Aiutami a rialzarmi

di Alexiel_Slicer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Aiutami a rialzarmi
 


Prologo

Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu un soffitto bianco, al cui centro troneggiava una lampada al neon circolare che emetteva una luce talmente bianca da accecare i suoi occhi appena svegli da quel sonno che sembrava fosse durato un'eternità.
Nell'aria si sentiva l'inconfondibile odore di medicina, mista ad alcol tipica degli ospedali.
Si guardò attorno vedendo le pareti ricoperte a metà da piastrelle di una azzurro-verde pallido. Si, era in un ospedale, ma che ci faceva lì? L'unica cosa che ricordava era quel super evento in una delle discoteche più in voga di Los Angeles.
Cercò di sollevare il busto dal meterasso per osservare meglio l'ambiente che lo circondava. A quel gesto avvertì la sensazione che il suo corpo fosse diventato stranamente pesante e leggero al contempo. Sentiva come se gli mancasse qualcosa, qualcosa che gli rendeva difficoltoso quel movimento.
Digrignò i denti e fece uno sforzo che sembrò abnorme, per poi adagiare la schiena sul cuscino.
Eppure lui era tutto lì, intero.
La stanza era deserta, solo il rumore della macchina che scandiva i battiti del suo cuore con ritmici "bip" gli teneva compagnia invadendo quell'ambiente spoglio.
"Ma che ci faccio qui?" mormorò tra sè e sè sempre più confuso.
Si scoprì del bianco lenzuolo, nell'intenzione di scendere dal letto ed andare in cerca di un viso familiare che potesse fornirgli spiegazioni, ma in quel tentativo si accorse di qualcosa: le sue gambe con rispondevano ai comandi.
Si sforzò, cercò di immaginare di compiere l'azione di camminare, ma niente. Era piantato al letto, con le gambe ferme nella stessa posizione di prima.
Che stava succedendo?
Battè un pugno sulla coscia e ciò che sentì, anzi non sentì lo lasciò senza fiato.
"Le mie gambe..." mormorò tremando "Le mie gambe!" disse una seconda volta, ma urlando in preda al panico.
Col busto e uno sforzo notevole si portò al difuori del letto, finendo con il cadere per terra.
Perchè le sue gambe non lo sorreggevano? Perchè non volevano saperne di muoversi?
Con il viso contro il pavimento di marmo lucido strisciò avanzando di qualche centimetro, poi scoppiò in una serie di singhiozzi.
"Aiuto...cosa mi sta succedendo?...". 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


CAPITOLO I


Da dietro la porta si sentirono provenire dei rantoli. Tom era proprio lì davanti, con il suo caffè dal sapore pessimo, appena comprato al bar dell'ospedale, per cercare di tenere a bada quegli improvvisi attacchi di sonno che lo sorprendevano a causa delle notti insonni passate su una scomodissima sedia di plastica, vicino al capezzale del fratello in attesa del suo risveglio.
Ormai era da due settimane che era diventato cliente fisso di quel bar e quell'edificio che puzzava di malattia e peggio il suo alloggio.
A quei lamenti lasciò cadere a terra il bicchiere di cartone del suo espresso, ancora pieno e da cui aveva preso solo uno stentato sorso.
Aprì subito la porta facendo irruzione nella stanza.
Trovò il fratello riverso sul pavimento in preda a singhiozzi.
"Bill, mio Dio...!" mormorò attonito "Fermo, ti aiuto".
Questo lo spinse via con un braccio.
"Lasciami" biascicò.
"Che dici? Smettila!" ribattè il ragazzo, per poi passare un braccio nell'incavo sotto le ginocchia del fratello e l'altro dietro la sua schiena. Lo sollevò con una piccola smorfia e l'adagiò sul letto, dove lo sistemò e coprì.
"Cosa mi è successo?..." mormorò rauco Bill con la testa inclinata sulle sue mani dalle dita intrecciate, poggiate sul suo grembo.
"Ti spiegherò tutto più tardi, ma adesso dimmi: come stai? Hai bisogno di qualcosa? Meglio se vado a chiamare il dottore...".
Tom mosse qualche passo verso la porta, ma si pietrificò ancora prima di raggiungerla quando il fratello mormorò con freddezza: "Come vuoi che stia? Mi sono svegliato e ho scoperto di non poter più camminare...".
Il ragazzo si voltò pallido, affranto verso di lui. Sapeva bene di quella possibilità, il dottore una settimana prima era stato chiaro nel dirgli che molto probabilmente il fratello non sarebbe più stato capace di camminare, che sarebbe finito su una stupida sedia a rotelle. Si, lui quello lo sapeva, ma come poteva dirglielo ora? Appena sveglio da un coma durato due settimane che erano sembrate secoli? Come poteva guardarlo negli occhi e dirgli "Si, non potrai più camminare"? Non poteva, non ne aveva la forza.
Mentì. "Il dottore aveva detto di questa  probabilità, ma non ti allarmare: è solo una cosa temporanea. Presto ritornerai a camminare, è solo lo shock causato dall'incidente". Si sforzò di accompagnarsi da un sorriso rassicurante.
"Incidente?".
"Si, ricordi la serata in discoteca?".
"Forse...".
"Eri sbronzo, sbronzissimo, così come anch'io. Ti sei interstadito sul voler salire a fare un giro su un'auto con dei ragazzi appena conosciuti. Anche loro erano completamente cotti...ti ho lasciato andare su quella macchina, ma io, Andreas e Ria ti seguivamo con la nostra auto, poi improvvisamente avete iniziato a sbandare, invadere la corsia opposta e buttarvi quasi sui muri. Ho provato a chiamarti e dirti di scendere da lì, ma tu non rispondevi. poi ho visto l'auto girare su se stessa e andare a sbattere sul guard rail con violenza...la ruota posteriore ci passò accanto, pezzi di lamiera e frammenti di vetro erano sparsi sull'asfalto e l'auto...l'auto era accartocciata su se stessa...una ragazza per il forte impatto era stata sbalzata fuori, ormai in fin di vita, gli altri due erano gravemente feriti e tu...tu avevi metà del corpo incastrato tra le lamiere...arrivato al pronto soccorso sei entrato in coma e ti sei svegliato adesso, a distanza di due settimane".
Bill si limitò ad annuire lievemente.
"Ora vado a chiamare qualcuno, tu nel frattempo riposa e se hai bisogno di qualcosa chiama l'infermiera" detto quello lasciò la stanza.
"Non sei mai stato bravo a mentire, Tom..." mormorò il ragazzo con un amaro sorriso sulle labbra, appena la porta fu chiusa.
Strinse i pugni sulle lenzuola che poi tirò via scoprendosi. Con riluttanza alzò fino alle cosce la tunica che lo vestiva: le sue gambe erano segnate da cicatrici, marchio indelebile di quell'incidente.
Le lacrime presero a scendere da sole dai suoi occhi.
"Maledizione...maledizione!" urlò scaraventando a terra con un braccio tutto ciò che stava sul comodino di fianco al letto.
Si portò entrambe le mani sul viso stringendo tra le dita ciuffi di capelli agguantati per caso, poi si fece sprofondare nel letto addormentandosi poco dopo con le lacrime ad inumidirgli le guance.
Sognò, sognò controvoglia quegli attimi annebbiati nella sua mente e che il fratello con il suo racconto aveva ravvivato come si fa con una fiammella in procinto di estinguersi.
Le lamiere fredde e taglienti conficcate nella sua pelle intrappolandolo in una morsa dolorosa, la voce di Tom che l'incitava di non perdere i sensi, la vista offuscata, il suono delle sirene dell'ambulanza in lontananza, l'odore ferreo del sangue che invadeva prepotentemente le sue narici.
Era tutto lì, nella sua mente di nuovo. Tanti frammenti di un puzzle, ormai ricostruito.
Se avesse saputo prima come sarebbe finito, su una sedia a rotelle, come un invalido, impedito nei movimenti, senza più camminare agevolmente sul palco, senza più correre. Dipendere costantemente dagli altri e soprattutto dal fratello, essere un peso per lui. Se l'avesse saputo prima avrebbe preferito chiudere per sempre gli occhi tra quelle macerie d'auto. 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


