuto un buon mix di bravura e fortuna..”
“Oggi sì, ma domani? O il giorno dopo..”
Aveva continuato la donna fissando il soffitto della casupola in cui erano rintanate.
“Ehi comandante, che ti prende?”
Storm aveva scosso la testa sospirando.
“Prima era più facile.. mi buttavo in tutto a testa bassa, senza pensare alle possibili conseguenze. Adesso non posso più non pensare a cosa accadrebbe a Evy e a Reneè se dovesse succedermi qualcosa.”
“Non ti succederà niente..”
“Andiamo, Rain. Chi vogliamo prendere in giro? – l’aveva interrotta – siamo in guerra, ragazzina. Può succedere qualunque cosa a chiunque, in qualsiasi momento.”
“Ehi – aveva detto avvicinandosi e porgendole la destra – siamo insieme. Io e te, comandante. Ti guardo io le spalle.”
Storm aveva afferrato la sua mano.
“E io le guardo a te.”
Era il loro rito. Ogni volta che partivano per una missione ripetevano quel gesto e quelle parole.
“Ci penserai tu a loro, vero? Tu ci sarai per loro?”
La donna aveva puntato quegli occhi di ghiaccio nei suoi, il suo sguardo era così intenso che sembrava volerle leggere l’anima.
“Ci sarai sempre tu per loro, Storm.”
Aveva risposto sicura, senza abbassare lo sguardo.
“Ma se dovesse succedermi qualcosa, tu sarai con loro?”
Non le piaceva affatto quel discorso, ma non ci fu nessuna esitazione nella sua voce.
“Ci sarò. Te lo prometto.”
 
“Ehi..”
La chiamò Santana accoccolandosi contro il suo fianco.
“Ti mancheranno molto, vero?”
Sentì le labbra incurvarsi leggermente in uno dei suoi mezzi sorrisi.
Come fa a capirmi sempre così bene?
Sospirò e iniziò a passarsi tra le dita una ciocca dei suoi capelli neri.
“Ho provato a non abituarmi a riaverle intorno.. ma non ci sono riuscita.”
Rimasero qualche istante in silenzio, poi la latina sollevò la testa per guardarla.
“Tu e Reneè avete parlato.. di quella cosa?”
Annuì.
“Bene, è già un risultato.”
Commentò la ragazza riadagiando la testa sulla sua spalla.
Rain si sollevò stupita del commento laconico.
“Tutto qui? Mi aspettavo un terzo grado..”
“Nha.. non sono dell’umore adatto. – rispose Santana – a che ora hanno il volo?”
“Alle 7 di stasera..”
“Vuoi che ordini qualcosa in particolare per cena?”
“Mi fermo io a prendere qualcosa mentre torno.
Ma i tuoi sono ancora fuori  città?”
Ormai era quasi un mese che i genitori di Santana erano via e lei ormai praticamente viveva lì, non che la cosa le dispiacesse, anzi, ma era preoccupata per l’amica.
“Cos’è, vuoi liberarti anche di me?”
Le chiese l’ispanica con un sorriso, spingendole la spalla.
“Proprio così, non sono ancora riuscita a starmene un po’ da sola in questa casa.. no seriamente, lo sai che adoro averti qui, ero solo curiosa.”
“Sono dispersi in un qualche albergo extralusso in Svizzera, credo. – rispose lei alzando le spalle – staranno via anche il mese prossimo. Era una vita che volevano fare questa vacanza. Ovviamente con i rispettivi amanti al seguito..”
Aggiunse sarcastica.
Tentò di approfondire l’argomento, ma Santana si alzò velocemente dal letto prima che potesse dire qualsiasi cosa.
“Bene, sarà meglio che mi prepari ad andare a scuola. Ci vediamo stasera.”
La salutò uscendo dalla stanza.
La seguì preoccupata con lo sguardo.
“A stasera ragazzina.”
Rispose sospirando.
Rimase ancora un po’ stesa sul letto, fissando il soffitto, senza pensare a niente in particolare, finché non sentì dei passettini veloci in avvicinamento che costrinsero le sue labbra ad aprirsi in un sorriso.
Non appena Evy entrò nella stanza, si affrettò a chiudere gli occhi e si mise a russare sonoramente.
La piccola si arrampicò sul letto e le prese una mano, iniziando a scuoterla.
“Zia Rain, svegliati.”
Russò ancora più forte.
Evy le lasciò la mano e si avvicinò ancora di più a lei e le diede dei colpetti su una spalla nel tentativo di svegliarla.
“Dai zia Rain, non è più notte, adesso non devi dormire.”
Esclamò la bimba mettendosi a cavalcioni sul suo addome e continuando a darle dei colpetti con le manine.
Sempre tenendo gli occhi chiusi e russando, la afferrò voltandosi su un fianco e la strinse tra le braccia.
Inspirò il profumo dolce del bagnoschiuma al miele con cui Reneè le aveva fatto il bagnetto.
“Mhmm il mio orsacchiottino.”
Mugugnò con voce falsamente impastata.
“Ma io non sono un orsacchiotto!”
Protestò la piccola.
“Allora sei un gattino..”
Mugugnò ancora, per poi russare di nuovo.
“No. Kirk è un gattino, non io.”
Commentò ridendo.
“Allora tu chi sei?”
“Indovina..”
La sfidò.
“Seiiiii.. una lumachina.”
“Nooooo.”
Esclamò Evy ridendo e mettendosi una manina sulla fronte.
“Seiiiiii.. una coccinella.”
“Nooooooo.”
“Seiiii.. una tigrotta.”
“Nooo, dai zia Rain.”
A quel punto spalancò gli occhi e la guardò facendo una faccia buffa per farla ridere.
“Ma sei la mia Nuvoletta!”
Esclamò sollevandola e lanciandola in aria, per poi riprenderla al volo e stringerla forte.
“Allora piccola peste, sai cosa succede oggi?”
Chiese guardandola in quegli occhioni verdi, quando riuscì a smettere di ridere.
La bimba scosse la testa.
“Oggi la zia Rain sta tuuuuttoooo il giorno con te e con la mamma.
E indovina un po’ oggi decidi tu cosa facciamo.”
Gli occhi di Evy scintillarono.
“Davvero?”
Annuì sorridendo.
“Mi porti sulle giostre?”
“Certo che ti ci porto, Nuvoletta.”
“Eeee poi mi compri lo zucchero filato?”
Annuì di nuovo.
“Eee poi..”
“E poi vedremo..”
Intervenne Reneè dalla porta.
“Oh andiamo, Reneè. Non fare la guastafeste. Tanto ho già promesso che oggi decide Evy.”
“E io non ho nessuna intenzione di oppormi. Solo, non decidiamo tutto subito, la giornata è ancora lunga – commentò la donna con un sorriso – e prima di poter iniziare a fare le innumerevoli cose che la mia Nuvoletta deciderà, forse è il caso che inizi a prepararti, o finirà che perderemo tutta la mattinata in attesa che tu sia pronta.”
“Dammi 5 minuti.”
Esclamò l’ex-soldato, saltando giù dal letto e correndo a vestirsi.
Indossò un paio di jeans sdruciti e una maglietta ufficiale dei Queen, i suoi fedeli anfibi e la sua giacca di pelle.
In 4 minuti e mezzo era già pronta e davanti alla porta.
“Allora, tiratardi che non siete altro – gridò verso le scale – vogliamo andare o no?”
 
 
Passarono la mattinata al lunapark vagando da un’attrazione all’altra in base ai desideri alternanti di Evy che puntava il ditino ora sull’una, ora sull’altra giostra, tirando la mano di Rain dalla quale non si era mai staccata.
La piccola era anche voluta entrare a tutti i costi nella casa delle streghe, passando poi tutto il tempo in braccio a Rain con il viso nascosto contro la sua spalla e le manine premute contro le orecchie.
“Hai visto mamma, come sono stata coraggiosa.. – esclamò con un sorriso enorme una volta uscite dalla giostra, sempre tenendosi alla mano dell’ex-soldato – non ho nemmeno pianto.”
“Sei stata bravissima, amore mio.”
Sorrise Reneè, poi le prese l’altra mano e lei e Rain la fecero saltare e dondolare in aria tra le sue risa deliziate.
“Ancora, ancora!”
Continuava ad esclamare la bimba ogni volta che i suoi piedi toccavano terra.
Continuarono a farla saltare, finché a Reneè non si fu indolenzito il braccio e cominciò ad avere il fiatone.
“Ancoraaaaa!”
Disse di nuovo Evy.
“Scusa, Nuvoletta. – rispose Reneè – ma la mamma ha davvero bisogno di riprendere fiato adesso.”
“Ma io voglio fare volavola.
Si lamentò la piccola con il faccino imbronciato.
“Vieni qui piccola peste.”
Disse Rain prendendola per le manine.
La sollevò da terra e iniziò a girare su sé stessa, mentre la piccola rideva sempre più forte per quel nuovo gioco.
Rallentò e piegò le braccia tirando Evy verso di sé e quando si fermarono la stava stringendo.
“Oooh. Zia Rain.. gira tutto.”
Esclamò la piccola ad occhi sgranati stringendosi al suo collo, mentre ancora ridacchiava.
L’ex soldato rise e la lanciò in alto prendendola al volo, per poi farla sedere comodamente sulle sue spalle.
“E adesso cosa vuoi fare, Nuvoletta?”
“Ho fame.”
 
Pranzarono in pizzeria e passarono il pomeriggio in un parco giochi.
Tra corse, scivoli e altalene arrivarono le cinque.
“Sarà meglio avviarci – disse Reneè avvicinandosi a Rain, impegnata a spingere Evy sull’altalena – tra un’ora abbiamo il check-in, se dovessimo trovare traffico rischiamo di arrivare tardi.”
L’ex-soldato annuì e prese in braccio Evy.
“Andiamo, Nuvoletta. È ora di dire ciao, ciao all’altalena.”
“Dobbiamo proprio andare, zia Rain?”
Chiese la piccola mettendo su il broncio.
“Purtroppo sì, piccola mia, ma torneremo un’altra volta.”
“Domani?”
Chiese subito con una luce vivace negli occhi verdi.
“No, tesoro – rispose la madre – domani l’altalena si deve riposare, ma torneremo un altro giorno. Va bene?”
“Ok.”
Sospirò la piccola stringendo le braccia intorno al collo di Rain.
Salirono in macchina e in pochi minuti Evy si addormentò nel suo seggiolino sul sedile posteriore, esausta per la lunga ed intensa giornata.
Reneè la osservò con un sorriso enorme stampato sul volto.
“Grazie per oggi.”
Le disse, voltandosi.
“Era da tanto che non la vedevo divertirsi così.”
“Era da tanto che io non mi divertivo così.”
Rispose sorridendo a sua volta.
“È davvero, meravigliosa, sai? E non potrebbe essere diversamente con una mamma come te. Stai facendo un lavoro splendido con lei.”
La donna abbassò lo sguardo imbarazzata.
“Ci provo, faccio del mio meglio perché non le manchi niente, ma non è sempre facile.”
“Lo so. – rispose con una nota colpevole nella voce – Reneè, mi dispiace davvero tanto di non esserci stata nell’ultimo anno. Non era mia intenzione abbandonarvi, ma..”
“Lo so – la interruppe – lo so, Rain.
Sai cosa mi ha fatto più male, quando te ne sei andata?”
Continuò con una nota di dolcezza nella voce, che Rain non si aspettava.
Rimase in silenzio, cercando di tenere a bada il nodo di senso di colpa che le attanagliava la gola.
“Tu ci sei stata accanto, ci hai aiutate a medicare le nostre ferite, hai ascoltato i miei sfoghi, hai tentato di consolarci. Ma non mi hai mai permesso di fare lo stesso per te. Io vedevo quanto soffrivi, sapevo il peso che ti portavi dentro, ma non mi hai mai permesso di avvicinarmi abbastanza perché io potessi almeno tentare di alleviarlo.”
Rain non riuscì a trattenere una lacrima silenziosa che iniziò a rotolare lungo la sua guancia.
Reneè le passò il pollice sul viso, asciugandola.
“Avrei solo voluto poterti stare accanto, come tu sei stata accanto a noi.”
“Io – si interruppe sospirando forte, cercando di sciogliere quel nodo che le rendeva difficile parlare – io le avevo promesso che ci sarei stata per voi. Non potevo essere fragile, capisci? Avevate bisogno che io fossi forte per voi.”
Non riuscì più a trattenere le lacrime e dovette fermare l’auto a lato della strada, perché le si era annebbiata la vista.
“Ma.. ogni giorno era sempre più difficile – singhiozzò – e quando ho capito che non potevo più essere abbastanza forte..”
Reneè si sporse verso di lei e la strinse.
Abbandonò il volto contro la sua spalla e si mise a singhiozzare, cercando di fare più piano possibile per non svegliare Evy.
Non voleva che la vedesse così.
“Mi dispiace.”
“Shh. Va tutto bene, tesoro – la consolò lei, cullandola piano, non riuscendo a trattenere a sua volta le lacrime – ma ti rendi conto di quanto sei meravigliosa? Dopo tutto quello che hai fatto per noi, ancora ti senti in obbligo di scusarti per il tuo dolore.”
Le diede un lieve bacio sulla fronte e la strinse più forte.
Ci volle un po’ perché i suoi singhiozzi strozzati si placassero.
Si sollevò incrociando quegli occhi verdi, umidi di lacrime e per la prima volta da quella notte maledetta, sentì il petto un po’ più leggero, come se la ferita che si portava dentro avesse finalmente smesso di sanguinare.
 
 
 
 
Angolo della pazza
Credevate, vero, che tra queste due fosse ormai tutto risolto eh?!
Andiamo, ma ci credevate davvero?
Hanno attraversato l’inferno e credevate che quattro paroline banali scambiate sul portico e altre quattro davanti ad una birra sistemassero tutto?
 
Ù_Ù andiamo, se ci credevate davvero, mi deludete..
 
Allora, capitolo incentrato su questo fantastico trio, Rain e ciò che resta della sua “famiglia prescelta” non vi preoccupate, nel prossimo capitolo ritornerà anche la nostra coppia preferita.
 
La canzone alla quale ho rubato il titolo è di nuovo del mio amato David Cook, io la trovo a dir poco stupenda e vi consiglio di andarla a sentire.
 
Uff che fatica scrivere questo capitolo.. ho riso come una matta mentre digitavo la prima parte e vedevo lo schermo come se guardassi dall’oblò di un sottomarino, mentre scrivevo la seconda.
Spero che il risultato sia proporzionale allo sforzo.
 
Fatemi sapere.
 
Di nuovo grazie infinite a chi mi legge, segue, ricorda, preferisce.
Grazie infinite + 1 a chi mi lascia anche un commentino.. anche piccino, piccino, picciò.
Dai lettori silenziosi, fatemi sapere anche la vostra.
 
Baciottiiii.
WilKia >.<
 
P.S. zi, sei contenta adesso??? 0.< 

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Capitolo 24
*** Lean On Me ***


Lean On Me
 
 
“Lasciala dormire, ti prego.”
Disse a Reneè, che accarezzava dolcemente i capelli neri della figlia per svegliarla delicatamente.
“Mi dispiace Rain, ma questa volta non ti permetterò di defilarti senza salutare.”
Chinò la testa imbarazzata.
“Odio queste cose.”
“Lo so. Non fanno impazzire neanche me..
Ehi, Nuvoletta.”
Sorrise alla bimba tra le sue braccia che iniziava a battere le palpebre, sbadigliando.
“Ciao mamma – disse la piccola con la voce impastata dal sonno – dove siamo?”
“Stiamo andando a prendere l’aereo, Nuvoletta, per tornare a casa.”
Gli occhioni verdi di Evy si puntarono su di lei.
“Viene anche zia Rain con noi?”
L’ex-soldato deglutì per ricacciare indietro il nodo che minacciava di serrarle la gola.
Prese Evy dalle braccia di Reneè e la strinse forte.
“Vorrei davvero tanto poter venire a casa con voi, Nuvoletta. Ma ho ancora delle cose da fare qui.
Ma verrò a trovarvi.  Non appena mi sarà possibile verrò da voi.”
“Ma io voglio che vieni adesso.”
Le disse la piccola, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
“Lo so, piccola mia. Ma zia Rain deve prima trovare una persona..”
“Perché? L’hai persa?”
Sorrise e le diede un lungo bacio sulla guancia morbida.
“Sì, lo sai che la zia Rain è un po’ sbadata.. – fece un’ espressione buffa e poi guardò Reneè – Ehi, ma dov’è andata Evy? Le stavo parlando un attimo fa ed è sparita.”
“Zia Rain, sono qui!”
Esclamò la piccola ridendo.
“Oh, eccoti qui.. hai visto come sono sbadata. Ti avevo in braccio e ti stavo perdendo lo stesso.”
La prese sotto le ascelle e la sollevò in alto, iniziando a girare su sé stessa, tra le sue risate.
“Mi raccomando Nuvoletta, prenditi cura della mamma, ok? La affido a te.”
Le disse in un orecchio, quando si fermarono.
Evy annuì seria, poi si allungò verso la madre per essere presa da lei, voltandosi a rivolgerle uno sguardo complice.
Gli altoparlanti dell’aeroporto annunciarono l’ultima chiamata del loro volo.
Reneè si avvicinò a lei e la strinse con il braccio libero.
“Guai a te se provi anche solo a pensare di sparire – le disse in un orecchio per non farsi sentire dalla bambina – se l’idea dovesse anche solo sfiorarti la mente, sappi che non mi darò pace finché non ti avrò trovata. Non mi importa quanto tempo mi ci vorrà, ti troverò e quando sarai tra le mie grinfie ti prenderò a calci in culo fino a farti dimenticare anche come ti chiami.”
Si allontanò quel tanto che bastava per fissare quegli occhi verdi e determinati nei suoi.
“Mi sono spiegata?”
L’abbracciò con tutta la forza che aveva.
“Ti voglio bene Reneè.”
Bisbigliò lottando per trattenere le lacrime.
“Ti voglio bene anche io.”
“Ehi Nuvoletta, me lo dai un bacione?”
La piccola le strinse le braccia al collo schioccandole un lungo bacio sulla guancia.
“Fai la brava, mi raccomando.”
Le disse baciandole la fronte, poi si rivolse di nuovo alla donna.
“Chiamami quando sarete a casa. Non importa l’orario..”
“Abbi cura di te, Rain – disse Reneè indietreggiando verso l’imbarco – e dì a Santana di ricordarsi quello che mi ha promesso stamattina.”
“Cosa?”
“Tu dille solo così, lei capirà.”
Le rivolse un cenno di saluto prima di voltarsi a consegnare i biglietti alla hostess in attesa.
Evy sventolò tristemente la manina verso di lei.
Si costrinse a sorriderle, mentre ricambiava lanciandole un bacio con la mano.
Rimase a guardarle, finché non sparirono nel corridoio d’imbarco, poi fece un sospiro, raddrizzò le spalle e lasciò l’aeroporto con passo marziale.
 
Strano, eppure Santana dovrebbe essere qui.
Pensò fermandosi davanti al vialetto e scrutando la casa immersa nel buio.
Scese dall’auto trascinando fuori la pizza colossale che si era fermata a prendere per cena e trafficò nella tasca dei jeans in cerca delle chiavi.
Aprì la porta e accese la luce nel piccolo ingresso.
Ma che cazzo..
Per poco non cadde, inciampando su qualcosa piantato in mezzo al corridoio.
Guardò a terra per capire cosa avesse appena attentato alla sua vita e scorse un paio di jeans abbandonati sul pavimento davanti al salotto.
Oh! non mi dire che..
Seguì una pista di abiti sparpagliati fino al divano e le sue labbra si aprirono in un sorriso enorme quando vide le due ragazze che vi dormivano abbracciate.
Santana, il volto disteso nell’espressione più serena che le avesse mai visto, aveva la testa appoggiata sul petto di Brittany che la stringeva tra le braccia, le labbra incurvate in un lieve e dolcissimo sorriso.
Le gambe nude delle due ragazze erano attorcigliate tra loro e un lembo di un sacco a pelo era stato tirato su dal materasso lì vicino e appoggiato sui fianchi della latina.
Bhè, almeno per una di noi la giornata è finita alla grande.
Pensò dirigendosi in cucina, continuando a sorridere.
Stava meditando se fosse il caso di svegliare le ragazze per la cena e su quale fosse il modo più delicato e meno imbarazzante per farlo, quando il suo cellulare squillò.
“Pronto.”
Rain? Sono Will.
“Ehi, Will. Dimmi, cosa posso fare per te?”
Mi ha appena chiamato la madre di Brittany, era molto preoccupata perché non è ancora tornata a casa e non l’ha avvertita. Ha provato a chiamarla al cellulare, ma non risponde, ha tentato anche a casa di Santana, ma non risponde nessuno nemmeno lì..
“Tranquillo, Will. Britt è qui da me, è venuta a studiare con Santana e si sono addormentate, io sono appena rientrata, altrimenti le avrei ricordato di avvertire a casa.”
Oh, grazie al cielo, la richiamo subito per avvertirla allora.
“Sì, dille che adesso sveglio le ragazze e la faccio chiamare subito. E vista l’ora dille che Britt si ferma qui con Santana per la cena.”
Ok, grazie Rain. Ci vediamo lunedì.
“Ciao Will.”
Chiuse la chiamata e avvertì un fruscio alle sue spalle.
Riconobbe i passi leggeri e si rilassò.
Si sentì cingere da due braccia sottili e si girò per ricambiare l’abbraccio.
“Buongiorno.”
La salutò Santana con la voce ancora impastata dal sonno.
La ragazza si era infilata una delle sue magliette enormi, che teneva vicino al materasso su cui avevano dormito in quei giorni, era abbastanza lunga da arrivarle quasi al ginocchio.
“Buonasera – rispose ridacchiando – dormito bene?”
“Mhmm.”
“Già, ho visto che hai trovato un cuscino umano migliore di me.”
La prese in giro.
La carnagione ambrata del viso di Santana divenne lievemente più scura.
“Non ci posso credere, sto davvero vedendo Santana Lopez arrossire?”
Chiese ghignando e abbassando la testa per incontrare i suoi occhi.
Per tutta risposta la ragazza arrossì ancora di più e cercò di divincolarsi dalla sua stretta.
“Ok, ok. La smetto. Scusa, non avevo intenzione di prenderti in giro, ma sei arrossita in un modo tanto adorabile che non ho potuto resistere.”
“Sei una stronza.”
Borbottò l’ispanica tenendo lo sguardo basso.
“Ahahah, sai com’è chi va con lo zoppo..
Vieni qui, ragazzina.”
Concluse tirandola di nuovo verso di sé per un abbraccio.
“Sono davvero molto contenta per voi.”
Bisbigliò depositandole un bacio sulla fronte.
Santana sospirò contro la sua spalla, poi alzò gli occhi per incontrare i suoi.
“Sono partite?”
Si aspettava che l’argomento saltasse fuori, ma sentì lo stesso un dolore sordo pulsarle in fondo al petto.
Si limitò ad annuire, sfuggendo lo sguardo di quegli occhi neri, che chissà per quale strana ragione erano capaci di far cadere tutte le sue barriere.
In quel momento Santana era felice e non voleva che i suoi problemi la rattristassero.
“Stai bene?”
“Sopravviverò.”
Rispose cercando di accennare il suo mezzo sorriso.
Due mani delicate le afferrarono il volto, costringendola gentilmente ad abbassare la testa fino ad incontrare di nuovo quello sguardo.
Sentì un pizzicore agli angoli degli occhi, che contro la sua volontà iniziarono a riempirsi di lacrime.
Santana la strinse forte, lasciandole alcune carezze sulla schiena.
Chiuse gli occhi, appoggiando la guancia contro la fronte della più piccola e lottò per ricacciare indietro le lacrime.
In qualche modo riuscì ad ingoiare il nodo amaro che aveva in gola.
“Mi ha appena chiamato Will. La madre di Britt è preoccupata. Forse è il caso che tu vada a svegliare la tua bella e le faccia chiamare casa.”
Santana si allontanò da lei il tanto che bastava perché i loro sguardi si incontrassero di nuovo.
“D’accordo, per ora te la cavi così, ma più tardi io e te parliamo come si deve, ok?”
Si sollevò sulle punte e le depositò un bacio sulla fronte, per poi dirigersi in salotto.
Sospirò grata per aver scampato, almeno per il momento, il terzo grado.
Ma non poteva negare che l’abbraccio di Santana e la sua preoccupazione per lei l’avessero fatta sentire un po’ meglio.
Dopo alcuni minuti passati indaffarata per la cucina, sentì di nuovo dei passi dietro di sé e si voltò a guardare Brittany che stava entrando in quel momento, accarezzando Kirk che se ne stava comodamente sdraiato a pancia in su tra le sue braccia, facendo le fusa soddisfatto.
“Ehi, ben svegliata.”
L’accolse sorridendo.
La bionda sollevò lo sguardo dalla palla di pelo ronzante tra le sue braccia e ricambiò il suo sorriso.
“Grazie – spostò lo sguardo su ciò che stava facendo e il suo sorriso si allargò – oh, c’è la pizza!”
Esclamò saltellando allegra e avvicinandosi.
“Già – commentò mettendosi a tagliare delle grosse fette – per fortuna ho pensato di prenderla bella grande, altrimenti..”
Si interrupe, sentendosi osservata e si voltò verso la ragazza che la stava fissando con intensità e con un’espressione estremamente concentrata sul volto.
“Perché sei triste?”
Le chiese a bruciapelo.
“Come?”
“Hai gli occhi rossi e lucidi e la tua voce è strana.. – spiegò la bionda – come se avessi voglia di piangere.”
Battè le palpebre, stupefatta dalla sensibilità di quella ragazza.
“Puoi piangere se vuoi, sai? Quando si è tanto tristi, dopo ci si sente un pochino meglio.”
Mise a terra Kirk e si avvicinò di più a lei, continuando a fissarla con gli occhi più limpidi e sinceri che Rain avesse mai visto in una persona sopra i 10 anni.
“Non vuoi dirmi perché sei triste? – le chiese ancora, con un lieve broncio che le ricordò tantissimo Evy – lo so che non siamo amiche come lo sei con San, ma proprio perché sei sua amica non mi piace vederti triste.”
Si riscosse e le rivolse il suo mezzo sorriso.
“Sono triste perché ho appena accompagnato all’aeroporto due persone molto, molto importanti per me.. e mi mancano già tanto.”
Ammise amaramente, abbassando gli occhi e ricacciando indietro le lacrime con un’enorme sforzo di volontà.
Avvertì un movimento improvviso e non riuscì a controllare la reazione del suo corpo, che per fortuna decise solo di scansarsi con uno scatto laterale che la portò a distanza di sicurezza da Brittany che la fissò confusa.
“Volevo solo abbracciarti..”
“Scusa, scusami tanto – abbassò la testa imbarazzata – è un istinto che mi è rimasto da quando ero in guerra e non sempre riesco a controllarlo.”
Rimase ferma dov’era, a testa bassa.
Odiava la sensazione di mancanza di controllo di sé che le lasciavano sempre quelle sue reazioni.
E soprattutto odiava gli sguardi che causavano nelle persone che vi assistevano.
Quel misto di scherno, compassione e paura.
Era uno dei motivi per cui nell’ultimo anno aveva vissuto tenendosi il più distante possibile dalle persone.
Da quando si era allontanata da Reneè e Evy, Santana era la prima persona a cui si era permessa di avvicinarsi e alla quale aveva permesso di fare lo stesso, ancora non era riuscita a spiegarsi cosa l’avesse convinta a farlo.
“Oh, scusa, mi sono dimenticata.”
Disse Brittany a bassa voce, come parlando tra sé e sé.
“Come?”
Domandò alzando lo sguardo.
“San mi aveva spiegato che a volte fai così e che non lo fai apposta..”
“Te lo ha spiegato?”
La bionda annuì.
“Ha detto che è una cosa che ti ha aiutato a sopravvivere quando eri in guerra, solo che adesso è diventato un problema. Una cosa che non tutti capiscono.. – rimase pensierosa per un istante – come le mie fatine. Sono mie amiche e mi proteggono dai mostri che ogni tanto si nascondono sotto il mio letto o nel mio armadio, ma gli altri non le vedono e non mi capiscono quando parlo di loro.”
Rain sentì le labbra distendersi in un sorriso a quelle parole.
Non avrebbe mai immaginato di sentire paragonare il suo problema a delle fatine protettrici.
Le persone che la considerano una stupida non capiscono davvero niente..
Non mi stupisce affatto che una ragazza cinica e disillusa come Santana si sia innamorata di questa eterna bambina sognatrice.
“L’offerta per quell’abbraccio è ancora valida?”
“Poi saresti meno triste?”
Chiese Brittany timidamente.
“Senza dubbio.”
La ragazza si avvicinò cautamente.
“Tranquilla, se ti vedo quando ti avvicini e so che sei tu, che sei un’amica, il mio corpo non cercherà di proteggersi.”
“Quindi anche noi siamo amiche?”
Domandò la bionda, illuminandosi.
Non riuscì a non rispondere a quel sorriso.
“Certo che lo siamo.”
Quasi non finì di parlare, che Brittany le si gettò addosso, stringendola in un abbraccio entusiasta.
Solo grazie alle tecniche che aveva imparato con il pugilato riuscì a non sbilanciarsi e a rimanere in piedi mentre le sue braccia si stringevano istintivamente intorno alla vita della ragazza.
Alzando lo sguardo vide Santana ferma sulla soglia della cucina che le osservava con un gran sorriso che le faceva brillare gli occhi.
Le fece un cenno  con la mano.
La latina non attese un secondo invito e corse ad unirsi all’abbraccio.
Per l’ennesima volta, quella sera, Rain si ritrovò a lottare con le lacrime che volevano a tutti i costi uscire.
Ma questa volta erano lacrime dolci.
 
 


Angolo della pazza
 
 
Il titolo del capitolo è di una canzone di Bill Withers che conoscete sicuramente, visto che la cantano anche i nostri amati fanciulli in Glee alla fine dell’episodio 1x10 “Ballad”.
 
Accidenti, Brittany è un soggetto davvero complicato.. ci ho messo più tempo a scrivere le ultime
80 righe (circa) che non tutto il resto del capitolo, spero di averle reso almeno un minimo di giustizia perché è un personaggio davvero speciale.
 
Lo so,, non è un capitolo particolarmente denso, ma abbiate pazienza con il mio povero cervellino fumante, gli ultimi due capitoli lo hanno lasciato particolarmente provato e aveva bisogno di un momento di pausa per riorganizzarsi, e non è riuscito a sfornare niente di meglio di questo capitoletto di transizione..
Fatemi sapere che ne pensate.
 
Ma, ma, ma, ma..
Mi seguite addirittura in 23 O_o
Non ci posso credere
E voi che mi preferite siete in 12 O_o
Sono assolutamente senza parole.
MA IO VI AMOOOOOOOO!!!
 
Quanto a voi persone meravigliose che mi lasciate anche due paroline alla fine dei miei deliri, ormai non so davvero più come ringraziarvi
 
Un miliardo di miliardi di baci per voi.
 
WilKia >.< 

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Capitolo 25
*** Toys in the Attic .I ***


Toys in the Attic   .I
 
 
 
Ma questa benedetta donna non dorme mai?
Pensò Santana svegliandosi con la sola compagnia di Kirk, beatamente spalmato in mezzo al lato del letto in cui avrebbe dovuto esserci Rain.
Madre de Diòs è domenica mattina.. che cavolo avrà di tanto importante da fare alla domenica mattina?
La sera prima, dopo aver riaccompagnato a casa Brittany, si erano messe a parlare; entrambe ne avevano davvero un gran bisogno.
Avevano parlato per ore, finché non erano crollate, sfinite per tutte le emozioni diverse, ma ugualmente intense, vissute durante la giornata e per quel lungo doppio sfogo.
Si stiracchiò sbadigliando e si alzò, dirigendosi subito alla palestra domestica dell’ex-soldato, che trovò incredibilmente vuota.
Strano..
Scese al piano di sotto, ma della donna non c’era traccia, né in cucina né in salotto.
Y ahora,  donde ella se esconde?
 “Rain?”
“Sono qua fuori.”
Sentì dall’esterno.
Si affacciò dalla finestra della cucina.
Rain era in giardino nella sua tipica tenuta da allenamento, con le mani ancora fasciate e osservava la casa come se cercasse di decifrarla.
“Che cavolo stai facendo, si può sapere?”
“Puoi venire fuori un momento?”
“Rain, ti rendi conto vero, che è domenica mattina? Di solito la gente normale usa questa mattinata per fare ciò che non può fare le altre mattine della settimana: dormire!”
O fare sesso, ma direi che non è proprio il nostro caso. Sarebbe.. strano.
Chissà perché il pensiero di lei e Rain insieme in quel senso non l’aveva mai sfiorata, anzi anche la sola idea di baciarla le sembrava strana. Eppure Rain era senza dubbio una bella donna e il loro rapporto era ormai molto intimo, sapevano cose l’una dell’altra che quasi nessuno sapeva..
Scosse la testa accantonando il pensiero e un altro le si affacciò alla mente costringendo le sue labbra ad incurvarsi in un sorriso.
 Magari più tardi faccio un salto da Britt.
“Ma mi stai ascoltando?”
Domandò tornando al presente e notando che Rain non si era mossa di un millimetro dal suo punto di osservazione della casa.
Non ricevendo ancora alcuna risposta chiuse la finestra borbottando in spagnolo, si infilò un’ampia felpa e uscì in cortile.
“Allora, si può sapere cosa c’è di così interessante?”
“Guarda, non ti sembra che sia.. troppo grande?”
Santana fece scorrere un paio di volte lo sguardo corrucciato dalla casa al volto concentrato dell’amica.
“D’accordo, dì la verità. Il sacco si è stufato di prenderle e si è ribellato e adesso sei nel pieno di un delirio da commozione cerebrale dovuta ai suoi colpi, vero?
Ti prego, dimmi che è così o dovrò pensare che il tuo cervello ti abbia abbandonata di sua spontanea volontà.”
Rain la fulminò con il suo sguardo più minaccioso.
“Ok – esclamò sollevando le mani davanti a sé, sogghignando – ok. Questo dimostra che ci sei ancora..
Ciò non toglie che dici cose senza senso.”
“Ha perfettamente senso, invece. – sbuffò l’ex-soldato – guarda la casa e pensa alle dimensioni delle stanze all’interno.. non ti sembra, guardandola da fuori, che ci sia un pezzo in più?”
L’ispanica tornò ad osservare l’edificio e questa volta capì cosa intendesse dire.
“In effetti è vero, c’è un bel pezzo in più.”
“Ci stanno almeno altre due camere, una sopra l’altra.”
“Allora perché dentro non ci sono?”
“Ci sono, dobbiamo solo capire da dove si entra. – disse Rain con il suo mezzo sorriso e uno scintillio divertito negli occhi – ti piacciono le cacce al tesoro?”
“Significa passare un’altra giornata immerse nella polvere fin sopra la testa?”
“Probabile.”
“E avere incontri ravvicinati con roditori e insetti di ogni forma e dimensione?”
“Quasi sicuramente.”
“Grazie, ma penso che per questa volta passerò la mano..”
“Oh avanti, Santana. – continuò Rain in tono divertito – Dov’è il tuo senso del mistero? Pensa: l’entusiasmo della ricerca, l’adrenalina della scoperta, l’eccitazione dell’esplorazione..”
La osservò a braccia incrociate, con la sua miglior espressione annoiata.
“Ok.. se proprio non ti va, mi troverò qualcun altro a farmi da assistente.”
“Brava, mi sembra un’ottima idea.”
Commentò girandosi per tornare in casa.
“Chissà se a Brittany potrebbe interessare..”
Continuò l’ex-soldato in tono pensoso.
Si voltò di scatto.
“Ma perché no?! Buttiamoci in questa avventura. Dopotutto tre paia di occhi sono meglio di due, no?
E vedi di levarti quel ghigno dalla faccia.”
Esclamò puntandole contro l’indice e fulminandola con lo sguardo.
“Chi, io? – domandò Rain con aria innocente – perché mai dovrei ghignare?”
“Rain!”
Esclamò avvicinandosi di un passo, ottenendo come risultato, solo l’ampliarsi di quel sorrisetto.
“D’accordo – fece un profondo respiro – non cadrò nelle tue stupide e infantili provocazioni, vado dentro a vestirmi.”
Le voltò le spalle con fare risoluto e fece qualche passo verso l’ingresso, aspettando che l’amica la seguisse.
Quando girò l’angolo della casa si fermò appiattendosi contro la parete, pronta per tenderle un agguato.
Aspettò svariati minuti, ma l’ex-soldato sembrava non avere intenzione di rientrare ancora.
Non resistette e si sporse dal suo nascondiglio per sbirciare cosa stesse facendo.
“BUU!!”
Gridò Rain ad un centimetro dal suo naso, facendola balzare indietro dallo spavento.
L’ex-soldato scoppiò a ridere, mentre lei si premeva le mani sul petto, respirando affannosamente.
“Estàs loca? Quieres que me muera de infarto?”
Gridò contro all’amica che quasi rotolava a terra dal ridere.
“Ahahah.. dovresti vedere la tua faccia!”
Esclamò la donna, piegata in due dalle risate, tenendosi l’addome con le mani.
“Pensavi davvero che sarebbe stato così facile prendermi di sorpresa? Ne hai di strada da fare, ragazzina.”
“Questa me la paghi soldato!”
Urlò scagliandosi contro di lei e cercando di afferrarla.
Credette di avercela fatta, ma all’ultimo istante Rain si spostò.
Lo slancio l’aveva fatta sbilanciare in avanti, quindi strinse gli occhi, preparandosi all’urto con il suolo.. che non arrivò.
Riaprì gli occhi e si ritrovò tra le braccia di Rain che chissà come era riuscita a prenderla al volo.
L’ex-soldato la guardava con quel ghigno ancora stampato in faccia.
“Ti odio.”
Esclamò imbronciata.
La donna rise e le diede un bacio in fronte.
“Ti voglio bene anche io, ragazzina.”
 
Dopo aver fatto colazione erano andate a prendere una eccitatissima Brittany, che non vedeva l’ora di  iniziare le ricerche delle stanze segrete.
Rain aveva disegnato una pianta della casa e confrontandola con l’esterno aveva concluso che l’accesso alle stanze mancanti potesse essere da qualche parte nel sottoscala o occultato in una parete della palestra.
“Direi di dividerci – aveva stabilito l’ex-soldato – voi due cercate nel sottoscala e io..”
“Perché a noi il sottoscala?”
L’aveva interrotta.
“Perché è casa mia, perché sono la più grande e decido io e perché ci sono troppi materassi comodi e invitanti di sopra..”
Concluse osservandola di sottecchi.
Santana sentì un lieve calore salirle alle guance.
“Beccata.”
Le sussurrò all’orecchio, mentre le passava accanto per andare di sopra.
“La prima che trova qualcosa faccia un fischio.”
Decretò, salendo i gradini due a due.
Accidenti a lei e alla sua maledetta perspicacia..
“Vieni BrittBritt. Il sottoscala ci aspetta.”
Borbottò prendendo la mano della bionda, che la seguì saltellando entusiasta.
Iniziarono a spostare le cianfrusaglie accatastate contro la parete che Rain aveva indicato come possibile punto di accesso.
C’era decisamente poco spazio lì dentro e l’unica lampadina che penzolava tristemente dal soffitto, diffondeva una luce fioca e rossastra, che disegnava strane ombre sfocate sui muri.
In quello spazio angusto, Santana sentiva più che mai la presenza di Brittany accanto a sé e il ricordo del pomeriggio precedente era ancora vivido nella sua memoria.
Lavorarono in silenzio, continuando a sfiorarsi, più o meno accidentalmente, mentre liberavano lo spazio antistante la parete.
I loro occhi erano calamite che continuavano ad attrarsi irresistibilmente.
Ad un tratto Brittany inciampò in un dislivello del pavimento, cadendole addosso.
Santana la vide in tempo e riuscì a girarsi per prenderla, lasciando cadere a terra la cassa di legno che aveva in mano.
“Ahi!”
Esclamò quando la cassa le atterrò su un piede.
“San, ti sei fatta male?”
Chiese subito la bionda, che era ancora tra le sue braccia e che si affrettò a sostenerla.
“Vieni, mettiti seduta. Fammi vedere.”
“Tranquilla Britt, non è niente, per fortuna era leggera.”
La rassicurò, mentre Brittany la faceva sedere proprio sulla cassa incriminata, per poi inginocchiarsi davanti a lei e iniziare ad esaminarle un piede.
Santana ridacchiò.
“Britt, è caduta sull’altro..”
La fermò, prendendole le mani prima che si lanciasse in una nuova ispezione.
“Sto bene, Britt. Davvero, non mi ha fatto male.”
La rassicurò ancora depositandole una lieve carezza sul viso.
Si perse in quei due pezzi di cielo che la fissavano e che lentamente si fecero sempre più vicini.
Sospirò quando le braccia di Brittany si strinsero intorno alla sua vita e le loro labbra si incontrarono, dischiudendosi in un lento bacio pieno di dolcezza.
Affondò le dita in quei capelli biondi, accarezzandoli teneramente.
“Ooooooh, vi prego non fate caso a me..”
Si separarono, voltandosi verso l’ingresso del sottoscala, dove Rain le guardava con un enorme sorriso dipinto in volto.
“Scusate, odio interrompervi, ma erano quasi 10 minuti che vi chiamavo, e non ottenendo risposta sono venuta a controllare che qualche gigantesca palla di polvere non vi avesse prese in ostaggio.”
“Sei venuta a rompere solo per metterti a sparare cazzate o hai un motivo valido?”
Sbottò acida.
L’ex-soldato mimò un’espressione ferita, portandosi una mano al petto con fare dolente.
“La tua crudeltà mi uccide – esclamò in tono teatrale – io ero preoccupata per voi e questo è il trattamento che mi viene riservato. Oh povera me, nessuno mi capisce.”
A quelle parole Brittany si alzò e corse da lei, per poi stringerla in un abbraccio.
Santana trattenne il fiato, ma Rain era pronta ad accogliere la ballerina, rivolgendole poi uno dei suoi sguardi rassicuranti.
Si rilassò e rispose al suo mezzo sorriso.
“Non farti ingannare dalla sua recita Britt. Sta solo facendo scena per beccarsi degli abbracci a tradimento.”
“Dai, San. Non essere cattiva con la povera Rain, era solo preoccupata per noi..”
“Sì, sì. Come dice lei. – borbottò – Allora, cavaliere senza macchia e senza paura, perché sei venuta a rompere?”
“Perché ho trovato l’ingresso.”
Rispose Rain sciogliendosi dall’abbraccio di Brittany.
“Evviva!”
Esclamò la bionda fiondandosi fuori dal sottoscala.
La sentirono correre su per i gradini e si scambiarono uno sguardo divertito.
“Sei fortunata che ci stavamo solo baciando, se non fosse stato così..”
“A mia discolpa posso dire solo che vi ho chiamate a voce più che alta e che ho fatto tutto il rumore possibile scendendo. Non è colpa mia se quando siete insieme non vi smuove neanche un terremoto..”
“Ehi, voi due, vi sbrigate?”
Gridò Brittany dal piano di sopra.
Ridacchiarono e si affrettarono a raggiungerla.
 
“Ok, state indietro adesso.”
Rain, i muscoli delle braccia e della schiena tesi nello sforzo, diede un potente strattone alla sbarra di metallo che avevano incastrato in una fessura della parete.
Ci furono due schiocchi secchi e un cigolio, poi iniziarono a formarsi sottili crepe nella parete che disegnarono una vaga sagoma rettangolare, infine con un ultimo sforzo da parte dell’ex-soldato la struttura cedette, cadendo piatta all’interno della stanza e sollevando una nuvola di polvere e calcinacci.
Tutte e tre tossirono, sventolando le braccia nel tentativo di diradare la polvere.
Osservarono il pezzo di parete che si era staccato.
Si trattava di una porta di legno a cui era stata tolta la maniglia e che era poi stata mascherata nella parete con uno strato di intonaco.
Gli strattoni di Rain avevano strappato via i cardini dal telaio di legno su cui erano fissati.
“Ma chi sei, la figlia di Hulk?”
Domandò Santana vedendo i grossi pezzi di legno che erano saltati via insieme alla porta.
La donna si passò un braccio sulla fronte sudata, sfoderando il suo mezzo sorriso.
“Ehi, stai sanguinando.”
Esclamò notando una scia rossa che attraversava il dorso dell’avambraccio dell’amica.
Rain osservò la ferita e scosse le spalle.
“È solo un graffio, una scheggia deve avermi colpita quando si è rotto il legno attaccato all’ultimo cardine.”
“Arrivo subito.”
Esclamò Brittany uscendo di corsa dalla stanza.
“E adesso cosa combina la tua bionda?”
L’ispanica si strinse nelle spalle sorridendo.
L’imprevedibilità della ballerina era una delle cose che più adorava di lei.
“Ecco qui.”
Annunciò pochi istanti dopo la ragazza rientrando nella palestra con una grossa scatola di cerotti e una confezione di salviettine disinfettanti.
Si avvicinò a Rain e le afferrò il braccio ferito, esaminandolo accuratamente sotto lo sguardo divertito e benevolo della donna.
Santana osservò deliziata il broncio concentrato della sua biondina, mentre ripuliva attentamente il piccolo taglio sotto il gomito di Rain, su cui mise un cerotto esageratamente grosso in confronto alle dimensioni della ferita.
“Grazie mille Britt.”
“Aspetta, non ho finito.”
Esclamò senza lasciarla, per poi chinarsi e depositare un piccolo bacio sul cerotto.
“Ecco, ora ho finito.”
Decretò poi, con uno dei suoi sorrisi deliziosi.
“Oh, wow. Adesso sono sicura che il mio braccio guarirà in un lampo.”
Esclamò l’ex-soldato ricambiando il sorriso con uno dei suoi, di quelli più rari che Santana aveva visto solo poche volte, quelli che le illuminavano tutto il volto.
Ma non se ne sorprese, era questo l’effetto che Brittany faceva sulle persone che capivano quanto fosse unica e meravigliosa.
“Grazie davvero, Britt.”
“Di niente.”
Trillò lei allegra.
Si sentì osservata e spostò lo sguardo da Brittany, che era impegnata nel tentativo di rimettere nella scatola i cerotti che aveva tirato fuori tutti insieme, incontrando gli occhi sorridenti di Rain che la studiava scuotendo la testa con il suo mezzo sorriso stampato in faccia.
“Che vuoi?”
Sibilò, senza però riuscire ad impedire che anche le sue labbra si incurvassero.
Per tutta risposta l’ex-soldato sventolò le mani come fossero ali, per poi mimare l’azione di scagliarle una freccia e mettersi a disegnare dei cuoricini in aria con le dita.
Le lanciò uno sguardo inceneritore, ottenendo solo un sorriso più ampio.
“Fanculo.”
Bisbigliò sorridendo a sua volta.
Rain rise e la strinse in un abbraccio che proprio non riuscì a non ricambiare.
“Sei davvero adorabile quando la guardi, lo sai? La miglior espressione da pesce lesso che io abbia mai visto.”
“Sei fortunata che Britt sia qui, perché se non ci fosse ti avrei già presa a calci in culo.”
“Diciamo che avresti potuto provarci.”
Ritorse la donna, lasciandole un bacio in fronte, per poi chinarsi verso la cassetta  degli attrezzi e afferrare una torcia elettrica.
“Allora – esordì voltandosi verso l’apertura nella parete – che ne dite, andiamo a vedere?”
“Sì.”
Esultò Brittany scattando in piedi.
“Piano, ragazze – ridacchiò l’ex-soldato – entro prima io a dare un’occhiata, non sappiamo in che condizioni sia la casa lì dentro, non vorrei che vi faceste male. Aspettate che vi chiami.”
Concluse avventurandosi nell’apertura.
Brittany si strinse accanto a lei, mentre osservavano Rain sparire dietro il muro.
Santana non resistette e le diede un lieve bacio sulle labbra.
“A cosa devo questo trattamento?”
Domando piano la bionda con un dolce sorriso.
“Per ringraziarti di essere così adorabile e per aver fatto sorridere Rain.”
Rispose prima di baciarla di nuovo.
“Allora vedrò di impegnarmi per farla sorridere di più.”
Bisbigliò sulle sue labbra quando si separarono.
“Ok, ragazze. Potete venire.”
Le chiamò Rain da chissà dove.
Santana sospirò e si sciolse a malincuore dall’abbraccio di Brittany.
Si avventurò per prima oltre il buco nella parete, mentre la bionda si metteva dietro di lei, stringendole forte la mano.
“San?”
“Dimmi, paperella.”
Le piaceva il gusto di quel nomignolo sulle labbra, era da tanto che non lo usava e le era mancato.
“E se ci sono dei mostri lì dentro, come facciamo?”
“Non ti devi preoccupare, BrittBritt. Rain è più forte di qualsiasi mostro e le basterà uno sguardo per farli scappare via a gambe levate. E se non dovesse bastare, ci sono anche io a proteggerti, ok?”
“Ok.”
Si convinse la biondina.
Vide un fascio di luce tremolare dietro ad un angolo.
“Attente ai gradini.”
Disse Rain da più avanti.
Svoltarono l’angolo e sgranò gli occhi, trattenendo il respiro.
 
 
 
 
Angolo della pazza.
 
Il titolo appartiene ad una canzone degli Aerosmith e come ormai avrete intuito questo capitolone è suddiviso in due parti.
 
Niente paura, la seconda parte è già in forno..
 
Vi prego non odiate la povera Rain per aver interrotto le nostre cucciole..
 
Personalmente ho adorato l’amicizia Raintana in questo capitolo.. le trovo assolutamente carine e coccolose, voi no?
Anche se si divertono a fare le dure e a punzecchiarsi, si vogliono davvero un bene immenso, lo dimostra anche il fatto che Rain ha preso in giro San sulle sue espressioni innamorate ed è sopravvissuta per raccontarlo (cosa che non farà mai nemmeno sotto tortura perché per lei l’amicizia è sacra)
 
E quanto è dolce Britt..
 
Ok la smetto, anche perché non ha senso che mi commenti da sola i deliri che il mio cervello trasmette sullo schermo del PC tramite i miei ditini impazziti.
 
Quindi a voi la parola, fatemi sapere che ne pensate.
 
Tanto ammooooreeee per voi.
 
Besitos
WilKia >.< 

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Capitolo 26
*** Toys in the Attic .II ***


Toys in the Attic .II
 
 
 
 
Santana non poteva credere ai suoi occhi.
Quando Rain aveva gridato loro di fare attenzione ai gradini si aspettava di incontrare due o tre scalini, o una normalissima scalinata come all’esterno.
Di certo non si sarebbe mai aspettata quello che le si parò davanti.
Dei ballatoi in legno correvano lungo le pareti a diversi livelli, collegati tra loro da delle scalinate anch’esse in legno.
Tutto ciò che riuscì a vedere nella penombra in cui era immersa la stanza erano scaffali e scaffali pieni zeppi di libri.
Si sporse oltre la ringhiera del ballatoio su cui si trovavano lei e Brittany e guardò verso il basso.
Ancora scaffali di legno carichi di volumi, fino a perdita d’occhio.
“Rain?”
Chiamò piano non vedendo l’amica da nessuna parte.
“Qua sopra.”
Alzò lo sguardo verso il soffitto, accorgendosi che era più basso rispetto alle altre stanze della casa.
Scorse una scala lì vicino e iniziò a salire lentamente i gradini, trascinandosi dietro Brittany che si guardava intorno a occhi spalancati.
Rain era al centro di un’ampia stanza rivestita di pannelli di legno di un bel colore rossastro.
Si guardava intorno con un’espressione indecifrabile dipinta sul viso.
Anche qui c’erano alcuni scaffali, ma oltre ai libri contenevano anche vari oggetti personali, alcuni molto strani che attirarono subito la curiosità di Brittany che iniziò a studiarli rigirandoseli delicatamente tra le dita.
Una grossa e lunga scrivania era addossata ad una parete.
Vi erano ancora dei libri aperti sopra ricoperti da un sottile strato di polvere e affiancati da un quaderno dalle pagine ingiallite su cui qualcuno aveva abbandonato una penna dopo aver riempito la pagina di fitti appunti, in una grafia dritta e impersonale.
Lungo la parete adiacente si trovava un letto piuttosto grande, non fosse stato per la polvere che vi era accumulata si sarebbe potuto dire che il proprietario si fosse appena alzato per iniziare la sua giornata.
C’erano due finestre, una sopra il letto e una più grande sopra la scrivania, ma entrambe erano chiuse da assi di legno e murate dall’esterno.
“Evviva! L’ho trovato.”
La voce allegra di Brittany suonò fuori posto in quell’ambiente così cupo.
La bionda si voltò verso di loro stringendo un piccolo bauletto di legno.
“Ho trovato lo scrigno del tesoro.”
Trillò entusiasta consegnandolo a Rain.
La donna lo prese, se lo rigirò tra le mani osservandolo assorta.
Poi Santana vide nei suoi occhi quella strana espressione, quella che aveva imparato ad associare a quel foglio stropicciato che l’amica continuava a trascinarsi dietro guardandolo di continuo, senza mai aprirlo per leggerlo.
“Grazie Britt.”
Disse semplicemente, per poi uscire da quella stanza senza più voltarsi.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato? – domandò la ballerina imbronciandosi – non volevo far diventare Rain ancora triste.”
Santana la abbracciò e le diede un lieve bacio sulle labbra.
“Non sei stata tu, piccola. Ma quello non era lo scrigno del tesoro..”
“E che cos’era allora?”
“Non lo so di preciso, ma qualunque cosa sia è per colpa sua se adesso Rain è di nuovo triste. Non tua, capito paperella?”
Brittany annuì e appoggiò la testa sulla sua spalla.
“San?”
“Dimmi.”
“Se quel baule la rende triste, allora forse dentro c’è un mostro. Dovremmo portarglielo via, non pensi? E darlo alle mie amiche fatine per scacciarlo.”
“Ho paura che non sia così facile, anche se lo vorrei davvero tanto.”
Sospirò l’ispanica accarezzandole piano i capelli.
“Perché?”
“Perché Rain è come uno di quei cavalieri che ci sono nelle storie che ti piacciono tanto. Quelli che non si arrendono mai, che continuano a combattere anche se sono feriti e non permettono quasi a nessuno di aiutarli, nemmeno alle persone che gli vogliono bene.”
“Rain è ferita?”
Annuì tristemente.
“Ha molte ferite, di quelle peggiori. Quelle che non si vedono e non si possono curare con i cerotti.”
“Credi che adesso stia aprendo il baule per combattere contro il mostro?”
“Non ancora, sai come funziona, no? Prima di poter aprire lo scrigno bisogna trovare la chiave. E non lo aprirà finché tu sei qui.”
“Perché sa che non ci sono le mie fatine a proteggermi dal mostro?”
Santana sorrise e le regalò una carezza sul viso.
“Proprio così. Non correrebbe mai questo rischio.”
Rimasero in silenzio per alcuni istanti, abbracciate e perse nel reciproco calore, ascoltando il suono dei loro respiri.
“San?”
“Mmmm?”
“Tu rimarrai con lei, vero? Non la lascerai affrontare il mostro da sola, anche se lei non vuole farsi aiutare, vero?”
Chiese fissando quei meravigliosi occhi azzurri nei suoi.
“Non glielo permetterei mai.”
Rispose sicura.
Brittany le regalò un sorriso radioso, poi le prese delicatamente il viso tra le mani, avvicinandosi per un lungo e tenero bacio.
 
Santana era in cucina e stava sorseggiando il suo caffè prima di andare a scuola.
Al piano di sopra poteva ancora sentire le risa allegre di Evy e Rain e non riusciva a non sorridere a sua volta.
“Mi mancheranno queste risate quando sarò di nuovo a casa..”
Aveva mormorato malinconicamente Reneè entrando in cucina e versandosi una tazza fumante della bevanda amara.
“Anche voi le mancherete.”
Annuì.
“Lo so. E se solo potessi non partirei. Mi piace troppo l’effetto che ha sulla mia piccolina e viceversa.”
“E questo è il solo motivo?”
Aveva domandato incurvando le sopracciglia e osservandola con il suo sguardo inquisitore.
“No.”
Aveva ammesso la donna a testa bassa.
“Dentro di me continuo a sperare che, ora che io ed Evy stiamo meglio, forse, se solo rimanessi con lei abbastanza a lungo, si lascerebbe andare permettendomi di provare ad alleviare almeno un po’ il suo dolore.”
Erano rimaste in silenzio.
“Grazie per tutto quello che stai facendo per lei, Santana.”
L’ispanica aveva sollevato lo sguardo, incontrando quegli occhi verdi.
“È raro che Rain permetta a qualcuno di avvicinarsi come ha fatto con te. Ha ricevuto troppe batoste nella vita..
Ma tu hai ottenuto la sua amicizia e.. averti accanto le fa davvero bene, parlare con te di quello che è successo l’ha aiutata molto.

Non so cosa ti abbia permesso di guadagnare la sua fiducia, ma sappi che lei si fida ciecamente di te, forse anche più di quanto si fidasse di Storm.”
Santana l’ascoltava incapace di parlare.
“In questi giorni ho imparato a conoscerti e sotto tutti i tuoi atteggiamenti da dura e da regina delle stronze, ho visto davvero una bellissima persona, Santana. Ho visto qualcuno che vuole davvero molto bene a Rain.
Quindi ti prego, non tradire mai la sua fiducia. È molto forte, lo è stata fino ad ora, ma non credo che sopravvivrebbe ad un’altra ferita.”
La ragazza aveva abbassato lo sguardo, prendendo un sorso di caffè per sciogliere il nodo che le bloccava la gola.
Poi aveva incontrato di nuovo quegli occhi, sicura.
Le parole non servivano.
 
