Avrò cura di te

di Bale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 001 ***
Capitolo 2: *** 002 ***
Capitolo 3: *** 003 ***
Capitolo 4: *** 004 ***
Capitolo 5: *** 005 ***
Capitolo 6: *** 006 ***



Capitolo 1
*** 001 ***




Il telefono continuava a squillare. Il suo suono rimbombava prepotente lungo il corridoio, fino ad arrivare al bagno.

Jessica era immersa nella vasca, ma alla fine decise di indossare in fretta il suo accappatoio color lavanda per andare a rispondere.

Chi poteva chiamarla a quell’ora? E soprattutto perché insisteva così tanto?

Attraversò il corridoio saltellando a piedi nudi, poi finalmente giunse in soggiorno e afferrò il telefono staccandolo dalla sua base.

-Pronto?-

Il suo tono era decisamente infastidito, come se volesse far sentire in colpa la persona che, dall’altro capo del telefono, aveva interrotto il suo bagno rilassante.

-Dottoressa?-

La voce sembrava familiare, ma Jessica non riuscì a capire immediatamente a chi appartenesse.

-Sì?-   rispose confusa, stringendo gli occhi come per concentrarsi meglio.

-Sono Harold Finch-

Il suo cuore saltò qualche battito. Una sensazione di gelo invase il suo stomaco.

Doveva per forza essere successo qualcosa. Qualcosa di brutto

Non vedeva né sentiva John dal giorno in cui l’aveva baciata e, di conseguenza, non aveva avuto rapporti neanche con il suo buffo socio.

-Cosa è successo?-   disse stringendo la cornetta tanto da farsi diventare bianche le nocche della mano destra.

-Gli hanno sparato-

Finch fu schietto e diretto. Non usò mezzi termini, non perse tempo in inutili convenevoli.

-Sta bene-    aggiunse subito dopo.

Jessica riprese a respirare, ma sgranò gli occhi così tanto da sentirli quasi uscire dalle orbite.

-Sta bene? Gli hanno sparato?-    farfugliò, cercando di dare un senso a quella storia.

-Sì, lo hanno colpito allo stomaco. Ha bisogno di un medico-

Jessica era immobile.

Si sentiva incredibilmente stupida, mentre stava lì, inerme, al centro esatto del suo soggiorno.

Una piccola pozza d’acqua si era formata ai suoi piedi, inzuppando l’azzurra moquette.

Le mancava il respiro, sentì le gambe cedere al suo esile peso.

-Dottoressa, la prego. Abbiamo bisogno di aiuto-   la implorò Finch, riportandola alla realtà.

Lei esitò ancora qualche istante.

Aveva già curato John, qualche mese prima.

Lo aveva fatto stendere sul suo letto e gli aveva medicato una brutta ferita.

Poteva farcela. Sì, ce l’avrebbe fatta anche questa volta.

-Lo porti da me-   disse infine, in tono quasi glaciale.

-Bene, saremo lì tra qualche minuto-

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Capitolo 2
*** 002 ***




Jessica sobbalzò al suono del campanello.

Si era asciugata e rivestita in pochi minuti. Aveva indossato la sua tuta da ginnastica e aveva preparato il letto.

Aveva tolto tutte le coperte e vi aveva adagiato un vecchio asciugamano che assorbisse il sangue.

Poi aveva appoggiato sul comodino una confezione di guanti di lattice usa e getta e un flacone di disinfettante.

La sua camera da letto si era quasi trasformata in una Sala Operatoria.

Corse ad aprire la porta con il cuore in gola.

Jessica non conosceva esattamente la gravità della situazione, ma era sempre stata abituata al peggio.

Spalancò la porta impaziente.

Finch era appoggiato al muro, sul pianerottolo.

Il suo volto sembrava sofferente. Il suo piccolo corpicino era schiacciato dal peso di quello di John Reese.

