Hunting Cats

di cartacciabianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il libraio - I parte ***
Capitolo 3: *** Il libraio - II parte ***
Capitolo 4: *** Il libraio - III parte ***
Capitolo 5: *** Interstitium ***
Capitolo 6: *** L'artista - I parte ***
Capitolo 7: *** L'artista - II parte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

 

 

 

 

 

North End di Boston,

fine di febbraio 1757

 

Le porte della Green Dragon si spalancarono di colpo e un uomo rotolò sui gradini, finendo con la faccia nell'unico cumulo di neve sporca ammassata al lato della strada.

L'inverno aveva pronti i bagagli già da qualche settimana, senza aver messo ancora piede sull'uscio, e di residui di neve come quello ce n'erano sparsi per gli angoli di tutta la città in attesa che una botta di caldo o di pioggia se li portasse via. Quella sera, però, il freddo era tornato a farsi insolitamente e inaspettatamente pungente, confinando persino i ratti più audaci nelle proprie luride tane.

Grasse risate e poi le porte della locanda furono richiuse dall'interno.

Due figure avvolte in mantelle da viaggio fermarono i cavalli e smontarono agilmente di sella. Scavalcarono l'uomo a terra ed entrarono nella locanda, dove una ballata irlandese in tonalità maggiore e l'odore di stufato al formaggio li accolsero con familiarità insieme al calore del caminetto. I tavoli erano tutti occupati, ma nel complesso l'atmosfera era tranquilla.

— Casa dolce casa, — disse il primo sgrullandosi di dosso il ghiaccio.

— Sir Kenway, Lee! Bentornati!— esultò la locandiera venendo loro incontro dalla cucina. Nel tragitto consegnò ai tavoli una zuppa di cavoli e due cosce di tacchino fumanti. — Giusto in tempo per la cena. —

— Ci siamo rifocillati lungo la strada, Catherine, grazie lo stesso, — disse Haytham sfilandosi i guanti mentre si guardava attorno come in cerca di qualcosa fuori posto. Poi puntò verso le scale e Charles lo imitò senza battere ciglio, lasciando impronte di neve mista a fango sul pavimento.

— Ben arrivati. — William Johnson si alzò stringendosi nella coperta di tasso e porse la mano libera dalla tazza di tè. Haytham gliela strinse con sicurezza e poi passò a Church, che mollò un proprio vecchio almanacco in memoria dei tempi da medico di quartiere per fare lo stesso.

— Hickey? — domandò Haytham togliendosi il mantello e ripiegandolo sulla sedia.

— Non l'avete incontrato entrando? — chiese Benjamin mentre prendevano posto attorno al tavolo.

— Ubriaco come un procione ha sfidato un gruppo di campioni di Filetto, — spiegò Johnson. — Lo hanno buttato fuori pochi istanti prima del vostro arrivo. —

Charles fece per tornare di sotto, ma Haytham gli intimò di restare.

— Ci penserà il freddo a riportarcelo quando sarà il momento, — disse l'inglese per nulla sorpreso. — Mi auguro il più tardi possibile. —

Charles annuì e prese posto al suo fianco sfilandosi il mantello.

— Dunque? — cominciò Johnson versando del tè in una tazza vuota che poi gli offrì, ma le cinque erano passate da un pezzo e piuttosto Haytham preferì declinare. Il Templare fece scivolare la tazza sul tavolo fin sotto al naso di Lee e questi, al contrario del suo Maestro, accettò inghiottendo la bevanda tutta d'un sorso e ancora fumante.

— Un capannone di legname a Charlestown, — rispose Haytham freddamente. — Non ci aspettavano. —

— La loro furbizia è stata la loro rovina, — ridacchiò Church. — Di nuovo. —

— Come a Beacon Hill la scorsa estate, — ricordò Charles. — Erano sicuri che li avremmo cercati fuori città e non alla porta accanto. —

— Solo gli stolti non imparano dai loro errori, — commentò William.

— O gli Assassini, — terminò il Maestro regalando una risata ai suoi confratelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

Un piccolo esperimento che come mio solito avrà il suo riadattamento grafico.

Idea nata da un punto interrogativo che continuava a tormentarmi fin dalle prime sequenze di gioco e che ha avuto il suo sviluppo più violento in un sogno di qualche settimana fa. Premetto che non ho letto "Forsaken" e questa mancanza mi è venuta in mente solo stamane, parlando su msn con una mia cara amica e compagna di avventure in questa sezione. Ho voluto cominciare la pubblicazione pur senza un'idea precisa sulla trama e il suo sviluppo, e pertanto il testo potrebbe essere soggetto a modifiche di qualsiasi genere.

Spero comunque di avervi incuriositi!

A voi la parola :)

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Capitolo 2
*** Il libraio - I parte ***


IL LIBRAIO DI CHARTER STREET

I parte

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Il Governatore

 

 

 

 

 

 

Boston,

primi di agosto 1757

 

— UCCIDE A SANGUE FREDDO TRE UOMINI E BRUCIA IL CAPANNO! SCOPERTO L'ASSASSINO DEL MASSACRO DI CHARLESTOWN! LO CHIAMANO IL TAGLIALEGNA PAZZO! —

Tra i versi d'animali, lo scalpiccio degli zoccoli e il passaggio dei carri, spiccava la voce energica dello strillone di quartiere, che si era piazzato in cima ad una pila di casse quella mattina e all'ora di pranzo aveva ancora fiato per sfondargli le orecchie. La confusione del mercato davanti alla Old State House saliva tutta insieme fin nell'androne del secondo piano, dove la sua pazienza era stata messa a dura prova.

Seduto ad un tavolino da corridoio sotto la finestra, Haytham si rigirava il cappello tra le mani. Erano delle ore che aspettava di poter avere udienza con il neo Governatore Thomas Pownall, salito in carica giusto la mattina precedente e non senza una piccola spinta dell'Ordine. Era venuto lì per reclamare la sua metà dell'accordo, ma da quando si era accomodato a quel tavolino, quasi due ore prima, non aveva fatto altro che contare le volte in cui il segretario di Pownall aveva attraversato il corridoio davanti al suo naso, raggiungendo l'inconcepibile traguardo di ben quarantadue transiti solo nella prima ora.

— Vi prego, siate così gentile da ricordare al Governatore che Haytham Kenway lo sta aspettando, — aveva detto con cortesia alzandosi e afferrandolo al volo per una manica, prima di vederlo scomparire di nuovo.

Il segretario lo aveva squadrato dalla testa ai piedi e aggiustandosi il parrucchino aveva risposto: — Il Governatore Pownall vi riceverà quanto prima, sir Kenway; ma per adesso questioni amministrative ben più urgenti lo tengono impegnato. —

Più urgenti della sua stessa vita?

Haytham aveva sorriso compunto e si era riaccomodato lentamente, pensando con disgusto alla ormai macchinosa burocrazia che aveva infettato come un morbo anche quella giovane istituzione; che, ne era certo, una voce Templare avrebbe coordinato con molta più…

La porta di fronte a lui si aprì di colpo ed Haytham alzò gli occhi.

— Siete stato gentile a venire, sir Kenway, ma il Governatore mi ha incaricato di riferirvi che, come già vi è stato detto, egli non può fare nulla per voi. La Guerra coi Francesi nelle Colonie del nord e le sue ambascerie non sono più di sua competenza. Vi augura buona giornata. —

E si richiuse.

Educazione, concluse Haytham nella sua mente, costringendosi a reprimere l'allettante idea di far visita a Thomas Pownall lontano dall'orario di ricevimento.

Si alzò scostando rumorosamente la sedia e imboccò le scale rimettendosi il cappello.

 

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Charles arrivò al galoppo da Cornhill e smontò agilmente di sella. Dando una pacca al collo del cavallo, fece passare le redini sopra alla sua criniera e le affidò ad un uomo che lo attendeva vicino ai gradini d'ingresso per la Old State House. Lanciò una moneta allo strillone ed entrò nell'edificio con un largo sorriso sotto ai baffi.

Haytham  gli venne incontro senza dargli il tempo di fare due passi sul tappeto e lo costrinse ad uscire di nuovo, stringendogli un braccio. Gli occhi e la mascella induriti da qualcosa che a Charles parve subito come la rabbia più nera.

— Pitcairn non verrà, — disse Kenway scendendo i gradini quasi di corsa.

— … SCOPERTO IL RESPONSABILE DEL MASSACRO DI CHARLESTOWN!... —

— Cosa? — chiese Lee con le orecchie appestate di suoni.

Senza pensarci due volte Haytham allungò una mano alla collottola dello strillone e lo tirò giù dal suo piedistallo di casse.

— Per oggi hai cantato abbastanza, galletto. Vattene a casa! — gli intimò per poi liberarlo con uno strattone. Il ragazzo corse via come una lepre e il Boston Market si fece un po' più tranquillo.

— Pitcairn: dovremo arrangiarci senza di lui,— ripeté Haytham avviandosi sulla strada.

Charles si fece riconsegnare il suo cavallo e poi lo raggiunse con una corsetta.

— Cosa?! E perché? — domandò porgendo le redini al suo Maestro.

— Perché è stato rimandato al fronte, — rispose Haytham con stizza montando in sella, e l'animale, avvertendo il suo nervosismo, si agitò sotto di lui.

— Vi hanno detto per quanto tempo? — chiese Charles, reggendogli il morso e carezzando il manto della bestia per tranquillizzarla.

— Pownall non ha voluto neanche vedermi, quel verme… — ringhiò Haytham irrigidendosi sulla sella. — Johnson e Church sono già lì? — domandò poi accorciando le redini.

— Sì signore, — rispose Charles.

— Raccogli Hickey alla Green Dragon e raggiungeteci al tramonto, — disse facendo voltare il cavallo.

— Armati. —

Quindi piantò i talloni nei fianchi dell'animale e lasciò King's Street al galoppo.