Santana fermò la macchina davanti a casa di Rain e sospirò.
Per il resto della giornata l’ex-soldato si  era sforzata di apparire allegra.
Aveva cucinato per lei e Brittany e dopo mangiato si erano messe tutte e tre a lavare i piatti, accendendo la musica e mettendosi a cantare.
Ad un certo punto Brittany aveva anche iniziato a ballare per la cucina, saltando sul tavolo e piroettando con in mano piatti  e bicchieri.
Incredibilmente non si era rotto nulla.
Poi però era arrivato il momento di riaccompagnare Britt a casa e Santana aveva visto di nuovo quello sguardo negli occhi di Rain, mentre salutava la ballerina.
La trovò seduta al tavolo della cucina, lo sguardo fisso sul bauletto appoggiato davanti a lei.
Si stava rigirando qualcosa tra le dita.
Le si sedette accanto e rimase in attesa.
Rain alzò gli occhi su di lei e le rivolse un sorriso triste.
“Guarda.”
Disse semplicemente, indicandole una rientranza nel legno del cofanetto.
Osservò attentamente la strana sagoma, notando che faceva parte di un congegno a pressione, che probabilmente serviva ad aprire lo scrigno.
Poi Rain le prese la mano, lasciandole qualcosa nel palmo.
“Sono le chiavi che mi ha consegnato il notaio quando mi ha detto che avevo ereditato questa casa. Guarda il portachiavi.”
Notò per la prima volta il ciondolo in argento a forma di gufo che pendeva da una catenella attaccata all’anello del portachiavi.
Poi il suo sguardo cadde di nuovo sulla rientranza nel piccolo scrigno e capì.
“C’è un gemello, sai? È attaccato alle chiavi della mia macchina. Me lo ha dato mia madre qualche settimana prima di..”
Si interruppe.
“Non devi aprirlo per forza, se non vuoi.”
Le disse piano, ma sapeva che non l’avrebbe ascoltata.
Infatti, riprese delicatamente le chiavi dalle sue mani e girò il bauletto, in modo da avere davanti a sé il meccanismo di apertura.
Rain sospirò e premette il gufo d’argento nella rientranza del legno.
Ci fu un lieve click e il coperchio si sollevò appena.
La donna lasciò cadere le chiavi sul tavolo e lo aprì completamente.
Dentro c’erano varie buste ingiallite e rigonfie.
Rain prese la prima, aprendola lentamente.
Era piena di foto.
Vecchie foto dai margini consunti e screpolati, come se fossero state guardate di continuo.
L’ex-soldato iniziò a guardarle una per una, per poi passarle a lei.
I soggetti erano sempre gli stessi.
Una bambina con profondi e ridenti occhi scuri e una donna che le assomigliava moltissimo, talvolta accompagnate da un uomo con gli stessi capelli castani della bimba.
“Questa sei tu?”
Chiese.
Rain annuì, mentre continuava a osservare quelle immagini.
Santana sorrise davanti a una foto che l’amica le passò.
Vi era ritratta solo lei con un enorme sorriso spensierato e fiducioso e lo sguardo limpido e sorpreso dell’infanzia dipinto negli occhi scuri.
Avrà avuto non più di 3 anni in quella foto e tendeva le manine verso il fotografo per farsi prendere in braccio.
“Eri davvero una bambina bellissima.”
Disse piano.
Sollevò lo sguardo su di lei e si gelò davanti alla sua espressione rabbiosa.
“Rain?”
L’ex-soldato guardava tremante una foto in cui erano ritratti tutti e tre, sorridenti.
Erano riuniti davanti ad una torta di compleanno su cui sfavillavano sei candeline.
“Stronzate.”
Bisbigliò amaramente.
“Sono tutte stronzate – gridò facendo uno scatto con la mano che scagliò via il cofanetto dal tavolo – sono tutte bugie! Carta straccia ricoperta di menzogne.”
Si alzò di colpo facendo ribaltare la sedia e afferrò una manciata di foto iniziando a strapparle con rabbia.
Santana la osservò impietrita, mentre si aggirava furiosa per la cucina, come una tigre in gabbia, strappando le foto e scagliandone via i frammenti.
Non l’aveva mai vista così.
Sapeva quanto avesse sofferto per l’abbandono dei suoi genitori, ma fino a quel momento aveva visto solo la delusione e il rimpianto.
Ora si trovava faccia a faccia con la rabbia e non si era mai sentita così piccola, spaventata e impotente come in quel momento, davanti a quella furia che si era impossessata della sua amica.
Non temeva che potesse fare del male a lei, sapeva che piuttosto si sarebbe tagliata via un braccio.
A spaventarla era il modo in cui quella rabbia era esplosa, come se si fosse accumulata per anni, come lava in un vulcano dormiente.
Si chiese per quanto tempo avesse covato dentro di sé quel rancore senza mai darvi libero sfogo.
Rain sbattè la porta che si chiuse con un colpo secco.
“Quel gran bastardo! Cosa se ne faceva di questa merda? Se gliene fosse fregato qualcosa di me..”
Perse il filo delle sue parole, mentre continuava a scagliarsi da un lato all’altro della stanza gettando via coriandoli frammentati di sorrisi e sguardi di un tempo che non c’era più e urlando maledizioni in italiano.
Il suo sguardo era ancora pieno di furia, ma le sue mani erano rimaste vuote, così le strinse e colpì la porta con un pugno in cui riversò tutta la sua rabbia.
Santana sussultò sentendo il colpo seguito immediatamente dal crack del legno che si frantumava, mentre la mano dell’amica lo attraversava come fosse stato polistirolo.
Varie schegge di legno, più o meno grandi, piovvero impazzite sul pavimento, ticchetando.
Poi tutto si fermò e ci fu silenzio.
Rain estrasse la mano dai frammenti della porta e la osservò con un’espressione stupita, come se appartenesse a qualcun altro, stringendo il polso con la sinistra.
Appoggiò una spalla contro lo stipite e si lasciò scivolare a terra tremante, con il respiro affannato e lo sguardo vuoto, assente.
Santana vide il sangue gocciolare sul pavimento.
Si alzò e accorse al suo fianco, si inginocchiò davanti a lei prendendole delicatamente la mano ferita.
Rain non reagì e questo la spaventò ancora di più della sua furia, la spaventò ancora di più delle grosse schegge di legno conficcate nella sua mano.
Cercò il suo sguardo, prendendole lievemente il volto tra le mani.
“Rain.”
La chiamò piano.
Vide quegli occhi scuri focalizzarsi sul suo viso e sospirò sollevata.
“Scusa, Santana.”
Bisbigliò, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
“Io.. non so cosa mi ha preso. Mi dispiace che tu mi abbia vista così.”
“Shh, non importa.”
Sussurrò tirandola verso di sé e stringendola tra le braccia.
La ragazza si aggrappò a lei scossa dai singhiozzi.
“Va tutto bene.”
Continuò accarezzandole i capelli.
Rain l’abbracciò disperata, stringendola tra le braccia così forte da farle quasi male.
Continuò a tenerla stretta a sé cullandola piano e accarezzandole la schiena senza parlare.
Le parole sarebbero state inutili.
Lentamente sentì i singhiozzi diminuire e il suo respiro tornare regolare.
Rimasero strette l’una all’altra ancora alcuni istanti, poi Santana iniziò ad allontanarsi gentilmente.
“Madre de Diòs – esclamò tornando ad osservare la sua mano ferita – temo che per sistemare questa non basti il metodo Brittany.”
Vide un lieve sorriso comparire sulle sue labbra a quelle parole.
Si alzò e le porse le mani per aiutarla a fare lo stesso.
“Vieni, andiamo a fartela rimettere a posto.”
 
Uscirono dall’ospedale tre ore più tardi.
Tanto tempo era passato tra esami e radiografie, ma ancora di più ne era servito per rimuovere le schegge di legno dalla mano di Rain.
Dovettero metterle alcuni punti di sutura, ma fortunatamente non c’erano danni né ai tendini, né alle strutture ossee.
Se la sarebbe cavata solo con una cicatrice.
Rain quasi non aveva più parlato, si era limitata a rispondere laconicamente alle domande dei dottori, poi era sprofondata nel mutismo.
Quando tornarono a casa andò a farsi una doccia e poi si infilò subito a letto.
Santana andò a vedere come si sentiva e si accoccolò accanto a lei.
“Mi dispiace per come mi sono comportata prima..”
“Non ti devi scusare, te l’ho già detto. So che tu non sei così.”
La rassicurò iniziando a passarle le dita tra i capelli.
Sentì uno strano nodo tra i polpastrelli e si sollevò per vedere cosa fosse.
Rain si era fatta un’altra treccina, dietro l’orecchio sinistro questa volta.
Era corta e si confondeva ancora tra gli altri capelli.
L’aveva fissata con un laccetto di un bel rosso cupo.
“E questa?”
Domandò sorpresa giocherellando con la treccina sottilissima.
Rain evitò il suo sguardo, sembrava indecisa se rispondere o no.
“Questa.. ecco..”
Sospirò a disagio e arrossì lievemente.
“Questa è per te, Santana – spiegò a bassa voce, continuando ad evitare i suoi occhi – spero che non ti dispiaccia.. insomma, so che ci conosciamo ancora da poco tempo, ma..”
Si gettò su di lei stringendola con tutta la forza che aveva trattenendo a stento le lacrime.
“Questo significa che non ti dispiace?”
“Stai scherzando? È una delle cose più belle.. – si interruppe, schiarendosi la voce che tremolava leggermente – è un onore. Io..”
Scosse la testa, incapace di trovare le parole giuste.
“Grazie Rain.”
“No. Grazie a te, ragazzina.”
Rispose la donna ricambiando il suo abbraccio e lasciandole un bacio tra i capelli.
Santana aspettò pazientemente che si addormentasse, continuando a tenerla stretta e osservando il suo viso distendersi lentamente nel sonno.
Le posò un lieve bacio sulla fronte, poi scese per dare una sistemata alla cucina, non voleva che la mattina dopo rivedesse tutte quelle foto a brandelli.
Iniziò a risistemare quel disastro, quando la sua attenzione fu attratta da una foto che sembrava essere scampata alla sfuriata distruttiva dell’amica.
La raccolse da terra e si ritrovò a fissare gli occhi scuri e innocenti di una bambina sui 3 anni, che tutta sola, sorrideva fiduciosa allungando le manine verso il fotografo per essere presa in braccio.
Si inginocchiò a terra, incapace di trattenere le lacrime e strinse sul cuore la foto di quella bambina, giurandole, dentro di sé, che non l’avrebbe mai più lasciata sola.
 
 
 
 
 
Angolo della pazza.
 
Ecco a voi la seconda parte.. non so bene da dove mi sia uscito tutto ciò.. scusate, ma ho un po’ di magone e qualche lacrimuccia che ha voglia di uscire..
 
Credo che questo capitolo parli da solo, quindi non mi dilungherò oltre.
A voi la parola.
 
Grazie mille a chi mi segue, preferisce, ricorda e anche a chi mi legge solo di passaggio.
Grazie millemila a chi mi lascia anche il suo parere dopo aver letto i miei deliri.
 
Vi amo tutti alla follia.
Besitos
WilKia >.< 

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Capitolo 27
*** Just Feel Better ***


Due paroline prima di iniziare.
Capitolo piuttosto lungo
in cui ho mescolato i punti di vista di San e Rain
spero di non aver fatto casino.
Buona lettura, ci sentiamo dopo
 
WilKia >.<
 
 
 
 
Just Feel Better
 
 
 
“Ehi, ragazzina. Che stai guardando?”
Domandò entrando in sala.
Santana era mezza sdraiata sul tavolo, le gambe incrociate sulla sedia e il mento appoggiato su un braccio e osservava distrattamente lo schermo del computer acceso davanti a lei.
“Niente di particolare, mi stavo annoiando così mi sono messa a gironzolare su youtube.”
Rain strofinò le mani tra loro per eliminare la polvere che vi era rimasta attaccata.
“Se ti stavi annoiando avresti potuto venire a darmi una mano..”
Era tutta la settimana che Rain passava le serate nella biblioteca per cercare di catalogarne il contenuto.
Da quando aveva trovato lo studio del padre non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che lì dentro potessero esservi delle informazioni utili per la sua ricerca, ma ancora non era riuscita a rientrarci.
Ogni volta che si soffermava anche solo a guardare le scale che vi conducevano, sentiva di nuovo montare la rabbia e non voleva ripetere lo sfogo distruttivo di sette giorni prima.
Il venerdì precedente era andata a Dayton, ma alla fine anche quella pista si era rivelata un vicolo cieco e Fren non era ancora riuscita a scovare altre informazioni.
“E questo che cavolo è?”
La voce di Santana la distolse dalle sue riflessioni.
Sullo schermo del computer era apparsa Brittany.
Sedette accanto alla ragazza, mentre la biondina dava il benvenuto a Mercedes e Tina, ospiti del suo nuovo talk show: Fondue for Two.
Le tre ragazze iniziarono a parlare degli ultimi pettegolezzi che giravano a scuola.
“Perché non mi hai detto che Britt si era data allo showbiz?”
Santana osservava rapita lo schermo, le labbra incurvate in un lieve sorriso.
Sebbene Brittany fosse ancora insieme ad Artie, durante la settimana le due ragazze avevano passato alcuni pomeriggi insieme lì da lei e Rain si era inventata un’infinità di scuse differenti per lasciarle da sole più tempo possibile.
“Non te l’ho detto perché non ne avevo idea..”
Rispose l’ispanica, senza distogliere un solo attimo lo sguardo dal viso di Brittany.
“Si vocifera che Santana giochi per l’altra squadra..”
La voce della bionda che usciva dagli altoparlanti le fece gelare sul posto.
Sullo schermo Mercedes e Tina sembravano ugualmente scioccate.
“E posso confermare la cosa al 100%”
Il sorriso della latina sparì all’istante, mentre la sua fronte si corrugava pericolosamente.
Rimasero entrambe immobili ad osservare lo schermo mentre il breve show di pettegolezzi finiva.
Poi Santana spense il computer e si alzò, iniziando a misurare la stanza a grandi passi nervosi.
Rain rimase in attesa, aspettando che metabolizzasse l’accaduto, pronta a fronteggiare l’esplosione che vedeva prepararsi negli occhi a dir poco terrorizzati della ragazza.
“Io l’ammazzo.. – disse a voce bassa la latina, fermandosi al centro della sala – io adesso vado là e l’ammazzo.”
Rain si alzò e si avvicinò a lei.
“Come diavolo le è venuto in mente..”
Cominciò a gridare, agitando le braccia e indicando il computer.
“Come ha potuto farmi questo? Cazzo ti rendi conto di quello che ha appena fatto?! Mi ha sputtanata davanti a tutto il web..”
Gli occhi neri di Santana iniziarono a riempirsi di lacrime, era spaventata a morte.
“Vieni qui.”
Bisbigliò stringendola in un abbraccio.
“Perché mi ha fatto questo?”
Sussurrò, il volto nascosto contro la sua spalla.
“Sono sicura che non è come sembra.. conosci Brittany, non farebbe mai di proposito qualcosa che possa ferirti. E sai anche che vive in un mondo tutto suo, chissà cosa intendeva con quella frase.”
“Non ha importanza quello che intendeva, sai bene come tutti lo interpreteranno.. la mia vita è finita! Hai ancora la casa dove vivevi in Italia? Ci possiamo trasferire li?”
“Su, adesso non esagerare.. quante persone possono aver visto quel filmato? E lo sai cosa pensa la maggior parte dei tuoi compagni riguardo le idee di Britt, vedrai che come al solito penseranno che sia una delle sue uscite senza senso – cercò di rassicurarla – aspetta ad elaborare piani di fuga.”
La strinse un po’ più forte e sperò con tutta sé stessa di avere ragione.
 
Rain si diresse verso l’uscita della scuola sorridendo.
Trovava l’idea di Will molto valida, “Rumours” era davvero un grande album e dopo i drammi del giorno precedente ai ragazzi avrebbe fatto bene concentrasi solo sulla musica.
Oh, oh! Che succede adesso?
Pensò voltando l’angolo e vedendo Brittany ferma davanti al suo armadietto con Artie che le parlava in tono decisamente serio.
Sentì il ragazzo pronunciare il nome di Santana e aguzzò le orecchie.
“No. – esclamò la bionda – tutti pensano che sia una cattiva persona, ma non è vero..”
“Dio, Brittany – la interruppe lui esasperato – perché sei così stupida?!”
Ahi. Ti sei scavato la fossa da solo, amico mio.
Pensò, vedendo la ragazza voltarsi e scappare via in lacrime.
Artie sembrò rendersi conto del suo errore e scosse la testa rassegnato, prima di voltare la sua sedia a rotelle nella direzione opposta e andarsene tristemente.
“Ehi, soldato. Che ci fai ancora da queste parti? – Santana si affiancò a lei – ti sei incantata per caso? Che stavi guardando?”
“Ho appena visto Britt litigare con Artie.. stava piangendo.”
“Dov’è? – chiese subito la latina. Rabbia e preoccupazione si alternarono nei suoi occhi neri – giuro che lo faccio pentire di essere nato.”
“Ho visto Britt andare verso la mensa.”
Quasi non finì di parlare che Santana stava già correndo nella direzione in cui poco prima era sparita la bionda.
“Ci vediamo più tardi allora.”
Le gridò dietro.
 
Santana era seduta a terra davanti al divano, mentre Rain cercava “Rumours” tra i dischi di Storm.
L’ex-soldato era più che sicura che ci fosse, ma non era ancora riuscita a trovarlo.
Non avevano ancora parlato di ciò che era successo quel pomeriggio.
Santana aveva dentro una tale confusione.
Una parte di lei voleva uccidere Artie che aveva osato dare della stupida alla sua Britt e l’aveva fatta soffrire.
Un’altra parte di lei sembrava essere dispersa tra le nuvole al pensiero che adesso la biondina era libera e poteva essere solo sua.
Infine una terza parte era semplicemente terrorizzata da quella stessa idea.
Finalmente Rain trovò il disco e fece partire la musica, andandosi a sedere accanto a lei.
Cercò di concentrarsi sulle note, ma la sua mente continuava a vagare intorno al pensiero di Brittany e il suo cuore galoppava impazzito per l’euforia e la paura che l’investivano ad ondate alterne.
Sentì un paio di braccia forti avvolgersi intorno alla sua vita e si lasciò andare indietro contro il petto di Rain, sospirando e chiudendo gli occhi.
“Continuare a pensarci in questo modo ti farà solo venire un gran mal di testa.”
Bisbigliò al suo orecchio, facendole posare la testa sulla sua spalla per poi appoggiare la guancia contro la sua.
“Perché mi sento così confusa? Insomma non stavo aspettando altro che questo, ma ora che due ruote non è più tra i piedi io..”
Si fermò.
“Hai paura?”
“Sono terrorizzata.”
Ammise, sentendo una lacrima sfuggire dai suoi occhi chiusi.
Dal giradischi si diffusero le note morbide di un pianoforte.
Rain la strinse di più e il suo abbraccio sicuro l’aiutò a calmarsi.
“Non so cosa fare. Non so come devo comportarmi..”
“Shh. Basta. Spegni un po’ quel cervellino vorticante. – bisbigliò l’ex-soldato cullandola e lasciandole un bacio sulla fronte – chiudi gli occhi, rilassati e ascolta solo quello che ti dice il tizio che abita qui dentro.”
Continuò appoggiandole la punta dell’indice all’altezza del cuore.
Santana si abbandonò completamente, cercando di zittire tutti i pensieri che le turbinavano nella testa.
Fece un respiro profondo e decise di concentrarsi sulla musica dolce che invadeva la stanza.
 
To you I’ll give the world
To you I’ll never be cold
Cause I feel that when I’m with you
It’s all right
I know it’s right
 
La voce calda di Christine McVie la invase.
Trattenne il respiro, quando le parole di quella bellissima canzone penetrarono la sua coscienza, sembrava che stessero uscendo direttamente dal suo cuore.
 
And the songbird are singin’
Like they know the score
And I love you, I love you, I love you
Like never before
 
Lasciò che le lacrime scorressero liberamente dai suoi occhi chiusi.
Ora sapeva cosa fare con Brittany.
 
 
Rain era in aula canto, seduta accanto a Santana e tentava in tutti i modi di controllare il suo viso che voleva aprirsi in un ghigno divertito.
Era più forte di lei, trovava assolutamente esilarante il battibecco canoro, che si stava svolgendo sotto gli occhi dell’intero Glee club, tra Finn e Quinn.
Tutti gli altri ragazzi erano evidentemente a disagio.
Bhè, quasi tutti..
Pensò notando gli sguardi che Santana e Brittany continuavano a scambiarsi, non degnando della minima attenzione l’esibizione dei compagni.
Strinse la mano della ragazza accanto a lei per rassicurarla.
Sapeva che quella sera sarebbe andata a casa di Brittany per un’edizione speciale di Fondue for Two e che la cosa le creava un misto di euforia e terrore in cui il secondo era l’elemento prevalente.
Tra l’altro la sera prima non ne avevano nemmeno potuto parlare per bene, perché i genitori dell’ispanica erano rientrati in anticipo dalla loro vacanza, a causa di una tormenta di neve e la ragazza era dovuta ritornare a casa.
Santana sentì le dita di Rain stringersi intorno alla sua mano e ricambiò la stretta con gratitudine.
Era stanca morta, non aveva chiuso occhio tutta notte pensando a quello che sarebbe accaduto di li a poche ore.
Era terrorizzata, ma questa volta non si sarebbe tirata indietro.
Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore.
Voleva Brittany, la voleva solo per sé e l’unico modo perché fosse così era stabilire una volta per tutte che lei era sua e farlo sapere a tutti.
Si accorse che gli altri stavano battendo le mani e si unì all’applauso perplesso dei suoi compagni, per poi perdersi di nuovo tra i suoi pensieri, mentre Quinn e Rachel discutevano.
Osservò distrattamente la bionda che lasciava l’aula con fare stizzito poco prima che suonasse la campanella.
Si alzò per avvicinarsi a Rain, intenta a parlare con Schuester.
Aveva bisogno di parlare con lei, di sentire la sua voce rassicurante affermare che sarebbe andato tutto bene.
L’aveva quasi raggiunta quando sentì il cellulare vibrare.
 
Vieni a casa immediatamente.
Tuo padre e io ti dobbiamo parlare, signorinella.
 
Corrugò la fronte, perplessa.
L’ultima volta che sua madre aveva usato un simile tono con lei era stato quando, ancora senza patente, aveva preso di nascosto la macchina di suo padre per andare ad una festa ed aveva finito per  graffiargli tutta la fiancata.
Cercò di ricordare se aveva combinato qualche casino recentemente, ma dato che non era stata quasi mai a casa durante la loro assenza, non sapeva proprio spiegarsi il tono di quel messaggio.
“Ehi, ragazzina. Tutto bene?”
Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi calmi di Rain.
“Sì, credo di sì.”
“Sicura? Mi sembri da un’altra parte.”
“Sono solo sanca. Non ho dormito molto questa notte.”
“Vuoi venire da me prima di andare da Brittany? Non so facciamo due chiacchiere o magari recuperi un po’ di sonno.”
“Non sai quanto mi piacerebbe, ma devo passare da casa.”
Rain la scrutò preoccupata.
“Va bene, allora andrò a bere un caffè con Will. Dobbiamo parlare dell’organizzazione per le Nazionali.. ma se dovessi avere bisogno di me, ti basta farmi uno squillo e io corro. Ok?”
Annuì, e si avvicinò a lei per un abbraccio.
“Ti voglio bene.”
Sussurrò contro la sua spalla.
“Ti voglio bene anche io, ragazzina. Vedrai, andrà tutto bene.”
Santana la strinse più forte, grata che avesse detto proprio le parole che aveva bisogno di sentire.
 
Era più di un’ora che Rain e Will analizzavano le varie possibilità che avevano per la trasferta a New York e l’ex-soldato cominciava seriamente a domandarsi quale demone si fosse impossessato di lei quando aveva accettato di farsi coinvolgere.
Quando il suo telefono iniziò a suonare lo accolse con estrema gratitudine.
“Scusa Will, devo rispondere..”
Disse vedendo il nome di Santana sul display.
Il professore le fece un cenno con la mano senza nemmeno alzare lo sguardo dai fogli che stava studiando.
Si alzò allontanandosi di qualche passo e rispose alla chiamata.
“Ehi, ragazzina. Tutto ok?”
Dall’altra parte del ricevitore provenirono solo dei singhiozzi, mentre più in lontananza sentì la voce di un uomo che urlava in spagnolo.
“Santana? Che succede?”
Domandò allarmandosi.
La ragazza non rispose, ma continuò a piangere.
“Arrivo subito.”
Chiuse la chiamata.
“Scusa, Will. Devo scappare.”
Non aspettò nemmeno che l’insegnante si rendesse conto che gli aveva parlato e si fiondò verso il parcheggio.
Sfrecciò a tutto gas per le strade di Lima incurante di limiti di velocità, incroci e semafori rossi.
In 10 minuti arrivò davanti alla casa dell’amica.
Mollò l’auto in mezzo al vialetto, ricordandosi a malapena di spegnere il motore e sfilare le chiavi.
Le urla adirate dell’uomo si sentivano fino in strada.
Cominciò a bussare alla porta, ma quando vide che nessuno veniva ad aprirle decise di mettere da parte le buone maniere e la sfondò con una spallata.
 
Santana era rannicchiata in un angolo della sua stanza, le mani premute sulle orecchie e singhiozzava disperata, mentre suo padre le inveiva contro, gridandole che era la vergogna della famiglia.
Quando era rientrata dopo la scuola, quasi non aveva fatto in tempo ad entrare che i suoi genitori avevano iniziato a tempestarla di domande sempre più aggressive.
Avevano visto il video di Brittany e letto il giornalino della scuola e volevano una spiegazione.
All’inizio aveva pensato di negare, ma poi si era convinta e aveva detto loro la verità.
Aveva alzato fiera la testa e guardandoli negli occhi aveva detto la verità su di sé e sulla sua amicizia con Brittany, che da molto tempo ormai era amore.
Loro erano rimasti in silenzio per svariati minuti.
Poi aveva sentito sulla guancia il bruciore dello schiaffo di sua madre, mentre suo padre iniziava ad urlarle contro.
E non si era più fermato.
Aveva tentato di rifugiarsi in camera sua, ma lui l’aveva seguita, mentre da fuori sua madre inveiva contro Brittany.
Santana non sapeva da quanto tempo stesse continuando quell’incubo.
Voleva solo sparire.
Improvvisamente sentì un colpo secco dal piano di sotto e pochi attimi dopo suo padre emise uno strano lamento strozzato e sorpreso.
Le urla cessarono e i suoi singhiozzi spezzati rimasero l’unico suono nella stanza.
Due braccia forti la avvolsero, sicure e confortanti, stringendola delicatamente.
“Tranquilla, ci sono io.”
Strinse convulsamente le braccia intorno al collo di Rain, nascondendo il viso contro il suo petto.
“Va tutto bene, piccola. Sono qui ora. Vieni – continuò infilandole il braccio sinistro dietro le ginocchia ed alzandosi – andiamo via da qui.”
Rimase aggrappata a lei, tremante senza riuscire a smettere di piangere come una bambina, mentre l’ex-soldato si voltava avviandosi a grandi passi.
 
Quando Rain era entrata nella camera di Santana aveva dovuto fare un notevole sforzo di volontà per non picchiare l’uomo che le urlava contro, sovrastandola, mentre lei se ne stava rannicchiata e scossa dai singhiozzi in un angolo.
In un attimo aveva attraversato la stanza, afferrando l’uomo da dietro per poi scagliarlo sul letto alle loro spalle.
Lui aveva smesso di gridare, emettendo un verso stupito quando l’aveva sollevato.
Si chinò sulla ragazza che si aggrappò a lei disperata e la prese in braccio, alzandosi per portarla via da lì.
Ma l’uomo si era rialzato, piazzandosi davanti alla porta della camera, deciso a non farle passare.
“E tu chi cazzo sei? Dove credi di andare con mia figlia?”
Sbraitò.
Rain continuò a camminare, fermandosi a pochi centimetri dalla sua faccia, lasciando trasparire dai suoi occhi tutta la rabbia che premeva dentro di lei, impaziente di uscire.
Lottò contro l’urgenza di colpirlo perché sapeva che se l’avesse fatto, probabilmente non sarebbe riuscita a fermarsi.
Lo vide impallidire, ma non si mosse.
“Fossi in lei, mi farei da parte. Adesso!”
Quasi non riconobbe la sua stessa voce, ridotta a un ringhio cupo e furioso.
Non attese oltre e avanzò colpendolo leggermente al petto con una spalla per passare.
Fatti solo pochi passi si sentì afferrare da dietro e non riuscì a controllare la reazione istintiva del suo corpo.
La sua mano destra lasciò la presa su Santana e scattò, colpendo l’uomo al mento con un manrovescio che lo spedì contro al muro.
Si sistemò meglio Santana tra le braccia e uscì da quella casa rivolgendo uno sguardo carico di disprezzo alla madre della ragazza che aveva osservato in silenzio tutta la scena.
Risalì in macchina e guidò fino a casa, sempre tenendo l’amica in braccio mormorando di tanto in tanto qualche parola di conforto.
Si richiuse la porta alle spalle con un calcio e si lasciò cadere sul divano, lottando per calmare la rabbia che ancora le si agitava dentro.
Strinse a sé quello scricciolo che continuava a singhiozzare disperatamente sulla sua spalla.
Le mise due dita sotto al mento, invitandola gentilmente a sollevare il viso.
Faticò a trattenere un altro moto di rabbia quando vide il segno rossastro di cinque dita sulla sua guancia.
“G..gra-zie di- e-essere venuta..”
Balbettò tra le lacrime.
“Shh. Non dirlo neanche.”
Bisbigliò accarezzandole la guancia arrossata.
Santana appoggiò di nuovo la testa sulla sua spalla traendo alcuni respiri tremolanti.
Lentamente l’abbraccio di Rain e le carezze che continuava a lasciarle sulla schiena la fecero calmare.
“Sapevo che non sarebbe stato facile da accettare per loro, ma non immaginavo che l’avrebbero presa così male.”
L’ex-soldato non disse niente, continuò a stringerla, cullandola lievemente.
Si abbandonò al senso di sicurezza che le infondeva quell’abbraccio.
“Come ti senti?”
Domandò Rain dopo alcuni minuti di silenzio.
Sollevò la testa per poterla guardare, stupita dallo strano tono di voce dell’amica.
Sotto le sue solite note calde e rassicuranti aveva sentito un ringhio cupo, tenuto a malapena sotto controllo.
Gli occhi di Rain erano due pozzi scuri che la scrutavano preoccupati e furiosi verso chi l’aveva fatta sentire così male.
La vide lottare per reprimere la rabbia che si agitava in fondo ai suoi occhi e si strinse di più a lei, domandandosi se esistesse un luogo più sicuro di quell’abbraccio.
“Non mi hai risposto..”
Bisbigliò al suo orecchio un po’ più calma.
“Mi sta letteralmente scoppiando la testa.”
Rispose incontrando di nuovo i suoi occhi.
Sapeva che la domanda di Rain si riferiva ad un concetto più ampio, ma non era pronta ad affrontare quel discorso.
L’ex-soldato le sorrise, poi si alzò appoggiandola delicatamente sul divano.
“Torno subito.”
Disse baciandole lievemente la fronte, mentre si scioglieva dall’abbraccio.
Quando sollevò una mano per accarezzarle il viso, Santana vide una macchia rossa sulla benda che le avvolgeva la mano ferita.
“Rain..”
Esclamò prendendole il polso e osservando la grossa chiazza di sangue.
“Non è niente. Davvero, non mi fa neanche male – tentò di rassicurarla – se mi lasci andare vado a prenderti qualcosa per quel mal di testa.”
Continuò cercando il suo sguardo.
“Va bene – sospirò – ma porta anche una garza pulita per la tua mano.”
Le ordinò.
“Agli ordini.”
Esclamò mettendosi sull’attenti e strappandole un sorriso.
Sentì i suoi passi affrettati salire le scale e si abbandonò distrutta sul divano.
La testa le pulsava dolorosamente.
Sentì una fitta in fondo al petto ripensando alla promessa che aveva fatto a Brittany il giorno prima.
La reazione dei suoi genitori aveva confermato tutte le sue peggiori paure.
Come avrebbero potuto lei e la dolce, innocente Brittany affrontare il mondo, se la sua stessa famiglia l’aveva trattata in quel modo?
Non poteva chiederle di affrontare tutta quella crudeltà, non voleva che soffrisse come lei stava soffrendo in quel momento.
Doveva proteggerla.
Si accorse di avere ancora il cellulare stretto in mano, non l’aveva più lasciato da quando, tra le urla furiose di suo padre, era riuscita in qualche modo a chiamare Rain.
Con la vista appannata dalle lacrime digitò un semplice messaggio.
 
Non posso.
 
Chiuse gli occhi e lo inviò, cercando di ignorare il pugno che le si stava stringendo intorno al cuore.
Sentì Rain rientrare nella stanza e si affrettò ad asciugarsi le lacrime.
“Tieni, bevi questo – la invitò porgendole un bicchiere – fa schifo, ma ti farà passare il mal di testa.”
Obbedì senza riuscire a trattenere una smorfia di disgusto.
Posò il bicchiere a terra e prese la mano dell’amica, costringendola a sedersi accanto a sé.
Iniziò a sciogliere delicatamente la garza sporca di sangue che le avvolgeva la mano.
Per fortuna i punti non erano saltati, era solo uscito del sangue a causa del colpo con cui l’ex-soldato aveva colpito suo padre.
“Non avevo intenzione di farlo..”
Commentò Rain abbassando la testa imbarazzata, mentre le puliva la ferita e la avvolgeva nella garza nuova.
“Cioè, sì sentivo il bisogno di colpirlo, ma non l’avrei mai fatto se lui non..”
“Lo so – la interruppe – lo so, Rain.”
Finì di fasciarle la mano e le lasciò un lieve bacio sulla benda pulita.
“Ora sono sicura che la mia mano guarirà in un lampo.”
Commentò la donna a bassa voce ripentendo quello che aveva detto a Brittany.
Sentì le labbra incurvarsi in un sorriso.
Poi ripensò al messaggio che aveva appena mandato e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Rain la sollevò di nuovo tra le braccia.
“Vieni, ti porto di sopra. Quella roba per il mal di testa di solito fa venire sonno.”
La adagiò sul letto, rimboccandole le coperte e lasciandole un bacio tra i capelli.
“Rimani con me. Ti prego.”
La implorò prima che potesse uscire.
“Certo, ragazzina.”
Rispose stendendosi dietro di lei e abbracciandola.
“Non capisco nemmeno perché me la sto prendendo tanto.. – bisbigliò dopo alcuni minuti di silenzio – dovrebbero essere contenti adesso, finalmente hanno una buona scusa per dimenticarsi che sono figlia loro. Non mi hanno mai voluta, sai?”
Le braccia di Rain la strinsero più forte.
“Sono solo un incidente di percorso.. stavano per lasciarsi quando mia madre ha scoperto di essere incinta. Allora si sono sposati perché altrimenti sai che scandalo..”
Continuò amaramente, mentre le lacrime avevano ripreso a scorrere dai suoi occhi.
“Avrebbe fatto meglio ad abortire, avrebbe risparmiato 17 anni di fastidi a loro e a me..”
“Shh. Non dirlo neanche per scherzo – la interruppe Rain, stringendola forte – ora stammi bene a sentire.
Tu non sei solo un incidente di percorso. Sei una ragazza straordinaria, Santana. Ti conosco da poco più di un mese e sei già la migliore amica che abbia mai avuto e non riesco neanche più a ricordare come ho fatto ad affrontare ciò che ho affrontato senza potermi confidare con te. Mi portavo dentro tanto di quel dolore da sentirmi paralizzare all’idea che qualcuno potesse entrare nella mia vita. Poi ti ho conosciuta e non so come né perché, ma ho sentito che di te potevo fidarmi, che se ti avessi lasciata entrare, forse avrei iniziato a guarire. Forse non mi sarei più sentita così disperatamente sola.
Quindi non dire più stronzate come quella di prima.
Perché tu sei parte della mia famiglia e io non permetto a nessuno di definire come incidente di percorso un membro della mia famiglia. Chiaro?!”
Concluse prendendole delicatamente il viso per incontrare il suo sguardo e asciugandole le lacrime.
Si voltò completamente verso di lei, stringendola con tutte le forze che aveva.
“Ti voglio bene, Santana.”
Annuì contro la sua spalla, incapace di parlare.
Rain rimase immobile, continuando ad abbracciarla finché non sentì il suo corpo rilassarsi completamente e il suo respiro farsi lento e regolare.
Non si mosse ancora per qualche minuto, attendendo che la ragazza scivolasse più profondamente nel sonno, poi si sciolse delicatamente dal suo abbraccio, facendo attenzione a non svegliarla.
Le accarezzò piano i lunghi capelli neri, mentre si alzava ed uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Ora che Santana era al sicuro e si era addormentata, non era più costretta a contenere la rabbia che le ribolliva dentro. Si chiuse nella palestra, imprecando contro la ferita che le impediva di usare la destra.
Incapace di trattenersi ancora infilò rapidamente il guantone sulla mano sana e iniziò a colpire il sacco, furiosa.
Era notte fonda quando si fermò esausta e con i muscoli del braccio sinistro indolenziti per l’abuso cui li aveva sottoposti.
Andò a sciacquarsi via di dosso il sudore e si trascinò di nuovo in camera.
Santana non si era mossa da come l’aveva lasciata.
Si infilò piano sotto le coperte e subito la ragazza si accoccolò contro di lei, sospirando nel sonno.
La strinse a sé, baciandole la fronte e lentamente il suono dolce del suo respiro la calmò, accompagnandola nel sonno.
 
 
 
Angolo della pazza
 
Allora, iniziamo con le informazioni di servizio.
Il titolo appartiene ad una canzone di quella manina d’oro di Carlos Santana (ogni riferimento ai personaggi sopra citati è puramente casuale =D ) cantata dal mio ammmmmmoooooreeee Steven Tyler [scusate ultimamente sono un po’ fissata con lui, adoro troppo la sua voce e la sua bocca da trota(di nuovo ogni riferimento è puramente casuale =D)]
L’ho scelta perché il testo mi sembrava richiamare perfettamente l’atmosfera del capitolo.
 
Allora, come vi avevo annunciato capitolone lungo e anche piuttosto pesantuccio..
Ormai l’amicizia Raintana mi ha completamente fritto il cervello, l’affetto che provano l’una per l’altra ha raggiunto livelli astronomici.
 
Il mio progetto originale per questo capitolo era un po’ diverso e dato che ho inserito qui “Songbird” so che probabilmente vi sareste aspettati una bella e sanissima scena Brittana, con tutti gli sbaciucchiamenti del caso che quei simpaticoni dei RIB non hanno voluto farci la grazia di vedere. Ma ho letto varie FF che si concentravano sul momento post “Songbird” alcune molto, molto belle e non volevo essere ripetitiva.
E poi c’era qualcos’altro in “Rumours” che mi aveva profondamente infastidita, ovvero Santana che dava buca a Britt all’ultimo momento. E il solo fatto di avere una paura fottuta delle conseguenze di quella comparsata a “Fondue for Two” non mi sembrava una spiegazione sufficiente, perché per quanta paura possa avere, Santana Lopez è una tosta e ama davvero tantissimo Britt. Insomma mi era sembrato che avessero gestito la cosa un po’ alla cazzo se devo essere sincera.
Così i miei ditini impazziti si sono messi ad inventare una ragione più plausibile che fosse poi coerente anche con i successivi comportamenti di Santana.
Spero di essere riuscita nel mio intento.
 
Mmm forse volevo dire altro, ma in questo momento non mi ricordo più :P
 
Chiudo qui.
Aspetto i vostri commenti.
Siete liberissimi di insultarmi per la scarsità di Brittana in questo capitolo.
Vi vorrò bene lo stesso.
 
Hasta Luego
WilKia >.< 

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Capitolo 28
*** Conversations With My 13 Year Old Self ***


Due paroline prima di iniziare
sono assolutamente d’obbligo questa volta.
Nella prima parte di questo capitolo
affronto un tema molto delicato
e molto crudo.
È solo un accenno, ma è comunque presente
e fa parte del passato di Rain, quindi il paragrafo in cui è trattato
è scritto in corsivo, in forma di flashback.
Prima di arrivarci ci sono alcuni indizi
che lasciano capire (spero) di cosa si tratta
quindi se capite che l’argomento potrebbe turbarvi
vi prego di saltare il flashback e passare direttamente
alla parte successiva, in cui comunque viene spiegato cosa trattava.
 
Buona lettura.
WilKia >.<
 
 
 
Conversations With My 13 Year Old Self
 
 
 
Quando aprì gli occhi quella mattina, i ricordi ci misero un solo attimo ad affacciarsi dal pozzo buio in cui li aveva gettati.
Con tutto quello che era successo, si era scordata che il giorno precedente fosse la vigilia di quel particolare anniversario.
Ogni anno era sempre la stessa cosa, per quanto si sforzasse di tenerli a bada, di disperderli nei più remoti anfratti della sua memoria, i ricordi ritornavano sempre e quelle immagini le invadevano di nuovo gli occhi sebbene li stringesse spasmodicamente per tenerle fuori.
E da un lontano angolo della sua coscienza sentì di nuovo quella rabbia ribollire, bruciante e intensa come non mai.
Per tutti quegli anni l’aveva tenuta rinchiusa in una gabbia sicura, ma ora che le aveva permesso per una volta di uscire, bramava la libertà che non le aveva mai concesso.
E ogni volta diventava sempre più difficile richiuderla in gabbia, ogni giorno le sbarre si allentavano un po’ di più.
Delle dita calde e sottili le sfiorarono delicatamente una guancia.
Ok, avanti Rain, fai un respiro profondo e dimenticati dei tuoi vecchi problemi.
“Ehi, ragazzina.”
Mormorò voltandosi ad incontrare gli occhi di Santana, sforzandosi di sorriderle.
“Ehi.”
Bisbigliò lei.
“Passato il mal di testa?”
Domandò posandole un bacio sulla fronte.
Santana annuì, ma vide i suoi occhi neri riempirsi lentamente di lacrime.
Si voltò sul fianco, stringendola tra le braccia e permettendole di nascondere il viso contro la sua spalla.
“Vedrai, in un modo o nell’altro le cose si sistemeranno.”
Le sussurrò all’orecchio accarezzandole piano i capelli.
“Non sei da sola – continuò sollevandole delicatamente il viso per incontrare il suo sguardo – io sarò sempre qui per te. Capito?”
La vide annuire, mentre le sue labbra si aprivano in un lieve sorriso.
Le passò le dita sul volto per asciugarle le lacrime.
“Grazie Rain.”
“Non dirlo neanche.”
Si strinsero in un forte abbraccio che riuscì a confortare un po’ entrambe.
“Sarà meglio che mi dia una mossa, o arriverò tardi a scuola.”
Disse la latina sciogliendosi dalla sua stretta.
“Perché non ti prendi un giorno di pausa? Rimani qui, ti rilassi, magari dormi ancora un po’..”
“Tu rimarresti qui con me?”
Scosse la testa.
“Rimarrei più che volentieri, ma devo andare in officina. Burt è stato fin troppo gentile e paziente con me, non posso chiedergli di chiudere di nuovo un occhio..”
“Allora andrò anche io a scuola, almeno avrò qualcosa da fare che mi tenga la mente impegnata..”
“D’accordo. Allora andrò a preparare la colazione.”
Disse posandole un bacio sulla guancia prima di alzarsi.
L’ispanica guardò l’orologio.
“Bene è ancora presto.. credo che mi concederò una luuuunga doccia bollente, mentre tu sei impegnata ai fornelli.”
Commentò alzandosi a sua volta.
“Attenta a non farla troppo calda, non vorrei ritrovarti lessata.”
Ghignò dalla soglia della camera, per poi affrettarsi a nascondersi dietro lo stipite della porta per schivare il cuscino lanciato dalla ragazza.
“Dovresti proprio deciderti a mettere gli occhiali quando vuoi lanciare qualcosa..”
Commentò facendo capolino da dietro il muro.
Santana le fece la linguaccia.
“A dopo.”
La salutò con un cenno della mano per poi scendere velocemente al piano di sotto.
Come posò il piede sull’ultimo scalino Kirk le corse incontro, la coda sollevata con la punta incurvata da un lato, tanto da sembrare un punto di domanda rosso e peloso.
Si chinò a regalargli una generosa grattata dietro le orecchie, mentre il gattino si sfregava contro di lei facendo le fusa.
“Buon giorno anche a te, giovanotto. Vieni, andiamo a fare colazione.”
“Meow.”
Esclamò il gattino trotterellandole dietro.
Dopo aver dato da mangiare a Kirk, si sciacquò accuratamente le mani e si mise ai fornelli.
Però.. non scherzava, quando ha detto che voleva fare una lunga doccia.
Pensò, mentre finiva di preparare la colazione.
Sentiva ancora scorrere l’acqua al piano di sopra.
Si mise a canticchiare tra sé e sé, cercando il modo di tenersi indaffarata per la cucina, mentre aspettava che la ragazza la raggiungesse.
Ma per quanto si stesse sforzando, non riuscì a bandire un vago senso di inquietudine che lentamente si stava impossessando di lei.
Avanti, adesso non essere ridicola. Sono passati nove anni dannazione! È ora che impari a lasciarti il passato alle spalle.
Si disse cercando di cacciare via quel senso di disagio.
Era talmente distratta che per sbaglio colpì un bicchiere che andò ad infrangersi sul pavimento.
Cazzo! Avanti Rain. Che cavolo ti prende oggi?”
Si chinò a terra per raccogliere i vetri.
“Ahi. Ma porca..”
Imprecò sentendo un bruciore all’indice.
Si alzò dirigendosi al lavandino e aprì l’acqua fredda per poi mettere il dito ferito sotto l’acqua.
Il taglio era piccolo, ma profondo e per un istante l’acqua si tinse di rosso.
.. e le immagini esplosero davanti ai suoi occhi.
Il panico si impossessò di lei, azzerando ogni pensiero coerente dalla sua ragione.
Si fiondò su per le scale, gettandosi verso il bagno, dove sentiva ancora scorrere l’acqua.
Stava per avventarsi sulla porta pronta ad abbatterla, quando la voce calda di Santana la raggiunse.
Riconobbe le parole di “Trouty Mouth” vagamente distorte dal rumore dell’acqua e dall’interferenza della porta di legno.
Appoggiò la fronte contro l’uscio respirando affannosamente, tentando di riprendere il controllo di sé.
Era inutile, ormai i ricordi erano sfuggiti al suo ferreo regime e l’unica cosa che le restava da fare era permettergli di correre liberi, investendola.
Arretrò fino alla parete alle sue spalle e si lasciò scivolare a terra, appoggiando la fronte sulle ginocchia ripiegate.
 
E improvvisamente aveva di nuovo 14 anni.
Picchiava i piccoli pugni contro una porta di legno che, per quanto lei continuasse a picchiare fino a farsi male, per quanto chiamasse sempre più forte, non ne voleva proprio sapere di aprirsi.
Allora aveva deciso che se non voleva aprirsi con le buone, l’avrebbe fatto con le cattive.
Si era allontanata di pochi passi e aveva iniziato a prendere a calci quel legno ostinato che non voleva lasciarla entrare.
Un forte colpo vicino alla maniglia e finalmente la porta aveva ceduto, aprendosi con un cigolio.
“Mamma?”
Ora che la porta era finalmente aperta il desiderio di entrare sembrava averla abbandonata completamente.
Titubante aveva allungato una mano ed aveva aperto completamente, entrando nel bagno a piccoli passi incerti.
Per prima cosa aveva visto la lametta, abbandonata sul pavimento a pochi centimetri dalla vasca, immersa in una pozzanghera rossa.
Piccole gocce continuavano a cadervi da poco più in alto.
Aveva stretto gli occhi, iniziando a pizzicarsi un braccio con tutta la forza che aveva pregando di risvegliarsi subito da quell’incubo.
Ma quando aveva riaperto gli occhi aveva dovuto accettare che quella era la realtà.
 
“Rain?”
Una mano le accarezzava dolcemente il viso.
Due occhi neri scrutavano, spaventati, i suoi.
“Rain, ti prego torna qui.”
Lasciò che quella voce calda la riportasse al presente.
Santana sospirò quando capì che si stava riprendendo e si slanciò in avanti stringendola forte tra le braccia.
Si passò una mano sul viso, accorgendosi che era bagnato di lacrime.
“Dovresti davvero smetterla di fare così..”
Sussurrò la ragazza al suo orecchio.
Si strinse a lei respirando il profumo dei suoi capelli ancora umidi.
“Cosa è successo?”
Domandò l’ispanica allontanandosi quel tanto che le bastava per incontrare di nuovo il suo sguardo.
Abbassò gli occhi fissando un punto imprecisato del pavimento.
“Scusa.. mi sono comportata come un’idiota. È solo che non uscivi più da qui e.. mi sono fatta prendere dal panico.”
Rialzò gli occhi e incontrò lo sguardo confuso di quegli occhi neri.
“Oggi.. – si interruppe cercando dentro di sé la forza di parlare – esattamente nove anni fa.. mia madre..”
Non riuscì a finire la frase.
Ma non ce ne fu bisogno.
“Perché non me lo hai detto, prima?”
Bisbigliò Santana stringendola di nuovo a sé.
Appoggiò la fronte alla sua spalla, lasciandosi avvolgere dal senso di sollievo che le dava quell’abbraccio.
“Non volevo che ti preoccupassi dei miei problemi in questo momento..”
“Così tu puoi portare il peso dei miei problemi insieme a quello dei tuoi, ma io non posso fare lo stesso? – chiese la ragazza in tono a metà tra il serio e lo scherzoso – non avrò le spalle allenate dalla boxe come te, ma sono comunque robuste, sai?!”
Alzò la testa per incontrare i suoi occhi.
“Santana..”
“No, Rain. Ora ascoltami.”
La interruppe posandole l’indice sulle labbra e piantando quegli occhi decisi nei suoi.
“Hai detto tu stessa che siamo una famiglia. – disse con un sorriso dolce – perciò, come tu ti prendi cura di me, devi permettermi di fare lo stesso per te. È così che funziona. Non puoi farti carico di tutti i problemi e non lasciarne neanche uno a me.”
Concluse posandole un bacio sulla fronte.
Rain abbassò lo sguardo.
“Pensavo non fosse giusto rispolverare le mie vecchie ferite, quando ci sono le tue, ancora fresche, da curare..”
Le dita sottili della ragazza le sfiorarono il volto.
“Solo perché le tue sono più vecchie e nascoste, non significa che abbiano smesso di sanguinare..”
Bisbigliò con voce incrinata.
“Ti prego, permettimi di provare a curarle come tu stai curando le mie.”
La strinse forte, lasciando le lacrime libere di scorrere.
“Lo stai già facendo, Santana. Lo stai già facendo.”
 
“Ehi, Will – salutò entrando in aula canto – scusa per come sono andata via ieri, non volevo lasciarti solo in mezzo alle scartoffie, ma.. si sono presentati dei problemi urgenti che richiedevano la mia presenza.”
“Non importa – rispose l’insegnante, comprensivo – spero che si sia risolto tutto.”
“Bhè non proprio, ma almeno l’emergenza è rientrata – rispose scrollando le spalle – senti, vorrei chiederti un favore.”
Continuò, mentre i ragazzi del Glee entravano in aula.
“Certamente.”
“Ecco, lo so che l’argomento della settimana è Rumours, ma oggi è un giorno piuttosto particolare per me.. e vorrei cantare una canzone. Se non è un problema..”
“Assolutamente.”
Rispose lui con un sorriso.
Le fece un gesto di incoraggiamento e si andò a sedere insieme ai ragazzi.
Rain prese un lungo respiro e sedette su uno sgabello, dopo aver dato uno spartito a Brad.
Poi sollevò lo sguardo sui volti che la osservavano curiosi.
“Di solito passo questa giornata chiusa in casa, oppure prendendo a pugni un sacco da boxe.”
Esordì un po’ incerta.
Dal fondo dell’aula, due occhi neri le sorrisero incoraggianti.
“Non mi piace e non sono abituata a condividere i miei problemi, le mie ferite. Di solito tendo a nasconderle in qualche posto buio dentro di me per poi tirare avanti con la mia vita.
Ma una persona saggia mi ha detto che anche se le ferite sono vecchie e non si vedono, non significa che non stiano ancora sanguinando. Perché guariscano bisogna smettere di ignorarle e dedicargli le giuste cure.”
Sospirò di nuovo.
“Quando ero un po’ più piccola di voi.. per farla breve e non intristirvi troppo, sono rimasta sola. E ho iniziato a essere trasportata da una casa famiglia all’altra, finché non ho deciso di prendere in mano la mia vita e sono entrata nell’esercito.
Oggi è il nono anniversario del giorno in cui la mia infanzia è finita e..”
Si interruppe scuotendo la testa, incapace di andare avanti.
Chiuse gli occhi e fece un cenno a Brad che iniziò a sfiorare i tasti del pianoforte, seguito dagli archi.
 
Conversations with my 13 year old self
Conversations with my 13 year old self
 
You’re angry, I know this
The world couldn’t care less
You’re lonely (so lonely) I feel this
And you wish you were the best
No teachers or guidance
And you always walk alone
You’re crying at night when
Nobody else is home
 
Come over here and let me
Hold your hand and hug you darling
I promise you that
It won’t always feel this bad
There are so many things
I want to say to you
You’re the girl I used to be
You little heartbroken
13 year old me
 
Alzò lo sguardo incontrando due occhi neri lucidi di lacrime.
 
You’re laughing, but you’re hiding
God I know that trick too well
You forget, that I’ve been you
And now I’m just the shell
I promise, I love you
And everything will work out fine
Don’t try to grow up yet
Oh just give it some time
 
Sentì gli angoli degli occhi pizzicare e lasciò che le lacrime scendessero.
 
The pain you feel is real
You’re not asleep
But it’s a nightmare
But you can’t wake up anytime
Don’t lose your passion
Or the fighter that’s inside of you
You’re the girl I used to be
The pissed off complicated
13 year old me
 
Conversations with my 13 year old self
Conversations with my 13 year old self
 
Until we meet again, oh I wish you well
Oh I wish you well, little girl until we meet again
Oh I wish you well, little girl
I wish you well until we meet again
 
My little 13 year old me
 
Chinò la testa, chiudendo gli occhi, mentre le lacrime continuavano a scorrere.
Sentì qualcuno avvicinarsi piano, riconobbe i suoi passi e rimase immobile, mentre un paio di braccia la avvolgevano delicatamente.
Sollevò il viso rigato di pianto e incontrò un paio di limpidi occhi azzurri, lucidi di lacrime.
Non vi trovò pietà, come temeva, ma solo dolcezza.
Brittany le passò lievemente le dita sul volto, per asciugarlo, regalandole un lieve sorriso.
Poco dopo altre due braccia le cinsero entrambe e lunghe ciocche nere la sfiorarono, mentre Santana appoggiava la fronte alla sua.
“Ti voglio bene.”
Sussurrò la latina in modo che solo lei e Brittany potessero sentirla.
Altre braccia si unirono a quelle delle due ragazze e presto tutto il Glee la avvolse in un caloroso abbraccio di gruppo che comprendeva anche Will.
“Grazie di aver condiviso con noi un momento per te così importante.”
Disse l’insegnante quando si sciolsero da quella stretta.
“Grazie a voi.”
Rispose sospirando, nel tentativo di ricomporsi.
“Bene. Cinque minuti di pausa, ragazzi.”
 
 
 
Angolo della pazza
 
Lo so, lo so, sto scrivendo un po’ troppi capitoli tristi.
Scusate, non lo faccio apposta, la storia mi esce così di getto dalle dita, indipendente dalla mia volontà cosciente.
 
La canzone stupenda protagonista di questo capitolo appartiene alla mia adorata P!nk.
 
Fatemi sapere che ne pensate.
 
recensiteRecensiteRECENSITE!!
 
Vi voglio benerrimo
Alla prossima
 
WilKia >.< 

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Capitolo 29
*** Because of You ***


Because of You
 
 
 
“Benissimo, direi che questa è la soluzione migliore.”
Concluse Will stiracchiandosi esausto.
Dopo un’altra ora e mezzo passata a valutare tutte le possibili opzioni erano finalmente riusciti a trovare il modo di andare a New York con il loro misero budget.
“Grazie mille di esserti fermata anche oggi ad aiutarmi.”
“Nessun problema. Ci vediamo domani.”
“A domani.”
Gli rivolse un cenno di saluto e si diresse verso l’uscita del liceo.
Mentre passava in un corridoio, si voltò a guardare da una finestra e notò una massa di capelli biondi svolazzare nella brezza che investiva gli spalti intorno al campo di football.
Le ci vollero solo un paio di minuti per raggiungerla.
“Posso sedermi?”
Domandò piano per non spaventarla.
Brittany sollevò la testa per incontrare i suoi occhi e annuì tristemente.
Durante la lezione al Glee, Rain aveva notato quanto fosse amareggiata.
Avrebbe voluto parlarle dopo la lezione, ma Will l’aveva presa di nuovo in ostaggio con l’organizzazione per le Nazionali e la bionda era scappata subito via al suono della campanella.
“Come mai tanto triste?”
Chiese sistemandole una ciocca particolarmente ribelle dietro all’orecchio.
“Perché sono così stupida? – domandò mestamente – sono voluta rimanere con Artie per non ferirlo, ma adesso che ci siamo lasciati San è arrabbiata e non mi vuole più.”
Grosse lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi azzurri.
“Primo, tu non sei affatto stupida, quindi smettila anche solo di pensarlo. Secondo, perché pensi che Santana sia arrabbiata con te?”
“Perché altrimenti ieri sarebbe venuta a Fondue for Two e adesso sarebbe la mia ragazza..”
Singhiozzò gettandosi tra le sue braccia e nascondendo il viso contro la sua spalla.
“Shh. Non piangere.”
Bisbigliò accarezzandole i capelli.
“Ehi, guardami.”
La invitò sollevandole delicatamente il viso per incontrare i suoi occhi.
“Non è così. Santana non è affatto arrabbiata con te.”
“Davvero?”
Domandò la ragazza tirando su con il naso, mentre una scintilla di speranza si accendeva in fondo ai suoi occhi chiari.
Rain annuì sorridendole.
“Allora perché ieri non è venuta?”
“Sono successe delle cose che glielo hanno impedito, ma sarebbe davvero voluta venire.”
“Quali cose?”
Esitò.
“Deve decidere lei di parlarne con te – disse in tono di scusa – tutto quello che ti posso dire è che lei ti vuole ancora come prima, se non di più. Ma è spaventata, Britt. E avrà bisogno di te perché la paura le passi.”
“Mi aiuterai anche tu a fargliela passare?”
La implorarono quei due specchi di cielo.
Le rivolse il suo mezzo sorriso.
“Certo, altrimenti che ci sto a fare io qui?”
Brittany le rivolse un sorriso raggiante, le lacrime erano completamente scomparse dai suoi occhi.
“Grazie Rain. – esclamò stampandole un bacio gigantesco su una guancia – sono così contenta che siamo amiche!”
Ridacchiò ricambiando il suo abbraccio.
“Anche io sono contenta.
Vuoi venire a parlarle?”
La ragazza sospirò.
“Vorrei tanto, ma la mamma oggi ha bisogno di me a casa.”
“Ok. Quando vorrai, la trovi a casa mia. Puoi venire quando vuoi. D’accordo?”
Brittany annuì contenta abbracciandola di nuovo.
“Grazie Rain. Ti voglio bene.”
Rimase colpita dalla dolcezza e dalla spontaneità di quella ragazza e non poté far altro che ricambiare il suo abbraccio sorridendo.
“Anche io te ne voglio.
Vieni, ti accompagno a casa.”
 