CAPITOLO II


Una settimana era trascorsa dal suo risveglio. Giorni in cui i medici l'avevano ripetutamente visitato e tenuto sotto controllo, giorni in cui si sentiva sempre di più una cavia umana, fino alla mattina dell'ottavo giorno in cui il dottore, dopo l'ennesima visita, aveva comunicato che l'indomani l'avrebbero dimesso.
Alla porta bussarono e Bill mormorò uno stentato "avanti". Era Tom, che con i suoi vestiti puliti in mano era venuto ad aiutarlo e riportarlo a casa.
"Ti aiuto a vestirti" disse poggiando gli indumenti ai piedi del letto, per poi prelevare da essi una canottiera nera.
"Faccio da me, fino a prova contraria sono ancora in grado di usare le braccia" sbottò il ragazzo secco.
Aver bisogno d'aiuto anche per vestirsi, no, quello lui non poteva tollerarlo. Era troppo per il suo orgoglio, troppo per la sua dignità d'uomo. Non voleva che il fratello gli facesse da badante, non voleva una badante. Lui c'è l'avrebbe fatta da solo, lui sarebbe riuscito in ogni singola azione quotidiana come sempre, come prima, come quando stava in piedi sulle sue gambe.
Si spogliò della tunica e indossò la canottiera, poi agguantò i pantaloni, mentre Tom lo guardava con una vena di disapprovazione mista a frustrazione. Non era bello vedere il fratello in quello stato, non era bello vederlo combattere contro qualcosa più grande di lui, vederlo combattere consapevole in fondo di aver già perso in partenza.
Bill con entrambe le mani afferrò le sue gambe che di peso portò all'infuori del letto, lasciandole a penzoloni, poi si piegò su di esse cercando di infilare i pantaloni.
"Bill..." mormorò il fratello con un filo di voce "forse è meglio che ti aiuti io...".
Lui non rispose e continuò imperterrito.
"Bill, dico davvero" proseguì Tom.
"Cazzo, Tom ti ho sentito! Posso mettermi un fottuto paio di pantatoli anche da solo, ok!? Non ho bisogno che tu mi faccia da badante!" sbottò il gemello.
Il ragazzo non fiatò e lo lasciò fare. Come biasimarlo? Anche lui si sarebbe comportato allo stesso modo, se non peggio, in quelle condizioni.
Bill si sporse ancora di più, nel tentativo di infilare le gambe, che erano un peso morto, nei rispettivi buchi dei jeans, fino a perdere l'equilibrio e cadere a terra, dapprima in ginocchio, ma questi non riuscirono a reggerlo neanche per un secondo, finendo completamente contro il pavimento.
Tom lo sollevò subito afferrandolo per sotto le ascelle e infine rimetterlo seduto sul letto.
Prese i pantaloni caduti a terra e li fece scorrere lungo le gambe affusolate e levigate del fratello, poi prese le sue braccia e le fece intrecciare attorno al suo collo.
"Cerca di sollevare il bacino" disse tenendo stretto tra le dita l'orlo dei jeans.
Bill non rispose e si limitò ad eseguire quel comando per quanto gli fosse possibile. Era letteralmente annientato.
Fece uno sforzo e scaricando parte del suo peso sul collo del fratello alzò il bacino, mentre Tom faceva una smorfia digrignando i denti.
Con un abile movimento del polso sollevò del tutto i pantaloni e allora il ragazzo si lasciò cadere di nuovo sul materasso.
Alla porta improvvisamente si udì un leggero tocco di nocche, poi questa si aprì.
"Buongiorno, signor Kaulitz" disse una voce cortese. Era l'infermiera.
"Buongiorno" fece Tom rispondendo per Bill e accompagnandosi da un lieve cenno del capo.
"Il signore è pronto per andare?" domandò.
"Si, lasci pure qui la sedia a rotelle, grazie. Ci penso io".
La donna annuì e lasciò la sedia a rotelle di fianco al letto, per poi andarsene.
"Su, Bill. Si torna a casa" disse il ragazzo con un sorriso accennato e dando una piccola pacca sulla spalla al fratello.
Tom afferrò i manubri della sedia e la spinse fino al cospetto del gemello.
"Dai" l'incoraggiò offrendosi per aiutarlo a compiere il breve tragitto tra il letto e la sedia.
"No, io non andrò su quella cosa" disse rauco Bill.
"Bill, per favore. Non è il momento di fare capricci. Non puoi pretendere mica che ti porti a casa in braccio? Sai, sei piuttosto pesante..." cercò di ironizzare Tom per alleggerire quell'aria pesante.
"Tu non capisci. Il problema non è il tragitto verso casa, il problema è che io dovrò stare su quel maledettissimo aggeggio per il resto dei miei giorni!".
"N-non dire così. Guarirai, è sicuro".
"Non è vero".
"Si che lo è. Te lo dico io".
Il ragazzo non replicò. Sarebbe stato inutile, lui sapeva la triste e cruda realtà e le parole del fratello di certo non la cambiavano.
Si lasciò prendere in braccio e mettere su quella maledetta sedia, poi Tom fece per spingerlo fuori dalla stanza.
"No, almeno lasciami guidare questo affare" mormorò Bill.
Lui annuì e mollò la presa dai manubri.
Che era strana adesso la sua prospettiva di vita. Aveva sempre visto il mondo dal suo metro e novanta quasi e le cose gli erano apparse così piccole, ora su quella sedia era lui a sentirsi piccolo.

Appena mise piede in casa, anche quel posto che era il suo luogo privato ed incontaminato si distrusse per mano del suo nuovo deficit. Non poteva neanche salire le scale per raggiungere la sua stanza.
"Mi sa che dovremo sistemare un pò qui dentro" convenne Tom "Trasferiremo la tua stanza al piano di sotto, che ne dici? E faremo installare una di quelle piattaforme per salire le scale".
"Questo perchè doveva essere una cosa temporanea, giusto?".
"Bill non sappiamo quando durerò questa storia...".
"Si, certo".
Il ragazzo fece scorrere la mani sulle ruote della sedia dirigendosi verso il bagno del piano terra.
"Dove stai andando?".
"A fare un bagno, puzzo di ospedale".
Il bagno di quel piano non aveva nulla da togliere a quello del piano di sopra o al suo bagno personale. La stanza era a metà tra il moderno e il classico con pareti ricoperte da grandi mattonelle di marmo lucido e rettangolare dalle sfumature di grigio, così come il pavimento, dando l'impressione a tutto l'ambiente di essere più grande.
Si sporse verso la vasca bianca appena curvata alle estremità e aprendone la rubinetteria lasciò scorrere l'acqua calda, riempendola a metà.
Con qualche difficoltà si spogliò, poi cercò di trasportarsi dalla sedia al bordo della vasca. Si allungò e tentò di sollevarsi, ma le sue gambe erano sempre di più delle zavorre.
Tentò una seconda, terza volta, fin quando non riuscì a sollevarsi, ma le gambe cedettero subito facendolo crollare e nel tentativo di trovare un appiglio trascinò con sè anche la sedia a rotelle.
Tom nel salone sentendo quel tonfo seguito da un rumore metallico corse subito nella stanza dove trovò il fratello nudo, in posizione fetale sul pavimento.
"Bill, mio Dio!" esclamò alzandogli la testa.
"Io non posso vivere così..." mormorò "Io non posso vivere così, Tom...non sono neanche capace di fare uno stupido bagno...non voglio essere un peso morto, non voglio dipendere da te. Io voglio le mie gambe, voglio camminare!" biascicò tra le lacrime.
"Bill...ti prometto che riuscirai a camminare di nuovo, domani ti porterò da un fisioterapeuta. Tornerai come prima, sarà anche l'ultima cosa che faccio nella mia vita. Fidati di me". 