Jessica aveva sempre avuto i riflessi pronti, così afferrò il suo braccio libero e se lo passò intorno al collo, aiutando Harold a trascinarlo dentro.

-Di là-   ordinò lei, indicando con la testa un punto imprecisato.

Finch la seguì in una delle camere, l’aiutò a girare intorno al letto ed, infine, ad adagiavi Reese.

Gli tolsero la giacca, poi la camicia.

Jessica, per un istante, si fermò a fissare inorridita il suo torace pieno di sangue.

Infine si chinò per sfilargli i pantaloni.

-Lei deve aiutarmi-   disse dopo aver ripreso fiato. Sembrava un ordine più che una richiesta.

Lui annuì spaventato.

-Bene-   approvò lei   -Il bagno è in fondo al corridoio. Deve recuperare tutti gli asciugamani che trova e portarli qui, ok?-

Finch annuì senza capire. Soltanto una volta giunto in bagno realizzò ciò che gli era stato chiesto di fare.

Tornò in un lampo con una serie di asciugamani tra le braccia.

Li appoggiò delicatamente sul letto, sul lato opposto a quello dove giaceva il corpo quasi inerme di John.

Harold lo fissò con fare quasi paterno. Aveva paura di chiedere se ce l’avrebbe fatta, aveva paura di una risposta negativa. Distolse, quindi, lo sguardo e lo riportò sulla dottoressa in attesa di altre istruzioni. Si fidava di lei.

-I proiettili sono ancora dentro-   disse lei analizzando la ferita   -Uno nel ventre, l’altro nella coscia-

Finch si sentì quasi venire meno.

Jessica alzò di nuovo lo sguardo su di lui.

-In bagno, sulla mensola sotto lo specchio c’è una pinzetta. Una di quelle che usiamo noi donne per le sopracciglia-

Harold annuì con aria leggermente confusa.

-Deve portarmela-   spiegò lei   -Devo estrarre i proiettili-

Lui eseguì, ancora una volta senza capire bene.

Tornò in un istante, poi gli fu ordinato di recuperare un bicchiere di vetro dalla cucina.

Lui obbedì, questa volta senza troppi problemi.

Tornò in camera da letto senza abbandonare la sua sensazione di sconforto.

“Devi farcela, signor Reese”   pensò tra sé, mentre guardava il viso di John leggermente contratto dal dolore.

-Bene-    esordì Jessica, riportandolo alla realtà   -Deve fare ancora una cosa per me-

Finch si avvicinò, obbediente come un cucciolo.

-Si sieda sul letto, su quel lato-   disse lei con la voce rotta dalla tensione   -Deve afferrarlo dalle spalle e tenerlo giù. Se si svegliasse potrebbe reagire-

Ancora una volta Finch fece ciò che gli era stato detto.

Appoggiò le mani sulle spalle nude di John Reese e non potette più evitare di guardarlo negli occhi.

Aveva creduto di morire e lo aveva ringraziato per tutto quello che aveva fatto per lui. Lo aveva quasi fatto commuovere.

Ma lui non lo aveva abbandonato, non lo aveva lasciato morire in un lugubre parcheggio di cemento.

Lo aveva portato da un medico, dal suo medico; dalla donna che aveva amato da sempre e che avrebbe amato per sempre.

-Devi dire a Jessica che l’amo…l’ho sempre amata…l’amerò sempre-   aveva farfugliato poco prima, in preda al dolore, subito dopo averlo ringraziato, ancora con la convinzione che non ce l’avrebbe fatta, che non ne sarebbe uscito vivo.

Harold riportò lo sguardo su Jessica.

Lei si stava infilando i guanti di lattice. Poi versò del disinfettante sugli asciugamani e prese a pulire la ferita.

Recuperò, infine, la pinzetta che Finch le aveva portato e si chinò su John.