Sbuffando Santana ricominciò a leggere da capo la pagina che aveva davanti, per quella che era probabilmente la milionesima volta.
Era tutto inutile, non riusciva proprio a concentrarsi.
Dopo aver letto due o tre righe le parole diventavano semplici macchie d’inchiostro che si mescolavano in un ammasso informe e privo di senso davanti ai suoi occhi.
Quando la campanella aveva suonato era scappata via dall’aula canto, incapace di sostenere ancora gli occhi amareggiati di Brittany, ed era subito corsa a rifugiarsi a casa dell’ex-soldato.
Dopo il momento in cui entrambe avevano abbracciato Rain, non aveva ottenuto altro dalla bionda se non quegli sguardi carichi di delusione che ora si sentiva bruciare dentro come se le si fossero impressi a fuoco sul cuore.
Si rese conto di aver di nuovo perso il filo di ciò che stava leggendo e abbandonò la testa sul libro, scoraggiata, iniziando a colpirlo piano con la fronte.
“Al diavolo!”
Esclamò alzandosi dal tavolo in cucina e dirigendosi in salotto, decisa a soffocare i suoi pensieri davanti a qualche programma spazzatura.
Stava per abbandonarsi sul divano, quando suonò il campanello.
Maledicendo chiunque fosse, andò ad aprire.
Si trovò davanti una ragazza, probabilmente della stessa età di Rain, che le rivolse un ampio sorriso.
Aveva ridenti occhi castani, leggermente più chiari di quelli dell’amica, così come i capelli abbastanza corti e arricciati.
Si appoggiava ad un bastone con la destra, ma la cosa che la colpì di più fu la vistosa cicatrice che le spuntava dalla maglia che indossava e che le lambiva il lato sinistro del collo.
“Sì?”
“Ciao. – esclamò la ragazza con voce allegra – tu devi essere Santana.. Rain è in casa?”
“Ehmm.. no. Non c’è.”
Balbettò, sorpresa di venire chiamata per nome da una perfetta sconosciuta.
“Oh, poco male. Vorrà dire che l’aspetterò.”
Ribatté lei entrando come se fosse stata a casa sua ed andandosi ad accomodare sul divano.
Santana rimase sulla soglia, indecisa su cosa fare e decisamente infastidita dal comportamento di quella tizia.
Per fortuna, in quel momento la macchina di Rain si fermò davanti a casa e l’ex-soldato saltò giù dal veicolo rivolgendole un cenno di saluto.
“Ehi ragazzina. Mi stavi aspettando?”
Le domandò lasciandole un bacio sulla fronte.
“Ciao. Ehm c’è di là una tipa che ti cerca, non ho idea di chi sia..”
“E l’hai fatta entrare?”
Chiese la donna stupita aggrottando la fronte.
“Veramente ha fatto tutto da sola, non ho neanche avuto il tempo di chiederle chi fosse.”
L’espressione dell’ex-soldato si fece ancora più corrucciata, mentre si dirigeva a passo svelto verso il salotto.
Santana la seguì preoccupata, maledicendosi per essere andata ad aprire la porta.
Si fermò sulla soglia del salotto.
Rain era ferma, la schiena rigida e i pugni che si contraevano lentamente, Santana era sicura che se avesse potuto vederla in faccia, avrebbe trovato il suo sguardo più minaccioso nei suoi occhi scuri.
Dal canto suo, la sconosciuta si era rimessa in piedi, immobile, a pochi passi da lei e la guardava in cagnesco.
Oh cazzo!
“Finalmente ci si rivede. – ringhiò la sconosciuta – è da parecchio che ho voglia di sistemare quel nostro vecchio conticino..”
“Bene – ribatté Rain, la voce ridotta al suo registro più basso e minaccioso – allora cosa aspetti a farti avanti?”
La sconosciuta lasciò cadere a terra il suo bastone ed avanzò verso di lei zoppicando.
Si fermò ad un millimetro da Rain, fissandola negli occhi.
Era leggermente più bassa di lei, ma la cosa sembrava non incrinare minimamente la sua sicurezza.
Rimasero immobili a fissarsi negli occhi per un tempo che a Santana sembrò infinito.
Poi, improvvisamente la sconosciuta scoppiò a ridere, piegandosi in due.
“È inutile – rantolò tra le risate – non riuscirò mai a batterti in questo stupidissimo gioco.”
Anche Rain scoppiò a ridere e le due si abbracciarono calorosamente.
“È bello rivederti vecchia pazza.”
“È bello rivedere te, scoppiata che non sei altro.”
Rispose l’ex-soldato sollevandola leggermente da terra.
A Santana stava per staccarsi la mandibola.
“Scusate – le richiamò irritata, avvicinandosi – vi dispiacerebbe spiegarmi che cazzo sta succedendo?”
Ancora ridendo, Rain le cinse le spalle con un braccio tirandola verso di sé.
“Santana, lei è Frenzy.”
“Chiamami pure Fren.”
Esclamò allegra la ragazza stringendole vigorosamente la mano.
Sollevò le sopracciglia.
“Immagino che anche nel tuo caso sia un nome di battaglia..”
Fren annuì, facendole l’occhiolino.
“Reneè mi aveva detto che sei una ragazza in gamba.
Oh, quasi mi dimenticavo..”
Continuò frugandosi nella tasca posteriore dei jeans da cui estrasse un foglio accuratamente ripiegato.
“Una Nuvoletta a caso mi ha chiesto di portarvi questo.
Rain prese il foglio che Fren le porgeva su cui spiccavano una R un po’ storta tracciata con un pastello blu e una grossa S rossa.
L’ex-soldato non trattenne un sorriso, mentre le mostrava il disegno che ritraeva la lotta giocosa della mattina in cui Reneè ed Evy erano partite.
“Quella bimba è un’artista nata.”
Commentò sorridendo.
“Come stanno?”
Domandò Rain tentando di mantenere un tono neutro.
“Stanno bene.. ma sentono la tua mancanza.”
Aggiunse dopo un momento di indecisione.
“Ma perché sei ancora in piedi, accomodati. Sarai stanca per il viaggio.”
La invitò indicandole il divano.
“In effetti, sono un po’ stanca. Ti dispiace se mi metto.. in libertà?”
Domandò la ragazza girandosi verso di lei con un’espressione indecifrabile.
Era un misto di sarcasmo e amara autoironia.
“Sempre a fare l’esibizionista. – commentò Rain con il suo mezzo sorriso – fai pure, ma attenta a non traumatizzarmi la ragazzina.
Bevi sempre il solito, vero?”
Domandò poi dirigendosi verso la cucina
“Ahahah farò del mio meglio.
Certo, quando mai cambio i miei gusti io?”
Rispose sedendosi sul divano.
Santana la osservò incuriosita, mentre appoggiava il piede sinistro al tavolino davanti al divano per poi sollevare la gamba dei jeans fin sopra al ginocchio.
Trattenne a stento un’esclamazione di sorpresa quando capì che stava guardando una protesi.
“Ultimo ritrovato tecnologico – spiegò Fren con quel sorriso autoironico – se non la guardo, quasi quasi mi sembra di avere ancora la mia gamba.”
Con un sospiro la ragazza sganciò la protesi dalla coscia e la appoggiò con cura fuori vista per poi ricoprire il moncherino e massaggiarlo lievemente.
“Scusa, spero di non averti disgustata troppo.”
Scosse la testa, incrociando il suo sguardo.
“Cosa ti è successo?”
Domandò piano.
“Mai sentita l’espressione guarda dove metti i piedi? – ghignò – se me la fossi ricordata, magari non sarei finita a calpestare una mina.. mi è andata bene che quella pazzoide che adesso è in cucina fosse nei paraggi, altrimenti mi sarei dissanguata sul posto. Grazie a lei me la sono cavata con mezza gamba in meno e una cicatrice da ustione abbastanza disgustosa su metà della schiena.”
Raccontò indicandole il segno che le spuntava dalla maglietta.
“Rain dice che secondo lei oltre che la gamba mi è esploso anche il cervello, ma dato che non mi conosceva prima di quell’episodio non può giudicare.”
Continuò ridacchiando, mentre estraeva dalla tasca della giacca il necessario per prepararsi una sigaretta.
Santana era sconvolta dall’atteggiamento  di quella ragazza che aveva la forza di guardare la sua situazione e riderle in faccia.
“Per questo mi chiama sempre scoppiata.”
Concluse con una risata.
“Ehi, tu. Cos’è quell’affare?”
Domandò Rain minacciosa, rientrando in salotto con tre bottiglie di birra in mano.
“Lo sai vero che non ammetto quelle porcherie in casa..”
Continuò indicando la sigaretta finita che la ragazza stringeva tra le labbra.
“Tranquilla, lo so. Sei sempre la solita rompipalle, lo sai?!”
Rispose allungandosi a prendere una bottiglia.
“Ecco, io mi preoccupo della salute dei tuoi polmoni e questo è il ringraziamento.”
Borbottò Rain con il suo mezzo sorriso, facendo tintinnare la sua bottiglia contro quella di Fren.
“Birra anche per me?”
Domandò Santana sorpresa.
“Come se non avessi già bevuto di peggio.. – rispose Rain facendole l’occhiolino – avrò anche avuto un’adolescenza anomala, ma mi ricordo benissimo cosa combinavo a 17 anni. Non ti ubriacherai di certo per una birra. E comunque penso che tu  sia abbastanza grande e matura da conoscere il tuo limite.”
Continuò a guardarla sorpresa.
“Ehi, se preferisci che mi comporti come un genitore e inizi a trattarti come una bambina incapace di badare a sé stessa non hai che da dirmelo, vado subito a prenderti un succo di frutta.”
“Ma che tenero quadretto – ridacchiò Fren – siete proprio come diceva Reneè. E io che non le credevo..”
Con movimenti sicuri si alzò appoggiandosi al suo bastone.
“Se volete scusarmi, andrò fuori ad inquinarmi i polmoni, mentre voi chiarite la questione.”
Santana la seguì con lo sguardo, mentre usciva saltellando.
“Ehi, ragazzina – la richiamò Rain – tutto bene? So che Fren fa un certo effetto la prima volta che la si incontra..”
“È davvero.. straordinaria.”
“Già, da quando la conosco non l’ho mai sentita una sola volta lamentarsi. Fa solo quelle sue tremende battutacce, è il suo modo per tentare di mettere le persone a proprio agio con la sua situazione.. solo che non capisce che a volte ottiene solo l’effetto contrario.”
Commentò l’ex-soldato con il suo mezzo sorriso.
Santana prese un sorso dalla sua bottiglia e le sorrise.
“Grazie comunque, ne avevo bisogno.”
“Figurati, l’avevo immaginato.
Sai, dovresti parlare con Britt.. pensava che ieri non ti sei presentata perché sei arrabbiata con lei perché a suo tempo non ha lasciato Artie.”
“Cosa?”
“Tranquilla, le ho assicurato che non è così.”
“Ma non le hai detto quello che è successo ieri, vero?”
Esclamò entrando nel panico.
“Certo che no – rispose appoggiandole una mano sulla spalla per calmarla – mi ha chiesto perché non sei andata da lei e le ho detto che avrebbe dovuto parlarne direttamente con te e che può venire quando vuole.”
Scattò in piedi.
“Ma sei pazza?! – iniziò a camminare nervosamente per la stanza – Potrebbe piombare qui da un momento all’altro con le sue domande e quegli occhi.. e io cosa dovrei dirle?”
Prese un lungo sorso di birra e ricominciò a misurare la stanza a grandi passi nervosi.
“Non posso raccontarle quello che è successo – continuò, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime – non capisci? Devo proteggerla! Non le posso raccontare come hanno reagito i miei..”
Rain si alzò a sua volta e la strinse.
“Calma – bisbigliò – calma.
Shh va tutto bene.”
Si aggrappò a lei, nascondendo il viso contro la sua spalla.
“Quella ragazza è pazza di te, lo sai?”
Le sussurrò all’orecchio.
“E dietro a tutte quelle sue fantasie di mostri e fatine è molto più forte di quanto non sembri.”
“Cosa devo fare?”
Singhiozzò senza trovare la forza di alzare lo sguardo.
“Solo tu puoi deciderlo.. sta a te scegliere se dirle o no cosa è successo. Ma qualcosa dovrai pur dirle. L’unico consiglio che posso darti è lo stesso che ti ho dato qualche giorno fa – commentò Rain sollevandole gentilmente il viso e asciugandole le lacrime – qualunque cosa le dirai, lascia parlare il tizio che abita qui dentro.”
Suggerì appoggiandole l’indice sul cuore.
“Brittany lo capisce sempre più che bene, quando lo fai.”
 
 
 
Angolo della pazza
 
Il titolo è di una canzone di Kelly Clarkson che ho scelto perché il testo mi sembrava adattarsi bene alla situazione di San.
 
Capitoletto di transizione abbastanza insignificante, ma ci tenevo a mettere un momento Brain [(Britt + Rain) l'idea è della mia fratellina  (=   ] e a presentarvi quella scoppiata di Fren
 
Non sono affatto soddisfatta di questo capitolo, spero di non avervi tediati troppo..
Fatemi sapere che ne pensate soprattutto del nuovo personaggio
 
Baciiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
 
WilKia >.< 

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Capitolo 30
*** My Immortal ***


My Immortal
 
 
 
Rain sedette in silenzio sui gradini del portico, osservando le nuvolette di fumo che Fren emetteva ad intervalli regolari.
Da quando si conoscevano non avevano mai avuto bisogno di tante parole e i loro silenzi erano sempre densi di pensieri che scivolavano l’uno accanto all’altro.
Tra loro vigeva un profondo sentimento di rispetto reciproco e solida amicizia, entrambe sapevano di poter affidare all’altra la propria stessa vita.
Il loro rapporto era basato su poche regole non scritte che imponevano una totale sincerità e schiettezza e il sacrosanto diritto di sfottersi a vicenda su qualsiasi argomento per quanto delicato potesse essere, sapendo sempre quando era il momento di fermarsi.
“Grazie di essere venuta.”
Fren sorrise, mentre soffiava via una boccata di fumo.
“Lo sai che non resisto all’idea di frugare nel tuo torbido passato.”
Rain sogghignò prendendo un sorso dalla sua bottiglia.
“Senti, Rain – esordì la ragazza dopo alcuni attimi di silenzio – quando te ne sei andata ho preferito non dirti niente perché sapevo bene in che condizioni eri.. ma ora che ho rivisto Reneè, dopo che è stata qui non posso più fare finta di niente. Te lo devo chiedere.”
Si girò ad incontrare il suo sguardo.
“Che cavolo state combinando voi due?”
“Ti ha detto qualcosa, vero?”
La donna si limitò ad annuire.
“Il giorno che sei sparita si è presentata da me in lacrime e mi ha raccontato quello che era successo. Si sentiva in colpa e temeva che avessi fatto qualche cazzata.”
Rain fissò lo sguardo all’interno della sua bottiglia, osservando le bollicine che venivano lentamente a galla.
“Non stiamo combinando niente, Fren.”
“Davvero? E lei lo sa? Perché a me sembra parecchio confusa al riguardo, e anche tu non hai esattamente l’aria di quella che sa che cazzo sta facendo..”
Si alzò sbuffando e si allontanò di alcuni passi.
“Ehi, non ci provare neanche. Guarda che anche se mi manca una gamba riesco ad inseguirti lo stesso.”
Rain si voltò di nuovo verso di lei, cupa.
“Provi qualcosa per lei?”
Domandò diretta.
Si passò una mano sul viso.
“No. Non provo niente per lei. E anche se fosse non dovrei farlo.”
“Di tutte le stronzate colossali che ti ho sentito sparare nei 5 maledettissimi anni in cui ti ho conosciuta, questa è probabilmente la più colossale di tutte.”
“Non sarebbe giusto.”
“Stronzata colossale numero 2 nel giro di pochi secondi. Stai tentando di battere qualche record?”
Domandò esalando l’ultimo sbuffo di fumo e spegnendo la sigaretta.
Le rivolse uno dei suoi sguardi inceneritori. Quel discorso non le stava piacendo per niente.
“Oh, piantala con quel trucchetto, lo sai che con me non ha mai funzionato.”
“Quando mai ho avuto la malsana idea di farti venire qui?!”
Sbuffò lasciandosi cadere a gambe incrociate sull’erba.
“Senti, mi vuoi spiegare cosa ci sarebbe di tanto sbagliato secondo quel tuo povero cervellino fritto?”
“Intanto c’è di mezzo Evy, non te lo scordare.”
“Oh, andiamo quella piccoletta ti adora. E tu adori lei. Anche se ti chiama zia ti vede molto più come una madre.”
Tentò di ribattere, ma Fren la bloccò.
“E non provare a contraddirmi, lo sai benissimo che ho ragione. Da quando è tornata a casa non fa altro che parlare di te. Zia Rain di qua, zia Rain di là. Zia Rain ha detto questo e ha fatto quest’altro.
Quindi mi vuoi dire qual è il vero problema?”
Per tutta risposta le lanciò le piastrine che teneva appese al collo, gli occhi ridotti a due pozzi scuri in cui si alternavano dolore e rabbia.
“Queste non ti ricordano niente? Appartenevano alla sua compagna, la donna con cui avrebbe voluto crescere quell’adorabile bambina e di cui guarda caso anche io ero innamorata e che mi è morta tra le braccia.”
Finì di bere la sua birra con un unico lungo sorso e poi scagliò via la bottiglia fissando lo sguardo sui fili d’erba davanti a sé.
Fren la osservò a lungo, in silenzio.
“Ehi, psicopatica.”
La richiamò dopo svariati minuti.
Sollevò lo sguardo ad incontrare quello dell’amica.
“Dai vieni qui.”
Continuò a guardarla in silenzio, senza muovere un muscolo.
“Cos’è vuoi costringere una povera storpia a strisciare fin lì? – domandò con un ghigno – Non è da te..”
Si alzò sospirando e si lasciò cadere di nuovo sui gradini accanto a lei.
“Ne avete parlato?”
Annuì stancamente.
“E anche lei è della stessa opinione?”
“Ha detto, testuali parole: tra noi non potrà esserci niente, perché ci sentiremmo in colpa pensando a Storm. E sarebbe sbagliato.”
“E tu sei d’accordo..”
Si limitò a guardarla di sbieco.
“Ma perché non riesco mai a fare amicizia con delle persone sane di mente? O che almeno provano ad usare il cervello che in teoria dovrebbero avere.. – si lamentò alzando gli occhi al cielo – non pensi che magari e dico magari, Storm preferirebbe saperla con te piuttosto che con una qualche altra sciacquetta a caso? Si fidava di te e sapeva quanto volessi bene a Reneè e soprattutto ad Evy.”
“Lo sai, più parliamo e più mi convinco che ti sia davvero esploso il cervello..”
“E più parliamo e più mi convinco che tu non ne abbia mai avuto uno. Scommetto che se ti urlassi in un orecchio, poi sentirei l’eco.”
“Sai, non capisco neanche perché ne stiamo parlando.. è un discorso totalmente inutile che non porta assolutamente a nulla. Quindi chiudiamolo qui, prima che decida di rispedirti a casa a calci in quel tuo culo sfregiato.”
“Se è davvero un discorso così inutile, perché ti arrabbi tanto?”
La fissò negli occhi, lasciando trasparire la sua rabbia dallo sguardo.
“Ok, d’accordo – si arrese Fren – per ora lascio perdere, ma non pensare che mi arrenda così facilmente. Il discorso è solo rimandato.”
Scivolarono di nuovo nel silenzio, mentre Fren finiva di bere la sua birra.
“Allora, mi vuoi dire perché mi hai fatta venire fino in Ohio?”
“Vieni, ti faccio vedere.”
Rispose alzandosi e porgendole una mano per aiutarla e lasciando che si appoggiasse a lei, mentre entravano in casa.
“Sarà meglio che ti rimetti la tua fuoriserie, ci sono dei gradini da fare e io non ho la minima intenzione di assecondare la tua pigrizia patologica e trasportarti su e giù..”
“Sempre la solita insensibile.”
Rispose Fren con un ghigno, mentre si abbandonava di nuovo sul divano e trafficava per rimettersi la protesi.
“Quando sei pronta comincia a salire, io ti raggiungo subito.”
Si affacciò in cucina e si bloccò, il suo mezzo sorriso stampato sulle labbra.
Santana si era addormentata.
La guancia appoggiata sul libro e gli occhiali tutti storti sul suo naso.
Vicino al libro era abbandonata la bottiglia di birra da cui mancava solo la quantità che la ragazza aveva bevuto parlando con lei.
Ridacchiò avvicinandosi piano.
“Ehi, ragazzina.”
La chiamò a bassa voce, accarezzandole i capelli.
Santana si limitò a sospirare nel sonno e a fare un buffo movimento con le labbra, mugugnando.
“E va bene.”
Sospirò.
La sollevò delicatamente e la portò in salotto.
La lasciò sul divano, togliendole gli occhiali e drappeggiandole addosso una leggera coperta.
Le diede un lieve bacio sulla fronte e si affrettò a raggiungere Fren al piano di sopra.
 
“Chi è il tuo architetto? – domandò Fren, quando la raggiunse in palestra, indicandole il grosso buco nella parete – così so come evitarlo.”
“Ahahah. Dai vieni scoppiata e attenta a dove zoppichi.
Disse precedendola all’interno della libreria.
“Wow.. – commentò la donna davanti alle proporzioni della biblioteca – tipetto interessante tuo padre, scommetto che usciva di continuo ed era pieno di amici..”
Per tutta risposta si limitò a sogghignare amaramente.
“Lo studio è di là?”
Chiese Fren indicando col bastone l’unica scala che saliva al piano di sopra.
Annuì.
“Vuoi farmi strada o vado su da sola?”
“Tendo ad incazzarmi parecchio quando mi avvicino troppo a quella stanza.”
“Guarda che lui non è lì dentro..”
“Appunto. Vorrei tanto che ci fosse per potergli spaccare la faccia!”
“Ahahah, dai psicopatica. Muovi il culo e vieni su con me.”
Commentò la ragazza precedendola su per le scale.
Rain sospirò osservandola sparire al piano di sopra.
“Ti sto aspettando..”
Ingoiando la rabbia salì velocemente i gradini.
Fren si stava già guardando intorno con fare professionale.
Da quando era tornata dal fronte aveva iniziato a lavorare all’ufficio investigativo della marina.
A causa della sua situazione non poteva essere un agente operativo, ma erano poche le persone in grado di eguagliare le sue abilità informatiche e deduttive.
Il suo corpo poteva essere rimasto mutilato, ma la sua mente era sempre più attiva e frenetica che mai, non si spegneva neppure quando dormiva. Da qui il suo soprannome.
“Posticino accogliente.. sai per quanto io sia estremamente affascinata dall’idea di frugare in mezzo a tutto questo ciarpame, ancora non capisco perché mi hai voluta far venire qui. Insomma sei più che capace di farlo tu stessa.”
“Non riesco a mantenere la mente abbastanza lucida.. – rispose, pensando allo sfogo in cui aveva distrutto le foto della sua infanzia – finirei per vedere possibili indizi in ogni granello di polvere che mi trovassi davanti. Avevo bisogno del tuo super cervello scoppiato.”
Fren annuì astenendosi da altri commenti.
Ispezionò attentamente la stanza, senza toccare nulla, osservando attentamente ogni piccolo particolare.
“Bene. Per ora è inutile mettermi al lavoro seriamente. Anche perché il mio stomaco comincia a lamentarsi – esclamò quando ebbe finito – domattina inizierò a sporcarmi le mani. È da un anno che sento la mancanza dei tuoi manicaretti.”
Concluse con un ghigno.
“Stai per caso suggerendo che dovrei mettermi a cucinare?”
“Mi sembra il minimo, visto che mi hai trascinata fino a qui..”
 
Rain preparò la cena e svegliò Santana, che aveva continuato a dormire placidamente.
Mentre mangiavano, Fren si fece raccontare dalla latina come lei e Rain si fossero conosciute e le due si divertirono a scambiarsi vari aneddoti su di lei, che presa tra due fuochi non si risparmiò a controbattere a sua volta con varie storielle che entrambe trovarono esilaranti.
“Sicura di non preferire che ti gonfi il mio materasso di riserva? – domandò a Fren che aveva preso possesso del divano – ti assicuro che ci si dorme a meraviglia.. da quando sono qui credo di aver dormito più su quel materasso da campeggio che nel mio letto.”
“No, grazie dell’offerta, ma è meglio il divano. Faccio meno fatica ad alzarmi..”
“Sempre la solita pigrona – sogghignò – hai tutto quello che ti serve?”
“Tranquilla. Me la posso cavare.”
In quel momento Kirk rispuntò da ovunque si fosse imboscato durante la giornata.
“Oh, e questo chi sarebbe?”
Domandò Fren prendendo il gattino in braccio e facendolo accomodare sul suo addome.
“Ti presento Kirk. L’ho incontrato il terzo giorno che ho passato qui.”
“Sembra quasi che tu ti sia messa ad adottare tutti i trovatelli in cui ti sei imbattuta..”
Commentò  l’amica.
“Credo sia una deformazione dovuta alla mia infanzia..”
Rispose con un ghigno.
“Mmm.. e io che pensavo semplicemente che tu abbia il cervello bacato.”
“Probabile anche quello. Ehi, non male quella nuova protesi..”
Continuò indicando Kirk che si era sistemato comodamente tra lo schienale del divano e la gamba destra di Fren, occupando lo spazio lasciato vuoto dall’arto mancante della ragazza.
“Già! Sto seriamente pensando di brevettarla.”
Sogghignò lei.
Rain sbadigliò sonoramente.
“Bene, se non ti serve altro, credo proprio che me ne andrò a dormire.”
Disse avviandosi verso le scale per raggiungere Santana che era andata a dormire un’ora prima.
“Oh, finalmente hai detto qualcosa di sensato.. cominciavo a perdere le speranze – le rispose Fren –Buona notte, stordita.”
“Buona notte anche a te, scoppiata.”
 
 
 
Angolo della pazza
 
Buonasseeeeeraaaa
 
Il titolo appartiene ad una canzone stupendissimerrima degli Evanescence e si riferisce ai fantasmi del passato di Rain, Storm soprattutto.
 
Lo so, capitoletto supercorto con pochissimo Raintana e Brittana inesistente.
Ma dovevo spiegare per bene che ci era venuta a fare a Lima quella scoppiata di Fren.
E ci tenevo a delineare per bene il suo rapporto con Rain.
 
Spero di farmi perdonare nel prossimo capitolo.. dipende da cosa decideranno di fare i personaggi, decidono sempre loro..
 
Come posso chiamare il fantastico duo Rain – Frenzy??
Accetto suggerimenti :D
 
Tantissimerrimo ammoooooreee per voi.
Alla prossima
 
WilKia >.< 

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Capitolo 31
*** Sweet Child O' Mine ***


Sweet Child O’ Mine
 
 
 
Mentre imboccava le scale, Santana vide con la coda dell’occhio una massa informe di ricci scattare al suo inseguimento e seppe di aver ottenuto ciò che voleva.
“Santana -  la chiamò Jacob affannato, raggiungendola – solo alcune domande.”
Continuò imperterrita per la sua strada, fingendo di ignorarlo.
“Qualche commento sulla soffiata lasciata sul blog del Muckracker, secondo cui tu e Karofsky l’avete fatto sul sedile posteriore della sua auto nel parcheggio davanti al cimitero?”
“No comment.”
Disse semplicemente, continuando a camminare.
“E qualche commento sul fatto che quando ho indagato sull’indirizzo IP dell’autore della soffiata ho scoperto che eri tu..”
Si bloccò davanti alla porta dell’aula canto, voltandosi verso di lui, la mente che lavorava ad un ritmo frenetico.
“Il mio computer è stato rubato. – affermò sicura – senti tutto quello che posso dire è che le cose tra me e Dave vanno alla grande e..”
Si accorse di un paio di occhi azzurri che la scrutavano tristi da dietro le spalle di quell’impiccione e continuare a parlare divenne davvero difficile.
“..siamo molto eccitati per la nostra campagna di Re e Reginetta. Votate Santofsky!”
Concluse quasi facendo violenza a sé stessa.
“Quindi siete innamorati? – continuò Jacob – vi si può definire Anime Gemelle?”
Contro ogni sua volontà cosciente, il suo sguardo corse ad incontrare gli occhi di Brittany, che letteralmente pendeva dalle sue labbra.
Rispose alla domanda continuando a fissare quegli occhi, sperando che la bionda capisse che in realtà stava parlando con lei, che stava parlando di loro.
“Sì. Sì direi che è la definizione giusta.”
Si sentì morire vedendo la delusione e lo sconforto che attraversarono quegli occhi azzurri.
Si voltò ed entrò in aula canto, liberandosi dello scocciatore.
“Ehi ragazzina.”
La accolse Rain che come al solito era già arrivata.
Si rifugiò tra le sue braccia, nascondendo il viso contro la sua spalla.
“Sono una persona orribile.”
Bisbigliò, lottando per trattenere le lacrime.
“Non è vero.”
Rispose piano l’ex-soldato.
“Sì invece.”
“Mi stai forse dando della bugiarda?”
Sospirò.
“Hai sentito tutto, vero?”
“Sì. E ho come la sensazione di non essere l’unica ad aver sentito. Ho ragione?”
Annuì.
“Santana.. non mi voglio certo intromettere, ma perché non le hai ancora parlato? Questa situazione sta facendo del male ad entrambe, proprio ora che invece potreste finalmente essere felici.”
Non rispose si limitò ad affondare ancora di più il viso contro la sua spalla.
Ad un tratto la sentì irrigidirsi leggermente come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione.
“Forse è meglio che ti ricomponi, se non vuoi che la tua reputazione vada a quel paese e tutti i tuoi compagni scoprano che anche tu hai un cuore. Anche se trovo che non ci sarebbe nulla di male, se dovesse succedere.”
Le bisbigliò all’orecchio.
Santana colse l’allusione e si sciolse dall’abbraccio, ritrovando, anche se a fatica, il suo solito contegno e calandosi sul volto la sua espressione strafottente.
“Eccola qui, la mia stronzetta preferita.”
Ghignò Rain donandole una carezza.
Le sorrise e andò ad occupare il suo solito posto in fondo all’aula, proprio mentre i suoi compagni entravano commentando le ultime notizie riportate sul Muckracker.
 
Santana rientrò a casa di Rain di pessimo umore.
Era esausta per il lungo pomeriggio passato in biblioteca, lottando per rimanere concentrata sui libri, quando la sua mente sembrava fermamente intenzionata a continuare ad inseguire il pensiero di Brittany.
“Santana?”
Sentì chiamare dal piano di sopra.
“Sì, sono tornata.”
Andò di sopra, salendo i gradini due alla volta e si affacciò in palestra.
“Ehi, ragazzina.”
L’accolse Rain uscendo dalla biblioteca.
“Ehi – rispose – ancora impegnata con la catalogazione?”
L’ex-soldato alzò gli occhi al cielo.
“Già, fatico a credere che abbia davvero letto tutti quei libri..”
“Fren?”
“È nello studio.. senti, prima sono andata in camera a cambiarmi e mi sono dimenticata lì la mia tazza di caffè, sul comodino. Non saresti così gentile da portarmela, mentre io torno ad immergermi in quel girone infernale di libri?”
“Certo.”
“Grazie mille.”
Le diede un buffetto sulla guancia e sparì di nuovo attraverso il buco nella parete.
Attraversò velocemente il corridoio.
Strano. Di solito la porta della camera è sempre aperta..
Scrollò le spalle e aprì la porta.. e si bloccò ad occhi sgranati.
“Ti piace?”
Domandò Rain a voce bassa alle sue spalle.
Si voltò per incrociare lo sguardo dell’amica, solo vagamente sorpresa del fatto che l’avesse seguita senza che lei se ne accorgesse.
“Io.. è per me?”
Esclamò spostando più volte lo sguardo da lei a ciò che c’era appoggiato sul letto.
L’ex-soldato si limitò ad annuire sfoggiando il suo mezzo sorriso.
 “Ma.. sei pazza?”
Domandò incredula voltandosi ancora per incontrare i suoi occhi.
“Vuol dire che non ti piace?”
Santana era sull’orlo delle lacrime.
Le gettò le braccia al collo stringendola forte.
“Oh, Rain. È bellissimo!”
“Ho solo pensato che la futura reginetta del ballo dovesse avere un abito all’altezza del suo rango.”
“Ma quando.. perché.. come?”
Farfugliò incapace di fare ordine tra i suoi pensieri che si accavallavano l’uno sull’altro.
Rain ridacchiò.
“Dunque, vediamo.. quando? Oggi pomeriggio, prima di rientrare. Come? Con l’aiuto di una certa biondina a caso che conosce perfettamente le tue misure.”
Rispose l’ex-soldato con un sorriso scaltro.
“Britt ti ha aiutata?”
“Britt? No, io parlavo di Quinn – commentò sogghignando – certo che Britt mi ha aiutata, non mi sarei rivolta a nessun altro e da sola non avrei mai potuto farlo.. questo tipo di abiti sono un enigma per me.”
Ammise ridacchiando.
Satana si strinse a lei, commossa.
“Non mi hai ancora detto il perché..”
Chiese dopo un istante di silenzio.
“Hai avuto delle giornate piuttosto pesanti – spiegò Rain con quel suo tono caldo e rassicurante – volevo fare qualcosa che allontanasse almeno per un po’ i pensieri tristi e ti facesse sorridere.”
Alzò il viso per incontrare quegli occhi scuri e le regalò uno dei suoi sorrisi più belli.
“Grazie Rain.”
“Non dirlo neanche – rispose ricambiando il sorriso e posandole un bacio sulla fronte – ehi, puoi anche andarlo a vedere da più vicino, sai? Non ti mangia mica.”
Continuò in tono scherzoso.
“Posso provarlo?”
Chiese con uno scintillio negli occhi.
“DEVI provarlo. Su, cosa aspetti?”
Concluse l’ex-soldato sciogliendosi dall’abbraccio e spingendola leggermente all’interno della stanza.
“Ti aspetto di sotto.”
La salutò chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasta sola, Santana si avvicinò al letto, allungando la mano sinistra per poter accarezzare la morbida stoffa rossa dell’abito, incapace di smettere di sorridere.
Non riusciva a credere che quel vestito fosse davvero suo.
E tanto meno riusciva a credere che Brittany avesse aiutato Rain a sceglierlo.
A quel pensiero il suo sorriso si allargò a dismisura.
Incapace di resistere oltre, si disfò degli abiti che indossava e si infilò in quella meraviglia rossa.
 
Rain scese al piano di sotto e iniziò a preparare la cena, fiera che la sua pensata avesse sortito l’effetto sperato.
Quando quel pomeriggio aveva sentito Santana parlare della sua campagna di reginetta non aveva potuto evitare di pensare che, dopo ciò che era successo, i suoi probabilmente non le avrebbero comprato il vestito per il ballo.
L’ispanica ancora non aveva fatto i conti con tutte le conseguenze di quel pomeriggio disastroso, ma Rain ci aveva pensato giorno e notte ed era decisa a fare il possibile per non farle pesare quella situazione.
Il vestito era solo una sciocchezza all’interno di un piano più ampio che si andava delineando nella sua mente.
“Ma che profumino.”
Esclamò Fren entrando in cucina e affiancandosi a lei.
L’amica tese la mano per infilare il dito nella pentola e rubare un assaggio, ma lei glielo impedì colpendole la mano con il cucchiaio di legno che stava usando.
“Ahi. Sempre la solita stronza che se la prende con i portatori di handicap.”
“Non vedo nessun portatore di handicap nella mia cucina, solo una scoppiata che vuole approfittarsi del mio buon cuore e infilare le sue manacce lerce nel mio sugo.”
“Eh ehm..”
Si sentì dall’ingresso della stanza.
Si voltò e non riuscì a non sorridere.
Santana era ferma sulla porta, gli occhi neri sfavillanti e le labbra incurvate in un sorriso bellissimo.
Era a dir poco stupenda.
Il vestito le stava alla perfezione, fasciando il suo corpo armonioso come un guanto.
Il colore rosso acceso del tessuto faceva risaltare la sua carnagione ambrata, sposandosi benissimo con i suoi capelli neri.
“Come sto?”
Chiese abbassando lo sguardo, in un moto di timidezza.
Fren fischiò.
“Wow, se non fossi assolutamente sicura di essere etero, ci farei un pensierino.”
Rain le diede un pugno sulla spalla.
“Sempre delicata come un rinoceronte in carica, eh?!”
“Stavo solo cercando di farle un complimento sincero.”
Rispose la donna stringendosi nelle spalle.
Ritornò a guardare Santana che stava ancora attendendo il suo verdetto.
“Direi che la parola bellissima non ti renderebbe giustizia.”
Le disse, sincera.
La ragazza abbassò lo sguardo, sorridendo imbarazzata.
“Ehi, ragazzina. Che fai, arrossisci? Potrei stabilire un record. Credo di essere l’unica persona al mondo ad aver visto Santana Lopez arrossire ben due volte ed essere sopravvissuta.”
Ridacchiò avvicinandosi e stringendola in un abbraccio.
“Fanculo.”
Mormorò Santana ricambiando l’abbraccio.
“Ecco, così  ti riconosco.”
Si sentì osservata e si girò verso Fren che le guardava di sottecchi con una strana espressione stampata in volto.
“Che c’è?”
“No, niente.”
Rispose lei, vaga.
“Fren.”
Ringhiò minacciosa.
“Mi stavo solo domandando quando la guerriera irriducibile che conoscevo una volta si fosse trasformata in un cucciolo scodinzolante.”
“Attenta a quello che chiedi, perché in questo momento sei molto vicina a rincontrarla.”
Sibilò sciogliendosi dall’abbraccio della latina e stringendo i pugni.
“Non colpiresti mai una storpia, vero?”
Esclamò Fren mostrando la sua protesi con un ghigno.
“Tu sei storpia solo nel cervello – borbottò – e leva quelle mani sudice dalla cena, prima che decida di dimenticarmi che siamo amiche.”
“A proposito – intervenne Santana – quando si mangia? Sto morendo di fame.”
“Il tempo di metterti qualcosa di più.. pratico e possiamo andare a tavola.”
“Ottimo, allora vado a cambiarmi.”
La ragazza si voltò per tornare di sopra, ma all’ultimo momento sembrò ripensarci e tornò da lei lasciandole un lieve bacio su una guancia.
“Grazie Rain.”
Disse semplicemente prima di andarsene.
 
Durante la cena Santana rimase stranamente silenziosa.
Sembrava stesse meditando intensamente su qualcosa.
Quando si alzò per lavare i piatti la latina la raggiunse, mettendosi al suo fianco e guardandola con un’espressione estremamente seria.
Si girò ad incontrare i suoi occhi neri, rivolgendole uno sguardo interrogativo.
“Ho bisogno che mi aiuti a fare una cosa..”
 
“Sei sicura che non ci sia nessun altro?”
Bisbigliò Rain pochi passi  davanti a lei.
“Certo che sono sicura.”
“Spero non ci siano allarmi, perché sarebbe davvero divertente tentare di spiegare questo alla polizia.”
“Non ce ne sono, tranquilla. Allora ti vuoi muovere?”
“Scusa tanto se quando ero nell’esercito le porte le buttavo giù invece che scassinarle, ma se pensi di poter fare più in fretta di me ti cedo volentieri il posto.”
“Levati.”
Sibilò prendendo in mano la situazione.
Infilò due forcine nella serratura e dopo aver eseguito pochi movimenti precisi fu ricompensata da un lieve click.
“Signore e signori ecco a voi la scassinatrice di Lima Heights.”
Bisbigliò Rain ridacchiando.
“Zitta e seguimi.”
Strisciarono silenziosamente nel salotto buio e si fermarono davanti alle scale.
Dal piano di sopra provenivano i suoni attutiti di una televisione accesa.
“Sei sicura di volerlo fare? – chiese Rain – è piuttosto difficile e non vorrei che la mia mano ancora in queste condizioni finisca per rovinare tutto.. ”
“Sono sicura che sarai perfetta.”
“D’accordo, allora dimmi tu quando posso iniziare.”
Fece un bel respiro.
“Che c’è?”
Domandò sentendosi osservata.
“Sei una vera romanticona Santana Lopez, lo sai? Ma non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno.”
“Chiudi il becco e inizia.”
Sibilò.
Obbediente, Rain imbracciò la chitarra la collegò al piccolo amplificatore portatile e iniziò a suonare.
Si sentirono alcuni passi incerti provenire dal piano di sopra e pochi istanti dopo si accese la luce e Brittany comparve in cima alle scale, stringendo Lord Tubbington tra le braccia.
Indossava solo una canottiera e dei pantaloncini e aveva i capelli umidi, probabilmente era da poco uscita dalla doccia.
Vedendola Santana rimase senza fiato e per poco non si scordò di iniziare a cantare.
Per fortuna Rain aveva notato la sua confusione e le aveva dato un colpetto con il gomito, riportandola sul pianeta terra.
Fissò gli occhi in quelli di Brittany e iniziò a cantare.
 
 
She’s got a smile that it seems to me
Reminds me of childhood memories
Where everything
Was as fresh as the bright blue sky
Now and then when I see her face
She takes me away in that special place
And if I stared too long
I’d probably break down and cry
 
Oh sweet child o’ mine
Oh sweet love of mine
 
She’s got eyes of the bluest skies
As if they thought of rain
I hate to look into those eyes
And see an ounce of pain
Her hair reminds me of a warm safe place
Where as a child I’d hide
And pray for the thunder
And the rain
To quietly pass me by
 
Oh sweet child o’ mine
Oh sweet love of mine
 
Where do we go
Where do we go now
Where do we go
Where do we go now
(Sweet child o’ mine)
 
Where do we go now
Where do we go
Sweet child
Sweet child o’ mine
 
 
Brittany era rimasta immobile per tutta la durata della canzone, gli occhi azzurri scintillanti di lacrime fissi nei suoi.
Non appena si spensero le ultime note della canzone lasciò cadere a terra Lord Tubbington e si fiondò giù dalle scale, saltando gli ultimi gradini per balzare tra le sue braccia allacciandole le gambe intorno alla vita.
Santana era sicura che sarebbero cadute a terra, ma sentì una mano sicura appoggiarsi sulla sua schiena sostenendola.
Poi le labbra di Brittany incontrarono le sue e si dimenticò dell’esistenza di tutto il resto del mondo.
Sentì un lieve scatto alle sue spalle e si separò un secondo da quel bacio, rendendosi conto che Rain e la sua chitarra erano sparite.
“Britt – iniziò perdendosi in quegli occhi azzurri, così vicini ai suoi – io, volevo spiegarti..”
Le labbra di Brittany sulle sue le impedirono di continuare.
“C’è tempo per parlare – le bisbigliò la bionda all’orecchio, mordicchiandole piano la pelle del collo e scatenandole così una cascata di brividi lungo la schiena– adesso voglio che mi porti di sopra.”
La baciò di nuovo e iniziò ad arrancare sugli scalini, mentre Brittany si sfilava la canottiera e la gettava via.
Ridacchiarono sentendo il miagolio indignato di Lord Tubbington che era stato colpito in pieno dall’indumento.
Poi entrarono in camera e si persero l’una nell’altra.
 
 
 
Angolo della pazza
 
La canzone stupenda di questo capitolo appartiene al repertorio classico dei Guns ‘N’ Roses.
A chi di voi non dovesse conoscerla dico solo: Vergognati e vai ad ascoltarla immediatamente perché non ci si può perdere un simile capolavoro. :D
Lo so, lo so. La voce della nostra San non è proprio adatta, ma il testo è assolutamente perfetto alla situazione e poi volevo far cimentare Rain con la manina santa del mio ammoooooore Slash.
 
Questo capitolo in cui ho mescolato di tutto: Raintana, Brain (anche se sott’inteso), Raizy (grazie a nicole89 per il suggerimento) e soprattutto Brittana, è il mio modo per dirvi grazie  di avermi seguita fino a qui e per festeggiare il raggiungimento e il superamento delle 100 recensioni.
 
Quindi grazie millemila.
beezus, Elettra28 (la mia collega (= ), fluorescentadolescent,giuly5555, leti_angels, londra555, ManuKaikan, Meli_08, nicole89, ND_Warblers, pazzaxamore, Pookie18, Queen of Drama, SoFreakinCharming, VegaAltair, willow11, la mia zi sarinraspin e soprattutto alla mia fratellina ElleHaner e che mi hanno sopportata anche dal vivo :D
 
grazie infinite anche a tutti i miei lettori silenziosi (siete tantissimiiiiiiiiiiii e lo so che ci siete anche se non vi fate notare)
 
grazie infinite a chi mi segue, preferisce o ricorda.
 
vi amo tutti alla follia
alla prossima
 
WilKia >.< 

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Capitolo 32
*** One Night Only ***


One Night Only
 
 
 
 
Rain risistemò la chitarra nella sua custodia, chiudendola nel bagagliaio dell’auto e si sedette al volante.
“Dato che siete andate via in due e sei tornata solo tu, deduco che la vostra piccola sortita sia andata bene.”
Esclamò Fren con un ghigno, stiracchiandosi sul sedile accanto al suo.
“È andata talmente bene che credo che Brittany non si sia nemmeno accorta che c’ero anche io..”
Rispose ricambiando il sorriso.
“Ottimo. Quindi è sabato sera e siamo di nuovo io e te in libera uscita, come ai vecchi tempi.”
Continuò l’amica in tono allusivo.
Rain colse l’allusione e la osservò di sbieco, rivolgendole il suo mezzo sorriso.
“Pensi di riuscire ancora a reggere?”
Domandò sollevando le sopracciglia.
“Anche senza una gamba posso benissimo reggere per tutta la notte.”
“Io veramente non mi riferivo alla tua gamba, so perfettamente che non ti crea alcun problema. Pensavo piuttosto al fatto che ora sei decisamente più avanti con l’età.”
Ghignò.
“Mi risulta che sia tu la più vecchia tra di noi, e di ben 4 mesi. Quindi se io sono vecchia tu sei decisamente decrepita. Di conseguenza è più probabile che sia tu a non riuscire a tenere il ritmo con me.”
Ritorse Fren.
“Ahahah. D’accordo, arzilla vecchietta. Mi hai convita, andiamo.”
Rispose mettendo in moto.
 
Rain colpì il boccino con la stecca e la palla 8 carambolò attraverso il tappeto verde finendo dritta in buca d’angolo.
“Mi ero scordata che avessi tutto questo culo..”
Borbottò Fren contrariata.
“Vincere una partita è culo, vincerne tre di fila è classe amica mia. E con questa mi devi un altro giro.”
Fren odiava perdere. Aveva vinto una sola partita quella sera, e nella loro precedente sfida a freccette Rain l’aveva letteralmente fatta nera.
“Ma se ti scoccia posso sempre lasciarti vincere la prossima.”
“Provaci e giuro che verificherò personalmente che quella tua testaccia è vuota, scoperchiandoti il cranio a bastonate.”
Rain ridacchiò.
Fren odiava che la si lasciasse vincere ancora più di quanto odiasse perdere. Era sempre impegnata a dimostrare al mondo che non solo poteva fare qualsiasi cosa, ma che era anche in grado di farla meglio di chi le gambe le aveva tutte e due.
E Rain la rispettava troppo per non dare sempre il massimo nelle loro piccole sfide a biliardo o a qualsiasi altro gioco.
Fren fece un cenno al barista che si affrettò a versare due bicchieri di tequila, poi le gettò delle banconote sul tavolo.
“Almeno renditi utile e va a prenderli.”
Ridacchiò prendendo i soldi ed avviandosi al bancone.
Notò un paio di occhi grigi che scattarono a seguire i suoi movimenti, mentre attraversava il locale.
Era tutta la sera che quegli occhi seguivano attentamente ogni sua mossa.
E lei aveva seguito le mosse della loro proprietaria con la stessa avidità, ma era più brava a farsi beccare solo quando voleva.
Fece finta di niente e tornò da Fren che nel frattempo aveva preparato il tavolo per un’altra partita.
Brindarono e buttarono giù la tequila in un solo sorso.
“Prego.”
La invitò l’amica accennandole a cominciare la nuova partita.
Si chinò sul tavolo e con un movimento fluido e preciso spedì due palle in buca.
“Esibizionista.”
Borbottò Fren contrariata.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Commentò sollevando le sopracciglia.
“Parlo di quella bionda in fondo al locale che non ha fatto altro che radiografarti il culo per tutta la serata.”
Sibilò con un ghigno.
Si voltò appena scrutando la ragazza in questione da sopra la spalla.
In realtà non ne aveva bisogno, l’aveva già studiata attentamente.
Capelli leggermente mossi lunghi fino alle spalle, labbra piene e sensuali, sguardo malizioso e sicuro di sé.
“E non provare a fare la finta tonta, perché tanto lo so che l’hai inquadrata nel momento stesso in cui siamo entrate – continuò impedendole di parlare – mi spieghi come diavolo fai a rimorchiare ogni volta che usciamo, senza neanche provarci? E ti becchi sempre la più figa del locale.”
“È la mia aria da bella e dannata, che ci posso fare?”
Rispose con un ghigno, prima di colpire di nuovo il boccino.
Continuarono a scambiarsi battute, mentre giocavano.
Ad un certo punto la ragazza bionda si alzò dal suo tavolo, le passò accanto sfiorandola appena con la spalla e si sedette aggraziatamente su uno sgabello davanti al bancone, continuando a lanciarle qualche sguardo di tanto in tanto.
“Oh, hai proprio fatto colpo.”
Ghignò Fren spedendo una palla in buca.
Prese un sorso dalla sua bottiglia di birra, ricambiando lo sguardo malizioso della bionda.
“Non dirmi che ci stai facendo un pensierino..”
Domandò l’amica affossando la palla 8 in buca laterale e vincendo la partita.
Rain si infilò una mano in tasca e gettò delle banconote sul tavolo.
“Ehi, stai esagerando. Un giro di tequila non costa così tanto.”
“Ci sono anche i soldi per un taxi - spiegò lanciandole le chiavi di casa – l’indirizzo lo conosci.”
Concluse lasciando la stecca sul tavolo e raggiungendo la ragazza al bancone.
“La solita egoista insensibile che va a spassarsela invece di aiutare la sua povera amica storpia. Un giorno il karma ti troverà.”
La sentì borbottare prima che si scolasse la sua ultima tequila e lasciasse il locale zoppicando.
 
Il ticchettio della pioggia fuori dalla finestra, la accompagnò gentilmente fuori dal sonno.
Sulla pelle avvertì un tepore meravigliosamente familiare.
Mosse lentamente la mano e sentì della pelle liscia e calda scorrere sotto il suo palmo.
Poi si accorse di un soffio caldo di fiato che le solleticava il collo ad intervalli lenti e regolari, causandole deliziosi brividi sulla pelle.
Un dolce profumo di miele la inebriò.
Continuò a far scorrere la mano su quella pelle morbida, accarezzandola lievemente.
“Buongiorno.”
Mugugnò Brittany posandole le labbra sul collo e scatenandole una nuova ondata di brividi.
La sentì sollevare la testa dalla sua spalla dove era rimasta per tutta la notte.
Aprì gli occhi e sprofondò in un oceano azzurro, incorniciato di morbide ciocche dorate.
“Buongiorno.”
Bisbigliò avvicinandosi per assaporare dolcemente le sue labbra.
“Dormito bene?”
Le chiese.
La bionda annuì.
“E tu?”
“Non avrei potuto dormire meglio.”
Rispose avvicinandosi per un altro bacio.
La ragazza le mordicchiò dolcemente le labbra, sorridendo.
Adorava sentirla sorridere mentre si baciavano.
Dischiuse leggermente le labbra, invitandola a continuare.
Mentre le mani di Brittany iniziavano a sfiorarla, pensò non ci fosse al mondo modo migliore per iniziare una domenica mattina di pioggia.
 
Era ancora presto quando si svegliò.
Il sole doveva ancora sorgere.
Si stiracchiò, mettendosi seduta e scosse lievemente la testa per diradare la nebbia causata dalle pochissime ore di sonno e dalle grandi quantità di alcol che aveva ingerito la sera prima.
Non abbastanza da sbronzarsi, ma sufficiente per darle quella percezione di ottundimento dei sensi che solo una doccia ghiacciata e un caffè bollente avrebbero potuto risanare.
Osservò la ragazza che dormiva placidamente al suo fianco, attorcigliata nelle lenzuola che lasciavano scoperta la sua schiena candida e liscia.
Quando si erano incontrate la sera prima, entrambe sapevano che le loro vite avrebbero potuto intrecciarsi solo fugacemente, annullandosi l’una nell’altra nelle ore che erano concesse loro, fino all’alba.
Ormai il tempo che avevano a disposizione era scaduto.
Scivolò silenziosamente fuori da quel letto e andò a recuperare i suoi vestiti sparsi tra la camera e la porta.
Quando si fu rivestita si affacciò un’ultima volta nella stanza ad osservare quel corpo che le era appartenuto per una notte, l’attraversò un vago senso di malinconia nel sapere che non avrebbe avuto più di questo, nel ricordare che non aveva mai avuto più di questo.
Un ultimo sguardo, poi si voltò e uscì chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.
 
Inspirò a fondo l’aria umida di pioggia e allargò le braccia, sollevando il viso verso il cielo, lasciandosi accarezzare dalle gocce d’acqua che precipitavano su di lei, lavando via quella sottile malinconia che le si era posata addosso.
Bhe, dopotutto volevo una doccia ghiacciata..
Pensò, le labbra che si distendevano nel suo mezzo sorriso.
Affondò le mani nelle tasche della sua giacca di pelle e decise che sarebbe tornata a piedi fino al locale, per recuperare la sua macchina.
Adorava camminare sotto la pioggia.
Lasciarsi scorrere addosso quelle gocce fredde, ascoltare le infinite storie che mormoravano, ticchettando sul terreno e scivolando tra le foglie degli alberi, le dava sempre un curioso senso di familiarità e di benessere.
Amava la pioggia.
Le era subito piaciuto quando i  suoi commilitoni avevano iniziato a chiamarla Rain, tanto che aveva quasi scordato di aver mai avuto un altro nome.
Se lo era lasciato alle spalle, insieme alla sua infanzia e alla sua vita precedente.
Trovava strano che la pioggia mettesse tristezza alla maggior parte della persone.
A lei faceva sempre l’effetto opposto.
Poteva passare ore intere ad osservare le nuvole che si rincorrevano nel cielo, studiandone le varie sfumature di colore, ascoltando la musica che la pioggia suonava insieme al vento, avvertendo il sospiro della terra che beveva quelle gocce d’acqua, avida di vita.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che fu quasi sorpresa di trovarsi davanti al locale della sera prima e di scorgere la sua auto parcheggiata lì vicino.
Si lasciò cadere sul sedile, sospirando, e si passò una mano sul viso e tra i capelli per eliminare l’eccesso d’acqua di cui erano impregnati.
E adesso caffè.
Sorrise mettendo in moto.
 
Quando riaprì gli occhi, fuori pioveva ancora.
Si stiracchiò, allungandosi soddisfatta tra le lenzuola tiepide che profumavano di loro.
Vi affondò il viso, sorridendo ed inspirando a pieni polmoni.
Quanto le era mancato quell’odore.
Dita delicate passarono tra i suoi capelli.
“Che ore sono?”
Mugugnò sbadigliando.
È quasi mezzogiorno – ridacchiò Brittany – è ora di alzarci..”
“Di già?”
Domandò contrariata, voltandosi verso di lei e stringendole le braccia intorno alla vita.
“Fuori piove.. è la giornata perfetta per rimanere a letto a farsi le coccole.”
Brittany ricambiò il suo abbraccio e iniziò ad accarezzarle delicatamente i capelli.
Abbandonò la testa sul suo petto, godendosi ogni minimo contatto con quelle dita, rapita dal suono dolce del cuore che batteva sicuro sotto il suo orecchio.
“San?”
La richiamò Brittany alcuni istanti dopo.
“Mmm?”
“Perché non sei venuta da me l’altro giorno?”
Domandò piano.
Sentì una fitta in fondo al petto ripensando a quel pomeriggio e alle urla dei suoi genitori.
Lottò per trattenere la lacrime.
Si era ripromessa di proteggerla, di essere forte.
Sospirò e le baciò lievemente la spalla.
“Ti giuro che volevo venire da te Britt. Ma non ho potuto.”
“Perché no?”
“Perché.. – si fermò cercando le parole – perché ho capito quanto le persone possono essere cattive. Quanto possono fare male semplicemente perché qualcosa o qualcuno non è come loro pensano dovrebbe essere. E se fossi venuta.. non voglio che la crudeltà delle persone ti faccia soffrire, Britt. Non posso permetterlo.”
“Allora non sarai la mia ragazza?”
Domandò lei in tono triste.
Sollevò la testa per incontrare i suoi occhi e baciò le sue labbra imbronciate.
“Lo sono di già – le disse con un sorriso in cui cercò di infondere tutto l’amore che provava per lei – solo che gli altri non lo devono sapere.”
La bionda non sembrava convinta.
“Non sto dicendo che sarà sempre così – sussurrò - ma quello che c’è tra noi è troppo bello e prezioso e almeno per ora voglio custodirlo e tenerlo al sicuro.”
“Come un tesoro?”
“Esatto, Brittbritt. Proprio come un tesoro.”
“Ma non lo dobbiamo dire proprio a nessuno, nessuno? Nemmeno a Rain?”
Chiese Brittany ancora imbronciata.
La baciò di nuovo, sorridendo al pensiero dell’amica e di tutto quello che aveva fatto per lei e per loro.
“Certo che lo possiamo dire a Rain, paperella. Anzi sai che facciamo? Adesso andiamo da lei e glielo dirai tu stessa.”
Disse giocherellando teneramente con una ciocca dei suoi capelli biondi.
“Davvero?”
Esclamò illuminandosi.
Annuì regalandole uno dei sorrisi che riservava solo a lei.
Brittany ricambiò il suo sorriso per poi annullare ogni distanza in un dolcissimo bacio.
Quando si separarono rimasero a lungo a guardarsi negli occhi, i volti tanto vicini da mescolare i loro respiri.
Santana iniziò ad accarezzare dolcemente quel viso che tanto amava, osservandolo minuziosamente.
“Perché mi guardi così? – bisbigliò lei – che c’e?”
“Ti amo.”
Bisbigliò sulle sue labbra, gustandosi ogni lettera di quelle semplici parole che si era tenuta dentro per così tanto tempo.
Sentì il sorriso di Brittany sulle sue labbra.
“Ti amo San.”
 
 
 
Angolo della pazza
 
Allora bella gente come va?
La canzone del titolo viene dal film – musical “Dreamgirls” (ascoltatevi la versione di Jennifer Hudson perché è davvero meravigliosa) ed è ovviamente riferita a Rain.
 
Ok per quanto riguarda i momenti Brittana.. non ho davvero la minima idea di dove mi sia venuto fuori tutto sto smielamento.. però volevo che le nostre cucciole si godessero un po’ di sacrosante coccole tra innamorate.
 
Mmm direi che non ho altro da aggiungere.
 
A voi la parola.
 
Besitos a todo el mundo :D
 
WilKia >.< 

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Capitolo 33
*** Dancing Queen ***


Dancing Queen
 
 
 
“Allora cosa hai deciso? Verrai?”
Domandò Santana per quella che doveva essere la milionesima volta.
Rain alzò gli occhi al cielo. Era tutta la settimana che le due ragazze tentavano di convincerla ad andare al ballo.
“Oh, avanti Rain.. tipregotipregotipregoooooo..”
Rincarò la dose Brittany mettendo su il broncio e guardando l’ex-soldato con occhi da cucciolo.
“Non lo so ragazze, tanto per cominciare, non saprei cosa mettermi.”
“Ma a quello ci pensiamo noi.”
Rispose Santana.
“Ahahah questa non me la voglio proprio perdere – intervenne Fren – queste due adorabili fanciulle che ti trascinano in giro per negozi tentando di trovarti un abito da sera.. scommetto che sarai assolutamente incantevole.”
Per tutta risposta Rain le mostrò il dito medio.
“Grazie dell’offerta ragazze, ma davvero non fa per me.”
“D’accordo – si arrese l’ispanica – niente abito, ma non puoi mancare. Mettiti quello che vuoi, anche un sacco della spazzatura va bene, però vieni.
Per favore.
Poi Britt non ha un cavaliere, potresti venire e ballare con lei.”
“Ci penserò, ragazze. Ok? – rispose con un sospiro esasperato, poi ripensò a ciò che Santana aveva appena detto – aspetta un attimo.. quindi in realtà tu vuoi che venga solo perché vuoi che accompagni la tua ragazza e che lei balli con me in modo che la mia sola presenza scoraggi l’approccio di chiunque altro.”
Indagò osservandola con aria inquisitoria.
La latina abbassò lo sguardo.
“Non ci posso credere. È proprio così.”
Continuò ridacchiando.
“No. Cioè, è anche per questo.. ma vorrei davvero che tu venissi.”
Disse Santana, imbarazzata per essere stata beccata.
“Ahahah. Vieni qui gelosona – esclamò stringendo entrambe in un abbraccio – primo. Io non ballo. Secondo. Lo sai che non amo i luoghi troppo affollati. Detto questo, ci penserò. Va bene?”
“Va bene.”
Mormorarono insieme le due ragazze, scoraggiate.
 
Aveva quasi finito la catalogazione di uno scaffale quando sentì suonare il campanello.
Scese le scale di corsa e andò ad aprire la porta.
“Puntualissimo.”
Esclamò squadrando il ragazzo da capo a piedi.
Dave abbassò lo sguardo, intimidito.
“Santana scenderà tra poco. Entra pure.”
Lo invitò spostandosi per lasciarlo entrare.
“Grazie.”
Borbottò lui entrando, sempre a testa bassa.
“Ehi, guarda che non mordo.. bhè non sempre.”
Ridacchiò tentando di metterlo un po’ più a suo agio.
Il ragazzo sembrò apprezzare il suo sforzo e sollevò lo sguardo, rivogendole un sorriso timido.
Sentì dei passi leggeri sulle scale e si voltò, imitata subito dal ragazzo.
Rimasero entrambi in silenzio, osservando Santana in tutto il suo splendore.
Poi Rain diede una spintarella a Dave, invitandolo a raggiungere la ragazza.
Il ragazzo si schiarì la gola e avanzò verso di lei, per poi porgerle i fiori da legare al polso, evidentemente impacciato.
Ma tu guarda.. l’ex bullo della scuola, non è altro che un bambinone.
Pensò osservando i due ragazzi scambiare qualche parola.
“Sarà meglio che andiate, se non volete fare tardi.”
“Allora sei proprio decisa a non venire?”
Le chiese Santana leggermente imbronciata.
“Ne abbiamo già parlato.”
“D’accordo – sospirò la ragazza contrariata – ci vediamo più tardi, allora.”
Concluse avvicinandosi a lei per un abbraccio.
“Divertiti ragazzina.”
Le bisbigliò all’orecchio, mentre la stringeva.
 
Nonostante si stesse divertendo a ballare con Dave, Santana non staccava un attimo gli occhi da Brittany.
Per fortuna la biondina fino ad ora era rimasta vicino ai ragazzi del Glee, in particolare a Mike.
Santana sapeva bene che tra i due c’era solo una bella amicizia resa più solida dalla comune passione per il ballo.
Era così assorta a osservare Brittany, che non si accorse nemmeno che Puck, Sam e Artie avevano finito la loro canzone ed avevano lasciato il palco.
“Buona sera McKinley High.. come andiamo?”
I ragazzi applaudirono.
La voce non apparteneva a nessuno del Glee, eppure Santana la trovava famigliare.
Si voltò verso il palco e per poco non ci rimase nel vedere Fren davanti al microfono e accanto a lei.. Rain.
Erano vestite con l’alta uniforme degli ufficiali, con i gradi e i vari riconoscimenti ottenuti in battaglia appuntati sul petto insieme allo stemma dei Navy Seals: l’aquila dorata ad ali spiegate che stringeva un tridente, un fucile e un'ancora tra gli artigli.
Ed entrambe indossavano dei vistosi occhiali da sole.
Rain la individuò e le fece un cenno, prima di fare segno alla band di iniziare a suonare.
La pista da ballo esplose riconoscendo le prime note.
Quel pezzo era un vero classico.
Fren si impossessò del microfono e iniziò a parlare.
 
Siamo davvero felici di vedere così tante belle persone rinuite qui stasera, e vorremmo in particolare ringraziare I rappresentanti del corpo insegnati del McKinley che hanno deciso di raggiungerci qui in palestra. Ci auguriamo che tutti voi gradiate lo show, e vi preghiamo di ricordare tutti quanti, che non importa chi siete, o cosa fate per vivere e tirare avanti, perché c’è sempre qualcosa che ci rende tutti uguali.
Voi, me, loro, tutti quanti, tutti quanti.


A quel punto tirò fuori un secondo microfono dalla tasca e lo lanciò a Rain che lo prese al volo e iniziò a cantare.

Everybody needs somebody
Everybody needs somebody to love

Someone to love (someone to love)
Sweetheart to miss (sweetheart to miss)
Sugar to kiss (sugar to kiss)
I need you you you
I need you you you
I need you you you In the morning
I need you you you When my soul's on fire


Sometimes I feel
I feel a little sad inside
When my baby mistreats me
I never never never have a place to hide
I need you



Le due amiche improvvisarono un buffo balletto, mentre l’orchestra continuava a suonare.
Fren era incredibile, se Santana non l’avesse vista con i suoi occhi, non avrebbe mai creduto che le mancasse la gamba sinistra.

Sometimes I feel
I feel a little sad inside
When my baby mistreats me
I never never never have a place to hide
I need you you you
I need you you you
I need you you you
I need you you you
I need you



Fren si riportò in avanti e riprese a parlare, mentre Rain incitava i ragazzi a continuare ad urlare
“You, you, you.”
 
E quando trovate questo qualcuno particolare, tenetevelo stretto, uomo o donna che sia.
Amatelo, coccolatelo, stringetelo, esprimete i vostri sentimenti con baci e carezze.
Perché? Perchè è importante trovare il giusto qualcuno da baciare, da sognare.
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno da amare!


