You're my Second Heartbeat.

di LostInStereo_GD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto. ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo. ***


Huntington Beach, di notte, è davvero bellissima.
È vero, magari è solo un’insulsa cittadina, ma qualcosa in questo posto mi ha sempre affascinato.
Mi permette di dimenticare la mia vita e tutte le ferite che ho.
Mi permette di pensare che magari, in fondo, anche io servo a qualcosa.
È circa l’una di lunedì sera, e le strade sono deserte.
Sono da solo.
Cammino tranquillamente per le vie, e ad ogni incrocio, sorrido.
“Qui è dove io e Matt ci siamo incontrati la prima volta dopo scuola.”, penso, davanti ad un vecchio bar, ormai chiuso.
Qualche passo più avanti, c’è un tavolo di legno, dove l’incisione fatta da Jimmy ancora si vede.
La sfioro appena, con le dita, attento a non rompere quella fragile barriera che si trova tra i bei ricordi di uno dei miei migliori amici e il dolore della sua perdita, e poi procedo.
Sorrido, ritrovandomi davanti alla tabaccheria dove, ogni domenica mattina, incontro Brian, come se già non lo vedessi abbastanza alle prove e ad uscite varie.
Passo davanti alla casa di Johnny, dove vedo Lacey guardare la TV con la testa del marito adagiato sulla sua spalla.
Non so se sorridere o piangere.
In quel momento, il mio cellulare suona. Lo tiro fuori, con la testa un po’tra le nuvole, e leggo il suo nome sul display.
Gena.
Mi sta chiamando, e so che mi dovrò preparare al peggio. Prendo un bel respiro, stringendo gli occhi, e infine rispondo alla chiamata.
-Pronto?- dico, con un filo di voce.
-Zachary.- sibila lei, fredda come il ghiaccio. Avverto un brivido sulla schiena, e sento il fianco dolermi.
-C…Ciao, tesoro.- trovo, non so come, il coraggio di dirle.
-Dove cazzo sei, idiota?- urla allora lei. -È l’una di notte, mi sveglio, spero di trovarmi mio marito accanto e invece? Invece non ci sei!-
-Gena, posso spiegarti.- tento di dire.
-Oh, sta zitto, Zacky!- sbraita. –Torna a casa, se non vuoi finire all’ospedale.-
Con quest’ultima, gelida frase, mia moglie attacca, e io sento le lacrime premermi sugli occhi.
Dio, se sono patetico. Eccolo qua, l’unico uomo che piange.
Zachary James Baker, ovvero Zacky Vengeance, il chitarrista ritmico dei Avenged Sevenfold.
A volte penso di essere solo un grande ipocrita a farmi vedere così spensierato, sorridente e ottimista dai nostri fans, quando invece sto mandando la mia vita a puttane.
Perché è così, è sempre e soltanto colpa mia. Rovino ogni cosa bella che ho.
Cammino verso casa, e ringrazio dio che disti almeno di un chilometro da dove mi trovo adesso.
Non ce la faccio ad affrontare subito mia moglie.
Cammino lentamente, con il fianco che mi lancia tremende fitte di dolore, e per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, mi domando se anche quando l’ho sposata era così.
Ma ricordo che, all’inizio, i suoi occhi erano raggianti di gioia, non di rabbia.
Sorrideva sempre, la sua bocca era costantemente curvata all’insù.
Confronto il viso della Gena di tre anni fa, con il viso della Gena di adesso.
Non è la donna che amavo, che amo ancora. È cambiata.
Ma se oggi mi chiedessero come e perché, non saprei rispondere. Mi ricordo solo che è iniziato cinque mesi fa. Ero tornato a casa da un’uscita con i ragazzi e con alcuni fans che avevano vinto un incontro, e lei ha iniziato.
Così, all’improvviso, ha iniziato a picchiarmi.
Assurdo, vero? Tutti pensano che siano sempre gli uomini a fare del male. Le mamme per strada mi guardano, guardano le mie braccia tatuate, i miei piercing, il mio trucco, e so cosa pensano.
“Dio, questo è assolutamente un poco di buono.”
Ovviamente, la gente non si sforza mai di andare oltre l’aspetto esteriore, ma fino a poco prima dell’ “incidente”, mi andava bene: l’importante era che i miei amici conoscessero il vero me.
Ma dopo quella prima volta, è inutile dire che ho iniziato a vivere dentro un inferno.
Ogni mattina, mi alzo con il timore. “Sarà di buonumore? Di cattivo umore?”
Faccio di tutto per essere migliore. La aiuto in casa, cucino quando lei non ne ha voglia, rinuncio ad uscire con i ragazzi per stare con lei.
Ma il buongiorno si vede dal mattino, e so subito, appena la vedo, quando mi toccano le botte e quando no. Può salutarmi con un bacio, la mattina, e poi è dolcissima e adorabile tutto il giorno, come la donna che amo.
Oppure non mi rivolge mai la parola, e capisco che, prima di andare a dormire, avrò una nuova contusione.
E la cosa peggiore, è che  poi piange.
Piange, piange come una fontana, dopo che mi ha picchiato. Mi chiede scusa, sembra seriamente terrorizzata, e io la consolo sempre. Ma tanto, so che continuerà a farlo.
Non l’ho nemmeno mai detto a nessuno, cosa mi fa lei. Ogni tanto, i ragazzi della band mi vedono arrivare là, alle prove, con un occhio nero, oppure con un livido sul braccio, e devo sempre inventarmi qualche scusa.
Sono scivolato dalle scale, ho sbattuto contro il mobile, sono cascato dalla moto.
Non posso confidarmi con nessuno.
Mi porto una mano al fianco, fermandomi un attimo e tirandomi su la maglietta. Un livido, grosso come la mia mano, scurisce la pelle, e sento di nuovo il piede di Gena pestarci sopra, ripetutamente. Faccio un immenso sforzo per non scoppiare a piangere.
Continuo a camminare lentamente, con il peso del mio segreto che mi schiaccia, e arrivo troppo velocemente fino alla casa.
La luna la illumina in un modo sinistro, facendola sembrare inquietante. Non voglio entrare.
Ma sento la porta cigolare e spalancarsi velocemente, e capisco che non ho vie di fuga. La figura di mia moglie si staglia, lunghissima, lungo la via.
Sembra un mostro. Come se la parte crudele di lei avesse influenzato anche l’aspetto.
-Entra.- sussurra appena. La strada è silenziosa, e a me sembra che abbia urlato. Inizio a tremare pietosamente e avanzo, insicuro.
Appena sono sulla soglia della porta, lei si scosta, permettendomi di entrare. I suoi occhi scuri hanno un guizzo terrificante, il monroe riflette la luce del lampadario di casa nostra. Ha i capelli legati, le labbra strette in una sottile e durissima linea scura.
Ho paura, paura come non ne ho mai avuta in tutta la mia vita. Mi stringo nella giacca, come se servisse a qualcosa, e mi tolgo, in un gesto istintivo, gli occhiali da vista.
Gena sbatte la porta, e io sobbalzo. Stringo gli occhi per evitare che escano le lacrime.
Mia moglie mi si para davanti, stretta nella sua vestaglia nera. –Dove sei stato?- domanda.
Deglutisco a fatica. “Dai una risposta giusta, Zacky”, mi dico.
-S…Sono andato a f…fare una passeggiata.- sussurro. Abbasso lo sguardo, e poi la osservo di nuovo. Mi fissa, adirata, stringendo i pugni.
-Non mi mentire, cazzo.- dice. Il suo tono di voce è neutro, e questa è la cosa che mi spaventa di più.
-T…Ti giuro, G…Gena.- tento di dire. –Ho…Ho solo fatto una passeggiata in città.-
I suoi occhi si spalancano, e per una frazione di secondo, vedo la vera Gena tornare come prima. Distende i pugni, rilassa le spalle, ma gli occhi sono ritornati a bruciare di rabbia.
-Okay.- dice infine. Mi guarda, dritto negli occhi. So che non è finita.
-Sei stato tu a scegliere di mentire.-
Si avvicina al piccolo mobile, dall’altra parte della sala, afferra il grosso vaso di vetro che vi si trova sopra e lo scaraventa verso di me, con tutta la forza che ha in corpo.
Mi abbasso appena in tempo, ma una minuscola scheggia rimbalza sulla porta e mi graffia la guancia. Inizio a perdere sangue.
-Ti prego, Gena.- tento di dirle. –Tesoro, ti giuro io…-
-Non mi chiamare “tesoro”.- sussurra. Mi si avvicina velocemente. –Figlio di troia.-
Mi dà un pugno sul naso, e casco per terra, mezzo tramortito. Il sangue che mi esce mi gocciola sulle labbra, sul mento, e bagna un po’ la maglietta.
Fa malissimo, credo che mi abbia rotto il setto nasale. Lo tengo tra le mani, gemendo, ma lei non si ferma.
Con una forza bruta, mi afferra per i capelli, trascinandomi per mezza casa.
-Hai un’amante, brutto bastardo!- urla. Sono sempre per terra, e lei pesta, con una forza disumana, sulla mia gamba.
Lo fa una, due, tre volte, finché un suono inquietante non spezza il silenzio.
Il rumore di un osso rotto. Urlo, urlo con tutto il fiato che ho in gola, perché il dolore divampa dallo stinco in tutto il mio corpo.
Scoppio a piangere come un bambino, terrorizzato e dolorante.
“Questa volta mi uccide”, penso, spaventato. “Dio, questa volta mi uccide sul serio.”
-Hai qualcosa da dire, pezzo di merda?- mi urla in faccia, a due centimetri dal mio volto.
-Non ti ho tradita.- dico, flebilmente. –Lo giuro.-
Ma lei non si arrende. Mi afferra di nuovo per i capelli, avvicinando pericolosamente il mio viso a quello del tavolino, e arresto il respiro.
Lei però, si frena, lasciando il mio volto a pochi centimetri dallo spigolo. Avvicina le labbra al mio orecchio.
-Rovini sempre tutto, Zachary.- sussurra, tagliente come la lama di un coltello. –Sarebbe meglio se tu morissi.-
Tira indietro la mia testa, e riesco a chiudere gli occhi poco prima di quel terribile impatto contro lo spigolo del tavolino.
 
***
-È un codice rosso, un codice rosso.- ripete un uomo. Sento la voce poco distante da me, ma non riesco a vederlo. Non riesco ad aprire gli occhi.
-Nome della vittima?- domanda una voce femminile.
-Z…Zachary Baker. Zachary James Baker.-
Quest’ultima voce risuona familiare nelle mie orecchie. Riesco a socchiudere appena gli occhi, e la luce, artificiale, mi acceca.
Riconosco Matt, il mio amico Matt, e non sono mai stato così felice di vederlo.
-M…Matt…- dico. Muovo appena le labbra, ma lui si volta subito.
-Oh, cazzo.- esclama. –Oddio. Zacky sei sveglio. Sei fottutamente sveglio, idiota.-
Sento la sua voce prendere una piega acuta, e lo vedo voltarsi.
-Scusami.- mi dice subito dopo. Gli trema terribilmente la voce, e quando si volta ha gli occhi rossi e inondati di lacrime.
Rimango paralizzato. Vorrei dirgli qualcosa, ma dalla bocca mi esce solo un singhiozzo.
Inizio a piangere, ma tutto intorno a me si fa buio.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo. ***


 Apro gli occhi e il sole mi acceca. Li richiudo, con un gemito, e sento qualcuno accanto a me sobbalzare.
-Zacky?- mi chiede la voce di Matt. Lo sento avvicinarsi. –Zacky, mi senti?- domanda.
Con uno sforzo sovrumano apro lentamente gli occhi.
-S…Sì.- sussurro in modo flebile.
Lentamente focalizzo il mio amico, e lo vedo sorridere radioso come un sole. Indossa una maglietta degli Iron Maiden, non si è messo (per una benedetta volta) quello stupido cappello e i suoi meravigliosi occhi verdi sono illuminati da una luce di gioia.
-Oh, cazzo.- esclama allora un’altra voce. –Menomale.-
Mi volto, con un grosso sforzo, verso la mia sinistra. Strizzo gli occhi e riesco, con fatica, a focalizzare Brian.
Al contrario del solito però, lo vedo con i capelli in disordine, non precisissimi e ordinati come lui ama tenerli.
Mi spunta un sorriso sul volto. –Ehi, Syn.- sussurro. Lo vedo sorridere come non l’ho mai visto fare in tutta la mia vita.
Guardo se ci sono altre persone in questa stanza sconosciuta, ma purtroppo vedo solo loro due.
-Dove… Dov’è Johnny?- chiedo infine. Dio, sembrano secoli che non lo vedo, mentre invece l’ho visto solo ieri alle prove.
-È andato con Arin a mangiare.- mi spiega Matt con un sorriso. –Durante questi sei giorni, qualcuno ha dovuto fare il mangione al posto tuo.- Mi dà un lieve colpetto giocoso di cui però, non capisco il significato.
Corrugo la fronte. -In che senso?- gli domando, confuso. Lui mi guarda, sollevando un sopracciglio.
–In che senso cosa?- mi chiede a sua volta.
Sospiro. –Che vuol dire “in questi sei giorni”?- gli dico.
Matt e Brian si guardano, scambiandosi occhiate confuse.
-Zacky, stai bene?- mi domanda infine Brian. Io però, lo zittisco con un gesto. Mi volto di nuovo verso Matt.
–Allora?- gli domando.
Lui si guarda intorno. –In questi sei giorni mentre dormivi.- mi dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
–S…Sei giorni?- domando. –Ho dormito per sei giorni?- Non ci sto capendo più niente. Come ho fatto a dormire per sei giorni?
Brian guarda Matt. –Sei stato in coma per sei giorni, Vee.- mi dice quindi lui. Lo guardo, perplesso.
-In coma?- dico. Loro mi fissano in modo strano.
Per la prima volta da quando ho aperto gli occhi, inizio a farmi delle domande.
La prima è assolutamente “Dove diavolo mi trovo?”
Mi guardo intorno, perplesso. 
Pareti bianche, grosse finestre, sedie intorno al mio letto, un ago infilato nella mia vena e una gamba ingessata.
Cerco di alzarmi, ma una dolorosissima fitta alla testa mi costringe a sdraiarmi di nuovo.
“Sono in un ospedale.”
-Perché sono qui?- mormoro.
Una risata secca. -Come “perché”, Zacky?- mi domanda Brian sorridendo. La mia espressione non cambia, e allora il mio amico sgrana gli occhi. -Non te lo ricordi?- mi domanda stupito. –Cioè, non te lo ricordi sul serio?-  Scuoto la testa, perplesso.
-Niente niente?- insiste anche Matt. –Zero assoluto?-
-Ragazzi, se vi dico di no è no!- esclamo. Un’altra tremenda fitta alla testa mi fa perdere le forze. Guardo i miei amici, in attesa di una risposta. Si osservano, un po’afflitti.
-Beh, a giudicare dai vostri sguardi però, deve essere successo qualcosa di grave.- sussurro infine.
Le loro espressioni preoccupate mi mettono un po’in allarme.
È successo davvero qualcosa di grave.
-Oddio, Johnny sta bene, vero?- domando. –E Arin? Le vostre mogli? E tuo figlio, Matt?- continuo a chiedere. Brian mi mette una mano sulla spalla.
-Stanno tutti bene, Vee.- mi dice. Poi mi guarda con un moto compassionevole negli occhi, e Matt, allora, mi si avvicina. -Zacky.- mi dice infine. –Sei tu che stai male.-
Sollevo un sopracciglio, squadrando i miei amici. –Ma che state dicendo?- domando, nervoso.
-Amico, è stata Gena.- mi dice quindi Brian. -Lei ti ha picchiato.-
Sgrano gli occhi, senza aprire bocca.
Lì per lì, vorrei scoppiargli a ridere in faccia. Gena non mi ha mai preso a botte nemmeno per scherzo. Ma prima ancora di aprire bocca, ho un flashback.
Una passeggiata, una chiamata furiosa, Gena che mi attende sulla porta e le botte.
Tante, troppe botte.
E le volte prima, quando lo faceva di sera, di pomeriggio, a volte di mattina.
Sento un occhio pulsare, e lo tocco istintivamente con la mano. Non è gonfio, ma so per certo che è nero.
-Oh.- esclamo quindi. La beata illusione in cui vivevo è scoppiata come una misera bolla di sapone, e sono ricaduto nella solita orribile consapevolezza della mia stupida vita. Annuisco, anche se mi costa molto. –Sì, ricordo.- ammetto infine.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, e la mia mente è vuota.
Anzi, penso a tutto il dolore, fisico ed emotivo, dell’ultima volta in cui Gena mi ha picchiato. Mi si sta riversando addosso come un secchio di acqua gelida, ed è una sensazione orribile.
Ringrazio solo i soccorsi che sono arrivati in tempo.
Ma, a quel punto, una domanda mi sorge spontanea. Ricordo l’ambulanza e i medici a casa mia, ma chi li aveva chiamati?
-Sono stato io.- mi dice allora Matt, quando esprimo il mio dubbio. Lo guardo, confuso.
-Tu?- chiedo. Lui annuisce.
-Sì, beh, ecco…- Indugia, grattandosi la nuca. –Io… Io avevo intuito cosa ti stava succedendo.- mi dice. –Ma, ovviamente, nessuno mi ha creduto.- esclama, guardando male Brian, che china la testa. –E ti ho visto ad Huntington Beach, quella notte. Stavo venendo da te, ma poi ho sentito la chiamata, quella di Gena.- mi spiega. –E ti ho seguito. Volevo mettermi il cuore in pace, volevo dirmi “Visto, Matt? Zacky sta bene”.-
China la testa. –Ma non stavi bene.- mormora. –No, affatto. E quando, da fuori, ho sentito rumore, non ci ho pensato due volte. Sono entrato in casa e tu eri immerso nel sangue. Gena stava piangendo, e ho iniziato ad urlare come un matto.- Sospira. –Ho chiamato il 911 appena in tempo, secondo i medici.-
Il mio amico mi guarda con gli occhi lucidi, e vedo Brian mettergli una mano sulla spalla.
Nella camera cala di nuovo il silenzio.
Uno dei miei migliori amici mi ha salvato la vita. Non so veramente cosa dire.
-Grazie.- sussurro infine. Matt allora mi guarda, sorpreso, e mi viene incontro.
Mi abbraccia forte, ma con delicatezza, e a me viene voglia di piangere di nuovo. E lo faccio, piango come una ragazzina.
Perché finalmente non devo più tenere un segreto così pesante, così opprimente. Finalmente posso sperare, tentare di tornare a vivere come una persona normale.
-I fans hanno dato letteralmente di matto, quando hanno saputo che il loro adorato chitarrista si trovava in coma all’ospedale.- mi sussurra allora Brian, sorridendo.
Mi allontano un po’ da Matt, asciugandomi gli occhi, e sorrido.
-Beh, allora penso che saranno felici di vedere che sto bene.- sussurro. Guardo Brian e sorrido. –Fammi una foto, Syn.- gli dico. –Mettila su internet, così i ragazzi si tranquillizzeranno.-
Il mio amico prende il suo telefono, e mi fa una foto. Tento di sorridere, ma non penso che mi riesca tanto bene.
Fortunatamente, in quel momento, ecco entrare Johnny e Arin.
Il bassista, appena mi vede sveglio, fa cascare l’enorme sacchetto di patatine che ha in mano, e Arin mi si catapulta praticamente addosso.
-Oh wow.- esclamo, quando me lo ritrovo tra le braccia. Lo stringo, e lui mi guarda, sorridendo.       –Bentornato, Zacky.- mi dice.
 