Lui distolse lo sguardo e, guardando nuovamente Reese, pensò: “Lei è davvero il tuo angelo”


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Capitolo 3
*** 003 ***




Finch temette di svenire quando vide Jessica infilare la pinzetta, sterilizzata con il disinfettante, all’interno della coscia di John.

In pochi istanti estrasse il proiettile e lo lasciò cadere con aria trionfante nel bicchiere di vetro appoggiato sul comodino.

John si mosse leggermente e prese a lamentarsi.

Jessica si tolse un guanto e gli appoggiò il palmo sulla fronte.

-Ha la febbre alta-   sentenziò senza guardare Harold negli occhi.

Rimase per un attimo ferma, con la mano sulla fronte di John e con gli occhi fissi sul suo viso contratto dal dolore.

-Se la caverà?-

Finalmente Finch pose la domanda tanto temuta. Gli uscì spontanea, tanto che per qualche secondo si guardò in giro come se fosse stato qualcun altro a parlare.

Jessica si voltò e posò lo sguardo su di lui.

La sua fronte era imperlata di sudore, la sua camicia sporca di sangue. Era realmente e concretamente preoccupato.

-Nell’ultimo cassetto di quel mobile-   disse facendo cenno con la testa   -c’è un beauty verde acqua. Lo prenda e lo porti qui-

Harold aprì la bocca come per controbattere. Jessica non aveva risposto alla sua domanda.

-La prego-   implorò vedendo che non reagiva   -Deve fidarsi di me-

Lui lasciò andare le spalle di John e scese giù dal letto. Andò verso il mobile che gli era stato indicato e recuperò il piccolo beauty.

-Cosa c’è qui dentro?-   chiese tastandolo per individuarne il contenuto.

-Lo apra-   ordinò lei, lasciando finalmente la fronte di John.

Si rinfilò in fretta il guanto e riprese a tamponare il sangue.

Finch aprì il beauty e sgranò gli occhi inorridito.

-Devo ricucirlo-   si giustificò lei.

-Ma…-   tentò di obiettare lui.

-E’ stato lei a dire che non possiamo portarlo in ospedale-

-Sì, ma…-

Finch si sentiva la bocca asciutta, il cuore gelido.

-Prenda un ago e del filo-   ordinò lei con espressione glaciale   -Si fidi di me-

-Che colore preferisce?-   provò a sdrammatizzare lui, recuperando un ago e pungendosi un dito.

-Il nero andrà benissimo-

Harold le porse tutto ciò che aveva richiesto, poi tornò a sedersi sul letto sentendosi venire meno.

-Le fa impressione?-   chiese lei iniziando a cucire come se nulla fosse.

-A dire il vero…credo che vomiterò-

-Allora non guardi-   rispose lei, leggermente divertita   -Però deve aiutarmi a fermare il sangue. Mentre lo ricucio deve tenere premuta la ferita sul ventre. Lo faccia con questo asciugamano. Può voltarsi dall’altra parte se vuole-

Ancora una volta, Harold eseguì senza capire.

Appoggiò una mano senza sapere esattamente dove.

Voltò la testa e scorse, per puro caso, una fotografia di John.

SI trovava in un cassetto, quello che lui aveva lasciato aperto dopo aver recuperato il beauty con ago e filo.

Nella foto, John, sorrideva. Harold si augurò di vederlo tornare presto a farlo.

-Fatto-    esclamò lei trionfante, portandolo a voltarsi.

Lui evitò con cura di posare lo sguardo sulla ferita cucita.

-Bene, ora dobbiamo fare lo stesso con il ventre. Deve tenerlo fermo dalle spalle. Io estrarrò il proiettile-

Finch obbedì e posò nuovamente le mani sulle spalle del suo socio.

La sua pelle era ardente.

-Ha la febbre alta-   disse, come se lei non se ne fosse già accorta poco prima.

-Chiudiamo questa ferita, poi penseremo al resto-

Jessica faticò molto di più per trovare il proiettile nel ventre. Si era frantumato e lei dovette estrarlo tutto, un pezzettino alla volta.

