Il comico (sai che risate)

di MedusaNoir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** XI ***
Capitolo 10: *** X - Epilogo ***



Capitolo 1
*** I ***


Il comico (sai che risate)
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I.

 

Non ho niente di speciale,

ma se ridi poi vuol dire

 che una cosa la so fare.

 

- Aaaaah, non vedevo l’ora di portarti in questa nuova discoteca! È fantastica, straordinaria, ci sono un sacco di ragazze che mi fanno perdere la testa: hai presente quelle che con uno sguardo solo…?

Marco alzò gli occhi neri al cielo stellato, chiedendosi cosa mai avesse fatto per meritarsi un amico del genere; Manuel, dal canto suo, non diede segno di avere notato quel gesto e continuò a parlare a raffica, descrivendo tutte le donne ideali – che variavano con la stessa frequenza con cui cambiava canale durante la colazione – incontrate in quel solo mese di apertura della discoteca.

Controllò l’orologio: come al solito, loro erano in ritardo di quasi un’ora e tutto per colpa di Manuel. Beh, almeno in parte, visto che Marco era rimasto seduto a comporre un nuovo pezzo fino a un attimo prima di uscire, così aveva perso il tempo prezioso che avrebbe comunque speso ad allontanare Manuel dal computer e fargli indossare qualcosa di più adatto alla serata di un paio di boxer e una maglietta imbrattata di sugo e cioccolato.

Senza indugiare oltre, Marco spinse Manuel attraverso l’entrata della discoteca, costringendolo ad intrattenere conversazioni non più lunghe di dieci secondi con le ragazze che incontrava a ogni passo. Si guardò intorno, cercando i suoi amici, e alla fine avvistò in un angolo Simona, con indosso il solito abito quasi inesistente e i capelli rigorosamente piastrati per l’occasione; corrugò la fronte, stupito di non vederla in mezzo alla pista attorniata da avvenenti spasimanti, ma poi notò che stava parlando con Davide, il migliore amico del suo ex fidanzato. Il ragazzo – biondo, occhi azzurri, tipico esemplare di “sono l’essere più attraente sulla faccia della Terra” – sembrava soddisfatto dell’attenzione che stava ricevendo e si passava una mano tra i capelli ogni minuto, lanciando fugaci occhiate intorno a sé per vedere quante ragazze stesse stregando. Marco si avvicinò trattenendo una risata e li salutò.

- Ci siete solo voi?

- Ettorino non è potuto venire, - rispose Davide, fingendosi imbronciato. - Doveva lavorare: le trova sempre tutte per non passare una serata con me, è crudele! Però laggiù ci sono Aurora e una sua amica, non ricordo il nome…

- Silvia, - pensò a voce alta Marco, ricordando la ragazza timida e silenziosa che aveva accompagnato Aurora all’unica prova del gruppo che fino a quel momento avevano fatto. Seguì lo sguardo di Davide e avvistò proprio lei, che appena si accorse di essere osservata – stava guardando proprio dalla loro parte – arrossì e si girò verso la sua amica.

Marco stava per muovere un passo verso di loro, quando Aurora si voltò, ridendo per qualcosa che Silvia le aveva appena detto, e il ragazzo si ritrovò improvvisamente immobile dov’era.

Sbatté le palpebre: quella era davvero Aurora?

Quando l’aveva conosciuta, due settimane prima al provino come cantante della loro band, gli era parsa una ragazza come tante, con un bel sorriso e tanta determinazione; molto carina, simpatica, ma niente di più.

Ora, invece, Aurora sembrava diversa: indossava un vestito verde leggermente scollato e i capelli scuri le ricadevano a boccoli sulle spalle. Era bellissima.

L’aveva vista solo in due occasioni, era la prima volta che uscivano in gruppo, e sentiva di non conoscerla abbastanza, di non sapere niente di lei in realtà, se non che aveva ventiquattro anni – cinque meno di lui – e che amava cantare; non poteva che pensare: “Voglio conoscerla, voglio sapere che cosa pensa, voglio che mi parli ancora, voglio sapere se anche lei ha dei dubbi e delle ansie e se come me si sente un'anima solitaria. Parlami, parlami ancora...”

In quel momento Aurora si voltò, forse spinta dalla sensazione che qualcuno la stesse fissando, e riconoscendolo gli sorrise. Il volto di Marco si illuminò mentre lei si avvicinava, radiosa, e le restituì il sorriso.

Sta venendo a salutarti, Marco, pensò, ti ha visto e anche lei desidera parlarti, conoscerti…

- Manuel, Marco! – esclamò Aurora, non appena gli fu di fronte.

Marco sussultò, ricordandosi che Manuel gli era vicino e rendendosi conto che il sorriso della ragazza non era rivolto per lui; Manuel lo salvò dall’imbarazzo gettandosi tra le braccia di Aurora senza troppi complimenti e rischiando di travolgerla con il suo peso.

- Aurorina! – strillò emozionato. – Sei bellissima stasera!

Ma perché Manuel riusciva a dire senza problemi tutto quello che gli passava per la testa? Aurora era semplicemente fantastica, ma Marco non avrebbe mai trovato il coraggio di dirglielo.

Con la coda dell’occhio, vide Silvia fissare timidamente Davide e preannunciò per lei un lungo periodo di autodistruzione. A meno che non fosse una ragazza intelligente e si accorgesse subito di cosa significasse perdere la testa per Davide Rodari.

- Come va? – chiese Aurora con tranquillità.

Pensa a qualcosa da dire, così la smetti di fissarle il seno!

- Stupendamente. Bel vestito, - si complimentò. – Certo, non è come quello indossato da Rossella O’Hara in quella memorabile scena, ma può considerarsi accettabile.

Perfetto, ora mettiti a parlare di argomenti di cui di certo non le interesserà niente! Come potrebbe una ragazza della sua età conoscere Via col vento? Complimenti, Marco, bella mossa: ora ti avrà preso sicuramente per una di quelle persone che passerebbero ogni serata suonando la chitarra e guardando film d’epoca… Beh, uno come te.

Aurora spalancò gli occhi. – Conosci Via col vento?

Fu il turno di Marco di sfoggiare un’espressione confusa. – È il mio film preferito. Non contando la saga di Star Wars, ovviamente.

- Adori anche Star Wars?

Notò Silvia alzare gli occhi al cielo, proprio come lui aveva fatto poco prima con Manuel, e capì che Aurora non doveva fare altro che parlare costantemente di Sith e Rhett Butler; si ritrovò a sorridere senza rendersene conto.

- Il tuo cantante preferito? – le chiese.

- Cat Stevens.

- La chitarra migliore?

- Oh, certamente la Fender!

- Uomo ideale?

- Rhett, che domande!

Dopo avere passato venti minuti solo a parlare con Aurora – e preparandosi a riprendere la conversazione – Marco si voltò per andare in bagno e incontrò lo sguardo preoccupato e severo di Davide. Non lo aveva mai visto così.

E, improvvisamente, si ricordò delle parole di Manuel: - Ettore ha completamente perso la testa per Aurora, ha perfino detto che vuole andarci piano per non rovinare tutto!

Sei nei guai, ragazzo mio.

 

- Quella Silvia è simpatica. Tu che ne pensi, Marco?

- Mh.

Marco entrò in casa e lanciò le chiavi della macchina sulla credenza accanto alla porta, sotto lo sguardo indagatore di Manuel; era rimasto in silenzio per tutto il viaggio di ritorno dalla discoteca, limitandosi ad annuire ogni tanto mentre il suo migliore amico cercava di parlare per entrambi.

- Mi dispiace che abbia puntato Davide, però… Non che volessi provarci, eh, solo mi sa proprio che finirà per essere una delle sue tante “prede”.

- Mh.

- Tra l’altro, non riesco proprio a capire cosa ci trovino le ragazze in lui…

Non ascoltava le parole di Manuel, era sovrappensiero; le sua voce gli arrivava alle orecchie come filtrata da un muro invisibile. Accese la luce del salotto senza nemmeno chiedersi perché Manuel lo avesse seguito fino al suo appartamento, si sedette sul divano e imbracciò la chitarra acustica.

- … era così bella stasera, avrei voluto provarci; non l’ho fatto solo perché Ettore non me l’avrebbe mai perdonato e non voglio casini all’interno della band.

- Eh? – Marco sollevò immediatamente la testa, cogliendo il nome di Ettore; si rese conto in quel momento di avere immagazzinato nella propria mente gran parte dell’ultima frase di Manuel. – Stai parlando di Aurora?

Manuel aggrottò la fronte. – Da quando Aurora ha i capelli biondi?

- Hai parlato di capelli biondi?

- Più precisamente, li ho descritti come “splendenti fili d’oro che ricadevano dolcemente sulle sue spalle”.

- Di chi?

- Di Simona. Ma mi stavi ascoltando?

- Ehm, no, - ammise Marco, - stavo cercando di comporre un nuovo pezzo, mi è venuta l’ispirazione mentre eravamo in discoteca.

- Certo, la musica house fa sempre venire in mente il rock -. Manuel si sedette accanto a lui, tamburellando con le mani sulla Fender nera. – Si può sapere cos’hai stasera?

- Sono solo… un po’ stanco, ecco.

- Non parlo di adesso: so che ogni volta che ti trascino in discoteca mi odi a morte per una settimana intera, anche se ammetto che la nuova tecnica del silenzio indifferente è abbastanza antipatica; mi riferisco al fatto che sei rimasto per ore in una sala con decine e decine di persone senza sbuffare o tirarmi per la maglietta.

- Mi stavo divertendo.

- Ti stavi divertendo? Non ti sarai lamentato, ma hai passato la serata a parlare con Aurora invece di ballare!

- Appunto, mi sono divertito con lei.

- Per farti sentire sopra la musica dovevi praticamente urlarle all’orecchio!

Marco sospirò, sapendo che Manuel avrebbe avuto bisogno di almeno otto ore di sonno per capire perché lui fosse pienamente soddisfatto della serata. Riprese a suonare pensando ad Aurora, ai suoi occhi castani, al modo in cui si era rovesciata un bicchiere di Coca Cola sul vestito verde e a come ne aveva riso subito dopo avere imprecato in tutte le lingue del mondo; riascoltava nella sua mente la voce della ragazza e le dita gli scivolavano istintivamente sulle corde, la immaginava già cantare con il microfono stretto tra le mani, al centro di un palco, un abito azzurro…

- Ci sono! – esclamò Manuel risvegliando dai suoi pensieri. Si batté un pugno sull’altra mano, un sorriso soddisfatto sul volto. – Hai saputo che esce un altro film di Star Wars! Però io non ti ci accompagno, mi sono stufato di tutte quelle astronavi, battaglie, imperatrici galattiche… Potresti portarci Aurora, mi sa che le piace Star Wars.

- Non esce nessun settimo film, Manu.

- Oh -. Manuel tornò ad essere confuso. – Vabbè, ci penserò domattina. Spostati, va’ nel tuo letto, voglio dormire.

- Hai una casa, - tentò inutilmente di cacciarlo Marco.

- Grazie dell’ospitalità, sei il miglior amico che si possa avere!

E finalmente eccomi alla mia prima (mini)long originale! Vi avviso: è completa, non vi farò aspettare invano i capitoli successivi come per altre mie storie.
Si parla ancora una volta (tanto per cambiare!) di Marco/Aurora/Ettore: ogni capitolo sarà visto dal punto di vista di uno dei tre, nel finale li vedremo tutti insieme. Anche se avete letto la storia di partenza, Sulle note di Cat Stevens, vi consiglio di leggere la minilong perché, essendo una What if?, gli eventi saranno diversi; se non l'avete letta, nessun problema, non serve la conoscenza di quel racconto per leggere questa storia!
Il titolo: amo questa canzone. Credo sia l'unica canzone di Cremonini che mi piaccia, non stravedo per lui, però questa... È splendida, e vedrete come la strofa che chiuderà l'ultimo capitolo sarà perfetta per riassumere tutta la storia. Ogni capitolo ha una (in un caso due) citazioni, e qui si tratta di "Voglio conoscerla, voglio sapere che cosa pensa, voglio che mi parli ancora, voglio sapere se anche lei ha dei dubbi e delle ansie e se come me si sente un'anima solitaria. Parlami, parlami ancora..." (Karekano).
Scrivendo sempre su questi personaggi, io e Dark Aeris abbiamo finito per dar loro dei prestavolto, e nel caso di Marco si tratta appunto di Ben Barnes; scoprirete gli altri u.u
Buona lettura - certo, avete appena finito, ma spero andiate avanti (anche perché non sono molto soddisfatta di questo primo capitolo, mentre mi piace molto il secondo)!

Medusa
(e Marco, che è qui con me a chiedermi perché debba torturarlo continuamente. È evidente che non ha ancora incontrato Pansy)

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Capitolo 2
*** II ***


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II.

 

- Dovevi vedere quante vittime ho fatto! Una bionda al bar, una mora sulla pista e, oh, una rossa che ho perfino portato a casa, e sai quanto amo le rosse!

- Davide.

- Ho conosciuto anche una ragazza simpatica, Serena o Stefania, non ricordo… forse Silvia… Boh, comunque non pensavo esistessero ragazze con un po’ di cervello, non sarebbe male diventarci amico!

- Davide.

- Spero che non ti dispiaccia, ma… Simona ci ha provato con me. Sono fatto così, mi piace quando una persona tanto carina mi cade ai piedi; però si tratta pur sempre della tua ex, non sono andato oltre la chiacchierata amichevole. Ecco, ci tenevo a dirtelo.

- Davide.

Il tono di Ettore era risoluto: non capiva perché, ma riusciva a spaventare il suo migliore amico solo guardandolo, senza fare gesti minacciosi come spingerlo al muro o prenderlo per il colletto della camicia – cosa che con Davide sarebbe stato comunque meglio non fare, ignorando come avrebbe potuto reagire. Davide assunse un’espressione da cucciolo in trappola e chinò il capo, aspettando che Ettore parlasse.

- Perché mi hai mandato quel messaggio ieri sera?

- Messaggio? Quale messaggio? Non so di cosa tu stia parlando, - cercò di sviare l’argomento.

- “Ricorda che ci sarò sempre io con te, qualunque cosa accada. Ti voglio bene!” – recitò Ettore.

- No, nella parte finale avresti dovuto mettere più intensità e…

- Davide, - lo interruppe. – Che cosa significa?

Davide sospirò. – È per la storia di Simona, - rispose un po’ troppo velocemente, - mi sentivo in colpa per averle dato corda.

- Mi hai già confessato di Simona e inoltre sai che non mi importa più niente di lei, ci siamo lasciati mesi fa e poi fa la cretina con tutti. Cos’è successo? Dimmi la verità.

Questa volta Davide ci mise più tempo a rispondere. – Aurora, - rivelò infine. – Non ci ho provato con lei, non lo avrei mai fatto! Però… qualcun altro invece sì.

- Un cretino in discoteca? – chiese Ettore, maledicendosi per essere rimasto a casa la sera prima. – Se l’è portata a letto?

- Oh no, si è limitato a parlarci, ma andavano così d’accordo…

- Non importa, ci sono molte possibilità che non abbiano più occasioni di rivedersi.

- Invece sì, - esclamò Davide, mordendosi le labbra. – È Marco.

Ettore rimase qualche momento in silenzio, fissando il basso adagiato sul divano di Davide.

- Marco non è il tipo, - mormorò infine, riflettendo, - non l’ho mai visto provarci con una ragazza.

- Te l’ho detto, non ci stava veramente provando: parlavano di vari argomenti ed è venuto fuori che amano le stesse cose. Dovevi vedere la sua faccia dopo pochi minuti di conversazione, era radioso!

