[いつまでも、いつまでも守ってゆく] Ti proteggerò sempre, per sempre

di u s h i o
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'll remember forever... ***
Capitolo 2: *** ... even if just about everything changes. ***
Capitolo 3: *** It was just one... ***
Capitolo 4: *** ... just one ordinary thing. ***



Capitolo 1
*** I'll remember forever... ***


いつまでも、いつまでも守ってゆく
Ti proteggerò sempre, per sempre







Capitolo 1. I'll remember forever...
 




"In quella piccola mano c'è una forza che un giorno ci supererà
Anche quando la piccola mano ci lascerà, noi continueremo per la nostra strada
Affronteremo quel giorno speciale, certi che arriverà, con i nostri ricordi più belli."

 

La luce della luna piena filtrava dalle tende della finestra, illuminando la camera da letto. Il ragazzo teneva gli occhi neri fissi sul vetro della finestra, facendo vagare in completa libertà il suo sguardo al di fuori di essa, sperando di riuscire a prendere sonno.
Quella luna che lo aveva accompagnato durante tutte le tappe più importanti della sua vita ora si specchiava sulla sua pelle candida, quasi come se volesse proteggerlo dagli incubi che lo prendevano ogni notte. Socchiuse lievemente gli occhi, beandosi di quell’effimera sensazione di protezione.
“Sasuke-kun” fu destato all’improvviso dai propri pensieri da una voce dolce e ovattata, così protettiva e femminile, proveniente dalle sue spalle.
Si girò dentro le coperte blu del suo letto che lo avvolgevano, tentando di fare meno rumore possibile, e spostò il proprio peso sul fianco opposto lasciando che i capelli neri si spargessero sul cuscino candido. Alzò lo sguardo, puntandolo verso la persona che l’aveva chiamato dicendole con lo sguardo un semplice dimmi, sapendo che lei avrebbe capito. Incontrò i suoi grandi occhi verdi fissi su di lui, così simili a un libro aperto e così facili da leggere, perdendocisi dentro.
“Sasuke-kun” lo richiamò nuovamente lei in un lieve sussurro, amando il suo nome ad ogni singola sillaba che pronunciava. “Sasuke-kun, stavi dormendo?”.
“No, non stavo dormendo” rispose semplicemente lui.
Lei abbassò lo sguardo sospirando incerta, mentre scostava leggermente una ciocca di capelli rosa che era caduta davanti a un occhio. Si morse un labbro.
“Hai mai avuto dei desideri nascosti?” mormorò lei, puntando di nuovo gli occhi color smeraldo nei suoi.
Sasuke aggrottò le sopracciglia, guardandola perplesso. “Perché questa domanda?”.
“Rispondimi e basta” lo incitò la ragazza.
“Dormi, Sakura, e non pensare a cose stupide” rispose secco chiudendo gli occhi per poi si girarsi di nuovo dal lato opposto voltandole le spalle e ignorando completamente la domanda che lei gli aveva posto. S’irrigidì non appena sentì due esili braccia avvolgerlo in vita e stringerlo forte, percependo al contempo un leggero respiro sfiorare in modo delicato la sua nuca, che sembrava quasi una carezza per quanto delicato. Non si scostò, non voleva scostarsi. Rimase lì, a farsi cullare fra le braccia di lei, immobile come un bambino.
“Hai qualche desiderio, Sasuke-kun?” oltre a tuo fratello, avrebbe potuto benissimo aggiungere lei.
Sasuke sospirò, constatando che in quanto a testardaggine non l’avrebbe mai battuta nessuno – escludendo lui. “Perché vuoi saperlo?”.
“Perché... Voglio renderti felice, sempre”.
Fu dolce il tono di voce con cui lei gli rispose, così dolce che Sasuke si sentì atterrito da quell’immensa e ingenua voglia che lei aveva sempre avuto di portare la felicità nella sua vita, di vivere ogni giorno insieme in modo felice. Di donargli ininterrottamente gioia senza mai chiedere nulla in cambio.
“No, non ne ho” rispose poi senza pensarci sopra.
“Se tu ne avessi, farei di tutto per realizzarli” lo strinse ancora più forte tra le sue braccia mentre glielo sussurrava all’orecchio, quasi per paura che sfuggisse ancora una volta da lei esattamente come aveva fatto per tanto, troppo tempo. “Lo sai, no?” aggiunse.
“Lo so” confermò Sasuke tentando di mimare una voce atona.
Non seppe dirlo con certezza, ma in quel momento ebbe la sensazione che Sakura stesse sorridendo contro la sua pelle, mostrando uno di quei sorrisi che faceva solo in sua presenza, e mai con nessun altro. “Ti amo” gli sussurrò lei avvicinandosi al suo orecchio, alleggerendo il suo cuore.
Sasuke stette in silenzio godendosi quel momento, senza risponderle. Non lo avrebbe mai fatto, e lo sapevano entrambi. Lui era convinto che in fondo lei sapesse cosa volesse dire quel silenzio.
“E tu che cosa desideri, Sakura?” riprese parola sviando il discorso. Sakura rise piano, probabilmente constatando quanto Sasuke fosse chiuso e restio a esprimere le proprie emozioni.
“Cosa c’entra?” chiese lei, ancora con le braccia strette forte attorno ai suoi fianchi, con tono del tutto stupito. Non era da lui fare domande.
“Ti conosco. Se mi hai fatto quella domanda, qualcosa avrà pur voluto dire” affermò infine Sasuke in risposta, tutto d’un fiato.
Sakura tentennò, trattenendo il fiato per poi prendere un profondo respiro.
“Non penso di poterlo dire” mormorò lei con tono insicuro. Sasuke poteva percepire le mani di lei strette attorno a sé tremare leggermente.
“Sì che puoi. Dillo”.
Sakura sgranò gli occhi verdi non appena sentì la mano di Sasuke coprire delicatamente la sua, ancora poggiata sul suo fianco. La mano di lui si era semplicemente adagiata sulla sua, in modo delicato e gentile, senza stringerla minimamente, bensì sfiorandola soltanto. Il resto del corpo di Sasuke intanto non si era mosso di un millimetro, quasi come se volesse fingere di non aver fatto nulla. La sua mano era lì, senza pretese, facendo soltanto notare a lei che la sua presenza c’era. Un gesto delicato, effimero, semplicemente da Sasuke.
“Non potrei desiderare nulla di più che non sia stare con te” confessò lei, dopo aver preso coraggio dal gesto – che chiunque avrebbe considerato insignificante, ma non lei – di Sasuke. Prese ancora fiato, cercando ancora una volta il coraggio perduto. “Ma l’unica cosa, forse, sarebbe...” aggiunse “un bambino”.
L’ultima parola pronunciata dalla ragazza fu l’unica cosa che fece in modo che Sasuke si girasse, tornando alla sua posizione originale. Spalancò gli occhi dalla sorpresa, facendoli incontrare con quelli lucidi di Sakura che lo osservavano quasi commossi, in un misto tra sollievo per averlo detto e timore per un rifiuto. Sakura dopo aver fatto quella confessione poté giurare di aver visto, per la prima volta, puro smarrimento negli occhi di Sasuke. Smarrimento, però, misto a quel pizzico di gioia che in fondo si era sempre aspettata da un ragazzo come lui: la gioia di chi, non avendo mai avuto la possibilità di avere una vera famiglia, incontra finalmente la possibilità di crearne una propria, una tutta sua.
Sarò io, saremo noi la tua famiglia, Sasuke-kun.
Sasuke si alzò adagio sui suoi gomiti senza smettere di guardarla – in un modo così intenso che Sakura temette di morire – e prese un respiro profondo.
“Sei sicura?”.
Sakura annuì soltanto mordendosi il labbro inferiore, per poi aggrapparsi alla sua maglia blu con una mano, stringendo la stoffa attorno alle sue piccole dita. Lo tirò velocemente a sé e ne catturò le labbra con le sue, sfiorandole con delicata pressione e saggiandone lievemente i contorni con la lingua. Sasuke per qualche secondo rimase fermo, in silenzio, senza reagire, prima di ricambiare il bacio schiudendo le labbra e accogliendo la lingua di lei attorno alla sua, accarezzandola piano.
Non appena lui reclinò lentamente il viso per ricambiare meglio il bacio, allontanandosi appena per respirare, il respiro reciproco aumentò e andò a scontrarsi sulle loro rispettive bocche, mentre Sakura faceva scendere le sue piccole mani fino ai lembi della maglia di lui, tentando di sfilarla con poca decisione. Sasuke non tardò ad aiutarla, staccandosi dalle sue labbra per pochi istanti in modo tale da riuscire a toglierla e gettarla via, e una volta fatto si rituffò sulle sue labbra lasciando che le mani di lei accarezzassero con dolcezza il suo torace. Dopo qualche istante, mentre si spostava adagio dal lobo del suo orecchio fino al suo collo  niveo posandoci piccoli baci a stampo, le accarezzò piano una coscia, portandola poi attorno al suo fianco e alzando delicatamente la stoffa della sua camicia da notte rossa, così da scoprire la pelle liscia e morbida della ragazza, sfiorandola con leggeri movimenti circolari delle dita.
Sakura portò le braccia sulle sue spalle forti e intrecciò una mano attorno alle ciocche corvine di lui, socchiuse gli occhi beandosi nel sentire le sue labbra baciare ripetutamente quei punti di pelle così sensibili e “ti amo” gli sussurrò piano vicino al suo orecchio. Lui, non reagendo alle sue parole, scese con le labbra lungo la sua scapola e lei ancora “ti amo” bisbigliò, questa volta all’aria impregnata dei loro baci. In risposta le braccia di Sasuke si strinsero forte attorno all’esile vita di lei sfiorando il bordo dei suoi slip, incapace per l’ennesima volta di replicare qualsiasi cosa a quelle parole così colme di felicità che Sakura gli sussurrava sempre, senza mai nessuna riserva e nessun freno, senza la paura di perdere per sempre dei pezzi di se stessa nei suoi continui tentativi di donarli a lui.
“Permettimi di diventare la tua famiglia, Sasuke-kun” fece ancora Sakura prendendo il suo mento fra le piccole dita, in modo da fargli alzare il viso in sua direzione e incrociare il suo sguardo “permettimelo”.
Sasuke si limitò a guardarla perdendosi ancora una volta nei suoi occhi verdi e grandi, così belli e così pieni d’amore per lui, invertendo le posizioni e facendola sistemare a cavalcioni sopra di lui, steso sul materasso. Poggiò le mani sui suoi fianchi e le fece risalire lentamente lungo tutta la sua schiena sfilandole la camicia da notte, per poi gettarla via in un punto indefinito della stanza; osservò il corpo di seminudo di Sakura alla luce della luna e, portando le mani sulle sue spalle e la fece avvicinare a pochi centimetri dal suo viso senza però baciarla.
Le scostò i capelli rosa da un orecchio, avvicinando le labbra al lobo del suo orecchio. Lo morse delicatamente, per poi limitarsi a respirarci ritmicamente contro.
“Grazie” le sussurrò qualche istante dopo, con un filo di voce.
Per tutta la notte si persero l’uno nell’altra, aspirando a quella famiglia che entrambi sognavano – per sentimenti e motivi diversi – da così tanto tempo.
 
 
 



Qualche tempo dopo.

