Paparazzi

di Road_sama
(/viewuser.php?uid=177585)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-The Perfect Maker ***
Capitolo 2: *** Brusii ***
Capitolo 3: *** Green Eyes ***
Capitolo 4: *** Ti Odio! ***
Capitolo 5: *** Gara? ***
Capitolo 6: *** Call me maybe ***
Capitolo 7: *** Il barista ***
Capitolo 8: *** Videogames! ***
Capitolo 9: *** Yes, my Lord~ ***
Capitolo 10: *** Capitolo speciale: Niente è mai per caso ***
Capitolo 11: *** Vecchie Questioni ***
Capitolo 12: *** Meeting ***
Capitolo 13: *** Nonostante tutto ***
Capitolo 14: *** Delinquente ***
Capitolo 15: *** Capitolo speciale: Niente è mai per caso 2 ***
Capitolo 16: *** Pronto? ***
Capitolo 17: *** Appuntamenti ***
Capitolo 18: *** In bianco o a letto? ***
Capitolo 19: *** Una serata singolare ***
Capitolo 20: *** Good Morning! ***
Capitolo 21: *** Capitolo speciale: Ora è il nostro momento ***
Capitolo 22: *** Una tranquilla giornata al mare o... ***
Capitolo 23: *** Sole, cuore, a...Alfred? ***
Capitolo 24: *** E' solo lavoro! ***
Capitolo 25: *** Capitolo speciale: Dark sick Love ***
Capitolo 26: *** Portare caldo al freddo Nord ***
Capitolo 27: *** Progetti ***
Capitolo 28: *** Il bene e il male ***
Capitolo 29: *** Velocità ***



Capitolo 1
*** Prologo-The Perfect Maker ***


PROLOGO-The Perfect Maker
 


-Hey Lud! Sono a corto di soldi, posso lavorare qui?- Davanti a Ludwig si parò un Alfred alquanto supplichevole. Il biondo lo osservò attentamente sospirando. Alfred era un americano, sempre stato uno scansa fatiche nonostante fosse un ragazzo molto brillante. Fin da quando frequentavano le medie l’americano non faceva niente dalla mattina alla sera e il bello era che prendeva pure bei voti!
- Dove ti hanno licenziato questa volta?- Ludwig si passò una mano sulla faccia cercando di essere più comprensivo possibile.
-Eh! Pensavo che sarebbe stato meglio se avessi lavorato al MecDonald’s, sai quello a due isolati da qui, ma…mi hanno beccato mentre mi mangiavo hamburger! Hahahaha- L’americano si portò una mano tra i capelli mentre l’altro, un tedesco trasferito in California fin da piccolo, sembrava sempre più avvilito.
-Ma quando imparerai a fare il serio?-
-Ehhh!!-
- Senti, io ti assumo perché ultimamente siamo a corto di personale ma, ricordati che appena fai un passo falso io non posso salvarti.-
-Perfect! Dov’è la mia scrivania, Lud?- Alfred si guardò intorno cercando un posto libero.
-Tu non hai una scrivania…quando ho detto che “manca personale” intendevo dire che mancano fotografi.-
Il biondo lo osservò perplesso. Il tedesco si allontanò un attimo per poi ritornare con un oggetto scuro marcato “Canon”.
-Tu farai il paparazzo.-
 
 


-Ragazzi sono sfinito!! Il viaggio è stato veramente pesante! Voglio una tomba verde, bianca e rossa e poi non dovrete portarmi fiori ma piatti di pasta a volontà.- Lovino si buttò sul letto a peso morto.
-Esagerato! Però…ci vorrebbe uno spuntino ora.- disse Arthur massaggiandosi il collo. Il volo dall-Europa agli Stati Uniti era stato veramente straziante.
-Bene ragazzi, vado a preparare un po’ di pasta visto che sta sera abbiamo un concerto!- esclamò entusiasta Feliciano. Quando si parlava di cibo, lui non era secondo a nessuno! O meglio, lui e Lovino non erano secondi a nessuno.
-Vengo ad aiutarti, aspetta!- disse di rimando un ragazzo occhialuto.
-Muoviti, Matt sennò faccio tutto da solo!- urlò Feli già in cucina.
-Ci sono, ci sono!-
-Ma la smettete di fare tutto questo casino?! Sto cercando di dormire!- Esclamò Elizabeta con acidità.
-Ho cercato apposta questo posto! Perché non ci sono vicini snervanti ed è difficile da raggiungere per i paparazzi! Quindi per favore state zitti!-
-Tranquilla, ok? Sennò mi fai venire l’emicrania con quella tua vocina stridula. Se ci devono trovare, i paparazzi, ci riescono lo stesso!- affermò l’inglese.
-Ehi, tu scorbutico! Modera il linguaggio o ti…-
-Sono veramente irritanti quei ficcanaso.- concordò Lovino interrompendo il litigi di Arthur ed Elizebeta come di routine.
-Speriamo che qui in California siano meno appiccicosi rispetto all’Europa!- sussurrò allora la ragazza.
-Bah…non so. Speriamo!- disse Arthur ancora sospirando.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Brusii ***


Ed eccomi qua con il primo capitolo ufficiale!^^ Non c’è molto movimento in questo capitolo perché l’ho usato per descrivere un po’ di cose. (e penso che sarà così anche per alcuni dei prossimi ^^”) Ho messo un nome all’ipotetica Band ma, se vi viene in mente qualcosa di meglio fatemelo sapere :D Ringrazio Prof per le dritte sul termine "Chér-chéri" Sono veramente Baka xD
Se c’è qualcosa da mettere a posto non esitate a recensire :) detto questo, Buona Lettura ;)


 Brusii
 
-Un cosa?!- esclamò Alfred sperando di non aver capito bene.
-Ah…tu sarai un paparazzo. Non posso di certo farti fare degli articoli sennò oltre che a essere licenziato tu va a finire che lo sarò pure io!- rispose Ludwig con convinzione. L’americano si portò una mano sulla fronte cercando una soluzione o un modo per togliersi da quella situazione così scomoda. Non voleva di certo andare a fotografare la gente! Soprattutto quei quattro montati di cui parlavano i giornali di gossip! Ludwig sospirò.
-Senti…qua pagano bene e fare due foto non ti costa niente. E poi, scommetto che riuscirai ad inventarti qualcosa per fregare le tue vittime.- l’americano lo guardò stupito. Non si aspettava questo “lato oscuro” da parte di uno come Lud. Il tedesco vedendo l’espressione sconvolta dell’altro si precipitò a tranquillizzarlo.
-Lo so, lo so. Non te l’aspettavi…ma dopo un po’ che lavori qua cambi e comincia a piacerti questo lavoro.-
-se lo dici tu…- disse poco convinto Alfred afferrando la macchina fotografica che gli aveva passato l’altro. Se la rigirò tra le mani per osservarne meglio ogni dettaglio.
-Quando comincio?- chiese rassegnato l’americano. Ludwig prese un foglio da una bacheca dietro di lui poi, lo porse ad Alfred. Sul foglio erano riportati degli orari e dei luoghi della California.
-Sta mattina è arrivata, qui, a San Francisco una band molto famosa in Europa. Si chiamano “Perfect Maker” e tu dovrai sorvegliarli, appena vedi qualcosa di interessante scatta delle foto. Ad aiutarti è venuto un tuo collega europeo che li segue da quando sono diventati famosi.- Alfred si domandò come fosse questo paparazzo. Se lo immaginava come un uomo sulla cinquantina, capelli neri e occhiali da sole. Immaginò che andasse in giro con un impermeabile giallo e al collo avesse mille macchine fotografiche. Insomma, uno di quei paparazzi che non ti tolgono gli occhi di dosso e che sembrano più alieni che esseri umani. Non gli sarebbe dispiaciuto lavorare con un alieno…
Ludwig si girò e urlò un –Antonio! Vieni ti ho trovato un aiutante!- Dal nome sembrava simpatico, pensò l’americano. Dopo qualche secondo si presentò davanti a loro un ragazzo sulla ventina di anni. Aveva due grossi occhi verdi smeraldo e dei capelli castano scuro. La pelle era leggermente abbronzata ed era piuttosto magrolino: sembrava non passarsela molto bene.
-Antonio, ti presento Alfred F. Jones. Alfred ti presento Antonio Fernandez.- il tedesco fece le presentazioni mentre gli altri due si studiavano. Dal cognome doveva essere spagnolo. Dopo qualche secondo Antonio tese la mano al biondo con un sorrisetto ebete sulla faccia. Più di un temibile paparazzo sembrava un bambino troppo cresciuto.
-Piacere di conoscerti, Alfred.- l’altro ricambiò la stretta con sorriso altrettanto idiota.
-Bene. Io vi lascio soli per fare conoscenza. Antonio ricordati di fare rapporto a Francis prima di andare al concerto. E…Alfred non combinare casini come al solito…per favore.-
-Zi padrone!- lo provocò l’americano facendo un breve inchino. Il tedesco gli rivolse un’occhiata di rimprovero prima di scomparire dietro ad una porta. Antonio guardò l’orologio.
-Sono le cinque e mancano due ore al concerto. Che ne dici di andare a fare un po’ di casino?- Non sarà stato un alieno, ma quell’Antonio gli piaceva.
- Mi sembra ovvio! Hahahaha!!-
 
-Ehi, Francis io ed Al ce ne andiamo alla ricerca di uno scoop. Sta sera c’è un concerto quindi staremo fuori fino a domani mattina. Avvisa gli altri che ci stiamo noi dietro ai “Perfect Maker”- Antonio sembrava un boss in quel momento. Se Alfred avesse saputo prima che esisteva un posto dove potevi parlare così al tuo capo, non avrebbe perso tempo con tutti quei lavori part-time!
-Antonio, mon amour! Te ne vai già? La rosa che mi hai portato ieri era fantastica.- parlò un uomo dai lunghi capelli biondi e un accento evidentemente francese. Lui era il capo del giornale per cui ora stava lavorando. Sarebbe stato piuttosto strano lavorare per uno così.
-Mi fa piacere, domani te ne porterò un’altra.- gli fece l’occhiolino.
Il francese spostò lo sguardo sul nuovo arrivato e lo squadrò a fondo. Si alzò dalla sedia e si avvicinò al biondo.
-Tu devi essere quello nuovo…Alfred, se non sbaglio.- disse con una voce sensuale.
-N-Non sbagli-a…C-Capo- ora il francese era parecchio vicino, troppo vicino.
-Oh! Capo? Mi dai del “lei”? Ma che ragazzo educato! Chiamami pure Francis, mon chéri.- esclamò a quel punto il biondo.
- S-si Fr…- le parole gli si mozzarono in bocca non appena il francese gli lasciò una manata sul fondoschiena, palpandolo. Sentì un brusio farsi strada nelle sue orecchie. Un estraneo gli stava veramente palpando il fondoschiena! L’americano divenne rosso come un pomodoro e non riuscì a muoversi per la presa “molto scomoda” dell’altro.
-Pervertito di un francese! Non molestare Al! E’ il suo primo giorno!- fortunatamente Antonio riuscì a sfilare Alfred dalla presa e prevenire ulteriori “atti osceni” da parte di Francis.
-Hai un culo fantastico, ragazzo.- un altro occhiolino e per poco l’americano non vomitò.
 
 
-Ma fa sempre così quello?- domandò Alfred ad Antonio.
-Ah, si lo fa con tutti quelli nuovi. Oppure se li porta direttamente a letto.- il biondo sputò la coca cola che stava bevendo.
-Oh, God! Ma con tutti?!- lo spagnolo annuì. Che genere di pervertito era quello? L’americano era sconvolto.
Un pensiero si fece largo nella sua mente ristretta e divenne bianco come uno straccio.
-Ma…dici che abbia fatto così anche con Lud?- questa volta fu l’altro a sputare la coca cola.
-Non oso immaginare! Poi Ludwig e Francis! Ma come ti vengono queste idee?!- iniziò a ridere per non piangere.
-ok, ok ho capito parliamo di qualcos’altro per favore…- sospirò, allora, Alfred sull’orlo di una crisi isterica. Il sole era pungente nonostante fossero soltanto i primi giorni di Giugno e una fresca bevanda ci voleva! Erano appena entrati in uno dei tanti Mec della città e avevano fatto un piccolo spuntino. Che comprendeva sei hamburger da parte dell’americano e tre pomodori da parte di Antonio. Ora stavano girando per una calda San Franciso prima del tanto atteso concerto.
-Sneti …com’è questa Band? Scommetto che sono anche questi dei montati…-azzardò Alfred.
- Non direi proprio montati…altrimenti non li avrei seguiti fino a qui!- il volto di Antonio si illuminò.
-Allora che tipi sono?- Alfred si incuriosì. Di certo uno come Antonio non si sarebbe rotto le palle anche oltreoceano con un gruppo musicale.
-Beh…hanno più o meno tutti la nostra età. Sono in cinque: quattro ragazzi e una ragazza. C’è Matthew che è canadese, Arthur che è inglese, Elizabeta che è ungherese e i due fratelli Vargas che vengono dall’Italia, nonché i più famosi: Feliciano e il mio Lovino!- disse lo spagnolo con tono sognante. Alfred pensò di non aver capito bene…il mio Lovino?


-Sento un maledetto brusio!-

-Hai detto “il mio Lovino”?- Antonio si voltò di scatto fissandolo con i suoi occhioni verdi.
-Ehm…è una storia lunga. Diciamo solo che lui è il mio fidanzato o il mio ex, non lo so più…io sono diventato paparazzo solo per lui.- i suoi occhi si velarono di tristezza.
-Mi dispiace…ma, se posso…com’è successo?- chiese Alfred. Non sapeva proprio farsi gli affari suoi, doveva sapere! Non aveva mai sentito di una storia tra gay, o almeno non se n’era mai interessato. Lui era un più un tipo da una botta e via. Alfred si considerava un eroe e un eroe non ha punti deboli, come l'amore ad esempio.


-Ma che fastidio questo rumore!-

-Beh…siamo amici fin da quando eravamo bambini e due anni fa ci siamo resi conto di amarci ma, lui ha fatto successo con la sua band e noi due non potevamo più vederci. Sai loro giravano per l’Europa continuamente per dare concerti o interviste televisive. Così sono diventato paparazzo per stargli vicino ma, non mi sembra molto contento. Non so più niente! So solo che è stata sua l’idea di fare un tour oltreoceano! Per stare lontano da me, ecco cosa. Ma io lo amo! Non posso farci niente! Non riesco proprio a vivere senza vederlo…- Alfred si rese conto di aver toccato un argomento troppo delicato, troppo tardi ovviamente. L’altro stava per scappare via in lacrime quando l’americano gli cinse le spalle con un braccio.
-E allora fino a sta sera divertiamoci! Dimenticati della realtà e lasciati andare! Hahahaha! Conosco un bar favoloso!-
-Grazie Al. Ho bisogno di dimenticare!-

 
-Ma perché mi fischiano le orecchie in questo modo?!-
-Lovino, calmati! Qualcuno ti sta pensando.-
-Appena rivedrò quel mangia pomodori gliela farò pagare!-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Green Eyes ***


Ed eccomi pronta con il secondo capitolo! Ed ecco a voi un po’ di USUK, ma giusto un pizzico per incuriosirvi ;) Per le altre coppie… don’t worry ragazze arriveranno e anche presto :D
Ogni tanto aggiungerò pezzi di canzoni di vari gruppi per darvi un idea su i pezzi che fanno i Perfect Maker :)
Vabbè non vi rompo più, Buona Lettura^^

 

Green Eyes
 



-Ragazzi, che casino! Ma siete sempre così allegri qui in America?- chiese  ancora Antonio troppo suggestionato da quello che aveva visto. Gente che beveva alle cinque del pomeriggio, gare a chi si faceva più male addosso al muro e ovviamente l’angolo dei più depressi di un sassolino di fiume.
-Of Course! Qua ci godiamo la vita caro mio!- l’americano sospirò. Aveva una tale confusione in testa! Forse aveva esagerato un po’ con la birra. Ma era certo di dimenticarsi qualcosa…
-Antonio…per caso hai l’ora?- l’altro annui stupito da quella domanda improvvisa.
-6:55-
-Mi sto dimenticando qualcosa…ne sono sicuro! Ma non ricordo cosa!- Alfred si passò una mano tra i capelli cercando di ricordarsi.
I due si guardarono negli occhi.
-Oddio! Il concerto è tra cinque minuti!!-
-Oh, shit!-
 
-Ragazzi il concerto è tra cinque minuti! Perché ve ne state ancora qui in camerino?!- Matthew era nervoso come al solito.
-Bisogna far aspettare il pubblico un pochino! Quante volte te l’abbiamo ripetuta questa storia?- Feliciano sorrise benevolo.
-Si ma…- I quattro seduti sul divanetto gli rivolsero uno sguardo del tipo “ancora questa storia? Zitto e siediti!”
Il canadese fece un sospiro profondo, poi si sedette anche lui.
 
-Hey, ci sono ancora posti per il concerto?- Alfred pronunciò quelle parole sull’orlo di morte. Aveva corso per mezza città per arrivare in orario a quel concerto!
-Biglietti?- Un omaccione si affiancò a quello a cui avevano chiesto. Possibile che facciano tutte quelle storie per un misero gruppetto di europei?
Antonio prese i biglietti e glieli porse. L’altro sorrise.
-Siete arrivati troppo tardi i vostri posti sono già stati assegnati. Però visto che avete pagato il biglietto potete rimanere in piedi, in fondo al teatro. Antonio si rattristò. Alfred immaginò volesse farsi vedere da Lovino e non ci sarebbe riuscito. Per colpa sua. Ovviamente.
-Scusami Antonio.- lo spagnolo gli rivolse un sorriso forzato.
-Fa niente. Se restiamo in piedi riesco a vederlo comunque…anche se lui non ci riuscirà.-
 
Love, give me love, give me love (amore, dammi amore, dammi amore)
I don’t need it (non ne ho bisogno)
But I’ll take what I want from your heart (ma prenderò ciò che voglio dal tuo cuore)
And I’ll keep it in a bag, in a box (e lo terrò in uno zaino, in una scatola)
Put an X on the floor (metti una X per terra)
Give me more! ( dammi di più!)
Shut up and sing it with me (zitto e canta con me)
                                                         (cit. My Chemical Romance “Na, na, na”)
 

 
Che egocentrici! Fu il primo pensiero di Alfred. Ma erano orecchiabili. Questo si.
-Antonio! Qual è Lovino?- Era proprio curioso di vedere chi fosse questo “ammaliatore”. L’amico gli indicò un ragazzetto che suonava la chitarra e faceva da seconda voce.
Aveva anche lui degli occhi verdi ma, erano di una tonalità più scura rispetto a quelli di Antonio. I capelli erano di un castano intenso ed era vestito con abiti quasi punk: pantaloni neri a vita molto bassa, una catena che non poteva mancare e una felpa a quadri bianchi e neri. Sembrava tutto il contrario dello spagnolo! Si voltò verso l’amico che stava fissando “il suo Lovi” come una di quelle tante fangirl in calore che riempivano il teatro.
Sospirò. Poi si mise a studiare ogni singolo componente della band.
C’era una ragazza alla batteria con lunghi capelli castano chiaro raccolti in una morbida coda, un ragazzo che assomigliava stranamente a Lovino e poi c'era il tastierista che sembrava la fotocopia dell'americano! Incredibile! Se non avesse avuto i capelli lunghi sarebbe stato un suo clone. Clone? Sarebbe stata un film molto bello “Io e il mio clone!”
E poi…poi…c’era il chitarrista solista, c’era il chitarrista solista che aveva delle mani fantastiche. Lo osservò attentamente e in lui trovò qualcosa di familiare. Aveva dei capelli biondissimi e completamente in disordine, una camicia bianca e sopra una specie di  gilet nero. Aveva gli stessi pantaloni di Lovino ed era magrolino. Ma cosa mangiava?
Non appena quest’ultimo finì l’assolo alzò lo sguardo verso il suo pubblico e quello che vide Alfred gli mozzò il fiato in gola. Due smeraldi. Due intensi smeraldi. L'americano sgranò gli occhi. Era veramente possibile avere delle iridi di quel colore? Aveva uno sguardo così vivo ma allo stesso tempo così freddo. Non appena il chitarrista passò in rassegna la parte di teatro in cui c’era Alfred, quest’ultimo si abbassò e si nascose dietro qualche fangirl impazzita arrossendo senza ritegno. Solo dopo qualche secondo il biondo si accorse della cazzata che aveva fatto. Non era più un bambino! Si sistemò gli occhiali sul naso e con un breve colpo di tosse risollevò la testa.
E lui era ancora li che lo guardava con quei suoi occhi penetranti. Alfred fu tentato di abbassare ancora lo sguardo ma, si trattenne.
-Antonio! Ma come facciamo adesso? Siamo troppo lontani per scattare delle foto!- urlò l’americano dopo qualche minuti dal loro arrivo.
-Ah, chico*, noi ci imbuchiamo al dopo concerto! Che pensavi?- lo spagnolo fece un ghigno divertito pieno di sottointesi.
Alfred aveva la sgradevole sensazione che avrebbero lavorato per tutta la notte.
 
To Be Continued ;p
*chico: ragazzo

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ti Odio! ***


Prima di tutto è mio dovere ringraziare Becky97, Shaya21 e Kixiu_ che hanno recensito la fic fino ad ora :) Thank you!
E ora…posso avvisare le fan di Spamano che ci siamo. Finalmente sono arrivati anche Antonio e Lovino quindi con questo capitolo sfogatevi! xD Non dico altro ;)
Buona Lettura^^

 
 
Ti odio!
 
 
Il tempo era volato e la fine del concerto arrivò in un batter d’occhio. Come sempre. E come sempre quel così tanto timido di Feliciano si era montato la testa e aveva conquistato tutto il pubblico. Ma quello che Lovino odiava, come sempre, era il dopo concerto. O meglio, il percorso del suo gruppo dal palco scenico alla macchina. Non immaginava che, anche in America ci fossero così tante fan assatanate!
Dire che in quel momento era compresso nella folla era dire poco. Non si sentiva più le braccia per i continui spintoni e le orecchie per quei gridolini. Ma perché dovevano fare quella voce così dannatamente stridula?!
-Lovi! Tesoro mi fai l’autografo? <3-
-Anche a me! <3-
-Si, per favore a me! <3-
-A me per prima! <3-
-No a me! <3- e continuavano così per ore, a litigare,  senza concludere niente.
L’unica consolazione era che tutti i suoi compagni si ritrovavano nella sua stessa situazione. Pure quell’acida di Elizabeta.
-Loviiiiii <3- tutte le ragazze si erano coalizzate contro di lui, evidentemente, perché lo stavano accerchiando. Sospirò domandandosi perché ogni volta finisse così. Cominciò a correre, non sapeva nemmeno lui per dove bastava scappare da quelle arpie! Non conosceva niente di quella città e ad un certo punto quando si trovò ad un bivio rimase indeciso. Andare a destra o a sinistra? Si voltò e le vide dannatamente vicine. Non ce l’avrebbe fatta a scappare ancora per molto. Gli serviva un piano. Ma che piano?! Non era mai stato capace di elaborare un  piano. Nemmeno con l’aiuto di suo fratello! I suoi ragionamenti furono bloccati da una mano che lo afferrò per un polso trascinandolo in un lurido vicolo. Nel giro di due secondi si trovò tra le braccia della persona che l’aveva “salvato” vedendo le fan sfrecciare oltre la stradina.
-Grazie amico per avermi slavato da quelle! Ti devo un f…- le parole gli si mozzarono in gola non appena vide la persona che l’aveva salvato.
-Me ne devi molti di favori, Lovi!- I loro occhi si incontrarono mentre Antonio faceva un sorrisetto ebete. L’altro si staccò di colpo allontanandosi di qualche metro.
-Che cazzo fai qui, Antonio?!- urlò senza badare al linguaggio. Lo sguardo dell’italiano non era arrabbiato e nemmeno il suo tono di voce lo era. Voleva solo sembrarlo.
-E me lo chiedi anche?- Antonio si avvicinò ma non osò sfiorare l’altro.
-Quando ti dissi che ti avrei seguito ovunque non stavo scherzando.- lo spagnolo si fece stranamente serio.
-Idiota. Non devi più seguirmi hai capito?- Lovino evitò il suo sguardo fissando l’asfalto sporco.
-No. Lovino vuoi capire che io ti amo? Vuoi capire che ti seguirei perfino all’Inferno per stare con te?!- l’italiano sussultò nel sentire quelle parole.
-Idiota! Vuoi andartene?- la voce del castano si stava affievolendo. Non sarebbe durato a lungo in quella situazione.
-Io non me ne vado. Adesso e per sempre.- Lo afferrò per le braccia costringendolo a guardarlo.
-Ma perché non riesci a capire?! Vai via da qui!-
-Dimmi che cosa c’è che non va! Dimmi perché mi rifiuti così! Non vedi come sono ridotto? Ho speso tutti i miei risparmi per seguirti. Che ho sbagliato?- Lovino lo guardò da capo a piedi e in effetti notò che era dimagrito molto da quando l’aveva visto l’ultima volta.
-Tu non hai sbagliato niente, Antonio.-
-E allora che cos’hai?-
-Ho paura.- Lo spagnolo allentò la presa sulle spalle di Lovino restando letteralmente a bocca aperta. Non aveva mai sentito dire “ho paura” da parte sua.
Lovino evitò di nuovo il suo sguardo.
-E’ inutile che tu mi guardi così! Togliti quell’espressione da scemo, hai sentito bene si, ho paura, ok? Ho paura che tu possa soffrire per colpa mia. Non posso stare molto vicino a te perché devo andare continuamente in tour con gli altri e lo sai anche tu che le relazioni a distanza non funzionano! Quindi è meglio per tutti e due se ci…-
-Non dirlo.- Lovino alzò di scatto lo sguardo verso lo spagnolo prima che l’altro lo stringesse a sé.
-Antonio! Idiota! Lo vuoi capire che ci facciamo solo del male così? Lo so che soffriremo ancora di più così ma, piano piano passerà. E lasciami andare! Li odio gli abbracci sdolcinati come i tuoi!- Lovino cercò di dimenarsi ma, la stretta dell’altro era forte così appoggiò la testa sulla spalla dell’altro.
-Anche se tu mi molli io continuerò a seguirti come uno stalker. Ti amo troppo per lasciarti andare via così.-
-Idiota! Ti odio quando fai così: perché non mi ascolti mai e mi fai sentire come se fossi l’aria che devi respirare per vivere!- alzò la testa per vedere la reazione dell’altro.
-Tu sei la mia aria, Lovi.- lo spagnolo si sporse in avanti e baciò l’italiano. Lo baciò a fior di labbra giusto per attirare l’altro che non aspetto molto prima di ricambiare. Si staccarono solo un secondo per poi riprendere a baciarsi con più foga. Le loro lingue entrarono in contatto quasi subito ed iniziarono ad intrecciarsi proprio come se stessero eseguendo una danza. I loro corpi si avvicinarono, ancora, fino ad aderire, per approfondire quel bacio tanto aspettato. Dopo qualche secondo si staccarono per riprendere fiato.
-Mi hai fatto aspettare così tanto per questo bacio…- sussurrò Antonio pulendo il più piccolo dal filo di saliva che gli  gocciolava dal mento.
-…che ne dici se continuiamo da un’altra parte?- propose lo spagnolo con un sorriso malizioso.
-Sei proprio un porco, Antonio!- disse Lovino con un tono tra l’irritato e l’eccitato. Poi, mano nella mano, si diressero verso l’albergo più vicino.
 

-Ti amo, Lovi.- sbottò Antonio davanti alla stanza che avevano prenotato. Lovino non rispose ma, appena entrarono lo buttò sul letto e avventandosi sulle sue labbra.
-Io invece ti odio! Idiota…!-

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Gara? ***


Ok, non so come mi sia venuta in mente quest’idea ma, l’ho trovata adatta ad Alfred e ad Arthur. Quindi spero vi faccia divertire xD
Non dico altro, Buona lettura :)

 

Gara?
 

Antonio aveva abbandonato Alfred al suo destino con un -vado a riprendermelo- e lui non sapeva nemmeno dove andare per il dopo concerto! Non voleva farsi licenziare anche da un lavoro così semplice!
Non appena riuscì ad uscire dal Teatro vide un’enorme massa di gente e ne dedusse che i “Perfect Maker” fossero in mezzo a quel casino. Si fece largo tra mille ragazze scalpitanti, non sapeva come facessero  a stare tutte così appiccicate. Aveva completamente perso la cognizione del tempo, quando, finalmente, arrivò alla macchina della Band. Si concesse un sospiro, era stato veramente un’impresa arrivare fino a lì. Stava per intercettare quelli in macchina quando quest’ultima, sgommando, cominciò a sfrecciare per le strade di San Francisco. La folla si dileguò capendo che il concerto era finito.
-Fuck off!- cominciò a correre dietro all’auto. Ma, molto presto si accorse che sebbene fosse un eroe non riusciva a tenere testa al mezzo. Si guardò intorno e finalmente trovò una via d’uscita: una bicicletta! Ci stava salendo una ragazzina che veniva dal concerto ma, l’americano la bloccò.
-Ehi senti mi presti la bici? Te la riporterò, giuro!- la ragazza si voltò e non appena incrociò lo sguardo di Alfred arrossì.
-Per un ragazzo come te, va bene- sorrise timidamente. Non era nemmeno una brutta ragazza ma, non era il momento giusto per flirtare con qualcuno.
-Te la riposrto qui domani pomeriggio. Grazie ancora!- con quelle ultime parole il biondo ripartì all’inseguimento.
 

Come festa post-concerto era veramente triste, pensò Alfred. I componenti della Band si erano imbucati in un bar fuori città in modo che nessuno li riconoscesse. Volevano stare tranquilli e questo l’americano proprio non lo capiva…
Rimase qualche minuto fuori dal locale per riprendersi dalla corsa in bici. Si passò una mano sulla fronte sudata e solo quando fu davanti alla porta del bar gli sorsero mille dubbi. Cosa sarebbe successo se l’avessero riconosciuto? Come faceva a scattare le foto?! Non sapeva niente di quel lavoro! Ma perché Antonio l’aveva piantato in asso?!? Sospirò un paio di volte e poi si fece coraggio. In fondo, era o non era un eroe?
Spalancò la porta sperando che ci fosse una gran festa ma quello che vide fu ancora più triste. Ognuno dei componenti della Band era seduto ad un tavolo diverso e ognuno faceva qualcosa di diverso o parlava con qualcun altro. Tutti a parte uno che se ne stava in disparte a bere chissà cosa. Tutti tranne Mr. Occhioni Verdi!
Che infinita tristezza…
Doveva mettere un po’ più di allegria!
Si avvicinò al tavolo del chitarrista e gli si parò davanti.
-Ehi, vecchietto è tua la macchina che c’è qua davanti?- Alfred non aveva idea di come gli fossero venute in mente certe parole! Vecchietto? Avrà avuto al massimo due anni in più di lui. L’americano si maledisse tra se e se, già per come aveva cominciato la conversazione.
Occhioni Verdi alzò lo sguardo su di Alfred squadrandolo da cima a fondo.
-Non mi conosci nemmeno, come ti permetti di darmi del “tu”, wanker?- l’americano si morse un labbro, era incappato in un inglese!
-Ah, scusa. Io sono Alfred, tu?- l’americano fece uno dei sorrisi più ebeti che conoscesse. L’inglese assunse un’espressione irritata ma, dopo qualche secondo rispose.
-Arthur.-
-Ah! Artie!-
-Odio le abbreviazioni.-
-Che nome strano! Sei inglese per caso?-
-si.-
-Che bevi Iggy?- l’inglese era abbastanza irritato dall’impertinenza di quel tipo. Ma come si permetteva? Se non fosse stato per quegli occhioni da cucciolo l’avrebbe già spedito fuori dal locale a calci in culo.
-Non sono affari tuoi yankee.-
-Eddai Artie! Cos’è quella roba? Puzza un casino!-
-Non è “roba” per i bambini come te.- Arthur sorrise divertito, ora la discussione si faceva interessante.
-Io non sono un bambino!- l’americano mise il broncio. Quell’Iggy lo irritava da morire.
-Ah, non sei un bambino? E allora perché prima al concerto quando ti ho guardato sei arrossito e ti sei nascosto dietro alle ragazze?- Alfred diventò bordeaux. Come cazzo aveva fatto a vederlo da così lontano?! Che figura di m…
-Mi era caduto il cellulare…- cercò di giustificarsi.
-Questo non spiega il perché del tuo rossore.- Arthur ghignò vedendo l’altro in cerca di una scusa plausibile. Alfred si grattò la testa, stava facendo una doppia figura di merda! Si zittì per qualche secondo poi si illuminò. Prese in mano la bottiglia contenente la bevanda che stava sorseggiando l’inglese e lesse l’etichetta.
-Barista? Mi può passare due bottiglie di Rum, per favore?- in un secondo, il tavolino che condividevano i due ragazzi venne occupato da due bottiglie di Rum.
-Io non sono un bambino e per dimostrartelo faremo una gara di bevute. Chi si ubriaca per primo perde e quello che vince deve stabilire una punizione da dare al perdente. Testimoni siete tutti voi, ok?- Alfred urlò a tutto il bar il loro accordo e Arthur non poté fare a meno di stupirsi al suo comportamento. Lo yankee gli porse la mano e l’inglese la strinse volentieri. Sarebbe stato bello trovare una punizione per quello sfacciato di un americano.
-Hai proprio voglia di perdere sta sera, eh, yankee?- ghignò l’inglese.
-Io sono un eroe e gli eroi non perdono mai mio caro Iggy!- ribatté Alfred.
Vi fu ancora uno scambio di sguardi infuocati, poi la gara ebbe inizio.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Call me maybe ***


Il titolo è preso dalla canzone di Carly Rae Jepsen “Call me meybe” ma, in realtà, non centra niente xD Ebbene, siamo arrivati anche alla GerIta! E’ appena accennato ma, da adesso in poi si parlerà  spesso anche di loro ;) Per le prossime coppie dovrete aspettare ancora, sorry ^^”
Buona Lettura :)

 

CALL ME MAYBE
 


Il telefono di Antonio squillò improvvisamente.
Lo spagnolo sbadigliò assonato, poi, scostando delicatamente Lovino, afferrò il cellulare. Era Ludwig. Che voleva a quell’ora del mattino? Erano le cinque e mezza!
-Pronto?- disse Antonio con la voce ancora impastata dal sonno.
-Antonio! Dov’è Alfred? E’ da un quarto d’ora che tento di contattarlo ma, non mi risponde! E’ li con te?- il castano si guardò intorno e quello che vide fu soltanto un Lovino mezzo nudo e i resti di una serata infuocata. Ma, di Alfred nemmeno l’ombra.
-Ehm…no non è qui. Non so proprio dove sia…ma…? Aspetta un attimo per favore.- Antonio appoggiò il cellulare sul comodino per poi tentare di svegliare Lovino. Aveva detto ad Alfred di andare al dopo concerto quindi, doveva essere con la band.
-Mmh…Che cazzo vuoi mangia pomodori?! Ho sonno!!-
-Lovi! Dov’era il vostro dopo concerto?- l’italiano lo fissò storto e lo spagnolo per poco non svenne. Ma quanto carino era il suo Lovi?
-E’ all’Anchor Bar. Mi sembra…- disse l’altro con un’espressione pensierosa sul volto.
-Lud, penso che sia al Anchor Bar. Ora gradirei dormire quindi passo e chiudo.- Antonio pigiò il pulsantino rosso e interruppe la conversazione senza fregarsene di quello che pensasse l’altro.
-Chi era quel folgorato che chiama a quest’ora?!- disse l’italiano irritato mentre si accoccolava sul petto nudo dello spagnolo.
-Bah, un collega di lavoro.- rispose Antonio con noncuranza mentre accarezzava i capelli all’altro.
-Un collega? Com’è questo collega?-chiese Lovino quasi allarmato.
-Biondo, occhi azzurri e robusto.- Lovino si irrigidì.
-E tu lo consideri carino?- il suo tono sembrava imbronciato.
-Beh…ma non è che sei geloso vero?-
-Figurati! Io geloso? Di te poi…!- sbuffò l’italiano fingendo una noncuranza.
Antonio prese il mento del ragazzo tra l’indice e il medio e lo sollevò fino a baciare le labbra morbide dell’italiano.
-Perché io sarei molto molto geloso!- sussurrò infine lo spagnolo all’orecchio dell’altro.
-Idiota! Così mi fai il solletico!-
 
-Anchor Bar, Anchor Bar…- Ormai era da venti minuti che Ludwig si faceva avanti indietro per la strada alla ricerca di quel dannato bar! Diede l’ennesimo sguardo alla cartina e infine, si ritrovò davanti ad un insulso baretto appena fuori San Francisco. Lo sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di Alfred! Sospirò, poi, con passo leggermente incerto entrò nel locale.
Un tanfo di fumo misto a vomito arrivò al naso del tedesco che si portò il dorso della mano al naso. Da quanto buio era non si vedeva molto bene ma, quello che Ludwig riuscì a scorgere per certo, era la risata di Alfred. Si fece strada tra i tavolini fino ad arrivare all’americano. Se ne stava seduto con un biondino e se la ridevano tutti e due.
-Alfred?!- All’interno del bar calò il silenzio. L’americano si voltò.
-Ehi Lud!! Cosa ci fai qui? *hic* Vuoi un po’ di rum anche tu? *hic* Questa roba è micidiale!*hic*- disse il biondo chiaramente ubriaco.
-Hai bevuto?! Ti ricordo che tu dovresti lavorare al posto di stare qui a divertirti con i tuoi amichetti!- Il tedesco era infuriato. Ma chi gliel’aveva fatto fare? Perché aveva dato il posto ad uno così irresponsabile?!
-Forza, alzati e andiamo via da qui.- sospirò Ludwig portandosi una mano tra i capelli e scompigliandoli leggermente. L’americano stava per alzarsi quando il biondino che era seduto con lui gli prese un polso.
-Eh no! Lui non se ne va via così facilmente!- disse con un tono infantile.
-Come, scusi?- questa era nuova. Era un amico di Alfred questo qua?!
-Ho detto che deve rimanere qua. Io e lui abbiamo fatto una scommessa e lui ha perso. Quindi ora devo decidere una punizione da dargli.- l’inglese incrociò le braccia al petto. Ludwig guardò l’americano che fece spallucce come se lui non ne sapesse niente. Il tedesco sospirò per l’ennesima volta.
-Non se ne parla! Non me ne frega niente delle vostre cavolate. Lui ora deve andare a lavorare.- Ludwig afferrò Alfred per un braccio e fece per uscire quando un ragazzo gli si parò davanti. Aveva dei cappelli castani con un buffo ricciolo che gli sporgeva a destra. Il ragazzo gli sorrise e si appoggiò al petto del tedesco.
-Ma dai, resta con noi.- Ludwig arrossì involontariamente e l’altro gli sorrise dolcemente.
-Ma…I-io n-non…- il castano cominciò a disegnare dei cerchietti sul petto del tedesco con l’indice.
-Per favore!!- Ma che faceva quel ragazzo attaccato a lui?! Nemmeno lo conosceva! E in più il cervello di Ludwig era completamente andato in pappa.
-Feli lascia stare il signore. Va di fretta.- il tedesco ringraziò l’inglese per averlo tolto da quella situazione imbarazzante. Feliciano sbuffò ma prima di scostarsi del tutto dal tedesco gli infilò un pezzetto di carta nel taschino.
-Chiamami.- disse l’italiano prima di tornare da dov’era venuto. Ludwig rimase a bocca aperta per lo stupore ma non riuscì a ribattere perché l’inglese lo precedette.
-Di ad Alfred, appena si riprende dalla sbornia, che ho vinto io e la mia punizione è…- ci pensò un po’ su poi, i suoi occhi verdi si illuminarono.
- Dovrà fare da mio schiavetto personale per una settimana.- l’inglese si alzò dal tavolo e consegnò un secondo foglietto al tedesco.
-Digli di chiamare questo numero. Se non lo farà sta pur certo che lo troverò.- un ghigno dipinse il volto del biondo prima che Ludwig e Alfred uscissero terrorizzati dal locale.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il barista ***


Si, lo so sono in ritardo, e mi scuso ma, ho avuto una settimana impegnata. Scusteeeeeee!! Comunque, tornando a cose serie, questo capitolo è abbastanza tranquillo, Arthur mostrerà il suo lato gentleman e… niente spoiler. xD
Buona lettura!^^

 

IL BARISTA
 
 


Alfred aprì gli occhi a fatica. I raggi del sole lo accecavano e le palpebre erano incredibilmente pesanti. Chiuse gli occhi e cercò di mettersi a sedere ma una forte emicrania glielo impedì. Ma che era successo ieri? Si passò una mano sulla faccia sbadigliando. Poi  i ricordi del giorno prima gli affollarono la mente. Un lavoro, Antonio, la sua storia strappalacrime, il concerto, la band, lui, il bar e… e la scommessa! La scommessa!!! Si alzò di scatto cercando di non cadere e si guardò intorno. Non era a casa sua. Dov’era? La stanza era umile: un letto, una scrivania e una piccola finestrella. Aprì la porta e un odore di crauti lo investì. Doveva essere da Ludwig. Seguì l’odore ed arrivò in cucina dove il tedesco occhialuto con una tazza di caffè lo aspettava. Il tedesco alzò la testa dalla bevanda scura e lo fissò impassibile come se in realtà non fosse li.
-Lo chiamo o non lo chiamo…?- disse soltanto Ludwig. Alfred rimase perplesso. Si aspettava un “vuoi una tazza di caffè?” o meglio una spiegazione del perché si trovasse in quel luogo.
-Cosa?- domandò Alfred allibito. Il tedesco parve riscuotersi da un sogno ad occhi aperti.
-Ah, Alfred. Dimmi cosa devo fare con te?- l’americano guardò l’altro storto. Non ci stava capendo molto di quel discorso.
-Ti sei imbucato in un bar e hai fatto una scommessa. Ricordi?- Ludwig estrasse un foglietto da una tasca e lo fece scivolare lungo il tavolo.
-Hai perso e ti sei ubriacato. Ora devi chiamarlo.- Alfred spalancò la bocca. Ecco cos’era tutto quel casino che aveva in testa! Si era ubriacato di brutto!! Ma, soprattutto… aveva perso contro Arthur!
-Come “ho perso”? Che cos’è successo?!- urlò con voce stridula.
-E’ successo che sono venuto a cercarti alle cinque di mattina e ti ho ritrovato ubriaco in un bar di alcolisti! Dovevi lavorare! Ma che ti frulla in testa?- Sbraitò il tedesco. In effetti, nemmeno Alfred capiva cosa gli frullava in testa certe volte. L’americano si sedette davanti a Ludwig, e senza troppi problemi, bevve un sorso di caffè dalla tazza del biondo che gliela sfilò di mano con un “è mia!”. Il biondo a questo punto prese il foglietto.
“34**********(dovevo mascherarlo il numero xD) The British win.”  Alfred ringhiò contrariato. Aveva perso contro un Iggy! Ma soprattutto contro uno come lui! Questo gli rodeva un sacco. Ma quello che più lo inquietava era cosa gli avrebbe fatto fare Arthur! I pensieri dell’americano furono interrotti quando Ludwig si alzò dalla sedia per posare la tazza vuota dentro al lavandino.
-Senti, ne ho parlato con Francis e lui mi ha consigliato di abbassarti la paga. Se vuoi continuare a pagarti l’affitto ti devi trovare un altro lavoro.- sussurrò il biondo.
-Come?! Non posso trovarmi altri lavori! Mi licenzieranno, Lud! E’ successo solo una volta, non vedo perché dovrebbe succedere ancora!- cercò di giustificarsi Alfred.
-Perché so come sei fatto! Ti conosco! E non mi posso fidare di uno come te!- concluse Ludwig afferrando la giacca.
-Vai a casa, fai una bella colazione e vatti a cercare un lavoro.- disse il tedesco prima di chiudersi la porta alle spalle.
 