***
Ho avuto una fortuna sfacciata, mi hanno detto i medici. Gena aveva davvero intenzione di uccidermi, quella notte, ma le botte contro il tavolino, stranamente, non avevano provocato danni gravi.
“E adesso dove si trova mia mogl… Gena?” avevo chiesto.
E avevo saputo che era stata ricoverata in un centro specializzato per curare la bipolarità.
Appena me l’avevano detto non ci avevo creduto, ma poi avevo riflettuto: i suoi “giorni buoni” erano quelli in cui la vera Gena riusciva ad avere il controllo di sé stessa, mentre quelli “meno buoni”, se così vogliamo definirli, erano quelli in cui la sua parte crudele e sconosciuta prendeva il sopravvento.
Dio, mi sento così strano… Non riesco a provare soddisfazione per il disturbo di Gena, ma non riesco nemmeno a dispiacermi.
È una cosa che mi lascia impassibile. E questa mia insensibilità mi terrorizza.
Sono ricoverato ormai da due settimane, e da circa qualche giorno riesco a camminare da solo. Devo portare le stampelle a causa del gesso, ma ormai posso andare dove voglio. I medici mi hanno anche tolto la flebo, così posso ricominciare a mangiare da solo, ma sento che ormai la mia vita non è più la stessa.
Mi sento terribilmente vuoto.
Non ho più una moglie, non riesco più nemmeno a pensare a casa mia, il luogo dove sono quasi morto, e non so nemmeno quando uscirò di qua.
Non riesco più neanche a sorridere.
Per non parlare del mio viso. Nemmeno ci provo a guardarmi allo specchio. L’ho fatto una sola volta, e sono scoppiato a piangere di nuovo, sulla spalla di Johnny.
Non mi sono riconosciuto.
Avevo il viso pallido, scavato, i capelli li avevano rasati per i punti che mi avevano dovuto mettere in testa. Avevo le labbra tagliate, e non per causa dei piercing che, tanto per la cronaca, erano spariti, ma per le innumerevoli botte che mia moglie mi aveva dato quella sera.
Avevo gli occhi spenti, il sinistro circondato da un grosso alone nero che non dava segno di volersene andare.
Mi ripugnavo da solo, stavo male con il mio corpo.
Dio, ora capisco cosa provano le donne. E giuro, se mai ne avrò un’altra, di ragazza, non la sfiorerò con un dito nemmeno per scherzo.
L’unica mia piccola fuga che mi libera un po’ dalla mia vita tremenda, è il reparto maternità. Ho preso l’abitudine, ogni sera alle sette, a scendere al piano inferiore e ad andare a vedere i bambini.
Li guardo tutti, uno ad uno, e sorrido. Sorrido perché, malgrado tutto, era un po’ di tempo che io e Gena pensavamo di averne uno tutto nostro.
Ma parliamo di quando lei era ancora una sola persona.
Mi ricordo che passavamo le ore sul divano, a fantasticare sui nomi. A lei piaceva Christine per una bambina, e John per un maschio.
Io invece, adoravo il nome Jimmy, e Mary.
E così, ogni sera, scendo per vedere se sono nati bambini con i “nostri” nomi.
Guardo svogliatamente l’orologio, e vedo che mancano cinque minuti alle sette. Lentamente mi alzo dal letto, mi infilo la scarpa e prendo le stampelle, e con il mio ridicolo pigiama a strisce, esco dalla camera.
Attraverso il corridoio, salutando Jenna, la simpatica infermiera che mi assiste, e prendo l’ascensore. Entro e le porte si chiudono, e premo con decisione il tasto del terzo piano.
Pochi secondi dopo, percorro il lungo corridoio rosa confetto, fino a trovarmi davanti ad una grossa vetrata, dove riesco a vedere una dozzina di culle rosa e blu.
Mi spunta subito un sorriso sul volto, e inizio a leggere tutti i nomi sulle targhette.
Margaret, Simon, Joseph, Hilary, e una Maria.
Non Mary, come piaceva a me, ma proprio Maria. Mi ricorda una canzone dei Green Day.
Guardo la bambina, e vedo che ha un visino paffuto, folti capelli neri e le manine strette a pugno vicino al volto. Respira velocemente, e si muove lentamente nel lettino.
Mi lascio sfuggire una piccola risata.
-Ha suo figlio qui?-
In quel momento, una voce interrompe i miei pensieri. Sobbalzo e mi volto verso la mia sinistra, da dove proviene la voce, e vedo una ragazza.
Una ragazza minuta e magra, ma con la pancia che sporge dalla camicia da notte. È incinta.
-Oh.- esclamo sorridendo. –No.- dico. –Purtroppo no. Sono solo ricoverato al piano di sopra, e mi piace venire a vedere i bambini.- spiego.
La ragazza si volta a guardarmi, squadrandomi con due enormi occhi blu. Sorride lievemente, annuendo. –Capisco.- sussurra.
Le sorrido, un po’ sorpreso dalla sua intrusione, e la osservo meglio. Avrà sì e no ventidue anni, ha lunghi capelli castani e mossi che le arrivano fino alla vita e due labbra sottili, rosa acceso. Ha la pelle così bianca da sembrare trasparente, e una cicatrice sullo zigomo.
Quest’ultimo particolare sembra inquietante, o per lo meno mi sarebbe sembrato inquietante, se non sapessi che dietro ogni cicatrice c’è una storia.
Lei si volta di nuovo a guardarmi, e sorride, tristemente.
-Lo so.- mormora. –È davvero una brutta cicatrice.- China la testa, come se si vergognasse, e io arrossisco dall’imbarazzo. Non mi ero reso conto di fissarla.
Cerco di dire una qualsiasi cosa per rimediare.
-Oh, no- tento di dire. –Mi… Mi piacciono le cicatrici.-
“Dio, se sei idiota, Zachary”, mi dico.
La ragazza sorride. –Non ti preoccupare.- mi dice. –Ci ho fatto l’abitudine, agli sguardi.-
Sospiro. –Mi sa che dovrò farcela anche io.- dico, sfiorandomi la testa, dove i capelli neri stanno iniziando, lentamente, a ricrescere. Lei mi guarda, perplessa, appoggiandosi una mano sulla pancia, ancora piccola.
-Posso sapere che ti è successo?- mi domanda innocentemente. La guardo, e sento il cuore perdermi un battito.
È la prima persona, dopo i miei amici, che mi chiede cosa mi è successo e che sembra veramente interessata.
-Non ci crederai mai.- le dico. Lei china il capo di lato, scrollando le spalle.
-Tu prova.- Sorride.
Ridacchio, scuotendo la testa. –Mia moglie mi picchiava.- le dico. –E se due settimane fa non fosse intervenuto uno dei miei migliori amici, adesso sarei morto.-
Lei socchiude la bocca. –Oh, dio, mi dispiace.- sussurra, con espressione triste sul volto. Poi sorride, malinconica. –Ma fidati, ti capisco.-
La guardo, perplesso, ma prima che lei mi spieghi, la vedo sfiorarsi la cicatrice e sospirare.
-Oh.- esclamo allora. Lei si volta a guardarmi. –Anche tu?- domando. –Anche tu sei stata picchiata?-
Lei annuisce, chinando la testa. -Sì, ma dopo la prima volta che l’ha fatto, l’ho lasciato.- dice, sorridendo. –Anche se poi, troppo tardi, ho scoperto di aspettare suo figlio.-
Si china verso il suo ventre, sorridendo come una bambina e sfiorandolo con la punta delle dita.
Annuisco. –Mi dispiace.- le dico. Ma lei mi guarda, annuisce, e mi stringe una spalla. –Lo so.- mi dice. –Ma da ogni esperienza, bella o brutta che sia, ricaviamo sempre un lato positivo.-
Ridacchia. –E il mio lato positivo è lui.- Si indica la pancia. –O lei, dato che non ho voluto saperlo.-
Rido, preso da un’improvvisa leggerezza. La ragazza allora mi osserva per qualche secondo, in silenzio, e poi mi tende una mano.
-Comunque piacere.- sussurra. –Io mi chiamo Lydia.-
Socchiudo la bocca, piacevolmente stupito dal suo gesto, e gli stringo delicatamente la mano.
-Piacere mio, Lydia.- gli dico. –Io sono Zacky.-
 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo. ***


