Amor Puro

di BellinianSwan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Era un giorno come tutti gli altri... ***
Capitolo 2: *** L' Incontro ***
Capitolo 3: *** "Voi scegliete di stare con un vecchio..." ***
Capitolo 4: *** "Non voglio più stare qui... vi prego, portatemi con voi..." ***



Capitolo 1
*** Era un giorno come tutti gli altri... ***


CAPITOLO I

 

 

 

 

 

Correva l' anno 1837. Quel giorno faceva caldo a Napoli e l' odore della salsedine si sentiva più forte che mai nell' ambiente, mischiandosi al profumo delle ginestre che crescevano numerose formando tappeti dorati che luccicavano alla luce del sole, e il Vesuvio che ammirava di lontano tutto quell' oro ai suoi piedi come un avido signore che tutto vuole ma che niente dà e che se ne sta fermo, seduto sul suo trono a fissare inerme le sue ricchezze. In casa Ranieri era un giorno come tanti altri, i cinque eran seduti a tavola a pranzare, il calore umido dell' estate si faceva sentire, ma nessuno ne faceva parola, cercavano di evitarlo intrattenendosi in altri discorsi, anche se Elizabeth come sempre quando accaldata non riusciva a resistere a qualche bicchiere di vino in più. Reggendo l'alcool alla perfezione, non si era mai preoccupata di evitarlo. Il menù prevedeva della minestra e altre pietanze successive, Giacomo al primo cucchiaio, si fermò mantenendo la posata a mezz' aria con aria pensierosa, poi dopo pochi secondi si voltò di lato e chiese alla domestica di portargli della limonata fresca.Elizabeth fu colpita da quel gesto, sentì da subito che qualcosa non andava, ma cercò di non dare nell'occhio e di mantenere un'apparente serenità. Dopo mangiato si fermarono a tavola per chiacchierare.

- Sento nuovamente l' asma crescere, si potrebbe riavere il medico?

Chiese ad un tratto il poeta al suo amico Ranieri. - Certamente... - rispose quello e subito s' alzò e s' infilo la giacca, per poi uscire dalla villa, precipitandosi alla ricerca di un medico.

Silvia, la loro figlia adottiva, era uscita in giardino e Paolina, la sorella di Antonio era andata in cucina ad aiutare a lavare i piatti, rimasero dunque loro due da soli nella stanza da pranzo, ormai deserta. Beth ringraziò Ranieri con uno sguardo prima di spostarsi sulla sedia accanto al marito mentre le due donne terminavano di sparecchiare la tavola.

- Non hai mangiato quasi nulla, ciò significa che non stavi bene da prima, perchè non l'hai fatto restare?

Chiese la donna riferendosi al medico.

- Stavo meglio, ma non preoccuparti gli asmatici hanno vita lunga.

Sorrise divertito Giacomo.

- Se lo dici tu, mi fido.

Disse Elizabeth accennando un sorriso e dandogli un bacio sulla guancia.

Giacomo cominciò a sentirsi debole e volle andare a sdraiarsi durante l' attesa, Beth lo accompagnò sorreggendolo e camminarono lungo il corridoio, entrarono nella stanza e lo aiutò a distendersi sul talamo, senza però spogliarlo, lui non volle, disse che non era opportuno. Lei avvicinò una sedia al capezzale, si sedette e attese con lui fingendo di non essere preoccupata, tenendo le mani giunte sulle gambe ricoperte dal tessuto della gonna dell' abito color crema, imprecando che non fosse nulla di grave, nella sua mente. Dopo un paio di minuti, Giacomo tentò di rialzarsi, ma Elizabeth cercò di convincerlo a non farlo, non le sembrava assoluatmente il caso dato che il medico sarebbe giunto da li a poco. Giacomo insistette, voleva almeno provare a mangiare un altro po' di minestra, ma appena seduto a tavola, il suo malessere aumentò e tornò a letto con l' aiuto della moglie, dopodiché le chiese di togliergli la cravatta e lei lo fece, per poi sbottonargli due bottoni della camicia ormai lacerata in alcuni punti, come altrettanto lo erano il resto dei suoi abiti.

Dopo alcuni minuti si sentì aprire la porta d' ingresso della villa, delle voci: era Antonio che tornava col medico. Ranieri l' accompagnò alla camera del Leopardi, che stava sdraiato sul letto con accanto la contessa inglese, moglie del poeta, conosciuta nell' ormai lontano 1819, in un salotto letterario della lucente Roma.

 

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Capitolo 2
*** L' Incontro ***


CAPITOLO II

 

 

 

 

 

Giacomo Leopardi si trovava lì a Roma con lo zio materno, Carlo Antici, a parlare di poesia e filosofia con altri letterati del tempo. Elizabeth era in Italia ormai da alcuni mesi, e la trepida attesa che le aveva impedito di pensare ad altro se non alla poesia, e alle parole di quel poeta che tanto da lontano aveva amato, stava giungendo al termine. Quello stesso pomeriggio in uno dei migliori salotti di Roma, avrebbe finalmente conosciuto il sommo Giacomo Leopardi, di cui il caro amico Pietro Giordani aveva lungamente tessuto le lodi. Come lei anche Leopardi, si trovava in una città estranea, da troppo poco tempo per poter apprezzare il grande cuore pulsante della città eterna. Elizabeth e giordani, si recarono insieme presso la casa del nobile Colonna, dove avrebbe avuto sede l'incontro. Giacomo si trovava lì con lo zio materno, che per un intero anno aveva insistito perché suo padre, Monaldo, lo mandasse a studiare lì e finalmente lo aveva convinto. Era una delle prime volte che discuteva di filosofia e letteratura in un salotto con altri letterati, anche se, essendo abbastanza timido cercava di rimanere vicino allo zio. La ragazza sapeva che Giordani non si sarebbe lasciato intimidire dalla presenza di Carlo Antici. Rimase dapprima in disparte, l'ultima intenzione che aveva era quella di apparire una squallida amante portata lì solo per essere di bella presenza. Iniziò a conversare, lanciando ogni qual volta le era possibile un'occhiata all'amico e al giovane Contino che stava accanto allo zio, conversando tranquillamente e cominciando a sentirsi più a suo agio. Giacomo si voltò e vide una donna di straordinaria bellezza... Non capiva se fosse reale o solamente un' apparizione: un angelo venuto sulla terra per consolare la sua vista. Aspettò che Carlo finisse di parlare e gli indicò la donna con un cenno del capo non staccando gli occhi cerulei dalla figura folgorante di lei.

- Zio... Sapete chi è quella donna..?

Carlo non aveva la più pallida idea di chi la giovane, di effettiva e straordinaria bellezza potesse essere. Fu Giordani a quel punto a prendere la palla al balzo.