 

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West Boston,

lo stesso giorno…

 

Fox Hill a quell'ora della sera era uno spettacolo per gli occhi. Il pendio cadeva in acqua con una curva dolce e il sole calante riempiva le sponde del Charles River di riflessi brillanti, mentre cielo e terra si tingevano d'arancio. Attorno la placida campagna, il ronzio delle cicale e il ballo silenzioso di un vecchio mulino. Il caos della città solo un mormorio allontanato dal vento che gli soffiava contrario.

Sulla solitaria banchina che si tuffava nel fiume, quattro uomini con le mani legate dietro la schiena, bendati e inginocchiati verso il tramonto. Il sole estivo batteva sui loro volti stanchi e insanguinati, insinuandosi attraverso il tessuto delle bende, stuzzicandogli gli occhi che, grandi di paura, cercavano disperatamente di riuscire a scorgervi attraverso.

— Signori, mi piacerebbe molto trascorrere in vostra compagnia il resto della serata, — stava dicendo Haytham camminando avanti e indietro sulle loro ombre, — ma purtroppo la conversazione non è esattamente di mio gradimento. — Estrasse la pistola dalla fondina e premette la canna sulla nuca del primo detenuto, che come avvertì il metallo sulla pelle non poté trattenere uno spasmo nel corpo.

— Pertanto vi converrebbe renderla più interessante, — sussurrò Haytham e l'uomo cominciò definitivamente a tremare.

William Johnson e Benjamin Church, con le armi da fuoco puntate sugli altri prigionieri, si scambiarono un'occhiata.

Ci fu un lungo silenzio e poi Haytham premette più forte la canna della flintlock sulla nuca dell'uomo, ma tutto ciò che ottenne fu solo l'ennesima goccia di sudore.

Il Templare sospirò.

Cominciava a perdere la pazienza.

Il corpo cadde con un tonfo sulla banchina, ma nonostante il boato dello sparo che risuonava nella valle del Charles, nulla sembrava aver turbato la quiete di quella zona remota di Boston che, ignara, viveva alle loro spalle.

Haytham sorrise.

Con la coda dell'occhio aveva scorso un sussulto negli altri prigionieri.

— Da adesso il primo che parlerà ha la mia parola che lo risparmierò, — disse ricaricando la pistola con un sorriso ambizioso. — Voglio Dumas. Ditemi dove si nasconde. —

— Non ascoltatelo! Credete davvero che lo farà?! — strillò ad un tratto il più anziano dei tre. — Non ha intenzione di lasciare in vita uno soltanto, di noi, perché anche il più piccolo sasso può impedire ad una porta di chiudersi. La tua lingua biforcuta non ci incanta, Haytham. La tua fama di traditore ti precede e… —

Johnson lo colpì ad un fianco con il calcio del moschetto e quello, accartocciandosi come un vecchio pezzo di carta, tornò in silenzio.

Haytham attraversò la banchina e si chinò su di lui poggiando un ginocchio a terra. — Vuoi dirmelo tu, Brigham, dove posso trovare quel codardo? — gli chiese con falsa cortesia, avvicinando lentamente la canna dell'arma alla sua tempia. — Perché solo uno schifoso vigliacco lascerebbe i suoi compagni a morire mentre porta il suo sedere altrove; non sei d'accordo? —

Il vecchio chiuse gli occhi.

— Fallo, — sussurrò.

— Vi sentite degli eroi, voi Assassini, — ridacchiò Haytham sommessamente. — Ma siete solo dei pazzi esaltati dal vostro utopico sogno di uguaglianza. Dimmi. Dove. Si nasconde. —

Il crepitio del proiettile che scendeva in canna.

— Charter Street, — disse qualcuno.

Il vecchio Assassino sgranò tanto d'occhi. — Michel… — sussurrò, sconcertato.

Haytham alzò lo sguardo sul più giovane dei prigionieri, un ragazzo biondo, esile, di una ventina d'anni al massimo.

— Puoi essere più preciso? — domandò il Templare senza muovere un muscolo.

— MICHEL! — gridò Brigham, ma Johnson gli abbassò la benda alla bocca stringendo il nodo, e il vecchio prese a dimenarsi come un ossesso.

Il ragazzo di nome Michel tirò su col naso e da sotto la sua benda scivolò via una lacrima, che attraversò la guancia lentigginosa appendendosi al profilo della mascella.

Deglutì.

— Lo spaccio dei libri all'angolo con Salem Street. E non troverete solo Cédric… —

Brigham era diventato paonazzo e anche il terzo Assassino, pur mantenendosi silenzioso e composto, aveva la stessa tempesta negli occhi.

Haytham si alzò e rinfoderò la pistola.

— Quando avete finito buttateli in acqua. —

— No, aspettate! — lo supplicò il giovane Assassino, inseguendo il suono dei suoi passi che si allontanavano sulla banchina. — La vostra parola! —

— Il tuo confratello più anziano forse aveva ragione sul mio conto, ragazzo, — disse Haytham senza voltarsi.

— Io… io non capisco, — balbettò il giovane.

Church ridacchiò, impugnando stretta la flintlock inglese. — Chi tradisce una volta… —

Dietro di lui Haytham sentì due spari quasi sincronizzati e poi il vecchio Brigham, che era riuscito a liberarsi dalla benda, gridare:

— Per quelli come te non c'è Inferno né reincarnazione, Haytham! Tu vivrai per sempre, maledetto bastardo, perché la tua condanna sarà convivere con te stesso! —

A quel punto Johnson ebbe finito di ricaricare.

 

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Più tardi…

 

Quando Haytham raggiunse il suo cavallo, che si era rifugiato a brucare sotto una querciaccia, il sole era ormai quasi scomparso dietro la collina. Sistemando le staffe, il Templare lanciò un'occhiata oltre la sella e vide Charles ed Hickey comparire sulla strada sterrata.

— Siete in ritardo, — li rimproverò senza emozione.

— Che ci siamo persi? — fece Thomas con leggerezza e Charles lo fulminò con un'occhiataccia.

— Ci hanno teso l'imboscata al mulino come ci aspettavamo. Johnson e Church si sono occupati dei corpi e poi abbiamo dato una pulita. Non voglio più sentir parlare di taglialegna pazzi… 

Hickey ridacchiò sommessamente. — È stata una mia idea. —

Haytham sospirò. — Non avevo dubbi. — 

— E Dumas? — domandò Lee.

— Non so come, ma è fuggito prima che arrivassi, — rispose Haytham stringendo con uno strappo deciso le ultime cinghie.

— Impossibile, li avevamo braccati! — obiettò Charles.

— Adesso comunque non ha più importanza, perché so dove si nasconde, — disse Haytham montando a cavallo.

— Intendete inseguirlo stanotte? —

— Non è prudente, certo… ma neppure dargli il tempo di sfuggirmi di nuovo lo è, — affermò.

— Signore… — cominciò Lee.

— Da solo, Charles, — lo interruppe Haytham. — È una cosa che posso fare benissimo da solo. —

Dopodiché diede di talloni all'animale e sparendo oltre la collina sembrò che il cielo nero e ancora senza stelle l'avesse inghiottito.

 

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Note

A parte l'essermi assunta la piena libertà di manipolare un personaggio di non poco spessore storico come Thomas Pownall, che fu autorevole uomo politico, penso che questo capitolo non contenga grandi eventi degni di approfondimenti.

Ci tenevo piuttosto a sottolineare per l'ennesima volta che questa fan fiction non avrà una trama ben definita e tenderà perciò ad oscillare dipesa dal mio livello d'ispirazione. I fatti citati non avvengono mai nel gioco e non sono ripresi da nessuna altra fonte ufficiale inerente ad AC III. Unici miei compagni di scrittura, durante la stesura di questa storia, la buon vecchia enciclopedia storica e la reale mappa di Boston o qualsivoglia luogo dove avrò voglia di ambientarne un episodio.

Come avrete forse notato, la narrazione si spartirà in racconti divisi a loro volta in parti, tre per ogni "episodio".

Allo stesso tempo, però, non voglio che consideriate la mia opera come una raccolta, bensì come una storia che racconta più eventi distinti raccordati da un filone centrale comune, ovvero (e qui spero che ormai l'abbiate intuito)  la caccia agli Assassini.

Detto ciò, sono sbalordita, davvero. Non contavo di arrivare ad un numero così alto di lettori, figuriamoci di recensioni. 8 commenti positivi solamente al primo capitolo è qualcosa di inaspettatamente appagante!

Perciò grazie :)

 

A voi la parola!

cartaccia

 

 

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Capitolo 3
*** Il libraio - II parte ***


IL LIBRAIO DI CHARTER STREET

II parte

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Cédric Dumas

 

 

 

 

 

"Forse perché della fatal quïete
Tu sei l'imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni […]"

 

 

 

 

North End di Boston,

quella notte…

 

Il vento si era alzato leggermente da quando aveva lasciato Fox Hill in direzione della cittadella. Le stelle avevano cominciato a popolare la piazza del firmamento e la luna vi splendeva con la prepotenza di una sovrana assoluta.

Alla fine della North Street Haytham smontò da cavallo e proseguì a piedi imboccando la quarta traversa sulla sinistra. Charter Street lo accolse silenziosa e poco illuminata. Lo spaccio dei libri, che condivideva l'angolo con Salem Street,  aveva porta e finestre sbarrate, ma una luce fioca filtrava attraverso le persiane, segno che una qualche attività si stava svolgendo al suo interno.

Haytham fece il giro del palazzo e una volta sul retro si arrampicò fin dove poté, raggiungendo la balaustra del secondo piano. A quel punto, come una lucertola, si appiattì contro la parete di mattoni e strisciò fino alla prima finestra, le cui imposte erano solo accostate, ma dopo averle dischiuse scoprì con doppio stupore che non c'era niente a parte quelle che potesse impedirgli di entrare. Scavalcò il cornicione con l'agilità di un felino e il tappeto che si ritrovò sotto ai piedi assorbì lo scricchiolio del pavimento scatenato dal suo peso. Era una piccola stanza per la lettura affollata di tomi, che traboccavano dagli scaffali annegando il resto della mobilia: una poltrona di broccato, un tavolino da tè, due sedie, una scrivania e un armadio, il quale era probabile più che abiti ospitasse altri libri.

