Il conte e la fanciulla

di Red_Ginger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo straniero ***
Capitolo 2: *** La ragazza ***
Capitolo 3: *** Ca' Foscari ***
Capitolo 4: *** Villa Demetriou ***
Capitolo 5: *** Profumo d'erba ***
Capitolo 6: *** Ricordi dall'inferno ***
Capitolo 7: *** Angolo di paradiso ***
Capitolo 8: *** Rivelazioni ***
Capitolo 9: *** Tensioni ***
Capitolo 10: *** Angelo peccatore ***
Capitolo 11: *** Ulivo e vite ***
Capitolo 12: *** Sospetti ***
Capitolo 13: *** Dimmi chi sei ***
Capitolo 14: *** Ricevimento ***
Capitolo 15: *** Come il sole nel mare ***
Capitolo 16: *** Fiume di sangue ***
Capitolo 17: *** Piani di vendetta ***
Capitolo 18: *** Occhi dorati, anima pura ***
Capitolo 19: *** Vecchi ricordi, nuove emozioni ***
Capitolo 20: *** Dalla disperazione, la speranza ***
Capitolo 21: *** Creatura contro creatore ***
Capitolo 22: *** Eroe dalle nere ali ***



Capitolo 1
*** Lo straniero ***


Il conte e la fanciulla

Quando la vidi, per la prima

volta dopo secoli il cuore morto

nel mio petto sembrò riprendere a battere

e la cenere arida che aveva

sostituito il mio sangue

diventò un fiume di lava

bollente.

Decisi in un solo istante

che l'avrei avuta.

Io sono il conte Alexandros Demetriou,

e questa è la mia storia.

 

Lo straniero

 

Venezia, 1713

Il freddo pungente che aveva reso quell'inverno particolarmente umido ancora più sgradevole sembrava essere scomparso. Infatti in quella mattinata di metà marzo l'aria era frizzante e piacevole, e il sole era già alto nel cielo sereno. Elisabetta sorrise guardando quell'immensa distesa azzurra, poichè le belle giornate la mettevano di buon umore. Passando sul ponte che attraversava ogni mattina rallentò il passo per salutare i barcaioli, che non mancavano mai di ricambiare. Vide il vecchio Michele, marinaio navigato e ora pescatore, che sulle navi commerciali aveva girato l'oriente, per poi ritirarsi a vivere la sua vita nella sua città natale.

Era sempre stato un uomo paziente con lei: quando era piccola e si fermava sul ponte aspettando che sua madre tornasse lui le raccontava le sue avventure sulle navi, le raccontava della magnifica Istanbul, con le sue ricchezze, i bazar stracolmi di spezie, sete e gioielli, i magnifici palazzi arabeggianti, gli hammam e il profumo di incenso e fiori, che sembrava venire da ogni dove. E lei ascoltava incantata, con gli occhi spalancati. Poi Michele e sua moglie, Damla, conosciuta in Turchia, avevano cominciato ad invecchiare, e l’uomo si era offerto di insegnarle a leggere, a scrivere e a fare i calcoli, a patto che lei aiutasse sua moglie a mantenere la casa, e lei aveva accettato. Quindi era merito suo se lei non era un ingenua.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       --Buongiorno Michele!- esclamò la ragazza in direzione del vecchio. Il pescatore, piccolo e secco, abbronzato, con i capelli bianchi, si raddrizzò e ricambiò il saluto: -Buongiorno Betta! Stai andando al mercato?-  -Certo, la signora Gozzi vuole gli ingredienti sempre freschi, lo sai- rispose lei sorridendo. La campana suonò le undici e mezza e lei salutò in fretta: doveva sbrigarsi ad andare al mercato, fare la spesa, portarla alla signora Gozzi e tornare a casa in un’ora. Accelerò il passo e dopo pochi minuti arrivò alla piazza del mercato. C’era molta gente: donne impegnate a cercare la merce ad un prezzo basso, uomini che discutevano di politica, bambini che si rincorrevano, venditori che gridavano uno più forte del’altro per attirare più clienti. Elisabetta si diresse dalla signora Maria, che vendeva frutta e verdura. –Buongiorno signora Maria-  la donna, di mezza età, robusta, vestita semplicemente, con i capelli grigio ferro le rispose: -Buongiorno Elisabetta. Allora, cosa ti serve?-  -Delle patate  e dei piselli. È proprio una bella giornata, vero? C’è aria di cambiamento- e sorrise, subito imitata dalla donna più anziana, che poi si chinò verso di lei, parlando a bassa voce, con fare cospiratorio. –A proposito di cambiamenti: l’altro ieri è arrivato un conte. A quanto pare ha comprato Villa Pisani, e si trasferirà lì tra pochi giorni. Per ora è ospite del consigliere Foscari, suo amico.- Elisabetta stupita chiese: -Un conte? E da dove viene?- -Da Atene. Dicono sia molto bello e affascinate, nonché colto, e che stia cercando personale per la villa. Ti conviene andare a parlare con la governante e cercare di farti assumere: un posto del genere vuol dire avere una casa e una paga assicurate!-  -Grazie del consiglio signora Maria. Ora vado, altrimenti la signora Gozzi si infuria. Buongiorno-  -Buongiorno a te- rispose la venditrice. La ragazza si voltò velocemente, e s’imbatté nell’uomo più bello che avesse mai visto.

 

 

Angolo autrice

Ciao ragazzi, eccomi di nuovo qui :)

Questa volta ho deciso di mescolare le cose che mi piacciono di più: i vampiri, la venezia del '700 e... i bonazzi greci!!

Recensite, recensite, recensite!!

Un bacio,

BlueStarMoon

 

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Capitolo 2
*** La ragazza ***


La ragazza

 

Onde di fuoco le scendevano

su una spalla, scoprendo il

suo collo aggraziato.

Due occhi di smeraldo mi

fissavano curiosi, mentre

le labbra, rosse e piene come

amarene erano socchiuse.

Le afferrai un polso candido

per non farla cadere;

al contatto con la sua pelle

morbida mille scosse mi

attraversarono, percepii il suo

profumo alla rosa.

Il mio cuore ruggì di desiderio.

La volevo.

 

Elisabetta rimase a bocca aperta. Quell’uomo era il più bello e attraente che avesse mai visto. Non che ne avesse visti o conosciuti molti in diciotto anni di vita, ma lui li superava tutti. Alto, aggraziato, vestito di un ricco completo blu ricamato d’argento, lasciava perfettamente intendere il suo alto rango. Le aveva preso il braccio con una mano guantata per non farla cadere a terra, e la tirò su. Lei si ritrovò a pochi centimetri dal suo viso: bianco come il latte, incorniciato da folti capelli corvini, ondulati. La ragazza si rese conto di poter contare le lunghe ciglia nere che gli circondavano gli occhi azzurri e profondi, si accorse di sentire il suo respiro sul viso. Si disse che le sue labbra, quasi rosse quel viso latteo, sovrastate da due baffi neri, corti, erano invitanti, e poi si rimproverò per quei pensieri su un perfetto sconosciuto. Ritrovò l’equilibrio e lui la lasciò.

-Perdonatemi, non avrei dovuto starvi così vicino. Vi assicuro che sono un gentiluomo- le disse, con una voce profonda, con un leggerissimo accento straniero, affascinante. Lei arrossì sotto quello sguardo limpido. –Non c’è bisogno che mi chiediate perdono, anzi, vi ringrazio per avermi evitato una caduta- rispose, con una leggera riverenza. Lui annuì, rispose con un inchino e andò da quello che sembrava il suo amico, che lo chiamava. Lei rimase a guardarlo confusa mentre lui si allontanava con falcate lunghe a sicure. Poi decise di muoversi, camminando velocemente. Dopo venti minuti era a casa della signora Gozzi, un appartamento di quattro stanze e un balcone all’ultimo piano di una vecchia casa, e l’anziana non mancò di lamentarsi del suo ritardo. La donna, ormai sessantenne, curva, in carne, brontolona, acciaccata e scorbutica, viveva con la figlia, e la ospitava in cambio dell’aiuto che lei le dava in casa. Aveva sempre da ridire su tutto quello che la ragazza faceva, da quando annaffiava i fiori a quando puliva i pavimenti o cambiava l’olio delle lampade.

Elisabetta cucinò distrattamente, con la testa fra le nuvole, fantasticando sullo straniero che aveva incontrato, anzi, con cui si era scontrata prima, finché la signora la rimproverò. –Sei sempre con la testa fra le nuvole! Guarda qua, se non ci fossi stata io avresti fatto bruciare le patate!- la ragazza arrossì. -Perdonatemi, non era mia intenzione…- -Lo spero proprio!- la interruppe la vecchia, arrabbiata, che poi tornò nell’altra stanza. La giovane si chiese se la signora sarebbe mai cambiata. Probabilmente no. Finì di preparare e portò le pietanze in tavola. La figlia della signora, Camilla, arrogante e smorfiosa, tornò proprio mentre lei poggiava le caraffe sul tavolo. Il pasto fu abbastanza tranquillo: come al solito madre e figlia spettegolarono sulla gente del quartiere, ma Elisabetta questa volta non le ascoltò: nella sua testa rivedeva il viso dello straniero.

Dopo pranzo la ragazza chiese alla signora se poteva parlarle. La vecchia si tolse gli occhiali dal naso adunco, chiuse il libro che stava leggendo, e disse: -Su, forza, ti ascolto- -Ecco signora, volevo chiedervi il permesso di uscire questo pomeriggio- disse lei, con le mani dietro la schiena.

-E posso sapere il perché? Sei già uscita stamattina!- ribatté l’altra, con uno sguardo azzurro slavato, penetrante. –Vedete, al mercato ho sentito che il conte, quello straniero, cerca personale, e volevo provare a chiedere se hanno un posto per me-

La signora sospirò e le rispose: -Sì, immagino che tu possa andare, d’altronde oggi è domenica. E poi spero proprio che ti assumano: ho scoperto che non posso più mantenere un’altra persona. Io e mia figlia ci dovremo arrangiare e cavarcela da sole, dato che i soldi del mio defunto marito stanno calando. Te l’avrei detto comunque, ma hai fatto bene ad informarti prima per un altro lavoro-

La ragazza sorrise. –Molte grazie-  poi andò in cucina, si sfilò il grembiule. Subito dopo si fiondò nella sua stanza e indossò il suo vestito azzurro, quello che preferiva perché aveva risparmiato molto per potersi comprare la stoffa e cucirlo. Si raccolse i capelli in uno chignon, si sistemò le scarpe e uscì.

Attraversò mezza città, agitata e speranzosa, e finalmente arrivò a villa Foscari. Bussò e attese con il cuore che batteva forte, e dopo qualche secondo le porta venne aperta.

 

Angolo autrice

ciao a tutti,

spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto :)

ringrazio chi recensice e anche chi mi segue silenziosamente!!

Un bacio,

BluStarMoon

 

     

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Capitolo 3
*** Ca' Foscari ***


Cà Foscari

 

Nei miei pensieri

non c’era che lei:

mi sembrava di vederla ovunque.

Sentivo, sapevo, che l’avrei

rivista, ma ignoravo

quando.

Ormai la scintilla che mi aveva

acceso il cuore era divenuta

un incendio che mi

bruciava il corpo e la mente.

 

 

Elisabetta si trovò davanti una donna, sui trent’anni, alta e sottile, con i capelli biondo chiaro, raccolti in una stretta crocchia. Indossava un semplice vestito nero con il colletto bianco. La prima impressione della ragazza fu che quella donna non andava contraddetta: i lineamenti affilati, le labbra serrate in una linea sottile e i gelidi occhi grigio ferro lasciavano trasparire un carattere duro, freddo e determinato.

-Buongiorno. Chi cercate?- chiese la sconosciuta, con un tono asciutto ma cortese.

-Buongiorno- rispose la ragazza. -Sto cercando la governante del conte-

La donna aprì di più la porta. -Sono io. Immagino siate qui per un posto di lavoro- disse, andando dritta al sodo.

-Sì signora, sono qui per questo-

L’altra annuì. -Entrate-

 

Elisabetta la seguì nell’ingresso elegantemente arredato, per poi arrivare nella cucina, un locale quadrato e piacevolmente caldo, con il bagliore leggermente rosato delle pentole in rame.

-Sedetevi- la invitò la governante, che poi disse: -Gradite un po’ di tè?-

-Molto volentieri-

La donna posò due tazze sul tavolo e si sedette. -Dunque- esordì –di solito è il conte ad occuparsi personalmente dei servitori, ma questa volta, dato che si deve occupare di faccende molto importanti, mi ha lasciato carta bianca. Comprenderete di certo che non voglio deluderlo- e bevve un lungo sorso di tè.

-Certo che no- concordò la ragazza, e anche lei prese un sorso di tè.

-Bene. Avete già lavorato come cameriera?-

-Sì, però in una casa molto più piccola…- cominciò a dire Elisabetta, ma l’altra la interruppe: -Non preoccupatevi; il conte vive solo, a parte qualche sporadica visita di amici stretti. Non ci sarà molto da fare, certo, ci saranno molte stanze da pulire, ma in tutto voi camerieri sarete quindici.-

-State tranquilla, non vi deluderò- assicurò la giovane.

L’altra annuì. -Un’altra cosa: in questa casa io, ovvero la governante, posso dare del tu ai camerieri, mentre per voi io sarò la signora Antoniou. Qual è il vostro nome?-

-Elisabetta-

-Bene. Venite qui domani mattina alle otto, con tutta la vostra roba. Ci sposteremo alla villa e voi e gli altri comincerete a lavorare. Il conte ci raggiungerà dopodomani, non sarebbe per nulla piacevole farlo vivere in una casa sottosopra. Riceverete un ducato a settimana e avrete la domenica pomeriggio libera.-

-Vi ringrazio molto- affermò la ragazza, felice. La governante la accompagnò alla porta e rimase qualche istante a guardarla allontanarsi. Elisabetta non poté fare a meno di mettersi a saltellare, e poi fece un giravolta su se stessa, ridendo, con le guance rosse e gli occhi brillanti: aveva un lavoro, in una villa! E non una villa qualunque, la villa di un conte! Forse era stata solo una sua impressione, ma voltandosi verso Ca’ Foscari avrebbe giurato di aver visto l’ombra di un sorriso sul viso serio della donna.

 

-Alexandros, è tutto a posto? Ti vedo ditratto- la voce di Carlo lo riportò bruscamente alla realtà. Erano in quel caffè da più o meno mezz’ora, dopo aver sbrigato molte faccende legali e notarili. Il sole stava per tramontare, inondando il locale di raggi caldi e dorati. Avevano parlato, o meglio, Carlo aveva parlato e lui non aveva ascoltato una parola, perso nei propri pensieri, occupati dalla ragazza del mercato. Se chiudeva gli occhi rivedeva il suo viso grazioso, la sua figura minuta, risentiva il suo profumo delicato.

-Sì, scusami- disse allora, e si raddrizzò sulla sedia.

-Allora, cosa ne pensi?- la voce del suo amico esprimeva felicità, e i suoi occhi di onice brillavano mentre sorrideva con aspettativa.

-Di cosa?- la sua risposta lo fece ridere: gettò la testa all’indietro, mentre rideva di gola, una risata profonda.

-Ma come, ho appena finito di parlartene! Oggi sei proprio distratto!-

-Già, hai scoperto l’acqua calda!- lo prese in giro lui.

L’altro rise ancora. -Cos’è, sei innamorato?-

-Credo proprio di sì-

Carlo rimase a bocca aperta: -Sei davvero il gelido conte Demetriou o il suo gemello romantico?-

L’altro sorrise tristemente; se il suo amico avesse saputo perché era così freddo non avrebbe avuto tanta voglia di scherzare.

-Questa sì che è una notizia da festeggiare! Chi è la fortunata?-

-Probabilmente non la rivedrò più-

-Su, non ti abbattere. Tornando a quello che ti dicevo prima, perché stasera non vieni alla cena a casa della marchesa Ranieri? Vedrai, ci faremo due risate in compagnia!- esclamò Carlo.

Alexandros rifletté brevemente: Perché no? d’altronde la marchesa era sua amica, e lui conosceva le persone che soleva invitare a cena. Si prospettava una serata gradevole.

-Sì, mi sembra una buona idea- rispose.

-Bene, allora andiamo a casa a cambiarci, sono già le sei- e uscirono, godendosi il magnifico cielo veneziano, acceso di sfumature arancioni e rosse, tendenti al viole e all’indaco.

 

Elisabetta tornò a casa, felice. Aveva un lavoro. Aveva un lavoro! Continuava a ripeterselo in testa, contenta. Quella sera cucinò con particolare cura, canticchiando, e a cena servì una lepre con salva pevarada e contorno di radicchio saltato con cipolla.

Mangiò di gusto, raccontando alla signora Gozzi com’era andata con la governate, e si godette il broncio di Camilla, che non era stata affatto contenta di sapere che avrebbe dovuto aiutare in casa, dato che lei se ne andava.

Dopo cena la ragazza ripose gli avanzi e andò a preparare la sua borsa. Non possedeva molte cose, ma quelle che aveva erano pulite e in ordine: qualche vestito, due paia di scarpe, due fermagli per i capelli, alcuni libri, un quaderno, qualche penna d’oca, un po’ d’inchiostro in un vecchio calamaio d’osso e pochi altri averi.

Guardò fuori dalla finestra, felice che la sua vita stesse cambiando. Finalmente. Andò a letto, elettrizzata.    

 

Angolo autrice

Ebbene, ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia!!

Ringrazio  Mewmisi e Aqua che hanno aggiunto la storia tra le preferite,

Nana25, WriteMyLife53 e XiaOyu_PandA che la seguono, e ovviamente  MrsFeDiNa, RoseSherlockWeasleyMoon,Clover_, e di nuovo XiaOyu_PandA, che l'hanno recensita. Grazieee!!

Prossimo capitolo in fase di elaborazione!

Ciao ciao

BlueStarMoon

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Capitolo 4
*** Villa Demetriou ***


Villa Demetriou

 

La rividi, di spalle,

quel giorno.

Stava prendendo

un vassoio, non si

era accorta della mia

presenza.

La luce rosata del mattino

illuminava il suo

collo bianco e delicato,

come quello di un cigno, e qualche

ricciolo sfuggiva la cuffia, disegnando

onde vermiglie.

Mi si spezzò il respiro.

La amavo.

 

 

 

La mattina dopo Elisabetta si alzò prestissimo, eccitatissima. Fuori la luna era ancora alta nel cielo blu intenso. Saranno state le sei, eppure lei era già sveglia come un grillo. Decise di aspettare un po', per non essere pronta troppo presto, così si mise a leggere il suo vecchio libro di fiabe. Dopo poco si rilassò leggendo, mentre fuori il sole sorgeva lentamente, illuminando la città. Poi la ragazza si alzò dal letto e andò in cucina, dove trovò la signora Gozzi intenta a preparare il caffè.

-Buongiorno signora- disse lei entrando.

-Buongiorno, Betta- rispose lei. La donna posò due tazze sul tavolo poi si sedette.

-Quindi oggi te ne vai- constatò.

-Proprio così- confermò lei, prendendo un biscotto.

-Sai, mi sembra ieri quando sei venuta qui- ricordò l'anziana - ti accompagnò il buon Michele. Eri ancora quasi una bambina, impaurita dal mondo. D'altronde era naturale, avevi appena perso i tuoi genitori e non sapevi cosa avresti fatto. Decisi di accoglierti, di accogliere quella bambina seria e silenziosa, un'adulta in miniatura. E da quel giorno sono passati undici anni; ora tu sei grande, io sono vecchia- la signora s'interruppe e la ragazza si accorse che aveva gli occhi lucidi. Allora non aveva cuore di pietra come lei aveva sempre pensato.

-Vi ringrazio, signora. Vi devo tutto. Senza di voi non so cosa ne sarebbe stato di me- disse, con voce sommessa.

Le voleva bene, nonostante avesse un brutto carattere, burbero, spigoloso. Era stata la persona più simile ad un parente che avesse mai avuto, a parte Michele. L'altra annuì, e fece uno dei suoi rarissimi sorrisi.

-Coraggio, vai altrimenti farai tardi-

Elisabetta prese la borsa e aprì la porta. -Di nuovo grazie, signora. Di tutto.-

Ma la signora Gozzi non si voltò per non farle vedere che piangeva.

 

 

La ragazza si incamminò a passo spedito verso Ca' Foscari, riflettendo. Le dispiaceva lasciare la signora Gozzi, come non le era mai dispiaciuto per la morte dei suoi genitori. Non erano mai stati una coppia affiatata: suo padre, sempre sulle barche, era morto a Creta, coinvolto in una scaramuccia. Non ricordava quasi nulla di lui, a parte il fatto che era quasi sempre ubriaco e che spendeva un sacco di soldi nei bordelli. Invece sua madre aveva un banco al mercato. Guadagnava abbastanza bene, ma era succube del marito, che la picchiava spesso. Di lei ricordava solo che era dolce, che aveva i capelli rossi e che piangeva spesso. Era morta di parto quando lei aveva sette anni. Non era sopravvissuto neanche il suo fratellino. Poi, a parte qualche flash, la memoria di Elisabetta era avvolta in una fitta nebbia.

Giunse davanti alla casa. La piazza era in fermento: gli altri camerieri erano impegnati a caricare i carri sotto la direzione della governante.

-Buongiorno signora Antoniou- salutò Elisabetta.

-Buongiorno- rispose lei, e poi continuò: - sistemati pure sul carro con le altre ragazze, gli altri hanno quasi finito-

La ragazza annuì, e salì sul carro, avvicinando ragazze: una piccola, con i capelli neri, l'altra più alta, con i capelli castani.

-Ciao- salutò la ragazza.

-Ciao, anche tu al lavoro per il conte?- Chiese la ragazza bruna.

-Sì- rispose Elisabetta.

L'altra sorrise. -Bene. Speriamo solo che il conte non sia un vecchio barbagianni, altrimenti su chi fantasticheremo? E poi…- Venne interrotta dalla signora Antoniou, che annunciava la partenza.

-Forza, salite tutti sui carri, si va!-

Elisabetta sorrise, piena di aspettativa.

 

 

Alexandros si svegliò, rendendosi conto che quello era solo un sogno. Aveva sognato quella ragazza. Si mise a sedere, guardando la stanza che Carlo gli aveva assegnato: i mobili erano di legno di noce, riccamente intarsiati, i pannelli sui muri, di un bel color crema, erano illuminati dalla luce che filtrava dalle pesanti tende di broccato. Dovevano essere già le nove. Si alzò e si vestì, pensando la serata precedente. La cena era stata gradevole, accompagnata da buon vino e conversazioni colte. Tuttavia ogni dama invitata si era sentita in dovere di corteggiarlo, con avances più o meno esplicite. Inutile dire che lui si era tirato indietro: non gli piacevano quelle donne strizzate nei corsetti di abiti troppo eleganti, truccate e imbellettate, sepolte sotto chili di cipria e rossetto. Vestito di un completo color porpora si guardò allo specchio. I suoi occhi si stavano scurendo, e cominciava ad avvertire la sete raschiargli la gola. Aveva bisogno di andare a caccia, quella notte stessa. Infatti il lato negativo di vivere tra gli umani era quello di dover placare subito il bisogno, anche se lieve, perché altrimenti sarebbe diventato molto pericoloso. Decise che sarebbe andato cercare delle prede nelle vicinanze del porto. Poi scese da fare colazione.

 

 

 

Elisabetta salì in camera, stanca ma di buon umore. Lei gli altri avevano passato la giornata a mettere a posto, pulire, lucidare, lavare e asciugare, e lei aveva conosciuto tutti. Si cambiò e poi si sedette sul letto, aspettando Clara, la sua compagna di stanza, per parlare un po' con lei. Tuttavia il calore della stanza la morbidezza delle coperte la fecero addormentare profondamente.

 

 

 

La luna era alta nel cielo. Alexandros era al balcone della sua camera, coperto dal lungo mantello nero. La notte era fredda e serena. Chiuse gli occhi e si concentrò sui suoni e gli odori della città. E poi, all'improvviso, saltò giù dal balcone con un'agilità innaturale, e cominciò a correre. La caccia era cominciata.

 

 

 

La mattina dopo cominciò tranquillamente: la campagna che circondava la villa trasmetteva serenità e calma. L'abitazione era molto grande, simmetrica, a due piani. Davanti c'era un giardino bellissimo, con tanto di fontane, e dietro un grande parco, con erba verdissima morbida, e moltissimi alberi: querce, larici, cipressi, faggi. Elisabetta Clara stavano pulendo la cucina quando la signora Antoniou entrò.

-Il conte ha deciso di anticipare di qualche ora l'arrivo. Elisabetta, prendi un vassoio e portagli del caffè e qualcosa da mangiare nel salotto blu-

-Subito- rispose lei. Portò il vassoio con le pietanze nella stanza e lo appoggiò sul tavolo, mentre sentiva i passi della governante e del conte rimbombare sul pavimento di marmo del grande corridoio.

-Perdonate Signor conte, vi aspettavamo per pranzo…- Stava dicendo la donna

-Non preoccupatevi signora Antoniou. È solo che avevo molta voglia di vedere la mia nuova casa-

Alla ragazza venne un colpo. Quella voce. Quell'accento. Le tremavano le mani

-Elisabetta, puoi andare- la voce della governante la riportò alla realtà.

-Sì, vado- rispose. Si voltò e si perse le due occhi brillanti come zaffiri. Era lui. Quell'uomo bellissimo era il conte. Si sentì svenire.

 

 

Angolo autrice

ciao a tutti,

ecco il quarto capitolo. Ho deciso di spezzare il capitolo originale in due parti, perché altrimenti sarebbe stato troppo lungo.  Mi spiace farvi penare, però un capitolo troppo lungo diventa pesante, e l'ultima cosa che voglio è annoiarvi.

la seconda parte arriverà presto !!

ciao ciao  ^_^

BlueStarMoon

 

p.s: l'ho ricopiato in fretta, quindi se trovate degli sfondoni scusatemi, è il completamento automatico di word!!

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Capitolo 5
*** Profumo d'erba ***


Profumo d’erba

 

Desiderai moltissimo

posare le mie labbra

sulle sue, anche se non

la conoscevo.

E ora che sapevo il

suo nome,

guardando i suoi

occhi più verdi

 dello smeraldo,

mi dissi che il

mio cuore  le

apparteneva.

 

 

Elisabetta si disse distrattamente che i loro incontri non erano stati molto fortunati: era la seconda volta che si vedevano, e la seconda volta che gli cadeva tra le braccia. Alexandros la sorresse senza sforzo, guardandola lievemente preoccupato.

-Stai bene?- Chiese, guardandola dritta negli occhi. Per Elisabetta il blu delle sue iridi era semplicemente troppo intenso, troppo profondo e troppo brillante. Troppo bello.

-Sì, certo. Perdonatemi, vi sono caduta di nuovo addosso…- Ma lui la interruppe con un tono gentile e premuroso.

-Non fa nulla, non ti preoccupare- la tranquillizzò, e l'aiutò a spostarsi sul divano.

-Potete andare, signora Antoniou- disse, rivolta la governante, che annuì e uscì dalla stanza. Elisabetta stava già alzandosi perché doveva tornare al lavoro, ma lui la trattenne posandole una mano sulla spalla.

-Aspetta. Non vorrei che ti tornasse il capogiro. Stai qui un momento tranquilla- era dietro di lei, che poteva sentire suo respiro sul collo, e percepiva anche suo profumo: speziato, molto maschile. La sua voce profonda aveva un effetto molto calmante, la faceva sentire rilassata, tuttavia era stata assunta per lavorare, non per sedersi sui divani.

-Non preoccupatevi per me signor conte: probabilmente non mi sono sentita bene perché ha mangiato poco a colazione. Sta già passando- affermò la ragazza.

-Allora perché non prendi qualcosa? Mi hai portato uno spuntino da re- ribatté lui, con un vago sorriso sotto i baffi, mentre si versava un po' di caffè.

-Vi ringrazio, ora mi alzo e prendo uno o due biscotti- rispose lei, ma lui l'anticipò: prese il piatto con i dolci e lo appoggiò sul tavolino davanti al divano. Elisabetta prese un canestrello, guardando il conte che si era girato verso la finestra: quel giorno aveva un completo grigio perla, che le fasciava perfettamente le spalle larghe e le lunghe gambe muscolose. Stava benissimo. La luce tenue del mattino gli illuminava il viso: guardava fuori con un'espressione concentrata e la sua pelle, bianca come il gesso, quasi brillava.