Ah, fanculo al mondo! Ma perché doveva essere sempre così stupido? Perché il primo Iggy che trovava lo fregava mettendolo nei casini? E perché un suo vecchio amico, che dovrebbe sostenerlo, gli dimezza lo stipendio?! Alfred sospirò. Era già il terzo buco nell’acqua che faceva quella mattina. L’avevano rifiutato in pizzeria, l’avevano rifiutato al super market e l’avevano rifiutato pure come fattorino. Stava per prendere la metropolitana e ritornarsene a casa rassegnato, quando vide un volantino colorato appiccicato ad un lampione. Si avvicinò e strabuzzò gli occhi. Cercavano un barista/cameriere ad un bar nel entro di San Francisco! Prese il foglietto e corse verso la direzione del bar.
 
Non appena entrato al “Raven Bar” Alfred rimase letteralmente senza parole. Avevano conciliato eleganza e aggressività in un mix perfetto. L’esterno era variopinto mentre l’interno era interamente di legno. Il bancone dove si servivano i drink era di un materiale scuro mentre gli scaffali dov’erano collocate le bevande erano illuminati da una luce verde. In più il viavai delle persone era accompagnata da una musica Alternative Rock spettacolare. Alfred si avvicinò al bancone e ad accoglierlo era un ragazzo della sua età.
-Ehi, che ti porto, amico?- esclamò il ragazzo con un lieve accento tedesco. Solo in quel momento Alfred si rese conto che assomigliava terribilmente a Ludwig! Aveva dei capelli talmente chiari da sembrare quasi bianchi e degli color cremisi.
-Sono Alfred F. Jones e quando ho visto il vostro volantino mi sono precipitato qui per vedere se c’è ancora un posto libero.- l’americano gli porse il volantino.
-Oh! Perfetto! Sei giusto in tempo! Io sono Gilbert Beilschmidt e sono il vice capo.- il ragazzo sorrise al nuovo arrivato.
-Fiuu! Quindi sono assunto?- chiese al settimo cielo Alfred.
-Mh, si mi sembri uno a posto. Cominci sta sera.-
 
Perfetto, ora aveva un posto assicurato! E non se lo sarebbe fatto scappare per niente al mondo. Qualcosa gli volò via dalla tasca e si appoggiò sul cemento del marciapiede. Alfred fece dietro front per vedere cos’era e impallidì all’istante. Non aveva ancora chiamato l’Iggy! Prese il foglietto e compose il numero sul cellulare. Attese qualche secondo prima che quella vocina irritante gli rispondesse con un “Pronto?”.
-Sono Alfred.- disse soltanto.
-Oh! Yankee! Ma che piacere sentire la tua vocina da eroe! Sapevo che da bravo bambino mi avresti chiamato. Come va il mal di testa?- disse sarcastico l’inglese.
-Pffh, fai meno il simpaticone e arriva al punto.- tagliò corto l’americano.
-Ma che fretta! La sconfitta brucia, eh, yankee? Well, per questa volta farò come vuoi tu. Dovrai fare tutto quello che voglio per una settimana intera, questa è la tua punizione.- l’americano rimase senza parole.
-I-io cosa dovrei fare?- esclamò tra il terrorizzato e l’arrabbiato.
-Hai capito bene, Alfred. Ti voglio qui sta sera.-
-Sta sera lavoro! Non posso!-
Ci fu qualche istante di silenzio poi, l’inglese sospirò.
-Allora, da bravo Gentleman quale sono, verrò io da te ma, appena finisci sei mio.- ghignò l’inglese.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Videogames! ***


Ed eccomi con un nuovo capitolo! Devo dire che questo capitolo mi è sembrato abbastanza inutile ma, devo far conoscere i personaggi e questo genere di cose sono inevitabili u.u Spero vi piaccia lo stesso ;)
Buona Lettura ^^



VIDEOGAMES!
 
 


-Arthur! Chi era?- l’inglese ripose il cellulare in tasca e si diresse in salotto dove c’erano tutti gli altri.
-Era quello di ieri sera.- sghignazzò Arthur.
-Alla fine ha chiamato, eh?- sorrise Elizabeta maliziosa.
-Che ha detto?!- domandò Feliciano curioso.
-Bah, cosa volete che abbia detto? E’ troppo “hero” per ammettere la sconfitta. Però, sta sera andiamo al suo bar. Ha detto che è in centro si chiama Raven Bar...- disse l’inglese con noncuranza.
-E ci sarà anche il suo amico?- chiese ancora l’italiano.
-Quale?-
-Quel biondo che l’ha portato via!- Feliciano fece l’occhiolino.
-Ah, non lo so… non penso che uno come lui lavori con Alfred in un bar.- disse acido il biondo.
-Non mi ha ancora chiamato…- l’italiano si incupì.
-Beh, potrei ordinargli di invitare anche quello li…lui è il mio schiavetto in fondo!- disse fin troppo gentilmente Arthur. Feliciano lo osservò storto.
-No tranquillo non sto facendo un piacere a te, voglio solo umiliare lo yankee.- ghignò il gelido inglese.
-Sei peggio del mal di stomaco, Arthur!- gli gridò in contro Elizabeta. L’altro la fulminò con lo sguardo.
-Intanto io comando una persona! Tu invece?- La ragazza rimase per un po’ in silenzio e Arthur sorrise trionfante. Mattew sospirò: erano sempre alle solite!
-Io lavoro più sull’onestà.- sbuffò la ragazza.
-Vuoi dire che io non son- non riuscì a terminare la frase che qualcuno aprì la porta della casa. Tutti si zittirono poi, un Lovino con due occhiaie più grandi della faccia e bianco cadavere spuntò in salotto.
-Lovi! Che è successo?!- domandò Feliciano preoccupato.
-Ah, te lo dico io cos’è successo! Questo qui si è divertito per tutta la notte!- disse Arthur incrociando le braccia al petto. Si voltarono tutti verso l’ultimo arrivato in attesa di una risposta.
-E’ inutile che mi guardate così. Non è successo proprio niente.- un sorrisetto gli ricoprì la faccia.
-Quel sorriso direbbe il contrario.- lo apostrofò l’ungherese.
-Non posso più sorridere adesso?- sospirò l’italiano gettandosi sul divano vicino ad Arthur. L’inglese lo fissò da capo a piedi e si soffermò sul collo dove troneggiava una chiazza rossa.
-Ah! Guardate qui, chi ci ha dato dentro sta notte!- l’inglese indicò agli altri la macchia e Lovino diventò bordeaux. Il resto della band lo immobilizzò sul divano per scoprire eventuali segni della notte appena trascorsa. L’italiano si coprì con una mano il collo.
- Ok, ok lasciatemi in pace e io ve lo dirò!- gli altri lasciarono e Lovino si raddrizzò sbuffando.
-H-ho visto Antonio…- Gli altri rimasero senza parole.
-Antonio? Il tuo ex?- domandò Matthew improvvisamente interessato.
-Non è proprio il mio ex…-
-Ma se abbiamo lasciato l’Europa proprio per lui?!- disse Arthur sconvolto.
-Si ma…- Lovino cominciò a tormentarsi le mani.
-Da ieri sera…ho capito che non riuscirei a vivere senza di lui.- ammise l’italiano. All’interno della stanza tutti si addolcirono all’istante a parte uno: Arthur.
-Tsk, nessuno è indispensabile, Lovino.- concluse il biondo andando verso la finestra. In amore l’inglese aveva sofferto più di tutti loro, per questo si era chiuso così in se stesso.
-Non me ne frega niente se tu non hai trovato la persona di cui fidarti! Io l’ho trovata e me la terrò stretta.- il biondo non rispose poi, con passo veloce, uscì di casa.
 
 
-Antonio! Che fine avevi fatto?- chiese Alfred.
-Notte di fuoco.- sorrise il moro.
-Con quel Lovino?-
-Già, il mio Lovino!-
-Sai, non ti capisco proprio, come fai ad essere così attaccato ad una persona?- chiese l’americano quasi disgustato.
-Beh, es el amor! Vedrai, troverai anche te una persona che appena vedi ti riempie il cuore ti felicità.- Antonio sorrise sognante. Alfred lo guardò storto.
-Nah! Non fa per me! Hahahaha!-
-Ehi yankee, la tua risata si sente fino in Europa.- Alfred si voltò di scatto e quello che vide lo lasciò parecchio senza parole. Di fianco a lui c’era Arthur! Che ci faceva li? Era venuto a torturarlo?!
-Ma che bello rivederti Arthur!- disse Antonio sorridendo.
-Tsk, taci mangia pomodori.- ribatté acido l’inglese.
-Tu, schiavetto, portami in un pub!- sibilò il biondo all’americano.
-Beh, Antonio ci dobbiamo salutare il mio padroncino ha parlato.- il moro li fissò interrogativo ma, non osò fiatare.
 
-Come mai ti sei fatto vivo così presto? Non dovevi venire sta sera al bar?- chiese l’americano sorseggiando una coca cola.
-Taci. Le cose cambiano.- rispose Arthur tra un sorso di rum e l’altro.
-E’ successo qualcosa?- chiese Alfred vedendo l’espressione triste dell’altro.
-Mmh, niente che potrebbe interessare a te.- erano li da dieci minuti e si era già scolato una bottiglia di rum!
-Barista! Un’altra bottiglia di rum!- Alfred lo osservò finire anche la seconda bottiglia di rum cercando di capire cosa gli passasse per la testa a quel tipo così distaccato. Arthur stava per chiedere la terza bottiglia ma l’americano lo zittì.
-Ora basta.-
-Ehi, decido io quando è l’ora di smetterla! Barista…!-
-Smettila. Qualsiasi cosa ti sia successo bere non risolverà le cose.- Alfred lo fissò serio. Non sapeva perché si comportava così con lui ma, di sicuro non gli piaceva vedere le persone distruggersi da sole.
L’inglese si stupì della momentanea intelligenza dell’altro e si vergognò a morte per la figura che ci stava facendo. Si prese la testa tra le mani e cominciò a singhiozzare. Alfred rimase senza parole. Stava…piangendo? L’inglese freddo e insensibile stava…piangendo? Che specie di alieno era Arthur? Dopo qualche minuto che andava avanti così, l’americano, non sapeva che fare. Consolare la sua fonte di problemi oppure approfittare e scappare?
-Non credo che bere sia la soluzione giusta…di solito, io, quando devo scaricare, mi metto a giocare con i videogiochi.- scelse la terza opzione: i videogames risolvono tutto!
L’inglese rise impercettibilmente.
-Detesto quella roba, non faccio altro che imprecare contro il televisore…- tirò su col naso.
-Fidati! E’ meglio di una medicina!- Alfred si illuminò, poi, prese per il polso l’inglese.
-Visto che, in teoria, la scommessa inizia sta sera, per tutto il pomeriggio si fa a modo mio!- L’americano non sapeva di preciso perché si stesse comportando così. Forse era solo per guadagnarsi la benevolenza del suo “problema” o forse quel giorno si sentiva in versione assistente sociale. In qualsiasi caso si sarebbe divertito a vedere Arthur insultare la televisione!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Yes, my Lord~ ***


Che dire...non so come mi sia venuto in mente una cosa del genere. Mi stupisco di me stessa u.u Finalmente entra in scena anche UngheriaxPrussia! Spero vi piaccia questo mio strano schizzo xD
Buona Lettura :)



YES, MY LORD

 
 


-Arthur non risponde al cellulare e sono già le otto…- Elizabeta osservò l’orologio nervosa. Erano giusto davanti al Raven Bar ma, di Arthur nemmeno l’ombra.
-Lovino! Lo sai che è fatto così! Non dovevi dirgli quelle cose.- lo rimproverò l’ungherese. Lovino sbuffò.
-Ha cominciato lui…-
-Io provo ad andare dentro, magari è rimasto li tutto il pomeriggio.- provò ad ipotizzare la ragazza.
-voi provate a guardare qui in giro e se lo vedete, chiamatemi.- i ragazzi annuirono e si separarono per andare alla ricerca di Arthur.
La ragazza sospirò. Essere l’unica femmina del gruppo era un lavoro faticoso perché i suoi compagni litigavano continuamente. Non che lei non si divertisse a prenderli in giro ma, lei e Matthew dovevano sempre fare da mediatori. Pensava che con quel tour in America, si sarebbero avvicinati di più ma, rimaneva tutto uguale.
Elizabeta, ormai sola, attraverso la strada ma, il suo cammino fu interrotto dal clacson di una macchina. La ragazza era sicura che non stesse passando nessuno! L’auto era dannatamente vicina, non ce l’avrebbe mai fatta a sposarsi! L’unica cosa che riuscì a fare fu chiudere gli occhi. Che stupida!
Passarono lunghi secondi ma, al posto del freddo metallo della macchina, a prenderla furono due braccia forti.
-E guarda dove vai!- la ragazza riuscì a sentire solo la voce dell’autista che la rimproverava ma, ancora non aveva il coraggio di aprire gli occhi. Solo in quel momento si accorse di essere sopra una persona.
-Ehi, ragazzina, tutto bene?- Elizabeta aprì gli occhi di scatto e quello che vide le fece perdere un battito. Era tra le braccia di un ragazzo dagli occhi color cremisi. Solo dopo qualche secondo riuscì ad annuire.
-Bene, allora alzati che sei pesante.- sentenziò il ragazzo quasi irritato. L’ungherese parve svegliarsi da un lungo sonno e scattò in piedi.
-Nessuno ti ha chiesto di aiutarmi.- disse imbarazzata.
-Ah, scusami se ti ho appena salvato la vita!- ribatté l’altro pulendosi la polvere dai pantaloni.
-Potevo cavarmela benissimo da sola!- gridò a quel punto Elizabeta fulminando con lo sguardo una piccola folla troppo curiosa.
-Va bene! Scusa se ti ho salvata! Non accadrà mai più!- il ragazzo le diede le spalle per raccogliere i resti di quello che doveva essere una borsa della spesa.
-Adesso Kiku mi ammazza!- gridò disperato il ragazzo cercando sistemare dei cocci di bottiglia. Elizabeta si sentì terribilmente in colpa e affiancò il ragazzo per aiutarlo.
-Grazie…- mormorò pianissimo la castana sperando di non essere sentita. L’altro si bloccò. I loro sguardi si incrociarono per un istante.
-Era ora che me lo dicessi! Io sono Gilbert, tu?- il ragazzo le porse una mano sorridendo.
-Elizabeta.- sbuffò l’altra ma, mentre stava per stringerla, si accorse che l’altro aveva un lungo taglio sul palmo.
-Ma sei ferito!- esclamò l’ungherese. L’altro si guardò la mano e forzò un sorriso.
-Ah, sanguino…- Gilbert svenne.
 
-Those fucking monsters! Giuro che la prossima volta spacco la televisione!- Arthur si scroccò le nocche con rabbia. Alfred rise di gusto, non avrebbe mai voluto essere al posto di quei mostri!
-Hahaha! Sei proprio negato ad Halo!- Erano rimasti tutto il pomeriggio davanti alla televisione dell’americano a combattere contro strani mostri galattici. Arthur aveva rischiato, più di una volta, di scaraventare sul televisore, il joystick. In più, ogni volta che veniva ucciso, il che succedeva spesso, tirava fuori delle imprecazioni di cui Alfred ignorava totalmente l’esistenza. Quindi, l’americano era stato costretto a trascinare fuori da casa sua l’inglese che minacciava di fare un sortilegio al suo appartamento.
- Miravano solo me quei maledetti mostri!- disse Arthur offeso.
-Si, si, ce l’avevano tutti con te quei mostri…- concordò a quel punto Alfred pur di evitare altre maledizioni alla sua televisione.
Non appena entrarono nel bar rimasero entrambi in un silenzio tombale. C’erano due tavoli uniti sul lato destro del locale e sopra c’era sdraiato Gilbert! Ma quello che sconcerto entrambi, fu vedere Elizabeta che si stava prendendo cura di lui!
-Che è successo?!- Alfred si avvicinò al tedesco che era più bianco del solito.
-Si è spaventato del suo stesso sangue.- sbuffò la ragazza mentre bendava la mano del ragazzo. L’americano si passò una mano sulla faccia.
-E tu che ci fai qui Elizabeta?- disse Arthur avvicinandosi a sua volta. La ragazza arrossì impercettibilmente.
-M-mi ha salvato la vita…- sussurrò lei.
-Ti stavano per uccidere e lui ti ha salvata?!- Arthur per poco non scoppiò a ridere e l’ungherese lo fulminò con lo sguardo.
-Quanto ti diverti a sfottere le persone?- i due stavano per mettersi a litigare ma, Alfred li interruppe.
-E i clienti?- da una parte non ben definita del bar spuntò un altro ragazzo alquanto inquietante.
-Tu devi essere quello nuovo, vero?- Alfred annuì.
-Io sono Ivan e abbiamo chiuso momentaneamente il bar ma, appena si riprende si comincia a lavorare. Anche perché oggi c’è la serata a tema!- sorrise molto ambiguamente il nuovo arrivato.
-Che serata a tema? Gilbert non mi ha detto niente!- esclamò l’americano.
-Beh, sta sera ci vestiamo da aristocratici!-
Arthur non riuscì a trattenersi e cominciò a ridere senza freni ma, fu interrotto da un’occhiata spaventosa da parte di Alfred.
-Se provi a ridere di nuovo io ti..-
-Ragazzi si sta svegliando!- osservò Kiku, il proprietario del bar, appena arrivato.
-Ti è passata la paura del sangue?- sghignazzò la ragazza. Gilbert aprì gli occhi e li puntò su quelli dell’ungherese.
-Tu. Tu maledetta! Mi hai fatto sanguinare!! Io odio vedere sangue!- urlò l’albino sull’orlo di una crisi di panico. Il ragazzo si alzò di scatto e si diresse in uno stanzino del bar borbottando qualcosa di incomprensibile. Tutti i presenti rimasero in un silenzio attonito. Che strano ragazzo…
 
La serata procedette tranquillamente: i Perfect Maker si erano riuniti ad un tavolo e sembravano contenti mentre Gilbert si era ripreso alla grande. I clienti erano numerosi per via della serata a tema e tutto lo staff era travestito con uno smoking o un vestito d’epoca. Alfred dovette indossare uno smoking nero, abbinato ad una cravatta rossa, Kiku aveva un kimono lilla, mentre Gilbert indossò una divisa molto elaborata, tipica del ‘700. (immaginate Alfred così http://i34.tinypic.com/34dqwpk.jpg Kiku così http://24.media.tumblr.com/tumblr_m6m6uhhyeJ1rzhcd7o1_500.jpg e Gilbert così http://images4.fanpop.com/image/photos/17800000/Prussia-hetalia-prussia-17821775-1500-1085.jpg) Tutto andava bene a parte il fatto che Arthur continuava a osservare di sottecchi Alfred.
-Ehi Al perché quel biondino ti fissa?- chiese Kiku  all’americano mentre asciugavano dei bicchieri appena lavati.
-Penso stia controllando che io non scappi.- disse affranto il biondo.
-Come mai?- chiese il moro sorpreso.
-Beh, come dire, io sono una specie di schiavetto che deve fare tutto quello che vuole lui.- Il giapponese si fece pensieroso tanto che l’americano pensò di averlo offeso in qualche modo a lui sconosciuto.
-Ma certo! Ecco dove l’ho già sentita una storia del genere! Black Butler*!- sbottò ad un tratto l’orientale. Alfred lo guardò confuso. Ma che stava dicendo?
-Anche in questo manga c’è un maggiordomo, demoniaco, che deve obbedire agli ordini del suo padroncino, con il quale ha un patto di sangue!- Kiku sorrise.  Alfred lo guardò sbalordito.
-E…come si comporterebbe questo “maggiordomo”?-
-Beh, in tutto quello che fa è molto sexy, il suo modo di togliersi i guanti è unico ed è sempre pronto a difendere il suo padroncino come un eroe. In più, quando il suo padrone gli da un ordine lui risponde con “Yes, My Lord” e si inchina. Quando fa queste cose “eroiche” e gli chiedono chi è in realtà lui risponde sempre con un sorriso demoniaco: “Io sono solo un diavolo di maggiordomo”.- un’idea perversa si fece largo nella mente di Alfred.
Un cliente chiamò l’orientale che si allontanò lasciando Alfred ai suoi pensieri. Nel frattempo anche Arthur aveva chiamato a rapporto il suo schiavetto.
-Che c’è?- disse l’americano all’inglese. Arthur lo fissò da capo a piedi. Doveva ammettere che quello smoking stava veramente bene ad Alfred.
-Noi andiamo a casa, ti occupi tu di pagare?- ghignò l’inglese.
-Cosaaa??- L’americano osservò sbalordito tutto quello che c’era sopra il loro tavolo.
-Non ho soldi per pagare tutta questa roba!- urlò disperato Alfred.
-Sono problemi tuoi e della tua scommessa.- sbuffò il biondo.
-Non ho nemmeno i soldi per pagarmi l’affitto e tu vuoi che paghi la vostra roba?! Per favore! Sii clemente!- lo pregò Alfred.
-Tu. Paghi. Questa. Roba. A costo di dormire sotto i ponti.- un’espressione malefica si fece largo nel viso di Arthur.
-Ma se dormo sotto i ponti poi, tu non puoi rintracciarmi e di conseguenza la scommessa va a monte.- osservò perspicace l’americano. Anche l’inglese sembrò stupito perché non riuscì a ribattere subito.
-Beh… è un problema se lui viene a stare da noi?- l’inglese si rivolse ai suoi amici i quali, come Alfred, lo fissarono sbalorditi.
-Sarà divertente!- disse Feliciano sorridendo. Gli altri annuirono titubanti.
-Well, tu verrai da noi, così potrai anche prepararci da mangiare, fare i letti e sistemare la casa!- l’americano si pentì immediatamente di quello che aveva detto. Preferiva, di sicuro, vivere sotto i ponti!
A quel punto, gli rimaneva solo una cosa da fare: rendere un inferno la vita di quel maledetto inglese! Si avvicinò ad Arthur e, con grande stupore di quest’ultimo, si inchinò. Alfred piantò i suoi occhi cobalto su quelli smeraldini dell’inglese. Fece il sorriso più sexy che poté e si rivolse ad Arthur con una voce sensuale.
-Yes, my Lord~- 



*Black Butler: Nell'Inghilterra vittoriana, Ciel Phantomive è un dodicenne appartenente ad una famiglia nobile; da generazioni, il compito dei Phantomhive è indagare, per conto della corona inglese (in questo caso, per la regina vittoria), su problemi misteriosi ed insolubili, quasi sempre legati a forze sovrannaturali ed occulte, e per questo motivo la famiglia è chiamata "il cane da guardia della regina". Quando i suoi genitori restano uccisi in un misterioso incendio, Ciel invoca un demone con cui stringe un patto per riuscire a scoprire la ragione della loro misteriosa morte. Il demone si insedia nella magione Phantomhive in forma di maggiordomo, con il nome di Sebastian Michaelis.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo speciale: Niente è mai per caso ***


Ebbene voi vi aspettavate un capitolo speciale su Arthur e i suoi problemi d’amore? E invece! xD Mi mancava un po’ di Spamano quindi, ragazze, ecco com’è iniziato tutto! ;) E’ solo un piccolo riassunto perché potrei veramente farci una fic… chissà se un giorno ci arriverò xD Comunque, per comodità ho deciso di divederla in due capitoli, Parte 1 e Parte 2 e ogni capitolo sarà diviso in altre parti, quindi I II III ecc. Che dire, spero vi piaccia :)
Buona Lettura^^

 

Niente è mai per caso! Parte 1
                                                   
 
                                                                                                         I



-Lovi! Oggi andiamo al caffè da Elizabeta??- domandò eccitato Feliciano al fratello.
-Non posso! Oggi ho allenamento!- Feliciano fissò stupito l’altro.
-Ma, non dovevi andare domani?- chiese dopo qualche secondo.
-Ci hanno chiamato oggi perchè devono fare le convocazioni per il Campionato.- Lovino si mise in spalla la borsa e si legò velocemente le scarpe.
-Divertiti con gli altri! Ciao!- disse Lovino prima di uscire.
-Ok, avvisami se ti convocano che festeggiamo! Ciao!- riuscì a ribattere Feliciano prima che suo fratello chiudesse la porta di casa. Loro vivevano da soli da ormai tre anni. La loro madre era morta in un incidente e il loro padre li aveva abbandonati, quando avevano solo sedici anni, con un “mi dispiace non me la sento”. Lovino, per questo, provava un forte odio per tutti i maschi, a parte suo fratello. Infatti, Lovino difendeva sempre Feliciano con le buone o, quasi sempre, con le cattive. In questo modo, nella sua scuola, le risse tra Lovino e qualche altro studente, erano all’ordine del giorno. Ormai, tutti vedevano i fratelli Vargas come la pecora nera dell’istituto e tutti quelli che tentavano di avvicinarsi a loro venivano bruscamente allontanati dagli stessi professori. Nonostante questo, Lovino aveva trovato sfogo nel calcio mentre, Feliciano nella musica. Vivevano ormai in un equilibrio perfetto. Se non fosse stato che tutto sarebbe cambiato di li a poco.
 
-Bene ragazzi, vi ho chiamato oggi, perché dobbiamo decidere chi di voi parteciperà al Campionato di quest’anno, i rispettivi capitano e vice capitano e, ovviamente, i ruoli di ognuno.- Il coach della squadra di ragazzi, un uomo su i cinquanta con una pancetta appena accennata, parlò con la sua voce grossa.
-Prima di cominciare, però, devo avvisarvi che quest’anno ci saranno dei ragazzi nuovi e vi prego di trattarli bene.- l’allenatore spedì un’occhiataccia a Lovino che fece spallucce facendo finta di non capire.
Quelli nuovi erano in cinque ma, da come li presentava il coach dovevano essere bravi. Osservandoli bene però, ce n’era uno che gli sembrava di conoscere… un certo Antonio. A Lovino, dirla tutta, non facevano ne caldo ne freddo. L’importante era che se ne stessero per i fatti loro e non si avvicinassero a lui. Anche se questo era abbastanza improbabile visto che lui, Lovino, era il capitano.
-Bene Lovjno, comincia pure con il riscaldamento che poi faremo un’amichevole.- Il coach si sedette su di una panchina a compilare chissà quali carte mentre, il capitano iniziò l’allenamento imponendosi fin da subito.
La bravura dei nuovi arrivati si mostrò non appena cominciarono una partitella. Lovino aveva formato una squadra con i pochi compagni di cui poteva fidarsi mentre, aveva lasciato indietro quelli nuovi. Nell’altra squadra, in particolare, solo uno poteva anche essere al suo stesso livello. Quello spagnolo! Ogni gol era suo e presto si ritrovarono in un pareggio due a due.
-Questa volta, non ti farò passare, maledetto.- Lovino si parò davanti ad Antonio con fare minaccioso.
-Finirà come tutte le altre volte.- ghignò lo spagnolo cercando di superare l’italiano che, con un abile gioco di piedi lo scartò. Quella mossa, quel gioco di piedi l’aveva sempre fregato ma, dove gliel’avevano già fatta?
Antonio rimase imbambolato per un attimo ma, non si diede per vinto e ritornò faccia a faccia con l’italiano.
-Mi hai scartato! Complimenti! Ma, non durerà.- si guardarono, ancora, con aria di sfida e l’azione ebbe inizio. Più di una volta Lovino arrivò in area ma, ogni volta Antonio riusciva a fermarlo. Infatti, appena l’italiano fece un passo falso questo lo scartò.
Successe tutto in pochi secondi. Antonio che ruba la palla e con altri tre attaccanti fa contropiede. Gol. Partita vinta tre a due. Lovino rimase immobile, senza parole. Era la prima volta che perdeva, forse in tutta la sua vita. A riscuoterlo fu una mano sulla spalla.
-Bella partita amico, davvero. Non mi avevano mai fregato la palla come hai fatto tu!- lo spagnolo sorrise benevolo bevendo un sorso d’acqua. L’italiano si scrollo di dosso la mano dell’altro.
-Non provare a toccarmi di nuovo.- se non fosse stato per la stanchezza, quello sfacciato di uno spagnolo si sarebbe già preso tre pugni in regioni vitali del corpo. Antonio rimase stupito da quella reazione e non osò aggiungere altro.
-Bella partita ragazzi! Mi avete proprio fatto penare! E Antonio, l’ultimo gol è stato spettacolare!- Lovino osservò irritato il coach che faceva il cascamorto con il moro e provò un profondo disgusto. Una volta lo faceva con lui.
-Tsk, coach siamo venuti fino a qui per le convocazioni, ricordi?- l’italiano richiamò l’allenatore e lui, seppur contro voglia, cominciò ad elencare tutti coloro che avrebbero partecipato al campionato. Ovviamente Lovino era convocato ma, quello che lo irritava era che doveva stare in squadra con quello spagnolo!
-Ok, e beh, infine capitano e vice capitano. Devo dire che è stato difficile scegliere ma, come confermato dalla partita di oggi, il capitano sarà Antonio mentre il vice Lovino. Questo è tutto e a Sabato.- il castano non credeva alle sue orecchie. Per quattro anni era stato capitano di quella squadretta e, ora, gli era stato sottratto questo titolo da uno appena arrivato! Strinse le mani a pugno per trattenere la rabbia finché lo nocche non gli si sbiancarono completamente. Appena rimasti soli, gliel’avrebbe fatta pagare a quell’arrogante!
                                                                           

                                                                                                       II
 

Ad Antonio piaceva quella squadra. Anche se era arrivato da poco, lo trattavano già tutti con rispetto e simpatia. Tutti a parte Lovino. Proprio non la capiva, sembrava incazzato con il mondo. Doveva ammettere, però, che quel ragazzetto era veramente bravo. Peccato che fosse così scontroso.
Lui era sempre stato un tipo tranquillo e calmo, infatti, senza quasi accorgersene, lo spogliatoio rimase semi vuoto e lui doveva ancora farsi la doccia! Si preparò asciugamani vari più veloce che poté ma, rimase ugualmente solo. O almeno così pensava. Sulle panche dello spogliatoio c’era ancora una borsa. Chi? Si guardò intorno e gli si parò davanti Lovino. Il suo sguardo era veramente agghiacciante!
-Ah! Pensavo di essere solo! Di solito ci metto sempre tanto ma, voi siete veloci!- Antonio si portò una mano tra i capelli sforzando un espressione spensierata.
-Io li odio i tipi come te, sai?- affermò Lovino avvicinandosi.
-Sai ora mi ricordo dove ti ho già visto: tu eri il mio vicino di casa molto tempo fa. Ricordi? E anche tu hai fatto come gli altri: prima fanno tutto quello che vuoi e poi ti abbandonano con una scusa stupida.- lo spagnolo sgranò gli occhi. Possibile che quel ragazzo così scontroso fosse lo stesso Lovino che si esprimeva a gesti per far capire che aveva fame?! Senza accorgersene si ritrovò spalle al muro. Cominciò a sudare freddo.
-Ehi, Lovi, che discorsi fai? Che vuoi fare?- L’italiano lo prese per il colletto e lo sollevò di qualche centimetro. Antonio sentì il pavimento mancargli sotto i piedi e capì le intenzioni, sicuramente non buone, del suo vecchio amico (se così si poteva definire).
-Cosa voglio fare? Voglio farti capire chi comanda, qui.- lo spagnolo si immaginò già la sua testa spappolata contro il muro così, chiuse gli occhi in attesa della volontà dell’altro. Aspettò, aspettò interminabili secondi ma, non arrivò niente. Piuttosto, si sentì uno strano rumore. Antonio aprì gli occhi e vide l’altro tenersi con l’altro braccio lo stomaco. Il moro si ritrovò di nuovo la terra sotto i piedi mentre l’altro aveva cominciato a rotolare sul pavimento.
-Ho fameeeeeeeee!!- Il moro sorrise divertito. Non cambiava mai!
-Ho solo un pomodoro, devi accontentarti!- esclamò, a quel punto, lo spagnolo.
-Sempre con quei maledetti pomodori, eh, Antonio?!-
 
                                                                   
                                                                                                    III


Da quando era ritornato Antonio, Lovino sembrava meno aggressivo di prima. Sembrava quasi che con il ritorno di Antonio fosse tornato anche il suo lato buono. Come ai vecchi tempi lo spagnolo faceva la parte dell’invadente ma, simpatico ragazzo e qualche volta si autoinvitava a casa dei due fratelli. Nonostante, anche agli allenamenti, fossero grandi amici, l’italiano continuava a tenersi a debita distanza da lui. In fondo, anche Antonio, come suo padre, lo aveva abbandonato. Dopo la morte della madre dei due fratelli, Antonio si era dovuto trasferire in Spagna e per quasi dieci anni non si era più fatto sentire. Come poteva pretendere che ritornasse tutto come prima? In quei dieci anni erano successe tante cose, troppe.
Il campionato iniziò bene. La loro squadra era prima classificata e il duetto Antonio-Lovino era inarrestabile. Appena si sentivano quei due nomi, uno dopo l’altro, tutti tremavano.
-Ragazzi andiamo a Verona!- sbottò, un giorno, l’allenatore nel bel mezzo dell’allenamento. I ragazzi si bloccarono di colpo.
Tutti rimasero immobili in attesa di sapere se quello che avevano sentito fosse vero.
-Ci hanno offerto di fare un torneo a Verona contro alcune squadre del Nord Italia!- esultò il coach al settimo cielo.
-Cosa?! Non se ne parla! Io non lascio mio fratello da solo!- urlò l’italiano incrociando le braccia al petto. Tutti si zittirono ma, il coach non gettò la spugna.
-Dai Lovino! Tuo fratello è grande! E poi salterete alcuni giorno di scuola!- ribatté l’allenatore nel tentativo di far cambiare idea al ragazzo. Come se fosse stato preso in pieno da un fulmine, Antonio si avvicinò a Lovino e lo prese sotto braccio.
-Saltiamo giorni di scuola Lovi!! Ti rendi conto?! E poi Verona è Verona! La città dell’amore! Chissà, potresti trovare perfino la tua Giulietta.- Lo spagnolo fece il sorriso più malizioso che poté e nel suo volto si dipinse un espressione del tipo “Dai che senza genitori di sera facciamo casino!”
-Tu vuoi proprio finire male, vero Antonio?- l’italiano mollò una gomitata in pancia all’altro. Che per poco non vomitò il pranzo. L’italiano ci pensò un po’ su. Sembrava quasi che gli altri pendessero dalle sue labbra.
-Ok, ok, verrò ma, state attenti a quello che fate perché sarò il vostro peggior nemico. Ricordate che è un torneo e noi dobbiamo vincere quindi, niente festini idioti. Soprattutto tu, Antonio! Attento a quello che fai.-

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Vecchie Questioni ***


Lo so, è corto ma, è perchè non ho voluto inserire altro... si lo so, sono peggio degli anime e chiedo perdono. Leggete e recensite lo stesso ;) Grazie a tutti quelli che seguono la mia fic, che l'hanno messa nelle preferite e che l'hanno recensita :)
Buona Lettura^^



VECCHIE QUESTIONI
 



E chi l’avrebbe mai detto che un tipo così carino come quell’americano potesse veramente girovagare per la loro casa, pensò Eliza. Doveva ammettere che Arthur sapeva fare veramente bene la parte dello stronzo che ti frega sempre e comunque. In più quel “Yes, my Lord” l’aveva, letteralmente, sciolta. Quello si che era un ragazzo! Altro che quel Gilbert! La ragazza spostò lo sguardo sull’albino piuttosto che sentire Arthur che balbettava imbarazzato. Il barista stava cercando di fare colpo su una ragazza bionda, poverina. Però, Elizabeta doveva ammettere che Gilbert, con quella divisa non stava affatto male…
Si alzò di scatto e si diresse verso di lui.
-Ehi, tu! Che ci fai qui? Sei un’altra sua vittima? Sta sera ci ha già provato con altro quattro e sta mattina ha tentato anche con me.- Elizabeta si parò davanti alla ragazza con cui l’albino ci stava provando. Assunse l’espressione più terrificante che poté e parlò con tono solenne. L’albino cercò di protestare ma, fu tutto inutile. La “vittima” di Gilbert, con un espressione offesa, tirò un sonoro schiaffo al barista e con passo svelto se ne uscì dal locale.
-Perché l’hai fatto?! Tu, donna senza cuore!- fece Gilbert massaggiandosi la guancia con fare quasi teatrale.
-Salvo le ragazze dai bambini cattivi come te.- rispose divertita l’ungherese mentre si appoggiava al bancone.
-Oh! Adesso sei un eroina che salva e difende le persone! Sbaglio o oggi eri tu quella in pericolo?- ghignò il ragazzo.
-Ah! E tu che parte stai facendo? Quella di ammaliatore? Sbaglio o oggi eri tu quello che mi è svenuto tra le braccia dopo aver visto il suo stesso sangue?- rispose la ragazza a tono. Gilbert non ribatté, piuttosto sorrise divertito.
-Sai, non capitano mica tutti i giorni delle ragazze sfacciate come te.- l’albino si sporse in avanti fino a che i loro visi non furono che a qualche centimetro di distanza.
-Ah, non starai cercand- la ragazza non riuscì a concludere la frase che una voce attirò la sua attenzione. Sul palco c’era lui. Incredibile ma, sul palco c’era proprio Roderich Edelstein!
-Finalmente quel finto aristocratico poggia piano sta iniziando!- esclamò Gilbert versando un drink ad un cliente. Eliza rimase estasiata da quella vista. L’austriaco indossava una giacca di un viola scuro e al collo portava un fazzoletto bianco che pendeva da una camicia del medesimo colore. I suoi capelli, sempre così ribelli, erano di un marrone scurissimo e, i suoi occhi, i suoi occhi così perfetti, di un viola acceso.
Chi l’avrebbe mai detto che lo avrebbe incontrato proprio qui?
-E come un vero locale per aristocratici ora, che comincino le danze!- Con un eleganza degna di nota si portò al pianoforte e cominciò a comporre una melodia dolce. Senza accorgersene Eliza si incantò a contemplare la sua figura. Da quanto tempo non lo vedeva? Da quando si erano lasciati, forse…
Rivederlo la stava distruggendo ma, al contempo ravvivando. Osservarlo mentre suonava, mentre il suo capo ondeggiava piano a tempo con le note che suonava le fece dimenticare di tutto quello che la circondava. Possibile che gli facesse ancora questo effetto?
-Ehi, mostro senza cuore?- Gilbert le passò una mano davanti agli occhi e le si riscosse.
-Sei per caso rimasta fulminata da Rod?- ghignò divertito l’albino. Lei diventò completamente rossa.
-Che stai dicendo!!! E poi te come fai a conoscerlo?!- esclamò irritata l’ungherese.
-E’ da un po’ che bazzica qua in giro, per un periodo ha lavorato anche qui. Tipo strano quello, sembra che nel suo cuore possa entrare solo la musica.- la ragazza non staccò un momento gli occhi da Gilbert, forse l’aveva un po’…sottovalutato.
-Nel suo cuore sono entrate fin troppe cose.- questa volta fu l’albino a stupirsi.
-Che, lo conosci pure tu?- domandò con un filo di malizia negli occhi.
-Si.- confermò la ragazza.
-E….provo ad indovinare, oggi mi sento un indovino…- prese la mano ad Elizabeta e cominciò ad accarezzargliela. Quest’ultima arrossì ma, non si ritrasse.
-Ah! Stavate insieme e l’hai mollato! Ma…nel tuo futuro vedo qualcos’altro…- Gilbert si fece pensieroso mentre l’altra sbuffava irritata.
-Ma quante cazzate spari?- rise piano. In una cosa, però, aveva ragione. Lei e Rod stavano insieme. Però, si erano dovuti lasciare. Solo ricordare le provocava una fitta all’altezza del petto.
-Hahaha! Ho indovinato non è così? Bene! Appena scende ti farò parlare con lui!- Eliza sbarrò gli occhi. Cosa voleva fare quel ficca naso?!
-Non se ne parla! Io non voglio parlare con lui!- l’ungherese stava per andarsene ma, Gilbert la prese per un polso.
-Quanto mi piace quella tua espressione irritata! Non ti lascerò andare via! E’ troppo divertente quella tua faccia!- la ragazza sospirò mentre l’altro ghignava divertito. Che irritazione.
 
