69 days in love.

di dontletmeboo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Something new. ***
Capitolo 2: *** Research. ***
Capitolo 3: *** First mission. ***
Capitolo 4: *** Second mission. ***
Capitolo 5: *** Fortuity. ***
Capitolo 6: *** A photo? ***
Capitolo 7: *** Work. ***
Capitolo 8: *** Dream. ***
Capitolo 9: *** Plan. ***
Capitolo 10: *** Song. ***
Capitolo 11: *** Softair. ***
Capitolo 12: *** Pilates. ***
Capitolo 13: *** Family. ***
Capitolo 14: *** Tattoo. ***
Capitolo 15: *** Lies. ***
Capitolo 16: *** Simple. ***
Capitolo 17: *** Father. ***
Capitolo 18: *** Egoist. ***
Capitolo 19: *** Concert. ***
Capitolo 20: *** Sorry. ***
Capitolo 21: *** Friends. ***
Capitolo 22: *** Lover. ***
Capitolo 23: *** Surprise. ***
Capitolo 24: *** Home. ***
Capitolo 25: *** Goodnight. ***
Capitolo 26: *** Avviso. ***



Capitolo 1
*** Something new. ***





Chapter One
 Something new.
 

  

 Dopo che il treno aveva ritardato di mezz’ora, cominciai a correre, trascinandomi dietro la borsa e cercando di non cadere a terra.
«Stupidi, fottuti tacchi!» urlai, attirando l’attenzione di qualche passante, che come me, era intento ad andare al lavoro.
Il primo giorno del mese avrebbero attribuito ad ognuno un nuovo progetto: prima arrivavi, migliore sarebbe stato il tuo prossimo articolo.
Entrai in ufficio, spalancando le porte, ancora con il fiatone; intravidi la mia immagine riflessa nelle vetrate e mi spaventai.
«Oh santissimi numi» urlai inorridita e tentai di sistemare i capelli, legandoli in una coda di cavallo.
«Guarda chi finalmente si è degnata di arrivare!»
Cindy. 
Già la mia giornata era cominciata nel verso sbagliato e ora mi toccava parlare con il mostro della Tasmania, di prima mattina.
«Cindy, evita di rompere i co..» notai dietro il bancone dell’ingresso il direttore che mi fissava «..i coriandoli» finii la frase abbassando lo sguardo.
Ignorai la vipera davanti a me, cercando di farmi spazio e avviarmi verso la sala conferenze.
«Dove credi di andare?!» intervenne un’altra volta.
«Saranno ca..» mi ricordai del direttore «..carote mie?!» più stupida di così non potevo sentirmi.
«Troppo tardi. Hanno già distribuito tutto, o quasi»
«Mer..» ancora una volta «..merendine. Ho fame» dovevo smetterla; Cindy mi fissò malissimo.

Guardai l’orologio, mi avviai verso lo studio della capo ufficio, irritata, nonostante fosse una mia amica.
Spalancai la porta, senza bussare.
«No! Non posso beccarmi un altro articolo di mer..endine» urlai, cominciando a sclerare.
Ally mi guardò divertita, mentre sistemava dei fogli e delle cartelline nel cassetto della scrivania.
«Si, buongiorno anche a te Julie» cominciai a camminare avanti e indietro per il suo ufficio.
«Cosa è rimasto? Sentiamo? Come si spazzolano le bambole cinesi? Oppure come si pulisce la vasca da bagno infettata dai pidocchi blu?» sbraitai «No!Come incollare le figurine all’album dei Calciatori Panini 2013? A proposito, devo andarlo a comprare in edicola» ci pensai su «Ce l’ho! Come..si beve la Coca-Cola senza ruttare?»
«Julie, calmati adesso!» non l’ascoltai.
«No!» le puntai il dito contro, tentando ancora una volta di indovinare «un altro articolo su gli spazzolini elettronici che si illuminano al buio?!»
«Julie!» urlò «Respira!» mi ordinò.
Mi sedetti alla scrivania, di fronte a lei.
«Ti prego Al, dimmi che..» mi interruppe «Ti ho messo da parte un articolo» sospirai sollevata, andandole incontro abbracciandola.
«Credo che sia un lavoro adatto a te; non solo sei la più giovane tra tutte noi, ma hai anche carattere e sono certa che riuscirai a portare a termine un buon articolo entro il tempo stabilito»
«Di cosa si tratta?» chiesi incuriosita, tornando a sedermi.
Mi porse un foglio, con il presunto titolo dell’articolo.

Strabuzzai gli occhi.
«Stai scherzando, vero?!» scosse la testa divertita «Non ci riuscirò!» tentai di arrendermi subito.
«Julie, è qualcosa di diverso, se non rivoluzioniamo il giornale perderemo lettrici a causa delle solite stronzate che scriviamo. Questoarticolo, interesserà molte più persone, dato che lui è una celebrità e..» la interruppi.
«Primo: non c’è scritto neanche chi è. Secondo: dove lo trovo il coraggio per farlo? Terzo: perché questa responsabilità proprio a me?! Quarto..» ci pensai un attimo «Non c’è un punto quattro!» alzai la voce.
«Hai vent’anni, sei una delle poche ragazze single che lavorano per questo giornale..quindi: sei la più adatta»
«Ma..»tentai di protestare; poi pensai agli spazzolini elettronici o alla Coca-Cola e a malincuore presi il foglio, sbuffando «Ok, lo faccio.»
Un sorrise apparve sul suo volto.
Lessi ad alta voce il titolo di quello che sarebbe stato il mio prossimo articolo.

“69 Days in Love – Come far innamorare una celebrità in 69 giorni” 
 
Sospirai.
Alzai lo sguardo, in attesa di sapere chi sarebbe stata questa “famosa celebrità”.
Ally rise, per poi prendere parola.
 
 «Harry» un altro sorriso ebete  «Harry Styles.»

 
 
 







 

 
 
EEEEHH MACAREEENAAA...


Dato che in questi giorni mi sto particolarmente divertendo a sistemare tutto il mio profilo EFP, un po' alla volta, perchè non cominciare anche da questa storia?
Quindi, un grazie enorme a @hjsdjmples / hjsdjmples per il meraviglioso banner che mi ha fatto c:
All'inizio questa storia era scritta a quattro mani, ma purtroppo ora è continuata solo da me, dato che l'account delle altre due mani(?) è stato bloccato per molto tempo e ancora non è stato sbloccato -per motivi ancora sconosciuti.-

Beh, è solo il primo capitolo, e devo dire che è davvero molto corto .-.
Però, i prossimi capitoli saranno più lunghi c:
Ora evaporo, andrò a farmi un giro sul sole.
Tanto è sera, mica mi scotto. Non.sono.così.down.
Ok, la smetto.

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Simo.


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Capitolo 2
*** Research. ***


 


Chapter Two
Research.


 

«Amore mio, andiamo! Sai che ti voglio bene, vero? Quindi…vedi di muovere il culo!» sbraitai, tirando un pugno secco sulla scrivania «Dio che male!» mi massaggiai la mano.
«Forza che ce la puoi fare, dai! Ancora un piccolo sforzo e..ma porco cazzo!» urlai «Una! Una sola e ti blocchi; mio nonno è più veloce di te, ma che dico..il mio bisnonno, trisnonno, quatris, quintis, sicstis e septisnonno!» sbuffai «Basta! Mi arrendo» feci per alzarmi dalla sedia ma lo schermo cominciò a lampeggiare.
«Si! Dei segni di vita» sospirai «Tesoro, se oggi ce la farai, dopo ti preparo la torta al cioccolato, quella che ti piace tanto, ok?» chiesi speranzosa, in attesa di una risposta che non arrivò.
 
Un colpo di tosse e alzai lo sguardo, incrociando quello di Ally che era sulla soglia del mio ufficio; teneva le braccia conserte e mi guardava sconvolta.
Le sorrisi, facendo una risata isterica.
«Julie?»
«Si?» sorriso da ebete «Con chi stavi parlando?» chiese confusa e preoccupata.
Finsi un attacco improvviso di tosse; pensai di mentire, poi ci rinunciai.
«Parlavo con..il computer» ammisi.
«E gli offrivi una torta?!» annuii, sorridendo e mostrando i denti come una bambina «Tanto poi lui non la vuole e me la mangio io» sbuffai.
«Convinta te..ora smettila di parlare con una macchina intelligente e ricomincia con le ricerche sul ragazzo!» annui «Intelligente? Anche il mio trisavolo era più…» mi guardò severa «Non posso neanche fare una pausa per la torta?» chiesi speranzosa.
Scosse la testa e finsi un broncio.
«Sissignor capitano! Mi metto subito al lavoro» sorrise, uscendo dalla porta. 
 

* * * 

Digitai sulla tastiera il suo nome: ‘Harry Styles’ e una marea di notizie apparvero sullo schermo.
Mi sfregai il mento, con fare intelligente, cominciando a girare varie pagine scritte da ragazzine tredicenni arrapate per i Uan Dairecsion, o come cazzo si chiamano.
«Cresciuto a Holmes Chapel, nel Cheshire…» cominciai a leggere ad alta voce «il primo febbraio 1994…» diciott’anni?! Quasi diciannove!
E’ ancora un bambino! Tralasciamo che io non ho neanche due anni in più di lui ma..ma..fa niente! Sono di certo più matura no? Parlo con i computer, però..aah, lasciamo perdere.
«Dotato di buon carattere, disinvolto, Harry non cerca di costruirsi una falsa immagina da fighetto, dentro di sé è un tipo rilassato. La vita gli ha giocato brutti tiri negli anni precendenti, ma ha saputo scansarli con precisione» Stiamo scherzando vero?
Come fa un bambino a scansare problemi con precisione?!
«Figlio di Anne Cox e Des Styles ha una sorella maggiore di 3 anni, Gemma..» non me ne fotte un’emerito c..estino «La madre ha sempre pensato che sarebbe finito sul palcoscenico, fin da bambino faceva sorridere la gente..» ma che cazzo vuol dire?! Pure mia mamma pensava che sarei diventata qualcuno di importante e ora mi ritrovo a dover far innamorare di me un ragazzino per un fottuto articolo!
 Mi pare ovvio che questa Anne non abbia detto ‘Mio figlio era un coglione che non aveva l’emerita voglia di fare niente dalla mattina alla sera!’.
Sbuffai.
Guardai l’orologio e mi si illuminarono gli occhi quando vidi che era mezzogiorno passato! Mi alzai, presi la giacca e uscii dall’ufficio, pronta per il pranzo.
«Dove crediti di andare?» ci pensai un attimo «Io dovere prendere cibo. Io essere affamata, io portare torta a computer!» le sorrisi speranzosa, aspettandomi qualche risata, che non arrivò.
«Ally. Non ridi mai alle mie battute favolose, fatti una vita! E’ divertente parlare come un Robot, no?» ancora il solito sorriso a 32 denti.
Scosse la testa, esasperata.
«Vieni nel mio ufficio» iniziai a preoccuparmi.
«Non mi devi licenziare vero? Perché se è così io non credo di aver fatto nulla di male! Insomma, se vuoi smetto di parlare come un Robot, anche se io lo trovo divertente. Non è divertente giusto? Però per me lo è, non trovi?» cominciai a sclerare «E poi ci conosciamo da tanti anni ormai, dove lo troveresti il coraggio per licenziarmi e non chiedermi più di…» mi bloccò.
«Julie Elisabeth Hyde!» urlò il mio nome di battesimo «Non voglio licenziarti, ma vieni comunque nel mio ufficio, ora! » le sorrisi un’altra volta, portando poi la mano sul capo e facendo un cenno  «Subito signora» mi guardò storto «Signorina!» mi corressi. 
 

* * *

Spalancò la porta del suo ufficio e la seguii a ruota.
Un rumore assordante riempì la stanza e fissai un attimo il cestino, sul quale avevo inciampato, caduto a terra e rovesciato completamente. Scoppiai a ridere.
«Scusa! Colpa dei tacchi..sai, non dovresti obbligare le dipendenti a indossare abiti firmati, tacco da 69 centimentri e..Dio! Mi hai messo in testa questo fottuto numero, mi sento una maniaca pervertita! » questa volta fu lei a ridere; quando entrava nel suo ufficio e chiudeva la porta, non era più Allison Irwin, direttrice di uno dei più famosi giornali di Gossip di Londra, ma Ally, la mia migliore amica!
Cominciai a camminare per tutta la stanza, mettendo le mani ovunque.
«Se magari stai ferma e ti vieni a sedere, ti parlo del tuo articolo» sbuffai «Ti prego Al, devo farlo per forza?! Insomma..quel ragazzo ha 18 anni ed è di certo un tipo-so-tutto-io-e-ti-guardo-dall’alto-verso-il-basso. No! E’ dal basso verso l’alto; anzi..»
«Vuoi stare un po’ zitta?!» tentai di protestare, ma ci rinunciai, sedendomi di fronte a lei.
«Mi sembra un colloquio di lavoro, proprio come…ok, sto zitta» misi il muso.
 
«Allora..» cominciò «cos’hai trovato stamattina sul ragazzo?» dovevamo parlare ancora di lui?! «Bambino!» la corressi «Già uno che ha un secondo nome, è uno sfigato» mi guardò storto «Julie, anche tu hai un secondo nome, Elisabeth» Dio santo, aveva ragione «Sono dettagli, parlo per i ragazzi io. Edward, che secondo nome è?! Come il principe..c’è un principe che si chiama Edward, vero? O forse quello era..» mi interruppe «Edward ed Elisabeth! Due principi, Dio siete perfetti insieme, neanche a farlo apposta!» finsi una risata, che terminò con un ‘no’ secco.
«Spiritosa lei..torniamo a noi, una domanda! Perché proprio..69 giorni?» chiesi titubante, avendo paura della risposta.
Scoppiò a ridere. «Perché questo articolo apparirà nel numero che pubblicheremo tra due mesi e tra 70 giorni si va in stampa! Semplice no? E poi..era così carino come numero, no?!» mi chiese divertita «No che non lo è! Mi prenderanno tutti per una pazza pervertita!» mi fissò per un attimo «Non lo sono affatto io!» urlai «Ok, forse un pochino..passiamo oltre» ammisi.
«Bene..» cominciò «ho un piano perfettamente malefico, sul futuro casuale incontro con Harry» amo i piani!
«Spara» dissi curiosa, finsi una risata malefica, poco credibile!
Poi riprese parola.
«Beh, prima di tutto dovrai-»


 







 
 
 
 
VOOOLAREE OOOH OOOHH


"Neel blu, dipinto di blu! E volavo, volavo.."
Scusatemi :') Mi sono lasciata trasportare dal ritmo(?)
Sono Simona, e vi parlo in diretta dal mio computer. *applausi*
Chiedo scusa per il ritardo di..un mese.
Ma come detto nel primo capitolo, nello spazio autrice, all'altra ragazza con cui ho scritto il primo capitolo della storia, hanno bloccato l'account.
Quindi scriverò solo io e la storia è pubblicata qui.

Devo dire che il capitolo fa un po' vomitare, però sono felice perchè sono malvagia :')
Ho fermato il capitolo sul più bello. Lo so.
E ora mi preparo a tutti i vostri insulti.
Volete scoprire come si incontreranno? Eh? Eh? Bene, allora vi tocca continuare a leggere c:


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E con questo mi dileguo c:

Simo.

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Capitolo 3
*** First mission. ***


 


Chapter Three
First mission.



 

«Ti prego dimmi che stai scherzando. Cosa ti sei fumata oggi? Ti avevo detto che il rosmarino era troppo pesante per te, Ally» dissi sconvolta «sembro ridicola. Non farò questa sceneggiata solo per cercare di incontrarlo casualmente!» finsi un broncio.
Ally scoppiò a ridere, non riuscendo più a trattenersi «Hai due possibilità Julie! Harry dovrebbe passare da Richmond Park due volte oggi, andata e ritorno» una pausa «le fan di quei cinque ragazzi sono peggio dell’FBI» rise.
«Non posso girare per Richmond Park alla ricerca di un diciottenne, conciata in questo modo!» dissi, fissandomi il vestito a fiori che Ally mi aveva imposto di indossare.
«Abbiamo letto su internet che gli piacciono le donne mature no?» trattenne un’altra risata.
«Mature, non vecchie! E questo non mi obbliga ad indossare un vestito così osceno! Me lo sento, tra poco vomito» scossi la testa, rimettendomi davanti allo specchio e facendo una faccia disgustata.
Le ballerine ai piedi erano due numeri più piccoli e il mio mignolo stava implorando di farlo uscire da quella prigione; il vestito rosa con i bordi arancioni, anni settanta, mi arrivava fino alle ginocchia e mi schiacciava le tette; i capelli in parte raccolti e mossi.
«Mi fanno male le tette» sbuffai, cercando di allargarlo e sperando che si strappasse.
«Trattieni il fiato!» sbuffò, visibilmente scocciata.
«Se mi si frattura una tetta alla fine della giornata, è colpa tua» feci una smorfia, tirando su le collant che mi erano scese alle cosce «Ti odio, lo sai?» scoppiò a ridere, annuendo e coprendosi la bocca «Comunque una tetta non si può fratturare Ju’» la zittii.
«E se non funziona?» mi sarei resa solo ridicola.
«Proviamo con un altro look che lo attirerà» fece la sapientona in versione agente 007. Mi illuminai.
«Posso fare la poliziotta? Mi chiamo Hyde. Julie Hyde…troppo da James Bond?» mi chiesi. Immersa nei miei pensieri, mi ritrovai a sorreggermi al muro per evitare di cadere.
«Perché mi hai spinto?» fece la finta innocente «Devi muoverti, sono già le tre, tieni gli occhi aperti e buona fortuna tesoro» un sorriso a 32 denti e mi cacciò fuori con un’altra spinta.
 
* * *
 
Per la millesima volta ebbi la tentazione di rimettere in moto l’auto e tornarmene a casa.
Sbuffai esasperata.
Vuoi perdere il lavoro Julie?
Mi voltai a destra, poi a sinistra.
«Subconscio, sei tu?»
E chi se no? Biancaneve con i suoi sessantanove nani?
«Oh, adoro quel cart..che hai detto?» chiesi inorridita.
Biancaneve e i suoi sette nani…
«Nono, tu hai detto sessantanove, l’ho sentito bene!» alzai la voce, entrando in panico.
Ho detto sette nani Julie, sette. Ora riprenditi, esci da questa macchina e incontra quel tizio casualmente!
Scossi la testa «Ma..sono ridicola guardami» aspetta, no, un subconscio non può guardarmi..o forse si.
Lo so, sei ridicola! Quell’abito sarebbe stato bene a tua nonna, non a te. Poi le maniche arancioni a sbuffo sono terribili.
«Grazie per il supporto!» sbuffai «Sono ridotta peggio se parlo anche con il mio subconscio e il numero sessantanove mi perseguita..»
Solo il numero?!
Mi tirai una sberla in testa «Vattene!»alzai la voce.
No.
Un altro ceffone «esci dalla mia testa ho detto!»
Non posso cara.
Cominciai a sbattere il capo sul volante «Vai via. Vai via cazzo!»un rumore al finestrino mi fece sobbalzare e le mie urla incontrollate cessarono.
Sorrisi come un’ebete al signore settantenne che mi guardava allibito, dopo aver bussato al finestrino semi aperto «Signorina? Si sente bene?» mi chiese in preda all’imbarazzo.
«Certo che si» mi uscì una voce leggermente acuta «Una favola!» alzai entrambi i pollici in su, con un altro sorriso idiota.
Scrollò le spalle, ancora leggermente spaventato, per poi allontanarsi a passo più velocizzato.
Occhei, ce la posso fare.
Scesi dall’auto, attirando così tutti gli sguardi dei passanti a Richmond Park.
‘Fanculo.
Che la missione numero uno abbia inizio.
 
 
Qualche minuto dopo arrivai all’entrata principale di Richmond Park, nell’attesa che il riccio passasse; continuavo a girare su me stessa, qualche volta lasciandomi sfuggire un urlo di dolore date le scarpe e le mie tette che urlavano vendetta.
«Guardate, quella ragazza assomiglia a Sandy» un gruppo di signore cinquantenni «faranno uno spettacolo di Grease, signorina?» mi si avvicino con un sorriso cordiale.
«Si fotta»
Semplice. Facile. Diretto.
Mi guardò all’allibita e questa volta le sorrisi io, salutandola con un cenno della mano mentre si allontanava.
Passò mezz’ora.
Un’ora e continuavo a guardare sul cellulare una sua foto.

-Lo riconoscerai. Capelli ricci, occhi verdi, avrà con se almeno una guardia del corpo e intorno milioni di ragazzine urlanti. Tienimi aggiornata! x Ally-

Evitai di rispondere al suo messaggio, cercando di rimanere calma.
Sentii delle urla.
Sempre più forti, si avvicinavano.
Doveva essere lui.
In lontananza intravidi un uomo vestito tutto di nero che indossava un paio di occhiali, scuri e un auricolare; intorno delle ragazzine impazzite con macchine fotografiche.
Ce la puoi fare Julie. Ce la puoi fare.
Calma. Sii te stessa.
Come minchia faccio ad essere me stessa se assomiglio a Sandy comecazzosichiama di Grease?
 
Poi lo vidi.
Camminava veloce per cercare di lasciare indietro le fan, tentava di sorridere a tutte e di fare qualche foto. Anche lui degli occhiali scuri che gli coprivano gli occhi, un paio di jeans attillati e una t-shirt bianca.
Mi venne un dubbio, che scacciai subito dato che stava per entrare; mi appoggiai alla cancellata, sistemandomi il vestito, i capelli e sperando che il rossetto rosso, troppo calcato, non si fosse sbavato.
«Ciao» sentii la sua voce, rivolto ad una ragazzina che rideva come indemoniata. Si fermò li davanti per fare delle ultime foto, per poi sospirare esasperato.
Inspira ed espira Julie, vincerai l’Oscar per la recitazione, Grease ha fatto comunque successo no?
 
Facendo la disinvolta camminai verso di lui, con lo sguardo rivolto verso il cielo ricoperto da nuvole grigie.
Harry era impegnato a parlare con qualcuno che si stava già allontanando e mi dava le spalle: casualmente gli andai addosso.
Si girò di scatto.
Non era affatto nei miei piani cadere a terra.
Ma mi ritrovai sull’asfalto.
«’Fanculo» mi rialzai, trovandomi gli occhi di Harry puntati addosso.
«Scusa! Che caso che io ti sia venuta addosso. Proprio una casualità, non trovi? Stavo..fissando il sole e il cielo splendente. Strano che d’inverno faccia questo tempo, no? Peccato che gli uccellini non cinguettano allegri oggi, vero?» cercai di far sembrare la mia voce più naturale possibile. Impossibile con quello che avevo appena detto.
Mi guardò stranito «E’ quasi estate e il sole non c’è perché è ricoperto da nuvole» mi grattai la testa, ridendo come un’ebete.
Non feci in tempo a riprendere a parlare che il riccio si era già rivolto al tizio in giacca e cravatta scura accanto a lui «Possiamo andare» disse semplicemente, per poi non degnarmi nemmeno di un ultimo sguardo e incamminarsi verso il parco.
Eh io mi sono conciata così perché lui possa dire che è estate e che non c’è il sole? Se voglio il sole, faccio finta che ci sia, che problemi si fa?
“Goditi la vita e immagina gli uccellini cinguettare d’inverno”il mio nuovo motto per andare avanti e oltrepassare le difficoltà che ogni giorno...«Fottiti pure tu» finii.
 
* *

«Quindi non ti ha nemmeno notata?» mi chiese Ally, triste.
«Mi ha solo detto che è estate» sbuffai «In che senso?» aggrottò la fronte «Lascia perdere..tra quanto dovrebbe tornare?» guardò lo schermo del suo cellulare «Qui c’è scritto..» una pausa «tra due ore.»
Bene. Due ore per rendermi di nuovo ridicola.
«Sei pronta per la missione numero due?!» mi chiese tutta felice, scoppiando nuovamente a ridere.
Certo, non è lei quella che si deve ridicolizzare davanti a tutti.
Finsi un sorriso «No.»
Ci pensai un attimo «Ally, prima mi è venuto un dubbio» in attesa che continuassi «E se Harry è gay?» in realtà non era un dubbio, era più una speranza.
Scoppiò a ridere «Julie, finiscila una volta per tutte!» incrociai le braccia.
«Sai cos’è la parte più negativa di tutta questa storia?» mi guardò e finsi un broncio.
 
«Che non vinco il Nobel per la recitazione.»


 














Change, change your life...

'And take it aaaall' pronti per l'acuto di Perrie: 'Takee it aaall'
Scusate u.u Ma mi sono innamorata di questa canzone.
L'ho già detto che mi sono innamorata di questa canzone? No?
Ok..amo questa canzone.

Ok la smetto.
Oggi avevo l'ispirazione :')
Un po' cagosa(?) ..ma ce l'avevo. -l'ispirazione!-
Devo fare i capitoli più lunghi, lo so, ma con il tempo lo diventeranno c: E poi, mi piace tenervi sulle spine!
Perchè io può, sks.

Il primo piano di Julie è fallino, acciderbolina(?).
Magari la seconda volta è quella buona :') O forse no. O forse si.
Non vi resta che sopportarmi ancora per il prossimo capitolo. Quello dopo ancora e ancora..
Basta, mi dileguo.
Vado a giocare a carte sulla nevee.
Esssiii, perchè qui c'è la nevaaaaaaa :") Come già detto: sks, ma c'è chi può e chi non può. E io può c.c

La smetto.
Al prossimo capitolo :3
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Simo.

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Capitolo 4
*** Second mission. ***


 


Chapter Four
Second mission.



 

«Ripetimi perché devo fare questo articolo» cercai di nascondermi dietro Ally mentre tutti gli sguardi indiscreti di Londra erano puntati su di me.
«Vuoi finire ancora in ultima pagina, solo perché ritardi al lavoro ogni giorno e sei costretta a scrivere sulle balenottere azzurre dell’Antartide?» mi sorrise.
«No» sussurrai abbassando lo sguardo «Ma se qualcuno che conosco oggi mi incontra, prima ammazzo te poi mi vado a sotterrare come gli struzzi. Oppure potrei seriamente andare in Antartide dalle balenottere azzurre, no?» ci pensai un attimo «No, li fa troppo freddo. E non sono del tutto certa che ci siano balenottere azzurre in Antartide» mi sfregai il mento, salendo in macchina «Azzurre proprio no…magari blu!»
 
Di nuovo davanti alla cancellata di quel fottuto parco, pronta per rendermi ridicola una seconda volta.
«Ce la puoi fare. Me lo sento, questo è la volta buona» ero immersa nei miei pensieri.
«Ally?» si voltò a guardarmi «se ci riesco mi fai un regalo?» tentai di non sembrare troppo infantile.
«Ok, se proprio ci tieni. Ma ti devo ricordare che questo è il tuo lavoro! Cosa vorresti?» ci pensai un attimo «Mi compri un maialino?» le sorrisi, in attesa di un’affermazione, che non arrivò.
Misi il broncio, incrociando le braccia al petto «Poi lo accudisco, crescerà come se fosse il mio bambino» tentai di convincerla «e così posso farmi un tramezzino al prosciutto fatto in casa!» mi guardò schifata e scoppiai a riderle in faccia. Cambiò argomento.
«Ok. Mezz’ora e dovrebbe arrivare» mi disse Ally. Dimenticai il maialino e il prosciutto.
Se pensavo che Sandy di Grease fosse davvero imbarazzante, non avevo ancora immaginato cosa mi sarebbe aspettato.
«Non possiamo cambiare look, Al?» scosse la testa, facendo la finta seria.
«Quante volte te lo devo ripetere Julie?» la guardai, sperando che mi dicesse di indossare un vestito da clown, piuttosto che quello «Cosa piace ai ragazzi, in particolare in giovane età?» gesticolò con le mani, in attesa poi di una mia risposta.
«Le lampade a neon? Sono molto di moda ora, giusto?» tentai, ricevendo uno sguardo severo «La scatola da 36 colori Giotto? Ormai tutti stimano Giotto, anche se era solo un coglione che faceva dei cerchi, no?» provai un’altra volta «Ho capito. Meglio che vada ora» aprii la portiera sbuffando.
Ally mi sorrise, cercando di incoraggiarmi.
«E ricorda! Cosa amano i ragazzi?» di nuovo.
Per farla contenta e darle la risposta che voleva «Questa!» urlai facendo un gesto secco con le mani sul basso ventre.
Scoppiammo entrambe a ridere, chiusi la portiera e mi sentii osservata; un bambino di circa sei anni mi guardava con gli occhi spalancati, come anche la bocca e la mamma di fianco scuoteva la testa con sguardo severo.
Feci una risata isterica, per poi allontanarmi cercando di non cadere dai tacchi.
Che la missione numero due abbia inizio.
 
* * *
 
Perché i ragazzi non devono essere mai puntuali?
Ero seduta sulla panca di cemento da un’ora, cercando di assumere una posizione più comoda e meno volgare possibile, ma ottenendo solo sguardi poco gentili.
La gonna nera in pelle non mi arrivava neanche a metà coscia, i tacchi fin troppo alti, sempre neri e la canottiera scollata non mi rendevano molto presentabile in un parco pieno di bambini, ma secondo Ally avrebbe attirato Harry.
Tentavo di far finta di nulla, guardandomi intorno in attesa del suo arrivo.
Quel momento arrivò poco dopo, questa volta c’erano meno fan intorno a lui.
Mi alzai in piedi, rischiando di inciampare sullo sterrato e di cadere nuovamente a terra e con quella gonna non so se sarei sopravvissuta all’imbarazzo; ancora una volta cominciai a camminare avanti e indietro davanti all’entrata del parco, vedendolo arrivare da lontano, cominciai a fissare nuovamente il cielo che intanto si era schiarito.
 
Ormai a pochi passi da me, mi affrettai a scontrarmi con lui.
«Perdindirindina, che sbadata» ancora la mia voce non uscì del tutto normale.
Perdindirindina? Ma che cazzo ti salta in mente?
Ci si doveva mettere proprio ora quel fottuto subconscio? Cercai di zittirlo con una lieve sberla in fronte.
«Scusami, non stavo guardando dove camminavo» fece per andarsene e cercai di trovare la scusa più probabile per farlo restare, mi guardai intorno in cerca di ispirazione.
«Uh che dolore al piede» mi portai una mano capovolta sulla fronte cercando di fare una faccia dolorante; si avvicino a me «Non sei caduta però» mi grattai la testa.
«Sarà stata una lieve storta per colpa dei tacchi» mi giustificai. Diciottenne e pure pignolo, perfetto.
«Beh, mi dispiace» fece per allontanarsi di nuovo.
Sfoggia il tuo look Julie, sfoggia il tuo look.
Tirai un respiro profondo, poi «Oh, che sbadata. Mi è caduto il fazzolettino a terra» si voltò un’altra volta e notai un’espressione esasperata, per poi guardarmi aggrottando le sopracciglia.
«Aspetta, tu sei quella di Grease, di stamattina?» sgranai gli occhi, per poi sbuffare e tentare di sembrare più credibile «No! Ti sei di certo sbagliato, di sicuro..» panico «Ti interessano le lampade a neon?» un sorriso a 32 denti.
Le lampade a neon? Che cazzo ti sei fumata Julie? Basilico? 
«Zitto!» feci esasperata, poi chiedendomi se il subconscio avesse un sesso e se quindi avrei dovuto parlargli al maschile… «Dici a me?» Harry era ancora li impalato, cercando di capire cosa volevo.
«No, lascia stare» annuì, leggermente perplesso «Ok, ciao» no, non doveva andarsene cazzo.
«Aspetta!» un’altra scusa Ju, un’altra «Senti, se sei una fan dimmelo che ti faccio un autografo, ma facciamo veloce che devo andarmene» pure presuntuoso!
Dalla tasca feci scivolare di proposito un fazzoletto di carta «Ups..» con gli occhi fissi nei suoi mi chinai a raccoglierlo cercando di schiacciare le tette il più possibile!
«Bene. Ciao» si voltò e si incamminò verso l’uscita. Notai lo sguardo di un ragazzo addosso «Minchia guardi?» si voltò immediatamente.
Sbuffai, dirigendomi dalla parte opposta.
Un diciottenne che non sbava davanti ad un paio di tette? Basta, continuo a sostenere la mia idea.
E’ gay.
 
* * *
 
 
«’Fanculo» feci rientrando in macchina, sbattendo la porta e spaventando Ally, assorta nei suoi pensieri «Cristo che spavento» si mise una mano sul petto.
«Allora? Com’è andata?» per tutta risposta incrociai le braccia mettendo il muso «Deduco non bene» finì sbuffando.
«Sembrare una poco di buono non è servito a nulla. Basta Al, io ci rinuncio» mi girai a guardarla.
Mi ero resa ridicola tutto il giorno, non era stato affatto divertente come poteva sembrare, mi ero umiliata in un parco pubblico «Non mi importa, non posso riuscire a fare questo articolo. E’ una cosa che va oltre alle mie capacità» sembrò delusa.
«Davvero ti vuoi arrendere? Non posso obbligarti se è quello che vuoi» annuii.
«E’ arrogante! Ci ho parlato per qualche misero minuto e mi ha creduta una fan prima simile a Sandy di Grease e poi ad una pu..» il finestrino era abbassato «..pustola» no, non aveva affatto senso.
«Preferisco finire in ultima pagina Ally, mi dispiace» lo dissi con tono davvero dispiaciuto, tentando di scacciare il pensiero di un articolo in prima pagina, scritto da me. Il mio sogno.
«Sicura al cento per cento?» ci pensai un attimo.
Non riuscirò mai ad incontrarlo per caso cercando di piacergli; non succederà.
Cominciai a prepararmi psicologicamente all’Antartide e alle balenottere azzurre o blu.
 
«Sicura.»

 
 
 












I think I'd have a heaaart attaaack..

*Si mette a ballare a ritrmo*
La nuova canzone di Demi mi ha fatto innamorare :')

Salve bella gente!
Ho cercato di pubblicare il prima possibile, ma ho avuto problemi.
Comunque..
Ma che cazzo ho scritto? Avrà un senso? Non ho neanche riletto attentamente, ero presa a cantare..'I think I'd have a heaart attaaack.' *acuto*


Julie decide di rinunciare lol
Dopo essersi vestita da ragazza anni settanta e poi da una poco di buono..rinuncia all'articolo. Si, lo so, sono bastarda.
Ma è davvero piacevole esserlo AHAHAHAHAH lol

Ok, me ne vado e smetto di rompere c:

Vi aspetto al prossimo capitolo c:
E ringrazio tutte quante, mi state riempiendo di recensioni stupende! Io non rispondo perchè se no ci mettere una vita e mezza, ma sappiate che le leggo tutte quante e mi fanno davvero tanto piacere, siete fantastiche!

Adesso me ne vado definitivamente.


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Simo.

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Capitolo 5
*** Fortuity. ***


 


Chapter Five
Fortuity.



 

Appena entrata in casa chiusi la porta con un colpo secco, facendo sgretolare il muro; non ci feci più di tanto caso.
Sbuffai, lanciando le scarpe e la borsa a terra e buttandomi a peso morto sul divano «Grazie a dio un po’ di pace» mi sfregai la faccia, sfinita da quella giornata.
Dai non essere triste.
Te pareva. «Lasciami stare» feci per mettermi a pancia in giù, poi ci rinunciai, le mie tette avevano già sofferto troppo «sono occupata a pensare come iniziare l’articolo sulle balenottere dell’Antartide o sugli spazzolini che si illuminano al buio» dio Julie, stai parlando veramente con il tuo subconscio?
«Tra poco andrò a farmi ricoverare in uno studio psichiatrico, così ci andrò comunque in prima pagina: -ventenne che parla con il suo subconscio e perseguitata dal numero 69, ricoverata in psichiatria-»
Magari non era destino.

«Il destino è semplicemente una stronzata» chiusi gli occhi, cercando di scacciare quella fastidiosa voce e pensando qualcosa di positivo.
 
* * *

Mi svegliai la mattina dopo, ancora sul divano, rendendomi poi conto di aver dormito li. Appena mi alzai sentii un dolore forte alla schiena e al collo «Fottuto divano» sbuffai alzandomi e portandomi una mano allo stomaco che ricominciava a brontolare come la sera prima.
Dopo una doccia che mi fece risvegliare letteralmente, dato l’acqua calda mancante, mi misi un paio di jeans, le mie Converse e una maglietta, per poi uscire a fare colazione.
«Se stai zitto tra poco la mamma ti regala una ciambella, una a te e una a me» dissi portando una mano sullo stomaco, sorridendo, orgogliosa di aver ottenuto così due ciambelle!
Diventerai obesa.
Ma nei film, i subconsci non dovrebbero essere gentili? Quelli che ti riempiono di complimenti non meritati e ti aiutano ad andare a vanti nonostante i grandi ostacoli della vita? Troppo filosofica come domanda?
Non sai neanche cosa hai detto. 
Feci per protestare, ma in effetti aveva ragione; sbuffai dimenticandomi di quella voce, prendendo la borsa ancora per terra dalla sera prima e uscendo di casa.
 
 
Tralasciando che per colpa dell’ascensore rotto ero quasi caduta per due rampe di scale, la giornata cominciò di merda.
Erano le sette del mattino, in giro per Londra c’era poca gente, a parte qualche solito cretino che chiedeva indicazioni.
«Scusi, mi può dire dove devo andare per la stazione?» un ragazzo, occhiali da sole grandi appoggiati al naso e lunghi capelli biondi legati in un codino.
«Certo!» mi sorrise speranzoso «cammina, fino a quando non vedi un cartello con scritto stazione, semplice no?» ricambiai il sorriso di prima, soddisfatta.
Una macchina rischiò di mettermi sotto mentre attraversavo la strada; ed ero anche sulle strisce pedonali, se avessi preso la targa l’avrei denunciato, per poi discutere davanti al giudice.
Anche se in realtà, non avrei potuto dire al giudice che ero passata con il semaforo rosso perché il mio stomaco stava per morire di fame. Dettagli.
«Oddio! Che bel gattino» mi avvicinai ad una signora che teneva in braccio un cucciolo di gatto, il pelo rasato, marrone chiaro, quasi beige.
«E’ un cane» mi rispose seccamente, con un’espressione di disgusto; senza dire nient’altro mi allontanai con passo svelto, tirando un sospiro di sollievo quando mi ritrovai davanti al bar con l’insegna ‘Cappuccini tuoi, fai quel che vuoi.’
Entrai, sentendo tintinnare la porta.
«Pat, mi dici che cazzo di nome è quello del tuo bar?» mi avvicinai, sedendomi davanti al bancone, rivolta al ragazzo dietro di esso. Mi sorrise «Buongiorno anche a te Julie» conoscevo Patrick da anni ormai, cercavo di tenermelo amico: era simpatico, dolce, carino, ma soprattutto mi faceva lo sconto sulle brioche al cioccolato e alla crema!
«Solito?» annuii, appoggiando la borsa per terra e ciondolando i piedi da quella sedia, fin troppo alta; qualche minuto dopo mi portò un piattino con due brioche e un caffè macchiato, lo ringraziai.
«Cibo» mi illuminai, cominciando ad ingozzarmi. Lo sentii trattenere una risata.
«Allora» poggiò i gomiti sul bancone, lasciando qualche sguardo alle mie spalle, incontrando solo quello di un signore che leggeva il giornale «come va con i ragazzi?» mi strozzai con il caffè, sputandone un po’ sulla sua faccia.
«Cristo! Brucia» urlò, andando davanti al lavandino e sciacquandosi il viso sporco di caffè.
«Scusa» dissi ridendo e tornando alla mia colazione per finire di soddisfare il mio stomaco.
Sapevo che voleva una risposta, ma si comportò gentilmente e non mi fece altre domande del genere per evitare di mettermi in imbarazzo.
«Ora devo scappare» mi alzai e presi la borsa.
«Dove vai di fretta?» dove vado di fretta? Da nessuna parte.
«Ho un impegno!» mi affrettai a dire, cercando anche di convincere me stessa. Annuì, con un sorriso sulle labbra.
«Lo sai che la mia proposta è ancora valida vero, Ju?» evitai di strozzarmi ancora una volta, ma con la mia saliva, annuendo e sentendo le guance accaldarsi; lo salutai con un cenno della mano, per poi uscire dal bar e sentire quel rumore fastidioso della porta.
Qualche settimana prima, Patrick mi aveva proposto di uscire, frequentarci e solo l’idea mi faceva rabbrividire; si, era un bel ragazzo, ma solo come amico e ogni volta che mi ricordava della sua proposta trovavo una scusa per andarmene.
E poi, se avremmo litigato non mi avrebbe più fatto lo sconto sulle brioche.
 
Camminavo a passo svelto, notando che le strade si erano fatte ancora più vuote, solo qualche macchina parcheggiata accanto ai marciapiedi; probabilmente erano tutti partiti per il fine settimana, cosa che accadeva spesso in quei giorni, dato il bel tempo.
Presi dalla borsa il mio Ipod, mi misi le cuffiette, cominciando ad ascoltare qualche canzone di Michael Bublè e Robbie Williams a ripetizione; lo sguardo fissò sulle mie scarpe.
Dopo qualche minuto vidi davanti a me un ragazzo, solo quando si avvicinava sempre di più, sguardo fisso sul cellulare tra le mani, riconobbi i suoi ricci e il suo viso.
Stoppai la musica.
«Ma cazzo!» urlai. Alzò lo sguardo, dopo avermi sentito e automaticamente abbassai la testa «Se mi riconosce sono nella merda. Se mi riconosce sono nella merda. Se mi riconosce sono nella merda» continuai a ripetermi, chiusi gli occhi, continuando a camminare più veloce possibile.
Diciamo che sono talmente intelligente, con dei riflessi straordinari che me n’ero accorta..ok, in realtà non l’avevo visto.
Il palo, intendo.
Mentre continuavo a camminare a testa bassa, con i capelli sciolti davanti agli occhi, non mi accorsi subito del palo davanti a me.
Poco dopo un dolore forte al petto, ancora più forte alla testa e al naso.
 
* * *
 
Un colpo di tosse, le guance in fiamme dati alcuni schiaffi.
«Aiuto! Mi stanno violentando» fu la prima cosa che dissi appena ripresi i sensi e cercai di dimenarmi; non mi accorsi di avere gli occhi ancora chiusi, quando li riaprii.
Minchia.
Mi portai una mano sulla faccia, per cercare di coprirmi, ma feci una smorfia di dolore appena mi sfiorai il naso; poi ancora dolore al petto. Cercai di alzami seduta, cominciando a sclerare e richiudendo gli occhi e ritornando a vedere tutto nero.
«E’ un incubo. Sono viva? Non posso essere viva. Troppa sfiga in una sola giornata per essere viva. Non mi sento il naso! Nemmeno le tette. Oddio» portai le mani in basso «Ho ancora le tette? Stanno soffrendo troppo in questi giorni, ‘fanculo.» tirai un sospiro di sollievo «sono ancora qui, quanto mi sono mancate» riaprii un attimo gli occhi, ricordandomi di non essere da sola e sentendo qualche sguardo puntato addosso.
Un paio di occhi verdi mi scrutavano confusi dall’alto, ma intravidi del divertimento nel viso del ragazzo davanti a me «Tranquilla, ce le hai ancora le tette» soffocò una risata, sentii le guance infiammarsi. Si inginocchiò aiutandomi a mettermi seduta; avvicinai a me la borsa, che poco prima era sull’asfalto.
Harry.
«Sta bene» mi guardai intorno, capendo poi che era rivolto al gruppo di persone intorno a me, che piano piano si stavano allontanando con facce sconvolte.
Tossii, per poi sentire ancora male al naso.
«Ohi» una smorfia, per poi tastarmi la faccia.
«Stai bene?» mi chiese preoccupato «sei andata a sbattere contro un palo della luce» capii che stava ancora evitando di ridere.
Annuii, non era possibile.
Il destino! Il destino vi ha fatto rincontrare.
E ora si impicciava Subby il Subconscio scassa coglioni.
«Il destino non esiste» sputai.
«Come scusa?» aggrottò le sopracciglia, scossi la testa che ancora mi faceva male.
Quella storia doveva finire, Harry Styles e il fottuto articolo su di lui e su come farlo innamorare, non avrebbe portato niente di buono; feci per alzarmi, faticando, mi seguì a ruota.
Dovevo semplicemente andarmene, il destino non esisteva, quell’articolo non l’avrei fatto, non avrei mai più rivisto quel diciottenne che rideva se una ragazza sbatte contro un palo, mi sarei dimenticata di lui, sarei tornata semplicemente a scrivere in ultima pagina no? Come sempre d’altronde.
«Io ti ho già vista da qualche parte, possibile?» perché non può avere una memoria da suricato africano? Sempre che esistano i suricati egiziani.
Ah no, erano africani.
Scossi la testa facendo la finta innocente, si scostò qualche riccio castano che gli era caduto davanti agli occhi, sembrò crederci, anche se mi rivolse uno sguardo confuso.
Mi misi la borsa in spalla, un capogiro.
«Ascolta, sei sicura di stare bene? Non hai una bella cera» mi appoggiò una mano sulla spalla, il suo sorriso sparì, sostituito da una faccia preoccupata.
Finzione. Ovvio che una persona famosa deve essere gentile, perderebbe fan se si comportasse da stronzo, no?
Tolsi con gesto secco la sua mano, mi guardò negli occhi, cercando di capire perché quel gesto brusco.
«Sto benissimo» nessun sorriso. Non l’avrei più rivisto.
Mi sfregai la faccia, sfiorando un’altra volta la tempia e il naso.
Poco prima che se ne andasse, mi guardai la mano che avevo spostato dal viso, i miei occhi si spalancarono e la vista si offuscò.
«Sangue» sussurrai, poi ricaddi a terra.
 
 
 









 
 
 
 
OONE WAAAY, OR ANOTHEEER..


Sono di nuovo qui a rompervi i coglioni c: Finezza stupramii :')
Premettiamo che ci ho messo millenni a trovare quattro tonalità di verdere per il titolo, ma il risultato è DI-VI-NO!
Ma cosa dico mai? Sono una sciocchina. E' FA-VO-LO-SO.
Ok, evitiamo.

Sinceramente non mi convince questo capitolo..non so, c'è qualcosa che non va.
Mi scuso subito in caso di errori, se ne trovate segnalatemeli pure e provvederò a correggere, veloce veloce come una faina(?)
Ma che cazzo sto dicendo?
In ogni caso, spero che a voi piaccia, no? No.

Grazie mille a tutte quante, davvero c:
Julie finalmente incontra Harry -con la sua solita figura di merda, mi sembra logico- e ho provato male per lei per la caduta finale :')
Avevo bisogno di scrivere stronzate oggi..e credo di esserci riuscita AHHAAH :'D

Come sempre m
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Un bacio,
Simo.


 

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Capitolo 6
*** A photo? ***




Chapter Six
A photo?



 

«No mamma, non voglio andare a scuola. Voglio la ciambella, quella al cioccolato, non alla crema» il respiro mi si affannò «No, quella al cioccolato» protestai un’altra volta «Cioccolato!» uno spasmo «Si, buona. Bravo cioccolato, bravo» accarezzai mentalmente una barretta di cioccolato.

«Ma’ posso rifarmi le tette?» per poco non mi soffocai con la saliva «Ti prego, so che papà non vuole, ma non se ne accorge neanche! Mica mi guarda le tette no?» un attimo «Oh almeno lo spero» mugugnai qualcos’altro di incomprensibile.
Un colpo di tosse «Ho detto che non voglio andare a scuola» strinsi qualcosa di soffice tra le mani.
«Julie» qualcuno accanto a me, sussurrò il mio nome, poggiando una mano sulla mia spalla e cominciando a scuotermi lentamente «Julie?» non riconobbi subito la voce e di scatto aprii gli occhi, rendendomi conto di averli chiusi.
«Oh cristo!» cominciai a scalciare, poi con un tonfo caddi a terra «Ahi» dissi ancora con la faccia sul tappeto.
«Diciamo che le cadute sono il tuo forte?» ironizzò, poi mi ricordai di lui.
Per quanto mi permetteva il mio corpo ancora instabile, mi alzai di scatto «Che cazzo ci fai qui?» urlai di colpo, andando verso la finestra e aggrappandomi alle tende per rimanere in piedi, non rispose «cosa minchia ci fai in casa mia?» cercai di moderare il tono, non mi riuscì molto bene; mi guardò perplesso, nessun sorriso sul volto.
«Sei svenuta due volte per strada, non sapevo dove portarti» alzò le spalle, prendendo poi quella che doveva essere la sua felpa, appoggiata sul bracciolo del divano, dove poco prima ero sdraiata.
«E come hai fatto a sapere che abito qui? Come hai fatto ad entrare? Come sai il mio nome?» il respiro che accelerava «Oddio, ho un maniaco in casa» il cuore che batteva sempre più veloce, cercai di farmi aria sventolando le mani davanti alla faccia «mi manca l’aria, mi manca l’aria. Non respiro. Un pedofilo» alzai lo sguardo «sei un pedofilo?» sgranò gli occhi, soffocando una risata e scuotendo la testa.
«No, ho semplicemente guardato sulla tua carta d’identità e trovato le chiavi nella tasca dei tuoi jeans» lo disse come se nulla fosse.
Un attacco di panico, poi cercai di fare il resoconto della giornata.
Mattina iniziata con un mal di schiena terribile: divano.
Cane scambiato per un gatto.
Patrick e la sua solita proposta al bar, doppia colazione gratis.
Strada.
Harry..mancava qualcosa.
Il lampione e il sangue.
Subby aveva ragione! Una volta tanto mi aveva aiutata, davvero emozionante, fatto stava che quel maniaco era entrato in casa mia senza permesso.
«Hai frugato nella mia borsa!» lo accusai «E mi hai anche palpato il culo prendendo le chiavi dai jeans, scommetto» incrociai le braccia al petto.
Questa volta rise di gusto.
«No che non l’ho fatto!» si giustificò «ma la gente in strada ti continuava a fissare, volevi che ti abbandonassi sul marciapiede?» in effetti poteva avere ragione «e non mi sembrava il caso di portarti in ospedale, dato ti sei spaventata per una goccia di sangue!»
Spalancai la bocca, non riuscendo a ribattere subito.
Diciamo che sono una ragazza un tantino impressionabile.
«Ma..» sbuffai, arrendendomi «e stavo dormendo sul divano?» scosse la testa.
«Sei svenuta Julie, hai visto il sangue e sei svenuta» giusto. Mi grattai la testa imbarazzata, poi farfuglia un «Grazie» che a malapena sentii.
«Bene, ora posso anche andarmene in pace se non ti dispiace» disse scocciato, come se fossi stata proprio io a chiedergli di aiutarmi dopo essere svenuta, avrebbe potuto farlo tranquillamente quella simpatica signora con il gatto o cane.
Gattane.
Subby cominciava a piacermi. Gattane: gatto e cane, interessante. Mi trattenni per un attimo dallo sfregarmi il mento, tanto per sembrare un po’ più intelligente.
A pensare al mio subconscio, mi iniziarono a girare per la mente le sue parole, qualche ora prima.
Destino.
In fin dei conti avevo incontrato Harry Styles, quella volta senza travestimenti da pazzoide, vestiti fino alle ginocchia, gonne troppo corte o magliette scollate.
«Ciao» fece per aprire la porta, scostandosi intanto i capelli di lato.
Julie ce la puoi fare. E’ il tuo sogno in fin dei conti, non è proprio sbagliato quello che devi fare, no? Presi un lungo respiro.
«Aspetta Harry.»
 