Everybody needs somebody
Everybody needs somebody to love
Someone to love
Sweetheart to miss
Sugar to kiss
I need you you you
I need you you you
I need YOU!



Tutti quanti urlarono, applaudendo forte, mentre Rain e Fren si inchinavano e lasciavano il palco.
Santana vide Rachel prendere il posto delle due amiche e fare cenno alla band.
Alzò gli occhi al cielo, sapendo che era arrivato il momento del lento.
Mentre si girava verso Dave, vide Brittany che si guardava intorno alla ricerca di qualcuno con cui ballare e sentì una stretta al cuore. Avrebbe voluto così tanto andare da lei e stringerla a sé per quel ballo e l’idea che uno qualunque di quegli sfigati intorno a loro l’avrebbe fatto al posto suo la faceva impazzire.
Poi incrociò un paio di ridenti occhi scuri che la osservavano interrogativi.
Grata, le fece un cenno di assenso e la vide avvicinarsi a Brittany e farle un lieve inchino, mentre la invitava a ballare.
Eccola lì che arriva come un cavaliere con la sua armatura scintillante..
Pensò alzando gli occhi al cielo, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Quando la canzone finì spedì Dave a prendere da bere e le raggiunse.
“Mi era parso di capire che non saresti venuta..”
Disse all’ex-soldato.
Rain si strinse nelle spalle.
“Non ho resistito alle vostre continue ed insistenti richieste.”
Spiegò con il suo mezzo sorriso.
“E non avevi detto di non saper ballare?”
“No, avevo detto io non ballo, non io non so ballare. E comunque non intendo ripetermi, non questa sera.”
“Scusate, io devo scappare.”
Esclamò Brittany lanciando loro un bacio, mentre Tina la trascinava per una mano verso il palco.
La salutarono con la mano, poi Santana si rivolse di nuovo all’ex-soldato.
“Sono contenta che tu sia venuta.”
Sussurrò stringendosi a lei.
Poi si allontanò per poterla guardare per bene.
“Però – disse squadrandola da capo a piedi – non male l’alta uniforme.”
Sfiorò leggermente le mostrine scintillanti che aveva appuntate sul petto.
“Molto meglio di un abito da sera, no? Se per caso te lo stessi chiedendo, sono capitano.”
Spiegò Rain con il suo mezzo sorriso.
“Cos’è ora sei anche veggente?”
“Semplice spirito di osservazione, te l’ho detto anche quando ci siamo conosciute, no?! E adesso, il mio spirito di osservazione mi dice che il tuo cavaliere ti aspetta per il prossimo ballo.”
Concluse indicandole Dave con un cenno della testa.
“Grazie di  essere venuta e di aver ballato con Brittany. Non avrei sopportato di vederla ballare quella canzone con uno sfigato a caso.”
“È stato un piacere, ragazzina. Ora vai e divertiti.”
Le disse sfiorandole appena la guancia con la punta delle dita.
 
Finalmente questa maledetta serata è finita.
Pensò Santana seguendo Rain e Fren sugli scalini del portico.
Quella doveva essere una serata perfetta e invece..
Invece l’ignoranza e la cattiveria avevano per forza dovuto rovinare tutto.
Di nuovo.
“Ehi, ragazzina. Ti sei addormentata sugli scalini?”
La chiamò Rain da dentro casa.
Sorrise.
Beh dopotutto, non ci sono state solo cose negative.
Pensò ricordando la performance di Rain e Fren e, soprattutto, lo sguardo pieno di amore che Brittany le aveva rivolto quando era corsa a consolarla, subito prima di dirle che credeva in lei e di baciarla dolcemente.
Si riscosse dai suoi pensieri ed entrò in casa.
Rimase bloccata davanti al salotto, ad occhi sgranati.
Tutti i mobili erano stati spostati contro alle pareti e c’erano dei pannelli colorati davanti alle luci per renderle soffuse.
Ma soprattutto Brittany era lì, bellissima, in piedi in mezzo alla stanza e non aveva occhi che per lei.
Da un punto indefinito, sentì provenire le note inconfondibili della chitarra di Rain.
Brittany avanzò piano verso di lei e le prese la mano, senza mai interrompere il contatto tra i loro occhi.
“Britt – sussurrò – ma cosa..”
Non riuscì a finire di parlare, perché le labbra della bionda si posarono dolcemente sulle sue.
“Il ballo è fatto per poter passare un serata perfetta con la persona che si ama, insieme agli amici che più ci vogliono bene.”
Spiegò Brittany a bassa voce, indietreggiando verso il centro della stanza e trascinandola con sé.
“Noi non l’abbiamo potuta avere prima, davanti a tutti. Ma qui abbiamo tutto quello che ci serve. Ci sono le luci soffuse, la musica, una vera amica – sorrise, indicando Rain con un cenno del capo – e soprattutto ci siamo tu e io. Non importa nient’altro.”
La strinse a sé, conducendola piano tra quelle note lente e romantiche.
Santana inspirò avidamente il suo profumo e la strinse, abbandonandosi a quella sensazione meravigliosa che la pervadeva ogni volta che erano così vicine.
 
So close no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
And nothing else matters

Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don't just say
And nothing else matters

Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters

Never cared for what they do
Never cared for what they know
But I know

So close no matter how far
It couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
And nothing else matters

Never cared for what they do
Never cared for what they know
But I know

I never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don't just say
And nothing else matters

Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters

Never cared for what they say
Never cared for games they play
Never cared for what they do
Never cared for what they know
And I know



Si sciolsero lievemente dalla stretta in cui erano rimaste fino a quel momento perdendosi l’una negli occhi dell’altra, mentre la chitarra di Rain suonava straziata.
Non si accorsero che i loro visi si stavano avvicinando fino a che le loro labbra non si incontrarono.
Si separarono solo perché cominciavano ad avere davvero bisogno d’aria.
Santana si lasciò trasportare dalle sue emozioni e bisbigliò le parole dell’ultima strofa sulle labbra di Brittany.

So close no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
No nothing else matters!



 
 
 
Angolo della pazza
 
Uuuuuuuuuufffffffff che fatica scrivere questo capitoloooo
Proprio non ne voleva sapere di collaborare.
Spero non sia venuto una schifezza.
Questo sta a voi farmelo sapere :D
 
Il titolo appartiene ad una canzone degli ABBA che sicuramente conoscete, anche perché la nostra San e la nostra Mercedes ce la cantano proprio in occasione del Prom.
 
Le altre due canzoni sono “Everybody needs somebody” tratta dall’intramontabile musical “The Blues Brothers” in cui ho voluto far cimentare le mie due fantastiche soldatesse, e la romanticissima “Nothing else matters” dei metallica.
 
Bon. Chiudo qui
A voi la parola
 
Bacioooooo
WilKia >.< 

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Capitolo 34
*** Second Chance ***


Second Chance
 
 
 
Si fermò in punta di piedi nel corridoio, tendendo l’orecchio e respirando silenziosamente, in ascolto.
Dall’interno della sua camera non proveniva il minimo rumore.
Dischiuse la porta e si affacciò leggermente all’interno, sorridendo nel vedere le due ragazze che dormivano serenamente, abbracciate nel suo letto.
Scivolò piano all’interno tentando di non fare il minimo rumore e afferrò rapidamente dei vestiti dal suo armadio, per poi uscire altrettanto silenziosamente richiudendosi la porta alle spalle.
“Hai una faccia davvero orrenda stamattina, sai?”
L’accolse Fren, quando entrò in cucina.
“Buon giorno anche a te splendore..”
Rispose mostrandole il dito medio, per poi versarsi una tazza di caffè fumante, sbadigliando.
“Ma hai dormito?”
Le chiese l’amica lievemente preoccupata.
“Certo, ho dormito davvero stupendamente nello studio di quel bastardo. Non ho mai dormito meglio in tutta la mia vita.”
Fren ghignò.
“Beh, te la sei cercata.. dopo tutto sei stata tu ad insistere perché quella biondina si fermasse qui a dormire e per lasciare la tua stanza alle due piccioncine.”
“Perché secondo te cosa avrei dovuto fare? Cacciare via Brittany a calci? Certo che anche tu potevi venirmi incontro ed andare a dormire di sopra lasciandomi il divano..”
“Ma io l’ho fatto per te – spiegò Fren con un ghigno -  dovrai abituarti a quella stanza, se sei sempre intenzionata a fare quello di cui mi hai parlato l’altro giorno.”
Rain sospirò sulla sua tazza di caffè, annuendo.
“Ma ancora non capisco quale masochistica ragione ti spinga a volerti stabilire proprio lì, invece che fare il contrario.”
“Sinceramente? Non lo so nemmeno io.”
“E poi sarei io quella a cui è scoppiato il cervello.. – commentò Fren scuotendo la testa – tornando al motivo per cui sono qui, per caso hai spostato qualcosa dallo studio? Dalle impronte nella polvere sugli scaffali ho notato che manca qualcosa.”
“Sì, un vecchio bauletto – rispose reprimendo un moto di rabbia – dentro c’erano delle buste, ne ho aperta solo una in cui c’erano delle mie vecchie foto. Non ho guardato le altre..”
“E adesso questo bauletto dove sarebbe?”
“Non lo so. Chiedi a Santana, lo ha messo via lei e sa anche come aprirlo.”
“D’accordo – la squadrò di sottecchi, con una strana espressione – le hai detto perché sei qui? Le hai raccontato della lettera di tuo padre e di quello che diceva?”
Aggrottò la fronte davanti alla sua espressione e scosse la testa.
“Perché no? Voglio dire, le hai raccontato praticamente tutto di te. Sa dei tuoi genitori, sa di Storm. Perché non dirle anche questo?”
“Non lo so.. l’argomento non é mai saltato fuori – rispose con un’alzata di spalle – perché questa domanda?”
“Ero solo curiosa.”
Alzò le sopracciglia.
Fren non chiedeva mai nulla solo per pura curiosità, ma decise di non indagare oltre. Quella mattina aveva già un preciso programma.
“Comunque, ritornando al nostro primo argomento, sei davvero sicura di quello che stai per fare?”
“Sì.”
“Ti rendi conto, vero di tutte le implicazioni che ci sono dietro, insomma è una responsabilità non da poco..”
“Non sono mai stata così sicura di qualcosa in tutta la mia vita.”
Rispose seria, guardando l’amica negli occhi.
Fren annuì convinta. Sapeva che Rain non prendeva mai decisioni alla leggera e non l’aveva mai vista così determinata.
Quando le aveva rivelato ciò che voleva fare, per poco non si era affogata nella birra che stava bevendo.
“Quando pensi di agire?”
Le chiese.
Rain finì di bere il suo caffè e mise la tazza vuota nel lavandino, poi afferrò la sua giacca, infilandosela in un gesto fluido.
“Credo che la risposta sia, adesso.”
Si autorispose l’amica.
“Ci vediamo più tardi, scoppiata.”
La salutò uscendo.
“A dopo.”
La rincorse la voce di Fren.
Camminò spedita lungo la via e in pochi minuti raggiunse la sua destinazione.
Si fermò davanti all’ingresso, sospirando, e seppellì la rabbia il più profondamente possibile dentro di sé.
Poi raddrizzò le spalle, sollevò la testa e fece affiorare sul suo viso un’espressione seria e solo vagamente minacciosa.
Non voleva spaventare nessuno, ma era ben intenzionata a chiarire a quelle persone che quella non era una visita amichevole e soprattutto che non potevano scherzare con lei.
Suonò il campanello ed attese, osservando la porta danneggiata.
Sentì dei passi avvicinarsi dall’interno e pochi istanti dopo la porta si aprì.
L’uomo la squadrò ad occhi sgranati, impallidendo leggermente.
“Buon giorno signor Lopez – disse in tutta calma – vorrei parlare con lei e con sua moglie.”
La sua non era una richiesta.
 
Labbra morbide e calde si posarono delicate sul suo collo, appena sotto al mento, solleticandola lievemente e diffondendo piccoli brividi su tutto il resto della sua pelle.
Sorridendo aprì gli occhi, tuffandosi nei due pezzi di cielo che la osservavano sognanti.
“Buon giorno.”
Bisbigliò.
Brittany si chinò su di lei, sfiorandole le labbra con le proprie.
Ora è un buon giorno.”
Rispose, quando si separarono.
Sorridendo, Santana intrecciò le dita nei suoi capelli biondi, appoggiandole la mano sulla nuca e attirandola a sé per un altro bacio.
La bionda dischiuse lievemente le labbra, invitandola ad approfondirlo, facendo scorrere delicatamente le mani lungo i suoi fianchi.
A Santana non serviva di certo un secondo invito.
La stinse forte a sé, ma anziché accarezzarla a sua volta, iniziò a farle il solletico, ghignando, mentre la bionda tentava di divincolarsi dalla sua stretta, contorcendosi tra le risate.
Si rotolarono per un po’ tra le lenzuola ridendo, perse in quel gioco.
Alla fine, si abbandonarono stanche una accanto all’altra, respirando affannosamente.
Santana fissò il soffitto in silenzio, tentando di riprendere fiato, le labbra incurvate in un sorriso.
Le dita affusolate di Brittany si strinsero alle sue e la bionda iniziò ad accarezzarle dolcemente il dorso della mano con il pollice.
Girò il viso verso di lei, perdendosi in quegli occhi azzurri e il suo sorriso si fece malizioso.
Scivolò lentamente su di lei, mai stanca di stupirsi del modo meraviglioso in cui i loro corpi sembravano fatti per incastonarsi l’uno sull’altro.
 
Dopo diversi minuti di silenziosa esitazione, il padre di Santana si era spostato dall’ingresso, permettendole di entrare e l’aveva invitata a seguirlo in cucina.
La foto di famiglia era ancora al suo posto e continuava a sfoggiare quegli sguardi spenti e quei falsi sorrisi.
Rain scosse la testa passandovi accanto, gli occhi fissi sul viso di Santana e nella mente il chiaro ricordo del sorriso meraviglioso che la ragazza le aveva rivolto la sera prima.
La signora Lopez le lanciò uno sguardo inceneritore, quando la vide entrare nella sua cucina.
Sedette al tavolo, senza attendere di essere invitata a farlo.
I coniugi si scambiarono uno sguardo, poi sedettero il più lontano possibile da lei.
Rimase impassibile, ma dentro di lei si era disegnato un ghigno feroce e soddisfatto.
“Per prima cosa, signor Lopez, vorrei chiederle scusa per averla colpita.”
Esordì osservando il livido violaceo che spiccava vistosamente sul mento e sul lato destro del viso dell’uomo.
“Non era mia intenzione farlo, è stato un riflesso dettato dalla rabbia e dall’addestramento che ho ricevuto nell’esercito.”
“Lei è un militare?”
Chiese la signora Lopez seccamente, fissandola negli occhi.
“Capitano del corpo dei Navy Seals, congedata con onore.”
Confermò.
Ed ecco spiegato da chi ha preso il suo bel caratterino..
“Cosa è venuta a fare?”
“Come immagino avrete capito dal nostro precedente.. incontro – continuò cercando di essere diplomatica – sono un’amica di Santana.”
“L’ha mandata lei? – domandò il signor Lopez con astio, parlando per la prima volta da quando si erano seduti – l’ha mandata perché spera che possa convincerci a riprenderla in casa?”
“Santana non sa che sono qui – spiegò, lasciando trapelare dal suo sguardo un po’ della rabbia che le ribolliva dentro – sono venuta ora, perché volevo sapere le vostre intenzioni nei suoi riguardi.
Non si preoccupi signor Lopez.”
Continuò dura, impedendogli di interromperla.
“Non credo che Santana sia così ansiosa di tornare a vivere qui.
Non dopo il modo in cui avete reagito quando la vostra unica figlia vi ha aperto il suo cuore, sperando di ricevere almeno un briciolo di comprensione.”
Nella sua voce si riaffacciò quel ringhio cupo e rabbioso.
Un silenzio opprimente avvolse la stanza per alcuni istanti.
“Come dicevo, vorrei sapere le vostre intenzioni nei suoi confronti. Al momento Santana vive a casa mia e potrà rimanere finché vorrà. Ora quello che vorrei sapere da voi, riguarda tutto il resto.”
“Da come parla, sembra che intenda prendere Santana sotto tutela.”
Indagò la signora Lopez guardandola con un’espressione inquisitoria, che sembrava la fotocopia leggermente invecchiata, di quella della figlia.
“Questo dipende sempre dalle vostre intenzioni, ma sì. La mia volontà è questa.”
La donna sembrò rimanere colpita dalla sua risposta e dalla sicurezza con cui l’aveva data.
“Santana lo sa?”
“Ho voluto parlare prima con voi.”
“Cosa le fa pensare di essere adatta al ruolo?”
Sputò il signor Lopez, guardandola con odio.
“Me lo fa pensare, il fatto che le voglio bene.”
Ringhiò alzandosi in piedi e sporgendosi verso di lui appoggiando le mani sul tavolo.
“Il fatto che, a differenza di voi, che in 17 anni non avete capito nulla di lei, io sia riuscita a vedere la persona meravigliosa che è vostra figlia.”
Il signor Lopez si appiattì contro lo schienale della sedia.
Rain sembrava una tigre pronta a balzare su un cacciatore che minacciava il suo cucciolo.
Respirò profondamente cercando di tenere a bada il moto di rabbia che le inondava le vene.
Ne aveva davvero abbastanza di padri bastardi e di genitori egoisti.
Con un enorme sforzo di volontà si rimise seduta, intrecciando le dita delle mani con tanta forza da bloccare la circolazione.
“Da quello che ho visto e da ciò che ho sentito oggi, mi pare di capire che per voi sarebbe solo una comodità non dover più essere i tutori di Santana. Vi costerebbe così tanta fatica firmare delle carte e affidarla a me?”
La madre di Santana la osservò a lungo in silenzio, studiandola, come per accertarsi che fosse sincera.
Rain la fissò negli occhi, sfidandola a trovare in lei la minima insicurezza su quella decisione.
“Dove devo firmare?”
Domandò bruscamente il signor Lopez, spezzando il confronto silenzioso che stava avvenendo tra loro.
Rain estrasse dei documenti dalla tasca interna della giacca e li fece scivolare sul tavolo fino a lui.
 
Erano le undici, quando Santana e Brittany entrarono nello studio tenendosi per mano.
“Buongiorno raggi di sole.”
Le accolse Fren, spostando lo sguardo dai documenti ingialliti che stava sfogliando.
“Ciao Fren – la salutò l’ispanica, mentre Brittany le si avvicinava per regalarle un abbraccio – Rain?”
“È uscita un’oretta fa.”
“Ma non è capace di starsene un po’ ferma? Che aveva di tanto importante da fare?”
Fren assunse un’espressione indecifrabile.
“Diciamo.. affari di famiglia.”
Rispose enigmatica.
 
Rain uscì da quella casa sospirando sollevata.
L’ultima ora aveva seriamente messo a dura prova la sua forza di volontà ed il suo autocontrollo.
Sorrise.
Ora doveva solo comunicare la notizia a Santana.
Spero solo che non mi uccida per non averle detto prima che intendevo farlo..
“Capitano.”
Si sentì chiamare quando era a metà del vialetto.
Si voltò lentamente verso la signora Lopez ed attese che parlasse.
La donna le si avvicinò.
“Come sta Santana?”
“Non le sembra un po’ tardi per chiederlo?”
La donna abbassò la testa.
“Credo di meritarmelo.”
Mormorò.
Le porse una cartella di documenti.
“Che cosa sono?”
“Il conto che abbiamo aperto per mandare Santana all’università.”
Rain prese la cartelletta, stupita.
“Lo so che non ho fatto molto per dimostrarlo, ma voglio bene a mia figlia. Quando vuole, può passare a prendere le sue cose.”
La donna incrociò le braccia sul petto, come Rain aveva visto fare a Santana migliaia di volte, e si voltò per ritornare in casa.
“Potrebbe non essere troppo tardi.”
Le disse prima che potesse aprire la porta.
“Se volesse, potrebbe chiederle di darle un’altra possibilità.”
La donna si voltò, fissandola con quegli occhi neri, identici a quelli di Santana.
“Non me la concederebbe mai. È troppo orgogliosa – disse con un sorriso amaro – eppure, Capitano, mi aveva detto di conoscerla.”
“È vero, è orgogliosa. Ma le assicuro che sotto tutto quell’orgoglio c’è un cuore immenso. Le conceda l’occasione di darle un’altra possibilità.. non si barrichi dietro il suo stesso orgoglio.”
“Arrivederci Capitano, e buona fortuna con mia figlia.”
La signora Lopez le rivolse un sorriso triste. Poi aprì la porta malandata e sparì dentro casa.
Rain scosse la testa.
Chissà, forse un giorno..
 
 
 
 
Angolo della pazza
 
 
Il titolo appartiene ad una canzone degli Shinedown, gran bella canzone, vi consiglio di andarvela a sentire.
 
Mmm direi che il capitolo parla per sé e non c’è bisogno che io aggiunga altro, quindi la palla passa a voi.
 
recensiteRecensiteRECENSITE!!!
 
Besitos
WilKia >.< 

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Capitolo 35
*** Get Down, Make Love ***


Get Down, Make Love
 
 
Al suo rientro, venne accolta da Kirk che le si strusciò affettuosamente contro le caviglie, in cerca di coccole.
“Ciao piccoletto.”
Lo salutò prendendolo in braccio e accarezzandogli distrattamente il pelo morbido sulla pancia.
“Ehi pazza scatenata – la salutò Fren saltellando giù dalle scale – allora com’è andata?”
Non riuscì a trattenere un sorriso enorme.
“Wow. Davvero?”
Chiese lei ricambiando il sorriso.
“Dov’è Santana?”
Domandò impaziente.
“Le due piccioncine sono andate a fare un pic-nic al parco. Mentre uscivano, la biondina saltellava tutta contenta blaterando di paperelle.”
Rain ridacchiò immaginandosi la scena, mentre lasciava andare il gattino che cominciava a farsi irrequieto tra le sue braccia.
“Ti vedo di ottimo umore.”
Commentò Fren con un sorriso sincero.
Rain abbassò lo sguardo.
“Sai, per la prima volta sento che le cose stanno iniziando ad andare bene. Insomma, so che non sarà facile e che ho preso una decisione molto impegnativa, ma.. per la prima volta da quando sono andata via, sento che sto facendo la cosa giusta.”
Fren le si avvicinò e la strinse in un abbraccio inaspettato.
Non fece in tempo a ricambiarlo che già l’amica si era allontanata per fissarla negli occhi con il suo sguardo ironico.
“Ma che ti ha fatto quella ragazzina?”
Chiese con un ghigno dandole una spintarella con la spalla.
Stava per rispondere, quando le squillò il telefono.
Tirò fuori il piccolo oggetto dalla tasca e osservò il display.
“Ehi, Burt. Dimmi tutto.”
“Rain, mi dispiace disturbarti di domenica, ma ha appena chiamato una cliente che è rimasta con una gomma a terra in mezzo alla strada. Io sono fuori con la mia famiglia e..”
“Nessun disturbo, Burt. Ci penso io. Dimmi dov’è.”
Prese una penna ed un foglietto e annotò le informazioni per raggiungere la cliente, dopodiché salutò il suo datore di lavoro augurandogli una buona domenica.
Chiuse la chiamata sospirando.
“Come vanno le ricerche? – chiese rimettendosi il cellulare in tasca – Santana ti ha dato il cofanetto?”
“Sì, stavo giusto iniziando ad analizzare il contenuto di una delle buste.”
Rain annuì.
“Bene, allora ti lascio tornare al tuo lavoro. E io andrò al mio.”
“Di domenica?”
“Intervento d’emergenza. Burt è sempre stato gentile con me, non mi dispiace fare un po’ di lavoro in più per lui. Tanto l’alternativa sarebbe infilarmi di nuovo in quella biblioteca.”
Commentò con un’alzata di spalle.
“D’accordo. Pensi di tornare per pranzo?”
“Non ne ho idea sinceramente. Comunque, se dovesse venirti fame ci sono gli avanzi di ieri in frigo. Serviti pure.”
Le disse, dirigendosi alla porta.
“Ti ringrazio della gentile concessione.”
“Ciao scoppiata.”
La salutò con un gesto della mano.
Passò in officina e caricò sul pickup uno pneumatico e gli attrezzi che le occorrevano per il montaggio, quindi indossò la tuta da lavoro e si mise in strada.
Dieci minuti dopo trovò l’auto che le aveva descritto Burt, una mustang nera e grigio metallizzato degli anni ’70, ferma sul ciglio di una stradina poco frequentata.
Accostò fermando il pickup davanti all’auto e uscì dall’abitacolo, mentre la portiera dell’altra auto si apriva e la proprietaria scendeva a sua volta per andarle incontro.
Quando i loro sguardi si incontrarono, rimasero entrambe bloccate sul posto, scrutandosi incredule.
Sentì le labbra incurvarsi nel suo mezzo sorriso e vide l’altra ricambiarlo.
Ma guarda un po’ questa non me la sarei mai aspettata.
 
Santana era seduta a terra, la schiena appoggiata al tronco di una quercia con quella che, sicuramente, era la miglior espressione da ebete innamorata mai vista.
Osservava Brittany immersa fino alle ginocchia nello stagno del parco, mentre distribuiva carezze agli anatroccoli che si erano radunati intorno a lei, attirati dalle briciole di pane che la biondina aveva gettato sulla superficie liscia dell’acqua.
Madre de Dios. Sei nei guai Santana Lopez.
Pensò scuotendo la testa in un gesto autoironico.
In quel momento Brittany si voltò verso di lei rivolgendole uno dei suoi sorrisi più dolci e innamorati, e si perse completamente nell’azzurro di quegli occhi che non avevano nulla da invidiare al cielo.
Sei decisamente in grossi guai. Enormi.
Ammettilo. Sei completamente in balia di quell’adorabile, stupenda biondina.
Ah Brittany, che cosa mi hai fatto?!
Sospirando, ricambiò il suo sorriso.
Per lei era praticamente impossibile non farlo.
Le bastava vedere quel visino sorridente e subito le sue labbra si incurvavano, completamente indipendenti dalla sua volontà.
Non che non ci avesse provato. Sapeva bene che la sua reputazione di stronza n°1 del McKinley rischiava di andare a farsi benedire se gli sfigati l’avessero vista sorridere come un’idiota alla sola comparsa di quei capelli biondi e di quello sguardo trasparente.
Ma era più forte di lei e alla fine aveva rinunciato a lottare, decidendo, come misura precauzionale, di intensificare il suo programma di frecciatine ed insulti vari verso.. tutto il resto del mondo.
La bilancia così si era riequilibrata.
Le piaceva quell’angolo del parco.
C’erano molti cespugli dietro cui rifugiarsi per poter stare tranquille e lontane da sguardi indiscreti.
E poi c’era il laghetto con la sua piccola colonia di paperelle che sopravviveva quasi solo grazie alle tonnellate di briciole di pane che Brittany portava loro regolarmente.
Brittany salutò un’ultima volta i suoi amici anatroccoli e risalì la riva del laghetto, saltellando allegra verso di lei.
Dios mio. Quanto è bella!
La bionda la raggiunse e sedette tra le sue gambe, appoggiando la schiena contro il suo petto e prendendole le mani per farsi abbracciare.
Santana respirò a fondo, inebriandosi del suo profumo, stringendola forte tra le braccia e appoggiò la guancia sulla sommità della sua testa, strusciandola piano contro quei capelli biondi.
Si lasciò invadere da quella meravigliosa sensazione di calore, che da un punto imprecisato dentro il suo petto si espandeva dolcemente dentro di lei ogni volta che la sua paperella si trovava tra le sue braccia.
Affondò il viso tra quei capelli profumati, avvicinando le labbra al suo orecchio e vi posò un bacio leggero.
“Ti amo Brittbritt.”
 
“Rain.”
La salutò la ragazza con un cenno della mano.
“Ciao, Lara.”
Rain scrutò quegli occhi grigi e quelle labbra carnose e sensuali.
Riusciva ancora a ricordarne il sapore, in fondo era passata una sola settimana da quando le aveva assaggiate.
Non poté impedire alla sua mente di richiamare il ricordo di quella notte, passata con la pelle di quella ragazza che scivolava sulla sua.
E dallo sguardo che le rivolsero quegli occhi grigi, capì che anche lei stava pensando alla stessa cosa.
La ragazza indossava una camicia nera a righine, sbottonata in modo da lasciare una generosa scollatura, infilata in un paio di jeans piuttosto stretti che facevano risaltare perfettamente le sue forme e una giacca di pelle chiara.
Vide i suoi occhi squadrarla attentamente e un sorriso malizioso incurvarle le labbra.
“La tuta da meccanico ti dona.”
Commentò con una lieve risata nascosta nella voce.
Rain non vi trovò scherno, anche lei considerava quella situazione divertente.
“Scommetto che dopo essertene andata silenziosamente da casa mia nel cuore della notte, non ti aspettavi di rivedermi, vero?”
Non era un rimprovero, quando si erano tuffate insieme tra le lenzuola della bionda sapevano entrambe che la mattina lei sarebbe già stata lontana da quella casa.
Rain ricambiò il suo sorriso.
“Di sicuro non così presto.”
Spostò un paio di volte lo sguardo tra lei e  la macchina.
“Non ti avrei immaginata al volante di un simile gioiellino.”
Commentò inclinando leggermente la testa.
“Sono una nostalgica a cui piace correre veloce – rispose lei con quella sua voce lievemente roca e graffiante – che ci posso fare?”
Rain ricambiò il suo sorriso malizioso, poi si riscosse ricordando il motivo per cui era lì.
Si arrampicò sul retro del pickup e scaricò lo pneumatico nuovo e gli attrezzi.
“Benissimo, cenerentola. – esclamò con il suo mezzo sorriso, avvicinandosi alla ruota a terra – vediamo di rimetterti la scarpetta perduta.”
Le era capitato altre volte di rincontrare le sue avventure di una notte, ma quando accadeva loro fingevano di non vederla, oppure sprofondavano in un pesante silenzio imbarazzato.
Le piaceva la sicurezza di Lara, che continuava a guardarla dritta negli occhi e non aveva cambiato il suo atteggiamento malizioso e provocante solo perché si erano incontrate alla luce del giorno e non avevano litri di alcol che scorrevano nelle vene.
Si sentì i suoi occhi grigi addosso, mentre si chinava a sostituire la gomma bucata.
“Così fai il meccanico.”
“Già.”
Rispose semplicemente, impegnata a svitare un bullone.
La sera che si erano incontrate non avevano parlato molto, avevano preferito conoscersi da un altro punto di vista, pensò con un ghigno.
Spostò lo sguardo su di lei e capì che stava pensando la stessa cosa.
“Non l’avrei mai detto.”
“Bene, così siamo pari.”
Rispose divertita.
“In realtà, no.”
Commentò Lara.
Riportò l’attenzione su di lei, inarcando un sopracciglio.
“Tu sai dove vivo.”
Spiegò lei con un sorriso sensuale.
Annuì e si riconcentrò sul suo lavoro mascherando un sorriso compiaciuto.
Lara stava di nuovo giocando con lei, e non poteva negare che la cosa le piacesse.
La bionda si era subito piazzata nelle posizioni più alte della classifica delle sue amanti occasionali e non le sarebbe dispiaciuto avere un secondo assaggio, non fosse stato per la sua regola autoimposta che glielo vietava.
“Quindi non hai intenzione di dirmelo? Intendo, dove vivi..”
“No, in effetti no.”
“Ah, capisco – ridacchiò la ragazza – minerebbe quell’aria misteriosa di cui ami circondarti. E dimmi, per rimorchiare funziona?”
“Non lo so, dimmelo tu.”
La punzecchiò ricambiando il suo sguardo provocante e ottenendo un altro di quei sorrisi sensuali.
Finì di montare la ruota e si rialzò pulendosi le mani in uno straccio.
“Ecco fatto cenerentola, puoi tornare al ballo.”
“Grazie mille, Rain. Quanto ti devo?”
Infilò una mano in tasca e le porse uno scontrino.
“Mi paghi solo il prezzo dello pneumatico, il montaggio lo offre la casa.”
“Avanti, non essere ridicola. Ti ho fatto lavorare di domenica..”
Scrollò le spalle con fare indifferente rivolgendole il suo mezzo sorriso.
“Non è stato un disturbo.”
La bionda le porse il denaro e la fissò profondamente negli occhi.
“Allora permettimi almeno di offrirti il pranzo.”
Quello sguardo lasciava bene intendere che, al momento, il cibo era l’ultima cosa che aveva in mente.
Rain era indecisa.
Lara le piaceva e tra loro c’era molta chimica, non poteva negarlo.
Ma stava navigando in acque sconosciute.
Aveva avuto un buon numero di amanti, ma lato fisico escluso, non aveva mai veramente conosciuto nessuna di loro e nessuna aveva conosciuto lei.
Da loro non aveva mai cercato altro che l’avventura di una notte, e per loro era stato lo stesso.
Si erano solo usate l’un l’altra per sfogare i propri istinti, per poi tornare ognuna alla propria vita con il tacito e comune accordo di non rincontrarsi mai più, fingendo di non vedersi se fosse capitato.
“Seguimi.”
Ammiccò Lara salendo in macchina e mettendo in moto.
Rain rimase un istante a guardare la mustang  che si allontanava lungo la strada, indecisa su cosa fare, poi salì sul pickup, mise in moto e accelerò per raggiungerla.
 
“Squeak squikel. Squikky!”
Stava dicendo una serissima Brittany ad un alquanto perplesso lord Tubbington.
La biondina era sul divano di casa Pierce, comodamente stesa tra le gambe di Santana, la schiena adagiata contro di lei e la testa sul suo petto, che si godeva beatamente le carezze e i baci che l’ispanica continuava a lasciarle tra i capelli e sul viso.
Rientrando dal pic-nic al parco si erano messe comode, indossando entrambe dei pantaloncini e una canottiera, poi la ballerina aveva proposto di guardare un cartone animato e si erano spostate in salotto.
Stavano guardando per l’ennesima volta “Le follie dell’imperatore” e quando l’enorme gattone di casa si era andato ad accucciare sull’addome della sua padroncina (con enorme fastidio della latina) la biondina aveva iniziato a parlargli, come nel cartone faceva Kronk con uno scoiattolo.
Come ogni domenica pomeriggio la casa era deserta consentendo alle ragazze di starsene tranquille e godere della reciproca compagnia senza doversi per forza rinchiudere nella stanza della ragazza.
“Britt, perché continui a parlargli così? – le domandò divertita – è un gatto, non uno scoiattolo.”
“Lo so benissimo, San. Ma quest’anno lord T. si è candidato alla carica di ambasciatore e deve imparare lo scoiattolese se vuole ottenerla.”
Rispose la bionda con fare ovvio per poi ricominciare a chiacchierare con il gattone.
Santana rise davanti all’espressione esasperata di quell’ammasso di lardo e pelo, che nonostante tutto, non si decideva a levarsi di torno e lasciarle Brittany tutta per sé.
Per tutta risposta il felino le rivolse uno sguardo di puro astio, iniziando a strusciare la testa contro la mano della sua padrona, facendo le fusa.
Maledetta bestiaccia obesa e leccaculo che non sei altro.
L’ispanica non aveva nulla contro i gatti, anzi le piacevano molto.
Con il piccolo Kirk andava d’amore e d’accordo.
Ma lei e lord Tubbington non si erano mai sopportati e la causa del loro odio reciproco erano le attenzioni della biondina sdraiata contro di lei.
La mano libera di Brittany iniziò ad accarezzarle lievemente il polpaccio scivolando su e giù dalla caviglia fino all’incavo dietro il ginocchio, solleticandola appena e scatenandole un’ondata di brividi lungo la schiena.
Ah! Prova a battere questo bestiaccia.
Pensò, mentre lasciava scivolare le sue dita sulla guancia liscia della sua biondina, proseguendo poi lungo la linea del mento e da lì raggiungerne il collo.
Brittany smise di parlare in scoiattolese con il micio e sospirò, sollevando la testa per agevolare le carezze della latina, girandola leggermente per incontrare i suoi occhi.
Sorridendole, Santana si chinò in avanti, depositandole un lieve bacio sulla punta del naso, strappandole una risata.
Prima che potesse risollevarsi, la ballerina l’afferrò per la nuca impossessandosi delle sue labbra, mentre l’altra mano scivolava un po’ più in su lungo la sua gamba.
La biondina le mordicchiò lievemente le labbra invitandola dolcemente a dischiuderle.
Le loro lingue si accarezzarono piano, senza fretta, assaporandosi pazientemente per poter godere appieno quel momento.
Brittany smise di trattenerla e spostò la mano sulla sua che si era fermata alla base della sua gola.
La trascinò lentamente sul suo seno, per poi stringere le dita intorno alle sue, con un lieve gemito.
Santana sorrise sulle labbra della sua ragazza, quando questa con un gesto gentile, ma risoluto fece scendere lord Tubbington dal suo addome.
Poi le dita sottili di Brittany le si chiusero intorno all’altro polso e subito dopo sentì sotto i polpastrelli la pelle liscia dei suoi addominali, e il gattone divenne l’ultimo dei suoi pensieri.
“Squick squeekely, San.”
Bisbigliò Brittany sulle sue labbra.
Sorrise.
“Ti amo anche io paperella.”
 
Rain fissò il soffitto bianco sopra di sé, tentando di regolarizzare il respiro affannato.
Accanto a lei, Lara stava facendo lo stesso.
Avevano lasciato le auto davanti alla casa della bionda ed avevano pranzato in un locale semplice e accogliente, lì vicino.
Rain aveva scoperto in lei una persona estremamente piacevole con cui passare il tempo.
Mentre pranzavano, tra una chiacchiera e l’altra, non avevano fatto altro che mangiarsi con gli occhi e una volta che ebbero pagato il conto e furono tornate davanti a casa di Lara, non avevano potuto evitare di finire di nuovo a rotolarsi tra le sue lenzuola.
Ora che non era ottenebrata dall’alcol aveva constatato che la ragazza era ancora meglio di quanto ricordasse.
Si girò verso di lei e la bionda catturò le sue labbra in un bacio passionale, dopo di che si scostò da lei, fissandola con quegli occhi grigi sempre così schietti.
“Vado a farmi una doccia – bisbigliò contro le sue labbra – mi piacerebbe ritrovarti qui quando uscirò, ma non sentirti obbligata a restare se non vuoi.”
La baciò di nuovo, poi si alzò dal letto dirigendosi in bagno, senza curarsi di coprirsi minimamente.
Rain la seguì con lo sguardo, studiando avidamente le forme perfette di quel corpo candido.
Si lasciò ricadere sul materasso, passandosi le mani sul volto.
Non era abituata a quella situazione e non era sicura che le piacesse.
Rimase alcuni minuti ancora a contemplare il soffitto, ascoltando il suono dell’acqua che proveniva dalla porta socchiusa del bagno.
Cercò di immaginare cosa sarebbe successo una volta che Lara fosse ritornata in camera, cosa avrebbe potuto dirle, come si sarebbe dovuta comportare.
Ma per quanto si sforzasse, proprio non riusciva a focalizzare quel momento nella sua mente.
Si girò, affondando il volto tra le lenzuola.
Si sentiva profondamente inadeguata e fuori posto.
Prese un ultimo respiro da quelle lenzuola tiepide, poi si alzò e si rivestì in fretta.
Gettò un ultimo sguardo verso il bagno.
“Mi dispiace.”
Mormorò, prima di fuggire via.
Affondò le mani nelle tasche alla ricerca delle chiavi del pickup e le sue dita sfiorarono un rettangolino di cartone che era certa prima non ci fosse.
Lo afferrò estraendolo dalla tasca.
Era un semplice biglietto di cartoncino su cui erano state vergate poche parole in una calligrafia elegante e piena di carattere.
 
Immaginavo che non saresti rimasta.
Pazienza, me ne farò una ragione.
Chiamami nel caso ci ripensassi.
Lara
 
Sentì le labbra incurvarsi, mentre girava il cartoncino.
 
Lara Mason – declamava – editrice.
 
Subito sotto erano riportati due numeri di telefono.
Sollevò un sopracciglio, stupita.
Così si occupa di libri.. questa donna è una sorpresa continua.
Infilò il biglietto nel portafoglio, poi salì sul pickup.
Stava per avviare il motore quando la suoneria del suo cellulare la informò dell’arrivo di un messaggio.
 
Ehi, stordita che fine hai fatto?
Scusami tanto, ma credo proprio che mi prenderò una piccola vacanza dalle tue indagini..
Razor ha tre giorni di licenza e sto andando a prenderlo all’aeroporto.
Magari facciamo un salto da te domani, così lo saluti, a meno che non decidiamo di stare sempre chiusi in albergo.. in quel caso lo saluterai un’altra volta.
F.
 
Rain scosse la testa, sorridendo.
Era tanto che non rivedeva il ragazzo di Fren.
Razor era un buon amico e in battaglia si erano coperti le spalle a vicenda parecchie volte.
 
Sei più che scusata.
Salutami Razor e magari, vedi di farlo anche riposare un po’, non spomparlo completamente.
Ti voglio bene scoppiata.
R.
 
 
Quando arrivò a casa di Rain, Santana aveva un sorriso enorme stampato sulle labbra.
Era stata una giornata a dir poco perfetta.
Affacciandosi alla porta della cucina a spiare ciò che faceva l’ex-soldato, pensò che non poteva esserci più degna conclusione per quel giorno.
Rain era davanti ai fornelli, intenta a preparare la cena.
Aveva una bandana nera legata intorno alla testa, la metteva sempre quando cucinava dato che i suoi capelli erano troppo corti per poterli legare.
Come sempre la cucina era invasa dalla musica e Rain cantava a squarciagola, facendo roteare in aria il coltellaccio che stava usando per tritare della cipolla.
“Tu sei pericolosa. Te ne rendi conto, vero?”
Domandò con un ghigno.
L’amica sollevò lo sguardo su di lei, rivolgendole quel suo ormai familiare mezzo sorriso.
“Ehi, ragazzina. Bentornata. Cominciavo a temere che ti avessero rapita gli alieni.”
“Sono stata molto impegnata oggi.”
“Vedo. Lo si capisce da quel sorriso ebete che hai stampato in faccia.”
Le si affiancò davanti ai fornelli e sollevò il coperchio di una pentola nel tentativo di sbirciarne il contenuto, ma l’ex-soldato le colpì la mano con il manico del coltello.
“Niente anticipazioni.”
Sibilò socchiudendo gli occhi con aria scherzosamente minacciosa.
“Va bene, va bene – borbottò alzando le mani in segno di resa – volevo rendermi utile facendoti da assaggiatrice ufficiale, ma dato che hai rifiutato il mio aiuto,  non lamentarti poi se scoprirai di aver cucinato una schifezza.”
“Perché invece non ti rendi utile apparecchiando la tavola?”
Ridacchiò Rain.
“Eeeh – sospirò alzando gli occhi al cielo, mentre prendeva i piatti – quanta ignoranza. Le mie doti non vengono riconosciute e il mio talento finisce per essere sprecato.”
“Bastano solo due piatti – le disse l’amica ridendo per la sua uscita -  Fren non c’è.”
Si voltò verso di lei, inarcando le sopracciglia nella sua espressione interrogativa.
“Razor, il suo fidanzato, ha tre giorni di licenza.. – spiegò con fare ovvio – e non si vedono da 4 mesi.”
“Ooooooh. Quindi non la vedremo per i prossimi tre giorni. Capito.”
Ghignò, mentre finiva di apparecchiare.
“Senti, manca molto? Sto morendo di fame.”
“Ah sì? Mi domando il perchè..”
Sogghignò Rain appoggiandole la punta dell’indice alla base del collo, dove Brittany le aveva lasciato un succhiotto.
Abbassò gli occhi sentendo un vago calore salirle alle guance.
L’amica ridacchiò e le depositò un bacio sulla fronte.
“Sarà pronto in cinque minuti, perché non vai a metterti comoda?”
“Ok.”
Esclamò in fretta, cogliendo al volo l’occasione per defilarsi, togliendosi dall’imbarazzo.
Quando, cinque minuti dopo, tornò in cucina, Rain aveva appena finito di impiattare.
“Et voila, spaghetti alla Lilly e il vagabondo. Prego, si accomodi.”
La invitò l’ex-soldato con un ampio gesto della mano e con un sorriso ancora più ampio.
Durante la cena Santana le raccontò della sua bellissima giornata con Brittany, gustandosi quei meravigliosi spaghetti al sugo con le polpette fatte a mano dall’amica.
Rain l’aveva ascoltata attentamente, senza mai interromperla.
Adorava il suo modo di ascoltare veramente quello che diceva, guardandola dritta in volto per poter anche osservare le sue espressioni, oltre che sentire le sue parole e la sua voce.
“Come siamo silenziose questa sera – commentò, mentre sparecchiavano – ho parlato solo io. Tu che hai combinato oggi?”
Vide l’espressione di Rain farsi molto seria.
“È successo qualcosa?”
L’ex-soldato abbandonò i piatti sporchi nel lavandino e la guardò negli occhi.
“Ti devo parlare di una cosa.. – esordì – vieni, sediamoci.”
Corrugò la fronte confusa, e tornò a sedersi al tavolo.
Rain si mise accanto a lei e rimase per un attimo in silenzio, studiando la cicatrice che si stava formando sulla sua mano ormai in via di guarigione.
Sembrava stesse faticando a trovare le parole.
“Rain, che succede? Mi stai facendo preoccupare.”
La donna sollevò il viso e incontrò il suo sguardo, rivolgendole il suo mezzo sorriso per rassicurarla.
“Mi dispiace dover tirare fuori questo argomento proprio oggi, ma prima o poi avremmo dovuto affrontare questo discorso e ormai non si può più rimandare.”
Abbassò di nuovo lo sguardo per un momento, per poi rincontrare i suoi occhi.
“Santana, tu.. non puoi rimanere qui con me. Non perché io non ti voglia – si affrettò ad aggiungere – al contrario. Il problema è che sei ancora minorenne e di conseguenza, sotto la tutela legale dei tuoi genitori.”
A Santana per un attimo era mancato il respiro, aveva avuto davvero paura che Rain stesse per dirle che doveva andarsene.
“Anche se tu ora vivi qui a tutti gli effetti, dal punto di vista legale è come se non te ne fossi mai andata di casa. Come se con i tuoi non fosse successo niente. Capisci?”
Santana abbassò lo sguardo.
Non ci aveva mai pensato.
Andare via di casa era solo la punta dell’iceberg. C’erano tutta una serie di complicazioni che non aveva nemmeno preso in considerazione.
“Per farti un esempio banale, se dovesse venirti la febbre, mentre sei a scuola, dovrebbe venirti a prendere tua madre o tuo padre. Se combinassi qualche casino, Figgins manderebbe a chiamare loro. E queste sono solo banalità. Capisci il mio discorso?”
Annuì mestamente, mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di lacrime.
Odiava quella situazione.
Una mano calda e forte si strinse sulla sua.
Sollevò di nuovo lo sguardo, incontrando quegli occhi scuri.
“Non voglio – bisbigliò, la gola serrata in un nodo – non voglio continuare a dipendere da loro.”
“Potendo farlo, ti piacerebbe rimanere qui con me?”
Annuì lasciando che una lacrima scivolasse via dai suoi occhi.
“Cosa mi diresti, se stessi pensando di fare domanda per essere il tuo tutore legale?”
Il suo cuore perse un battito.
Non era sicura di aver capito bene.
“C-che cosa?”
“Vorrei essere io la persona che si occupa di te. La persona che va a parlare con Figgins perché sei stata beccata a minacciare un tuo insegnante – continuò con quella sua voce calda e rassicurante, rivolgendole un lieve sorriso – o che ti viene a prendere perché sei in infermeria con la febbre alta.”
Fece una pausa.
“Se tu vuoi, mi piacerebbe che questa sia davvero casa tua, a tutti gli effetti.”
Concluse sfiorandole la guancia con le dita, per asciugarle le lacrime.
“Rain, io.. – sospirò – non so che dire. Insomma, sei sicura di..”
“Se non fossi assolutamente certa di questa decisione, non avrei nemmeno iniziato il discorso.”
La interruppe.
“Ci ho pensato a fondo e ho valutato tutti i pro e i contro e ho tutti i documenti pronti. Ora sta a te. Dimmi, vuoi che inoltri la domanda?”
Santana non riuscì a trattenersi e si gettò tra le sue braccia, singhiozzando come una bambina.
Si sentì stringere forte e subito fu invasa da quello strano senso di sicurezza che la avvolgeva sempre, quando Rain l’abbracciava.
“Questo significa che posso procedere?”
Bisbigliò Rain al suo orecchio.
Annuì contro la sua spalla, incapace di parlare.
Sentì un lieve bacio posarsi tra i suoi capelli.
“Allora sarà la prima cosa che farò domattina.”
Santana la strinse ancora più forte.
“Grazie.”
Riuscì a mormorare.
“Ti voglio bene Rain.”
“Ti voglio bene anche io, ragazzina.”
 
 
 
Angolo della pazza
 
Seeeeeeeeeee la white syndrome è passataaaa!!! :D
Vi chiedo umilmente perdono per avervi lasciato a bocca asciutta per tutto questo tempo, ma l’ispirazione mi aveva totalmente abbandonata.. ha preso e se ne è andata in vacanza lasciandomi per giorni interi a fissare lo schermo bianco del computer con un encefalogramma piatto per non dire depresso.
Spero che questo bel capitolone sia sufficiente a farmi perdonare per l’attesa.
 
A causa di Lara, la mia fratellina non mi parla più.. :(
A lei e a tutte le sue colleghe che shippano Raineè dico solo: Non disperate.
Non so ancora come andranno le cose tra Rain e Lara, Rain non mi ha ancora detto nulla.
 
Il titolo appartiene ad una canzone dei mie megadorati Queen.
 
Fatemi sapere che pensate del capitolo in generale e anche di Lara.
 
Vi amoooooo
 
Bacioni
WilKia >.< 
 

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Capitolo 36
*** Three Little Birds ***


Three Little Birds
 
 
 
Aprì gli occhi lentamente e si stiracchiò sorridendo.
Era una vita che non dormiva così bene.
Il suo sorriso si allargò pensando alla stupenda biondina che era la causa dei suoi bei sogni.
Si voltò nel letto e osservò l’altra artefice del suo benessere.
Quel tormentato, malinconico e solitario angelo custode caduto dal cielo, che l’aveva trovata e presa sotto la propria ala, nell' esatto momento in cui aveva più bisogno di lei.
Ancora non riusciva a capire cosa l’avesse spinta a fidarsi così ciecamente di lei fin dal primo istante.
Ma in qualche modo, quando i loro sguardi si erano incontrati per la prima volta, lei aveva saputo di potersi fidare di Rain, che quell’incontro avrebbe cambiato le cose per entrambe e le avrebbe cambiate in meglio.
L’ex-soldato dormiva tranquillamente.
Santana le sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, sorridendo al pensiero di tutti i piccoli passi che Rain stava facendo. Ogni giorno che passava vedeva il suo sguardo un po’ più limpido e il suo corpo tendeva a scattare sempre meno ai contatti inattesi, soprattutto in sua presenza.
Si alzò piano dal letto, sperando di non svegliare l’amica e si stupì molto quando ci riuscì.
Si tuffò nell’armadio e iniziò a scrutare i suoi vestiti per decidere cosa indossare quel giorno a scuola.
Kirk entrò nella stanza sbadigliando e iniziò a strusciarsi tra le sue caviglie.
“Buon giorno anche a te, soldo di cacio.”
Mormorò, chinandosi per regalargli una carezza.
Dietro di lei, Rain iniziò a mugolare nel sonno.
Si voltò e la osservò rotolare tra le coperte, senza riuscire a trattenere un lieve sorriso.
“Mmmhmm. Sì continua...”
Mugugnò la ragazza rigirandosi.
Santana sgranò gli occhi.
Dios mio! Non starà sognando quello che penso...
Un altro paio di mezze frasi dell’ex-soldato confermarono i suoi sospetti.
Si riavvicinò al letto e scosse gentilmente Rain per una spalla, chiamandola piano.
Rain si rizzò subito a sedere, guardandosi intorno con gli occhi scuri ancora semi chiusi, ma già vigili e attenti.
“Cosa? Che c’è?”
L’ispanica rise sommessamente.
“Non lo so, dimmelo tu - disse inarcando le sopracciglia, divertita – ho interrotto qualcosa?”
“Ehm, è tardi. Credo che andrò a fare la doccia.”
Esclamò Rain evasiva, alzandosi in fretta dal letto e dileguandosi dalla camera a passo svelto.
“Ahahah! Una vera maestra nell’arte della ritirata strategica, eh Kirk?”
“Meow?!”
Rispose il gattino perplesso.
Quando scese, Rain era già in cucina indaffarata a preparare la colazione.
Sedette al tavolo e guardò l’amica di sottecchi.
“Allora? Chi è?”
Le chiese a bruciapelo, quando la donna la raggiunse, consegnandole un piatto pieno di pancakes fumanti.
“Chi è chi?”
Domandò Rain vaga ravviandosi con una mano i capelli umidi.
“La ragazza che ti ha quasi fatto violentare il materasso stamattina – rispose con la sua miglior espressione da stronza dipinta sul volto – spero non fosse Storm... non mi piace l’idea di condividere il letto con una necrofila.”
Rain la guardò storto e Santana si morse la lingua.
Aveva decisamente esagerato.
“Scusa. Battuta infelice... sono talmente abituata a fare la stronza che a volte mi si inserisce il pilota automatico senza che me ne accorga.”
Si scusò, sinceramente dispiaciuta.
Rain annuì e prese un lungo sorso di caffè.
“Allora immagino fosse Reneè…”
Ritornò all’attacco la latina, dopo alcuni istanti di silenzio.
L’ex-soldato la guardò da sopra la sua tazza e scosse la testa.
Santana rimase pensierosa per un momento.
“Non sarà la mia Britt, vero? Sappi che ho ucciso per molto meno.”
“Ahahah. Tranquilla ragazzina. Adoro Britt e sicuramente è una ragazza stupenda, ma non ho mai pensato a lei in quel modo.”
Santana la guardò di sottecchi con una domanda più che ovvia dipinta sul volto.
“Assolutamente no! – esclamò Rain intuendo subito la sua allusione – Non ho mai pensato nemmeno a te in quel modo. Andiamo, Santana. Per chi mi hai presa?”
“Per qualcuno che sa riconoscere una strafiga, quando ne vede una.”
Rispose l’ispanica con uno dei suoi sorrisi seducenti.
L’ex-soldato ridacchiò.
“Infatti è così. Sei sicuramente una delle ragazze più belle che abbia mai visto, ma ciò non toglie che l’idea mi sembra… strana. E comunque abbiamo dormito insieme quasi tutte le notti da quando ci siamo conosciute. Di certo le occasioni non mi sarebbero mancate, se avessi voluto. Ti pare?”
Santana annuì.
“Volevo solo esserne sicura. E tanto per la cronaca, lo trovo anche io un pensiero strano.”
“E comunque tu hai la tua bella e dolcissima biondina, che te ne fai di un relitto come me?”
Ridacchiò Rain, abbassando lo sguardo sul suo piatto e infilzando un pancake con la forchetta.
“Ehi – la richiamò – guarda che anche io so riconoscere una strafiga, quando la vedo e se non mi sembrasse così strano, ci avrei fatto ben più di un pensierino.”
Le disse piano, rivolgendole un sorriso.
“Quindi chi è? – tornò di nuovo all’attacco – non Fren spero…”
“Oddio, sei pazza? Che immagine, così di prima mattina. Voglio bene a Fren ed è sicuramente una bella ragazza, ma… NO!”
Santana rise davanti all’espressione corrucciata dell’amica.
“Non la conosci, è inutile che ti arrovelli la materia grigia.”
Inarcò le sopracciglia incuriosita, mentre Rain si alzava per mettere i piatti della colazione nel lavello.
“Ehi, soldato. Dove scappi? L’interrogatorio non è ancora finito.”
La donna rise e si voltò verso di lei appoggiandosi al piano della cucina a braccia incrociate.
“Ti hanno mai detto che, quando ti ci metti, sei peggio di una zecca?”
Le domandò sollevando le sopracciglia, esasperata.
“Ammetto che no, questa non l’avevo ancora sentita. E adesso sputa il rospo.”
Rain sospirò.
“Si chiama Lara. L’ho conosciuta la sera che ti ho aiutata a fare quella piccola irruzione a casa di Britt. Io e Fren siamo andate a giocare a biliardo e a bere, come facevamo ai vecchi tempi e lei era nel locale...”
“Quando dici che l’hai conosciuta – la interruppe – intendi…”
Lasciò la frase in sospeso, inarcando le sopracciglia con fare ovvio.
“Si, piccola ninfomane che non sei altro. Ci sono stata a letto. E no, non aggiungerò altro in proposito.”
“Non ce n’è bisogno – ridacchiò – il modo in cui ti contorcevi tra le lenzuola stamattina mi ha già detto tutto.”
L’ex-soldato alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
“Deve saperci davvero fare, se si fa sognare dopo più di una settimana. Ed eri pure mezza ubriaca.”
“Non dopo una settimana – rispose Rain – ci siamo riviste ieri.”
Santana aggrottò le sopracciglia inclinando la testa da un lato.
“Ieri?”
“Sì, ci siamo incontrate per caso. Abbiamo pranzato insieme e poi siamo tornate a casa sua.”
Spiegò la donna.
L’ispanica si corrucciò ancora di più.
“Intendi rivederla?”
Domandò in tono più scocciato che curioso.
Rain la squadrò, perplessa.
“Non lo so ancora – rispose – ammetto che non mi dispiacerebbe, ma…”
Alzò le spalle.
“Non lo so, già il fatto di esserci stata due volte e di aver pranzato con lei, è una novità per me. Non ho mai avuto una vera relazione e devo ancora capire se me la sento di iniziare qualsiasi cosa con qualcuno.”
“Ma ci stai pensando, insomma…”
Venne interrotta da uno scampanellio allegro.
 
