Cuore di Tenebra

di AngelsOnMyHeart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- No More Dreams ***
Capitolo 2: *** Frammenti di un incubo senza fine ***
Capitolo 3: *** Quando l'incubo diventa realtà ***
Capitolo 4: *** Mondo a pezzi ***
Capitolo 5: *** Perdere il controllo ***
Capitolo 6: *** Verità che feriscono (e confondono) ***
Capitolo 7: *** Elfi cleptomani e slitte truccate ***
Capitolo 8: *** Sogni d'oro e nera realtà ***
Capitolo 9: *** Il momento di scegliere. ***
Capitolo 10: *** Tra ombre e follia. ***
Capitolo 11: *** Dal buio nascono lacrime di luce ***
Capitolo 12: *** Talmente bene...che può solo andare male. ***
Capitolo 13: *** Il battito d'ali del cambiamento, l'inizio della fine. ***
Capitolo 14: *** Il canto del cigno ***
Capitolo 15: *** Epilogo- Tra le ceneri di un ricordo. ***



Capitolo 1
*** Prologo- No More Dreams ***


Prologo 
No more dreams. 



Ancora una luce, solo una, non ci sarebbe voluto ancora molto. 
L'era dei Guardiani stava finalmente per volgere al suo termine, srotolandosi rovinosamente in un nero tappeto che celebrava il suo glorioso ritorno ai Secoli Bui. I Millenni Bui, se le cose avessero seguito correttamente il proprio corso. 
Pitch, al galoppo di Onyx, osservò con estremo autocompiacimento il suo impero di terrore iniziare ad espandersi a macchia d'olio su tutta la Terra. Presto sarebbe stato tutto in suo pugno, come doveva essere fin dal principio. La luna brillava pallida sulla sua testa, illuminando debolmente quella nera notte senza stelle. Alzò lo sguardo verso l'astro, mostrando due file di denti affilati in un sogghigno malvagio. 
«E' fatta, amico mio, non puoi più nulla per contrastarmi. E' solo questione di tempo, pochissimo tempo, prima che l'ultima luce si spenga per sempre. Ed allora, tutto questo sarà mio» Pronunciò fieramente quelle parole, mostrando la grandezza delle proprie conquiste con un ampio gesto del braccio. 
«Sei pronto a veder perire i tuoi stolti Guardiani?» Domandò stavolta, scoppiando poi a ridere rumorosamente. 
La luna, sempre più debole, parve brillare più intensamente per una frazione di secondo, uno sguardo disattento avrebbe potuto non notarla ma gli occhi dell'uomo non se la fecero sfuggire. La sua risata si interruppe bruscamente lasciando il posto ad un grugnito scocciato. 
«Non avete più nulla, nulla!» urlò adesso, stringendo con forza le redini nelle proprie mani «Hai forse dimenticato la fine che ho riservato a quel nanerottolo dorato? Le fosse sono già state scavate, solo un passo e cadranno tutti come mosche e...» Si interruppe bruscamente, abbassando lo sguardo. No, non gli avrebbe permesso di rovinargli quel momento di gloria. 
I bambini credevano in lui, il potere era nelle sue mani, il dado era stato tratto e la vittoria era talmente vicina che riusciva già ad assaporarne il glorioso sapore. Eppure... 
Eppure un dubbio era riuscito ad insinuarsi in una piccola crepa creata da quell'insolito baluginio lunare. 
«Bene» mormorò infine fra se e se, accarezzando la nera chioma sabbiosa della sua cavalcatura «se è così, vorrà dire che avrò bisogno di una piccola garanzia» 
Schioccò quindi le redini del cavallo, spronandolo a correre tra le tenebre. 
Gli serviva solamente una cosa. 

Non aveva molto tempo ormai. 
Pitch si materialzzò nella cameretta, apparendo in un turbine d'ombre ed oscurità, volse un'occhiata veloce oltre l'unica finestra della stanza: Onyx era rimasto a sbruffare nel portico, irrequieto. 
Pochi attimi, amico mio. Pensò.  
Scrutando distrattamente la stanza notò la presenza di numerose bambole, le luci provenienti dalla strada rivelavano delle pareti rosate con decori floreali. Probabilmente doveva trattarsi della camera di una bambina. 
Come un'ombra strisciò sino al letto, osservando la piccola che vi dormiva stringersi contro il petto un orsacchiotto di peluche dagli occhi a bottone. La bambina era infagottata in una montagna di coperte: lunghi capelli neri si sparpagliavano sul suo cuscino, gli occhi chiusi solo per affacciarsi in dorato mondo di sogni. 
Allungò una mano, grigia e fredda, sfiorandole con il dorso le rosee guance. Il viso della piccola si contrasse quasi immediatamente in una smorfia di fastidio mentre si volgeva sul lato opposto, mugugnando nel sonno. 
Pitch sogghignò con non poca soddisfazione. 
Aveva la vittoria in pugno ormai, cosa sarebbe potuto andare storto? 
Ma, come si dice, la prudenza non è mai troppa, dopotutto. 
«Sarai tu la mia garanzia» 
Lasciò quindi che il suo lungo ed ossuto indice si posasse in corrispondenza del petto della bambina, proprio dove il suo piccolo cuore incontaminato batteva, privo di paure e timori. 
A quel punto un fitto vortice nero, di una consistenza densa e sabbiosa, iniziò a fuoriuscire dalla sua cinerea pelle, avvolgendosi tutto attorno al braccio per discendere giù, sempre più giù, raggiungendo la punta dell'indice e svanendo, infine, tra i piccoli battiti di quel cuoricino. 
La bambina contrasse nuovamente l'espressione del volto, cominciando a girarsi e rigirarsi nel proprio letto, scalciando. 
L'Uomo Nero volle gustarsi per alcuni secondi il proprio operato. 
«Dai il benvenuto agli incubi, piccola» 
Si congedò infine, svanendo inghiottito dalle ombre del pavimento, lasciando a germogliare quel prezioso seme. 
La bambina scattò improvvisamente a sedere, gli occhi neri spalancati in un espressione di puro terrore. Le sue grida squarciarono il silenzio di quella quieta notte.

 

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Capitolo 2
*** Frammenti di un incubo senza fine ***


Capitolo I 
Frammenti di un incubo senza fine 

Da qualche giorno era ormai percepibile una certa elettricità nell'aria, al Polo Nord. Sebbene all'infuori della grande Fabbrica di Giocattoli di Babbo Natale, nonché quartier generale dei Guardiani, sembrasse tutto avvolto nella più totale calma e quiete, la situazione all'interno era di ben altro avviso: ossia il panico generale! 
Di lavoro già ce ne era abbastanza per tutto l'anno, figuriamoci quando si era praticamente agli sgoccioli. Solo 42 giorni ed il Natale sarebbe arrivato. 
Non c'era Yeti che non si trovasse indaffarato in qualche mansione. Tra i regali da assemblare, i dettagli da rifinire e la Slitta da sistemare c'era un gran bel da fare per tutti, anche per gli elfi, convinti a modo loro di star contribuendo alla realizzazione dei doni per i bimbi di tutto il mondo. 
North osservava con attenzione la sua equipe, dall'alto del suo studio che si affacciava su tutta la Fabbrica, dinanzi a lui splendeva il Globo. La grande sfera ruotava lentamente, mostrandogli le luci di ogni continente, le luci di tutti i bambini che avevano ancora bisogno di credere a quelle fiabe della buonanotte, narrate con voce ovattata nella penombra di una cameretta. 
Sì, poteva dirsi senza dubbio soddisfatto di come si stesse svolgendo la situazione. 
«Siamo indaffarati eh?» Disse una voce maschile proveniente dalla sua destra. 
Girò lo sguardo in quella direzione, trovandovi così Jack Frost. Il ridente Spirito dell'inverno se ne stava accovacciato sul parapetto, intento nell'osservare, con particolare entusiasmo, i magici operai al lavoro. Quante volte lo aveva implorato affinché gli concedesse il permesso di lavorare con gli Yeti nella realizzazione dei giocattoli, ma lui glielo aveva sempre gentilmente negato. Chissà perché poi, si chiedeva Jack, forse si era legato al dito quella volta in cui aveva fatto esplodere tutti quei barattoli di vernice? Ma erano passati anni, ormai, e molti elfi erano tornati del loro colore naturale -escluso Bob- e comunque si era trattato di un piccolo incidente, nulla di così grave. No? 
Santa Clause esplose in una sonora e calorosa risata «Beh? Cosa ti aspettavi a mese prima di Natale?» 
Ed allargò quindi le grandi braccia tatuate, stringendo l'amico guardiano in un caloroso abbraccio «Quanto tempo amico mio! Qual buon vento porta te qui?» 
Lo Spirito del freddo ricambiò la stretta per poi allontanarsi con un balzo, lasciandosi penzoloni al suo immancabile ed inseparabile bastone ricurvo. 
«Credo si trattasse di un Maestrale» Scherzò lui, o forse no. 
L'omone rise di nuovo «E cosa hai fatto tu per tutto questo tempo? Se non sbaglio ultima volta che ti ho visto tu e Calmoniglio vi stavate azzuffando in vostri soliti litigi, dopo aver alzato gomito con mio eggnog» Lo canzonò. 
Jack si grattò la nuca, coperta da candidi capelli bianchi, imbarazzato. Si ricordava perfettamente di quella volta «Non ti sfugge niente eh?» ridacchiò «Comunque nulla di nuovo, sono andato un po' qua, un po' là. Dove mi spinge il vento, come al solito» 
North volse un'occhiataccia ad un gruppo di Yeti che si stavano abbandonando ad una gara di chitarre giocattolo ma quando intimò loro di fargli ridipingere tutti i camioncini daccapo, questi tornarono immediatamente al loro lavoro. 
«Dentolina sarà felice di rivederti Jack» Gli fece l'occhiolino, tornando a rivolgersi a lui. 
Nel sentir pronunciare il nome della fata, Guardiana dei Ricordi, il ragazzo si lasciò ancor più dondolare al suo bastone per alcuni istanti, con sguardo sognante, ma volle riprendersi subito. 
C'era un argomento che non avevano ancora toccato, per quanto venisse affrontato da tutti a malincuore. 
Assunse quindi un'espressione seria, con un cenno del capo verso il Globo «E Sandy?» 
La gioiosa espressione sul viso di North si rabbuiò a quella domanda, incrociò le braccia intorno allo sterno e guardò anche lui l'enorme sfera dorata che ruotava lentamente dinanzi a loro. 
Erano ormai trascorsi diversi anni dalla notte in cui North e gli altri Guardiani avevano arrestato la pericolosa avanzata di Pitch Black, l'Uomo Nero
Dieci anni ad esser precisi.
Le loro attività di Leggende erano fin da subito tornate ad essere quelle di sempre e tutti i bambini del mondo erano nuovamente tornati a credere in loro. Ma quella notte non tutto era esattamente tornato alla normalità, poiché sul Globo una luce non era più tornata a splendere. Di solito questo voleva significare che un bambino aveva smesso di credere in loro. Non che fosse un'evenienza a loro sconosciuta, capitava e purtroppo molto spesso, anche senza lo zampino di Pitch, che la luce di un bambino si spegnesse per i motivi più disparati. 
In questo caso però la luce non si era solamente spenta. Qualcosa di molto simile ad una densa ombra l'aveva avvolta e, da allora, ne era stata soffocata. 
In principio, tra la confusione di tutte le altre migliaia di luci, la cosa era loro sfuggita ma una volta notata l'anomalia, avevano subito rintracciato quella luce intrappolata nelle tenebre. 
All'inizio, ingenuamente, avevano creduto di poter fare totale affidamento sulla Sabbia di Sandman. Constatando ben presto che la bimba vittima di questo oscuro sortilegio, non solo non era più in grado di credere in loro ma aveva perso completamente la capacità di sognare, perseguitata ogni notte da orribili incubi. Talmente oscuri, talmente potenti, che nemmeno il caro vecchio Sandy sembrava essere in grado di contrastarli. 
Gli anni, come già detto in precedenza, erano trascorsi ma per quella ragazza, che ora aveva compiuto 18 anni, la situazione non era in alcun modo migliorata, anzi, forse era riuscita addirittura a peggiorare. 
Certo ormai non era più una bambina, e avrebbero anche potuto non immischiarsi più in quegli affari, ma la pena per lei ed il mistero che aleggiava attorno alla sua condizione li faceva sentire responsabili nei suoi confronti, impedendogli di voltarle le spalle. E come avrebbero potuto loro fare una cosa del genere, dopotutto? 

* * * * 


Una tenue luce illuminò lievemente la stanza, altrimenti immersa nel buio della notte, ed una bassa figura dorata e tondeggiante fece il suo ingresso dalla finestra. Si trattava di Sandman, il Guardiano dei Sogni. 
Non era di certo la prima volta che entrava in quella camera per far visita alla sua proprietaria, anzi, ne aveva visto e vissuto in prima persona i più piccoli cambiamenti: dalle rosate pareti ed i peluche che regnavano indiscussi i primi anni, ai cd ed i poster di attori e band musicali che tappezzavano tutte le pareti, sino a quando non si erano lentamente spogliate. Ora non vi era altro che un muro grigio e spoglio su cui non era affisso alcun sogno o desiderio. 
La ragazza stava dormendo nel suo letto, coperta sino alla testa da un piumone blu scuro, alcuni ciuffi biondi riuscivano a fare capolino al di sotto delle coperte. 
Sandman levitò al suo fianco e la osservò. Sul volto della giovane vi era sempre stata la stessa espressione ogni notte negli ultimi dieci anni: le sopracciglia corrugate, gli occhi strizzati e le sottili labbra e la mandibola erano contratte, mostrando i denti stretti. Era la paura. 
Sandman scosse il capo con sguardo afflitto, allungando poi il piccolo braccio per lasciar cadere della Sabbia tra le ciocche bionde della ragazza. Purtroppo sapeva che non sarebbe servito a niente ma in cuor suo continuava a sperare che ogni volta potesse essere quella buona. 
Ed un Guardiano, quale lui era, non poteva di certo perdere la Speranza. 
Glielo aveva promesso, come lo aveva promesso a se stesso e a tutti gli altri: sarebbe tornata a sognare. 
Posò ancora un po' lo sguardo su quel viso tormentato ed infine si allungò, posandole un piccolo bacio sulla fronte prima di andare via, svanendo su di una nuvola dorata. 

* * * * 


Il suo corpo si girò e rigirò, scalciando sotto le coperte. 
Alberi. Alti e fitti svettavano verso il cielo oscurandolo completamente, così da confondere la notte con il giorno. 
Correva. Stava correndo da tanto tempo oramai e non ce la faceva più ma non poteva fermarsi, non doveva o l'avrebbe raggiunta.
Perché lo udiva, dietro di se, quel fiato feroce e pesante che non riusciva in alcun modo a seminare. 
Era così stanca di fuggire a quel nemico mai visto. 
Scarlett.....Scarlett... Chiamava, ansimando più volte il suo nome. 
Rabbrividì. Quella cosa la conosceva, sapeva il suo nome e non solo questo: era conscia di tutte le sue paure, sapeva i suoi timori e sfruttava le sue debolezze. 
Ed era per questo che non poteva fermarsi, non voleva finire tra i suoi artigli ed assaggiarne il terrore un'altra notte ancora. 
Non puoi andare da nessuna parte. 
Dal terreno crebbe improvvisamente un'alta parete di rovi a sbarrarle la strada, finendo così con lo sbatterci contro. Le mani ed il viso si graffiarono urtando contro le spine ma non aveva tempo per concentrarsi sul dolore. Si guardò intorno velocemente, cercando di trovare una via fuga alla sua destra o sinistra ma, anche quelle vie, erano ora bloccate. 
Lo sai, Scarlett. L'aveva raggiunta. 
Cominciò a tremare, conscia di cosa sarebbe accaduto di lì a poco. 
Era il Buio. 
Dapprima si aggrappò saldamente alle sue gambe, risalendole ed avvolgendosi ad esse come colloso catrame, raggiungendole la vita e paralizzandola, così che non sarebbe più potuta scappare da nessuna parte. Come se avesse potuto, in ogni caso. 
Tu sei parte di tutto questo. 
Singhiozzò, senza fare alcuna opposizione, cercando di prepararsi a quel che sarebbe successo. 
Ma non vi era modo di rendere più confortevole un incubo. 
L'oscurità ormai era giunta ad avvolgerle la testa, togliendole il respiro ed inghiottendola completamente. 
Urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.” 

Scarlett scattò a sedere nel proprio letto, trattenendo a stento un grido di terrore. 
Tutte le notti la stessa storia. Nonostante facesse freddo, si era risvegliata di nuovo completamente sudata. 
La sua mano scattò automaticamente sul comodino alla ricerca di qualcosa e, quando la trovò, percepì un lieve sollievo. Respirando a fondo pigiò velocemente l'interruttore. 
CLICK! 
La stanza si illuminò alla luce dell'abat-jour, rintanando le tenebre in un angolo sulla destra, vicino alla porta che affacciava sul corridoio. 
La ragazza si passò una mano tra i capelli spettinati mentre si guardava attorno, spingendosi con la schiena contro la spalliera del letto. Il suo sguardo, contornato da profonde occhiaie, si concentrò in un angolo ben preciso della stanza: quello che la piccola luce non riusciva a raggiungere. 
Lo fissò a lungo, tenendo i grandi occhi neri sbarrati, osservando quelle tenebre ammassate e in attesa, convinta che qualcosa, qualunque cosa, sarebbe potuta strisciar fuori da quel groviglio in qualsiasi momento. 
Quando si convinse che nulla sarebbe uscito da quel piccolo angoletto, prese le coperte e le tirò a se, contro il suo petto, sperando di trovare una protezione che non era mai stata in grado di provare. 
«Dannazione» Mormorò stanca. 
Era tutto iniziato da quella notte in cui si era svegliata urlando a squarciagola, completamente terrorizzata. Ricordava ancora che sua madre era accorsa da lei con una mazza da baseball in mano, convinta che fosse entrato qualcuno in casa. Non l'aveva mai sentita urlare a quel modo, le aveva detto. 
Ne erano passati di anni da allora ma gli incubi non avevano mai accennato ad andarsene, crescendo con lei. Oramai non aveva nemmeno più il minimo ricordo di un sogno. C'era solo il nero e la paura. 
«Perché a me?» Fu la domanda che fuoriuscì dalle sue sottili labbra, in un sussurro debole e disperato. 
Sospirò sconsolata e si distese nuovamente, poggiando la testa sui morbidi cuscini, senza perdere d'occhio quell'oscuro angoletto, nemmeno per un secondo. 
Infine i suoi occhi si arresero alla stanchezza ma la sua mente non avrebbe trovato alcun ristoro in quel sonno tormentato.

 

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Capitolo 3
*** Quando l'incubo diventa realtà ***


Capitolo II 
Quando l'Incubo diventa realtà 




La sveglia suonò. 
Cadde, sprofondando nel proprio letto e l'aria sembrò mancarle, un altro classico. 
Fermò l'allarme della sveglia, si tirò su lentamente e, con estrema pigrizia si diresse nel bagno. 
Una bassa figura sfilò dinanzi allo specchio. Una ragazza minuta dal viso pallido e scavato, con un piccolo naso a punta spruzzato da poche lentiggini, fissava il proprio riflesso con i suoi grandi occhi neri, contornati da profonde occhiaie. Storse le sottili labbra in una smorfia di disappunto, prendendo tra l'indice ed il pollice alcune ciocche dei suoi capelli biondi, evidenziandone la radice scura della ricrescita. 
È arrivato il momento di comprare un'altra confezione di decolorante. Pensò, evidentemente scocciata dalla cosa. 
Sciacquò il viso con una buona dose di acqua fresca, cercando di darsi una svegliata, e tornò nella propria camera in tutta fretta. Aprendo la porta dell'armadio a muro lasciò scivolare una celere occhiata alla sveglia sul comodino, la quale ticchettava segnando le 08:04. Puntualmente in ritardo, come al solito. 
Senza prestare molta attenzione, tirò fuori i primi abiti che le capitarono sotto mano ma quando si accorse di stare per infilarsi un secondo paio jeans, lungo le braccia, si sbrigò a lanciarli chissà dove sul pavimento per sostituirli con una bella felpa blu petrolio calda e larga, come piaceva a lei. 
La porta si aprì e la testa bruna di una donna fece capolino. 
«Eccola qui, la nostra dormigliona» 
Scarlett le rivolse un sorriso forzato mentre, tenendo una scarpa nella mano sinistra, cercava attentamente con lo sguardo la sua gemella «Buongiorno a te mamma. Non si usa più bussare?» Le rispose distrattamente la ragazza, troppo presa dalla ricerca della scarpa perduta. 
La donna entrò chiudendosi la porta alle spalle, era leggermente più bassa della figlia ed i suoi occhi erano dello stesso colore, solo più grandi e sporgenti, il naso invece era aquilino, con la punta rivolta all'ingiù, l'esatto contrario di Scarlett. 
Teneva le braccia conserte mentre osservava la giovane cercare di vestirsi «Lo sai che per andare a lavoro passo davanti alla tua scuola» pronunciò la frase con fare un po' scocciato, quasi l'avesse ripetuta per centinaia di volte «..guarda lì tesoro» Aggiunse poi, indicandole lo spazio che vi era tra le gambe del comodino e quello del letto: ecco dove la sua scarpa aveva deciso di nascondersi, quella mattina. 
La ragazza fu così libera di allacciarsi le scarpe «Non preoccuparti. E poi Jamie mi aspetta» Rispose lei, pacatamente. 
«Posso portare anche lui» 
Non le rispose, bensì andò a schioccarle un bacio sulla guancia, portandosi la cartella sulle spalle «Faremo in tempo promesso»
E senza attendere ulteriormente, la salutò sgattaiolando fuori dalla porta. In fondo al vialetto di casa l'attendeva un ragazzo alto dai corti capelli castano rossicci e tondi occhi nocciola, avvolto in un pesante cappotto marrone. 
Si trattava di Jaime Bennett, suo vicino da una decina scarsa di anni e caro amico d'infanzia. 
«Buongiorno dormigliona» La salutò con uno smagliante sorriso. 
Lei sbuffò, correndogli incontro «Non ti ci mettere anche tu! Andiamo, siamo -anzi sono- già abbastanza in ritardo»
Si incamminarono quindi lungo il marciapiede, percorrendo la strada che li avrebbe portati a scuola, discutendo dei professori esigenti e della valanga di compiti che gli veniva assegnata ogni giorno, ma non erano solo queste le loro argomentazioni. 
«Stanotte come è andata?» Le chiese Jamie. 
Lui era l'unico a cui Scarlett avesse confidato il proprio problema. 
Agli inizi, a dire il vero, anche sua madre era a conoscenza dei fatti ma, quando agli incubi avevano preso ad aggiungersi le frequenti visite in diversi studi psichiatrici e la seguente prescrizione di psico farmaci, lei aveva deciso di iniziare a fingere di star meglio, fino a non averne più fatto parola con nessuno. Jamie escluso, in questo caso. 
Si conoscevano da una vita e, forse, quel ragazzo era stato l'unico che non l'avesse mai trattata come una pazza ogni qual volta che lei gli parlava dei suoi incubi e di come, giorno per giorno, le sembrassero più reali. 
«Come sempre» rispose scalciando una lattina vuota che incrociò lungo la strada «Ormai faccio lo stesso incubo da quasi un mese» 
Il volto dell'amico si crucciò «Quello della foresta?» 
Scarlett annuì. 
Gli incubi erano ormai diventati una parte integrante della sua vita, per quanto il terrore che le instillavano non avrebbe mai potuto permetterle di abituarsi a loro, ma non le era mai capitato che lo stesso si ripetesse più e più volte. 
Rivolse a Jaime un triste sguardo rassegnato «Tu che dici? Forse dovrei cominciare a prendere in considerazione di ritornare a fare quelle sedute psichiatriche, l'ultimo medico non mi era sembrato troppo scettico alla fine» 
Jaime scosse il capo, deciso «Non ci devi pensare nemmeno. Ti imbottirebbe soltanto di psicofarmaci che non servirebbero a nulla, proprio come l'ultima volta. In altri casi non sarei dello stesso avviso ma sono certo che a te non serva un aiuto di quel tipo. Fidati, Scarlett, sono solo incubi e la consistenza di un incubo è talmente sottile che basta solo un soffio della tua fiducia per farlo volare via, devi solo crederci» 
Scarlett sorrise «Eppure non erano così male, quando ti abituavi a non sapere nemmeno il tuo nome» 
Il ragazzo le diede una fraterna pacca sulla spalla, ridacchiando «Sei pessima»
A suo modo, le parole di Jamie le facevano piacere e, con tutta se stessa, avrebbe voluto credere a quel che diceva ma era pressoché impossibile per lei non pensare al peso che le gravava costantemente sul cuore come un macigno e che non faceva altro che aumentare esponenzialmente alla sua paura, di giorno in giorno. 
Finalmente giunsero dinanzi alla scuola, con soli cinque minuti di ritardo dall'insopportabile trillo della campanella, ma quello non era di certo un problema dato che nessuno entrava così presto, solitamente doveva passare anche un intero quarto d'ora, prima che tutti gli studenti si trovassero nelle proprie aule. 
Gli orari delle loro lezioni erano differenti, a Jaime sarebbe toccata letteratura, a Scarlett scienza, motivo per cui, una volta entrati nell'edificio, i due amici si salutarono, ognuno diretto alla propria aula. 
Il rapporto di Scarlett con l'ambiente scolastico non era dei migliori. Non che la ragazza odiasse la scuola, quello no, anzi, spesso e volentieri non si dispiaceva nel mescolarsi tra la massa, solo che, non appena qualcuno posava gli occhi su di lei, anche solo distrattamente, mentre camminava nel corridoio durante l'intervallo tra una lezione ed un'altra o, peggio ancora, veniva chiamata per un'interrogazione, si rinchiudeva subito in se stessa, desiderando ardentemente di diventare invisibile, così da potersi dileguare senza problemi. 
Ragion per cui spesso si ritrovava da sola, che lo volesse o meno, troppo impaurita all'idea che qualcuno potesse anche solo rivolgerle la parola, magari persino conoscerla ed infine deriderla. No, non avrebbe potuto sopportarlo. 
Per questo motivo Jamie era il suo unico amico, l'unico di cui si era sempre fidata e che, sapeva, non l'avrebbe mai giudicata. 
Per quel che concerneva lo studio, invece, non poteva certo definirsi una studentessa modello ma, la sua preparazione, era quel tanto che le bastava per evitarsi fastidiosi rimproveri o esagerati elogi. Le bastava un banco in fondo alla classe, sotto ad una finestra e lì, sarebbe rimasta in silenzio per tutte le ore di lezione, fino al suo rientro a casa. 
Probabilmente qualcuno, che magari si trovava a frequentare i suoi stessi corsi, poteva averla già adocchiata, notando i suoi modi un po' bizzarri e poco comuni ma, per sua fortuna, nessuno glielo aveva mai fatto notare e, di questo, gli era grata. 
La giornata quindi trascorse come tante altre, quel giorno tra una lezione di scienze ed una di letteratura inglese sino al suono della campanella alle cinque del pomeriggio, annunciando agli studenti d'essere liberi dai doveri scolastici. 
Tutti si precipitarono fuori dalle proprie classi, correndo come forsennati e riversandosi numerosi nel cortile della scuola, incamminandosi verso casa o spintonandosi per essere i primi a salire sugli autobus. 
Scarlett invece attese assistendo silenziosamente dal suo banco a quel fenomeno di svuotamento, riponendo pigramente i materiali nel suo zaino e, quando nella classe rimase solo lei, si avviò fuori dall'aula. I corridoi erano già vuoti, come se la calca di poco prima non vi avesse mai messo piede. 
Si ricordò quindi, in quel momento, che era giovedì. Ed il giovedì Jamie aveva gli allenamenti con la squadra di nuoto. Motivo per cui sarebbe tornata a casa da sola. 
Sbuffando, mise la cartella in spalla e si incamminò verso l'uscita quando uno strano ronzio proveniente dal soffitto, non la costrinse ad alzare lo sguardo: una lampada, proprio sopra la sua testa, sembrò avere uno strano calo di tensione, il che parve provocare un curioso effetto a catena che si rivolse in successione a tutte le lampade del corridoio, una dopo l'altra, rendendo eccessivamente scarsa l'illuminazione in un pomeriggio dei primi giorni di novembre e, quando anche l'ultima luce in fondo al corridoio, dinanzi all'uscita, subì lo stesso curioso calo di tensione, quella scoppiò riversando i cocci sul pavimento. 
La ragazza si coprì la bocca con le mani, soffocando un urlo «Non è possibile!» Esclamò mentre anche le altre luci scoppiarono a ritroso, lasciando che il buio, eccessivamente denso e surreale per quell'ora del giorno, avanzasse verso di lei, come se stesse camminando mentre le porte delle classi si chiudevano, sbattendo rumorosamente, come se qualcuno le stesse sbattendo. Ma non c'era nessuno lì. 
«E' solo un cortocircuito» Tentò di convincersi, pronunciando quel pensiero ad alta voce, ma lei lo sapeva. Dannazione, lo sapeva! 
«Non è giusto! Non puoi seguirmi qui! Sono sveglia non sto dormendo!» 
Urlò alla massa nera, pizzicandosi una mano per provare quello che aveva appena detto ma, nel confermarlo, non vi trovò alcun conforto. Perché questo rendeva l'incubo dinanzi ai suoi occhi reale e, questo, la sua mente non poteva accettarlo. 
Il cuore le martellò nel petto, facendole quasi male ma non ebbe il coraggio di fuggire via, troppo paralizzata dalla paura per fare un solo passo. 
Il buio era ad un passo da lei e l'unica luce rimasta ad illuminare quelle fitte tenebre era quella sopra la sua testa. Pregò intensamente, affinché questa resistesse. 
Un sottile fiato freddo le andò a sfiorare il collo scoperto. 
Ti ho trovata! 
La lampada esplose, facendo ricadere i pezzi di vetro su di lei, ed ogni cosa si spense. Erano rimasti solo lei ed il Buio. 
Spinse i palmi delle mani contro le tempie «Non è reale!Non è reale!Non è reale!» Si ripeté, tenendo gli occhi fortemente chiusi, al punto da sentire la testa dolerle per lo sforzo. 
Il soffio gelido arrivò a sfiorarle l'orecchio, si sentì morire. 
Hai paura, piccola Scarlett, non è così? 
«Non sei altro che un incubo! Non esisti! NON SEI REALE!» 
Una risata riempì l'aria soffocante attorno a lei, deridendola. 
Oh ma certo che sono reale, Scarlett! Io sono la paura. E, la paura, è la realtà stessa!  
Non sapeva perché ma, quelle parole, sembravano darle una sorta di conforto. Era come se il suo cuore ne sentisse la necessità, come se desiderasse quelle tenebre e lei non riusciva a comprendere il perché, di quell'insensata attrazione. 
Trovami! Allora la realtà ti sarà chiara!  
Il freddo, allora, sembrò svanire proprio come era arrivato e Scarlett cadde sulle proprie ginocchia, respirando affannosamente. 
«Tutto bene?» 
Fu come destarsi da uno dei suoi incubi, tutto attorno a lei era esattamente come prima, come se nulla fosse successo, ogni luce era tornata al suo posto, perfettamente funzionante, e le porte erano di nuovo aperte. 
Me lo sono immaginato?  Si chiese alzandosi mentre ricercava con lo sguardo la voce che l'aveva destata dal suo stato di trance e, quando la incontrò, vide una donna, probabilmente una docente ma non si trattava di una sua professoressa «Posso fare qualcosa per te?» Chiese nuovamente quella, facendo un passo verso di lei, allungando una mano sulla sua spalla. 
Scarlett scosse velocemente il capo e senza risponderle, o permetterle di dire altro, scappò via, raggiungendo finalmente l'uscita. 
DANNAZIONE!DANNAZIONE!DANNAZIONE!  
Non fece altro che ripetersi mentre fuggiva alla ricerca di un posto in cui sentirsi al sicuro, anche se, lo sapeva, non era possibile. 
Quanta fatica le era costata tentare di assumere un atteggiamento normale? Quanto ci aveva provato? Ed ora.....ora era sicuramente andato tutto a rotoli.