Elisabetta osservò la stanza: le pareti erano coperte di un’elegante tappezzeria blu con i fiori azzurri, il cammino di fronte a lei era di marmo bianco, arricchito da sculture di fiori e putti, e i mobili, dipinti di azzurro lucido, e i morbidi tappeti persiani, blu anch'essi e incredibilmente morbidi, conferivano al salotto un'aria intima e amichevole. Alla parete alla sua destra c'era un grande scaffale pieno di libri, che proseguiva anche contro lungo la parete dietro di
lei. Infine il tavolo era vicino alla grande porta finestra, che si affacciava su un balcone con vista sul parco aveva la luce perfetta per leggere. Il divano su cui era seduta era molto comodo, e le due poltrone, una di fianco ad esso, e l'altra di fronte a lei, erano coperte della stessa stoffa del sofà.

-Che scortese che sono!- esclamò -gradisci del tè?- Le chiese, voltandosi verso la ragazza.

-Sì, molte grazie- annuì la ragazza, e sorride quando lui le porse la tazza di porcellana bianca e azzurra.

-Come mai sorridi? Sono così buffo?- Chiese conte, curioso, con un leggero sorriso.

-Sorrido perché dovrei essere io a servire voi, non il contrario- rispose Elisabetta, arrossendo. Lui si sedette sulla poltrona vicino al divano e affermò: -Io non mi curo di queste cose. Se non stai bene è giusto che ti riposi- e sorrise, mostrando due file di denti bianchissimi e perfetti. Era davvero molto bello, con quel viso ai tratti finissimi, quasi scolpiti e cesellati dalla mano di un esperto scultore, e anche gentile. Sicuramente era anche colto intelligente. Chissà quanti anni aveva.

-Signor conte, posso farvi una domanda?-Chiese timidamente Elisabetta.

-Certo, dimmi pure-

-Voi… Ecco… Quanti anni avete? Ciò che non sono fatti miei e che non dovrei chiederlo, ma sembrate così giovane…-

L'altro sorrise mestamente: -Non sono poi così giovane; ho ventisei anni. E tu?-

Lei sorrise, e bevve un sorso di tè.

-Ne ho diciotto-

 

 

Tre ore dopo Elisabetta era con Clara ed Emma, un'altra cameriera giovane e vivace, in cucina a preparare il pranzo, quando entrò il conte. Tutti fecero la reverenza e lui disse: -State comodi, non c'è bisogno che vi inchiniate-

-Signor conte, vi serve qualcosa? Oppure qualcosa non è di vostro gradimento?- Chiese la governante, stupita di vederlo lì.

-Volevo sapere se Elisabetta si sente meglio- rispose l'uomo guardando la ragazza.

-Certo signor conte-rispose lei, segretamente felice che fosse venuto a chiederle come andava.

-Mi sembri ancora un po' pallida. Ti va di prendere un po' d'aria?-

-Veramente devo finire qui…-

-Allora dopo?- sembrava tenerci molto.

-D'accordo, signor conte- lo assecondò lei felice, e poi riprese a lavorare.

Quella sera Alexandros salì nella sua stanza. Era molto bella, con i muri di un azzurro rilassante, i mobili chiari, un grande letto a baldacchino e una scala a chiocciola che portava ad una torretta, con uno splendido tetto in vetro, alto ed ottagonale. Si versò un bicchiere di porto e si sedette sulla poltrona davanti al camino, riflettendo sul pomeriggio passato con Elisabetta. Avevano fatto una lunga passeggiata nel parco, con calma, godendosi la leggera brezza che soffiava, il tepore del sole e il profumo dell'erba. Per lui era stata una gioia di vedere il viso della ragazza riprendere colore: le sue guance erano tornate rosa come due pesche e lui aveva avuto una gran voglia di baciarla sulle labbra,rosse e carnose, quando lei gli aveva sorriso, con il fiatone e gli occhi brillanti e i capelli scarmigliati dopo una corsa nel prato. Si sentiva incredibilmente attratto da lei: era una ragazza dolce e semplice, ma non stupida, né tantomeno ingenua; aveva saputo che adorava leggere e le piaceva molto dedicarsi al giardinaggio. Ad un certo punto si erano seduti all'ombra di una quercia, lei aveva appoggiato la testa sulla sua spalla, permettendogli di sentire il suo profumo misto all’odore dell’erba, e avevano parlato di molte cose: di letteratura, di religione, addirittura di moda. Era stato un bellissimo pomeriggio perché finalmente, dopo tanto tempo, lui non si sentiva più così solo. Certo, aveva Carlo e degli altri amici, però sentiva che Elisabetta avrebbe potuto capirlo meglio di tutti. Finalmente sentiva di tornare a vivere, sentiva che il presente non era più solo un periodo vuoto dopo un passato così lontano e sfocato da apparire irreale, l'unico periodo felice della sua lunga, lunghissima, forse troppo lunga esistenza. Dopo un po' si era abituato alla solitudine, al suo essere diverso dagli esseri umani; ma quella ragazza, con quel viso aperto e gentile, con quello sguardo, con quel sorriso, era come nuova linfa per il vecchio albero che era diventato. La desiderava in modo incredibile, e avrebbe tanto voluto vederla diventare come lui in modo da avere una compagna per l'eternità, ma allo stesso tempo non voleva privarla della vita normale, forse un po' banale, ma completamente umana che avrebbe potuto avere. Ad un certo punto guardò stupito la bottiglia di vino: quello che doveva essere un solo bicchiere era stato seguito da un altro, e poi un altro, e un altro ancora, fino a svuotare la bottiglia. Forse era meglio dormirci su. Alexandros si alzò dalla poltrona, si spogliò e si stese a letto. Si addormentò poco dopo, perdendosi in un sogno che apparteneva suo passato, quel passato così lontano. Un sogno che non faceva da secoli ormai, ma che aveva ancora il potere di spaventarlo. Un incubo terribile.

 

Angolo autrice

Ciao :)

Allora… Ecco il quinto capitolo! Spero vi piaccia ^^

Chissà che cosa starà sognando il nostro bel conte… Ma questo lo saprete nel prossimo capitolo!

Stessa cosa dell'altra volta; se trovate degli errori è perché copio i capitoli il più fretta possibile per non farvi aspettare troppo, quindi abbiate pietà ç.ç

Un sincero ringraziamento a chi segue la storia, a chi la recensisce, e a chi l’ha aggiunta ai preferiti.

Ciaooooo :D

 

 

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Capitolo 6
*** Ricordi dall'inferno ***


Ricordi dall’inferno

 

Quel mattino lo

vidi come non lo

avevo mai visto prima

e come non avrei mai creduto,

 capendo definitivamente

 che il mio cuore batteva

 solo per lui.

Il suo corpo di alabastro

si muoveva sinuosamente

 nell'acqua, senza esitare,

 facendolo sembrare una

splendida creatura marina.

Vedevo i suoi muscoli guizzare

sotto la pelle chiara, mentre

nuotava con bracciate decise.

Quando uscì dall'acqua

agilmente, lo osservai bene,

 arrossendo per lo

spettacolo che lui, inconsapevolmente,

mi mostrava. Quando si

voltò e mi vide mi sentii

 quasi morire,

 guardando nei

suoi occhi brillanti come stelle.

 

-Quindi ti ho preso, finalmente- il vecchio sogghignava, mostrando due file di denti marci. In quella segreta isolata, piccola, dal soffitto basso, le finestre minuscole, le torce ardevano alle pareti, illuminando la stanza di una fioca e inquietante luce arancione, mutevole, che creava un gioco di ombre. Il loro leggero crepitio rompeva il silenzio irreale in cui lui respirava piano. Era stato catturato. Era la fine, lo avrebbero ucciso. Ormai i turchi avevano fatto cadere quello che era stato il grande Impero Bizantino, invadendo, mettendo a ferro e fuoco villaggi e città, distruggendo, uccidendo, violentando. Lui aveva combattuto per difendere la sua patria, aveva visto morire i suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi amici, aveva resistito fino all'ultimo e alla fine i turchi lo avevano preso, dopo che era riuscito ad uccidere quattro soldati. E ora era lì, incatenato al muro, tremante di odio e di rabbia. Ma non di paura.

Gli anelli di ferro gli stringevano i polsi in una stretta morsa, tenendolo attaccato al muro di gelida pietra. Il vecchio stava arroventando un ferro sulla fornace, sghignazzando. I suoi occhi neri come la pece sembravano liquidi alla luce quasi rossa di quella stanza. Alexandros rabbrividì. Sapeva cosa lo aspettava, ma sperava di resistere il più a lungo possibile, di non tradire i suoi amici, o almeno di dar loro il tempo di fuggire lontano. L'uomo tirò via l'ferro ormai incandescente, ghignando, e si voltò verso di lui, che lo guardò con odio. Il metallo sfrigolava.

-Ora soffrirai tanto che ti pentirai di essere nato- gli disse con voce cattiva. Poi incominciò l'inferno.

 

Alexandros si svegliò di colpo. Quegli eventi, anche se appartenevano ad un'altra vita, lo perseguitavano ancora, impressi a fuoco nella sua memoria. Dei marchi, come quelli che gli avevano fatto mentre lo torturavano. Se solo chiudeva gli occhi risentiva il ferro incandescente sulla pelle, e riprovava tutto quel dolore.  Sospirò, si alzò, e si portò davanti allo specchio, dove la luce filtrava dai tendaggi, e si tolse la camicia, scoprendo il proprio fisico asciutto e muscoloso. Laddove c'erano state ferite terribili ora c'era solo pelle bianca e liscia. Dopo tutto quello che gli avevano fatto quella notte l'avevano lasciato in fin di vita, pensando che sicuramente sarebbe morto dissanguato. Ma non avevano fatto i conti con il destino. Infatti lui ad un certo punto aveva perso i sensi, e quando si era svegliato, per pochi istanti, aveva visto il cielo blu della notte fresca sopra di sé. Qualcuno l'aveva portato via. Poi aveva sentito qualcosa affondargli nel collo, e l'oscurità l'aveva avvolto di nuovo. Tre giorni dopo si era svegliato, in un palazzo semidistrutto, miracolosamente guarito, incredibilmente più forte e con una sete tremenda. Sete di sangue. Sangue che aveva bevuto dalle vene dei suoi torturatori, con gioia feroce.

E da allora aveva vissuto da solo. Era tornato alla casa dei suoi genitori. Aveva studiato, aveva viaggiato aveva prestato servizio nella marina salendo di grado, fino a diventare generale. Era diventato ricco. Incredibilmente ricco. Ed erano passati i mesi, gli anni. I secoli. Ed ora era lì, in quella villa. Una villa che prometteva di essere una vera casa, non come le innumerevoli abitazioni che aveva avuto, belle, sì, ma fredde e vuote. Si infilò la camicia di finissimo cotone, e indossò un paio di pantaloni neri, aderenti, con un paio di stivali neri, di cuoio. Quel giorno aveva voglia di fare una lunga cavalcata, di fare un lungo giro dei suoi possedimenti. Scese in sala da pranzo a fare colazione, servito da Clara, con la mente fissa su Elisabetta. Bella, pura. Come una rosa bianca. E lui sapeva di esserne perdutamente innamorato.

 

Elisabetta stava rifacendo il letto del conte, assorta nei suoi pensieri. Il giorno prima si era sentita bene con lui, su quel prato. Lei che era sempre stata una ragazza riservata, timida, aveva avuto il coraggio di poggiare la testa sulla spalla dell'uomo. Chissà che cosa aveva pensato il conte, sicuramente abituato a donne che stavano al loro posto. La ragazza sprimacciò il cuscino e, non resistendo, aspirò il profumo speziato che emanava. Il profumo del conte. Di Alexandros, come gli aveva detto di chiamarlo, anche se quasi sicuramente lei non lo avrebbe fatto. Almeno non in presenza d'altri. Elisabetta si sentì arrossire ripensando a quegli occhi così blu, così limpidi eppure così ignoti, poiché riuscivano a nascondere i pensieri del nobile. Quegli occhi che si erano fissati nei suoi. Quegli occhi misteriosi. E il corpo contro cui si era appoggiata: forte, muscoloso. Calmo, sotto di lei. Elisabetta sapeva che non avrebbe dovuto prendersi così tanta confidenza, sapeva che non sarebbe dovuta andare con lui, che non avrebbe dovuto mostrarsi così loquace, anche se lui l'aveva ascoltata per tutto il pomeriggio, facendole capire che gli piaceva la sua compagnia. Sapeva che non avrebbe dovuto permettergli di accarezzarle i capelli, che aveva sciolto precedentemente. Eppure lei si sentiva a proprio agio con lui. Le sembrava di conoscerlo da sempre, e le veniva naturale comportarsi così. La sua voce, il suo profumo, il suo viso, i suoi occhi, le sembravano così familiari, anche se era sicura di non averlo mai incontrato prima di quel giorno al mercato. Era come se il suo cuore avesse sempre saputo che l'avrebbe incontrato, come se l'avesse sempre aspettato. E questa era una cosa bella, ma che non riusciva a spiegarsi.

La ragazza a fini di sistemare la camera e scese in cucina, dove l'attendeva la governante.

 

Alexandros fermò il cavallo quando giunse vicino ad un laghetto, verso il fondo del parco. Smontò e si guardò bene intorno: quella radura era molto bella, con una vegetazione lussureggiante. Querce, cipressi, castagni, salici, nonché alberi da frutto, allungavano le loro fronde cariche di fiori, mosse dal vento leggero, creando una fresca e piacevole ombra sull'erba morbida. E il laghetto limpido, abbastanza grande, che sembrava anche abbastanza profondo, gli pareva davvero invitante, così decise di farsi una nuotata nell'acqua fresca. Si spogliò e posò ordinatamente i propri vestiti sulla riva, lasciando il cavallo libero di brucare. Entrò lentamente nel laghetto, rabbrividendo leggermente per la sua freschezza. Procedette finché l'acqua gli arrivò alle spalle, e poi s'immerse completamente, chiudendo gli occhi. Dopo un po' riemerse. Si passò una mano tra i capelli bagnati per tirarli indietro, e poi prese a nuotare, con bracciate lente e decise, godendosi quella bella giornata.

 

Elisabetta sorrise nel sentire l'aria frizzante del mattino accarezzarle il viso. La signora Antoniou le aveva chiesto di andare a prendere dell’achillea e della malva, che crescevano spontaneamente nel grande parco. Avrebbe potuto trovarle comodamente appena uscita dalla porta sul retro, ma, dato che era abbastanza presto e le andava di fare un giro, decise di spingersi più in là. Camminò tranquillamente sull'erba verde, ancora lievemente bagnata di rugiada, passando sotto i grandi alberi e aspirando il profumo dei fiori. Ad un certo punto decise di raccogliere una bella margherita, grande e profumata, e se la infilò tra i capelli. Continuando a camminare trovò quello che cercava, e dopo aver riposto le piantine nel cesto si rialzò. Sentì un leggero sciabordio, scoprendo che lì vicino c'era dell'acqua. E probabilmente qualche anatra o qualche cigno che nuotava. Ma procedendo lentamente per non spaventare gli animali, si accorse che la fonte del rumore non era né un anatra né un cigno. Era il conte, che nuotava tranquillamente, immergendosi e uscendo dall'acqua come un delfino. Era il conte, con il suo fisico statuario, che ora stava uscendo dal laghetto, grondando acqua e mostrandole inconsapevolmente la sua schiena muscolosa, le sue gambe lunghe, e il suo fondoschiena scolpito. Era il conte. Completamente nudo.

 

 

Angolo autrice:

Hola a todos :)

Mi scuso per il ritardo di questo capitolo, ma sapete com'è, quando bisogna studiare...

Cooomunque, chissà come reagirà la nostra Betta vedendo quel bonazzo come mamma l'ha fatto?? Ovviamente lo saprete nel prossimo capitolo eheheh ;)

Spero vi piaccia, e di nuovo un grazie a tutti quelli che leggono la storia, la seguono e la recensiscono!!

Un beso

BlueStarMoon

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Angolo di paradiso ***


Angolo di paradiso

 

Il tempo fluì

Senza fretta,

mentre Primavera ci regalava

i fiori più belli e odorosi.

Ma il fiore più bello, la rosa più graziosa

 era quella

che mi guardava, che mi parlava,

 che con la sua risata

argentina mi riempiva di desiderio.

Il fiore più bello

era quello che non osavo

baciare

nonostante lo volessi

con tutto me stesso.

Era troppo bella e

delicata.

Ma purtroppo

vivendo in quel bellissimo

sogno

ignoravamo il male, che si

addensava in nere nubi

 all’orizzonte.

 

 

 

Elisabetta non sapeva che cosa fare: a pochi metri da lei c'era un bellissimo uomo, nonché suo datore di lavoro e dal quale peraltro si sentiva attratta, senza niente addosso. Non sapeva cosa fare. Si sentì arrossire furiosamente. Indietreggiò velocemente fino a nascondersi dietro un grande albero, imponendosi di rimanere lì e calmare il cuore che le martellava nel petto. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sui rumori della natura e sul solido tronco dell’albero dietro di lei per tranquillizzarsi.

 

Alexandros restò fermo per un po' al sole, mentre si asciugava rapidamente grazie ai suoi raggi e alla leggera brezza che soffiava. Poi si rivestì con calma, sorridendo leggermente. Il vento gli aveva portato alle narici un profumo delicato. Un profumo che lui conosceva già molto bene. Elisabetta era lì. Vicina.

La ragazza decise di uscire da lì dietro, e di far finta di essere appena arrivata. Entrò nella radura mentre il conte s'infilava gli stivali. Lui alzò la testa, la vide e sorrise. Si rimise in piedi agilmente e, dopo aver preso le redini del cavallo, si diresse verso di lei, felice di vederla. Elisabetta sorrise di rimando, osservando le sue lunghe gambe fasciate dai pantaloni muoversi con decisione, e poi sollevando lo sguardo, i suoi fianchi stretti, e poi le spalle, le braccia e il petto, che la leggera camicia bianca copriva, lasciandogli scoperto il collo. Infine il suo viso sorridente, circondato dai capelli ancora umidi.

-Elisabetta! Vedo che trovato anche tu questo piccolo angolo di paradiso- esclamò, sorridendo.

-Sì, signor conte. È un posto bellissimo, isolato e tranquillo-rispose la ragazza, arrossendo mentre ripensava alla scena appena vista.

-Non chiamarmi signor conte. Chiamami Alexandros- le disse lui, ripetendo quello che le aveva già chiesto il giorno prima. Ma lui era un nobile, e lei non poteva permettersi di dargli del tu.

-Ma…- Cominciò a dire lei, subito interrotta dall'uomo, che alzò un’elegante mano bianca per fermare ciò che la ragazza stava per dire.

-Aspetta. Ecco, vedi, quando mi chiami “signor conte” mi fai sentire un vecchio nobile rinsecchito con la puzza sotto il naso, incipriato e imparruccato. Insomma, una mummia.-

Elisabetta sorrise: -Ma voi non siete una vecchia mummia rinsecchita con la puzza sotto il naso, incipriata e imparruccata-

No, non lo sembrava per niente. L'ultima cosa che si poteva dire di quell'uomo bello, elegante e colto era che sembrava decrepito, e né tantomeno era superbo o rigido. Era un'ottima persona, con cui si poteva parlare apertamente, e per di più era un eccellente datore di lavoro.

-Se è così allora chiamami Alexandros. Per favore-

Sembrava tenerci davvero molto, perciò la giovane decise di accontentarlo. L'avrebbe chiamato per nome, però solo quando sarebbero stati soli.

-Come vuoi, Alexandros-

Fu subito ricambiata da uno splendido sorriso, mentre riprendevano a camminare.

 

 

Il tempo passò tranquillamente. Il mese di marzo cedette il passo ad aprile, che infine si tramutò in maggio, con giornate più lunghe e tiepide, accompagnato da un trionfo di fiori e dai primi, dolci frutti. Elisabetta ed Alexandros si erano avvicinati lentamente ma costantemente. Piano piano tra loro si era costruito un bellissimo rapporto di amicizia sincera: parlavano tranquillamente di molte cose, ridevano, scherzavano, e quando lei aveva un po' di tempo libero usciva a fare lunghe passeggiate. Il legame si era creato tra loro come una corda che è formata da tanti fili più piccoli, giorno dopo giorno. Sorriso dopo sorriso. Filo dopo filo. E ora era resistente. Forte. E si fortificarla ogni giorno che passava, ogni volta che si guardavano in silenzio sorridendo, tutte le volte che leggevano libri insieme, tutte le volte che si fermavano in mezzo alle piante del parco a osservare la natura. Ormai nel cuore di entrambi c'era la certezza di essere innamorati l'uno dell'altro, e questo fatto li rendeva ancora più vicini, ancora più legati.

 

Tuttavia c'erano anche delle parentesi tristi in questo bel rapporto, per esempio quando entrambi si chiedevano silenziosamente come avrebbero potuto anche solo pensare di stare insieme. Lui, un nobile; lei una serva. Che futuro avrebbero potuto avere? Lui avrebbe dovuto trovare una ragazza di buona famiglia, nobile, sposarsi e avere una discendenza; lei invece con un po' di fortuna avrebbe potuto sposare uno dei camerieri e condurre una vita tranquilla. Ad ogni modo queste considerazioni infelici occupavano una parte relativamente piccola dei loro pensieri, dato che volevano vivere quella bellissima amicizia nel presente, anche se ormai l'attrazione che provavano era molto forte, così forte che almeno due volte si erano quasi baciati. La prima volta durante un acquazzone improvviso, riparati sotto la quercia e bagnati fradici. Lui le aveva spostato una ciocca di capelli bagnati dalla fronte, e i loro visi si erano trovati estremamente vicini. Così vicini che avevano potuto sentire il respiro dell'altro sul viso. La seconda volta mentre erano sul balcone ad osservare le stelle. Lui le aveva dato la sua giacca perché non sentisse freddo, e ancora s'erano trovati ad un centimetro l’uno dall’altra.

Purtroppo però non sapevano che quel periodo felice sarebbe presto finito, poiché vivevano un idillio, fatto di gioia e affetto.

 

 

Molto lontano da Venezia una carrozza si preparava a partire. Grande, elegante e nera, con ben sei cavalli bianchi, purosangue. L'uomo avvolto in un mantello rosso rabbrividì leggermente; nonostante fosse ormai maggio inoltrato in Scozia di sera faceva ancora freddo. L'individuo si consolò pensando che entro qualche giorno sarebbe tornato nella sua città, finalmente. Era stato lontano per molto tempo, aveva viaggiato in lungo e in largo, per conto della Chiesa, del Papa in persona. Ma ora era tempo di tornare alla sua amata Repubblica, ai canali che ben conosceva, agli affari che aveva lasciato lì.

La voce del suo assistente lo riportò alla realtà.

-Eminenza, la carrozza è quasi pronta. Tra poco partiremo- l'uomo che aveva parlato era mezzo indio e mezzo europeo, vestito elegantemente. I suoi occhi verde chiaro, leggermente a mandorla, i suoi capelli nerissimi e lisci, e la sua pelle chiara gli davano un aspetto esotico e misterioso. Ma non era per questo che lui l'aveva scelto. Infatti Gustavo era incredibilmente sveglio e intelligente, nonché molto forte e abile nel combattimento. E soprattutto era completamente privo di scrupoli e di moralità, cosa che gli serviva per vivere quella parte oscura della sua vita, aspetto che nessuno conosceva.

Stava tornando, finalmente. Stava tornando a casa. E la città sarebbe stata a sua disposizione. Non aspettava altro.

 

 

Angolo autrice:

Hola chavales :)

Ecco qui il settimo capitolo. L’ho scritto abbastanza di fretta per non farvi penare troppo, e anche se l’ho riletto potreste trovare qualche errore di battitura (anche se spero di no!!). Comunque chiedo venia in anticipo XD

Cooomunque, veniamo alle cose serie. Eheh, qui la faccenda comincia a complicarsi: chi sarà il misterioso individuo? E chissà come andrà avanti tra i nostri tenerissimi giovani? Saprete tutto nella prossima puntata… Vi lascio con questo dubbio ;)

Ciao ciao :D

Alla prossima,

BlueStarMoon

 

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Capitolo 8
*** Rivelazioni ***


Rivelazioni

 

In quella tranquilla

sera finalmente

tornai nella mia Venezia,

felice come forse non

ero mai stato.

E festeggiai quel rientro

a modo mio:

solo, ridendo, mentre

 il sangue copioso

scorreva.

 

 

Quell'ultima settimana di maggio fu umida e piovosa. I giorni si susseguirono lentamente, ornati da un cielo grigio pallido e bagnati da una pioggerellina lieve e costante. Elisabetta uscì di casa per andare al mercato accompagnata da Daniele, uno dei garzoni. Di solito andava con Emma, che purtroppo quel giorno non stava bene, e la signora Antoniou non aveva voluto lasciarla andare da sola, perciò l'uomo aveva avuto l'incarico di scortarla. A Elisabetta lui non piaceva particolarmente perché tentava costantemente di conquistarla ed era alquanto rozzo, ma dato il clima di tensione che si era creato nella città si era dovuta adattare. Infatti da qualche tempo giungevano notizie allarmanti: si sentiva parlare di persone aggredite, donne, uomini, ragazzi. Persone che sparivano di notte e venivano ritrovate all'alba nei vicoli, confuse, spaventate, senza sapere come erano arrivate lì, ma soprattutto deboli, pallide e con degli strani segni sul collo. Inutile dire che le guardie che il Doge e il Senato avevano messo al lavoro sulla faccenda non sapevano che pesci prendere: le vittime non vedevano l'aggressore perché era buio e l'individuo portava un mantello con un ampio cappuccio che nascondeva il suo volto, né tantomeno venivano derubate o riportavano lesioni, fatta eccezione per quei segni sul collo. La gente era spaventata. In quel clima di paura si cercava di uscire almeno in coppia, e di tornare prima del tramonto.

 

-A che pensi, Betta?- Le chiese Daniele, curioso.

-A niente in particolare- rispose lei, guardando il viso dell'uomo. Pelle olivastra, capelli scuri, occhi vispi e bocca sempre sorridente, di un sorriso a volte idiota e a volte furbo. Un tipo strafottente, sempre in cerca di un modo veloce, e di conseguenza poco onesto, di far soldi. Gli piaceva giocare d'azzardo, bere e andare a donne e non lo nascondeva. Era sempre coinvolto in qualche losco affare, che si concludeva puntualmente con una rissa e l'intervento dei gendarmi.

-Non è vero, secondo me stai rimuginando qualcosa- le rispose in tono canzonatorio lui cingendole le spalle, e tirandosela vicina. Ecco che ci riprovava.

-E che cosa starei rimuginando?- Domandò lei esasperata, alzando gli occhi al cielo e cercando di liberarsi dal suo braccio e dalla sua mano callosa, che cercava immancabilmente di toccarle il fondoschiena.

 

Daniele avvicinò eccessivamente il viso il suo, sorridendo furbamente.

-Facciamo che se indovino mi dai un bacio?- E fece la boccuccia a cuore sbattendo le palpebre in una patetica imitazione delle ingenue ragazze che seduceva e abbandonava oltre che spassarsela con le prostitute.

È proprio senza speranza, si disse la ragazza, per poi ribattere ad alta voce: -Scordatelo, assolutamente no! Se proprio vuoi divertirti va a spassartela al Val d'amore!- Il Val d'amore era il bordello più ricco e famoso della città. Le donne che vi vivevano e lavoravano erano colte e raffinate, oltre ad essere esperte dell'arte amatoria. Ogni tanto Elisabetta le vedeva uscire in gruppo, avvolte nei loro vestiti di seta e broccato. Da una parte le invidiava perché con quello che guadagnavano potevano permettersi tutto quello che volevano, ma dall'altra si diceva che una vita passata ad accontentare le voglie degli uomini non doveva essere molto bella.

