Da adesso per sempre

di Milk 92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La vita nel deserto ***
Capitolo 3: *** Trunks a New York ***
Capitolo 4: *** Goten e Marron ***
Capitolo 5: *** Pan e Bra ***
Capitolo 6: *** Chichi e C18 ***
Capitolo 7: *** Alla Kame House ***
Capitolo 8: *** Eternamente insieme ***
Capitolo 9: *** Il funerale ***
Capitolo 10: *** Nell'aldilà ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Da adesso per sempre

Da adesso per sempre

 

Dieci anni di novità

Sono passati oramai 10 anni dall’ultima volta che Goku, salvato il mondo, si è unito al drago e alle sfere, scomparendo per sempre. In questi anni, la vita sulla Terra è trascorsa lenta e felice. Ognuno ha delle novità, ma gli anni pesano e per tutti arriva sempre più vicino il momento del passaggio per una nuova vita.

Dopo il fallimento della Capsule Corporation, Bulma e Vegeta si sono dovuti trasferire nel deserto a casa di Yamcha. Quest’ultimo, rimasto scapolo, ha accettato la convivenza sotto minaccia della ragazza: se non avrebbe acconsentito, sarebbe intervenuto Vegeta. Yamcha ha inoltre dovuto assumere Bulma come cameriera nel proprio locale, aperto nella speranza di conoscere qualche bella ragazza. Trunks, invece, vive il cosiddetto sogno americano: trasferitosi a New York, si è sposato con un’attrice famosa che lo mantiene insieme ai loro quattro figli. Bra ha divorziato da una rock star che l’aveva sposata solo per i soldi. Dopo che questi erano venuti a mancare, l’uomo, infatti, aveva ben pensato di lasciarla. Inutile dire che di lui non si seppe più nulla: che un suocero arrabbiato l’avesse fatto a pezzi?

Bra vive così temporaneamente a casa dell’amica Pan e della sua allegra famigliola: dopo essersi sposata con un ragazzo dolcissimo della zona, Pan aveva dato alla luce 2 gemelli, un maschio e una femmina alquanto vivaci. Gohan e Videl, colmi di gioia per la figlia, avevano continuato a vivere il loro sogno d’amore. Mr Satan, deciso più che mai ad imparare a volare, aveva continuato segretamente per tutti quegli anni a provarci: caduta dopo caduta, si era rotto quasi tutte le ossa del corpo. Crilin e C 18 si erano trasferiti vicino alla casa di Chichi e quella di Gohan: un giorno, stanca delle continue avance del genio, la donna aveva portato via con se la figlia, lasciando a Crilin un ultimatum: o avrebbero cambiato casa, o lo avrebbe lasciato. Terrorizzato all’idea di perderla, Crilin aveva preparato immediatamente le valigie. Non sapendo dove andare, si erano sistemati momentaneamente da Gohan, e trovandosi bene, avevano deciso di costruire una casetta nei dintorni. Il trasferimento aveva fatto gioire Goten che, dopo un mese dal loro arrivo, si era già messo con Marron, ragazza che ha portato all’altare un anno dopo. L’arrivo dei primi due figli ha scatenato un po’ di putiferio in casa, risultato dello stress e della novità di essere genitori. Quando tutto sembrava aver trovato un equilibrio, Marron annuncia a Goten di aspettare un altro figlio. Intanto Chichi e C 18, avvicinate dal matrimonio dei loro figli, sono diventate ottime amiche. Tenshinhan, sempre insieme a Jaozi, ha fatto il grande passo con Lunch. Dall’alto, Dende, sempre più alto, e Popo, sempre più grasso, avevano continuato per tutto quel tempo a vigilare sul mondo. Il genio, rimasto con Oolong e la tartaruga, aveva pensato di aprire una scuola di nuoto che insegnasse a diventare ottimi bagnini: nel giro di poco è stato sommerso di ragazze, suscitando l’invidia di Yamcha.

 

 

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Capitolo 2
*** La vita nel deserto ***


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Solita giornata bollente: nel bel mezzo del nulla, Yamcha litigava con Bulma. La ragazza aveva nuovamente rovesciato il vassoio sulla testa di un cliente. Inoltre aveva rotto la lavastoviglie, così adesso dovevano lavare tutto a mano. La donna non faceva altro che lamentarsi, ora dopo ora, di quanto fosse stanca, di quanto non le piacesse vivere in quel posto, di quanto le mancasse le comodità di casa e di vedere i suoi figli. Ad ogni lamento, Yamcha si sentiva sempre più sull’orlo di esplodere. Ma la presenza del principe dei sajan lo costringeva a trattenersi. Si domandava cosa avesse fatto di così grave per meritarsi una fine del genere. Bulma e Vegeta vivevano nella sua casa come se fosse solo ed esclusivamente la loro. Si erano impadroniti della sua camera da letto, costringendolo a dormire in quel scomodo divano che aveva trovato un giorno in un cassonetto dell’immondizia. Sebbene in quel periodo odiasse la ragazza, Yamcha doveva ammettere che Bulma si stava impegnando a sdebitarsi lavorando nel proprio locale. Era sempre stata una persona viziata, abituata a vivere nel lusso. Non si sarebbe mai immaginato che un giorno l’avrebbe vista servire i tavoli.

Vegeta, invece, passava tutta la giornata all’aria aperta ad allenarsi. Era deciso più che mai a superare Goku, ma nonostante tutti gli sforzi, sapeva benissimo che non ci sarebbe mai riuscito. L’orgoglio però lo costringeva a non arrendersi e a continuare con gli allenamenti.

La vita sociale di Yamcha continuava ad essere la stessa di sempre: gli unici clienti che aveva erano carovanieri o uomini barbuti del deserto. Di tanto intanto partecipava a qualche gioco d’azzardo con dei vecchi amici truffatori. Ma non si univa più a loro per delle rapine: ormai era diventato un uomo onesto e gentile.

Nei mesi che si erano susseguiti, aveva avuto modo di conoscere meglio Vegeta: non aveva mai notato quanto il sajan tenesse a Bulma. Non è che facesse qualcosa per dimostrarlo: era il suo sguardo a dire tutto. Inoltre, alla sera, lo sentiva perfino ridere, in compagnia della donna. Purtroppo sentiva moltissime altre cose che avrebbe preferito non sentire mai.

La parola di Yamcha non valeva niente. Giorno dopo giorno, era così sempre più sicuro di essere finito all’inferno. Ad aggravare la situazione, si era messo il genio che, dall’isola, lo aveva chiamato annunciando di essere invaso da mille ragazze in bikini. Yamcha si era molto demoralizzato per quella notizia, perché si chiedeva come facesse un vecchio simile a rimorchiare. Pensandoci su, ammetteva che ormai non era più bello e giovane come un tempo, e che la differenza con Muten era ormai lieve. Adesso non si sentiva più solo ed inutile, ma anche vecchio.

Per fortuna, Pual riusciva sempre a risollevarlo di morale. Era il suo primo vero amico. Non lo avrebbe mai abbandonato.

Yamcha teneva aperto ogni giorno il locale. Bulma, però, aveva due giorni liberi alla settimana, non tanto per lei, quanto per la salute mentale del proprietario. Oltre a tutti i problemi che la ragazza gli aveva causato, c’era da dire che Bulma era proprio negata a fare la cameriera. Il suo rendimento era pessimo, e il suo carattere non l’aiutava. Se da una parte Vegeta si era ammorbidito, dall’altra Bulma si era irrigidita. Nelle sue giornate libere, amava viaggiare in altri posti. Sulle spalle di Vegeta, arrivava in un lampo dovunque volesse. Ma non avendo la possibilità di fermarsi per mancanza di denaro, erano costretti a ritornare indietro.

A lungo andare però non le dispiaceva più. Si era abituata a vivere in quella zona, e se anche non lo ammetteva, cominciava a piacerle. Anche Vegeta stava bene. Lui aveva la possibilità di sfoderare i suoi colpi micidiali senza la preoccupazione di distruggere abitazioni o ferire qualcuno. Lei, invece, poteva rilassarsi al caldo sole che le regalava un’abbronzatura che aveva sempre desiderato da giovane. Continuava, inoltre, ad ingegnarsi in imprese impossibili, come ad esempio costruire un acquedotto lungo miliardi di chilometri, così da assicurarsi l’acqua anche nei periodi più secchi, o ancora, costruire una macchina che riciclasse ogni cosa. Il lavoro era la parte negativa, ma si sentiva in dovere nei confronti dell’amico. Il nuovo cambiamento di vita l’aveva fatta diventare più forte. Era entrata in crisi quando aveva saputo che era rimasta al verde, ma il sostegno del compagno le aveva evitato di sprofondare nel basso. In passato avrebbe senza dubbio perso la testa. Ma adesso aveva Vegeta, e lui aveva lei. Entrambi erano scesi di classe sociale, ma il loro amore non era mai stato dimostrato tanto come in quegli ultimi tempi. La casa era abbastanza spartana, ma tanto dovevano starci solo la notte e nei momenti più caldi della giornata. Di tanto in tanto, facevano qualche scappatella all’aperto. Avevano preso l’abitudine di dormire in una tenda sotto il cielo stellato. Per Bulma e Vegeta era iniziata una nuova vita, ma il tempo a loro disposizione stava per terminare.

 

 

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Capitolo 3
*** Trunks a New York ***


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A New York, Trunks respirava un’aria del tutto diversa da quella del deserto.

Era conosciuto e ricercato da tutti. Il suo successo era dovuto al fatto di aver sposato Baloon, la bellissima attrice, star della tv americana. Era una donna alta e slanciata; aveva i capelli di media lunghezza e color rosso scuro; aveva dei grandi occhi color beige.

L’ incontro con la giovane donna era stato del tutto casuale. Trunks si era diretto nella metropoli per portare delle carte ad un agente di borsa. Era il periodo in cui la Capsule Corporation aveva subito delle perdite. Era arrivato in anticipo, così aveva deciso di fermarsi in un bar sulla quarantesima strada. Era andato al bancone ed aveva ordinato un cappuccino, quando, sentendo il grande entusiasmo che si era creato all’interno del bar, si era girato per vedere cosa fosse successo. Nel mentre, aveva dato una gomitata alla povera donna che gli si era avvicinata da dietro. La ragazza era finita a terra, ma niente di grave. Imbarazzato e dispiaciuto, pregò la donna di poterle offrire qualcosa. Lei, ancora sofferente, aveva acconsentito. Si era fatta offrire una gassosa e un pacchetto di patatine. Doveva avere la testa ancora tra le nuvole se, a quell’ora del mattino, accumulava una simile quantità di energia. La conversazione era partita con le scuse del giovane. La donna, sorridendo, non le accettava, ribattendo che non era colpa di nessuno. Arrivata l’ordinazione, i due si erano accomodati ad un tavolo. La ragazza era rimasta molto sorpresa dal giovane nel vedere come la guardava: molto diverso da come la osservavano gli altri clienti del bar e il resto dei passanti. Trunks, infatti, non conosceva la donna, non sapeva che era una delle persone più ricercate in America, almeno in quel periodo. Si erano presentati, ma Baloon non aveva voluto svelare cosa facesse nella vita. Aveva timore che quella persona si innamorasse dei suoi soldi, come già era successo in passato. Mentì, dicendo di lavorare per una ditta di arredamento. Anche Trunks, d’altra parte, non aveva detto tutta la verità: aveva sorvolato il fatto di essere un mezzo sajan. Trunks si era accorto dell’attenzione che aveva ottenuto quella ragazza. Infatti, il bar si era riempito di macchine fotografiche. Ma non fece in tempo ad inquadrare la situazione che dovette correre alla riunione.

Prima di salutarsi, si erano scambiati i numeri di telefono.

Il loro primo appuntamento aveva svelato il motivo per cui la ragazza era finita a New York: la donna abitava a Los Angeles, ma aveva deciso di trasferirsi per stare accanto alla madre, ricoverata in ospedale. Da quel giorno, i due, avevano continuato a frequentarsi. Trunks, ovviamente, andava e tornava ogni giorno. Per lui, non era un problema la distanza da casa.