Rain guardò Santana, perplessa.
Non capiva la reazione che la ragazza stava avendo, sembrava infastidita, quasi arrabbiata.
L’ispanica stava per chiederle qualcosa, ma fu interrotta da uno scampanellio inconfondibile.
Rain sorrise.
“Riprendiamo il discorso più tardi.”
Disse dirigendosi all’ingresso.
Aprì la porta e rivolse un gran sorriso al ragazzo che si trovò davanti.
Corti capelli castani chiari, ridenti occhi verdi e fisico atletico e slanciato, era parecchio più alto di lei.
Quasi non fece in tempo ad aprire completamente la porta, che il ragazzo si tuffò su di lei stringendola in un forte abbraccio e sollevandola da terra.
“Ahahah. Razor, vecchio orso che non sei altro. Mettimi giù immediatamente.”
“Non ci penso nemmeno – rispose lui sollevandola ancora più in alto – non capita spesso di avere Rain la terribile alla propria mercé e intendo approfittarne finché posso.”
Il ragazzo la sistemò intorno alle proprie spalle ed entrò in casa, seguito da una Fren più saltellante e sghignazzante che mai.
“Razor, piacere di conoscerti.”
Esclamò allegro, porgendo la destra a Santana che la strinse ridendo.
“Razor. Lo sai che ti voglio bene, ma se non mi metti giù entro un nanosecondo sarò costretta ad umiliarti davanti alla tua ragazza.”
Disse in tono falsamente arrabbiato.
“Primo, non ci riusciresti. Secondo non lo faresti mai.”
“Mi stai sfidando, sergente?”
“Oh. Tiriamo fuori i gradi eh, capitano?”
Rain si rivolse a Santana con un ghigno.
“Hai visto, ragazzina? Io ho provato con le buone, tu mi sei testimone.”
La ragazza annuì rivolgendole un sorriso divertito.
“Ultima possibilità Razor. Mettimi giù o entro trenta secondi sarai a terra, immobilizzato e con l’orgoglio calpestato.”
“Staremo a vedere.”
Rispose lui rinsaldando la presa sul suo corpo con un divertito scintillio competitivo negli occhi.
“Come vuoi tu. Pronto? 3, 2, 1…”
Con un movimento rapido e fluido riuscì a divincolarsi dalla sua stretta, aggrappandosi ai suoi abiti per non cadere a terra e per sviluppare una contropresa con cui immobilizzarlo.
“Avanti, amore. Falle vedere chi sei!”
Gridò Fren per incitare il suo uomo.
“Forza, Rain.”
Esclamò Santana di rimando.
Lottarono silenziosamente per alcuni secondi, finché Rain non riuscì a schiacciare Razor faccia a terra, intrappolandogli le braccia dietro la schiena e puntandogli un ginocchio tra le scapole.
Santana si gettò a terra accanto a loro e batté la mano sul pavimento per cinque volte, come un arbitro del wrestling.
“La vincitrice.”
Decretò poi, alzandosi e prendendole una mano che sollevò verso l’alto.
“Spero che la lezione ti sia servita.”
Ghignò porgendo una mano al ragazzo per aiutarlo ad alzarsi.
“Dannazione, capitano. L’aria dell’Ohio ti fa bene – esclamò lui accettando l’aiuto – sei ancora più forte di quanto ricordassi, ma quanto ti sei allenata?”
“Oh, parecchio.”
Esclamò Santana ridacchiando.
“Non vale – intervenne Fren – lui è stanco. È appena tornato e…”
“E con te nei paraggi non avrà dormito per niente.”
La interruppe Rain con un ghigno.
“Doveva pensarci prima di sfidarmi.”
Fren abbassò lo sguardo con aria colpevole.
“Oh, miss sarcasmo messa a tacere con una battutaccia scontata – esclamò stupita e divertita, per poi riportare lo sguardo sul ragazzo – ma che le hai fatto stanotte?”
Lui si strinse nelle spalle e guardò la sua ragazza con un sorriso sornione che lei ricambiò arrossendo lievemente.
“Oddio ragazzi, smettetela. Già avere le due piccioncine che mi girano per casa mi fa alzare la glicemia – ghignò all’indirizzo di Santana, che si allungò verso di lei per darle uno scappellotto – se vi ci mettete anche voi rischio il coma diabetico.”
Concluse schivando il colpo della latina, ridendo.
“È inutile che continui, non riuscirai mai a beccarmi.”
Le disse facendole la linguaccia.
“Lo vedremo.”
Rispose la ragazza ricambiando il gesto.
“Oh, ma quanto siete carine.”
Le prese in giro Razor.
Rain e Santana si voltarono contemporaneamente verso di lui, con due identici sguardi inceneritori.
“Ehi, ehi. Calmatevi ragazze, stavo solo scherzando.”
Esclamò indietreggiando con le mani alzate in segno di resa.
Rain rivolse uno sguardo d’intesa all’ispanica, che mosse la testa impercettibilmente.
Si voltarono di nuovo verso il ragazzo, fissandolo in volto con le loro migliori espressioni minacciose e iniziarono ad avanzare lentamente verso di lui.
Rain intercettò lo sguardo divertito di Fren che annuì garantendole la sua complicità.
Quando Razor, continuando ad indietreggiare, arrivò alla sua portata, Fren allungò il bastone verso le sue caviglie facendolo sbilanciare all’indietro.
Il ragazzo rovinò a terra con un tonfo sordo e le tre ragazze scoppiarono a ridere.
“Quindi ora ti coalizzi anche tu con loro contro di me? – chiese lui a Fren, fingendosi offeso, ma sfoggiando un sorriso divertito – bella fidanzata che mi sono trovato.”
Fren si lasciò cadere addosso a lui, che la prese al volo e se la sistemò sulle ginocchia.
“Tanto io so come farmi perdonare.”
Ghignò lei prima di stampargli un bacio sulle labbra, che in pochi istanti si approfondì.
Rain e Santana si scambiarono uno sguardo divertito.
“Prendetevi una stanza!”
Esclamarono contemporaneamente per poi scoppiare a ridere.
In quel momento il campanello suonò di nuovo e Rain vide un sorriso enorme disegnarsi sul volto della latina.
“Vado io.”
Decretò correndo verso la porta.
Come la ragazza aprì l’uscio, venne investita da un corpo slanciato e da una massa di capelli biondi svolazzanti.
Le due ragazze caddero a terra ridendo e Brittany immobilizzò Santana sotto di sé.
Si guardarono negli occhi per alcuni istanti, sorridenti. Poi la bionda si chinò per rubare un lungo bacio alla sua ragazza.
L’ex-soldato le osservò con il suo mezzo sorriso stampato sul viso.
Era davvero contenta che le due ragazze si sentissero così a proprio agio nella sua casa e con lei e che non si preoccupassero di scambiarsi quelle piccole effusioni in sua presenza.
“Insomma – esclamò ghignando – avete tutti scambiato casa mia per un motel?”
La ballerina sollevò lo sguardo verso di lei e le regalò uno dei suoi bellissimi sorrisi, per poi alzarsi e saltarle in braccio, depositandole un lungo bacio su una guancia.
“Buon giorno, Rain.”
Disse allegra, stringendola in un forte abbraccio.
“Buon giorno anche a te, Britt – rispose sorridendo – sai, adoro i tuoi abbracci, ma temo che se restassi avvinghiata a me ancora a lungo, la tua ragazza potrebbe tentare di uccidermi nel sonno.”
Disse, mentre la ragazza salutava Fren con un gesto della mano e si presentava a Razor, senza accennare minimamente a voler scendere a terra.
Per tutta risposta Santana si alzò dal pavimento e le raggiunse, saltandole in braccio anche lei, ridendo.
“Rain da te questa non me la sarei mai aspettata – ghignò Fren dietro di lei – sapevo che eri una ninfomane, ma addirittura le cose a tre con due diciassettenni… vergognati.”
L’ex-soldato si voltò verso l’amica, sempre tenendo le due ragazze in braccio.
“Cos’è, Fren? Sei invidiosa?”
Domandò inarcando le sopracciglia.
“Io sì!”
Esclamò Razor ridendo, beccandosi uno scappellotto dalla sua ragazza.
“Uomini!”
Esclamarono Rain e Santana contemporaneamente, alzando gli occhi al cielo per poi scoppiare a ridere rendendosi conto di aver di nuovo avuto insieme la stessa reazione.
Fren le guardò storto corrucciando le sopracciglia.
“Mi sa che voi due state passando un po’ troppo tempo insieme ultimamente.”
Santana ridacchiò e si lasciò scivolare a terra, prendendo la mano della sua ragazza per invitarla a fare lo stesso.
“Andiamo Brittbritt, rischiamo di fare tardi a scuola.”
La bionda scocco un altro bacio sulla guancia dell’ex-soldato, prima di tornare con i piedi per terra.
“Ci vediamo più tardi al Glee.”
Disse Rain, depositando un bacio sulla fronte della latina.
“Britt può rimanere a cena stasera?”
Le chiese la ragazza sfoggiando un’espressione da cucciolo.
“Ahahah. Non c’è bisogno che fai quella faccia, ragazzina. Certo che può rimanere, ma solo se va bene anche a sua madre.”
Santana saltellò e le regalò un bacio sulla guancia.
“Grazie. Ci vediamo dopo – la salutò, trascinando via con sé la biondina – ciao Fren, Razor.”
Brittany salutò tutti con la mano e poi lei e Santana sparirono dietro la porta.
Rain ridacchiò scuotendo la testa.
Si sentì osservata e si girò verso Fren che la guardava di sottecchi.
“Ti devo parlare.”
Esordì con aria seria e professionale.
La mente di Rain corse subito alla lettera di suo padre, che aveva chiuso al sicuro in un cassetto della scrivania nello studio.
“Credo proprio che ci siamo.”
 
 
 
 
 
Angolo della pazza
 
Il titolo appartiene ad una canzone del mitico Bob Marley.
Mentre scrivevo il capitolo, mi sembrava che avesse una bella atmosfera, molto rilassata e positiva, quindi…
 
Lo so, lo so.
Vi ho fatto aspettare ancora un bel po’ di tempo, per poi propinarvi sto merdosissimo capitoletto di transizione.
Purtroppo anche questi servono e in genere sono i più noiosi e, di conseguenza, più difficili da scrivere.
Chiedo venia.
 
Si avvicina la sessione d’esame, questo significa più tempo da dedicare allo studio e meno alla scrittura (ahimè).
Cercherò di garantirvi almeno una pubblicazione a settimana, farò del mio meglio, ma non vi prometto niente.
 
Dunque, nuovo capitolo e nuovo personaggio secondario.. ecco a voi Razor, l’aitante e simpaticissimo fidanzato di Fren.
Che ne pensate di lui?
E del capitolo?
A me, sinceramente il capitolo fa abbastanza schifo… ho cercato di buttarvi qualche indizio, degli spunti qua e là, ma non so se ci sono riuscita o se ho solo prodotto un’accozzaglia di parole che in realtà non dicono un emerito.
 
Chiudo qui ringraziandovi immensamente per avermi fatta arrivare a 1473 visite O.o sono sbalordita e commossa.
Davvero, non ci posso credere.
Grazieeeee.
 
Un grazie speciale anche a chi ricorda, segue o preferisce questo mio delirio sempre più… delirante :D
 
E a voi meraviglie che mi lasciate il vostro pensiero dopo aver letto.
GRAAAAZIIEEEEEEE!!!!
 
Vi amo tutti alla follia.
 
Alla prossima.
Besitos a todo el mundo
WilKia >.< 

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Capitolo 37
*** Starlight ***


Starlight
 
 
Santana era stesa su un fianco, la testa sollevata e appoggiata sul palmo della mano destra, mentre con le dita della sinistra disegnava pigri cerchi sulla schiena nuda di Brittany che la osservava con occhi assonnati e le labbra incurvate in un lieve sorriso.
La latina sapeva bene quanto la sua biondina adorasse quelle coccole e quanto la rilassassero accompagnandola dolcemente nel sonno.
La ballerina si sollevò leggermente cingendole la vita con un braccio e attirandola verso di sé, per poi posare la testa nell’incavo della sua spalla, con un mormorio soddisfatto.
“Mia!”
Esclamò felice.
Santana ridacchiò e la strinse a sé appoggiando la guancia contro la sua fronte, senza smettere un solo attimo di accarezzarle dolcemente la schiena.
“Ci puoi giurare, paperella.”
Rispose piano, chinando il volto per catturare le sue labbra in un lungo bacio, pieno di tenerezza.
“San?”
La richiamò Brittany, quando si furono separate.
“Mmmm?”
“In questi giorni, Rain non ti è sembrata un po’ strana?”
Domandò sollevandosi per poter incontrare il suo sguardo.
“Durante le lezioni al Glee sembrava che avesse dei pensieri per la testa e prima a cena ha parlato meno del solito e aveva, non so, uno sguardo strano.”
Santana lo aveva notato, era da lunedì pomeriggio che Rain era sprofondata in un mutismo più prolungato e profondo del solito e passava ore intere nello studio, ormai diventato la sua camera da letto, a leggere dei documenti ritrovati da Fren alcuni giorni prima.
Quando poi, finalmente, riemergeva dalla stanza aveva sempre quello sguardo amareggiato, ma carico di aspettativa che Santana non era ancora riuscita a spiegarsi.
Sapeva solo che poteva attribuirlo a quel foglio sgualcito che l’ex-soldato si trascinava dietro fin da quando l’aveva conosciuta.
“Credo che questa storia del funerale la stia intristendo un po’.”*
Spiegò sommessamente, forse più a sé stessa.
Odiava non sapere cosa tormentava Rain.
“Hai provato a chiederle perché è triste?”
Domandò Brittany, strappandola ai suoi pensieri.
Scosse la testa.
“Perché no?”
Rimase in silenzio un momento cercando le parole giuste per spiegarle come funzionasse il rapporto tra lei e Rain.
“Perché io e lei non ci chiediamo queste cose. Capiamo quando qualcosa non va e ci stiamo vicine l’un l’altra. Lei sa che, nel momento in cui sarà pronta a parlare di ciò che la rende triste, io sarò lì pronta ad ascoltarla, proprio come lei fa con me.”
“Non mi piace vedere Rain triste.”
Mormorò la biondina, imbronciata.
“Lo so. Non piace neanche a me.”
In quel momento un lampo illuminò la stanza attraverso il vetro della finestra, seguito immediatamente da un forte tuono.
Brittany si strinse a lei con più forza, rifugiandosi nel cerchio sicuro delle sue braccia, mentre altri lampi seguivano il primo.
Santana passò dolcemente le dita tra i suoi capelli biondi, sorridendo quando la sentì rilassarsi al suo tocco.
La sua mente ritornò alla prima notte di temporale che aveva passato in quella casa e pensò a Rain, da sola, nello studio di suo padre probabilmente con un turbinio di pensieri cupi che la tormentavano.
“Pensi che Rain stia bene lassù tutta sola?”
Domandò Brittany sollevandosi di nuovo per incontrare i suoi occhi neri.
Sorrise, avvicinandosi per poter baciare ancora quelle dolci labbra.
Per un istante si persero l’una nell’altra.
“Che ne dici di andare a vedere?”
Propose con un sorriso.
 
Rain era stesa a pancia in su nel suo letto, le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo perso ad osservare il soffitto di legno.
Dopo aver concluso tutte le procedure per diventare tutrice legale di Santana, non aveva perso tempo. Era subito andata a casa Lopez a recuperare le cose della ragazza, con l’aiuto di Razor, e in poche ore di lavoro cui aveva contribuito anche Fren avevano sistemato tutto nella sua camera che da quel momento era diventata ufficialmente la camera di Santana, mentre lei aveva trasferito tutte le sue cose nell’ex-studio di suo padre, spostando i mobili e riarredandolo per rendere quella stanza più sua.
Il risultato finale non era poi tanto male, ma ci si doveva ancora abituare.
La mossa successiva era stata andare a presentarsi alla madre di Brittany e spiegarle che da quel momento in poi, quando la figlia le avesse detto che si fermava a cenare o a dormire da Santana, significava che sarebbe rimasta a casa sua.
La donna era rimasta momentaneamente perplessa, ma aveva intuito subito che con quel cambiamento c’entrasse qualcosa l’amicizia speciale che legava sua figlia e Santana.
La signora Pierce aveva riso davanti alla sua espressione stupita.
Aveva riconosciuto la vera natura del legame che univa le due ragazze, molto prima che loro stesse se ne rendessero conto.
Voleva bene a Santana; la ragazza si era sempre presa cura della sua Brittany, e per lei l’unica cosa che importava davvero era la felicità della sua bambina.
Nelle settimane precedenti aveva subito capito che qualcosa non andava.
Prima Santana si fermava a dormire da loro praticamente un giorno si e uno no, e nei giorni no era Brittany a fermarsi da lei.
Non aveva potuto non notare la tristezza e la malinconia che avevano invaso Brittany, all’improvviso arrestarsi di quella routine e quando aveva visto il sorriso tornare sul volto di sua figlia, aveva capito che le due ragazze erano sulla strada giusta per tornare unite come prima, ma con una consapevolezza tutta nuova.
Rain era rimasta sbalordita dalla saggezza di quella donna, ma soprattutto dall’amore incondizionato che aveva per sua figlia.
Prima di incontrarla aveva visto i riflessi di quell’amore solo negli occhi di Storm e Reneè, quando guardavano la loro meravigliosa Nuvoletta.
Così deve essere una madre. 
 
Un tuono esplose sopra alla casa, strappandola violentemente ai suoi pensieri.
Si sollevò a sedere con uno scatto, aspettandosi di vedere i lampi delle esplosioni, di avvertire l’odore della polvere da sparo mescolato a quello della sabbia, di sentire il bruciore delle schegge che le avevano colpito la schiena.
Batté le palpebre, rendendosi conto di dove si trovasse.
La sua mano corse istintivamente a stringere le piastrine che portava al collo, mentre scuoteva la testa nel tentativo di bandire quelle immagini che ad ogni tuono lottavano per riaffiorare dalla sua memoria.
Si ridistese sul letto e chiuse gli occhi, cercando di avvertire il ticchettio famigliare e rassicurante della pioggia, ma le nuvole sembravano essere decise a mantenere quel temporale asciutto.
Iniziò a trarre respiri lenti e profondi, ma ad ogni tuono diventava sempre più difficile rimanere ancorata al presente.
Uno scricchiolio, proveniente dalle scale che conducevano alla stanza, le fece sbarrare gli occhi nell’oscurità.
Tese l’orecchio verso l’entrata della camera e avvertì una coppia di passi che si avvicinavano lentamente a lei.
Passi leggeri e famigliari che anziché far scattare i suoi allarmi mentali, li mettevano a tacere.
Sentì le lenzuola sollevarsi e poco dopo il materasso si abbassò sotto il peso di due corpi che vi si adagiavano.
Santana si accoccolò contro di lei, appoggiando la schiena contro il suo torace e prendendola delicatamente per il polso per farsi abbracciare.
Quando allungò il braccio oltre il fianco della latina, le sue dita vennero catturate dalla mano affusolata di Brittany che le strinse leggermente, mentre si sistemava contro il corpo della sua ragazza.
“Come mai da queste parti?”
Domandò sorridendo nell’oscurità.
“Britt aveva paura dei tuoni – spiegò Santana – vero paperella?”
La biondina mormorò un assenso assonnato.
“E visto che da sola non riuscivo a calmarla ho pensato che magari tu mi potevi aiutare – continuò l’ispanica – e come al solito avevo ragione, infatti si sta già addormentando.”
Concluse soddisfatta, mentre Brittany si accoccolava ancora di più contro di lei, nascondendo il viso sotto il suo mento con un sospiro beato.
Rain ridacchiò sporgendosi oltre di lei per posare un lieve bacio tra i capelli della biondina.
“Buona notte, Britt.”
Sussurrò, ricevendo un mugolio assonnato come unica risposta.
“E tu sappi che non mi freghi neanche per un secondo – bisbigliò all’orecchio della latina – grazie Santana.”
Concluse lasciandole un bacio sulla guancia.
“Buona notte, Rain.”
Bisbigliò lei.
“Buona notte, ragazzina.”
Rispose stringendola leggermente.
Bastarono solo pochi minuti perché i dolci respiri, lenti e regolari delle due ragazze la cullassero, accompagnandola nel sonno.
 
“Credo proprio che ci siamo.”
“L’hai… l’hai trovata?”
Fren si era limitata ad annuire.
“Chi? Dove?”
“Calma, calma. Una cosa per volta.”
L’aveva interrotta Fren, con un sorriso.
“Vieni, spostiamoci di sopra. Ho un paio di cose da mostrarti.”
“Posso approfittare del tuo caffè, capitano?”
Aveva domandato Razor.
Rain gli aveva sorriso, grata per la sua gentilezza e discrezione.
“Prendi pure tutto il caffè che vuoi. E ci sono anche dei pancakes se hai fame.”
Poi si era voltata e aveva seguito l’amica fino nello studio.
Fren aveva aperto il cofanetto di legno, estraendo delle buste.
Lentamente aveva iniziato a svuotarle.
Contenevano pagine e pagine di lettere.
Alcune erano scritte nella grafia inconfondibile di suo padre, ma a differenza di tutti gli altri documenti scritti da lui, che Rain aveva visto, su quei fogli la calligrafia dell’uomo mostrava che anche lui possedeva dei sentimenti.
Non era dritta e freddamente perfetta, ma a tratti le parole erano state vergate con più impeto e trasporto e le righe erano più disordinate e caotiche.
L’altra serie di scritti era invece trascritta da una calligrafia decisamente femminile.
Rain aveva osservato quelle lettere oblique e voluttuose, domandandosi come fosse la donna che le aveva vergate e che aveva scatenato quella passione in suo padre, al punto da fargli abbandonare la propria famiglia.
“Qui ci sono tutte le informazioni che ti servono per trovarla.”
Aveva detto Fren, strappandola dalle sue riflessioni.
Aggrottò le sopracciglia, sollevando il volto per incontrare il suo sguardo.
“Non capisco, hai detto di averla trovata.”
“Infatti, io l’ho trovata. Ora della fine non è stato difficile. Il mio aiuto non ti serviva, Rain. Tutte le informazioni e gli indizi sono sempre stati qui, sotto il tuo naso. Fino ad ora non l’hai trovata, non perché non ne eri in grado, ma solo perché non sei ancora pronta a farlo.”
Rain si accigliò ancora di più.
“Se è così, allora perché sarei venuta fino a qui…”
“Rain, io non ti sto giudicando – la interruppe – so quanto hai sofferto a causa della tua famiglia. E so quanto erano sincere le tue intenzioni quando hai preso quell’aereo e sei venuta in Ohio. Ora hai tutto quello che ti serve per trovarla, devi solo volerlo davvero.”
“Quindi non intendi dirmi chi è?”
Fren scosse la testa.
“Tu ancora non lo vuoi sapere, altrimenti l’avresti già trovata. Dal momento in cui hai scoperto questa stanza hai sempre avuto tutte le informazioni che ti servivano proprio davanti agli occhi, ma ti sei rifiutata di vederle. Ora io te le sto consegnando, ti sto costringendo a prendere coscienza della loro esistenza, ma sta a te decidere cosa farne e quando.”
A questo punto le aveva consegnato una piccola busta quadrata.
“Ma so anche quanto ci tieni a conoscerla, quindi eccola qui.”
Detto questo le aveva stretto leggermente la spalla, rivolgendole un lieve sorriso e l’aveva lasciata da sola.
Rain era rimasta alcuni minuti a fissare la piccola busta bianca.
Poi aveva tratto un lungo sospiro e l’aveva aperta con dita tremanti, estraendo lentamente il contenuto.
Si trattava di una foto di un’ecografia, in cui si scorgevano i dolci contorni di un piccolo viso e di una manina aperta, come a salutare chi stava osservando.
Girò la piccola foto e lesse le due righe che vi erano scritte.
 
Novembre 1993 – 8° mese.
Sesso: femmina.
 
Rain aveva rigirato la foto studiando attentamente i tratti minuscoli di quel viso, cercando di immaginare la giovane donna in cui quell’esserino si era ormai trasformato.
Aveva sollevato una mano, passando lievemente l’indice a sfiorare i contorni di quel visino, incapace di trattenere le lacrime.
“Ciao, sorellina.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo della pazza
 
*riferimento all’episodio 2x19
 
Il titolo appartiene ad una canzone del mio ammmmooore Slash, cantata dal bravissimo Myles Kennedy, era già da un po’ che la volevo usare, ma aspettavo il capitolo giusto.
Andatevela a sentire perché merita davvero.
 
Allora, capitoletto corto corto.
Lo so, ne sono consapevole, ma come spesso capita, la cosa non dipende da me… vi ho già detto più volte che la storia si scrive da sola, io le presto solo le mie dita.
 
Direi che anche se è piuttosto breve, questo capitolo non ha bisogno di ulteriori spiegazioni da parte mia.
Finalmente avete scoperto chi la nostra Rain sta cercando.
 
Pensate che Fren abbia fatto bene a non dirle subito dove andarla a trovare?
O secondo voi doveva dirglielo e basta?
Fatemi sapere.
 
Le mie cucciole ormai sono sempre più pucciose che mai e se prima mi ero fatta friggere il cervello solo dal Raintana, ora è ancora più fritto di prima e si sta innamorando perdutamente del Braintana.
 
Eee ho introdotto brevemente anche la mamma di Britt.
Insomma, capitolo corto, ma ci ho ficcato dentro un po’ di tutto…
 
Ok, se vado avanti ancora un po’, c’è il rischio che il commento diventi più lungo del capitolo stesso, quindi la smetto.
 
Tanto ammooooreee per voiiiii.
 
WilKia >.< 

P.S. scusatemi tanto se non ho risposto alle recensioni per il cap. precedente, non ho proprio avuto tempo.
Grazie millemila a tutte voi che avete recensito vi amooo!!!

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Capitolo 38
*** A Natural Woman ***


 A Natural Woman
 
 
 
 
“Eppoi la maestra mi ha detto che il mio disegno era stupendissimo e mi ha dato una caramella.”
 “Il tuo disegno deve essere un vero capolavoro, Nuvoletta.”
“Sì.”
Ci fu una pausa di silenzio all’altro capo del telefono.
“Cosa vuol dire capolavoro, zia Rain?”
Il sorriso di Rain si allargò a dismisura.
“Un capolavoro è l’opera più bella creata da un’artista.”
Spiegò semplicemente.
“Zia Rain?”
“Dimmi, piccola mia.”
“Quando vieni a trovarci?”
Chiese la bambina a tradimento, facendo saltare un battito al suo cuore.
“Il più presto possibile, Nuvoletta.”
“E quando arriva?”
Rain lottò con il nodo salito a serrarle la gola.
“Non ti preoccupare Evy, ci vedremo presto. E ti stringerò forteforteforte e poi ti farò saltare in alto come piace tanto a te. Va bene?”
“Ok.”
“Adesso mi passi la mamma, per favore?”
“Va bene.”
“Ti voglio tanto bene, Nuvoletta.”
“Anche io.”
Rain sentì un piccolo schiocco umido, segno che la bimba le aveva inviato un bacio attraverso il ricevitore.
Ci furono alcuni rumori confusi, poi dall’altoparlante uscì la voce inconfondibile di Reneè.
“Ehi, straniera.”
“Ehi.”
“Come vanno le cose in Ohio? Santana sta bene?”
Le labbra di Rain si incurvarono nel suo mezzo sorriso.
“Sì, ha avuto un periodo piuttosto difficile, ma ora sta meglio.”
“Che è successo?”
Rain le raccontò a grandi linee gli ultimi avvenimenti.
“Aspetta, aspetta. Non sono sicura di aver capito bene…
Tu hai fatto cosa???”
“Ho chiesto e ottenuto la sua tutela legale.”
Rispose sogghignando, immaginandosi l’espressione sbalordita che doveva essersi dipinta sul volto della donna.
“Santo cielo, Rain! Insomma, WOW. È un cambiamento… grosso.”
“Beh, non così tanto. Voglio dire, ormai Santana viveva qui a tutti gli effetti, ho solo reso la cosa ufficiale.”
Ci fu un attimo di silenzio e Rain immaginò Reneè dall’altra parte del telefono, che annuiva con quella sua aria pensosa.
Non riuscì a trattenere un sorriso a quell’immagine così familiare.
“Sono sicura che ve la caverete benissimo– disse poi, sincera – e Fren? Come sta? Come procedono le sue ricerche?”
“Fren sta più che bene. Considerando che Razor è in licenza ed è venuto qui in Ohio, direi che non potrebbe stare meglio – ridacchiò – praticamente non li vedo da due giorni.”
Sentì la risata sommessa di Reneè unirsi alla sua.
“Per quanto riguarda le sue ricerche… – esitò – sono concluse.”
“COSA??? E che cosa stavi aspettando a dirmelo? Avanti voglio sapere tutto nei minimi particolari. L’hai già incontrata? Com’è?”
“Ehi, calmati.”
Ridacchiò.
“Ok, scusa. Hai ragione. Ma tu racconta.”
“Non so ancora com’è. Fren non mi ha detto niente.”
Fece una pausa.
“Non capisco.”
“Fren dice che non avevo bisogno del suo aiuto e che fino ad ora non l’ho trovata non perché non ne fossi in grado, ma perché in realtà non voglio, perché non mi sento pronta. Mi ha lasciato tutti i pezzi del puzzle a disposizione, perché finisca di comporlo da sola.”
Reneè rimase in silenzio alcuni istanti.
“E tu cosa ne pensi?”
“Non lo so, voglio dire… sono venuta fino a qui, ho ristrutturato la casa, con parecchio aiuto – aggiunse con un sorriso – ho fatto tutti quei chilometri, ho mobilitato Fren e l’ho persino trascinata via dal suo lavoro per farla venire in Ohio. E tutto per trovarla.”
“Ma?”
“Ma… chi sono io per piombare nella sua vita così, da un momento all’altro? Chi sono io per dirle che ha una sorella di cui non sapeva niente, che suo padre in realtà non è suo padre… cosa mi da il diritto di sconvolgere le sue certezze?”
Si passò una mano tra i capelli e si lasciò cadere sul divano, sbuffando.
“Tu cosa faresti?”
“Io penso che tu abbia speso troppe energie e abbia affrontato troppi fantasmi del tuo passato, per fermarti proprio ora che ti manca solo un ultimo passo dalla meta. Non dico che tu debba per forza presentarti lì e dirle ‘ehi la sai una cosa buffa, io sono tua sorella’ ma penso che non ci sarebbe nulla di male se andassi a vedere com’è e se scoprissi un po’ di più su di lei. Dopo di che potrai valutare se è il caso di andare avanti, conoscerla e rivelarle chi sei, o se è meglio lasciare le cose come sono.”
Rimasero entrambe in silenzio per alcuni istanti.
“Che ne dici? Ti sembra un buon compromesso?”
Fece un vago verso d’assenso, poco convinta.
“E poi la Rain che conosco io non si arrenderebbe così facilmente.”
Rain emise un piccolo sbuffo divertito e decise di cambiare argomento.
“Tu come stai? Come vanno le cose?”
“Non mi lamento. Evy ha ripreso ad andare all’asilo e ha tanti amichetti. È davvero straordinaria.”
“Lo so. Infatti ho parlato con lei tre secondi fa e mi ha raccontato ogni cosa per filo e per segno… ora voglio sapere come stai tu.”
Silenzio, poi un sospiro che sapeva vagamente di lacrime trattenute.
“Lo sai.”
“Reneè…”
“Ci manchi tanto, Rain.”
“Lo so – mormorò ingoiando il nodo che le serrava la gola – anche voi mi mancate. Ma presto verrò a trovarvi. Promesso.”
Sentì dei rumori confusi provenire dall’altra parte della linea.
“Scusami, ora devo andare. Sembra che la mia piccola peste ne abbia combinata una delle sue.”
“D’accordo. Ci sentiamo presto.”
“Rain… ti voglio bene.”
Sentì il click che annunciava la chiusura della comunicazione.
“Ti voglio bene anche io, Reneè.”
Disse al segnale intermittente del telefono.
 
“Rain?”
Chiamò Santana aprendo la porta ed entrando in casa seguita da Brittany.
Avevano provato a suonare il campanello, ma l’ex-soldato non aveva risposto, così l’ispanica aveva usato le sue chiavi per entrare.
“Rain? Dove sei?”
Provò a chiamare anche la bionda, avventurandosi in cucina.
Santana invece si diresse al piano di sopra, pensando che Rain potesse essere impegnata in una sessione di allenamento e che tra i pugni al sacco e la musica dell’ipod nelle cuffie non le avesse sentite.
Non ebbe nemmeno bisogno di entrare in palestra per sapere che l’amica non era nemmeno lì.
Quando si allenava, il suono dei suoi colpi al sacco si sentivano distintamente già a metà del corridoio.
Brittany la raggiunse e le due ragazze andarono a controllare anche nella camera da letto di Rain, ma della donna non c’era la minima traccia.
Santana sbuffò, guardandosi intorno corrucciata come se i mobili della stanza le stessero facendo un dispetto, nascondendo Rain in un cassetto della scrivania magari, e un suo sguardo particolarmente minaccioso potesse costringerli a farla ricomparire.
Brittany le si avvicinò, appoggiandosi al piano della scrivania, e le cinse la vita con le braccia.
Si lasciò andare indietro contro il suo petto, sospirando preoccupata.
“Dove diavolo si sarà cacciata?”
Domandò con un sospiro esasperato.
Brittany le lasciò un lieve bacio su una spalla e poi appoggiò la guancia contro la sua.
“Non ti preoccupare, probabilmente aveva solo bisogno di un po’ di tempo per sé. Senza avere noi due sempre intorno.”
“L’hai vista oggi al Glee? Hai visto il suo sguardo?”
Sentì la bionda annuire e sospirò di nuovo.
“Sto iniziando davvero a preoccuparmi, Britt. Mi ha sempre parlato di tutto, certo con i suoi tempi, ma ho la sensazione che questa cosa se la stia tenendo dentro da quando ci siamo conosciute. E mi sta mandando al manicomio. Credo che abbia a che fare con suo padre, ma è solo una supposizione.”
“Forse non ha mai trovato il momento giusto per parlare con te di questo.”
Ipotizzò la ballerina.
“Non è che negli ultimi giorni siano successe poche cose. E poi adesso hai ricominciato a venire da me.”
Continuò lasciandole un bacio sul collo, Santana sentì il suo sorriso contro la pelle e anche le sue labbra si incurvarono, indipendenti da ogni sua volontà razionale.
“E quando, invece, sei qui – continuò baciandola di nuovo – ci sono anche io con te.”
Santana inclinò la testa di lato per lasciare maggior spazio alle labbra calde di Brittany, mentre lievi brividi le increspavano la pelle.
Per un po’ si lasciò andare a quella sensazione così meravigliosamente familiare.
“Cosa devo fare secondo te?”
Brittany interruppe il lento percorso che le sue labbra stavano disegnando, risalendo lungo il suo collo.
“Credo che vi serva solo avere un po’ di tempo per voi, come prima.”
Santana si voltò nel suo abbraccio, in modo da poterla guardare negli occhi.
La ballerina ricambiò il suo sguardo, appoggiando la fronte alla sua e accarezzandole dolcemente una guancia, con un lieve sorriso.
“Quindi – continuò posandole un rapido bacio a fior di labbra – credo che stasera rinuncerò alla nostra sessione di sweet lady kisses, e vi lascerò un po’ da sole, per parlare.”
Santana sorrise e si avvicinò per un altro bacio.
“Ti ho mai detto che sei la miglior fidanzata del mondo?”
Sentì il sorriso di Brittany sulle sue labbra.
“No, in effetti non me lo avevi ancora detto.”
“E che ti amo?”
Brittany assunse un’aria pensosa.
“Oggi no…”
Santana rise e catturò le sue labbra in un lungo bacio.
“Ti amo Brittbritt.”
La ragazza si fiondò di nuovo sulle sue labbra e in pochi istanti il bacio si fece più profondo.
“Hai detto rinunciare? Che ne dici invece, di anticiparla?”
Bisbigliò l’ispanica, sollevandola e facendola sedere sulla scrivania.
Brittany ridacchiò sommessamente, mentre la sua maglietta cadeva a terra con un tonfo leggero.
 
Nel momento stesso in cui suonò al campanello si pentì di averlo fatto.
Ma ormai non poteva più tornare indietro.
Che cavolo ci faccio qui? Come mi è saltato in testa?
Attese, spostando nervosamente il proprio peso da un piede all’altro.
Passarono un paio di minuti senza che ottenne alcun cenno di vita dall’interno, quindi sospirò a metà tra il sollevato e il deluso e fece un passo indietro per andarsene.
In quel momento la porta si aprì.
Davanti a quell’immagine non poté fare altro che bloccarsi a metà del movimento e deglutire a vuoto.
“Ciao.”
Mormorò cercando di ricomporsi.
Le labbra sensuali di Lara si incurvarono in un sorriso divertito e malizioso.
“Ciao anche a te, donna del mistero.”
La salutò appoggiando la testa al bordo della porta e osservandola divertita.
“Che c’è di tanto divertente?”
“La faccia che hai fatto quando ho aperto…”
“Beh, cerca di capirmi – sogghignò – stavo iniziando a pensare che non ci fossi e poi la porta si spalanca e mi trovo davanti – fece scorrere lo sguardo sulle sue gambe lunghe e toniche, lasciate completamente scoperte dagli shorts che indossava e sulla canottiera leggera che copriva a malapena le sue forme sinuose – questo.”
Lara ridacchiò, incatenando quegli occhi grigi ai suoi.
“Lo devo prendere come un complimento?”
Domandò appoggiandosi una mano sul fianco.
Rain si umettò le labbra, quella donna aveva la capacità di mandarle a spasso tutti i pensieri coerenti.
Lara rise di nuovo e si avvicinò di un passo, tendendo in avanti una mano per afferrarle il davanti della maglietta.
Si lasciò trascinare verso di lei, incapace di opporre la minima resistenza, non che avesse voluto.
“Sono contenta di vederti.”
Bisbigliò sulle sue labbra, prima di annullare ogni distanza, richiudendo la porta dietro di loro.
 
“Sai, quando ti ho trovata davanti alla mia porta sono rimasta sorpresa.”
Lara voltò la testa, appoggiata pigramente sul suo addome, in modo da poter intercettare il suo sguardo.
“Dopo l’ultima volta credevo che non ti avrei più rivista.”
Rain allungò una mano e prese a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli, facendo vagare lo sguardo sul suo corpo posizionato di traverso sul grande letto e appena coperto dal lenzuolo.
“E ti dispiace che non sia stato così?”
Domandò scherzosa.
Lara si girò ancora un po’ in modo da poter appoggiare le labbra sulla sua pelle e lasciarvi un piccolo bacio, che le scatenò un’ondata di brividi caldi.
“Tu che ne dici?”
Sospirò, rivolgendole il suo mezzo sorriso.
“Perché pensavi questo?”
Chiese piano, lasciando i suoi capelli e iniziando ad accarezzarle la spalla ed il braccio.
“Che non ti avrei più rivista? Posso risponderti con un’altra domanda, di cui credo già di conoscere la risposta…”
“Sentiamo.”
La invitò, incuriosita.
“Quante sono le ragazze con cui sei stata a letto più di una volta?”
“Consapevolmente? – ridacchiò, ma tornò seria quasi subito – direi che tu sei la prima.”
“Lo immaginavo. Insomma, forse non di essere la prima, ma sapevo che il numero doveva essere molto limitato.”
Rimasero entrambe in silenzio, perse nei propri pensieri.
“Perché sei venuta qui oggi, Rain? Non che mi stia lamentando, eh – aggiunse con un sorriso – solo, vorrei capire… vorrei capirti.”
Rain sospirò, passandosi le mani sul viso.
“Vorrei poterti rispondere. Ma non ho una risposta a questa domanda.”
Le prese la mano, invitandola a stendersi accanto a lei in modo da poterla guardare negli occhi.
Quando furono entrambe con la testa sul cuscino, Rain le accarezzò il viso, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Tu mi piaci, Lara. Mi piaci davvero tanto.”
Sospirò.
“Ma non ho davvero la minima idea di cosa sto facendo. Tutto questo è nuovo per me e...”
Le labbra di Lara si appoggiarono delicatamente sulle sue, impedendole di continuare.
“Non ti sto chiedendo niente, Rain.”
Disse in un sussurro, fissandola negli occhi.
“Anche tu mi piaci molto. E penso sia inutile fasciarci la testa prima ancora di iniziare qualsiasi cosa. Lasciamo semplicemente che le cose vadano come devono andare. Senza pressioni, senza fretta.”
“Tu… tu vuoi che…”
Rain faticava a trovare le parole. Quegli occhi grigi, così vicini, la confondevano.
E lei era così…
Reale.
Pensò.
È la donna più reale che io abbia mai avuto tra le mie braccia.
Ed era vero, le altre erano solo state un passatempo, un esercizio fisico per mettere a tacere i suoi fantasmi, almeno per una notte.
E quando era stata con loro, in realtà cercava qualcun altro nei loro visi e nei loro occhi.
Ma con Lara era diverso.
Quando la guardava, vedeva solo lei.
E questo la spaventava e la elettrizzava allo stesso tempo.
“Insomma, non sai niente di me. Sei sicura di voler...”
Lara ridacchiò sommessamente, per poi avvicinarsi e rubarle un altro bacio.
“Scusa, è che fino ad ora ti ho sempre vista solo fare la dura…”
“Stai ridendo di me, biondina?”
Domandò, ghignando divertita e attirandola a sé.
Lei rise di nuovo, posandole un bacio sulla spalla scoperta, poi ritornò seria, puntando di nuovo lo sguardo nel suo.
“Hai ragione, non so niente di te. Per questo mi piacerebbe starti intorno, ancora per un po’ almeno. Per poterti conoscere meglio. Sembri una persona molto interessante, donna del mistero.”
Si impossessò delle sue labbra e questa volta rimase molto più a lungo ad assaporarle.
“Non so quanto sono pronta a farmi conoscere…”
Disse piano Rain, sincera, quando si separarono.
“Nessuna fretta, nessuna pressione – ripeté Lara stringendosi di più contro il suo corpo e iniziando a depositare lievi baci lungo la sua spalla – ci concederemo i nostri tempi.”
“Mmhmm – rispose Rain, mentre il suo respiro iniziava a farsi affannoso – nel frattempo hai qualche programma specifico?”
Domandò con un sorriso sornione, intrufolando la mano sotto il lenzuolo in cui Lara era avvolta.
“In effetti sì…”
Sorrise lei, prima di abbandonarsi alle sue carezze.
 
 
 
 
Angolo della Pazza.
 
Il titolo viene da una fantastica canzone della regina Aretha Franklin
 
Lo so, troppa attesa e pochissimo Santittany.
Però sono tanto pucciose verooo?
 
Raineè shippers, vi prego non odiatemi…
A me Rain e Lara piacciono insieme e penso che a Rain faccia bene passare un po’ di tempo con lei, ma questo non significa che il capitolo Reneè sia chiuso definitivamente.
 
Fratellaaa non mi odiareeeee please ç_ç
 
Lo so che alcuni di voi (Collega) pensavano che questo sarebbe stato il capitolo della rivelazione, ma Rain ci deve riflettere ancora un pochino…
*risatina malefica*
 
Chiudo qui.
A voi la parola.
 
Miei amati lettoriii, continuate a crescere anche se non pubblico… O.o
Ma quanto vi amooo!!!
 
A presto, spero ;P
 
Besitos.
WilKia >.<
 
 

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Capitolo 39
*** Call Me ***


 Call Me
 
 
Rain passeggiava tranquillamente per le vie buie e silenziose di Lima, le mani affondate nelle tasche della sua giacca di pelle e gli occhi puntati nel cielo, ad osservare le poche stelle che si intravvedevano tra i lembi delle nuvole.
Nonostante la sua andatura tranquilla e le apparenze rilassate, nella sua mente si scatenava un turbinio di pensieri, una tempesta di emozioni confuse e intrecciate tra loro.
E l’unica cosa di cui era certa era che non sapeva.
Non sapeva se continuare ad inseguire l’idea di trovare sua sorella e costruire la famiglia che le era sempre mancata.
Non sapeva riconoscere le sensazioni che provava in compagnia di Lara, tanto meno sapeva come comportarsi con lei, come costruire una relazione, non sapeva neanche se la voleva, una relazione.
Non sapeva spiegarsi il senso di vuoto e malinconia che la pervadevano ogni volta che pensava ad Evy e Reneè.
Immersa in questi pensieri, si ritrovò davanti al vialetto di casa sua.
Quando aveva iniziato a considerarla tale?
Al suo arrivo a Lima, aveva giurato a sé stessa che non avrebbe mai considerato sua la casa che le aveva lasciato suo padre.
Doveva essere solo una sistemazione temporanea, come sempre.
Non era mai stata il tipo da mettere radici.
Dopo la morte di sua madre non aveva fatto altro che spostarsi da un luogo all’altro, trascinata da una casa famiglia alla successiva.
Le cose non erano cambiate quando era scappata per sottrarsi a quel circo di adulti burocrati, che pretendevano di sapere cosa fosse meglio per lei.
Aveva sempre continuato a viaggiare.
I suoi porti sicuri non erano mai stati le città o le case, piuttosto lo erano alcune persone.
Osservò per un attimo la casa silenziosa e immersa nel buio, poi salì i gradini del portico ed entrò.
Probabilmente le due piccioncine si sono fermate da Brittany stasera, oppure sono già immerse nel mondo dei sogni.
Pensò sorridendo, mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Kirk le andò incontro e la salutò strusciandosi contro le sue caviglie.
Rain gli regalò alcune carezze, poi salì silenziosamente i gradini e raggiunse la camera di Santana.
Rimase alcuni secondi in ascolto, prima di socchiudere la porta.
La camera era buia e vuota, il letto intatto e cosparso dei vestiti che la latina aveva scartato quella mattina, mentre si preparava.
“A quanto pare le nostre fanciulle sono rimaste da Brittany stasera, eh Kirk?”
“Meow?!”
Prese il cellulare, ma Santana non le aveva lasciato nessun messaggio per farle sapere che non sarebbe rientrata.
Strano, di solito mi avverte.
Pensò con un velo di preoccupazione.
Controllò l’ora e dovette constatare che era decisamente troppo tardi per mettersi a telefonare e accertarsi di dove fosse la ragazza.
Oh, andiamo Rain.
Sogghignò scuotendo la testa.
Adesso non metterti a fare la mammina apprensiva, non è da te.
Uno sbadiglio prepotente la sorprese.
“Che ne dici, Kirk. Andiamo a nanna?”
Per tutta risposta il gattino strofinò la testa contro le sue gambe e la precedette nel corridoio, dirigendosi in camera sua, la coda sollevata come un segnale rosso e peloso per indicarle la strada.
Entrò in camera sbadigliando e stiracchiandosi, con gli occhi semichiusi.
Quando li riaprì si bloccò a metà del movimento, notando una sagoma scura sul suo letto.
Capire cosa fosse e sorridere, fu un tutt’uno.
Si inginocchiò sul tappeto, osservando l’espressione pacifica di Santana, che dormiva abbandonata in fondo al letto, in una posizione che sembrava decisamente scomoda.
Non poté non notare il senso di sollievo che avvertì nel sapere che la ragazza era al sicuro.
Si cambiò silenziosamente, poi scostò le coperte e prese in braccio Santana, facendo attenzione a non svegliarla e la sistemò nel lato del letto che occupava di solito, le rare volte in cui non passava la notte insieme alla sua ragazza.
Le scostò alcune ciocche di capelli corvini dal viso, poi andò a stendersi dal suo lato.
Non appena si fu sistemata, Santana si andò a rannicchiare contro il suo fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla con un sospiro sodisfatto.
Rain ridacchiò sommessamente e la strinse a sé, depositandole un bacio sulla fronte.
“Dove sei stata? Mi stavo preoccupando…”
Bisbigliò l’ispanica contro la sua spalla.
“Shhh. Dormi – sussurrò, accarezzandole piano i capelli – è tardi, ne parliamo domani, ok?”
Il suono lento e regolare del suo respiro fu l’unica risposta che ottenne.
Lo prenderò per un sì.
Sorrise, mentre Kirk si arrampicava sul letto, raggomitolandosi contro la sua gamba.
Appoggiò la guancia contro la fronte di Santana e chiuse gli occhi, sospirando.
Ora sapeva perché quella era diventata davvero casa sua.
 
Strofinò la guancia contro la spalla su cui era appoggiata, mugugnando assonnata e sorrise all’inconfondibile senso di sicurezza che le dava il braccio avvolto intorno alle sue spalle.
Attraverso le palpebre chiuse percepiva la luce del sole che filtrava dalle finestre, ma non aveva ancora voglia di alzarsi, così sistemò meglio la testa sul suo personale cuscino umano e si raggomitolò meglio contro il corpo di Rain, sospirando soddisfatta quando il braccio dell’ex-soldato si strinse un po’ di più intorno a lei.
“Buon giorno.”
Mormorò quella voce calda e rassicurante vicino al suo orecchio.
“’ngiorno.”
Bofonchiò in risposta, rifiutandosi però di aprire gli occhi.
Sentì sotto l’orecchio la vibrazione della leggera risata di Rain e sollevò il viso verso di lei, socchiudendo un occhio per guardarla.
“Ciao, bell’addormentata.”
La salutò depositandole un piccolo bacio sulla punta del naso.
“Ciao, vagabonda – rispose affondando di nuovo il viso contro la sua spalla – dov’eri finita ieri sera?”
Il suo sguardo si focalizzò su una macchia rossa tra il mento e il collo di Rain, una macchia rossa inconfondibile.
“Oh, ok. Come non detto. Non lo voglio sapere.”
Borbottò allontanandosi da lei e girandosi tra le coperte fino a voltarle le spalle.
La sentì sospirare e poco dopo Rain le si accostò di nuovo, appoggiando il mento sulla sua spalla e cingendole la vita con un braccio.
“Santana, che cosa c’è?”
“Sei stata di nuovo con quella tizia?”
Domandò scocciata, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
“Si chiama Lara, tanto per la cronaca.”
“Sei andata direttamente da lei dopo il Glee?”
Con la coda dell’occhio vide le labbra della donna incurvarsi nel suo mezzo sorriso.
“Per caso mi stai facendo una scenata di gelosia, Santana?”
Domandò a metà tra il serio e il divertito.
Rimase in silenzio e tentò di allontanarsi di nuovo da lei, ma i muscoli del braccio intorno alla sua vita si tesero, trattenendola con decisione, ma comunque delicatamente.
“No.”
Sbottò, fissando di nuovo lo sguardo dritto davanti a sé.
“Strano, a me invece sembra proprio una scenata di gelosia.”
Continuò l’ex soldato, sporgendosi oltre la sua spalla, cercando i suoi occhi.
Santana voltò il viso, affondandolo nel cuscino.
Sentì le dita di Rain passarle tra i capelli.
“Ehi, ragazzina – sussurrò al suo orecchio – posso sapere qual è il problema?”
Santana girò il viso solo il necessario per poter parlare.
“Il problema è che sono giorni che ti vedo… strana. Sei triste e hai quello strano sguardo perso e continui a rigirarti quel maledetto foglio tra le mani e a tirare pugni al quel povero sacco, come se ce l’avessi con lui. E non ne posso più di vederti così e non sapere che diavolo hai. Anche Britt è preoccupata, tanto che ieri sera è tornata a casa dopo cena, in modo da lasciarci sole, per parlare. Ma tu eri troppo impegnata con Lara. Immagino sia stato più facile per te confidarti, dopo esserti rotolata con lei nel letto.”
Rain rimase in silenzio e la mano che stava passando ancora tra i suoi capelli si bloccò a quelle parole.
Ma non riuscì a fermarsi, le parole continuarono ad uscire dalle sue labbra, dando voce a una paura sottile e strisciante che si era a malapena accorta di avere.
“Pensavo ti fidassi di me e che la nostra amicizia fosse speciale, ma a quanto pare ora che sono sotto la tua tutela le cose sono cambiate…”
Si interruppe quando Rain smise di abbracciarla e si scostò da lei.
Sentì un velo di lacrime salire ad annebbiarle gli occhi.
Accidenti a me e alla mia boccaccia. Perché non me ne sono stata zitta?
Sapeva che le cose sarebbero cambiate ora che Rain non era più solo un’amica, ma la sua tutrice.
Ma aveva sperato che il loro rapporto sarebbe rimasto intatto, invariato da quella situazione che aveva considerato puramente burocratica ed era scaturita da un gesto d’affetto.
Ora ci si era messa pure quella Lara a intromettersi.
Nonostante fosse maggio inoltrato, rabbrividì non sentendo più il corpo di Rain contro la sua schiena.
Si sentiva incredibilmente vulnerabile fuori dal suo abbraccio.
In quel momento desiderava solo poter riavvolgere l’ultima mezzora e ricominciare la giornata dal momento in cui si era svegliata accanto all’amica.
Poi il materasso si abbassò davanti a lei e le mani di Rain si appoggiarono sulla sua schiena, trascinandola nel suo abbraccio sicuro.
Rispose con foga all’abbraccio, affondando il viso contro la sua spalla.
“Scusa. Sono una stronza – bisbigliò – io…”
“Shhh.”
Rain le accarezzò dolcemente una guancia e le prese il mento, invitandola a sollevare il viso.
“Primo. È vero, ora sono la tua tutrice, ma prima di tutto sono tua amica e ci vuole ben altro che un pezzo di carta per cambiare questo.
Secondo. Dimmi una cosa, il fatto che tu e Britt vi siete messe insieme ha in qualche modo cambiato il sentimento di amicizia che hai nei mie confronti?”
“No, certo che no!”
Rispose subito, sicura.
“Allora perché mai ti preoccupi che il fatto che io stia iniziando a frequentare una persona, possa mettersi tra noi? – domandò fissandola negli occhi, con un lieve sorriso – Mmmm?”
Santana abbassò lo sguardo e istintivamente iniziò a giocherellare con la treccina che Rain aveva aggiunto per lei.
“Terzo. Da quando ci conosciamo abbiamo sempre parlato di tutto, non c’è nessuno che mi conosca a fondo quanto te, Santana. Nessuno con cui abbia parlato davvero di tutto, che sappia la mia storia quanto te. Se non è fiducia questa… probabilmente tu sei l’unica ad essersi accorta che qualcosa mi rovina l’umore.”
“Anche Britt lo ha notato.”
“Vero, ma lei vede il mondo in un modo tutto suo e si accorge sempre quando qualcuno ha qualcosa che non va.”
Le labbra di Santana si aprirono immediatamente in un sorriso.
“Se ancora non ti ho parlato di questo, non è per mancanza di fiducia nei tuoi confronti – continuò l’ex-soldato – abbiamo sempre rispettato l’una i tempi dell’altra, questo sta semplicemente richiedendo più tempo.”
Annuì e si strinse a Rain con tutta la forza che aveva.
“Scusa.”
“Non c’è bisogno che ti scusi, eri solo preoccupata.”
Rispose la donna posandole un bacio sulla fronte.
“Ti voglio bene, Rain.”
Le braccia intorno a lei si strinsero un po’ di più e il petto contro cui aveva nascosto il viso si sollevò in un lungo sospiro.
“Quel foglio misterioso che, come tu hai notato, mi porto sempre dietro – cominciò Rain con il suo tono tranquillo e caldo – è una lettera di mio padre.”
Santana sollevò il viso e la guardò negli occhi.
“Rain, non voglio che tu ti senta costretta a parlarmene adesso…”
“Se mi sentissi costretta, non lo farei.”
La interruppe lei, con un sorriso.
“Quando ci siamo conosciute – continuò abbassando lo sguardo – non sono stata completamente sincera con te.”
Santana aggrottò le sopracciglia confusa, ma attese che l’amica continuasse il suo discorso.
“Ricordi, quando mi hai chiesto perché ero a Lima?”
Annuì.
“Ti avevo detto che questo per me era un posto come un altro, solo che qui c’era un tetto sotto cui ripararmi. Beh questo era vero solo in parte. La verità è che è stata quella lettera di mio padre a portarmi qui.”
Fece una pausa, come se stesse tentando di riordinare i pensieri, Santana poteva quasi vederli affollarsi dietro i suoi occhi, impazienti di uscire.
“Ero in Italia ormai da un anno, quando un notaio venne a bussare alla mia porta per informarmi della morte di mio padre e consegnarmi le chiavi di questa casa e una lettera che aveva lasciato per me. Per un po’ sono stata combattuta tra la curiosità e il bisogno di fare quella lettera in tanti piccoli pezzi e bruciarla senza nemmeno aprirla. Alla fine ha vinto la curiosità.
Nella lettera si diceva addolorato per la morte di mia madre e mi chiedeva perdono per non essersi fatto avanti assumendosi le sue responsabilità, lasciandomi così in balia degli assistenti sociali.”
Le prese una mano, stringendola lievemente nella sua, vedendo le sue labbra disegnare una curva amara.
“Diceva che purtroppo in quel periodo era troppo impegnato ad occuparsi di un’altra faccenda…”
Rain sospirò di nuovo scuotendo la testa.
“Prima di lasciare mia madre e me, aveva fatto un breve viaggio in America, per motivi di lavoro. Al suo ritorno, era rimasto solo un mese con noi, il tempo necessario per fare i bagagli, sistemare i suoi affari e rompere con la sua vecchia vita, dopo di che ha fatto ritorno in America. Libero e pronto a costruirsi una nuova famiglia con una donna che aveva conosciuto durante quel viaggio di lavoro. Ma a quanto pare le cose non sono andate esattamente come sperava, perché lei nel frattempo non solo non aveva lasciato il suo fidanzato, ma si era sposata.”
Un ghigno feroce si disegnò sul volto di Rain e Santana si ritrovò di nuovo faccia a faccia con quella rabbia bruciante che si celava nella sua amica.
“Ma il meglio deve ancora venire. Durante il loro primo incontro, lei era rimasta incinta. Anche se ha sempre negato che il lui fosse il padre. Alla fine, stanca delle sue insistenze, aveva convinto suo marito a trasferirsi.
Così, mentre mia madre si tagliava le vene e io facevo la visita guidata delle case famiglia sparse per l’America, il mio caro paparino stava cercando di rintracciare l’unico vero amore della sua vita e la figlia che lei gli aveva negato di conoscere.”
“Quindi… questo significa che hai una sorella.”
Non riuscì a trattenersi.
Rain annuì.
“E ti ha chiesto di cercarla?”
“No. Quella lettera è solamente il suo modo per ripulirsi la coscienza e implorare il mio perdono. Non mi ha nemmeno detto il nome della donna per cui ha lasciato mia madre e me. L’unica cosa che so di mia sorella è che vive qui in Ohio e che dovrebbe avere più o meno la tua età.”
“Ma è per trovare lei che hai lasciato l’Italia.”
La sua non era una domanda, sapeva quanto Rain sentisse forte il bisogno di un legame che i suoi genitori le avevano negato.
Era ovvio che non appena avesse visto l’opportunità di stabilire quel legame con qualcuno, che effettivamente facesse parte della sua famiglia, avrebbe fatto tutto il necessario per crearlo.
“Per questo Fren è qui – esclamò – è venuta ad aiutarti a cercare indizi qui nello studio…”
Rain annuì.
“E ha trovato qualcosa, vero?”
“Non solo ha trovato qualcosa… ha trovato lei. Ma non mi ha voluto dire niente, mi ha solo lasciato tutti gli indizi che mi servono per poterla trovare.”
“Perché? Perché non dirti direttamente chi è?”
“Mi ha detto che potevo trovarla benissimo da sola e che se ancora non c’ero riuscita era perché in realtà non voglio trovarla.”
Rain allungò una mano ad aprire il cassetto del comodino ed estrasse il foglio spiegazzato che le aveva visto in mano innumerevoli volte.
Si sdraiò a pancia in su, tenendo il foglio con entrambe le mani.
Ma quando lo guardò, i suoi occhi rimasero limpidi, sicuri.
“Ci ho pensato molto in questi giorni, sai? E quello che ho capito è che per tutta la mia vita mi sono lasciata condizionare da lui e da mia madre anche se in realtà non ci sono mai stati, probabilmente proprio per questo. È ora di andare avanti e di lasciarli andare.”
Santana sentì un fruscio secco, mentre Rain strappava la lettera di suo padre con movimenti lenti, tranquilli, senza rabbia o rancore, ma nemmeno con rassegnazione.
“Questo significa che non la cercherai?”
Domandò piano, dopo alcuni minuti di silenzio.
Rain scosse la testa.
“Non ho alcun diritto di sconvolgerle la vita.”
“Ma… Rain sei venuta fino in Ohio apposta per trovare tua sorella…”
L’ex-soldato si voltò verso di lei e la guardò negli occhi, rivolgendole un lieve sorriso.
“È vero, e sai la cosa buffa? Ho trovato una sorella il giorno stesso del mio arrivo, non l’ho dovuta nemmeno cercare.”
Disse piano, rivolgendole uno dei suoi sorrisi più belli e luminosi.
Santana la strinse forte nascondendo il viso contro la sua spalla, commossa.
“Ti voglio tanto bene, Rain.”
Bisbigliò.
“Ti voglio bene, sorellina.”
 
 
 
 
Angolo della pazza.
 
Il titolo appartiene ad una canzone degli Shinedown.
 
Ce l’hoooooo fattaaaaa!
Ultimo capitolo dell’anno appena sfornato per voi, per un attimo ho temuto di non riuscire a finirlo in tempo, invece eccolo qui.
 
Direi che non c’è niente da aggiungere e che le mie due fanciulle abbiano già detto tutto quello che c’era da dire.
 
Quindi concludo augurandovi Buon 2012 ci sentiamo l’anno prossimo bellezze.
Un bacioneeeeeeee.
 
WilKia >.<

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Capitolo 40
*** New York, New York .I ***


 New York, New York . I
 
 
 
 
 
L’aereo sobbalzò violentemente a causa di una forte turbolenza, ma non fu quello a svegliarla.
Quando era nell’esercito aveva imparato a dormire ogni volta che ne aveva occasione, incurante delle condizioni, dato che spesso le capitava di non poter dormire anche per più di 36 ore di fila.
A svegliarla fu, invece, una mano sottile che si serrò con forza intorno al suo braccio e un volto che andò a nascondersi contro la sua spalla.
Aprì gli occhi e abbassando il viso si ritrovò a fissare un paio di limpidi occhioni azzurri e impauriti.
“Ciao.”
Mugolò Brittany imbronciata, stringendosi di più a lei, quando l’aereo sobbalzò di nuovo.
Rain allungò un braccio intorno alle sue spalle e la fece sistemare più comodamente.
“Tutto bene Britt?”
La ragazza scosse la testa, affondando ancora di più il viso nella sua spalla.
Rain sorrise, stringendola un po’ di più a sé.
“Non ti preoccupare, è normale incontrare qualche turbolenza.”
“L’aereo non sta per cadere?”
“Certo che no. Sta solo giocando con le correnti d’aria – rimase un attimo pensierosa – ti piace andare al luna park?”
Brittany annuì.
“E ti piacciono le montagne russe?”
Gli occhioni azzurri di Brittany sfavillarono.
“Sono le mie giostre preferite.”
“Allora immagina di essere sulle montagne russe, delle montagne russe molto speciali che non hanno bisogno dei binari.”
Il volto corrucciato della ragazza si aprì in un timido sorriso, mentre si rilassava un po’.
“Santana?”
Domandò notando che il terzo sedile della loro fila era vuoto.
“È andata in bagno…”
La latina ricomparve proprio in quel momento, borbottando imprecazioni in spagnolo.
“Tutto bene?”
“Una meraviglia, andare in bagno proprio nel bel mezzo di un vuoto d’aria è un’esperienza che raccomando caldamente a tutti.”
Il suo sguardo si posò sulla sua ragazza, ancora aggrappata al braccio di Rain, e le sue labbra si incurvarono in un dolce sorriso.
“Va tutto bene Brittbritt?”
La ragazza annuì ritornando al suo posto accanto al finestrino e non appena Santana si fu sistemata nel sedile centrale, si accoccolò contro di lei con un sospiro soddisfatto.
Santana le lasciò un lieve bacio tra i capelli per poi appoggiare la guancia contro la sua testa.
Nessuna delle due ragazze diede il minimo segno di aver notato la turbolenza successiva.
Rain le osservò per un momento, sorridendo.
“Che c’è?”
Domandò l’ispanica notando il suo sguardo.
“Niente.”
Rispose con il suo mezzo sorriso.
“Mmhmm. Fai il favore di piantarla.”
Borbottò la ragazza appoggiandole la mano sulla guancia e facendole girare il viso verso il corridoio.
“Ehi, ricordati che sono qui in qualità di adulto accompagnatore responsabile. Quindi vedi di avere un po’ di rispetto, ragazzina.”
“Ceeertooo. Responsabile. Come no.”
La prese in giro lei.
“Vorresti forse insinuare che non sono responsabile?”
“Non lo farei mai.”
Asserì Santana con la sua miglior espressione da stronza.
“Ti ho mai detto che sei la stronzetta più adorabile che abbia mai conosciuto?”
Rain le diede un buffetto sul naso, ridacchiando nel vederla arrossire lievemente.
Poi chiuse gli occhi e riprese il suo sonnellino.
 
