Astounding Time-Fiction

di midorijpg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When the machines take over, it ain't no place for you and me ***
Capitolo 2: *** Where the light of day will find us? (Pt. 1) ***
Capitolo 3: *** 3. Where the light of day will find us? (Pt. 2) ***



Capitolo 1
*** When the machines take over, it ain't no place for you and me ***


 AAAsAstounding Time-Fiction

 1. When the machines take over, it ain't no place for you and me

 

 

- EVVIVA! -
Una voce riecheggiò trionfante in tutto il seminterrato, talmente forte che raggiunse leggermente le camere di sopra. L'uomo fece dei saltelli di gioia, per poi calmarsi e esclamare frettolosamente:
- Devo chiamare i ragazzi, devo comunicare loro la mia nuova invenzione! -
Si diresse verso un telefono su una scrivania disordinata, digitò i numeri necessari e disse:
- Ciao, sono io! -
Ascoltò la risposta.
- Ma chi se ne frega! La scienza non conosce limiti e ore! -
Risposta.
- E non sbuffare! Avvisa gli altri, piuttosto! Ho appena terminato la mia ultima invenzione! -
Risposta.
- Proprio così. -
L'uomo sorrise sornione.
- Ah-ah. Non vedo l'ora di usarla! Ma voglio che ci siate anche voi quando la metterò in funzione. -
Risposta.
- Ma prego. Adesso avvisa gli altri, vi aspetto nel seminterrato tra mezz'ora! Non m'importa in che condizione siete, svegli, addormentati, sani o ammalati, vi voglio qui! -
Intanto, nella cantina giunse affannata una ragazza.
- Dottor May! È tutto a posto? - chiese allarmata.
- Certo, Catherine, certo. Non preoccuparti. - la tranquillizzò mettendole una mano su una spalla. - Ho solo completato la mia ultima invenzione. -
Catherine lo guardò interrogativa.
- Vieni... - le disse guidandola verso una costruzione sconosciuta.
La ragazza spalancò gli occhi.
- Ma... ma... crede che funzionerà? -
- Lo spero, mia cara. Voglio solo aspettare i ragazzi per accenderla, li ho chiamati poco fa. -
- E a chi andrà l'onore della prima sperimentazione? - chiese la ragazza elettrizzata.
- Si vedrà, Catherine, si vedrà. -

