Jack Jr.

di kay33
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


“Jack è morto. Io sono viva.”
 
Sono a bordo del Carpathia, la nave che ci ha tratto in salvo, e che ci sta portando a New York. Dovrei avere la testa attraversata da mille pensieri, chiedermi che fine abbia fatto mia madre, o Cal, o le altre decine di persone che conoscevo sul Titanic; dovrei provare gratitudine per essere sopravvissuta, o pregare per le anime delle centinaia di morti. Dovrei essere sotto shock per aver visto il più grande transatlantico del mondo colare a picco, o per aver fatto un salto di svariati metri per tuffarmi in acqua.
 
Invece no; la mia mente e vuota, riesco solo a realizzare che Jack è morto, e che io passerò il resto della mia vita senza di lui.





Solo una breve introduzione; gli altri capitoli saranno più lunghi.
Se avete critiche o volete dirmi cosa ne pensate della storia e di come è scritta sono a disposizione :D 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Alzo gli occhi, e vedo, alta e maestosa, la Statua della Libertà. Ricordo le promesse che io e Jack ci eravamo scambiati solo poche ore prima e mi viene da piangere, ma ricaccio dentro le lacrime. Non posso cedere proprio ora.
Il porto è affollatissimo; oltre alle normali attività, oggi c’è la ressa di giornalisti, medici e curiosi. Un uomo mi si avvicina, e, dopo essersi accertato che io stia fisicamente bene, chiede il mio nome.
Sto per rispondere, quando vedo mia madre, in piedi accanto a un medico, infreddolita e molto impaurita.
L’uomo con cui stavo parlando, accortosi che fissavo la donna, mi chiede se la conosco.
 
Automaticamente faccio cenno di sì con la testa.
 
Anche mia madre si è accorta di me, e mi corre incontro. "Rose, Rose, tesoro, ero convinta di averti perso!" singhiozza, e mi stritola in un abbraccio. Non si era mai comportata così teneramente. L’esperienza del naufragio deve averla sconvolta, penso, mentre la abbraccio a mia volta.
Nonostante tutti i nostri litigi e incomprensioni, sono felice che stia bene e che ora sia qui con me.
 
Le autorità hanno disposto che i naufraghi che non hanno bisogno di essere ricoverati in ospedale stiano in una scuola, chiusa per l’emergenza, fino a quando non potranno far ritorno a casa. Sono lì con mia madre, sdraiata su una scomoda brandina, quando un volontario viene a cercarci.
"C’è un uomo che vi cerca, signore. Seguitemi" disse stancamente.
Sbuffai. Cal è sempre il solito. Perché venire a cercarci di persona quando può pagare qualcuno per farlo? Mi stupii di come gli fossero rimasti ancora contanti, dopo la sceneggiata fatta a bordo, mentre cercava di comprare un posto sulla scialuppa per sé.
L’uomo ci condusse in una sala appartata, piccola e spoglia, e, poco dopo, arrivò Cal.
Con i vestiti sporchi e rovinati, i capelli mossi e ancora umidi, ma l’espressione era la solita.
 
Riconoscerei quel ghigno tra mille.
 
Salutò educatamente mia madre, che si dimostrò oltremodo felice di vederlo, e poi mi guardò dritta negli occhi. Non si scompose, non si arrabbiò, e non nominò Jack.
Disse solo "Rose, vorrei parlarti. In privato. Adesso."
 
Mia madre uscì, e le lessi in viso la preoccupazione per ciò che sarebbe potuto accadere. Non si capacitava del fatto di essere sopravvissuta a un naufragio per poi finire a fare la cucitrice o la governante.
Cal parlò per primo "Sono felice di vederti Rose, e mi scuso per il mio comportamento incivile dell’altra notte. Non ero in me, ero spaventato, terrorizzato,…".
Parlava in fretta, non lo avevo mai visto così nervoso.
Accettai le scuse, e così gli diedi il coraggio per continuare il suo discorso "Spero che dopo tutto quello che abbiamo passato vorrai ancora sposarmi, Rose".
Non credevo alle mie orecchie! Come poteva pensare una cosa simile!?!
Non lo avrei sposato nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo sulla Terra!
Poi mi vennero in mente gli occhi di mia madre mentre usciva dalla stanza. Non potevo farle una cosa simile. Jack era morto, e quindi cosa importava? Tanto valeva farla felice, e farle vivere serenamente la vecchiaia.
 