- Oh Giacomo, avete notato la deliziosa Contessina inglese, è una mia cara amica, e non sapete quanto desidererebbe fare la vostra conoscenza.

Elizabeth si accorse dello sguardo del giovane Leopardi posato su di lei, ma fece finta di nulla continuando la conversazione intrapresa.

- Davvero, Giordani? - Chiese guardandolo - e come mai?

- Ha letto le tue traduzioni, e non appena è giunta in Italia, mi sono prodigato nel farle avere qualche tuo componimento.. Sì, so cosa stai pensando, è raro che una donna si interessi alla poesia, ma questa è una di quelle. Vieni, te la presento.

Giordani lo invitò a seguirlo, senza nemmeno pensare che il suo amico Leopardi potesse sentirsi in imbarazzo.

Il poeta seguì lentamente l' amico, l' imbarazzo lo rodeva vivo. Lui un essere ripugnante davanti a una creatura a dir poco divina... Se l' avesse visto, sicuramente avrebbe cambiato idea... Si fece avanti e appena l' ebbe raggiunta, alla presentazione di Giordani, porse un galante baciamano.

- I miei omaggi, signorina.

Disse Giacomo con la sua voce fioca.

Il cuore di Elizabeth batteva forte, quel baciamano le fece sentire un brivido lungo la schiena.

- Oh caro Conte, non immaginate quanta gioia susciti in me potervi finalmente conoscere!

Era sincera, glielo si leggeva negli occhi e nel tono tremante della voce. Un sorriso gli fu spontaneo, aveva un sorriso molto dolce, quasi celeste e ineffabile, come lo descrisse Ranieri.

- L' onore è tutto mio, nel poter conoscere una dama sì bella come Voi, Contessina..

Elizabeth arrossì.

- Siete troppo buono, Conte.. I vostri scritti mi deliziano, la loro profondità mi stordisce, la vostra limpidezza mi disarma...

Erano le parole più sincere che Elizabeth potesse dire, le venivano dal cuore.

- Mi lusingate, Contessina...

Rispose Giacomo sorridendole.

- Vi prego, chiamatemi Elizabeth.

Lo interruppe sorridendogli a sua volta, con aria di vera e propria venerazione.

- Oh, non credo proprio che potrei...

- Non trovate che dover sempre ripetere un titolo, ad ogni affermazione sia un po' irritante?

Lo interruppe ancora.

- Si chiama principio, Contessina.

- Vi ritenete un uomo di principio, mentre giudicate me sconveniente.. non è così?

Chiese lei incuriosata ed irritata.

Giacomo si stupì di quell' affermazione e non ci pensò due volte a metter le mani avanti.

- Sconveniente..? Assolutamente no, Contessina... il contrario...

- Vi prego, non ripetete "Contessina", almeno provateci... non sarò di certo io a considerare voi sconveniente..

- Allora come desiderate che io vi chiami?

- Come vi ho detto, mi chiamo Elizabeth, potete chiamarmi con il mio nome.

Lei al contrario non si sarebbe mai azzardata a chiamarlo per nome.

Giacomo sospirò appena sorridendo, rassegnato.

- Come desiderate, Elizabeth...

- Le donne sanno essere cocciute e convincenti...

Disse Elizabeth ridendo coprendosi le labbra con la mano inguantata di seta bianca.

- L' ho notato. - Rispose il poeta accennando un sorriso.

- Come vi trovate a Roma? - Domandò lei cambiando discorso ed invitandolo a sedersi al suo fianco. - Finalmente siete riuscito a lasciare la vostra Recanati...

- Finalmente, sì.. Sono riuscito ad uscirne...

- Sono davvero felice per voi.. ora avrete una nuova vita..

Disse lei sinceramente rallegrata.

- È quello che spero anch' io..

Rispose Giacomo accennando un sorriso, Elizabeth era a dir poco rapita dal suo sorriso, dai suoi modi, dalla sua timidezza. Era terribilmente affascinata da Leopardi. Egli abbassò lo sguardo rigirando la falda della tuba tra le dita scarne e affusolate, poi risollevò lo sguardo:

- E invece per voi Roma è gradevole?

- La trovo molto gradevole, immortale, baciata dal sole, colta.. altro che Londra affollata solo di signorine petulanti in cerca di marito...

Disse incrociando il suo sguardo. La giovane donna non staccava gli occhi dai suoi, il che lo imbarazzava di più ma da un lato gli faceva piacere in un certo senso.

- Potrà essere una bella città... Ma mi sembra abbastanza fredda...

- Cosa cercate in una città, Conte? Cosa deve suscitare in voi?

Avrebbe voluto fargli tante domande, ma doveva apparire discreta.

- Non lo so ancora.. Roma è la prima città che visito all' infuori di Recanati..

- Per me la prima all'infuori di Londra, vi auguro di trovare la città che fa per voi.

E lei avrebbe mai trovato qualcuno o qualcosa che fosse adatto a sé stessa?

- Vi ringrazio, Contessina... Oh, scusate.. Elizabeth...

Giacomo sorrise correggendosi.

Elisabeth scoppiò in una risatina divertita.

- Siete un'ottima compagnia Conte, mi duole aver fatto solo ora la vostra conoscenza.

- Dite davvero..?

Quella donna gli faceva uno strano effetto, lo stesso che gli aveva fatto Teresa, a suo tempo.

- Mai stata più seria in vita mia, vi do la mia parola.

- Mi fa piacere, signorina...

- Il piacere è tutto mio... sapeste solo quanto ho atteso questo giorno..

Si lasciò andare alla sincerità più pura.

- Sono onorato dalle vostre parole...

- Vi andrebbe di fare due passi? Qui dentro si soffoca.

Disse mettendo le mani avanti e sperando in una risposta affermativa.

- Volentieri..

Elizabeth si alzò, lanciò un'occhiata a Giordani prima di dirigersi al fianco di Leopardi verso l' uscita, lui le porse gentilmente il braccio tenendo la tuba per la falda nella mano libera. Lei accettò il braccio e con eleganza si diressero verso il giardino della villa. Appena usciti cominciarono a passeggiare, Giacomo camminava in un modo strano, sembrava zoppicasse, ma non era un vero e proprio zoppicare il suo, era simile ad un ondeggiare da sinistra a destra in seguito al passaggio del peso ora sull' una, ora sull' altra gamba. Elizabeth cercava di nascondere l'emozione che provava. Non le importava nulla del suo aspetto goffo, esteticamente poco nobile, era innamorata delle sue parole, della sua mente, dei suoi modi impacciati e della timidezza che aveva dimostrato nel parlare con lei. Era attratta dai suoi occhi cerulei e dalle sua candide mani affusolate. Si guardava intorno, ma era troppo in imbarazzo per incrociare ancora di sua spontaneità gli occhi della donna, così belli e pieni di dolcezza...