Circa mezz'ora dopo, tre ragazzi entrarono nel seminterrato.
- Brian! - chiamò uno di loro, munito di una folta capigliatura nerissima e liscia.
- Arrivo, Freddie, solo un secondo. - disse l'altro, nel frattempo girato di spalle intento in chissà quali macchinazioni. - Catherine, passami il cacciavite a stella. -
Strinse due bulloni, applicò un'ultimo ingranaggio e si girò verso i suoi compagni.
- Hey, ragazzi! - esclamò.
- Buonasera, eh! - rispose di rimando un altro, con lunghi capelli castani e un'espressione assonnata sul viso.
- Ci spieghi adesso perché cazzo ci hai chiamati a quest'ora? - esclamò l'ultimo ragazzo, piuttosto adirato.
Brian ignorò i suoi modi sgarbati che ben conosceva (e che, oltretutto, aveva sempre odiato) e annunciò fiero:
- Ecco il motivo, Roger. -
Davanti a loro si ergeva una costruzione simile ad un'enorme sfera di ferro, lucida e di colore argento brillante. La parte anteriore era ornata da un numero indefinibile di leve, piccole e grandi, e uno schermo dove apparivano dei numeri; quella posteriore, invece, traboccava di tasti e bottoni, tutti di varie forme, dimensioni e colori, con sopra ognuno le adeguate scritte. Ai lati c'erano delle specie di maniglie per porte, forse per accedere dentro quella bizzarra diavoleria.
Seccato dal silenzio e quindi dall'incomprensione dei suoi compagni, Brian incominciò la sua spiegazione, chiedendosi ancora che cosa ci stesse a fare lui in una banda di ignoranti del genere
- Ehm, ehm, John, Roger, Freddie... e, ovviamente, Catherine... - iniziò girandosi verso la ragazza, che lo ammirava con gli occhi che le brillavano. - Questa è la mia ultima invenzione. Davanti a voi non avete altro se non una vera e propria... macchina del tempo! -
A quelle ultime tre parole, i tre ragazzi ebbero differenti reazioni: John si voltò lentissimamente verso Brian come un automa e lo guardò con gli occhi spalancati, Freddie si grattò il mento, pensoso, e Roger aprì talmente tanto la bocca da far correre il rischio alla propria mascella di finire sul pavimento.
- Guardate, vi mostro come funziona! - esclamò tutto eccitato dirigendosi verso la macchina. - Questo serve ad indicare dove sei, questo ad indicare dove vai e questo ad indicare dov'eri... e poi ci sono i tasti per comporre le date... e questo... e questo... -
Parlava molto velocemente ed era difficile seguirlo. La verità era che pareva incredibile persino a lui, che gli fosse riuscita quella strana invenzione.
Catherine continuava ad osservarlo gesticolare e blaterare a manetta e sembrava l'unica a capirlo veramente. Ma a lei cosa serviva ascoltarlo? Aveva seguito insieme al suo dottore tutti i progetti per quella macchina, sin dai primi banali schizzi su carta fino alla realizzazione finale, tutte quelle spiegazioni erano inutili alle sue orecchie.
Aveva sempre stimato all'infinito Brian e trovava estremamente fantasioso quel suo modo di parlare a raffica, ma sensatamente, mentre muoveva le mani in una maniera impossibile da fermare.
Ad un certo punto, Freddie esclamò:
- E se provassimo a farla funzionare? -
Sia Brian che Catherine impallidirono di colpo.
- Ma... non abbiamo assolutamente idea di quali effetti potrà provocare... - balbettò la ragazza, guardando allarmata il suo dottore. Le era sorto improvvisamente un dubbio sulle conseguenze di quel marchingegno.
Il chitarrista le rivolse uno sguardo tranquillizzante.
- Un'invenzione non si può chiamare tale, se prima non viene sperimentata. -