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


CAPITOLO III


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Tom l'aveva appena aiutato a scendere dalla macchina, ed adesso dopo aver inserito l'antifurto al suo gioiello, camminava al suo fianco verso l'edificio in cui lavorava il fisioterapeuta.
Il suo ufficio si trovava al piano terra e altro non era che un'enorme sala adornata con attrezzi per la riabilitazione dei pazienti.
Di ragazzi come lui lì dentro c'è n'erano un'infintà, così come uomini, donne e addirittura bambini. Quest'ultilmi lo lasciarono senza fiato e con un angoscioso peso sul cuore. Non avrebbero avuto poco più di 9 anni, eppure sorridevano. Avevano 9 anni ed erano bloccati su una sedia rotelle che gli impediva di correre, arrampicarsi sugli alberi e fare qualsiasi altra cosa che potesse fare un loro coetaneo, eppure sorridevano.
Per un istante si sentì uno stupido. Lui a 23 anni si comportava da immaturo, ma non riusciva a farne a meno. Voleva riavere indietro il diritto di camminare, di dipendere da se stesso e non dagli altri, voleva che le sue gambe lo sorreggesero. Lui non era come quei bambini. che magari essendo nati così non avevano mai assaparato il significato della frase "camminare con le proprio gambe", lui, invece, l'aveva provato e voleva continuare a provarlo a qualsiasi costo. Non l'avrebbe mai accettata quella condizione di vita. Non si sarebbe accontentato di ciò che gli era stato offerto, di essere ancora vivo, no, lui non viveva per accontentarsi, lui viveva per vivere, per avere ciò per cui combatteva.
Seguì il fratello verso una ragazza che stava curva su un ragazzo, intenta a spiegargli l'esercizio che avrebbe dovuto compiere.
"Ehm, mi scusi" fece Tom schiarendosi la voce.
Questa si voltò rivelando un paio di occhi azzurri limpidi e dei lunghissimi capelli castano-biondi racchiusi in dread che le ricadevano fino ai fianchi. La carnagione era chiara, il viso liscio e perfetto dai lineamenti delicati, le labbra rosee e carnose e il naso dritto e piccolino.
Sul volto del ragazzo comparve immediatamente un lieve sorriso malizioso e sfiorando con il pollice il piercing all'angolo delle sue labbra disse "Mi scusi, cercavo il dottor Stephens".
"Bè, c'è l'ha davanti" rispose la ragazza indicando il cartellino agganciato sul suo camice bianco che riportava il nome "Vivienne Stephens".
Tom intontito balbettò qualcosa di incomprensibile.
"Lei chi è?".
"Sono Tom...Tom Kaulitz e lui è mio fratello Bill. Come vede ha avuto un grave incidente e si è svegliato solo una settimana fa dal coma, ma è costretto a stare sulla sedia a rotelle...se lei potesse aiutarlo...".
"Capisco. Le giuro che farò tutto quello che è in mio potere. Adesso può anche andare, può ritornare fra un'ora".
Il ragazzo annuì e diede una pacca sulla spalla al fratello "Ci vediamo dopo" disse infine congedandosi.
"Allora signor Kaulitz" si rivolse la ragazza con un sorriso gentile.
"Abbiamo quasi la stessa età, possiamo darci del tu, no?".
"Hai ragione...Bill".
"Davvero riuscirai a farmi riacquistare di nuovo l'uso delle gambe?".
"Questa domanda non dovresti farla a me, ma solo a te stesso. Tu, Bill, ci credi?".
"Io...io non lo so".
"Bè, spero che stando qui dentro, a contatto con tutte queste altre persone che sono nella tua stessa situazione, le tue idee diventino più chiare, perchè se dai un non lo so a te, lo dai anche a me".
"Questo significa che non mi garantisci niente?".
"Io non ho una bacchetta magica, non posso far miracoli, posso solamente aiutarti e guidarti lungo il cammino. E questo lo posso fare solo se tu mi tendi una mano".
Bill non sembrò molto convinto di quelle parole.
"Hai mai guarito qualcuno?".
"Ad essere sincera no..." ammise "Sono una fisioterapeuta a tutti gli effetti da poco più di un anno...ma facendo tirocinio da alcuni medici ho visto che niente è impossibile".
"Forse ho sbagliato posto allora...".
"Seguimi" disse lei andando verso la parete su cui erano saldati due tubi di ferro che fungevano da corrimano.
"Bene, cammina".
"Cosa?".
"Alzati e cammina".
"No, cadrei immediatamente a terra!".
"E allora? Hai paura di scontrarti con il duro e freddo pavimento?".
Bill sbuffò cogliendo in quelle parole una sfumatura di sfida. Con le braccia si aggrappò ai rispettivi corrimano e con sforzo notevole si sollevò.
Adesso stava in piedi, in un equilibrio precario dettato solo da quei tubi che sorreggevano tutto il suo peso.
"Bene, muovi le gambe ora".
"Non ci riesco...".
"E chi lo dice? Muovi".
"Non...non si muovono!".
Le sue braccia cedettero esauste dal troppo peso che erano costrette a sorreggere, fancendolo cadere.
Vivienne l'aiutò a rimettersi sulla sedia a rotelle.
"Quello che hai fatto è meschino" sbottò Bill rosso in faccia "Sapevi che sarei caduto, mi hai umiliato davanti a tutti".
"Scarica pure la colpa su di me, ma questo non migliorerà la tua situazione..." indietreggiò di qualche passo "E impara una cosa: qui nessuno giudica nessuno. Siamo tutti sulla stessa barca, inutile deridersi a vicenda. Tutti qui sono caduti, ma tutti si sono sempre rialzati". Fece per andarsene.
"Aspetta! E io che devo fare adesso?".
"Guarda" rispose lei.

***

ammettendo il fatto che questo capitolo mi fa "leggermente", per non dire, molto schifo D: , ma che pubblico lo stesso, armatevi di pomodori...q.q 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


CAPITOLO IV


Bill era in un angolo della grande stanza con le braccia incrociate sul petto. E quella secondo lui poteva definirsi un dottore? Una fisioterapeuta? Una che trattava i suoi pazienti in quel modo?
Quella era solo una pazza che credeva che con la sua laurea potesse permettersi il lusso di fare quello che le pareva, si diceva. Ma quella pazza, a differenza di chiunque altro, non aveva provato una falsa, patinata e ipocrita compassione per il suo stato.
La guardava con una leggere ruga al centro della fronte. In quel momento stava aiutando un bambino, dove mezz'ora prima lui era caduto.
Il bambino compiva microscopici passi stentati, ma sul suo viso era evidente che per lui quei pochi centimetri che riusciva a percorrere equivalevano a metri.
Girò il capo dall'altro lato, sentendosi quasi a disagio davanti a quella scena. I suoi occhi si posarono su una ragazza che cercava di sollevare dei piccoli pesi con le mani.
Si stufò. Perchè gli altri potevano e lui no? Perchè doveva starsene lì? Non voleva guardare, voleva mettersi in gioco e guarire il prima possibile.
Fece scorrere le ruote sul pavimento lucido, arrivando all'angolo opposto, da cui fuoriuscivano due piccole ringhiere.
Strinse i denti e si alzò aggrappandosi ad esse.
"Posso farcela" si disse scaricando pian piano il peso dalle sue braccia, alla gambe. Ma quando le braccia si fecero leggere e distese e persero il contatto con le sbarre lui cadde a faccia in giù.
Vivienne che in silenzio aveva assistito a tutta la scena da lontano gli andò subito incontro.
"Aspetta ti aiuto" disse piegandosi su di lui.
Bill l'allontanò con una mano "Lasciami, faccio da solo, tu va pure dai tuoi pazienti".
"Smettila di fare lo stupido, così non concluderai niente".
"Ho detto di lasciarmi stare!".
La ragazza sospirò "Sei proprio un ciuco".
Bill si trascinò verso la ringhiera e di nuovo si aggrappò ad essa levandosi in piedi.
Cadde, si strascinò e si rialzò di nuovo. Andò avanti così per altre sei o sette volte, fin quando Tom non venne a riprenderlo.
"Allora, com'è andata?" domandò il fratello, rivolgendosi più a Vivienne che a lui.
"Discretamente...diciamo" rispose lei "Domani mattina lo riporti qui, ma sta volta andate al quinto piano, lì si trova il mio studio personale. Suo fratello non può iniziare da qui se non riceve i giusti trattamenti di partenza".
Tom annuì e la salutò, poi insieme al fratello si diresse verso l'uscita.
"Quella è pazza" disse Bill una volta abbastanza lontano e certo che lei non potesse sentirlo.
"Guarda che se domani non vuoi andare all'appuntamento, me lo dici ed io mi butto subito sotto un'auto, così mi presento io al posto suo. Sono molto curioso di sapere quali siano questi trattamenti...".
Il ragazzo sospirò e roteò gli occhi al cielo.