Santana quasi stentava a crederci, eppure era vero.
Erano proprio a New York, e mangiavano appollaiati sulla scalinata in Times Square.
Erano tutti incredibilmente su di giri.
Beh, quasi tutti.
Pensò notando l’unico volto che non presentasse un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“Ehi, soldato.”
Disse dandole un colpetto con la spalla.
“Tutto ok? È da quando siamo atterrati che non spiccichi parola…”
“No… sì. Sto bene. Tranquilla.”
Rispose tenendo lo sguardo puntato sul suo pranzo, ancora intatto.
“Mmhmm, molto convincente, sul serio. Potresti fare l’attrice.”
Commentò chinandosi per poterla guardare negli occhi.
Rain sospirò scuotendo la testa.
“Non ti sfugge proprio niente eh?”
Disse con un lieve sorriso.
“Che succede?”
“C’è un posto in cui devo andare – sbuffò – sto cercando di racimolare il coraggio per andarci.”
“Ma come, la mia impavida Navy Seal che non trova il coraggio di fare qualcosa?”
“Santana… io non vorrei mai chiederti di rinunciare a stare con i tuoi amici, specialmente adesso, ma – sospirò ed alzò lo sguardo ad incontrare il suo – non credo di farcela da sola.”
Le appoggiò una mano sulla spalla, stringendola dolcemente.
“Dove dobbiamo andare?”
 
Rain lasciò vagare lo sguardo attraverso il grande prato, socchiudendo gli occhi per difenderli dalla forte luce del sole.
Santana si affiancò a lei e le prese la mano, stringendola appena.
“Stai bene?”
“Grazie di essere qui.”
“Scherzi? Non ti avrei mai permesso di venirci da sola.”
Rain strinse leggermente la sua mano prima di lasciarla ed avviarsi lentamente attraverso il prato.
Era incredibile come sapesse esattamente dove andare. Sebbene fosse stata lì una sola volta, non ebbe un solo momento di esitazione, anche se ogni passo che faceva le costava una fatica enorme.
Ma c’era Santana lì con lei, giusto un passo più indietro, a darle forza.
Eccola lì.
Pensò scorgendo ciò che stava cercando.
Gli ultimi passi furono i più difficili da fare, sembrava quasi che i fili d’erba si legassero intorno ai suoi stivali, rallentandola come se avesse dei macigni al posto delle gambe.
Alla fine riuscì a fare anche l’ultimo passo e si fermò.
Rimase alcuni istanti immobile, lo sguardo fisso sulla punta di suoi anfibi, senza sapere esattamente cosa fare.
Alla fine si chinò appoggiando un ginocchio a terra, gli occhi che lentamente le si riempivano di lacrime, e adagiò i fiori che aveva portato contro quella fredda lastra di pietra.
“Ciao, Storm.”
 
Santana camminava lentamente attraverso il cimitero, rimanendo un paio di passi dietro a Rain, in modo da non lasciarla sola, ma garantendole il rispetto dovuto ad un momento così delicato.
L’amica le aveva confidato di non essere più tornata in quel luogo dopo il funerale, semplicemente era troppo doloroso per lei.
E tornare lì, una volta passato lo stordimento iniziale, avrebbe reso tutto troppo crudelmente reale.
La vide fermarsi davanti ad una semplice lapide in marmo nero e fece lo stesso rimanendo sempre a qualche passo di distanza.
Osservò la sua amica inginocchiarsi e posare i fiori proprio sotto la foto di Storm.
Era davvero bella.
Pensò vedendo il bellissimo sorriso incorniciato dai capelli corvini della donna e quegli occhi di ghiaccio incredibilmente carismatici, sebbene si trattasse solo di una foto.
Sentì un lamento strozzato e riportò la sua attenzione su Rain.
Le si spezzò il cuore nel vederla accasciata a terra, scossa da singhiozzi silenziosi.
Si inginocchio accanto a lei e la prese tra le braccia, iniziando a cullarla piano.
“Va tutto bene – bisbigliò al suo orecchio – sono qui con te, Rain.”
Sapeva perché l’amica era voluta andare lì e ora toccava a lei ricordarglielo e darle la forza necessaria a superare quel momento.
“Lasciala andare, Rain.”
Sussurrò tra i suoi capelli, accarezzandoli dolcemente.
Le braccia dell’ex-soldato si strinsero convulsamente intorno alla sua vita.
“Lasciala andare.”
 
“Ehi Will. Scusa, so che sono in ritardo per la riunione…”
Iniziò Rain avvicinandosi alla stanza in cui si era radunato il Glee, rendendosi poi conto che l’insegnante non stava entrando, ma uscendo.
“Vai da qualche parte?”
Domandò aggrottando le sopracciglia confusa.
“Ehm… Sì. Devo occuparmi di un po’ di scartoffie… sai com’è, la burocrazia.”
Farfugliò lui evitando il suo sguardo, mentre la superava.
“William Schuester. – lo richiamò perentoria – torna qui immediatamente e dimmi che accidenti stai combinando.”
Il professore fece dietrofront e si avvicinò a lei con l’aria di un bambino appena beccato a combinare un qualche disastro.
“Sto andando a fare un provino…”
“Per il musical di April, vero?”
Concluse lei.
Will annuì con aria colpevole.
“E ai ragazzi hai venduto la storia delle scartoffie come hai tentato di fare con me?”
Di nuovo un cenno d’assenso.
Rain scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
“Will, i tuoi ragazzi non sono stupidi, credi davvero che non abbiano capito che c’è qualcosa sotto?”
“Sinceramente è quello che spero.”
“Will…”
“Lo so. Non dovrei farlo, non è corretto.”
“Non è quello che volevo dire – lo interruppe – questa è un’occasione unica ed è giusto che tu la colga, ma credo che dovresti essere onesto con i tuoi ragazzi.”
“Io… - sopirò chinando la testa e scuotendola piano – io non voglio che pensino che non voglio più essere il loro insegnate. È solo che questo è sempre stato il mio sogno. Ma non voglio che interferisca con il loro.”
“Will – lo richiamò appoggiandogli le mani sulle spalle – questi ragazzi ti vogliono bene. Se sapessero del tuo provino, sarebbero solo fieri di te e farebbero il tifo perché tu ottenga la parte. Inoltre cosa credi che succederà se dovessero venirlo a sapere da qualcun altro?”
“Intendi dirglielo?”
“No, ma penso che dovresti farlo tu.”
L’insegnante sospirò.
“Ora devo andare, rischio di fare tardi.”
“Parlerai con loro?”
“Ci penserò. Promesso.”
Rain lo osservò allontanarsi scuotendo la testa, poi sentì il suono di una chitarra all’interno della stanza ed entrò silenziosamente a vedere che stessero combinando i ragazzi.
Trovò Puck impegnato a strimpellare la chitarra, mentre Brittany ballava al centro della stanza accanto ad Artie, con tutto il resto del Glee schierato intorno a loro, in ascolto.
 
I’ve got you in the palm of my hand
 
Iniziò a cantare Brittany, sorridendo felice.
 
Wanna put something hot in you
So hot that you can’t stand
 
That you can’t stand
Le fece eco Artie.
 
Gonna take you to my lips
Empty out every last drop
So thirsty for what’s in you, baby
That I can’t stop
 
No I can’t stop
 
Non può essere.
Pensò Rain, aggrottando le sopracciglia, nel sentire il testo della canzone.
Fece vagare lo sguardo sui volti perplessi degli altri ragazzi.
Alcuni, come Quinn e Mercedes erano corrucciati.
Altri, come Rachel, fissavano Brittany con bocca e occhi spalancati, in espressioni perplesse, per non dire incredule.
Scorse Santana, comodamente seduta sull’angolo di uno dei letti matrimoniali che si trovavano nella stanza, che tentava di nascondere dietro una mano le risate silenziose che la scuotevano.
 
In the middle of the night
I’m in bed alone
Don’t care if you’re glass, paper, styrofoam
When I need some water, baby
Coffee or gin
You’re the only thing
I wanna put them in
 
My cup, my cup
Sayin’ ‘What’s up?’
To my cup, my cup
More of a friend than a silly pup
My cup
You know what it is
Sayin’ ‘What’s up?’
To my cup
Ahh
 
Sayin’ ‘What’s up?’
To my cup
Ahh
 
Sayin’ ‘What’s up?’
To my cup
Ahh
 
Rain tirò un sospiro di sollievo e ridacchiò tra sé e sé.
Tutto tranquillo. È solo la solita, adorabile Brittany.
“Aspetta – disse Tina, perplessa – intendi cantare una canzone… su una tazza?”
“Sì, certamente.”
“Ok – intervenne Quinn alzandosi e prendendo il suo cappotto – dobbiamo uscire di qui.”
Oh, attenzione: l’anarchia si diffonde.
Sogghignò Rain dal suo angolino, seguendo la discussione tra i ragazzi, mentre dibattevano se fosse o no il caso di lasciare la stanza ed avventurarsi per le strade della Grande Mela.
I soli che sembravano contrari erano Rachel e Finn.
“Non dobbiamo scrivere le canzoni per le nazionali – affondò alla fine Quinn, abbattendo le ultime resistenze – New York le scriverà per noi.”
A quelle parole tutti i ragazzi si alzarono entusiasti ed indossarono scarpe e cappotti, pronti a tuffarsi nella loro avventura Newyorkese.
Si avviarono compatti verso la porta della stanza…
E si bloccarono ad occhi sgranati, quando la trovarono ferma davanti alla porta, le braccia incrociate sul petto e l’espressione che avrebbe avuto se fosse stata ancora nell’esercito e la sua squadra si fosse appena macchiata di ammutinamento.
“Andate da qualche parte?”
Domandò con voce calma, granitica.
Tredici teste e altrettante paia di occhi saettarono verso il pavimento, con aria colpevole.
Rain li scrutò tutti uno ad uno.
“Rain, noi volevamo solo…”
“Lo so benissimo cosa volevate fare, Rachel. Ho sentito tutto, parola per parola.”
La interruppe con voce ferma e autoritaria.
“Will ha fiducia in voi – continuò, le teste si abbassarono ancora di più, affossandosi tra le spalle dei ragazzi – è sicuro che scriverete delle bellissime canzoni, canzoni che vi permetteranno di portare a casa il trofeo delle nazionali. E ne sono convinta anche io.”
Fece una pausa osservando severamente le espressioni colpevoli sui loro volti.
Poi sorrise.
“Ma penso anche che un po’ d’ispirazione in più non faccia mai male.”
Santana fu la prima a sollevare il viso per incontrare il suo sguardo, incerta di aver colto davvero quello che intendeva dire.
“Avanti, che fate li fermi? – domandò spalancando la porta e facendogli segno di uscire – New York ci sta aspettando.”
 
 
Angolo della pazza
 
Salve popolo, che si dice?
 
Rieccomi con un capitoletto veloce veloce (da leggere, perché per scriverlo mi ci è voluta un’eternità, Will non collaborava…)
 
Ho voluto dare una spiegazione al fatto che nella scena di apertura dell’episodio, sulla scalinata in Times Square mancasse Santana. (sì lo so che non c’era per il semplice fatto che Naya era ancora a L.A. in studio di registrazione, ma ho pensato fosse meglio spiegarlo in un altro modo :D)
Così le ho affidato un compito molto importante, che lei da grandissima e meravigliosa amica qual è ha svolto veramente al meglio.
 
Per il resto, Rain si è divertita a fare il soldato tutto d’un pezzo, per poi rivelare la sua vera natura di eterna ragazzina…
 
Spero che il cap. vi sia piaciuto.
Fatemi sapere.
 
Beeeesiiiitooosss
 
WilKia >.<

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Capitolo 41
*** New York, New York .II ***


 New York, New York .II
 
 
 
 
Rain bussò piano alla porta della camera occupata dalle ragazze e da Kurt e rimase in attesa.
Aggrottò le sopracciglia non ricevendo alcuna risposta.
Erano da poco tornati dalla loro scorribanda per le strade di New York e aveva subito spedito tutti in camera perché si mettessero al lavoro sulle canzoni.
Sapeva di sicuro che nessuno di loro era più uscito dall’albergo, visto che era rimasta nella Hall e se qualcuno avesse tentato di nuovo di sgattaiolare fuori sarebbe per forza dovuto passarle davanti.
Bussò di nuovo, meno delicatamente, ma da dentro nessuno sembrò notare i suoi colpi alla porta.
Le giunsero varie grida dall’interno della stanza, così decise di entrare senza invito.
Appena aprì la porta, fu investita da una pioggia di piume vorticanti.
Proprio in quel momento, Kurt si stava lanciando da un letto, brandendo un cuscino, pronto a sferrare il suo attacco su Mercedes.
Quinn, Lauren e Tina erano impegnate in una lotta a tre, senza esclusione di colpi e Santana e Brittany saltavano insieme su un letto, scambiandosi cuscinate e di tanto in tanto ne riservavano qualcuna anche alle loro compagne a terra.
L’unica che non partecipava alla battaglia era Rachel, che se ne stava seduta alla scrivania, scrivendo su un quaderno, con un’espressione a metà tra il concentrato e lo scocciato stampata sul volto.
Davanti a quello spettacolo, l’ex-soldato si trovò seriamente combattuta tra lo scoppiare a ridere e unirsi alla battaglia o calarsi nel suo ruolo di adulta responsabile e dare loro una strigliata come se fosse ancora nell’esercito.
Si fece avanti all’interno della stanza, decisa a riportare la disciplina e attese che le ragazze e Kurt si accorgessero della sua presenza.
La prima a notarla fu Brittany, che non appena la vide lasciò cadere a terra il suo cuscino e si lanciò su di lei ridendo, demolendo in un attimo tutti i suoi buoni propositi.
“Rain!”
La prese al volo e si unì alla sua risata, ricambiando l’abbraccio in cui l’aveva stretta.
“Ragazze, non vorrei fare la guastafeste, ma Will sta arrivando. Fossi in voi risistemerei questo caos. E mi metterei a lavorare seriamente a quelle due canzoni.”
Disse rimettendo a terra Brittany.
“Santana. Avrei bisogno di te per una missione speciale.”
Continuò rivolgendo uno sguardo eloquente all’ispanica.
La ragazza si fece subito seria e saltò giù dal letto.
“E non mi dispiacerebbe avere una mano in più… Britt, sei dei nostri?”
“Certo!”
Trillò allegra la bionda.
“Bene. Allora ci conviene andare se vogliamo tornare in tempo per la cena.”
Attese che le due ragazze indossassero scarpe e giacche.
“Andiamo. Cercherò di rallentare Will indirizzandolo prima nella stanza dei ragazzi, in modo che abbiate più tempo per recuperare tutte le piume.”
Disse facendo l’occhiolino alle altre, mentre uscivano dalla stanza.
Brittany salutò con un ampio gesto della mano, mentre Santana sfoggiava il suo miglior ghigno da stronzetta.
“Ci vediamo.”
Buttò lì, prima di richiudersi la porta alle spalle.
“Primo: ti sto adorando per averci sottratte all’operazione ‘ raccoglimento piume ’ – esclamò la latina rincorrendola nel corridoio – secondo: dove hai detto che dobbiamo andare?”
 
Rain suonò il campanello e non riuscì a trattenere un sorriso sentendo i due diversi suoni di passi che si avvicinavano dall’altro lato della porta.
Uno tranquillo e uno più leggero, ma affrettato.
“Sorpresa!”
Esclamò con un sorriso enorme, quando la porta si aprì.
“Zia Rain!”
Gridò Evy, lanciandosi tra le sue braccia non appena la ebbe riconosciuta.
La sollevò da terra iniziando a girare su sé stessa stringendola forte tra le braccia, mentre la bimba ricambiava la sua stretta, ridendo.
Le tempestò il visetto di piccoli baci, poi le offrì la guancia in modo che potesse appoggiarvi a lungo le piccole labbra.
“Ehi, Nuvoletta. Guarda un po’ chi ti ho portato…”
Le bisbigliò all’orecchio girandosi ed indicandole Santana.
“San!”
Esclamò Evy felice, sporgendosi verso la ragazza ed allungando le braccia per farsi prendere da lei.
Rain lasciò la bimba in braccio all’amica, poi si voltò di nuovo verso la porta aperta dove Reneè aveva osservato la scena, appoggiata allo stipite con le braccia incrociate sul petto.
“Ciao, Reneè.”
La salutò un po’ impacciata.
Per tutta risposta, la donna si avvicinò e la strinse in un abbraccio.
“Grazie della sorpresa.”
Le bisbigliò all’orecchio, quando ricambiò l’abbraccio stringendola forte.
In quel momento Brittany passò loro accanto, trascinata in casa da Evy che le teneva la mano e chiacchierava con lei allegramente.
Le due donne si voltarono a osservarle, mentre sparivano nella stanzetta della bimba.
“Immagino quella fosse la famosa Brittany.”
Chiese Reneè divertita.
“Proprio lei – rispose Santana avvicinandosi per salutarla – ciao Reneè.”
Disse sorridendo e porgendole la mano.
“Non ci provare, ragazza. Vieni qui, voglio tutto il pacchetto.”
Rise la donna tirandola verso di sé per un abbraccio, che la latina ricambiò sinceramente.
“Avanti, venite dentro. Voglio sapere che ci fate qui a New York.”
 
“Avevo dimenticato che le nazionali erano proprio qui.”
“Mamma, mamma! Guarda che bel disegno ho fatto con Britt.”
Esclamò Evy entrando di corsa in cucina sventolando un foglio quasi più grande di lei.
Rain la afferrò al volo e se la sistemò in grembo, tra le sue risate divertite.
“Vieni qui, piccola peste.”
L’aiutò a distendere il foglio sul tavolo, mentre anche Brittany le raggiungeva e si sistemava dietro Santana, abbracciandola dolcemente ed appoggiando la guancia contro il suo capo.
Gli occhi di Rain si posarono sui volti sorridenti e rilassati delle due ragazze, sugli occhi adoranti di Reneè rivolti a Evy, che con la sua vocina spiegava le figure rappresentate nel disegno.
Loro erano la sua famiglia.
Amava immensamente ognuna delle quattro donne meravigliose che si trovavano in quella stanza insieme a lei.
Nascose per un momento il viso tra i capelli neri di Evy, lasciandole un bacio sulla testolina e stringendola un po’ di più tra le braccia.
“Andiamo Britt! Devo farti vedere Palla di Fuoco.”
Esclamò la bimba divincolandosi dalla sua stretta e scivolando a terra, per poi prendere una ridente Brittany per mano e ritrascinarla con sé nella sua stanzetta.
Reneè ridacchiò.
“Viene quasi da domandarsi chi sia la più bimba tra le due.”
“Sarebbe una bella lotta, senza dubbio.”
Sorrise Santana, seguendole con lo sguardo.
“E dimmi, com’è avere questa pazzoide come tutrice?”
“Beh, spero che i servizi sociali non vengano mai a fare un controllo. Festini tutte le sere, alcol e droghe che girano di continuo, stiamo meditando di aprire un piccolo casinò clandestino nello scantinato…”
“Insomma, una noia mortale – rise Reneè – ho sempre sospettato che nella nostra Rain si nascondesse una mammina apprensiva… almeno ti lascia uscire con la tua ragazza?”
“Ehi! – intervenne Rain indignata – non sono affatto una mammina apprensiva. A parte che sono decisamente troppo giovane per essere sua madre.”
“No, seriamente – riprese Santana rivolgendole uno sguardo affettuoso – non potrei chiedere di meglio. È la migliore.”
“Non avevo dubbi.”
Rispose Reneè puntando quegli occhi verdi nei suoi.
La stanza scivolò nel silenzio.
“Sarà meglio che vada a vedere cosa combinano di là le due bimbe.”
Decretò Santana alzandosi.
Passandole accanto le appoggiò una mano sulla spalla stringendola leggermente.
“Allora, com’è scorrazzare per New York al seguito di un gruppo di liceali?”
Rain le rivolse il suo mezzo sorriso.
“Come stai Reneè?”
“Eccola qui la solita Rain, che va sempre dritta al punto – sorrise lei scuotendo la testa – tu come stai?”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
“E tu non stai rispondendo alla mia.”
Calò di nuovo il silenzio e Rain puntò lo sguardo sul piano del tavolo, senza vederlo realmente.
Per quanto tentasse, era sempre così difficile sostenere lo sguardo di quegli occhi verdi.
“Oggi sono stata da lei…”
Mormorò dopo un lungo sospiro.
Sentì la mano di Reneè chiudersi sulla sua e ricambiò la stretta.
Non c’era bisogno che aggiungesse altro, sapeva che lei capiva esattamente cosa aveva significato essere andata là e quanto le era costato.
“Sei andata sola?”
Domandò piano.
Sorrise debolmente e scosse la testa.
“Non avrei mai avuto il fegato di andare da sola. Santana mi ha accompagnata.
Che c’è?”
Chiese vedendo il sorriso lievemente malinconico che si disegnò sulle sue labbra.
“Niente, sono solo contenta che tu abbia trovato qualcuno che sappia prendersi cura di te e a cui permetti di farlo.”
Rain abbassò lo sguardo.
“Reneè…”
“Scusa – la interruppe – non voleva essere un rimprovero. È solo che…”
“Lo so.”
Sospirò stringendo un po’ di più la sua mano.
Rimasero alcuni istanti in silenzio, sorridendo alle risa che provenivano dalla stanza di Evy.
“Allora… un uccellino mi ha detto che hai ripreso ad andare a caccia.”
Ridacchiò Reneè decidendo di passare ad argomenti più leggeri.
Rain sogghignò.
“Per caso si trattava di un uccellino zoppo?”
“Può darsi – rispose lei vaga – quindi, quanti cuori hai già infranto?”
Domandò strappandole una risata.
“Andiamo, lo sai che sono una brava ragazza. In realtà ho rimorchiato solo quella sera di cui ti ha sicuramente raccontato Fren.”
“Una volta sola? Non starai perdendo il tuo smalto, vero?”
La prese in giro.
“Beh, poi ci siamo rincontrate per caso alcuni giorni dopo e…”
“Non mi starai dicendo che hai infranto la tua regola numero uno?”
Esclamò Reneè scuotendo la testa con aria divertita.
“Ma dove andrà a finire il mondo?!”
“Eh già, ho infranto la regola numero uno.
Abbiamo iniziato a frequentarci.”
Aggiunse piano, scrutando il suo viso.
“Questa sì che è una notizia.”
Replicò lei, inarcando le sopracciglia, mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso privo di allegria.
La mano di Reneè scivolò lentamente fuori dalla sua e la donna vi appoggiò il mento.
“È una cosa seria?”
Mormorò evitando il suo sguardo.
“Non lo so – sospirò, faticando a trovare la voce – non lo so ancora.”
“Ehi – la richiamò piano Reneè – sono contenta per te. Davvero. Ma dì a quella…”
“Lara.”
Rispose alla domanda nei suoi occhi.
“Dì a quella Lara, che se si comporta male con te, poi dovrà vedersela con me. Chiaro?”
Rain sorrise e annuì.
“Mammina, guarda.”
Evy irruppe di nuovo in cucina, seguita poco dopo da Brittany e da Santana che subito si portò al suo fianco, rivolgendole uno sguardo preoccupato.
“San e Britt mi hanno fatto le trecce.”
Esclamò felice la piccola arrampicandosi in braccio alla madre.
“Ma guardati come sei bella, Nuvoletta.”
Sorrise la donna accarezzandole i capelli neri intrecciati, per poi stringerla forte tra le braccia.
“Grazie ragazze.”
“È stato divertente.”
Rispose Brittany ricambiando il sorriso con uno dei suoi.
“Bene, credo sia ora che vi riporti in albergo, prima che Will inizi a pensare che vi abbia rapite.”
Disse Rain alzandosi.
Evy si sciolse dall’abbraccio della madre e corse a prenderle la mano, tirandola verso il basso.
Rain si inginocchiò, fino ad essere alla sua altezza.
“Non andare via, zia Rain. Io voglio ancora giocare con te e con San e Britt.”
Disse la bimba imbronciandosi.
Rain la sollevò tra le braccia.
“Lo so Nuvoletta, ma adesso dobbiamo andare se non vogliamo che il professore di San e Britt si arrabbi. Ma ho una cosa per te e per la mamma – continuò estraendo una busta dalla tasca dei suoi jeans – vedi, domani San e Britt insieme ai loro amici partecipano ad una gara di canto e io ho bisogno di due aiutanti per fare il tifo per loro.”
La bimba prese la busta e ne estrasse i due biglietti che Rain aveva comprato per loro.
“Verrete, vero?”
Domandò Brittany saltellando sul posto.
“Certo che verremo – rispose Reneè sorridendole – è da quello spettacolo che avete fatto a scuola che ho voglia di vedervi all’opera tutti insieme.”
“Capito, Nuvoletta? Ci vediamo ancora domani, va bene?”
“Va bene.”
Annuì la piccola, convinta solo in parte.
“Ora che ne dici di salutare San e Britt, mmm?”
La bimba annuì sporgendosi verso le ragazze e, quando si furono avvicinate, depositò timidamente un piccolo bacio sulla guancia a entrambe.
“Ciao Evy.”
La salutò Santana, accarezzandole la testolina.
“Ci vediamo domani.”
Confermò di nuovo Brittany, appoggiandole l’indice sulla punta del nasino.
Reneè si avvicinò per salutare le ragazze e si ritrovò stritolata in un abbraccio caloroso di Brittany al quale si aggiunse anche Santana.
“Fai la brava, Nuvoletta. E mi raccomando, continua a tenere d’occhio la mamma per me, ok?”
Bisbigliò Rain all’orecchio della bimba.
“Va bene.”
Confermò lei tentando di farle l’occhiolino, ma producendo solo una buffa faccina con gli occhi chiusi e il nasino arricciato.
Rain ridacchiò stringendola forte.
“Me lo dai un bacio?”
Le labbra morbide di Evy si posarono a lungo sulla sua guancia, mentre le sue braccine si stringevano con forza intorno al suo collo.
“Ti voglio tanto bene, Nuvoletta.”
Disse, depositandola tra le braccia di Reneè.
“Ci vediamo domani.”
La salutò la donna.
“A domani.”
Confermò, chinandosi per baciarle la guancia, per poi seguire Brittany e Santana sul pianerottolo.
Aspettò che la porta si chiudesse prima di voltarsi, affondando le mani nelle tasche della sua giacca e scendere le scale.
 
Un lieve fruscio la strappò dal sonno agitato in cui immagini di Lara si confondevano con quelle di Storm, Reneè ed Evy.
Le ci volle un attimo per ricordare che si trovava in una camera d’albergo a New York.
Individuò due ombre che si muovevano cautamente nella stanza, avvicinandosi al suo letto.
“Vedo che la scassinatrice di Lima Heights ha colpito ancora.”
Bisbigliò ridacchiando, mentre le due ragazze si infilavano sotto le coperte insieme a lei.
“Cosa vi porta da queste parti?”
Domandò sentendo le braccia di Santana stringersi intorno alla sua vita.
Subito dopo la mano di Brittany si appoggiò sulla sua, mentre si accoccolava contro la schiena della sua ragazza, abbracciandola.
“Perché dovremmo starcene scomode insieme a tutte le altre, quando qui c’è un letto enorme e mezzo vuoto?”
Rispose Santana contro la sua spalla, in un tono di sufficienza che non la ingannò neanche per un secondo.
Rain sentì le sue braccia stringerla leggermente più forte e sorrise.
“Mmhmm. Mi sembra un’ottima motivazione.”
Si sporse in avanti e depositò un bacio in fronte ad entrambe, per poi allungarsi in modo da poterle abbracciare tutte e due.
“Buona notte.”
Mugugnò Brittany assonnata.
“Buona notte, ragazze.”
 
 
 
 
Angolo della pazza.
 
Madonnina che partooooooo
 
Finire questo capitolo è stato peggio che affrontare le 12 fatiche di Ercole, ve lo giuro.
E tanto per cambiare devo ringraziare la mia carissima compagna di deliri che mi ha aiutata a sbloccarmi dopo giorni e giorni che mi ero arenata sul dialogo tra Rain e Reneè.
 
Io trovo che Britt e la mia Nuvoletta siano davvero spettacolari insieme, che ne dite??
Io le adoroooo.
Sono bellissime.
E chissà che in futuro non abbiano altre occasioni di giocare insieme…
Ma niente spoilers.
 
Bene, chiudo qui e lascio a voi la parola.
 
Domando infinitamente scusa per il ritardo immane, ma la white syndrome mi aveva seriamente colpita questa volta, spero che non vi siate scoraggiati troppo dal seguirmi.
 
Nella parte precedente del capitolo non ve l’ho detto, ma c’è seriamente bisogno che vi informi che la canzone spettacolare del titolo è nella colonna sonora del Film omonimo di Martin Scorsese?
È stata cantata un po’ da chiunque, ma vi ricordo solo 2 nomi che valgono per 200000000 (come minimo) Liza Minnelli e Frank Sinatra.
Poi naturalmente ce ne fanno un accenno anche i nostri amati fanciulli delle New Directions, ma che ve lo dico a fare…
 
Ok, la smetto di tediarvi.
 
Alla prossima, besitooooosssss
WilKia >.<

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Capitolo 42
*** New York, New York .III ***


New York, New York .III
 
 
 
 
 
 
 
Seduta sul divanetto del parrucchiere, Santana osservava il riflesso del volto pensoso di Quinn, mentre lunghe ciocche dei suoi capelli color grano cadevano sul pavimento.
L’ispanica non poteva non ammettere di sentirsi un po’ in colpa per aver lasciato che la sua amica scivolasse sempre di più nel pozzo di tristezza in cui la vedeva ora.
Certo lei e la bionda non avevano mai perso occasione di pugnalarsi alle spalle quando si trattava di raggiungere la vetta della piramide, che fosse quella sociale o semplicemente quella dei Cheerios, ma per le cose serie, quelle che contavano davvero, c’erano sempre state l’una per l’altra.
Ultimamente, invece, si era lasciata assorbire così tanto dai suoi problemi e dai suoi sentimenti per Brittany da non vedere la sofferenza della sua migliore amica.
Ma ora le cose sarebbero cambiate.
Non avrebbe più ignorato Quinn e avrebbe fatto ciò che poteva per aiutarla, indipendentemente dai suoi problemi personali.
Una risata cristallina la strappò dai suoi pensieri inducendola a distogliere lo sguardo dal riflesso sullo specchio, mentre un’enorme sorriso idiota le incurvava le labbra.
Brittany, la testa gettata all’indietro, era seduta a gambe incrociate su una delle sedie girevoli del parrucchiere che roteava vorticosamente su sé stessa, scatenando le risa della ballerina.
Quando la sedia smise di girare, la bionda intercettò lo sguardo della sua ragazza e la raggiunse un po’ malferma sulle gambe per poi sedersi sulle sue ginocchia, nascondendole il viso contro il collo con un sospiro soddisfatto.
Santana appoggiò il mento sul capo della sua biondina e prese un lungo respiro del profumo che sprigionavano i suoi capelli.
Sentendosi osservata sollevò lo sguardo, ritrovandosi a fissare gli occhi verdi di Quinn che, alzatasi da sotto le mani del parrucchiere con il suo nuovo taglio, le osservava con un sopracciglio alzato.
Il cervello di Santana lavorò freneticamente in cerca di una possibile scusa per giustificare quell’abbraccio, poi il suo sguardo colse il riflesso dell’espressione da ebete che aveva stampata sul viso. Così si limitò a intercettare di nuovo gli occhi di Quinn per poi alzare le spalle rivolgendole uno dei suoi veri sorrisi.
L’ex capo cheerleader le osservò in silenzio ancora per un istante, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. Poi le sue labbra si aprirono in un ampio e sincero sorriso.
“Era ora che ti decidessi, testona di una Lopez.”
Esclamò ridendo e saltando addosso alle sue migliori amiche stringendole in un abbraccio caloroso.
“Sono davvero felice per voi. Vi voglio bene ragazze.”
 
Rain osservava l’auditorium quasi pieno, le braccia incrociate sotto al seno e un’espressione orgogliosa dipinta sul volto.
I ragazzi avevano tirato fuori il meglio di sé nel comporre le canzoni per la nazionale ed era particolarmente fiera di come Santana aveva contribuito, mettendo in parole la sua esperienza personale degli ultimi mesi.
Un fruscio alle sue spalle la indusse a voltarsi e le si disegnò il suo tipico mezzo sorriso sulle labbra.
“Che mi venga un colpo. Sto davvero ammirando la famigerata Unholy Trinity in tutto il suo triplice splendore! – esclamò divertita, causando un sorriso timido da parte di Quinn e il solito bellissimo sorriso di Brittany, mentre Santana alzava gli occhi al cielo, scuotendo la testa – sono folgorata da…”
“Diciamo che sei sempre e solo la solita cascamorto – la interruppe una voce familiare – che c’è pervertita, adesso due non ti bastano più?”
“Ciao scoppiata, mi sei mancata anche tu.”
Rispose senza nemmeno girarsi, mentre Fren la raggiungeva per poi spesarsi contro la sua spalla.
Ma la voce che la raggiunse un attimo dopo costrinse le sue labbra ad aprirsi in un ampio sorriso, mentre si scrollava di dosso l’amica per potersi voltare.
“Questo sì che è un bel quadretto, non capita tutti i giorni di vedere la strana coppia riunita.”
Ridacchiò Reneè avvicinandosi.
“Ciao Rain.”
“Zia Rain!”
Gridò Evy iniziando ad agitare le gambette perché la madre la mettesse a terra, così da poter correre da lei.
Rain la intercettò nella sua corsa e la lanciò in aria per poi riprenderla al volo scatenando le sue risa e i sorrisi inteneriti delle tre ragazze che osservavano la scena.
“È la sorella di Rain?”
Sentì domandare Quinn in un bisbiglio, indicando Reneè con un cenno del capo.
Brittany scosse la testa.
“In effetti non si assomigliano, ma… allora chi è?”
“È complicato…”
Rispose Santana altrettanto sottovoce, rivolgendole un sorriso quando capì che aveva sentito quello scambio.
“Ehi, Nuvoletta. Che ne dici di andare a salutare Santana e Brittany e la loro amica Quinn? Tra poco devono andare a prepararsi per cantare.”
La piccola si lasciò posare a terra e corse dalle ragazze abbracciando contemporaneamente una gamba di Santana e una di Brittany che salutarono la bimba per poi scambiarsi uno sguardo e un sorriso pieni di dolcezza.
L’ex soldato osservò Quinn unirsi alle sue amiche che chiacchieravano con Evy.
“Quella piccoletta riesce proprio a conquistare tutti – sorrise a Reneè che si era affiancata a lei e le passò un braccio intorno alla vita – come la sua mamma.”
“Quale delle due?”
Domandò Fren punzecchiandole il braccio con un dito.
“Entrambe.”
 “Quanta diplomazia – borbottò ancora la ragazza alzando gli occhi al cielo – patetica.”
Rain stava per ribattere, ma in quel momento Santana si avvicinò a loro, tenendo Evy in braccio, accompagnata da Quinn.
“Noi dobbiamo andare a preparaci. Ci vediamo dopo.”
Disse lasciando la bimba in braccio alla madre.
“È  stato un piacere.”
Le salutò Quinn, per poi lasciarsi trascinare via dall’amica.
Non appena le due ragazze furono uscite dall’auditorium, Brittany si avvicinò a lei e le avvolse le braccia intorno alla vita, appoggiandole la testa su una spalla.
“Io inizio ad andarmi a sedere, ragazze – decretò Fren dando un piccolo pugno sulla spalla di Rain – ci vediamo dopo.”
“Che c’è Britt? Qualcosa non va? – le domandò Rain ricambiando l’abbraccio, dopo aver rivolto un cenno all’amica – sei nervosa per la gara?”
La ballerina scosse la testa e sollevò gli occhi ad incontrare i suoi.
“Hai visto com’è brava San con Evy?”
Sospirò tornando ad appoggiare la testa sulla sua spalla.
“Oh, sì. È davvero brava.”
Confermò domandandosi dove volesse arrivare la bionda con quel discorso.
“Non pensi anche tu che un giorno sarà una mamma meravigliosa?!”
“Senza ombra di dubbio.”
“Ma, Rain. San dice che io e lei non possiamo avere dei bimbi insieme visto che siamo due ragazze – sospirò triste tornando a guardarla, mentre le sue labbra assumevano quel suo broncio adorabile – ma io voglio davvero avere dei figli con lei un giorno. Perché due donne non possono fare un figlio? Eppure Rachel ha due papà…”
Rain si chinò a lasciarle un bacio sulla fronte, mentre il suo cervello lavorava febbrilmente alla ricerca di una risposta adatta all’innocenza disarmante di Brittany.
Non voleva darle informazioni imprecise creandole false speranze, così come non voleva distruggerle completamente.
Con la coda dell’occhio vide il sorrisetto divertito che indugiava sulle labbra di Reneè, mentre era intenta a coccolare Evy e capì che almeno per il momento la donna non l’avrebbe aiutata.
“Beh, tesoro – cominciò esitante – Santana non ha tutti i torti. Due donne da sole non possono avere un bambino.”
Reneè le fece un gesto di incoraggiamento con una mano, annuendo.
“Ma questo non vuol dire che, se vorrete, un giorno tu e Santana non possiate creare comunque una famiglia.”
Continuò un po’ più sicura incontrando quello sguardo trasparente.
“Ad esempio potreste adottare un bambino o una bambina che per qualche ragione sono rimasti senza famiglia. Ce ne sono tanti, sai.
Oppure se proprio volete diventare mamme ci sono…
Che c’è?”
Si interruppe vedendo l’intensità dello sguardo che Brittany le stava rivolgendo.
La ragazza la strinse più forte.
“Sai vorrei poter tornare indietro nel tempo fino a quando tu sei rimasta sola. Così io e San potremmo adottarti e prenderci cura di te.”
Il cuore di Rain perse un battito a quelle parole e istintivamente strinse di più le braccia intorno a quella ragazza meravigliosa.
“Sono sicura che sareste state le mamme migliori che avrei mai potuto desiderare.”
Bisbigliò commossa.
“Credo sia meglio che ora vada a prepararmi.”
Disse poi la bionda sciogliendosi delicatamente da quell’abbraccio.
Rain si limitò ad annuire accarezzandole dolcemente una guancia.
“A dopo.”
Esclamò allegra salutando Evy e Reneè sventolando la mano, mentre usciva dall’auditorium diretta ai camerini.
“Ehi, tutto bene?”
Domandò piano Reneè appoggiandole una mano sulla spalla.
L’ex soldato annuì piano e si schiarì la gola.
“Vieni – la invitò vedendo le luci lampeggiare, segnalando che la competizione stava per incominciare – andiamo a sederci.”
 
“Mi dispiace davvero, Rain.”
Ripeté Reneè scuotendo la testa.
Il viaggio di ritorno all’albergo era stato del tutto silenzioso e deprimente. Tutti i ragazzi avevano sfoggiato un perfetto corredo di musi lunghi, mentre alcune ragazze si erano ritrovate ad asciugarsi delle piccole lacrime vagabonde dal viso.
“I giudici sono stati troppo severi con i ragazzi. Avrebbero dovuto dare molto più valore al fatto che hanno partecipato con delle canzoni originali e che le hanno cantate divinamente, anziché concentrarsi su quel bacio.”
Rain sospirò delusa, accarezzando la testolina di Evy che dormiva placidamente tra le sue braccia.
“Sarà meglio che vada a vedere come stanno i ragazzi, la batosta più grossa l’hanno presa loro.”
Mormorò lasciando un piccolo bacio tra i capelli neri della bimba prima di restituirla a Reneè.
“Allora io riporto la mia Nuvoletta a casa, così può continuare il suo pisolino sotto le coperte. Stasera passi a salutarci con le ragazze?
Ci piacerebbe passare una serata tranquilla con voi prima che facciate ritorno a Lima domani.”
“Verremo sicuramente.”
“Naturalmente, Fren sei invitata anche tu. E per invitata intendo che devi venire se non vuoi essere presa a calci.”
Specificò con un sorriso.
“Cedo alla violenza.”
Ridacchiò Fren.
“A questa sera allora.”
Confermò Rain dando una pacca sulla spalla di Fren, avvicinandosi poi a Reneè per lasciarle un bacio sulla guancia per poi voltarsi e salire rapidamente le scale per raggiungere le New Directions.
Era all’inizio dell’ultima rampa di scale, quando il suo fine udito captò la voce di Santana.
E adesso che diavolo succede?
Pensò aggrottando le sopracciglia, quando si rese conto che la ragazza stava urlando in spagnolo.
Si affrettò a raggiungere il pianerottolo salendo i gradini tre a tre, la voce di Santana che le giungeva sempre più nitida. Seguì le urla della latina fino ad una stanza.
Aprì la porta e si bloccò alla scena che le si parò davanti agli occhi.
Rachel era in piedi in mezzo alla camera, le braccia strette intorno al corpo e fronteggiava una Santana a dir poco fuori di sé che le urlava contro in spagnolo e che non le si era ancora scagliata addosso solo perché Quinn, Mike e Sam la stavano trattenendo, non con poca fatica, mentre gli altri membri del Glee osservavano la scena allibiti.
“Escucha! Soy de Lima Heights Adjacents y yo tengo orgullo! Sabes lo que pasa en Lima Heights Adjacents? Cosas Malas!”
Urlò l’ispanica strattonando con forza la presa dei suoi compagni.
Quinn perse la presa sul corpo dell’amica, spezzando così l’equilibrio precario che fino ad ora le aveva impedito di avventarsi addosso a Rachel.
Rain fece appena in tempo a frapporsi tra quella furia latina e la sua vittima designata.
Con un movimento rapido si piegò in avanti, poggiando una spalla contro il suo addome e la sollevò da terra passandole un braccio intorno alla vita perché non cadesse.
“Ci penso io. Non vi preoccupate.”
Disse dirigendosi verso la porta, mentre la ragazza continuava a dimenarsi e ad urlare minacce anche appesa nella sua stretta.
Prima di uscire afferrò la mano di Brittany e se la trascinò dietro.
“Quinn. Vieni anche tu, per favore.”
La bionda le raggiunse e aprì la porta davanti a lei permettendole di uscire senza lasciare la mano di Brittany e soprattutto senza dover rimettere Santana a terra.
“Meglio andare subito da Reneè per quella serata rilassante, ce n’è più bisogno di quanto pensassi.”
Sbuffò, mentre la porta si richiudeva alle loro spalle.
 
Ultima chiamata per il volo 3097 diretto a Lima, Ohio.
Gracchiò l’altoparlante della sala d’attesa del JFK.
I ragazzi delle New Directions si alzarono stancamente dalle sedie e si avviarono mesti all’imbarco, preceduti da un altrettanto avvilito Will.
Rain si caricò in spalla la sua solita sacca da viaggio e seguì Santana e Brittany verso il corridoio d’imbarco, quando si sentì chiamare da una vocetta che avrebbe riconosciuto anche in mezzo ad una folla urlante.
Si bloccò a metà di un passo e voltandosi vide Evy correre in mezzo all’aeroporto verso di lei, seguita da vicino da Reneè.
Si inginocchiò e la bimba si gettò tra le sue braccia spalancate.
Rain la strinse forte e si alzò, mentre Reneè le raggiungeva.
“Che ci fate da queste parti?”
“Te l’ho detto che non ti avrei più permesso di defilarti senza salutare.”
Spiegò la donna con un sorriso dolce.
“Pensavo ci fossimo salutate ieri sera.”
“Ti stai forse lamentando?”
Domandò aggrottando le sopracciglia.
“Assolutamente no – sorrise sincera – sono contenta di rivedervi prima di partire.”
“La mia Nuvoletta ci teneva tanto a salutarti per bene.”
Spiegò lei accarezzando i capelli corvini della bimba intenta a sventolare la manina in direzione di Santana e Brittany, che attendevano all’ingresso del corridoio d’imbarco.
Rain si voltò appena verso di loro.
“Cominciate ad andare, ragazze. Arrivo subito.”
Riportò lo sguardo sugli occhi verdi di Reneè.
“Devo andare, o mi toccherà viaggiare aggrappata ad un’ala…”
Lei si limitò ad annuire.
“Ehi, Nuvoletta. Che ne dici di darmi un bacione?”
La bimba le strinse forte le braccia al collo, mentre premeva le piccole labbra sulla sua guancia con tutta la forza che aveva.
“Ti voglio tanto bene, piccola mia.”
Bisbigliò al suo orecchio, prima di affidarla di nuovo alle braccia della madre.
“Ci sentiamo presto. Ok?”
Reneè si limitò ad annuire, tenendo lo sguardo fisso a terra.
“Ci mancherai, Rain.”
Sussurrò, appoggiandole una mano sulla guancia e sollevando finalmente gli occhi ad incontrare i suoi.
“Mi mancherete anche voi. Tanto.”
Prima che potesse accorgersi di ciò che stava accadendo, le labbra di Reneè furono sulle sue, sfiorandole appena con disperata dolcezza.
Si stava ancora domandando se stesse accadendo davvero, quando lei si voltò allontanandosi senza più girarsi.
Rain la osservò sparire tra i viaggiatori che affollavano l’aeroporto, rispondendo vagamente al saluto triste di Evy.
 
 
 
Angolo della pazza
 
SOOOONOOOOO VIIIIVAAAA
Lo so ormai stavate perdendo le speranze.
Ve lo devo confessare, un po’ iniziavo a disperarmi anche io.
Scrivere questo capitolo è stato un vero parto.
Ma alla fine ho sfornato la pagnotta.
Spero sia di vostro gradimento.
 
Scusate, sono le 3.12 di mattina e tra 5 ore ho lezione, non ho proprio la forza di dilungarmi oltre.
 
Ringrazio calorosamente chi ancora mi segue nonostante l’immenso buco nero che c’è stato tra questa pubblicazione e la precedente…
 
Per chi fosse interessato, inizierò a lavorare al nuovo cap di “Made of Stone” non appena i miei poveri neuroncini avranno recuperato qualche ora di sonno..
 
Chiudo qui.
Grazie ancora per la pazienza..
Non ho la forza di rileggere e correggere al momento, quindi se notate degli orrori, vi prego di segnalarmeli e li rimuoverò appena possibile.
 
 
Un megabacionegigante.
 
WilKia >.<

P.S. ringrazio la mia compagna di deliri che mi ha aiutata a trovare un gran parte delle idee ce mi hanno fatta uscire dal tunnel... GRAZIEEE

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Capitolo 43
*** Nightrain ***



Nightrain
 
 
 
 
 
Santana capì che era successo qualcosa nel momento stesso in cui Rain mise piede sull’aereo.
Non che la cosa la sorprendesse, sapeva bene quanto l’amica tenesse a Evy e a Reneè e quanto fosse difficile per lei lasciarle.
“Rain è di nuovo triste...”
Mormorò Brittany al suo fianco, avvicinandosi perché nessun altro la sentisse.
L’ispanica si limitò ad annuire, rivolgendo uno sguardo preoccupato all’ex-soldato che si avvicinava alla loro fila di sedili, prima di voltarsi di nuovo verso la sua ragazza e scambiare con lei uno sguardo d’intesa.
Brittany le sorrise dolcemente e Santana le accarezzò lievemente il dorso della mano, prima di alzarsi dal sedile centrale che stava occupando, sedendosi in quello che dava sul corridoio.
Quando le raggiunse, Rain le rivolse uno sguardo confuso per quella disposizione, ma la latina si limitò a tamburellare un paio di volte la mano sul sedile centrale, indicandole di sedersi.
Sorrise vedendo Brittany avvolgere entrambe le braccia intorno a quello destro dell’ex-soldato, appoggiando poi la testa sulla sua spalla con un sospiro soddisfatto.
Dal canto suo, Santana si limitò a prendere nella sua la mano sinistra dell’amica dandole una piccola stretta, sapeva bene che Rain non aveva bisogno di nessun altra spiegazione per quei gesti.
Infatti la donna le rivolse uno dei suoi piccoli sorrisi malinconici, prima di rilassarsi appoggiando la guancia sulla testa bionda che riposava sulla sua spalla e chiuse gli occhi ricambiando la stretta della sua mano.
 
Santana sospirò stanca, mentre si rigirava sotto le coperte del letto di Rain.
Nonostante la sconfitta alle Nazionali, il viaggio a New York era stato una bella avventura.
Era contenta di aver rivisto Evy, Reneè e Fren, soprattutto era felice di aver ritrovato la sua amicizia con Quinn e che la ragazza si fosse subito schierata dalla parte sua e di Brittany.
Eppure c’era ancora qualcosa che non andava e che malgrado la sua stanchezza l’aveva fatta svegliare nel cuore della notte, solo per trovare vuoto l’altro lato del letto.
Si alzò stancamente e si trascinò giù per le scale che collegavano la stanza dell’ex-soldato alla palestra che si rivelò stranamente vuota e silenziosa.
Santana osservò corrucciata il sacco che penzolava immobile dal soffitto, mentre la sua preoccupazione per l’amica aumentava.
“Rain?”
Chiamò sommessamente scendendo al piano terra.
La latina si diresse verso il salotto da dove le era parso di avvertire un mormorio confuso.
Infatti Rain era lì, ma Santana non l’aveva mai vista ridotta così.
L’amica era seduta scompostamente a terra, la schiena appoggiata contro lo schienale del divano e la testa reclinata su una spalla, con gli occhi rossi e lo sguardo annebbiato.
Un numero imprecisato di lattine e bottiglie vuote di birra era sparso tutto intorno a lei.
“Rain?”
La chiamò di nuovo, avvicinandosi piano ed inginocchiandosi a terra accanto a lei.
“Mhmm.”
“Stai bene?”
Un profondo sospiro fu l’unica risposta che ottenne, prima che la donna si portasse alle labbra la bottiglia che aveva in mano, prosciugando la birra che vi era rimasta in un unico lungo sorso, per poi gettare via il contenitore vuoto che rotolò tintinnando sul pavimento.
“Rain, che succede?”
“Non riuscivo a dormire…”
Borbottò lei con la voce impastata dall’alcol aprendosi un’altra lattina.
“Esattamente da quando passi le nottate insonni stordendoti con l’alcol anziché massacrare il sacco?”
L’unica risposta che ottenne fu vederla prendere un’altra lunga sorsata di birra.
“Rain, basta!”
Ordinò afferrando la lattina e tentando di strappargliela di mano.
Dovette lottare per alcuni momenti con la stretta ferma della ragazza, facendo schizzare la birra fuori dalla lattina prima di riuscire a sfilarla dalla sua presa.
La appoggiò sul pavimento fuori dalla portata dell’ex-soldato e si assicurò di allontanare anche le altre birre ancora piene prima che potesse aprirne un’altra.
“Ridammela!”
Protestò allungandosi impacciata su di lei per riprendersi il maltolto.
Lottò con i suoi goffi tentativi e alla fine Rain si arrese abbandonandosi scompostamente contro di lei.
“Rain che ti succede?”
Domandò preoccupata accarezzandole piano i capelli arruffati.
“È per Evy e Reneè?”
L’ex-soldato si mosse nervosa nel suo abbraccio.
Bingo.
“Che è successo? Sai, dopo che io e Britt siamo salite sull’aereo…”
“Cosa ti fa pensare che sia successo qualcosa?”
Chiese lei strascicando le parole.
“Mmm, vediamo. La faccia che avevi quando ci hai raggiunte sull’aereo, non era una semplice espressione da malinconia post saluti. E poi c’è il fatto che ora stai tentando di sviare la domanda. E poi… dunque che altro indizio potrei aver colto?”
Domandò fingendo un’espressione pensosa.
“Aspetta – annusò l’aria – non senti anche tu uno strano odore di birra?”
Concluse con un sorriso.
Rain sospirò pesantemente, nascondendo il volto contro la sua spalla.
“Credevo che ci fossimo chiarite, quando lei e Evy sono state qui – mormorò con voce incerta, confusa – pensavo che avessimo messo una pietra sopra quell’episodio e che ora tutto fosse a posto. Invece lei…”
Santana si strinse di più a lei, preoccupata. Sembrava quasi che Rain stesse tentando di capire se quello che era accaduto fosse reale o solo frutto della sua immaginazione.
“…invece mi ha baciata.”
Santana la cullò lentamente, sentendola farsi sempre più irrequieta tra le sue braccia.
Fantastico! Giusto quello che le serviva per semplificarle la vita.
Dopo alcuni istanti Rain si divincolò dal suo abbraccio e si alzò goffamente da terra iniziando a misurare la stanza con passi frenetici e incerti, mordicchiandosi le unghie.
“Perché l’ha fatto?”
Si lamentò piagnucolando, il viso rigato di lacrime.
Non stava piangendo, sembrava più che altro che l’alcol l’avesse privata del controllo dei suoi dotti lacrimali.
“Aveva detto che tra noi non potrà mai esserci niente. Perché mi ha detto quelle cose e poi mi ha baciata? Non è corretto.
Io mi sto vedendo con un’altra persona, maledizione. Non può trattarmi…”
Santana perse il filo del discorso, mentre Rain parlava sempre più freneticamente, gesticolando e mescolando inglese ed italiano a volte anche nella stessa parola, rabbia e confusione che si alternavano sui suoi lineamenti.
Improvvisamente si lasciò cadere sul divano, scossa da singhiozzi nervosi.
L’ispanica si alzò dal pavimento e la raggiunse, chinandosi davanti a lei e appoggiandole le mani sulle ginocchia per attirare la sua attenzione.
“Ehi. Che ne diresti di andarci a fare una bella dormita e domani ne riparliamo tranquillamente. Mmm?”
“Ho sete…”
Piagnucolò lei senza nemmeno alzare lo sguardo.
“Ok – sospirò preoccupata – ma niente più birra. Ora vado a prenderti un bicchiere d’acqua e poi ce ne andiamo a letto. Va bene?”
Rain annuì quasi impercettibilmente e Santana le diede un bacio sulla fronte prima di alzarsi e dirigersi in cucina.
Di nuovo si ritrovò arrabbiata con Reneè.
Quella donna era assolutamente esasperante.
Possibile che non pensi  mai all’effetto che le sue cazzate hanno su Rain?!
Prima i dischi e quella medaglia, poi si presenta qui con Evy e adesso questo.
Prese un lungo respiro per calmarsi.
Adesso Rain aveva bisogno che lei fosse tranquilla e lucida.
Soffocò uno sbadiglio stanco, mentre riempiva d’acqua un grosso bicchiere, quindi ritornò in salotto… solo per trovarlo vuoto.
“Perfecto! – esclamò esasperata alzando gli occhi al cielo e passandosi nervosamente la mano tra i capelli – desapareció de nuevo.”
Sentì dei tonfi al piano di sopra e si affrettò a salire.
Se non fosse stata così preoccupata per l’amica, probabilmente si sarebbe messa a ridere vedendola colpire con forza il sacco, solo per essere respinta via nel momento in cui questo ritornò dondolando verso di lei, colpendola al petto quando non riuscì a prendere il ritmo giusto per sferrargli un secondo pugno.
Rain si lasciò cadere lunga distesa a terra, senza nemmeno provare a mantenere l’equilibrio precario che le concedevano le sue gambe malferme e rimase lì immobile con le braccia spalancate e un’espressione decisamente misera dipinta in volto.
Scosse la testa ed appoggiò il bicchiere prima di avvicinarsi a lei ed aiutarla a rimettersi in piedi.
“Forza soldato – sbuffò facendo forza con le braccia per sopperire alla mancanza di collaborazione da parte della ragazza – la tua branda ti aspetta.”
“Non voglio andare a dormire.”
Bofonchiò Rain con voce impastata.
“Voglio restare qui a parlare con il mio amico – continuò abbracciando il sacco che l’aveva appena atterrata – lui è l’unico che mi capisce e mi sta sempre a sentire. Vero Nick?!”
Chiese guardando l’oggetto a cui era appesa.
Santana non poté trattenere un sorriso, suo malgrado.
“Adesso però anche Nick ha bisogno di riposare – sospirò afferrandole un braccio e passandoselo intorno alle spalle – avanti, è ora di andare a dormire.”
“Ciao Nick!”
Esclamò l’ex-soldato, mentre si lasciava trascinare via.
Le due ragazze arrancarono faticosamente fino in camera e appena furono abbastanza vicine, Santana lasciò che Rain cadesse seduta sul letto.
“Coraggio soldato, sotto.”
Ordinò sollevando le coperte.
“Noooo non voglio!”
Esclamò lei stringendole le braccia intorno alla vita
Per fortuna che tra noi due è lei l’adulta responsabile…
Pensò alzando gli occhi al cielo.
“Ho sete. Dov’è la mia acqua?”
Chiese con il volto seppellito contro il suo addome.
Santana scosse la testa e si sciolse delicatamente dalla sua presa chinandosi in modo da poterla guardare in faccia, cercando di capire da quando fosse diventata così paziente.
“Facciamo così, io ti vado a prendere l’acqua e tu intanto ti metti comoda sotto le coperte, va bene?”
Lo sguardo annebbiato di Rain la scrutò perplesso per alcuni istanti, poi la ragazza annuì.
“Va bene. Grazie Sannie. Ti voglio tanto bene, sai?!”
La latina ridacchiò.
“Si. Ti voglio bene anc…”
Prima che potesse finire di parlare si sentì afferrare il viso e Rain le stampò un bacio schioccante sulle labbra per poi crollare all’indietro sul letto.
“Ok – mormorò divertita – in effetti speravo che ti mettessi dal tuo solito lato, ma per stasera può andare anche così. Torno subito.”
Concluse dandole una leggera pacca sul ginocchio.
Ritornò velocemente in palestra e recuperò il bicchiere d’acqua da dove lo aveva abbandonato.
“Notte Nick.”
Ridacchiò passando accanto al sacco da boxe.
“Ecco qui la tua acqua.
Rain?”
Chiamò piano non ricevendo nessun cenno di vita da parte della ragazza spalmata sul letto.
Appoggiò silenziosamente il bicchiere sul comodino e si chinò sull’amica che dormiva già profondamente per lasciarle un lieve bacio sulla fronte.
Le rimboccò le coperte addosso alla meno peggio, poi recuperò il suo cuscino e si sistemò accanto a lei, infilandole un braccio sotto la nuca e tirandola a sé in modo che si sistemasse comodamente contro di lei.
“Risolveremo anche questa, vedrai.”
Bisbigliò cullandola dolcemente.
Rain si rannicchiò contro il suo fianco e nascose la testa sotto il suo mento, mugugnando nel sonno.
Santana continuò a passarle le dita tra i capelli finché il sonno non reclamò anche lei.
 