Come un gatto che si tende sulle zampe drizzando le orecchie, Haytham sentì due voci cominciare una discussone oltre la porta. Si accostò all'ingresso e sparì completamente tra le ombre, preparandosi a richiamare la lama celata.

 

 

— Dovete lasciare la città, Monsieur Dumas, e dovete farlo stanotte, — stava dicendo l'anziano libraio inseguendo il suo ospite nel locale privato adiacente alla propria bottega. Candela alla mano e vestaglia allacciata alla buona.

Cédric Dumas parve ignorarlo e si avventurò agilmente sulle scale mangiando due gradini per gamba, ma a metà della rampa si bloccò con il tacco dello stivale che sfiorava la tegola.

— Non me ne andrò finché non avrò chiuso la testa di quel bastardo tra le pagine della Médéé del Longepierre, Faron, — ringhiò artigliando il corrimano.

— Cédric, soffermatevi un secondo a riflettere: — cominciò il vecchio sistemandosi gli oculari sul naso. — Fin ora è stato lui a dare la caccia a voi ed è oltretutto riuscito a trovarvi già una volta. Non potete batterlo al suo stesso gioco, non sul suo stesso campo e non da solo. Fuggite, raggiungete i vostri alleati a New York, chiedete aiuto prima che sia troppo tardi, prima che del vostro Ordine non resti nulla nelle Colonie, se per voi è così importante! —

Il francese scoppiò in una risata sommessa. — Fate dell'amaro pessimismo, mon ami. Siamo ancora in molti e loro solo in cinque. — Giunto sul pianerottolo si voltò come con un passo di danza e si fermò a riflettere. — Mi correggo, in quattro. Dimenticavo che sir Pitcairn è stato allontanato dalla città. — Un'altra risata.

— Voi siete un pazzo, Monsieur Dumas, — borbottò il libraio raggiungendolo goffamente sul pianerottolo. — IO, — sottolineò a gran voce e forse per mascherare il fiatone, — ho soccorso un pazzo. Avrei dovuto lasciare che quegli uomini vi acciuffassero molto tempo fa, invece di raccattarvi come un orfanello e ricucire i vostri abiti come una massaia. —

— L'orfanello e tutto il suo orfanotrofio vi sono infinitamente riconoscenti, Faron, — mormorò ora dolcemente portandosi una mano sul cuore.

— Temo di non averlo fatto né per voi né per la vostra causa, che pur tanto onesta pare, — rispose il vecchio fulminandolo con un'occhiataccia, — ma per la pietà suggestionatami dal vostro disdicevole gusto letterario. —

— In questo caso, ne convengo, è stato per una buona causa, — disse con un sorriso. — Dante, giusto? —

— Che ne è dei vostri uomini? — domandò il libraio.

— Se avranno trionfato mi raggiungeranno qui all'alba, — fu la risposta.

— E siete certo che trionferanno? —

Silenzio.

— Faron, tornate a riposare, — declinò Dumas lasciandosi un baffo con lo sguardo piantato a terra. — Io penso che veglierò. —

— Allora già che resterete sveglio pregate un po', Monsieur, perché io l'ho fatto fin troppo per voi che sembrate averle cestinate, le mie preghiere, — sbottò il vecchio porgendogli la candela. — Buonanotte. —

 

 

La porta della stanza si aprì e Cédric vi fece capolino accompagnato dal lume. Dopo aver richiuso l'uscio dietro di sé, l'Assassino si diresse allo scrittoio dove vi trascinò con fare stanco ma senza rumore una delle due sedie, e slacciandosi anche l'ultimo bottone del panciotto sì accomodò. Lasciò la candela sopra una pila di libri e giunse le mani a mezz'aria, appoggiandovi la fronte come per pregare. Alcune ciocche dei capelli scuri gli caddero davanti al volto contratto dai pensieri, che assieme all'agitazione e all'angoscia mascheravano i suoi trentott'anni precoci in quattro decadi pesanti come pietre. Rimase così per un tempo infinito, finché, ad un tratto, non si accorse dello spiffero d'aria che faceva traballare la fiammella della sua candela; ma quando notò le imposte della finestra completamente spalancate era troppo tardi.

Era lì.

L'aveva trovato.

Con quella consapevolezza a gelargli il sangue, Dumas s'irrigidì sulla sedia, sciolse le dita e lentamente portò indietro il corpo contro lo schienale.

La morte.

La morte era dietro di lui.

Ma non lo avrebbe avuto senza lottare.

Un spiffero di vento più forte degli altri spense la candela.

Si udì la sedia scostarsi rumorosamente sul pavimento e poi cadere con un tonfo sul tappeto; il frastuono di due corpi che si scontravano e altra mobilia che veniva scossa; tacchi strusciare sulle tegole, libri cascare dagli scaffali farfallando in aria, un vetro andare in frantumi...

 

 

Fu un duello silenzioso e senza armi che durò pochi secondi, ma alla fine Haytham riuscì a prevalere e spinse il suo avversario contro la scrivania, bloccandogli entrambe le braccia dietro la schiena. Dumas tentò di riscattarsi, dibattendosi come un animale mentre il Templare rimetteva in piedi la sedia e lo costringeva ad accomodarvisi, imprigionandolo tra sé e il tavolo; ma quando Haytham gli slogò il braccio sinistro per poi incastrarglielo nello schienale, Cédric soffocò un grido tra le labbra incollate, abbassando le orecchie e mugugnando come un il cane che era.

Era innocuo.

Haytham allungò una mano sopra la sua spalla e riaccese la candela. Dopodiché pescò un libro a caso tra quelli senza rilegatura impilati sulla scrivania, glielo mise sotto al mento e avvicinò penna e calamaio, sempre usando una mano sola perché l'altra era premuta sulla sua schiena, pronta a far scattare la lama tra le sue scapole. Sarebbe stata una morte orrenda: Dumas avrebbe dovuto sperare di svenire per il dolore piuttosto che stramazzare come una farfalla a cui un ragazzino si è divertito a strappare le ali.

— I loro nomi, — disse Haytham, ma l'Assassino rimase in silenzio, nel modo dannatamente irritante che gli aveva fatto perdere la pazienza già una volta, quel giorno.

— I loro nomi, Cédric, — ripeté schiacciando ancor più la sedia contro la scrivania, così da premergli lo sterno sul bordo del tavolo e mozzargli, dolorosamente, il fiato.

— Altrimenti? Tanto sono già morto! — digrignò Dumas.

— Altrimenti butto giù dal letto quel caro vecchietto e me li faccio dire da lui. —

— Puoi torturarlo per anni, non ti dirà niente perché non sa niente! —

— Oh sì, potrei farlo, ma dubito che resisterebbe così a lungo… e tu non vuoi andare al Trapasso con un altro innocente sulla coscienza, o sbaglio? —

Dopo un prolungato silenzio, Dumas prese la penna d'oca con la mano destra, quella che Haytham gli aveva lasciato libera perché disarmata, e la intinse nel calamaio, facendo capire di voler collaborare. Poi l'inchiostro, nero e implacabile, cominciò a rincorrersi sulla carta.

Come andiamo di fretta… constatò Haytham inarcando un sopracciglio.

— Ah, — lo interruppe il Templare facendo schioccare la lingua sul palato, — e se non dovessero essere veri, sappi che tornerò qui e ridurrò in cenere questa topaia come è successo al vostro capanno a Charlestown. —

Dumas si bloccò con la penna a mezz'aria nell'atto di avvicinarla al calamaio e una goccia d'inchiostro cadde sul tavolo.

— Consegneresti alle fiamme metà del quartiere, — obbiettò il francese, sconcertato. — Uccideresti civili innocenti! —

— Possiamo evitare che accada. —

Un altro silenzio e poi Dumas sbarrò i nomi che aveva appena redatto per stilarne di nuovi.

Haytham sorrise.

Quel sorriso che hanno i gatti quando il topo è in un vicolo cieco.

Cédric posò la penna lentamente al lato del manoscritto e appoggiò il gomito sul tavolo, stringendo il pugno così forte da far sbiancare le nocche e conficcarsi le unghie nei palmi.

— Dicevi che eravate in molti… — ridacchiò Haytham dopo aver lanciato un'occhiata da sopra la sua spalla.

— Allora attento a non fartene scappare qualcuno, — ribatté il francese con del sarcasmo sprezzante.

— Cominciamo subito. —

La lama scattò, penetrando la tenera carne tra due costole senza un suono e come fosse burro. Il sangue tardò ad uscire, ma il dolore… quello arrivò, intenso e atteso, disegnando sagome abbaglianti sul muro di fronte ai suoi occhi socchiusi nello sforzo di resistergli.

— Adesso dove scapperai, Cédric? — gli mormorò Haytham all'orecchio. — Una macelleria? Una stalla? Oppure l'Inferno? —

Con le lacrime ad annebbiargli la vista e brividi di freddo a percorrergli la spina dorsale, l'Assassino dischiuse appena le labbra per far passare l'ultimo sospiro:

— Ti aspetterò là. —

Come se avesse voluto strappargli via l'aria prima che potesse concludere quelle sue ultime parole, Haytham richiamò la lama. La testa di Dumas ricadde lentamente all'indietro, mentre il sangue colava da una gamba della sedia, e poco dopo l'Assassino vi si accasciò completamente come un fiore appassito. Il Templare gli aveva stretto per tutto il tempo una spalla, avvertendo la rigidità della morte insinuarsi nel suo corpo come un rampicante, e solo quando fu certo del completo decesso allentò gradualmente la presa e sollevò la mano con calma, come nell'atto inverso di una carezza.

Strappò dal libro la pagina su cui Dumas aveva stilato la sua lista di nomi e la ripiegò in quattro, assicurandola in fine nella tasca. Dopodiché si avviò alla finestra, ma prima di saltarvi attraverso tornò indietro a soffiare sulla candela.