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Capitolo 4
*** Mondo a pezzi ***


Capitolo III 
Mondo a pezzi 





 


Le foglie secche cadevano lente dagli alberi, sparpagliandosi un ovunque sull'erba del prato, ricoprendolo dal manto dorato dell'autunno. Nel parco sembrava non esserci nessuno, solo un'altalena che dondolava cigolando, dando all'ambiente silenzioso un che di spettrale, testimoniava la presenza di qualcuno. 
Scarlett si teneva con le mani alle catene, lasciandosi trasportare. 
Il capo chino, gli occhi persi nel vuoto mentre la sua mente vagava, nel vano tentativo di elaborare dei pensieri logici. 
Quel che era accaduto poco prima, a scuola, possibile che lo avesse solamente immaginato? O, altrimenti, era possibile che fosse realmente accaduto? E se sì, perchè? Cosa avrebbe potuto volere quella cosa da lei? 
“Sarò forse schizofrenica?” Si chiese coprendosi il volto con le mani, trattenendosi a stento dallo scoppiare in lacrime. 
:- Scarlett? -. 
Alzò gli occhi, incontrando lo sguardo di Jamie, in piedi davanti a lei, avvolto nel suo cappotto, con le mani in tasca. 
:-Dalla piscina ti ho vista correre via. Cosa ti è successo? -. Le domandò preoccupato. 
Non rispose, rimase a fissarlo in silenzio, incerta su cosa dire. 
Era vero che si conoscevano dai tempi dell'infanzia. 
Era vero che lui le era sempre stato vicino, nonostante tutte le sue stranezze. 
Ed era anche vero che lui, era sempre stato lì ad ascoltarla senza mai permettersi di giudicare ed, anzi, aveva spesso cercato di dispensarle dei consigli, proprio come quella mattina. 
Questa volta però, gli incubi avevano scavato molto più in profondità, perché cominciò a temere. Si trattava di una cosa completamente diversa da un sogno fatto nel proprio letto mentre si dorme e se, anche lui, avesse cominciato a pensare che l'unica soluzione possibile fosse la psicoterapia? 
No, aveva troppa paura per affrontare l'argomento. 
:-Niente di che, stavo solo correndo-. Mentì infine. 
Jamie la squadrò con sguardo poco convinto :-Scarlett. Ti conosco da una vita e so che, se puoi evitare di correre, sicuramente lo fai. Come so anche che, quando c'è qualcosa che non va, ti rinchiudi in te stessa e non ne vuoi parlare e, devo dirtelo, questo tuo atteggiamento, mi sta facendo preoccupare-. 
La ragazza, per tutta risposta, scosse il capo, negando nuovamente e tornando a guardarsi le scarpe :-Stai facendo un casino per nulla, fidati. Te l'ho detto, non è successo niente-. 
Il ragazzo le si avvicinò, sedendosi sull'altalena accanto a lei :-Senti, se non vuoi parlarne, io lo posso capire e di certo non ti obbligherei a farlo ma, ti prego, almeno non mentirmi-. 
Lei tornò a guardarlo, notando come la stava fissando insistentemente con i suoi tondi occhi nocciola che, nonostante fossero incupiti dalla preoccupazione, brillavano di una luce che non avrebbe mai brillato nei suoi: si trattava della Speranza. 
Scarlett rimase in silenzio, sentendosi in colpa, sotto il giudizio di quegli occhi sinceri, d'avergli negato la verità. 
Lui, dal canto suo e come era sempre solito fare, non si perse d'animo e, senza insistere, le diede una pacca fraterna sulla spalla :-Andrà tutto bene, vedrai. Non devi aver paura-. 
Un sorriso amaro si dipinse sulle labbra della ragazza, erano certo belle parole le sue ma, come in molti casi, era più facile a dirsi che a farsi. 
Si incamminarono poco dopo verso casa, senza parlarsi molto, anzi, non si parlarono per niente. Scarlett non si era mai sentita così sola e distante da lui. 
Quando finalmente arrivarono davanti ai vialetti delle loro case, Jamie la fermò afferrandola saldamente per le spalle e piazzandole il viso ad un palmo dal naso, il che la fece ritrarre, erano amici da molto tempo ma, il contatto fisico così ravvicinato era una cosa che non le piaceva per niente, specie se improvviso e senza permesso :-Devi farmi un favore-. Le disse con lo sguardo più serio che le avesse mai rivolto. 
La ragazza rimase ammutolita ma annuì. 
:- DEVI combatterli! -. 
:- I..io -. Balbettò lei, non trovando una risposta alla richiesta che il ragazzo le stava facendo. 
:- Fidati di me, non avere paura. Devi solo credere e, quando crederai, sarai in grado di sconfiggerlo-. 
Credere? Ed in cosa avrebbe dovuto credere una ragazza senza alcuna speranza o che, quantomeno, si sentiva tale? 
:-Farò del mio meglio-. Lo accontentò infine, mettendo il broncio, il che lo fece sorridere. 
Le passò una mano tra i corti capelli, spettinandoglieli :-A domani allora e metti la sveglia all'orario giusto, pigrona!-. 
Scherzò salutandola e dirigendosi così verso la propria abitazione, mentre Scarlett sfilava le chiavi dalla cartella, aprendo la porta di casa. 
Combatterli aveva detto? 
Il calore dell'ambiente domestico scaldò le sue guance fredde, quasi come il marmo. Sua madre non era ancora rientrata dal suo turno di lavoro all'ospedale. Meglio così non le avrebbe chiesto come era andata la scuola e, lei, non sarebbe stata costretta a dirle l'ennesima bugia. Non aveva alcuna voglia, o intenzione, di studiare, motivo per cui abbandonò immediatamente l'idea, assieme alla borsa, ossia sul pavimento dell'ingresso. Decidendo invece di concedersi una lunga e calda doccia, sperando che questa le rimettesse un po' in ordine le idee. Cosa che, purtroppo, non riuscì a fare. 
La sua testa, in quel momento, vagava in un posto troppo lontano per far sì che dei pensieri logici potessero raggiungerla e, solo quando si abbandonò sul letto, stremata, le parole di Jaime tornarono a riecheggiarle nel cranio. L'orologio digitale segnava le 19:18. 
Aveva mai provato a combatterli, i suoi incubi? 
Forse un tempo, quando aveva ancora lo spavaldo coraggio di una bambina che credeva nelle fate, nei draghi e nel principe azzurro che accorre a salvare la dama in difficoltà ma lei, ormai, non era più una bambina e sapeva che la vita non andava così. Le fate non esistevano, così come i draghi ed, ancora meno, il principe che avrebbe potuto salvarla. Perché quello era il mondo reale ed, in quel mondo, ognuno doveva imparare a sopravvivere con i propri mezzi di fortuna e chi non ci riusciva si ritrovava solo ed allontano ma al tempo stesso, ancora abbastanza vicino, così da poter essere schernito e deriso. 
Si strinse al cuscino ed, alla fine, seppur a malincuore, si addormentò. 


Il luogo era sempre lo stesso. Alti e fitti alberi la circondavano in una claustrofobica gabbia nera. Stavolta, però, c'era qualcosa di nuovo. Tra la fitta vegetazione, parve aprirsi un piccolo sentiero che senza pensarci troppo, si ritrovò a seguire, con la sola speranza che l'essere che la stava braccando non la seguisse anche su quella nuova via. Ma quello era il suo regno, ogni piccolo dettaglio era “lui” a decidere se potesse accadere o meno. L'unica cosa, su cui sembrava non avere controllo era la sua volontà, era lei che, nella sua gabbia, decideva dove fuggire. Come una cavia da laboratorio. 
Alla fine del sentiero, giunse ad una radura dove, al centro esatto, stava un letto di legno, completamente sfatto ed abbandonato nel mezzo del nulla. Anche quello era nuovo e, per una volta, la curiosità la stuzzicò, spingendola ad avvicinarsi quando dei tentacoli fuoriuscirono dalle ombre, avvolgendole le gambe e risalendole come dei serpenti sino alla vita e su, ancora più su. Scarlett si preparò, la massa informe arrivò ad avvolgerle il capo, oscurandole la vista. 
E cadde! 


Un freddo improvviso la costrinse a destarsi. Gli occhi semi chiusi dal sonno ed il braccio sinistro, messo sotto il cuscino, si era addormentato. Volse un' occhiata alla finestra, trovandola chiusa. Ma allora da dove proveniva quel freddo? 
Si mise a sedere, passando una mano tra i capelli, lo faceva sempre quando si svegliava ed era nervosa -praticamente sempre- le piaceva la sensazione che le davano i suoi capelli, quando le accarezzavano le dita, e quando il suo sguardo sfuggì, per caso, ai piedi del letto, dovette trattenersi dal cacciare un urlo di terrore, spingendosi con la schiena contro la spalliera del letto. 
Perché lì, proprio davanti a lei, si ergeva un ombra, nera più del buio stesso, nella quale aleggiavano due luci ambrate. 
Tentò, quasi immediatamente, di accendere la lampada sul comodino al suo fianco ma -CLICK- non si accese. 
CLICK. Presa da panico, continuò a premere l'interruttore con la vana speranza che questo decidesse, dopo i suoi mille tentativi, di tornare funzionante -CLICK CLICK CLICK CLICK. Ma non successe niente. 
Volse un'occhiata alla porta, in quel momento le parve così distante che scappare le sembrò del tutto fuori questione, totalmente convinta che, se avesse anche solo allungato un piede verso il pavimento, l'ombra si sarebbe scaraventata su di lei in un batter d'occhio. Decise quindi di restare ferma e non tentare la fortuna che, sapeva, non stravedeva per lei. Almeno sino a quel momento l'ombra non aveva accennato alcun movimento, perché correre il rischio? 
Si spinse con ancora più forza contro la parete, sperando quasi che essa la inghiottisse, facendo respiri profondi nel tentativo di mantenere la calma. 
“Due volte in un giorno, non va bene, non va affatto bene”. 
L'ombra continuò a non far nulla, restando a fissarla con i suoi occhi gialli. 
“Magari è solo un gioco di ombre, causato dalle luci mandate dai lampioni in strada!” Cercò di convincersi. 
Poco sotto gli occhi sospesi, allora, si andò a disegnare una mezzaluna, irta di aguzzi denti bianchi, il che bastò a convincerla che non si trattasse di un'illusione. 
:-Ti prego basta. Lasciami in pace- supplicò -Ma cosa vuoi da me?-. Chiese poi, esasperata, spezzando il silenzio notturno. 
Lo sai” 
Ma cosa? Cosa avrebbe dovuto sapere lei? 
:-Io non so nulla! Non so chi tu sia o cosa tu voglia e nemmeno mi interessa! Voglio solo che mi lasci stare! -. Nemmeno si accorse di stare gridando, graffiandosi la gola, mentre le lacrime le rigavano le guance. 
Devi combatterli!” Quelle parole le tornarono in mente all'improvviso e deglutendo a fatica, si allungò verso l'ombra protendendosi con la mano tremante, laddove i suoi occhi vedevano la massa scura ergersi. 
Doveva sentire e capire se fosse reale o no. C'era quasi. 
La luce si accese all'improvviso, abbagliandole gli occhi, che si trovò costretta a socchiudere, scoprendo che, dinanzi a lei, non c'era più nulla. Solo la porta del suo armadio, semi aperta. 
O forse non c'era mai stato niente? 
:-Che cosa?-. 
:- Scarlett?!? -. 
Rabbrividì volgendosi verso sua madre, in piedi sulla soglia della porta mentre si copriva le labbra con le mani, per la preoccupazione. 
:-Santo cielo, cos'è successo? Ti ho sentita urlare!-. 
Non seppe cosa risponderle, non aveva raccontato nulla a Jamie, figuriamoci se avesse potuto dire a sua madre che delle ombre la perseguitavano, inseguendola sino a scuola e parlandole, addirittura. Certo non avrebbe potuto inventarsi molto, nelle condizioni in cui era. 
Gli occhi di sua madre la scrutavano con attenzione, in attesa di una risposta, la guardava come...come.. 
“Come se fossi pazza” Pensò tristemente Scarlett. 
:-Ho avuto solamente un incubo e mi sono spaventata-. Disse infine, abbassando lo sguardo per evitare gli occhi della donna. Non voleva vederlo. Non voleva e non poteva credere di essere ritornata a quel punto, di nuovo. 
:-E ora è tutto a posto?-. 
Il suo tono preoccupato, seppur dolce e gentile, non faceva che aumentare in Scarlett la paura per ciò che sarebbe potuto scaturire da tutti quegli eventi. 
Annuì infine, annegando nell'ennesima menzogna e si risistemò nel suo letto, continuando ad evitare lo sguardo di sua madre. 
La donna quindi si avvicinò, sedendole accanto ed accarezzandole i capelli con le sue dita affusolate. 
:-Li preferivo come erano prima, sai?-. Le sussurrò dolcemente senza ricevere alcuna risposta ma, comunque, se lo aspettava, sapeva che sua figlia non amava toccare troppo l'argomento. 
Nemmeno quando l'aveva già trovata così, al rientro dal lavoro, chiedendole il perché di quel gesto avventato, si era sbilanciata troppo. Semplicemente le aveva risposto d'aver bisogno di un po' di “luce” nella sua vita e, per buttarla sul ridere, aveva aggiunto di spaventarsi da sola, quando si guardava allo specchio, credendosi uno spettro uscito da quegli horror giapponesi. 
:-Cerca di dormire amore mio. Fai sogni d'oro-. 
Scarlett chiuse gli occhi, di nuovo sull'orlo delle lacrime, stanca di dover mentire alla ricerca di un bene migliore che non riusciva a trovare in nessun modo. 
:-Ok mamma. Buonanotte-. 
La donna andò via, chiudendosi la porta alle spalle. 
L'oscurità si impadronì nuovamente nella stanza ma stavolta Scarlett non riaprì gli occhi, cominciando a contare fino a 10, proprio come insegnavano ai bambini per scacciare la paura del buio, costringendosi al suo sonno tormentato ed ora reso peggiore da un Incubo ancora più potente e pericoloso: la realtà. 


 

* * * * 



Sandman, avvolto nel suo solito silenzio, aveva assistito a tutta la scena al di fuori della stanza. 
Non c'era tempo da perdere. 
Si precipitò via, allarmato, sulla sua nuvola di sogni. Doveva sbrigarsi ed avvertire North e tutti gli altri Guardiani dell'imminente pericolo. 
Non sapeva esattamente come, ne quando sarebbe successo -l'istinto gli diceva molto presto- ma qualcosa di oscuro e potente era pronto a tornare. 
Solo di una cosa era certo: stavolta non sarebbe stato affatto facile, fermarlo. 

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Capitolo 5
*** Perdere il controllo ***


Capitolo IV
Perdere il controllo




Tutto.
Stava andando tutto a rotoli.
Oramai ogni certezza era andata a sbriciolarsi e non sapeva più a cosa, o a chi, rivolgersi.
Per la prima volta desiderò di stare dormendo, di trovarsi in uno dei suoi incubi ma non era così. Questa volta era la realtà che doveva trovarsi ad affrontare e non avrebbe smesso di inseguirla, senza tregua, sino a quando lei non fosse crollata esausta.
Ed era proprio lì che si trovava, al punto di rottura che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.
Due semplici, piccoli, colpi di grazia erano bastati a far crollare il suo fragile castello di carta.
Il primo le era stato inferto quella stessa mattina, giusto pochi attimi prima di uscire per dirigersi a quell'inferno chiamato “scuola”, quella mattina in cui la sveglia aveva deciso di funzionare, facendola alzare prima del previsto.
Scarlett aveva appena ricevuto un SMS da Jaime, il quale le diceva che non sarebbe venuto a scuola quel giorno perché a letto col raffreddore. Sul punto di uscire di casa la ragazza si era fermata di colpo, ascoltando sua madre conversare con qualcuno al telefono, nella cucina.
Solitamente non era da lei origliare anzi, spesso e volentieri era incline a farsi gli affari propri, un po' per rispetto, un po' per totale disinteresse, però quella mattina la curiosità volle punzecchiare il suo interesse, spingendola a poggiare l'orecchio contro la porta di legno.
:-Sì, lo so. Erano anni che non la vedevo più in uno stato del genere ma.. - sospirò -..non lo so, questa notte mi è sembrato di sentirla parlare con qualcuno nella sua camera ma, quando sono entrata, non c'era nessuno-.
Il suo cuore prese a battere celermente, ed iniziò a chiedersi se avesse fatto bene a non farsi gli affari proprio come sempre. Scarlett sapeva perfettamente chi si trovava dall'altro lato della cornetta.
:-Va bene, certo. Gliene parlerò. Buona giornata dottore, a presto-.
La sentì riagganciare e sospirare. Poteva benissimo immaginarla, attraverso la porta, mentre stanca si poggiava con la schiena ai fornelli, spostando i capelli dietro le orecchie per poi coprirsi le tempie con la mano e pensare, troppo stanca per affrontare tutto da sola, di sopportare tutto quel peso su quelle piccole spalle.
Ma Scarlett, non fu in grado di pensare a lei, in quel momento.
Parlare di cosa? Di riprendere quella terapia che le avrebbe reso, come in passato, il cervello un ammasso di poltiglia? No, non lo avrebbe affrontato, non in quel momento perlomeno, non era pronta ad affrontare l'argomento. Forse al suo ritorno da scuola ma in quel momento aveva solo bisogno di uscire al più presto da lì, prima che sua madre si accorgesse che era sveglia o, ancor peggio, avesse sentito tutto.
Corse quindi all'ingresso ed uscì di casa non appena sentì sua madre avvicinarsi alla porta della cucina, tuffandosi nel vialetto e raggiungendo marciapiede per dirigersi a scuola.
E fu lì che le arrivò il colpo definitivo.
Si trovava nel mezzo di una lezione di biologia, piegata sul banco a leggere qualcosa sul sistema nervoso ed i disturbi della memoria, quando sentì la porta aprirsi senza che nessuno avesse precedentemente bussato, ma a lei non interessò e continuò a stare col capo chino cercando di mantenere la concentrazione sullo studio, tutto pur di non pensare al resto. Non le interessava minimamente quale dei suoi tanti sciocchi coetanei stesse per finire sotto le ire del professore.
Poi la voce di una donna pronunciò il suo nome. Lo pronunciò a voce alta, troppo alta.
La cosa avvenne talmente di getto, talmente all'improvviso che una buona fetta dei suoi compagni di classe si volse velocemente a guardarla, ognuno col proprio bel paio di occhi incuriositi.
Scarlett rimase pietrificata: tutti quegli sguardi puntati su di lei. Non le piacquero per niente ed ancora meno le piacque scoprire chi fosse la persona che l'aveva chiamata interrompendo la lezione: la donna all'ingresso dell'aula era la stessa che l'aveva vista vaneggiare, ed infine scappare, il giorno precedente.
Questa, non appena ebbe l'attenzione della ragazza, allungò l'indice facendole segno di seguirla fuori dalla classe. Il professore, seppur scocciato, acconsentì alla richiesta della donna, borbottando qualcosa mentre annotava sul registro la sua uscita dalla classe.
Scarlett si alzò lentamente, quasi come un automa guasto, portando con se la cartella e, tentando di fare i minor rumore possibile, sfilò a capo chino dinanzi a tutta la classe.
:-Hai visto?-. Sentì sussurrare a qualcuno.
:-Te lo avevo detto o no che non aveva tutte le rotelle a posto?-. Disse qualcun altro.
Ed eccolo lì. Ciò che aveva sempre temuto si stava avverando sotto i suoi occhi e lei non poteva fare assolutamente nulla per impedirlo.
Quando si trovarono entrambe nel corridoio, la donna ancora non disse nulla, le fece solamente un altro cenno del capo per farle intendere che avrebbe dovuto seguirla. E così fece, camminando in silenzio dietro la docente che le sfilava elegantemente davanti nel suo tailleur nero e scuotendo di tanto in tanto i lisci capelli ramati che le arrivavano alle spalle e che si interrompevano in una perfetta linea dritta. Talmente perfetta da sembrare una parrucca. I suoi tacchi invece ticchettavano rumorosamente echeggiando nei corridoi, nel silenzio delle ore di lezione.
Percorsa una parte del corridoio, svoltarono a sinistra percorrendone per intero un altro e fermandosi solo quando ne raggiunsero il fondo, dinanzi ad una porta che la donna aprì, invitando Scarlett ad entrare con un ampio gesto del braccio.
Scarlett esitò, osservando la targhetta dorata sulla porta dello studio, identificandone l'utilizzo: Consulente scolastico.
Prendendo un respiro profondo e deglutendo a fatica, entrò mantenendo il capo chino, ostinandosi a non guardare la donna in viso. Solo quando si ritrovò nella stanza alzò appena lo sguardo, controllando velocemente l'ambiente. Si trovava in una stanza quadrata e piuttosto piccola, quasi claustrofobica a dirla tutta. Dinanzi ad una finestra piuttosto alta e stretta c'era una scrivania di legno scuro -Scarlett non fu in grado di identificare di quale tipo di legno si trattasse ma, per quanto la riguardava, poteva anche trattarsi di semplice metallo rivestito- i pochi oggetti che erano distribuiti sulla sua superficie piana: alcune penne, matite, degli evidenziatori e qualche registro; erano posizionati in un ordine che le parve quasi maniacale. Un paio di cassettiere metalliche si trovavano sul muro a sinistra mentre alcuni riconoscimenti erano appesi in semplici cornici sulla parete di destra, dove poggiava un lato della scrivania.
:-Siediti!-. Il tono autoritario con cui le si rivolse non piacque per niente alla ragazza ma, non potendo fare altrimenti, si sedette. La donna fece lo stesso, sedendosi di fronte a lei sulla sedia girevole nera, poggiando i gomiti alla scrivania ed incrociando le mani sotto il mento :-Credo tu sappia perché ti ho fatta venire qui, vero Scarlett?-. Scandì il suo nome in modo strano, le parve quasi canzonatorio, come quello di un cacciatore che riesce a mettere finalmente le mani su di una preda che gli è a lungo sfuggita. Scarlett scacciò quel pensiero, sforzandosi di non farci caso, ed annuì semplicemente.
:-Sei spaventata?-.
A quella domanda, Scarlett alzò la testa di scatto e finalmente trovò la forza di guardarla dritta negli occhi, scoprendoli verdi. Ma non di un bel verde primaverile come erano soliti averli molte persone con i capelli rossi, si trattava più di un verde sporco, piuttosto sbiadito e slavato.
Quanto avrebbe voluto urlarle in faccia tutta la verità che si contorceva da anni nel suo stomaco, pregandola di uscire allo scoperto. Fiumi e fiumi di verità oscurate da menzogne servite a darle un senso di apparente sicurezza ma che, a conti fatti, la stavano trascinando sempre di più sul fondo del baratro. Voleva così tanto dirle che era stanca di portare quell'assurdo fardello che sentiva gravare pesantemente al centro del petto e che nessuno era ancora stato in grado di capire, così da aiutarla ad affrontarlo.
Io potrei..”
Staccò istantaneamente il contatto visivo con gli occhi della donna, chiudendo gli occhi e ricacciando, nei meandri della sua mente, quella malefica voce che voleva emergere a tutti i costi.
“No, non ora” Volle rimproverarsi mentre cercava di elaborare l'ennesima bugia che sarebbe fuoriuscita dalle sue labbra.
:-No-. Decise di rispondere infine e, a dirla tutta, volle convincersi di non aver mentito, non ancora almeno. Difatti lei non era semplicemente spaventata, era totalmente terrorizzata. Ed era un grado completamente diverso della paura, il terrore. Era qualcosa di più oscuro, più potente. Il terrore, al di là del semplice spavento, era in grado di incatenarti e di non lasciarti più andare. Riuscendo a manipolarti e renderti una marionetta nelle sua mani. Ed era proprio così che stavano andando le cose, per lei. Un burattino nelle mani del Terrore.
:-E allora dimmi, Scarlett- davvero non capiva perché mettesse tanta enfasi nel pronunciare il suo nome- perché ieri sera sei scappata via? Non ho fatto altro che chiederti cosa ti fosse successo, avevi uno sguardo stravolto, come se avessi appena visto un fantasma mia cara-. Le parole che usava fluivano gentili dalle sue labbra ma il suo tono parlava tutta un'altra lingua, questo non faceva altro che rendergliela ancora più fastidiosa.
Scarlett si strinse nelle spalle cercando le parole giuste da usare :-Non saprei a dire il vero sono molto stanca negli ultimi tempi. Sa gli esami, le interrogazioni. L'ultimo anno si sta rivelando più stressante di quel che credevo e ieri- fece una pausa, ripensando a ciò che le era successo il giorno precedente -...ieri ho avuto un piccolo crollo ma non deve preoccuparsi, sto bene-. Alzò nuovamente lo sguardo, stavolta di poco, cercando di scrutare discretamente quello della consulente. Si chiese se avesse abboccato ma, quando quella si mise a ridacchiare, comprese che questa pesca sarebbe stata più dura del previsto.
:-Per favore- le sorrise quella -Scarlett non arrancare banali scuse con me. Se faccio questo lavoro ed ho un ufficio qui ci sarà pure un motivo, non credi anche tu?-.
“Sì- pensò Scarlett, mordendosi il labbro inferiore per trattenersi dal non esternare i propri pensieri ad alta voce -hai svoltato male all'incrocio che ti avrebbe portata nel paese dove vengono mandati in molti”
Era sempre più infastidita da quella donna e non sapeva spiegarsi bene il perché. Eppure, nonostante i suoi fastidiosi modi saccenti, sembrava realmente interessata nel volerla aiutare, in fin dei conti, non era certo colpa sua se si era ritrovata a vederla vaneggiare nel bel mezzo di un corridoio. Era totalmente normale, in quanto consulente scolastica, che si preoccupasse per una studente. No? Eppure c'era qualcosa nei suoi occhi che non riusciva a mandare giù: un misto di superiorità mista ad una punta di cattiveria.
:-Mi duole dirlo ma ci sono molti ragazzi con i tuoi stessi problemi, in questa scuola-.
Come lei? Scarlett socchiuse appena gli occhi :-Non capisco-.
La consulente si alzò, scuotendo il capo e, continuando a ridacchiare, si diede una spinta sulla sedia che la spinse in direzione della cassettiera più vicina, dove iniziò a rovistare, aprendo diversi cassetti, alla ricerca di qualcosa :-Ti prego non fare la spaesata con me, credo che il miglior modo di risolvere un problema, di qualsiasi tipo, sia quello di andare dritti al nocciolo della questione. Quindi, se vuoi fare dei progressi, ed io ci terrei molto, ho bisogno della tua totale collaborazione-.
Progressi? Ma di cosa diamine stava parlando? Come poteva sapere di cosa avesse bisogno se nemmeno degli psichiatri erano stati in grado di aiutarla? E ne aveva conosciuti parecchi, negli anni. Ognuno col suo approccio, chi diretto, chi meno, chi pro farmaci, chi no ed alla fine nessuno era mai dimostrato in grado di rimettere a posto la sua testa.
La donna esclamò vittoriosa quando trovò quello che cercava, porgendole quindi alcuni dépliant. Scarlett allungò timidamente una mano e ne prese uno e, quando ne lesse il contenuto, desiderò ardentemente di sparire, di essere cancellata, annullata, annientata. Eccolo lì, il colpo di grazia.
Quei dépliant raffiguravano alcune comunità, adibite per il recupero di adolescenti, vittime della tossicodipendenza.
La droga è la speranza di chi speranza non ne ha più. - La droga prende tutto e non dà nulla. Questi erano i ridicoli slogan, impressi a caratteri cubitali, sopra delle foto di ragazzi sull'orlo del precipizio, affiancate a quelle di ragazzi, post rehab, dai sorrisi più falsi che avesse mai visto.
A questo punto non seppe più cosa fosse meglio oppure peggio; se ridere o piangere; passare per drogata o per schizofrenica?
:-Ci deve essere stato un errore, deve credermi-. Disse infine, tentando di mantenere la calma, terribilmente mal celata dal tremolio della sua voce.
La donna continuò a ridacchiarle in faccia :-Mia cara, faccio questo lavoro da un po' di anni, so riconoscere determinati segnali-. Disse mimando delle virgolette con le dita alla parola segnali.
Ormai era ufficiale: la odiava.
Ripose il dépliant sulla scrivania, così da restituirli alla sua mittente :-Non ho mai fatto uso di droghe o alcolici e, se proprio vogliamo essere precisi, signora- marcò esageratamente l'ultima parola -il massimo della mia dipendenza può essere sfociato in un'astinenza da zuccheri-.
La consulente si mise a braccia conserte, squadrandola dall'alto al basso con un'aria di sufficienza dipinta su quel viso che Scarlett avrebbe preso volentieri a schiaffi :-Bene, visto che vuoi fare la difficile, ed anche la spiritosa, spiegami: a cosa avrei assistito ieri pomeriggio?-.
La giovane scattò improvvisamene in piedi, tenendo le mani fortemente serrate in due pugni lungo i fianchi, mentre la rabbia nel suo petto era sul punto di esplodere :-NON sono affari suoi!-. Le urlò contro, stupendosi di se stessa e di quale punto avesse appena raggiungo: stava realmente perdendo il controllo? Non le era mai capitato, in vita sua, di perdere le staffe. Non così e non davanti a qualcuno, perlomeno.
La donna, in un primo momento, si spinse indietro con la schiena, forse spaventata dalla reazione della ragazza, ma cercò comunque di non darlo a vedere.
:-Tipico-. Sentenziò infine convinta, ora più che mai, delle proprie ragioni e lei non aveva fatto altro che alimentarle.
Scarlett si coprì il viso con le mani, il respiro aveva cominciato a farsi pesante e la testa iniziò vorticarle vertiginosamente mentre gli occhi le si inumidirono ma stavolta non per tristezza o rassegnazione, ma per la rabbia che stava cercando disperatamente di contenere.
Cosa poteva fare, giunta ad un simile punto?
Quella donna continuava a parlare, ma lei già non la stava ascoltando più, presa dal panico più totale. Non aveva alcun modo di dimostrare il contrario di ciò che la stava accusando, certo se non ammettendo di avere un altro problema; il quale l'avrebbe portata dal grado di tossicodipendente a quello di schizofrenica.
Poteva andare peggio?
Trovami”
Che domande...
Trovami. E potrai avere la certezza che tutto questo avrà finalmente fine”.
:-Come faccio?-.
Chiese infine ad alta voce, interrompendo così la consulente che la guardò allibita mentre la osservava conversare, apparentemente, da sola.
In un altro momento, probabilmente, non avrebbe ceduto in quel modo. In un altro momento, probabilmente, avrebbe continuato ad ignorare la voce, come era sempre stata solita fare ma, in quel momento, la sua mente stava andando in frantumi e -sì- non le importava assolutamente nulla se la donna stesse assistendo a quella pietosa scena.
I segni”.
E quindi svanì, lasciandola con la solita misera manciata di informazioni.
:-Ragazza mia, l'uso di quelle sostanze deve averti fritto il cervello!-.
Ma questa volta, quei pochi dettagli parvero risvegliare in lei qualcosa, l'immagine di un luogo che già conosceva ed aveva visto, da qualche parte.
Scarlett volse una veloce occhiata alla donna, che le rivolse uno sguardo di falsa apprensione. Parlare con lei si era rivelato inutile, avesse cercato di spiegarsi non avrebbe concluso nulla. Le sua parole sarebbero entrate da un orecchio per uscire dall'altro, perché lei non voleva sentire altra voce che la sua. Consulente un beneamato corno.
Doveva pensare ed agire in fretta.
Sua madre sarebbe venuta a sapere di lì a poco cosa stava accadendo, la sua vita sarebbe collassata toccando il fondo, forse scavando ancora più giù, in un abisso nero pece che le avrebbe impedito qualsiasi possibilità di ritorno.
Tutti eventi che non avrebbe avuto alcun modo di fermare.
A meno che...
:- Credo proprio che tu debba sederti-…cosa avrebbe avuto da perdere nel tentare? Almeno una volta.
Vai. Vai. Vai. Vai!
Sì, l'avrebbe fatto. Si convinse perdendo completamente cognizione di cosa fosse il controllo. Però non avrebbe lasciato quello studio spoglio prima di essersi tolta giusto una piccola soddisfazione.
:-Ma se ne vada all'inferno!-. Urlò lanciando gli stupidi dépliant della consulente in aria, facendoglieli ricadere addosso mentre quella urlava. In men che non si dica era già fuori dalla scuola, dribblando velocemente la sicurezza per gettarsi a perdifiato nelle strade, ricoperte dal manto autunnale, di Burgess.
La gente la vide correre per le vie della cittadina, guardando con curiosità quella ragazza che sarebbe dovuta essere a scuola ma che, per chissà quale motivo, correva come se stesse fuggendo da qualcosa.
Forse aveva solo anticipato la sua condanna ma almeno avrebbe potuto dirsi di aver provato, smettendo così che gli eventi continuassero a scorrerle addosso come aveva sempre fatto, sino a quel momento. Doveva scoprire se la sua non era altro che semplice follia oppure una verità talmente assurda da non essere riuscita a realizzarla per tutto quel tempo..
I segni, le aveva detto. Non era certa ma, forse i segni indicavano un luogo che aveva già visto, da qualche parte.
Per questo motivo si diresse verso il bosco che si trovava nelle vicinanze, quello a cui i bambini era vietato entrare, e dove gli adulti si tenevano volentieri alla larga, a causa di un laghetto che nascondeva parecchie insidie, specialmente quando in inverno andava a creare quella sottile lastra di ghiaccio dove i piccoli credevano di poter andare a pattinare, per poi trasformandosi in una trappola mortale e -ahimè- erano parecchi i bimbi incappati in quella trappola.
Scarlett non seppe cosa cercare di preciso, vagò solamente tra gli alberi spogli, alla ricerca di un segno, un qualsiasi segno che le facesse capire che non si era sbagliata, che non aveva mandato la sua vita in frantumi per una semplice illusione della sua mente distorta.
Cercò, scrutò, scavò ed addirittura tentò di arrampicarsi su di un albero nel tentativo di vedere meglio. Andò avanti così per un bel po' e fu proprio allora, quando aveva ormai iniziato a perdere completamente la speranza, che lo vide.
Un letto. O per meglio dire lo scheletro di quello che un tempo doveva essere un letto: una semplice struttura in legno, mezzo distrutta, dal nero che sfumava in alcuni punti si sarebbe potuta dire bruciata. Il legno era scheggiato, solo sfiorarlo le sarebbe costato una corsa al pronto soccorso con le mani ricoperte di schegge.
Era quello il segno che cercava. Il letto che le era apparso in sogno quella notte. Come poteva trattarsi di una mera coincidenza? Non era mai stata lì prima d'ora.
Le sue mani tremarono, stava finalmente per scoprire chi, o cosa, l'avesse voluta lì, in quel posto. O almeno lo sperò.
Si avvicinò, con passo incerto, il cuore martellava fremente nel suo petto, sul punto di esplodere, completamente incapace di sopportare oltre quella snervante attesa. E pensare che era sempre stato lì, a pochi passi da casa sua.
Ebbene, era lì, dinanzi i resti di un letto abbandonato nel bel mezzo di un boschetto. Cos'altro avrebbe dovuto fare?
Cominciò a girarci intorno, osservando ogni minimo dettaglio di quel fascio di legna secca.
Solo per puro caso il suo sguardo scivolò tra le doghe, trovando nel bel mezzo del terreno, una buca troppo grande per trattarsi della semplice tana di un coniglio. Allungando il collo, cercò di vedere meglio ma le stecche, seppur sfasciate, le impedivano di avvicinarsi. L'unica soluzione che trovò plausibile fu quella di spostarlo.
Quindi, pregando affinché l'antitetanica facesse il suo dovere, si coprì le mani con le maniche della felpa, così da evitare le schegge, ed iniziò a spingerlo.
Diamine!
Era solamente un ammasso di legna secca, eppure pesava quanto un macigno. Forse le radici degli alberi che vi crescevano intorno si erano attorcigliate attorno alle gambe del letto? Era l'unica spiegazione che le parve plausibile e che riuscì ad elaborare in quel momento.
Dovette ritentare un paio di volte prima che questo cominciasse a cedere, spostandosi lentamente, molto lentamente, per poi sfasciarsi in un mucchio di legna.
Dalla buca le parve di sentir risalire un gorgoglio, quindi si chinò ed allungò il capo, così da poter indagare meglio: era talmente nera e profonda da non riuscire a vedere nulla al suo interno ma, di certo, non si sarebbe mai sognata di allungare nemmeno un dito, là dentro.
Trascorsero secondi che divennero alcuni minuti ma nulla successe in quegli attimi.
:-Ho mandato tutto a monte per niente-. Mormorò atona, abbandonando il capo e gli arti alla forza di gravità. Così tanta fatica e... :- E' stato tutto inutile-.
Era finita.
“Game over, Scarlett. Hai perso la partita” Pensò, arrendendosi all'idea che sarebbe dovuta tornare a casa ed affrontare la realtà dei fatti. Aveva bisogno di aiuto.
Fu allora che il gorgoglio, che aveva sentito pochi istanti prima provenire dall'interno della buca, iniziò a farsi sempre più intenso, risalendo su, sempre più su. Scarlett, alquanto sconcertata, quasi si ritrovò sul punto di tornare a guardarvi dentro ma, all'improvviso, una massa nera ed informe ne fuoriuscì, svettando come lava che erutta verso il cielo ed espandendosi a perdita d'occhio tutto attorno a lei come una nebbia nera, dalla consistenza fitta e sabbiosa, che ingoiò tutto quello che la circondava, iniziando poi a vorticarle attorno, scompigliandole i corti capelli.
Era spaventata ma, per la prima volta, volle illudersi che tutti gli eventi si stessero finalmente dirigendo verso la parola “fine” o, meglio ancora, “lieto fine”.
:-Brava ragazza-.
Quella voce...era quella la voce che aveva sempre popolato la sua mente ed i suoi incubi ma questa era la prima volta che riuscì a sentirla al di fuori della propria testa. Il suo cuore ricominciò con quell'assurda tachicardia ma non ci fece granché caso perché, in tutta quella follia, si sentì di esultare. Iniziò a scrutare attentamente tutto attorno se mentre il forte vento, provocato dal vortice di sabbia nera, le rendeva difficile il solo stare in piedi.
:-Dove sei?-. Urlò, ricercando disperatamente la presenza che possedeva quella voce.
Continuò a guardarsi intorno, girandosi e rigirandosi su se stessa ma, oltre alla nebbia nera, non vide altro.
Ad un tratto una forte ondata la spinse facendole perdere l'equilibrio, rivoltandola dalla parte opposta a cui stava guardando. Sicuramente sarebbe caduta se non avesse trovato un appiglio.
Alzò quindi gli occhi, sbarrandoli e lasciando repentinamente la presa dalla veste nera a cui si era afferrata.
Fu proprio in quel momento che un uomo, che non era esattamente un uomo o, per lo meno, non aveva mai visto un essere umano con un simile aspetto, fuoriuscì dalle tenebre che li circondavano.
Era alto, incredibilmente più alto di lei, forse un metro e ottanta se non di più, la pelle era di cenere e corti capelli nero pece tirati all'indietro evidenziavano i tratti marcati di un viso evidentemente non umano. Gli occhi, quelli li conosceva bene: due perfetti ovali dalle iridi dorate riflesse d'arancio, si posavano su di lei in uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Le labbra sottili dell'uomo si allargarono nello stesso sorriso malvagio che le aveva rivolto la notte precedente, scoprendo i bianchi denti appuntiti, anche quelli già visti ma comunque in grado di spaventarla come la sera precedente.
Scarlett indietreggiò tremando ma lui si affrettò ad afferrarle i polsi con le fredde mani affusolate, stringendoglieli talmente forte da farle male.
Un gemito di dolore fuoriuscì dalle labbra della ragazza mentre questi la strattonava verso di se con forza.
:-Dove pensi di andare Scarlett?- le chiese divertito -Il tuo incubo è appena cominciato-.