 


Anche quel giorno Mebuki, come suo solito, si era infiltrata a casa loro per fare le pulizie senza chiedere il permesso – come se Sakura non fosse già in grado di cavarsela, e come se la loro casa fosse sua. Sasuke non poteva dire nulla alla donna solo perché era la madre di Sakura e in fondo un po’ di rispetto doveva pure riservarglielo, ma se così non fosse stato l’avrebbe volentieri cacciata via di casa con ben poco garbo per tutto il fastidio che gli procurava avere persone non desiderate in casa sua.
Più di una volta Mebuki si era piazzata a pulire proprio davanti allo schermo della tv proprio mentre sfidava Naruto alla Playstation senza farsi alcun problema – e solo lui e Naruto sapevano quanto quelle sfide fra loro fossero importanti, durante le quali si rivelavano ogni volta dei totali imbecilli nel finire le loro partite in calci e pugni –  o altrettante volte si era infiltrata nella camera da letto sua e di Sakura nei momenti meno opportuni. Sasuke non se ne preoccupava più di tanto, ai tempi, e ci passava spesso sopra – cercando di non covare troppo rancore e vendetta –  essendo episodi che accadevano sporadicamente; ma nell’ultimo periodo la situazione stava diventando pesante e ripetitiva, e soprattutto strana.
Sakura si alzava sempre meno dal letto, si chiudeva sempre più in bagno e diventava sempre più lunatica, ma lui non si era posto alcuna domanda riguardo a tali stranezze così inusuali per lei. Semplicemente lasciava correre senza chiedersi nulla, seppur lei non avesse detto nulla a riguardo.
Ma, non sapendo spiegarsi come mai, ora che teneva i piedi alzati sul tavolino del salone mentre Mebuki passava l’aspirapolvere sotto le sue gambe, con Sakura ancora chiusa in camera al piano di sopra, cominciava a farsi qualche domanda su quella situazione.
“Vado da Sakura” mormorò più a se stesso che alla donna mentre si alzava dal divano.
Lei non spense l’aspirapolvere, così per finire con l’urlargli in faccia. “Come? Non ti sento!”
“Vado da Sakura” ribadì.
“Eh?”.
Sasuke si ritrovò a dover staccare con tutta la forza che aveva in corpo la spina dell’aspirapolvere, arrivato al limite di una crisi di nervi e d’infiniti istinti omicidi. “Ho detto che vado da Sakura” snocciolò per l’ultima volta con tono scocciato, appena prima di dirigersi al piano di sopra.
Percorse le scale con calma, appena prima di sentire colpi di tosse ripetuti che gli fecero affrettare il passo, arrivando in velocità fino al bagno dove trovò Sakura appoggiata alla tavoletta.
“Sakura” la chiamò con un filo di preoccupazione nella voce “che succede?” chiese ingenuamente, non volendo capire.
Sakura alzò di poco la testa provando a parlare, ma si interruppe ancor prima di riuscire a emettere una sillaba buttando giù la testa per vomitare – di nuovo, pensò Sasuke. Si avvicinò a lei e raccolse i suoi capelli in una mano, mentre portò l’altra sulla fronte reggendogliela con cautela, aspettando che finisse. Premette il pulsante e le sciacquò la bocca con delicatezza, notando nel frattempo quanto il suo viso fosse pallido e quanto le sue occhiaie fossero accentuate.
“Sakura, tu...” lasciò la frase a metà incapace di andare avanti, con le parole che gli si bloccavano in gola. Per la prima volta.
“Io cosa?” chiese lei con un filo di voce.
“Sei...” mormorò ancora con tono insicuro “tu sei...?”.
Sakura abbozzò una risata accennata, portando una mano piccola a coprirsi l’angolo delle labbra, e “ti ci voleva tanto per capirlo, Sasuke-kun?” domandò incrociando il suo sguardo color pece.
Lui non rispose, alla conferma del suo sospetto si limitò ad abbassare semplicemente lo sguardo e posò gli occhi sul ventre di Sakura, osservandolo in modo indecifrabile. Lei se ne accorse e non perse tempo a posare la mano nel punto su cui erano fissi gli occhi di Sasuke, accarezzandosi la pancia con lentezza.
“Quindi è vero?” domandò Sasuke, completamente senza fiato.
“Lo è” rispose lei “sono incinta”.
Sakura gli sorrise dolcemente e allungò un braccio prendendo la mano del ragazzo, portandola anch'essa sul suo ventre. La coprì subito con la sua, accarezzandone il dorso diafano e liscio. Sakura poté percepire il tremolio della mano di Sasuke che ora rimbombava contro la sua pelle, e cercando il suo sguardo trovò due occhi profondi e neri completamente sgranati e quasi lucidi dall’emozione.
“Sasuke-kun” sussurrò cercando di richiamare la sua attenzione, facendo salire lentamente il palmo della mano da sopra quella di lui lungo tutto il suo braccio, fino ad arrivare alla sua guancia nivea. La accarezzò piano con il palmo, prima di dargli un colpetto delicato. Sasuke a quel contatto alzò gli occhi incatenandoli a quelli di Sakura con espressione quasi stordita. Sakura gli sorrise, raggiungendo con la mano libera anche l’altra sua guancia. “Qui c’è un nuovo cuore che batte per te. Per noi” continuò “saremo felici, tutti i giorni, tutti e tre”.
Sasuke-kun... da oggi in poi saremo noi, la tua nuova famiglia.




























Salve a tutti!
Oddio, questa è la mia prima SasuSaku, sono un po' emozionata visto che non sono abituata a una coppia del genere, avendo scritto sempre SasuNaru/NaruSasu. Spero che siate clementi sapendo che è la prima cosa che scrivo sulla coppia! Boh, mi andava di cambiare e soprattutto volevo scrivere di Sasuke papà, perchè io adoro Sasuke papà *_*. Beh, passiamo all'argomento principale adesso, ovvero la storia. Nelle note avrete notato che c'è l'avvertimento "Cross-over" perché l'ispirazione per scrivere questa storia mi è venuta guardando Clannad - After Story e alcuni spunti sono presi da lì. Diciamo che è una via di mezzo, non è un riadattamento della storia vera e propria ma semplicemente uno spunto dal filone degli eventi principali ed essenziali, il resto è del tutto diverso. Anche i caratteri sono diversi - ovviamente ho cercato di mantenere gli IC originali il più possibile (se dovessi sforare nell'OOC non esitate a dirmelo, mi raccomando). Sarà una mini-long, non so precisamente di quanti capitoli ma non arriveranno sicuramente ai dieci - saranno molti meno, credo.
Ah, dimenticavo ragazze... Questa storia a dispetto delle apparenze che ha questo capitolo è drammatica, quindi fin da subito se non vi piacciono o volete evitare le letture di questo genere non vi consiglio di proseguire nel leggere questa, perché lo è.
Immagino che in questa fanfiction ci saranno lettori diversi e nuovi, e sarò felice se la storia vi piacerà. I commenti e le critiche fanno sempre piacere, quindi se volete io sono qui aperta a tutto ^^.
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** ... even if just about everything changes. ***



いつまでも、いつまでも守ってゆく
Ti proteggerò sempre, per sempre

Capitolo 2. ... even if just about everything changes.




Prima di recarsi per la prima volta all’ospedale per fare la prima ecografia della gravidanza, Sasuke aveva avuto estrema difficoltà nell’accettare la richiesta di accompagnare Sakura dal medico. Nonostante lei più volte si fosse impuntata – sapendo alla perfezione quanto per Sasuke fosse importante l’avere un figlio – nel volerlo convincere a tutti i costi e nonostante ci avesse messo impegno e molto, troppo tempo per riuscire a convincerlo, Sasuke aspettò fino all’ultimo prima di lasciarsi andare a ciò che, in fondo, anche lui aveva sempre saputo di voler fare. Mebuki durante quel lasso di tempo non aveva fatto altro che insistere ancora di più della figlia, mettendolo ancor più sotto pressione; per non parlare di suo marito Kizashi che non faceva altro che ripetergli parole come gli uomini veri affrontano di tutto, guadagnandosi come risposta da parte di Sasuke solamente una bella sfilza di insulti.
Solo nel momento in cui la dottoressa Tsunade visitò Sakura, nel giorno della prima ecografia, alzandole delicatamente la maglietta e scoprendo la pancia appena visibile per spalmarci il liquido trasparente necessario alla visita, Sasuke si rese davvero conto dell’errore che avrebbe commesso se mai si fosse tirato indietro dal vedere quella creatura minuscola muoversi sullo schermo che si accese poco dopo, al momento dell’ecografia vera e propria: così piccola, così innocente e così sua. Sua come non lo era mai stato nient’altro nella sua intera esistenza.
Nell’istante in cui i suoi occhi si posarono sullo schermo tutto smise di girare e qualunque dettaglio parve scomparire; Tsunade, la quale muoveva l’attrezzo per l’ecografia sulla pancia di Sakura distesa sul lettino bianco, i rumori del traffico provenienti da fuori dalla finestra, la fila dal ginecologo, i genitori di Sakura. Perfino Sakura stessa. Ogni cosa smise di esistere.
“Sasuke-kun?” lo chiamò lei, destandolo dal guardare il video di fronte a lui.
Anche Tsunade si girò a guardarlo con un sorriso dolce stampato in viso, mentre continuava a muovere la sonda sul pancione – ancora non troppo grande – di Sakura.
“L’hai visto?” gli chiese poi la ragazza dai capelli rosa indicando lo schermo “è così piccolo, hai visto?”.
Sasuke annuì deglutendo, mentre posava ancora una volta lo sguardo su suo figlio, stupito e ammaliato nel vederlo ancora così minuscolo. Avrebbe posato lo sguardo su di lui ancora, e ancora, e ancora. E sempre.
“Sì” mormorò, quasi incredulo nello scoprirsi capace di dire qualcosa. “L’ho visto”.
Sakura allungò con calma il suo braccio e gli prese la mano. La strinse forte nella sua.

~

Sasuke fece tardi al lavoro a causa degli straordinari, quella notte. Quando varcò la soglia di casa, alle undici di sera, trovò praticamente tutte le luci spente se non quella della cucina, dove vide la tavola ancora apparecchiata con la sua cena pronta da chissà quale ora. Sakura gliela doveva aver lasciata lì evitando di sparecchiare, notò Sasuke con un pizzico di sorpresa – ripensandoci, però, mica tanta, visto che era proprio da Sakura compiere gesti simili per lui.
Ignorò la sua cena sulla tavola ancora imbandita e si diresse al piano di sopra, intento a cercare dove fosse sua moglie. Era strano che lei non lo avesse accolto al suo ritorno o che non stesse girovagando per la casa intenta a fare chissà quali stranezze. Entrò nella loro camera da letto dopo aver cercato in bagno, in studio e nel corridoio, e trovò Sakura stesa a letto – senza nemmeno addosso le coperte – in una posizione decisamente contorta e scomoda, con una mano poggiata sul ventre e la maglia alzata fino a poco sotto al seno.
“Che incosciente” gli venne da dire in un primo momento nel vederla così scoperta senza preoccuparsi minimamente del fatto che potesse prendere freddo, ma subito dopo sul suo volto si formò un’espressione quanto più vicina a ciò che si potesse definire sorriso.
Posò a terra la valigetta e senza fare troppo rumore si svestì con calma, cambiandosi e mettendosi un semplice completo blu da notte, sempre attento a non svegliarla dal sonno profondo che l’aveva colta. Una volta sistematosi, si avvicinò al letto matrimoniale e indugiò per qualche istante sul pancione di Sakura, in bella vista a causa della maglia rialzata; istintivamente allungò una mano verso di esso sempre facendo attenzione che Sakura non si svegliasse – non avrebbe mai potuto farsi vedere in certi atteggiamenti dagli altri,nemmeno da lei – e andò a sfiorare delicatamente con le dita il suo ventre che pian piano cresceva sempre di più col passare del tempo. Prese più confidenza e vi poggiò il palmo, cominciando ad accarezzare con movimenti circolari la pelle delicata di Sakura.
Non si rendeva nemmeno conto di come si stava comportando in quel momento, ma senza pensarci si mise in ginocchio accanto al letto e portò l’orecchio vicino alla sua pancia e lo posò su di essa, cercando di sentire qualche rumore provenire da suo figlio. Nemmeno il tempo di aspettare cinque minuti e si addormentò in quella posizione, preda della stanchezza che si portava dietro da tutta la giornata.
La mattina dopo quando Sakura aprì gli occhi lo trovò pacificamente addormentato sul suo ventre, sorrise e non si alzò finché lui non aprì gli occhi, restando a guardarlo dormire e ad accarezzargli i capelli per tutto il tempo, in silenzio. Ininterrottamente.