- Vi ho messo in imbarazzo Conte? Ne sono desolata..

Disse rompendo il silenzio creatosi attorno a loro. 
Giacomo si voltò di scatto verso di lei.

- Oh no, assolutamente, signorina... è che... non saprei di cosa discorrere con una donna di così... se posso permettermi... straordinaria bellezza... temo di annoiarvi... sicché preferisco il silenzio, ma se volete che io vi parli, allora ditemi... ditemi di grazia di cosa vorreste parlare...

- Mi lusingate con simili coplimenti, ma allo stesso tempo mi date prova di non credere a ciò che vi ho detto fino ad ora.. Parlatemi delle vostre idee..del vostro concetto di vita.. delle letture che vi hanno particolarmente toccato.. di ciò che desiderate.. Io vi ascolterò con piacere...

Parlarono per diverse ore e si fece pomeriggio. Elizabeth fu deliziata dalle sue parole...non smise di osservarlo e di seguire il filo dei suoi ragionamenti, fino a quando poi, Carlo Antici li venne a cercare.

- Ah Giacomo, siete qui... Dovremmo tornare, vi aspetto davanti al cancello.

Detto questo, l' uomo si congedò e Giacomo spostò lo sguardo su Elizabeth.

- Purtroppo devo dileguarmi... mi farebbe piacere rincontrarvi un giorno...

Disse Giacomo sfiorando il dorso della mano di lei con le labbra, non staccando gli occhi dai suoi.

- Anche a me farebbe molto piacere.

Disse. Lo vide allontanarsi, ma prima che potesse scomparire dietro l'angolo del giardino lo richiamò.

- Giacomo!

L'aveva chiamato per nome, quale stupido errore, ormai non poteva più tornare indietro.

- Se vi invitassi per un té, domani pomeriggio... accettereste?

Appena si sentì chiamare, lui si voltò verso di lei. - Vi farò avere presto una risposta! - tentò di alzare la voce quanto gli fosse possibile e poi continuò a camminare verso l' uscita.

Lei rimase sola, senza nessuna certezza, desiderava rivederlo, continuare la loro conversazione, magari diventare amici intimi...ma non era certa che il giovane Leopardi avesse visto qualcosa in lei, qualcosa oltre dei capelli biondi, ed un bel visino.

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Capitolo 3
*** "Voi scegliete di stare con un vecchio..." ***


CAPITOLO III

 

 

 

 

 

Quella sera le fece recapitare un messaggio, la sua bella calligrafia spiccava sul foglio, accettava l' invito, per le cinque sarebbe stato da lei. Elizabeth non stava nella pelle, aveva accettato, da lì a poche ore sarebbe stato ospite nel suo salotto. Fece preparare tutto dai domestici, nulla doveva essere lasciato al caso se nonla loro conversazione.

La carrozza si fermò davanti al cancello e Giacomo proseguì a piedi fino alla porta della villa, bussò alla porta di legno battendo con un anello dei battenti sulla superficie, sistemandosi poi la sciarpa intorno al collo. Una domestica gli aprì sorridendogli e lo faccompagnò fino al salotto in cui Elizabeth aveva preparato tutto:

- Conte, sono lieta che abbiate accettato il mio invito!

Disse Elizabeth raggiante, appena se lo vide spuntare, perfettamente a proprio agio in uno splendido abito lungo color cielo, come gli occhi dell' uomo che amava tanto e che ora si ritrovava davanti.

Giacomo sorrise alla giovane donna togliendosi la tuba e guardandosi intorno. Non gli erano mai piaciute le bionde, col loro volto pallido da verginelle, decisamente odiose. Aveva accettato solo per uscire per un po' dal palazzo. - Avete una bella tenuta.. - affermò.

- Non mi lamento..

Disse lei invitandolo ad accomodarsi, con il cuore che le batteva forte in petto.

Il poeta si avvicinò al divano e si sedette tenendo le gambe unite e poggiò le mani su di esse continuando a guardarsi intorno.

- C'è qualcosa che vi piace particolarmente?

Chiese sedendosi accanto a lui e versando il té nelle tazzine.

- È... Molto luminosa... Al contrario delle severe mura del mio palazzo ove regna sovrana la cultura...

- Amo la luce, non potrei sopportore il buio, ma se vi disturba possiamo tirare le tende..

Disse disponibile, avendo appreso molto sui suoi disturbi da Giordani.

- No, no, sto bene così... Vi ringrazio.

Giacomo accennò un sorriso, la guardò e poi spostò lo sguardo sulle tazzine, Elizabeth gliene porse una:

- Direttamente da Londra....

Giacomo la ringraziò con uno dei suoi dolci sorrisi, poi aggiunse quattro cucchiaini di zucchero e mescolò. La scena la fece sorridere, ma non disse nulla.. Ebbe la netta sensazione che qualcosa fosse cambiato rispetto al giorno precdente e non seppe resistere al porgli la domanda.

- Qualcosa non va?

- No... Assolutamente..

Bevve un sorso di té.

Lei annuì, riprendendo a sorseggiare il suo té. Non ce la faceva più, doveva parlare, non poteva più nascondere i suoi sentimenti, così posò la tazzina, contò fino a tre e poi disse:

- Monsieur, non potrò nascondere ancora a lungo i sentimenti che provo per voi!

Giacomo, a quelle parole, sputò il tè che aveva in bocca di lato, per poi prendere a tossire bruscamente mentre poggiava velocemente la tazzina sul tavolino e si coprì le labbra con un fazzoletto mentre continuava a tossire, un po' di tè gli era andato di traverso. Elizabeth si aspettava una reazione simile, attese che l'attenzione di lui tornasse su di lei, una volta placata la tosse. Giacomo tamponò con cura le labbra deglutendo, poi posò il fazzoletto guardando la donna.

- Contessina, io..... Signorina... Voi... Siete davvero sicura di quello che avete appena detto?

- Ne sono sicura, l'avervi incontrato ne è stata la prova decisiva... io... credo di essere innamorata di voi.

Nessun rossore apparve sulle guance di Elizabeth, era certa di ciò che aveva detto. Giacomo la guardò negli occhi e dolcemente le prese le mani nelle proprie:

- Elizabeth... Vedete... - Sospirò lievemente togliendo un momento lo sguardo. - Io... Non é che non vi voglia... Vi vorrei tanto... Siete una bella donna... Ma... Io non posso avervi.. Mi dispiace... Se vorrete potremo rimanere amici... - disse lui amareggiato, ma lei insisteva: - Datemi una valida motivazione, una sola per cui non possiate... è forse il mio essere inglese? O l' essere troppo alta... o l' essere bionda?
Pronunciò le ultime parole con una nota di disprezzo. Non si aspettava un rifiuto, mai nessun uomo avrebbe rifiutato il suo amore. Aveva schiere di pretendenti che avrebbero voluto poter occupare il posto di Leopardi in quel preciso istante.