John prese a lamentarsi e a muoversi.

-Deve tenerlo fermo. Ho quasi finito-   urlò Jessica.

Sembrava quasi che si stesse facendo prendere dal panico.

Harold lo spinse giù con forza, guardandolo lamentarsi e contorcersi. Stava per piangere, lo sentiva.

-Gli stiamo salvando la vita, signor Finch-   disse lei leggendogli nel pensiero, cercando di rassicurare anche se stessa.

Lui annuì.

Finì di estrarre il proiettile, poi ricucì anche la seconda ferita.

-Ora deve procurarmi delle garze o dei cerotti-   disse riprendendo fiato.

Lui scese dal letto con un balzo goffo.

-Nell’armadietto dei medicinali. Prenda tutto ciò che trova-   gli urlò dietro, mentre lui imboccava il corridoio.

Tornò pochi istanti dopo con varie scatole tra le braccia e l’aria preoccupata.

-Sorrida, signor Finch. Ce l’abbiamo fatta-   disse lei, con un sorriso leggermente forzato.

Completò la medicazione in silenzio, poi si tolse i guanti e gli toccò di nuovo la fronte.

-La febbre è molto alta. Ha bisogno di antibiotici-    sentenziò.

Finch la guardò stralunato.

-Li prescriva a nome mio e andrò a comprarli-

Lei ci pensò su qualche istante, ma non c’era molto da pensare. Non avevano altra scelta.

-Bene-   disse allontanandosi da John   -Vado a preparare la ricetta-

Harold rimase per la prima volta da solo con il suo socio, con il suo amico.

Una lacrima gli rigò il volto, mentre si chinava per osservarlo meglio.

Il peggio non sembrava affatto passato.

John si lamentava e contorceva.

All’improvviso aprì gli occhi e lo vide.

-Finch….-   sussurrò subito prima di riaddormentarsi.

Jessica ritornò un istante dopo con le ricette strette nella mano destra.

-Ecco qui-    disse porgendogliele   -C’è una farmacia proprio dietro l’angolo. Dovrebbe essere aperta-

Harold annuì e sparì nel buio del corridoio.

Una volta udita la porta che si richiudeva, Jessica si gettò sul pavimento e scoppiò in lacrime.

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Capitolo 4
*** 004 ***






Finch fece ritorno dopo diversi minuti, quando Jessica si era già asciugata le lacrime e si era ricomposta al fianco di John.

Era seduta su una poltroncina accanto al lui e gli teneva la mano.

Aveva ripulito il letto dagli asciugamani e le garze piene di sangue e aveva coperto John con il suo vecchio piumone azzurro.

Lui, però, tremava ancora. Si lamentava con urla soffocate nella notte.

Il campanello suonò all’improvviso, facendo sobbalzare Jessica.

Lei si alzò meccanicamente e andò ad aprire.

Si premurò di sbirciare chi fosse, poi lasciò entrare Harold Finch.

-Ho preso tutto, non ho avuto problemi-   esordì lui mostrando il sacchetto che aveva tra le mani.

Entrò in casa senza attendere un invito. Aveva il fiatone.

Jessica annuì. Prese il sacchetto che lui le porgeva e si diresse in cucina.

Lasciò cadere un paio di pillole sul tavolo e prese a schiacciarle con il dorso di un cucchiaio.

-Sarà difficile fargliele ingoiare intere-   spiegò a Finch che la osservava in silenzio dal fondo della stanza.

Sbriciolò le pillole con cura, con tranquillità, come se non avesse fretta.

Poi le sciolse in un bicchiere d’acqua e si diresse in camera da letto, seguita da Harold.

Girò in silenzio intorno al letto e si chinò su quel corpo rovente.