Senza pensarci oltre, per paura di cambiare idea, pronunciai solo un asciutto sì.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Osservavo le coppie ballare attraverso il vetro del mio calice di Champagne, ormai vuoto per metà.
 
Erano tutti felici, e si stavano divertendo. La tragedia di quasi un mese fa era ormai dimenticata. I giornali smisero di parlarne dopo qualche giorno, e nel giro di qualche settimana i sopravvissuti tornarono alle loro case.
Noi, più fortunate, fummo sistemate già dalla sera del fidanzamento in uno degli alberghi migliori della città da Cal, e così passai questo mese a occuparmi con mia madre e mia zia, giunta da Londra, del corredo e della cerimonia.
 
Trasalii quando sentì una mano sulla spalla "Rose, è il tuo matrimonio, non puoi startene qui seduta da sola!" Era Emily, la mia damigella d’onore, che subito dopo mi trascinò con sé a salutare gli invitati. Metà non li conoscevo neppure, ma tutti mi fecero gli auguri.
 
“Sorridi Rose, avanti, o tutti si chiederanno che cos’hai” ripeté per la centesima volta la vocina nella mia testa. Mi forzai di ubbidire, ma ne uscì una smorfia.
 
Cal si era comportato bene durante il fidanzamento, più che altro perché ci parlavamo a malapena e quindi non avevamo occasioni per litigare. Anche quel giorno ci eravamo scambiati si e no qualche frase di circostanza, ed erano ore che non lo vedevo. Probabilmente era con gli altri uomini sposati  a fumare sigari e bere scotch in una sala appartata. Non mi dispiaceva affatto.
 
La serata volse al termine, e mi ritirai con mio marito per la notte. Sapeva che non ero più vergine, glielo avevo confessato in un momento di rabbia quando eravamo ancora a bordo del Titanic, ma non ne avevamo più parlato da allora. Nessuno dei due voleva rivangare l’accaduto.
Dal canto mio, speravo ardentemente che si sbrigasse, avevo solo voglia di andare a dormire e non pensare più a nulla. Volevo solo sognare Jack e la vita che avremmo avuto se non fosse morto.
Incredibilmente non cercò di fare sesso con me, si limitò a spegnere la luce e dormire.
 
Il tutto senza dire una parola.





Ciao a tutti! Questo capitolo non mi convince molto, l'ho cancellato e riscritto un sacco di volte ma questo è il meglio che riesco a fare...avrei voluto riuscire a rendere meglio la tristezza che assale Rose. Spero di fare meglio coi prossimi capitoli.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Le recensioni, sia positive che negative, aiutano a migliorare :D
Oltretutto è la prima fanfic a "puntate" che scrivo, per cui se pensate che stia andando troppo lentamente o troppo veloce coi fatti avvisatemi!
Baci Kay

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Ero di nuovo a bordo del Titanic, e passeggiavo sul ponte di prima classe; tutto era in ordine, come prima del naufragio; indossavo un meraviglioso abito da giorno di seta beige, adornato da pizzo in tinta e nastri verde smeraldo. Mi hanno sempre detto che il verde mi dona, ed in quel momento mi sentivo una vera principessa. Ero in uno stato di pace assoluta, come mai prima di allora. Voltai la testa, e mi accorsi di Jack, appoggiato alla balaustra, vestito elegantemente, che mi tendeva la mano. Mi invitava ad andare a vedere il tramonto insieme a lui.
Il cielo era limpido, di un fantastico color rosato, con delle striature rosso fuoco; non si vedeva nemmeno una nuvola. In un angolino, pallida e trasparente, stava comparendo la Luna.  
Mi girai, e vidi che il ponte era deserto. “Dove sono tutti?” chiesi a Jack, ma lui non mi rispose; continuava a sorridermi.
Udii un rumore assordante, ed il cielo si fece buio in un attimo. Spaventata, e incapace di capire cosa stesse succedendo, strinsi la mano di Jack, e lo sentii sussurrare “Ti amo Rose, ti starò accanto sempre”.
 