- E lei?

Davide alzò le spalle. – Sorrideva, era presa dal discorso, ma non mi è sembrata conquistata dal suo “misterioso fascino”.

Ettore sbuffò. – Marco non ha un fascino da uomo misterioso.

- Certo che no, il mistero è proprio come faccia a trovare una ragazza. Senti, tu sei mille volte meglio di lui: sei sexy, rude, hai degli addominali che guarderei tutto il giorno, la tua voce roca ammalierebbe ogni donna, le ragazze hanno sempre fatto la fila per poter avere un appuntamento con te, sei determinato, porti sempre a termine l’obiettivo che ti sei posto… Perché dovresti dubitare di te solo perché un nerd noioso e sociopatico come Marco si è preso una cotta per la stessa persona che ti piace?

Ettore sorrise divertito, osservando Davide camminare per il suo appartamento alla ricerca di un modo per tirarlo su di morale: il suo amico non odiava Marco, non lo avrebbe mai descritto davanti ad altri con una tale avversione, ma avrebbe fatto di tutto per rincuorare Ettore e spingerlo a lottare.

- Prendi nota, - esclamò, alzandosi dalla sedia, - non devo mai dubitare di me. E non dire un’altra volta che sono sexy o ti tiro un pugno.

- Va bene, amore mio!

 

Erano al mare, godendosi gli ultimi giorni di caldo. Manuel aveva insistito che lo portassero a fare il bagno prima che diventasse troppo freddo per stare in costume e i suoi amici aveva approfittato di trovarsi vicino alla città di Aurora e Silvia per invitare anche loro; Simona le aveva accolte con il consueto sorriso angelico che avrebbe ingannato chiunque, Davide aveva finto di rapire Silvia non appena era scesa dalla macchina – dalla sera in cui si erano conosciuti, aveva cominciato a chiamarla Peter Pan, mentre lui si era affibbiato il soprannome di Capitan Uncino – e Marco ed Ettore avevano sorriso raggianti guardando Aurora. La felicità del primo si era leggermente attenuata quando Aurora era arrossita trovandosi di fronte a Ettore, ma poi era toccato al secondo rabbuiarsi quando si era avvicinata a Marco per parlare dell’ultimo film visto al cinema.

Non importa, si disse Ettore, non devo dubitare di me.

- Ti va di fare una nuotata?

Aurora alzò lo sguardo verso di Ettore, che in piedi davanti al suo asciugamano nascondeva i raggi del sole; osservò il suo torace nudo e i pettorali scolpiti, ritrovandosi di nuovo ad avvampare per l’imbarazzo.

Ettore sorrise mentalmente, conservando la consueta espressione seria. Marco si era finalmente allontanato dalla ragazza e lui doveva approfittarne.

- Io… Sì, va bene.

Aurora afferrò la mano che l’uomo le tendeva. Ettore ne approfittò e strinse con forza le dita, sollevando la ragazza senza alcuna esitazione; notò che, dietro di lei, Davide alzò i pollici per complimentarsi.

Entrarono in acqua parlando a malapena e solo di argomenti superficiali, come il caldo, la tranquillità del mare in quel momento, la bellezza della spiaggia; dopo qualche metro, però, Ettore sentì le mani di Aurora sulla sua schiena.

- Scusa! – esclamò la ragazza, staccandosi da lui. – Sono caduta, devo aver preso un sasso…

- Fammi vedere.

Senza un attimo di esitazione – e sapendo che Davide, se li stava guardando, avrebbe di certo invidiato Aurora – Ettore la prese in braccio, godendo del contatto con la sua pelle nuda; guardò sotto i suoi piedi e si accorse che stava sanguinando.

- Aspetta, ti porto a riva.

- Ma no, non serve…

- Penso io a te.

Si complimentò per la piega che stava prendendo la situazione; posò Aurora sull’asciugamano, tamponandole la ferita con la sua maglietta. Alzando lo sguardo, si rese conto che la ragazza lo stava guardando ammaliata e, senza riflettere, le sorrise.

- Va bene adesso?

- Sì, - sorrise di rimando lei, arrossendo.

 

Non doveva dubitare di se stesso: Ettore se l’era ripetuto talmente tante volte in quelle settimane che gli sembrava che tutto si stesse svolgendo nel modo giusto. Aurora, durante le prove o le uscite con il gruppo, passava molto tempo in compagnia di Marco, chiacchierando di “roba nerd”, come la chiamava Davide – che non avrebbe mai ammesso che si sarebbe volentieri inserito in quei discorsi, ma si limitava a parlare di Peter Pan e Harry Potter con Silvia – però arrossiva ogni volta che incontrava lo sguardo di Ettore, con crescente indignazione di Marco.

Quella sera avevano organizzato una cena a casa di Manuel e l’intera formazione dei Moonlight Sonada, oltre agli ormai immancabili Davide e Silvia, era presente. Marco aveva strabuzzato gli occhi quando Aurora era entrata nell’appartamento, indossando l’abito verde che, aveva detto Davide al suo migliore amico, portava anche quella sera in discoteca, ed Ettore aveva provato una fitta di gelosia, ma era pronto ad ottenere quella ragazza a qualunque costo.

Quando Davide trascinò Silvia via dal divano, lasciando libero il posto accanto ad Aurora, Ettore fu più veloce di Marco e lo superò, sedendosi.

- Scusa, Marco, ti ho rubato il posto, - scherzò, poi gli indicò la sedia di fronte a loro. – Perché non ti siedi lì?

- Non è degna della mia reale presenza, ma la farò sentire speciale per una sera, - sorrise Marco, cogliendo il tono di vittoria nella voce di Ettore. Spostò la sedia vicino ad Aurora. – Non voglio stare in mezzo alla stanza, posso parlare con voi anche da qui.

Ettore avrebbe volentieri stretto i pugni, però rimase impassibile, bevendo un sorso dalla lattina di birra.

- Ehi, sai che ho trovato un’intervista a Cat Stevens? – esordì Marco, attirando subito l’attenzione di Aurora. – A quanto pare sta per uscire un nuovo disco!

- Davvero? È fantastico! Quando uscirà? Non vedo l’ora di ascoltarlo.

Fingendo disinvoltura, Ettore lasciò scivolare un braccio dietro le spalle di Aurora, facendola sussultare, e si sporse per guardare Marco.

- Non riesco a sentire bene la conversazione standovi lontano. Di cosa stavate parlando?

- Di Cat Stevens, - rispose con freddezza Marco, osservando la mano di Ettore sulla spalla di Aurora. – Verrai con me al concerto, non è vero? – chiese poi rivolto alla ragazza.

- Sì, certamente!

- Allora appena li metteranno in vendita comprerò i biglietti per due.

- Oh, scusa, - esclamò improvvisamente Ettore, come se si fosse appena reso conto di dove avesse poggiato la mano. – Ti dà fastidio? Sennò mi sposto.

- No, tranquillo, non c’è problema, - rispose imbarazzata ed evidentemente contenta Aurora. – Non mi dà fastidio.

- Meno male, mi sento sollevato, - disse Ettore, rivolgendo una fugace occhiata di vittoria a Marco.



- "Prendi nota: non devo mai dubitare di me." (Dr. House)

Rileggendo questo capitolo, mi sono resa conto che non sia un granché stilisticamente: ripetizioni, troppi gerundi... Tuttavia, essendo così la storia com'è stata valutata nel contest, ho preferito lasciare il testo inviariato; chissà, forse in seguito la metterò a posto.
Grazie mille per la lettura!

Medusa

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Capitolo 3
*** III ***


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III.

 

Quella sera, in un piccolo locale di Roma, i Moonlight Sonada si sarebbero esibiti per la prima volta su un palco. Non sarebbero stati nemmeno pagati per il concerto, ma non importava: avrebbero scoperto se il pubblico avrebbe apprezzato la loro musica e questo, per il momento, bastava.

Aurora era tesissima, continuava a stringere tra le mani la scaletta dei brani e a ripetere mentalmente l’ordine in cui sarebbero stati eseguiti.

- Non preoccuparti, principessa! – esclamò Marco, poggiandole una mano sulla testa e stando attento a non spettinarle i capelli ricci. – Quando Ettore darà inizio alle canzoni, capirai subito quale devi eseguire, non serve memorizzarle.

- E se non dovessi riconoscerle? È meglio così, almeno non rischierò di sbagliare!

Marco rise e le accarezzò ancora i capelli, poi andò a prendere la preziosa Fender per accordarla.

Aurora era nervosa, era completamente fuori di sé: non serviva a niente dirle di stare calma come faceva Simona, né sorriderle incoraggiante da sotto il palcoscenico come Silvia, nemmeno – soprattutto – cercare di fare battute incoraggianti e nel frattempo tremare, proprio come stava facendo Manuel in quel momento. No, Aurora non era in sé, inutile negarlo; se lo fosse stata, non avrebbe certo interpretato il movimento brusco di Ettore come un tentativo di far cadere la Fender a Marco.

Il chitarrista, tuttavia, sembrava avere considerato il gesto nel suo stesso modo.

- Sei impazzito? – sbottò rivolto ad Ettore, che contrariamente a quanto Aurora si sarebbe aspettata si strinse nelle spalle.

- Non l’ho fatto apposta, - si difese senza neanche troppa convinzione.

- So cosa ti passa per la testa, ma distruggermi la chitarra prima di un concerto non è una mossa intelligente.

- Potevi stare attento a come la tieni, se la tua amata Fender è così importante.

- Avremmo potuto non suonare!

- No, tu avresti potuto non suonare: guarda caso, anche Manuel è in grado di suonare, ha una Gibson proprio a casa sua, a pochi passi da qui; Davide ci sarà stasera, per cui avrebbe potuto stare lui al basso. Come vedi, sei perfettamente sostituibile.

Improvvisamente i due ragazzi erano sotto lo sguardo di tutti. Marco aveva riposto la chitarra e si era avvicinato al volto rabbioso di Ettore, sostenendo il suo sguardo di sfida.

- Tu non sei giusto per lei, - disse, apparentemente calmo.

- Tu lo sei?

- Sono meno sbagliato.

Ettore non replicò, ma si lanciò verso di Marco, afferrandolo per la maglietta; Marco rispose divincolandosi e dandogli un pugno sullo stomaco, e ottenne un colpo di Ettore in pieno volto.

- Basta, fermatevi! – strillò il proprietario del locale, dividendo con difficoltà i due rivali, che continuavano a guardarsi in cagnesco.

Alla fine, Ettore afferrò la propria giacca e uscì, e Aurora seppe che poteva smettere di memorizzare la scaletta.

 

- È tutta colpa mia, ho fatto un terribile sbaglio! – si lamentò Manuel, ubriaco, affondando la testa nelle braccia incrociate sul bancone.

- Che cosa stai dicendo? – esclamò Simona sorpresa. – Tu non hai fatto niente, è una questione tra loro due!

- No, sono sicuro di avere fatto qualcosa, sennò non starei così male! Sono un cattivissimo amico, a causa mia non abbiamo potuto suonare!

- Io ci rinuncio.

Dopo che Ettore era uscito con furia dal locale, il proprietario li aveva sgridati, intimando di risolvere il problema o di dimenticarsi di suonare quella sera; per tutta risposta, Marco aveva riposto nella custodia la Fender ed era andato via anche lui, dopo avere lanciato ad Aurora uno sguardo dal significato per lei incomprensibile. Davide era arrivato un’ora dopo, allegro come sempre, ed era rimasto colpito non trovando il gruppo intento a suonare; aveva chiamato preoccupato Ettore, ma lui doveva avergli detto che preferiva restare solo perché era rientrato nel locale con un’espressione dispiaciuta, persa subito dopo avere bevuto il terzo bicchiere di birra.

Silvia gli era stata accanto tutto il tempo, cercando di attirare la sua attenzione, e alla fine tutti – eccetto Simona – avevano deciso di “bere per dimenticare”. Aurora, però, non riusciva a darsi pace, rimuginando sul litigio tra i due ragazzi.

- Poverina, si farà male, - esclamò improvvisamente Simona, attirando la sua attenzione.

- Di chi stai parlando?

- La tua amichetta.

Aurora seguì il suo sguardo e vide Davide, ormai ubriaco, stringere i capelli di Silvia e baciarla, probabilmente senza nemmeno distinguerla da una delle tante amanti prive di cervello.

Simona, evidentemente indispettita dal non essere riuscita a fare breccia nel cuore – o almeno a infilarsi nel letto – del bel ragazzo, incrociò le gambe magre sopra lo sgabello su cui sedeva e si sistemò la minigonna.

- Non ho mai visto Davide legarsi ad una persona per più di qualche giorno… escluso Ettore, ovviamente. È il tipico uomo che sa di essere al centro dell’attenzione e fa il possibile per restarci.

- Silvia è intelligente, sa che non sta facendo sul serio, non si illuderà.

- Sarà come dici tu, - ribatté Simona, scettica.

- Sei stata con Ettore per molto tempo, non è vero?

- Sì, diversi anni.

- E si è mai comportato come stasera? Voglio dire… Ha mai aggredito un suo amico senza ragione?

Simona spalancò gli occhi. – Senza ragione? Mi stai… Tu… No, aspetta, non può essere.

- Cosa?

- Davvero non hai idea del perché loro abbiano fatto a botte?

Aurora rifletté. – Da come parlavano, sembrava c’entrasse una ragazza, ma non ho idea di chi possa essere…

- Santo cielo, mi auguro che Silvia sia davvero più intelligente di te, altrimenti la vedo brutta per lei! - Simona si alzò e prese le chiavi della macchina. – Sono l’unica che non ha bevuto, colpa della dieta… Ma almeno posso tornare a casa senza problemi. Beh, ci vediamo alle prove!

- Aspetta! - Aurora le posò una mano sul braccio, facendola voltare. - Puoi accompagnarmi da Marco?

Simona sollevò un sopracciglio, pensierosa. – Direi che, se stai cercando delle risposte, scegliere di chiederle a Marco piuttosto che a Ettore sia un’ottima idea. Andiamo, allora.

 

- Arrivo, arrivo, - borbottò la voce di Marco. – Chi…?

Quando Marco aprì la porta con indosso solo una maglietta di Star Wars e un paio di pantaloncini, sbadigliando, Aurora avvertì la furia montarle nel petto; entrò nel suo appartamento senza neanche salutare, guidata dall’alcol e dalla rabbia.

- Ma bravo! Mentre noi ci ubriacavamo per non pensare al pessimo debutto che abbiamo fatto, tu dormivi beato! – sbottò, spingendo con l’indice sulla sua maglietta e facendolo indietreggiare. – Per colpa tua e di quell’altro cretino abbiamo perso una serata!

- A vederla nel modo giusto, - tentò di calmarla Marco, ora totalmente sveglio, - il debutto non c’è stato proprio, per cui non è stato pessimo, e non abbiamo neanche perso soldi che non ci avrebbero comunque dato, quindi è stato un giorno come un altro!

- Ma sei… completamente… scemo? – lo sgridò Aurora, spingendolo. – Sono stata nervosa per una settimana intera e tu hai rovinato tutto! E la cosa bella di com’è andata il resto della serata è che ho bevuto talmente birra da non rendermi nemmeno conto di urlarti addosso e domani avrò dimenticato tutto, per cui non perderò tempo a vergognarmi!

- Aurora, calmati.

- No, non mi calmo per niente! Perché vi siete comportati così? Non è giusto! Non avevate un motivo valido!

- Ce l’avevamo, invece!

- Ah sì? Allora sentiamo, quale sarebbe?

Marco tentennò, guardandosi intorno, poi la fissò negli occhi. – Sicura che domani non ricorderai niente?