-John-   lo chiamò in un sussurro, mentre lo fissava con fare materno  -John, mi senti?-

Lui rispose con un lamento, poi provò ad aprire gli occhi.

Lei sorrise e gli passo una mano sulla fronte.

-Devi prendere questa medicina, ok?-   disse lentamente, come se si stesse rivolgendo ad un bambino piccolo.

Lui emise un suono indecifrabile.

-Starai meglio, te lo prometto. La febbre scenderà e ti sentirai bene-

Senza attendere altri cenni di conferma, avvicinò il bicchiere alle sue labbra disidratate.

Con l’altra mano gli teneva la testa sollevata.

Lo guardava con amore, mentre spingeva il bicchiere sempre più a fondo.

-Bravo-   gli sussurrò poi.

Gli baciò la fronte e gli sorrise mentre lui si riaddormentava.

Ritornò in cucina e lavò con cura il bicchiere.

Finch aveva osservato con attenzione ogni suo movimento.

-Posso farle una domanda?-

Lei sobbalzò, come se si fosse del tutto dimenticata della sua presenza.

-Ne è ancora innamorata?-   chiese lui senza attendere conferma.

Jessica si bloccò all’istante. Rimase immobile con le mani nel lavandino e l’acqua calda che vi scorreva sopra.

-Perché me lo chiede?-   disse infine cercando di apparire indifferente.

-Perché John, credendo di non farcela, ha lasciato un messaggio per lei-

Jessica chiuse il rubinetto e si voltò a guardare il suo interlocutore.

-Cosa?-

Harold sorrise dolcemente.

-Ha capito bene. John ha rivolto a lei quello che credeva essere il suo ultimo pensiero-

Gli occhi della donna si riempirono di lacrime.

Per un attimo si sentì catapultata indietro negli anni, a quando lei e John erano stati felici.

-Lui è vivo-   disse poi, cercando di scacciare il desiderio di conoscere quelle parole.

-Lo so-   rispose lui.

Seguirono attimi di assoluto silenzio, poi Finch parlò di nuovo.

-Ho registrato la conversazione, lo faccio sempre-   spiegò appoggiando il suo cellulare sul tavolo della cucina   -Se vuole ascoltarla le basterà premere il tasto play-

Sorrise ancora, dopodiché lasciò la cucina.

Jessica afferrò una sedia e vi si lasciò cadere.

Quella sera stavano succedendo troppe cose. Troppe emozioni la stavano travolgendo come un fiume in piena e lei non era del tutto sicura che sarebbe riuscita a rimanere a galla.

Guardò il cellulare di Harold. Lo schermo era ancora acceso.

Quali parole le aveva dedicato John? Aveva confessato di amarla ancora? Oppure le chiedeva perdono per tutto quello che era successo tra di loro?

Scosse la testa.

No, John non aveva alcun bisogno di farsi perdonare. L’aveva resa felice e, anche se alla fine si erano separati, lei aveva lasciato che lui mantenesse un posto nel suo cuore.

Teneva una sua foto in fondo ad un cassetto, un’altra nel libro che stava leggendo per tenere il segno.

Lo aveva amato con tutto il suo cuore e solo in quel momento si accorse di amarlo ancora.

Una lacrima le rigò il volto, al pensiero che il loro amore era cresciuto molto, nonostante la lontananza, gli anni di separazione.

Sì, lo amava ancora. Lo amava anche di più.

Provò  l’istinto di correre in camera da letto a baciarlo, a dirgli che lo amava.

Prima, però, decise di soddisfare la sua curiosità. Dopotutto si tratta di un sentimento del tutto umano.

Allungò un braccio sul tavolo e con il mignolo premette il pulsante che Finch le aveva indicato.

La voce sofferente di John risuonò nella cucina:



“Di’ a Jessica…che…che l’amo.


Non ho mai smesso di amarla.


