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di harrys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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«Il fatto che mio padre sia il Presidente degli Stati Uniti d'America non mi può impedire di vivere una vita come tutti i miei coetanei, okay? - urlai – Non voglio rimanere segregata qui come una carcerata, ho bisogno di uscire e..»
«Basta così, Georgie» sibilò mamma, puntandomi addosso i suoi occhi blu scuro.
«Sei la Principessa d'America, non sei come i tuoi coetanei, perché non riesci a capirlo? - gridò papà, battendo il pugno sulla scrivania in legno che scricchiolò leggermente – Sei diversa, hai un futuro certamente migliore del loro.. sei fortunata, Georgina»
«Sai che odio essere chiamata così - urlai di rimando – Il punto è che non voglio esserlo, non voglio»
«Georgina Marie Parker, devo lavorare – fece con tono fermo, tornando a sedere sulla poltroncina dietro la scrivania – Uscite e lasciatemi lavorare, per favore»
Mamma guardò me e poi papà, poi abbassò lo sguardo e con un cenno del capo si allontanò sgattaiolando fuori dallo studio; la seguii.
«Georgie»
Mi girai piano, incrociando speranzosa lo sguardo col suo.
«Quando esci chiudi la porta»
«Va' al diavolo» borbottai, correndo via. Avevo bisogno di chiamare i miei amici.

«M-a-g-l-i-o-n-e, dieci punti più altri venti per il bonus delle otto lettere per un totale di trenta punti – abbozzai un sorriso, posizionando in verticale le pedine sul tabellone di carta – Allora, vi arrendete?»
I due ragazzi sbuffarono in coro, lanciandosi un'occhiata fugace. «Mai» ridacchiò Susan, spostando con un colpo secco la chioma giallo-ocra su una sola spalla.
Luke rigirò le sue lettere tra le mani, guardandole affranto. «Passo» borbottò.
«Non si può, Lu – sospirò Susan, gonfiandosi le guance – Ci rinuncio» tirò le pedine sul tavolo, si mise in piedi e si diresse verso la cucina.
«Prendimi una Coca - la richiamai, piegando il tabellone dello Scarabeo e infilandolo pigramente nella libreria tra un volume e l'altro – E una fetta di pizza, nel microonde»
«Sissignora – scherzò – Tu che vuoi, Lu?»
«Birra - rispose lui, chinandosi per allacciarsi le scarpe, il modello nuovo delle Nike costatogli metà del suo già misero stipendio lavorativo – E biscotti»
«Sapete, ieri – si interruppe un attimo lei, per poi posare due lattine di birra e una di Coca sul tavolino alla nostra destra – Ho letto una cosa su Internet, su quei siti strani di chiromanti e gente del genere. Bè, c'era scritto un modo per scambiarsi di corpo con qualcun'altro. Non è fantastico?»
«Sei ubriaca ancor prima di bere, Susan – dissi, aggrottando le sopracciglia – Questa era bella però, complimenti»
Sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Proviamoci, che ti costa? Esprimeremo il desiderio esattamente nello stesso istante, così ci scambieremo noi due di corpo. Non sarebbe figo? Insomma, tu non vuoi più essere la Principessina d'America, o sbaglio?»
Mi irriggidii; questo era vero, ma era logicamente impossibile scambiarsi di corpo, o la scienza ne sarebbe stata già a conoscenza da un bel pezzo. «Andiamo, Susan..»
«Non dobbiamo comprare nulla, dobbiamo soltanto accendere una candelina e soffiarci sopra contemporaneamente pensando al nostro desiderio. Se non funzionerà pazienza, ma quantomeno ci abbiamo provato e possiamo confermare che sono solo balle. Allora?»
La fissai, mordendomi ripetutamente il labbro inferiore. «Lo faccio solo per farti contenta» sospirai, sgattaiolando in cucina e frugando tra i cassetti. Trovai la candela mozzata del mio sedicesimo compleanno, feci scattare l'accendino e una piccola fiamma guizzò sulla cera. Mi avvicinai a Susan – che mi fissava eccitata – avvicinandole la candela.
«Tre..»
«Due..»
«..uno»
Chiusi gli occhi, mi concentrai: non voglio più essere Georgina Marie Parker, non voglio più essere la Principessina d'America..
Aprii gli occhi; Susan mi si presentò di fronte, una smorfia di disgusto stampata sulle labbra.
«Susan, hai espresso il desiderio? - sibilai, fissandomi attorno - Susan? Susan, tu hai.. tu hai starnutito?»
Passò una mano sulla fronte imperlata di sudore. «Georgie, mi dispiace, non sono riuscita a trattenermi.. però ho pensato al desiderio, credo..»
Peccato che, nello stesso istante – e nanosecondo – un ragazzo dall'altra parte del mondo, un inglese in particolare, una superstar, stesse esprimendo il mio stesso desiderio.
Sentii una fitta allo stomaco; socchiusi gli occhi e una folata di vento mi schiaffò a terra. E quando riaprii gli occhi, mi si presentò davanti un volto maschile molto familiare, incorniciato da una massa informe di ricci castani, che mi fissava di sbieco con sguardo incerto.
«Lou? - disse, alitandomi sul viso – Che cavolo ti è successo?»
«Chi è quest.. - mi bloccai all'istante; quella non era la mia voce, quella era una vo
ce più calda e melodiosa. E poi capii – Oddio, non è possibile»
Mi alzai di scatto, tirando uno spintone
al ragazzo che precipitò rovinosamente sul letto. Uno specchio, avevo bisogno di uno specchio; frugai tra i primi cassetti che mi capitarono a tiro, pur non sapendo bene cosa stessi facendo. Ne trovai uno dalla cornice dorata, lo alzai con mano tremante fino a raggiungere il mio – solo apparentemente – viso. Spalancai gli occhi.
«Non è possibile – balbettai, lanciando lo specchietto sul pavimento – Sono Louis, Louis Tomlinson dei One Direction»