Ore nove e trenta. Bill era sull'auto sballottato a destra e a sinistra dal fratello a volante che un pò per l'ora (lui di solito alle nove era ancora in catalessi) un pò per il precoce traffico gli sembrava un ubriaco.
Stesso edificio del giorno precedente, quinto piano davanti alla porta color nocciola che riportava la targhetta con scritto "Dott.ssa Stephens".
"Io sono qui a farmi un giretto, quando finisci fammi uno squillo" gli disse Tom congedandosi, prima di bussare.
Al tocco di nocche sul legno, esattamente tre secondi dopo, la porta si aprì.
"Buongiorno".
"Buongiorno" rispose Bill, quasi costretto, per educazione.
Non aveva niente contro di lei, o quasi. Detestava il modo in cui lo faceva sentire stupido in tutto ciò che faceva, diceva e pensava. Detestava quel suo modo di fare freddo, reale e diretto. Detestava che, se mai fosse guarito, le avrebbe dovuto dire che tutto quello che diceva e aveva fatto era stato giusto, detestava riconoscere in lei un appiglio, una speranza. Detestava, ma non sapeva che in fondo non la pensava davvero così. In fondo provava un senso di ammirazione nei suoi confronti, in fondo trovava che i suoi metodi per quanto ruvidi fossero giusti, in fondo doveva ammettere che quegli occhi azzurri che sorridevano ad ogni suo paziente, tranne che lui, le piacevano. Questo però lo sapeva solo una piccola parte di sè che teneva lontano dalla luce del sole.
Entrò trovandosi in una stanza dalle tende quasi del tutto tirate e la luce solare che riusciva a trapelare creava un ambiente soffuso. Davanti alla finetra stava una scrivania con un computer e scartoffie varie, ma non si fermarono lì. Vivienne lo condusse nella stanza accanto munita di un lettino piazzato al centro.
Lei attivò un meccanismo che lo fece abbassare per facilitare a Bill il passaggio dalla sedia al lettino, dopodichè lo rialzò.
"Ti spiace togliere i pantaloni?".
"I pantaloni?" ripetè lui.
"Si, non pretenderai mica che ti massaggi le gambe con i pantaloni, vero?" fece con un lieve sorriso divertito "Non ti vergognerai, spero...".
Bill non rispose e si limitò a sganciare il bottone, far scendere la cerniera e sollevando la schiena dal lettino sfilarseli.
Vivienne per un momento rimase incantata a fissare le chiare cicatrici sulle pelle rosea e liscia che deturpavano quelle gambe affusolate e toniche, poi prese a massaggiarle, cercando di stimolare la circolazione del sangue.
Il ragazzo al tocco non avvertì niente, ma lei si. Le sue mani erano fredde e al contatto con la sua pelle calda pian piano si riscaldarono avvolte da quel calore.
Bill non sentiva neanche quando faceva pressione e quando, invece, lo sfiorava quasi. Dalla cintola in giù non avvertiva assolutamente niente e questo era degradante per lui. Era come se metà del suo corpo fosse morto e l'altra metà fosse costretta a portarsi quel peso dietro, a guardarlo privo di vita e ricordarsi ogni giorno, ogni istante che la vita lì non scorreva più.
Passò mezz'ora e Vivienne terminò. Gli porse i pantaloni, che lui indossò, per poi mettersi a sedere sul lettino, con le gambe che pendevano da esso in attesa che lei riattivasse il meccanismo che l'avrebbe abbassato permettendogli di salire sulla sua infernale e limitatoria sedia a rotelle.
La ragazza stava per premere il pulsante, quando Bill la bloccò posando una mano sulla sua che teneva il piccolo telecomando di plastica grigia.
"Farai tutto quello che è in tuo potere vero?" le domandò in un mormorio sommesso, come se stesse recitanto una preghiera.
Lei lo guardò e in quegli occhi lesse non più la diffidenza, ma la disperazione e determinazione più pura.
"Si, te lo prometto". 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


CAPITOLO V


-Un mese più tardi-
Bill quella mattina era di nuovo su quel lettino, come da un mese ormai. Andava puntualmente allo studio di Vivienne tre volte alla settimana, ogni lunedì, mercoledì e venerdì, alle dieci del mattino.
Lì la ragazza massaggiava le sue gambe a volte aiutata da intrugli, alle volte no, ma sempre con risultati nulli.
Bill aveva perso la speranza e se continuava quella inutile terapia era solo per accontentare il fratello e per non deluderlo. Fosse stato per lui avrebbe già mandato in aria tutto, era inutile sorreggere quella farsa.
Quella mattina stava per farlo, stava per fiondarsi sulla sua maledetta sedia a rotelle e uscire da quella porta, per non entrarvi mai più. Dopo un mese le sue condizioni non erano cambiate, non poteva, non riusciva a trascorrere altro tempo così, facendo costantemente buchi nell'acqua.
Fece per aprire la bocca, ma subito la richiuse sgomento. Sentiva qualcosa, qualcosa di lontano, qualcosa che era quasi impercettibile, ma lui riusciva ad avvertirla lo stesso. Era una carezza, forse no, forse era uno schiaffo, un pizzicotto, un pugno o un calcio. Ciò che fosse di preciso non gli importava, ciò che contava è che lui la sentiva sulla sua pelle che fino a quel momento era rimasta assopita.
Vivienne si accorse che il viso del ragazzo aveva perso almeno due tonalità di colore e che la sua espressione era spiritata.
"Cosa succede?".
"I-io...io sento..." balbettò incredulo.
"Senti le mie mani?" domandò lei stupefatta.
"Si...è come se tu mi stessi toccando da lontano, come se fossi in un'altra dimensione, ma riesco ad avvertire il tuo calore ugualmente" mormorò.
"Davvero? Ma è meraviglioso!" si corresse "Vo...voglio dire, dopo un mese di terapia era ora...".
"Non ci credevi neanche tu, eh?".
"Non ho detto questo...bè, vediamo un pò se senti anche il dolore...".
Prese a pizzicarlo, ma Bill non dava segni di fastidio.
"Sento che mi tocchi, ma non il dolore" disse.
"Ho capito...vabbè, però è già un inizio! Dovresti andare a festeggiare questa piccola, grande vittoria".
"Hai ragione. Che ne dici di uscire stasera?".
Vivienne lo guardò attonita.
"Lo so che uscire con un disabile non è il massimo..." aggiunse Bill sul punto di pentirsi di quell'invinto.
"E mi chiedi di uscire così? In mutande?".
"Qual è il problema? E' da un mese che mi vedi in mutande...".
"Hai ragione" la ragazza distolse lo sguardo da lui e porgendogli i jeans disse "Comunque si, mi va di uscire con te, solo a patto che non ti dai più del disabile".

Era sera. Avevano deciso di fare una passeggiata in centro e poi andare a mangiare qualcosa.
Bill in circostanze normali sarebbe andato a prenderla a casa, ma purtroppo non poteva e nemmeno avrebbe accettato che lei sarebbe andata a prenderlo. C'erano cose in cui lui non transigeva e quella era una di esse. Ad un appuntamento doveva essere il ragazzo, lui ad andare dalla ragazza e non il contrario.
Per non scalfire il suo orgoglio alla fine aveva deciso che si sarebbero incontrati davanti al cafè Paris, la caffetteria del centro ed una delle  più in voga della città.
Quando arrivò era in perfetto orario. Tom l'aveva lasciato proprio davanti alla vetrina del cafè e prima di sfrecciare via gli aveva lanciato una strizzata d'occhio.
I marciapiedi pululavano di persone che, come presto avrebbe fatto lui, passeggiavano accompagnate dalle loro dolci metà o con gruppi di amici. Provò disprezzo per loro. Lui quella stessa strada che adesso calpestavano l'aveva percorsa con le sue gambe migliaia di volte, mentre loro pensavano che lui fosse un povero disgraziato riservandogli un'indegna compassione.
Attese innervosito tra la folla.
Aveva indossato una giacca in stile baseball bianca dalle maniche nere dalle rifiniture rosse. Su di essa, proprio sul petto stava scritto a grandi caratteri neri "Bill" e sbottonata vestiva larga il suo torace, per poi stringersi sui fianchi, dove era abbottonata.
Al collo portava una spessa catena dorata e varie catenelle, mentre le gambe erano vestite da dei pantaloni neri di pelle aderenti.
I minuti passarono, poi al decimo o al quindicesimo tra le persone riconobbe il viso di Vivienne e i suoi lunghi rasta. Aveva un paio di jeans scuri e leggermente scoloriti sulle cosce ed una maglietta di pizzo nera appena trasparente.
"Ciao, scusami per il ritardo! E' da molto che aspetti?".
"No, mi è capitato di peggio...allora andiamo?".
Lei annuì e i due iniziarono a passeggiare.