Nel giro di poco tempo si erano innamorati. Era rimasto solo un problema: rivelare la loro vera identità. Questo preoccupava più Trunks. Baloon, infatti, non temeva che il ragazzo l’avrebbe rifiutata, ma, al contrario, che l’avrebbe accettata, ma solo per il proprio successo. Dopo la rivelazione, entrambi erano rimasti confusi. Ma il loro rapporto non era cambiato. Erano così arrivati alla conclusione di aver trovato l’anima gemella: poco dopo avevano deciso di sposarsi. Il fallimento della Capsule Corporation, però, aveva fatto rinviare più volte le nozze, scatenando l’accanimento e la curiosità dei media. Trunks, come il resto della famiglia, era finito sotto inchiesta. Era stato citato dai dipendenti per averli licenziati senza preavviso, provocando gravi disagi. Era stato costretto a farlo, perché era in banca rotta. La famiglia Brief stava superando una crisi finanziaria da cui, senza l’aiuto economico di Baloon, non sarebbero mai usciti. Il caso, dopo pochi mesi, si era quindi chiuso. Baloon aveva firmato un altro assegno per rimettere in sesto la Capsule Corporation, riaccendendo i timori che pensava di aver spento: Trunks la sposava per amore o per denaro? Bulma, constatando di aver messo Trunks in una situazione difficile, aveva rifiutato. Il figlio, capendo il motivo del gesto, non aveva potuto che abbracciare la madre e dissuaderla dal compiere una simile sciocchezza. Ma Bulma aveva risposto che non accettava l’assegno per orgoglio. Forse per la prima volta nella vita aveva mentito a suo figlio, ma non si era sentita male, perché lo aveva fatto solo per il suo bene. A lei, dell’orgoglio, non importava come a Vegeta.

Le nozze si erano così svolte, come programmato, e la coppia aveva vissuto felicemente per sette lunghi anni.

Ora, Trunks, aveva quattro figli: tutti maschi. Abitava in una lussuosa villetta con vista sul mare. La moglie, dopo il trasferimento a New York, aveva smesso di fare film. Era comunque rimasta in voga: di tanto in tanto partecipava a qualche programma o girava qualche pubblicità. Entrambi, così, avevano potuto crescere i loro figli, rendendoli forti e determinati. Non uscivano spesso di casa, anche perché loro, là, avevano tutto: cinema, palestra, piscina, centro beauty, campi da tennis, campi da pattinaggio, sala giochi… Avevano molti servizi, anche se, con l’arrivo di Trunks, Baloon era stata costretta a licenziare parecchie persone: l’autista privato, la guardia del corpo, la governante, il cuoco… Di queste cose, se ne voleva occupare in prima persona il marito. Si era sentito sempre in debito con la moglie, non poteva non fare niente. Non era da lui.

Purtroppo, con l’arrivo dei figli, aveva perso di contatto gli amici e la sorella al monte Paoz, ma la cosa che più lo addolorava era il fatto di aver lasciato la madre in quello stato.

- Una donna molto, molto testarda!- aveva continuato a ripetere in quegli anni.

L’ultima volta che la era andata a trovare l’aveva vista affaticata, ma felice. Anche suo padre gli era sembrato sereno. Di lui non si preoccupava: sapeva cavarsela.

I suoi figli non avevano incontrato molte volte i nonni. Quando era capitato, però, Vegeta non perdeva tempo ad allenarli, provocando l’ira di Baloon. La donna, infatti, non voleva vederli combattere tra loro: temeva per la loro salute. Baloon era proprio fatta così: si preoccupava sempre troppo. Era una persona educata, gentile, ma allo stesso un po’ vanitosa.. Voleva solo il meglio per la sua famiglia.

 

Era stato così che Trunks si era messo ad occuparsi della casa e dei figli: ma le pulizie non erano mai state il suo forte, come del resto sua madre…

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La luce del giorno lo aveva appena svegliato. Aveva dormito ben dodici ore di fila. Nonostante questo non era affatto rilassato: tremava. Era agitato, ma non sapeva per quale motivo. Ad un tratto si era ricordato dell’incubo che aveva appena fatto: aveva sognato di un attacco alieno, per colpa di cui la Terra era esplosa. Si ricordava di aver assistito al tutto in prima persona: durante i bombardamenti, aveva dovuto trasportare il presidente su di un canotto e lasciarlo in mezzo al mare. Un sogno completamente senza senso. Eppure quel sogno lo continuava a turbare. Riflettendoci su, era arrivato alla conclusione che quell’incubo fosse il risultato di troppe ore passate davanti ai videogiochi del primogenito. Il giorno prima, infatti, aveva dovuto prendere in mano il joystick perché il figlio si era bloccato in quel livello: non riusciva a trasportare quel personaggio, e ogni volta che perdeva, scattava il filmato dell’esplosione. Sorridendo, si era rasserenato, ma c’era ancora qualcosa che lo agitava.

Si girò dall’altra parte del letto ed allungò il braccio per prendere in mano la sveglia. Guardò l’ora: erano le dodici e mezza. Dopo un attimo che servì a farlo ragionare, la saliva gli andò di traverso.

- Sono le dodici e mezza!- urlò all’improvviso. Di scatto, si alzò e corse in direzione della camera dei figli. Non solo non gli aveva svegliati per andare a scuola, ma addirittura da lì a poco sarebbero entrati i giornalisti per un servizio fotografico. La casa era un disastro: biancheria sporca dappertutto, una montagna di piatti da lavare, cartacce per terra, e un odore nauseante dovuto al fatto di non aver portato Doddo, il suo pastore tedesco, fuori alla mattina a fare i bisognini. La moglie gli aveva ripetuto più volte, quella settimana, di stare attento, ansiosa che qualcosa andasse storto.

- Giù dal letto, lavatevi i denti e mettetevi su lo smoking! La colazione salta!!!-

Nessuno aveva risposto.

- Giù dal letto, ragazzi! Muovetevi!- aveva continuato il capo famiglia.

Ma tutti erano immersi nei loro sogni.

Baloon aveva passato la notte a Las Vegas per girare un documentario. Era normale che, in assenza della moglie, Trunks lasciasse tutte le faccende all’ultimo momento, ma non avrebbe creduto fino all’ultimo minuto!

Dopo aver buttato giù dal letto i quattro marmocchi, Trunks si era avviato a prendere una scopa. Dalla fretta, non aveva sentito che qualcuno, alla porta, aveva suonato: il figlioletto più piccolo era andato ad aprire. Lo spettacolo che avevano immortalato i giornalisti sul quotidiano il giorno dopo aveva registrato i record di incassi. Trunks, per di più, era stato fotografato in mutande. Con stupore del giovane, il mattino seguente, nella buca della posta, aveva trovato diverse offerte per posare nudo, ma ovviamente tutte rifiutate.

La moglie, venuta a sapere, lo aveva buttato temporaneamente fuori di casa. Trunks era così andato a trovare i suoi genitori nel deserto. Un bel incontro ricco di emozioni. Ai suoi, il ragazzo aveva portato diverse cose da mangiare e alcuni oggetti che avrebbero potuto vendere. Gran parte delle cose erano regali dei fun alla moglie, ma a casa erano talmente pieni, che li avrebbero buttati via. Aveva perciò pensato di donarglieli. Dopo un intenso saluto, Trunks tornò a casa, ignorando il fatto che non gli avrebbe mai più rivisti.

 

 

Ciao, sono Milk 92. Volevo ringraziarvi per tutte le recensioni. Vi prego, continuate a darmi il vostro parere e i vostri consigli, così da poter migliorare.

Questa capitolo spiega il motivo per cui Trunks, ricco come era, non ha aiutato i suoi genitori. Mi scuso se non è stato di vostro gradimento.

Milk 92

 

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Capitolo 4
*** Goten e Marron ***


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Sui monti Paoz, la vita proseguiva spensieratamente.

A casa di Goten regnava il silenzio assoluto. Sebbene fossero le tre di pomeriggio, moglie e figli dormivano profondamente. L’escursione mattutina aveva dovuto sfinirli. L’uomo di casa non provava simili attimi di pace da quando la moglie lo aveva avvertito di aspettare un altro figlio. Quella era stata una notizia scioccante. Non era che non ne volesse più avere, al contrario. Ma il carattere di Marron cambiava radicalmente sotto stress, soprattutto durante una gravidanza. Nei fatidici nove mesi, assomigliava in tutto e per tutto alla propria suocera: fredda, seria, dura e difficile. Alcune volte ridiventava improvvisamente dolce e tenera: momenti che duravano troppo poco e che accentuavano lo sguardo glaciale che assumeva subito dopo. Le scuse della donna erano che, così facendo, non avrebbe sofferto da sola. Goten ci era già passato due volte, non sapeva se sarebbe sopravissuto anche alla terza. Doveva quindi approfittare della quiete per prendere un respiro. Sapeva che quando la giovane si sarebbe svegliata, sarebbe ritornato a patire le sue lamentele. Avrebbe potuto uscire di casa, andare a divertirsi con gli amici, ma la verità era che anche lui era stanco, non tanto da addormentarsi. Si era così accostato alla porta a fissare la moglie: la donna era distesa sul letto, sotto le coperte. Aveva i capelli completamente spettinati e aveva assunto una posa assolutamente ridicola. Nel vederla, Goten aveva sorriso. Non riusciva a non pensare come fosse rimasta sempre così bella. Il pancione di tre mesi cominciava a farsi notare. Si domandava di che sesso fosse il nascituro: aveva già avuto sia una femmina che un maschietto, quindi gli era del tutto indifferente. Sperava solo che fosse un angioletto come gli altri due.

Ad un tratto, un rumore assordante proveniente dall’esterno aveva scosso la moglie. Goten sussultò. Se quella bisbetica di vicina non avesse finito di suonare quel maledetto clacson, la donna avrebbe aperto gli occhi. Doveva impedirlo ad ogni costo. Sgusciò così fuori casa a super velocità.

- Mi scusi, la mia famiglia starebbe riposando.- Si rivolse alla vicina.

- Sogni d’oro allora.- Rispose irritata la signora.

- No, lei non capisce. Ci sta disturbando!-

- Qualcuno mi ha bloccato l’uscita. Devo andare al mercato. Fino a che il proprietario non la sposta, sono bloccata qui.- Detto questo, la vecchietta aveva ripreso a suonare.

La macchina che ostruiva il passaggio non era di nessuno che il ragazzo conoscesse. Nervoso, Goten aveva abbandonato tutti i principi etici che la madre gli aveva sempre insegnato: si avvicinò alla quattro ruote, la alzò sulle sue spalle e la pose poco distante. La vecchietta, orba come era, non aveva visto nulla: era preoccupante che avesse ancora la patente!

- Ecco qua, il passaggio si è liberato, buona giornata- Aveva detto tranquillo, dirigendosi verso casa. Ma un uomo in divisa lo aveva fermato.

- Alto là, mani in alto!-

- Shhh! Da quando in qua questo quartiere è diventato così rumoroso?-

- Mani in alto, non glielo ripeto più!- Aveva ripetuto il poliziotto.

- D’accordo, ma qualsiasi cosa si tratti andiamo a parlare dall’altro lato della strada, sa, mia moglie dorme!- Aveva risposto con un sorriso, ignaro che fosse nei guai.

- Lei ha violato la legge, la dichiaro in arresto-

- In arresto? Mi scusi, ma cosa avrei fatto?- Aveva domandato sorpreso il giovane.

- Ha spostato la mia auto! L’arresto con l’accusa di furto e saccheggio.-

- Ma io non ho rubato nessuna…- Aveva cominciato a dire, quando una voce femminile venne in aiuto.

- Cosa sta succedendo ?- Aveva domandato la cognata, conoscendo già tutti i fatti.

- V-Videl? Cosa ci fa in questa zona?- Aveva domandato stupito il poliziotto.

- Ci abito. Cosa ha combinato Goten?-

- Lei conosce questo criminale?-

- Si! È uno di famiglia, e mi creda quando le dico che è un tipo apposto.-

- Di famiglia? - Aveva domandato, timoroso che il grande Mr Satan si sarebbe arrabbiato con lui per aver arrestato un suo parente. - Ma ho visto con i miei occhi che ha rubato la mia auto!-

- Ed io con i miei che ha aiutato una povera anziana. Se lei avrebbe parcheggiato dove avrebbe dovuto, tutto questo non sarebbe mai successo- Aveva rimproverato la donna.

- Si… Ha ragione- Aveva risposto imbarazzato il poliziotto. – Mi scusi ancora… signor?-

- Son Goten – Aveva sussurrato per fare il meno rumore possibile.

- Arrivederci signor Son. Videl, saluti suo padre da parte mia!-

Andato via l’agente, e dopo aver ringraziato la cognata, Goten si era nuovamente avviato verso casa. Teneva le mani congiunte, pregando che la moglie non si fosse svegliata con tutto quella confusione. Appena entrato, aveva preso a volare. Non voleva fare alcun rumore. Più si avviava verso la rampa di scale che conduceva alla camera da letto, più il cuore gli batteva forte. La moglie, quando era arrabbiata, sapeva ben spaventarlo. Era capace di nascondersi e sbucare all’improvviso quando meno se lo aspettava. Avanzava così lentamente, con gli occhi spalancati per aver una visuale completa di ciò che lo circondava. A prima vista non c’era nessuno. Ma sapeva che la moglie era una maga nel gioco del nascondino.