-È permesso?-
Qualcuno ha bussato alla mia porta. Riconosco la voce di Valary, e mi spunta in automatico un sorriso sul volto.
-Vieni, Val.- esclamo. La maniglia gira, ed ecco che vedo spuntare il viso della moglie di Matt.
La testa si affaccia nella camera, i capelli corti e biondi le ricadono sugli occhi verdi. Sorride, raggiante.
-Ciao, Zacky.- mi dice. Sorrido, contento di vederla, e le faccio:
-Entra, avanti. Vienimi ad abbracciare.-
Lei però sorride, sollevando un sopracciglio. –Sei sicuro di voler abbracciare me?- mi chiede.
La guardo, perplesso, ma poi la vedo aprire di più la porta per far passare le braccia, dentro cui si trova, avvolto in una copertina azzurra, Owen James.
-Oh.- esclamo, intenerito. –No, in effetti ora voglio abbracciare lui.- dico poi. Lei ride, entrando nella camera, e mi si avvicina, stampandomi un bacio sulla fronte.
-Ciao, sciagura.- mi dice. -Allora, come va?-
Sospiro. -Diciamo bene.- sussurro. –Ma sono ancora mezzo rotto.- “E non solo fuori”, vorrei aggiungere.
La donna mi guarda, malinconica, e sospira. –Dio, tu non hai idea di quanto mi dispiaccia, Zacky.- mi dice. Scrollo le spalle, e Owen inizia a piangere, prima piano, e poi sempre più forte.
-Ormai il danno è fatto.- ammetto. – Ma Gena come sta?- le domando infine. –Hai saputo niente di lei?-
Sono ricoverato ormai da sette settimane in ospedale, e, malgrado tutto, ad ogni persona che viene a trovarmi porgo sempre la stessa domanda.
In fondo, era mia moglie, la donna che amavo.
Valary scrolla le spalle, cullando un po’Owen nel vano tentativo di calmarlo. –Non ne  ho idea.- mi dice. –Ho saputo solo che, nella clinica, non vuole le visite di nessuno.-
Il bambino intanto continua a piangere, e Valary sospira. –Oh, cielo, non riesco a capire cos’abbia.- mi dice. Poi mi guarda, sollevando le sopracciglia, e voltandosi di nuovo verso il  figlio.
-Oh, ho capito.- sussurra al bimbo. –Vuoi andare un po’ da zio Vee, non è così?-
Sorrido, intenerito, e tendo le braccia verso la donna. Lei mi mette il piccolo tra le braccia ed io lo stringo delicatamente a me.
-Ehi.- mormoro. –Ciao, piccolo Sanders.- Il bambino continua ad urlare, e io rido. –Oh, vedo che hai già imparato a cantare come tuo padre.- gli dico.
Owen sembra calmarsi all’improvviso, e mi squadra attentamente con due grossi occhi verdi che assomigliano incredibilmente a quelli di Matt.
Dimena le manine, fa qualche smorfia con la faccia. Rido, giocandoci un pochino, e Valary mi osserva, tranquilla.
Poi sospira. –Come ci sai fare con i bambini, Zacky.- mi dice. La guardo, sorridendo.
-Mi piacciono tanto.- ammetto. –Ma anche Brian non è da meno. Per non parlare di tuo marito.-
Lei ridacchia, ma poi vedo il suo sorriso spegnersi.
-A… A proposito di Brian.- mi dice allora. Mi guarda. –Io dovrei dirti una cosa, Zacky.-
Ricambio lo sguardo, perplesso, mentre Owen si addormenta tra le mie braccia. –Che succede?- domando.
Valary sospira. –Michelle è andata dal ginecologo, ieri.- mi dice. –E…-
-Oddio, è incinta anche lei?- domando. Mi nasce un sorriso sul volto, ma l’espressione di Val non è delle migliori.
-No, Vee.- mi dice. –Al contrario.-
Corrugo la fronte. –Al contrario cosa?- le chiedo. Lei sospira, e vedo i suoi occhi diventare lucidi.
-Mia sorella è entrata in menopausa anticipata.- mi dice. –Lei e Brian non possono avere bambini.- Spalanco gli occhi, shoccato dalla storia. –Cosa?- domando.
Lì per lì non sono sicuro di aver capito bene, ma l’espressione sul volto di Valary non cambia.
-Oh, dio, dimmi che è tutto uno scherzo.- sussurro, passandomi una mano sugli occhi.
Il mio primo pensiero, va subito a Michelle. Ha solo trentuno anni, come potrà vivere con questo peso?
Poi, ovviamente, penso a Brian. Brian che adora passare le ore con suo nipote Owen, che ama portarlo al parco e coccolarlo per ore, che mi parla del suo desiderio di volere un figlio da due anni a questa parte.
Sarà una cosa durissima da superare per loro. Ma quando le cose si affrontano insieme, è tutto più semplice.
Poi però, il mio pensiero si sposta di nuovo sulla mia vita, e quei pochi secondi di felicità che Valary e suo figlio mi hanno dato, svaniscono.
La mia esistenza non vale niente.
-Tieni, Val.- le sussurro quindi, ridandole il bambino. Lei mi guarda, confusa, ma non fa domande. Si siede accanto al mio letto, con il figlio in braccio, e rimaniamo in silenzio.
-Avanti, dimmi qualcosa.- esclama però Valary dopo qualche minuto. La guardo.
-Cosa fai qui?- mi domanda, sorridendo. –Puoi uscire? Hai conosciuto qualcuno?-
Questa sua domanda ha il magico potere di restituirmi il sorriso.
-Oh, sì.- le dico. –Ho conosciuto una ragazza, al reparto maternità. Si chiama Lydia, ha ventitré anni ed è incinta di quattro mesi.- spiego.
“E da quando l’ho conosciuta, la mia vita è cambiata.”
Durante le settimane in cui sono qui, mi sto rendendo conto che Lydia è come un raggio di sole, sempre sorridente e allegra, che anima le mie giornate.
Aspetto sempre impaziente che arrivino le sette di sera: è diventato come un appuntamento, stessa ora, stesso posto.
E mi piace stare con lei.
Ci conosciamo da poco, lo so, ma subito, dalla prima volta che l’ho vista, ho capito che tra noi c’era qualcosa di speciale. Forse dipende dal fatto che lei mi capisce in tutto: dalla tristezza alla rabbia, dalla disperazione all’abbandono.
Okay, io magari non aspetto un bambino, ma anche io mi sento solo.
Sì, ho i miei amici, ma il fatto di non avere una donna accanto, la donna che ami, dà sempre un enorme senso di vuoto.
“E la cosa brutta, è che nonostante tutto quello che mi ha fatto, io non l’ho ancora dimenticato.”, mi ha detto una volta, mentre parlavamo di noi. “Io lo amavo, ho passato molto tempo con lui. Ed è stata dura per me andarmene, ma ho pensato al bambino. E non volevo che Chris lo picchiasse come ha fatto con me”.
“Mi manca Gena”, avevo ammesso anche io una volta. “Mi manca il suo profumo, i suoi trucchi sparsi davanti allo specchio del bagno, mi manca tutto  di lei”.
E Lydia mi aveva abbracciato a lungo, stringendomi tra le sue braccia pallide, con i suoi capelli color cioccolato che mi solleticavano il naso.
E penso, penso anche a tante altre cose: alla sua stanza, alla sua tipica vestaglia arancione, al fatto che io e lei, insieme, stiamo benissimo.
E soprattutto, al fatto che mi sento legato a lei come un fratello, come se la conoscessi da tutta la vita.
-Oh.- esclama allora Valary, interrompendo i miei pensieri. –E se aspetta un bambino da così poco, perché è già all’ospedale?- mi chiede.
Sospiro. -Sai, ha avuto un passato difficile.- le dico. –Il suo ragazzo la picchiava, e anche se il bimbo che aspetta è suo, lei ha voluto scappare.-
Valary, mi guarda, incredula. –Wow, che donna.- ammette infine, meravigliata.
-Eh già.- esclamo. –Ma purtroppo la sua gravidanza è a rischio per non so quale motivo, e lei deve rimanere in ospedale fino al parto.- dico.
-Oh, poverina.- dice Val. Annuisco.
In quel momento, ecco che una donna entra nella mia stanza. È Betty, l’infermiera che mi assiste, e con un sorriso dolce guarda Valary.
-Mi scusi, signora.- le dice. –Ma l’orario delle visite è finito. Può tornare domani, se vuole.-
Val mi guarda, dispiaciuta. –Oh, mi dispiace, Zacky.- mi dice. Scrollo le spalle, sorridendo.
-Non ti preoccupare.- le dico. Guardo l’orologio, e vedo che sono già le sette di sera. –Tanto devo andare da Lydia.-
Saluto Valary con un bacio, e ne do uno anche a Owen. La donna esce dalla sala, ed io, con calma, prendo le mie stampelle ed esco dalla camera.
Il gesso alla gamba ormai me l’hanno tolto, ma dato che era una frattura grave, anche se non scomposta, devo portare sempre un tutore terribilmente fastidioso.
Almeno però, riesco a muovermi un po’meglio.
Prendo l’ascensore e scendo al piano inferiore, dove vedo con piacere che Lydia mi aspetta davanti alla vetrata delle culle.
-Ehi.- le sussurro, mentre mi avvicino.
Guarda con un espressione gioiosa i bambini, e si tiene una mano sulla pancia, ancora piccola. Non appena la chiamo si gira a guardarmi.
-Ciao, Zacky.- mi dice. Poi sorride, ancora più felice. –La vuoi sapere una cosa bellissima?- mi domanda.
Annuisco, sorridendo confuso, e lei mi prende una mano. –Senti.- sussurra.
Se la posa sul ventre, muovendola un po’ su e giù. Dopo qualche secondo, sento un movimento leggero, appena percettibile, e il cuore mi fa un salto.
-Oh, dio.- esclamo. Lei ride, felicissima, e in un impeto di gioia mi abbraccia.
-Hai sentito? Hai sentito?- mi domanda. –È bellissimo, vero Zacky?-
Annuisco, emozionato. –È veramente una cosa meravigliosa, Lyd.- le dico. Lei si porta una mano alla bocca, ridendo, estasiata.
-Avrò un bambino bellissimo, Zacky.- mi dice. Mi stringe di nuovo, e mentre anche io ricambio l’abbraccio, un pensiero mi attraversa la mente.
“Vorrei solo che il tuo bambino fosse anche mio”.
Il cuore mi perde un battito, come se quella frase che ho appena pensato non fosse mia.
Ma non appena mi allontano da Lydia, capisco una cosa: i suoi capelli, i suoi occhi, il suo bambino.
Io la voglio. La voglio perché mi sto innamorando di lei.
E non so se sono pronto.
-È permesso?-
Qualcuno ha bussato alla mia porta. Riconosco la voce di Valary, e mi spunta in automatico un sorriso sul volto.
-Vieni, Val.- esclamo. La maniglia gira, ed ecco che vedo spuntare il viso della moglie di Matt.
La testa si affaccia nella camera, i capelli corti e biondi le ricadono sugli occhi verdi. Sorride, raggiante.
-Ciao, Zacky.- mi dice. Sorrido, contento di vederla, e le faccio:
-Entra, avanti. Vienimi ad abbracciare.-
Lei però sorride, sollevando un sopracciglio. –Sei sicuro di voler abbracciare me?- mi chiede.
La guardo, perplesso, ma poi la vedo aprire di più la porta per far passare le braccia, dentro cui si trova, avvolto in una copertina azzurra, Owen James.
-Oh.- esclamo, intenerito. –No, in effetti ora voglio abbracciare lui.- dico poi. Lei ride, entrando nella camera, e mi si avvicina, stampandomi un bacio sulla fronte.
-Ciao, sciagura.- mi dice. -Allora, come va?-
Sospiro. -Diciamo bene.- sussurro. –Ma sono ancora mezzo rotto.- “E non solo fuori”, vorrei aggiungere.
La donna mi guarda, malinconica, e sospira. –Dio, tu non hai idea di quanto mi dispiaccia, Zacky.- mi dice. Scrollo le spalle, e Owen inizia a piangere, prima piano, e poi sempre più forte.
-Ormai il danno è fatto.- ammetto. – Ma Gena come sta?- le domando infine. –Hai saputo niente di lei?-
Sono ricoverato ormai da sette settimane in ospedale, e, malgrado tutto, ad ogni persona che viene a trovarmi porgo sempre la stessa domanda.
In fondo, era mia moglie, la donna che amavo.
Valary scrolla le spalle, cullando un po’Owen nel vano tentativo di calmarlo. –Non ne  ho idea.- mi dice. –Ho saputo solo che, nella clinica, non vuole le visite di nessuno.-
Il bambino intanto continua a piangere, e Valary sospira. –Oh, cielo, non riesco a capire cos’abbia.- mi dice. Poi mi guarda, sollevando le sopracciglia, e voltandosi di nuovo verso il  figlio.
-Oh, ho capito.- sussurra al bimbo. –Vuoi andare un po’ da zio Vee, non è così?-
Sorrido, intenerito, e tendo le braccia verso la donna. Lei mi mette il piccolo tra le braccia ed io lo stringo delicatamente a me.
-Ehi.- mormoro. –Ciao, piccolo Sanders.- Il bambino continua ad urlare, e io rido. –Oh, vedo che hai già imparato a cantare come tuo padre.- gli dico.
Owen sembra calmarsi all’improvviso, e mi squadra attentamente con due grossi occhi verdi che assomigliano incredibilmente a quelli di Matt.
Dimena le manine, fa qualche smorfia con la faccia. Rido, giocandoci un pochino, e Valary mi osserva, tranquilla.
Poi sospira. –Come ci sai fare con i bambini, Zacky.- mi dice. La guardo, sorridendo.
-Mi piacciono tanto.- ammetto. –Ma anche Brian non è da meno. Per non parlare di tuo marito.-
Lei ridacchia, ma poi vedo il suo sorriso spegnersi.
-A… A proposito di Brian.- mi dice allora. Mi guarda. –Io dovrei dirti una cosa, Zacky.-
Ricambio lo sguardo, perplesso, mentre Owen si addormenta tra le mie braccia. –Che succede?- domando.
Valary sospira. –Michelle è andata dal ginecologo, ieri.- mi dice. –E…-
-Oddio, è incinta anche lei?- domando. Mi nasce un sorriso sul volto, ma l’espressione di Val non è delle migliori.
-No, Vee.- mi dice. –Al contrario.-
Corrugo la fronte. –Al contrario cosa?- le chiedo. Lei sospira, e vedo i suoi occhi diventare lucidi.
-Mia sorella è entrata in menopausa anticipata.- mi dice. –Lei e Brian non possono avere bambini.- Spalanco gli occhi, shoccato dalla storia. –Cosa?- domando.
Lì per lì non sono sicuro di aver capito bene, ma l’espressione sul volto di Valary non cambia.
-Oh, dio, dimmi che è tutto uno scherzo.- sussurro, passandomi una mano sugli occhi.
Il mio primo pensiero, va subito a Michelle. Ha solo trentuno anni, come potrà vivere con questo peso?
Poi, ovviamente, penso a Brian. Brian che adora passare le ore con suo nipote Owen, che ama portarlo al parco e coccolarlo per ore, che mi parla del suo desiderio di volere un figlio da due anni a questa parte.
Sarà una cosa durissima da superare per loro. Ma quando le cose si affrontano insieme, è tutto più semplice.
Poi però, il mio pensiero si sposta di nuovo sulla mia vita, e quei pochi secondi di felicità che Valary e suo figlio mi hanno dato, svaniscono.
La mia esistenza non vale niente.
-Tieni, Val.- le sussurro quindi, ridandole il bambino. Lei mi guarda, confusa, ma non fa domande. Si siede accanto al mio letto, con il figlio in braccio, e rimaniamo in silenzio.
-Avanti, dimmi qualcosa.- esclama però Valary dopo qualche minuto. La guardo.
-Cosa fai qui?- mi domanda, sorridendo. –Puoi uscire? Hai conosciuto qualcuno?-
Questa sua domanda ha il magico potere di restituirmi il sorriso.
-Oh, sì.- le dico. –Ho conosciuto una ragazza, al reparto maternità. Si chiama Lydia, ha ventitré anni ed è incinta di quattro mesi.- spiego.
“E da quando l’ho conosciuta, la mia vita è cambiata.”
Durante le settimane in cui sono qui, mi sto rendendo conto che Lydia è come un raggio di sole, sempre sorridente e allegra, che anima le mie giornate.
Aspetto sempre impaziente che arrivino le sette di sera: è diventato come un appuntamento, stessa ora, stesso posto.
E mi piace stare con lei.
Ci conosciamo da poco, lo so, ma subito, dalla prima volta che l’ho vista, ho capito che tra noi c’era qualcosa di speciale. Forse dipende dal fatto che lei mi capisce in tutto: dalla tristezza alla rabbia, dalla disperazione all’abbandono.
Okay, io magari non aspetto un bambino, ma anche io mi sento solo.
Sì, ho i miei amici, ma il fatto di non avere una donna accanto, la donna che ami, dà sempre un enorme senso di vuoto.
“E la cosa brutta, è che nonostante tutto quello che mi ha fatto, io non l’ho ancora dimenticato.”, mi ha detto una volta, mentre parlavamo di noi. “Io lo amavo, ho passato molto tempo con lui. Ed è stata dura per me andarmene, ma ho pensato al bambino. E non volevo che Chris lo picchiasse come ha fatto con me”.
“Mi manca Gena”, avevo ammesso anche io una volta. “Mi manca il suo profumo, i suoi trucchi sparsi davanti allo specchio del bagno, mi manca tutto  di lei”.
E Lydia mi aveva abbracciato a lungo, stringendomi tra le sue braccia pallide, con i suoi capelli color cioccolato che mi solleticavano il naso.
E penso, penso anche a tante altre cose: alla sua stanza, alla sua tipica vestaglia arancione, al fatto che io e lei, insieme, stiamo benissimo.
E soprattutto, al fatto che mi sento legato a lei come un fratello, come se la conoscessi da tutta la vita.
-Oh.- esclama allora Valary, interrompendo i miei pensieri. –E se aspetta un bambino da così poco, perché è già all’ospedale?- mi chiede.
Sospiro. -Sai, ha avuto un passato difficile.- le dico. –Il suo ragazzo la picchiava, e anche se il bimbo che aspetta è suo, lei ha voluto scappare.-
Valary, mi guarda, incredula. –Wow, che donna.- ammette infine, meravigliata.
-Eh già.- esclamo. –Ma purtroppo la sua gravidanza è a rischio per non so quale motivo, e lei deve rimanere in ospedale fino al parto.- dico.
-Oh, poverina.- dice Val. Annuisco.
In quel momento, ecco che una donna entra nella mia stanza. È Betty, l’infermiera che mi assiste, e con un sorriso dolce guarda Valary.
-Mi scusi, signora.- le dice. –Ma l’orario delle visite è finito. Può tornare domani, se vuole.-
Val mi guarda, dispiaciuta. –Oh, mi dispiace, Zacky.- mi dice. Scrollo le spalle, sorridendo.
-Non ti preoccupare.- le dico. Guardo l’orologio, e vedo che sono già le sette di sera. –Tanto devo andare da Lydia.-
Saluto Valary con un bacio, e ne do uno anche a Owen. La donna esce dalla sala, ed io, con calma, prendo le mie stampelle ed esco dalla camera.
Il gesso alla gamba ormai me l’hanno tolto, ma dato che era una frattura grave, anche se non scomposta, devo portare sempre un tutore terribilmente fastidioso.
Almeno però, riesco a muovermi un po’meglio.
Prendo l’ascensore e scendo al piano inferiore, dove vedo con piacere che Lydia mi aspetta davanti alla vetrata delle culle.
-Ehi.- le sussurro, mentre mi avvicino.
Guarda con un espressione gioiosa i bambini, e si tiene una mano sulla pancia, ancora piccola. Non appena la chiamo si gira a guardarmi.
-Ciao, Zacky.- mi dice. Poi sorride, ancora più felice. –La vuoi sapere una cosa bellissima?- mi domanda.
Annuisco, sorridendo confuso, e lei mi prende una mano. –Senti.- sussurra.
Se la posa sul ventre, muovendola un po’ su e giù. Dopo qualche secondo, sento un movimento leggero, appena percettibile, e il cuore mi fa un salto.
-Oh, dio.- esclamo. Lei ride, felicissima, e in un impeto di gioia mi abbraccia.
-Hai sentito? Hai sentito?- mi domanda. –È bellissimo, vero Zacky?-
Annuisco, emozionato. –È veramente una cosa meravigliosa, Lyd.- le dico. Lei si porta una mano alla bocca, ridendo, estasiata.
-Avrò un bambino bellissimo, Zacky.- mi dice. Mi stringe di nuovo, e mentre anche io ricambio l’abbraccio, un pensiero mi attraversa la mente.
“Vorrei solo che il tuo bambino fosse anche mio”.
Il cuore mi perde un battito, come se quella frase che ho appena pensato non fosse mia.
Ma non appena mi allontano da Lydia, capisco una cosa: i suoi capelli, i suoi occhi, il suo bambino.
Io la voglio. La voglio perché mi sto innamorando di lei.
E non so se sono pronto.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto. ***