Daniele le si avvicinò ghignando. -Dai, non fare la difficile, lo so che ti piaccio…- Le sussurrò, prima di cercare di baciarla. Ma la ragazza lo spinse via, disgustata. Le sembrava di rivedere suo padre: prepotente, strafottente, senza freni nei vizi. Persino l'odore di quell'uomo glielo ricordava; tabacco e vino misto a sudore. Che maiale. L'uomo non si diede per vinto e cercò ancora di darle un bacio, ma questa volta lei fu più veloce. Si sentì un sonoro schiocco mentre gli tirava un ceffone, e la porta di legno scuro sul retro della casa si spalancò, sorprendendo entrambi: Elisabetta con la mano ancora alzata e l'altro che si teneva la guancia.

 

La signora Antoniou, dritta e impeccabile come al solito, guardò prima la ragazza, con il volto arrossato e gli occhi verdi sfavillanti di rabbia e poi l'uomo, che guardava a terra massaggiandosi lo zigomo. L'unico movimento che fece nel suo contegno di ferro fu alzare un sopracciglio chiaro.

-A quest'ora sareste già dovuti essere al mercato. Sapete che il conte tornerà per mezzogiorno, volete che mangi le gambe del tavolo?- chiese la governante con voce piana, caratterizzata da quel leggero accento greco, stroncando sul nascere la replica di Daniele, che aveva aperto la bocca per ribattere, con uno sguardo gelido. Lui la richiuse stupidamente, ricordando ad Elisabetta un grosso pesce molto ottuso.

-Dovrei richiamarvi entrambi e parlare con il conte- continuò la governante, -tuttavia il caso vuole che abbia sentito il vostro… Scontro. Perciò Daniele, torna in casa e finisci il lavoro di Giovanni. Sarà lui ad accompagnare Elisabetta al mercato. L'ultima cosa che mi serve e che voi due vi prendiate a schiaffi- la voce della donna era asciutta e non ammetteva repliche.

-Certo, signora Antoniou- bofonchiò quello, prima di entrare in casa chiamando Giovanni ad alta voce, lasciando così sole la governante e la ragazza.

-Grazie signora Antoniou. Non l'avrei sopportato un minuto di più- affermò Elisabetta, sinceramente grata alla donna che la guardò dritto negli occhi.

-Di nulla. Comunque se ci riprova dimmelo. Ci penserà il conte a fargli capire che deve lasciarti in pace- rispose, mentre Giovanni, un ragazzo robusto, allegro e solare, con i capelli castano scuro ondulati e gli occhi neri, ridenti, usciva dalla porta sorridendo.

-Buongiorno Betta! Allora, andiamo al mercato?- Esclamò il giovane, con quel suo sorriso tutto fossette, scoprendo i denti bianchi regolari, in contrasto con la sua carnagione ambrata. Quel ragazzo aveva un'allegria contagiosa, che fece presto spuntare un sorriso anche sul viso di Elisabetta.

-Sì. Dai, sbrighiamoci, il conte torna per pranzo!- rispose lei vivacemente. E si avviarono ridendo.

 

 

Nel centro di Venezia tirava aria di tempesta. Il Senato era riunito al completo nella sala più grande e sfarzosa del Palazzo Ducale. Si stava svolgendo una discussione molto accesa da più di due ore, riguardo i provvedimenti da prendere nei confronti del misterioso aggressore notturno; ma nessuna delle opzioni proposte soddisfaceva tutti o almeno la maggioranza dei senatori. Il cardinale Stefano Leone sedeva alla destra del doge Giovanni Corner, invitato dallo stesso.

 

Il capo di Stato era ormai anziano, tuttavia seguiva con vivo interesse l'acceso dibattito, curioso. Invece lui, il cardinale, si guardava in giro, annoiato dalle voci concitate dei membri del consiglio e dalle loro inutili proposte. La sala era molto grande, quadrata: la luce fredda del mattino che entrava dalle finestre illuminava gli splendidi affreschi alle pareti, e si rifletteva sui grandi lampadari di cristallo che disegnavano giochi di luce sul lungo tavolo ovale, di rovere, attorno al quale tutti erano riuniti. Le tende di broccato rosso sangue, l'oro dei candelabri, delle cornici degli specchi, degli orologi e degli intarsi delle preziose e comode sedie damascate su cui erano seduti rendevano molto bene l'idea di potenza della Repubblica. Tuttavia, nonostante lo sfarzo dell'arredamento, la riunione a parere del cardinale era diventata inutile, perché ormai si era arrivati ad un punto morto.

Infatti ad un certo punto gli sfuggì uno sbadiglio di cui il doge si accorse subito.

 

-Siete annoiato, cardinale?- Chiese questi, infatti.

-Per nulla, Serenissimo, è solo che sono stanco per il viaggio- rispose l'altro in modo disinvolto.

-Ah certo, l'incarico del Papa… Com’è  la Scozia?- Il doge sembrava molto interessato.

-È una terra fredda e umida, ma in compenso gli abitanti sono calorosi e ospitali. E soprattutto fedeli alla Santa romana Chiesa-

-Interessante, molto interessante davvero. Dovremmo parlarne da soli con più calma- affermò Corner, facendo gesto ad un valletto di portare il vino, e continuò a voce più bassa: -Comunque, riguardo alla faccenda delle aggressioni, voi cardinale, che siete esperto di criminali, cosa ne pensate?-

Aveva fatto un chiaro riferimento al suo passato di inquisitore.

Se il doge non fosse stato così preoccupato il cardinale sarebbe scoppiato a ridere per l'ironia della situazione, ma si impose di restare serio.

-Beh, Serenissimo, secondo la mia modesta opinione, in base agli elementi che abbiamo, ovvero vittime aggredite di notte, ritrovate deboli e pallide e con quei sospetti buchi sul collo…- S'interruppe mentre il valletto serviva del vino invecchiato, e ne bevve un lungo sorso. Il doge era impaziente di sentire il resto.

-Allora?- Lo incalzò. Lui lo guardò dritto negli occhi e per la prima volta lo vide intimorito davanti all'autorità che il suo sguardo azzurro ghiaccio, la sua tunica rossa e la sua grossa croce d'oro esprimevano. L'autorità della Chiesa.

-Allora, Serenissimo, vuol dire che ci troviamo davanti una creatura del demonio, e a quanto pare sono tornato giusto in tempo per trovarla e combatterla- la sua voce bassa e tesa fu come uno schiaffo per il capo di stato.

-Una… Creatura del demonio?- Chiese Corner con un debole pigolio. Si afflosciò sulla sedia come un sacco di patate, sembrando improvvisamente molto più vecchio.

E l'altro rispose alzando la voce, che sferzò l'aria zittendo tutti.

-Sì Serenissimo, una creatura del demonio. Quello che voi cercate, che ormai tutti cerchiamo, che deve essere eliminato- si interruppe un secondo, per poi riprendere con più forza di prima, i freddi occhi che fiammeggiavano -è un vampiro-

 

 

Angolo autrice

Ciao ragazzi!!! Allora, che ne dite? La faccenda è interessante?

Ne approfitto per dire una cosa: per il mio modello di vampiro NON mi sono ispirata alla Meyer, ma ad altri autori, secondo i quali i vampiri fanno tutto quello che fanno gli umani (compreso dormire e mangiare), non sono sberluccicosi e non perdono il colore degli occhi. Sono comunque molto più forti degli umani e alcuni possono presentare dei ‘’poteri speciali’’ anche se ripeto NON sono come i vampiri di twilight. E soprattutto bevono SOLO sangue umano.

Ho fatto così perché secondo me un vampiro è molto più intrigante se è più simile agli esseri umani, e poi sinceramente, una creatura del genere che beve sangue animale mi fa un po’ ridere!

Spero di essere stata chiara :)

Besos a todos

BlueStarMoon

P.S: ogni riferimento a cose, persone o fatti reali è puramente casuale, soprattutto per quanto riguarda Giovanni!! (chi deve intendere intenda XD)

 

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Capitolo 9
*** Tensioni ***


Tensione

 

Quella sera non restammo a

parlare: lui mi sembrava triste.

Credendo che non stesse bene lo lasciai

solo a riposare, ma quando

tornai da lui per portagli

 qualcosa di caldo

 trovai

La stanza vuota e la finestra

aperta.

Le tende si agitavano

al vento come anime in

cerca di pace.

 

 

Anche se ormai

uscire era diventato molto

pericoloso per me

quella sera decisi di andare

 lo stesso.

Non potevo correre il rischio di

farle del male, tenevo troppo

a lei, il solo pensiero che il mio istinto

 potesse prendere

il sopravvento

mi riempiva di orrore.

 E allora la notte mia amica

mi avvolse in un mantello

 nero come la pece, senza stelle,

mentre cacciavo.

 

 

Dovevo trovarlo, chiunque

fosse. Trovarlo e ucciderlo.

Non sarei stato tranquillo finché

non avessi visto il suo corpo

 bruciare.

 

 

La città era stata tappezzata di copie dell'ordinanza del Senato, che recitava a grandi caratteri neri:

Chiunque abbia informazioni sull'aggressore dovrà recarsi da Sua Eminenza il cardinale Stefano Leone, a cui è stata affidata là conduzione delle indagini. Chiunque sia in possesso di indizi, prove o testimonianze e non informi le autorità sarà considerato complice del criminale, processato e condannato con lui.

Il sorriso di Elisabetta scomparve mentre leggeva quelle righe. Ci mancava solo un uomo di Chiesa a guidare le indagini, dato che la Chiesa finiva sempre per prendersela con le persone sbagliate solo perché erano straniere o di un'altra religione, o semplicemente perché spiccavano tra la folla per la loro bellezza o per la loro intelligenza. La ragazza si voltò verso Giovanni, ed ebbe la conferma nella sua espressione preoccupata che il giovane aveva pensato la stessa cosa. Il conte era straniero, bello, estremamente colto intelligente e per di più ortodosso.

-Sbrighiamoci a fare la spesa e a tornare a casa. Quest'aria tesa non mi piace- affermò la ragazza, guardandosi intorno. La piazza del mercato, di solito sempre gremita di gente, quel giorno era quasi vuota. Le poche persone presenti si muovevano con aria circospetta, e sembravano avere anche loro una gran fretta di tornare a casa. Infine i passi di marcia dei gendarmi, regolari e scanditi, rendevano l'atmosfera ancora più pesante. Una cappa di inquietudine opprimeva la città.

-Sì, hai ragione. Meglio muoversi- concordò Giovanni, seguendola verso la bancarella della signora Maria.

L'anziana sbrigava gli affari di fretta e sembrava invecchiata improvvisamente, tuttavia un lieve sorriso le apparve sulle labbra quando la vide.

-Elisabetta! È un po' che non ti vedo… Non sei stata aggredita, vero?- Chiese improvvisamente preoccupata.

-No, fortunatamente no. Spero non lo siate stata neanche voi-

-Oh, io no ,grazie al cielo, ma purtroppo mia nipote sì- rispose la signora tristemente.

Rosa, la nipote della venditrice, era una solida donna di venticinque anni, sposata, e con due bellissimi bambini biondi come lei, con le sue stesse lentiggini e i suoi stessi occhi castani e dolci. Ad Elisabetta spiaceva davvero che fosse stata assalita, dato che la conosceva e sapeva che era un'ottima persona.

-State tranquilla signora, si riprenderà presto- la rassicurò la più giovane, posandole una mano sul braccio. L'altra annuì sorridendo e poi il suo sguardo si fermò su Giovanni.

-E questo bel giovanotto chi è?- chiese curiosa, facendo arrossire entrambi i ragazzi.

-Si chiama Giovanni ed è un mio amico. Lavora anche lui a casa del conte- rispose Elisabetta, con le guance in fiamme.

-Amico! Di solito queste amicizie finiscono con un bel matrimonio- assicurò la donna, annuendo con l'aria di chi la sapeva lunga.

-Signora Maria!- esclamò la giovane, scandalizzata, e Giovanni affermò, con il viso tendente al bordeaux:-Non oserei mai farle la corte se non avessi la certezza di piacerle. E poi so che a lei piace la libertà-

La venditrice dopo averlo osservato rispose:- E invece devi osare. Chi non osa non fa strada, ragazzo mio- e s'interruppe, mentre i gendarmi portavano verso il carcere un uomo, che si dibatteva con tutte le sue forze. Il primo sospettato.

-È terribile- disse la donna ai ragazzi, abbassando la voce -se la stanno prendendo soprattutto con gli ebrei e i gitani. I primi perché non sono cristiani, i secondi perché sono nomadi. Ieri due guardie hanno bastonato un pover'uomo del Ghetto perché secondo loro era sospetto… E quel cardinale di certo non aiuta. Ho sentito dire che ha mandato al rogo moltissime ragazze solo perché erano giovani e belle. Certo, è una faccenda di più di trent'anni fa, ma sapete com'è, il lupo perde il pelo ma non il vizio-

La ragazza annuì gravemente. -Sì, immaginavo che si sarebbero comportati così. E noi siamo preoccupati per il conte-

-Il conte? E perché mai?- La signora Maria appariva costernata.

-Temiamo che possa essere sospettato- continuò Giovanni.

-Sciocchezze, il conte è un nobile, non gli faranno nulla… I nobili se la cavano sempre…- ma la signora venne interrotta dal ragazzo: -però non è cattolico, e per di più non è di Venezia. Scommetto che per il cardinale questi saranno elementi sufficienti per farlo arrestare-

-Oh cielo, speriamo di no!- esclamò la signora, preoccupata, portandosi una mano al cuore. -L'ho visto poche volte e ho avuto l'occasione di scambiarci soltanto due parole, ma mi sembra una persona così composta… Certo, come tutte le persone normali avrà qualche difetto, ma da qui a dire che un criminale…- E continuò a brontolare contro i gendarmi e il cardinale, mentre dava ai ragazzi tutto ciò che le avevano chiesto. Mentre i due se ne andavano lei li guardò impensierita, distrattamente. Sì, c'era proprio da preoccuparsi se persino il conte correva il rischio di essere arrestato.

 

 

Alexandros entrò nel grande atrio del palazzo ducale, intuendo il perché della convocazione di tutti i ricchi possidenti della città. Quel grande spazio era arredato sfarzosamente anche se con buon gusto: toni freddi e caldi si accostavano armoniosamente; le tende blu notte stavano molto bene con il tessuto cremisi delle poltrone, abbinato a sua volta ai morbidi tappeti sul pavimento di pietra. Alle pareti campeggiavano i ritratti dei predecessori di Corner, e anche alcuni dipinti di bellissimi paesaggi. I mobili di legno scuro non appesantivano per nulla l'ambiente, poiché erano resi più luminosi da intarsi d'oro e d'argento. Per completare il tutto enormi mazzi di fiori posti in graziosi di vasi di porcellana cinese spandevano un profumo molto gradevole.

Gli venne incontro un servitore, che lo guardò titubante. Era un valletto, poco più che un ragazzino, basso e magro.

-Signore- chiese, con una voce a metà tra i toni fanciulleschi e quelli adulti, facendo leggero inchino -chi cercate?-

Sono stato convocato dal doge per la riunione di questa mattina- rispose lui, togliendosi i guanti bianchi. Erano l'unico vezzo che si concedeva, dato che cappelli non lo attiravano e odiava le parrucche. Guardò il ragazzo, che subito abbassò lo sguardo.

-Prego, seguitemi- lo invitò, sempre senza guardarlo, indicando un’imponente scalinata. Alexandros salì, seguito dal paggio. I loro passi echeggiavano sul lucido marmo bianco. Nel silenzio percorsero un lungo corridoio dal soffitto alto e affrescato, con grandi lampadari preziosissimi, di vetro. Ogni dieci passi erano situate delle statue, busti di precedenti dogi alternati a divinità classiche.

-L'assemblea è riunita nella stanza là in fondo- la informò il ragazzo, dietro di lui.

Ovviamente, si disse l’altro, guardando l'imponente portone di legno di quercia, con intagli di legno di rosa.

-Hanno cominciato da molto?- chiese al paggio, che subito rispose: -Oh no, non hanno ancora iniziato dato che mancano due membri del Consiglio dei Dieci-

Erano arrivati davanti ai grandi battenti.

-Aspettate qui- gli disse il più giovane, per poi aprire la porta ed entrare ad annunciarlo. Alexandros non sapeva perché ma si sentiva addosso un'angoscia innaturale. Un brivido freddo lungo la spina dorsale. Gli conveniva essere cauto, dato che il suo istinto non sbagliava mai. Il valletto gli fece cenno di entrare e lui fece il suo ingresso nella stanza.

 

Il cardinale stava uscendo dai sotterranei dei Piombi, serio. Il sospettato era stato torchiato per ore, ma avevano capito che era innocente. Un buco nell'acqua, uno spreco di tempo ed energia, dato che alla fine si era scoperto che era uscito di notte per andare a spassarsela con delle prostitute a insaputa della moglie. E ora lui e le guardie avrebbero dovuto ricominciare da capo. Fortunatamente Corner aveva avuto la buona idea di convocare a palazzo i potenti della città per chiedere loro di aiutare i gendarmi con le loro risorse. Ovviamente avrebbero accettato tutti per paura di eventuali punizioni divine annunciate da lui stesso, o meglio, quasi tutti: aveva infatti saputo che era arrivato da poco un conte greco, il quale avrebbe potuto anche non accettare di aiutarli, dato che come ortodosso non era tenuto ad obbedire alla Chiesa cattolica, ma chissà. Oltretutto, con tutto quello che aveva sentito dire su di lui non vedeva l'ora di conoscerlo. Sarebbe dovuto andare a palazzo, in modo da poter finalmente vedere chi era questo affascinante nobile di cui tutti parlavano, tuttavia non aveva voglia di darsi alla vita sociale e politica, perciò decise di andare a cercare Gustavo, che collaborava con le guardie, per sapere come stavano andando le ricerche.

 

 

Nello stesso istante in cui il cardinale decise di non recarsi alla riunione Alexandros sentì quell’angoscia sparire, all’improvviso com’era venuta.

 

 

Quella sera Elisabetta quando salì nella camera del conte lo trovò seduto su una poltrona di fronte alla finestra, con in mano un bicchiere di liquore. Era messo a tre quarti rispetto a lei, e osservava il cielo pensosamente.

-Signor conte, vi sentite bene?-Domandò lei dopo aver bussato discretamente alla porta semiaperta.  Lo aveva chiamato così perché anche se in quel momento erano soli qualcuno passando avrebbe potuto sentirli.

Lui si voltò verso di lei. Sembrava felice di vederla anche se alla ragazza pareva diverso dal solito.

-Sì, tutto a posto. Ti ringrazio. Buonanotte- le rispose, per poi tornare a guardare fuori. Adesso che lo guardava bene più che pensieroso le sembrava malinconico. Si domandò cosa fosse successo ma non fece domande per non disturbarlo.

-Buonanotte- replicò la ragazza prima di scendere.

Intanto Alexandros rifletteva: la sete era tornata, dato che erano otto giorni che non andava a caccia. I suoi occhi ormai erano divenuti quasi completamente neri, e per la prima volta il profumo di Elisabetta gli era sembrato invitante, molto invitante. Non gli era mai capitato di dover serrare i denti e concentrarsi su altro per non avere la tentazione di saltarle alla gola. Non c’era altra soluzione, doveva andare a caccia. Era pericoloso, lo sapeva, poiché le guardie e gli uomini che gli altri nobili avevano messo al servizio della città lo cercavano. Lui era riuscito a mantenersi nel mezzo, affermando che aveva assunto pochi domestici, che quindi gli servivano tutti, ma che comunque avrebbe fatto il possibile per supportare l’inchiesta. Non aveva conosciuto il cardinale, di cui tutti i componenti del Consiglio parlavano, poiché l’ecclesiastico aveva mandato a dire che non stava bene. Tuttavia si era sentito sollevato dall’assenza dello sconosciuto, e non riusciva a spiegarsi il perché.

Alla fine si alzò, dato che aveva preso la sua decisione. Il rischio della caccia gli sembrava ben poca cosa paragonato a quello di ferire Elisabetta.

Elisabetta era in cucina a preparare una tazza di tisana per il conte, pensando che per lui sarebbe stata una gradevole sorpresa. Salì le scale portando il vassoio, e rimase a bocca aperta quando vide una figura rimanere per un attimo sospesa in un poderoso salto nell’aria notturna. Dopo un secondo era sparita, lasciando nell’aria un profumo speziato. Alla giovane cadde di mano tutto il vassoio. Le tazze e la teiera di infransero sul pavimento, facendo schizzare l’infuso dappertutto. Lo zucchero si sparse sul pavimento. Il cucchiaino d’argento tintinnò sul marmo. La giovane s’impose di restare calma, anche se un terribile sospetto si fece strada nel suo cuore. E se lui fosse stato…? No, non poteva crederci.

 

Angolo autrice

Ciao bella gente! Come va? Spero che anche questo capitolo vi abbia soddisfatti! Non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni per sapere cosa ne pensate :D

Un grazie supermegagalattico a chi segue la storia!! 

Buon ponte di Carnevale,

alla prossima

BlueStarMoon

 

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Capitolo 10
*** Angelo peccatore ***


Angelo peccatore

 

Mi accorsi troppo

 tardi che lei mi aveva

 visto, ma ormai non

potevo fermarmi.

Avvertii il suo profumo dolce,

che mi fece bruciare la gola

come l'inferno.

Così mi allontanai,

mentre dai miei

occhi scendevano lacrime

che credevo di non poter

più versare.

 

Che cosa gli avrei

detto quando

l'avrei rivisto?

Avevo creduto fosse un

angelo, e ora

sospettavo

che fosse un

demonio…

Quella notte nera più del nero

fu inquieta,

popolata da incubi.

 

-Elisabetta, vieni!- Le gridò lui, mentre le tendeva le braccia sorridendo. Erano nel giardino della villa, che ormai conosceva bene, però guardando con attenzione si accorse che era diverso: gli alberi apparivano contorti, piegati su loro stessi, nodosi. Sterili, senza foglie. L'erba era secca, gialla. Il cielo grigio sopra di loro andava scurendosi, mentre un vento che non aveva nulla di naturale si alzava. All'improvviso si sentì afferrare da dietro, e un attimo dopo due labbra morbide erano posate sulle sue. Gelide. Lui la baciò con irruenza, facendole sentire un sapore strano, ferroso. Quando si staccarono lei lo guardò e si portò le mani alla bocca con orrore. Si vide riflessa nei suoi occhi scarlatti che la guardavano con desiderio, un desiderio che aveva un che di animalesco, un rivolo di sangue gli colava da un lato della bocca rossa. Lui se lo leccò via e poi, prima che lei potesse fare un solo movimento le prese la mano, trasmettendole il gelo del suo corpo, e la fece voltare verso la villa. Vuota. Abbandonata. In rovina.

-Guarda- le sussurrò con voce profonda, quasi un ringhio -guarda la nostra dimora- e cominciò a ridere. Una risata sensuale e sommessa, che diventò sempre più forte, mentre quel vento tagliente come un rasoio faceva muovere il suo mantello rosso sangue in un turbinio sinistro. Un fiume di sangue, in contrasto con il suo vestito nero. Nero come la morte. Il suo viso bianco, come di gesso, con un'espressione demoniaca. Quel viso perfetto, ora bello di una bellezza cattiva, crudele. Una bellezza mostruosa. Sangue che scorreva, sangue che la sommergeva lentamente. I corpi della governante, di Emma, di Clara, di Giovanni, tutti riversi a terra, nel sangue. La risata di lui, di Alexandros, dell'uomo che aveva scoperto di amare, forte come quella di un pazzo, possente e intrisa di malvagità come quella del demonio.

 

Elisabetta si svegliò urlando, in un bagno di sudore.

-Betta, stai tranquilla! Per l'amor del cielo, calmati, era solo un incubo, solo un incubo. Ora sei al sicuro. Sta’ tranquilla, shhh…-

Lentamente Elisabetta si rese conto che quello che aveva visto era stato solo un sogno orribile, anche se si sentiva riecheggiare nella testa quella risata spaventosa. Nella camera con lei c'erano Emma e Clara, entrambe pallide e preoccupate.

-Ci hai fatto davvero spaventare: gridavi nel sonno e noi non riuscivamo a svegliarti…- esclamò Emma, mentre Clara annuiva.

-Mi spiace avervi fatto prendere un colpo… Probabilmente ho fatto questo sogno perché non è un bel momento… Sono preoccupata- confessò lei.

-E chi non lo è in questo periodo? Quel vampiro, il cardinale, i sospettati…- replicò Clara, scuotendo la testa.

Elisabetta guardo fuori dalla finestra. Era ancora buio. Notte fonda. Chissà se il conte era già tornato. Rabbrividì al solo pensiero, ricordando il sapore che aveva sentito nel sogno. E pensare che aveva fantasticato su di lui, che aveva desiderato che la baciasse davvero. Sospirò. Forse era meglio non pensarci.

-Dai  Betta, vieni a bere una tisana, ne hai proprio bisogno- la voce di Emma la riportò alla realtà, mentre l'altra ragazza le prendeva la mano, facendola alzare dal letto.

-Sì, direi che una tisana fa proprio il caso mio- replicò lei. Una bevanda calda l'avrebbe calmata e l'avrebbe aiutata a dormire.

 

 

Alexandros rientrò nella sua camera dalla finestra. Quella notte aveva fatto in fretta, pervaso dalla stessa angoscia del giorno prima. Perché, si chiese perché questa sensazione? Non mi ha visto nessuno, nessuno sa chi sono veramente… Poi si corresse mentalmente, mentre rivedeva un paio di occhi verdissimi, di un verde incredibilmente intenso. Occhi pieni di stupore, di paura. Elisabetta lo aveva visto, aveva capito cos'era. Ora non avrebbe più voluto vederlo, o peggio, l'avrebbe potuto denunciare, ed entrambe le cose sarebbero state giuste, dato che lui era un mostro. Tuttavia il solo pensare di essere allontanato da lei gli faceva male. Un dolore netto in mezzo al petto. Per la prima volta dopo secoli provava di nuovo sensazioni umane. Paura, dolore. E lui che credeva di essere diventato indistruttibile. Si sedette sul letto, sentendo tutto il peso dei suoi duecentottantatrè anni.

 

 

Elisabetta rientrò in camera con le altre due ragazze. L'infuso alla malva aveva avuto un effetto rilassante, anche se il sonno non era ancora tornato.

-Buonanotte. E scusatemi ancora per lo spavento- disse rivolta alle due ragazze.

-Figurati. Ora riposa. Buonanotte- rispose Clara sorridendole prima di spegnere la lampada a olio.

La ragazza rimase sveglia lungo a pensare. E ora, ora cosa avrebbe fatto? Se non avesse denunciato il conte lui avrebbe continuato ad aggredire le persone, e se invece l'avesse denunciato lei e tutti gli altri domestici avrebbero perso il lavoro. La signora Antoniou, Emma, Clara, Giovanni e tutti gli altri… Sarebbero finiti in mezzo alla strada.

Ricordati che non ha ucciso nessuno, le sussurrò una vocina saggia nella sua testa.

Sì, ma non è umano. Non è come noi. Solo il cielo sa quanto ho vissuto, se ha mai ammazzato qualcuno o chissà cos'altro… Ribatté un'altra vocina, più indecisa e agitata della prima.

Questo non puoi saperlo se non parli con lui. Con te e con gli altri è sempre stato cortese e rispettoso, cosa ti fa credere che non possa continuare ad esserlo? Domani va’ da lui e parlagli. Glielo devi, perché ti ha accolto in casa sua e ti ha dato di che vivere per tutto questo tempo, fu la risposta categorica della prima vocina.

, si disse Elisabetta. Il giorno dopo sarebbe andata da lui.

La giovane si girò di fianco e si addormentò, di un sonno profondo e senza sogni.

 

Alexandros si alzò presto, e dopo essersi vestito decise di andare in camera di Elisabetta. Aveva bisogno di guardarla, di imprimersi nella memoria ogni suo tratto, ogni particolare, dato che forse quel giorno lei l'avrebbe denunciato e lui non avrebbe più potuta vedere. Attraversò il corridoio lievemente illuminato dalla tenue luce rosata dell'alba, per poi arrivare davanti alla porta della stanza che la ragazza divideva con Clara ed Emma. Aprì piano la porta ed entrò senza fare rumore. Lei dormiva vicino alla finestra. Era girata su un fianco. Il viso, disteso nel sonno, era di una purezza sublime: bianco, con le guance lievemente rosate, e le palpebre, dello stesso lievissimo lilla delle nuvole nel cielo, celavano gli occhi forse più belli che lui avesse mai visto: verdi, di un verde incredibilmente brillante, la promessa di rigogliose e lussureggianti foreste selvagge e inesplorate. Occhi limpidi, eppure ammaliatori. Casti, eppure maliziosi. Le lunghe ciglia chiare le sfioravano le guance di pesca, che lui aveva voglia di riempire di baci. Le labbra lievemente dischiuse, rosse, lo attiravano come un frutto maturo succoso. E poi i capelli. Una fluida cascata di lunghe onde ramate, sparse sul cuscino. In quella posizione, di fianco, sembra una sirena inconsapevole del fascino che emanava. Pura, poiché dell'amore non sapeva nulla, eppure in un certo qual modo seducente ai suoi occhi, con quei modi freschi e spontanei. La ragazza si mosse nel sonno, facendo scivolare lievemente verso il basso il lenzuolo, scoprendo il collo aggraziato e la delicata linea di una spalla.