 

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Note

Vi confesso di aver scritto due versioni dello stesso capitolo, e senza troppi giri di parole vi dico che in un Universo alternativo il mio Cédric Dumas non ha cercato lo scontro con Haytham, dopo aver capito che il Templare era dietro di lui, e di essersi perciò arreso senza mettere a soqquadro la stanza. Scena che invece continuava, nel suo piccolo, a supplicarmi di essere scritta. Spero che sia stata di vostro gradimento così.

Mi rendo conto, inoltre, di aver peccato di fantasia mettendo in mano ad Haytham una lista di nomi (vedi Altair) dei quali neppure io conosco la cifra esatta, pur essendo già in possesso, e vergognosamente in anticipo, dell'ultimo capitolo di questa fan fiction.

Ah, e quasi dimenticavo: i versi iniziali sono la strofa di apertura di un sonetto di Foscolo, Alla Sera. Il poeta è vissuto quasi mezzo secolo più avanti delle vicende narrate qui; ma si sa, l'arte non ha confini, anche o soprattutto temporalmente parlando.

Arrivederci!

cartaccia

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Capitolo 4
*** Il libraio - III parte ***


IL LIBRAIO DI CHARTER STREET

III parte

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Immunitas

 

 

 

 

 

 

Old State House di Boston,

più tardi…

 

Come un grosso sciame di api, nobiluomini e politici si riversarono fuori dall'edificio e, chi in carrozza chi a cavallo, lasciarono il quartiere in un sottofondo di voci; ma nonostante la riunione fosse durata fino ad un orario indecente proprio per non lasciare nessuna opinione in sospeso, qualcuno ebbe il coraggio di attardarsi a parlare sui gradini per un altro minuto. Solo allo scoccare delle undici e un quarto, quando le guardie all'ingresso celebrarono il cambio con uno sbadiglio sotto la meridiana, tra le strade tornò sovrano il silenzio.

Ma per il Governatore Thomas Pownall il dovere non aveva ancora varcato quella soglia.

— Governatore, prima di lasciare la sala Sir Campbell si è raccomandato di ricordarvi di aprire queste lettere, — stava dicendo il giovane segretario porgendogli una dozzina di buste.

— Grazie Anthony, le leggerò stanotte tra una pratica e l'altra, — rispose l'uomo sfogliandole velocemente per dare un'occhiata ai mittenti, e nel frattempo andò a sedersi dietro la scrivania, dove, illuminato da quattro pallidi ceri, un mucchio di carte aveva atteso di essere revisionato per l'intera giornata.

— Ah, quasi dimenticavo, — fece il ragazzo attraversando la stanza per raggiungerlo. — Mrs Clarke ha chiesto nuovamente di voi. —

— Quell'arpia… — ridacchiò il Governatore gettando le lettere da una parte, — non deve andarle giù il fatto di essersi infatuata dell'unico uomo politico immune alla corruzione della carne. —

— Sir Collins vi ha invitato a pranzo nella sua tenuta, domani. —

— Come minimo per sbarazzarsi del suo tacchino peggiore. Ma facciamolo contento. —

— E cosa devo dire a William Shirley riguardo al… —

— Di starsene fuori dai piedi, ovviamente. Buonanotte, Anthony. —

— Buonanotte, Governatore. —

Il giovane segretario lasciò la stanza, accompagnato fin infondo al corridoio e poi giù per le scale dal suono dei tacchi delle sue scarpe eleganti.

Una volta solo il Governatore Thomas Pownall si lasciò cadere sulla poltrona e allungò le gambe sotto al tavolo. Tamburellando le dita sui braccioli scoccò occhiatacce alle carte che affollavano la scrivania.

Era Governatore neanche da un giorno e già doveva passare la notte in servizio, a stendere un velo pietoso sul ritiro del suo predecessore e rattoppare le conseguenze del suo artifizio amministrativo, prima che da Londra partisse la delegazione con il potere di togliere il cappello anche a lui.

E tutto questo dopo un interminabile colloquio con le corporazioni dei mercanti di tabacco e di tè.

Thomas Pownall sospirò, e chiudendo le palpebre ben strette si massaggiò la radice del naso con due dita mentre l'altra mano cominciava ad accarezzare, come d'abitudine quando sentiva di aver accumulato troppa tensione, il bracciolo rivestito di broccato.

Doveva procurarsi un gatto. Uno di quei grossi, grassi micioni da salotto con il pelo lungo, soffice, bianco, magari; e forse avrebbe smesso di consumare quel povero bracciolo che ormai aveva un centinaio d'anni, perché gli affari politici e commerciali di Boston lo irritavano, come avrebbero irritato chiunque che fosse stato costretto a fare le ore piccole sul lavoro.

Tanto valeva avere un po' di compagnia.

Cambiò posizione sulla poltrona e appoggiò i gomiti sul tavolo, fissando un punto indistinto sulla porta in fondo alla stanza.

I figli di sua Maestà e i selvaggi alleati dei Francesi si combattevano a un naso da quella porta.

Sbuffò.

La verità era che non vedeva l'ora di sbarazzarsi di quelle pratiche bigotte per poter rimettere le mani in pasto alla guerra, che negli ultimi mesi lo aveva lasciato in disparte come un emarginato, facendo il suo inesorabile corso, e lui non aveva frequentato le scuole più prestigiose e seguito sir Danvers Osborne come suo segretario fin nel Nuovo Mondo per stare al bancone dei biscotti e ascoltare le lamentele delle massaie. Non vedeva onore in tutto ciò.

Fu nel bel mezzo di quei pensieri che d'un tratto, dalla poltroncina seicentesca a parete accanto all'ingresso, notò alzarsi un'ombra più scura delle altre.

Il Governatore balzò in piedi di colpo e l'istinto gli suggerì di impugnare la spada, ma al suo fianco trovò solo il nulla e prima che potesse gridare aiuto l'ombra entrò nella luce delle candele.

— Kenway! — sbottò dopo averlo riconosciuto.

— Governatore, — lo salutò Haytham togliendosi il cappello.

— Come… cosa ci fate qui!? — sbraitò diventando rosso in viso per la collera.

— Pretendo l'udienza che mi è stata negata, — rispose il Templare accomodandosi tranquillamente su una delle due sedie di fronte alla sua scrivania.

— Voi pretendete?! Se pure vi concedessi questo lusso, vi sembra il modo di presentarvi?! Nel bel mezzo della notte, senza avviso e apparendo come uno spettro?! Sono… indignato! —

— Potrei dire lo stesso. —

Per sorpresa mista a sdegno, il Governatore tirò indietro la testa di scatto e un grassoccio doppio mento gli comparve attorno al collo. — Non starete insinuando di aver atteso che potessi ricevervi fino a quest'ora! — sbottò.

— No, per vostra fortuna, — rispose Haytham con una risata sommessa. — O la mia visita sarebbe stata infinitamente meno cortese, ve lo garantisco. —

Per qualche istante Thomas Pownall ammutolì, ma Haytham non seppe dire se per timore o stupore, come se in realtà si fosse aspettato il contrario, da lui.

— Capisco… — borbottò il Governatore. — Ma se siete qui per sottopormi nuovamente la richiesta di un congedo militare, forse sarete contento di sentirvi confessare che desidererei ardentemente potervi essere d'aiuto. Eppure credevo di essere stato chiaro: le Colonie… —

— Infatti lo siete stato, e comprendo benissimo le vostre nuove priorità, — lo interruppe Haytham con cortesia, — ma io sono un uomo che tiene molto al suo tempo, Governatore, e detesta perderne inutilmente. Perciò confido che voi, da brav'uomo di Sua Maestà, mi aiuterete a riguadagnarne. —

— Chi vi ha fatto entrare? —

Il vento, ovviamente, avrebbe voluto rispondergli Haytham, ma scelse di rimanere in silenzio e capì di aver scelto bene.

— Potrei farvi arrestare… — brontolò il Governatore, riaccomodandosi sulla sua poltrona con le unghie piantate nei braccioli.

— Ma non lo farete, perché sentite che potrei esservi ancora utile, dopotutto, e più che mai fuori di cella. —

— E in che modo io potrei essere ancora utile a voi, Sir Kenway? —

— Sono contento che me l'abbiate chiesto. —

Pownall lo guardò sfilarsi di tasca un pezzo di carta che Haytham gli porse dopo aver dispiegato accuratamente.

— Indicarmi, se ne siete in grado, dove posso incontrare questi uomini. —

Il Governatore avvicinò il foglio ad una delle candele sulla sua scrivania e lesse attentamente la lista. Nel frattempo Haytham accavallò educatamente le gambe e si permise di usufruire dello schienale, senza negare a se stesso di cominciare a sentire un po' di stanchezza.

Ad un tratto Pownall gli scoccò un'occhiata.

— Il motivo del vostro interesse? —

— Lettere, — rispose Haytham prontamente. — Devo consegnare delle lettere assai urgenti giuntami stamani da oltreoceano. Ho atteso di potervi incontrare principalmente per questo. —

— Purtroppo nessuno di questi nomi mi dice qualcosa, — pronunciò il Governatore con una scrollata di spalle.

Bel colpo, Haytham, si rimproverò pensando di aver messo i suoi piani in mano ad un altro povero e inutile idiota, e con un moto di stizza che non provò neppure a reprimere si allungò nel gesto di riprendersi la lista dalle sue mani.

— A parte uno. —

Ma si bloccò col braccio a mezz'aria.

— Joy Millar, — cominciò Pownall. — Se non ricordo male era garzone in una stamperia di New York. Un giovane assai affabile e di buona educazione col quale ebbi una dotta conversazione sull'Etica di Aristotele, ai tempi del mio apprendistato nel New Jersey, e che fu in grado di sostenere dignitosamente come nessun altro. Mi colpì la sua età: era davvero giovane, soprattutto nell'aspetto. —

— Ricordate il nome della stamperia? —

— Temo di no. —

Non ci aveva neppure provato, ma Pownall gli restituì la sua lista e Haytham si costrinse ad accontentarsi. Un istante dopo il Templare si era già alzato e sollevandosi il cappello prendeva congedo dal Governatore, che non staccò gli occhi dalla schiena del suo ospite finché questi non fu con la maniglia della porta in mano.