-Ehi, Matt, piano, piano, pia… Ah, porca troia!- urlo.
-Scusami, oddio, scusami.- esclama il mio amico. –Dannazione, questo tutore è immenso. Non riesce quasi a passare dalla porta.-
È venerdì, e dopo nove lunghe settimane, mi hanno dimesso dall’ospedale.
Lydia aveva le lacrime agli occhi quando gliel’ho detto.
“No, ti prego”, l’avevo supplicata. “Non piangere, Lyd. Mi si spezza il cuore.”
Lei mi aveva abbracciato, fortissimo, e aveva iniziato a singhiozzare. “Non mi lasciare, non mi lasciare”, mi aveva pregato. “Sei l’unica persona cara che ho”.
“Non lo farò mai, lo giuro”, le avevo promesso. “Verrò a trovarti sempre, ogni giorno. Tanto devo venire a controllare la gamba.”
“Dirò che sei il padre del bambino”, mi aveva detto. “Così potrai passare sempre, quando vuoi.”
Inutile dire che quella frase mi aveva provocato brividi sovrannaturali e molte lacrime.
Ma adesso sono qui, a casa di Matt, a vivere a carico suo e di Valary.
Dio, se mi sento idiota. Avevo tentato di fingere che potevo benissimo tornare a vivere a casa mia, ma Matt me lo aveva espressamente vietato.
“No e poi no.”, aveva detto. “Tu vieni da me, Zacky. In quella casa non ci rimetterai più piede. Hai bisogno di essere assistito, e Valary starà con te.”
Inutile dire quanto bene posso volergli.
Finalmente, dopo un lungo e stancante lavoro, riusciamo a superare l’ingresso della casa, entrando nel salone dell’appartamento di Matt.
-Guarda chi c’è!- esclama allora Val a Owen, non appena ci vede entrare (con fatica per Matt e dolore per me) dalla porta. –È arrivato papà! E anche lo zio!-
Matt mi adagia sul divano, e non appena vede suo figlio, gli si illuminano gli occhi.
-Ehi, Shadows.- esclama. Ride, spalancando le braccia, e Owen inizia a lanciare urletti di gioia. Matt lo prende, e il figlio sembra minuscolo tra quelle due braccia enormi. Ho quasi paura che possa stritolarlo, ma la delicatezza con cui lo tiene mi fa solo sorridere.
-Ehi, papera.- gli sussurra allora, con una dolcezza immensa. -Devi urlare un po’meno, in questi mesi.- dice, sedendosi accanto a me sul divano. –Sai, zio Vee deve dormire.-
-Ehi.- gli dico allora io. –Punto primo, può piangere quanto gli pare, dato che qui zio Vee è solo un ospite.- Guardo il bambino. –Vero Owen?-
Lui spalanca gli occhioni verdi.
-E punto secondo,- sospiro, guardando Matt. –non starò qui per “mesi”.- dico. –Mi serve solo qualche settimana. Poi troverò una casa e…-
-Chiudi quella fottuta bocca, Zacky.- mi rimbecca allora Matt.
-Tesoro, non dire le parolacce davanti ad Owen.- esclama Valary dalla cucina.
Spalanco gli occhi. –Riesce a sentirci?- domando.
Matt annuisce, dandomi una pacca sulla spalla. –Abituatici.- sussurra.
Rido, scuotendo la testa. –Non so come ringraziarti Matt. Sul serio.- dico allora.
Il mio amico scrolla le spalle, facendo qualche versetto a Owen. –Non lo fare, Vee.- mi dice. –Siamo una famiglia. Jimmy ci vorrebbe così.-
Mi sorride, adagiando il bimbo tra le mie braccia. –Tienilo un po’ tu,- mi sussurra. –deve dormire, e con te si addormenta praticamente subito.-
Ridacchio. –Wow, devo essere davvero divertente.- sussurro. Matt sorride, allontanandosi, e io cullo Owen.
Lo guardo, sorridendo, e vedo il suo visino da bimbo di tre mesi iniziare già a cedere al sonno.
-Magari un domani cullerò il figlio di Lydia proprio come sto facendo con te.- gli dico.
E lui mi guarda, come se, in fondo, avesse capito cosa gli sto dicendo.
 
***
Suonano il campanello, e io guardo Matt, perplesso. Sta giocando alla playstation, non penso nemmeno che abbia sentito che stanno suonando.
Mi alzo, cercando di andare ad aprire, ma allora si affaccia Valary dalla cucina.
-Cosa pensi di fare?- mi domanda. La guardo, poi guardo Matt, e lei sbuffa.
-Oh, cristo.- esclama. –Ma perché mi sono sposata un fottuto idiota?- Sta tenendo tra le braccia Owen.
-Ehi, amore, non si dicono le parolacce davanti al bambino.- esclama Matt, facendole il verso.
-Oh, allora quello che ti pare lo senti!- le dice lei. Ridacchia, accompagnandomi di nuovo al divano, e mi lascia Owen tra le braccia.
Poi corre ad aprire.
-Michelle, Brian!- esclama. Si catapulta tra le braccia della sorella, che la stringe amorevolmente, e poi saluta il cognato con un bacio sulla guancia.
-Siamo venuti a trovare il coglione.- esclama, con la sua solita finezza, Syn.
-Beh, eccolo qui.- rispondo, alzando una mano, mentre con l’altro braccio tengo Owen.
Brian mi si avvicina, sorridendo, ma poi lo vedo esitare improvvisamente. Osserva il piccolo tra le mie braccia, e tra di noi cala un silenzio imbarazzante.
Spalanco gli occhi, guardando prima il bimbo e poi Val in cerca di aiuto, e lei mi si avvicina nervosa.
 –Porto…Porto Owen nel lettino.- sussurra velocemente. Mi toglie il bambino dalle braccia e sparisce su per le scale, e allora vedo Michelle asciugarsi un occhio.
Brian invece, china la testa, e poi mi si avvicina, sorridendo debolmente.
-Ciao, Zacky.- mi dice infine. Sorrido, abbracciandolo, e lo sento stringersi a me molto forte.
-Mi dispiace.- gli sussurro in un orecchio. Lui però scrolla una spalla, con un espressione triste sul volto, e mi si allontana.
Matt, allora, si degna di staccarsi dalla playstation, e quando capisce l’aria che si respira, rimane un attimo disorientato.
-Oh. Ciao, Gates.- esclama infine. Brian ride, dandogli uno spintone.
-Sono qui da due ore, cretino.- lo rimbecca. Michelle allora si lascia sfuggire una risata insieme ad una lacrima, e quando le rivolgo uno sguardo dispiaciuto si volta, salendo le scale in cerca di sua sorella.
Sospiro, scuotendo la testa, e mi passo una mano sugli occhi.
“È proprio un periodo di merda per tutti”, penso.
Matt e Brian allora si avvicinano, sedendosi vicino a me.
-Allora, imbecille.- esclama Brian, cercando di sembrare allegro. –Come stai?-
Lo guardo, sorridendo, e scrollo le spalle. –Fisicamente? Emotivamente?- domando a mia volta. –Fisicamente sto sempre meglio. Emotivamente, sono un bicchiere di vetro buttato per terra.- sussurro.
Matt e Brian si guardano, e capisco che non sanno più cosa dire. Cala il silenzio.
-Fate finta che non vi abbia detto niente.- li supplico infine. –Almeno voi, non fatemi rimuginare. Fatemi pensare ad altro.-
Brian annuisce, mordicchiandosi il pollice, e guarda Matt.
-Penso che i fans vogliano un'altra tua foto.- esclama quest’ultimo. –La prima se la sono divorata, ma sono passati più di due mesi, vogliono tue informazioni.-
Annuisco, sorridendo. –Sì, dai.- dico. –Avanti Gates, sei tu il fotografo della situazione.-
Brian ride, prendendo l’ iPhone dalla tasca dei pantaloni. –Okay, okay.- dice. Si alza, mettendosi davanti a me.
-Fai cheese!- esclama Matt, con una voce a idiota. Lo guardo male, ma poi tento di sorridere come meglio posso.
-Fatta.- esclama allora Brian. –La vuoi vedere?-
Solo allora mi rendo conto di un particolare un po’ inquietante. Non sono sicuro di volermi guardare.
Sono settimane che mi osservo solo si sfuggita allo specchio, per pochi millisecondi e solo quando è estremamente necessario.
Faccio davvero molta fatica.
-Sì.- dico però infine. Perché preferisco comunque farlo con i miei amici vicini.
Brian mi porge il telefono, e sullo schermo luminoso vedo un ragazzo stranamente magro, con gli occhi verdi brillanti e con un lieve sorriso stampato sul volto. Ha i capelli corti, lisci e neri, che ormai gli coprono la fronte.
Lungo lo zigomo però, ha una grossa cicatrice ancora rossa. Sorrido, piacevolmente sorpreso.
Lentamente sto tornando ad assomigliare a Zacky.
-Sapete una cosa ragazzi?- dico però infine. Matt e Brian si voltano a guardarmi.
-Sono decisamente troppo magro.- esclamo. –Portatemi al primo fast food che troviamo, vi prego. Ho assolutamente bisogno di un cheeseburger.-
Matt ride, scuotendo la testa. –Zacky Vee is back.- sussurra, dandomi una pacca sulla spalla.
 
***
Matt è dentro al Mc Donald’s ad ordinare il mangiare, e io e Brian siamo rimasti in macchina. Ha il volto rilassato, e capisco che ora come ora non sta pensando a Michelle, a Owen o a bambini in generale, e vederlo così, tranquillo come il Brian di sempre, mi trasmette un’immensa sicurezza.
Come se sapesse che mi piace vederlo felice, anche se per un solo momento, Brian urla:
-Mettiamo un po’di fottuto metal!-
Accende lo stereo del SUV di Matt, e parte subito la Greatest Hits degli Iron Maiden che il mio amico tiene perennemente al massimo volume.
-Dai, cazzo!- urlo anche io. Brian ride, guardandomi, e iniziamo a storpiare tutte le parole di Fear Of The Dark.
Continuiamo a fare gli idioti per minuti che sembrano ore, e ci divertiamo come pazzi. Una canzone dietro l’altra, il CD finisce e parte una compilation masterizzata di tutte le canzoni che piacciono a Matt.
Inizia Walk dei Pantera, e Brian mima l’assolo con le mani, come se avesse la chitarra, e io scoppio a ridere.
-Res! Pect! Walk!- canto, o tento di cantare. Io e Brian scoppiamo a ridere come due bambini, e mi sembra di ritornare diciottenne, quando stavamo sempre insieme a fare gli idioti, proprio come adesso.
Nel bel mezzo della canzone, sento Brian scoppiare di nuovo a ridere, chissà per quale ragione, e io lo seguo a ruota. Rido come non mai, ma presto la mia risata si affievolisce.
C’è qualcosa che non va nella risata del mio amico.
E infatti, Brian non sta ridendo. Sta singhiozzando.
-Ehi.- esclamo allarmato, quando me ne accorgo. –Oddio, Syn, che succede?- gli domando.
Mi sporgo verso di lui, che si trova sul sedile anteriore dell’auto, e lo vedo piangere come un bambino, con le guance inondate di lacrime e una mano sugli occhi.
-Io… Io non posso, Zacky.- dice a stento. –Io non posso andare avanti così.-
Walk continua, al massimo volume, e lì per lì non capisco cosa voglia dire.
-Ma così come, Brian?- gli domando preoccupato.
-Così solo, Zachary.- esclama. Mi guarda, gli occhi rossi. –Tu non sai come ci si sente a passeggiare per la città ed incontrare i tuoi vecchi compagni di scuola mentre spingono un passeggino, o una carrozzina, e pensare “Cavolo, io non lo potrò mai fare”- urla.
Con un gesto brusco, il mio amico spegne la radio, nervoso, e nella macchina cala un silenzio inquietante. Boccheggio, incerto su cosa dire, e con dolorose fitte alla gamba.
-Oh, Syn.- sussurro poi, dopo tanti, troppi secondi. Gli poggio una mano sulla spalla, esitante, e lo sento scosso dai singhiozzi.
-Io e Michelle già stiamo litigando.- mi dice. –È molto dura per lei, sai? Non poter avere un figlio, intendo. Ed era proprio lei a volerlo da subito.-
Annuisco, stringendogli la spalla. –Dai, Brian.- gli dico. –Ci sono tante altre soluzioni.-
-Sì, se solo quella stronza ne volesse sapere.- sbotta lui, improvvisamente adirato. Le lacrime gli si sono quasi asciugate, ma ha ancora gli occhi rossi. Lo guardo, strabuzzando gli occhi.
-Syn.- gli dico. –È tua moglie.-
-Sì, cazzo.- mi dice. –E io sono suo marito. Le decisioni si prendono insieme, porca troia. Non ne vuole nemmeno sapere di adottare un bambino, o di un “utero in affitto” o che so io.-
Mi guarda, i suoi occhi castani sono ancora umidi. –Zacky, io non posso vivere tutta la vita solo con lei. Io voglio un figlio mio. Biologico o meno, io voglio crescere un bambino. Voglio qualcuno che mi chiami papà.-
Senza dire altro mi si butta tra le braccia, riprendendo a singhiozzare.
In quel momento vedo Matt avvicinarsi alla macchina. Intercetto il suo sguardo e gli mimo di lasciarmi solo con Brian ancora per poco.
Il suo sguardo dice “Cosa succede?”, ma si allontana, senza dire niente.
Tengo la testa di Brian sul mio petto per qualche altro minuto, ma poi il mio amico si allontana.
-Basta, basta.- sussurra. –Matt arriverà da un momento all’altro, e non voglio mi veda così. Lo direbbe a Valary, e lo saprebbe anche Michelle.-
Annuisco, accarezzandogli i capelli. –Okay.- sussurro. Brian si ricompone, asciugandosi gli occhi, e poi mi guarda, sorridendo.
-Grazie, Vee.- mi dice. –Sei la persona migliore che conosca.-
Annuisco, sorridendo. –Ehi, sei mio amico.- gli dico. –Non mi devi ringraziare per cose del genere.-

