Il comico (sai che risate) di MedusaNoir (/viewuser.php?uid=85659)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** XI ***
Capitolo 10: *** X - Epilogo ***
Capitolo 1 *** I ***
Il comico (sai che risate)
I.
Non ho niente di
speciale,
ma se ridi poi vuol
dire
che
una cosa la so fare.
- Aaaaah, non vedevo l’ora
di portarti in questa nuova
discoteca! È fantastica, straordinaria, ci sono un sacco di
ragazze che mi
fanno perdere la testa: hai presente quelle che con uno sguardo
solo…?
Marco alzò gli occhi neri
al cielo stellato, chiedendosi
cosa mai avesse fatto per meritarsi un amico del genere; Manuel, dal
canto suo,
non diede segno di avere notato quel gesto e continuò a
parlare a raffica,
descrivendo tutte le donne ideali – che variavano con la
stessa frequenza con
cui cambiava canale durante la colazione – incontrate in quel
solo mese di
apertura della discoteca.
Controllò
l’orologio: come al
solito, loro erano in ritardo di quasi un’ora e tutto per
colpa di Manuel. Beh,
almeno in parte, visto che Marco era rimasto seduto a comporre un nuovo
pezzo
fino a un attimo prima di uscire, così aveva perso il tempo
prezioso che
avrebbe comunque speso ad allontanare Manuel dal computer e fargli
indossare
qualcosa di più adatto alla serata di un paio di boxer e una
maglietta
imbrattata di sugo e cioccolato.
Senza indugiare oltre, Marco spinse
Manuel attraverso
l’entrata della discoteca, costringendolo ad intrattenere
conversazioni non più
lunghe di dieci secondi con le ragazze che incontrava a ogni passo. Si
guardò
intorno, cercando i suoi amici, e alla fine avvistò in un
angolo Simona, con
indosso il solito abito quasi inesistente e i capelli rigorosamente
piastrati
per l’occasione; corrugò la fronte, stupito di non
vederla in mezzo alla pista
attorniata da avvenenti spasimanti, ma poi notò che stava
parlando con Davide,
il migliore amico del suo ex fidanzato. Il ragazzo – biondo, occhi azzurri, tipico esemplare di
“sono l’essere più attraente
sulla faccia della Terra” – sembrava
soddisfatto dell’attenzione che stava
ricevendo e si passava una mano tra i capelli ogni minuto, lanciando
fugaci
occhiate intorno a sé per vedere quante ragazze stesse
stregando. Marco si
avvicinò trattenendo una risata e li salutò.
- Ci siete solo voi?
- Ettorino non è potuto
venire, - rispose Davide, fingendosi
imbronciato. - Doveva lavorare: le trova sempre tutte per non passare
una
serata con me, è crudele!
Però laggiù
ci sono Aurora e una sua amica, non ricordo il nome…
- Silvia, - pensò a voce
alta Marco, ricordando la ragazza
timida e silenziosa che aveva accompagnato Aurora all’unica
prova del gruppo
che fino a quel momento avevano fatto. Seguì lo sguardo di
Davide e avvistò
proprio lei, che appena si accorse di essere osservata –
stava guardando
proprio dalla loro parte – arrossì e si
girò verso la sua amica.
Marco stava per muovere un passo
verso di loro, quando
Aurora si voltò, ridendo per qualcosa che Silvia le aveva
appena detto, e il
ragazzo si ritrovò improvvisamente immobile
dov’era.
Sbatté le palpebre: quella
era davvero Aurora?
Quando l’aveva conosciuta,
due settimane prima al provino
come cantante della loro band, gli era parsa una ragazza come tante,
con un bel
sorriso e tanta determinazione; molto carina, simpatica, ma niente di
più.
Ora, invece, Aurora sembrava diversa:
indossava un vestito
verde leggermente scollato e i capelli scuri le ricadevano a boccoli
sulle
spalle. Era bellissima.
L’aveva vista solo in due
occasioni, era la prima volta che
uscivano in gruppo, e sentiva di non conoscerla abbastanza, di non
sapere
niente di lei in realtà, se non che aveva ventiquattro anni
– cinque meno di
lui – e che amava cantare; non poteva che pensare:
“Voglio conoscerla, voglio
sapere che cosa pensa, voglio che mi parli ancora, voglio sapere se
anche lei
ha dei dubbi e delle ansie e se come me si sente un'anima solitaria.
Parlami,
parlami ancora...”
In quel momento Aurora si
voltò, forse spinta dalla
sensazione che qualcuno la stesse fissando, e riconoscendolo gli
sorrise. Il
volto di Marco si illuminò mentre lei si avvicinava,
radiosa, e le restituì il
sorriso.
Sta venendo
a
salutarti, Marco, pensò, ti
ha visto
e anche lei desidera parlarti, conoscerti…
- Manuel, Marco! –
esclamò Aurora, non appena gli fu di
fronte.
Marco sussultò,
ricordandosi che Manuel gli era vicino e
rendendosi conto che il sorriso della ragazza non era rivolto per lui;
Manuel
lo salvò dall’imbarazzo gettandosi tra le braccia
di Aurora senza troppi
complimenti e rischiando di travolgerla con il suo peso.
- Aurorina! –
strillò emozionato. – Sei bellissima stasera!
Ma perché Manuel riusciva
a dire senza problemi tutto quello
che gli passava per la testa? Aurora era semplicemente fantastica, ma
Marco non
avrebbe mai trovato il coraggio di dirglielo.
Con la coda dell’occhio,
vide Silvia fissare timidamente
Davide e preannunciò per lei un lungo periodo di
autodistruzione. A meno che
non fosse una ragazza intelligente e si accorgesse subito di cosa
significasse
perdere la testa per Davide Rodari.
- Come va? – chiese Aurora
con tranquillità.
Pensa a
qualcosa da
dire, così la smetti di fissarle il seno!
- Stupendamente. Bel vestito, - si
complimentò. – Certo, non
è come quello indossato da Rossella O’Hara in
quella memorabile scena, ma può
considerarsi accettabile.
Perfetto,
ora mettiti
a parlare di argomenti di cui di certo non le interesserà
niente! Come potrebbe
una ragazza della sua età conoscere Via col vento? Complimenti, Marco, bella mossa: ora ti
avrà preso sicuramente per
una di quelle persone che passerebbero ogni serata suonando la chitarra
e
guardando film d’epoca… Beh, uno come te.
Aurora spalancò gli occhi.
– Conosci Via col vento?
Fu il turno di Marco di sfoggiare
un’espressione confusa. –
È il mio film preferito. Non contando la saga di Star Wars, ovviamente.
- Adori anche Star
Wars?
Notò Silvia alzare gli
occhi al cielo, proprio come lui
aveva fatto poco prima con Manuel, e capì che Aurora non
doveva fare altro che
parlare costantemente di Sith e Rhett Butler; si ritrovò a
sorridere senza
rendersene conto.
- Il tuo cantante preferito?
– le chiese.
- Cat Stevens.
- La chitarra migliore?
- Oh, certamente la Fender!
- Uomo ideale?
- Rhett, che domande!
Dopo avere passato venti minuti solo
a parlare con Aurora –
e preparandosi a riprendere la conversazione – Marco si
voltò per andare in
bagno e incontrò lo sguardo preoccupato e severo di Davide.
Non lo aveva mai
visto così.
E, improvvisamente, si
ricordò delle parole di Manuel: -
Ettore ha completamente perso la testa per Aurora, ha perfino detto che
vuole
andarci piano per non rovinare tutto!
Sei nei
guai, ragazzo
mio.
- Quella Silvia è
simpatica. Tu che ne pensi, Marco?
- Mh.
Marco entrò in casa e
lanciò le chiavi della macchina sulla
credenza accanto alla porta, sotto lo sguardo indagatore di Manuel; era
rimasto
in silenzio per tutto il viaggio di ritorno dalla discoteca,
limitandosi ad
annuire ogni tanto mentre il suo migliore amico cercava di parlare per
entrambi.
- Mi dispiace che abbia puntato
Davide, però… Non che
volessi provarci, eh, solo mi sa proprio che finirà per
essere una delle sue
tante “prede”.
- Mh.
- Tra l’altro, non riesco
proprio a capire cosa ci trovino
le ragazze in lui…
Non ascoltava le parole di Manuel,
era sovrappensiero; le
sua voce gli arrivava alle orecchie come filtrata da un muro
invisibile. Accese
la luce del salotto senza nemmeno chiedersi perché Manuel lo
avesse seguito
fino al suo appartamento, si
sedette
sul divano e imbracciò la chitarra acustica.
- … era così
bella stasera, avrei voluto provarci; non l’ho
fatto solo perché Ettore non me l’avrebbe mai
perdonato e non voglio casini
all’interno della band.
- Eh? – Marco
sollevò immediatamente la testa, cogliendo il
nome di Ettore; si rese conto in quel momento di avere immagazzinato
nella
propria mente gran parte dell’ultima frase di Manuel.
– Stai parlando di
Aurora?
Manuel aggrottò la fronte.
– Da quando Aurora ha i capelli
biondi?
- Hai parlato di capelli biondi?
- Più precisamente, li ho
descritti come “splendenti fili
d’oro che ricadevano dolcemente sulle sue spalle”.
- Di chi?
- Di Simona.
Ma mi
stavi ascoltando?
- Ehm, no, - ammise Marco, - stavo
cercando di comporre un
nuovo pezzo, mi è venuta l’ispirazione mentre
eravamo in discoteca.
- Certo, la musica house fa sempre
venire in mente il rock
-. Manuel si sedette accanto a lui, tamburellando con le mani sulla
Fender
nera. – Si può sapere cos’hai stasera?
- Sono solo… un
po’ stanco, ecco.
- Non parlo di adesso: so che ogni
volta che ti trascino in
discoteca mi odi a morte per una settimana intera, anche se ammetto che
la
nuova tecnica del silenzio indifferente è abbastanza
antipatica; mi riferisco
al fatto che sei rimasto per ore in
una sala con decine e decine di persone senza sbuffare o tirarmi per la
maglietta.
- Mi stavo divertendo.
- Ti stavi
divertendo?
Non ti sarai lamentato, ma hai passato la serata a parlare con Aurora
invece di
ballare!
- Appunto, mi sono divertito con lei.
- Per farti sentire sopra la musica
dovevi praticamente urlarle
all’orecchio!
Marco sospirò, sapendo che
Manuel avrebbe avuto bisogno di
almeno otto ore di sonno per capire perché lui fosse
pienamente soddisfatto
della serata. Riprese a suonare pensando ad Aurora, ai suoi occhi
castani, al
modo in cui si era rovesciata un bicchiere di Coca Cola sul vestito
verde e a
come ne aveva riso subito dopo avere imprecato in tutte le lingue del
mondo;
riascoltava nella sua mente la voce della ragazza e le dita gli
scivolavano
istintivamente sulle corde, la immaginava già cantare con il
microfono stretto
tra le mani, al centro di un palco, un abito azzurro…
- Ci sono! –
esclamò Manuel risvegliando dai suoi pensieri.
Si batté un pugno sull’altra mano, un sorriso
soddisfatto sul volto. – Hai
saputo che esce un altro film di Star
Wars! Però io non ti ci accompagno, mi sono
stufato di tutte quelle
astronavi, battaglie, imperatrici galattiche… Potresti
portarci Aurora, mi sa
che le piace Star Wars.
- Non esce nessun settimo film, Manu.
- Oh -. Manuel tornò ad
essere confuso. – Vabbè, ci penserò
domattina. Spostati, va’ nel tuo letto, voglio dormire.
- Hai una casa, - tentò
inutilmente di cacciarlo Marco.
-
Grazie dell’ospitalità, sei il miglior amico che
si possa avere!
E finalmente eccomi alla mia prima (mini)long originale! Vi avviso:
è completa, non vi farò aspettare invano i
capitoli successivi come per altre mie storie.
Si parla ancora una volta (tanto per cambiare!) di Marco/Aurora/Ettore:
ogni capitolo sarà visto dal punto di vista di uno dei tre,
nel finale li vedremo tutti insieme. Anche se avete letto la storia di
partenza, Sulle note di Cat Stevens,
vi consiglio di leggere la minilong perché, essendo una What
if?, gli eventi saranno diversi; se non l'avete letta, nessun problema,
non serve la conoscenza di quel racconto per leggere questa storia!
Il titolo: amo questa canzone. Credo sia l'unica canzone di Cremonini
che mi piaccia, non stravedo per lui, però questa...
È splendida, e vedrete come la strofa che
chiuderà l'ultimo capitolo sarà perfetta per
riassumere tutta la storia. Ogni capitolo ha una (in un caso due)
citazioni, e qui si tratta di "Voglio
conoscerla, voglio sapere che cosa pensa,
voglio che mi parli ancora, voglio sapere se anche lei ha dei dubbi e
delle
ansie e se come me si sente un'anima solitaria. Parlami, parlami
ancora..." (Karekano).
Scrivendo sempre su questi personaggi, io e Dark Aeris abbiamo finito
per dar loro dei prestavolto, e nel caso di Marco si tratta appunto di
Ben Barnes; scoprirete gli altri u.u
Buona lettura - certo, avete appena finito, ma spero andiate avanti
(anche perché non sono molto soddisfatta di questo primo
capitolo, mentre mi piace molto il secondo)!
Medusa
(e Marco, che è qui
con me a chiedermi perché debba torturarlo continuamente.
È evidente che non ha ancora incontrato Pansy)
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Capitolo 2 *** II ***
II.
- Dovevi vedere quante vittime ho
fatto! Una bionda al bar,
una mora sulla pista e, oh, una rossa che ho perfino portato a casa, e
sai
quanto amo le rosse!
- Davide.
- Ho conosciuto anche una ragazza
simpatica, Serena o
Stefania, non ricordo… forse Silvia… Boh,
comunque non pensavo esistessero
ragazze con un po’ di cervello, non sarebbe male diventarci
amico!
- Davide.
- Spero che non ti dispiaccia,
ma… Simona ci ha provato con
me. Sono fatto così, mi piace quando una persona tanto
carina mi cade ai piedi;
però si tratta pur sempre della tua ex, non sono andato
oltre la chiacchierata
amichevole. Ecco, ci tenevo a dirtelo.
- Davide.
Il tono di Ettore era risoluto: non
capiva perché, ma
riusciva a spaventare il suo migliore amico solo guardandolo, senza
fare gesti
minacciosi come spingerlo al muro o prenderlo per il colletto della
camicia –
cosa che con Davide sarebbe stato comunque meglio non fare, ignorando
come
avrebbe potuto reagire. Davide assunse un’espressione da
cucciolo in trappola e
chinò il capo, aspettando che Ettore parlasse.
- Perché mi hai mandato
quel messaggio ieri sera?
- Messaggio? Quale messaggio? Non so
di cosa tu stia
parlando, - cercò di sviare l’argomento.
- “Ricorda che ci
sarò sempre io con te, qualunque cosa
accada. Ti voglio bene!” – recitò Ettore.
- No, nella parte finale avresti
dovuto mettere più
intensità e…
- Davide, - lo interruppe.
– Che cosa significa?
Davide sospirò.
– È per la storia di Simona, - rispose un
po’ troppo velocemente, - mi sentivo in colpa per averle dato
corda.
- Mi hai già confessato di
Simona e inoltre sai che non mi
importa più niente di lei, ci siamo lasciati mesi fa e poi
fa la cretina con
tutti. Cos’è successo? Dimmi la verità.
Questa volta Davide ci mise
più tempo a rispondere. –
Aurora, - rivelò infine. – Non ci ho provato con
lei, non lo avrei mai fatto!
Però… qualcun altro invece sì.
- Un cretino in discoteca?
– chiese Ettore, maledicendosi
per essere rimasto a casa la sera prima. – Se
l’è portata a letto?
- Oh no, si è limitato a
parlarci, ma andavano così
d’accordo…
- Non importa, ci sono molte
possibilità che non abbiano più
occasioni di rivedersi.
- Invece sì, -
esclamò Davide, mordendosi le labbra. –
È
Marco.
Ettore rimase qualche momento in
silenzio, fissando il basso
adagiato sul divano di Davide.
- Marco non è il tipo, -
mormorò infine, riflettendo, - non
l’ho mai visto provarci con una ragazza.
- Te l’ho detto, non ci
stava veramente provando: parlavano
di vari argomenti ed è venuto fuori che amano
le stesse cose. Dovevi vedere la sua faccia dopo pochi minuti di
conversazione,
era radioso!
- E lei?
Davide alzò le spalle.