Mi svegliai di soprassalto. Ero matida di sudore, e respiravo affannosamente. “Perfetto”, mi dissi, “un altro incubo”.
Da un paio di settimane mi tormentavano il sonno; continuavo a fare questi strani sogni, in cui ero felice con Jack, a volte disegnavamo, altre parlavamo e scherzavamo, altre ancora facevamo l’amore…quelli erano decisamente i miei preferiti… Poi, improvvisamente, accadeva qualcosa di brutto, che mi ricordava quella spaventosa notte, ed ero costretta a svegliarmi.
Cal dormiva pacifico accanto a me. Non si accorgeva mai quando avevo gli incubi, ma io preferivo così; nella migliore delle ipotesi mi avrebbe ignorato, altrimenti mi avrebbe preso in giro, dicendomi che non ero più una bambina e che non potevo farmi condizionare dai sogni.
Eravamo sposati da due settimane, ma avevamo consumato il matrimonio solo sei giorni fa. Non era stato cattivo con me, e non mi aveva fatto nemmeno male; la cosa che detestavo di lui era la sua indifferenza. Mi parlava a fatica, e sempre con tono annoiato, come se non gli interessasse dialogare con me: mi guardava solo distrattamente. Mi chiesi come mai avesse rinnovato la sua proposta di matrimonio, se non intendeva guardarmi, parlarmi o toccarmi…
Mi balenò nella mente l’idea di scappare, andarmene lontano da quell’albergo lussuoso, lontano da New York…Tanto a lui non sarei mancata di certo…
Accantonai l’idea come irrealizzabile.
 
Eravamo in viaggio di nozze a Washington, siccome io non ne volevo sapere di imbarcarmi di nuovo per l’Europa, nonostante le lamentele di mia madre e Cal “tutti vanno a trascorrere la luna di miele nel vecchio continente, cosa diranno i nostri amici?”. Non li volli ascoltare.
La città mi piacque; c’erano molti parchi, e il pomeriggio uscivo spesso a leggere, mentre Cal si incontrava in qualche club con vecchi amici. Aveva conoscenze ovunque.
 
Anche quel pomeriggio uscii, e mi diressi al mio solito posto, sotto un grande platano. Mi appoggiavo al suo grosso tronco, e la chioma mi faceva ombra. Avevo portato una coperta per non macchiarmi il vestito, ma nonostante questo, il mio comportamento non era molto consono; capitava spesso che qualche vecchia signora mi guardasse storto, o che qualche madre mi indicasse alla figlia, mostrandole “come non bisognava sedersi”. Mi veniva sempre da ridere a guardarle.
Cominciavo a sentirmi stanca e affaticata, e pensai che fosse colpa del Sole, che picchiava forte in quel pomeriggio di fine primavera; ebbi un giramento di testa, che mi fece perdere l’equilibrio. Un anziano signore dall’aria gentile mi si avvicinò e mi chiese se stessi bene; fu grazie a lui se non caddi stesa per terra, poiché un seconda fitta mi colpii, e mi si annebbiò lo sguardo.
 
Mi svegliai varie ore dopo in un letto d’ospedale. Ero in una stanzetta privata, con un unico letto, e tutto intorno a me era bianco: le pareti, le tende, il letto…Ci misi un attimo a mettere a fuoco, e vidi, in piedi accanto a me, Cal. Mi chiese freddamente come mi sentivo, ed in quel momento entrò il medico.
Era un uomo piuttosto giovane, con i capelli rossi e la carnagione molto chiara; a prima vista non sembrava avere tanta esperienza, ma quando parlò si dimostrò sicuro di sé e preparato nel suo mestiere.
Dopo una veloce presentazione, a cui Cal non parve interessato, passò subito alla descrizione dei miei sintomi. Avevo avuto emicranie, spossatezza ed ero svenuta. Mi aveva visitato, ed aveva scoperto che ero incinta! Disse che probabilmente ero tra le quattro e le sei settimane. Ce lo disse con tono allegro, pensando che una coppia di sposini sarebbe stata felice di saperlo; si congratulò prima con me e poi con Cal, che, per non perdere la faccia, rispose con un largo sorriso, ma che somigliava di più a uno dei suoi soliti ghigni.
 
Non ci potevo credere, questa era la notizia più bella che potessi ricevere! Una parte di Jack sarebbe stata sempre con me…chissà se il bambino avrebbe avuto i suoi occhi, o i suoi splendidi capelli…
Ero così impegnata a fantasticare che non mi accorsi che il medico era uscito. Cal mi fissava freddamente, ma non avevo intenzione di scusarmi; sapeva ciò che era successo tra me e Jack quella notte, avrebbe dovuto aspettarselo.
 