— Howard Bell. —

Haytham lasciò la maniglia.

— Il proprietario della stamperia, — spiegò Pownall. — Questo è tutto ciò che ricordo. Ma sono certo che il Governatore di New York Jonathan Belcher potrebbe fornirvi informazioni più precise. È molto anziano e da che ne ho memoria un po' duro d'orecchi, ma conosce quella città come le sue tasche. Gradireste una raccomandazione? —

Haytham si voltò inarcando un sopracciglio.

— Tutt'a un tratto vi sentite in debito con me? —

— In cambio desidero solo una cosa da voi, Signor Kenway, — cominciò il Governatore prendendo della carta bollata da un cassetto della scrivania e caricando la penna, ma prima di portarla al foglio la ticchettò sul bordo del calamaio per liberarla dall'inchiostro in eccesso.

— Ovvero? — domandò Haytham tornando verso di lui.

Il pennino cominciò a grattare istericamente sulla carta.

 — Che il mio nome non finisca mai su quella lista. —

Firmò con screzio e gli porse il documento come se in realtà avesse voluto lanciarglielo addosso.

Al contrario Haytham lo tolse dalle sue mani con quella che sarebbe potuta passare per cortesia, alla luce delle candele, ma quel suo impercettibile esitare era stato dettato dallo stupore di sentirsi ammonire per qualcosa che non aveva ancora fatto, ma che il Governatore sembrava aver intuito chiaramente.

Ciononostante Haytham si limitò a sorridere e chinare leggermente il capo in segno di ringraziamento, senza staccare gli occhi da quelli dell'altro.

Un attimo dopo lasciava la Old State House quasi di corsa, ignorando le occhiate dei soldati di ronda attorno all'edificio, e infrattandosi in un vicolo prendeva la via dei tetti per timore che Pownall lo avesse fatto seguire.

 

. : : Ѻ : : .

 

 

 

 

 

 

 

Note

Per quelli di voi che si erano illusi che Haytham non sarebbe tornato alla riscossa inghiottendo la bidonata del Governatore a testa bassa.

Sarebbe stato molto out-character, o sbaglio?

Eheh.

Scritto di getto e solo questa sera dopo un'aitante sessione di studio (Rivoluzione Americana :D ), ecco la parte conclusiva del ciclo sul libraio di Charter Street, titolo che riprende il ruolo non dell'antagonista e Assassino Cédric Dumas, ma della comparsa dello scorso capitolo, Faron, il vecchio libraio, appunto.

Che dire?

Ho svariate altre idee per quanto riguarda i prossimi obbiettivi di Haytham, a partire dal sopracitato Joy Millar di New York, dove il Templare si recherà senz'altro e ovviamente non da solo. Spero mi perdonerete il lusso di presentarvi gli Assassini man a mano che andrò avanti con la storia e non tutti in una volta, mettendovi al corrente dei loro nomi che chiama la lista. Ma, come forse ho già detto, non so quali e quanti di preciso saranno, ma sicuramente non più di una decina.

No, decisamente meno.

Anche perché ho già scritto tutte e tre le parti dell'ultimo ciclo che purtroppo, nonostante mi divori la curiosità di conoscere le vostre impressioni, è stato concepito appositamente come ciclo conclusivo e perciò non posso pubblicare prima del tempo. D:

Ma bando alle ciance!

Sono felicissima di notare tanti nuovi lettori e recensori, che ringrazierò non appena riuscirò a ritagliarmi un po' di tempo tra un impegno e l'altro. (Non ho una vita sociale molto attiva e non me ne vanto, ma diciamo che neanche mi gratto il sedere dalla mattina alla sera!)

Lascio a voi la parola.

cartaccia

 

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Capitolo 5
*** Interstitium ***


Interstitium

 

 

 

???

metà di Agosto 1757

 

 

C'erano due uomini seduti attorno al tavolo rettangolare, nella penombra della stanza, grande e illuminata da un paio di candelabri. Bisbigliavano qualcosa a voce troppo bassa per essere udita anche solo un passo più in là di quel tavolo e puntavano le dita su una mappa distesa sotto ai loro nasi, servendosi un po' della luna un po' delle candele per leggerla.

Poi d'un tratto si udì bussare alla porta alle loro spalle e il bisbiglio cessò.

— Avanti. —

Entrò un giovane, che nell'atto di aprire e richiudere la soglia non impiegò che un frammento di secondo.

— Maestro, so che non volevate essere disturbato, ma… È arrivato questo con urgenza da Boston.  Ed è indirizzato a voi. —

Uno dei due uomini si alzò per andargli incontro.

— Cos'è? —

Il ragazzo gli porse come se scottasse un rotolo di brutta carta stretto in tre giri di spago e poi indietreggiò.

Non ne aveva l'aspetto, ma era una lettera.

 

 

Boston,

di 3 Agosto 1757

 

All'Illuminato il cui nome non pretendo di arrischiare in così oscura faccenda,

prego perdonare la mano inferma di un vecchio che tanto ha letto ma poco scritto se non i poveri conti della sua onesta attività di venditore di cultura in Charter Street, Boston, dove questa notte il nostro comune amico Monsieur Cédric è stato spietatamente giustiziato.

Egli era mio ospite da diverse settimane e andava e veniva molto circospetto dopo aver fugato la morte quella notte che lo sottrassi dalla strada, ferito di fil di spada a una gamba, celandolo ai suoi aguzzini. La nostra è stata una convivenza traballante e forzata, ma che lo ha indubbiamente rinvigorito.

Stamani egli è rientrato di gran carriera, ansioso, avendo abbandonato i suoi fratelli ad orrendo destino. Poi nel cuore della notte uno spettro se l'è portato via ed io ero là quand'è accaduto; l'orecchio e l'occhio miei sono stati testimoni del flagello consumatosi oltre la porta, ma, vinto dalla vecchiaia e da tutta la paura che essa porta con sé, non ho saputo scendere scale e chiamare aiuto alcuno.

(questo paragrafo è pieno di sbafature, come se il mittente avesse cominciato a scrivere più frettolosamente, e infatti la calligrafia è quasi illeggibile)

… io che so per certo della vostra posizione ed esistenza, Illuminato, temo oltremodo per la mia vita, ma non vi scrivo per chiedere pietà, o soccorso, bensì per ragguardarvi che lo stesso spettro che con tanto onore e orrore ha reclamato la vita di Cédric è ora sulle vostre tracce, più segugio che mai, poiché in possesso di una lista di nomi che lo stesso Monsieur è stato costretto a…

(segue un paragrafo completamente sbarrato e altre parole illeggibili)

…. e perciò rimetto a voi la responsabilità della sua anima, poiché egli vi considerava come un Padre che mai avrebbe voluto tradire.

Addio

 

Insieme alla lettera, stretto nello spago c'era un cravattino insanguinato ricamato con le iniziali "C.D." che svolazzò fino a terra. Il giovane di fronte a lui si chinò a raccoglierlo e glielo porse dopo avervi indugiato con gli occhi di chi sta guardando la morte in faccia.

Il Maestro lo prese dalle sue mani con delicatezza, come se avesse potuto sgretolarsi al tocco, e per un attimo il suo mento sbarbato ebbe un sussulto mentre sentiva il pavimento mancargli sotto ai tacchi degli stivali.

Sarebbe potuto appartenere a chiunque e tutta la faccenda essere solo un scherzo vile e immorale dei suoi giovani Apprendisti Jonathan e Mattew, ma stringendo quel cravattino si rese conto che una così orrenda verità era solo difficile da accettare.

Non avevano contatti con i vari distaccamenti dell'Ordine da un paio d'anni, ormai. Nell'ultima lettera codificata che il Maestro di Boston Brigham Belker gli aveva inviato risaliva alla fine dell'inverno. Vi si era detto che la presenza Templare in città stava vertiginosamente aumentando e che perciò avevano bisogno di rinforzi. Cédric Dumas e metà degli uomini che aveva inviato a Brigham erano stati suoi Apprendisti, proprio come erano ora quegli attaccabrighe dei gemelli Higgins .

Non gli piacque come metafora, ma qualcuno si stava divertendo a sterminare i suoi cuccioli, e fu con la rabbia che gli rimontava fin sulle spalle che disse:

— Dumas è morto. —

Ottenendo un oscuro silenzio.

— E Brigham e i suoi? — domandò l'uomo seduto.

— Probabilmente anche loro, e chi li ha uccisi sta venendo qua. —

Una fredda cortina di ghiaccio s'insinuò nella stanza, congelando volti, labbra e respiri…

— Cosa facciamo? — chiese in un sussurro il giovane che aveva portato la lettera.

Con un'espressione indecifrabile e prolungando il silenzio, il Maestro piegò lentamente in quattro parti la lettera e la infilò in una tasca del panciotto assieme al cravattino di Dumas.

— Come prima cosa assicuriamoci che il nostro nuovo amico non si metta nei guai: Harry, — chiamò, e l'uomo dietro di lui scattò in piedi spostando rumorosamente la sedia.

— Rintraccia il mittente, — gli ordinò, — poi organizza una squadra e mandala a Boston, ma senza appariscenze. Gli altri, tutti gli altri, da adesso finché non se la fanno addosso sorveglieranno ogni singola banchina dell'East River senza allontanarsene neanche per pisciare. Non voglio veder entrare un solo stivale Templare in questa maledetta città; in questa nostra maledetta città, — si corresse. — Sono stato chiaro? —

— Sissignore, — in coro.

Un respiro profondo e…

— Nulla è Reale, — cominciò il Maestro.

— Tutto è Lecito, — conclusero assieme.

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

Sarò franca.

Questo capitolo non (relativamente) ha senso.

Ma mi andava di scriverlo.