– Sorrideva, era presa dal discorso,
ma non mi è sembrata conquistata dal suo
“misterioso fascino”.
Ettore sbuffò. –
Marco non ha un fascino da uomo misterioso.
- Certo che no, il mistero
è proprio come faccia a trovare
una ragazza. Senti, tu sei mille volte meglio di lui: sei sexy, rude,
hai degli
addominali che guarderei tutto il giorno, la tua voce roca ammalierebbe
ogni
donna, le ragazze hanno sempre fatto la fila per poter avere un
appuntamento
con te, sei determinato, porti sempre a termine l’obiettivo
che ti sei posto…
Perché dovresti dubitare di te solo perché un nerd noioso e sociopatico come Marco si
è preso una cotta per la
stessa persona che ti piace?
Ettore sorrise divertito, osservando
Davide camminare per il
suo appartamento alla ricerca di un modo per tirarlo su di morale: il
suo amico
non odiava Marco, non lo avrebbe mai descritto davanti ad altri con una
tale
avversione, ma avrebbe fatto di tutto per rincuorare Ettore e spingerlo
a
lottare.
- Prendi nota, - esclamò,
alzandosi dalla sedia, - non devo
mai dubitare di me. E non dire un’altra volta che sono sexy o
ti tiro un pugno.
- Va bene, amore mio!
Erano al mare, godendosi gli ultimi
giorni di caldo. Manuel
aveva insistito che lo portassero a fare il bagno prima che diventasse
troppo
freddo per stare in costume e i suoi amici aveva approfittato di
trovarsi
vicino alla città di Aurora e Silvia per invitare anche
loro; Simona le aveva
accolte con il consueto sorriso angelico che avrebbe ingannato
chiunque, Davide
aveva finto di rapire Silvia non appena era scesa dalla macchina
– dalla sera
in cui si erano conosciuti, aveva cominciato a chiamarla Peter Pan,
mentre lui
si era affibbiato il soprannome di Capitan Uncino – e Marco
ed Ettore avevano
sorriso raggianti guardando Aurora. La felicità del primo si
era leggermente
attenuata quando Aurora era arrossita trovandosi di fronte a Ettore, ma
poi era
toccato al secondo rabbuiarsi quando si era avvicinata a Marco per
parlare
dell’ultimo film visto al cinema.
Non importa,
si
disse Ettore, non devo dubitare di me.
- Ti va di fare una nuotata?
Aurora alzò lo sguardo
verso di Ettore, che in piedi davanti
al suo asciugamano nascondeva i raggi del sole; osservò il
suo torace nudo e i
pettorali scolpiti, ritrovandosi di nuovo ad avvampare per
l’imbarazzo.
Ettore sorrise mentalmente,
conservando la consueta
espressione seria. Marco si era finalmente allontanato dalla ragazza e
lui
doveva approfittarne.
- Io… Sì, va
bene.
Aurora afferrò la mano che
l’uomo le tendeva. Ettore ne
approfittò e strinse con forza le dita, sollevando la
ragazza senza alcuna
esitazione; notò che, dietro di lei, Davide alzò
i pollici per complimentarsi.
Entrarono in acqua parlando a
malapena e solo di argomenti
superficiali, come il caldo, la tranquillità del mare in
quel momento, la
bellezza della spiaggia; dopo qualche metro, però, Ettore
sentì le mani di
Aurora sulla sua schiena.
- Scusa! –
esclamò la ragazza, staccandosi da lui. – Sono
caduta, devo aver preso un sasso…
- Fammi vedere.
Senza un attimo di esitazione
– e sapendo che Davide, se li
stava guardando, avrebbe di certo invidiato Aurora – Ettore
la prese in
braccio, godendo del contatto con la sua pelle nuda; guardò
sotto i suoi piedi
e si accorse che stava sanguinando.
- Aspetta, ti porto a riva.
- Ma no, non serve…
- Penso io a te.
Si complimentò per la
piega che stava prendendo la
situazione; posò Aurora sull’asciugamano,
tamponandole la ferita con la sua
maglietta. Alzando lo sguardo, si rese conto che la ragazza lo stava
guardando
ammaliata e, senza riflettere, le sorrise.
- Va bene adesso?
- Sì, - sorrise di rimando
lei, arrossendo.
Non doveva dubitare di se stesso:
Ettore se l’era ripetuto
talmente tante volte in quelle settimane che gli sembrava che tutto si
stesse
svolgendo nel modo giusto. Aurora, durante le prove o le uscite con il
gruppo,
passava molto tempo in compagnia di Marco, chiacchierando di
“roba nerd”, come
la chiamava Davide – che non avrebbe mai ammesso che si
sarebbe volentieri
inserito in quei discorsi, ma si limitava a parlare di Peter Pan e
Harry Potter
con Silvia – però arrossiva ogni volta che
incontrava lo sguardo di Ettore,
con crescente indignazione di Marco.
Quella sera avevano organizzato una
cena a casa di Manuel e
l’intera formazione dei Moonlight Sonada, oltre agli ormai
immancabili Davide e
Silvia, era presente. Marco aveva strabuzzato gli occhi quando Aurora
era
entrata nell’appartamento, indossando l’abito verde
che, aveva detto Davide al
suo migliore amico, portava anche quella sera in discoteca, ed Ettore
aveva
provato una fitta di gelosia, ma era pronto ad ottenere quella ragazza
a
qualunque costo.
Quando Davide trascinò
Silvia via dal divano, lasciando
libero il posto accanto ad Aurora, Ettore fu più veloce di
Marco e lo superò,
sedendosi.
- Scusa, Marco, ti ho rubato il
posto, - scherzò, poi gli
indicò la sedia di fronte a loro. –
Perché non ti siedi lì?
- Non è degna della mia
reale presenza, ma la farò sentire
speciale per una sera, - sorrise Marco, cogliendo il tono di vittoria
nella
voce di Ettore. Spostò la sedia vicino ad Aurora.
– Non voglio stare in mezzo
alla stanza, posso parlare con voi anche da qui.
Ettore avrebbe volentieri stretto i
pugni, però rimase
impassibile, bevendo un sorso dalla lattina di birra.
- Ehi, sai che ho trovato
un’intervista a Cat Stevens? –
esordì Marco, attirando subito l’attenzione di
Aurora. – A quanto pare sta per
uscire un nuovo disco!
- Davvero? È fantastico!
Quando uscirà? Non vedo l’ora di
ascoltarlo.
Fingendo disinvoltura, Ettore
lasciò scivolare un braccio
dietro le spalle di Aurora, facendola sussultare, e si sporse per
guardare
Marco.
- Non riesco a sentire bene la
conversazione standovi
lontano. Di cosa stavate parlando?
- Di Cat Stevens, - rispose con
freddezza Marco, osservando
la mano di Ettore sulla spalla di Aurora. – Verrai con me al
concerto, non è
vero? – chiese poi rivolto alla ragazza.
- Sì, certamente!
- Allora appena li metteranno in
vendita comprerò i
biglietti per due.
- Oh, scusa, - esclamò
improvvisamente Ettore, come se si
fosse appena reso conto di dove avesse poggiato la mano. – Ti
dà fastidio?
Sennò mi sposto.
- No, tranquillo, non
c’è problema, - rispose imbarazzata ed
evidentemente contenta Aurora. – Non mi dà
fastidio.
- Meno male, mi sento sollevato, -
disse Ettore, rivolgendo
una fugace occhiata di vittoria a Marco.
- "Prendi
nota: non devo mai dubitare di me." (Dr. House)
Rileggendo questo capitolo, mi sono resa conto che non sia un
granché stilisticamente: ripetizioni, troppi gerundi...
Tuttavia, essendo così la storia com'è stata
valutata nel contest, ho preferito lasciare il testo inviariato;
chissà, forse in seguito la metterò a posto.
Grazie mille per la lettura!
Medusa
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Capitolo 3 *** III ***
III.
Quella sera, in un piccolo locale di
Roma, i Moonlight
Sonada si sarebbero esibiti per la prima volta su un palco. Non
sarebbero stati
nemmeno pagati per il concerto, ma non importava: avrebbero scoperto se
il
pubblico avrebbe apprezzato la loro musica e questo, per il momento,
bastava.
Aurora era tesissima, continuava a
stringere tra le mani la
scaletta dei brani e a ripetere mentalmente l’ordine in cui
sarebbero stati
eseguiti.
- Non preoccuparti, principessa!
– esclamò Marco,
poggiandole una mano sulla testa e stando attento a non spettinarle i
capelli
ricci. – Quando Ettore darà inizio alle canzoni,
capirai subito quale devi
eseguire, non serve memorizzarle.
- E se non dovessi riconoscerle?
È meglio così, almeno non
rischierò di sbagliare!
Marco rise e le accarezzò
ancora i capelli, poi andò a
prendere la preziosa Fender per accordarla.
Aurora era nervosa, era completamente
fuori di sé: non
serviva a niente dirle di stare calma come faceva Simona, né
sorriderle
incoraggiante da sotto il palcoscenico come Silvia, nemmeno –
soprattutto –
cercare di fare battute incoraggianti e nel frattempo tremare, proprio
come
stava facendo Manuel in quel momento. No, Aurora non era in
sé, inutile
negarlo; se lo fosse stata, non avrebbe certo interpretato il movimento
brusco
di Ettore come un tentativo di far cadere la Fender a Marco.
Il chitarrista, tuttavia, sembrava
avere considerato il
gesto nel suo stesso modo.
- Sei impazzito? –
sbottò rivolto ad Ettore, che
contrariamente a quanto Aurora si sarebbe aspettata si strinse nelle
spalle.
- Non l’ho fatto apposta, -
si difese senza neanche troppa
convinzione.
- So cosa ti passa per la testa, ma
distruggermi la chitarra
prima di un concerto non è una mossa intelligente.
- Potevi stare attento a come la
tieni, se la tua amata Fender
è così importante.
- Avremmo potuto non suonare!
- No, tu avresti
potuto non suonare: guarda caso, anche Manuel è in grado di
suonare, ha una
Gibson proprio a casa sua, a pochi passi da qui; Davide ci
sarà stasera, per
cui avrebbe potuto stare lui al basso. Come vedi, sei perfettamente
sostituibile.
Improvvisamente i due ragazzi erano
sotto lo sguardo di
tutti. Marco aveva riposto la chitarra e si era avvicinato al volto
rabbioso di
Ettore, sostenendo il suo sguardo di sfida.
- Tu non sei giusto per lei, - disse,
apparentemente calmo.
- Tu lo sei?
- Sono meno sbagliato.
Ettore non replicò, ma si
lanciò verso di Marco,
afferrandolo per la maglietta; Marco rispose divincolandosi e dandogli
un pugno
sullo stomaco, e ottenne un colpo di Ettore in pieno volto.
- Basta, fermatevi! –
strillò il proprietario del locale,
dividendo con difficoltà i due rivali, che continuavano a
guardarsi in
cagnesco.
Alla fine, Ettore afferrò
la propria giacca e uscì, e Aurora
seppe che poteva smettere di memorizzare la scaletta.
- È tutta colpa mia, ho
fatto un terribile sbaglio! – si
lamentò Manuel, ubriaco, affondando la testa nelle braccia
incrociate sul
bancone.
- Che cosa stai dicendo? –
esclamò Simona sorpresa. – Tu non
hai fatto niente, è una questione tra loro due!
- No, sono sicuro di avere fatto
qualcosa, sennò non starei
così male! Sono un cattivissimo amico, a causa mia non
abbiamo potuto suonare!
- Io ci rinuncio.
Dopo che Ettore era uscito con furia
dal locale, il
proprietario li aveva sgridati, intimando di risolvere il problema o di
dimenticarsi di suonare quella sera; per tutta risposta, Marco aveva
riposto
nella custodia la Fender ed era andato via anche lui, dopo avere
lanciato ad
Aurora uno sguardo dal significato per lei incomprensibile. Davide era
arrivato
un’ora dopo, allegro come sempre, ed era rimasto colpito non
trovando il gruppo
intento a suonare; aveva chiamato preoccupato Ettore, ma lui doveva
avergli detto
che preferiva restare solo perché era rientrato nel locale
con un’espressione
dispiaciuta, persa subito dopo avere bevuto il terzo bicchiere di birra.
Silvia gli era stata accanto tutto il
tempo, cercando di
attirare la sua attenzione, e alla fine tutti – eccetto
Simona – avevano deciso
di “bere per dimenticare”. Aurora, però,
non riusciva a darsi pace, rimuginando
sul litigio tra i due ragazzi.
- Poverina, si farà male,
- esclamò improvvisamente Simona,
attirando la sua attenzione.
- Di chi stai parlando?
- La tua amichetta.
Aurora seguì il suo
sguardo e vide Davide, ormai ubriaco,
stringere i capelli di Silvia e baciarla, probabilmente senza nemmeno
distinguerla da una delle tante amanti prive di cervello.
Simona, evidentemente indispettita
dal non essere riuscita a
fare breccia nel cuore – o almeno a infilarsi nel letto
– del bel ragazzo,
incrociò le gambe magre sopra lo sgabello su cui sedeva e si
sistemò la
minigonna.
- Non ho mai visto
Davide legarsi
ad una persona per più di qualche giorno… escluso
Ettore, ovviamente. È il
tipico uomo che sa di essere al centro dell’attenzione e fa
il possibile per
restarci.
- Silvia è intelligente,
sa che non sta facendo sul serio,
non si illuderà.
- Sarà come dici tu, -
ribatté Simona, scettica.
- Sei stata con Ettore per molto
tempo, non è vero?
- Sì, diversi anni.
- E si è mai comportato
come stasera? Voglio dire… Ha mai aggredito
un suo amico senza ragione?
Simona spalancò gli occhi.
– Senza ragione? Mi stai… Tu… No,
aspetta, non può essere.
- Cosa?
- Davvero non
hai idea
del perché loro abbiano fatto a botte?
Aurora rifletté.
– Da come parlavano, sembrava c’entrasse
una ragazza, ma non ho idea di chi possa essere…
- Santo cielo, mi auguro che Silvia
sia davvero più
intelligente di te, altrimenti la vedo brutta per lei! - Simona si
alzò e prese
le chiavi della macchina. – Sono l’unica che non ha
bevuto, colpa della dieta… Ma
almeno posso tornare a casa senza problemi. Beh, ci vediamo alle prove!
- Aspetta! - Aurora le
posò una mano sul braccio, facendola
voltare. - Puoi accompagnarmi da Marco?
Simona sollevò un
sopracciglio, pensierosa. – Direi che, se
stai cercando delle risposte, scegliere di chiederle a Marco piuttosto
che a
Ettore sia un’ottima idea. Andiamo, allora.
- Arrivo, arrivo, -
borbottò la voce di Marco. – Chi…?
Quando Marco aprì la porta
con indosso solo una maglietta di
Star Wars e un paio di pantaloncini,
sbadigliando, Aurora avvertì la furia montarle nel petto;
entrò nel suo
appartamento senza neanche salutare, guidata dall’alcol e
dalla rabbia.
- Ma bravo!
Mentre
noi ci ubriacavamo per non pensare al pessimo debutto che abbiamo
fatto, tu
dormivi beato! – sbottò, spingendo con
l’indice sulla sua maglietta e facendolo
indietreggiare. – Per colpa tua e di quell’altro
cretino abbiamo perso una
serata!
- A vederla nel modo giusto, -
tentò di calmarla Marco, ora
totalmente sveglio, - il debutto non c’è stato
proprio, per cui non è stato
pessimo, e non abbiamo neanche perso soldi che non ci avrebbero
comunque dato,
quindi è stato un giorno come un altro!
- Ma sei…
completamente… scemo? – lo sgridò
Aurora,
spingendolo. – Sono stata nervosa per una settimana intera e
tu hai rovinato
tutto! E la cosa bella di com’è andata il resto
della serata è che ho bevuto
talmente birra da non rendermi nemmeno conto di urlarti addosso e
domani avrò
dimenticato tutto, per cui non perderò tempo a vergognarmi!
- Aurora, calmati.
- No, non mi calmo per niente!
Perché vi siete comportati
così? Non è giusto! Non avevate un motivo valido!
- Ce l’avevamo, invece!
- Ah sì? Allora sentiamo,
quale sarebbe?
Marco tentennò,
guardandosi intorno, poi la fissò negli
occhi. – Sicura che domani non ricorderai niente?
- È sempre così
quando mi ubriaco. Ti decidi?