~

[Chiisana Te No Hira; http://youtu.be/L6BxXz-Vj1Y]

Sakura quella sera aveva deciso di andare a dormire prima del previsto, a causa della nausea che era sempre più frequente fin da quando era rimasta incinta. Era consapevole che quello era l’orario in cui Sasuke si sedeva sulla scrivania posta proprio in camera loro per finire di lavorare sui suoi affari di lavoro, ma non se ne curò pur sapendo che probabilmente lui non avrebbe voluto nessuno a disturbarlo. La scrivania era posizionata proprio di fronte al loro grande letto matrimoniale – abbastanza inusuale per una camera da letto da coppia – e Sasuke era seduto sulla sedia in legno dandole le spalle, concentrato sul suo lavoro.
Sakura non ci badò, pensando che fosse meglio lasciarlo perdere ed evitare di rivolgergli la parola durante il suo lavoro. Si sistemò sul materasso lentamente, senza sforzare troppo la schiena e tenendosi con una mano il pancione ormai al quinto mese. Mise il cuscino contro la spalliera del letto così da usarlo come schienale e si sedette su di esso, rilassando le gambe. Osservò per qualche secondo la schiena di Sasuke, intento a lavorare, e si chiese se lui l’avesse notata o meno in quel momento. Prese ad accarezzarsi piano il pancione, con movimenti lenti e circolari, posando gli occhi smeraldini su di esso.
Ciao, sono la mamma.
Sakura non si accorse nemmeno che in quel momento Sasuke, per un solo, velocissimo secondo, aveva girato lo sguardo verso di lei e l’aveva guardata con la coda dell’occhio. Poi, come se fosse la cosa più semplice del mondo, Sakura cominciò a cantare continuando ad accarezzare il proprio ventre.
“Tooku de, tooku de, yureteru inaho no umi” intonò lei, mormorando le prime parole a bassa voce.
Neanche il tempo di finire la prima frase che sentì distintamente Sasuke grugnire, probabilmente infastidito da lei, ma non se ne curò e “ho o age, ho o age…” proseguì ancora, accennando un sorriso nel notare che lui stringeva sempre più la penna fra le mani “mezashita omoide e to”.
“Non ho bisogno della colonna sonora mentre lavoro” la interruppe velocemente Sasuke – dopo averla lasciata cantare anche troppo, per i suoi gusti – con tono scocciato.
Sakura trattenne una risata, divertita dalla reazione di lui. “Non cantavo per te”.
“Allora ti stavi cantando la colonna sonora da sola?” domandò sarcastico – da quando Sasuke Uchiha sapeva cosa fosse il sarcasmo? – mentre si girò verso di lei che in risposta scosse soltanto la testa.
“Cantavo per…” lasciò in sospeso la frase facendo cadere il suo sguardo di nuovo sul pancione “per lui”.
Sasuke sussultò, leggermente spiazzato dalla frase di Sakura.
“Come se potesse sentirti” rispose poi ricomponendosi, con tono acido. Soltanto in quel momento si rese conto che lei stava tenendo un piccolo registratore nella mano libera, che aveva portato vicino alle labbra. Alzò un sopracciglio, confuso.
“Perché ti stai registrando?” le chiese ancora, prima che lei potesse rispondere all’affermazione precedente, perplesso.
“Mi stavo registrando, Sasuke-kun” puntualizzò Sakura “prima che tu facessi storie. Comunque, lo faccio perché io so che lui, o lei, può sentirmi” il suo tono di voce si addolcì man mano che proseguiva a frase “e registro in modo che quando crescerà potrà sentire la mia voce ogni volta che ne avrà bisogno”.
“Tsk” sbuffò Sasuke come suo solito, girandosi nuovamente verso le scartoffie poggiate sopra la scrivania di legno “è una cosa ridicola”.
“Almeno quando nascerà ricorderà bene la mia voce, a differenza della tua”.
L’affermazione di Sakura lo fece voltare di nuovo, se possibile più infastidito di prima. “Non dire scemenze”.
Ma tutto ciò che ricevette in cambio a quell’affermazione fu una sonora risata di Sakura, che non riuscì a trattenersi nel vedere la gelosia che lui già provava nei confronti del figlio, seppur non fosse ancora nato. Riprese a cantare, facendo finta di niente e lasciando cadere il discorso.
“Bokura wa, kyou made no, kanashii koto zenbu oboeteru ka, wasureta ka…” mormorò piano lei intonando la canzone, non curandosi delle sfumature di voce non sempre intonate, e fece ripartire il registratore riprendendo ad accarezzare il proprio addome.
Sul momento non si accorse nemmeno che Sasuke, senza pensarci, aveva lasciato perdere quel lavoro che tanto voleva continuare a tutti i costi, e che si era fermato ad osservarla voltando le spalle alla scrivania e alle scartoffie poggiateci sopra.
“Chiisa na te ni mo itsu kara ka bokura, oikoshiteku tsuyosa” continuò ancora a canticchiare, e stavolta alzò lo sguardo trovando Sasuke immobile ad osservarla con addosso un’espressione indecrifrabile, con la testa appoggiata allo schienale della sedia. Sakura sollevò leggermente il capo e gli rivolse un sorriso dolce, che lo fece sussultare così da indurlo a girarsi di nuovo, facendo – come suo solito – finta di non aver fatto nulla.
Scommetto che papà con te non si farà tutti questi problemi.

~


“Sasuke-kun, vorrei parlarti” disse Sakura mentre camminava al fianco di lui lungo l’argine del fiume, tenendogli stretta la mano che lui però si ostinava a non stringere. “Non abbiamo ancora parlato del nome da dare al bambino, ed è già il sesto mese”.
Sasuke si fermò di colpo dal camminare, lasciando cadere il suo sguardo su di lei che ricambiò all’istante alzando il volto in sua direzione. Percepì le dita di Sakura serrarsi ancor di più attorno alle sue mentre lo conduceva in un prato poco distante da lì, chiedendogli indirettamente di sedersi in quel luogo per un po’, così da poter stare da soli e tranquilli. Sasuke silenziosamente accettò e aiutò Sakura a sedersi a terra, attento che non si facesse male. Si sedette accanto a lei, appoggiandosi con le mani al terreno e stendendo le gambe di fronte a sé.
“Allora, Sasuke-kun?” chiese ancora lei, riprendendo il discorso.
“Cosa?”.
“Se fosse una femmina, come la chiameresti?” domandò.
Sasuke ci pensò qualche secondo su, ma non fu difficile pensare a una risposta. In fondo, non era la prima volta che ci rifletteva – anzi, si poteva dire che quella fosse una delle tante volte.
“Mikoto” rispose lui semplicemente, guardando il panorama di fronte a sé.
Il nome di sua madre. Sakura aveva immaginato più volte che Sasuke avrebbe compiuto quella scelta e, avendo già pensato da tempo di far scegliere il nome di loro figlio a lui sapendo quanto ci tenesse, sperava davvero che il nome da dare a un’ipotetica bambina fosse davvero quello anziché qualsiasi altro nome. Mikoto era un nome davvero sentito e amato da Sasuke, pensò lei sorridendo, contenta di quella scelta.
“E se fosse maschio?”.
Non ricevette risposta. Convinta che Sasuke non avesse sentito ciò che gli aveva chiesto, ripeté un’altra volta la sua domanda a voce leggermente più alta e sicura, così da farsi sentire meglio da lui.
Non sentendolo rispondere di nuovo, Sakura distolse lo sguardo da lui e “come… lo chiameresti?” aggiunse gesticolando con una mano.
“Credevo lo sapessi già” rispose Sasuke con tono leggermente insicuro, portando un dito a sfregare sulla propria tempia. Sakura capì. In quel momento, capì di aver immaginato bene i desideri di suo marito fin dal primo momento in cui aveva scoperto di essere incinta, che in fondo non erano poi così difficili da intuire.
Per un uomo che aveva sempre messo suo fratello prima di qualsiasi cosa, che aveva quasi perso se stesso dopo la morte di lui e che ancora era capace di andare in crisi al solo sentir nominare il suo nome, sarebbe stato ovvio immaginare quale nome avrebbe potuto scegliere per suo figlio. Sakura infatti, immaginandolo, non si era mai fatta alcuna domanda su che nome dare a loro figlio in caso fosse stato maschio, perché semplicemente – pur non avendone mai parlato prima con lui – sapeva quale sarebbe stato il più grande desiderio di Sasuke.
Si rese conto che in fondo lo aveva sempre saputi, anche prima di quel giorno.
“È quello, no?” domandò lei voltando il viso in sua direzione, notando che lui a differenza sua teneva lo sguardo dritto davanti a sé.
“È quello” arrivò subito la conferma di lui.
Sakura sorrise socchiudendo le proprie palpebre e poggiò la sua piccola mano sopra quella di Sasuke, accarezzandone il dorso liscio con movimenti lenti.
“Itachi” mormorarono all’unisono.
Nessuno dei due sapeva il sesso del bambino – anche se Sakura immaginava che Sasuke, pur restando in silenzio, probabilmente avrebbe preferito venirne a conoscenza prima del parto – per libera scelta e perché lei voleva che fosse una sorpresa da scoprire dopo il parto, ma in fondo il problema sul nome da dare, a differenza di qualsiasi altra coppia, non si era mai posto veramente in quanto entrambi già sapevano.
“Sasuke-kun” ricominciò a parlare lei interrompendo i propri pensieri “lo sai che il nome Itachi significa donnola?”.
“Lo so” rispose lui atono.
“E sai cosa simboleggia la donnola?” domandò di nuovo Sakura, per poi fare una pausa al silenzio di lui. “Simboleggia la disgrazia e la cattiva sorte” rispose da sola alla propria domanda, vedendo che suo marito non era intenzionato a risponderle.
A quella frase Sasuke istintivamente ritirò la mano da sotto quella di lei e girò la testa dal lato opposto, quasi come se quello fosse un modo come un altro per chiudersi in sé stesso – comportamento che manteneva spesso, soprattutto quando e se si toccava quell’argomento. Sakura non se la prese, essendo abituata a certi suoi comportamenti e blocchi. Riusciva a capire perfettamente le sue reazioni, ormai.
“Donnola vuol dire cattiva sorte… Ma sono convinta che finché lui tornerà da noi e noi lo proteggeremo, tutte le disgrazie saranno lontane da lui” snocciolò infine lei col tono di voce più dolce possibile “credo che la nostra famiglia, se sarà unita, potrà cambiare il significato di questo nome”.
Sasuke stavolta abbassò il capo volgendo lo sguardo a terra, e le rispose solo con due parole che fecero illuminare l’espressione di Sakura come mai prima di quel momento.
“Starà bene”.

~

L’ospedale era sempre così.
Bianco, neutro, sempre pronto a dare delusioni.
Sasuke lo sapeva, avendoci passato metà della sua vita, ma di certo non avrebbe mai lontanamente immaginato che anche in quell’occasione – che avrebbe dovuto essere un evento felice, senza nemmeno la minima sfumatura di tristezza – la sua opinione su quel luogo sarebbe stata confermata ancora un’altra volta.
Quando aveva accompagnato Sakura per uno degli ultimi accertamenti, la ginecologa aveva parlato ben chiaro, senza usare mezzi termini.
“Sakura rischierà durante il parto del bambino, a causa della debolezza del suo corpo e della sua malattia renale che potrebbe creare complicazioni”.
Sia Sasuke che i genitori di lei erano rimasti senza parole nel sentire quella frase pronunciata dalla dottoressa Tsunade con così tanta facilità, quella facilità che solo i medici erano capaci di avere in determinate occasioni.
Rimasero immobili, ad occhi sgranati, quasi come se fosse caduto a tutti e tre il mondo addosso in un colpo solo, nonostante sapessero dei problemi di salute di Sakura. L’unica a non intimorirsi né a stupirsi fu proprio lei, che sembrava invece essere perfettamente consapevole della sua situazione. Per tutta la vita era stata soggetta a continue febbri e malattie, e aveva perso più di un anno a scuola a causa della sua debolezza fisica – anche Sasuke, questo, lo sapeva bene.
Ma Sakura non avrebbe mai rinunciato a suo figlio solo per qualche complicazione. Mai.
“Lo so” disse di colpo Sakura in tono consapevole.
Mebuki prese un lungo sospiro chiudendo gli occhi, cercando la forza per parlare. “Rischierà molto?”.
“Se seguita bene durante il parto, qui, potremmo farcela senza problemi” rispose Tsunade chiudendo la cartella clinica della ragazza. Sakura spalancò gli occhi.
“Come? Vuol dire che dovrò stare in ospedale nel momento del parto?”.
“Esatto”.
Sasuke nel frattempo rimase in silenzio ad ascoltare per filo e per segno, con gli occhi fissi sulla dottoressa e un gomito poggiato alla sedia. Sakura sperò con tutta sé stessa che lui dicesse qualcosa, ma in fondo sapeva che non l’avrebbe mai fatto se non su sua richiesta.
“Io voglio partorire in casa” confessò lei ignorando i suoi pensieri su suo marito “voglio far nascere mio figlio nella casa in cui crescerà”.
“Mi dispiace, Sakura, ma questo non sarà possibile, metteresti a rischio anche il bambino” rispose Tsunade.
“Come sarebbe a dire che vuoi partorire a casa?” esclamò Kizashi, su tutte le furie dopo aver sentito l’affermazione della figlia. “Lo sai che non puoi!”
Sakura si limitò ad annuire confermando sia l’una che l’altra affermazione del padre, sapendo che entrambi avevano ragione. Voleva far capire di essere perfettamente al corrente di non essere in buona salute, ma che ugualmente avrebbe voluto dare alla luce suo figlio in casa sua, assieme all’uomo della sua vita e ai suoi genitori.
Cercò di farlo capire a tutti con il proprio sguardo, per poi voltarsi di poco in direzione di Sasuke accennandogli un lieve sorriso. In cambio, però, lui le rivolse soltanto un cipiglio del tutto contrariato dal suo comportamento, che Sakura interpretò come un assecondare in silenzio le parole di Kizashi. Lo ignorò.
“Sakura, cerca di ragionare” le intimò successivamente Mebuki di fronte a Tsunade che assisteva alla scena “la tua salute non te lo permette”.
“Lo so, ma non importa. Voglio che nasca comunque in casa nostra” s’intestardì la ragazza, distogliendo lo sguardo e sorridendo nell’accarezzare la propria pancia che piano piano, col passare dei mesi, era diventata sempre più grande. Tsunade scosse la testa.
Il padre si limitò ad alzarsi in silenzio e dirigersi fuori dallo studio della dottoressa, mentre sua madre rimase lì ad osservarla, cercando invano le parole giuste per dissuaderla. Sasuke ascoltò ancora la discussione tra i genitori e la figlia immobile e in completo silenzio, seduto accanto a Sakura e con lo sguardo perso nel vuoto, un’espressione illeggibile sul suo volto.
Sakura tentò di chiamarlo, sperando di poter essere appoggiata almeno da lui. “Sasuke-kun, digl-”.
“Partorirai in ospedale, Sakura” la interruppe prontamente lui prendendo finalmente parola “che tu lo voglia o meno. Ne va della tua salute”.
Solo allora Tsunade si accorse che lo sguardo di lei cambiò e che la sua espressione, da prima convinta e sicura delle sue idee, diventò improvvisamente una semplice maschera; una maschera che era caduta nello stesso istante in cui Sasuke l’aveva rimproverata. Sakura abbassò lo sguardo sulle proprie gambe mentre stringeva i pugni poggiati su di esse, stringendo la stoffa della gonna fra le piccole dita.
“Qual è la tua decisione?” le chiese allora la dottoressa, dopo aver aspettato anche per troppo tempo che la famiglia si chiarisse.
“Va bene... Partorire in ospedale” sussurrò lei con un filo di voce.
Tsunade giurò di aver intravisto una minuscola stilla d’acqua cadere dagli occhi verdi di Sakura, quel giorno, mentre bisbigliava con la poca voce che riuscì a tirar fuori quelle parole.