Volevo il cravattino insanguinato e volevo scrivere la lettera del libraio.

E poi volevo un pretesto per mostrarvi un disegno che ho abbozzato come "copertina" per il ciclo de Il Libraio di Charter Street.

http://imageshack.us/a/img267/9122/img357l.jpg

Ovviamente è solo uno schizzo. Chissà se avrò tempo per definirlo meglio.

Detto ciò mi eclisso.

 

 

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Capitolo 6
*** L'artista - I parte ***


L'ARTISTA

I parte

.: * :.

A pelo bagnato

 

 

 

 

 

 

 

 

Settembre 1757

 

New York li accolse come Boston li aveva salutati.

Con la pioggia.

Una pioggia scrosciante, grassa che in poco tempo aveva riempito le strade di pozze e annerito le divise dei soldati costretti alla ronda. La gente che non poteva permettersi di girare in carrozza si spostava di tettoia in tettoia, o correva diritto, senza sosta, come inseguita da uno sciame d'api, allungando troppo il passo già lungo e rovinando inevitabilmente in qualche pozza. Gruppi di orfanelli e vagabondi potevano trovare rifugio sotto ai portici dei mercati vuoti, che i venditori avevano sbaraccato in pochi minuti dopo la prima goccia e con l'urgenza di una fuga dall'esattore. Massaie e prostitute si tiravano i foulard o le cuffiette intorno al volto come turbanti; avvocati e dottori nascondevano la testa in un'ala della giacca come fanno le anatre in cerca di parassiti nel piumaggio; mentre, beati, i randagi si rotolavano nelle pozzanghere.

— Ve la siete portata dietro come una moglie viziata, questa pioggia, ma la gente di qui lo apprezzerà senz'altro: erano settimane che non si respirava dal caldo. Benvenuti alla Black Horse. —

Il locandiere aggirò il bancone e i due ospiti lo seguirono senza una parola su per le scale, abbandonando il salone semi vuoto in uno scampanellio di chiavi, scricchiolio di assi e gocciolio di vestiti. Dopo aver mostrato loro le stanze l'uomo si presentò ufficialmente, dicendo di chiamarsi Damion Dane e che a gestire la locanda erano lui e sua figlia Margaret. Dopodiché prese con signorile anticipo le ordinazioni per la cena e poi un cortese congedo.

— Confesso che ho già nostalgia, Sir, — borbottò Charles finendo di stendere per bene i pantaloni sulla sedia di fronte al camino, dove si stava asciugando anche il resto degli abiti con cui avevano dovuto attraversare mezza città, prima di trovare una locanda decente. La stanza del suo Maestro era l'unica a possedere un focolare, acceso per l'evenienza, e il giovane Lee vi era temporaneamente approdato per usufruirne a sua volta.

— A fine mese Johnson ci raggiungerà e potremo stabilirci nella sua residenza a Kingsborought, se sarà necessario, — disse Haytham con distrazione. Lo sguardo perso fuori dalla finestra, le braccia conserte. Addosso un rapido cambio d'abiti asciutti e informali, mentre anche i suoi, come quelli di Lee, oziavano davanti alle fiamme.

— Allora la compagnia non ci mancherà, — ridacchiò Charles.

— Se ti riferisci ai suoi familiari, non sono in città. —

— È un peccato…  — mormorò il ragazzo con una smorfia, e finito di sfilarsi gli stivali poté metterli accanto a quelli dell'altro. — Ho avuto l'onore di conoscere il piccolo John all'inizio del mio mandato di servizio, a Boston: una copia di suo padre ma senza la barba! Lo stesso forse non posso dire di sua sorella Nancy… — rise. — Ciononostante vi avrebbe fatto piacere conosc...—

— Non siamo qui per una visita di gradimento, Charles. —

Lee batté le palpebre più volte, fissando la sagoma del suo Maestro stagliata contro la pioggia, mentre lentamente il sorriso gli moriva sotto ai baffi. Poi dopo un tempo infinito si alzò dal bordo del letto e, in religioso silenzio, tornò nell'altra stanza.

Rimasto solo, Haytham sospirò e lentamente sciolse le braccia lungo i fianchi. Quindi andò al camino e si assicurò che reggesse il necessario per asciugare i loro abiti e non abbastanza da ridurli in cenere. Dopodiché si allacciò anche l'ultimo bottone del panciotto e uscì.

Le loro camere erano al terzo piano di un edificio alto quattro, situato in un quartiere marginale e benestante della cittadella storica di New York. Prima di raggiungere la locanda Black Horse, la cui insegna peccava di fantasia, avevano vagato come fantasmi per delle lunghe ore sotto la pioggia. Questo perché la mercantile bi—alberata che li aveva scaricati sulla Long First Ferry, di fronte al Fly Market, la comandava un inglese (con tutto il rispetto per la madrepatria) che non aveva saputo indicar loro nient'altro che bordelli e stalle, in confronto al luogo in cui si trovavano adesso. Il tutto aveva fatto da lieto fine a quasi due settimane di crociera, inseguiti da una burrasca maestrale che era partita con loro da Boston e non gli aveva dato tregua neanche un giorno, durante la traversata, col rischio di schiaffarli a largo nell'Oceano Atlantico. Di conseguenza, appena sbarcati, placare il mal di terra era stata la sfida più difficile, ancor prima di trovare un posto dove passare la notte, perché non soddisfatti dei ritrovi pirateschi che costeggiavano le banchine avevano preferito continuare a cercare, spingendosi quasi fuori città e rischiando di ammalarsi.

— Questo ed altro per stare tra gentiluomini, — terminò Haytham mentre Damion gli versava del tè fumante in una tazza di porcellana.

— Quindi siete in città per affari, — constatò il locandiere.

— In un certo senso, — rispose.

— Quanto intendete trattenervi? —

— Domani fissiamo un incontro col Governatore, dopo il quale saremo in grado di stabilire una, seppur vaga, data di rientro a Boston. —

L'uomo si accigliò. — Vi riferite al Governatore Belcher? —

— Ho una lettera di raccomandazione che lo nomina: sì, dev'essere lui, — disse Haytham con un sorriso portandosi la tazza alle labbra.

Damion Dane poggiò la teiera sul bancone senza rumore e incrociò le braccia al petto. — Allora non avete saputo. —

Haytham gli lanciò un'occhiata attraverso i fumi del tè mentre inghiottiva un piccolo sorso.

— È morto, — disse il locandiere, — nella sua casa ad Elizabethtown, martedì scorso. —

— Come? —

— Ma si trascinava da mesi come se lo fosse già. Era molto anziano. I funerali si terranno venerdì questo. —

— Com'è morto? — insisté Haytham.

Il locandiere tirò indietro la testa, sorpreso, incassandola tra le spalle.

— Di vecchiaia, immagino. —

Haytham continuò a fissarlo come poco convinto delle sue parole, ma in quel momento Charles comparve sulle scale, guardandosi attorno. Il locale era completamente vuoto, tranne per due soldati con gli stivali ancora sporchi di fango e la divisa bagnata che sorseggiavano brandy in un angolo della stanza, perciò non fu difficile riconoscere il suo Maestro seduto al bancone. Non appena si avvicinò il locandiere si offrì di versare del tè anche a lui e Charles lo ringraziò con un sorriso, ma mentre Damion Dane gli domandava se preferisse latte o limone, Haytham si alzò, e portando la tazza con sé andò a sistemarsi senza una parola al tavolo più infondo alla sala, vicino alla finestra. Poco dopo Lee lo raggiunse e soffiando sul suo tè bollente gli sedette di fronte, con le spalle al bancone.

— Jonathan Belcher è morto, — cominciò Haytham cercando il suo sguardo.

Lee alzò il naso dalla tazza e in un attimo le sopracciglia gli schizzarono sulla fronte. — Il nostro Governatore? —

Ora capiva il perché di quel tavolo alla fine del Mondo.

Haytham annuì e abbandonandosi sullo schienale prese a giocare col manico della tazza.

— È successo mentre eravamo in viaggio, non c'era modo di saperlo, — disse. — Avevamo solo un pezzo di carta e adesso non abbiamo più neanche quello. —

— L'Assemblea eleggerà qualcuno che potrà esserci altrettanto utile. —

— Ma non lo farà molto in fretta. —

— Allora questo non dipende da noi e voi non dovete darvi colpe, Sir. —

Non seppe dire con precisione cosa nella sua frase gli avesse scatenato quel gesto, ma all'improvviso Haytham Kenway ritirò le mani dal tavolo e le abbandonò in grembo, abbassando lo sguardo. Con uno strano sorriso mormorò qualcosa a fior di labbra, ma probabilmente solo a se stesso, e poi ricominciò a guardare fuori dalla finestra, dove la pioggia continuava a schiaffeggiare le strade. Quindi per un po' e in cerca di una distrazione si concentrò sullo spettacolo urbano, ancora una volta, come se potesse bastare quello a svelargli tutti i segreti di cui era a caccia…

Charles tornò al suo tè non senza lanciare un'occhiata alla tazza del suo Maestro: aveva già smesso di fumare e Haytham, probabilmente, perso la voglia di berlo. Infatti non appena Charles ebbe inghiottito l'ultimo sorso lo vide alzarsi, di nuovo.

— Credo che andrò a stendermi un po', — disse. — Ti prego di non disturbarmi fino all'ora di cena. —

L'altro annuì, si girò sulla sedia e lo guardò imboccare le scale dopo aver ammiccato al locandiere, che subito dopo raggiunse il loro tavolo per togliergli le tazze da sotto ai baffi, mettendole su un vassoio.

— Mi ha detto che il viaggio non è stato esattamente piacevole, — cominciò Damion. — Via terra sareste stati più fortunati e questo tempo orribile vi avrebbe preceduti, perciò la sua stanchezza è più che giustificata, dico bene? —

— L'organizzazione del viaggio stesso è stata piuttosto… agitata. Penso sia stato questo, più che altro, ad affaticarci entrambi, —  rispose Lee.