L’amerò sempre”
 



La voce di Harold Finch interrompeva quella dolce poesia:



“Potrai dirglielo di persona. Sto arrivando, John. Vengo a prenderti”
 


Allungò di nuovo la mano per interrompere quella registrazione.

Poi chinò il viso sulle braccia incrociate e pianse come non aveva mai fatto prima.


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Capitolo 5
*** 005 ***






Si risvegliò all’improvviso. Era già mattina.

Le faceva male il braccio. Lo aveva tenuto teso per tutto il tempo. Teso verso di lui.

Impiegò qualche istante per mettere bene a fuoco l’uomo sdraiato accanto a lei.

Lo guardò con aria confusa, poi ricordò tutto quanto.

Si sollevò leggermente e posò il palmo sulla fronte di John.

La febbre era scesa, il suo respiro era regolare.

Decise di andare in cucina a preparare del caffè.

Non aveva dormito molto. In realtà, aveva pianto fino a tarda notte. Poi era andata in camera da letto e si era raggomitolata accanto a John. Era rimasta lì a guardarlo per ore, poi si era addormentata.

L’ultima cosa che ricordava era Finch che si alzava dalla poltrona e lasciava la stanza.

Attraversò il salotto, notando che Harold aveva preso posto sul suo divano, sullo stesso divano sul quale John aveva dormito mesi prima per poterla proteggere.

Era stato allora che si erano rivisti dopo tanti anni, era stato allora che aveva conosciuto il suo buffo socio con gli occhiali.

Eppure, la sera precedente, Harold Finch aveva dimostrato di essere un grande uomo.

Si era comportato come un vero angelo custode.

Superò il soggiorno e arrivò in cucina, dove aveva pianto per quasi tutta la notte.

Riempì il bollitore per il the e accese i fornelli.

Mise a tavola burro, marmellata, succo d’arancia, e burro d’arachidi. Poi preparò il caffè.

Finch arrivò di sorpresa, senza far rumore.

-Buongiorno-    sussurrò, per evitare di spaventarla.

Lei si voltò e gli rivolse un grosso sorriso.

Sembrava stranamente allegra e Harold non riusciva a spiegarsene il motivo.

-John sta bene?-   chiese sedendosi a tavola.

Jessica gli mise davanti una fumante tazza di the. Ricordava bene che non amava molto il caffè.

-La febbre è scesa-   confermò poi.

-Si è svegliato?-   chiese, più che altro per soddisfare la sua curiosità sull’allegria di Jessica.

Lei scosse il capo, ma continuò a sorridere andando qua e là per la cucina.

Imburrò delle fette di pane bianco, le dispose su un piatto che mise su un vassoio preso dalla dispensa.

-Deve mangiare qualcosa perché le medicine facciano effetto-   disse poi, tornando in camera da letto con il vassoio tra le braccia.

Finch non la seguì. Si lanciò sul buffet. Aveva una fame da lupi.

Arrivò in camera da letto,  posò il vassoio sul comodino e aprì leggermente le tende.

Alla luce del sole, notò con sorpresa che John era sveglio.

Si guardarono intensamente per diversi istanti. John avrebbe voluto dire mille cose, ma alla fine riuscì soltanto a chiedere cosa fosse successo.

Jessica si sedette sulla poltroncina accanto al letto e gli prese la mano.

-Starai bene-   gli disse con fare amorevole   -Ho estratto i proiettili e ho ricucito le ferite. Proprio come l’altra volta, ricordi?-

Lei sorrise, lui non le rispose.

-Dov’è Finch?-   chiese poi, guardandosi intorno.

-E’ in cucina, sta facendo colazione-   disse allungando un braccio verso il vassoio   -E dovresti farla anche tu. Devi rimetterti in forze e devi prendere le medicine-

Prese il piatto con il pane imburrato e glielo mise sotto il naso.

-Ho la nausea-   disse lui, guardandola con gli occhi di un bambino capriccioso.