Catherine non sapeva neanche quante volte si era sentita ripetere quella frase da Brian. Doveva essere la sua favorita, quella che usava come per rappresentare una specie di filosofia di vita.
La ragazza annuì infine, mentre il suo dottore si rivolgeva verso la macchina e chiedeva:
- In che periodo possiamo andare? -
- Futuro! - fece John, elettrizzato.
- Passato... - affermò Freddie sognante.
- Scelta ardua... ma il passato è già stato vissuto da tutti. Quindi propongo futuro! -
Il viso di Freddie accennò ad un lieve broncio, ma non si perse d'animo, quell'invenzione lo caricava di adrenalina.
- E se andassimo avanti di, che so... trentacinque anni? - propose la ragazza.
- Ci sto! Ottima idea, Catherine! -
Lei assunse un'aria da superiore, fiera del suo successo.
- Ecco. 27 ottobre 2010, la data del nostro possibile arrivo, non un giorno di più né uno di meno. Ah, prima di partire, vi devo dare uno strumento che ci sarà utile per quando saremo nel futuro. -
Brian prese degli oggetti non identificati dalla sua scrivania piena di cianfrusaglie tecnologiche e ne distribuì uno per ciascun membro dei Queen.
- Questi sono i vostri orologi temporali. Se ricevete una chiamata, basta che schiacciate la rotellina che si usa per regolare le lancette, come un pulsante. -
- Ah, ecco perché non lo trovavo più! - esclamò Roger, sistemandoselo al polso. - E a cosa servirebbero? -
- Ovviamente, per comunicare tra noi quando saremo nel futuro, nel caso ci trovassimo in luoghi diversi. Noi non sappiamo quali saranno i mezzi di comunicazione tra trentacinque anni, perciò ho pensato che è sempre meglio avere una precauzione, no? -
- Certo, il genio sei tu... - sghignazzò Freddie.
John chiese:
- Ma... andremo tutti, nel futuro? -
Lo scienziato si bloccò di colpo. Esitò qualche secondo prima di rispondere.
- Beh, in effetti... qualcuno, purtroppo, dovrà restare nel nostro tempo, per fare azionare la macchina in caso di difficoltà. - disse dispiaciuto, facendo girare tutti verso di lui. - Chi si offrirebbe volontario? -
Per qualche minuto tutti rimasero in silenzio. Ovviamente tutti i presenti in quel seminterrato morivano dalla voglia di viaggiare nel tempo, ma qualcuno doveva pur restare, se no sarebbero rimasti per sempre in un'altra dimensione, completamente sconosciuta ai loro occhi!
- Io. - mormorò ad un certo punto una voce.
- Catherine?! - urlò quasi Brian.
- Certo. D'altronde, lei mi ha insegnato praticamente tutto su come manovrare questo ferrovecchio! - disse decisa dando dei colpetti alla macchina e ignorando dei rumori metallici provenire dal suo interno.
Brian le si avvicinò.
- Sei sicura? - le sussurrò guardandola negli occhi.
- Ma certo, doc! Non si preoccupi, me la cavo! - rispose Catherine dandogli un leggero pugno su una spalla e mascherando l'emozione con la sua solita spavalderia.
- Bene, allora possiamo partire! - annunciò infine Brian.
- Oh, che bello! Ma dove è finito Roger? -
La domanda di Freddie era più che adeguata. Infatti il batterista era sparito. Incominciarono a chiamarlo.
- Roger! -
- Roger, dove sei? -
- Vieni fuori! -
Ad un certo punto sentirono la sua voce, soffocata, quasi metallizzata.
- Hey! A cosa serve questo tasto? -
Subito dopo sentirono un rumore fortissimo di ventole che giravano, che andava ad aumentare sempre di più. Si girarono tutti verso la macchina e videro che tremava e intorno ad essa brillava un leggero bagliore argenteo, quasi fosse stata un'aura.
- Roger! No! -