Sospirò, le
posò una mano dietro la testa e la tirò a
sé,
baciandola; Aurora rimase un momento senza parole, incapace di
ragionare, poi
chiuse gli occhi e si lasciò andare al bacio.
Dopo qualche secondo si
allontanarono, guardandosi, e alla
fine Aurora abbassò di nuovo le palpebre.
Marco pensava che volesse baciarlo
ancora, ma la ragazza si
limitò a mormorare: - Ho sonno…
Poi si lasciò cadere tra
le sue braccia.
Marco la cinse in fretta e la
portò sul suo letto,
preparandosi a passare la notte sul divano.
- Ma che gli faccio io, alle
donne…
Quando Aurora aprì gli
occhi, si ritrovò in una stanza
sconosciuta, che avrebbe però potuto essere la sua: la
parete era piena di
poster di Star Wars, Fender e Cat
Stevens; la libreria traboccava di libri e DVD; lo stereo era sommerso
di
dischi. Non era la sua camera, ma non le ci volle molto per capire a
chi
appartenesse.
- Buongiorno! – la
salutò Marco non appena Aurora comparve
sulla soglia della cucina. – Dormito bene? Io no, ho dovuto
usare il divano,
per cui sono
costretto a chiederti i
soldi per curare il mio mal di schiena.
- Che ci faccio qui?
- Ah, allora avevi detto la
verità: quando bevi, non ricordi
niente!
- Già… Marco,
perché sei così euforico?
Marco si bloccò
nell’atto di aggiungere ciambelle ripiene di
cioccolato all’enorme pila al centro del tavolo.
- Euforico? Io? Sono solo emozionato
dall’avere una ragazza
sotto il mio tetto, non capita mai: ormai pensavo che le donne avessero
più o
meno le curve di una chitarra.
Aurora si sedette al tavolo,
addentando una prima ciambella.
- Stai cercando di farti perdonare
per averci fatto saltare
il concerto?
- Spero non sia un tentativo vano,
dopo la fatica per avere
preparato tutte queste ciambelle, - sorrise Marco, unendosi a lei.
Nel trovarsi così vicina
al ragazzo, Aurora fu attraversata
da un pensiero improvviso, un’immagine sfocata.
- Che cosa è successo
l'altra notte? – gli chiese. – Non
ricordo niente…
Marco fece un respiro profondo.
- Con il rischio che
un’altra ruga ti increspi la fronte,
devo proprio dirtelo... ci siamo baciati.
Aurora sussultò,
incredula. Baciati? Loro due?
Non
è possibile, a me
piace Ettore!
-
Cosa intendi con “baciati”?
- Beh, sai quando due labbra si
incontrano e fanno quel rumore...
Aurora si sporse sul tavolo,
allungando una mano nel
tentativo di dargli uno schiaffo sulla testa. – Piantala, di
scherzare, per una
volta!
No, era assolutamente fuori
discussione, non lo avrebbe mai
fatto. Non avrebbe mai baciato Marco.
E lui, poi? Perché non
aveva mai dato segni di attrazione
nei suoi confronti?
Guardò Marco, desolata,
confusa, e lo vide corrugare la
fronte, combattendo contro una forza invisibile.
- Stavo scherzando, - ammise infine,
con un sorriso. – Non è
successo niente: sei comparsa sulla porta di casa mia, mi hai urlato
addosso
per avervi dato tanti problemi e alla fine sei caduta addormentata sul
letto.
Tutto qua. Le tue labbra sono illese!
Citazioni:
1) - Tu non sei giusto per lei.
- Tu lo sei?
- Sono meno sbagliato.
(Dr. House)
2) - Con il rischio che un’altra ruga ti increspi la fronte,
devo proprio dirtelo... ci siamo baciati.
- Cosa intendi con
“baciati”?
- Beh, sai quando due labbra si
incontrano e fanno quel
rumore...
(The
Vampire Diaries)
Grazie per aver letto! ^^
|
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Capitolo 4 *** IV ***
IV.
- Mi devi delle spiegazioni!
Marco non chiese a Manuel quando
avesse fatto una copia
delle sue chiavi, non lo sgridò nemmeno per essersi
intrufolato
nell’appartamento senza bussare; lo conosceva, sapeva che
aveva bisogno di
sfogarsi e soprattutto doveva distogliere la sua attenzione dalle due
ciambelle
al cioccolato rimanenti dalla colazione. Sospirò, osservando
il volto rosso
dell’amico.
- Perché sei arrivato solo
adesso? Credevo ti avrei trovato
fuori dalla mia porta a piagnucolare finché non ti avessi
aperto.
- Ero a casa con Silvia.
- Con
Silvia?
- Non fraintendere -. La sorpresa di
Marco gli aveva fatto
dimenticare l’obiettivo di nascondere le ciambelle,
così Manuel riuscì a scorgerle
oltre il suo braccio teso sul tavolo e a lanciarsi sul piatto prima che
il
padrone di casa se ne accorgesse. – Uhm, buone! Le hai fatte
solo per te?
- Per me… e per Aurora, -
confessò Marco, passandosi una
mano tra i capelli neri.
- Aurora ha dormito qui?
– Fu il turno di Manuel di sbarrare gli occhi, mentre la
bocca già cominciava a
imbrattarsi di cioccolato.
– Prima di aumentare la
taglia dei tuoi jeans, raccontami
che ci faceva Silvia da te.
- Te l’ho detto, non
fraintendere: ero ubriaco e mi ha
accompagnato a casa. Visto che Aurora era sparita, è rimasta
a dormire da me;
non le andava di guidare fino a Viterbo da sola. -. Manuel
addentò la seconda
ciambella. – Quindi Aurora era da te? E io che pensavo fosse
andata da Ettore!
Le vene sul collo di Marco si
gonfiarono. – Perché lo
pensavi?
- Beh, me lo sarei aspettato
più da lui.
- Cosa?
- Che se la portasse a letto per
primo senza tanti
complimenti.
- Io… Ettore
è… Oh, non me la sono portata a letto!
La bocca di Manuel si
spalancò lasciando cadere le briciole
rimaste alle estremità delle labbra. – E
perché?
- Non sono Ettore!
- Ma lei ti piace, no?
- Non dirmi che alla fine ci sei
arrivato.
- Ci sono arrivato mesi fa,
veramente, - si offese Manuel. –
E anche se ieri sera me la sono presa con me stesso per il vostro
litigio…
Marco aggrottò le
sopracciglia. – Te la sei presa con
te stesso? Per una volta che non
avevi fatto nessun casino!
- Sì, ok, stavo dicendo
che stamattina… o meglio alle tre,
quando mi sono svegliato… Beh, mi sono accorto che il motivo
era Aurora.
- Perbacco, sagace.
- Non prendermi in giro, credevo
davvero di essere stato io
a farvi litigare!
- Mi spieghi perché?!
- Non lo so… Forse non vi
piaceva la scaletta!
- Bene, - esclamò Marco,
radunando tutta la forza di volontà
necessaria a impedirsi di buttare Manuel fuori
dall’appartamento a calci. – Ti
riassumo la questione in poche parole: a Ettore piace Aurora, a me
piace Aurora
e l’ipotesi andare a letto con entrambi è esclusa,
prima che tu ti azzardi a
proporla.
Manuel si strinse nelle spalle.
– Poteva essere un buon modo
per risolvere tutto e tornare amici.
- Io non ho niente contro di Ettore,
solo che… Non so, lei è
perfetta. Non parlo di perfezione
assoluta, per altri Aurora potrebbe essere una ragazza come tante; lei
è
perfetta, è giusta, ma solo per me. Non penso che Ettore si
sia preso una
semplice cotta, però non ce la vedo per niente con lui. A
dire la verità, non
la vedo con nessuno che non sia me.
- Oooh, come sei dolce! E ora
cos’hai intenzione di fare?
Marco rimase in silenzio per qualche
istante. – Lascerò che
le cose vadano come devono andare, non voglio rischiare che altri
concerti
saltino, - rispose, fissando il punto su cui quella mattina si trovava
il volto
sorridente di Aurora. – Se vedrò che anche lei ha
completamente perso la testa
per Ettore, me ne farò una ragione.
- E aspetterai che si lascino, -
aggiunse Manuel a bassa voce.
C’era qualcosa che non
andava quella sera, era evidente
perfino a Marco nonostante tutti i pensieri che si stavano intrecciando
nella
sua testa.
Non appena entrò nel
locale dove aveva appuntamento con gli
amici – nella speranza di potersi riappacificare con Ettore
scusandosi a
vicenda – notò Aurora e Silvia, sedute sole a un
tavolo, che parlavano a bassa
voce tra di loro; Silvia fissava il bicchiere di birra che teneva tra
le mani,
apparentemente fuori dal mondo, mentre Aurora le parlava infervorata a
bassa
voce. Marco si chiese se fosse lui l’argomento della
conversazione, ma non
avrebbe spiegato l’espressione avvilita di Silvia. A meno che
l’amica non le
stesse elencando di nuovo i motivi
per cui amava Star Wars.
Avvicinandosi a loro, colse qualche
parola poco lusinghiera
nel monologo di Aurora, tra cui “bastardo”,
“idiota” e “senza palle”.
Poteva
riferirsi al fatto che Marco, la notte precedente, non le fosse saltato
addosso, ma si disse che era inutile sperare che Aurora fosse risentita
perché
il suo più grande sogno non si era avverato; tuttavia gli
bastarono pochi
secondi per collegare la tristezza di Silvia, l’indignazione
della sua migliore
amica e la definizione “senza palle”.
Davide Rodari: quante cose potevano
essere racchiuse in un
solo nome.
Davide, il
“fratello” di Ettore, il ragazzo che mancava
decisamente di virilità quando si trovava al suo fianco.
Davide, il bellissimo dongiovanni che
cambiava tante
fidanzate quanto erano le volte che Jean Grey moriva e tornava in vita.
Davide, indiscutibilmente
l’uomo più codardo che lui
conoscesse.
- Ehi, giovani Padawan, di cosa si
parla? – si inserì nella
conversazione sedendosi accanto a loro.
- Sono una stupida, - si
limitò a spiegare Silvia.
- È una stupida, -
concordò Aurora con un sospiro: evidentemente
doveva essere da quando avevano cominciato a parlare che tentava di
convincere
l’amica che non era così.
- Suvvia, so di essere molto
più intelligente di voi, ma non
dovete sottolinearlo ogni volta che ci vediamo!
Aurora rise e si alzò.
– Vado a prendere da bere, volete
qualcosa?
- Ti lascio la mia birra, -
grugnì Silvia, allontanando da
sé il bicchiere. – Ho fatto già
abbastanza danni.
- Non la voglio, lasciala a Marco.
- Certo, trattatemi come
l’ultima via d’uscita! – Vedendo
che Silvia non accennava a ridere alla sua battuta, Marco prese la
birra e
cominciò a bere, preparandosi ad ascoltare le sue
confidenze. – Come mai
saresti stupida, allora?
- Tutte le volte che sapevo che lo
avrei visto ho passato
ore davanti all’armadio alla ricerca dei vestiti
più improponibili, minigonne
che non pensavo potessero mai essere così corte o magliette
che neanche sapevo
da che parte indossare, - esordì Silvia. – Poi mi
truccavo, bevevo per trovare
il coraggio di parlargli… E a cosa è servito?
Solo a farmi essere una delle
tante ragazze che si è fatto.
Allungò istintivamente la
mano verso la birra, ma Marco la
tenne fuori dalla sua portata. – Basta bere, eh.
- La sera che è successo
non avevo neanche bevuto, -
bofonchiò Silvia, accasciandosi sul tavolino. Guardandola
bene, Marco si
accorse che aveva ricominciato a portare magliette otaku e jeans e che
al suo
collo non c’erano più stelle o cuoricini, ma la
collana dei Doni della Morte.
- Analizziamo la situazione: ti sei
comportata da amica con
lui per due mesi, poi di punto in bianco decidi di apparire diversa, di
farti
notare. Sì, effettivamente è stato un cambiamento
un po’ stupido, ma io credo
che chi non è disposto a sembrare stupido non merita di
essere innamorato.
Sperava di averla convinta con
quell’ultima affermazione e
forse c’era davvero riuscito, ma la sua attenzione si
concentrò sul modo in cui
lei lo guardò, sollevò un sopracciglio e disse: -
Ah, sì?
Si accorse immediatamente che il
commento di Silvia non era
per niente riferito a se stessa.
- Ehm, sì, - rispose, a
disagio. – Bisogna fare cose un po’
avventate ogni tanto e…
- Dimmi se è meno stupido
guardarla dormire tutta la notte o
baciarla sapendo che Ettore ti avrebbe potuto spaccare il naso.
- Beh, baciarla sarebbe stato
estremamente stupido…
- Appunto -. Silvia
afferrò la birra e sembrò godere
dell’effetto che avevano avuto le sue parole. –
Sta’ tranquillo, non dirò
niente come non le ho detto di Ettore -. Alzò le spalle.
– Non mi crederebbe:
finché uno di voi non le dirà chiaramente
ciò che prova, lei non capirà.
In quel momento la porta del locale
si aprì e rivelò la
presenza di Ettore. Silvia appariva sollevata dall’assenza di
Davide, ma
controllò istintivamente il cellulare; Marco, nel frattempo,
si disse che
sarebbe stato decisamente stupido interrompere l’incontro tra
Ettore e Aurora,
visto che doveva cercare di mantenere buoni legami con il batterista
per non
turbare la tranquillità del gruppo –
già messa duramente alla prova l’ultima
volta che si erano visti.
Per questo si alzò e li
raggiunse, perché era davvero la
scelta più stupida.
- "Credo che chi non è disposto a sembrare stupido non
merita di essere innamorato." (Sballati
d'amore - ma come sono finita a trovare questa citazione?!)
|
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Capitolo 5 *** V ***
V.
- Ho prenotato un albergo in montagna
per passare il
Capodanno tutti insieme! Questi sono i biglietti, il costo delle
camere, i
volantini dei posti da visitare… Ci vediamo alla stazione
domani alle sette di
mattina, non mancate!
Le parole di Manuel ancora ronzavano
nella testa di tutti,
che arrancavano assonnati verso i propri posti chiudendo gli occhi a
ogni passo
e scontrandosi con gli altri passeggeri. Simona dormiva sulla spalla di
Marco,
che appoggiato al finestrino si era lasciato andare anche lui; davanti
a loro
Aurora e Silvia sbadigliavano, mettendo a posto i bagagli prima di
raggiungere
i loro amici nel mondo dei sogni. Solo due persone sembravano
completamente
sveglie: Manuel, che saltellava per il vagone emozionandosi per ogni
paesaggio
che attraversavano, e Davide, che aveva l’aria di non avere
affatto dormito.
Era insolitamente silenzioso e guardava fuori dal finestrino, la fronte
aggrottata.
Ettore, sorpreso dalla sua apatia
– lo conosceva al punto da
sapere che se si fosse trattato solo di stanchezza si sarebbe
accoccolato
addosso a lui –, tentò di farlo reagire.
- Manuel ha detto che ci sono una
discoteca e un pub poco
lontano dall’albergo, - esordì, - sicuramente
potrai sfoggiare tutte le tue
doti nascoste e divertirti, quindi perché quella faccia?
Davide sollevò la testa e
gli rivolse un’espressione ferita,
come se il suo amico avesse appena colto nel segno.
- Ho fatto una cosa che non dovevo
fare, - confessò, lanciando
uno sguardo ai sedili su cui sedevano Aurora e Silvia.
- Che cosa?
–
ringhiò Ettore, fraintendendo.
- No, aspetta, non mi riferivo a lei!
– si difese Davide. –
Sono… Ho fatto una cosa brutta a Silvia.
- Te la sei portata a letto?
Rimase in silenzio per qualche
secondo. – Sì.
- E la mattina dopo sei scomparso?
- Non avrei potuto:
l’abbiamo fatto nel bagno del locale, la
sera in cui non avete suonato. E subito dopo me ne sono andato con
un’altra
ragazza; ho saputo che lei è rimasta a dormire da Manuel,
l’ha portato a casa
perché era completamente ubriaco.
- E lo eri anche tu.
- Certo, sennò…
sennò non avrei mai pensato a toccarla! Io
le voglio bene, è un’amica, ma ora non mi rivolge
più la parola ed è normale: sono
stato un bastardo.
Ettore osservò le due
ragazze che dormivano a poca distanza
da loro; i suoi occhi, però, si spostarono presto da Silvia
su Aurora, sui
capelli ricci che le ricadevano sulle spalle, sulla bocca leggermente
dischiusa.
- Almeno hai agito.