 

Alexandros si era inginocchiato di fianco al letto, affascinato da tanta bellezza. Quella ragazza non sembrava neanche una creatura terrena. Le scostò una ciocca di capelli dal viso, con un tocco leggero come una piuma, per poi sfiorarle una guancia, lieve come un soffio. Lui l'amava, in un modo completo travolgente, ma dopo quello che le aveva visto forse era troppo sperare che lei lo ricambiasse. Dopo averle rimboccato il lenzuolo si alzò e uscì dalla stanza, mentre il sole si alzava nel cielo.

 

 

Elisabetta fu svegliata dalla carezza dei raggi di sole sul viso. Si trovò sola nella stanza, capendo che Emma Clara avevano preferito lasciarla riposare, dopo l'agitazione della notte precedente. Del resto di domenica non c'era molto da fare, e poi lei aveva bisogno di un po' di tempo per parlare con il conte. La ragazza vide che sul tavolo c'era un vassoio, e vicino ad esso c’era un biglietto scritto con una grafia piccola e ordinata. Avvicinandosi avvertì l'aroma del caffè e dei pasticcini. Prese una pasta alla crema e lesse il foglietto.

 

Clara ed Emma mi hanno detto che non ti senti bene, spero non sia nulla di grave.

Riposa.

Giovanni

P.S: il conte chiede se nel primo pomeriggio ti va di andare nel suo studio.

 

Bene, pensò la giovane. Dopo pranzo andrò da lui.

 

 

Due colpi discreti alla porta.

-Avanti- disse Alexandros , alzando gli occhi dalla lettera che stava leggendo. La porta si aprì ed Elisabetta entrò nella stanza. Bellissima. Determinata. Era cambiata moltissimo da quando era arrivata lì. Da timida e riservata era diventata decisa e disinvolta, anche se aveva mantenuto lo stesso candore che l'aveva conquistato.

-Prego, siediti- la invitò lui, indicandole una sedia imbottita.

-Grazie- rispose lei accomodandosi.

-Spero che tu ti senta meglio-

-Sì, ora mi sento bene, vi ringrazio-

Sembrava che la ragazza volesse aggiungere qualcosa, ma rimaneva zitta.

-Elisabetta, guardami- le disse lui. Lei sollevò sguardo sul suo viso, rendendosi conto che quello che aveva sognato aveva ben poco a che fare con quello che vedeva.

-Dimmi cosa pensi di me, di cosa sono. Dimmi cosa hai deciso di fare. Mi denuncerai o no?-

Gli occhi del nobile si fissarono in quelli della ragazza. Blu nel verde. Zaffiri e smeraldi. Brillanti come stelle nel cielo.

 

 

Angolo autrice

Ciao ragazzi :)

eccomi qui con il decimo capitolo (mi scuso per il ritardo, ma in questi giorni ho avuto da fare)

che ne pensate? Chissà cos'ha deciso la nostra Betta… Lo scoprirete nella prossima puntata ;)

ciao, alla prossima!

BlueStarMoon

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Ulivo e vite ***


Ulivo e vite

 

Ora che sapevo chi era

lui mi spaventava

eppure mi affascinava,

poiché vedevo l'ignoto

in qualcuno che ormai

credevo di conoscere.

Chissà cosa aveva visto,

chissà cosa aveva fatto.

Di fronte a questa

scoperta mi sentivo

insignificante:

cos’erano diciotto anni

di vita in confronto

a secoli?

 

Quel giorno venne da

me.

Bellissima.

Sapevo che mi avrebbe

fatto molte domande,

che avrebbe voluto

 conoscere la mia storia.

Così le raccontai di

 me, e alla fine

feci ciò che avevo

sempre desiderato,

da quando l'avevo

vista.

 

La stanza rimase per qualche attimo nel più completo silenzio mentre Elisabetta rifletteva sulla risposta. Che dire? L'avrebbe denunciato o no? Non lo sapeva, non aveva idea di cosa avrebbe fatto. E mentre guardava la sua giacca beige, appoggiata sulla sedia accanto a quella su cui era seduta, nella sua mente si faceva avanti la curiosità. La curiosità di sapere di lui: chi era davvero, quando era nato. Come aveva vissuto, come era diventato ciò che era.

-Non lo so ancora- ammise, per poi affermare con voce decisa e ferma: -Prima voglio sapere di voi. Di te- nonostante la correzione il suo tono risultò molto convinto.

-Cosa vuoi sapere?- chiese lui, congiungendo le mani candide, quasi dello stesso colore della camicia immacolata che indossava.

-Chi sei, chi sei davvero. Quando sei nato. Come sei diventato… Così- rispose la giovane.

L'altro sorrise lievemente. -Domande legittime, soprattutto dopo quello che hai visto. Per quanto riguarda il mio nome ti ho detto la verità: mi chiamo davvero Alexandros Demetriou , e sono davvero greco. Tuttavia ti ho mentito a proposito della mia età. Sono nato ad Atene all'inizio di luglio, nel 1430. Mio padre era colonnello della marina, perciò sono praticamente cresciuto sulle navi, dove lui mi ha insegnato tutto quello che so sul mare. Mia madre invece si occupava dell'ospedale del centro, coordinava e organizzava il personale. Mi ha trasmesso l'amore per la letteratura. Avevo due fratelli e due sorelle. Io ero il primogenito- s'interruppe, ricordandoli tutti: suo padre, Petros. Gioviale, ottimista, indulgente con lui e i suoi fratelli. Alto, con i capelli scuri come lui e i suoi stessi occhi blu. Sua madre, Caterina. Una donna dolce e amorevole, devota a Dio e al marito. Bionda, con gli occhi castani. Sempre tranquilla, fiduciosa. E i suoi fratelli: Stavros, il secondogenito, studioso e preciso. Rivedeva ancora la sua testa bionda chinata sui libri che adorava leggere. Yorgos, il terzogenito. Bruno, con l'argento vivo addosso, sempre a pensare ad allenarsi con la spada. E infine le sue adorate sorelle, Athena e Andromeda. La prima con i capelli e gli occhi castani, e corporatura solida, tranquilla e composta, e Andromeda, la piccola della famiglia, adorata da tutti. Un folletto. Piccola, vivace, con una cascata di capelli neri mai in ordine e due grandi occhi neri che si spalancavano quando lui, il suo fratellone preferito, come lo chiamava lei, le raccontava storie di pirati e banditi.

 

I loro visi, i momenti più belli e sereni vissuti con loro gli passarono in fretta davanti agli occhi, lasciando un'impronta di dolore e malinconia.

-E che ne è stato di loro?- La voce di Elisabetta sembrava giungere da molto lontano.

-Morti. Uccisi dai turchi- fu la sua risposta asciutta.

Quel ricordo vividissimo. Aveva visto. Aveva visto la vita abbandonare gli occhi e i corpi dei suoi cari. Aveva sentito le risate dei soldati. Aveva percepito l'odore del sangue.

-Quando…?- La determinazione della ragazza si stava sgretolando. Era davvero giusto fargli ricordare quegli eventi terribili per il suo egoistico bisogno di sapere?

 

Lui stava già rispondendo con voce neutra, anche se sui pugni chiusi tradivano la tensione che provava.

-Nel 1453. Costantinopoli fu conquistata dagli ottomani. L'impero cadde. Tantissima gente fu uccisa, derubata, torturata… La mia città, messa a ferro e fuoco, cadde in mano ai nemici…- la voce di Alexandros era bassa, più profonda del solito. I suoi occhi brillavano di quei sentimenti che aveva provato quando quei fatti terribili erano accaduti. Rabbia, dolore e tristezza si mescolavano nel blu profondo delle sue iridi, rendendole più scure e intense, quasi un mare in tempesta, e facevano capire alla ragazza che quegli avvenimenti così lontani per lui erano ancora recenti. Ferite ancora aperte e sanguinanti.

-E… Come sei diventato… Così?- gli chiese incerta. Stava scoprendo cose che non era sicura di voler sapere, chissà cos'altro le avrebbe detto. Tuttavia sapeva benissimo di non potersi fermare ora che aveva cominciato.

-Sei sicura di volerlo sapere?- Le chiese lui, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la finestra. Ora la sua alta figura si stagliava contro la luce di quel pomeriggio di fine maggio. Elisabetta gli sembrava scossa, sedeva pallida e tesa. L'ultima cosa che voleva era spaventarla con la sciagurata storia della sua vita.

Da dietro di lui giunse un flebile -Sì-.

-Bene-replicò lui, e continuò a raccontare: -Dopo la morte della mia famiglia decisi di combattere contro i turchi. Decisi di vendicare i miei cari. Combattei per settimane, in una città ormai trasformatasi in un campo di battaglia, lottai insieme ad altri sopravvissuti, altri ribelli. Poi un giorno ci scontrammo con troppi soldati. Ne uccidemmo qualcuno, ma alla fine fummo circondati e fummo costretti alla resa. Mentre ci portavano via riuscimmo a liberarci, poiché le corde erano rese scivolose dal sangue. Cominciamo a correre, ma io, dato che ero stato ferito ad una gamba non andai molto lontano. Mi ripresero in fretta- gli avevano dato un colpo in testa e il buio lo aveva avvolto.

-E poi? Cosa è successo?- Elisabetta si era aggrappata alla sedia, il busto inclinato in avanti per non perdere nemmeno una parola, una sillaba, di quello che diceva. Stava trattenendo il respiro, impressionata da ciò che lui le stava dicendo.

-Mi svegliai in una segreta, incatenato. Fui torturato in modo terribile, perché gli aguzzini volevano sapere dov'erano scappati nei compagni, ma io non parlai. Quando si stancarono di accanirsi su di me mi lasciarono in fin di vita. Persi i sensi, convinto che sarei morto, tuttavia qualcuno mi portò via da lì e mi morse. Mi svegliai dopo tre giorni in un palazzo abbandonato. Ero guarito, molto più forte e soprattutto avevo sete. Sete di sangue- s'interruppe e si voltò verso di lei, che con timore gli fece l'ultima domanda a cui aveva pensato.

-Vorrei sapere un'ultima cosa, e ti prego di essere sincero come sei stato fino ad ora. Hai mai… Ucciso qualcuno? Come vampiro, intendo-

Lui la guardò intensamente. Perché mentirle? Ormai le aveva detto tutto.

-Sì- rispose -ho ucciso i miei aguzzini. Fu il primo pensiero che mi attraversò la mente quando mi svegliai. Il mio istinto mi suggerì dove andare. Sentii il loro odore. Li trovai e li uccisi, bevendo il loro sangue fino all'ultima goccia. Ora non ne vado particolarmente fiero, ma ero infuriato e la voglia di sangue era fortissima. Da quella volta però decisi che non avrei più ucciso nessuno. Per qualche strana ragione non sono velenoso, perciò le mie… Prede non diventano come me-

La ragazza rimase in silenzio. Alexandros si voltò verso di lei e le disse: -Non ho chiesto io di diventare così, ma è vero che chi mi ha morso era fatto un favore: mi ha permesso di viaggiare, di apprendere tantissime cose, molte più di quelle che può imparare un essere umano. Mi ha permesso di vendicarmi. Mi ha permesso di conoscerti. E se prima ero convinto che la mia esistenza fosse inutile, ora so che serve a qualcosa, che ha uno scopo. Vivere qui, con te e gli altri, ricominciando pian piano una nuova vita- la guardò intensamente, e lei dopo qualche istante rispose, distogliendo lo sguardo dal suo viso.

-Io…- cominciò lei con tono incerto -Io non so cosa dire, non so cosa fare. Hai dimostrato un enorme coraggio cercando di difendere la tua patria. Quello che ti hanno fatto è terribile, si può dire che diventare un vampiro per te sia stata una fortuna, dato che saresti morto sicuramente se fossi rimasto là. Però sai che dovrei denunciarti, sai quante persone sospettate di essere te sono state arrestate. Sono state interrogate in modo orribile, nello stesso modo in cui hanno interrogato te tanto tempo fa. Dovrei denunciarti per scagionarle, ma non posso-

Elisabetta s'interruppe, fece un respiro profondo, si alzò e continuò in tono più deciso: -Non posso, non posso denunciarti, anche se bisogna fare qualcosa per liberare i sospettati. Non posso perché se lo facessi noi finiremmo tutti in mezzo alla strada, e nessuno ci assumerebbe. Te lo immagini? Servitori di un vampiro. Non ci vorrebbe nessuno. Di me non mi preoccuperei molto, ma gli altri? Non hanno nessuno che possa aiutarli. E non posso anche per un altro motivo, forse egoista, ma per me è importantissimo-

Alexandros si avvicinò a lei, allontanandosi dalla finestra.

-E qual è?- le chiese, ansioso di saperlo. Erano vicinissimi, i loro respiri si confondevano, lievi.

-Io… Io…- balbettò la ragazza, arrossendo furiosamente e abbassando lo sguardo.

Le labbra del vampiro si distesero in un leggero sorriso. Le alzò gentilmente il viso portandole  la mano sotto il mento, guardandola direttamente negli occhi. Il cuore di Elisabetta prese a battere furiosamente a quel contatto fisico e visivo.

-Tu…?- sussurrò lui ad un millimetro dal suo viso.

-Io…- perché era così difficile dire quelle parole? Se le era ripetute in testa tantissime volte, eppure in quel momento pronunciarle le sembrava l'impresa più ardua del mondo.

-Io… Ti amo- mormorò lei, sentendosi quasi mancare. Ecco, l'aveva detto, gli aveva rivelato i suoi sentimenti. Ciò che provava per lui. Possibile che le gambe le tremassero e avesse lo stomaco così attorcigliato? L'effetto che lui le faceva era pazzesco, e la stava solo toccando leggermente, quasi sfiorando.

Sul viso di Alexandros spuntò un sorriso dolcissimo.

-Non sai quanto sono felice di sentirtelo dire- soffiò con voce tremante, accarezzandole la guancia con un dito, quasi avesse paura di farle male. Stette un secondo in silenzio, perdendosi negli occhi smeraldini della ragazza.

-Sono incredibilmente felice perché… Perché ti amo anch'io. Ti amo come non ho mai amato nessuno, ti amo come pensavo di non poter più amare. Credevo che il mio cuore fosse diventato di pietra, e invece tu l’hai fatto sbocciare come un fiore in primavera- continuò, disegnando con il dito il profilo del naso della ragazza.

Proseguì fino alle sue labbra, per poi scendere sul mento, seguire la linea delicata della mascella e infine arrivare ai suoi capelli ramati. Le spostò una ciocca dietro l'orecchio. Credeva proprio che l'avrebbe baciata davvero stavolta, ora che sapeva che lei ricambiava, e lo fece.  Avvicinò il viso a quello della giovane. I loro nasi si sfiorarono e poi finalmente le loro labbra si unirono, mentre lui la stringeva a sé dolcemente, sentendo un calore intenso come il fuoco e dolce come il miele. Dolce come le labbra di Elisabetta, che si dischiusero, permettendogli di approfondire il bacio. La ragazza si abbandonò a quella dolcezza chiudendo gli occhi, lasciandosi andare, non pensando a nulla, persa nella tenerezza di quel momento, mentre le forti braccia del suo amato lo sostenevano.

Il sole spuntando da dietro le nuvole li sorprese abbracciati come l'ulivo la vite.

 

Angolo autrice

Ciao a tutti! Eh sì, finalmente, dopo settimane di studio sono riuscita a pubblicare l’undicesimo capitolo!

Mi spiace avervi fatto aspettare tanto, ma non ho avuto un secondo libero… comunque, che ne dite? Spero siate soddisfatti :)

Se trovate qualche errore ditemelo pure. Sono dovuti al caro amico microfono che uso per dettare su Word, che in teoria dovrebbe farmi risparmiare tempo, ma in realtà me lo fa perdere perché spesso salta le preposizioni e la punteggiatura. Io controllo sempre due o tre volte ma ogni volta mi sfugge qualcosa!!

Ultima cosa: mi è stato detto che la mia storia somiglia a “Intervista col vampiro”. Dico semplicemente che non mi sono ispirata né al libro né al film perché non ho mai letto il primo né visto il secondo. Se poi la mia storia ci somiglia vuol dire che io e l’autrice ci troviamo d’accordo su un po’ di cose… Un saluto!!

Alla prossima,

BlueStarMoon

 

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Capitolo 12
*** Sospetti ***


Sospetti

 

Quel giorno in

piazza fui colpito

da una ragazza.

Il mio istinto non

si lasciò ingannare

dal suo aspetto

innocente e mi

disse che lei

sapeva qualcosa.

Dovevo interrogarla

e scoprire

di quali informazioni

era in possesso.

 

 

-Eminenza, qualche novità?- domandò Gustavo, guardando interrogativamente il cardinale, che era appena tornato dal carcere e sembrava molto arrabbiato. Era tornato presto alla villa che aveva comprato da poco. Gustavo l'aveva sentito sbattere la porta, aveva ascoltato i suoi passi rapidi rimbombare sul pavimento marmoreo dell'atrio, sulle scale, e poi l'aveva visto entrare in fretta nello studio, dove lui, Gustavo, lo stava aspettando.

 

-No- rispose seccamente il religioso, togliendosi l'ampio mantello rosso.

-I gendarmi mi hanno riferito che tutti i sospettati si sono rivelati essere innocenti. Mi spiace- gli disse il fidato assistente.

-E a me dispiace ancora di più- esclamò il cardinale sedendosi sulla sedia ricoperta di broccato.

-Mi spiace perché sono settimane che cerchiamo questa creatura e ancora non siamo riusciti a prenderla! E come se non bastasse il doge è gravemente malato, e dato che ormai è vecchio potrebbe morire. Il suo più probabile successore, Gerolamo Antonioni, oggi mi ha fatto chiaramente capire che se lui diventasse doge mi toglierebbe il comando delle indagini per affidarle ai giudici della Repubblica, e io non posso permetterlo!- anni e anni passati nella Chiesa per costruirsi un'identità inattaccabile e ora c'è il rischio di diventare uno dei sospettati. Perché i giudici della Serenissima non guardavano in faccia nessuno, neanche agli ecclesiastici.

-Posso ucciderlo, se volete- affermò Gustavo.

 

-No, non se ne parla assolutamente! Capirebbero subito che sei stato mandato da me!- rispose l'altro con forza. Sfortunatamente tutti i senatori erano venuti a sapere della rivalità tra lui e l'Antonioni, e lui non aveva ancora capito in che modo, quindi non poteva assolutamente liberarsi di lui. Quell'uomo piccolo e paffuto, che ricordava quasi un putto, era tutt'altro che ingenuo e innocente. Sotto quell'aspetto infantile si nascondeva un freddo calcolatore. Era pericoloso, e per questo sapeva di doverlo tenere d’occhio.

 

-State tranquillo, cardinale. Troveremo un modo di farlo sparire- cercò di calmarlo il servitore. L'altro si alzò e prese a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, irrequieto come un orso in gabbia.

Gustavo seguì con gli occhi i suoi movimenti fino a quando il religioso si fermò.

-Questa sera devo uscire. Fa' in modo che i gendarmi non siano in giro- ordinò all'aiutante.

-Capisco- annuì l'altro. -Ne avete molto bisogno?- gli chiese.

-Sì- rispose lui, massaggiandosi le tempie. Erano giorni che non andava, la necessità cominciava a farsi sentire con forza.

-Devo assolutamente andare, ne ho veramente molto bisogno- continuò.

-Bene. Parlerò con il comandante- disse il più giovane.

-Grazie Gustavo- a volte si chiedeva cosa avrebbe fatto senza di lui. Era un servo fidato ed efficiente, che aveva sempre dimostrato un’enorme furbizia. E soprattutto era sempre riuscito a nascondere il suo segreto con naturalezza, mentendo e recitando con grandissima destrezza. Sì, Gustavo gli era indispensabile.

 

 

Elisabetta sedeva sull'erba, sotto la grande quercia del parco, appoggiata alla spalla di Alexandros. Avevano deciso di uscire per godersi l'aria tiepida di quel pomeriggio e ora la brezza le sfiorava il viso, lieve come le carezze dell'uomo che amava. Un vampiro bellissimo ed estremamente coraggioso. La ragazza si voltò verso di lui, sorridendogli. L'uomo ricambiò il sorriso, continuando ad accarezzarle i capelli. Le sue dita affusolate passavano tra quelle onde di fuoco con riflessi ramati, beandosi della loro morbidezza. Elisabetta si rilassò contro il suo corpo forte e il tronco dell'albero, offrendogli il viso, e il suo cuore ebbe un guizzo di gioia quando lui posò le labbra sulle sue, e rispose con trasporto al bacio. Il solletico dei suoi baffi la fece sorridere leggermente, mentre constatava di nuovo con piacere che la realtà era molto diversa dal sogno che aveva fatto. Il suo amato la baciava con lentezza, delicatamente, stuzzicandola, e la sua bocca era dolce come un frutto maturo, non sapeva di sangue come aveva creduto. Si staccò a malincuore da lui per respirare. Alexandros la fece spostare, in modo da averla davanti a sé di spalle, la fece appoggiare contro il proprio petto e la fece ridere seppellendo il viso contro suo collo, posandovi le labbra e facendole il solletico. Aspirò il profumo dei suoi capelli, convinto di essere la persona più felice e fortunata del mondo.

La mano della giovane si posò tra i capelli ondulati di lui, che la stringeva a sé con le sue braccia forti. Quel momento era troppo bello per essere vero: loro due, seduti tranquillamente, immersi nella natura lussureggiante, il profumo dell'erba e i fiori che giungeva loro portato dal leggero vento che soffiava.

 

-Sei bellissima- le disse Alexandros , sfregando la guancia sulla sua, solleticandola di nuovo con i baffi, facendola ridacchiare.

-Lo credi davvero?- gli chiese Elisabetta, girandosi verso di lui e arrossendo lievemente. Nessuno glielo aveva mai detto, era una novità che qualcuno le facesse un complimento. E il fatto che fosse l'uomo di cui era innamorata a sussurrarglielo dolcemente la faceva incredibilmente felice e ad essere sinceri la imbarazzava un po'.

-Credo che tu sia la più bella ragazza del mondo, e mi ritengo fortunatissimo ad averti incontrata- rispose lui, per poi darle un altro bacio sul collo. Sapeva di sembrare rozzo ma non riusciva a trattenersi, lei lo attirava in modo incredibile. Il suo viso dai tratti fini, il suo corpo minuto, il suo profumo, tutto di lei lo attraeva. Aveva una grandissima voglia di tornare a baciare le sue labbra carnose, di sfiorare la sua pelle serica e candida, di stringere a sé quel corpo piccolo e delicato. Voleva amarla e proteggerla, vegliare su di lei.

 

-Mi piace quando lo dici. Dillo ancora, ti prego- gli disse lei.

-Sei bellissima… Bellissima… Bellissima…- Ripeté lui tra un bacio e l'altro, per poi fermarsi quando lei si spostò per prendere qualche fragola dal cesto che avevano riempito prima, sistemandosi poi in ginocchio di fronte a lui.

-Ne vuoi una?- Lo tentò con voce innocente, sollevando un frutto con due dita.

-Certo- le rispose sorridendo.

 

Lei gli avvicinò alla fragola alla bocca e sentì un fremito sconosciuto quando lui la morse con i suoi denti bianchissimi e perfetti, guardandola dritta negli occhi. Non riusciva a spiegarselo, ma qualsiasi cosa lui facesse l'affascinava, dato che ogni movimento era caratterizzato da una sensualità che non aveva mai visto in nessun altro. Fremette di nuovo quando anche lui prese una fragola e fece lo stesso con lei, avvicinandole lentamente il frutto al viso. Dopo averne gustato la dolcezza la ragazza ripetè l'azione, con dolcezza.

 

Dopo qualche secondo cominciò a ridere sommessamente, destando la curiosità di Alexandros.

-Perché ridi?- le chiese infatti questi.

-Sei sporco del sangue della tua povera vittima- rispose lei, continuando a ridere, per poi asciugare un rivolo di succo che gli colava sul mento.

-Mi trovi buffo?- le domandò lui, fintamente offeso. Gli faceva piacere vederla ridere, lo faceva sentire bene, e gli faceva anche venire voglia di scherzare.

-Come predatore di fragole sì- confessò la ragazza. A vederlo così non sembrava molto pericoloso, anzi, le ricordava quasi un cane di razza, bello e giocoso… No, si corresse mentalmente, assomigliava di più ad un giaguaro, o un ghepardo. D'altronde possedeva quel fascino indolente e quasi lascivo dei felini.

 

-Ah sì?- gli occhi dell'uomo brillarono di divertimento.

-Sì- confermò lei.

-Bada a come parli ragazzina, perché potresti svegliare la belva che dorme- la avvertì lui con un ringhio giocoso.

-Una belva! E che cosa mai mi farà?-Domandò lei, fintamente spaventata.

-Questo- disse lui  e all'improvviso le fu addosso, facendole il solletico e scatenando le sue grida di divertimento.

Rotolarono sull'erba fino a trovarsi al sole, con il fiatone per le risate.

 

Quel pomeriggio la signora Antoniou li vide rientrare, ansimanti, con gli occhi scintillanti, bagnati perché era scoppiato da poco un temporale. Alla donna non sfuggirono gli sguardi che i giovani si scambiavano, le loro labbra gonfie di baci e soprattutto i capelli in disordine di Elisabetta. Sì, tra quei due c'era qualcosa. E lei sperava con tutto il cuore che potessero essere felici.

 

 

In un vicolo della città i gendarmi erano radunati attorno al cadavere di una donna. Piccola, magra. Esangue. Vestita poveramente. Il capo delle guardie alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere il cardinale avvicinarsi.

-Eminenza, non so come esprimere il nostro rammarico- cominciò a dire l'uomo -questa donna è stata uccisa proprio la sera in cui ci avevate concesso di riposare. Se non avessimo…- Il religioso alzò una mano per interromperlo.

-Non preoccupatevi, non è colpa vostra. Vi ho concesso di riposarvi perché tutti ne avevate davvero bisogno. Nessuno poteva prevedere una cosa del genere-

Detto questo si inginocchiò e benedisse il corpo.

-Che le sia data sepoltura in terra consacrata, con un funerale dignitoso. E voglio che questa creatura sia presa, assolutamente. Ha commesso un crimine abominevole violando il quinto comandamento. Ha privato della vita questa donna- si rialzò, e guardò i gendarmi uno ad uno -e per questo deve pagare-

Le sue parole fendettero l'aria gonfia di pioggia come lame.

 

Il giorno dopo il cardinale decise di recarsi al mercato per indagare di persona sul campo, vestito di una semplice tunica nera in modo da non essere riconosciuto. Mentre passava sotto i portici della piazza rimase colpito da una ragazza dai capelli rossi, che camminava con un giovane bruno. Nella sua testa suonò un campanello d'allarme. Il suo istinto gli disse che quella giovane sapeva, sapeva chi era il vampiro che stavano cercando. E il suo istinto non si sbagliava mai. Doveva assolutamente scoprire chi era e interrogarla, al più presto.

 

 

Angolo autrice

Ehilà, come va? E anche il dodicesimo capitolo è finito, spero vi sia piaciuto.

Io non sono una persona romantica, quindi per descrivere scene tenere devo sforzarmi. Spero di non aver esagerato e di non aver trasformato il capitolo in una roba zuccherosa e melensa :P

Ditemi che ne pensate! Ah, quasi dimenticavo. Un grazie enorme a voi che mi seguite e recensite!!

Alla prossima :)

BlueStarMoon

 

 

 

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Capitolo 13
*** Dimmi chi sei ***


Dimmi chi sei

 

Quell'uomo orribile era

gelido come la

morte.