Vivienne scoppiò a ridere; Bill le aveva raccontato un aneddoto della sua vita risalente alla scuola media.
"Dici davvero? E' impossibile!".
"Si, dico davvero. Dovevi vedere le facce di quei due". Anche lui si unì alla sua risata sentendosi spensierato e leggero per un attimo.
Quell'allegria però com era venuta se ne andò altrettanto velocemente. Il ragazzo senza accorgersene e senza volerlo aveva urtato qualcuno. Un tizio che subito si voltò con un'espressione rabbiosa.
"Hey. tu handicappato! Stai attento a dove mette quelle fottutissime ruote".
Il volto di Bill cambiò colore, mentre uno squarcio nella sua dignità gli aveva trafitto le orecchie. Era stato colto così alla sprovvista che era incapace di parlare, di reagire. Per dire cosa poi? Lui fino a prova contraria era bloccato su una sedia a rotelle. Non si era mai preparato un copione per quella eventualità.
"Sei un cafone! Come ti permetti?!". La voce di Vivienne lo sorresse e al tempo stesso lo fece sprofondare ancora di più. Non voleva essere difeso dagli altri, ma apprezzava il suo intervento.
"Se no, dolcezza? Se do dell'handicappato al tuo amico che fai?" e così dicendo l'afferrò per un braccio.
"Non mi toccare, schifoso!".
Bill improvvisamente scattò in piedi preda di una scarica di adrenalina e liberò Vivienne dalla presa dell'uomo, ma cadde subito a terra trascinato dalle sue gambe che di nuovo si erano fatte molli e pesanti.
Quel tizio si mise a ridere "Mi hai messo paura, lo sai?" disse schernendolo "Patetico", poi si rivolse alla ragazza "Perchè non vieni a farmi compagnia?".
Vivienne urlò attirando l'attenzione di un gruppo di ragazzi lì vicino. L'uomo la lasciò andare e si dileguò. Una volta libera si fiondò su Bill.
"Stai bene? Ti aiuto a rialzarti...".
Lui la respinse "Lasciami, non mi toccare. Vai via, torna a casa!" disse mentre si aggrappava alla sedia a rotelle, per poi salirvi sopra.
Avanzò lasciandola indietro.
"Bill, aspetta!" urlò lei correndogli dietro "Si può sapere cos'hai? Stai bene, no?".
Il ragazzo si fermò di colpo "E' questo il problema, io sto bene! Sto bene e sono inutile! Sono solamente un inutile handicappato, come diceva quello. Non sono stato neanche in grado di difenderti da quell'uomo...".
"No! Non è vero! Io ti ho visto, ti sei alzato improvvisamente in piedi e mi hai liberato il braccio! Tu questo lo chiami essere inutile?".
"Sono caduto a terra incapace di rialzarmi, mentre lui stava per farti del male!".
"Ma non è successo niente, è questo ciò che conta! Io non ho bisogno dell'eroe che mi salvi, so anche cavarmela da sola, sai?".
"Comunque sia la serata è conclusa...scusami".
"Bill non lasciarti turbare da parole uscite dalla bocca di un idiota, non rovinare questa serata. Questo è il tuo momento. Stamattina hai visto il primo spiraglio di luce in fondo al tunnel e poco fa anche...sei balzato in piedi per proteggermi e io ti ringrazio, l'ho apprezzato, come ho apprezzato il fatto che tu mi abbia invitata stasera. Sinceramente, credevo che tu mi detestassi e non pensavo che avresti scelto di festeggiare proprio con me...".
"Se ho fatto dei progressi è grazie a te. E' il minimo che potessi fare".
"No, se la terapia ha funzionato è solo grazie a te stesso. Tu che mi hai fatto prendere a cuore il tuo caso. Davvero Bill, voglio che tu recuperi l'uso delle gambe e mi impegnerò con tutta me stessa per realizzare questo progetto. Ma adesso basta, abbiamo una serata da continuare". 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


CAPITOLO VI


Bill quel giorno era particolarmente motivato. Dopo che aveva ottenuto quell'inaspettato miglioramento non aveva più intenzione di farsi dare dell'handicappato ancora.
Andò in bagno e liberò dell'asciugamano il portasciugamani di ferro che usciva dal muro e iniziò a sollevarsi sorreggendosi con esso. Ricadde a sedere più e più volte, ma interstadito si rialzava ancora più determinato di prima. Non riusciva ancora a muovere le gambe, ma almeno voleva riuscire a rimanere in piedi per più di un secondo.
Tom che dalla stanza accanto sentiva lo stridio delle giunture metalliche della sedia a rotelle, accompagnate da lamenti per lo sforzo ad un certo punto si spazientì. Ok, la determinazione, ma adesso, secondo i suoi gusti, stava esagerando. Era inutile torturarsi in quel modo.
Spalancò la porta del bagno "Ne hai ancora per molto? O finirai quando di te rimarrà solo una poltiglia d'ossa?".
"Abbiamo tre bagni se non ricordo male, usa un altro cesso".
"La vuoi smettere di torturarti? Che la paghiamo a fare la fisioterapeuta se poi devi distruggerti così?".
"Non sei tu quello che dal pisello in giù non sente niente".
Tom corrugò la fronte serio "Cosa vuoi dire con questo? Credi che a me faccia piacere vederti in questo stato?".
"Sinceramente non lo so a che pensare. So solo che se avessi al cuore la mia situazione non mi staresti interrompendo".
Il fratello fece un mezzo sorriso sarcastico "Ti sto interrompendo? Tsè" con il pollice fiorò la punta del naso "Lo sai Bill, delle volte sei proprio un idiota".
"Sono pur sempre tuo fratello gemello...".
"Già, il gemello stupido".
Bill lanciò un'occhiataccia a Tom "Sai che ti dico? Meglio che me ne vado, perchè oggi non riesco proprio a sopportarti".
Il ragazzo lo lasciò passare mettendosi ad un lato della porta, poi il fratello uscì di casa.
Dove stesse andando non lo sapeva neanche lui con certezza. Cercava un posto tranquillo, un posto dove non doveva preoccuparsi degli sguardi altrui, un posto che lo facesse sentire normale e in cui continuare il lavoro che aveva lasciato in sospeso a causa dell'interruzione di Tom.
Pensò subito a Vivienne, ma poi una ruga gli attraversò la fronte. Erano quasi l'una e a quell'ora sicuramente non l'avrebbe trovata.
Ormai era fuori, però, e di ritornare a casa per il momento non ne voleva sapere, così decise di andare ugualmente da lei, magari era fortunato.
Arrivò all'edificio e andò nella sala dove vi erano gli attrezzi per la riabilitazione. Era semibuia e Vivienne era proprio lì, avvolta dal tintinnio del folto mazzo di chiavi che teneva in mano e con cui stava chiudendo una porta.
Bill entrò e si avvicinò a lei. "Ciao" disse.
La ragazza si voltò e vedendolo rimase di stucco "Bill, ciao...ma che ci fai qui? Oggi non avevamo il nostro incontro...".
"Lo so..." mormorò lui "Stai andando via?".
"Si, sto chiudendo tutto e stavo per andare a casa...".
"Ti dispiace rimandare e rimanere ancora un pò? Sai ho avuto un piccolo litigio con mio fratello e per il momento non mi va di tornare a casa...sempre se a te non dispiace...".
"N-no...no, ok tengo aperto un altro pò, allora" sorrise dolcemente ed andò verso una delle grandi finestre dove alzò le veneziane facendo entrare la forte luce del mezzodì inoltrato.
Bill andò verso le sbarre di ferro al muro e si alzò.
Era strano vedere quell'enorme sala deserta. Quella prima ed unica volta che vi aveva messo piede era stata piena di persone indaffarate nei loro esercizi e Vivienne correva da una parte all'altra per aiutarli, correggerli e semplicemente osservarli. Adesso che era il suo solo paziente e lei stava lì, con occhi solo per lui a guardarlo avvertiva una strana sensazione.
"Riesci a stare un pò di più in piedi sto notando..." osservò lei compiaciuta.
"Si, ma le gambe non ne vogliono sapere di muoversi...".
"Bill ogni cosa ha il suo tempo".
Il ragazzo fece una smorfia "Io non voglio più aspettare, un altro mese così e rischio di impazzire. Io voglio muovere le gambe, voglio muoverle..." si sforzò "perchè non vi muovete?!".
Ci mise tutto se stesso, tutta la sua forza, tutta la sua determinazione e tutta la sua mente ed improvvisamente ecco che una sua gamba tremolante fece un passettino avanti, di all'incirca due centimetri.
Vivienne spalancò gli occhi sbalordita "Bill..." mormorò con un filo di voce.
Lui teneva gli occhi chiusi, come se avesse paura che riaprendoli si sarebbe reso conto che in realtà fosse tutto un sogno e che lui non stesse davvero muovendo le gambe.
"Io voglio che vi muoviate. Dovete muovervi!" disse tra i denti che teneva stretti sforzandosi di prevaricare il dolore.
"Bill apri gli occhi. Bill guardati".
"No, se li apro tutto finisce".
"No, Bill non finirà".
Bill aprì gli occhi e vide che si trovava di qualche passo più lontano dalla sedia a rotelle e più vicino a Vivienne che gli tendeva le mani.
"Vieni" lo spronò lei.
Lui mosse un altro piccolo, quasi impercettibile passo, ma subito dopo rischiò di perdette l'equilibrio a causa delle sue gambe che avevano distrutto il miracolo.
Il ragazzo cadde in avanti, tra le braccia tese di Vivienne che andò a finire contro il muro.
Bill stava quasi completamente accasciato su di lei attaccata alla parete.
"Scusami...ti sei fatta male?" mormorò lui.
"No...solo che pesi un pò...".
I loro occhi improvvisamente si incontrarono. Bill cercò di scaricare il suo peso attraverso una mano che teneva sul muro e con l'altra sfiorò il viso di Vivienne. Accorciò la distanza che divideva i loro visi, ma ad un tratto una voce dietro di lui lo fece sobbalzare e crollare a terra, davanti agli occhi della ragazza che cercò invano di acciuffarlo.
"Bill, immaginavo di trovarti qua. Su, torniamo a casa. Mi dispiace". Era Tom che quando lo vide cadere lo aiutò a rialzarsi.
"Tutto ok?".
Il ragazzo annuì.
"Torniamo a casa, va bene? Puoi fare quello che vuoi, da ora in poi non ti romperò più. Scusami...".
"Va...va bene" balbettò il fratello ancora con gli occhi fissi su Vivienne.
"Mi scusi per il disturbo..." disse poi Tom rivolgendosi alla ragazza.
"S-si figuri, nessun disturbo".
Lui annuì e la salutò.
"Ciao..." disse Bill.
"Ciao e a domani..." rispose lei. 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