- È sempre così quando mi ubriaco. Ti decidi?

Sospirò, le posò una mano dietro la testa e la tirò a sé, baciandola; Aurora rimase un momento senza parole, incapace di ragionare, poi chiuse gli occhi e si lasciò andare al bacio.

Dopo qualche secondo si allontanarono, guardandosi, e alla fine Aurora abbassò di nuovo le palpebre.

Marco pensava che volesse baciarlo ancora, ma la ragazza si limitò a mormorare: - Ho sonno…

Poi si lasciò cadere tra le sue braccia.

Marco la cinse in fretta e la portò sul suo letto, preparandosi a passare la notte sul divano.

- Ma che gli faccio io, alle donne…

 

Quando Aurora aprì gli occhi, si ritrovò in una stanza sconosciuta, che avrebbe però potuto essere la sua: la parete era piena di poster di Star Wars, Fender e Cat Stevens; la libreria traboccava di libri e DVD; lo stereo era sommerso di dischi. Non era la sua camera, ma non le ci volle molto per capire a chi appartenesse.

- Buongiorno! – la salutò Marco non appena Aurora comparve sulla soglia della cucina. – Dormito bene? Io no, ho dovuto usare il divano, per cui  sono costretto a chiederti i soldi per curare il mio mal di schiena.

- Che ci faccio qui?

- Ah, allora avevi detto la verità: quando bevi, non ricordi niente!

- Già… Marco, perché sei così euforico?

Marco si bloccò nell’atto di aggiungere ciambelle ripiene di cioccolato all’enorme pila al centro del tavolo.

- Euforico? Io? Sono solo emozionato dall’avere una ragazza sotto il mio tetto, non capita mai: ormai pensavo che le donne avessero più o meno le curve di una chitarra.

Aurora si sedette al tavolo, addentando una prima ciambella.

- Stai cercando di farti perdonare per averci fatto saltare il concerto?

- Spero non sia un tentativo vano, dopo la fatica per avere preparato tutte queste ciambelle, - sorrise Marco, unendosi a lei.

Nel trovarsi così vicina al ragazzo, Aurora fu attraversata da un pensiero improvviso, un’immagine sfocata.

- Che cosa è successo l'altra notte? – gli chiese. – Non ricordo niente…

Marco fece un respiro profondo.

- Con il rischio che un’altra ruga ti increspi la fronte, devo proprio dirtelo... ci siamo baciati.

Aurora sussultò, incredula. Baciati? Loro due?

Non è possibile, a me piace Ettore!

 - Cosa intendi con “baciati”?

- Beh, sai quando due labbra si incontrano e fanno quel rumore...

Aurora si sporse sul tavolo, allungando una mano nel tentativo di dargli uno schiaffo sulla testa. – Piantala, di scherzare, per una volta!

No, era assolutamente fuori discussione, non lo avrebbe mai fatto. Non avrebbe mai baciato Marco.

E lui, poi? Perché non aveva mai dato segni di attrazione nei suoi confronti?

Guardò Marco, desolata, confusa, e lo vide corrugare la fronte, combattendo contro una forza invisibile.

- Stavo scherzando, - ammise infine, con un sorriso. – Non è successo niente: sei comparsa sulla porta di casa mia, mi hai urlato addosso per avervi dato tanti problemi e alla fine sei caduta addormentata sul letto. Tutto qua. Le tue labbra sono illese!


Citazioni:

1) - Tu non sei giusto per lei.

- Tu lo sei?

- Sono meno sbagliato.

(Dr. House)

2) - Con il rischio che un’altra ruga ti increspi la fronte, devo proprio dirtelo... ci siamo baciati.

- Cosa intendi con “baciati”?

- Beh, sai quando due labbra si incontrano e fanno quel rumore...

(The Vampire Diaries)

Grazie per aver letto! ^^

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Capitolo 4
*** IV ***


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IV.

 

- Mi devi delle spiegazioni!

Marco non chiese a Manuel quando avesse fatto una copia delle sue chiavi, non lo sgridò nemmeno per essersi intrufolato nell’appartamento senza bussare; lo conosceva, sapeva che aveva bisogno di sfogarsi e soprattutto doveva distogliere la sua attenzione dalle due ciambelle al cioccolato rimanenti dalla colazione. Sospirò, osservando il volto rosso dell’amico.

- Perché sei arrivato solo adesso? Credevo ti avrei trovato fuori dalla mia porta a piagnucolare finché non ti avessi aperto.

- Ero a casa con Silvia.

- Con Silvia?

- Non fraintendere -. La sorpresa di Marco gli aveva fatto dimenticare l’obiettivo di nascondere le ciambelle, così Manuel riuscì a scorgerle oltre il suo braccio teso sul tavolo e a lanciarsi sul piatto prima che il padrone di casa se ne accorgesse. – Uhm, buone! Le hai fatte solo per te?

- Per me… e per Aurora, - confessò Marco, passandosi una mano tra i capelli neri.

- Aurora ha dormito qui? – Fu il turno di Manuel di sbarrare gli occhi, mentre la bocca già cominciava a imbrattarsi di cioccolato.

– Prima di aumentare la taglia dei tuoi jeans, raccontami che ci faceva Silvia da te.

- Te l’ho detto, non fraintendere: ero ubriaco e mi ha accompagnato a casa. Visto che Aurora era sparita, è rimasta a dormire da me; non le andava di guidare fino a Viterbo da sola. -. Manuel addentò la seconda ciambella. – Quindi Aurora era da te? E io che pensavo fosse andata da Ettore!

Le vene sul collo di Marco si gonfiarono. – Perché lo pensavi?

- Beh, me lo sarei aspettato più da lui.

- Cosa?

- Che se la portasse a letto per primo senza tanti complimenti.

- Io… Ettore è… Oh, non me la sono portata a letto!

La bocca di Manuel si spalancò lasciando cadere le briciole rimaste alle estremità delle labbra. – E perché?

- Non sono Ettore!

- Ma lei ti piace, no?

- Non dirmi che alla fine ci sei arrivato.

- Ci sono arrivato mesi fa, veramente, - si offese Manuel. – E anche se ieri sera me la sono presa con me stesso per il vostro litigio…

Marco aggrottò le sopracciglia. – Te la sei presa con te stesso? Per una volta che non avevi fatto nessun casino!

- Sì, ok, stavo dicendo che stamattina… o meglio alle tre, quando mi sono svegliato… Beh, mi sono accorto che il motivo era Aurora.

- Perbacco, sagace.

- Non prendermi in giro, credevo davvero di essere stato io a farvi litigare!

- Mi spieghi perché?!

- Non lo so… Forse non vi piaceva la scaletta!

- Bene, - esclamò Marco, radunando tutta la forza di volontà necessaria a impedirsi di buttare Manuel fuori dall’appartamento a calci. – Ti riassumo la questione in poche parole: a Ettore piace Aurora, a me piace Aurora e l’ipotesi andare a letto con entrambi è esclusa, prima che tu ti azzardi a proporla.

Manuel si strinse nelle spalle. – Poteva essere un buon modo per risolvere tutto e tornare amici.

- Io non ho niente contro di Ettore, solo che… Non so, lei è perfetta. Non parlo di perfezione assoluta, per altri Aurora potrebbe essere una ragazza come tante; lei è perfetta, è giusta, ma solo per me. Non penso che Ettore si sia preso una semplice cotta, però non ce la vedo per niente con lui. A dire la verità, non la vedo con nessuno che non sia me.

- Oooh, come sei dolce! E ora cos’hai intenzione di fare?

Marco rimase in silenzio per qualche istante. – Lascerò che le cose vadano come devono andare, non voglio rischiare che altri concerti saltino, - rispose, fissando il punto su cui quella mattina si trovava il volto sorridente di Aurora. – Se vedrò che anche lei ha completamente perso la testa per Ettore, me ne farò una ragione.

- E aspetterai che si lascino, - aggiunse Manuel a bassa voce.

 

C’era qualcosa che non andava quella sera, era evidente perfino a Marco nonostante tutti i pensieri che si stavano intrecciando nella sua testa.

Non appena entrò nel locale dove aveva appuntamento con gli amici – nella speranza di potersi riappacificare con Ettore scusandosi a vicenda – notò Aurora e Silvia, sedute sole a un tavolo, che parlavano a bassa voce tra di loro; Silvia fissava il bicchiere di birra che teneva tra le mani, apparentemente fuori dal mondo, mentre Aurora le parlava infervorata a bassa voce. Marco si chiese se fosse lui l’argomento della conversazione, ma non avrebbe spiegato l’espressione avvilita di Silvia. A meno che l’amica non le stesse elencando di nuovo i motivi per cui amava Star Wars.

Avvicinandosi a loro, colse qualche parola poco lusinghiera nel monologo di Aurora, tra cui “bastardo”, “idiota” e “senza palle”. Poteva riferirsi al fatto che Marco, la notte precedente, non le fosse saltato addosso, ma si disse che era inutile sperare che Aurora fosse risentita perché il suo più grande sogno non si era avverato; tuttavia gli bastarono pochi secondi per collegare la tristezza di Silvia, l’indignazione della sua migliore amica e la definizione “senza palle”.

Davide Rodari: quante cose potevano essere racchiuse in un solo nome.

Davide, il “fratello” di Ettore, il ragazzo che mancava decisamente di virilità quando si trovava al suo fianco.

Davide, il bellissimo dongiovanni che cambiava tante fidanzate quanto erano le volte che Jean Grey moriva e tornava in vita.

Davide, indiscutibilmente l’uomo più codardo che lui conoscesse.

- Ehi, giovani Padawan, di cosa si parla? – si inserì nella conversazione sedendosi accanto a loro.

- Sono una stupida, - si limitò a spiegare Silvia.

- È una stupida, - concordò Aurora con un sospiro: evidentemente doveva essere da quando avevano cominciato a parlare che tentava di convincere l’amica che non era così.

- Suvvia, so di essere molto più intelligente di voi, ma non dovete sottolinearlo ogni volta che ci vediamo!

Aurora rise e si alzò. – Vado a prendere da bere, volete qualcosa?

- Ti lascio la mia birra, - grugnì Silvia, allontanando da sé il bicchiere. – Ho fatto già abbastanza danni.

- Non la voglio, lasciala a Marco.

- Certo, trattatemi come l’ultima via d’uscita! – Vedendo che Silvia non accennava a ridere alla sua battuta, Marco prese la birra e cominciò a bere, preparandosi ad ascoltare le sue confidenze. – Come mai saresti stupida, allora?

- Tutte le volte che sapevo che lo avrei visto ho passato ore davanti all’armadio alla ricerca dei vestiti più improponibili, minigonne che non pensavo potessero mai essere così corte o magliette che neanche sapevo da che parte indossare, - esordì Silvia. – Poi mi truccavo, bevevo per trovare il coraggio di parlargli… E a cosa è servito? Solo a farmi essere una delle tante ragazze che si è fatto.

Allungò istintivamente la mano verso la birra, ma Marco la tenne fuori dalla sua portata. – Basta bere, eh.

- La sera che è successo non avevo neanche bevuto, - bofonchiò Silvia, accasciandosi sul tavolino. Guardandola bene, Marco si accorse che aveva ricominciato a portare magliette otaku e jeans e che al suo collo non c’erano più stelle o cuoricini, ma la collana dei Doni della Morte.

- Analizziamo la situazione: ti sei comportata da amica con lui per due mesi, poi di punto in bianco decidi di apparire diversa, di farti notare. Sì, effettivamente è stato un cambiamento un po’ stupido, ma io credo che chi non è disposto a sembrare stupido non merita di essere innamorato.

Sperava di averla convinta con quell’ultima affermazione e forse c’era davvero riuscito, ma la sua attenzione si concentrò sul modo in cui lei lo guardò, sollevò un sopracciglio e disse: - Ah, sì?

Si accorse immediatamente che il commento di Silvia non era per niente riferito a se stessa.

- Ehm, sì, - rispose, a disagio. – Bisogna fare cose un po’ avventate ogni tanto e…

- Dimmi se è meno stupido guardarla dormire tutta la notte o baciarla sapendo che Ettore ti avrebbe potuto spaccare il naso.

- Beh, baciarla sarebbe stato estremamente stupido…

- Appunto -. Silvia afferrò la birra e sembrò godere dell’effetto che avevano avuto le sue parole. – Sta’ tranquillo, non dirò niente come non le ho detto di Ettore -. Alzò le spalle. – Non mi crederebbe: finché uno di voi non le dirà chiaramente ciò che prova, lei non capirà.

In quel momento la porta del locale si aprì e rivelò la presenza di Ettore. Silvia appariva sollevata dall’assenza di Davide, ma controllò istintivamente il cellulare; Marco, nel frattempo, si disse che sarebbe stato decisamente stupido interrompere l’incontro tra Ettore e Aurora, visto che doveva cercare di mantenere buoni legami con il batterista per non turbare la tranquillità del gruppo – già messa duramente alla prova l’ultima volta che si erano visti.

Per questo si alzò e li raggiunse, perché era davvero la scelta più stupida.



- "Credo che chi non è disposto a sembrare stupido non merita di essere innamorato." (Sballati d'amore - ma come sono finita a trovare questa citazione?!)

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Capitolo 5
*** V ***


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V.

 

- Ho prenotato un albergo in montagna per passare il Capodanno tutti insieme! Questi sono i biglietti, il costo delle camere, i volantini dei posti da visitare… Ci vediamo alla stazione domani alle sette di mattina, non mancate!

Le parole di Manuel ancora ronzavano nella testa di tutti, che arrancavano assonnati verso i propri posti chiudendo gli occhi a ogni passo e scontrandosi con gli altri passeggeri. Simona dormiva sulla spalla di Marco, che appoggiato al finestrino si era lasciato andare anche lui; davanti a loro Aurora e Silvia sbadigliavano, mettendo a posto i bagagli prima di raggiungere i loro amici nel mondo dei sogni. Solo due persone sembravano completamente sveglie: Manuel, che saltellava per il vagone emozionandosi per ogni paesaggio che attraversavano, e Davide, che aveva l’aria di non avere affatto dormito. Era insolitamente silenzioso e guardava fuori dal finestrino, la fronte aggrottata.

Ettore, sorpreso dalla sua apatia – lo conosceva al punto da sapere che se si fosse trattato solo di stanchezza si sarebbe accoccolato addosso a lui –, tentò di farlo reagire.

- Manuel ha detto che ci sono una discoteca e un pub poco lontano dall’albergo, - esordì, - sicuramente potrai sfoggiare tutte le tue doti nascoste e divertirti, quindi perché quella faccia?

Davide sollevò la testa e gli rivolse un’espressione ferita, come se il suo amico avesse appena colto nel segno.

- Ho fatto una cosa che non dovevo fare, - confessò, lanciando uno sguardo ai sedili su cui sedevano Aurora e Silvia.

- Che cosa? – ringhiò Ettore, fraintendendo.

- No, aspetta, non mi riferivo a lei! – si difese Davide. – Sono… Ho fatto una cosa brutta a Silvia.

- Te la sei portata a letto?

Rimase in silenzio per qualche secondo. – Sì.

- E la mattina dopo sei scomparso?

- Non avrei potuto: l’abbiamo fatto nel bagno del locale, la sera in cui non avete suonato. E subito dopo me ne sono andato con un’altra ragazza; ho saputo che lei è rimasta a dormire da Manuel, l’ha portato a casa perché era completamente ubriaco.

- E lo eri anche tu.

- Certo, sennò… sennò non avrei mai pensato a toccarla! Io le voglio bene, è un’amica, ma ora non mi rivolge più la parola ed è normale: sono stato un bastardo.