* * *
 
«Ma chi me l’ha fatto fare? Chi?!» sbraitai cominciando di nuovo a camminare avanti e indietro davanti alla porta di quella casa in attesa che si riaprisse.
E’ il tuo lavoro no?
Sempre nei momenti meno opportuni «Ti prego, non ora Subby» sbuffai, scalciando qualche sasso accanto all’erba «ci credo che Harry è così arrogante: è ricco, lui e i suoi quattro amichetti viziati» mi riferii principalmente alla sua casa enorme. Cominciai a parlare da sola, cercando di trattenere la voglia di tornare a casa per conto mio «Si crede..»
«Mi credo?!» una voce dietro di me mi fece voltare di scatto, Harry era sulla porta, la giacca che doveva prendere, in mano.
«Ehm..» mi grattai la testa imbarazzata «io..» tentai di giustificarmi, per poi lasciare la frase in sospeso.
E vai con la prima figura di merda!
Giuro che se si impiccia ancora una volta lo castro. No, un secondo, non posso. Si può castrare un subconscio?
Avrei dovuto cercare su Google o Wikipedia.
«Perché mi hai chiesto di uscire, se mi odi così tanto?» chiese ancora sulla soglia della porta, con un tono tra l’ironico e il confuso.
Non gli avevo chiesto di uscire! Non proprio.
Balbettai qualcosa di incomprensibile prima di trovare una scusa adatta.
«Io..non ti odio, ma cosa dici mai?» la voce mi uscì leggermente più acuta del solito, possibile che non sono capace di mentire come una persona normale?
«Se, come no» sorrise «andiamo.»
Grazie a Dio se l’era bevuta, o forse no.
L’importante era che sarebbe uscito con me, mentre indossava la giacca, tirai fuori dalla tasca dei jeans il mio cellulare, per poi scrivere un messaggio ad Ally.
-Tienimi da parte quell’articolo. x Ju-
Un sorriso apparve sulle mie labbra, alla fine non era tanto sbagliato quello che dovevo fare, o no? 
Avrei dovuto imparare a mentire, o potevo considerarmi più che fottuta.
«Vuoi muovere il culo prima di Pasqua?» gli chiesi sbuffando, ricevendomi un’occhiataccia.
Più fine e gentile Julie, più fine e gentile.
Mi schiarii la voce con un colpo di tosse decisamente troppo calcato «Vuoi muovere il tuo fondoschiena, ovviamente senza fratturarti il coccige, sarebbe un disastro per una celebrità come te; magari prima che Dio risorga dopo tre giorni? Sempre che per te non sia un disturbo troppo esagerato, ma entro un paio d’ore dovrei essere a casa perché mi sto già pisciando addosso» no Julie «volevo dire che ho già urgente bisogno di una..» come cazzo dicono nei film? Pensa Julie, pensa «..una tualet» meglio no? Sorrisi orgogliosa del risultato ottenuto, ma vidi Harry guardarmi stranito. Non aveva capito un emerito ca.. -più fine Julie-  ..cammello hawaiano.
Alzò le spalle e fece per chiudere la porta, questa venne subito bloccata e sulla soglia apparve un altro ragazzo, probabilmente uno degli altri quattro. O sono in sei? Le ricerche non erano servite più di tanto.
«Cosa vuoi Niall?» chiese Harry al biondo che continuava a sorridermi come un’ebete.
«Dove andate?» ma che cazzo voleva? E che fottuto di nome è Nail. Nial. Neil. O come cazzo si dice.
«Andiamo a mangiare qualcosa, perché?» chiese incuriosito Harry, che sembrò dimenticarsi di me.
«Siete amici?» continuò ad impicciarsi l’altro.
Vidi Harry confuso, dopo quella domanda, per poi fingere un sorriso e annuire; mi lasciai sfuggire una risata.
«Allora posso venire?» no, ti prego, digli di no. Digli di no. Ci manca solo un biondo scassa coglioni.
«Va bene.»
Oh, ma vaffanculo!
Giurai di sentire Subby il subconscio ridere di gusto.
 
* * *
 
Perché non ero tornata a casa mia immediatamente? Il mio culo stava letteralmente per morire, schiacciato tra un muro e quello stronzo biondo; ogni tanto chiedeva aiuto a Rosy e Jess, ma queste lo ignoravano completamente; che arroganti.
«Aiutatelo poverino» sussurrai senza farmi sentire e massaggiandomi il fondoschiena.
Ero arrivata davvero al punto di parlare con le mie tette? E a dargli addirittura un nome?
Avrei dovuto cominciare a scegliere uno studio psichiatrico adatto.
Harry e Niall parlavano allegramente, come se non vivessero nella stessa casa, non si vedessero da una vita intera e avessero poemi da raccontarsi; io mi limitavo a stare schiacciata contro il muro, in silenzio, cercando di seguire le loro conversazioni.
Il biondo si era voluto sedere accanto a me ed era un’ora intera che si abbuffava con ali di pollo, hamburger, insalata, salse e cotolette; Harry stava davanti a noi, e giurai che si fosse dimenticato della mia presenza.
Sbuffai, guardando l’ora sul cellulare; granai gli occhi.
48 chiamate perse.
36 messaggi.
Doveva essere Ally.
«Ma che minchia..?» lasciai la frase in sospeso, notando di aver attirato l’attenzione di Niall, che non mi scollava gli occhi di dosso.
«Cosa succede?» i cazzi suoi mai? «con chi scrivi?» allungò il collo, avvicinandosi a me e schiacciandomi ancora di più contro il muro freddo «amiche? Amici?» un istinto omicida mi pervase.
Gli sorrisi debolmente, riponendo il cellulare nella tasca.
«Allora Julie!» questa volta fu Harry a parlare, appoggiando i gomiti sul tavolo; presi il mio bicchiere di acqua «sei una nostra fan?» distolsi per un attimo lo sguardo dal sorriso orgoglioso di Harry, sputando tutta l’acqua che avevo bevuto, sul tavolo, per poi cominciare a tossire.
Sembravo una ragazza durante una crisi epilettica.
Poi scoppiai a ridere, cercando di smettere e di rispondere a quella domanda «Io?!» ancora risate, mi strozzai di nuovo, con la mia saliva «no! Affatto» strinsi le braccia davanti al petto, coprendo Rosy e Jess.
Oh, andiamo! Ancora con quei ridicoli soprannomi per le tue tette?!
«E posso sapere perché mi hai chiesto di andare a pranzare insieme?» ancora?! Perché doveva essere così pignolo e arrogante? Pensava fossi una fan? A vent’anni? Ma chi volevamo prendere per il culo?! Risi di nuovo.
Tossii per prendere tempo «volevo ricambiare il favore che mi hai fatto, dopo non avermi abbandonata sul marciapiede» annuì, ma sembrò non crederci, notai che trattenne una risata.
«Quindi paghi tu?» mi guardo Niall.
Porca troia.
Perché non stava zitto quel cretino?
Ancora una volta tossii «in realtà non ho la borsa» sentii le guance arrossarsi, poi una risata soffocata da entrambi.
«Possiamo anche andare» fece Harry alzandosi.
In quel momento una ragazzina sui tredici anni si avvicinò, chiedendo un autografo; sbuffai esasperata.
Cinque minuti dopo, eravamo fuori da Nando’s, Niall che si lamentava perché aveva mangiato troppo, io che stavo per morire ed avrei potuto essere capace di mettermi a pisciare immediatamente sul quel marciapiede, davanti a tutti.
«Scusa puoi farci una foto?» mi voltai, vedendo una ragazza in compagnia di un’amica, che si avvicinava a noi.
«Stai chiedendo a me? Una foto?» le chiesi, guardandola stranita.
Non mi diede una risposta, si mise accanto a Harry e Niall, porgendomi poi la macchina digitale, già impostata con il flash.
Feci una faccia inorridita.
«Si a te» si decise a rispondermi.
Alzai un sopracciglio, pensando che scherzasse, ma loro erano in posa ormai da troppo tempo; cercai di convincermi, poi schiacciai quel maledetto pulsante e finsi un sorriso.
«Anche a me» una bambina, all’incirca di dieci anni mi porse il cellulare, impostato sulla macchina fotografica, guardandomi speranzosa.
No Julie, non ce la puoi fare.
 
«Oh, ma vaffanculo!» lanciai a terra il telefono, per poi voltarmi e tornare a casa.
 
 
 
 

Harry. 

 
Scoppiai a ridere, guardandola incamminarsi dalla parte opposta, con passo svelto; mi ritrovai a consolare la bambina che era scoppiata in lacrime, dopo che Julie le aveva lanciato a terra il cellulare, mandandola a quel paese.
Non capivo quella ragazza. Mi odiava, si capiva lontano chilometri, eppure mi aveva chiesto di pranzare insieme; si era offerta di pagare, ma non aveva nemmeno la borsa!
Aveva negato di essere una nostra fan..allora cosa voleva da noi? Cosa voleva da me?
Sentii Niall di nuovo ridere, mentre salivamo in macchina «forte quella Julie, non trovi?! Pensi di rivederla?» mi guardò, mentre mettevo in moto.
«No» risposi secco «è presuntuosa e..volgare» ricacciai indietro tutti gli aggettivi negativi che la descrivevano alla perfezione.
Niall si voltò verso di me, gli occhi che gli illuminavano, come un bambino a cui avevano appena regalato una marionetta di Babbo Natale.
Ok, pessima metafora.
«Vuoi dirmi che non ti interessa?» sgranai gli occhi a quella domanda, e risposi con una negazione «perché hai accettato di uscirci, allora?» mi domandò di nuovo.
Alzai le spalle.
«Mi faceva pena! Era ancora intontita dalla caduta sul marciapiede» trattenni una risata, per poi guardare Niall che pensava.
«Quindi non ti piace?» ancora. Sbuffai, fermandomi al semaforo rosso.
«No Niall
» alzai un po' troppo la voce «ti ho detto di no» rimisi in moto, seccato.
 
«Quindi non ti dispiace se ci provo io?»


 

 








 
 
 


MEEERRY, MERRY GO AROOUND…

Non siete fiere di me?!
Ho aggiornato prima di una settimana :') *si asciuga una lacrimnuccia*
Ho anche scritto il capitolo più lungo del solito, anche se non è un granchè!

Appare finalmente Niall in questo capitolo AHAHAH e fa la parte dello scassa coglioni power, povero il mio amore lol
Mi sembrava giusto complicare ancora le cose nella vita di Julie, no? Povera ragazza che dai i nomi alle sue tette c:
Dai, chi è la cogliona che da i nomi alle proprie tette? *alza la mano*
Dopo questa mi vado a nascondere.


E ora che Niall vuole provarci con Julie? Non trovate che io sia particolarmente malvagia?
AHAHAHAH
Just a minut! Perchè ho fatto il titolo in viola melanzana?
La prossima volta lo faccio verde pisello OuO Non.pensate.male.su.


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Ciao belle,
Simo.

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Capitolo 7
*** Work. ***


 


Chapter Seven
Work.

 




«Almeno vi siete scambiati i numeri di cellulare? Vi rivedrete?» Ally mi stava riempiendo di domande da mezz’ora ormai e la mia testa stava andando letteralmente a farsi fottere.
«Si» urlai «ora basta domande!» cominciai a massaggiarmi le tempie con le mani, chiudendo gli occhi.
Immagina una spiaggia, il mare azzurro, il rumore delle onde e dei gabbiani.
Ci mancava solo Subby che peggiorava la situazione nella mia testa.
«Un attimo, non ho capito come l’hai incontrato» aggrottò le sopracciglia «per caso?»
Annuii «Si, stavo camminando sul marciapiede» tossii, pronta a tralasciare la parte del palo e del sangue.
«E vi siete messi a parlare, come se nulla fosse?» mi chiese, sempre più confusa e stupita.
Perché doveva essere così dannatamente pignola?
Tossii «No» un altro colpo di tosse e rivolsi lo sguardo fuori dalla finestra del mio ufficio, tentando di trovare una scusa per cambiare argomento.
«Cos’è successo?» scoppiò a ridere.
«Niente!» la guardai: un sopracciglio alzato, un sorriso da ebete stampato in faccia e le mani sui fianchi. Sbuffai rumorosamente «sono andata a sbattere contro un palo e sono svenuta» avrei voluto finirla li ma «due volte» ammisi, per poi sentirla ridere ancora «capita no?» mi guardò stranita.
«No Julie! Solo tu puoi andare a sbattere contro un palo, andiamo» doveva continuare a girare il dito nella piaga? Mi ritrovavo veramente con una migliore amica così fottutamente stronza?!
«Vuoi o no che faccia quel maledetto articolo?» lo dissi con un tono disgustato, anche se in fondo finire in prima pagina avrebbe realizzato il mio sogno più grande.
«Certo! Quando ho visto il messaggio ho cominciato a saltare per tutto l’ufficio» sorrisi, immaginandola correre tra le scrivanie e gli archivi «quindi andare a sbattere contro il palo, faceva parte dei tuoi piani?» mi chiese, ancora divertita.
Mi grattai la testa, scostando poi una ciocca di capelli dietro l’orecchio; mi tolsi le scarpe con il tacco, che mi davano troppo fastidio.
 
«Ovvio. Tutto calcolato» appoggiai i piedi sulla scrivania «te l’avevo detto che avrei vinto il Nobel per la recitazione.»
 
* * *
 
In realtà il palo non l’avevo minimamente visto e inoltre mi ero completamente dimenticata di chiedere il numero a Harry, ma non volevo far preoccupare Ally, dato che avevo un piano.
Erano le cinque del pomeriggio, ero uscita qualche ora prima dall’ufficio, anche se incontrare Harry avrebbe comunque fatto parte del mio lavoro.
Non doveva essere più di tanto complicato, no?! Avrei semplicemente dovuto far innamorare di me un ragazzo famoso, per poi mettere per iscritto tutti i segreti che mi avrebbe confidato.
Semplice.
 
Col cazzo che era semplice!
Non riesco a conquistare un ragazzo neanche volendo, figuriamoci un ragazzo famoso, che per di più odio con tutto il cuore.
Sospirai, scendendo poi dall’auto e prendendo la borsa dal sedile posteriore; per un attimo ebbi la tentazione di tornarmene a casa, ripensando a quanto fosse complicato quello in cui mi stavo per cacciare.
Quando girai su me stessa per voltarmi verso la macchina però, inciampai nei sassi dello sterrato davanti a quella casa e caddi a terra «oh, ma dai» urlai, sentendo qualche sassolino nelle scarpe e sotto la gonna «come posso essere così sfigata?!» sbuffai, raccogliendo da terra le cose che mi erano uscite dalla borsa e rimettendomi in piedi con fatica, massaggiandomi il fondoschiena con la mano.
Ce la puoi fare Julie, pensa alle banane e puoi fare di tutto! 
Davvero interessanti i consigli di Subby, se potessero parlare, Jess e Rosy gli farebbero una barba.
Una barba?
«Un baffo: una barba, l’hai capita?!» scoppiai a ridere, tenendomi la pancia con le mani «era stupenda» feci per asciugarmi una finta lacrima, fiera della mia battuta, per poi suonare il campanello della porta, cercando di smettere di ridere, anche se con scarsi risultati.
 
 
 
 

Harry.

 
Il campanello suonò e per poco non mi venne un attacco di cuore.
«E vince signore e signori!» urlò Louis, salendo in piedi sul divano, facendolo sprofondare leggermente e alzando in aria un trofeo invisibile; Zayn si alzò, andandogli di fronte, porgendogli un mazzo di fiori e mettergli al collo una medaglia, anche questi inesistenti.
Niall intanto se la rideva da solo, sdraiato sulla poltrona insieme a Liam.
«Hai segnato l’ultimo goal solo perché è suonato il campanello e mi sono distratto, stronzo» misi un finto broncio, incrociando le braccia al petto «ti potevo tranquillamente battere, stanne certo» ancora risate.
«Si, come no. La stessa cosa vale anche per le ultime quindici partite?!» feci per ribattere, quando il campanello suonò di nuovo, questa volta più insistentemente.
«Arrivo» urlai alzandomi, indeciso se mettermi una maglietta o rimanere in pigiama; sbuffai, pensando poi alla rampa di scale che avrei dovuto fare.
Appena aprii la porta le mie guance avvamparono e serrai la mascella.
Che palle, ancora lei?
«Ciao!» strillò, con un tono di voce decisamente troppo alto mentre cercava di smettere di ridere, per chissà quale ragione.
Di certo una delle sue patetiche battutepensai.
«Ehm..ciao Julie» mi scostai i ricci da un lato, rimanendo ancora fermo sulla porta; mi guardò, in attesa di qualcosa.
«Non mi fai entrare?» tossii, stupito da quella richiesta.
«Entrare?» le chiesi stupito «s-si. Un attimo» poi chiusi di scatto la porta «Niall hai invitato la scassa coglioni a casa?» giurai di ammazzarlo, voltandomi verso di lui.
«Chi?» mi chiese confuso.
«Julie! L’hai invitata a casa?» ripetei, sbuffando e sperando che se ne fosse già andata.
«No» mi guardò in modo strano, per poi alzarsi di scatto, indossare un paio di jeans e venirmi incontro «però meglio se è qui, no?» gli si illuminarono gli occhi «ieri non ci siamo scambiati i numeri di cellulare, pensavo che non ci saremmo più visti» io lo speravo.
Mi spinse di lato, per poi riaprire la porta.
«Julie!» notai il sorriso di lei spegnersi improvvisamente alla vista di Niall «entra pure» annuì, per poi entrare e rivolgermi uno sguardo indecifrabile.
Che cazzo vuole da me?
Notai che i ragazzi erano andati in cucina per mangiare qualcosa, la televisione ancora impostata sulla partita di calcio e i joystick sul divano.
«Bene, io vi lascio da soli» dissi, e feci per salire le scale.
«No, Harry!» mi voltai, posando lo sguardo sulla mano di Julie, stretta intorno al mio braccio.
«Dimmi» cercai di mantenere la calma e con un gesto secco mi spostai.
«Rimani pure qui, non disturbo vero?» cominciò a girovagare per il salotto guardando ogni particolare, dalle pareti, al soffitto, ai tappeti.
Ha mai visto una casa? Mi domandai stupito.
Rinunciai a salire le scale, con disappunto di Niall che voleva rimanere da solo con lei e mi sedetti sul divano, cominciando una nuova partita.
Non passarono neanche due minuti, che il divano sprofondò; mi voltai e notai Julie che mi fissava con un sorriso da ebete stampato in volto.
La guardai confuso, cercando di concentrarmi sulla televisione, nonostante mi sentissi osservato; Niall si sedette accanto a lei; sarebbe stato meglio andare in camera.
«Allora Julie» cominciò Niall «quanti anni hai?»
Lei non staccò gli occhi da me neanche durante la risposta «venti» si allungò a prendere un popcorn dalla ciotola davanti a lei come se qualcuno le avesse dato il permesso di servirsi.
«Ma certo Julie, fai pure come se fossi a casa tua» dissi con un tono leggermente irritato, ma entrambi ignorarono il mio commento ironico.
«E..di cosa ti occupi?» ricominciò.
Julie si strozzò con il popcorn, cominciando a tossire «Julie? Stai bene?» vidi la mano di Niall posarsi sulla sua schiena, lo sguardo preoccupato; lei alzò entrambi i pollici, annuendo, senza smettere di tossire.
Sembrava che stesse cercando del tempo.
Del tempo per cosa?
Del tempo per inventare qualcosa.
 
 
 
 

Julie.

 
Giurai che se quel biondo tinto non avesse tenuto la bocca chiusa, gliel’avrei cucita con ago e filo.
Tu non sai cucire.
Battendo ancora qualche volta il pugno sul mio petto, per tentare di non strozzarmi con il popcorn, tentai di trovare una scusa o una cazzata da dire.
«Di cosa mi occupo?» la voce mi uscì terribilmente acuta, Niall annuì, ancora con un filo di preoccupazione negli occhi dopo avermi vista tossire.
Dai non è poi così male il biondo.
Scoppiai immediatamente a ridere alla frase appena detta dal mio dannato subconscio «di cosa mi occupo..» ci pensai un attimo, cercando qualcosa da dire.
Sentii gli occhi di Niall puntati addosso, ai quali si aggiunsero anche quelli di Harry «Io..» mi grattai la testa «mi occupo di tante cose!» riuscii a dire.
Ma se hai solo un lavoro?!
«Ah! Tipo?» gli avrei tagliato la lingua, i cazzi suoi? Ero andata li per parlare con Harry.
«Tipo..» pensa Julie, pensa «il lunedì faccio la postina» tossii «postina di e-mail» mi corressi.
Ma che cazzo stai dicendo?
Entrambi sgranarono gli occhi.
«Il martedì di solito consegno sacchetti al supermercato» annuii «il mercoledì e il giovedì, accarezzo materassi della Eminflex. Dovreste andarci qualche volta, ci sono i saldi» non riuscii a togliermi dalla faccia quel sorriso da ebete «e il venerdì..» poi mi ricordai di un articolo di giornale che avevo scritto qualche mese fa «vendo spazzolini che si illuminano al buio» finii.
Julie, ti avevo niente droga prima di venire qui!
Il salotto piombò in un assurdo silenzio, spezzato dalla mia risata finta e imbarazzata.
Harry mi guardava incredulo, Niall stranito e giurai di aver visto qualcuno sulla porta della cucina che ascoltava le stronzate che stavo dicendo.
Davvero non mi era venuto nient’altro in mente?
Niall mi seguì a ridere, imbarazzato «sei divertente Julie» mi guardò per cercare di capire se era davvero quello che facevo.
«Stai scherzando vero?» mi chiese questa volta Harry, serio.
Strano che mi avesse rivolto la parola, di solito ero io a farlo e a rompere le palle.
Mi guardai intorno, spaesata.
Grazie a Dio avrei potuto negare, ma la mia testa stava letteralmente andando a putt-a ragazze che la danno a tutti e vengono pagate da uomini insoddisfatti.
 
«No.»
 

 
 
 
 








 
 
 


IS THE TAASTE, THAT YOUR LIPS ALLOOW…

Innamorata di questa canzone. Punto.
My my my give mee lovee.

Non chiedetemi che capitolo è, vi supplico.
Non so cosa mi sia preso ed è uscito..questo coso.
Però qui si capisce che Julie è pronta a far innamorare Harry c: Chissà che cosa si inventa OuO
Lo scoprirete andando avanti a leggere.

Purtroppo, però, a quanto pare Harry non sembra interessato a lei..anzi.
Giusto, mi scuso per il ritardo, ma ho avuto problemi con Internet e le altre storie.
La smetto di scaraventale le palle e vado ad accarezzare materassi della Eminflex.
Al prossimo capitolo!


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Simo.

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Capitolo 8
*** Dream. ***


 


Chapter Eight
Dream.

 



Feci un giro su me stessa, sempre davanti allo specchio enorme di Ally «che te ne pare?» le dissi con un sorriso a ottocentoquarantottomila denti.
«Julie, quanto hai pagato per questo nuovo vestito e le scarpe?» mi guardò stranita, seduta sul bordo del suo letto.
Scoppiai a ridere «che sciocchina che sei» le dissi, facendo un’altra piccola sfilata e osservando il vestito azzurro e blu appena preso, che si alzava leggermente «non li pago veramente! Il vestito costa duecento dollari, le scarpe centotrenta» sgranò gli occhi, soffocandosi con la sua stessa saliva.
«Vuoi spendere metà del tuo stipendio per un vestito?» scossi la testa.
«A parte che ci sono anche le scarpe, e poi riporterò tutto indietro al negozio dopo stasera» le dissi fiera del mio piano. Sembrò confusa.
«Non ti accetteranno mai dei vestiti usati, anche se tieni lo scontrino!» risi un’altra volta.
«Oh dolce, piccola e innocente Ally» le dissi con aria da sapientona «sotto le scarpe metterò del nastro adesivo e terrò l’etichetta del vestito attaccata» mi scostai i capelli dal viso «semplice no?»
Questa volta fu lei a scoppiare a ridere.
«Tu sei pazza!» sbuffai.
«Ma cosa dici mai?!»
Chi cazzo sei, topo Gigio?
«Ma stai zitto Rossita» sbraitai.
Rossita a chi?! Mi disse offeso Subby.
«A te!» feci una risata malvagia «Rossita di Nonno Nanni e le sue fette bisc-» guardai Ally, gli occhi spalancati che fissavano i miei.
«C-con chi stai parlando Julie?» mi chiese preoccupata.
Cominciai a ridere, imitando un’isterica posseduta dal diavolo.
«Io?» mi guardai intorno «se dici a me, allora con nessuno. Se invece ti riferisci alla zia Geltrude morte di insonnia e tifo endemico..» non feci in tempo a finire la frase e mi limitai a sorridere come un’ebete.
«Tu stai male, devi farti curare Julie!» mi disse divertita, alzandosi e sistemandomi il cartellino del vestito dentro la scollatura.
«Di tifo endemico?» era una malattia ereditaria? Perché se fosse stato così, stavo per morire, quelli potevano essere i miei ultimi giorni di vita.
«No, cretina!» si buttò sul letto a pancia in giù, allungandosi a prendere una bottiglia dal suo comodino.
«Poi sono io quella strana?» risi «tu tieni una bottiglia di vodka nel cassetto!» alzò le spalle, indifferente.
«A che ora devi uscire?» guardai l’orologio che portavo al polso.
«Tra dieci minuti» le sorrisi, rialzandomi e sistemandomi i capelli «come sto?» le chiesi.
«Potevi prendere un vestito più scollato!» osservò.
Sbuffai scocciata «Jess e Rosy stanno bene al coperto, sono molto timide» cercai di rimanere in equilibrio sulle scarpe con il tacco, fin troppo alte.
«Chi scusa?» mi avrebbe davvero presa per pazza prima o poi.
«Nessuno!» dissi, per poi prendere la borsa, sistemare il nastro adesivo sotto le scarpe e uscire.
 
* * *
 
Suonai il campanello della porta, aspettando poi che questa si aprisse.
Quando si spalancò, uno dei ragazzi che il giorno prima si trovava sulla soglia della cucina ad ascoltare le stronzate che mi stavo inventando, apparve davanti a me.
«Ciao!» lo salutai, ricevendomi un’occhiata strana da parte del castano.
Aveva occhi blu, i capelli scuri gli ricadevano sulla fronte e ai piedi portava delle pantofole «sei la ragazza di ieri, vero?» scrutò un attimo il mio abbigliamento, decisamente troppo elegante rispetto al suo pigiama.
Annuii «Julie» precisai, tendendogli la mano; lui l’afferrò debolmente.
«Louis» riuscì a dire «stai cercando Niall?» mi chiese alzando un sopracciglio.
«Nono» scoppiai automaticamente a ridere, ma a quanto pare Louis non ci trovava nulla di divertente; mi strozzai, cercando di tornare seria «volevo parlare con Harry» gli sorrisi.
Sembrò confuso, poi annuì e si chiuse la porta alle spalle, rientrando in casa; rimasi lì, impalata.
Solo qualche minuto dopo, questa si decise a riaprirsi.
 
 
 


Harry.

 
Louis tornò sul divano, sdraiandosi e chiudendo gli occhi «era la tua ragazza» sgranai gli occhi.

«Ho una ragazza?» chiesi divertito e risi quando lui annuì «è Julie» portò le braccia dietro la testa, tornando a dormire «ti sta aspettando fuori» finì.
«Ma cazzo!» sbuffai alzandomi in piedi «cosa vuole dalla mia vita?!» sbraitai, per poi riaprire la porta d’ingresso.
 
«Tesoro!» la sua voce mi piombò letteralmente in testa e rischiai di cadere a terra quando si lanciò su di me, abbracciandomi; rimasi rigido, con le braccia tese lungo i fianchi.
Tesoro?
«Come stai?» non feci neanche in tempo a rispondere alla sua domanda «ho pensato di farti una piccola sorpresa» mi sorrise, poi notai il suo vestito elegante e le scarpe con il tacco, decisamente troppo alte per una svampita che cadeva in continuazione, proprio come lei.
«Emozionante» dissi con poca convinzione.
«Quindi vai a metterti una bella camicia, andiamo fuori a cena» cominciai a tossire.
«Una cena?» annuì «noi due?» chiesi di nuovo, per poi rivedere un’altra volta la sua testa oscillare in segno di affermazione.
Tossii «non credo sia una buona idea» mi grattai la testa imbarazzato, vedendo poi Niall dietro di me, che ascoltava la conversazione.
«Si che lo è» strillò «stai bene anche vestito così» mi sentii strattonare per un braccio e mi ritrovai fuori di casa; mi prese a braccetto, cominciando a camminare, senza spostare un attimo lo sguardo dalla mia faccia.
Mi voltai, in cerca di aiuto; qualcuno che la fermasse.
Vidi soltanto Niall, sulla porta di casa che stringeva le mani in un pugno.
Ma come cristo faceva a piacergli una pazza come Julie?
 
* * *
 
«Così mi hanno fatto lo sconto sui materassi e sul latte parzialmente scremato!» urlò «non è fantastico?» la guardai stranito.
Possibile che a vent’anni, fosse così dannatamente..
Trova la parola adatta Harry.
Rincoglionita?
«Non che io abbia nulla contro il latte intero o quello ad alta conservazione, quello di Valsoia» appoggiò i gomiti sul tavolo del piccolo ristorante in cui stavamo cenando «conosci Paolo e Francesca?» aggrottai le sopracciglia.
«Chi?» presi il bicchiere di birra, per berne poi un sorso.
Avrei preferito morire che finire sui giornali con una pazza sclerata che parla di latte e materassi; avrei potuto scappare, ma ci rinunciai.
«Paolo e Francesca!» esclamò di nuovo «secondo me sono morti» scosse la testa rattristita, magari erano suoi amici «dicono che hanno detto di ‘no’ al colesterolo, ma per me sono morti lo stesso» disse seria.
La guardai, trattenendo una risata.
Dove lo trovava il coraggio di sparare certe minchiate?!
In quel preciso istante, una signora si avvicinò a noi.
«Scusi?» mi sentii picchiettare sulla spalla e mi voltai «potrebbe farmi un autografo per mia figlia?» mi sorrise gentilmente, ma appena feci per prendere in mano la penna, questa si allontanò con una faccia spaventata.
Mi rivoltai, verso Julie.
«Non ringraziarmi» disse fiera, appoggiando sul tavolo il coltello che aveva preso in mano.
Rimasi con la bocca spalancata a guardarla.
«Harry, niente cazzi immaginari, ti prego» chiusi di scatto la bocca «bene, ora possiamo anche andare. Faremo una passeggiata nel parco, vicino a tutte le coppie innamorate di Londra» le brillarono gli occhi, mentre io cacciai indietro un senso di nausea terribile.
Mi prese per un braccio, trascinandomi fuori dal ristorante.
Perché a me? Ho fatto davvero qualcosa di così tanto brutto?!


 
 
  

Julie.
 

 Tralasciando il fatto che non ero riuscita a dire cose con un senso logico per tutto il tempo, la serata stava andando bene.
Bene un cazzo! Stai continuando a parlare di reti, materassi, barche a vapore, gondole, formaggi e zaini della Eastpak. 
Subby doveva sempre esagerare! Avevo solo nominato le gondole, concentrandomi di più sul film di Pocahontas; stavamo camminando in un parco, ma di coppiette innamorate, nemmeno l’ombra, il mio piano stava lentamente fallendo.

Avevo cercato su internet dei metodi per far innamorare un ragazzo, e tra questi c’era quello di saper farlo ridere; i formaggi non hanno niente di divertente, ma l’Eastpak si. Andiamo! A chi non fa ridere il nome Eastpak!?
Solo a te fa ridere.
«Che pignolo» sbuffai.
«Come scusa?» intervenne Harry.
«Niente»
Vuoi dire che hai veramente cercato su Google?
«Si» deglutii «l’ho googlato» dissi con un tono pentito.
«Che hai detto?!» giusto.
«Ho detto» ci pensai un attimo «l’ho mangiato» annuii.
«Cosa hai mangiato?» sembrava sempre più confuso dal mio comportamento, eppure cercavo in tutti i modi di comportarmi da persona normale.
«Kebab» dissi notando un chiosco di Kebab lì vicino; non fece altre domande, per evitare di sentire risposte senza senso.
Quel fottuto e imbarazzante silenzio cominciava a darmi sui nervi.
«Julie?» pensai che mi stesse per dichiarare il suo amore eterno, magari mi avrebbe chiesto di sposarlo, su una spiaggia deserta, alle Hawaii, con i gabbiani che volavano e i delfini rosa che ci portavano le fedi di matrimonio; sarei diventata la giornalista più famosa al mondo, che conosceva tutti i segreti di Harry Styles. Mi si illuminarono gli occhi a quel pensiero.
«Si?» gli chiesi, impaziente.
«Hai l’etichetta del vestito ancora attaccata» non feci in tempo a collegare le cose, che Harry allungò una mano sulla spallina del vestito e con un gesto secco staccò l’etichetta «ecco» disse soddisfatto, porgendomela.
«Noo!» le gambe cominciarono a tremare «duecento, fottuti, preziosi dollari» urlai, evitando di scoppiare a piangere in stile commedia tragica americana.
«Ho fatto qualcosa di male?» mi guardò stranito, cercando di capire la mia reazione.
Tirai su con il naso, mettendo poi un piede sullo sterrato.
«Oh cristo!» urlai, prima di scivolare a terra e ritrovarmi a gambe all’aria.
«Mi vuoi spiegare perché non fai altro che cadere?!» trattenne una risata, porgendomi poi una mano.
«Lo scotch rende le scarpe leggermente scivolose» dissi, accettando poi la sua mano e rialzandomi con fatica.
«Come scusa?»
Tappati quella fottuta fogna Julie!
«Niente!» mi giustificai. Avrei dovuto veramente spendere tutti quei soldi? Dio, Ally mi avrebbe ucciso.
Mentre cercavo una scusa da dire al negozio, tornò tra di noi ancora il silenzio, interrotto qualche minuto dopo, da Harry.
«Senti Julie» cominciò, quella sarebbe stata la volta buona e mi sarei sposata con lui? «posso farti una domanda?»
«Si, lo voglio» gli sorrisi.
«Come scusa?» spalancò gli occhi.
Non ti ha chiesto di sposarlo, cretina.
«Nulla!» lo vidi annuire «dimmi pure.»

Ci mise un attimo, prima di formulare una domanda.
«Stai cercando di far colpo su di me?» notai un leggero rossore sulle sue guance.
Sbuffai, presa alla sprovvista «io?» risi come un’isterica «nah! Per niente beibi»
Beibi? Baby? Julie, l’avevo detto io che nonno Teodoro ti passava roba troppo pesante per te!
«volevo dire, Harry» mi corressi, cominciando a tossire.
Lui si fermò.
«Ascolta» mi disse appena mi fermai davanti a lui «non ho ancora capito cosa tu stia cercando di fare con me, non ti conosco e sinceramente non mi sembrava il caso di uscire a cena, stasera» cominciò «credo che tu sappia chi sono» egocentrico «e farmi vedere in giro con una ragazza vestita così, non è proprio il massimo» stronzo.
Mi sentii in imbarazzo.
«Quindi..» cercai di dire, ma lui mi precedette, continuando.
«E’ un momento difficile per la band, stiamo organizzando il prossimo tour mondiale» riprese, dove voleva arrivare?
E’ arrivata la celebrità signore e signori.
In quel momento stimai il mio subconscio, pensando che lui lo odiasse almeno quanto lo odiavo io.
 
«adesso, una ragazza, è l’ultima cosa che sto cercando» finì, fissandomi negli occhi.
Non sapevo se essere felice di quell’affermazione, dato che lo odiavo con tutto il cuore, non lo consideravo il tipo di ragazzo che mi piace, lo credevo egocentrico, egoista e sforzarmi di fare la gentile con lui, mi stava dando i nervi.
Oppure essere triste, dato che con quelle parole stava quasi distruggendo il mio sogno; con quel fottuto articolo avremmo rivoluzionato la rivista: avrei rivoluzionato la rivista.
Nessuno mi avrebbe più considerata come la sfigata che scriveva in ultima pagina o che aveva un massimo di duecento parole per articolo; volevo dimostrare alla gente quanto valevo, quanto fossi anche io in grado di comportarmi da adulta, di cominciare una vera e propria carriera da giornalista.
Forse per questi motivi, forse per altro; in ogni caso, l’unica cosa che riuscii a fare dopo l’affermazione di Harry, fu annuire.
Mi si formò un magone in gola.
Davvero avrei dovuto rinunciare a tutto?
Così mi tolsi le scarpe, e senza pensare mi voltai, cominciando a correre. 

 
 
  
 






 
 
 


I GOOT AAANOTHEER ONE ONE ONE ONEE..

Amatemi.
Il capitolo è più lungo del solito :')
E vogliamo parlare della sfumatura rosso borgogna(esiste?) è DI-VI-NA e ci ho messo milleottocentosessantanove anni e un quarto per farla!
Avrei dovuto passare il pomeriggio a studiare un intero capitolo di storia, ma questi sono dettagli irrilevanti.
Word continuava a dirmi: 'Scrivi, scrivi' e non sono riuscita a resistere u.u

Povera Julie!
il suo sogno infranto perchè Harry non cerca una ragazza. Che bastardo :')
In molte hanno scritto nelle recensioni che amano il comportamento di Julie, alcune si identificano (spero non troppo, dato che è un po' troppo rincoglionia); in ogni caso spero che non prendiate anche me per pazza. IO.SONO.NORMALISSIMA.

Sono un folletto e ora torno al polo nord.
Spero passerete dalle altre mie storie e One Shot, ne sarei contenta c:
Mi dissolvo che devo veramente studiare D:

Grazie a tutte c:

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Simo.

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Capitolo 9
*** Plan. ***


 


Chapter Nine
Plan.

 



Tornai in sala, trascinando i piedi sul pavimento, per poi buttarmi con un tonfo sul divano; ripresi sulle gambe il computer portatile, riaprendo la pagina word e continuando il discorso cominciato ore prima.
Presa da un attacco di nervosismo, evidenziai tutto il testo, per poi premere il tasto ‘cancella’ sulla tastiera; sbuffai, prendendo in mano la tazza appoggiata al bracciolo del divano e bere un sorso di thè.
«Proviamo a cambiare argomento. Come faccio a sapere perché le foche dell’Artide vivono in branco, cazzo?»
Potresti andare a fare un viaggio al Polo Nord.
La proposta di Subby era alquanto bizzarra, ma tanto non valevo nulla; sarei potuta andare ottantasette anni in Amazzonia, a vivere con le scimmie e nessuno avrebbe sentito la mia mancanza.
«Mi vedo già a vivere in un igloo» sputai, innervosita, ricominciando a battere qualcosa sulla tastiera.
Magari con un bel ragazzo.
«Si, mentre ci strofiniamo i nasi in stile bacio all’eschimese» scossi la testa, cercando di cacciare la voce del mio subconscio, per poter rimanere in pace.
Avrei scritto l’ennesimo articolo di cento parole sulla condizione delle donne nei paesi più poveri del mondo.
Cominciai a scrivere qualcosa di cui, sinceramente, non mi importava nulla:
 

“In India, prima del 1900, la donna era creata per rinunciare alla vita, al sacrificio supremo in onore del marito.
Obbediva a tutte le età, dal padre al marito, dai suoceri ai figli maschi.
In assenza del marito non poteva uscire di casa, lavarsi i denti, tagliarsi le unghie, mangiare più di una volta al giorno o indossare abiti nuovi.
Ma non per questo..”

 
Sentii la porta suonare e per poco non lanciai a terra il portatile.
«Chi è?» urlai con tono scazzato.
«Julie?» sentii la voce di Ally.
Quando spalancai la porta, lei rimase a bocca spalancata «come cazzo ti sei conciata?» intravidi la preoccupazione nel suo sguardo.
Alzai le spalle, tornando a buttarmi sul divano.
«Julie, è da tre giorni che non esci di casa» annusò l’aria «e a quanto sento non ti sei neppure fatta una doccia» storse in naso, per poi andare verso la finestra e spalancare le tende.
«Ah!» mi tappai gli occhi «luce!»
«Forza, alzati da li» appoggiò la borsa a terra, venendomi incontro «se non ti presenti più al lavoro, daranno la colpa a me! E il direttore della rivisita, oltre a licenziare te» mi tolse la maglietta del pigiama, che ormai tenevo da tre giorni «licenzia pure me!» finì, per poi lanciarmi una camicia che si trovava per terra.
Mugugnai qualcosa di incomprensibile, cercando di fare meno fatica possibile indossandola.
«Stai lavorando sull’articolo?» le si illuminarono gli occhi, vedendo il computer acceso «cosa scrivi?»
Si avvicinò, prendendolo tra le braccia e cominciando a leggere.
Qualche minuto dopo, appena finito di leggere quelle cinque righe, mi guardò allibita «che cazzo succede Julie? Cos’è questa roba?» chiuse il computer, appoggiandolo sul tavolino davanti al divano.
Feci spallucce.
«Niente spallucce!» si sedette accanto a me «allora?» chiese, in attesa che le dessi spiegazioni.
«Ci ho provato» cacciai indietro il groppo che mi si era formato in gola «ma non sono capace di scrivere, se non di povertà, foche e spazzolini» alzai le braccia in aria, in segno di arresa.
«Ma non dire così, Ju’» mi sorrise, cercando di incoraggiarmi «è da tre giorni che non rispondi al cellulare» cominciò «com’è andata l’altra sera?» al solo ricordo mi irrigidii.
Avevo fatto una figura di merda, non riuscendo a calmarmi in sua presenza e continuando a straparlare di cose senza senso, quali materassi e formaggi; gli avevo dato l’impressione di essere davvero pazza, perché nonostante tutto l’avevo anche obbligato ad uscire, quando lui chiaramente non voleva.
Tutto per cosa?
Per sentirmi dire che quello che stavo facendo, non avrebbe portato nulla? Che mi stavo solo ridicolizzando?
La tristezza di tre giorni prima si era inspiegabilmente trasformata anche in rabbia.
Dopo aver raccontato tutto a Ally, l’unica cosa positiva fu ricevere uno dei suoi fantastici abbracci; mi strinse a se, nonostante il mio odore pessimo.
«Stai tranquilla Julie» mi accarezzò la schiena «andrà tutto per il meglio, come sempre» mi staccai bruscamente.
«No!» sentii gli occhi pungermi «non ci riuscirò, non sono per quanto riguarda questo articolo. In generale» cominciai «non sono in grado di fare qualcosa di diverso. Quando devo scrivere qualcosa di più complicato del solito entro in panico e per questo non credo di essere una brava giornalista! Deludo sempre la gente» deglutii «prima i miei genitori» al loro ricordo mi irrigidii ulteriormente «la mia intera famiglia! Ora te, i miei amici. Non ho mai fatto altro che deludere le persone che veramente amo» tirai su con il naso.
«Julie, tu non mi hai mai deluso» mi guardò con i suoi occhi castani, truccati semplicemente «e non lo farai mai, ne sono certa! Sei una ragazza determinata e so che non ti arrendi facilmente» mi scostò i capelli arruffati dietro l’orecchio «non l’hai mai fatto! Non ti ricordi quando, nonostante non avessi finito l’università, volessi questo lavoro?» mi sorrise
«L’ho ottenuto solo grazie a te» appoggiai la testa sul bracciolo del divano.
«No! Ho portato un tuo articolo al direttore della rivista, uno dei tuoi pezzi migliori, scritti ancora al liceo» sgranai gli occhi.
«Io pensavo gli avessi solo parlato!» scosse la testa.
«Andiamo, Julie! Non si ottiene un lavoro solo con qualche parola gentile nei tuoi confronti. Quel pezzo gli è piaciuto, per questo ti ha assunto» continuò «hai talento, come tutte le persone in quella fottuta rivista. C’è chi ha più fortuna, chi ne ha meno, ma questo non vuol dire che tu ti debba arrendere» questa volta fui io a sorriderle, anche se debolmente.
 
Le portai le braccia al collo «Grazie» dissi, stringendola forte.
«Ora però vai a farti una doccia, mi stai intossicando» risi.
«Ti voglio bene anche io e anche tu profumi di rose e fiori» scherzai, per poi alzarmi e ricevermi un a sua pacca sul culo.
«E infonditi autostima! Ti servirà» mi urlò, mentre ero già arrivata al bagno e avevo aperto l’acqua della doccia.
 
* * *
 
«Ciao bellissima» feci una smorfia con il viso, facendo combaciare le labbra in un immaginario bacio.
Mi misi in posa con una mano sul fianco e il sedere leggermente ruotato; cominciai a camminare, continuando a fissare davanti a me, oscillando.
«Si, così» mi voltai, guardando poi il fondoschiena «sei una figa da paura, tesoro» finsi una faccia sorpresa.
«Ma grazie!» mi portai una mano davanti alla bocca «anche tu non sei mica male» risposi, ridendo come un’ebete e facendo l’occhiolino.
«Che cazzo stai facendo?» mi voltai di scatto, vedendo Ally sulla porta, con le braccia incrociate.
Balbettai qualcosa di incomprensibile, per poi ricompormi.
«Mi hai detto tu di mettermi autostima da sola» misi un finto broncio.
«Si, ma non ti ho detto di sfilare davanti allo specchio fingendo di parlare con un’altra persona, facendoti complimenti» rise, prima che io sbuffassi.
«Dovresti essere più chiara» dissi, tornando in salotto con dei vestiti puliti e un asciugamano rosa avvolto intorno ai capelli in versione turbante.
«Guarda, sono Tutancamon» mi misi a ballare in stile egiziano, con le braccia stilizzate.
«No, Julie, no» scoppiai a ridere «brava ridi che ti fa bene!»
Andai in cucina, prendendo qualcosa da mangiare e tornando di là.
«Allora?» la guardai stranita.
«Allora cosa?» le chiesi.
«Non è che se ti fai una doccia e ti complimenti con te stessa davanti ad uno specchio, ti cancella i tuoi problemi» mi ingozzai con del pane e del prosciutto, per evitare di dover parlare «quindi, dobbiamo inventarci qualcosa» cominciai a tossire, per poi ingoiare tutto.
«Vuoi dire che non scriverò dell’Antartide o delle donne indiane per la tre milionesima volta?!» le chiesi speranzosa.
«Certo che no! Il tuo talento andrebbe sprecato» era quello il genere di autostima di cui avevo davvero bisogno.
«Quindi? Cosa pensi fare?» mi sedetti a terra, sul tappeto, guardandola dal basso verso l’alto.
Si grattò un attimo la testa, poi il mento, con fare estremamente intelligente.
«Einstein ha finito di pensare?!» le chiesi scherzando, ma non mi rispose.
Sbuffai, cominciando ad annoiarmi da quel fottuto e snervante silenzio; mi sdraiai sulla schiena, alzando i piedi in aria e cominciando a fare un po’ di movimenti strani.
«Un, due, tre..» scambiai i piedi «un, due, tre..» avrei potuto fare la personal trainer!
Talento innato.
Certo, come no. Ti piace così tanto il pavimento che ogni tre secondi cadi spaccandoti il culo.
La finezza di Subby era davvero impressionante.
«Idea!» per un attimo non mi venne un infarto o un attacco di cuore.
«Cristo Al, calmati» mi rialzai «allora?»
Mi guardò con uno sguardo strano.
«Mi fai paura quando mi guardi così» affermai con una faccia schifata.
 
«Ho un piano!» si illuminò.
«No» scossi la testa in preda al panico «un tuo piano, no!»
«Oh, si invece.»
 