- Eh?
- Niente, lascia perdere. Le
passerà, comunque, o forse
dovresti cominciare a considerare l’idea di una storia seria.
È
ora di cambiare
strategia, Davide: le parti si invertono.
Per tutto il giorno Ettore non aveva
fatto altro che
osservare in silenzio un po’ Aurora e Marco, che camminavano
ridendo e
scherzando su qualsiasi argomento venisse loro in mente, e un
po’ Silvia, che
pur di evitare Davide preferiva la compagnia di Simona.
- Come sono organizzate le camere?
– chiese Aurora, dopo
avere ringraziato Marco per averle portato il bagaglio fino
all’albergo.
- Io voglio stare in camera con
Ettore! – esclamò subito
Davide, agitando un braccio.
Ettore stava per dirgli che non aveva
nessuna intenzione di
passare la notte nel bagno mentre Davide esplorava il corpo di una
sconosciuta,
ma poi si rese conto che l’improvviso sprizzo
d’allegria del ragazzo voleva
proprio dimostrare a Silvia che lui non avrebbe ospitato nessuna donna;
dal
canto suo, Silvia gli rivolse una rapida occhiata, poi tornò
a parlare con
Simona.
Ma di cosa
potranno
mai parlare loro due?
- Ettore e Davide, allora, -
segnò Manuel. – Direi che
Aurora, Silvia e Simona andranno insieme, per cui restiamo solo io e
Marco.
- Nessuno vuole fare a scambio, eh?
– si finse disperato
Marco, facendo ridere Aurora.
Doveva reagire, doveva fare qualcosa.
Ettore era rimasto a guardare in
disparte Marco e Aurora,
senza trovare l’occasione giusta per avvicinarla. Sembrava
così a suo agio con
lui, non sapeva come potere farla sentire allo stesso modo. Erano le
undici di
sera, però, e Simona era andata in discoteca, Manuel giocava
nella sala
dell’albergo con ospiti appena conosciuti, Davide era da
chissà quale parte a
riflettere sulle proprie azioni, Silvia molto probabilmente era nella
sua
stessa situazione in un luogo diverso, quei due erano spariti e lui era
ancora
solo, incapace di decidersi ad agire.
Uscì dalla sua stanza, che
gli stava sembrando troppo
stretta, e prese almeno la decisione di andare a fumare nel balcone
della sala,
quando udì la voce familiare di Davide seguita da quella di
Silvia e si nascose
per potere osservare la scena.
- Silvia, fermati!
- Adesso non sono più
Peter, eh?
- Ti prego, ascoltami…
- Hai giocato con me tutto questo
tempo, hai finto di
essermi amico!
- Non è vero! - Davide le
afferrò il braccio, costringendola
a fermarsi. – Io tengo veramente a te…
- Raccontalo a
qualcun’altra!
Passi affrettati, rumore di una botta
e poi silenzio. Ettore
sussultò, stupito dall’intraprendenza di Davide,
che aveva spinto la ragazza al
muro e la stava baciando con foga; Silvia aveva tutta l’aria
di essere
intenzionata a strappargli ogni singolo capello e a fargli patire le
peggiori
pene, ma da come si lasciò trascinare nella stanza di Davide
Ettore intuì che
lo avrebbe fatto comodamente sdraiata su un letto.
Era inutile, perfino Davide lo aveva
capito: doveva agire,
aveva perso già troppo tempo.
Uscendo sul balcone, notò
una scena che definì “patetica”:
Marco e Aurora osservavano le stelle con un enorme sorriso sui loro
volti.
- Certo che siamo proprio
insignificanti davanti all'universo,
- rifletté Aurora.
- Parla per te, scusa, - gli rispose
prontamente Marco
Potrebbe il
grande
Marco essere insignificante perfino davanti all’universo?
Ettore si guardò
velocemente intorno, controllando che
Manuel non fosse più nella sala, poi si avvicino ai due.
- Marco, - lo chiamò.
Marco si voltò, il sorriso
improvvisamente sparito dal suo viso. – Manuel ti sta
cercando.
- Va bene, allora vado da lui. Non
scappare, principessa,
torno tra poco!
Ettore godette
dell’espressione dura di Marco, interrotto sul
più bello.
Mi dispiace,
ma qui
vale la legge del più forte.
- Che stavate facendo?
- Guardavamo le stelle, - rispose
Aurora, sognante. – Se ne
cadrà una, potrò esprimere un desiderio.
- E di che desiderio si tratta?
Aurora avvampò, cercando
di nascondere il volto.
Basta
esitare.
- Non so, - tentennò, -
forse quando accadrà mi verrà in
mente e…
Senza darle il tempo di finire,
Ettore le strinse i capelli
ricci, attirandola a sé per baciarla con passione; Aurora si
lasciò
immediatamente andare, fuori di sé dalla gioia per quello
che aveva sognato per
tanti mesi e che ora stava finalmente accadendo. Le labbra di Ettore si
allontanarono dalle sue per un istante.
- Il mio desiderio saresti stata tu,
- sussurrò con voce
roca.
Forse Marco li stava guardando dalla
sala affranto, ma non
gli importava: non era una sfida tra loro due, non volevano farsi del
male a
vicenda, solo avere Aurora tutta per sé. E lui
c’era appena riuscito.
- Vieni, - le disse.
Le afferrò il polso e la
trascinò via dal balcone,
camminando frettolosamente fino alla stanza di Aurora.
- Potrebbe esserci Si…
- Non c’è,
fidati.
Aurora girò la chiave e si
lasciò spingere dentro la camera,
baciata con foga da Ettore mentre sbatteva la porta. L’uomo
la fece
indietreggiare fino al letto, senza smettere di premere passionalmente
le
labbra contro le sue, e con foga dopo averla fatta sdraiare le
strappò il
vestito; vide quei seni per lui perfetti, che da tempo sognava di
baciare, e
posare su loro la sua lingua lo fece eccitare ancora di più.
Si tolse rapidamente la maglietta e i
jeans e le aprì le
gambe, facendo vibrare la lingua anche sulle cosce, assaporando i suoi
sussulti, i gemiti che non cercava di reprimere; la insinuò
in lei, le toccò
zone che Aurora nemmeno credeva di avere tanto era grande il piacere
che stava
provando. Senza dire una parola le fu sopra ed ebbe l’istinto
di
schiaffeggiarla per come l’aveva fatto patire, ma lo represse
e per placarsi
entrò in lei senza altro indugio, spingendo con forza,
facendola urlare dal
piacere e confondendo i loro gemiti; le stringeva i fianchi, la
penetrava con
violenza, sfogava su Aurora tutta la passione provata in quei mesi.
Si lasciò andare dentro di
lei solo quando fu pienamente
soddisfatto – e quando fu certo di averla soddisfatta
più di una volta – e scivolò
al suo fianco, accarezzando ora dolcemente e con un insolito sorriso i
suoi
lunghi capelli neri.
Non ci credo, mi
sono decisa ad aggiornare la sfiga-storia xD
Beh, che dire? Non mi esalta molto questa parte, a dire la
verità... Ma vabbè!
Citazione:
- Certo che siamo proprio
insignificanti davanti all'universo.
-
Parla per te, scusa.
(Dillo con parole mie)
|
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Capitolo 6 *** VI ***
VI.
Quando
quella mattina Aurora
si svegliò tra le braccia di Ettore, per un momento si
sentì spaesata; dovette
raccogliere tutta la volontà del mondo per distogliere lo
sguardo dal petto
nudo del ragazzo e cercare di ricordare quello che era accaduto la sera
prima.
Le sembrava un sogno: per più di un anno era stata invaghita
di lui e,
improvvisamente, l’uomo la baciava dicendole una frase
così… poco da Ettore.
- Il mio
desiderio
saresti stata tu.
Avvampò mentre quelle
parole venivano pronunciate ancora
nella sua testa e scivolò lentamente via dalle enormi
braccia di Ettore: aveva
bisogno di andare in bagno, aveva bisogno di guardarsi allo specchio e
vedersi
forse diversa, cambiata. Più felice.
Mentre metteva un piedi fuori dal
letto, però, Ettore le
afferrò il polso, tirandola a sé.
- Stavi andando via?
- Volevo… volevo farmi una
doccia.
E togliermi
dalla
pelle il tuo odore? Mai!
Trovò strano il
comportamento di Ettore, per un momento le
sembrò di scorgere nei suoi occhi scuri un accenno di paura,
come se temesse
che volesse lasciarlo solo. Ma perché mai avrebbe dovuto
farlo?
Quando gli rispose, però,
l’uomo si tranquillizzò e le
rivolse un sorriso, accarezzandole i capelli ricci.
Se Aurora pensava di trovarsi in un
sogno risvegliandosi
accanto ad Ettore, la sua ipotesi fu sostenuta dallo strano
comportamento dei
suoi amici. Quando scese nella sala ristorante per fare colazione,
trovò il
gruppo diviso in due tavolini: da un lato Davide e Silvia,
improvvisamente
riconciliati, che mentre spalmavano la marmellata sulle fette
biscottate si
lanciavano sorrisi e sguardi teneri, così in contrasto con
il loro carattere;
dall’altro Manuel, che si stringeva la testa tra le mani in
evidente stato di
confusione, e Simona, che lanciava occhiate feroci all’altro
tavolo.
Per non disturbare la coppia appena
nata che in quel momento
sembrava fuori dal loro mondo – gioendo mentalmente per la
felicità dei loro
migliori amici – Aurora ed Ettore si avvicinarono al secondo
tavolo. Manuel,
però, cominciò a guardarsi intorno in cerca di un
aiuto, poi senza nemmeno
salutarli si alzò e uscì di corsa dalla sala,
mentre Simona, quando si accorse
che Aurora era in compagnia di Ettore, serrò la mascella e
rispose con un
gelido cenno del capo al loro saluto.
Ma che hanno
tutti
oggi?
Aurora si guardò intorno,
ma non c’era traccia di Marco.
- A quanto pare, è la
giornata delle coppie, - esclamò
improvvisamente Simona, finendo di bere il suo caffè.
– Sono andata in
discoteca per trovare qualcuno e sono rientrata da sola; se lo avessi
saputo,
sarei rimasta qui.
- Per Manuel? – la prese in
giro Ettore.
Simona lo fulminò con uno
sguardo, inviperita, scansò la
sedia e si allontanò senza ribattere.
- Dove sarà Marco?
– chiese Aurora.
- Forse sta ancora dormendo.
Non lo avrebbe giurato, ma alla
ragazza sembrò che Ettore
gongolasse per qualche motivo a lei sconosciuto.
- Ehi! – esclamò
Davide notando la loro presenza. Si alzò
dal tavolo e corse verso di loro: era evidente che fremesse dalla
voglia di
raccontare al suo migliore amico della notte passata e di ricevere
altrettante
novità. – Come state? Dormito bene? Posso parlati,
Ettorino?
Ettore sorrise, mise una mano sulla
spalla di Davide con
fare fraterno e cedette il posto a Silvia.
- Allora, cominci tu o comincio io?
– scherzò Aurora,
avvampando al solo ricordo delle braccia di Ettore che la cingevano.
Silvia sembrava al culmine della
gioia. – Che devo dirti?
Davide si è dimostrato… meno codardo di quello
che pensavo. Meno femminuccia.
Ha detto qualcosa come: “Io tengo veramente a
te…” - Si strinse nelle spalle,
sorridendo imbarazzata. – Non mi aspettavo di non dover
essere l’uomo della
situazione. E tu, invece? Ti avevo lasciata con Marco…
- A proposito, sai
dov’è?
- Non ne ho idea. Ma parlami di
Ettore, non pensare a Marco!
- Va bene. Ieri sera…
Aurora raccontò nei minimi
dettagli ciò che era accaduto
quella notte, dall’incontro sul balcone al bacio, al petto di
Ettore contro il
suo, al risveglio fiabesco tra le sue enormi braccia: non voleva
trascurare
niente, si sentiva felice come non era da tanto tempo.
Marco non si trovava da nessuna
parte. Era sparito, era
impossibile trovarlo.
Aurora bussò alla porta
della sua stanza, sperando di
trovarlo lì o che almeno Manuel potesse dargli sue notizie;
quando Manuel andò
ad aprire, però, le rivolse uno sguardo di profonda
delusione.
- Ciao! –
esclamò ugualmente Aurora. – Marco è
qui?
Manuel la fissò per
qualche momento come se stesse decidendo
se urlarle contro o scoppiare a piangere, poi scosse la testa.
– È andato via
ieri sera.
Aurora spalancò gli occhi.
– Che cosa? Ma…
E dov’è andato?
- È tornato a casa.
- È tornato… -
cominciò a ripetere. Apriva e chiudeva la
bocca di continuo, senza capire perché. – Oggi
è l’ultimo dell’anno! –
realizzò
infine.
- Non voleva passarlo qui.
- Ma perché?
E
perché hai gli occhi lucidi? È successo qualcosa
di grave?
- No, - rispose Manuel, scuotendo la
testa. – Possibile che
non te ne sia mai resa conto?
- Di cosa?
- Di quello che Marco prova per te.
- Manuel spara un sacco di cavolate!
– sbottò Aurora
tornando nella propria stanza.
Silvia distolse lo
sguardo dal
muro, che stava fissando apparentemente assorta in qualche ricordo
della notte
passata, mentre Simona non si diede neanche il disturbo di smettere di
smaltarsi le unghie per rispondere.
- Ti ringrazio per averci illuminate.
Aurora aggrottò la fronte,
sorpresa dalla sua freddezza, ma
poi decise che aveva ben altro di cui occuparsi in quel momento.
- Cos’ha detto questa
volta? – le chiese Silvia.
- Che Marco è tornato a
casa.
Improvvisamente gli occhi di entrambe
le ragazze erano su di
lei, aspettando che finisse di parlare.
- Perché, secondo Manuel,
è completamente cotto di me ed è
stato un brutto colpo sapere che ho passato la notte con Ettore.
Simona afferrò lo smalto,
si alzò e si diresse verso la
porta della stanza; solo in quel momento Aurora ricordò che
lei era stata la
fidanzata di Ettore per due anni. Avevano perfino vissuto insieme.
Quanto sono
idiota,
ecco perché è così acida oggi!
- Senti, - tentò di
rimediare prima che Simona uscisse dalla
camera, - sono stata… Indelicata è dire poco. Non
avrei dovuto dirti così di
Ettore…
Simona sbatté le palpebre.
– Dirmi di Ettore? Ma se vi ho
visti stamattina a colazione insieme! Ho dovuto perfino dormire in
camera con
Manuel perché la mia stanza era
occupata,
credi che abbia scoperto adesso che avete fatto sesso per tutta la
notte?
- Non per tutta… -
tentennò Aurora, imbarazzata.
- Oh, piantala, so quanto regge quel
tipo!
- Allora non sei arrabbiata
perché sono stata a letto con
lui?
- No! Ho amato Ettore, ma non ho mai
creduto di poter avere
altre possibilità con lui, dopo la nostra rottura; a dire la
verità, io avevo
sperato di farmi Davide stanotte.
- Ehi! – esclamò
Silvia, indignata.
- Nessun rancore, eh. Quello che mi
dà veramente fastidio,
però, è vedere la stupidità che
dimostri nel voler negare a tutti i costi che
Marco sia innamorato di te. Per quale diamine di motivo credi che
avessero litigato
la sera del nostro “debutto”?
Senza aggiungere altro,
uscì dalla stanza e si sbatté la
porta alle spalle. Aurora si lasciò cadere sul letto accanto
a Silvia, le
labbra leggermente dischiuse per la sorpresa.
- Beh, - esclamò infine, -
almeno si è decisa ad abbandonare
la facciata da angioletto.
- Direi proprio di sì.
- Già… Silvia,
dimmi una cosa.
- No, - rispose prontamente Silvia.
- Non te l’ho ancora
chiesto!
- So cosa vuoi sapere: se Manuel e
Simona ti stessero
mentendo. La risposta è no. Onestamente, mi chiedevo quando
te ne saresti
accorta.
Il litigio tra Ettore e Marco prima
del concerto.
La sorpresa di Simona quando Aurora
aveva detto di non
sapere chi fosse la ragazza che i due si stavano contendendo.
Il bacio di cui aveva parlato Marco
quando lei si era
svegliata a casa sua e la fretta con cui le aveva poi detto che stava
scherzando.
La fuga del ragazzo
dall’albergo la stessa notte in cui
Ettore l’aveva fatta sua.