-Ludwig! Sai per caso dov’è mon amour?- chiese Francis con tono sognante.
-Cosa intendi con “mon amour”? Se è il postino di sta mattina non lo so, prova alle poste.- rispose il tedesco con fare irritato.
-Acido. Intendevo Alfred!- il tedesco alzò il capo per fissare il francese che si era appena seduto sulla sua scrivania. 
-Ah, non lo so. Mi ha detto qualcosa del tipo “mi sono trovato un lavoro hahahaha non sono un’irresponsabile!”- borbottò il biondo.
-E dove?- chiese eccitato Francis.
-Mi sembra al Raven Bar, ma potrebbe anche avermi raccontato una balla solo per riguadagnarsi la mia fiducia.- affermò, allora, cercando di continuare a scrivere l’articolo.
-Très bien! Forza, forza, vieni con me!- Francis prese il braccio di Ludwig e, fantasticando sull’americano, andarono verso il centro di San Francisco.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Meeting ***


Sinceramente, ho chiamato il capitolo così perché in inglese suona bene ma, con gli inglesi ci ha poco a che fare xD  Da questo capitolo ho presentato tutte le coppie! Yuppi! Se non l’avevate capito in questo capitolo ci sarà anche la Franada :) Ok, ok ora vi faccio leggere ;)
Buona Lettura^^

 


Meeting
 


-C-cos’hai detto stupido yankee?- Arthur era arrossito sotto lo sguardo compiaciuto di Alfred.
-Non arrossisca in quel modo, padroncino. Qualcuno potrebbe prenderla per un bambino.-
-C-che cazzo stai dicendo?! Qui sei tu il bambino!- l'espressione dell'inglese in quel momento era unica. In quel suo visino pallido erano mescolate, in una soluzione quasi divertente, rabbia e imbarazzo. Era la prima volta che Matthew vedeva Arthur così imbarazzato. Da quando lo aveva conosciuto non faceva altro che essere serio e distaccato dal resto del mondo. Ogni volta che parlava con qualcuno aveva quell’aria di superiorità! Ma, in fondo, come si fa a resistere a quegli occhi così azzurri? Matthew sospirò. Lui, l’avrebbe mai trovata la sua anima gemella? Ogni volta che tentava di parlare con qualcuno, o nessuno si accorgeva di lui oppure, visto che il suo tono di voce era molto basso, questi si stancavano e se ne andavano via. Era tutto così triste… per fortuna aveva degli amici, un po’ strambi, che con le loro litigate gli tiravano su il morale. Osservò Elizabeta che cercava di uscire dal locale ma, un tizio del bar glielo impediva. Vide Lovino che se la svignava, molto probabilmente per andare da Antonio. E vide Feliciano avvicinarsi a lui dopo aver ballato come un dannato.
-Ehi Matt! Perché non vieni anche tu a ballare?-i suoi pensieri così malinconici furono interrotti da un Feliciano leggermente sudato che lo invitava a ballare.
-Bah, non so. Finisco il bicchiere e ti raggiungo.- mentì il canadese, in realtà non aveva nessuna voglia di ballare. Prima di raggiungere l’amico avrebbe bevuto altre due bottiglie di sidro. Stava per girarsi a chiedere un altro bicchiere quando qualcuno lo urtò con forza.
-Ehi!- per poco non gli caddero gli occhiali.
-Oh, Pardon monsieur! Non ti ho visto.- davanti a Matthew c’era un ragazzo dai capelli di un biondo molto chiaro lunghi come i suoi, degli occhi di un azzurro intenso e sul mento aveva un accenno di barba. La sua espressione era seriamente dispiaciuta. Matt arrossì. Ma quanto sexy era quel tipo? Rimase, letteralmente, senza parole. Infatti, per qualche secondo non fecero altro che fissarsi. A quanto pare anche l’altro stava pensando alle stesse cose del canadese.
-Ho notato che non mi hai visto.- disse, distogliendo lo sguardo e cercando di non arrossire. Il francese si riscosse.
-Ti ho chiesto scusa mon ami. Io sono Francis. Tu?- ebbe il coraggio di dire il biondo. Non sapeva che gli era preso poco prima. Era rimasto solo…spiazzato.
-Matthew.- sussurrò l’altro sperando che non lo sentisse. Non voleva di certo mettere su conversazione con quello. Aveva tutto l’aspetto di quei tipi che ci provano sempre con tutti.
-Ah, piacere Matthew!- urlò quasi il francese. Ma come aveva fatto a sentirlo?
-Dimmi, tu non sei di qui! Non ti ho mai visto! Da dove vieni?- chiese allegro Francis.
-Beh, io sono canadese ma, vivo in Italia da quando mi ricordo.- disse titubante Matthew.
-Ah! E qual buon vento ti porta da queste parti, mon ami?- insistette il francese. Il canadese lo squadrò soffermandosi sulla camicia leggermente aperta sul petto. Poteva veramente fidarsi di lui?
-Sono venuto qui con dei miei amici per tour.- disse con noncuranza Matt.
-Un tour? Suoni?- il francese lo guardò sorpreso.
-Io sono manager e, allo stesso tempo, sono un chitarrista o tastierista, dipende dalla canzone.- il biondo sorrise all’altro e quel sorriso ebbe effetto a quanto sembrava perché Francis era rimasto impalato come un pesce lesso.
-Tutto bene?- chiese, fingendo di essere preoccupato, il canadese.
-Oh oui, mon ami! Che ne dici se andiamo a ballare?- questa volta fu il canadese a rimanere di stucco. L’aveva invitato a ballare?! Doveva ballare con un perfetto sconosciuto?! Matthew arrossì leggermente.
-Ok.- per una volta si sarebbe lasciato andare.
 
Ma dove si era cacciato quel pervertito di un francese? Che modi! Trascinarlo fino a li per poi andare ad abbordare chissà quale povero sfigato. Una buona birra gli avrebbe di sicuro fatto compagnia, pensò Ludwig.
Mentre sorseggiava tranquillamente la sua birra una mano gli si posò sulla spalla.
-Ehi! Ti avevo detto di chiamarmi non di seguirmi!- troppo tardi si accorse che la persona che gli si era appena appoggiata alle spalle era l’italiano dell’altra sera.
-I-io non ti ho seguito. Non sapevo che fossi qui.- cercò di giustificarsi il biondo. In quel momento l’altro cominciò a giocherellare con i bottoni della giacca del tedesco. Ludwig non poté non arrossire.
-Pensavo mi chiamassi, ero veramente triste. Noi non siamo amici?- l’italiano sembrava sull’orlo del pianto.
-Beh…- Ludwig prese i polsi dell’altro e lo appoggiò delicatamente sulla sedia davanti a lui. Avere un tipo, sconosciuto, che lo abbracciava da dietro non era il massimo.
-Il punto è…che non so nemmeno come ti chiami. Non posso dire di essere tuo amico, ci siamo visti solo una volta.- l’italiano si illuminò.
-Questo vuol dire che non siamo nemmeno nemici?- Ludwig ci pensò su.
-Beh, si non siamo nemici, non vedo perché dovremmo esserlo.-
-Bene! Io sono Feliciano!- il castano gli porse la mano.
-Ludwig.- i due si strinsero la mano.
-Vee! non sei americano, vero?- domandò Feliciano alla ricerca di una conversazione con l’altro.
-In realtà sono tedesco ma, vivo qui a San Francisco da quando avevo undici anni.- Ludwig rispose gentilmente. Poi, si pentì subito di averlo fatto. Non era di certo venuto in quel bar per chiacchierare con qualcuno e poi chi lo sa cosa avrebbero fatto. Lui non era certo il tipo da festini per tutta la notte!
-Allora anche tu sei europeo! Vee! io vengo dall’Italia!- disse Feliciano. Come se Ludwig non lo avesse capito. Insomma, quel tipo non faceva altro che dire “vee” e chi era più rumoroso di un italiano?!
-Aiutoooo!!- una voce richiamò l’attenzione dell’italiano che si voltò immediatamente. Il tedesco guardò nella direzione in cui veniva la voce. Che modi! Loro stavano parlando prima che una ragazza interrompesse la loro conversazione.
-Eliza? Che succede?- domandò il castano.
-Questo tipo mi segue ovunque! Oddio ho paura!! Aiuto!- urlò disperata la ragazza. Tutto il locale si voltò verso di loro, richiamando l’attenzione anche di Roderich.
-Pestifera di una ragazza!- ribatté Gilbert mentre cercava di tappare la bocca all’ungherese.
Ludwig sbatté le palpebre un paio di volte. Ma…quello…?
-Gilbert?- domandò il tedesco. L’albino si voltò e sbarrò gli occhi per l’incredulità.
-kesese…ciao Lud!-

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Nonostante tutto ***


Sono un pò in ritardo, per questo mi scuso ma, ultimamente vedere internet a casa mia è come vedere un miraggio D:
Si, lo so, forse ho reso Austria un po’ bastardo ma, dovevo fare così, quindi chiedo perdono :’) Spero che questo capitolo non sia uno schifo completo e che comunque vi piaccia :) quindi, per favore, fatemi sapere cosa ne pensate. *messaggio subliminale recensite ;)*
Buona Lettura^^

 


NONOSTANTE TUTTO
 
 

-Gilbert?- domandò Ludwig. L’albino si voltò e sbarrò gli occhi per l’incredulità.
-kesese…ciao Lud!- il biondo si alzò in piedi come se fosse stato punto da un’ape.
-Ciao Lud?!- il tedesco non sembrava molto contento dell’affermazione di Gilbert a giudicare da quell’urlo.
-Non posso più salutarti Lud?- chiese l’albino, quasi, offeso.
-Il problema è che non mi saluti più da almeno sei anni! Da quando te ne sei andato via di casa non hai più chiamato neanche me!- il tedesco si passò una mano tra i capelli tentando di trattenersi.
Gilbert sbuffò.
-Avevo bisogno di un po’ tempo… almeno tu dovresti capirmi e non fare le stesse storie di papà.- l’albino sputò quelle parole mentre sul suo viso si stagliava una smorfia di crescente irritazione. Tutto il bar li stava fissando incuriositi. Perfino Arthur aveva smesso di litigare con Alfred e, al momento, quella scena sarebbe sembrata anche equivoca, visto che Alfred era ancora inginocchiato davanti all’inglese.
Ma a quanto pareva a Ludwig non gliene fregava molto. Aveva aspettato troppo tempo, troppi anni, per curarsi dell’indiscrezione.
-Dimmi, se sta sera non ci fossimo incontrati tu ti saresti fatto vivo? Mi pare che sei anni siano più di “un po’ di tempo”.-
-Ma che cazzo vuoi? E’ la mia vita e ci faccio quello che voglio!- gli urlò di rimando l’albino. Quell’atteggiamento era prettamente infantile, fu l’unica cosa che riuscì a pensare Ludwig. Anche se aveva vissuto da solo per tutto quel tempo, ragionava ancora come un bambino capriccioso. Quanto l’odiava quando faceva così.
-Ah, ti sarai anche trovato un lavoro e fatto una nuova vita ma rimani sempre un idiota, vero?- Gilbert stava per ribattere, molto probabilmente,  con un altro “Ma che cazzo vuoi, questa è la mia vita” quando Ludwig lo precedette.
-Ti rendi conto che potevi anche essere morto?- il biondo pronunciò quelle parole molto lentamente e con voce leggermente tremante. Finalmente quell’ottuso di un albino capì. Si portò una mano sulla nuca, tra i capelli. Nonostante fosse passato tutto quel tempo, Ludwig non aveva smesso di preoccuparsi per lui.
-Scusami Lud, io sono…- l’orgoglio di Gilbert gli impedì di portare a termine la frase che combaciava con il pensiero che aveva il fratello di lui.
-…ma dovresti saperlo che non muoio così facilmente! Che ne dici di una birra?- l’albino si avvicinò al fratello con un sorriso ebete stampato in faccia.
-Sei una causa persa, Gilbert. Ma la birra non ce la toglie nessuno!- affermò il tedesco quasi rassegnato.
-Quini mi perdoni?- scherzò Gilbert. Il tedesco ritornò improvvisamente serio e piantò il suo sguardo di ghiaccio su quello dell’albino.
-Una birra è una birra, sei anni sono diversi.- disse Ludwig. L’affermazione del tedesco fece capire al fratello che non sarebbe stato facile rimediare a quei sei anni di silenzio.
-Allora facciamo sei birre?- Non cambiava proprio mai. Tre cose non si potevano togliere a Gilbert: la testardaggine, l’idiozia e la birra.
 
 
-Sei proprio tu, Eliza?- la ragazza si voltò di scatto. Un momento prima osservava Gilbert e il suo, probabile, fratello e un attimo dopo si ritrovava davanti Rod. Sembrava che l’austriaco avesse visto un miraggio.
-Oh cavolo…- sussurrò l’ungherese. Non avrebbe mai retto una conversazione con lui. Mai.
Si aspettava un discorso lunghissimo su di lei, quanto era bella e quanto gli fosse mancata in tutti questi anni. Quindi si preparò ad assorbire quel fiume di parole come se fosse una spugna…come aveva fatto per tutto il tempo passato insieme a Roderich.
-I-io… non so che dire…- Eliza si stupì per quell’affermazione ma, riuscì a non darlo a vedere. Non era certo il caso di peggiorare ulteriormente le cose.
-Non mi aspettavo di trovarti qui…-
-Nemmeno io, se è per questo. Di’ come sei finito qui?- subito la ragazza si morse la lingua. Non doveva parlargli. Doveva interrompere subito la conversazione! Il fatto era che non riusciva a non interessarsi alla vita di Rod. Erano stati legati per così tanto, troppo tempo. Eliza lo osservò di sottecchi e lui rimase per un momento spiazzato.
-Ah…beh, è già da un po’ che sto in America, diciamo che sono arrivato qui- la voce dell’austriaco si fece più flebile –dopo che mi hai lasciato.-
-Vedo che non hai smesso di suonare.- disse la ragazza come se non avesse sentito il commento del moro.
-Già…- Roderich perse lo sguardo nel vuoto. A quanto pare anche lui stava pensando alle stesse cose di Eliza. Stavano entrambi pensando a quei ricordi belli e brutti che condividevano da una vita.
-Bene, perché mi piace sentirti suonare. Mi è sempre piaciuto…- il ragazzo puntò i suoi occhi ametista in quelli della ragazza. La ragazza cercò di non guardarlo ma l’altro, le sfiorò la guancia con le dita. Elizabeta fremette. Da quanto non sentiva le sue dita, così calde e affusolate, poggiate sul suo corpo.
-Eliza, è inutile fare finta, ora. Io ti amo e non ho mai smesso di amarti da quando mi hai piantato davanti a tutti.- Roderich intrecciò le sue dita tra i capelli setosi della ragazza. L’ungherese non poté fare a meno di ricordare, con un sorriso amaro, come si erano lasciti. In fondo, era stata lei a mollarlo, era stata lei ad ansarsene con la band alla ricerca di libertà…ed era stata lei a continuare quella discussione che non avrebbe portato nulla di buono. Non si era resa conto che, averlo lasciato equivaleva  lasciare una parte di lei.
-il mio invito è ancora valido, Eliza, sono disposto a lasciarmi tutto alle spalle e perdonarti…- dopo quelle parole, Eliza parve riscuotersi. Si liberò della mano del austriaco e fece schioccare la lingua leggermente irritata. Non era cambiato per niente.
-Ah, adesso mi ricordo perché me ne sono andata. Tu non fai altro che pensare a te stesso. Beh, non mi farò fregare di nuovo. Non soffrirò di nuovo per te!- urlò a quel punto Eliza.
-Tu hai sofferto? Se non sbaglio sei tu che mi hai rifiutato proprio quando ti ho chiesto di sposarci lontano da tutto e da tutti! Eliza io volevo solo te e nessun altro e mi hai spezzato in due con quel “no”.-
-Tu non vuoi me, vuoi solo te stesso! Io mi sono allontanata da te perché so che mi avresti rinchiuso in casa come una serva, mi avresti oppresso come se fossi sotto il tuo dominio. Il fatto è che anche io ho dei desideri e in quel momento era, ed è ancora oggi suonare con i miei amici.-
-Ti avrei oppresso…dovresti proprio sentirti quando parli. Io ti ho insegnato tutto! Chi era la ragazza di strada? Chi era quella che mi ha supplicato di farle vedere il mondo? Ti ho fatto diventare io una donna rispettabile!-
-Allora, permetti, che questa donna rispettabile, ti dica che da quando ti ha lasciato fa una vita di gran lunga migliore.- dette queste ultime parole Eliza si voltò e uscì dal locale sbattendo la porta. Corse per i marciapiedi di San Francisco fregandosene che Roderich la stesse chiamando e fregandosene della gente che urtava. Senza volere cominciò a piangere. Quell’uomo era stato per così tanto tempo il suo riferimento che era sempre difficile voltargli le spalle. Nonostante tutto, gli voleva ancora bene. Nonostante la trattasse in quel modo, sapeva che in realtà Roderich Edelstein non era una cattiva persona. E nonostante il breve litigio, nonostante tutto, dannazione, lei lo amava ancora.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Delinquente ***


Chiedo perdono per il ritardo con cui aggiorno ma, sono stata piuttosto impegnata con la scuola. Mi scuso anche per la lunghezza del capitolo (che è veramente corto) ma, non ho potuto fare altrimenti. Perdonooooo!! La parte iniziale e la parte finale (quella scritta in corsivo) mi è venuta abbastanza di getto quindi, boh, spero vi piaccia lo stesso e Buona Lettura :)
 

 

Delinquente
 

Poche volte si concedeva
di torturare qualcuno.
Lui era un tipo calmo,
abbastanza pacifico...



-Fuking wake up!- un urlo colpì Alfred dritto ai timpani. L’americano si portò un cuscino sull’orecchio e, ignorando di chi fosse quella voce, si rimise a dormire.
-You wanker!- Alfred si ritrovò compresso tra il materasso e il pavimento, la faccia spiaccicata al pavimento e un dolore atroce al ginocchio. Appena riuscì a liberarsi del materasso si fiondò verso colui che l’aveva svegliato così male con intenzioni poco amichevoli.
-Era ora che ti decidessi ad alzarti.- Davanti ad Alfred si trovava un Arthur intento a sorseggiare una tazza di te fumante. L’americano lo guardò con una faccia tra l’incazzato e lo scandalizzato.
-Why the fuck did you wake me up like that?!- urlò sull’orlo dell’isteria il biondo. L’inglese sbuffò divertito poi, con il mento indicò l’ora.
-Sono le sette.- Alfred non ci poteva credere così si voltò per confermare l’ora. Erano proprio le sette!
-Sei diventato matto tutto in un colpo?! Ieri siamo tornati a casa che erano le tre e mi hai svegliato così presto?!- sbraitò di nuovo l’americano. Arthur ghignò.
-Dobbiamo andare nella zona di Santa Barbara per fare due concerti.-
-E allora? Perché vieni a dirlo a me? Andate, forza.- l’americano risistemò il materasso cercando di rimettere le lenzuola decentemente.
-Forse tu non hai capito bene chi sono io per te in questa settimana.- disse secco Arthur.
-Un rompipalle, ecco chi sei.- affermò Alfred scocciato.
-Bloody Wanker! Io sono il tuo padrone! Quindi, ora ti cambi e vieni con noi a Santa Barbara. E muoviti che arriviamo in ritardo.- Alfred sospirò. Ma cosa aveva nella testa quando aveva fatto quella scommessa idiota? L’americano si mise di fianco all’inglese e fece lo sguardo più agghiacciane che poté. Il risultato non fu dei migliori visto che l’altro scoppiò in una fragorosa  risata.
-Fidati, appena passa questa settimana tu me la paghi!- sibilò il biondo prima di andare in cucina a cercare qualcosa da mangiare.
Doveva ammettere che quella casa era dieci volte il suo appartamentino. Al secondo piano c’erano sei camere molto spaziose con bagno incorporato e un terrazzo che dava sulla città. Al primo piano c’era una cucina, una sala da pranzo e un salotto simile ad aeroporto con televisione a 52 pollici. Ah, avevano anche una piscina…
Con molta calma Alfred arrivò in cucina e lì trovo un’Elizabeta mezza nuda intenta a versare dei cereali in un’elaborata tazza di ceramica blu.
-Buon Giorno Alfred…o dovrei dire Buona Notte Alfred…?- l’americano si sistemò gli occhiali sul naso cercando di trattenere uno sbadiglio.
-Non dire niente che è meglio. Spiegami perché a me è capitato proprio lui!? Penso sia l’unico inglese in America ad essere così scorbutico!-
-Hahahaha! Mio caro Alfred, fidati, non è sempre stato così. Una volta era veramente forte. Potrei paragonare il suo carattere di allora con il carattere di Gilbert.- Alfred la guardò stupito. Non riusciva proprio a comparare l’Iggy a Gilbert.
-E’ impossibile! Non ci credo!- urlò l’americano. L’ungherese gli si avvicinò.
-Ti dico che una volta era così! Quando stava ancora con…- Elizabeta indugiò sulle ultime parole.
-Stava ancora con…?- incalzò Alfred.
-Stava ancora con Matt, non il Matt che fa parte della nostra band, un’irlandese. Un bel pezzo di irlandese.- l’americano arricciò il naso. Si stava veramente interessando al passato di Arthur!
-Che è successo?-
-Beh, come si siano incontrati non lo so di preciso. Quello che mi ha raccontato è che si sono conosciuti in Inghilterra, a Londra  per l’esattezza. Si sono innamorati subito e sono stati insieme per molto tempo. Ma, diciamo, che i genitori di Arthur non approvavano quella relazione, sia perché non erano d’accordo con i suoi “gusti” ma anche perché Matt e Arthur stavano diventando veri delinquenti! E’ per questo che i genitori di Arthur hanno cercato di segregarlo in casa ma, lui e il suo ragazzo se ne sono scappati in Italia. Però…-
-Però?- chiese Alfred sempre più curioso. I suoi occhi si erano illuminati di una strana forma di ammirazione.
-Però, cosa vuoi, Matt l’ha mollato, o meglio, prima di mollarlo l’ha tradito tre o quattro volte. Penso che da quella storia il tuo “Lord” non si sia mai ripreso…- l’americano sentiva qualcosa muoversi dentro lo stomaco, e no, non era fame, si sentiva quasi in colpa per aver lanciato tutte quelle maledizioni ad Arthur. In fondo non era sempre stato così. E lui, beh, lui era un'eroe e non poteva trattarlo male...I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo dell’inglese che assunse subito un’espressione irritata.
-Devi ancora fare colazione?! Muoviti idiot! Arriveremo tardi per colpa tua!- il biondo prese Alfred per il colletto e lo trascinò in camera.
-Mi è passato tutto!- esclamò l’americano al settimo cielo. L’inglese lo guardò storto cercando di interpretare quella frase.
-Di che parli yenkee?-
-Mi sentivo in colpa! Ma dopo aver visto quella tua stupida faccia mi è passato tutto!-
-You bloody wanker! I kill you!-
 
 -Arthur sei cattivo!- sibilò Elizabeta. L’inglese ghignò.
-Se lo merita! Mi insulta questo ragazzino sfacciato!- un’improvvisa frenata da parte del pulmino stava per fare rovinare tutto al biondo. Infatti, come sempre, Matt guidava il pulmino che li conduceva ai concerti. Era abbastanza grande, aveva molti sedili, due tavolini e un bagno. In più sul lato destro c’era un letto a parete. In effetti, quello, più che a un pulmino assomigliava ad un camper.
-Matthew, cazzo, sto cercando di fare un capolavoro! Guida come si deve!- gridò Arthur con molta poca gentilezza.
-Scusa, Artie.-
-Non cominciare anche tu con le abbreviazioni.- ringhiò l’inglese ricominciando a tracciare segni con il pennarello indelebile.
-Arthur! Smettila! Se si sveglia ti uccide! Feli non metterti anche tu!- cercò di ammonirli l’ungherese.
-Mi dispiace Eliza ma, quando si parla di arte io devo esserci.- affermò con un sorriso l’italiano.
-Disegnare cose strane sul viso Alfred non è arte!-
Arthur rise di gusto e si mise a contemplare la sua opera d’arte. Rimase qualche secondo così, assorto in quel viso delicato. Certo che quello stupido di un americano avrebbe potuto benissimo essere famoso con quell’aspetto. E i suoi occhi azzurri…
Arthur si accorse troppo tardi che l’americano si era svegliato. Arrossì violentemente e cercò di nascondere l’indelebile dietro la schiena.
-Perché mi guardi così Iggy?- sbiascicò Alfred.
-Ehm…io…No! Non…- troppo tardi. L’americano si era strofinato gli occhi. Ora aveva le guance completamente nere. L’inglese non poté trattenere una risatina, come, del resto, non poterono non fare gli altri presenti. Alfred cominciò a capire così fece scorrere gli occhi sulla mano con la quale si era toccato il viso. Sbiancò. Rivolse subito lo sguardo al finestrino e, grazie al riflesso riuscì a vedere quello per cui tutti stavano ridendo.
Dannato inglese! Aveva ridotto il suo bellissimo viso da eroe ad un bello schifo! Gli aveva fatto una barba lunga mezzo metro, le guance erano ornate con brillantini e indelebile azzurro e i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi era circondati da chiazze nere simili a bubboni di peste. Che schifo. Il senso dell’arte degli inglesi fa veramente pena! Alfred si voltò, molto lentamente, verso Arthur e ridusse gli occhi a due fessure. Questo suo comportamento causò all’inglese un’altra scarica di risate.  
-Motherfucker!-                                                            

                      
Poche volte si concedeva
di torturare qualcuno.
Lui era un tipo calmo,
abbastanza pacifico ma,
quell’inglese, quel maledetto inglese
l’aveva già fatto imbestialire.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo speciale: Niente è mai per caso 2 ***


Muhahaha! Si, lo so sono perfida! Non ci posso fare niente u.u Dovevo fare la seconda parte! Ora posso dire di aver fatto un bel fluff per Antonio e Lovino! Si, potete odiarmi :’) Spero vi piaccia :) Buona Lettura :)
 
 
Niente è mai per caso! Parte 2
 
                                                                                
                                                                                                     IV
 

Verona è una bella città. Piena di vicoletti accoglienti e di vecchi monumenti.
Nonostante quella fosse una città settentrionale c’era la stessa afa del meridione. Le cicale spedivano urli strazianti e il sole era cocente. Tutto sembrava quasi immobile se non fosse stato per i nuovi arrivati.
Tutti i componenti della squadra si guardavano intorno con gli occhi luccicanti.
-Ehi Lovi! Che te ne pare? Ti immagini sta sera quanta gente ci sarà??- esclamò Antonio al settimo cielo. L’italiano gli schioccò un’occhiata di fuoco.
-Sta sera bisogna riposarsi perché domani mattina abbiamo la prima del torneo. Non mi sembra un compito troppo difficile.- disse Lovino con stizza.
-Dai Lovi! Perché fai sempre il serio? Vedrai, ti porto io in un bar che mi hanno consigliato e ti farò conoscere belle ragazze, fidati!- l’italiano si voltò di nuovo verso Antonio e solo in quel momento si accorse della vicinanza tra i loro visi. Si staccò di scatto da lui e arrossì involontariamente.
-Sei pazzo Antonio?! Sta sera tutti staranno in albergo. Non si discute!
Ma così non fu.
 
-Barista! Per favore, un boccale di birra a tutti i miei amici grazie!- urlò lo spagnolo. Lovino sospirò. Sapeva fin dall’inizio che non avrebbe mai potuto impedire ai suoi compagni di andare a far baldoria ma, almeno ci aveva tentato. L’unica cosa che si chiedeva era perché quell’idiota di uno spagnolo dovesse sempre fare casino! Perché doveva influenzare così tanto tutti? Ma, quello che più irritava Lovino del comportamento di Antonio era come lo faceva. Il suo maledetto modo di fare, quel maledetto sorriso che aveva sempre stampato in faccia. Tutto di lui lo irritava da morire. Ma forse, irritare non è il verbo giusto, sarebbe meglio dire che tutto quello gli piaceva follemente.
-Forza…hic…Lovi…hic, bevi anche tu hic!- cercò di comunicare lo spagnolo.
-E dopo chi vi riporta in albergo? Non vi reggete neanche in piedi tra poco!- osservò l’italiano.
-Hic, non siamo degli incapaci, hic…riusciamo a reggerci...hic benissimo in piedi…hic.- ribatté Antonio.
-Non dire cavolate, Antonio, sei talmente ubriaco che domani non ti ricorderai nulla.- borbottò l’italiano con noncuranza.
-Ti dico che io…hic…sto bene e…- lo spagnolo si era alzato e stava rischiando di battere la testa contro il bancone ma, Lovino riuscì a prevedere la caduta dell’altro lo afferrò da sotto le braccia come se fosse un grande orsacchiotto di peluche. L’italiano sentì l’altro sospirare rumorosamente. Antonio strinse le braccia intorno al collo di Lovino e lasciò ricadere la testa sulla sua spalla. Lovino si irrigidì come un bastoncino. Non sapeva come reagire a quel contatto. Le uniche persone che lo avevano abbracciate negli ultimi dieci anni erano stati sua mamma e suo fratello ma, mai un “amico” o meglio, mai Antonio.
-Stavo cadendo…hic- mormorò il moro.
-E tu…hic…mi hai salvato.- lo spagnolo sciolse l’abbraccio e fissò Lovino negli occhi molto intensamente. Il castano si stupì della serietà con cui l’altro lo stava guardando ma, non osò dire nulla.
-Hic…grazie!- lo spagnolo ritornò allegro e sorridendo, schioccò un rumoroso bacio sull’angolo della bocca all’italiano. Lovino diventò dello stesso colore dei pomodori poi, lasciò cadere Antonio per terra.
-Ok, torni in albergo da solo.- farfugliò l’italiano prima di uscire dal locale.
 
                                                           
                                                                                                   V
 

-Antonio! Muoviti, abbiamo la partita!- Lovino stava cercando di buttare giù dal letto quel che rimaneva dello spagnolo. Infatti, il moro era pallido e aveva due grosse occhiaie a circondargli gli occhi.
-Che ore sono?- domandò il moro alzandosi a sedere.
-Sono le otto.-
-Oddio. A che ora è la partita?- chiese stropicciandosi gli occhi lo spagnolo.
-Alle nove in campo.- affermò l’italiano andando a raccattare qualcosa dal bagno.
-Cazzo. Cos’è successo ieri sera? La testa mi scoppia.-
-Hai fato l’imbecille come al solito e ti sei ubriacato.- Lovino gli porse una pastiglia e un bicchiere d’acqua.
-Che roba è? Non mi vorrai mica drogare, vero?- Antonio fece un sorrisetto malizioso.
-E’ un aspirina, idiota. Per me potresti giocare anche senza quella tua testa ma, voglio vincere e non saranno certo le tue bravate a fermarmi.- L’italiano incrociò le braccia al petto e assunse un’aria di superiorità. Antonio scoppiò a ridere e dopo aver ingerito il farmaco si avvicinò all’amico scompigliandoli i capelli.
-Quanto mi piaci quando fai il duro!- ridacchiò.
-C-Che cos’hai detto??!- chiese l’altro diventando rosso fino alla punta dei capelli. Antonio non rispose, per ora, andava bene così.
 
Ogni volta, finita la partita era la stessa storia. Veronesi impazzite che chiedevano di tutto ad Antonio e feste, feste in qualsiasi posto. E ogni sera Lovino non faceva altro che osservare Antonio. Non sapeva perché ma, quella sua faccia si era impossessata della sua mente e dei suoi pensieri. Ogni volta che lo spagnolo ci provava con qualcuno o semplicemente prendeva sottobraccio i suoi compagni di squadra, qualcosa si rompeva dentro a Lovino. Non sopportava vedere le sue attenzioni su qualcun altro che non fosse lui. Quanto lo irritava!
                                                                         
                                                                             
                                                                                                VI


Troppo velocemente trascorsero quei giorni e ben presto si ritrovarono in finale. Quella piccola squadretta meridionale si ritrovava in finale contro il Verona. Sarebbe stata una partita dura ed estenuante visto che entrambe le squadre godevano di una notevole fama.
 Antonio attraversava la stanza a grandi falcate. Era ormai da tempo che faceva avanti e indietro per il nervosismo. Si arrestò di colpo attirando l’attenzione dei suoi compagni di squadra.
-Non vi voglio dirvi bugie. Questa partita sarà difficile e non so se riusciremo a vincere.- cominciò con tono solenne.
-Posso dirvi soltanto che appena entreremo in quel campo dovremo dare il massimo, ognuno di voi. Lo so che siamo stanchi perché è pur sempre la fine dell’anno ma, oggi, voglio il massimo. Se perderemo, sapremo di averci provato e potremo migliorarci ritornando più forti. Sarebbe bello anche vincere al primo colpo, ovviamente.- ridacchiò lo spagnolo per alleggerire la tensione. -Ricordatevi che non stiamo giocando contro delle magliette ma, con dei ragazzi come noi, quindi, compagni miei, spacchiamo tutto e vinciamola!- vi fu un urlo e poi, si fiondarono tutti in campo.
-Come sono andato Lovi?- chiese il moro sorridendo.
-I miei discorsi erano più minacciosi, infatti i miei vincevano sempre.- sbuffò l’italiano.
-Però…penso che vada bene anche questo, Capitano.- Lovino arrossì leggermente.
Antonio rimase sorpreso, per un attimo, poi, gli sorrise e lo prese sottobraccio.
-Ah! Ti ho sentito mi hai chiamato capitano!!!-
-Posso ritirare tutto idiota.-
Come previsto dallo spagnolo, la partita non fu per niente semplice e fin dal primo minuto dovettero ricorrere a tutte le loro energie. Ma questo non stava bastando. Qualcuno, non stava dando il massimo. Senza nemmeno accorgersene il primo tempo si concluse con un parziale di 1-0 per il Verona.
Antonio era furente. Prese per il colletto Lovino e lo trascinò negli spogliatoi.
-Hei! Ma che ti prende?- urlò lo spagnolo. Lovino barcollò fino al muro. La testa gli faceva male e le guance gli andavano a fuoco.
-Io n-non…- sussurrò l’italiano. Veramente non sapeva cosa gli stava succedendo. Non gli era mai capitato di giocare così male in tutta la sua vita.
-Vedi  di svegliarti perché per colpa della tua testa tra le nuvole stiamo perdendo!- Antonio si passò una mano tra i capelli.
Un momento di silenzio.
-E’ colpa tua e del tuo modo di fare!- sbottò Lovino. Lo spagnolo lo guardò stupito.
-Si, è inutile che fai quella faccia sorpresa!- l’italiano abbassò la testa. –il fatto è che quando ti guardo vedo solo te e mi viene un nodo allo stomaco che non mi fa muore. Per tutta la durata della partita non ho fatto altro che pensare al tuo sorriso e che non potrò mai averti con me perché ogni sera ti cerchi qualcuno di diverso.- Antonio rimase senza parole. L’italiano alzò la testa per cercare i suoi occhi.
-Che cos’ho capitano? Dimmi, io veramente, non so che fare. Io…io voglio vincerla questa partita.- mormorò.
-Penso che tu sia innamorato.- disse avvicinandosi piano, Antonio.
-Innamorarmi? E di chi?- lo spagnolo posò la mano sulla nuca dell’altro.
-Di me.- il moro unì le sue labbra a quelle dell’altro senza dire una parola. Lovino arrossì.
-Che stupido.-

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Pronto? ***


Scusate per l’immenso ritardo ma, ultimamente con la scuola non vado molto d’accordo e mi madre mi ha ritirato il computer e me l’ha ridato pochi giorni fa. Di conseguenza non ho potuto scrivere per un bel po’ (che pena D’:). Spero che sia di vostro gradimento :) Buona Lettura!!^^
 

Pronto?
 