Era appena arrivato al piano superiore quando

- Miaaaaaaaaao, miaaaao! -

- Gatìco, shhh. Non rompere adesso. – aveva sussurrato il padrone.

- Miaaaaaaao! – continuava il cucciolo di casa -

Rassegnato, Goten era sceso a terra e aveva cominciato ad accarezzare quella piccola palla di pelo.

- Brrrr, brrrrrrrrrr-

- Furbetto, fai le fuse adesso – Goten si era messo a fissare il gattino di appena due mesi. Gli occhi del cucciolo nascondevano così tanta tenerezza. Gli aveva ricordato quelli di sua moglie qualche tempo prima. All’improvviso aveva spalancato gli occhi: si era completamente dimenticato che doveva stare in allerta.

- Ecco qua, adesso va a dormire sul divano – Aveva detto il padrone alzandosi nuovamente in volo.

- Miaaaaao!- Aveva continuato la creatura.

- Gatìco, comportati bene -

- Miaaaaao, miaaaaaaaaaaaaaao!-

- Shh! Va bene, vieni con me – Aveva risposto, prendendolo in braccio – Ma silenzio!-

- Brrrrrr, brrrrrrr -

Goten si era rimesso in volo e aveva continuato ad avanzare verso la camera, ma il destino aveva voluto che sbattesse la testa contro il lampadario.

BUM

- Ahi!- aveva appena sussurrato, mordendosi la lingua per non urlare.

-Miaaaao!!!- Gatìco si era spaventato e aveva tirato fuori le unghie.

- Ahiiaiaiaiaia!!- Tale e quale la tua padrona, un demonio! – Si era lasciato scappare, lasciando cadere a terra il povero gattino.

- E così io sarei un demonio?- La voce ghiacciata della moglie lo aveva paralizzato.

- T-tesoro mio! Ti sei già svegliata? Hai dormito bene?-

- Mi sono dovuta svegliare perché tuo figlio piangeva e tu non eri a casa. Dove sei andato? Di nuovo con i tuoi colleghi?- La voce di Marron cominciava a farsi sempre più lugubre.

- No, amore mio!- Aveva cominciato a sorridere – Ero uscito perché una signora…-

- Ho sete! – Lo aveva interrotto Marron.

- Ti preparo qualcosa io, se vuoi –

- Ma certo che me lo prepari tu! Lasceresti una povera donna in difficoltà a lavorare?- Aveva domandato seriamente la donna.

- Certo che no, ma prendere un bicchiere non è…- Aveva iniziato a dire, ma la moglie lo aveva di nuovo zittito.

- Muoviti! Intanto io ritorno in camera!-

Goten, abbattuto, aveva preso ad andare in cucina. I suoi attimi di pace, ma allo stesso tempo di inquietudini, erano finiti. Forse non avrebbe più provato quei momenti fino alla nascita del bambino: la moglie era sempre sveglia e dormiva solo quando anche lui riposava. Inoltre non poteva andare via qualche giorno perché la donna non glielo lasciava. Era condannato per altri sei mesi. Se avesse potuto, il giovane avrebbe senza dubbio messo un sonnifero nel bicchiere che doveva portarle, ma non sapeva se quello avrebbe fatto male al bambino. Era con le mani legate.

Prima di portare la bibita a destinazione, Goten si era fermato a coccolare Gatìco.

- Scusa per prima, non volevo farti cadere e offenderti – Si era rivolto con voce infantile.

- Brrrr, brrrrrr- Aveva iniziato il cucciolo.

Dopo un paio di minuti, Goten aveva ripreso a salire le scale. Con grande stupore, Goten aveva notato che Marron si era riaddormentata. Che Dende avesse ascoltato le sue preghiere?

Tutto sembrava tacere, e Goten si stava per distendersi sul divano, quando

- Papà!! Mamma! – la voce del figlioletto più piccolo aveva iniziato a disturbare il silenzio della casa.

Non poteva permettere che la donna si svegliasse. Non di nuovo. Altro che sua madre, sua moglie sotto tensione era di gran lunga peggio. Menomale che Marron, in condizioni normali, era una persona che si infastidiva molto raramente. Goten non aveva potuto che ringraziare Dende per quello.

Aveva così preso a correre verso la camera dei figli.

- Sempre ad urlare. Mi romperai il timpano uno di questi giorni – Si lamentava la figlioletta di sei anni.

- Ma io ho fame!- continuava il figlio di quattro – Mamma! Papà!-

Goten era arrivato nella stanza.

- Cosa succede?- Aveva chiesto preoccupato.

- Ho tanta fame papà!-

- A chi lo dici! Ma ora la mamma sta riposando, quindi la cucina è chiusa-

- Weeee, io ho fame!- Aveva preso in un pianto disperato.

- No, dai… scherzavo… D’accordo ti vado a prendere una pizza -

A sentire il termine pizza, gli occhi del figlioletto avevano iniziato a brillare. Quegli occhioni innocenti gli aveva già visti nel gatto poco prima. Erano quelli di Marron. Era proprio incredibile: fisicamente i bambini avevano preso quasi tutto da lei. Da Goten solo il naso.

- Allora vado, ma voi due continuate a riposare. Non voglio che disturbiate vostra madre, mi posso fidare?-

- Si, ma muoviti, ho fame!- Aveva risposto impaziente il figlio più piccolo.

- Vai tranquillo papà. Ci penso io a lui- Lo aveva rasserenato la primogenita -

La ragazzina, di soli sei anni, era molto matura per la sua età. Era una brava figlia ed una saggia sorella. Era molto carina. I suoi riccioli d’oro si alternavano a boccoli di color più scuro. Era di statura alta, si deduceva quindi che non avesse preso dal nonno materno ma da quello paterno. Il ragazzino, invece, si dimostrava ancora del tutto immaturo. Aveva bisogno di continue attenzioni, ma a parte questo rimaneva abbastanza tranquillo. Portava i capelli corti e spettinati. La cosa che più lo contraddistingueva dagli altri bambini era il suo stomaco senza fondo. A parte quello, era una fotocopia della sorella.

Dopo essere uscito dalla loro cameretta, Goten aveva ripreso a levitare. Doveva fare il più in fretta possibile. Marron gli aveva esplicitamente proibito di dare di nuovo la pizza ai figli: quella infatti sarebbe stata la quinta volta in una settimana. Intento a guardarsi dietro, non aveva visto che stava andando contro il muro.

- Papà attento!- Aveva gridato la figlioletta.

Goten si era girato, ma ormai era andato a sbattere contro la parete. Il colpo si era propagato per un paio di metri, e così, il quadro appeso poco distante dall’urto aveva iniziato ad oscillare.

- Cosa ci fai fuori dalla tua stanza? Non mi avevi dato la tua parola che non saresti uscita?- Aveva chiesto sottovoce un Goten dolente.

- Dovevo andare in bagno – Aveva appena bisbigliato, a modo del padre.

- Adesso vado a prendere da mangiare -

- Va bene, ma fa presto, è venuta fame anche a me!-

- Veloce come un fulmine, ma mir’accomando: acqua in bocca con tua madre!-

- Certo, ciao papà – Aveva salutato con un sorriso.

In quel momento, il chiodo che sosteneva quel quadro traballante aveva ceduto. Una catasta di vetri si era depositata sul pavimento, graffiando la foto di famiglia a cui Marron ci teneva tanto. Goten era rimasto impietrito. Continuava a guardare la foto frantumata da una valanga di vetri. La figlia era corsa in stanza, avvertendo che la madre si era svegliata.

- Goten? Ragazzi? Cosa è successo?- Aveva domandato la donna preoccupata.

Goten non riusciva a rispondere. Se usciva immediatamente dalla casa la moglie lo avrebbe rimproverato, ma almeno non lo avrebbe ripreso per la foto. Così facendo, avrebbe fatto credere che la colpa fosse dei bambini: tanto, per quanto adirata, Marron non se la sarebbe mai presa con i figli. Aveva quindi deciso: se doveva essere punito, doveva cercare di ricevere la pena minore. Aveva così iniziato a volare in direzione della porta. Marron, intanto, si era alzata e, armata di scarpe col tacco, aveva iniziato a correre in direzione della catastrofe. Il marito, arrivato all’ingresso della casa, aveva trovato la porta chiusa a chiave. Inserita velocemente la chiave nella serratura, aveva iniziato a girare. Marron, avvertendo che qualcuno stava aprendo la porta, aveva preso a scendere le scale.

TOC. Goten aveva girato la chiave una volta. La porta però era ancora chiusa. La giovane, nel frattempo, era arrivata al piano terra.

TOC. L’uomo aveva ruotato la chiave una seconda volta, ma il passaggio continuava ad essere bloccato. La moglie stava percorrendo il corridoio al pianterreno.

TOC. La porta era ancora chiusa. Goten, sentendo Marron avvicinarsi, aveva cominciato a pensare di buttare giù la porta. Per sicurezza, comunque, aveva girato la chiave un’ultima volta.

TOC. Libertà. La porta era ormai aperta. Goten stava per prendere il volo. Se Marron avrebbe chiesto spiegazioni su chi avesse aperto la porta, il giovane avrebbe dato la colpa ad un vandalo immaginario. Tutto sembrava finire bene, ma l’uomo non aveva fatto i conti con la velocità della donna.

- Son Goten!- aveva urlato la moglie.

- S-si tesoro?- Aveva risposto timoroso il marito.

- Dove credi di andare?- Aveva detto, portandosi le braccia ai fianchi.

- I-io? Da nessuna parte.. ihhi…-

- Allora perché hai aperto la porta di casa?-

- Be…Volevo vedere quante volte era chiusa a chiave- La moglie continuava a fissarlo negli occhi – …E adesso so che erano quattro volte!- Aveva continuato Goten, mettendosi una mano dietro alla testa.

- Sono le quattro e mezza: i bambini avranno fame. Non dirmi che stavi andando a comprare una pizza. Questa settimana è la quinta volta che sfami le loro bocche di pomodoro e mozzarella!-

- Ma no… Cosa vai a pensare…-

- Cosa è successo al quadro?- Aveva domandato con una voce demoniaca.

- Il q-quadro? Di che quadro parli?- Aveva chiesto inquieto.

La donna continuava ad impugnare le scarpe col tacco. Lo sguardo tetro della moglie lo aveva fatto trasalire. Quando per Goten sembrava la fine, un sorriso smagliante si era fatto strada nel viso della donna. Goten, sorpreso, non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

- Quella foto era comunque da scartare. Con l’arrivo del bambino, ne avremmo fatta un’altra – Aveva detto la moglie con tono soave.

Anche Goten aveva preso a sorridere. Marron era ritornata lucida: una persona amabile e dolce come prima della gravidanza. Anche se il giovane sapeva che sarebbe durato poco, non poteva che esultare.

- Sono contento che la pensi così. Mi dispiace se l’ho fatta cadere, non l’ho fatto a posta -

- Lo so, sei peggio di un bambino in queste cose, ti conosco!- Aveva risposto continuando a sorridere.

- Vieni con me – Aveva detto Goten porgendo una mano alla moglie.

- Dove mi porti? –

- Nel tuo mondo – Aveva risposto il giovane. I lunghi capelli biondi di Marron e i suoi modi di fare, in quel momento, la facevano sembrare un angelo, e un vero angelo volava nel cielo.

- Bambini, scendete!- Gli aveva chiamati il padre.

- Hai già preso la pizza?- Aveva chiesto il figlioletto più piccolo.

- Shh! Chiudi la bocca, non ricordi cosa ha detto papà? – Gli aveva sussurrato la sorella.

- Allora avevo ragione!- Affermò Marron.

- Ehm…- Aveva preso Goten.

Dopo un’intensa risata che aveva coinvolto l’intera famiglia, Goten aveva chiamato la nuvola Speedy, la stessa che molti anni prima Gohan gli aveva donato. Con la figlia in braccio a Goten, e il figlioletto tra le braccia di Marron, la nuvola aveva preso a salire in alto nel cielo. Tenendosi forte al marito, Marron guardava dall’alto lo straordinario paesaggio che la attorniava. Anche i bambini ammiravano spensierati la natura. Goten non era mai stato così felice: erano quelli i veri attimi di pace che aspettava da tre lunghi mesi. Sapeva che sarebbe stata dura i rimanenti sei mesi, ma per riprovare quegli istanti, avrebbe fatto di tutto. Inoltre, quando gli avrebbe rivissuti, una nuova creatura sarebbe entrata nel suo cuore: il bambino che adesso era in grembo a Marron. Ma Goten avrebbe mai conosciuto quel bambino?

 

 

Ciao, sono Milk 92. Questo capitolo continua a raccontare della classica giornata di uno dei protagonisti. Il vero sviluppo della storia inizierà tra un paio di capitoli. Cercherò di aggiornare il prima possibile. A presto, ciaoo!