Fat bottomed girls made the rockin' world go round!
Hola!
Yeah, lo so, dovrei come minimo uccidermi per iniziare una nuova long senza aver completato quell'altra. Mi dispiace, ragazze >.< ho quasi finito il capitolo, prima o poi lo posto!
Comunque. I Queen mi hanno dato talmente tanto alla testa da iniziarmi a scrivere (una sorta xD) di storia fantascientifica. Spero solo che Asimov non si stia rivoltando nella tomba o__o
Chissà dove è finito il Roger...
Sappiate una cosa: i Queen non mi appartengono e gli altri personaggi sono frutto della mia immaginazione. Il titolo proviene da Machines (Or Back To Humans).
Beh, che dire, spero vi piaccia!
See you,
Midori

P.S.: CAAAAATH, VIENI FUORIIII! ;) 

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Capitolo 2
*** Where the light of day will find us? (Pt. 1) ***


 2.  Where the light of day will find us? (Pt. 1)
 

 "Ke 2 palle, eh?"
"Ma no, è interessante..."
"Sì, se qst lezione è interessante io sono Lady Gaga u.u"
"Cantami Poker Face, allora xD"
                                                  
All'uscita da scuola, la ragazza tirò un sospiro di sollievo. Era solo passata una settimana da quando aveva messo piede in quella nuova città, solo tre giorni da quando era entrata in quell'edificio educativo, e già ne aveva le palle piene. Eppure doveva inseguire lo scopo che aveva nella vita. Quindi si limitò a non commentare, sfogandosi solo con dei grandi sospiri. Indossò la sua pesante felpa verde e si avviò verso casa, facendo sbattere la tascapane contro le ginocchia mentre camminava.
Ad un certo punto, sentì una voce da lontano.
- Hey! Aspetta! -
Si girò e vide il ragazzo con cui aveva parlato quella stessa mattina tramite i bigliettini, il suo compagno di banco.
In poco tempo la raggiunse e le chiese:
- Dove vai? -
- A casa, non vedo l'ora di farmi una dormita. - rispose.
- Ti dispiace se facciamo la strada insieme? Anche io abito da queste parti. -
- Perché no? Almeno avrò qualcuno con cui parlare. -
Per un po' non dissero niente, poi lui esordì di nuovo:
- Che stanchezza, oggi! -
- A chi lo dici... quella lezione di biologia era davvero noiosa, scherzi a parte. - sorrise lei.
- Quando assisti alle lezioni di Stevenson, puoi star sicura che entro i primi due minuti crolli sul banco. - disse, facendola ridacchiare. - Io, comunque, sono Jeff. -
- Piacere, Alexis. - e gli strinse la mano. - Di solito la gente mi chiama Alex, quindi se vuoi puoi farlo anche tu. -
- Ok, cercherò di abituarmi. - rise Jeff. - Non sei di Londra, vero? -
- No, americana. -
Alex era solita rispondere con monosillabi e frasi brevi con le persone che ancora non conosceva. Un po' perché era timida, un po' perché non desiderava concedere molta confidenza alla prima chiacchierata.
- Wow, che figo! Di dove? -
- Los Angeles. -
- Allora saprai anche un po' di spagnolo... -
- Beh, quasi. Mia madre è nativa di Barcellona, sai, ma mio padre è americano, quindi anche io posso considerarmi tale. -
- Io ho sempre desiderato imparare lo spagnolo. Peccato che sia molto più portato nelle scienze, di qualunque tipo. - si vantò Jeff.
- Modestia portami via, eh? - lo schernì Alex.
Lui ridacchiò.
- Sai, sei simpatica, Alex. Sei una ok. - le disse mostrandole il pollice in su.
- Una ok. Beh, come prima impressione direi che non è male, no? - sorrise. - Senti, forse è un po' azzardata come domanda, ma io la faccio sempre per prima alle persone nuove che conosco... -
- Dimmi tutto. -
- Che musica ascolti? -
Quella domanda lo lasciò abbastanza sorpreso, nessuno aveva mai iniziato un approccio con lui in quel modo. Era rimasto stupito dalla particolarità di quella ragazza. Aveva capito subito che lei era diversa, non come le altre che aveva conosciuto o come quelle che aveva visto girare per l'università, tutte trucco e niente cervello. Si sentiva stranamente affascinato da quella sua peculiarità.
- Oh, beh... sai, quella che oggi definiscono "musica sorpassata, antiquata, fuori moda". - rispose semplicemente grattandosi la testa.
- Cioè? -
