La Bussola dell'Amore

di Carmen Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questione di Imprinting ***
Capitolo 2: *** Un Invito Inaspettato ***
Capitolo 3: *** Vicinanza ***
Capitolo 4: *** Abbandono ***
Capitolo 5: *** Scoperta ***
Capitolo 6: *** Un Arrivo Inaspettato ***
Capitolo 7: *** Tra Minacce e Gelosie ***
Capitolo 8: *** Pazza Di Lui ***
Capitolo 9: *** Pazzo Di Lei ***
Capitolo 10: *** La Verità ***
Capitolo 11: *** Una Nuova Normalità ***
Capitolo 12: *** Una Decisione Importante ***
Capitolo 13: *** Epilogo - Insieme - ***



Capitolo 1
*** Questione di Imprinting ***



 

 

Paul
 
 
 


Dopo l’ennesima azzuffata con Embry, Sam mi aveva obbligato a tornare a casa.
Odiavo quello stupido branco di cui facevo parte e ancora di più odiavo il pensiero e la consapevolezza di dover sottostare agli ordini altrui. Ero uno spirito libero io…
Da quando ero mutato per la prima volta, non ero ancora riuscito a trovare una soluzione al mio temperamento irruento e alla mia impulsività e ogni volta mi beccavo le conseguenze, non potendo neppure replicare.
«Al diavolo», sputai, tirando un calcio contro un piccolo castello di sabbia costruito probabilmente dalla piccola Claire.
Quel giorno il cielo prometteva tempesta, non era una novità. L’oceano urlava minacciandomi con quelle sue alte onde, ma se non avessi rischiato di essere scambiato per un pazzo, mi sarei messo a urlare pure io contro di lui.
Alcuni lampi squarciavano le nuvole grigie e le poche persone che intravedevo sulla spiaggia si affrettavano a raccogliere le loro bagattelle e a levare finalmente le tende. Tanto meglio. Non avevo voglia di notare degli sguardi su di me, come se ogni volta si ritrovassero davanti a un fenomeno da baraccone.
In altre circostanze, come mi era già capitato, apprezzavo che le ragazze mi guardassero con quella strana luce di desiderio negli occhi. A volte riuscivo a sentire persino la loro eccitazione, la voglia che avevano di toccarmi.
Ma quel giorno ero nero. Più nero di una maledetta mezzanotte. 
E pensare che quello stupido di Jacob aveva rifiutato il ruolo di Alfa, brutto idiota. È proprio vero che Dio dà il pane a chi non ha i denti.
Le onde si infrangevano fragorose a riva, una dopo l’altra e il vento sferzava la salsedine sommergendo l’intera spiaggia di una strana foschia bianca simile a nebbia.
Indossavo dei vecchi jeans strappati alle ginocchia e nient’altro. La temperatura doveva essere intorno ai dieci gradi centigradi, ma il mio corpo non ne risentiva.
Con quel tempaccio, il buio arrivava più velocemente e solo in quel momento mi accorsi di aver fatto un’enorme cazzata a litigare con Embry. Il non poter andare di ronda fino al giorno dopo significava stare in casa con mio padre.
Meglio morire piuttosto…
Masticai qualche imprecazione fra me e me e mi infilai le mani in tasca pensando al da farsi.
Ridacchiai quando immaginai di uscire insieme a Leah. Quel pensiero l’avrebbe fatta infuriare e lo stesso sarebbe accaduto con suo fratello e anche con lo stesso Sam che nonostante avesse già avuto l’imprinting, non la smetteva di preoccuparsi per lei e volerle bene. 
A ogni modo dovevo trovare qualcuna con cui passare la serata e possibilmente anche la nottata. Tutto pur di non tornare a casa.
Ero terribilmente frustato e la forma umana sembrava che acutizzasse le mie cattive sensazioni. Il lupo che era in me scalpitava per uscire fuori, avvertivo una scarica elettrica nella spina dorsale, la stessa che precedeva di qualche istante la trasformazione.
Chiusi gli occhi cercando di calmarmi, se mi fossi trasformato, Sam mi avrebbe sentito all’istante e mi avrebbe punito ancora, magari più a lungo. Non potevo rischiare.
Quando riaprii gli occhi, oltre la coltre di salsedine intravidi una sagoma che camminava verso di me.
Mi diede fastidio la sua presenza. Chi era il pazzo che con quel tempo si avventurava sulla spiaggia?
Forse un suicida…
Mi sbattei una mano sulla fronte, se avesse deciso di buttarsi in acqua avrei dovuto pure salvarlo. Che rogna la vita.
Camminai ancora, tenendo d’occhio la sagoma i cui contorni divenivano sempre più nitidi man mano che si avvicinava. 
Lunghi capelli… oh era una ragazza. Una ragazza suicida.
Paul il salvatore di vittime innocenti, mi mancava.
Avanzai un passo dietro l’altro senza distogliere gli occhi da lei.
Un brivido mi corse lungo la schiena facendomi venire la pelle d’oca. Non era la stessa sensazione che precedeva la mutazione, era un qualcosa di diverso. E intenso.
Sfilai le mani dalle mie tasche per controllare se stessero tremando, ma mai erano state più ferme di allora.
Deglutii avvertendo un formicolio alla gola, il mio stomaco era sottosopra. Il rumore del mio cuore che batteva era diventato un urlo nelle orecchie.
Senza il mio controllo, i miei occhi vagarono lontano, come risucchiati da una potenza antica e sconosciuta.
Era inutile resistere.
Mi sentivo avvilito ma forte allo stesso tempo. Arrendevole e scalpitante, sorpreso e sicuro di me stesso.
Il viso della ragazza diveniva sempre più chiaro… capelli folti e scuri, viso ovale… un accenno di sorriso.
Il mio petto si alzava e abbassava velocemente, le mie gambe avevano rallentato l’andatura.
I miei occhi si puntarono nei suoi. E il mio mondo si capovolse, il mio essere perse il suo assetto. Per qualche istante fui smarrito chissà dove poi tornai al mio posto equilibrato da qualcosa di forte e invisibile.
Boccheggiai senz’aria. 
Il mio imprinting.
Era la creatura più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita. Quegli occhi scuri e profondi dal taglio spigoloso, gli zigomi alti, la bocca carnosa e il mento un po’ arrotondato con una fossetta che spiccava. Odorava di buono, un odore dolce di donna.
Era così minuta rispetto a me…
Per un istante esitai nell’avvicinarmi, avrei potuto farle del male. I miei scatti d’ira erano fuori controllo, non potevo rischiare.
Mi fermai, ma lei continuò ad avanzare verso di me. Sulla sua fronte si era formata una piccola ruga d’espressione e adesso si era portata una mano a stropicciarsi il labbro inferiore. Era nervosa?
Il mio imprinting…
«Paul? Sei tu?».
«Ra-Rachel?».
«Allora… ti ricordi di me. Eri soltanto un ragazzino».
«E tu di me… Ero soltanto un ragazzino».
Rachel sorrise ancora e si sfregò le braccia. Spostò il peso da un piede all’altro portandosi i capelli dietro un orecchio. Aveva le mani ben curate, con le dita lunghe e affusolate.
«A dire il vero ho stentato a riconoscerti. Sei molto cambiato… sei diventato un uomo».
«Tutti cresciamo».
«Sì, ma i ragazzi di La Push sembrano avere una marcia in più. Non avevo riconosciuto neppure Jacob».
Ah Jacob, meglio tralasciare suo fratello per il momento. 
«Sei stata lontano per troppo tempo Rachel, forse dovresti rimanere più a lungo questa volta».
«Hai ragione Paul», mormorò puntando i suoi occhi nei miei. «Credo che questa volta rimarrò un po’ più a lungo».
Il modo in cui pronunciava il mio nome era sublime. Sarei potuto rimanere ore soltanto sentendola chiamarmi. 
Era una cosa così strana quella che provavo nei suoi confronti, era come se la conoscessi da anni. In effetti era così, ma non era quel tipo di conoscenza ciò che intendevo.
Sentivo una sorta di intimità, una confidenza e una familiarità che non avevo avvertito mai con nessuna prima. 
Era come se avessimo coltivato il nostro rapporto giorno dopo giorno, senza mai separarci. E invece non era così.
Lei mi aveva solo sgridato qualche volta perché facevo delle polpette di fango e le imbrattavo i capelli.
«Qui fuori si ghiaccia», costatò Rachel guardandomi il petto nudo. «Che cosa fai in spiaggia svestito?».
«Emh…è una nuova tecnica di sopravvivenza».
«Davvero ridicola. Questa è una tecnica per morire prima».
Rachel mi afferrò il polso e mi trascinò su per la spiaggia fino al sentiero che portava al villaggio. 
Ero allibito e felice. Probabilmente stavo sorridendo pure come un ebete.
Nei pensieri di Quil, di Jared e di tutti gli altri che avevano avuto l’imprinting, avevo già percepito le sensazioni che il loro corpo sentiva, ciò che la loro mente provava. Erano emozioni forti che molte volte erano riusciti a coinvolgere pure me. Spesso mi ero sentito nauseato dai loro atteggiamenti dolci e protettivi. Eravamo lupi, uccidevamo succhiasangue, ringhiavamo, combattevamo… e davanti a una donna – quella donna – qualsiasi età o aspetto avesse,  eravamo degli agnellini. 
Ero ormai ben consapevole che il potere di leggerci nella mente era molto forte e completo, niente sfuggiva all’altro. E nonostante percepissi le loro sensazioni quasi come se fossero mie, possedere l’imprinting era ancora più travolgente e stordente di com’era avvertendolo nelle loro teste.
«Andiamo a casa mia, indosserai qualcosa di Jacob, sono sicura che ti andrà bene e lui non avrà nulla da replicare».
Aspetta che capisca che sei il mio imprinting e poi vedrai se non avrà nulla da replicare.
«Sei davvero un incosciente Paul, non sei cambiato affatto da quando avevi dodici anni».
«Tu invece sei diventata bellissima».
Rachel voltò il capo per guardarmi rallentando l’andatura. Aveva un accenno di sorriso che però scomparve subito.
«Sei bollente. Sei sicuro di non avere la febbre?», chiese cambiando discorso. 
Vidi la sua mano che stringeva ancora il mio polso e non so chi mi trattenne dal liberarmi e incrociare le dita alle sue. Oppure, forse lo sapevo ma non ci volevo pensare per adesso.
Rachel era all’oscuro del nostro mondo, dei lupi e dell’imprinting. Prenderle la mano dopo qualche minuto sarebbe equivalso a passare per un deficiente, un cretino o chissà cos’altro ai suoi occhi e io non volevo bruciarmi così presto.
«Sto benone».
«E tuo padre come sta?».
«Benone pure lui».
Non appena intravidi la casa di Billy mi sentii irrequieto. Entrare in casa loro, dopo aver avuto l’imprinting con Rachel, sapendo che ne erano tutti all’oscuro, mi faceva sentire un intruso.
«Rachel, posso tornare a casa mia».
«Mezzo nudo?», chiese inarcando un sopracciglio. «Non se ne parla e poi la tua casa dista almeno dieci minuti da qui».
Non riuscii a reprimere un sorriso. Mi piaceva che si preoccupasse per me o qualsiasi altra cosa volessero dire le sue parole. 
«Sì, ma…».
«Nessun ma, Paul. A Jacob non lo lascerei mai andare in giro come fai tu».
«Lui è tuo fratello».
«E tu sei l’amico di mio fratello ed io sono più grande di te di quattro anni e mi ascolterai perché sono più saggia».
Rachel spalancò la porta di casa sua e purtroppo mi lasciò il polso. Nel punto in cui mi aveva toccato sentivo un piacevole formicolio. Immaginai cosa mi avrebbe provocato se mi avesse toccato il corpo, le spalle o se mi avesse baciato.
Ok, meglio accantonare certi pensieri.
Il mio imprinting, di cui ero già orgoglioso oltre ogni limite, si dileguò lasciandomi da solo in cucina e poi ritornò con una felpa nera di Jacob.
«Tieni», asserì porgendomela.
Storsi il naso. «Puzza di lui, che schifo».
«Era nella biancheria pulita Paul».
«Ah, scherzavo». Maledetto olfatto!
La indossai e vidi Rachel voltarsi e poggiarsi con la schiena contro il lavello. Sembrava che stesse riflettendo su qualcosa di esistenziale, ma non potevo minimamente sapere di che cosa si trattasse.
«Ti va, se ti faccio un po’ di compagnia?», chiesi a bruciapelo.
Lei annuì osservandomi con i suoi occhi scuri e facendomi quasi sussultare. Erano così intensi e profondi.
Probabilmente aveva percepito anche lei che qualcosa ci aveva unito, ma non capiva di che cosa si trattava. Poteva essere che se lo spiegasse come una questione di attrazione fisica. Invece era una questione d’imprinting.
«Pensavo che avessi qualcosa di più importante da fare che stare qui a perdere tempo con me».
Mosse le spalle, sollevò la testa al soffitto, poi si voltò nuovamente a guardarmi.
Io non riuscivo a rilassarmi, la sua vicinanza era conturbante. 
Lo scollo a V della sua maglietta lasciava intravedere le rotondità del suo seno e quelle labbra erano perfettamente disegnate.
«Qualcosa di importante, tipo?».
«Tipo una ragazza».
«Adesso sono con una ragazza».
«Intendevo la tua ragazza».
Scossi la testa accennando un sorriso. «Non sono fidanzato. E tu? Non hai meglio da fare che perdere tempo con me?».
«Tipo?», sorrise dolce.
«Tipo, parlare al telefono col fidanzato che hai lasciato all’università».
«Abbiamo litigato».
Il mio stomaco si attorcigliò all’improvviso e un campanello d’allarme risuonò nella mia testa. 
Rachel, la mia Rachel, il mio imprinting, era fidanzata?
E chi diavolo era quel brutto bastardo?
Scattai avanti in un attimo e lei mi fissò stupita e perplessa.
«Paul, va tutto bene?».
«Sì, no… cioè sì. Ho solo dimenticato che devo fare una cosa importante».
Dopo quelle ultime patetiche parole, uscii da quella casa, prima che il lupo che era in me facesse qualche danno.


Angolino Autrice

Ciao a tutti ed eccomi con una nuova storia, creata esclusivamente per una persona speciale, Alessandra. Oggi è il suo compleanno e questo è il mio piccolo regalo per lei. Tanti Auguri, cucciola <3
Ringrazio Martina per l'elaborazione dell'immagine. <3
Come per tutte le mie storie, posterò ogni domenica. Spero che vi piaccia. A presto!

 

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Capitolo 2
*** Un Invito Inaspettato ***




Rachel

 

Dopo che Paul andò via, rimasi per un tempo indefinito a fissare le calamite attaccate all’anta del frigorifero.
Nella mia piccola casetta rossa regnava ancora il silenzio, udivo solo il gocciolare del lavello poco distante da me.
Mi sentivo un po’ strana…
Probabilmente non era stata un’idea saggia andare in spiaggia con quel freddo, avevo preso l’influenza.
Sospirai per l’ennesima volta quando l’immagine di Paul irruppe prepotentemente nella mia mente. Per quanto cercassi di pensare ad altro, non ci riuscivo. Nel modo più assoluto.
Mi alzai sistemando i cuscini sul piccolo divano e poi pensai a qualcosa da preparare per la cena. Ero felice di essere tornata a casa per un po’ e amavo prendermi cura di mio padre e mio fratello. Non nego che a volte venivo assalita dal senso di colpa per averli lasciati soli a La Push dopo la morte della mamma, però davvero non mi ci vedevo in quella piccola realtà, senza prospettive per il futuro, senza possibilità.
Iniziai a sbucciare delle patate, le avrei cucinate al forno insieme a un tacchino ripieno. Papà e Jacob ne andavano matti.
Mi chiesi stupidamente se capitava che mio fratello invitasse qualcuno dei suoi amici a cena… qualcuno tipo Paul.
Scossi la testa rimproverandomi da sola.
«Andiamo Rachel non essere sciocca. È soltanto un ragazzino».
Nonostante pronunciassi quelle parole, non ne ero per niente convinta.
Paul aveva diciotto anni, ben quattro meno di me, ma ne dimostrava venticinque.
Non avrei mai pensato che sarebbe diventato così bello e in un certo senso anche affabile, sì. Da bambino era una vera peste, litigava con tutti ed io molte volte lo avevo rimproverato perché quando eravamo in spiaggia, mi imbrattava i capelli con quelle che lui chiamava polpette di fango.
Erano così lontani quei giorni…
Il mio cellulare squillò per l’ennesima volta e mi ritrovai ad alzare gli occhi al cielo. Erano due giorni che evitavo di rispondere agli sms o alle telefonate del mio ragazzo Alan e lui con la sua testardaggine continuava ad assillarmi.
Ero andata via perché mi serviva una pausa, non ero sicura di volere realmente ciò che stavo facendo e per meditare meglio non potevo che ritornare nel posto dov’ero nata e avevo trascorso la mia spensierata infanzia.
Presi il cellulare e lessi l’ennesimo messaggio: “Pausa o no, non riesco a stare troppo a lungo senza sentirti. Richiamami”
Sospirai soffocando il senso di colpa e andai a farmi una bella doccia calda. Dovevo capire se Alan mi mancava realmente, se lo amavo davvero, perciò dovevo staccare la spina, non c’era altra soluzione.
Papà era andato a pesca con Charlie Swan e Jacob era andato a giocare nella foresta a qualche strano gioco… così aveva detto il piccolo Seth.
Mio fratello era un po’ troppo cresciuto per giocare come un bamboccio, evidentemente però non aveva nulla di meglio da fare.
Mi feci lo shampoo e stetti sotto il getto bollente dell’acqua più tempo del dovuto e tutto perché Paul affollava la mia mente impedendomi di ragionare bene.
Era così illogico ciò che mi stava accadendo, mi sentivo una ragazzina sciocca alla prima cotta. E poi dovevo ricordarmi che avevo un fidanzato!
Indossai dei jeans puliti e una camicetta aperta sopra a una canotta nera e tornai in cucina a spegnere il forno. Pensai che il giorno dopo avrei dovuto fare visita a Leah e anche a Emily, volevo vedere come se la passavano, era una vita che non scambiavamo quattro chiacchiere.
Accesi la tv sintonizzandola su un canale dove andava in onda un famoso talk show e fu allora che qualcuno bussò alla porta.
Guardai l’orologio, erano le sei del pomeriggio. Bene, qualcuno finalmente si degnava a tornare a casa.
Quando aprii la porta, il cuore mi saltò in gola. Era Paul.
«Paul?».
«Eh già, sono proprio io».
La prima cosa che notai furono i suoi vestiti. E chissà quale parte scellerata di me, lo preferiva a petto nudo. Faceva di tutto per apparire a proprio agio, ma sentivo che era un po’ imbarazzato. Era il mio stesso riflesso.
«Emh, vuoi entrare?», chiesi spalancando la porta.
Lui annuì e con due falcate si ritrovò al centro della piccola cucina. Indossava dei jeans e una magliettina nera a maniche corte. Lo aveva per vizio allora?
«Come fai ad andare in giro così?».
«Abitudine».
«Ti prenderà un’accidenti prima o poi».
«Non credo».
Chiusi la porta dietro di me e mi mordicchiai le labbra non riuscendo a trovare nulla da fare né tantomeno da dire.
Abbozzai un sorriso sentendomi imbarazzata davanti al suo sguardo intenso.
«Come mai sei qui?».
Forse doveva incontrarsi con mio fratello o doveva parlare con mio padre. Alla fine mancavo da tantissimo tempo da La Push e non sapevo come si erano evoluti i loro rapporti. Più che altro, la dovevo smettere di sperare che fosse lì per me.
«Sono qui per te».
«Per me?», chiesi sorpresa reprimendo un sorriso di felicità.
Paul sembrò prendere un lungo respiro. Non era da lui tergiversare su qualcosa. Era stato sempre un ragazzo diretto, che parlava senza pensare, qualsiasi cosa dovesse dire. Perciò o ero io che vedevo ciò che non c’era o era cambiato davvero lui.
«Sì, volevo chiederti se ti andava di andare a fare un giro in città dopo cena». Spostò il peso da un piede all’altro infilandosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans. Mi accorsi che la sua maglia era troppo stretta, a momenti si sarebbe strappata sui bicipiti.
«Non che sia cambiata molto da quando sei andata via, ma dovresti assaggiare la torta alle mele da Pako’s, è davvero squisita».
Paul fece un passo avanti sorridendomi ed io sentii di nuovo la sensazione di poco prima, il mio stomaco faceva i capricci.
Forse era la fame…
«E andremo con la mia macchina e non faremo tardi».
Si avvicinò di un altro piccolo passo, fermandosi davanti a me. Era altissimo, gli arrivavo a malapena al petto e la cosa mi intimoriva di piacere.  Stretta tra le sue braccia nessuno avrebbe potuto farmi del male.
Arrossii dei miei stessi pensieri e mi allontanai da lui andando a bere un sorso d’acqua.
Ero davvero patetica, patetica! Invaghirsi di un diciottenne solo per il suo bell’aspetto, con un fidanzato premuroso che attendeva il mio ritorno in un’altra città.
«Certo, perché no», risposi di getto. «Non vedo l’ora di assaggiare questa famosa torta di mele».
Il sorriso di Paul si allargò su quel viso dalla carnagione caramellata. Aveva pettinato i capelli all’insù e stava divinamente. Non era possibile che non avesse una ragazza e perdesse tempo con me, non aveva senso.
«Oh bene, mi fa piacere che tu abbia accettato il mio invito».
«Non faccio niente per niente Paul», asserii scherzosamente, ma lui sembro sorpreso dalla mia affermazione. «Accetto il tuo invito se tu accetti il mio di rimanere qui a cena».
Il ragazzo di fronte a me si grattò la nuca ridacchiando in uno strano modo. «Forse è meglio se ci vediamo dopo».
«Perché?», chiesi mascherando un tono troppo interessato. «Siamo amici, sei amico di Jacob, papà ti conosce. Gironzoli in casa mia da quando eri un ragazzino».
«E va bene», disse dopo qualche istante di riluttanza.
Presi la tovaglia dal cassetto e la sistemai sul tavolo, prendendo poi i bicchieri e i piatti.
Paul era a ridosso del lavello con le braccia incrociate sul petto. Sentivo il suo sguardo addosso e mi bruciava, non riuscivo a rilassarmi in nessun modo.
«Eppure non pensavo che fossi così timido da dover rimuginare sopra se accettare o meno un invito a cena», lo presi in giro.
«Oh non sono timido, credimi».
«Hai litigato forse con Jake?».
«Quello è all’ordine del giorno», disse fiero. «Non volevo essere di troppo, sei tornata da poco…».
«Non preoccuparti, avrò un po’ di tempo da trascorrere con loro da sola».
Però… Paul aveva fatto un cambio radicale. Quando era un ragazzino che non smetteva di infastidirmi, avrei voluto mettergli le mani addosso. La situazione adesso non era cambiata, forse era pure peggiorata. Avevo sempre una maledettissima voglia di mettergli le mani addosso, volevo toccarlo. Volevo sentire che emozioni mi scatenava quel suo corpo forte e possente. E volevo accertarmi che quelle sue mani grandi fossero in grado di dare tutto il piacere che promettevano.
Prima che potessi rendermi conto del verso sconcio dei miei pensieri, Jacob spalancò la porta di casa.
«Sentivo una certa puzza», esordì facendo una smorfia con la bocca, poi fulminò Paul con lo sguardo. «Che stai facendo a casa mia?».
«Jacob, che modi sono?», chiesi stranita.
Mio fratello mi ignorò e si tolse la giacca lanciandola sull’attaccapanni. Lui e Paul erano molto simili fisicamente, enormi, muscolosi e a tratti sembravano che assumessero la stessa postura.
«Rachel mi ha invitato a cena».
Jacob sbuffò buttando gli occhi al cielo, poi ritornò subito guardingo. «Come ha fatto a invitarti a cena? Quando e dove vi siete incontrati?», chiese ancora rivolto verso Paul.
Mi misi le mani sui fianchi e sbattei convulsamente il piede in terra. Perché mio fratello non chiedeva direttamente a me?
«Hey tu, ragazzino! Paul è stato gentile al contrario di te che quando sono arrivata mi hai a malapena detto un ciao. Mi ha invitato a fare un giro in città e io ho voluto ricambiare la sua gentilezza».
Jacob scoppiò a ridere e si buttò sul divano di casa rischiando di sfondarlo. Pensai che avesse qualche serio problema comportamentale, ne avrei dovuto parlare con mio padre, non appena avesse fatto ritorno.
Guardai Paul che ricambiò il mio sguardo e si strinse nelle braccia mimando alcune parole con la bocca: «È pazzo».
Annuii concordando con lui e mentre tornavo a girarmi per controllare che altra azione stramba stesse facendo Jake, mi passò davanti come una saetta andando muso a muso contro Paul.
«Tu non uscirai con lei, maniaco pervertito che non sei altro!».
«Calmati e piantala Jacob, andiamo da Pako’s e la riporto indietro».
«Assolutamente no, lei è mia sorella e conosci la nostra legge».
«Quale legge?», sbottai curiosa.
«Non si toccano le sorelle altrui», rivelò Paul con l’espressione avvilita frapponendosi stranamente tra me e Jacob.
A quel punto mi sentii in dovere di intervenire in quell’assurdo litigio. Sapevo bene quanto possessivo potesse essere Jacob, ma stava esagerando. E poi perché diceva che Paul era un pervertito? A me sembrava un così bravo ragazzo.
«Che cosa sta succedendo qui?», intervenne nostro padre con le sopracciglia corrucciate mentre entrava in casa.
«Jacob e Paul, che cosa sta succedendo?», ripeté minaccioso e per niente sorpreso da ciò che stava accadendo nella nostra piccola cucina, come se ci fosse ormai abituato.
Jacob si sedette intorno al tavolo passandosi una forchetta da una mano all’altra. «Paul ha invaso un territorio non suo».
«Te l’avevo detto che non era una buona idea», sussurrò l’interessato al mio orecchio. Un brivido mi colse lungo la schiena e dovetti trattenermi dal non sorridere e mostrare così l’effetto che mi faceva quel ragazzo.
Jacob, come se lo avesse sentito, lo trafisse di nuovo con gli occhi.
«Papà ti dispiace se Paul rimane a cena qui?», chiesi io aprendo il forno e tirando fuori il tacchino.
Papà sorrise, ma non fu un sorriso affabile, bensì una minaccia. «Oh certo che no, ci divertiremo un mondo».
Una volta tutti intorno al tavolo, tra di noi calò il silenzio. Jacob sembrava uccidere per la seconda volta il suo tacchino nel piatto, papà sorseggiava tranquillamente dell’acqua e Paul era a suo agio, non sembrava affatto turbato e la cosa mi sollevò. Non volevo che a causa del comportamento di Jacob lui non venisse più a trovarmi o peggio ancora non mi chiedesse più di uscire.
«Allora, vi piace la mia cena?», chiesi per rompere un po’ il ghiaccio.
«Squisita», rispose Paul sorridendo. Jacob gli fece subito il verso e probabilmente gli tirò anche un calcio sotto il tavolo, però di quello non potei esserne sicura. A ogni modo Paul non sembrò avvertire dolore.
«Squisita», disse bonariamente anche mio padre donando poi una lunga occhiata a Paul.
Ma che cosa c’era che non andava lì dentro? Potevo capire il senso di protezione, la gelosia, ma non era troppo? Oppure ero io che detestavo quel comportamento perché volevo che Paul non andasse via? Molto probabilmente era la seconda ipotesi.
Finimmo di cenare in silenzio, scambiandoci a stento qualche battuta. Sparecchiai con l’aiuto di Jacob e Paul che continuavano a darsi frecciatine e spinte. Lavai i nostri piatti e poi li lasciai da soli per andare a prepararmi.
Per tutto il tempo avevo evitato di pensarci perché farlo, mi gettava in una specie di ansia che mi faceva battere forte il cuore. E ogni volta che succedeva sia Jacob sia Paul mi guardavano come se riuscissero a sentirlo.
Il pensiero di stare da sola con lui mi imbarazzava ed entusiasmava allo stesso modo ed era da tanto tempo che non provavo quelle sensazioni, esattamente da quando quattro anni prima avevo incontrato Alan all’università.
Già Alan… il mio fidanzato. Eravamo in pausa di riflessione, ma era ancora il mio ragazzo e io stavo uscendo con Paul l’amico bellissimo di mio fratello, il moccioso che anni addietro avrei voluto strozzare con le mie stesse mani.
Svuotai la testa e tornai in cucina trovando solo mio padre e Paul.
«E Jake dov’è?».
«In giro con i suoi amici», rispose mio padre.
«Oh, bene, Paul vogliamo andare?».
«Certo», disse avviandosi verso la porta e aprendola per lasciarmi uscire per prima. «Ciao Billy, ci vediamo».
«Ciao papà a dopo!».
«Ciao tesoro», disse con un sorriso un po’ teso.
Non appena la porta di casa si richiuse, Paul scrollò le spalle forse liberandosi da un grosso peso.
Doveva essere una serata spensierata e divertente e invece era stata orribile e si era sentito di troppo a cena con noi.
Mi dispiaceva tanto, non avrei voluto che accadesse, ma non avrei mai immaginato di trovare una simile situazione. Forse, il mio stare lontano da casa, aveva reso Jake e papà, iperprotettivi.
Mentre ci dirigevamo verso l’auto di Paul, parcheggiata poco fuori dal nostro sentiero, gli afferrai la mano.
«Mi dispiace», dissi ignorando un brivido per poi accorgermi di quanto calda e accogliente fosse la sua mano.
«Per cosa?», chiese confuso guardando la mia mano che teneva la sua.
«Jacob è uno stupido».
Paul rise di gusto. «Noi siamo fatti così, ci farai l’abitudine».
«Ah…quindi è normale?».
Paul annuì ancora spostandosi di fronte a me. Allungò due dita vicino al mio viso spostandomi una ciocca di capelli dalla fronte. Quel gesto così intimo e tenero mi fece battere forte il cuore.
«Sì, è normale», sussurrò a voce tanto bassa che stentai a capirlo. Ogni volta che mi guardava sembrava catturarmi.
Poi all’improvviso l’ululato di un lupo irruppe nell’aria.
Sobbalzai guardandomi intorno. «Lupi?», chiesi a voce stridula. Non sapevo che alla Riserva li avessero reintrodotti.
«Meglio andare», disse Paul annoiato. «Credo che domani sarà una lunga giornata».


Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica. Ecco il secondo capitolo dal punto di vista di Rachel.
Non tarderemo ad arrivavare al vivo della storia, stavolta ho messo da parte le mie solite controindicazioni* ahahah.
Vi lascio il link della mia prima originale romantica, DARK SHADOWS fateci un salto se vi va 
A domenica prossima! <3 <3 <3

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Capitolo 3
*** Vicinanza ***



 

Paul

 
 
 
 
L’odore dolce di Rachel riempiva l’abitacolo.
Stavo facendo di tutto per non pensarci perché era peggio di un afrodisiaco. Immaginavo di assaggiare la sua pelle, di togliergli quegli stupidi abiti di dosso e di sentire con le mie labbra quanto morbido potesse essere ogni lembo della sua carne.
Strinsi il volante con forza, dovevo calmarmi.
Il fatto era che da quando eravamo andati via da La Push, riuscivo a stento a controllarmi. Le emozioni mi investivano con violenza.
Per tutto il tempo della cena, con la presenza di quel maledetto di Jacob e anche di Billy, le mie voglie si erano smorzate dalla paura che scoprissero che avessi avuto l’imprinting.
Non ero abituato ad avvertire paura, non era un’emozione che mi apparteneva, se non in rari casi, però il pensiero che con la loro reazione avrebbero potuto in qualche modo influenzare Rachel, mi davano da che pensare. Fortunatamente Jacob se n’era andato presto al diavolo, mentre Billy aveva capito…
«Non sapevo che avessero reintrodotto i lupi alla Riserva», disse Rachel mentre si allacciava la cintura. «Non sarà pericoloso vista l’estensione del villaggio?».
«Non si sono mai avvicinati alle nostre case».
«Ma spinti dalla fame potrebbero farlo… ho paura per mio padre».
«Oh, non preoccuparti», risposi cercando di tranquillizzarla.
«Hanno di che mangiare quei lupi e poi tuo padre è quasi sempre accompagnato da qualcuno».
Rachel mugolò qualcosa sprofondando nel sedile e mi sentii in dovere di darle ulteriori rassicurazioni. «E poi ci sono dei confini sai? I lupi non riescono a valicarli. Il villaggio è circondato e sicuro», mentii.
«Ah davvero?», chiese sorpresa.
«Proprio così. Per arrivare al villaggio dovrebbero tuffarsi dalla scogliera e risalire la spiaggia e non credo che a loro piaccia nuotare».
Rachel ridacchiò tranquillizzandosi e quel suono fece calmare anche me.
Guidai fino a Forks arrivando dopo pochi minuti, nonostante non inchiodassi come al solito sull’acceleratore.
C’era il mio imprinting con me, era umana. E anche se era impossibile la probabilità di avere un incidente, vista la strada semideserta, era meglio non rischiare.
«E tu, hai un lavoro Paul?».
«Ho appena preso il diploma, prima di trovare lavoro vorrei oziare un po’», feci una smorfia. «Troppi anni di studio consecutivi mi hanno sfiancato».
Non avevo trovato nulla di meglio da dire, che sfigato… Ma d’altronde non potevo rivelarle di trascorrere le mie notti a caccia nei boschi.
Rachel sorrise girandosi verso di me anche con il corpo. «Non hai mai pensato di andare al college?».
Scossi la testa in senso negativo. Avevo già fatto un enorme sforzo a finire le superiori, figuriamoci se avevo mai pensato di continuare gli studi. Certo… se Rachel dopo che le avessi raccontato dell’imprinting, sarebbe voluta tornare ugualmente all’università, probabilmente l’avrei seguita, anche se ciò comportava lasciare il branco.
Quel pensiero mi fece fremere per un istante.
Rispetto ai miei fratelli, avevo accettato la mia natura di lupo con meno riluttanza e avevo imparato presto a trarne i miei vantaggi. L’unica cosa che odiavo era quell’invasione forzata di privacy, tuttavia non era abbastanza per farmi desistere e allontanarmi. Amavo combattere e uccidere i vampiri, amavo la mia missione.
Ora tutto si era capovolto. Le mie decisioni dipendevano dal benessere della ragazza che mi stava a fianco, ancora ignara di tutto.
Quando eravamo ancora a casa sua e io e suo padre sedevamo in cucina da soli, Billy mi aveva guardato dritto negli occhi.
«Ti si legge in faccia», mi aveva detto in un sussurro duro. «È la mia bambina, mi raccomando a come ti comporti o ti faccio saltare la testa come farei con un succhiasangue».
Breve e conciso. Ma non doveva preoccuparsi, non le avrei mai fatto del male, piuttosto mi sarei ucciso.
I miei scatti d’ira erano ormai famosi fra noi Quileutes e sapevo che la maggior preoccupazione di Billy era quella… ed era anche la mia. Però avrei cercato di lavoraci su, parola di lupo cavolo!
«E tu per quanto tempo hai intenzione di fermarti qui?», le chiesi speranzoso.
«Qualche settimana».
«Così poco?».
«Non posso star via per troppo tempo, i miei studi aspettano».
«Capisco…».
Strinsi le mani intorno al volante, odiavo l’ignoto! Odiavo il non dover sapere che decisione avrebbe preso, se avesse accettato il mio essere un mutaforma, se avesse avuto paura di me.
Il cuore mi si spezzò in due al pensiero che mi temesse.
Parcheggiai di fronte a Pako’s e spensi il motore. Per un attimo davvero piccolo, la mente andò ai miei compagni di branco e a ciò che avrebbero pensato una volta letti i miei stupidi e terrificanti pensieri. Mi avrebbero preso in giro a vita…
Mi affiancai a Rachel che mi attendeva con un dolce sorriso che le incurvava le labbra piene. Iniziai a fantasticare all’istante. Ero sicuro che in quel momento sarei stato in grado di scrivere una storia sentimentale di quelle proprio epiche e indimenticabili.
Paul lo scrittore romantico… anche questa mi mancava.
Quando entrammo nel locale fummo subito intercettati da sguardi curiosi sia maschili che femminili. Ero consapevole di essere un ragazzo fuori dai soliti standard fisici e non mi dava fastidio essere guardato, a meno che non fossi dell’umore nero, ma gran parte di quegli sguardi erano rivolti a Rachel.
Dovetti reprimere un ringhio verso alcuni uomini seduti al bancone e chissà quale Santo mi trattenne da andare lì e scagliargli fuori da una vetrata. Maledetti pervertiti! Oppure avrei potuto fargli vedere i miei canini, facendogli diventare i capelli bianchi in un batter d’occhio.
Avvolsi le spalle di Rachel con un braccio e la mia rabbia diminuì all’improvviso, come un tizzone sul quale veniva versata dell’acqua gelida.
Era piacevole quella sensazione… Era sollievo.
Ci dirigemmo verso il fondo del locale, dove nessuno sguardo poteva raggiungerci rovinando così il mio umore.
Riuscivo a sentire il profumo dei suoi capelli… e il cuore le batteva più velocemente. Ogni volta che le ero vicino le succedeva. Pure durante la cena me ne ero accorto, anche se allora probabilmente era dovuto al malumore di quello stupido di suo fratello.
Ci sedemmo intorno a un tavolo, uno di fronte all’altro.
Tolse la sua giacca lasciandola a fianco a lei ed io osservai i suoi movimenti garbati e leggeri e totalmente opposti ai miei.
Che natura beffarda la mia… unirmi a un essere opposto a me.
Sorrisi, senza possibilità di trattenermi e Rachel mi guardò.
«Perché sorridi?».
«Così», risposi poggiando i gomiti sul tavolo.
«Dài… non prendermi in giro».
«Non lo sto facendo».
Rachel era bellissima, non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Aveva i tratti tipici dei Quileutes, la forma degli occhi un po’ allungata, le labbra piene e quei capelli folti nei quali avrei voluto affondare le mani.
Somigliava tanto a Jacob, ma dannazione quello era un particolare che potevo evitare di pensare.
Mi guardai intorno per vedere se la cameriera aveva intenzione di venire a prendere le nostre ordinazioni e nel frattempo decisi che potevo fare qualcosa di costruttivo.
«Hmm… siamo troppo distanti», asserii alzandomi dal mio posto e andando a sedermi a fianco di lei. «Ora va meglio», conclusi soddisfatto, poggiandomi con la schiena contro lo schienale della nostra poltroncina.
Ero emozionato, cavolo. Quasi mi venne da ridere.
Paul il lupo dal cuore sensibile… eccone un’altra.
Rachel mi sorrise e io poggiai il ginocchio contro il suo. Era un po’ tesa, anche se cercava di nasconderlo, ma purtroppo per lei, riuscivo ad avvertire le vibrazioni che emanava il suo corpo.
Tutto sommato, mi stavo comportando bene, riuscivo persino a controllare la mia impazienza. Se non fosse stata il mio imprinting non avrei aspettato più di cinque minuti prima di metterle le mani addosso e invece con lei erano trascorse già sette ore.
Il mio imprinting aveva sette ore.
Mi leccai le labbra colto di nuovo alla sprovvista da quella voglia matta di baciarla, ma mi limitai a fissarle la bocca.
«È qui che porti le tue conquiste?», chiese alzando il mento.
«Di solito no».
«E dove allora?».
Camera mia, spiaggia, in mezzo al bosco, in auto.
«Faccio scegliere loro».
«E perché questa volta hai scelto tu?».
«Perché in certe occasioni ne vale la pena», dissi piano guardandola negli occhi.
Ed ecco che il suo cuore partiva di nuovo…
Le afferrai una mano accarezzandole il palmo. Quello era un piccolo tentativo per farla rilassare e allo stesso tempo un modo per prendere più confidenza con lei.
Mi faceva piacere che la mia vicinanza, le mie parole e il mio tocco, le facessero scaturire quella reazione; peccato che lei non potesse avvertire le mie...
Era una soddisfazione e un appagamento unico.
«Sei così caldo», sussurrò guardando le nostre mani.
«Con me non c’è problema d’inverno».
«Lo vedo».
«Peccato che tu vada via fra poco».
Senza pensare le avvolsi la vita con un braccio e strofinai il naso contro la sua guancia. Dovetti strizzare gli occhi per controllarmi.
Rachel trattenne il respiro spiazzata dal mio gesto, ma non me ne importava più. Prima si abituava a me e meglio era. Noi due eravamo perfetti per stare insieme, doveva essersene accorta anche lei, non avevo dubbi.
Se non avesse sentito il legame dell’imprinting, il suo cuore non avrebbe galoppato come stava facendo e come aveva fatto sin dal primo momento.
«Paul…», mormorò con voce incrinata.
«Hmm?», mugugnai scorrendo con le labbra sul suo collo accarezzandole i fianchi. Mi chiesi perché diavolo la mia mente pacata avesse deciso di andare in un posto affollato. Avevo bisogno di desolazione per stare insieme a lei nel modo in cui volevo.
«Che fai?», sussurrò ancora mentre una sua mano si poggiava sul mio petto.
«Non si vede?», dissi baciando lievemente una sua spalla.
Dio mio… non ci riuscivo proprio a starmene al mio posto. La desideravo come non mai ed evidentemente era ciò che voleva anche lei, altrimenti non mi sarei spinto così oltre.
Avvertiva l’imprinting…
Quel pensiero mi fece infuocare il sangue nelle vene.
«Perché lo fai?».
A quella domanda le presi il viso minuto con una sola mano. Mi ritrovai con gli occhi nei suoi a strofinare lievemente il naso contro il suo.
Dovevo dirle dell’imprinting, dovevo dirle tutto o avrebbe potuto travisare i miei atteggiamenti.
«Perché quando ti ho visto oggi in spiaggia dopo tanto tempo… io non so… non so che cosa sia successo».
Una mano di Rachel mi accarezzò la nuca e a me vennero i brividi. Mi guardava così intensamente che non riuscivo a capire che cosa potesse vedere di tanto interessante nei miei occhi. Mi spiazzava in un certo senso. Non ero abituato a essere guardato in quel modo.
«Io…mi sento strana», ammise.
Lo avverte, mi sente.
«In che modo?».
«Tu…».
Rachel poggiò il mento sulla mia spalla nascondendomi la sua espressione. Era la cosa più bella del mondo averla fra le mie braccia.
«Tu… che cosa mi hai fatto?», disse quasi a voce inudibile.
Un tossicchiare imbarazzato ci riportò alla realtà. Di fronte a noi c’era la cameriera con un minuscolo block notes in mano, in attesa che le donassimo attenzione.
Dopo aver ordinato mi ritrovai a strofinarmi il viso con una mano. Mi sentivo un po’ intontito, le emozioni del mio corpo mi stavano sopraffacendo.
Poi avvertii uno strano rumore, proveniente da non molto lontano. Acuii l’udito accorgendomi che si trattava della vibrazione di un cellulare.
«Credo che stia squillando il tuo cellulare», dissi a Rachel.
Lei corrucciò le sopracciglia e poi infilò le mani nella tasca della sua giacca. «Come hai fatto a sentirlo?».
«Mi vibrava contro la gamba», mentii.
Rachel poggiò il cellulare sul tavolo e lo fissò mentre continuava a vibrare e il display si illuminava e spegneva in continuazione.
«Alan», lessi a denti stretti.
«Sì, il mio ragazzo».
Maledetto! Proprio ora doveva disturbare il nostro appuntamento! Sarei andato a scovarlo in capo al mondo e lo avrei ucciso.
«Mi hai detto che avete litigato», asserii cercando di mantenere un tono di voce calmo. Ma il ringhio era pronto a vibrare nella mia gola.
«Sì e adesso siamo in pausa di riflessione».
«Pausa di riflessione», riflettei io stesso.
«E io mi sto comportando da schifo».
«Perché dici questo?», le chiesi guardandola negli occhi avendo la netta impressione che centrassi io. Ma va?
Rachel indossò la giacca, si infilò il cellulare in tasca e si alzò. «Scusami Paul, ma è meglio se io torni a casa per stasera».
«Perché?».
«Come fai a chiedermi il perché? Lo sai anche tu!».
«Preferirei che me lo dicessi».
Sì, volevo evitare di farmi dei film mentali non sapendo esattamente cosa pensasse. Era meglio che me lo dicesse chiaro e tondo giusto per estirpare ogni dubbio.
«Ho un ragazzo. E sono qui con te a prendermi le tue attenzioni… E a desiderarle».
La guardai sorpreso per quella rivelazione e poi la vidi stringere i denti e abbassare lo sguardo in terra prima di scrollare le spalle, voltarsi e andare via.
Ah beh, per adesso è meglio che non aggiunga altro.
 