Quel che disse mi sorprese; “Sei mia moglie, Rose, e non ho intenzione di umiliarti. Ti terrò con me, così come terremo il bambino. Giurami solo che non racconterai mai la verità a nessuno”.
 
Acconsentii, anche perché in quel momento non avevo scelta; ero incinta e senza soldi, se avessi lasciato Cal mi sarei ritrovata senza casa e senza famiglia, poiché nemmeno mia madre mi avrebbe accolta. Decisi che un’eventuale fuga necessitava di tempo per essere organizzata, e prima avrei dovuto racimolare un po’ di soldi…magari avrei potuto vendere di nascosto qualche gioiello.
In ogni caso, avrei messo a punto il piano durante la gravidanza, per poi andarmene prima del parto.

Volevo che mio figlio sapesse chi era suo padre.
 

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Fissavo il mio pancione e pensavo; ero seduta in salotto, insieme a mia madre, siccome il dottore mi aveva vietato di uscire a passeggiare, o anche solo a prendere un po’ di Sole; nonostante fosse autunno, il clima era piuttosto mite e i raggi del Sole facevano capolino dietro alle nuvole…mi mancavano molto i pomeriggi passati a leggere seduta sull’erba; erano stati probabilmente la parte migliore della mia luna di  miele.

Il rapporto tra me e Ruth era un po’ migliorato, non litigavamo più come l’anno prima, subito dopo la morte di mio padre. Quei mesi erano stati un inferno per me, avevo perso una delle figure più importanti della mia vita, e l’unica cosa a cui pensava mia madre era trovarmi un marito. Arrivai a detestarla per la sua freddezza. Certo, mio padre era stato un incosciente ad accumulare tutti quei debiti senza farne parola con nessuno, ma in quel momento per me la cattiva era lei…Poi arrivò Cal, con il suo fare sicuro e il portafogli pieno, ed il Titanic, e Jack…mi venne da sorridere.
 
Il piano per la fuga stava procedendo piuttosto bene, ero riuscita a vendere alcune collane e braccialetti, ricavandoci però meno di quanto sperato; per non farmi scoprire, infatti, avevo dovuto scegliere gioielli di valore modesto. Nelle prossime settimane avrei fatto lo stesso con altri oggetti, ben sapendo che mi sarebbero servite diverse centinaia di dollari per andarmene.
Mancavano ancora tre mesi al parto, e architettai di scappare non più tardi di novembre, poiché mi sarebbe servito del tempo per trovare una casa, e non volevo rischiare che le doglie mi cogliessero impreparata; il benessere del mio bambino era la cosa più importante.
 
Per quanto riguarda la destinazione, ero piuttosto indecisa; avevo scartato a priori l’idea di tornare in Europa, poiché rabbrividivo al solo pensiero di tornare di nuovo su una nave. Non conoscevo molto gli Stati Uniti, avendo vissuto tutta la vita in Inghilterra. Avevo visitato Washington, e mi era piaciuta, ma temevo che fosse una località scontata e che uno degli investigatori di Cal mi avrebbe trovata. Consultai cartine e mappe di vari Stati durante i mesi di “segregazione” e decisi che avrei cercato rifugio in una città di grandi dimensioni, per potermi nascondere più facilmente; scartai San Francisco e la California a causa del tremendo terremoto di pochi anni prima, e tutte le città che si affacciavano sull’oceano per paura di nuovi incubi.
La candidata perfetta mi parve Beaumont, in Texas; era una città ricca grazie al petrolio, e in veloce espansione, così non avrei fatto fatica a trovare alloggio (e lavoro, in futuro).
 
Ero a buon punto; mi mancava solamente di acquistare il biglietto del treno e di aspettare l’occasione perfetta per scappare. Sperai vivamente che Cal avesse in programma qualche viaggio d’affari.
 
Naturalmente avrei dovuto portare solo una leggera valigia con me, in modo che non mi fosse d’intralcio e per poterla portare facilmente da sola, siccome il pancione cominciava a crescere e a rendermi pesanti anche attività che prima avrei svolto senza problemi. In ogni caso, non avrei potuto preparala con largo anticipo, per paura che qualcuno potesse scoprirmi.
 