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto. ***


-Vee, avanti!- urla Matt dal piano di sotto. –Devo portarti all’ospedale.-
-Ehi, amico.- gli risponde Valary, che mi sta aiutando a scendere le scale. –Guarda che non è così semplice portare ottanta chili al piano terra.-
La guardo, offeso. -Per tua informazione, Val,- ribatto. –sono dimagrito.-
Lei mi osserva, divertita. –Ah, sì?- mi domanda. –Quindi adesso quanto pesi? Settantanove chili?- Le lancio un’occhiataccia, e lei mi dà un bacio sulla guancia.
Matt allora si avvicina a noi, con quel fagottino di suo figlio in collo, tutto imbacuccato in una tutina verde. Ci guarda, sorridendo lievemente.
-Ehi, Owen.- dice poi. –Prendiamo a pugni zio Vee che ha baciato mamma?- gli chiede.
Ridacchio, divertito. –Guarda che ha fatto tutto lei.- esclamo. Val ride.
-Dobbiamo essere gelosi? Che dici?- continua a chiedere al figlio, che lo osserva ipnotizzato. -Bella com’è, tua madre, sai quanti ne trova meglio di papà.- sussurra.
Valary sorride, dando un bacio al marito. –Ma non dire cavolate, Matthew.- gli dice.
Matt sorride, mettendo l’indice dentro una manina di Owen, che la chiude subito a pugno, e ride, felice.
Lo guardo, guardo il cazzutissimo frontman della nostra band preso da una dolcezza infinita, e non posso trattenere un sorriso.
“Chissà com’è, essere padre.”, mi domando. “Se un domani avrò un figlio, anche io penderò dalle sue labbra come fa Matt?”
Valary mi adagia sul divano, prendendo il figlio dalle braccia del marito. Matt sorride, e una volta che Owen è tra le braccia della madre, il mio amico mi si avvicina, porgendomi le stampelle.
-Tieni, Zacky.- mi dice. –Svelto, che sennò facciamo tardi alla visita.-
Annuisco. –Okay.- dico. Mi alzo, sostenuto dalle stampelle, e mi incammino verso la porta.
-Ehi, a dopo, Shadows.- mormora Matt al figlio. Il bambino spalanca gli occhi, dimenandosi tra le braccia della madre, e Val e Matt scoppiano a ridere.
-Ciao, tesoro.- dice allora il mio amico, baciando la moglie.
-A dopo.- gli dice lei. Poi mi guarda, sorridente, e prende una manina del figlio, agitandola.
–Fai “ciao” allo zio, Owen. Ciao, zio Vee.- esclama. Rido, salutando il bambino, e poi io e Matt usciamo.
-Vieni, Zacky.- mi dice lui, una volta che siamo arrivati alla macchina. –Cerchiamo di sistemare la gamba come meglio possiamo.-
Lo guardo, divertito. –Disse colui che proprio ieri me l’ha sbattuta contro lo stipite della porta.- sussurro. Matt mi dà uno scappellotto, ridacchiando.
-Prima o poi ce la farò l’abitudine.- mi dice. –Sei qui da noi solo da ieri, ringrazia il cielo che ancora non ti ho fatto cadere.-
Lo guardo, spaventato, e lui scoppia a ridere. –Sto scherzando, idiota.- esclama.
Una volta che sono seduto comodo, Matt entra nell’auto e mette in moto. Il SUV parte in fretta, ma il viaggio è relativamente breve, quindi il mio amico guida piano.
Mi guardo intorno, sorridendo. –Non vedo l’ora di ricominciare a guidare.- gli dico. –Mi manca un sacco fare le cose più semplici da solo.-
Lui sorride. –Beh, a me manca guidare come un pazzo.- mi dice. –Con Owen e Valary non posso mai andare troppo forte, e con te…- Mi guarda la gamba. Ride. –Ci ripensiamo quando sei guarito.- Rido, seguendolo a ruota. Rimaniamo in un silenzio tranquillo per qualche minuto, ma poi faccio una domanda a Matt.
-Ma com’è essere papà?- gli chiedo. Lui mi guarda, piacevolmente sorpreso. Le lunghe e muscolose braccia tatuate solo protese verso il volante, e stranamente non porta gli occhiali da sole (anche se si è rimesso l’odioso cappello).
-Cioè, intendo, ti sconvolge proprio tanto, vero?- chiedo di nuovo. –Ma nel senso buono.-
-Oh.- esclama allora Matt. –Quello poco ma sicuro.- Ride. –Beh, ecco… Non è…-
Lo vedo sorridere e pensare un attimo alle parole. –È bellissimo.- mi dice infine. –Certo, sei costantemente sveglio tutte le notti, ma tenere tra le braccia qualcosa che fa parte di te, qualcosa che è te, solo in miniatura, è una sensazione bellissima.- sussurra. –E poi è morbido, profuma, e, pensa te, devo addirittura cantagli le ninna nanne. E Valary non me le lascia nemmeno screamare perché dice che “è inopportuno”.-
I suoi occhi si illuminano di gioia, e io sorrido, contagiato. –È semplicemente meraviglioso, Zacky.- mi dice. –Non avrei mai pensato che potesse essere così bello, in tutti i suoi pro e contro.-
Rimane in silenzio, sorridente, e con le mani sul volante, e io rimango ad osservarlo, rilassato.
Eh già, siamo tutti cresciuti, nella band. Chi per uno, chi per un altro motivo. Ma in fondo non mi dispiace.
Arriviamo in fretta all’ospedale, e Matt mi aiuta a scendere, non senza avermi fatto sbattere la gamba contro la portiera dell’auto.
-Cazzo, Zacky.- mi dice. –Scusami, lo so che sono un deficiente.-
Sorrido, scrollando le spalle, e il mio amico mi porge le stampelle. –Ti accompagno?- mi chiede. Scuoto la testa. –No, non ti preoccupare.- gli dico. –Facci anche da solo. Sai com’è, ho trentun’anni.-
Matt ride, dandomi una pacca sulla spalla. –Okay, Vee.- esclama. –Torno a mezzogiorno. Non scappare, mi raccomando.-
Lo saluto con una mano, e poi mi dirigo dentro l’edificio. Vado subito al quarto piano, dove mi aspetta la dottoressa, che dopo una rapida visita, mi annuncia che la gamba è già in via di guarigione. Una volta uscito dalla stanza delle visite tutto sorridente per la buona notizia, scendo al piano inferiore.
Cavolo, è solo da ieri che non vedo Lydia, ma già mi manca da impazzire.
Mi reco al banco del reparto maternità. Mi accoglie una giovane infermiera dai capelli rossi, che assomiglia un sacco ad Hayley Williams, e chiedo di Lydia.
-Lei è…?- mi domanda.
-Zachary Baker.- dico. –Lydia mi ha detto che potevo venirla a trovare quando volevo.-
La ragazza sbircia dentro un computer, e poi mi rivolge un sorriso ampio. –Oh, certo signor Baker.- mi dice. –Congratulazioni per il bambino, allora.-
La guardo perplesso, ma poi mi ricordo che Lydia mi aveva detto che mi avrebbe fatto passare per il padre di suo figlio, e non posso trattenere un sorriso.
“Allora l’ha fatto davvero”, penso. Scoppio di gioia, ringrazio l’infermiera e lentamente mi dirigo fino alla vetrata delle culle.
Lydia non è lì, però, e allora mi reco alla sua stanza, la 1511. Cammino male con le stampelle, ma cerco di raggiungere la stanza più in fretta che posso.
Una volta che mi trovo davanti alla porta, busso lievemente, e una voce mi dice di entrare. Mi affaccio oltre la soglia della stanza, e sdraiata sul letto, vedo Lydia.
È di profilo, intenta a leggere una rivista, e dalle coperte affiora la sua pancia di sei mesi. La luce del sole la illumina, e con i capelli raccolti in una coda, è ancora più bella.
-Ehi, Lyd.- sussurro. Lei si volta, incuriosita, e non appena incontra il mio viso con gli occhi getta un urletto.
-Zacky!- esclama. Scalcia via le coperte, alzandosi dal letto, e mi si butta addosso. La reggo a stento, in equilibrio sulle stampelle, ma stringerla di nuovo tra le mie braccia ed inspirare il suo profumo è una sensazione meravigliosa.
-Oh, menomale sei venuto!- mi dice, raggiante, ancora stretta a me. –Ho sentito la tua mancanza ieri sera.-
Si allontana un po’, guardandomi con gli occhi blu traboccanti di felicità, e mi prende per mano. –Ti prego, andiamo un po’ fuori.- mi dice. –Voglio prendere una boccata d’aria fresca.-
La accompagno fuori dalla stanza, e iniziamo a camminare per il corridoio, verso la terrazza.
-Allora.- esclama lei, vivace. –Com’è andato il primo giorno a casa del tuo amico?-
Sospiro, sorridendole. –A dir la verità, molto bene.- faccio. –Matt si occupa di me come si occupa di suo figlio, e sua moglie Valary, beh, quella donna è un tesoro. Per non parlare del piccolo Owen James.- le dico.
Lydia mi sorride. –Oh, hanno un bambino?- mi chiede intenerita.
Annuisco. –È veramente eccezionale, quel cosino minuscolo.- le dico. –Non piange quasi mai.-
Lei sospira, estasiata. –Magari anche mio figlio sarà tranquillissimo.- dice. Mi guarda, con un espressione estremamente malinconica negli occhi. –Se saremo ancora amici,- mi fa. –gli farai da babysitter, ogni tanto?-
La guardo, sollevando un sopracciglio. –Che domande, Lyd.- gli dico. –Sarò così presente che diventerò come uno zio.-
Lei sorride. –O come un padre.- sussurra. Mi guarda, accennano un sorriso, e io arrossisco improvvisamente, abbassando la testa. Lydia ridacchia, e in un gesto delicatissimo, mi appoggia la testa sulla spalla.
Rimango un attimo interdetto, ma poi i suoi morbidi capelli cominciano a solleticarmi piacevolmente il braccio, e allora inizio a sorridere come un ebete. Camminiamo verso la terrazza così, in silenzio, finché ad un certo punto Lydia si allontana all’improvviso da me. Mi fermo.
-Ehi, Zacky.- esclama allora. –Non mi hai mai detto una cosa.-
La guardo, curioso. –Che cosa?- le domando.
Sorride. –Che lavoro fai?- mi chiede.
Sorrido, e inizio a ridacchiare. –Oh, fidati.- le dico. –Non lo vuoi sapere veramente.- Riprendo a camminare, ma lei mi trattiene per un braccio
Ride. –Eddai, per favore!- mi dice. –Ormai siamo amici, anche più che amici!- esclama.
Mi volto a guardarla, bloccandomi sul posto e spalancando gli occhi, allora lei arrossisce.
–Intendo… Intendo che siamo quasi, ehm… Fratelli. No?- tenta di rimediare.
-Oh.- dico, cercando di reprimere un sorriso. –Certo, okay.-
Lydia rimane un attimo in silenzio, imbarazzata, per poi ritornare all’attacco. –Allora, me lo dici?- mi domanda quindi, curiosa. La guardo. Ha un enorme sorriso stampato sul volto, e gli occhi le scintillano di curiosità.
Sospiro. –Okay, okay.- le concedo. –Ma non fare battutine o cose del genere, chiaro?- le dico.
Lei fa finta di chiudersi la bocca con una cerniera.
-Ecco,- sussurro. –Io sono il chitarrista ritmico di una band, gli Avenged Sevenfold.- le dico.
Lydia mi guarda, entusiasta. –Fai sul serio?- mi chiede. Annuisco, e lei ride. –Dio, che figata!- esclama. –Quindi sto parlando con una star! Che genere fate?- mi domanda.
Rido, compiaciuto dalla sua domanda. –Beh, il genere è un po’particolare.- le dico. –È un po’rock, un po’ metal, diciamo metalcore, con un pochino di screamo.-
La ragazza mi guarda, confusa, e poi annuisce, convinta. –Non ho capito niente di quello che hai detto,- mi dice poi. –ma come sound sembra interessante.-
Rido, divertito, e lei avvolge le braccia intorno al mio braccio tatuato. –E quanti album avete pubblicato?- mi chiede.
-Oh, per ora sei.- le dico. –E un concerto live registrato alla Long Beach Arena. Si intitola…-
Lydia si paralizza sul posto, spalancando gli occhi. -Live In The LBC?!- mi domanda poi. La guardo, turbato, e annuisco.
-Come fai a saperlo?- le domando. Lei sgrana gli occhi, scoppiando a ridere.
-Oh mio dio, Chris vi adora!- esclama. –Mi avrà fatto vedere il vostro concerto milioni di volte, e cercava di insegnarmi il nome della vostra band, ma non ci è mai riuscito.-
Rido di gusto. –Oh mio Dio, Lyd.- le dico. –Non è difficile. Avenged Sevenfold.-
Lei socchiude gli occhi. –Avengers Seven.- dice.
Scuoto la testa. –No,- esclamo. –A-ven-ged-Sev-en-fold.- le dico.
-Ave... Ave...- tenta di dire lei. Sbuffa. –Oh, cristo, un nome più semplice no, eh?- sbotta infine. Rido ad alta voce, e lei mi segue, e tentiamo invano di abbassare la voce.
-Quindi tu sei quella diva megalomane che nel concerto aveva quegli occhialoni a mosca cieca?- mi domanda poi di nuovo, sempre più stupefatta.
La guardo, cercando di sembrare offeso. –Ehi.- esclamo. –Sono carini come occhiali.-
Lei ride, annuendo. -Sì, certo Zacky…- sussurra.
La guardo, sorridendo, e finalmente arriviamo sul terrazzo. Lydia tiene aperta la porta per farmi passare, e poi la chiude.
Ci avviciniamo al balcone, che dà sul prato al di sotto dell’ospedale, e da dove, in lontananza, si riesce a scorgere il mare.
Oggi non è una giornata particolarmente calda o soleggiata, ma tira un po’di vento e il cielo è grigio. Potrebbe piovere da un momento all’altro, ma non sembra che a Lydia importi. Si appoggia con le mani alla ringhiera, e sporge il volto appena oltre.
Socchiude gli occhi, lasciando che la brezza le scompigli dolcemente la coda, e inspira forte.
-Mi sono sempre piaciute le giornate così.- sussurra poi. –Hanno un non so che di misterioso. Può piovere, oppure no, o magari può tornare il sole.- mi spiega. Mi guarda sorridendo.
Le sorrido anche io a mia volta, e mi avvicino a lei. Lentamente appoggio le stampelle alla ringhiera, e sorretto dai gomiti, lascio che il vento mi accarezzi lentamente il viso.
Con la lingua sento che i buchi degli snake bite che si stanno richiudendo, e istintivamente mi porto una mano anche al naso, constatando che invece il septum è sempre aperto.
-Penso che dovrò rimettermi i piercing.- ragiono a voce alta. Lydia mi guarda.
-Sei carino anche senza.- osserva. La guardo, arrossendo, e ridacchio.
-Sì, ma a me piacciono.- le dico.
-Che piercing hai?- mi domanda.
Sorrido. –Snake bite e septum.- le dico. –Due qui, ai lati del labbro inferiore, e uno qui, nel setto nasale.-
Lei sorride. –Cavolo, che nomi interessanti.- mi dice. –Non li sapevo. E quello qui,- mi chiede, indicandosi la lingua. –come si chiama?-
-Se è uno, tongue.- le dico. –Se sono due, in genere si chiama venom.-
-E se è qua?- mi chiede di nuovo, indicandosi il centro del labbro inferiore.
-Allora è un central labret.- le spiego. –Anche un mio amico ne aveva uno.- Sorrido al pensiero di Jimmy.
-Figo.- esclama allora lei. –Quindi io ho, anzi avevo, un septum, un venom e un central labret. Cavolo, sembrano dieci volte più eleganti con questi nomi.-
Rido, divertito. –Eh già.- dico.
-Magari chiamerò mio figlio Piercing.- mi dice, sorridendo. –O Septum. E se è una bambina… Mh…- Socchiude gli occhi, pensando ad un nome.
-Monroe.- le dico. -È il piercing a lato del labbro superiore.- Lydia mi guarda e ride, divertita.
-Dio, Zacky, ho veramente paura a pensare a come chiamerai un figlio, un domani.- esclama.
Mi irrigidisco lievemente, pensando che non so se mai avrò un bambino, ma poi cerco di non pensarci.
-Sì, in effetti c’è da avere paura.- dico, sorridendo debolmente.
Lei ridacchia, poi tra di noi cala un silenzio leggero. Ci guardiamo, di tanto in tanto, ma distogliamo subito gli sguardi.
“Cavolo, mi sento un ragazzino”, penso.
Devo ammettere a me stesso che ormai penso proprio di avere una cotta assurda per Lydia.
È così bella… Ormai non posso nemmeno pensare a cosa farei se non l’avessi conosciuta. Probabilmente farei come ogni vittima di violenza: psicologo, intossicazione, autolesionismo e auto colpevolizzazione.
Guardo quella ragazza che senza volerlo mi ha “salvato” la vita, e non posso trattenere un sorriso.
Sto per interrompere il silenzio chiedendo a Lydia il giorno in cui è prevista la nascita del bimbo, ma un tuono lo fa prima di me. È un boato immenso, improvviso, che esplode nelle orecchie come una bomba inaspettata.
Lydia lancia improvvisamente un urlo di spavento, e mi stringe il braccio. La guardo, confuso, e la vedo respirare affannosamente, con gli occhi spalancati. Non c’è più traccia della ragazza tranquilla di pochi minuti fa.
-Lyd.- le dico, allarmato dalla sua reazione. –Ehi, Lyd. Che succede?-
Lei mi guarda, terrorizzata, e deglutisce a fatica. –I-io ho una p-paura fot-fottuta dei t-tuoni.- balbetta con un filo di voce. Mi si stringe ancora di più addosso, e io, intenerito, la circondo con un braccio senza pensarci.
La ragazza mi arriva a stento ad una spalla, e quando la abbraccio sento la sua scapola sporgere un po’ troppo, per i miei gusti.
Un po’ insospettito la guardo, e cerco di paragonarla alla ragazza conosciuta due mesi fa. E devo ammettere che è un po’ dimagrita da allora.
Un altro tuono squarcia il silenzio, e Lydia si paralizza di nuovo, stringendomi la vita con entrambe le braccia.
-Torniamo dentro.- mi sussurra spaventata. –Ti prego.-
I suoi occhi blu, adesso viranti verso il color piombo, sono veramente terrorizzati, e io, senza pensarci due volte, afferro le mie stampelle e la riaccompagno dentro.
La ragazza cammina a passo spedito fino alla camera, e una volta che sono entrato, chiude la porta. Si infila sotto le coperte, tremante, e poi mi tende una mano. –Stringimi.- mi dice.
Mi avvicino lentamente, stringendole la mano, ma lei scuote la testa.
-No.- sussurra. Si sposta, scostando le coperte dal letto. Mi guarda, speranzosa. –Stringimi del tutto.-
La guardo, sbarrando gli occhi. Rimango un attimo interdetto, ma poi un tuono squarcia di nuovo il silenzio, e Lydia si lascia sfuggire un singhiozzo. –Ti prego.- mi dice.
Cautamente, lascio le stampelle appoggiate al comodino, e mi avvicino al letto in equilibrio su di una gamba sola.
Mi siedo lentamente, e infilo le gambe sotto la coperta. Sento quelle di Lydia, tremanti, e fredde.
Appoggio la schiena alla testiera del letto, e con un braccio circondo le spalle della ragazza. Lei si accoccola sul mio petto, sempre tremante, tenendo le braccia sulla mia pancia.
È una sensazione piacevole sentire che si tranquillizza, anche se lentamente, su di me. Mi piace sfiorarle la schiena e sentire che è merito mio se gli sta passando quell’ improvviso attacco di panico.
Per la prima volta dall’ incidente, mi sento veramente completo.
Accarezzo i capelli di Lydia, e sento che lei sospira tranquillamente. Sorrido.
Rimaniamo in silenzio per minuti che sembrano ore, e adesso lei è tranquilla, e mi sorride.
-Grazie, Zacky.- mi sussurra. –Continuo a pensare che tu sia l’unica persona che capisce veramente quello di cui ho bisogno.
Le sorrido, scostandole una ciocca color cioccolato dalla fronte. –Ci tengo tanto, a te.- le dico. –Non mi piace vederti stare male.-
Lydia sorride di nuovo, accovacciandosi contro di me, e posando la testa proprio sul mio cuore. Continuo ad accarezzarle il viso, la pelle è liscia e fresca. Lei ridacchia, chiudendo gli occhi.
-Mi piacciono le tue carezze mi sussurra. –Hanno un potere straordinario.
“Beh, a me piaci tu.”, vorrei dire. “E anche tu hai un potere straordinario: quello di farmi andare avanti, ogni giorno”.
Ma l’unica cosa che riesco a fare è dirglielo con le parole di una canzone.
-I give my heart to you.- canto sottovoce. –I give my heart, ‘cause nothing can compare in this world to you.-
Lydia mi guarda, a metà tra l’intenerito e il sorpreso.
-Che bella canzone.- mi dice. –Come si intitola?- mi chiede.
-Warmness On The Soul.- mormoro. –È di una band molto figa di nome Avenged Sevenfold.-
Lei ride, sottovoce. –Oh, sì, li conosco.- mi dice. Mi guarda negli occhi. –So che hanno un chitarrista ritmico davvero molto, molto speciale.-
 