Ormai erano giorni che Aurora si
interrogava su quello che i
suoi amici le avevano ripetuto: Marco era innamorato di lei. Era
davvero così?
Le prove giocavano a favore di quell’affermazione,
soprattutto il ricordo della
discussione tra i due amici, perché se Ettore avesse amato
un’altra non sarebbe
andato a letto con Aurora, e perché se quella persona non
fosse stata lei Marco
si sarebbe già fatto vivo per parlare di Star
Wars o proporle di vedere un film.
Aurora si rigirò il
cellulare tra le dita, cercando di
trovare il coraggio di chiamarlo. Per dirgli cosa, però? Che
lei ed Ettore formavano
già una magnifica coppia? A dire la verità, non
poteva nemmeno parlare di
“coppia”: avevano passato la notte insieme, Ettore
sembrava davvero preso da
lei, ma per ora si limitavano a frequentarsi, come se temessero che
ciò che era
accaduto in vacanza potesse in qualche modo essere attribuito a un
altro mondo.
Doveva concentrarsi su di lui, non
pensare a Marco. Doveva
smettere di pensare a Marco.
Voglio
solo essere felice, ne avrò il diritto, no?
Mentre
decideva che da quel
momento nella sua testa ci sarebbe stato solo Ettore, il suo cellulare
squillò.
Marco.
Rispose
immediatamente.
-
Ehi.
La
sua voce tremolante
dovette sembrare strana al
ragazzo, ma
d’altronde lui aveva lasciato l’albergo pur di
allontanarsi da lei. Aurora non
poteva certo preoccuparsi di come gli stava apparendo.
-
Scendi, - si limitò a dire
Marco.
Aurora
lanciò un rapido
sguardo alla finestra: stava piovendo, avrebbe dovuto prendere un
ombrello o
mettersi addosso una felpa, invece uscì di corsa
dall’appartamento, scendendo
le scale e aprendo la porta del condominio con la mente vuota.
Non
si chiese il perché della
presenza di Marco, né si assicurò al telefono che
non fosse uno scherzo.
Non
si maledì per essere
corsa in strada al solo suono della sua voce.
Non
si ricordò nemmeno che
aveva appena deciso di smettere di pensare a lui.
Gli
era mancato.
Si
guardò intorno, mentre la
pioggia le bagnava i capelli ricci e i vestiti, e infine lo
individuò
dall’altra parte della strada. Poggiava la schiena sulla
portiera dell’auto
nera, noncurante delle gocce che si posavano sul suo viso; la mascella
era
serrata e lo sguardo fermo su di lei.
Citazione:
Voglio solo essere felice, ne avrò il diritto, no?
Credo
che questa sia l'unica storia in cui trovo Simona simpatica. L'unica.
Ma mi piace qui, è meno angelica e più
sfacciata... più se stessa. Volevo solo fare una picola
parentesi su di lei!
Grazie per avere letto ^^
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Capitolo 7 *** VII ***
VII.
Cosa
ci faceva là?
Ah,
già: aveva deciso di dire
ad Aurora quello che sentiva per lei.
Mh,
provando con quella bottiglia di vino sembrava più
semplice.
Marco
era scomparso quando,
la penultima sera dell’anno, tornando sul balcone aveva visto
Ettore baciare
Aurora e il corpo della ragazza rispondere, esultante. La bella e dolce
Aurora
aveva finalmente incontrato le labbra del suo principe.
Un
principe “dorato”, si
ripeteva Marco, un principe perfetto sotto una montagna di punti di
vista;
quello azzurro, quello giusto per lei le
avrebbe parlato di Star Wars mentre
si ingozzavano di pop corn. Peccato solo che Ettore brillasse
così tanto da
offuscare la presenza di altri pretendenti.
In
quel momento qualcosa
aveva ceduto nel cuore di Marco, mentre quello di Aurora probabilmente
stava ballando
la samba e un altro paio di danze che il suo sicuramente avrebbe
dimenticato
per mesi. Marco non aveva riflettuto oltre, aveva agito
d’istinto ed era corso
nella propria stanza per lanciare i vestiti in valigia e scrivere un
frettoloso
biglietto per Manuel: GAME OVER, torno a
casa.
Nei
giorni seguenti era
sparito dalla circolazione, sapendo che la cosa migliore per lui fosse
non
farsi vedere per un po’; Manuel gli aveva lasciato del tempo
per calmarsi, lo
aveva rassicurato che potevano rinviare le prove del gruppo con la
scusa delle
vacanze di Natale ancora in corso, però Marco sapeva che
erano arrivate ormai
agli sgoccioli e che non poteva permettere alle proprie emozioni di
prendere il
sopravvento sul suo bisogno di suonare.
Accompagnando
la voce di Aurora, se possibile.
Purtroppo,
però, la decisione
di confessare i propri sentimenti alla ragazza era stata presa davanti
a una
bottiglia quasi vuota di vino rosso: l’aveva portata in
macchina “in caso di
bisogno”, se una volta giunto in prossimità della
casa di Aurora avesse provato
un impellente desiderio di fare inversione e tornare di corsa a Roma;
tuttavia,
una volta parcheggiato non era riuscito molto bene a regolarsi con le
dosi.
Un
sorso, e il volto
sorridente di Aurora si stagliava in modo ancora più netto
nei suoi pensieri.
Un
altro sorso, e la sua
risata annullava la voce di Cat Stevens che usciva dallo stereo
dell’auto.
Un
terzo sorso, e la mani di
Ettore avvolgevano il corpo di Aurora, la spogliavano, la macchiavano
di baci
che non avrebbe dovuto darle.
Quando
Marco si accorse che,
da quel momento, ogni sorso non faceva altro che aumentare la rabbia
nel suo
petto, bevve più velocemente, impaziente di riunire tutto il
rancore che
provava e di scagliarlo addosso ad Aurora.
Con
un insulto, uno schiaffo
o un bacio, non importava.
E
ora finalmente era lì, di
fronte a lei, la schiena appoggiata alla macchina e i capelli incollati
alla
fronte per la pioggia scrosciante.
-
Marco, - esclamò Aurora, la
voce tremolante. Era bella, dannatamente bella, e lui avrebbe voluto
solo
sdraiarla a terra lì, davanti alla macchina, anche in una
pozza di fango, tanto
sarebbe rimasta così straordinariamente bella ai suoi occhi;
sdraiarla,
spogliarla e fare l’amore tutta la notte, sperando che sua
madre non si sarebbe
mai affacciata per ritirare i panni.
Non
rispose, fece appello
alla sua forza di volontà e mantenne la mascella serrata.
Dopotutto non era
questo ciò che Aurora voleva, un paio di bicipiti in mostra
e un’espressione
dura sul volto?
-
Sei… sparito, - tentennò
Aurora, incrociando le braccia al petto. Marco notò che non
aveva perso tempo a
cercare un ombrello e questo avrebbe allentato un po’ la
stretta allo stomaco,
se solo lei non avesse scelto proprio quelle parole.
Certo
che sono sparito, che cosa ti aspettavi?
Non
fece in tempo a
rispondere: Aurora si era avvicinata alla macchina e aveva sbirciato
dentro con
la coda dell’occhio, individuando la bottiglia quasi vuota di
vino. Aggrottò la
fronte.
-
Hai bevuto? – si preoccupò.
– Sei venuto fin qui ubriaco? Marco, non dirmi che…
-
Sei bellissima, - la
interruppe Marco, senza avere smesso neanche un secondo di fissarla.
Ora
abbasserà leggermente lo sguardo, si porterà i
capelli dietro l’orecchio e farfuglierà qualcosa
come: “Lo dici solo perché sei
ubriaco”.
Come
Marco aveva predetto,
Aurora sussultò, rivolse gli occhi scuri alla strada bagnata
e si spostò una
ciocca castana, imbarazzata.
-
Non dovresti dirlo, sei
ubriaco.
-
Sì, sono ubriaco e tu sei
bellissima, - replicò Marco. - E domani non sarò
più ubriaco, ma tu sarai
ancora bellissima.
L’immagine
che gli vacillò nella mente fu delle sue dita che
stringevano il polso di
Aurora, allontanando la mano dai capelli ricci e sbattendo il suo corpo
contro
l’auto. Avrebbe voluto strapparle i vestiti a morsi, forse
nello stesso modo in
cui Ettore quella notte l’aveva spogliata.
Perché
aveva fatto sesso con lei, di questo era certo.
Non
lo
fece: la questione era chiusa ormai, non voleva che Aurora lo
scacciasse con
uno schiaffo. Non temeva che lo facesse per rispetto a Ettore, ma
perché non
provava assolutamente niente per lui.
La
udì
mormorare qualcosa, mentre il volto prendeva fuoco, ma non rimase ad
ascoltarla; le diede le spalle e salì in macchina senza
degnarla di un ultimo
sguardo.
-
Ehi.
Nocche
contro il vetro della macchina.
-
Ehi!
Ma
perché la persona dall’altra parte dello sportello
non rispondeva? Se solo lo
avesse fatto, lui avrebbe potuto continuare a dormire in
pace…
-
Ehi, tu con l’adesivo della Fender sul cruscotto!
Marco
si riscosse dal mondo dei sogni sentendo nominare la sua amata Fender;
sbatté
più volte le palpebre impastate dal sonno, si
portò una mano davanti al viso
per evitare di essere colpito dagli improvvisi raggi di sole e infine
si voltò
verso la ragazza che stava bussando sul vetro della sua auto.
-
Oh,
finalmente! – esclamò lei, ma non sembrava
scocciata. Indossava una vestaglia
rossa sopra un pigiama di flanella, che si intravedeva appena a causa
della
cintura che le circondava comodamente la vita; doveva avere sui
venticinque
anni, forse un po’ di più, e teneva i capelli
biondo scuro raccolti in una coda
mossa.
Marco
si guardò intorno, cercando di realizzare dove fosse. Dopo
una rapida occhiata
si accorse di essere ancora a Viterbo, nel parcheggio esterno di un
condominio;
doveva essersi fatta mattina da diverse ore, a giudicare dal sole che
splendeva
alto nel cielo invernale, nascosto ogni tanto da sottili nubi. A quanto
pare,
la sera prima aveva saggiamente scelto di non tornare a Roma ubriaco.
Abbassò
il finestrino e la ragazza gli porse una tazzina di caffè.
-
Ho
pensato che dovevi avere freddo, - disse.
Marco
sbatté ancora le palpebre fino a metterla bene a fuoco.
Ventisei anni, non di
più. Un neo sul collo. Il volto struccato e le mani
tremanti. Occhi azzurri.
-
Grazie… - mormorò, reprimendo uno sbadiglio.
-
Ti
ho visto stanotte rientrando a casa, - spiegò la ragazza.
– Quando mi sono
svegliata ho notato che eri ancora qui, così ho pensato di
preparati qualcosa
di caldo -. Notò anche lei la bottiglia ai piedi del sedile
del viaggiatore. –
Hai preso una bella sbornia, eh? Io sono Rachele, comunque.
-
Rachele, - ripeté Marco, cercando di svegliarsi del tutto:
gli sembrava ancora
impossibile avere passato un’intera notte nella macchina con
i riscaldamenti spenti
e sotto lo sguardo curioso di una sconosciuta che viveva lì
di fronte. – Mi
chiamo Marco, grazie ancora per il caffè.
-
Figurati. Come mai hai dormito qui? Hai litigato con la tua ragazza, ti
sei
ubriacato per implorare il suo perdono e lei ti ha scaricato?
-
Una
specie, - si limitò a rispondere.
-
Wow,
sei un tipo da molte parole. Vuoi salire a metterti qualcosa di caldo?
Tra la
roba di mio fratello dovrei trovare qualcosa per te.
-
È
simpatica.
-
Ahi
ahi, Marco si è innamorato di nuovo.
-
Che
stai dicendo?
Manuel
sospirò e mostrò a Marco il CD che Rachele gli
aveva regalato.
-
Lo
conosco, - gli fece notare lui.
-
È un
CD di Cat Stevens.
Marco
si strinse nelle spalle. - Piace a entrambi.
-
E
siete andati a vedere quel film su astronavi, alieni… Quella
robaccia là.
-
E
allora? È una patita della fantascienza come me. Suona anche
la chitarra.
-
Suona la chitarra? Oh, meno male!
–
esclamò sollevato Manuel, spalancando le braccia.
– Temevo fosse un clone di
Aurora!
Marco
avvampò, ma non si diede la pena di cominciare una
conversazione di due ore per
spiegare al suo migliore amico che non stava uscendo con Rachele per le
sue
somiglianze che la donna della sua vita.
Erano
passate tre settimane da quando si erano conosciuti, in quel parcheggio
di
Viterbo, ed entrando nel suo appartamento Marco aveva subito scoperto
quanto
loro due avessero in comune. A dire la verità, aveva creduto
perfino che si
trattasse di un sogno quando Rachele era uscita dal bagno con una
maglietta di
Darth Fener e il plettro di una Fender che sbatteva sul collo, anche se
non lo
avrebbe mai ammesso davanti a Manuel. Rachele gli aveva raccontato del
negozio
di animali in cui doveva lavorare quel pomeriggio, della sua passione
per la
musica, dell’interesse che aveva provato per quel misterioso
ragazzo che
dormiva in macchina. Per ringraziarla della gentilezza nei suoi
confronti, in
uno slancio causato dal desiderio di gettarsi Aurora alle spalle, Marco
le
aveva chiesto di chiamarlo per andare a prendere un gelato non appena
fosse
stata dalle parti di Roma; il giorno seguente aveva ricevuto un suo sms
e si
erano ritrovati a Piazza di Spagna con un cono in mano e
l’ultimo numero di Thor
nell’altra. Marco si era
raccomandato di prestarglielo quando lei lo avesse finito di leggere e
da quel
momento avevano cominciato a tenersi in contatto, fino ad ammettere a
se stessi
che si stavano decisamente frequentando.
Tutto
stava andando così bene, perché ora Manuel,
comodamente seduto sul suo letto
mentre Marco componeva, gli stava facendo notare le minime
somiglianze tra Rachele e Aurora?
La
sua
“vecchia fiamma” non sapeva suonare la chitarra
– gli aveva chiesto di
insegnarle, ma quello era un dettaglio irrilevante.
Non
leggeva fumetti della Marvel, era
un’accanita sostenitrice della DC.
E
poi
non era bionda.
-
Se
sei davvero convinto che quelle due non abbiano molto in comune, - lo
punzecchiò Manuel, lo sguardo rivoltò al soffitto
mentre si lasciava cadere
supino sul piumone blu, - e se pensi che potrebbe nascere davvero una
storia
seria, potresti farle conoscere senza problemi.
-
Certo.
-
Domani sera alle prove?
Alle
prove? Così presto?
Presentarla a tutti?
Come
se fosse Simona il problema,
sussurrò una voce nella sua testa.
-
Vada per domani.
"Sì, sono ubriaco. E tu sei bella. E domattina, io
sarò sobrio ma tu sarai ancora bella." (The Dreamers)
Questo capitolo mi piace decisamente, mi sono affezionata subito al
personaggio di Rachele! :D D'accordo, è un "ostacolo" per
uno dei miei più grandi OTP, ma mi piace :)
Grazie per aver letto! ^^
Med
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Capitolo 8 *** VIII ***
VIII.
Era
passato solo un mese dalla notte che Ettore aveva trascorso con Aurora,
eppure
quel ricordo sembrava appartenere a un’era lontana, a
millenni prima. Aurora
era stata così felice tra le sue braccia, Ettore temeva un
po’ a dire realizzata; i
primi giorni erano stati
magnifici, anche una passeggiata a Via del Corso o un gelato tra i
vicoli più
remoti di Roma bastavano a far sorridere i due innamorati.
Tuttavia,
poco più di una
settimana dopo il loro bacio sul balcone dell’albergo Aurora
aveva iniziato ad
apparire nervosa e insicura: rifiutava con le scuse più
strane di prendere la
sua mano, evitava di dormire nell’appartamento di Ettore,
sussultava quando lui
entrava nella sala prove – come se
temesse l’arrivo di qualcun altro in un momento in cui era
sola.
Possibile
che si fosse resa
conto solo dopo le vicende di Capodanno dei sentimenti che Marco
nutriva per
lei? Ettore si interrogava costantemente sul rapporto ormai freddo tra
i due
amici, aveva paura che Aurora, per il semplice desiderio della
compagnia di
Marco, finisse per lasciare il suo ragazzo – potevano
definirsi così? – e
gettarsi nel letto del chitarrista: amicizia o amore, non avrebbe fatto
differenza. Si riscuoteva sempre da quei pensieri, ricordando tutte le
volte,
durante quel mese, che Aurora si era sciolta al tocco dei suoi baci,
che
il suo corpo aveva risposto alle mani di Ettore, che lei era apparsa
raggiante.