L’occasione perfetta si presentò nel giro di poche settimane; Cal sarebbe dovuto andare fuori città a visitare una nuova acciaieria in costruzione, e sarebbe stato via almeno una settimana. Decisi di agire.
Mia madre aveva ripreso la sua frenetica vita sociale, e si era unita a un club di facoltose signore, con cui si incontrava spesso nel pomeriggio. Naturalmente non mancava mai di far notare loro l’importanza e la ricchezza di Cal, in modo che le altre la guardassero con invidia. Non sarebbe mai cambiata.
 
Uno di quei pomeriggi appunto, mi ritirai in camera mia con la scusa di un forte mal di testa, in modo che nessuno sarebbe venuto a importunarmi. Le cameriere erano molto fedeli a mia madre, e non mancavano mai di riferirle le mie attività in sua assenza. Radunai in una piccola valigia solo lo stretto necessario; un po’ di biancheria, il mio gruzzolo, e poche altre cose indispensabili.
 
Fu un’impresa uscire di casa; dovevo aspettare il momento giusto per attraversare i corridoi, in modo da non essere vista. Percorrendo a piedi la via, dovetti mantenere un’andatura calma e tranquilla per non destare sospetti. Percorso l’isolato, decisi di prendere un taxi, siccome il tragitto era troppo da fare a piedi. Per tutto il viaggio, e anche mentre attendevo il treno sulla banchina, ero costantemente in ansia; temevo che da un momento all’altro qualcuno mi sarebbe piombato alle spalle per riportarmi a casa.
 
Mi sentii libera solamente quando fui sul treno, comodamente seduta in uno scompartimento di seconda classe. Ci sarebbero volute parecchie ore e diversi cambi di treno per arrivare a destinazione. Cullata dalla rinnovata speranza per il futuro, mi addormentai.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


La stazione di Beaumont era piuttosto grande, e molto affollata; c’era un continuo viavai di treni, persone e merci. Avrei voluto fermare un facchino o un viaggiatore per farmi indicare il centro della città, ma erano tutti troppo indaffarati. Dovetti arrangiarmi e fortunatamente sbagliai strada solo un paio di volte; nonostante fossi stata seduta per parecchie ore consecutive, la schiena mi faceva molto male, e sperai di trovare al più presto una sistemazione per la notte. Oltretutto stava facendo buio.
Trovai un affittacamere in una traversa della via principale, che mi chiese un prezzo spropositato per una stanzetta piccola e arredata spartanamente. Quantomeno era abbastanza pulita.
“Non porti nessuno in camera, non voglio viavai di gente. Non rompa nulla, e se mi accorgo che qualcosa manca la sbatto fuori immediatamente. Il prezzo è di 2 dollari a notte, pagamento anticipato” disse sbrigativamente la donna grassa che stava in portineria, tendendo la mano per ricevere il denaro.
Detto questo, mi accompagnò nella mia stanza “Non voglio problemi” mi ricordò, squadrando il mio pancione.
“Non ce ne saranno” le risposi nella mia testa. Di sicuro Cal non sarebbe venuto a cercarmi in un posto come quello.
Il letto era incredibilmente scomodo, ma mi adattai. L’indomani sarei andata alla ricerca di una casa tutta mia. I soldi che mi ero portata dietro sarebbero bastati per prendere in affitto un paio di camere per alcuni mesi, poi avrei dovuto cercare lavoro.
Non avevo rimpianti; non mi mancavano le prediche di mia madre, o l’indifferenza di Cal. Qui avrei potuto ricominciare da capo, e dare un’esistenza felice al mio bambino. “Nostro”, mi corressi, pensando a Jack.
 
Le strade della città al mattino presto brulicavano di persone, e quel giorno c’era anche mercato. Mi stupii nel vedere la gran varietà di animali, oche, galline e polli in gabbie, mentre alcuni maialini scorrazzavano alla ricerca di cibo. Mi misi a ridere, non ne avevo mai visto uno dal vivo, ma solo nelle illustrazioni dei libri.
Chiedendo informazioni alla burbera donna della locanda presso cui avevo alloggiato, avevo scoperto che era possibile trovare case in affitto a prezzi modesti nella parte Ovest della città, dove risiedeva la popolazione operaia. Lei sembrava piuttosto desiderosa di liberarsi di me, per cui pensai che le sue dritte fossero corrette e mi avviai a piedi, per risparmiare soldi.
 