Nei suoi occhi c'era

la freddezza più dura.

Chi era quell'individuo,

e che cosa voleva da

me?

 

La prima domenica di giugno spuntò fulgida e luminosa sulla villa, in fermento poiché era in programma un ballo in maschera, che si sarebbe tenuto quella sera. L'elegante dimora era stata adornata con bellissime decorazioni: lunghissimi nastri, festoni colorati, candele così grosse ed elaborate da sembrare vere e proprie statue di cera la rendevano ancora più bella.

-Confido che riuscirete a rendere questa casa accogliente per gli ospiti. E naturalmente potrete partecipare anche voi, se vorrete, ovviamente in maschera. Non credo sarà un problema per noi servirci di persona dai vassoi- aveva detto tre giorni prima Alexandros, per poi affidare la direzione dei preparativi alla signora Antoniou. E quella mattina aveva parlato di nuovo a tutto il personale, dando le ultime indicazioni riguardo al ricevimento e congratulandosi con loro per come avevano decorato la villa.

Elisabetta aveva trovato un vestito molto bello, e non vedeva l'ora di indossarlo. Era riuscita a comprarlo in una sartoria dove era stato scartato da una nobile terribilmente altezzosa e superba, che aveva rimproverato molto duramente l'aiutante della sarta, gridandole che il bustino era troppo stretto per lei e le aveva tirato un sonoro schiaffo davanti a tutti. Elisabetta, che era andata lì per cercare un abito, per poco non era scoppiata a ridere, perché le era apparso subito evidente che il problema non era la misura del corsetto, ma l'enormità del busto della nobile. Così lo aveva acquistato ad un prezzo molto ridotto. Poi l'aveva adattato alla propria corporatura e quel giorno sarebbe tornata alla sartoria per comprare un nastro decorato in tinta con esso, da mettere al polso come bracciale, come dettava l'ultima moda.

-Betta, andiamo! Dobbiamo finire di pulire i mobili del salotto rosso- la chiamò Clara.

-Sì, eccomi- rispose e fece per andare, ma venne fermata da Alexandros, che le chiese a bassa voce:

-Questa sera ci sarai, vero?-

-Certo-rispose lei, sorridendo.

-Molto bene- disse lui, gli occhi brillanti di gioia.

-Allora a stasera, ti aspetto- le sussurrò dopo essersi avvicinato al viso della ragazza, e le sfiorò le labbra con le proprie prima di andarsene, lasciando Elisabetta in mezzo al salone, con il cuore che batteva a mille e le guance in fiamme.

 

Il cardinale si affacciò da una delle finestre del palazzo ducale, che davano su piazza San Marco, con la testa piena di domande. Chi era quella ragazza, dove abitava? E soprattutto, perché aveva l'istintiva certezza che quella giovane conoscesse il vampiro che lui cercava, che addirittura avesse un legame con lui? I suoi freddi occhi azzurri fissarono la distesa di palazzi della città senza vederli realmente, mentre cercava di ricordare quel viso femminile che l'aveva colpito così tanto, distinto come un diamante tra i cocci di vetro. L'uomo chiuse gli occhi, concentrandosi sui suoni, sugli odori della città e sulle immagini che gli scorrevano davanti alle palpebre chiuse. E all'improvviso li riaprì. Sapeva dove trovarla. Doveva assolutamente rimettersi quegli abiti neri e anonimi per non farsi riconoscere, e andare a cercarla.

 

Elisabetta stava camminando sola per una viuzza della città, sotto il cielo azzurro tinto di bianco in alcuni punti da spumose nubi, andando verso la sartoria dove aveva acquistato il vestito, promettendosi che avrebbe comprato solo un nastro, senza spendere una fortuna. Quella mattina lei e gli altri avevano finito di pulire le stanze in tempo per il pranzo sotto il comando impeccabile della governante, che aveva coordinato perfettamente i lavori. Poi la donna aveva dato loro due ore di tempo per sistemare le ultime cose in vista della serata, così Daniele e Giovanni erano andati a comprare le maschere con i garzoni, i giardinieri e gli altri camerieri, Clara ed Emma erano rimaste alla villa per alcune correzioni da fare ai vestiti, e lei era uscita per fare quell'acquisto. Arrivò davanti alla vetrina del negozio e aprì la porta, facendo tintinnare campanello appeso al soffitto. In quell'ambiente piccolo, caldo e accogliente, con le pareti coperte da alti scaffali pieni di stoffe colorate, nastri, bottoni, i manichini in bella vista, la polvere vorticava nella luce dorata che entrava dalle finestre.

La padrona della sartoria, una donna corpulenta, vestita di un abito molto elaborato, forse troppo, con lunghi ricci biondi abbondantemente incipriati e il viso molto truccato le chiese:

-In che cosa posso esservi utile?- con un sorriso che non si estese ai freddi occhi neri.

-Stavo cercando un nastro da utilizzare come bracciale- rispose la ragazza, appoggiando le mani sul bancone di legno.

-Di che colore?- chiese la donna, dirigendosi verso lo scaffale dietro Elisabetta, avvolgendola in una nuvola di profumo.

-Ecco, sono indecisa. Per il vestito che ho acquistato ieri quale mi consigliate?-

-Potrei vendervene uno grande, blu, oppure uno bianco. O magari due più piccoli, uno bianco e uno blu, da mettere insieme- mentre parlava tirava fuori i nastri di raso, lisci e morbidi. La ragazza scelse i due più sottili, uno blu notte, lo stesso colore del vestito, e l'altro di un bellissimo bianco perlaceo, entrambi con un grazioso motivo floreale intessuto con fili di seta leggermente più scuri.

-Prendo questi- decise indicandoli. Non vedeva l'ora che arrivasse la sera, ansiosa di prepararsi.

-Bene- il sorriso della venditrice si allargò.

La giovane pagò ed uscì dal negozio.

Fece in tempo a fare solo qualche passo e poi all'improvviso una mano forte e fredda le afferrò un polso facendola girare di scatto. E si imbattè in due occhi azzurri, vuoti e più freddi del ghiaccio.

 

Il cardinale aveva camminato per qualche minuto e aveva trovato la ragazza. Decise di nascondersi dietro un angolo mentre lei era nel negozio, e quando lei uscì le afferrò un polso sottile. Si trovò a guardare nelle profondità di due occhi verdissimi, spalancati dal terrore.

 

Quell'uomo, nonostante non sembrasse più giovane, era fortissimo.

-Dimmi chi è- le sibilò con voce dura.

-Non so di cosa voi stiate parlando- rispose lei, spaventata. Cercò di liberarsi dalla mano dell'individuo, ma la sua stretta era ferrea, le fermava il sangue.

-Ah no?- Gli occhi chiarissimi del suo aggressore sfavillarono d’ira, mentre la sua presa si faceva se possibile ancora più stretta, facendole molto male. La ragazza gemette di dolore.

-Non fare la finta tonta con me, ragazzina- la ammonì -tu sai chi è il vampiro che tutte le autorità cercano-

Lo conosceva, ne era sicuro, è sicuramente gli stava spesso vicina. Era sicuro anche di questo poiché la giovane aveva addosso l'odore di vampiro. Quell'inconfondibile odore speziato che li distingueva dagli umani.

Gli occhi della giovane si spalancarono, colmi di terrore, confermando i suoi sospetti. E l'odore della paura che gli giunse alle narici gli diede l'ennesima prova di essere nel giusto.

Elisabetta cercò di divincolarsi e quando non ci riuscì aprì la bocca per gridare, ma lui le afferrò il viso e piantò gli occhi nei suoi, annullando la sua volontà. Elisabetta non aveva più il controllo del proprio corpo. Voleva gridare, liberarsi, correre via, ma le iridi dello sconosciuto la tenevano inchiodata lì, frugandole nella mente. Sentì le forze venirle meno, con la certezza che lui aveva superato le sue difese. Le gambe le si piegarono. Era completamente inerme.

-Elisabetta!- Il grido di Giovanni e Daniele lo sorprese, facendogli rompere il contatto visivo. I due ragazzi si avvicinarono di corsa, agitati.

-Che cosa è successo? Chi siete voi?- chiese Giovanni in tono concitato.

-Non saprei. È uscita dal negozio e si è sentita male. Stava per accasciarsi a terra ma io l'ho afferrata per un polso e l'ho trattenuta- menti abilmente l'altro.

Avrei anche potuto dire che ero il Papa, constatò sardonicamente tra sé e sé, dato che quei due non sembravano neanche aver sentito le sue parole, presi com'erano dalla giovane.

-Comunque il mio nome è Aaron- continuò mentre gli altri due sollevavano la ragazza semisvenuta.

-Grazie mille per il vostro aiuto- gli disse Giovanni, portandosi il braccio di Elisabetta attorno alle spalle.

-Volete accompagnarci a casa? Sono sicuro che il conte vi ringrazierà debitamente per averla soccorsa- affermò Daniele.

-Vi ringrazio molto, ma non posso. Devo tornare al Ghetto, la mia famiglia mi aspetta- rispose il più anziano, continuando a mentire abilmente.

-Siete sicuro?- gli chiese Giovanni.

-Sì, non preoccupatevi. Portatela a casa e occupatevi di lei-

-Certo. Ancora grazie, buon uomo- esclamò Daniele.

-Di nulla. Addio-

-Addio- risposero i ragazzi.

Il vecchio rimase per un minuto a guardarli mentre si allontanavano. Il suo viso rimase impassibile, ma dietro quella maschera calma ribollì di rabbia come non mai.

 

 

Angolo autrice

Ciao a tutti!! Ho trovato un po’ di tempo e sono riuscita a pubblicare il tredicesimo, evvai!

Sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate :)

Dovrei riuscire a pubblicare regolarmente ogni fine settimana, lo dico perché mi è stato chiesto se avrei continuato la storia. Non preoccupatevi, salvo fine del mondo la finirò, ci tengo troppo :3

Ciao ciao :D

BlueStarMoon

 

 

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Capitolo 14
*** Ricevimento ***


Ricevimento

 

Ero riuscito a

capire solo il suo

nome.

Elisabetta.

Il suo nome e

qualche immagine

frammentaria di una ricca

villa.

Decisi che quei due giovani

che l'avevano portata

via

sarebbero morti.

Li avrei uccisi,

gustandomi ogni loro

attimo di

agonia.

 

Quello che indossava

non era un vestito.

Era cielo trapunto

di stelle.

E gli occhi che

mi fissavano da

dietro la maschera

non erano più innocenti.

Vedevo il desiderio

bruciare in quel verde

così intenso,

lo stesso desiderio

che sentivo in me.

Quella sera finalmente,

quella sera sarebbe stata

mia.

 

-Sto meglio, non preoccupatevi. Davvero- ripetè Elisabetta per l'ennesima volta ad Emma, Clara e alla signora Antoniou, che la guardavano preoccupate. L'avevano fatta stendere a letto, e poi le avevano dato un cordiale per tirarla un po' su.

-Sei sicura?- chiese la governante.

-Sì. È stato solo un capogiro- mentì la ragazza.

Era ancora spaventata dall'aggressione, al solo pensiero di quella mano gelida che le si era chiusa sul polso con forza il cuore riprendeva a batterle all'impazzata.

-Che strano che quell'uomo non sia venuto qui. Avremmo potuto ringraziarlo come si deve- disse la governante in tono pensoso mentre socchiudeva le tende.

-Non so perché non lo abbia fatto, non lo conosco nemmeno- ribattè Elisabetta, questa volta lievemente irritata.

-Certo, scusami. Ti lascio riposare-

La porta si chiuse con un lieve rumore. La giovane chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.

 

Il cardinale rientrò in casa, furibondo. L'arrivo di cui due idioti aveva interrotto il contatto visivo che aveva stabilito con quella ragazza, così lui non era riuscito a leggere nella sua mente qualcosa che potesse aiutarlo. Aveva visto solo qualche immagine confusa di una villa, qualche volto, e poi aveva sentito il suo nome gridato da quel ragazzo bruno. Doveva assolutamente calmarsi per non perdere la testa e spaccare tutto quello che gli capitava a tiro, mentre la rabbia gli scorreva dentro come un fiume di lava. Cercò di vedere il lato positivo della faccenda, dicendosi che Elisabetta non era un nome molto comune, come non lo erano dei capelli così rossi e occhi così verdi. È in più ricordava perfettamente il suo odore, gli sarebbe bastato seguirne la scia. Si sedette dietro la scrivania e incrociò le dita. Un sorriso crudele si aprì sul suo viso. Sì, era solo questione di tempo.

 

Quella sera Alexandros accolse gli invitati in modo impeccabile. Non poté fare a meno di sorridere compiaciuto alle esclamazioni di gioia degli invitati quando videro lo splendido giardino disseminato di rigogliose piante, panchine e ovviamente gli stupendi giochi d'acqua delle fontane. Il tutto illuminato da torce a cui era stato aggiunto un componente chimico che dava fiamme violette. E ovviamente il cielo che sovrastava la città era il migliore che potesse esserci, ancora illuminato dagli ultimi bagliori infuocati del tramonto, con splendide strisce arancioni e rosa ad attraversarlo. E dopo gli ospiti furono deliziati dallo splendore della casa, dal cibo squisito, dal vino d'annata e dalla musica.

-Eccolo qui il padrone di casa!- l'esclamazione e la pacca sulla spalla da parte di Carlo lo sorpresero.

-Davvero una bella villa, complimenti, e il giardino non è da meno- continuò il suo amico, sorridendogli. Dopo aver viaggiato molto in quel periodo il vivace avvocato era tornato giusto in tempo per la festa. Durante quel periodo si erano tenuti in contatto con lunghe lettere in cui Alexandros gli aveva raccontato di Elisabetta, e ora Carlo non vedeva l'ora di conoscere la donna che aveva rubato il cuore al suo compare.

-Grazie Carlo- rispose lui sorridendo, per poi notare la contessa Fogazza che gli si avvicinava, avvolta in un vestito di raso bordeaux.

-Contessa- la salutò facendole il baciamano -è un piacere avervi qui questa sera-

La donna, prossima ai quarant’anni ma ancora molto bella, sorrise.

-Vi ringrazio, ma vi prego, chiamatemi  Emilia. Mi fate sentire vecchia!- Rispose lei, portandosi una mano al petto prosperoso.

-Certo, Emilia- sorrise lui.

Si guadagnò un altro sorriso. La contessa era una donna sincera e schietta, con un'ottima parlantina, ma comunque molto furba. Trovava la sua compagnia molto gradevole.

-Però, questa sera ci sono proprio tutti i nobili di Venezia, e persino qualcuno da Verona e Treviso. Avete fatto le cose in grande- si complimentò con lui, prendendo un bicchiere di vino.

Già, c'erano proprio tutti, avvolti nei loro migliori abiti. I Della Croce, i Fontana, i Prestigiacomo, i Cortesan… E ovviamente i Kramer, imparentati con gli Asburgo. Senza dimenticare i Balsamo, cugini del granduca di Toscana. E molti altri.

-Già, penso sia meglio farmi un bel po' di amici- le confidò sorridendo.

-Mossa giustissima, certamente, ma vi conviene stare attento a Richard Kramer. Punta solo a farvi sposare sua figlia Gertrude, e tutto per poter unire i suoi feudi sui Balcani ai vostri possedimenti in Grecia. Povera ragazza- sospirò fissando la giovane, appena quindicenne, circondata da uomini- suo padre sarebbe capace di venderla al diavolo pur di averne qualche vantaggio-

-Grazie del consiglio, lo terrò a mente- rispose lui, per poi bere un sorso di vino.

-Vi conviene puntare sui Fontana. Hanno degli ottimi cantieri navali e una rete di commerci che va a gonfie vele, e naturalmente la figlia maggiore, Maddalena, è bella e tranquilla- all'improvviso le parole della donna divennero un mormorio indistinto. Elisabetta aveva appena attraversato la soglia del salone. Tutte le conversazioni si fermarono e gli invitati guardarono quella splendida creatura.

 

Elisabetta era semplicemente stupenda. Indossava un vestito blu notte finemente decorato con ricami argentati, che le lasciava scoperte le spalle bianche e delicate. I capelli rossi, arricciati, erano raccolti e scoprivano il suo collo lungo e aggraziato, e il suo viso era per metà coperto da una maschera abbinata al vestito, blu e argentata. La sua figura risultava incredibilmente graziosa e slanciata. Alexandros le si avvicinò affascinato porgendole la mano. Lei la prese senza esitazione. La musica cominciò a suonare.

 

Alexandros danzava in modo divino, conducendola senza esitazione. Era incredibilmente affascinante, avvolto in un completo verde smeraldo ricamato con fili color bronzo. Dietro la maschera coordinata all'abito i suoi occhi blu brillavano, resi più affascinanti misteriosi dalla luce mutevole delle candele.  Le aveva posato una mano sulla schiena sottile, tirandola dolcemente a sé, e ora volteggiavano con calma sul pavimento marmoreo.

-Questa sera sei ancora più bella- le disse, e poi sorrise vedendola arrossire lievemente.

-Grazie. Anche tu sei molto attraente- rispose lei. La ragazza si lasciava guidare tranquillamente, senza timore. Vedeva negli occhi di lui il desiderio, desiderio che rendeva le sue iridi quasi liquide.

-Il blu di dona molto, rende la tua pelle ancora più chiara. Sembri un angelo- continuò lui con un leggero sorriso.

Il profumo di Alexandros, insieme al suo sguardo blu e al contatto o delle sue mani sul suo corpo le facevano battere forte il cuore. E la sua voce, ora bassa, quasi roca le causava brividi che le scuotevano la spina dorsale.    

-E a te il verde sta benissimo- affermò la giovane sommessamente. Ed era vero, quel color smeraldo, scuro eppure luminoso, gli donava molto.

Stavano danzando al centro del salone, volteggiando sotto il soffitto finemente affrescato e i pesanti lampadari di cristallo. Le altre coppie danzavano attorno a loro, mentre i restanti invitati parlavano e si servivano dai vassoi riempiti abbondantemente.

Il vampiro poteva percepire le loro emozioni: felicità, stupore. Stupore, poiché si chiedevano chi fosse quella bellissima ragazza conquistava danzando, e felicità perché stavano benissimo insieme. E ovviamente al suo orecchio finissimo non sfuggivano i mormorii eccitati delle ragazze più giovani, invidiose di quel bellissimo angelo dai capelli rossi.

La musica finì, e tutte le coppie si inchinarono in silenzio.

-Vieni- le disse Alexandros, prendendole la mano.

 

Il cardinale si aggirava per le sue stanze buie,  ora irrequieto. Elisabetta. Quella ragazza si chiamava Elisabetta. L'avrebbe ritrovata. Presto, molto presto. D'altronde non sarebbe stato difficile chiedere in giro di lei, senza dare nell'occhio. Un viso del genere si ricordava bene. L'avrebbe cercata alla maniera degli umani. Certo, così la caccia sarebbe stata più lenta, ma molto più stuzzicante. E alla fine l'avrebbe messa all'angolo, come un animale braccato. Il vecchio si passò la lingua sulle labbra. A lui di certo non mancava la pazienza, dote principale del cacciatore.

Che la caccia abbia inizio, si disse.

 

 

Angolo autice

Ciao a tutti! :)

Che periodaccio, non tempo di far nulla, però sto cercando con tutte le mie forze di pubblicare i capitoli più o meno regolarmente. Mi scuso per il rtardo, e per farmi perdonare oggi pubblicherò ben due capitoli u.u

Sono curiosa di leggere le vostre recesioni!!

Detto questo, buona domenica :D 

 

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Capitolo 15
*** Come il sole nel mare ***


 

Come il sole nel mare

 

Finalmente il

nostro amore si compì

nel modo più dolce che

avrei potuto immaginare.

I nostri corpi uniti seguirono

la più antica delle danze

senza esitazioni.

Ero la persona più felice

dell'universo.

 

Quella notte capii

cos'è l'amore.

L'amore è il calore che

scorre nelle vene quando siamo

con la persona amata.

L'amore è la gioia di

affogare insieme

in un oceano

di dolcezza.

E io quella notte vi

affogai, stretta

al mio Alexandros.

 

 

Le labbra di Alexandros ed Elisabetta si divisero di nuovo quando la ragazza dovette respirare, per poi unirsi ancora poco dopo.

Il dolce sapore del vino fragolino, che ancora pervadeva le loro bocche li inebriava rendendo il bacio più intenso.

Erano usciti sul balcone del primo piano e si erano seduti sul comodo sofà.

Avevano scherzato sorseggiando il vino rosato e poi, vinti dalla dolcezza e dalle emozioni, avevano preso ad amoreggiare con lentezza, godendosi ogni istante.

-Ti amo- le sussurrò lui, ad un millimetro dal suo viso.

-Ti amo, ti desidero come mai ho desiderato nessuno…- continuò, e poi le posò le labbra sul collo, deliziato dal contatto con quella pelle morbida.

-Anch'io ti amo, tantissimo. Non potrei amare nessun altro- rispose lei, passandogli le mani tra i capelli.

Le loro maschere erano finite per terra, accanto ai bicchieri appoggiati vicino al sofà, la giacca di lui, che Elisabetta si era messa sulle spalle perché sentiva freddo, era finita sullo schienale del divano, dato che ora la giovane cominciava a sentire il calore di un lento fuoco che le correva sotto la pelle, mentre i suoi sensi si risvegliavano grazie alle dolci attenzioni del suo amato.

Un gemito le scappò dalla bocca mentre le labbra di lui scendevano su una spalla scoperta e le sue mani le scioglievano i capelli, che caddero in lunghe onde seriche.

Entrambi si sentivano in paradiso, fuori dal mondo, in una dimensione dove il tempo era scandito dal loro respiro lievemente accelerato.

La mano di Alexandros le scivolò lentamente su un fianco, causandole un brivido.

Elisabetta lo guardò in viso, e il suo sguardo scurito dal desiderio, dove il blu delle sue iridi era stato quasi completamente inghiottito dal nero, la fece arrossire.

Sapeva che cosa desiderava, ne aveva sentito parlare qualche rara volta da Clara, ma lei diquello non sapeva nulla, o meglio, quasi nulla.

E il solo pensiero di fare… Quella cosa la spaventava, ma la eccitava anche.

Però sentiva di amarlo così tanto, di un amore completo è totalizzante, così forte da eliminare ogni dubbio, ogni incertezza.

Un amore che la fece alzare dal sofà, e le fece prendere la mano chiara come la luna che lui le tendeva.

Sì, lo desiderava e voleva fare l’amore con lui.

 

La camera di Alexandros, inondata dalla luce lunare, sembrava un luogo magico.

E loro due, nudi, abbracciati in quel fascio di luce bianca, per la prima volta con la pelle dello stesso colore, per la prima volta uguali.

Petto contro petto, le mani di lui che percorrevano la schiena di Elisabetta, le bocche desiderose unite in un bacio passionale.

Elisabetta aveva smesso di pensare, ormai alla sua mente annebbiata giungevano solo le sensazioni d'estate dalle mani di Alexandros sulla sua pelle, i suoi muscoli perfetti e forti che le premevano sul corpo.

 

Lui le cinse i fianchi con le mani, ammirandola.

Era semplicemente bellissima.

Il suo corpo bianco dalle forme perfette era morbido, ma allo stesso tempo sodo e compatto, la pelle così liscia e soffice era semplicemente divina.

Era eccitata, con le guance rosse e gli occhi brillanti.

Alexandros si mosse in avanti facendola indietreggiare, finché caddero sul letto morbido.

 

-Ti amo, Betta. Ti amo come non ho mai amato nessuno. Con te mi sento forte, forte come non sono mai stato. E ora ho capito. Ho capito che non fu un morso a rendermi eterno. No. Fu il tuo bacio, amore, a rendermi immortale-  sussurrò sommessamente, guardando nelle profondità dei suoi occhi verdi.

Era vero, ora tutto era perfetto.

Ora niente poteva rovinare quel sogno.

Accarezzò le sue forme premute tra il proprio corpo tiepido e le fresche lenzuola di seta lilla.

-Anch'io ti amo- rispose lei e poi continuò, abbassando lo sguardo -e voglio essere tua-

 

Felicissimo di sentire quelle parole lui la baciò di nuovo sulle labbra per poi scendere sul suo collo, dove la sfiorò con i denti, senza però morderla.

La sentì rabbrividire al contatto con i suoi canini e sorrise, per poi lasciare un segno del proprio amore in quel punto dove il sangue correva veloce.

Poi arrivò ad una spalla, su cui posò le labbra.

 E poi ancora più giù.

Le chiuse le labbra su un capezzolo roseo, cogliendola di sorpresa, strappandole un gemito.

Vi passò la lingua più e più volte, mentre la guardava negli occhi, facendo sbocciare dentro di lei sensazioni nuove e bellissime.

 

Dedicò alle stesse dolci attenzioni all’altro seno e poi si avventurò più in basso.

Lasciando una scia di baci sul suo addome piatto, solleticandola con i baffi, passò l'ombelico piccolo e grazioso e poi giunse a quel luogo inesplorato.

Con le mani risalì le sue gambe lisce e snelle e le dischiuse con delicatezza.

Uno sguardo a lei, abbandonata sul letto, un -ti amo- sussurrato con voce roca e poi nel corpo della ragazza esplose il piacere.

Non ci fu clamore, solo il contatto di carne su altra carne, dove la voluttà cominciava e la castità finiva.

Elisabetta inarcò la schiena gemendo di piacere, in preda al godimento che il suo uomo le stava dando.

 

Elisabetta aveva visto Alexandros  spogliarsi, scoprendo un corpo statuario e perfetto, che lei aveva ammirato in ogni particolare, dai pettorali possenti, agli addominali scolpiti, le gambe lunghe perfette.

Lui aveva spogliato anche lei, gli occhi accesi di meraviglia e adorazione, prima di stringerla nel suo abbraccio.

E poi le aveva fatto toccare il cielo con un dito, facendole scoprire sensazioni che la giovane nemmeno sapeva esistessero.

E ora lo vedeva leccarsi le labbra in un gesto senza vergogna. Ma d'altro canto come ci si poteva vergognare di amare la persona adorata, di donarle piacere?

 

Di nuovo Alexandros le si premette contro facendole avvertire la sua potenza contro il ventre.

Le prese una mano e se la posò sul petto forte, guardandola intensamente, e lei percorse con delicatezza le linee dei suoi muscoli, sfiorando, accarezzando, esplorando.

E quando le sue dita si strinsero delicatamente attorno a quella parte così sensibile di lui lo sentì gemere e sorrise.

 

Alexandros dal canto suo era convinto di essere arrivato in paradiso.

Il tocco di Elisabetta era inesperto ma molto delicato, fresco.

La certezza di essere il primo a sentire quelle mani affusolate sul proprio corpo lo faceva letteralmente impazzire.

La baciò di nuovo, mai sazio di lei, posando una mano dove prima aveva appoggiato le labbra.

Era pronta, lo sentiva.

Tuttavia forse era meglio aspettare ancora un po'.

Non si sarebbe mai perdonato se le avesse fatto del male.

L'accarezzò con infinita dolcezza, facendola gemere di nuovo, facendola tendere verso di sé.

Poi si posizionò tra le sue gambe dischiuse e le chiese, facendole una carezza sulla guancia: -Betta, lo vuoi davvero? L'ultima cosa che voglio è farti del male, e una volta cominciato non so se riuscirò a fermarmi, ti voglio troppo- ed era vero, la sola idea  che lei potesse provare dolore gli faceva male al cuore, però sapeva che non sarebbe riuscito a smettere, tanto era il suo desiderio di lei.

La risposta di lei fu semplice e piena d'amore.

-Sì, lo voglio. Ti voglio-

E allora lui con cautela, come se ogni movimento improvviso potesse farle del male, sprofondò tra le sue cosce dischiuse come il sole che si tuffa nel mare, ed Elisabetta modellò il proprio corpo contro il suo.

La fece sua con dolce sicurezza, unendo le labbra alle sue, e la sentì mutarsi in fuoco, aprirsi di più a lui, e le si premette contro con passione, mentre Elisabetta lo cingeva con le braccia.

Un crescendo di sensazioni li avvolse, fino a portarli al culmine, lontano da lì.

In alto, tra le stelle.

Dopo giacquero insieme scambiandosi carezze in silenzio, senza bisogno di parlare.

Alla fine si addormentarono.

Solo la luna li vide: abbracciati, la testa di lei sul petto di lui, la gambe intrecciate, i volti distesi nel sonno degli amanti appagati.