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto. ***


-Ehi, Val.-
Sono appena entrato in cucina, dove la moglie di Matt sta apparecchiando per la cena. Lei si volta verso di me, sorridendomi.
-Ciao, Zacky.- esclama. –Hai bisogno di qualcosa?-
Sorrido. -Essere un pochino utile?- domando ridendo.
Valary ridacchia, e scuote la testa. –Zacky, sei appena uscito dall’ospedale.- mi dice. –Non puoi aiutarmi. Devi solo stare a riposo.-
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. –Eddai, Val.- le dico. –Fatemi fare qualcosa. Seriamente, non ce la faccio più a stare fermo. E poi è già un mese che sono in casa vostra, e a stento mi fate rifare il mio letto.-
Valary mi guarda, sovrappensiero. Spalanco le braccia. –Guarda.- esclamo. –Adesso cammino senza stampelle in casa, anche se ho sempre il tutore.-
Lei mi osserva ancora, mordicchiandosi il labbro inferiore. Scuote la testa. –Se Matt vede che ti faccio fare qualcosa mi ammazza.- sussurra.
Mi guardo intorno, teatralmente. -Ma non mi sembra che in questo momento Matt sia in casa.- le dico.
Sollevo un sopracciglio, sorridendo malizioso, e lei mi tira uno strofinaccio. –Non fare quella faccia, idiota.- dice, ridacchiando. –Sembri un maniaco pronto a picchiarmi a sangue.-
Rimango un attimo bloccato per la sua ultima frase, e Valary se ne rende conto, perché spalanca gli occhi, portandosi una mano alla bocca. –Oddio, Vee.- mi dice. –Ti prego, scusami. Io non ci ho neanche…-
Sospiro, scuotendo la testa. –Non fa niente, Val.- sussurro. Sorrido, un po’ mesto. –Dovrò farci l’abitudine anche con questo.-
In cucina cala un silenzio un po’ imbarazzato, ma poi, grazie al cielo, lei parla.
-Okay, okay.- concede infine. –Finisci di apparecchiare mentre vado a vedere se Owen si è svegliato, va bene?- mi domanda. –I piatti li ho già tirati giù io. Stasera vengono anche gli altri, a mangiare.-
Sorrido, dimenticandomi della sua frase di poco fa. –I ragazzi?- le domando.
Lei annuisce. –Arin però non può venire.- mi dice. –Ha detto che stasera andava a cenare dai suoi con la sua ragazza.-
Annuisco. –Okay.- dico un po’ deluso. Valary mi sorride ed esce dalla cucina, salendo in camera di Owen, al piano superiore.
Sospiro sorridendo, felice di poter finalmente fare la mia parte, e apparecchio la tavola per sette. Sto finendo di mettere le posate quando sento il mio telefono squillare. Mi dirigo zoppicante in sala, dove l’ho lasciato, e sullo schermo vedo apparire ormai il familiare numero di Lydia.
Un sorriso mi sboccia sul volto, e senza pensarci due volte, rispondo.
-Ehi, Lyd.- dico, appena accetto la chiamata.
-Ciao, Zacky.- esclama lei. –Come va? Ho saputo che adesso ti stanno diminuendo le visite.-
Sorrido. –Già.- rispondo. –I dottori mi facevano visitare così spesso per la paura dei danni cerebrali, ma ultimamente non hanno trovato niente, e quindi adesso le visite le faccio una volta alla settimana.- le dico.
-Che bello.- esclama lei. –Sono così contenta… Ma mi dispiace non vederti tutti i giorni.- Il suo tono si affievolisce leggermente. –Sai, mi manchi.-
Avvampo all’improvviso, e la gola mi si fa secca. –Oh.- dico infine. –S-sì, beh, mi m-manchi anche tu.-
Lydia ridacchia, divertita, e poi inspira velocemente. –Oh, Zacky.- esclama poi. –Devo chiederti una cosa.-
Raddrizzo le spalle. -Che succede?- le chiedo poi, un tantino allarmato dal suo tono.
Lei si schiarisce la voce. -Senti, mercoledì prossimo io dovrei, ecco, fare un’ecografia.- mi dice. –E dato che è stata fissata proprio un’ora dopo la tua visita, mi chiedevo se… Ecco…-
“Oh, dio.”, penso. Sgrano gli occhi, euforico. Me lo sta chiedendo davvero?
-Vuoi che venga con te?- le chiedo, cercando di non sembrare felicissimo.
Lei sospira. –Sì, ti prego.- mi supplica. –Mi sono altamente rotta le palle di andarci da sola. E tu sei l’unico.-
Mi soffermo un attimo a godermi quell’ “unico”, e poi accetto, eccitato.
-Non vedo l’ora.- le dico. –Anche tu mi manchi da morire.- riesco poi a dirle, senza balbettare.
Lydia sospira. –Sta diventando una noia, qui, senza di te.- si lamenta. –Vorrei tanto uscire di nuovo, magari andare al mare.-
Sorrido. –Ti ci porto io, una volta.- le propongo.
Lei sospira. –Magari, Zacky.- mi dice. –Ma nelle mie condizioni non penso che mi lasceranno uscire dall’ospedale.-
Aggrotto la fronte, un tantino perplesso. –È una gravidanza a rischio, non un tumore, Lyd.- le faccio notare. –E tu sei già incinta di sette mesi, non ci sono poi tutti questi gran pericoli per il bimbo.-
Dall’altro capo del telefono cala il silenzio.
-Lydia?- domando dopo qualche secondo. –Ci sei sempre?-
La sento schiarirsi la voce. –Sì, c-ci sono.- balbetta. Il suo tono è basso, ha la voce un po’roca e incerta. –O-okay, n-ne parlerò con le infermiere e p-poi ti farò s-sapere.- dice infine.
Sorrido, felice. –Perfetto.- le dico. –Ora vado, vengono i ragazzi a cena. Ci vediamo mercoledì, allora.-
Lydia tira su lievemente con il naso. –A mercoledì, Zacky.- sussurra. Attacca il telefono in fretta, e io rimango un tantino confuso da questo suo gesto.
Sospiro, un po’perplesso, e getto il telefono sul divano, dove l’avevo lasciato, e con la coda dell’occhio vedo Valary sulle scale, con Owen in braccio.
Mi volto a guardarla sorridendo, mentre il bambino sembra osservarmi attentamente con i grossi occhioni.
-Tu sei innamorato.- esordisce Val allora. Spalanco gli occhi, diventando rosso, e tento di ribattere. –N-no, ma c-cosa dici?- balbetto. Poi sollevo un sopracciglio. –Ehi, perché stavi origliando?-
Val scoppia a ridere e corre ad abbracciarmi. –Oh mio dio, ti sei innamorato, Zacky.- continua a dirmi, euforica. –Ma capisci quanto possa essere importante? Stai andando avanti, ti stai lasciando il passato alle spalle.- Mi accarezza, con gli occhi illuminati. –Chi è che ti fa stare così bene? Come si chiama?-
-I-io non sono innamorato.- insisto. –La trovo solo molto carina. È la ragazza dell’ospedale, Lydia.- ammetto però, infine.
-La ragazza incinta?- mi chiede. Annuisco.
Lei sospira, abbracciando Owen. –Sono così felice, Zacky. E lei? Anche lei ti ama, ne sono certa.- mi dice.
-Non sono innamorato.- esclamo, un po’innervosito.
Val allora si blocca e mi guarda. Solleva un sopracciglio, mettendosi una mano sul fianco. –Ah, no?- mi chiede.
Scuoto la testa. –No.- dico, cercando di sembrare convinto.
Allora Valary si schiarisce la voce, socchiudendo le palpebre. –Oh c-certo, a-anche tu m-mi manchi.- borbotta, imitandomi.
Spalanco gli occhi, avvampando, cercando una scusa plausibile. –Non facevo così.- esclamo.
Val scoppia a ridere, accarezzando Owen, e scuote la testa. –Non hai bisogno di mentirmi, Zacky.- mi dice. Mi guarda con dolcezza.
Sospiro, guardandola negli occhi, e poi mi lascio scappare un sorriso. –Okay, okay.- ammetto infine. –Penso proprio di essermi innamorato.-
Lei fa un urletto e mi stringe. –Oh, lo sapevo!- esclama.
-Ma non dirlo a nessuno, okay?- la supplico. –Già da adolescenti Matt, Brian, Johnny e pure Jimmy mi facevano fare figure di merda con le ragazze, perciò non ho intenzione che ricomincino.-
Valary sospira. –Vee, sono adulti, ormai.- mi dice. –Non credo che…-
-Ti rendi conto che tuo marito di trentun anni passa le giornate davanti alla playstation come se ne avesse quattordici?- la interrompo. –Pensi sul serio che siano cresciuti anche a livello cerebrale?-
Lei, spiazzata, rimane in silenzio. –Oh.- dice infine. Si ferma a pensare. –No, in effetti credo che sia meglio tenerla tra di noi, questa cosa.-
Rido, sollevato. –Lo sapevo che avresti capito.- le dico. Val mi sorride, complice, e io socchiudo gli occhi.
 –Sai, mi sembra di tornare indietro di quindici anni.- le dico.
Lei mi guarda, confusa. –Ah sì?- domanda, sorridendo.
-Oh, non dirmi che non ti ricordi.- esclamo. –Il nostro suggella segreti!-
Valary, si mordicchia il labbro inferiore, concentrata, e poi si illumina. –Oh mio dio hai ragione!- esclama. –Com’è che era?- mi chiede.
-Aspetta, aspetta.- le dico. Cerco di ricordarmi. –Oh, ci sono!- esclamo infine. –Era cinque in alto, cinque in basso e schiocca le dita.-
Val scoppia a ridere. –Hai ragione!- dice. –Dai, facciamolo.-
Appoggia Owen sul suo seggiolone e poi si posiziona davanti a me. –Cinque in alto…-
Ci diamo il cinque. –Cinque in basso…- Abbassiamo le braccia, battendo un’altra volta le nostre mani insieme. –Schiocca le dita.- Facciamo schioccare le dita e ci facciamo l’occhiolino.
Rido, felice. -Dio, ti ricordi che lo facevamo sempre quando tua madre era convinta che venissi a studiare da me mentre invece uscivi con Matt?- le chiedo.
Lei scoppia a ridere. –Oh mio dio, hai ragione!- esclama. –Oppure quando mi hai detto che avevi iniziato a fumare e mi avevi fatto giurare di non dirlo ad anima viva.-
Ridiamo insieme, completamente sommersi nei ricordi, e per la prima volta mi rendo conto che io e Val siamo amici da veramente tanto tempo.
Ci siamo conosciuti quando avevamo entrambi dieci anni, l’anno in cui lei e la sua famiglia traslocarono nella casa vicina alla mia.
Ricordo che all’inizio pensavo che io, lei e Michelle saremo stati il trio perfetto, ma poi sua sorella aveva preferito fare amicizia con una ragazzina dall’altro lato della strada, mentre Val, maschiaccio com’era, un giorno si presentò a casa mia senza preavviso, sorridendo, dicendomi che stava cercando di contagiare quanti più bambini possibili con il metal.
E beh, a dieci anni io non sapevo nemmeno cosa era il metal, per cui devo ammettere che è grazie a Val se ho conosciuto questo genere, che di conseguenza mi ha portato a Matt, Brian, Jimmy e in seguito a Johnny.
Le sorrido, felice. –Sai che siamo veramente fantastici, io e te?- esclama lei. –Pensa se non ci fossimo conosciuti.-
Scuoto la testa. –No, grazie.- le dico. –Non ci voglio nemmeno pensare.-
Lei mi abbraccia, felice. –Tu non hai idea di quanto possa essere contenta nel vedere che stai meglio, Zacky.- sussurra. –Mi sono spaventata così tanto quando Matt mi ha chiamato la sera in cui Gena ti ha picchiato.- Mi guarda, con le lacrime agli occhi. –Ho avuto veramente il terrore che saresti morto.-
La abbraccio, stringendola forte. –Non parliamone, ti prego.- le dico. –Non voglio pensarci di nuovo. Ho fatto una fatica assurda a dimenticare Gena, e grazie al cielo c’era Lydia.-