* * *
 
Ally inchiodò, fermandosi davanti alla loro casa.
«Perché devo darti ascolto?» mi tirai una sberla sulla fronte.
«Basta lamenterai, muovi il culo» sbuffò.
«Ma quello li è un coglione nato!» protestai, ricevendomi un’occhiataccia.
«Bene, allora prepara il materiale per la fame nel mondo e la condizione delle donne» incrociò le braccia davanti al petto e per un attimo mi chiesi se anche le sue tette avessero un nome.
«Ok» respirai profondamente, per poi scendere dall’auto «per la mia carriera!» Ally mi sorrise, prima di ripartire.
Mi ero vestita normalmente quella volta; nessun vestito anni settanta, magliette scollate, gonne troppo corte o tacchi estremamente alti.
 
Non avevo avuto il tempo per cambiarmi, così indossavo una maglietta con un muffin disegnato sopra, un paio di jeans neri e le converse.
Suonai il campanello.



 
  

Niall.
 

 Harry si era appena svegliato, quando ero in cucina a farmi un panino triplo strato: prosciutto cotto, pomodoro, insalata, maionese, prosciutto crudo, pane.

«Niall» mi bloccai con la bocca spalancata, appoggiando poi il panino sul tavolo, irritato.
«Harry, sai che non mi devi interrompere durante i miei spuntini» protestai, forse con un tono troppo duro, dato che ero ancora incazzato per l’altra sera.
Aveva accettato di uscire a cena con Julie, quando mi aveva chiaramente detto che lei non gli interessava; allora perché non aveva fatto andare me con lei?
«E allora non ti posso mai parlare?» tentò una battuta, alla quale non risi «e dai, sei ancora incazzato per la storia di Julie?» mi chiese, sorridendomi.
Annuii.
«Ormai ce la siamo tolta dai piedi, tranquillo» mi fece un sorriso a trentadue denti, soddisfatto.
Chissà cosa le aveva detto; fatto stava che Julie non si faceva sentire o vedere da due giorni e questo, mi dispiaceva.
Poteva essere una ragazza un po’ strana, ma era divertente!
Il campanello suonò.
«Vai tu» dicemmo, insieme.
«Va Zayn» mi disse.
«E’ uscito.»
«Liam, apri tu?» era concentrato sullo schermo del suo cellulare.
«E’ uscito con Danielle» sbuffò.
«Lou?» risi.
«Vado io che è meglio. Anche lui è fuori» bevvi un sorso di coca cola, poi andai ad aprile la porta.
 
«J-Julie» le sorrisi, imbarazzato.
«Ciao Neul» feci una smorfia.
«Si dice Niall» la corressi, per poi vederla scrollare le spalle.
«Fa lo stesso» scoppiai a ridere «volevo parlarti» sgranai gli occhi.
«Con me? O con Harry?» possibile che si fosse confusa. Anzi, probabile.
Vidi intanto con la coda dell’occhio Harry, che si cacciava due dita in cola, fingendo un conato di vomito; soffocai una risata.
 
«Harry?» rise, mentre le sue guance si tingevano di un rosa leggermente più scuro «nono» mi sorrise.
«con te» la vidi deglutire, come se non fosse pienamente sicura di quello che aveva detto.


 
 
  
 










 
 
 


THEESE WINGS ARE MADE TOOO FLY...

Sa-sa-sa prova. Prova.
Mi sentite? Bene.
Ok, scusatemi per la merda di capitolo, lo dico davanti a tutto il mondo!
Non succede molto, come avete capito, ma dal prossimo..sajfiwhfiop :')
ok, basta.

Mi sentivo ispirata per la sfumatura vioooolaaaa OuO

Ringrazio tutte quante, quanto posso amarvi? TROPPO! Mi riempite di complimenti, vi adoro *c*
*Momento dolcioso time.

La parte sulle donne indiane l'ho presa dalla mia tesina di terza media .-. AHAHAH non so che cazzo c'entra, ma era per far capire quanto fosse noioso, per Julie, scrivere sempre le stesse cose fdjorwfj :3

Detto questo..


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Al prossimo capitolo,
Simo.

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Capitolo 10
*** Song. ***


 


Chapter Ten
Song.

 



Sgranai gli occhi appena entrai in quella camera, seguita da Niall «porca troia!» sbraitai.
«Come scusa?» mi guardò confuso.
«Niente» dissi scocciata «è camera tua questa?» mi guardai intorno; annuì.
«Ti piace?» sorrisi, in segno di affermazione.
«Ma voi quattro vivete tutti qui?» gli chiesi.
«Siamo in cinque» mi corresse, facendo una smorfia «comunque questa è la casa dove stiamo tutti insieme, poi ognuno di noi ne ha una propria» mi rispose.
Quindi quei cinque idioti avevano..sei case?
Non ti facevo così perspicace in matematica Ju.
Spiritoso Subby, davvero tanto.
«Suoni?» gli chiesi, fermandomi ad osservare le chitarre appoggiate al muro.
Annuì, sedendosi sul suo letto con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni «con gli Un Diretid?» pensai di aver azzeccato il nome, almeno quella volta.
«Ci chiamiamo One Direction» mi corresse, tentando di nascondere la sorpresa.
«Certo!» dissi con una voce più acuta del normale «lo sapevo» mentii.
Cominciai a frugare tra le milioni di cartacce sparse su una scrivania «cosa sono?» lo vidi arrossire quando mi voltai a guardarlo.
Si alzò di scatto, riordinando quei fogli «musica» mi guardò «nuove canzoni» disse, ancora imbarazzato.
Annuii, cercando di capire cosa volessero significare le tante note scritte.
«Mi rilassa» abbassò lo sguardo, rileggendo quello che aveva scritto con una matita.
«Ma chi?» gli chiesi alla fine, non riuscendomi a trattenere.
«Come chi?» mi chiese confuso «io» rispose.
Scossi la testa «No, ma chi te l’ha chiest-» non finii la frase, per evitare di essere troppo scortese, tossii «anche a me rilassa» dissi.
Tu non scrivi musica, Julie.
Perché Subby doveva essere così dannatamente pignolo? Quelli erano dettagli irrilevanti.
Insomma, il biondino poteva essere svampito e idiota, ma non avrebbe mai fatto altre domande, no?
«Scrivi musica anche tu?» come non detto. Giurai che un giorno o l’altro gli avrei veramente cucito la bocca con la spillatrice.
«Ovviamente» mentii, vedendo i suoi occhi illuminarsi.
«Cosa in particolare?» giurai di sentire il mio subconscio ridere.
Alzai le spalle, pronta a cambiare argomento e ad ignorare la sua domanda.
«E le parole di quelle canzoni, Neul?» mi andai a sedere sul suo letto.
Mi guardò triste «Niall» mi corresse «il mio nome è Niall» sbuffò, ricominciando a parlare solo dopo un po’, per rispondere alla domanda fatta poco prima «i testi li scrive Harry» sgranai gli occhi.
«Davvero?!» gli chiesi sorpresa, cercando poi di moderare il tono della voce.
«Si» mi sorrise, anche se notai un po’ di disagio sul suo viso; evidentemente non voleva parlare di lui «a volte ci aiutano anche gli altri» mi sorrise, sedendosi accanto a me e facendo sfiorare il suo ginocchio con il mio.
Oh Cristo! Si è seduto accanto a te: passo numero uno prima dello stupro. Potevi metterti i mutandoni della nonna Julie, non ti avrebbe violentata!
Perché mi doveva mettere in mente quelle strane idee?
Nonostante le trovassi bizzarre, automaticamente, mi spostai da lui.
«Come si chiamano gli altri componenti dei One Directid?» gli chiesi speranzosa.
«Direction» ormai aveva capito che non avrei mai imparato il nome della loro band «One Direction» insistette «ci sono io, Harry» ma dai? Non l’avrei mai detto «Louis, dovresti averlo già incontrato» era il ragazzo con gli occhi azzurri, che mi aveva aperto la porta un giorno «Zayn» un nome più semplice no? Che so..Gismundo, Rando, Giuseppino, Sandro, Pepito, Raimondo.. «e Liam» finì.
Non sapevo pronunciare il nome del loro gruppo, figuriamoci imparare tutti e cinque in nomi!
Annuii, fingendo di aver già impresso nella memoria tutto quello che mi aveva detto.
«Ascolta Julie» cominciò e mi preparai alla fatidica domanda: “Ma tu che minchia vuoi da me?”
Ma mi si accese la lampadina e mi venne un idea.
Julie che ha un’idea? Ragazzi, domani risorgeranno sessantanove gatti arancioni e blu.
Sempre il solito esagerato.
«Dov’è il bagno?» lo interruppi, alzandomi di scatto in piedi.
Mi guardò stranito «è s-su questo piano, in fondo al corridoio» annuii «ti ci accompagno?» mi chiese.
Dio, un pedofilo. Scappa Julie, scappa e mettiti in salvo; fallo per la patria!
Non feci caso a Sub «no, tranquillo» uscii dalla sua camera, chiudendomi la porta alle spalle.
 
* * *
 
Ci avevo messo ottantasette anni e tre quarti per trovare la camera di Harry.
La prima in cui ero entrata puzzava di kebab, cipolla e fumo.
La seconda, una delle più piccole, era ordinata, neanche un capello fuori posto; dubitai che fosse di Harry.
La terza era simile a quella di Niall, ma sulla scrivania c’erano dei trucchi.
Che cazzo se ne fanno dei trucchi?
Infine l’ultima, quella più lontano dal bagno; modestamente, con la mia bravura da ninja e ragazza in missione, avevo capito che quella era del riccio, solo grazie alla mia intelligenza.
C’era un cartello sulla porta con scritto ‘Harry’.
Visto? Pignolo. Che pignolo! Doveva mettere in evidenza sempre i dettagli meno importanti.
Sbuffai, per poi entrare in quella stanza cercando di fare meno rumore possibile.
 
Appena fui dentro mi misi a cercare tra le cianfrusaglie sulla scrivania, quando mi squillò il cellulare; avendo le mani occupare, attaccai l’auricolare all’orecchio.
«Ciao Al» dissi a bassa voce, guardando dei fogli nei cassetti; mi spostai accanto a letto, appoggiando la borsa su di esso e aprendo i cassetti del comodino.
«Come sta andando?» sentii la voce di Ally.
«Insomma, se vogliamo tralasciare che il biondo ha fatto troppe domande per i miei gusti e che ora sto frugando nella biancheria intima di Harry» feci una smorfia quando mi capitarono tra le mani due paia di boxer «bene» finii.
Sentii una sua risata «Hai trovato niente?» il piano di Ally era quello di usare il biondino per avvicinarmi ad Harry e scoprire più cose possibili su di lui.
«Ho scoperto che scrive canzoni, può essere utile?» mormorò qualcosa, quando passai all’altro comodino, dall’altra parte del letto.
«Per ora si. Allora le scriverà da qualche parte no?» aveva ragione.
«Possibile su un quadernetto con la copertina marrone?» mi rigirai tra le mani l’oggetto.
«L’hai immaginato?» mi chiese confusa.
«No, ce l’ho in mano» dissi, per poi pensare subito male alle mie parole «non pensare male Al» l’avvisai, sentendola poi di nuovo ridere.
«Aprilo e leggi» mi ordinò.
Mi morsi il labbro inferiore «Ally ma siamo sicure?» continuai a fissare il diario che tenevo in mano «non è la sua praivasi?» sbuffò.
«Forza Julie, aprilo» mi scostai i capelli dietro l’orecchio.
«E se lo facessi cadere per terra e casualmente si aprisse su una delle pagine?» chiesi speranzosa, per poi gettare con un colpo secco il quadernetto a terra; questo arrivò dritto sul pavimento, chiuso.
«Cogliona, non lo devi tirare dritto» aveva dannatamente ragione.
«Potrei incollarlo sul soffitto, così da poter leggere, no?» sorrisi, nonostante non mi potesse vedere.
Rise «Si, e con cosa lo attacchi? Gelatina?» scherzò.
Mi illuminai «Sei un genio Ally!» tentai di tenere bassa la voce, nel caso mi avessero sentita.
«Andiamo Ju, dove vuoi trovare della gelatina a quest’ora? I supermercati che ne vendono saranno già tutti chiusi ades-» si bloccò, sentendo la mia voce.
«Allora, ce l’ho alla fragola. Al mirtillo. All’albicocca e alla pesca. Quale uso?» le chiesi dubbiosa guardando i barattoli che tenevo tra le mani.
«Julie dove cazzo hai preso la gelatina?!» rise.
Aggrottai le sopracciglia «ce l’avevo in borsa, no?» aprii il barattolo di gelatina alla pesca «mh, quanto è buona» dissi assaggiandola.
«Tu sei da curare Julie» sbraitò divertita «come si fa a portare della gelatina in borsa?!» perché lo trovava così strano? Insomma, tutti portano gelatina in borsa, no?
No, idiota.
Sbuffai, allarmandomi appena sentii dei passi in corridoio.
«Ally, attacco, arriva qualcuno» le dissi sussurrando.
Prima di chiudere la chiamata sentii la sua risposta «fai delle foto con il cellulare alle pagine del quaderno!»
Presa dal panico cominciai a mettere la gelatina nella borsa e senza pensarci infilai dentro anche il quadernetto.
 
«Julie?» sentii la voce di Niall alle mie spalle.
«Tesoro!» gli andai incontro.
Poco lecca culo mi dicono. 
Vidi le sue guance arrossarsi e un sorriso da ebete spuntò sulle sue labbra «ti eri persa?» mi chiese.
«Persa?» sgranai gli occhi «certo!» mentii «questa casa è enorme» cambiai argomento.
«Già» uscimmo «quella era la stanza di Harry, non il bagno» non sembrava sospettare nulla. Proprio idiota il ragazzo!
«Davvero?!» strillai «non lo sapevo» per poco non scoppiai a ridere, premendo forte sulla borsa che mi ero messa a tracolla e che conteneva il quadernetto di Harry.
Sentii un tremendo senso di colpa, ma in fondo, quello era il mio lavoro.
«Devo tornare a casa, si è fatto tardi Nilo» roteò gli occhi.
«Niall» mi corresse «non devi andare in bagno?» mi chiese.
Scossi la testa «passato» sembrò sempre più confuso mentre scendevamo le scale.
«Ci vediamo domani?» gli chiesi mentre con gli occhi cercavo Harry, ma notai solo un ragazzo con i capelli scuri e la cresta, sdraiato sul divano, che fumava una sigaretta.
«Certo!» mi disse felice, sorridendomi come un bambino.
Annuii «Ok. Allora..ciao» mi avvicinai, stampandogli un bacio sulla guancia e uscendo di casa senza voltarmi a guardarlo; avrei solo visto un cretino in piedi sulla soglia, con le guance rosse e lo sguardo fisso su di me, come un ebete.



 
  

Niall.

Quando Julie se ne andò, avrei tanto desiderato che si voltasse a guardarmi; anche se molto probabilmente non avevo un bell’aspetto.
Sentivo le guance in fiamme, dopo il piccolo bacio che mi aveva dato ed ero impalato sulla soglia di casa, a fissarla, mentre saliva in macchina e metteva in moto.
Non era poi strana come pensassi, più o meno.
Il fatto che sbagliasse sempre il mio nome, mi faceva anche divertire; pensavo che le piacesse Harry, che in un certo senso fosse interessata a lui, dato che qualche giorno prima erano usciti insieme.
Avevo semplicemente sbagliato a pensare!

Se no perché mi avrebbe dato quel bacio? E mi aveva anche chiamato tesoro.
Non potevo non piacerle almeno un po’.
Tornai in casa, felice e con un sorriso stampato in faccia.
 
* * *
 
Avevo ancora il cucchiaio in bocca, quando Harry e Louis piombarono in cucina.
«Niall» urlò il primo.
«Si è così che mi chiamo» dissi con la bocca piena.
Mi guardò stranito «non dirmi che stare con quella cretina, ti ha fatto rincoglionire ancora di più e ora fai anche tu battutine idiote come le sue!» sbraitò e capii all’istante che si stava riferendo a Julie.
Louis rise, ma cercò di non darlo a vedere «ti prego Niall, aiutami, è da due ore che mi rompe le palle! Vorrei semplicemente andare a farmi una doccia» sbuffò questo.
«Cosa succede?» chiesi a Harry, che appoggiò le mani sul tavolo con forza.
«Hai toccato il mio quaderno?» scandì bene tutte le parole e mi fissò negli occhi, pronto a cercare di capire se stessi mentendo.
Corrugai la fronte, scuotendo leggermente la testa e prendendo altro riso con il cucchiaio; in quel momento entrò Liam, diretto al frigorifero. Prese un’aranciata e mi fissò.
«Niall, quante volte ti ho detto di non mangiare il riso con il cucchiaio?» disse, allontanandosi da me, per poi uscire dalla cucina.
«Si e come lo mangio il riso? Con il coltello?» sbraitai; non mi rispose.
Harry sbatté un pugno sul tavolo «Niall, ripeto la domanda!» si vedeva lontano chilometri che era incazzato «hai perso il mio quaderno?»
Scossi la testa.
«Merda» disse, sfregandosi il viso con la mano, stanco; poi uscì dalla cucina e lo sentii urlare «dove cazzo è finito?»



 
  

Julie.
 

Appena arrivata a casa di Ally, venni subito travolta da milioni di domande.
«Al, basta!» mi sedetti sulla sedia della cucina, bevendo un bicchiere d’acqua «è stato più difficile di quanto pensassi» sbuffai, appoggiandomi allo schienale.
«Quando hai attaccato la chiamata, chi stava arrivando?» mi chiese, addentando una mela.
«Il biondo» risposi.
Scoppiò a ridere «ma non ha un nome questo ragazzo biondo?» alzai le spalle.
Ci pensai un attimo «Nil, Nelo, Nuel o qualcosa del genere» possibile che non riuscissi a ricordarmi il suo nome?!
«E hai fatto le foto al quaderno che hai trovato?» mi chiese, mentre le si illuminavano gli occhi.
Deglutii, ricominciando a sentire quel nodo alla gola: sensi di colpa?
Annuii.
«In realtà..» presi la borsa, tirando poi fuori il piccolo diario con la copertina marrone e lo misi sul tavolo.
Ally urlò, saltando in piedi e cominciando a correre per tutta la cucina «sei un genio!» non le risposi «domani però riportaglielo, sarà meglio» mi disse, poi lo aprì, cominciando a leggere alcune delle prime pagine.
Un silenzio che mi stava dando il nervoso, riempì la stanza.
«Allora?» le chiesi, tenendo le mani sulle gambe, in attesa di qualcosa.
Ally sgranò gli occhi «sono testi di canzoni» voltò pagina, sempre più stupita, per poi arrivare alle ultime «l’ultima parla di una ragazza» saltai in piedi, mentre continuava a leggere «che ha begli occhi, una ragazza bellissima, buffa e simpatica» mi avvicinai sempre di più a lei «un sorriso fantastico» lesse, poi arrivò all’ultima riga scritta in penna, preceduta da un piccolo scarabocchio e chiuse di scatto il quaderno.
«Cazzo!» sbraitò.
Ovviamente i suoi stessi pensieri erano venuti anche a me, ma come una finta tonta azzardai a chiedere «cosa?» mi morsi il labbro inferiore.
«Non puoi non essere tu la ragazza della canzone!» urlò, venendomi incontro e abbracciandomi.
Rimasi impalata «s-sei seria?» si spostò per guardarmi.
«Hai gli occhi stupendi, dici un sacco di stronzate, quindi sei buffa! Una bellissima ragazza, adoro poi il tuo sorriso» le brillavano gli occhi.
«Non è una dichiarazione d’amore la tua, vero Al?» risi.
Mi seguì a ruota, scoppiando a ridere «quanto sei idiota!»
Possibile che nell’odio che vedevo nello sguardo di Harry, tutte le volte che mi guardava, ci fosse anche qualcosa di bello? Possibile che pensava quelle cose di me? Che io fossi veramente la ragazza di cui parlava la nuova canzone?
Forse.
 
Tornai seduta, rimettendo il quaderno in borsa; poi rimasi a fissarla e presa da un attacco di panico, cominciai a frugarci dentro.
«Che stai facendo?» la ignorai, in un primo momento.
«Cazzo Ally!» urlai, cominciando ad agitarmi seriamente.
Aggrottò la fronte «che succede?»
«Fragola» sentii il respiro aumentare «albicocca» continuai «e mirtillo» poi ripetei «fragola, albicocca, mirtillo! Merda.»
Alzai lo sguardo su Ally, che mi guardava sempre più confusa, in attesa di una spiegazione.
 
«Manca la gelatina alla pesca» mi morsi la lingua, per evitare di urlare, innervosita.
Ally, rise, non afferrando subito il concetto «amore, mi dispiace! Ti dovrai accontentare di quella al mirtillo per merenda» scherzò.
Scossi la testa, seria.
«Lo scordata a casa dei ragazzi» poi precisai «in camera di Harry» deglutii «vicino al comodino che conteneva il quaderno.»

 
 
 
 
 








 
 
 



UP HON THE HILL, ACROSS THE BLUE LAAKEE...

Sono viva :')
Scusate per il ritardo, ma dovrei finire di studiare 20 pagine di arte, 20 di grammatica e 14 capitoli di informatica :D *si deprime*
Però avevo il capitolo pronto, mi dispiaceva non pubblicarlo :c
Mi sto appassionando a queste fumautre colorse(?)

Cosa combina Julie?
prende il quaderno di Harry (tralasciamo le gelatine, ok?) e pensa che la canzone sia scritta per lei..
Sarà veramente così?
Lo scoprirete solo se continuerete a leggere :3 Mi sembra una pubblicità(?)

Spero di aggiornare presto c:


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Simo.

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Capitolo 11
*** Softair. ***



Chapter Eleven 
Softair.

 


 

Erano passati due giorni.
I ragazzi a quanto pareva avevano un concerto o qualcosa del genere; perciò avevo passato le ultime 48 ore a massacrare il mio cervello, per farmi venire un’idea intelligente.
Anzi due idee.
Dovevo far finta di nulla e riportare il quadernetto a casa dei ragazzi, senza farmi scoprire; ma a quello ci avrei pensato dopo.
Dovevo trovare un posto dove portare Harry, per la nostra seconda uscita.
«E se lo portassi ad una gara di triathlon come partecipante?» chiesi ad Ally, che stava seduta sulla sua scrivania a scuotere la testa e a limarsi le unghie «un meeting di sci alpinismo?» riprovai «oppure potremmo andare ad una conferenza sul restauro delle icone indonesiane dell’ottavo secolo» dissi speranzosa.
«No, dovresti trovare qualcosa di più semplice Julie» fece la saputella.
Mi sfregai il mento «potrei portarlo a cena, a casa di mia zia» poi ci ripensai «no, gli mostrerebbe le tovaglie ricamate che ha fatto da giovane per il corredo da sposa» sbuffai, incrociando le braccia davanti al petto.
«Idea!» urlò balzando in piedi «andate a giocare a softair!» le si illuminarono gli occhi.
«Stai scherzando vero?» le chiesi, con una faccia disgustata «No!» urlai «non lo farò mai» voltai la testa, indignata «preferisco guardare con lui tutti gli episodi di Hamtaro» sbuffai «non provare a convincermi, Ally. Non lo farò, stanne certa» ringhiai.
«Julie?» mi voltai a guardarla, fingendo ancora quell’aria da superiore «sai che cos’è softair?» mi guardò con la fronte corrugata.
Mi grattai la testa, imbarazzata.
«No.»
 
 
 

Harry. 

Il concerto della sera prima era stato asfissiante, soprattutto perché era una di quelle sere in cui avrei voluto semplicemente rimanere sdraiato sul divano, davanti alla televisione, in boxer, con qualche birra in mano.
Appena entrai in casa, spalancai la porta e mi lanciai sulla poltrona, chiudendo gli occhi.
«Cosa facciamo pomeriggio?» la voce squillante di Niall, mi entrò nella testa.
«Dormiamo» grugnii.
Appena mi sentii una pacca sulla spalla, spalancai gli occhi, innervosito «Harold, sei sempre stanco» questa volta fu Zayn a parlare «goditi la vita tu che puoi» rise.
Lo guardai, confuso «cosa intendi?»
Prese in mano il telecomando della televisione, sedendosi accanto a Liam «che non hai nessuna ragazza che ti sta tra i piedi» la televisione si fermò su una partita di rugby.
Risi divertito, portando le mani dietro la testa e richiudendo gli occhi.
I miei pensieri si rivolsero a Julie.
Trovavo leggermente strano che da un giorno all’altro, si interessasse a Niall, ma sinceramente non mi andava più di pensare a quella pazza.
«Harry, ho controllato nella mia stanza» intervenne Louis, poco prima di uscire di casa «del tuo quaderno, neanche l’ombra» poi si chiuse la porta alle spalle; dalla finestra lo vidi attraversare il giardino e salire sulla macchina. Alzai le spalle, per poi alzarmi dalla poltrona e dirigermi in cucina «ma com’è possibile che sparisca un quaderno?» chiesi ironico.
Nessuno doveva leggere quel quaderno. Nessuno.
Davo semplicemente degli spunti a Niall per le sue canzoni, nient’altro e solo l’idea che una persona estranea leggesse quello che scrivevo, mi faceva saltare i nervi.
 
«Ragazzi, ho sentito Julie» esultò il biondino; mi strozzai con la birra che avevo appena bevuto «verrà qui tra poco» gli si illuminarono gli occhi.
Tornai in soggiorno «mi spieghi perché esci ancora con quella pazza?»
Mi guardò con sguardo leggermente incazzato «non la conosci Harry! I tuoi sono solo pregiudizi» tentò di fare il maestro «forse è un po’ diversa, ma a me piace» finì.
«Contento te» chiusi li la discussione «tra quanto dovrebbe arrivare?» dovevo prepararmi psicologicamente a vedere la pazza.
Niall ci pensò un attimo «non credo tra poco, mi ha detto che era ancora a c-» il campanello della porta suonò.
Alzai un sopracciglio e sentii Zayn trattenere una risata.
«E’ arrivata» si corresse Niall, ancora confuso, andando ad aprire la porta.
 
* * *
 
Perché mi ero lasciato coinvolgere in quella pagliacciata?
Tutto quello che volevo era semplicemente starmene a dormire, a casa, senza nessun pazzo tra i piedi; invece mi avevano letteralmente obbligato ad uscire.
«Ti divertirai Harry» esultò Niall, con un sorriso a ottocentotrentaquattro denti stampato in faccia.
Finsi un sorriso «certo, non vedo l’ora» sbadigliai.
«Forza fratello, un po’ di vita» un’altra pacca sulla schiena da parte di Zayn.
«Cristo Zayn! Se non la pianti con queste sberle ti stacco un braccio» sputai, innervosito.
Sentii dietro di me, le risate di Niall.
Liam e Louis non erano venuti; a quanto pareva avrebbero fatto un’uscita a quattro con Danielle e Eleanor.
«Io sono pronto» mi voltai, scoppiando poi a ridere, vedendo Niall vestito in quel modo «sono così ridicolo?» si morse, triste, il labbro inferiore.
«Io mi trovo affascinante invece» il moro si mise a guardarsi davanti allo specchio degli spogliatoi, stranamente deserti.
Mi guardai anche io «conciato così, non esco» la tuta verde e marrone era di una taglia più grande, gli stivali erano ridicoli e arrivavano fin sotto il polpaccio e ci si metteva la mascherina, che mi spettinava, schiacciandomi i ricci.
«Finiscila di lamentarti, Julie ci sta aspettando fuori» piagnucolò Niall e solo al pensiero di dover di nuovo incontrarla, mi venne un senso di nausea addosso.
Sbuffai «Niall, lo faccio solo per te» presi in mano uno dei fucili appesi al muro, abbassandomi la mascherina davanti agli occhi e uscendo, seguito dagli altri due.
  
 
 

Julie. 

«Giuro che domani ammazzo Ally e le ficco la testa nella vernice finché non soffoca» sputai, mentre parlavo da sola.
Devo dire che quella tuta ti dona particolarmente.
«Zitto, stronzo» dissi bruscamente, tirando su la cerniera, con fatica «ma è possibile che le mie tette non possano mai stare in pace?» sputai, cercando di muovermi nella tuta che indossavo, completamente nera e di una taglia più piccola.
Infilai poi quei ridicoli stivali, mettendoci anni per allacciare le stringhe «Oh, io la mascherina non me la metto» scossi la testa.
Muovi il culo ed esci.
«Vuoi stare zitto una volta tanto?» una signora sulla quarantina, che era nello spogliatoio con me, si girò a guardarmi «sono al cellulare!» tentai di giustificarmi, indicando l’orecchio «mini telefono portatile, sa, la nuova generazione di elettronica» sembrò non credermi, così presi uno dei fucili appesi al muro e uscii, quasi correndo ed evitando altri sguardi indiscreti.
«Dovrebbe arrivare da un momento all’altro» sentii Niall dire.
Tossii, così che i tre si girarono di scatto a guardarmi.
Il ragazzo con la cresta soffocò una risata mettendosi una mano davanti alla bocca «ti sei guardato allo specchio prima di uscire?» il suo sorriso si spense.
«Sei comunque bellissima» intervenne il biondino e notai le sue guance tingersi di rosso.
«Grazie Nuel» tentai di sembrare sincera nel ringraziarlo; quella volta non protestò al nome sbagliato, sorrise semplicemente.
Sentii Harry sbuffare «bene, prima cominciamo e prima finiamo» notai il suo tono scocciato e mi chiesi perché fosse venuto «dobbiamo divederci in squadre» annuii.
«Tiriamo una moneta!» propose il terzo incomodo.
Notai uno sguardo assassino da parte di Niall, nei suoi confronti e risi, alzando le spalle. Il mio piano era quello di stare in coppia con Niall, così da far ingelosire Harry; più o meno.
Dopo aver lanciato in aria una monetina, si formarono le squadre; vidi Harry chinarsi a terra per raccoglierla.
«Ma cazzo!» urlò.
Lo sguardo di Niall si spense «Niall e io. Harry e Julie» parlò Zayn «forza cominciamo.»
 
* * *
 
«Coprimi» urlò Harry, nascondendosi dietro il tronco di un albero.
«Non devo portarti una coperta, vero?» risi alla mia stessa battuta.
Mamma mia Julie, quanto sei simpatica.
Sempre con quel suo tono ironico, il mio subconscio scassa cazzo.
Harry scosse la testa, con una smorfia alquanto disgustata «piantala con queste battute idiote, prese da Facebook» disse brusco.
Alzai le mani in alto, rischiando di beccare il ramo di un albero con il fucile «scusami, era tanto per rompere il ghiaccio» tentai «sai, come quando si dice: pinguino obeso» risi ancora una volta alla mia stessa battuta, ma Harry non rispose, si limitò a spostarsi dietro un altro albero.
«Come sei serioso Styles» sbuffai, andandogli in contro.
Schiacciò il grilletto e partì un getto di vernice rossa, che manco Zayn e andò a colpire un tronco; poi tornò nascosto.
«Ti dico solo una cosa Julie» almeno sapeva il mio nome «e ascoltami bene» un altro colpo «fai soffrire Niall» questa volta un getto di vernice blu rischiò di colpirmi, così mi accucciai «e mi incazzo veramente» disse, secco.
Annuii, sentendo le guance andare in fiamme e provando una strana sensazione alla bocca dello stomaco; evitai di rispondere con battutine sciocche.
Passarono venti minuti, in cui io stavo seduta a terra, tra le foglie, con le gambe strette al petto. Harry alla fine si stava divertendo, mentre rincorreva Niall; quando tornò dov’era prima, accanto a me, mi decisi a parlare.
«Però non mi hai neanche chiesto scusa per come mi hai trattato quella sera» mi morsi l’interno della guancia, sentendo poi il sapore del sangue in bocca e arricciai il naso in una smorfia.
Pensavo non avrebbe mai risposto, dato il totale silenzio, interrotto solo da alcuni spari e dalle urla di vendetta di Zayn.
«Scusa» mi voltai a guardarlo, distogliendo lo sguardo dalle piante alte che oscuravano il cielo. Era anche lui seduto a terra, con le gambe incrociate e il fucile ancora in mano; le guance arrossate dal troppo movimento fatto e un leggero accenno di fiatone.
Gli sorrisi debolmente.
«Scuse accettate» dissi infine.
Annuì «non volevo trattarti in quel modo, ma era meglio essere diretto» forse aveva ragione «non volevo nemmeno farti andare via» risi poi al ricordo di quella sera.
«Per colpa tua ho dovuto spendere duecento sterline del vestito che indossavo» scoppiai a ridere di gusto, scuotendo la testa e togliendo l’elastico che mi legava i capelli in una coda; questi caddero subito sulle spalle, in leggeri boccoli.
«Come?» mi chiese, con un tono tra il confuso e il divertito.
«Hai staccato tu il cartellino giusto?» annuì «l’avrei dovuto riportare al negozio, non potendo permettermelo!» si tappò la bocca con una mano, confondendo dei colpi di tosse con una risata.
«Ridi pure» obbedì.
«Sei seria?» annuii, alzando le spalle «mi dispiace» torno leggermente serio.
«Non fa niente» risi un’altra volta.
 
* * *
 
Io ed Harry avevamo perso a softair, solo perché lui si era distratto e mentre stavamo parlando, Niall lo aveva colpito su una spalla.
Alla fine mi ero comunque divertita; non avevo fatto ingelosire Harry, ma almeno ci avevo parlato come una persona normale, senza risate isteriche.
Appena rientrai in casa, accesi la luce e appoggiai la borsa sul mobile dell’entrata.
«Com’è andata?» spalancai gli occhi, urlando e saltando letteralmente in aria.
«Cristo santo, Ally» mi portai una mano sul petto, sentendo il cuore che batteva più veloce del normale «io ti uccido» scivolai seduta a terra, ricordandomi poi della copia delle chiavi nel porta ombrelli, fuori dalla porta.
Mi venne in contro, divertita, scusandosi «allora, com’è andata?» rifece la domanda.
Alzai le spalle, sorridendo «non male» si sedette accanto a me.
«Cosa hai fatto? Sei caduta e hai fatto finta di slogarti una caviglia, chiedendo l’aiuto di Harry?» tentò ad indovinare.
Scossi la testa, ridendo «No, abbiamo parlato» sembrò confusa.
«Parlato?» alzò un sopracciglio.
Annuii «normalmente» annuii.
«Ma tu sei affetta da trisomia 21» urlò, alzò le mani al cielo.
La guardai confusa «che?»
Si corresse, trovando un sinonimo più facile da capire «sei una down.»
Risi.
In quel preciso momento suonarono alla porta; sobbalzai.
«Chi è?» guardai dallo spioncino della porta e intravidi una figura maschile.
Sentii un colpo di tosse «s-sono Harry» poi notai il suo viso e i suoi ricci.
Cominciai a trattenere le urla di Ally «come sto?» le chiesi, sussurrando e sistemandomi i capelli.
Alzò entrambi i pollici in aria, andando a nascondersi nel bagno.
Poi, con fare normale, aprii la porta, cercando di non far notare il fiatone.
«Harry!» gli sorrisi come un’ebete.
Si grattò la testa, visibilmente imbarazzato «I-io sono venuto per portarti questo» mi porse un voglio di carta piegato malamente, in versione busta; lo guardai, aggrottando la fronte.
«Che cos’è?» gli chiesi, rigirandomi tra le mani il foglio.
Alzò le spalle, mettendo le mani in tasca «mi sentivo in colpa per quello che mi hai detto prima e ho voluto rimediare, spero non ti offenderai» si morse il labbro inferiore.
Annuii, sempre più confusa.
«Bene, io vado» con un semplice cenno della mano si voltò e scese le scale.
Scuotendo la testa, mormorai un «ciao» e richiusi la porta.
Prima che Ally venisse in soggiorno e cominciasse a fare milioni di domande, scartai in fretta la busta, per poi scoppiare a ridere.
Tirai fuori poi il cartellino del vestito che indossavo l’altra sera e spalancai gli occhi appena notai all’interno le duecento sterline, che mi rigirai tra le mani.
Quel ragazzo è pazzo, pensai.
Ma alla fine, anche lui mi riteneva pazza, no?





 
 
 
 
 






 
 
 



Baaby let me be yoour last, your last first kiiss...

No, non sono morta!
Mi scuso per il ritardo, ma non avevo l'ispirazione!
Non chidetemi nemmeno che senso ha quello che ho scritto, non vi saprei proprio rispondere c.c

Softair.
Prima o poi vorrò andarci!
Spero abbiate capito cos'è, quel gioco dove si sparano palline di vernice, no?
dknfiwr è il mio sogno AHAHAHAH c:
Harry e Julie finalmente hanno parlato come persone 'normali' e, nonostante Harry la odi, le restituisce le duecento sterline :')

Come sempre:

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Spero ti aggiornare presto,
un grazie enorme a tutte quante.
Simo.

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Capitolo 12
*** Pilates. ***


 


Chapter Twelve 
Pilates.

 


 

Mi pulii la bocca con il dorso della mano, appoggiando sul tavolo il piatto ormai vuoto «quindi» ripresi a parlare da sola «le opzioni sono tante» tentai di convincermi, continuando a scarabocchiare qualcosa di incomprensibile sul blocchetto che tenevo in mano e sul quale appuntavo i progressi fatti per l’articolo.
«Riguardo alla canzone scritta sul quadernetto, credo che Harry provi qualcosa per me» dissi fiera «siamo a buon punto!»
«Perché il tuo tono ha un tocco di perverso?» Ally mi fece tornare alla realtà.
Sempre la solita esagerata «non sono perversa» mi imbronciai, cominciando a mordere freneticamente il tappo della penna.
«Ammettilo, Harry ti piace» mi punzecchiò.
Cominciai ad innervosirmi e per evitare di rispondere subito incollai le labbra alla bottiglia di birra che c’era sul tavolo «è arrogante» un altro sorso «si crede Dio sceso in terra» un altro «e ringrazio tutti gli gnomi del paese delle meraviglie, perché grazie a loro non mi chiede di baciargli i piedi tutte le volte che lo vedo» sputai, innervosita.
«Secondo me» già che cominciava così, non si prevedeva nulla di buono «è quello che vuoi pensare, ma in fondo ti piace» mise le mani sui fianchi «alla fine è stato dolce a ridarti le duecento sterline!»
Ok, lo dovevo ammettere, era stato gentile.
Ma quello non provava assolutamente nulla, anche io avrei fatto lo stesso se guadagnassi palate di soldi al giorno solo dopo aver cantato una stupida canzoncina con tre strofe.
Cominciavo a pensare, ogni giorno di più, che tutto quello che stavo facendo era un’enorme stronzata.
Ha ragione Ally, è solo quello che ti imponi di pensare.
E con Subby che scassava le ovaie tutto il giorno, non andava mai tutto bene come avrei voluto.
Tentai di zittirlo, sussurrando parole insensate e attirando l’attenzione di Ally, intenta a guardare il foglio che prima tenevo in mano e che era a malapena scarabocchiato.
Quello che provi tu è senso di colpa!Lo sentii ridere ti ha detto di non far soffrire Niall, è per questo che hai paura adesso?
Tentai di protestare, ma ci rinunciai.
E’ vero, aveva ragione e suonava davvero strano dirlo: il mio subconscio aveva ragione.
Davvero Harry mi aveva praticamente minacciato di non far soffrire Niall? Se solo avesse saputo sin dall’inizio cosa stavo progettando per poter scrivere quell’articolo..
Mi sfregai la faccia, stanca.
«Spero di finire questo maledetto articolo al più presto» sbuffai, alzandomi a prendere un’altra birra.
Ally si voltò a guardarmi «pensa positivo Ju! Avrai finalmente un tuo articolo in prima pagina e magari farai carriera, no?» mi si illuminavano gli occhi a quelle parole.
Aveva ragione, non potevo mollare proprio in quel momento, a metà del lavoro.
 
«Bene» cominciai, risedendomi sul divano con le gambe incrociate «mia cara Ally, ora inizia la fase due dell’articolo» le sorrisi e lei mi guardò confusa.
«Sarebbe?» tentò di chiedere spiegazioni.
«Andiamo! Devo scrivere cose interessanti, no?» spalancò gli occhi e io continuai «mi serve qualche segreto che riguarda quei cinque» risi «qualche segreto di Harry.»
 
 
 

Harry. 

Infilai un paio di jeans e una maglietta bianca presa a caso dall’armadio «posso entrare?» sobbalzai quando sentii qualcuno alla porta della mia stanza.
Mugugnai qualcosa in segno di affermazione e poco dopo Niall si buttò sul letto accanto a me, abbracciandomi.
«Grazie» mi disse appena, poggiando la testa sul mio petto.
Risi «per che cosa?» chiesi confuso.
Incrociò il mio sguardo e per un attimo i suoi occhi azzurri mi parvero diversi «per aver sopportato Julie, ieri» feci una smorfia appena sentii riparlare di lei «e perché ti sei fatto da parte per me.»
Quella spiegazione mi rendeva ancora più confuso di poco prima.
«Non ti seguo Nialler» aggrottai la fronte e lui si separò da me, mettendosi seduto.
Rise «vuoi farmi credere che in fondo Julie non ti piace?» sgranai gli occhi, per poi scoppiare immediatamente a ridere.
«La pazza?» arricciò il naso dopo aver sentito quel soprannome che davo a Julie «scusa» allora dissi, tentando un sorriso.
Alzò le spalle «spero di piacerle almeno un pochino» abbassò lo sguardo e notai le sue guance tingersi di un rosa più scuro del normale.
Mi sedetti accanto a lui «le ho già detto che se ti farà soffrire dovrà vedersela con me» gli accarezzai la schiena, rendendomi ancora una volta conto che avevo sempre avuto il bisogno di proteggere Niall. L’avevo sempre fatto, anche se ero io il più piccolo di tutti, ma lo credevo il più fragile e non volevo che soffrisse.
«Ora posso farti una domanda?» dissi, trattenendo una risata con qualche colpo di tosse.
Annuì e allora gli chiesi «come fa a piacerti una come Julie?» questa volta scoppiai proprio a ridere.
Accennò un sorriso anche lui «è diversa, diversa da tutte quante» su questo non ci pioveva, era pazza!
«L’hai trovato il quadernetto?» cambiò argomento.
Scossi la testa, mordendomi l’interno della guancia «però ho trovato questa» dissi poi, ricordandomi e tirando fuori dal cassetto della gelatina e aggrottando le sopracciglia «era sul letto!»
Sembrò anche lui stupito e confuso.
«Gelatina?» rise e io annuii, scrollando le spalle.
«Sarà di Louis o degli altri ragazzi» la risposi al suo posto «allora -una pausa- ti va di uscire?»
Mi sorrise, felice e annuì «e dove andiamo?» chiese.
Sinceramente non ne avevo idea «non lo so, facciamo solo sclerare un po’ di fan» scoppiò a ridere, io con lui.
 
Appena scesi le scale notai Liam straiato a terra che si stiracchiava.
Tossii «Liam, che cazzo stai facendo?» aprì un occhio, guardandomi disgustato e poi lo richiuse.
«Pilates, mi sembra logico» disse, come se fosse la cosa più ovvia al mondo «ti vuoi unire a noi?» scossi la testa, poco prima che Zayn si sdraiasse accanto a lui con le gambe alzate in aria.
Risi, prendendo il portafoglio e il cellulare dal mobile dell’entrata, pronto per uscire con Niall; ma il tempo di aprire la porta, che questa si spalancò da se.
«L’ho trovata qui davanti» Louis lanciò le scarpe appena entrato in casa e solo poco dopo mi resi conto a chi si riferiva.
«Julie!» vidi lo sguardo di Niall accendersi e sul suo viso apparve un sorriso enorme appena lei lo abbracciò.
«Ciao Niall» disse lei, sorridendo.

 
 
 

Julie. 

«Hai azzeccato il mio nome!» strillò il biondo, tutto felice e per poco pensai che si sarebbe messo a piangere dall’emozione; ovviamente mi ero impegnata ad impararlo, ripetendo giorno e notte, una fatica!
Quante cazzate che stai sparando! 
Ok, in realtà me l’ero scritto sul palmo della mano e appena lo abbracciai riuscii a leggerlo.
«Ma questa qua non ha un lavoro?» scherzò il ragazzo che aveva aperto e che aveva subito lanciato le scarpe appena entrato, sbucò dalla cucina con un bicchiere di vino in mano; Louis, forse si chiamava così, o qualcosa del genere.
Tutti risero, io finsi un sorriso «la Eminflex mi ha licenziato e così ho il mercoledì e il giovedì libero» mi applaudii mentalmente, perché stavo davvero cominciando ad imparare a mentire.
Niall mi guardò in modo strano.
«Oggi però è lunedì» intervenne Harry, ancora in piedi davanti a me.
Tossii, dovevo semplicemente perfezionare la mia tecnica, semplice «è quello che ho detto» finsi.
«Tu hai detto mercoledì e giovedì» alzò un sopracciglio, e notai una punta di divertimento nel suo sguardo.
Guardai tutti con un sorriso da ebete stampato in faccia, cercando di pensare ad una soluzione «oddio, voi fate Pilates?» strillai, vedendo due dei ragazzi straiati per terra con le gambe alzate in aria, le braccia allargate e l’indice e il pollice delle mani uniti a formare un piccolo cerchio.
Uno dei due si alzò e riconobbi subito Zayn, con i capelli spettinati, non riuscii a trattenere una risata; l’altro mi sorrise «te ne intendi?» annuii.
«Ho fatto richiesta per diventare istruttrice di Pilates» mi inventai «per delfini» sparai al momento, sgranando gli occhi poco dopo, rendendomi conto della stronzata appena detta.
Io l’ho sempre detto che i tulipani sono troppo pesanti da fumare, Julie.
Mi guardò strano, poi alzò le spalle «comunque io sono Liam» sorrisi, cercando di imprimere nella memoria quel nome.
Luim.
Leum.
O forse era Lium?
Cazzo, me l’ero già dimenticato.
«Posso unirmi a voi, a fare Yoga?» poi mi corressi «Pilates» tentai di ridere, nascondendo il terrore.
Tentai di sedermi, ma balzai immediatamente in piedi quando una vibrazione mi spaventò «vibra!» urlai, saltando per tutta casa.
«Julie» tentò di calmarmi Niall, venendomi in contro «Julie, è solo il tuo cellulare» mi bloccai di colpo, tossendo.
«Certo!» la voce mi uscì leggermente acuta «lo sapevo» mi grattai la testa imbarazzata «torniamo alla Samba» tossii «Pilates» mi corressi nuovamente, ignorando il messaggio che mi era appena arrivato e sedendomi per terra, sul tappeto.
Quello che dovevo fare era farmi amici tutti quanti, magari facendo qualche domanda, ovviamente non troppo inopportuna.
Sei pronta Julie, facendo finta di nulla, chiedi qualcosa da poter mettere nel tuo articolo.
Mi schiarii la voce, tentando di stirarmi su un piede intanto che i due ragazzi riprendevano i loro esercizi «allora» cominciai «Zayn, sei fidanzato giusto?» annuì «e come si chiama lei?»
Mi guardò strano prima di rispondere «Perrie» annuii.
«Interessante» ci pensai un attimo «e com’è il vostro rapporto sessuale?» tutti quanti mi guardarono, compresi Harry e Niall che nel frattempo si erano seduti sul divano.
Non erano domande inopportune quelle che dovevi fare?
«Mangi tanti peperoni?» mi corressi subito, sentendo le guance pungermi dall’imbarazzo e maledissi per l’ennesima volta la mia bocca che parlava da sé.
Nessuna risposta.
Mi sentii semplicemente tirare su da terra con uno strattone e poi trascinare fuori.
«Lasciami» strillai «ma che cazzo vuoi?» finalmente tornai con i piedi per terra, ma mi accorsi di essere nel giardino dietro casa.
«Che cazzo vuoi tu?!» notai lo sguardo arrabbiato di Harry, che teneva le mani sui fianchi.
«Mi hai trascinato fuori senza un motivo e hai fatto male a Jess» misi un broncio, sperando poi non mi chiedesse chi fosse, per evitare di dovergli parlare delle mie tette.
Arrossii.
«Niall dieci minuti fa mi dice che è cotto di te» sputò «e tu che cazzo fai?» la sua voce era dura e mi stava dando sui nervi.
«Che faccio?» alzai le braccia al cielo.
«Ci provi con Zayn!»
Merda.
Scossi la testa, tentando di non ridere «No!» balbettai qualcosa di incomprensibile, ma non riuscii a formulare un discorso logico e con un senso.
«Te lo già detto Julie» mi puntò il dito contro «non so chi sei, non so perché vieni tutti i giorni a casa nostra, non so che cosa vuoi da noi» serrai i pugni «ma ringrazia Niall se adesso non ti ho già fatto portare via dalle nostre guardie del corpo.»
Risi, cercando di calmarmi e guardare altrove; ma non riuscii a mantenere la calma.
 
«Ma non ti senti?» ironizzai «non senti come parli Harry?» sbuffai «sei arrogante! Le guardie del corpo, aiuto, mamma mia!» finsi, ridendo un’altra volta «voglio solo..» mi bloccai, rendendomi conto che non potevo dirgli niente del giornale, dell’articolo.
«Vuoi solo?» mi chiese «sentiamo, perché non fai altro che tentare di dire stronzate, ma non sai mentire» aveva ragione, ma non c’era motivo per cui dovesse dirmelo in faccia «io sarei arrogante? Ma ti sei vista?» rise «hai vent’anni e ti comporti come una bambina di cinque; fai sempre battute stupide nei momenti meno opportuni che non fanno divertire nessuno, vuoi attirare l’attenzione di tutti su di te!»
«Volevo solo cercare nuovi amici» tentai di capire se quello che stavo dicendo era vero, o potevo considerarla un’altra delle solite stronzate «ho solo Ally, solo lei!» sbraitai «tu non puoi venire qui a criticarmi, a dirmi cosa devo fare o non! Tu non sai niente di me» serrai la mascella «non sai niente» rimasi in silenzio per un attimo, poi di scatto cominciai a frugare nella borsa che portavo in spalla e sentii gli occhi pungermi.
Perché avevo deciso di fare quella stupida cosa? Perché non mi limitavo a scrivere stupidi articoli oppure a finire l’università, come le persone normali?
Come si permetteva di dirmi tutte quelle cose? Dirmi come dovessi comportarmi?
Tirai fuori il portafoglio «cosa stai facendo?» mi chiese, tirandosi una piccola sberla in fronte.
 