 

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Capitolo 6
*** Verità che feriscono (e confondono) ***


Capitolo V
Verità che feriscono (e confondono)



 
Scarlett si agitò allontanandosi, così da scrollarsi dalle spalle quella stretta che le stava facendo male.
:-Chi sei?-. Chiese con un filo di voce tremante all'uomo alto.
:-Ma come? Vorresti dire che ora non mi riconosci? Eppure tu ed io ci conosciamo da dieci anni ormai, Scarlett-. Le rispose lui con stampata in volto la più falsa delle incredulità, burlandosi di lei mentre le rivolgeva la mezzaluna del suo sorriso. Infine, senza attendere una sua risposta, le diede le spalle allontanandosi da lei, allargando teatralmente le braccia per sgranchirsi la schiena.
Al seguito di un crick ed un crack del suo collo, esclamò con entusiasmo un sonoro :-FINALMENTE!- scoppiando poi a ridere col capo rivolto verso il cielo –Non ne potevo più di starmene rintanato, laggiù, sotto i letti! Non puoi neanche immaginarti la puzza dei calzini. I tuoi poi -cielo!- non parliamone nemmeno. Cos'è che tieni nascosto sotto quel letto? Una decina di cadaveri per caso?-.
Scarlett non gli rispose, anche perché in quel momento non avrebbe proprio saputo come controbattere, il pensiero di quella creatura, nascosta sotto al suo letto per la bellezza di dieci anni, la fece rabbrividire e inoltre non credeva che l'uomo attendesse una sua reale risposta a quella provocazione. Quindi rimase perplessa a fissarlo, tenendo attentamente d'occhio anche il suo più piccolo movimento. Evidente era, più che mai, l'ondata di stupore che l'aveva appena travolta. Stava realmente facendo una grandissima fatica nel riuscire a realizzare che quell'uomo, nulla più di un completo svitato, altri non era che la causa scatenante di buona parte dei principali problemi della sua vita che, per tutti quegli anni, era stata il pari di un girone infernale.
Quante domande iniziarono a vorticare nella sua testa! Quante cose avrebbe voluto sapere, in quel momento. Al partire da chi fosse, esattamente, quella bizzarra creatura dalle fattezze umane, da dove venisse, quale era il suo scopo ma, alla fine, le sue labbra decisero che sono una domanda aveva essenziale bisogno di essere pronunciata in quel momento.
:-Perché?-. Chiese quindi, senza aggiungere nient'altro, alzando un po' la voce così da sovrastare la risata dell'uomo, così da riuscire ad avere la sua attenzione. Lui, continuando a darle le spalle, volse appena il capo per guardarla di sbieco, mostrandole il marcato profilo del suo viso che rivelò un naso quasi impossibile da descrivere: quasi aquilino ma con la linea del setto nasale perfettamente in pari con quella della fronte.
:-Oh ma è semplice-. Rispose lui continuando a sorriderle spavaldo e, come in uno dei migliori spettacoli di illusioni, la sua intera figura svanì risucchiata nel terreno, divenendo una macchia nera ed informe che scivolò rapidamente tra le foglie secche per raggiungere i piedi di Scarlett in un battere di ciglia, riemergendo infine con lo stesso identico aspetto di prima, piazzandole il viso spigoloso e scavato ad un palmo dal naso.
Scarlett odiò con tutta se stessa quel contatto così ravvicinato ma, contrastando il suo enorme desiderio di indietreggiare, decise di restare immobile al suo posto, fronteggiando l'uomo e fissandolo dritto negli occhi.
L'indice appuntito si lui andò a posarsi sul suo petto, proprio dove le batteva il cuore, ora vittima di una dolorosa tachicardia :-Voglio solamente questo-.
La risposta era chiara e concisa. Eppure lei continuava a non comprendere. Voleva il suo cuore? E per quale motivo? Iniziando a preoccuparsi ancora di più della piega che stava prendendo la situazione, gli rimandò un'occhiata perplessa, inarcando esageratamente il sopracciglio destro.
:-Vorresti il mio cuore? Cosa saresti, una specie di trafficante di organi per lupi mannari, vampiri e compagnia bella?-.
Ed eccolo lì, strano che non avesse fatto la sua apparizione già da qualche minuto. Il suo pessimo senso dell'umorismo aveva la particolare dote di presentarsi nei momenti meno opportuni, un po' come i compiti in classe a sorpresa. Anche se, a dirla tutta, la possibilità che quella domanda potesse avere un fondo di verità iniziò a spaventarla.
“Fa almeno che non brillino” pensò.
L'uomo agitò il grigio indice, proprio davanti al piccolo naso della ragazza, scuotendolo al rintoccò della sua lingua che schioccava.
:-No, non direi- le rispose ridacchiando- Vedi, non è proprio il tuo cuore ad essere nei miei interessi, mi spiace deluderti dolce fanciulla, quello di cui ho bisogno è solo quel che il tuo piccolo organo palpitante contiene. Nulla di più, è semplice no?-. Terminò la frase e le sorrise malignamente.
Bene, perfetto. Tutto apposto allora, no? Beh...no. Perché lei continuava a non capire. Cosa poteva mai rendere il suo cuore tanto speciale? Cosa poteva contenere se non sangue pulsante come quello di qualsiasi altra persona?
:-Perché proprio il mio cuore? Cos'ha di tanto speciale?-. Domando infine, sperando di ricevere finalmente una risposta definitiva ma, tutto quello che ottenne fu una forte, denigratoria e fragorosa risata. Scarlett si sentì parecchio a disagio, era davvero una domanda così sciocca da scatenare un simile sollazzo nel suo interlocutore? Abbassò quindi il capo, come era sempre stata solita fare nelle situazioni che le creavano imbarazzo, e si strinse nelle proprie braccia, spostando il terreno con la punta della scarpa.
:-Oh ma quanta tenerezza! Ovviamente hai sempre creduto di essere speciale, non è così? Perché a te sennò? Giusto? Deve sicuramente esserti riservato un ruolo importante in tutto questo casino che è stata la tua vita, è questo che ti racconti, no?-. Scarlett non poteva credere a ciò che le sue orecchie udirono. Di come l'uomo si stesse prendendo gioco di lei, sbattendole in faccia, senza alcun remore, tutte le bugie a cui si era disperatamente aggrappata in quegli anni. Riducendo quella sua piccola speranza in carta straccia, tra una risata ed un'altra.
:-Se proprio ci tieni a saperlo, è stato solo un caso- continuò a spiegare lui con estrema noncuranza -Avevo bisogno di un qualsiasi moccioso da utilizzare come possibile garanzia e...eccoti qua. Sei stata solo la prima bambina che mi è capitata tra le mani, congratulazioni!-. E scoppiò nuovamente a ridere, portando le mani contro il petto, quasi non fosse capace di riuscire a contenere tutto il divertimento. A Scarlett venne spontaneo chiedersi se ciò lo divertisse veramente a tal punto o se, molto più probabilmente, lo facesse solo per ferirla.
Tuttavia, iniziò a credere realmente di essere abbastanza stupida, visto che davvero non riusciva ancora a comprendere di cosa stesse esattamente parlando. Garanzia? Per cosa?
Ma ormai, a quel punto, iniziò a non importarle più.
Perché quelle parole riuscirono a ferirla più di mille frecce scagliate contro di lei nello stesso istante, sebbene si trovasse nel bel mezzo di una radura sentiva le sue spalle messe al muro. Costretta a far fronte ad una realtà che si stava rivelando ben peggiore di ciò che aveva sempre immaginato.
Sì, perché quell'uomo le stava tranquillamente spiegando, senza crearsi il minimo problema peraltro, che la sua vita era crollata nel fondo dell'abisso, con un biglietto di sola andata, senza una valida ragione, e se ne stava assumendo tutto il merito con evidente fierezza.
:-Quindi è tutto qui? Non c'è nient'altro. Tutto quel che ho passato, ogni tormento subito, gli incubi e le notti insonni, è stato solamente un caso e, la causa di tutto, sei tu?-.
:-Modestamente-. Sghignazzò lui senza scomporsi, quasi meritasse un premio per tutto questo, magari sperava pure che lei lo ringraziasse stringendogli calorosamente la mano?
La rabbia iniziò nuovamente a ribollirle nelle vene, l'umiliazione che stava subendo bruciò così tanto che credetti di stare per trasformarsi in una nuova versione della Torcia Umana.
Si sentiva così stupida, si era lasciata trascinare dagli eventi da non accorgersi della sciocchezza a cui era corsa incontro a braccia aperte. Il suo desiderio di trovare un senso, una volta per tutte l'aveva resa cieca. Ritrovandosi solamente più confusa di prima, ancora più senza speranza di prima. Gli occhi iniziarono a pizzicarle, cercò con tutta se stessa di non crollare ma una lacrima sfuggì comunque al suo controllo, scivolando lungo la sua guancia per l'indignazione subita.
:-Cosa fai ora? Piangi? Suvvia Scarlett, come potevi davvero credere di essere tanto speciale? Eppure ti guardi allo specchio ogni giorno, controllando ossessivamente quella ricrescita che ti fa tanto timore. Non sei nient'altro che una banale ragazzina spaventata. Se non fosse per me, ovviamente-. Rise ancora più forte.
“Se non fosse per lui?” pensò sbigottita “SE NON FOSSE PER LUI?”
Ormai non era più nemmeno arrabbiata. No, quello era uno stato che ora era andato ad evolversi in qualcosa di più forte, primitivo e potente: l'ira. Un'ira cieca prese il sopravvento su di lei, togliendole il completo controllo delle proprie azioni che, col senno di poi, non avrebbe compiuto tanto avventatamente.
Qualcosa di molto simile ad una scarica elettrica le attraversò la schiena. Si chinò per prendere uno dei tanti fasci di legno provenienti dai resti del letto che si era sfasciato poco prima davanti ai suoi occhi. Lo afferrò saldamente e a mani nude, senza curarsi delle schegge. Non le importò del dolore, a quello avrebbe potuto pensare più tardi, al momento non sentiva altro che il proprio sangue ribollire mentre inquadrava il suo obiettivo, decisa nel portarlo a termine ad ogni costo. Uno ad uno. Avrebbe spaccato uno ad uno i denti di quel brutto muso sghignazzante.
:-Brutto figlio di put... -. E così via con una lunga e fantasiosa lista di improperi che si susseguirono l'uno all'altro -i quali sarebbe meglio non elencare, fidatevi- mentre Scarlett scattava verso di lui, agitando alla cieca la stecca di legno, pronta a colpirlo.
L'uomo, colto alla sprovvista, riuscì a schivare il primo colpo solo all'ultimo istante, schivando il primo fendente scivolando lateralmente sulla sua ombra.
Le sue labbra iniziarono a muoversi freneticamente, sicuramente stava cercando di dirle qualcosa, magari blaterava qualche scusa che avrebbe dovuto farla ragionare, mentre lei si scagliava ripetutamente addosso, ma Scarlett non udì una sola parola fuoriuscire dalle labbra sottili dell'uomo e, tanto meno, era interessata a sapere cosa volesse dirle, o a fermarsi per ascoltare. Anzi, l'espressione di paura che si era dipinta sul lungo volto grigio di quello strano essere, le diede la prima grande soddisfazione di quella lunga giornata. Quindi anche lui, nonostante le apparenti spoglie sopranaturali, temeva il dolore fisico. Chissà quanto sarebbe stato ancor più appagante vedere quel viso cinereo tumefatto e sanguinante.
E questo solo grazie a lei.
Purtroppo ogni colpo che si susseguì all'altro finì con l'andare a vuoto ma ormai c'era vicina. Non sarebbe potuto sfuggire ancora a lungo alla sua ira e, quando l'uomo si ritrovò con la schiena poggiata contro il tronco di un albero, sul viso di Scarlett che si dipinse un oscuro ghigno che distorse completamente i delicati lineamenti del suo viso.
Lo avrebbe colpito, sì, ancora ed ancora, e dopo avrebbe goduto nel vederlo contorcersi a terra dal dolore. Proprio come lui aveva tratto piacere nel vederla disperarsi per tutti quegli anni.
“Occhio per occhio” pensò la ragazza, roteando velocemente la doga, ormai non sarebbe potuto sfuggirle.
Fu proprio in quell'ultimo istante, in cui l'uomo si ritrovò non propriamente pronto ad affrontare la sua dura lezione, che un'idea parve illuminare il suo sguardo dorato. Allungò repentinamente la mano avanti a se, aprendola: nel giro di pochi secondi una manciata delle tenebre che li stavano circondando raggiunse il palmo della sua mano, radunandosi su di esso ed ammassandosi più e più volte, dando forma ad un agglomerato di oscurità della grandezza di un pugno e, a quel punto, lo strinse con forza nel proprio pugno.
Scarlett si fermò, come paralizzata, la doga scivolò dalle sue mani, cadendo silenziosamente sul manto di foglie secche. Infine cadde anche lei sulle proprie ginocchia, portando le mani contro il petto.
Non aveva idea di come fosse possibile, ma sentiva il suo cuore venire stritolato in una saldissima morsa che la lasciò boccheggiante, rendendole impossibile persino urlare per il dolore. Si accasciò sul terreno, rovinando su di un fianco e contorcendosi dal dolore.
:-Affascinante non trovi?-. Le chiese l'uomo, avvicinandosi a lei ed osservando il suo pugno chiuso lungo cui scorrevano delle ombre liquide che scivolarono lungo la sua nera veste, confondendosi con tutto il resto.
Era lui l'artefice di tutto. Era lui che stava stritolando il suo cuore, stringendolo con forza nel suo pugno.
Quando la raggiunse si chinò su di lei, sul viso non tardò ad apparire nuovamente quel maledetto sorriso compiaciuto.
:-Devo ammetterlo, ragazzina, sei riuscita a sorprendermi. Non mi aspettavo di vederti tirar fuori gli artigli ma sai come si dice...- il suo pugno finalmente si aprì e la massa nera che occupava il suo palmo si dissolse nell'aria, così come il dolore che svanì istantaneamente dal petto della ragazza-...il gioco è bello quando dura poco. Per cui ora, da brava, stai ferma e rendimi ciò che è mio di diritto-.
Mentre parlava le si era messo cavalcioni sullo sterno, posando la mano aperta all'altezza del suo seno.
:-Questo farà un po' male-. Ridacchiò.
Ed aveva ragione.
Il cuore iniziò dapprima a pulsarle piano ma, in poco tempo, le pulsazioni aumentarono, sfociando di lì a poco in una terribile tachicardia. Il suo battito divenne sovrumano ed il muscolo iniziò col contorcersi nei più dolorosi spasmi che il suo corpo avesse mai provato, trasformando ogni secondo successivo nel più insopportabile e doloroso momento della sua vita.
Dunque era giunta la fine. Beh, non era di certo non quello l'epilogo che aveva sperato. Avrebbe voluto avere la forza di lottare ma, a quel punto, non aveva possibilità di fare nulla. Avesse anche avuto la forza di opporsi, non sarebbe comunque riuscita a schiodarsi dal terreno, con l'uomo che la sovrastava, schiacciandola con tutto il suo peso.
Un vortice nero e denso iniziò a fuoriuscire dal suo petto.
Tremò, spaventata.
Non voleva morire così, con tutti quei rimpianti. Senza essere mai stata in grado di apprezzare un attimo di felicità, senza avere nemmeno il vago ricordo di cosa fosse un sogno, o averne mai realizzato uno. E sua madre...non avrebbe più avuto la possibilità di dimostrarle che non c'era nulla di sbagliato in lei. Ed il suo sorriso, non avrebbe più avuto occasione di rivederlo.
I pensieri iniziarono lentamente a perdere un senso, i sensi vennero a mancare. Era inutile continuare a disperarsi, ormai, era finita.
O forse non ancora?
Seppure la vista le si fosse in parte annebbiata, fu ugualmente in grado di vedere la scia di luce che apparve dinanzi ai suoi occhi, una scia fatta di sabbia dorata che andò ad interporsi tra lei e l'uomo, il quale si allontanò repentinamente con un balzo all'indietro, prendendo le distanze da quella fulgida luce.
Scarlett riprese nuovamente a respirare, i sensi tornarono stabili ed i suoi battiti si regolarizzarono. Era ancora viva.
Qualcosa, o qualcuno, era corso in suo aiuto.
Ci mise qualche secondo per riuscire a focalizzare, mentre risaliva dalle tenebre in cui era quasi annegata, e quando lo fece si ritrovò dinanzi lo spettacolo più sorprendente e meraviglioso a cui i suoi occhi avessero mai avuto il piacere di assistere.
Delle figure, cinque per l'esattezza, si stagliavano dinanzi a lei, così da creare un muro che avrebbe impedito all'uomo in nero di avvicinarsi a lei ancora una volta.
Al centro della schiera vi era un omone grande e massiccio, avvolto in una giacca rossa, piuttosto larga e, apparentemente, molto calda. Aveva lunghi capelli di un bianco candido coperti da un copricapo di pelliccia nera. Nelle grandi mani, inguantate di nero, teneva strette due scimitarre.
Alla sua destra seguivano un basso ometto dalla corporatura tondeggiante, la sua pelle era chiarissima tanto che le sue luminose vesti dorate riuscivano a farla splendere. Al suo fianco vi era una longilinea figura femminile dotata di splendide ali semi trasparenti, la luce del sole che filtrava attraverso di esse rimandava dei tenui riflessi rosati che a Scarlett sembrarono simili a quelli delle vetrate di una chiesa. Questa si volse verso la ragazza e le sorrise, mostrando il proprio viso pallido e dei graziosi occhi viola contornati da lunghe ciglia color magenta, le fece un piccolo cenno della mano, indicandole il terreno, così da farle intendere che sarebbe dovuta restare ferma dove si trovava. Il corpo della creatura alata era completamente rivestito di piume, se fatta eccezione per il viso e e le piccole mani, i cui colori sfumavano dal giallo sul petto e la testa, al verde lungo le braccia ed il busto, terminando in un intenso blu lungo le estremità.
Sembrava l'incrocio tra una donna ed un colibrì.
L'attenzione di Scarlett ora si spostò alla sinistra del grande uomo in rosso, dove incontro altre due figure piuttosto peculiare: il primo, seppur all'apparenza potesse non sembrare una creatura assurda quanto le precedenti, era un ragzzo albino dai bianchi e corti capelli. Nonostante il freddo i suoi piedi erano scalzi e, per questo, arrossati. Indossava solamente una felpa blu con cappuccio e dei larghi calzoni marroncini a pinocchietto, la sua pelle chiarissima risplendeva pallida alla luce del sole e poggiava tutto il suo peso su di un alto bastone ricurvo, la cui venature erano attraversate da luccicanti fili argentati.
L'ultima figura, invece, fu quella parve coglierla più di sorpresa, poiché si rivelò essere quella di un enorme coniglio, così alto da essere secondo in altezza solo all'uomo nel centro e dal folto e grigio manto, maculato di un grigio più scuro in strane forme tribali, La cinghia di una fondina lo attraversava all'altezza dello sterno, la quale serviva come fodero per due boomerang che in quel momento teneva stretti nelle zampe. Gli avambracci delle zampe anteriori erano avvolti da due alti bracciali di pelle, adornati da pietruzze multicolori.
No, non poteva aver mai assistito a qualcosa di simile in vita sua, nemmeno i suoi incubi, per quanto assurdi, erano mai arrivati a tanto.
:-Come non immaginare che ci avreste messo il muso voi cinque-.
Sbraitò l'uomo, Scarlett riuscì a vederlo appena, attraverso le figure che si erano posizionate a mo' di scudo per proteggerla, mentre puntava l'indice ossuto contro di loro.
:-Sparisci Pitch e, forse, non daremo a te lezione che meriti questa volta-. Tuonò l'omone avvolto nel cappotto rosso, per Scarlett fu impossibile non notare il suo spiccato accento russo.
:-Sodo al dritto come al solito North- rise Pitch, chinandosi platealmente –vedi, quella ragazza possiede qualcosa che è di mia proprietà. Io non sto facendo altro che riscuotere il debito con tutti gli interessi. Quindi pregherei voi fenomeni da baraccone, di farvi da parte-.
:-Non lo ripeteremo Pitch- Intervenne il coniglio gigante, puntando un boomerang contro il petto dell'uomo, il quale indietreggiò, portando le mani avanti -Vattene-. Gli disse quello a denti stretti.
:-Uuh! Quanta violenza- scherzò Pitch senza scomporsi, nonostante l'evidente inferiorità numerica -E va bene, va bene. Per questa volta lascerò correre, nonostante tutto ho atteso per dieci anni questo momento, qualche giorno di attesa non potrà far altro che rendere ancor più gustosa la vittoria che mi attende-. L'uomo schioccò le dita e dalle tenebre apparve un nero destriero che trottò fieramente al fianco del suo padrone, il quale accarezzò la criniera sabbiosa dell'animale prima di issarsi sulla sua groppa.
:-Vogliate perdonarmi ma per il momento sono costretto a salutarvi, dei preparativi mi attendono. Recitate pure la vostra inutile parte se vi aggrada ma, questa volta, non vi basterà qualche banale trucchetto per contrastarmi-.
Tirò quindi le redini ed il cavallo si impennò, iniziando a trottare in cerchio un paio di volte attorno al gruppo per poi lanciarsi contro il muro di tenebre dove si dissolse lasciando dietro di se nient'altro che la sua lugubre risata e la nebbia nera, che già aveva iniziato a diradarsi, svanì come se non fosse mai esistita.
I Guardiani sembrarono tirare un sospiro di sollievo, potendo dedicarsi finalmente alla ragazza, rimasta ad osservarli a terra per tutto quel tempo. I suoi grandi occhi neri erano increduli e le sue labbra serrate dalle emozioni contrastanti che stava provando.
La prima a farsi avanti fu la fata, Dentolina, che le volò vicino posandosi leggiadra sulle proprie ginocchia per poggiarle delicata la piccola mano su di una guancia :-Tranquilla tesoro, ci siamo noi ora. E' tutto a posto? Ti ha fatto del male?-. Aveva un tono gentile e premuroso ma Scarlett non avrebbe saputo nemmeno pronunciare il suo nome, in quello stato. Non era nemmeno più tanto sicura di ricordarselo, a dirla tutta.
Poi il rumore di un sacchettino di monete che veniva lievemente scosso giunse al suo orecchio sinistro, il che la costrinse a voltarsi, trovandosi faccia a faccia con l'omino dorato. Sandman, ovviamente non pronunciò parola, le prese semplicemente una mano, così da stringerla ed accarezzandola tra le sue cercando di rassicurarla.
:-Ragazzi non statele addosso. Lasciatela respirare-. Li rimproverò il ragazzo dalla felpa blu che Scarlett notò, solo in quel momento, essere ricoperta di un leggero stato di brina, ed i suoi occhi erano del colore del ghiaccio più freddo. Di chi altri poteva trattarsi se non di Jack Frost?
:-Non vedete che è sconvolta? -.
La ragazza continuava a seguirli conversare, spostando lo sguardo da una parte all'altra, allibita ed ammutolita, mentre tentavano di trovare un modo di farla rinsavire dal suo stato di shock che la stava momentaneamente rendendo muta.
:-Diamole sorso di Vodka-. Propose North con convinzione, scatenando un forte dissenso da parte degli altri, i quali gli rivolsero un'occhiataccia :-Stavo solo dicendo-. Si scusò infine, grattandosi il capo.
:-Intanto aiutiamola rimettersi in piedi-. Esclamò Calmoniglio, ossia il coniglio gigante. La creatura che, sino a quel momento, aveva maggiormente colpito la ragazza per via del suo aspetto, avanzando verso di lei con passo deciso.
Allora successe una cosa alquanto strana e curiosa.
Non appena la creatura si chinò su di lei, per aiutarla ad alzarsi, la ragazza parve riprendersi improvvisamente dal proprio torpore...cominciando ad urlare.
Calmoniglio, ritrovandosi un udito particolarmente sviluppato, si trovò costretto ad abbassare repentinamente le lunghe orecchie, spaventato dalle grida che la ragazza continuava a lanciare ad ogni suo passo e, più il poverino tentava di dirle qualcosa o chiederle cosa avesse fatto per farla spaventare a quel modo, più quella aumentava le sue grida, indietreggiando e scalciando per sfuggire alla sua presa
Infine, forse un po' per la carenza di sonno, forse perché ormai priva delle forze che Pitch le aveva sottratto pochi minuti prima, crollò nuovamente a terra, perdendo definitivamente i sensi.
I Guardiani le si avvicinarono cautamente, scambiandosi sguardi colmi di domande e chiedendosi cosa potesse averle scatenato una simile reazione in lei non appena Calmoniglio si era fatto avanti, cercando solamente di aiutarla oltretutto.
Come avrebbero potuto anche solo immaginare che Scarlett avesse il terrore dei conigli?

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Capitolo 7
*** Elfi cleptomani e slitte truccate ***