Milk 92

 

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Capitolo 5
*** Pan e Bra ***


ciaooooo

 

Poco distante dalla casa di Goten, Pan e Bra stavano sedute in cucina.

La prima aveva trovato un ottimo partito che aveva accettato di buon grado la sua indole combattiva. Difatti la giovane non aveva avuto fortuna con i ragazzi precedenti a causa della sua forza. Dylan, il marito, era un giovanotto della sua stessa età, dal carattere allegro e affettuoso, che non negava mai una vagonata di coccole. Dopo un anno di matrimonio aveva avuto, senza programmare nulla, due splendidi gemelli, Oscar e Farah, che avevano portato tanta felicità in casa Son - Grent. La vivacità era la loro caratteristica più evidente, ed erano identici fisicamente, con i capelli color verde scuro ereditato dal padre, tranne per il colore degli occhi. La femmina li aveva di una splendida tinta ambrata, mentre il maschietto di un rubino rosato. Nonostante avessero solo tre anni, avevano già imparato l’arte del volo, anche se per soli pochi metri.

Bra invece, dopo il divorzio, si era recata dall’unica persona sua amica in grado di mantenerla. Non aveva mai lavorato, vivendo di rendita, ma solo dopo la perdita di tutto il suo patrimonio aveva capito l’importanza del denaro. Continuava ad essere disoccupata, ma per Pan era un affare, visto che l’amica poteva tranquillamente occuparsi dei suoi bambini durante il lavoro. Il parco naturale, aperto da Videl e Gohan, aveva dato lavoro a Pan e a Dylan, che si occupavano continuamente di animali. Questo lavoro permetteva ai due novelli sposi di portare con se i figli, ma quando non potevano seguirli, i piccini rimanevano a casa con la Brief, chiamata con affetto zia. Quest’ultima era si contenta, ma leggermente seccata dal doversi occupare delle due pesti. Comunque non osava fiatare ad ogni richiesta dell’amica, perché Pan le aveva dato tanto e non se la sentiva di deluderla. Sebbene l’allegria della famiglia Son – Grent, il suo umore continuava a rimanere a basso livello a causa del divorzio. E di questo Pan si accorse molto presto.

- Ti va di passare una giornata solo noi due? – chiese la mora, mescolando con un cucchiaio la tazza di caffè fumante.

- Cosa? – chiese Bra, persa nei suoi pensieri.

L’altra sospirò, sorridendo per la distrazione dell’amica.

- Ho chiesto se vuoi che un giorno di questi facciamo qualcosa solo io e te. – ripeté.

Esultante, rispose di si. Era contenta di levarsi dalla testa Charlie, l’ex marito. E un po’ di tempo passato in compagnia della migliore amica l’avrebbe rinvigorita.

La porta si aprì, e le urla allegre dei bambini perforarono le orecchie delle due sayan.

- Maaaaaaaaammaaaaaa! – strillò Farah. Oscar la imitò.

- Sono qui! – disse Pan alzandosi ed andando incontro alle tre gioie della sua vita. Abbracciò i due piccini, e diede un bacio al marito. Dylan andò in cucina, e salutò Bra con due baci sulle guance.

- Come va? – chiese cortese la ragazza, sentendosi un intrusa in quella famigliola.

- Bene, grazie. Ho portato i bambini al parco, ma poi Oscar ha iniziato ad atteggiarsi da bulletto e ho dovuto portarlo a casa. -

L’altra annuì, guardando Pan entrare nella stanza con i figli arrampicati su di lei. Impacciata, li buttò sul piccolo divano presente ed iniziò a fargli il solletico. Le risate isteriche dei bambini coprirono il silenzio che seguì la loro entrata.

Dopo qualche minuto, quando i bambini acconsentirono a fare il bagno, le due ragazze salirono al piano di sopra, e portarono nella vasca i gemelli. Mentre li lavavano, discutevano sul posto dove andare.

- Potremmo andare in una beauty farm! – propose Pan.

- Oppure potremmo andare a trovare mio fratello! – disse emozionata solo al pensiero Bra.

L’altra annuì, sapendo quanto era importante per l’amica rivedere i suoi familiari. Si alzò, asciugandosi le mani, e andò ad avvertire il marito della loro gita.

Bra rimase sola con i gemelli. Afferrò il braccio esile della femmina per insaponarglielo, ma Oscar approfittò dell’attimo di distrazione per lanciare la saponetta in faccia. Esterrefatta dal gesto del bambino, prese tra le mani la sua testolina ed iniziò a scuoterla.

- Ahia! – urlò il piccolo sotto le risate della sorellina.

- Smettila, Oscar, ti sto semplicemente lavando la testa! – sbottò infuriata la donna.

Quest’ultima non riuscì a scorgere le braccia della bambina, e si trovò fradicia dai suoi schizzi.

La mano sinistra si appoggiò sulla testolina verde di Farah, ed iniziò a scrollarla come faceva con il maschietto.

Richiamata dalle urla dei suoi adorati figli, Pan entrò in bagno. Dopo aver capito la situazione, disse con tono beffardo

- Non sapevo che anche tu volessi farti il bagno! -

Poi prese un asciugamano, e lo lanciò sulla testa azzurra dell’amica. Ne prese altri due, con cui circondò i bambini tirandoli fuori dall’acqua, e li appoggiò nel fasciatoio. Poi si rivolse a Bra, vedendola infuriata.

- Mi dispiace, lo so che questi due – e indicò i bambini – sono delle pesti, ma il segreto è non dargli corda! -

- Per te è facile, sembri nata per essere mamma. Ma ero assente quando distribuivano il gene della maternità. – disse scoraggiata l’altra.

Ridendo, Pan sollevò i figli e li portò nella camera per vestirli, seguita dall’amica.

- Sorridi pensando che domani rivedrai il tuo fratellino! – le ricordò la mora.

Sorridendo, Bra annuì.

La cena, preparata da Dylan, la consumarono con la solita calma, rallentata dalla confusione che i gemelli facevano.

Dopo aver messo a letto i bambini, le due amiche andarono a dormire, pronte per la partenza del giorno dopo.

All’alba, le due erano pronte per intraprendere il volo, lungo poco meno di mezz’ora. Pan era sollevata nel vedere Bra allegra e sorridente come era prima del matrimonio. Dal canto suo, Bra era molto felice di poter riabbracciare il fratellone, anche se avrebbe dovuto rivedere anche i suoi figli.

Arrivate, si diressero subito a casa di Trunks. La villetta spiccava tra le altre per la sua eleganza. Suonarono al campanello per gentilezza, dato che Baloon non si era ancora abituata a vedere la gente volare, ma appena Trunks sbucò fuori dalla porta, Bra scavalcò senza problemi il cancello e si buttò tra le sue braccia. Pan attese l’apertura dell’ inferriata, entrò e strinse la mano dell’attrice. Dopo che Trunks ebbe mollato la sorella, abbracciò Pan, che negli anni era diventata anche la sua migliore amica.

- Entrate! – ordinò l’uomo. – I bambini sono nel retro, andiamo a salutarli! -

Appena i quattro bambini avvistarono la zia, le corsero incontro e l’abbracciarono. Il più grande, Isaac, di sei anni, fu il primo a stringerle la vita. Con orrore, la donna si accorse che le sue deliziose braccia erano coperte di fango, ed anche gli altri tre non furono da meno.

Dopo averli scansati, si rivolse al fratello.

- Ma che bei bambini! – disse ipocrita, sorridendo.

Pan rise di questa sua affermazione, sotto lo sguardo confuso dei padroni di casa.

Dopo varie battutine, i tre si ritrovarono a scherzare come ai vecchi tempi dopo che Baloon si era allontanata per inseguire il figlioletto che stava andando dritto nella melma. I ricordi erano riaffiorati, e in quel trio mancava solo una persona.

- Peccato che non c’è Goten… - esclamò Trunks. – Non lo sento da un po’ di tempo, è sempre indaffarato con Marron e con i figli. Avete sue notizie? -

- Io l’ho sentito ieri, dice che Marron diventa molto cattiva durante la gravidanza. Lascia che ti racconti…– iniziò Pan.

Continuarono a parlare e spettegolare per un po’ di tempo, e dopo il pranzo, gentilmente preparato dalla padrona di casa, i tre continuarono a divertirsi.

La sera si dovettero salutare, e dopo baci e abbracci le due ragazze presero il volo per il ritorno.

Almeno per loro la vita scorrerà tranquilla fino alla fine…

 

 

 

Ciao, sono Milk 92, accompagnata da Sirene Chan, che da questo capitolo in poi mi aiuterà con la storia. Questo capitolo è tutto sommato inutile, ma serve a rendere l’idea della tranquillità della vita di Bra e Pan.

Ditemi cosa ne pensate, e grazie per aver letto.

Milk 92

 

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Capitolo 6
*** Chichi e C18 ***


bbeerwwwq

 

La giornata era l’ideale per i lavori casalinghi. Il sole picchiava sulla testa, ma il delizioso venticello impediva alla donna di accaldarsi troppo. Il bucato era sempre stato per lei il lavoro più impegnativo, mentre prendersi cura dei suoi bambini non le pesava affatto. Ma i suoi piccini ormai erano cresciuti, e non avevano più bisogno della mamma.

I lavori da portare a termine erano finiti, e Chichi approfittò del momento di pausa per andare a rilassarsi in riva al lago. Dopo pochi minuti di camminata nel verde, scorse l’acqua cristallina e sorrise al pensiero che quel posto era il luogo preferito del marito e del primo figlio quando quest’ultimo era ancora un ragazzino. Andò a sedersi alla riva, e dopo essersi tolta le scarpe infilò i piedi nell’acqua ghiacciata. Il freddo le fece scorrere un brivido per la schiena, ormai indolenzita dalla fatica che si sente ad una certa età.

Gli anni erano passati per tutti. La bambina di Gohan, Pan, era ormai cresciuta, e aveva regalato ai genitori la gioia di essere nonni. I piccoli erano dei diavoli, ma ricordavano a Chichi un po’ tutti i membri della famiglia Son, che da piccoli erano a dir poco vivaci. Sia il primogenito che Goten erano stati dei bambini allegri, anche se uno era più riflessivo. Senza parlare di Goku; l’esuberanza fatta a persona. Adorava combattere, si può dire che era la sua vita. L’esistenza del sayan era divisa tra la famiglia e la lotta, praticata per salvare il mondo o anche solo per divertimento durante i tornei Tenkaichi. Chichi ricordava ancora la volta che, molti anni prima, avevano combattuto l’uno contro l’altra, quando la sua identità era nascosta. Sorrise, pensando a quei bei tempi, dove era giovane e con ancora il marito accanto. Una lacrima le scese sulla guancia. Il suo uomo non le stava vicino da molto tempo, ormai. Era da molti anni che l’unico posto dove poteva incontrarlo era nei sogni che faceva alla notte. Sognava, desiderava poter essere di nuovo stretta dalle sue braccia forti, ma tutto ciò rimaneva una fantasia, con grande tristezza da parte della donna.

Un soffio di vento appena più forte degli altri le fece ondeggiare i capelli davanti al viso, e voltò leggermente la testa per rimetterli al loro posto. In quel momento, scorse una figura familiare appena poco lontana da lei. Camminava lentamente, traballava appena, e le veniva incontro. Chichi asciugò la lacrima che era rimasta ingombrante sull’occhio, e tornò ad osservare l’acqua del lago aspettando con calma l’arrivo della figura. Dopo qualche secondo, girò appena lo sguardo per vedere a che punto si trovasse la persona, e la vide pochi metri lontana da lei, con il volto rivolto all’erba. Stava piangendo.

- Posso sedermi qua? – chiese con voce tremante.

Chichi annuì appena, osservandola in viso. Come lei, le era comparsa qualche ruga nel volto perfetto, ma restava pur sempre una bella donna. I capelli biondi le circondavano il viso affranto in modo da farla sembrare angelica, anche se chi la conosceva bene sapeva che il carattere non aveva niente a che vedere con gli angeli.

Sedute una accanto all’altra, le amiche rimasero in silenzio. C18 si era costruita una casa accanto a quella di Chichi, e questo aveva fatto si che tra loro nascesse un’ amicizia abbastanza profonda. Il genio delle tartarughe aveva assistito con disperazione al trasferimento della famiglia di Crilin, il suo fidato allievo. Le continue avance dell’uomo verso la bionda aveva fatto crescere una tale rabbia dentro di lei da porre un ultimatum al marito. O Muten o lei. La risposta sembra piuttosto ovvia.

Oltretutto, ad unire le due signore era stato anche il matrimonio tra i due figli, senza contare il fatto che Chichi, sebbene vivesse vicino a Gohan, abitava da sola.