-

Hi, we're One Direction! (?)
Non chiedetemi perché abbia pubblicato questo capitolo nonostante abbia ancora una ff in corso e da aggiornare; avevo questa idea da tanto e non ho saputo resistere LOL
Sarò breve: fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va e avete tempo! (?)
E grazie per essere arrivati qui. ♥

[Luke, clicca per vederlo]

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


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«E io sono Harry Styles, presente» scherzò, alzando il braccio.
«Il desiderio, oh Dio» strillai, agitandomi convulsamente di fronte allo specchio da parete. Capelli castani sparati all'insù, occhi chiari e sguardo penetrante.
Calai lo sguardo; una maglietta a righe bianche e nere mi fasciava il corpo, un paio di pantaloni neri mi pungevano le gambe. E poi mi si accese una lampadina.
«Oh mio Dio – urlai, sbiancando – Sono un maschio, i-io.. dov'è il bagno?»
Harry corrucciò le sopracciglia e indico senza indugio una porta a sinistra; sgattaiolai dentro, richiudendo a chiave la porta.
«Non è possibile - urlai pochi minuti dopo, rialzando la zip dei jeans – E' un incubo, è logicamente impossibile tutto questo..»
«Che urli?, ti è rimasta incastrata la zip n-..»
«Non dire quella parola! - gridai, tappandomi con foga le orecchie – Maleducato» borbottai, riaprendo la porta e avventandomi sul ragazzo tenendolo fermo per le spalle.
«Hai bevuto ieri?» chiese intontito.
«Non sono chi pensi che io sia, ho solo espresso uno stupido desiderio e non ho idea di come sia arrivata qui – annaspai, scuotendolo con violenza per le spalle – E sono una ragazza, sono la figlia del Presidente e devo ritornare a casa, aiutami»
«Vado a fare la spesa, tu mangia qualcosa e fatti passare la sbornia» ridacchiò facendomi copiosamente l'occhiolino, raccogliendo una manciata di monete dal salvadanaio giallo a fiori rossi sulla – disordinatissima – scrivania.
Mi sedetti sulla punta del letto, strizzai ripetutamente gli occhi speranzosa di ritrovarmi davanti il viso paffuto e indispettito di Susan che mi dicesse di essermi addormentata durante la partita a scarabeo. E invece no, rimaneva come impressa sulla retina l'immagine di quella camera angusta, disordinata e che non sapevo neppure in che città e Stato si trovasse.
Mi alzai, scostando leggermente le tendine colorate per sbirciare fuori; ci furono un flash e due o tre scatti fotografici, e urla impazzite mi trapassarono i timpani. Richiusi la tendina, inghiottendo a vuoto: ero la figlia del presidente, ma sicuramente non mi ritrovavo paparazzi ogni dove; godevo di una certa privacy, e nonostante fossi figlia dell'uomo più ricco al mondo possedevo una vita simile a quella dei miei coetanei – il ciò era stato deciso dalla sottoscritta -, a parte qualche agio e vestito in più.
Invece in quel momento ero un cantante facente parte di un'emergente boyband di grande successo, amato e idolatrato da milioni di ragazze. Scovai un cellulare tra un guanciale e l'altro, uno smartphone blu di ultima generazione, e feci scorrere pigramente la Rubrica; c'erano più di settanta numeri. Poi ebbi un'idea geniale: aprii la Tastiera e digitai frettolosamente una serie di numeri, poi schiacciai il tasto corrispondente alla cornetta verde.