 
 
Angolino Autrice

Ciao a tutti :D posto un po' in anticipo che non fa mai male. Ebbene Paul e alcuni suoi pensieri, accostati sembrano davvero sconcordanti... ma in realtà credo che con l'imprinting sia proprio così che ci si sente.
Visto che qui siamo tutte Quileutes fans, vi segnalo due piccole mie OS:
Paul-Rachel Un Motivo Per Sorridere
Jacob-Bella Bleeding Love
Ringrazio Alessandra che mi mette sempre sulla retta via e Martina, il braccio destro.
A domenica prossima e spero che il capitolo vi piaccia! <3

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Capitolo 4
*** Abbandono ***




Rachel

 
 
 
Ancora non riuscivo a capire che cosa stessi combinando. Ero uscita completamente fuori di testa, sì.
Non era possibile che fossi così incurante e superficiale del fatto che avessi un fidanzato con cui stavo da ben quattro anni.
Eppure da quando ero tornata a La Push sembrava che avessi dimenticato quell’importante particolare.
Paul era di fianco a me e guidava con aria imperscrutabile.
Era di una bellezza sconvolgente.
Strinsi i pugni non capendo le reazioni del mio corpo. Era tutto così dannatamente intenso.
Quando all’interno del locale si era avvicinato e mi aveva toccato in quel modo, sarei voluta morire all’istante.
Con quel suo fisico possente, i muscoli delineati ogni dove e la voce cupa, non dava a vedere quanto delicati potessero essere i suoi tocchi e invece lo erano stati. Mi aveva spiazzato in un modo così spaventoso che ero certa che una volta arrivata a casa non avrei fatto altro che pensare a lui e a tutto ciò che avremmo potuto fare insieme se… se non fosse totalmente sbagliato.
Ero fidanzata, fidanzata! Non mi era mai passato per la mente di tradire Alan, nemmeno lontanamente. E ora scalpitavo per avere attenzioni da un ragazzo che avevo ritrovato dopo tanti anni e di cui sembrava che non riuscissi a fare a meno.
«Paul?».
«Sì?».
«Mi dispiace di aver rovinato la nostra uscita».
«Magari è servita lo stesso a qualcosa».
«Cioè?», chiesi confusa.
Non lo conoscevo molto bene sotto certi aspetti, ma Paul si infastidiva quando c’era di mezzo Alan. Anche durante il pomeriggio a casa mia, quando tornammo dalla spiaggia, lui era andato via di colpo dopo avergli detto che avevo un ragazzo.
Come poteva essere? Perché delle reazioni così repentine?
Erano soltanto poche ore che ci eravamo ritrovati.
«Cioè che sei una ragazza impegnata».
«Lo sapevi già», gli ricordai.
«Già… ma certe cose tendo sempre a dimenticarle».
Quando arrivammo di fronte a casa mia, Paul spense il motore e si accasciò contro il sedile girando la testa verso di me.
Era un misto di tristezza e perseveranza.
Avevo una voglia matta di raggomitolarmi contro il suo petto e lasciarmi stringere dalle sue braccia forti. Di baciarlo. E di sentire quel calore che sprigionava contro il mio corpo.
«Ora che cosa farai?», gli chiesi.
Improvvisamente sentii un vuoto allo stomaco. Per quanto mi piacesse, Paul non sembrava un tipo affidabile.
Da Pako’s avevo subito notato come lo guardavano le ragazze. Ero più che certa che se si fosse avvicinato a qualunque di quelle tipe, nessuna avrebbe rifiutato di trascorrere una notte con lui o anche solo poche ore.
Il pensiero mi diede un fastidio inimmaginabile. Tuttavia, lui, al contrario mio, era libero da relazioni e poteva divertirsi come meglio credeva.
«Non lo so», rispose pensieroso.
«Come non lo sai?», sbottai. «Tuo padre non ti rimprovera se torni tardi?».
«Anche se lo facessi, stasera non lo saprebbe. Ha il turno di notte alla stazione operativa dei pompieri».
«E quindi cosa farai di preciso?», richiesi ancora non avendo ottenuto una risposta soddisfacente.
Mi chiesi se mai gli avessi fatto una domanda diretta, del tipo, ti porterai qualche ragazza a casa?, lui mi avesse risposto con sincerità. Ma perché mai avrebbe dovuto?
«Televisione, popcorn, oppure una passeggiata nel bosco».
«Tu devi essere impazzito, Paul. Nel bosco ci sono i lupi».
«Io sono bravo a fare amicizia con gli animali», sorrise.
Allungai una mano per accarezzargli il viso. Era così bello…
«E tu cosa farai?», mi chiese a mezza voce mentre facevo scorrere le dita sulla sua bocca carnosa. Sarebbe stato sublime sentirla su di me accompagnata dalle sue mani.
«Non lo so», mentii.
Oh, io invece sapevo benissimo che cosa avrei fatto una volta sola al buio della mia stanza… avrei pensato a lui e mi sarei data della stupida finché non mi fossi addormentata.
Paul mi baciò le dita accarezzandomi il dorso della mano e io mi sentii come se stessi precipitando in un burrone senza fine.
«Ora devo andare», dissi deglutendo. «Ci vediamo…».
Mi allontanai a fatica da lui e riscesi dall’auto procedendo verso casa. Ero una stupida, dannazione!
Per quanto lo volessi e sarei rimasta con lui fino al giorno dopo, il senso di colpa per Alan mi affliggeva.
Paul ingranò la retromarcia e andò via ed io rimasta sola mi sedetti sulle scale della veranda.
Forse avevo sbagliato a volere una pausa di riflessione…
Mi stropicciai i capelli stringendomi poi le gambe intorno alle braccia.
Se mi ero invaghita così tanto di un ragazzo che conoscevo di vista, in così poco tempo, c’era qualcosa che non andava. Ma qualcosa di serio, che non si sarebbe risolta con una stupida e inutile pausa di riflessione.
«Oh, andiamo Rachel», sussurrai fra me e me poggiando la fronte sulle ginocchia. Sapevo bene che tattica stavo usando.
Stavo cercando una scusa plausibile per lasciare Alan definitivamente, per evitare di sentirmi una sporca traditrice nel momento in cui mi sarei ritrovata tra le braccia di Paul. Perché ero certa che mi ci sarei ritrovata e anche molto presto.
Il telefono iniziò a vibrare di nuovo e lo presi stavolta convinta di rispondere.
“Alan”.
“Piccola, finalmente… Non mi piace che tu non mi risponda nemmeno a uno stupido sms. Che diavolo sta succedendo? Non credevo che fossimo così ai ferri corti”.
Mi ero incantata a guardare il buio, il rumore burrascoso dell’oceano mi echeggiava nelle orecchie. Non avevo voglia di intricarmi in discorsi troppo profondi né iniziare con le scuse ridicole.
Deglutii e risposi con decisione. “Nemmeno io lo pensavo…”.
“Rachel? Mi hai assicurato che era una pausa di riflessione necessaria”.
“So che cosa ho detto”.
“E allora perché questo atteggiamento adesso?”.
Alan cercava di contenersi ma avrebbe voluto urlare. Solo che capiva anche lui che in quelle condizioni avrebbe peggiorato la situazione.
“Alan… non me la sento di continuare”.
“Che cosa stati dicendo? Ti sei bevuta il cervello?”.
“Perché non accetti le mie decisioni? Perché fai sempre di testa tua?”.
“Devo accettare le tue decisioni? Sei andata via da qui da soli due giorni. Due giorni in cui mi eviti, non vuoi parlarmi e ora mi stai lasciando!”.
“Sì”.
“Dopo quattro anni insieme, l’unica cosa che sai dire è sì?”.
“Alan per favore…”.
Mi riattaccò il telefono in faccia senza aggiungere altro.
Ero una vera stronza, una persona cattiva che calpestava i sentimenti altrui. Ma per una volta potevo agire secondo i miei desideri e non secondo quelli degli altri?
Mi mordicchiai un’unghia un po’ nervosa. Conoscendo Alan ero certa che non sarebbe finita lì e avrebbe insistito finché non avrebbe ottenuto le spiegazioni che voleva.
Doveva capire che avevo bisogno di stare da sola per un po’, lo avevo già deciso prima… non era colpa mia se Paul era improvvisamente entrato nella mia vita.
L’ultima cosa che avrei mai immaginato era di cacciarmi in una simile situazione.
Un fidanzato ferito che non aspettava altro che bastonarmi al momento opportuno, un ragazzo giovane e adorabile che sembrava dovesse trattenersi da quanto mi desiderava e io… che non vedevo l’ora di farmi travolgere dalla sua passione.
Mi sollevai dalle scale della veranda e mi inoltrai tra le case del villaggio. Mio padre non si sarebbe accorto della mia assenza e figuriamoci se Jacob sarebbe andato a controllare in camera mia.
Era tradimento, lo sapevo. Non bastava lasciare una persona per far sì che un legame si spezzasse e il senso di colpa ti lasciasse in pace. Stavo andando a casa di Paul dopo qualche minuto dopo aver lasciato il mio fidanzato.
Beh, tanto lo sapevo solo io… e la mia coscienza già sporca.
Ricordavo dove si trovava la casa di Paul, c’ero stata un paio di volte durante qualcuno dei suoi compleanni, avevo accompagnato Jacob ed Embry.
Non mi importava se avessimo parlato o avessimo guardato un film in silenzio… bastava che stessimo un po’ insieme.
Quando sarebbe stata ora di andare via, l’avrei capito e avrei raggiunto la mia piccola stanza solitaria.
Mi accorsi che più mi avvicinavo a lui e più mi tremavano le mani. Ero fuori fase.
Durante il mio cammino, mi capitò più volte di fermarmi e guardare alle mie spalle, ora però non potevo più  né volevo.
La casetta rossa di Paul era davanti ai miei occhi, le luci erano spente fatta eccezione di una piccola lanterna sulla veranda. La sua auto era abbandonata di sbieco a fianco un grosso albero, evidentemente non aveva avuto la voglia di parcheggiarla.
Pensai a qualcosa da dire nel momento in cui mi avrebbe aperto la porta, ma la mia mente non riusciva a pensare, avrei inventato qualcosa lì per lì.
Mossi qualche passo in avanti e poi la porta di Paul si spalancò e ne uscì lui con indosso solo dei calzoncini di jeans. Vidi che aveva uno strano tatuaggio sul braccio, non ci avevo mai fatto caso.
«Rachel?».
Sbattei le palpebre mordicchiandomi un’unghia.
«Mi viene il dubbio che tu sia uno spogliarellista».
«Co-cosa?».
«Te ne vai in giro mezzo nudo…».
Paul sembrava sorpreso di vedermi e beh… io lo ero più di lui. «Come mai sei da queste parti?», chiese evitando la mia domanda.
Ok, respira. «Non avevo sonno… così ho pensato che potessimo parlare un po’…».
Lui annuì, rivolgendo lo sguardo verso la foresta per qualche istante, indeciso su qualcosa da farsi.
«Però se hai da fare, vado via», aggiunsi.
«No, no», si affrettò a dire. «Ero uscito solo per prendere della legna, mi era venuta voglia di accendere un bel fuoco nel camino».
Scese un altro gradino e allungò un braccio verso di me. «Vieni, entriamo. Fa freddo qui fuori».
«Non sei molto credibile, visto che indossi pressoché nulla», sorrisi a stento, cercando di mascherare la mia ansia.
Stavo entrando in casa di un bellissimo ragazzo mezzo nudo, ed eravamo completamente soli.
Beh era inutile essere ipocriti con se stessi, tanto lo sapevo benissimo a che cosa andavo incontro, sin dal primo momento che avevo deciso di andare da lui.
Solo che in quell’occasione era stato impossibile combattere con la mia volontà.
«Io sono resistente al freddo, ho la pellaccia dura. Tu invece no…».
«Ti preoccupi che possa prendere un raffreddore?», chiesi sollevando gli occhi verso i suoi e afferrando la sua mano.
Era anche premuroso… c’era qualcosa di lui che non andava bene? Esisteva qualcosa che mi facesse ricredere sul suo conto e scappare lontano da lui e dal quel corpo peccaminoso?
I suoi muscoli erano perfettamente scolpiti… i tendini del collo tirati i pettorali larghi, ogni singolo addominale sembrava inciso sul suo ventre.
«Entriamo», sussurrò pianissimo. Era con lo sguardo perso altrove. Mi chiesi che direzione avessero preso i suoi pensieri e se fosse uguale alla mia.
Riaprì la porta, dall’interno proveniva solo il bagliore celestino della televisione accesa.
Il suo tocco era deciso e stretto intorno alla mia mano. Lo seguii senza batter ciglio, donandomi l’impressione che avesse fretta di fare qualcosa.
Una volta dentro, mi ritrovai inchiodata con le spalle alla porta di casa, con il corpo di Paul che premeva contro il mio.
Persi il respiro per un attimo, poi sentii il suo fiato sulla mia guancia, la sua bocca che scorreva sul mio collo mentre le sue mani mi sfilavano con maestria la giacca.
«Paul?», ansimai.
«Scusa», mormorò.
La mia giacca cadde al suolo e le sue dita si arpionarono ai miei fianchi. La sua bocca adesso lasciava scie bollenti sulla mia gola. Mi sembrava quasi impossibile che sentissi il martellare del suo cuore contro il mio.
Mi sollevai sulle punte e allacciai le mie braccia intorno al suo collo.
Tutto il resto non importava… io lo volevo.
Mi prese il viso fra le mani, il suo respiro era accelerato sulla mia bocca. «Non dovevo... mi perdoni?».
Scossi la testa. «No...». Affondai con le dita nei suoi morbidi capelli. La pelle di Paul aveva un odore così buono. Sapeva di La Push, sapeva di casa.
«Perché no?», chiese a mezza voce.
Con la tenue luce del televisore riuscivo a vedere metà del suo viso mentre l’altro era immerso nell’oscurità. C’erano due Paul lì con me.
«Perché voglio che lo rifai ancora», rivelai senza alcuna vergogna. «Magari alla prossima ti perdono…»,
Era tutto improvvisamente facile con lui, come guardare una vecchia fotografia di cui si conosce ogni piccolo particolare. O un vecchio film… sai ciò che succederà.
Le labbra si Paul si avvicinarono alle mie come se stesse cercando qualcosa di essenziale. Strinsi ancora di più l’abbraccio finché le nostre bocche non si sfiorarono. I nostri occhi erano incatenati, i nostri corpi uniti.
Mi baciò leggero provocando uno schiocco quasi inudibile, poi sentii subito il suo respiro nella mia bocca, le sue labbra esigenti premevano con impazienza sulle mie.
Gli diedi ciò che cercava aprendo poi la bocca per dare spazio alla sua lingua che inquieta cercava la mia.
Il suo sapore dolce m’invase e io mi sentii arrendevole con lo stomaco che mi faceva male e le gambe malferme.
Il mio corpo era schiacciato tra lui e la porta, felice di non avere nessuna possibilità di fuga.
Mi stringeva così forte… mi ritrovai a gemere avvolta dal piacere che mi stava donando con dei semplici tocchi.
Mi sentii sollevare da terra e poi mi ritrovai sdraiata sul divano di casa, con la testa tra i cuscini e il corpo di Paul incastrato al mio…
 


Angolino Autrice

Beata Rachel... mi viene da dire solo questo...
A domenica prossima, spero che anche questo capitolo vi piaccia!

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Capitolo 5
*** Scoperta ***



Paul

 
 