Continuavano ad osservare il fluire dell’acqua, immerse nei loro pensieri. Lo scorrere della corrente le rilassava a tal punto da dimenticarsi del mondo circostante, da abbandonare il luogo in cui si trovavano, i monti Paoz, e di trasferirle immediatamente nella loro mente, tra i loro ricordi. Era quasi magico il modo in cui erano sparite mentalmente dalla realtà. Sembravano in uno stato di trans, erano come due statue di marmo, coperte da un sottile strato di pietra lucida, che permetteva loro i più impercettibili movimenti, ma che impediva la comunicazione col mondo reale.

Ma il silenzio, all’inizio gradevole, iniziò a diventare troppo pesante per la mora, che lo spezzò con tono malinconico.

- Questo lago è stato teatro di molte giornate, per la mia cara famiglia. – mormorò.

L’altra restò in silenzio, senza vero interesse per quelle parole.

- Il mio Gohan, pochi giorni prima del cell game, è venuto qui a rilassarsi, e devo ammettere che aveva completamente ragione. È un posto veramente tranquillo, rilassante. Triste. – una lacrima le solcò il viso. Poi notò quello dell’amica, completamente bagnato da goccioline che scendevano dagli occhi. Chichi allungò la mano, e con un gesto delicato asciugò il viso di C18, che si scosse, come se si fosse svegliata appena in quel momento da un sonno eterno.

- Dobbiamo essere fiere dei nostri bambini, sai? Sono dei ragazzi stupendi. – sorrise la mora.

- Mi hanno detto che Marron, quando è in gravidanza, mi assomiglia molto. – sussurrò per la prima volta la bionda, con un ghigno in volto.

L’altra rise, sapendo bene che ciò che aveva appena detto corrispondeva alla realtà. Poi si voltò verso l’amica, sempre sorridendo.

- Goten invece non mi assomiglia per niente. È tutto suo padre, esuberante e disordinato come lui. – poi il sorriso scomparve, ripensando al marito. Si voltò velocemente verso il lago, cercando di impedire all’amica di vedere la disperazione silenziosa sul suo volto. – E’ bello che al mondo ci sia una persona che me lo ricordi con tanta facilità. Non voglio dimenticarlo. Non voglio neanche ammettere la sua scomparsa, perché sarebbe come accettare il suo allontanamento. Non voglio, non posso neanche parlarne; se lo faccio, i sentimenti che provo per lui diventerebbero ricordi. E io non voglio, C18, non voglio che il mio amore sia solo un ricordo. È la mia vita, io vivo grazie a quell’ emozione. – alzò lo sguardo, quasi determinata. Fissò l’orizzonte, alto sulle montagne.

- E’ tanto dura per te vivere senza Goku? – chiese triste il cyborg.

L’altra sorrise, iniziando a piangere.

- Non sai quanto. Cerco di farmi forza, giorno dopo giorno, ma è difficile. Ho dedicato la mia vita a lui e ai nostri bambini. È come vivere senza la mia anima. Sono un inutile contenitore vuoto. Chi mi riempiva oramai non c’è più. -

L’altra si coprì il volto con le mani affusolate.

Chichi si voltò, asciugandosi le gote, e scrutò l’amica.

- Come sta Crilin? – chiese comprensiva, intuendo qualcosa.

L’altra ebbe un fremito, poi staccò le mani dal viso e se le mise in grembo, guardando con occhi vuoti l’acqua azzurra.

Dopo qualche attimo di silenzio, aprì la bocca.

- Sta male. Sta molto male. – disse, con voce abbattuta.

L’altra, non sapendo che dire, aspettò che l’amica continuasse il discorso.

- E il peggio è che, se dovesse scomparire – e a quella parola, la faccia ebbe un lampo di tristezza – io non potrei più rivederlo. Sono un cyborg: io non muoio, mi spengo. -

Chinò nuovamente il volto, ma Chichi le si avvicinò di più, circondandola con le braccia.

- Ma ti ricordi che Cell è andato all’altro mondo nonostante fosse un cyborg come te? Vedrai, tu riuscirai ad andare in paradiso! – tentò di confortarla. Con un singulto, l’altra rispose.

- Cell era diverso. Era una cellula, era vivo ed aveva in un modo o nell’altro un anima. Io, anche se ho un corpo umano, nel cervello ho delle rotelle. Non ho uno spirito, ma una macchina all’interno di me. Se anche dovessero mandarmi da qualche parte che non sia su questa Terra, mi manderebbero in un posto diverso da Crilin. – Le lacrime scesero copiose. – Lui è troppo buono, io sono stata cattiva in passato. Non merito di stare con degli angeli come lui. –

Chichi strinse forte l’amica. Aveva bisogno di tutto l’appoggio possibile.

Poi C18 tornò a parlare, con voce assente ed infelice.

- La vera C18, l’umano che ero prima che il dottor Gelo mi trasformasse nel mostro che sono diventata, è già finita nell’aldilà quando i meccanismi hanno preso possesso della mia testa. Crilin conoscerà la vera me stessa, nell’altro mondo. La me stessa che non esiste più da troppo tempo. -

Chichi fece una smorfia, sempre abbracciando la donna.

- Crilin ama te, il cyborg teppista nonché la meravigliosa donna che sei diventata, e non la C18 in forma umana. Quella è completamente un’altra persona, e lui si è innamorato solo ed unicamente di te. Inoltre non gli interessano le cose brutte che hai fatto, quell’uomo è un angelo proprio per il fatto che non bada a quello che è successo in passato, ma guarda avanti vedendo solo quello che si può diventare, scorgendo solo il buono di ogni persona. Ha visto i tuoi lati migliori, e ti ha amato per quello che eri. Ha riconosciuto i tuoi difetti, ma li ha accettati con amore, senza pregiudizi. Lui ti ama, se no non sarebbe ancora al tuo fianco. – l’altra tornò a piangere, più sconvolta di prima. – E vedrai, ama troppo te e Marron, non si farà abbattere così facilmente da una malattia. -

C18 e Chichi rimasero li, in riva al lago, in silenzio. Durante quella quiete però entrambe percepirono la presenza l’una dell’altra, ed il sentimento che per un periodo di tempo le aveva intristite le abbandonò definitivamente: la solitudine non sarebbe più tornata a far loro visita.

 

 

Ciao a tutti. Sono Milk 92. Innanzitutto volevo ringraziarvi di tutte le recensioni.

Con questo capitolo ho voluto presentare il legame di amicizia tra Chichi e C18. Ho sempre immaginato che un giorno sarebbero diventate amiche. Riguardando ora la saga di Majin Buu, ho visto una C18 più socievole, ma scontrosa nei confronti di Bulma. Invece con Chichi ho intravisto un qualcosa… Questa ovviamente è solo una mia riflessione. Spero che la condividiate, altrimenti mi scuso in anticipo. Fatemi sapere… ciao Milk 92, accompagnata (anche se in questo momento è in beata vacanza) da Sirene Chan.

 

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Capitolo 7
*** Alla Kame House ***


nnbb cc wcccc

 

La sedia di legno non era invitante come una poltrona, ma per la stanchezza che provava Bulma anche quella bastava per riposare. Strofinandosi la fronte con un fazzoletto, portò il bicchiere alle labbra, e bevve qualche sorso d’acqua. Vegeta si stava allenando all’aperto, considerando la prova di resistenza al sole cocente una sfida, mentre Yamcha teoricamente stava cacciando gli ultimi clienti, per chiudere il locale e riposarsi anche lui. La donna si alzò, stiracchiandosi, pronta ad andare in soccorso dell’amico per cacciare le persone ritardatarie. Sorrise al pensiero dell’uomo che tanti anni prima era stato il suo compagno. Il suo primo compagno. Inoltre l’aveva aiutata nel momento del bisogno, offrendole un lavoro ed una casa. Era proprio un vero amico. Un uomo di cui ci si poteva fidare.

Guardando fuori dalla finestrella che dava sul deserto che li circondava per chilometri e chilometri, notò una figura con delle borse in mano che correva verso una macchina tirata fuori da una capsula.

- Yamcha!!! Dove stai andando????? – gridò sporgendosi dal buco, riconoscendo l’ "amico".

L’uomo, sentendosi chiamato, si voltò spaventato dalla donna.

"Accipicchia! Mi ha scoperto!" pensò atterrito.

Bulma imbufalita, nonostante la veneranda età, saltò attraverso la finestra, per lanciarsi all’inseguimento dell’uomo. La rabbia in certi momenti era molto utile.

Con le valige in mano, tentò di nuovo la fuga, ma si trovò al terreno prima di riuscire a fare un passo. Sopra alla sua schiena, Bulma lo stava prendendo a pugni.

- Dove stavi cercando di andare? – chiese, satanica.

L’uomo cercò di alzarsi, e dopo vari tentativi riuscì a spingere delicatamente l’amica a terra, mentre lui si allontanava di qualche metro.

- Vado in vacanza, Bulma. – disse lui, leggermente intimidito dal tono feroce della donna.

- E cosa facciamo col locale? Senza i profitti, noi non viviamo più! – strillò lei, cercando di agguantarlo, mentre lui schivava i colpi.

- Lavorerete tu e Vegeta! – gridò di rimando lui. Bulma sbuffò rumorosamente.

- Vegeta non lavora, è un fannullone! – urlò. Yamcha bloccò le braccia della donna, e la guardò negli occhi, improvvisamente serio.

- Hai ragione, va bene… - mormorò.

Le mollò le braccia, ma appena queste furono libere, con uno scatto corse verso la macchina e ci saltò dentro.

- Yamchaaaaaaaaa! – gridò lei, sentendosi raggirata.

La macchina partì, ed una mano si sollevò in segno di saluto verso la donna.

- Me ne vado da Muten! Ci vediamo Bulma!! Comportati bene con il mio locale! – gridò ridendosela di gusto.

- Ingrato! Vegeta verrà a darti una bella strigliata!! – strillò furiosa Bulma. – Torna immediatamente indietro! -

Ma era tardi, l’auto se ne era già andata.

La donna si accasciò a terra, in preda a tremori dovuti alla rabbia. Cosa avrebbe fatto? Non poteva portare avanti una locanda da sola.

Vegeta, richiamato dalle urla della consorte, comparve e si affiancò alla moglie.

- Che succede? – chiese, con il solito tono irritato.

- Yamcha se n’è andato. - mormorò lei, incavolata.

- Era ora… - sussurrò il sayan.

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Mentre Yamcha era in viaggio, pregustandosi tutte le ragazze della spiaggia del genio delle tartarughe, alla Kame House era ora delle lezioni di nuoto.

- Bene, fate così adesso! – gracchiò il vecchietto verso le giovani che cercavano di imitare i suoi gesti per imparare a nuotare. Un urlo però distrasse il genio. Una ragazza chiamava aiuto perché una sua amica stava annegando.

Correndo più velocemente possibile verso la sventurata, l’altra signorina spiegò cosa stava succedendo.

- La mia amica ha avuto un mancamento, ma la corrente l’ha portata a largo e io non sono riuscita ad afferrarla in tempo! – strillò in preda al panico.

Muten, da buon bagnino, si tuffò verso la ragazza che stava annegando, e la prese per il braccio, portandosela al busto e tenendola a galla. Poi si alzò in piedi: l’acqua gli arrivava al petto. Alzò lo sguardo, guardando male l’amica della sfortunata.

- Con te ci serviranno delle lezioni extra. – chiarì. Poi si rivolse a colei che teneva in braccio. Era una ragazza davvero carina. Arrossendo, le mormorò: - Tranquilla, ci penso io a te. -

- E’ sempre il solito… - brontolò Oolong, che da riva si stava godendo lo spettacolo accanto alla tartaruga.

La giovane, tra le braccia di Muten, riprese i sensi, e aprendo gli occhi rivolse lo sguardo al cielo. Poi strillò, stringendo il vecchietto ben contento di tutte quelle attenzioni.

- Non devi avere paura, io tanto tempo fa ero l’uomo più forte del mondo, pensa che ho vinto un torneo Tenkaichi! – si vantò.

Tutti alzarono lo sguardo per vedere cosa avesse spaventato la ragazza, e scorsero una figura che si stava avvicinando sempre più all’isola. Anche il vecchio guardò, e sorrise riconoscendo la persona.

- Ehi, Tenshinhan! Da quanto tempo! – gridò contento.

L’uomo atterrò sulla spiaggia, posando a terra la moglie, che per tutto il viaggio era stata aggrappata ai muscoli del marito.

- Salve genio! – disse sorridendo, verso Muten. – Yamcha mi ha detto che stava venendo qua, e ho pensato di fare anche io una capatina per salutare. – spiegò.

Lunch, in quel momento con i capelli blu, salutò cordiale tutti quanti, facendo un cenno perfino alle signorine in costume da bagno. Tenshinhan sorrise nel vedere la moglie tanto disponibile, e le circondò le spalle con un braccio.

- Ma si sono sposati? – chiese sussurrando la tartaruga all’amico Oolong.