«Pronto?»
«Oh mio Dio, Susan – strillai – Louis Tomlinson, One Direction, io..»
«Sono accanto a Louis Tomlinson in persona, decedo - strillò Susan, talmente forte che dovetti premere il palmo della mano sulla cornetta per attutire il suono – E tu sei nel suo corpo, ti rendi conto? Dimmi che sto sognando»
«Dimmi che sto sognando – la scimmiottai - Forse non hai capito in che casini mi hai cacciato. Sus, sono nel corpo di un ragazzo che non conosco, e sottolineo sono nel corpo! Non è una cosa che capita tutti i giorni»
«Appunto, quindi goditeli finché puoi – ridacchiò – Ti saluto, baby!»
«Non azzardarti a staccare la..» ordinai, ma ormai era troppo tardi. Lanciai nervosamente il cellulare sul parquet, squarciandolo; sbuffai, battendo un pugno sulla testata del letto.
Feci per accendere la tv – schermo piatto, quaranta pollici circa – quando, con un cigolio, si aprì la porta del bagno – a cui prima non avevo fatto neppure caso – e ne uscì un ragazzo di massimo diciannove anni, in accappatoio, dalla testa rasata e gli occhi nocciola. Sobbalzai, saltando su in piedi.
«Dov'è Harry?» mi chiese, estraendo imperterrito una lattina di Coca dal minifrigo.
Mi limitai a fare spallucce. «Passami una Coca, amico – feci, cercando di essere il più credibile possibile – Ho la gola secca dopo ieri sera» spiattellai d'istinto.
«Che è successo ieri sera?» chiese, aggrottando le sopracciglia.
Idiota che non sei altro, Georgie! «Segreto da superstar», riuscii a cavarmela.
Mi lanciò la lattina leggermente frastornato, riuscii fortunatamente a prenderla al volo; ne bevvi un sorso, per poi abbandonarla sulla scrivania, sulla quale notai un bigliettino leggermente accartocciato: sono sotto la doccia – liam.
«Giusto, Liam» abbozzai un sorriso, stringendo il pugno in segno di vittoria.
«Dimmi» disse, incatenando le labbra al collo di una bottiglietta d'acqua frizzante.
«Nulla» mormorai.
Si aprì la porta, Harry rientrò con due vassoi trasbordanti di cappuccini. «Cappuccini per tutti - ululò, salutando Liam con un cenno del capo – Allora Lou, stai meglio?» ghignò poi, lasciando cadere un mazzo di chiavi sulla scrivania.
Borbottai qualcosa di incomprensibile pure alla sottoscritta, e annunciai a ragazzi che sarei andato a fare una buona doccia fredda. Quando però mi ritrovai seminuda sotto il soffione della doccia, ricordai un piccolo – neppure tanto – dettaglio.
Mi limitai a urlare.
«Louis, che cavolo è successo?» gridò Harry entrando di colpo in bagno.
«Ma come ti permetti?» lo sgridai, nascondendomi dietro un accappatoio blu – che non sapevo neppure a chi appartenesse – e lanciandogli un'occhiataccia.
«Ehi, calma! - sbottò, parandosi con le braccia con fare innocente – Che cavolo hai oggi, le cose che hanno le femmine cinque giorni al mese?»
«Non osare prendere in giro noi d.. - mi bloccai di colpo, lasciandomi scappare uno sbuffo – Lascia stare» mi arresi, chiudendo con un colpo secco la tendina. Antipatico.