Capitolo VI

Elfi cleptomani e slitte truccate





:-Cercate di farmi capire...-. Furono le parole che Scarlett pronunciò forse per la quindicesima volta. Tra le mani, bendate con cura da Dentolina, stringeva una tazza piena di cioccolata fredda. Circa un'ora prima la bevanda era stata dir poco bollente ma per la ragazza la voglia di berla si era dimostrata piuttosto scarsa, nonostante emanasse un allettante profumo speziato.
:-...voi sareste i cosiddetti “Guardiani dell'Infanzia”, giusto? Rispettivamente- ed andò ad indicarli uno ad uno, partendo da North – Santa Clause, la Fata del Dentino, Sandman, Jack Frost e...e... - balbettò imbarazzata e le sue guance arrossirono -..il coniglietto di Pasqua?-.
:-Coniglio, prego-. Mormorò Calmoniglio poggiandosi con la schiena contro una delle colonne presenti nello studio, incrociando contro il petto le zampe pelose.
Come aprì bocca, Scarlett sobbalzò versando buona parte della sua densa bevanda sul grande tappeto rosso e dorato che adornava la stanza, volgendosi poi con sguardo dispiaciuto verso North, il quale la rassicurò scuotendo appena la grande mano e mostrandole un ampio e rassicurante sorriso.
:-Sì, il Coniglio di Pasqua-. Si corresse quindi la ragazza, chinando il capo ed iniziando a fissare il vuoto dinanzi a lei. Assorta all'improvviso da ben altri pensieri.
Loro, i Guardiani, avevano tentato di tranquillizzarla, spiegandole che Calmoniglio, lo Spirito delle feste pasquali, non le avrebbe di certo mai torto un capello. Non era che lei non gli credesse ma, se già nella vita di tutti i giorni, aveva le sue difficoltà nello star vicino ad un qualsiasi, soffice ed “innocuo” coniglietto, figurarsi come sarebbe mai potuta riuscire ad abituarsi alla presenza di un coniglio alto due metri o quasi. Armato, per di più.
Scosse il capo, cercando di tornare a pensare al suo problema principale.
:-E l'uomo nel bosco, invece, era...-.
:-Pitch Black, l'Uomo Nero-. La interruppe Calmoniglio, ricevendo subito in cambio uno scappellotto sulla nuca da parte di North, mentre Scarlett ormai versava il rimanente contenuto della tazza dopo l'ennesimo sobbalzo.
Quanto poteva sembrare sciocca, aver timore di un coniglio.
:-Okay è tutto così assurdo che, sì, posso anche crederci- iniziò a dire, cercando di dimenticarsi che un coniglio mutante si trovava a pochi passi da lei -Dopo tutto quel che ho visto oggi alla fine di cosa dovrei mai stupirmi? Inoltre, mi sento fin troppo sveglia per credere di stare sognando o almeno voglio credere che sia così-. Esclamò Scarlett indicando la sala in cui si trovavano: uno studio con una grande scrivania al centro, adorno di giochi incantati che riempivano gli scaffali e sculture in ghiaccio che si animavano al semplice comando di North. Quelle piccole sculture erano la prima cosa che l'omone le aveva fieramente mostrato quando l'aveva accompagnata nel suo studio, dopo che avesse ripreso i sensi ovviamente, senza nemmeno curarsi di spiegarle dove si trovasse. In quel momento si sarebbe sicuramente ritrovata ancora ad osservare, in un lungo ed imbarazzato silenzio, tutti quei curiosi giocattoli e nuovi prototipi di ogni tipo se non fosse intervenuta Dentolina, la quale l'aveva fatta sedere sulla sedia dove ora si trovava e le aveva pacatamente spiegato, per ben quindici volte, chi loro fossero e cosa fosse effettivamente successo. A quanto pare la fata sembrava averla presa sotto la sua ala. Scarlett sorrise fra se e se, pensando a quel suo sciocco gioco di parole.
Il suo sguardo sfuggì distrattamente su di un piccolo gruppetto di elfi che di tanto in tanto faceva capolino, con la loro testolina adorna di cappello a punta, dalla porta. Le piccole creature la adocchiarono con vivo interesse. Forse non erano abituati a ricevere visite di ospiti umani, in quel luogo.
:-Quindi- continuò a dire cercando di non perdere il filo del discorso -le cose sono due: o sono completamente impazzita ed in questo momento sto probabilmente parlando con un muro in qualche istituto psichiatrico o, forse, tutto questo è reale come sembra e..-. Si interruppe un istante, portando la mano sul petto mentre chiudeva gli occhi, stringendoli forte. Era sempre così, quando anche la più piccola speranza iniziava ad insinuarsi dentro di lei, il suo cuore la rigettava, facendole tremare le membra, lasciandole nient'altro che la paura di fallire.
:-Quel che vorrei esattamente, in questo momento- si affrettò a cambiare discorso -è capire cosa questo Pitch Black abbia messo dentro il mio cuore. Anche se credo di essermi già fatta una mezza idea, a giudicare dal suo aspetto e la sua ben conosciuta nomea. Ed anche sapere perché, se eravate a conoscenza di tutto, avete deciso di intervenire solo ora? Non avreste potuto comunicare con me, avvisarmi in qualche modo? Farmi sapere che tutto quel che ho visto e che mi è capitato non è stato solo frutto di una malattia mentale. Avrebbe potuto cambiare molte cose..-.
Dentolina le volò subito vicino, stingendole delicatamente le spalle con un braccio ed accarezzandole i capelli. Scarlett glielo lasciò fare e chiuse gli occhi, beandosi di quelle carezze per alcuni istanti. La fata le piaceva, sembrava una di quelle bambole che molti bambini desiderano: bella, dal viso dolce e colorata. Forse anche troppo colorata.
:-Vedi tesoro, so che può essere difficile da capire per te in questo momento, ma non fraintendere le nostre intenzioni. Anche se non ci siamo mai mostrati direttamente a te, come in questo momento, abbiamo sempre avuto al cuore il tuo bene- si volse quindi verso il piccolo omino dorato, indicandolo col palmo della mano aperto -Sandman, in particolare, ti è sempre stato accanto in questi dieci anni. È venuto a farti visita ogni notte, sperando di riuscire a donarti anche solo un sogno ma, purtroppo, quel che Pitch ha fatto al tuo cuore è sempre stato un enigma per noi. Ci ha letteralmente messo con le spalle al muro per tutto questo tempo. È dura per noi ammetterlo ma ci ha reso incapaci di aiutarti come avremmo altrimenti fatto per qualsiasi altro bambino. Ed intervenire, irrompendo improvvisamente nella tua vita con il rischio di sconvolgerla più del dovuto, non avendo alcun un aiuto concreto da offrirti, non ci è mai sembrata una buona idea. Non sino ad oggi, almeno-.
Scarlett alzò lo sguardo sulla fata, i suoi occhi viola erano così belli che avrebbe potuto fissarli per ore :-Quindi, se ho capito bene, è questo il motivo per cui non ho più nemmeno il vago ricordo di un sogno? Quest'oscurità che mi ha lasciato dentro, ha annullato l'effetto che i vostri poteri hanno su qualsiasi bambino. E' così, vero?-.
Sandman, in piedi ad un paio di passi da lei, annuì velocemente e sulla sua testa dorata iniziarono a vorticare diverse immagini, talmente veloci e confuse che la ragazza non riuscì a coglierne nemmeno una :-Mi dispiace- si scusò subito lei, dispiaciuta -ma io proprio non riesco a capire cosa stai cercando di dirmi-.
:-Quello che Sandman sta cercando di dire te– intervenne North, chinandosi per posare una mano sulla spalla del suo piccolo amico -è di aver provato con sua Sabbia, per migliorare tuoi sogni, per anni ma adesso finalmente sappiamo perché di questo insuccesso: oscurità in tuo cuore è molto salda perché ha germogliato in esso per anni e...- il suo viso barbuto si rabbuiò -...quando buio si annida e ramifica dentro cuore, è difficile da sradicare via-.
Scarlett rimase momentaneamente immobile, continuando a fissare quel tappeto di cui ormai conosceva tutta l'intelaiatura :-Questo però continua a non spiegare il motivo per cui voi non siate mai intervenuti nella mia vita, se non dopo avermela fatta buttare completamente a gambe all'aria. Non avevate la soluzione, ok questa non è certo una vostra colpa ma almeno avreste potuto avvisarmi in qualche modo. Mostrarvi come avete fatto oggi, spiegarmi la situazione. Non volevate incasinare la mia vita più di quanto non lo fosse già? Guardate come è andata e ditemi se peggio di così può andare. Avete la benché minima idea di quello che ho passato ogni giorno, tutti questi anni, senza sapere cosa ci fosse di tanto sbagliato in me?-.
L'imbarazzo era palpabile tra i Guardiani. Solo Frost, che sembrò non essere particolarmente colpito, piantò con noncuranza il suo bastone ricurvo a terra e ci si appoggiò con tutto il suo peso, come era suo solito fare :-Non abbiamo deciso di spuntare fuori solo ora- disse lui marcando di parecchio le parole da lui pronunciate -La situazione ce lo ha impedito se non fino a questo momento a dir poco critico. E poi, ad essere onesti, non sei mai stata sola, c'è sempre stato Jaime con te. Inoltre, non so se hai ascoltato bene quello che stiamo cercando di spiegarti ma, come ha detto Dentolina, Sandman è da dieci anni che cer...-.
:-Come scusa? Cosa c'entra Jaime in tutto questo?-. Domandò Scarlett ora di nuovo confusa.
Dentolina si sbrigò ad intervenire, frapponendosi tra Scarlett e Jack, lanciando uno sguardo di fuoco a quest'ultimo, prima di rivolgersi alla ragazza :-Sì Jamie, tesoro. Noi lo conosciamo da parecchio tempo, è lui che ha sempre cercato di vegliare su di te, laddove noi non abbiamo potuto-.
Scarlett iniziò a scuotere velocemente la testa, magari scuotendosi le idee sarebbero tornate a posto :-Perché non me ne ha mai parlato?-. Mormorò infine, sconsolata e di nuovo confusa.
:-Oh ma lui l'ha fatto, quando eravate piccoli- si intromise nuovamente lo Spirito dell'Inverno -ma tu eri già stata contaminata dall'oscurità di Pitch, e non sei riuscita a dare peso alle sue parole. Ricordi? Anzi, a tal proposito, come sta? -.
:- Influenzato- rispose subito e freddamente Scarlett, cercando di chiudere quanto più celermente possibile l'argomento “salute di Jaime”.
:-Ora, scusatemi la franchezza..- si alzò quindi, trattenendo a stento una risata di nervosismo, posando la tazza vuota sulla sedia dietro di se -...io non vorrei criticare o mettermi a spiegarvi cosa dovrebbe fare un Guardiano dell'Infanzia, anche perché non avevo neanche la vaga idea che ne esistessero sino ad ora, ma non credo di sbagliare se vi dico che forse avete sbagliato qualcosa nel vostro lavoro. Perché, davvero, io mi chiedo come abbiate potuto credere che Jaime, un normalissimo ragazzo, allora un bambino, potesse essermi di aiuto contro una non identificata maledizione lanciatami da un tizio conosciuto come Uomo Nero. Con tutti gli strabilianti poteri di cui sarete sicuramente in possesso? No no...mi dispiace dirlo ma avete sbagliato tutto. Già. Nulla contro Jamie, questo è chiaro, sebbene continua sfuggirmi come vi siate conosciuti...ma non è questo il punto!
Il fulcro della questione è che sareste potuti intervenire prima! Adesso chi volete crederà alle mie parole? Cosa dovrei raccontare a mia madre... “Oh mamma, non ti preoccupare da oggi non avrai più una figlia schizofrenica, è tutto sistemato. Pitch, il Re degli Incubi, ha tormentato per anni i miei sogni per farsi tirare fuori da una buca scavata sotto un letto abbandonato nel boschetto dietro casa. No ma tu stai tranquilla! Santa Clause & Co. Sono riusciti a portarmi in salvo ed ora stiamo studiando un piano per far sì che questo svitato se ne ritorni nella sua buca” Certo, sono sicura che tutti crederanno a questa mia versione dei fatti. Specialmente per non farmi fuggire, MENTRE TENTANO DI METTERMI LA CAMICIA DI FORZA! -. Pronunciò le ultime parole urlando e stringendo con forza i pugni lungo i fianchi. Aveva preso a fare avanti ed indietro per l'intero studio, gesticolando con le mani sotto lo sguardo perplesso dei presenti. Si stupì di se stessa. Non aveva mai perduto le staffe in vita sua, adesso invece era giunta a tre sfuriate, di cui una sfociata in un tentato omicidio, nel giro di un solo giorno.
:-Ci dispiace- disse infine North, mortificato, tenendo il capo chino e giocherellando con un piccolo scalpello tra le proprie mani -ma vedi, una di nostre regole è di non mostrarci mai a bambini. Nel tuo caso forse avremmo potuto farlo ma abbiamo sempre creduto che questo avrebbe potuto mettere te in guai peggiori. Non potevamo sapere che sarebbe finita così-.
Sinceramente non aveva idea di cosa potesse essere peggio per loro ma le parole di Santa Clause riuscirono a placare la sua ira. La rabbia nei suoi occhi svanì ed il suo sguardo volle addolcirsi mentre si lasciava cadere nuovamente sulla sedia alle sue spalle. La tazza vuota era sparita, un elfo era arrivato quatto quatto mentre lei urlava e se l'era portata via. “Ecco svelato il motivo del loro interesse”, pensò Scarlett.
:-Non è da me perdere la pazienza in questo modo-. Mormorò infine fra se e se, volgendosi verso Sandman, il quale fra tutti sembrava avere il volto più crucciato degli altri. Scarlett aveva la vaga impressione di averlo già visto da qualche parte e, se davvero le cose stavano come dicevano loro, adesso aveva un'idea del perché. Una piacevole sensazione di calore andò a posarsi sulla sua guancia. :-Grazie Sandman. Non era mia intenzione offenderti, sono sicura che hai fatto del tuo meglio, sono io ad essere un disastro-. Scherzò ed il Guardiano dei Sogni le sorrise, lei ricambiò istintivamente e per un attimo si stupì di quel piccolo gesto spontaneo. Era da tanto tempo che non rivolgeva un sorriso sincero a qualcuno.
:-Cosa dovrei fare adesso?-. Si decise a chiedere, infine era quella la cosa che le premeva di più sapere.
I Guardiani si fissarono perplessi prima che Jack Frost prendesse parola :-Non siamo ancora sicuri sul da farsi, al momento stiamo improvvisando a dire il vero. Beh...lo abbiamo fatto per tutti questi anni e credo proprio tu te ne sia accorta eheh- mormorò imbarazzato mentre si grattava la nuca -Nel frattempo, comunque, pensiamo che non sia il caso di lasciarti tornare a casa, sempre che tu sia d'accordo. Saresti un facile bersaglio per Pitch e dobbiamo capire bene cos'ha in mente, prima di fare qualsiasi mossa. Capisci vero?-.
Scarlett annuì parzialmente consolata da quelle parole. Non era ancora pronta per tornare a casa ed affrontare il caos che probabilmente già si stava scatenando. Sua madre aveva probabilmente già ricevuto una chiamata da parte della scuola, costretta a staccare dal suo turno di lavoro per andarla a cercare...
:- Se posso dire la mia- intervenne Calmoniglio –dovremmo essere noi a fare la prima mossa. L'ultima volta abbiamo lasciato che fosse lui il primo ad agire. Beh..abbiamo visto come è andata a finire no? E, lasciatemelo dire signori, non ci tengo proprio a ripetere quel teatrino. Dobbiamo essere i primi ad attaccare, stanare quell'ombra strisciante e costringerlo a parlare!-.
Ad ogni parola del coniglio Scarlett desiderava diventare sempre più piccola, sfuggendo con lo sguardo al tanto affidabile tappeto. Così da non dover realizzare, ogni volta, di avere dinanzi un coniglio gigante.
:- Il cangur....ehm. Calmoniglio ha ragione. Questa volta dobbiamo impedire a Pitch di provocare altri danni-. Esclamò Frost, trattenendo a stento una risata e Scarlett non comprese esattamente il motivo, questo sino a quando il Coniglio di Pasqua non lanciò uno sguardo truce all'albino :-Scusa ghiacciolo, com'è che mi stavi chiamando? Prova a ripeterlo-. Il ragazzo volse lo sguardo altrove fischiettando e portando il bastone in spalla con fare spensierato:-Non ho la più vaga idea a cosa tu ti stia riferendo-.
:-Oh adesso te lo ricordo io-. Gli rispose Calmoniglio avvicinandosi a lui con fare minaccioso, fermato subito dalle grandi mani di North :-Suvvia ragazzi basta litigare per questa vecchia storia-. Li ammonì lui ma ovviamente il battibecco non si fermò lì, trasformandosi presto in una buffissima lite di inseguimenti e palle di neve tra il Guardiano della Speranza e quello del Divertimento per lo studio di North e poi per il resto della grande Fabbrica di Giocattoli.
Assistendo a quella scena, Scarlett parve percepire qualcosa smuoversi dentro di lei, percependo un lieve calore spargersi per tutto il suo petto. Le ricordò vagamente la sensazione che si prova quando si riceve un abbraccio inaspettato.
Sì perché in presenza di quei Guardiani, seppur uno di loro fosse un coniglio alieno gigante, si sentiva protetta. Si sentiva a casa. E questo, per lo meno, riuscì a convincerla di non stare sognando.
Quando le acque finalmente si calmarono, i Guardiani decisero di attuare il piano di Calmoniglio.
Di certo non gli ci volle molto per rintracciare Pitch, bastava una semplice occhiata sul grande Globo posto al centro del Polo Nord per vedere il vasto manto nero allargarsi a dismisura. In quel particolare momento l'Uomo Nero sembrava essersi concentrato sulla metropoli di New York.
In una città grande come quella stava sicuramente dando gran soddisfazione al suo appetito, rimasto a dieta per tutti quegli anni.
:-Con le buone o con le cattive-. Aveva esclamato Calmoniglio mentre uscivano dallo studio di North.
A Scarlett in realtà il Guardiano spirava una certa simpatia, solo che non poteva nulla contro il timore che gli incuteva il suo aspetto. Ciò che maggiormente la intristiva era non avere nulla per cui potersi giustificare di quell'insensata paura. Ci aveva pensato per parecchio tempo ma, nonostante si sforzasse, non vi era alcun ricordo che riuscisse a riportarla a questa paura infondata. Anche se, a onor del vero, erano molti i ricordi rimasti incastrati dietro un alto muro nero, solo pochi erano ancora presenti nella sua mente. Come quello della notte in cui suo padre se ne era andato di casa, abbandonando lei e sua madre.
Memorie che facevano male e che alimentavano il peso che gravava sul suo cuore.

:-Niente scuse Calmoniglio, noi andremo con Slitta-. Esclamò perentorio North, dinanzi al suo veicolo rosso fiammante con cui ogni notte di Natale volava sopra i tetti di tutto il mondo, consegnando doni ai bambini che se ne erano dimostrati degni.
Quando Scarlett la vide, rimase particolarmente colpita dal suo aspetto, completamente diverso da quello che lei, e tutti gli altri bambini nel mondo, aveva sempre immaginato visto illustrato nei libri di fiabe. Sì, era rossa, scintillante e trainata da delle renne ma la sua struttura aveva un qualcosa di più moderno, e nella parte anteriore dove sedeva North vi era una miniatura del globo dorato che aveva visto nel centro della Fabbrica di Giocattoli.
“ Una slitta da corsa” sorrise Scarlett tra se e se, osservandola meravigliata.
:-Potrei tranquillamente utilizzare le mie gallerie invece di rischiare che tu possa spezzarmi l'osso del collo su...su questo aggeggio infernale-. Sbraitò Calmoniglio cercando di disperatamente di sfuggire alla stretta di North mentre questi gli cingeva saldamente le spalle, ridendo sonoramente :-Suvvia non fare coniglio!-.
:-Ah-ah-ah...spiritoso-.
La prima a salire fu proprio Scarlett, alla quale tremavano le gambe dall'emozione, vero che aveva 18 anni, seppur compiuti da poco ma...diamine! Stava salendo sulla slitta di Santa Clause. Quanti bambini avrebbero potuto vantarsi di un tale privilegio?
Vicino a lei prese posto Sandman, il piccolo Guardiano le era stato accanto per tutto il tempo senza perderla d'occhio e, seppur fosse il più minuto tra i Guardiani, era proprio vicino a lui che si sentiva più al sicuro.
Dietro di loro invece presero posto Calmoniglio, Jack Frost e Dentolina, anche se lei non aveva esattamente bisogno di prendere posto in slitta, vista la capacità di volare.
Scarlett stentava a crederci, in vita sua non era mai stata al di fuori di Burgess ed ora non solo aveva appena finito di visitare il Polo Nord, guidata da North, il suo anfitrione, ma ora stava per partire in direzione di una delle metropoli più grandi del mondo, la città dalle mille luci che desiderava visitare da anni ormai.
Senza alcuna avvisaglia, North schioccò le redini ed il veicolo partì con un violento scossone, incanalandosi alla velocità della luce all'interno di un tunnel ghiacciato che si rivelò essere la pista di lancio che li avrebbe condotti fuori dalla Fabbrica. In un primo momento Scarlett sentì l'aria mancarle mentre afferrava istintivamente il bracciolo alla sua sinistra, affondandovi il viso. Sebbene non vi fosse mai salita, immaginò che quella dovesse essere la sensazione di quando si va sulle montagne russe e così un altro dettaglio che non avrebbe minimamente immaginato, si aggiunse alla lista dei miti da sfatare: Santa Clause era un vero e proprio pirata dei cieli.
La slitta correva ad una velocità tale che, se ci fossero stati dei limiti di velocità per slitte ed una patente per portarle, North avrebbe senza dubbio subito la sospensione della stessa.
Inizialmente tenne gli occhi chiusi con forza, timorosa innanzitutto all'idea di cadere ma alla fine la sua curiosità riuscì ad averla vinta, spingendola ad affacciarsi, seppur molto lentamente.
Sotto di loro si stendeva un'immensa distesa di neve e ghiacciai illuminati dalla luce del tramonto che sfumava il bianco paesaggio invernale dal rosato all'arancio per chilometri e chilometri.
:-E' fantastico-. Esclamò ad alta voce, inspirando a pieni polmoni l'aria fredda mentre i corti capelli le si scompigliavano a causa dal vento forte.
Sandman le bussò ad una spalla e quando ebbe la sua attenzione, puntò l'indice contro la sua chioma bionda, formando poi un punto interrogativo dorato sulla sua testa. Questa volta Scarlett comprese.
:-I capelli?- domandò lei, afferrando una ciocca e ruotandola distrattamente attorno al suo indice –Non so se riuscirei a spiegarmi bene, è la prima volta che spiego veramente questa cosa a qualcuno ma...lunghi mi facevano sentire osservata. Mi sentivo strana e così li ho tagliati e colorati, so che è strano ma in questo modo mi fanno sentire meno al centro dell'attenzione- fece un attimo una pausa, riflettendo sulle proprie parole -Detta così sembra proprio una cosa insensata-. Aggiunse rivolgendo un sorriso imbarazzato all'omino dei sogni, il quale la rassicuro con una piccola pacca sulla mano destra.
:-Direi che è alquanto difficile non notare quel giallo canarino- scherzò Frost dietro di lei, intromettendosi nella conversazione. Scarlett si ritrovò sul punto di ribattere ma lui glielo impedì -Fidati di me Scarlett. Essere ignorati, a lungo andare, non è per niente divertente-. Sentenziò infine incrociando le braccia contro il petto e guardando altrove.
Dal tono triste con cui il Guardiano aveva pronunciato quelle parole, Scarlett comprese che il ragazzo sapeva di cosa stava parlando, motivo per cui decise di restare in silenzio, lasciandolo alle sue ragioni.

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Capitolo 8
*** Sogni d'oro e nera realtà ***


 

Capitolo VII
Sogni d'oro e nera realtà.


 

Le luci di New York apparvero ai loro occhi come un sogno ad occhi aperti.
:-Wow!-. Mormorò Scarlett, il suo sguardo rapito dai meravigliosi bagliori che la giungla urbana emanava sotto di lei.
Di palazzi così grandi non credeva nemmeno ne esistessero. Alcuni grattacieli svettavano così in alto che la slitta doveva impennare quasi in verticale per riuscire a sollevarsi abbastanza, alle volte dovevano addirittura schivarli per evitare una dolorosa collisione.
Un rumore assordante alle loro spalle allarmò la ragazza che si volse di scatto. Quasi non le venne un colpo quando vide l'elicottero volare così vicino a loro e, il primo istinto, fu quello di ripararsi ma quando si accorse che la slitta gli volava tranquillamente accanto, senza che fosse partita alcuna sparatoria all'oggetto volante non identificato, come le era già capitato di vedere in noto film di Natale, si rilassò.
:-Non ci vedono?-. Domandò a North che volse un'occhiata distratta all'elicottero prima di tornare a concentrarsi alla guida della Slitta :-No. Slitta ha barriera che permette noi di essere invisibili-.
Scarlett tornò quindi a rivolgere la propria attenzione ai grattacieli, illuminati da luci dei più svariati colori, con gli occhi emozionati di una bambina, esclamando un “Wow!”entusiasta ogni qual volta qualcosa attirava la sua attenzione.
I Guardiani la osservarono in silenzio, sollevati di vedere in lei quell'entusiasmo che troppo le era mancato in tutti quegli anni di tormenti ed incubi.
Purtroppo per loro, il pensiero di non avere ancora qualcosa tra le mani che gli permettesse di aiutarla, gli impedendì di godersi pienamente quel momento di gioia.
:-Ma quella è Manhattan e...oddio non ci credo! La Statua della Libertà!-. Esclamò lei sporgendosi, forse un po' troppo oltre il parapetto, tant'è che Dentolina si allungò istintivamente verso di lei, pronta ad afferrarla da un momento all'altro.
:-Ti prego, potresti volare un po' più vicino?-. Implorò North con gli occhi lucidi dall'emozione. L'omone dal cuore tenero non se lo fece ripetere due volte, esaudendo la richiesta della ragazza in un battito di ciglia, tirando con forza le redini così da spingere le renne a far virare slitta al fianco dell'imponente monumento. Così vicino che Scarlett pote' allungarsi, sotto lo sguardo terrorizzato di Dentolina, rischiando di capitombolare per centinaia di metri se Sandman, anche lui vicino all'arresto cardiaco, non l'avesse afferrata saldamente per le caviglie mentre lei sfiorava la fredda guancia della statua con la sua candida mano.
“Vorrei che questo momento durasse in eterno” pensò lei con un sorriso.

Girarono New York a lungo ma di Pitch sembrò non esserci ancora alcuna traccia.
:-Dovremmo dividerci e cercarlo individualmente-. Fu la proposta esasperata di Frost, per il ridente Spirito dell'Inverno era pressoché impossibile restare troppo a lungo fermo senza far nulla, aveva bisogno dell'azione!
North decise di seguire il consiglio del ragazzo, lasciando atterrare la Slitta sul tetto di un edificio. Una volta parcheggiato il veicolo i Guardiani iniziarono a disporsi in due diverse pattuglie: North e Dentolina, Frost con Calmoniglio, avrebbero cercato l'Uomo Nero per conto proprio, mentre Sandman sarebbe rimasto con Scarlett nei pressi della Slitta, così da proteggerla nel caso di un eventuale offensiva di Pitch.
:-Ti teme parecchio non è vero?-. Chiese la ragazza al Guardiano dei Sogni una volta rimasti soli. Lui, per tutta risposta, annuì mostrando sulla testa l'immagine dell'Uomo Nero che veniva sbattuto ripetutamente a terra.
La ragazza riguardò volentieri l'animazione, sorridendo fra se e se al pensiero dell'uomo che veniva sbatacchiato a destra e manca. Avrebbe volentieri fatto lo stesso anche lei.
:-Ci vai giù pesante eh?-. Scherzò infine mentre andava ad affacciarsi verso il cornicione: le macchine e le persone da lì sembravano minuscole formichine.
Posandosi con il mento contro il cemento freddo, si strinse nella giacca invernale che North le aveva fatto procurare da uno Yeti al Polo Nord per mantenersi al caldo. Le aveva detto che alle volte nemmeno lui sapeva cosa ci fosse in alcune stanze della Fabbrica e si stupiva spesso di trovare gli oggetti più disparati e particolari in esse.
La cosa la divertiva parecchio.
Ancora una volta, quel giorno, si stupì delle proprie emozioni. Dopo tanti anni stava tornando a provare sensazioni che credeva di aver completamente dimenticato o forse mai nemmeno provato.
:-E' tutto così strano- disse disegnando dei cerchi con le dita contro il muretto ruvido -Fino a stamattina credevo che la mia vita stesse cadendo in pezzi e, per un attimo, mi sono convinta che non ci fosse alcuna possibilità di ritorno. Poi siete arrivati voi, mi avete salvata e dato finalmente una possibilità ed io...io mi sento come se fossi a casa per la prima volta nella mia vita. Libera di essere ciò che sono-. Scarlett sorrise timida, sollevandosi e portando la mano a grattare la sua nuca bionda, guardando Sandman dritto nei suoi occhi dorati :-Tu...capisci cosa intendo?-.
Negli occhi neri della ragazza brillò improvvisamente un'intensa luce che sorprese profondamente il piccolo Guardiano, il quale le sorrise dolcemente di rimando, annuendo. Lo sapeva, l'aveva sempre saputo, c'era ancora Speranza.
La ragazza tornò quindi a guardare la metropoli che viveva a centinaia di metri sotto di loro, mentre Sandman la osservava nel suo eterno silenzio.
Per anni aveva assistito impotente a come quegli orridi incubi avessero lentamente logorato la mente della giovane, certo che riusciva ad immaginare come dovesse sentirsi.
Poi, come un lampo, un'idea gli balzò in testa. Quando dormiva Scarlett non poteva sognare certo ma, d'altro canto, cosa avrebbe potuto impedirle di sognare ad occhi aperti in quel momento?
Un trillò rumoroso destò l'attenzione di Scarlett che si volse quindi verso il centro della terrazza. I suoi occhi si sbarrarono dallo stupore mentre le sue labbra si spalancarono lentamente dallo stupore. Una pioggia di sabbia dorata scendeva leggera dal cielo nero sotto forma di piccoli fiocchi di neve, ricoprendo pian piano ogni cosa tutt'attorno a lei.
:-E questo cos'è?-. Esclamò con la voce acuta di una bambina. Senza pensarci su due volte iniziò a roteare su se stessa spalancando le braccia. Una giravolta seguì l'altra mentre si sfilava di dosso la giacca, lasciandola cadere a terra, ci avrebbe pensato dopo a recuperarla. Ora voleva solo godersi quel momento da sogno. Alzando il viso pallido verso il cielo chiuse gli occhi, inspirando ed espirando profondamente mentre lasciava che la sabbia dorata si depositasse su di lei.
Ma lo spettacolo non era finito lì, pensò Sandman.
I fiocchi iniziarono presto a mutare, mescolandosi tra loro e prendendo la forma di diverse figure animate e fantastiche che si susseguirono l'una all'altra. La prima ad apparirle fu quella di un piccolo draghetto, dai grandi occhi ed apparentemente senza denti, che le si andò a posare su di una spalla per strusciarle il muso contro una guancia, tornando dopo poco a volare, girandole attorno un altro paio di volte prima di lanciarsi verso il cielo per sparire in una pioggia di fuochi d'artificio. Dalla piccola esplosione prese forma un bellissimo cigno che mutò lentamente la propria struttura in quella di una ballerina dalle vesti piumate che cominciò a danzare dinanzi a lei tenendosi delicatamente sulle punte, leggiadra come una piuma. Terminando il suo balletto con un inchino, la ballerina svanì in un soffio di vento freddo, lasciando spazio ad una singola figura che andò a formarsi nel centro della terrazza.
Si trattava di una bambina molto piccola, forse di quattro o cinque anni, dormiva nel suo letto avvolta dalle sue calde coperte, apparentemente serena. Gli occhi chiusi in un sonno tranquillo, le labbra piegate in un dolcissimo sorriso.
La ragazza non se ne accorse subito, solo quando fu abbastanza vicina alla bambina si rese conto di cosa quella nuova figura stesse rappresentando :- Ma questa bambina...sono io?-.
Fissò attentamente il volto della piccola, riconoscendo in essa la sua infanzia perduta. Una vaga sensazione colma di nostalgia si attanagliò attorno al suo stomaco :-Stavo sognando?-. Sandman annuì ma lei non ci fece nemmeno caso, la risposta era ben evidente dall'espressione serena della figura dinanzi i suoi occhi.
Era così bello sapere d'aver sognato, seppur in un tempo lontano.
:-Cosa darei per tornare a sognare- mormorò con voce spezzata, avvicinando piano una mano per accarezzare le spalle della bambina che era un tempo -Non ne ho memorie, anche se questo già lo sai, ma sembra così bello. Così rilassante...-. Sospirò portando una mano a coprirle il viso, cercando di ricomporsi. No, non voleva rovinare quel momento speciale
Il Guardiano le si avvicinò prendendole una mano e guardandola intensamente con le sue iridi dorate. Non c'era bisogno di parole in quel momento, era chiara come il sole la promessa che Scarlett lesse negli occhi di Sandman. La promessa che avrebbe posto fine a tutto.
Un applauso lento e privo d'entusiasmo, all'infuori del loro campo visivo, interruppe la solennità di quel momento.
:-Ma che spettacolo toccante-. Era Pitch.
La ragazza ed il Guardiano si volsero al Re degli Incubi mentre questi continuava a battere sarcasticamente le mani :-Potrei anche emozionarmi se non fossi per di più un appassionato delle scene d'azione e dell'orrore-. Aggiunse scivolando sulle sue ombre, come Scarlett gli aveva già visto fare quel pomeriggio, per riapparire alle loro spalle, dall'altro lato del letto del sogno creato da Sandman.
:-Quanta tenerezza-. Esclamò con voce dolce e soave, quasi sussurrandolo mentre si chinava sulla piccola infagottata sotto le coperte:-Ma che ne dite di movimentare un po' la situazione?-.
Le sue dita scivolarono rapidamente sul viso della bimba e quando l'indice andò a sfiorarle il naso, la pelle sabbiosa cominciò a mutare colore, dal volto alle radici dei capelli, scendendo giù fino al suo corpicino infagottato, macchiando il sogno dorato in un nero incubo.
Il viso della piccola iniziò a distorcersi in un turbine di espressioni, una più spiacevole dell'altra, mentre il suo corpo mutava, crescendo in quello di un adolescente dai corti capelli.
Scarlett assistette alla scena paralizzata dallo spettacolo che stava prendendo luogo sotto ai suoi occhi, e lo stesso fece Sandman. Non poteva di certo permettersi mosse azzardate, non i quel momento, prima di tutto doveva pensare alla ragazza. Pitch avrebbe avuto la lezione che meritava quando lei sarebbe stata al sicuro.
Ormai persino il letto dorato era tramutato in polvere nera e la giovane che vi dormiva scalciava in preda al panico.
:- Smettila!-. Urlò Scarlett, talmente forte da ferirsi la gola, incapace di continuare ad assistere a quella scena.
:- Andiamo Scarlett! Non fare la guastafeste, d'altronde dovresti esserci abituata o....forse hai p..p...paura?-. Le fece il verso lui, balbettandole in faccia prima di scoppiare a ridere.
Scarlett strinse i pungi, distogliendo lo sguardo dalla sua sosia che scalciava ormai in maniera talmente violenta da sembrare vittima di un attacco epilettico :- Ti ho detto di smetterla-. Sentenziò infine, mantenendo ferma la voce quanto più le fu possibile.
:- Oh oh! Bene bene mylady! Ai suoi ordini-. Ghignò Pitch, inchinandosi schioccando l'indice ed il pollice.
Come se stesse rispondendo ad un silenzioso ordine impartitogli dal suo padrone, l'incubo smise di agitarsi restando completamente immobile nel letto. Per un attimo sembrò che l'uomo le avesse dato realmente ascolto, che la calma fosse tornata in quella terrazza, purtroppo per Scarlett quel silenzio non era altro che la quieta prima della tempesta, come quelle scene dei film dell'orrore che precedono l'entrata in scena del serial killer, spesso e volentieri armato di motosega.
La sabbiosa figura scatto a sedere, sbarrando i grandi occhi che si rivelarono essere rossi carboni ardenti. La sua bocca si spalancò e da essa fuoriuscì un grido di terrore. Ma quello non era un grido normale, come tutto in quella situazione, e Scarlett si ritrovò costretta a tapparsi le orecchie per il dolore, poiché le urla di quella creatura le ricordarono lo stridio di un treno che deraglia sui propri binari. Quando l'incubo esplose il suono non scomparve immediatamente, se non dopo un lungo periodo, e nel mentre l'informe massa nera si mescolò più volte nell'aria, dando forma a numerose figure dall'aspetto macabro ed agghiacciante, divenendo sempre più grande e mutando infine nella sua forma finale: un cavallo nero, dagli occhi di fuoco, nitrì impennandosi contro la ragazza che cadde a terra terrorizzata.
Sandman si trovò costretto ad entrare in azione, bloccando istantaneamente l'attacco dell'Incubo Purosangue con una frusta dorata che apparve a comando nella sua mano.
:-Nuovamente a tu per tu Sandman. Ma quale piacere-.
Una seconda frusta apparve nella mano libera del piccoletto che fece deviare il colpo in direzione del Re degli Incubi, il quale però parò prontamente l'attacco con uno scudo di tenebre che evocò dal terreno.
:-Sandman, amico mio. Sono stato rinchiuso per ben 10 anni ad escogitare la mia vendetta. Devi ritenermi veramente un inetto, o forse devi esserlo tu stesso, se credi che questi vecchi trucchetti possano ancora scalfirmi- mentre parlava, nelle mani dell'Uomo Nero si formò una mazza ferrata - Credo proprio tu debba rivedere il tuo repertorio-. Rise iniziando a ruotare la mazza sopra il suo capo e, più questa girava, più il suo diametro aumentava permettendo al suo proprietario un maggior raggio d'azione.
Scarlett era a terra, le sue gambe tremavano al punto da non riuscire e rimettersi in piedi, ritrovandosi inerme ed incapace di aiutare il Guardiano in alcun modo.
“Ma dove sono finiti gli altri?- pensò guardandosi nervosamente attorno -È mai possibile che io non sia in grado di far nulla se non cadere a terra terrorizzata?”
Pitch sferrò per primo l'offensiva ma il Guardiano dei Sogni lo schivò prontamente, parando in seguito ogni suo attacco senza troppi problemi, scintille dorate e nere esplodevano ogni volta che le due sabbie entravano in contatto. Era semplice, forse troppo semplice. Certo il piccoletto non aveva ancora trovato un modo di sferrare una controffensiva, gli attacchi di Pitch erano tanto martellanti da impedirgli di prendere il tempo necessario per sferrare un attacco a sua volta ma era solo questione di tempo, si disse Sandman.
Purtroppo non ci si poteva aspettare che Pitch non giocasse sporco. Inutili furono le grida di Scarlett che cercarono di avvertire il Guardiano che, distratto dalla sua difensiva, si ritrovò improvvisamente immobilizzato da un gruppo di neri tentacoli che erano andato ad avvolgersi attorno al suo corpo minuto.
:-Di nuovo in trappola eh piccoletto?-. Gioì Pitch avvicinandosi ed afferrandolo per il collo:-Preparati a ricevere con gli interessi il trattamento che mi hai riservato l'ultima volta. Stupido bamboccio!-. L'Uomo Nero sollevò la mano libera verso il cielo stellato, la mazza ferrata sparì lasciando il suo posto ad un altro strumento, Scarlett non riuscì a definire bene di cosa si trattasse ma la sua forma le ricordò vagamente quella di un trapano.
Stringendo con ancora più forza il robusto collo di Sandman, Pitch iniziò ad avvicinare lentamente l'arma, che aveva cominciato a produrre un inquietante ronzio, verso il viso paffuto del Guardiano.
“Basta fare la donzella in difficoltà” Si decise finalmente Scarlett.
Facendo forza sulle gambe tremanti si slanciò contro Pitch, aggrappandosi al braccio che impugnava il trapano :-Lascialo andare!-. Gridò con forza prima di affondare i denti nella sua carne. Incredulo, l'uomo lanciò una sonora imprecazione mentre il trapano svaniva dalla sua presa prima di scagliare la ragazza lontano di qualche metro, facendole sbattere la testa. Pitch osservò dapprima il proprio braccio, sollevando una manica per scoprire che la dentatura della giovane aveva lasciato un segno evidente. :-Piccola...-. Mormorò fra se e se per poi girarsi a guardarla, i suoi occhi tradivano la rabbia che provava in quel momento ma anche il suo stupore.
Scarlett dal canto suo non riuscì a fare molto in quel momento, la botta che aveva preso le aveva appannato la vista ed ora non vedeva più un solo Pitch ma ben due.
Dopo che furono trascorsi alcuni istanti, l'uomo scoppiò a ridere :-Oh ho fatto proprio un bel lavoro con te signorina ma sembra proprio che tu stia dimenticando un dettaglio importante-. Allungò la mano aperta dinanzi a se e, come era già successo il precedenza, le tenebre iniziarono a scorrere lungo il suo braccio, radunandosi sul palmo per dare forma ad un cuore nero e pulsante.
:-Sono io che decido le regole del gioco-. Disse a denti stretti prima di serrare la mano in un pugno.
La ragazza, che stava cercando a gran fatica di rimettersi in piedi, crollò nuovamente sulla propria schiena, portando le mani al petto dolorante. Nuovamente incapace di urlare o anche solo respirare.
:-B..bas...-. Boccheggiò.
:-Come scusa, stai cercando di dirmi qualcosa?- la schernì lui, portandosi la mano libera all'orecchio mentre si avvicinava a lei -Non riesco a sentirti!-.
Scarlett tentò nuovamente di parlare ma il tutto risulto essere uno sforzo inutile. Inutile come lei, incapace di prestare aiuto persino a se stessa, figurarsi per qualcun altro.
:-Non puoi nulla contro di me piccola Scarlett. Ormai sei parte della MIA oscurità, il tuo cuore appartiene a me-.
:- Ne sei così sicuro?-.Scarlett non fu mai più lieta, come in quel momento, di udire la voce di Calmoniglio.
Un boomerang sferzò nell'aria andando a colpire la mano con cui Pitch stava stritolando il cuore della ragazza, la massa nera sparì dal suo pugno così come i tentacoli che avevano tenuto Sandman sotto scacco sino a quel momento.
Il resto dei Guardiani atterrò sul tetto, avanzando minacciosamente verso l'Uomo Nero.
:-Pronti come sempre a rovinare la festa sul più bello eh? Mi complimento con voi-. Sibilò Pitch.
:-Smettila con tuoi sotterfugi e dicci cosa hai fatto a cuore di ragazza!-. Lo intimò North puntandogli la spada alla gola.
:-Cinque teste e non fate un cervello-. Mormorò lui per tutta risposta, scivolando via alla minaccia della lama affilata, immergendosi nelle ombre del pavimento e riemergendo alle spalle di Scarlett. La ragazza stava nuovamente tentando di rimettersi in piedi, nonostante gli ultimi eventi l'avessero stremata, e prima che i Guardiani potessero dire o fare nulla l'uomo le aveva già agguantato le spalle, sollevandola senza troppi problemi da terra e costringendola a voltarsi verso di lui.
:-Diciamo che sono un tipo prudente-. Iniziò a spiegarsi lui, facendo scivolare una mano sul fianco della ragazza stringendo con l'altra la sua mano destra. Scarlett lo osservò disorientata, così stanca da non riuscire nemmeno a scostarsi da lui o comprendere cosa stesse succedendo.
:- Mi concede questo ballo?-. Le chiese divertito prima di iniziare a volteggiare in maniera alquanto sgraziata al centro della terrazza, facendo comunque attenzione a non farsi scivolare a terra la ragazza, la quale non riusciva nemmeno a mettere un passo dietro l'altro se non fosse stato lui a trascinarla.
:-Lasciala Pitch-. Gridò Dentolina lanciandosi all'attacco ma l'incubo dalle sembianze equine le si impennò contro, sbarrandole la strada prima che potesse portare a segno il colpo.
:-Come ho già detto, avevo bisogno di una garanzia- continuò lui, tenendo Scarlett per una mano così da lasciarla a piroettare su se stessa -La notte in cui i miei stessi Incubi mi si sono rivoltati contro, ho deciso di lasciare una parte della mia oscurità a germogliare nel suo cuore che l'ha alimentata sino a questo momento. Oh! Avreste dovuto vederla, che tenera mentre dormiva, ignara di cosa sarebbe accaduto da lì a pochi istanti...-.
Scarlett si sentì così usata e sporca, cominciando ad avere un quadro più definito della situazione.
Perché aveva un vago ricordo della notte in cui era iniziato tutto: una figura nera e sghignazzante china su di lei. Sino ad allora aveva sempre creduto si trattasse dell'Incubo che l'aveva fatta svegliare tra le urla nel bel mezzo della notte ma in quel momento comprese. Era lui.
:-Ma c'è una cosa che dovreste sapere sulla mia paurosa amichetta-. Ridacchiò Pitch facendo sì che la ragazza scivolasse all'indietro, adagiandola delicatamente con la schiena contro il suo braccio, terminando il tutto in un sinistro casqué.
:-Io sono pronto a riprendere le mie tenebre, anche ora, liberandola da questo gravissimo peso- la sua voce parve quasi essersi fatta gentile ma, quando i suoi occhi si incrociarono con quelli di Scarlett, ella vide le sue labbra piegarsi in uno dei sorrisi più che le avesse rivolto fino a quel momento – ma quando avrò finito, di lei non resterà nient'altro che un contenitore vuoto-. A quel punto Pitch scoppiò nuovamente a ridere, lasciando nella giovane una forte sensazione di repulsione nei suoi confronti, mista all'assurdo conforto che la sua vicinanza le infondeva. La sicurezza di quell'oscuro abbraccio.
Odiava sentirsi così, sapeva che non dipendeva da lei, ma non voleva provare quelle sensazioni, non voleva sentirle sue.
Le forze svanirono e la sua mente si annebbiò improvvisamente.
La ragazza rinvenne dal suo blackout tra le braccia di Jack Frost, mentre il resto dei Guardiani era chino su Pitch, ora intrappolato in una rete di sabbia dorata.
:-Ed ora vediamo se avrai ancora voglia di scherzare-. Esclamò Calmoniglio più minaccioso che mai, mentre batteva una zampa nell'altra, simulando un pugno.