- No... Non é nulla di tutto ciò... Voi non c' entrate... Sono io... Voi non potrete mai essere felice con me... Siete giovane e bella... Sicuramente ci saranno molti uomini che spasimano per voi...

Ma la ragazza non mollava, provava in tutti i modi di convincerlo a non lasciarla in quel modo, gli fece pena e infine disse:

- Ci frequenteremo... Ma non pretendo il matrimonio..

Non era un sì, ma non era neppure un no, gli avrebbe fatto cambiare idea in poco tempo, ne era sicura. Se lui desiderava metterla alla prova, lei non si sarebe di certo lasciata intimidire, l'avrebbe affrontata. Lui non avrebbe mai potuto dire il vero motivo, che era molto grave e scoveniente per un uomo.

- Mi auguro solo che dopo tutto ciò non inizierete ad odiarmi...

- Non potrei mai odiarvi... Anch' io sono innamorato di voi.. Purtroppo io ho dei limiti... Che mi affliggono maledettamente...

- Se voi siete innamorato come dite, allora ogni sorta di limite perde significato..

Disse lei guardandolo negli occhi e prendendo una mano di Giacomo fra le sue.

- No... Sono proprio questi limiti che mi... impediscono... in un certo senso, di amarvi...

- Se solo provaste a parlarmene..

Disse lei dolcemente carezzando la sua mano. Non voleva obbligarlo a parlare, ma doveva capirci qualcosa di più.

- È... Alquanto sconveniente...

- Non vi obbligherei mai a parlarne, ma sappiate che a me potrete dire qualunque cosa..non dovete avere timore.  

Era ancora una volta sincera, nessun secondo fine, desiderava solamente poter far in modo che lui si fidasse di lei.

- No, è troppo sconveniente... Non posso dirvelo... Vorrei ma me ne vergogno terribilmente...

- Come desiderate, sappiate solo che con me non dovvrete vergognarvi di nulla...

- Giuratemi sulla vostra vita che non lo direte a nessuno...

- Lo giuro sulla mia vita * si portò una mano sul cuore* Che possa essere fulminata all'istante se non manterrò la parola data.

Si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò il vero motivo: non poteva aver figli e questo lo affliggeva più di tutti gli altri mali. Una minima esitazione da parte di Beth sarebbe stata sgarbata, così lo guardò teneramente, dritto negli occhi.

- Se mi vorrete come compagna, amica e soprattutto come moglie, per me non sarà importante. Vi amerò nella medesima maniera in cui vi amo in questo istante.

- No.. Moglie no... Sarebbe una perenne sofferenza per voi... ma anche per me... Capisco che siete innamorata di me... Ma voi meritate un uomo migliore di me...

- Credete che esistano uomini migliori? guardatevi attorno e poi ditemi... Desidero un uomo con il vostro intelletto, la vostra dolcezza, la vostra sensibilità..credete che potrei trovarlo se escludessi voi?

La domanda era retorica, non si aspettava nessuna risposta.

- Ma io... Io non potrei mai darvi tutto quello che una donna desidera... Solo qualcosa... Ma nell' amore le cose che bruciano a me fanno male...

- L'amore non è solo fatto di cose che bruciano... Il vostro timore non ha motivo - portò una mano al suo viso e teneramente lo accarezzò - l'amore è fatto di gesti, di parole, di emozioni...

- Il mio amore è tormentato... Poiché il mio desiderio non potrà mai esser soddisfatto..

- Non credete che impedendovi di amare sareste doppiamente tormentato?

Un uomo che scriveva cose tanto grandi, non aveva un minimo di fiducia in sé stesso, le pareva assurdo.

- Ma amando sarei triplamente tormentato... Non potrò mai esser felice... E nemmeno voi..

- Non potete dirlo se non tentate neppure.. Arrendervi è la peggior scelta che possiate fare.

Le faceva rabbia, avrebbe voluto prenderlo per il bavero della giacca e scrollarlo sperando che rinsavisse.

- Il mio cuore è debole e il mio respiro altrettanto... Non posso amare fisicamente... Solo spiritualmente... Ed è quello che è peggiore di qualsiasi altro tormento..

- Questo è ciò che credete, ciò che vi è stato a forza impartito come insegnamento..

Non le restava altra scelta, affondò le sue labbra in quelle di Giacomo e diede inizio ad un lungo e passionale bacio. Lui rimase sorpreso, spalancò gli occhi e piano li chiuse lasciandosi trasportare da quelle emozioni, morendo su quelle labbra. Elizabeth prese il viso di Giacomo fra le sue mani mentre continuò a baciarlo, a Giacomo il cuore martellava in petto, poggiò una mano sulla sua guancia e piano la distaccò da sè per paura che gli venisse un infarto, prese una mano di lei e gliela fece poggiare sul suo petto, sotto la giacca, sopra il panciotto per farle sentire i battiti del suo cuore, evidentemente accellerati.

- Saprò prendermene cura...non sono una sciocca.

Gli disse dolcemente.

Lui le prese il volto nelle mani. - La mia vita è nelle vostre mani.. Non dimenticatelo.. - aveva un leggero affanno.

- Non ve ne pentirete.

Disse lei abbracciandolo, con le lacrime agli occhi per la gioia Giacomo si tamponò le labbra con un fazzoletto, mentre col braccio libero la stringeva a sé. Elizabeth si chiedeva che cosa lui provasse per lei, e soprattutto cosa avessero mosso in lui la sua dichiarazione ed il suo gesto improvviso. Il poeta cominciò a sentirsi male, non capiva neanche lui cosa avesse, in quel momento, era stordito, ma non aveva particolari dolori. Lei lo strinse a se cercando di tranquillizzarlo e di placare quell'irrequietezza che lo pervadeva.

- Mi sento mancare...

Sussurrò lui con voce strozzata.

- Tranquillizatevi e respirate a fondo....

- Ho bisogno d' aria..

L' affanno aumentò e poggiò una mano sul petto distaccandosi appena da lei.

- Desiderate uscire all'aperto? O volete che chiami un medico?

Non si lasciò spaventare dalla situazione. Lui si alzò a stento, aprì la porta e uscì fuori sedendosi su una panchina, prese aria e si sistemò la sciarpa sul collo, tossendo. Elizabeth aveva forse sbagliato? Troppo impulsiva? Le era venuto spontaneo per dimostrargli cosa poteva l'amore... e aveva ottenuto l'effetto contrario.

- Elizabeth... So cosa starete pensando, so che mi amate e anch' io vi amo... Ma i miei mali non dipendono dal mio stato emotivo.. Non sempre...