Forse
le mancava parlare con
Marco, ma lei aveva deciso di appartenere a Ettore. Era inutile perdere
tempo a
porsi domande fastidiose e controproducenti.
Smise
di fumare ed entrò
nella sala prove, dando un’occhiata all’orologio:
meglio non ritardare
ulteriormente, il resto del gruppo era già lì.
Vide Aurora discutere con Manuel
del nuovo pezzo e la salutò con un leggero bacio sulla
fronte. Lei sorrise,
accarezzò velocemente la sua mano e tornò a
parlare con il bassista; con la
coda dell’occhio, Ettore notò che Marco era al
telefono e non si era nemmeno
accorto del gesto tra i due fidanzati. Meglio così: anche se
ormai il
chitarrista avrebbe dovuto abituarsi alla situazione, Ettore preferiva
evitare
che si creassero tensioni durante le prove.
All’uscita
avrebbe stretto a
sé Aurora con un bacio appassionato, che Marco lo avesse
accettato o no.
Fu
sollevato dall’assenza
delle solite amiche ridanciane di Simona, pensando che finalmente
avrebbero
potuto provare senza che Manuel cercasse di fare colpo – o di
farlo loro su
Ettore; purtroppo quel momento durò poco, perché
durante la terza canzone
Davide e Silvia entrarono nella stanza insonorizzata, tenendosi per
mano. Il
migliore amico del batterista cominciò a lanciare baci nella
sua direzione,
muovendo le labbra per fare il tifo in silenzio, mentre accanto a lui
Silvia
tratteneva una risata.
Improvvisamente
pochi minuti
dopo un’altra persona varcò la soglia della sala
prove: era una ragazza bionda,
probabilmente dell’età di Aurora, con indosso un
abito azzurro che risaltava i
suoi occhi e aderiva perfettamente al corpo snello. Sorrideva
timidamente,
portandosi una ciocca di capelli mossi dietro le orecchie – a
Ettore ricordava
qualcuno, ma non gli veniva in mente chi.
Davide
le rivolse un sorriso
ammiccante, guadagnandosi subito una gomitata nel fianco da Silvia.
Ettore non
poteva biasimarlo: questa volta l’amica di Simona era davvero
carina e non
sembrava, incredibilmente, nemmeno un’oca.
Simona,
però, non la degnò di
uno sguardo, forse perché aveva capito che doveva smettere
di interrompere le
canzoni ogni volta che una sua amica entrava nella stanza. Quando il
pezzo
terminò Simona rimase immobile, gettando solo una rapida
occhiata alla nuova
arrivata; Ettore si chiese se fosse amica di Aurora – ma in
tal caso Silvia non
l’avrebbe salutata? –, ma seguendo lo sguardo della
ragazza lo vide puntato su
Marco.
Forse
era una cugina, si
disse mentre il chitarrista appoggiava la Fender su una sedia per
raggiungere
l’ospite, forse un’amica di infanzia di cui non
avevano mai sentito parlare,
forse una collega di lavoro… Spalancò gli occhi
quando lo vide stamparle un
casto bacio sulle labbra rosse.
-
Come mai così elegante?
-
Non sapevo come vestirmi,
ho optato per questo abito… Ma in macchina ho felpa e jeans,
in caso avessi
toppato alla grande!
Parlavano
quasi bisbigliando,
intimi, e l’unico motivo per cui tutti potevano seguire la
loro conversazione
era che nella sala era calato il silenzio. Ettore si accorse che Manuel
spostava continuamente lo sguardo dalla coppia ad Aurora e questo lo
fece
irritare.
Alla
fine Marco sembrò
ricordarsi della presenza dei suoi amici e si voltò verso di
loro,
accompagnando la ragazza. – Lei è Rachele, - la
presentò.
Mentre
tutti la salutavano
con una strana espressione – perché mai ora non
era solo Manuel a fissare
Aurora? –, Ettore udì Simona, accanto a lui,
mormorare: - Questo sì che è un
colpo di scena.
Allora
capì.
Aurora.
Era
incredibile la
somiglianza tra Rachele e Aurora: anche se fisicamente erano abbastanza
diverse, la ragazza di Marco aveva molti atteggiamenti in comune con la
cantante dei Moonlight Sonada, a partire dal modo in cui, imbarazzata,
si
scostava i capelli dietro le orecchie fino ad arrivare al plettro che
portava
come ciondolo.
-
Marco mi ha detto che sei
una fan di Star Wars! –
esclamò
Manuel.
Avevano
anche gli stessi gusti?
-
Piacere, Aurora.
Solo
in quel momento si
ricordò della presenza nella stanza dell’ex fiamma
di Marco. Forse fu solo
un’impressione, ma a Ettore parve che Aurora stringesse la
mano di Rachele con
un sorriso tirato sul volto, come se faticasse a essere gentile.
Per
tutta la durata delle
prove, la cantante evitò di incrociare lo sguardo di Marco,
facendo crescere
così l’abisso che si stava creando fra di loro.
-
E allora lei mi fa: “Da, ma
ti sembra il caso di ammiccare a tutte le ragazze carine che incontri
anche
quando sei con me?” Santo cielo, non puoi capire quanto sia
rompiscatole!
-
Non sono ancora uscita, ti
sento! – gridò Silvia dalla soglia
dell’appartamento di Ettore.
-
Parlavo di un’altra
persona, tesoro mio! – strillò Davide in risposta.
Aspettò che la porta si
chiudesse dietro Silvia e Aurora, che stavano andando a prendere le
pizze per
la cena, poi si voltò verso Ettore, sospirando. –
La amo.
Il
suo migliore amico
represse una risata e si alzò dal divano per aprire
un’altra lattina di birra.
-
Hai proprio deciso di
mettere la testa a posto, allora?
Davide
si passò una mano tra
i capelli biondi. – Credo sia la mia prima fidanzata dai
tempi dal liceo. No,
aspetta… Non ho mai avuto una fidanzata al liceo, perlomeno
che sia durata più
di due settimane. È una strana esperienza, sai?
Ettore
non lo stava
ascoltando: si portò la lattina alle labbra,
assaporò la birra fresca e puntò
gli occhi alla parete bianca, sovrappensiero. Per fortuna Davide
notò il suo
viso rabbuiarsi e tentò di salvarlo dalla confusione che gli
teneva occupata la
mente.
-
Qual è il problema?
-
Non lo so, - rispose
Ettore, stropicciandosi gli occhi con la punta delle dita. –
Mi sento… mi
sembra come se lei non volesse stare con me.
-
Marco si è fatto avanti?
-
Che io sappia no, ma non
credo che me lo avrebbe detto. Comunque lui ha Rachele, no?
-
Stai parlando della Rachele
che ama Cat Stevens, i film in bianco e nero e la fantascienza?
L’Aurora
bionda? Voglio dire, - tentò di riprendersi Davide, capendo
di avere detto la
cosa sbagliata, - sì, Marco ha Rachele, hai ragione. Caso
chiuso.
-
No, per lui il caso non è
per niente chiuso, - replicò Ettore accartocciando con la
mano destra la
lattina ormai vuota, - altrimenti non starebbe uscendo con la copia
esatta di
Aurora.
-
Della tua ragazza, -
precisò Davide.
-
E con questo?
Si
avvicinò a Ettore e gli
circondò solidale le spalle con un braccio. –
Marco potrà anche stare con la versione
bionda di Aurora, ma l’originale è tua: sei tu
quello che dorme con Aurora,
quello che lei vuole baciare. Io credo che il fatto che Marco frequenti
Rachele
sia un bene per lui, perché ha trovato un’altra
donna con le sue stesse
passioni; quanto a te, che il tuo “rivale” sia
fidanzato o meno è completamente
irrilevante, visto che Aurora ha scelto te.
-
Si è solo lasciata
trasportare dal momento, prima non aveva fatto alcun passo verso di
me…
-
Oh, andiamo! – sbottò
Davide, evidentemente preoccupato per l’espressione cupa
sfoggiata dall’amico.
- Nessuna donna si sveglia la mattina e pensa:
“Dio, spero di non essere
rapita dal principe azzurro oggi!” E nemmeno: “Dio,
quel ragazzo così bello sta
sicuramente guardando me!” Sei un figo, amore mio,
è normale che Aurora abbia
pensato di non avere speranze con te e forse il problema è
che ancora adesso
non riesce a crederci!
Ettore gli rivolse una smorfia simile
a un sorriso: non era
del tutto convinto della tesi di Davide, ma le sue parole gli avevano
fatto
capire che si stava preoccupando troppo.
Aurora sta
con me,
Aurora vuole stare con me.
- Stanotte sbattila sul letto come
sai fare solo tu e vedi
come si accorge che non è un sogno! –
continuò Davide con una risata.
- Dimmi una cosa, Da: se avessi dei
dubbi su quello che
Silvia prova per te?
- Ti chiederei di spaccare il naso al
tizio che glieli
avrebbe fatti venire. Scusa, ma io non sarei convincente nel ruolo di
duro.
Però potrei passare la notte a piangere sotto il portone di
Silvia fino a che
non si deciderebbe ad amarmi e onorarmi per tutta la vita.
Ettore sorrise. – Sei
proprio innamorato, eh?
- Naaa, siamo solo agli inizi. Sai
che tu sei l’unico che
potrei mai amare!
Ettore
parcheggiò la macchina poco
lontano dalla casa di Aurora, arrendendosi all’evidenza: da
quando aveva
cominciato a frequentare la ragazza, non aveva mai trovato un posto
libero che
non fosse a meno mezzo chilometro di distanza. Tolse lo stereo per
riporlo nel
cassetto dell’auto, interrompendo così Heart
shaped box dei Nirvana.
Mentre era impegnato in
quell’azione, sentì qualcuno bussare
sul finestrino.
- Ehi!
Rachele?
Scese dall’auto per
salutarla. – Ciao. Cosa ci fai da queste
parti?
- Abito qui, - rispose Rachele con un
sorriso, mettendosi le
mani nelle tasche dei jeans e dondolando sui talloni: con la maglietta
di E.T. al posto
dell’abito azzurro la
somiglianza con Aurora era ancora più evidente, ma Ettore si
costrinse a non
pensarci. – Tu invece? Credevo fossi di Roma.
- Sì, sono venuto a
trovare la mia ragazza.
- Oh, è di Viterbo anche
lei?
- L’hai conosciuta
l’altra sera: è Aurora, la nostra
cantante.
Improvvisamente Rachele smise di
dondolarsi e il suo sorriso
si affievolì. – Ah, - esclamò con tono
piatto. – Ora capisco.
Sembrava stesse parlando
più a se stessa che a Ettore,
mentre il suo sguardo lentamente si rabbuiava.
- Qualcosa non va?
Rachele sussultò e
tornò a sorridere, ma al batterista non
sfuggì il modo in cui le sue dita afferrarono una ciocca
bionda per portarla
dietro l’orecchio sinistro. – Tutto a posto! Scusa,
ma ora devo andare, sono in
ritardo per le lezioni di chitarra: se lascio sola quella banda di
ragazzini
pestiferi ancora una volta finiranno davvero per distruggere
l’aula. Beh, buon
pomeriggio!
- Aspetta! – Fu
l’improvvisa sensazione che attraversò il
petto di Ettore a richiamare Rachele prima che potesse allontanarsi
ulteriormente.
- Che c’è?
No, si stava sbagliando. Come gli era
venuta in mente un’idea
così sciocca? Tuttavia…
- Tu e Marco vi conoscete da un mese,
vero? Me l’ha detto
Manuel.
- Sì.
- Dove vi siete incontrati?
Rachele guardò
l’asfalto ai suoi piedi, diede un calcetto a
una lattina vuota di Sprite e dopo qualche secondo riportò
gli occhi azzurri su
quelli scuri di Ettore.
- In una fumetteria di Roma. Ero
lì per cercare un vecchio Spider-Man
e lui aveva in mano proprio
il numero che mi serviva. Devo andare… Ciao!
Ettore avrebbe dovuto considerarsi
sollevato da quella
risposta, eppure la strana sensazione non accennava ad abbandonarlo.
Solo dopo
che ebbe passato il resto della giornata con Aurora sul suo divano,
stretto tra
le sue braccia e i suoi gemiti, si rese conto che Rachele non gli aveva
chiesto
il perché di quella domanda così improvvisa.
Nessuna donna si
sveglia la mattina e pensa: “Dio, spero di non essere
rapita dal principe azzurro oggi!” (Hitch)
|
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Capitolo 9 *** XI ***
IX.
Approfittando della pausa tra le due
ore di Letteratura spagnola,
Aurora si recò in bagno sovrappensiero; provò a
spingere la porta, ma quella
sembrava non volere aprirsi.
- Fanculo!
Dietro di lei qualcuno diede un
calcio alla porta testarda e
la spalancò. – Come mai oggi ci delizi con questo
linguaggio così aulico?
- È una giornata
terribile, mi va tutto storto, - rispose
Aurora, entrando nel bagno con Silvia.
- Perché sei arrivata in
ritardo? Non ti ho vista a
Informatica.
- La macchina non partiva, -
mentì. – Sono… sono venuta a
piedi.
- Credevo non avessi dormito.
- Ho dormito.
- Che brava! – la
punzecchiò Silvia. – Io non sarei riuscita
a dormire dopo avere passato una serata in compagnia del mio ex
spasimante e
della sua nuova fiamma.
Aurora avvampò e si chiuse
subito la porta del gabinetto
alle spalle, in modo che Silvia non potesse scoprire che le sue
insinuazioni
velate avevano appena fatto centro.
- È carina, -
continuò la sua amica: doveva esserci del
sadico in lei. – Sembra anche simpatica, peccato che tiri
sempre fuori il terzo
film di Star Wars… Hai
fatto caso che
avete molte cose in comune? Potreste fare un’uscita a
quattro, una sera di
queste.
- Silvia.
- Sì?
- Piantala.
- Di fare cosa? – chiese
Silvia con un finto tono ingenuo.
Aurora non rispose, sapendo che una confessione era proprio
ciò a cui voleva
arrivare l’amica. – Ah, mi sono appena ricordata
che Marco aveva parlato di
quel film di fantascienza che sta per uscire: mi sembra
l’occasione perfetta!
Però non credo che Ettore si divertirebbe… Beh,
andateci voi tre, io e Davide
porteremo il tuo ragazzo alla prossima partita della Roma!
Aurora aprì la porta,
rassegnata. – Sì, quella Rachele mi
sta sulle palle. Sì, il motivo è il suo legame
con Marco. Sì,
l’ultima cosa che vorrei è passare
un’intera serata sola con
loro due.
- E perché ti
dà così fastidio che stia con Marco? –
continuò a stuzzicarla Silvia, con un’espressione
soddisfatta sul volto.
- Perché… -
Aurora sospirò. – Ok, lo ammetto:
perché andavo
così d’accordo con Marco, era fantastico poter
condividere tutte le mie
passioni con qualcuno e ora lui ha Rachele, che gli parlerà
di Star Wars e per giunta sotto le
coperte!
Silvia era ammutolita. Dopo qualche
secondo passato a
fissare Aurora con gli occhi strabuzzati riacquistò il dono
della parola.
- Stai scherzando.
- No, è vero: Marco mi
manca.
- Sì, lo
so, che
ti manca… Ma non perché non hai qualcuno con cui
parlare di spade laser e
alieni dal muso verde.
- Silvia, no.
- Tu non puoi fare a meno di lui.
- Silvia, per favore…
- Ti mancano il suo sorriso, la
vostra complicità, il modo
in cui guardava solo te…
- Silvia…
- Sai che lo fa ancora? Sai che ti
guarda ancora in quel
modo?
Aurora avvertì la
confusione posarsi sulle sue palpebre e
pesare come pietre, mentre nella sua testa una vocina, che non era
quella di
Silvia, ripeteva soddisfatta: - Ti guarda ancora in quel modo!
Si accasciò al pavimento,
la schiena contro la parete
bianca, indifferente a tutti i piedi che avevano calpestato le
mattonelle su
cui stava poggiando la nuova gonna viola; sollevò il capo e
rivolse lo sguardo
al soffitto, cercando di reprimere le lacrime.