-

Ho pubblicato dopo dieci giorni, cioè amatemi :D
Questa storia me gusta. Cioè, mi diverto un sacco a scriverla HAHAHA
Spero abbiate capito quale fosse il dettaglio....... sì, dovete potete pensare male ʘ‿ʘ
Non voglio trattenervi: vi dico solamente GRAZIE MILLE per le recensioni al capitolo passato, le seguite, ricordate e preferite, thank you very much ♥
A presto uù

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


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«Quindi sono il figlio, cioè la figlia, del Presidente degli Stati Uniti d'America - assentii, scribacchiando su un post qualche appunto - Ho sedici anni e mi chiamo Georgie»
La ragazza annuii, compiaciuta. «Bel lavoro, cantante»
«Potresti smetterla di chiamarmi cantante? -, gonfiai le guance irritato - Non ti darebbe fastidio se ti chiamassi studentessa? Ho un nome»
«Antipatico - borbottò -Figo e ricco ma antipatico»
«E' tutto logicalmente impossibile» ripeté Luke per la dodicesima volta, camminando avanti e indietro per la stanza.
«Anche l'esistenza di un mondo dentro un armadio era logicamente impossibile, Lu - ridacchiò Susan, rigirandosi un mozzicone di candela tra le dita - Quindi hai espresso il medesimo desiderio nello stesso attimo in cui l'ha espresso Georgie? Interessante -, abbozzò un sorriso. - Non ci posso credere, sto chiacchierando con Louis Tomlinson dei One Direction»
«Devo ritornare nel mio corpo immediatamente, a giorni inizia il tour, capisci? - sospirai, passando le mani tra i capelli. - Georgie non può andare, manderebbe tutto a monte, e..»
Si aprì la porta, da cui entrò un uomo dai capelli brizzolati e sguardo assente. «Signorina Parker, la chiama Suo padre. L'intervista si svolgerà nella studio ovale tra pochi minuti - disse facendo un breve inchino - Il Presidente le raccomanda di rispondere adeguatamente ad ogni domanda a cui verrà sottoposta. Scusi il disturbo, con permesso», rifece l'inchino e sgattaiolò via, lasciandoci nuovamente soli.
«E' la fine - esclamai con fare secco, gettandomi a peso morto sul divanetto - Che faccio adesso? Non so nulla, provate a chiamare Georgie»
Susan annuì e, svelta, fece partire la chiamata attivando il vivavoce.
«Che vuoi?» grugnì qualcuno dall'altra parte della cornetta; trattenni a stento una risata, immaginando la figlia ben educata e fine del Presidente degli USA insieme ai casinari dei miei amici.
«Che intervista avresti dovuto fare adesso?» chiese Susan, saltellando nervosamente su un piede fino alla scrivania dalla parte opposta della stanza.
- E' per uno giornalino di gossip, niente di particolare» spiegò - Adoro stare in famiglia, ho un bel rapporto con mio padre, ho una vita tranquilla e no, non sono fidanzata» Susan trascrisse velocemente tutto su un foglio di carta, lo piegò in quattro e me lo porse, invitandomi a portarlo con me in caso di estrema necessità. «Se ti incasini, improvvisa un mal di pancia e corri via, chiaro?» rettificò la ragazza.
Annuii. «Cercherò di sopravvivere», sospirai con tono melodrammatico e, incrociando le dita, mi incamminai lungo il corridoio. Mi ritrovai spiazzato nel trovarmi di fronte una quindicina di porte bianco sporco, una delle quali era leggermente socchiusa e dalla quale proveniva un groviglio confuso di voci.
Mi avvicinai piano e bussai, per poi entrare con finta non-chalance: dodici uomini erano seduti a cerchio sui divanetti in pelle, e nascosto per metà dietro una scrivania – sulla quale stavano decine e decine di libri impilati ordinatamente l'uno sull'altro – c'era il Presidente degli Stati Uniti in persona.
Sussultai, quella era la prima volta che lo vedevo di persona. «Cara, siediti pure» sorrise mestamente, invitandomi con un cenno del capo ad accomodarmi sulla poltroncina accanto a lui.
Obbedii, stirando le labbra in un sorriso. «Buongiorno» dissi, salutando tutti con un cenno del capo.
«Buongiorno, Miss Parker - salutò il primo giornalista, scrivendo qualcosa sul tablet che, per mezzo di una base d'appoggio, teneva sulle gambe. - Passiamo subito al dunque; in questo periodo la vediamo coinvolta nel progetto VBB, la vendita per beneficienza dei biscotti della fortuna, cosa l'ha portata a partecipare?»
Cominciai a giocherellare col ciondolo a forma di infinito appeso al collo, nervoso. «Bè, ecco.. è sempre bello fare del bene, no? Mi sono divertito, divertita volevo dire.. e sono soddisfatta dei risultati» balbettai, accennando un sorriso spastico.
«Senza dubbio, quanto denaro siete riusciti a racimolare?» chiese un altro giornalista. Non ebbi neppure il tempo di andare nel panico che un uomo – lo stesso che mi aveva avvisato dell'intervista pochi minuti prima – iniziò a sbracciarsi dietro le telecamere mettendo in mostra un cartellone con una scritta blu fluo.
«Un milione e duecentoventotto dollari circa» risposi, cercando di mostrarmi indifferente alla notizia come se ne fossi stata già a conoscenza.
«Un eccellente risultato, non c'è che dire» assentì il primo giornalista. «Passiamo ad un'altra domanda..»