 
Le sue mani mi stringevano i capelli mentre esploravo la sua bocca a fondo senza mai stancarmi.
Ora che ci pensavo, io ero un licantropo, molto resistente… se avessimo iniziato a fare sesso, avrei potuto continuare per ore di fila. Che pensiero stupendo!
La sentii gemere quando gli morsi il labbro inferiore. Avevo intrufolato le mani sotto la sua maglia e le stavo accarezzando intensamente la schiena. Una sua gamba era sollevata sul mio fianco ed erano già parecchie le volte che avevo stretto il suo sedere fra le dita.
Si sollevò su un gomito e cambiò le nostre posizioni, mettendosi cavalcioni su di me.
Era un fuoco, oppure ero io che bruciavo?
Sorrisi sulla sua bocca, per la sua presa d’iniziativa e lei mi pizzicò un fianco, poi le sua mani aperte risalirono sul mio petto.
Nessuna mi aveva mai baciato come mi stava baciando lei. Come se volesse fondersi a me, come se ne volesse sempre di più.
Le afferrai i fianchi e la mossi su di me, ero eccitato da morire, ma lei non era da meno. La sentivo.
Afferrai i lembi della sua maglia per togliere un altro impiccio e fu allora che lei mi fermò.
«Aspetta, Paul».
«Che cosa devo aspettare?», chiesi confuso.
«Stiamo correndo troppo».
Si mise seduta e si sistemò i capelli e i vestiti, poi si toccò la bocca perdendosi per qualche istante con lo sguardo nel vuoto.
«Devo andare», sussurrò.
Ero un po’ rincoglionito, lo ammetto. I jeans erano diventati stretti, il suo corpo era come un richiamo e lei si era appena alzata e si stava infilando una giacca pronta ad andare via.
«Rachel?», la richiamai.
«Ti va di accompagnarmi?», disse aprendo la porta di casa.
Mi grattai la testa e annuii con riluttanza. E anche io in quel momento pensai, che da quando si era alzata dal divano, stesse accadendo tutto troppo velocemente. Così mi misi una maglia al volo e insieme uscimmo nella notte.
L'aria era pungente e a ogni respiro una nuvoletta bianca si addensava davanti alla bocca.
Erano le tre del mattino e stavo riaccompagnando Rachel a casa. Stringevo la sua mano con la mia per donarle un po' di tepore visto il freddo e quel gesto seppur intimo, ero riuscito a farlo con una facilità inaudita.
Io che facevo un gesto carino per una ragazza non l'avevo mai immaginato, neppure i miei sogni si erano mai azzardati a spingersi così oltre.
Dopo tanto tempo, potevo dire di essere veramente felice. Non mi sentivo così spensierato e leggero, senza riserve, da un'eternità.
Nei miei pensieri continuavano a vorticare i ricordi di pochi minuti prima, di me e Rachel stesi sul divano, di quella complicità e quell'intimità che avevo avvertito nonostante fosse la prima volta che ci toccassimo in quella maniera.
E poi era tutto più bello con lei, anche una semplice carezza.
Il mio imprinting...
Viverlo di persona, rispetto che assaporarlo attraverso i pensieri dei miei amici era totalmente diverso, mille volte più intenso. Era un legame così forte e unico che non riuscivo a trovare un paragone degno di essere menzionato.
Mi ero rincoglionito, porca puttana.
Girai il viso e osservai Rachel che camminava in silenzio guardando il sentiero davanti a sé. I suoi capelli svolazzavano al vento e aveva le guance arrossate dal vento.
Gliele avrei baciate finché non gliele avessi scaldate di nuovo, ma meglio non esagerare nei pressi di casa sua. Se Billy si fosse accorto della sua assenza e la stesse aspettando, magari vicino alla finestra, mi avrebbe visto.
Non che mi importasse più di tanto, ormai non c'era nulla che potessero fare, l'imprinting ci legava. Però non volevo avere storie, quindi decisi di andarci piano.
Ero consapevole che si nutre una sorta di gelosia per le figlie femmine e quindi si è sempre infastiditi dall'intruso di turno, se poi aggiungiamo che l'intruso è Paul Lahote, tutto si complica fino all'inverosimile.
Sapevo che mi consideravano una testa calda, un pazzoide, un tipo inaffidabile e l'ultima cosa che avrebbero voluto Jacob e Billy era che un loro familiare così stretto si ritrovasse tra le grinfie del lupo cattivo.
Ma io non avrei mai potuto fare nulla di male alla mia Rachel. So che per loro sarebbe stato difficile da credere visto ciò che avevo combinato nel corso degli anni.
Non avrei commesso lo stupido errore che aveva fatto Sam con Emily. Mai.
E poi quando ero in sua compagnia, la rabbia che di solito mi accompagnava scompariva, si sopiva.
«Eccoci arrivati», disse Rachel a bassa voce.
Mi riscossi dai miei pensieri e mi girai di fronte a lei. Mi diede l'impressione di essere un po' imbarazzata, ma non ci badai.
Mi chiesi che cosa si diceva solitamente in questi casi, se ci fosse una frase retorica o un argomento specifico. Se ci fosse qualsiasi cosa che mi facesse giocare meglio le mie carte. Poi abbandonai l'impresa.
«Domani hai impegni?».
«Perché?», chiese osservando la sua mano stretta nella mia.
«Volevo vederti», dissi sinceramente.
Annuì, senza dire niente ed io senza possibilità di trattenermi le strinsi il viso con le mani chinandomi su di lei. Al diavolo se qualcuno mi avesse visto.
«Avrei voluto che rimanessi ancora con me», le sussurrai dandole un bacio.
Le sue labbra erano fredde e si muovevano piano sulle mie.
«Meglio non correre troppo, Paul».
«Come vuoi».
Già, me lo aveva detto anche a casa, quando io stavo per andare oltre a dei semplici baci e lei si era tirata indietro.
Ma io non stavo affatto correndo, lei questo però non poteva saperlo. Averla vicino equivaleva a essere travolto da una valanga o da un'onda gigantesca... erano poche le possibilità di salvarsi.
Chissà se al mattino successivo, dopo aver trascorso un bel po' di ore sotto forma di lupo, quella specie di devozione a lei si sarebbe affievolita. Proprio come tutte le cose belle, all'inizio hanno tutto un altro sapore, poi ben presto si trasformano in normalità.
Le accarezzai i capelli e le strinsi le spalle con un braccio. Non volevo lasciarla andare.
«Ora è meglio se entro», disse strofinando il naso sulla mia guancia.
«Buonanotte», dissi baciandola ancora.
«Buonanotte a te», rispose salendo i gradini della veranda; poi entrò in casa dandomi il suo ultimo saluto, sollevando appena la mano.
Nel momento in cui mi ritrovai solo nel buio del villaggio, cominciai a ragionare e a ingarbugliarmi nei miei stessi pensieri. Non era da me.
Rachel voleva andarci piano... perché? Mi venne il panico. Maledizione, maledizione! Che c'entrasse quel maledetto del suo fidanzato? O era tutto normale ed io ero sempre il solito?...
Affondai un passo dietro l'altro fino ad arrivare al margine della foresta. La rabbia che fino ad allora sembrava essere scomparsa, esiliata chissà in quale posto lontano del mio cervello, tornò alla ribalta a scorrermi nelle vene.
Se qualcuno avesse osato mettermi i bastoni tra le ruote, o portare Rachel via da me, lo avrei ucciso.
Mutai senza rendermene conto e non ero neppure nascosto dalla vegetazione. Mi slanciai in avanti, le unghie affondate nel terreno, il pelo sferzato dal vento.
«Paul!»
«Ciao Paul!»
«Oh, oh, questa si che è una notizia»
«Dieci dollari su Jacob!»
«Piantatela!»,sbraitai.
Durante il giorno non avevo pensato molto al momento in cui il branco avrebbe scoperto tutto ciò che mi era successo, perciò non mi ero preparato al fastidio che avrei avvertito.
Non era facile condividere le cose più intime con loro, tuttavia fino a quella notte non era mai stato un grosso problema, ma non c'era mai stato di mezzo il mio imprinting.
Cercai la mente di Jacob, per togliermi subito un altro impiccio. Oh, ne avrebbe fatto di storie quel pulcioso.
«Jacob non è ancora arrivato, è con Nessie. Anche lui se l'è presa comoda», pensò Sam.
«Finalmente stasera si vedrà qualcosa d'interessante»,gongolò Seth. «Allora, nessuno di voi vuole scommettere con me?».
Ringhiai contro il buio che avevo davanti mentre correvo a più non posso verso il luogo dove mi stavano attendendo i miei amici.
«Rachel è un bel bocconcino, ti è andata bene fratello», continuò imperterrito quel bamboccio di Clearwater.
«Tu uccido con le mie mani moccioso che non sei altro».
Mi arrampicai su una roccia e poi mi lanciai giù su una piccola radura al centro del nostro territorio, scagliandomi direttamente su Seth che si accucciò subito mugolando.
Sua sorella, come al solito, mi si avventò contro mordendomi al giugulare.
«Non ti azzardare a toccarlo o ti faccio fuori», ringhiò stringendo la presa.
«Maledetta lupa».
«Piantatela subito voi due e anche tu Seth», ordinò Sam con il doppio timbro dell'Alfa.
Ognuno di noi si allontanò dall'altro con riluttanza e sguardi assassini. Poco distanti da noi, c'erano Jared che sonnecchiava accovacciato su un tappeto di aghi di pino e Collin che scodinzolava, probabilmente non vedeva l'ora di unirsi ai tafferugli.
«Paul, dovresti cercare di controllare questo tuo lato irruento», mi disse Sam con tono rimproveratorio. «Adesso che hai trovato il tuo imprinting, potrebbe essere pericoloso».
No, con Rachel non mi succedeva. Non sentivo la rabbia, quella mia componente caratteriale fissa che non mi abbandonava nemmeno nel sonno. Anzi... solo quando c'era di mezzo quell'insulso essere del suo ragazzo, la mia tranquillità vacillava.
Non capivo il perché ogni singola cosa nella vita doveva essere complicata. Perché il mio imprinting non era libera?E perché non ero un soggetto normale?
«Ti servirebbero una serie di sedute dallo psichiatra», sibilò Leah guardandomi di traverso.
«A te pure. Chissà ti togli dalla testa Sam una volta per tutte», risposi con cattiveria.
La testa di Leah che fino a quel momento proiettava immagini di una mia morte violenta, fece un salto indietro tuffandosi nel suo passato, dove lei e Sam stavano ancora insieme, poi tutto svanì all'istante.
Leah era mutata e stava attraversando il bosco a grandi passi andando via.
«Sei sempre il solito»,
«Chiedile scusa, che cattivo!».
Vidi Sam guardarla mentre si allontanava, pensava di fermarla ma sapeva già di peggiorare la situazione, quindi rinunciò.
Un ululato improvviso squarciò l'aria e i pensieri di Jacob si riversarono nelle nostre menti come un fiume in piena: Nessie, Nessie, Nessie. Nessie e ancora Nessie.
«Era ora», disse Sam con disappunto.
«Scusate, mi sono trattenuto più del previsto! E...».
Sbuffai guardando in aria, poi mi sedetti sul terreno umido. Jacob mi stava sondando la mente, per cui contai i secondi che mi separavano dalla sua ondata di imprecazioni.
Tre, due, uno...
«Quella è mia sorella, brutto pervertito che non sei altro!».
Mi leccai i baffi. «Non ho scelto io di avere l'imprinting con lei».
«Brutto bastardo! Per questo motivo stasera eri a cena da me? Ti uccido!».
«Mi ha invitato lei, rilassati Jacob».
«E che cazzo avete fatto su quel divano?», sbraitò scioccato.
Ok, forse per Jacob scoprire tutto in una volta era davvero troppo. Avrei fatto meglio a mutare subito dopo essere stato in spiaggia con lei, così il massimo che avrebbe visto sarebbero state solo le mie fantasie insane, non i ricordi.
«Jacob, tua sorella è il mio imprinting che ti piaccia o no. Tu sai che cosa significa quindi evita queste paranoie».
«Ti ammazzo», ringhiò ancora.
«Oh, andiamo Black, rassegnati», dissi esasperato.
«Tu non sei giusto per lei!».
A quanto sembrava io non ero giusto per niente e nessuno, sai che novità. Credevo di averci fatto l'abitudine a quei pensieri forti nei miei confronti, invece adesso mi rendevo conto che una parte di me ne soffriva... era dovuto all'imprinting, ne ero certo. Il solo ipotizzare che Rachel avesse potuto pensare le stesse cose dei miei amici, mi intristiva. Ma in realtà era quello il mio essere, era inutile fingere.
Jacob correva al massimo della sua velocità, mancavano una manciata di secondi al suo arrivo ed io mi ero già preparato a contraccambiare il suo attacco.
Poi una folata di vento cambiò la direzione dei nostri pensieri in modo repentino. «Vampiro».
«Sanguisuga».
«Parassita a sud-est».
«Prendiamolo!», ordinò Sam partendo di corsa nella direzione da cui proveniva la sua fetida puzza.
I succhiasangue puzzavano di spazzatura, quella che rimane sotto il sole per un mese... un qualcosa davvero di orribile.
Per fortuna il suo arrivo aveva mandato in secondo piano le rivendicazioni di Jacob.
«C'è sempre tempo per ucciderti, coglione», ringhiò intercettando i miei pensieri.
Lo ignorai e mi concentrai sul vampiro da inseguire e scacciare dalle nostre terre, oppure da uccidere. Il distrarsi durante la ronda poteva creare dei disturbi al branco e non volevo che perdessero la concentrazione, era troppo pericoloso.
Quel nomade era completamente all'oscuro della nostra esistenza e quando si ritrovò accerchiato da cinque lupi inferociti, talmente era impaurito e spaesato che nemmeno tentò di sfuggire. Che peccato...
L'inseguimento era così eccitante.
Ci capitavano di rado i tipi come lui, quasi tutti i vampiri combattevano, si difendevano, nonostante per qualcuno fossimo una novità, quest'ultimo invece no.
Ognuno di noi gli staccò un arto, io gettai la sua testa nel fiume lasciandola trasportare dalla corrente chissà dove, i miei amici non seppi che fine fecero fare ai loro pezzi.
Nel momento in cui mi girai per raggiungerli di nuovo, Jake mi saltò addosso addentandomi la collottola e facendomi guaire dal dolore.
«Brutto bastardo», gli ringhiai a denti scoperti.
«E sei fortunato, mi sono già sfogato con quel succhiasangue altrimenti avrei fatto di peggio».
«Vaffanculo Jacob».
«Se osi farle qualcosa di male Paul, giuro su mia madre che ti uccido».
«È il mio imprinting!», urlai saltandogli addosso.
Riuscii a morderlo al collo prima che Sam ci ordinasse di smetterla. Anche lui aveva rotto con quei continui ordini Alfa, ne avevo piene le scatole.
«È mattino ormai, torniamo al villaggio. Gli altri ci daranno il cambio», disse Sam in tono stanco.
Fra ringhi e occhiatacce ci avviammo di nuovo verso la Riserva. Era stata una ronda sfiancante quella, per fortuna era durata soltanto poche ore. Prima Leah, poi Jacob e poi tutto il resto delle preoccupazioni mie e degli altri...
Il cielo era ormai schiarito seppur rimanesse costantemente grigio e nuvoloso. L'aria era ghiacciata, le piccole pozzanghere che riempivano la foresta erano cristallizzate.
«Jacob, stamattina si fa colazione da te. È il tuo turno», ricordò Seth zampettandogli a fianco.
«Già», ronfò con disappunto.
Nel momento in cui pensai di ritornare a casa sua, la mia mente si riempì di Rachel... i suoi sorrisi, i suoi capelli profumati, i suoi tocchi, i suoi baci.
«Tu non sei invitato Paul, fai meno film con quella testa di rapa».
«Verrò lo stesso», dichiarai con noncuranza. «È meglio che ti abitui alla mia presenza Jacob, non ho intenzione di non vedere Rachel solo perché tu sei affetto da questo morbo fraterno o solo Dio sa di che cosa si tratta».
«Ti tengo d'occhio maledetto», ringhiò infine arrendendosi. «E aspettati pugni... tanti pugni».
«Ok, Black. Come dici tu».
Una volta arrivati nei pressi nel villaggio mutammo indossando i nostri vestiti. Ci sistemammo alla buona per evitare che Rachel facesse troppe domande e poi ci inoltrammo sul sentiero che portava a casa di Jacob.
Sam aveva deciso di ritornare a casa e con lui anche Collin. Eravamo solo io, Jake, Seth e Jared.
«Devo dirglielo», dissi rompendo il silenzio.
«Dire cosa a chi?», domandò Jared sollevando un sopracciglio.
«A Rachel, devo dire il nostro segreto».
«Vacci piano Paul, mia sorella è appena tornata e non voglio che scappi via a gambe levate», protestò Jacob.
Sbuffai infilandomi le mani nelle tasche dei jeans. «Non capisce che cosa le succede, è confusa. E alla fine ci andrò di mezzo io».
«Aspetta qualche giorno. E basta», disse Jacob quasi schifato.
Il mio amico doveva ancora abituarsi al Paul colpito dall'imprinting. Dovevo abituarmici anche io, per cui, figuriamoci. Non sarebbe stato facile rendermi conto dei miei pensieri sdolcinati né tanto meno lasciarli vedere agli altri, però non si poteva fare altrimenti.
Quando Jake aprì la porta di casa sua, sentii subito l'odore di Rachel e mi vennero i brividi. Lei era lì, rannicchiata sul divano con una coperta indosso e una tazza fumante fra le mani.
«Ciao», biascicò confusa.
«Ciao!», risposero Seth e Jared mentre suo fratello si limitò a fare un cenno del capo.
Fui l'ultimo a entrare nella piccola cucina e quando mi vide il suo cuore iniziò a battere più veloce.
Seth e Jared ridacchiarono. «Questo sì che è amore».
«Ciao», le dissi con un piccolo sorriso.
Lei ricambiò il mio saluto ma spostò subito lo sguardo verso il televisore acceso. Forse mi era indifferente a causa della presenza dei miei amici e di suo fratello.
«Rachy non hai preparato la tua famosa torta di mele?», chiese Jacob aprendo il forno e alcune ante di mobili.
Seth e Jared nel frattempo si sedettero intorno a tavolo, mentre io indeciso se raggiungere lei o i miei fratelli, rimasi in piedi ad aspettare.
«Rachy?», Jared fece una smorfia. «Ma Jake che nomignoli dai a tua sorella? Somigliata tanto a... racchia».
Rachel sorrise scostandosi qualche ricciolo dalla fronte. «Mi chiama così da quanto è bambino e solo quando non è arrabbiato. Da quando sono tornata è la prima volta che lo sento usare questo nomignolo... quindi presuppongo che stamattina sia di buon umore».
«Affatto», mugugnò Jacob. «Uso le buone maniere solo perché voglio la torta».
Rachel fece una smorfia. «No Jaky non l'ho fatta e mi vuoi dire dove sei stato tutta la notte? Perché rientri alle otto del mattino?».
«Jaky», ridacchiò Seth.
«Chiedilo a Paul», rispose lui nascondendo un ghigno.
Brutto bastardo che non è altro! Voleva mettermi nei casini con sua sorella. Infame!
Jacob iniziò a riempire il tavolo con brioche, burro e marmellata, ogni sorta di biscotto, succhi di frutta e qualsiasi altra cosa fosse commestibile, nel frattempo che Rachel mi guardava con un punto interrogativo stampato in viso. Mi chiesi che cosa stesse pensando.
Mi avvicinai a lei sedendomi sul bracciolo del divano. Avrei voluto baciarla, stringerla a me, spogliarla anche perché no...
«Non pensavo fossi sveglia», le dissi più piano possibile.
«Dove avete trascorso la notte Paul», sussurrò corrucciando le sopracciglia. «Fate sempre così? Passate la notte fuori?».
«Dipende. Non sempre...», risposi con un po' di difficoltà.
«E dove andare... e con chi?», chiese con voce incrinata.
Il cuore di Rachel aveva iniziato a battere più veloce e non ne capivo il motivo adesso. Se prima era stato per l'avermi visto, ora che cosa le prendeva? Forse si trattava di preoccupazione.
«Beh... noi, noi peschiamo», mentii dicendo la prima cosa che mi venne in mente. Lo so, era un'idiozia enorme.
«Pescate...».
«Sì».
«E dove sono i pesci?», chiese grattandosi una tempia. «E la vostra attrezzatura?».
«Ha portato via tutto Sam».
I miei amici borbottarono qualcosa che non capii, ma erano insulti di sicuro, così ignorandoli mi avvicinai di più a Rachel che sembrava essersi convinta delle mie fandonie.
«Allora, perché non dormivi? Sei tornata tardi stanotte».
«Non ci riuscivo», disse abbassando lo sguardo.
«Perché?».
«Perché mi sento strana, sono confusa. È come se non capissi ciò che sto facendo».
Sospirai interiormente, che cosa potevo risponderle? Darle delle spiegazioni avrebbe significato rivelarle il segreto racchiuso a La Push e ancora non potevo. Avrei potuto consolarla, farle dimenticare quelle sensazioni a modo mio... ma con quei tre che non aspettavano altro che una mia mossa falsa per prendermi in giro o nel caso di Jacob per prendermi a pugni, era difficile.
«Perché non vai a vestirti? Andiamo a fare una passeggiata in spiaggia».
Rachel mi guardò con i suoi occhi neri e profondi. «Non credo che sia una buona idea... è meglio se per un po' me ne sto da sola».
Quelle parole furono peggio di non so cosa. In quel momento non trovavo una giusta definizione, ma non era una sensazione piacevole, tutt'altro. Stare da sola significava senza di me ed io come avrei fatto a starle lontano? Come avrei trascorso quelle ore? La situazione stava precipitando... ed io non avevo la più pallida idea di come agire.
 
 
 

Angolino Autrice

Visto che il sonno e l'ispirazione mi hanno abbandonato, posto in anticipo ;D
Rachel prima si cucca il lupacchiotto e poi lo rifiuta... ma credo che se ne pentirà subito! Nel libro Rachel e Paul hanno l'imprinting molto prima di Jacob, ma qui Nessie c'è ed è già adulta.
Alla prossima <3

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Capitolo 6
*** Un Arrivo Inaspettato ***



Rachel

 
 


Che cosa stavo facendo? Per quale motivo mi stavo comportando come una sciocca?
Mi strofinai il viso avvolgendomi poi nella coperta e mi sdraiai sul piccolo divano di fronte al televisore, immaginando di essere sulla spiaggia con Paul... proprio come mi aveva chiesto lui.
E allora per quale motivo mi ero rifiutata dicendo che era meglio che restassi da sola per un po'?
Non volevo altro che trascorrere il mio tempo in sua compagnia e baciarlo e lasciarmi stringere da lui.
Sospirai amaramente mordicchiandomi le labbra, mi sentivo una bambina.
Avevo ventidue anni, ero una donna fatta e mai come allora conoscevo alla perfezione ciò che mi serviva per stare bene.
La cosa che mi colpì facendomi stringere lo stomaco in una morsa, fu il viso deluso di Paul davanti al mio rifiuto. E ancora non riuscivo a credere a come riuscisse a essere così coinvolto dalle emozioni in soli pochi giorni...
Ma la stessa cosa stava succedendo a me, quindi era inutile meravigliarsi.
Era stato come una specie di colpo di fulmine, così improvviso e potente da rimanerne travolti.
«Jacob?».
Mio fratello, seduto sul divano a fianco a me con i miei piedi sulle gambe, era lì lì per addormentarsi. Aveva buttato la testa indietro sullo schienale e teneva gli occhi chiusi.
«Sto dormendo», grugnì.
Mi sollevai su un gomito inarcando un sopracciglio. «A me non mi pare visto che mi rispondi. Comunque volevo sapere dove sei stato stanotte o lo dirò a papà».
«Fai come ti pare», rispose atono.
Mi scrocchiai le dita infastidita. Una volta tanto avrebbe potuto rispondere senza fare troppe storie, alla fine volevo solo sapere dove fosse stato Paul, non mi andava di chiederglielo apertamente. E la storia della pesca non reggeva nemmeno un po'.
«Smettila di fare lo scorbutico una volta tanto. È così che tratti tua sorella appena tornata a casa?».
Jake allargò le narici emettendo un lungo sospiro. «Ma se sono stato gentile».
«Gentilissimo direi, di questo passo non troverai mai una ragazza».
«Peccato per te, ce l'ho già».
Mio fratello tirò un lembo della mia coperta coprendosi una spalla e si poggiò con la guancia su un cuscino.
«E da quando hai una ragazza?», chiesi sorpresa. «Non ne sapevo niente».
«Sono tante le cose che non sai», sbadigliò.
Mi feci coraggio e arricciai una ciocca di capelli al mio dito. «Senti ma... che mi dici di Paul?».
«Sto dormendo», mugugnò.
«Eddai Jake! Si vede con qualcuna? Che cosa avete fatto ieri sera?».
«È gay».
«Ma com'è possibile!», sbottai contrariata.
Jacob aprì un occhio con l'espressione accusatoria che gli adombrava il volto.
«Che cosa ne sai tu che lui non è veramente gay?».
«Non sembra».
«L'apparenza a volte inganna, credo che questo sia l’undicesimo comandamento».
«Ma piantala», dissi con un po' di difficoltà. «Lui non lo è».
«Ti piace eh?».
Seppur usasse un tono basso di voce, che mi facesse pensare che fosse tra la veglia e il sonno, era palesemente infastidito.
Non mi meravigliai, i fratelli sono quelli che sono. Credono che il mondo intero voglia farti del male e vogliono proteggerti a tutti i costi.
«È un bel ragazzo»
«Già», soffiò Jake. «Ora lasciami dormire».
Il vento ululava facendo vibrare i vetri delle finestre, il cielo era nero. Andare sulla spiaggia con quel tempaccio non era una buona idea.
Sarebbe stato meglio infilarsi sotto le coperte e scaldarsi con dei baci e delle carezze. Proprio come avevamo fatto la sera precedente...
Sei stata una stupida e adesso paghi le conseguenze.
M'imbronciai e pensai a come trascorrere il tempo durante quella grigia giornata, ma la mia mente cavalcava in un'unica direzione: Paul. C'era solo lui nella mia immaginazione e in un certo senso era frustrante, perché tutto rimaneva solo e soltanto fantasia. Sarebbe stato più piacevole e meno faticoso stare in sua compagnia, poco ma sicuro.
Quel pensiero mi fece avvertire una vampata di calore.
Quando eravamo sdraiati sul divano di casa sua, avevo costatato quanto fosse difficile tenerlo a bada, era un fuoco. Lui era passione.
Non me lo riuscivo a spiegare, ma mi accendeva anche solo con uno sguardo e quando arricciava le labbra accennando un debole sorriso, morivo ogni volta.
Non mi rimaneva altro che rimboccarmi le maniche e fare qualche pulizia e poi preparare il pranzo.
D'altronde ero tornata con l'intento di dare una mano in casa, mi mancava prendermi cura di papà e di Jacob.
Certo, la mia buona azione, era stata ripagata con un bel regalino umano inaspettato e non potevo che esserne entusiasta nonostante lo scombussolamento.
Dopo un'ora avevo già terminato tutte le faccende e non potevo guardare nemmeno la TV perché Jacob si era addormentato sul divano.
«Al diavolo», borbottai afferrando il cellulare. Avrei chiamato Paul.
Ero stata io a negarmi e ora era giusto che fossi io a fare il primo passo.
Inoltrai la chiamata mentre mi rifugiavo nella camera di mio fratello, chiudendomi la porta alle spalle, lontano dalle sue orecchie.
Il telefono squillava... e squillava.
“Pronto?”.
“Paul? Sono Rachel”.
Era evidente che stesse dormendo. Parlava lentamente con la voce roca.
“Se ti disturbo, posso richiamare dopo”.
“Ok”.E sentii lo squillo veloce della chiamata interrotta.
Fissai il telefono sconcertata, meravigliandomi di tanta freddezza. Non era da lui.
Sentii l'ansia impossessarsi di ogni mio muscolo nel frattempo che arrivavo alla facile conclusione che ce l'avesse con me per via del mio rifiuto.
E di certo se proprio volevo arrabbiarmi, lo dovevo fare solo con me stesso.
Sbuffai con la tristezza che lentamente m'invadeva. Ero così brava a perdere le occasioni che prima o poi avrei vinto un oscar.
Sperai che appena sveglio mi telefonasse o passasse da casa mia. Avevo voglia di vedere quei suoi occhi scuri pieni di aspettativa e passione. Volevo farmi travolgere dalle sue emozioni.
Per un istante in cui non pensai a Paul mi resi conto che da quando ero tornata a La Push, Alan era fra i miei ultimi pensieri, uno di quelli più futili a cui si pensa quando non si ha nulla da fare.
Era il mio ex ragazzo, ormai, colui con il quale avevo comunque passato quattro anni della mia vita a strettissimo contatto.
Ero stata una codarda a lasciarlo telefonicamente, ero una brutta persona.
Tuttavia non riuscivo a pentirmi a dovere per quell'azione, io non lo amavo più. E forse non lo amavo più da tanto ormai, il nostro rapporto continuava solo per abitudine.
Tornare a La Push era stato un toccasana per la mente e per il corpo.
Certo, avevo qualche piccolo rimpianto, ma chi non ne ha? Nessuno conduce una vita perfetta e priva di ostacoli o scelte.
Decisi di andare a fare un giro in città per svagare un po' con la mente, così mi vestii e presi le chiavi della jeep di mio padre. Lasciai Jake a dormire e dopo aver richiuso la porta, andai sul retro, l'auto era posteggiata vicino al garage che Jake di solito usava per armeggiare con i motori dei suoi amici. Fu lì che notai qualcosa.
Al limite della foresta c'erano due sagome. Sembrava che discutessero. Una era Paul.
Stranita, feci qualche passo avanti evitando delle pozzanghere fangose. Sentivo il cuore che mi batteva forte nel petto. Era con Leah.
Paul e Leah appartati vicino agli alberi, lontani da occhi indiscreti. Secondo loro.
Il mio primo istinto fu quello di richiamare Paul, di fargli capire che lo stavo osservando cosicché non facesse nulla... di quello che ero certa che potesse fare.
Non ci voleva un genio per capire che cosa ci facessero lì un ragazzo e una ragazza. Avevano un qualche tipo di storia che non volevano si scoprisse e da come gesticolavano entrambi sembrava che stessero discutendo.
Il pensiero che mi avesse mentito mi turbinò nella mente lasciandomi spiazzata. Non avevo mai pensato a quell'ipotesi.
La delusione che provai, per quanto irrazionale, fu più forte della rottura del mio fidanzamento.
Mi aveva detto di non frequentare nessuna e invece era lì con Leah. Si nascondevano vicino alla foresta.
Mi chiesi perché non avessi visto subito la realtà dei fatti. Lui... lui voleva portarmi solo a letto, era questo il suo scopo.
E usava la sua dolcezza e le sue premure per farmi cedere prima.
Odiai anche Leah, profondamente. Perché fra tanti ragazzi a La Push, proprio lui? Perché proprio Paul che mi piaceva così tanto...
All'improvviso fui scoperta.
Fu lui che mentre attutiva una spinta di Leah, si accorse di me e rimase fermo a guardarmi.
Poi ignorando Leah, iniziò a camminare verso di me, mentre io indietreggiavo ripensando alla telefonata di qualche ora prima e della freddezza che mi aveva riservato.
«Rachel aspetta!».
Camminai veloce per entrare in casa prima che potesse raggiungermi, ma dalla distanza in cui si trovava non ce l'avrebbe mai fatta e una volta dentro con Jacob presente, lui avrebbe desistito.
Neppure riuscivo a credere al perché mi sentissi così uno straccio, davvero era inconcepibile. Era stupido e inammissibile.
Me la presi irrimediabilmente con me stessa e con la mia mente malata.
«Rachel!», Paul mi afferrò da un braccio.
«Ma che diav...».
Correva veloce. Parecchio.
«Non...», iniziò. «Non pensare male. Non stai pensando male, vero?».
«Non so a che cosa ti riferisci».
«A quello che hai visto poco fa, sei corsa via...», disse sollevando appena le sopracciglia.
«Io non sono corsa via, semplicemente dovevo rientrare», mentii. «E poi non sono fatti miei le tue questioni private».
«Non c'è nessuna questione privata», disse sconcertato scollando le spalle. «Che cosa ti passa per la testa?».
«Perché? Che ho detto di strano? È normale che tu ti veda con qualche ragazza, sinceramente non ci avevo creduto quando avevi detto di no. Infatti...».
«Rachel stai correndo troppo... quella è Leah Clearwater».
«Lo so benissimo chi è, io ci sono nata qui. E lei è bellissima», asserii acida.
Ero gelosa marcia... mi mancava solo questo.
Immaginarlo tra le braccia di un'altra, a cui donava le attenzioni che aveva riservato a me solo la notte prima, mi faceva ribollire il sangue nelle vene.
Avrei ucciso Leah in quel momento!!!
«Io e lei siamo amici».
«Non ti devi giustificare con me Paul. È la tua vita, puoi fare ciò che ti pare».
«Andiamo Rachel», sbuffò esasperato.
«E gli amici non se ne stanno a discutere ai limiti della foresta per non farsi vedere».
Paul si passò le dita fra i capelli scuri scompigliandoli. Indossava una t-shirt nera con lo scollo a V dalla quale intravedevo la sporgenza delle clavicole e la leggera peluria del petto.
Era palesemente dispiaciuto per l'accaduto... ma io lo ero più di lui.
Come una stupida avevo creduto a tutto ciò che mi aveva raccontato, senza avere la minima riserva, proprio come una sciocca quindicenne.
«Perché non mi credi?», quasi sussurrò.
A sentire quel tono di voce mi si aggrovigliò lo stomaco. Ero abituata a un Paul differente, spavaldo, sicuro di sé, orgoglioso e dispettoso.
Invece mi ritrovavo davanti a un ragazzo che per qualche motivo, insisteva per far valere le sue ragioni con me, una qualsiasi, incontrata da pochi giorni.
«Perché anche se mi piaci, non posso chiudere gli occhi quando ho assistito all'evidenza».
«Stavamo solo litigando, lo hai visto».
«Perché?», gli chiesi. «Ha scoperto di te e di me?».
Scosse la testa. «È una cosa un po' complicata da spiegare».
«Ciao Paul», dissi secca dirigendomi in casa.
Che cosa gli costava dirmi la verità, eravamo adulti ormai e perfettamente in grado di assumerci le proprie responsabilità. Che senso aveva mentire?
«Ieri sera abbiamo litigato!», esclamò Paul alle mie spalle. «Le ho detto che doveva andare da uno psichiatra per dimenticare Sam».
Sbarrai gli occhi. «E perché mai sei stato così crudele?».
Conoscevo la storia di Leah, Sam ed Emily. Era triste. Sam mentre stava con Leah si era innamorata di sua cugina e l'aveva lasciata.
«Perché ero nervoso e mi avevano appena dato dello psicopatico rabbioso».
«Chi ti ha detto questo?», chiesi in preda alla rabbia.
Il mio Paul non era uno psicopatico rabbioso! Che razza di amici aveva?
Lui scrollò le spalle e guardò al cielo. «Ci siamo già chiariti... non preoccuparti».
Mi si avvicinò afferrandomi un polso e attirandomi a sé con veemenza. Nemmeno ci provai a respingerlo. Già solo il suo contatto mi aveva risollevato l'umore in una maniera inaudita.
Strinsi gli occhi quando quasi mi scontrai col suo petto.
«Scusa, ho calcolato male le distanze», ridacchiò sommessamente.
Mi alzai sulle punte e gli diedi un bacio, incapace di trattenermi ancora. Quella sua bocca era peccaminosa e più la guardavo e più la mia mente immaginava di succhiarla o leccarla.
«Paul...», soffiai sulla sua bocca mentre le sue mani vagavano sul mio corpo inquiete. Il suo autocontrollo stava svanendo velocemente. E il mio dietro al suo.
Odiavo essere così inerme. Ma non avevo scelta. Quella era l'unica in situazione nella mia vita, dove non avevo scelta. Dovevo obbedire a qualcosa di più grande a cui non sapevo dare un nome.
«Paul, mi nascondi qualcosa?», chiesi mentre affondava le mani nei miei capelli.
Lui si fermò all'istante come se gli avessi urlato nell'orecchio.
«Io...».
Respirai a fondo e cercai i suoi occhi che ora vagavano sul mio viso, evitando palesemente il mio sguardo. «Mi nascondi qualcosa?», ripetei.
«Rachel, senti...».
«Rachel, tesoro!».
Mi ritrovai a spalancare la bocca dallo stupore quando vidi Alan, camminare verso di me con un borsone sulla spalla e l'aria indecifrabile.
Paul si voltò all'istante e io trovai un po' di sollievo dal fatto che almeno non aveva visto il nostro bacio. Se fosse arrivato solo qualche secondo prima, avrei fatto una di quelle figure peggiori di tutta l'umanità. Baciare un altro ragazzo dopo solo un giorno dalla fine di una relazione seria come la nostra, mi avrebbe fatto passare per una poco di buono.
Ma si trattava di Paul...
«Alan», sussurrai il suo nome.
«Sì, sono proprio io», disse con un sorriso dandomi un bacio sulla guancia.
«E tu chi sei?», chiese a Paul che aveva ristretto gli occhi a una piccola fessura e pensai che da un momento all'altro lo avrebbe azzannato.
«Chi diavolo sei tu», ringhiò.
«Alan Barlow, fidanzato storico di Rachel».
Ok, sarebbe successo l'inferno.
 