Infine tirai fuori le duecento sterline, leggermente stropicciate e con un gesto secco gliele lanciai addosso «vaffanculo Harry» mi voltai di scatto, uscendo da quella casa e sbattendo la porta; solo poco dopo pensai di avere ancora nella borsa il suo quadernetto e mi ricordai della canzone.
Un motivo c’era, oppure no; in ogni caso, appena realizzai che quella canzone non era affatto dedicata a me, mi si strinse lo stomaco e sentii le guance bagnarsi.
Forse, perché per una volta era stato bello pensare di essere apprezzati da qualcuno.





 
 
 
 
 
  
 
 






  
 



IT'S A BEAUTIFUUL DAAAAY...

Ce l'ho fatta!
Scusate il ritardo, ancora, ma il computer era stato infettato da un virus D:
Mamma mia che capitolo deprimente..
Ci sono poche battute (tralasciamo le solite stronzate lol) però alla fine Julie litiga con Harry *si prepara agli insulti* HAHAHA
Proprio quando avevano cominciato a parlare come persone normali litigano c:

Vi aspetto tutte al prossimo capitolo*c*
gdskfrws e grazie ancora :3
Passate dalle altre mie storie se vi va!


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Simo.

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Capitolo 13
*** Family. ***


 


Chapter Thirteen
Family.

 


 

Mi ficcai in bocca un cucchiaio intero, pieno di gelato alla nocciola, mettendomi seduta sul divano per evitare di strozzarmi da sdraiata.
Era passata quasi una settimana, una settimana in cui non avevo visto, né parlato con nessuno e se solo il dirigente della rivista lo avesse scoperto, mi avrebbe licenziato in tronco; ma Ally mi avrebbe coperto.
A proposito di Ally, ricevetti un suo messaggio.

-La bozza che mi hai inviato per la prima pagina dell’articolo non va bene Julie! Hai scritto 57O volte ‘Harry Styles è un fottuto stronzo!’
Dai, ce la puoi fare, ti chiamo più tardi.  xx Ally-


Non le risposi, tornando al mio gelato e al film depresso che stavo riguardando per la milionesima volta.
Diventerai una balena se continui a mangiare gelato.
Ignorai Subby, buttando nella spazzatura l’ennesima ciotola finita e prendendone un’altra dal frigorifero.
Alzai le spalle «che importa?» cacciai indietro il magone che si era formato in gola «tanto non mi vuole nessuno, finirò come nonna Geugilda» al solo pensiero di mia nonna italiana, mi venne una strana sensazione, forse disgusto «sola nella mia casa, con quattordici gatti persiani e otto pappagallini» un altro cucchiaio di gelato che poco dopo si sciolse in bocca, provocandomi la pelle d’oca.
Sai che non è così, Ally ti vuole bene.
Mi stupii a quelle parole, forse quella era la prima cosa dolce e carina che mi avesse mai detto.
«Ho solo lei però» non che non adorassi Ally, eravamo sempre state migliori amiche ed era tutto merito suo se lavoravo per uno dei giornali di gossip più importanti di Londra, nonostante le ultime pagine e i soliti stupidi articoli.
Ma ogni giorno, quando mi alzavo dal letto e mi ritrovavo a casa da sola, senza qualcuno che mi desse il buon giorno o che mi preparasse la colazione, sentivo un vuoto, una terribile sensazione alla bocca dello stomaco; capivo di essere sbagliata, una nullità, capivo di non essere desiderata da nessuno.
 
Una seria di terribili ricordi mi piombarono nella testa, che cominciava a pulsare.
Con quei pensieri, mi venne in mente mia madre.
Quell’odiosa donna che mi aveva letteralmente cacciato di casa appena compiuti i diciott’anni, che non mi aveva mai cresciuta come farebbe una vera madre.
La stessa donna che si era trasferita in Italia solo per starmi lontano e non vedermi più, quella che non mi aveva mai voluto dire chi fosse mio padre o come fosse rimasta incinta di me; la donna che ogni giorno mi ricordava del suo errore, di quanto avesse sbagliato a concepirmi, la stessa che non aveva fatto altro che rinfacciarmi tutti i miei fallimenti, quella che ormai mi chiamava una volta all’anno solo per gli auguri di Natale.
Era per colpa sua se desideravo sempre essere perfetta agli occhi di tutti, riuscendo solo a mettermi in ridicolo con strane battute che molto probabilmente mi rendevano un po’ pazza; era colpa sua se non avevo nessuno oltre ad Ally.
Però in un certo senso le davo ragione.
Ero una ragazza che nella vita, per ben vent’anni, non era mai riuscita a fare altro se non accumulare figuracce, fallimenti, disastri e sconfitte.
Ero sbagliata.
Ero un errore.
Come potevo pretendere di essere accettata da qualcuno?
 
Forse fu proprio per quei pensieri che mi alzai dal divano, togliendomi il maglione che ormai aveva fatto la muffa sul mio corpo e rimettendo al suo posto il gelato.
Tirai su le tapparelle facendo entrare finalmente luce in casa e rimasi sbalordita rendendomi conto che era mattina, e non sera come pensavo.
«Non sono come pensa lei» sputai, mettendomi un paio di jeans chiari e una canottiera presa dal cesto della biancheria pulita «le dimostrerò che cosa sono capace» cominciai a camminare avanti e indietro per la casa.
«Dimostrerò a mia madre che non sono nata solo per commettere errori su errori.»
 
 
 


Harry.

 
Cosa mi era saltato in mente di fare?
Riuscire ad aggiustare la moto di Josh sarebbe stato più che impossibile, ma gli avevo promesso di fare un tentativo; così ero inginocchiato sull’erba davanti a casa, con le mani e la faccia sporche di nero e i jeans che ormai si erano strappati.
Sbuffai, alzandomi in piedi e spostandomi i capelli da una parte, intento a pensare se rinunciarci o meno.
«Harry» mi voltai appena mi sentii chiamare, sperando che non fosse una delle tante fan che aveva scoperto dove si trovava la mia casa e quella dei ragazzi; ma appena vidi Julie, mi irrigidii.
Non ci eravamo salutati nel migliore dei modi l’ultima volta che l’avevo vista, dato che mi aveva letteralmente mandato a fanculo duramente ed era scappata da casa nostra; avevo chiesto a Niall di non andare a trovarla, tanto per far calmare le acque e non fare innervosire la pazza.
In ogni caso, quel giorno, non aveva un aspetto strano come al solito e questo mi stupì.
Non indossava nessun abito troppo corto, troppo lungo o troppo scollato solo per attirare la mia attenzione; portava semplicemente un paio di jeans arrotolati alle caviglie, delle Vans blu e una canottiera dello stesso colore.    
Sorrisi, notando che il suo aspetto era simile a quello di Louis.
«Harry?» mi risvegliai dai miei pensieri, scuotendo la testa e sbattendo gli occhi più volte, presi poi uno straccio appoggiato al sellino della moto e mi pulii le mani.
Pensai un attimo su cosa avrei dovuto dire, poi «ciao» dissi semplicemente.
Infilò le mani in tasca e alzò le spalle «s-sono venuta a chiederti scusa» non mi guardava negli occhi, teneva lo sguardo fisso sull’erba.
Sorrisi, ironico «adesso mi chiedi scusa?» non riuscii a non sembrare acido con quella frase e lei, sorpresa dal mio tono di voce, alzò lo sguardo.
Incontrai i suoi occhi blu che si erano leggermente scuriti, diventando grigi; notai un velo di tristezza nel suo sguardo, cosa che non mi era mai capitata di fare, non era lei la ragazza con la battuta sempre pronta? Che rideva ad ogni ora del giorno?
L’unica cosa che mi faceva, nonostante tutto, era pena «non hai altri amici a cui rompere? Devi venire sempre qui da me?» sbuffai, voltandomi a guardare la moto e inginocchiarmi di nuovo per terra «una famiglia?»
Non la sentii rispondere per svariati minuti, tanto che pensai se ne fosse andata.
«Ti ho chiesto scusa» il suo tono di voce era strano, non divertito come al solito «e tu mi critichi ancora?» evitai di voltarmi, per non guardarla e non far crollare il muro immaginario che mi ero costruito davanti; non mi avrebbe ingannato, poteva farlo con Niall, Zayn, Liam o Louis, ma non ero così ingenuo.
La sentii voltarsi e solo poco dopo mi rispose «non ho altri amici, mio padre non esiste e mia madre non mi vuole. Fanculo un'altra volta Styles» mi voltai solo poco dopo, vedendola camminare con passo spedito alla fine della strada.
Era la seconda volta che sentivo il bisogno di essere duro con lei, sentivo, in un certo senso, che quella era la cosa migliore da fare: allontanarla.
Eppure, perché appena la vidi accelerare sempre di più il passo, cominciando a correre, mi si formò un nodo alla gola?
Perché, se pensavo di fare la cosa giusta, mi sentivo tremendamente in colpa?
Stai sbagliando tutto Harry, tutto.
 
 

 

Niall. 

Sbuffai per l’ennesima volta, suonando il clacson e sperando che le auto davanti a me, ferme da più di mezz’ora, si spostassero.
Tutto quello che in quel momento volevo era tornarmene a casa e magari aiutare Harry con la moto di Josh; non sopportavo essere arrabbiato con lui, per questo, anche dopo il terribile modo in cui aveva trattato Julie una settimana prima, non ero riuscito a prendermela più di tanto.
Appoggiandomi al sedile alzai il volume della radio che trasmetteva una canzone di Michael Bublè e subito cominciai a canticchiare.
Lasciai perdere la canzone solo qualche attimo dopo, quando aprii la portiera dell’auto, indeciso su cosa fare.
«Julie» urlai, cercando di farmi sentire; questa non si voltò, continuò a camminare spedita e capii poi che veniva dalla casa di Harry, in fondo alla via. Riprovai a chiamarla e quella seconda volta, si voltò, spaventata.
Appena mi vide, tentò di ignorarmi e ricominciò a camminare.
Sbuffai, chiudendo la portiera e tralasciando le macchine ancora imbottigliate nel traffico, e le corsi incontro «Julie, aspetta» dissi appena, quando l’avevo raggiunta.
Si voltò e notai i suoi occhi rossi «dove stai andando?» la presi per il polso, fermandola.
Alzò così le spalle «a casa mia, a rinchiudermi con le tapparelle abbassate per il resto della mia vita, lontano dal lavoro, da tutto e da tutti» strattonò il braccio.
«Harry?» le sorrisi, cercando di farla calmare.
Si guardò un attimo intorno, per poi annuire «gli avevo chiesto scusa e mi ha trattato ancora peggio di una settimana fa, è uno stronzo» tirò su con il naso e cercai nella tasca del pantaloni beige un pacchetto di fazzoletti, che le porsi.
Mi sorrise «è fatto così, ti prego cerca di sopportarlo» tentai.
Scosse la testa «se è fatto così» cominciò «allora è fatto proprio di merda.»
Risi, annuendo «si, hai ragione» si asciugò un guancia con il fazzoletto.
Non sapendo cosa fare, dissi la prima cosa che mi venne in mente «hai fame?»
Guardò titubante l’orologio, scuotendo poi la testa «no, scusami, ho mangiato troppo gelato» sembrò imbarazzata dopo quell’affermazione, che a quanto pareva non voleva darmi.
Trattenni una risata «allora, ti va di fare qualcosa?»
Mi preparai ad un rifiuto,  mettendo le mani in tasca e abbassando il capo.
«Va bene» mi sorprese, sorridendomi gentile «ma la tua macchina?» notai ancora l’auto in mezzo alla strada.
Alzai poi le spalle «non fa niente» scoppiò a ridere, poi pensai a qualcosa da poter fare insieme a lei «allora Julie, mi dica qualcosa che vorrebbe fare. Qualsiasi cosa e io esaudirò il suo desiderio» rise un’altra volta, cominciando a pensare.
«Anche una cosa che non so fare?» aggottai la fronte, confuso e poi annuendo.
«Allora» cominciò, e notai un po’ di imbarazzo nel suo tono di voce «mi insegni a fare una cosa?»
Annuì, sempre più felice.
Stavo conoscendo la vera Julie, quella che si nascondeva dietro strane battute, dietro una persona loquace e troppo strana!
 
 

 

Julie. 

Mi tremavano in continuazione le gambe e le braccia, mentre cercavo di stare in equilibrio.
Il fatto di aver incontrato Niall, mi aveva un po’ reso felice; non mi era mai andata giù l’idea di doverlo usare per far ingelosire Harry, così accettai la sua offerta di fare qualcosa insieme.
«Cerca di andare dritta!» urlò, mettendo le mani davanti alla bocca per farsi sentire, mentre io, muovendomi lentamente e oscillando, mi allontanavo «Brava» continuò venendomi un po’ in contro.
Sorrisi, pensando di aver imparato, finalmente; ma il cuore mi saltò in gola appena voltai a destra e mi trovai davanti ad una discesa.
Urlai una bestemmia, sentendo poi le risate di Niall «Frena!» mi corse dietro, non riuscendo a trattenersi dal ridere «Julie!» urlò sempre più forte.
L’unica cosa che riuscii a fare, fu chiudere gli occhi e stringere i denti.
 
«Ahi» mi sedetti sull’asfalto, massaggiandomi il fondoschiena con una mano e facendo apparire una smorfia di dolore sul viso.
Niall finalmente mi raggiunse, chinandosi davanti a me «ti sei fatta male?» mi chiese.
Scossi la testa, sorridendo «sono una frana» sbuffai «non sono neanche capace di andare in bicicletta!» rise, questa volta di gusto «si, complimenti, ridi di me!» lo accusai, lasciandomi però contagiare e cominciando a sghignazzare.
«Ti avevo detto di frenare!»
Alzai le spalle «e io ho chiuso gli occhi» gli sorrisi come un’ebete appena si coprì la faccia con la mano, incredulo.
«Tu sei pazza» continuò a ridere.
«Me lo dicono in tanti» c’era anche una punta di acidità nel mio tono di voce.
Scosse la testa, aiutandomi poi ad alzarmi e tirando su la bicicletta da terra «non è una cosa brutta» cominciammo a dirigerci verso casa «mi piace la pazzia.»
Non risposi.
Mi chiesi semplicemente che cosa ci trovasse Niall in me.
Mi chiesi se finalmente avevo trovato qualcun altro che mi apprezzasse veramente per quella che ero.
Interruppe però i miei pensieri con un’altra domanda, l’ennesima.
«Perché non hai mai imparato ad andare in bici?»
Tornai seria e Niall lo notò «mia madre non ha mai voluto né comprarmi una bici come tutte le bambine della mia età, né insegnarmi come si pedalava» alzai le spalle «e con l’andare degli anni, lo trovai sempre più inutile» ammisi 
«ma ho sempre desiderato una di quelle biciclette con i manubri rosa e i fiocchi colorati, per far invidia alle mie compagne» scherzai «ma non l'ho mai avuta!»
Ci fu un attimo di silenzio e notai l’imbarazzo di Niall nel formulare la domanda seguente «dov’è la tua famiglia ora?»
Mi strinsi nella felpa larga che mi aveva prestato Niall «mio padre non l’ho mai conosciuto» ci pensai un attimo, se continuare o meno «non ho fratelli o sorelle, solo qualche zia o zio e la nonna Geugilda, ma non so dove stanno»
Hai davvero una nonna che si chiama Geugilda? Subby sembrò incredulo e soffocai una risata.
«Tua madre?»
Impiccione.
Avevo sempre pensato che fosse un biondino che ficcava il naso in fatti che non gli riguardavano, e in un certo senso lo era; ma tutte quelle domande su di me, quel tono confuso, preoccupato, mi facevano sentire apprezzata, per questo in fondo lo trovavo simpatico.
«Mi odia» dissi semplicemente.
Così non ci furono altre domande riguardanti la mia ‘famiglia’ ma solo sui miei colori preferiti, il cibo, Hobby e marche di vestiti; per quello lo ringraziai mentalmente.
 
Guardai l’orologio che tenevo al polso «Sono già le quattro del pomeriggio!?» chiesi incredula, interrompendo il silenzio che si era formato «Scusami, ti ho fatto saltare il pranzo» mi morsi il labbro «solo per insegnarmi ad andare in bicicletta!»
Rise ancora «ma con scarsi risultati» gli diedi ragione con un cenno del capo «comunque mi sono divertito.»
Sorrisi «anche io» poi ci pensai un attimo «non hai fame? Tu non sei mica quello che nel gruppo mangia sempre?» mi lasciai sfuggire.
Mi guardò, stupito «e tu come lo sai?»
Spalancai gli occhi imbarazzata, tentai poi ad una bugia, ma cosa avrei potuto inventarmi?
Optai così per la verità «ho fatto qualche piccola ricerca su di voi» mi rigirai una ciocca di capelli sul dito, imbarazzata, continuando a camminare verso casa.
Scoppiò a ridere un’altra volta, tenendosi la pancia con le mani.
«Sei seria?»
Annuii e arrivai finalmente sotto casa.
 
«Ultima domande e poi ti lascio in pace» tenne ferma la bicicletta accanto a lui e annuii, in attesa; ci pensò un attimo, tornando serio e dimenticando le risate di poco prima.
«ti piace Harry, non è vero?» mi sorrise dolcemente, forse quello fu uno sei sorrisi più dolci e sinceri che avessi mai visto.
Scrollai le spalle, immaginando poi le mie guance tinte di rosso e imbarazzata fissai oltre le sue spalle «N-Nial non dire cazzate!» sbraitai, ma non sembrai davvero convincente, data la voce che mi tremava «è uno stronzo, te l’ho detto» incrociai le braccia, seccata e mordendomi il labbro inferiore.
«Forse sono un po’ ingenuo, ma non sono cieco» alzò le spalle «non sentirti in obbligo a rispondere» a quanto pareva, non aveva accettato la mia risposta di prima perché poco credibile «sappi che in ogni caso ti sono amico» mi lasciò un bacio leggero sulla guancia, voltandosi e dirigendosi verso casa.
 
«Perché sei gentile con me?» chiesi appena Niall era abbastanza lontano da non potermi sentire.
Sospirai, voltandomi ed entrando in casa.
Avevo trovato un amico.
Una persona che veramente mi apprezzava e che era in grado di farmi sentire bene.
Se solo avesse saputo cosa stavo progettando, cosa avrei dovuto scrivere sull’articolo; se solo avesse saputo che un mese e mezzo più tardi tutti i loro segreti, i particolari delle loro vite, soprattutto suoi e di Harry, sarebbero stati scritti su un giornale e letti da tutto il mondo..
Stai sbagliando tutto Julie, tutto.
 
Eppure non potevo fare marcia indietro, non potevo cancellare il passato, non potevo far finta di nulla e rinunciare a tutto.





  
 
 
  
 
 





  
LEET MEE GO HOOOMEE...


Si, mi odio profondamente anch'io c.c
Ma in questi giorni l'ispirazione tardava a venire, per questo è uscito un capitolo così penoso!
Mi vi prego, perdonatemi.
Però, almeno ho fatto un capitolo un po' pià lungo :')
E ascoltando 'Home' di Bublè mi sto deprimendo ancora di più..forse è per questo che il capitolo è uscito un po' triste!
Ma volevo far capire la vera vita di Julie, il perchè lei sorride, per nascondere la sua tristezza. (non vi sembra una frase filosofica? :'D)

Ok, no.
*fa partire di nuovo una canzone deprimente*
Ho voluto anche scrivere qualcosa su Niall :') Di solito fa la parte del rompicoglioni, questa volta l'ho fatto più simpy(?) e dolce c:

Poi c'è Ju che non risponde alla domanda 'Ti piace Harry', odia sua madre e si pente di quello che sta facendo.

Beh, anche se il capitolo fa pena, spero mi lascerete una recensione.
*occhi da panda*

Devo smetterla!
A presto!

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Simo.

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Capitolo 14
*** Tattoo. ***


 


Chapter Fourteen
Tattoo.

 


 

Appuntai le ultime cose sul biglietto appeso con una puntina alla bacheca del mio ufficio, sospirando e cominciando a fare strani pensieri erotici sul pranzo che avrei fatto di lì a poco; lo stomaco brontolò terribilmente in stile tricheco obeso morente.
«Su, ancora qualche minuto e andiamo a mangiare la pappa, da bravo» mi accarezzai con dolcezza la pancia.
«Sei incinta?» la porta dell’ufficio si spalanco di colpo e strizzai gli occhi, innervosita appena vidi Cindy sulla porta, appoggiata con le braccia incrociate davanti al petto e un sorrisetto malvagio stampato in viso; fin troppo malvagio.
«Quanto sei simpatica, davvero! Perché non ti trasferisci in Andalusia per partecipare a Miss Simpatia?» sapevo che quello appena detto non aveva nessun senso.
La bionda alzò le spalle «allora..come va il nuovo progetto?» si avvicinò, appoggiando poi le mani sulla mia scrivania e facendomi sobbalzare, spaventata.
«I cazzi tuoi, no?» sputai «tu di che cosa parlerai nel prossimo articolo, sentiamo?» spuntò un sorriso compiaciuto sul mio viso quando pensai alla sua faccia, appena avrebbe visto il mio articolo su Harry in prima pagina.
«Non ti interessa» ma che cazzo voleva allora dalla mia vita?
«Esci per favore» tentai di sembrare più calma, ma la mia pazienza ebbe fine appena cominciò a rovistare tra i fogli che tenevo nel cassetto.
«Harry Styles?» sgranò gli occhi, non facendo in tempo a leggere qualcos’altro, dato che mi alzai di scatto e con la forza la spinsi fuori, sbattendole la porta sul naso.
«Muori» dissi, sorridendole.
«Ci vediamo Julie» sembrava tremendamente appagato e soddisfatto il suo sguardo, e mi mise sinceramente paura.
 
Avevo già pensato a quale sarebbe stata la mia mossa, quella giornata, per avvicinarmi ancora di più ad Harry.
Diciamo che non era un’idea molto intelligente, ma non avrebbe fatto male a nessuno, o quasi; intanto volevo continuare a vedermi con Niall.
Non perché almeno avrei fatto ingelosire il più piccolo, ma perché mi piaceva passare del tempo con lui, da amici; ancora quei fottuti sensi di colpa mi pervasero.
«Al, vado a pranzo e poi da Harry, ci sentiamo dopo» nel momento in cui le parlai, alzò la testa dalla scrivania e spostando gli occhiali da vista su di essa.
«Cos’hai in mente per oggi?» fece una smorfia strana, qualcosa che assomigliava più o meno ad una faccia maniaca.
Alzai le spalle «lo scoprirai» uscii così, prima dal suo ufficio, poi dalla redazione, dirigendomi al bar e cercando di tranquillizzare mentalmente il mio stomaco.
 
* * *
 
«Come stai Juju?» mi strozzai con la birra che stavo bevendo, sbrodolandomi sul mento come fanno di solito i bambini di due anni.
«Come mi hai chiamato Patrick?» chiesi, sgranando gli occhi.
«Juju, non è un soprannome carino?» fece, speranzoso, con gli occhi che gli si illuminarono.
Finsi una risata tirata, che termino con un «no» secco e così il suo sguardo luminoso si spense, di colpo.
Davvero pensava ancora di avere una speranza con me?
«Come va al lavoro Jiu?» ancora quei ridicoli soprannomi inventati al momento? Morsi il mio panino.
«Su» mi guardò confuso e cominciai a ridere, in preda agli spasmi «Giù, su! L’hai capita?» chiesi, facendo degli strani gesti con il pollice e l’indice della mano per collegare le cose.
Scosse la testa, voltandosi e preparando una birra al signore che si era appena seduto sullo sgabello accanto al mio.
«Sai che le battute non sono il tuo forte» scherzò, tornando da me e mi afferrò di scatto la mano «come preferisci che ti chiamo?»
Guardai inorridita la sua mano sopra la mia.
Il suo arto sopra il mio.
La sua zampa sopra la mia, e con un gesto secco la spostai, alzandomi poi dalla sedia e pulendomi la bocca sporca di briciole e salsa con il tovagliolo.
«Porca puttana!» imprecai, guardando l’orologio e rendendomi conto che si era fatto fin troppo tardi; presi la borsa e senza salutare mi voltai, mandando al diavolo la porta del bar: ‘Cappuccini tuoi, fai quel che vuoi.’
Che nome di merda.
Ero d’accordo con Sub, non aveva senso il nome di quel bar!
«Ci vediamo domani Porca Puttana» sentii Patrick, che cominciò poi a ridersela, dopo aver sostituito il mio nome con la mia imprecazione di poco prima.
E poi ero io quella che non sapeva fare battute?
 
Camminai con passo svelto per due isolati interi e appena arrivai davanti al negozio, deglutii.
Era per il mio lavoro, dovevo continuare a ripetermelo, solo così mi sarei convinta e non sarei scappata urlando e piangendo come un’idiota.
Aprii la porta e questa tintinnò leggermente prima che la richiudessi alle spalle.
«Ciao» una ragazza con i capelli scuri, legati da una parte e rasati dall’altra, mi guardava dall’altra parte del bancone, davanti al quale si trovava; stava masticando una cicca rumorosamente, e quello mi stava già facendo saltare i nervi.
«Em..ciao» misi le mani nelle tasche dei jeans, per evitare che ricominciassero a tremare.
«Hai sbagliato posto o davvero volevi venire qui?» scherzò.
Le sorrisi con una smorfia «simpatica» ironizzai, poi.
«Ma sai che cosa facciamo qui?» doveva continuare a fare la spiritosa?
In quel momento, dalla stanza accanto uscì un uomo alto e robusto, più o meno sulla quarantina, che si strofinava le mani, probabilmente sporche, con uno strofinaccio.
«Chi è?» chiese alla ragazza.
«Una cliente, a quanto pare» rispose.
Anche l’uomo rise, pensando che avessi sbagliato negozio.
«E’ così difficile che una ragazza come me voglia farsi un tatuaggio?» urlai, infine, mordendomi la lingua terrorizzata.
 
 
 

Harry. 

«Sai, dovresti uscire» ipotizzò Louis, sedendosi davanti a me e porgendomi il bicchiere d’acqua che gli avevo chiesto qualche attimo prima.
«Sono stanco» sbuffai, poi.
In realtà pensavo che in quei giorni, avendo una pausa da concerti e interviste, sarei finalmente riuscito a trovare il mio quaderno con le canzoni, ma mi sbagliavo di grosso; avevo cercato in tutti gli angoli della mia stanza e della casa, senza nessun risultato.
«Harry, è uno stupido quaderno» intervenne Zayn, scendendo le scale e prendendo la giacca in pelle appesa all’attaccapanni davanti alla porta.
Lo ignorai, per evitare di rimettermi a discutere «Esci anche tu?» allora gli chiesi.
«Usciamo insieme, con Eleanor e Perrie» rispose «vuoi venire anche tu?» risi, isterico, dopo aver sentito quella domanda che in fondo poteva sembrare semplice, ma che io trovavo alquanto bizzarra.
«E fare il coglione patetico senza una ragazza?» ipotizzai «no, grazie» mi ributtai sul divano, sdraiandomi su un fianco e accendendo la televisione.
I due sbuffarono, alzando le spalle e uscire di casa.
 
Per un attimo ero tentato di girare la televisione su un lato per essere più comodo a vederla, ma appena mi alzai per farlo, bussarono alla porta.
Sperai con tutto il cuore che fosse Niall, o magari Liam, anche se lui probabilmente sarebbe dovuto uscire con Danielle.
«Chi è?» urlai, con le mani impegnate a voltare lo schermo piatto e trovare un appoggio per metterla sul mobile.
«Julie» sentii, dietro la porta.
Sbuffai, e alcuni cavi si staccarono «vaffanculo!» sbraitai.
«Si, Harry, sono felice anche io di vederti» sentivo ancora la sua voce da fuori.
«Non era rivolto a te!» mi giustificai, riuscendo nella mia impresa e tentando di attaccare e collegare al loro giusto posto i cavi staccati.
«Certo, come no!» disse ironica.
Per una volta che non la offendevo, capiva male!
«Comunque Niall non c’è, lo trovi a casa sua» dissi, sedendomi di nuovo sul divano su un lato e sorridendo data la mia posizione comoda, per poi impossessarmi del telecomando.
«Volevo vedere te!»
Mi bloccai, chiudendo gli occhi e imponendomi di respirare e calmarmi; pensai di lasciarla fuori dalla porta, magari facendo finta di essere morto o di essermi addormentato, ma mi alzai, sbuffando e aprii.
 
«Cosa vuoi?» mi appoggiai con le braccia incrociate davanti a lei, per impedirle di entrare, ma fece di testa sua e mi spintonò leggermente, per poi farsi spazio.
«Niente!» ecco, era tornata la Julie strana.
«E allora cosa ci fai qui?» alzai un sopracciglio, confuso e leggermente irritato.
 
 
 

Julie. 

Avevo la leggera e molto vaga impressione che Harry fosse leggermente incazzato nel vedermi di nuovo a casa loro; ma non me ne sarei andata per nulla al mondo, non mi ero fatta fare un tatuaggio solo per farmi chiudere la porta in faccia!
Appoggiai la borsa sul divano, mentre i jeans si scontravano ancora con la caviglia arrossata, sulla quale avevo fatto tatuare il disegno di un bracciale con un ciondolo a forma di cuore.
Serrai la mascella, tentando di non dare a vedere il dolore.
Ora trova un modo per farglielo notare casualmente.
Sub aveva ragione, così iniziai a girare per la casa, come se non l’avessi mai vista, sotto lo sguardo confuso e irritato di Harry.
«Harry» cominciai «come stai?» tentai di far apparire il mio sorriso poco maniaco e mi appoggiai alla poltrona in pelle del salotto.
Alzò le spalle «bene» non si dovrebbe rispondere ‘E tu?’
Sbuffai, tirando leggermente i jeans verso l’alto e scoprendo la caviglia che bruciava; avrei dovuto cercare un posto magari più adatto, magari il fianco, il braccio o sul collo.
Un silenzio imbarazzante piombò nel salotto, e come se fosse la cosa più normale al mondo appoggiai il piede sul bracciolo del divano, cercando i essere il più naturale possibile.
«Che cazzo stai facendo?» ok, non era sembrata proprio una cosa normale.
«Nulla, mi stiracchio» feci qualche piegamento in avanti, sentendo il muscolo tendersi e la caviglia bruciare ancora di più.
Rischiai di sbilanciarmi e ti cadere per terra, ma fortunatamente rimasi in equilibrio.
«Julie, che cosa vuoi?» possibile che non l’avesse visto?
Tirai giù la gamba dal divano, tirandomi ancora più su i jeans e facendoli arrivare ai polpacci «volevo farti vedere questo!» sbraitai.
Si avvicinò, chinandosi su un ginocchio e guardando la porzione di pelle che avevo scoperto poco prima; fece poi passare il polpastrello sul contorno del bracciale disegnato.
«Quando l’hai fatto?» alzò lo sguardo.
Alzai le spalle «oggi» mi morsi il labbro inferiore.
Si alzò di scatto, sgranando gli occhi «Allora sei un’idiota!» urlò.
Sempre molto gentile il ragazzo.
Dio cosa mi era saltato in mente di fare.
Mi spostai di colpo, tirando i jeans giù, fino a ricoprire la caviglia e il tatuaggio «Non puoi proprio essere più gentile di così, vero Harry?» sputai, irritata.
Scosse la testa «non era per insultarti» si giustificò «ma devi tenerlo coperto per qualche giorno, non ti hanno ricoperto la caviglia con qualcosa?» mi chiese.
Alzai le spalle «Si, ma l’ho tolta» mi grattai la testa, imbarazzata.
Si tirò un ceffone in fronte e sentii una risata soffocata «Ci credo che ti fa così male!» mi prese poi poi per un braccio «muoviti, vieni.»
Camminai impacciata su per le scale, qualche volta inciampando nei miei stessi passi, fino a quando non entrò in camera sua e rovistò nel cassetto accanto la finestra.
«L’avevo messa qui» tirò fuori una marea di oggetti strani e che non riconoscevo, per poi richiudere il cassetto e voltarsi verso di me, impalata sulla porta e indecisa se entrare o meno.
In fondo, l’ultima volta che ero stata lì, gli avevo rubato qualcosa di suo, e non era una bella sensazione quella dei sensi di colpa che mi tormentavano in continuo; però avevo ancora il suo quaderno in borsa.
Giurai di restituirglielo, senza farmi notare, a fine giornata.
«Ecco» mi venne in contro, porgendomi un piccolo flacone di non so che cosa.
Lo guardai in modo strano, corrugando la fronte «Che cos’è?» chiesi sospettosa «mi vuoi uccidere Styles? E’ veleno scommetto» posai le mani sui fianchi.
Rise, divertito «No, tranquilla» sospirai, non mi avrebbe ucciso «e poi potrei venire a casa tua di notte, magari con un coltello, per ucciderti. Figurati se lo faccio in questo modo!»
Cazzo ride?
Feci un sorriso tirato, cercando di ridere a quella che speravo fosse solo una battuta.
«Simpatico» dissi appena.
Scosse la testa «Comunque è per il tatuaggio, in un paio di giorni dovrebbe smettere di bruciare e il rossore andrà via.»
Annuii, svitando il tappo e poggiando la bottiglietta alle labbra; alla fine era stato gentile.
«Ma che cazzo stai facendo?» urlò, spalancando gli occhi e riprendendo il flaconcino tra le sue mani «stai scherzando, vero?»
Alzai un sopracciglio, cercando di capire a cosa si riferisse; poi scoppiò a ridere.
«Mio dio, non lo devi bere! E’ una crema, la devi mettere sul tatuaggio» ora si spiegava tutto.
Arrossii.
Davvero ero così idiota?
«Certo! L’avevo capito» cominciai a ridere, con un tono leggermente più isterico del solito «come no» ripresi allora la crema e ne appoggiai un po’ sulla caviglia, che per un attimo smise di pizzicare «grazie» richiusi il tappo, ma appena gliela riporsi, mi bloccò la mano.
«Tienila, e mettila due volte al giorno.»
Da quando Harry ti-guardo-dall’alto-al-basso Styles è gentile?
Annuii «Va bene Dottore» scherzai, sorridendo e uscendo dalla sua camera.
 
«Posso chiederti una cosa?» feci l’enorme errore di voltarmi a guardarlo mentre scendevo le scale; e nonostante la mano appoggiata al corrimano, inciampai nei miei stessi piedi, rimanendo aggrappata in stile scimmia.
Risi «L’hai già fatto!» dissi, mentre cercavo di rimettermi in piedi in modo più naturale possibile.
«Cadi proprio sempre eh!» scherzò.
Cadi proprio sempre eh! Sub imitò la sua voce e mi strozzai trattenendo una risata.
«Non ho un equilibrio molto stabile» ammisi, anche se ero certa che l’aveva già capito da solo «la domanda?»
«Perché ti sei fatta quel tatuaggio e l’hai fatto vedere proprio a me?»
Potevo rispondere con un’altra domanda? Del tipo: ‘perché eviti di complicarmi la vita con le tue domande, cazzo?’
Tossii, in preda a qualche spasmo facciale «Non lo so, tu ne hai tanti e mi piacciono i tatuaggi.»
Per la cronaca.
I tatuaggi mi fanno letteralmente cagare.
Sono permanenti e secondo le mie ricerche su internet Harry ne aveva davvero tanti; in quel momento intravedevo quelli sulle braccia, scoperti dalla maglietta a mezze maniche che portava e forse una piccola parte di quello sul petto.
Annuì «Capito» si appoggiò sul divano «E cosa vuol dire la A nel ciondolo a forma di cuore del bracciale?»
I cazzi suoi no, eh?
Mi spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Ally. La mia migliore amica» gli sorrisi.
Annuì «la stessa ragazza di cui mi hai parlato qualche giorno fa?» lo vidi mordersi la lingua, pentito subito della domanda che aveva fatto.
Guardai altrove, perché solo a pensare alle parole che mi aveva detto e a quello che gli avevo risposto, mi si rivoltava lo stomaco «si, l’unica persona che ho e che mi apprezza veramente» dissi infine.
«Scusa, non volevo ritornare sull’argomento» apprezzai quelle parole ma «e la tua famiglia?»
Sorrisi.
Ero io che in realtà dovevo scoprire più cose su di lui, magari qualche segreto imbarazzante da scrivere nell’articolo, e invece mi ritrovavo a raccontare la storia della mia famiglia, proprio davanti a lui?
«Mio padre non l’ho mai conosciuto e mia madre vive in Italia» detta così sembrava davvero semplice, ma non lo era affatto; nessuno sapeva veramente tutto quello che avevo passato con mia madre e avevo intenzione di continuare a non dirlo.
«Capisco» si stava massacrando le mani dall’imbarazzo, ma da una parte ero anche contenta che mi stesse parlando come una persona normale, senza insultarmi o provare odio nei miei confronti «ti deve mancare molto tua mamma» alzò lo sguardo, facendo incontrare i suoi occhi verdi con i
miei «a me manca la mia» sorrise appena «ma con la band, i tour e il resto la vedo raramente!»
Annuii.
«In realtà odio mia madre, chissà, magari è morta» alzai le spalle e fu sorpreso da quella frase.
Sospirai «Bene, ora vado, magari passo a salutare Niall!»
Annuì, apprezzando quello che avevo intenzione di fare.
No, non potevo far star male due persone.
Non potevo far soffrire Niall, dopo tutto quello che faceva per me.
Ma come potevo evitarlo?
 
Uscii di casa, salutandolo con un gesto del capo e chiusi la porta alle mie spalle.
Finsi di percorrere il vialetto davanti a casa sua, arrivando alla macchina, nel caso mi stesse guardando dalla finestra del salotto; ma quando fui certa che le tende erano tutte ben appoggiate i vetri e non erano spostate, tornai indietro, davanti alla porta.
Tirai poi fuori dalla borsa il suo quadernetto, rigirandomelo per qualche volta tra le mani e sospirando un sincero «scusa.»
I sensi di colpa cominciavano davvero a diminuire; ma avrei dovuto comunque continuare a mentire, il che non era affatto piacevole.
Mi piegai sulle ginocchia, imprecando a bassa voce, sentendo la caviglia pizzicare come se milioni di spilli mi avessero colpita nella zona del tatuaggio; appoggiai davanti a casa il suo quadernetto e sorrisi.
 
Fu in quel momento, però, che la porta venne di nuovo spalancata.
«Julie, hai dimenticato la crem-» le parole gli morirono in bocca, appena mi vide accovacciata davanti a casa sua, con il suo quaderno dalla copertina marrone in mano.
Percepivo il suo sguardo puntato addosso e vidi cadere dalle sue mani la pomata per il tatuaggio.
Potevo fare tre cose.
Sotterrarmi.
Morire.
Scappare.
Perché in quel momento, anche la scusa migliore al mondo, sapevo non avrebbe mai funzionato.




  
 
 
 




 
 





  
CHLOOOEE, I KNOW YOUR SISTER TURNS EVERYONE OON...

Mi faccio schifo.
DIECI.
DIECI giorni che non aggiorno D':
Vi do il permesso di odiarmi.
Ma ho avuto un sacco di casini, l'ispirazione che non arrivava e Word che dava i numeri (?)
Ma sono qui :')
Con un capitolo orrendo...ma sono qui :D

Dio, quanto amo quando vi lascio così in sospeso! AHAHAHA Mi preparo a tutte le vostre imprecazione nelle recensioni c:
Ma io vi voglio bene!
Julie che viene beccata mentre lascia il quadernetto di Harry davanti alla porta :')
COME SONO MALVAGIA, LO SO!

"But your're the one I waaant..yeah!"
Chloe - Emblem3
Dio amo quei ragazzi :')

Ok, ora vi lascio in pace!



Comee sempre..
Mi trovate su twittaaah: 
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E su Facebook: Simona - "Nothing's fine I'm Torn.
 

Un bacio,
Simo.

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Capitolo 15
*** Lies. ***


 


Chapter Fifteen
Lies.

 


 

Niente poteva funzionare, non avrebbe creduto a nessuna scusa inventata, lo sapevo, ma valeva la pena tentare.
Quando cominci a raccontare menzogne, fin troppe, non puoi più smettere, anche se ci provi in tutti i modi.
«H-Harry» balbettai appena lo vidi sulla porta, che mi guardava confuso, con gli occhi spalancati.
«Che cazzo stai facendo?» mi chiese con un tono di voce estremamente duro, lo sguardo fisso sulle mie mani che tenevano il suo quaderno.
Mi alzai, con le gambe che tremavano.
Trova una scusa Julie, una scusa credibile.
Di sicuro il mio silenzio non poteva far diventare le cose più semplici, tantomeno la mia testa che cominciava a girare e nella quale rimbombava la voce di Sub.
«Quel quaderno è mio» disse.
Chiusi gli occhi, sospirando e facendo comparire un’espressione sorpresa sul mio viso «Oh, come sarà finito qui?» spalancai gli occhi, tentando di sembrare più sincera possibile «è tuo? Non lo sapevo proprio.»
Alzò uno sopracciglio, facendomi notare l’angolo destro del quaderno, dove, scritto in penna nera, c’era il suo nome.
Tossii «vuoi la verità?»
Sembrò sorpreso da quella domanda e annuì.
"Ti sto mentendo. Sto fingendo di essere qualcun altro e anche se non mi esce molto bene, spesso mi credete. Lavoro per uno dei giornali di Gossip più famosi di Londra, voglio conoscere te e gli altri ragazzi. Voglio farti innamorare di me, in un modo o nell’altro, sperando di scoprire i tuoi segreti più imbarazzanti e che praticamente nessuno conosce; così diventerò una delle giornaliste più importanti della rivista e farò carriera. Potrò far vedere a tutti di cosa sono capace e il mio futuro dipende da te, dipende da questo articolo."
 
Ecco cosa avrei voluto davvero dirgli in faccia, svuotarmi di quel peso e sperare che mi capisse, invece «ho trovato questo quadernetto sopra la cassetta della posta, allora te l’ho portato» dissi, abbassando lo sguardo e sperando che mi credesse.
Non potevo dirgli la verità, no.
Mi guardò e i suoi occhi verdi non erano accesi come sempre, intravidi uno strato di rabbia nel suo sguardo che mi mise quasi paura «potevi suonare alla porta, non metterlo sullo zerbino.»
Doveva sempre complicare le cose?
«N-non volevo disturbare» cercai di far sembrare la mia voce il più normale possibile, ma con scarsi risultati, dato che questa tremò terribilmente.
Le sue mani si strinsero in due pugni e con un gesto brusco mi prese il suo diario dalle mani, poi sorrise.
Che cazzo ride?
«Sapevo che non ci si poteva fidare di te» sputò «vieni qui a fare l’innocente, che mi chiede scusa per come ti tratto e poi ti metti anche a rubare? Eh?» alzò il tono di voce e mi guardai intorno allarmata, sperando che nessuno stesse ascoltando.
Sii più credibile, Julie.
Mi trattenni dal mettermi ad urlare al mio subconscio di chiudere quella fottuta bocca; sempre che avesse una bocca.
«Harry, non sto scherzando» mentii «pensavo che fosse tuo e volevo riportartelo, volevo essere gentile» cacciai il magone che si era formato in gola.
Rise un’altra volta, indietreggiando e poggiando una mano sulla porta «Non sai mentire Julie, credo che tu l’abbia capito ormai» alzò le spalle «come ho fatto a non pensarci prima? Non solo vieni qui tutti i giorni a rompere a noi, non solo illudi Niall con i tuoi stupidi giochetti e le tue bugie, ma rubi? Sei entrata in camera mia e hai preso qualcosa che non ti apparteneva! Non ti fai schifo, Julie? Ti credevo una stupida ragazza che spara cazzate dalla mattina alla sera, sperando di fare pena e cercando di sembrare normale; mi sbagliavo e non credevo fossi capace di così tanto.»
«Harry io-» tentai di protestare, ma le parole mi morirono in bocca appena chiuse la porta davanti a sé, sbattendola con forza, dopo aver finito di parlare.
«Non farti più vedere»disse.
 
Merda.
 
 
 

Harry. 

Appena le chiusi la porta in faccia corsi su per le scale incazzato e lanciando il quaderno sulla scrivania.
Davvero Julie credeva che non l’avrei scoperto prima o poi? Alla fine un quaderno non può mica sparire da solo!
Pensava di riuscire a riempirmi ancora con delle menzogne dette a caso?
«Stronza» scossi la testa, buttandomi sul letto a pancia in giù e affondando la faccia tra i cuscini.
Come poteva essere così strana quella ragazza?
Due minuti prima mi fa vedere un tatuaggio che si fa solo per farmi contento, si comporta da persona gentile e normale; poco dopo ricomincia a mentire senza farsi scrupoli.
Possibile che esistano persone come lei?
 
Alzai la testa, allungandomi verso il comodino e aprendo un cassetto; tirai poi fuori il barattolo che qualche settimana prima avevo inspiegabilmente trovato sul letto e lo aprii.
Sentii l’odore della gelatina alla pesca e arricciai il naso disgustato, per poi richiudere il barattolo e lanciarlo, con un colpo secco, nel cestino lì vicino.
Non sapevo che cosa fare.
Davvero stavo cominciando a credere che Julie fosse una ragazza come le altre? Stavo cominciando a pensare di poterle essere amico, perché in fin dei conti non era male.
Ma mi sbagliavo.
Solo una cosa mi venne in mente, una cosa che dovevo fare, nonostante non volessi più vederla o immischiarmi in faccende che ormai non mi riguardavano più e che la riguardavano.
Ma non potevo lasciare che mentisse a Niall.
Lui era ingenuo, lui le avrebbe creduto e Julie avrebbe continuato con i suoi stupidi giochetti, avrebbe continuato a mentirgli e chissà fino a che punto sarebbe arrivata.
L’avevo avvisata, l’ultima cosa che volevo era che lo facesse soffrire o lo illudesse.
Mi alzai con un gesto secco dal letto, infilandomi le scarpe e scendendo al piano di sotto; uscii poi di casa e prendendo la macchina mi diressi verso casa di Niall.
 
 
 

Niall. 

Riportai il plettro alla bocca, stringendolo con i denti e riprendendo in mano la chitarra che poco prima avevo appoggiato sul bracciolo del divano; sedendomi a gambe incrociate sul tappeto, cominciai a suonare la melodia che mi risuonava in testa da giorni.
Sbagliai qualche nota, così ricominciai innervosito; non feci però in tempo a scarabocchiare qualcosa sul blocchetto di appunti davanti a me, che suonarono alla porta.
«Louis, no, non ho io la tua tazza con la mucca, ho già controllato» urlai, ancora seduto, pensando fosse il più grande.
Ribussarono alla porta, avrei dovuto far installare un campanello.
«Zayn? Sai che non fumo, non ho accendini che funzionano in casa» ritentai, non avendo alcuna voglia di alzarmi; mi allungai e presi dal tavolino una caramella che mi misi subito in bocca.
Bussarono di nuovo, questa volta più insistentemente.
«Non ho il tuo balsamo Harry» riprovai un’ultima volta.
«Cristo santo, Niall, apri questa fottutissima porta» sentii urlare da fuori.
Corrugai la fronte «Julie?» chiesi e mi alzai, lasciando perdere la chitarra e corsi ad aprire.
Appena spalancai la porta mi ritrovai Julie davanti, le mani nelle tasche dei jeans, lo sguardo abbassato che tentava di nascondere le guance rigate da qualche lacrima «Julie» disse, preoccupato «entra» non se lo fece ripetere due volte, obbedì, e come se fosse a casa sua si buttò sul divano ricominciando a piangere.
Mi guardai intorno, spaesato, indeciso su cosa potevo fare; mi avvicinai, sedendomi accanto a lei e cercando spiegazioni «Julie, che è successo?»
Tentò di rispondermi, ma la guardai con una faccia dispiaciuta appena ammisi di non aver capito niente di quello che aveva detto, dati i singhiozzi e le lacrime.
Mi alzai e poco dopo tornai in salotto con un bicchiere d’acqua e una scatola di fazzoletti che le porsi; alzò lo sguardo e mi sorride.
Si soffiò il naso e si asciugò gli occhi, peggiorando ancora di più la situazione delle sue guance; queste erano colorate di nero e di azzurro, dato il mascara e la matita che poco prima aveva sugli occhi.
«Sono così terribile?» riuscì a dire, con la voce spezzata dai singhiozzi.
Scossi la testa «N-no, sei-» alzai le sopracciglia, tentando di non scoppiare a ridere e di non sembrare troppo in imbarazzo «bellissima?» feci una smorfia.
Rise, ma non era una delle sue vere risate, e questo mi fece star male «Sembro un panda, vero?» mi chiese, prendendo un altro fazzoletto dalla scatola ormai quasi vuota.
Annuii «a me piacciono i panda, però» fui felice di averla fatta sorridere «ora mi vuoi spiegare che è successo?»
Spalancò gli occhi, come spaventata «se ne vuoi parlare» mi corressi, mordendomi il labbro inferiore, imbarazzato.
Si guardò intorno, molto probabilmente cercando qualcosa da dire, cosa che faceva spesso ogni volta che le facevo una domanda forse troppo personale.
«Harry non mi vuole più vedere» corrugò la fronte e si asciugò le guance con la mano.
Spalancai gli occhi «che cosa ti ha fatto?»
Sembrò sorpresa da quella domanda, probabilmente perché avevo dato subito la colpa ad Harry di quello che poteva essere accaduto.
«H-ho trovato fuori da casa sua un quadernetto dalla copertina marrone» si morse il labbro inferiore «e glielo stavo portando.»
«Il suo quaderno delle canzoni?»
Annuì «e lui pensa che gliel’abbia rubato io» non sembrava totalmente convinta di quello che mi aveva detto, ma non ci feci più di tanto caso e mi avvicinai a lei, abbracciandola e accarezzandole i capelli che le ricadevano sulle spalle in disordine.
«Julie, ci parlo io con Harry. Vedrai che capirà che non sei stata tu» dissi, sentendo il suo respiro sul mio petto.
Annuì «Grazie Niall.»
Sorrisi, finalmente aveva completamente imparato il mio nome.
 