Lei lo raggiunse e gli si sedette nuovamente accanto. - Vi prometto che saprò prendermi cura di voi.. - ribadì il concetto - Non dovete temere.. imparo in fretta. - disse sorridendogli.

- Voi scegliete di stare con un vecchio...

Disse lui sorridendole ironicamente

- Io scelgo di stare con chi amo...

Lo corresse.

- Ma voi amate un vecchio.. Non esiste altro uomo sulla Terra che a venti uno anni sia gobbo e pieno d' acciacchi..

Come devo dirvelo che non m' importa... Giacomo, saremo felici... ve lo prometto... datemi solo la prova d' amarmi... e per noi si aprirà un lungo cammino fianco a fianco...

- Vi condannate con le vostre stesse mani..

- Non pensateci.. per me non è una condanna..

La baciò dolcemente sulla guancia.

Ora è meglio che torni a casa...

- Scrivetemi, fatemi sapere quando potremo vederci.. e non dimenticate le mie parole.

- Non lo farò...

Le carezzò una guancia con la mano candida, affusolata e scarna, accennando un dolce sorriso, lei gli ricambiò il sorriso con gli occhi che brillavano di gioia. Giacomo si alzò indossando la tuba e incrociò le mani dietro la schiena camminando lentamente stando curvo, seppur la gibbosità non fosse ancora molto evidente. Elizabeth lo guardò allontanarsi, e una volta rimasta sola, si gettò sull'erba e sorrise al cielo blu con quel suo candido viso ancora infantile. Era ancora una bambina. Con lui avrebbe perso la giovinezza. Lui la sua l' aveva persa da tempo. Voleva lasciarla libera per un po' di anni. Ma chissà se il poeta avrebbe mai cambiato idea, infondo, poteva avere l'aspetto di una bambina, ma la mente di Elizabeth era matura, e si era visto, sapeva a cosa stava andando incontro e ne era fiera, non desiderava null'altro se non stare per tutta la vita accanto al sommo poeta, che tanto amava.

(PICCOLO AVVISO: l' espressione "venti uno anni", presente nel testo, non è da considerarsi un errore, bensì richiama l' italiano ottocentesco.)

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Capitolo 4
*** "Non voglio più stare qui... vi prego, portatemi con voi..." ***


Un anno dopo il matrimonio. Non era cambiato nulla, era tutto statico come la stagione morta e fredda dell' inverno che era appena passato. Il sole un po' meno timido ora riscaldava con più forza le gelide terre della provincia di Macerata. La neve già cominciava a sciogliersi e il bianco che aveva regnato per sette lunghi mesi adesso lasciava colore alla Natura e al giallo antico dei palazzi e delle case e il rosso dei tetti. Era una tiepida mattina di fine inverno e il piccolo paese era più vivo, la gente si godeva di quell' aria un po' più calda. I ragazzini correvano più volentieri per le strade di pietra e il vociare tornava ad occupare il silenzio, gli zoccoli dei cavalli e le ruote delle carrozze, i tacchi di una bella dama riecheggiavano per le strette vie di Recanati. Il poeta marchigiano come a suo solito si svegliava tardi, poi faceva la sua colazione leggera, si vestiva e andava a godersi dell' aria pulita che c' era fuori ad ascoltare il cantare degli uccelli sugli alberi. Ma da quella mattina sarebbe stato diverso.

Quello sarebbe stato un giorno speciale, la data che avrebbe cambiato le loro vite definitivamente regalando loro la gioia di un figlio. Elizabeth non aspettava altro che poter essere madre, per quanto sapesse che quel bimbo non sarebbe stato sangue del suo sangue già lo amava. Davanti allo specchio si diede un'ultima sistemata prima di scendere al piano di sotto dove suo marito l'attendeva impazientemente. Gli sorride e con voce melodiosa cinguettò:

  • E' arrivato il grande giorno, amor mio....

  • L' attesa mi sta uccidendo...

    Disse sorridendo mentre la moglie gli si avvicinava, le stampò un dolce bacio sulle labbra e poi le porse il braccio, la carrozza li attendeva fuori.

  • Andiamo?

  • Andiamo

    Ricambiò il sorriso. Forse per Giacomo quell'adozione significava molto di più di quanto Elizabeth potesse percepire, era la prova che nonostante tutto poteva avere una vita normale, felice come tutti gli altri. Montarono in carrozza, Elizabeth prese una mano del marito fra le sue e riprendendo a guardarlo con i suoi grandi occhi da bambina disse:

  • Sono curiosa di conoscerlo.

    Avrebbe preferito un maschio ed in cuor suo era certa che tale sarebbe stato.

  • Beh... potrebbe anche essere una bambina...

    Disse spostando lo sguardo da vuoto davanti a sè ai grandi occhi blu della moglie.

  • Tu desidereresti un maschio?

    Strinse appena la sua mano.

  • Non nego che desidererei un maschio, ma chiunque sia sarà una grande gioia poterlo accogliere come figlio. - sorrise - E tu cosa preferiresti?

    Giacomo non gliel'aveva mai confessato, forse semplicemente perchè avevano sempre fatto cadere l'argomento per paura di intristirsi a vicenda.

  • Io... non lo so... sinceramente... - Sorrise enfatizzando l' ultima parola. - Si vedrà appena saremo lì all' orfanotrofio.

    Giacomo non stava nella pelle, per lui la carrozza sembrava non arrivare mai, mentre mille pensieri invadevano la sua mente ingegnosa e complicata. Come si sarebbe dovuto comportare? Loro figlio si sarebbe mai potuto trovare bene con loro due? Questi ed altri misteri simili lo tormentavano. -

  • Anche se... sarebbe gradevole avere una bambina...

    Disse dopo aver posato nuovamente lo sguardo nel vuoto, risvegliandosi dai suoi pensieri.

La carrozza si fermò lungo il vialetto, davanti a loro un tetro e grigio edificio da cui provenivano delle grida.

  • Non posso credere che questi piccoli siano costretti a vivere rinchiusi li dentro... - Disse Elizabeth prima di scendere. - Non lo augurerei neppure al mio peggior nemico.

Giacomo scese dopo di lei, aggrappandosi al cocchiere.

  • Avrei preferito decisamente vivere in un orfanotrofio come questo che in un palazzo assai più tetro con un padre e una madre come i miei..

    Sbottò con la sua voce fioca, sussurrando. Poi porse il braccio alla moglie.

  • Ci siamo...

Mai e poi mai, Elizabeth avrebbe preferito Adelaide e Monaldo, per quanto essendo subentrata in quella famiglia solo da poco non aveva una visione completa della situazione. Sorrise al marito.

  • Si, ci siamo..