CAPITOLO VII


"Quello che è successo ieri è stato davvero fenomenale" disse Vivienne ancora stupita "Ma non dobbiamo strafare, è meglio fare tutto con calma e cautela se no rischiamo di peggiorare le cose e mandare a monte tutti questi miglioramenti".
La ragazza parlava con voce quasi sommessa, mentre sottoponeva Bill ad uno dei suoi soliti massaggi.
"Io non voglio aspettare".
Lei sospirò "Invece devi, non sei un bambino...".
"E cosa non ti fa pensare che io sia un bambino leggermente cresciuto?".
Vivienne si mise a ridere "Leggermente cresciuto? Bill Kaulitz fai il serio, come si conviene ad un ragazzo della tua età".
"Il serio, eh?" fece Bill inarcando un sopracciglio.
"Si, il serio" ripetè la ragazza.
"Ok" e così dicendo l'afferrò per un braccio e la tirò a sè, ad un centimetro dal suo viso, poi la baciò.
Fu un bacio breve, perchè lei si allontanò di colpo. Aveva il viso pallido, ma al tempo stesso le guance erano chiazzate di un rosso intenso.
"B-Bill...che ti salta in mente?".
"Perchè, non lo volevi?".
"N-no! Non so cosa tu abbia capito, ma sicuramente hai frainteso! Il nostro è solo un rapporto professionale: medico, paziente, paziente medico".
"Io non ho frainteso...".
"Invece dal tuo gesto si direbbe di si! Io sono solo la tua fisioterapeuta!".
"E poi il bambino sarei io? Tu che ti aggrappi a queste stupidaggini del puro rapporto professionale tra paziente e dottore...".
"Io non mi aggrappo a un bel niente!".
"Oh si invece".
Vivienne divenne viola in volto "Sei un arrogantee presuntuoso! Adesso credi di sedurre il tuo medico solo perchè sei famoso...". Si interruppe, Bill l'aveva attirata di nuovo a sè.
"Sono?" le soffiò in faccia.
Lei non rispose e lui la ribaciò.
Questa volta anche Vivienne ricambiò il bacio, lasciandosi guidare dalle labbra di Bill.
"Non..." mormorò lei.
"Ssst".
Si baciarono ancora, poi il ragazzo la lasciò andare.
"Tu sei davvero impossibile" disse Vivienne scuotendo la testa.
"Non c'è nulla di male...io provo qualcosa per te e lo stesso tu..."
La ragazza fece un mezzo sorriso incerta.
"Proviamoci, che ti costa?".
Annuì "Proviamoci".
Bill sorrise e si mise a sedere sulla sedia a rotelle.
"Scendiamo di sotto? Abbiamo ancora un pò di tempo ed io voglio provare ad alzarmi e...".
Vivienne lo interruppe "Non se ne parla nemmeno! Per oggi credo che possa bastare così".
"E se poi non riesco più a muovere le gambe? Voglio provarci!...Ho paura di dimenticare come ho fatto ieri...".
"Possibile che dobbiamo fare sempre di testa tua? Ma cosa sono io? Il mio parere di specialista non conta?".
"Dai" la supplicò con occhi da cerbiatto.
Lei sospirò "Va bene".
Le porte di vetro facevano vedere l'interno della sala completamente immersa nel buio. Vivienne tirò fuori da una tasca del suo camice il tintinnante mazzo di chiavi e scegliendone una la infilò nella serratura che ruotò, per poi aprire la porta.
Entrò e allungò una mano verso la parete piggiando l'interruttore delle grandi luci al neon al soffitto e l'ambiente fu invaso da una forte luce bianca.
Bill andò alle sbarre e cominciò i suoi esercizi, mentre lei l'osservava.
Riusciva ancora a muovere incerto gli arti inferiori e sul suo viso vi era dipinta una smorfia di dolore. Quei pochi passi oltre che fatica gli costavano anche una grande quantità di forza di volontà.
Ad un certo punto Vivienne vedendo che i piccoli passi si accorciavano sempre di più decise che per quel giorno era sufficiente così. "Ok, per oggi può bastare" disse andandogli incontro.
"N..." fece il ragazzo.
"Non ti azzardare a replicare. Si fa come dico io" l'ammonì lei seria aiutandolo a sedersi sulla sedia.
Improvvisamente Bill l'afferrò per un braccio e la fece abbassare verso di lui, per poi baciarla.
"Non te lo meriti" mugugnò la ragazza "Non mi ascolti mai".
"Scusa, ma io voglio poterti guardare negli occhi e abbracciare senza che questa sedia me lo impedisca...".
Vivienne sorrise "A me va bene anche così. Ho imparato ad apprezzarti su questa sedia...mi piaci così come sei e con o senza sedia questo per me non cambia".
Il ragazzo la fece sedere sulle sue gambe e le posò una scia di piccoli baci dalla fronte al mento. Lei gli accarezzò i capelli e ricambiò i baci partendo dalla bocca e scendendo sul collo.
Bill accarezzò i suoi fianchi e salì fino alle spalle dove fece scorrere le sue mani guidando il camice che ricadde sulle braccia ed infine a terra.
La mani di Vivienne tra i capelli argentei di lui si fecero più audaci e si perdevano tra quei soffici fili, mentre si appropriava delle sue labbra.
Lui con i polpastrelli sfiorava la schiena di lei coperta da una canottiera nera, per poi insinuarsi sotto di essa.
La ragazza acciuffò l'orlo della maglietta di Bill e la sfilò via scoprendo il suo torace pallido colorito dai vari tatuaggi e muscoloso. I pettorali erano perfettamente evidenziati, gli addominali erano graziosamente accennati, ma le braccia furono la cosa che la colpirono maggiormente: forti e massicce dai muscoli ben delineati. Magari il fatto che lui fosse bloccato su una sedia a rotelle avrebbe affievolito di molto il suo senso di protezione agli occhi di chiunque, ma non a lei che stretta da quelle braccia si sarebbe sentita nel luogo più sicuro al mondo.
Vivienne si spogliò della canottiera rivelando i due minuti seni racchiusi nel semplice reggiseno dai motivi verticali di un nero opaco che si alternava con un nero di raso.
Sbottonò i pantaloni del ragazzo e si alzò dalle sue gambe per sfilarglieli. Con le dita sfiorò le lievi cicatrici che le deturpavano con una leggera nota di malinconia che nascose agli occhi di lui, poi gli regalò un mini spogliarello privandosi dei jeans che fece scorrere lungo le sue cosce sensualmente e il reggiseno che elegantemente lasciò cadere sul pavimento.
Si avvicinò a Bill e lo spogliò dei boxer. Lui subito dopo l'afferrò per i fianchi e fece scivolare le mani sui suoi glutei sodi coperti da delle brasiliane di pizzo nero. La denudò di quell'ultimo indumento che persisteva ancora sul suo candido corpo e tirandola a sè la fece sedere sulla sua eccitazione.
Con le labbra sfiorò le sue spalle, salendo sulla clavicola e infine sul collo, poi riscese posando sullo stesso tragitto appena percorso piccoli ed umidi baci, mentre lei si teneva stretta al suo collo e premeva leggermente la sua testa contro la sua pelle.
Con i suoi fianchi preda dalle sue mani Bill entrò in lei facendola gemere.
Vivienne si strinse ancora di più a lui lasciandosi andare a sospiri di piacere che si infrangevano contro una guancia del ragazzo. Tra le sue braccia, il luogo più sicuro del mondo. 