 
 

Julie. 

Ormai tutti i giorni, prima di uscire di casa e andare dai ragazzi, scrivevo il nome di Niall sulla mano, per ricordarmelo.
Cristo se era complicato quel nome!
Avrei dovuto farmelo tatuare sul palmo, così ogni volta non avrei dovuto usare la penna; al pensiero di tatuaggi mi ritornò in mente Harry e quello che avevo appena fatto.
Davvero stavo ancora illudendo Niall?
Harry ormai faceva fatica a credere alle stronzate che dicevo, ma Niall?
Lui era troppo gentile per criticarmi, sbattermi la porta in faccia o urlarmi contro come faceva il più piccolo; per questo sapevo che mi avrebbe creduto e difeso, così non avrei rinunciato del tutto all’articolo.
«Ascolta Julie, so che non è il momento adatto per dirtelo, ma ci tenevo che lo sapessi» si separò da me, appoggiando le mani sulle mie spalle.
Lo guardai, in attesa che continuasse e cercando di far placare i sensi di colpa che mi stavano divorando.
«Dimmi» gli sorrisi, curiosa.
Ma quel sorriso si spense appena dalla porta, che Niall non aveva chiuso appena ero entrata, entrò Harry.
 
«Come pensavo è venuta da te» disse, rivolto a Niall, facendo chiaramente intuire il disprezzo nella sua voce «Niall, è così semplice ingannarti» sorrise amaramente.
«Che cazzo stai dicendo Harry?» chiese questo, confuso.
«Non hai ancora capito che razza di persona è?» mi indicò con un cenno del capo, come se avesse dimenticato il mio nome.
Niall scosse la testa, diventando serio «ti sbagli invece» si alzò il piedi, con le mani strette in due pugni.
Io rimasi lì, seduta sul divano con le gambe incrociate e gli occhi ancora umidi.
Il riccio rise per l’ennesima volta, come se tutta quella storia fosse tremendamente divertente «sei così ingenuo, Niall, peggio di un bambino.»
Il più grande spalancò gli occhi, visibilmente incazzato e offeso.
Davvero per colpa mia stavano discutendo?
Davvero ero stata capace di far litigare due persone che si definivano fratelli? 





  
 
 
 



  
 
 





  
Wish I was noot. But I am in loooveee...

Lo so, lo so u.u
Odiatemi pure, ma non riesco a scrivere un capitolo prima di una settimana, vi prego di capirmi!
Sono anche dovuta partire e ci si aggiungeva l'ispirazione che tardava ad arrivare :c
Spero davvero di non aver perso lettrici, anche se continuate a diminuire ad ogni capitolo!


Ringrazio comunque tutte, sia le persone che recensiscono, sia le lettrici silenziose che non lasciano un parere! :D
Siamo quasi arrivati a 1OOO recensioni dalscrwic** 

Dovreste esserci abituate alla suspance che ogni volta metto! :')
Julie sta leggermente complicando le cose, in particolare il rapporto che c'è tra Harry e Niall...leggerete poi nel prossimo capitolo cosa succederà!


A proposito del prossimo capitolo..succederanno DUE cose!
La prima si può intuire dalla fine di questo, la seconda..no! c: Ma c'entra con la cosa che Niall doveva dire a Julie; basta, vi ho già detto troppo :3 ahaha!
Mi dileguo :)

Come sempre...

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Ah, se qualcuno di voi seguiva l'altra mia fan fiction (Find me.) credo che abbia già notato l'eliminazione :c vi dico che l'ho fatto perchè, come in molte forse avranno capito, era ispirata ad un film e semplicemente era troppo complicato impostarla come volevo..

A presto,
Simo.

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Capitolo 16
*** Simple. ***



Chapter Sixteen
Simple.

 


 

Forse avevo sbagliato a mentire così spudoratamente e ingannare, per l’ennesima volta, Niall.
Ormai Harry non voleva credermi, nonostante il biondo avesse tentato in tutti i modi di fargli cambiare idea sul mio conto e sul mio modo di comportarmi.
Il più piccolo se n’era andato da casa sbattendo la porta, dopo avermi urlato contro più volte, ma dopo tutto Niall continuava a credermi.
«Mi dispiace» mi sistemai con le gambe incrociate sul suo divano, aspettando che si sedesse.
Alzò le spalle «Harry è fatto così, quando si mette in testa una cosa, vuole avere ragione su tutto» si voltò a guardarmi con un’espressione realmente dispiaciuta 
«Scusalo per tutte le cose che ti ha detto.»
Perché avrei dovuto scusarlo?
Harry aveva solo ragione dandomi della pazza, della falsa e della ladra, perché in fondo lo ero veramente.
Alzai le spalle «ma in fondo sono così» mi lasciai scappare, spalancando poi gli occhi e serrando le labbra.
Niall aggrottò la fronte «in che senso?» tentò un sorriso.
Scossi la testa imbarazzata, cercando un argomento per distrarlo «facciamo qualcosa» proposi.
Rise «del tipo?»
Era così ingenuo, e sinceramente mi faceva male vedere che credeva a tutto quanto; ci pensai un attimo «come si chiama il quel gioco che si fa con le carte..» lasciai la frase in sospeso, sperando che capisse a cosa mi riferivo.
«Ci sono milioni giochi di carte» sembrò deluso.
Cosa si aspettava? Un pomeriggio di sesso sfrenato tanto per occupare il tempo?
Non riuscii a trattenere una risata «quel gioco dove ci si ruba il mazzo» mi sfuggiva il nome.
Ruba mazzo, idiota.
Niall si lasciò scappare un «Ah» prolungato, fin troppo simile ad un orgasmo, per poi chiarire «ruba mazzo?»
Magari fosse così semplice.
«Ma no! Era più complicato come nome.»
Mi guardò stranito «sono certo che sia ruba mazzo il gioco che hai in mente» insistette.
«No!» alzai la voce, ma non mi venne nulla in mente e ci rinunciai «forse è meglio se torno a casa, devo scrivere la prima parte dell’articolo» dico, per poi prendere un cuscino e nascondermi dietro di esso.
Niall rise «che hai detto?»
Sentii le guance pizzicare e arrossarsi dall’imbarazzo «che devo scrivere» mi limitai a dire.
Se ti fai scoprire adesso sei fottuta.
Molto confortante, davvero.
«Che cosa scrivi?» chiese, curioso.
Mi guardai intorno, leggermente disorientata, per poi alzarmi di colpo e «hai sentito?» spalancai gli occhi, fingendo e lui mi guardò confuso «mi hanno chiamato» tentai una risata per poi urlare un «arrivo!»
Andai verso la porta, la spalancai ed uscii salutando con un cenno del capo Niall, ancora seduto sul divano, con un’espressione leggermente turbata sul viso.
 
* * *
 
«Ma stai facendo amicizia con Harry, vero?» Ally mi guardò da sopra i suoi occhiali, apoggiati sul naso.
Sbuffai «Lo dici come se fossimo due panda in estinzione e dovessimo riprodurci, Al» protestai «e ti ripeto che no, non ci sto facendo amicizia perché mi odia.»
Si alzò in piedi e mi venne in contro «Sono passate già settimane Julie, cosa vuoi fare con l’articolo?»
Perché doveva sempre ricordarmelo?
Alzai le spalle «Io ho già pronta la prima parte, ho scritto qualcosa sul carattere di Harry» mi grattai la testa imbarazzata «mi manca scoprire delle cose che nessuno sa.»
I suoi occhi si ridussero in due fessure, facendo quasi scomparire il marrone chiaro dell’iride «Hai scritto solo cose brutte?»
Scoppiai a ridere, per poi scuotere la testa «No» dissi «Harry non è stronzo come pensavo» mi sedetti sull’angolo della sua scrivania bianca.
Alzò un sopracciglio «Ma se ti ha insultato e sei pure scoppiata a piangere?» la vidi trattenere una risata.
«Prima di tutto le lacrime erano finte» mentii, perché quello che mi aveva detto mi aveva fatto realmente star male «ma ho sbagliato a pensare cose brutte su di lui» scrollai le spalle «ha ragione ad essere così odioso con me» dissi poi con un tono decisamente troppo serio «sono io quella strana, che si comporta da pazza e che vuole solo attirare la loro attenzione. Lui ha semplicemente fatto bene a farmelo capire» finii, ma non riuscii a tenere quell’espressione seria per qualche altro minuto, dato che scoppiai a ridere vedendo la bocca spalancata di Ally.
«Al, niente cazzi immaginari però» serrò le labbra e sorrise, per poi avvicinarsi e cominciare a girarmi intorno.
«Non è che questo Harry ti sta cambiando?» rise.
Feci una smorfia confusa non afferrando il concetto di quella domanda.
«Stai diventando una persona diversa per lui?» riprovò tentando di farmi capire, ma ancora aggrottai la fronte.
«Cristo Julie! Mica ti sei innamorata, vero?»
Avvampai, per poi ridere «Scusa un secondo» alzai un dito, mi avvicinai al mini frigorifero che teneva nel suo ufficio e tirai fuori una bottiglietta d’acqua minerale, svitai il tappo e ne bevvi un sorso.
Neanche il tempo di ingoiarla che la sputai davanti a me «che cazzo hai detto?» strillai.
Vidi la bionda davanti a me divertirsi sempre di più dopo aver visto la mia reazione «era solo una supposizione, ma non c’era bisogno di lavarmi il pavimento» disse, rivolta alla piccola pozzanghera d’acqua sulle piastrelle.
Non protestai più.
«Quindi cosa vuoi fare?»
Ci pensai un attimo, per poi sorridere «la persona normale, semplice» dissi, e questa volta fu lei a non capire subito.
«Non voglio più essere sfacciata o sembrare una bambina» tornai seria ripensando a quello che mi aveva detto Harry «ha ragione lui, sto esagerando e questo lo sta solo allontanando da me ulteriormente; se riuscirò a fare l’articolo entro la fine di questo mese e la pubblicazione, bene; se no ci ho provato.»
 
 
 

Harry. 

Rischiai di cadere per l’ennesima volta, ma riuscii a tenere l’equilibrio e un piede rimase saldo a terra.
Giurai che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei fatto un favore a Josh; la sua moto era ancora rotta e lui si ostinava a dire che sarei riuscito a sistemargliela personalmente e che non serviva portarla da un vero meccanico.
Strinsi i denti, appena, per sbaglio, il polpaccio scoperto dai pantaloncini andò a sfiorare la marmitta bollente «merda» imprecai, provando a rimettere in moto, ma ottenendo solo strani rumori e del fumo nero.
Scesi dalla sella e senza mettere il cavalletto lascai cadere la moto sull’erba.
«Potrebbe essere colpa del carburatore» sentii una voce parlare alle mie spalle e appena la riconobbi sbuffai, esasperato.
Voltandomi feci una smorfia rendendomi conto di aver attribuito quella voce alla persona giusta «si, come no» dissi schietto.
Julie si avvicinò con passo lento, mentre giocava con una ciocca di capelli che a quanto pare si divertiva a far girare intorno al dito più volte «sono seria» disse con un tono leggermente seccato «e ti conviene metterti dei pantaloni lunghi» seguii il suo sguardo sulla mia gamba, notando un segno violaceo e uno rosso.
Alzai le spalle «cosa vuoi ancora? Mi sembrava di essere stato chiaro a casa di Niall.»
Roteò gli occhi e già pensai che si sarebbe inventata un’altra stronzata, magari che era sonnambula nel momento in cui mi aveva rubato il mio quaderno, oppure che un cane randagio gliel’aveva portato a casa sua.
Non fece nulla di tutto ciò, si limitò a sedersi sul dondolo del giardino e appoggiò la borsa bianca, che poco prima teneva in spalla, su di esso, per poi aprirla «ti ho portato una cosa» cominciò a rovistare al suo interno e sorrisi pensando a quanto fosse disordinata «era qui poco fa» sbuffò, e prese a tirare fuori di tutto, dai fazzoletti ai soldi sparsi, dal rossetto ad una scatola di assorbenti; trattenni una risata e appena aprì la tasca esterna della borsa urlò un «Eccolo!»
Feci una smorfia; magari avrebbe tirato fuori qualcosa per uccidermi.
Si rialzò e mi venne in contro, mi mise tra le mani l’oggetto e tornò a sedersi, riprendendo a parlare «l’ho visto in un negozio e ho pensato a te» sorrise, come mai aveva fatto «ti chiedo scusa, ma davvero non ho rubato io il tuo quaderno» mi fissò negli occhi appena alzai lo sguardo, seriamente stupito.
E se davvero non fosse stata lei a prenderlo?
Mi morsi il labbro inferiore, sentendo le guance pungermi dall’imbarazzo «G-grazie» riuscii solo a dire «è davvero bello» tornai a guardare il quadernetto dalla copertina bianca e beige che mi aveva appena regalato «mi serviva, per le mie nuove canzoni» tentai un sorriso sincero, nonostante fosse davvero difficile farlo dopo tutto quello che era successo.
«Scrivi canzoni?» chiese lei, davvero stupita.
Dio Harry sei un coglione. Julie non sa mentire, ora non sta mentendo.
Annuii «raramente.»
Non fece altre domande e calò un silenzio imbarazzante tra entrambi; un silenzio che spezzai «cosa dicevi prima del carburatore?» indicai la moto, ancora butta a terra.
Julie rise «devi-» lasciò la frase in sospeso, si limitò ad andare verso la moto e la tirò su, inginocchiandosi davanti e passando le dita sulla marmitta ormai non troppo calda e provò anche lei a mettere in moto.
Mi avvicinai, quasi titubante e sgranai gli occhi appena la sentii ridere «scherzavo, qui è tutto a posto» si corresse «pensavo fosse davvero rotto qualcosa, invece non va solo per colpa tua» non riuscì a trattenersi e scoppiò di nuovo a ridere, questa volta con gli occhi che le lacrimavano.
«Cosa vuoi dire?» mi lasciai influenzare dalla sua risata.
Scosse la testa «Harry?»
«Dimmi.»
«Non può funzionare una moto se non ci metti benzina» sorrise, asciugandosi gli occhi, ancora leggermente divertita.
Spalancai la bocca.
Merda.
Mi tirai una sberla in fronte «Dio, hai ragione!» questa volta fui io a ridere per primo «però almeno l’ho sistemata, vero?»
Annuì «ma senza benzina non va» disse di nuovo.
Mi guardai intorno «qui vicino c’è un benzinaio» mi limitai a dire, sperando che afferrasse il concetto.
Spalancò gli occhi «mi vuoi fare lavorare?» rise e per un primo momento pensai che avesse ragione ma «forza muovi il culo, andiamo!» Disse.
 
 
 

Julie. 

Mi tremarono nuovamente le braccia che ormai si stavano informicolando «Cristo santo» imprecai, sbuffando «avevi detto che era vicino il benzinaio» protestai.
Harry rise, anche lui con il fiatone «se ti dicevo che era lontano non saresti mai venuta, anche perchè la mia auto ce l’ha Louis e da solo non ce la potevo fare a portare due secchi pieni» si giustificò.
«Non è una buona scusa!» dissi «le ragazze di solito stanno in casa a preparare biscotti e torte. Non aiutano i ragazzi a portare barili di litri di benzina» risi.
Lui fece una smorfia «ti piace fare biscotti?»
Scoppiai a ridere, spaventandomi appena una goccia di gasolio uscì dal contenitore, finendo sull’asfalto «affatto! Sono una frana in cucina, l’ultima volta che ho provato a fare qualcosa da mangiare ho bruciato mezza casa» ricordai poi il barbecue che prendeva fuoco «mi limito a mangiare cibi già precotti.»
Harry si fermò, stanco e appoggiò il suo contenitore sul marciapiede e guardando il cielo strizzò gli occhi appena questi si fermarono a osservare il sole «siamo uno peggio dell’altra allora» sorrise «Dio santo che caldo» sbuffò e senza preavviso si tolse la canottiera che portava «sta arrivando l’estate» disse semplicemente, infilando un bordo della maglietta nell’elastico dei boxer che si intravedevano da sotto i pantaloncini corti e questa cominciò a penzolargli sulla gamba destra.
Mi limitai a chiudere la bocca e a continuare a camminare, senza fare commenti, ma non potei ignorare le guance che cominciavano a pizzicare.
Magari adesso si toglie pure i pantaloni. 
Per un momento ci sperai, ma appena mi resi conto di quello che stavo pensando sgranai gli occhi e cominciai a tossire in preda agli spasmi, appoggiando i barili a terra, e coprendomi la bocca con la mano.

«Julie?» mi venne in contro «stai bene?»
Scossi la testa, smettendo di tossire e sentendo gli occhi lucidi per i colpi di tosse di poco prima «sto bene» dissi «colpa degli acari, sono allergica» trovai una scusa abbastanza credibile.
Poteva anche esserlo, ma «lo sai che siamo all’aperto e non ci sono acari, vero?» rise.
Cristo santo.
«Zitto e cammina, sfaticato» mi limitai a dire, nascondendo un sorriso e facendo in tempo a legarmi i capelli in una coda fatta male, prima di riafferrare i manici.
 
«Perché ti intendi di moto?» mi chiese quando il silenzio stava cominciando a diventare asfissiante.
Risi a quel pensiero «prima di tutto non ci vuole un genio per vedere che una moto non ha benzina» su questo avevo ragione «poi da bambina passavo il tempo a fare ricerche in internet sui motori» ammisi.
«E perché?» doveva essere così dannatamente curioso, vero? 
Aspettai un attimo prima di rispondere, pensando che era davvero patetico quello che facevo «credevo che un giorno, per qualche motivo a me sconosciuto, mio padre sarebbe tornato a casa» diventai improvvisamente triste «solo che se avesse trovato una bambina a cui piacciono le bambole e i pupazzi, magari se ne sarebbe andato di nuovo» alzai le spalle «ma non è mai tornato.»

Non era il pensiero di mia madre quello che tutti i giorni mi rattristava.
Era quello di mio padre.
Un padre che non avevo mai conosciuto per colpa di una stronza, qual’era mia mamma.
Avevo sempre voluto fare tutte le cose che un papà fa con le bambine piccole; avevo sempre desiderato essere presa sulla sua schiena, aggrapparmi al suo collo, stringere forte e farmi trascinare in giro per la casa.
Sorrisi appena.
Harry si limitò ad annuire e per questo lo ringraziai.
«Siamo arrivati» sospirai, entrando dal cancello e camminando nel giardino di casa sua, dove, la moto del suo amico di cui non ricordavo assolutamente il nome, era ancora lì.
 
Cinque minuti dopo funzionava alla perfezione.
«Giuro che se non mi avessi mai detto della benzina, avrei portato la moto a rottamare dal nervoso!»
Risi, rimettendomi la borsa in spalla e facendo per andarmene «meglio che vada ora» sorrisi «ero solo venuta per portarti il quaderno.»
Harry annuì, e si infilò di nuovo la maglietta, spettinandosi poi i capelli ricci con un gesto strano della mano «grazie ancora.»
Almeno, facendogli quel piccolo regalo poteva credermi e i sensi di colpa sarebbero diminuiti «prometto che da adesso in poi non mi farò più vedere» azzardai.
Tornò serio «Julie io-» non sapeva come continuare «mi dispiace, non volevo dirti tutte quelle cose.»
Annuii, sollevata.
«Ora vado a trovare Niall, so che mi doveva dire qualcosa, ma prima sono dovuta tornare un attimo a casa» dissi.
Non feci in tempo a voltarmi che il cancello marrone si spalancò «Harry volevo-» Niall entrò e si bloccò appena mi vide.
Non capii la sua espressione; era contento perché mi vedeva, ma leggermente deluso perché non ero con lui, ma con Harry.
«Nialler» lo salutò il riccio con un cenno della mano.
«Sono venuto a chiederti scusa per prima» si massacrò le mani il più grande, turbato e imbarazzato da quella situazione «sai che non mi piace litigare con te» ammise e trovai tremendamente dolce quello che stava dicendo.
«Sono io che devo chiedere scusa» disse Harry inaspettatamente «ho giudicato Julie, cosa che non dovevo fare.»
Eccoli di nuovo.
I sensi di colpa per aver mentito; ma almeno quella volta ero riuscita ad essere creduta da entrambi.
Sospirai «Niall stavo venendo da te» mi avvicinai appena «ora però torno a casa che sono stanca, ho dovuto faticare oggi» rivolsi uno sguardo accusatorio a Harry, che rise appena «cosa mi dovevi dire prima?»
Sgranò gli occhi «Io-» i nostri sguardi si scontrarono e aggrottai le sopracciglia vedendolo terribilmente preoccupato.
«Niall? Così mi spaventi» mi morsi l’interno della guancia «che cosa è successo?»
Anche Harry si avvicinò, incuriosito.
«Julie, so che non dovevo impicciarmi» ancora le sue mani vennero torturate e riprese a mangiarsi le unghie, nervoso «pensavo di farti un favore, spero che non te la prenderai.»
Si, mi stava decisamente facendo preoccupare.
«Siediti che forse è meglio» disse con un filo di voce.
Ti vuole stuprare, io lo sapevo!
No, quello non era il momento adatto per le battute squallide del mio subconscio, così lo ignorai.
«Sto bene!» dissi, agitata «non mi siedo, dimmi che cosa succede Niall» non sorrisi nemmeno dopo essermi resa conto di aver azzeccato il suo nome per la prima volta senza leggerlo da nessuna parte.
 
«Ho fatto alcune ricerche» cominciò, e lo vidi deglutire; solo dopo qualche attimo continuò «ho trovato tuo padre, Julie.»
 




  
 
 
 

  
 
 





  
City oof angeels, woooah...

Ormai la mia passione è quella di iniziare lo spazio autrice con delle scuse .-.
So che è passato tanto, ma solo oggi ho trovato il tempo di scriverlo e non ho tutti i giorni internet per pubblicarlo!
Ho scritto il capitolo in un'ora, infatti è uscita questa cagata!

Julie che riesce a fottere Harry -tanto per essere fini :'D- e lui le crede!
Ma lei ha deciso di comportarsi da persona normale ora c:
E colpo di scena: Niall ha trovato e capito chi è il padre di Julie :')
Odiatemi ora, perchè vi lascio in questo modo!

Vi ringrazio davvero tantissimo, siamo arrivati alle mille recensioni dsajoihweif**
Siete fantastiche!
Anche voi, lettrici silenziose -perchè so che chi siete ;)- che non recensite! ahaha c:


Come sempre...
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Al prossimo capitolo!
Simo.

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Capitolo 17
*** Father. ***



- Se volete deprimervi ancora di più, ascoltate questa mentre leggete: Nightingale -



Chapter Seventeen
Father.

 

 

Si, forse avrei dovuto sedermi come mi aveva consigliato Niall prima di parlare.
«Julie» mi sentii chiamare per l’ennesima volta, e tentai ancora di aprire gli occhi nonostante le palpebre si facevano sempre più pesanti e il mio cervello mi imponeva di non aprirli.
Mugugnai qualcosa senza senso per protestare agli schiaffi che stavo ricevendo sulle guance.
«Julie, apri gli occhi» sentii un’altra voce, e quella seconda volta la riconobbi.
«Harry» sorrisi appena, e poco dopo mi apparve un mare davanti agli occhi «sabbia» sentivo quasi il profumo del mare e il suono delle onde che arrivavano a riva.
«Ju, svegliati» un colpo più forte in fronte mi fece sobbalzare e riuscii finalmente a svegliarmi, non prima di aver urlato «Bignè!» e rendermi conto di non essere al mare, come speravo.
Mi guardai intorno stordita.
Harry era alla mia destra e continuava a tirarmi piccoli colpi sul viso; Niall mi teneva i piedi alzati in aria e mi guardava con uno sguardo confuso e realmente preoccupato.
«Ho voglia di bignè alla crema» dissi infine, mettendo il broncio.
Sorrisi come un’idiota, voltando la testa e incrociando lo sguardo di Harry; questo riuscì solo a ridere e a dire «è ancora stordita dalla botta in testa!»
Scossi la testa e tentai di alzarmi, ma mi venne un capogiro e mi potai una mano sulla fronte, richiudendo gli occhi per un attimo.
«Julie, mi dispiace» disse mortificato Niall.
Per un primo momento non capii a cosa si riferisse, poi collegai le cose.
Mi venne in mente l’espressione del biondo appena mi ordinava di sedermi, il mio modo brusco di rispondergli e poco dopo.
«Ho trovato tuo padre, Julie.»
Quella frase mi continuava a pulsare nella testa, mi ricordai poi la vista che cominciò ad appannarsi e infine un dolore forte alla testa.
«Dovevo sedermi» sbuffai, sobbalzando appena sentii qualcosa di freddo alla testa.
«Stai ferma» fece Harry, mentre teneva il ghiaccio dietro la mia nuca «sei caduta come un sacco di patate» non riuscì a fare a meno di trattenersi dal ridere, ancora.
«Carina come metafora, davvero» feci una smorfia appena mi sedetti; solo poco dopo mi resi conto di essere seduta sul divano del salotto di Harry.
Sospirai, pensando per un momento che quello che mi stava succedendo fosse solo un sogno, ma anche dopo essermi pizzicata il braccio, non mi risvegliai «Niall parlavi sul serio?» lo guardai, sentendo il cuore che accelerava il battito, quasi volesse uscirmi dal petto, nell’attesa di una sua risposta.
Questa non arrivò, il biondo si limitò ad annuire, con una punta di risentimento nello sguardo «n-on volevo impicciarmi, davvero» tentò di giustificarsi «ma vedevo che ci stavi davvero male per tuo padre e allora ho fatto qualche ricerca» si morse l’interno della guancia.
Accennai ad un sorriso, ma non mi riuscì benissimo; tolsi il ghiaccio, dandolo in mano ad Harry «non ti preoccupare» lo rassicurai «hai fatto una cosa carina.»
Sembrò sollevato da quella mia affermazione.
Vidi Harry guardarsi intorno, imbarazzato, come se si sentisse il terzo incomodo in quella situazione.
No, non te ne andare.
Per una volta, sorpresa, mi resi conto che quello che disse il mio subconscio era davvero quello che pensavo.
Ma quel pensiero, il più piccolo, non lo poté sentire; si alzò e si diresse in cucina, dove lo sentii aprire il frigorifero e prendere qualcosa da bere.
Niall si sedette accanto a me e nel salotto piombò un tombale silenzio che mi stava lentamente facendo saltare i nervi; cominciai a massacrarmi le mani, impaziente di fare quella domanda.
«Julie, magari non te lo devo dire, ma voglio che tu sappia una cosa» riprese a parlare, vedendo la mia agitazione.
Cosa dovevo sapere?
Forse avrei fatto meglio ad aspettare che continuasse la frase.
Se avessi atteso qualche attimo in più, non mi sarei spaventata una seconda volta, rischiando si svenire; invece, come mia abitudine fui frettolosa e ansiosa, non potei fare a meno di porre quella domanda che mi girava nella testa da troppo tempo.
Solo il pensiero che di lì a poco tutti i miei dubbi di vent’anni sarebbero scomparsi, mi fece formicolare le mani.
«Dov’è?» chiesi, trattenendo il fiato.
 
* * *
 
Dove avessi trovato le forze per andarci, non lo sapevo.
Era da mezz’ora che mi imponevo di andare avanti, di camminare e di non tornare indietro come una vigliacca.
Mezz’ora che sentivo un fastidioso nodo alla gola e che non riuscivo minimamente a cacciare.
Davvero avevo il diritto di essere lì?
Rallentai il passo, sempre più titubante, fino a fermarmi completamente e guardare fisso nel vuoto, davanti a me.
«Julie» mi sentii chiamare, vi voltai di scatto e incrociai gli occhi azzurri di Niall che, come sempre, mi guardavano con ansia; mi sfiorò piano un braccio, ma ritrasse immediatamente la mano.
«Sto bene» mentii «vorrei andare da sola, scusate» mi voltai a guardare sia lui che Harry, dato che entrambi si erano offerti di accompagnarmi.
Annuirono e li ringraziai con un cenno del capo.
Feci un respiro prolungato, riprendendo a camminare a passo sostenuto; appena mi voltai, poco dopo, i due erano già lontani.
 
Chiusi gli occhi che cominciavano a bruciare e mi promisi di non piangere.
E poi lo vidi.
Era lui.
Per un attimo esitai, ma ormai ero arrivata lì, non potevo tirarmi indietro e scappare.
Mi avvicinai, fino a quando non gli fui davanti.
Deglutii e spostai lo sguardo, che fissava le foglie sparse per terra, sul suo nome inciso nella pietra bianca davanti a me.
Sorrisi appena.
«Davis» lessi a bassa voce, talmente piano che feci fatica a sentirmi pronunciare il suo nome «papà» ritentai.
Si, quello suonava decisamente meglio.
Sentii un colpo forte al cuore, rendendomi conto di quello che avevo appena detto; mi soffermai poi a guardare la sua foto contornata da una piccola e sottile cornice argentata.
Era davvero bello.
Sorrideva, un sorriso stupendo.
I capelli castani, quasi neri e con qualche striatura bionda, gli ricadevano sulla fronte e qualche ciuffo era fuori posto; lo sguardo fisso sull’obbiettivo della telecamera e quelle piccole rughe intorno agli occhi che hanno quasi sempre tutti i papà.
Gli occhi.
Di un blu acceso, con qualche riflesso di luce, come i miei.
Mi salì il magone in gola e cominciai a scuotere la testa, ritrovandomi poi a nascondere il viso tra le mani e a cercare di soffocare i singhiozzi.
«E’ tutto sbagliato» piansi, sedendomi accanto a lui e appoggiando la testa sul marmo freddo, tanto freddo che mi fece sussultare per un attimo.
Lasciai che i capelli mi scivolassero davanti agli occhi, quasi volessi nascondermi; mi guardai poi intorno, per quanto mi permettessero di fare le lacrime che continuavano ad appannarmi la vista.
Tutto lì intorno era colorato, milioni di fiori, che facevo fatica a distinguere, erano sparsi ovunque; sotto il suo nome, invece, non rimanevano che due tulipani gialli, con solo qualche petalo, appoggiati malamente sulla tomba, come se fossero stati lanciati.
Li risistemai con un gesto della mano.
Balbettai poi qualcosa di incomprensibile, quasi volessi formulare un discorso o una frase di senso compiuto da dire; quando però mi resi conto che non mi avrebbe potuta sentire, ascoltare o rispondere, mi limitai a stringere le ginocchia al petto, affondarci in mezzo la testa e ricominciare a piangere. 
 
 
 

Harry. 

Guardai l’orologio, rimanendo appoggiato all’auto con i piedi distesi in avanti; sbuffai, cominciando a camminare avanti e indietro, mentre l’ansia continuava ad aumentare.
«Harry, sono passati venti minuti» Niall pareva preoccupato quanto me.
Annuii, dandogli ragione.
Sapevamo che quello era stato un colpo forte per Julie, ma poteva almeno chiamarci; e se si fosse sentita male un’altra volta?
Cacciai indietro quel pensiero «Niall, vai da lei» non era una domanda, sembrava più un ordine; se almeno lui fosse andato, sarei stato più tranquillo.
Non mi rispose, tanto che pensai si fosse dimenticato della mia presenza, ma poi «forse è meglio che ci vai tu» si morse la lingua, vidi poi le sue guance arrossarsi e il suo sguardo si abbassò automaticamente.
«P-perché?» chiesi, nonostante conoscessi già la risposta.
Alzò le spalle, accennando un sorriso triste e tirato «non vuole me» disse appena.
Non risposi, mi limitai a camminare verso il cancello arrugginito del cimitero, senza voltarmi.
 
Mi guardai intorno un’altra volta, sospirando sollevato appena la vidi.
Era seduta a terra, con la testa nascosta tra le gambe strette al petto; la schiena continuava ad essere scossa da singhiozzi e per un attimo ebbi la tentazione di tornare indietro.
Al mio posto ci sarebbe dovuto essere Niall.
Ma vederla così mi fece stare male, così affrettai il passo e appena sentì il suono delle mie scarpe che spostavano i sassi della ghiaia, alzò lo sguardo spaventata.
Notai le sue guance nere, colorate di mascara, e i suoi occhi terribilmente rossi; in un’altra situazione, forse sarei scoppiato a ridere, ma quella volta rimasi serio.
«Julie» mi accovacciai davanti a lei, pensando a cosa avrei potuto dirle.
Mi guardò spaesata per un altro po’, forse anche confusa, per poi scoppiare a piangere e scuotere la testa, incredula «vai via ti prego» singhiozzò, voltando lo sguardo da un’altra parte e facendo ricadere i capelli davanti al viso.
«Julie non fare così» tentai, nonostante non ero mai stato bravo a confortare le persone.
Alzò lo sguardo e si asciugò con una mano gli occhi, ma neanche pochi secondi che questi cominciarono a lacrimare di nuovo «per favore, vai via» ritentò, ma l’ultima parola fu stroncata da un singhiozzo.
Non feci in tempo a rispondere che «tu non vuoi veramente stare qui» disse, e mi si strinse il cuore «te l’ha chiesto Niall di venire, lo so. Quindi vai via» ripeté.
Scossi la testa «no che non me ne vado» alzai la voce.
Non provò a ribattere.
 
«Non è così che doveva andare» disse poi, prendendomi alla sprovvista «non era così che me lo immaginavo» pianse.
Feci fatica a seguirla e a capirla «che cosa?» le chiesi.
Aspettò qualche minuto prima di rispondere «doveva essere un uomo che si era ricostruito una famiglia, magari che aveva altri figli. L’avrei incontrato un giorno, magari il giorno prima del mio matrimonio; gli avrei chiesto di accompagnarmi in chiesa, presentandomi da lui, nel suo ufficio o a casa sua. Lo avrei convinto di essere sua figlia, e lui mi avrebbe abbracciato talmente forte da togliermi il fiato» non riuscì a smettere di singhiozzare mentre continuava a parlare, senza fermarsi e senza aspettare una mia affermazione o una domanda «poi mi avrebbe baciato la fronte, sorridendomi, promettendomi di starmi accanto per sempre. Avrei scoperto che non sapeva della mia esistenza, che non sapeva di avere una figlia di vent’anni, così da non poter essere arrabbiata con lui» si fermò un attimo per riprendere fiato «e invece ora non so niente. Non posso sapere nulla su di lui, ho solo una foto» si prese il viso di nuovo tra le mani, piegandosi in avanti.
Allungai una mano per accarezzarle la schiena, ma la ritrassi immediatamente, imbarazzato.
«Non è giusto» ripeté ancora «non doveva morire senza una famiglia al suo fianco.»
Disse quelle ultime parole in un unico respiro, come se dirlo ad alta voce, facesse sembrare la cosa reale.
«Julie, non piangere, per favore» tentai di calmarla.
Obbedì e si asciugò le guance arrossata.
Guarda poi la foto dell’uomo, sulla sua tomba, voltandomi poi a guardare Julie e un’altra volta la foto «avete gli stessi occhi» sussurrai appena, ritornando a guardare lei.
I nostri sguardi si scontrarono.
Blu contro verde.
Annuì, tirando su con il naso «lo so» un’altra lacrima rigò la sua guancia, arrivandole al labbro superiore e soffermandosi lì, prima che l’asciugasse sfregando il viso sulla spalla.
 
Vederla così mi faceva stare terribilmente male.
Soprattutto pensare a tutte le cose che le avevo detto, che non si meritava, mi facevano sentire un tremendo idiota.
Non era una ragazza che si comportava solo come una bambina; semplicemente amava godersi la vita e divertirsi.
Le sue battute erano squallide, vero, ma anche buffe e divertenti a volte.
Scossi la testa, sospirando, rendendomi conto di essermi comportato davvero da stronzo con lei e non se lo meritava.
Così l’abbracciai.
Appoggiò la testa sul mio petto e le accarezzai piano i capelli mentre ricominciò a piangere; quella volta non cercai di farla smettere, aspettai.
Aspettai senza pensare alla maglietta grigia che portavo che si bagnava con le sue lacrime.
Aspettai che smettesse di piangere da sola, abbracciandola e proteggendola da tutto quello che in quel momento le stava facendo del male.
 




  
 
 
 


 
 





Caaan yoou be my Nightingaaalee...

Sono viva.
Dio una settimana D:
Peggioro davvero ogni volta! Vi chiedo scusa, ancora, anche perchè il capitolo fa cagare, è troppo deprimente u.u
Però dovevo far succedere qualcosa di brutto a Julie, no?! :')

Ammettetelo!
Non ve l'aspettavate.
In molte mi avete scritto: 'spero in un bel rapporto con il padre' beeeh..ho deciso di far morire il papà!
SI. SONO MALVAGIA! E ne vado fiera ahahah c:

Anche se le recensioni diminutiscono sempre di più, vi ringrazio tutte quante dfalkjirwe**
Siete fantastiche :33


Come sempre...
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Al prossimo capitolo!

Simo.

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Capitolo 18
*** Egoist. ***


 

 

Chapter Eighteen
Egoist.

 

 

Scoprire che mio padre era morto mi aveva leggermente sconvolta.
Ma nonostante tutto, stavo bene.
Una favola.
Come quando ti alzi la mattina e non vedi l’ora di andare a correre nel parco perché c’è il sole, per poi andare felice al lavoro, uscire con gli amici e goderti la vita.
Avevo già dimenticato tutto quello che mi era successo tre giorni prima; mi ero anche promessa di non tornare in cimitero e ovviamente ero riuscita a mantenere la promessa.
«Julie» sbuffò Niall, riportandomi alla realtà, e appena mi sentii chiamare ancora una volta scossi la testa disorientata.
«Dimmi» sussurrai appena, continuando a fissare davanti a me, trovando estremamente interessante il muro bianco, anche se leggermente sporcato.
«Come stai?» questa volta parlò Liam, che in quei tre giorni si era dimostrato premuroso nei miei confronti, come tutti gli altri, anche se non ne capivo il motivo, io stavo bene.
In ogni caso non risposi alla domanda del castano, semplicemente perché era già a conoscenza della mia risposta.
Sentii dei passi dietro di me e poco dopo arrivò Harry dalla cucina con un piatto in mano e un bicchiere d’acqua nell’altra «ti ho portato la cena» mi disse, porgendomela.
Rimasi immobile, con le gambe incrociate, senza spostare lo sguardo dal muro «non ho fame» dissi appena e mi spaventai appena la mia voce uscì tremendamente sottile.
«Sei troppo pallida, Julie» commentò Niall, con il suo solito tono preoccupato.
Il ragazzo con gli occhi azzurri e i capelli castani alzati in una cresta leggermente abbassata, Louis forse, si sedette sulla poltrona davanti a me «ha ragione, non mangi da tre giorni» alzò le spalle, prendendo una rivista dal tavolino lì vicino, per poi cominciare a sfogliarla con fare disinteressato.
«Sto bene» provai a ripetere, ma anche la persona più stupida del mondo si sarebbe accorta dell’enorme stronzata che avevo appena detto.

Ok, diciamo che non stavo proprio una meraviglia.

In realtà non mangiavo niente da tre giorni, mi limitavo a rimanere seduta sul divano della casa di tutti e cinque, e fissare nel vuoto davanti a me.
Facevo fatica anche ad alzarmi per arrivare al bagno; indossavo lo stesso pigiama, che mi ero portata da casa, da giorni e molto probabilmente non avevo un buon profumo.
«Ti prego, vai a farti una doccia» intervenne Zayn, con il suo solito tatto.
Gli sorrisi appena «scusate» mi giustificai imbarazzata.
«Non devi scusarti» Niall guardò con uno sguardo omicida il castano, che alzò le mani in segno di resa e si limitò a non fare altre commenti sgradevoli.
«Si che devo» mi promisi di non piangere, ancora.
Non un’altra volta, Julie.
Vaffanculo.
Sentii le guance bagnarsi e gli occhi arrossarsi sempre di più, fino a quando non mi ritrovai a singhiozzare con la testa appoggiata sulla spalla di Niall.
Non feci caso a Zayn che tornava al piano di sopra, mormorando un «oddio, piange ancora» e in quel momento mi sentii un’idiota.
Tirai su con il naso, asciugandomi le lacrime con la mano e alzandomi di colpo, facendo sobbalzare Niall e lasciando stupiti tutti gli altri.
«Che stai facendo?» mi chiese Harry, che si alzò a sua volta.
Scossi la testa, cercando di non badare al capogiro che mi aveva invaso e alla sensazione di nausea che non riuscivo a cacciare «torno a casa» dissi appena, prendendo la borsa appoggiata al mobile d’entrata «o da Ally» mentii.
Sapevo perfettamente che Ally non mi avrebbe mai potuto ospitare, sarebbe tornata solo il giorno dopo da Manchester e ancora non sapeva nulla della storia di mio padre, né tantomeno dei ragazzi che si erano offerti di ospitarmi quei tre giorni solo per non farmi stare a casa da sola tutto il tempo a piangermi addosso.
Sai che stai indossando un pigiama con stampate sopra delle papere e hai ai piedi delle ciabatte con la proboscide di elefante, vero?
Perchè Sub doveva sempre precisare e chiarire quelli che più comunemente definisco dettagli irrilevanti?
«Julie-» mi chiamò Niall, ma appena vide Harry avvicinarsi a me si limitò a sorridere tristemente e a lasciar perdere quello che aveva da dirmi.
Solo in quel momento mi resi conto di come il biondo si stava distaccando da me.
Possibile che si fosse fatto da parte?
Oppure avevo qualcosa che non andava e anche lui si era stancato di me?
Sei tu Julie.
Ero io.
Avevo qualcosa di sbagliato.
Magari se mio padre fosse stato vivo non mi avrebbe voluto; possibile che se ne sarebbe andato o che mi avrebbe riso in faccia.
Imprecai appena ricominciai a piangere un’altra volta; ci avevano fatto tutti l’abitudine ai miei pianti isterici, per questo non commentò nessuno.
Alzai le spalle, aprii la porta di casa e uscii.
 
 
 

Harry. 

Sbuffai appena Julie uscì di casa con ancora indosso il suo pigiama e mi voltai a guardare gli altri, seduti sul divano.
«Allora?» fece Louis, alzando un sopracciglio e continuando a leggere distratto una rivista che aveva preso dal tavolino del salotto.
Lo guardai confuso, cercando di capire a cosa si riferisse.
«Harry» mi chiamò Niall, sorridendomi appena.
Spostai il mio sguardo su di lui «cosa volete voi tre?» risi appena.
Liam scosse la testa divertito, alzandosi e porgendo a Louis il telecomando della play station «ti
vuoi muovere?» cominciai ad intuire ma solo quando precisò «vai da lei, cazzo!» annuii, sbattendomi la porta alle spalle e correndole dietro, senza pensarci due volte.
 
«Julie?» la chiamai, uscendo di casa, e solo poco dopo la vidi seduta a terra, con la schiena appoggiata al muretto di cemento oltre al cancello e al giardino.
Sorrisi, cercando di trattenermi dal ridere vedendo il suo aspetto; i capelli castani erano malamente legati in una treccia e il pigiama la rendeva ancora più tenera.
«Julie» mi sedetti accanto a lei, cercando il suo sguardo che però rimaneva puntato sempre davanti a sé, sul marciapiede opposto.
Rimasi in silenzio per un po’, per poi chiederle «perché vuoi tornare a casa?»
Non voltò la testa neanche per rispondere, «non faccio altro che crearvi problemi» alzò le spalle e vidi il suo labbro inferiore tremare; chiuse gli occhi, come per impedirsi di piangere, ancora.
«Sai che non è vero» cercai di confortarla.
«Andiamo Harry» rise, anche se quella non era una delle sue vere risate «non faccio altro che piangere tutto il giorno, mi rifiuto di mangiare e-» lasciò la frase in sospeso, aprì gli occhi, per poi richiuderli di scatto.
Mi voltai a guardarla appena vidi il suo viso sbiancarsi ulteriormente.
«Devi mangiare qualcosa» mi alzai, per poi porgerle una mano e aiutarla ad alzarsi.
Fu incerta, ma solo poco dopo l’accettò.
Annuì, mormorando un «si.»
 
* * *
 
Ero sotto casa sua da più di venti minuti, appoggiato al cruscotto della mia macchina, mentre mi guardavo intorno con le braccia incrociate davanti al petto.
«Harry?» mi sentii chiamare e mi voltai poco dopo «dio sei tu! Possiamo fare una foto?» mi chiese una ragazza bionda che teneva il suo cellulare tra le mani.
Annuii, sorridendo appena e mettendomi accanto a lei aspettando che il flash della macchina fotografica mi colpì in pieno, facendomi stropicciare gli occhi, infastidito.
«Grazie» disse poi, rimettendo nella borsa che portava a tracolla il cellulare «sei fantastico» mi sorrise, mi abbracciò e si voltò.
Mi limitai a salutarla con un gesto della mano, per poi guardare un’altra volta l’ora.
Trentacinque minuti.
 
Alzai le spalle, chiusi la macchina e guardandomi intorno entrai nella palazzina, diretto alle scale; appena fui al terzo piano, con il fiatone, suonai alla porta.
«Julie?» dissi, preoccupato «Julie, ti senti bene?» chiesi, ancora fuori dalla porta, impaziente.
Non arrivò nessuna risposta.
E se le fosse successo qualcosa?
Cacciai quel pensiero, deglutendo e suonando ancora una volta il campanello «Julie, se non apri ora giuro che sfondo l-» le parole mi morirono in bocca e come speravo la porta si aprì di colpo.
Tirai un sospiro di sollievo appena vidi Julie davanti a me «scusa» disse «mi stavo asciugando i capelli» mi sorrise appena, facendomi notare i capelli ancora leggermente bagnati.
Risi «Dio, mi hai fatto venire un infarto» sbuffai «era da più di mezz’ora che ti aspettavo, pensavo ti fosse successo qualcosa.»
Scosse la testa, tornando dentro casa e solo poco dopo mi decisi a seguirla, imbarazzato.
«Ci metto tanto a prepararmi» si giustificò «e poi cosa pensavi? Che sarei stata in grado di annegare nella vasca da bagno?» rise, nonostante io non ci trovassi nulla di divertente.
Balbettai qualcosa di incomprensibile, spostandomi qualche riccio dagli occhi e abbassando la testa «non intendevo quello» alzai le spalle, guardandomi intorno.
Scoppiai poi a ridere.
«Che c’è?» alzò la testa, mentre si metteva a cercare qualcosa da mettersi sopra la maglietta che portava.
Scossi la testa «sono più ordinato di te, Julie» notai i suoi vestiti sparsi per terra nel salone.
Si grattò la testa, cominciando a calciare distratta qualche paio di jeans negli angoli della stanza «non mi piace l’ordine» sbuffò, raccogliendo da terra un maglioncino color panna, che indossò «sono pronta.»
Non feci in tempo a ribattere che sentii il suo stomaco fare uno strano rumore e scoppiai a ridere un’altra volta.
«Ho fame» alzò le spalle.
Annuii «l’avevo intuito» feci, uscendo da casa sua e aspettando che chiudesse la porta con le chiavi che teneva nella tasca dei jeans che portava.
«Prendimi pure per il culo, eh» si finse offesa «tanto qui, sei tu quello che si preoccupa per me» rise, cominciando a scendere le scale.
Non ribattei, sentii solo le guance arrossarsi. 
 
 
 

Julie. 