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Capitolo 9
*** Il momento di scegliere. ***


Capitolo VIII
Il momento di scegliere.




Il viaggio di ritorno al Polo Nord si dimostrò più tetro e silenzioso di quello d'andata e, specialmente per Scarlett, anche piuttosto angosciante.
Pitch sedeva alle sue spalle, nel retro della Slitta, in silenzio. Tutto a un tratto sembrava aver perso la sua preziosa parlantina.
La ragazza volse appena il capo dietro di se, così da riuscire a tenerlo d'occhio sebbene non ce ne fosse bisogno. L'Uomo Nero si trovava seduto tra Calmoniglio e Jack Frost, entrambi messi a guardia del loro acerrimo nemico, inoltre due enormi manette gli cingevano i polsi sottili. Così sottili che sarebbero potute tranquillamente scivolare via.
Ecco perché continuava a girarsi. Era innocuo ormai, sapeva che non avrebbe potuto torcerle nemmeno un capello in quella situazione.
Eppure...
I suoi occhi neri incrociarono ancora una volta quelli ambrati dell'uomo ed il suo cuore perse un colpo quando questi le sorrise maligno.
Se quelle manette fossero cadute, quanto gli ci sarebbe voluto per afferrarla e trascinarla via con se?
Scarlett interruppe il contatto visivo e tornò a guardare avanti a stringendosi più che poté contro il petto piumato di Dentolina che le sedeva di fianco. La fata le sorrise teneramente, carezzandole maternamente la testa :-Non temere tesoro, non potrà più farti del male-.
La ragazza cercò di trovare conforto in quelle parole ma ormai il dubbio si era insinuato e sapeva che non c'era nulla da fare per scacciarlo via. Inoltre avrebbe giurato di aver sentito Pitch ridere, a seguito di quell'affermazione.

* * * *

Al loro arrivo alla Fabbrica vi fu non poco di scompiglio: Scarlett rimase con Dentolina, che la portò nello studio di North a riprendersi mentre gli altri cercavano una stanza da adibire a cella, dove avrebbero rinchiuso Pitch fino a quando la situazione non sarebbe stata risolta.
Infine trovarono uno sgabuzzino mal illuminato da una finestra bassa e larga, posta nella parte più alta di una delle quattro pareti della stanza rettangolare. Posero una sedia al centro e vi si chiusero dentro con Pitch, mettendo due Yeti di guardia dinanzi alla massiccia porta. Non gli sarebbe sfuggito, non questa volta ma la sicurezza non era mai troppa.
Il Re degli incubi se ne stava bellamente agiato sulla sedia mentre North, Jack, Calmoniglio e Sandman lo fissavano minacciosamente in attesa di risposte.
:-Vedi di cominciare a parlare-. Lo intimò Frost alla fine, punzecchiandolo su di una spalla con bastone, stufo di attendere.
Pitch lo guardò digrignando i denti :-E di cosa vorreste che vi parli? Del tempo? Mi sembra faccia abbastanza freddo di recente ora che mi ci fai pensare. Ottimo lavoro Frost-.
:-Dicci come liberare cuore di ragazza-. Tentò di incalzarlo North.
:-Ancora con questa vecchia storia? Eppure credevo di esser stato abbastanza esaustivo sull'argomento. Vi ho sempre immaginati degli inetti ma non credevo fino a questo punto. Chissà, forse con un disegnino....-. Non riuscì a terminare la frase, Calmoniglio glielo impedì afferrandolo per il collo con una forza tale che lo costrinse ad alzarsi.
:-Adesso basta- sibilò il Pooka a denti stretti, di calmo in lui era rimasto solo il nome -Dicci esattamente cosa le hai fatto e, soprattutto, come toglierlo. O io ti giuro su tutte le mie uova che ti faccio saltare i denti a suon di pugni-.
Pitch cominciò a sudare freddo, forse per lui era giunto il momento di iniziare a giocare seriamente, basta giochi.
Batté le mani tremanti sulla zampa del Guardiano che gli cingeva la gola, nel tentativo di calmarlo :-S...suvvia- disse con non poca fatica, visto che la stretta gli impediva quasi di respirare -Cerchiamo di non essere troppo avventati-.
Calmoniglio dal canto suo alzò il pugno della zampa libera, avvicinandolo ad un palmo dal naso di Pitch :-Parla -.
:-Va bene, va bene-. Si arrese infine l'uomo, scrollandosi dalla presa del Pooka, e prendendo a passeggiare avanti ed indietro per la stanza, con le mani cadenti in avanti a causa delle manette.
:-Immagino sia vostra intenzione sentire nuovamente tutta la storia?-.
North annuì, seguendo il cenno del capo con uno della mano, così da fargli intendere di cominciare.
Pitch ridacchiò, prese un respiro profondo ed iniziò a raccontare.
:-Era una splendida notte: buia e senza stelle. Il tempo ideale, oserei dire, e voi Guardiani eravate finalmente sul punto di essere cancellati dalla faccia della Terra. Ma, c'è sempre un “ma”, una banda di marmocchi ha deciso di darvi man forte, ridandovi la forza necessaria di ridurmi al minimo delle mie! Ma sapete benissimo come è andata questa parte. Purtroppo per voi vi sfuggì un piccolo dettaglio: non sono uno sciocco-. Improvvisamente si fermò, fissando la parete vuota dinanzi a lui.
:-E quindi hai...-. Tentò di dire Jack.
:-Ho cercato una garanzia, un piccolo trucchetto che mi permettesse di ritornare nuovamente al mio tetro splendore senza troppa fatica. Ed è qui che è entrata in scena quella....- si bloccò così da pesare bene le proprie parole conscio che, se gliene fosse sfuggita anche solo una fuori posto, Calmoniglio non si sarebbe di certo limitato ad altre minacce -...graziosa ragazzina. Sono giunto giusto in tempo nella sua stanza. Oh che angioletto! Così vulnerabile ed indifesa-. Scandì per bene l'ultima parola, facendone pesare ogni lettera ai presenti.
:- A quel punto c'era solo una semplice cosa da fare: ho lasciato che le mie tenebre trovassero dimora nel suo cuore, germogliando in esso fino al momento opportuno. E...eccomi qua!-. Si rivolse ai Guardiani :-Se avete domande, e non mi stupirei, alzate pure la mano-.
:-E cosa le accadrà esattamente, quando ti riprenderai quest'oscurità? A New York hai parlato di un contenitore vuoto, cosa intendevi dire?-. Chiese Frost con l'indice poggiato contro il mento, pensieroso.
:-Uh uh! Speravo proprio che me lo chiedessi- rise Pitch sfregandosi le mani- Vedi, l'oscurità non è come la luce, un semplice raggio che irradia tutto ciò che gli passa vicino. Eh no! L'oscurità avvolge, culla e penetra a fondo, mettendo le radici. E così è successo con il cuore della ragazzina, la paura è cresciuta divenendo terrore dentro di lei ed ora ogni parte del suo cuore è nera, putrida ed impura. Quando al suo interno non resterà nemmeno un ultimo granello di tenebra, di lei non rimarrà altro che un fragile corpicino umano e....bye bye dolce Scarlett-.
:-Vuoi dire che resterebbe senza anima?-. Chiese Calmoniglio battendo nervosamente una zampa a terra, inquieto.
:-Sissignore-.
:-E non esiste altro modo?-.
:-Voi lo avete trovato?-. Chiese a sua volta Pitch, deridendoli senza ritegno.
Il silenzio cadde nella stanza e l'Uomo Nero tornò a sedersi sulla sua sedia, soddisfatto :-Come immaginavo- rigirò il dito nella piaga, facendo una breve pausa prima di continuare -ma, suvvia, non abbattetevi così tanto. Effettivamente...un altro modo ci sarebbe-.

 
* * * *
 
:-Ha detto che deve affrontarlo-. Spiegò Jack a Dentolina e Scarlett, dopo aver raccontato loro dell'interrogatorio avvenuto poco prima.
:-Affrontarlo?-. Chiese la ragazza, fermandosi dal suo camminare nervosamente avanti e indietro per lo studio di North, con le braccia conserte contro il petto.
:-Tipo in un duello?-.
Frost inizialmente annuì con convinzione, poi si fermò iniziando a scuotere la testa e infine, nel dubbio, si rivolse agli altri Guardiani con espressione incredula stampata sul viso bianco :-Tipo in un duello?-.
“Grazie dell'aiuto Frost” Scarlett roteò gli occhi al cielo, esasperata.
North fece mettere Jack da parte e prese parola :-Credo intenda che tu debba affrontare lui a tu per tu, senza armi. Devi affrontare tue paure-.
:-E' troppo rischioso, non possiamo permetterlo-. Si intromise subito Calmoniglio scuotendo vigorosamente la testa :-Se la ragazza perde, perderà anche la sua anima e Pitch...no. Deve esserci un altro modo!-.
:-Abbiamo cercato un modo per dieci anni Calmoniglio. Cos'altro dovremmo fare allora?-. Sbraitò Frost piantando con forza il bastone ricurvo sul pavimento, facendo alzare una leggera brina nell'aria che fece rabbrividire tutti i presenti.
Inutile dire che ne seguì un battibecco che impegnò tutti e cinque i Guardiani. Tra Frost e Calmoniglio, sempre pronti a punzecchiarsi, Dentolina che zigzagava sbattendo nervosamente le ali, Sandman che componeva immagini sulla sua testa talmente frettolosamente da far girare la testa e North che cercava invano di metter pace tra tutti, Scarlett si ritrovò ad osservarli in silenzio. Litigavano, continuavano a litigare dinanzi a lei, come se non fosse presente, mentre tentavano di decidere le sorti del suo sfortunato destino.
Avevano avuto una lite simile anche dieci anni prima? Quando avevano deciso di lasciarla in disparte, ignara di tutto, a vivere un interminabile incubo?
Questi quesiti cominciarono a minare quella fragile finestra di fiducia che aveva cominciato a crearsi.
:-Vi siete, per caso, mai chiesti cosa volessi io?-. Chiese alzando la voce, interrompendo il sonoro battibecco.
I Guardiani si zittirono di colpo, i loro visi tradirono un evidente imbarazzo.
Il vento mise davvero a dura prova la tenuta di quella finestra.
:-Noi vogliamo solo fare ciò che è meglio per te, cara-. Decise di risponderle Dentolina, avvicinandosi a lei e avvolgendole un braccio intorno alle spalle.
:-Ma non si tratta solo di questo- disse North -se tu perdessi contro Pitch, lui non distruggerebbe solo te. Minerebbe anche sicurezza di bambini in tutto il mondo, come sta facendo ora, ma con potenza molto più grande-.
Il cuore riprese a batterle in maniera irrefrenabile “No, ti prego no”.
:-Stai dicendo che...sareste disposti a sacrificarmi?-.
Scese il silenzio, ancora.
La finestra della sua fiducia non solo si spalancò lasciando entrare un ululante vento furioso, ma andò completamente in pezzi e le schegge furono il doloroso boccone amaro che la ragazza si trovò costretta a mandare giù.
Scarlett si allontanò di scatto da Dentolina, spingendola lontano, e cominciando a rimpiangere gli incubi che infestavano il suo sonno perché, l'incubo che si stava rivelando la realtà, era peggio di qualsiasi cosa avesse potuto immaginare.
:- Io ho finalmente l'opportunità di mettere fine a tutto! Mi basterebbe riuscire a sconfiggerlo e voi volete davvero impedirmelo?-. Il tono della sua voce si stava facendo man mano più alto, le mani le tremavano, gli occhi pizzicarono.
Sandman tentò di farsi vicino, sulla sua testa si ricreò la piccola figura di una ragazza che finiva in una rete da caccia, ma troppi erano i pensieri che si stavano accumulando nella mente di Scarlett per capire cosa stesse cercando di dirle o, quanto meno, non le importava comprenderle.
La testa prese a girarle e si ritrovò costretta a poggiarsi alla scrivania di North :-V...voi non potete. Non potete farmi questo-.
Calmoniglio abbassò le orecchie :-Scarlett- era la prima volta che le si rivolgeva direttamente dalla sua crisi nel bosco, inutile dire che alla ragazza tremarono le gambe -per favore non perdere la speranza. Non ora, non è mai troppo tardi-.
La ragazza non poté far a meno di scoppiare a ridere :-Speranza? Ma di quale speranza stai parlando? Quella di non finire in qualche centro di riabilitazione una volta tornata a casa? O in un reparto psichiatrico dove verrò spedita per il resto dei miei giorni mentre quel pazzoide continua a tormentare il mio sonno? Questa speranza?-.
:-Scarlett...- ancora a ripetere il suo nome, come se questo potesse cambiare la situazione o farle vedere le cose sotto una diversa luce -cerca di capire-.
:-No!-. Urlò lei stavolta, portando le mani alla testa :-No! Sono stanca di cercare di capire! Sono dieci anni che cerco di farlo ma nessuno mi ha mai aiutata! Sono sempre stata sola e continuerò ad esserlo-.
La fata tentò nuovamente di avvicinarsi ma lei si ritrasse, lo sguardo stravolto ed il volto rigato da amare lacrime di delusione.
:-Ci dispiace-. Disse Dentolina, toccando terra con la punta dei piedi, stringendo le mani contro il petto.
La ragazza tentò di asciugare le lacrime con la manica della felpa ma queste continuavano a riversarsi senza controllo sul suo viso :-Le scuse non potranno liberarmi da tutto questo-. Disse prima di correre via dallo studio, travolgendo erroneamente due elfi che credevano di essere di guardia alla porta. I Guardiani decisero di lasciarla andare. Era normale che fosse sotto shock e forse stare da sola era per lei il modo migliore di sfogarsi in quel momento, avendocela a morte con tutti loro. Una volta a mente lucida sarebbe potuta tornare ed avrebbero affrontato al meglio la situazione, per il momento sarebbe solamente stata controproducente per se stessa e per tutti loro.
Ma Scarlett aveva in mente ben altro che sfogarsi.

La porta che che delimitava la prigione di Pitch era nera e massiccia, i due Yeti messi alla sua guardia erano impegnati ad una partita a carte. Scarlett la fissò in silenzio alcuni minuti, il dubbio la stava tormentando. Non vi era alcuna certezza in ciò che stava per fare, tutte le probabilità sembravano essere in suo sfavore ma...era davvero pronta a passare un'intera esistenza nel rimorso? Nel domandarsi perché non aver tentato?
Infilò la mano nella tasca della felpa, ricercandone qualcosa all'interno e, quando la trovò, sorrise amaramente sfilando il pugno chiuso. Si prese un po' di tempo prima di aprire il palmo della mano, trovandovi la chiave che aveva rubato dalla scrivania di North, pochi attimi prima di uscire dal suo studio, e allora iniziò per la prima volta a realizzare che non sarebbe più potuta tornare indietro.
Si ritrovò sul punto di inserire la chiave nella toppa se uno dei due Yeti non l'avesse fermata, guardandola confuso e chiedendosi cosa quella ragazzina stesse cercando di fare.
Scarlett mantenne il sangue freddo, stupendosi quasi di se stessa, e rivolse allo Yeti un sorriso forzato, rendendosi conto d'aver dimenticato di elaborare un piano per sfuggire a quei due.
:-North mi ha concesso di parlargli-. Mentì infine, di certo l'improvvisazione non sarebbe mai stata il suo forte, inoltre si sentì vagamente sporca per questo. Come ogni volta che si ritrovava a mentire, del resto.
Lo Yeti si volse al suo compagno, entrambi si scambiarono borbottii incomprensibili alla ragazza, la quale pregò con tutta se stessa che non fosse loro intenzione richiamare i Guardiani per avere conferma, infine fecero entrambi spallucce e lo Yeti che l'aveva fermata iniziò ad allontanarsi da lei.
Scarlett iniziò a sudare freddo.
La creatura, al contrario delle sue più nere aspettative, tornò a sedersi al tavolino dove era impegnato in una partita di carte e, con un gesto della zampa, le lasciò il via libera.
Quasi non riusciva a credere di esserci riuscita, prese un respiro profondo e si girò nuovamente in direzione della porta.
Forse questa sarebbe stata la volta buona o forse, come credevano i Guardiani, l'ennesimo buco nell'acqua. In un certo senso era conscia del peso che gravava su di loro, di tutti gli incroci su cui li stava conducendo quella via, ma questa volta avrebbero potuto smettere di preoccuparsi. Perché, per la prima volta in vita sua, aveva deciso di prendere in mano il loro destino, privandoli di qualsiasi obbligo sentissero avere nei suoi confronti.
“Sto facendo loro un favore, dopotutto” Si convinse di questo.
Infilò la chiave nella toppa e girò una, due, tre volte finché non la sentì scattare aprendosi.
Abbassò la maniglia e spinse piano. La porta sarebbe dovuta essere di legno massiccio, quindi piuttosto pesante ma, non seppe spiegarsi il perché, le risultò leggerissima. Forse un qualche incantesimo del posto. Forse cominciava a sentire sempre più vicina la fine di tutto, nel bene o nel male.
Era pronta ad affrontarlo.
Pitch era lì in piedi al centro della stanza, attendendola come se già sapesse.
Scarlett si chiuse la porta alle spalle, facendo un paio di passi nella sua direzione.
:-Mi hanno detto che devo affrontarti-. Esordì, tradendo un leggero tremolio nella voce che non si preoccupò granché di mascherare.
Pitch annuì senza dire niente, limitandosi a fissarla, silenzioso. Troppo silenzioso. Se fino a quel momento aveva creduto che le sue parole fossero la base su cui lui riuscisse a poggiare tutti i suoi timori -beh- si sbagliava. Perché averlo lì dinanzi a lei, l'incarnazione della paura che l'attendeva i silenzio, la fece rabbrividire come mai aveva fatto prima.
Ma non si sarebbe tirata indietro.
:-Lo farò- disse avvicinandosi ancora di qualche altro passo -ti affronterò-. Aggiunse.
:-Immaginavo che avresti scelto con saggezza mia cara-. Si decise infine a parlarle lui, con tono quasi paterno, mentre le porgeva le mani ammanettate. :-Liberami allora, non vorrai affrontare un uomo che non può muoversi no?-.
Scarlett scattò, percorrendo tutta la distanza rimasta tra di loro, e gli portò l'indice dinanzi al naso, a mo' di avvertimento :-Niente inganni-. Disse lei, avrebbe dovuto risultare una minaccia ma, dal modo in cui le parole fuoriuscirono dalle sue labbra, parve più una supplica.
:-Nessun inganno. Lo giuro sul mio onore, piccola Scarlett-. Rispose lui palesemente subdolo, non tentò minimamente di mascherarlo.
La ragazza lo fissò immobile, guardandolo dritto negli occhi, non sapeva se era pronta o meno ma non aveva più tempo per i dubbi e comunque, in ogni caso era condannata.
“Ma se perdi, condannerai tutti” Disse all'improvviso una piccola voce proveniente dal suo io più profondo, forse la sua coscienza. Si strinse nelle spalle, scuotendo appena il capo con disinteresse “Non sarò comunque presente per vederlo” Si disse lei infine.
Ora avrebbe solo dovuto liberarlo.
Non aveva di certo una chiave di Sabbia dorata con se, quindi di certo aveva bisogno di un altro espediente per liberare l'uomo dalle manette, ma non era venuta del tutto a mani vuote. Mentre percorreva il grande corridoio a spirale della Fabbrica di Giocattoli, le era ritornata alla mente una frase che Jaime le aveva detto il giorno precedente: Fidati, Scarlett, sono solo incubi e la consistenza di un incubo è talmente sottile che basta solo un soffio della tua fiducia per farlo volare via”.
Aveva riflettuto a lungo su quelle parole. Quindi se un soffio di fiducia poteva spazzare via un Incubo, poteva benissimo accadere il contrario.
Quindi avvicinò le proprie labbra alle manette dorate ed iniziò a soffiare piano. Come aveva immaginato, la sabbia iniziò a volare via, trasportata dalle sue paure e insicurezze.
Quando anche l'ultimo granello sparì dai polsi di Pitch, questi non perse tempo protendendosi in avanti per afferrare le braccia della ragazza, avvicinando il volto a quello di lei in una frazione di secondo. Scarlett non si ritrasse di un solo passo, il sangue le si era gelato nelle vene mentre realizzava, ormai troppo tardi, d'aver fatto un passo falso.
:-Scacco matto-. Le sussurrò all'orecchio.

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Capitolo 10
*** Tra ombre e follia. ***


Capitolo IX
Tra ombre e follia.




La massiccia porta di legno che teneva sigillata la cella temporanea si spalancò, con forza e violenza, staccandosi dai cardini ed andando a schiantarsi contro la parete di fronte. I due Yeti di guardia si allarmarono istantaneamente, difficile non allarmarsi quando una porta ti sfreccia dinanzi, d'altrone. Interruppero quindi la partita a carte e, mentre uno si precipitava ad avvisare North e gli altri Guardiani al piano superiore, il secondo si avvicinò alla soglia, fermandosi all'entrata, così da poter controllare cosa stesse succedendo in quella piccola stanzetta.
Pitch teneva stretto il polso della ragazza che si stava inutilmente dimenando, incapace di sfuggire alla stretta morsa dell'uomo che, quando si rese conto della presenza dello Yeti sulla soglia, la costrinse a voltarsi usandola come scudo, avvolgendola con le magre braccia all'altezza dello sterno così che non potesse sfuggirgli via.
La ragazza a quel punto si arrese, obbligandosi a tenere lo sguardo basso. Non voleva guardare negli occhi dello Yeti, al quale aveva mentito e che le aveva creduto senza batter ciglio. Probabilmente non abituato ad avere a che fare con simili menzogne, autodistruttive per di più.
Phil, questo era il nome della pelosa creatura, in realtà non sentì di provare alcuna rabbia nei confronti di Scarlett, bensì tentò di avvicinarsi per aiutarla ma, non appena fece un passo in avanti, si ritrovò costretto a bloccarsi. Della sabbia nera aveva iniziato a vorticare ai piedi delle due figure, aumentando sempre più di volume e risalendo lungo le loro gambe mentre un forte vento si era alzato nella stanza, facendo ruotare intorno a loro i pochi oggetti presenti all'interno della stanza, rendendoli pericolosi all'impatto e impedendogli l'ingresso.
I Guardiani giunsero proprio in quel momento.
Le tenebre avevano quasi completamente avvolto Pitch e Scarlett ed i loro corpi stavano man mano scomparendo sotto quella coltre nera.
:-Oh no!-. Esclamò Dentolina coprendosi la bocca con le piccole mani, incredula.
:-Dannazione Pitch! Lasciala andare!-. Urlò Jack mentre tentava di entrare ma senza successo, poiché il vento, di solito suo amico, lo respingeva fuori impedendogli di cavalcarlo. Sembrava che un tornado stesse prendendo luogo in quelle quattro mura, Pitch e Scarlett nel suo occhio. Impossibili da raggiungere.
:-Perché mai dovrei Frost? E' lei che è venuta da me-. Rise vittorioso facendo scorrere l'indice sulla guancia della ragazza fino al mento, costringendola ad alzare lo sguardo verso i Guardiani che assistevano inermi alla scena.
I suoi occhi erano due pozze nere, sgorgavano lacrime da essi ed il terrore vi si era annidiato a fondo.
:-Perdonatemi-. Non fu in grado di dire altro quando li vide lì, ancora pronti ad aiutarla.
Pitch e la ragazza erano ormai quasi completamente spariti nella coltre nera ma Sandman non si diede per vinto e, facendosi forza, affrontò il vento riuscendo a schivare dapprima una sedia e poi una vecchia cassettiera, che si stavano scagliando contro di lui a gran velocità.
Talmente piccolo, quanto forte. Era quasi riuscito a raggiungere la ragazza, un solo passo ed avrebbe potuto afferrarle la mano, salvandola.
:-Non merito il vostro aiuto-. Furono le ultime parole che riuscirono a sentir uscire dalle sue labbra, prima che la ragazza sparisse e con lei Pitch.
Il vento cessò, l'arredamente cadde a terra con un rumoroso tonfo. Alla fine fu come se lì dentro non vi fosse mai stato nessuno.
 