- Si, sembra che lei lo abbia incastrato! – rispose il maialino, preso dai pettegolezzi.

- Eheh! Venite dentro! Vi offro da bere! – disse allegro il genio, rivolgendosi agli ospiti.

Poi si avvicinò ai due, lasciando la ragazza quasi annegata sulla rive con l’amica. Prese Lunch per la vita, e la guardò arrossendo per chissà cosa stesse pensando. Schifata, la donna si schiacciò contro il marito, che capendo la situazione, allontanò la moglie dal pervertito.

Deluso, Muten continuò a sorridere e li condusse dentro alla casa.

- Cosa mi raccontate? – chiese. – Dov’è Jiaozi? -

- E’ rimasto ad allenarsi. – spiegò l’uomo, accomodandosi.

Muten prese qualche bibita dal frigo, e la offrì ai due.

- Peccato, era un ottimo cuoco! – disse.

Tenshinhan bevve un lungo sorso di gassosa, poi guardò la moglie che si stava strofinando il naso.

- Che succede, Lunch? – chiese, leggermente preoccupato.

- Niente, tesoro. È che mi prude il naso. – mormorò lei.

L’ansia in lui aumentò, ma sperò che la moglie fosse in grado di non starnutire.

La porta si aprì, e una ragazza in bikini entrò.

- Scusi, signor Muten, le lezioni di nuoto sono finite? – chiese imbarazzata. Poi si voltò verso Tenshinhan. Sorridendo, si voltò verso le amiche che le stavano dietro. – Ehi, guardate che fusto! Nonostante abbia la sua età, è affascinante! – rise.

Altre tre teste comparirono nello spiraglio della porta. Tutte, dopo aver visto l’uomo col terzo occhio, sorrisero salutandolo.

Mentre Muten si chiedeva cosa aveva Tenshinhan più di lui, Lunch guardò minacciosa le ragazze. Fortunatamente aveva ancora i capelli blu.

L’uomo guardò confuso le giovani, mentre la stanza veniva invasa da decine di ragazze.

- Finalmente un bagnino decente! – strepitò una, suscitando le ire del genio.

- Ecciù! -

Tenshinhan guardò, iniziando a tremare, la moglie: i capelli erano diventati biondi. Ma non fece in tempo a dire niente, che lei si alzò in piedi sulla sedia e tirò fuori la mitragliatrice che aveva sempre con lei, puntandola sulle bagnanti.

- Questo è mio marito, oche che non siete altro! – strillò, infuriata.

Puntò l’arma verso il tetto, e fece un buco sul soffitto, per spaventare le spasimanti indesiderate. Difatti, esse scapparono urlando. Ognuna non si rivestì neanche, ma tutte presero la propria capsula e fuggirono ancora in costume da bagno.

- No! Rimanete qua! Vi proteggo io! – schiamazzò disperato il vecchietto.

Ma oramai non c’era più nessuno nell’isola, tranne loro.

- Ecciù! – starnutì Lunch, tornando nella sua forma normale.

Sollevò lo sguardo, guardando il marito.

- Mi devo essere presa il raffreddore in volo. – si scusò lei. Poi si guardò intorno. – E’ per caso successo qualcosa? – chiese, innocente.

- Ehilà! – chiamò qualcuno da fuori la casa. Muten non si poté neanche illudere che una ragazza fosse rimasta sull’isola, perché riconobbe subito la voce.

Uscirono tutti, ed andarono incontro a Yamcha, che si osservava intorno perplesso.

- Ma… dove sono le ragazze? -

 

 

 

Ciao, siamo Milk 92 e Sirene Chan. Ci siamo divertite a scrivere questo capitolo, perché raccontare di Muten è sempre divertente. Non ci siamo soffermate sui particolari, ed è per questo che il capitolo è corto. Ma speriamo ugualmente che vi sia piaciuto! Seguiteci perché la storia vera sta per iniziare!

Milk 92 e Sirene Chan

 

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Capitolo 8
*** Eternamente insieme ***


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Yamcha se n’era andato, e Bulma era rimasta a guardare la macchina allontanarsi. Vegeta aveva appena espresso la sua indifferenza sulla presenza dell’uomo, ma temeva in un obbligo di lavoro da parte della moglie. Bulma si alzò, e si avviò senza badare al marito verso il locale. Entrò nella locanda, e si avvicinò al primo cliente che le capitò sotto tiro e lo prese per il colletto, avvicinandolo al proprio viso. Con tono minaccioso gli intimò di andarsene, e appena questo iniziò ad allontanarsi, gli altri lo seguirono spaventati dalla donna.

Bulma si sedette su una sedia, strofinandosi la fronte come stesse soffrendo di un fortissimo mal di testa. Vegeta entrò dalla porta, sbattendola come sempre, e si accomodò davanti alla moglie.

- Cosa faremo, Vegeta? – mormorò la donna.

Lui non rispose, e stranamente non sbuffò neanche. Continuava ad osservare la consorte sofferente, come se fosse un quadro esposto in una galleria d’arte. Era disperata perché doveva prendere una decisione: tenere aperto il ristorante, e lavorare da sola per guadagnare soldi, oppure chiuderlo per evitare la fatica, rischiando però di morire di fame per la povertà.

Lei alzò il volto, cercando di tirarsi su di morale.

- Ho deciso: porteremo avanti questo postaccio. Io e te. – disse, con tono risoluto.

Lui fece per lamentarsi con il solito tono infastidito, ma lei parlò per prima.

- Non accetto un no come risposta: se non vuoi morire di fame, lavorerai con me. -

- Non lavorerò mai con te a questo stupido locale, donna! – strepitò lui, cominciando a scaldarsi.

- Per una buona volta metti da parte il tuo stupido orgoglio! Nel momento del bisogno si deve contare sul marito! Invece io non ho mai potuto contare su di te, almeno il più delle volte! -

- Non ti ho chiesto io di sposarmi! Sarei stato benissimo anche senza di te! – gridò lui, completamente arrabbiato. E lei non era da meno.

- Ripetilo, se hai coraggio! -

- Ho detto che sarei stato benissimo anche senza di te! – strillò ancora più forte.

Lei gli tirò uno schiaffo, e per qualche secondo piombò il silenzio tra di loro. Ma subito lui la guardò, in collera.

- Non ti conviene sfidarmi! – sibilò l’uomo.

- Vattene via! – mormorò lei, con voce turbata.

- Non resterei un minuto di più in questa topaia. – disse lui.

- Giusto, vai ad allenarti, tanto non riuscirai mai a raggiungere la potenza di Goku. Lui si che poteva essere definito un Sayan. – bisbigliò.

A quelle parole, Vegeta si avvicinò pericolosamente alla moglie. Lei sorrise, sfidandolo.

- Dai, colpiscimi. – lo provocò.

Lui la guardò in cagnesco, per poi andare verso l’uscita, distruggendo la porta. Lei lo seguì con lo sguardo, poi si accasciò a terra cominciando a piangere.

Il sayan iniziò a passeggiare nel deserto. Il caldo lo sfiniva, ma lui trovava la forza per tenersi in piedi ed allenarsi.

Non aveva mai avuto questi problemi con Bulma. Certo, le litigate in casa Brief erano piuttosto comuni, ma mai si spingevano a tal punto da costringere la donna ad usare la carta della differenza di livello tra i due Sayan rivali. Decise di recarsi sul retro della costruzione, per riprendere l’allenamento. Contava sul fatto che Bulma non sarebbe uscita per un po’ dal locale.

Vegeta sapeva che senza la moglie non sarebbe andato da nessuna parte. Sapeva di non essere al livello di Goku. Ma pensava di essere apprezzato almeno da lei per quello che era. Non aveva potuto offrire niente a lei o alla sua famiglia, era stata Bulma ad occuparsi di tutto. Lui aveva pensato solo ad allenarsi, non alle persone che gli volevano bene. Dopo il trasferimento era diventato più presente, almeno per la moglie, ma quando la Capsule Corporation era ancora attiva si interessava solo a questioni personali. Era un egoista, e lo sapeva bene, così come lo sapeva anche Bulma.

- Tsk! – emise, immerso nei pensieri.

Il principe dei Sayan si era fatto aiutare da una terrestre. Non avrebbe dovuto permetterglielo, seguendo quello che gli diceva l’orgoglio. E lo ammetteva, aveva accettato il sostegno di Bulma solo per avere una possibilità di vivere sulla Terra. Neanche la nascita del primo figlio lo aveva cambiato. Appena dopo la sconfitta di Cell aveva riallacciato i rapporti con la sua famiglia, iniziando seriamente ad amarla. Perché era vero, indiscutibile: lui amava la moglie ed i figli. Non sapeva perché era rimasto sempre così freddo nei loro confronti, forse per mantenere la sua maschera da principe dei Sayan. E ne era pentito, perché erano le uniche persone che aveva al mondo.

Bulma, ancora accovacciata in lacrime, prese forza e si alzò, aggrappandosi al bancone del bar. Era sfinita. La litigata era frutto dell’esaurimento nervoso che negli ultimi giorni l’aveva accompagnata. Il caldo, la fatica, e la consapevolezza che i giorni avvenire sarebbero stati ancora più duri senza il prezioso aiuto dell’amico nella locanda l’aveva buttata a terra. Aveva mentito a Vegeta dicendo che non c’era mai stato per lei. L’ultima discussione ne era la prova: in quel momento, infatti, la donna si stava sfogando. Purtroppo questo Vegeta non l’aveva capito, trasformando quello sfogo in una guerra aperta. Sebbene era durata poco, aveva causato danni enormi. Bulma strinse i pugni: come aveva potuto ferirlo in tal modo introducendo nel discorso Goku? Il marito l’avrebbe mai perdonata? Non ne era del tutto certa: Vegeta l’aveva guardata in un modo ripugnante. Era completamente pentita. Si difendeva sostenendo di aver fatto bene a dirli tutte quelle cose: anche lui l’aveva ferita. Ovviamente sapeva che quello non giustificava le azioni commesse. Il trasloco l’aveva cambiata molto, ma rimaneva pur sempre testarda. Non avrebbe chiesto scusa per prima. Non questa volta. Si diresse così verso il bagno, e dopo una doccia rinfrescante, si distese sul letto a leggere un quotidiano. Si girò verso il comodino, e guardò la foto che vi era posata sopra. L’immagine ritraeva lei, Vegeta, Trunks e Bra di fronte alla loro vecchia dimora. Quanto le mancavano i figli. Lo sguardo si soffermò su quello del compagno.

- Scusami- sussurrò.

Intanto all’aperto, Vegeta si era accorto di un qualcosa che gli aveva punto la caviglia, ma non gliene fece tanto caso perché il dolore passò subito. Era abituato a ferite più gravi.

Verso sera Vegeta raggiunse la moglie nella stanza. Era ritornato sfinito per l’allenamento e per la ferita provocatagli da qualcosa di ignoto, ma ancora di più che per quel minuscolo taglio che l’uomo non sembrò neanche prendere sul serio, il sayan soffriva per il litigio con la moglie. Arrivato alla porta della stanza guardò la donna che a sua volta si girò per osservarlo. Entrambi non dissero nulla. Entrambi testardi! Vegeta distolse lo sguardo, fece il giro del letto, e andò a distendersi dalla sua parte. Entrambi rimasero svegli tutta la notte ma girati dai lati opposti. Sentivano solo il loro respiro. Nessuno riusciva a chiudere occhio. Quel silenzio forse era anche peggio di una discussione.

Dopo interminabili ore, Bulma finalmente riuscì a prendere sonno. La luce accecante del giorno dopo la svegliò. Allungò la mano per cercare il marito, ma al posto di trovarlo, scoprì un vassoio con la colazione. Non c’era un biglietto, eppure quel piccolo gesto aveva significato più di mille parole per lei. Aveva capito che era il suo modo per scusarsi. E si, il suo uomo sapeva prendersi cura di lei. Sorrise al suo pensiero. Si alzò e con ancora le vesti della notte corse fuori pronta per abbracciarlo e scusarsi a sua volta. Non aveva avuto bisogno di percorrere chilometri perché Vegeta era poco distante, ma con qualche centinaia di metri di altezza. Infatti l’uomo si stava allenando in volo.

La donna si fermò un istante a fissarlo e sorrise nel vederlo. Quanto lo amava. Stava per chiamarlo, urlare il suo nome, quando una fitta al cuore la fece cambiare espressione. Si portò una mano al petto. Riusciva a malapena a parlare, non a farsi sentire dal compagno.

- Ve…Ve… geta- riuscì solo a mormorare. Cadde per terra, con un tonfo.