- Io sto con Ettore… Ho
sempre voluto stare con lui…
- Lo so, - disse Silvia, ora meno
incline a prenderla in
giro, e si sedette accanto a lei. – Però il
ragazzo giusto non è mai quello che
ci aspettiamo. Tu mi avresti immaginata insieme a uno come Davide? Il
mio tipo
ideale è un eroe senza macchia né paura, e ora
sto con una femminuccia
egocentrica e vanitosa che passa un’ora davanti allo specchio
per controllare
che la sua camicia non abbia nemmeno una piega! E nonostante tutti i
suoi
difetti, nonostante quanto mi abbia fatto soffrire all’inizio
la sua codardia,
non lo cambierei con nessun altro perché con lui posso
essere me stessa.
- Io sono me stessa con Ettore -. Ad
Aurora bastò dirlo ad
alta voce per rendersi conto che stava mentendo. – E se anche
così non fosse?
Marco mi piace, è vero, - e in quel momento la voce nella
sua testa lo stava
urlando, - ma siamo entrambi fidanzati e me ne farò una
ragione.
- Certo, fai bene: rischia pure di
ritrovarti tra, che ne
so, cinque anni davanti all’altare capendo di avere fatto la
scelta sbagliata!
– Silvia si alzò e si pulì velocemente
i jeans. – Andiamo, Quevedo non aspetta.
Aurora si stiracchiò,
stanca per le notti insonni che stava
passando nell’ultima settimana. Ringraziò
mentalmente l’appuntamento di Simona,
motivo per cui avevano dovuto spostare le prove nel pomeriggio,
così da non
dover guidare di notte né chiedere ospitalità a
Ettore. Erano diversi giorni
che non si rifugiava tra le sue calde braccia, ma dopo la confessione
nel bagno
dell’università – “Marco mi
piace, è vero” – preferiva non correre
il rischio
di pensare a un altro mentre il suo ragazzo le cingeva la vita.
Questa
storia deve finire.
Perché i suoi amici non si
sbrigavano ad arrivare? Eppure
Simona aveva ripetuto più volte a tutto il gruppo di
concludere presto le prove
per poter passare almeno due ore a prepararsi.
Si lasciò cadere sul
divano, esausta, pensando che
nell’attesa avrebbe potuto fare un riposino…
Qualche minuto… Chiudere gli occhi
giusto un attimo…
No, non era possibile: dopo che mille
immagini avevano
vorticato nella sua testa, una si stagliò nettamente tra le
altre, irritante e
rinfrescante allo stesso tempo. Era quello il motivo per cui faticava a
prendere sonno, perché ogni volta che chiudeva gli occhi
Marco era lì,
sorridente e con una battuta pronta per farla ridere come fino a
qualche
settimana prima.
Ora però non aveva la
consueta espressione divertita; al
contrario, Aurora l’avrebbe definito malinconico e un
po’ triste. Ebbe
l’istinto di allungare una mano e accarezzargli la guancia:
sembrava così
affranto, forse il suo tocco l’avrebbe tirato su.
Passò delicatamente le dita
su quel viso e Marco chiuse gli occhi in una smorfia di dolore.
Quel sogno sembrava così
reale…
Aurora sobbalzò.
Marco.
Il ragazzo era veramente
lì, chino sul divano. Da quanto
tempo la stava guardando? Aurora si accorse di avere ancora la mano
poggiata sulla
guancia di Marco; tentò di ritrarla, ma lui
l’aveva avvolta con le proprie
dita, incapace di lasciarla andare. E in quel momento Aurora
capì che sarebbero
rimasti così per ore, se solo non si fosse ricordata che
Ettore sarebbe potuto
entrare da un momento all’altro.
Strattonò la mano e
balzò in piedi; fu subito costretta ad
aggrapparsi all’asta del microfono per non cadere, ancora
intontita. Marco, dal
canto suo, non fece gesti plateali, non la implorò di
accarezzarlo ancora, ma
le diede le spalle e cominciò a rovistare nel mobiletto in
cui il gruppo teneva
i pezzi di riserva per ogni strumento.
- Come mai sei qui?
Era la prima volta che Marco le
parlava dopo l’incontro
sotto la pioggia a Viterbo: le era mancata quella voce, se ne accorse
quando
avvertì aumentare la propria riserva di ossigeno. Era
talmente concentrata su
quel particolare che non si accorse immediatamente della stranezza
della
domanda.
- Per le prove, no?
Vide l’addome di Marco
allargarsi e poi contrarsi; un timido
sorriso le solcò il volto, prima di accorgersene e
cacciarlo. Lo stava ancora
fissando quando lui si voltò e Aurora fu costretta a portare
rapidamente lo
sguardo sulla batteria.
- Le abbiamo rimandate alla prossima
settimana, - disse Marco,
facendole distogliere per un momento l’attenzione dal battito
del proprio
cuore. – Oggi non potevamo tutti.
- Sì, ma si era detto di
farle nel pomeriggio…
- Finché Simona non ci ha
ripensato e ha deciso che avrebbe
messo più tempo del previsto a truccarsi.
Ora che Marco glielo stava
ricordando, le parole di Simona
risuonarono chiare nelle sue orecchie.
Maledizione, aveva fatto tanta strada
per niente! E aveva
pure avuto una conversazione imbarazzante con Marco, anche se non
poteva negare
che le avesse fatto piacere.
- Cosa stai cercando? – gli
chiese, ansiosa di ascoltare
ancora la sua voce
- Le corde della chitarra: a casa non
ce ne sono più, ma ero
sicuro di averne lasciato un pacchetto qui. A meno che stamattina,
quando è
venuto a pulire, Manuel non le abbia mangiate; in tal caso accordare la
mia
Fender sarebbe l’ultimo dei problemi.
Aurora sbuffò divertita e
Marco le rivolse un sorriso. Le
era mancato così tanto… Ma perché
doveva finire proprio così? Perché non
potevano essere solo amici?
- Ti serve un passaggio fino alla
stazione?
- No, sono in macchina.
- Ok -. Marco chiuse
l’ultimo cassetto e si diresse verso la
porta. – Le corde non ci sono, quindi direi che prima
passerò da Manuel a
vedere come sta e poi farò un salto a comprarne altre. Ci si
vede.
Se ne va?
Effettivamente Marco non aveva
pretesti per rimanere: doveva
prendere le corde, tornare a casa, forse chiamare Rachele e mettersi
d’accordo
con lei per la serata. Tuttavia quel saluto frettoloso
ricordò ad Aurora come
fosse la loro relazione prima di Capodanno, quando cercavano di passare
più tempo
insieme per poter parlare di fantascienza, Cat Stevens e Fender senza
che
l’altro interlocutore sbuffasse e tentasse di cambiare
argomento.
Oppure solo
per stare
vicini.
-
Hai visto il nuovo
film della Marvel che sta per
uscire?
– Forse agli occhi di Marco stava apparendo come una ragazza
disperata che
faceva il possibile per intavolare una conversazione con lui, ma non le
importava: voleva sentire ancora la sua voce.
- Sì, - rispose Marco,
fermandosi sulla soglia della sala
prove. – Pensavo di andarci il giorno della prima, mi
piacerebbe passare la notte
in fila davanti al cinema!
Potremmo
andarci
insieme.
No, si sgridò, non era la
cosa giusta da dire. Non con
Ettore, non con Rachele nelle loro vite.
- È da un po’
che non parliamo, - confessò infine, - mi
mancano i nostri discorsi. La tua presenza.
Marco richiuse la porta e
puntò gli occhi neri su quelli
castani di Aurora. – Le cose non potranno più
tornare come prima.
- Ma io non ho fatto niente!
- No, è vero, non hai
fatto niente, - concordò. – Il problema
è che tu mi vuoi accanto come amico e… beh, forse non
riesco ad essere semplicemente tuo amico.
-
Non potresti provarci?
Ecco,
ora parlava davvero da
disperata.
Marco
le si avvicinò, lo sguardo
serio fisso su di lei; Aurora lo aveva visto così solo quel giorno.
-
Sei bellissima.
Chiunque
avrebbe detto “Ti amo” o “Ho
perso la testa per te”, ma Marco aveva espresso tutti i suoi
sentimenti con
quelle due parole: Aurora indossava una t-shirt sformata e un paio di
jeans
sporchi e pieni di strappi, vestiti che utilizzava per casa, e i suoi
capelli
erano raccolti sopra la testa da un mollettone, solo alcune ciocche
castane le
ricadevano sul viso. Marco l’aveva definita
“bellissima” e nessun “Ti amo”
sarebbe mai stato paragonabile a quello che aveva velatamente
pronunciato lui.
E
ora Marco la fronteggiava, senza
alcuna traccia della consueta ironia nella voce, e Aurora sentiva di
non essere
ancora pronta: avrebbe ceduto e se lo sarebbe rimproverato per tutta la
vita.
Marco
le mise una mano sulla spalla.
– Provare ad esserti amico quando vorrei solo spogliarti?
Parlare con te di Star Wars e
chitarre mentre nella mia
mente sei nuda e mi chiedi di amarti?
Aurora
indietreggiò, allarmata.
Quello non era il Marco che conosceva, perché si stava
comportando così? Marco,
però, sembrò non curarsi della sua preoccupazione
e continuò ad avvicinarsi,
fino a che la ragazza non si ritrovò con la schiena al muro.
-
Sai cosa vorrei fare in questo
momento? Strapparti la maglietta e graffiarti i seni con i miei denti,
così
sarei come lui -. Marco
piegò la
testa e le sfiorò il collo con le labbra: Aurora poteva
avvertire il suo
respiro contro le vene pulsanti. – Baciarti il
collo… - La sua mano raggiunse
la vita di Aurora e le sollevò un lembo della maglia rossa,
accarezzando la sue
pelle con la punta delle dita. – Scoprire se sei davvero
bella come nei miei
sogni.
Il
tocco di Marco era sceso sulle sue
gambe tremanti, ma Aurora non sapeva in che modo scacciarlo…
Se scacciarlo. Fu quando la mano
cominciò a risalire che Aurora si mosse per impedirglielo.
Non fece in tempo ad
alzare il braccio: Marco le afferrò il polso e lo
sbatté al muro.
-
Hai paura che ti costringa? –
sussurrò al suo orecchio. – O temi di cedermi?
In
quel momento Aurora non avrebbe
saputo rispondergli: non era Marco quello che le stava davanti, era
solo una
copia sbiadita di Ettore. Una copia che forse era venuta male apposta.
Ripensò
allo sguardo malinconico con cui l’aveva osservata aprire gli
occhi poco prima,
alle dita che stringevano la sua mano per far durare quel tocco il
più a lungo
possibile. Alla fine Marco ridusse quasi completamente la distanza tra
i loro
volti; Aurora poteva vedere l’espressione di sfida nei suoi
occhi neri, poteva
inclinare leggermente lo sguardo e scoprire le loro labbra a una
brevissima distanza.
-
Non lo farei, lo sai, e non lo
faresti neanche tu.
Dopo
quell’ultima constatazione Marco
lasciò andare il suo polso e si allontanò verso
l’uscita della sala prove,
senza voltarsi a guardarla. Aurora tremò più di
quanto avesse fatto fino a quel
momento e si accasciò a terra, scossa da lacrime e
singhiozzi.
-
Ultima chiamata: imbarco per il
volo 3029 al gate… - tuonò la voce
dall’altoparlante dell’aeroporto di
Fiumicino.
Aurora
aprì il documento di identità
e lo mostrò all’impiegato insieme al biglietto;
mentre aspettava che il
controllo terminasse il suo cellulare squillò e il nome Ettore lampeggiò sul display.
Aurora chiuse la chiamata senza
esitazioni, abituata a quel gesto da ore, e spense il telefono. Sapeva
che,
quando lo avrebbe riacceso, avrebbe trovato messaggi di chiamata anche
da parte
di Silvia, Manuel, forse perfino Marco, ma non le importava.
Afferrò
la valigia mentre l’impiegato
le faceva segno di andare avanti.
-
Buon viaggio, signorina.
Citazione: "Forse non riesco ad essere
semplicemente tuo amico."
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Capitolo 10 *** X - Epilogo ***
X.
– EPILOGO
Sei così bella, ma vorresti sparire
in mezzo a tutte queste facce,
come se con te svanisse anche il dolore
senza lasciare tracce.
Marco
non accendeva il cellulare da
tre giorni; si era isolato in casa, aveva staccato il cavo del telefono
e
passava il tempo lavorando al computer o strimpellando con la chitarra.
Talvolta lo attraversava il pensiero che qualcuno avrebbe potuto
cercarlo per
questioni importanti e allungava una mano verso il cellulare,
ritrovandosi
tuttavia a ritrarla non appena si ricordava di ciò che
sarebbe potuto apparire
sul display.
Messaggio
di Aurora.
Messaggio
di Ettore.
Messaggio
di Rachele.
Riflettendo
in quelle ore di fronte a
complicati calcoli matematici che apparivano sullo schermo del computer
– e che
lui risolveva con minore facilità rispetto al solito
–, si rese conto che non
avrebbe potuto ricevere un sms da parte di Aurora: perché
mai lo avrebbe
cercato? Fosse stato in lei sarebbe partito con il primo treno o volo
verso la
meta più lontana per schiarirsi le idee e capire se
desiderava realmente
restare nei Moonlight Sonada, alla continua presenza di Marco.
Un
sms da Ettore? Se il ragazzo
avesse scoperto quello che era successo tre giorni prima nella sala
prove, non
avrebbe perso tempo a scrivergli: si sarebbe presentato davanti al suo
appartamento, avrebbe buttato giù la porta e
l’avrebbe inchiodato al muro con
le sue enormi braccia.
In
realtà Marco sapeva bene che non
avrebbe ricevuto messaggi o chiamate da parte di Aurora o Ettore.
Temeva
Rachele.
Temeva
uno dei suoi soliti sms su
quanto si annoiasse a lezione, sulla giacca improponibile indossata dal
suo
professore, sull’ultimo film di fantascienza che aveva visto
con le sue amiche
senza che loro ci capissero niente.
Temeva
di sentire la sua voce allegra
che gli chiedeva come stava o se si potevano vedere quella sera.
Dopo
quello che era successo con
Aurora, Marco non trovava il coraggio di guardare negli occhi Rachele;
ufficialmente loro due non erano ancora una coppia – né credeva lo sarebbero diventati, a
quel punto – però si
frequentavano, andavano al cinema insieme, cenavano fuori, tutti motivi
per cui
lui non avrebbe dovuto provocare un’altra ragazza. Anche se
quella ragazza era
Aurora, anche se avrebbe potuto amarla per il resto dei suoi giorni.
Con
quell’ultima considerazione si
rese conto di quanto stesse diventando melodrammatico; si decise infine
ad
afferrare il cellulare e ad accenderlo. In quel momento, nel pomeriggio
del
terzo giorno, qualcuno suonò il campanello
dell’appartamento. Per qualche
secondo Marco rimase immobile, spaventato dagli innumerevoli volti che
gli
balenarono nella testa – Aurora, Rachele, Manuel, Ettore, di
nuovo Aurora,
ancora Rachele, Silvia, Simona, Davide… –
finché non ricordò che aveva appena
decretato la fine del suo periodo di reclusione.
Aprì
la porta, preparandosi al peggio
– rappresentato da un uomo di trent’anni dai
bicipiti immensi che gli spaccava
in testa la sua Fender.
-
Ehi, ciao!
Come
aveva immaginato, la voce di
Rachele gli raggelò il petto, ma c’era qualcosa di
più: il tono della ragazza
sembrava forzatamente euforico e i suoi occhi azzurri tendevano a
spostarsi dal
viso di Marco all’interno dell’appartamento, come
se stesse cercando di
scoprire per quale motivo lui fosse sparito dalla circolazione.
-
Ciao, - la salutò Marco con un
sorriso tirato. Non riuscì a baciarla sulle labbra, le fece
solo segno di
accomodarsi. – Entra pure. Come stai?
Rachele
si gettò sul divano,
evidentemente nella speranza di sembrare a proprio agio,
però la schiena
esageratamente dritta la tradì.
-
Bene! E tu? Che fine avevi fatto?
-
Avevo bisogno di tempo per pensare,
- rispose Marco con sincerità: non poteva fingere che
andasse tutto bene, non
era giusto per entrambi.
-
Ah -. Rachele si scostò una ciocca
di capelli dietro l’orecchio, provocando una fitta nello
stomaco di Marco. –
All’inizio credevo che non volessi vedermi, ma poi Manuel mi
ha chiamata
allarmato perché non riusciva a mettersi in contatto con te
ed essendo a Torino
non poteva “piombarti in casa”, sue testuali
parole. Così sono passata a
trovarti -. Si sforzò di ridere. – Ora posso
rassicurarlo!