Vedere qualcuno tirare i capelli ad Arthur era stato parecchio divertente. Sentire, poi, tutti gli insulti che l’inglese rivolgeva all’americano era la ciliegina sulla torta. Ci mancava proprio qualcuno che riuscisse a zittirlo, ogni tanto. L’arrivo di Alfred era stato un piacevole cambiamento per i Perfect Maker, in particolare, per Arthur, visto che era da quando stava con Matt che non rideva così e che si infuriava così. Dipende da i punti di vista.
-E adesso, la mia mossa speciale!- urlò Alfred. L’inglese si bloccò per un istante.
-Solletico a manetta!!!-
E fu così che Arthur per poco non svenne. Ad interrompere l’americano fu lo squillo del suo cellulare.
-Pronto?- chiese Alfred sistemandosi sopra l’inglese che parve alquanto scocciato da quella posizione.
-Alfred! Mon cher! Quando tornerete qui a San Francisco?- il biondo rimase sorpreso per quella chiamata ma, soprattutto, dalla persona che lo chiamava.
-Yo Francis! Penso sta sera tardi. Non so se si vogliono fermare a fare casino da qualche parte.- Arthur cominciò a mordicchiare la mano all’americano con insistenza.
-Allora puoi chiedere dove andranno?- chiese Francis con un filo di malizia nella voce.
-S-Sure, ahia fuck!- Arthur aveva cominciato a fare male!
-ma perché ti interessa così tanto?- continuò Alfred cercando di trattenersi dal buttare fuori dal finestrino l’inglese.
-Oh, mon amour non ti piacerebbe saperlo, però…-
-Ok, mi fido! Ti mando un messaggio dopo, va bene?-
-Merci, Alfred! Au revoir!- detto questo il francese riattaccò.
-Chi era??- chiese irritato Arthur.
-Sei geloso di una chiamata, padroncino?- ridacchiò Alfred.
-Che cazzo dici! E’ solo che mi da fastidio stare in questa posizione, con tutti gli altri che ci guardano in un pulmino!- sbraitò il biondo. Alfred si guardò intorno con aria innocente.
-Non ci sta guardando proprio nessuno!- in effetti, Lovino, Elizabeta e Feliciano erano intenti a giocare a carte mentre Matthew stava guidando.
Arthur arrossì, poi sbuffò contrariato.
-Vai a preparare da mangiare, yankee, ho fame.- si limitò a dire. L’americano rimase immobile.
-Allora? Muoviti! Ti ho detto che ho fame!- si lamentò l’inglese cominciando a dimenarsi come un bambino.
-I-Io non so cucinare!- ammise Alfred con un urlo simile ad un capriccio. Arthur ghignò.
-Hahaha! E ti ritieni un eroe? Hahaha!- stava per fare altri commenti sarcastici quando, vedendo l’espressione triste che aveva assunto Alfred si morse la lingua.
-Beh, se proprio non sei capace, potrei insegnarti io. Non sono un granché ma qualche dolcetto riesco a farlo.- cercò di schivare gli occhi dell’altro per l’imbarazzo.
-Davvero?? Mi insegneresti?- Il viso dell’americano si illuminò come quello di un bambino ad un invito di giocare.
-Yes…-
 
-No! Stai sbagliando tutto! Gli scones  non sono di quel colore verde fluorescente!- urlò Arthur in preda ad una crisi di nervi. Era davvero incapace, quell’americano. Arthur gli aveva spiegato tutto passo passo e lui era riuscito a sbagliare comunque! Però, il fatto che l’inglese fosse più bravo di Alfred in qualcosa lo appagava assai…
-Ma sono buoni! E poi, questi scommetto che si illuminano al buio…- affermò Alfred azzannandone uno.
-Mi toccherà preparare tutto il pranzo da solo.- sospirò - Osserva il maestro all’opera, stupid yankee!- L’inglese si tirò su le maniche e venne affiancato dall’americano che lo guardava con occhi brillanti. Stavano per accendere il fuoco quando una mano prese entrambi per il braccio.
-Offrite quegli scones agli altri, se ne hanno voglia. E’ meglio se del pranzo me ne occupi io.- osservò con un sorriso Feliciano. Arthur lo fulminò con lo sguardo ma, obbedì trascinandosi con lui Alfred.
-Oh beh, penso che dovrei ringraziarti…- aggiunse l’americano portandosi una mano dietro alla nuca.
L’inglese lo osservò da capo a piedi e non riuscì a trattenere un sottile sorriso apprensivo.
-M-Ma, beh, non devi...ti ho solo insegnato a fare gli scones.- balbettò l’inglese.
-Good! Se la metti così mi sento meglio. Non sai che fatica che faccio a ringraziare uno come te!- ghignò Alfred.
-You little bastard!- Preso dalla rabbia, il biondo cominciò a lanciare gli scones verde fluo all’americano.
 
Ma chi aveva inventato i cellulari? Certe volte, Elizabeta, avrebbe voluto tornare indietro nel tempo per ammazzarlo. Osservò ancora una volta lo schermo touch-screen del suo Nokia. Sette chiamate senza risposta. Sospirò. Tutte chiamate di Roderich. Ma perché lo chiamava con così tanta insistenza? Cosa aveva fatto per ritrovarlo qui in America?! Fece scorrere tutte le chiamate poi, di colpo si immobilizzò. E se fosse successo qualcosa? E se Roderich avesse chiamato per qualcosa di importante? Forse avrebbe fatto bene a richiamarlo e se per caso non ci fossero stati problemi avrebbe ascoltato ugualmente la sua voce profonda… Stava accuratamente componendo il numero dell’austriaco quando, una chiamato la precedette. Numero sconosciuto.
-Pronto?-
-Ehi donna! Come va?-
-Gilbert? Come hai fatto ad avere il mio numero?-
-Kesesese, io ho il numero di tutte le ragazze che girano per San Francisco! E il tuo non può mancare~- La ragazza sbuffò.
-Che vuoi?- tagliò corto.
-Ti ho chiamato per chiederti come stavi!-
-Se, se…-
-Sul serio!- Elizabeta non rispose.
-Ok, forse non ti ho chiamato per chiederti come stavi ma, sul serio, voglio sapere…-
-Tsk, sto bene. Che vuoi?-
-Quando rispondi così é proprio un piacere sentirti sai, Eliza? Comunque, sta sera stacco prima, quindi, mi chiedevo se ti andava di prendere un caffè.- l’ungherese non rispose. Non si aspettava una richiesta del genere, soprattutto da Gilbert e proprio nel momento in cui stava pensando a Roderich! Ci pensò un po’ su ma, forse per curiosità o forse per quella vocina che le diceva “Rod ti tratterebbe male!”, alla fine prese la sua decisione.
-V-Va bene. Però, ora sono in tour e non so quando tornerò, quindi dovrai aspettare.-
-Se è sicuro che tu verrai il tempo passerà fin troppo in fretta. Ci vediamo sta sera Eliza!- la ragazza stava per ribattere un “posso sempre non venire!” quando Gilbert riattaccò. Che cosa voleva esattamente da lei quel demente di un tedesco? Quanto la faceva incazzare!
 
Il viaggio era esageratamente lungo. Feliciano non era abituato a tutte quelle ore di macchina. Certo, si era già fatto dei viaggi in giro per l’Europa anche molto lunghi ma, era incredibile quanto fosse grande quell’America! Già gli mancava la sua amata Italia. Sospirò, osservando le macchine che gli sfrecciavano accanto. Qualcosa cominciò a vibrare nella sua tasca. Estrasse il suo cellulare e rispose senza nemmeno guardare chi era.
-Dicano?-
Nessuna risposta.
-Pronto? Chi sei?- chiese con tono sorpreso.
-Ehm, scusa sono Ludwig. Disturbo?- una voce profonda e alquanto imbarazzata giunse all’orecchio dell’italiano.
-Ehi Lud! Come mai mi hai chiamato?? Non sai quanto sono felice di sentirti!-
-Ah, beh, io volevo solo scusarmi per ieri sera. In fondo dopo che è arrivato mio fratello ti ho perso di vista…- Feliciano non rispose.
-Ci sei ancora?- chiese il tedesco quasi preoccupato.
-Si, ci sono ancora…è solo che non pensavo ti importasse così tanto di me…- concluse l’italiano con un filo di voce e attento a non farsi sentire dagli altri.
-Ma che pensi…? Cioè, a me importa di te, si, insomma, l’hai detto tu che siamo amici no?- Feliciano sorrise.
-Certo! Noi siamo amici! Allora sta sera ti va di uscire?- il biondo rimase interdetto.
-Dopo avermi fatto questo discorso non puoi dirmi di no!- aggiunse subito dopo l’italiano.
-Oh, beh, penso che sta sera vada bene…-
-Veee! Perfetto!-
 
Una sensazione si fece largo nelle menti di tutti i presenti. Quel dopo concerto avrebbe cambiato tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Appuntamenti ***


Dunque eccomi qui di nuovo a stressarvi con un nuovo capitolo, spero di essere stata un po’ più veloce dell’altra volta  :D Per il vostro piacere questo è un capitolo abbastanza lungo (penso che lo sarà anche il prossimo)
Avviso che per il prossimo però, dovrete aspettare perché, udite udite me ne vado per un po’ in vacanza  :D Lo so ci mancava solo questo xD Quando torno cercherò di fare in fretta però, per ora vi lascio con questo ;)
Buona lettura!^^

 


Appuntamenti
 



Gilbert sprizzava felicità da tutti i poi. Aveva un sorriso ebete stampato in faccia da mezz’ora, ormai.
Roderich sembrava tutto l’opposto.
Il viso era contratto in una smorfia e l’espressione era incredibilmente triste.
-Senti Rod, questa sarà una serata bellissima e anche tu dovrai avere una serata bellissima quindi, ti pagherò due o tre giri di birra! –
-Non voglio quella roba. Soprattutto se sei tu ad offrirmela. –
-Ma che simpaticone! – disse ironicamente il tedesco riempiendo un boccale di birra.
-Ascolta, la mia vita, ultimamente, è uno schifo, non mi servi anche tu a peggiorare le cose…- borbottò il moro sistemandosi gli occhiali. Il barista gli porse ugualmente la birra.
-Non sarò perfetto (e questo non è vero, io sono MAGNIFICO!) ma, so ascoltare, quindi sfogati! –
L’austriaco fisso il liquido giallastro e la vaporosa schiuma bianca che lo ricopriva. Un sorso non gli avrebbe fatto male, e poi, in quel momento, voleva solo dimenticare.
-Beh, a casa non va molto ben perché il padrone del mio appartamento ora mi vuole sfrattare. Non ho un posto di lavoro fisso perché, come vedi, non faccio altro che suonare il piano nei bar. A momenti non riesco neanche ad arrivare a fine mese! - Gilbert sembrava pensieroso mentre Roderich ingurgitava la bevanda con una velocità da far paura.
-E in più, come se tutto questo già non bastasse, ho rivisto Eliza! Non sai quanto ci sono rimasto male, non pensavo che potesse rattristarmi in questo modo…- l’albino si riscosse e si fece immediatamente più attento.
-Che è successo di preciso tra vi due? -
Roderich rise. Un sorriso amaro si dipinse sul suo volto.
-Hai presente quelle storie d’amore dove la povera schiava diventa la principessa perché lei e il principe azzurro si innamorano? - Gilert annuì – Ecco, noi eravamo così. Lei proveniva da una famiglia talmente povera che per guadagnarsi dei soldi tutti lavoravano come donne delle pulizie o baby-sitter. Eliza aveva trovato lavoro presso una famiglia benestante, era il suo primo lavoro e lai all’inizio piacque ma, dopo poco la licenziarono perché “non era abbastanza brava”. Lo stesso giorno ci incontrammo. Pioveva, mi ricordo. Lei era seduta all’angolo del marciapiede, i vestiti sporchi di fango e bagnati di pioggia, i suoi bellissimi occhi verdi così spenti… beh, non so di preciso cosa successe, so solo che mi fermai a parlare e l’aiutai. Così ci conoscemmo. – il moro fece un cenno con il mento per chiedere altra birra e, il tedesco con un rapido gesto della mano lo accontentò.
-Continua…-
- Lei cominciò a lavorare a casa mia e, trascorrendo del tempo insieme ci innamorammo. La portai in giro per l’Europa, poiché io ero un rinomato pianista e tenevo molti concerti. Le feci conoscere la musica e le trovai un posto di lavoro in un bar da un mio amico italiano. –
-Eliza era una barista? – chiese Gilbert con occhi lucenti.
- Certo! – confermò l’austriaco.
-E poi he successe? – domandò l’albino con prepotenza.
-Stemmo insieme per quattro lunghi e bellissimi anni…e poi, le chiesi di sposarci. – questa volta il tedesco rimase quasi scioccato. Quei due erano arrivati fino a quel punto?
-Le chiesi di sposarci e lei, lei rifiutò. Eravamo ad una festa quando glielo chiesi, puoi immaginare che figura che mi fece fare. Gente che bisbigliava tra di loro, sguardi fugaci e risatine. Sono caduto in una pessima depressione e non ho composto canzoni per un bel po’. Quella fu la fine della mia carriera, del mio prestigio, la fine della mia vita e la morte del mio cuore. –
Anche il secondo boccale era finito e Roderich sembrava più triste di prima.
Gilbert guardò l’ora.
-Bella e triste storia, amico. Ho voglia di aiutarti, quindi, queste sono le chiavi del mio appartamento. Puoi starci anche tu se vuoi. -
L’austriaco sembrò non capire.
-Puoi venire a vivere da me! – Gilbert scrisse l’indirizzo su una salviettina.
-Ora devo uscire ma, ci vediamo domani mattina. – Roderich schiuse le labbra, sentiva di dover dire qualcosa ma, l’alchool gli annebbiava la mente.
-Ah! Quasi dimenticavo! – aggiunse all’ultimo momento Gilbert –Esco con Eliza sta sera ma, senza rancore! Kesesesese! –
 

La giornata era volata. Fin troppo presto era arrivata la sera. Fin troppo presto erano tornati a San Francisco.
Lovino inserì la chiave nella serratura e con un colpo secco aprì la porta di legno.
-Ragazzi io vado a farmi una doccia…- annunciò, appena entrato, con noncuranza. Tre mani lo presero per il colletto. Sulla destra c’era un Eliza minacciosa, sulla sinistra un Feliciano poco rassicurante e in centro un Matthew dall’espressione quasi arrabbiata.
-Che cazzo avete?!- chiese Lovino spaventato.
-Tocca prima a me la doccia! - risposero i tre all’unisono. Vi fu qualche istante di silenzio poi i tre si scrutarono attentamente.
-Io devo uscire sta sera! – cominciò l’ungherese irritata.
-Anche io devo uscire sta sera! – rispose con la medesima irritazione Feliciano.
-Hei, hei anche io devo uscire! – concluse il canadese.
La faccenda si faceva seria. Come dividere una doccia in quattro?
Arthur scoppiò a ridere beccandosi degli sguardi di ghiaccio addosso.
-Siete troppo divertenti! Ci manca soltanto che cominciate a picchiarvi! –
-La storia è seria stupido inglese! Io dovrei essere già lavata! – esclamò Eliza furiosa.
-Noi sei l’unica. – rispose acidamente Feliciano.   
Alfred alzò la mano.
-Perché non fate semplicemente “sasso carta forbice”? – Arthur lo fulminò con lo sguardo, sussurrando un “volevo vederli pacchiarsi!”
I quattro si illuminarono. Perché non ci avevano pensato prima? Sarà stato che la loro mente fosse occupata a pensare a quello che li aspettava?
 

Qualcuno bussò alla porta. Arthur si guardò intorno. Nessuno. Eliza era uscita per prima, poi era toccato a Feliciano, Lovino era come scomparso, Alfred si stava facendo la doccia e lui era troppo impegnato a guardarsi un giallo alla tv.
-Alfreeeeeeeed! Esci dalla doccia e vai ad aprire! – sbraitò l’inglese cercando di scaricare a qualcuno il compito di andare alla porta.
-Verrei ma, non voglio farmi vedere nudo (o quasi) da un pervertito-inglese-scorbutico come te! –
Le grosse sopracciglia dell’inglese cominciarono ad impennarsi.
-Idiot! Chi hai chiamato pervertito?! Appena vieni giù giuro che ti strangolo! Anzi adesso vengo la e-
Adesso fu il campanello a suonare.
Arthur sospirò.
-In fondo io rimango un gentiluomo devo andare ad aprire…-
-Oh, Bonsoir! – Arthur osservò l’individuo che aveva davanti. Aveva lungi capelli biondi raccolti in una morbida coda e indossava uno smoking bianco. Aveva un po’ di barbetta sul mento e degli irritanti occhi azzurri.
-Guardi non abbiamo ordinato niente dal ristorante francese. – l’uomo parve stupito ma, subito, le sue labbra si piegarono in un piacevole ghigno.
-Lo so bene. Infatti non sono qui per questo…- il francese si avvicinò pericolosamente all’altro.
-…Sto cercando una persona…- sussurrò all’orecchio dell’inglese.
Arthur arrossì così tanto da cominciare a sudare.
Si riscosse da quella specie di atmosfera afrodisiaca allontanando l’altro con uno spintone.
-C-Chi? Io non ti conosco e non mi hai ancora detto chi sei, stupid man! – il francese sorrise divertito.
-Io sono Francis Bonnefoy, mon cheri. – Arthur fece una smorfia.
-Chi stai cercando pervertito?!-
-Matthew. - rispose secco il biondo. L’inglese stava per rispondere con un “Matthew chi?” quando si fece avanti una figura alle sue spalle.
-Ciao Francis! – sorrise il canadese. Arthur rimase spiazzato da quella scena. Matt…stava andando…ad un appuntamento…con un pervertito? Ma stiamo tutti bene?
-Hei hei hei, tu, Matt dove pensi di andare? – il più giovane lo guardò stupito.
-Esco con Francis, Arthur. –
L’inglese cominciò a ripensare se qualche minuto prima avesse bevuto qualche super alcolico strano. Il suo cervello non trovò risultati.
-Ehm, con questo pervertito? –
Matthew si appoggiò il giubbotto sulle spalle.
-Non lo definirei pervertito. – affermò il canadese facendo per andarsene. Arthur lo prese pe un polso.
-No! Non mi fido a lasciarti con questo qui! – brontolò il biondo.
A quel punto intervenne Francis. Con un rapido gesto della mano sinistra sfilò il polso di Matt dalla presa dell’inglese mentre con la destra se lo portò al petto. Il canadese arrossì.
-Piacerebbe anche a me stare qui con te, mamma. Ma tuo figlio deve uscire con me e, sai abbiamo molti piani per sta sera- un ghignò si materializzò sul viso del francese ma, fu solo un momento perché i due se n’erano già andati.
Arthur rimase immobile. Incredulo per quello che aveva appena visto.
-Ehi, mi sono perso qualcosa? – al fianco dell’inglese si fece avanti un Alfred a torso nudo e capelli ovviamente bagnati. Arthur non poté fare a meno di osservare la sua pelle chiara.
-Ohii? Sei qui? O sei perso ad osservarmi? –
Il biondo si riscosse. Ma che gli stava prendendo? Se aveva preso qualcosa doveva essere veramente forte!
-Idiota! Ho appena visto Matt andarsene via con un pervertito! E poi ho fame…-
-Per caso si chiamava Francis il pervertito? –
Arthur annuì. –lo conosci? –
-Ehm…si, diciamo che lavora con me. – tra i due calò il silenzio. Erano rimasti soli. In tutta la casa non c’era più nessuno. Che sarebbe successo?
-Che ne dici e ordiniamo una pizza? – intervenne Alfred.
-Beh, solo per sta sera perché non ho voglia di cucinare! –
-E poi ho noleggiato un horror che fa paurissima! –
-Un horror? –
 
Ludwig aspettava impaziente davanti al Raven Bar. Si stava ancora chiedendo perché avesse accettato quell’invito ad uscire. Lui non era quel tipo di ragazzo. Insomma, lo era, ci aveva provato una volta ma, no lo convinceva molto.
Si prese la testa tra le mani cercando di fermare quel fiume di pensieri. Possibile che un appuntamento lo rendesse così dannatamente vulnerabile?!
-Lud!!- un ragazzo richiamò la sua attenzione. Dall’altro lato della strada Feliciano si stava sbracciando come posseduto da uno spirito maligno. Il tedesco si domandò se sarebbe sopravvissuto con un tipo come lui.
Attraversò con passi veloci e appena arrivò abbastanza vicino all’altro, questo gli afferrò il braccio destro sorridendo ed emettendo un “vee!”
 Il ragazzo aveva dei pantaloncini in jeans blu, una maglietta bianca a maniche corte e un gilet nero. Almeno aveva buon gusto nel vestirsi.
-Dove andiamo? Io devo ancora mangiare, conosci un posto dove si mangia bene? – Feliciano gli rivolse un altro sorriso, che Ludwig trovò mozzafiato.
-Ah, ehm, ti piace mangiare cinese? – disse cominciando a già a camminare il biondo.
-Certo! –
-Bene, allora ti porto nel ristorante di un mio amico. –
 
La cena fu abbastanza tranquilla. Il cibo che preparava Yao era decisamente squisito e la presenza dell’italiano non era più così fastidiosa. Feliciano era un tipo tranquillo amante dell’arte e della musica. Parlava molto e tante volte raccontava storie strane e buffe. Come quella volta che suo fratello voleva togliergli un capello.
Era simpatico e passare del tempo con lui era piacevole non c’era altro da dire.
-Veeee! Mi sono divertito un sacco sta sera! Dovremo uscire più spesso! – esclamò l’italiano mentre uscivano dal locale.
-Già! Però, di mattina, io sono occupato con l’Università…-
-Vai all’Università?!- chiese Feliciano stupito. Il tedesco si morse la lingua. Perché non se ne stava un po’ zitto?
-Si…-
-Che facoltà? –
-Giornalismo anche se all’inizio volevo fare semplicemente lettere. -
- Che bello!! Anche io avrei tanto voluto iscrivermi all’Università! Sarei sicuramente andato a fare-
-Arte- completò Ludwig la frase che l’altro aveva iniziato.
Feliciano lo guardò sorpreso.
-Come facevi a saperlo? –
-Da come ti comporti…saresti un bravo artista. – il biondo abbozzò un sorriso.
-Se posso…come mai non hai continuato gli studi? -
-Io e i miei amici siamo diventati famosi come “Perfect Maker” subito dopo il Liceo e abbiamo cominciato mille tour in Europa! –
Il tedesco ci pensò un attimo. Dove aveva già sentito quel nome? Frugò nella sua mente attentamente e alla fine ricordò. I Perfect Maker erano quel gruppo di ragazzi europei arrivati in America per una serie di concerti e lui, proprio lui era l’incaricato a seguire il loro caso.
In pochi istanti tutto ritornò. Alfred e quella scommessa, Antonio e quel suo sparire.
Che cosa avevano in mente esattamente quei due paparazzi? Fino a che punto si sarebbero spinti?
Feliciano strattonò la sua camicia richiamandolo alla realtà.
-Siamo arrivati…- annunciò quasi con tristezza. Ludwig guardò davanti a se e quello che riuscì a veder fu la sagoma di un’imponente villino.
-Beh, allora ci vediamo un’altra volta. - rispose di rimando il biondo.
Feliciano annuì.
Il tedesco se ne stava andando ma, sentì nuovamente qualcuno che strattonava la sua camicia. Fu costretto a voltarsi e quello che trovò furono due labbra calde e morbide contro la pelle della sua guancia. Fu un contatto velocissimo e apparentemente stupido ma Ludwig arrossì lo stesso.
 Non appena l’altro si staccò, quello che trovò fu un sorriso sincero.
-Sei adorabile quando arrossisci. – Se fosse stata una persona qualunque l’avrebbe come minimo strangolata ma, quell’italiano era pur sempre quell’italiano.
Si voltò in fretta e altrettanto velocemente rifece tutta la strada a ritroso. Quella serata era stata troppo caotica, aveva bisogno di stare da solo con un po’ di birra.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** In bianco o a letto? ***


Buon salve a tutte! Vi sta parlando una ragazza piuttosto rilassata perché è tornata da poco dalle vacanze (se ve lo chiedete è stata fantastica!! :3)
Ma non è questa la cosa importante…voi siete qui per il capitolo, diamine u.u Quindi che sia fatto il capitolo! E’ abbastanza lungo (per la vostra felicità) e parlerà di altri due appuntamenti.
Ora vi chiederete perché il titolo? Ebbene lo capirete (è arrivato Capitan Ovvio) perché ci sarà sul serio chi andrà in bianco e chi invece se la spasserà per tutta la notte:D
Smetto di rompervi l’anima e vi lascio leggere :) Spero vi piaccia, Buona Lettura! ^^

 
 

IN BIANCO O A LETTO?
 



-Ehi Lovi!!- una voce lo chiamò da un punto impreciso del corridoio. Il ragazzo si guardò intorno, poi, da un angolino spuntò un occhio verde.
-Santo Dio! Antonio?!- l’altro si guardò intorno e solo dopo essere sicuro che non ci fosse nessuno uscì allo scoperto.
-Ma come cazzo hai fatto ad entrare qui?!-
Antonio si avvicinò all’italiano senza dire niente. Gli cinse i fianchi e lo attirò a se. Lovino si divincolò cercando di staccarsi dallo spagnolo ma, non ci riuscì.
-Dalla finestra. – rispose dopo qualche istante.
-Ma perché?!- Il moro si chinò sull’altro per baciarlo. Fu un bacio molto lungo e passionale così, Lovino ne approfittò per attorcigliargli le braccia intorno al collo. I loro corpi erano ormai appiccicati.
-Avevo voglia di vederti! Che domande fai? – disse dopo aver ripreso fiato.
L’italiano sbuffò.
-Non intendevo quel perché! – arrossì. –Perché non hai usato la porta? –
Lo spagnolo rise piano.
-Sono qui per rapirti. – disse con un tono troppo dannatamente pervertito.
-Cosa? –
Antonio prese in braccio Lovino.
-Hei! Che fai?!-
-Reggiti. - sussurrò il moro all’orecchio dell’altro.
-Stai attento a quello che dici perché potrei stringere così tanto intorno a questo tuo stupido collo da strozzarti! –
Antonio sorrise. Un sorriso molto inquietante.
Si diresse verso una camera. C’era la finestra aperta, molto probabilmente era la stessa parte da cui era entrato. Lo spagnolo si issò sopra al davanzale. Lovino cominciò ad intuire ciò che voleva fare.
Rabbrividì.
-Matto idiota di uno spagnolo! Mettimi giù! Se proprio dobbiamo scendere lo faccio da solo! Sono ancora giovane per lasciarci le penne! -
Antonio se ne fregò altamente e con un piccolo saltellò si buttò.
 
-Chi era quell’inglesino? – chiese con un mezzo sorriso Francis. Matthew sospirò.
-E’ un mio amico nonché compagno di Band…scusa se ha fatto tutte quelle scene, è fatto così! –
Il canadese sorrise e l’altro non poté non bloccarsi di colpo. Quel piccoletto aveva un effetto strano su di lui. Troppo strano. Quasi non gli piaceva quella situazione. Si sentiva…si sentiva, diverso dal solito e, a quanto pareva più vulnerabile. Con tutte le persone con cui era andato (aveva perso il conto a trenta in una sera/notte) non si era mai sentito così. Si conoscevano solo da una notte e quella sera ma, il cuore perdeva un colpo ogni volta che quel biondino sorrideva e, sentirselo vicino lo rendeva quasi felice. Per il momento avrebbe solo sperimentato. Voleva sapere perché quel canadese gli facesse quell’effetto.
Forse doveva solo portarselo a letto…
O forse stava solo diventando vecchio.
-Ehi? Allora sta sera dove andiamo? – Francis si riscosse e solo dopo qualche secondo riuscì realmente a comprendere la domanda.
-Visto che ieri sera abbiamo ballato, e devo dire che non sei stato affatto male, sta sera…- lasciò la frase in sospeso e accelerò leggermente il passo. Matt lo seguì e non appena si fermarono riuscì a vedere la piccola insegna di carta rigida che stava indicando l’altro.
Diceva “Pattinaggio sul ghiaccio”
 
 
-Sei un malatoidiotastupidobastardocazzonepervertitofolle, cazzo! Sai che avresti potuto ammazzare tutti e due?!- Lovino tremava leggermente. Antonio rise.
-Era tutto calcolato Lovi! – lo spagnolo gli sfilò una foglia dai capelli castani e ancora arruffati.
-Non mi sembrava molto calcolato il tuo volo dall’albero al prato- ridacchiò l’italiano.
-Piccolo inconveniente…però l’uscita era d’effetto! – disse solenne.
-Era un uscita suicida, il che è diverso. – affermò.
Antonio lo osservò a lungo senza dire niente. Lovino arrossì cercando di evitare i suoi occhi smeraldini.
-Che cazzo hai da guardare?!- lo spagnolo gli prese una mano con delicatezza.
-Sto osservando la mia vittima. – il castano gli assestò un pugnetto sul braccio.
-Idiota…-
Cominciarono a camminare. O meglio, lo spagnolo cominciò a trascinare l’italiano.
-Muy Lindo! -
-Fatti capire! Lo sai che non ho voglia di imparare lo spagnolo! – lo spagnolo sospirò.
-Sta sera ti porto in un posto speciale, e molto romantico…-
-Se parli dell’albergo dell’altra sera è romanticissimo quel posto! –
-Ma no! Però più tardi potremmo ritornarci- sguardo pervertito –ti porto a mangiare fuori! In un posto bellissimo! –
Lovino attese di sentire quale fosse questo “posto bellissimo” ma, la risposta non arrivò mai.
-Allora? Dove andiamo? –
-Lo vedrai quando arriveremo. –
 
Il sole cominciava a tramontare ed erano già le otto di sera. Nel cielo venivano proiettati riflessi cremisi che si sbiadivano in sfumature arancioni e giallastre. Quello spettacolare paesaggio combaciava con l’East River in una tela perfetta di tonalità. A corniciare il tutto c’erano le luci, ancora troppo deboli in confronto al sole, dei palazzi di San Francisco.
Lovino non poté fare a meno di rimanere senza fiato. Quel panorama gli ricordava la sua Italia…
-La nostra meta è esattamente lì! – Antonio puntò il dito su di una barchetta discreta, di un colore marroncino.
-Vuoi riportarmi in Europa per caso? – lo spagnolo sorrise divertito.
-Vorrei, ma sono un rapitore gentile e mi limito a portarti a mangiare in quel ristorante galleggiante. –
Lovino arrossì. Troppe attenzioni. Era abituato all’invadenza delle sue fan e alcuni commenti un po’…osceni su di lui ma, ricevere delle attenzioni da Antonio era completamente diverso. Non lo avrebbe mai ammesso ma, stare con lui lo rendeva felice sul serio.
-Andiamo allora! Ho talmente tanta fame che potrei mangiare anche te! –
- Se mi mangi dopo chi è che ti farà arrossire così? – Lovino strinse i denti.
- Ogni volta che farò indigestione per colpa tua diventerò rosso! –
 
 
-Aspetta! Non riesco a starti dietro! Fermatiii! – urlò esasperato Francis.
Aveva fatto due grossi errori nella sua vita fino a quel momento. Sposare una donna delle Seychelles, per inciso la sua prima moglie che gli chiedeva soldi per gli alimenti anche se non avevano figli, e portare a pattinare Matthew!
Ok, ok i canadesi sono famosi per l’hokey ma, cavolo! Era impossibile pattinare con una tale velocità!
Finalmente il biondo si fermò e raggiunse l’altro.
-Tutto bene Francis? –
Il francese aveva il fiatone e lo guardò con uno sguardo del tipo “mi prendi per il culo o mi hai appena chiesto quello che mi hai appena chiesto?!”
-Ma cosa ti davano da mangiare da piccolo?! Pane e ghiaccio per caso? –
Matt rise piano.
-Scusami è che da molto tempo non vengo a pattinare e stare qui mi rilassa- il biondino arrossì quindi abbassò lo sguardo -anche perché sono con te…-
Diamine! Possibile che una frase così semplice (che il francese avrà usato un centinaio di volte) gli faccia battere il cuore così forte?
-Io…ehm…- la gola gli si seccò all'improvviso e solo con uno sforzo sovrumano riuscì a proseguire la frase.
- A-Anche per me è un piacere stare con te. – sussurrò appena. L’altro si ostinava a tenere il capo chino quindi, il francese afferrò delicatamente il mento dell’altro con due dita. Lo costrinse a guardarlo.
- Voglio guardarti. Mi piacciono i tuoi occhi. –
Sentì Matthew sussultare e vide, nei suoi occhi quasi violacei, mille emozioni passare in un secondo.
Ormai, intorno a loro non c’era nessuno, forse, se non si fossero sbrigati li avrebbero chiusi dentro.
Francis si lasciò guidare dall'istinto e approfittò di quel momento così propizio. Appoggiò le sue labbra a quelle del canadese in un semplice bacio a stampo. Non appena l’altro ricambiò con molto piacere, il francese, cercò di fare ciò per cui le sue labbra erano così desiderate. Socchiuse la bocca e con la lingua cercò di entrare nell'altro. Matthew esitò per qualche secondo. Sembrava voler interrompere quel contatto ma, non appena il francese gli accarezzò con delicatezza la guancia, l’altro si abbandonò completamente.
La lingua esperta del francese si scontrò con quella più timida dell’altro avvolgendo entrambi di sensazioni nuove. Matthew intrecciò le mani dietro alla nuca dell’altro e lo fece scivolare al centro della pista. Anche Francis cinse i fianchi dell’altro un po’ per avvicinarlo a se e un po’ perché lui non era mai stato un asso nel pattinaggio.
Il francese si stupì di se stesso. Per la prima volta da quando usciva con le sue vittime si fidava di qualcuno.
Si staccarono un momento per riprendere fiato. In quel momento si sentivano soltanto i loro respiri spezzati e lo scrosciare dei pattini sul ghiaccio. Gli occhi azzurri del francese si puntarono in quelli di Matthew incapaci di guardare altrove.
-Che ne dici se andiamo a casa mia? –
Il canadese sorrise dolcemente continuando ad osservare il francese.
-Penso che per ora vada bene così. Grazie per la bellissima serata ma, ora devo tornare. –
Matthew gli posò un ultimo breve bacio sulle labbra poi, con estrema lentezza, slittò fino all'uscita.
Il francese rimase senza parole. Era la prima volta che qualcuno lo lasciava così. Ed era la prima volta che qualcuno rifiutava di venire a casa sua!
Non appena riuscì a sentire solo il suo respiro regolare decise di tornare a casa. Avrebbe continuato ad uscire con Matthew finché non l’avrebbe portato a letto.
 
La cenetta romantica era trascorsa più tranquillamente di quello che si aspettava. Stranamente Lovino era stato buono per tutta la serata.
-Lovi…Che hai? –
L’italiano appoggiò il bicchiere di vino rosso sul tavolo.
-Nulla. –
Lo spagnolo si fece serio.
-Ti conosco da abbastanza tempo per dire che c’è qualcosa che non va. –
Lovino sospirò.
-Ho solo una brutta sensazione…-
-Riguardo cosa? –
-Fammi finire, idiota! – il castano guardò truce l’altro.
-Scusa! E’ che per tutta la cena mi sembrava di aver davanti un muro. –
Lovino tirò un pestone al povero e malaugurato piede di Antonio che contorse la bocca in un “Ahiii”
-Ho una brutta sensazione su come sta andando questo tour…-
-Il fatto che quell’americano si sia assediato a casa nostra, che Matthew abbia cominciato ad uscire, che sia ritornato quell’austriaco rompicazzo e che perfino Feliciano abbia cominciato a frequentare quel biondone! –
Antonio ci pensò un po’ su.
-Stanno facendo nuove esperienze! In fondo è questa l’America! Una terra in cui puoi vivere i tuoi sogni! Guarda noi due ad esempio: è solo grazie a questo posto se ci siamo rincontrati.
A me non dispiace questo luogo. –
Lovino ridusse gli occhi a due fessure.
-E’ perché ti piace oziare, ecco tutto! In questo posto fai siesta 24 ore su 24! –
Antonio ridacchiò.
-Allora, se faccio tutta questa siesta, perché non me la fai interrompere tu sta notte? –
La faccia dell’italiano si ricoprì di una tonalità simile al bordeaux. Si alzò di scatto lasciando due banconote sul tavolo.
-Pervertito! Se mi fai queste proposte indecenti che posso fare? Forza muoviti! –

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Una serata singolare ***


Buona sera/giorno/pomeriggio a tutte suddite. Sono tornata con un nuovo capitolo dopo abbastanza tempo, però almeno è lunghetto u.u se vi consola xD Per i fan di UsUk e PruHungary questo è l’ideale quindi armatevi di cuscino dove affondare la testa nelle parti pucciose :3 Ringrazio tutti quelli che hanno recensito fino ad ora e quelle che comunque leggono e seguono la mia fic *si commuove*.
Non vi trattengo oltre, spero che vi piaccia e…Buona Lettura! :)

 
 

UNA SERATA SINGOLARE
 
 


Era già da dieci minuti che aspettava. Sul serio, non si aspettava che riuscisse ad essere in ritardo anche al primo appuntamento. Se così si può definire. Stava perdendo le speranze, forse gli avrebbe dato buca.
Si era anche messo il vestito buono! Evento molto raro per un barista.
-Ehi sfigato! Sono qui! – la stridula e irritante voce di lei gli arrivò all’orecchio come una lancia. L’aveva sul serio chiamato sfigato?! Proprio il MAGNIFICO LUI?!
-A chi hai dett…- Non fece in tempo a girarsi che si ritrovò davanti un angelo. O così sembrava. Era sempre quella scorbutica Eliza ma, aveva qualcosa di dannatamente affascinante. Era il vestito bianco che le arrivava alle ginocchia e le lasciava le esili spalle scoperte? Erano i capelli lasciati scivolare vaporosamente ai lati del viso? O forse erano quegli occhi verdi illuminati dai riflessi della luna? Sul serio, Gilbert non capiva. Ma, non avrebbe mai ammesso che Elizabeta, vestita così gli piaceva.
-Perché mi guardi così? Non hai mai visto una ragazza? – lo provocò.
-Non penso sia quello…ne ho viste molte di ragazze e molto più carine di te è solo che…- Gilbert si avvicinò piano. L’ungherese non smise un attimo di fissarlo.
- E’ solo “che” cosa? – incalzò.
L’albino si ritrovò a due passi da lei. Fiutò l’aria poi, si illuminò.
-Ecco cosa! Ti sei lavata! –
Eliza tirò fuori da non si sa bene dove una padella. Quelle che fece dopo Gilbert non se lo ricordò bene.
 