Ettore osservò le due ragazze che dormivano a poca distanza da loro; i suoi occhi, però, si spostarono presto da Silvia su Aurora, sui capelli ricci che le ricadevano sulle spalle, sulla bocca leggermente dischiusa.

- Almeno hai agito.

- Eh?

- Niente, lascia perdere. Le passerà, comunque, o forse dovresti cominciare a considerare l’idea di una storia seria.

È ora di cambiare strategia, Davide: le parti si invertono.

 

Per tutto il giorno Ettore non aveva fatto altro che osservare in silenzio un po’ Aurora e Marco, che camminavano ridendo e scherzando su qualsiasi argomento venisse loro in mente, e un po’ Silvia, che pur di evitare Davide preferiva la compagnia di Simona.

- Come sono organizzate le camere? – chiese Aurora, dopo avere ringraziato Marco per averle portato il bagaglio fino all’albergo.

- Io voglio stare in camera con Ettore! – esclamò subito Davide, agitando un braccio.

Ettore stava per dirgli che non aveva nessuna intenzione di passare la notte nel bagno mentre Davide esplorava il corpo di una sconosciuta, ma poi si rese conto che l’improvviso sprizzo d’allegria del ragazzo voleva proprio dimostrare a Silvia che lui non avrebbe ospitato nessuna donna; dal canto suo, Silvia gli rivolse una rapida occhiata, poi tornò a parlare con Simona.

Ma di cosa potranno mai parlare loro due?

- Ettore e Davide, allora, - segnò Manuel. – Direi che Aurora, Silvia e Simona andranno insieme, per cui restiamo solo io e Marco.

- Nessuno vuole fare a scambio, eh? – si finse disperato Marco, facendo ridere Aurora.

 

Doveva reagire, doveva fare qualcosa.

Ettore era rimasto a guardare in disparte Marco e Aurora, senza trovare l’occasione giusta per avvicinarla. Sembrava così a suo agio con lui, non sapeva come potere farla sentire allo stesso modo. Erano le undici di sera, però, e Simona era andata in discoteca, Manuel giocava nella sala dell’albergo con ospiti appena conosciuti, Davide era da chissà quale parte a riflettere sulle proprie azioni, Silvia molto probabilmente era nella sua stessa situazione in un luogo diverso, quei due erano spariti e lui era ancora solo, incapace di decidersi ad agire.

Uscì dalla sua stanza, che gli stava sembrando troppo stretta, e prese almeno la decisione di andare a fumare nel balcone della sala, quando udì la voce familiare di Davide seguita da quella di Silvia e si nascose per potere osservare la scena.

- Silvia, fermati!

- Adesso non sono più Peter, eh?

- Ti prego, ascoltami…

- Hai giocato con me tutto questo tempo, hai finto di essermi amico!

- Non è vero! - Davide le afferrò il braccio, costringendola a fermarsi. – Io tengo veramente a te…

- Raccontalo a qualcun’altra!

Passi affrettati, rumore di una botta e poi silenzio. Ettore sussultò, stupito dall’intraprendenza di Davide, che aveva spinto la ragazza al muro e la stava baciando con foga; Silvia aveva tutta l’aria di essere intenzionata a strappargli ogni singolo capello e a fargli patire le peggiori pene, ma da come si lasciò trascinare nella stanza di Davide Ettore intuì che lo avrebbe fatto comodamente sdraiata su un letto.

Era inutile, perfino Davide lo aveva capito: doveva agire, aveva perso già troppo tempo.

Uscendo sul balcone, notò una scena che definì “patetica”: Marco e Aurora osservavano le stelle con un enorme sorriso sui loro volti.

- Certo che siamo proprio insignificanti davanti all'universo, - rifletté Aurora.

- Parla per te, scusa, - gli rispose prontamente Marco

Potrebbe il grande Marco essere insignificante perfino davanti all’universo?

Ettore si guardò velocemente intorno, controllando che Manuel non fosse più nella sala, poi si avvicino ai due.

- Marco, - lo chiamò. Marco si voltò, il sorriso improvvisamente sparito dal suo viso. – Manuel ti sta cercando.

- Va bene, allora vado da lui. Non scappare, principessa, torno tra poco!

Ettore godette dell’espressione dura di Marco, interrotto sul più bello.

Mi dispiace, ma qui vale la legge del più forte.

- Che stavate facendo?

- Guardavamo le stelle, - rispose Aurora, sognante. – Se ne cadrà una, potrò esprimere un desiderio.

- E di che desiderio si tratta?

Aurora avvampò, cercando di nascondere il volto.

Basta esitare.

- Non so, - tentennò, - forse quando accadrà mi verrà in mente e…

Senza darle il tempo di finire, Ettore le strinse i capelli ricci, attirandola a sé per baciarla con passione; Aurora si lasciò immediatamente andare, fuori di sé dalla gioia per quello che aveva sognato per tanti mesi e che ora stava finalmente accadendo. Le labbra di Ettore si allontanarono dalle sue per un istante.

- Il mio desiderio saresti stata tu, - sussurrò con voce roca.

Forse Marco li stava guardando dalla sala affranto, ma non gli importava: non era una sfida tra loro due, non volevano farsi del male a vicenda, solo avere Aurora tutta per sé. E lui c’era appena riuscito.

- Vieni, - le disse.

Le afferrò il polso e la trascinò via dal balcone, camminando frettolosamente fino alla stanza di Aurora.

- Potrebbe esserci Si…

- Non c’è, fidati.

Aurora girò la chiave e si lasciò spingere dentro la camera, baciata con foga da Ettore mentre sbatteva la porta. L’uomo la fece indietreggiare fino al letto, senza smettere di premere passionalmente le labbra contro le sue, e con foga dopo averla fatta sdraiare le strappò il vestito; vide quei seni per lui perfetti, che da tempo sognava di baciare, e posare su loro la sua lingua lo fece eccitare ancora di più.

Si tolse rapidamente la maglietta e i jeans e le aprì le gambe, facendo vibrare la lingua anche sulle cosce, assaporando i suoi sussulti, i gemiti che non cercava di reprimere; la insinuò in lei, le toccò zone che Aurora nemmeno credeva di avere tanto era grande il piacere che stava provando. Senza dire una parola le fu sopra ed ebbe l’istinto di schiaffeggiarla per come l’aveva fatto patire, ma lo represse e per placarsi entrò in lei senza altro indugio, spingendo con forza, facendola urlare dal piacere e confondendo i loro gemiti; le stringeva i fianchi, la penetrava con violenza, sfogava su Aurora tutta la passione provata in quei mesi.

Si lasciò andare dentro di lei solo quando fu pienamente soddisfatto – e quando fu certo di averla soddisfatta più di una volta – e scivolò al suo fianco, accarezzando ora dolcemente e con un insolito sorriso i suoi lunghi capelli neri.


Non ci credo, mi sono decisa ad aggiornare la sfiga-storia xD
Beh, che dire? Non mi esalta molto questa parte, a dire la verità... Ma vabbè!
Citazione:

- Certo che siamo proprio insignificanti davanti all'universo.

- Parla per te, scusa.

(Dillo con parole mie)

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Capitolo 6
*** VI ***


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VI.

 

Quando quella mattina Aurora si svegliò tra le braccia di Ettore, per un momento si sentì spaesata; dovette raccogliere tutta la volontà del mondo per distogliere lo sguardo dal petto nudo del ragazzo e cercare di ricordare quello che era accaduto la sera prima. Le sembrava un sogno: per più di un anno era stata invaghita di lui e, improvvisamente, l’uomo la baciava dicendole una frase così… poco da Ettore.

- Il mio desiderio saresti stata tu.

Avvampò mentre quelle parole venivano pronunciate ancora nella sua testa e scivolò lentamente via dalle enormi braccia di Ettore: aveva bisogno di andare in bagno, aveva bisogno di guardarsi allo specchio e vedersi forse diversa, cambiata. Più felice.

Mentre metteva un piedi fuori dal letto, però, Ettore le afferrò il polso, tirandola a sé.

- Stavi andando via?

- Volevo… volevo farmi una doccia.

E togliermi dalla pelle il tuo odore? Mai!

Trovò strano il comportamento di Ettore, per un momento le sembrò di scorgere nei suoi occhi scuri un accenno di paura, come se temesse che volesse lasciarlo solo. Ma perché mai avrebbe dovuto farlo?

Quando gli rispose, però, l’uomo si tranquillizzò e le rivolse un sorriso, accarezzandole i capelli ricci.

 

Se Aurora pensava di trovarsi in un sogno risvegliandosi accanto ad Ettore, la sua ipotesi fu sostenuta dallo strano comportamento dei suoi amici. Quando scese nella sala ristorante per fare colazione, trovò il gruppo diviso in due tavolini: da un lato Davide e Silvia, improvvisamente riconciliati, che mentre spalmavano la marmellata sulle fette biscottate si lanciavano sorrisi e sguardi teneri, così in contrasto con il loro carattere; dall’altro Manuel, che si stringeva la testa tra le mani in evidente stato di confusione, e Simona, che lanciava occhiate feroci all’altro tavolo.

Per non disturbare la coppia appena nata che in quel momento sembrava fuori dal loro mondo – gioendo mentalmente per la felicità dei loro migliori amici – Aurora ed Ettore si avvicinarono al secondo tavolo. Manuel, però, cominciò a guardarsi intorno in cerca di un aiuto, poi senza nemmeno salutarli si alzò e uscì di corsa dalla sala, mentre Simona, quando si accorse che Aurora era in compagnia di Ettore, serrò la mascella e rispose con un gelido cenno del capo al loro saluto.

Ma che hanno tutti oggi?

Aurora si guardò intorno, ma non c’era traccia di Marco.

- A quanto pare, è la giornata delle coppie, - esclamò improvvisamente Simona, finendo di bere il suo caffè. – Sono andata in discoteca per trovare qualcuno e sono rientrata da sola; se lo avessi saputo, sarei rimasta qui.

- Per Manuel? – la prese in giro Ettore.

Simona lo fulminò con uno sguardo, inviperita, scansò la sedia e si allontanò senza ribattere.

- Dove sarà Marco? – chiese Aurora.

- Forse sta ancora dormendo.

Non lo avrebbe giurato, ma alla ragazza sembrò che Ettore gongolasse per qualche motivo a lei sconosciuto.

- Ehi! – esclamò Davide notando la loro presenza. Si alzò dal tavolo e corse verso di loro: era evidente che fremesse dalla voglia di raccontare al suo migliore amico della notte passata e di ricevere altrettante novità. – Come state? Dormito bene? Posso parlati, Ettorino?

Ettore sorrise, mise una mano sulla spalla di Davide con fare fraterno e cedette il posto a Silvia.

- Allora, cominci tu o comincio io? – scherzò Aurora, avvampando al solo ricordo delle braccia di Ettore che la cingevano.

Silvia sembrava al culmine della gioia. – Che devo dirti? Davide si è dimostrato… meno codardo di quello che pensavo. Meno femminuccia. Ha detto qualcosa come: “Io tengo veramente a te…” - Si strinse nelle spalle, sorridendo imbarazzata. – Non mi aspettavo di non dover essere l’uomo della situazione. E tu, invece? Ti avevo lasciata con Marco…

- A proposito, sai dov’è?

- Non ne ho idea. Ma parlami di Ettore, non pensare a Marco!

- Va bene. Ieri sera…

Aurora raccontò nei minimi dettagli ciò che era accaduto quella notte, dall’incontro sul balcone al bacio, al petto di Ettore contro il suo, al risveglio fiabesco tra le sue enormi braccia: non voleva trascurare niente, si sentiva felice come non era da tanto tempo.

 

Marco non si trovava da nessuna parte. Era sparito, era impossibile trovarlo.

Aurora bussò alla porta della sua stanza, sperando di trovarlo lì o che almeno Manuel potesse dargli sue notizie; quando Manuel andò ad aprire, però, le rivolse uno sguardo di profonda delusione.

- Ciao! – esclamò ugualmente Aurora. – Marco è qui?

Manuel la fissò per qualche momento come se stesse decidendo se urlarle contro o scoppiare a piangere, poi scosse la testa. – È andato via ieri sera.

Aurora spalancò gli occhi. – Che cosa? Ma… E dov’è andato?

- È tornato a casa.

- È tornato… - cominciò a ripetere. Apriva e chiudeva la bocca di continuo, senza capire perché. – Oggi è l’ultimo dell’anno! – realizzò infine.

- Non voleva passarlo qui.

- Ma perché? E perché hai gli occhi lucidi? È successo qualcosa di grave?

- No, - rispose Manuel, scuotendo la testa. – Possibile che non te ne sia mai resa conto?

- Di cosa?

- Di quello che Marco prova per te.

 

- Manuel spara un sacco di cavolate! – sbottò Aurora tornando nella propria stanza.

Silvia distolse lo sguardo dal muro, che stava fissando apparentemente assorta in qualche ricordo della notte passata, mentre Simona non si diede neanche il disturbo di smettere di smaltarsi le unghie per rispondere.

- Ti ringrazio per averci illuminate.

Aurora aggrottò la fronte, sorpresa dalla sua freddezza, ma poi decise che aveva ben altro di cui occuparsi in quel momento.

- Cos’ha detto questa volta? – le chiese Silvia.

- Che Marco è tornato a casa.

Improvvisamente gli occhi di entrambe le ragazze erano su di lei, aspettando che finisse di parlare.

- Perché, secondo Manuel, è completamente cotto di me ed è stato un brutto colpo sapere che ho passato la notte con Ettore.

Simona afferrò lo smalto, si alzò e si diresse verso la porta della stanza; solo in quel momento Aurora ricordò che lei era stata la fidanzata di Ettore per due anni. Avevano perfino vissuto insieme.

Quanto sono idiota, ecco perché è così acida oggi!

- Senti, - tentò di rimediare prima che Simona uscisse dalla camera, - sono stata… Indelicata è dire poco. Non avrei dovuto dirti così di Ettore…

Simona sbatté le palpebre. – Dirmi di Ettore? Ma se vi ho visti stamattina a colazione insieme! Ho dovuto perfino dormire in camera con Manuel perché la mia stanza era occupata, credi che abbia scoperto adesso che avete fatto sesso per tutta la notte?

- Non per tutta… - tentennò Aurora, imbarazzata.

- Oh, piantala, so quanto regge quel tipo!

- Allora non sei arrabbiata perché sono stata a letto con lui?

- No! Ho amato Ettore, ma non ho mai creduto di poter avere altre possibilità con lui, dopo la nostra rottura; a dire la verità, io avevo sperato di farmi Davide stanotte.

- Ehi! – esclamò Silvia, indignata.

- Nessun rancore, eh. Quello che mi dà veramente fastidio, però, è vedere la stupidità che dimostri nel voler negare a tutti i costi che Marco sia innamorato di te. Per quale diamine di motivo credi che avessero litigato la sera del nostro “debutto”?

Senza aggiungere altro, uscì dalla stanza e si sbatté la porta alle spalle. Aurora si lasciò cadere sul letto accanto a Silvia, le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa.

- Beh, - esclamò infine, - almeno si è decisa ad abbandonare la facciata da angioletto.

- Direi proprio di sì.

- Già… Silvia, dimmi una cosa.

- No, - rispose prontamente Silvia.

- Non te l’ho ancora chiesto!

- So cosa vuoi sapere: se Manuel e Simona ti stessero mentendo. La risposta è no. Onestamente, mi chiedevo quando te ne saresti accorta.

 

Il litigio tra Ettore e Marco prima del concerto.

La sorpresa di Simona quando Aurora aveva detto di non sapere chi fosse la ragazza che i due si stavano contendendo.