Alex era incuriosita da quel suo modo di rispondere e aveva uno strano ma sorridente sospetto nella mente, il quale non aspettava altro che essere avverato, se così era.
- Gruppi come Led Zeppelin, The Who, Pink Floyd... li hai mai sentiti? -
Alexis esultò nella propria testa.
- Ma certo! - esclamò con un sorriso, spalancando gli occhi color cioccolato al latte. - Anche a me piacciono tantissimo! Solo che io preferisco una diversa faccia di quel tipo di musica... conosci i Queen? -
- I Queen? - chiese Jeff, quasi perplesso. - Oh, beh, li ho sentiti nominare. Ma non mi sono mai interessati più di tanto. -
- Credimi, non sai cosa ti perdi. - affermò lei mettendogli una mano su una spalla. - Beh, comunque, io sono arrivata. Ci vediamo domani? -
- Certo. Vieni alla lezione di fisica? -
- Sicuramente. Ciao! -
Con quella frase Alex entrò nel condominio e si avviò verso il suo piccolo appartamento, all'ultimo piano, in Whittlesey Street. Adorava quella sua piccola dimora, la faceva sentire emancipata e allo stesso tempo la confortava, come una calda coperta che ti avvolge dopo che sei stato sotto la neve per tanto tempo.
Alex, come Jeff aveva ben inteso, era sempre stata una ragazza molto particolare. La musica le aveva cambiato la vita. La amava da sempre, da quando aveva iniziato ad ascoltare quel che ascoltava le sembrava di essere rinata, come se avesse trattenuto il fiato per tanto tempo e, all'improvviso, lo avesse rilasciato e fosse ritornata a respirare normalmente.
Come stava spiegando al suo nuovo amico, i Queen in modo particolare le avevano cambiato l'esistenza. Aveva incominciato ad ascoltarli e ad informarsi sempre di più su di loro, fino a sapere a memoria quasi tutte le loro canzoni e conoscere per filo e per segno tutta la loro storia, da quando erano semplici Smile ai tour con Paul Rodgers. Non aveva un preferito in particolare, solo quando era ragazzina si era presa una cotta per Roger, (il più affascinante del gruppo, secondo lei), che era svanita qualche anno più tardi poiché Alex si era resa conto che il bel batterista era solo un sogno. Ormai non ci pensava neanche più.
Nei momenti in cui si sentiva più giù, c'era sempre Spread Your Wings a risollevarla; adorava quella canzone, le dava un sorprendente buonumore e la faceva sentire libera e in grado di fare qualsiasi cosa. Si immedesimava nel suo testo e la viveva, letteralmente.
In quel momento, però, non aveva voglia di ascoltarla. Voleva solo riposarsi e rilassarsi, visto che per il giorno dopo, fortunatamente, aveva già studiato.
Così sbatté con grazia la sua tascapane in un angolo della stanza da letto e si diresse verso le sue adorate casse, nelle quali inforcò il fedele iPod e fece partire My Melancholy Blues, da News Of The World.
Ormai la sera stava arrivando e il buio si stava piano piano impossessando della stanza, sebbene fossero solo le cinque e mezza di pomeriggio. Perciò la ragazza accese la luce della lampada sul suo comodino, così da avere una fonte luminosa soffusa e rilassante al punto giusto.
Si era sdraiata sul letto e aveva appena iniziato a pensare a quello che avrebbe fatto il giorno dopo, visto che la lezione sarebbe iniziata alle undici, quando sentì uno strano rumore, simile ad un tonfo, proveniente da sopra di lei.
Aprì gli occhi, nella penombra della stanza. Che lei sapesse, sopra il suo appartamento non c'era niente, a parte un solaio inutilizzato che si era ben guardata dal visitare per la presupposta presenza di ospiti indesiderati. Nel corridoio dell'appartamento spuntava dal soffitto una di quelle scale che si azionano tirando un cordino verso il basso, ma ad Alex non era mai importato più di tanto usarla.
Per scaramanzia, provò a mettere in pausa la canzone e mettersi meglio in ascolto. E infatti lo sentì. Tump. Uno strano colpo, seguito da una specie di voce, molto soffocata.
Alexis incominciò a preoccuparsi. Non poteva essere un topo. Si alzò in fretta, prese una torcia e si avviò verso la tanto temuta scala. Tirò il cordino ed essa si drizzò davanti a lei, come a conferirle l'accesso a un mondo sconosciuto ed incantato.