-Hai la nausea perché ti hanno sparato, hai avuto la febbre alta e hai preso un antibiotico senza mangiare neanche una briciola-   rispose amorevolmente   -Mangia e ti sentirai meglio-

Lui prese una fetta di pane e se la portò alla bocca. La divorò in un attimo, senza nemmeno accorgersene.

Ne prese subito un’altra e fece lo stesso, poi afferrò il bicchiere di succo d’arancia che Jessica gli porgeva.

-Chi ti ha sparato?-   chiese all’improvviso, mentre lui vuotava il bicchiere.

Soltanto in quel momento si era resa conto di non saperlo e di non averlo neanche chiesto a Finch.

Era accaduto tutto troppo in fretta.

John finì il suo succo, poi posò il bicchiere sul comodino.

Si mise a sedere sul letto e assunse un’aria grave.

-La CIA-   disse semplicemente.

Jessica trasalì e si portò una mano alla bocca.

-La CIA? Ma tu lavoravi per loro-   obiettò.

-Già-   confermò lui   -Credo vogliano convincermi a tornare-

-Non farlo!-   esclamò lei all’improvviso, di getto.

Poi si guardò intorno come se fosse stato qualcun altro a parlare.

In realtà sapeva bene perché aveva pronunciato quelle parole così d’istinto: non voleva che la CIA, o qualunque altra cosa, portasse John di nuovo lontano da lei.

Voleva che continuasse a lavorare per Harold Finch perché sapeva che lui lo avrebbe protetto. Lo aveva dimostrato proprio poche ore prima.

E poi era stato proprio il lavoro che lui svolgeva per Finch a farli rincontrare, a farli ritrovare.

-Non lo farò-  confermò lui allungando una mano per toccarla.

Lei si avvicinò e posò la testa sul suo torace.

-Hai freddo?-   chiese lei, con le lacrime agli occhi.

-Sto bene-   rispose lui accarezzandole i capelli   -Sto benissimo-

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Capitolo 6
*** 006 ***






Si specchiò un’ultima volta prima di uscire di casa.

Lanciò un’occhiata fugace al letto perfettamente rifatto. Lo faceva ormai da due settimane, da quando John aveva lasciato casa sua.

Aveva recuperato per lui una sedia a rotelle e delle stampelle in ospedale. La ferita alla gamba non gli permetteva ancora di muoversi al meglio, ma presto sarebbe potuto ritornare in azione.

Finch gli aveva trovato un appartamento in centro, ovviamente nello stesso palazzo del loro nuovo ‘numero’. Si erano dati da fare ed erano riusciti a sventare un omicidio anche quella volta.

Jessica si strinse nel cappotto e uscì di casa.

Stava andando da lui, da John. Doveva cambiargli le medicazioni.

Aveva tutto l’occorrente in borsa. Sarebbe stata rapida e indolore e sarebbe ritornata a casa come sempre, con l’amaro in bocca. Con la sensazione di non aver fatto ciò che voleva veramente.

Raggiunse la palazzina in pochi minuti. Anche casa sua era abbastanza centrale.

Attraversò il cortile muovendosi a passo svelto, poi prese le scale.

Una volta arrivata davanti alla porta dell’appartamento fece qualche respiro profondo, come per calmarsi.

John l’aveva sempre resa irrequieta in un certo senso. Era un uomo tutto d’un pezzo. Era stato nell’esercito, poi un agente della CIA ed ora era diventato addirittura un giustiziere.

Bussò con cautela. Due tocchi timidi, ma decisi.

John aprì dopo qualche istante.

Aveva decisamente qualche difficoltà a muoversi su quell’aggeggio infernale a rotelle.

Sorrise e indietreggiò per farla entrare. Lei fece un passo in avanti e si richiuse la porta alle spalle.

Non dissero una parola. Jessica seguì John in camera da letto.

Prima di entrarvi, però, si sfilò il cappotto e lo lasciò su una sedia nel corridoio.