Georgie.

Feci la doccia rimanendo in boxer, fissandomi quasi in trance il petto. Ero un ragazzo, perdipiù carino e famoso. Non riuscivo a capacitarmene; uno stupido giochino da quattro soldi si era trasformato in un incubo.
Quanto sarebbe durata quella storia? E se fossi rimasta nel corpo di Louis Tomlinson per anni o, addirittura, per sempre? Cercai di scacciare via questi pensieri dalla mente, dedicandomi piuttosto all'asciugatura dei capelli – lunghi un terzo dei miei; dopo averli gellati a dovere, mi diressi impavida in salotto, ancora in accappatoio – e boxer -, ma quando mi accorsi di non essere sola in stanza era ormai troppo tardi.
«Lou» esclamò una ragazza, saltandomi quasi addosso. «Come stai, tesoro?» chiese, avvolgendo le gambe alla mia vita.
Inghiottii, imbarazzata. «Sto» risposi, fissando le sue iridi verde chiaro.
Sorrise, mostrandomi due file di denti perfetti. «Mi sei mancato tanto» sibilò, socchiudendo le labbra e avvicinandole piano alle mie.
«Oh, s-sì - balbettai, girandomi di scatto prima che potesse baciarmi - Mi sta squillando il cellulare, arrivo» mormorai, prendendo il cellulare e chiudendomi a chiave in bagno, girando lentamente la chiave in modo che lei non ne sentisse il rumore. Premetti velocemente un paio di numeri sulla tastiera, per poi sollevare il cellulare fino all'orecchio destro.
«La tua ragazza mi ha quasi baciato» spiattellai senza pensarci due volte non appena il ricevente accettò la chiamata.
«Sono il suo fidanzato, è normale» borbottò Louis – era strano sentire la mia voce dall'altra parte della cornetta – schiarendosi la voce.
«Sono una ragazza, idiota! - sbottai acida. - Mi fa senso»
«Ma è carina - ghignò - «Senti, possiamo vederci? Dobbiamo cercare di tornare ognuno nel proprio corpo, non la sopporto più quella Susan»
«Almeno non sei costretta a baciarla - borbottai - Dove mi trovo esattamente adesso?»
«Washington, a pochi isolati da qui. Domani i One Direction canteranno per il Presidente Parker»
«Che?! - strillai, tirandomi uno schiaffo sulla fronte - Vienimi a prendere, ora»

Sto aggiornando dopo sei giorni, cioè boh HAHAHA
Grazie mille per le otto recensioni al capitolo passato, davvero. ♥
Che dire.. spero che anche questo vi sia piaciuto!
Nel prossimo capitolo Georgie e Louis si incontreranno per la prima volta.. che succederà? uu
Al prossimo capitolo! ;)



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«Filofobia - annuì, abbozzando un sorriso - Soffri di filofobia, la paura inspiegabile di innamorarsi o amare una persona»
«Questa l’ha cercata su Google, lo ammetta - assentii, saltando in piedi e dirigendomi imperterrita verso l’uscita - La seduta è finita, grazie tante»