Il bacio di cui aveva parlato Marco quando lei si era svegliata a casa sua e la fretta con cui le aveva poi detto che stava scherzando.

La fuga del ragazzo dall’albergo la stessa notte in cui Ettore l’aveva fatta sua.

Ormai erano giorni che Aurora si interrogava su quello che i suoi amici le avevano ripetuto: Marco era innamorato di lei. Era davvero così? Le prove giocavano a favore di quell’affermazione, soprattutto il ricordo della discussione tra i due amici, perché se Ettore avesse amato un’altra non sarebbe andato a letto con Aurora, e perché se quella persona non fosse stata lei Marco si sarebbe già fatto vivo per parlare di Star Wars o proporle di vedere un film.

Aurora si rigirò il cellulare tra le dita, cercando di trovare il coraggio di chiamarlo. Per dirgli cosa, però? Che lei ed Ettore formavano già una magnifica coppia? A dire la verità, non poteva nemmeno parlare di “coppia”: avevano passato la notte insieme, Ettore sembrava davvero preso da lei, ma per ora si limitavano a frequentarsi, come se temessero che ciò che era accaduto in vacanza potesse in qualche modo essere attribuito a un altro mondo.

Doveva concentrarsi su di lui, non pensare a Marco. Doveva smettere di pensare a Marco.

Voglio solo essere felice, ne avrò il diritto, no?

Mentre decideva che da quel momento nella sua testa ci sarebbe stato solo Ettore, il suo cellulare squillò.

Marco.

Rispose immediatamente.

- Ehi.

La sua voce tremolante dovette sembrare strana al ragazzo, ma d’altronde lui aveva lasciato l’albergo pur di allontanarsi da lei. Aurora non poteva certo preoccuparsi di come gli stava apparendo.

- Scendi, - si limitò a dire Marco.

Aurora lanciò un rapido sguardo alla finestra: stava piovendo, avrebbe dovuto prendere un ombrello o mettersi addosso una felpa, invece uscì di corsa dall’appartamento, scendendo le scale e aprendo la porta del condominio con la mente vuota.

Non si chiese il perché della presenza di Marco, né si assicurò al telefono che non fosse uno scherzo.

Non si maledì per essere corsa in strada al solo suono della sua voce.

Non si ricordò nemmeno che aveva appena deciso di smettere di pensare a lui.

Gli era mancato.

Si guardò intorno, mentre la pioggia le bagnava i capelli ricci e i vestiti, e infine lo individuò dall’altra parte della strada. Poggiava la schiena sulla portiera dell’auto nera, noncurante delle gocce che si posavano sul suo viso; la mascella era serrata e lo sguardo fermo su di lei.



Citazione: Voglio solo essere felice, ne avrò il diritto, no?

Credo che questa sia l'unica storia in cui trovo Simona simpatica. L'unica. Ma mi piace qui, è meno angelica e più sfacciata... più se stessa. Volevo solo fare una picola parentesi su di lei!

Grazie per avere letto ^^

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Capitolo 7
*** VII ***


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VII.

 

Cosa ci faceva là?

Ah, già: aveva deciso di dire ad Aurora quello che sentiva per lei.

Mh, provando con quella bottiglia di vino sembrava più semplice.

Marco era scomparso quando, la penultima sera dell’anno, tornando sul balcone aveva visto Ettore baciare Aurora e il corpo della ragazza rispondere, esultante. La bella e dolce Aurora aveva finalmente incontrato le labbra del suo principe.

Un principe “dorato”, si ripeteva Marco, un principe perfetto sotto una montagna di punti di vista; quello azzurro, quello giusto per lei le avrebbe parlato di Star Wars mentre si ingozzavano di pop corn. Peccato solo che Ettore brillasse così tanto da offuscare la presenza di altri pretendenti.

In quel momento qualcosa aveva ceduto nel cuore di Marco, mentre quello di Aurora probabilmente stava ballando la samba e un altro paio di danze che il suo sicuramente avrebbe dimenticato per mesi. Marco non aveva riflettuto oltre, aveva agito d’istinto ed era corso nella propria stanza per lanciare i vestiti in valigia e scrivere un frettoloso biglietto per Manuel: GAME OVER, torno a casa.

Nei giorni seguenti era sparito dalla circolazione, sapendo che la cosa migliore per lui fosse non farsi vedere per un po’; Manuel gli aveva lasciato del tempo per calmarsi, lo aveva rassicurato che potevano rinviare le prove del gruppo con la scusa delle vacanze di Natale ancora in corso, però Marco sapeva che erano arrivate ormai agli sgoccioli e che non poteva permettere alle proprie emozioni di prendere il sopravvento sul suo bisogno di suonare.

Accompagnando la voce di Aurora, se possibile.

Purtroppo, però, la decisione di confessare i propri sentimenti alla ragazza era stata presa davanti a una bottiglia quasi vuota di vino rosso: l’aveva portata in macchina “in caso di bisogno”, se una volta giunto in prossimità della casa di Aurora avesse provato un impellente desiderio di fare inversione e tornare di corsa a Roma; tuttavia, una volta parcheggiato non era riuscito molto bene a regolarsi con le dosi.

Un sorso, e il volto sorridente di Aurora si stagliava in modo ancora più netto nei suoi pensieri.

Un altro sorso, e la sua risata annullava la voce di Cat Stevens che usciva dallo stereo dell’auto.

Un terzo sorso, e la mani di Ettore avvolgevano il corpo di Aurora, la spogliavano, la macchiavano di baci che non avrebbe dovuto darle.

Quando Marco si accorse che, da quel momento, ogni sorso non faceva altro che aumentare la rabbia nel suo petto, bevve più velocemente, impaziente di riunire tutto il rancore che provava e di scagliarlo addosso ad Aurora.

Con un insulto, uno schiaffo o un bacio, non importava.

E ora finalmente era lì, di fronte a lei, la schiena appoggiata alla macchina e i capelli incollati alla fronte per la pioggia scrosciante.

- Marco, - esclamò Aurora, la voce tremolante. Era bella, dannatamente bella, e lui avrebbe voluto solo sdraiarla a terra lì, davanti alla macchina, anche in una pozza di fango, tanto sarebbe rimasta così straordinariamente bella ai suoi occhi; sdraiarla, spogliarla e fare l’amore tutta la notte, sperando che sua madre non si sarebbe mai affacciata per ritirare i panni.

Non rispose, fece appello alla sua forza di volontà e mantenne la mascella serrata. Dopotutto non era questo ciò che Aurora voleva, un paio di bicipiti in mostra e un’espressione dura sul volto?

- Sei… sparito, - tentennò Aurora, incrociando le braccia al petto. Marco notò che non aveva perso tempo a cercare un ombrello e questo avrebbe allentato un po’ la stretta allo stomaco, se solo lei non avesse scelto proprio quelle parole.

Certo che sono sparito, che cosa ti aspettavi?

Non fece in tempo a rispondere: Aurora si era avvicinata alla macchina e aveva sbirciato dentro con la coda dell’occhio, individuando la bottiglia quasi vuota di vino. Aggrottò la fronte.

- Hai bevuto? – si preoccupò. – Sei venuto fin qui ubriaco? Marco, non dirmi che…

- Sei bellissima, - la interruppe Marco, senza avere smesso neanche un secondo di fissarla.

Ora abbasserà leggermente lo sguardo, si porterà i capelli dietro l’orecchio e farfuglierà qualcosa come: “Lo dici solo perché sei ubriaco”.

Come Marco aveva predetto, Aurora sussultò, rivolse gli occhi scuri alla strada bagnata e si spostò una ciocca castana, imbarazzata.

- Non dovresti dirlo, sei ubriaco.

- Sì, sono ubriaco e tu sei bellissima, - replicò Marco. - E domani non sarò più ubriaco, ma tu sarai ancora bellissima.

L’immagine che gli vacillò nella mente fu delle sue dita che stringevano il polso di Aurora, allontanando la mano dai capelli ricci e sbattendo il suo corpo contro l’auto. Avrebbe voluto strapparle i vestiti a morsi, forse nello stesso modo in cui Ettore quella notte l’aveva spogliata.

Perché aveva fatto sesso con lei, di questo era certo.

Non lo fece: la questione era chiusa ormai, non voleva che Aurora lo scacciasse con uno schiaffo. Non temeva che lo facesse per rispetto a Ettore, ma perché non provava assolutamente niente per lui.

La udì mormorare qualcosa, mentre il volto prendeva fuoco, ma non rimase ad ascoltarla; le diede le spalle e salì in macchina senza degnarla di un ultimo sguardo.

 

- Ehi.

Nocche contro il vetro della macchina.

- Ehi!

Ma perché la persona dall’altra parte dello sportello non rispondeva? Se solo lo avesse fatto, lui avrebbe potuto continuare a dormire in pace…

- Ehi, tu con l’adesivo della Fender sul cruscotto!

Marco si riscosse dal mondo dei sogni sentendo nominare la sua amata Fender; sbatté più volte le palpebre impastate dal sonno, si portò una mano davanti al viso per evitare di essere colpito dagli improvvisi raggi di sole e infine si voltò verso la ragazza che stava bussando sul vetro della sua auto.

- Oh, finalmente! – esclamò lei, ma non sembrava scocciata. Indossava una vestaglia rossa sopra un pigiama di flanella, che si intravedeva appena a causa della cintura che le circondava comodamente la vita; doveva avere sui venticinque anni, forse un po’ di più, e teneva i capelli biondo scuro raccolti in una coda mossa.

Marco si guardò intorno, cercando di realizzare dove fosse. Dopo una rapida occhiata si accorse di essere ancora a Viterbo, nel parcheggio esterno di un condominio; doveva essersi fatta mattina da diverse ore, a giudicare dal sole che splendeva alto nel cielo invernale, nascosto ogni tanto da sottili nubi. A quanto pare, la sera prima aveva saggiamente scelto di non tornare a Roma ubriaco.

Abbassò il finestrino e la ragazza gli porse una tazzina di caffè.

- Ho pensato che dovevi avere freddo, - disse.

Marco sbatté ancora le palpebre fino a metterla bene a fuoco. Ventisei anni, non di più. Un neo sul collo. Il volto struccato e le mani tremanti. Occhi azzurri.

- Grazie… - mormorò, reprimendo uno sbadiglio.

- Ti ho visto stanotte rientrando a casa, - spiegò la ragazza. – Quando mi sono svegliata ho notato che eri ancora qui, così ho pensato di preparati qualcosa di caldo -. Notò anche lei la bottiglia ai piedi del sedile del viaggiatore. – Hai preso una bella sbornia, eh? Io sono Rachele, comunque.

- Rachele, - ripeté Marco, cercando di svegliarsi del tutto: gli sembrava ancora impossibile avere passato un’intera notte nella macchina con i riscaldamenti spenti e sotto lo sguardo curioso di una sconosciuta che viveva lì di fronte. – Mi chiamo Marco, grazie ancora per il caffè.

- Figurati. Come mai hai dormito qui? Hai litigato con la tua ragazza, ti sei ubriacato per implorare il suo perdono e lei ti ha scaricato?

- Una specie, - si limitò a rispondere.

- Wow, sei un tipo da molte parole. Vuoi salire a metterti qualcosa di caldo? Tra la roba di mio fratello dovrei trovare qualcosa per te.

 

- È simpatica.

- Ahi ahi, Marco si è innamorato di nuovo.

- Che stai dicendo?

Manuel sospirò e mostrò a Marco il CD che Rachele gli aveva regalato.

- Lo conosco, - gli fece notare lui.

- È un CD di Cat Stevens.

Marco si strinse nelle spalle. - Piace a entrambi.

- E siete andati a vedere quel film su astronavi, alieni… Quella robaccia là.

- E allora? È una patita della fantascienza come me. Suona anche la chitarra.

- Suona la chitarra? Oh, meno male! – esclamò sollevato Manuel, spalancando le braccia. – Temevo fosse un clone di Aurora!

Marco avvampò, ma non si diede la pena di cominciare una conversazione di due ore per spiegare al suo migliore amico che non stava uscendo con Rachele per le sue somiglianze che la donna della sua vita.

Erano passate tre settimane da quando si erano conosciuti, in quel parcheggio di Viterbo, ed entrando nel suo appartamento Marco aveva subito scoperto quanto loro due avessero in comune. A dire la verità, aveva creduto perfino che si trattasse di un sogno quando Rachele era uscita dal bagno con una maglietta di Darth Fener e il plettro di una Fender che sbatteva sul collo, anche se non lo avrebbe mai ammesso davanti a Manuel. Rachele gli aveva raccontato del negozio di animali in cui doveva lavorare quel pomeriggio, della sua passione per la musica, dell’interesse che aveva provato per quel misterioso ragazzo che dormiva in macchina. Per ringraziarla della gentilezza nei suoi confronti, in uno slancio causato dal desiderio di gettarsi Aurora alle spalle, Marco le aveva chiesto di chiamarlo per andare a prendere un gelato non appena fosse stata dalle parti di Roma; il giorno seguente aveva ricevuto un suo sms e si erano ritrovati a Piazza di Spagna con un cono in mano e l’ultimo numero di Thor nell’altra. Marco si era raccomandato di prestarglielo quando lei lo avesse finito di leggere e da quel momento avevano cominciato a tenersi in contatto, fino ad ammettere a se stessi che si stavano decisamente frequentando.

Tutto stava andando così bene, perché ora Manuel, comodamente seduto sul suo letto mentre Marco componeva, gli stava facendo notare le minime somiglianze tra Rachele e Aurora?

La sua “vecchia fiamma” non sapeva suonare la chitarra – gli aveva chiesto di insegnarle, ma quello era un dettaglio irrilevante.

Non leggeva fumetti della Marvel, era un’accanita sostenitrice della DC.

E poi non era bionda.

- Se sei davvero convinto che quelle due non abbiano molto in comune, - lo punzecchiò Manuel, lo sguardo rivoltò al soffitto mentre si lasciava cadere supino sul piumone blu, - e se pensi che potrebbe nascere davvero una storia seria, potresti farle conoscere senza problemi.

- Certo.

- Domani sera alle prove?

Alle prove? Così presto? Presentarla a tutti?

Come se fosse Simona il problema, sussurrò una voce nella sua testa.

- Vada per domani.



"Sì, sono ubriaco. E tu sei bella. E domattina, io sarò sobrio ma tu sarai ancora bella." (The Dreamers)

Questo capitolo mi piace decisamente, mi sono affezionata subito al personaggio di Rachele! :D D'accordo, è un "ostacolo" per uno dei miei più grandi OTP, ma mi piace :)

Grazie per aver letto! ^^

Med

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Capitolo 8
*** VIII ***


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VIII.

 

Era passato solo un mese dalla notte che Ettore aveva trascorso con Aurora, eppure quel ricordo sembrava appartenere a un’era lontana, a millenni prima. Aurora era stata così felice tra le sue braccia, Ettore temeva un po’ a dire realizzata; i primi giorni erano stati magnifici, anche una passeggiata a Via del Corso o un gelato tra i vicoli più remoti di Roma bastavano a far sorridere i due innamorati.

Tuttavia, poco più di una settimana dopo il loro bacio sul balcone dell’albergo Aurora aveva iniziato ad apparire nervosa e insicura: rifiutava con le scuse più strane di prendere la sua mano, evitava di dormire nell’appartamento di Ettore, sussultava quando lui entrava nella sala prove – come se temesse l’arrivo di qualcun altro in un momento in cui era sola.