 

Angolo autrice

Ok, quando ho scritto questo capitolo mi è sembrato una bomba di dolcezza. Credo mi sia venuto abbastanza bene, dato che io non sono brava con le scene romantiche. Spero non sia troppo esplicito, dato che originalmente la scena era più spinta. Ditemi che ne pensate!

Al prossimo capitolo :)

BlueStarMoon

 

 

 

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Capitolo 16
*** Fiume di sangue ***


Fiume di sangue

 

Quel giorno,

il giorno in cui l'avremmo presa,

cominciò con un

mattino nuvoloso, grigio

scuro, quasi nero.

Nero, come il destino

che attendeva

Elisabetta.

 

Quel giorno sentii

che qualcuno

aveva bisogno di me.

I poteri che mia madre

mi aveva insegnato ad usare,

per lungo tempo sopiti,

si risvegliarono.

Spinta da un istinto

che avevo imparato a non

ignorare

arrivai alla piazza del mercato.

Un giovane uomo,

un ragazzo dai capelli

scuri, giaceva riverso

sulla pietra della piazza.

Un fiume rosso

si era allungato lentamente

da una profonda ferita.

Nel modo che sono i maghi

come me

possono conoscere,

ovvero toccandolo,

seppi tutto di lui:

chi era e

cos'era successo.

Nell'istante in cui vidi

il suo volto

capii che il mio cuore

era suo.

Così decisi di aiutarlo.

 

Due settimane. Erano passate due settimane da quando Elisabetta si era svegliata nel letto di Alekos. Ormai il livido sul suo polso sinistro era svanito, al contrario del ricordo del licenziamento di Daniele, e soprattutto del ricordo della proposta del suo amato. Sposami. Quella parola continuava a rimbombarle nella mente. Non gli aveva ancora dato una risposta. Ci aveva pensato ma ancora non era giunta ad una conclusione. La ragazza sospirò mentre usciva di casa per andare al mercato. Giovanni, che l'accompagnava, se ne accorse e le chiese:

-Tutto a posto, Betta?-

-Certo. È solo che questo cielo mi mette un po' di malinconia- rispose lei, indicando le nubi minacciose sopra le loro teste.

-Sì, in effetti non mettono molta allegria. Sono tre giorni che c'è questo cielo orribile, secondo me oggi è molto probabile che piova-

-Già. Su forza, sbrighiamoci, non voglio bagnarmi- disse lei affrettando il passo.

Il sorriso che lui le fece in risposta le fece pensare alle parole di Alekos. Un altro che non potrebbe farti felice. Che si riferisse a Giovanni? Non ci aveva mai fatto caso, ma ora si rendeva conto che il ragazzo, sempre gentile, affabile e disinvolto con tutti, con lei era sempre stato impacciato come un cucciolo, quasi avesse timore di parlarle. Nei suoi occhi neri e profondi aveva sempre visto una luce particolarmente calda, il suo sorriso per lei era sempre stato più luminoso che per gli altri. Forse era innamorato di lei. Eppure non le aveva mai detto niente… Magari era solo una sua impressione. Per il resto del tragitto l'osservò di sottecchi: viso aperto e gentile, naso regolare, sopracciglia folte, occhi grandi, ciglia lunghe, labbra sottili, sempre tese in un sorriso sincero, che veniva dal cuore. Più alto di lei, con i capelli scuri ricciuti, le spalle larghe, le gambe lunghe e le mani grandi. La carnagione ambrata gli conferiva un tocco esotico, un qualcosa che lo rendeva diverso dagli altri. Proprio un bel ragazzo, con la testa sulle spalle. Ma nonostante avesse un aspetto molto gradevole non accendeva in lei nessuna scintilla, solo l'affetto per un amico. Niente a che vedere con la tempesta di emozioni suscitata da Alekos.

-Betta, sei sicura che sia tutto a posto? Devi dirmi qualcosa?- la voce di Giovanni la riportò al presente. Il ragazzo la guardava stupito e curioso.

Lei scosse la testa. -No, nulla. Forza, siamo quasi arrivati in piazza-

Il ragazzo annuì, non del tutto convinto.

 

-Allora è deciso. Aspetti che passi sotto i portici, le tappi la bocca e la porti qui- il viso di Gustavo era per metà in ombra mentre pronunciava quelle parole, ripetendo il piano del cardinale. Si erano appostati in un vicolo a destra della piazza, vicino alla bottega del caffè dove Elisabetta passava sempre.

-Sì, me lo ricordo- rispose brusco Daniele, rigirandosi il pugnale tra le dita. Un pugnale estremamente sottile e affilato.

-Ma… Eminenza, sicuramente lei non sarà sola, sicuramente sarà accompagnata da Giovanni- aveva detto con voce tremante due giorni prima. In risposta il cardinale gli aveva lanciato un pugnale avvolto in un fodero. Lui l'aveva sfoderato le aveva soffocato un'esclamazione di stupore di fronte alla lama di onice lucida come uno specchio, incastonata sul manico di madreperla iridescente.

-Se dovesse darti fastidio uccidilo. Con questa lama potrà spingerlo al cuore senza versare molto sangue, o se vuoi farlo soffrire puoi colpirlo di taglio. Come certo avrei notato è estremamente sottile, ma letale-

Già, è incredibilmente tagliente, si era detto Daniele passando di un polpastrello, dove subito si era aperto un taglio. E non aveva neanche premuto. Forse era stata solo una sua impressione ma gli era sembrato di vedere i freddi occhi del religioso lampeggiare alla vista del sangue.

-Ma Giovanni…- aveva provato a obiettare, interrotto dal più anziano.

-Niente ma. Il suo amico Giovanni e fedele a quel demonio. Quel nemico della Chiesa- aveva esclamato il cardinale.

-Veramente io pensavo che gli ortodossi…-

-E allora pensavi male! Da dove credi che vengano le eresie che il Papa combatte ogni giorno? È per questo che dobbiamo portare Elisabetta via da lui. Lei è ancora giovane, innamorata, non è in grado di scegliere; Giovanni al contrario è un uomo adulto, ed è giusto che paghi le conseguenze della sua scelta. Perciò se ti dà fastidio colpiscilo-

-Ma a voi non serve? Sembra molto prezioso- aveva affermato lui in tono poco convinto.

L'anziano aveva sorriso con cattiveria.

-No, non lo uso più da anni ormai- e per qualche ragione quella frase gli aveva fatto venire la pelle d'oca.

-Bene. I vostri ordini saranno eseguiti- aveva detto inchinandosi.

Il religioso aveva alzato una mano in un gesto benedicente.

-Vai ora, e sappi che Dio è con te-

-Daniele- ripetè Gustavo per la terza volta, ormai abbastanza seccato.

-Che c'è?- chiese quello in modo aggressivo.

L'aggressività è solo un modo di nascondere la paura, si disse Gustavo.

-Di cosa hai paura? Di uccidere un uomo?- gli chiese con l'aria di chi la sapeva lunga.

-Io non ho paura di uccidere nessuno!- rispose Daniele alzando la voce, anche se le sue mani tremanti rivelavano la sua menzogna.

-Se non te la senti posso farlo io- si offrì il mezzo indio.

-E per cosa, per poi andare a vantarti dal cardinale dicendo che io sono un incapace? No, questa è la mia missione, devo farla io. Tu sei qui solo per aiutare- ribatté l'altro.

-Bene. Allora al lavoro. Quei due sono appena arrivati in piazza- rispose Gustavo con un'alzata di spalle.

 

Giovanni non credeva che quella giornata, per quanto grigia e piovosa, potesse trasformarsi in un incubo. Tutto avrebbe immaginato, ma non quello. Lui ed Elisabetta stavano facendo il solito giro sotto i portici per andare a comprare il caffè nella bottega preferita del conte. Contavano di passare lì almeno una mezz'oretta, in attesa che la pioggia che aveva cominciato a scendere poco prima, smettesse. Stavano ancora parlando, entusiasti per la notizia che la signora Maria aveva dato loro, ovvero che sua nipote attendeva il terzo figlio, quando accadde una cosa terribile. Due figure incappucciate uscirono all'improvviso da un vicolo, afferrando Elisabetta. No, non poteva essere.

-Lasciatela subito!- gridò Giovanni gettandosi addosso al più basso senza pensarci due volte. Vide un lampo nero e perlaceo, mentre la figura incappucciata vibrava un velocissimo colpo di taglio con quel qualcosa che aveva in mano. Quel qualcosa era un pugnale, realizzò con stupore il ragazzo, cadendo in ginocchio sulla pietra. Un pugnale affilatissimo. Si guardò il fianco, dove il sangue aveva cominciato a zampillare da una ferita lunga e profonda, inzuppando la camicia strappata.

Il dolore che fino a quel momento non aveva avvertito lo investì in tutta la sua potenza, mentre con le mani cercava di fermare quel fiume cremisi che, caldo e vischioso, gli scorreva tra le dita. Guardò in alto, verso quello sconosciuto che stava pulendo la lama nera, e con uno sforzo sovrumano si aggrappò al suo mantello, nero anch'esso, tirandolo giù, scoprendo un viso conosciuto.

-Da… Daniele- disse con fatica -per… Perché?-

L'altro non rispose, lo fece alzare e prendendolo per la camicia e gli sferrò un manrovescio che lo scagliò sulla pietra della piazza, facendogli battere la testa. Giovanni non si mosse.

Nonostante Elisabetta fosse trattenuta da Gustavo e non potesse parlare perché aveva la bocca tappata, cacciò un urlo, soffocato da quella grande mano guantata, dibattendosi più forte di prima, mentre le lacrime le scorrevano copiose sulle guance. Il mezzo indio la strinse più forte, aumentando la pressione sulla sua bocca, mentre diceva divertito:

-Daniele, con lei cosa faccio? Questa gattina morde, graffia e si dimena!-

L'altro aveva riposto il pugnale. Si avvicinò alla ragazza, alzando una mano per farle una carezza, ma l'odio che vide quegli occhi arrossati dal pianto fu più violento di uno schiaffo.

-Toglile la mano alla bocca- ordinò a Gustavo per poi afferrarle il viso e sibilare: -stupida, non vedi che lo faccio per te?-

Per tutta risposta lei gli sputò sul viso.

Con un'esclamazione di rabbia a lui le tirò uno schiaffo violento, facendola svenire. Poi se la caricò in spalla.

-Andiamo- disse incamminandosi.

Nella piazza due mani, brune e affusolate, girarono il corpo di Giovanni, e poi si spostarono i capelli fradici dal viso. La camicia bianca era fradicia e tinta di rosso, conseguenza della pozza di pioggia e sangue in cui era stato immerso. La figura incappucciata, avvolta in un mantello verde imprecò, sentendo il suo polso debole.

-Giorgio- chiamò -aiutami a portarlo dentro-

Due braccia muscolose l'aiutarono subito.

Sperava solo non fosse troppo tardi.

 

Alexandros era ormai decisamente preoccupato. Dov'era finita Elisabetta? Nonostante il suo brutto presentimento la ragazza era voluta andare al mercato, dicendo che Giovanni l'avrebbe protetta, ma a quelle parole il suo senso d'angoscia era soltanto aumentato. Dov'erano? Perché non erano ancora tornati? Quando un fulmine squarciò il cielo e la pioggia divenne più fitta decise di andare a cercarli. Si mise mantello e scese di corsa le scale, trovandosi di fronte una governante molto agitata. Strano, molto strano, dato che la signora Antoniou non era mai agitata.

-Signor conte… Ypárchei énas ánthropos… Che vuole… Vuole… Milántas me eseís- gli disse in fretta, mischiando italiano e greco.

-Un uomo che vuole parlare con me. E chi è?-

-Il mio nome è Giorgio- affermò la voce profonda -Giorgio Botte. Venite con me Signor conte, subito. Si tratta di Giovanni ed Elisabetta-

Sentendo quei nomi Alexandros scattò, senza neanche chiedersi come facesse l'uomo a conoscerli.

-Presto, alle scuderie. Signora Antoniou, rimanete allerta. Tornerò il prima possibile-

-Fate attenzione- gli disse lei agitata.

Lui annuì prima di uscire sotto la pioggia.

Dio mio, ma che sta succedendo? Si chiese la governante impaurita e, ritrovando un'abitudine che credeva perduta, si fece il segno della croce, guardando i due uomini uscire al galoppo.

 

 

 

Angolo autrice

Ehilà, come va? Passate bene le vacanze?

Devo dire che questo capitolo mi è uscito in fretta, spero vi piaccia.

Per la parte in greco mi sono affidata a google traduttore, ma dubito molto che la traduzione sia giusta. Ad ogni modo non ho messo la traduzione in italiano perché quello che dice la governante si capisce nella frase successiva di Alexandros.

Cooomunque, abbiamo due nuovi personaggi!! Chi saranno? E soprattutto, saranno buoni o cattivi?

Eheheh, vi lascio con questo interrogativo :)

Alla prossima,

BlueStarMoon

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Capitolo 17
*** Piani di vendetta ***


 

Piani di vendetta

 

Il male che avevamo ignorato,

addensatosi in nere nubi, arrivò,

improvviso come un acquazzone d’estate.

Elisabetta, la mia bellissima donna,

che amavo con tutto me stesso,

che aveva dormito sul mio petto,

sparì. Portata via, rapita.

La mia Betta era in pericolo, e

Io dovevo trovarla.

 

Svegliarsi tra le sue

braccia fu l’inizio perfetto di quel

giorno che prometteva d’essere stupendo.

Ma il tradimento di qualcuno

che conoscevo,

reso ancor più bruciante

dall’odio inaspettato,

trasformò quel periodo bellissimo

 in un orribile incubo.

 

Quel giorno una persona

che diceva di conoscere bene

la ragazza

decise di aiutarmi.

Mi vendette la vita della giovane

 per trenta ducati, blasfema imitazione

di Cristo nel Getsemani.

E quando Elisabetta giacque

 svenuta, bianca come un giglio,

sulla seta nera delle lenzuola

pensai che finalmente

avrei conosciuto il vampiro

che tanto avevo cercato.

Perché Venezia era troppo

piccola per due vampiri.

Dovevo ucciderlo per

mantenere il mio segreto.

 

Elisabetta aprì gli occhi, destata dal calore dei raggi del sole che le sfioravano la pelle e dalle carezze del suo amato, tuttavia non aveva voglia di alzarsi subito, proprio per niente, quindi si raggomitolò ancora di più sul petto di lui, facendolo sorridere. Mormorò qualche parola sconnessa quando avvertì la sua mano insinuarsi sotto il lenzuolo e scorrerle delicatamente sulla schiena, su e giù, facendole il solletico. Questa volta scatenò la sua risata sensuale.

-Buongiorno, amore mio- le disse lui con voce divertita.

Lei biascicò qualcosa e gli si strinse ancora di più contro.

-Non dirmi che hai intenzione di rimanere alle auto in una giornata così bella!- esclamò Alexandros incredulo, scostandole i capelli dal viso. Era sveglio da un'ora e l'aveva guardata a dormire, sfiorandola delicatamente per paura di svegliarla, ma ora che anche lei si era destata aveva voglia di uscire e di godersi quella bella giornata.

-Sì- rispose lei -ho voglia di rimanere qui a letto con te-

-Non ti facevo così pigra- ribatté lui sorridendo sotto i baffi.

Elisabetta si finse offesa.

-E io che volevo rimanere qui con te a divertirmi- sospirò con innocenza -pazienza, mi alzerò, dato che il conte mi crede pigra…- stava già tirandosi su.

Lui alzò un sopracciglio.

-Divertirci? Allora le cose cambiano- la stuzzicò tentatore.

-Ma ormai mi sta alzando, quindi sarà per un'altra…- Lei non fece in tempo a finire la frase che si trovò avvolta da due braccia forti, che la tirarono indietro sul materasso. Si voltò verso Alexandros, rimanendo ancora una volta stupita dal colore della sua pelle. Tutto il suo corpo era di un bianco uniforme, bianco gesso. Un bianco che faceva sembrare più scuro il lieve lilla delle lenzuola. Passò una mano sul suo petto, incredula. Non era caldo, ma nemmeno freddo. E la sua pelle era setosa, morbidissima.

-A che pensi?- le chiese lui.

-Penso che sei troppo bello per essere vero- rispose Elisabetta, continuando ad accarezzarlo sul petto con dita lievi -e penso anche che ti amo- continuò prima di posare le labbra su quelle di lui.

La risposta di Alexandros fu immediata. Il bacio si fece intenso mentre si giravano tra le lenzuola, accarezzandosi, stuzzicandosi. E alla fine lui la lasciò condurre il gioco, tra sospiri e gemiti deliziati, prima di stringerla forte e ruggire il proprio piacere dentro di lei che in quel momento gli piantava le unghie nella schiena, travolta dall'intensità delle sensazioni che provava, donandole tutto se stesso.

Dopo Elisabetta si accasciò su di lui, stanca, cercando di calmare il proprio respiro accelerato. Il silenzio che li avvolgeva fu rotto da Alexandros.

-Sposami- le disse, lasciandola a bocca aperta.

-Cosa?- Non era sicura di aver sentito bene.

-Sposami- ripeté lui guardandola negli occhi –sposami, restami accanto come mia moglie. Potremo rimanere qui, oppure andare via. Non so dove, anche in capo al mondo, ma ti prego, vieni con me. Ti amo. Ti amo e non potrei sopportare di avere un'altra donna in questo letto, al mio fianco. Come non potrei sopportare di vederti sposata con un altro, un altro che non potrebbe farti felice-

Le parlava con il cuore in mano, stringendola a sé. Elisabetta era stupita. Non che si fosse aspettata che lui la trattasse male, come del resto avrebbe fatto qualsiasi altro nobile dopo una notte passata insieme, ma una proposta di nozze era proprio l'ultima cosa che si aspettava. Un sì spontaneo le saliva alle labbra, ma poi si ricordò delle loro differenze. Quale prete avrebbe acconsentito a sposare un nobile e una popolana? E poi che cosa avrebbero detto i nobili veneziani? Si sarebbero indignati, e lei avrebbe dovuto sopportare il loro disprezzo.

-Ascoltami, Alekos- cominciò a dire, chiamandolo con il diminutivo che lui le aveva detto di usare la notte precedente -io ti amo- continuò, portando la mano sinistra ad accarezzargli i capelli, dato che la destra era ancora sul petto di lui –ma… Sposarci vorrebbe dire lasciare Venezia, e io non sono pronta ad un passo del genere. Questa è la mia città, la mia casa, non posso abbandonarla così…- Le stavano venendo le lacrime agli occhi ma non poteva farci niente. D'altronde non era ancora pronta ad una scelta del genere. Non era ancora pronta a scegliere tra tutto ciò che era stato la sua vita fino a quel momento e quello che avrebbe potuto essere da quell'istante in poi.

-Capisco- rispose lui -so cosa significa. Quando ho lasciato Atene ho sentito un grande vuoto dentro di me, è stato difficile andare via… Comunque ti prego, pensaci. Prenditi tutto il tempo che vuoi ma pensaci- così dicendo le prese il polso sinistro ancora coperto dai nastri di raso per portarsi la sua mano alle labbra, ma il gemito di dolore di Elisabetta la lo fermò.

-Che c'è?- Le chiese, preoccupato.

-Niente- rispose lei per nulla convinta, tenendo gli occhi bassi e cercando di divincolarsi dalla sua presa gentile ma ferma, ma lui in pochi istanti sciolse i nodi dei nastri mettendo in mostra un livido bluastro sul suo polso. La notte prima non ci aveva fatto caso, preso da lei e da quello che stavano facendo, ma nella luce vivida del mattino quel segno era visibilissimo. Che fosse colpa sua? Forse l'aveva stretta troppo… Eppure sul resto del corpo non aveva nessun altro livido. Allora chi era stato? Elisabetta vide i suoi occhi diventare neri come la notte prima, ma questa volta non era il desiderio renderli più scuri di un cielo senza stelle, no, era la rabbia, una rabbia cupa e tempestosa.

-Chi è stato?- le domandò, distinguendo perfettamente il segno di cinque dita.

Lei non rispose.

-Betta, guardami- le disse sollevandole il viso -è stato Daniele?-

-Sì- La risposta le scappò dalle labbra senza che lei potesse fermarla. D'altronde non poteva dirgli di quell'uomo terribile, non poteva assolutamente dirgli che qualcuno oltre a lei sapeva del suo segreto. Forse con un po' di fortuna non l'avrebbe più visto. Forse le conveniva accettare la sua proposta e lasciare la città. Lasciare la possibilità di rivedere quel vecchio orribile.

Lui serrò le mascelle, mormorando qualcosa che la ragazza non comprese, forse in greco.

-Non avrebbe dovuto nemmeno sfiorarti. Può considerarsi disoccupato. Se ne andrà oggi stesso- detto questo si alzò e si infilò i pantaloni e la camicia.

-Dove vai?- gli chiese lei. Aveva paura che volesse andare a dare una lezione a Daniele.

L'espressione del vampiro si addolcì lievemente.

-Non preoccuparti, anche se ne ho molta voglia non gli farò nulla. Vado dalla signora Antoniou, a chiederle di portarci la colazione in camera-

-Ma… Cosa penserà vedendomi?- chiese lei allarmata.

-La verità, che noi ci amiamo-

-Quindi capirà che sono la tua amante?- concluse lei in tono interrogativo, alzando un sopracciglio.

-No. Tu non sei la mia amante-

-Ah no?-

-No. Sei la donna della mia vita- e dopo essersi avvicinato a lei e la baciò di nuovo.

Si godettero appieno quella mattinata, tra i dolci gesti degli innamorati.

 

Gustavo aspettava silenziosamente ad un angolo della calle.

-Aspettalo fuori dalla taverna. Pur di guadagnare qualcosa venderebbe anche sua madre, ci aiuterà- gli aveva detto il cardinale. Al religioso era bastato solo uno sguardo per individuare l'avidità che si nascondeva nell'animo di Daniele, e aveva mandato lui, Gustavo, per fargli una proposta. Aveva cambiato idea sulla possibilità di ucciderlo, preferendo l’opzione di avere il suo aiuto. Tuttavia era ancora deciso a far fuori l’altro, Giovanni, fin troppo fedele al suo padrone.

Diamine, sono quasi due ore che lì dentro. Per caso si è scolato tutta la cantina? Si chiese il mezzo indio, seccato.

Toh, parli del diavolo… Finalmente! Pensò, vedendo un Daniele mal fermo sulle gambe e fare capolino dalla porta. Non sembrava stare molto bene, sicuramente era ubriaco fradicio.

Ma che razza di persona sono venuto a cercare? Questo è un uomo o una spugna?

Gustavo gli fece lo sgambetto con naturalezza mentre l'altro cercava di dirigersi verso la fontana, e quello cadde in avanti con un sacco di patate. Ecco il pretesto per parlargli.

È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo, si disse abbassandosi.

-Dovreste fare più attenzione a dove mettete i piedi, messere- esclamò, porgendogli una mano guantata per aiutarlo.

-Oh, perdonatemi, è che non mi sento molto saldo sulle gambe…- rispose l'altro, tra una risatina e un singhiozzo. Probabilmente trovava molto divertente trovarsi lì con il deretano sulla dura pietra della piazza.

-Lo credo bene, avrete bevuto un'intera botte di vino!- esclamò Gustavo.

Dopo tutto quello che si sarà scolato mi chiedo come faccia ad essere ancora sveglio.

Dato che Daniele non sembrava aver afferrato che lui gli stava offrendo aiuto Gustavo gli mise le mani sotto le ascelle e lo tirò su.

-Forza, lavatevi la faccia- lo incitò dopo averlo fatto avvicinare alla fontana. Quello eseguì e poi bevve qualche sorso d'acqua. Poi alzò lo sguardo su di lui, leggermente più lucido di prima.

-E voi chi siete?- gli chiese con voce ancora lievemente impastata.

Indubbiamente era il servo di qualcuno, e i vestiti di ottima fattura lasciavano intendere che quel qualcuno era estremamente ricco.

-Il mio nome è Gustavo, ma ora veniamo voli, Daniele. Voi lavorate con una ragazza di nome Elisabetta, giusto?-

-Arrivate tardi, signore- disse quello, e poi continuò in risposta al sopracciglio alzato di Gustavo -lavoravo con lei fino a questa mattina. Sono stato licenziato tre ore fa. Maledetto greco!- imprecò.

-Che c'entra il greco?-

-Il conte- rispose Daniele -quello stramaledetto ateniese! Solo perché è nobile è convinto di avere il diritto di fottersi la ragazza che mi piace, e poi viene anche a dirmi che sono licenziato perché l'ho aggredita, ma scommetto quello che volete- continuò alzando la voce -scommetto che quel segno gliel'ha fatto lui!- Cercò di alzarsi ma inciampò nei suoi stessi piedi. Gustavo lo sorresse di nuovo.

-Ma io gliela farò pagare a quel bastardo…- mormorò lui contro la spalla di Gustavo, che sorrise. Era stato molto più facile di quello che pensava.

-Beh, se volete fargliela pagare io posso aiutarvi-

-Davvero?-

-Sì. Venite con me-

E Daniele lo fece.

 

-Però, lavato e rivestito a nuovo sei molto diverso. Sembri quasi nobile- la voce del cardinale tradiva un leggero stupore.

Gli aveva raccontato una menzogna, dicendogli che aveva preso a cuore la situazione di Elisabetta, che voleva portarla via da quella relazione immorale, e da quello che aveva definito “un diavolo tentatore”. Quella definizione era parsa molto appropriata a Daniele, che c'era cascato in pieno. Non sospettava minimamente quello che in realtà il cardinale aveva in mente. Perché il religioso aveva architettato quel piano per poter finalmente incontrare quella creatura. Lo avrebbe costretto ad uscire dalla sua dimora, e allora… rimarrò l’unico vampiro di Venezia. Certo, avrebbe fatto prima a chiedere al ragazzo dove si trovava l’abitazione, ma così avrebbe tolto tutto il divertimento. Era pur sempre un cacciatore.

Ovviamente il ragazzo non aveva collegato il suo viso a quello del vecchio ebreo che aveva soccorso la giovane, dato che quella volta non lo aveva quasi guardato, preso com’era da lei. E non aveva nemmeno chiesto come facesse a conoscerla. Sì, la faccenda si era rivelata più facile del previsto.

Gli umani, che creature prevedibili pensò il cardinale. Il loro egoismo va oltre qualsiasi immaginazione. Pensano solo ai loro sentimenti.

Quanto al suo aspetto, era vero che era migliorato, lo aveva constatato Daniele stesso guardandosi allo specchio: Gustavo gli aveva tagliato i capelli eccessivamente lunghi, che ora gli scendevano in boccoli neri sulle spalle, e l'aveva aiutato a radersi. Della barba incolta erano rimasti solo i baffi e il pizzetto. Infine gli aveva dato da bere una medicina che gli aveva fatto passare il mal di testa, conseguenza della sbornia. Tuttavia, nonostante ora avesse un aspetto più che rispettabile, molto più rispettabile di quello che aveva di solito, si sentiva a disagio sotto lo sguardo color ghiaccio del religioso. Lo studio, immerso nella luce infuocata del tramonto, gli faceva pensare di essere finito all'inferno. Un inferno fatto di arredi barocchi e antichi libri. Un posto che sapeva di antichità, un'antichità oscura e ignota.

-Vi ringrazio eminenza- rispose, ricordandosi le buone maniere.

-Passiamo alle cose serie. Ti ho voluto qui perché mi serve il tuo aiuto-

-Per cosa?-

-Devi rapire Elisabetta- la frase pronunciata dal religioso echeggiò nella stanza.

-Cosa?- chiese Daniele incredulo.

-Devi rapirla. E portarla qui. Devi salvarla da quel demonio-

-Ma… - cominciò a dire lui, subito interrotto dal cardinale -non preoccuparti. A lei non succederà nulla. E se ce la farai sarà tua-

-Quando… Quando dovrei…?-

-Quando non è in casa. Sarà molto facile farla sparire da una piazza affollata. Allora, accetti?-

-Quanto mi pagherete?-

-Trenta ducati d'oro-

-Quando me li darete?-

-Quando la ragazza sarà qui-

-Bene. Accetto- ecco l'occasione di vendicarsi di quel bastardo greco.