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


CAPITOLO VIII


Vivienne tamburellava con le dita sulla scrivania, mentre sulle labbra picchiettava la sua penna.
"Allora facciamo così" annunciò infine, dopo un lungo momento di indecisione "Dei nostri tre incontri due si svolgeranno nella sala, facendo gli esercizi, invece, faremo solo un incontro qui, dedicato ai massaggi".
"Solo uno? Così io non mi accontento però..." rispose Bill con una vena di malizia nella voce.
"Bè, te lo farai bastare".

                                                              ***

Da due incontri ormai Bill si recava nella sala per la riabilitazione.
Lavorava incessantemente a volte supportato da persone nelle sue stesse condizioni che gli regalavano parole di incoraggiamento. Vivienne era sempre al suo fianco, nonostante corresse da una parte all'altra per aiutare un pò tutti. A lui andava bene così, gli bastava anche solo una sua occhiata fugace per sentirsi meglio e più motivato.
Quel giorno Bill concluse gli esercizi stranamente presto e all'arrivo di Tom ci sarebbe voluto ancora un bel pò. La sua Vivienne, invece, era indaffarata. Un nuovo paziente, un bambino, gli stava dando dei grattacapi e lui non voleva stare lì rischiando di disturbarla o distrarla, così decise di fare un giro fuori.
"Io vado, ci vediamo venerdì allora".
"Sei sicuro di voler andare? Perchè non rimani e aspetti tuo fratello qui?".
"Grazie, ma meglio di no. Non voglio disturbarti, sei carica di lavoro".
"Dottore, dottore!" piagnucolò il bambino.
"Si, arrivo subito!", poi si rivolse al ragazzo "Va bene, come vuoi. Io adesso devo scappare" lo baciò su una  guancia e scappò via dal suo piccolo paziente.
Fuori il cielo cupo e nuvolo aveva tutta l'intenzione di invadere le strade della città con la pioggia che presto sarebbe caduta giù da esso. Anche l'aria iniziava a farsi fredda.
I passanti con i loro ombrelli sottobraccio non sembravano molto sorpresi, ma erano pronti a mettere in azione gli aggeggi per ripararsi in caso di acquazzone.
Bill decise di rifugiarsi all'interno di un piccolo cafè, dall'aria calda e accogliente. Non si sbagliò, infatti quando vi entrò fu invaso da una tiepida carezza che profumava di caffè appena sgorgato dalla macchinetta e di fragranti pan cake.
Il ragazzo si sistemò ad un tavolino rotondo all'angolo della stanza e presto una cameriera andò a servirlo.
"Buongiorno, cosa vuole ordinare?" gli chiese la ragazza, per poi alzare la testa dal suo taccuino rivelando la grande cicatrice al centro della guancia.
Questa quando lo vide sgranò gli occhi, così come lui.
Dei frammenti di ricordi assopiti riaffiorarono alla sua mente. Quella era una delle ragazze che era in macchina con lui, quando accadde l'incidente. Sapeva solo che due del gruppo erano sopravvissuti e credeva che la sorte peggiore fosse toccata a lui, ma doveva in parte ricredersi.
L'incidente aveva lasciato un segno indelebile anche a lei e per giunta sul viso. In quanto ragazza doveva essere stata dura accettare una cosa del genere. Risvegliarsi dall'incubo con il volto sfigurato.
"Tu..." mormorò lui incredulo.
"Bill...il ragazzo della discoteca...".
"Quindi è questa la tua punizione per essere stata incosciente?".
La ragazza si portò una mano sulla guancia a disagio "Si...tu, invece...".
"Sono bloccato da più di un mese su questa maledetta sedia...".
"M-mi dispiace, deve essere stata dura...".
"Ammetto che lo è tutt'ora, ma fortunatamente sono circondato da persone che mi aiutano...sto migliorando però, prima non riuscivo neanche a sentire se mi toccavano, adesso percepisco e muovo qualche passo...".
"Ne sono contenta".
"Anche per te deve essere stata dura...".
"Si, e continua  a esserlo. Il mio ragazzo mi ha lasciata...diceva che non riusciva più a guardarmi in faccia con questa cicatrice..." disse amaramente.
"Amanda!". Una voce maschile la chiamò facendola mettere sugli attenti. Doveva essere il suo superiore.
"Si?".
"Sbrigati ci sono altri clienti che aspettano!".
"Arrivo subito!" rispose "Allora, cosa vuoi ordinare?" chiese a Bill con un sorriso cortese.
"Un caffè macchiato andrà più che bene".
"Perfetto, arriva immediatamente!". Detto quello corse al bancone per riferire l'ordine.
Il ragazzo si voltò verso la vetrina accorgendosi che stava cominciando a piovere. Piccole e discontinue goccioline stavano precipitando dal cielo bagnando le auto parcheggiate lungo il margine dei marciapiedi e creando piccole pozzanghere sull'asfalto.
Se il locale fosse stato immerso nel silenzio si sarebbe potuto avversite persino il leggero ticchettio delle gocce.
Amanda arrivò posandogli davanti la tazzina contenente il suo caffè macchiato e lui con un sorriso la ringraziò e poi prese a sorseggiare lentamente il liquido che scottava.
Lui nella sua sfortuna era stato forse il più fortunato. Aveva suo fratello che non lo lasciava mai e Vivienne che l'aiutava costantemente. Aveva persone che gli volevano bene al suo fianco, persone che non l'avrebbero mai lasciato. Aveva persone che non gli avevano fatto gettare la spugna. 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


CAPITOLO IX


Era una splendida giornata. Il cielo limpido, il sole splendente e l'aria tiepida, sembrava quasi estate.
Il parco pululava di persone: a quanto pareva non solo loro, ma quasi l'intera città aveva avuto l'idea di passare una bella giornata all'aria aperta.
Vivienne si lasciò andare sull'erba sospirando a pieni polmoni "Ah, ci voleva proprio staccare la spina per un giorno dal lavoro. Che bell'aria!".
Bill sorrise e lasciando le stampelle che caddero a terra gli si sedette accanto.
Era trascorso più di un mese e ormai i miglioramenti si susseguivano l'uno dopo l'altro. Dal riuscire a stare in piedi per un tempo abbastanza lungo senza correre il rischio di crollare era passato ad abbandonare l'odiata sedia a rotelle per prendere sottobraccio le stampelle.
"Ti amo, lo sai?" le sussurrò all'orecchio per poi morderlo delicatamente tra i capelli.
"Bill! Le persone ci guardano!".
L'abbracciò "E allora? Qui è pieno di fidanzatini, di certo non si scandalizeranno per noi" detto quello la trascinò con sè facendola sdraiare sull'erba. "Credevo che un momento così non l'avrei mai più vissuto, dopo l'incidente...credevo che le cose sarebbero andate solo a peggiorare, ma...".
Vivienne gli posò l'indice sulle labbra impedendogli di proseguire "Basta, adesso non ci pensare. E' tutto passato ed è questo ciò che conta".
Lui annuì "C'è un regalo per te" le disse poi.
"Davvero? E cos'è?".
"Ah, ma in non c'è l'ho".
"Ma come? Hai detto che c'è l'avevi".
"Non ho detto che c'è l'avevo, ho detto che c'è e basta".
Lo guardò con diffidenza "Mi stai prendendo in giro?".
"Io? Prenderti in giro? No, mai stato più serio di così...perchè non dai un pò un'occhiata a questa..." detto quello dalla tasca della giacca tirò fuori una piccola mappa del parco.
"Una  mappa? E che devo farci?".
"Guarda bene, ci sono dei cerchi e dei numeri. Seguili in ordine progressivo".
Lo fissò cercando di carpire dal suo viso qualche indizio in più, ma Bill non lasciò trasparire niente. Allora si alzò ed andò verso il primo punto che altro non era che un albero ad una trentina di metri da loro.
Trovò un foglietto di carta gialla fluorescente, di quelle che si usano per gli appunti tra gli articoli di cancelleria, appesa al tronco.