Possibile che si fosse resa conto solo dopo le vicende di Capodanno dei sentimenti che Marco nutriva per lei? Ettore si interrogava costantemente sul rapporto ormai freddo tra i due amici, aveva paura che Aurora, per il semplice desiderio della compagnia di Marco, finisse per lasciare il suo ragazzo – potevano definirsi così? – e gettarsi nel letto del chitarrista: amicizia o amore, non avrebbe fatto differenza. Si riscuoteva sempre da quei pensieri, ricordando tutte le volte, durante quel mese, che Aurora si era sciolta al tocco dei suoi baci, che il suo corpo aveva risposto alle mani di Ettore, che lei era apparsa raggiante.

Forse le mancava parlare con Marco, ma lei aveva deciso di appartenere a Ettore. Era inutile perdere tempo a porsi domande fastidiose e controproducenti.

Smise di fumare ed entrò nella sala prove, dando un’occhiata all’orologio: meglio non ritardare ulteriormente, il resto del gruppo era già lì. Vide Aurora discutere con Manuel del nuovo pezzo e la salutò con un leggero bacio sulla fronte. Lei sorrise, accarezzò velocemente la sua mano e tornò a parlare con il bassista; con la coda dell’occhio, Ettore notò che Marco era al telefono e non si era nemmeno accorto del gesto tra i due fidanzati. Meglio così: anche se ormai il chitarrista avrebbe dovuto abituarsi alla situazione, Ettore preferiva evitare che si creassero tensioni durante le prove.

All’uscita avrebbe stretto a sé Aurora con un bacio appassionato, che Marco lo avesse accettato o no.

Fu sollevato dall’assenza delle solite amiche ridanciane di Simona, pensando che finalmente avrebbero potuto provare senza che Manuel cercasse di fare colpo – o di farlo loro su Ettore; purtroppo quel momento durò poco, perché durante la terza canzone Davide e Silvia entrarono nella stanza insonorizzata, tenendosi per mano. Il migliore amico del batterista cominciò a lanciare baci nella sua direzione, muovendo le labbra per fare il tifo in silenzio, mentre accanto a lui Silvia tratteneva una risata.

Improvvisamente pochi minuti dopo un’altra persona varcò la soglia della sala prove: era una ragazza bionda, probabilmente dell’età di Aurora, con indosso un abito azzurro che risaltava i suoi occhi e aderiva perfettamente al corpo snello. Sorrideva timidamente, portandosi una ciocca di capelli mossi dietro le orecchie – a Ettore ricordava qualcuno, ma non gli veniva in mente chi.

Davide le rivolse un sorriso ammiccante, guadagnandosi subito una gomitata nel fianco da Silvia. Ettore non poteva biasimarlo: questa volta l’amica di Simona era davvero carina e non sembrava, incredibilmente, nemmeno un’oca.

Simona, però, non la degnò di uno sguardo, forse perché aveva capito che doveva smettere di interrompere le canzoni ogni volta che una sua amica entrava nella stanza. Quando il pezzo terminò Simona rimase immobile, gettando solo una rapida occhiata alla nuova arrivata; Ettore si chiese se fosse amica di Aurora – ma in tal caso Silvia non l’avrebbe salutata? –, ma seguendo lo sguardo della ragazza lo vide puntato su Marco.

Forse era una cugina, si disse mentre il chitarrista appoggiava la Fender su una sedia per raggiungere l’ospite, forse un’amica di infanzia di cui non avevano mai sentito parlare, forse una collega di lavoro… Spalancò gli occhi quando lo vide stamparle un casto bacio sulle labbra rosse.

- Come mai così elegante?

- Non sapevo come vestirmi, ho optato per questo abito… Ma in macchina ho felpa e jeans, in caso avessi toppato alla grande!

Parlavano quasi bisbigliando, intimi, e l’unico motivo per cui tutti potevano seguire la loro conversazione era che nella sala era calato il silenzio. Ettore si accorse che Manuel spostava continuamente lo sguardo dalla coppia ad Aurora e questo lo fece irritare.

Alla fine Marco sembrò ricordarsi della presenza dei suoi amici e si voltò verso di loro, accompagnando la ragazza. – Lei è Rachele, - la presentò.

Mentre tutti la salutavano con una strana espressione – perché mai ora non era solo Manuel a fissare Aurora? –, Ettore udì Simona, accanto a lui, mormorare: - Questo sì che è un colpo di scena.

Allora capì.

Aurora.

Era incredibile la somiglianza tra Rachele e Aurora: anche se fisicamente erano abbastanza diverse, la ragazza di Marco aveva molti atteggiamenti in comune con la cantante dei Moonlight Sonada, a partire dal modo in cui, imbarazzata, si scostava i capelli dietro le orecchie fino ad arrivare al plettro che portava come ciondolo.

- Marco mi ha detto che sei una fan di Star Wars! – esclamò Manuel.

Avevano anche gli stessi gusti?

- Piacere, Aurora.

Solo in quel momento si ricordò della presenza nella stanza dell’ex fiamma di Marco. Forse fu solo un’impressione, ma a Ettore parve che Aurora stringesse la mano di Rachele con un sorriso tirato sul volto, come se faticasse a essere gentile.

Per tutta la durata delle prove, la cantante evitò di incrociare lo sguardo di Marco, facendo crescere così l’abisso che si stava creando fra di loro.

 

- E allora lei mi fa: “Da, ma ti sembra il caso di ammiccare a tutte le ragazze carine che incontri anche quando sei con me?” Santo cielo, non puoi capire quanto sia rompiscatole!

- Non sono ancora uscita, ti sento! – gridò Silvia dalla soglia dell’appartamento di Ettore.

- Parlavo di un’altra persona, tesoro mio! – strillò Davide in risposta. Aspettò che la porta si chiudesse dietro Silvia e Aurora, che stavano andando a prendere le pizze per la cena, poi si voltò verso Ettore, sospirando. – La amo.

Il suo migliore amico represse una risata e si alzò dal divano per aprire un’altra lattina di birra.

- Hai proprio deciso di mettere la testa a posto, allora?

Davide si passò una mano tra i capelli biondi. – Credo sia la mia prima fidanzata dai tempi dal liceo. No, aspetta… Non ho mai avuto una fidanzata al liceo, perlomeno che sia durata più di due settimane. È una strana esperienza, sai?

Ettore non lo stava ascoltando: si portò la lattina alle labbra, assaporò la birra fresca e puntò gli occhi alla parete bianca, sovrappensiero. Per fortuna Davide notò il suo viso rabbuiarsi e tentò di salvarlo dalla confusione che gli teneva occupata la mente.

- Qual è il problema?

- Non lo so, - rispose Ettore, stropicciandosi gli occhi con la punta delle dita. – Mi sento… mi sembra come se lei non volesse stare con me.

- Marco si è fatto avanti?

- Che io sappia no, ma non credo che me lo avrebbe detto. Comunque lui ha Rachele, no?

- Stai parlando della Rachele che ama Cat Stevens, i film in bianco e nero e la fantascienza? L’Aurora bionda? Voglio dire, - tentò di riprendersi Davide, capendo di avere detto la cosa sbagliata, - sì, Marco ha Rachele, hai ragione. Caso chiuso.

- No, per lui il caso non è per niente chiuso, - replicò Ettore accartocciando con la mano destra la lattina ormai vuota, - altrimenti non starebbe uscendo con la copia esatta di Aurora.

- Della tua ragazza, - precisò Davide.

- E con questo?

Si avvicinò a Ettore e gli circondò solidale le spalle con un braccio. – Marco potrà anche stare con la versione bionda di Aurora, ma l’originale è tua: sei tu quello che dorme con Aurora, quello che lei vuole baciare. Io credo che il fatto che Marco frequenti Rachele sia un bene per lui, perché ha trovato un’altra donna con le sue stesse passioni; quanto a te, che il tuo “rivale” sia fidanzato o meno è completamente irrilevante, visto che Aurora ha scelto te.

- Si è solo lasciata trasportare dal momento, prima non aveva fatto alcun passo verso di me…

- Oh, andiamo! – sbottò Davide, evidentemente preoccupato per l’espressione cupa sfoggiata dall’amico. - Nessuna donna si sveglia la mattina e pensa: “Dio, spero di non essere rapita dal principe azzurro oggi!” E nemmeno: “Dio, quel ragazzo così bello sta sicuramente guardando me!” Sei un figo, amore mio, è normale che Aurora abbia pensato di non avere speranze con te e forse il problema è che ancora adesso non riesce a crederci!

Ettore gli rivolse una smorfia simile a un sorriso: non era del tutto convinto della tesi di Davide, ma le sue parole gli avevano fatto capire che si stava preoccupando troppo.

Aurora sta con me, Aurora vuole stare con me.

- Stanotte sbattila sul letto come sai fare solo tu e vedi come si accorge che non è un sogno! – continuò Davide con una risata.

- Dimmi una cosa, Da: se avessi dei dubbi su quello che Silvia prova per te?

- Ti chiederei di spaccare il naso al tizio che glieli avrebbe fatti venire. Scusa, ma io non sarei convincente nel ruolo di duro. Però potrei passare la notte a piangere sotto il portone di Silvia fino a che non si deciderebbe ad amarmi e onorarmi per tutta la vita.

Ettore sorrise. – Sei proprio innamorato, eh?

- Naaa, siamo solo agli inizi. Sai che tu sei l’unico che potrei mai amare!

 

Ettore parcheggiò la macchina poco lontano dalla casa di Aurora, arrendendosi all’evidenza: da quando aveva cominciato a frequentare la ragazza, non aveva mai trovato un posto libero che non fosse a meno mezzo chilometro di distanza. Tolse lo stereo per riporlo nel cassetto dell’auto, interrompendo così Heart shaped box dei Nirvana.

Mentre era impegnato in quell’azione, sentì qualcuno bussare sul finestrino.

- Ehi!

Rachele?

Scese dall’auto per salutarla. – Ciao. Cosa ci fai da queste parti?

- Abito qui, - rispose Rachele con un sorriso, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans e dondolando sui talloni: con la maglietta di E.T. al posto dell’abito azzurro la somiglianza con Aurora era ancora più evidente, ma Ettore si costrinse a non pensarci. – Tu invece? Credevo fossi di Roma.

- Sì, sono venuto a trovare la mia ragazza.

- Oh, è di Viterbo anche lei?

- L’hai conosciuta l’altra sera: è Aurora, la nostra cantante.

Improvvisamente Rachele smise di dondolarsi e il suo sorriso si affievolì. – Ah, - esclamò con tono piatto. – Ora capisco.

Sembrava stesse parlando più a se stessa che a Ettore, mentre il suo sguardo lentamente si rabbuiava.

- Qualcosa non va?

Rachele sussultò e tornò a sorridere, ma al batterista non sfuggì il modo in cui le sue dita afferrarono una ciocca bionda per portarla dietro l’orecchio sinistro. – Tutto a posto! Scusa, ma ora devo andare, sono in ritardo per le lezioni di chitarra: se lascio sola quella banda di ragazzini pestiferi ancora una volta finiranno davvero per distruggere l’aula. Beh, buon pomeriggio!

- Aspetta! – Fu l’improvvisa sensazione che attraversò il petto di Ettore a richiamare Rachele prima che potesse allontanarsi ulteriormente.

- Che c’è?

No, si stava sbagliando. Come gli era venuta in mente un’idea così sciocca? Tuttavia…

- Tu e Marco vi conoscete da un mese, vero? Me l’ha detto Manuel.

- Sì.

- Dove vi siete incontrati?

Rachele guardò l’asfalto ai suoi piedi, diede un calcetto a una lattina vuota di Sprite e dopo qualche secondo riportò gli occhi azzurri su quelli scuri di Ettore.

- In una fumetteria di Roma. Ero lì per cercare un vecchio Spider-Man e lui aveva in mano proprio il numero che mi serviva. Devo andare… Ciao!

Ettore avrebbe dovuto considerarsi sollevato da quella risposta, eppure la strana sensazione non accennava ad abbandonarlo. Solo dopo che ebbe passato il resto della giornata con Aurora sul suo divano, stretto tra le sue braccia e i suoi gemiti, si rese conto che Rachele non gli aveva chiesto il perché di quella domanda così improvvisa.


Nessuna donna si sveglia la mattina e pensa: “Dio, spero di non essere rapita dal principe azzurro oggi!” (Hitch)

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Capitolo 9
*** XI ***


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IX.

 

Approfittando della pausa tra le due ore di Letteratura spagnola, Aurora si recò in bagno sovrappensiero; provò a spingere la porta, ma quella sembrava non volere aprirsi.

- Fanculo!

Dietro di lei qualcuno diede un calcio alla porta testarda e la spalancò. – Come mai oggi ci delizi con questo linguaggio così aulico?

- È una giornata terribile, mi va tutto storto, - rispose Aurora, entrando nel bagno con Silvia.

- Perché sei arrivata in ritardo? Non ti ho vista a Informatica.

- La macchina non partiva, - mentì. – Sono… sono venuta a piedi.

- Credevo non avessi dormito.

- Ho dormito.

- Che brava! – la punzecchiò Silvia. – Io non sarei riuscita a dormire dopo avere passato una serata in compagnia del mio ex spasimante e della sua nuova fiamma.

Aurora avvampò e si chiuse subito la porta del gabinetto alle spalle, in modo che Silvia non potesse scoprire che le sue insinuazioni velate avevano appena fatto centro.

- È carina, - continuò la sua amica: doveva esserci del sadico in lei. – Sembra anche simpatica, peccato che tiri sempre fuori il terzo film di Star Wars… Hai fatto caso che avete molte cose in comune? Potreste fare un’uscita a quattro, una sera di queste.

- Silvia.

- Sì?

- Piantala.

- Di fare cosa? – chiese Silvia con un finto tono ingenuo. Aurora non rispose, sapendo che una confessione era proprio ciò a cui voleva arrivare l’amica. – Ah, mi sono appena ricordata che Marco aveva parlato di quel film di fantascienza che sta per uscire: mi sembra l’occasione perfetta! Però non credo che Ettore si divertirebbe… Beh, andateci voi tre, io e Davide porteremo il tuo ragazzo alla prossima partita della Roma!

Aurora aprì la porta, rassegnata. – Sì, quella Rachele mi sta sulle palle. Sì, il motivo è il suo legame con Marco. , l’ultima cosa che vorrei è passare un’intera serata sola con loro due.

- E perché ti dà così fastidio che stia con Marco? – continuò a stuzzicarla Silvia, con un’espressione soddisfatta sul volto.

- Perché… - Aurora sospirò. – Ok, lo ammetto: perché andavo così d’accordo con Marco, era fantastico poter condividere tutte le mie passioni con qualcuno e ora lui ha Rachele, che gli parlerà di Star Wars e per giunta sotto le coperte!

Silvia era ammutolita. Dopo qualche secondo passato a fissare Aurora con gli occhi strabuzzati riacquistò il dono della parola.

- Stai scherzando.

- No, è vero: Marco mi manca.

- Sì, lo so, che ti manca… Ma non perché non hai qualcuno con cui parlare di spade laser e alieni dal muso verde.

- Silvia, no.

- Tu non puoi fare a meno di lui.

- Silvia, per favore…

- Ti mancano il suo sorriso, la vostra complicità, il modo in cui guardava solo te…

- Silvia…

- Sai che lo fa ancora? Sai che ti guarda ancora in quel modo?

Aurora avvertì la confusione posarsi sulle sue palpebre e pesare come pietre, mentre nella sua testa una vocina, che non era quella di Silvia, ripeteva soddisfatta: - Ti guarda ancora in quel modo!

Si accasciò al pavimento, la schiena contro la parete bianca, indifferente a tutti i piedi che avevano calpestato le mattonelle su cui stava poggiando la nuova gonna viola; sollevò il capo e rivolse lo sguardo al soffitto, cercando di reprimere le lacrime.