-Guarda, guarda! Eccolo qui! Me l’ha consigliato Antonio! – Alfred indicò una scatoletta di plastica rettangolare spessa più o meno un centimetro.
-Antonio è stato qui? –
-Yeah! E’ entrato dalla finestra. –
Perché questa cosa non stupiva Arthur? Ormai quella casa era diventata un ricovero per amebe.
-Si chiama Rec. Ha detto che è terribile. –
Arthur sbuffò.
-Non ho voglia di guardare la tv. Ho sonno, vado a letto…- il biondo stava per imboccare le scale quando una mano gli bloccò il polso.
-Please Arthur! Ho paura a guardarlo da solo! – l’inglese si ritrovò a fronteggiare due occhioni da cucciolo.
Ma cosa voleva da lui quello stupido americano?! Non faceva altro che provocarlo dalla mattina alla sera e poi gli chiedeva con una tale faccina (ancora mezzo nudo per la doccia) se per favore guardava un film horror con lui.
Ma scherziamo?!
-Non guardarlo se hai paura! Ti ho già detto che ho sonno e poi, i film del “terrore” mi annoiano. E’ tutto così finto. – Arthur si voltò di nuovo e un’altra volta Alfred lo fermò.
-Che vuoi ancora?! –
-Se guardi il film con me domani ti lascio preparare la mia colazione. –
E quell’affermazione cosa doveva essere?
-Stai dicendo che se ti facessi la colazione tu non la mangeresti perché non ho guardato con te questo maledetto film? Stai insultando la mia cucina per caso? –
-Sto dicendo che preferisco un Big Mac appena sveglio però, se guardi il film con me potrei anche mangiare degli scones! –
Una gocciolina dai capelli ancora umidicci scivolò lungo il collo dell’altro disegnando un sottile percorso fino ai pettorali. Inutile dire che Arthur seguì quella gocciolina con molto interesse.
Diamine quell’americano!
Tentò di distogliere lo sguardo da quella “bella vista” per spostarla sul viso dell’altro ma, incontrò soltanto un sorrisetto compiaciuto. Molto probabilmente Alfred aveva notato questo suo nuovo interesse.
Arthur ridusse gli occhi a due fessure.
-Ok, guarderò questo film ma, se mi annoio vado via! –
Alfred sorrise raggiante poi, prese una ciotola di pop corn da una parte imprecisa del salotto.
-Ah, Alfred? Quasi dimenticavo…-
L’altro annuì spegnendo le luci.
-Mettiti qualcosa addosso perché così sei veramente osceno, trippone! -
 
 
-A cosa serviva tirarmi quella padellata in testa?!- mugolò Gilbert massaggiandosi un rilevante bernoccolo.
Subito dopo essersi “incontrati” molto amichevolmente i due avevano preso a camminare per la zona pedonale di San Francisco alla ricerca di un ristorante o un bar dove mangiare qualcosa.
-Di solito, quando si invitano delle ragazze ad uscire e queste accettano anche se non vogliono, si dovrebbe farle dei complimenti! – urlò furiosa Elizabeta.
-Stai parlando di te per caso? Tu non sei una ragazza! Con la forza che ti ritrovi sei solo un mostro! –
Una vena cominciò a pulsare sulla fronte dell’ungherese. Questo è troppo.
All’albino arrivò un’altra padellata.
-Ci hai preso gusto a farmi male?!-
-Si, non sai quanto mi soddisfa picchiarti. –
-Potrei chiamare il telefono Azzurro! –
-Chiama, pure che così quando si accorgono che non sei un bambino e ti lasciano andare ti picchio ancora di più! –
-Acida! Non so come ti ha abituato quel Roderich ma-
Gilbert venne interrotto.
-Come mi ha abituato chi? – fece Eliza irritata.
-Roderich, l’austriaco. Quello di cui eri e sei ancora innamorata persa! –
-C-Cosa?! Io non sono innamorata di lui…- la voce della ragazza si fece più flebile.
-Oh si! Sei innamorata eccome! E lui è ancora innamorato di te, ovviamente. –
Eliza lo fissò incredula. Poi, diventò di colpo seria.
-Che gioco stai giocando? – Si fermò e afferrò l’angolo della camicia del ragazzo per costringerlo a fermarsi.
-Io? Kesesesese…-
La ragazza gli si avvicinò. Quanto odiava le persone come lui.
-Rispondimi, idiota! –
Gilbert si fece serio e avvolse l’ungherese con il braccio destro attirandola a se. In quella posizione l’uno poteva sentire il respiro dell’altra.
Rimasero immobili, la gente che gli scorreva affianco sembrava lontana. Di tanto in tanto si sentiva qualche leggera ondata d’aria ma, per il resto, l’atmosfera era immobile. Assomigliava molto ad un sogno. Uno di quei sogni che non riesci a capire se sono incubi o no. Uno di quei sogni che ti spaventano ma, allo stesso tempo non vuoi smettere di guardare ciò che succederà.
Eliza si perse in quegli occhi cremisi. Le piaceva, quello sguardo, le piaceva perché dentro a quei pozzi rossi c’era una storia, una storia dolorosa e burrascosa. In quel momento, lui, la intrigava molto.
-Io punto nel farti dimenticare di lui e ricordarti molto bene di me. – ghignò l’albino.
Elizabeta rimase pietrificata. Non riusciva più a ragionare decentemente. Qualsiasi frase lei cercasse di formulare veniva interrotta da qualche altro pensiero su di lui come: “I suoi occhi sono bellissimi” oppure “il suo modo di ridere è così tremendamente accattivante”.
Solo una volta gli era già successa una cosa di questo genere. Con Rod. Ma quando si trovava con lui riusciva a rispondergli, almeno.
Gilbert si allontanò di scatto e riprese a camminare davanti a lei. Con un gesto della mano la invitò a seguirlo.
-Muoviti, voglio mostrarti un posto…-
L’ungherese si riscosse un po’, anche se gli occhi dell’altro continuavano a rimanerle in testa insieme alle sue parole “Punto nel farti dimenticare di lui e ricordarti molto bene di me”.
Avrebbe pagato qualsiasi cifra per sapere cosa stesse passando in testa a quel tedesco.
 
 
-Oh my God! It was really scary! – Alfred si avvinghiò ad Arthur a modi koala.
-Tsk…è tutto finto…e lasciami! Ho sonno. – sbuffò irritato l’inglese.
Quel bambinone di Alfred si rifiutò e impedì all’altro di alzarsi.
-Staccati idiota! Devo andare a dormire! – l’americano affondò la testa sulla sua spalla.
-Ho paura a stare da solo! – disse tutto d’un fiato.
Arthur rimase spiazzato. Non sapeva se ridere o prenderlo sul serio. Optò per la seconda. Scoppiò in una fragorosa risata che finalmente fece staccare l’americano. Non appena l’inglese vide l’espressione dell’altro cominciò a ridere ancora più forte. Sembrava un bambino offeso, le guance leggermente gonfiate d’aria e la fronte corrugata.
Solo dopo lunghi minuti l’inglese decise che poteva bastare. Aveva infierito abbastanza sull’autostima di Alfred. Sicuramente quello stupido yankee aveva una paura matta in quel momento. Per tutta la durata del film non aveva fatto altro che stargli incollato addosso! Non che questo gli creasse problemi, insomma, a parte il forte odore da fast food che proveniva dall’americano, per il resto era quasi piacevole stare vicino a lui.
Si alzò di scatto, questa volta deciso ad andare a letto. Aveva seriamente sonno. Non voleva accendere le luci quindi a tentoni cercò il corrimano in legno. Non fece in tempo a posare il piede sul primo scalino che tutte le luci della casa si accesero. Comprese quelle sul giardino e quelle interne alla piscina. Arthur rimase allibito poi, vedendo il sorrisetto soddisfatto che aveva dipinto sul volto Alfred capì. Come aveva fatto a trovare l’interruttore generale?
Sospirò sonoramente.
-Sei peggio dei bambini. – si fece sfuggire un leggero sorriso.
-It’s all your fault! – mugolò offeso l’altro.
 
Dopo una dura giornata di lavoro quello che ci serve è una buona dormita in un morbido letto a due piazze. Arthur si adagiò delicatamente sul cuscino assaporando l’odore di pulito. Una buona cosa ce l’avevano gli americani: facevano letti enormi e comodi.
Spense la luce e si adagiò la mascherina sugli occhi. L’inglese riusciva ad addormentarsi molto velocemente quindi, non gli ci volle molto per cadere tra le braccia di Morfeo. Il problema fu che subito dopo essersi addormentato sentì un tonfo proprio accanto a lui. Si sveglio di soprassalto credendo che un pezzo di intonaco di muro fosse ceduto e gli fosse caduto sopra al letto. Sollevò la mascherina per riuscire a vedere ciò che l’aveva urtato.
Il suo terrore venne sostituito dalla disperazione. Affianco a lui non c’era un pezzo gigante di muro bensì un bambinone gigante che si era buttato a peso morto disfacendo tutte le lenzuola! Si mise le mani tra i capelli mentre si raddrizzava di scatto.
-Che vuoi ancora?! – Alfred voltò leggermente la testa dalla sua parte mostrando gli occhioni blu molto assonnati.
-Dormire qui. – disse con tranquillità.
-What? – Arthur sgranò gli occhi.
-Ehi, ehi yankee torna nel tuo di letto! Questo è il mio! –
L’americano appoggiò il mento sul bordo del cuscino in modo da vedere con entrambi gli occhi l’altro.
Quegli occhi! Quei maledetti occhi da bambino a cui non si può proprio resistere. Un giorno glieli avrebbe strappati.
-Ma ho paura a dormire da solo…- il labbro inferiore del biondo si sovrappose al superiore in un’espressione simile a quella dei marmocchi sull’orlo del pianto.
-Non sono affari miei! Potevi non guardare quello stupido film! -
L’espressione dell’altro non mutò mettendo a dura prova la resistenza di Arthur.
-Pleaseeeee!!! – piagnucolò.
L’inglese sospirò. A forza di sospirare per quell’americano avrebbe esaurito tutta l’aria e di conseguenza anche la pazienza.
-Perché quella sera mi è capitato questo bambinone?! – disse quasi tra se e se rivolgendo gli occhi al cielo prima di ristendersi accanto ad Alfred.
Alfred mugolò soddisfatto e si ficcò sotto le coperte, molto vicino all’inglese.
Solo in quel momento si accorse della cosa maledettamente equivoca che stavano pe fare. La sua mente fece un po’ di calcoli e la faccia dell’inglese ne uscì rossiccia.
Un ragazzo, più un altro ragazzo, nello stesso letto, uguale a…
-A-Allora- balbettò -mettiamo in chiaro che questa è la mia parte di letto e quest-
Non riuscì a concludere la frase che l’americano gli si raggomitolò contro il petto. La testa appoggiata sotto il mento e i capelli che gli sfioravano il viso. Il biondo diventò bordeaux.
-E-Ehi cosa sono tutte queste libertà…? Hei! Scostati! –
Alfred era troppo pesante! Non riusciva nemmeno a muoversi. Arthur cominciò a sudare freddo. Si sentiva quasi a disagio in quella situazione. Insomma, sembrava un padre alle prese con un figlio ribelle o un ragazzo con il suo amante troppo cresciuto?
Il suo cervello smise di pensare quando Alfred gli rivolse il viso. L’espressione tremendamente seria.
-Good night…Arthur. –
L’inglese lo fissò sbalordito. Aveva sentito male o l’aveva chiamato per nome? Il rosso sulla sua faccia si accentuò. Alfred sorrise, poi si voltò.
Arthur sorrise involontariamente poi, sempre senza volerlo affondò le dita nei capelli dell’altro. Lo sentì sussultare.
-G-Good night Alfred. -
 
Ad Eliza non piacevano le grandi città. Sempre troppo chiassose e affollate. Non si poteva quasi respirare. Sarà che lei veniva dalla campagna, sarà che non le piacevano i posti troppo simili a casa sua, le grandi città non le sopportava.
Però, la vista da quella torre le fece dimenticare tutto. Gilbert l’aveva portata sopra allaCoit Tower. Dall’esterno sembrava un faro: era bianca, alta e cilindrica però, ora che si trovava all’interno, le piccole terrazzine, di cui era ricoperta la punta, le mostravano un mare di luci. Eliza sgranò gli occhi. Non aveva mai visto una città di tali dimensioni dall’alto. Tanto meno di notte. Si sporse il più possibile cercando di catturare con lo sguardo ogni singolo dettaglio. Le sagome dei grattacieli erano appena visibili e le luci di strade, finestre e insegne troneggiavano dovunque. La distesa di edifici sembrava infinita. Non si riusciva nemmeno a distinguere l’East River dal resto della città. Sembrava un’enorme massa di mare illuminata, dove si increspano le onde, dai riflessi della luna. Era un posto tranquillo e isolato, sembrava surreale. Quel posto aveva la capacità di creare una barriera tra te e il resto del mondo.
Non aveva mai sofferto di vertigini ma, quel paesaggio le fece venire le farfalle nello stomaco.
Quasi si stupiva di un tale gesto da parte di un tipo come Gilbert.
Si girò ad osservarlo. Stava guardando quel panorama e allo stesso tempo sorrideva. Sembrava un’altra persona visto da li. Inutile dire che era molto carino. Anche se aveva una semplice camicia bianca, una cravatta rossa e dei jeans corti, aveva il suo fascino. Sicuramente aveva una personalità totalmente diversa da Roderich. Gilbert era un tipo molto più rozzo ed egocentrico però, nel complesso era una brava persona.
-Perché mi hai portata qui? – chiese con un filo di voce la ragazza. L’albino si voltò a fissarla.
-Io vengo sempre qui quando voglio dimenticare qualcosa…o qualcuno. – Eliza sussultò. Il ragazzo tornò a fissare l’esterno.
-Mi rilassa stare qui. In questo posto riesco a sentirmi pensare! Con tutto il casino che c’è nel bar, qui mi sembra di poter finalmente respirare. –
Rimasero entrambi in silenzio.
-Penso che sia il momento di andare ora, ho una certa fame! - aggiunse Gilbert voltandosi per andarsene. La ragazza gli afferrò il polso per fermarlo.
-G-Gilbert…grazie. –
Il ragazzo ghignò.
-Dai, non dev’essere stato così terribile vivere con Rod! –
-Non era tanto vivere con lui, quanto quello che mi costringeva a fare. Ero quasi come la sua schiavetta personale e ogni volta che ne aveva l’occasione mi rinfacciava il fatto che era stato merito suo se ero diventata così. Quando ho conosciuto i miei compagni, non mi permetteva nemmeno di andare da loro. Come se fossi di sua proprietà. Non ti sembra abbastanza terribile non essere liberi? –
-Oh, cattivello l’amic- non riuscì a terminare la frase che Eliza appoggiò la testa sul suo torace. Le sue piccole e delicate mani che tenevano la camicia ai lati.
-Non dire niente. –
L’ungherese assaporò il suo strano profumo. Le piaceva quella posizione, anche perché Gilbert non parlava. Forse era riuscita a zittirlo.
Il fatto era che non voleva fargli vedere i suoi occhi lucidi. Sarebbe rimasta volentieri in quella posizione ancora a lungo.
-So che non è facile dimenticare il passato ma, penso che dovresti semplicemente sostituire quei ricordi con altri di nuovi e più belli. Se quello che cerchi è toglierti Roderich dalla mente, beh, trovatene un altro… -
Eliza appoggiò il mento sul suo petto in modo da riuscire a guardarlo negli occhi. Lo vide arrossire.
-Tu saresti “un altro”? – chiese divertita.
-Forse…dovresti provare. –
Questa volta fu la ragazza ad arrossire.
Lei non era certo una ragazza facile e tanto meno una di quelle che si lascia trasportare dal romanticismo…però, quell’atmosfera le stava giocando un brutto scherzo. Solamente un bacio non avrebbe fatto certo molta differenza. Si sarebbe giustificata con un “era una prova” o qualcosa del genere.
Si alzò un po’ sulle punte per arrivare alle labbra del ragazzo.
Un bacio non faceva la differenza, continuava a dire tra se e se. Se solo non fosse stato per quelle braccia che si attorcigliavano intorno al suo collo, per le braccia di lui che le avvolgevano i fianchi e per quelle labbra così dannatamente attraenti. Il suo corpo ormai ragionava e agiva da solo.
-Non ti facevo così sanguisuga! – ghignò Gilbert staccandosi per riprendere fiato. L’ungherese andò completamente in confusione. Inutile dire che arrossì fino alla punta dei capelli.
-E-Ehm, io non sono così infatti…n-non so sul serio che cosa mi sia successo, io chiedo scu- l’albino le rubò un altro bacio. Breve e letale.
-Mi sa che c’ho preso gusto pure io. -

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Good Morning! ***


Buona sera a tutti/e! Questa volta sono stata abbastanza puntuale nell’aggiornare…perché? Non avevo altro da fare…ovviamente .-.
Anyway, questo sarà un capitolo abbastanza statico…relativamente statico, muhahahah! UsUk in prevalenza ma, anche PruHun e un po' di Spamano. Non vi dico altro :D
Buona lettura!^^

 


Good Morning!
 
 


Un mostro in gonnella minacciava l’intera San Francisco. La gente fuggiva disperata, i bambini urlavano e i tutti gli animali erano impazziti. Il cielo era scuro e completamente ricoperto di nuvole a mala pena si riusciva a distinguere le altre persone.
Chi avrebbe mai potuto salvare questa splendida cittadina americana?
-Hey! Lascia in pace San Francisco!- una solenne voce arrivò alle orecchie del mostro. Nel voltarsi i lunghi e giganti capelli neri distrussero tre grattacieli. Lo spostamento d’aria rivelò il suo splendido (si fa per dire) viso scheletrico. Non si poteva nemmeno definire “viso” quella cosa considerando che praticamente non aveva gli occhi.
Il mostro mugugnò. Doveva essere un “chi sei?”
-Io sono Alfred F. Jones! E ti pentirai presto di avermi incontrato! Sono un eroe e salverò questa povera gente!-
Una piccola folla di curiosi si radunò intorno all’uomo.
Il mostro contorse quelle che dovevano essere le labbra in un ghigno. Raccapricciante, riuscì solo a pensare Alfred.
-Oh my God! Ti servirebbe proprio un appuntamento dal dentista!-
Il mostro parve offeso, quindi cominciò a mirare pugni contro il biondo che li schivava agilmente.
-Forse ti servirebbe direttamente un chirurgo plastico!- affermò sull’orlo del vomito. Con un salto preciso, Alfred, saltò in groppa al mostro, tra quei fetidi capelli. Vomitare su quella creatura non avrebbe cambiato di molto le cose. Cominciò a tirare pugni sulla nuca di quest’ultimo che cominciò presto a divincolarsi. Venne scosso molto forte, non avrebbe resistito ancora molto quindi, aumentò potenza e precisione dei suoi colpi.
Vi fu un lampo, il mostro riverso a terra, Alfred a contatto con il cemento umido e un forte dolore a spalla destra e addome.
-E’ superman! Ci ha salvati!-
Alfred sorrise e con le poche energie che gli restavano sussurrò un <>
Il cielo si schiarì mentre una luce quasi accecante gli violentò gli occhi.
-Per ringraziarti ti offriremo hamburger a volontà!-
Magicamente l’americano si ritrovò in un McDonald’s intento ad azzannare un montagna di panini. Veniva ancora scosso da qualcosa ma, stranamente non c’era nessuna catastrofe in atto.

-Alfred!! Alfred!! Alfred!!-Una vocina irritante lo chiamava. Si guardò intorno e quello che riuscì a vedere fu il locale deserto.
-Cazzo Alfred!! Alfred!-seguì il suono della voce e si accorse che a parlargli era un hamburger, un hamburger con due enormi sopracciglia e due grossi occhi verdi.
-You fucking bloody punk! Wake up idiot! I can’t breath!-
L’hamburger scagionò una luce accecante. Le morbide fette di pane tramutarono in capelli biondi arruffati, la carne marroncina in due sopracciglia, l’insalata in due occhioni verdi molto assonnati e il pomodoro in due attraenti labbra.
-Alfred spostati! Sei dannatamente pesante!- l’americano non capiva esattamente il luogo e la persona con cui aveva a che fare, rivoleva soltanto il suo sfizioso hamburger!
-Hamburger <3 <3 – Alfred si slanciò in avanti per assaporare quello che era stato il suo amato panino. Le braccia spalancate pronte ad accogliere la montagna di hamburger, la bocca semiaperta e gli occhi rigorosamente chiusi. Il gusto di pane, carne e schifezze varie non arrivò ma, ciò che incontrò furono solo due morbide labbra. Non si accorse subito della situazione, quindi, ancora in balia di una qualche strana fase della dormiveglia, allungò la lingua alla ricerca di quel buonissimo sapere. Ancora una volta ciò che venne in contatto con la sua lingua non fu il gusto tanto desiderato ma, una cavità umida e accogliente. Non era nemmeno male come posto però aveva uno strano retrogusto di tè e di bruciato.
Spalancò di colpo gli occhi.
-What the fuck?! – urlò Alfred staccandosi da quello pseudo bacio in meno di un secondo. Arthur cercò di nascondere il rossore.
-Ma sei idiota Alfred?! Perché mi hai appena baciato alla francese?! –
Alfred era incredulo nonché imbarazzato visto che anche lui era abbastanza “colorato” in faccia.
-I-Io stavo m-mangiando un hamburger… - Arthur corrugò la fronte.
-What? –
-It was a dream!! –
-Allora cerca di non infierire su di me con i tuoi stupidi sogni su gli hamburger! –
-Non sono stupidi, sono sogni! Scommetto che anche te sogni di cucinare bene. – Arthur cominciò a stringere convulsamente le lenzuola bianche.
-Stupido idiota! Io cucino bene! –
-Non sembra che gli altri la pensino allo stesso modo. –
-Cosa centrano gli altri ora? E poi che vuoi saperne tu di cibo che mangi solo schifezze?! –
-Hey, stai insultando il McDonald’s per caso? –
-You don’t say Alfred? –
L’americano contorse le labbra in una smorfia di disappunto.
-Forse quegli scones ti hanno distrutto le papille gustative! –
Questa volta fu l’inglese a fare la smorfia.
-Oh! Non sapevo che conoscessi l’esistenza delle papille gustative visto che a te le hanno nascoste alla nascita! Bravo! Forse non sei così tanto idiota! –
Alfred l’avrebbe preso a pugni. Sul serio, un altro insulto e niente l’avrebbe più fermato.
-T-Tu maledetto inglese…! – sibilò al limite della sopportazione.
-Oh, non fare l’arrabbiato! In fondo ti ho detto che sei meno peggio di un idiota è un complimento! –
L’americano si gettò su Arthur senza più alcuna esitazione. Gli afferrò il colletto del pigiama per assestargli meglio un pugno mentre l’altro gli agguantò i capelli strattonandolo all’indietro.
Stavano letteralmente per menarsi quando Matthew fece capolino dalla porta.
-Arthur è ora di- non riuscì a terminare la frase che si ritrovò un Alfred sopra ad un Arthur leggermente sudati e con i vestiti malmessi.
-Ehm…ragazzi…scusate se non ho bussato ma…-
Arthur scaraventò dall’altra parte della stanza il biondo per poi alzarsi in piedi e sistemarsi un po’.
Emise un colpo di tosse.
-N-Non ti preoccupare Matt stavo solo picchiando Alfred-
-Hei, ero io che ti stavo tirando un pugno! –
L’inglese lo ignorò.
-Anyway…come mai sei qui? Oggi non abbiamo concerti… -
-Francis ci ha invitati nella sua spiaggia privata. – sorrise il canadese.
I due ragazzi rimasero basiti. Alfred si accostò al sopracciglione.
-F-Francis, Francis? Stai parlando proprio di quel Francis? – domandò in uno stato di agitazione.
-F-Francis quel biondo-pervertito-mangiarane di un francese? – domandò anche Arthur assumendo lo stesso tono di voce e la stessa espressione dell’americano.
-Si, proprio lui. – confermò Matthew. –Ha detto che potete portare chi volete perché la spiaggia è tutta libera. Mi ha chiesto se invitavo tutta la band quindi…–
L’inglese si appoggiò una mano sulla fronte cercando di calmarsi mentre l’americano portò istintivamente le mani sulle sue natiche.
-Io non vado a mostrare le mie chiappe a quello! –
Arthur gli rivolse uno sguardo interrogativo. Anche Matt parve rimanerci un po’ male.
-Che genere di precedenti hai con lui? – chiese l’inglese.
-Era il mio primo giorno di lavoro e…Non voglio ricordare…- l’inglese gli appoggiò una mano sulla spalla e sospirò.
-Ti capisco… -
-E dai ragazzi…Francis non è così “pervertito” come pensate… - gli altri due gli rivolsero uno sguardo del tipo “Are you fucking kidding me?”
-Beh, decidete voi se venire, io ci vado. – disse secco il canadese.
-Non andare è pericoloso! – gemette l’inglese.
-Io ci vado. –
-Seguiamolo Iggy! Solo per essere sicuri che non commetta atti osceni in luogo pubblico! Ce la devo avere ancora la mia vecchia divisa da football! –
Arthur annuì. Almeno in una cosa erano d’accordo: Francis era un pericolo per le persone.
Matthew sospirò.
 
-Rispondi! –
-Ho risposto! –
-Sei in ritardo. –
-Stavo dormendo, ti può bastare come scusa, vipera? –
-Scansa fatiche! E io non sono una vipera! Non mi paragonare a quei animaletti viscidi. –
-Scusa, ci assomigli molto… -
Eliza si trattenne dal dare una padellata al telefono: Gilbert non avrebbe sentito nulla.
-Perché mi hai chiamato così di buon ora...? Esattamente alle dieci e mezza?! Ora torno a letto. –
-Idiota ascoltami. –
La ragazza sentì l’altro borbottare un “che vuoi?”.
-Sono stata invitata ad una giornata al mare…e, beh, mi hanno anche detto che potevo portare qualcuno… -
Il tedesco rimase in silenzio.
-Allora? – domandò la ragazza.
-Allora cosa? Non hai ancora finito la tua “richiesta” cosa vuoi esattamente da me- disse provocatorio l’albino.
La ragazza si morse il labbro inferiore. Quel bastardo…!
-Io, ehm…voglio che tu venga con me al mare. – disse tutto d’un fiato. Le parve di sentire l’altro ghignare.
-Non puoi fare a meno di me, eh? –
Eliza arrossì.
-No, cioè, oh dai! Non fare lo sbruffone! Dopo ti prendo a pad-
-Però se me lo chiedi così…come faccio a rifiutare? Dopotutto ieri sera mi hai catturato. –
Il viso della ragazza, da un leggero rossore da cui era ricoperto, sfumò dapprima in un viola e poi in un rosso più acceso.
-T-Ti vengo a prendere io tra mezz’ora. – balbettò chiudendogli il telefono in faccia.
 
Sono tutti pronti nel soggiorno: Matt è nervoso, lo si vede da come muove le chiavi della macchina, Arthur e Alfred sono intenti ad escogitare qualche piano malvagio per affogare Francis senza farsi scoprire, Feliciano non fa altro che esclamare “Vee, vee, ho invitato Ludwig!”, Eliza scriveva qualcosa al cellulare e qualche volte estraeva una padella mentre Lovino e Antonio (che erano appena arrivati a casa) sembravano dei morti viventi.
-Ci siamo tutti? – chiese Matt gentilmente.
Gli altri annuirono poco convinti.
-Bene! Si va al mare! -

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo speciale: Ora è il nostro momento ***


Penso di essermi commossa millemila volte scrivendo questo capitolo. “Fix You” dei Coldplay aiuta :D Comunque, qualcuno mi ha chiesto il capitolo speciale sul passato di Gilbert e Ludwig, ebbene ecco qua! Leggete attentamente perché questo tornerà in futuro :3 Forse sono andata un po’ sull’OOC però, è l’infanzia dei due fratelli quindi si comportano in modo diverso.
Spero che questo capitolo vi piaccia quanto è piaciuto a me scriverlo (cioè tanto xD)
Buona Lettura :)

                                                                                         
                                     

ORA E’ IL NOSTRO MOMENTO
 
                                                                                         


                                                                                             I
 
Mio nonno mi disse che avrebbe sempre voluto aprire un bar in America. Mi disse anche che i sogni sono lontani dalla realtà e alcune volte bisogna accantonarli. Mi disse che mia madre era morta ed ora lui doveva prendersi cura di me e di mio fratello.
 


-Gilbert! Muoviti! Tra cinque minuti devo essere a lavoro! – sbraitò Viktor, il padre. Era un omaccione molto robusto, lunghi capelli biondi e due glaciali occhi azzurri. Dall’aspetto si poteva scambiare per una brava e buona persona ma, non era così. Da quando la moglie, Hanna, era morta non più. Si era trasformato in un uomo freddo, severo ed egoista. Se fosse stato per lui i suoi figli potevano anche morire per strada. Una spesa in meno.
-Oggi brucio. – urlò di rimando l’albino.
-Non dire stronzate! Io pago molto bene quella tua scuola e visto che lavoro solo io in questa casa ti conviene venire qui. Subito. –
Gilbert si presentò davanti al padre con sguardo truce.
-Non voglio più studiare in quella scuola, sono già stato bocciato un anno. La scuola è una rottura e non fa per me. –
Il padre gli afferrò un orecchio e lo strattonò con violenza.
-Ti conviene studiare e non fare tante storie altrimenti, puoi pure andartene da questa casa. Se te ne vai non tornarci più. Non voglio avere più niente a che fare con te.  –
-Viktor, su su, non starai esagerando? Che debba andare a scuola non c’è dubbio ma, parlagli un po’. Non puoi mandarlo fuori di casa. – intervenne nonno Aswin.
Viktor gli lanciò un’occhiataccia subito dopo aver mollato il ragazzo che ormai lacrimava per il dolore.
-Tu vai a lavoro, Gil lo accompagno io. – disse sorridendo l’anziano.
Il padre non disse niente e si avviò verso la porta.
-Wiedersehen dad. Dove stai andando? – in quel momento dalla cucina arrivò Ludwig che afferrò il padre per la giacca grigia. Viktor non lo degnò nemmeno di uno sguardo e con un gesto secco si allontanò dal bambino che cadde a terra per il contraccolpo.
La porta si chiuse con un grande tonfo. Seguito da Ludwig che strizzava gli occhi per non piangere.
-Per favore Gilbert, lascia che ti accompagni a scuola…per favore, fai il bravo per quest’anno. L-La situazione di tuo padre non è delle migliori… – l’albino afferrò la cartella e si avvicinò al fratellino.
-Forza Lud il nonno ci accompagna a scuola. – gli sorrise. Il più piccolo prese la cartella e gli strinse forte la mano.
Già la mattinata a casa non si era presentata delle migliori, in più, ora, doveva anche sostenere una giornata di scuola. Gente che ti fissa perché sei più bianco del muro, gente che spettegola alle tue spalle e anche assillanti domande di professori e amici stretti. Sinceramente, Gilbert, avrebbe voluto mollare tutto. Quel posto, quel mondo, gli sembrava ormai da tre anni una prigione. Quella scuola l’aveva sempre odiata eppure suo padre lo costringeva ad andare ugualmente. Diceva sempre “Quella è una scuola prestigiosa! Se studi li avrai molte strade aperte da grande. Tu resti li, non si discute”.
Da quando era morta sua madre tutto era cambiato. A partire dal vuoto che si sentiva nel cuore e dal suo profumo che piano piano lasciava la loro casa.
Suo fratello frequentava ormai il secondo anno di medie e suo nonno faceva il possibile nonostante i settant’anni di età. Quella famiglia, la sua famiglia, anche se nessuno voleva ammetterlo, ormai cadeva a pezzi.
Comunque sia…quel giorno l’avrebbe ricordato per il resto della sua vita.
 
                                                                                  
                                                                                                 II
 

-Sei in ritardo oggi, che cos’è successo?- domandò Matthias porgendo la divisa da cameriere a Gilbert.
-Scusa è che ho i corsi di recupero e il professore di matematica l’ha tirata per le lunghe.- sospirò cambiandosi.
-Non verrai bocciato anche quest’anno, vero? Mi ricordo perfino io quante storie ha fatto tuo papà perché non gli hai mai detto che avevi delle “difficoltà” a scuola, l’anno scorso.- affermò il danese quasi con tono di rimprovero.
-Ho sotto solo matematica, fisica e…storia. Posso recuperarle.- l’altro fece una smorfia.
-E…con tuo padre come va?- chiese ancora.
L’albino gli mostrò l’orecchio. Era di un colore simile al viola.
-Si ostina a non credermi e continua a dirmi sempre la stessa lagna ”ti butto fuori di casa, ti tolgo la moto, se non vai in quella scuola non avrai futuro, e bla bla bla!”-
-E proprio non vuoi studiare?-
-Non è che io non voglio studiare…è solo che quella scuola non mi trovo bene come materie. E’ troppo seria! Preferisco…un linguistico! In inglese ho la media del nove. –
Matthias annuì.
-Fai come vuoi, però ora vai in cucina e chiedi cosa devi portare ai tavoli sennò chi lo sente Berwald!-
L’albino rise.
-Mi cambio le scarpe e arrivo, non ci tengo ad avere uno dei suoi fucili da caccia puntati in testa. Kesesesese!-
 
                                                                                     
                                                                                                       III
 

Aveva finito tardi quella sera. Il ristorante, in effetti, era pieno di gente. Era già l’una e mezza di notte.
Lavorava, “segretamente” da tutta la sua famiglia, in quel posto ormai da tre anni. Esattamente aveva iniziato un mese dopo la morte di sua madre. Quel lavoro per lui era un modo per fare un po’ di esperienza e per guadagnarsi un po’ di soldi. Dipendere da suo padre non gli era mai piaciuto quindi, quanto prima aveva potuto, si era fatto assumere e aveva cominciato ad essere molto più indipendente.
E poi, un po’ di soldi in più non facevano male.
Il più silenziosamente possibile infilò le chiavi nella toppa e fece due giri di chiave. A tentoni trovò la porta della cucina e accese la luce. Non si aspettava minimamente di trovare suo padre con un bicchiere mezzo pieno di vodka ad aspettarlo.
-Dove sei stato?- disse Viktor con voce un po’ roca.
-Ehm…da un amico…-
Il biondo estrasse delle banconote.
-E questi?-
Gilbert non disse una parola.
-Spacci?-
-C-Cosa? N-No!-
-E allora? Dove li hai presi? Li hai rubati?-
-No! Non ho fatto nessuna di queste cose!-
-Dove li hai presi?!- urlò.
-I-io…- Gilbert non riuscì a dire niente.
-Gilbert…io non so più chi sei. In questi ultimi tempi sei cambiato moltissimo. Penso…che qualsiasi cosa tu mi dicessi in questo momento…io non riuscirei a crederti. Come faccio a pensare che tu possa spacciare? Non lo so, ma pensavo moltissime cose su di te che si sono rivelate false.-
Gilbert ancora non riusciva a rispondere.
-Io non so cosa fare con te.- disse più calmo.
-La mamma mi avrebbe cambiato scuola già l’anno scorso, per esempio.- disse guardandolo negli occhi.
-Hanna non c’è più. Ora sono io che decido e tu devi continuare.-
-Allora sai già bene cosa fare. Scommetto che risolveresti tutto con una sfuriata o…anche con un pugno! Da quando la mamma è morta non sai fare altro.- disse sprezzante.
Viktor si alzò di scatto.
-Pensi che sia facile?! Pensi di essere l’unico a soffrire per la sua morte? Tu non sai cosa vuol dire avere due figli da mantenere di cui uno fa di tutto per darti insoddisfazione e ti dimostra solo che è un ingrato perché non accetta ciò che ha! – tornò di nuovo ad urlare.
-Il nonno ci riesce benissimo e lui conosceva da molto più tempo la mamma visto che era suo padre. La verità è che hai sempre lasciato fare alla mamma e non sai prenderti cura di noi. Tu non sei un padre. Tu s-
Non riuscì a concludere la frase che gli arrivò uno schiaffo. Sbatté le scapole contro il muro mentre un rivolo di sangue gli scendeva dal labbro inferiore. Guardò suo “padre” incredulo.
-Tu non puoi parlarmi così!- Viktor aveva gli occhi iniettati di sangue, era fuori di se.
-D-Dad…- Ludwig aveva visto tutto. Probabilmente per le urla si era alzato ed era venuto a vedere.
Viktor non rispose però cercò di calmarsi.
-Allora non mi sentirai più parlare va bene, “dad”?! – Gilbert afferrò le banconote sul tavolo, prese di peso Lud e corse in camera sua.
Non sarebbe rimasto in quella casa un minuto di più.
 
-Dove stai andando fratellone?- chiese Ludwig che lo fissava da sopra il letto.
-Vado via da qua. Sono stanco di questo posto, di tuo padre.- disse l’albino mentre faceva le valige.
-E io?- domandò ancora il più piccolo. Gilbert lo guardò e rimase a fissarlo.
-Beh…- si sedette vicino al fratello –tu andrai ad abitare con nonno As. Non voglio che tu stia qui con quello.-
Ludwig si fece triste.
-M-Ma quanto starai via? Non voglio che tu stia via molto…- disse il più piccolo affondando la testa sul suo braccio. Gilbert lo prese per le spalle e gli sollevò il volto.
-I-Io…penso che starò via…per un po’ però tornerò, non aver paura.- sorrise. Lud parve più sollevato.
-Forza, prepara quante più cose puoi. Andiamo dal nonno.-
 
                                                                                           
                                                                                              IV
 


-Gilbert è una pazzia! Sei ancora minorenne, verranno a cercarti!-
-E’ per questo che mi serve il tuo aiuto, nonno! Se tu mettessi un po’ di firme in qualche scartoffia potrei comprarmi un biglietto di sola andata per San Francisco, ho già controllato tutto.-
Aswin sembrava più agitato di prima.
-E tuo padre? Verrà a cercarmi e poi risalirà a te. Allora si che sarai finito. Ti manderà in riformatorio!-
Gilbert ci pensò poi, tirò fuori un po’ di banconote.
-Con questi soldi posso prendermi un biglietto e volendo potrei anche pagarne un altro. Ce ne stanno altri due se il volo è poco costoso.- Gilbert stette un secondo a riflettere poi, si illuminò.
-Troverò un volo poco costoso e vi porterò con me! Si andremo tutti in America! Tu realizzerai il tuo sogno, aprirai un bar in centro, si!-
Il nonno sospirò. Si alzò e si diresse verso un lungo comò, aprì il primo cassetto es estrasse una scatoletta di legno. L’aprì e mostrò a Gilbert il suo contenuto. Centinaia e centinaia di euro.
-Non smetterò mai di dire che sei un pazzo Gil- rise amaramente –Ma non smetterò nemmeno di dire che mi piace come ragioni. Questi sono i soldi che ho raccolto per il mio viaggio in America e per aprire un bar. Io non verrò in America, me ne andrò da qualche parte fuori dalla Germania. Ormai sono un vecchietto…questi non mi serviranno più. Prendili tu.-
Gilbert rimase interdetto.
-Ma sono i tuoi risparmi di una vita e…e pensare di lasciarvi qui…-
-Già, ma come vedi…non ci ho fatto molto. I miei e i tuoi dovrebbero pagare sia un viaggio aereo per me e Lud sia un viaggio per te e qualche soldo finchè non trovi lavoro. Non ci lascerai qui. Noi ci faremo una nuova vita e anche tu.-
L’albino sorrise.
-Grazie nonno.- gli saltò al collo. -Aprirò un bar e ci metterò il tuo nome. Lo farò sopra un grattacielo altissimo in modo che si possa vedere tutta l’America e tu sarai la a guardare…si vedrai il tuo sogno realizzarsi! – Aswin rise sull’orlo del pianto.
-Danke Gil. Forza andiamo.-
 
-Fratellone torna presto!- urlò Lud con qualche lacrima agli occhi.
-Su su non piangere. Tu devi essere forte.-
Ludwig annuì e una piccola speranza si materializzò nei suoi occhi.
-Si! Sarò così forte che quando tornerai ti difenderò da papà e non potrà più metterti le mani addosso. I-Io difenderò tutti, così che un giorno staremo di nuovo tutti insieme! Te lo prometto!-
I due si abbracciarono.
-Fa il bravo Lud e non far arrabbiare il nonno.- l’imbarco venne annunciato negli altoparlanti. -Io…vi voglio bene.- fu l’ultima cosa che disse poi, la sua figura scomparve dietro a dei muri grigi e cupi.
-Nonno! Dove andiamo?- disse Ludwig tutto allegro.
-Noi rimaniamo qui, Lud.-
-M-Ma Gilbert ha detto che dovevamo partire…!-
-Gilbert deve partire senza sapere niente. Lui è fatto così, non sarebbe mai partito senza sapere che noi eravamo al sicuro. Ora è il suo momento, capisci? Ha deciso di vivere in questo modo, lui è come me...però una cosa che capirà è che la realtà è lontana dai nostri sogni …vedrai lui ce la farà.-
-Torniamo da papà?-
-Già…torniamo da papà.-
 
                                                                                     
                                                                                                  V


L’America è un Paese grandissimo. Le numerose e luminose insegne sono la prima cosa che ti colpiscono. E’ raro trovare posti tranquilli in questo luogo. L’America è perfetta per Gilbert.
 Ludwig non si stupì del perché l’aveva scelta come meta.
Ora a distanza di sei anni, dopo aver preso 100 e lode alla maturità anche Ludwig era diventato forte. Non aveva mai smesso di allenarsi, sia in campo fisico che in quello intellettuale. Era diventato forte come aveva promesso a suo fratello.
Ora era in grado di difendere chiunque. Nessuno avrebbe più portato così tanto dolore nella sua famiglia.
Ora era pronto ad affrontare il mondo e di lasciarsi indietro il passato. Era in grado di lasciarsi indietro la morte di Aswin, la caduta del padre nell’alcolismo e quella sua adolescenza passata duramente e da solo.
Qualunque cosa sarebbe successa lui sarebbe andato avanti.
Ora, era il suo momento non avrebbe mollato.
 