 
 
 
Angolino Autrice

E ora Paul che cosa farà? La sua risposta non è stata per niente carina... lo vedremo domenica prossima!
Spero che vi piaccia  questo capitolo e vi lascio il link di una piccola raccolta ddrabble sui nostri amati lupi Nel Cuore Dei Lupi 

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Tra Minacce e Gelosie ***



Paul

 
 
 
 
Fra poco avrei sputato fuoco dalla bocca.
Ora riuscivo a capire benissimo quella sensazione di bruciore alla gola.
Che diavolo era venuto a fare quel brutto coso dell'ex ragazzo della mia Rachel a la Push?
Ok, non sapevo se fosse l'ex, però erano in pausa di riflessione e persino io conoscevo quella stupida parola: serviva solo a dare pallide illusioni all'altra persona.
«Non ti senti bene amico?», mi chiese con aria di superiorità.
Aveva i capelli castani a spazzola e gli occhi di uno strano colore simile alla cacca dei neonati.
Lo guardai di nuovo immaginando di affogarlo in una pozzanghera o di spingerlo dalla cima della scogliera, proprio da dove andavamo a tuffarci noi.
Ma chi si credeva di essere?
«Sì, il mio problema sei tu», sbottai con le mani che mi tremavano.
Rachel fece un sorriso di circostanza, abbastanza tirato e prese il verme per il gomito. «Alan, per favore».
«Per favore che cosa? Chi è questo individuo? E perché eri qui fuori da sola con lui?».
«Sei appena arrivato e già vuoi litigare?», chiese lei con aria severa.
Brava la mia piccola, così ti voglio, combattiva. Cacciamolo a calci questo zoticone.
«Se tu avessi risposto almeno a un sms su cento, forse io sarei più tranquillo adesso».
«Credevo di essere stata chiara al telefono...».
«Eh, no. Troppo facile per telefono mia cara».
Mi chiesi di che cosa stessero parlando, proprio non lo capivo, a ogni modo, in quel momento, non me ne importava.
«Che cos'hai da guardare tu?», si voltò rivolgendomi un'occhiataccia.
Lo scarafaggio era più alto di me ed era anche ben piazzato. Sarebbe stato un bello scontro e ci avrei preso più gusto a dilaniare le sue carni.
Ero cento milioni di volte meglio io, ovviamente.
«Marchi male viso pallido, ci metto un secondo ad ammaz…».
«Heylà!», Jacob spuntò dal nulla mettendomi un braccio intorno alle spalle e frenando la mia lingua. «Tu devi essere Alan, io sono Jacob piacere di conoscerti e lui e Paul, mio cugino!».
E se la rabbia che dovevo scaricare su Alan l'avessi scaricata su quell'imbecille di Jacob? Sicuramente ci sarebbe stato più gusto nella vittoria. Purtroppo però, io volevo fare ugualmente a pezzi solo quello smidollato.
«Ciao Jacob, sono felice di conoscerti. Rachel parla spesso di te».
«Certo, sono il suo fratellino adorato».
«Invece non ho mai sentito parlare di lui», disse alzando il mento nella mia direzione.
Ma cavolacci, allora voleva proprio essere ucciso!
«Non c'è niente di importante da dire su di lui, ecco perché non lo conosci», Jacob si intromise prima che imprecassi e poi mi trascinò letteralmente via.«Divertitevi, ciao ciao!».
Tanto che mi opposi alla sua forza che con i piedi scavai dei solchi sul terreno prima di entrare in casa sua.
Non appena richiuse la porta con un tonfo, mi ritrovai a sbraitare con un dannato.
«Che diavolo ti sei intromesso a fare! Non sono fatti tuoi imbecille!».
Jacob mi lanciò dietro un mestolo da cucina e io lo afferrai e glielo scagliai contro a mia volta colpendolo alla testa.
Poi sentii un colpo di tosse. Era Billy...
«La finite voi due? Ma quando crescerete?», chiese laconico con aria annoiata.
Non mi ero proprio accorto di lui, era di fronte al televisore col cappello in testa a guardare chissà quale programma. Ma perché si ostinava a indossare il cappello anche in casa?
«Jacob perché l'hai fatto?», chiesi esasperato.
«Vi ho spiato dalla finestra», disse come se la sua azione fosse lecita. «E ho visto che hai iniziato a tremare. Paul quella è mia sorella, ficcatelo nella zucca».
«Non sarei mai mutato!».
«Vallo a raccontare a qualcun'altro».
«Senti, con lei mi controllo, non ti intromettere negli affari miei», ordinai puntandogli un dito contro.
«Quelli sono anche affari miei, anzi sono più miei che tuoi per adesso».
«È il mio imprinting bastardo».
«Ma lei ancora non lo sa».
«Questo non cambia la situazione!», urlai ancora avvicinandomi alla finestra per controllare che quei due stessero a debita distanza.
Jacob mi si avvicinò silenziosamente e finalmente tenne quella sua boccaccia velenosa chiusa.
Rachel e il morto che cammina, stavano riscendendo verso la spiaggia fianco a fianco. Lei era stretta nelle braccia mentre lui teneva le mani in tasca... e faceva bene.
«Comunque quel tipo non mi piace. Hai visto che indossa i mocassini?», asserì Jacob all'improvviso.
«No, che non l'ho visto. Quella vampira nanerottola ti sta contagiando, vedi di non frequentare troppo quella casa».
Jacob fece una smorfia e io lo spintonai. «Ora mi spieghi come faccio a cacciarmi da questa situazione? Se non fossi intervenuto tu, Rachel sarebbe con me adesso».
«Non credo», s'intromise Billy. «Tu non hai potere sulle sue decisioni e lei non può mandare via il suo ragazzo come se niente fosse».
«Vi siete alleati contro di me», borbottai aspro, vedendo la sagoma di Rachel scomparire dietro le rocce.
«Devi avere pazienza Lahote. Pazienza».
Quel termine non faceva parte del mio vocabolario e mai lo avrebbe fatto.
Stavamo forse scherzando?
Dovevo aspettare che quel maledetto coi mocassini si riportasse indietro la mia Rachel? Non esisteva proprio!
Eppure quando riuscii a pensare con un po' di lucidità, capii che non potevo fare altro che aspettare e avere pazienza. Proprio come aveva detto il saggio Billy, altrimenti avrei dovuto agire con la forza. Non che mi dispiacesse, ma rischiavo di farmi odiare da lei. E credo che l'odio del proprio imprinting possa portare al suicidio.
Me ne andai a casa con l'espressione di un cane bastonato. Ignorai mio padre che mi chiedeva qualcosa e mi rinchiusi in camera a deprimermi.
Non facevo altro che pensare a se quel viscido individuo sarebbe riuscito a portarmela via... che cosa avrei fatto in quel caso?
Dopo aver assaggiato le sue labbra, la sua pelle, come avrei fatto a viverne senza?
Mi coprii il viso col cuscino, non mi ero mai sentito così impotente in vita mia. E anche così coglione da fare certi pensieri.
Stavo... stavo male! Dio, che orribile sensazione.
La mia Rachel, i suoi bellissimi occhi profondi, i suoi capelli profumati, il suo corpo... No, lei non poteva decidere di ritornare sui suoi passi, era fuori discussione.
E poi era venuta a casa mia la sera prima e lo aveva fatto di sua spontanea volontà.
Travolto da un milione di paure a cui molto spesso non riuscivo a dare il nome e con una stanchezza sulle spalle non indifferente, crollai in un sonno lungo e agitato, sperando che Rachel si togliesse dai piedi l'uomo coi mocassini e venisse a svegliarmi con i suoi dolci modi.
E invece a scrollarmi fu la mano dura e callosa di mio padre.
«Stai dormendo un'esagerazione, alzati e cena con me».
Grugnii girandomi dall'altro lato, mi chiesi perché non se ne andasse a lavoro, era una noia averlo intorno. «No».
«E se ti dicessi che di là c'è una moretta niente male che ti sta aspettando?».
Sbarrai gli occhi e mi alzai di scatto travolgendolo. «Papà ma sei scemo? Vuoi farmi morire d'infarto?»
Mio padre, che altro non era che la mia fotocopia invecchiata di vent'anni, storse la bocca in una smorfia.
«È una nuova moda, chiamare tuo padre scemo?», alzò gli occhi al cielo scoccando la lingua sul palato. «Ti muovi oppure devo intrattenerla io?».
«Io mi do una ripulita veloce, tu torna da lei e dille che sono impegnato in una telefonata e la raggiungo appena finisco».
Cercai dei vestiti puliti alla rinfusa dall'armadio disordinato. «E poi vai da Sue o dove ti pare».
«Non esiste. Nel modo più assoluto».
«Laverò i piatti per due settimane di seguito», lo implorai spogliandomi. «E pulirò il bagno per una settimana... e spazzerò dappertutto, dài papà!».
Mio padre si mise le mani sui fianchi poi sollevò il mento pensieroso. «Andava bene solo lavare i piatti, ma accetto la tua proposta per intero», sorrise andando verso la porta. «Se ti azzardi a fare cose sconce in casa mia, ti sbatto fuori. Sappilo».
Sbattei le palpebre per qualche secondo quando andò via. Poi mi precipitai in bagno a darmi una ripulita, puzzavo come un vecchio caprone!
Non avevo ancora capito se mio padre dicesse sul serio, a ogni modo, non avrei obbedito. Avevo già usato il suo amato divano come comodo giaciglio d'amore.
Ridacchiai mentre mi insaponavo sotto la doccia alla velocità della luce.
Ero felice. Il mio umore si era risollevato in un batter d'occhio, era impressionabile e mi sentivo patetico fino all'inverosimile. Però per il momento godevo da solo di quella sensazione, mi sarei preoccupato in seguito di apparire ridicolo davanti al branco.
Aspettate un attimo...
Rimasi bloccato a fissare la mia immagine allo specchio. E se Rachel fosse venuta a darmi brutte notizie? Se mi avesse detto che sarebbe partita il giorno dopo?
Deglutii infilandomi la maglia e rimanendo con lo sguardo fisso sul lavello gocciolante.
E va bene, dannazione! Potevano avere brutte notizie per me e allora? Chi diceva che io non ne avessi orribili anche per lei?
Che cosa credeva, che l'avrebbe passata liscia per il fatto di avermi lasciato lì come un deficiente per andare a parlare con quel brutto individuo?
In un paio di minuti ero pronto, così con aria dura, mi diressi in salotto. Rachel era lì.
La luce in cucina era accesa, il tavolo illuminato e apparecchiato sotto a essa.
«Ciao», salutò con tranquillità.
«Ciao», risposi a tono.
Mi guardò con quei suoi grandi occhi scuri e sentii i miei muscoli sciogliersi, il mio cuore che batteva veloce come uno stupido.
Mi riscossi e andai verso la finestra per impedirle di notare il mio cedimento.
«Divertita col tuo amico?», sbottai all'improvviso senza controllo. Il mio corpo mi tradiva, roba da pazzi.
«Divertita?», chiese perplessa. «Ti sembrava che avessi la faccia felice per caso?».
«Magari ho interpretato male».
«Sì, solo perché ti fa comodo...».
Mi girai verso di lei con disappunto e la ritrovai con le braccia incrociate sul petto e le sopracciglia sollevate in una smorfia di perplessità.
«Senti Paul, se la stai facendo lunga perché cerchi una scusa per non vedermi più, non c'è bisogno».
Afferrò a malo modo la sua giacca ripiegata su una sedia e si diresse a passo spedito verso la porta di casa.
Ma che diavolo stavo combinando?
Paul Lahote, se ci sei da qualche parte, batti un colpo.
Scattai in avanti e la raggiunsi mettendomi di fronte a lei.
«Tu non te ne vai», asserii sicuro poggiandole una mano sulla spalla.
Lei indietreggiò. «Tu non mi dai ordini».
«Non è un ordine, è un consiglio».
Le camminai contro nonostante le fossi già dinanzi, fissandola negli occhi e lei intravedendo forse il mio sguardo da predatore, indietreggiò.
Sollevai un angolo della bocca con soddisfazione quando lei non poté più arretrare perché impedita dal tavolo.
«Io non voglio seguire i tuoi consigli».
«Oh, tu lo farai... perché ti piacerà», sussurrai ormai quasi attaccato a lei.
Le accarezzai la gola con le dita e sentii i brividi sulla sua pelle, il suo cuore che galoppava, le sue guance che prendevano colore.
«Tu sei mia», le sussurrai sulla bocca. «Meglio che lo capisci una volta per tutte», dissi prima di strapparle i vestiti di dosso.
 
 
 
 
 Angolino Autrice

Ciao a tutti! Scusate il ritardo ma sono influenzata e non ci ho capito niente O.o, a dire il vero sn quattro giorni che nn ci capisco niente. Giovedì posterò  un capitolo infrasettimanale, tanto la storia l'ho terminata quindi posso ^-^
Un grazie a tutti color che si fermano a lasciarmi un parere, siete fondamentali <3
A giovedì <3

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Capitolo 8
*** Pazza Di Lui ***



Avvertimenti: rating rosso-erotico 

 

Rachel

 
 