* * * *

Era un luogo buio ma non al punto da inibire completamente la vista. Gli occhi potevano ancora indagare, scorgendo sporgenze indefinite nella penombra, quel poco che bastava per non comprendere se si fosse da soli, oppure no.
Fu in quel posto, probabilmente una caverna, che il vortice di sabbia apparve depositando Pitch e Scarlett, la quale si distanziò barcollante dal suo rapitore volgendo uno sguardo confuso attorno a se. La testa le girava per il bizzarro viaggio.
Allungò le braccia alla ricerca di un appoggio, che trovò in una parete fredda e liscia, forse di marmo. Gli gettò un'occhiata distratta: era solo un pezzo di muro ma, quel che restava della sua struttura rimandava ad un'antica civiltà. Chissà quanto antica...forse in un altra situazione le sarebbe importato ma in quel momento non poteva interessarle minimamente.
:-Benvenuta nella mia umilissima dimora, signorina- Esclamò Pitch allargando le braccia orgoglioso -Prego fa pure come se fossi a casa tua! Perdonami il disordine, se avessi pensato di avere ospiti certamente mi sa...-.
:-Mi hai ingannata!-. Lo interruppe lei, adesso barcollando in avanti.
L'Uomo Nero rise, non ci fece caso, stava quasi facendo l'abitudine ad essere schernita da quel brutto....
:-Non mi sembra di averti in alcun modo ingannata-. Le rispose pacatamente, mostrandole quella mezzaluna agghiacciante che era il suo sorriso.
Quell'affermazione conteneva verità e, al tempo stesso, celava insidie difficili da percepire ad occhio nudo ma erano lì, si poteva sentire la loro presenza nascosta. Proprio come le ombre in quel luogo: Il Dominio di Pitch.
Come poteva essere caduta in un simile tranello? O era stata davvero così sciocca da esserci caduta di proposito?
Sì! Era così! Ne era stata perfettamente consapevole dal momento stesso in cui aveva deciso di liberarlo. Sapeva che avrebbe trovato un modo per portare la situzaione in suo favore, non che ci volesse molto a dirla tutta, e lui non aveva nemmeno provato a nascondere le proprie intenzioni. Se vi era un bugiardo tra loro due in quel momento, beh, quello non era Pitch. Era finita addirittura col mentire a se stessa. Ed il perché non era nemmeno così difficile da immaginare.
:-Sono così stanca.-. Ammise lei infine, parlando con Pitch per la prima volta con toni pacati -Voglio solo che tutto questo finisca-.
Il sorriso scomparve dalle labbra di Pitch, sul cui viso si dipinse un'espressione avvilita. Si avvicinò a lei, ponendo le sue fredde dita sulle sue spalle avvicinandola a se :-Lo so, piccola Scarlett, lo so-. Le disse con tono comprensivo stringendola a se :-Io ti capisco-. Sussurò con una dolcezza tale che Scarlett stette quasi per cedere, lasciandosi andare all'abbraccio paterno che Pitch le diede, pronta a scoppiare in lacrime mentre poggiava la testa contro il suo petto, riversandovi il dolore di quegli anni.
Scarlett allora si accorse che qualcosa che non andava, c'era un elemento che mancava in quell'abbraccio, seppur normalmente così scontato da essere impercettibile. Con l'orecchio destro posato contro il petto dell'uomo, si rese conto che vi era solo silenzio. Non vi era un battito a dimostrare la presenza di un cuore al suo interno, sempre se un cuore avesse mai trovato posto nel petto di quella creatura.
Come avrebbe potuto comprendere il suo dolore, se non poteva nemmeno vantarsi di averlo un cuore?
:-No. Tu non sai niente-. Lo spinse quindi via con forza, cercando di dare un tono forte alla propria voce mentre infilava velocemente una mano nella tasca della felpa -Non ti permetterò più di raggirarmi!-. Gli gridò infine estraendo dalla tasca un coltellino svizzero, anche quello preso di nascosto dalla scrivania di North, tenendolo a due mani e puntandolo contro il suo nemico.
Pitch la guardò allibbito ed in silenzio, quasi disarmato, poi tornò a ridere come se non fosse per niente impressionato dalla ragazza, pronta all'offensiva :-Credi davvero che possa bastarti così poco per sconfiggermi?-. Le chiese ma lei non rispose, continuando a tenere l'arma dinanzi a se, stretta con forza tra le mani che iniziarono a sudare.
L'Uomo Nero scosse il capo divertito, iniziando ad avanzare verso di lei :-Vuoi fare la difficile eh? Bene, non aspettavo altro, avevo proprio voglia di divertirmi un po'-.
La ragazza indietreggiò, impedendogli di avvicinarsi di nuovo a lei, anche se era consapevole che avrebbe potuto riaverla letteralmente in pugno con un semplice schiocco di dita. Ma aveva giurato di non giocare sporco...no?
:-Scarlett?-.
Quella voce...
:-Mamma?-. Scarlett si volse, non riusciva a distinguerla chiaramente con tutto quel buio ma nella penombra riuscì ad intravederla, era lei. Sua madre era lì, nella tana dell'Uomo Nero.
:-Cosa ci fa mia madre qui?-. Chiese lei, rendendosi conto di essere tanto stupida d'aver abbassato la guardia, mentre tornava a rivolgersi a Pitch. Ma l'uomo non era più lì.
:-Come che ci faccio qui? Sei sparita per un giorno intero! Scarlett ma con chi stai parlando? Vuoi farmi morire di crepacuore?-.
La ragazza si avvicinò lentamente, incredula :-Mamma io....mi dispiace, non volevo che questa cosa coinvolgesse anche te. Ho così tante cose da spiegarti, non mi crederesti mai-.
:-Non fa niente. Ora torniamo a casa, chissà quanto avrai sofferto per tutto questo tempo, tesoro mio-. La figura allargò le braccia, come pronta a stringere la ragazza a se e Scarlett le corse incontro ma, quando la raggiunse vedendo il suo volto da vicino, dovette trattenere un urlo di terrore. Quella donna, benché avesse la voce di sua madre, aveva l'aspetto della consulente scolastica che aveva piantato in asso nel suo ufficio, il giorno precedente.
:-Perché fai questo a tua madre? Eh Scarlett?-. Esclamò quella, continuando a parlare con una voce che non le apparteneva mentre le afferrava prepotentemente il polso, affondandovi le unghie.
:-Lasciami!-. Urlò Scarlett, un po' per dolore, un po' per paura, strattonando il braccio all'indietro, ma la donna non batté ciglio, anzi continuò ad infierire.
:-Ragazza mia, la tua testolina ha qualcosa che non va- la canzonò digrignando i denti in un espressione che ne distorceva sempre di più il volto, trasformandolo in quella che sembrava una maschera di gomma sciolta.
:-La camicia di forza -Sì!- Ti metteranno la camicia di forza, ti lasceranno in una stanza e butteranno via la chiave-.
:-No...NO!-. Scarlett scosse la testa, scacciando quei pensieri mentre il panico l'assaliva.
L'incubo, senza un apparente motivo, decise di lasciarla andare e lei corse via, cercando di mettere più distanza possibile tra lei e quella cosa, non curandosi minimamente di star sempre più sprofondando in quel labirinto di ombre e cunicoli. Semplicemente corse. Corse a perdifiato ma ritrovandosi, ben presto, costretta a fermarsi quando raggiunse un vicolo cieco.
Sarebbe potuta tornare indietro, cercare un'altra strada ma ormai era tardi. Sentì la sua presenza alle spalle e solo in quel momento si accorse che l'incubo, il quale aveva tormentato le sue notti per circa un mese, era appena divenuto realtà e lei si era trovata in prima linea per far sì che ciò accadesse.
“Stupida! Stupida! Stupida!” si disse iniziando a colpirsi violentemente il capo con i palmi delle mani, come poteva essere stata tanto stupida da caderci con tutte le scarpe?
Quando finalmente si volse, si schiacciò con la schiena contro la parete per trovare la forza di non cadere a terra.
I Guardiani erano lì, Jamie era lì, stavolta anche sua madre. La fissavano tutti, la delusione nei loro sguardi bruciava più del fuoco.Non erano veramente loro, lo sapeva, ma l'incubo sortì lo stesso l'effetto per cui era stato creato.
:-Mi dispiace- singhiozzò distrutta -Mi dispiace-.
:-Le scuse non potranno risolvere il tuo problema-. Sbarrò gli occhi, stavolta tremando visibilmente :-No...-. Si disse cercando di scacciare dalla mente l'immagine che si era appena andata a creare.
L'incubo, in piedi a pochi metri da lei, non era altro che un suo riflesso: un'anonima ragazza dai i capelli corti, jeans, felpa di almeno una taglia più grandi e scarpe da ginnastica.
:-Lo sai anche tu vero?- le disse il riflesso piegando la testa da un lato, esaminandola inespressivo- Non avrai mai una vita normale. Lo sai vero? Potrai anche sconfiggerlo ma nessuno dimenticherà ciò che hai fatto. Lo sai vero? Non riuscirai a cavartela-.
Scarlett portò le mani alla testa, pigiandole con forza con le tempie. Sì, dannazione lo sapeva. Lo sapeva benissimo.
:-Fai silenzio. Stai zitta!-. Iniziò ad ulrare al suo riflesso, chiudendo gli occhi, pregando che ciò riuscisse a scacciarla via.
:-Non sei altro che un'insulsa codarda. Come pensi di riuscire a sconfiggere la paura? Proprio tu...- la schernì – Tu che tremi dinanzi al tuo stesso riflesso!-. Gridò infine l'incubo, esplodendo in una nube nera che svettò verso di lei.
Scarlett lasciò cadere a terra il coltellino svizzero ed incrociò le braccia dinanzi al viso, così da riuscire a difendersi, ma non l'impatto fu inevitabile e doloroso. Nell'istante in cui l'onda le passò attraverso sentì il propri corpo paralizzarsi, i polmoni non riuscirono più a recepire alcuna particella di ossigeno, smettendo così di respirare mentre una dolorosa scarica elettrica percorse con prepotenza il corpo. I suoi occhi si spalancarono e la schiena di inarcò oltre il possibile. Infine, ma di certo non meno importante, i suoi capelli mutarono. Come vennero trascinati da quel vento gelido crebbero in una frazione di secondo, lunghi come mai li aveva portati e neri come la pece, il suo vero colore, quello che cercava di nascondere da anni ormai. La bionda zazzera che si era creata come scudo, non esisteva più.
Quando finalmente si ritrovò libera dal maleficio, inspirò quanta più aria poté, poi un grido disperato fuoriuscì dalle sue labbra. Il tempo riprese a scorrere ed il suo corpo si arrese, sfinito, lasciandola crollare sulle proprie ginocchia.
I lunghi capelli le scivolarono lungo le sue guance, ricoprendole le spalle arrivavando a toccare terra. In un primo momento Scarlett quasi non se ne accorse, intenta nell'inspirare quanta più aria possibile, ma quando mise a fuoco la lunga ciocca che le ricadde lungo il viso, portò repentinamente le mani alla testa, afferrando i suoi capelli e lasciandoli scivolare tra le dita, dalle radici fino alle punte, ora ben più lontane di come le aveva viste l'ultima volta.
Eccolo lì, il colpo di grazia.
Gridò. Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo mentre le lacrime scendevano, più amare che mai, come un fiume in piena. Gridò talmente forte e a lungo che della sua voce non rimase altro che un fievole sussurro. Restò a ciondolare per un po' in quella posizione, scivolando poi su di un fianco con la gola graffiata dalle grida, il pianto le offuscò la vista. In preda a quella violenta crisi smetteva all'improvviso di respirare per interi secondi e poi, quando finalmente l'aria tornava, continuava a piangere, ripetendo il ciclo più e più volte senza riuscire a porsi un controllo così da riuscire a fermarsi. Il petto era pesante come non lo era mai stato in tutta la sua vita.
Pianse a lungo, era difficile calcolare come il tempo scorresse nelle tenebre ma le sembrò di essere rimasta lì su quel fianco per ore ed ore e, quando infine non ebbe più lacrime da versare, si girò verso l'alto, fissando il nero soffitto sopra di se. I suoi occhi erano rossi dal pianto ed alcune ciocche dei capelli, inzuppati di lacrime, le si erano appiccicati alle guance, rosse ed umide. Respirò piano e profondamente, guardandola si sarebbe potuto pensare che aveva finalmente trovato un po' di pace interiore ma, in realtà, era solamente sfinita.
Rimase quindi così, a fissare il soffitto in silenzio.
Le palpebre divennero pesanti. Quando era stata l'ultima volta che aveva dormito? Nemmeno se lo ricordava. Non ricordava nemmeno come fosse arrivata in quel luogo. Forse perché ormai non le importava più.
Dei passi lontani iniziarono via via a farsi sempre più vicini. Scarlett questa volta non ebbe dubbi su chi fosse.
:-Hai vinto-. Disse atona a Pitch, il quale aveva assistito a tutta la scena, amministrando perfettamente il suo teatrino da dietro le quinte.
L'Uomo Nero rimase stranamente in silenzion. Non aggiunse nulla che potesse schernirla e si chinò semplicemente su di lei, le scostò una ciocca umida dal viso e la guardò negli occhi, inespressivo :-Sei pronta?-.
La ragazza chiuse le palpebre, respirò ancora a fondo ed infine annuì. Voleva solo dormire.
:-Bene-. Non vi fu alcuna esaltazione nella voce dell'uomo e per Scarlett fu quasi una sorpresa. Se si fosse arresa prima, avrebbero avuto subito fine anche tutte le angherie subite? Ad averlo saputo forse ci avrebbe fatto un pensierino...
Pitch si mise cavalcioni su di lei e posizionò la grigia mano sopra il petto della ragazza, pronto a riprendersi ciò che aveva atteso per la bellezza di dieci anni ma, prima ancora che potesse iniziare, lei gli strinse il polso con le poche forze che le erano rimaste, avvolgendolo nella sua mano piccola e calda.
:- Ho solo un'ultima richiesta-. Sussurrò lei con voce flebile.
L'uomo rimase interdetto, avrebbe potuto scacciare la mano di quella ragazzina con un semplice movimento del polso, e continuare da dove aveva lasciato, ma qualcosa lo colpì nel gesto della ragazza. La fissò attentemente: cosa avrebbe potuto volere in un momento simile? Cosa poteva desiderare che lui non gli avesse già negato o, comunque, strappato via di lì a qualche istante?
Di qualunque cosa si fosse trattata, non le avrebbe di certo permesso di ostacolare il suo piano, non ora che era giunto alla sua conclusione. Eppure, mosso da una malsana curiosità, decise di acconsentire :-Chiedi pure-.
:- Voglio che....-. Scarlett tremò sotto il suo peso e prese un respiro profondo, allentò la presa dal polso dell'uomo e protese la mano sulla sua destra, afferrando qualcosa che si trovava sul pavimento.
:- Quando avrai finito...voglio che tu mi uccida-. Pronunciò con fatica le ultime parole mentre gli porgeva il coltellino svizzero.

 

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Capitolo 11
*** Dal buio nascono lacrime di luce ***


 

Capitolo X
Dal buio nascono lacrime di luce.




Pitch sbarrò gli occhi ambrati in un'espressione tra l'incredulo e lo scocciato.
Quella ragazzina, non aveva idea di come ci fosse riuscita, lo aveva colto sorpresa.
Fissò prima i suoi occhi, rossi dal pianto, poi la piccola lama che gli stava porgendo, ammutolito. Cosa avrebbe dovuto dirle? Cosa avrebbe dovuto fare?
:-Oh ti prego! Non fare finta che ti importi proprio ora- gli disse lei ridendo in modo quasi isterico -Almeno questo, dopo quello che mi hai fatto passare. Almeno questo me lo devi-.
Pitch rimase ancora in silenzio, si guardò intorno infastidito, quasi cercando qualcosa che gli concedesse una via di fuga da quella situazione.
:-Allora?-.
:-Dammi un secondo!-. La zittì lui a denti stretti, visibilmente scocciato.
Sarebbe riuscito a strappare via la vita dal suo corpo? Poteva realmente arrivare a tanto? Sì ma...tanto per cosa?
“Cosa desidero?”
No. Non le avrebbe permesso di minare il suo piano, non a quel punto, non ad un passo dalla vittoria. Ed alla fine di lei cosa gli importava?
La guardò un'altra volta ancora, istanti di lungo silenzio riempirono la caverna. Negli occhi stremati di Scarlett non percepì alcuna traccia di odio o rabbia nei suoi confronti, solo tanta stanchezza. In quello stato pietoso, d'altronde, le avrebbe fatto un favore no? Era lei che glielo stava chiedendo alla fine. Lui non aveva nulla da perdere e lei aveva già perso tutto.
:-Lo farò-.
Scarlett gli rivolse un sorriso e gli porse la mano debolmente la mano libera :-Niente trucchi?-. Al termine della domanda le sfuggì un risolino che le fece brillare gli occhi per un istante.
Non ebbe idea di come ci fosse riuscita. Trovare la forza per sorridere e scherzare ad un passo dalla fine. Gli umani erano capaci di atti davvero bizzarri e, spesso e volentieri, nei momenti meno opportuni.
Come lei, che scherzava con il suo aguzzino ad un passo dalla fossa. Forse aveva davvero sottovalutato la sua forza e, non seppe nemmeno lui il perché, le sorrise a sua volta, stringendole la mano :-Niente trucchi-. Le promise e Scarlett gli credette, nessuna insidia nascosta nelle sue parole questa volta. La ragazza poté chiudere gli occhi, lasciando che un'ultima lacrima solcasse la sua guancia.
:-Continua pure-.
Pitch fissò la propria mano, in una piccola frazione di secondo in cui gli sembrò di esitare, poi scosse il capo e posizionò il palmo aperto sul petto della ragazza.
:-Sarà breve-.
Già, breve ma non indolore.
Come si aspettava le fitte giunsero come un fulmine al ciel sereno, portando il cuore a contrarsi, battendo ad un ritmo sempre più forte. Per un istante si convinse che sarebbe schizzato via dal suo petto per correre nella morsa di Pitch.
Cercò di concentrarsi sul fatto che presto sarebbe tutto finito ma non fu comunque in grado di trattenere lo straziante grido di dolore che fuoriuscì dalle sue labbra, mentre il vortice nero fuoriusciva dal suo cuore, sempre più grande e nero per ogni secondo che passava.
Di lì a poco la sua mente si ritrovò avvolta da una coltre di nebbia scura che ovattò tutto attorno a lei, così come il dolore che sembrò passare in secondo piano.
Fu come risvegliarsi con l'impressione di cadere all'interno del proprio letto. Solo che lei, al contrario, si stava addormentando in un mondo sospeso tra due realtà.
Ormai prossima a chiudere gli occhi, rivolse un'ultima occhiata allusiva a Pitch, ricordandogli il compito che gli sarebbe spettato in seguito e che lui le aveva promesso.
:-Per quel che vale, mi dispiace-. Disse piano lui, o forse aveva borbottato qualcos'altro. Cosa importava ormai? I suoi sensi si stavano spegnendo.
E cadde.

Tra le mani di Pitch risiedeva un nero globo d'ombra e tenebra, la cui grandezza era pari più o meno a quella di una testa umana. L'oscurità grondava da quella massa, scivolando tra le sua dita ed insinuandosi nei pori della sua pelle.
Lo contemplò in silenzio, un sorriso sardonico stampato sulle labbra.
Avvicinò il globo al suo petto e ve lo spinse contro, lasciando che vi penetrasse.
Una scarica di adrenalina gli attraversò il corpo e si sentì come appena ridestato da un sonno durato non solo decenni ma secoli. Scattò velocemente in piedi, inspirando a pieni polmoni il potere che ora scorreva dentro di lui proprio come nei tempi lontani, in cui tutti lo temevano. Allargò le braccia ed assaporò quel momento che, purtroppo, non aveva il sapore si aspettava. La dolce vittoria portava con se una nota di amarezza. Il che gli ricordò di avere ancora un compito da svolgere, prima di chiudere definitivamente quel capitolo.
Scarlett era distesa a terra, ovviamente priva di sensi, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Un lento alzarsi ed abbassarsi del suo petto testimoniarono che vi era ancora vita in lei, purtroppo.
:-Prima il dovere, poi il piacere-.
Si chinò su di lei e raccolse il coltellino svizzero buttato al suo fianco. Ne osservò la lama e scosse il capo, sorridendo amaramente. Era rovinata dai mille utilizzi e solo uno stolto, o un sadico, avrebbe potuto utilizzarla per uccidere qualcuno. Così lo lanciò via e nella sua mano apparve un altra lama, un pugnale stavolta, nero ed affilato a dovere.
Posizionò la lama contro il collo scoperto di lei, premendo appena ma la sua mano tremò e fu costretto a fermarsi.
“E solo un momento di debolezza” si giustificò con se stesso, scuotendo il capo.
:-Ora o mai più-.
Premette un altro po' la lama sulla sua pelle ma non fu ancora in grado di andare a fondo.
Perché doveva essere tanto difficile? D'altronde non aveva esitato a rovinarle la vita, fino a quel momento, quindi cosa poteva costargli concederle il dolce ed eterno riposo?
“Maledizione!” Pensò, alzando il viso su quello di lei. Vagamente gli ricordò una di quelle principesse delle fiabe, quelle che solo un bacio avrebbe potuto risvegliare dal sonno. Non che fosse tipo da quel genere di racconti -sebbene quelli più datati fossero il pari di una storia dell'orrore- ma ne aveva sentite nei secoli di quelle storie, narrate fanciulli che lui era pronto a terrorizzare, acquattato nell'angolo più buio della loro camera.
Prese un respiro profondo e premette un'ultima volta la punta della lama contro la giugulare di lei, per un attimo si convinse che ce l'avrebbe fatta ma, quando un piccolo rivolo rosso scivolò sulla sua pelle, fu di nuovo costretto ad arrendersi.
:-No!- urlò infine, lasciando cadere a terra il pugnale che si dissolse -Non ci riesco!-.
Quella ragazzina, riusciva ad essere una spina nel fianco persino così, addormentata e vulnerabile.
Pitch sospirò e si arrese all'evidenza.
:-Sei riuscita a mettermi con le spalle al muro, piccola Scarlett-.

Nella cittadina di Burgess l'alba era ormai prossima ma il sole non avrebbe rischiarato il cuore dei suoi abitanti in quell'uggiosa mattina di fine autunno.
Poche gocce di pioggia iniziarono a cadere dal cielo plumbeo.
Pitch apparve dal suo vortice di ombre lungo il vialetto della casa di Scarlett, la ragazza era inerme tra le sue braccia.
Si chino e piano la depositò delicatamente a terra, adagiandola su di un fianco, a pochi passi dalla porta.
La contemplò alcuni istanti, osservando la pioggia cadere su di lei, inzuppandole i capelli ed i vestiti. Infine, senza dire o fare altro, sparì.

Non appena Helen vide quel corpo disteso lungo il suo vialetto, non ebbe alcun dubbio a riguardo.
Era lei.
Non aveva idea di come fosse possibile che i suoi capelli avessero subito una simile trasformazione ma, alla fine, cosa importava? La sua bambina era lì.
Corse sotto la pioggia battente, un piede le scivolò sul cemento bagnato e cadde in ginocchio al fianco della figlia, probabilmente si era procurata qualche graffio o lieve contusione ma in quel momento non se ne accorse nemmeno, si allungò sulla sua bambina e la avvolse nelle proprie braccia, sollevandole il viso e posandolo contro il suo petto, cercando di coprirla dalla pioggia.
:-Scarlett? Scarlett? Amore mio svegliati-. Disse dapprima piano e dolcemente lei, accarezzando il viso di sua figlia mentre la scuoteva appena, cercando di svegliarla.
Immediatamente controllò il suo polso, le sembrò regolare. Avvicinò una guancia al suo viso, riuscendo a percepire i suoi lenti respiri ma, benché ella respirasse, non riaprì i suoi occhi.
La scosse ancora gentilmente, continuando a chiamare il suo nome, mentre la pioggia inzuppava ormai entrambe. La sua piccola era lì, perché non apriva gli occhi? Cosa poteva esserle capitato di tanto grave da ridurla in un simile stato?
Il suono della sirena di un'ambulanza, chiamata da qualche vicino che stava segretamente assistendo alla scena, iniziò a sovrastare quello della pioggia.
Ma non solo i vicini stavano assistendo a quel drammatico evento.
Celati agli occhi degli adulti, i Guardiani erano lì: North, Sandman, Dentolina, Calmoniglio e Jack Frost.
Il silenzio di aver fallito abbracciò la loro consapevolezza di cosa si sarebbero dovuti preparare ad affrontare. Con Pitch ora al pieno delle forze, cosa gli avrebbe impedito di fare qualcosa di ben peggiore di quello che aveva fatto a Scarlett? Quante altre infanzie sarebbero finite distrutte dalla sua folle smania di grandezza e potere? Sarebbero stati nuovamente in grado di fermarlo come un tempo?
Scarlett nel mentre venne caricata nella vettura, accompagnata dalla madre.
Le sirene suonavano ma il pianto disperato di Helen riuscì a sovrastarle.

 
* * * *

2 SETTIMANE DOPO

La situazione era più nera che mai e non perdeva attimo per peggiorare ancora di più.
I Guardiani stavano lottando senza sosta contro Pitch, il quale usciva vittorioso da ogni battaglia, portandosi via i sogni di centinaia di bambini ogni volta.
Al Polo Nord, il Globo stava andando via via spegnendosi, già un quarto di quelle luci non brillava più, per quanto ancora sarebbero riusciti a durare?
:-Manny, amico mio. Cosa devo fare?-. Chiese North, non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva ma era disperato, rivolgendosi al suo caro amico, il motivo per cui tutti loro potevano definirsi dei Guardiani: L'Uomo nella Luna.
Nessuna risposta giunse in loro soccorso, stando a significare che se la sarebbero dovuta cavare da soli contro quell'immane ed oscura potenza.
Il Natale era ormai alle porte ma...sarebbe mai giunto questo Natale? Persino in lui la Speranza iniziò a vacillare e Santa Clause iniziò a percepire il peso di tutti quegli anni come un macigno.

Altro che doppi turni, Sandman si ritrovò letteralmente sommerso di lavoro. Costretto a correre da un capo all'altro del pianeta, nel tentativo di allietare il sonno dei bambini i cui incubi si facevano, man mano, sempre più forti.
Tanto piccolo, quanto forte e stoico, avrebbe continuato a lottare contro Pitch sino allo stremo delle sue forze, per nulla al mondo si sarebbe mai arreso alla Paura.
Il sole aveva appena iniziato a sorgere e spargere i propri raggi sui tetti della città indiana in cui si trovava, il che significava che il suo compito lì era terminato, al momento. Stremato dalle lunghe ore di lavoro, il paffuto Guardiano dei Sogni si passò una mano sulla fronte, sbadigliando così stanco da desiderare un sorso di quella bevanda, nera ed amara, che gli uomini bevevano per darsi energia: il caffè.
Per quanto desiderasse dormire, volle concedersi quel breve momento di pausa per volare in direzione di Burgess. La sua destinazione era sempre la stessa: una stanzetta del terzo piano di rianimazione del St. Joanne Hospital. Si recava lì ogni giorno, più o meno, sperando ogni volta che al suo ritorno ci fossero cambiamenti ma, anche quel giorno, la situazione era la stessa del precedente: su di un letto, avvolta da bianche coperte, dormiva Scarlett. Un macchinario, collegato da tanti fili al suo cuore, simulava le pulsazioni del suo battito cardiaco su uno schermo nero attraversato da una linea curva verde.
Bip...bip...bip...
La linea si alzava regolarmente ad ogni battito.
I medici non erano stati in grado di spiegare in alcun modo le sue condizioni. Secondo tutti i test a cui era stata sottoposta, anche più volte, stava bene. Non vi erano alterazioni o danni di alcun tipo, ad esclusione di un piccolo taglio all'altezza della giugulare che si era rimarginato nel giro di un paio di giorni. Per quanto riguardava tutti i risultati delle analisi, lei stava semplicemente dormendo, ma un sonno della durata di due settimane non poteva di certo definirsi un semplice riposino pomeridiano.
Sul grembo della ragazza vi era poggiato il capo della madre. Quella donna era più forte di tutti loro, una vera forza della natura. Non si era mai arresa e non aveva mai perso la speranza. Sua figlia avrebbe riaperto gli occhi e, allora, avrebbe affrontato il mondo intero purché non si allontanasse più da lei. Se glielo avessero proposto come unica soluzione, avrebbe dato l'anima per riaverla.
Seduto accanto a lei invece c'era Jaime. Il ragazzo stava facendo i salti mortali, giostrandosi tra lo studio e le visite all'ospedale, dando spesso il cambio ad Helen affinché lei potesse riposarsi o andare a casa per le più piccole necessità.
Non appena Jaime vide Sandman, entrare flemmatico dalla finestra, gli rivolse un sorriso stanco :-Ehi!-. Lo salutò.
Sandman rispose al saluto con un distratto cenno della mano e si avvicinò al letto.
Bip...bip...bip...
Il ragazzo pensò che forse era meglio lasciare il Guardiano da solo con la ragazza, motivo per cui scosse delicatamente Helen, destandola dal suo leggero sonno e, con la scusa di un caffè per riprendersi dalla stanchezza, la convinse ad uscire dalla stanza.
Quando nella stanza rimasero solamente loro due, Sandman prese tra le sue mani quella di lei.
Più degli altri, lui sentiva gravare la responsabilità per ciò che le era accaduto. Certo non avrebbe mai potuto immaginare che lei avesse preso quella chiave per liberare Pitch ma, al di là di tutto, era quanto mai giustificabile che potesse compiere qualche follia in quello stato. E lui aveva un semplice compito, quello di vegliare su di lei, glielo aveva promesso, e invece l'aveva lasciata andare.
Guardò l'orologio fissato sulla parete dinanzi al letto segnare le 19:08. Per lui era tempo di tornare a svolgere il proprio dovere in qualche altra parte del globo.
Si allungò quindi sulle punte e, dandosi una leggere spinta, posandole un bacio la fronte per poi volare via sulla sua nuvola dorata di sogni, che si stava facendo, via via, sempre meno rilucente.

Il buio.
Non vi era nient'altro in quel desolato posto che era la sua mente.
Solo buio, buio e buio per settimane. Gli incubi erano cessati certi ma in cambio aveva ricevuto il nulla.
Era sola, sospesa nel vuoto. Riusciva a percepire piccole pillole di quello che accadeva intorno a lei ma non poteva interagire con nessuno. Più inutile di così non si poteva.
“Oh andiamo Scarlett! Non prendiamoci in giro. Sei sempre stata abbastanza inutile, sia per gli altri ed anche per te stessa. Non sei stata nemmeno in grado di convincere il nemico della tua intera esistenza ad ucciderti, nel momento cruciale”
L'unica compagnia che le era rimasta, oramai, era quella dei propri pensieri e, dopo due settimane passate ad ascoltarsi, veramente non si sopportava più.
Si alzò dal suo angolo e cammino in quello spazio, così infinito e così limitato al tempo stesso, vi aveva vagato per giorni ma era sempre stata consapevole che sarebbe rimasta lì, da sola con se stessa.
Quando aveva perduto i sensi, precipitando nelle tenebre, non si sarebbe di certo aspettata di risvegliarsi in quel luogo. A dirla tutta credeva che non si sarebbe risvegliata mai più ed in alcun modo, visto che aveva lasciato a Pitch la semplice missione di ucciderla e, al momento, non era nemmeno tanto sicura se essergli grata o meno per essersi tirato indietro.
Dopo l'ennesimo giro di ricognizione, che le confermò non ci fosse altro che la sua irritante compagnia, decise di dare un'occhiata a ciò che stava accadendo fuori. Non aveva idea di come accadesse ma, quando voleva vedere qualcosa, si apriva come una finestra sul mondo che la circondava al di fuori. I tratti delle figure non erano mai ben delineati, probabilmente era la sua memoria legata ai suoni che percepiva a ricrearle ma tanto bastava a darle un quadro della situazione.
Sua madre dormiva poggiata contro il suo grembo, cosa avrebbe dato solo per carezzarle i capelli e rassicurarla su tutto ma, come ovviamente sapeva, non aveva il controllo dei propri arti.
Jaime invece era seduto al fianco della donna, sbadigliò stanco e stirò le braccia per poi incrociarle attorno al petto. Era talmente dispiaciuta di stargli arrecando tutto quel disturbo, avrebbe voluto scusarsi, parlare con il suo migliore amico e chiarirsi, così da poter parlare di tutte le cose non dette. Anche perché, sinceramente, nonostante le fosse stato spiegato, non aveva ancora ben capito quale fosse il suo legame con i Guardiani.
Di lì a poco Sandman fece ingresso dalla finestra, rivolgendo un saluto a Jaime e volando al suo fianco. Il ragazzo quindi si alzò e portò con se sua madre mentre il Guardiano le si avvicinava, tenendole la mano e fissandola con i suoi tristi occhi dorati.
:-Se solo sapessi quanto mi dispiace-. Mormorò Scarlett con voce spezzata, anche se sapeva perfettamente che la sua voce non sarebbe mai giunta a lui, da lì. Eppure lui alla fine le sorrise, come se avesse capito e si spinse sulle punte posandole un bacio sulla fronte.
Come per incanto una lieve luce apparve, una lacrima dorata che lentamente scese dall'alto. Scarlett la fissò, meravigliata ed immobile, col capo rivolto all'insù, lasciando che la goccia cadesse delicatamente sulla sua fronte.
Fu strana la sensazione, un dolce tepore la avvolse e il ricordo di quel bacio sulla fronte, ricevuto per chissà quante notti negli ultimi dieci anni, risvegliarono in lei memorie lontane che si proiettarono nel buio come in una sala cinematografica, la sua mente il loro proiettore.

Una bambina correva ridente tra le braccia di un uomo, suo padre, il quale la strinse a se, abbracciandola, per poi sollevarla al di sopra della sua testa dandole l'impressione di saper volare :-Ehi vieni qui!-. Disse subito l'uomo riportandola giù :-Non mi volare via eh?-. Le raccomandò lui ridendo.

Sì, era strano, non aveva alcuna memoria di quei momenti da molto tempo ormai. Eppure, quello era sua padre; quella bambina era lei e...stava ridendo.
:-Cosa sta succedendo?-.
Il ricordo mutò.

Sempre la stessa bambina, solo qualche anno più grande. Affacciata alla finestra della propria cameretta con l'orsacchiotto stretto contro il pigiama, osservava ciò che stava accadendo ad un piano di distanza da lei, nel vialetto di casa. Suo padre urlava mentre caricava diversi bagagli nella macchina, sua madre invece lo inseguiva avanti e indietro, anche lei urlando ad ogni frase, così da richiamare le attenzioni dei vicini. Alcuni si affacciavano sulla strada, altri invece osservavano dietro la sicurezza delle loro fragili finestre.
La bambina strinse un po' di più l'orsetto a se, assistendo incapace di comprendere il perché di tutto quel trambusto.
I grandi litigavano, questo lo sapeva benissimo, ma poi facevano sempre la pace no?
Suo padre infine salì in macchina e, effettuando un paio di manovre incerte con le quali si trascinò via persino la cassetta delle lettere, percorse la strada a gran velocità, sparendo e lasciando solo il silenzio mentre le gente tornava nelle proprie abitazioni. Fingendo di non aver visto niente.
La bambina invece rimase per alcuni istanti alla finestra, incerta, per poi rimettersi a letto, senza lasciare mai andare il suo adorato amico di pezza :- E' solo un brutto sogno- piangeva -Non è successo nulla Scarlett, stai solo sognando-.
Ma purtroppo il mattino venne con le sue realtà. Erano rimaste solo lei e la mamma tra quelle mura. La bambina non le chiese il perché. Non voleva saperlo, non poteva esserci alcuna spiegazione che sarebbe riuscita a comprendere allora. Abbracciò solamente sua madre e le diede un bacio sulla guancia :-Non preoccuparti mamma, io non ti lascerò mai-.

Scarlett pianse.
Gli incubi le avevano dilaniato l'anima, quello era vero, ma erano soltanto incubi. Quel ricordo invece, così vero e nitido da far male.
Il ricordò cambiò ancora ritornando ad un evento di pochi anni prima.