Mio nonno mi disse che avrebbe sempre voluto aprire un bar in America. Mi disse anche che i sogni sono lontani dalla realtà e alcune volte bisogna accantonarli. Mi disse che mia madre era morta ed ora lui doveva prendersi cura di me e di mio fratello.
Guardami nonno, guardami, sto andando a realizzare il tuo sogno!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Una tranquilla giornata al mare o... ***


A tutti ciaooo! Ebbene, alla buon’ora sono arrivata con un nuovo capitolo. Strano che lo pubblichi solo adesso visto che ce l’avevo pronto da mo’ però…per qualche oscuro motivo sono in ritardo lo stesso^^
Coomunque…qui comincerà a vedersi un po’ di trama…ovvero, capirete perché ho scelto proprio ‘Paparazzi’ come titolo.
Detto questo, buona lettura!

 
 

UNA TRANQUILLA GIORNATA AL MARE O…
 
 


Arrivarono alla baia di North Beach che era ormai mezzogiorno. Il sole era alto e sarebbe stato capace di sciogliere chiunque. Il cielo era limpido ma, in alcune zone si poteva intravedere un piccolo sbuffo di nuvola. Amara consolazione visto che non avrebbe potuto portare alcun sollievo contro quel caldo torrido.
La spiaggia era separata dalla strada da una piccolo gruppetto di alberi ed era l’unico posto in cui ci si poteva salvare dal caldo!
-C-Che figata sto posto!! – Alfred emanava felicità da tutti i pori. –Iggy!!! Mi porti a nuotare? Eh, eh? Daiii!! –
Arthur lo osservava impassibile da dietro i suoi occhiali Givenchy di Kate Moss. Inutile dire che sembrava proprio un tamarro conciato così. Un rispettabile tamarro inglese, si intende.
-Prendi il salvagente a forma di sandwich e parlagli penso che ne trarrai un ottima compagnia. Io starò qui, sotto all’ombrellone a leggermi questo nuovo giallo che mi sono comprato. – ghignò.
Alfred parve incupirsi. Si sfilò i pantaloni sfoggiando un paio di bermuda con la bandiera americana. Un nuovo sorrisetto strafottente si fece largo nella sua faccia. Si rivolse all’inglese che stava sistemando l’ombrellone.
-Il fatto è che hai paura del mio costume! –
Arthur lo osservò stralunato.
-Cosa? Per me potresti venire anche in bikini. – affermò acidamente.
L’americano sbuffò.
-Non intendevo quello. Io ho la bandiera della grande America! – rise.
Fu la volta di Arthur fare il ghigno strafottente. Con un gesto fulmineo si ritrovò anche lui in costume, esattamente come Alfred aveva una bandiera ma, lui portava la favolosa Union Jack.
-Dicevi qualcosa per caso? Ah, si, qualcosa a proposito della piccolezza dell’America in confronto alla grandezza dell’Inghilterra! – rise forte.
L’americano mise il broncio.
-Questa l’hai voluta tu maledetto! –
Alfred lo sollevò di peso e si diresse verso l’Oceano.
-Hei! Stupido yankee mettimi giù! Smettila! Devo leggere- vedendo l’acqua avvicinarsi pericolosamente a lui, cinguettò –Non mi sono ancora messo la crema! La mia pelle è sens-
Si ritrovò sommerso in acqua con la mano di Alfred che lo aiutava a rimanere giù.
 
 
-Lovinito! – urlò a squarciagola Antonio.
-Che ne dici se andiamo a fare un bagno? –
-Ho sonno. Voglio dormire. – affermò assente l’italiano da sotto l’ombrellone.
-Dormi dopo! Perché non facciamo una nuotatina? Dai! Voglio vederti in costume. – lo spagnolo pronunciò quelle parole con un velo di malizia.
Lovino aprì un occhio minaccioso.
-Dormi dopo…quante volte l’hai detto oggi? –
Lo spagnolo ci pensò.
-Bah, solo ora. –
-Con “oggi” intendo anche sta notte. – disse glaciale.
-Oh, beh! Penso di aver perso il conto! – ammise.
-Ti sei già risposto, allora. – chiuse l’occhio aperto in precedenza.
Antonio non si diede per vinto. Si accucciò fino ad arrivare a qualche spanna da lui.
-Eddai! Ti prometto che dopo ti faccio dormire! –
Ancora una volta Lovino aprì un occhio.
-Sai cosa vuol dire per me, dopo sta notte, mettersi in costume? –
Il moro scosse la testa.
-Vuol dire mostrare tutti quei maledetti succhiotti! Idiota! –
Antonio rise, poi, con un dito si indicò la schiena.
-Ma se è questo il vero motivo, chissene frega! Anche io qua dietro ho i tuoi graffi. E’ strano ma, alcune volte, mi sembra di avere a che fare con un gatto. – si fece pensieroso per far infuriare l’italiano.
A quanto pare ci riuscì perché quest’ultimo gli assestò un pugno sulla spalla.
-Ah! Se io sono un gatto perché ti graffio allora tu dovresti essere un pesce palla giusto?
E-E poi, non me ne frega niente di te! Tu sei un pervertito di prima scelta, lo sanno tutti che ti piace il sesso estremo! – lo spagnolo lo prese per le braccia senza dire niente.
-E tu dovresti sapere bene che sono il tuo ragazzo quindi, per il tuo bene, non posso lasciarti qui. –
Sorrise. L’italiano arrossì ma, guardò da un’altra parte.
-Che premuroso…- disse ironicamente. -Starò con te in acqua solo per un po’, poi mi fai dormire, intesi?! –
Lo spagnolo annuì vittorioso.
 
Un armadio dai capelli biondi e gli occhi azzurri se ne stava in piedi nel bel mezzo della spiaggia a fissare impassibile i movimenti periodici delle acque.
Si avvicinò di qualche passo all’Oceano fino a che le onde non arrivarono a sfiorargli le dita dei piedi. L’acqua era gelata però, in quel punto della spiaggia c’era una grande quiete, quindi non se ne curò. Sarebbe rimasto lì per tutto il tempo.
Lo sguardo si assottigliò per il riflesso del sole su un’onda ma, l’espressione da monolite del viso non mutò.
-Luddyyyyyyyyyyyyy!! – una voce alquanto acuta gli arrivò alle orecchie.
Si sentì un grosso tonfo seguito da un sonoro “splash” .
Feliciano si era aggrappato alla schiena del tedesco ma, quest’ultimo non aspettandosi un contatto di quel genere, aveva perso l’equilibrio trovandosi la faccia spiaccicata nella sabbia umidiccia.
L’italiano si spostò dalla sua schiena e si accuccio all’altezza del suo viso.
-Oddio! Scusa Luddy non volevo! Tutto bene? – piagnucolava il castano realmente preoccupato.
Il biondo si ripulì la faccia con l’aiuto di acqua marina. Il naso gli faceva incredibilmente male ma, non sanguinava.
Non appena si fu “ripulito” rimase qualche istante a fissare l’italiano. L’altro che lo fissava in attesa di una risposta.
-Felicianooooooooo!!! – fu l’unico nome che riuscì a sbraitare.
-Oh, ma allora stai bene!- sorrise l’italiano.
Ludwig era contro la violenza immotivata contro le persone però in quel momento era l’unica cosa che gli veniva in mente.
 
Eliza si domandava dove fosse finito quello stupido tedesco. Appena uscito dalla macchina si era dileguato. Si portò la mano sopra gli occhi per coprirsi dai raggi solari. Eccolo! Si! Non sapeva esattamente se era lui, vedeva solo un mucchio di asciugamani uno sopra l’altro a modi tenda. Con passi spediti si avvicinò a quell’ammasso di stracci.
Oh, c’era un’entrata.
Guardò dentro e quello che vide fu un Gilbert con un turbante in testa, vestito con un accappatoio, una sciarpa che gli copriva metà viso e dei Ray Ban a specchio intento a fissare il mare.
-Gilbert?- domandò sconvolta la ragazza.
Il ragazzo voltò la “faccia” nella sua direzione. L’ungherese cominciò a ridere di gusto.
-Chem cazzom ridim?!- disse l’albino con la voce distorta da quella sciarpa. Eliza si asciugò le lacrime che si era formate negli angoli dei suoi occhi poi, non smettendo di ridacchiare entrò nella tenda. Appoggiò dentro la sua roba e si sedette vicino al ragazzo.
-Non pensi che qui tu possa toglierti tutta…sta roba?- osservò la ragazza. L’albino parve pensarci su.
-Sim…pensomm di esserem abbastanzam al sicurom…-
Eliza gli sfilò gli occhiali e rivelò i suoi bellissimo occhi rossi. Lui parve stupito. Lei gli tolse il turbante e tantissimi capelli arruffati gli caddero sulla fronte. Gli srotolò di torno la sciarpa e mostrò le sue labbra chiare. Si perse a fissarlo ma, fu solo per un attimo perché lui la baciò.
Lei arrossì e si voltò in un’altra direzione.
-Beh…voi albini…cosa fate al mare?- domandò temendo la risposta.
Gilbert le prese il mento con la mano e i loro occhi si incontrarono di nuovo.
-Kesesesese, ci divertiamo.- sussurrò prima di ritornare a baciarla.
 
Appena arrivati e sembrava già che tutti si stessero divertendo. Dopo essere entrati in acqua però, si erano resi conto che l’Oceano della costa Ovest non era il massimo per fare il bagno.
Matthew piantò l’ombrellone ma non fece in tempo a sistemare il suo asciugamano che qualcuno lo aveva abbracciato alle spalle. Sussultò.
Sentì il forte profumo di vino e lavanda e capì l’identità del suo “aggressore”.
-Francis mi hai fatto prendere uno spavento!- il francese rise piano poi, prima di allontanarsi, gli baciò il collo. Il canadese era tremendamente imbarazzato.
-I-Io volevo ringraziarti per l’invito…si stanno divertendo tutti.- disse cercando di distogliere l’attenzione da quello che era appena successo.
Il biondo sorrise di rimando.
-Sono felice. Sai molto spesso non so con chi condividerla questa spiaggia però penso che ora sia molto utile.-
-Già…- Matt appoggiò l’asciugamano sulla sabbia ondulata e si voltò a fissare il francese che ora si era voltato verso gli alberi al confine con la spiaggia.
Il canadese si avvicinò a lui timidamente.
-Francis- lo chiamò –p-per favore…mi metti la crema?- gli domandò porgendogli il tubetto. Il francese  parve stupirsi, ma fu solo un attimo.
- sûrement!-
Entrambi si sedettero sotto l’ombrellone. Francis aprì le gambe per fare stare il canadese più comodo. Matt era titubante a quell’idea. Dopo la scorsa sera pensare di stargli ancora così vicino lo metteva in agitazione. Esattamente non sapeva perché se ne fosse andato. Lui voleva baciarlo. Era stato molto bello quel bacio, sincero. Matthew non sapeva doveva aveva trovato la forza di andarsene...forse non si fidava ancora di Francis o forse non era ancora pronto.
Francis aveva uno sguardo tremendamente magnetico. Se fosse successo una seconda volta non sarebbe sicuramente riuscito a tirarsi indietro.
I suoi pensieri vennero interrotti non appena il francese appoggiò la sua mano calda sulla sua spalla destra. Per la prima volta in tutta la sua vita, stava desiderando…di essere toccatoda un’altra persona. Che si fosse innamorato? Non lo sapeva, non aveva mai provato una sensazione del genere.
Quelle emozioni però gli piacevano.
Che male c’era a buttarcisi dentro e viverle appieno?
 
 
-Fatti più in la! Non ci vedo!-
-Ehi, qua c’ero io!- il greco lo guardò truce.
-Vuoi fare a botte? Poi però te la vedi tu con Francis!-
-Sei tu che ti comporti come un bambino! Siamo qua per fare delle foto, non ho mai detto di volerti picchiare, anche se mi piacerebbe molto.- affermò il turco.
Heracles sbuffò.
-L’avevo chiesto a Francis di non mettermi con le teste bacate come te durante il lavoro.-
-Beh allora siamo in due!- borbottò Sadiq afferrando la macchina fotografica.
-Facciamo così…fai delle belle foto su di loro che così Francis da il merito a tutti e due, io vado a dormire.-
-Non dire cavolate. Non ti lascio dormire. Adesso prendi quella stupida macchina fotografica e facciamo delle belle foto. Domani dovranno essere in prima pagina intesi?-
Il greco annuì.
-Ti odio-
-Reciproco-

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Sole, cuore, a...Alfred? ***


Sinceramente non sapevo come chiamare questo capitolo, poi ho trovato questo titolo e mi è sembrato apposto. In pratica è lui oggi il centro xD  
Ho scritto questo capitolo in onore delle vacanze quindi, spero che questo vi faccia sorridere tanto quanto a fatto sorridere a me e spero che regali a tutti una bella giornata al mare (con i nostri hetaliani si intende).
Buona Lettura!!^^

 

Sole, cuore, a...Alfred?
 


-M-Ma c-che fre-eddo!- balbettò Alfred.
L’americano non aveva nemmeno fatto in tempo a tenere la testa di Arthur un po’ sotto l’acqua che già aveva cominciato a battere i denti. In più, appena aveva lasciato l’inglese, quest’ultimo gli era saltato in spalla dicendo con un ghigno sadico “ora mi porti dov’ero prima e magari mi dai anche il tuo asciugamano, schiavetto!”.
-Te l’avevo detto d-di lasciarmi in pacee a legggere!!-
-E’ stata colpa tua, hai insultato l’America e l’Oceano americano ti ha punito!-
-Ah! E allora perché ha punito anche te?!-
-Beh, io ho fatto in modo che ti punisse quindi in piccola parte dovevo subire.-
Arthur appoggiò la testa sulla spalla di Alfred.
-Tutto quel freddo mi ha fatto venire sonno…- sussurrò l’inglese molto vicino all’orecchio dell’americano.
L’alito di Arthur gli sfiorò l’orecchio e Alfred si bloccò di colpo arrossendo.
-Perché ti sei fermato?- chiese l’inglese perplesso ma senza spostarsi di un millimetro.
-V-Vuoi dormire sulla mia spalla?-
I due stettero in silenzio. Solo una leggera brezza mosse i loro capelli impregnati di gocce. Un brivido scosse i corpi semi nudi dei due ragazzi.
Nessuno dei due si era accorto fino a quel momento di quanto fossero vicini i loro corpi, ma soprattutto, di quanto entrambi si stessero scaldando a vicenda.
Arthur sollevò la testa di scatto e cominciò a divincolarsi.
-Mettimi giù immediatamente yankee!!- l’americano lasciò la presa sulle gambe dell’altro incredibilmente imbarazzato, mentre l’inglese corse verso il suo asciugamano e “si infagottò” in esso.
-Penso che andrò a farmi un giro..-balbettò Alfred.
 
Quell’inglese! Proprio non riusciva a capirlo. Prima lo tentava e poi lo respingeva. Era una persona complicata, però allo stesso tempo sa cosa vuole dalla vita. In un certo senso il suo modo di fare gli piaceva, o meglio, lo incuriosiva. Non aveva mai conosciuto uno così. Avevano dei caratteri completamente diversi, ma forse era proprio per quello che lo trovava interessante.
-Aaaaantonioooooo!!!! T-Ti strappo gli occhi e prova ad indovinare dove te li ficco! Vieni qua immediatamente cazzone!- Antonio si nascose dietro la spalla di Alfred interrompendo la camminata e i pensieri dell’americano.
-Togliti idiota, e tu vigliacco non nasconderti!- Il biondo si ritrovò di fronte un Lovino abbastanza, anzi molto incazzato.
-Ehy, ehy ma che succede? Cos’ha fatto Antonio?-
-Mi ha portato in quell’acqua gelida dicendo “è solo un bagnetto caldo” e invece l’acqua era maledettamente fredda!- L’italiano allungò una mano verso Antonio ma, ancora una volta lo spagnolo costrinse Alfred a mettersi in mezzo.
-Non lo sapevo nemmeno io che l’acqua era così “maledettamente fredda”, ti ho già chiesto scusa!-
Lovino cominciò ad emanare una strana aura scura.
-Allora perché non lasci andare questo americanotto e me le dici in faccia le tue scuse?- un ghigno.
Antonio deglutì sonoramente.
-Al-Alfred augurami buona fortuna…!-
-Good luck dude!- lo spagnolo prese a correre dalla parte in cui stava venendo Alfred inseguito da un Lovino furioso.
Che coppietta simpatica.
Alfred continuò a camminare arrivando in prossimità del piccolo boschetto. Non era sicuro di aver visto bene quindi si stropicciò gli occhi due o tre volte. Alla fine si rese conto che proprio a pochi metri da lui c’era una cupola di asciugamani! I suoi occhi si illuminarono.
-Amazing…- sussurrò senza parole. Chi poteva mai aver costruito una scultura di tale bellezza?!
Girò attorno alla costruzione e solo per miracolo riuscì ad intravedere una porticina. Si avvicinò e sentì rumori strani.
Oddio! Quella magnifica scultura era stata costruita da una famiglia di procioni marini per ripararsi dal forte sole e ora ci vivevano loro! Scostò l’asciugamano usato come porticina, ma quello che vide non fu un allegra famiglia di procioni.
-Oh my God!- Alfred.
-A-Alfred ma che..?- Gilbert.
-Oh cazzo! Chiudi quella porta! Non guardare idiota!- Elizabeta.
Alfred serrò con forza gli occhi e richiuse con altrettanta forza la porta.
Eliza e Gil.
Rumori strani.
Costruzione.
Procioni marini.
 Eliza e Gil.
Loro mezzi nudi.
Loro in una posizione…
PROCIONI!
Perché doveva succedere solo a lui una cosa del genere?
L’americano tentò in tutti i modi di cancellare quell’immagine, ma non ci riuscì.
Corse via strofinandosi gli occhi.
 
-Alfred qualcosa non va?- alle orecchie dell’americano arrivò la tranquilla e innocente voce di Feliciano.
-I-Io non voglio parlarne…- disse l’americano sconsolato. Non l’avrebbe mai ammesso però avrebbe preferito stare con Arthur che vedere due suoi amici così…nudi?
-Beh, vuoi aiutare me e Luddy qui?- domandò l’italiano sorridendo raggiante.
In effetti i due stavano costruendo un castello di sabbia enorme.
-Yeah! Datemi paletta e secchiello e vi faccio una bella statua della libertà!- finalmente qualcosa di normale da fare al mare!
 
-Matt…ma dove saranno ora?- chiese Francis preparando il tavolino di legno.
-Ah…gli avevo detto di stare vicini ma non mi avranno nemmeno sentito…puoi andare a chiamarli? Tra un po’ la carne è pronta.- il canadese sorrise. Francis si sistemò il capello panama cuenca sbuffando leggermente.
-Se me lo chiedi così vado subito~- il francese  stampò un bacio sulle labbra del canadese poi, cominciò la ricerca dei suoi “compagni” di spiaggia.
 
-Fraaaaanciiiiisss!!- il francese fu atterrato da Antonio.
-Antonio…dai forza, smettila di correre hai vinto non ti farò niente…- sospirò Lovino con il fiatone.
-Sul serio?-
-Antonio puoi alzarti s'il vous plaît?-
-Oh si scusa-
Lo spagnolo si avvicinò all’italiano.
-E’ pronto da mangiare li c’è il t- Lovino aveva assestato un pugno in pancia ad Antonio che si era appoggiato con una mano alla spalla di Francis.
-B-Bueno, arriviamo..- si era inginocchiato e aveva cominciato a rotolare nella sabbia tenendosi lo stomaco.
-Va bene…io vado a chiamare gli altri…- disse con noncuranza raccogliendo il cappello di paglia chiara.
 
-Uh la la chi vedono i miei occhi!-
-Che vuoi vinofilo?- disse Arthur ravvivandosi i capelli un po’ umidi.
-Vorrei tante cose anche da te, però…ora voglio solo che tu venga a mangiare.- il francese si avvicinò pericolosamente.
-A-A-A-Adesso a-a-a-arrivo maledetto pervertito!- l’inglese arrossì lievemente distogliendo lo sguardo.
Francis sfiorò lo guancia dell’inglese con l’indice.
-Perché sei imbarazzato mon ami?- disse sensualmente.
-T-T-Tu togliti di mezzo!- Arthur aveva spalmato la guancia del biondo sulla sabbia prima di avviarsi con passo veloce da punto in cui veniva Francis.
-Che bel caratterino mon anglais!-
 
Non fece nemmeno in tempo ad alzarsi e a raccogliere il suo malaugurato cappello che davanti a lui si parò una sottospecie di fantasma.
Ah no era Gilbert.
-Francis per caso hai visto Alfred?-
-No perché?-
-Tu rispondi solo si o no.- intervenne Elizabeta acidamente.
-Pardon! Non l’ho visto mi dispiace…-
-Va bene, grazie lo stesso.- borbottò Gilbert.
-Il pranzo è pronto andate da Matt.-
-Perfetto grazie.-
I due ragazzi superarono il francese.
-Ah Elizabeta!- la ragazza si voltò verso il biondo.
-La canottiera…è al contrario.- le fece l’occhiolino prima di ripartire.
 
Aveva scelto una giornata magnifica per  portare tutti al mare. C’era una luce perfetta e questo permetteva delle ottime foto.
 I gabbiani svolazzavano tranquillamente sopra l’Oceano fermandosi, di tanto in tanto, sopra ad una boa.
Non se n’era mai accorto di quanto maestoso fosse quel paesaggio. In fondo quella spiaggia gli era sempre servita per portarsi qualche amica/o a letto. Non aveva mai avuto il tempo di osservare.
Stava per tornare indietro quando la sabbia gli mancò sotto i piedi. Incredibile! Era appena caduto in una buca gigante! Ma che razza di animale aveva scavato una buca così profonda. Si rialzò in piedi e raccolse il cappello con la mano riusciva a malapena a toccare i bordo di quel buco. Stava per urlare un “Aider!” quando all’entrata della buca sbucò Alfred.
-Oddio Francis che ci fai la? Non è un bel posto per prendere il sole.- disse l’americano tendendogli una mano.
-Certe volte mi chiedi se lo fai o lo sei…sono caduto dentro!-
Il biondo annuì.
-Feli, Lud venite ad aiutarmi!-
Questa volta all’entrata del buco c’erano tre volti.
Con qualche piccolo sacrificio Francis era riuscito a trovarli tutti.
 
L’ora di pranzo passò velocemente. Le pietanze che erano state preparate da Francis e Matthew erano perfette. Alfred aveva fatto il bis cinque o sei volte, per l’appunto. Elizabeta e Gilbert non facevano altro che fissare l’americano, il quale era proprio davanti a loro. Feliciano e Ludwig parlavano animatamente, o meglio solo Feliciano parlava, Ludwig diceva qualche volta uno o due monosillabi. Antonio, aveva “fatto pace” con Lovino mentre Arthur non faceva altro che guardare di sottecchi Matthew e Francis.
Che allegra tavolata!
-Ragazzi! Ho un’idea!- intervenne ad un tratto Feliciano salendo sopra il tavolino ormai sparecchiato.
-Che ne dite se facciamo una partita a calcio cinque contro cinque?-
Immediatamente Antonio si affiancò all’italiano.
-Sii! E’ perfetto!- esultò lo spagnolo.
-Non saprei è da molto tempo che non gioco a calcio…-affermò Ludwig.
-Forza Lud!- Alfred lo prese sottobraccio. -Non farti pregare come al solito. So cosa puoi fare con una palla!- completò la frase iniziata dall’americano, Gilbert.
-Penso che farò l’arbitro. Non sono fatto per il calcio. Lo trovo uno sport rozzo.- intervenne Francis.
-No, forse non hai capito. Se tu fai l’arbitro siamo quattro contro cinque. Non discutere mangiarane. Tu giochi.- disse tranquillamente l’inglese bevendo l’ultimo sorso del suo tè post pranzo.
-Bene, allora siamo d’accordo…io voglio essere un capitano- ghignò Lovino. –e Antonio sarà l’altro.-
 
In poco tempo le squadre vennero assemblate, dalla parte di Lovino: Feliciano, Arthur, Elizabeta e Gilbert mentre dalla parte di Antonio: Francis, Matthew, Ludwig e Alfred. Le linee del campo erano state tracciate sulla sabbia mentre la porta era delimitata da due bastoncini raccolti da Gilbert. Fortunatamente il sole era leggermente coperto e in quella porzione di spagna non batteva. Le condizione erano ottime e la partita poteva iniziare.
-Lovino prendila sportivamente, hai già perso!- disse con un sorrisetto lo spagnolo mentre prendeva una monetina per la palla.
L’italiano osservò l’oggetto metallico che volteggiava in aria.
-Dovrai essere tu ad accettare la sconfitta.- la monetina atterrò sul palmo dello spagnolo. L’italiano sorrise beffardo.
-Palla mia.-
Lovino prese subito palla e scartò Matt con molta velocità. Erano passati due anni da quando aveva smesso di giocare, ma se la cavava ancora egregiamente. I suoi sogni di gloria furono interrotti da un Ludwig a due ante davanti a lui. Inizialmente rimase sorpreso ma, non si diede per vinto, fece una finta a destra per poi andare a sinistra. Peccato che il tedesco non ci cascò e prese palla. Un passaggio veloce ad Antonio e questo cominciò a scartare giocatore come una macchina da guerra.
-Che sbruffone a scartare tutta questa gente!- Antonio non fece nemmeno in tempo a realizzare di chi fosse quella voce che già Arthur gli aveva portato via palla. L’inglese passò la palla abilmente a Feliciano che avanzò entrando in area. Un retro passaggio e Arthur si ritrovò esattamente davanti alla porta.
-Alfred non stare in mezzo al campo cerca di fermarlo!- urlò Antonio.
-Come?! Non sono molto a bravo a giocare a calcio, preferisco rugby o il football americano!-
-Inventati qualcosa!-
E mentre la squadra di Lovino già si pregustava il sapore del goal, Arthur venne letteralmente placato da Alfred come in un’azione di football. La palla scivolò dai piedi dell’inglese e arrivò a poco più di venti centimetri dalla porta.
-Ma sei matto?!- urlò Arthur massaggiandosi la schiena.
-Io l’ho detto che non sono bravo a calcio…quindi ho usato il football.-
Tutti quanti irruppero in una fragorosa risata.
-You Idiot!- sorrise Arthur unendosi al coro di risate.
Non era stata la rilassante giornata al mare che tutti si aspettavano ma era forse per questo si era rivelata ancora più divertente.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** E' solo lavoro! ***


Forse sono in ritardo…? Ho perso completamente la cognizione del tempo scusate^^ Comunque sia, eccomi arrivata con un nuovo capitolo, divertente, amaro e puccioso :3 Ebbene, fan della GerIta armatevi. Ci siamo! Più o meno...?
Anche qui un altro assaggio dei nostri spietati paparazzi ;)
Spero apprezziate, Buona Lettura! :)
PS: Grazie, grazie, grazie Adam per le annotazioni e perdono, perdono, perdono!
 


E’ SOLO LAVORO!
 
 

-Il mio Lovinito…mi è stato portato via…- disse sconsolato lo spagnolo.
-Ah, quella vipera si è messa giocare a carte con Matt e Lovino.- affermò Gilbert creando cerchi nella sabbia con un bastoncino.
Erano seduti tutti e tre sulla sabbia ad ascoltare le loro “dolci metà” che si divertivano giocando a carte. Non avevano più nulla da fare.
-E ora? Cosa facciamo?- domandò Francis con lo stesso tono degli altri due.
I tre si fissarono. Una scintilla nei loro occhi.
-Non abbiamo bisogno di loro, noi siamo…- cominciò il tedesco.
-Noi siamo un trio!- continuò Antonio.
-Ma non un semplice trio, mes amis.- disse malizioso Francis.
-Noi siamo un “bad” trio!- disse lo spagnolo con la medesima malizia.
-Gli faremo vedere che cosa possiamo fare anche da soli! Kesesese!-
In pochi minuti Gilbert preparò un mini altarino di asciugamani e lo piazzò esattamente davanti al tavolo in cui c’erano i giocatori. Francis afferrò il tubetto di crema solare di Matthew e se lo portò alla bocca come se fosse un microfono.
Si schiarì la voce.
-Temete! Voi comuni mortali perché oggi assisterete ad una iniziazione a livello mondiale!- disse solenne il francese.
-Ricordate queste parole perché oggi un trio si è formato!- ghignò Gilbert con l’infradito di Elizabeta come “amplificatore”.
-Non siamo un trio benevolo! Noi domineremo tutto e tutti! Per questo siamo il- disse Antonio tenendo in mano la maglietta di Lovino arrotolata.
-Il Bad Friends Trio!- dissero all’unisono. Già si immaginavano gli occhi dei loro fidanzati luccicanti per la magnificenza che emanava quel trio. Già se li immaginavano inchinati ai loro piedi.
-Guardate ragazzi ho fatto scopa di nuovo, ho i denari, sette bello e primiera. Vi ho stracciati sta volta.- disse Lovino.
-E’ solo fortuna! Al prossimo turno vinco io vedrai.- affermò Elizabeta.
Nessuno parve aver ascoltato l’annuncio dei tre.
-Ci hanno ignorati…- disse Francis facendosi scivolare le mani lungo i fianchi.
-Già…- concordò Antonio avvilito.
-Volete una birra?- propose Gilbert abbattuto.
Gli altri due annuirono.
 
 
-Mi sono divertito tantissimo oggi! Tu Luddy?- disse allegro Feliciano.
-Diciamo che siete un gruppo piuttosto…bizzarro, però mi sono divertito anche io.- il tedesco abbozzò un sorriso.
Il sole stava tramontando e una brezza fresca accarezzava la pelle di chiunque si fosse avvicinato all’Oceano.
Feliciano lo prese per mano con noncuranza e lo trascinò ancora più vicino all’acqua.
Ludwig non se l’aspettava una “vicinanza” del genere. Ci fu un lungo silenzio.
-Vorresti uscire di nuovo con noi…con me?- l’italiano si fermò e cercò gli occhi turchesi dell’altro.
-I-Io…p-penso di si…- balbettò il biondo osservando a sua volta gli occhi ambrati dell’italiano. Ludwig non aveva mai notato quella strana tonalità dei suoi occhi. A tratti sembravano castani, in altri punti sembravano dorati.
-E dimmi…vorresti baciarmi?-
Ci mise un po’ prima di realizzare quello che gli aveva chiesto l’altro. Un calore improvviso gli imporporò le guance. Cominciò a borbottare tra sé e sé. Non sapeva nemmeno cosa stava dicendo, sapeva solo che il suo cervello non ragionava più. La sua lucidità e professionalità erano completamente scomparse.
Feliciano rise piano portandosi il dorso della mano alla bocca.
-E ora perché ridi?- chiese il tedesco incapace di formulare una frase migliore.
Feliciano gli appoggiò una mano sulla nuca e attirò il volto di Ludwig vicino al suo. Le loro labbra erano a pochi centimetri di distanza.
-Perché io sto morendo dalla voglia di baciarti. Voglio assaggiare le tue labbra dal primo istante in cui ci siamo incontrati. Voglio…sapere come sa amare un uomo con quegli occhi così intensi…-
Ludwig deglutì sonoramente poi, quasi con impeto completò la distanza tra le loro bocche. Feliciano gli avvolse le braccia intorno al collo e avvicinò il suo corpo più esile a quello robusto del biondo. Non tardò la presa dell’altro su i suoi fianchi.
Si staccarono per qualche secondo, si guardarono negli occhi.
L’italiano si leccò le labbra prima di ricominciare un bacio più esigente. Questa volta non si limitò ad un semplice contatto, ma socchiuse la bocca premendo la lingua contro le labbra dell’altro. Con qualche esitazione Ludwig lo accolse.
Nessuno dei due avrebbe mai immaginato che un semplice bacio potesse far provare loro quelle emozioni.
La lingua dell’italiano prese ad ispezionare la sua bocca con una sensualità che non credeva possibile. Inutile dire che quel bacio così erotico li stava eccitando un po’ troppo.
Delle urla, era Antonio. Dovevano tornare. Il sole era già calato da un pezzo e il cielo si era già fatto scuro. Avevano perso perfino la cognizione del tempo.
Feliciano si staccò sorridendo. Ludwig cercò un’altra volta le sue labbra, ma l’italiano lo bloccò con un dito.
-Luddy, ora dobbiamo andare. Non ti preoccupare non scappo.- gli fece l’occhiolino.
-A-Ah si…certo, si l-lo so non scappi, si…-
 
-Avete programmi speciali per sta sera?- domandò Francis ad un tratto. Perfino Matthew lo guardò sorpreso.
-Che vuoi fare mangiarane?- domandò istintivamente Arthur. Il francese sorrise.
-Sei sempre così gentile, mon ami! Voglio solo invitarvi a cena.-
-Paghi tu, Francis?- ghignò Gilbert.
- Sûrement!- sorrise.
-Io e Lovi ci saremo!- intervenne Antonio che se ne stava appiccicato all’italiano.
-Da quando decidi tu per me?- disse Lovino cercando di staccarsi di dosso quello spagnolo invadente.
-Da quando faccio molta fatica a stare lontano da te!-
-Ah! Il tuo grado di romanticismo mi  fa perfino schifo.-
-Tanto lo so che ti piace in realtà!-
-Che hai detto?!-
-Penso che non sia un problema per tutti, vero?- chiese Alfred.
Il resto dell’allegro gruppo annuì con poca convinzione.
-Se è così, dovremo muoverci a tornare! Arthur, Gil venite ad aiutare me e Elizabeta con la roba!- urlò Antonio al settimo cielo. I due lo seguirono, senza troppa esitazione, in spiaggia per sistemare nel pulmino tavolino e griglia.
-Dov’è Matthew?- chiese Feliciano.
-Sono qui!-
-Senti qualcosa?- domandò l’italiano a Ludwig.
-No niente, perché?-
-Mi pareva…-
-Désolé, è qui.- fece notare Francis. Matthew sorrise.
-Ah, devi essere appena arrivato! Comunque sia…ho bisogno di una mano con una certa pila di asciugamani. Non riesco a capire chi li abbia portati.-
-Ti aiuto volentieri.- disse timidamente il canadese.
-Non è…simpatico quel Matthew?- domandò guardando i due ragazzi allontanarsi.
Ludwig gli prese un braccio e lo costrinse a girarsi verso di lui.
-Prima la giornata al mare, ora la cena. Che gioco stai giocando Francis?- disse quelle poche, ma essenziali parole con sguardo duro.
-Suvvia, Ludwig! Non essere così rigido!- rise il francese sottraendosi alla presa dell’altro. Francis riprese a guardare nella direzione che avevano preso i due ragazzi. Trovò solo alberi, Matthew era già scomparso.
-Onestamente…non so nemmeno io cosa sto facendo. Anche se volessi fermarmi non ci riesco…questa band, questi ragazzi…non sono come le altre star, loro sono div- affermò amaramente.
-Non dire certe cazzate. Puoi fermarti quando vuoi. A che punto sei arrivato? Posso aiutarti! Non fargli quello che fai con tutt-
-Come si dice in questi casi?- Francis si voltò verso di lui. Ludwig si ritrovò a fissare due pozzi blu. I suoi occhi dicevano solo tristezza. Sapevano di prigione.
-Ah, giusto…il lupo perde il pelo ma, non il vizio. E’ così che si dice…-
Fu il tedesco questa volta a evitare il suo sguardo.
-Non penso che anche Antonio e Alfred siano d’accordo con quello che farai. Ci andremo in mezzo tutti!- cercò di farlo ragionare.
-Temo che Alfred ci sia dentro fino al collo.- rise.
-C-Cosa?- una busta bianca entrò nel campo visivo del tedesco. Una mano familiare la tendeva, la mano di Alfred. Ludwig si voltò verso l’americano, fece l’espressione più inorridita che gli riuscisse.
-Che cos’è Al…?- disse con voce tremante riferendosi alla busta.
-I-Io...sono cresciuto, Lud! Hai visto? Ci sono riuscito! A tenermi una lavoro per più di un giorno!- i suoi occhi non erano felici. Quello che aveva sulle labbra non era un sorriso. Tutto nel suo viso sembrava qualcosa di incredibilmente stonato.
-Con queste-
Francis gli strappo la busta dalle mani mettendosi il contenuto nella tasca dei pantaloni.
-Ha fatto il suo lavoro, Ludwig. Mi aspetto un buon articolo anche da te.- il francese salì nel furgoncino lasciando i due soli.
-A-Alfred…!- Ludwig non ci poteva credere. –C-Come hai potuto fare questo a loro? C-Come hai potuto fare questo ad…Arthur?- l’espressione dell’americano era triste ora. Altri pozzi blu doveva vedere Ludwig in quella sera. Altro dolore senza senso riempiva il suo cuore.
-I-Io…Ludwig m-mi dispiace…-
-Ah ecco dov’eri! Noi a faticare con tutta la roba che ha portato il vinofilo e tu qui a chiacchierare!- Arthur prese il braccio dell’americano e lo trascinò via dal tedesco interrompendo bruscamente la loro discussione.
-Come minimo ora smonti tutta l’attrezzatura e la carichi nel bagagliaio!- brontolò l’inglese.
Prima di sparire dietro al furgoncino, Alfred rivolse un altro sguardo al tedesco.
Lui doveva saperlo. Non doveva trascinarlo in quel lavoro. Non doveva presentargli il mondo con quel maledetto lavoro, non così! Ora si sarebbe sentito in colpa per tutto il resto della sua vita. Dovrà convivere con il peso di aver rovinato le vite di quei ragazzi.
-Ehi Luddy stiamo vicini nel pulmino?- sorrise Feliciano.
-Ah, me la pagherai prima o poi Antonio!- disse irritato Lovino.
-Fatti in la grassone di un americano. Questo posto lo prendo io!- affermò Arthur.
-Francis, tranquillo guido io. Tu riposati pure!- si offrì gentilmente Matthew.
 