 
Paul era…
Paul era…
Gemetti quando sentii i suoi denti mordermi un fianco.
Era difficile articolare un pensiero, quando lui, in quel modo così… definitivo, si prendeva cura del mio corpo.
Non mi aveva lasciato scelta e anche se avevo fatto la dura, non volevo nessuna scelta.
Da un certo punto di vista, se si imponeva a quel modo, non potevo di certo rifiutare. D’altronde le persone col buon senso quando vengono minacciate, non tacciono? Non fanno tutto ciò che gli viene chiesto? Quindi, io ero normale.
Era sdraiata a metà sul tavolo e lui era di fronte a me.
Sentii la sua lingua bollente che scorreva sul mio ventre nudo, le sue mani che mi inchiodavano al tavolo come se fossi potuta fuggire da un momento all’altro. Impossibile.
I miei vestiti erano brandelli sul pavimento e non mi capacitai di quanto potesse essere forte da strapparli con un solo gesto. La cosa mi faceva impazzire, era così virile.
La sua bocca scorreva nell’incavo tra i miei seni lentamente, la foga di qualche minuto prima l’aveva abbandonato nel momento in cui aveva capito che non mi sarei tirata indietro. Per cui voleva assaporarsi ogni singolo istante. Non potevo sperare di meglio.
Avvolsi le gambe intorno alla sua vita per stringerlo a me, per estirpare ogni possibilità che si allontanasse.
Sollevai i lembi della sua maglia sfilandogliela e facendo scorrere le dita sulla sua schiena dura e più in giù fino ai suoi glutei di marmo.
Paul era tutto ciò che avevo sempre desiderato. Era colui che non aveva un però. Mi piaceva in ogni suo aspetto, anche quando faceva lo stronzo o lo scontroso. Anche quando mi spaventava con quello strano sguardo da predatore.
Qualcosa cadde in terra rompendosi e il mio reggiseno la seguì.
Aprii gli occhi ritrovandomi a fissare la luce abbagliante del lampadario che fu subito sostituita dal viso di Paul.
Mi venne una fitta allo stomaco quando lo vidi. Fino a poco prima si era dedicato al mio corpo nascondendosi alla mia vista mentre ora era lì. Occhi nei miei occhi. E mi stava parlando, ne ero sicura.
Tu sei mia. Mi aveva detto. Ed è meglio che te ne fai una ragione.
Ma io lo volevo. Con o senza ragione, non importava.
E mai come allora, mi elettrizzava l’idea di appartenere a qualcuno.
La bocca di Paul sfiorò la mia, così inarcai la schiena affondando con le dita nei suoi capelli e attirandolo a me con impazienza.
Alla ricerca del suo sapore, osservai i suoi occhi castani, la sua pupilla dilatata, qualche piccola pagliuzza nera che maculava la sua iride.
La mia lingua trovò la sua e l’assaggiai. La morsi.
Si muoveva, strofinando il petto contro il mio, il bacino contro il mio. Sentivo che era eccitato. E lui sapeva di me perché accompagnavo i suoi movimenti.
Mi sollevai, mettendomi seduta e tenendolo sempre stretto a me, non liberandolo dalla presa delle mie gambe.
Mentre il nostro bacio era diventato solo un lento accarezzarsi di lingue, sentii i suoi palmi aperti che accarezzavano ripetutamente i miei seni.
Allungai le dita fino ai suoi jeans che sbottonai, poi passai una mano sui suoi boxer, accarezzando la sua erezione più volte. Al mio tocco, lui mi morse la bocca schiacciandosi ancora di più a me, facendomi capire quanto gli piacesse.
Non c’era cosa più bella di trasportarlo verso il piacere e vedere il suo corpo reagire, la sua espressione mutare e distendersi.
«Basta», mi disse contro l’orecchio mordicchiandomi il lobo.
Lo sentii armeggiare con le mie mutandine, ma ero troppo estasiata per guardare che cosa stesse facendo, continuai a perdermi nel suo sapore.
Mi sollevò le gambe e poi sentii la sua erezione sul mio inguine e poi lentamente dentro di me. Più lentamente di così mi avrebbe davvero ucciso.
Impaziente aspettavo che arrivasse fino in fondo e che continuasse a muoversi e a muoversi… e a darmi piacere, ma nel frattempo sembrava metterci un’eternità.
Paul così paziente… era una vera novità. Lo immaginavo irruento anche sotto quell’aspetto, ma non era detto che non lo diventasse. Stava solo giocando sporco.
Mi muovevo insieme a lui e i nostri corpi combaciavano alla perfezione, era fatto apposta per me.
Come avevo già immaginato la sua calma sparì pian piano. La sua bocca era sempre più esigente e i suoi denti sentivano la consistenza della mia carne in più punti: sul collo, sulla spalla, sul seno.
I suoi affondi diventarono più intensi, più veloci. Le sue mani non toccavano, ma sentivano… i miei fianchi mentre accompagnavo i suoi movimenti, i miei seni che cercavano il suo petto, la mia schiena che si inarcava di piacere.
Mi sembrò quasi che il mio corpo non conoscesse i piaceri del sesso. Che fosse una delle prime volte in cui veramente veniva appagato.
Da quel giorno in poi sarebbe stato difficile stargli accanto senza provare voglia fisica nei suoi confronti. Specie dopo aver costatato i suoi modi e… i suoi pregi.
Gemetti per una spinta più intensa delle altre e conficcai le dita nelle sue spalle larghe e muscolose, riscendendo verso il basso. Avrei voluto stare sotto di lui ancora per un bel pezzo, ma stavo arrivando all’estremo, velocemente. Si sapeva muovere Paul e la natura l’aveva ben dotato.
Anche lui era ormai arrivato a limite, lo capivo da come respirava e da come si muoveva senza alcuna tregua, lasciandomi anche senza respiro.
Il picco del piacere arrivò con intensità inaudita. Strinsi gli occhi e boccheggiai e godei di quelle sensazioni uniche che solo l’appagamento può dare.
Non capii dopo quanto tempo cominciai a ragionare di nuovo, però ci riuscii.
Ero sdraiata ancora sul tavolo, con le gambe avvolte alla vita di Paul e lui su di me che mi accarezzava il collo col naso e con la bocca.
Avevamo avuto la nostra prima volta su un tavolo, persino apparecchiato per la cena. Ed era stato bellissimo.
D’altronde con lui, niente era scontato. Per questo era così dannatamente eccitante.
Girai appena il viso e gli baciai la fronte. Ok, ora sarebbe stato davvero imbarazzante, sollevarsi da lì.
«Paul?».
«Sì?».
«I miei vestiti…».
«Non credo che siano più utilizzabili», sorrise e letteralmente mi si sciolse il cuore, perché era come se avessi una visione davanti agli occhi. E non riuscivo a capire perché mi faceva quell’effetto, come se fossi senza via d’uscita. Come se non avessi alcuna alternativa. O lui o lui.
«Però c’è la tovaglia», ridacchiò passandomela.
«Che scemo».
La presi comunque, dandogli una piccola spallata mentre lui, si rivestiva e si dirigeva in fondo alla sua camera. Quando ritornò aveva con sé una felpa verde che mi porse con gentilezza. «Tieni questa, mi spiace ma non ho vestiti da donna».
Ridacchiò stringendomi a sé e mi baciò una guancia affettuoso. «Allora, dovevi parlarmi di qualcosa? Come mai mi cercavi?».
Mi studiai le unghie, improvvisamente niente di ciò che dovevo dirgli sembrava così importante o urgente. Il fatto era che non volevo litigare proprio ora che ci eravamo spinti oltre e il nostro rapporto stava mutando.
«Ma quel tipo dov’è finito? È andato via?», chiese riferendosi ad Alan.
«A dire il vero non lo so», ammisi. «Abbiamo litigato e ognuno è andato per la sua strada. Non so se sia già ritornato in città o se sia nei dintorni in qualche hotel ad aspettare che la situazione si tranquillizzi un po’».
La mascella di Paul si evidenziò. Notai i tendini nelle braccia tirati, i pugni stretti.
«Quindi qual è la conclusione, Rachel?».
«Nessuna conclusione».
«Non è possibile, avrai una tua idea. Hai intenzione di tornare insieme a lui? Io devo saperlo…».
«Perché, t’importa?», azzardai in un impeto di curiosità.
Gli occhi di Paul si socchiusero e mi scrutarono. «Se te lo sto chiedendo, evidentemente sì».
Sorrisi mentalmente alle sue parole. Ogni tanto avevo temuto che il suo fine era solo portarmi a letto, dopo di che si sarebbe dileguato come un qualsiasi diciottenne, che tendono sempre ad avere storielle passeggere, più che storie durature. Forse Paul era un’eccezione, oppure gli piacevo sul serio.
«Io tornerò all’università, mi mancano solo due esami per la laurea e non ho nessuna intenzione di rinunciarci, visti tutti i sacrifici di questi anni», presi fiato e continuai sul tasto dolente. «Con Alan siamo in pausa di riflessione. Non ci siamo detti addio, ma questo non vuol dire che si possa ritornare a essere quelli di prima. Abbiamo comunque trascorso quattro anni insieme e prima di prendere una decisione definitiva voglio aspettare un altro po’».
Non era vero… il mio primo istinto era quello di buttarmi fra le braccia di Paul e dirgli che volevo lui e soltanto lui. Però non potevo essere così sciocca da abbandonarmi alle emozioni come se non sapessi che queste avrebbero potuto farmi soffrire. Con lui era scoccata una specie di scintilla dal primo attimo in cui l’avevo rivisto, ma ci dovevo andare con i piedi di piombo e poi non c’era nessuna fretta. In più volevo capire bene che cosa voleva da me e non darmi a lui completamente col corpo e con la mente, rimanendo poi fregata.
«Questa cosa non mi piace».
«Io non ti posso dare certezze, adesso».
«Non c’è bisogno», disse abbozzando un sorriso perfido. «Io le mie certezze le ho già».
Sollevai un sopracciglio, indossando i brandelli del mio jeans. «E allora che cosa vuoi?».
«Voglio che ammetti di essere pazza di me».
Afferrai la giacca lanciandogli un’occhiata eloquente e anche un po’ minacciosa. Era troppo sicuro di sé ed era impossibile che io gli avessi lanciato quel messaggio.
«Ciao Paul, ci vediamo», dissi uscendo di casa.
Affondai con i piedi nella fanghiglia con la testa e il cuore leggero. Quel ragazzo aveva ragione da vendere e forse non ero brava a nasconderlo, tanto che neppure il discorsetto che avevo fatto era servito.
«Sì, sono proprio pazza di te, Paul Lahote», dissi verso il cielo. Poi mi voltai, scrutando la sua casa e notando la sua figura che mi osservava da dietro una finestra.
Forse mi sbagliai, ma stava sorridendo in quel suo modo insolente, come faceva quando sapeva di aver ottenuto qualcosa.
Beh, sicuramente non stava sorridendo per ciò che avevo detto. Non poteva avermi sentito…
 
 

Angolino Autrice

Ciao a tutti :) come promesso eccomi qui con un nuovo capitolo. Beh, siamo a un capitolo cruciale, dove si lasciano andare e Rachel capisce di volere lui e solo lui. Spero che vi sia piaciuto, a domenica! <3



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Pazzo Di Lei ***



Paul

 

Non ci potevo credere… l’aveva detto!
Rachel era pazza di me!
«Oh buon Dio, ti ringrazio di avermi dato questo maledetto gene di lupo!».
Oh sì, dovevo ringraziarlo, senza il super udito, non sarei mai riuscito a sentire le belle parole di Rachel. Le aveva pronunciate con gli occhi verso il cielo…
Mi buttai sul divano che scricchiolò sonoramente per protesta e sospirai sognante, fissando il soffitto bianco.
Avevamo fatto anche sesso! Ed era stato così… così immediato, diretto. Semplice.
Eravamo fatti l’uno per l’altro, questa era un’ulteriore conferma.
Lei era mia e voleva essere mia. Mi dovevo solo sbarazzare di quel bamboccio del suo ex, che non faceva altro che rallentare la mia conquista definitiva della ragazza più bella del mondo.
Mi leccai le labbra… avevo ancora il suo sapore in bocca e se chiudevo gli occhi sentivo il suo corpo fra le mie mani, il suo calore, la sua eccitazione…
«Stasera niente ronda», dissi fra me e me. E che Sam si incazzasse pure, ma non potevo nemmeno pensare di mutare in quelle condizioni. A parte che ero troppo felice per azzuffarmi con quel rompi scatole di Jacob e poi volevo evitare che tutti quei depravati guardassero la mia Rachel nuda. Quei ricordi erano così vividi e recenti che non sarei stato in grado di tenerli rinchiusi in qualche angolino e le conseguenze che ne avrei ricavato, dovevano essere assolutamente evitate.
Mi chiesi come avrei fatto a starle lontano d’ora in poi. Adesso che mi ero impossessato di lei, così profondamente, guardarla e non toccarla, sarebbe stata una maledetta agonia.
Perché mio padre non andava a vivere alla stazione dove lavorava? Almeno avrei potuto trascorrere tutto il tempo che volevo insieme al mio imprinting, a rotolarmi fra le coperte o a sperimentare nuove superfici. Che noia…
Con i sospiri afrodisiaci di Rachel che continuavano a echeggiarmi nelle orecchie e le sue mani che mi accarezzavano vogliose, il sonno venne a prendermi e mi portò con sé.
 
Dopo un bel po’ di tempo qualcuno mi scrollò da una spalla.
Grugnii e mi girai di lato ricadendo direttamente sul pavimento. Ah… non ero a letto, ma sul divano.
«Per fortuna sei figlio unico», mormorò mio padre un po’ perplesso. «Due figli imbecilli non li avrei sopportati».
Grugnii ancora con l’intento di arrabbiarmi, ma non ci riuscii. Ero troppo felice.
«Togliti quello stupido sorriso dalla faccia, Paul e spiegami che diavolo è successo in questa cucina».
Oh merda!
Mi alzai mettendomi le mani sui fianchi e guardai l’angolo della cucina, il tavolo mezzo storto, le stoviglie a terra, insieme a qualche lembo di vestito di Rachel.
Mi grattai la nuca. «Oh mio Dio, ma cosa è successo?».
Mio padre scoccò la lingua sul palato. «Fai pure finta di non saperlo?».
«Dev’essere entrato qualcuno mentre dormivo, ne sono sicuro papà!».
«Questa te la potevi risparmiare, sul serio».
Feci gli occhi da cucciolo rincoglionito.
«Ti avevo detto di non fare cose sconce in casa mia».
«Io obbedisco sempre papà».
«Come no. Ripulisci tutto questo macello e domani alzati all’alba devi tagliare la legna e andare a fare la spesa e poi chissà quante altre cose».
«Mi sento tanto una femmina», grugnii abbassando le spalle.
Mio padre rise, i suoi capelli brizzolati luccicarono sotto il lampadario della cucina. «Stavolta lo diventerai sul serio, figliolo».
Feci una smorfia e dopo aver ripulito tutto, me ne andai a letto. Che mio padre si fottesse pure. Ora chissà quante commissioni mi avrebbe affibbiato, magari mi avrebbe obbligato anche a indossare uno di quei camici rosa che si adoperano per cucinare. Puah! Paul la checca del giorno!
Sorrisi come un ebete non appena affondai con la faccia nel cuscino… prima arrivava la luce, prima avrei rivisto il mio imprinting…
Alle nove del giorno successivo avevo già tagliato la legna, passato l’aspirapolvere e cambiato le lenzuola. Che sfiga che mio padre avesse il turno di riposo, a pensarci in caso contrario, avrei potuto pregare Emily di darmi una mano con le pulizie… una volta l’aveva fatto.
Ora, avevo infilato la lista della spesa nella tasca dei jeans e stavo andando da Rachel. Se mi andava bene, Billy era già uscito e Jacob dormiva.
Salii le scalette del portico e diedi due colpi secchi alla sua porta.
Presi un grosso respiro, immaginando che effetto avesse avuto su di me adesso guardarla negli occhi…
Rachel aprì. Indossava ancora la mia felpa ma era a gambe nude e a piedi scalzi. I suoi capelli erano raccolti sulla nuca e qualche ricciolo sfuggiva accarezzandole il collo.
«Paul, che cosa ci fai qui?».
«Ti do il buongiorno, principessa».
Mi poggiai con una mano allo stipite della porta e mi chinai in avanti a cercare la sua bella bocca morbida.
Sentii subito le sue dita fredde che scorrevano sulle mie guance e le sue labbra che ricambiavano dolcemente il mio bacio.
«Io lo dico senza problemi…», sussurrai aprendo gli occhi e vedendo quelli di Rachel chiusi.
«Che cosa?».
«Che sono pazzo di te».
Lei mugolò estasiata e quel verso mi fece rizzare i peli dappertutto, poi mi avvolse le spalle in un abbraccio.
«Non dire così», sussurrò.
«E che cosa dovrei dirti?», chiesi stringendole la vita.
«Che non mi vuoi».
Ok, ha fatto bene mio padre a mollare mia madre. Chi le capisce le donne è bravo…
«Come vuoi, dolcezza... Non ti voglio più, non mi toccare».
Rachel spalancò gli occhi di colpo e poi mi pizzicò un fianco.
«Brutto cafone, io stavo scherzando!».
«Anche io», dissi accigliandomi.
Mi precedette nella solita piccola cucina e si fermò al centro di essa tamburellando con un piede in terra.
«Dormito bene?», le chiesi interessato.
«No, ho avuto degli incubi su di te», rispose acida.
«Eppure non sono stato particolarmente cattivo», asserii allusivo e con un sorrisetto sardonico.
Rachel si imbronciò e vidi il colorito delle sua guance intensificarsi. Oh, com’era adorabile.
Adorabile.Bravo Lahote, a scuola la professoressa ti avrebbe dato un bel voto per aver aumentato le parole nel tuo limitato vocabolario mentale.
«Ti va di venire con me, Rachel?».
«Dove?».
«Devo fare la spesa», bofonchiai con tono annoiato.
«Meglio di no. Non so se Alan è ancora nei paraggi e non vorrei che ci vedesse».
Ancora il tizio con i macabri mocassini che rompeva le scatole.
«Siamo cugini, ricordi?».
«Meglio evitare, Paul. Davvero… Alan potrebbe farti del male».
Sbarrai gli occhi e poi scoppiai a ridere. Quella era la frottola più frottola che avessi mai sentito nei miei diciotto anni di vita. E considerando che leggevo anche nella mente di quei depravati dei miei fratelli, era davvero tanto.
«Ti fa ridere il fatto di poter essere picchiato?», mi rimproverò Rachel scocciata.
«Quando si tratta di risse, io ci sono sempre», disse Jacob facendo la sua entrata. Era a petto nudo e aveva appena finito la ronda, lo sentivo dal suo odore di foresta.
«Jaky!», sbottò Rachel come una furia. «Che cosa fai mezzo nudo con questo freddo!».
«Sto provando un nuovo metodo di sopravvivenza».
Sua sorella sollevò le sopracciglia e poi arricciò il naso. «La stessa cosa che ha detto Paul quando l’ho trovato mezzo nudo sulla spiaggia».
Mi diede un’occhiataccia. «E come mai avete lo stesso tatuaggio?», chiese quasi spaventata. «Non farete parte di una… una setta, vero?».
Jacob mi guardò ed io guardai lui. Sempre colpa sua. Sempre maledettamente colpa sua! E ora che cosa avrei dovuto dirle?
«Avanti! Rispondetemi!».
Jacob balbettò, ma poi si strinse nelle spalle. «Ok, ci hai scoperto. Ti diremo la verità».
O mio Dio! Non pensava di dirle dei lupi e del branco in quel modo? Lo avrei strangolato, brutto mentecatto furioso!
«Siamo spogliarellisti».
Rachel sbarrò gli occhi, ma la sua espressione cambiò più volte in pochi secondi. E chissà perché, sapevo a priori che mi sarebbe andata male in qualunque circostanza.
Mi diede una coltellata diritta al cuore, con un’occhiataccia tagliente e poi si voltò andando a richiudersi nella sua camera.
Pregai me stesso di contare fino a dieci prima di fare qualche gesto inconsulto, però riuscii ad arrivare a malapena a uno e tirai un cazzotto a quello stupido, dritto nel naso.
Lui strizzò un occhio e mi tirò un calcio.
«Ma sei cretino!», sibilai sentendo la necessità di stritolarlo fra le mie mani.
«Sei tu il cretino, Paul! Dovresti ringraziarmi!».
«Ah sì? E per cosa? Perché mi farai litigare con lei? Rachel aveva già pensato a questa cosa degli spogliarellisti ed io avevo negato! Ora suo fratello glielo conferma!».
«Meglio litigarci che non vederla più. Se le dici che cosa sei, scappa via e ritorna dal tizio coi mocassini».
«Vaffanculo tu e lui!», sibilai ancora spingendolo.
Poi presi un grosso respiro e mi scrollai i capelli. Mi dovevo calmare perché dovevo andare a parlarle.
Era ora che Rachel sapesse di me e del mio lupo. E se in caso fosse sopravvissuta… anche dell’imprinting.
 
 
Angolino Autrice

Amo questo capitolo, non ci posso fare niente! Beh, siamo arrivati alla fine della storia, manca solo un altro capitolo e l'epilogo e poi addio ç_ç Tutte le mie storie stanno finendo è una cosa così brutta! Spero che vi piaccia e alla prossima <3

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Capitolo 10
*** La Verità ***



Rachel

 
 
 
 
Non ci potevo credere, Paul mi aveva mentito ancora.
Che cosa c’era di losco dietro al suo comportamento, perché non mi diceva la verità? Odiavo sentirmi afflitta a quel modo.
Mi sedetti sul letto della mia camera incrociando le gambe e mi tenni il viso con le mani. Al di là della porta sentivo un parlottare sommesso, chissà che cosa si stavano dicendo Paul e Jacob.
Tecniche di sopravvivenza, pescatori e ora spogliarellisti; avevano persino lo stesso tatuaggio. A che cosa dovevo credere? Non ero una bambina e avevo capito che c’era qualcosa sotto.
Sentii bussare ma non risposi, volevo solo starmene da sola a riflettere e a cercare di sbrogliare quella faccenda, ma Paul entrò lo stesso.
«Vattene», grugnii. «Non mi piacciono i bugiardi».
Paul fece roteare gli occhi e scoccò la lingua sul palato. «Sono qui per parlare non per litigare».
«Peccato che io adesso non voglia ascoltarti».
«Lo farai lo stesso», asserì con tono teso. «Devo dirti tutta la verità».
Deglutii evitando il suo sguardo che mi bruciava addosso.
Soltanto poche ore prima avrei voluto perdermi nei suoi abbracci, nei suoi baci. Ora riuscivo a percepire la tensione che emanava e non mi piaceva quella sensazione.
«Parla», dissi secca.
Paul si sedette a fianco a me, rivolto verso la porta, non mi guardava, non mi toccava, forse nemmeno respirava.
«Non mi crederai, Rachel».
«Perché stai per dirmi un’altra cazzata?».
«La pianti di usare questo tono acido? Non è una cazzata e tutte le bugie che ti ho detto fin’ora erano per proteggerti».
«Oh, davvero classico», dissi accigliata.
Paul prese un grosso respiro e abbassò le spalle. Aveva la mascella contratta e gli occhi lontani persi chissà dove.
«Tu sei una di noi, una Quileutes. Conosci le leggende della tribù, le studiamo anche a scuola», iniziò convinto.
«Forse la stai prendendo un po’ alla larga, non credi?».
«No, sono più vicino di quello che pensi».
«Ah beh, continua allora», asserii con indifferenza.
«Parte di quelle leggende sono vere», fece una pausa sollevandosi le maniche della t-shirt fin sotto il gomito.
La luce grigia del giorno si rifletteva nei suoi occhi facendoli brillare in uno strano modo. «Sì, sono proprio vere e lo so per certo perché l’ho provato sulla mia pelle».
La parte razionale del mio cervello mi diceva che era l’ennesima fandonia. Le conoscevo bene le leggende Quileutes e in quasi tutte erano coinvolti animali come il lupo o l’aquila, uomini che cambiavano forma per combattere creature malvagie, uomini che incanalavano in sé il potere degli animali per proteggere la propria gente.
Non poteva essere niente di tutto ciò, la vita non era una storia fantastica. Eppure… eppure Paul non mi stava mentendo, non quella volta. Avrei dovuto avere dei dubbi, visti i precedenti e ciò che si prospettava, ma non ne avevo.
Era la pura e semplice verità, lo sentivo. E il modo in cui lo sentivo mi faceva paura, come se un punto delle nostre menti e dei nostri corpi fosse in contatto collegato da un filo invisibile.
«Continua…», dissi con voce incrinata.
«Non voglio spaventarti. Non voglio che tu vada via di nuovo».
Sentii l’afflizione nella sua voce e mi si strinse il cuore in una morsa. «Sono tranquilla Paul», lo rassicurai mentendo.
«Ieri sera, quando sei andata via da casa mia, ti ho sentito dire che sei pazza di me», abbozzò un sorriso a metà fra il soddisfatto e il preoccupato.
«Ma come…», imbarazzata mi toccai la gola. «Tu eri in casa ed io ero fuori, distante».
Mi afferrò una mano. «Ho una temperatura corporea di quarantadue gradi costanti e…», si alzò avvicinandosi all’armadio, si chinò infilandoci una mano sotto e lo sollevò lateralmente come se fosse di carta. «Sono forte. Molto forte e anche veloce».
Rimasi sbalordita a fissarlo e poi mi tappai gli occhi. «Oh mio Dio!».
Ripensai alle leggende, a ciò che mi aveva raccontato, a ciò che avevo appena visto. «Oh mio Dio! Oh mio Dio!», esclamai.
«Rachel, ti prego. Non ti farò del male».
«Jaky è coinvolto!».
«Emh… Sì».
«E chi altro?».
«Sam, Embry, Quil, Leah e anche qualche altro».
«Oh mio Dio!», scattai in piedi avvicinandomi alla finestra. Non era possibile, era tutto un sogno… No! Era tutto vero invece e lo sapevo!
«E che cosa siete?», chiesi in un sussurro quasi inudibile.
«Lupi», disse cauto.
Il pavimento sembrò inclinarsi sotto i miei piedi e mi aggrappai con tutte le forze al davanzale, stringendo gli occhi. «I lupi che combattevano i Freddi per scacciarli dalle loro terre», ricordai la leggenda.
Paul mi raggiunse poggiandomi le mani sulle spalle. Nella sua voce c’era una nota di consapevolezza. «Mi dispiace, ma dovevo dirtelo. È difficile mantenere il segreto senza incappare in incomprensioni. Ed io non voglio litigare con te».
Mi girai verso di lui con le mani tremanti. Paul sembrava più sgomento di me.
«Quindi ti trasformi in lupo… e come fai?».
Non ero certa di voler ascoltare la risposta, ma non feci in tempo a fermarlo.
«Basta un po’ di rabbia e l’intenzione».
Mi strofinai forte il viso. «Oh mio Dio», dissi per la centesima volta. «E mi riconosceresti in quella forma?».
Lui mi sorrise accarezzandomi una guancia. «Cambia solo il mio corpo, ciò che sono rimane, ogni mio pensiero, ogni mio ricordo. Tutto».
«Quindi ti azzuffi spesso», ridacchiai incerta per allentare la tensione e poi tirai su col naso.
Gli occhi di Paul si addolcirono e la sua postura si rilassò. Mi strinse in un abbraccio che ricambiai con vigore.
Forse stavo impazzendo, però non mi sembrava che fosse così tragico essere al corrente di qualcosa che la gente comune – e anche io stessa fino a qualche minuto prima – avrebbe considerato impossibile. In più, ero al settimo cielo perché Paul aveva deciso di confidarsi con me.
Feci scorrere le labbra sulle sue con premura.
«Paul, io sono felice che tu me ne abbia parlato, solo che non ne capisco il motivo. Voglio dire…».
Paul mi interruppe. «Vuoi dire che sei tornata da poco e i nostri rapporti prima erano quasi nulli. Non c’era bisogno di metterti al corrente un simile segreto. Lo so bene Rachel».
«E allora perché l’hai fatto?», chiesi con una certa impazienza. Neppure io sapevo che cosa aspettarmi, che cosa volessi sentirmi dire.
«Tu… tu non avverti niente fra di noi?».
Deglutii a vuoto, con quella domanda mi aveva spiazzato.
«Io…».
«Rachel, tutto ciò che senti io lo avverto il triplo di te. Parla pure».
Mi mordicchiai le labbra irrequieta e mi guardai le mani. Mi sentivo come una ragazzina insicura che aveva paura di rivelare i propri sentimenti mentre Paul sembrava un uomo adulto e convinto.
Possibile che lui non avesse alcun dubbio su ciò che ci stava accadendo?
«Io non lo so Paul… ma non riesco a starti lontano. E mi sembra di conoscerti da sempre e stare insieme a te sembra sempre l’unica cosa da fare, la cosa più giusta».
«Insomma, sei proprio pazza di me», scherzò, poi però sospirò facendomi capire che non era ancora finita, che c’era dell’altro che dovevo sapere.
«Cos’altro c’è Paul?».
Lui non parlò e si leccò le labbra spostando lo sguardo fuori dalla finestra, sulla foresta fitta che circondava il villaggio.
«Non può essere peggiore rispetto a ciò che mi hai già detto».
«Dipende», sussurrò e poi si decise a parlare. «Ciò che senti, ma soprattutto ciò che sento io, è dovuto a qualcosa che accade a noi lupi. Si chiama imprinting».
«Imprinting», ripetei. «Come quelle cose che succede alle papere?».
Paul fece uno sguardo pieno di disgusto. «Alle papere?».
«Già, l’ho studiato alle scuole medie».
«Io sono un lupo, Rachel. Enorme aggiungerei. Non puoi paragonarmi a un’insulsa papera».
Sorrisi tranquilla mentre lui si infervorava per il paragone inappropriato. «Vuoi spiegarmi che cos’è?».
Paul si strinse nelle spalle storcendo appena la bocca. Aveva un accenno di barba che gli ricopriva le guance e il mento.
«È magia», disse semplicemente. «È magia legata al mio lupo, a ciò che sono. Ti ho visto ed è scattata», abbassò la voce. «E ora sei l’unica che vedo. L’unica che voglio».
Una magia. La cosa mi piacque all’istante, senza la più piccola riserva. Era come nelle favole no? Un amore magico.
Quale ragazza non l’aveva sognato?
Forse i miei pensieri erano deviati dall’imprinting e in altre circostanze quel tipo di legame assoluto non mi sarebbe piaciuto, ma che cosa importava? Perché pensare a un eventuale se?
«L’unica che vuoi?», chiesi appoggiandomi a lui.
«Già, una vera sfiga eh?», sorrise baciandomi.
«Pensa che poteva capitarti di peggio, Paul».
«Non ci penso, è meglio».
Ora capivo la mia confusione, il bisogno spasmodico di stargli accanto, la forte attrazione fisica. L’imprinting era suo, ma coinvolgeva anche me.
Non appena l’avevo visto, quel giorno in spiaggia, il caos nella mia testa mi aveva sopraffatto e mi ero buttata fra le sue braccia come se non avessi potuto fare altrimenti.
«Bene, ora sai tutto. La scelta spetta a te».
«Scelta?».
«Ho bisogno di te. Sempre. Non ne posso fare a meno. Non ne potrei fare a meno comunque», disse serrando la mascella.
Era chiaro che quella condizione non gli piacesse. Anche se ci fosse stata la remota possibilità che io non volessi stare con lui, l’imprinting non si spezzava. Durava per tutta la vita.
In un'altra circostanza sarebbe potuta diventare una vera tortura per lui. Ma non era il suo caso appunto…
«Io credo che non ti libererai di me tanto facilmente, Paul».
«Sembra quasi una minaccia».
«Potrebbe essere anche peggio».
Mi prese il viso con le mani e mi baciò, poi intrecciò le dita con le mie facendo scorrere le labbra sulla mia fronte.
«Non vedo l’ora di scoprirlo».
 