~


Sakura era al nono mese.
Ormai la gravidanza era agli sgoccioli, e fra due settimane – o poco più – sarebbe venuto alla luce loro figlio, in un freddo giorno di dicembre. Tsunade per qualsiasi necessità aveva messo a disposizione la sua collega, l’infermiera Shizune, che fortunatamente abitava a pochi passi da casa Uchiha e in caso di qualsiasi complicazione o dubbio si sarebbe potuta spostare senza alcun problema – sempre quando non era di turno in ospedale.
Quel giorno, il quattordici dicembre, nevicò ininterrottamente, impedendo così a chiunque volesse di spostarsi dalla propria casa per andare a lavorare o a scuola, in quanto la neve lungo le strade ormai stava raggiungendo anche i venti centimetri d’altezza. A casa Uchiha non si era mosso nessuno, se non i genitori di Sakura che si erano recati proprio a casa loro per andare a trovare la figlia, alla quale in quei giorni – come accadeva ogni inverno di ogni anno, anche per lunghi periodi – era salita a vista d’occhio la febbre. Sasuke non poteva stare sempre a casa con lei, quindi nei giorni in cui lavorava si prendevano cura di lei Mebuki o Kizashi che gentilmente si attivavano per aiutarla. Quel giorno, vista la neve che imperterrita continuava a imbiancare la città, non era necessario che i genitori tornassero a farle visita; perché anche Sasuke quel giorno – fortunatamente – era rimasto a casa dal lavoro e avrebbe potuto benissimo aiutarla da solo; ma nonostante lui gliel’avesse ripetuto più di una volta i due rifiutarono, decidendo di andare ugualmente.
Erano già passati cinque di giorni da quando a Sakura era venuta la febbre, e nonostante Mebuki facesse tutto il possibile per prendersi cura di lei, Sasuke non si sentiva del tutto convinto nel lasciarla da sola nonostante fosse l’unica scelta possibile.
Oltre alla paura per la salute di Sakura che cresceva sempre più, si sommava quella per quell’esserino che pian piano, dentro di lei, stava prendendo vita, ogni giorno si faceva più palpabile. Sakura gli stava donando un mondo intero, il suo mondo intero era dentro la pancia della donna che amava.
Sasuke tastò piano la fronte a Sakura, facendola stendere piano sul futon nella camera degli ospiti.
“Stai qui ferma, adesso” ordinò lui cercando di parlare con il tono più severo di cui fosse capace “io vado a prenderti da bere”.
Sakura gli mostrò un sorriso dolce, ma contemporaneamente scosse la testa debolmente.
“Sasuke-kun” sorrise ancora “non fare il bacchettone, adesso” continuò mentre si alzava piano a sedere, tossendo un po’. “Ce la faccio anche da sola. Posso alzarmi”.
“E tu non cominciare ad essere insopportabile” Sasuke corrucciò la fronte prendendola per le spalle e facendola stendere di nuovo sulla superficie morbida sotto di lei. “Stai qui e basta”.
Non le permise di replicare in alcun modo e lei lasciò correre sapendo come fosse testardo in occasioni come quelle. Sasuke si alzò dal kotatsu per andare in cucina a prendere l’acqua da farle bere, così almeno da rinfrescarla un po’ dal calore della febbre; ma non appena entrato nell’altra stanza sentì un urlo improvviso che lo fece correre nuovamente da Sakura, visibilmente spaventato.
Quando rientrò nella camera in cui aveva lasciato Sakura, trovò entrambi i genitori di lei in piedi dal lato opposto, che la guardavano con occhi sgranati. Il letto era completamente bagnato e Sakura a fatica si era alzata di nuovo a sedere, guardando incredula ciò che era successo al suo corpo senza che nessuno se lo aspettasse.
“Si sono rotte le acque”.

















Beh, eccomi qui col nuovo capitolo. Non è niente di che, visto che è solo un raggruppamento di alcuni momenti della gravidanza... Giusto per non passare subito al parto di punto in bianco. Volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito, o messo questa storia tra le seguite/ricordate/preferite! Vi ringrazio tanto!
Soprattutto perché per me questa è una situazione abbastanza nuova... Non sono molto "esperta", ecco. Sia di SasuSaku sia di gravidanze lol. Spero che vi piaccia anche questo capitolo, anche se è più un slice of life che altro .-. beh, sappiate che dal prossimo le cose cambieranno.
Non so quando riuscirò ad aggiornare, spero il prima possibile (il prossimo weekend, credo e spero). Dimenticavo: i personaggi non sono miei e appartengono a Kishimoto, la storia non è a scopo di lucro. Alla prossima!

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Capitolo 3
*** It was just one... ***


いつまでも、いつまでも守ってゆく
Ti proteggerò sempre, per sempre







Capitolo 3. It was just one...




 
 
 

“Avevi promesso che saresti stata sempre con me, no?
 
Che saremmo stati sempre insieme.
 
Quello era il mio sogno. Non c'era niente di buono nel vivere.
 
Uno come me, che era abituato a vivere in un modo così miserabile...
 
Aveva finalmente trovato il suo sogno”.

[cit.]