John aveva preparato tutto. L’acqua ossigenata e i batuffoli di cotone erano già sul comodino.

Lei estrasse dalla borsa le garze e i cerotti.

-Come va?-   chiese mentre lo aiutava ad alzarsi dalla sedia.

-Meglio-   rispose lui facendo un balzo per atterrare poi sul letto.

La sua risposta era sempre la stessa, diceva sempre di sentirsi meglio.

A parte qualche momento buio, era sempre stato un inguaribile ottimista.

-Ti fa male?-

-Brucia un po’ da quando hai tolto i punti-   rispose come se nulla fosse.

-E’ normale-   disse lei con un sorriso   -Ora ti aiuto a togliere la camicia-

Si chinò dolcemente su di lui.

Non si trovava di fronte ad un paziente qualunque, lo sapeva fin troppo bene.

Il suo respiro si fece più veloce e più intenso mentre, ad uno ad uno, slacciava i bottoni della camicia di John.

Sfiorò il suo petto aprendo la camicia ed un brivido le attraversò la schiena.

Alzò lo sguardo e vide che lui era lì a guardarla.

Aveva sul viso un’espressione tranquilla e beata.

I loro volti erano incredibilmente vicini, i loro respiri ne erano diventati uno solo.

Gli occhi tristi di John si persero nei suoi. Sembrava un bambino davanti ad una montagna di cioccolata dopo un’operazione di appendicite.

-Facciamo l’amore-   le sussurrò  in un soffio.

Jessica sentì il suo fiato sul viso. Profumava di menta.

Scosse la testa e fece per ritirarsi, ma John le afferrò il polso, trattenendola.

La sua presa era forte e sicura, ma allo stesso tempo dolce e delicata.

-Perché no?-   chiese cercando il suo sguardo.

Lei lo evitò con cura.

-Non chiedermelo, John-   disse scuotendo ancora la testa.

John la guardò incuriosito.

-Perché?-   chiese poi. Aveva gli occhi di un bambino.

-Non chiedermelo-   ripeté lei cercando di liberarsi da quella presa   -Non riuscirei a dirti di no-

Lui la guardò ancora. Intercettò finalmente quel suo sguardo ambiguo.

-Allora non dirmi di no-   disse attirandola a sé.

-No, John-   disse lei liberandosi.

-Perché?-   chiese ancora.

Lei si allontanò di qualche passò e piegò la testa di lato come per poterlo scrutare meglio.

-Perché non riuscirei a resisterti-    disse infine, in un sussurro, lasciando che lo sguardo cadesse sul suo petto nudo.

-Non devi resistere, Jessica-   disse lui deciso   -Non farlo-

Lei fu tentata di scappare, di fuggire il più lontano possibile da quell’appartamento e da quella situazione.

Neanche lei ne conosceva bene il motivo, sapeva solo che doveva andare via.

Raccolse la borsa e si diresse verso la porta della camera da letto.

John era ormai alle sue spalle. Lei non poteva più vederlo, eppure si sentiva trafitta da quello sguardo tanto intenso.

All’improvviso lasciò cadere la borsa che atterrò silenziosa sulla moquette.

Si passò una mano sul viso, poi tra i capelli.

Infine, tornò a voltarsi verso di lui.

Era John, il suo John. Nient’altro che lui.

Era al sicuro, nessuno avrebbe potuto farle del male.

Uno scorcio di felicità appariva finalmente nella sua vita e lei non poteva lasciare che le sfuggisse come già era accaduto troppe volte in passato.

Si lanciò su di lui all’improvviso, sorprendendo persino se stessa, poi i due si persero in un bacio mozzafiato.

Le sue mani andarono a posarsi sui suoi fianchi; calde, forti, decise.

Lei chiuse gli occhi e assaporò quel bacio, quel momento.

Era felice.

Dopo tanto tempo, finalmente era di nuovo felice.


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