Mentre l’uomo si allenava tirando pugni all’aria, percepì qualcosa di strano. Non riuscì subito a capire cosa avesse avvertito, ma la cosa lo turbò. Concentrandosi a fondo notò che un’aura era diminuita di colpo. Si sentiva ancora, ma leggermente. Un’aura anche molto vicina. Non poteva che trattarsi di Bulma. Si girò e la vide sotto di se, a terra, stesa sulla sabbia. Si precipitò all’istante verso di lei. Le cinse le spalle, attirandola verso di se e stringendola al petto.

- Bulma, Bulma- urlò. La donna dolorante riuscì ad unire tutte le forze per un ultimo sforzo

- Ve…Vegeta-

L’uomo, sconvolto, annuì, non riuscendo ad emettere neanche una parola.

- Ti chiedo scusa… Io ti amo… Ti ho sempre amato…-

All’uomo scesero inaspettate lacrime di sofferenza.

- No, ti chiedo io scusa, resisti, ti porto da Dende e…- La donna però aveva già chiuso gli occhi.

Vegeta portò l’orecchio vicino al petto della consorte.

I polmoni non cercavano più aria. Il cuore aveva smesso di pulsare.

Un silenzio assoluto cadde all’improvviso, a cui seguì un urlo e un ira che fece tremare tutta la zona a lui circostante. Bulma era morta. E Vegeta non l’avrebbe più rivista neanche nell’ aldilà, perché la sua anima sarebbe stata condotta direttamente all’inferno, rispetto a quella della moglie che sarebbe andata immediatamente in paradiso. L’ultimo ricordo che lui avrebbe avuto della sua metà sarebbe rimasta la litigata, e lo stesso valeva per lei. Non aveva potuto far niente per Bulma, non era neanche riuscito a dire che l’amava nei suoi ultimi attimi di vita.

Era sconvolto, si sentiva come se avesse perso la parte più importante di se stesso. E difatti l’aveva persa, perché Bulma era l’unica che sapeva tirare fuori del bene dal principe dei Sayan.

L’uomo la prese e la strinse a se, iniziando a tremare e a sudare, provando dolore non del tutto emotivo. Con la mano libera colpì un pezzo di terreno, creando una buca non molto profonda. Era doloroso, ma doveva seppellirla e darle l’ultimo addio. Vi appoggiò dentro Bulma, piangendo. Nel mentre, però, Vegeta non riuscì più a respirare: il veleno che lo scorpione aveva iniettato nel suo corpo, mordendolo durante l’allenamento, aveva fatto il suo effetto, un pò in ritardo data la natura del sayan. Cadde così addosso a Bulma, e insieme rimasero, lì nel deserto, in quel posto sperduto, eternamente insieme.

 

 

 

Ciao, siamo Milk 92 e Sirene Chan. Scrivere questo capitolo è stato molto doloroso, soprattutto per me, Sirene Chan, perché amo alla follia la coppia Vegeta-Bulma, ma dato che questa fic parla di quando tutti i personaggi si rincontrano nell’aldilà, non potevamo non scriverlo. Scusate il ritardo dell’aggiornamento, ma eravamo impegnate.

Continuate a seguirci!

Milk 92 e Sirene Chan

 

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Capitolo 9
*** Il funerale ***


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La limousine correva veloce lungo la strada. Al suo interno, Bra, Trunks e la sua famiglia restavano in silenzio.

Il dolore provato per la perdita dei genitori dei due Brief era lacerante, e Baloon non sapeva tirare su il morale dei due neanche per un minuto. Ma sapeva che in situazioni del genere la cosa più salutare era sfogarsi, e almeno Bra lo stava facendo.

La ragazza, stretta tra le braccia del fratello, era scossa da singhiozzi. Lui cercava di confortarla, carezzandole i capelli, mentre lei era aggrappata alla camicia dell’uomo.

I quattro bambini non avevano conosciuto in modo approfondito i nonni, ma avrebbero partecipato al funerale sotto costrizione della madre. Baloon non avrebbe in nessun modo abbandonato il marito in una situazione del genere, mai e poi mai.

Trunks sentiva il rimorso crescergli dentro. Doveva capirlo, quando aveva percepito l’aura del padre svanire. Invece aveva pensato che l’avesse azzerata, equivocando la scomparsa dell’energia. Come aveva fatto a sbagliarsi in questo modo? L’aura della madre era difficile da percepire, ma quella del padre no. Invece era venuto a sapere della morte dei suoi genitori grazie ad una telefonata dell’amico Yamcha, tornato a casa per la noia che gli procurava stare dal genio. Come aveva potuto fallire, in una cosa riguardante la vita dei genitori? Come?

Bra invece era devastata dalla tristezza. Il marito si era rivelato essere un farabutto, ed ora i genitori l’avevano abbandonata. Sarebbe stata totalmente sola, se non fosse stato per Trunks e per Pan. Tutti la lasciavano, prima o poi. Tutte le persone che amava o che aveva amato. Ma sapeva di non poter contare per sempre sul fratello e sull’amica; loro avevano le loro famiglie, loro avevano qualcuno. Lei invece no.

Intanto, Pan era nel salotto della casa della nonna, insieme ai genitori e allo zio.

- Mi dispiace, ma io vi raggiungerò un po’ più tardi… - mormorò quest’ultimo, dispiaciuto, pensando alla dolce consorte che violentemente aveva richiesto la sua presenza. Poi si alzò, pronto a tornare dalla famiglia, che attendeva in breve il suo ritorno.

Si avviò alla porta, dopo aver salutato tutti, e fu seguito da Pan.

- Mi raccomando, vieni. Trunks ha bisogno di noi. – gli disse, perentoria.

Goten annuì, immaginandosi l’amico perso nella sua sofferenza. Ma poi si scosse, dicendosi che Trunks non avrebbe mai reagito in modo simile.

La ragazza tornò in casa, prendendo tra le sue braccia l’innocente Farah, mentre Oscar era in braccio al padre.

- Tra un po’ dobbiamo andare. – mormorò cauta Chichi all’amica C18. Lei annuì.

La donna non avrebbe partecipato al funerale, anche a costo di sembrare insensibile. Suo marito aveva più bisogno della sua presenza, e a suo parere una persona in fin di vita era più importante di due persone morte.

La donna Son si avvicinò alla nipote, e questa si alzò dalla sedia dove si era accomodata. Anche Dylan si era avviato alla porta, trascinando il figlio con se.

Tutti salutarono C18, che fece un cenno con il braccio, per poi abbandonare la casa.

Entrarono tutti nell’auto, stringendo bene la cinghia ai piccoli, e poi Dylan si mise al posto di guida. Erano pronti per partire, per andare a dare l’ultimo addio ai coniugi Brief. Il motore si accese, e la macchina schizzò verso la meta.

Dopo qualche minuto di viaggio, il mezzo parcheggiò nel luogo in cui, dopo un lungo viaggio, erano arrivati Trunks e Bra, insieme a Baloon e ai figli.

Appena scesa dall’auto, Pan corse da Trunks, per abbracciarlo. Non l’aveva visto, dopo la morte dei genitori, e voleva far sentire all’uomo la sua presenza il prima possibile.

Chichi, con in braccio Farah, si avvicinò ai due fratelli, con vicino Dylan e Oscar. Si salutarono in silenzio, poi senza dire una parola si avviarono tutti verso il prato dove Yamcha si trovava, vicino alle bare, insieme al genio, Tenshinhan, Lunch, la tartaruga, Pual e Oolong.

Arrivato, il gruppetto si avvicinò all’amico. Trunks fu il primo a rivolgergli la parola.

- Tu li hai visti, negli ultimi tempi. – mormorò, malinconico. – Com’erano? – chiese, con voce speranzosa. Yamcha capì che Trunks voleva sentirsi dire solo cose belle dei due, perciò scelse attentamente le parole.

- Tua madre era testarda e manesca. – gli disse, sorridendogli comprensivo. – Invece Vegeta era… Vegeta. – disse, semplicemente.

Trunks sorrise, triste. I suoi amati genitori avevano passato gli ultimi giorni di vita sereni, e questo bastava a farlo sentire sollevato.

- Ho portato le cose di Bulma in una borsa. – continuò Yamcha. – Era una persona fantastica… - sibilò, triste.

- Lo so. – rispose il figlio, abbassando la testa, e stringendo nuovamente le spalle della sorella, che a sentire quelle belle parole sulla madre stava per tornare a piangere.

- Tra un po’ inizia la cerimonia. – disse il moro, posando una mano sulla spalla della ragazza in segno di conforto. – Direte qualcosa sui vostri genitori? -

Trunks annuì; lui e Bra ne avevano parlato, in uno dei rari momenti di lucidità della ragazza.

Le buche erano già state scavate, restava solo posare le bare all’interno di esse.

Immersero nella fossa la prima tomba, quella di Vegeta. Bra si avvicinò alla cassa, dinanzi al gruppo che la guardava afflitto.

- Mio padre – parlò, iniziandosi a commuovere fin dal principio. – era un uomo stupendo, a dispetto di quello che molti credevano. Molte persone non riescono a cambiare se stessi, ma lui c’è riuscito. E’ diventato un uomo buono, rimanendo pur sempre burbero. È stato il mio papà, il mio eroe. La persona da cui volevo essere protetta. La persona che desideravo al mio fianco nei momenti di debolezza. – le lacrime corsero sul suo viso. – Lui e la mamma mi hanno dato una casa, mi hanno dato affetto. Mi hanno dato tutto quello che potevano darmi, ma io non li ho mai ringraziati abbastanza. Erano, e sono tutt’ora, tutto per me, e spero con tutto il cuore di non averli delusi. Mi hanno dato la vita, ma adesso loro l’hanno persa, perciò io voglio dedicare la mia a loro due. Alle due persone più importanti della mia vita. Papà… - mormorò, chinandosi per prendere in pungo un po’ di sabbia. Si alzò, con il braccio dritto davanti a se, aprì il palmo, lasciando cadere la sabbia sopra alla tomba del defunto padre. - …addio. – sussurrò, lasciando andare le lacrime che premevano sugli occhi.

Si allontanò dalla fossa, portandosi le mani sul viso. Era sconvolta, quello era l’ultimo addio che diceva ai genitori, e ciò la straziava. Pan, accortasi della debolezza dell’amica, le corse incontro, stringendola in un abbraccio. Pian piano, la condusse verso il gruppo, proprio mentre Trunks si avvicinava alla bara della madre, addolorato al pensiero del padre.

Anche per lui quello era l’ultimo addio, e non voleva sprecarlo.

- Non ci sono parole per descrivere quello che provo per lei. – disse, malinconico. – Le volevo un bene infinito, e mi mancherà dal più profondo dell’anima. Era testarda, comprensiva, affettuosa, determinata e… unica. Adesso non c’è più. Ma per me non scomparirà mai, perché sarà sempre nei miei pensieri. – si bloccò, con un groppo alla gola. Non riusciva più a dire nulla, il dolore gli scavava dentro. – Addio…- mormorò.

Anche lui, come la sorella, era sconvolto. Ma il suo turbamento era molto superiore a quello di lei, e lui non era più riuscito a nasconderlo. Non riusciva a sopportare il male che la morte dei genitori gli aveva provocato. Le persone che lo circondavano lo cercavano di confortare, ma lui era come chiuso dentro ad una gabbia, e non riusciva ad essere toccato da nessuno perché le sbarre erano troppo lontane da lui. Tutti erano troppo lontani da lui. Le uniche persone che avevano la chiave per aprire quella prigione erano morte, e lui sarebbe rimasto per l’eternità rinchiuso in solitudine.

Poi però, da lontano, l’uomo vide una persona e capì che esisteva una terza chiave, una terza persona capace di aprire ed entrare nel suo cuore, comprendendolo a fondo e come nessuno aveva fatto fino ad allora.

Gli corse incontro, abbandonando tutti quelli che lo circondavano di attenzioni. Appena furono uno di fronte all’altro, si guardarono, felici di essersi rincontrati dopo tanto tempo. Quella persona scavò a fondo nell’animo distrutto dell’amico, e vide cose invisibili agli altri. Lui sapeva più di qualsiasi altra persona cosa significava vivere senza un genitore.

Dopo un lungo sguardo i due si abbracciarono, e Trunks scoppiò in lacrime per la prima volta; sentiva di poter essere se stesso, con quell’uomo. La sua altra metà, il suo migliore amico.

Goten.

 

 

Ciao, siamo Milk 92 e Sirene Chan. ç_ç

Questo capitolo è stato difficile da scrivere, anche perché era veramente dura esprimere i sentimenti di Bra e Trunks per i genitori a parole. Dopo aver spremuto le nostre menti, questo è quello che ci è uscito. Speriamo di essere riuscite a trasmettervi almeno in parte ciò che volevamo comunicare.