La scena si aprì su di un grande prato. Avvolti dallo sconfinato verde dei campi, la famiglia di Scarlett aveva trovato un piccolo all'ombra di un albero, dedicandosi ad un sereno pic-nic domenicale. Sembravano tutti così felici, come nelle fiabe, o forse era solamente il ricordo sfocato e confuso di una bambina.
Lei correva senza sosta attorno all'albero, alle prese con una palla che non riusciva a far rimbalzare sull'erba, cosa che sembrava scocciarla alquanto, finché non si fermò improvvisamente, fissando un punto non proprio chiaro tra le fronde dell'albero.
Tornò in un lampo dai suoi genitori, tenendo tra le braccia una piccola palla di pelo bianca :-Mamma mamma- urlava -Ho trovato il bianconiglio!-. E porse la povera bestiolina, mentre si dimenava per sfuggire alla sua “amorevole” morsa, vicino al viso della madre.
:-Ma che carino-. Disse la madre poco convinta volgendo un'occhiata di supporto al marito che intervenne subito, trattenendo a stento una risata.
:-Tesoro che ne dici se lo lasci tornare alla sua tana?-. Le chiese quindi il padre, in pena per quella creatura, mentre si allungava per accarezzarne il folto e morbido pelo.
:-No!- urlò lei, quasi spaccando i timpani dei genitori, portando il coniglio contro il suo petto, forse stringendolo un po' troppo forte – Il signor Coniglio è mio amico e vuole venire a casa con noi! Può vero?-. La piccola Scarlett formulò la frase come se fosse stata una domanda ma in realtà era più un'imposizione. Tant'è che i due coniugi spesero parecchio tempo, tentando di convincerla a desistere e, alla fine, fu il coniglio a decidere il da farsi per tutti, mordendo le dita della bambina che lo lasciò cacciando un urlo, così che potesse scappare via ad una velocità mai raggiunta da nessun roditore.
Scarlett scoppiò in lacrime battendo i piedi a terra, indignata.
Suo padre, tentò di consolarla ma non poté fare a meno di scoppiare a ridere dopo aver assistito ad una scena così buffa e, anche se la figlia gli mise il muso per questo fino al loro ritorno a casa, non riuscì a smettere per un bel po', cadendo addirittura sull'erba, fino a tenersi la pancia.

Una risata, fuori dallo schermo, si unì a quella dell'uomo. Sebbene avesse gli occhi lucidi e le guance rigate dalle lacrime, le labbra di Scarlett erano aperte nella più gioiosa risata che fosse mai uscita dal suo petto.
:-E quindi, sarebbe per questo motivo che...- un singhiozzo, dovuto al troppo ridere, le bloccò la frase-...che ho paura dei conigli?-. Una risata ancora più forte sovrastò l'altra e continuò a ridere senza ritegno, tenendosi anche lei la pancia, come suo padre nel ricordo.
Sentì le sue risate avvolgere l'oscurità donandogli luce e, lentamente il buio si illuminò di immagini, in un corridoio di ricordi perduti: alcuni belli, dolci e piacevoli; altri tristi e malinconici; altri invece talmente divertenti che non poteva trattenersi dal ridere non appena il loro pensiero sfiorava la sua mente.
Continuò a seguire quei ricordi e, alla fine, una luce apparve.

I suoi occhi si aprirono, la luce invase il suo campo visivo e per un attimo si ritrovò costretta a chiudere gli occhi, per poi riaprirli più lentamente.
Stava ancora ridendo, poteva sentire il volto piegato in quella bellissima smorfia, poteva sentire il suo cuore, ora leggero e sereno riempirsi di quella luce che aveva intorno. E continuò a ridere, non riusciva più a smettere.
Sua madre e Jaime tornarono proprio in quell'istante, trovandola lì: gli occhi aperti e la risata sempre più forte, mentre con una mano si asciugava una lacrima che le era scesa su una guancia.
E dopo un primo istante di stupore, senza alcun motivo logico, ma credo che in momenti di tale stupore le azioni non abbiano mai una gran logica, scoppiarono anche loro a ridere insieme a lei.

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Capitolo 12
*** Talmente bene...che può solo andare male. ***


Capitolo XI

Talmente bene...che può solo andare male.
 




Alcuni giorni erano passati dal suo risveglio in ospedale e si trovava ancora lì.

Le avevano detto che era meglio per lei, stare un po' a riposo, senza calcolare che sua madre, preferiva tenerla lì,mentre si destreggiava con i suoi turni, anziché lasciarla a casa da sola.
Comunque Scarlett di fretta non ne aveva, anzi, erano da anni che non si sentiva così bene e, anche se il cibo dell'ospedale la spingesse a preferire il digiuno, aveva guadagnato qualcosa di molto più prezioso.
Finalmente riusciva a parlare con sua madre ed era forse una delle cose che più aveva desiderato.
Parlavano per ore e anche se magari i loro discorsi non vertevano su profondi viaggi nel passato, alla ricerca di ricordi negli anni, a Scarlett andava bene così. Potevano anche semplicemente parlare del tempo e le bastava questo.
Al suo risveglio i dottori e sua madre vollero sapere cosa le fosse successo e ovviamente la ragazza si ritrovò costretta a fingere un'amnesia.
Certo, mentire proprio adesso non le andava ma era comunque conscia che non erano loro le persone con cui parlarne.
C'era solo una persona, vicina a lei, a cui avrebbe potuto raccontare tutto e quella persona era Jamie.
All'inizio c'era da ammettere che per loro fu alquanto imbarazzante. Non capita tutti i giorni di ascoltare due ragazzi di 18 anni che intavolano una discussione seria su Babbo Natale, la Fata del Dentino e tutta la compagnia bella. Questo ovviamente se non ci si ritrova nei pressi di un reparto psichiatrico, allora lì potreste anche incrociare discorsi ben più fantasiosi.
Ed alla fine la ragazza scoprì cosa lo legava tanto ai Guardiani.
Il suo amico di infanzia poteva vantarsi di essere stato uno dei primi bambini ad aver mai creduto in Jack Frost ed averlo visto.
Ma questo non era tutto.
C'era anche da contare che lui, e la vecchia combriccola di amici, con cui giocavano insieme da piccoli, erano proprio quei bambini che avevano aiutato i Guardiani dieci anni prima a fermare il feroce attacco di Pitch.
:-Ti pare che quella sera fossi io l'unica che la passò a dormire!-. Scherzò lei alla fine del racconto.
Jamie scoppiò a ridere e le scompigliò i capelli come era solito fare :-Te l'ho sempre detto che sei una dormigliona!-.
Ed ora finalmente era a conoscenza di tutti gli eventi passati che le interessavano. Ora quello che le restava di cui preoccuparsi non era altro che il futuro.
Da quando aveva ripreso coscienza nessuno dei Guardiani si era più fatto vivo e la cosa le metteva un po' in agitazione.
“Come se te lo meritassi!” Si punzecchiò da sola.
Quando ne parò con Jamie lui la rassicurò, dicendole che a tempo debito, sarebbero tornati e che non aveva nulla di cui temere.
Non l'avrebbero dimenticata.
In un nuvoloso pomeriggio di metà novembre non vi erano molte cose da fare, specie se ci si ritrova nel letto di un ospedale, e Scarlett impiegava il suo tempo a giocare a carte con Jamie.
:-Tu guarda che mi tocca fare!-. Finse di brontolare lui, mostrando la sua ennesima mossa vincente. Effettivamente non stavano giocando. La stava stracciando!
:-No. No, no, no, no! Non è possibile! Questa avrei dovuto vincerla io!-. Si lamentò lei mostrando le sue carte al ragazzo.
:-Ehm...Scarlett. Quelle sono buone per Spades ma noi stiamo giocando a Hearts!-. Le spiegò cercando di trattenere il sorriso che gli si stava stampando in faccia all'espressione incredula della ragazza che alla fine andò ad imbronciarsi.
:-Saputello!-. Sentenziò infine, impedendo a Jamie di trattenere la sua risata che costrinse anche lei a mutare la sua espressione in un sorriso.
:-Ok! Sono io ad essere negata lo ammetto. Ma solo un....oh!!-. Esclamò restando ammutolita, tenendo lo sguardo volto verso la finestra.
:-Cosa c'è?-. Le chiese Jamie.
:-Aspetta!-.
Si alzò, forse un po' troppo velocemente, visto che dovette reggersi alle sbarre del letto in un primo istante, e si avvicinò alla finestra, poggiando le mani contro il vetro mentre il suo respiro caldo lo appannava.
Dei fiocchi bianchi scendevano leggiadri dal cielo grigio e compatto, danzando nell'aria fredda con movimenti morbidi e sinuosi.
:-Sta nevicando!. Esultò lei emozionata, saltellando e Jamie le corse vicino.
:-Tu sai questo che significa?-.
:-Io non lo so dimmelo tu!-. Ma non era stata Scarlett a rispondere.
I due ragazzi si volsero, anche se non avevano bisogno di vederlo per avere conferma: era Jack!
Jamie non perse tempo e gli corse incontro abbracciandolo. Era parecchio più alto del guardiano ma vicino a lui sembrava tornare un bambino.
In quel momento si sentì un po' come un'intrusa in quella stanza.
Poi si fece coraggio e sussurrò un sottilissimo -Ehi!- come saluto, richiamando la loro attenzione. Un po' impacciata forse ma ci si poteva lavorare.
:-Bene bene!- disse Jack dondolandosi sul suo bastone -Ed eccola qui, di nuovo tra noi!-.
Una volta vicino la fissò seriamente con i suoi occhi di ghiaccio :-Ci hai messi tutti in un bel guaio lo sai?-.
Scarlett si rabbuiò, non aveva ripensato ai danni che aveva provocato, in quell'istante era stata solamente felice di rivederlo :-Lo so. Mi dispiace!-.
:-Perfetto! Risolto!-. Esclamò veloce il Guardiano, mettendosi a ridacchiare e facendole tirare un bel sospiro di sollievo.
Il piacevole rumore di spicci in un sacchettino annunciarono l'arrivo di Sandman, che apparve proprio al suo fianco.
Scarlett alla sua vista si lasciò cadere in ginocchio e lo abbracciò, tentando di non piangere per la gioia :-Grazie! Temevo di non rivedervi più!-.
Sandman, inizialmente stupito, ricambiò la stretta dandole qualche piccola pacca sulla spalla.
Infine si rimise in piedi, dandosi una spolverata con le mani alle ginocchia e si sedette sul letto :-Dentolina, North e Calmoniglio? Loro perché non sono venuti?-.
Un po' troppi secondi riempirono il tempo tra la sua domanda e la risposta.
“La bocca chiusa ogni tanto no, eh, Scarlett?”.
:-Sai in questo momento sono tutti parecchio indaffarati e North non è proprio al massimo delle suo forze. Anche Dentolina, non riesce granché a volare.
Un nodo le si strinse attorno alla gola :-E'...colpa mia?-.
Una domanda al quando retorica.
Jack le si mise vicino, avvolgendole le spalle con il braccio e per la prima volta Scarlett notò quanto fosse freddo :-Beh...tecnicamente sì!-.
Non fece in tempo a pronunciare quel -Sì- che una sfera dorata lo colpì in pieno viso, scaraventandolo dall'altro lato del letto.
Era stato Sandman, il quale prese poi la mani della ragazza nelle sue.
:-Ma che ho detto??-. Chiese Jack dal pavimento e il Guardiano dei Sogni per tutta risposta gli lanciò un'occhiataccia.
Poi guardò Scarlett sorridendole e lei si sentì sollevata da quel sorriso rassicurante. Ma non bastava. Non poteva bastare.
:-Portatemi con voi!-. Esclamò infine, con tono deciso, cogliendoli di sorpresa.
:-Io ho bisogno di riparare ai miei errori e da questo letto non posso fare nulla!-.
:-Non se ne parla!- Sentenziò Jack rimettendosi in piedi -Hai già combattuto la tua battaglia ed hai vinto! Ora tocca a noi batterci per la nostra!-.
:-Della quale non dovreste preoccuparvi se io avessi combattuto la mia come avrei dovuto!-. Borbottò Scarlett tra se e se. Restando pensosa per alcuni istanti.
Poi un lampo e le venne l'illuminazione.
:-Almeno permettetemi di dire agli altri che mi dispiace!-.
Jack portò una mano alle tempie :-Lo sanno già Scarlett!-.
:-Per favore!- insistette senza perdersi d'animo -Non avrò mai pace se non lo farò di persona!-.
Il Guardiano del Divertimento stava per darle la sua terza risposta negativa ma Sandman lo fermò, guardando poi Scarlett ed acconsentendo alla sua richiesta con un cenno del capo.
:-Perfetto non parlo più!-. Disse Frost indispettito ma non troppo.
La ragazza saltò in piedi battendo le mani :-Bene! Andiamo allora!-.
:-Andiamo, dove?-.
“Oh-oh!”
Scarlett si volse verso sua madre, ammutolendosi e rivolgendole un sorriso imbarazzato.
:-Dove vorreste andare voi due?-. Chiese lei di nuovo.
Loro due?
Scarlett guardò per un istante i Guardiani che, cogliendo la domanda nei suoi occhi, scossero il capo: lei non poteva vederli!
:-Scarlett?-.
:-Beh...io..-. Non riusciva a trovare una scusa!
:-Andare a prendere un caffè!-. Disse Jamie, salvando Scarlett per il rotto della cuffia, ed avvicinandosi alla porta.
:-Le stavo dicendo che non c'è bisogno che venga insieme a me. Glielo porto io qui in camera. Lei vuole qualcosa Helene?-.
La donna li guardò un momento, non aveva motivo di dubitare delle sue parole ed alla fine annuì :-Però vengo con te. Altrimenti non riuscirai a portare tutto da solo!-.
Stavano per uscire entrambi quando la donna si volse nuovamente verso la figlia, in piedi davanti alla finestra :-Tu. Rimettiti a letto!-.
:-Ok mamma!-. Esclamò lei abbracciando la donna, forse un po' troppo a lungo.
Helene non disse nulla, le accarezzò la testa ed uscì, ricordandole con lo sguardo di mettersi a letto.
Una volta che furono abbastanza lontani la ragazza chiuse la porta e si avvicinò agli altri due ospiti :-Bene. Ora possiamo andare. Veramente!-.

* * * *
Quando giunsero al Polo Nord non vi fu Yeti o elfo che li degnasse di uno sguardo. Seppure fosse abitudine degli Yeti quella di salutare, erano troppo indaffarati nei loro lavori nel tentativo di salvare il Natale, ormai alle porte.
Scarlett non poté fare a meno di sentirsi incredibilmente in colpa per tutti loro, conscia del fatto che, se stavano lavorando così duramente, non era altro che a causa sua.
:-Lavorano così tutti gli anni!- le disse Frost leggendole negli occhi -Già a tre mesi prima di Natale sono in completo delirio sai?-.
Non credette molto alle sue parole ma apprezzò il suo gesto.
“Smettila di piangere sul latte versato!”. Si rimproverò.
Ma era più facile a dirsi che a farsi, questo era certo.
Non appena giunsero allo studio, trovarono i restanti tre Guardiani intenti a discutere sul da farsi di quella situazione disperata ma, quando videro la ragazza fare ingresso dalla porta si ammutolirono ed il loro volti si dipinsero di una gioia inaspettata.
E fu ancora più inaspettato quando Scarlett, correndo loro incontro, andò ad abbracciare Calmoniglio. Anzi, non lo abbracciò, gli saltò letteralmente in braccio. Lasciando il Guardiano, come tutti gli altri, visibilmente sorpreso.
:-Mi dispiace!-. Gli sussurrò mentre affondava il viso nel suo pelo morbido.
Il Pooka restò ancora qualche istante immobile ma, alla fine, si sciolse stringendo anche lui la ragazza :-Tutto ok!-.
:-Che stupida paura, quella dei conigli!-. Disse lei mentre lo lasciava andare, tornando con i piedi per terra e sorridendogli.
:-Non dirlo a me!-. E le sorrise a sua volta.
Intanto gli altri si erano riuniti in cerchio attorno a loro e Scarlett salutò anche Dentolina e North, abbracciando pure loro, i quali erano i più visibilmente stremati dalla situazione e ricordò per quale motivo si trovava lì.
:-Io....io sono voluta venire qui, per dire a voi. A tutti voi, elfi e Yeti compresi, che mi dispiace! Mi dispiace tantissimo, sono stata una stupida!-.
Sembrava una di quelle scene dei film. In cui il protagonista, dopo averne combinate di tutti i colori, chiede platealmente perdono a tutti i presenti, quasi pretendendo il perdono.
Aveva sempre detestato quel tipo di scene ed ora se ne ritrovava protagonista. Buffo no?
I Guardiani si rivolsero delle occhiate serie, facendo dubitare Scarlett per un istante.
:-Ma certo che accettiamo tue scuse!- Esclamò North scoppiando a ridere -Come potremmo non accettare scuse di ragazza con pigiama!-.
La sua risata fece tremare le pareti ed anche gli altri Guardiani risero appresso a lui.
Scarlett guardò il proprio corpo avvolto in una camicia da notte grigia con alcuni gatti e gufi stampati sopra. I piedi avvolti nelle morbide pantofole.
:-Oh no!- sbuffò lei, con tono preoccupato – Ho dimenticato la vestaglia!-.
E rise insieme a loro.
In quel momento, nulla sarebbe potuto andare meglio.
Anche se...

 
* * * *
Era dai tempi dei famosi Secoli Bui che la sua potenza non raggiungeva una tale intensità.
I suoi incubi macchiavano i dorati sogni di centinaia di bambini per volta ed i Guardiani, quegli inetti, si stavano pian piano, sempre più, ritrovando con le spalle contro il muro. Silenziosi spettatori della sua forza incontrastabile.
Sì, la situazione non sarebbe potuta andare meglio!
Ma allora perché non riusciva a godersi la sua, vicina e tanto agognata, vittoria?
Perché non riusciva a cancellare dalla testa il ricordo di quella ragazzina?
Seduto sul suo trono di ombre, Pitch non riusciva a chiedersi altro.
Perché non era stato in grado di affondare quella lama nella sua gola quando ne aveva avuto l'opportunità e liberarsi di lei una volta per tutte?
Si era lasciato dare per vinto. E per cosa poi?
Senso di colpa? “Nah!”...lui non era tipo da simili cliché.
E perché mai avrebbe dovuto sentirsi in colpa?
Beh, sì! Effettivamente erano parecchie cose ma non era quello il punto.
Tutto ciò che aveva fatto nel corso di quegli anni, a partire dalla notte in cui le infettò il cuore, lo aveva fatto senza provare un briciolo di rimorso.
Aveva distrutto i suoi sogni, lasciandola annegare nella follia della sua mente e non aveva mai avuto il benché minimo ripensamento!
“Sì ma non avevi mai pensato di arrivare ad ucciderla!”
No, questo era vero.
Ma aveva fatto di peggio.
Togliendole l'anima e lasciandola l', inerme, senza nemmeno infliggerle il colpo che le avrebbe dato l'eterno riposo.
Questo non era ben peggio?
“E se un giorno si risvegliasse?”
E questa? Da dove arrivava?
Quali stupidaggini stava cercando di raccontarsi?
Lo sapeva benissimo che non era possibile, non esistevano rimedi ne era più che sicuro.
:-Maledizione!-. Imprecò alzandosi e richiamando uno dei suoi incubi purosangue con uno schiocco delle dita.
Era stupido quello che stava per fare, conosceva già l'esito di tutto questo ma avrebbe dovuto accontentare la sua curiosità o il tormento per non averlo fatto lo avrebbe assillato e lui aveva un'intera eternità davanti a se.
Il cavallo arrivò, cedendo il muso nero alla carezza del suo padrone e lasciandolo montare sul suo dorso.
Destinazione: Burgess; ospedale; terzo piano.



La luna splendeva, piena e pallida, illuminando la sua nera silhouette che altrimenti si sarebbe confusa con le tenebre della notte.
L'aria che tirava era parecchio fredda. A confermarlo un leggero strato di neve che ricopriva i tetti e le strade.
L'uomo raggiunse l'ospedale e, in groppa al suo destriero, spicco un salto che lo fece arrivare alla finestra interessata.
Sbirciò al suo interno ma non la trovò come si aspettava: il letto, dove la ragazza giaceva, era vuoto e di lei non vi era traccia.
Stava per convincersi di aver sbagliato stanza quando si accorse che non era vuota, un altro ospite la occupava.
Seduta, nell'ombra, a fianco del letto, vi era Helene: le mani congiunte erano abbandonate sul suo ventre, le guance rigate da alcune lacrime che brillarono alla luce della luna.
:-Perché?-. Chiese lei e Pitch quasi credette stesse rivolgendosi a lui.
:-Perché Scarlett? Proprio ora che ci siamo ritrovate!-. E scoppiò a piangere, dando a Pitch un'idea di ciò che poteva essere successo.
“No...”
:-Perché?- continuò lei tra i singhiozzi e buttandosi con il viso sul letto della figlia, facendo affondare le mani nelle coperte e stringendole -Perché te ne sei andata?-.
Pitch guardò la donna, le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla.
Una mano invisibile ed inconsistente.
La mano di colui che aveva permesso che la figlia di quella donna se ne andasse.
Tornò alla finestra, volgendo un ultimo sguardo al letto vuoto.
:-Alla fine ho esaudito la tua ultima richiesta, piccola Scarlett!-. Disse atono mentre diversi sentimenti, roventi come il fuoco, prendevano forma nel suo petto arido.
Andava tutto per il meglio, talmente tanto che stava andando a rotoli.

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Capitolo 13
*** Il battito d'ali del cambiamento, l'inizio della fine. ***


Capitolo XII

Il battito d'ali del cambiamento, l'inizio della fine.

 



Con le braccia aperte, Scarlett stazionava immobile dinanzi un grande specchio incorniciato da delle affascinanti intarsiature in legno fatte da North, il quale non si era fatto mancare l'occasione di farglielo notare, non appena lei vi aveva posato i suoi occhi meravigliati.
All'inizio aveva rifiutato l'offerta del Guardiano delle Meraviglie, non era sua intenzione far perdere tempo agli elfi, mentre questi si stavano ammazzando di lavoro in vista delle festività natalizie, solo per farsi cucire un vestito su misura!
Alla fine non aveva problemi a restare nel suo morbido pigiama, anzi.
Ma North aveva tanto insistito, precisando anche che sarebbe stato meglio se gli elfi fossero rimasti lì, alla larga dai regali di Natale.
E quindi, eccola lì.
Certo non poteva negare che la cosa le facesse un certo piace in fondo. A causa dei suoi problemi, per fortuna, passati non aveva mai dato grande importanza al suo modo di vestire. Le era sempre bastato qualcosa di comodo e largo, in cui potersi rintanare.
Ma questo non significava di certo che a lei non piacesse, semplicemente non ne aveva idea. Cosa che invece si stava facendo ed il risultato fu evidente: NON NE POTEVA PIU'!
Sbadigliava ad ogni occasione e, seppure fosse profondamente grata a North per il trattamento principesco che le stava riservando, quella situazione non faceva proprio per lei.
Si trovava lì da circa mezzora e la cosa che più desiderava in quel momento era crollare su di una poltrona.
Dentolina si trovava al suo fianco ed era entusiasta, al contrario di lei.
Comunque cercò in ogni modo di non far notare la sua noia alla Guardiana, scusando gli sbadigli con la stanchezza dovuta all'ospedale.
:-Ti piace?-. Le chiese ad un tratto la fata.
Scarlett lasciò sfuggire un'occhiata incerta al suo riflesso: non era sicura di come stesse venendo il vestito ma era senza dubbio rosso!
:-Beh...diciamo che non passerò inosservata!-. Scherzò lei, cosa di cui Dentolina fu lieta.
Spostò lo sguardo dal vestito e si soffermò sui suoi occhi neri, provando una strana sensazione.
Quella ragazza nello specchio.... era lei, di questo non vi era alcun dubbio però non era la lei che si ricordava di essere.
Di solito i cambiamenti tendono ad avvenire un poco per volta e, quando accadono, si ha il tempo di abituarsi ad essi. Ma quando il cambiamento , seppur positivo, è tanto repentino si fa una certa fatica ad abituarcisi in un primo momento.
Il viso era sempre quello: naso a punta, labbra sottili e viso tondo dalla carnagione bianca; le nere occhiaie sotto i suoi occhi però erano scomparse, lasciando il posto ad un tenue rossore che era andato a formarsi sulle sue guance.
Ma la cosa che ovviamente la colpiva ancora maggiormente, anche a distanza di settimane, era quella cascata di capelli neri che le scendevano giù come spaghetti, incorniciandole il viso, per poi scendere morbidi lungo le spalle e, ancora più giù,fermandosi finalmente all'altezza dei fianchi.
Eh sì, era ancora abbastanza difficoltoso abituarsi al suo nuovo taglio e dimenticarsi di quei corti capelli biondi a cui aveva, forse, cominciato ad affezionarsi, specie per la sicurezza che le infondevano.
Il fisico anche, aveva beneficiato di quel cambiamento.
Gli incubi le avevano tolto, per parecchio tempo, il sonno e l'appetito, cosa che l'aveva resa lo spettro di se stessa, non eccessivamente magra forse ma non era nemmeno in salute. Ora invece, dopo la sedentarietà dovuta all'ospedale e, ammettiamolo, anche a qualche abbuffata di caramelle e leccornie che ogni tanto Jamie le portava, aveva cominciato a rimettere peso, notando con soddisfazione che qualche piacevole curva stava cominciando a delineare la sua bassa figura.
:-Sono così diversa!-. Commentò infine, fra sé e sé, ancora non propriamente convinta di cosa provasse nei confronti del suo stesso riflesso.
Allora Dentolina la prese delicatamente dalle spalle ed osservò insieme a lei quella ragazza che si guardava con aria dubbiosa.
:-Beh...diverso non vuol certo dire che sia negativo. Non trovi?-. Le chiese quindi, con il suo immancabile tono materno, mentre le rivolgeva un sorriso.
Scarlett rifletté alcuni istanti su quella domanda ed infine annuì sorridendole a sua volta.
Sì, era senza dubbio diversa, ma questo non la danneggiava in nessun modo, anzi, la rendeva senza dubbio migliore della ragazza a cui si era abituata di vedere il riflesso.
:-Oh! Guarda hanno finito il vestito!-.
Esclamò Dentolina, svolazzando felice ma, tradendo presto un'espressione perplessa non appena Scarlett si volse.
La ragazza rispose alla stessa maniera non appena abbassò lo sguardo sull'abito :-Ehm...-.

 
* * * *


Il bambino sobbalzò dal suo letto, nonostante il freddo invernale, alcune goccioline di sudore imperlavano la sua fronte corrucciata in un espressione impaurita.
Qualcosa lo aveva destato dal suo tranquillo sonno. Era stato un incubo!
Si fece coraggio e tentò di tornare sotto le coperte, cercando di scacciare dalla sua mente quelle oscure immagini che l'avevano affollata un attimo prima. Ma, dal letto accanto al suo, una bambina scattò anche lei a sedere, scacciando un urlo.
Joel, questo era il suo nome, scese a piedi nudi dal suo letto, avvolto dalle coperte, suo scudo contro qualsiasi male, e andò dalla sua vicina di letto.
:-Cicì- la chiamò -Anche tu hai avuto un incubo?-.
La bimba, i cui grandi occhi azzurri erano segnati da un'espressione di terrore, strinse a se il suo gattino bianco di peluche ed annuì.
:-Non preoccuparti Cicì!- tentò di calmarla Joel- Sono solo incubi. Non possono farti alcun male-.
:-Ne sei sicuro?-. Non era stata lei a parlare. La voce era quella di un uomo e proveniva dal lato più oscuro del dormitorio.
Il piccolo si volse in direzione di quella voce :-L'hai sentito anche tu?-.
:-Sentito cosa?-. Gli rispose Cicì, ancora più visibilmente spaventata.
Giù, lungo le fila di letti, illuminate appena da qualche lampione lungo la strada, sul limite della porta che dava nella camera, si ergeva un'ombra non del tutto definita.
Joel cercò di non farsi intimorire e, dopo aver fatto in modo che la sua amica restasse nel letto, si diresse verso quella silhouette.
“Non sei reale!” si disse.
Ma, più si avvicinava, più l'ombra diventava consistente, facendo vacillare la sua sicurezza.
Quando fu abbastanza vicino da scorgere nella figura i lineamenti di un uomo, gli venne spontaneo sfregarsi gli occhi con le mani e quando tornò a guardare, era sparita nel nulla.
Pochi istanti dopo, in tutto il dormitorio, i bambini cominciarono a svegliarsi uno dopo l'altro, urlando, i loro sogni dilaniati da terribili incubi.
Urlavano tutti, tutti tranne Joel, che ancora fissava incredulo la soglia della porta che si affacciava su un corridoio buio e vuoto.
Di lì a poco l'intero edificio, assieme a quelli di seguito, fu ghermito dalle grida all'unisono di tutti i bambini.

 
* * * *


Jack, North, Calmoniglio e Sandman si trovavano nel grande corridoio che girava a spirale intorno al Globo.
Mentre Scarlett e Dentolina si trovavano in compagnia degli elfi, i loro pensieri erano dati ad altre preoccupazioni.
Le luci.
Avevano cominciato a spegnersi una dopo l'altra ad una velocità impressionante ed inaspettata, il tutto nel giro di pochissime ore. L'intera costa orientale degli Stati Uniti era completamente spenta oramai e il manto nero stava andando ad estendersi al suo centro.
I Guardiani sentivano il peso della paura dei piccoli sui loro stessi corpi: North aveva già provveduto a quell'evenienza che lo stava consumando, tenendo stretto nella mano un bastone da passeggio.
:-Dobbiamo fare qualcosa al più presto- disse Calmoniglio, il quale sembrava essersi rimpicciolito di una decina di centimetri, sentendo il proprio corpo guerriero sempre meno allenato e potente -o non ci sarà più Speranza!-.
:-Non può averla vinta così. Maledizione!-. Esclamò Frost, facendo alzare un leggero vento freddo nella stanza.
Sandman e North non proferirono parola, scambiandosi solamente uno sguardo d'intesa. Entrambi stavano pensando alla stessa cosa.
Era strano.
Conoscevano Pitch da parecchi secoli, su per giù, e sapevano quanto lui amasse la teatralità. Ora che aveva tutto il potere in proprio pugno, cosa lo aveva spinto a sferrare un così potente attacco, privandosi così di gustare lentamente la sua tanto amata vittoria e schiacciarli pian piano uno dopo l'altro?
Possibile che si fosse stancato del suo stesso gioco? No...l'unico che non si sarebbe mai stancato di giocare ad una lenta e gustosa e vendetta era proprio lui.
Ma anche un altro pensiero affollava la mente dei due Guardiani: come avrebbero potuto frenare quella potenza distruttrice prima che le loro forze venissero meno?
L'Uomo nella Luna non parlava, possibile che avesse deciso di abbandonarli in un momento di tale bisogno?
I loro pensieri vennero presto distolti dall'arrivo di Dentolina, che volò loro incontro con espressione omicida :-Fate una sola battuta e vi cavo tutti i denti!-.
:-E perché? Cosa possono avere combinato elfi di tanto.....-North si bloccò giusto in tempo per pensare a ciò che stava per dire, terminando la sua frase con un -Oh!- non appena vide Scarlett arrivare, il volto leggermente arrossato dall'imbarazzo, così che i Guardiani potessero vedere il “lavoro completo”.
Il vestito in se non era male: un tessuto morbido e pesante dall'intenso colore rosso, il collo alto e le maniche svasate; alla vita era stretto da una cinta nera dalla quale poi si allargava la gonna, lunga fino al ginocchio. Non mancarono all'appello dei lucidi stivali neri dalla suola, e di questo Scarlett ringraziò il cielo, bassa.
Alla fin fine il tutto era pressoché passabile, tanto che persino North si stupì della sua fattura.
Ma era impossibile non notare quell'enorme fiocco nero, che le partiva dal centro del petto e le arrivava fino al mento, al quale accidentalmente era stato appuntato uno degli elfi che vi stavano lavorando e che in quel momento si stava disperatamente divincolando nella speranza di fuggire.
Scarlett lì guardò, implorando quasi aiuto con gli occhi.
Jack e Calmoniglio tentarono di trattenere una risata, cosa che alla fine gli risultò impossibile. Così scoppiarono a ridere e pure di gusto, tenendosi la pancia e sorreggendosi l'un l'altro.
“Quando vogliono diventano amiconi però!” pensò Scarlett stizzita mentre Dentolina si lanciava su di loro, tentando di aprire a forza le loro bocche.
:-Almeno loro averci provato!-. Commentò North allargando le braccia rassegnato.
Sandman invece si diresse verso di lei e, senza farsi problemi, afferrò l'elfo con forza per poi lanciarlo via, sotto lo sguardo stupito della ragazza.
:-Ma poverino!-. Esclamò, non sapendo se essere esattamente divertita o preoccupata per il povero esserino.
Il Guardiano dei Sogni si volse in direzione del piccolo elfo, che era stato prontamente soccorso dagli altri suoi piccoli amici, e poi scrollò le spalle con noncuranza, era chiaro che non provava molta simpatia nei loro confronti.
Nel frattempo il grosso fiocco si era sciolto ed era scivolato a terra, il Guardiano dei Sogni lo raccolse e, sollevandosi a mezz'aria nella sua nuvoletta, girò intorno a Scarlett un paio di volte, avvolgendola in un nuova e morbida sciarpa.
Quando ebbe finito la guardò, annuendo al proprio lavoro con soddisfazione.
La ragazza lo guardò raggiante ma il sorriso le morì subito sulle labbra :-La tua sabbia!-. Lo indicò, allarmata.
Sandman lo aveva già notato, stava sbiadendo! Inizialmente era diventata solo meno rilucente, una conseguenza che si era aspettato ma ora tendeva ad un giallino, spento ed opaco.
:-E' Pitch!-. Esclamò Frost volgendo il suo bastone ricurvo in direzione del Globo.
A sentire quel nome, Scarlett sobbalzò, portandosi una mano sul cuore.
Non lo aveva più sentito nominare da settimane ormai ma, stranamente, l'effetto che provò non fu quello di paura che si aspettava.
Tra i tanti ricordi che in quel momento avrebbero potuto affollare la sua mente alla pronuncia di quel nome, perché proprio quello?
Era nella tana di Pitch, le immagini si inframezzavano tra attimi di buio e follia ma nulla era chiaro come l'espressione del Re degli Incubi: combattuto, il pugnale alla mano, incapace di affondarne la lama nel suo petto. Incapace di ucciderla.
L'arma poi scivolò dalle sue mani, dissolvendosi non appena trovò il pavimento :-Non posso!-. Urlò lui.
Veniva poi il buio.
La scena si riapriva nel suo vialetto di casa sua, incosciente tra le braccia dell'uomo che delicatamente la lasciava di fronte alla sua porta, il viso triste e rassegnato.
Ed infine svanì.”
Una vaga, quanto assurda, idea cominciò ad insinuarsi nella mente della ragazza: e se anche lui, come lei, fosse potuto cambiare?