Mi ficcai in bocca un’altra forchetta piena di spaghetti e cominciai a masticare, rendendomi conto solo poco dopo di sembrare un animale, notando lo sguardo allibito di Harry.
«Non mangiavo da tre giorni» spiegai, con la bocca ancora piena, facendo ricadere qualche pezzo di pasta nel piatto; mi tappai la bocca con la mano, cominciando a ridere e mormorando uno «scusa.»
Rise anche lui, tagliando la sua bistecca e mangiando dell’insalata.
C’era poca gente nel piccolo ristorante in cui mi aveva portato ed ero quasi certa che l’avesse fatto solo per non farsi vedere dai fotografi. Con me.
Si vergognerebbe, Julie.
Aveva ragione, l’ultima volta si era vergognato di me; mi si strinse lo stomaco a quel pensiero e lasciai la forchetta mezza piena nel piatto, finendo di masticare.
Harry notò quel mio cambiamento di umore e «tutto ok?» mi chiese, alzando lo sguardo dalla sua cena, ai miei occhi.
Annuii, sorridendo appena, cercando di dimenticare quel pensiero «Harry?» annuì, aspettando che continuassi «com’è la tua famiglia?»
Sembrò colto di sorpresa, ma poco dopo mi sorrise; in parte davvero ci tenevo a saperlo, dall’altra dovevo pur scoprire qualcosa su di lui.
«Vedo poco la mia famiglia» cominciò «e mi manca sempre di più. Mia madre è una donna splendida, è sempre stata orgogliosa di me, mi ha aiutato a credere in me quando sono andato alle audizioni di Xfactor» lasciò perdere la sua bistecca «quando avevo sette anni i miei genitori divorziarono e ci ho messo davvero tanto a superarla, anche quando mia madre si risposò» si morse il labbro inferiore e per un attimo mi sentii in colpa.
«Se non ne vuoi parlare non-» mi interruppe.
«Tranquilla» sorrise, per poi continuare «poi c’è mia sorella» rise «è più grande di me, anche lei mi ha sempre sostenuto, in tutto. Quando a scuola qualcuno se la prendeva con me, c’era sempre lei a difendermi» si scostò leggermente i capelli «ma come tutti i fratelli litigavamo come matti» sbuffò, divertito.
«Per esempio?» appoggiati la testa sulla mia stessa spalla, aspettando che continuasse, curiosa di sapere qualcosa in più su di lui.
In fondo quella era l’unica volta in cui mi parlava spontaneamente di sé e non sembrava dispiacergli, perciò lo lasciai continuare.
Alzò le spalle «mi ricordo che quando avevo quattordici anni aveva detto a tutte le sue amiche che mi ero messo a piangere vedendo Nemo» rise.
Spalancai gli occhi «ed era vero?»
Aspettò un attimo prima di annuire, divertito.
Scoppiai a ridere «a quattordici anni?» mi vennero le lacrime agli occhi «dimmi che stai scherzando, ti prego» tentai, ormai senza riuscire a smettere di ridere.
«E’ un film triste» si giustificò.
Scossi la testa «Ma è un cartone» specificai, asciugandomi gli occhi divertita.
«Non hai mai pianto per un cartone animato?» tentò.
Ci pensai un attimo, per poi annuire «guardando Barbie» risi «quando Raperonzolo si tagliava i capelli» finsi un broncio, che però non riuscii a mantenere appena Harry scoppiò a ridere, sputando dell’acqua che stava bevendo.
«Nemo è più commovente» commentò in fine.
Decisi di non protestare un’altra volta «mi sarebbe piaciuto avere una sorella maggiore» feci un sorriso tirato, alzando le spalle.
Notai poi l’imbarazzo di Harry, che molto probabilmente non sapeva cosa rispondermi, così «un segreto che non sa nessuno?» tentai, sperando in una risposta «su di te» precisai, tentando di sembrare il meno imbarazzata possibile.
Lo stai facendo per il tuo articolo, o perché ti interessa veramente?
«Zitto» dissi rivolta a me stessa, riuscendo a non attirare l’attenzione di Harry, perchè intento a pensare.
«Ce l’ho!» per poco non saltò in piedi «mi ricordo che per errore, baciai un ragazzo» fece una faccia disgustata «però questo lo sanno solo i miei vecchi amici di Holmes Chapel» tornò a ridere.
Lo guardai con la bocca spalancata.
Niente cazzi invisibile, grazie.
La richiusi.
«Cosa intendi?» risi, stupefatta.
Alzò le spalle «avevo quindici anni, o sedici» spiegò «pensavo fosse una ragazza e per una scommessa con i miei amici dovevo rubarle un bacio» rise, coprendosi la faccia con le mani.
«Non ci posso credere» finii di mangiare, tornando in silenzio.
«E tu, Julie?» appoggiò le mani sotto il mento «qualcosa su di te?»
Ok, quella domanda decisamente non me l’aspettavo.
Ma davvero pensavo di poter sapere tutto su di lui, senza dirgli niente su di me?
Alzai le spalle, dubbiosa «ho sempre desiderato fare la giornalista» fu la prima cosa che mi venne in mente, nonostante quello non fosse proprio un segreto «sai, quelle che finiscono sempre in copertina con articoli importanti. Quelle famose in tutta Londra, o addirittura in tutta l’Inghilterra» scossi la testa, ridendo, notando poco dopo lo sguardo gentile di Harry.
«E’ una bella cosa» disse «potresti provarci, sei una ragazza giovane; dovresti inseguire i tuoi sogni» si fermò un attimo.
Non risposi, alzai le spalle, per poi rendermi conto di avergli mentito un’altra volta «è tardi, forse è meglio che vada ora» dissi «non ho dormito molto in questi giorni» distolsi lo sguardo dal suo appena sentii gli occhi pizzicarmi.
«Julie» Harry richiamò la mia attenzione «anche se tuo padre non c’è più, non vuol dire che tu ti debba scoraggiare così. Devi andare avanti, l’hai sempre fatto e ci riuscirai alla perfezione» lo guardai «il fatto che Niall sia riuscito a rintracciarlo, non ti obbliga a stare male e a piangere tutto il giorno. Hai capito?»
Annuii, poco convinta, alzandomi e prendendo dalla tasca dei pantaloni cinquanta sterline e andando verso la cassa del ristorante.
«Lascia stare» mi seguì Harry, abbassandomi la mano e prendendo il suo portafoglio.
Scossi la testa «No» protestai, appoggiando i soldi sul bancone e sorridendo alla signora al di là di esso «questa volta pago io» risi appena si arrese e non si oppose un’altra volta.
 
«Posso chiederti una cosa?» cambiò argomento e aggrottò la fronte appena uscimmo dal ristorante.
Annuii «Mh?»
«Non fai veramente la postina di mail e tutti quei lavori strani che hai detto, vero?»
Scoppiai a ridere.
Quello potevo anche negarlo, così scossi la testa.
Tirò un sospiro di sollievo «menomale» mise le mani nelle tasche dei pantaloni neri che portava «se no saresti stata ancora più strana.»
Alzai la testa di scatto, guardandolo storto.
«S-scusa, non intendevo-» lasciò la frase in sospeso.
Serrai le labbra, sorridendo appena, o almeno tentai di farlo e mi guardai intorno «non fa niente» fermai i suoi continui tentativi di scusarsi «meglio che prenda l’autobus o un taxi, ora» feci.
«Julie, non volevo dire quello» si giustificò un'altra volta, ma non ci feci caso, insistendo.
Mi guardò confuso «ho parcheggiato là» mi indicò la strada opposta.
Scossi la testa «non c’è problema, torno a casa per conto mio» arricciai il naso, stringendomi nel golfino che portavo e maledicendo il freddo, nonostante fosse quasi arrivata estate.
«E’ tardi, non ti faccio prendere i mezzi, Julie» sembrava leggermente arrabbiato.
Non feci per protestare, annuii e abbassai lo sguardo sulle mie scarpe, mentre cominciammo a camminare uno accanto all’altra.
 
«Harry?»
Mi guardò.
«Non ti vergogni ad andare in giro con me?» trovai il coraggio di chiedergli.
Spalancò gli occhi «perché me lo chiedi?» rispose con un'altra domanda.
Alzai le spalle «tu sei famoso» risi «io non sono nessuno, e sono strana» entrambi sapevamo che quello che avevo appena detto era la pura e semplice verità; il mio rapporto con Harry non era mai stato dei migliori, dato che aveva cominciato con l’odiarmi, ma mi imponevo di migliorare, o almeno ci provavo.
In ogni caso quell’aggettivo che in molti usavano per definirmi, non mi piaceva affatto.
Ero una ragazza normale, come tutte.
«Perché dovrei vergognarmi?»
Voleva farmi credere di non sapere la risposta, vero?
«Andiamo Harry» dissi «non dirmi che ora siamo amici per la pelle e che hai dimenticato tutto, perché so che non è così. Mi odiavi» non riuscii più a sostenere il suo sguardo «mi odi?»
Avevo bisogno di saperlo, sapere se tutto quello che stavo tentando di fare sarebbe servito a qualcosa oppure no.
«Si, ti odiavo» rispose dopo un po’, e anche se era qualcosa che sapevo, mi venne un tuffo al cuore «ma credo di essermi sbagliato su di te» tolse le mani dalle tasche.
Non risposi, continuai semplicemente a camminare e appena raggiungemmo la sua auto parcheggiata salii senza dire nulla.
 
«Dimmi qualcos’altro su di te» chiesi, con la testa appoggiata al finestrino.
Mi guardò, per poi spostare di nuovo lo sguardo sulla strada davanti a sé «perché vorresti sapere così tante cose su di me?» rise, mettendomi in soggezione.
Alzai le spalle «curiosità» mentii, anche se c’era una mezza verità in quello che avevo appena detto.
«Se vuoi ti dico un segreto» sorrise, voltando a destra «ma questo lo sanno in pochi e non dovrai farne parola con nessuno, capito?» mi lasciò uno sguardo che mi fece quasi paura da quanto era serio.
Annuii.
Magari fa parte dell’FBI ed è in missione segreta per combattere il crimine londinese.
No, proprio no.
Oppure che ha una parrucca. Si, deve essere per forza una parrucca quella che ha addosso, sono troppo perfetti quei ricci. 
Soffocai una risata.
Possibile che usi uno shampoo apposta; devo scoprire che marca è. Forse un intruglio di albicocche, salvia, pistillo di tulipano e olio d’oliva.
Lasciai perdere la mia testa, nella quale rimbombava quella terribile voce, e mi concentrai su Harry «ti ascolto» dissi, cominciando ad elettrizzarmi e a pensare a come avrei impostato l’articolo sul segreto che mi stava per rivelare.
Ci fu un attimo di silenzio, poi «sono gay.»
Mi strozzai con la mia stessa saliva, cominciando a tossire come un’isterica, dandomi qualche colpo sul petto.
«Che?» la voce mi uscì più stridula del normale.
No, non poteva essere gay.
Non lui.
Va bene che sarebbe finito in prima pagina, come scoop dell’anno, ma come potevo farlo innamorare di me?
Un trapianto.
Merda.
Tutto il tempo passato con lui sarebbe andato perso?
Cercai di regolare il respiro, ma con scarsi risultati.
«Julie?» richiamò la mia attenzione e mi sentii avvampare.
Mi voltai a guardarlo, aspettando che continuasse «davvero ci hai creduto?» scoppiò a ridere.
Lo fissai allibita, con gli occhi sgranati.
«T-tu non sei gay?» gli puntai il dito contro.
Per tutta risposta mi rise in faccia un’altra volta «volevo vedere come avresti reagito» si lasciò trasportare dalle risate, e per poco non andò a sbattere contro un cassonetto giallo dell’immondizia abbandonato sul marciapiede da chissà chi.
«Vaffanculo» incrociai le braccia davanti al petto.
Si asciugò una finta lacrima «la faccia che hai fatto è stata fantastica» scosse la testa.
Tentai di rimanere seria, ma mi lasciai contagiare, cominciando a ridere a mia volta.
«Almeno ti ho fatto ridere dopo tre giorni» sorrise, fermandosi davanti a casa mia.
Annuii «Grazie» dissi, rimanendo immobile per un attimo e solo poco dopo aprii la portiera e lo salutai con un gesto del capo «per avermi aiutato in questi tre giorni, per il passaggio e per avermi fatto ridere» specificai.
«Buonanotte» disse.
Presi le chiavi, e cominciai a cercare quella per aprire il portone della palazzina.
Adesso ti chiama.
Adesso ti chiama.
«Julie?»
Il mio subconscio prevedeva il futuro? Porco cazzo.
«Si?» mi voltai, fin troppo esaltata.
Rise «domani io e i ragazzi non ci siamo, abbiamo un concerto a Glasgow.»
Mi rabbuiai.
Mi stava praticamente chiedendo di non presentarmi a casa sua; annuii, cercando di nascondere la mia delusione, ma questa sparì quando «vuoi venire?» mi chiese.
Chi sorrisi, scoprendo i denti, per poi annuire felice «mi farebbe piacere.»
Non disse altro, mi salutò con un cenno della mano e un sorriso, per poi mettere in moto l’auto e partire.
 
 
Appena salii in casa mi arrivò un messaggio e sobbalzai appena lo sentii vibrare nella borsa; sullo schermo apparve una foto di Ally, e sotto il suo nome.
 - Torno domani da Manchester, in questi due giorni inviami in ufficio la seconda parte dell’articolo, baci, Al. -
 
L’articolo.
Tirai fuori dal cassetto dell’entrata un blocco per gli appunti e una penna blu, cominciai poi a scarabocchiare qualche cosa, per evitare di dimenticarmela il giorno dopo.
 
- Harry piange quando vede ‘alla ricerca di Nemo.’
- Pensa che le Barbie non siano commoventi (non capisce un cazzo.)
- Ha baciato per errore un ragazzo.
- Non è gay. 
 
 
Erano quattro punti su cui avrei potuto scrivere qualcosa, forse.
Mi buttai sul divano, togliendomi le scarpe, sospirando e rendendomi conto di sentirmi terribilmente stronza.
Sei una stronza, Julie. Ti stai comportando da egoista.
Si, una stronza.
Un’egoista.
 




  
 
 
 



 
 







NNOOW I'M AA WAARIOOOR...

I'm strooonger that ive eveeer beeen.
Boh, io amo questa canzone. Io amo la Lovato.

Ok, mi scuso per il ritardo -che novità cc- ma sono stata impegnata!
Per farmi perdonare, ho scritto il capitolo più lungo del solito :')


Avevo scritto ieri, ma oggi ho pubblicato perchè era uscita una schifezza. Ora fa ancora più schifo..ma non ho potuto fare di meglio D:
Scusatemi v.v
Almeno Harry sta cambiando idea su Julie :')
Ecco l'unica cosa positiva; per il resto fa tutto pena, quindi vado a sotterrarmi in una buca, in stile struzzo.



Anche se non mi cagherete mai..
Mi trovate su Twitter: 
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Come sempre...
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Al prossimo capitolo!

Simo.

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Capitolo 19
*** Concert. ***


 

 
Chapter Nineteen
Concert.

 


La musica fin troppo alta mi rimbombava nella testa, facendola pulsare, ma era in ogni caso una sensazione alquanto piacevole.
Rimasi in piedi dietro la prima quinta, con le mani strette al tendone nero che mi nascondeva dagli sguardi delle fan impegnate a saltare, scuotere le braccia sopra le teste e illuminare l’intero forum con gli schermi dei loro cellulari.
«Tu devi essere Julie» sentii una voce alle mie spalle e mi voltai di scatto.
«Come scusa?» urlai, cercando di sovrastare le note della canzone che stavano cantando in quel momento, per poter sentire la voce della ragazza davanti a me.
«Sei Julie, vero?» alzò la voce anche lei e mi sorrise dolcemente.
Annuii titubante e aggrottai la fronte appena scoppiò a ridere «tu e Harry state insieme?» si avvicinò a me per potermi parlare all’orecchio.
Sgranai gli occhi, poi scoppiai a ridere anche io «No» scossi la testa «siamo -ci pensai- amici.»
Aspettò qualche minuto prima di rispondermi, mi strinse la spalla con una mano e mi sorrise «sono certa che Harry sia interessato a te» disse.
Subito apparve un sorriso da ebete sulle mie labbra e mi si illuminarono gli occhi «dici sul serio?»
Fece un cenno affermativo con il capo, facendo cadere sui suoi occhi delle ciocche di capelli sfuggite dalla coda alta che portava «stareste bene insieme» commentò.
Per poco non mi misi a saltellare per tutte le quinte, ma mi limitai ad annuire felice, voltandomi verso il palco e osservando i ragazzi cantare.

Sentii Zayn terminare un’altra canzone con un piccolo acuto e automaticamente rabbrividii, rendendomi conto che tutti e cinque avevano davvero delle voci splendide e che il successo che avevano raggiunto se lo meritavano.
«Buonasera Glasgow» parlò Louis, che si sedette sul bordo del palco con le gambe a penzoloni scatenando altre urla da parte delle fan al di là delle barriere di ferro «questa serata è davvero speciale per noi» cominciò, voltandosi verso gli altri e incitandoli ad avvicinarsi a lui «perché-» lasciò la frase in sospeso, sorridendo e facendo sclerare ancora di più tutte le ragazze che riempivano il forum «-è iniziato il nuovo tour mondiale!» urlò, portando le braccia in alto e alzandosi in piedi.
Ancora urla, sempre più forti, mi risuonarono nella testa.
«Louis ha ragione» mi voltai di scatto, guardando Harry che aveva preso parola «siamo tutti molto entusiasti del nuovo tour, sento che sarà un anno fantastico, perché voi siete le fan migliori del mondo e-» non finì la frase, si limitò a voltarsi alla sua destra con ancora il microfono quasi appoggiato alle labbra e un piccolo accenno di sorriso sul viso; solo qualche secondo dopo mi resi conto che quello sguardo era puntato su di me e i nostri occhi si scontrarono.
Arrossii, facendogli un cenno con la mano e ricambiando il sorriso, imbarazzata.
Harry rivoltò la testa, tornando a fissare davanti a sé, ma non fece in tempo a riprendere il discorso che intervenne Niall «e vogliamo finire questo nostro primo concerto con-» guardò dietro, facendo un cenno del capo al ragazzo che suonava la batteria e questo partì subito con l’attacco.
Le fan cominciarono a saltare e ad urlare; possibile che avessero capito già la canzone dopo otto millesimi di secondo, dopo qualche nota suonata con la batteria?
Risi, scuotendo la testa, cominciando ad ascoltare quell’ultima canzone e cercando di intonare qualche parola che appariva sullo schermo dietro di loro.
Dopo svariati minuti la canzone terminò, insieme ad altri ringraziamenti da parte dei ragazzi, altre urla e altri pupazzi lanciati sul palco; le luci si spensero, il forum di Glasgow tornò al buio come prima di incominciare il concerto e cominciai ad agitarmi massacrandomi le mani dal nervoso.
«Sono certa che Harry sia interessato a te» ripetei a bassa voce le parole della ragazza di poco prima e mi morsi un labbro; in fondo ci doveva essere un motivo se Harry mi aveva chiesto di assistere a quel concerto, no?
E i momenti in cui si voltava e mi guardava sorridendo?
Dovevano pur avere un significato, no?
 
«Julie!» mi sentii chiamare e voltandomi mi trovai davanti a tutti e cinque.
Sorridendo gli andai in contro «siete stati bravissimi» dissi, tenendo lo sguardo puntato verso Harry e cercando di non far notare il mio imbarazzo.
«Sono felice che ti sia divertita» commentò Niall, sorridendomi e abbracciandomi di getto.
Ricambiai l’abbraccio, continuando però a fissare Harry oltre le spalle del biondo «ragazzi dovete andare a cambiarvi, usciamo prima oggi» esordì un uomo sulla cinquantina, vestito di nero e con un auricolare grigio nell’orecchio.
Tutti e cinque annuirono, ma non tutti mi salutarono per poi dirigersi ai loro camerini, Harry rimase lì.
«Ciao» mi sorrise.
«Sei stato fantastico» mi grattai la testa, imbarazzata.
«Grazie» rise, facendo un passo verso di me «tu sei fantastica.»
Sentii le guance arrossarsi e pizzicarmi «dovresti andare a cambiarti, Harry» mi tremò la voce.
Io gli salterei addosso, per poi stuprarlo.
Continuò a ridere e ad avvicinarsi «lo so» portò una mano sulla mia guancia sinistra e rabbrividii a quel contatto, rimanendo immobile davanti a lui, mi limitai a fissarlo.
«Julie, io-» non finì la frase, solo qualche minuto dopo si decise a chiudere gli occhi e ad annullare la poca distanza che ci divideva, sfiorò le mie labbra con le sue e, con ancora la sua mano appoggiata sul mio viso, le fece combaciare. 
 
 
Un rumore costante mi distrasse e sperai con tutto il cuore che si fermasse, ma poco dopo mi ritrovai costretta ad allungarmi con un braccio per arrivare alla sveglia appoggiata al comodino che continuava a suonare; ancora con gli occhi chiusi tentai di spegnerla, ma mi arresi, gettandola a terra con un colpo secco della mano e sospirando appena questa si fermò.
Mi stiracchiai, portando le braccia dietro la testa, tastando leggermente il muro, e tirando le punte dei piedi sbadigliando.
Aprii piano gli occhi, sorridendo appena e mi guardai intorno; solo qualche attimo dopo sgranai gli occhi.
Harry, il concerto, il bacio.
Mi tirai seduta e incrociai le gambe, ancora leggermente disorientata.
«Era un sogno» sussurrai, con la bocca leggermente spalancata e ancora impastata dal sonno.
Mi alzai da letto, diretta verso il bagno, dove aprii l’acqua della doccia sulla parte più fredda.
Non c’era stato ancora nessun concerto, nessuno sguardo, nessun sorriso e nessun bacio di Harry.
 
 
 

Harry. 

Mi misi la giacca nera che poco prima era appoggiata al bracciolo del divano e afferrai di scatto il cellulare, uscendo poi di casa.
«Ma fai pure con comodo» ironizzò Liam, appoggiato al furgoncino bianco con le braccia incrociate davanti al petto.
Feci una smorfia «in effetti pensavo di entrare e farmi uno spuntino» dissi, sarcastico.
«Io ci sto!» sentii urlare Niall, che aprì la portiera e saltò in piedi.
Lo guardai ridendo, salendo sull’auto «Niall, stavo scherzando» sembrò deluso, ma alzò le spalle e si risedette al suo posto «dobbiamo passare a prendere Julie» aggiunsi, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
Tutti e quattro si voltarono verso di me, guardandomi con occhi spalancati e aggrottando la fronte; alzai le spalle «che c’è?»
«Le hai detto di venire al concerto?» chiese Zayn, allacciandosi la cintura.
Annuii «deve distrarsi o continuerà a pensare alla morte del padre» risposi, giustificandomi.
Louis rise «oppure è perché volevi averla lì con te?» mi tirò una gomitata nel fianco, che ricambiai poco dopo beccandolo sopra le costole.
«L’ho fatto solo per essere gentile» sbuffai «e poi tutta questa vostra negatività sta influenzando il criceto.»
Mi rivolsero altri sguardi confusi «ma non abbiamo un criceto» precisò Niall.
Roteai gli occhi «però voglio comprarlo, ok?» protestai.
«E come lo chiameresti? Criceto?» rise della sua battuta, ma quando tentai di ribattere venni interrotto.
«Vogliamo smettere di parlare di criceti e partire?» intervenne Josh, che ottenne il nostro consenso e mise in moto il furgoncino.
Comunque Criceto è un bel nome per un criceto.
 
Qualche minuto dopo arrivammo sotto casa di Julie.
«Ciao Harry» lei uscì dalla sua palazzina saltellando, felice, e con un sorriso stampato sul viso.
Automaticamente risi «come mai tutta questa felicità?»
Alzò le spalle, stringendo a se la borsa che teneva a tracolla, «niente» rise.
Scossi la testa, divertito, «sali con noi o vuoi aspettare la macchina di Paul e Perrie?»
Mi guardò storto «non so chi siano, ma è uguale» continuò a sorridermi.
Mi tirai una piccola sberla in fronte «giusto» mi scostai i capelli, imbarazzato «allora sali con noi.»
Obbedì, le aprii la portiera e salì.
 
* * *
 
«Vuoi rimanere giù dal palco o dietro le quinte?» sentii Paul rivolto a Julie.
Lei alzò le spalle «cosa cambia?»
«Che sotto il palco puoi rischiare di essere assalita o soffocata dalle fan» intervenni, ridendo.
Lei si voltò, quasi spaventata e rise «non voglio rischiare di morire, quindi scelgo le quinte» disse «tra quanto comincerete?»
Paul si sentì di troppo e si allontanò «mezz’ora e aprono i cancelli» le risposi.
«Non sei agitato?» alzò un sopracciglio «ci sono più di dieci mila ragazzine là fuori, che aspettano di vedervi!»
Risi, annuendo «si che sono agitato, come sempre, ma ho imparato a non darlo a vedere dopo tre anni» mi giustificai.
Si inumidì le labbra, sorridendo e guardandosi intorno «forse è meglio che cominci ad andare dietro il palco» disse, voltandosi leggermente e indicando il tendone blu che copriva la visuale alle fan «non vorrei che mi vedesse qualcuno» si grattò la testa, imbarazzata.
Non riuscii a fare altro se non annuire «ci vediamo dopo» le feci un cenno con la mano e poco dopo si allontanò.
 
«Devo dire che ti facevo più bravo» sentii una voce alle mie spalle e mi voltai.
«Niall» gli sorrisi, rivolgendogli poi uno sguardo confuso, non capendo la sua affermazione.
Alzò le spalle, sedendosi sul bordo del palco con un salto «appena parli con Julie diventi immobile e arrossisci come un ragazzino» scherzò e arrossii veramente.
Gli tirai una pacca sulla spalla «non dire cazzate.»
Lui alzò un sopracciglio «non sto scherzando» rise «ma almeno si vede che ti piace» abbassò lo sguardo.
«Ma a me non piace Julie» lo ammonii subito e per un attimo mi guardò in modo strano, come se non mi credesse «davvero, la trovo una bella ragazza» mi guardai intorno gesticolando «meno pazza di quanto credessi» risi «ma è solo un’amica per me.»
Niall annuì «capisco» rise «solo un’amica?» si alzò.
Feci un cenno affermativo con il capo e poco dopo si allontanò ridendo, feci a malapena in tempo a sentire un suo «se, certo!»
Alzai le spalle, «solo un’amica» ripetei, convinto.
 
 

 
Julie. 

A parte la musica ancora più alta, tutto quello che avevo intorno era identico al sogno fatto quella notte e questo mi rendeva ancora più felice di prima.
Ero in piedi dietro le quinte, che saltellavo leggermente sulle punte dei piedi a ritmo di musica e osservavo le fan che riempivano il forum e queste erano più impazzite di quanto credessi, non smettevano un attimo di urlare e cantare insieme ai ragazzi i testi delle canzoni.
Avevano cominciato il concerto già da un’ora, ma il tempo non sembrava essere passato lentamente, mi piaceva la loro musica, anche perché quella era la prima volta che li sentivo cantare.
«E tu chi sei?» qualcuno alle mie spalle richiamò la mia attenzione.
Mi voltai, quasi spaventata «mi chiamo Julie» risposi alla ragazza bionda che sembrava avere forse qualche anno in meno di me.
Alzò un sopracciglio, poi si illuminò e sorrise «Ah! Ora ricordo» disse, lasciandomi un bacio sulla guancia come se ci conoscessimo da una vita «i ragazzi mi hanno parlato di te» ammise «sono Perrie, la ragazza di Zayn» mi porse la mano, che strinsi piano, ricambiando con un sorriso.
Questa sarebbe quindi la ragazza con cui Zayn ha rapporti sessuali? Quei rapporti sessuali che volevi conoscere?
Risi ricordandomi la domanda che avevo posto a Zayn riguardo i suoi rapporti sessuali con la sua ragazza e mi tappai la bocca, sputando leggermente davanti a me.
Perrie non capì il motivo per cui stavo ridendo, ma non ci fece caso e «sei un’amica di Harry?» mi chiese.
Déjà vu.
Stropicciai gli occhi, rendendomi conto di aver già vissuto quella scena.
Il sogno.
Giusto, nel sogno una ragazza mi aveva fatto qualche domanda su me e Harry; rabbrividii e solo dopo qualche minuto mi resi conto di dover dare una risposta «S-si» balbettai, annuendo e sedendomi su una poltrona dietro al palco, guardandomi poi intorno disorientata.
«E come vi siete conosciuti?» si sedette anche lei accanto a me.
Immediatamente scoppiai di nuovo a ridere, questa volta facendo fatica a fermarmi; ripensai al giorno in cui mi vestii da donna fin troppo matura per poter incontrare Harry al parco.
Poi a quando mi conciai come una ragazza di facili costumi e quando pensai che Harry fosse gay; infine al giorno in cui andai a sbattere contro ad un palo della luce e lui fu costretto a portarmi a casa mia per il sangue che continuava ad uscirmi dal naso e dalla tempia.
Appena finii di ridere riuscii a dire «per caso» con ancora le lacrime agli occhi.
Perrie alzò le spalle, ancora confusa dal mio comportamento «capisco» si limitò a dire, e dopo qualche secondo «tra poco hanno finito» si alzò, pulendosi con le mani la calza a maglia marrone che portava.
La seguii, ascoltando un piccolo discorso che cominciò a fare Niall, dopo aver lanciato la sua bottiglietta d’acqua giù dal palco; Zayn in quel momento si voltò verso di noi e salutò con un gesto del capo la bionda accanto a me, questa in cambio gli mando un bacio.
Mi voltai poi a guardare Harry, intento a guardarsi il bordo della maglietta nera che portava.
Ma che cazzo sta facendo?
Risi, alzando le spalle e appena il riccio alzò lo sguardo sorrisi senza un motivo preciso; si voltò anche lui verso le quinte e mi sorrise.
Mi venne un capogiro; mi aveva sorriso, come nel sogno.
Possibile che avessi le allucinazioni, oppure no?
E se quel sogno fosse stato un segno?
Spalancai gli occhi, illuminandomi e rendendomi conto di quello che avevo appena pensato.
Non mi preoccupavo dell’invito di Harry, dei suoi sorrisi e dei suoi cenni; mi preoccupavo di quando avrebbero finito il concerto.
 
* * *
 
«Buonanotte Glasgow!» urlò Liam, e tutte le luci colorate che poco prima illuminavano il forum si spensero.
 
I ragazzi uscirono dal palco, venendoci in contro.
Notai appena Zayn che abbracciò Perrie e le stampò un bacio sulle labbra, prendendola poi per mano e dirigendola da tutt’altra parte.
Niall mi sorrise «allora?»
Risi «siete bravissimi, davvero» dissi, sincera.
Lui mi ringraziò con un abbraccio, per poi allontanarsi saltellando dopo aver preso a braccetto Liam e Louis.
«Mi stupisci Harry» scherzai, vedendolo ancora lì, davanti a me, con le mani in tasca.
Lui alzò le spalle e rise «ti è piaciuto veramente?»
«Si» annuii «grazie per avermi invitata, davvero, avevo bisogni di distrarmi» alzai le spalle.
«Lo so.»
Calò un silenzio inaspettato e Harry cominciò a dondolarsi sulle piante dei piedi.
Ripensai per l’ennesima volta al sogno, al concerto, ad Harry e al bacio; tutto sembrava così dannatamente reale.
«Devo andarmi a cambiare» mi sorrise, interrompendo quel maledetto silenzio e indicando i camerini alla sua destra.
Annuii, ma «Harry» lo richiamai e lui automaticamente alzò lo sguardo.
«Dimmi» tolse la mani dalle tasche.
Mi guardai intorno, titubante; era successo tutto esattamente come l’avevo sognato, magari era davvero un segno, qualcosa che avrei dovuto fare.
Presa da quest’idea, convinta che fosse qualcosa di giusto, non ci pensai più e feci due passi verso di lui; chiusi gli occhi per evitare di vedere la sua espressione e, come se fosse una cosa normalissima, appoggiai le mie labbra sulle sue.
Ecco, in quel momento tutto era come doveva essere, in teoria.
Rimasi immobile per qualche minuto, pensando che stesse per ricambiare il bacio, che si decidesse ad ammettere che in fondo un po’ gli piacevo, nonostante la vergogna e l’imbarazzo che stavo provando.
Ma fu quando Harry si separò da me con uno strattone, impedendo alle mie mani di posarsi sulle sue spalle, che mi vergognai ancora di più, rendendomi conto di essere stata rifiutata.
 




  
 
 

  
 
 







Juuust give me a reeeason...

Vi do il diritto di insultarmi, picchiarmi, e di smettere di leggere questa penosa storia.
So che ho ritardato tanto, ma in questi giorni non mi veniva in mente nulla da scrivere..questo è il principale motivo per cui il capitolo è uscito una schifezza.
E se devo essere sincera, a parere mio, è uno dei più brutti. Per una volta, ho davvero, ma davvero, paura che non possa piacervi..
Volevo rendere la storia più interessante, per questo ho aggiunto i due bagni -uno nel sogno e uno reale ma respinto- ..ma non mi piace la struttura del capitolo, boh.
Capitemi, sono concentrata sulla scuola anche se con la mante sono già in vacanza!

Detto questo mi scuso ancora e mi dissolvo c.c

So che vi ho lasciato in ansia, ma ormai sapete che lo faccio smepre lol
Ringrazio chi ha recensito, chi non l'ha fatto ma ha letto e chi non ha letto(ma divano?)
No, questa era proprio pessima.
Ringrazio il criceto arancione che voglio comprare ee..perchè ho fatto il titolo rosa? .-.
Io.odio.il.rosa.

La smetto.
Sono su Twitter: 
hugmeHoran69  
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Un bacio,
Simo.

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Capitolo 20
*** Sorry. ***



 

 
Chapter Twelve
Sorry.

 


Strinsi tra le mani la stoffa blu, portandola poi fin sopra la testa.

«Non un'altra volta» protestò Ally, sbuffando e facendosi cadere sul letto, ormai senza pazienza.
Soffocai una risata, senza però muovermi di un millimetro.
«Spero soffocherai lì sotto» tentò, ma rimasi impassibile, sotto le coperte.
In effetti facevo fatica a respirare, ma questa non era una buona ragione per uscire dal letto e tornare alla mia vita di sempre «Julie» si sedette accanto a me «devi alzarti e scoprirti, ora» mi ordinò, ma il suo tono severo andò perso appena mi accarezzò dolcemente i capelli attraverso le coperte.
«No» dissi appena, notando la mia voce leggermente strozzata.
Ally rise, sedendosi sopra di me e facendomi trattenere un urlo di dolore. «Pesi» mugugnai, con gli occhi chiusi e la bocca asciutta 
«mi vuoi rompere una costola?»
«Possibile» disse.
Tentai di spostarla, senza ottenere i risultati sperati; mi obbligò così a spostare il lenzuolo da sopra gli occhi e con la testa appoggiata al cuscino, osservai Ally, seduta sulla mia pancia.
«Non sei felice di poter respirare?» mi chiese e sorrisi, rimanendo nascosta il più possibile.
Finalmente si alzò e si limitò a sedersi accanto a me, «mi vuoi dire perché non vuoi alzarti?» silenzio «è per tuo padre?» la sua voce si affievolì.
Scossi la testa, chiudendo gli occhi e tirandomi ancora una volta la stoffa fin sopra il naso.
«Julie!» mi rimproverò, e con un gesto veloce mi scoprì il viso «allora che cos’è successo?»
Sbuffai «due giorni fa ho fatto un sogno,» cominciai e, vedendola annuire, mi imposi di continuare «così ieri, al concerto, ho-» alzai lo sguardo, mettendomi a fissare il soffitto e aspettando qualche minuto per finire la frase; mugugnai qualcosa e «Harry.»
Ally aggrottò la fronte «che hai detto?»
Sbuffai «Ho -farfugliai ancora- Harry.»
Questa volta fu lei a sbuffare «non ho capito un cazzo, Julie. Ieri al concerto-?» lasciò la frase in sospeso, attendendo un mio continuo.
«Ho baciato Harry» dissi, tutto ad un fiato, tornando sotto le coperte.
Un silenzio imbarazzante piombò tra di noi e per un attimo ebbi paura che Ally se ne fosse andata, troppo stufa di stare lì con me.
Feci capolino con la testa e, dopo aver notato il suo sguardo puntato su di me, ritornai a nascondermi; «non mi guardare così» dissi, lasciando un po’ di saliva sul letto e scoppiando poi a ridere.
«Non capisco perché tu voglia stare qui, allora. Vai da lui, no?» mi chiese, ancora leggermente confusa.
Scossi la testa, per poi togliermi le ciocche di capelli che mi erano entrate in bocca; «non respiro» saltai seduta, prendendo una boccata d’aria e solo poco dopo risposi alla sua domanda «diciamo che-» appoggiai le spalle al muro e mi rannicchiai su me stessa, con le gambe appoggiate al petto «-non ha ricambiato» abbassai lo sguardo.
Notai gli occhi di Ally spalancarsi «si è spostato?» chiese, allibita e io annuii «ok, è gay.»
Alzai lo sguardo e scoppiai a ridere, per poi scuotere la testa piano «no, semplicemente non è interessato da me» alzai le spalle.
«Capisco» rispose Al; alzai un sopracciglio, guardandola storto «che c’è?» mi chiese.
Allargai le braccia «sei la mia migliore amica, dovresti consolarmi» portai il labbro inferiore in fuori, tentando di farle un po’ pena.
Riuscii solo a scatenare ancora risate da parte sua, e «perché dovrei?»
Gli sventolai le mani davanti al viso «Terra chiama Ally. Un ragazzo mi ha rifiutata.»
Si, suonava decisamente male.
Un ragazzo ti ha rifiutata.
Rifiutata. Voce del verbo rifiutare, scostare con fermezza ciò che viene offerto.
Cacciai dalla testa la lezione di grammatica del mio subconscio e tornai allo sguardo accusatorio di Ally.
«Ma era per un articolo, tu non volevi veramente baciarlo, giusto?» cominciò, sedendosi meglio sul letto, incrociando le gambe «Harry non ti interessa veramente, l’hai detto tu. Quindi non ti dispiace che lui ti abbia respinta, dico bene?» rise.
La stronza me l'aveva chiesto apposta?
Rimasi lì impalata, con la bocca leggermente aperta, a fissare Ally davanti a me; solo pochi istanti dopo, mi ricordai di dover respirare.
Sbattei le palpebre qualche volta, cercando di articolare un pensiero e una frase di senso compiuto, ma senza ottenere buoni risultati.
«Io» riuscii solo a dire.
«Si, tu» mi provocò nuovamente la bionda.
Sbuffai, incrociando le braccia davanti al petto e chiedendo mentalmente scusa a Jess e Rosy per averle schiacciate «Io-» ripetei, un’altra volta.
Lei annuì, scoppiando a ridere e cadendo all’indietro sulla schiena; poco dopo si alzò e mi puntò il dito contro «ti piace» urlò «lo sapevo!»
Spalancai gli occhi, mettendomi in ginocchio e abbandonando il caldo che si era formato sotto le coperte del letto «no» l’ammonii immediatamente, ma la mia voce tremante e le guance che cominciarono ad arrossarsi mi tradirono.
«Eccome se ti piace» mi accusò, così mi arresi, sedendomi di nuovo composta, senza fare a meno di tirarle qualche calcio.
Appena finì di ridere si asciugò le guance dalle lacrime.
«Ti sei divertita?» le chiesi, ironica.
Lei annuì «tantissimo» tirò su con il naso «vieni qui» allargò le braccia, aspettando un abbraccio.
«Perché?» chiesi, confusa.
Alzò le spalle «perché il ragazzo dal quale sei stata rifiutata, ti piace, no?» si fermò con le braccia allargate.
Rimasi immobile per qualche istante, guardandomi intorno titubante; poco dopo mi avvicinai a lei gattonando e accettai l’abbraccio, facendomi piccola, avvolta dalle sue braccia.
«Vedrai che sarà solo confuso e che scriverai uno splendido articolo per la prima pagina» mi disse, con le labbra appoggiate sulla mia fronte.
Mi irrigidii leggermente ripensando all’articolo, poi scossi la testa, appoggiata al suo petto, «guarda che non mi piace» precisai, ancora.
«Julie» mi chiamò.
«Mh?»
Sorrise «stai zitta.»
 
 
 

Harry. 

Appoggiai la schiena al muro, portando la testa all’indietro e chiudendo gli occhi continuai a girarmi tra le mani il diario nuovo che mi aveva regalato una settimana prima Julie.
Misi il tappo della penna in bocca, pensando ad un verso da poter aggiungere alla nuova canzone che stavo componendo; sbuffai e, senza idee, misi nel cassetto il quadernetto.
Rimasi lì, immobile, a fissare nel vuoto e quando la porta della mia camera si aprì, sobbalzai, quasi spaventato.
«Posso?»
Sorrisi, annuendo.
Louis si avvicinò a me, sedendosi sul bordo del letto.
«Tutto bene?» mi chiese, guardandomi.
Annuii «benissimo» precisai.
Soffocò una risata «se non ti conoscessi così bene, credere alla stronzata che hai appena detto» commentò.
Mi grattai la testa, imbarazzato, «sono un po’ confuso» ammisi e Louis annuì, in attesa che continuassi «prima Julie sembra interessata a me, poi a Niall e infine mi bacia» sbuffai «non ci sto capendo più nulla.»
Louis sorrise «andiamo, Harry. Anche Niall sa che le interessi tu» disse e automaticamente mi irrigidii «il punto è un altro» mi guardò, attendendo un commento.
«Ovvero?» chiesi.
Alzò le spalle «se piace a te.»
Mi bloccai, cominciando a scuotere la testa «no» dissi appena «non è il tipo di ragazza che di solito mi interessa» risi.
Lui alzò le spalle «appunto» si alzò, lasciandomi una pacca sulla spalla «di solito» ripeté le mie parole.
«Louis» lo chiamai, prima che uscisse dalla camera «cosa vuoi dire?»
Aprì la porta «che se fossi in te, cercherei di conoscerla un po’ di più» e uscì.
 
* * *
 
Suonai alla sua porta di casa più volte, sperando di non dover tornare indietro senza aver fatto quello che dovevo.
Era già tanto se avevo trovato le forze, la voglia e il coraggio di presentarmi lì come se nulla fosse, dopo quello che era successo al concerto del giorno prima.
«Chi scassa i coglioni a quest’ora?» sentii, da dietro la porta, una voce stanca e assonnata.
Risi, «Julie sono le otto di sera e ti ho svegliata?» chiesi, aspettando una risposta.
Un attimo di silenzio «Harry?»
«Non è che potresti aprirmi? Volevo chiederti una cosa» mi massacrai le mani, tirando via qualche pellicina dalle dita.
Nessuna risposta. «Julie?» la chiamai, attirando di nuovo la sua attenzione «sei ancora lì?»
Poco dopo sentii dei rumori strani provenienti dall’interno del suo appartamento.
«Porco cazzo è Harry» la sentii urlare e mi tappai una con una mano la bocca, «vaffanculo sono in pigiama» continuò a parlare da sola «puzzo e ho bisogno di un bagno. Ora» la immaginai camminare avanti e indietro per casa mentre parlava da sola «se arrotolo i pantaloni sembro più sexy magari -un’altra pausa- no, troppo mongola. Merda ho messo troppo profumo» starnutì «no, il raffreddore no. Mi prude il culo, io non apro.»
Tossii «Julie, guarda che ti sento. Sono ancora qui e-» la porta si spalancò.
Julie apparve sulla soglia di casa con il pigiama addosso, la parte destra dei pantaloni ancora poco arrotolata fino al polpaccio, un paio di ciabatte rosa, il viso struccato e i capelli malamente legati in una coda alta.
«Non ero io che parlavo» si giustificò immediatamente «era-» si bloccò, e indicò dietro di sè «il gatto» incrociò le braccia davanti al petto e si appoggiò alla porta.
Scoppiai a riderle in faccia «si, il gatto» annuii.
«Si comporta così perché tutta questa negatività lo influenza molto» annuì convinta, lasciandosi sfuggire un sorriso.
Mi grattai la testa imbarazzato e «Ciao» le sorrisi.
«Ascolta, se dobbiamo parlare di ieri volevo che-» non fece in tempo a finire la frase che la bloccai con un gesto secco della mano.
«No» dissi appena «ti voglio portare in un posto» le dissi tutto ad un fiato, trovando il coraggio che mi serviva per farlo e per non voltarmi e scappare via.
Sembrò sorpresa, poi titubante, «dove?» alla fine chiese.
Scossi la testa «questo lo vedrai» risi «il tuo pigiama è davvero carino, ma non credo che tu voglia uscire in queste condizioni» le dissi.
Scoppiò a ridere, annuendo, «va bene» aprì la porta un po’ di più «entra, qualche minuto e sono pronta.»
 
 

 
Julie. 

Mi misi un paio di pantaloncini a vita alta e una maglietta presa a caso da sotto il letto.
«Sono pronta» andai in salotto, dove trovai Harry seduto sul divano, con il mio computer sulle sue gambe.
Alzò lo sguardo «era acceso» disse «vedo che ti piace davvero scrivere» riportò gli occhi sullo schermo del portatile bianco e mosse il dito indice sul mouse.
Spalancai gli occhi «fermo» lo ammonii subito e mi morsi il labbro.
«Scusa» chiuse il computer «ero solo curioso» alzò le spalle, giustificandosi.
«Cos’hai letto?» diventai rossa in viso e sentii le guance pizzicarmi dall’imbarazzo, immaginandole di un colore più scuro del normale.
«Niente» mi sorrise e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
Rise «avevi detto di essere pronta» mi squadrò, soffermandosi sull’asciugamano che portavo in testa in stile turbante, e che mi ero dimenticata di avere.
Mi guardai intorno, sciogliendolo e facendo ricadere i capelli bagnati sulle spalle «mi sono dovuta fare una doccia» alzai le spalle, cominciando a pettinare con le dita qualche ciocca.
Annuì «ecco perché ci hai messo -guardò l’orologio che portava al polso- un’ora e mezza» mi sorrise senza mostrare i denti.
Spalancai la bocca, «scusami, mi ero dimenticata del tempo e-» tornati imbarazzata, fermando la frase a metà.
«E ti sei messa a cantare in doccia, lo so» rise, alzandosi dal divano.
Mi tappai la bocca con una mano «dio, mi hai sentito?» risi appena annuì «scusami» mi guardai intorno, cercando la borsa e trovandola poco dopo.
«Invece canti bene» scherzò, «andiamo?»
Annuii, prendo le chiavi di casa e provando un piccolo brivido appena una ciocca di capelli, bagnata, finì nello scollo della maglietta.
 
 
«Ti ammalerai, dovevi asciugarti i capelli» disse, guardandomi per un attimo, per poi tornare a fissare la strada davanti a sé.
«Si papà, hai ragione» scherzai e poco dopo dovetti interrompere il silenzio che si era formato tra di noi e che stava diventando sempre più insopportabile e imbarazzante. «Mi dici dove stiamo andando?»
Scosse la testa.
Passò qualche minuto in cui la musica alla radio era l’unica cosa che mi impediva di sentirmi ancora più in soggezione.
Sbuffai, «almeno mi dici, perché ci stiamo andando?»
Lo vidi irrigidirsi con la coda dell’occhio, e automaticamente strinse le mani sul volante, fermandosi al semaforo diventato subito rosso in pochi secondi.
Alzò le spalle «mi annoiavo oggi» mentì.
Annuii «poteva farti compagnia il mio gatto» dissi appena l’auto ripartì. Feci un respiro profondo, pronta a parlargli della sera prima, «Harry, io-» mi bloccai un’altra volta.
«Siamo arrivati» esordì, quasi urlando.
Parcheggiò sul marciapiede e scoppiai a ridere appena scese dalla macchina e mi aprì la mia portiera con fare da cavaliere.
«Ammettilo Harry» dissi e lui mi guardò con sguardo confuso, chiudendo la macchina e riponendo le chiavi nella tasca dei suoi jeans neri «ti sei drogato.»
Rise, scuotendo la testa lentamente «volevo solo essere gentile» si giustificò.
Alzai le spalle e annuii «si, ti sei drogato.»
 
* * *
 
«Dimmi che posso aprire gli occhi o torno a casa e uccido il mio gatto.»
Lo sentii ridere e per l’ennesima volta ebbi la tentazione di togliere la mano dagli occhi e guardare dove stavo mettendo i piedi, «giuro che se inciampo un’altra volta nei miei stessi piedi ti meno,» dissi «con il gatto.»
«Sei tanto affezionata al tuo gatto, lo nomini ogni otto secondi» mi fece notare.
In effetti aveva ragione «si chiama Picenino» fu la prima cosa che mi venne in mente.
Harry non fece in tempo a farmi ulteriori domande sul mio gatto che urlò «apri gli occhi» e mi fece sobbalzare.
Spostai la mano dagli occhi, sbattendoli leggermente tentando di abituarmi alla luce che per vari minuti mi era mancata.
Risi «Primrose Hill?» chiesi, entusiasta.
Harry mise le mani in tasca e scrollò le spalle, «ci sei mai venuta? Quando voglio scrivere canzoni vengo qui, e se non c’è molta gente mi sento ispirato» commentò.
Qualcos’altro per l’articolo c’è.
Rabbrividii solo al quel pensiero «non ho mai visitato Londra anche dopo tre anni» ammisi, spostando il mio sguardo al cielo che cominciava a diventare più scuro.
Harry mi prese alla sprovvista, «vieni» disse, cominciando ad avviarsi su per la collina.
Risi «chi arriva ultimo paga da bere» urlai, cominciando a correre come una disperata, sentendo i capelli, ormai asciutti, spostarsi con il vento dietro le spalle.
«Non è giusto» mi ammonì, rincorrendomi a fatica.
La salita sembrava non finire più e, con il fiatone, mi voltai indietro a vedere se Harry era per caso caduto a terra, rotolato giù o morto sul colpo.
«Dove s-» mi bloccai, vedendolo accelerare e poco dopo mi sorpassò. «Brutto bastardo» urlai, rallentando e sentendo male ai piedi «non è leale» gli puntai il dito contro, mentre continuava a correre.
«Cos’è, sei stanca?» si voltò, continuando a correre più piano, all’indietro e portando fuori il labbro inferiore.
Lo fissai con uno sguardo da omicida, prendendo a correre un po’ più piano dell’inizio «dovevi farmi vincere» urlai, sentendo il cuore martellarmi nel petto, come se volesse scappare.
«E perché avrei dovuto?» detto questo si rivoltò, arrivando in cima alla collina.
 