 
Quella notte sembrò eterna.
La neve non cessava di scendere, imbiancando ininterrottamente tutta la città e impedendo a chiunque di spostarsi dalla propria casa. Le strade erano silenziose, le macchine erano ferme e le persone non camminavano per strada se non per fare qualche pupazzo di neve. Anche Sakura e Sasuke avevano deciso di non muoversi da casa, quella notte, a causa della febbre che l’aveva colpita come ogni anno in quel periodo. Fecero in modo che lei si riposasse per il parto ormai imminente.
Invece fu proprio quella notte, durante quelle gelide ore d’inverno che, cogliendo tutti di sorpresa, loro figlio decise di nascere.
Era in anticipo di tre settimane. Nessuno se lo sarebbe aspettato, non quel giorno. Semplicemente non era il momento giusto.
Furono costretti a chiamare Shizune per farsi dare un aiuto durante il parto, e a lasciare che Sakura mettesse alla luce il bambino in casa, così da sfaldare tutto ciò che avevano organizzato. Per forza di cose nessuno avrebbe potuto raggiungere l’ospedale con la neve così alta lungo le strade, che continuava a cadere dal cielo senza alcuna sosta.
Sasuke rimase di fianco al futon sin dall’istante in cui cominciarono le doglie di Sakura, incapace di muoversi nemmeno di un millimetro. Dagli occhi sgranati, neri come la pece, si poté intuire quanto in realtà fosse teso nonostante cercasse – invano – di apparire impassibile come sempre.
Non appena Sakura afferrò la sua mano con le dita piccole e la strinse debolmente nella sua, che in quel momento era tremolante a causa del dolore dovuto alle doglie, sentì un’immensa stretta attanagliare il suo stomaco, facendo contrarre il suo viso in un’improvvisa smorfia di sofferenza. Faceva male.
“Sakura, resisti”.
Sakura tentò un sorriso per tranquillizzarlo, ma rispose solo con un gemito di dolore. Chiuse di colpo gli occhi alla contrazione, lasciando cadere d’improvviso una lacrima solitaria che percorse tutta la sua guancia.
 “Sakura... Ti prego...” fu solo un sussurro, che si disperse nell’aria giusto qualche attimo prima che l’infermiera lo interrompesse chiedendo a lei per l’ennesima volta di rilassarsi.
Nei giorni, nei mesi, negli anni a venire si chiese più volte se Sakura avesse percepito ciò che voleva dirle pur non riuscendoci, quella volta.
“Cerca di starle vicino più che puoi, ne ha bisogno” gli consigliò Shizune, premurosa, mentre preparava l’occorrente necessario.
Entrambi i genitori di Sakura erano agitati, Mebuki aveva la fronte perlacea poggiata alla spalla di Hizashi, il viso nascosto dietro il suo collo. Lei cercò invano di non far notare ai due ragazzi che in realtà i suoi occhi erano rossi e gonfi, ancora pieni di lacrime troppo pesanti da tirare indietro.
Sasuke, però, sapeva che stava piangendo.
Sapeva anche perché stava piangendo.
“Rischierà?” domandò poi il padre di Sakura cercando di non badare alle lacrime della moglie che sentiva cadere lente sulla propria spalla, incapace di accettare la realtà così come era stata sbattuta in faccia a tutti e tre. L’infermiera si girò soltanto, scoccando un’occhiata incerta ad entrambi e provocando soltanto maggiori lacrime negli occhi già gonfi della madre.
Sasuke si sentiva incapace di dire qualsiasi cosa, o di fare qualsiasi cosa. Le aveva stretto la mano e aveva seguito il consiglio di Shizune ma non era stato in grado di fare altro.
Forse non voleva fare altro se non stringere la sua mano così piccola rispetto alla sua, in modo così forte da non lasciare neanche il più minuscolo spazio fra le loro dita. Sakura ricambiava la stretta con altrettanta – e inaspettata – forza, in un modo così potente che a Sasuke sembrò che lei non stesse aspettando che quel momento. Il momento in cui le loro dita si sarebbero intrecciate e i loro palmi avrebbero combaciato.
“Sa-” provò a dire la ragazza in preda al dolore e infine “Sasuke-kun” completò debolmente.
Un brivido di impotenza lo scosse. Lo era. Era impotente perché non avrebbe potuto fare nulla per lei, se non stringerle ancora e ancora quella mano fredda e ormai debole.
“Dimmi” rispose chinando il capo. Evitò i suoi occhi verdi, non poteva reggere ancora il suo sguardo. Era come se soltanto quelle semplici iridi color smeraldo gli gridassero in faccia, a tutta voce.
Ti amo, ti amo, ti amo. Vi amo, vi amo, vi amo.
Lo sentiva, quel grido di Sakura. Talmente sordo che gli perforava i timpani. Faceva quasi male.
“Andrà tutto bene” esalò lei.
Andrà tutto bene.
“Lo so” la rassicurò Sasuke, rafforzando la propria presa sulla mano di lei “tra poco nascerà, e sarà tutto finito, Sakura”.
Il mondo si fermò non appena la mano libera di Sakura si posò sulla sua guancia, invitandolo ad alzare di nuovo lo sguardo verso di lei. Sasuke non poté far altro che ascoltare quel muto invito, e la guardò. Vide il suo viso contratto in mille smorfie di dolore, le guance arrossate, gli occhi lucidi per la febbre, la fronte bollente.
Qualcosa nel petto gli si strinse, provocandogli un dolore immenso. Ancora.
Sakura gli rivolse un debole sorriso e allora per un momento il mondo ritrovò quei colori che aveva avuto fino a qualche ora prima. Ma fu troppo presto per parlare, perché qualche istante dopo Sakura perse i sensi.
Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene.
“Che cosa sta succedendo, Shizune?” urlò quasi Sasuke colto dalla preoccupazione e dalla rabbia nel vedere sua moglie in quello stato. “Perché è svenuta?”.
“Per il dolore. Può capitare, durante il travaglio, soprattutto se è una situazione complicata come questa.”
La sua tranquillità e la sua pacatezza nel parlare, anziché tranquillizzarlo, non fecero altro che farlo alterare.
“Che cazzo vuol dire è normale? È normale svenire?”.
“Uchiha-san, si calmi”.
Andrà tutto bene. Andrà tutto bene.
“No, no che non mi calmo!” gridò ancora senza lasciare mai la mano di Sakura, ancora priva di sensi.
Si voltò verso i genitori di lei, anche loro in preda alla confusione e al terrore. “Qualcuno chiami un dottore!” urlò ad entrambi, sputandogli tutta la sua rabbia addosso. Non si preoccupò minimamente del male che stava provocando anche a loro con quelle sue grida, facendoli stare ancora peggio.
Nessuno gli rispose. Si voltò ancora in direzione di Sakura, sotto le cure di Shizune che nel frattempo faceva di tutto per farle riacquistare i sensi. Il viso ormai pallido, gli occhi chiusi, l’espressione ora rilassata ma che fino a qualche momento prima era contratta per il terribile dolore.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi per non vedere quella scena di fronte ai suoi occhi. Avrebbe voluto farlo, ma non lo fece. Non seppe nemmeno cosa lo trattenne dal farlo.
Un singhiozzo mal trattenuto uscì dalle sue labbra senza nemmeno il bisogno di piangere, solo in preda all’ansia più totale. Percepì un male che non gli era affatto nuovo.
Non abbandonarmi anche tu, Sakura. Tutti se ne sono andati, non farlo anche tu.
Perché quel futuro, quel futuro che vedeva lui, lei e loro figlio insieme e finalmente felici sembrava quasi un sogno? Perché tutto d’un tratto era diventato quasi irrealizzabile? Un futuro così normale, un futuro così giusto. Comune. Sembrava stesse svanendo poco a poco, come una presenza effimera che avrebbero potuto sognare solo in un’altra vita.
Poco dopo Sakura si riprese, risvegliata solo e soltanto dal dolore, un dolore così acuto che non le permetteva in nessun modo di respirare, non le concedeva nemmeno un minimo di tregua.
Fa che tutto questo finisca, si ripeteva Sasuke.
Fa che finisca.
Fa che finisca.
Andrà tutto bene.
Il travaglio durò otto ore, durante le quali Sakura non smise nemmeno un secondo di patire e urlare per il dolore che le stavano provocando le doglie. Lei perse conoscenza più e più volte, per poi essere svegliata altrettante volte a causa delle continue fitte, insistenti e dolorose come niente prima d’allora. A Sasuke sembrava quasi che qualcuno la stesse torturando senza nemmeno un briciolo di pietà, mentre osservava il suo viso pallido, magro e ricoperto da minuscole stille di sudore. Non smetteva di contorcersi dal dolore. Un dolore che però, anche se incrementato e reso peggiore dalla debolezza del suo corpo, lei sapeva avrebbe portato a qualcosa di bello. Bellissimo. Meraviglioso.
Sasuke non si staccò mai da lei, attendendo che quell’inferno senza fine giungesse al suo termine.
“S-Sasuke-kun” fu il solo suono che uscì dalla sua bocca prima che il parto vero e proprio cominciasse.
Ci furono attimi in cui la mano di Sakura strinse così forte quella di Sasuke che quest’ultimo temette di non sentire neanche più la propria sensibilità, mentre il tono della voce di lei non faceva altro che salire, salire e salire man mano che il bambino spingeva sempre più per uscire, quasi impaziente di vedere la luce.
“Ci siamo quasi” annunciò infine Shizune in mezzo alle gambe divaricate di Sakura, mentre attendeva con impazienza che il bambino finalmente si mostrasse.
La neve, intanto, non aveva ancora cessato di cadere intaccandosi all’asfalto come la peggiore delle colle. I genitori di Sakura avevano provato a chiamare chiunque pur di riuscire ad avere un passaggio – o a chiamare un medico a casa – ma nessuno era disposto a muoversi con quel tempo. Le speranze, sopravvissute fino all’ultimo istante, ormai si erano dissolte insieme a tutte le certezze che credevano di avere prima di quella notte. I genitori erano dall’altro lato del futon rispetto a Sasuke, esattamente di fronte a lui, mentre si stringevano la mano a vicenda e accarezzavano con delicatezza Sakura.
Sasuke digrignò i denti, stringendo la mandibola fino allo spasmo. “Sakura, resisti. Manca poco”.
Non si riconosceva neanche più.
Sakura urlò più forte di prima, mentre Shizune si chinò e Sasuke allora serrò le palpebre così da non vedere più nulla di quello spettacolo straziante.
Vedeva buio davanti a sé, e nient’altro. Forse era quella l’unica cosa che desiderava vedere in quel momento, piuttosto che vedere la sua giovane moglie stesa accanto a lui con il volto pallido, le occhiaie quasi viola e gli occhi lucidi pieni di lacrime. Aveva chiuso gli occhi, ma mai aveva lasciato la mano di lei che non era intenzionata a separarsi dalla sua. Credette quasi che sarebbe durata per sempre, quell’attesa fatta di urla e dolore, ma nel momento in cui le grida di Sakura cessarono improvvisamente facendo spazio ad altre, sussultò.
E lo sentì.
Un pianto. Un pianto di bambino.
Quello fu il suono più bello e suo che avesse mai sentito in tutta la sua vita.
Aprì di colpo le palpebre e si voltò alla sua destra, in direzione della donna ancora posizionata fra le gambe di sua moglie, che teneva in braccio un minuscolo fagotto blu. Era da lì che provenivano le urla. Sasuke spalancò gli occhi neri e nemmeno si accorse di aver lasciato andare la mano di Sakura e di star allungando le braccia in direzione di Shizune, che in risposta gli porse subito ciò che teneva fra le braccia.
Un bambino. Il suo bambino.
Lo prese con un’insolita delicatezza fra le proprie braccia, facendo poggiare la sua piccola testa contro il suo gomito. Guardò dentro l’asciugamano blu, e vide che era un maschio, quasi come se fosse la cosa più urgente da fare con il proprio figlio fra le braccia.
Itachi.
Continuava imperterrito a piangere, e se non fosse stato così emozionato probabilmente si sarebbe subito infastidito per un pianto così acuto. Ma era lui a piangere. Itachi piangeva. Sasuke lo guardò con uno sguardo che chiunque al di fuori avrebbe trovato indecifrabile: fece scorrere lo sguardo lungo tutto il suo viso, i suoi occhi serrati, il suo naso minuscolo, le sue manine piccole... lo immaginò a tre anni, a cinque, e poi a dieci e ancora a venti. In pochi secondi, senza rendersene conto, aveva immaginato una vita felice passata insieme a lui senza nemmeno averla cominciata. Chiuse di poco l’asciugamano sul suo pancino minuscolo e si voltò verso Sakura, così da farlo vedere a lei che aveva sofferto così tanto solo per metterlo alla luce.
Sakura era proprio lì, stesa sul futon. Gli occhi chiusi e il viso incolore.
“Sakura!” urlò allarmato Sasuke, senza nemmeno accorgersi che intanto Mebuki e Hizashi erano andati a cercare aiuto. Le urla di Itachi riempivano la stanza.
“Sakura! Mi senti?” le prese ancora la mano, sollevandola verso di lui, mentre con l’altro braccio reggeva ancora il bambino.
Sakura aprì debolmente gli occhi, le sue palpebre erano appena schiuse e probabilmente riusciva a malapena a distinguere la figura di Sasuke di fronte a lei, che la guardava preoccupato.
“Sasuke-kun…” sussurrò con fatica. Era difficile sentirla con il pianto di Itachi in sottofondo, ma Sasuke si avvicinò ulteriormente mentre stringeva ancora la sua mano, che ricambiava la stretta debolmente.
“Sasuke-kun... Ce l’ho fatta” disse ancora con un filo di voce “ce l’ho messa tutta per farlo nascere”.
Gli occhi verdi avevano perso quella vitalità che Sasuke era solito ammirare, si aprivano e chiudevano lentamente senza sosta, sintomo di un’immensa stanchezza.
“Sì, ce l’hai fatta, Sakura” le rispose facendole vedere il bambino “è un maschio, lo sai?”.
Lo avvicinò ancora di più a lei attento a non farlo cadere, ma si stupì non appena vide la mano libera di Sakura alzarsi con fatica dal futon e accarezzargli la guancia liscia con la punta delle dita, sfiorandola appena.
“Itachi…”.
Sasuke in quel momento sentì gli occhi pizzicare così tanto da far quasi male, ma cercò in tutti i modi di trattenersi. Poggiò con delicatezza Itachi al suo fianco, sul cuscino, ma Sakura non riuscì neppure a girare il viso verso di lui.
“Sono stato io il primo a prenderlo in braccio... Alla fine, ci sei riuscita a farlo nascere in casa...” buttò lì senza nemmeno pensarci, non riconoscendosi, con la voce spezzata e altrettanto irriconoscibile. “Sarai felice, testarda come sei”.
La ragazza stirò le labbra in un leggero sorriso, il massimo che si poteva permettere. Fosse stato un qualsiasi altro giorno, Sasuke era sicuro che avrebbe riso, riso con quella risata piena di vita che mostrava solo e soltanto a lui, perché solo con lui era davvero felice.
“Ce l’ho fatta, ma avevo paura che... per Itachi sarebbe stato… pericoloso...” rispose in un bisbiglio, a fatica. Il suo respiro si faceva sempre più debole. Itachi continuava a piangere accanto a colei che lo aveva messo al mondo qualche minuto prima.
Andrà tutto bene.
“Ce l’hai fatta” avrebbe voluto dire grazie, ma non ci riuscì. Avrebbe voluto dire non riuscirò mai a smettere di ringraziarti per avermi reso padre, ma non ci riuscì. “Sakura... sono sicuro che starà bene. Che staremo bene. Tutti e tre.”
Lei aveva socchiuso gli occhi ascoltando le sue parole e limitandosi ad annuire a queste ultime; quasi sembrò rilassata agli occhi di Sasuke. Ma non era così. In fondo, da qualche parte dentro di lui, aveva già afferrato la consapevolezza necessaria per capire cosa stava succedendo.
“Me lo prometti?” la richiesta fatta a sua moglie suonò con una voce incredibilmente tremolante, nel momento in cui la disse. Fece vagare lo sguardo fino al viso piangente di Itachi, che ora era steso in mezzo a loro. Itachi...
Lei aprì gli occhi più che poté, scoprendo finalmente le grandi iridi color smeraldo che Sasuke amava tanto osservare – e non glielo avrebbe mai fatto sapere – puntandoli dritti nei suoi.
“Sarò sempre con voi, te lo prometto... nel bene e nel male. Vi proteggerò.”
Il suo sussurro appena accennato arrivò alle orecchie di Sasuke quasi come un urlo, per quanto in quel momento quella frase si incise a fuoco nel suo cuore. Si incise indelebile, e non sarebbe mai più andata via. Mai. Nel bene e nel male.
Chinò la testa e strizzò con forza entrambe le palpebre, non sentendo più la forza necessaria per riuscire a continuare a guardarla negli occhi.
Ma “ti amo” mormorò a sorpresa Sakura, così da fargli alzare il volto di nuovo verso di lei. Non apriva nemmeno più le palpebre per guardarlo, mentre la presa sulla sua mano si faceva sempre più debole.
Sasuke non fu in grado di risponderle. Come sempre.
“Ti amo” sussurrò ancora sorridendo, mentre voltava di qualche centimetro il proprio viso così da intravedere almeno di poco il corpicino gracile di suo figlio e continuò parlare sempre con meno forza nella voce.
“Itachi ti somiglierà... ne sono certa” si rivolse di nuovo a Sasuke. “Sarà bellissimo. Sarai bellissimo, Itachi. Come il tuo papà. Sai, è un uomo duro all’apparenza... ma in realtà è la persona più buona del mondo. Ti vorrà bene come non ne ha mai voluto a nessuno, compresa me. Se ti sgriderà per farti il bagno o per svegliarti per andare all’asilo, lo farà soltanto per il tuo bene. Sono sicura che sarete uguali, ma magari tu potrai sorridere un po’ di più, come... la mamma...”
Sorrise ancora, Sakura, sorrise come se fosse l’ultima volta. “Basta che tu non prenda da me i difetti... o papà non ti sopporterà” scherzò, lasciando scivolare quelle parole dalle labbra screpolate e stanche.
“Sakura…” la chiamò allora Sasuke. La voce spezzata. “Se sarà come te... andrà comunque bene. Anche se probabilmente diventerebbe capriccioso…”
Vide Sakura di fronte a sé chiudere di nuovo le palpebre con lentezza, incapace di reggere lo sforzo che aveva appena compiuto nel parlare così tanto, mentre sorrideva pacificamente alle parole del marito.
“E insopportabile… magari anche piagnucolone…” continuò Sasuke.
Le sue dita, una ad una, si indebolirono mollando piano la presa su quelle affusolate di lui.
“Ma se fosse come te sono sicuro che anche lui saprebbe donare...”
Il suo sorriso si spense lentamente, mentre gli occhi da socchiusi a fatica si serrarono del tutto. La mano perse completamente la forza, poggiandosi sul palmo di quella di Sasuke.
“... Felicità”.
Non sentì più la forza della stretta di mano di Sakura, se ne rese conto solo in quel momento. Provò a muoverla più volte nella sua, ma lei non rispose a nessuno di quegli stimoli. Non rispondeva a nessun contatto. Il suo viso era immobile e pallido, e il corpo stava diventando pian piano sempre più freddo. Sasuke spalancò gli occhi, non volendoci credere.
“Sakura! Sakura, rispondimi! Non scherzare!” la implorò senza che lei potesse sentirlo. Ormai non poteva sentire più nulla.
Era tardi.
Non badò neanche più ad Itachi, ancora posto al suo fianco, se non per lanciargli una sfuggevole occhiata con la coda dell’occhio, proprio durante la realizzazione di ciò che era appena successo.
Non era vero che sarebbe andato tutto bene. Non era vero.
 