- Io sto con Ettore… Ho sempre voluto stare con lui…

- Lo so, - disse Silvia, ora meno incline a prenderla in giro, e si sedette accanto a lei. – Però il ragazzo giusto non è mai quello che ci aspettiamo. Tu mi avresti immaginata insieme a uno come Davide? Il mio tipo ideale è un eroe senza macchia né paura, e ora sto con una femminuccia egocentrica e vanitosa che passa un’ora davanti allo specchio per controllare che la sua camicia non abbia nemmeno una piega! E nonostante tutti i suoi difetti, nonostante quanto mi abbia fatto soffrire all’inizio la sua codardia, non lo cambierei con nessun altro perché con lui posso essere me stessa.

- Io sono me stessa con Ettore -. Ad Aurora bastò dirlo ad alta voce per rendersi conto che stava mentendo. – E se anche così non fosse? Marco mi piace, è vero, - e in quel momento la voce nella sua testa lo stava urlando, - ma siamo entrambi fidanzati e me ne farò una ragione.

- Certo, fai bene: rischia pure di ritrovarti tra, che ne so, cinque anni davanti all’altare capendo di avere fatto la scelta sbagliata! – Silvia si alzò e si pulì velocemente i jeans. – Andiamo, Quevedo non aspetta.

 

Aurora si stiracchiò, stanca per le notti insonni che stava passando nell’ultima settimana. Ringraziò mentalmente l’appuntamento di Simona, motivo per cui avevano dovuto spostare le prove nel pomeriggio, così da non dover guidare di notte né chiedere ospitalità a Ettore. Erano diversi giorni che non si rifugiava tra le sue calde braccia, ma dopo la confessione nel bagno dell’università – “Marco mi piace, è vero” – preferiva non correre il rischio di pensare a un altro mentre il suo ragazzo le cingeva la vita.

Questa storia deve finire.

Perché i suoi amici non si sbrigavano ad arrivare? Eppure Simona aveva ripetuto più volte a tutto il gruppo di concludere presto le prove per poter passare almeno due ore a prepararsi.

Si lasciò cadere sul divano, esausta, pensando che nell’attesa avrebbe potuto fare un riposino… Qualche minuto… Chiudere gli occhi giusto un attimo…

No, non era possibile: dopo che mille immagini avevano vorticato nella sua testa, una si stagliò nettamente tra le altre, irritante e rinfrescante allo stesso tempo. Era quello il motivo per cui faticava a prendere sonno, perché ogni volta che chiudeva gli occhi Marco era lì, sorridente e con una battuta pronta per farla ridere come fino a qualche settimana prima.

Ora però non aveva la consueta espressione divertita; al contrario, Aurora l’avrebbe definito malinconico e un po’ triste. Ebbe l’istinto di allungare una mano e accarezzargli la guancia: sembrava così affranto, forse il suo tocco l’avrebbe tirato su. Passò delicatamente le dita su quel viso e Marco chiuse gli occhi in una smorfia di dolore.

Quel sogno sembrava così reale…

Aurora sobbalzò.

Marco.

Il ragazzo era veramente lì, chino sul divano. Da quanto tempo la stava guardando? Aurora si accorse di avere ancora la mano poggiata sulla guancia di Marco; tentò di ritrarla, ma lui l’aveva avvolta con le proprie dita, incapace di lasciarla andare. E in quel momento Aurora capì che sarebbero rimasti così per ore, se solo non si fosse ricordata che Ettore sarebbe potuto entrare da un momento all’altro.

Strattonò la mano e balzò in piedi; fu subito costretta ad aggrapparsi all’asta del microfono per non cadere, ancora intontita. Marco, dal canto suo, non fece gesti plateali, non la implorò di accarezzarlo ancora, ma le diede le spalle e cominciò a rovistare nel mobiletto in cui il gruppo teneva i pezzi di riserva per ogni strumento.

- Come mai sei qui?

Era la prima volta che Marco le parlava dopo l’incontro sotto la pioggia a Viterbo: le era mancata quella voce, se ne accorse quando avvertì aumentare la propria riserva di ossigeno. Era talmente concentrata su quel particolare che non si accorse immediatamente della stranezza della domanda.

- Per le prove, no?

Vide l’addome di Marco allargarsi e poi contrarsi; un timido sorriso le solcò il volto, prima di accorgersene e cacciarlo. Lo stava ancora fissando quando lui si voltò e Aurora fu costretta a portare rapidamente lo sguardo sulla batteria.

- Le abbiamo rimandate alla prossima settimana, - disse Marco, facendole distogliere per un momento l’attenzione dal battito del proprio cuore. – Oggi non potevamo tutti.

- Sì, ma si era detto di farle nel pomeriggio…

- Finché Simona non ci ha ripensato e ha deciso che avrebbe messo più tempo del previsto a truccarsi.

Ora che Marco glielo stava ricordando, le parole di Simona risuonarono chiare nelle sue orecchie.

Maledizione, aveva fatto tanta strada per niente! E aveva pure avuto una conversazione imbarazzante con Marco, anche se non poteva negare che le avesse fatto piacere.

- Cosa stai cercando? – gli chiese, ansiosa di ascoltare ancora la sua voce

- Le corde della chitarra: a casa non ce ne sono più, ma ero sicuro di averne lasciato un pacchetto qui. A meno che stamattina, quando è venuto a pulire, Manuel non le abbia mangiate; in tal caso accordare la mia Fender sarebbe l’ultimo dei problemi.

Aurora sbuffò divertita e Marco le rivolse un sorriso. Le era mancato così tanto… Ma perché doveva finire proprio così? Perché non potevano essere solo amici?

- Ti serve un passaggio fino alla stazione?

- No, sono in macchina.

- Ok -. Marco chiuse l’ultimo cassetto e si diresse verso la porta. – Le corde non ci sono, quindi direi che prima passerò da Manuel a vedere come sta e poi farò un salto a comprarne altre. Ci si vede.

Se ne va?

Effettivamente Marco non aveva pretesti per rimanere: doveva prendere le corde, tornare a casa, forse chiamare Rachele e mettersi d’accordo con lei per la serata. Tuttavia quel saluto frettoloso ricordò ad Aurora come fosse la loro relazione prima di Capodanno, quando cercavano di passare più tempo insieme per poter parlare di fantascienza, Cat Stevens e Fender senza che l’altro interlocutore sbuffasse e tentasse di cambiare argomento.

Oppure solo per stare vicini.

 - Hai visto il nuovo film della Marvel che sta per uscire? – Forse agli occhi di Marco stava apparendo come una ragazza disperata che faceva il possibile per intavolare una conversazione con lui, ma non le importava: voleva sentire ancora la sua voce.

- Sì, - rispose Marco, fermandosi sulla soglia della sala prove. – Pensavo di andarci il giorno della prima, mi piacerebbe passare la notte in fila davanti al cinema!

Potremmo andarci insieme.

No, si sgridò, non era la cosa giusta da dire. Non con Ettore, non con Rachele nelle loro vite.

- È da un po’ che non parliamo, - confessò infine, - mi mancano i nostri discorsi. La tua presenza.

Marco richiuse la porta e puntò gli occhi neri su quelli castani di Aurora. – Le cose non potranno più tornare come prima.

- Ma io non ho fatto niente!

- No, è vero, non hai fatto niente, - concordò. – Il problema è che tu mi vuoi accanto come amico e… beh, forse non riesco ad essere semplicemente tuo amico.

- Non potresti provarci?

Ecco, ora parlava davvero da disperata.

Marco le si avvicinò, lo sguardo serio fisso su di lei; Aurora lo aveva visto così solo quel giorno.

- Sei bellissima.

Chiunque avrebbe detto “Ti amo” o “Ho perso la testa per te”, ma Marco aveva espresso tutti i suoi sentimenti con quelle due parole: Aurora indossava una t-shirt sformata e un paio di jeans sporchi e pieni di strappi, vestiti che utilizzava per casa, e i suoi capelli erano raccolti sopra la testa da un mollettone, solo alcune ciocche castane le ricadevano sul viso. Marco l’aveva definita “bellissima” e nessun “Ti amo” sarebbe mai stato paragonabile a quello che aveva velatamente pronunciato lui.

E ora Marco la fronteggiava, senza alcuna traccia della consueta ironia nella voce, e Aurora sentiva di non essere ancora pronta: avrebbe ceduto e se lo sarebbe rimproverato per tutta la vita.

Marco le mise una mano sulla spalla. – Provare ad esserti amico quando vorrei solo spogliarti? Parlare con te di Star Wars e chitarre mentre nella mia mente sei nuda e mi chiedi di amarti?

Aurora indietreggiò, allarmata. Quello non era il Marco che conosceva, perché si stava comportando così? Marco, però, sembrò non curarsi della sua preoccupazione e continuò ad avvicinarsi, fino a che la ragazza non si ritrovò con la schiena al muro.

- Sai cosa vorrei fare in questo momento? Strapparti la maglietta e graffiarti i seni con i miei denti, così sarei come lui -. Marco piegò la testa e le sfiorò il collo con le labbra: Aurora poteva avvertire il suo respiro contro le vene pulsanti. – Baciarti il collo… - La sua mano raggiunse la vita di Aurora e le sollevò un lembo della maglia rossa, accarezzando la sue pelle con la punta delle dita. – Scoprire se sei davvero bella come nei miei sogni.

Il tocco di Marco era sceso sulle sue gambe tremanti, ma Aurora non sapeva in che modo scacciarlo… Se scacciarlo. Fu quando la mano cominciò a risalire che Aurora si mosse per impedirglielo. Non fece in tempo ad alzare il braccio: Marco le afferrò il polso e lo sbatté al muro.

- Hai paura che ti costringa? – sussurrò al suo orecchio. – O temi di cedermi?

In quel momento Aurora non avrebbe saputo rispondergli: non era Marco quello che le stava davanti, era solo una copia sbiadita di Ettore. Una copia che forse era venuta male apposta. Ripensò allo sguardo malinconico con cui l’aveva osservata aprire gli occhi poco prima, alle dita che stringevano la sua mano per far durare quel tocco il più a lungo possibile. Alla fine Marco ridusse quasi completamente la distanza tra i loro volti; Aurora poteva vedere l’espressione di sfida nei suoi occhi neri, poteva inclinare leggermente lo sguardo e scoprire le loro labbra a una brevissima distanza.

- Non lo farei, lo sai, e non lo faresti neanche tu.

Dopo quell’ultima constatazione Marco lasciò andare il suo polso e si allontanò verso l’uscita della sala prove, senza voltarsi a guardarla. Aurora tremò più di quanto avesse fatto fino a quel momento e si accasciò a terra, scossa da lacrime e singhiozzi.

 

- Ultima chiamata: imbarco per il volo 3029 al gate… - tuonò la voce dall’altoparlante dell’aeroporto di Fiumicino.

Aurora aprì il documento di identità e lo mostrò all’impiegato insieme al biglietto; mentre aspettava che il controllo terminasse il suo cellulare squillò e il nome Ettore lampeggiò sul display. Aurora chiuse la chiamata senza esitazioni, abituata a quel gesto da ore, e spense il telefono. Sapeva che, quando lo avrebbe riacceso, avrebbe trovato messaggi di chiamata anche da parte di Silvia, Manuel, forse perfino Marco, ma non le importava.

Afferrò la valigia mentre l’impiegato le faceva segno di andare avanti.

- Buon viaggio, signorina.


  Citazione: "Forse non riesco ad essere semplicemente tuo amico."

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Capitolo 10
*** X - Epilogo ***


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X. – EPILOGO

 

Sei così bella, ma vorresti sparire

in mezzo a tutte queste facce,

come se con te svanisse anche il dolore

senza lasciare tracce.

 

Marco non accendeva il cellulare da tre giorni; si era isolato in casa, aveva staccato il cavo del telefono e passava il tempo lavorando al computer o strimpellando con la chitarra. Talvolta lo attraversava il pensiero che qualcuno avrebbe potuto cercarlo per questioni importanti e allungava una mano verso il cellulare, ritrovandosi tuttavia a ritrarla non appena si ricordava di ciò che sarebbe potuto apparire sul display.

Messaggio di Aurora.

Messaggio di Ettore.

Messaggio di Rachele.

Riflettendo in quelle ore di fronte a complicati calcoli matematici che apparivano sullo schermo del computer – e che lui risolveva con minore facilità rispetto al solito –, si rese conto che non avrebbe potuto ricevere un sms da parte di Aurora: perché mai lo avrebbe cercato? Fosse stato in lei sarebbe partito con il primo treno o volo verso la meta più lontana per schiarirsi le idee e capire se desiderava realmente restare nei Moonlight Sonada, alla continua presenza di Marco.

Un sms da Ettore? Se il ragazzo avesse scoperto quello che era successo tre giorni prima nella sala prove, non avrebbe perso tempo a scrivergli: si sarebbe presentato davanti al suo appartamento, avrebbe buttato giù la porta e l’avrebbe inchiodato al muro con le sue enormi braccia.

In realtà Marco sapeva bene che non avrebbe ricevuto messaggi o chiamate da parte di Aurora o Ettore. Temeva Rachele.

Temeva uno dei suoi soliti sms su quanto si annoiasse a lezione, sulla giacca improponibile indossata dal suo professore, sull’ultimo film di fantascienza che aveva visto con le sue amiche senza che loro ci capissero niente.

Temeva di sentire la sua voce allegra che gli chiedeva come stava o se si potevano vedere quella sera.

Dopo quello che era successo con Aurora, Marco non trovava il coraggio di guardare negli occhi Rachele; ufficialmente loro due non erano ancora una coppia – né credeva lo sarebbero diventati, a quel punto – però si frequentavano, andavano al cinema insieme, cenavano fuori, tutti motivi per cui lui non avrebbe dovuto provocare un’altra ragazza. Anche se quella ragazza era Aurora, anche se avrebbe potuto amarla per il resto dei suoi giorni.

Con quell’ultima considerazione si rese conto di quanto stesse diventando melodrammatico; si decise infine ad afferrare il cellulare e ad accenderlo. In quel momento, nel pomeriggio del terzo giorno, qualcuno suonò il campanello dell’appartamento. Per qualche secondo Marco rimase immobile, spaventato dagli innumerevoli volti che gli balenarono nella testa – Aurora, Rachele, Manuel, Ettore, di nuovo Aurora, ancora Rachele, Silvia, Simona, Davide… – finché non ricordò che aveva appena decretato la fine del suo periodo di reclusione.

Aprì la porta, preparandosi al peggio – rappresentato da un uomo di trent’anni dai bicipiti immensi che gli spaccava in testa la sua Fender.

- Ehi, ciao!

Come aveva immaginato, la voce di Rachele gli raggelò il petto, ma c’era qualcosa di più: il tono della ragazza sembrava forzatamente euforico e i suoi occhi azzurri tendevano a spostarsi dal viso di Marco all’interno dell’appartamento, come se stesse cercando di scoprire per quale motivo lui fosse sparito dalla circolazione.

- Ciao, - la salutò Marco con un sorriso tirato. Non riuscì a baciarla sulle labbra, le fece solo segno di accomodarsi. – Entra pure. Come stai?

Rachele si gettò sul divano, evidentemente nella speranza di sembrare a proprio agio, però la schiena esageratamente dritta la tradì.

- Bene! E tu? Che fine avevi fatto?

- Avevo bisogno di tempo per pensare, - rispose Marco con sincerità: non poteva fingere che andasse tutto bene, non era giusto per entrambi.

- Ah -. Rachele si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, provocando una fitta nello stomaco di Marco. – All’inizio credevo che non volessi vedermi, ma poi Manuel mi ha chiamata allarmato perché non riusciva a mettersi in contatto con te ed essendo a Torino non poteva “piombarti in casa”, sue testuali parole. Così sono passata a trovarti -. Si sforzò di ridere. – Ora posso rassicurarlo!