Pochi minuti dopo lo raggiunsi.
«Stronzo» gli lanciai addosso una scarpa, che poco prima mi ero tolta.
Rise, buttandosi a terra e chiudendo gli occhi, anche lui con il fiatone.
«E’ stata tua l’idea di correre, e mi devi da bere» si alzò sui gomiti e mi sedetti accanto a lui, incrociando le gambe.
Sbuffai «il caso ha voluto che dimenticassi i soldi a casa» alzai le mani.
Rise, scuotendo la testa, senza ribattere un’altra volta.
«Dio, è bellissimo» commentai, guardando davanti a me Londra, da in cima alla collina.
«Già» lo sentii dire, ma non mi voltai a guardarlo.
Tornò il silenzio.
Fatti forza, mangia una banana, colora di giallo un cocomero e parlargli del bacio. Ce la puoi fare, Julie.
Aveva ragione, ce la potevo fare, ma di banane e cocomeri nessuna traccia, neanche si un fruttivendolo.
Non ti fa ridere la parola cocomero?
Sbuffai, ignorando la vocina sottile che continuava ad insidiarsi nella mia testa, feci un bel respiro e dissi la prima cosa che mi venne in mente. «Perché mi hai voluto portare qui? Non hai paura che i qualche fotografo ci veda insieme?» chiesi, con un tono un po’ troppo acido 
«non vorrei che ti credano pazzo perchè esci con una come me.»
Spalancò gli occhi, sedendosi composto.
«Scusa» dissi subito, abbassando lo sguardo. Non fece in tempo a rispondere che «scusa anche per ieri sera Harry. Non avrei dovuto -mi bloccai, arrossendo- fare quello che ho fatto» mi limitai a dire «ero solo felice di essere venuta al concerto, non volevo metterti in imbarazzo. Capisco che non sei affatto interessato a me» cominciai a straparlare «non che tu mi interessi è, era solo per dire. Il punto è che ero presa dall’entusiasmo, e poi si è inserito anche il sogno fatto la notte prima, avevo un mal di testa terribile e-» venni fermata.
«Julie» rise «calmati, è tutto a posto» tentò di farmi smettere di parlare.
«E’ ovvio che non ti interesso, dai» alzai le mani al cielo, come se ormai stessi parlando da sola o con il mio gatto «chi si interesserebbe ad una come me -una risata isterica- ma comunque non mi importa, anzi. Ma che cazzo sto dicendo? Quando sono nervosa comincio a dire cose senza senso, scusa.»
«L’avevo capito» rise.
Che minchia fa? Sfotte pure?
Annuii «scusa.»
«Hai mai notato che non fai altro che scusarti?»
Spalancai gli occhi. Non ci avevo mai fatto caso, «Dio è vero, scusa» arricciai il naso «scusa la smetto» sbattei un pugno a terra, lo guardai con un sorriso da ebete stampato sulle labbra e «scusa» ripetei un’altra volta.
Scoppiò a ridere, sdraiandosi sulla schiena e fissando il panorama davanti a noi, mentre le ultime persone che poco prima erano nelle vicinanze cominciavano a prendere i loro teli e tornare a casa.
«Non c’è bisogno che ti scusi» mi confortò.
Mi sdraiai a mia volta, cercando di mantenere le distanze, imbarazzata.
Scossi la testa, «non avrei dovuto» mi imposi di non ricominciare a parlare senza smettere.
«Facciamo che ci dimentichiamo tutto quanto?» si voltò a guardarmi e fui costretta a cambiare direzione del mio sguardo per non incrociare i suoi occhi, fin troppo vicini ai miei.
Annuii «Va bene» lo vidi poi portare le braccia dietro il collo e chiudere gli occhi.
Sospirai di sollievo.
 
Cominciai poi a pensare al discorso fatto con Ally quella stessa mattina.
No che Harry non mi piaceva, nemmeno un po’.
In quel momento ero lì con lui solo per scrivere un buon articolo e fare carriera come giornalista. Nient’altro.
Non ero interessata ad Harry.
Ok, forse una briciola.
Di muffin, o cannelloni al sugo.
Dolce o salato?
I dilemmi che ti rovinano la vita sono proprio questi.
Tornai seria, abbandonando quei pensieri, «Harry» lo chiamai.
«Mh?»
Voltai lo sguardo, teneva gli occhi chiusi, così mi permisi di guardarlo per qualche secondo, ridendo quando notai i suoi capelli ricci sparsi sulla fronte e schiacciati sul prato.
«Dimmi» aprì gli occhi e spalancai la bocca quando sorrise, consapevole che lo stessi guardando come un’ebete.
Scossi la testa e, ridendo, tornai ad appoggiarmi a terra. «Sai cos’è la cosa più divertente di tutta questa storia?»
«Quale?» mi chiese, confuso.
 
«Che io non ho un gatto.»

 




  
 
 

  
 
 






Wee don't know wheere to goo...

Ormai mi avete già ucciso, non ha senso chiedervelo di nuovo.
So di aver ritardato moltissimo, ma mi ero presa una pausa dallo scrivere e spero di non rifarlo, anche se non c'è nulla di sicuro.
Pensavo che con l'estate, senza la scuola tra le palle, avrei potuto scrivere più spesso; mi sbagliavo, anzi, praticamente non sono mai a casa e quando ci sono non faccio altro che dormire come una mongoplettica.
Quindi: scusatemi, davvero.
Anche per il capitolo merdoso, ma ormai a questo siete abituate c:
Spero non abbiate abbandonato questa storia, o mi dispererò...ma me lo sono meritato u.u

Ok, passiamo alla storia in generale: un grazie enorme a 
@hjsdjmples / hjsdjmples per il meraviglioso banner che mi ha fatto c:
Rigurado al capitolo, ci tengo a salutare una persona: CIAO CHIARA barra CLARE.
AHAHAH so che stai leggendo e le devo i crediti per il nome del suo gatto: 'picenino.'
E' l'unico nome che mi è venuto in mente AHAHAH :') 

La smetto.
E' un capitolo un po' di passaggio, per questo non mi piace..spero di continuare presto.
Spero.
Credo.
Prego.

Un'ultima cosa c:
Ho cambiato nome -sto aspettando la conferma dell'admn di efp in realtà- e, sia qui che su twitter, non sarò più con questo nickname.
Basta, mi dissolvo.
Un bacio,


Come ho detto ottantaquattro(?) volte, mi trovate su:


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Capitolo 21
*** Friends. ***


 

 

Chapter Twenty-one
Friends.

 

 

Cominciai a camminare avanti e indietro per il mio ufficio, ogni tanto mi toglievo qualche pellicina dalle dita e poi sbuffavo guardando l’orologio che portavo al polso.
Solo l’idea che nell’ufficio accanto Ally stava leggendo la seconda parte dell’articolo che avevo scritto insieme al secondo capo di redazione mi stava rendendo terribilmente nervosa.
Appena bussarono alla porta sobbalzai, cominciando a sentire le guance arrossarsi e mi imposi di respirare tranquillamente; con un sorriso stampato in faccia andai ad aprire, ma mi rabbuiai appena mi ritrovai davanti una bionda tinta con il naso, gli zigomi e le tette rifatte.
«Che bella giornata Julie, non trovi?» sbuffai appena Cindy cominciò a parlare.
Appoggiai le mani sui fianchi e mi appoggiai alla porta rischiando poi di cadere all’indietro. Mi ricomposi e «ora che ho aperto questa porta non lo è più» mi trattenni dal tirarle i capelli e farci un barbecue.
Lei rise e la sua risata metallica mi risuonò nelle orecchie, facendomi fare una smorfia.
«Se cerchi degli spilli non sono la persona adatta a te» le dissi.
Lei mi guardo con la fronte corrugata, «Per che cosa?»
Le indicai la faccia «per scoppiare un po’ di quella roba che ti hanno iniettato sotto le guance» le sorrisi senza mostrare i denti e chinando leggermente il capo da una parte.
Cindy spalancò la bocca, per poi richiuderla immediatamente e posare le mani sui fianchi, visibilmente incazzata; poco dopo sorrise, fingendo di non aver sentito. Peccato che con la sua faccia non potesse sorridere senza far alzare un sopracciglio, arricciare il naso e far traballare l’occhio sinistro.
Le scoppiai a ridere in faccia e aggiunsi un «ora sono impegnata» la spinsi di lato e mi avviai con passo svelto verso l’ufficio di Ally.
 
 
La porta era aperta e riuscii a sentire la voce di Al che parlava con il mio secondo capo.
«Julie con questo pezzo nuovo rivoluzionerà la rivista; non si parlerà solo di donne anziane poco famose che sono rimaste incinta di chissà chi, o di moda» la sentii dire «Harry Styles e la sua band stanno avendo un successo impressionante, inizieranno un tour mondiale tra qualche mese, e questo articolo è perfetto per farci conoscere anche in tutta la Gran Bretagna» alzò leggermente la voce e sentii una piccola risata, poi uno spostamento di fogli.
«Non sapevo che Julie Hyde scrivesse pezzi anche di questo genere» la voce dell’uomo risuonò nell’ufficio e feci un verso simile ad una smorfia, continuando poi ad ascoltare, «e devo dire che mi piace il suo modo di scrivere e le cose scoperte su Harry, sulla band, riusciranno ad attirare l'attenzione anche delle ragazze di età inferiore» commentò, «è davvero grandioso» concluse.

Esultai appena, facendomi dei complimenti da sola e presi un bel respiro, pronta ad entrare.
Prova a sdrammatizzare, farai una bella figura.
Annuii, spalancai la porta e «parlando di cose grandiose» quasi urlai, facendo un ingresso di scena.
Sia Ally che il signor Benson mi guardarono confusi.
«Mi riferivo a me» mi indicai, spiegando cosa intendevo poco prima e sentii le guance arrossarsi.
Ally tossì leggermente, tentando di farci uscire tutti da quella situazione imbarazzante; in quel momento bestemmiai contro il mio subconscio e giurai di sentirlo ridere.
E poi da quando gli davo retta?
«Bene, il mio lavoro, qui, è finito» Benson prese la sua valigetta di pelle marrone e, prima di uscire dall’ufficio, si rivolse a me «signorina Hyde le consiglio meno battute. Le restano poco più di dieci giorni e l’articolo andrà in stampa e verrà pubblicato in una delle prime pagine» si sbatté la porta alle spalle senza darmi il tempo di dare una risposta.
«Ce la posso fare» mi dissi «ce la faccio» ripetei, poi alzai lo sguardo verso Ally e con una faccia terrorizzata aggiunsi «no che non ce la faccio.»
Lei rise, venendomi in contro e lasciandomi un bacio sulla fronte. «So che scriverai un articolo perfetto, Julie.» mi sorrise.
Annuii, cercando di darle retta, eppure Harry non sembrava minimamente interessato a me, se non come amici.
Sbuffai «Siamo solo amici e quando parlo con lui mi blocco» sbuffai.
Ally sorrise «perchè ti piace» scherzò.
La incenerii con lo sguardo e «fottiti» sputai, per poi lanciarle un bacio immaginario e farla ridere. «Anche tu con tutti i tuoi fidanzati non riuscivi a parlare e ti bloccavi?» le chiesi, sedendomi e tenendo le mani appoggiate alle ginocchia.
Lei alzò lo sguardo e cominciò a camminare per il suo ufficio prima di darmi una risposta. «In realtà noi non parlavamo mai ma-» si bloccò e scoppiò a ridere «giocavamo a scacchi. Tante, tantissime partite a scacchi» mentì.
Mi coprii la faccia con le mani, trattenendo una risata e scuotendo la testa. E prima di prendere la borsa e dirigermi fuori dalla società aggiunsi un «quanto sei idiota.»
 
 

 
Harry. 

Sbuffai un’altra volta, continuando a dondolarmi sulla sedia e rischiando di cadere a terra.
«-eppure sono stato bene» terminai il discorso iniziato poco prima.
Solo quando non ottenni nessuna risposta o commento alzai lo sguardo, notando Louis seduto davanti a me con lo sguardo abbassato su una rivista e una penna stretta in mano.
«Però vedo Julie solo come un’amica, ecco» dissi, infine, senza ricevere segnali dal più grande. «Louis? Mi stai ascoltando?»
Quasi spaventato alzò lo sguardo verso di me e mi guardò confuso. «Come scusa?»
Mi tirai una sberla in fronte alzandomi dalla sedia, «ti stavo chiedendo un consiglio su Julie, ti ho fatto un discorso di mezz'ora» alzai le mani al cielo, incredulo «pensavo stessi prendendo appunti» indicai poi la penna che aveva in mano.
Louis sospirò, appoggiando la rivista e aggiunse un «scusami, stavo facendo un test su questo giornale per scoprire quanto so ascoltare gli amici» mi sorrise.
Sgranai gli occhi «mi stai prendendo per il culo?» risi «mi hai fatto parlare da solo senza ascoltarmi» sbuffai. Non afferrò il concetto e aggiunsi un «lascia perdere.»
Mi voltai, diretto alla cucina, quando mi fermò «comunque, da uno a dieci quanto mi dai?»
Aggrottai la fronte, per poi avvicinarmi a lui con passo spedito, afferrargli la rivista e gettarla nel cestino della spazzatura.
«Lo prendo come un otto e mezzo» lo sentii urlare quando ormai ero entrato in casa.

 
«Secondo me dovreste continuare ad uscire» commentò Liam, mettendo in bocca un’altra manciata di popcorn e cambiando canale con il telecomando, soffermandosi su un cartone animato.
Annuii «e se poi pensa che voglio essere più di un amico per lei?»
Lui si voltò a guardarmi e poi alzò le spalle, «se è quello che pensi e la vedi solo come un’amica non puoi fare altro che dirglielo. Non credo che sia morto nessuno per essere uscito qualche volta con un’amica» rise.
Annuii «hai ragione» gli sorrisi, alzandomi. Almeno Liam mi ascoltava e non passava il tempo a fare strani test trovati su delle riviste.
«Esco con un’amica» dissi, più a me stesso «esco con un’amica» ripetei e salii le scale entrando in camera mia.
Presi il cellulare e composi il numero di Julie.
«Pronto?» sentii.
Tenni il telefono tra la spalla e l’orecchio mentre mi infilavo un paio di jeans «Ciao Julie sono Harry, volevo-» venni interrotto dalla stessa voce che poco prima aveva risposto e che scoppiò a ridere.
«Ci siete cascati, vero?» rise ancora «non sono in casa, quindi lasciate un messaggio dopo il bip -una pausa- Ah, se sei il tizio che abita sotto di me e che rompe sempre i coglioni, hai sbagliato numero. Merda.» e suonò il segnale acustico.
Scoppiai a ridere e ricomposi il suo numero di cellulare, sbuffando appena ripartì la segreteria telefonica.
Alzai le spalle, presi le chiavi della macchina da sopra il comodino e scesi di nuovo le scale saltando qualche scalino e, rischiando di cadere per terra, uscii di casa.
 
 
 

Julie. 

Rimasi sdraiata sul divano anche dopo che suonarono alla porta e decisi di alzarmi solo quando il campanello non si fermò un attimo.
«Ma vi sembra il caso di disturbare a quest’ora di notte?» aprii la porta, facendo fatica a tenere gli occhi aperti e lasciandomi sfuggire uno sbadiglio.
Ok, diciamo che non era proprio notte, ma dopo cena mi era venuto sonno e avevo semplicemente fatto riposare gli occhi per qualche minuto.
Una risata conosciuta mi risuonò nella testa e mi impose a nascondermi il viso con le mani. «Scusa, stavo dormendo» mi giustificai.
Harry rise, «chissà perché ma l’avevo intuito.»
Gli sorrisi, rimanendo impalata a fissarlo come un’idiota in pigiama, aspettando che mi chiedesse qualcosa.
Alla fine che cazzo era venuto a fare?
Rimase per qualche attimo in silenzio, per poi guardarsi intorno e aggiungere un imbarazzato «ti va di venire in un posto?»
Annuii titubante, sfregandomi la faccia ancora leggermente assonnata «mi vesto e arrivo» gli feci cenno di entrare.
«Non metterti tacchi o cose del genere, anzi, porta delle calze» rise, sedendosi su uno sgabello della cucina e guardandomi avviarmi verso il corridoio.
Mi voltai e lo guardai confusa «prima di tutto io tifo Converse e poi -una pausa- calze?» risi.
Lui annuì «le più belle che hai» esordì.
Scoppiai a ridere e prima di entrare in camera urlai un «prenditi di bere se vuoi.»
 
* * *
 
Dovevo smettere di fidarmi di Harry Styles ogni volta che si presentava a casa mia con un «ti porto in un posto,» specialmente se poi aggiungeva di portare delle calze come se fosse la cosa più normale al mondo.
Sbuffai, guardandomi intorno e cercando di capire dove ci eravamo cacciati.
«Se mi vuoi uccidere portandomi in una via buia, per poi seppellire il mio corpo in un parchetto ormai sconosciuto, ti prego di avvisarmi. Vorrei prepararmi psicologicamente alla mia morte e-» cominciai a straparlare ma venni immediatamente fermata da Harry.
«Siamo arrivati e, no, non ti voglio uccidere» commentò, per poi specificare con un «almeno non adesso.»
Mi sforzai di ridere «simpatico.»
Si era ormai fatto tardi e buio, così non notai Harry che era intento ad aprire una porta di vetro davanti a noi con delle piccole chiavi che teneva in mano.
«Che stai facendo?» spalancai gli occhi «non stiamo rapinando una banca, vero? Dove hai preso le chiavi? Dove siamo?» cominciai a fargli domande «perché siamo qui? Hai per caso un furetto?»
Appena alzò lo sguardo le due porte si aprirono; Harry rise e scosse la testa, mi fece entrare e poco dopo mi seguì.
 
 
«Sto cercando di capire quanto tu sia pazzo da uno a dieci» scherzai.
Automaticamente una piccola luce sopra di noi si accese e mi permise di guardarmi intorno.
«Se ci beccano ci arrestano?» spalancai gli occhi.
Harry si voltò a guardarmi, mi sorrise e appena aggiunse un «si» secco, spalancai gli occhi.
«Siamo dei fuori legge allora» mi esaltai «che bulli» risi.
«Scommettiamo che ora ti batto?» si sedette su una sedia di plastica rossa e cominciò a slacciarsi le scarpe marroni che portava.
Spalancai gli occhi, guardando poi di fronte a me. «Davvero intendi giocare?»
Alzò le mani in alto come se fosse la cosa più ovvia al mondo, «cosa pensavi di fare ad una pista di bowling?»
Giusta osservazione.
Alzai le spalle «che so, magari lavorare a maglia» risi, sedendomi accanto a lui e togliendomi le scarpe. «Ma cosa servono le calze se dietro al bancone ci sono le scarpe per il bowling?» aggrottai la fronte.
Harry si alzò in piedi e cominciò a correre per la pista a malapena illuminata, «per fare questo» si lasciò infine scivolare e allargò le braccia per tenersi in equilibrio.
Scoppiai a ridere e indossai il paio di calze che avevo messo in borsa e camminai verso la pista strisciando i piedi e rischiando di cadere.
Vidi Harry fissarmi i piedi e tossire.
«Che c’è?»
Non riuscì più a trattenersi dal ridere e si piegò in due, tenendosi la pancia con le mani; solo pochi minuti dopo si rialzò e si asciugò le lacrime che gli bagnavano le ciglia.
«Hai detto tu che dovevo portare le mie calze migliori» sbuffai, fingendomi offesa e appoggiando un piede sopra l’altro strofinandoli appena.
«Mi immaginavo delle calze semplici. Non-» le guardò un’altra volta «-a macchie bianche e nere con il muso di una mucca davanti» rise «sono terribili.»
Alzai le spalle «sono le mie preferite» commentai «e non sono a macchie. Si dice muccate.» misi il broncio e afferrai una palla arancione infilando nei tre buchi le dita.
«Spostati dalla pista o te la lancio addosso» lo minacciai sorridendo.
Alzò un sopracciglio e non si mosse, «tanto non lo farai» poggiò le mani sui fianchi.
Annuii, presi la rincorsa e, senza prendere la mira, lanciai la palla.
Ok, diciamo che non mi aspettavo di colpirlo, e nemmeno sfiorarlo.
«Porca puttana» imprecò, tenendosi il piede e cominciando a saltellare.
Quella volta fui io a scoppiare a ridere «chi è quella con le calze terribili?»
Non rispose, mi venne in contro zoppicando e prese una palla fucsia da uno dei contenitori. «Davvero molto virile» lo presi in giro.
Abbassò lo sguardo sulla palla che teneva in mano e che poco prima stava per lanciare, «precisiamo che il fucsia è un colore mascolino tanto quanto il blu. Ok?»
Risi, annuendo per non deluderlo. «Come no» commentai a bassa voce.
Harry portò il braccio all’indietro e lanciò la palla, facendo poi cadere cinque birilli «ti ho sentito» portò fuori dalla bocca la lingua.
Risi, «peggio dei bambini» afferrai un’altra palla, facendo andare direttamente negli spazi vuoti laterali. Sbuffai «pretendo le protezioni in pista che ti fanno andare la palla dritta» protestai.
Il riccio rise, pronto per il suo turno nonostante il tabellone dei punti fosse spento e gran parte del bar dietro la pista ancora al buio; «quelle protezioni le richiedono i bambini dai cinque ai dieci anni» precisò.
Sbuffai, pestando i piedi a terra e rassegnandomi, già consapevole che non sarei mai riuscita a tiare dritto nemmeno una volta.
«Vogliamo fare una scommessa?» urlò Harry venendomi in contro.
Poggiai le mani sui fianchi, «chi fa strike vince.»
Lui annuì «e chi perde fa un favore all'altro» commentò e acconsentii, con un sorriso bastardo stampato sulle labbra.
Harry afferrò la quarta palla, questa volta rosa, e dopo essersi concentrato la lanciò. Un solo birillo rimase in piedi.
«Se li fai cadere tutti, hai vinto» mi disse, sedendosi «ma non ci sono le protezioni.»
Gli feci un verso, poi riappoggiai a terra la palla che poco prima avevo preso e non feci a meno di notare lo sguardo confuso di Harry.
Cercando di essere più normale possibile camminai per tutta la pista, rischiando di scivolare qualche volta, e appena arrivai davanti ai birilli mi voltai.
«Non ci provare, Julie» si alzò di scatto, «sei sleale» rise.
Alzai le mani in alto «non avevano stabilito le regole» e con un colpo secco della mano feci cadere tutti e dieci i birilli.
«Pronto per la penitenza?»

 
 
 

Harry. 


Sospirai per l’ennesima volta, stringendo le mani sulle sue gambe e sbuffando.
«Siamo quasi arrivati» esultò Julie facendo penzolare i piedi.
Mi voltai a guardarla cercando di sembrare arrabbiato, ma non mi riuscì appena scoppiai a ridere e rallentai ancora di più il passo, ormai stanco.
«Peso così tanto?» finse un broncio, rimanendo seduta sulla mia schiena.
Scossi la testa «ma hai vinto barando» la accusai.
Julie rise ed evitò di rispondere subito. «Forza, più veloce» urlò, poggiando le mani sui miei capelli.
Mi irrigidii leggermente e forse le parvi leggermente sorpreso di quel gesto; abbassò le mani e le riportò sulle spalle.
«E ora devi dire che ami le mie calze» esordì, portando i piedi in alto rischiando di farci cadere entrambi a terra sbilanciandoci e facendomi osservare i suoi piedi per l’ennesima volta.
Risi e scossi la testa. «Questo non lo farò mai» mi opposi.
«Devi farlo, fa parte della penitenza» sbuffò.
«No, mai» urlai e cominciai a correre meglio che potevo.
Era ormai sera tardi e le poche persone che stavano camminando per i marciapiedi ci guardavano confuse e osservavano Julie urlare e ridere allo stesso tempo.
«Fermati» urlò, «così mi fai cadere» rise, «ti sei per caso immedesimato in Edward Cullen?»
Quella volta fui io a scoppiare a ridere e mi fermai davanti a casa sua con il fiatone. «Se ci fosse il sole vedresti la mia pelle brillare, non ne sei onorata?» l’appoggiai a terra.
«Ma anche no» rise, cercando nella borsa che teneva a tracolla le chiavi di casa sua.
Non risposi e la osservai mentre apriva la porta; un silenzio alquanto imbarazzante ci avvolse.
Tossii leggermente, «mi sono divertito» tentai.
Julie annuì «anche io» si grattò la testa imbarazzata, «ci sentiamo domani?»
Acconsentii con un cenno della testa «buona notte.»
Anche con il buio riuscii a notare le sue guance tingersi di rosso appena si alzò in punta di piedi e mi lasciò un piccolo bacio sulla guancia, per poi sorridermi.
Imbarazzato quanto lei mi voltai, salutandola con un cenno della mano.
«Harry?» mi chiamò e mi voltai, «sono felice di essere tua amica» alzò le spalle con un sorriso sincero sul viso.
Annuii, «amici» ripetei, sorridendo.
«Amici.»

 




  
 
 

  
 
 






Caause I don't waanna lose you noow...

Ciao popolo(?)
Il titolo azzurro smorto azzecca perchè collegato al capitolo che ho scritto. 

Credo che questo sia uno dei più brutti che io abbia scritto, l'ho riletto una cinquantina di volte e, di sicuro ci saranno errori, me lo sento, e non mi ha mai convinto.
Lo dico perchè è anche questo di passaggio, voglio prima far 'frequentare' Harry e Julie come amici, non mi piace nè scrivere nè leggere quelle storie in cui si conosco e..SBAM. Scopano come conigli, litigano, si amano, si sposano e lei muore partorendo(?)
Ho scritto anche un po' di cazzate, lo so..ma era per rallegrare la situazioen deprimente, capitemi :')
Beh, almeno ora quei due non si odiano come all'inizio, ma... no, non posso più dire nulla c':

Credo che lo scorso capitolo non sia piaciuto molto, speravo di rimediare con questo ma..boh, in questo periodo non sono ispirata e, ad essere sincera, faccio fatica adesso a scrivere qualcosa su Harry e una ragazza.
Larry is the way lol
Non uccidetemi, ok? ok.
La smetto di rompere che è meglio c:
Ora sto ancora aspettando che efp muova il culo e mi dia risposta per cambiare nome, come su twitter -non sono più hugmeHoran69, ma dontletmeboo.-

Un bacio,

Per la ventordicesima(?) volta, mi trovate su:

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Simo.

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Capitolo 22
*** Lover. ***


 

 

Chapter Twenty-two
Lover.

 

 

Premetti il tasto salva del documento, e questo finì nella sua cartella. «E’ tutto finito» richiusi il portatile.
Non ti senti un po’ in colpa, Julie?
Avevo finito l’articolo, dovevo semplicemente rileggerlo, aggiungere qualcos’altro e sarebbe stato pronto.
Poco più di una settimana e tutta Londra lo avrebbe visto; avrebbe letto tutto quello che avevo scritto, su Harry e i ragazzi, quelle cinque persone che avevo totalmente ingannato per poter fare carriera.
Avevo mentito, spudoratamente.
Era ovvio che non mi sentissi in colpa, nessun rimpianto, non avrei voluto tornare indietro e poter sistemare le cose sin dal principio, certo che no.
Ok, forse ero stata un po’ stronza.
Poco.
Forse un po’ tanto.
Diciamo che i senti di colpa mi stavano lentamente mangiando viva, ma questi sono quelli che più comunemente chiamo dettagli irrilevanti.
 
Appoggiai sul tavolino davanti al divano il computer portatile che era rimasto sulle mie gambe per due ore e che cominciava a scottarmi le cosce.
«Ora cucino qualche wurstel sulle mie gambe» sbuffai, posizionandomi davanti al ventilatore e ridendo come una ritardata appena la mia voce risultò metallica. «Io essere un robot» dissi, avvicinandomi ancora di più alle pale che giravano ad una velocità assurda e che mi facevano andare i capelli dietro le spalle.
In quel momento mi squillò il cellulare appoggiato al bracciolo del divano e lo afferrai solo dopo aver ascoltato per qualche secondo la suoneria, imponendomi di non cominciare a ballare, o non sarei più riuscita a fermarmi.
Perché, diciamolo, io ho un talento innato per il ballo e non lo dico solo io, ovvio.
Non sai ballare.
Beh, in realtà ho stile ma non mi so applicare nel ballo, ecco.
Mi ricordai poi del cellulare e risposi. «Telefono della signorina Julie Hyde, desidera?» cambiai leggermente la voce, che risultò un po’ più acuta del normale.
«Chi parla?» la voce di Niall dall’altro lato del telefono mi prese alla sprovvista.
«Sono-» mi bloccai e ci pensai un attimo «-la sua assistente. Posso riferire un messaggio da parte sua? La signorina Julie è altamente impegnata al momento.»
Niall sbuffò, «ciao Julie.»
Cazzo.
«Ciao biondino» ci rinunciai, buttandomi di nuovo sul divano a peso morto.
Niall rise, per poi tornare immediatamente serio «c’è un codice rosso.»
Aggrottai la fronte «è morto qualcuno?»
«Diciamo che è arancio» specificò.
«Qualcuno è in ospedale?» chiesi, allora, allarmata.
«Giallo.»
Sbuffai «chi si è fatto male?»
«Verde.»
«Stiamo giocando a strega comanda colore, Niall?» commentai.
Lui rise, e lo immaginai scuotere la testa, poi sospirò. «Harry sta impazzendo e ho bisogno di te» disse, infine.
«Oddio, cos’è successo?» mi alzai in piedi e cercai con gli occhi le scarpe, trovandole pochi attimi dopo accanto alla porta d’entrata.
«Non lo so, ma ti prego, vieni ad aiutarlo» mi supplicò e lo disse con un tono leggermente preoccupato, strano.
Presi la borsa, le chiavi e uscii subito di casa, «sto arrivando» attaccai poi la telefonata e per fare prima scesi le scale di corsa fino al piano terra, già preparandomi a complimentarmi con me stessa per non aver preso l’ascensore.
Dieci chili li hai persi di sicuro con due rampe di scale, certo.

 
 
 

Harry. 

Ricominciai a girare per casa mia con passo affrettato, sentendo il cuore battere a velocità anormale.
«Mi ricordo di averlo visto qui l’ultima volta» sbuffai, ribaltando per l’ennesima volta i cuscini del divano.
«Ti prego, Harry. Dimmi cosa stai cercando, posso aiutarti» intervenne Niall e giurai di notare della frustrazione nel suo tono di voce.
«Torna pure a casa Niall, è una questione di vita o di morte, ma riguarda solo me» tornai in cucina, dove mi misi ad aprire e a chiudere tutti i cassetti pieni di posate, bicchieri e piatti, «neanche qui» corsi in camera da letto e cominciai a rovistare tra i comodini e nei cassetti dell’armadio a muro.
«Io vado, dovrebbe arrivare Julie tra poco» sentii parlare il biondo nell’altra stanza, ma non ci feci più di tanto caso, buttandomi a terra in un colpo secco e guardando sotto il letto.
 
Pochi minuti dopo suonarono alla porta.
«Liam, se Niall ti ha detto che sto impazzendo, ti assicuro che è per una buona causa. E comunque-» aprii la porta e mi bloccai, confuso, non trovando il più grande davanti a me.
«Harry» mi sentii chiamare e buttare all’indietro, ritrovandomi poco dopo abbracciato a Julie, con le sue braccia strette al collo. «Stai bene, sei vivo» strinse ancora di più la presa, affondando il viso nei miei capelli.
«Si, ma non per molto se non mi fai respirare» dissi, con il fiato corto.
Julie si separò immediatamente da me, imbarazzata, e potei notare le sue guance più scure del solito. «Scusa, ma Niall-» mi guardò in modo strano, «aspetta, stai bene?»
Alzai le spalle, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Julie si tirò una sberla in fronte, «devo uccidere il biondo, dov’è?» disse con un tono leggermente incazzato «mi ha fatto prendere un infarto, Harry.»
«Perché?» risi.
«Cazzo ridi?» mi ammonì e immediatamente tornai serio, «mi ha detto che stavi male, sono corsa fin qui pensando di ritrovarti mezzo morto, sdraiato per terra con la bava sul mento e le convulsioni.»
Spalancai la bocca, poi la richiusi.
«Ah, forse Niall si riferiva a quello che stavo facendo» le spiegai.
Notò poi la casa dietro le mie spalle, i cuscini del divano erano tutti per terra, il tappeto capovolto e ogni cassetto aperto e svuotato.
«Stai facendo il cambio di stagione dei -si guardò intorno- bicchieri?»
Risi, scuotendo la testa, «stavo cercando una cosa e, se non la riesco a trovare entro un’ora, morirò,» le spiegai «per questo stavo impazzendo.»
Mi guardò sgranando gli occhi «hai perso il cellulare?»
Feci di no con la testa.
«Il portafoglio?»
Negai.
«Le chiavi della macchina?» tentò di nuovo.
Sbuffai, «no, ancora più importante.»
«Il tuo quaderno?»
Ok, quello era importante ma, «no.»
«Oddio, che cos’hai perso Harry?» mi chiese, sconvolta.
Mi sedetti sul bracciolo del divano, «so che potrà farti male ma-» cominciai, guardandola negli occhi e notando il suo sguardo ancora più preoccupato di quando era entrata in casa credendomi morto. «Ho perso-» cominciai.
Lei mi guardò in attesa di una risposta, «mi stai spaventando, Harry.»
«Mister Bob» mi morsi una mano, trattenendo le lacrime e tirai su con il naso.
Julie fece per obbiettare, ma «chi?» chiese, poi.
Sgranai gli occhi, «Bob?» nulla, possibile che non lo conosceva? Tutti conoscevano Bob.
«Chi cristo è Bob?» sbraitò.
Sbuffai, «orsacchiotto? Pelo morbido e coccoloso? Orecchie dolci? Sguardo tenero?» le diedi degli indizi.
«Stai parlando di un pupazzo?»
Alzai le mani, «e chi se no? E poi Mister Bob non è un comune pupazzo» le feci una smorfia.
Ci fu un attimo di silenzio.
Poi, «Harry?» rimase impalata davanti a me con le braccia tese lungo i fianchi.
«Mh?»
Mi sorrise dolcemente, «fatti curare.»

 
 
 

Julie. 

Non ero incazzata con Harry, insomma, alla fine mi aveva solo fatto morire preoccupata perché pensavo avesse perso la cosa più importante al mondo quando, invece, stava semplicemente cercando un orsetto di peluche.
«Non è neanche qui» Harry sbuffò un’altra volta, buttandosi sul divano e cominciando di nuovo a piagnucolare.
Lo guardai scuotendo la testa, «poi sarei io quella pazza» mi sedetti accanto a lui, «Harry è solo un pupazzo» cercai di tranquillizzarlo.
Alzò la testa e mi fissò negli occhi con uno sguardo omicida. «Ti ripeto che Mister Bob non è un semplice pupazzo» lo disse con un tono visibilmente incazzato.
Alzai le mani in segno di resa, mettendomi comoda sul divano, «intanto che cerchi il tuo orso, io dormo.»
Ci fu un attimo di silenzio, poi sentii il riccio sbuffare e alzarsi, «si chiama Bob» e ricominciò a girare per casa sua.
 
Poco dopo non sentii più nessun rumore, aprii gli occhi e non trovai Harry intento a cercare il suo pupazzo.
«Harry?» lo chiamai, alzandomi.
Che fosse morto davvero, quella volta?
Non rispose, così salii le scale, diretta in camera sua. «Harry?» la porta della sua camera era socchiusa, mi avvicinai in punta di piedi e trattenni il fiato finché, dopo aver cercato di guardare all’interno, spalancai la porta.
«Questa volta sei morto veramente?» urlai, bloccandomi però poco dopo sulla soglia della camera.
Feci per dire qualcos’altro, aprii la bocca ma la richiusi immediatamente.
«Perché dovrei morire?» scherzò, sistemando le magliette che poco prima erano sparse per terra nei loro appositi cassetti.
«Scusa» abbassai lo sguardo, poi lo rialzai e lo riabbassai di nuovo.
Sentii la risata di Harry rimbombarmi nelle orecchie, «puoi guardare, Julie» sbuffò, scegliendo poi una maglietta bianca e beige, «in realtà pensavo fossi uscita, ho trovato Bob e dovevo fargli il bagno» mi sorrise e mi indicò l’orsetto seduto sul suo cuscino.
Lo guardai titubante, rimanendo a fissare per un attimo l’asciugamano che teneva legato in vita.
«Forse» mi bloccai, mordendomi l’interno della guancia, in imbarazzo «dovrei andare» indicai poi dietro di me, verso la porta.
Harry annuì, infilandosi la maglietta che aveva preso poco prima e scuotendo la testa, facendo cadere qualche goccia dai ricci bagnati.
«Si, vado» ripetei, mai rimasi lì, immobile.
«Ok» sorrise, mentre si infilava un paio di jeans stretti.
Mise prima una gamba, fece un balletto alla Shakira, saltellò per tutta la stanza e infine riuscì a indossarli.
Risi, «ok, allora vado» dissi, rendendomi conto di aver ripetuto quella frase milioni di volte. «Posso usare il bagno?» aggiunsi, voltandomi.
«Fai pure» mi indicò la porta in fondo al corridoio e io annuii.
 
Aprii il rubinetto del lavandino e mi sciacquai il viso più volte, sospirando, e appoggiando le mani sul bordo del mobiletto lì accanto.
Mi guardai allo specchio, facendo una faccia inorridita dopo aver visto il mio aspetto.
Bagnai poi le mani, chiedendomi perché continuavo ad avere il fiatone.
«Sono stupida» sbuffai.
Sei innamorata.
«Ha solo un fisico della madonna, non rompere i coglioni» sputai, asciugandomi le mani.
Non sei capace di accettarlo, ma Harry ti piace.
Mi tolsi involontariamente una scarpa. «Se non stai zitto mi costringi a picchiarti» lo minacciai.
Dovresti tirarti scarpate in testa, Julie.
Si, forse aveva ragione.
Mi rimisi la scarpa, alzandomi in piedi e rivolgendomi un’altra volta allo specchio.
«Essere innamorata di Harry» risi come un’isterica «ma fatemi un piacere» sbuffai. «E’ un ragazzino egocentrico, antipatico, stronzo» cominciai a prepararmi un elenco mentale di insulti, «però è carino» scossi la testa «ma che cazzo sto dicendo?» parlai con il mio riflesso, «quei ricci sono belli, ha un viso tenero. E vogliamo parlare dei tatuaggi che-» mi bloccai, guardandomi intorno come se qualcuno mi avesse sentito. Davvero stavo dicendo quelle cose?
«Oh porca puttana.»

 
 
 

Harry. 

Finii di spalmare la maionese sulla fetta di pane e prosciutto, pulendomi poi le mani con uno straccio e pensando di farne uno anche a Julie.
Era chiusa in bagno da un quarto d’ora e, sinceramente, iniziavo a preoccuparmi; feci per chiamarla, quando suonarono alla porta e andai ad aprire.
«Harry» mi sentii nominare appena aprii.
Sorrisi, «ciao Paul.»
«Niall e Zayn mi hanno detto che eri a casa tua, posso entrare?»
Scossi leggermente la testa, titubante, e socchiusi la porta alle mie spalle, «possiamo parlarne qui?»
«C’è qualcuno in casa?» aggrottò la fronte e, facendo finta di nulla, mi appoggiai con la schiena al muro, incrociando le braccia davanti al petto.
«No, ma perché entrare se c’è bel tempo?» tentai e lui annuì.
«Vado dritto al punto, sai come sono» mi sorrise dolcemente «chi è Julie?»
Guardai da un’altra parte per un attimo, per poi tornare a fissare Paul.
Alzai le spalle, «una mia amica.»
«Sono uscite un po’ di vostre foto sui giornali della città. Su Primrose Hill, la sera scorsa a notte fonda-» lo bloccai con una mano.
«Paul, hai detto di andare dritto al punto» sbuffai.
Lui annuì, «ti chiedo solo un favore, Harry» rimasi in attesa che continuasse «se c’è qualcosa tra di voi, dillo.»
Aggrottai la fronte, scuotendo la testa e cercando di obbiettare. «Se esci con lei di nascosto peggiori ancora di più la situazione, lo sai.»
«Ti ho detto che siamo solo amici» ripetei.
Paul annuì, stanco, «ma sappiamo tutti che prima o poi gli amici-» non lo feci finire.
«Perché non mi ascolti? Non la sto frequentando, usciamo solo per divertirci» cominciai «non è il tipo di ragazza che mi piace, e una storia con qualcuno, in questo momento, è l’ultima cosa che sto cercando.»
L’uomo davanti a me annuì, «fai attenzione, sai come funzionano queste cose,» detto questo si voltò e con una pacca amichevole sulla spalla mi salutò.
 
Sospirai e, scuotendo la testa, mi voltai per rientrare in casa.
Spalancai gli occhi quando mi ritrovai di fronte a Julie.
«Harry» mi rivolse un falso sorriso, aggrottando le sopracciglia e mordendosi il labbro.
Aprii la bocca, poi la richiusi, cercando qualcosa da dire. «Da quanto sei qui?»
«Abbastanza.»
Si sistemò la borsa in sballa e «devo andare» abbassò il viso a terra e uscì dalla porta, camminando verso il cancelletto di metallo.
«Julie, aspetta» tentai, seguendola con passo spedito.
Lei si voltò di scatto e il nastro che poco prima le legava i capelli cadde a terra.
«Lascia stare Harry,» rise «mi chiedo anche perché me la stia prendendo così tanto» alzò poi le mani in alto.
Cercai di protestare, ma continuò a parlare. «Sono solo una stupida» annuì, come per convincersi.
«Perché lo saresti?» le chiesi, «Julie, davvero, non sapevo che stessi ascoltando.»
Scosse la testa, chiudendo gli occhi, «non sei tu che devi scusarti.»
«Si, invece. Tu sei quella senza colpe,» dissi, certo.
Rise un’altra volta, e mi chiesi cosa c’era di così divertente in tutto quello.
Non mi rispose, si limitò a voltarsi e aprire il cancello; rimase immobile per qualche minuto, con lo sguardo fissò sull’erba, per poi rialzarlo verso di me.
«Sai qual è la cosa più divertente, Harry?» chiese, ancora con un sorriso triste stampato sulle labbra.
La fissai, in attesa che continuasse, confuso.
«Che mi sono innamorata di te,» alzò le spalle e chiuse il cancello.

 




  
 
 

  
 
 






A moment, a love. A dream, a laugh...

Amatemi se posto ora.
Odiatemi se posto ora.
Fate quello che volete, insomma lol
Ho dovuto per forza obbligarmi a scrivere a postare il capitolo perchè domani parto e sto via una settimana, non potevo essere così stronza e lasciarvi in attesa ancora sette giorni c.c
Ci ho messo una vita e mezzo per scrivere questo capitolo, non mi piace, so che ho scritto di meglio, ma pace e amen. Tanto ormai siete diminuite tantissimo :c
Non so se è perchè sia estate e in molte sono in vacanza, ma vedere che un capitolo da 50 recensioni fa fatica ad arrivare a 30..è frustrante. Credo di avere qualcosa che non va. Si, sto disimparando a scrivere.

Coomunque...
come già detto, di sicuro dovrete aspettare una settimana. Scrivere il prossimo capitolo e postarlo da blackberry risulterebbe un pochino complicato .-.
E mi ucciderete perchè vi ho lasciato in questo modo u.u
Ma :) io :) vi :) amo :)
AHAHAHA ok, detto questo..mi dissolvo che ho fame :')
Un grazie a Chiara che mi sopporta sempre con i miei scleri quando non so cosa scrivere e se continuare uu
In effetti ho anche avuto la tentazione di eliminare la storia.

La smetto, come sempre 

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Un bacio, Simo.
 

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Capitolo 23
*** Surprise. ***



 

Chapter Twenty-three
Surprise.


 

 

Strinsi ancora una volta tra le mani i tulipani bianchi che avevo comprato pochi minuti prima e continuai a camminare sullo sterrato, finché non raggiunsi la tomba di mio padre
Mi inginocchiai davanti alla pietra grigia e bianca che, nonostante fosse estate, era fin troppo fredda; mi ritrovai seduta per terra, ad appoggiare i fiori sotto la piccola cornice con la sua foto.
«Ciao» sorrisi, sistemando i fiori secchi che molto probabilmente qualcuno aveva lasciato lì, forse per sbaglio. «Sono io, tua figlia Julie» continuai a parlare da sola, incurante delle persone che passavano di lì e che mi osservavano, forse con uno sguardo pieno di compassione, pena.
Dopo qualche minuto di assoluto silenzio mi alzai, mi spolverai leggermente i jeans che portavo e mi voltai, «sto diventando pazza, ora parlo anche da sola» scossi la testa e mi allontanai a passo lento, senza voltarmi.
Appena salii in macchina cercai il cellulare nella borsa e lessi un messaggio che non avevo notato.

-Benson è sempre più entusiasta dell’articolo terminato, appena torno a Londra festeggiamo. Non vedo l'ora di vedere il tuo articolo in copertina. Al–

Sbuffai per l’ennesima volta, appoggiando la testa e la schiena al sedile e chiudendo leggermente gli occhi, lasciando che il senso di colpa mi invadesse. Di nuovo.
Ci pensai più di una volta, per poi riafferrare il telefono e comporre quel numero, che ormai conoscevo a memoria; appena non scattò la segreteria telefonica persi un battito.
Possibile che quella volta mi avrebbe risposto nonostante sapesse che a chiamarla ero io?
Cominciai a sperarci, mordendomi il labbro dall’ansia.
«Pronto» sentii, dall’altro capo del telefono.
Il cuore mi saltò in gola e respirai lentamente prima di continuare a parlare, «ciao mamma.»
«Julie» sussurrò il mio nome, «cos’è successo?»
Finsi una risata «possibile che deve succedere sempre qualcosa? Non potevo semplicemente voler parlare con mia madre?» alzai leggermente il tono.
Ci fu un attimo di silenzio, «va bene, ora devo andare o ritarderò.»
Non feci in tempo a dire altro e rimasi qualche attimo con il cellulare ancora attaccato all’orecchio.
Sbuffai, scuotendo la testa e chiedendomi perché mi ero illusa di poterle parlare.
Ripensai ad Harry, al giorno prima, a come me n’ero andata e a come non sarei più tornata da lui; avrei pubblicato l’articolo, lui non si sarebbe più fatto vedere e ognuno sarebbe andato per la propria strada.
Aspettai qualche minuto prima di mettere in moto l’auto e allontanarmi dal cimitero di Londra.
Avevo bisogno di distrarmi, avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, che non mi facesse sentire sola.
Avevo bisogno di un amico.
 
Dopo aver passato venti minuti ad imprecare contro il traffico e le auto parcheggiate in doppia fila, arrivai davanti a casa sua.
Sperai di trovarlo in casa e, morsicandomi il labbro, suonai ancora una volta il campanello, fino a quando la porta in legno non si aprì.
«Julie» mi sorrise, e non feci a meno di notare il suo sguardo sorpreso.
Infilai le mani nelle tasche dei pantaloni, «Niall.»
«Che cos’hai?» aggrottò la fronte.
Alzai le spalle, guardandolo negli occhi «ho bisogno di un abbraccio» gli sorrisi debolmente, consapevole di starmi comportando in modo infantile.
In ogni caso non mi rise in faccia o chiuse la porta, sorrise e allargò le braccia; mi avvicinai a lui e appoggiai la testa sul suo petto.
Fu nel momento in cui le sue braccia mi strinsero che mi accorsi di aver ignorato per tutto quel tempo un amico. E scoppiai in lacrime.

 
  

Niall. 

«Vuoi qualcosa da bere?» chiesi, ancora, porgendole anche una coperta.
Mi guardò sorpresa, «è estate» tentò di ridere e mi imposi di sorridere a mia volta, cercando di non continuare a guardarla con sguardo preoccupato.
«Allora» cominciai, e mi sedetti accanto a lei, a terra, appoggiando la schiena al bracciolo del divano «Cos’è successo?»
Ci fu un attimo di silenzio, in cui Julie non fece altro che massacrarsi le dita e strapparsi qualche pellicina; alzò le spalle e «ho detto ad Harry di essere innamorata di lui.»
Spalancai la bocca, poi la richiusi.
Ok, diciamo che non era proprio quello che mi aspettavo.
Non risposi per un attimo, cercando di pensare qualcosa da dirle, fino a quando Julie non si voltò a guardarmi; mi grattai la testa, imbarazzato e aggiunsi un «e lui?»
Si lasciò sfuggire una risata, seguita poi da una piccola smorfia e poco dopo appoggiò il mento sulle ginocchia, «non ha fatto niente» sospirò.
Sgranai gli occhi «che cosa ha fatto Harry?»
«Sono corsa via» alzò le spalle.
«E non ti ha fermata?» risi, sorpreso, e lei scosse la testa in segno di negazione. «Che testa di cazzo che è» sbuffai.
Julie scoppiò a ridere, «non era obbligato a farlo.»
«Ma» cominciai, voltandomi verso di lei «so che ad Harry piaci, Julie.»
Si illuminò appena, sorridendomi, «te l’ha detto lui?»
Mi morsi il labbro e scossi la testa «no, ma» cominciai, notando il suo sorriso scomparire, «si capisce da come ti guarda, non usciva con la stessa ragazza da mesi» tentai di rassicurarla.
«Quindi di solito le vede solo una notte?» storse il naso.
Mi tirai una sberla in fronte, «no» mi affrettai a contraddire i suoi pensieri «non era quello che volevo dire» sbuffai, «ma ad Harry piaci, fidati» le presi le mani tra le mie, stringendole appena.
«Grazie Niall» mi diede un piccolo bacio sulla guancia, «ma se fosse stato così, ieri mi avrebbe fermata» alzò le spalle, fissandomi con sguardo malinconico.
«Vedrai che cambierà idea.»
Non mi rispose. Si limitò ad appoggiare la testa sulla sua spalla e a chiudere gli occhi appena appoggiai piano le labbra sulla sua fronte.
 