 
* * * *


I Guardiani si diressero alla Slitta, pronti, anche se non troppo, a fermare Pitch a qualsiasi costo.
L'Uomo Nero in quel momento stava incentrando le sue attenzioni negli stati centrali, nessun cenno di cedimento o stanchezza, anzi, ogni attimo diventava sempre più veloce.
:-Vi prego fermatevi è una follia!-. Gridò loro Scarlett, mentre uno Yeti la teneva ferma, impedendole di andare dietro loro :-Ho visto quello che sta accadendo! E' troppo forte! Non potrete mai farcela così, senza un piano! Vi prego, dovete fermarvi!-.
Oramai erano tutti pronti a partire :-Almeno portatemi con voi!-. Urlò lei, ormai in lacrime. Cosa ne sarebbe stato del futuro del mondo se i Guardiani avessero fallito? Cosa ne sarebbe stato di lei se loro non ci fossero più stati?
Calmoniglio scese dalla Slitta e le si fece vicino, poggiando le sue morbide zampe sulle sue spalle :-Non devi piangere Scarlett! La tua Speranza nella nostra riuscita in questo momento è la cosa più importante. Ti prego, non vacillare, credi in noi e vinceremo!-.
La ragazza fissò i grandi occhi verdi del Pooka, poteva leggerglielo, aveva paura ma questo non gli impediva di credere. Lui credeva in ciò che stavano per fare e anche gli altri.
:-Me lo prometti?-. Gli chiese Scarlett, cercando di trattenere un singhiozzo.
:-Promesso!-.
Scarlett prese un respiro profondo ed annuì, tenendo gli occhi chiusi, cercando di ricacciare indietro quelle stupide lacrime.
Calmoniglio tornò, titubante, sulla Slitta.
:-Gliene daremo di santa ragione, anche da parte tua!-. Fu il saluto di Frost un attimo prima che il veicolo sparisse.

 
* * * *


Avanzava.
Nessun piano nella sua testa: distruzione e disperazione erano i suoi unici obiettivi.
I sogni, le speranze, i ricordi, il divertimento e tutte le meraviglie che queste cose celavano, tutte cosa che a lui erano sempre state negate, stavano per svanire, inghiottite in un futuro avvolto nella paura.
Nessuno avrebbe potuto contrastarlo, non vi era più nessuno in grado di farlo.
I Secoli Bui stavano per tornare.

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Capitolo 14
*** Il canto del cigno ***


Capitolo XIII

Il canto del cigno.





Scarlett vagava pensierosa per la fabbrica di giocattoli, osservando ogni tanto di sfuggita il lavoro degli Yeti.
Se non fosse stata tanto avventata, sarebbe comunque andata in quel modo?
Phil era al suo seguito, North gli aveva affidato il compito di tenerla d'occhio e, questa volta, non avrebbe fallito al proprio dovere.
Era incredibile quanto uno Yeti potesse essere una creatura tanto orgogliosa e potente, quanto dolce e sincera.
La ragazza ancora si dispiaceva di avergli mentito ma, in quel momento, i suoi pensieri non potevano essere altro che per i Guardiani e, le doleva doverlo ammettere, per Pitch.
Quell'idea assurda, si era intrufolata nella sua mente mutando in ossessione.
Pitch poteva cambiare? Sembrava difficile crederlo ma...allora perché?
Perché non era stato in grado di ucciderla, nonostante tutto? Che non fosse la creatura crudele che tutti credevano?
La ragazza sospirò.
:-Cosa posso fare?-. Si chiese con un lieve sussurro.

 
* * * *



:-Vi stavo aspettando!-. Tuonò Pitch, dall'alto del suo muro di tenebre, pronto ad inghiottire ogni cosa attorno a lui, rivolto ai Guardiani.
Lo avevano trovato. Non che la cosa fosse stata difficile in realtà.
Un forte vento soffiava in quella piccola città nel Kansas, coperta da nere nuvole che coprivano, minacciose, il cielo notturno, privando quella notte dalle stelle.
:-Non vi vedo in gran forma!-. Rise. Ma la sua non fu una risata di gusto,sembrava più la risata di chi non ha nulla da perdere, amara e priva di alcuna soddisfazione.
:-Potrei essere in grado di battere te anche senza aiuto di gambe!-. Gli rimandò North, estraendo le sue spade ed agitandole al cielo.
:-E ad occhi chiusi!-. Aggiunse Calmoniglio, boomerang alla mano, assumendo la sua solita posizione d'attacco.
:-Sì, mi ricordo bene che non riuscite ad arrendervi all'evidenza!-.
Il Re degli Incubi prese un respiro profondo, allargando le braccia :-Lasciate che vi dimostri come stanno adesso le cose!-.
Una serie di tre ruggiti provenne dal fitto manto nero dal quale fuoriuscirono tre teste canine, ma tutte collegate ad un solo corpo. Era un Cerbero, alto almeno tre piani, dagli immancabili occhi rossi come carboni ardenti che caratterizzavano gli incubi.
:-Proklyatiye!!-. Esclamò North nella sua lingua madre.

 
* * * *



Si erano spostati nello studio di North.
Adesso Scarlett osservava, sotto l'occhio vigile di Phil, i fantastici oggetti in legno, creati dal Guardiano delle Meraviglie, animati da chissà quale meccanismo o magia.
Cosa ne sarebbe stato del mondo se simili meraviglie non fossero più esistite? In cosa avrebbero creduto dei bambini privi di infanzia?
L'esistenza dei Guardiani non era evidente agli occhi del mondo, ma ogni bambini, e anche qualche adulto, sapeva che loro c'erano. Lo credevano con tutto il loro cuore, ricco di sogni e privo di paure.
Ma adesso...
“Se solo potessi fermarlo!”
Un tonfo nella stanza, annunciò l'entrata di un altro Yeti il quale, gesticolando, fece capire ad entrambi di dover uscire da lì dentro.
I due non persero tempo ed uscirono, affacciandosi sul Globo, sempre più nero ma questo Scarlett lo immaginava.
Non era per quello che erano stati chiamati con tanta urgenza.
Da un foro, alto nel soffitto a volta, la luna era apparsa, splendendo in tutta la sua magnificenza, illuminando tutto con la sua candida luce.
In quella luce, che per molti poteva risultare fredda, Scarlett percepì un piacevole tepore, una sensazione sconosciuta ma allo stesso tempo più vecchia del mondo.
La ragazza ancora non comprendeva perché gli Yeti si fossero tanto allarmati, finché il fascio di luce non si restrinse, divenendo un piccolo raggio che andò, schizzando da una parete all'altra, alla ricerca di qualcosa. Qualcosa che trovò appena sfiorò Scarlett, fermandosi su di lei.
Rimase immobile, non sapendo esattamente cosa fare e come comportarsi in quella situazione. Stette quasi per chiedere aiuto a Phil, quando una voce amichevole e paterna proruppe nella sua testa.
“Vai!” disse, senza aggiungere altro.
Ed allora tutto fu chiaro come il sole o, per meglio dire, come il chiaro di luna!
Restare lì non serviva a nulla.
:-Phil!- chiamò lo Yeti la ragazza, nella sua voce si percepiva la scarica di adrenalina -Devi portarmi da loro-.

 
* * * *



L'attacco del Cerbero era stato un vero e proprio imprevisto.
Sì. Avevano immaginato che la sua potenza fosse aumentata, ed anche di parecchio, ma questo andava oltre ogni loro previsione!
Un potere tale da riuscire a creare una simile creatura dal nulla, di quelle dimensioni per giunta, e riuscire a mantenerne il controllo.
In molte case le luci erano accese, i bambini alle finestre assistevano all'assedio delle ombre nella loro città, terrorizzati.
I genitori, per chi ne aveva, tentarono di placare l'ondata di paura che aveva colpito i loro piccoli, pensando che fosse dovuta al forte vento. Non erano insoliti dei tornado in quella zona, dopotutto. Certo non potevano immaginare che i loro piccoli fossero concentrati non sul vento, ma su quelle nere creature che infestavano le strade, invisibili a degli occhi adulti.
I Guardiani nel frattempo avevano circondato il Cerbero: Dentolina, Sandman e Frost si occupavano di tenere occupate le tre teste, mentre Calmoniglio e North lo attaccavano lateralmente.
Era un osso duro, dovevano ammetterlo, ma stava cominciando a dare segni di cedimento.
Non mancava molto.
:-Prendi questo!-. Gridò Calmoniglio, sferrando il colpo di grazia sulla creatura.
Il cane crollò a terra in un tonfo, per poi sparire lentamente e tornare nell'oscurità da dove proveniva.

 
* * * *



Phil tornò immediatamente nello studio di North, dirigendosi verso la grossa dispensa che conteneva i globi di neve incantati, quelli che Santa Clause usava una notte all'anno per spostarsi velocemente, da una parte all'altra del pianeta, con la sua Slitta.
Individuate quelle che potevano fare al caso loro, ne caricò una portata enorme tra le sue braccia pelose per poi fare ritorno da Scarlett.
Quando giunse dalla ragazza alcune gli scivolarono a terra, mandando il povero Yeti nel panico.
:-Tranquillo!- disse lei cercando di calmarlo -Vedi? Sono tutte intere. Andrà tutto bene!-.
Quindi si chinò sulle sfere, osservandone una per una, volgendo di tanto in tanto un'occhiata al Globo.
:-Non sono mai stata brava in geografia!-. Si lamentò.
:-Vediamo...vediamo. Quello, dovrebbe essere il Colorado?-. Chiese mentre prendeva una sfera tra le mani. La osservò, vi era scritto “Salina (Kansas)” dentro.
Ancora quella sensazione di sicurezza, aveva trovato la sfera giusta!
:-E' questa!- esclamò entusiasta -Non so come faccio a saperlo ma è questa!-.
Rise guardando la sfera tra le sue mani, poi lo Yeti e infine nuovamente la sfera, fissandola per alcuni secondi, in silenzio.
:-E adesso che devo fare?-.
Lo Yeti si portò una zampa al muso, svilito.

* * * *

Pitch vide la sua creatura d'ombra svanire ma questo non abbassò minimamente il suo entusiasmo, anzi, stava quasi cominciando a divertirsi.
:-Bene bene! Avete vinto il primo round, i miei complimenti!-. Applaudì i Guardiani.
Dentolina cadde a terra perdendo qualche piuma, le sue ali non riuscivano più a sostenerla, era troppo debole :-Cosa possiamo fare?-.
North le si avvicinò, afferrandola dolcemente per le spalle ed aiutandola ad alzarsi.
:-Siete pronti per il secondo?-. Continuò Pitch.
:-Ho un piano!-. Disse Jack, un attimo prima che un nuovo ruggito spezzasse il rombo del vento, talmente forte che dovette aspettare alcuni attimi prima di continuare la frase -Non è proprio sicuro ma è un piano!-.
 

* * * *



Come apparvero alla periferia della piccola città di Salina, la tempesta, che si stava svolgendo in quel posto, colpì entrambi con una forza tale che Scarlett dovette sorreggersi al pelo di Phil per non capitombolare a terra.
La ragazza prese un respiro profondo, quel salto, attraverso il vortice che li aveva portati lì, l'aveva scombussolata causandole un forte capogiro.
:-Sto quasi rimpiangendo il mio primo viaggio sulla Slitta!-. Commentò tenendosi le tempie.
Con non poca fatica si rimise in piedi, avvolgendosi il più possibile nella pesante mantella rossa che gli elfi le avevano confezionato assieme al vestito, e cominciò ad avanzare, sfidando la forza del vento, tenendo stretta tra le mani la lunga sciarpa che le veniva continuamente strattonata da quelle ondate di aria gelida.
:-Dove saranno?-. Chiese la ragazza allo Yeti, urlando per sovrastare gli ululati del vento.
Un violento ruggito, che riuscì quasi a rendere silenzioso tutto il resto, proveniente dal centro della città, le giunse come risposta.
La ragazza cercò con lo sguardo, tentando di capire cosa avesse emesso quell'enorme frastuono. Di sfuggita, riuscì a scorgere in lontananza una grossa massa nera che si spostava tra i palazzi. Stava sicuramente dando la caccia ai Guardiani.
Scarlett e Phil tentarono di andare incontro a quella creatura ma un bambino, sbucato fuori da un vicolo lì vicino, gli attraversò la strada, bloccandosi non appena vide quella curiosa coppia.
“Cosa ci fa un bambino in giro a quest'ora e con un tempo simile?” si chiese mentre il piccolo li fissava, immobile.
Aveva indosso un pigiama azzurro e aveva una coperta, a ripararlo da freddo, i piedi scalzi.
La ragazza stette per avvicinarsi quando lui scattò, correndole incontro ed abbracciandola :-Ti prego aiutami!- la implorò piangendo -Mi stanno inseguendo! Ho paura!-.
Alla ragazza si strinse il cuore, riconoscendo nelle sue parole il terrore che l'aveva divorata per anni.
E quindi era quello il futuro in cui ogni bambino avrebbe creduto?
Si chinò su di lui, prendendogli le spalle :-Come ti chiami?-.
Il bambino tirò su con il naso un paio di volte prima di rispondere :-Joel-.
:-Bene, Joel. Non devi avere alcun timore. Vedi lo Yeti, qui al mio fianco?- il piccolo annuì, fissando incredulo la creatura -Lui si chiama Phil ed io sono Scarlett. Siamo qui per aiutare te e tutti gli altri bambini-.
:-Farai andare via l'Uomo Nero?-. Chiese Joel asciugando gli occhi umidi.
:-Tu sai dove si trova?-. Chiese lei, stringendo, forse un po' troppo, la presa sulle sue spalle.
Il piccolo annuì ancora ed infine si volse verso il cielo, indicando una nera nube che si innalzava dal terreno, verso il centro della città.
E lo vide. Sulla cima di quel monte, nutrito da incubi e terrori, stava Pitch.
Scarlett si alzò, lasciando Joel, camminando lentamente verso quella nera nube :-Ti ho trovato-.
:-Signorina...-. La chiamò il bambino ma lei non aveva tempo, doveva andare!
:-Phil si prenderà cura di te!-. Disse senza nemmeno voltarsi.
Lo Yeti tentò di fermarla ma gli fu inutile, era già corsa via, alla volta di un viaggio assurdo e con poche possibilità di ritorno.

 
* * * *



Il Cerbero aveva dato loro del filo da torcere, vero, ma non era nulla al confronto dell'enorme Drago che si trovavano alle calcagna.
North, con Dentolina sulle spalle, e Calmoniglio si trovavano nei pressi della periferia occidentale di Salina, intenti a distrarre il possente rettile dagli altri due Guardiani.
Jack Frost infatti si trovava nel centro città e, sfruttando il vento, aveva raggiunto l'altezza dalla quale Pitch muoveva i fili della battaglia.
:-Combatti lealmente vigliacco!-. Urlò, lanciandosi in un attacco che il Re degli Incubi deviò con un semplice gesto del braccio, scatenando un'onda nera che per poco non investi il Guardiano.
:-Cosa credi di fare Frost? Hai deciso di abbandonare i tuoi amici e cercare la gloria tentando di sconfiggermi da solo?- gli chiese -Oppure, hai finalmente deciso di unirti a me?-.
Allungò i suoi lunghi artigli verso il ragazzo, invitandolo con un gesto della mano :-La mia offerta è ancora valida-.
Jack fissò il palmo di quella mano incolore in alcuni istanti di silenzio.
:-Non avrai più nulla da perdere al mio fianco-. Continuò, cercando di plagiarlo.
Il Guardiano si avvicinò al Re degli Incubi :-Hai ragione, non avrei nulla da perdere in un mondo in cui nessuno può contrastarmi- le sue dita stavano quasi per sfiorare quelle del suo nemico, pochi centimetri ancora e l' accordo, che avrebbe posto per sempre la fine dei Guardiani, sarebbe stati sigillato -Ma non è quello il mondo in cui ho deciso di vivere!-.
Ritrasse la mano, lasciando che l'uomo stringesse nella sua solo una piccola manciata di neve.
:-Ma cosa?-. Si chiese Pitch mentre questa volta era qualcun altro a prendersi gioco di lui.
:-Io non sono come te Pitch!- gli disse Frost -Certo, molto spesso sbaglio e forse dovrei prestare più attenzione ai miei doveri. Ma sono stato scelto per un motivo, e quel motivo è proteggere i bambini dai mostri che, come te, vogliono distruggere le loro speranze ed i loro sogni!-.
:-Ma c'è una cosa che mi chiedo- continuò -Come fai a sopportare la colpa delle tue azioni?-.
L'Uomo Nero strinse nuovamente il pugno, lasciando che la neve si sciogliesse, strinse talmente forte che i suoi artigli gli lacerarono la pelle.
:-Tu....COSA NE PUOI SAPERE TU?- tuonò il Re degli Incubi, completamente fuori controllo.
:-Proteggerli? Se solo voi, branco di incapaci, aveste svolto il vostro compito, forse lei...- ma le parole gli morirono in gola, incapaci di essere pronunciate -...lei..-.
Ad essere onesti, Frost non capì esattamente a cosa stesse facendo riferimento Pitch ma non era quello il suo interesse al momento. Era riuscito nel suo intento.
Ora toccava a Sandman fare il resto del lavoro.

 
* * * *



Le mancava poco, non era stato facile raggiungere il centro, in quella notte in cui vento e tenebre la facevano da padroni, ma ormai era quasi fatta.
Il nero muro era ora dinanzi a lei ma, come sarebbe giunta in cima?
La ragazza si guardò intorno frettolosamente. Lì vicino vi era solo una cattedrale, il cui campanile svettava in alto, proprio a fianco della nube. Se avesse raggiunto la sua cima, forse...
Un ruggito alle sue spalle, lo stesso che prima aveva sovrastato l'ululato del vento, interruppe lo scorrere dei suoi pensieri, facendola trasalire.
“E' più vicino di prima!”
Si volse lentamente, sperando che i suoi occhi non andassero ad incontrare ciò che si aspettava ma le sue preghiere non vennero ascoltate.
Il Drago era lì, a circa duecento metri da dove si trovava lei e la stava fissando come un piatto prelibato.
:-Scarlett!-. La chiamò Dentolina.
Si trovava proprio dietro all'enorme Incubo, accompagnata da North. E gli altri Guardiani? Che il Drago li avesse..?
:-Ti piace cacciarti nei guai eh?-. Le chiese Calmoniglio, dalla schiena della creatura che, percepita la presenza del Pooka, cominciò a dimenarsi. Ruggendo e facendo fuoriuscire dalle sue fauci un fuoco nero dalle sfumature blu.
Scarlett stava per andare loro incontro ma il Drago, oramai fuori controllo, aveva cominciato a correre nella sua direzione, facendo tremare il terreno ad ogni balzo.
:-Scappa!-.
Non se lo fece ripetere due volte! Si voltò di scatto, dirigendosi alla Cattedrale, e corse a perdifiato verso il bianco edificio.
Sentiva il fiato caldo della creatura sul suo collo ma, ormai, era giunta al grosso portone, sul quale era appesa una targhetta dorata con incise le parole “Cattedrale del Sacro Cuore”. Si aggrappò alla pesante maniglia di ottone e spinse con tutte le sue forze.
Il Drago si era fermato, prendendo un respiro profondo.
"Clack!" Era aperta!
Spinse il portone e si lasciò scivolare all'interno dell'edificio, giusto in tempo per evitare il ruggito infuocato della creatura.
Rimase distesa sul pavimento alcuni secondi, prima di tornare in piedi, respirando a pieni polmoni quell'aria intrisa dall'incenso.
“Sono sfuggita ad un Drago!” pensò.
:-Sono sfuggita ad un Drago!-. Ripeté, stavolta ad alta voce, scoppiando a ridere in una risata isterica e carica di adrenalina.
Quando finì di scaricare tutta la tensione, si alzò e corse attraverso la navata, giungendo ad una porticina, al lato dell'altare, che dava su una stretta scalinata a chiocciola che saliva su, fino al campanile.
:-Forse il Drago non era poi così male-. Commentò non appena vide tutti quei gradini.
Non si perse d'animo e, nonostante le gambe le dolessero come non mai, cominciò a salirli, inciampando più volte nei suoi stessi piedi.
Giunta in cima incontrò una porta metallica, per sua fortuna aperta. Le attraversò un brivido al pensiero di dover fare, nuovamente, tutte le scale per andare a cercare la chiave.
Una volta fuori, sul campanile, il vento tornò ad investirla, sollevandole la sciarpa e gonfiandole la mantellina.
La nube era proprio vicino a lei ma non era ancora abbastanza in alto. Non lo avrebbe mai raggiunto in tempo così!
:-Pensa Scarlett! Pensa!-. Si ordinò, battendo il palmo della mano contro la sua fronte. Era così vicina, non poteva fallire proprio in quel momento.
:-Maledizione!-. Imprecò, sferrando un colpo contro la coltre nera che aveva di fronte. Scoprendo, con estremo stupore, che la sua mano non vi passava attraverso, anzi, poteva afferrarla.
Provò anche con l'altra mano, stesso risultato. La forza di Pitch era ormai tale che i suoi incubi erano diventati “reali”.
“E se...” un'altra strana idea le balenò in testa.
Facendosi forza con le braccia ed il busto si arrampicò, issandosi sulla ringhiera del campanile.
Un solo passo falso, un minimo errore, e ad attenderla ci sarebbe stata una caduta libera, di un centinaio di metri, verso l'asfalto.
Tenendosi ancora con le braccia, immerse nella nube nera, staccò i piedi dalla ringhiera, lasciando pendere il proprio corpo nel vuoto.
“Ok, fin qui tutto bene”
Fece forza sulle gambe, incontrando un appoggio anche per loro.
“Bene! Ora comincia la vera e propria scalata” Pensò, cominciando a salire sulla nube “Se dopo questa non mi aumentano il voto a ginnastica, uccido qualcuno!”

 
* * * *



:-Dobbiamo distrarlo!- aveva detto Jack- Solo così potremo fare breccia nella sua difesa e colpirlo, quando meno se lo aspetta!-.
Sebbene il piano non fosse dei migliori, era rimasto la loro ultima spiaggia.
Erano alla resa dei conti.
Sandman si trovava alle spalle di Pitch, una ventina di metri al di sotto di lui, arco e freccia alla mano.
Avrebbe solo dovuto scoccarla, nulla più, e tutto sarebbe finito.
Questa volta, sperava, per sempre.

 
* * * *



:-Cosa c'è Pitch? Mh?- chiese Frost, tentando di irritarlo ancora -Il grande e potente Uomo Nero comincia a provare rimorso. E' così?-.
:-Fa silenzio!-. Gli ordinò Pitch, digrignando i denti.
:-Pensi di essere tanto furbo Frost? Credi che non mi sia accorto a che gioco stai giocando?-.
Il Guardiano si fermò a mezz'aria “No, ti prego no..”
:-Dov'è il tuo amichetto?-. Li aveva scoperti.
:-Non so di cosa stai parlando-. Gli rispose Jack, tradendo un'espressione preoccupata.
:-Come immaginavo- rise Pitch -Ma tanto non ho fretta, quando avrò finito con te, mi occuperò anche di lui-.
Le tenebre cominciarono ad avvolgere il loro creature, avvolgendolo in un nero scudo.
Il Guardiano fu sul punto di battere in ritirata ma...
“Non posso fuggire così!”
Quell'attimo di ripensamento fu la sua condanna. Un tentacolo si prolungò dallo scudo di Pitch, imprigionandogli la mano che impugnava il bastone, stringendogliela al punto tale che dovette lasciarne la presa, facendolo precipitare nel vuoto.
Non aveva più un'arma, non aveva più difese.
:-Preparati a sparire per sempre, Jack Frost!-. Urlò il Re degli Incubi preparando l'attacco che avrebbe annullato l'esistenza di quell'irritante spirito dell'inverno.
:-Pitch!-.
Ma l'attacco non venne mai sferrato.
:-Pitch!-.
“Non è possibile!”
L'Uomo Nero si volse, lo scudo che lo avvolgeva si dissolse.
Quasi non la riconobbe mentre gli correva incontro: i capelli scossi dal vento, avvolta in quella mantella rossa.
:-Scarlett! Che diamine ci fai lì?-. Le urlò Frost.
Ma la ragazza non lo sentì nemmeno, continuando a correre, imperterrita, verso Pitch.
L'Uomo rimase a guardarla, l'ombra di un sorriso incredulo andò a formarsi sulle sue labbra.
Ma avvenne tutto così in fretta.
Era così vera, così vicina. Ancora un passo e avrebbe potuto sfiorare le sue mani.
:-Tu sei...-. Ma, c'è sempre il “ma” in queste situazioni, non riuscì a terminare la frase.
Scarlett si immobilizzò di colpo, sbarrando i grandi occhi che cominciarono ad inumidirsi.
Si portò una mano al cuore, incontrando con la punta delle dita una superficie liscia ed appuntita.
Tentò di prendere un respiro ma una fitta di dolore la costrinse a trattenerlo.
Abbassò lo sguardo, realizzando ciò che ormai era ovvio: la punta dorata della freccia, che le aveva trapassato il petto, spuntava dalla superficie strappata della mantellina.
Guardò alle proprie spalle, incrociando lo sguardo con l'artefice di quell'atto.
Sandman stringeva ancora, tra le sue piccole mani, l'arco che aveva scoccato quella freccia; il suo volto distorto in un'espressione di dolore.
:-Perché?-. Domandò al Guardiano, in un singhiozzo, cominciando a barcollare. Un passo incerto dopo l'altro :-Ero così vicina-. Sussurrò con rimpianto un attimo prima di cadere, sorretta prontamente da Pitch.
:-No...no-. Disse lui mentre lasciava che la ragazza si sdraiasse sulle sue ginocchia, sorreggendo la sua testa con una mano e usando l'altra per toglierle la sciarpa che andò a pigiare sulla ferita, nella vana speranza di fermare l'emorragia. Della freccia non vi era più traccia ormai, era tornata ad essere della sostanza di cui era fatta: polvere.
Scarlett sorrise all'uomo, mentre le lacrime la rigavano il volto sempre più bianco :-Oh! Ora sei preoccupato per me?-. Chiese lei scherzando ed un poco stupita.
Ancora. Era ad un passo dalla fine, proprio come la volta precedente, ed ancora aveva la forza per scherzare.
Pitch lasciò andare la sciarpa e le prese la mano, stringendola, stava diventando fredda.
:-Sei viva-. Riuscì solamente a dire mentre qualcosa gli stringeva alla gola, facendogli bruciare gli occhi.
:-Beh..ancora per poco-. Scherzò lei, la voce sempre più debole.
La fine che aveva tanto temuto era giunta finalmente ma, al contrario di quello che si aspettava, non aveva rimpianti. Tra lei e sua madre non vi era più alcun muro di silenzio e verità non dette, aveva riacquistato i ricordi perduti ed era ritornata se stessa. Ma soprattutto, non aveva più paura.
Certo, forse avrebbe preferito vivere una vita lunga e piena, ma anche quello che aveva ottenuto le sembrò sufficiente.
Rimpianse solo di non essere stata in grado di svolgere il compito per il quale era giunta fin lassù.
Allungò la sua mano verso il volto di Pitch, andandogli ad accarezzare la guancia, inumidita da qualche lacrima. Eccola! Era quella la prova che cercava, il motivo che l'aveva spinta ad arrivare lì e ad affrontare vento, oscurità e Draghi inferociti!
Ma ormai non aveva più forze.
:-Tu puoi cambiare-. Gli sussurrò un attimo prima di chiudere gli occhi.
Alla fine ce l'aveva fatta.
Tutti i Guardiani furono partecipi di quella straziante scena. Persino North, Calmoniglio e Dentolina, giunti fin lì con l'aiuto della Slitta una volta riusciti a sconfiggere il Drago.
Sandman tentò di avvicinarsi al corpo della giovane ma Pitch, scagliandogli contro un solo e potente colpo, lo allontanò.
:-Non la toccate!- urlò per poi stringere a se la ragazza, più forte che poté, versando tutte le amare lacrime tra i lunghi capelli di lei.
Quella freccia, era destinata a lui ma...non era stato lui a scoccarla.
Volse ai Guardiani uno sguardo che tradiva mille emozioni e parole :-E' solo colpa vostra!-.Urlò.
Le tenebre cominciarono a vorticargli attorno, in un vortice che risucchiò entrambi, facendoli svanire nel nulla.
Non rimase traccia, ne di Scarlett, ne dell'Uomo Nero.
Il vento cessò di soffiare e le nubi si dissiparono, svelando un cielo che stava andando ad annunciare una rosea alba.
La sciarpa nera della ragazza volò via tra i palazzi, sospesa nella gelida aria invernale, sparendo nel chiarore dei primi raggi del sole.
La guerra era finita.

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Capitolo 15
*** Epilogo- Tra le ceneri di un ricordo. ***


Epilogo

Tra le ceneri di un ricordo.

 



..Gli studi hanno registrato che la perturbazione, la quale si sarebbe abbattuta 4 settimane fa, si sarebbe formata in un punto imprecisato della costa orientale statunitense, per poi proseguire ad una velocità mai vista, ed aumentando sempre più di potenza, sino agli stati centrali, si registra la massima intensità in Kansas, per poi interrompersi improvvisamente, svanendo, nel trascorrere della stessa notte.
I dati a nostra disposizione non sono ancora in grado di indicarci le cause scatenanti di quest'insolita..”
Joel spense la TV nella sala comune.
Lui sapeva cosa era accaduto quella notte, ne aveva parlato con gli adulti ma questi non lo avevano ascoltato.
:-E' stato un incubo-. Avevano detto.
Sì, era vero, ma la verità non si fermava lì.
Guardò fuori dal grande finestrone che dava al giardino: gli altri bambini erano presi a giocare, lanciandosi palle di neve.
Tutti avevano dimenticato quella notte, persino lui aveva creduto d'aver sognato in un primo momento.
Ma poi l'aveva trovata.
Incastrata tra i rami bassi di un albero, stava una sciarpa nera, zuppa e ricoperta di neve.
Sapeva a chi apparteneva. La ricordava perfettamente, avvolta attorno al collo della ragazza con la mantella rossa.
“Non l'ho sognato!” aveva pensato entusiasta.
Tutti avevano dimenticato.
Ma lui avrebbe ricordato per sempre.
Indossò il suo piccolo cappottino marrone, allacciandone i bottoni.
:-Joel- lo aveva chiamato la signorina Osborne, direttrice dell'istituto -vieni a conoscere la tua nuova famiglia!-.
Il bambino sorrise raggiante alla signora di mezza età, che lo attendeva sulla soglia della porta.
Avvolse velocemente la sciarpa nera, afferrò la piccola valigia e le andò incontro :-Arrivo!-.

 
* * * *


Era già passato un mese, incredibile ma vero.
Ogni Guardiano era tornato a svolgere i propri doveri come prima. Ed il Natale, come ogni anno, era stato un successone.
Ma non riuscirono a gioirne come avrebbero voluto, non riuscendo a distogliere la mente da ciò che era stato sacrificato per il bene di tutti quanti.
Sandman, specialmente, sentiva il proprio animo corroso dal senso di colpa.
Gli altri avevano detto che non era stata colpa sua, forse era vero.
Ma se solo avesse scoccato quella freccia un attimo prima o, meglio ancora, per niente, lei sarebbe stata ancora in vita.
Aveva finalmente la possibilità di vivere quelle gioie che le erano sempre state negate e, invece, era stato proprio lui ad impedirglielo, alla fine, interrompendo il battito del suo cuore.
Ma erano Guardiani e, come tali, non potevano fermarsi nel passato, seppur doloroso, dovevano guardare al presente, per il bene e la gioia di tutti i bambini,per evitare che altri facessero la stessa fine della ragazza.
E comunque, nonostante non comprendessero ancora quel suo gesto avventato, non l'avrebbero mai dimenticata.

 
* * * *


Due figure apparvero ai limiti del vialetto di una piccola casa, le forme appena definite dalla luce lunare.
:-E' questo il posto?-. Chiese una delle due, aveva la voce debole di una giovane donna.
L'uomo accanto a lei annuì :-Vuoi entrare?-. Le chiese.
:-Sì-.
I due si dissolsero, riapparendo in un corridoio buio, del primo piano, all'interno dell'abitazione. Davanti a loro stava una porta semichiusa.
L'uomo fece per aprirla ma la figura femminile lo fermò :-Da qui faccio io-.
Lui si fece da parte, lasciandola entrare nella camera.
Su un piccolo letto, stava distesa una donna, le dava le spalle, i lunghi capelli neri le ricadevano sul cuscino.
La scura figura scivolò nell'ombra della camera, per contemplarle più da vicino il viso: dormiva, abbracciata ad una cornice, al cui interno stava la foto di una bambina.
Si sdraiò accanto a lei, stringendole i fianchi e nascondendo la testa nell'incavo tra il collo e la spalla.
La donna si svegliò di soprassalto, tentando di voltarsi ma la figura al suo fianco la fermò.
:-Non guardarmi-. Disse.
La donna non riconobbe quella voce ma, in essa, sentiva che si nascondeva qualcosa che le era caro.
Non si mosse.
L'ombra la strinse ancora un poco a se, dandole infine un bacio sulla guancia.
:-Ti voglio bene, mamma-. Le sussurrò in un orecchio.
:-Scarlett!?-.
La donna accese l'abat-jour sul comodino e si alzò di scatto.
Ma nella stanza non c'era nessuno.
Stava solo una sottile scia di fumo rosso che, aleggiando verso il soffitto, sparì nel giro di pochi istanti.
Infine, non rimase altro che il ricordo.

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