“Sarò sempre con voi”

 
Perché non ci sei allora? Perché non sei ancora qui?
Non si accorse minimamente dell’infermiera che lo chiamava cercando di allontanarlo dal corpo di sua moglie, non si accorse della disperazione dei suoi genitori poco lontano da lui. Non si accorse di nulla, se non di Sakura. La stava chiamando ancora, e ancora, e ancora; senza sosta, senza badare a niente e a nessuno, semplicemente.
“Sakura!”
 

“Te lo prometto”

 
Le promesse si mantengono.
Posò una mano sul viso di Sakura cercando di riscuoterla da ciò che lui ancora si illudeva di chiamare sonno, prendendole il viso tra le mani e cercando di scuoterlo tra di esse con più delicatezza possibile, in modo da farla svegliare e farla tornare da lui, da loro. Ma Sakura non si sarebbe svegliata. Non più.
“Sakura, apri gli occhi!”
 

“Nel bene e nel male”

 
Che cosa distingue il bene dal male? Che cos’è questo dolore che mi attanaglia il petto, allora?
Il suo sguardo era perso mentre scostava le mani dal viso ormai senza vita di Sakura, mentre continuava a chiamare il suo nome sperando in qualche modo di ridestarla – o di ridestarsi, sperando che fosse tutto soltanto un brutto sogno, mentre cercava ancora una volta la sua mano. Sembrava tutto un terribile incubo, uno di quelli da dimenticare.
“Svegliati...”
 

“Vi proteggerò.”

 
Saresti dovuta rimanere per farlo.
Provò un’ultima volta ad alzare la sua mano, cercando una qualsiasi reazione. Non ci fu nulla se non quella stessa mano che crollava sul futon sopra cui era rimasta stesa per più di otto ore. Sentì gli occhi inumidirsi mentre la vita stava mandando in frantumi tutte le sue speranze nel non vedere mai più una persona a lui cara morire davanti ai suoi occhi. Scosse la testa incapace di fare qualsiasi cosa, e buttò la testa sul ventre di lei.
“Sakura! Sakura!”



























Note:
Beh vi avevo detto che era una storia drammatica no? Ecco il motivo. Spero non ci siate rimaste troppo male, la storia continuerà dopo questo capitolo e si vedranno gli sviluppi nella storia, soprattutto fra Sasuke e suo figlio, Itachi.
Ho abbassato il rating da arancione a giallo perché mi sembra più adeguato per la storia, in fondo non è niente di particolarmente shockante e la scena lime all'inizio non è per niente forte.
Ringrazio ancora tutti quelli che seguono questa storia, che la preferiscono e la recensiscono <3 spero che continuiate sempre a farlo, mi rendete davvero felice! Alla prossima!

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Capitolo 4
*** ... just one ordinary thing. ***


いつまでも、いつまでも守ってゆく
Ti proteggerò sempre, per sempre







Capitolo 4. ... just one ordinary thing.




“Ho continuato a vivere soltanto perché ero vivo. Mi svegliavo, andavo al lavoro, mangiavo e dormivo.
 
Non facevo altro che ripetere la solita routine dettatami dal mio corpo. Era questa la mia vita.
 
Vivevo come se dovessi punire il mio corpo. Lavoravo senza pensare, cercando di dimenticare tutto.
 
Guardando in faccia la realtà sarei potuto crollare da un momento all’altro.
 
Ho vissuto, senza mai pensare a nulla. Non volevo pensare a nulla.
 
Ho pensato che tutto fosse stato un grosso sbaglio.

[cit.]

 
 
 
“Sarò lì per le cinque e trenta” disse atono con il cellulare in mano “a dopo”.
Mise il telefono nella tasca dei jeans, attraversando la strada e dirigendosi a passo lento verso il grande edificio che ospitava la riunione alla quale era diretto.
Le strade di Tokyo erano sempre affollate e caotiche. Era già tanto riuscire a pensare, in mezzo a tanto rumore. Gli piacevano, gli piaceva camminarci e viverci per questo motivo. Erano le strade di quella metropoli che non gli permettevano di pensare in alcun modo, che cancella qualsiasi cosa dalla mente.
Era esattamente ciò che cercava.
Nel momento in cui si era trasferito  in quella città, quattro anni prima, aveva pensato subito che sarebbe stata l’ideale per lui: una città che non permetteva di essere nessuno se non un comune numero. Un niente che cammina.
Era giusto fare a meno della propria anima e ridursi a non esser nulla che non sia una macchina, un numero, un niente?
Non si era più posto domande simili. Aveva deciso che era meglio vivere per compiacere gli altri, vivere per punire se stesso per non aver fatto altro che lasciarsi sfuggire le occasioni più preziose, le persone più care. Aveva deciso di vivere aggrappandosi a quel poco che era rimasto della sua anima ormai a brandelli. La forza per andare avanti e persino la forza per respirare era diminuita sempre più, ogni giorno che passava. Aveva deciso di indebolirla. Aveva deciso di vivere una vita piatta, una vita fatta di niente se non di continue punizioni a se stesso.
Alzarsi. Lavorare. Tornare a casa. Mangiare. Dormire.
La sua vita era diventata soltanto quello, niente più. Non era più una persona, non aveva più una vita propria; era un semplice numero che si muoveva soltanto per compiacere gli altri e le loro richieste. Il capo di lavoro, la pattuglia, la signora che chiedeva di portare la spesa, i vicini. Chiunque, bastava compiacere gli altri e ancora punirsi.
In quei pochi e rari giorni in cui non lavorava, o in cui non gli lasciavano fare gli straordinari per cui era lui stesso a proporsi, sprecava i suoi soldi in qualche locale di basso rango.
Aveva cominciato  a bere. A fumare. Tante volte tornava a casa così pieno di schifo – senza trovare nessuno sulla soglia di casa sua disposto a pulirlo da tutto ciò che aveva buttato in corpo – che la mattina dopo nemmeno si ricordava cos’avesse fatto. Ma andava comunque sempre a lavorare, senza lamentarsene mai. Non gliene fregava più niente, né della sua salute né del suo rendimento lavorativo. Tutto era utile se poteva togliergli il fardello che si portava dentro continuamente.
In quegli anni non aveva fatto altro che autodistruggersi, aspettando con pazienza di arrivare al giorno in cui tutto quel niente, tutto quel grigio, tutto quel suo vivere da miserabile avrebbe finalmente visto la parola fine. In quei quattro anni si poteva dire che fossero cambiate molte cose, ma in realtà la sua mente era rimasta ferma a quel freddo giorno di dicembre. Nulla era andato avanti, se non fosse stato per il calendario e per il continuo passare delle stagioni probabilmente non si sarebbe nemmeno reso conto di quanto tempo fosse passato da allora.
La sua decisione di estraniarsi da tutto ciò che aveva conosciuto e amato in passato era stata una scelta del tutto egoista, lo sapeva, e forse – in fondo – gli piaceva anche ammetterlo; non se ne vergognava e non ne faceva segreto. Non si pentiva di aver lasciato indietro tutti i suoi conoscenti e gli amici, i suoceri, il suo migliore amico, e... non riuscì mai a completare la frase.
Si convinse che la vita senza di lui, per chiunque, sarebbe stata migliore. Più luminosa. Più bella. Più gioiosa. Meno sfortunata. Si convinse che lo stare da solo sarebbe stato meglio per chiunque, lui compreso.
Arrivò addirittura a odiare la persona che – ai suoi occhi troppo assuefatti dalla rabbia – gliela portò via, quella notte. Colui che, secondo la sua distorta visione accecata dal dolore, era in qualche modo colpevole – insieme a se stesso – della sua morte. Era arrivato a odiare il sangue del suo sangue e c’erano persino volte in cui, svegliando per un attimo la sua anima dalla completa apatia, si sentiva un totale mostro nel farlo.
Aveva preso coscienza del fatto che probabilmente sarebbe sempre stato meglio non avere legami, che i legami non portavano altro che sofferenza e dolore una volta persi. E lui, quei preziosi legami, li aveva persi tutti – o quasi. Dopo aver perso anche la sola persona che era stata capace di portare ancora la luce nel suo mondo che non era diventato altro che buio e statico, aveva perso definitivamente la voglia di vedere qualsiasi colore illuminarlo ancora una volta.
Forse era il nero il colore a cui era davvero destinato.
Man mano che le persone se ne andavano era solito andarsene anche un pezzo di lui, e tutto ciò che ne era rimasto nel tempo, man mano che coloro a cui teneva lo avevano lasciato, era a malapena sufficiente a tenerlo in vita. Qualcuno aveva definito ciò che gli era accaduto negli anni precedenti giusto, qualcun altro normale, qualcun altro invece si era limitato a dire che prima o poi una cosa del genere capitava a tutti.
Chi decideva cosa era giusto e cosa era normale? Era normale perdere tutto? Era normale non riuscire a costruirsi una vita come quella di tutti gli altri? Era normale che il giorno più bello della propria vita si trasformasse in un vero e proprio incubo? Questo era ciò che veniva definito giusto?
No, non era giusto. Era stato tutto un errore.
Era stato un errore aver pensato di poter riprovare ad assaggiare una felicità che in fondo non gli sarebbe mai appartenuta. Era stato un errore conoscerla, sposarla, decidere di avere un figlio con lei; perché tutto aveva portato alla perdita di un’altra persona a lui cara. Dopo la morte di suo fratello – cancro ai polmoni, gli avevano detto i medici, ma lui da ragazzino quale era non aveva mai voluto ascoltarli perché per lui gli era stato portato via – si era ripromesso di non caderci più, perché quella ferita era talmente dolorosa che bruciava ancora dopo anni e anni dall’accaduto. Non voleva più procurarsi ferite, ma inspiegabilmente era caduto ancora una volta in quella trappola chiamata legami.
 Il volersi innamorare, creare una famiglia, avere un posto da chiamare casa... era stato tutto sbagliato. Un errore che, anche per colpa sua, aveva portato alla distruzione completa di quel piccolo mondo che era stato capace di creare anche dopo averlo visto distruggersi più di una volta – con la perdita dei genitori, del fratello, e infine anche di lei.
Non si era nemmeno più chiesto cosa fosse giusto, chi stesse ferendo, come si stesse comportando nei confronti di coloro che erano rimasti. Era semplicemente aggrappato a ricordi, a persone, a sentimenti che non sarebbero mai più tornati. Sensazioni effimere che sarebbero rimaste scolpite solamente nei suoi ricordi.
Non permise mai a se stesso di provarne altre, in quei quattro anni, quasi come per paura di tradire quelle vecchie che tanto aveva amato. Un sorriso di sua madre, uno sguardo in più di suo padre, un buffetto affettuoso di suo fratello, un suo bacio a fior di labbra. Non si lasciò mai più andare a una sola emozione, pur consapevole che al mondo c’erano ancora persone in grado di donargli qualcosa. Anche tutto un mondo.
Semplicemente, non voleva più nulla.
Dopo aver preso parte alla riunione di lavoro si diresse stancamente nel bar che frequentava da qualche mese a quella parte. Cambiava spesso posti, ma man mano che il tempo e gli anni passavano si ritrovava in posti sempre più miseri – come in fondo lo stava diventando anche lui.
“Una sambuca” ordinò poco gentilmente al barista, mentre si sedeva sullo sgabello posto di fronte al bancone in legno lucido.
“Vai già sul pesante, Uchiha?” domandò l’uomo anziano in risposta, ridacchiando. “Di solito parti dalla birra, strano”.
“Fammi questa benedetta sambuca e dacci un taglio” sputò secco, porgendogli i soldi sulla superficie legnosa e facendo sì che l’altro si mettesse subito al lavoro. E infatti fu esattamente ciò che fece il barista, seguendo alla lettera l’ordine del suo ormai cliente affezionato. Passò una, poi due, poi tre ore e buttò giù quasi tutta la bottiglia di sambuca.
Da solo e in silenzio.
Chiunque provasse ad avvicinarsi a lui – cosa che capitava spesso, soprattutto da parte di donne e ragazze – anche solo per condividere qualche bicchiere d’alcool veniva brutalmente mandato via senza alcun tentennamento.
Una volta deciso di darci un taglio – per quella sera soltanto – con il bere, si avviò verso l’uscita e tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca destra dei jeans con quel poco di lucidità rimastagli in corpo dopo tutto l’alcool buttato in corpo, per poi – accorgendosi di non avere nulla con cui accenderne una – girarsi bruscamente verso una giovane donna in piedi a pochi passi da lui e chiederle un accendino. Lei lo mangiò con lo sguardo.
“Certo, bellissimo” fece poi la donna allungando il pugno in sua direzione con fare seducente. Sasuke afferrò il piccolo oggetto dalla mano di lei, accese la sigaretta e glielo restituì lanciandoglielo e facendoglielo prendere al volo, senza nemmeno preoccuparsi di ringraziarla.
“Potresti venire a fare un giro con me, ogni tanto” lo stuzzicò ulteriormente, con voce ancor più sensuale e provocante “ci potremmo divertire, insieme”.
“Sparisci” fu la sola risposta che uscì dalle labbra di lui, ancora occupate dall’aspro sapore della sigaretta che teneva fra le labbra. La donna, sentendosi giustamente offesa, alzò i tacchi e si allontanò – probabilmente lanciandogli un numero indefinito di insulti borbottati.
Sasuke non se ne curò, standosene immobile di fronte al locale a fumare l’ennesima sigaretta della giornata e aspettando che lentamente arrivasse alla sua fine, scrollando la cenere di tanto in tanto compiendo minuscoli movimenti con le dita. Una volta finita la sigaretta, pregna di tristezza e malinconia piuttosto che di tabacco, percorse la solita strada fino a casa sua, quella di ogni sera; quella che ormai conosceva  come le sue stesse tasche per tutte le volte che l’aveva fatta a piedi o con qualsiasi altro mezzo di trasporto. Non badò a niente e nessuno – tantomeno a coloro che si offrirono per aiutarlo – nonostante si reggesse a malapena in piedi, e aspettò solo di arrivare in casa propria prima di decidersi a rimettere tutto ciò che aveva bevuto quella sera. Si fiondò in bagno in velocità e si inginocchiò di fronte alla tazza del gabinetto, poggiandoci un braccio sopra e tossendo ripetutamente. Dopo numerosi colpi di tosse riuscì a vomitare, riprovando quel senso di vuoto che gli si presentava ogni volta che compiva quello che ormai era quasi diventato un rito.
Era un vero e proprio inferno, nel vero senso della parola.
Tossì ancora due o tre volte mentre allungava a fatica un braccio verso l’alto per tirare lo sciacquone e, non avendo forze per alzarsi e sciacquarsi la bocca, si stese sul morbido tappeto del bagno, posando lo sguardo sul soffitto e aspettando solo di prendere sonno e di dire addio a un’altra giornata infernale. Non passò molto tempo prima che la sua poca lucidità scemasse, lasciando spazio soltanto a un irrimediabile e immenso nero; abbandonò la testa contro il tappeto soffice, perdendo i sensi.
E fu solo buio.
 