Dopo un’oretta di cammino, mi accorsi di essermi persa; avrei dovuto cercare un ponte per attraversare il fiume che bagnava la città, ma non riuscivo a trovarlo. Distratta dai miei pensieri, non mi accorsi di una donna che camminava frettolosamente con un bambino accanto, e mi scontrai con lei. Le cadde la cesta che teneva in mano. Tentai di scusarmi ma lei tagliò corto “lasci stare e mi dia una mano, piuttosto”, poi si accorse del mio stato e divenne più dolce “non si preoccupi, è anche colpa mia. Non l’avevo vista”. Fui felice di trovare una persona gentile, e così le chiesi indicazioni.
“Siete nuova di questa città, eh?” disse.
“Sì, io…ecco…” balbettavo, in cerca di una buona scusa, ma lei si accorse che stavo mentendo.
“Va tutto bene cara? Posso fare qualcosa per aiutarti?”
Non so perché le confessai il mio segreto, forse avevo solo bisogno di sfogarmi, o forse era stato il suo buon carattere a ispirarmi fiducia. Dopo aver ascoltato la mia storia, disse solamente “D’accordo, torniamo alla locanda e raccogliamo le tue cose. Verrai a casa con noi”
 
Era troppo bello per essere vero, e mi offrì di pagare per il mio pernottamento presso di loro, ma la donna non accettò. Mi disse di conservarli per le necessità del bambino, “ho avuto cinque figli, e mi creda, i soldi non bastano mai” aggiunse sorridendo.
Lei era sulla quarantina, il viso era ancora molto armonioso e dolce, ma il fisico robusto rivelava una vita di lavoro. Dedussi che il ragazzino che era con lei fosse il suo ultimo figlio, o penultimo. Somigliava alla madre, ma era incredibilmente taciturno. Forse dipendeva dal fatto che fossi un’estranea.
 
Come previsto, la burbera affittacamere fu oltremodo felice di vedermi partire, temendo di dover risolvere liti con mariti abbandonati e arrabbiati. Scoprii che la famiglia che mi avrebbe ospitato viveva fuori città in un ranch. Mi aveva sempre ispirato la vita di campagna, e poi non credo che sarei riuscita ad abituarmi facilmente alla ressa dei quartieri operai. Oltretutto, avrei potuto sdeditarmi aiutando a dare da mangiare agli animali, o con altri lavoretti.

Mi chiesi come avessero preso la notizia della mia fuga a casa; immaginai l’isteria di mia madre, e il suo timore che Cal la cacciasse da casa. Lui sarebbe stato indifferente alla mia scomparsa, come lo era alla mia presenza, e probabilmente sarebbe solo stato scocciato dal fatto di doversi fingere addolorato in pubblico.
Sicuramente avrebbe ingaggiato degli investigatori per trovarmi; odiava perdere, e odiava essere preso in giro.
Mi chiesi se non avessi sbagliato a non lasciare un biglietto di addio, ma allontanai subito il pensiero.
Decisi che nei prossimi giorni avrei acquistato il quotidiano, per tenermi aggiornata sulla vicenda; Cal era un uomo molto ricco e potente, e la notizia della fuga di sua moglie avrebbe fatto scalpore.

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Il ranch della famiglia Thomson, così si chiamava la mia benefattrice, distava diverse miglia dalla città, e ci mettemmo parecchio ad arrivare, dovendo percorrere la strada a piedi; la famiglia non era molto ricca, e l'unico carro doveva rimanere a casa, in caso ci fosse stata un'emergenza. Non mi stancai eccessivamente, poiché fu il ragazzino a portare la mia valigia, e ogni tanto facevamo delle soste a lato della strada per permettermi di riposare. Il bambino era abbastanza irrequieto, e continuava a tirare calci “vivace come il padre!” pensai tra me e me.
Durante il tragitto ebbi modo di parlare con Lucy, e mi raccontò la sua vita; era sposata da molti anni con il signor Thomson, proprietario di un ranch in cui allevavano bestiame. Mi descrisse orgogliosa i suoi figli; Andrew, il maggiore, aveva da poco compiuto vent’anni, poi c’erano Melissa e Hannah, gemelle, avevano la mia età. Infine, i due “piccoli” di casa, anche loro gemelli, Matthew e Eric, di 7 anni. Quest’ultimo aveva accompagnato la madre al mercato quel giorno, e mi stava gentilmente portando la valigia.
 