-D'accordo. Gustavo, mostra al tuo nuovo compare la sua stanza-

-Certo, eminenza-

Daniele non poteva immginare che non l'avrebbe mai avuta.

 

Angolo autrice

Ciao belli!! Ed ecco il sedicesimo!! Mi è venuto lunghetto ma non me la sentivo di spezzarlo, secondo me è meglio leggerlo tutto insieme. Poi, siccome sto male non so se mi è venuto bene, ma il succo sarebbe: il cardinale vuole rapire Elisabetta per costringere il conte ad uscire dalla villa e ucciderlo. Per farlo chiede aiuto a Daniele, furioso per il licenziamento e per il fatto che Alexandros gli ha ''rubato'' Elisabetta.

Ditemi se avete capito più o meno così :S

P.S: come diminutivo ho usato Alekos perché Alexandros è lungo. Volevo usare Alek, ma non volevo usare lo stesso nome che Damhia usa nella sua fanfic.

Alla prossima!

BlueStarMoon

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Occhi dorati, anima pura ***


Occhi dorati, anima pura

 

Seguii Giorgio

in città, sotto la

pioggia battente.

Lui fece fermare

il maestoso cavallo fulvo

sotto un portico

e smontò, levandosi

il cappuccio.

Gli andai dietro,

salendo una stretta

scala di pietra.

Entro poco

avrei saputo cos'era accaduto.

 

Mi svegliai in

un posto scuro

ed inquietante,

con la testa che

mi doleva in modo

insopportabile.

In mezzo a tutti

quei mobili neri,

in quella stanza immersa

nella semioscurità

ebbi paura.

-Alekos, salvami-

sussurrai terrorizzata.

 

Finalmente l'avevamo

presa.

Finalmente l'avevamo

in pugno.

Ora dovevamo solo

aspettare che lui

ci trovasse.

Già pregustavo

l'uccisione di un mio

simile.

E dopo mi sarei

liberato degli altri:

il sangue della ragazza

e di quello stolto

di Daniele

avrebbero placato la mia

sete crescente.

 

Il ragazzo era debole,

la sua ferita profonda.

Nonostante lo avessi

curato al meglio delle

mie capacità

non riprese conoscenza.

Quando la porta

si aprì e Giorgio

tornò con il conte

mi preparai

a informarlo

di ciò che sapevo

e del suo destino.

 

 

-Come avete fatto a trovarmi?- chiese Alexandros curioso all'uomo grande e grosso sul cavallo fulvo. Con la carnagione candida e le enormi mani sembrava un gigante dai capelli sale e pepe. La pioggia continuava ad abbattersi sui loro mantelli ormai fradici, bagnando i loro vestiti, mentre procedevano al galoppo schizzando l’acqua delle pozzanghere. Passando su ponti, per piazze, vicino a canali, giunsero ad un portico dove Giorgio fece fermare il cavallo e smontò. Alexandros lo imitò, chiedendosi che cosa l'uomo gli avrebbe risposto.

-È una lunga storia, perciò preferirei non parlarne qui. Seguitemi, una persona ci aspetta- rispose Giorgio, sfilandosi il cappuccio. L'altro annuì e lo seguì lungo una scala stretta e ripida, fino ad arrivare davanti ad una porta piccola e scura. Il gigante la aprì e si abbassò per entrare, subito seguito dall'altro. Si trovarono in un piccolo appartamento, arredato spartanamente ma a prima vista abbastanza comodo. Nella stanza dove si trovavano il fuoco ardeva nel camino scacciando l'umidità. Alexandros notò che c'erano dei vestiti da uomo ad asciugare davanti al camino. Giorgio si accorse del suo sguardo e sorrise leggermente.

-Appoggiate pure il vostro mantello vicino ai vestiti di Giovanni, così non dovrete rimettervelo bagnato. Aspettate qui un momento- detto questo e entrò in un'altra stanza.

Alexandros si voltò a osservare la stanza. L'ambiente era pulito e ordinato, e le trecce di erbe essiccate appese al soffitto facevano capire che lì abitava una donna. Una donna con buon gusto, si disse lui mentalmente, osservando i colori vivaci ma abbinati dei cuscini, della poltrona, nel tappeto delle tende. L'insieme delle tonalità creava un effetto gradevole in contrasto con le pareti chiare.

-Signor conte- si sentì chiamare. Si voltò verso Giorgio, tornato nella stanza.

-Ditemi- rispose.

-Venite- esclamò l'altro, facendo cenno di entrare in quella che sembrava essere una camera da letto.

Lui annuì ed entrò. La prima cosa che lo colpì fu la semioscurità in cui era immersa la stanza. La seconda fu Giovanni steso sul letto, privo di conoscenza. La terza fu una ragazza dalla pelle scura che lo fissava con due occhi dorati incredibilmente luminosi.

 

Elisabetta riprese lentamente conoscenza, avvertendo una fitta lancinante alla tempia non appena cercò di alzarsi. Restò stesa su quello che sembrava essere un morbido letto a respirare lentamente per calmare il dolore alla testa, cercando di capire dove si trovava.

La stanza era immersa nella semioscurità, e da quel poco che la ragazza riusciva a vedere sembrava piccola ma abbastanza confortevole, arredata con mobili che parevano essere debbano. Elisabetta si alzò con cautela dal letto, mentre il dolore diminuiva lentamente e si guardò intorno con curiosità mista a timore. Nella camera regnavano i toni scuri: le pareti sembravano essere di un rosso bordeaux abbastanza spento, e le tende davanti alla finestra sbarrata e il copriletto erano viola, il viola dei paramenti dei preti che dicono messa per i funerali.

 La ragazza represse a stento un brivido vedendo appeso al muro un quadro che raffigurava il cardinale, riconoscendo in lui l'uomo terribile che l'aveva aggredita il giorno del ricevimento. Era raffigurato in veste cardinalizia, seduto su quello che sembrava essere un trono, e aveva in mano una coppa piena di liquido scarlatto. Ma la parte più inquietante dell'opera erano gli occhi: gelidi, spietati. Disegnati così bene da sembrare vivi. Quel quadro sembrava respirare, e non faceva altro che spaventarla ulteriormente. Se la giovane non fosse stata così spaventata dal fatto di essere sola in una stanza con una porta robusta chiusa a chiave dall'esterno e una finestra che non si poteva aprire forse si sarebbe soffermata a riflettere su come uscire da lì.

La ragazza cercò di stare calma. Si avvicinò alla finestra e guardando tra le sbarre di legno di decollo che sembrava essere un parco disseminato di pozzanghere ma è la, ricordo del temporale che doveva essere appena finito. Un raggio di sole vi si riflettè accecandola per un momento, riportandole alla mente l'aggressione subita poche ore prima. In un lampo rivide tutto: Daniele, con un'espressione da invasato sul volto, il suo strano aiutante, più sottile di lui ma molto forte. Risentì la presa ferrea delle sue lunghe mani, e guardandosi le braccia non si stupì nel trovarvi dei lividi. E infine rivide Giovanni, immobile sulla pietra, una striscia di sangue che s'allungava da un fianco e un’altra, più sottile, dalla testa. Poi era arrivato il buio.

Nuove lacrime le spuntarono dagli occhi, mentre pensava che probabilmente il suo amico era morto, e che lei non aveva potuto fare niente per impedirlo. Al pensiero che forse non avrebbe più rivisto i suoi ridenti occhi neri e il suo dolce sorriso sentì un nodo allo stomaco.

E Alekos, il suo Alekos? L'avrebbe cercata, l'avrebbe trovata? Voleva tanto ritornare al sicuro tra le sue forti braccia, voleva risentire il suo leggero accento straniero, voleva girarsi di nuovo nel letto di percepire il suo profumo speziato sul guanciale. Ma sapeva che il cardinale, quell'uomo terribile lo voleva morto, e aveva preso lei per arrivare a lui. Che cosa sarebbe successo?

Oh, Alekos, dove sei? Ci prego, vieni a salvarmi, ho tanta paura… Si disse presa dallo sconforto, mentre le lacrime che sembravano volersi fermare continuavano a scorrere copiose.

Elisabetta si accasciò davanti al davanzale della finestra, piangendo.

 

-Che cosa? Daniele lavora per il cardinale che è…- cominciò a dire Alexandros voltandosi sbalordito verso la ragazza, che lo interruppe terminando la frase: -è un vampiro. Sì, purtroppo è così-

Il conte si alzò da una delle poltrone su cui era stato invitato ad accomodarsi, avvicinandosi alla finestra, riflettendo su ciò che gli aveva detto quella giovane dalla pelle scura. Gli aveva raccontato chi era e come aveva trovato Giovanni, e lui aveva ascoltato a bocca aperta per lo stupore. Lei, Aicha, era una maga. Non una vecchia che spacciava le sue tisane per filtri magici, ma una maga vera, che aveva trovato il suo servo senza conoscerlo, guidata dai suoi poteri e dal suo istinto. Ad Alexandros tutto quello che lei gli aveva spiegato sembrava assurdo, nonostante sapesse quante cose strane potevano accadere al mondo, cose di cui egli stesso sapeva di essere la prova, dato che era un vampiro.

Un vampiro come il cardinale, pensò mentre il suo sguardo si incupiva. Ora che era a conoscenza del fatto che c'erano ben due vampiri a Venezia si spiegavano molte cose: i cadaveri trovati completamente dissanguarti, la sua inquietudine quando gli avevano nominato il cardinale, e ovviamente la sparizione di Betta.

Ma perché è agire così? Perché non arrestarmi direttamente anziché farmi passare per assassino? Perché rapire Betta? Si chiese angosciato. Betta, la sua Betta. Dov'era? Sta bene? Cosa le avevano fatto? Cosa le avrebbero fatto?

-Tutte le vostre domande troveranno risposta, non dubitate- la voce di Aicha lo scosse. Aveva sentito i suoi pensieri?

Ne ebbe la conferma poco dopo, sentendola rispondere di sì. Si voltò verso quei disarmanti occhi dorati, brillanti come due piccoli soli.

-E voi in che modo potete aiutarmi? Sapete dove sono nascosti?-

Lei scosse la testa -no, purtroppo anche la preveggenza ha dei limiti. Però posso dire che siete in grado di trovare il loro nascondiglio-

-E come?- Domandò lui subito.

-È una cosa che dipende solo da voi. Dovete concentrarmi su questo stesso, e il vostro cuore vi dirà dove andare. L'amore che vi lega ad Elisabetta vi guiderà. E ovviamente solo voi potrete scoprire vostri poteri-

-Poteri?- Ora Alexandros sembrava decisamente confuso.

-Sì, poteri. Sento che avete una forza nascosta, forza che probabilmente si svelerà quando incontrerete il cardinale. Lo dico perché voi siete diverso, non sembrate malvagio. Attorno a voi non c'è quell'aura di morte che circonda i vostri simili. E credo che il fatto che voi non siete velenoso ne sia una prova- rispose lei.

-Ne siete sicura?- chiese lui.

-Le mie sono solo ipotesi, ma credo che voi abbiate davvero delle… Capacità-

Alexandros annuì serio.

-E ditemi, come sta Giovanni?- le domandò guardando il ragazzo.

-Non ha ancora ripreso conoscenza ma si rimetterà. È un ragazzo forte. Ha cercato di difendere Elisabetta, ma gli aggressori erano due, molto più forti di lui-

Il vampiro le si avvicinò.

-Se posso chiedervelo, perché fate tutto questo? Perché mi aiutate? E soprattutto, cosa posso fare per sdebitarmi con voi? Mi avete dato informazioni importantissime…-

-Lo faccio perché Venezia è la mia città, non voglio che un individuo come il cardinale minacci la sua serenità. L'unica cosa che vi chiedo è di eliminarlo. Voi dite di essere un mostro, ma lui lo è molto di più. Lui uccide, voi no. Lui è crudele, voi non lo siete. Lui adora la sua natura di predatore, voi la odiate. Siete molto più simile agli essere umani di quanto immaginiate, credetemi, perché se foste stato davvero un mostro non avreste cercato di frenare la sete, non avreste rischiato di perdere l'amore di Elisabetta per andare a caccia, no, le sareste semplicemente saltato alla gola. Per questo vi voglio aiutare. E ora devo darvi una cosa- e Alexandros la osservò mentre la ragazza apriva un cofanetto di legno intagliato. Aicha si voltò e gli porse un ciondolo.

-Tenete, vi aiuterà a concentrarvi. È acquamarina. Pura, come la vostra anima-

-Temo di non averla più un’anima, e anche se l’avessi sarebbe nera come le tenebre. Anch'io ho ucciso- rispose lui sorridendo amaramente.

-Io invece dico che l'avete, eccome! E ricordatevi che ora state vivendo una nuova vita, una vita che è cominciata quando avete iniziato ad amare davvero- ribatté la ragazza con forza.

-Ma dovrò uccidere di nuovo, per liberarmi del cardinale, giusto?- domandò lui.

Aicha non rispose, limitandosi a guardarlo intensamente.

 

 

 

Angolo autrice

Ehi, ciao a tutti! Sicuramente avrete pensato che fossi sparita da qualche parte vero? E invece no, rieccomi qua!! No, non sono stata inghiottita dal triangolo delle Bermuda, ho solo avuto troppa, ma troppa roba da fare.

Cooomunque ecco il capitolo 18 (lo so che non ci speravate più e vi chiedo scusa per l’immenso ritardo), voglio proprio vedere che ne pensate :)

Quindi, per ora Giovanni non è morto e abbiamo visto che il nostro eroe ha scoperto di poter trovare Betta che intanto ha paura (e chi non ne avrebbe se fosse prigioniero del cardinale??)

Ciao topi di campagna, un bacio

Elena

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Vecchi ricordi, nuove emozioni ***


Vecchi ricordi, nuove emozioni

 

Decisi che avrei fatto visita

alla ragazza.

D’altronde era rinchiusa in quella

stanza da tre giorni ormai.

Non mi interessava sapere

chi era il mio simile,

dato che ci avrebbe

sicuramente trovati,

volevo solo spaventarla

e divertirmi.

E il pensiero del suo sangue,

che avrei presto felicemente bevuto,

non faceva che aumentare

la mia gioia.

 

Dopo tre giorni

quell’uomo orribile

venne a farmi visita.

Finalmente lo vedevo per quello che era.

Un uomo di Chiesa, che avvolto

in quella veste rosso carminio

sembrava il Diavolo in persona.

 

Mai come allora sperai.

Mai prima d’allora avevo sperato

così tanto.

Sperai che la giovane vita

del ragazzo che aveva voluto

proteggere Elisabetta

Non si spegnesse come la fiamma

di una candela a causa

 di uno spiffero gelido.

E soprattutto sperai per Alexandros.

Sperai che riuscisse a trovare la sua amata

e che eliminasse quel mostro.


 

La ferita sta smettendo di sanguinare, per fortuna, si disse Aicha mentre cambiava le bende a Giovanni, che ancora non dava segni di ripresa. Il ragazzo respirava normalmente, ma non si era ancora svegliato. Del resto la ferita era grave, perciò lei si sarebbe stupita del contrario.

Non sapeva perché ma si sentiva attratta da quel giovane. Non riusciva a spiegarselo, non lo conosceva, non gli aveva mai parlato, eppure sapeva che era buono, lo sentiva.

Sciocchezze, devo essere completamente impazzita a sentirmi attratta da lui. Giovanni, non so nulla di te, non so nemmeno com’è la tua voce, non so nemmeno di che colore sono i tuoi occhi… pensò mentre gli scostava una ciocca di capelli dal viso rilassato in quello che sembrava essere un sonno profondo.

Gli rimboccò le coperte e mentre lo faceva lui si mosse. In un lampo le tornarono in mente le parole che sua madre le aveva detto tanti anni prima, quando lei, poco più che ragazzina, diffidava ancora dei propri poteri.

Aicha, non chiederti sempre il perché delle cose, non essere sempre scettica. Devi imparare a fidarti del tuo istinto e del destino. Non ti porteranno mai sulla strada sbagliata, non dubitarne.

Sua madre, Giuditta, era molto diversa da lei. Una donna forte e serena, che confidava nelle proprie capacità. Aicha sorrise ripensando al suo aspetto: con i capelli ramati, la pelle candida e gli occhi grigi, così diversa da lei, non sembrava neanche sua madre. Sempre avvolta in vestiti di seta e broccato, alta e snella, dotata di grande fascino, era stata ammirata dagli uomini, veneziani e non, e invidiata dalle donne.

Lei, Aicha, non le somigliava per nulla; minuta e bruna, con la carnagione olivastra e i capelli scuri. Aveva preso tutto, fuorché la bassa statura, da suo padre, nobile napoletano discendente da una ricca famiglia francese. Alto, moro e affascinante, aveva conquistato sua madre con la musica.

La giovane si perse in uno dei suoi ultimi ricordi felici, prima che succedesse tutto.

La casa era sempre uguale. Una bellissima villa, non troppo grande perché ai suoi genitori non piacevano le dimore troppo dispersive, con un giardino delizioso.

A lei piacevano soprattutto il pergolato di glicine, sotto cui tutti insieme facevano colazione, e dove nelle giornate abbastanza calde  si riunivano per cenare, e l’agrumeto. Passare sotto quegli alberi solidi le dava sicurezza, mentre respirava a pieni polmoni il profumo dei frutti che maturavano sui rami mossi dalla brezza marina.

Ogni volta per lei il viaggio in nave era un’avventura. Si divertiva a stare sul ponte a guardare incantata le onde che s’infrangevano sulla prua della nave, amava immaginare che oltre l’orizzonte ci fossero terre nuove ed inesplorate.

Ogni volta suo padre le raccontava storie di pirati e principesse, e lei lo guardava estasiata immaginando arrembaggi e combattimenti.

E ogni volta che sbarcavano a Napoli i suoni, i colori e gli odori del porto riempivano i suoi sensi, stupendola come la prima volta che vi aveva messo piede.

Quell’estate lei aveva compiuto da poco dieci anni, e come sempre era scesa dalla nave con entusiasmo.

-Ti ricordi la promessa che ti ho fatto l’anno scorso?- le aveva chiesto suo padre sorridendole.

Promessa, promessa… ma certo!

-Avevi detto che mi avresti comprato un cavallo!- aveva esclamato lei entusiasta.

-E indovina un po’ per chi è quel purosangue bianco?- aveva continuato lui indicando uno splendido cavallo portato da un ragazzo.

-Grazie papà! È bellissimo!-  aveva praticamente gridato abbracciandolo.

Si, quell’estate sarebbe stata perfetta.

Non immaginava assolutamente che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto Napoli con la sua famiglia.

Aicha si riscosse dai suoi pensieri quando sentì una voce maschile alle proprie spalle.

-Dove mi trovo? Che è successo?-

La ragazza si voltò e affogò nelle profondità di due occhi neri come l’onice.

Giovanni si era svegliato, e si era faticosamente messo sedere sul letto.

 

Elisabetta si alzò di scatto dal letto quando sentì la chiave nella toppa girare.

Ormai era lì da tre giorni. Tra giorni chiusa in quella camera. Prigioniera.

Il misterioso visitatore si rivelò essere il cardinale.

Finalmente si presentava in tutto il suo splendore: la veste rossa, la croce d’oro. Portava i capelli grigi raccolti in una coda e gli occhi innaturalmente chiari brillavano come due fiammelle color del ghiaccio.

-Che cosa volete da me?- la voce di Elisabetta uscì brusca e roca per la paura.

-Ma come siamo gentili oggi- osservò il religioso in tono mellifluo sorridendo maligno –dimmi, per caso Daniele e Gustavo ti hanno fatto mancare qualcosa? Penserò io a rimproverarli- i suoi denti candidi e perfetti scintillarono mentre il suo ghigno si allargava, diventando quasi bestiale.

Sembravano incredibilmente affilati, come quelli di un predatore. Inquietanti, com’era inquietante il fatto che un uomo che ormai doveva essere sulla sessantina avesse dei denti così… impeccabili.

-No, non mi hanno fatto mancare nulla- rispose lei. In effetti era così, Daniele e Gustavo si erano alternati nel portarle pasti abbondanti, e l’avevano persino accompagnata a lavarsi una volta al giorno, restando dietro la porta.

-Bene. Comunque, cara la mia fanciulla, da te io non voglio nulla- a parte il tuo sangue –voglio capire chi è questo vampiro che minaccia il mio potere su Venezia. Voglio che venga qui per salvarti- ormai a che serviva tenere il segreto? L’avrebbe uccisa, nessuno avrebbe mai saputo.

-E che farete se verrà? Lo ucciderete?- domandò Elisabetta, ora decisamente spaventata e preoccupata.

-Naturalmente. D’altronde la città è troppo piccola per due creature delle tenebre, non credi? E non provare a dirlo a Daniele e Gustavo, il primo non ti crederebbe, il secondo lo sa già- disse l’uomo di fronte all’espressione orripilata della ragazza.

Le si avvicinò, ghignando perché lei si ritrasse, finendo contro il muro, senza via d’uscita.

Prese una ciocca di capelli tra due dita e ne inspirò il profumo, chiudendo gli occhi.

-Non preoccuparti ragazzina, io non ti farò nulla, per ora- disse a voce bassa, sfiorandole una guancia con un dito freddo –sarebbe un peccato far appassire un fiore così bello- di nuovo quel ghigno.

Elisabetta sentì un moto di rabbia salirle dal profondo ed esplodere.

-Voi siete un mostro! Lasciatemi, lasciatemi andare! Io lo amo, e preferisco morire piuttosto che fare da esca per il vostro piano- urlò la giovane buttandoglisi addosso, tempestando di pugni un petto duro come la pietra. Il cardinale scoppiò a ridere sotto quei colpi che per lui erano lievi come piume. Ma il suo ghigno divenne un ringhio quando Elisabetta lo graffiò aprendogli tre tagli nella guancia.

Le afferrò i polsi senza difficoltà con una mano, con l’altra le tirò un potente schiaffo che la stordì.

-Bene- esclamò con il respiro affannato –visto che trattarti con gentilezza non serve a nulla… Daniele!- chiamò.

-Sì, padrone?- rispose il più giovane, precipitatosi al piano di sopra per il trambusto.

-Volevi la ragazza? Eccola, prendila! Fa’ quello che vuoi di lei! È tutta tua!- disse il religioso forte, quasi urlando. Poi si passò una mano sulla guancia e si leccò via il sangue dalle dita. Infine se ne andò, lasciandoli soli.

Daniele si trovò a guardare Elisabetta, semisvenuta sul letto, con desiderio crescente.

La ragazza, con lo sguardo appannato dalle lacrime, vide una figura incombere su di lei. E voltò il viso di lato, chiudendo gli occhi.


In quel momento Alexandros aprì gli occhi, con la certezza di sapere dov’era Betta, e con la certezza che la sua amata era in pericolo.

Resisti amore, sto arrivando.

Corse più veloce che mai.

 

Angolo autrice scrittrice dispersa

Ciao topi :)

Comincio prostrandomi un milione di volte per chiedervi scusa, ma non mi piaceva come era venuto il  capitolo (e a essere sincera non mi convince molto neanche ora ç.ç)

Coooomunque, so che gente di mia conoscenza sarà dispiaciuta dal fatto che il nostro caro Alekos compare solo nelle ultime due righe (e non faccio nomi, chi deve intendere intenda!!) ma dovevo fare così per la suspense, e tranquilli, mi rifarò nel prossimo capitolo!!

Un grazie immenso a chi recensisce, a chi ha messo la storia tra la preferite e chi la segue.

Elena

 

 

 

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Capitolo 20
*** Dalla disperazione, la speranza ***


Dalla disperazione, la speranza

 

Scattai quando

sentii una morsa

al cuore.

Elisabetta era in

pericolo, più di quanto

era stata fino

a quel momento.

Seguii il mio istinto,

percependo sulla pelle

l’acquamarina che Aicha

mi aveva dato

scottare, vedendola

brillare nell’oscurità.

Corsi più veloce

che mai.

 

Mentre controllavo la

ferita di Giovanni una

certezza mi colpì

come una freccia:

Alexandros

sapeva dov’era Betta,

l’avrebbe trovata.

E allora sospirai

di sollievo.

 

Il cardinale se n’era

andato, ma la paura

era ancora forte.

Daniele era lì,

incombeva su di me.

Era pazzo e io, stordita,

non avrei di certo

avuto la forza

di combatterlo.

Mai come allora

sperai che Alekos tornasse.

 

Probabilmente

quell’impulsivo

di Daniele avrebbe cercato

di conquistarla, lei

avrebbe rifiutato

e potevo benissimo

immaginare

cosa le avrebbe fatto.

Ma per quanto mi riguardava

avrebbe anche potuto ucciderla.

Per me l’importante era

 eliminare quel vampiro.

Mi sedetti ad aspettarlo

con calma

sorseggiando vino.

Neanch’io potevo immaginare

chi era quella

creatura.

 

Qualcuno mi aiuti, pensò Elisabetta spaventata, gli occhi serrati e il volto girato di lato.

Ora non vedeva Daniele, ma sapeva che non si era mosso di un centimetro.

Ora sentiva il sapore della paura. Stava per diventare una preda di Daniele. Di quel pazzo.

 

Dio, se è bella, pensò Daniele, guardandola.

Distesa sul letto, avvolta in quel semplice abito azzurro in magnifico contrasto con i suoi capelli di fiamma, sembrava un angelo. Un angelo caduto dal cielo per lui.

Si sedette sul letto e avvicinò una mano al suo viso candido.

-Betta, guardami- le disse in tono gentile. Sorprendentemente gentile.

La ragazza si chiese cosa avesse in mente e aprì gli occhi, convinta dal tocco dolce sul viso.

In quel momento Daniele le sembrò molto diverso dal giorno dell’aggressione a Giovanni. Il suo viso non aveva più la gelida espressione di quel giorno sciagurato. Era addirittura carino, e non sembrava fuori di sé. Forse non le avrebbe fatto nulla.

-Daniele…- cominciò a dire con voce tremante.

Il ragazzo notò che tremava.

-Daniele, ti prego… ti prego, lasciami andare- implorò lei a voce bassa.

La risposta dell’altro fu sorprendentemente gentile.

-Non posso Betta. Tu torneresti da lui e io non posso permettere che ti rovini. È un nemico della Chiesa-

Elisabetta cominciava davvero a essere stufa. Era stufa del fatto che qualcun altro scegliesse al posto suo. Si passò una mano sul volto per calmarsi e quando rispose la sua voce era ferma.

-Non puoi permettere che lui mi rovini? Chi credi di essere per arrogarti il diritto di decidere al mio posto? Non capisci che io lo amo, che tenendomi qui mi fai solo del male?- non si era accorta di aver alzato la voce, di aver urlato l’ultima frase.

La calma risposta di Daniele la mandò letteralmente fuori dai gangheri.

-Tu sei solo una bambina, non puoi decidere nulla, non ne sei in grado. Sei troppo piccola per capire cosa sia il vero amore. Per questo rimarrai qui con me. E prima o poi imparerai ad amarmi-

La giovane scoppiò in una risata aspra mentre le lacrime le salivano agli occhi.

-Amare te? Preferirei morire! E ora vattene!-

L’altro si alzò cercando di rimanere calmo. Le parole di Betta lo ferivano, ma capiva che erano dettate dall’ira. Del resto anche lui si sarebbe infuriato se lo avessero allontanato a forza dalla propria casa, ma alla fine avrebbe capito che era per il suo bene. Doveva solo aspettare che anche lei lo capisse.

-Cambierai idea quando capirai che sposarmi sarà l’unica via per uscire di qui. Ma io so aspettare- l’attesa non avrebbe fatto altro che accrescere la felicità nel momento in cui lei avrebbe finalmente accettato di diventare sua moglie.

Anche Elisabetta si alzò, rendendosi conto che la porta era rimasta socchiusa.

-Mai, non ti sposerò mai! Neanche se sposarti significasse riavere la libertà! Mi disgusti, mi fai schifo! Credi di poter conquistare una persona rapendola?-

La rabbia crebbe dentro Daniele. Il leggero fuoco che gli scorreva sotto pelle, prodotto del nervoso causato dall’attesa del vampiro, si tramutò in un incendio.

Con un potente schiaffo sbatté Elisabetta sul letto, spaccandole un labbro.

In un attimo le fu sopra e la baciò con forza, sentendo il sapore del suo sangue. Un sapore che lo rese ebbro di desiderio.

La ragazza si dibatteva, gli diede addirittura un morso, ma non riuscì a toglierselo di dosso.