"A te che sei l'unica al mondo
l'unica ragione per arrivare fino in fondo
ad ogni mio respiro"

Non riuscì ad elaborare un pensiero compiuto e si limitò a mandare un'occhiata fugace a Bill che tutto compiaciuto stava a guardarla.
Mise il bigliettino in tasca e passò al secondo punto che si trovava nel carretto degli hot dog due aiuole dopo.

"A te che mi hai trovato
all' angolo coi pugni chiusi
con le mie spalle contro il muro
pronto a difendermi
con gli occhi bassi
stavo in fila
con i disillusi
tu mi hai raccolto come un gatto
e mi hai portato con te"

Sentì le sue guance venire colpite da un'improvvisa ondata di calore che le fece colorire di rosso. Si guardò attorno a disagio, probabilmente in viso aveva il sorriso più stupido che avesse mai potuto fare.
Andò al terzo punto. Qui il bigliettino stava attaccato sul bordo della piccola fontana.

"A te io canto una canzone
perché non ho altro
niente di meglio da offrirti
di tutto quello che ho"

Si morse un labbro trattenendo le lacrime. Se aveva intenzione di farla piangere come una bambina era sulla buona strada. Si sentiva una ragazzina alle prese  con il primo amore, solo che il suo primo amore non le aveva mai riservato nulla di simile.
Quarto punto: una panchina.

"A te che sei
semplicemente sei
sostanza dei giorni miei"

Basta. Adesso non riusciva più a trattenersi. Lasciò scorrere le lacrime che calde uscirono dai suoi occhi, per poi scendere sulle guance della medesima temperatura.
Il quinto punto era un bidone dell'immondizia.

"A te che hai preso la mia vita
e ne hai fatto molto di più
a te che hai dato senso al tempo
senza misurarlo
a te che sei il mio amore grande
ed il mio grande amore"

Sorrise e corse al sesto punto, ma non lo trovò. Poi improvvisamente si sentì chiamare.
"Signorina, signorina".
Si voltò incontrando un musicista di strada che le tendeva una mano che teneva il suo biglietto.

"A te che mi hai insegnato i sogni
e l'arte dell'avventura
a te che credi nel coraggio
e anche nella paura
a te che sei la miglior cosa
che mi sia successa
a te che cambi tutti i giorni
e resti sempre la stessa"

Settimo punto un altro albero.

"A te che sei una meraviglia
le forze della natura si concentrano in te
che sei una roccia sei una pianta sei un uragano
sei l'orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
a te che sei l'unica amica
che io posso avere
l'unico amore che vorrei
se io non ti avessi con me"

Si portò una mano sul viso nascondendo agli occhi di tutti i passanti le lacrime che la soffocavano. Sarebbe voluta correre subito da lui e stringerlo forte, ma non poteva, mancava ancora l'ottavo e ultimo punto. Si fece forza e lo raggiunse trovandosi di nuovo al punto di partenza con Bill che l'osservava teneramente, per poi avvicinarle il loro cestino da pic-nic.
L'aprì e dentro trovò l'ultimo biglietto. Probabilmente doveva averlo messo mentre lei era in giro in cerca degli altri.

"A te che hai reso la mia vita bella da morire,
che riesci a render la fatica un immenso piacere"

Gli buttò le braccia al collo piangente.
"Sei uno stupido, stupido e stupido! Mi stai facendo piangere davanti a tutti! Ma sei lo stupido più dolce che io abbia mai visto" singhiozzò.
Lui l'abbracciò "Era il minimo che potessi fare per ringraziarti, anche se so che non è niente in confronto a ciò che hai fatto tu per me...".
"Non dire stupidaggini, quello che hai appena fatto vale più di tonnellate d'oro".

Passarono la mattinata felicemente scherzando, coccolandosi e mangiando l'insalata di riso che aveva preparato Vivienne, poi il cielo inaspettatamente si incupì e decisero di rincasare.
Uscirono dal parco e in quel momento il semaforo segnò il via libero per i pedoni così i due attraversarono, ma a metà strada Vivienne si accorse di aver dimenticato qualcosa così ritornò indietro "Torno subito" gli aveva detto, per poi lasciarlo, mentre lui continuava ad attraversare.
Improvvisamente sentì un fragoroso stridio di freni sull'asfalto, si girò e la sua borsa cadde a terra.
"Bill!". 

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


CAPITOLO X


Le stampelle stavano riverse sulla strada e Bill seduto sull'asfalto con un'espressione spiritata e il volto bianco come uno straccio era a pochi millimetri dall'auto che era riuscita a frenare in tempo.
Vivienne corse subito da lui "Bill, stai bene?".
Lui non rispose.
"Bill, per favore rispondimi! Stai bene?" lo scosse lei per una spalla preoccupata.
Il viso del ragazzo si rigò di lacrime e la sua schiena fu mossa da piccoli singhiozzi repentini. Si aggrappò alla t-shirt di Vivienne, per poi affondare il viso nel suo seno nascondendosi e lasciandosi andare al suo pianto.
La ragazza lo avvolse con le braccia stupita e intenerita: piangeva come un bambino.
"Shhh...Bill, va tutto bene. E' tutto finito, calmati" gli sussurrò accarezzandogli i capelli.
"Vivienne" mormorò singhiozzando "Ho avuto paura...tanta paura...paura che stesse per succedere di nuovo...".
"No, Bill...non succederà più...".
"Come fai a dirlo?".
"Non lo so...ma io te lo prometto".

                                                                                       ***

"Su, lumacone vienimi a prendere!".
"Lo sai che ancora non riesco bene a correre, ma vedrai che ti prendo lo stesso!".
Vivienne gli fece la linguaccia "Voglio vedere come mi prendi, ancora sei lì".
Bill le si avvicinò, mentre lei ad ogni suo passo indietreggiava, fino a quando la sua schiena si scontrò contro il tronco di un albero.
"E adesso come la mettiamo?".
"Non ti dare tante arie, sono io che mi sono messa in trappola di mia spontanea volontà".
"Le classiche scuse...".
Ormai erano trascorsi due mesi. Bill camminava, senza più l'ausilio di nessun attrezzo, nè sedia a rotelle nè stampelle. Camminava sulle proprie gambe come qualsiasi persona normale, anche se ancora non riusciva bene a correre, ma presto ci sarebbe riuscito, era solo questione di tempo ne era sicuro, e poi Vivienne l'avrebbe aiutato fino alla fine, fino alla sua completa guarigione.
L'abbracciò "E pensare che i medici mi davano per spacciato...e adesso guardami, sono qui davanti a te...è tutto merito tuo, se riesco a camminare di nuovo è solo grazie a te".
"No, il merito più grande va a te. Se non ci avessi creduto, probabilmente il mio lavoro sarebbe stato inutile".
"Io non ci credevo, sei tu che mi hai fatto ricredere con i tuoi metodi poco ortodossi...grazie, Vivienne".
"Non ringraziarmi, è il mio lavoro e poi te l'avevo promesso. Io le mantengo sempre le promesse".
Bill le accarezzò il viso "A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più".
"A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo" continuò lei per poi pasare il viso sul suo petto lasciandosi guidare dai battiti del suo cuore e insieme dissero "A te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore".

FINE

 

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