Rimasi affascinata dal paesaggio; agli occhi di molti sarebbe potuto apparire brullo e insignificante, ma per me era meraviglioso. I campi si estendevano a vista d’occhio, e appena usciti dalla città si vedeva solo qualche casolare, sparso sullo sfondo.  Le mandrie erano numerose, e vidi anche alcuni cavalli; mi ricordai della promessa fatta a Jack, sull’imparare a cavalcare come un uomo, e mi ripromisi di farlo, non appena sarei stata nella condizione adatta. Fui felice di aver scelto come meta il Texas, non c’era posto migliore per sentirsi liberi.
 
Arrivammo a destinazione che era quasi ora di pranzo; insistetti per aiutare a cucinare, ma Lucy mi ordinò di riposarmi, dopo la camminata. Eric era uscito a chiamare il padre e il fratello, per avvisarli della mia presenza. Nel frattempo potei fare la conoscenza delle due ragazze; erano due gocce d’acqua: entrambe alte, dai capelli scuri, somigliavano molto alla madre. Furono ovviamente stupite di vedermi, ma non ne fecero un problema; furono cordiali e amichevoli. Sperai che anche gli altri membri della famiglia avrebbero preso così bene la notizia della mia permanenza a casa loro.
 
Andò tutto nel migliore dei modi; il capofamiglia non si oppose, e fu cordiale come la moglie. Mi disse che sarebbe stato felice di avere presto un altro bambino che scorrazzava per casa. Naturalmente mi fecero molte domande, e non ebbero difficoltà a credermi; nonostante avessi scelto un degli abiti più modesti che possedevo per la fuga, esso rimaneva comunque molto ricercato. Immaginai che non ne avessero mai visto uno simile. Inoltre, avevo con me parecchio denaro, una somma troppo alta per una donna dalle umili origini.
 
Rivelai loro solo una parte della storia, non accennando al viaggio sul Titanic o a Jack; sarebbe stato troppo doloroso. Mi fecero molte domande su Cal, e il signor Thomson non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto trattarmi così male.
 
Si decise che avrei condiviso la stanza con le gemelle, e che all’arrivo del bambino la culla sarebbe stata messa accanto al mio letto. Mel e Hannah si dimostrarono entusiaste della sistemazione, ed anche io lo ero. Era fantastico aver trovato delle amiche.
 
Le giornate procedevano tranquille; davo una mano in casa, e mi dissero che con l’arrivo della bella stagione mi avrebbero insegnato a prendermi cura dei cuccioli della mandria.
Il momento del parto si avvicinava.

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


“Non preoccuparti Rose, andrà tutto per il meglio!”
“Continua a respirare!” Urlavano concitate Mel e Hannah; avevo le contrazioni da quasi un’ora, e né loro né io sapevamo cosa fare. Lucy era andata a prendere altri asciugamani, mentre il marito era corso in città a chiamare la levatrice. Sperai che arrivasse presto.
Il dolore era spaventoso, non avevo mai provato nulla di simile in tutta la mia vita. Non era la sensazione peggiore però; man mano che passava il tempo, cresceva in me la paura che qualcosa potesse andare storto, e non avrei sopportato di perdere anche l’ultimo regalo che mi aveva fatto Jack. Cercai di scacciare quel pensiero triste.
 
“Un’altra spinta Rose, ci siamo quasi!” ordinò la levatrice; appena arrivata si era data subito da fare, e la sua presenza mi aveva tranquillizzato moltissimo. Era una donna piuttosto anziana, ma ne aveva viste di ragazze nella mia situazione, e sapeva esattamente cosa fare.
“Un’altra ancora, vedo la testa! Bravissima, ce l’hai quasi fatta!” continuava a ripetermi; ma “l’ultima” spinta non era mai l’ultima, e io non ce la facevo più. Ormai ero in travaglio da parecchie ore e il dolore era insopportabile, ma continuai a fare quello che mi diceva, pensando al meraviglioso momento in cui avrei abbracciato per la prima volta il mio bambino.
 
“Ce l’hai fatta Rose!” mi disse Lucy con le lacrime agli occhi; si era emozionata, ormai mi considerava una di famiglia, e mio figlio sarebbe stato come un nipotino per lei. Tirai un sospiro di sollievo, vedendo le facce allegre delle ragazze, udendo la voce rassicurante di Lucy e, soprattutto, il vagito del mio bambino. Era vivo, e stava bene. Era tutto quello che desideravo.
 
“Hai avuto un maschietto, è meraviglioso” disse affettuosamente la levatrice e, dopo averlo lavato e sistemato in una copertina, me lo porse.
 