Lottarono silenziosamente, lei distesa sul letto e lui sopra. L’unico suono nella stanza era quello del loro respiro accelerato. E poi un’unica frase che uscì dalla bocca dell’uomo.

-Io ti avrò, che tu lo voglia oppure no, ricordalo ragazzina! Tu sei mia!-

Il rumore della stoffa strappata fece immobilizzare Elisabetta.

Terrorizzata la giovane voltò di nuovo il viso di lato, sotto lo sguardo stupefatto di Daniele, deliziato da quello che finalmente vedeva.

 

Il posto dev’essere questo.

Alexandros era davanti ad un antico edificio fuori Venezia, isolato e nascosto dalla vegetazione.

Un nascondiglio perfetto.

L’aveva trovato, e neanche lui sapeva come. Era rimasto a casa per tre giorni, chiuso nella sua stanza, a riflettere, ignorando le domande della governante e della servitù su Giovanni e Betta, e questo non aveva fatto altro che aumentare la loro agitazione. Era rimasto ore ed ore seduto sulla poltrona, ad occhi chiusi, con il ciondolo in mano, concentrato su sé stesso. Immerso in un oceano di silenzio.

-Dovete pensare che non esiste nulla al di fuori di voi. Dovete concentrarvi sul vostro cuore, sulle vostre emozioni. Immergetevi in voi stesso, conoscetevi il più profondamente possibile- gli aveva detto Aicha, poco prima che lui se ne andasse da casa sua.

Lui l’aveva fatto. Era sprofondato lentamente in sé stesso.

Aveva ripercorso tutti i momenti passati con Betta, impressi a fuoco nella sua memoria. E poi all’improvviso l’aveva sentita. Lo chiamava. Aveva aperto gli occhi e si era trovato in un posto inondato di luce. Un posto che aveva realizzato essere un giardino. Il giardino della villa. Aveva sentito di nuovo quel richiamo. Aveva trovato Betta nel gazebo, una struttura di metallo su cui le piante crescevano, intrecciate ai pali.

-Alekos, vieni. Vieni da me!- aveva esclamato lei ridendo, tendendogli una mano. Era ancora più bella avvolta in quel vestito bianco, i capelli sciolti in lunghe onde di fuoco.

Lui si era avvicinato, ma non aveva fatto in tempo a fare cinque passi che gli steli dei fiori sui pali si erano trasformati in tronchi, avvolgendo il gazebo e chiudendovi dentro Betta. Imprigionandola. Aveva cercato di liberarla ma non ci era riuscito.

E all’improvviso si era trovato nel campanile di una chiesa abbandonata.

Nessuna traccia di Betta. Aveva alzato lo sguardo e aveva visto le campane muoversi senza emettere alcun suono. Poi la chiesa era scomparsa, lasciandolo in un prato ingiallito e secco.

Una voce sconosciuta era echeggiata in quel posto desolato.

Qui dove le campane di San Marco non si sentono…

Qui dove le campane non suonano più…

La visione era terminata e lui si era precipitato fuori di casa, e dopo aver corso molto aveva trovato quel posto. Abbastanza lontano dalla città affinchè le campane della basilica non si udissero, vicino alle rovine di una chiesa, immerso nella vegetazione.

Ora era lì, davanti alla porta sul retro.

Senza esitare entrò.

Betta, sono qui.

 

Le mani di Daniele cominciarono a scorrere sul corpo bianco di Elisabetta, causandole dei brividi. Lo avrebbe fatto, non c’era via di scampo.

Il giovane le insinuò una mano sotto la gonna, ignorando le sue suppliche, le sua lacrime.

Un momento prima era sopra di lei, e un momento dopo volava contro il muro, sbattendo la testa e svenendo.

Lei si alzò a sedere di colpo, cercando di coprirsi e vide il suo amato, in piedi, infuriato.

Subito lui si sedette sul letto.

-Betta, che ti hanno fatto? Stai bene?-

Lei annuì, la voce bloccata in gola e le lacrime agli occhi.

Alexandros la strinse a sé dolcemente, sussurandole di calmarsi quando lei scoppiò in violenti singhiozzi.

-Dobbiamo andare via di qui. Te la senti di camminare?-

-Sì- rispose lei debolmente.

Alexandros la coprì con la giacca e le diede un bacio a fior di labbra, con dolcezza.

Scesero al piano di sotto, lentamente. Il cardinale, seduto con le spalle rivolte verso la scalinate li sentì.

-Allora, vediamo chi è questo vampiro che ama così tanto questa povera umana da andarsi a cacciare nella tana del lupo-

Il vago sorriso che aveva sul volto scomparve quando si voltò verso di loro. Il bicchiere che aveva in mano si infranse sul pavimento.

-No- esclamò il religioso –non puoi essere tu. Non puoi essere tu!-

 

Angolo autrice

Olè, capitolo pubblicato nel giro di pochi giorni!

Mi sentivo proprio ispirata ^^

Chissà perché il cardinale sembra così… stupito? Spaventato? Chissà, a voi le supposizioni (e le recensioni!)

Ciao topi :)

 

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Capitolo 21
*** Creatura contro creatore ***


Creatura contro Creatore

 

 

No, non poteva assolutamente

 essere lui.

Quel viso, quegli occhi,

io li avevo già visti.

E non li avevo

dimenticati.

Dovevo agire in fretta.

 

 

Perché quel vampiro

mi guardava con

tanto stupore?

Ero sicuro di non averlo mai visto,

 e la memoria di certo non

mi faceva difetto.

Ma allora perché,

perché sembrava esterrefatto?

 

 

Io e Alekos ci trovammo

davanti il cardinale.

Quella creatura infernale sembrava

disposta a fare ogni cosa per fermarci.

Sapevo che Alekos era

 determinato, ma lui era solo e

il Cardinale aveva i suoi scagnozzi

 pronti ad aiutarlo.

Che ne sarebbe stato di noi?

 

 

Trattenere Giovanni fu impossibile,

volle sapere dov’era il conte.

Voleva aiutarlo perché

gli era fedele, una fedeltà

 totale e sincera, rara e preziosa.

Per la seconda volta nella mia vita assaggiai

 il sapore della paura, la paura che

 ti schiaccia il cuore, la paura

 sorda che ti attanaglia quando temi

che una persona amata

 non ritorni da te.

Perché io amavo Giovanni,

ora me ne rendevo conto.

Il cuore che mi batteva

 all’impazzata nel petto

 ne era la prova.

Quando lo vidi uscire dal casa

 mia per andare a cercare

il conte non ce la feci e lo raggiunsi.

E lo baciai.

Disperatamente.

 

 

Il cardinale era esterrefatto. No, non era possibile. Sicuramente si sbagliava. Era passato così tanto tempo, non era assolutamente possibile. Ma quegli occhi blu erano inconfondibili. Quegli occhi che l’avevano fissato intensamente. Non poteva essere lui. Eppure lo era.

Devo trovare subito una soluzione si disse il religioso.

-E così vuoi portare via Betta- disse ad Alexandros in tono mellifluo, adocchiando il pugnale con cui Daniele aveva colpito Giovanni, appoggiato sul grande tavolo in mogano al centro della stanza. Bene, devo prenderlo e liberarmi di lui.

-Certo. Non la lascerò di certo nelle tue grinfie, mostro- rispose Alexandros, osservando attentamente ogni suo movimento.

-Betta, mettiti dietro di me- sussurrò alla ragazza, che spaventata eseguì subito.

-Sta’ tranquilla, ora ce ne andiamo- la rassicurò.

Betta annuì in silenzio, le mani poggiate sulle spalle muscolose del suo compagno. Stava tremando, e non per il freddo.

-Temo che abbiate fatto i conti senza l’oste- fece loro notare il cardinale con voce improvvisamente gelida -tu sei da solo e io ho Daniele e Gustavo. Non credo che la ragazza potrebbe esserti di qualche aiuto- continuò in tono divertito.

-Beh, Daniele è fuori gioco, dato che ha preso una bella botta in testa- considerò Alexandros, portandosi una mano sulla spalla per stringere quella di Betta –e se non ci lasci passare ci faremo strada con la forza-

-Senti senti, che superbia! Un ragazzino che mi minaccia! Povero sciocco, sei un vampiro da quanto? Cento, duecento anni? Ricordati che io lo sono da molto più tempo!- scoppiò a ridere il religioso –Sai, caro il mio ragazzino, io ero già così quando Cesare era solo un bambino! Credi di potere qualcosa contro di me?-

Mentre parlava Alexandros mormorò alla ragazza: -Resta qui-

Anche lui aveva notato quel pugnale dalla lama allungata e di sicuro estremamente affilata.

Ora è distratto. È il momento giusto, si disse e si scagliò contro il cardinale.

Gli sembrò di tornare indietro di duecento ottantatré  anni.

 

-Giovanni, non puoi andare, non ti sei ancora ristabilito- cercò di dire Aicha, subito interrotta dal ragazzo.

Perché gli ho detto dov’è andato il conte? Sarebbe stato meglio fare finta di non saperlo! Pensò la giovane.

-Lo so ma non mi interessa. Devo trovare il conte e aiutarlo. Betta rischia la vita, non posso lasciarla lì!- rispose il giovane, facendo una smorfia di dolore mentre si infilava la camicia.

-Sei ancora debole, non gli saresti di grande aiuto- osservò secca la maga.

-Ti ho già detto che non mi importa. Devo anche dare una lazione a quell’idiota di Daniele- esclamò Giovanni fermandosi e premendosi una mano sul fianco. La ferita gli dava ancora molto fastidio.

-Allora vengo con te- decise l’altra, prendendo il mantello.

-Scordatelo. È pericoloso-

-Ti faccio notare he non sono quel che si dice una ragazza ingenua ed indifesa- ribatté lei esasperata alzando gli occhi al cielo.

-No Aicha, è meglio di no. Se dovessimo fallire il cardinale ti processerebbe per stregoneria- ora il ragazzo sapeva tutta la faccenda, ma stranamente l’aver scoperto che il suo padrone non era umano non l’aveva turbato più di tanto.

-Si vedeva che aveva qualcosa di diverso. E anche se non riuscivo a capire cosa sapevo che meritava la mia fiducia- aveva detto, senza scomporsi più di tanto.

-Daniele, dico sul serio, andare dal conte e combattere potrebbe farti molto male- gli disse seria.

-È per questo che verrò dalla migliore maga del mondo- sorrise lui.

-E se non dovessi farcela?- domandò lei brusca.

-Sarò sicuro di aver fatto del mio meglio per il mio padrone- rispose l’altro, serio.

Ma perché ti ostini tanto? Cosa pensi di poter fare, debole e ferito come sei? Si chiese Aicha.

-Non andare, ti prego- disse invece, a voce bassa.

Gli dava le spalle e tremava impercettibilmente.

Giovanni le si avvicinò lentamente. Le posò una mano sulla spalla.

-Aicha, tutto bene? C’è qualcosa che devi dirmi?-

Non potrei sopportare di perdere anche te, non ce la farei. Dal momento in cui ti ho visto ho capito che ti avrei amato per sempre. Resta qui con me, ti prego. Questo avrebbe voluto dirgli. Avrebbe tanto voluto, ma il nodo che aveva in gola non glielo permetteva.

Quindi si voltò, e senza dire nulla lo baciò.

Sapore di sole e miele.

 

Il cardinale era veloce, molto veloce.

Schivò il colpo di Alexandros con eccessiva facilità per poi sferrargli un pugno. Alexandros lo evitò per un pelo. Il più giovane afferrò il pugnale dal tavolo e lo fece scivolare sul pavimento in direzione di Elisabetta.

-Betta, prendilo e non abbassare la guardia!- le gridò prima di essere scagliato contro il muro da un pugno del religioso.

Il cardinale sorrise vedendolo contro la parete, furioso. Ecco chi era. Solo che ora non aveva quelle ferite terribili. Che ironia, io ti ho dato nuova vita, e io ad essa porrò fine pensò crudelmente.

In un attimo gli fu addosso.

-Di’ un po’- esclamò il più anziano stringendo una mano attorno al collo dell’altro, tenendolo sospeso in aria –chi ti credi di essere, per ribellarti così al tuo creatore, eh?-

Gli occhi blu di Alexandros si spalancarono per lo stupore, fissandosi in quelli quasi trasparenti e gelidi dell’altro. Due distese di ghiaccio.

-Il mio… creatore?- chiese in un soffio, senza fiato a causa di quella mano fredda che gli cingeva la gola.

-Oh sì, caro il mio bambino! Io ti ho portato via da quella segreta nella quale saresti sicuramente morto, io ti ho morso per salvarti dalla morte! Quello che sei diventato lo devi a me, solo a me!- e strinse più forte le dita, gli occhi che parevano lanciare fiamme azzurre.

No, si disse Alexndros. Non poteva essere vero.

E all’improvviso ricordò, ricordò cos’era accaduto.

Una mano fredda e forte gli afferrò il viso, esponendogli il collo, forse l’unica parte del corpo che non gli doleva. Sentì qualcosa penetrargli nella carne, e si rese vagamente conto che erano denti, che qualcosa o qualcuno gli stava succhiando il sangue. Le forze cominciarono ad abbandonarlo assieme al sangue che quella creatura gli stava togliendo. Svenne, cadendo nel buio, convinto di andare incontro alla morte.

-Perché lo hai fatto? Potevi lasciarmi morire!- disse Alexandros, dibattendosi nella stretta dell’altro.

-L’ho fatto perché il poter dare nuova vita a chi era alla fine della propria mi faceva sentire un dio! Mi rendeva ebbro di potere vedere le ferite guarire grazie all’effetto del veleno! L’ho fatto perché mi sentivo invincibile, non certo per te!- esclamò l’altro, che non aveva alcuna intenzione di mollare la presa su si lui.  

-E ora dimmi perché non dovrei ucciderti- sibilò il religioso.

-Venezia è una città troppo piccola per due vampiri, lo sai. E non sarò di certo io ad andarmene- continuò lasciandolo andare. Alexandros si massaggiò la gola, respirando forte.

-Avanti ragzzino- disse il cardinale, calcando sull’ultima parola con disprezzo –battiti con me. Almeno morirai onorevolmente- e Alexandros gli si scagliò di nuovo contro. Questa volta riuscì a colpirlo più di una volta. Finirono per terra, urtando il tavolo, spargendo per terra vino e schegge di vetro.  Alexandros riuscì ad immobilizzare l’altro, ma solo per poco, perché il cardinale lo fece letteralmente volare contro il muro, di nuovo.

-Gustavo!- chiamò il religioso, forte.

-Finiscilo con un colpo al cuore, io mi occupo della ragazza- ordinò al mezzo indio.

Gustavo estrasse un pugnale, ma non fece in tempo a muoversi  che la porta si spalancò. Giovanni era arrivato. Si buttò subito contro Gustavo, incurante delle fitte che la ferita gli dava. Gustavo gli tirò un calcio al fianco dopo aver schivato i suoi colpi, stendendolo e Alexandros ne approfittò per immobilizzarlo. All’improvviso si udì un grido.

-Alekos!- era Elisabetta. Il cardinale le teneva la testa piegata da un lato.

-Di’ addio alla tua amata, ragazzino!- rise il cardinale, prima di affondare i denti nel collo della ragazza.

 

Angolo autrice

Ma ciao! Come va? Eccomi qua con il capitolo 21 :)

Ormai Alekos e il cardinale sono arrivati ai ferri corti, chissà che succederà ora?

Purtroppo Betta non se la vede bene, e Aicha e Giovanni sono innamorati. Teneri, vero?

 

Poi volevo chiedervi una cosa: a breve dovrei pubblicare una storia. Non voglio chiedervi se potete metterla nei preferiti o nelle seguite, volevo solo sapere, pubblicando qui l’anteprima, se vi sembra interessante (dato che io di solito punto molto sull’introduzione). Dato che sarà una rating rosso non vorrei fare un buco nell’acqua. Grazie in anticipo a chi mi dirà se sembra interessante o se l’introduzione non lo attira!

 

ANTEPRIMA:

Due ragazze, diverse quanto un raggio di sole e un fiocco di neve. Diverse come possono esserlo capelli biondi e lunghi e una chioma castana e corta. Diverse come possono esserlo il nuoto e la pallavolo. Diverse come cane e gatto. Una calma e silenziosa, seria; l’altra giocosa, allegra e chiassosa. Ma si sa, gli opposti si attraggono. Ed è perché sono così diverse che si osservano, si desiderano. E quando due mondi diversi si scontrano, quando due occhi color del diamante incontrano due occhi verde scuro scocca la scintilla, tutto il resto perde significato, e l’unica cosa che conta è incontrarsi, sfiorarsi, unirsi. E così al liceo classico Giovanni Berchet scoppia l’amore.

Dal primo capitolo: Quella ragazza aveva un che di magnetico, qualcosa che mi attraeva. E io, invece di irritarmi perché mi aveva praticamente ignorata, mi chiedevo come fare per parlarle. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, sarei rimasta per sempre a fissarla: seduta, la schiena dritta, le gambe accavallate. Concentrata sulla lezione. Si accorse del mio sguardo quando si voltò per prendere la calcolatrice. E io rimasi paralizzata vedendo due occhi color del diamante fissarmi intensamente. Erano chiarissimi, di un colore glaciale, eppure sembravano bruciare.

 

Che ne dite, sembra interessante? Ovviamente sarà a rating rosso e come avrete capito sarà una femslash. Ripeto, non vi sto chiedendo di seguirla (anche se ovviamente se vi va di farlo siete i benvenuti xD) ma solo di dirmi se l’introduzione è intrigante. Detto questo la pianto di rompere, tranquilli!

Un bacio

Elena

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Eroe dalle nere ali ***


Eroe dalle nere ali

 

 

Tra le tue braccia, l’oblio,

Alekos, sarebbe stato più

dolce del miele.

Questo pensai sentendo

le tue forti braccia avvolgermi

 con dolcezza.

E mi lasciai cadere

in un calmo oceano,

nero come la notte.

E il mio cuore viaggiò in

 quell’oblio, silenzioso e

leggero come un battito

 d’ali di farfalla.

 

 

 

In quel momento

mi sembrasti un angelo.

Un angelo dolce quanto dannato.

Quando la rabbia si ridusse

 in polvere e svanì come

il male che ci aveva minacciati

ti strinsi a me,

odiandomi per averti condannata

 ad un’esistenza eterna, ad un

 dolore senza tregua.

Mi odiai perché

credevo che

anche tu mi avresti disprezzato

come mi detestavo io,

 vedendo le persone che amavi

invecchiare giorno dopo giorno,

vedendole morire.

Non avrei potuto sopportare

il rancore nel tuo cuore e

nei tuoi occhi,

gli splendidi smeraldi

di cui mi ero perdutamente

innamorato.

 

 

Sto morendo, lo sento. Sto morendo, ne sono sicura. Questo pensò Elisabetta mentre quel mostro le succhiava il sangue, mentre le succhiava la vita, lasciandola debole e vuota. La ragazza non aveva più forza nelle gambe, ma il cardinale la sosteneva senza sforzo. Non riusciva più neanche a muovere un dito, ridotta ormai ad una marionetta nelle mani del religioso.

È finita ormai, non c’è più nulla da fare. Quell’ultimo pensiero fugace le attraversò la mente vedendo Alexandros, il suo Alekos, venire sbattuto al muro da Gustavo. Il mezzo indio era riuscito a ribaltare la situazione approfittando del momento di distrazione del suo amato nonché della sua debolezza, dato che non si nutriva da giorni. Poi, la testa leggera e le palpebre pesanti, si abbandonò al suo destino, scivolando nell’incoscienza.

 

Il cardinale si nutriva con gioia feroce, gustando il sangue della ragazza.

Quel nettare scarlatto e caldo gli scivolava in gola, scaldandolo dall’interno, scorrendogli nelle vene e riempiendolo di vita. Quel nettare squisito, che sapeva di ciliegie, di fragole, di miele, di sole. Sapeva di tutte le cose più prelibate al mondo, e lui non se ne sarebbe mai stancato. Quando la giovane si abbandonò suo malgrado contro la sua spalla il suo cuore ebbe un guizzo. Il religioso si staccò da quel collo bianco e aggraziato per guardare in viso Alexandros, tenuto contro il muro dal suo fedele servo. Il più giovane lo fissava con un’espressione di pura furia, i lineamenti così fini distorti in una maschera d’odio. E i suoi occhi erano neri, e non solo di rabbia.

-Che sciocco, sei venuto qui senza nutrirti! Ecco perché sei così debole- esclamò il cardinale, leccandosi i rivoli di sangue che gli scendevano dalle labbra sul mento. Quel ragazzino poteva dire quello che voleva, poteva anche amare quella sciocca ragazza, ma ora lei era sua. Sì, sua, perché era stato lui a bere il suo sangue.

-Tu…- cominciò a dire Alexandros, subito interrotto dall’altro.

-Io! Sì, ragazzino, io! Io che sto uccidendo la tua ragazza ucciderò anche te! E tu non potrai far altro che vedere la tua bella fanciulla morire, prima di essere ridotto in cenere!-

-Se dovessi morire non avrei rimpianti, sappilo! Morirei sapendo di aver amato, di aver agito nel modo migliore!-

Il cardinale scosse la testa.

-Sai, anch’io ero come te all’inizio, ma poi ho capito che l’innocenza non porta da nessuna parte. L’innocenza non ti da protezione, l’innocenza non ti da potere. Per andare avanti bisogna scendere a compromessi, bisogna sporcarsi le mani di sangue, caro mio. Puoi guardarmi male quanto ti pare, ma neanche tu puoi sfuggire all’istinto. Non puoi sfuggire alla fame, non puoi sottrarti all’istinto di sopravvivenza.  Anche tu ti sei nutrito dagli abitanti di Venezia, ricordalo. E il fatto che tu non sia velenoso ti aiuta a confonderti con loro, non ti costringe ad ucciderli- disse sempre sostenendo Elisabetta, ora priva di sensi.

-Potresti chiedermi di risparmiarti, ma sono sicuro che tu sia troppo orgoglioso per farlo- continuò il più anziano, fissandolo dritto negli occhi.

Per tutta risposta da Alexandros arrivò un ringhio.

-Continui a rivolgerti a me senza il dovuto rispetto- osservò il cardinale in tono leggero, lasciando cadere Elisabetta sul pavimento di pietra e facendo cenno a Gustavo di lasciarlo.

-Guardati, non ti reggi nemmeno in piedi- lo canzonò, vedendo che barcollava.

Alexandros alzò il viso con orgoglio. Quella mossa ricordò al religioso la notte in cui lo aveva portato via. Vide lo stesso sguardo, lo stesso coraggio.

Non l’aveva riconosciuto subito perché quando lo aveva salvato era ridotto molto male, quindi non era riuscito a distinguere i suoi lineamenti sotto i lividi e le ferite. Inoltre la trasformazione lo aveva cambiato, quindi se non avesse visto la sua espressione probabilmente non lo avrebbe mai riconosciuto.

-Potrò anche barcollare ma non mi piegherò mai davanti a te!- disse l’altro a bassa voce, tagliente.

-Bene, allora credo proprio che dovrò ucciderti-  esclamò il cardinale, prendendo il pugnale nero da Gustavo.

Quando si avventò su Alexandros qualcuno gli si parò davanti e prima che lui potesse fermarsi accoltellò Daniele.

 

Daniele si era ripreso lentamente dal colpo alla testa. All’inizio quando aveva cercato di alzarsi ci aveva visto doppio e un’ondata di nausea lo aveva assalito, perciò gli era sfuggito quello che il cardinale e l’altro si stavano dicendo. Quando la nausea era passata aveva colto le parole del religioso, chiedendosi improvvisamente perché lo avesse servito con tanto zelo, chiedendosi come avesse fatto ad essere così cieco. Aveva addirittura cercato di violentare Elisabetta, non volendo vedere la verità, ovvero che lei amava davvero il conte, contro il quale, tra l’altro, lui non avrebbe potuto nulla.

Dio mio, sono un mostro. Ho ammazzato Giovanni e ho quasi fatto lo stesso con Elisabetta aveva pensato, sentendosi un rifiuto.

-Bene, allora credo proprio che dovrò ucciderti- aveva sentito dire al cardinale.

Sapeva di dover fare qualcosa. E subito. Così si era alzato da terra, cercando di stare in piedi. Si era toccato dietro la testa, sentendo il sangue colare. Aveva sceso lentamente le scale cercando di non fare rumore, sapendo che doveva fermare il cardinale in qualsiasi modo, così quando lo aveva visto lanciarsi contro il più giovane aveva agito d’istinto, parandoglisi davanti. Non aveva nemmeno sentito dolore quando la lama lo aveva ferito a morte.

Buffo, sto morendo per mano della persona alla quale ho promesso di essere fedele si disse cadendo a terra e per di più sono stato ferito nello stesso modo in cui ho aggredito Giovanni, con la stessa arma.

Il cardinale lo guardò in modo gelido.

-Debole. Perché?- la voce del religioso era più tagliente di una lama.

-Perché voi siete malvagio. E io l’ho capito troppo tardi- rispose a fatica Daniele, ora pallido come un cencio.

Un debole sorriso gli spuntò sulle labbra, mentre diceva le sue ultime parole: -So che andrò all’inferno, ma non mi importa, perché muoio facendo una buona azione- e poi si abbandonò alla morte.

 

Voi ce la potete fare, ce la dovete fare, ce la farete. Ad Alexandros tornarono in mente le parole di Aicha.

Voi siete forte.

Voi potete resistere.

Voi potete farcela.

Voi dovete farcela.

Ora o mai più. Il cardinale è distratto. Il pugnale è a terra. Ora!

Muovendosi più veloce che mai Alexandros raccolse il pugnale da terra e si avventò sul religioso, colpendolo con forza e precisione. Gli occhi del cardinale si spalancarono quando la lama nera e lunga gli penetrò nella carne, trovando il suo cuore morto.

In un attimo rivide tutta la sua vuota esistenza immortale. Una distesa di fredda nebbia, perché tutto il tempo passato dal momento dopo la trasformazione, in cui aveva aperto gli occhi, dotati di una vista perfetta, era stato inutile. Freddo e vuoto come una tomba.

-Io ti ho creato, e tu mi uccidi. Io ti ho dato una nuova vita e tu poni fine alla mia- disse con voce stentata –che ironia, vero? Il creatore ucciso dalla sua creatura-

-Già, che ironia- ribatté amaramente Alexandros, prima di girare il pugnale nella carne del religioso, lacerandogli definitivamente il cuore. Uccidendolo.

Non guardò nemmeno il cadavere del suo creatore trasformarsi lentamente in polvere argentata, non degnò di un’occhiata Gustavo, che lo guardava con terrore, ma si diresse verso Elisabetta, stesa a terra. Ormai anche la rabbia che aveva provato si era dissolta, proprio come il corpo del cardinale. Ora voleva solo occuparsi di Betta, la sua Betta. E c’era Giovanni, che aveva dimostrato di essergli profondamente fedele, che aveva dimostrato coraggio venendolo a cercare per aiutarlo nonostante fosse ferito.

-Vattene. Non voglio più vederti- ordinò al mezzo indio, a voce bassa. L’altro non se lo fece ripetere due volte e fuggì più veloce che poteva.

Ora quel palazzo abbandonato sembrava quasi prendere vita, sembrava quasi fiorire dopo la presenza di quel mostro, si rese conto il vampiro.

Alexandros  prese in braccio tutti e due, la sua amata e il suo fedele servitore dirigendosi fuori con calma.

Una folata di vento sollevò la cenere argentata  che era stata il cardinale, spargendola nell’aria come polvere di stelle.

 

 

Angolo autrice ritardataria e ritardata

Hola a todos, muchachos! Coma va? State passando bene le vacanze? Io mi sto arrostendo al lago, spero che vuoi abbiate trovato un po’ di fresco.

Allora, qui abbiamo visto la fine del cardinale, che se la meritava proprio, la morte di Daniele, forse l’unica buona azione di tutta la sua vita, e Alekos che porta via la sua Betta e il povero Giovanni.

Ormai siamo agli sgoccioli, dato che mancano solo 3 capitoli alla fine della storia.

Chissà che succederà in città ora che il cardinale ha tirato le cuoia e come andranno le cose tra Alekos e Betta e tra Giovanni e Aicha. Vi lascio con questo interrogativo e vado a buttarmi a lago :)

Hasta la vista :D

Elena

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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