Incominciò a salire, lentamente, gradino a gradino, con una leggera ma sincera paura, tenendo la torcia accesa in una mano e facendo attenzione a non cadere.
Era a metà quando sentì di nuovo il tonfo, stavolta più forte, subito seguito da una specie di lamento. Allora era vero. Deglutì e continuò a salire.
Appena i suoi piedi toccarono il pavimento di legno marcio del solaio, Alex starnutì per la polvere in giro, cercando però di non farsi sentire.
Notò con grande piacere di essere riuscita nel suo intento, perciò incominciò a puntare la torcia in tutti gli angoli della soffitta.
Improvvisamente notò qualcosa muoversi nel buio che la circondava. Provò a seguirla con la torcia, ma la mano ormai era tremolante di paura e non riusciva più a controllare i movimenti.
Ad un tratto, sentì uno starnuto. Capì che proveniva da un ammasso non identificato in un angolo lontano del solaio, prese una padella che aveva visto di sfuggita in uno scaffale lì vicino e si avvicinò con timore. Chi aveva starnutito si trovava probabilmente sotto un piccolo cumulo nascosto e avvolto da un plaid rattoppato.
Quando fu abbastanza vicina, posò la torcia su un mobile lì accanto, in modo che potesse sempre illuminare quello strano ammucchiamento e provò a toccare quest'ultimo con un dito. La coperta non si mosse. Provò di nuovo, stavolta toccando un po' più a fondo.
Il plaid ebbe un sussulto, poi Alex, completamente paralizzata dalla paura, vide che da sotto di essa cadevano degli oggetti rettangolari, della stessa forma dei libri e che una figura spaventosa si stava alzando lentamente.
La povera ragazza cacciò un urlo e fece partire un colpo alla padella, facendo ritornare a dormire quella... cosa, che si accasciò a terra subito preceduta da un sonoro sdeng!, uno dei suoni più rassicuranti che le orecchie di Alex avessero mai sentito.
Restò immobile per qualche secondo, poi buttò la sua arma da una parte, riprese la torcia in mano e osservò da più vicino quella figura. Sollevò la coperta con due dita, come se toccarla avesse significato contrarre una delle malattie più terribili al mondo, e alla luce fioca, vide un ragazzo, più o meno della sua età, girato a pancia in giù, con la testa sul pavimento, ancora intontito dalla padellata appena ricevuta.
Oh, cavoli. Forse lo aveva colpito un po' troppo forte, pensò Alex. Magari, se lo avesse fatto tornare a parlare, l'avrebbe ringraziata e le avrebbe gentilmente spiegato che ci faceva nella sua soffitta. Perciò decise di lasciare il suo arsenale di armi a terra e trascinò quel corpo inerme per una mano fino alla scala, poi gli prese tutte e due le mani e, facendo attenzione, lo trascinò giù con sé mentre scendeva, facendogli rimbalzare i piedi ad ogni scalino. Infine, Alex, stremata da peso di quel corpo, lo mise sul suo letto. Andò in cucina a prendere la borsa del ghiaccio e ritornò in camera. Il corpo era sdraiato ancora a pancia in giù e la decisione di Alex era più che sensata quando pensò di ribaltarlo per medicarlo.
Appena ebbe finito nel suo lavoro di precisione, Alex lo guardò in faccia.
Non era molto male, in effetti. Una bionda criniera da leone che si sognava solo di vedere in circolazione, due occhi grandi, rilassati e chiusi, un naso perfetto, dritto ma leggermente curvato verso il basso, dei bei basettoni come piacevano a lei e la linea della mascella sensuale e mascolina. Caspita, se era bello.
Eppure le ricordava qualcuno. Era sicura di averlo già visto da qualche parte, ma qualcosa le sfuggiva. Sicuramente era molto affascinante.
Affascinante quasi come... no.
Adesso stava viaggiando un po' troppo con la fantasia. Non poteva essere lui. Assolutamente.
Anche se, in effetti, gli assomigliava proprio tanto. Si sarebbe potuto dire che erano gemelli.
Scuotendo la testa ritornò in cucina e si fece una tisana, per poi ritornare in camera ad aspettare che quello strano ragazzo si svegliasse.
Era davvero sicura di aver battuto quella padellata in testa a lui e non a se stessa?