 
 Angolino Autrice

Finalmente le ha detto la verità e a Rachel sembra che stia bene tutta la faccenda! L'imrpinting ha colpito anche lei inesorabilmente.
Vi ringrazio per le vostre recensioni, sono contenta che stia piacendo.
Grazie ad Alessandra e Martina che mi appoggiando sempre e mi danno degli ottimi consigli. Al prossimo capitolo!
Vi consiglio un'altra mia storia su Paul, fateci un salto :D In Balìa Di Un Lupo  

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Una Nuova Normalità ***



Rachel

 
 
Avevo una nuova normalità, se così si poteva chiamare. In effetti era tutto fuorché normalità quella che avevo scoperto a La Push.
Con gli occhi chiusi da chissà quanto tempo, contai per l’ennesima volta fino a dieci e quando finii ripartii da capo.
Paul mi aveva convinto ad andare con lui e Jacob nel bosco dietro casa. Diceva che finché non vedevo il lupo, non avrei realizzato e avrei minimizzato qualcosa su cui non si poteva assolutamente minimizzare.
Quando ero uscita dalla mia stanza, avevo trovato Jacob stravaccato sul divano a mangiare una mela e non mi aveva degnato neppure di uno sguardo, però aveva parlato. «Il lupo più forte sono io», e poi si era messo a bisticciare con Paul, sembravano due bambini.
Ora ero rimasta da sola in casa e guardavo le venature del legno della porta. Non è che l’idea di vedere delle persone, tra cui il mio fratellino e il ragazzo che mi piaceva da morire, trasformarsi in dei lupi, mi attirasse più di tanto. Sarebbe potuto essere qualcosa di fatale per la mia sanità mentale.
Mi strofinai i palmi sulla felpa di Paul che ancora indossavo e poi uscii fuori.
Per fortuna non pioveva però il tempo non era dei migliori. Avanzai un passo dietro l’altro col fiato sempre più corto. E se Paul mi avesse preso in giro e non appena li avessi raggiunti mi sarebbero scoppiati a ridere in faccia? Lo avrei ucciso!
Una piccola vocina nella mia testa mi derise: ti piacerebbe che fosse uno scherzo, eh?
Ok, era vero, Paul mi aveva detto la verità. Maledizione, tremavo! E quei due rimbambiti mi avevano lasciato da sola, come se ciò a cui loro erano abituati dovesse essere normalità anche per me!
Girai l’angolo della casa e mi diressi verso la boscaglia dietro al garage dove Jacob trascorreva la maggior parte del suo tempo.
Sentii delle risate riecheggiare fra gli alberi, un vociare confuso che si mescolava al fruscio delle foglie.
«Vieni Rachel, siamo qui!», esclamò la voce di Paul.
Deglutii e li raggiunsi, si trovavano in una piccola radura circolare, mi sembrava tanto un ring di combattimento.
Imbarazzata sollevai una mano e li salutai seppur non li vedessi da soli tre minuti.
«Ci sono anche io!», esclamò Embry. Lo cercai con lo sguardo e lo vidi seduto su un ramo a dieci metri di altezza e d’istinto mi poggiai una mano sul cuore.
«Scendi di lì, sei forse impazzito!», gli urlai contro talmente forte che alcuni uccelli disturbarti volarono via in tutta fretta.
«Cavolo», mormorò Paul con la bocca piegata all’ingiù e una mano sul fianco. «Questo sì che era un urlo, ha superato persino Leah».
«Ecco», s’intromise Jacob mentre si spogliava. «Ora sapete perché sono traumatizzato, è colpa sua».
Vidi Paul farmi un sorriso compassionevole e poi anche lui iniziò a togliersi i vestiti, mentre Embry continuava a rimanere appollaiato su quel ramo come un gufo.
Ridacchiavano e parlavano fra di loro a volte facevano dei semplici gesti e sembrava che si capissero. Erano legati, lo capivo persino io che era la prima volta che li vedevo insieme a quel modo. Per un attimo pensai che i loro litigi a casa fossero una messa in scena, ora erano così complici.
«Perché vi state spogliando?», chiesi sgomenta.
«Hai mai visto un lupo con dei calzoncini di jeans?», disse Jacob divertito.
«Sì», mugugnai indignata. «Al circo».
Embry rischiò di cadere dal ramo e Jake e Paul sbarrarono gli occhi meravigliai, però stavolta me la lasciarono passare, non replicando.
«Allora sei pronta, piccola?», chiese Paul impaziente.
«No».
Jacob sbuffò. «Oh Rachel quanto la fai lunga!».
Respirai a fondo per un po’ con loro di fronte a me, in attesa che mi decidessi a dire quel maledetto sì.
«Sono pronta», mormorai mettendomi le mani sul gli occhi. «Oh mio Dio! No, non sono pronta!».
Sentii sbuffi generali di impazienza, certo la facevano facile, beati loro.
«Adesso», dissi più sicura.
Passò qualche secondo e poi sentii uno strano rumore come di stoffa di jeans che si strappa e poi più niente.
«Oh Dio parlatemi!», urlai disperata.
«Ma i lupi non parlano!», protestò Embry dalla sua postazione.
«Non vi voglio guardare, ho paura!».
Ancora silenzio e qualche verso strano non identificabile.
Mugolai disperata e poi mi feci forza, che poteva essere di così mostruoso? Quelli erano mio fratello e Paul, non mi avrebbero fatto del male.
Sbirciai tra due dita, pian piano, vedendo solo pelo e niente più: color argento scuro e rossiccio. Poi vidi degli occhi e anche… «Zanne!».
Certo, erano lupi, ovvio che avessero le zanne.
Lentamente tolsi le mani dai miei occhi sentendo un leggero velo di sudore che mi appiccicava i capelli sulla nuca. La debole luce che si infiltrava tra i rami dagli alberi illuminava di riflessi il folto pelo delle straordinarie creature che avevo davanti ai miei occhi.
Jacob aveva il pelo più lungo di Paul ed era un po’ più grande. Come li distinsi proprio non lo capii, ma pur essendo sottoforma animale, continuavamo a mantenere qualcosa delle loro caratteristiche umane.
«Jaky», sussurrai stupita. Era bellissimo, ma non glielo dissi, il suo ego era già troppo spropositato. Lui in risposta al mio richiamo leccò l’aria… mah.
Poi guardai il mio Paul, riconoscevo quello strano luccichio nei suoi occhi neri, ecco perché mi avevano attirato e stranito spesse volte.
Si era acquattato sul terreno umido, così un passo dopo l’altro mi avvicinai stupita, era di una grandezza straordinaria.
Mi chinai dinanzi a lui e gli accarezzai il muso, lui rimase immobile a fissarmi negli occhi.
«Non ho paura», lo rassicurai. «Beh, quello di prima era solo nervosismo», sorrisi e lui sbuffò dalle narici.
Com’era possibile che il loro corpo si trasformasse in un animale, era così difficile anche solo da immaginare. Persino ora che ce l’avevo davanti, sembrava una cosa da effetti speciali da oscar e invece era la realtà.
Le nostre leggende erano vere e forse il motivo per cui ci obbligavano a studiarle era perché c’era la seria possibilità che ci trovassimo dinanzi all’accaduto e in qualche modo dovevamo essere pronti ad affrontarlo.
«Ora torna tu, oggi di lupi ne ho avuto abbastanza».
Paul si sollevò e trotterellò fino ad alcuni cespugli e scomparve dietro di essi e lo stesso fece Jacob.
Tornarono dopo qualche istante intenti ad allacciarsi i calzoncini. Embry dal suo ramo fece uno strano verso.
«Richiami i coyote?», gli chiesi interessata.
Mi arrivarono altri sguardi pieni di sdegno e stavolta non ebbi la forza di replicare, probabilmente avevo detto un’altra baggianata.
«Vi aspettiamo in spiaggia», disse Jacob mentre Embry si affiancava a lui. «Non tardate, abbiamo la sfida a calcio e Paul è nella mia squadra», continuò Jacob guardandomi.
Loro andarono via e Paul mi sollevò finché la mia testa non sorpassò la sua e mi diede un bacio con lo schiocco.
«Allora, che cosa ne pensi?».
«Potrei metterti un guinzaglio e portarti in giro con me. Sai, adesso i cani sono ammessi dappertutto».
Paul abbassò le palpebre e trattenne un lungo respiro. «Senti Rachel, la pianti con queste battute? Sembri Rosalie, la zia di Nessie, l’imprinting di Jake».
«Emh… non credo di aver capito».
Mi rimise giù e mi accarezzò il mento incatenando i suoi occhi ai miei. Quando lo faceva mi sentivo inerme, credo che qualsiasi cosa mi avesse chiesto, avrei detto di sì.
«Ci tengo alla mia reputazione di lupo».
Sorrisi saltandogli al collo. «Scusa, non ti prenderò più in giro!».
Non appena finii la frase, Paul mi afferrò la mano e mi trascinò  fuori dal bosco e poi prese il sentiero che portava in spiaggia. In lontananza riuscivo già a vedere i ragazzi che giocavano a calcio e alcune ragazze sedute sulla sabbia li osservavano.
«Non ci credo che mi metti da parte per una partita da calcio. Dopo tutto ciò che mi hai raccontato poi…».
«Si tratta di una sfida, chi perde deve andare di ronda per una settimana di fila e sai che cosa significa?».
«No», grugnii.
«Che per una settimana di fila dovrai passare le notti senza di me e anche i giorni, perché sarò impegnato a dormire. Vuoi questo?».
Non feci in tempo a rispondere che mi baciò. «Certo che non lo vuoi, lo so. Ora vai a spettegolare con le ragazze, ti divertirai».
Mi lasciò lì impalata e raggiunse i suoi amici e mi ritrovai a grattarmi una guancia. Mi aveva stregato.
In altre circostanze gli avrei tenuto il muso perché volevo trascorrere il tempo con lui a parlare di quel segreto che mi aveva appena svelato. Ero certa che ci fosse ancora tanto da scoprire. E invece lo avevo già perdonato.
«Vieni Rachel!», fu Kim a chiamarmi, era seduta vicina ad Emily. Le raggiunsi sorprendendomi di vedere Leah in campo con i ragazzi che sbraitava come una forsennata e loro la stavano pure a sentire intimiditi.
«Ciao», le salutai sedendomi in mezzo a loro.
«Ciao!», risposero all’unisono. «Allora, raccontaci!», dissero eccitate.
«Raccontarvi cosa?», chiesi spaesata.
«Sappiamo che Paul ti ha raccontato tutto… beh com’è stato?».
Mi sentii offesa. Paul andava a spiattellare in giro i fatti nostri, non era carino, davvero no.
«Come fate a saperlo?».
«Oh», Emily agitò le mani. «Non pensare male, il fatto è che il branco si legge nella mente, quindi ogni giorno è un gossip continuo».
Mi cascò la mandibola, Paul quel particolare non me l’aveva detto. Si leggevano nella mente? Quindi sapevano tutto ciò che Paul pensava e anche ciò che ricordava… Mio fratello e tutti gli altri sapevano che avevamo fatto sesso su un tavolo?
«La sua reazione è normale», sussurrò Kim verso Emily. «Almeno non è svenuta come me».
«Se ti stai vergognando o stai pensando a tutte le cose che il branco potrebbe sapere su di voi… ci farai l’abitudine mia cara», Emily mi diede una pacca confortevole sulla spalla. «Io ci convivo da anni ormai. Per lo meno adesso i ragazzi sono un po’ cresciuti, pensa a quando erano adolescenti con gli ormoni a mille. Era un litigio continuo a causa di fantasie su sorelle o ragazze altrui».
No, no, no! Decisamente sconveniente! Che vergogna…
Affondai col viso nelle mani, a momenti avrei preso fuoco, poi inevitabilmente guardai i ragazzi in campo.
Paul all’istante, come se percepisse il mio sguardo, si girò verso di me e mi sorrise con dolcezza, un sorriso che comprendeva anche gli occhi, limpido e sincero. Quel gesto bastò a farmi dimenticare il resto. Non era poi così importante… chi se ne importava. Se le altre erano sopravvissute a quella violazione di privacy involontaria, ce l’avrei fatta anche io.
«Che… che cosa provate?», chiesi alle mie amiche. «Che cosa sentite quando li guardate, quando vi sono accanto?».
Respiri sognanti riempirono l’aria, anche io ne emisi uno, del tutto contro la mia volontà.
Fu Kim che iniziò a parlare, però la sua voce si confuse col rumore del mare e il verso dei gabbiani, diventando un brusio indistinto.
Risposi io stessa alla mia domanda. La mia voce rimbombò all’interno della mia testa, producendo anche un debole eco.
Paul ha un effetto totalizzante su di me e sono felice senza riserve, solo quando mi è accanto.
Non esce mai dai miei pensieri, credo che ci sia persino durante i sogni. Riesco a leggere il suo sguardo e a interpretare le sue espressioni, seppur siano pochi giorni che l’abbia ritrovato.
Sono viva quando mi tocca e anche se suona ridicolmente stupido, ho trovato il mio posto nel mondo. Paul è tutto.
«Adesso cosa conti di fare, Rachel?», mi chiese Emily strappandomi ai miei pensieri.
«In che senso?».
«Voglio dire… tu non vivi qui, vai al College, cosa intendi fare?».
Non ci avevo ancora pensato, ora la faccenda si complicava. Mi mancavano solo due esami per prendere la laurea e non avevo nessuna intenzione di rinunciarci. Ero tornata a La Push per una breve vacanza chiarificatrice e basta. Lì non c’era futuro per me, un posto piccolo con poche possibilità di lavoro e di crescita. Non c’era un futuro prima di ritrovare Paul. Ora era tutto diverso. Vedevo possibilità anche nelle pozzanghere.
Mi massaggiai le tempie. «Ho intenzione di terminare gli studi. Darei un dispiacere a me stessa e a mio padre se mollassi proprio ora che sono alla fine. Sarà questione di qualche mese».
Qualche mese. Il solo pensiero mi fece chiudere lo stomaco in una morsa. Non potevo stare lontano da Paul, non ci sarei riuscita e avrei sofferto parecchio. Già sentivo la sua mancanza pizzicarmi sotto pelle.
Che parole avrei usato per dirgli che sarei andata via?
E lui si sarebbe arrabbiato?
La partita di calcio finì e Paul venne a sedersi vicino a me poggiando la testa sulle mie gambe. Si era appena spintonato con Leah e lui aveva avuto la peggio.
Gli accarezzai la guancia con un sorriso, ma lui divenne improvvisamente serio.
«Che succede?».
«Niente…».
«Non dire niente. Che succede?».
Sbuffai facendo roteare gli occhi. Non potevo avere più un segreto, Okay, avrei fatto l’abitudine anche su quello.
«Dobbiamo parlare», sussurrai.
«Di cosa?», chiese un po’ brusco.
«Andiamo…».
Mi sollevai dalla sabbia spolverandomi i jeans e gli presi la mano. Salutammo distrattamente gli altri, ma non fecero caso al nostro allontanamento, erano troppo intenti a giocare fra di loro o a scambiarsi qualche effusione.
Ripercorremmo il sentiero fino al villaggio, finché Paul non si fermò impaziente con le mani sui fianchi.
«Allora Rachel, che succede?».
«Io, insomma… tu lo sai che devo tornare al College».
Paul assottigliò le labbra. «Certo che lo so», rispose sorprendendomi.
«Dopodomani riparto».
Lui annuì ancora col volto disteso. Non aveva niente da ridire? Com’era possibile?
Nello stesso istante in cui mi feci quella domanda, mi diedi automaticamente la risposta.
Non era lui il problema… ero io. Ero soltanto io che non volevo lasciarlo, non volevo andare via da La Push.
«Ah Ok», dissi infine stropicciando l’orlo della felpa. Mi sentivo un tantino patetica.
«Pensavi che ti avessi trattenuto?», chiese avvicinandosi un po’ a me.
Ovvio che sì. Hai detto che non puoi stare senza di me.
«No. Volevo solo ricordartelo».
«Sì, come no», replicò.
«Sì, perché hai detto di avere l’imprinting con me. E quanto pare è qualcosa di serio e quindi… forse, dicendoti che andavo via per un paio di mesi, pensavo che avessi avuto qualche tipo di problema».
Paul trattenne un sorriso e poi mi abbracciò stretta baciandomi fra i capelli.
«Infatti ci sarebbero non pochi problemi se tu ti allontanassi da me per così tanto tempo. Credo che impazzirei. Però hai quasi finito il College, non posso obbligarti a rimanere qui».
Poggiai la fronte sul suo petto e gli circondai la vita in un abbraccio.
«E allora come faremo?».
«Semplice. Se Maometto non va alla montagna… è la montagna che va da Maometto. Si dice così?», chiese pensieroso.
«Che cosa vorresti fare?», dissi a voce stridula.
«Mia piccola Rachel, è ovvio. Verrò con te al College!».
Fu come prendere il cielo con un dito, la felicità m’invase come corrente elettrica. Seppure avessi fatto lavorare la mente a più non posso, quella possibilità non mi aveva mai sfiorato. Ed era fattibile certo.
Ero così felice che non badai nemmeno alle parole che sussurrò fra sé e sé. «Ci sono un sacco di ragazze al College».
Era sempre il solito, però era Paul. Ed era mio.