All'improvviso nella locanda entrò un uomo, completamente zuppo, che con un gran frastuono agguantò una sedia dal tavolo più vicino per posarvi una serie di bagagli dall'aspetto pesante. Damion si voltò di colpo con l'imprecazione sulle labbra, ma un attimo dopo aveva abbandonato il vassoio ed era volato in direzione dell'ingresso, offrendo il suo aiuto al nuovo arrivato. I due sembravano conoscersi e perciò Charles ne approfittò per sparire dalla scena, puntando verso le scale. Una volta in corridoio superò la porta chiusa del suo Maestro e varcò quella della propria stanza, più piccola e spartana con una sola finestra che dava sulla facciata interna del palazzo. Si sdraiò sul letto a pancia in su e fissando il soffitto, molto basso perché si trovavano al terzo piano, prese a rigirarsi al dito l'anello dell'Ordine come sempre quando qualcosa lo turbava. Il suo bagaglio disfatto solo per metà, appoggiato di fortuna sulla sedia davanti alla zona della toeletta, gli ricordava che avrebbe potuto impiegare quel tempo in ben altro modo, ma i pensieri scottavano più di qualunque altra cosa.

Da quando avevano lasciato Boston il suo Maestro si comportava in modo strano, reagiva in modo inspiegabile; mormorando a se stesso, fissando i vuoti e preferendo troppo spesso rimanere da solo. Era diventato cupo, riflessivo, imprevedibile…

Più del solito, s'intende…

Ma in un attimo, inevitabilmente, Charles si addormentò, mentre nella stanza accanto qualcuno tentava di fare altrettanto forse già da un'ora, ma senza successo.

Ed era colpa di quella lista.

Quella lista che cominciava col nome di Joy Millar, garzone in una delle un-numero-imprecisato stamperie della sola provincia di New York, mentre l'unica possibilità di restringere il campo per le ricerche probabilmente riposava già venti metri sotto terra.

Dunque era ufficiale: era andato da Pownall, quella sera, per niente.

NIENTE.

E dopo aver tolto la vita ad un vigliacco nella maniera più vigliacca e immorale mai possibile, comportandosi da suo pari, uccidendolo con la sua stessa arma, quell'ulteriore inciampo metteva ancora una volta in luce i suoi errori.

Era stato avventato.

Precipitoso.

Crudele.

Ingiustificatamente crudele.

Cédric Dumas non meritava di morire così. Tantomeno il Maestro Brigham, che prima di andarsene aveva avuto il buon cuore di lanciargli il malocchio.

E aveva funzionato.

Perché Haytham si odiava.

Si odiava per ciò che aveva fatto e per come l'aveva fatto.

Ma il problema più grave era che…

…avrebbe dovuto farlo ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

Questa volta non mi dilungo in chiacchiere e vado dritta al dunque.

Vi è piaciuto il capitolo?

Sì/no.

E' semplicissimo, non dovete scrivere un poema, bastano due righe, ma vi prego… recensite.

Seguite la storia in tantissimi, il primo capitolo ha già totalizzato quasi 300 visite.

Se sono pallosa ditemelo, non mi offendo.

Se il mio Haytham vi fa schifo pure, tanto è a lui che vi state riferendo…

Per quanto riguarda Charles, bhé… nella fretta di passare ai pensieri di Haytham ho dovuto staccargli la spina. Non trovavo una scusa migliore e l'ho ucciso di sonno. Capitemi, manco di immaginazione.

Comunque mi ha contattata una lettrice anonima con una proposta interessante.

Oddio, interessante.

Forse non per tutti quelli che seguono questa storia, dalla quale non si aspetterebbero certi temi.

Mi ha chiesto di farle da beta nel suo progettino che dice di averle ispirato la mia storia.

Sinceramente, anche se la questione mi fa un po' senso, è riuscita ad incuriosirmi.

Mi ha anche autorizzata a fare un sondaggio.

Perciò, ecco la domanda:

"Credete che il fandom possa tollerare una Charles/Haytham senza ( come dire?) dimenarsi? E anzi, ci sarebbe qualche supporter anche solo vagamente interessato?"

Non serve rispondere nella recensione, potete contattarmi anche via messaggio privato. Oppure addirittura ignorare la faccenda e dimenticarvi quest'intervento.

Sperando che il suddetto intervento non vi abbia fatto passare la voglia di continuare a seguire la mia storia.

Perché in quel caso sareste dei bigotti omofobi senza cervello.

E allora, semplicemente, non ne sareste degni.

Scusate la schietta sincerità, ma oggi ho avuto una giornata orrenda e anche quella cosa che hanno le signore una volta al mese.

Chi è autore come la sottoscritta capirà benissimo perché è in momenti come questi che si riempiono, logorroicamente, le pagine più significative del proprio lavoro.

E infatti il capitolo è orrendo, ma mi ha molto soddisfatta e, soprattutto, svuotata.

Perciò ora basta.

A voi la parola.

 

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Capitolo 7
*** L'artista - II parte ***


L'ARTISTA

II parte

.: * :.

New York City Hall

 

 

 

 

 

 

 

 

 

— Sveglia, Charles. Siamo in ritardo. —

Il giovane del Cheshire sobbalzò tra le coperte, stringendo più forte il cuscino mentre Haytham attraversava a grandi passi la sua stanza, già impeccabilmente vestito, per andare ad affacciarsi a quell'unica piccola finestra che dava sul cortile interno, dove una pioggerella ora sottile cadeva dal cielo giallognolo.  

— Perdonatemi, Sir,— balbettò Charles, scattando in piedi e guardandosi attorno con l'aria di chi s'è risvegliato in un luogo sconosciuto. — Spero che la cena non si sia freddata… —

— La colazione, vorrai dire, — lo corresse Haytham con tono visibilmente irritato, ma non senza velare una puntina di compassione, come se non fosse in piedi anche lui che da pochi minuti; cosa che probabilmente era.

Quand'ebbe inghiottito la sorpresa, Charles cominciò a sistemarsi la camicia nei pantaloni con l'urgenza tipica di un grande imbarazzo, che gli aveva imporporato le guance e le punte delle orecchie.

— Non sta bene saltare i pasti, — commentò Haytham a bassa voce, mentre avvertiva il suo apprendista affaccendarsi nella stanza dietro di sé. — Ma, personalmente, devo ammettere di avere un gran appetito. E l'appetito è segno di buona salute, Charles. —

— Esatto, Sir, — ne convenne Charles, distratto. Mentre si metteva gli stivali, che doveva essersi sfilati nel sonno (perché ricordava di averli avuti ai piedi fino all'ultimo), lanciava occhiate alla figura scura dall'altro stagliata contro il vetro, come per accertarsi che fosse ancora lì e, nel contempo, sperando che Haytham continuasse a dargli le spalle a quel modo; quel modo forse anche un po' trattenuto che stava sinceramente alleviandogli la coscienza di fronte alla gravità della sua personale indolenza, ricaduta su di sé come sul suo Maestro.

Come aveva potuto dormire così a lungo?!

Ma cosa più assurda…

Stava davvero ancora piovendo?!

Dopo essersi allacciato il cravattino alla buona, Charles si arrestò di colpo al centro della stanza. Si sentiva la schiena scoperta. Troppo scoperta, pensò stirandosi le pieghe della camicia sul petto finché non giunse l'illuminazione.

Il panciotto.

Mentre lo cercava con gli occhi attorno a sé si passò una mano sul volto, accorgendosi disgraziatamente di aver bisogno di radersi ma che la fretta del suo Maestro non glielo avrebbe permesso (almeno non senza rischiare di sgozzarsi.) Fu in quel momento che Haytham si voltò e trovandolo ancora in quello stato non poté trattenere una smorfia contrariata. Lo superò sfiorandogli appena una spalla, nello spazio ristretto della stanza, e uscì, lasciando la porta aperta e il suono dei sui passi a riecheggiare nel corridoio come monito.

Charles scattò con l'intenzione di imitarlo, quando il panciotto apparve proprio là, sotto al suo naso, indosso allo schienale della sedia come su un manichino. Con un ghigno se lo infilò alla buona e uscì anch'egli, finendo di allacciarsi l'ultimo bottone sulle scale.

Al pian terreno c'era una certa confusione, segno che la mattinata era già bella che inoltrata.

Una pattuglia di soldati aveva occupato l'intero spazio del piccolo bancone e qualche tavolo nei suoi dintorni. Una giovane coppia si teneva le mani vicino alla finestra, liberandole ogni tanto per sorseggiare una bevanda calda che, tra uno sguardo languido e l'altro, avrebbe smesso di fumare prima che fossero riusciti a finirla. Tre giovani si scambiavano pareri su dei sonetti italiani inghiottendo whisky di ottima etichetta. In fondo alla sala, come un'ombra, se ne stava zitto un uomo con un libro.

Ad uno dei tavoli della corsia centrale, quella sotto ai due pilastri che reggevano il basso controsoffitto, si stava or' ora sedendo il suo Maestro e Charles lo raggiunse in contemporanea al "buongiorno" di Damion Dane. Entrambi gli ospiti ricambiarono e poi il locandiere dispose l'abbondante colazione sotto ai loro nasi, mentre Charles prendeva posto all'altro capo del tavolo, di fronte ad Haytham che, con palese antipatia, si apprestò ad evidenziare la necessità di avere del sale a parte, soffocando così, sul nascere, il gaio commento di Damion sulla loro consistente dormita. Quindi furono soli.

— Come prima cosa dobbiamo aggiornare Johnson sulla nostra sistemazione, — cominciò Haytham infilandosi il tovagliolo nel colletto. — Siamo partiti così di fretta da non riuscire neppure a chiedere pareri su una locanda ragguardevole. Non che questo luogo mi dispiaccia, anzi. Abbiamo però perso molto tempo prezioso e stiamo continuando a sperperarne, Charles. Stabilire un collegamento epistolare è la nostra prima priorità. —

— Yes Sir. —

— Perciò oggi vorrei che ti recassi alla stazione di posta con questa, — disse alludendo ad una piccola carta quadrata e ingiallita accanto al suo gomito e che Charles non aveva notato prima di allora.