Val annuisce, cercando di trattenere le lacrime come sto facendo io, e mi sorride debolmente.
Dal seggiolone sentiamo Owen lamentarsi un po’, e sorridendo, Val lo va a prendere.
-Oh, povero piccolo.- esclama. –Mamma ti ha lasciato da solo per fare l’idiota con zio Vee. Che mamma cattiva, che hai.- Stampa un bacio sulla guancia al bambino.
-Oh, avanti.- dico allora io. –Diglielo, Owen, che è tutta colpa di quel cretino di tuo zio.-
Il bambino, spalanca la bocca, fissandomi attentamente, e lo prendo in collo. –Che dici, andiamo un po’in giardino?- gli sussurro. Guardo Val. –Mamma, possiamo andare un po’ fuori?- le chiedo.
Lei annuisce, sorridendo. –Così ti eserciti un po’per il bambino di Lydia.- mi dice. Le sorrido, arrossendo, e le ricordo il suggella segreti, poi mi dirigo verso la porta e, zoppicando, esco in giardino.
Sono le sette di sera, il sole sta tramontando e mi metto a sedere sull’erba. Tengo Owen tra le braccia, e lui dimena le mani verso il sole incandescente, facendo qualche piccolo verso con la bocca, e sorrido.
Il giardino è grande e verde, e la casa è in una zona un po’ appartata della città. È molto tranquillo qui, e a Owen sembra piacere.
Rimango così, fermo a guardare il sole, finché non sento un’ auto parcheggiarsi nel vialetto dietro di noi. Mi volto incuriosito, e vedo scendere Johnny dal suo immenso macchinone, e mi scappa una risata.
Sembra veramente uno scherzo, vedere un nanetto come lui guidare una macchina così grossa.
-Ehi, Christ.- lo chiamo io. Johnny si volta verso di me, sorridendomi, e mi saluta con una mano. Dal lato del passeggero vedo scendere Lacey. È diverso tempo che non la vedo, e devo ammettere che è un po’ ingrassata, ma il viso è bello come al solito.
-Zacky!- esclama lei quando mi vede. Viene verso di me, e con un po’ di fatica riesco ad alzarmi in piedi da solo. Mi abbraccia, baciando il bambino. –Cavolo, non porti le stampelle.- mi dice poi, raggiante. –Che bello.-
Johnny la raggiunge subito dopo, circondandole la vita con un braccio, dato che alle spalle non ci arriva. –Come va, Zacky?- mi chiede.
Noto con sorpresa, che lui è più sorridente del solito, e che osserva Owen con occhi adoranti. –Ehi, piccolo.- sussurra allora. –Ti sei stufato di stare in collo allo zio Vee, vero? Vieni un po’ da me, avanti.-
Tende le braccia verso il bimbo, e io glielo do con delicatezza. All’inizio il mio amico sembra un po’ impacciato, ma poi lo vedo prenderci la mano e ridacchiare, perso in pensieri tutti suoi.
-Io vado da Val.- annuncia allora Lacey. Mi sorride ed entra in casa, e a quel punto io, Johnny e Owen ci sediamo sul dondolo in giardino.
Johnny inizia a far ridere il bambino, e sul volto gli sboccia un enorme sorriso.
Lo guardo, non potendo trattenere un sorriso. –Però, vedo che stai diventando bravo con i bambini.- gli dico. Lui mi guarda, radioso, e annuisce.
-Beh, ecco…- dice. –Sì, in effetti mi piacciono.-
Rimaniamo in silenzio un po’, mentre Johnny continua a giocare con Owen. Lo guardo, rilassato, e continuo a dirmi che il mio amico sembra diverso. Ma diverso in senso buono.
Lo osservo cullare il bimbo, sorridendo, e noto che non è mai stato così felice di tenere Owen in braccio.
“Qui c’è decisamente qualcosa che non va”, penso. Apro la bocca per fare chiarezza, ma lui non mi da il tempo di parlare. Prende un bel respiro, i suoi occhi nocciola sembrano prendere vita.
-Lacey è incinta.- mi annuncia poi, sorridendo.
Spalanco la bocca, e sento il cuore perdermi un battito. Non riesco nemmeno a parlare.
–Io… Io…- Si porta una mano sugli occhi, sorridendo e scuotendo la testa. –Cavolo, avrò un bambino.-
-Oh mio dio.- esclamo finalmente. –Oh mio dio, Johnny. Fai sul serio?- Lui annuisce, euforico come una ragazzina, e io lo abbraccio.
-Oh cristo, Jonathan, è la notizia più bella del mondo!- urlo. –Non ci posso credere, un piccolo Seward! Sarà la cosa più bella del mondo, ne sono certo.-
-Oh, non sarà un “piccolo”- mi dice. –Ma una “piccola”.-
Spalanco la bocca. –Lo sapete di già?!- domando stupito. –Ma quando pensavate di dircelo, eh?-
Johnny ride, stringendo Owen. –Io… Cioè noi volevamo aspettare che prima Brian avesse un po’ ecco…- Si gratta la nuca. –Non dico “superato”, ma…-
Il sorriso mi svanisce di colpo dal viso. Mi ero completamente dimenticato della questione di Brian e Michelle. -Oh.- sussurro allora.
-Già.- risponde lui. Ci guardiamo negli occhi.
-Glielo avete già detto?- domando.
Johnny scuote la testa. –No, in effetti volevamo dirglielo stasera.- mi dice. –Con tutti voi.-
Annuisco, incerto se questa sia una buona idea o meno, ma allora sento la porta sul retro della casa aprirsi, e vedo uscire Matt.
-Ehi, bello.- esclama.
Johnny lo saluta. –Ciao Matt!-
-Io dicevo a mio figlio.-
Il bassista, che di solito ribatte su queste battute, stavolta scoppia a ridere, porgendogli il bambino. –Hai ragione, hai ragione.- gli dice.
Matt prende Owen e gli dà un bacio. –Ehi, Shadows.- gli dice. -Fai disperare i miei amici?- gli domanda severo. Ridacchio. –Veramente l’unico che qui ci fa disperare sei tu.- dico.
Matt mi dà una spallata. –Simpatico, Vee.- dice. Mi guarda male, e io scoppio a ridere. Guardo Johnny, chiedendogli con gli occhi se gli vuole dire adesso della bambina, ma lui scuote la testa.
In quel momento, ecco arrivare anche la macchina di Brian e Michelle, e allora decidiamo di entrare in casa, e ci mettiamo a sedere in salotto in attesa di vederli entrare.
 
***
-Ho fatto un assolo meraviglioso, oggi, e…-
-…insomma mi dice “mi scusi, niente bambini qui dentro”.-
-Non capisco che fine abbia fatto!-
-…e così adesso mi controllano una volta a settimana.-
La sala si è riempita di rumore nel giro di tre secondi, e l’atmosfera accogliente che si crea nello stare tutti insieme mi mette di buonumore.
-Ehi Zacky, hai riprovato a suonare la chitarra?- mi domanda allora Brian, con la bocca piena. Michelle lo guarda disgustata, e la sento chiedere a Valary come ha fatto a sposarsi uno così, ridendo.
Sorrido. –Oh, non ancora.- dico.
-E che aspetti?- mi domanda Brian. –Andiamo, guarda che sei sempre un ottimo chitarrista.-
Rido. -Uno di questi giorni ci proverò.- gli dico. Ma Syn non si arrende.
-Domani ti passo a prendere e vieni a casa mia a suonare con me.- mi dice. –Dai, ti prego. Mi mancano le nostre esibizioni.-
Sorrido, annuendo. –Hai proprio ragione, Brian.- gli dico. –Va bene, domani vieni pure a prendermi.-
Syn sorride soddisfatto, e continua a mangiare.
Devo ammettere che un po’ di voglia di suonare mi è venuta ultimamente, e so anche che mi basterebbe dirlo a Matt e farmi dare una delle sue chitarre, ma non so come mai ho sempre abbandonato l’idea.
Finiamo di mangiare, e una volta che ci alziamo da tavola, vedo che Johnny e Lacey si guardano.
Stanno per annunciare la grande notizia.
-Ehm ehm.- tossisco io. La sala piomba nel silenzio, e tutti mi guardano. –Scusate, mi è andato qualcosa di traverso.- mento.
Guardo Johnny, facendogli un cenno, e allora lo vedo prendere un bel respiro.
-Ragazzi.- dice allora. Tutti spostano lo sguardo da me a lui. Lo vedo guardare Lacey, nel panico, e lei lo prende per mano. –Noi, ecco…- inizia lui. –Dobbiamo dirvi una cosa.-
La sua espressione lugubre sul volto allarma tutti gli altri, e io gli faccio cenno di sorridere.
-Ecco, io… Cioè, Lacey… Insomma, noi…- balbetta. Lacey, sorride, scuotendo la testa.
-Ragazzi,- dice infine lei, sorridendo. –Io e Johnny presto avremo un bambino.-
Per un momento, non fiata nessuno. Matt spalanca la bocca, Valary sgrana gli occhi, Michelle si porta una mano alle labbra e Brian esclama:
-Cosa cazzo…?!-
Poi, all’improvviso, iniziano a sorridere tutti, a metà tra l’estasiato e il sorpreso.
-Oh mio dio!- esclama Val. –Lacey è bellissimo! Di quanto sei incinta?-
-Quasi cinque mesi.- dice, sorridendo, lei. –Sappiamo già che sarà una femmina.-
-Christ, la tua stirpe di nanetti continuerà.- esclama Matt, dando una pacca sulla spalla a Johnny, che sorride.
Michelle si mette una mano sulla guancia, sorridendo. –Oh, sarà una bambina bellissima.- esclama. –Sono così felice per voi.- dice, sorridendo sincera a Johnny.
­-Hai capito Seward.- esclama Syn. –Cavolo, non riesco proprio ad immaginarti con tua figlia in braccio.-
Stupito ma felice delle reazioni positive di Michelle e Brian, mi complimento anche io, cercando di sembrare sorpreso, nonostante lo sapessi di già.
La cena va avanti, ma l’argomento principale è quasi sempre la gravidanza di Lacey, e a fine serata, Brian e Michelle sono i primi ad andarsene.
-Scusateci, ma abbiamo veramente bisogno di dormire.- dice Brian. –Risentiamo ancora del fuso orario del finesettimana a New York.-
Li salutiamo tutti, sorridendo, e non appena sono usciti, afferro le mie sigarette ed esco in giardino a fumare.
“Guarda che fumare fa male, dovresti smettere.”
Sorrido, pensando alla premura con cui Lydia mi ha detto quelle parole, e mi ritrovo a pensare alla telefonata che abbiamo avuto oggi pomeriggio.
È stato un sollievo sentire la sua voce, ma ancora non mi spiego la brusca conclusione della chiamata.
Si è scurita all’improvviso, chissà come mai. Faccio un lungo tiro di sigaretta, inspirando il fumo, e cercando di capire il perché del suo cambio d’umore, ma purtroppo non riesco ad arrivarci.
Butto il mozzicone di sigaretta per terra, facendo per rientrare in casa, ma noto che nel vialetto ci sono ancora quattro macchine.
“Che strano”, penso. “Brian e Michelle sono usciti quasi cinque minuti fa”.
Mi avvicino, e riconosco la mia macchina, ferma da troppo tempo, quella di Matt, quella di Johnny e anche quella di Brian.
Sono perplesso, ma avvicinandomi vedo che Brian e Michelle sono dentro la loro auto, ferma. Sospiro, sorridendo, e vedo che sono seduti. Non si guardano, ma stanno parlando.
“Se volevano parlare, potevano anche rimanere dentro con noi”, penso allora, un po’offeso.
Faccio per rientrare in casa, voltandomi verso di loro un’ultima volta, e solo allora mi accorgo.
Un minuto troppo in ritardo, capisco perché se ne sono voluti andare.
Stanno entrambi piangendo. E ne afferro subito il motivo.
  