- Rachele, - esordì Marco dopo un respiro profondo, - ho riflettuto molto, come ti ho detto… E credo che sia arrivato il momento di smettere di prenderti in giro.

- Dimmi solo che non l’hai fatto intenzionalmente.

- No, mai! Non c’è stato nemmeno un momento in cui abbia pensato che uscivo con te perché…

- Perché ti ricordo Aurora, - concluse mestamente Rachele. Sollevò un angolo della bocca in una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso. – Mi ero accorta delle somiglianze tra di noi quando ci hai presentato nella sala prove e mi sono chiesta perché non mi avessi parlato prima di lei; dopotutto avevamo molti gusti in comune, mi sembrava strano che non te ne fossi mai accorto. È stato quando ho incontrato Ettore a Viterbo, vicino casa mia, che ho collegato ogni tassello: quella sera eri andato da Aurora.

- Avresti potuto lasciarmi, - mormorò Marco, intuendo quanto dovesse essere stata dura per la ragazza.

Rachele scosse la testa, rivolgendogli un sorriso triste. – Vorrei poter dire che non l’ho fatto perché aspettavo che tu ti mostrassi un “vero uomo” e mi spiegassi, o forse ti accorgessi di come stavano le cose. Sarebbe una bugia, almeno in parte: non ho affrontato il discorso perché volevo stare con te. Non so, probabilmente speravo che tu l’avresti dimenticata, col tempo -. Sospirò. – Ma non è andata così.

Il primo istinto di Marco fu di stringere Rachele tra le braccia; lo fece subito, senza esitare, sapendo che con tutte le sue esitazioni non aveva fatto altro che ferire se stesso e le persone che gli stavano intorno: doveva dichiararsi immediatamente ad Aurora, doveva dirle che si erano davvero baciati quella notte a casa sua, doveva spiegare a Rachele che aveva ancora un’altra persona nella testa. L’abbracciò e Rachele si lasciò andare per un momento, appoggiando la testa sulla sua spalla.

Quando il cellulare di Marco squillò – aveva finto di non sentire l’arrivo dei messaggi – fu Rachele ad allontanarsi da lui.

- Rispondi, - gli disse, notando il nome sul display. – Tranquillizzalo.

Manuel urlò dall’altra parte della cornetta: - Dove diavolo ti sei cacciato?!

- Sono a casa.

- Beh, potevi informarmi di questa nuova “reclusione”! Aurora è con te?

Marco aggrottò le sopracciglia. – No, perché?

- Non hai letto i miei messaggi? Ettore la sta cercando da due giorni: è sparita anche lei.

 

Ettore mandò giù un altro sorso di birra e si asciugò con il braccio le labbra bagnate; se ne stava in silenzio, come se fosse solo, eppure dall’altro lato del tavolo Davide lo scrutava preoccupato, attento a ogni minimo dettaglio. Solitamente, quando il volto di Ettore si oscurava, il suo migliore amico cercava di fargli tornare il sorriso facendo qualche battuta sul fatto che fosse davvero sexy con quell’espressione e che avrebbe voluto saggiare la sua più che evidente virilità.

Tuttavia sembrava che Davide avesse paura ad aprire bocca davanti a quello sguardo furioso.

Ettore era consapevole del terrore che incuteva nell’amico, ma non aveva alcuna voglia di fingersi tranquillo e ascoltare le cavolate di Davide: la sua ragazza non si faceva viva da ormai due settimane e l’unica notizia che aveva avuto di lei gli era arrivata tramite Silvia, rassicurata dalla madre di Aurora che sua figlia stava bene. Non sapeva dove fosse, né per quanto altro tempo sarebbe stata via e la presenza di Davide lo irritava ancora di più, poiché sospettava che Silvia fosse a conoscenza di particolari su quella fuga e che stesse cercando di tenerli nascosti. Perché allora Davide, che si definiva un “fratello”, non costringeva la sua ragazza a dire la verità?

No, stava sbagliando, non doveva prendersela con lui; in fondo Davide era lì, presente come sempre, ed era certo che facesse pressioni su Silvia che, dal canto suo, non gli sembrava il tipo di persona che si divertiva a far stare sulle spine gli amici.

- Sai che hanno aperto un negozio di fritti a Ostiense? – esclamò improvvisamente Davide. – Potremmo prendere un cartoccio di calamari o verdure e cenare a…

- No, - lo interruppe Ettore, - non ne ho voglia -. Bevve l’ultimo sorso di birra, poi lanciò la lattina vuota contro la parete della sua cucina. – Maledizione!

Sbatté il pugno sul tavolo, facendolo tremare, e si alzò dalla sedia per placare l’ira: Aurora non immaginava nemmeno cosa stesse provando in quel momento, cosa avesse provato per settimane senza ricevere suo notizie o almeno una lettera in cui gli spiegava perché fosse sparita. Ettore non sapeva niente, niente, e questo lo faceva andare in bestia. Inizialmente aveva pensato che Marco c’entrasse qualcosa, ma dopo averlo incontrato con gli altri amici e avere visto la sua preoccupazione si era impedito all’ultimo momento di spaccargli il naso con un pugno.

- Ettore?

Il tono con cui parlò Davide, che osservava il cielo scuro fuori dall’appartamento, lo riportò immediatamente al presente; si affrettò a raggiungerlo e scrutò fuori dalla finestra anche lui.

Aurora.

La ragazza era in piedi di fronte al suo cancello, come se stesse soppesando la possibilità di citofonargli o meno. Senza darle il tempo di pensarci ulteriormente, Ettore si lanciò fuori di casa, felice della prospettiva che, in qualunque modo fossero andate le cose, ci sarebbe stato Davide ad aspettarlo.

Come poteva ancora chiedersi se suonargli fosse la cosa giusta? Non le era bastato scomparire per due settimane, lui non aveva sopportato abbastanza? Le avrebbe urlato addosso, le avrebbe ringhiato contro fino a spaventarla, rinfacciandole di essere sparita senza lasciare alcun biglietto; l’avrebbe anche presa a schiaffi se vedendolo avesse sorriso e, sì, lo avrebbe fatto anche se avesse pianto. Voleva gridare, mostrarle quanto avesse sofferto privo di qualunque sua notizia.

Uscì dal portone con quelle intenzioni, poi la vide accanto al cancello. Aurora si accorse della sua presenza, il dito ancora premuto sul citofono; il suo volto era colmo di tristezza.

Ettore non le avrebbe fatto nulla, l’avrebbe solo stretta a sé, ma quel semplice sguardo gli fece capire che Aurora non avrebbe restituito il suo abbraccio.

 

Aurora tirò su con il naso, ma non poteva fare altro che singhiozzare in silenzio: altri due piani e poi finalmente avrebbe potuto gettarsi nel proprio appartamento, dove nessuno l’avrebbe vista piangere né udita singhiozzare. Aveva scelto quel giorno per tornare perché sapeva che i suoi genitori sarebbero partiti per il fine settimana e lei avrebbe potuto lasciarsi andare senza dover spiegare i motivi della sua tristezza; era stata dura convincerli a lasciare la città nonostante il suo rientro, però alla fine sua madre si era convinta. Aurora poteva restare sola.

- Ho pensato molto in questo periodo... e in qualche modo sono riuscita a fare chiarezza suoi miei sentimenti.

Strinse le palpebre per ricacciare indietro le lacrime salite al ricordo del discorso fatto solo due ore prima a Ettore; si chiedeva ancora come fosse riuscita a guidare fino a casa. Era assurdo, inspiegabile che lei avesse lasciato il ragazzo che aveva desiderato per più di un anno e mezzo, prima ancora di entrare nei Moonlight Sonada; era assurdo perché Ettore era il ragazzo dei suoi sogni, il tipo di uomo che nei film la faceva sempre emozionare, quello per cui fin da bambina sospirava prima di andare a dormire.

- Non tornerai sui tuoi passi, vero?

No, non sarebbe tornata indietro: non aveva ancora capito cosa provasse per Marco, “l’eterno amico” delle protagoniste dei libri, il ragazzo che arrivava sempre secondo e osservava la sua amata raggiungere all’altare l’uomo dei sogni. Forse, però, era giunto il momento di smettere di paragonare la propria vita alla finzione, forse Aurora doveva finalmente aprire gli occhi; tuttavia, per quanto le fosse risultato chiaro, in quelle due settimane di lontananza, che non poteva amare Ettore se la sua mente era colma di dubbi, non riusciva ancora a definire i suoi sentimenti per Marco. Ma non doveva fare per forza una scelta tra i due, no? Poteva anche solo capire che non era pronta per una storia importante con Ettore, che aveva sei anni più di lei, un lavoro e una casa propria, e che Marco era solo un amico di cui, inspiegabilmente, era gelosa.

- È stato bello rivederti.

Represse un singhiozzo e si portò una mano davanti alla bocca. Ormai era arrivata, doveva solo raggiungere la porta in fondo al corridoio e…

Marco.

Forse, senza rendersene conto, desiderava così tanto vederlo che lo riconobbe ancora prima che alzasse la testa. Era seduto a sinistra della porta, gli avambracci poggiati sulle ginocchia e lo sguardo rivolto a terra; la testa scattò verso l’alto quando udì i passi di Aurora raggiungere il terzo piano.

- Aurora… - esordì, portando una mano sul pavimento per darsi la spinta necessaria ad alzarsi.

- Come sei entrato? – le chiese lei, sentendo ancora un tuffo al cuore al suono della sua voce.

- Il mio palazzo non è l’unico dove i condomini lasciano sempre il portone aperto, - si sforzò di sorridere Marco.

Quel sorriso, quel sorriso.

- Da quanto tempo sei qui? Sapevi quando sarei tornata?

- Potrei dirti che avevo deciso di accamparmi fuori dal tuo appartamento, nutrito dai vicini con biscotti e crocchette per gatti, finché non ti saresti fatta vedere, ma temo che più che romantico passerei per patetico. La verità è che mi ha avvertito Silvia, mi ha detto che il tuo volo era atterrato alle due. Perché sei arrivata solo adesso? Sono passate diverse ore.

- Dovevo parlare con Ettore -. Aurora si morse le labbra, trattenendo le lacrime: era arrivato il momento di chiarire la faccenda una volta per tutte, aveva già rimandato abbastanza e le sue esitazioni non avevano nuociuto solo a lei. – Ci siamo lasciati.

- Oh, che caso: due single nello stesso corridoio! – tentò di scherzare Marco.

- Tu…?

- Non importa cosa provi per me: non posso stare con Rachele se solo sfiorando una chitarra riesco a sentire la tua voce.

Era difficile, era maledettamente difficile dirgli che non lo ricambiava se Marco continuava a parlarle in quel modo.

- Devo parlare anche con te -. Trasse un respiro profondo; avvertiva le lacrime salire, ma non aveva la forza per fermarle. – Io… io non so come dirtelo -. Perché era stato più facile spiegarlo a Ettore?

Marco si avvicinò. – Parla, fallo. Di’ tutto quello che hai da dire; manda pure in frantumi le mie illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare a cancellare la tua immagine dal mio cuore.

Quelle parole colpirono Aurora come un calcio nello stomaco. Era troppo: superò Marco e scappò in casa, sbattendo la porta dietro di sé. O almeno così credeva.

Marco fermò la porta con un piede e la spinse per aprirla completamente. Senza dire una parola afferrò il volto di Aurora e la baciò, spingendola contro il mobile all’ingresso.

Allora lei non ebbe più bisogno di pensare.

Lasciò che le mani di Marco le sfilassero il giacchetto mentre la lingua cercava la sua, la trovava e la cercava ancora: sembrava che Marco stentasse a convincersi che tutto ciò stesse accadendo realmente, che dopo mesi finalmente poteva baciare le labbra di Aurora e lei lo ricambiasse. Si aggrappò al mobile per non cadere, premette il corpo contro quello della ragazza e infine la spinse contro il muro.

Rimasero un attimo in silenzio per riprendere fiato, poi Marco le sorrise.

 

- Com’era la storia? “Chi non è disposto a sembrare stupido non merita di essere innamorato”?

Marco sorrise a Silvia mentre le passava la porzione di patatine fritte. Intorno a loro la musica delle giostre si mescolava alle grida eccitate dei bambini; era una sera di febbraio e l’aria era ancora pungente, ma la pioggia aveva deciso di lasciare in pace Roma per qualche ora.

- Che dici, me lo sono meritato?

Silvia intinse una patatina nel ketchup e finse di riflettere. – Uhm… Cinque mesi di attesa, un viaggio per Capodanno sprecato, una notte quasi “al freddo e al gelo” in un parcheggio di Viterbo, tre settimane di illusione con un’altra ragazza… Ma devo dire che forse lei ti batte: un biglietto di sola andata per Vienna.

- Ahia, hai ragione, - esclamò Marco, addentando il suo panino. – Mi sarei aspettato una follia del genere solo da Manuel.

- Prima o poi lo farà. Sono certa che un giorno non arriverà alle prove e chiamandolo scoprirete che è in America!

- A Brooklyn.

- Perché proprio a Brooklyn?

Marco si strinse nelle spalle. – Boh, mi dà l’idea che sia il luogo ideale per incontrare la ragazza dei suoi sogni.

- Alta? Mora?

- Bionda. E con una voce angelica.

Silvia rise. – Conosci proprio i suoi gusti!

- A dire la verità, non gli piace quel genere di ragazza; però, a quanto pare, non si può mai dire -. Marco spostò istintivamente lo sguardo su Aurora, che sedeva divertita sul cavallo di una giostra accanto a un euforico Manuel: non si chiese nemmeno come avessero convinto i proprietari a farli salire, ormai aveva capito che Manuel non poteva essere fermato. – Mi dispiace che Davide non sia voluto venire.

- Solidarietà maschile: credo che ci metterà più tempo, a farsi andare giù questa cosa, rispetto a quanto ce ne vorrà a Ettore! Ma forse farà qualcosa di stupido anche lui e si presenterà qui.

Silvia sorrise e Marco le circondò le spalle con un braccio. – Che dici, li raggiungiamo?

- Certo che sì! Ehi, io voglio il cavallo rosso!

Marco corse per arrivare prima di lei e in quel momento i suoi occhi neri incontrarono quelli castani di Aurora.

Era stato stupido, ma ne era decisamente valsa la pena.

 

Sognavi di essere trovata

su una spiaggia di corallo una mattina

dal figlio di un pirata.

Chissà perché ti sei svegliata.


E come ultima citazione non potevo che usare una frase di Nobu (Nana): "Manda pure in frantumi le mie illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare a cancellare la tua immagine dal mio cuore." Ulteriori credits: l'immagine del capitolo è stata fatta da Dark Aeris.
Che dire? Con questo capitolo - che sinceramente mi piace meno degli altri, meno commedia e più sentimentale - si chiude la mia sfiga-long. Spero vi sia piaciuta! Purtroppo non posso postarvi la valutazione del contest, perché ho dimenticato di copiarla e sono andata sul forum a cercare la discussione, ma tutti i post del contest sono stati cancellati O.O Boh, forse un bug!
Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, chi l'ha messa nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite, e soprattutto chi ha recensito la sfiga-long! :D
Presto, tornando alla storia originale e lasciando perdere questi "What if?" (che poi finiscono sempre alla stessa maniera, tutta colpa di Marco), pubblicherò due storie dedicate a Silvia e Davide: una raccolta comica di tre flash su una loro vacanza al mare e una lunga one-shot contenente tematiche delicate e una fortissima presenza di angst.
Grazie ancora!

Medusa

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