Si allungò a prenderla e la infilò nella tasca del panciotto.

— L'avrei chiesto al locandiere, — aggiunse Haytham, guardando in modo critico il boccone troppo cotto infilzato nella sua forchetta, — se non sapessi quanto la carenza di personale si faccia sentire soprattutto nei giorni di pioggia, — concluse mestamente.

— Quando l'avete scritta? — chiese Charles.

— Ha importanza? — Haytham lo fulminò con un'occhiataccia.

Il sale arrivò.

— Nel frattempo io sarò al Municipio, — riprese Haytham, cupo, quando Damion scomparì di nuovo dalla sua vista. — Vedrò di fraternizzare con qualcuno di quegli imbellettati bellicosi, così da avere notizie fresche dal Nord… —

— Ma la Guerra non ci riguarda, Sir, — obbiettò Charles, prendendo ora ferma posizione nell'Ordine, poiché il titolo militare lo vincolava sul Fronte contro i Francesi esattamente o più di come vincolava i loro fratelli John Pitcairn e William Johnson.

— Non ancora, — lo corresse Haytham. — Ma ho il presentimento che i nostri amici ci hanno buttato già un occhio, perciò abbiamo tutto il diritto di fare altrettanto. —

— Lo dite solo perché è quello che fareste voi, — commentò.

— Sì, è vero. —

Charles rise, e quando notò l'ombra di una ruga da sorriso accennarsi anche all'angolo della bocca dell'altro, cominciò a mangiare, più sereno, i suoi fagioli.

 

.: * :.

Si separarono solo a mezzogiorno, sotto un cielo compatto e sempre più plumbeo che non prometteva nulla di buono, ma almeno aveva smesso di piovere.

Nonostante il comportamento di Haytham, Damion si era mostrato signorilmente disponibile nell'indicare ad entrambi le rispettive direzioni.

Per la stazione di posta più vicina Charles avrebbe dovuto percorrere per intera, verso est, la Gold Street e raggiungere la grande Princes Street, da percorrere anch'ella per un mezzo miglio; poi poteva scegliere se svoltare a destra e attraversare il mercato oppure continuare dritto per un altro miglio circa, ma in entrambi casi la sua destinazione si trovava alla fine di Rutgers Street, una parallela della Princes, e non si sarebbe mossa da lì.

Al contrario Haytham avrebbe dovuto riscendere William Street, verso sud-ovest, fino all'incrocio con Pearl Street, e tirare sempre dritto fino al municipio. Il suo percorso si preannunciava molto più breve.

New York non aveva nulla da invidiare a nessuna delle altre grandi città delle Colonie: con il suo porto maestoso, palcoscenico di dragoni a quattro alberi che arrivavano direttamente dalle coste africane carichi di sete, spezie e schiavi, e il glorioso reticolato commerciale che portava tè, zucchero e caffè in ogni spiaggia conosciuta di quella fetta di Mondo, era come una grassa regina avida ad un ballo delle debuttanti. Nonostante la cappa grigia a sminuirne i contrasti, Haytham la trovò ricca, rigogliosa come la quercia più bella del Royal Green Park di Londra, ma stava attraversando un quartiere piuttosto a bene, con le facciate pulite e le ampie finestre per fronteggiare le calure estive, le belle insegne pittate e le grandi vetrine dei negozi: se si fosse spinto di poco oltre i confini storici della cittadella era certo di aspettarsi un panorama completamente diverso, perciò decise di aspettare ancora un po' prima di darle un giudizio generale. Non appena il tempo fosse stato più favorevole, infatti, avrebbe girato l'intera penisola, spingendosi fino alla Frontiera, magari, ma per adesso doveva accontentarsi di visitare il vecchio pollaio e stringere la zampa a qualche vecchio gallo…

Svoltato l'angolo, fu sorpreso di ritrovarsi in una gran folla di nobiluomini imparruccati, che con la consistenza e l'aspetto di un tampone di cotone otturavano la via di fronte all'ingresso del Municipio. La città ne possedeva due già da metà secolo, ma quello era il più antico e si presentava come un basso edificio in mattoncini dall'aspetto comune, se non fosse stato per la grande Union Jack che ci svolazzava.

Le porte erano chiuse.

Haytham sospirò, prese un respiro profondo e con un sorriso falsissimo si rivolse al primo civile alla sua destra, domandando cosa fosse tutta quella confusione e perché il City Hall non avesse ancora aperto.

— Le elezioni, Ser. Che il Signore ce la mandi buona! Belcher ci aveva promesso che non un'altra stretta (*) avrebbe attanagliato i colli dei nostri figli, ma sono passati due anni e adesso anche il mio piccolo John ha l'età per la Guerra, ed io voglio che completi gli studi, non che vada a farsi scalpare da quei selvaggi! Dio mio! — La sola idea lo fece diventare verde di terrore.

Haytham annuì, compassionevole, e si lasciò stringere la mano quando gli diede ragione. Dopotutto anche lui stava perdendo alleati preziosi per via di quella dannata Guerra, a cominciare da Pitcairn, ma se la situazione stava peggiorando davvero come aveva sentito dire, presto o tardi si sarebbe ritrovato solo.

In quel momento un soldato di Sua Maestà uscì dal Municipio e corse alla campana reggendosi la spada al fianco con una mano. Suonò una decina di rintocchi e in pochi secondi un silenzio teso, immobile, calò sulla piazza.

Però! Hanno fatto in fretta, pensò Haytham.

Gonfiandosi d'aria i polmoni il soldato gridò che le elezioni erano state rimandate, e senza specificarne la ragione lasciò il suo piedistallo, sparendo dentro all'edificio.

Come non detto.

 

.: * :.

 

La reazione di disappunto era stata unanime, ma la folla si era dispersa in fretta.

Ormai di fronte al Municipio non rimanevano che tante impronte nello sterrato e solo un paio di teste, coperte da bei capelli a tricorno tra i quali spiccava quello blu bordato d'oro di Haytham: sicuramente non alla moda di New York, ma sufficientemente elegante, insieme al resto dei suoi abiti, da attirare l'attenzione di un giovane dietro di lui. Accarezzandosi il pregiato panciotto di velluto verde (davvero un azzardo in quell'infausto giorno di mal tempo - e gli andava anche lungo), lo sconosciuto gli domandò se non fosse un qualche membro illustre della Compagnia delle Indie Orientali, il che equivaleva a dargli del forestiero, ma lo disse come se oltre a quello Haytham fosse anche di pelle scura. Tanta scortesia era davvero ingiustificata, pensò Haytham, e quello era un povero idiota; oppure lo infastidiva il fatto che in Inghilterra fossero rimasti sarti capaci, quelli che prendevano le misure prima di tagliare la stoffa.

— Un visitatore, — rispose Haytham seccamente, senza staccare gli occhi dalle porte del Municipio che si stavano riaprendo piano, come se qualcuno al suo interno volesse accertarsi di potervi uscire inosservato. Infatti comparve lo stesso soldato, che quand'ebbe completamente aperto i battenti si sistemò di guardia a un lato dell'ingresso, impettito e con la baionetta sulla spalla.

— Ora il Municipio è aperto ai visitatori, — lo informò il giovane con tono accademico, come se si fosse rivolto ad un ragazzino o peggio, a un deficiente.

Haytham gli lanciò un sorriso forzato, e ignorando il prurito alle nocche si diresse verso i gradini.

Avere con sé la raccomandazione firmata dal Governatore Pownall non lo alleggeriva più come una volta, e anzi la carta bollata sembrava avere un suo peso specifico superiore al piombo. Se in passato aveva confidato nella sua utilità, ora Haytham se la sentiva nella tasca solo come un inutile fardello, e poiché non era nella sua natura graziare il superfluo, mentre saliva le scale la strappò in una dozzina di parti e prima di varcare la soglia del Municipio li affidò ad una folata di vento che li portò lontano tra i tetti luccicanti.

Pioveva.

 

.: * :.

 

 

 

 

 

 

 

Note

Sono quasi certa che questo ciclo dedicato all'Artista avrà più di tre parti.

Ho detto quasi perché potrei improvvisamente rompermi le balle, come voi, di Municipi e Governatori e puntare tutto sull'azione, come mi ha giustamente ricordato una lettrice.

(*) Per quanto riguarda la stretta, ovvero "The Press" come dicevano gli Americani, si tratta di una consistente azione di reclutamento forzato fattasi (oddio che orrore di scelta verbale) a New York in quegli anni. Ora non ricordo precisamente quanti e come, ma so con esattezza che alla fine del '57 agli Inglesi le cose su al Nord, in piena Guerra Franco-Indiana, le cose non andavano proprio bene e che quindi c'era bisogno di parecchia mano armata; New York in questo senso aveva, come ho scritto nei miei appunti, "un porto rinomatamente 'corsaro', e la marina britannica sai quanti ne ha pescati di begli squaletti lì da scagliare contro i pesciolini francesi che nuotavano nelle sue acque."

E' stato questo, in un certo senso, a rinnovare il mio interesse per Master and Commander: Ai Confini del Mare (pellicola del 2003 di Peter Weir.) Pur essendo ambientato durante le Guerre Napoleoniche, ovvero lontano dagli attuali punti di interesse del mondo di AC, è un film incredibile, ricco di un'arte, di una passione e di una cultura senza eguali. Ho scoperto da poco che è tratto da una serie di venti romanzi, ma già ne ho letti due e devo dire che nemmeno Weir, anche se ci è andato parecchio vicino, è riuscito a fare giustizia alle immagini, ai personaggi, alle situazioni e alla ricchezza di dettagli di Sir Patrick O'Brian.

"Ma perché diavolo 'sta pazza ha cominciato a fare salotto su un altro fandom?"

Ok, ora vi lascio.

Sperando che il capitolo, anche se tranquillo come o più del precedente, vi sia piaciuto.

E che il mio Haytham sia ancora IC.

A presto.

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