    Entrarono e vennero accolti dall'arcigna e raggrinzita direttrice dell'orfanotrofio, donna che non ispirava alcuna fiducia ad Elizabeth.

Giacomo sentì il suo già debole cuore dalla salute precaria, farsi una briciola davanti a quella suora che sembrava essere la Madre Superiora, dagli abiti che indossava. Cercò di parlare ma dalle sue labbra non uscì che una vocale strozzata, così strinse la mano alla moglie, facendole capire che sarebbe stato meglio se avesse cominciato lei a parlare.

  • Siamo i conti Leopardi, credo ci steste aspettando, siamo venuti per l'adozione.

    Si limitò a dire Elizabeth in maniera gentile pur evitando sorrisi e troppe moine. Non era il genere di donna in grado di farlo.

Quella sua bocca rugosa si allargò in un sorriso gentile, quasi di devozione.

  • Ah, sì... I bambini sono nelle classi, a quest' ora.. ma tra qualche minuto le lezioni finiranno. Nel frattempo, venite nel mio studio, signori Conti, attendiamo insieme.

    Li guidò fino alla stanza e li fece sedere davanti a una possente scrivania in mogano, su delle sedie in pelle beije e struttura dorata. Sul pavimento spiccava un tappeto rosso e tutt' intorno ricopriva le pareti bianche scaffali pieni zeppi di libri: "un tentativo di copiare la biblioteca di Monaldo Leopardi" avreste detto. La vecchia suora si sedette dietro la scrivania, scrutando i coniugi coi suoi occhi celesti e lo sguardo quasi involontariamente truce. Giacomo continuava a sentirsi messo in soggezione da quella figura così austera, capace di far piangere anche il più duro degli uomini, figuriamoci i bambini.

  • Dunque, avete già un' idea sul bambino o bambina che volete adottare?

    Chiese con la sua voce che ricordava quasi quella di una strega, quale era.

  • Eravamo indecisi se prendere un bambino o una bambina... comunque ne vogliamo adottare uno soltanto.

    Sibilò Giacomo con una voce più fioca del solito.*

  • ... L'unica richiesta che avremmo è quella di poter adottare un bambino ancora abbastanza piccolo, spero che non vi crei troppo disturbo.

    Proseguì Elizabeth con voce squillante una volta accomodatasi elegantemente sulla sedia. Riuscì a percepire che anche la monaca non provava molta simpatia per lei. Era certa che come la maggior parte dei rigorosi chierici vedesse erroneamente in lei l'innocenza di una bambina incapace di occuparsi di qualcuno, dedita esclusivamente ai piaceri delle vita.

  • Ce ne sono diversi qui di bambini piccoli.. La maggior parte hanno tutti quattro o cinque anni... vi va bene come età?

    Giacomo guardò la moglie:

  • Per me va bene... e per te?

Elizabeth non ebbe il coraggio di dire che quattro o cinque anni le sembravano troppi.. Ma cosa poteva pretendere? Un neonato sarebe stato impossibile trovarlo.

  • Sì certamente.

    Abbozzò un piccolo sorriso sperando di apparire convincente.

Una campana un po' lontana trillò rompendo il silenzio e le cantilene delle interrogazioni, seguì un vociare e rumori di sedie che venivano spostate, poi dei passi svelti sulle mattonelle di marmo, sussurri e rimproveri lontani: le lezioni erano terminate. La suora sorrise, e guidò i coniugi fuori dall' ufficio. Le altre suore fecero ordinare tutti i bambini nei dormitori divisi, un' ampia stanza dove ai due lati si trovavano i letti a file. Ogni bambino si trovava davanti al proprio letto, ordinato nella sua divisa: le femmine indossavano una veste grigia dal colletto bianco che richiamava il saio delle suore, i maschi una camicia bianca, cravatta nera, scarpe e pantaloni dello stesso colore. I coniugi entrarono guidati dalla severissima Madre Superiora.

  • Signori Conti, a voi l' imbarazzo della scelta.

    Giacomo rimase immobile, scrutando quelle creature innocenti.

  • Elizabeth.. - Sussurrò alla moglie. - Non mi interessa mantenere il Nome...

    Sperò che avesse capito a cosa alludeva.

La prima reazione fu quella di prendere a schiaffi la madre superiora. L'imbarazzo della scelta, come se quei bambini fossero merce da vendere al migliore offerente. Il suo cuore si sciolse nel vedere quella serie di visini angelici l'uno di seguito all'altro, quei grandi occhi tristi che li osservavano. Giacomo aveva esplicitamente espresso il desiderio di volere una femmina, non gli importava di mantenere il nome. Non avrebbe obiettato, in fondo glielo doveva, dopo tutto quello che avevano passato in quell'anno era giusto che fosse lui a scegliere.

  • Va bene caro..

    Sorrise gentilmente a ciascuna delle bambine, alcune di loro erano affascinate dal suo modo di essere dalla sua grazia, dai suoi vestiti, non potè non notarlo.

Giacomo quasi si commosse vedendo quei piccoli angioletti così tristi e silenziosi, aspettavano solo di poter lasciare quel lugubre luogo e vivere al caldo in una famiglia che si sarebbe presa cura di lui o lei e avrebbe finalmente mangiato pasti caldi e più guastosi e magari avrebbe avuto degli insegnanti meno severi... Elizabeth lo aveva superato, misurando la sala a piccoli e lenti passi guardando ogni bambina e scrutandola attentamente con sguardo benevolo. La suora rimase sulla soglia attendendo pazientemente, poi anche Giacomo volle dare un' occhiata e cominciò a camminare lentamente davanti alle bambine tenendo le mani incrociate dietro la schiena curva, le più piccole ne erano incuriosite e forse anche le ragazze e le ragazzine, solo che per non sembrare indiscrete non mostravano la curiosità. Improvvisamente venne colpito da due grandi occhioni azzurri che sembravano implorare di scegliere lei, una graziosissima bambina che sembrava avesse circa cinque anni, nascondeva un polso con la mano, si intravedevano dei segni scuri, dei lividi, lungo le sottili e candide braccine, qualche graffio leggero sul collo, il volto pallido. Giacomo si era fermato davanti a lei, la bambina, intimidita abbassò appena lo sguardo. Giacomo allungò una mano per sfiorarle il visino, ma lei impaurita si allontanò, abbracciandosi alla ragazza più grande vicino a lei. Giacomo ne fu dispiaciuto, quella bambina doveva venire maltrattata per comportarsi in quel modo.

  • Piccina... non aver paura. - Le sorrise dolcemente. - Dimmi, come ti chiami..?

    La bambina non rispose tenendo lo sguardo basso e stringendosi di più alla ragazza che cercava di tranquillizzarla con delle carezze sui capelli color castano chiaro.