 Everything we do is driven by you.
Guten Abeeend!

Allora, siore e siori (ma in realtà solo siore, a quanto sembra xD), here it is, another chapter!
Scusate il ritardo, i compiti mi uccidono letteralmente o__o
Beh, niente, sappiate solo che la citazione è di Long Away, che io adoro :3
Thank you!
See you,
Midori

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Capitolo 3
*** 3. Where the light of day will find us? (Pt. 2) ***


3. Where the light of day will find us? (Pt. 2)

 
Il fumo che aveva velocemente avvolto la stanza si stava piano piano dissolvendo, mentre coloro che vi stavano dentro continuavano ancora a tossire. 
Quando fu sicuro che tutto si fosse tranquillizzato, Brian si avvicinò alla macchina, non senza una certa titubanza. Fece segno agli altri di restare dov’erano, poi provò a bussare contro quel marchingegno oltremodo sovrannaturale, senza però ottenere altro che un rumoraccio degno di una vecchia ferraglia arrugginita. Cercando di restare calmo, fece:
- ... Roger? -
Silenzio. 
Silenzio che si mischiava all’ormai leggero strato di fumo che stava invadendo il pavimento. Silenzio agghiacciante, degno di un film horror. Silenzio che poteva significare soltanto una cosa.
- EUREKA! - gridò il chitarrista-scienziato spiccando un salto che fece spaventare la povera Catherine. - Funziona, per Dio, funziona!! - 
Freddie, ancora sotto shock per quello che era appena accaduto sotto i suoi occhi, si girò verso Brian come un automa.
- ‘Funziona’?! - esclamò quasi indignato. - Uno dei tuoi colleghi, nonché migliore amico, è sparito in qualche fottuta dimensione temporale... e tu sai dire solo ‘funziona’?! -
L’altro, che era già in procinto di festeggiare e stava improvvisando un valzer per niente riuscito con la sua giovane e rintronata assistente, lo guardò e disse, acido:
- Beh, fammi godere il momento di gloria finché posso. -
“Come se non si sentisse già il re del mondo ad ogni assolo che fa...” pensò John alzando gli occhi al cielo e dirigendosi verso la macchina del tempo.
Il cantante, rimasto con un palmo di naso, si batté una meno sulla fronte esasperato, mentre il suo amico prendeva disordinatamente appunti su ogni cosa appena successa e borbottava eccitato ogni suo esito. Intanto, giusto per curiosità, il bassista aveva provato a vedere quale fosse stato il danno che aveva fatto sparire misteriosamente Roger. Aprì la strana porta della macchina e vi entrò dentro, senza che nessuno lo notasse. L’interno di quella diavoleria era completamente bianco, stretto, con spazio per due persone al massimo - eppure da fuori sembrava molto più grande. Vi si trovavano due sedili, con ai loro lati una tastiera e uno schermo, in alto. Certo che, quando voleva, il loro scienziato si inventava proprio di tutto. Forse neanche nel futuro ci sarebbe potuta essere una macchina come quella.
Il bassista uscì e chiuse la porta del macchinario, per poi dirigersi sul suo retro. Vide che da sotto l’enorme congegno usciva un leggero filo di fumo, perciò si inginocchiò e, accendendo una torcia, diede un’occhiata. Tutto ciò che vide fu un insieme confuso di cavi bruciacchiati e viti arrugginite, forse irreparabile. Ma, da bravo ingegnere, una cosa la sapeva: per un ingegnere che si rispetta nulla è irreparabile.
Lo mostrò subito a Brian, che annunciò:
- Catherine! Presto, ordina dalla migliore officina di Londra almeno venti viti di venti diverse grandezze e cavi rossi e cavi blu a volontà! Dobbiamo riportare indietro Roger, perbacco! -
- Ma, dottore, con i soldi come fac... - provò a ribattere l’assistente, insicura persino se il suo dottore sapeva ciò che stava dicendo.
- Non penso che ci sia da preoccuparsi per quello, tesoro. - rispose pronto Freddie. - Pensi che abbia rotto con quei bastardi della Trident solo perché non si meritavano di trattare con una star come me? - aggiunse strofinandosi le unghie curate contro la giacca, con fare superiore.
- Mi hai battuto sul tempo, Fred! - ridacchiò Brian, per poi avvicinarsi alla ragazza, metterle le mani sulle spalle e sussurrarle:
- Fidati di me, Catherine. -
Lei lo fissò affascinata per qualche secondo. Quando riusciva, il suo dottore sapeva mandarla completamente in brodo di giuggiole.
- Ok... - farfugliò, per poi correre al telefono per adempire alla sua missione.
- Per quanto riguarda le registrazioni, possiamo tranquillamente interrompere. Riprenderemo a tempo debito, ovvero quando saremo riusciti a far tornare qui Roger. E ora, al lavoro! - esclamò Brian, con un atteggiamento da leader.
- Aspetta... Ma tutti saremo coinvolti in questo progetto? - uscì fuori Freddie. - No, sai, non vorrei mai sporcarmi i vestit... -
- Un giorno di questi andiamo a prendere una tuta da meccanico, ok? - ribatté il chitarrista, esasperato. - E ora, al lavoro! -