Angolino Autrice

Ciao e buona domenica! Credo di aver annunciato la fine della storia qualche capitolo fa, però poi ho allungato un po'. Questo è ufficialmente l'ultimo capitolo prima dell'epilogo. E' stata una storia breve ma intensa e l'ho amata. Grazie ad Alessandra che mi ha chiesto di scrivere su questa coppia, non l'avevo mai fatto prima e ho imparato ad amarli.
Spero che il capitolo vi piaccia <3  Al prossimo e ultimo capitolo.
Baci <3

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Capitolo 12
*** Una Decisione Importante ***



Paul

 
 
 
La vita universitaria è davvero dura.
Credo che questa sia la prima cosa da dire, in modo che se doveste decidere di andare via di casa, per seguire la vostra dolce metà, sappiate a che cosa andate in contro.
Feci un grosso sbadiglio e mi rigirai nel letto sperando che la mia Rachel mi avesse portato la colazione, ma non sentivo nessun odore, quindi di sicuro si era precipitata alle lezioni dimenticandosi di me. Che vita barbara questa.
Aprii gli occhi e sbadigliai di nuovo. Ero da solo nella nostra camera, uno spazio angusto di dieci metri quadrati in un appartamento condiviso con dei secchioni mai visti, che se ne andavano in giro con dei maglioni con pupazzi di neve disegnati e occhiali spessi come il fondo delle bottiglie.
Come c’ero capitato in quel film horror?
Mi alzai ad agio perché in quasi due mesi che vivevamo insieme, avevo distrutto la maggior parte dei soprammobili che Rachel si ostinava a mettere sul mio comodino: le piacevano le fatine.
Io, Paul Lahote, con le fatine sul comodino, stiamo scherzando? No purtroppo.
La cosa più positiva di quella situazione era che nessuno ci rompeva le scatole, eravamo da soli. Ridacchiai fra me e me.
Potevo farle tutto quello che volevo senza dovermi preoccupare di Jacob che leggeva nella mia mente. Se avesse saputo… diavolo, mi avrebbe ucciso!
Comunque, come dicevo, la vita al college è davvero dura.
Passavo la maggior parte delle mie giornate a letto o a mangiare e proprio quando non ne potevo più andavo nel bosco più vicino e mutavo, giocando a nascondino con qualche scoiattolo. Era strano stare lontano dai miei fratelli per così tanto tempo, in un certo senso mi… mancavano.
D’altronde era con loro che trascorrevano l’intera giornata, poi da un giorno all’altro mi ero ritrovato da solo con la mia ragazza, catapultato in mezzo alla civiltà. Non che non avessi mai visto una grande città o delle ragazze audaci, a La Push era pieno di turiste, ma lì… era fico.
Embry e Seth avrebbero dato di matto. Persino Santo Quil avrebbe abbandonato i pannolini per quelle misere gonnelline.
Io, ogni giorno alle 12:00 in punto avevo un appuntamento fisso. Ovviamente Rachel non se lo immaginava proprio, ma ogni giorno, alle 12: 00 in punto, attraverso le tendine rosa con le farfalle della nostra camera, avevo appuntamento con l’intera confraternita del nonosoche, comunque erano quindici ragazze con addosso qualcosa simile a un completino intimo, che facevano a.e.r.o.b.i.c.a.
Quando l’avevo detto a Jared al telefono si era messo a urlare e poi aveva fatto una ricerca su internet per vedere in che cosa consisteva l’aerobica. Infine disse che era una specie di Kamasutra, solo un po’ più veloce.
«Ciao amore!». Rachel entrò all’improvviso con un sorriso smagliante stampato sul viso. Lasciò la borsa su una sedia e si buttò su di me baciandomi il viso.
Il mio cuore si sciolse e la mente si svuotò. Quando mi era accanto accadeva sempre.
Qualche pensierino del tutto legittimo sull’universo femminile, si creava solo quando mi era lontano. A ogni modo, rimanevano solo e soltanto pensierini. Gli occhi sono fatti per guardare, ma non mi ero mai azzardato ad andare oltre, il mio corpo non me lo consentiva, voleva solo lei. Io volevo solo lei.
«Sei già di ritorno?».
«Sì, non sei felice di vedermi?».
«Tantissimo».
La baciai sentendo il suo profumo di fragola. Ah bene, oggi aveva cambiato. Ieri aveva quello alla cioccolata e le mie attenzioni speciali le avevano fatto saltare un paio di lezioni.
«Sono qui perché devo darti una bella notizia».
Si mise a cavalcioni su di me e mi diede qualche pacca sul viso, per poi accarezzarmi.
«La mia laurea è tra una settimana, ormai siamo agli sgoccioli», iniziò.
«Bene, così potremmo trovarci un appartamento decente. Se continuo a rimanere qui mi trasformerò in un quattrocchi».
«Non ho nessuna intenzione di andare alla ricerca di un nuovo appartamento, Paul e poi non abbiamo un lavoro qui!».
Puah, figuriamoci. Se avessi voluto lavorare ne avrei trovato a bizzeffe. Solo che dopo la faticaccia delle ronde mi ero preso un po’ di vacanze, tanto avevo qualche risparmio che mi aveva lasciato in eredità la mia povera defunta nonna Adeline.
Un giorno, per esempio, ero andato un po’ in giro e una signora giapponese mi aveva richiamato avvicinandosi a me e senza mezzi termini mi aveva chiesto se volevo lavorare nel suo ristorante. Avevo pensato che gli servisse un cameriere e invece mi aveva detto che cercava un piatto da portata. Cioè dovevo fare da piatto! Ma la gente è proprio fuori di testa nelle grandi città.
Avrei dovuto spogliarmi, stendermi su un tavolo e lasciare che mi mettessero del cibo addosso e poi qualcuno lo mangiasse; non avevo idea se si usassero le posate. Mi avrebbe pagato centocinquanta dollari a servizio. Da una parte era allettante… però, c’è sempre un però. E il mio però era Rachel.
Wow, mi stavo trasformando in un chierichetto!
«I soldi non sono un problema», risposi.
«Perché tu vuoi rimanere qui? Lontano dalla tua famiglia e i tuoi amici?».
«Lo sai che mi mancano», ammisi in una macabra caduta di stile. «Posso sempre andare a trovarli. Ma la mia vita adesso è con te».
«E anche la mia è con te», mi diede un bacio dolce stringendomi forte. «Però come potrei essere felice se tu non lo sei completamente?».
«Rachel…».
«Torniamo a La Push».
«Andiamo, tesoro. E tutti questi anni di sacrifici, vuoi buttarli così?».
«Ovviamente no. Ho trovato una soluzione giusta per entrambi».
«Ah davvero?». Sorrisi accarezzandole la schiena. La mia piccola aveva una mente geniale e quando non la usava per scrivere improbabili filastrocche che mi sussurrava poi all’orecchio durante la notte, si rivelava utile.
«Ho trovato lavoro in un’azienda nelle vicinanze di Forks a mezz’ora da La Push».
I suoi occhi erano luminosi e felici, le braccia strette ancora intorno a me. Era chiaro che il suo umore fosse dettato dal fatto che era certa di farmi una sorpresa, e in effetti me l’aveva fatta.
«Dici sul serio?».
«Mai stata così seria».
«Mai stata così seria?», le chiesi con tono rimproveratorio. «Quindi tutto ciò che mi hai detto fin’ora era… non so, era una cosa così?».
«Ma sei scemo?», mi morse le labbra. «E’ tutto vero. Io ti amo e voglio stare con te».
«Hmm…», protestai facendo finta di pensare alle sue parole. «Decido di crederti. Stavolta ti è andata bene».
Lei rise e io ribaltai le posizioni, portandola sotto di me.  Affondai con una mano nei suoi capelli e la baciai. «Quindi siamo proprio destinati a stare insieme», dissi un po’ riluttante all’idea.
«Paul, lo so che ti mancherà l’appuntamento di mezzogiorno con le ragazze che fanno aerobica qui dietro al parco. Ma sì, sei destinato a stare con me».
Ecco i poteri sovrannaturali delle donne. Alcune volte pensai che sarebbe stato meglio nascere femmina, per una serie di motivazioni diverse. La prima era quella con cui avevo appena fatto i conti: loro sanno sempre tutto di te, anche quando pensi di essere stato discreto e di aver compiuto una missione alla James Bond.
La seconda era avere le tette e poterle toccare.
«A che cosa pensi Paul?».
«A niente… Anzi…». Intrecciai le mani alle sue e la guardai da vicino, in quei suoi grandi occhi espressivi.
«Prepariamo le valigie. La Push ci aspetta.».
 
Dopo essermi vantato della mia ragazza per tutto il College, dicendo a gente estranea di ogni etnia che si era laureata con il massimo dei voti, partimmo per La Push… ritornavamo a casa.
Ero al settimo cielo, solo allora realizzavo quanto mi fosse mancata la foresta, i miei amici e mio padre che adesso affidava le faccende di casa a quel moccioso di Collin.
A gran sorpresa Billy con l’aiuto di Nessie e Kim aveva organizzato una bella festicciola per il nostro ritorno che invece poi si era trasformata nella festa di ritornodi Rachel, io potevo benissimo starmene dov’ero.
Era trascorsa una settimana da quel giorno e tutto era tornato alla normalità: io andavo a fare la spesa e facevo i turni di ronda e Rachel viveva con suo padre e suo fratello e presto avrebbe iniziato il suo nuovo lavoro.
Non era meglio al college? Ovvio che sì. Dovevo fare pure i salti mortali per uscire con lei, era inaccettabile. Fu proprio quando meditavo su questa brutta faccenda che mi venne un’idea.
La mia cara nonna Adeline non mi aveva lasciato solo un gruzzoletto, ma anche una casetta niente male. Certo, andava fatto più di un lavoretto, però ne valeva la pena. Tanto io e Rachel avremmo passato la vita insieme, quindi perché aspettare per andare a vivere nella stessa casa? Al College non l’avevamo già fatto?
Avevo avuto un’ottima idea, sicuro!
Prima di chiederglielo però, era meglio azzardare una richiesta che facesse capire quanto serie fossero le mie intenzioni: un anello di fidanzamento, sì. Ecco la seconda idea geniale del giorno.  Se le avessi chiesto di fidanzarsi ufficialmente, Billy non avrebbe avuto niente in contrario, almeno lo speravo.
Poi d’un tratto sentii della musica ad altissimo volume e attraverso la finestra della mia camera vidi i mocciosi del branco capitanati da Seth, che cercavano di nascondersi dietro il muro di una casa e non smettevano di spintonarsi a vicenda.
Ero pronto a mettermi a sbraitare, ma qualcuno bussò ai vetri della finestra. Sollevai un sopracciglio e la aprii ritrovandomi davanti la faccia strana di Jared.
«Che diavolo vuoi?».
«Paul!», esclamò aprendo un sorriso a mille denti. «La civiltà è arrivata anche qui! Dietro casa di Emily stanno praticando il Kamasutra veloce!».
«Che cosa?», esclamai di colpo.
«Vieni! Andiamo a vedere!».
Saltai giù dalla finestra e seguii Jared fino a casa di Emily, distava cinquanta metri, non di più.
Quando arrivammo alle spalle dei mocciosi li sentii gongolare e dire delle frasi che facevano ben intendere che razza di pervertiti sarebbero diventati.
«Ma quello è un angolo retto?».
«Oddio quello è un novanta gradi!».
«Beato Jacob… e anche Jared».
«Perché Paul no? Guarda che tette che ha Rachel».
Presi due mocciosi per i capelli, rispettivamente Collin e Brady e li lanciai contro il muro come se fossero pupazzi. Jared invece si occupò di Seth. Non ebbi nemmeno il tempo di urlargli contro che si erano volatilizzati nella foresta.
Come osavano dire certe cose sulla mia Rachel? Maledetti maniaci, pervertiti fottuti!
Quando svoltai l’angolo della casa, però, capii l’euforia che aveva colpito i mocciosi. La stessa che stava colpendo me.
Era come essere al College, al mio sacro appuntamento delle 12:00 in punto, solo che invece di essere ragazze sconosciute erano le nostre ragazze. Oh mio Dio che orrore!
«Kamasutra veloce», mi ripeté Jared all’orecchio.
Erano tutte vestite, anzi svestite, indossavano una specie di bikini, ma non avevano freddo? Si lamentavano sempre di La Push e ora se ne stavano lì nude!
«Rachel!», sbraitai.
«Calmati amore!», disse sorridente facendo uno strano movimento con le gambe. «Vieni, unisciti a noi! Non ti piaceva l’aerobica?».
Andai a spegnere lo stereo e sentii le ragazze protestare. Con la coda dell’occhio vidi i mocciosi che spiavano da dietro alcuni cespugli, erano tornati all’attacco.
«Ma non avete freddo?».
«Siamo in movimento, ovvio che non ne abbiamo!».
Alzai le mani in segno di resa. «Scusate se vi ho interrotto, ma non voglio che vi accada qualcosa di brutto».
Le ragazze mi guardarono stranite mentre Rachel si mise le mani sui fianchi.
«Perché saremmo in pericolo?», chiese Nessie. Ammazza che… polmoni… Ora i pensieri di Jacob erano più chiari.
«Perché la specie di danza che state facendo, qui è proibita dai secoli dei secoli», mi avvinai mansueto a Rachel. «Se gli anziani vi vedessero credo che vi metterebbero al rogo».
Presi Rachel sulle spalle come un sacco di patate e corsi via a tutta velocità prima che iniziassero il linciaggio ai miei danni.
Rachel urlava come una sirena della polizia, gli uccelli si alzavano a stormi dagli alberi.
«Mettimi giù!».
Quando fui abbastanza lontano dalle altre della sua razza, la misi giù e schivai una tripletta di cazzotti ben assestati.
«Paul, sei impazzito?».
«Sì. È per questo che devo dirti una cosa. Importante».
Vedendo il mio tono serio Rachel si placò guardandomi fisso negli occhi.
Bene, nonna Adeline, mandamela buona o ti sogni che ti porto ancora margherite al cimitero.
 
 
Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica. Lo so che avevo detto anche stavolta che questo sarebbe stato l'ultimo capitolo, ma ho una cosa tira l'altra e mi è venuto fuori qualcosa a cui non potevo rinunciare, questo capy mi piace troppo. Il prossimo sarà l'ultimo promesso ahahah!
Spero vi piaccia e alla prossima! <3 

 
 
 

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Capitolo 13
*** Epilogo - Insieme - ***



Rachel

 
 
Paul doveva essere impazzito. Letteralmente!
Si comportava come un bambino dell’asilo e mi aveva fatto fare una pessima figura davanti alle mie amiche; prendermi come un sacco di patate e correre via, era l’ultima cosa che mi aspettavo che facesse e avevo capito anche il motivo di quel gesto: il mio fidanzato era geloso marcio del fatto che stessi facendo il Kamasutra veloce, mezza nuda, dietro casa di Emily.
Che cosa credeva che non avevo scoperto come lui e quel deficiente di Jared chiamavano l’aerobica?
Si mandavano persino degli stupidi sms lui e i suoi amici, come se non avessero mai visto un gruppo di ragazze fare esercizio fisico.
Paul non era molto astuto in certe questioni, per cui non si preoccupava di cancellare gli sms che gli arrivavano, per questo lo avevo scoperto sin dall’inizio. E vorrei sorvolare sul fatto che lo chiamasse il suo appuntamento delle 12 in punto.
Ecco perché anche Kim si era unita a me e poi di conseguenza tutte le altre ragazze, per fargliela pagare!
Se un uomo crede di poterla fare a una donna è davvero uno stupido.
Però adesso proprio non capivo proprio la sua espressione da cane bastonato e quel tono di voce serio. Per un attimo mi preoccupai che fosse successo qualcosa di grave.
«Che cosa sta succedendo, Paul?».
Lui prese un grosso respiro e poi si avvicinò di un passo.
Sbarrai gli occhi e per qualche secondo smisi di respirare. Mi faceva un certo effetto, devo ammetterlo.
«Devo dirti una cosa…», quasi sussurrò.
«Davvero?», balbettai.
«Sì, Rachel. Anzi a dire il vero ti devo fare vedere una cosa».
Intrecciò le dita alle mie e mi baciò una tempia con fare dolce, poi iniziò a camminare di nuovo verso il villaggio. Durante il percorso non aprì bocca mentre io morivo dalla curiosità di sapere che cosa dovesse farmi vedere e il motivo di tutto quel mistero. Solitamente Paul non sapeva mantenere i segreti… No, decisamente.
«Perché non mi dici che cos’hai in mente?».
«Perché vuoi rovinarmi la sorpresa, Rachel?».
«Spero che non sia un’altra delle tue trovate per farmi stare lontano dalle ragazze».
«Mi credi così subdolo?».
«No, peggio…».
Paul sbuffò afflitto e poi mi fece entrare in casa sua. Si fermò nel piccolo spazio tra la cucina e il salotto e mi venne di fronte.
«Chiudi gli occhi», sussurrò dandomi un bacio. Lo disse con una tale tenerezza che non potei fare a meno di accarezzargli il viso e poi stringerlo a me.
«Mi hai fatto venire qui perché vuoi approfittarti di me?».
«Ti piacerebbe eh?».
Gli diedi un pizzicotto e lui mi strinse forte, baciandomi la fronte, poi si staccò da me allontanandosi. Lo sentii borbottare qualcosa riguardo a una certa nonna Adeline, ma non ne fui sicura.
Sentii un fracasso prolungato e le sue imprecazioni per qualche istante, prima di avvertire di nuovo la sua presenza vicino a me.
«Apri gli occhi amore».
Feci come mi chiedeva e me lo ritrovai davanti con le mani dietro la schiena. Che stesse nascondendo qualcosa?
«Credo che sia arrivato il momento di fare le cose sul serio», disse conciso e convinto della sua affermazione. «Dopo aver vissuto insieme per via del College, ritornare alla normalità, vederci una volta ogni tanto…», si strinse nelle spalle. «Non mi basta».
Ebbi un tuffo al cuore e sorrisi impercettibilmente. Io avevo un ragazzo d’oro. Nessuno mi avrebbe amato come faceva e come avrebbe fatto lui ed ero felice di averlo incontrato sul mio cammino.
«E a che cosa hai pensato?».
«Una cosa che credo ti piacerà. Purtroppo però devo seguire certe tradizioni se non voglio problemi… per cui…».
Portò un braccio in avanti e mise il pugno chiuso della sua mano fra di noi, poi lo aprì rivelando un… anello.
«Paul…».
«Cosa?», disse un po’ agitato.
Guardai il piccolo anello sul suo palmo e mi venne un nodo in gola. Era d’oro bianco intrecciato e all’estremità c’era un diamantino che brillava. Era semplice e prezioso.
«Io non so che cosa dire…».
«Beh… potresti iniziare a dire se accetti o no».
«Mi vuoi sposare?». Lo guardai con occhi lucidi pieni di commozione.
«Emh… Rachel».
«Io ti adoro, amore mio!», esclamai buttandogli le braccia al collo.
«Rachel stai fraintendendo!», disse in difficoltà.
«Come?», chiesi delusa. «Perché starei fraintendendo?».
«Per il matrimonio è presto…», ridacchiò toccandosi la nuca. «Magari fidanziamoci ufficialmente prima».
«Oh…».
Oddio! Avevo preso un abbaglio gigantesco! Che vergogna! Mi sentivo un tantino patetica.
Paul mi prese la mano e mi sorrise, infilandomi l’anello all’anulare.
«Ti sta a pennello».
«Sì», concordai osservandolo. «Avresti potuto metterci una scatoletta almeno», lo presi in giro.
«Cianfrusaglie! Meglio andare subito al punto», mi baciò accarezzandomi i capelli e poi mi guidò di nuovo fuori casa.
Era già finito tutto? Perché non mi spiegava il significato di quel gesto? Che tradizioni doveva seguire?
«L’anello apparteneva a mia nonna Adeline, sai?».
«Un anello di famiglia? Sono davvero fortunata ad aver trovato un fidanzato che mi tratta con tale riverenza».
«Lo penso anche io», disse toccandosi il petto con fierezza.
«E come mai questo gesto?».
«Altrimenti non avrei potuto fare il passo successivo, quello che farò tra poco, perché tuo padre mi avrebbe rotto le scatole».
Gli diedi una piccola spallata. «Hai qualche altra sorpresa per me?».
«Sai che cos’è questa?», mi chiese facendo penzolare una chiave davanti agli occhi.
«Emh… una chiave?».
«Esatto. Che tipo di chiave?».
Mi grattai una tempia e la guardai per bene, ma sinceramente non la riconoscevo e non mi diceva niente. Era una semplice chiave verde con un portachiavi a forma di margherita.
«Non saprei».
Lui mi sorrise, più del dovuto. Fece il cosiddetto sorriso a trentadue denti.
«Questa è la chiave della nostra futura casa».
Mi circondò le spalle con un braccio e mi guidò lungo un sentiero, fischiettando con spensieratezza, mentre io stavo per morire di crepacuore. Una casa tutta nostra? E da quando?
«Questa… è una… sorpresa?».
«Certo amore, non ti piace?».
«Certo!», esclamai saltandogli al collo. «Non capisco come fai a essere così tranquillo! Io sto per morire!».
«Ci ho già fatto l’abitudine all’idea di passare la vita insieme a te, ecco perché sono rassegnato», ridacchiò.
Gli diedi un morso sul collo, lui al contrario mi baciò una spalla.
Mi sistemai per bene cavalcioni su di lui e Paul mi portò in braccio fino alla nostra destinazione, continuando a parlare con me e a baciarmi.
Era la notizia più bella del mondo, quella. Io e il mio Paul avremmo vissuto nella stessa casa!
Beh, avevamo già vissuto insieme al College, in una camera, ma stavolta era diverso. Era una casa della Riserva e la nostra convivenza non era dovuta alla lontananza dalle nostre abitazioni, quella era una cosa voluta. Una cosa seria con tanto di anello!
«Eccoci qui», sussurrò Paul sulla mia bocca.
Ci girammo insieme verso una piccola casetta, ma entrambi non ci aspettavamo proprio che fosse… in quella maniera.
«Oh merda», sibilò Paul mettendomi giù. Si avvicinò alle scalette del portico e sollevò la testa fino al tetto. «Ma nonna Adeline!», urlò verso il cielo. «Il tuo unico nipote meritava questa grave ingiustizia?!».
Ne seguì un lungo e misterioso silenzio. Alcuni uccelli uscirono dalle finestre rotte del piano superiore e c’erano scricchiolii dappertutto.
«Solo perché mi sono dimenticato di portarti quelle dannate margherite! Cara nonnina sono solo cinque mesi! Non è tanto!».
Mi chiesi che diavolo stesse blaterando quel pazzo del mio ragazzo. Ora parlava anche con i defunti, davvero confortante.
«Rachel!», esclamò Paul disperato. «Questa sarà la nostra casa».
«Emh… amore sai che ti amo e con te verrei dappertutto, ma credo che questa casa non sia più agibile».
«Lo sarà. Molto presto», disse con tono minaccioso, poi mi venne di nuovo accanto e prese le mie mani nelle sue.
«Quindi è un sì?», sussurrò baciandomi. «Stai accentando di venire a vivere con me?».
Ricambiai il suo bacio e gli accarezzai il viso. Come poteva solo dubitare che non avrei acconsentito? Lui era la cosa più bella e importante che mi fosse mai capitata in vita mia.
«Sì».
«Allora devo mettermi subito al lavoro per mettere a posto la casa».
«Ci lavoreremo insieme», dissi abbracciandolo.
«Insieme», sussurrò sulla mia bocca.
Una trave si staccò all’improvviso dal portico e ricadde a terra con un tonfo secco. Entrambi ci girammo a osservare la scena e poi scoppiammo a ridere.
«Rachel c’è un’altra cosa che dovremmo fare insieme».
«Di che cosa si tratta?».
«Portare le margherite a nonna Adeline altrimenti sarebbe capace di farci crollare la casa addosso».
Scoppiai a ridere ancora più forte. «Quindi l’anello, la casa e anche il tuo gruzzoletto, provengono dalla tua cara e generosa nonnina?».
Paul guardò verso l’alto pensieroso. «Già».
«Quindi di tuo non hai fatto proprio niente».
«Amore, io ci metto la presenza che mi sembra già tantissimo».
Storsi le labbra e lo presi per mano dirigendomi verso il cimitero. Nonna Adeline meritava tutte le margherite che voleva.
«Andiamo dalla nonna. Chissà stavolta mi fa la grazia di cambiarti il cervello», ridacchiai sotto i baffi.
«Spiritosa».
«Ti amo».
«Non ti meriti le mie buone parole, visto l’offesa. Ma ti amo anche io».


Angolino Autrice

E anche questa storia è arrivata alla fine, mamma mia come mi dispiace! E' sempre così quando mi finisce una storia. :(
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito e recensito e hanno apprezzato questo mio piccolo lavoro. Un ringraziamento speciale ad Alessadra, perchè senza di lei la storia non sarebbe nata.
Alla prossima storia! <3 <3 <3 I Love You!

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