 
La sensazione di una mano affusolata che le accarezzava lievemente la pelle nuda dell’addome la accompagnò gentilmente fuori dal sonno, inducendo le sue labbra ad incurvarsi in un sorriso nonostante il dolore martellante che le pulsava nelle tempie.
I suoi neuroni erano ancora troppo intontiti perché ricordasse cosa aveva combinato la sera prima, ma non ci voleva certo una laurea in biologia per ricondurre il mal di testa e il sapore di topo morto che si sentiva in bocca ad un dopo-sbronza colossale, come non ne aveva più avuti da quando aveva smesso di girare regolarmente per locali in compagnia di Fren.
La mano sottile infilata sotto la sua maglietta continuò a stuzzicare la sua pelle, risalendo lentamente oltre i suoi addominali e risvegliando dolcemente le reazioni del suo corpo.
Avvertiva il dolce peso di una lunga gamba appoggiata di traverso sul suo bacino e respirava un profumo dolce.
Aprì cautamente un occhio e scrutò la testa bionda che riposava sulla sua spalla.
Si stiracchiò e appoggiò la mano sulla schiena di Lara, iniziando a ricambiare le sue carezze.
La ragazza si fece più vicina a lei con un mormorio soddisfatto che le dipinse un sorriso sornione sulle labbra.
Poi un pensiero disturbante si insinuò nella sua mente.
Ma ieri sera… non sono andata a casa di Lara.
Riaprì gli occhi e si guardò intorno rendendosi conto di essere nella sua camera da letto.
Ancora Lara non è mai stata qui. Quindi…
Si sentì attanagliare da un dubbio che le fece girare la testa, mentre il suo stomaco, ancora provato da tutto l’alcol che aveva ingurgitato la sera prima, si contorceva dolorosamente.
Abbassò di nuovo lo sguardo verso la ragazza che aveva avvinghiata addosso e il suo cuore per poco non si fermò.
OH CAZZO!!
Oh cazzo, cazzo, cazzo, CAZZO!!!
Dimmi che non è vero, sto ancora sognando. Non è possibile. Non posso aver fatto una stronzata del genere.
Ma il male alla testa era decisamente troppo reale perché si trattasse di un sogno.
Fermò la mano che ancora la stava accarezzando e la sfilò delicatamente da sotto la sua maglietta, accertandosi che la ragazza fosse ancora profondamente addormentata, quindi si sciolse piano dalla sua stretta sgusciando fuori da sotto le coperte pregando perché non si svegliasse.
Che cosa ho fatto?! Che cosa diavolo ho fatto?!
Si passò le mani tra i capelli disperata, osservando le lunghe gambe nude che spuntavano da sotto le lenzuola, la pelle bianca arrossata in più punti da dei succhiotti freschi.
Uscì dalla stanza e si andò a rifugiare in bagno, chinandosi subito sul lavandino e infilando la testa sotto il getto dell’acqua fredda.
Merda! Non posso averlo fatto davvero.
Non posso essere andata a letto con Brittany.
Un gemito disperato le sfuggì dalla gola.
Santana mi ucciderà. Mi farà morire di una morte lenta e dolorosa.
Come posso averla pugnalata alle spalle in questo modo?!
Come posso aver fatto questo a Santana?!
Il pensiero della latina le risvegliò un ricordo della sera precedente e per la seconda volta nel giro di dieci minuti il suo cuore fu sul punto di fermarsi.
Si portò una mano alla bocca ricordando chiaramente la sensazione delle labbra piene e morbide di Santana premute contro le sue.
Oh porca puttana! Non sarà che…
Nascose il volto dentro un asciugamano, sfregandosi energicamente la pelle e i capelli bagnati.
Cercò disperatamente di ricordare il resto della nottata, ma fu tutto inutile.
Il filo dei suoi ricordi si fermava al momento in cui aveva baciato Santana per poi riprendere dal suo risveglio accanto a Brittany.
Ok, calma. Non concluderai niente andando nel panico. Né tanto meno rimanendo chiusa in bagno.
Prese un lungo sospiro e poi spalancò decisa la porta del bagno avviandosi verso le scale per scendere in cucina, un’ansia crescente che la invadeva ad ogni scalino.
“Buenas dias, Capitan Doppio Malto.”
Santana l’accolse con un sorriso, mentre era intenta a sistemare la tavola per la colazione.
Rain si lasciò cadere pesantemente su una sedia del tavolo prendendosi la testa dolorante tra le mani, incapace di alzare lo sguardo ad incontrare quello della ragazza.
“Ohoh, qualcuno qui ha un post-sbronza da primato. Non mi sorprende affatto dopo i numeri di stanotte.”
Rain sospirò pesantemente.
“A proposito di stanotte – cominciò con voce incerta – vorrei scusarmi per come mi sono comportata…”
“Stai tranquilla, non c’è alcun bisogno che ti scusi.”
Rispose l’ispanica lasciandole una carezza su una spalla e appoggiando una tazza di caffè fumante sul tavolo davanti a lei.
“Sì invece. Quello che ho fatto è sbagliato. Tu sei minorenne io sono la tua tutrice legale, dovrebbero sbattermi in galera e gettare via la chiave per il casino che ho fatto stanotte.”
“Andiamo Rain, adesso non esagerare. Dopotutto non è successo niente di che. Io sto bene, tu stai bene… beh, più o meno – si corresse – alla fine è stato anche piuttosto divertente.”
A quelle parole Rain lasciò cadere la testa sul tavolo con un gemito abbattuto.
Sono una persona orribile.
Cominciò a ripetersi come un mantra nella sua testa.
“Avanti, non fare così. Capita a tutti di avere dei momenti di debolezza e di cercare conforto con metodi alternativi… da quando sei diventata così melodrammatica?”
Sono una persona orribile.
“Stamattina Britt mi ha detto che ti ha trovata deliziosa. A proposito sta ancora dormendo? Era così stanca che le ho detto di tornarsene a letto e dormire ancora un po’.”
Sono una persona orribile.
Continuò a ripetersi iniziando anche a sbattere la fronte sulla superficie liscia del tavolo.
“Oh la mamma di Britt ci ha mandato questa torta al cioccolato fantastica, ne vuoi una fe…”
“Come fai ad essere così tranquilla? – la interruppe – se fossi al tuo posto non mi rivolgerei più la parola, mi rifiuterei persino di stare nella stessa stanza!”
“Rain, calmati. Se dovessi smettere davvero di parlare con tutte le persone che ho visto ubriacarsi allora passerei il resto della mia vita in silenzio.”
“Non mi riferisco solo alla sbronza…”
Mugugnò disperata tenendo il volto nascosto contro il tavolo.
Santana rimase in silenzio per alcuni istanti.
“Oh a quello, credevo te ne fossi dimenticata, con tutto l’alcol che avevi in corpo.”
“In effetti non ricordo granché, la maggior parte della notte è solo un enorme buco nero, ma ho capito che cosa è successo.
Mi dispiace Santana. Mi sento da schifo per essermene approfittata. E lo capisco se non mi vorrai vedere mai più.”
“Rain, ma di che diavolo stai parlando? Credi davvero che ti cancellerei dalla mia vita per un bacetto a stampo che mi hai dato mentre eri ubriaca?”
Domandò accucciandosi scompostamente sulla sedia di fronte a lei.
Ci vollero alcuni istanti perché le parole della latina penetrassero la sua mente annebbiata dai postumi della sbronza.
“Bacetto a stampo?”
Domandò confusa, sentendo accendersi una piccola luce di speranza.
Sollevò la testa per guardare la ragazza seduta dall’altro lato del tavolo.
“Quindi noi, non… non abbiamo fatto…”
“Cosa?”
Chiese curiosa Santana prendendo un sorso di caffè dalla sua tazza.
“Noi non abbiamo fatto… sesso?”
Uno spruzzo di goccioline tiepide di caffè la colpì sul viso, mentre l’ispanica iniziava a tossire nel tentativo di liberarsi le vie respiratorie dal sorso che in parte le era andato di traverso e in parte aveva sputacchiato in faccia a lei.
“C-COSA?! – esclamò tra un colpo di tosse e l’altro - come diavolo ti è venuto da pensare che avessimo fatto sesso?”
“I-io mi sono svegliata con Brittany addosso, alzandomi mi è sembrato che fosse nuda, almeno dalla vita in giù e aveva le gambe piene di succhiotti e non mi ricordavo niente di stanotte e credevo di aver fatto una cazzata immensa – disse tutto d’un fiato – e poi mi sono ricordata di averti baciata e ho creduto di aver fatto una stronzata ancora più enorme di quanto credessi possibile...”
La risata cristallina di Santana la interruppe.
“Non posso credere che tu abbia pensato veramente…”
Le parole le morirono in un accesso di risa.
“Secondo te cosa avrei potuto pensare svegliandomi con la tua ragazza addosso in quelle condizioni e non ricordando nulla di ieri notte se non di quel cavolo di bacio.”
Borbottò Rain incrociando le braccia offesa, mentre la ragazza la raggiungeva per abbracciarla, sempre senza smettere di ridere.
“Oh, Rain!”
Sospirò Santana tentando di riprendere fiato e posandole un bacio tra i capelli.
“Ti assicuro che Britt era vestita, aveva addosso un paio di miei shorts, perché i suoi pantaloni hanno avuto… un incidente.”
L’ex-soldato sollevò lo sguardo su di lei e notò il bagliore malizioso in fondo ai suoi occhi neri e il suo cervello finalmente si mise in moto e collegò i fatti.
Quando sono entrata in cucina, non stava apparecchiando la tavola, la stava risistemando.
“Santana, non mi vorrai dire che avete battezzato il tavolo della cucina…”
La sola risposta che ottenne fu un lieve rossore che le scurì lentamente le guance.
Rain ridacchiò scuotendo la testa.
“Ok, non voglio certo limitare la vostra fantasia, ma forse dovremmo stabilire quali zone sono off-limits per il sesso. Sempre che non abbiate già fatto tutto il tour della casa…”
Rain rise di gusto vedendo Santana arrossire ancora di più.
 
 
 
 
Angolo della pazza.
 
 
Allora, partiamo con le note tecniche.
Il titolo del capitolo appartiene ad una canzone dei Guns&Roses che potete trovare nell’album Appetite for Destruction, a mio parere uno degli album più belli nella storia del rock.
La canzone inneggia al Night Train Express un vino molto economico ed altamente alcolico che i ragazzi della band consumavano come fosse acqua quando ancora erano sconosciuti e squattrinati.
Così, era solo per raccontarvi un piccolo aneddoto :)
 
Scrivere questo capitolo è stata un’esperienza triste ed esilarante allo stesso tempo, la mia povera Rain non ha mai un attimo di tranquillità, ma per fortuna può contare su delle amicizie incredibili.
 
Bene chiudo qui, spero di riuscire ad aggiornare con più regolarità, ma non vi posso promettere niente se non che farò del mio meglio.
 
Ah quasi dimenticavo, chissà se qualcuno di voi ha colto…
Ihihihih rivelazioni si avvicinanoooooo.
 
Bacioni
WilKia >.<

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Capitolo 44
*** The Game of Love ***


The Game of Love
 
 
 
Santana si voltò lentamente sul fianco, appoggiando il mento sul palmo della mano, il gomito piegato sul materasso e un sorriso che giocherellava con gli angoli della sua bocca, solleticandoli per farla cedere.
Alzò gli occhi al cielo annoiata dalla sua stessa sdolcinatezza, lasciando che le sue labbra si incurvassero quasi indipendenti dalla sua volontà.
D'altronde come avrebbe potuto non sorridere con quell’angelo biondo addormentato al suo fianco.
I suoi occhi neri percorsero lentamente quel corpo abbandonato scompostamente tra le lenzuola che ne coprivano solo vagamente le forme nude, lasciando al suo sguardo ingordo ampie distese di pelle candida e liscia.
Brittany mugugnò qualcosa di incomprensibile e voltò la testa verso di lei arricciando il naso in quella sua maniera adorabile e imbronciando lievemente le labbra.
Il sorriso di Santana si allargò ulteriormente, mentre allungava una mano a scostare alcune ciocche bionde da quel viso rilassato, inducendo la ragazza a stiracchiarsi tra le lenzuola disordinate.
Si chinò piano su di lei e le posò un bacio lieve sul piccolo neo appena sopra l’angolo destro delle sue labbra. Lo trovava sempre irresistibile.
Sentì quelle labbra soffici incurvarsi in un sorriso assonnato e si sollevò per poter osservare quelle ciglia sottili sbattere pigramente prima di sollevarsi, mentre un paio di occhi azzurri si focalizzavano immediatamente su di lei, incatenandosi ai suoi.
“Buon giorno.”
Bisbigliò disegnando con le dita lente linee immaginarie lungo un fianco sinuoso, facendo trasformare quel sorriso in una lieve risata.
“Buon giorno a te.”
Rispose Brittany sollevandosi e catturandola in un bacio dolce.
“Che ore sono?”
Domandò ancora assonnata quando si separarono.
Santana lasciò scorrere le dita sul suo viso, disegnandone amorevolmente i contorni, mentre un sottile velo di malinconia scivolava su di lei, avvolgendola lentamente nelle sue spire.
“È ancora presto – rispose chinandosi a rubarle un altro piccolo bacio – tua mamma verrà a prenderti solo tra qualche ora. Scusa non volevo svegliarti così presto.”
Concluse arricciando intorno alle dita una ciocca di sottili capelli biondi.
“Ehi – la richiamò piano Brittany – che c’è?”
Santana sospirò continuando ad osservare le sue dita che giocherellavano con quella sottile ciocca di capelli.
Le mani delicate di Brittany si posarono sul suo viso e la attirarono dolcemente in un altro bacio.
“Rain è tornata?”
Domandò sulle sue labbra.
“Non l’ho sentita rientrare. È probabile che abbia passato la notte da Lara.”
Brittany si imbronciò.
“Non capisco, San. Perché Rain non sta con Reneè?”
Santana si risollevò quel tanto che le bastava per poterla guardare negli occhi.
“Insomma – continuò imperterrita sistemandole una ciocca scura dietro l’orecchio – è chiaro come il sole che tra loro ci sono dei sentimenti molto forti… lo so che le ho viste insieme solo un paio di volte, ma secondo me si amano.”
“Non è così facile per loro paperella.”
Sospirò.
“Per via di Lara? Tu la conosci? Com’è?”
Scosse la testa
“Non l’ho ancora conosciuta, ma a Rain piace e la fa stare bene…”
“Reneè invece no?”
La interruppe.
“È complicato, per via di Storm. Ti ho spiegato la situazione, ricordi?”
Brittany annuì imbronciata.
“E poi Rain si preoccupa soprattutto di proteggere Evy.”
“Non sarebbe più al sicuro e contenta se avesse anche Rain come mamma visto che non ha più Storm?”
Santana sorrise accarezzandole dolcemente i capelli.
“Certamente, ma pensa a cosa potrebbe succedere se poi tra Rain e Reneè non funzionasse.”
“Tu pensi che non funzionerebbe tra loro?”
“Non lo so, Britt. Ne hanno passate talmente tante che… – sospirò di nuovo – non lo so. L’unica cosa sicura è che entrambe pensano prima di tutto ad Evy.”
“Vorrei poter fare qualcosa per loro.”
Santana si chinò di nuovo su di lei e la baciò dolcemente.
“Non ti preoccupare, se la caveranno come hanno sempre fatto. Dopotutto sono una famiglia, anche se non stanno insieme. E noi le aiuteremo. Ok?”
“Ok.”
Mormorò Brittany giocherellando con le sue dita.
Rimasero alcuni istanti in silenzio, accarezzandosi lievemente l’un l’altra.
“San, che c’è?”
Domandò di nuovo Brittany vedendola adombrata.
Santana nascose il viso nell’incavo della sua spalla, stringendole le braccia intorno alla vita e mormorò qualcosa che anche a lei stessa risultò totalmente incomprensibile.
Brittany le prese teneramente il volto invitandola ad incontrare il suo sguardo.
“Come farò senza di te?”
Domandò studiando attentamente il modo in cui i suoi capelli neri si adagiavano su quella pelle candida, mescolandosi ad alcune ciocche bionde.
Brittany ridacchiò e le posò un dolce bacio sulle labbra.
“Starò via solo un mese San. E avrai Rain a tenerti compagnia. Vedrai che tornerò prima che ti accorga che sono partita.”
Santana si nascose di nuovo contro la sua spalla e scosse la testa malinconicamente.
Era felice ed orgogliosa di Brittany e della borsa di studio estiva che aveva vinto per studiare danza alla Julliard per il prossimo mese. Ma odiava l’idea di doversi separare da lei. Era la prima volta da quando si conoscevano che non avrebbero passato insieme tutta l’estate.
Le dita sottili di Brittany cominciarono ad accarezzarle lievemente la schiena nuda, facendole scorrere piccoli brividi lungo tutto il corpo e le sue labbra scivolarono lungo il contorno del suo orecchio, depositandovi piccoli baci.
“Scommetto che conosco un modo per non farti pensare alla malinconia…”
Bisbigliò, mentre le sue mani si facevano più audaci sul suo corpo.
Suo malgrado, Santana si ritrovò a sorridere contro la pelle della sua spalla e prese a mordicchiarla teneramente.
“D’accordo, accetto la sfida.”
Mormorò prima di rubarle un lungo bacio.
 
Rain si stiracchiò sbadigliando e richiuse la porta di casa spingendola gentilmente con un piede.
“Ciao Kirk.”
Mormorò chinandosi ad accarezzare il gattino, quando le corse incontro.
Sbadigliò rumorosamente e si sfregò gli occhi, mentre si dirigeva in cucina. Aveva urgente bisogno di un caffè per riprendersi dalla notte intensamente insonne che aveva appena trascorso con Lara.
Il sorriso che le si era formato a quel pensiero indugiò solo pochi istanti sulle sue labbra.
Aveva sperato che passare un po’ di tempo di qualità con Lara l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee, invece aveva solo finito per confonderla ancora di più.
Quella ragazza le piaceva veramente, e più tempo passava con lei più desiderava passarne. Ma questo non metteva comunque a tacere i sentimenti confusi e timidi che la spingevano verso Reneè.
Sedette al tavolo della cucina scuotendo piano la testa e si passò nervosamente una mano tra i capelli prima di prendere un lungo sorso di caffè.
Se vado avanti così, questa è la volta buona che impazzisco.
Dopo essere stati silenziosi per tutta la notte, accantonati dalle sensazioni che il suo corpo stava provando, i pensieri si stavano ora facendo di nuovo fastidiosamente rumorosi, riempiendo il silenzio assordante di quelle primissime ore di quella domenica mattina.
Finì rapidamente il caffè e si alzò impaziente dal tavolo, salendo in fretta le scale.
Passò piano davanti alla porta della camera di Santana, distinguendo chiaramente i lievi fruscii delle lenzuola e le voci sommesse e affannate delle due ragazze che la occupavano e non poté impedire ad un piccolo sorriso di incurvarle le labbra, mentre si chiudeva dentro la palestra infilandosi le cuffie e alzando al massimo il volume della musica prima di fasciarsi le mani e di attaccare con foga il sacco veloce per permettere alla sua mente di svuotarsi.
 
Un piacevole e familiare aroma di caffè la accompagnò di nuovo fuori dal sonno, facendole aprire gli occhi giusto in tempo per intravvedere la maniglia della porta scattare silenziosamente, mentre veniva riagganciata.
Si stiracchiò lussuriosamente, sorridendo alla sensazione delle gambe di Brittany ancora attorcigliate alle sue e delle braccia strette possessive intorno alla sua vita. Quando i suoi occhi neri si posarono sul vassoio appoggiato sul piano del comò, il suo stomaco brontolò affamato, mentre il sorriso sulle sue labbra si allargava.
Rain, ti adoro! Sei assolutamente la migliore.
Si sciolse delicatamente dalla stretta di Brittany e si alzò dal letto, non curandosi minimamente di coprire le sue nudità alla tenue luce dell'alba che filtrava dalla finestra. Era troppo curiosa di sbirciare il contenuto invitante di quel vassoio.
Rain si era superata quella mattina, c’erano abbastanza pancake da poterci sfamare un intero battaglione dell’esercito, accompagnati da marmellata di pesche, miele, sciroppo d’acero e nutella.
Una tazza di caffè fumante era sistemata accanto ad una caraffa di spremuta d’arancia e ad una tazzona di latte caldo al cioccolato per Brittany e l’ex-soldato si era curata di rifornirle anche di biscotti, pane fresco, fette biscottate e burro.
Nemmeno le colazioni a buffet degli alberghi trattavano così sontuosamente i propri clienti.
Santana si appuntò un promemoria mentale per ricordarsi di ringraziare Rain più tardi, poi tornò ad arrampicarsi sul letto per svegliare dolcemente Brittany e farsi aiutare a fare giustizia a tutto quel ben di Dio.
 
Rain sbuffò sonoramente, incrociando le braccia al petto e roteando gli occhi annoiata, mentre la donna bionda al volante della piccola utilitaria parcheggiata davanti a casa sua ridacchiava intenerita.
Era un quarto d’ora abbondante che Brittany e Santana erano piantate in mezzo al vialetto, con le mani affondate l’una nei capelli dell’altra e le labbra che sembravano essersi fuse insieme, confidando nel fatto che a quell’ora scandalosa di domenica mattina non ci fosse in giro nessuno.
Ma stanno tentando di vincere un qualche record di apnea o cosa?!
Pensò incrociando lo sguardo della mamma di Brittany che le rivolse un’alzata di spalle, prima di indicarle l’orologio che portava al polso picchiettando l’indice sul quadrante.
Rain sospirò pesantemente e si avvicinò alle due ragazze avvinghiate in mezzo al suo vialetto, schiarendosi rumorosamente la voce.
“Ehm ragazze… odio interrompervi, ma si sta facendo tardi e il viaggio fino a New York è piuttosto lungo.”
Disse tentando di attirare la loro attenzione.
“Ragazze?!”
Riprovò dopo alcuni istanti vedendo che l’unico cambiamento che aveva ottenuto era stato l’intensificarsi di quel bacio interminabile.
Sollevò le sopracciglia in un’espressione a metà tra il divertito e l’annoiato ai piccoli suoni umidi che provenivano dalle labbra appiccicate delle due piccioncine.
“RAGAZZE!”
Le mani di Santana si spostarono sul viso di Brittany e, con un ultimo sonoro schiocco umido, le loro labbra si separarono.
“Ciao.”
Mormorò la latina appoggiando la fronte contro quella della sua ragazza.
“Mi mancherai tanto San.”
“Mi mancherai tantissimo anche tu, paperella. Ma ci sentiremo tutti i giorni. Ok?”
“Promesso?”
“Promesso.”
Confermò stringendole il mignolo con il suo.
“Ti amo tanto Sannie.”
“Ti amo Brittbritt.”
Rain sorrise dolcemente vedendo le guance di Santana arrossarsi lievemente a quello scambio. Era la prima volta che le due ragazze si dicevano ti amo davanti a lei.
Ma per quanto si sentisse onorata non esitò ad afferrare Santana per una spalla prima che si potesse tuffare in una nuova sessione di pomiciata d’addio, per poi avvolgere entrambe in un abbraccio.
“Buon viaggio Britt. Divertiti e insegna a quei Newyorkesi come si fa a ballare.”
Disse con un sorriso, posando un piccolo bacio tra quei capelli biondi.
“E non ti preoccupare per Santana, ci penso io a lei.”
Le sussurrò all’orecchio ricevendo in cambio uno dei suoi bellissimi sorrisi.
“Ti voglio bene Rain.”
Disse dandole un lieve bacio sulla guancia, prima di stringersi un’ultima volta a Santana, sfiorandole le labbra con le proprie per poi salire rapidamente in macchina accanto a sua madre e iniziare a salutarle allegramente con la mano, mentre si allontanavano.
Santana ricambiò il suo gesto con decisamente meno entusiasmo, stringendo un braccio intorno alla vita di Rain e appoggiando la testa sulla sua spalla, per poi nascondervi il volto non appena l’auto svoltò in un’altra strada sparendo alla loro vista.
Rain ridacchiò e la strinse a sé posandole un bacio tra i capelli.
“Vieni ragazzina, direi che è il caso di aprire la vaschetta del gelato al cioccolato.”
 
“Non che mi stia lamentando, ma come mai mi hai portata a pranzo qui?”
Domandò Santana, quando si fermarono davanti all’entrata di Breadstix.
“Ho pensato che la situazione richiedesse un intervento incisivo.”
Commentò Rain spegnendo il motore dell’auto e scendendo.
E non stava scherzando.
Brittany era partita solo da un paio di giorni e  Santana si era tramutata in un essere patetico che guardava fuori dalla finestra sospirando con aria malinconica e il muso lungo fino al pavimento della cantina. Di quando in quando la ragazza si rifugiava tra le sue braccia nascondendo il viso contro la sua spalla o guardandola con occhi lucidi ed espressione da cucciolo. Oppure vagava per casa come un fantasmino senza pace cantando tra sé e sé malinconiche canzoni d’amore in spagnolo. Rain non aveva mai sentito nulla di più pateticamente deprimente e sdolcinato in tutta la sua vita.
In parole povere la stava letteralmente mandando al manicomio.
Non la sopportava già più e sperava che una visita da Breadstix riportasse a galla la Santana indipendente, combattiva e stronza che aveva conosciuto in quel bar la sua prima sera a Lima, ricacciando questo demone piagnucolante che l’aveva sostituita, nel regno dei demoni piagnucolanti e depressi.
Fortunatamente il suo piano sembrava avere l’effetto sperato e un piccolo ghigno si era disegnato sulle labbra piene di Santana, mentre una luce avida e compiaciuta le illuminò gli occhi neri nel momento in cui Rain le aprì la porta, lasciandola entrare per prima nel ristorante.
Presero posto ad un tavolo ed ordinarono da bere, mentre scrutavano il menù. La cameriera gli aveva appena consegnato le bevande, quando Rain notò che qualcosa aveva attirato l’attenzione di Santana, facendo incurvare le sue labbra in uno dei suoi familiari ghigni sarcastici.
Prima che potesse voltarsi per seguire il suo sguardo, la ragazza aveva già afferrato il suo bicchiere e si era alzata, dirigendosi sicura ad un tavolo alle sue spalle.
Ed eccola che parte.
Alzò gli occhi al cielo, prima di sorridere vedendo chi occupava quel tavolo.
Forse venire qui è stata un’idea persino migliore di quanto credessi.
Pensò raggiungendo Santana proprio nel momento in cui si sedeva all’altro tavolo.
“Tutta sola Fabray? Fortuna che siamo arrivate noi a sottrarti ad un deprimente pranzo in solitaria.”
Ghignò l’ispanica stravaccandosi sul divanetto di fronte a Quinn.
La bionda la osservò confusa prima di spostare lo sguardo sull’ex-soldato che le sorrise gentilmente.
“Ciao Quinn. Ti dispiace se ci sediamo con te?”
Domandò attendendo che la ragazza le indirizzasse un cenno d’assenso con la testa prima di prendere posto accanto a Santana.
“Sei proprio una signora, eh?”
Domandò retoricamente all’amica tirandole uno schiaffetto sul ginocchio per farla sedere più compostamente, giusto il necessario perché potessero stare entrambe sul divanetto.
“Allora Fabray, come mai sei sprovvista di uno dei tuoi soliti cagnolini scodinzolanti?”
Domandò Santana non appena la cameriera si fu allontanata dopo aver consegnato le loro ordinazioni.
“Considerando il fatto che tu hai architettato un piano diabolico per farmi lasciare da Sam e che Finn mi ha mollata per Rachel…”
“E non hai ancora trovato un altro microcefalo da far cadere nella tua rete di sguardi da porca misti a espressioni da finto angioletto?”
“Frena un momento. Quale piano diabolico?”
Domandò Rain spostando lo sguardo tra le due adolescenti, mentre ingoiava un boccone.
“Oh, non te l’ha raccontato? Santana ha passato la mononucleosi a Finn che poi l’ha passata a me, quando ancora stavo con Sam che ha mangiato la foglia e mi ha lasciata.”
Gli occhi scuri di Rain si posarono sul sorrisetto diabolico di Santana.
“Ma chi sei una super cattiva uscita da qualche fumetto della Marvel? Ti metti ad utilizzare anche le armi biologiche?”
La ragazza la ignorò, riportando l’attenzione su Quinn.
“Andiamo Q. davvero non hai in giro nessun ragazzo oggetto che ti paghi il pranzo e che porti i pesi al posto tuo?”
“Sono stufa di avere dei ragazzi inutili intorno che pensano solo a come fare per entrarmi nelle mutandine. Sto meglio per conto mio.”
Affermò convinta, indirizzando a Santana uno sguardo acido. Rain notò tuttavia una nota triste in quegli occhi verdi e un rapido sguardo alla ragazza al suo fianco le disse che anche alla latina non era sfuggita.
“Che fai stasera Q.?”
“Niente che ti interessi Lopez.”
“Niente che mi interessi o niente e basta?”
Chiese con una luce di scherno negli occhi neri.
“Perché non vieni da noi? – domandò poi più dolcemente, quando Quinn abbassò gli occhi senza rispondere – ci facciamo una serata tranquilla tra donne. Facciamo preparare a Rain uno dei suoi manicaretti e poi ci sfondiamo di popcorn davanti a qualche film dell’orrore.”
Prima che Quinn potesse rispondere, una musichetta spezzò il silenzio, facendo scattare Santana che lasciò cadere la forchetta nel piatto con un tintinnio, affrettandosi ad estrarre il cellulare dalla tasca degli shorts.
“Pronto.”
Esclamò allegramente divincolandosi sul divanetto e passando sopra a Rain per potersi alzare e dirigersi velocemente alla porta del locale.
L’ex soldato si risistemò la maglia, mentre osservava la ragazza passeggiare avanti e indietro sul marciapiede appena fuori dal locale.
“Qualcosa mi dice che è Brittany.”
Sorrise Quinn seguendo il suo sguardo.
“Cosa te lo suggerisce?”
Ridacchiò Rain.
“Sei davvero convinta di quello che hai fatto?”
Gli occhi scuri della donna si posarono interrogativi su quelli verdi di Quinn.
“San mi ha detto che sei diventata la sua tutrice legale.”
Spiegò la ragazza.
Rain annuì.
“E riesci davvero a sopportarla 24 ore al giorno tutti i santi giorni.”
“Sinceramente? Non ho nessun problema a sopportare Santana. Il mio problema è sopportare la ragazzina piagnucolosa in cui si è trasformata da quando Britt è partita per New York due giorni fa.
È una situazione seria – continuò quando la ragazza si mise a ridacchiare – tu non hai idea di come si è ridotta… mi sembra di avere un fantasma che mi infesta casa cantando quelle orribili canzoni d’amore disperato in spagnolo.”
Si passò una mano tra i capelli frustrata, tirandoli leggermente.
“Ahahah non mi dirai che ti manca Satana?”
“Non sai quanto.”
Sospirò l’ex-soldato lanciando un rapido sguardo a Santana che stava ancora parlando al telefono con un’espressione malinconica dipinta sul volto.
“Ti prego Quinn vieni a cena da noi stasera – implorò – ti prego. Oggi è la prima volta che la vedo di nuovo sé stessa… e giuro che potrei ucciderla se la sento anche solo accennare una nota di quelle canzoni orribili!”
Quinn rise di gusto.
“Sei così disperata?”
“Di più.”
Sospirò la donna esasperata, mentre Santana rientrava nel locale e si lasciava di nuovo cadere al suo posto, abbandonando la testa sulla sua spalla e prendendo a giocherellare con uno dei fili che penzolavano da uno strappo nei suoi jeans.
Rain lanciò uno sguardo eloquentemente disperato a Quinn, come a dirle visto, era di questo che stavo parlando.
Quando Santana si mise a canticchiare tra sé e sé un motivetto deprimente, la bionda ridacchiò scuotendo la testa.
“Per che ora devo venire da voi?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo della pazza
 
Il titolo è di una canzone di Carlos Santana (coincidenza? Assolutamente no buahuahuahuah *risata diabolica*)
 
Ce l’ho faaaaattaaaaa! Congaaaaaaaa!!!
 
Lo so, non mi si vede in giro da un po’. Chiedo umilmente perdono per il lungo periodo di silenzio, ma ho giusto un paio di esami che mi minacciano puntandomi una pistola semiautomatica alla tempia, impedendomi di dedicarmi ad altro che non siano i libri di testo.
Ma io li ho fregati e sono comunque riuscita a sfornare sto capitoletto, anche se l’ultima parte mi ha fatta penare non poco. Quinn non aveva voglia di collaborare…
 
Ebbene sì, anche la terza fanciulla dell’Unholy Trinity inizierà ad orbitare intorno a casa Raintana e beh, vedrete cosa succederà…
 
Povera la mia Rain costretta a sorbirsi San in modalità cucciolo abbandonato. Dev’essere davvero insopportabile ahahahah.
 
Bene, bella gente. Chiudo qui le trasmissioni e me ritorno dal mio caro Shakespeare che mi sta guardando picchiettando il piede per terra, con le braccia incrociate ed un’espressione decisamente minacciosa… non vorrei che mi scatenasse contro le tre streghe di Macbeth…
 
Tra un sonetto e l’altro cercherò di sfornarvi il prossimo capitolo di “Made of Stone”.
 
Alla prossimaaaaa
Besitos a todo el mundo.
 
WilKia >.<

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Capitolo 45
*** Jaded ***


Jaded
 
 
 
 
 
Rain sollevò la testa e aguzzò l’udito oltre il suono assordante delle casse attaccate all’ipod, che diffondevano le note dell’intro di Thunderstruck degli AC/DC.
Si ripulì rapidamente le mani sullo strofinaccio che teneva sulla spalla sinistra ed abbassò il volume sul riff di Angus Young pensando che prima o poi avrebbe dovuto provare a suonarlo.
Rimase in silenziosa attesa per alcuni istanti e stava quasi per rialzare il volume, quando il campanello suonò.
Allora non me lo ero immaginato.
Pensò con un sorriso.
“Santana – chiamò affacciandosi dalla cucina – puoi aprire per favore?”
Si risistemò la bandana viola intorno alla testa e ritornò ad occuparsi della cena.
“SANTANA!”
Richiamò dopo alcuni minuti in cui la ragazza non aveva dato alcun cenno di vita.
In quel momento il campanello suonò per la terza volta e Rain si ripulì di nuovo le mani, mentre correva ad aprire domandandosi che fine avesse fatto la latina.
“Ciao Quinn – salutò la ragazza che attendeva dietro la porta e che le rivolse un lieve cenno con la mano – scusa, non volevo lasciarti fuori, ma stavo cucinando e quella scansafatiche della tua amica è scomparsa non so dove.
Ma entra, non startene qui sulla porta.”
Concluse spostandosi per permettere alla bionda di entrare in casa.
“Grazie.”
Rispose Quinn attraversando la porta e fermandosi nell’ingresso.
“Accomodati e fai pure come se fossi a casa tua – la invitò indicandole il divano del salotto – io vado a chiamare la desaparecida.”
Si affrettò su per le scale salendo i gradini tre alla volta.
“Ehi ragazzina – chiamò aprendo la porta della camera della ragazza – Quinn è arriva…”
Si bloccò e balzò indietro, richiudendo rapidamente la porta.
Si appoggiò con la schiena al muro premendosi i palmi delle mani sugli occhi cercando di cancellarsi dalla mente l’immagine che aveva colto, anche se solo per un attimo fugace, entrando nella camera della ragazza.
Santana era stesa sul letto e dava le spalle alla porta, ma questo non le aveva impedito di notare la sua nudità, celata solo parzialmente dal lenzuolo drappeggiato intorno ai suoi fianchi. Con la destra teneva il cellulare premuto contro l’orecchio, mentre la sinistra scompariva sotto al lenzuolo.
Non serviva certo essere una veggente per capire chi fosse dall’altro lato della linea.
Rain scosse la testa e si fece un appunto mentale per ricordarsi di bussare sempre alla camera di Santana, anche quando era sicura che Brittany non fosse in casa, in modo da evitare di trovarsi di nuovo in una situazione simile.
Per fortuna Santana sembrava non aver notato la sua improvvisa e fulminea intrusione.
Scosse la testa ridacchiando, mentre tornava di sotto.
Aaah essere adolescenti ed innamorate…
“Allora, l’hai trovata?”
Domandò Quinn sollevando un sopracciglio curiosa, quando la vide ritornare da sola.
“Ehm… ora è… impegnata. È al telefono con Britt. Ci raggiungerà non appena avrà… ehm non appena le sarà possibile.”
Farfugliò vagamente imbarazzata.
Il sopracciglio di Quinn si sollevò ulteriormente, poi una luce di comprensione le illuminò gli occhi verdi e la ragazza ridacchiò.
“Benvenuta nel club – esclamò scuotendo la testa divertita – almeno tu non hai visto lo spettacolo completo, non sai quante volte le ho sorprese negli spogliatoi dopo gli allenamenti dei Cheerios, prima degli allenamenti dei Cheerios...”
“Durante?”
Domandò Rain con un ghigno divertito.
“No durante mai, sono due ninfomani, ma non al punto di rischiare l’ira della coach Sylvester.”
Affermò ridacchiando e strappando una risata leggera anche a lei.
Rain osservò il suo sorriso rilassato, notando che per una volta aveva abbandonato i vestitini che indossava di solito in favore di un paio di shorts azzurri e di una semplice maglietta blu scura.
“La cena temo non si cucinerà da sola, quindi dovrò tornare ad occuparmene. Mi fai compagnia?”
“Volentieri. Anzi, se ti serve una mano…”
Offrì Quinn alzandosi dal divano e seguendola in cucina.
“Quindi tu non hai l’avversione per i fornelli come la tua amica?”
“Diciamo che sono in grado di sopravvivere senza dover per forza ricorrere a ristoranti e fast food.”
“Ottimo, in questo caso – le disse porgendole una confezione di farina e recuperando la bottiglia del latte dal frigorifero – comincia pure a fare la besciamella.”
Senza attendere la risposta di Quinn si risistemò la bandana sui capelli, risciacquò accuratamente le mani e riprese a tirare la sfoglia che aveva dovuto lasciare a metà preparazione sul piano di marmo della cucina per andare ad aprire la porta.
“Ehm, Rain?”
Si sentì chiamare dopo alcuni istanti.
Si voltò verso Quinn, trovandola nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata, un’espressione di confuso imbarazzo stampata sul volto.
“Ho detto che sono in grado di sopravvivere… la besciamella so a mala pena cosa sia.”
Borbottò, mentre un lieve rossore le saliva alle guance.
Rain ridacchiò.
“Ok, scusa. Errore mio. Mmm… che ne dici di grattare il formaggio?”
Offrì conciliante.
“Sì. Quello posso farlo.”
Annuì lei con un sorriso timido.
 
Un misto di soddisfazione e malinconia indugiava sul viso di Santana, mentre scendeva al piano di sotto, ballonzolando svogliatamente da un gradino al successivo.
Era a metà della scala, quando avvertì il suono sommesso di due risate che conosceva bene.
Si affacciò alla porta della cucina e trovò Rain, le spalle voltate alla porta, comodamente seduta al tavolo, una mano a sorreggerle il mento e lo sguardo fisso su una teglia di alluminio usa e getta in cui Quinn, che aveva una bandana nera legata sui corti capelli biondi, stava versando un mestolo ricolmo di ragù.
“Quante volte ti ho detto che non sta bene spiare, ragazzina?!”
La richiamò l’ex-soldato senza voltarsi.
Come al solito.
Santana roteò gli occhi, mentre un piccolo sorriso le si formava sulle labbra.
La familiarità della frase detta da Rain e del suo atteggiamento avevano allontanato il moto di stizza possessiva che si era impadronito di lei per un attimo, vedendo Quinn intenta ad aiutarla in cucina.
Alle parole dell’ex-soldato, la bionda aveva alzato lo sguardo verso di lei, per poi sorriderle.
“Ehi, Q.”
La salutò con un cenno della testa.
“Ciao Satana. Come sta Britt?”
Domandò lei con una luce maliziosa negli occhi verdi.
“Bene, si sta divertendo. Oh, mi ha detto di salutarvi…”
Santana si avvicinò al tavolo e si allungò rapidamente attraverso il piano di legno fino ad immergere la punta dell’indice nella pentola del ragù per poi portarselo alle labbra.
“Ehi!”
Protestò Rain, tuttavia senza fare nulla per fermarla.
“Quante volte devo dirti di tenere quelle tue zampacce lontane dal mio sugo?”
Per tutta risposta Santana le rivolse uno dei suoi sorrisetti sarcastici prima di farle la linguaccia e allungarsi sul tavolo per rubare un altro assaggio.
Ma questa volta Rain non rimase impassibile.
Con uno dei suoi tipici scatti felini si sporse attraverso il tavolo afferrando il polso di Santana e tirandola verso di sé.
Santana emise un gridolino sorpreso sentendosi strattonare. Perse l’appoggio dell’altra mano e si ritrovò stesa sul tavolo, mentre Rain continuava a tirarla verso di sé.
Con una risata, Quinn sollevò la teglia su cui stava lavorando, mentre Santana scivolava sul tavolo fino a ritrovarsi seduta scompostamente sulle ginocchia di Rain che iniziò a farle il solletico senza pietà.
“Ti ho detto – ringhiò scherzosamente sovrastando il suono delle sue risate – di tenere quelle zampacce lontane dal mio sugo.”
“Va bene! Mi arrendo.”
Soffiò tra una risata e l’altra, cercando di afferrare i polsi sfuggenti di Rain per bloccare il suo attacco.
“Mi arrendo.”
Ripeté di nuovo, quando l’ex-soldato le diede un po’ di respiro.
In quel momento si accorse dello sguardo divertito di Quinn e si affrettò ad alzarsi dalle ginocchia di Rain, tentando di ricomporsi.
“Vieni Q. lasciamo a Rain la sua cucina e andiamo a scegliere che film guardare più tardi.”
Quinn spostò un paio di volte lo sguardo tra di loro, finché Rain non le fece un cenno affermativo.
“Andate pure – disse con un sorriso, mentre prendeva il posto della bionda e si rimetteva a lavorare sulla cena – ma per favore impediscile a qualsiasi costo di scegliere ‘L’Esorcista’ e ‘It’. Me li ha fatti vedere talmente tante volte che mi addormenterei alla prima scena.”
“Ok, farò del mio meglio – ridacchiò Quinn togliendosi la bandana – grazie del prestito.”
Concluse poi porgendole il piccolo drappo di stoffa nera.
Rain scosse la testa.
“Quella la puoi tenere.”
Disse semplicemente.
“Io non la uso mai…”
Aggiunse poi con una scrollata di spalle ricambiando lo sguardo confuso di Quinn con uno dei suoi mezzi sorrisi.
“Beh, allora grazie.”
Rispose lei riprendendo la bandana e rivolgendole un sorriso timido.
Santana sbuffò stizzita e afferrò Quinn per il polso trascinandola fuori dalla cucina.
“Se avete finito con queste smancerie, io vorrei scegliere il film per stasera.”
Borbottò contrariata, guadagnandosi un sopracciglio alzato da parte di Quinn e uno sguardo perplesso di Rain.
Ignorò entrambe e si diresse decisa in salotto, accompagnata dalla musica che tornava a diffondersi ad alto volume in cucina, sulle note di “Hotel California” degli Eagles.
Aprì seccamente il mobiletto dei DVD e iniziò a scrutare i titoli con sguardo inceneritore, non curandosi minimamente di rendere Quinn partecipe della scelta del film.
“Allora si può sapere che cosa c’era di tanto divertente?”
Sbottò acida, voltandosi verso Quinn con le mani appoggiate sui fianchi e una delle sue espressioni intimidatorie stampata sul viso.
Quinn sollevò un sopracciglio perplessa.
“Come siamo nervosette… e io che pensavo che il sesso ti migliorasse l’umore.”
Disse sarcastica.
Santana ci mise un momento a registrare ciò che le aveva detto.
“Eh?”
“Oh andiamo. Ho suonato il campanello tre volte e Rain ti ha chiamata talmente forte che l’ho sentita anche io dall’esterno. Non mi serve certo una sfera di cristallo per sapere di cosa stavi parlando al telefono con Brittany.”
Continuò sollevando il sopracciglio, omettendo, naturalmente, la conversazione che aveva avuto poco prima con Rain.
Santana incrociò le braccia sul petto e prese fiato, pronta a lanciarsi in una delle sue sparate.
“Andiamo San, sono io – la interruppe Quinn con un sorriso accomodante – non hai bisogno di stare sulla difensiva con me, probabilmente so di te e Brittany da prima ancora che lo sapessi tu stessa.”
Santana alzò gli occhi al cielo e scosse la testa prima di tornare a voltarsi verso i DVD.
“Allora – sbuffò con voce annoiata – c’è qualche film che non hai ancora visto?”
 
Rain infornò le lasagne e si sciacquò le mani sogghignando alle voci animate che le giungevano dal salotto. Evidentemente era in corso un battibecco in piena regola.
Prese tre lattine di coca-cola dal frigo e si diresse in salotto, dove le ragazze avevano già iniziato a vedere il film e si lasciò scivolare a terra sul tappeto, appoggiando le spalle al divano.
“Che film avete scelto?”
Domandò prendendo un sorso dalla sua lattina, mentre osservava le immagini sullo schermo.
“Haunting.”
Rispose Quinn afferrando la lattina che le stava porgendo.
“Già – intervenne Santana – la nostra Q ha scelto un film da mammolette.”
“È comunque un bel classico su una vecchia casa infestata. Gli effetti speciali erano ben fatti per l’epoca.”
Concesse l’ex-soldato.
“E poi, vale sempre la pena di vederlo anche solo per la presenza di Catherine Zeta-Jones.”
Aggiunse indicando lo schermo su cui l’attrice aveva appena fatto la propria apparizione.
“Amen!”
Rispose Santana con un sorrisetto, prendendo a sua volta un sorso di cola.
“E un film non deve essere per forza pieno di schizzi di sangue e arti mozzati per fare effetto – intervenne Quinn – anche la suspance è importante.”
“Mammoletta.”
Rincarò la latina con un ghigno.
Rain scosse la testa ridacchiando silenziosamente e si concentrò sul film, ma perse velocemente interesse. Ascoltare i continui battibecchi tra Santana e Quinn, che sembravano trovare un pretesto per bisticciare praticamente in ogni cosa, era molto più divertente.
“Rain perché non vieni qui sul divano con noi?”
Domandò Quinn durante una pausa dopo l’ennesimo scambio d’opinioni tra lei e Santana.
“Ora devo andare a sfornare la cena – rispose con uno dei suoi mezzi sorrisi – magari dopo mi impossesserò io del divano e confinerò voi due giovincelle sul pavimento.”
“Te lo puoi scordare, Capitan America!”
Soffiò Santana scompigliandole i capelli.
Rain non le diede nemmeno il tempo di allontanare la mano, le afferrò il polso e con un movimento fluido la trascinò a terra per poi prendere il suo posto sul divano.
“Oh, grazie di esserti offerta di andare a sfornare tu le lasagne al posto mio, ragazzina. Davvero molto gentile da parte tua. Sono commossa.”
Con la coda dell’occhio vide la risata che Quinn tentava, con poco successo, di nascondere dietro il palmo della mano.
Santana fece per ribattere, ma alla fine ci ripensò alzandosi da terra con aria annoiata e dirigendosi in cucina, seguita dallo sguardo sbalordito di Quinn.
“D’accordo – borbottò prima di lasciare il salotto – ma vedi di non farci l’abitudine, soldato.”
“Ma cosa…? Come?”
Balbettò la bionda spostando confusa lo sguardo tra Rain e il punto in cui era appena sparita la sua amica.
“Ma cosa sei una specie di esorcista?”
Domandò infine indicando l’ingresso della sala.
Rain ridacchiò.
“No, seriamente – continuò la bionda – non ho mai visto Santana… così.”
“Oh, ti assicuro che il suo cambiamento ha ben poco a che fare con me.”
“Io so solo che non ho mai visto Santana così… non so. Sembra più distesa, meno incattivita del solito. Non che abbia perso la sua solita lingua tagliente – precisò alzando gli occhi al cielo – ma la vedo… diversa.”
Sospirò arrendendosi al tentativo di trovare la giusta definizione per il cambiamento della sua amica.
“Ed è successo da quando tu sei arrivata…”
“Sta semplicemente iniziando a capire chi è. Chi è veramente. Ha iniziato a guardare dentro di sé e a capire cosa vuole davvero. E soprattutto sta smettendo di combattere contro sé stessa e si sta lasciando andare. Aveva già iniziato quando sono arrivata io. Le ho semplicemente tenuto la mano, mentre proseguiva. E continuerò a farlo finché ne avrà bisogno. Capire ed accettare sé stessi non è una strada facile.”
Quinn aveva abbassato gli occhi a quelle parole, prendendo a disegnare linee immaginarie su un cuscino che si stringeva in grembo.
“Anche per te è stato così difficile? – domandò titubante – sai, realizzare di essere gay.”
Rain ci pensò su, osservando il suo atteggiamento insicuro.
“Scusa – si affrettò poi a dire Quinn – forse sono troppo invadente, non mi devi…”
“Ero in una situazione completamente diversa.”
La interruppe Rain, attendendo che sollevasse lo sguardo prima di continuare.
“Io ero un po’ più grande e soprattutto ero già indipendente. Non dovevo rendere conto a nessuno di ciò che sono, se non a me stessa. Non avevo pressioni addosso. Nessuno che volesse che fossi la figlia perfetta.
Non che non sia stata dura anche per me. Solo che ciò per cui soffrivo non era il non riuscire ad accettare che fossi perdutamente innamorata di una donna, ma il dover accettare che quella donna non sarebbe mai potuta essere mia, perché il suo cuore apparteneva già a qualcuno, e andare avanti.”
“E ci sei riuscita? – domandò Quinn con un filo di voce – sei riuscita ad accettarlo e ad andare avanti?”
“L’ho accettato – sospirò con un sorriso malinconico – e ogni singolo giorno che passa mi sto sforzando di andare avanti.”
Concluse osservando lo sguardo triste di quegli occhi verdi.
Che cosa mi sto perdendo qui?
“Ehi voi due – chiamò Santana dalla cucina – vedete di alzare il culo da quel divano, perché se vi aspettate che vi porti di là la cena potete anche iniziare a imparare a vivere di sola aria.”
Le due ragazze ridacchiarono.
“Visto. Non è cambiata poi così tanto.”
Sogghignò Rain alzandosi dal divano.
“Oh, no. Grazie al cielo no.”
Ridacchiò Quinn seguendola in cucina.
 
 
Angolo della pazza
 
Il titolo appartiene ad una canzone degli Aerosmith che ho scelto perché… perché sì. Mi suonava in testa mentre scrivevo il dialogo tra Rain e Quinn, perciò.
 
Lo so. Questo è l’ennesimo, inutile, capitolo di transizione. E scriverlo è stato un autentico parto.
Ma non temete, nel prossimo una certa situazione inizierà a smuoversi, forse (e dico forse, perché tutto dipende sempre da quello che vorranno fare le mie dita nel momento in cui si poseranno sulla tastiera) addirittura si arriverà ad una rivelazione.
Staremo a vedere.
 
EhiEHI. Ebbene sì questa FF ha compiuto un anno… un anno e tre giorni per la precisione. Speravo di riuscire a postare questo capitolo proprio il giorno del suo compleanno, ma la mia white syndrome, aggravata da una notevole incazzatura per un esame per il quale mi sono preparata tutta l’estate (trascurando la scrittura) solo per poi vederlo rimandato a settembre, mi hanno impedito di farlo.
 
Quindi vi ringrazio di cuore. Tutti. A partire da chi mi ha seguita da subito, dai primi timidi passi di questa FF, ed è ancora qui con me. A chi dopo un po’ si è stufato e ha smesso perché, si lo ammetto, sta FF è lunghissimaaa e ancora non so nemmeno io quando e come andrà a finire. A chi all’inizio non mi ha considerata, ma poi ha deciso di dare un’opportunità a questo mio delirio.
 
E grazie grazie grazie infinite a chi mi ha anche lasciato il proprio parere e dato consigli.
 
Grazie a tutti.
 
WilKia >.<
 

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Capitolo 46
*** Weight of the World ***


Weight of the World
 
 
 
 
 
 
Rain lasciò le borse a terra e si avvicinò alla balaustra affacciata sul piano inferiore del centro commerciale.
Vi si appoggiò e diede una spintarella con la spalla a Quinn, che sembrava persa nei propri pensieri, mentre osservava i passanti con aria assente.
“Un dollaro per i tuoi pensieri?”
Offrì rivolgendole il suo mezzo sorriso.
“Sarebbe un dollaro sprecato.”
Mormorò Quinn distogliendo lo sguardo dalla folla.
“Lascia giudicare a me che sto proponendo l’affare – affermò rivolgendole un’espressione buffa – io non sprecherei mai il mio denaro per cose senza valore.”
Concluse ritornando seria.
Quinn distolse lo sguardo, riportando la propria attenzione alle persone che vagavano indaffarate tra i loro acquisti.
“Non stavo pensando a niente di particolare, davvero. Stavo solo…”
Scosse la testa.
“Sognando ad occhi aperti? Rimuginando?”
Le venne in aiuto.
“Già. Qualcosa del genere.”
Sospirò appoggiandosi pesantemente alla ringhiera.
“Santana?”
Domandò dopo alcuni istanti di silenzio.
“È scappata fuori per parlare al telefono. Di nuovo.”
Quinn ridacchiò, poi il suo sguardo si posò sulle porte automatiche che davano accesso al centro commerciale e il suo sorriso sparì improvvisamente.
“Abbiamo preso tutto per stasera?”
Domandò senza distogliere lo sguardo da ciò che l’aveva catturato.
“Sì. Non manca niente.”
“Allora andiamo via. Mi sono stufata di questo posto.”
Mormorò voltandosi di scatto ed allontanandosi rapidamente.
Rain gettò un veloce sguardo al piano di sotto, prima di seguirla, e le sue sopracciglia si inarcarono in un’espressione sorpresa. Il suo sguardo addestrato aveva scorto tra la folla la figura dinoccolata di Finn, seguito da una saltellante Rachel.
Il mistero si arricchisce di dettagli.
Pensò voltandosi e recuperando le borse piene di spesa, prima di affrettarsi a seguire Quinn.
 
Santana si lasciò cadere contro lo schienale della sedia.
“Sono piena da scoppiare.”
Borbottò massaggiandosi lievemente lo stomaco.
Quinn lasciò cadere la forchetta accanto al piatto, sospirando soddisfatta.
Era ormai la quinta sera che passava da loro e Santana era felice di essere riuscita a recuperare il rapporto con la sua migliore amica, anche se non le andava particolarmente a genio quanto si stesse avvicinando anche a Rain. Per quanto si volessero bene, il rapporto tra lei e Quinn era sempre stato basato sulla competizione oltre che sull’affetto, e la possessività innata di Santana verso le persone a cui teneva, tendeva a crescere esponenzialmente quando Quinn sembrava mostrare un qualsiasi interesse verso una di queste persone.
“Non capisco proprio come fai ad essere ancora così magra, Santana. Vivi con una Dea della cucina.”
Rain ridacchiò abbassando modestamente lo sguardo al complimento di Quinn.
“Semplice, faccio molta attività fisica.”
Rispose con fare ovvio.
“Ma se hai smesso di fare sport da quando abbiamo mollato i Cheerios.”
Disse Quinn confusa.
“Non quel tipo di attività fisica.”
Soffiò Santana socchiudendo gli occhi e rivolgendole un sorriso sornione.
Quinn roteò gli occhi annoiata.
“Certo. Come ho potuto non pensarci. In fondo è con te che sto parlando.”
“E questo che vorrebbe dire?”
Ringhiò Santana minacciosa.
“Semplicemente che sei incapace di non saltare addosso a Brittany.”
Spiegò Quinn serafica.
“Beh, non ha tutti i torti.”
Intervenne Rain, mentre ritirava i piatti – praticamente lucidi – dalla tavola.
“Ehi – protestò Santana – adesso ti coalizzi con lei?!”
Rain alzò le spalle in un gesto noncurante.
“Non ho certo detto che ti biasimo. Se avessi una ragazza come Brittany, nemmeno io riuscirei a toglierle le mani di dosso.”
Ma Santana non l’ascoltò neppure.
“Sono circondata – mormorò drammaticamente – ora non posso più fidarmi nemmeno della mia tutrice.”
Concluse teatralmente.
“Cos’è, Ragazzina. Ti sei fatta dare lezioni da DramaQueen da Rachel Berry?”
Ridacchiò Rain, ricevendo in risposta un dito medio alzato.
“Ecco, questa è la mia ragazzina.”
Replicò soddisfatta.
“Sempre incredibilmente fine ed elegante.”
Commentò Quinn con un sorriso, ma a Rain non sfuggì la vaga nota malinconica nella sua voce.
Ma non mi dire…
E non sfuggì nemmeno a Santana, che per un attimo osservò l’amica con la coda dell’occhio.
“C’è del gelato?”
Domandò Quinn dopo alcuni istanti di silenzio.
“Ma non stavi già esplodendo per la cena?”
Chiese Santana sogghignando.
Quinn scrollò le spalle e si alzò da tavola dirigendosi in salotto.
Santana e Rain si scambiarono uno sguardo perplesso.
“Ma che le è preso?”
Domandò Santana aggrottando le sopracciglia confusa.
“Non saprei – rispose – dopo tutto mi pareva che Quinn fosse la tua migliore amica. Perché mai dovrei essere io a sapere che ha?”
“Vorresti dire che non ti sei fatta nemmeno un’idea al riguardo?”
Insistette Santana, ma abbassò lo sguardo sentendosi in colpa.
“Sai ho un’idea… perché non vai di là e non le chiedi semplicemente qual è il problema?”
Suggerì Rain incoraggiante.
“Non è esattamente così che funzioniamo io e Quinn.”
Rain sollevò le sopracciglia in un’espressione interrogativa.
“Se io ora andassi di là a chiederle che cosa non va, lei si chiuderebbe a riccio e, probabilmente, inizieremmo una discussione completamente priva di senso in cui io finirei per criticare il taglio di capelli che si è fatta, tra l’altro su mio suggerimento, mentre lei sarebbe impegnata ad insultare i miei gusti in fatto di tagli di capelli.”
Spiegò concludendo il discorso sollevando contemporaneamente mani, spalle e sopracciglia.
“È così che funzioniamo.”
“Quindi non intendi fare nulla al riguardo?”
“Intendo lavare i piatti, mentre tu ti rilassi e, appena finito, intendo raggiungervi in salotto portandole una colossale coppa di gelato – spiegò – se vorrà parlarmi sarò pronta ad ascoltarla, ma non sarò io la prima a chiedere.”
Concluse addolcendosi lievemente.
Poi senza nessun preavviso la prese per le spalle e la fece voltare spintonandola verso la porta della cucina.
“E ora fuori di qui, che devo lavare i piatti. Perché non vai a scegliere un film o a tormentare il povero Nick?!”
“Sì, ma…”
Prima di poter dire qualsiasi cosa, Rain si vide chiudere la porta in faccia.
“Ooookay!”
Mormorò con un’alzata di spalle voltandosi per raggiungere Quinn in salotto.
La trovò abbandonata sul divano, con un braccio premuto sugli occhi.
“Ehi.”
Disse piano sedendosi accanto a lei.
“Ciao.”
L’accolse Quinn senza scoprirsi gli occhi.
“Perdonami – iniziò cautamente – non vorrei essere invadente, ma ho l’impressione che i tuoi pensieri siano un tantino affollati.”
Molto lentamente Quinn lasciò scivolare via il braccio dal viso, puntando su di lei uno sguardo confuso e umido di lacrime trattenute a fatica.
“Ha qualcosa a che fare con… si fermò cercando le parole adatte – con l’accettare che il cuore di una persona appartenga già a qualcuno?”
Le labbra di Quinn si incurvarono in un sorriso triste alla rievocazione del loro primo discorso.
Beh, a quanto pare sto migliorando in queste chiacchierate tra ragazze.
“Ti va di parlarne?”
Domandò cautamente.
“Non c’è molto di cui parlare…”
Mormorò Quinn sollevando le spalle in un gesto di falsa noncuranza.
“Ma c’è abbastanza da farti venire voglia di gelato, dopo due porzioni abbondanti del mio arrosto speciale al bacon.”
Suggerì con uno dei suoi mezzi sorrisi.
Quinn sospirò rassegnata.
“Devo solo imparare ad ignorare i miei sentimenti, finché non passeranno.”
“È questo il tuo piano?”
Domandò inarcando le sopracciglia incredula.
Quinn si limitò ad annuire.
“Sai, temo non sia il massimo come piano.
Voglio dire – si affrettò ad aggiungere – se si tratta di una semplice cotta, allora potrebbe anche funzionare, forse. Ma se i tuoi sentimenti per questa persona sono veri e profondi, temo che non spariranno dal giorno alla notte. E tentare di ignorarli ti porterà solo a soffrire inutilmente.”
“Beh, ma tu hai detto…”
“Anche se ho rinunciato a viverli, i miei sentimenti per Storm non sono mai scomparsi. Sono stati una spina nel petto ogni giorno.”
“Allora perché non ti sei fatta avanti?”
“Perché volevo solo il meglio per lei. Ho sperato di poter essere io quel meglio, ma la dura realtà era che ce l’aveva di già. Era giusto che rimanesse con la persona che amava e che insieme costruissero la famiglia che desideravano. Non è stato facile, ma non mi sono mai pentita della mia decisione. È stata la cosa migliore che potessi fare per lei. Anche se non è stata la cosa migliore per me.”
“Non mi sei di grande aiuto così.”
Mormorò Quinn amareggiata.
“Lasciami finire, per favore – sorrise incoraggiante – io mi sono fatta da parte, perché sapevo, avevo l’assoluta certezza, che Storm era felice e che la persona al suo fianco era quella giusta per lei. Se avessi avuto anche il minimo dubbio che non fosse così, allora avrei lottato con tutte le mie forze per averla.”
“No. Non credo sia un’opzione possibile per me.”
“Perché no?”
Quinn scrollò le spalle, mentre i suoi occhi si facevano umidi di lacrime.
“Sai, forse dovresti parlarne con Sant…”
“Perché pensi che Santana possa aiutarmi? Cosa ti fa credere che quello che mi succede abbia qualcosa a che fare con quello che ha passato lei?”
Rain inarcò le sopracciglia, perplessa al suo scatto.
“Intendevo dire che potrebbe farti bene sfogarti con la tua migliore amica… dopo tutto, lei ti conosce meglio di me e sicuramente saprebbe come tirarti su di morale, o quale consiglio darti.”
Quinn la osservò in silenzio e Rain poté vedere chiaramente l’indecisione e la paura attraversare il suo volto.
“Praticamente è come se avessi appena ammesso che la mia situazione è simile a quella vissuta da Santana, vero?”
Rain le offrì il suo mezzo sorriso in risposta.
“Preferisci la crudele verità o una pietosa bugia?”
Quinn lasciò cadere la fronte contro la sua spalla.
“Sono un vero disastro – mormorò – come lo hai capito?”
“Ti sei fatta tradire da certi sguardi che le lanci e dal fatto che sembri leggermente bipolare negli atteggiamenti che hai nei suoi confronti – spiegò semplicemente – e continuo a pensare che dovresti parlarne con Santana.”
“Certo, come no. Idea fantastica.”
“Cosa ci sarebbe di così terribile?”
“Oh assolutamente nulla. Immagina un po’ la scena.
Ehi San, vuoi sapere la novità? Credo di essere innamorata di Rachel Berry – sibilò risprofondando il viso contro la sua spalla – mi prenderebbe per il culo a vita!”
“Io penso che tu sia un po’ prevenuta nei suoi confronti…”
Quinn si sollevò e la fissò negli occhi sollevando un sopracciglio.
“Ok, sì. Ti prenderebbe per il culo. È fatta così. Ma credimi, poi sarebbe lì per te.”
Quinn scosse la testa.
“No. Non glielo posso dire. Non posso dirlo a nessuno.”
“Nemmeno a… Rachel.”
“Soprattutto a Rachel. E in ogni caso a che servirebbe? Rachel ha già il suo cavaliere dall’armatura scintillante, mentre io da quando la conosco non ho fatto altro che umiliarla, deluderla e respingere ogni sua offerta d’amicizia – sospirò sconfitta – meglio che mi dimentichi di questa storia e che vada avanti con la mia vita. Ancora un anno, poi lei se ne andrà a N.Y. ad inseguire i suoi sogni e non la vedrò più se non su qualche manifesto di un qualche Musical di successo.”
Quinn scosse la testa sbuffando e passandosi le mani sugli occhi, per trattenere le lacrime che minacciavano di uscire.
“Argomento chiuso – disse poi con voce ferma – allora, che film ti piacerebbe vedere stasera?”
Domandò rivolgendole uno sguardo che la supplicava di lasciar cadere il discorso.
Accidenti. E io che credevo che non avrei mai incontrato qualcuno testardo quanto Santana…
“Scegli tu – sospirò, accogliendo la sua richiesta silenziosa – ma ti prego, basta Horror, mi hanno stufata.”
Quinn si mise a frugare nel mobiletto dei DVD e dopo alcuni minuti ne infilò uno nel lettore, per poi lasciarsi cadere pesantemente sul divano accanto a lei, la spalla destra premuta contro il suo fianco, come in cerca di supporto.
Rain la scrutò per un lungo momento, ma alla fine decise che era inutile insistere, così si limitò a voltarsi verso il televisore.
“Oh, pessima scelta…”
Esclamò ridacchiando.
“Non dirmi che non ti piace Frankenstein Jr.?”
Domandò Quinn scandalizzata.
“Al contrario, lo adoro. E l’ho visto talmente tante volte da conoscere a memoria tutte le battute sia in inglese che in italiano. L’ultima volta che l’ho guardato con Santana, per poco non mi lanciava in testa il televisore.”
Raccontò con una lieve risata.
Quinn ridacchiò e le diede una lieve spintarella con la spalla, in un gesto che Rain interpretò come un silenzioso grazie.
I titoli erano quasi finiti, quando Santana fece il suo ingresso in salotto, reggendo precariamente tre coppette stracolme di gelato, che appoggiò sul tavolino davanti al divano con un sospiro.
“Oh, no! – esclamò con una nota di disperazione nella voce – non di nuovo Frankenstein Jr.”
Piagnucolò prima di voltarsi verso il divano.
I suoi occhi si socchiusero pericolosamente, vedendo quanto Quinn sedesse vicina a Rain.
Soffocò un commento acido e con un gesto secco consegnò una coppetta di gelato a ciascuna, per poi intrufolarsi tra le due ragazze, spingendo finché Quinn non fu scivolata contro l’altro bracciolo del divano. Quindi prese un’abbondante cucchiaiata di gelato e con un sospiro soddisfatto appoggio la testa sulla spalla di Rain.
Rain e Quinn si scambiarono uno sguardo divertito e con un’alzata di spalle tornarono a concentrarsi sul film.
 