«Ti va di guardare qualcosa in tv?» le proposi.
Julie si sdraiò sul divano, strinse le gambe al petto e annuì, sorridendo.
Mi alzai e «so cosa ti potrebbe piacere» mi illuminai, mettendomi in piedi sul mobiletto di legno e alzarmi sulle punte dei piedi per prendere i quattro cd sulla mensola più alta.
«Sei basso, biondo» scherzò, e le feci la linguaccia appena riuscii ad afferrare il cofanetto e a scendere dal mobile senza rompere nulla.
«Cosa mi fai vedere?» si allungò e prese il gelato appoggiato sul tavolino di cristallo davanti al divano in pelle.
«Ti avviso che questa è una serie triste» la preparai, inginocchiandomi davanti al lettore dvd e inserendo il primo episodio.
Julie annuì, «tanto per rimanere in tema.»
Forse avrei dovuto cercare un film più divertente, magari uno comico, ma quella era la serie più bella al mondo, come avrei potuto non fargliela vedere?
Una serie così emozionante, commovente ed energica allo stesso tempo. La mia preferita, da sempre.
Mi lanciai sul divano, accanto a lei, e le rubai una cucchiaiata di gelato, per poi premere play sul telecomando e appoggiare i piedi sul tavolino.
«Silenzio, inizia.»
Annuì e partì la sigla.
«Niall?» mi chiamò, dopo pochi minuti, quando ancora apparivano i nomi dei doppiatori in basso allo schermo.
«mh?» rimasi con gli occhi incollati sullo schermo, nonostante sentissi il suo sguardo puntato su di me.
Aspettò un attimo, sospirò e «davvero stiamo guardando le winx?»
«Certo che sì» l’ammonii.

 
  

Julie. 

Sbuffai un’altra volta, finendo il gelato e rimanendo con il cucchiaio in bocca.
Niall mi strinse il braccio, sempre di più.
«Niall, così mi blocchi la circolazione» lo ammonii, cercando di staccare le sue dita strette intorno al mio polso, ma senza risultati.
«Ma non posso» piagnucolò, tenendo lo sguardo fisso sul televisore, dove vedevo due mostri cadere a terra, sconfitti dalle cinque fate.
O sei.
Che cazzo ne potevo sapere?
«Bloom ha finalmente sconfitto le malvagie Trix» tirò su con il naso «guarda» mi indicò lo schermo «ora arrivano gli specialisti.»
Annuii, cercando di assecondarlo, nonostante non capissi che cazzo stesse farneticando. «Si, hai ragione tu.»
«O mio dio» urlò, alzandosi in piedi.
Mi guardai intorno, spaventata «cosa succede?»
Niall non rispose, si limitò a scoppiare a piangere e a risedersi sul divano, abbracciandomi.
Cercai di capire, poi notai l’inizio dei titoli di coda.
Sospirai, «fammi indovinare» risi «piangi per Bloom e Sky che si sono abbracciati dopo il combattimento?»
Niall annuì, rimanendo incollato a me in stile cozza, «si amano da morire.»
Appena finì di piangere si asciugò gli occhi, «perché tu non piangi?»
Alzai le mani, «è troppo commovente e le lacrime sono talmente tristi da non poter uscire» ammisi, rendendomi poi conto della cazzata appena detta.
«Si, prendimi pure in giro» tirò fuori il cd, «intanto è un episodio commovente.»
«Certo» gli diedi ragione, «mi è piaciuto un sacco, peccato che sia finito» finsi.
Niall si girò a guardarmi con uno sguardo strano. «Però» alzò la voce, «sei fortunata.»
All’inizio non capii, poi «perché ci sono antri ventisette episodi che ci aspettano» alzò in aria i quattro cofanetti.
Rimasi a bocca spalancata.
«Io li so a memoria, ma li riguardo solo perché sei tu.»
Mi grattai la testa, «tranquillo, se non vuoi guardarli fa niente» tentai.
«Ma io voglio guardarli» disse, e tentai un sorriso «lo faccio per te» commento.
Alzai il pugno in aria con una lentezza snervante «evviva.»
 
 
Quattro ore dopo avevo visto tutte le serie delle winx.
Avevo visto Niall piangere per quattro ore, e ancora mi chiedevo quante lacrime avesse in corpo.
Tirai un sospiro di sollievo appena la sigla finale partì a massimo volume, «che peccato.»
«Se vuoi rimanere per le puntate extra, fai pure» mi sorrise.
Sgranai gli occhi, alzandomi da divano e scoppiando a ridere «credo che andrò a casa, scusa.»
Si alzò a sua volta dal divano, aprendo la porta d’ingresso e sorridendomi, «sono felice di tu sia passata da me» alzò le spalle.
Annuii, «ti ringrazio» dissi, e lo abbracciai.
Mi lasciò un piccolo bacio sulla guancia e uscii, stringendo la borsa in spalla e percorrendo il vialetto di casa sua, fino ad arrivare al marciapiede.
«Julie» mi chiamò, urlando.
Mi voltai.
«Conosco Harry» mi sorrise «vedrai che le cose si sistemeranno.»
Gli sorrisi debolmente, annuendo e voltando l’angolo, diretta al parcheggio lì vicino, dove c’era la mia auto.
Camminai con passo lento, ripensando alle parole di Niall.
Era vero, Niall di sicuro conosceva Harry meglio di me; ma se si fosse sbagliato quella volta?
Non credevo che le cose si sarebbero sistemate.
Era logico che Harry non si sarebbe più fatto vivo, avevo solo commesso un errore dicendogli quello che provavo; ormai ero totalmente certa che non voleva più vedermi o sentirmi.
In fondo aveva ragione, non aveva nessuno motivo per tornare da me.
Il cellulare che tenevo nella tasca dei jeans vibrò appena e mi scosse dai miei pensieri.
«Ciao Al» risposi, tirando fuori dalla borsa le chiavi della mia auto, mentre tenevo il cellulare tra la spalla e l’orecchio.
«Julie» disse «domani torno a Londra, in ogni caso devi andare in ufficio e dire al signor Benson che può pubblicare l’articolo, rimane solo il tuo consenso da dare.»
Mi bloccai, rimanendo immobile sul marciapiede, incurante dei passanti che mi fissavano pensando fossi impazzita.
«Julie? Sei ancora lì?»
Annuii, nonostante non potesse vedermi. In fondo non avrei più avuto contatti con Harry, avrei potuto semplicemente pubblicare l’articolo e sparire, non l’avrei più rivisto. Mai più.
Presi un respiro profondo e, «puoi farglielo sapere tu?»
«Posso chiamarlo, lo faccio ora?»
Mi morsi il labbro.
Non ti vuole più vedere, Julie. Non hai nulla da perdere.
«Si,» dissi semplicemente «può pubblicare l’articolo.»
 
Sospirai, chiudendo leggermente gli occhi e aspettando che il semaforo rosso scattasse sul verde, per poter attraversare la strada.
Hai fatto la cosa giusta, non lo rivedrai più.
Per una volta il mio subconscio aveva ragione.
Forse.
Il rumore di un clacson mi fece soppalcare e spalancai gli occhi, ritrovandomi davanti un pick-up blu con i finestrini oscurati.
Porco cazzo, ti vogliono rapire.
Aggrottai la fronte, cercando di vedere chi c’era alla guida dell’auto e appena il finestrino si abbassò rimasi a bocca aperta.
«Harry.»
Era seduto al posto di guida, e mi sorrise, tirando gli occhiali da sole in testa e scoprendo gli occhi.
«Vuoi restare lì impalata ancora per molto o sali?» rise.
Sgranai gli occhi, «io?»
Scosse la testa, «no, la signora cinquantenne al supermercato qui di fronte» disse, e solo poco dopo capii la sua ironia, «si, tu.»
«E dove andiamo?»
Si allungò ad aprire la portiera, «non te lo dico.»
Risi, salendo sull’auto e allacciandomi la cintura; Harry mise in moto e tirò di nuovo su il finestrino.
Qualche minuto dopo insistetti di nuovo, «vuoi dirmi dove stiamo andando? E perché?» scoppiai a ridere di nuovo.
Scosse di nuovo la testa «ci andiamo perché devo stare fuori città» cominciò «secondo Paul, a Londra c’è una giornalista che mi sta perseguitando e che scriverà scandali su di me» scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
Spalancai gli occhi, rimanendo col fiato sospeso.
«Quindi non mi faccio vedere in giro per un po’» rise.
Sta parlando di te, Julie.
Perché ovviamente mi serviva l’illuminazione del mio subconscio per arrivarci, logico.
«Stai bene?» mi guardò.
Annuii, tentando un sorriso.
«Comunque il viaggio è lungo, mettiti comoda» rise, riabbassando gli occhiali da sole «e riguardo al posto» disse «è una sorpresa.»
Aspettai qualche secondo prima di, «pensavo non volessi più vedermi» commentai, in imbarazzo.
Rimase con lo sguardo fisso sulla strada per un po’, per poi voltarsi verso di me e sorridermi. «Questo mai.»
E io avevo appena dato il consenso per pubblicare l’articolo.

 




  
 
 

  
 
 




And we daaanced all night...

Finalmente ce l'ho fatta.
Ho ritardato un po' più del previsto, ma alla fine sono riuscita a pubblicare c:
So che vi ho di nuvo lasciato con suspance ma ormai è il mio hobby farlo ouo AHAHAHA
E purtroppo, se il capitolo non sarà letto da tutte le persone che lo seguono, vi toccherà aspettare due settimane per il prossimo :c
Se faccio in tempo cercherò di pubblicarlo prima di lunedì il prossimo, perchè poi parlo e sto via quindici giorni *si nasconde* ora mi uccidete u.u
Vi dico solo che da adesso in poi succederanno delle cose belle lol
Aspettavo questa parte dall'inizio :')

Spero di non avervi deluso con questo capitolo, davvero. E mi scuso se ci sono stati errori D:
E vorrei specificare una cosa, perchè forse sono stata fraintesa: io non mi sono affatto lamentata per le 'poche' recensioni, nello spazio autrice del capitolo precedente.
A quanto pare sono stata fraintesa, ma capita..
Ho semplicemente fatto notare che sono diminuite, ma non che non le apprezzi. Anzi c:
Ne approfitto per chiedere scusa se appunto non rispondo alle recensioni. Questo perchè quando le leggo sono sempre con l'ipad e risulta difficile scrivere da lì cc
Quindi vi ringrazio qui, tutte quante, una ad una.

La smetto di fare la ragazza dolce u.u ahaha 
Come sempre:

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Un bacio, Simo.
 

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Capitolo 24
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Chapter Twenty-four
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«Siamo arrivati?» chiesi, continuando a guardare fuori dal finestrino il cielo che, da azzurro, era diventato più grigio.
«No» sbuffò Harry.
Annuii, appoggiando i piedi scalzi sul cruscotto della macchina. «E ora?» tentai un’altra volta.
Harry si voltò verso di me, «è la quinta volta che me lo chiedi nel giro di dieci minuti» protestò.
«Hai ragione, scusa» dissi, «è che voglio sapere dove mi stai portando» mi giustificai, appoggiando la testa al finestrino.
Lui rise e ripartì appena il semaforo scattò sul verde.
Passò qualche secondo, in cui cambiai stazione radio, e «siamo arrivati?»
Non mi rispose, si limitò a nascondere un sorriso da ebete stampato sulle labbra.
«Tra poco inizierà a piovere,» anche lui osservò il cielo.
Annuii, «Già. Ma siamo arrivati?»
Questa volta scoppiò a ridere, ma non rispose, rimanendo in silenzio per qualche minuto. Solo dopo aver accostato la macchina se ne uscì con un «ora siamo arrivati,» spense l’auto «più o meno.»
Aggrottai la fronte, aprendo la portiera e poggiando i piedi a terra; immediatamente le mie scarpe furono ricoperte da uno strato di fango e non feci in tempo a chiedere spiegazioni sul suo ‘più o meno.’
«Merda» imprecai, cercando di uscire dalla pozzanghera e sentendo di nuovo le risate di Harry, «e ride» sbuffai, accusandolo.
Mi venne in contro, evitando le pozzanghere di fango.
«Dove mi hai portato? Siamo in un bosco?» riflettei, «mi vuoi uccidere? Io lo sapevo che mi volevi uccidere» piagnucolai, pregando che le mie vans non si fossero rovinate troppo.
Il riccio scosse la testa divertito, «muoviamoci o facciamo tardi, mancano ancora venti minuti di strada.» 
Lo seguii con lo sguardo, «e come-» non feci in tempo a finire la domanda che Harry tolse il telo nero che ricopriva il retro del pickup. 

Sbattei le palpebre più volte, inorridita da quella visione.
«Stai scherzando» risi, riuscendo ad allontanarmi dal fango e cercando di pulire le scarpe con dei fazzolettini di carta.
«Oh no,» con entrambe le mani tirò giù la prima bicicletta e l’appoggiò a terra.
Cominciai a balbettare, andandogli incontro e scuotendo la testa. «Harry, no» protestai.
«Julie, si» fece per prendere anche la seconda bici, «non possiamo arrivarci dalla strada, passiamo per questa scorciatoia.»
Rimasi a fissarlo con gli occhi spalancati. «Ma io non so andare in bici» mi morsi il labbro, grattandomi poi la testa, in imbarazzo.
Alzò lo sguardo su di me e mi parve spaesato, «oh» disse semplicemente, rimettendo al proprio posto una delle due biciclette, quella con il cestino rosa.
Però era carino il cestino rosa.
«Forza, andiamo» esordì, interrompendo i miei pensieri sul cestino.
Corrugai la fronte, confusa, «come?» risi, pensando avesse bevuto «tra poco inizia anche a piovere.»
Come se l’avessi previsto una goccia d’acqua mi arrivò sulla fronte, colandomi poi sul naso.
Una fottuta indovina, ecco cos’ero.
«Prima partiamo, prima arriviamo» alzò le spalle, «sali su.»
Si mise in tasca le chiavi dell’auto e con agilità salì sul sellino della bici.
Ovviamente anche io avevo tutta quell’agilità.
Più o meno.
Il debito in educazione fisica alle superiori non c’entrava assolutamente nulla con la mia efficienza nell’attività fisica. Io amavo fare ginnastica. 
La convinzione fotte le persone, Julie.
«No» incrociai le braccia davanti al petto e misi il broncio.
«Sali» ordinò, di nuovo.
Scossi la testa, feci per protestare, «Julie, ti fidi di me?»
Tentennai leggermente, per poi annuire.
«Allora siediti qui, non pioverà, tranquilla.»


Da quando cazzo mi fidavo di Harry Styles?
Un quarto d’ora dopo mi ritrovai seduta sulla canna della sua bici, con il culo che ormai si era appiattito e aveva preso una forma simile al manubrio.
«Spostati un po’ più a destra» mi disse, per l’ennesima volta. 
Obbedii, ma mi sbilancia forse un po’ troppo, dato che la bici oscillo. 
«Quella è la sinistra» protestò, «se stai al centro non vedo dove stiamo andando.»
Sbuffai, «non ce la faccio più» di lì a poco sarei scoppiata in un pianto isterico, me lo sentivo. Ma chi me l’aveva fatto fare?
Diciamo che dopo essere salita in macchina con Harry mi aspettavo che mi portasse in un posto tranquillo, romantico. Che so, magari al mare.
Non in un bosco pieno di fango, foglie e insetti di cui non conoscevo neanche l’esistenza. Su una bicicletta, in due persone per di più.
«Vuoi che ci fermiamo qualche minuto?» mi chiese.
Mi si illuminarono gli occhi solo all’idea di poter tornare con i piedi per terra e annuii.
«Però ti avviso» lo sentii rallentare e pedalare con meno decisione, «la frenata sarà un po’ brusca.»
Non feci in tempo ad assimilare quella frase e a chiedere spiegazioni che i piedi di Harry si piantarono a terra, la bici oscillò pericolosamente e io scivolai dal manubrio.

Aprii gli occhi, guardandomi poi attorno.
Il fango al di fuori della stradina sterrata sulla quale pedalava Harry arrivava alle caviglie, ed io ero sdraiata a terra.
Mi tappai il naso con le mani, per poi toglierle immediatamente dalla faccia appena le notai anche loro ricoperte di terra. Trattenni un conato di vomito e cercai di tranquillizzarmi. 
«Harry?» dissi a bassa voce, con fin troppa calma «perché non hai usato i freni?»
Lo vidi avvicinarsi a me dopo essere sceso dalla bici, piegato in due dalle risate, mentre entrava anche lui nella palta, incurante dei suoi stivaletti marroni.
«Non ha i freni che funzionano quella bici» la indicò con un cenno della testa, mentre rideva ancora.
Sospirai, imponendomi di calmarmi.
«Va tutto a posto» cercai di convincermi da sola.
«E’ solo un po’ di fango, Julie» alzò le spalle, tossendo e soffocando un'altra risata.
Annuii «solo un po’ di fango» ripetei, allungando poi una mano «mi aiuti ad alzarmi almeno?»
Si avvicinò di qualche passo, afferrando la mia mano. Appena la strinse, con tutta la forza che avevo, lo attirai verso di me.
Harry perse l’equilibrio e mi cadde addosso, mentre imprecava.
Poco dopo si guardò i vestiti tutti sporchi, i ricci che aveva per sbaglio appoggiato al terreno, ancora più ricoperti di terra.
Alzai le spalle appena si girò a guardarmi con la bocca spalancata.
«E’ solo un po’ di fango, Harry» mi stampai in faccia un sorriso innocente.
Lui si morse il labbro divertito, annuendo. «Questo è fango, vero?» non collegai la domanda con i fatti finché non prese della terra con una mano e me la spalmò sulla maglietta.
Sgranai gli occhi, spalancando la bocca e osservando la grossa macchia marrone sulla maglia rossa.
Annuii, «si è fango» cominciai, e con due mani feci quello che aveva fatto lui poco prima «come questo qui» gli centrai anche a lui la maglietta e il resto lo misi sulla sua guancia sinistra.
Sembrò sorpreso e, ancora una volta, si vendicò.

Dieci minuti più tardi eravamo a rotolarci per terra e a lanciarci fango. Non mi ero nemmeno accorta che era iniziato a piovere più forte e gli alberi non riuscivano più a ripararci.

Io e Harry avevamo terra e palta ovunque, sui vestiti, sui capelli e nelle scarpe e la pioggia diventava sempre più fitta. Sinceramente non me ne importava più dello sporco, o dell’acqua. Non mi importava di essere in un bosco pieno di insetti.
Mi importava solo di essere lì, con lui. 



Harry.

Avevamo passato mezz’ora a tirarci fango e foglie e a rotolarci per terra sotto la pioggia.
Ormai i vestiti di entrambi erano fradici e zuppi di qualsiasi cosa, ma era strano come il tempo passasse in fretta quando ero in compagnia di Julie.
Mi guardai intorno leggermente spaesato.
«Dove sei finita?» chiesi, con della terra umida tra le mani, pronto a lanciargliela addosso non appena si sarebbe fatta intravedere da dietro le piante. «Julie?» la chiamai di nuovo, corrugando la fronte.
Non sentii nessun rumore, nessuna risposta.
«Non è divertente» risi, voltandomi di nuovo e guardando dietro un cespuglio, «dove sei?» alzai un po’ di più la voce. Magari non mi aveva sentito.
Anche quella seconda volta non ottenni risposta. In compenso sentii delle urla, non feci in tempo a voltarmi che Julie mi corse in contro, lanciandosi su di me e facendomi cadere a terra.
«Porca puttana» imprecai, sentendo un dolore alla spalla.
Lei, per tutta risposta, scoppiò a ridere. «Secondo i miei piani avresti dovuto tenermi in braccio» si asciugò le lacrime dovute alle risate con la manica della maglietta rossa.
«Mi hai lussato una spalla e bucato un polmone» dissi, con il fiato corto, osservando la macchia di terra che ora si trovava sulla sua guancia, sotto lo zigomo.
Risi anche io mentre, da seduta sulla mia pancia, si sdraiava accanto a me.
«Sta diluviando,» osservò, guardando il cielo e spostando la testa di lato, chiudendo leggermente gli occhi per evitare che la pioggia le arrivasse in faccia.
«Perspicace la ragazza,» ironizzai.
Rise, e sospirò non appena piombò il silenzio.
«Dovremmo andare» mi sedetti, «o congeleremo qui fuori sotto la pioggia» mi alzai poi in piedi, porgendole una mano e aggiungendo un «questa volta evita di farmi cadere» per essere sicuro.
Julie annuì, afferrò la mia mano e si alzò da terra, «grazie.»
Risalimmo sulla bici e ricominciai a pedalare.


«Siamo arrivati?» mi fissò, mentre le mie gambe continuavano a pedale sempre più piano.
Scossi la testa e riaprii leggermente gli occhi appena riuscii ad intravedere meglio la stradina, data la pioggia meno fitta.
«Ora?»
Sbuffai, feci per ribattere, molto probabilmente con un insulto o qualcosa di vagamente simile, poi vidi in lontananza un cancello. Sorrisi, «ora siamo arrivati» dissi, infine.
Sembrò illuminarsi, senza cadere dal manubrio staccò una mano per spostarsi i capelli che, bagnati, si erano appiccicati alla sua fronte «ha quasi smesso di piovere» commentò.
Annuii, e dopo qualche altra pedalata l’avvertii «tieniti forte che dobbiamo frenare.»
Serrò gli occhi e la mascella, stringendo la presa sulla canna della bici e mordendosi un labbro.
Quella volta rallentai e appena appoggiai i piedi sullo sterrato, ci fermammo.
«Puoi aprire gli occhi ora» risi.
Obbedì e si guardò leggermente intorno, cercando, forse, di capire dov’eravamo; scese dalla bici, feci lo stesso e l’appoggiai al cancello di metallo davanti a noi.
«Andiamo» le dissi.
Scosse la testa, «dove siamo? Ora mi uccidi?»
Alzai gli occhi al cielo, «dai, ti fidi di me?»
«In realtà no. L’ultima volta-» fece per obbiettare, ma non terminò la frase; si bloccò appena le afferrai di colpo la mano e cominciai a correre, trascinandola e senza ascoltare le sue lamentele.
Eravamo arrivati. Sinceramente non sapevo perché avevo deciso di portarla con me, ogni tanto me lo chiedevo, non riuscendo poi a trovare una risposta.
Avevo seguito l’istinto.
Avevo seguito il cuore.



Julie.

Mi fermai e appoggiai le mani sulle ginocchia, cercando di calmare il fiatone e sentendo il cuore battere più veloce del normale.
«Eccoci qui» lo sentii dire.
Alzai lo sguardo e mi guardai intorno. 
Alle mie spalle non c’era più né il bosco, né tantomeno la stradina sterrata sulla quale avevamo pedalato. 
Ok, Harry aveva pedalato.
Eravamo su un prato, questa volta non pieno di terra, foglie sparse o insetti. Era curato, come le piccole siepi ai lati e le aiuole di fiori recintate da paletti di legno.
«Ho piantato io quei fiori» esordì, seguendo il mio sguardo.
Risi, «Harry passione giardiniere. Un nuovo gioco per Nintendo ds.»
Fece per ribattere, fingendosi offeso, quando la porta d’ingresso della casa davanti a noi si spalancò.
Sulla soglia apparve una donna che, con un sorriso enorme stampato sul viso, ci venne incontro.
«Piccolo mio» urlò, allargando le braccia.
Harry si grattò la testa imbarazzato, «mamma» l’ammonì, «non sono più un bambino, ho diciannove anni.»
Soffocai una risata, coprendomi la bocca con la mano.
«Rimarrai comunque il mio piccolo» disse lei, testarda, «volevo abbracciarti ma -osservò il nostro aspetto- credo che lo farò più tardi.»
Harry annuì, «siamo passati per il bosco» spiegò, «ah, mamma, lei è Julie» si voltò a guardarmi.
Fui presa alla sprovvista.
«Salve» sorrisi, imbarazzata.
La donna mi squadrò dalla testa ai piedi, in silenzio, e questo contribuì ancora di più a farmi sentire in soggezione. E quando si decise a parlare se ne uscì con uno «mi piace.»
Risi, guardando Harry che alzò immediatamente le spalle.
«Tra qualche ora è pronta la cena, vi conviene farvi una doccia per pulirvi» iniziò, «ma prima» si voltò e raggiunse una cassapanca accanto agli scalini di legno che portavano all’ingresso della casa, l’aprì e tirò fuori un tubo verde, attorcigliato su se stesso. Lo lanciò in mano ad Harry e, «in casa mia con quei vestiti non ci entrate» sorrise e rientrò in casa.

Rimasi a guardare spaesata Harry.
«Cosa dobbiamo farci con quella canna?»
Lui mi guardò con un sopracciglio alzato, per poi avvicinarsi ad un rubinetto attaccato al muro bianco. Non collegai le cose, lo aprì di scatto e aggiunse un «questo.»
Un getto d’acqua ghiacciata mi arrivò addosso e, sorpresa, spalancai la bocca, cominciando ad urlare e innervosendomi ulteriormente sentendo le risate del riccio.
«Brutto bastardo» lo accusai, mentre si avvicinava e cominciava a sciacquarsi anche lui, partendo dai jeans neri.
«Mamma non vuole che entriamo in casa con i vestiti sporchi» si giustificò, alzando le spalle.
I capelli che avevano iniziato ad asciugarsi erano tornati zuppi.
«Me la passi un attimo?» gli chiesi, gentilmente.
Feci per lavare i miei vestiti, per poi colpirlo in faccia con un altro getto d’acqua.
«Me lo sono meritato» annuì, mentre si asciugava il viso con le mani.


«Chi mi dice che non guarderai nella toppa della porta?» alzai un sopracciglio, guardandolo.
Lui sbuffò, «perché dovrei?»
Scrollai le spalle, chiudendo poi la porta a chiave.
«Guarda che ti tengo d’occhio» lo ammonii, togliendomi i vestiti bagnati e aprendo l’acqua della doccia. «Merda» imprecai, appena venni a contatto con l’acqua bollente.
«Giusto, mi sono dimenticato di dirti che per l’acqua calda devi aprire il rubinetto di quella fredda. E viceversa» rise.
«Grazie dell’informazione» dissi con tono acido «ma non mi sarei offesa se me l’avessi detto qualche minuto fa, prima che mi ustionassi una mano.»
Lo sentii di nuovo ridere e appena l’acqua raggiunse la temperatura giusta chiusi gli occhi, rilassandomi e lasciando che il vapore appannasse i vetri trasparenti.

Mi asciugai con un asciugamano gigante, per poi indossare i vestiti che Harry aveva preso in prestito dall’armadio della sorella.
«Ti vanno bene i vestiti?»
Tralasciando il fatto che la sorella avesse una taglia in meno di reggiseno e le mie tette stavano per morire soffocate e scoppiare, sì, mi andavano bene.
«Alla perfezione» dissi, legandomi i capelli bagnati in una coda alta e togliendomi quel poco di trucco che mi era colato sulle guance. «Potevi dirmi di portare dei vestiti» aprii la porta, uscendo dal bagno.
Harry alzò le spalle, «non ci ho pensato.»
Gli feci un verso, guardandomi poi allo specchio e notando dietro di me Harry che rideva.
«Che c’è?» corrugai la fronte.
Alzò le spalle, prese il suo asciugamano e, «hai la maglietta al contrario.»
Abbassai lo sguardo, notando l’etichetta sul davanti. Ecco cosa mi dava fastidio.
Risi, togliendomela e girandola tra le mani.
Solo poi mi ricordai di Harry alle mie spalle e la indossai in fretta, «scusa.»
Non rispose, «vado» indicò il bagno; annuii e pochi minuti dopo lo sentii aprire l’acqua.
«Julie, non è piccolo quel reggiseno?» disse poi, dall’altra parte della porta.
Sgranai gli occhi, «ma-» sentii le guance arrossarsi, «stai zitto» lo ammonii, sentendolo poi ridere.
Scossi la testa, «devo fare una telefonata, arrivo.» Non mi rispose, ma sapevo che mi aveva sentito e, prima di uscire dalla sua stanza lo sentii cominciare a cantare.
Sarei voluta rimanere lì, magari di nascosto, ad ascoltarlo; ma dovevo fare qualcosa di più importante, qualcosa che avrei dovuto fare già da tempo.
Presi il cellulare dalla tasca dei pantaloni e composi il numero del signor Benson.
Gli avrei detto di annullare la stampa e la lettura dell’articolo su Harry. Gli avrei detto di farmi scrivere qualcos’altro, anche la cosa più stupida al mondo.
Mancavano ancora sei giorni prima che l’articolo andasse in stampa e venisse poi pubblicato, potevo ancora bloccare tutto, potevo non farmi scoprire, non tradire Harry. Non potevo far pubblicare quel testo, mi aveva appena portato a casa sua, ad Holmes Chapel, nel Cheshire, dalla sua famiglia.
E non l’avrei fatto. Mi bastava semplicemente parlare con il direttore e tutto si sarebbe sistemato.
Con un sorriso stampato sulle labbra schiacciai il pulsante verde e attesi che rispondesse.
Tutto sarebbe andato perfettamente. Non avrei rovinato nulla.
Feci per parlare appena una voce mi arrivò alle orecchie. 
Ma quel sorriso che poco prima c’era sulla mia faccia scomparve. Scomparve appena mi resi conto che quella era una voce fin troppo metallica per essere reale.

«Buongiorno, questa è una segreteria telefonica. Vogliamo avvisarla che il signor Benson non sarà disponibile durante questo fine settimana a causa di imprevisti personali. La contatteremo tra qualche giorno, salve e buona giornata.»
Merda.

 


  
 
 

  
 
 




Soo waake me up wheen it's aal oover..

Difficile da credere ma sono ancora viva.
E stranamente sono anche riuscita a scrivere questo capitolo. Era un mese che non aggiornavo, un mese. Come facevo a pensare di poter prendere una pausa, non lo so..mi mancava scrivere :') 

In ogni caso..Harry ha portato Julie a casa sua, dalla sua famiglia.
cosa :) succederà :) ? :)
io lo so ouo
e lo saprete anche voi, spero il più presto possibile lol
Vi ringrazio tutte quante, siete fantastiche c':


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Un bacio, Simo.


 

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Capitolo 25
*** Goodnight. ***


 
 
 


Chapter Twenty-five
Goodnight.

 

 
 

«Chi era al telefono?»
Appena riaprii la porta della camera di Harry saltai in aria. «Mio dio che infarto» mi misi una mano sul petto, sentendo il cuore cominciare a battere più veloce del normale.
Rimisi il cellulare nella tasca e, «chi stavi chiamando?» ripeté, infilandosi un paio di All Star basse trovate nell’armadio di fronte al letto.
Sollevai un sopracciglio «e i tuoi bellissimi stivaletti?» chiesi, ridendo e lasciando perdere la domanda che mi aveva fatto.
Aspettò un attimo prima di rispondere. «Primo, non provare ad offendere i miei stivaletti» precisò «secondo, i miei vecchi vestiti si trovano qui ad Holmes Chapel» pensai avesse finito, ma «e terzo, non hai risposto alla mia domanda» sorrise, prendendo l’asciugamano che c’era sul letto e strofinandosi i capelli bagnati.
Alzai le spalle, arrossendo leggermente, «nessuno.»
«Mi hai detto tu che dovevi fare una telefonata» rise.
«Giusto» annuii «ero al telefono con Ally, problemi tra ragazze» inventai al momento, sospirando.
Ero sicura che non avrebbe fatto altre domande. Di solito i ragazzi quando sentono la frase ‘cose tra ragazze’ smettono di intromettersi e cominciano a parlare di calcio e roba simile, no?
«Oddio che cosa bella. Forza, racconta.»
Ok, no.
Spalancai leggermente la bocca appena si lanciò sul letto a pancia in su, appoggiandosi poi sui gomiti.
Scossi la testa, incredula, «si, certo. Staremo qui tutta notte a fare un pigiama party e a raccontarci di quanto sia bello avere un ragazzo. Mangeremo otto vaschette di gelato, ci metteremo lo smalto sulle unghie, possibilmente rosa, e ovviamente guarderemo film d’amore piangendo come disperati.»
Scherzai, scoppiando poi a ridere.
Lui non rise, e poco dopo notai la sua espressione leggermente sconvolta. Ci avrei scommesso oro che avrebbe iniziato a cambiare argomento dopo tutto quello che gli avevo detto.
I ragazzi non volevano saperne di queste cose.
«Tu sei pazza» decretò dopo qualche attimo di silenzio.
Rimase a fissarmi e a scuotere la testa.
Annuii, «noi ragazze siamo fatte così» scrollai le spalle, sorridendogli.
«Vuoi organizzare un pigiama party senza fare una lotta con i cuscini?»
Tornai seria.
Per poco non si sarebbe messo a piangere, me lo sentivo. «Sei serio?»
Diciamo che cominciava a spaventarmi.
Harry annuì.
«Harry» mi guardai intorno imbarazzata, abbassando poi lo sguardo.
«Si?»
Dovevo cercare un modo per porgli quella domanda. «Sei sicuro di non avere qualche problema?»
Rise, alzandosi dal letto.
«Ti stavo prendendo per il culo,» prese il suo cellulare dal comodino, staccandolo dal carica batterie, «muoviamoci che sarà già pronta la cena.»
Non feci in tempo per dire nient’altro che mi afferrò la mano e mi trascinò fuori dalla stanza, facendo strisciare i miei piedi scalzi sulla moquette.
All’inizio feci per obbiettare, «lasciami» risi.
Ma in realtà sperai con tutto il cuore che continuasse a stringere la mia mano.

 

 
 
Finii di mangiare la bistecca che avevo nel piatto, spostando poi il tovagliolo dalle mie gambe al tavolo.
«Julie, i tuoi vestiti non si sono asciugati» mi disse la madre di Harry, risedendosi al tavolo e versandosi un bicchiere di vino «per domani però saranno pronti.»
Annuii, «grazie mille» dissi «e grazie anche a te, Gemma, per avermi prestato qualcosa da mettermi.» La ragazza mora seduta davanti a me mi sorrise gentilmente, «tranquilla, siamo state fortunate ad avere le stesse taglie.»
Feci per rispondere, quando «tranne per il reggiseno» s’intromise Harry.
Mi girai verso di lui con la bocca semi aperta e gli occhi spalancati; sentii le guance arrossarsi e mi grattai la testa imbarazzata, inscenando poi una risata fin troppo isterica.
«Sta scherzando» sbuffai, scuotendo la testa.
Il patrigno di Harry soffocò una risata con un colpo di tosse e tutta la famiglia si ritrovò a ridere.
«Harry quanto sei stronzo» rise Gemma, scuotendo la testa.
Intanto la madre di Harry si alzò e cominciò a prendere in mano i piatti sporchi, diretta alla cucina. «Aspetti, le do una mano» mi alzai a mia volta, afferrando il mio piatto e le posate.
«Julie, non c’è bisogno, sei un’ospite» rise.
Io scossi la testa, «si figuri» la seguii in cucina «e poi volevo uscire da quella situazione imbarazzante» risi, indicando con un cenno della testa Harry e il tavolo in salotto.
Lei annuì, ponendo i piatti nel lavandino e cominciando a strofinarli con una spugnetta bagnata; rimasi un attimo in silenzio, a guardarla.
«La ringrazio ancora dell’ospitalità signora» dissi, arrossendo leggermente e abbassando lo sguardo, «Harry non mi aveva detto dove saremmo andati» tentai di giustificarmi, nel caso fossi indesiderata.
Lei si voltò verso di me, asciugandosi le mani con uno straccio, «ti prego, chiamami Anne» mi corresse, «e stai tranquilla, puoi rimanere quanto vuoi.»
Le sorrisi sinceramente, ringraziandola.
«Sono felice che Harry abbia trovato qualcuno» disse, poi.
Aggrottai la fronte, «no» iniziai, cominciando a ridere «io ed Harry siamo amici» chiarii.
Anne annuì, aggiungendo un «certo» con un non so che di ironico.
Rise, «sei la prima amica che porta a casa, allora.»
Per un attimo non riuscii a capire. «Nel senso che tutte le altre ragazze che vengono qui le presenta come sue ragazze?» feci un sorriso tirato.
Era ovvio.
Uno come lui avrebbe potuto avere tutte le ragazze di questo mondo.
E non solo per la fama, per la ricchezza. Semplicemente perché era uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto.
Ma che cazzo stavo pensando?
Diedi la colpa ai due bicchieri di vino bevuti a tavola.
«No» rise Anne, riscuotendomi dai miei pensieri, «in realtà sei la prima ragazza che porta a casa quelle poche volte che viene.»
Si voltò di nuovo, ponendo nella credenza i piatti ancora non del tutto asciutti.
Non risposi.
Rimasi a fissarla leggermente sorpresa da quello che mi aveva appena detto. «E’ sempre stato un ragazzo timido in fatto di ragazze,» spiegò «da quando io e suo padre ci siamo separati» abbassò poi lo sguardo.
Annuii, ancora una volta senza dare una risposta.
«Per questo all’inizio mi è sembrato strano vederti qui,» rise.
Ci fu un momento di silenzio, una pausa. «Ti chiedo un favore Julie» tornò seria e cominciai a chiedermi cosa mi stesse per dire.
Feci un cenno con la testa, in attesa che continuasse.
«Ti conosco da poco, ma so che Harry pensa che sei una bravissima ragazza. Per questo lo penso anche io» cominciò, «ti chiedo solo di non farlo soffrire.»

Mi fissò negli occhi.
Nel suo sguardo notai ansia. Ansia per un figlio che vedeva poco, che era sempre in giro per il mondo e che gli mancava terribilmente. E l’ultima cosa che avrebbe voluto era veder star male il suo bambino.
Annuii, sentendo gli occhi pizzicare leggermente, «non lo farò, lo prometto.»
Il suo sguardo serio fu sostituito da un sorriso che gli fece illuminare anche gli occhi.
«E ricorda che puoi venire quando vuoi, sarai sempre la benvenuta Julie» mi disse, facendo qualche passo verso di me e abbracciandomi.
Rimasi immobile in un primo momento, leggermente scombussolata, con le braccia tese lungo i fianchi.
Solo poco dopo la strinsi a me. E chiusi gli occhi.
Chiusi gli occhi per impedire alle lacrime di scendere.
Non solo con quello che stavo facendo avrei fatto star male Harry. Avrei fatto soffrire Niall, Zayn, Liam e Louis.
Avrei infranto la promessa che avevo appena fatto ad Anne.
Quella donna che mi aveva accolto in casa senza conoscermi, che in ogni caso mi riteneva una bravissima ragazza.
La stessa donna che mi aveva fatto vedere cosa significasse tenere al proprio figlio e volere per lui il meglio.
Cose che io non avevo mai provato di persona.
Quella donna che in quel momento mi stava abbracciando forte, facendomi ricordare quanto fosse bello avere una famiglia. Avere una madre.
Avrei deluso tutti.
Tutti.
Perché, in fondo, io so fare solo questo. So deludere le persone che più amo, l’ho sempre fatto e sempre lo farò. Forse sono fatta così.
Sono fatta sbagliata.

 
  
Harry. 

«Allora, ti piace?» sentii dire.
Alzai lo sguardo dal tovagliolo con cui stavo giocando. «Mh?» guardai Gemma, confuso.
Lei rise, «Julie» precisò poi «ti piace?»
Sputai l’acqua che avevo appena bevuto, facendo ridere Robin. «No» mi affrettai a dire, «è una mia amica.»
«Certo, un’amica» annuì, alzandosi dalla sedia e buttandosi sul divano accendendo la tele.
Scossi la testa, ridendo, «non contraddirmi perché posso essere pericoloso, lo sai» tentai di tornare serio.
«Pericoloso come un mazzo di margherite» scoppiò a ridere.
Non feci in tempo a protestare che le voci di mia madre e di Julie uscirono dalla cucina, tornando nella sala da pranzo.
«Harry, Julie è una ragazza fantastica» disse lei, sorridendomi e strizzandomi leggermente l’occhio destro, mentre cingeva le spalle di Julie.
Risi, leggermente imbarazzato e aggiungendo un «già.»
Notai anche le guance di Julie diventare di un rosa leggermente più scuro del normale.
«Julie, ti va di passare la serata a guardare vecchi album di fotografie in cui Harry è ridicolo?» se ne uscì ad un certo punto Gemma.
Spalancai gli occhi, e prima che Julie potesse annuire «credo invece che andremo a dormire presto, dopo il viaggi che abbiamo fatto siamo stanchi.»
Tutti scoppiarono a ridere.
«Harry ha ragione» annuì Julie, «però domani posso vedere tutte le fotografie che vuoi» aggiunse poi.
Gemma sorrise, «ti presterei anche un pigiama ma ne ho solo uno» si giustificò.
Julie non sembrò preoccuparsene e la ringraziò comunque.
Sbuffai, mimando un «andiamo.»
Lei fece per seguirmi; per un attimo fui tentato di afferrarle ancora la mano, ma mi bloccai, infilando questa nella tasca posteriore dei jeans che portavo.
Non volevo essere sfacciato dopo quello che mi aveva detto il giorno prima a casa mia.
«E comunque ero un bambino bellissimo» aggiunsi mentre salivamo le scale.
Julie rise, tenendosi al corrimano e scuotendo leggermente la testa, «senza dubbio» aggiunse poi, ironica.
Aprii la porta della camera, togliendomi le scarpe e lanciandole con un calcio sotto il letto, per poi buttarmi a pancia in giù sul letto.
«Potrei addormentarmi da un momento all’altro» aggiunsi.
Lei si sedette sul bordo del letto, con le mani sulle ginocchia, mentre si guardava intorno.
Mi sedetti anche io, con le gambe incrociate. «Tutto ok?» le chiesi, vedendola pensierosa.
Si voltò a guardarmi e annuì.
«Non essere così musona» scherzai, tirandole un piccolo calcio sulla coscia.
Soffocò una risata, rimanendo però immobile.
«Fai come se fossi a casa tua, mi sembri tesa» scherzai.
Julie si limitò a scuotere la testa, con lo sguardo fisso davanti a sé e un sorriso smorto sulle labbra.
Sbuffai, e quella volta, dopo essermi inginocchiato sul materasso, con entrambe le mani la spinsi giù dal letto facendola cadere sul pavimento.
«Porca puttana» imprecò.
Mi affacciai al bordo del letto e le sorrisi, vedendola sdraiata per terra con i capelli tutti sparsi.
«Styles preparati ad essere ucciso» sputò, nascondendo un sorriso, mentre si massaggiava la spalla con una mano.
«Ecco la Julie che mi piace.»
Solo poco dopo mi resi conto di quello che avevo appena detto. Insomma, l’avevo fatto solo come modo di dire.
Non per altro.
Forse.

 
  
Julie. 
 
«Vieni fuori di lì» urlai, tenendo il cuscino davanti alla faccia, pronta ad attaccarlo.
«No, se esco da sotto il letto mi prendi a cuscinate» piagnucolò.
Tossii nascondendo una risata, «perché dovrei?»
Ci pensò un attimo «prometti che mi lasci in pace?» chiese.
«Certo che si» mentii.
Strisciò per terra, uscendo prima dalla testa, per poi rimettersi in piedi e spolverarsi i vestiti.
Non fece in tempo ad alzare lo sguardo, il cuscino che tenevo in mano fu sbattuto sulla sua faccia e lui cadde sul letto.
Scoppiai a ridere, piegandomi in avanti e tenendomi la pancia, asciugandomi poi gli occhi che avevano cominciato a lacrimare.
«Me lo meritavo» si massaggiò il naso e si allungò verso il comodino.
Annuii, buttandomi sul letto a mia volta.
«Ora dormiamo» feci, chiudendo gli occhi nonostante la luce ancora accesa.
«Non ti metti il pigiama?»
Riaprii gli occhi, per poi incenerirlo con lo sguardo. «Qualcuno non mi ha dato il tempo di portare qualche vestito» sbuffai.
Harry rise, alzando in aria un paio di pantaloni della tuta e una maglietta da basket.
«Abbiamo questi.»
Mi diedi una sberla in fronte, «Harry, sai contare?» sbuffai, «siamo in due e c’è solo un pigiama.»
Non ebbi il tempo di capire la sua idea che «quale pezzo vuoi?» rise «pantaloni o maglietta?»
 
«Chiudi gli occhi» lo ammonii immediatamente.
Harry rise, obbedendo.
Corsi dal letto al bagno, tenendo la maglietta in giù con le mani e questa arrivò poco sotto il sedere. Mi buttai sul letto, coprendomi poi con il lenzuolo e «fatto» dissi infine.
Mi voltai verso di lui.
Non aveva ancora aperto gli occhi, era sdraiato a pancia in su sul letto a due piazze, le braccia portate dietro la testa. Osservai i suoi tatuaggi; da quelli sulle braccia, alle due rondini sul petto.
Era bellissimo.
I capelli che cadevano sul cuscino e un piccolo sorriso accennato sulle labbra rosse.
«Ti metti il rossetto?» me ne uscii.
Lui rise, senza dare una risposta e tenendo ancora gli occhi chiusi. Anche se quegli occhi avrei tanto voluto vederli, e scontrarmi con quel verde che a seconda della luce cambiava leggermente.
Scossi la testa, avvampando appena mi resi conto dei miei pensieri.
Stavo letteralmente impazzendo. Esatto.
«Spengo la luce?» chiese ad un tratto.
Chiusi gli occhi e non risposi, voltandomi da un lato e cercando una posizione abbastanza comoda.
La luce si spense.
Buio totale. Anche le persiane non facevano intravedere nessuna luce.
«Anne è una donna fantastica» dissi, all’improvviso, senza una ragione valida.
Un attimo di silenzio. Non mi voltai, ma lo sentii sospirare e sorridere, «lo so. La vedo così poche volte» disse, lasciando in sospeso la frase.
Mi morsi il labbro inferiore, «ti capisco.»
Almeno lui la vedeva.
Erano anni che non incontravo mia madre, da quando era andata in Italia.
In tutto quel tempo mi ero completamente convinta di non aver bisogno di nessuno per farcela da sola, ma era veramente così?
Quella sera, parlando con Anne, nonostante fossi arrivata in casa loro all’improvviso e da poche ore, mi ero sentita veramente a casa.
In una vera famiglia.
Allora non era vero che non avevo bisogno di nessuno.
Tirai su con il naso appena una lacrima mi rigò la guancia, bagnando il cuscino.
Avevo trovato qualcuno che davvero mi voleva bene, e come sempre avrei rovinato tutto per il mio lavoro.
«Julie?» mi sentii chiamare.
Tossii, «mh?» non volevo parlare. Non volevo fargli capire che stavo piangendo.
«Stai piangendo?»
Ecco.
«Certo che no» sbuffai, ma la voce mi uscì strana, sottile, strozzata.
Mi sentii sfiorare una spalla, «che cos’hai?»
Mi voltai verso di lui, e nonostante fosse buio sentivo il suo sguardo fisso su di me.
Per un attimo non risposi, feci silenzio, poi «prima» tirai su con il naso un’altra volta, asciugandomi le guance «tua mamma mi ha fatto sentire a casa, mi ha abbracciata e» scoppiai in lacrime «ho capito quanto è fantastica la tua famiglia.»
Che cosa mi stava succedendo?
Da quando piangevo davanti a qualcuno?
Non feci in tempo a dire nient’altro che Harry mi abbracciò, «anche tu hai una famiglia» sussurrò «ci siamo io, Niall e gli altri ragazzi. Capito?»
Il mio cuore perse un battito.
Poi annuii, riappoggiando la testa sul cuscino e lasciandomi abbracciare. Ispirai il suo profumo, smettendo di piangere ma rimanendo con il magone e una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Si era appena definito la mia famiglia.
Ma le famiglie si colpivano alle spalle? Si tradivano?
Glielo dovevo dire. Dovevo fargli sapere chi realmente ero, cosa stavo facendo e che molto probabilmente non sarei riuscita a fermare quell’articolo prima che andasse in stampa.
Presi un respiro profondo.
No, non potevo mentirgli ancora. Non dopo tutto quello che stava facendo per me.
«Harry?» lo chiamai appena, dopo qualche minuto.
«Mh?» con ancora un braccio attorno alle mie spalle si stava per addormentare.
Adesso o mai più Julie.
O mai più.
Ce la potevo fare, eppure qualcosa mi bloccava. E, «buonanotte.»

 
 
  
 
 

  
 
 




And loong after you're goone gonee gonee...

Mi scuso per il ritardo, ma sono stata incasinata e ci si è aggiunta pure la scuola e i compiti .-.
Ce l’ho fatta.
E anche il venticinquesimo capitolo è scritto.
Dio..siamo già al venticinque?
Mi spiace pensare che tra poco la storia sarà finita :c
 
Diciamo che i rapporti tra Harry e Julie stanno sempre migliorando.
Vorrei dire una cosa..
So che ormai in molti potrebbero non leggere più la storia perché in fondo il continuo è SCONTATO.
In una recensione che mi hanno fatto, a cui do pienamente ragione, mi hanno detto che ora il seguito si può già intuire..
So che è così, ma non ci posso fare nulla. Non posso far morire Julie o chissà cosa ahah..quindi boh. In ogni caso spero continuerete a leggere fino alla fine, perché siete fantastiche.
 
Ok, mi dileguo.

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Un bacio, Simo.

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Capitolo 26
*** Avviso. ***


Ormai mi sembra anche stupido dirlo, credo l'abbiate capito tutte.

In ogni caso: la storia è momentaneamente sospesa e non mi va di spiegare il perchè sinceramente.
Non preoccupatevi che non mi dispero se cancellate le vostre recensioni (cosa che sta già succedendo da tempo).

Nel caso continuassi avviserò.
Simona.
 

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