  • Si chiama Silvia, signore..

    Rispose la ragazza guardando tristemente la bambina. Silvia... che nome perfetto per una così bella bambina!

Elizabeth le scrutò una ad una, era impossibile scegliere, non ce l'avrebbe mai fatta se non ci fosse stato un qualche intervento divino. Ed eccolo, bastò un nome, quel nome che suo marito diceva di amare tanto a farle capire quale fosse la bambina giusta. tornò indietro si affiancò a lui e si accovacciò a terra per poter raggiungere l'altezza della piccola ancora abbracciata alla compagna.

- Silvia, ti piacerebbe venire con noi?

Domandò incapace di cammuffare il suo buffo accento inglese, che fece sorridere la bambina poichè mai lo aveva sentito in vita sua prima di allora.

Giacomo tentò di trattenere la commozione e si tamponò con un lesto movimento le palpebre inferiori con un fazzoletto ch' estrasse dalla tasca della finanziera. La bambina piano si staccò dalla compagna e guardò la donna, aveva voglia di abbracciarla forte, di chiamarla già mamma, come se fosse stata la sua madre biologica e non adottiva, ma sentiva che l' avrebbe voluta bene ugualmente, con tutta sè stessa. Poi si lasciò trasportare dalle emozioni, si avvicinò a lei e l' abbracciò cingendole il collo con le braccia e poggiando il capino sulla spalla di Elizabeth, scoppiò in lacrime e sussurrò al suo orecchio:

  • Non voglio più stare qui... vi prego, portatemi con voi..

    Giacomo si avvicinò e delicatamente le sfiorò i riccioli.

  • E' deciso. Ti adotteremo.

    La bambina sentendo quelle parole alzò il capo e guardò con gli occhi inumiditi dalle lacrime quello che tra pochi istanti sarebbe stato suo padre, gli sorrise felice.

Elizabeth strinse a sé la piccola cercando di trasmetterle fin da subito tanto amore.

- Verrai via con noi cara.

Le carezzò i riccioli provando così a placare le sue lacrime. Quando la bambina sciolse quel lungo abbraccio, la sua nuova mamma le sorrise.

- Adesso noi andiamo a parlare con la madre superiora, tu saluta le tue amiche e prendi le tue cose, torneremo tra pochissimo.

Le carezzò con dolcezza il visino e dopo aver atteso un suo cenno del capo tornò a rizzarsi in piedi per concludere rivolta all'austera monaca:

- Abbiamo preso la nostra decisione

Lui rimase sulla soglia, mentre Elizabeth uscì fuori raggiungendo la vecchia suora che nel frattempo si era allontanata in un secondo momento per lasciare soli i coniugi. La Madre Superiora guidò la Contessa nel suo studio e prese l' attestato d' adozione da un cassetto della scrivania, lo poggiò su di essa e lo avvicinò alla donna, per poi intingere la penna nell' inchiostro e porgergliela.

- Voi e Vostro marito dovete compilare e firmare questo documento e la sua copia, uno dei due rimarrà qui, l' altro dovrete tenerlo voi.

Disse con la sua freddezza. Nel frattempo il poeta le aveva raggiunte tenendo per mano la piccola Silvia che reggeva con la mano libera la sua piccola e ormai lacera valigia. Firmò anche lui, con la sua calligrafia ordinata, elegante e minuta.

Elizabeth si sbrigò a compilare quelle scartoffie, non aveva intenzione di restare lì dentro un minuto di più in presenza di quella irritante ed algida monaca. Conclusi, quelli che la madre superiora avrebbe definito senza troppi problemi "affari" si accinsero a lasciare l'edificio. Elizabeth affiancò il marito e quella da poco più di due minuti era diventata loro figlia. Le porse la mano ed una volta usciti dalla porta le disse:

- Adesso andiamo a casa...

Salendo in carrozza, Elizabeth ripensò ai tanti visi di bambini scrutati, il suo cuore era combattuto fra la gioia e la tristezza, il suo istinto le diceva che non avrebbero potuto limitarsi ad aiutare Silvia, avrebbero divuto in qualche modo sostenere anche gli altri orfani di quella struttura. Prima di andarsene Giacomo aveva lasciato una cospicua offerta per gli altri bambini e poi aveva seguito la moglie fuori dall' istituto, insieme a loro figlia. Quando ad un tratto vide la piccola stentare i passi e stette per accasciarsi per terra, fortunatamente Giacomo la prese tra le braccia stringendola a sè.

- Piccina mia, cos' hai?

Chiese impaurito. Prontamente Elizabeth si accovacciò vicino alla bambina.

- Silvia, da quanto non mangi?

La domanda le venne spontanea, non aveva potuto evitare di notare che le bambine erano una più magra dell'altra, cosa che le aveva fatto intuire che forse non veniva fornito loro abbastanza cibo.

- Da ieri..

Sussurrò timidamente la bambina. Indignata prese in braccio la piccola, evitando così di far sforzare eccessivamente Giacomo. Cercò di far sbollire la rabbia e poi guardando il marito concluse.

- Il viaggio fino a casa è troppo lungo, dobbiamo fermarci in una locanda...

- N-non so proprio...

Si avvicinò al cocchiere e chiese della locanda più vicina, quello rispose di conoscerne una abbastanza vicina.

- Bene, portateci lì, dobbiamo far desaiunare la bambina.

Poi si rivolse alla moglie aprendo lo sportello della carrozza:

- Cara, saliamo, il cocchiere ci porterà in una locanda qui vicino.
Elizabeth salì per prima straingendo fra le braccia la bambina che sembrava riprendersi dal mancamento avuto poco prima. Ci vollero poco più di 10 minuti per raggiungere la locanda. La sua abilità di madre era stata messa alla prova sin dal primo istante in cui aveva ottenuto la figlia tanto desiderata. carezzò dolcemente la bambina sulla guancia e le baciò la fronte, dopo un po' di tempo la carrozza si fermò e scesero tutti e tre, entrarono nel locale, si sedettero e un cameriere si avvicinò a loro.

- Silvia, puoi mangiare tutto ciò che vuoi...
Disse lui sorridendo alla piccola. La bambina non sapeva ancora leggere non avendo ancora compiuto cinque anni, fu dunque Elizabeth a leggerle tutti i piatti previsti dalla lista esortandola ancora una volta a scegliere liberamente, Lì nessuno l'avrebbe sgridata o castigata. Un primo ed un secondo che per solidarietà e per metterla a suo agio la neo mamma decise di ordinare a sua volta.

Giacomo fece lo stesso anche lui e una volta che il cameriere ebbe presa la comanda, si allontanò lasciandoli soli.

Bastò uno scambio di sguardi con il marito per ottenere la conferma di aver fatto la cosa giusta. Silvia da bambina curiosa domandò alla madre.