Ma quel che è peggio…è che li tutti, si erano affezionati a loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo speciale: Dark sick Love ***


Eccomi arrivata con un nuovo capitol speciale! Questo riguarda il triste passato del nostro caro inglese. Non è il solito Arthur quello di cui leggerete. E’ punk!England. Spero che leggiate perché personalmente mi è venuto molto bene (lo so sono sempre stata modesta xD)
Ci sono un po’ di note che devo fare. Innanzitutto, questo capitolo contiene un linguaggio forte  però non mi sembrava il caso di alzare il rating all’arancione. Non è poi così tremendo. Ve lo dico (anche se so che non servirà a niente xD).
Altra nota è che per la situazione familiare di Arthur e anche un po' del suo carattere ho preso spunto dalla vita di John Lennon (me lo sono sempre immaginato così in reaaltà :D)
L’ultima nota che vi devo fare è che non so quando scriverò il prossimo capitolo perché me ne vado in vacanza per due settimane e quindi dovrete aspettare Agosto. L’ho già iniziato a scrivere e quest’ultima settimana cercherò di andare a vanti il più possibile, ma che penso che non aggiornerò prima del dieci Agosto.
Detto questo, Buona Lettura^^
 
 
Capitolo speciale: Dark sick love
                                                                                          
 
                                                                                                                                I       
 
 

-Bye Cathrine ! Vado a scuola!- disse Arthur andando in cucina. La zia chiuse il giornale che stava leggendo. Era una donna sulla cinquantina, aveva dei capelli ricci molto corti e castani; era un po’ bassa, ma robusta ed era una persona estremamente tradizionalista.
-Comportati bene, non fare le solite ragazzate, ok?-
-Bla, bla, bla si zia, bla bla.- Il giovane inglese prese ad imitare la zia.
-Ah! Ragazzino impertinente! Si deve portare rispetto alle persone più anziane e saggie di te!-
-Sicuramente lo farò old Cath.- disse Arthur con noncuranza afferrando un toast.
-Se ti prendo ragazzaccio!- la signora prese la scopa e rincorse il nipote.
-Ci vediamo a sera zia!- urlò il biondino scappando oltre i vicoli davanti alla loro casa nella periferia di Londra.
Cathrine sospirò rumorosamente.
Arthur non era un cattivo ragazzo però non si poteva certo dire che avesse la testa sulle spalle. A scuola non andava molto bene, o meglio quando ci andava e non faceva storie si vedeva il suo enorme talento, quando ci andava e faceva storie durava un’ora poi lo sospendevano per qualche giorno.
La zia e suo marito lo avevano cresciuto sin da quando aveva otto anni e avevano tentato di crescerlo al meglio, come se fosse loro figlio. I suoi veri genitori gliel’avevano affidato. Suo padre era partito per la Nuova Zelanda appena conosciuto suo figlio mentre sua madre aveva cercato di farsi una nuova famiglia a Londra. Non c’era da stupirsi che fosse un tipetto…particolare.
-Non cacciarti nei guai…- sussurrò Cathrine prima di rientrare in casa.
 
-Arthur! Ti stavamo aspettando!-
-Hey ragazzi perché tutti qui?- salutò Arthur con il fiatone.
-Kaoru ha trovato un colpo grosso da fare sta sera!- si illuminò Dylan.
-Kaoru? Scherzi? Non è da lui organizzare certi “eventi”.- sbuffò l’inglese scatenando una forte risata da parte dei due amici.
Dylan era un suo amico di infanzia, ma lo considerava un fratello. Era di poco più vecchio di lui, aveva i suoi stessi occhi verdi e dei capelli tra il rosso chiaro e il biondo. Era più alto di lui di qualche centimetro, poteva sembrare molto tranquillo in apparenza, ma era tutt’altro.
 Vlad era un rumeno scappato di casa perché ricercato dalla polizia e arrivato fino in Inghilterra. Lavora al pub del fratellastro di Arthur o meglio, viveva nel pub. Era alto come Arthur però più robusto. Aveva dei corti capelli biondo cenere e dei profondi occhi castani.
E infine c’era Kaoru. Era il piccolo schiavetto di Arthur perché l’inglese gli aveva procurato dei documenti falsi per stare in Inghilterra. Era più basso dell’inglese e aveva capelli e occhi castano scuro.
Era il suo gruppo, quei tre erano i suoi migliori amici e lo capivano perché anche loro avevano una vita piuttosto disastrata.
-Infatti non li ha organizzati lui. Al pub con Vlad hanno incontrato un tipo…come si chiamava?- spiegò il gallese.
-Un certo Matthew.- disse Vlad.
-E quand’è sto colpo grosso?- chiese l’inglese accendendosi una sigaretta.
-Sta sera nella periferia di Londra, ma ti dirà tutto Kaoru quando arriva.-
La campanella suonò.
-Ragazzi entriamo?- chiese con un ghigno Dylan.
-Nah!- fu la risposta in coro.
 
 
                                                                                                                              II
 

-Ragazzi, vi presento Matthew!- esclamò Kaoru dal fondo di un lurido vicolo.
Dylan e Vlad si avvicinarono ai nuovi arrivati tendendogli la mano.
-Forza Arthur, non fare il tenebroso! Vieni a presentarti!- borbottò poco convinto l’orientale. Dalla penombra del vicolo si illuminarono due profondi occhi verdi. Due inquietanti occhi verdi.
L’inglese scese dal cassonetto su cui si era appollaiato. Spense la sigaretta sotto la spessa suola del suo anfibio e sia avvicinò di qualche passo.
Con un cenno del capo salutò il nuovo arrivato.
-Arthur Kirkland.- disse scandendo ogni sillaba.
-Ho sentito parecchio parlare di te Artie. Sono lieto di conoscerti.- gli tese la mano.
-Matthew Walsh.- l’inglese guardò la sua mano schifato.
-Dimmi, che cosa vuoi fare sta sera?- chiese assottigliando gli occhi.
Matthew rise.
-Rubare.-
Arthur rimase per un attimo stupito, non lo credeva un delinquente…come loro.
-Dove?- si riprese quasi subito.
-E’ un piccolo negozio di gioielli, conosco il proprietario. So tutto di quel posto, anche dove sono posizionate le telecamere.-
Arthur rimase zitto.
-Però…mi serve qualcuno e voi siete famosi per piccoli furti. Fare una cosa del genere è certo un passo in più però conoscete il cam-
-Ti rendi conto- disse freddo l’inglese avvicinandosi a lui. -che per fare un colpo del genere ci serve un’attrezzatura adatta e che in qualsiasi momento rischi il carcere minorile?-
L’aria era tesa. Dylan, Vlad e Kaoru non osavano intervenire.
Matthew esitò qualche istante.
-Si.- disse convinto dopo aver ispirato a lungo.
Arthur piegò le labbra in un ghigno inquietante. Prese l’irlandese per il bavero e lo alzò di poco da terra.
-Bene. Fatevi trovare qui alle 2 in punto. Io porterò tutto quello che ci serve.- mollò la felpa dell’altro e uscì calmo dal vicolo.
 
Alle due di notte precise i cinque ragazzi si trovarono nel vicolo e con passo spedito arrivarono alla piccola gioielleria. Matthew mise fuori uso le telecamere più pericolose e dopo pochi minuti riuscirono a forzare la porta.
Aprirono gli zaini e ci ficcarono dentro tutto quello che riuscivano a contenere.
-Ehy ragazzi guardate!- sussurrò nell’oscurità Vlad. Gli altri quattro si avvicinarono e riuscirono ad intravedere una favolosa collana di diamanti larghi tre centimetri all’uno.
-E’ bellissima…- disse con stupore Kaoru. Matthew la ficcò dentro allo zaino.
-Non avete idea di quanti soldi faremo con tutta sta roba!- disse Dylan raccogliendo le ultime cose per uscire.
-Già! Potremo diventare anche milion- tutti e cinque si bloccarono.
Sirene. Sirene della polizia che si avvicinavano sempre di più.
-Come hanno fatto a scoprirci?!- urlò Arthur a Matt.
-I-Io…I-Io avevo messo fuori d’uso tutte le telecamere e l’allarme compreso, non so come…-
-Ah poco importa ora! Filiamo ragazzi!- urlò Arthur uscendo da retro.
In poco tempo si dispersero per i delle strade secondarie, ma la polizia non mollava.
 Il rumore delle sirene non diminuiva anzi, sembrava aumentasse.
-Fuck, fuck, fuck!- urlò Dylan quasi senza fiato.
Kaoru si fermò.
-Ragazzi non ce la faccio più.- era piegato sulle ginocchia con il fiato corto.
-Che cazzo dici?!- urlò l’inglese fermando anche il resto del gruppo. –Muoviti!-
-Non ce la faccio, andate avanti, la polizia sarà qui a momenti!- disse quasi in lacrime tendendogli lo zaino colmo di gioielli.
Arthur strinse i denti. Cosa poteva fare?! Non voleva certo abbandonarlo così! Le sue riflessioni venero interrotte da un’irritante luce blu dritta agli occhi.
-Fermatevi! Fra poco sarete circondati!- urlò da un megafono il capo della polizia.
-Arthur qui ci mettono dentro!- urlò Vlad.
L’inglese tese il suo zaino a Matthew.
-Riesci a tenerlo?-
-Si…-
-Forza Sali, ti porto io. Non ti lascerò qua.-
Non appena Kaoru venne caricato sulle spalle dell’inglese i cinque ripartirono seguiti dalle urla della polizia. Non si sarebbero fatti catturare. Oh no!
Tutti e cinque si scambiarono un sorriso: era fatta!
 
                                                                                                                  
                                                                                                                      III
 
 
 
Uno sparo.
E il sorriso di Arthur si mutò in una smorfia di dolore. L’inglese cadde rovinosamente a terra e una seconda volta il gruppo si fermò.
-Arthur! Dove ti hanno preso?- chiese Dylan chinandosi su di lui.
-La gamba destra…shit.-si portò una mano alla gamba perdeva un sacco di sangue.
-Penso che mi abbia colpito solo di striscio…- sbiascicò strizzando gli occhi.
-Ragazzi si stanno avvicinando!- urlò Kaoru che era già saltato in piedi.
Otto occhi lo fissavano. Otto maledetti occhi che sembravano completamente smarriti.
-Non state qui a guardarmi! Andate via da qui idioti! Vi rallenterei e basta e questi cani ci stanno alle calcagna. Portate via tutto quello che potete, io me la caverò in qualche modo.-
-Non possiamo lasciarti qui stupido!- urlò Dylan che si era già abbassato per prenderlo in braccio.
Arthur strizzò gli occhi e dilatò le narici per il dolore.
-Mollami subito idiota.- sibilò.
-Non pos-
-Sono il vostro fottuto capo quindi è un ordine: mollami e andate avanti. Non fatevi beccare!- li guardò negli occhi uno ad uno. Il suo sguardo non ammetteva repliche. Il primo a voltargli le spalle senza dire una parola fu Dylan seguito a ruota dagli altri. In un fugace sguardo erano state dette moltissime cose. Non servivano parole.
Arthur si trascinò fino al muro più vicino e cercò in tutti i modi di far leva sulla gamba sinistra per alzarsi. La spalla destra completamente aderente al muro e mosse qualche passo. Si dovette fermare, faceva troppo male, non sarebbe mai andato da nessuna parte.
La polizia si avvicinava sempre di più. Aveva una paura tremenda di quello che gli avrebbero fatto, di quello che avrebbe visto sua zia. Lei non ne aveva certo colpa. Aveva paura di vedere la sua libertà repressa. Non doveva fisarsi di quel Matthew, avrebbe dovuto continuare con i piccoli furti, avrebbe dovuto non cominciare proprio con quel circolo vizioso; magari sistemarsi come aveva fatto suo fratello.
Digrignò i denti. Quella era stata la sua decisione e si sarebbe preso le sue responsabilità.
Ormai la polizia era a meno di cinquanta metri da lui.
Si sentì afferrare un braccio, sentì dei capelli sfiorargli la faccia e i suoi piedi non toccarono più la terra.
-Perché sei tornato indietro?!- urlò cercando di trattenere qualche lacrima.
-Tu hai dato un ordine alla tua “banda”. Io non ne faccio parte.- sorrise furbo Matthew.
 
                                                                                       
                                                                                                               IV
 


-Ahia! Fai piano, fa malissimo.- sibilò Arthur.
-Sto tentando di medicarti la ferita, Artie! Non stai facendo un bagnetto!- gli rispose di rimando l’irlandese.
-Per fortuna ti aveva beccato di striscio e la ferita non era gravissima.-
Dopo che Matthew era tornato indietro a salvarlo si erano rifugiati in un vicolo e si erano intrufolati in una casa abbandonata con una scala antincendio. Avevano aspettato un po’ poi erano andati a casa dell’irlandese. Era stata veramente una fortuna.
-Ecco qui.- disse il rossiccio facendo un doppio nodo alla garza.
L’inglese mosse qualche passo incerto. Sicuramente gli faceva ancora molto male, ma il dolore era sopportabile.
-Hai proprio un bel culo…-
Arthur si voltò di scatto, fulminandolo con lo sguardo.
-What?!-
L’irlandese fece spallucce e si voltò per sistemare la cassetta del pronto soccorso.
L’inglese gli arrivo da dietro e lo appiattì contro il muro. Gli afferrò il cavallo con insolenza e prese a leccargli il lobo dell’orecchio.
-Anche se ho una gamba fuori uso, qui comando ancora io.-
Matthew rimase interdetto per qualche secondo poi cominciò a sorridere divertito.
-Te l’ho già detto: non sei il mio capo.- si voltò e si guardarono negli occhi.
-Da adesso tu sei di mia proprietà.- gli soffiò sulle labbra prima di baciarlo con foga.
 
-Zia Cathrine, zio lui è Matt.- i suoi zii lo squadrarono da capo a piedi e solo dopo un’accurata ispezione gli strinsero la mano.
-Perché ci presenti uno dei tuoi amici sbandati? Lo sai che non voglio che porti a casa brutta gente.- disse lo zio guardando disgustato il nuovo arrivato.
-Ecco in realtà non è un “amichetto”…- l’irlandese gli strinse la mano. SI guardarono per un attimo.
-Lui è…è il mio fidanzato.-
I due anziani rimasero per un attimo storditi da quella rivelazione. Lo zio si alzò in piedi.
-Tu…tu sei gay?- chiese con voce bassa.
Arthur annuì.
L’anziano si passò una mano sulla faccia. Rise amaramente.
-Non dire certe stronzate, dai.-
-E’ vero zio.- disse serio il ragazzo. –Sono gay e allora?- gli arrivò un pugno dritto in faccia che lo fece quasi cadere.
-Tu non sei gay idiota. E tu, non farti più vedere in casa mia.- disse ferocemente indicando l’irlandese.
-Non vedetevi mai più. Tu non sei un gay capito?!- urlò la zia appoggiata da suo marito.
-Cosa?! Non potete fare questo! Continuerò a stare con lui. Io…io lo amo.-
L’uomo digrignò i denti.
-Non uscirai più di casa, ricordatelo. La tua vita è finita oggi.-
-Decido io per la mia vita!-
-No. Sei ancora minorenne.-
-Ah! Beh, se stanno così le cose non vedrete più ne lui ne me in questa casa!- prese per mano Matthew mostrando chiaramente ai due zii che le loro dita erano veramente intrecciate poi, si chiusero la porta alle spalle lasciando quell’inutile casa a Londra.
 
                                                                                  
                                                                                                      V
 
 
 
-Quanti soldi abbiamo fatto?- chiese Arthur all’irlandese.
-Ah! Poco niente. Gran parte di quello che abbiamo rubato era solo inutile bigiotteria.- sospirò contrariato.
-Dove possiamo andare, allora?! Non ho intenzione di stare a Londra un minuto di più.-
-Beh, ci sarebbe l’Italia. Non costa molto e li è facile passare inosservati. Potremo rubare li e poi usare i soldi per andare da qualche altra parte.-
-Potremo girare il mondo! Mi piacerebbe moltissimo.- sorrise Arthur.
-Già, vedere ogni luogo deve essere fantastico.- disse pacato Matthew.
-Bene! Partiamo per l’Italia domani mattina.- Arthur gli schioccò un dolce bacio sulle labbra prima di andarsene nella camera che condivideva con l’irlandese da qualche tempo.
 
Venezia era bellissima e le persone che la abitavano avevano un gran cuore, Era un peccato rubare a quella gente, ma dovevano pur vivere.
-Questa città è fantastica!- disse estasiato l’inglese. Matthew non parlava già da un pezzo per lo stupore.
-Forza prendiamo un vaporetto e vediamo dove ci porta.- sorrise con aria furba l’irlandese.
Rimasero in balia di una leggera brezza e dell’ondeggiare della piccola imbarcazione fino a quando non si trovarono vicini ad un enorme campanile dalla punta verde. Era Piazza San Marco. Scesero e cominciarono a girare in lungo e in largo quel dedalo di vicoli che molto spesso li vedeva costretti  a invertire la marcia per i canali. Ritornarono nella piazzola colma di popolani e turisti che era ormai ora di pranzo.
Entrarono in un piccolo bar esattamente sotto il campanile e si fermarono a mangiare.
-Buon giorno~ Cosa vi porto?- al loro tavolino si present un ragazzo della loro stessa età; aveva degli occhi simili al colore dell’ambra e dei corti capelli castani. Ad attirare la loro attenzione fu un buffo ricciolo che gli spuntava dal lato sinistro della testa.
-Due dei panini più buoni che hai e poi due bicchieri di vino rosso- sorrise l’irlandese.
-Ve li porto subito, ragazzi!-
Il cameriere si avvicinò al bancone e porse l’ordine ad una ragazza dai lunghi capelli castano chiaro.
Poco dopo arrivò con le bibite.
-Ecco a voi.-
-Hai una voce diversa da prima- disse Arthur.
-Ah quello di prima era mio fratello Feliciano. Chissà da chi se ne è andato, ora! Io sono Lovino.-
-Siete gemelli?-
-Già, però io ho il ricciolo dalla parte destra. Lui ce l’ha a sinistra.- sorrise debolmente l’italiano.
-Io sono Arthur.- si presentò il biondo.
-Io Matthew, piacere.-
Il loro giro di conoscenze venne interrotto da una voce che parlava da un microfono.
-E’ giunto il momento della musica!- disse Feliciano da un palchetto impugnando microfono e chitarra elettrica. Arthur non ne aveva mai visto una però la trovava un oggetto fantastico.
-Ragazzi devo andare pure io.- disse Lovino dirigendosi verso il fratello e prendendo a sua volta una chitarra. Esattamente dietro ai due chitarristi si trovava la ragazza, alla batteria. Presero a suonare a tutto volume “What i’ve done” dei Linkin Park.
Erano dannatamente bravi! Non credeva che gli piacesse così tanto vedere le mani muoversi sulla chitarra.
-Hey Artie se adesso ce ne andiamo non paghiamo il conto.- disse l’irlandese alzandosi.
-N-No…penso che resterò qui ancora un po’.-
-Che dici?! Dopo ci tocca pagare!-
-Sono brave persone non se lo meritano.- disse voltandosi verso il piccolo gruppetto.
-Ah! Fai quello che ti pare, io me ne vado.-
 
Era già passata una settimana da quando Arthur e Matthew erano arrivati a Venezia e ormai si vedevano di rado. Feliciano gli aveva offerto una camera esattamente sopra il locale e ora vivevano li, o meglio Arthur viveva li. Matthew poteva sparire perfino per giorni.
Per “dimenticare” il suo ragazzo, l’inglese cercò di buttarsi sulla musica. Non credeva che una cosa del genere gli potesse piacere a tal punto. Si fece insegnare a suonare la chitarra da Feliciano e nel giro di qualche mese divenne chitarra solista.
 
Un giorno, al bancone si presentò un biondo dai capelli mossi e vestito con giacca e cravatta. Portava degli spessi occhiali e un ciuffo che gli ricadeva in avanti.
-Scusate.-
-Eliza ha sentito qualcosa?- chiese Arthur ridestandosi dai fogli su cui era scritta la loro prima canzone.
-No, nulla perché?-
-Mi pareva qualcuno ci avesse chiamato.-
-Ragazzi!-
-Ciao amico ti porto qualcosa?- disse Elizabeta.
-No grazie. Io sono Matthew Williams e sono un menager. Ho assistito ad alcuni eventi che avete fatto e ho deciso di diventare il vostro menager. Avete del talento e vorrei farvi incidere un disco.-
Arthur ed Eliza sbarrarono gli occhi.
-Noi ci dovremo affidare a lei…però chi ce lo dice che non ci vuole solo fregare?- chiese l’inglese.
Matthew sorrise divertito.
-Fatevi trovare al completo alle otto nella mia casa discografica.- porse ai due un bigliettino con via e numero di telefono. –Ve lo dimostrerò.-
 
-E’ fantastico!- disse Feliciano abbracciando Arthur.
-Lo so! Potremo girare il mondo! Diventeremo famosi!- urlò prendendo sotto braccio Lovino. Eliza si buttò sopra gli altri tre.
-Ben fatto ragazzi! Spaccheremo il culo a tutte le star emergenti. Noi siamo i migliori.-
-Vado subito a dirlo a Matthew!- disse Arthur entusiasta. –Sapete dov’è?-
-Di sopra penso.- affermò Lovino rialzandosi.
 
-Matt! Matt!- urlò Arthur per il corridoio. –Abbiamo un menager! Domani incideremo un disc-
L’inglese aprì la porta di legno chiaro e vide Matthew con un altro ragazzo. Erano entrambi stesi sul letto, nudi. Si erano stesi nel loro letto.
-Che cos?- disse Arthur sull’orlo del pianto.
-Senti Artie…-
-Non mi chiamare così.- l’irlandese si fece serio.
-Senti Arthur, penso di non amarti più.-
-L’ho visto- disse indicando con gli occhi il ragazzo che si stava rivestendo velocemente.
-Perché?- chiese debolmente.
-Perché?!- disse inferocito Matt. –Perché sei cambiato da quando abbiamo messo piede qui. Perché mi trascuri e pensi solamente a quella tua fottuta chitarra. Perché è da mesi che non ci tocchiamo. Cosa pensi che abbia fatto nelle serate in cui non tornavo?-
-Non dirlo.- disse Arthur abbassando lo sguardo per non mostrargli i suoi occhi lucidi.
-Io ti tradivo Arthur.- urlò.
-Magari ora sei qui perché vuoi che vanga con te, non è così? Beh, io non ti voglio più. Ti amavo per quello che eri prima non per l’idiota che sei ades- l’inglese gli sferrò un pugno talmente potente che lo fece cadere a terra. L’irlandese si leccò il labbro sanguinante con un sorrisetto arrogante.
-Riesci ancora a tirarli i pugni, non ti sei rammollito così tanto!- rise forte. – Poco male. Io resterò qui. E ora vattene a strimpellare quella merda di chitarra con i tuoi amichetti.-
-Ti odio Matthew.- l’irlandese si alzò e gli andò vicino.
-Io ho cominciato già da un pezzo.-

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Portare caldo al freddo Nord ***


Penso di aver raggiunto l’apice del Fluff con questo capitolo. Però ne è valsa la pena insomma. Mi stupisco della mia capacità di elaborare cose così tanto dolci. Potrebbe venirmi un diabete da un momento all’altro.
Comunque sia ringrazio tutti quelli che hanno recensito la mia storiella, che la stanno seguendo/leggendo e che l’hanno aggiunta tra i preferiti/ricordati. Ringrazio anche per le 102 recensioni (lo confesso non sono mai arrivata ad un numero così alto! Ed ero mooolto emozionata)
Per concludere il tutto ringrazio anche tutto EFP che mi ha permesso di conoscere molte persone da tutta Italia e di rendere la mia fic famosa (se così si può dire)
Sembra molto l’ultimo capitolo questo e chiedo scusa xD Non è l’ultimo è che ogni tanto bisogna ringraziare i propri fan :D
In conclusione (e questa è la vera conclusione) dedico la GerIta e la Spamano che ho messo in questo capitolo a voi.
Buona Lettura :)
 



Portare caldo al freddo nord
 



-Sta sera vi porterò in un posticino allettante.- comunicò al gruppo Francis.
-Dove?- incalzò Gilbert.
-E’ un ristorantino leggermente fuori da San Francisco. L’ho scoperto qualche mese fa in una delle mie passeggiate notturne-
-Si passeggiate notturne…- sibilò Arthur acidamente.
-Si, Arthùr…una delle mie passeggiate notturne. In ogni caso si chiama “Northern” e si mangia molto bene, i prezzi sono un po’ alti, ma niente che non possa pagare.- concluse il francese osservando la reazione degli altri.
-Se dici che si mangia bene sarà sicuramente così!- disse allegro Feliciano.
-Sarà un posto fantastico!- annuì Antonio strapazzandosi Lovino che fissava fuori dal finestrino con poco interesse.
-Ci saranno hamburger?- chiese Alfred speranzoso.
-Non penso. Quello è un ristornate di classe.- sbuffò il francese.
-Per fortuna non ci sono!- infierì l’inglese.
-Però un giorno mi piacerebbe mangiare in un fast food  americano, qui gli hamburger devono essere veramente buoni.- disse Elizabeta pensierosa. Alfred annuì.
-Altro che! Qui sono buonissimi!- Francis fece una smorfia di disgusto.
-Tra un po’ dovremo essere arrivati.-
In effetti, dopo qualche minuto i ragazzi si trovarono di fronte ad una casupola sperduta nei dintorni di San Francisco. Era fatta perlopiù di legno. Assomigliava ad una di quelle case di montagna. Sembrava perfino che si fosse abbassata la temperatura.
Francis aprì la porticina in legno chiaro con una piccola finestrella al centro e vennero accolti da un delizioso profumo di cibo fatto in casa.
-Bon soir Emil!- disse raggiante il francese. Quest’ultimo rispose con un impercettibile segno del capo.
-Sempre allegro, eh?- disse sottovoce Gilbert. Alfred ed Eliza ridacchiarono cercando di non farsi vedere dal ragazzo in questione.
-Quanti siete?- domandò con tono piatto Emil e lanciando un’occhiataccia che zittì immediatamente i tre ragazzi.
-dieci-
Il ragazzo si alzò e gli mostrò il tavolo. Aveva dei corti capelli di un biondo talmente chiaro da sembrare bianco e occhi di un blu molto vicino al viola. Era abbastanza basso e non molto robusto. Rimaneva una persone alquanto agghiacciante.
-Adesso arriva Berwald.-
Gilbert lo aveva già sentito quel nome, ma….dove?
-Che simpatia che è quel tipo!- rise Alfred sfogliando il menù.
-Direi inquietante!- concordò Antonio avvicinandosi a Lovino che ormai pareva rassegnato.
Dopo qualche minuto arrivò il tanto annunciato Berwald e fu un incontro ravvicinato del terzo tipo. L’uomo aveva dei capelli biondi molto corti e gli occhi di un blu perforante. Per non parlare della corporatura: arrivava al livello di Ludwig.
-Volete ordinare?- disse con una voce profonda e piuttosto bassa.
Gilbert rimase scioccato. Si alzò in piedi e si avvicinò al cameriere.
-Berwald! Vecchio allupato! Che ci fai qui a fare il cameriere?-
Il biondo si voltò quasi sorpreso.
-Ci siamo trasferiti qui…-
-E l’altro ristorante?-
-L’ha comprato uno svizzero milionario.-
Gilbert gli assestò una pacca sulla spalla.
-Ah! E’ passato così tanto tempo!-
-E noi abbiamo ancora il tuo contratto.-
-Cosa?-
-Non hai rassegnato le tue dimissioni. Dovresti lavorare qui.- il nordico gli lasciò il blocchetto di carta, gli infilò la penna nella tasca della camicia e se ne tornò da dov’era venuto lasciando il tedesco a prendere le ordinazioni.
Eliza scoppiò a ridere trascinando anche il resto del gruppo e accentuando l’espressione sconcertata dell’albino.
-I-Io…I-Io, ma che cazzo gli è preso Berwald?!-
L’ungherese si schiarì la voce.
-Dunque, io volevo un’insalata di mare.-
-Stai scherzando vero?- sbuffò l’albino.
-Ehm…mi potete mettere anche delle ostriche nel piatto?- riprese Eliza.
-Ma che ne so!- sibilò di nuovo il povero cameriere.
-E da bere una coca cola, grazie.- la ragazza richiuse il menù mentre tutti gli altri seguivano il suo esempio. Gilbert si ritrovò presto a prendere le ordinazioni per non trovarsi senza cena.
-Ah maledetti…!- sussurrò portando l’ordinazione al bancone.
 
-Berwald…!- disse tra i denti. Il nordico gli rivolse un’occhiata indifferente.
-Oh, bravo hai raccolto tutti gli ordini. Vai di la, da Lukas con l’ordine.-
-Ma io non lavoro con voi da anni! E poi chi è sto Lukas?!-
-E’ il nuovo cuoco, Tim è in vacanza dai suoi parenti in Olanda.-
-Mi hai sentito?! E’ come se io fossi già licenziato! E poi sono venuto qui come cliente.-
-Va bene ne parleremo più tardi, ora lavora. C’è il pienone.-
Gilbert sbuffò, poi raggirò il bancone di legno pregiato ed entrò in cucina. Qui trovò quello che doveva essere Lukas: di media statura, capelli biondi e occhi blu scuro; e l’aiuto cuoco: capelli biondo grano, abbastanza basso anche lui, occhi color nocciola. Erano cambiate parecchie cose da quando se n’era andato.
-Ehi amico tu sei Lukas?- domandò il tedesco rivolgendosi al meno basso dei due.
-Si.- Voce di ghiaccio. Sguardo di ghiaccio. Un brivido percorse la schiena dell’albino. Ora capiva il nome del locale. Ma non capiva perché così tanta gente venisse in quel posto.
-Questo è l’ordine al tavolo 56.- tagliò corto.
Il cuoco prese in mano il foglietto e lo strappò a metà.
-Io mi tengo i piatti, tu porta le bibite da Matthias.-
-Matthias?! C’è anche lui?!- urlò quasi.
Lukas gli fece cenno con la mano di abbassare la voce poi, annuì.
 
Dietro al bancone del bar si trovava un ragazzo alto con dei capelli biondi molto ribelli e un piccolo cappellino per cercare di dare un senso a tutto quel disastro. Era girato, stava preparando un cocktail.
-Ehi ragazzo preparami una dozzina di birre.-
-Cosa? Hey amico si sente anche dalla voce che sei ubr- Matthias si voltò e l’espressione sconcertata che aveva stampata in viso si trasformò in un sorriso a trentadue denti.
-Gilbert! Che ci fai qui?!-
-Ero partito per l’America ricordi? E a quanto pare voi non riuscivate a stare senza il magnifico me.- Matthias rise.
-Non sei cambiato affatto, sei sempre il solito egocentrico e sfacciato ragazzino.-
-Nemmeno tu sei cambiato “amico”. Senti, come mai avete messo Berwald a fare il cameriere?- chiese l’albino appoggiandosi con il gomito al bancone.
-Ah, non ci crederai, ma da quando Vash, lo svizzero miliardario, si è preso il nostro locale in Germania, beh lui non se l’è mai perdonato quindi, ora si sporca le mani anche lui.- un sorriso.
-Però la sua pazzia non è cambiata se ti consola, Gil.-
-L’ho visto!- gli tese il foglietto con l’ordine. Il danese scoppiò a ridere.
-Non ci posso credere!-
-Tu ridi e scherzi, ma quello mi tormenterà anche nella tomba!-
-E dimmi sei riuscito a mettere su quel to Pub?- chiese Matthias ritornando serio.
-I sogni sono lontani dalla realtà, Matt. Sono arrivato qui e a mala pena ho trovato i soldi per l’appartamento.-
-Però ti conosco Gil. La realtà non è per te.-
-Infatti, non mi sono rassegnato e...- roteò gli occhi nella direzione del tavolo in cui c’erano i suoi amici.
-Penso di aver trovato qualcuno che mi aiuterà con le spese.-
-Non ti facevo così cattivo!- esclamò il danese sorpreso.
-Non glieli voglio rubare. Ho una ragazza e mi piace molto…voglio chiederle se si mette in società con me. Ho scoperto che anche lei era una barista! Non ha nemmeno bisogno dell’iniziazione!- Il tedesco ghignò mentre Matt gli ripose un buffetto sulla fronte.
-Scusa per aver dubitato di te, magnifico imbecille!-
-Non mi incanti con i tuoi insulti da quattro soldi, lo so che in fondo mi vuoi come capo, quindi appena aprirò il mio bar tu lavorerai per me!-
I due amici si strinsero la mano.
-Affare fatto!-
 
A parte la piccola incomprensione di Gilbert con Berwald il resto della serata fu tranquilla e, fortunatamente per il ristorante e per Francis il cibo era veramente squisito.
-Beh, penso sia ora di tornare a casa.- convenne verso le undici Francis. Gli altri annuirono.
La serata sembrava conclusa.
Ma non per tutti.
 
-Ragazzi andate io accompagno a casa Lud- disse allegro Feliciano prendendo a braccetto il tedesco.
Per tutto il percorso non fecero altro che discutere del più e del meno, ma entrambi erano assenti alle loro discussioni. Stavano riflettendo sulla mattinata o su come si sarebbe conclusa quella serata. Quando Ludwig si fermò bruscamente Feliciano emise un “veh!” di sorpresa.
Il tedesco abitava in una casa bianca sviluppata in due piani dal tetto scuro. Era una casa molto grande e allo stesso tempo risultava molto semplice.
-Che bella casa…- disse Feliciano con il naso all’insù.
-Eh…lavorare per Francis ha i suoi vantaggi..- affermò estraendo le chiavi.
-Lavori per Francis? Che lavoro fai?-
Il tedesco aprì bocca per rispondere, ma la richiuse e prese a guardare il pavimento.
-Vuoi entrare?- Feliciano sorrise avvicinandosi al tedesco. Gli posò il palmo della mano sulla guancia e gli alzò il volto.
-Non serve che cambi argomento, di me ti puoi fidare.-
Ludwig fissò il ragazzo davanti a lui con uno sguardo smarrito.
-Dimmi Feliciano…se tu tenessi nascosto un segreto e se qualcuno lo venisse a sapere rovinerebbe molti rapporti, ma allo stesso tempo rovinerebbe te, non vorresti, ma sei coinvolto in piccola parte anche tu.…che cosa faresti?-
L’italiano rimase per un momento sorpreso da quella domanda, ma il suo volto quasi subito si stirò in un’espressione dolce.
-Io valuterei attentamente ogni elemento che ho a disposizione. Cercherei di capire se le persone che si fanno male in un modo sono di più rispetto a quelle che soffrirebbero nell’altro. Sai, ho imparato per via di mio padre che certe volte la verità fa più male di una menzogna. Sapere che mio padre non era in grado di badare a me e Lovino faceva più male che crederlo morto.
 Ma non ascoltare quello che ti dico io, non so niente di ciò di cui stai parlando. Fai quello che ritieni giusto.-
Feliciano fece per andarsene, ma il tedesco lo afferrò per un polso.
-Grazie Feliciano.- Il sorriso di Ludwig mozzò il fiato all’italiano.
-I-Io non scherzavo quando ti ho chiesto se volevi venire dentro…-
L’italiano gli avvolse le braccia intorno al collo e lo baciò delicatamente.
-Mi piacerebbe molto…-
Ludwig lo prese in braccio come se fosse la sua principessa e lo portò all’interno della casa.
 