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


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«Quindi tu sei Louis Tomlinson e sei nel mio corpo - ripetevo annuendo in trance - Inspira, espira, inspira, espira»
«Tagliala con questi tuoi modi principeschi» sbottò alzando gli occhi al cielo.
«Ma come diavolo ti permetti - replicai piccata, spintonandolo - Se provi ancora ad insultarmi ti strappo le..»
«La principessina non dice parolacce» mi scimmiottò, mostrandomi la lingua divertito.
Grugnii, maledicendolo mentalmente in tutte le salse. «Prova a fare ancora il simpaticone e ti ritrovi questa -, gli mostrai il palmo della mano destra - Sul tuo bel faccino»
«Ti ricordo che il ''mio bel faccino'' è il tuo» mormorò schiacciandomi l'occhiolino disinvolto. Bingo.
«Va' al diavolo, Tomlinson - sbottai, incrociando le braccia sul petto - Come facciamo, allora?»
«A far che?»
«Cambio di corpo - esclamai gonfiando le guance - Sei ottuso forse?»
«Io non voglio tornare più nel mio corpo, ho cambiato idea»
«Che!? - urlai chiudendo i pugni, nervosa - Smettila di scherzare, è una situazione più che seria questa»
«Lasciami finire - sorrise alzando una mano a mo' di stop - È incredibile quello che ci sta succedendo, no? Bé, godiamocelo per qualche altro giorno, e poi quando inizia il tour torniamo ognuno al proprio corpo, che ne pensi?»
«Louis - iniziai, spingendogli giù la mano - Louis, mio caro Louis, magari hai dimenticato che, domani, devo cantare per tuo, cioè per mio, padre, il Presidente degli Stati Uniti e.. non so cantare!» ringhiai.
Sbuffò, roteando gli occhi. «Possiedi la mia voce, le mie corde vocali in questo momento, sai cantare, no problem», alzò il pollice e abbozzò un sorriso.
«Sei il tipo più lunatico ed enigmatico che io abbia mai avuto lo spiacere di conoscere - conclusi, lasciandomi andare sul divanetto -Louis, tu mi hai visto..?» chiesi d'impeto, strizzando gli occhi terrorizzata dalla risposta.
«Che?» fece strabuzzando gli occhi.
«Senza.. -, inghiottii a vuoto - ..vestiti?»
Scoppiò convulsamente a ridere. «È stata la prima cosa che ho fatto quando mi sono accorta di essere nel tuo corpo» si vantò quasi, dandosi un bacio sulle dita e soffiandoci sopra nella mia direzione.
«Bé, non pensare di essere stato l'unico» mi pavoneggiai non facendo però a meno di ridere.
«Non ci credo neppure se mi mostri una foto - ridacchiò sedendosi al mio fianco - Principessina, concediamoci altri cinque giorni»
«Perché vuoi rimanere ancora nel mio corpo?» chiesi imbarazzata.
«Perché voglio conoscerti meglio - rispose anch'egli impacciato - E voglio staccare un po' la spina dalle canzoni, i microfoni e i ragazzi»
«Forse.. stare un po' lontana da mio padre non può farmi altro che bene, penso - riflettei, lasciandomi scappare un sospiro - Okay, hai vinto. Ma non guardarmi più nuda»
Scoppiò nuovamente a ridere. «Prima o poi la vescica mi, anzi ti, scoppierebbe - si giustificò - E devo pur fare una doccia, ogni tanto, no?»
«Come faremo a tornare ai propri corpi?» chiesi con un sospiro, reggendo il capo sulla sua spalla.
«Ce la faremo, Georgie» mormorò, poggiando a sua volta la testa sulla mia, con fare drammatico.
Sollevai il capo, fissandolo negli occhi. «Non sei poi tanto antipatico, Tomlinson» sibilai, per poi avvertire subito uno strano calore sulle guance.
«Nemmeno tu, Principessina - assentì, avvicinandosi di colpo al mio viso - Chiudi gli occhi»
«P-perché?» mormorai, obbedendo.
«Perché ti fa senso essere baciata da una donna, o sbaglio?», e con ciò posò delicatamente le labbra sulle mie.
«Mi sto.. baciando? - azzardai subito dopo - P-perché l'hai fatto?» chiesi poi, ancora scossa per l'avvenimento improvviso.
«Perché è come se avessi baciato me stesso, e io mi amo» spiegò come se fosse la spiegazione più ovvia del mondo.
«Vedi che sei enigmatico? - sospirai, scuotendo la testa - Non ti schiaffeggio solo per non rovinare il mio faccino»
Rise; fece per replicare ma fu interrotto da Susan, la quale entrò titubante nella stanza per poi mostrarci un sorriso smagliante. «Louis-nel-corpo-di-Georgie, è arrivato John il Cacciavite»
«Cavolo, me ne ero completamente dimenticata» imprecai alzando gli occhi al cielo. «Comunque John è il mio insegnante privato, devi consegnargli.. -, frugai tra le scartoffie poste sulla scrivania, fino a scovare due fogli pinzati l'uno con l'altro. - ..Ecco, la relazione che devi dargli»
«Non posso farcela - mormorò poggiando il palmo della mano sulla fronte con fare melodrammatico - Non so niente di lui, e non so niente di.. trigonometria» lesse sul foglio, facendo spallucce inerme.
«Io non so niente di quella.. tizia, ma l'ho baciata»
«Quante volte ancora mi rinfaccerai questa storia? - sbuffò - Georgie, sii buona con Harry e gli altri, sono bravi ragazzi» sorrise posandomi un bacio sulla guancia - Scappo adesso, e comportati bene»
Sospirai, incrociando seccata le braccia al petto. «Sus, che faccio adesso?»
La ragazza si limitò a strillare tirandomi una sberla sul braccio. «Ma ti sei vista? Dio, se non ci fosse la mia migliore amica là dentro stanotte avrei fatto baldoria con te..»
«Oh mio Dio, Susanna» urlai, lanciandogli un'occhiataccia. La chiamavo col suo nome di battesimo quando rompeva, e ciò la infastidiva mortalmente.
«Ma ti sei vista? - ripeté, gonfiandosi le guance - Sei il bronzo di Riace versione inglese»
«Lo so - ammisi, poggiando il mento sui pugni con fare sognante - Ma non so cosa fare.. e niente battutine ironiche»
Susan sembrò addolcirsi; si sedette al mio fianco, cingendomi istintivamente il collo con le braccia. «Dai, Georgie, non essere la solita paranoica, divertiti»
La guardai storcendo appena le labbra in una smorfia. «Forse hai ragione, sai? - assentii, annuendo decisa - Vado dalle Direzioni, allora» scherzai, alzandomi energicamente e correndo via.
«Quando ti deciderai a presentarmene uno?»