Un forte strattone alla sua spalla lo destò dal sonno. Sentì la testa pulsare e senza accorgersene portò una mano a posarsi sulla nuca per massaggiarla, almeno tentando di placare quella fitta terribile. Attraverso le palpebre ancora chiuse sentì la luce proveniente dalla finestra pulsare in modo quasi fastidioso. Era giorno.
“Sasuke!” irruppe una voce. Una voce fin troppo conosciuta. “Sasuke, avevi lasciato la porta aperta! Sei matto?”.
Si sentì strattonare più e più volte la camicia bianca che indossava dal giorno prima, e preso così dalla curiosità di voler capire chi fosse, schiuse le palpebre a fatica di qualche millimetro – la sua vista era ancora annebbiata e non fu in grado di mettere subito a fuoco la figura di fronte a lui. Si maledisse per non trovare la forza per cacciare via quella persona, chiunque fosse.
“Sasuke!” urlò per l’ennesima volta, e ad ogni parola in più pronunciata da quella persona Sasuke sentì di sapere a chi apparteneva realmente.
“Poteva entrare chiunque, capisci? Per fortuna che sono arrivato. Dai, apri gli occhi!”.
E così fece Sasuke. Aprì gli occhi e capì di aver indovinato fin dal primo Sasuke che aveva sentito e da quel modo di parlare così particolare e riconoscibile.
Non appena riacquistò la lucidità necessaria si allontanò con fare diffidente, come se l’altro scottasse.  Riuscì chiaramente a vedere il disagio nelle iridi dell’altro, e poteva dire che quella era una delle poche cose che ancora fosse in grado di smuovere qualcosa dentro di lui.
“Che ci fai qui? Ti avevo detto di non provare più a venire” sputò poi con sdegno, ignorando l’evidente sofferenza negli occhi dell’altro “…Naruto”.
L’altro ignorò – come sempre, del resto – le sue parole e, senza nemmeno pensarci, in pochissimi istanti si slanciò ad abbracciarlo forte; non preoccupandosi dell’ostilità evidente che mostrava Sasuke da anni a quella parte nei suoi confronti. Naruto posò delicatamente una mano sulla sua nuca, raccogliendo un paio di morbide ciocche nere fra le dita e con l’altro braccio gli cinse le spalle in modo forte e deciso. Cercava – invano – di fargli sentire l’immenso affetto che provava per lui.
“Sasuke…” il suo nome uscì dalle sue labbra come un singhiozzo, senza percepire nemmeno il bisogno di piangere. “Non puoi continuare così, non posso vederti così”.
Sasuke volse gli occhi al soffitto non sapendo né cosa dire, né cosa fare. Non lo allontanò, non ricambiò l’abbraccio, non disse nulla. Semplicemente rimase lì, senza fare assolutamente niente. Quasi come se fosse morto fuori e non solo dentro.
“Smettila” disse soltanto, con tono debole.
“Di fare cosa?” domandò allora di rimando l’amico, non capendo cosa intendesse. Si allontanò dalla sua spalla indietreggiando, così da poterlo guardare negli occhi.
“Di continuare a starmi appresso. Fatti una vita.”
Rimase spiazzato dalla risposta di Sasuke, che suonò come una supplica più che un ordine. Aveva lo sguardo incredibilmente vuoto, come se lo ricordava dall’ultima volta che lo aveva visto; le pupille quasi si confondevano con le iridi e lo osservavano come per perforarlo.
“Non lo farò mai” insistette Naruto, senza mai smettere di guardarlo come se potesse infondergli quel poco di speranza che gli era ormai rimasta. “Mai, Sasuke. Lo sai.”
Tutto ciò che ricevette in cambio di quella che avrebbe dovuto essere una promessa fu uno spintone che prontamente lo allontanò dall’amico – più di quanto già non lo fosse spiritualmente – facendogli perdere l’equilibrio sui piedi così da cadere a terra.
“Vattene” sbottò Sasuke mentre si alzava dal pavimento cercando di reggersi sui palmi delle mani. Passò un polso lungo le labbra così da pulirsi e una volta in piedi si appese al lavandino con la poca forza rimastagli in corpo, accese l’acqua e iniziò a sciacquarsi il viso stanco, segnato da occhiaie quasi indelebili.
Naruto rimase a terra, osservandolo. “Non me ne vado, c’è bisogno di te” rispose infatti scoprendo – a malincuore – tutte le proprie carte “e questa volta sul serio, non solo per il mio egoistico bisogno di te.”
Sussultò alle parole di Naruto, mentre si asciugava senza troppa calma il viso. Bisogno?
Fece un sorriso amaro nel voltare le spalle a colui che fino a qualche tempo fa avrebbe definito migliore amico, superando l’uscita del bagno e dirigendosi verso le altre stanze.
“Fatti… fatevi passare il bisogno di me” mormorò andandosene.
Naruto non perse tempo e si alzò subito in piedi, intercettando quelle parole. “Sasuke, la tua…” si bloccò d’improvviso, un’espressione triste in volto. Sasuke si era fermato. “La vostra casa dev’essere venduta. Devi tornare.”
“Perché? Non potete cavarvela da soli?”.
La domanda di Sasuke suonò così sofferta che Naruto non seppe capire quante emozioni – seppur volesse negarle – stessero tormentando la sua mente. Strinse i pugni, cercando un modo per convincerlo a compiere quella scelta che avrebbe potuto cambiare la sua vita, che non era più degna di essere chiamata tale.
“L’intestatario sei tu” rispose, e gli sembrò che fosse passata una vita.
“Non voglio tornare, smettila di cercare stupide scuse”.
Naruto sbatté un pugno contro il muro bianco di casa sua, fulminando con lo sguardo le spalle di Sasuke – che continuava a rivolgergli la schiena, senza il coraggio di fronteggiarlo davvero. “E tu smettila di scappare!” sbottò quasi urlando. “Sei un codardo, Sasuke!”.
Fu un momento, e in pochissimi secondi si ritrovò con le spalle al muro, il colletto della maglia tirato e il viso di Sasuke a pochissimi centimetri dal suo viso contratto in cipiglio infuriato, gli occhi d’alabastro che lo fulminavano.
“Non ti azzardare a chiamarmi così, pezzo di merda”.
Non badò all’insulto, sapeva benissimo che Sasuke era perfettamente capace di insultarlo ogni volta che voleva. Che entrambi ne erano capaci. Che potevano prendersi a pugni, parolacce, bestemmie, ma che alla fine niente riusciva a spezzare l’amicizia che li legava.
Scosse la testa, e “lo sai che è vero” iniziò a parlare. “Non ho detto niente, quattro anni fa, quando sei venuto qui a Tokyo per il motivo che tutti sappiamo, perché credevo ti sarebbe servito per elaborare e superare il dolore. Ma ora stai perseverando, da quattro fottutissimi anni! E questo è da codardi. Prendi in mano la tua vita senza continuare a scappare da ciò che è successo!”.
Riprese fiato dopo essersi reso conto di non aver mai fatto neanche una minima pausa per respirare, visto il nervosismo che percepiva in tutto il corpo. La risposta di Sasuke, però, arrivò come una lama tagliente dritta nel suo petto.
“Tu non puoi capire niente di quello che ho e di quello che è successo!”.
Quella era una frase sentita così tante volte dalle orecchie di Naruto che lo fece sospirare per noia mista a tanta, troppa rabbia; e gli fece distogliere gli occhi azzurri da quelli furenti di Sasuke a pochi centimetri di distanza, riflettendo per qualche secondo su come controbattere. Tutto ciò che era rimasto da dire era semplicemente la verità, per quanto potesse ferire – ulteriormente – il cuore di Sasuke già fin troppo ammaccato.
“Cosa c’è da capire? Lei è morta e tu l’amavi. In questo cosa c’è da capire, Sasuke?” gli domandò infine con una sfumatura di disprezzo nei confronti dell’ostinazione dell’amico nel continuare ad escluderlo come fosse un estraneo, facendo un sorriso amaro.
A quelle parole vide chiaramente lo sguardo dell’altro cambiare, da furioso che era pochi attimi prima, a spiazzato. La bocca di Sasuke era schiusa, come se avesse voluto dire con tutto se stesso qualcosa, o ribattere in qualche modo a quelle frasi così dolorose, ma alla fine non fu in grado di dire nulla. Abbassò il capo e allentò la presa sulla maglia di Naruto; aggrottò le sopracciglia come trattenendo qualcosa dentro di sé di così pesante che, se solo avesse provato a lasciarlo uscire, probabilmente non sarebbe più riuscito a tornare indietro.
Naruto capì fin troppo bene di essere riuscito nel suo intento – colpire un punto fin troppo dolente in modo da smuoverlo in qualche modo – e prese fiato, pronto a parlargli di nuovo. A cercare in qualsiasi modo di toccare il suo cuore.
La mano di Sasuke tremava impercettibilmente contro la stoffa della sua maglia. Le parole per un momento gli mancarono, nel sentire quella stretta così insicura – quasi quanto lui stesso – e cercò in tutti i modi di trovare la forza necessaria da dentro di sé per tirare su dal baratro anche il suo amico, e per non affondare con lui.
“Ascoltami, Sasuke. Affronta la tua vita. E anche se non vuoi farlo, devi tornare stavolta.”
Fu la volta di Sasuke, stavolta, nel fare un sorriso amaro. Ma, decisamente, quel sorriso esprimeva tutta l’amarezza, la stanchezza e la tristezza di un uomo ormai distrutto. “Io non devo fare proprio un bel niente” rispose, con voce rotta. Lasciò la maglia di Naruto, allontanandosi da lui quasi come se la sua vicinanza scottasse.
“Ah, quindi è così? Il grande Sasuke Uchiha non ha nemmeno il coraggio di tornare per vendere una fottuta casa disabitata a causa della sua fuga?” lo provocò l’altro.
Lo vide stringere i pugni. Le nocche erano ormai lattee per quanta forza stava raccogliendo solo in quella specifica parte del corpo. “Piantala” sibilò.
“Lo sai che ho ragione.”
“Smettila, Naruto” alzò di nuovo il volto in sua direzione, mostrandogli ancora una volta quegli occhi colmi di dolore e rabbia. “Smettila di fare il finto saggio quando non sai nemmeno in che mondo vivi! Quando non sai neanche cosa si prova al posto mio!”
“Perché tu non mi permetti di starti vicino!” gridò di rimando Naruto, spazientito.
Sasuke scosse la testa, come se l’altro avesse detto la cosa più stupida del mondo. “Non ne vale la pena”.
“Bene, non ne vale la pena” acconsentì. “Però non credo ti costi molto tornare solo per fare qualcosa di obbligatorio. Fai quello che devi fare, e quando avrai finito potrai benissimo tornare qui. Non ti fermerò.”
“Mi hai chiesto così tante volte di tornare definitivamente a casa” cominciò a parlare Sasuke “che dovrei crederti adesso?”.
Era vero. Naruto non aveva mai mollato la presa, nonostante fosse stato ignorato più volte da Sasuke durante quegli anni. La sua mano era rimasta sempre tesa aspettando che lui l’afferrasse e che tornasse ad accettare tutto ciò che aveva lasciato indietro. Sasuke spesso e volentieri non rispose alle sue telefonate, lo lasciò fuori di casa quando provava ad andare a trovarlo – e a convincerlo, possibilmente – e non gli mostrò mai un minimo segno d’affetto.
Tutta quella preoccupazione da parte di Naruto, però, lo atterriva. Il suo non arrendersi lo spaventava come non mai.
“Credimi, questa volta non forzerò nulla” rispose l’amico “fai quello che devi fare, poi sarai libero di decidere della tua vita come meglio crederai. Non voglio più fare l’egoista bisognoso del suo migliore amico” snocciolò tutto d’un fiato. “Però, torna. È tuo dovere.”
“Smettila” ripeté per l’ennesima volta Sasuke in risposta “tornatene a casa, smettila di insistere.”
Non appena pronunciò quelle parole vide Naruto, di fronte a sé, cambiare totalmente espressione in meno di un secondo. I suoi occhi zaffiro quasi scintillavano dalla rabbia.
“Cosa credi di fare, eh?” cercò di restare calmo nonostante tutto di lui stesse per esplodere – e Sasuke lo sapeva. Infatti non ci volle molto prima che esplodesse, gridando a tutta voce. “Startene qui per tutta la vita senza affrontare quello che ti è successo? Scappare per sempre? Lasciarti morire?” urlò, e fu la volta di Naruto nell’afferrare il colletto della camicia – ormai quasi sgualcita – dell’altro, sbattendogli finalmente in faccia tutto il marcio che si era tenuto dentro durante la sua dolorosa assenza. A Sasuke per un secondo parve di vedere gli occhi di Naruto diventare in velocità lucidi, ma abbassò lo sguardo prima di poterlo verificare.
E fu allora che Naruto fece luce su ciò da cui Sasuke si stava nascondendo da quattro anni.
Lui sa di te.”
Arrivò chiara e coincisa la voce dell’altro alle sue orecchie. Spalancò gli occhi, capendo all’istante a chi si stesse riferendo in quel momento e sbiancò al solo pensiero, ritrovandosi incapace di fare né dire niente. Naruto lo aveva spiazzato, probabilmente ben consapevole del fatto che se solo avesse provato a tirare fuori quell’argomento la reazione di Sasuke non sarebbe potuta essere controllata come invece lo erano – più o meno – quelle rispetto a tutti gli altri argomenti. Era la prima volta che tirava fuori quella parentesi in quattro anni.
Sasuke, però, non si accorse del dolore che stava provando anche Naruto nel vederlo completamente perso e quasi del tutto privo di ogni maschera fatta da fredde barriere di impassibilità; non si accorse della sua sofferenza nel vedere il suo amico ridotto così senza poter fare nulla. L’impotenza era una delle cose che Naruto più odiava, soprattutto quando si trattava dell’essere impotente nell’aiutare il suo migliore amico. Le spalle di Sasuke si incurvarono mentre borbottò qualcosa che l’altro non fu capace di sentire, ma non disse più nient’altro lasciandosi completamente andare quasi come se fosse in trance. Gli afferrò con forza una spalla facendolo raddrizzare e fece in modo che tornasse con gli occhi nei suoi.
“Vieni con me, parlerò io col tuo datore di lavoro. Sbrighiamo questa faccenda e poi ti riporto qui. Lo giuro.”
Sembrò come se Sasuke avesse perso la forza perfino per rispondere o controbattere, tanto che alle parole dell’altro annuì, semplicemente. Suscitò sorpresa anche in Naruto stesso, non credendo che sarebbe riuscito davvero a convincerlo – anche se quella di Sasuke sembrava più rassegnazione piuttosto che convinzione. Alla fine, toccando il suo vero tallone d’Achille, premendo quel tasto che nessuno si sarebbe permesso di premere, era riuscito a indebolirlo abbastanza da scioglierlo completamente.
Non si curò di prendere i cambi di vestiti – c’erano ancora quelli vecchi nella sua ex casa – e lo trascinò in fretta al di fuori del suo appartamento prima che potesse cambiare idea – e sapeva che, prima o dopo, lo avrebbe fatto.
Sasuke passò il viaggio in macchina dormendo, in preda alla nausea e ai giramenti di testa tipici di – quasi – tutti i giorni. Era steso sui sedili posteriori, senza nemmeno trovare la forza di dure qualcosa a Naruto, senza neanche trovare la voglia di urlargli addosso che – fin da quando era salito su quella benedetta macchina – voleva tornare indietro.
Il viaggio durò due ore interminabili, in cui nessuno dei due parlò se non per il fatto che Sasuke chiese – o meglio, ordinò – più di una volta a Naruto di fermarsi per vomitare, il quale naturalmente acconsentì tutte quante.
Nel momento in cui Sasuke sentì la macchina fermarsi sentì un fremito lungo tutta la spina dorsale. Solo allora si alzò a sedersi e vide la sua vecchia casa. Sembrava tutto così uguale ad allora.
 