-
Rachele, - esordì Marco dopo un
respiro profondo, - ho riflettuto molto, come ti ho detto… E
credo che sia
arrivato il momento di smettere di prenderti in giro.
-
Dimmi solo che non l’hai fatto
intenzionalmente.
-
No, mai! Non c’è stato nemmeno un
momento in cui abbia pensato che uscivo con te
perché…
-
Perché ti ricordo Aurora, -
concluse mestamente Rachele. Sollevò un angolo della bocca
in una smorfia che
avrebbe dovuto essere un sorriso. – Mi ero accorta delle
somiglianze tra di noi
quando ci hai presentato nella sala prove e mi sono chiesta
perché non mi
avessi parlato prima di lei; dopotutto avevamo molti gusti in comune,
mi
sembrava strano che non te ne fossi mai accorto. È stato
quando ho incontrato
Ettore a Viterbo, vicino casa mia, che ho collegato ogni tassello:
quella sera
eri andato da Aurora.
-
Avresti potuto lasciarmi, - mormorò
Marco, intuendo quanto dovesse essere stata dura per la ragazza.
Rachele
scosse la testa,
rivolgendogli un sorriso triste. – Vorrei poter dire che non
l’ho fatto perché
aspettavo che tu ti mostrassi un “vero uomo” e mi
spiegassi, o forse ti
accorgessi di come stavano le cose. Sarebbe una bugia, almeno in parte:
non ho
affrontato il discorso perché volevo stare con te. Non so,
probabilmente
speravo che tu l’avresti dimenticata, col tempo -.
Sospirò. – Ma non è andata
così.
Il
primo istinto di Marco fu di
stringere Rachele tra le braccia; lo fece subito, senza esitare,
sapendo che
con tutte le sue esitazioni non aveva fatto altro che ferire se stesso
e le
persone che gli stavano intorno: doveva dichiararsi immediatamente ad
Aurora,
doveva dirle che si erano davvero baciati quella notte a casa sua,
doveva
spiegare a Rachele che aveva ancora un’altra persona nella
testa. L’abbracciò e
Rachele si lasciò andare per un momento, appoggiando la
testa sulla sua spalla.
Quando
il cellulare di Marco squillò
– aveva finto di non sentire l’arrivo dei messaggi
– fu Rachele ad allontanarsi
da lui.
-
Rispondi, - gli disse, notando il
nome sul display. – Tranquillizzalo.
Manuel
urlò dall’altra parte della
cornetta: - Dove diavolo ti sei cacciato?!
-
Sono a casa.
-
Beh, potevi informarmi di questa
nuova “reclusione”! Aurora è con te?
Marco
aggrottò le sopracciglia. – No,
perché?
-
Non hai letto i miei messaggi?
Ettore la sta cercando da due giorni: è sparita anche lei.
Ettore
mandò giù un altro sorso di
birra e si asciugò con il braccio le labbra bagnate; se ne
stava in silenzio,
come se fosse solo, eppure dall’altro lato del tavolo Davide
lo scrutava preoccupato,
attento a ogni minimo dettaglio. Solitamente, quando il volto di Ettore
si
oscurava, il suo migliore amico cercava di fargli tornare il sorriso
facendo
qualche battuta sul fatto che fosse davvero sexy con
quell’espressione e che
avrebbe voluto saggiare la sua più che evidente
virilità.
Tuttavia
sembrava che Davide avesse
paura ad aprire bocca davanti a quello sguardo furioso.
Ettore
era consapevole del terrore
che incuteva nell’amico, ma non aveva alcuna voglia di
fingersi tranquillo e
ascoltare le cavolate di Davide: la sua ragazza non si faceva viva da
ormai due
settimane e l’unica notizia che aveva avuto di lei gli era
arrivata tramite Silvia,
rassicurata dalla madre di Aurora che sua figlia stava bene. Non sapeva
dove
fosse, né per quanto altro tempo sarebbe stata via e la
presenza di Davide lo
irritava ancora di più, poiché sospettava che
Silvia fosse a conoscenza di
particolari su quella fuga e che stesse cercando di tenerli nascosti.
Perché
allora Davide, che si definiva un “fratello”, non
costringeva la sua ragazza a
dire la verità?
No,
stava sbagliando, non doveva
prendersela con lui; in fondo Davide era lì, presente come
sempre, ed era certo
che facesse pressioni su Silvia che, dal canto suo, non gli sembrava il
tipo di
persona che si divertiva a far stare sulle spine gli amici.
-
Sai che hanno aperto un negozio di
fritti a Ostiense? – esclamò improvvisamente
Davide. – Potremmo prendere un
cartoccio di calamari o verdure e cenare a…
-
No, - lo interruppe Ettore, - non
ne ho voglia -. Bevve l’ultimo sorso di birra, poi
lanciò la lattina vuota
contro la parete della sua cucina. – Maledizione!
Sbatté
il pugno sul tavolo, facendolo
tremare, e si alzò dalla sedia per placare l’ira:
Aurora non immaginava nemmeno
cosa stesse provando in quel momento, cosa avesse provato per settimane senza ricevere suo notizie
o almeno una lettera in
cui gli spiegava perché fosse sparita. Ettore non sapeva
niente, niente, e questo lo faceva
andare in
bestia. Inizialmente aveva pensato che Marco c’entrasse
qualcosa, ma dopo
averlo incontrato con gli altri amici e avere visto la sua
preoccupazione si
era impedito all’ultimo momento di spaccargli il naso con un
pugno.
-
Ettore?
Il
tono con cui parlò Davide, che
osservava il cielo scuro fuori dall’appartamento, lo
riportò immediatamente al
presente; si affrettò a raggiungerlo e scrutò
fuori dalla finestra anche lui.
Aurora.
La
ragazza era in piedi di fronte al
suo cancello, come se stesse soppesando la possibilità di
citofonargli o meno.
Senza darle il tempo di pensarci ulteriormente, Ettore si
lanciò fuori di casa,
felice della prospettiva che, in qualunque modo fossero andate le cose,
ci
sarebbe stato Davide ad aspettarlo.
Come
poteva ancora chiedersi se
suonargli fosse la cosa giusta? Non le era bastato scomparire per due
settimane, lui non aveva sopportato abbastanza? Le avrebbe urlato
addosso, le
avrebbe ringhiato contro fino a spaventarla, rinfacciandole di essere
sparita
senza lasciare alcun biglietto; l’avrebbe anche presa a
schiaffi se vedendolo
avesse sorriso e, sì, lo avrebbe fatto anche se avesse
pianto. Voleva gridare,
mostrarle quanto avesse sofferto privo di qualunque sua notizia.
Uscì
dal portone con quelle
intenzioni, poi la vide accanto al cancello. Aurora si accorse della
sua
presenza, il dito ancora premuto sul citofono; il suo volto era colmo
di
tristezza.
Ettore
non le avrebbe fatto nulla,
l’avrebbe solo stretta a sé, ma quel semplice
sguardo gli fece capire che
Aurora non avrebbe restituito il suo abbraccio.
Aurora
tirò su con il naso, ma non
poteva fare altro che singhiozzare in silenzio: altri due piani e poi
finalmente avrebbe potuto gettarsi nel proprio appartamento, dove
nessuno
l’avrebbe vista piangere né udita singhiozzare.
Aveva scelto quel giorno per
tornare perché sapeva che i suoi genitori sarebbero partiti
per il fine
settimana e lei avrebbe potuto lasciarsi andare senza dover spiegare i
motivi
della sua tristezza; era stata dura convincerli a lasciare la
città nonostante
il suo rientro, però alla fine sua madre si era convinta.
Aurora poteva restare
sola.
-
Ho pensato molto in questo periodo... e in qualche modo sono riuscita a
fare
chiarezza suoi miei sentimenti.
Strinse
le palpebre per ricacciare
indietro le lacrime salite al ricordo del discorso fatto solo due ore
prima a
Ettore; si chiedeva ancora come fosse riuscita a guidare fino a casa.
Era
assurdo, inspiegabile che lei avesse lasciato il ragazzo che aveva
desiderato
per più di un anno e mezzo, prima ancora di entrare nei
Moonlight Sonada; era
assurdo perché Ettore era il ragazzo dei suoi sogni, il tipo
di uomo che nei
film la faceva sempre emozionare, quello per cui fin da bambina
sospirava prima
di andare a dormire.
-
Non tornerai sui tuoi passi, vero?
No,
non sarebbe tornata indietro: non
aveva ancora capito cosa provasse per Marco,
“l’eterno amico” delle
protagoniste dei libri, il ragazzo che arrivava sempre secondo e
osservava la
sua amata raggiungere all’altare l’uomo dei sogni.
Forse, però, era giunto il
momento di smettere di paragonare la propria vita alla finzione, forse
Aurora doveva
finalmente aprire gli occhi; tuttavia, per quanto le fosse risultato
chiaro, in
quelle due settimane di lontananza, che non poteva amare Ettore se la
sua mente
era colma di dubbi, non riusciva ancora a definire i suoi sentimenti
per Marco.
Ma non doveva fare per forza una scelta tra i due, no? Poteva anche
solo capire
che non era pronta per una storia importante con Ettore, che aveva sei
anni più
di lei, un lavoro e una casa propria, e che Marco era solo un amico di
cui,
inspiegabilmente, era gelosa.
-
È stato bello rivederti.
Represse
un singhiozzo e si portò una
mano davanti alla bocca. Ormai era arrivata, doveva solo raggiungere la
porta
in fondo al corridoio e…
Marco.
Forse,
senza rendersene conto,
desiderava così tanto vederlo che lo riconobbe ancora prima
che alzasse la
testa. Era seduto a sinistra della porta, gli avambracci poggiati sulle
ginocchia e lo sguardo rivolto a terra; la testa scattò
verso l’alto quando udì
i passi di Aurora raggiungere il terzo piano.
-
Aurora… - esordì, portando una mano
sul pavimento per darsi la spinta necessaria ad alzarsi.
-
Come sei entrato? – le chiese lei,
sentendo ancora un tuffo al cuore al suono della sua voce.
-
Il mio palazzo non è l’unico dove i
condomini lasciano sempre il portone aperto, - si sforzò di
sorridere Marco.
Quel
sorriso, quel sorriso.
-
Da quanto tempo sei qui? Sapevi
quando sarei tornata?
-
Potrei dirti che avevo deciso di
accamparmi fuori dal tuo appartamento, nutrito dai vicini con biscotti
e
crocchette per gatti, finché non ti saresti fatta vedere, ma
temo che più che
romantico passerei per patetico. La verità è che
mi ha avvertito Silvia, mi ha
detto che il tuo volo era atterrato alle due. Perché sei
arrivata solo adesso?
Sono passate diverse ore.
-
Dovevo parlare con Ettore -. Aurora
si morse le labbra, trattenendo le lacrime: era arrivato il momento di
chiarire
la faccenda una volta per tutte, aveva già rimandato
abbastanza e le sue
esitazioni non avevano nuociuto solo a lei. – Ci siamo
lasciati.
-
Oh, che caso: due single nello
stesso corridoio! – tentò di scherzare Marco.
-
Tu…?
-
Non importa cosa provi per me: non
posso stare con Rachele se solo sfiorando una chitarra riesco a sentire
la tua
voce.
Era
difficile, era maledettamente
difficile dirgli che non
lo ricambiava se Marco continuava a parlarle in quel modo.
-
Devo parlare anche con te -. Trasse
un respiro profondo; avvertiva le lacrime salire, ma non aveva la forza
per
fermarle. – Io… io non so come dirtelo -.
Perché era stato più facile spiegarlo
a Ettore?
Marco
si avvicinò. – Parla, fallo.
Di’ tutto quello che hai da dire; manda pure in
frantumi le mie
illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare a cancellare la tua
immagine dal mio cuore.
Quelle parole colpirono Aurora come
un calcio nello stomaco.
Era troppo: superò Marco e scappò in casa,
sbattendo la porta dietro di sé. O
almeno così credeva.
Marco fermò la porta con
un piede e la spinse per aprirla
completamente. Senza dire una parola afferrò il volto di
Aurora e la baciò,
spingendola contro il mobile all’ingresso.
Allora lei non ebbe più
bisogno di pensare.
Lasciò che le mani di
Marco le sfilassero il giacchetto
mentre la lingua cercava la sua, la trovava e la cercava ancora:
sembrava che
Marco stentasse a convincersi che tutto ciò stesse accadendo
realmente, che
dopo mesi finalmente poteva baciare le labbra di Aurora e lei lo
ricambiasse.
Si aggrappò al mobile per non cadere, premette il corpo
contro quello della
ragazza e infine la spinse contro il muro.
Rimasero un attimo in silenzio per
riprendere fiato, poi
Marco le sorrise.
- Com’era la storia?
“Chi non è disposto a sembrare stupido
non merita di essere innamorato”?
Marco sorrise a Silvia mentre le
passava la porzione di
patatine fritte. Intorno a loro la musica delle giostre si mescolava
alle grida
eccitate dei bambini; era una sera di febbraio e l’aria era
ancora pungente, ma
la pioggia aveva deciso di lasciare in pace Roma per qualche ora.
- Che dici, me lo sono meritato?
Silvia intinse una patatina nel
ketchup e finse di
riflettere. – Uhm… Cinque mesi di attesa, un
viaggio per Capodanno sprecato,
una notte quasi “al freddo e al gelo” in un
parcheggio di Viterbo, tre
settimane di illusione con un’altra ragazza… Ma
devo dire che forse lei ti
batte: un biglietto di sola andata per Vienna.
- Ahia, hai ragione, -
esclamò Marco, addentando il suo
panino. – Mi sarei aspettato una follia del genere solo da
Manuel.
- Prima o poi lo farà.
Sono certa che un giorno non arriverà
alle prove e chiamandolo scoprirete che è in America!
- A Brooklyn.
- Perché proprio a
Brooklyn?
Marco si strinse nelle spalle.
– Boh, mi dà l’idea che sia
il luogo ideale per incontrare la ragazza dei suoi sogni.
- Alta? Mora?
- Bionda. E con una voce angelica.
Silvia rise. – Conosci
proprio i suoi gusti!
- A dire la verità, non
gli piace quel genere di ragazza;
però, a quanto pare, non si può mai dire -. Marco
spostò istintivamente lo
sguardo su Aurora, che sedeva divertita sul cavallo di una giostra
accanto a un
euforico Manuel: non si chiese nemmeno come avessero convinto i
proprietari a
farli salire, ormai aveva capito che Manuel non poteva essere fermato.
– Mi
dispiace che Davide non sia voluto venire.
- Solidarietà maschile:
credo che ci metterà più tempo, a
farsi andare giù questa cosa, rispetto a quanto ce ne
vorrà a Ettore! Ma forse
farà qualcosa di stupido anche lui e si
presenterà qui.
Silvia sorrise e Marco le
circondò le spalle con un braccio.
– Che dici, li raggiungiamo?
- Certo che sì! Ehi, io
voglio il cavallo rosso!
Marco corse per arrivare prima di lei
e in quel momento i
suoi occhi neri incontrarono quelli castani di Aurora.
Era stato stupido, ma ne era
decisamente valsa la pena.
Sognavi di essere
trovata
su una spiaggia di
corallo una mattina
dal figlio di un
pirata.
Chissà
perché ti sei svegliata.
E come ultima
citazione non potevo che usare una frase di Nobu (Nana): "Manda pure
in frantumi le mie illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare
a cancellare la tua immagine dal mio cuore." Ulteriori credits:
l'immagine del capitolo è stata fatta da Dark Aeris.
Che dire? Con questo capitolo - che sinceramente mi piace meno degli
altri, meno commedia e più sentimentale - si chiude la mia
sfiga-long. Spero vi sia piaciuta! Purtroppo non posso postarvi la
valutazione del contest, perché ho dimenticato di copiarla e
sono andata sul forum a cercare la discussione, ma tutti i post del
contest sono stati cancellati O.O Boh, forse un bug!
Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, chi
l'ha messa nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite, e
soprattutto chi ha recensito la sfiga-long! :D
Presto, tornando alla storia originale e lasciando perdere questi "What
if?" (che poi finiscono sempre alla stessa maniera, tutta colpa di
Marco), pubblicherò due storie dedicate a Silvia e Davide:
una raccolta comica di tre flash su una loro vacanza al mare e una
lunga one-shot contenente tematiche delicate e una fortissima presenza
di angst.
Grazie ancora!
Medusa
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