 
“SI. PUO’. FARE!”
Tuonò Rain alzandosi in piedi sul divano e scatenando la risata di Quinn, mentre Santana alzava gli occhi al cielo per l’ennesima volta.
Ormai aveva roteato gli occhi talmente tante volte da sentire le orbite indolenzite.
Afferrò la maglietta di Rain e la tirò con forza, costringendola a risedersi, per poi rivolgerle uno sguardo minaccioso.
Rain sembrò cogliere il messaggio e nelle scene successive rimase tranquilla, limitandosi a mimare silenziosamente i dialoghi.
Dopo vari minuti di tranquillità, Santana commise l’errore di rilassarsi, smettendo di tenere sotto controllo l’ex-soldato.
Alla scena in cui il dottor Frankenstein scopriva il successo del proprio esperimento, Rain balzò in piedi, iniziando a camminare per il salotto, muovendosi come la creatura.
“Insomma, Rain. Adesso basta!”
Sbuffò esasperata.
“È impossibile guardare questo dannatissimo film con te.”
Ringhiò alzandosi indispettita per andare via.
A quel punto si sentì afferrare dalle mani forti di Rain, che la rigettò sul divano e iniziò a farle il solletico, intanto, sullo schermo, la creatura cercava di strangolare il protagonista, mentre questi tentava disperatamente di suggerire ai suoi goffi assistenti di sedare il mostro.
“Rain! – gridò Santana indignata tra una risata e l’altra – smettila subito. RAIN!”
Dall’altro lato del divano, Quinn rideva sommessamente, apprezzando il parallelismo tra la scena sullo schermo e quella che si stava svolgendo a un cuscino di distanza da lei, mentre si gustava la sua seconda coppa di gelato.
Quando le dita agili di Rain iniziarono a solleticarle l’incavo del ginocchio, Santana prese a scalciare, nel tentativo di sfuggire a quella tortura e improvvisamente, il suo piede colpì la mano con cui Quinn reggeva il suo prezioso gelato, facendoglielo rovesciare sui vestiti e sul divano.
“Ehi – esclamò Quinn indignata – il mio gelato!”
“Oh, scusa Q.”
Ghignò Santana, non appena riprese fiato.
“Dannazione – continuò osservando i suoi vestiti completamente macchiati – e adesso che cosa mi metto per dormire?”
“Non ti preoccupare, può sempre prestarti qualcosa Santana – intervenne Rain – anzi, perché non andate su, così ti cambi, mentre io ripulisco questo disastro.”
Offrì.
“Vieni Q.”
Borbottò Santana annoiata salendo le scale.
 
 
Dieci minuti dopo, Santana stava seriamente per esplodere.
Aveva praticamente svuotato tutti i propri cassetti alla ricerca di qualcosa che Quinn potesse indossare e l’amica non aveva fatto altro che scartare ogni singolo capo d’abbigliamento che le aveva offerto.
“Questa no. È troppo stretta, mi piace stare comoda quando dormo.”
Disse Quinn annoiata lasciando cadere a terra l’ennesima maglietta.
“Oh, aspetta. Forse quella può andare. No, no. Decisamente non ci siamo.”
A questo punto Santana scattò.
“Mi hai rotto Q. se non ti va bene niente, allora rimani in mutande!”
“Sei pazza? Devo dormire con te stanotte.”
“E con ciò?”
“Non intendo rimanere in mutande con una ninfomane che non vede la propria ragazza da quasi due settimane che dorme di fianco a me. Non ci tengo a svegliarmi con te che mi ansimi addosso in preda ad un qualche sogno sconcio.”
Esclamò Quinn con un gesto altezzoso della testa.
Santana era sul punto di saltarle addosso e sbranarla, quando Rain si affacciò alla porta della sua camera, probabilmente preoccupata dall’odore di un imminente spargimento di sangue che si era propagato per la casa.
“Ehi, ragazze. Tutto bene? Perché ci state mettendo tanto?”
“Chiedilo alla qui presente principessa sul pisello.”
Ringhiò Santana, incrociando le braccia al petto furiosa.
Rain si guardò intorno, perplessa dal caos che regnava nella stanza.
“Ok, ehm. Vieni Quinn, ti presto una delle mie magliette…”
Offrì in tono conciliante.
Quinn la seguì fuori dalla camera di Santana, ma fatti solo pochi passi nel corridoio, l’ex-soldato si bloccò estraendo il cellulare squillante dalla tasca dei suoi pantaloncini.
“Ragazzina – chiamò riaffacciandosi alla stanza di Santana – mostrale tu dove tengo le magliette, per favore. Io devo rispondere…
Scegli pure quella che preferisci.”
Concluse all’indirizzo di Quinn.
“È Reneè?”
Domandò Santana speranzosa, seguendola in corridoio.
Rain scosse la testa.
“Fren? Salutala da parte mia…”
“No, è Lara.”
Santana fece una smorfia e mimò l’atto di infilarsi due dita in gola.
“Sempre la solita impicciona.”
Borbottò Rain scendendo le scale, per poi rispondere al telefono, mentre si chiudeva alle spalle la porta della cucina.
“Andiamo Q.”
Bofonchiò Santana entrando in palestra e imboccando la porta che la collegava alla stanza di Rain.
“La sua ragazza?”
Domandò Quinn guardandosi intorno incuriosita. Era la prima volta che entrava in camera di Rain.
“La tipa con cui scopa.”
Rispose Santana stizzita.
“Devo dedurre che non ti piace?”
“È solo un ostacolo in più tra lei e quella che dovrebbe essere la sua famiglia a tutti gli effetti. Quindi no, non mi piace. Non mi piace affatto.”
Ringhiò aprendo l’armadio in cui Rain aveva impilato le sue magliette.
“Ecco a te – esclamò rivolgendole un sarcastico invito con la mano – serviti pure.”
Quinn si avvicinò indecisa all’armadio aperto.
“Tranquilla, Q. A differenza di me, non morde.”
“È che non mi piace l’idea di frugare nell’armadio di Rain…”
“Non stai frugando – sbottò Santana – stai scegliendo una sua maglietta come lei ti ha detto di fare. Quindi vedi di darti una mossa.”
Quinn sembrò convincersi e iniziò ad estrarre ordinatamente le magliette di Rain, ma nessuna sembrava fare al caso suo.
Ad un tratto una scritta in rosa fosforescente su una maglietta nera attirò la sua attenzione.
Diceva “I won’t be held down by who I used to be. She’s nothing to me.”
Si allungò verso lo scaffale su cui era riposta, mettendosi in punta di piedi per afferrarla.
La tirò verso di sé e dovette scostarsi per evitare una scatola di legno che cadde giù dallo scaffale insieme alla maglietta.
“Bel colpo Fabray.”
Sospirò Santana esasperata, osservando la scatola di legno che cadendo a terra si era aperta riversando il suo contenuto su tutto il pavimento.
“Di tutte le magliette che ci sono lì dentro, dovevi proprio andare a prendere quella che avrebbe causato un crollo.”
“Come potevo sapere io che ci fosse quella scatola lassù?”
Domandò con fare ovvio.
“Aspetta, ti aiuto a risistemare.”
Si offrì.
Ma Santana aveva riconosciuto la scatola di legno che Brittany aveva trovato il giorno in cui avevano scoperto l’esistenza di quella camera, e si affrettò a chinarsi sul pavimento per raccogliere le innumerevoli buste che erano volate ovunque.
“Lascia perdere, ci penso io. Tu cambiati e vedi di non combinare altri disastri nel frattempo.”
Quinn scrollò le spalle e iniziò a liberarsi dei suoi vestiti sporchi di gelato, mentre Santana raccoglieva i fogli ingialliti.
Quinn si infilò nell’ampia maglietta di Rain con un sospiro soddisfatto e rimase a lungo a fissare la a scritta in quel rosa evidenziatore che spiccava sul tessuto nero, persa nei suoi pensieri.
“Ok – disse poi riponendo le altre magliette nell’armadio – possiamo andare S.”
Quando non ricevette nessun tipo di risposta sarcastica dall’amica, si voltò confusa.
“San?”
Chiamò perplessa vedendola ancora inginocchiata a terra, mentre scrutava accigliata quelle che sembravano vecchie lettere.
“Santana?”
Ripeté iniziando vagamente a preoccuparsi.
“Scusa Q. – mormorò distrattamente alzandosi da terra, senza distogliere lo sguardo dai fogli che stringeva in mano – devo andare a fare una cosa…”
“Ma…”
Prima che potesse dire qualcosa, Santana era già uscita a passo di marcia dalla camera.
“San? Santana?”
Chiamò preoccupata affacciandosi sul corridoio dopo averla seguita.
L’unica risposta che ottenne fu il rumore secco della porta d’ingresso che sbatteva.
Pochi minuti dopo Rain la raggiunse e le rivolse un sorriso di approvazione.
“Ottima scelta. Quel tipo di rosa ti dona molto.
Qualcosa non va?”
Aggiunse poi notando la sua espressione confusa e preoccupata.
“Dov’è Santana?”
“Lei è andata via – spiegò ancora perplessa per il comportamento dell’amica – quando ho preso la maglietta una scatola di legno è caduta dall’armadio e mentre mi cambiavo Santana si è messa a raccogliere le lettere che erano uscite fuori… e ad un certo punto si è alzata ed è andata via.”
“Cosa? E dov’è andata?”
Chiese Rain.
Che abbia trovato gli indizi che a me erano sfuggiti?
“Non lo so. Ha solo detto che aveva qualcosa da fare. Non so dove sia andata, si comportava in modo strano. Sembrava confusa… è andata via quasi come se stesse scappando.”
Il cuore di Rain iniziò a battere con forza nel suo petto, mentre una sottile preoccupazione iniziava ad avvolgerla.
“Ok. Vado a cercarla. Tu rimani qui nel caso in cui torni.”
Disse sbrigativa infilandosi rapidamente un paio di scarpe e fiondandosi giù dalle scale, mentre una strana sensazione si impadroniva di lei.
Chissà perché nella sua mente sentì rimbombare la voce di Fren.
Tutte le informazioni e gli indizi sono sempre stati qui, sotto il tuo naso.
 
 
 
Angolo della pazza.
 
La canzone da cui ho preso in prestito il titolo, e di cui avete trovato una citazione sulla maglietta di cui si è impadronita Quinn, appartiene agli Evanescence.
 
Allora che ne pensate della strana coppia, come le posso chiamare… mmm FabRain?
Dopo tutto, come anche Rain ha notato, sotto certi aspetti Quinn è molto simile a Santana, perciò non le risulta poi così difficile rapportarsi con lei.
 
Come avrete capito Frankenstein Jr. è uno dei miei film preferiti in assoluto, e sì, Rain conosce tutte le battute a memoria perché le conosco io. Quanto è pucciosa Sannie tutta gelosa e possessiva amoooreeee.
 
Chissà che cosa sarà andata a fare con le lettere di Rain. Curiosi? Qualcuno ha già capito?
 
Fatemi sapere, su. Non abbiate timore di dirmi che ne pensate. Ogni saluto, consiglio, critica o insulto è ben accetto.
 
E se non vi va di dirmelo qui su EFP, potete sempre contattarmi su Twitter
 
Alla prossima.
 
Besitos WK >.<
 
 

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Capitolo 47
*** Family Portrait ***


Family Portrait
 
 
 
 
Rain si guardò intorno, scrutando la strada buia, illuminata fiocamente dai lampioni e si domandò da che parte dirigersi per cercare Santana.
Guardò per un attimo la sua auto, parcheggiata davanti al vialetto, ma decise che prenderla fosse inutile. Dopotutto, Santana era uscita da poco, non poteva aver fatto molta strada.
Il fatto che fosse scappata via così rapidamente e a piedi le fece pensare che, probabilmente, la sua meta dovesse essere piuttosto vicina. Così decise di iniziare la sua ricerca dal luogo più vicino in cui Santana avrebbe potuto recarsi, anche se non vedeva per quale motivo avrebbe voluto andare là così improvvisamente.
Si avviò per la strada a passi rapidi, scrutando l’oscurità intorno a sé, mentre un vago senso di inquietudine l’avvolgeva lentamente, facendole formicolare la nuca e stringendole lo stomaco in una morsa. I suoi passi si fecero sempre più rapidi e prima ancora di rendersene conto, stava correndo, sfrecciando silenziosa attraverso il quartiere addormentato.
Il suo istinto si rivelò esatto ed una sensazione di déjà-vu la investì, quando il suo udito captò le grida in spagnolo provenienti da casa Lopez.
Solo che questa volta, la voce che urlava apparteneva senza dubbio a Santana.
Coprì la distanza che la separava da casa Lopez in poche, rapide falcate, e quella strana sensazione tornò ad invaderle il petto al ritmo dei suoi battiti accelerati, mentre i suoi occhi iniziavano a distinguere la scena che si stava svolgendo sul portico.
Santana si agitava urlando ai piedi degli scalini, fronteggiando sua madre che teneva lo sguardo fisso su un foglio stropicciato che Rain trovò fin troppo familiare.
“Non mi hanno mai voluta, sai? Sono solo un incidente di percorso.. stavano per lasciarsi quando mia madre ha scoperto di essere incinta. Allora si sono sposati perché altrimenti sai che scandalo..”
Perché quella frase di Santana aveva preso a rimbalzarle nella mente?
E all’improvviso un pensiero la colpì.
“La donna per cui ci aveva lasciate alla fine non era rimasta con lui, ma si era sposata con il suo fidanzato…”
Mormorò tra sé e sé, bloccandosi con la mano sul cancelletto della staccionata che delimitava il giardino dei Lopez, gli occhi sgranati in un’espressione incredula.
“Oh. Mio. Dio!”
Esalò.
Era lei… è sempre stata lei. Come ho potuto essere tanto cieca da non accorgermene?
Improvvisamente tutto acquistava senso.
Quello strano istinto protettivo che aveva avuto da subito per Santana. La facilità con cui si era adattata alla sua presenza costante accanto a lei. Il modo in cui riuscivano ad entrare in sintonia e a capirsi all’istante, sebbene si conoscessero da così poco tempo.
“Santana.”
Chiamò piano, riscuotendosi un poco dal suo stato di stupore, ma la ragazza era troppo impegnata ad urlare addosso a sua madre con tutto il fiato che aveva, per riuscire a sentirla.
“Santana.”
Riprovò a voce più alta e questa volta si voltò, puntando su di lei uno sguardo fiammeggiante.
“Tu!”
Ringhiò in tono d’accusa, puntandole addosso l’indice.
Avanzò minacciosa verso di lei e spalancò il cancelletto che le separava.
“Tu lo sapevi – urlò avventandosi su di lei ed iniziando a tempestarle il petto di pugni furiosi – sapevi tutto fin dall’inizio e per tutto questo tempo non hai fatto altro che prendermi per il culo!”
“San-Santana…”
Balbettò stupefatta alla sua accusa, mentre tentava di bloccare i suoi colpi senza farle male.
“Io mi fidavo di te e per tutto questo tempo non hai fatto altro che mentire!”
Continuò ad urlare.
“No. Santana, io non sapevo niente fino ad un secondo fa – tentò di dire riuscendo finalmente a fermare i colpi che le piovevano addosso – come potevo sapere…?”
“Non mi toccare!”
Urlò Santana isterica allontanandosi da lei con uno scatto secco ed indietreggiando lontano dalla casa.
“Statemi lontane tutte e due. Sono stufa delle vostre balle.”
Mormorò voltandosi per scappare via.
“Santana, per favore – tentò Maribel – lasciami spiegare.”
“E ascoltare una nuova sfilza di bugie?”
Domandò Santana sarcastica, fermando la sua fuga attraverso la strada e voltandosi verso di loro, le braccia incrociate sul petto in atteggiamento di difesa.
“Avanti, mamma. Sentiamo – sputò sarcastica – cosa vuoi dirmi ancora? Vuoi raccontarmi di come sei accidentalmente inciampata sui piedi del padre di Rain e sei rimasta incinta?”
Continuò indicando con un gesto Rain, che la fissava con uno sguardo confuso e sbalordito.
“Tesoro, ti prego. Perché non venite dentro e ne parliamo con calma.”
“Adesso mi chiami tesoro? Adesso mi vuoi parlare?”
“Santana, per favore…”
La implorò di nuovo Maribel, ma Santana le voltò le spalle furiosa e confusa.
Non si aspettava di vedersi illuminare dal fascio di luce di una coppia di fanali, né di trovarsi sulla traiettoria di un’auto appena spuntata a tutta velocità da dietro la curva.
Non sentì il clacson suonare.
Avvertì solo l’urlo di sua madre, prima di chiudere gli occhi in attesa dell’impatto inevitabile, mentre la sua mente si svuotava completamente di ogni pensiero, tranne uno.
Brittany.
Si aggrappò al ricordo del suo abbraccio, mentre il suo corpo veniva travolto, iniziando a ruzzolare sull’asfalto e l’automobile spuntata all’improvviso si dileguava nella notte.
Non sapeva bene cosa si aspettava.
Forse il tunnel di luce bianca di cui si sentiva tanto parlare.
O il flashback di tutta la sua vita.
Magari anche solo il dolore dell’impatto con la macchina e la sensazione dura e ruvida dell’asfalto sotto il suo corpo.
Invece, niente.
Niente Flashback.
Niente tunnel.
Niente dolore.
Perfino l’asfalto non sembrava affatto duro e ruvido, anzi, stava abbastanza comoda.
La superficie su cui era distesa era decisamente confortevole e sorprendentemente morbida.
Aprì lentamente gli occhi, confusa dal senso di sicurezza in cui si sentiva avvolta.
“Ouch.”
Gemette una voce familiare al suo orecchio, mentre le braccia forti, strette protettive intorno alle sue spalle allentavano la presa, sollevandola leggermente.
“Stai bene?”
Gli occhi scuri di Rain la scrutarono preoccupati.
“Ragazzina stai bene?”
Santana annuì incerta, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, mentre lo spavento appena provato si mescolava al tumulto emotivo di cui era preda, scuotendo il suo corpo in tremiti violenti.
Affondò il volto nel petto di Rain, lasciandosi avvolgere di nuovo nel suo abbraccio, mentre le lacrime iniziavano a scorrere sul suo viso.
Rain sospirò sollevata, lasciando ricadere la testa sull’asfalto.
Ho una sorella… SANTANA È MIA SORELLA! Lo è per davvero.
Ancora non riusciva a crederci.
L’aveva trovata.
Si erano trovate.
Contro ogni probabilità, in qualche modo si erano trovate e riconosciute. Dovevano solo capirlo.
“State bene? Siete ferite?”
La voce preoccupata e scossa di Maribel Lopez la strappò ai suoi pensieri.
La donna si inginocchiò accanto a loro, facendo sollevare Santana per assicurarsi che non fosse ferita.
“Sto bene.”
Sentenziò Santana alzandosi e sottraendosi alla sua stretta.
Rain si sollevò subito dopo, solo per ritrovarsi di nuovo a terra, quando il suo ginocchio sinistro cedette sotto il suo peso.
“Rain! Che succede?”
“Sto bene.”
Si affrettò a rassicurarla, stringendosi il ginocchio tra le mani, la mascella contratta in una smorfia di dolore.
“Devo aver girato male il ginocchio, quando ti ho acchiappata e siamo ruzzolate a terra.”
Continuò tentando di alzarsi di nuovo e trovando Santana pronta a sorreggerla.
“Venite – offrì Maribel – entriamo in casa.”
“No grazie! Ce la caviamo benissimo da sole.”
Sbottò Santana rinsaldando la presa intorno alla vita di Rain.
“Avanti, Santana. Lo so che in questo momento ce l’hai a morte con me, più del solito, ma Rain dovrebbe mettere del ghiaccio su quel ginocchio.”
Insistette lei.
Santana si tormentò per un attimo il labbro inferiore tra i denti, indecisa.
“D’accordo.”
Sbuffò iniziando ad avanzare di nuovo verso casa Lopez, dopo essersi assicurata che non ci fossero auto in arrivo.
Fatti pochi passi, Maribel si portò all’altro fianco di Rain, per aiutare Santana a sostenerla, ma la ragazza l’allontanò con un gesto di stizza.
“Ce la facciamo da sole.”
Sibilò piccata.
Maribel sollevò le mani in un gesto di resa e le precedette sul portico tenendo aperta la porta perché potessero entrare.
La foto di famiglia esposta all’ingresso era sparita e al suo posto era stata appesa una riproduzione delle “Ninfee”di Monet.
Santana accompagnò Rain in salotto e la fece sedere sul divano, affrettandosi poi a farle sollevare la gamba infortunata.
“Ti fa male?”
“Sopravviverò.”
Rispose Rain con il suo mezzo sorriso.
“Mi dispiace, Rain. È colpa mia se…”
“Ehi. Tranquilla – la interruppe – hai notato che quando c’è in ballo mio padre, finisco sempre per sanguinare in qualche modo?!”
Ironizzò, indicando con un cenno le abrasioni sulle sue ginocchia e sui gomiti, dove la pelle era entrata in contatto con l’asfalto.
“Nostro padre…”
Mormorò Santana con un filo di voce ed evitando il suo sguardo.
“Già… così sembrerebbe.”
Confermò tenendo a sua volta lo sguardo basso, ancora puntato sulle sue escoriazioni.
“Grazie per avermi evitato uno spiacevole scambio di opinioni con quell’auto in corsa.”
Mormorò Santana, giocherellando nervosamente con le proprie dita.
La mano calda di Rain entrò nel suo campo visivo, prendendo delicatamente la sua.
Santana sollevò gli occhi ad incontrare finalmente quelli di Rain.
Già, come ho fatto a non accorgermi che hanno la stessa forma dei miei.
Si domandò incredula.
Le due ragazze si studiarono in silenzio, quasi fosse la prima volta che si vedevano.
E, in un certo senso, era davvero così.
Il loro momento di reciproco studio silenzioso, venne interrotto dall’arrivo di Maribel, che sedette cautamente accanto a Rain, prima di posarle con delicatezza un sacchetto di ghiaccio sul ginocchio infortunato.
Rain non diede alcun segno di provare dolore, ma Santana notò il leggero e rapido aggrottarsi della sua fronte, quando il ghiaccio entrò in contatto con la sua pelle lesionata.
Il silenzio nella stanza si fece pesante, mentre tutte e tre le donne si immergevano nei propri pensieri, incapaci di decidere quali domande porre, o da quali spiegazioni incominciare, o se rimanere ad ascoltare le verità scomode che erano rimaste celate per quasi diciotto anni.
Fu lo squillo del telefono di Santana a riscuoterle dai loro pensieri turbinosi.
La ragazza estrasse il telefono dalla tasca.
“È Britt.”
Mormorò senza dover guardare lo schermo, con l’espressione più serena che Rain le avesse visto quella sera.
“Beh, che aspetti? – domandò – corri a rispondere. Non ho bisogno che stai qui a farmi da babysitter.”
Santana le rivolse un piccolo sorriso, prima di alzarsi dal divano.
“Già che ci sei, dopo avverti Quinn che stiamo bene.”
La inseguì la voce di Rain, mentre si allontanava dal salotto.
San!
Esclamò Brittany, non appena rispose al telefono.
Santana salì rapidamente le scale ed entrò in quella, che fino a poco tempo prima, era stata la sua camera.
“Ciao Britt.”
Mormorò lasciandosi cadere sul materasso spoglio del suo vecchio letto, trovando un vago conforto nell’essere di nuovo in quella stanza.
Stai bene? – domandò Brittany inquieta – hai una voce strana.
“Ho solo avuto una serata un po’ pesante.”
Sospirò.
Sicura che vada tutto bene?
Chiese ancora Brittany, la voce sempre più preoccupata.
Oggi ho avuto tutto il giorno una brutta sensazione allo stomaco, come mi era successo quando la coach mi voleva sparare con il cannone.
Santana sorrise debolmente, prima di tirare su con il naso, appoggiando la fronte contro il materasso.
“Vorrei tanto che tu fossi qui…”
Bisbigliò tentando di trattenere i singhiozzi.
“Non sai quanto.”
 
Non appena Santana aveva lasciato la stanza, il silenzio si era fatto ancora più pesante, senza l’allegra melodia del suo cellulare.
Alla fine era stata Maribel a non sopportare più quel silenzio assordante e a pronunciare le prime, faticose parole.
“Sai, quando ti ho vista, la prima volta che sei stata qui e ti sei portata via Santana, ho da subito avuto la sensazione di conoscerti.”
Mormorò fissando il tappeto.
“Ma proprio non riuscivo a ricordare dove ti avessi vista. Non gli somigli molto. Anzi, non gli somigli quasi per niente. Ma d’altronde, anche Santana non ha preso quasi nulla da lui.”
“Questo lo considero un bene per entrambe.”
Esalò Rain, tentando di trattenere la rabbia.
Maribel sospirò, prima di continuare.
“Poi un giorno sono passata davanti all’officina del signor Hummel. Tu stavi lavorando, sembravi molto concentrata su un motore e ad un certo punto hai iniziato a tormentarti il labbro inferiore, prendendolo tra il pollice e l’indice. Esattamente come faceva sempre lui. Lo stesso tic. Lo stava facendo anche quando l’ho conosciuto. A volte anche Santana lo fa.”
Rain annuì tra sé e se, ricordando di averla vista farlo mentre faceva i compiti e di aver pensato che fosse una cosa curiosa.
“E a quel punto, ho capito.
Quando poi sei venuta a chiederci di diventare la tutrice legale di Santana, i miei sospetti hanno avuto conferma, più ti guardavo e più vedevo le piccole somiglianze con lui e con mia figlia. Questo mi ha convinto a firmare quei documenti. Questo e l’evidente affetto che hai dimostrato nei confronti di Santana.
Sono stata una pessima madre… speravo che con te Santana potesse conoscere la serenità che non ha mai avuto in questa casa.”
Concluse con un sorriso triste.
“E tuo marito…”
Rain lasciò la domanda in sospeso.
“Non mi ha mai chiesto niente, ma di sicuro sospettava che Santana non fosse sua, forse addirittura ne era certo, vista la velocità con cui ha firmato i tuoi documenti. In ogni caso, una settimana dopo ha fatto le valige e se ne è andato.”
“Ma se sapevi chi ero, perché non hai detto niente?”
Maribel alzò le spalle.
“Non volevo che Santana mi odiasse più di quanto non facesse di già.”
Mormorò amaramente.
“Santana non ti odia – disse piano – è certamente arrabbiata con te, forse addirittura furiosa, ma non ti odia. Dopotutto, sei sua madre.”
“Una madre che le ha mentito per tutta la sua vita, che le ha dato contro quando le ha confidato di essere innamorata della sua migliore amica e che poi ha firmato dei documenti per affidarla a qualcun altro.”
“Qualcuno che sapevi che le voleva bene…”
“Non starai tentando di farmi credere che non abbia visto la mia firma su quei pezzi di carta come il mio modo di sbarazzarmi di lei?!”
Rain abbassò lo sguardo.
“Visto? Non vedo come potrebbe non odiarmi. Io mi odierei.”
Concluse nascondendo il volto tra le mani.
Rain la osservò in silenzio per alcuni istanti.
“Mia madre – iniziò piano, facendo uno sforzo immane per pronunciare quelle parole – mi ha ignorata quasi completamente sin dal momento in cui mio padre ci lasciò, per poi abbandonarmi al mio destino, affidata ai servizi sociali, senza nessuno che mi volesse davvero bene, senza nessuno di cui potermi fidare. Eppure, nonostante tutto, non riesco ad odiarla. E non credere che non ci abbia provato.”
Concluse, con un sospiro stanco.
Non sapeva perché le stava dicendo quelle cose, forse voleva semplicemente che almeno Santana riuscisse a recuperare il rapporto con sua madre, prima che fosse troppo tardi.
“Ora Santana è arrabbiata e confusa, ma, quando si sarà calmata, vedrà che in tutti questi anni l’hai protetta da una verità scomoda e che quando hai firmato quei documenti, l’hai fatto con la convinzione di fare la cosa giusta per lei.”
A quelle parole, Maribel sollevò lo sguardo su di lei, con un’espressione incredula sul volto.
“Per quanto concerne la questione del suo amore per Brittany e della tua reazione al riguardo – aggiunse poi in tono più duro – temo dovrai impegnarti parecchio per rimediare.”
“Tu credi… credi che me lo permetterebbe?”
“Ne sono sicura.”
Rispose semplicemente, ottenendo un piccolo sorriso da lei.
“Come va il ginocchio?”
Domandò poi Maribel, dopo un lungo momento silenzioso.
Rain provò a muovere la gamba infortunata.
“Ho sofferto dolori peggiori, ma non posso certo dire che sia a posto.”
Sospirò.
“Allora è meglio che ti accompagni all’ospedale.”
Decretò Santana rientrando in salotto.
Rain la osservò avanzare verso di lei, gli occhi ancora rossi e gonfi a rivelare che aveva pianto.
“Il mio ginocchio può aspettare. Sono sicura che non è niente di grave. Ci sono cose più importanti da…”
“Direi che la priorità vada ai danni fisici – la interruppe Santana con fermezza – inoltre ti sei fatta male  a causa mia, quindi ora portarti all’ospedale mi sembra il minimo che io possa fare.”
Rain la scrutò in silenzio per alcuni istanti, finché Santana non alzò lo sguardo ad incontrare il suo.
Forse rimandare il discorso, sarebbe stata la cosa migliore, in fondo.
La serata era stata già abbastanza densa di avvenimenti ed emozioni e a tutte loro serviva tempo per digerirle. Soprattutto a Santana.
“D’accordo – si arrese, davanti allo sguardo con cui Santana la implorò per una tregua – andiamo a far vedere il mio ginocchio a qualche segaossa. Riprenderemo il discorso più avanti.”
Concluse all’indirizzo di Maribel.
Santana l’aiutò ad alzarsi dal divano.
“Ok, Ragazzina. Andiamo.”
Decretò Rain appoggiandosi alle sue spalle.
 
Santana aprì silenziosamente la porta di casa, permettendo così a Rain di entrare con le stampelle che le avevano dato all’ospedale. Se l’era cavata con una brutta distorsione, ma avrebbe dovuto tenere il ginocchio a riposo per almeno due settimane e fare riabilitazione.
Le due ragazze si sorpresero di trovare accesa la luce in salotto, dato che erano quasi le tre di notte.
Entrambe sorrisero, trovando Quinn addormentata sul divano, in una posizione che sembrava essere decisamente scomoda e con il cellulare stretto in una mano.
“Forse dovremmo portarla di sopra?”
Suggerì Rain in un sussurro.
“E come pensi di fare, Gambadilegno? Il dottore ha detto di tenere il ginocchio a totale riposo.”
Rain scrollò le spalle.
“Puoi sempre portarla di sopra tu…”
Santana inarcò le sopracciglia incrociando le braccia sul petto.
“Forse no?”
Si corresse rivolgendole il suo mezzo sorriso.
“Almeno sistemala, o domattina avrà anchilosati anche muscoli di cui ignorava l’esistenza.”
Santana sbuffò e si avvicinò al divano, per poi distendere il corpo addormentato di Quinn in una posizione più comoda.
“Possibile che tu non sappia nemmeno dormire senza aiuto, Fabray?!”
Sbuffò drappeggiandole addosso una leggera coperta, ma addolcì il suo commento acido scompigliando affettuosamente i suoi corti capelli biondi, poi spense la luce e raggiunse Rain su per le scale.
Si fermarono davanti alla porta della sua stanza, in imbarazzo per la prima volta da quando avevano lasciato casa Lopez.
Entrambe indecise su come comportarsi, più ancora del giorno in cui si erano conosciute.
“Ce la fai ad andare di sopra?”
Domandò Santana con un cenno verso la stanza di Rain.
“Sì nessun problema.”
Annuì lei.
“Bene. Allora… buonanotte, Rain.”
Aggiunse in fretta per poi rifugiarsi nella sua camera.
“Buonanotte, Santana.”
Mormorò alla porta chiusa, prima di voltarsi e zoppicare verso camera sua.
 
Rain sospirò pesantemente e si infilò con cautela sotto le lenzuola, facendo attenzione a non strattonare il ginocchio dolorante.
Osservò il lato del letto che di solito occupava Santana. Era la prima volta che non veniva occupato, a parte le notti in cui Brittany rimaneva da loro, chiaramente, ma non le era mai sembrato tanto vuoto in quelle occasioni.
Spense la luce e si adagiò sul cuscino con un altro sospiro.
Restò a lungo a fissare il soffitto, ancora incredula di non aver capito fino a quel momento che la ragazza che stava cercando fosse proprio Santana.
Eppure Fren gliel’aveva detto.
Tutte le informazioni che le servivano erano sempre state sotto il suo naso, ma lei non era pronta a vederle.
Persa nei suoi pensieri, non si accorse della porta che si apriva e richiudeva silenziosamente, né dei passi leggeri che si avvicinarono al letto.
Avvertì solo la coperta sollevarsi e il materasso cedere sotto il peso di un corpo, prima che un paio di braccia familiari si avvolgessero intorno alla sua vita, accompagnate dal tipico profumo di lavanda dei capelli di Santana.
Rain portò istintivamente il braccio sinistro intorno alle sue spalle, stringendola a sé, nel loro primo vero abbraccio di quella sera.
“Scusa se ti ho urlato contro prima – mormorò Santana contro la sua spalla – so che non sapevi nulla di questa storia, solo che in quel momento non ragionavo.”
“Non ti preoccupare. In quel momento anche io ero piuttosto fuori fase, mi ricordo a malapena quello che hai detto.”
“Intendi quello che ho urlato…”
La corresse Santana e Rain avvertì il suo viso aprirsi in un piccolo sorriso.
“Riesci a credere – riprese Santana dopo alcuni istanti di silenzio – che tutto questo tempo eravamo sorelle e non lo sapevamo?”
“Ancora non mi capacito di non averlo capito… ti è mai capitato di cercare i tuoi occhiali in giro per tutta casa solo per poi accorgerti di averli sul naso?”
“Un sacco di volte.”
“Beh, una sorella è un po’ più difficile da non notare, no? Eppure ti ho avuta al mio fianco fin dal primo giorno che ho passato qui a Lima, ma ho rivoltato mezzo Ohio prima di trovarti…”
“Britt l’aveva capito, sai?”
“Davvero?”
Santana annuì.
“Continuava a ripetere che abbiamo un sacco di cose in comune, che a volte quando canti e prendi certe note, la tua voce è molto simile alla mia e che le nostre espressioni minacciose sono praticamente uguali – spiegò – oh e anche che abbiamo le stesse orecchie.”
“Le stesse orecchie?”
Domandò Rain stupita.
Santana annuì.
“L’ho sempre detto che la tua ragazza è un fottuto genio.”
Mormorò Rain.
“È quello che ho sempre sostenuto anche io.”
Replicò Santana orgogliosa, prima di lasciarsi andare ad un lungo sbadiglio.
“Avremmo dovuto capirlo da quello. Non è da tutti riconoscere la genialità di Brittany.”
Santana sorrise.
“Già. Quello era un indizio davvero enorme da non notare.”
“Bene. Allora suggerisco di ricominciare da capo – esclamò Rain sollevandosi a sedere con un’espressione solenne – piacere, mi chiamo Rain e sono tua sorella.”
Disse porgendole la mano destra.
Santana scosse la testa e le prese la mano, intrecciando le dita alle sue.
“Non c’è bisogno di ricominciare. Ti ho considerata come una sorella da quando mi hai raccontato di Storm, dandomi così il coraggio di ammettere per la prima volta a voce alta i miei sentimenti a qualcuno che non fosse Britt.”
Spiegò piano.
“Da così tanto tempo?”
Bisbigliò Rain commossa.
Santana si limitò ad annuire, prima di abbracciarla di nuovo.
Si ridistesero sistemandosi sotto le lenzuola.
“Reneè non starà nella pelle quando glielo dirò.”
Ragionò Rain, per poi ridacchiare quando Santana sbadigliò sonoramente.
“Rain?”
Chiamò assonnata sistemandosi più comodamente nel suo abbraccio.
“Mhmm?”
“Pensi che Evy potrebbe chiamare anche me zia, ora?”
Le labbra di Rain si aprirono immediatamente in un vero sorriso.
“Senza dubbio.”
Rispose, già immaginando la vocina di Evy chiamare zia San.
“Non vedo l’ora che lo faccia.”
Sussurrò, ricevendo in risposta solo il respiro lento e regolare di Santana.
“Buonanotte sorellina.”
Bisbigliò posandole un bacio sulla fronte.
Si addormentò solo quando l’alba stava ormai per spuntare.
Un sorriso sereno sulle labbra e le dita nascoste tra i capelli corvini di Santana, ad accarezzare lievemente un orecchio identico al suo.
 
 
Angolo della pazza
 
SUUUURPRIIIIISEEEEE!
Ebbene sì, la sorella misteriosa di Rain altri non era che la nostra Sannie bella.
Manco fossimo a “Carramba che sorpresa” o a “C’è posta per te” (ma non temete, non sono la figlia segreta della Carrà e della De Filippi)
 
Complimenti a chi aveva capito, ora voglio sapere quanti di voi c’erano arrivati prima dello scorso capitolo, o almeno avevano il sospetto, se avevate trovato i vari indizi che ho sparpagliato un po’ in tutti i capitoli, in alcuni più che in altri.
 
E soprattutto voglio sapere che ne pensate, perciò non fatevi prendere dalla timidezza e fate fare un po’ di movimento ai vostri ditini su quelle tastiere, così si mantengono in forma per la prova costume della prossima estate.
 
Il titolo l’ho preso in prestito da una canzone della mia megadorata P!nk.
 
Se proprio la casellina commenti di EFP vi fa ribrezzo (poverina, è così tenera e simpatica) potete sempre mandare i vostri commenti e/o insulti su  -> Twitter
 
Alla prossima.
 
WilKia >.<
 
p.s. il mio PC purtroppo è entrato in sciopero, ma fortunatamente sono riuscita a recuperare il mio computerino da battaglia che nonostante gli acciacchi barcolla, ma non molla… ringraziamo lui se questo aggiornamento è stato possibile. 

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Capitolo 48
*** You Keep me Hangin’ on ***


You Keep me Hangin’ on
 
 
 
 
L’estate era volata via più in fretta di quanto Santana si aspettasse e più di quanto le piacesse.
O, per essere più precisa, aveva amato come il primo mese di vacanze era volato via, permettendole di andare a New York a riprendersi la sua Brittany dal corso estivo alla Julliard.
Erano i giorni successivi che erano fuggiti via troppo velocemente.
Santana si era ritrovata talmente assorbita tra il “tempo di qualità” – una quantità enorme di “tempo di qualità” – passato con Brittany e quello passato con Rain per consolidare la consapevolezza del loro legame, che i giorni erano fuggiti via quasi senza che lei se ne accorgesse.
In tutto questo si era persa Quinn per strada.
La sua migliore amica era rimasta meno sbalordita di quanto si aspettasse quando le aveva detto di aver scoperto di essere sorella di Rain, ma in seguito a questa rivelazione le sue visite si erano gradualmente diradate, fino a scomparire del tutto poco dopo il suo rientro con Brittany.
Santana aveva provato ad invitarla di nuovo a passare qualche serata spensierata in loro compagnia, approfittando del fatto che Rain si fosse trattenuta a New York con Reneè ed Evy, ma Quinn aveva sempre declinato, adducendo scuse più o meno ridicole.
Alla fine Santana aveva smesso di insistere.
Se Quinn non desiderava la loro compagnia non aveva alcuna intenzione di imporgliela. L’avrebbe rivista a scuola di lì a poco in ogni caso, ed avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per redarguire quella sua defezione estiva.
I ritagli di tempo che le erano rimasti li aveva utilizzati per rimettersi in forma ed allenarsi per il provino per rientrare nei Cheerios a settembre.
Lei e Brittany ne avevano parlato a lungo, l’idea di vincere due trofei nazionali al loro ultimo anno era troppo allettante per lasciarsela sfuggire e, una volta tornata, Rain aveva offerto loro il suo supporto, sebbene l’idea che ritornassero tra le grinfie di Sue non l’entusiasmasse.
Le aveva addirittura aiutate ad allenarsi, mostrando loro alcuni esercizi che facevano parte del suo allenamento per la boxe e perfino alcuni dei più leggeri che aveva affrontato durante il suo addestramento da Navy Seal.
Santana non si era mai sentita tanto pronta per il provino dei Cheerios.
Sentì un sorriso incurvarle le labbra, mentre si abbandonava al sonno tra le braccia di Brittany.
 
“Buongiorno.”
Mormorò avvertendo un polpastrello delicato passare con dolce lentezza lungo il contorno del suo orecchio.
Una lieve risata, e quel tocco gentile fu sostituito da un paio di labbra soffici, in un bacio delicato che le fece incurvare istintivamente le labbra in un sorriso, mentre un brivido le percorreva la spina dorsale al soffio di fiato caldo che le sfiorò il collo.
“Sarebbe migliore se potessimo rimanere tutto il giorno a letto.”
Soffiò Brittany sensuale.
Santana ridacchiò voltandosi nel suo abbraccio ed avvolgendosi meglio il lenzuolo intorno al corpo nudo.
Sorrise al disappunto che si dipinse sul volto di Brittany a qual gesto.
“Ma come?! – esclamò – ieri sera sembravi così entusiasta per l’inizio della scuola.”
Mormorò sistemandole una ciocca ribelle dietro l’orecchio, approfittandone per donarle una carezza.
“Sì – si imbronciò – sono contenta di tornare a scuola. Mi mancano i nostri amici, soprattutto Quinn. Però mi piace davvero tanto poter passare tutta la giornata con te nel letto, senza dovermi preoccupare dei compiti e delle prove e degli allenamenti. E mi piace anche poterti baciare in giro per casa senza che ti preoccupi che qualcuno ci veda…”
Santana sospirò e l’attirò a sé posando le labbra sulle sue in un bacio lieve, tentando di non farsi sommergere dal senso di colpa.
Sapeva che la spontaneità di cui avevano goduto durante l’estate sarebbe mancata terribilmente ad entrambe una volta ritornate a scuola.
Ne avevano parlato a lungo e Santana sperava che Brittany non volesse ritornare di nuovo su quel punto.
“Pensi che Quinn sia arrabbiata con me?”
Domandò invece con voce piccola e triste, quando si separarono.
Santana la osservò corrucciata.
“Certo che no. Perché mai dovrebbe esserlo?”
Brittany alzò le spalle.
“Mi hai detto che ha passato molto tempo con te e Rain, mentre non c’ero. Poi io sono tornata e lei ha smesso di venire qui…”
Santana la strinse a sé, accarezzandole dolcemente i capelli.
“In realtà le sue visite sono diminuite dopo che le ho detto che Rain è mia sorella – spiegò – penso l’abbia fatto per darmi più tempo da passare con lei, e anche con te dopo il tuo ritorno.”
“Però avrebbe potuto venire a stare un po’ con noi almeno quando Rain era  a New York da Evy e Reneè.”
“Io gliel’ho detto e anche tu. Noi abbiamo fatto la nostra parte, se non ha voluto passare del tempo con noi, si vede che aveva di meglio da fare.”
Borbottò Santana con una nota profondamente contrariata nella voce.
“Quinn è strana ultimamente.”
Mormorò Brittany abbandonando la testa sul suo petto.
Santana rabbrividì avvertendo il suo fiato caldo infrangersi contro la pelle sottile tra i suoi seni e dovette lottare per rimanere concentrata sulle sue parole.
“Quinn è bipolare ultimamente.”
Sbottò, indecisa se essere indignata per il comportamento dell’amica o elettrizzata dal trattamento che la sua ragazza le stava riservando.
“Pensi sia dovuto al fatto che si è innamorata di Rachel?”
Domandò pensierosa Brittany, prima di posarle un lieve bacio sulla fossetta alla base della gola.
Santana chiuse gli occhi, mentre il suo corpo reagiva a quel contatto delicato, e ci mise qualche istante a realizzare ciò che Brittany le aveva appena detto.
“Quinn è che cosa?”
Esclamò sconcertata, sollevandosi per potersi sottrarre all’attacco delle labbra di Brittany che le stavano portando via lucidità mentale, ed osservandola ad occhi sgranati.
“È innamorata di Rachel.”
Ripeté lei semplicemente, con un dolce sorriso.
Santana la osservò, confusa.
Quinn innamorata di Rachel-insopportabilenanettaperfettina-Berry?
Come poteva essere?
Eppure se c’era una cosa che Brittany sapeva fare bene, quella era capire i sentimenti di chi la circondava.
“Te l’ha detto lei?”
Domandò ancora sconvolta dalla sicurezza con cui Brittany le aveva fatto quella rivelazione.
Lei ridacchiò intrecciando le dita alle sue e baciandole lievemente il dorso della mano.
“Certo che no, sciocchina! Quinn non dice queste cose nemmeno a sé stessa.”
“Allora come puoi esserne così sicura? – domandò confusa – Quinn è sempre stata odiosa nei confronti di Rachel.”
Ragionò.
“Certo, a parole – le spiegò pazientemente, come se stesse spiegando ad una bambina che uno più uno fa due – ma hai mai provato ad osservarla bene? La guarda proprio come tu hai sempre guardato me.”
Santana passò dolcemente la mano libera tra i capelli biondi sparsi sulla sua spalla, pensierosa.
“Perché, come ti guardavo io?”
Domandò poi con una nota pericolosa nella voce, realizzando pienamente la frase che Brittany aveva pronunciato.
Brittany rise.
“Hai presente Lord T., quando si avvicina l’ora di cena e vuole convincermi a dargli la pappa prima del dovuto?”
Chiese per poi tentare di allontanarsi, sapendo bene cosa stava per accadere. Ma Santana fu più veloce e con un movimento fluido, dettato dall’esperienza, invertì le loro posizioni, accomodandosi sul suo grembo e puntando su di lei uno sguardo di sfida, un sorrisetto malizioso ad incurvarle le labbra.
“Avanti, continua…”
La invitò, posando in un gesto casuale le mani sul suo addome scoperto.
Gli occhi di Brittany percorsero avidi il suo corpo nudo, mentre si umettava impazientemente le labbra.
“Mi guardavi proprio con lo stesso sguard-AH! SANTANA!!”
Urlò tra le risa, quando le dita agili di Santana iniziarono a farle il solletico senza pietà.
Le due ragazze lottarono ridendo per alcuni istanti, finché Brittany non riuscì di nuovo a sovrastare Santana, bloccandole con le mani i polsi ai lati della testa.
Si guardarono, ancora sorridenti e con il respiro appesantito dalla lotta di solletico.
“Io ti guardavo come Lord Tubbington quando ha fame?”
Protestò indignata Santana non appena ripreso fiato.
“Ah no?!”
La sfidò a contraddirla.
L’espressione di Santana si addolcì, mentre i suoi occhi si perdevano nello sguardo limpido di Brittany.
“No – disse lei improvvisamente seria – io ero infinitamente più disperata.”
Confessò sincera, ritrovandosi quasi all’istante le labbra di Brittany premute con forza sulle sue.
Santana ricambiò il bacio, mentre le mani di Brittany le liberavano i polsi, iniziando a seguire percorsi conosciuti, ma sempre nuovi, sulla sua pelle.
“Britt – ansimò tra i baci, non sapendo bene nemmeno lei dove stesse trovando la forza per parlare – Britt fai la brava.”
Ansimò separandosi a stento dalle sue labbra.
“È già tardi e ci dobbiamo ancora preparare tutte e due.”
Brittany premette la fronte contro la sua, gli occhi chiusi e il respiro ancora affannato.
“Giusto!”
Concordò imbronciandosi contrariata, poi una luce maliziosa le invase il volto.
Prima ancora di potersi domandare cosa stesse architettando in quella sua testolina bionda, Santana si sentì sollevare di peso dal letto, ritrovandosi aggrappata alle spalle di Brittany che la reggeva senza alcuno sforzo apparente.
“Britt che stai facendo?”
Quasi gridò in una mezza risata.
“Procedo con i preparativi e vado a fare la doccia.”
Rispose lei ovvia.
“E mi tieni in braccio perché…?”
“Beh, la doccia la devi fare anche tu, mi sembra.”
Commentò, mentre apriva la porta, riuscendo in qualche modo ad evitare di rimetterla a terra.
“Britt, aspetta – tentò di fermarla – non possiamo uscire in corridoio così!”
“Perché no? ”
Chiese lei innocente, ma sempre con quella luce maliziosa negli occhi, uscendo dalla stanza incurante della nudità di entrambe.
Santana si coprì gli occhi con una mano, pregando che Rain fosse al piano di sotto a preparare la colazione.
“Ciao Rain.”
Trillò Brittany allegra, passando davanti alla palestra.
“Buon giorno raga…”
Santana avvertì le guance farsi roventi sentendo la voce di sua sorella bloccarsi a metà frase, e seppellì il volto nella spalla di Brittany per nascondersi, sentendo la risata di Rain raggiungerle sino al bagno, questo prima che Brittany con un calcio chiudesse la porta alle loro spalle.
 
Rain sospirò e spense il motore con un sorriso, fermando la sua auto nel parcheggio del McKinkey High School.
Era bello essere di nuovo lì.
L’estate era stata una vera gimcana emotiva per lei, e ritornare in quei corridoi ingombri di studenti era un po’ come potersi lasciare alle spalle tutti quegli avvenimenti.
Per di più io me le vado a cercare…
Pensò alzando gli occhi al cielo e scuotendo autocriticamente la testa.
Si massaggiò il ginocchio ormai guarito, ma ancora lievemente dolorante, mentre scendeva dalla macchina.
Un sorriso agrodolce le incurvò le labbra al ricordo del mese passato a New York in compagnia di Reneè ed Evy.
Si era divertita durante il lungo viaggio in auto fino a New York. Lei e Santana non avevano smesso quasi un solo attimo di cantare a squarciagola, mentre la strada correva via sotto le ruote.
La loro prima tappa era stata la Julliard. Si erano intrufolate nella scuola per poter sbirciare una delle ultime lezioni di ballo di Brittany, che non appena aveva scorto Santana riflessa nello specchio aveva abbandonato la coreografia per correrle incontro e saltarle in braccio.
Ancora le si scaldava il cuore al ricordo del sorriso gigantesco con cui Evy le aveva accolte, quando si erano presentate tutte e tre a sorpresa. Reneè era stata contentissima di rivederle, ed aveva abbracciato a lungo Santana, dandole il benvenuto in famiglia.
Sospirò pesantemente.
Le cose tra lei e Reneè erano state strane, dopo che Santana e Brittany avevano preso un volo per Lima.
Non sapeva come comportarsi con lei. L’affetto che le univa era profondo, ma sembrava sempre esserci qualcosa di irrisolto tra loro.
E il fatto che le cose con Lara procedessero bene, anche se lentamente, non l’aiutava affatto. Anzi, sembrava solo accrescere la sua confusione.
Ancora non si erano date una definizione. Continuavano a vedersi con una certa regolarità e i loro incontri non si limitavano più soltanto al rotolarsi l’una sull’altra nell’appartamento di Lara.
Fedele alla parola data, lei non le aveva fatto alcuna pressione e quando le aveva detto che avrebbe trascorso un mese a New York non le aveva fatto nessuna domanda al riguardo. Si era solo limitata a scrutarla intensamente, come se tentasse di decifrarla, e Rain si era ritrovata ad abbassare un attimo lo sguardo, una strana sensazione che le stringeva lo stomaco.
Per un attimo si era domandata se si trattasse di senso di colpa, ma un secondo dopo le labbra di Lara avevano trovato le sue, bloccando i moti frenetici della sua mente.
Aveva attraversato i corridoi affollati di studenti fino all’aula professori, persa nei propri pensieri. Doveva incontrarsi con William per discutere con lui del programma per il Glee, aveva appena poggiato la mano sulla maniglia della porta, quando il suo sguardo fu attratto da una massa scompigliata di capelli rosa, riportandola alla realtà.
Però fighi i capelli di quella raga…
Si bloccò a metà di un passo, quando si rese conto che quella testa rosa apparteneva nientemeno che a Quinn Fabray.
La osservò incedere attraverso il corridoio incurante degli sguardi che attirava.
Quando arrivò al punto in cui si era fermata la oltrepassò senza dare alcun segno di aver notato la sua presenza.
Rain continuò a seguirla con lo sguardo, finché non fu sparita dietro un angolo del corridoio.
Rimase a fissare per un altro istante il punto in cui Quinn era sparita, ripromettendosi di parlare a Santana di quella novità, più tardi. Quindi spinse la maniglia dell’aula professori ed aprì la porta, ignara del fatto che le sorprese di quell’anno scolastico fossero appena incominciate.
 
Rain marciava rapidamente per i corridoi affollati di studenti, andando dritta per la sua strada, il suo sguardo torvo era sufficiente a far scansare i ragazzini che si trovavano sulla sua traiettoria.
Vedendola avanzare, Santana non riuscì a trattenere un sorriso.
Rain non apparteneva al McKinley, era estranea alle sue regole e gerarchie. Non indossava nessuna uniforme che la identificasse come membro di una qualche squadra sportiva, né faceva ufficialmente parte del corpo docente. Eppure la sua sola presenza era sufficiente a sgombrare il passaggio nel corridoio intasato di studenti.
Si domandò dove fosse diretta con quello sguardo torvo fissato sul volto, questo prima di notare la nota tormentata di quelle iridi scure che ormai aveva imparato a conoscere.
“Lo sapevi?”
Domandò Rain in un sibilo fermandosi proprio davanti a lei.
Santana si corrucciò avvertendo il suo tono arrabbiato e allo stesso tempo sofferto.
“Sapevo che cosa?”
Rain non rispose e Santana la vide contrarre le mani, stringendo i pugni con tanta forza che probabilmente le unghie dovevano aver lasciato le proprie impronte sui palmi delle sue mani.
“Rain che è successo?”
“Hai una nuova professoressa di letteratura.”
Mormorò serrando la mascella con forza.
Santana era sempre più confusa. Perché mai Rain avrebbe dovuto interessarsi ai suoi professori?
“Una nuova… Rain, ma che?”
Prima che potesse finire di parlare Rain si era già voltata, ritornando da dove era venuta, se possibile con ancora più furia.
“Che è successo a Rain?”
Domandò Brittany comparendo al suo fianco.
“Non lo so.”
Mormorò preoccupata, continuando ad osservare il punto in cui sua sorella era appena sparita.
Per le ore successive Santana si lasciò assorbire dai propri impegni.
Come previsto fu facile per lei e Brittany rientrare nei Cheerios e prima dell’ora di pranzo entrambe sfoggiavano di nuovo la loro uniforme rossa e bianca.
“Che cosa abbiamo ora?”
Domandò a Brittany appoggiandosi pesantemente agli armadietti.
Ancora un’ora di lezione e finalmente sarebbero potute andare a pranzo.
Brittany studiò attentamente la tabella colorata che aveva stilato il giorno prima, segnandosi accuratamente gli orari di tutte le lezioni che avrebbe seguito quell’anno. Santana sorrise vedendo il piccolo cuoricino rosso che adornava le caselle delle loro lezioni comuni.
“Mmmm qui dice che abbiamo letteratura.”
Mormorò lei picchiettando con l’indice sulla tabella.
Il pensiero di Santana tornò immediatamente allo sguardo che Rain le aveva rivolto qualche ora prima.
Forse avrebbe potuto finalmente risolvere il mistero.
“Andiamo?”
Domandò Brittany riportandola alla realtà.
“Certo.”
Satana intrecciò il mignolo con il suo ed insieme si avviarono verso la classe di letteratura.
Sedettero vicine e Brittany si immerse immediatamente in uno dei suoi disegni, mentre Santana la osservava, la mente ancora concentrata sullo strano comportamento di Rain.
“Buon giorno a tutti.”
Salutò una voce curiosamente familiare dalla porta dell’aula.
Santana sollevò lo sguardo dal disegno di Brittany e immediatamente la sua bocca si spalancò sorpresa.
Sorreggendo una pila di libri sotto il braccio, Reneè aveva appena varcato la soglia dell’aula.
 
 
 
 
 
 
Angolo della pazza
 
Uff ce l’ho fatta. Anche se io stessa iniziavo a perdere la speranza…
Il fatto è che con il precedente capitolo ero arrivata al punto di svolta intorno a cui è nata l’intera FF e in quel momento il mio neurone si è semplicemente spento.
Boom morto, è andato in silenzio stampa e non ne ha più voluto sapere di lavorare.
 
Ma la FF non poteva finire così, ovviamente ci sono ancora tante cose da dire, tante situazioni irrisolte e come ho detto in precedenza sono troppo affezionata a Rain e al suo splendido rapporto con Santana e con Brittany per lasciarla andare così facilmente.
 
Per fortuna sembra che anche lei provi ancora un po’ d’affetto per me e di punto in bianco è ritornata e mi ha aiutata a risvegliare il neurone XD
 
Spero che ci sia ancora qualcuno interessato a quello che ha da raccontare, in ogni caso io continuerò a scrivere…
 
Fatemi sapere.
Se volete potete dirmelo anche su Twitter
 
Il titolo l’ho preso in prestito dalle Supremes e anche dalle nostre carissime Cheerios che ce ne hanno regalato una versione tutta loro, capitanate da Quinn, ovviamente.
 
Per chi sta pazientemente attendendo “Made of Stone”, non disperate sono al lavoro, ma anche lì sono incorsa in un problemino.
Ovvero le mie fanciulle sono finalmente felici e il mio subconscio si ribella all’idea di rovinare il momento idilliaco in cui si trovano, minando la mia capacità di mettere insieme una parola dietro l’altra a formare una frase.
 
Tenterò di superare questo mio blocco in modo da aggiornarvi il prima possibile.
 
Passo e chiudo.
 
WK    >.<

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