“Sasuke-kun.”

 
Gli parve di sentire.
Sgranò gli occhi neri, cercando di capire cosa gli stesse succedendo e stupidamente si guardò intorno per verificare che realmente non ci fosse. Non prestò nemmeno attenzione a Naruto che intanto lo osservava dallo specchietto retrovisore con una sfumatura di preoccupazione negli occhi. Posò lo sguardo sulla struttura dell’edificio, e lo spostò infine sulla finestra in alto a sinistra, quella che casualmente era la più piccola fra tutte ma che a lui era sempre parsa la più grande. Si era sempre affacciata al suo mondo.
 

“Sasuke-kun, okaeri*.”
 

Disse ancora quella voce. Sussultò, nonostante stesse pian piano scemando dalla sua mente. Credette di essere diventato pazzo, per sentirla anche solo guardando la sua… loro casa. Abbassò il capo e chinò la propria schiena, poggiando i gomiti sulle ginocchia e prendendosi la nuca fra le mani; dandosi dello stupido, dell’idiota, del pazzo. Voleva tornare indietro, subito.
Naruto non aveva smesso di guardarlo. Non ci fece caso.
In un momento vide la portiera al suo fianco aprirsi, facendo entrare il vento gelido all’interno della macchina. Rabbrividì, voltando di poco il viso giusto per verificare chi fosse.
“Siamo arrivati, Sasuke. Io devo sbrigare due o tre cose, tu intanto entra.”
Era un tono dolce, quello che usò Naruto. Era stranamente dolce, e fu strano per Sasuke afferrare questa consapevolezza; entrambi erano abituati a insulti, pugni e affetto dimostrato indirettamente. Per un solo secondo gli venne da ringraziarlo, ma non fu in grado di farlo sul serio. Non gli andava, dopotutto.
Non lo guardò nemmeno negli occhi mentre si fece strada per scendere dalla macchina e si fece dare in mano il mazzo di chiavi di casa, quello che non prendeva in mano da così tanto.
Lo girò fra le mani, notando che c’era ancora il portachiavi che aveva messo lei. Schioccò la lingua contro il palato, ignorando la stretta allo stomaco che sentì nel notarlo.
“Tu entra. Ti raggiungo tra un po'” aggiunse poi Naruto mentre rimontava in macchina.
“E che cosa dovrei fare?”.
Aspettò a chiudere la portiera. “Sistemati lì, dopodiché chiameremo l’agenzia immobiliare”.
A Sasuke, in quel momento, sembrò tutta una grandissima scusa montata soltanto per riportarlo a casa, e sentì piano piano salire la voglia di prenderlo a botte pur non avendo la certezza che fosse tutto inventato al solo scopo di farlo ritornare. Possibile che, in caso, ci fosse cascato anche lui?
Alzò un braccio come per richiamarlo, ma vide Naruto chiudere la portiera e mettere in moto la macchina, uscendo dal cancello rimasto ancora aperto. Aggrottò le sopracciglia prendendo seriamente in considerazione l’idea di inseguirlo e prenderlo a calci, ma poi non se ne curò – sapendo che lo avrebbe rivisto dopo poco e avrebbe potuto dargli la lezione che si meritava – e posò nuovamente lo sguardo sulla propria ex casa. Qualche persiana era alzata, ma era comunque tutto spento e il cielo plumbeo rendeva l’atmosfera vagamente inquietante.
Prese un profondo respiro, mentre si avvicinava al portone. Fu sollevato dal solo fatto di essere lì da solo, così nessuno avrebbe visto la sua reazione nell’entrare in casa. Infilò la chiave nella serratura e, dopo qualche minuto di autoconvincimento, la girò due volte e la porta si aprì.
La sorpresa lo colse quando vide che era tutto come quattro anni prima. Nulla era cambiato e tutti i mobili – e soprammobili annessi – erano rimasti esattamente dov’erano. Si chiuse la porta alle spalle e avanzò verso il salone, accendendo la luce. L’interno, a differenza di come immaginava, era riscaldato. Si concesse un giro per tutto il piano nel totale silenzio. Osservò la cucina, il salone – con il suo vecchio pianoforte posto nell’angolo a destra –, lo studio e perfino il bagno, verificando che fosse davvero rimasto tutto come una volta.
D’improvviso si fermò, sentendo dei piccoli passi provenire dal piano di sopra. Aggrottò le sopracciglia e decise di prendere le scale per verificare se davvero aveva sentito bene, ma una volta arrivato al corridoio si fermò ad osservare la porta della loro camera da letto con sguardo malinconico, senza dare importanza ad altro.
“Tu…” sussurrò flebilmente – quasi come se quella stanza potesse sentirlo, quasi come ci fosse lei al suo interno –, prima di voltarsi di scatto verso le scale appena percorse nel sentire ancora quel rumore di passi. Intravide soltanto una capigliatura nera svoltare l’angolo del piano di sotto, e scese nuovamente le scale inseguendola.
“Chi c’è?”. Nessuna risposta.
Entrò in cucina controllando che fosse lì, ma girandosi verso la porta che dava al salotto la vide ancora di spalle. Era di bassa statura, indossava un completino blu. Uscì dalla cucina e arrivò in salotto, cominciando a spazientirsi nel non vedere nessuno nemmeno lì.
“Fatti vedere” esclamò ad alta voce.
Si voltò di scatto non appena sentì un minuscolo verso provenire dalla porta del corridoio che conduceva allo studio e al bagno e si sentì il mondo crollare addosso, tutto d’un colpo. Si rivelò essere un bambino piccolo, intorno ai quattro anni. Teneva le piccole mani sullo stipite della porta, come per nascondersi, e sbucava soltanto il viso che lo osservava con un’espressione tra lo spaventato e il curioso. Aveva i capelli nerissimi, color pece e corti; le labbra fine e il naso all’insù. Mentre lo guardava gli parve di specchiarsi in un altro lui e qualsiasi parola morì nella sua gola.
Era vero, i loro occhi erano proprio uguali.


























*okaeri significa "bentornato a casa" in giapponese.

Note:
Questo capitolo mi ha dato un sacco di problemi. E' stato molto difficile scriverlo, e non ne sono ancora convinta, sembra manchi qualcosa (introspezione?) non lo so. Per il resto, non ho molto da dire... solo, grazie per l'affetto che avete dimostrato recensendo questa storia. Non pensavo sarebbe riuscita a ottenere così tanti consensi, anzi, mi aspettavo l'esatto contrario. Spero vi piaccia anche questo capitolo, e che non vi deluda! Come si può vedere, siamo arrivati alla resa dei conti per Sasuke. Non so quando potrò postare il prossimo visto che lo studio si sta facendo sentire parecchio, ma spero il prima possibile, lavorerò quanto più potrò! Ah, se ci sono errori o vedete che qualcuno è OOC, ditemelo subito e lo scrivo ;_;
(Ricordo che i personaggi non mi appartengono e la storia non è a scopo di lucro.)
Alla prossima!

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