***

- Quindi, fammi capire. Tu sei Roger Taylor, batterista dei Queen, vieni dal 1975, e sei atterrato nella mia soffitta perché Brian May ha inventato una stramba macchina del tempo e ti ha mandato nel futuro di trentacinque anni? -
Alex se ne stava al centro della sua camera, mentre Roger le girava intorno e si guardava intorno curioso.
- Mh-mh... E hai dimenticato di dire una cosa... - borbottò senza neanche guardarla in faccia.
- Cioè? -
- Che sono un asso con le signore... - la squadrò di sottecchi, con un sorriso furbo. - E che prima mi hai fatto male! - cambiò completamente tono, indicandosi il bernoccolo rosso sull’angolo della fronte. - E poi... Che non vedo l’ora di visitare il vostro futuro! - detto questo, si affacciò alla finestra, tutto contento.
La povera ragazza non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie. Doveva esserci una spiegazione logica a tutto quel casino. Magari stava solo sognando e quell’essere era solo frutto del sogno provocato dal sonno istantaneo al suono di My Melancholy Blues. O forse aveva visto talmente tante volte Ritorno Al Futuro che le sembrava che i fatti accaduti nel film stessero accadendo anche a lei. Ma lei non era una personificazione femminile di Marty McFly (*), andiamo!
E se magari il biondino stesse dicendo la verità? Quella sarebbe stata comunque un’ipotesi da prendere in considerazione, anche se nessuno gli avrebbe creduto. Ma Alex non era nessuno.
- Di’ un po’, ragazzina, ce le avete già le macchine volanti? - esclamò il biondo chiudendo la finestra, facendola trasalire. - E i robot? Mica avete dei robot servitori come raccontava Asimoov! - si girò verso di lei, guardandola negli occhi. Lui non stava zitto, lei non riusciva a parlare e stava facendo di tutto per non sciogliersi di fronte a quegli occhi.
- Oppure... - si stava avvicinando. Pericolosamente. La ragazza indietreggiò. - Chi mi dice che non sia tu stessa un robot?! -
Urlata, praticamente, quest’ultima frase, le sue mani finirono repentine sulle guance della povera ragazza, saggiandole col pretesto di sentire la sua... Consistenza umana. Gesto che lei odiava più di qualsiasi cosa al mondo.
- LASCIAMI, DEFICIENTE! - urlò la studentessa dimenandosi e rifilandogli un ceffone talmente forte da fargli fare mezzo giro su se stesso. Lo prese per il colletto della camicia e dichiarò, digrignando i denti come un mastino:
- Senti, cretino spaziale, non so se tu sia veramente Roger Taylor o meno, ma quant’è vero Iddio, toccami ancora le guance in quel modo e sei morto, capito?! -
Roger sbiancò di colpo. Cazzo, la ragazzina non scherzava. Non c’era bisogno di dimostrazioni, il suo tono parlava già da solo. Annuì, docile e impaurito, incapace di fare altro. Alex lo lasciò e lui finì col sedere per terra. Trattenne un mugolio di dolore: quante parti del corpo ancora aveva intenzione di deteriorargli?!
- Ora, ascoltami bene. Patti chiari, amicizia lunga. Per quanto ne so sui viaggi nel tempo, per il momento tu starai in casa mia. Non, - sottolineò - ripeto, non uscire per nessun motivo al mondo. Non parlare con nessuno. Non rispondere al telefono. Tu da questo momento sei in-vi-si-bi-le. -
Roger fece di nuovo sì con la testa, sperando che le indicazioni della ragazza gli servissero, per quanto ne sapeva lui sui viaggi nel tempo...!
- In questi giorni ti procurerò dei vestiti, di certo non gradirei che un tonto spaziale giri per casa mia con gli indumenti sozzi e puzzolenti. - continuò lei. - Appena verranno degli ospiti, tu ti chiuderai in camera mia. -
- Ma così sarò completamente prigioniero! Insomma, facevo prima a dire a Brian di portarmi negli anni ‘40! - protestò.
- Zitto. - sibilò la ragazza, impassibile. - Queste sono le regole, se non vuoi infrangere il continuum spazio-tempo. -
- Il conti-che?! -
- Te lo spiegherò un altro giorno, ora no. Troppi shock in così poche ore. - sospirò, buttandosi a pancia in su sul letto.
- Va bene... - tutto sommato, nemmeno lui aveva le idee del tutto chiare.
- Penso che andrò a farmi un’altra tisana. - detto ciò, Alex si alzò e si diresse verso la porta.
Roger si alzò, massaggiandosi una chiappa, pensoso. Magari, provandoci, sarebbe riuscito a fare sua amica quella ragazza. Bastava provarci.
- Senti, ehm... - azzardò.
- Alexis. -
- Giusto, Alexis... - si aggiustò un ciuffo di capelli e si avvicinò a lei, d’un tratto con un sorriso più dolce del miele. - Ti vorrei ringraziare per la tua ospitalità. Sai, un viaggio non si affronta mica tutti i giorni, sono ancora un po’ confuso e... -
Di colpo lei si girò. Roger ampliò il suo sorriso, con aria vincente.
- Sai una cosa? Se stai cercando di provarci, sappi che con me non attacca. -
Così si diresse secca verso la cucina. Il povero batterista ci rimase di sasso. Nessuna aveva mai reagito così con lui. Che razza di mentalità avevano nel fottuto 2010?!
- Ah, Roger? - lo chiamò d’improvviso.
- Sì? - sobbalzò lui.
- Tu stanotte dormi sul divano. Sia ben chiaro. -



Who do you think that you are? You should be sweeping at the Emerald Bar.

Here I am, people. Tuuuuuuuutto nero, perché ho deciso che di colorato metterò solo il titolo, d'ora in poi. ("BUUUUUUUU" cit. EFP audience)
Comunque. Mi sono resa conto (anche voi, ormai LOL) che sto aggiornando questa storia ad ogni morte di papa ma ok!, brava Midori, let your imagination come and go, ahah.
Anyway! Spero che questo capitolo vi piaccia, ringrazio ancora una volta le mie recensitrici di fiducia che anche nello scorso capitolo hanno sprecato cinque minuti della loro vita per dire che ne pensavano. Ai l'ov iu, sappiatelo <3
(*) = riferimento al protagonista di Ritorno Al Futuro, penso che voi lo sappiate ma mettiamo caso ci fossero delle perdite di memoria. :3 
Grazie a tutti, anche a chi legge soltanto! <3 
See you,
Midori

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