- Ma perchè parli in modo così strano?

Elizabeth non riuscì a trattenere una deliziosa e divertita risata.

- Vedi tesoro, io non sono italiana, vengo da un altro paese in cui si parla un'altra lingua.

La curiosità e quella buffa domanda dimostrarono che la piccola era seriamente intenzionata a conoscere meglio i suoi nuovi genitori.

- Vedrai, la imparerai anche tu, un giorno.. - Disse Giacomo sorridemdo alla bambina e tenendo le piccole mani giunte e gli avambracci appoggiati sul tavolo. - ...Io personalmente ti insegnerò a scrivere e a leggere, vedrai, ti piacerà un mondo leggere! E nella tua nuova casa c' è persino una stanza piena zeppa di libri!

Gli occhi gli brillavano, era felice.

Silvia aveva visto fino ad allora solo libri che venivano letti dalle ragazzine più grandi o dalle monache, ma mai avrebbe pensato di poterli leggere anche lei.

- Davvero?

Domandò estasiata, poco prima che venisse servito loro il pranzo.

- Certamente, bambina mia!

Le rispose il padre sorridendole, per poi avvicinare a sè il piatto della bambina e cominciò a tagliarle la bistecca, in silenzio, tenendo lo sguardo basso sul piatto.

Elizabeth osservò dalla sua posizione la dolcezza e la delicatezza dei gesti di Giacomo, era certa che si sarebbe dimostrato un padre meraviglioso, non ne aveva mai dubitato. Il suo amore e la sua dolcezza erano ciò che oltre la cultura l'avevano fatta innamorare di lui.

Giacomo terminò di tagliarle il pasto e cominciò a gustare il suo, rimanendo sempre in silenzio e con gli occhi bassi, quando gli balenò in testa un' idea mentre masticava il boccone e il pensare gli rallentò l' azione, facendogli fissare il vuoto davanti a lui.

Anche Elizabeth iniziò a gustare la pietanza, con movimenti eleganti tagliò la carne rivolgendo ogni tanto piccoli sorrisi alla figlia. Accortasi dell'espressione del marito ruppe il silenzio:

- A cosa stai pensando, caro?

Sapeva che il suo cervello stava macchinando qualcosa e non poteva resistere all'idea di non sapere cosa fosse. Giacomo cadde dalle nuvole guardando subito dopo la moglie, ingoiò il boccone.

- Come, cara..? Ah.. no, beh... ho notato che nostra figlia ha dei lividi sulle braccia e dei graffi sul collo... mi chiedevo... a cosa fossero dovuti, e un' altra cosa, ho pensato anche di farla sottoporre a una visita medica domani, per vedere se sta bene..

Disse senza peli sulla lingua. Perché parlarne così apertamente davanti alla bambina? Erano questioni che avrebbero potuto affrontare benissimo loro due da soli. Beth non fece domande a Silvia nè avrebbe parlato lei non appena se la fosse sentita. - Certamente, è una buona idea. - Si limitò a dire.

Giacomo riabbassò in fretta lo sguardo riprendendo a mangiare, rendendosi conto di aver sbagliato.

Elizabeth gli lanciò dopo poco uno sguardo rincuorante. Forse aveva esagerato, e forse la bambina non si era accorta di nulla.

Dopo aver mangiato, Giacomo pagò e tornarono a casa, mostrando alla bambina tutte le stanze. La sua camera era ancora neutra, ma c' era il minimo indispensabile, un letto, una cassettiera, una scrivania una piccola libreria con libri di favole famose. Nonostante queste poche cose la camera era elegante, solo le tende alle finestre stonavano col bianco della camera e il marrone dei mobili, Giacomo avrebbe voluto metterle color rosa pesco adesso, si sarebbe addetta di più ad una bambina, Elizabeth avrebbe sicuramente provveduto ai quadri. Silvia si guardò intorno e appena vide l' orso di pezza sul letto, corse ad abbracciarlo, stringendolo forte al petto.

- Ho sempre desiderato un orsetto!

Esclamò felice la bimba. Giacomo si commosse, di nuovo. E si asciugò le lacrime fuggitivamente, di nuovo.

Elizabeth trattenne le lacrime e avvicinandosi alla bambina si sedette sul letto.

- Dovresti trovargli un nome..ogni orsetto che si rispetti ha un nome.

Le sorrise cercando di non farle notare le lacrime del padre. Era troppo piccola per capire, forse avrebbe frainteso.

- Mmh... non lo so...

Assume una posa pensosa.

- Non devi deciderlo adesso, ma faresti bene a pensarci.

Sorride amabilmente prima di tornare a scrutare il marito che nel frattempo si era ricomposto.

- Ci penserò!

Affermò decisa, sorridendo. Passarono le ore e tutto andò bene, tutto filò liscio come l' olio. La sera presto la famiglia andò a letto e i coniugi dopo aver dato il bacio della buona notte alla loro bambina, rimasero soli. Il poeta, indossata la camicia da notte, si coricò sospirando e scoppiò in copiose lagrime, prendendosi poi il viso nelle scarne mani. Le ragioni di quella reazioni furono sconosciute ad Elizabeth:

- Amor mio, cosa ti succede? Perché piangi?

Si chinò su di lui cercando di scostare delicatamente le mani dal suo viso. Che fosse tutta l'ansia accumulata in quella difficile giornata? A quella sua mossa, Giacomo ne approfittò per tirarla a sè e la strinse forte.

- Sono felice, Elizabeth... - Le sussurrò all' orecchio. - Sono finalmente felice...

Una volta addosso a suo marito non potè fare a meno di sorridere.

- Anch'io sono felice tesoro, abbiamo fatto un'ottima scelta..

Lo baciò dolcemente sulle labbra.

- Dove sarei ora senza di te..?

Giacomo le carezzò il viso dopo averla baciata, le guance bagnate dalle lacrime e gli occhi celesti ancora lucidi.

- Non dire sciocchezze, io questa volta non ho fatto nulla.- Gli carezzò dolcemente il viso asciugandogli le lacrime. - Mi limito solo ad amarti, Giacomo...

- Tu fai molto, Elizabeth... moltissimo, anche solo esistendo...

Le sorrise dolcemente, quel sorriso che Ranieri descrisse come "ineffabile e quasi celeste".

Lizbeth gli sorrise a sua volta con gli occhi lucidi:

- Poeta non usare troppe cortesie con me, io faccio solo ciò che devo.. ovvero stare accanti a mio marito...

- Dico solo la verità, amore mio...

La baciò nuovamente assaporando quelle labbra con dolce passione, mordendole. Quel bacio sarebbe stata la giusta conclusione, anzi la perfetta conclusione della giornata che aveva cambiato la loro vita.

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