Tornata a casa, gettai le chiavi sul portacenere vuoto ed entrai in camera; venni accolta prontamente da Harry, le cui labbra si allargarono in un sorriso smagliante.
«Dove sei stato?» chiese con fare interrogatorio, puntandomi scherzosamente una torcia sul viso.
«Che te ne frega?» sbottai acida, lasciando cadere il marsupio sul divano.
«Louis, che diamine hai in questi giorni? - mormorò, tirandomi una pacca affettuosa sulla spalla – Amico, ho fatto qualcosa che non va?», mi puntò addosso i suoi occhi verde prato.
Mi addolcii, accennando un sorriso. «Sono solo un po' stanco» mentii, scompigliandogli impacciata i capelli – i ragazzi fanno sempre così, no?
«Adesso ti riconosco, campione» scherzò tirandomi una gomitata affettuosa sulla pancia.
«Mi vuoi uccidere? - sbottai piegandomi in due dal dolore – Adesso l'hai fatto davvero, qualcosa che non va»
«Femminuccia» borbottò con una smorfia, dirigendosi imperterrito verso il bagno.
«Io ho sedici anni!» urlai senza neppure rendermene conto, stringendo i pugni.
«Sì, in una gamba» borbottò dall'altra stanza, chiudendo con un sonoro scricchiolio la porta.
«Ti odio, Louis - sibilai, buttandomi a peso morto sul divano – E io e te faremo presto i conti»

-

E' passato un mese, mi dispiace tantissimo ç_ç
Non mi voglio dilungare tanto: vi ringrazio di cuore per le recensioni, le seguite, le preferite e le ricordate e anche solo per aver letto ♥
Al prossimo capitolo; spero che questo vi sia piaciuto, magari fatemi sapere! :)



Omegle era un sito, come dire, stupido. [...]
E se avevi la fortuna di capitare gente okay, rischiavi di cliccare erroneamente la x all'angolo della finestra e di terminare così la conversazione. Per sempre, perché anche con tutta la fortuna del mondo non saresti mai più riuscito a ritrovare la persona con cui stavi chattando tra trentamilacinquecento utenti online. Omegle era un sito stupido visitato da gente stupida. Ma, si sa, in tutto esistono delle eccezioni.

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