Milk 92 e Sirene Chan

 

 

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Capitolo 10
*** Nell'aldilà ***


Da adesso per semrpe

 

Una settimana prima del funerale…

Chiuse gli occhi con l’immagine dell’uomo che amava, e li riaprì non vedendolo più. Si guardò intorno frastornata, e vide un mare di anime. Le nuvole gialle circondavano la strada in cui si trovava, rendendo soffice il paesaggio. Dopo qualche secondo, realizzò il suo trapasso.

Si avvicinò all’orlo della via, e guardò giù.

- Stai attenta! – le disse un funzionario del luogo. – Se cadi lì sotto, non torni più su. – la avvertì.

- Si, scusi! – rispose, ritirandosi velocemente.

La morte l’aveva colta così all’improvviso che lei non aveva neanche avuto il tempo di prepararsi. Gli ultimi istanti di vita che si rammentava erano trascorsi tra il dolore e la sofferenza dell’infarto, e il suo cuore ormai cupo dalla pena era stato illuminato da un unico barlume: Vegeta.

I suoi pensieri volarono immediatamente ai figli, rimasti soli. Chissà se avevano saputo del suo decesso. Era incredibile; la sua vita, così piena di emozioni, avventure e pericoli era terminata. Se non altro, le aspettava un’eternità serena. Finalmente, provava pace nell’essere là. L’energia le aveva invaso il corpo, e si soffermò un attimo a pensare a questo piccolo dettagli o: lei aveva un corpo, a dispetto di tutti gli altri. Si osservò le mani, ammirando la giovinezza che l’aveva abbandonata molto tempo prima. Aveva l’aspetto di una ragazza, e ciò la compiacque molto.

La fila si muoveva lentamente, e le varie anime iniziavano a scocciarsi. Brontolavano, e Bulma trattenne a stento una risata. Erano buffe, ma sapeva che ridergli in faccia non era molto cortese.

D’un tratto, le anime alle sue spalle, accumulate in migliaia negli ultimi istanti, iniziarono a strepitare. Si voltò, per capire cosa stesse succedendo. Chiese informazioni alla prima nuvoletta che trovò al suo fianco.

- Un tipo sta cercando di sorpassare tutti. – le spiegò, furioso.

Lei si tirò su una manica, con espressione feroce.

- Lo stendo io, se solo prova a farlo a me! – esclamò.

La fila l’aveva annoiata circa tre secondi dopo il suo arrivo, e non le andava di dover aspettare ulteriormente. Prima di riconoscere lo sbruffone che cercava di superare tutti, notò che anche quest’ultimo era dotato di corpo. Ciò la infastidì più del dovuto: le aveva tolto il primato!

Si avvicinò, pronta a colpirlo con uno dei suoi micidiali pugni, ma il suo braccio fu bloccato da quella persona. Lui rise beffardo, mentre gli occhi di lei erano sbarrati dallo stupore e dalla gioia.

- Vegeta? – chiese la donna, anche se la risposta era più che ovvia.

Lui fece una smorfia, come per annuire.

- Sei morto anche tu? – strillò lei, felice. – E come? – chiese, sempre raggiante.

Lui rimase spiazzato: non si era ancora inventato una scusa per evitare di essere umiliato rivelando la verità.

Fortunatamente, un altro impiegato li chiamò: la fila si stava muovendo verso il palazzo di re Yammer, e loro stavano intrigando.

Lei lo prese per il braccio, mentre lui sbraitava: aveva ancora intenzione di superare tutti.

- No, Vegeta, è meglio comportarsi bene prima di sapere il verdetto! – disse lei, perentoria.

Lui sbuffò. Sapeva che, se re Yammer avesse detto che la sua destinazione era l’inferno, si sarebbero separati, ma non aveva voglia di stare fermo a non fare niente.

Allora il sayan prese una decisione: afferrò per il polso la moglie, e la trainò fino alla porta del palazzo. Aveva intenzione di farle mettere una buona parola per lui, col grande capo.

Durante il tragitto, molte anime li insultarono. Ad ogni parola scortese verso di loro, la donna iniziava a sbraitare e minacciare. Per fortuna Vegeta la teneva stretta, e non le permetteva di fare azioni di cui si sarebbe pentita.

- Carogna! Mascalzone! – urlavano gli spiriti.

- Piano con le parole! – urlava Bulma. – Si dia il caso che quello sia mio marito! -

- Lei è la moglie di quel furfante? – la accusò una nuvoletta. – Ma si vergogni! -

- Come vi permettete!!!! – ormai gli occhi della donna erano furenti di rabbia.

Arrivarono immediatamente al palazzo, per merito di Vegeta. Se ne era fregato altamente degli insulti, non perdendo tempo con degli insulsi morti.

- Vegeta, sei proprio tu? – chiese il re degli inferi, riconoscendo il sayan che era passato varie volte alla sua scrivania.

Lui annuì.

- Vedo che ti ricordi! – disse, con tono sbruffone. Bulma gli si affiancò, salutando.

- Anche la tua consorte ha sofferto di un lieve caso di… decesso. – mormorò il re, sorridendo cordiale alla giovane ragazza. – Ripetimi il tuo nome. – le chiese gentilmente.

- Bulma Brief! – disse lei, serena.

- B… B… B… Bylei, Berta, Bifrel, Bra… - bofonchiò l’autorità.

A quel nome, i due ebbero un sussulto.

- Cosa? Bra è morta? – strillò in preda al panico Bulma.

- Stiamo scherzando!? – strillò Vegeta, seriamente preoccupato.

- Si, Bra Kenntlel! La conoscete? – disse re Yammer, guardandoli di sottecchi.

I due si sentirono le gambe deboli; avevano preso una paura del diavolo, ed era proprio il caso di dirlo.

- Ah, Bulma! Ti ho trovata! – esultò il re, indicando un nome sul suo quaderno. – Ti sei meritata il paradiso. – le disse contento.

Lei rise felice, nonostante l’ansia per il verdetto del marito la attanagliasse.

- E adesso vediamo Vegeta… - mormorò l’autorità. Un funzionario però lo interruppe.

- Scusi, re Yammer, ma perché quei due sono ancora provvisti di corpo? – chiese, cercando di fare il più silenziosamente possibile.

L’autorità li osservò di nuovo.

- Giusto, ragazzi. Come mai avete ancora il corpo? Non mi stupisco per Vegeta, ma per te, figliola, si. – chiese, sorpreso.

- Temo che sia per colpa mia… - rise una voce fuori campo. Gli sguardi di tutti si voltarono verso il lato sinistra della sedia gigante del re.

La casacca era sempre la stessa, l’età era giovane, e la mentalità quella di un bambino. La mano si strofinava la nuca con fare imbarazzato, mentre tutti lo osservavano tra un misto di gioia e stupore.

Bulma non vedeva quella persona da più di dieci anni, e in quell’arco di tempo ne aveva sentito la mancanza. Se lo ricordava diverso da come lo vedeva, più vecchio e forse più intelligente. Ora però, lo sguardo di lui era animato di una tale vivacità da far credere che in realtà fosse un ragazzino imprigionato nel corpo di un uomo.

Le lacrime le premevano sugli occhi, mentre la mano le si posava davanti alla bocca per lo stupore.

- Goku… - mormorò.

Poi gli si avvicinò di corsa, stringendolo in un caloroso abbraccio. Lui ricambiò, con il solito imbarazzo che provava durante le scene d’affetto.

Vegeta sorrise debolmente nel vederlo, ma non lo fece vedere a nessuno.

- Kakaroth! – lo chiamò a gran voce.

Goku alzò lo sguardo, e sorrise nel vedere anche il sayan suo acerrimo rivale. Si guardarono intensamente per qualche secondo, come per lanciarsi una sfida silenziosamente, poi uno schiaffo colpì la testa del Son.

- Ahia! – strillò Goku, portandosi la mano sulla guancia colpita.

- Ti rendi conto che sei sparito così d’un tratto!? – gli strillò Bulma, ancora in lacrime. – Spero ti sia divertito, perché appena arriva Chichi io… - ma non finì la minaccia, perché Re Yammer parlò.

- Mi dispiace interrompere – disse – ma ragazzo, mi puoi dire che intenzioni hai con questi due? – chiese, indicando Bulma e Vegeta.

- Si, mi scusi! – disse imbarazzato Goku. – Se non le dispiace, li porterei con me. -

- Intendi sul tuo pianeta? – chiese conferma l’omaccione grande e grosso.

- Si, esatto! – sorrise l’altro.

- Hai un pianeta tutto tuo? – chiese strabiliato Vegeta. Poi il suo sguardo cadde sull’aureola presente sopra alla testa sua e di Bulma. Sopra alla capigliatura folta di Goku non c’era niente. – Non dirmi che tu… - iniziò, strabiliato, dopo che la sua idea ebbe trovato fondamento. - …sei una divinità… -

- Ti spiego tutto più tardi! – disse gioviale Goku. – Ora andiamo! – intimò.

- Aspetta un momento! – tuonò re Yammer. – Vegeta ha fatto troppe cose cattive, da giovane. È sempre lo stesso discorso, non può venire! -

- Ma il mio pianeta non è il paradiso! – si difese il ragazzo. Bulma fece una faccia inorridita.

- E che postaccio è? – chiese, immaginandosi il peggio.

- Un posto ancora più bello! – le sussurrò Goku, senza farsi sentire da re Yammer, che intanto ci stava pensando su.

- Non hai tutti i torti…- mormorò questo. Poi si decise. – Allora, Vegeta, per questa volta ti salva Goku. – sorrise.

Ma a Vegeta quella soluzione non piacque.

- No! Non voglio essere aiutato da Kakaroth! Mi mandi nel posto che merito! – ringhiò lui, con la rabbia che saliva vertiginosamente.

Bulma fece una faccia contrariata, e guardò male il marito.

- Non fare lo stupido, Vegeta! – gli urlò.

- Avanti, re Yammer! – provocò ancora il sayan. – Mi spedisca agli inferi! -

- Se finisci agli inferi, non ci potremmo più sfidare! – gli urlò Goku, ridendo.

Vegeta strinse i denti: era finito sulla terra per batterlo, ma non ci era ancora riuscito. Poi sbuffò contrariato, ma si avvicinò a Bulma, che lo accolse sorridendo.

- E’ tutto tuo il pianeta? – chiese la donna all’amico-divinità.

- Be… Quando me lo hanno concesso ho deciso di condividerlo con Re Kaio, dato che io ho distrutto il suo. – rise imbarazzato lui.

- Certo che non sei proprio cambiato Kakaroth! – sibilò Vegeta, sorridendo beffardo.

- E invece tu si. Ti ho osservato. Ho osservato tutti voi. - rispose lui, allegro. Ma Bulma non proseguì quell’argomento.

- Non è buffo, Goku? – chiese difatti la ragazza all’amico, guardandolo felice.

- Ehm? Cosa? – lui cercava di capire, ma non ci riusciva.

- Che io sia la prima che hai visto sulla terra, e la prima che rivedi nell’aldilà? – sorrise lei, angelica.

Lui ricambiò, allegro. Era vero, lei era stata la sua prima amica. E la loro amicizia, nell’aldilà, sarebbe veramente durata in eterno.

- Se tu puoi osservare chi è sulla terra, vuol dire che lo posso fare anche io? - chiese Bulma, ripensando con un velo d’ansia ai figli rimasti soli.

- No, mi dispiace… - rispose lui. – Non puoi vedere, ne sentire ne comunicare con nessuno. Re Kaio lo lascia fare solo nei periodi di minaccia. Non so bene come funziona, ma so che adesso che la pace regna sulla Terra è proibito. -

Lei fece una faccia delusa, e lui subito tentò di tirarla su di morale.

- Ti dirò io tutto quello che vorrai sapere. Mi hanno dato questa capacità per vegliare sull’umanità per proteggerli da minacce future. Non ho immagini nitide, ma vedo solo la forza che circonda la persona. – spiegò, tornando a sorridere.

- Ma tu hai comunicato attraverso Re Kaio in precedenza! – si ricordò d’un tratto lei.

- Si, ma lui mi ha anche detto che… - la sua faccia divenne dubbiosa e concentrata, come se stesse pensando a qualcosa intensamente; la fronte era corrugata per lo sforzo. Poi il viso si rilassò, e lui sorrise imbarazzato. – Non mi ricordo! – gli altri due si sentirono le gambe deboli. – Lo chiederai a re Kaio in persona! – chiarì lui.

I tre salutarono re Yammer, e se ne andarono in quello che, per Vegeta e Bulma, era l’ignoto.

 

 

Ciao, siamo Milk 92 e Sirene Chan.

Scusate il ritardo dell’aggiornamento. Grazie di tutte le recensione, siete il nostro sostegno^^. Non volevamo anticiparvi troppo, così, con enorme dispiacere, abbiamo tagliato corto su Goku. Di lui si parlerà più avanti. Speriamo vi sia piaciuto!

Milk 92 e Sirene Chan

 

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