-Ehi, Lovinito!- l’italiano si voltò e vide Antonio accartocciato in un angolo.
-Che ci fai li Antonio?! Muoviti sennò quelli partono senza di noi.-
-Lasciali andare.-
-Ma sei idiota?- chiese molto poco delicatamente il più giovane. Antonio lo afferrò per un braccio e lo trascino sul retro del locale.
-Ma che fai Antonio?! Hai bevuto troppo sta sera?!-
-Non ho bevuto!- disse offeso lo spagnolo stringendo le braccia attorno ai fianchi dell’italiano.
-Ehi ma che fai?! Lasciami andare! Se non ci muoviamo sul serio ci lasciano qui!- il moro gli chiuse la bocca con un bacio. Un erotico bacio che Lovino non poté fare a meno di ricambiare. Non si staccò fino a quando non sentì il pulmino mettere in moto.
Antonio si leccò le labbra.
-Sei contento ora? Dovremo chiamare un taxi!-
-Sono molto contento!-
-E perché tutta sta cazzo di felicità?-
-Perché siamo soli io e te.- disse il più alto depositando un altro bacio sulle labbra dell’italiano che arrossì vistosamente.
-E-E allora p-perché vuoi s-stare solo c-con me?- balbettò cercando di riprendersi.
-Perché…ecco.. i-io..- questa volta fu lo spagnolo a balbettare imbarazzato.
-I-Io vol-levo…-
-T-Tu v-volevi cosa?-
-Vol-levo, no cioè v-voglio, farti un regalo.- Antonio diventò bordeaux. Inutile dire che Lovino era già color pomodoro da capo a piedi.
-C-Che genere di…regalo?- chiese curioso e allo stesso tempo sospettoso l’italiano.
Antonio si schiari la voce.
-S-Sono successe molte cose in questi ultimi anni e io…e noi due…- Lovino fissò le sue iridi verdi nei suoi occhi. –noi due…siamo stati sempre insieme, nonostante tutto.- lo spagnolo sentì improvvisamente la gola secca.
-Che vuoi dire?- domandò Lovino con voce roca. Le braccia a penzoloni lungo i fianchi e il cuore che pareva avesse perso il ritmo veloce di qualche momento fa.
-Q-Quello che voglio dire è che penso di non aver mai amato una persona tanto quanto amo te.- lo spagnolo fissò il cemento sotto i suoi piedi che aveva preso la tonalità di un grigio chiaro a causa della luce della Luna.
-So che sembra un’assurdità in fondo sono giovane e tutti non si aspettano nulla di serio alla mia età, ma è da quando ti conosco che qui…- posò una mano all’altezza del cuore. –qui in questo cuore spagnolo provo la stessa emozione. Tu…non sai quanto ho aspettato per vedere se fosse solo una cotta, non volevo farti soffrire per me, ma ora ho capito.- fece una pausa e deglutì.
-Ho capito tutto. Ho capito che il mio è veramente amore e il mio cuo…tutto me stesso è nelle tue mani.-
Lovino aveva gli occhi lucidi, non sapeva perché gli stesse dicendo quelle cose. Sentiva una grande confusione nella testa, quel ronzio continuo nelle orecchie, quella morsa allo stomaco le gambe che tremavano…
Ed ecco che Antonio si inginocchiò davanti a lui.
Finalmente riuscì a vedere i suoi occhi che erano stati coperti dai capelli scuri per tutta la durata del discorso. Erano lucidi anche i suoi.
-Tu, non so se riesci a sentire il mio cuore che batte a mille ogni volta che ti stringo, penso che se lo sentissi ora, prenderesti paura e scapperesti via.- sorrise. Dio quanto gli piacevano quei sorrisi a Lovino.
Lo spagnolo si frugò in tasca, l’italiano non riusciva a vedere cosa ci fosse nella sua mano per la poca luce, ma temeva…
-Se tu ora mi respingessi io…penso che morirei. Non scherzo. Mi ucciderei se tu mi dicessi di no perché tutta la mia esistenza è stata fin dall’inizio, come ho detto nelle tue mani. Penso di aver fatto un discorso talmente ridicolo che in un futuro potrei vergognarmi, ma è a testa alta che ora te lo voglio chiedere e qualunque cosa succederà la rispetterò.-
Finalmente portò alla luce ciò che aveva in mano.
Una scatolina di velluto blu scuro.
La aprì lentamente e la tese nella direzione di Lovino.
-Lovino Romano Vargas…vuoi sposarmi?-
Le lacrime cominciarono a scivolare libere sul volto dell’italiano mentre Antonio infilava l’anello al suo dito.
Un sorriso sincero si fece largo nel viso umidiccio e rosso dell’italiano.
-Antonio Fernandez Carriedo sei ufficialmente un idiota.- Lovino gli saltò al collo baciandogli la pelle del collo.
-Certo che voglio sposarti!-

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Progetti ***


Buona sera/giorno/pomeriggio a tutti! :D Sono tornata con il tanto richiesto (?) nuovo capitolo di Paparazzi. Questa volta, visto le rivelazioni shock degli altri capitoli ho deciso di darvi un po’ di tregua con qualcosa di relativamente più tranquillo come il triangolo GilbertxElizabetaxRoderich. 
Per le altre, tanto attese, coppie dovrete aspettare i prossimi capitoli :3
Buona Letturaaaa! :D

 
 
PROGETTI




Nel pulmino erano ormai in pochi e tutti molto assonnati. Perfino Francis guidava a stento. Alfred e Arthur dormivano già da molto l’uno sulla spalla dell’altro, l’altro con la testa appoggiata al finestrino.
-Ehy Francis ti fermi qua in giro? Tra un po’ c’è casa mia..- sbadigliò il Gilbert.
Il francese annuì e fermò il mezzo in un parcheggio ai lati della strada. Il tedesco recuperò le sue cose e fece per uscire, ma appena sceso si bloccò a guardare all’interno. Guardò Eliza ghignando.
-Arpia vieni con me o resti con questi qui?- domandò provocante.
L’ungherese sbuffò e sbatté il piede a terra per un po’ indecisa, poi spostò malamente Gilbert e scese dal pulmino.
-Matt ci vediamo domani mattina.-
-Ti ricordi che domani sera abbiamo un concerto, vero?-
-Si, si non farò così tardi.- chiuse la porta scorrevole in metallo e seguì l’albino verso casa.
I due presero a camminare, barcollando un po’, per il marciapiede di cemento grigio chiaro. I negozi erano tutti chiusi, ma uno in particolare attirò l’attenzione di Gilbert. Aveva delle fastidiosissime luci al neon blu appena all’interno della vetrata ed era ricoperto di annunci. Era una di quelle case immobiliari che trovi dappertutto e spuntano fuori quando meno te l’aspetti. C’era un annuncio, scritto in caratteri cubitali, seguito dalla foto di una casa semi diroccata. C’era scritto “Vendesi antico ristorante sulla cima di Telegraph Hill a pochi chilometri di distanza dalla Coit Tower. Per ulteriori informazioni contattate il numero sotto riportato.”
Quella era un’occasione irripetibile! Gli occhi di Gilbert si illuminarono, mentre pensava ad eventuali modifiche a quel posto. Già si immaginava la sua fama, i soldi, lavorare di nuovo con Matthias e non dover sottostare ad un capo…
-C’è qualcuno da te?- chiese all’improvviso la ragazza interrompendo i pensieri dell’altro.
-No.- disse semplicemente l’albino domandandosi il perché di quella domanda anche se sapeva già bene la risposta. I pensieri di prima erano già stati sostituiti da altri.
 Appena arrivarono, Gilbert estrasse le chiavi di casa con gesti molto lenti. Stava per infilare la chiave nella toppa quando Eliza gli ancorò le mani al muro.
-Non mi avrai portato qui solo per “dormire”- sibilò con un filo di malizia.
L’albino ghignò.
-Speravo dicessi così, Süße (dolcezza)- il ragazzo invertì con uno scatto improvviso le posizioni e si avventò avidamente sulle labbra dell’ungherese. Elizabeta si lasciò scappare qualche gemito quando Gilbert mosse le mani verso la sua maglietta.
-Non qui, idiota..- sussurrò tra un bacio e l’altro. Il tedesco sbuffò, poi le prese una mano e la condusse dentro all’edificio. Non fecero nemmeno in tempo a salire cinque scalini che già erano appiccicati al muro intenti a continuare quello che avevano interrotto poco prima. Tra un bacio e l’altro si muovevano di qualche altro passo, senza però perdersi l’uno un sospiro dell’altra. Il condominio era poco illuminato e sembrava vagamente un motel, se non fosse che i corridoi erano al chiuso e per quella squallida moquette verde vomito.
Dopo parecchi minuti arrivarono all’appartamento del tedesco. Gilbert cercò frettolosamente la chiave giusta mentre Elizabeta era intenta a sfibbiargli la cintura. Appena furono dentro ripresero a baciarsi con più foga. L’odore pungente di birra colpì immediatamente le narici della ragazza, ma non ci fece troppo caso perché quello sgradevole odore era mischiato in una miscela omogenea con quello di Gilbert: il profumo che aveva imparato ad amare.
Il ragazzo sfilò la maglietta all’ungherese e cercò di condurla nel buio fino alla sua camera. La stanza era riempita dai loro passi ovattati e incerti e dai loro sospiri. Era tutto perfetto, se non fosse che ad un tratto la luce si accese violentando gli occhi dei due amanti. Si staccarono e cercarono di riabituarsi alla luce.
Sentirono qualcuno schiarirsi la voce.
-Avevi detto che non c’era ne- la ragazza si bloccò coprendosi d’istinto il petto con le mani.
-Ah, Rod. Giusto me ne ero dimenticato kesesese..!- ridacchio il tedesco rimettendosi la cintura. La ragazza si riprese la maglietta che era stata scagliata per terra poco prima poi mollò un coppino a Gilbert.
-Maledetto! Ci fosse stato qualcun altro qui! Perché proprio lui?!- il tedesco rise nervosamente.
-Mi ero dimenticato di dirtelo, tutto qua..-
-Oh! Ma tranquillo è proprio una cosa che si può trascurare!-
Una seconda volta l’austriaco si schiarì la voce, ma questa volta era decisamente più indispettito.
-Se evitate di litigare proprio ora.- disse altezzoso zittendo gli altri due. Rivolse lo sguardo a Gilbert.
-Tu mi devi delle spiegazioni.-
Gilbert sorrise divertito, poi come se niente fosse, prese una birra dal frigo della cucina e si sedette molto poco elegantemente sul divanetto marroncino. Solo dopo aver bevuto qualche sorso di birra si decise a parlare.
-Che genere di spiegazioni?- chiese realmente sorpreso.
Roderich si sistemò convulsamente gli occhiali sul naso.
-Forse sul perché mi hai lasciato in questa topaia senza tornare per una notte, forse perché in frigo c’erano solo wurstel in scatola e lattine di birra o forse perché ti stai portando a letto la mia ragazza!-
Gilbert sollevò un dito e aprì la bocca per rispondere, ma Elizabeta lo anticipò.
-Io non sono più la tua ragazza, ricordi?- disse acidamente.
-Però tu mi ami ancora non è così?- Gilbert aprì di nuovo la bocca per parlare ma un’altra volta l’ungherese lo precedette.
-Lo credi veramente? E allora perché sarei andata a letto con lui?-
-Per farmi ingelosire…cioè cosa? Sei già andata a letto con lui?!-
-E allora?! Non stavate parlando di me un momento fa?- chiese Gilbert scocciato.
L’austriaco lo guardò truce poi rivolse di nuovo la sua attenzione ad Elizabeta.
-Allora?- disse avvicinandosi.
Il tedesco si mise davanti ai due.
-Si.- tagliò Gilbert. La ragazza teneva lo sguardo ancorato al pavimento senza dire nulla. La sua testa sfiorava la schiena di Gilbert.
Roderich strinse i denti e con uno scatto cercò di tirare un pugno all’albino che senza nemmeno scomporsi gli bloccò la mano. Elizabeta si decise ad alzare lo sguardo.
-Smettila Roderich.- sibilò –E’ inutile che te la prendi con lui. Io non ti amo più e devi fartene una ragione. Quello che abbiamo avuto anni fa non tornerà. Mai più.- disse infine scandendo le ultime parole. Il tedesco lasciò la mano dell’austriaco che scivolò lungo il fianco di quest’ultimo inanimata.
Si poteva vedere chiaramente la tristezza negli occhi scuri di Rod. Anche se Eliza lo aveva appena ferito nel cuore, quella stessa ferita si vedeva chiaramente, sul viso, nello sguardo, nel suo respiro e in tutto il suo corpo impercettibilmente tremante.
-Dai, insomma perché tutta questa tristezza? Non stavamo parlando dei wurstel? O della birra? Ecco volete una birra? Se volete facciamo una partita a poker, dovrei avere le carte da qualche parte.- disse riconciliante il tedesco.
Su i tre calò il silenzio. Roderich si abbandonò sul divano abbassando la testa e sorrise amaramente.
-Hai ragione, Elizabeta.- ammise alla fine.
La ragazza parve stupita e si avvicinò di un passo al ragazzo.
-E’ solo che quando te ne sei andata, i-io mi sono sentito vuoto. Non pensavo che si potesse provare una tale disperazione solo per “amore”. Ammetto di essere stato uno stupido a trattarti come ho fatto, ma non ho smesso mai un secondo di amarti.-
Questa volta fu Gilbert ha schiarirsi la voce.
Elizabeta lo fulminò con lo sguardo, poi si inginocchio davanti all’austriaco per incontrare il suo sguardo. Lo guardò dolce.
-Mi dispiace…ma è troppo tardi ora..- si rialzò e ritornò accanto a Gilbert che sorrise soddisfatto.
Roderich sospirò. In fondo, amare una persona significa fare tutto ciò che la rende felice. Se la felicità di Elizabeta era stare con Gilbert…beh, Roderich si sarebbe fatto da parte.
-Sono ancora disponibili quelle birre?-
-Ja!-
 
-E così Gilbert ti ha salvato la vita, eh?- Roderich rise di gusto.
Erano seduti tutti e tre al tavolino rotondo in cucina. Davanti ad ognuno, una lattina di birra.
-Che c’è io non posso salvare la vita alla gente?- disse quasi offeso il tedesco.
Eliza mollò una padellata a tutti e due.
-Io non sono stata salvata. Da nessuno. Me ne sarei accorta comunque.-
-Si, già morta te ne saresti accorta- borbottò Gilbert.
Una padellata extra gli colpì la testa.
-Ora cosa farai Roderich?- chiese l’ungherese cambiando discorso.
Arrivata a San Francisco era in un labirinto, persa e confusa, ma a quanto pareva Gilbert era stato la sua guida. Difficile pensare ad una guida come Gilbert, però non è tutto possibile?
Da quando Gilbert l’aveva baciata qualche giorno prima i suoi sentimenti per Roderich erano completamente spariti. Questo non voleva dire che non volesse più saperne dell’austriaco, solo era ancora interessata alla sua vita.
E in fin dei conti aveva una specie di debito con lui.
-Non ne ho la più pallida idea…però so che non potrò stare qui da Gilbert a lungo. Mi cercherò un posto dove suonare abitualmente la sera e magari un lavoro part time.- affermò sorseggiando la birra.
-Un posto ci sarebbe..- intervenne il tedesco quasi parlando tra se e se.
L’austriaco lo guardò interrogativo.
-Beh…come spiegare…quando sono venuto qui in America il mio obiettivo era aprire un bar per conto mio, poi però causa soldi e tempo, non ho più fatto nulla. Quello che voglio dire è che ora ho il luogo! E avrei anche personale, poi se vieni anche tu a fare qualche tua “strimpellata”…-
Il viso Roderich si illuminò per un’istante.
-E dove sarebbe questo posto? Hai clientela?- chiese nervosamente.
-Ehm…ecco, questo è il punto..- piantò uno sguardo supplichevole su Elizabeta.
-Non ho molti soldi per comprare il bar.-
L’austriaco sospirò.
-E io che ti ascolto anche…-
-Perché mi guardi così?!- chiese irritata e rossa in volto l’ungherese.
-Tecnicamente tu mi devi un favore, ti ho salvato la vita qualche giorno fa ricordi?- ghignò Gilbert.
-Vuoi soldi?!- disse sbalordita –Non se ne parla! Per fare un bar poi!-
-Kesesese non fare la tirchia! Lo so che sei sfondata di soldi! E poi…so anche che un tempo sei stata una barista- sorrise malizioso –dovresti capire certi bisogni impellenti…-
La ragazza gli depositò una terza padellata.
-Dov’è questo posto?- sussurrò appena.
-Vicino alla Coit Tower! Ti immagini?! Li potremo vedere tutta San Francisco! Ricordi la prima volta che ci siamo stati?- il suo tono si fece più dolce –Non era tutto bellissimo quella sera?-
Roderich bevve tutta la birra d’un sorso e senza farsi vedere ne rubò un’altra dal frigo.
-S-Si…certo…- balbettò la ragazza.
-Quindi??- chiese di nuovo il tedesco con un tono di voce  molto simile a quello dei bambini capricciosi.
-Quindi…ti darò un po’ di soldi, va bene. Ma sia chiaro, dopo questo abbiamo saldato tutti i conti.-
Gilbert si alzò in piedi vittorioso poi mollò una rumorosa pacca sulla spalla alla ragazza come se fosse un suo compagno d’armi.
-Affare fatto socia!-
La quarta padellata arrivò con un “Se lo fai di nuovo ti tiro addosso tutta la cucina!” 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Il bene e il male ***


Buonasera a tutte quelle che in questa domenica sera sono sveglie a leggere storie su efp e casualmente troveranno dopo anni luce il mio aggiornamento a Paparazzi. Ehehe perdono, ma tra fine vacanze, compiti di un’intera estate da fare in tre giorni e inizio scuola T.T mi sono trovata abbastanza in alto mare!
Quindi, dopo essermi fatta una maratona di due giorni per scrivere questo capitolo ho deciso di pubblicarlo subito senza esitazione yay! *aura sbrillucicante e musichetta di sottofondo*
Buona Lettura fedeli lettrici! Vi lovvo (
?) tutte! (scusate la frase tremendamente truzza, ma quando si parla di love…si parla di love!)
 


Il bene e il male
 
 
-Stupido yankee muoviti a prepararmi quel te.-
-Scusami se non sono pratico della vostra robaccia inglese.-
-Robaccia inglese? Bada a come parli ragazetto.-
-Non sembravi triste, sta mattina, quando eri beatamente accoccolato su di me!- ghignò l’americano.
L’inglese arrossì violentemente.
-Quello che faccio quando dormo non lo faccio consciamente.- disse con una finta noncuranza mentre incrociava le braccia al petto.
-Si, si ovvio, my lord.-
-Smettila di chiamarmi co-
-Buon giorno!- dalla porta principale i due fratelli Vargas fecero la loro entrata.
-Ragazzi! Mi sembrate contenti sta mattina!- urlò di rimando l’americano.
-Vee!- Feliciano si avvicinò ad Alfred –Ho passato la notte con Lud!- disse ammiccando.
-Hai capito Feliciano!- disse accarezzandogli i capelli.
-Tsk, ma per favore! Questi teatrini sono orrendi.- intervenne acido Arthur.
-Scusatelo, non ha ancora preso la sua dose mattutina di teina è ancora un po’ intrattabile.- ridacchiò Alfred procurandosi un’occhiataccia da parte dell’inglese.
-Ma dimmi, te Lovino…com’è andata con Antonio?-
-Chi ve lo dice che fossi con Antonio?!-
I presenti ignorarono la risposta dell’italiano e rimasero ugualmente in attesa.
Lovino sbuffò.
-Sono fatti miei e non ho voglia di dirvi nulla.- incrociò le braccia.
Grande errore.
-Fratellone! Ma quello…!- disse Feliciano.
-Quello è…- proseguì Arthur.
-Un anello!- concluse Alfred.
L’italiano divenne rosso come un pomodoro.
-No, non è affatto com-
Feliciano era in lacrime e nel frattempo si era appiccicato a Lovino.
-Vee! Il mio fratellone si sposa, vee!-
-No, non è com-
Alfred gli era andato vicino e ora gli stava depositando delle pacche amichevoli sulla schiena.
-Congratulazioni  Lovino! Pronto a fare il grande passo con uno caliente come Antonio, bravo!-
-Ma..?! Non è com-
-Spero almeno che tu ci abbia invitato!-
Ora anche Arthur si era girato a parlargli.
-Cazzo volete smetterla?!- ringhiò il meridionale zittendo gli altri.
-Vee! Dobbiamo dirlo a Matt e ad Eliza!- disse Feliciano al settimo cielo.
-Ehm…ho sentito tutto, congratulazioni Lovi- una voce timida si fece largo da un angolino impreciso della cucina.
-Ma da quanto sei qua?!- chiese Arthur sconvolto.
-Da prima di voi.- sorrise il canadese.
-Uhm…-
-Vee! Vi preparerò una buonissima colazione! Sedetevi, forza!-
 
-Quindi, quando vi sposerete?- disse Arthur con finta noncuranza
-Che cazzo ne so..!- borbottò sempre più rosso Lovino.
L'inglese sbuffò.
-Pensavamo quando finisco il tour in America!- urlò alla fine bevendo il succo di mele che Feliciano aveva poggiato sul tavolo.
-E ci inviti vero?- sorrise Feliciano.
-Ma che ne so… non so niente! Chiedetelo a lui e lasciatemi in pace, cazzo.-
Feliciano sospirò. -E va bene, ho capito...cambiando discorso…Matt?-
-Sono qui.- all’improvviso al fianco di Alfred apparve Matthew.
-Ah eccoti! A te com’è andata.-
Il canadese arrossì lievemente.
-Beh, penso di stare insieme a Francis anche se non abbiamo ancora fatto nulla di particolare..- disse con noncuranza.
Arthur ed Alfred rimasero a bocca aperta.
-Hai fegato, amico!- disse l’americano sorseggiando il suo caffè.
-Con quella rana! Che schifo.- sibilò l’inglese.
-Vee, Matthew…sai che assomigli molto ad Alfred.-
Tutti i presenti presero ad osservare i due interessati.
-In effetti l’avevo notato anche io il primo giorno che vi ho visto suonare..- disse l’americano azzannando un muffin.
-Però abbiamo un carattere molto diverso- sorrise il canadese.
-E poi è impossibile un legame visto che sono nato in America e poi i miei genitori si sono trasferiti in Canada.-
Dopo qualche secondo si accorse di quello che aveva detto.
-I-Io…-
-Qual’era il cognome di tua madre?- chiese ad Arthur ad Alfred.
-I-Io non mi ricordo…lei è emigrata in Italia moltissimo tempo fa…ero molto piccolo.- l’americano prese a fissare Matthew.
-Io non mi ricordo…solo di essere cresciuto con mia madre fino alla sua morte. Non ho mai conosciuto mio padre…-
-Io sono vissuto con mio padre!- urlò Alfred.
I due ragazzi si guardarono, poi l’americano prese l’altro con le dita per le guance. Cominciò a strattonare le due estremità.
-Come fai ad essere mie fratello…?-
-Lascia-ami- protestò il più giovane.
-Io non mi ricordo nulla!-
-C’è solo una cosa da fare.- Arthur sbatté le mani sul tavolino. –Andare in biblioteca a consultare gli alberi genealogici.-
-Niente test del DNA?- chiese speranzoso Alfred.
-No.-
 
-Antonio! Mon ami!-
-Francis! Come va?- chiese allegro lo spagnolo.
-Direi molto bene, sai riuscirò ad ammaliare Matthew! Quel ragazzo è veramente un osso duro ma si sa che i francesi hanno un fascino tutto lor-
-Certo Francis, hai ragione.- ridacchiò Antonio.
-Piuttosto…-cominciò il biondo ammiccante –Lovino?-
-Ha detto di si!- urlò lo spagnolo.
Antonio si portò le mani alla bocca.
-Forza pecorelle, non succede proprio niente tornate a lavorare..!- Francis tornò a guardarlo.
-Gli è piaciuto l’anello?-
-Mucho- sussurrò lo spagnolo.
-Bien! Sono contento per te! Anche se quel ragazzo è piuttosto intrattabile.-
-Francis, cosa devo fare?-
Il francese rimase temporaneamente stupito, poi lo osservò furbo.
-Mi hai pagato l’anello perché non ho molti soldi. Cosa vuoi, ora, in cambio?-
Il francese sospirò.
-Voglio che tu faccia quello per cui ti pago…il paparazzo.-
-M-Ma…non è giusto…-
-Cosa?- rise debolmente.
-Francis non posso fargli questo. Sono miei amici, li conosco da un sacco di tempo e…e non ci credo che tu stia facendo il doppiogiochista in questo modo!-
-Dimmi, che cosa penderebbe Lovino se sapesse che ti sei fatto pagare l’anello? Cosa penserebbe quando dei miei “amici” venissero a riprendersi il suo bell’anello?-
Antonio strinse i denti.
-Penserebbe che non mi sono abbassato ai tuoi livelli. Accidenti non pensavo fossi così. Il mio trio non è formato da uno come te.- gli rivolse un’occhiata di sdegno, poi si voltò e uscì da quel dannato e corrotto ufficio.
 
-Yo Antonio!-
Il moro si voltò verso la voce che l’aveva chiamato. A qualche metro di distanza c’era una parte dei Perfect Maker. Tutti a parte il suo Lovino che come al solito avrà fatto l’asociale chiudendosi in camera.
-Hola ragazzi! Che ci fate da queste parti?-
-Vee, abbiamo appena scoperto che Matthew e Alfred sono fratelli gemelli separati da piccoli!-
-Mi sembravate stranamente uguali!- rise lo spagnolo.
-Che ne dici di venire a pranzo da noi?- domandò Matt sorridendo timidamente.
-Così ci dici i dettagli sulla tua proposta!- Eliza fece l’occhiolino maliziosa.
Antonio annuì.
-Volentieri! Andiamo.-

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Velocità ***


Buon giorno a tutti! Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo (che è venuto fuori molto lungo alla fine eheh). So che è passato molto tempo dall’ultimo aggiornamento, ma a scuola hanno subito cominciato a caricarci di compiti. Se poi, tua madre di punto in bianco ti ritira il computer per tutta la settimana e te lo lascia usare solo il week end perché secondo lei ti distrae…beh, avete capito il perché del mio ritardo^^
In ogni caso, vi devo dare degli avvertimenti per il capitolo (niente di grave eheh) per prima cosa: ad un certo punto compare il nome di un giornale, ebbene l’ho inventato e non penso che esista davvero. Seconda cosa: non so come chiamare Nonno Roma, quindi gli ho dato un nome abbastanza scontato.
Terzo: Nonno Roma e Feli non sono imparentati
Quarto: uhm…non centra molto con il capitolo ma con quello che accadrà in seguito…si comincia con le fregature. Nel senso, ok, si sono viste già delle brutte cose come la storia di Francis, etc, ma ora si va sul pesante. Quindi…tenetevi pronti^^
Detto questo…Buona Lettura! :)
 



VELOCITA’


-Ragazzi! Ho preparato la colazione svegliatevi!- un Roderich dotato di grembiulino bianco fece il suo ingresso nella camera della sua ex ragazza e del suo ormai ufficiale coinquilino. 
-Uhm…!- da sotto le coperte si levò un borbottio irritato che doveva corrispondere alla voce di Gilbert.
Roderich aprì le imposte e la luce di una grigia giornata entrò nella stanza.
-Ahn…!- questa volta a lamentarsi era Elizabeta.
L’austriaco sospirò, mentre con la mano libera dalla spatola afferrò le lenzuola. Con un colpo secco scoprì i due ragazzi.
-Rod dannazione!- Gilbert lanciò un cuscino nella direzione del moro che schivò per un soffio.
-Ho sonno!- il secondo cuscino lo sferrò l’ungherese e questa volta riuscì a colpire in testa l’intruso.
-Ahia! Perché questa accoglienza dopo che vi ho preparato la colazione?!-
-Perché abbiamo sonno, accidenti!- mugugnò il tedesco mentre spintonava Elizabeta un po’ più in la, la ragazza, di rimando, non si spostò di un millimetro.
-Santi Numi!- sospirò. –Quando avrete intenzione di alzarvi, in cucina ci sono i krafen.- disse infine il moro allontanandosi.
-Cosa?!- si impennò Gilbert con la bava alla bocca.
-I krapfen!- anche Eliza si era rizzata sul letto.
Roderich non fece nemmeno in tempo a varcare la soglia della camera da letto che i due ragazzi prendendolo per le spalle lo spintonarono indietro, anticipandolo in cucina.
-Almeno mettetevi qualcosa di decente addosso…non sono vostro padre…!-
-O Santo cielo.- sospirò infine l’austriaco massaggiandosi le tempie con le dita.
 
-Eliza, Eliza, Eliza! Vieni, vieni, vieni!-
-Lasciami cambiare, accidenti a te.-
-Rod, Rod, Rod, ci accompagni, ci accompagni, ci accompagni?-
-Ho alternative?-
-No, kesese!-
-Perché ho accettato di aiutarti?- disse rassegnata Eliza mentre si sistemava delle ballerine nere.
-Perché sono MAGNIFICO!-
-Dimenticavo. Comunque sia, dobbiamo fare in fretta perché sta sera ho un concerto a Los Angeles.-
-Si si tranquilla non prenderò molto tempo della tua vita da star, intanto andiamo! Prendiamo la mia macchina.- disse frettolosamente Gilbert. L’ungherese lo fulminò con un’occhiataccia.
-Uhm…Gil che macchina hai?- chiese l’austriaco sistemandosi la maglietta a maniche corte nera, che gli aveva prestato l’albino.
Il tedesco ghignò e appena arrivarono ad una fila di garage, probabilmente corrispondente a tutti i condomini, premette il pulsantino di un telecomando blu. Il garage si aprì lentamente.
-Una BMW M6!-
Eliza e Roderich rimasero per qualche secondo con la bocca aperta.
-M-Ma t-tu non avevi s-soldi?- balbettò l’ungherese senza staccare gli occhi dalla macchina.
-Kesesese, sai stando qui ho avuto modo di conoscere molte cose che in Germania ignoravo completamente. In particolare il gioco d’azzardo…se poi Ivan, quello del bar, riesce a truccare benissimo le carte, beh, si fanno molti affari.-
-Al diavolo il gioco d’azzardo! Questa macchina è magnifica!- urlò Roderich cominciando ad accarezzare il cofano del BMW.
-Ok, Rod. Afferrato, ti piace, ma lascia in pace la mia macchina, da bravo cucciolo.-
L’austriaco si risollevò e si sistemò gli occhiali facendo come se nulla fosse.
I tre salirono velocemente in macchina ed Eliza con un’occhiataccia costrinse Roderich a stare dietro. Nonostante questo, il moro non si dava per vinto e con sempre maggiore interesse studiava l’auto.
-Rod, stai calmo sennò mi consumi i sedili!- ghignò il tedesco guardando l’altro dallo specchietto.
-N-No, non consumo proprio niente, caro. Mi rincresce solo ammettere che questa macchina guidata da una testa vuota come la tua sia un vero errore.- disse risistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali.
-Cosa? Io intanto ce l’ho una macchina!- gridò Gilbert girandosi verso l’austriaco e facendogli una linguaccia.
-Vedi? Questo tuo modo di cambiare discorso mostra come io abbia ragione e tu non abbia argomenti per sostenere la mia tesi.- scandì calmo, tutte le parole, l’altro.
Gilbert ringhiò ed Eliza cominciò a massaggiarsi piano le tempie.
-Se io sono senza “argomenti” perché tu usi questi paroloni per insultarmi?!-
-Non sono paroloni, sono le parole che usano le persone intelligenti per scambiarsi idee. Non mi stupisco che tu non sappia queste cose visto il tuo quoziente intellettivo.-
-Mi hai dato dello stupido, maledetto testa d’uovo?!-
-Non ti ho dato dello stupido, ho detto che tu lo sei.-
-Io ora vengo li e ti strappo le-
-Volete piantarla?! Sono dieci minuti che siamo in macchina e non ci siamo mossi di un millimetro! Sbaglio o dobbiamo fare altro che litigare?!- intervenne Eliza rossa in volto dalla rabbia.
I due si zittirono. Per lunghi attimi l’unica cosa che si sentiva era il respiro pesante della ragazza, poi Gilbert convenne che era meglio non contraddirla e mise in moto.
 
Per tutto il tragitto Roderich non aveva fatto altro che domandare cose assurde su quella macchina e aveva annoiato così tanto Elizabeta e Gilbert che ad un certo punto gli avevano regalato il libretto informativo della macchina. Dopo di che  l’austriaco non aveva più fiatato e il tedesco riuscì ad accendere la radio per ascoltare un po’ di musica. In un certo senso, tutto quello sembrava una cosa normale e…sembravano una specie di famiglia.
-Ok, il posto dovrebbe essere qui.- era da qualche minuto che facevano tornanti e dai palazzi della zona residenziale, erano giunti fino ad una collinetta immersa in una pace quasi innaturale per una città americana, e circondata da arbusti verdi. Ritornare in quel posto, anche se di giorno, fece ricordare ad Elizabeta il giorno in cui lei e Gilbert si erano baciati per la prima volta.
Pensò anche l’avrebbe seguito in quel posto altre mille volte. Quella serata era stata la cosa più bella che avesse mai vissuto.
Il tedesco parcheggiò in una piazzola da cui si riusciva a vedere tutta la città. Non era come di notte, ma vedere la sua immensità faceva lo stesso un certo effetto.
-Questo posto è tranquillissimo…- sussurrò Roderich. – Non pensavo che esistesse un posto così, qui a San Francisco…-
L’albino ridacchiò, poi condusse gli altri due davanti a un palazzo alto più o meno una ventina di metri. Era pieno di vetrate, molto larghe e sembrava una di quelle costruzioni futuristiche.
-E’ questo. Ho appena avvisato la mia amica, fra poco dovrebbe essere qui per mostrarci l’interno.- disse Gilbert guardando lo schermo del suo cellulare.
-Amica?- chiese l’ungherese fissandolo storto.
-Tranquilla, Eliza, è solo la sorella di Ivan.- ghignò l’albino.
-Comunque sia…è carino…almeno fuori..- affermò l’ungherese girandosi verso la struttura.
Aspettarono ancora qualche minuto, poi arrivò la proprietaria: una ragazza, più o meno della loro età, molto inquietante. Aveva dei capelli lunghi capelli, talmente chiari da sembrare bianchi, occhi scuri con qualche riflesso violaceo e vestita da abiti costosi.
 -Ciao Gilbert. Vedo che alla fine sei tornato.- disse gelida guardando l’albino negli occhi. Solo dopo averlo studiato per lunghi secondi si degnò di guardare gli altri.
-Piacere, Natalia Braginski.-
Natalia non diede nemmeno la possibilità agli altri di presentarsi che già si stava dirigendo verso la porta del palazzo. Appena la aprì i tre rimasero senza parole. Il pavimento era stato fatto con un parquet marroncino chiaro e le pareti erano di un verde pallido. La stanza era tempestata da teli bianchi che ricoprivano quelli che dovevano essere stati tavolini da ristorante. In fondo alla stanza si poteva notare anche un mobile lungo, probabilmente il bancone.
-Questa è la stanza più grande del piano terra, ce n’è una uguale al piano di sopra.-
Riprese a camminare veloce verso un’altra stanza e quando si accorse che gli altri tre non la seguivano si schiarì la voce per attirare la loro attenzione.
Lentamente Natalia, seppur con qualche “Tsk…” e qualche sbuffo, mostrò tutto l’edificio ai tre ragazzi che erano sempre più stupiti di stanza in stanza. Al secondo piano, da qualsiasi finestra si guardasse si riusciva ad avere una bellissima vista su San Francisco; per non parlare dell’esteso terrazzo che dava su un piccolo giardinetto.
Difficile ammetterlo, ma Gilbert questa volta aveva fatto la scelta giusta.
-Accidenti è proprio una bella casa!- disse estasiata Elizabeta.
–Quanto costerebbe?- azzardò Roderich.
Natalia lo squadrò indagatore.
-E’ da molto che voglio disfarmi di questa casa quindi non chiedo molto. In più…non sono i soldi ad interessarmi.- piantò uno sguardo di ghiaccio su Gilbert.
-Quindi…?- incalzò sorridendo benevolo il tedesco.
- 40.000 dollari.-
Roderich proruppe con una forte tosse e Gilbert gli mollò qualche pacca sulla spalla per evitare che si soffocasse. Ovviamente lo stesso tedesco rischiava il soffocamento. Elizabeta era l’unica che non si era scomposta.
-Va benissimo così!- l’ungherese le strinse la mano senza preavviso, ma questa la ritirò con stizza.
-Tsk…ora Gilbert dammi quello che mi avevi promesso.-
-Cosa le avevi promesso?- chiese interrogativa e sospettosa l’ungherese.
Gilbert estrasse una grossa busta gialla dalla tasca interna del giubbotto e la tese alla bielorussa.
-Ecco qua, tranquilla…mantengo sempre la mia parola io, kesese.-
Natalia sbuffò, gli strappò la busta dalle mani e in cambio gli diede le chiavi.
-Per ora mi basta questo. I soldi più avanti.- detto questo si dileguò.
 
Gilbert cominciò a saltellare allegramente per la stanza urlando “ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!” Ma Eliza non era del suo stesso umore anzi era sospettosa.
-E’ stato troppo facile, che hai dato in quella busta gialla a Natalia?- Gilbert sorrise a trentadue denti.
-Quella tipa è una pazza! O meglio…una stalker. E’ fissata con suo fratello Ivan e li dentro non c’erano altro che foto, una sciarpa e qualche video. Se tutto va bene tornerà tra un paio di mesi a chiedere soldi, tanto è già mezza ricca!-
L’ungherese stese l’agitazione che si era formata nel suo volto e sospirò lentamente. Gilbert si avvicinò a lei.
-E questo grazie a te…- fece uno dei sorrisi più belli che la ragazza avesse mai visto.
-Ho solo ripagato il mio debito!- ridacchiò.
Il tedesco le depositò un breve bacio sulle labbra stringendole un braccio intorno alla vita.
-Viglio ancora qualcosa da te..- disse malizioso.
-Per favore…non davanti a me…- borbottò Roderich sistemandosi gli occhiali.
-Vai fuori un attimo allora!- disse la ragazza stringendo le braccia intorno al collo dell’albino.
L’austrico borbottò un “ma vaffanculo…” poi uscì.
I due si baciarono di nuovo e si guardarono per lunghi secondi negli occhi.
-Ho un regalo per te.- disse improvvisamente Gilbert stringendo ulteriormente a se la ragazza.
-C-Cosa..?- Elizabeta arrossì mentre il tedesco si frugava in tasca. Ne estrasse una scatolina quadrata in plastica verde. Si separarono un attimo e gliela porse. Anche se si vedeva molto poco, Eliza riuscì a vedere un leggero rossore sulle guance dell’altro. Appena l’aprì le si mozzò il fiato. La scatolina conteneva un braccialetto che seppur semplice era molto bello. Era formato da una striscia di cuoio marrone scuro con al centro una sfera di verde e intenso smeraldo.
Gilbert lo prese dalla confezione e lo legò al polso destro della castana.
-G-Grazie…è bellissimo…- sussurrò senza parole. Il tedesco la strinse nuovamente a sé e la ragazza fece altrettanto.
-I-Io…penso di essermi innamorato Eliza.- sussurrò l’albino appoggiando delicatamente la fronte a quella dell’ungherese.
-Ah si? Dev’essere proprio bella questa ragazza per aver fatto innamorare un egocentrico ragazzo come te.- disse con finta noncuranza.
-Beh, questa ragazza non è solo bella è bellissima. E’ una delle poche che asseconda le mie pazze idee, che vuole dormire fino a tardi alla mattina, che tira fuori padelle da luoghi sconosciuti, ma soprattutto…-
-Ma soprattutto cosa..?- sorrise complice Elizabeta.
-E’ l’unica che amo in tutto quello che fa, che sia la sua posizione, il suo attorcigliare una ciocca di capelli all’indice o che sia un suo sguardo.- fece una pausa. – Ed è un guaio perché un ragazzo magnifico come me non dovrebbe abbassarsi a pensare e a dire certe cose…-
-E…dimmi, chi è queste ragazza?- chiese l’ungherese avvicinandosi alle labbra dell’albino.
-Elizabeta, ti amo.-
Gilbert la baciò intensamente fino a che non ebbe più fiato; poi l’abbracciò.
-Ti amo anch’io.- rispose senza più alcuna esitazione Eliza.
 
Il cellulare di Elizabeta cominciò a vibrare nella sua tasca, lo prese in mano e rispose.
-Pronto?-
-Ciao Eliza!- disse Feliciano, la ragazza riusciva a sentire molte voci, riconobbe immediatamente quella acuta di Alfred e quella altrettanto alta di Antonio. Evidentemente stavano facendo una specie di pranzo in compagnia.
–Sei con Gilbert?- l’ungherese guardò all’interno della macchina in cui da poco erano saliti.
-Le canne Eliza, attenta! Lascia quel telefono che sennò non fumiamo!- gridò il tedesco mentre guidava.
-Quali canne, idiota?!- intervenne Roderich ispezionando i sedili davanti.
-E’ uno scherzo! Sai, magari sta parlando con sua madre…-
Eliza rimase allibita e Feliciano, sempre con allegria, diede voce alla sua risposta.
-A quanto pare si! E c’è anche Rod! Che ne dite di venire a mangiare qui? Siamo quasi al completo, dovrebbero arrivare anche Francis e Luddy, tra poco!-
-Penso che non ci siano problemi! Arriviamo!- affermò la ragazza.
Feliciano riattaccò.
-Cambio di programma ragazzi! Venite a mangiare da me oggi!-
 
Ludwig scese le gradinate e prese a camminare lungo il vialetto fiancheggiato, ai lati, da un folto prato verde. Si mise la cartella a tracolla ed estrasse dalla tasca esterna di quest’ultima il biglietto dell’autobus. Erano le 12.30. La lezione all’Università era durata più del solito.
-Ehi Ludwig!- il suo professore di corso lo bloccò.
-Ti ricordi che tra due settimane hai l’esame vero?- disse l’uomo sorridendo. Era un uomo sulla quarantina, aveva una folta barba e dei capelli molto scuri. Si chiamava Rome e per questo giravano voci che fosse nato in America, ma avesse parenti italiani e, il tedesco non poté fare a meno di pensare che fosse, per molti aspetti, simile a Feliciano. A partire da quegli strani riccioli…
 Il biondo annuì.
-Bene, sei lo studente più promettente di tutto il corso quindi mi aspetto grandi cose da te.-
-Non la deluderò, professore.- Ludwig fece per andarsene, ma una seconda volta Rome lo intercettò.
-Ah, quasi dimenticavo.- il tedesco si voltò di nuovo ad osservarlo. –So già che lavori per il Gossip&Stars qui a San Francisco, ma se decidessi, dopo gli esami di cambiare redazione…beh, non esitare a chiedermi, ho contatti con i migliori giornali statunitensi.- l’uomo gli fece l’occhiolino.
Ludwig non sapeva che dire. Insomma…se si fosse fatto raccomandare la sua vita lavorativa sarebbe cambiata per sempre e lui, avrebbe anche potuto diventare uno dei migliori e dei più famosi giornalisti di tutti gli Stati Uniti!
-G-Grazie mille…io…ci penserò.- abbozzò un sorriso.
-Bene! Ora vado, ho una fame!- e così Rome se ne andò lasciandolo li impalato, in preda a interrogativi esistenziali. Dopo qualche minuto anche  il tedesco si riscosse e riprese a camminare lungo il vialetto non smettendo di fissare il ghiaino sotto i suoi piedi.
-Luddy!- una seconda volta il biondo sentì qualcuno che lo chiamava, alzò il capo e quasi fece un colpo.
A chiamarlo era stato Feliciano, che era venuto a prenderlo  senza avvisarlo. Non sapeva da chi avesse scoperto il nome e la posizione dell’Università, poi però si ricordò di Francis e si spiegò tutto.
Ma non era questo quello che lo preoccupava.
Feliciano, non era il solito Feliciano. Aveva una giacchetta in pelle nera e dei jeans; se ne stava con la schiena appoggiato alla fiancata di una macchina. Ma non una semplice macchina: una Ferrari, rosso fuoco, senza nessuno graffio e talmente lucida da riflettere il sole.
No, decisamente quello non era l’innocente ed innocuo italiano pasticcione.
-Che ci fai qui?- riuscì solo a dire Ludwig perché Feliciano gli era saltato al collo abbracciandolo.
-Vee! Sono venuto a prenderti!- il tedesco arrossì  e si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno nei dintorni. Per fortuna, a quell’ora erano tutti a casa a mangiare. Ricambiò l’abbraccio inspirando il profumo dei suoi capelli. Era difficile da ammettere per uno come lui ma, anche se erano stati insieme per tutta la notte prima, gli era mancato.
-C-Come mai..?- balbettò. Feliciano si staccò dall’abbraccio sorridente e gli depositò un piccolo bacio.
-Ci troviamo tutti a pranzo, oggi e mi chiedevo se volevi venire anche tu.-
-V-Va bene…- il sorriso dell’italiano si allargò ulteriormente.
-Forza, Sali! Ci stanno aspettando!- il tedesco montò con titubanza nell’auto, però non poté fare a meno di ammettere che era proprio una bella macchina. Non fece nemmeno in tempo ad osservare bene quella macchina che Feliciano partì in quarta. Non avrebbe mai pensato che uno come lui avesse una guida così spericolata.
Avevano un’altra cosa in comune: il piacere per la velocità.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1532981