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*si schiarisce la voce*
Buonasera a tutti, so che faccio schifo perchè non vi ho mai scritto (anche se siete pochini a leggere la mia FF), ma facevo appena in tempo a postare il capitolo prima che mi si impallasse il PC.
Comunque, spero vi piaccia la storia (che ovviamente è tutta basata sulla mia fantasiosa idea avuta in un giorno tremendo), e se la recensite, beh, ve ne sono molto grata! A presto con un nuovo capitolo!
LostInStereo:_GD


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Capitolo 7
*** Capitolo settimo. ***


Sono le dieci di mattina, e mentre io e Matt stiamo giocando alla playstation e Valary è fuori con Owen, suonano alla porta.
-Vai tu, Vee.- mi dice Matt, senza staccare gli occhi dallo schermo.
-Ehi, sei tu il padrone di casa.- ribatto, senza distogliere lo sguardo dalla TV. Rimaniamo in silenzio a giocare per un’altra manciata di secondi, ma poi il campanello inizia a suonare insistentemente, e il mio amico allora mette in pausa, sbuffando, e si dirige verso la porta.
-Ma chi cazzo è che rompe i coglioni a quest’ora di sabato matt… Oh, ciao Brian!-
La voce di Matt ha un brusco cambio di tono, e io scoppio a ridere come un idiota.
-Farò finta di aver sentito solo l’ultima frase, Sanders.- esclama ridendo Syn, spingendolo da parte per entrare in casa.
Il mio amico fa capolino in sala, con i suoi soliti jeans strappati, la canottiera nera e i capelli bloccati da strati e strati di lacca, e mi sorride.
-Ehi, coglione.- esclama. –Sei pronto?-
Mi alzo, sorridendogli a mia volta, e annuisco. –Certo.- gli dico. –Devo solo prendere le stampelle e arrivo.-
-Ehi, ehi.- esclama però allora Matt, rivolto a Brian. –Dove pensi di portare il mio chitarrista?-
Syn sospira. –Cazzo, Shadows, ma tu ascolti mai una conversazione in cui l’argomento principale non sei tu?!- sbotta.
Matt scoppia a ridere, mettendosi in una posa plastica da modello. –Certo che no.- dice. Io e Brian scoppiamo a ridere.
-Vado da Brian a provare un po’.- gli dico, sorridendo. –A fare un po’ i coglioni, sai com’è.-
Il mio amico fa una faccia offesa. –E non mi avete invitato?- esclama, con tono falsamente irritato. –Che amici di merda!-
Syn gli salta addosso, prendendolo a pugni, e poi ridacchiamo tutti.
-Te lo riporto verso mezzogiorno, non ti preoccupare.- dice Brian, dandogli una pacca sulla spalla. Mi guarda, strizzandomi un occhio, e mi fa cenno di andare.
Saluto Matt e prendo le mie stampelle, che sono nell’ingresso, ed esco insieme a Brian.
Scendiamo le scale esterne della casa, andiamo verso il SUV del mio amico ed io entro dal lato del passeggero, sedendomi. Syn entra subito dopo, e mette in moto.
La sua casa è piuttosto distante da quella di Matt, per cui mi metto comodo.
-Chi mettiamo, oggi?- mi domanda Brian, prima di partire. Mi fermo un attimo a riflettere.
-Uhm.- dico. –My Chemical Romance? Magari Three Cheers For Sweet Revenge.- esclamo infine.  Brian annuisce. –Ottima scelta, amico.- mi dice. Afferra il CD e lo inserisce, e subito si diffondono nell’aria le note della prima traccia, Helena.
Con i My Chem come sottofondo, io e Brian parliamo poco, ma la nostra amicizia è sempre stata così: bellissima proprio perché, tra me e lui, le parole sono piuttosto inutili. A volte ci basta guardarci negli occhi.
Circa a metà del viaggio però, Brian esordisce:
-Io ho una cazzo di fame assurda.- Mi guarda. –Fermiamoci da Starbucks, ti va?-
Annuisco. –Certo.- dico. –Ora che ci penso, ho una certa fame anche io.-
Pochi metri dopo, il mio amico guida l’auto dentro un grosso parcheggio asfaltato, che si trova di fronte ad una bassa e larga struttura beige, sul cui tetto spunta la tipica insegna verde e bianca, e mi aiuta a scendere, anche se ce la faccio benissimo da solo.
Andiamo verso il locale, e sono sorpreso dal fatto che ci sia molta gente. In genere vengono tutti verso le otto, otto e mezza, mentre oggi sono le dieci e un quarto ed è pieno come non l’ho mai visto.
-Non penso che riusciremo a trovare un posto a sedere, sai?- dico a Brian. Ma lui si guarda intorno comunque e, per una fortunata coincidenza, vede due ragazze lasciare il loro tavolo.
-Din din din!- esclama Brian. Mi guarda. –Synyster è magico.- Mi fa segno di andare con lui, e ci sediamo al tavolo con molta calma.
Iniziamo a chiacchierare un po’, decidendo di aspettare qualche minuto perché alla cassa ci sia meno gente.
“Forse dovrei parlargli del fatto che l’ho visto piangere ieri sera”, penso. Ma Brian mi sembra così spensierato oggi, che proprio non ci penso a farlo ripensare alla bambina di Johnny e Lacey.
-..E a New York entriamo in questo bar dove…- Syn sta finendo di parlare, ma all’improvviso qualcuno gli dà un colpetto sulla spalla.
Lui si gira, incuriosito, e incontra con gli occhi una ragazza bassa, che avrà sì e no quindici anni, con lunghi capelli riccioli e biondi e due enormi occhi celesti. Indossa una maglietta di Nightmare, e capisco subito che ci siamo imbattuti in una fan.
-Ciao.- esclama lei, sorridendo radiosa. Io e Brian ci guardiamo, contagiati dall’aspetto allegro della ragazza. Ci sorridiamo e la salutiamo a nostra volta. –Piacere, io sono Amber.- si presenta lei, stringendoci le mani. –E lasciatemi dire che amo la vostra band.-
Rido, divertito, e lei mi guarda. –Come stai, Zacky?- mi domanda, come se fossimo vecchi amici. –Mi è preso un bello spavento quando ho saputo quello che ti è successo.-
-Oh, beh.- le dico io. –Piano piano va meglio.-
Amber mi sorride, sollevata, porgendo a me un foglio e a Synyster una copia del nostro album “Avenged Sevenfold”.
-Me li potete fare due autografi?- ci chiede, gentilmente. –L’album è mio, è uno dei miei CD preferiti in assoluto, e il foglio è per mia sorella Christina, che è in ospedale.-
-Certo!- esclama Brian. Sorride, e autografa la copertina dell’album. Me la passa, mentre io gli do il foglio che ho già firmato, e infine li restituiamo alla ragazza.
-Grazie mille.- ci dice. Ci guarda, sorridendo. –E non solo per l’autografo.- Abbraccia prima Brian e poi me, e dopo essersi allontanata si volta di nuovo verso di noi, sorridendo, e ci saluta con la mano.
La maglietta a maniche corte lascia scoperto l’avambraccio, e noto un particolare che a prima vista sembra un’illusione ottica. Socchiudo gli occhi, osservandola meglio, e poi con un sussulto mi paralizzo.
La pelle di sul braccio di Amber è completamente martoriata, ricoperta da una fitta e intricata ragnatela rosea.
Ci metto un secondo prima di capire che sono cicatrici. Cicatrici che le ricoprono tutto l’arto.
Prima di sparire dietro un tavolino, vedo Amber rivolgermi uno sguardo indecifrabile.
 
***
Non appena varchiamo la porta di casa Haner, vedo una seconda Valary venirmi incontro.
-Ciao, Vee.- esclama Michelle.
Le sorrido, salutandola a mia volta e abbracciandola.  -Ciao, Michelle.- le dico.
-Ehi, piccola.- le sussurra invece Syn, dandole un bacio. La donna sorride istantaneamente, guardando il marito con espressione adorante.
-Noi andiamo un po’ su a provare.- le dice Brian. –Crisi di astinenza.- le spiega subito dopo, sorridendo.
Michelle scoppia a ridere, annuendo. –Certo, capisco.- esclama. Mi sorride e sospira. –Allora a dopo. Ti fermi a pranzo, Zacky?- mi chiede poi.
-Oh, no grazie, Michelle.- le dico, mentre sto già salendo le scale (anche se, lo devo ammettere, con un po’di fatica). –Matt e tua sorella mi aspettano.-
Lei annuisce, salutandomi con la mano, e io e Brian saliamo al piano superiore.
Appena varco la soglia dell’enorme sala prove di Syn, mi sboccia istantaneamente il sorriso sul volto.
Non me la ricordavo così grande. Sfioro la batteria, gli amplificatori, il basso che ha lasciato Johnny “in caso passassi di qua” e il pianoforte.
Mi soffermo un attimo sui tasti, colto da un improvviso flashback, travolgente come un uragano.
2006, avevamo iniziato a comporre brani per il nostro nuovo album.
Eravamo lì, tutti quanti. C’era il piano, e il basso, c’erano Jimmy e Johnny.
Io, Brian e Matt eravamo seduti a fare gli idioti, probabilmente eravamo anche ubriachi, e ricordo questa melodia meravigliosa al pianoforte, fantasticamente in contrasto con il basso.
Era dolce, quasi profonda. Sia Jimmy che Johnny stavano improvvisando, era raro che si fermassero. Erano persi nella musica.
Ricordo che Jimmy iniziò a cantare una canzone macabra ma fottutamente divertente, dicendo “Oh sì, Matt, questa qua finisce dritta nel prossimo album”.
Io ridevo, e Jimmy anche, con quei suoi strambi occhiali neri che lo facevano sembrare così intellettuale, e iniziò a cantare un accattivante ritornello.
Must have stabbed her fifty fucking times, I can’t believe it.
Ricordo che l’espressione sul viso di Jimmy si fece tutto d’un tratto seria, concentrata, e che capimmo tutti che non stava più cazzeggiando, ma che stava facendo quello che gli riusciva meglio. Comporre.
Premeva i tasti deciso, ma sapevo che stava andando a caso. Anche Johnny lo stava facendo, ma gli accordi dei due strumenti si incastravano alla perfezione l’uno nell’altro.
Smettemmo di parlare e di ridere, e fu come se la sbornia se ne andasse giusto per darci l’opportunità di ricordare quella base.
Mi ricordo gli occhi di Jimmy. Quell’azzurro limpido prendeva sempre una sfumatura più scura quando suonava. Si vedeva che ci metteva il cuore.
Muoveva la testa e il corpo a ritmo con le mani, come se stesso suonando il piano con tutto sé stesso. Socchiuse le palpebre, continuando con gli accordi.
Erano passati quasi dieci minuti quando si fermò. Si voltò, soddisfatto, con gli occhi sgranati. Sorrideva, annuendo, e mi guardò.
-Ce l’ho.- sussurrò. –Me la ricordo. Ho le parole. E gli accordi.-
Matt annuì. –Era geniale.- disse con semplicità. Brian acconsentì, sorridendo.
Jimmy mi guardava, con gli occhi illuminati.
-È fantastica, Rev.- gli dissi infine. I suoi occhi si spalancarono di felicità. Quella fu una delle rare occasioni in cui tutti e cinque ci chiudemmo in un unico, forte abbraccio.
Mi accorgo di piangere solo quando vedo le lacrime cascare sul piano nero. Brian mi arriva accanto lentamente, e mi stringe una spalla.
-Lo so.- sussurra. –Fa male, tanto male.-
Singhiozzo. –Sembra… Sembra solo un incubo a volte, vero?- gli chiedo. Lui annuisce, senza fiatare.
–Lo sai, spesso mi dimentico che è morto.- sussurra Brian, dopo minuti interminabili di silenzio. –Mi è ancora così naturale ascoltare una canzone nuova alla radio e dirmi “Chissà cosa ne penserà Jimmy”.-
Scoppio in una risata amara, ma ritorno serio subito dopo. Scuoto la testa. –Non può essere vero.-
Brian si siede per terra, appoggiando la schiena al muro. Mi volto a guardarlo, e poi lo imito.
-Eppure lo è.-
Rimaniamo così, fianco a fianco in silenzio, per minuti che sembrano ore.
-Ti sei ricordato di quando abbiamo composto A Little Piece Of Heaven, vero?- mi domanda Syn infine. Annuisco, e lui scoppia in una risata breve, secca.
-Che giorno, che è stato.-
Annuisco, sorridendo. Rimaniamo di nuovo in silenzio una manciata di secondi, ma poi Brian con un sospiro si alza, dirigendosi verso le chitarre.
-So cosa vuoi suonare.- mi dice poi, dandomi le spalle. –O perlomeno, è quello che vorrei suonare io.-
Osserva dubbioso la parete dove vi sono le chitarre, e infine ne afferra una marrone chiaro, acustica, e una elettrica nera a sottili righe bianche. La sua preferita.
Mi porge quella acustica con un sorriso, mettendosi a sedere vicino a me. –So Far Away.-
Sorrido debolmente, annuendo. Incrocio le gambe, sistemando la chitarra sulla coscia sinistra e tenendola con la mano destra.
Suono il primo accordo, fermandomi dove Matt dovrebbe cantare. Ma né io né Brian apriamo la bocca. Procedo, continuando a suonare da solo per pochi minuti.
Poco dopo, ecco che parte il primo assolo di Brian. Lo osservo con la coda dell’occhio: è chino sulla chitarra con gli occhi chiusi, quasi sicuramente arrossati, i tratti del viso addolciti, la bocca stretta in un’unica linea nera che sembra protendersi all’infinito.
Sembra quasi sudare, dall’impegno che ci mette. Riprendo a suonare, per poi gettarmi nel mio assolo di chitarra acustica.
La chitarra di Syn si aggiunge poco dopo, e come al solito questo effetto mi fa salire le lacrime, che respingo con tutto la forza.
Non so dire perché, ma questo assolo mi è sempre sembrato terribile in tutta la sua bellezza. Le note sono come coltelli affilatissimi, che mi colpiscono sempre diretto nel cuore.
Mi riportano sempre a vivere il momento in cui Brian, confuso e pallido, era venuto da me a dirmi che avevano ritrovato il corpo di Jimmy. Stavo ancora con Gena, allora, e ricordo bene di come le sue lacrime mi avevano dato fastidio.
“È solo un pessimo scherzo riuscito alla perfezione”, mi dicevo. Mi aspettavo sul serio che The Rev spuntasse da un momento all’altro da dietro un cespuglio esclamando “Vi ho fregato, stupidi idioti!”
Respiro affannosamente, tentando di stare al pari con gli accordi. Ho gli occhi spalancati dalla valanga di sentimenti che mi travolgono di nuovo, e guardo Brian, come se fosse un’ancora di salvezza.
-I love you, you were ready, the pain is strong and urges rise.- Cantiamo insieme, guardandoci negli occhi.
-But I’ll see you, when it lets me, your pain is gone your hands untied.- Brian accenna ad un sorriso.
-So far away… And I need you to know.- Mi chino di nuovo sulla mia chitarra.
-So far away… And i needed to need you to know.-
Lasciamo entrambi che le note si diffondano nell’aria e che scompaiano da sole.
Syn sorride, e mi abbraccia.
–Magari ci sta guardando.- mi sussurra.
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Eccomi di nuovo qua, con un capitolo che penso darà una svolta fondamentale a questa storia. Ma passerà un po' di tempo prima che ve ne accorgiate.
Spero vi piaccia , e anche se vi fa schifo una recensione fa sempre piacere, le critiche sono ben accette!
Alla prossima ;)
LostInStereo_GD

 
 
 

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