Non mi dimenticherò mai la prima volta che lo presi in braccio; ero emozionata come non mai, e dopo tutta la paura e il dolore delle ore precedenti, finalmente potevo vederlo e toccarlo. Fu indescrivibile, e dallo sguardo di Lucy capii che certe sensazioni possono comprenderle solo le madri. Mel e Hannah si davano da fare, cambiando le lenzuola e preparando qualcosa da mangiare per me. Erano molto curiose di vedere il bambino, ma decisero di lasciarmi un po’ da sola con lui.
Avevo già deciso che lo avrei chiamato Jack. Aveva i capelli biondi e lo sguardo allegro; fui felice di constatare che assomigliava molto al padre.
 
Sperai che non mi facessero domande sul nome; nonostante i tre mesi passati con loro, e l’affetto e la confidenza che ormai ci legava, non volevo rivelare loro questa storia. Temevo che rivangare il passato sarebbe stato troppo doloroso.
 
Jack cresceva forte e sano, mangiava con appetito ed era sempre allegro; ogni volta che qualcuno si avvicinava alla sua culla faceva delle smorfie simpatiche, e tutti lo adoravano. Non aveva problemi a farsi prendere in braccio da qualcuno che non fossi io, e ciò fu un bene, poiché con l’inizio della primavera decisi di mantenere la mia promessa e di cominciare ad aiutare al ranch. Parlando con il signor Thomson e con suo figlio Andrew, che si occupavano della campagna, decidemmo che avrei potuto cominciare occupandomi dei vitellini. La maggior parte dei cuccioli era accudita e alimentata dalle madri, ma i più deboli non potevano rimanere al pascolo, ed avevano un piccolo recinto al coperto. Io avrei dovuto dagli da mangiare una volta al giorno. Non era un compito impegnativo, e mi lasciava ancora molto tempo da dedicare a mio figlio, ma mi faceva sentire utile, e fui felice di dare una mano.
 
I primi giorni Andrew mi seguì e mi fece da maestro; mi istruì sulle quantità di latte da somministrare, e su cosa fare nel caso si fossero fatti male o fossero peggiorati. Fino a quel momento non avevamo parlato molto, era un ragazzo taciturno e un po’ timido, ma dedito al suo lavoro; si vedeva che amava gli animali, e si prendeva cura di loro in maniera perfetta.
Mi promise che mi avrebbe insegnato a cavalcare, uno di quei giorni, ed io accettai entusiasta.
 
Quando ebbi imparato abbastanza, mi lasciò da sola a svolgere le mie mansioni. Le prime volte avevo un po’ di timore, avevo sempre paura di sbagliare qualcosa, ma poi ci presi la mano, e imparai a capire dai loro versi e dai loro comportamenti di cosa avessero bisogno. Mi facevano molta tenerezza, così piccoli e deboli, e pensai che alla fine fossero per certi versi molto simili ai “cuccioli” di uomo.
 
I giornali non avevano parlato a lungo della mia scomparsa; ogni tanto comparivano notizie su Cal o sulla sua società. Aveva da poco aperto un nuovo stabilimento, e sembrava che gli affari andassero bene per lui. Su mia madre non avevo notizie, avendo deciso di non scriverle; quella decisione fu piuttosto combattuta, poiché nonostante tutto Ruth rimaneva comunque mia madre, e avrei almeno voluto sapere come stava, o parlarle di Jack. Decisi di accantonare il pensiero, e che forse le avrei scritto per Natale.
 
Nessuno venne a cercarmi, e nemmeno i vicini dei Thomson fecero domande; ero stata classificata come una lontana cugina al momento del mio arrivo, e non si insospettirono.
 
Ero davvero felice in quel periodo, e sperai che le cose potessero rimanere così per sempre; ma si sa, nulla dura per sempre. 

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Era pomeriggio inoltrato, ed io e le ragazze eravamo già indaffarate a preparare la cena, mentre Lucy stirava: L’atmosfera in casa era molto allegra, e si parlava solo del ragazzo di Mel. Da poco infatti si era fidanzata con il figlio di uno dei vicini della famiglia Thomson, e tutti in casa eravamo entusiasti; era poco più grande di lei, intelligente e gran lavoratore, ed erano davvero innamorati.
Lui veniva spesso a trovarla, e il matrimonio era stato fissato per l’autunno, per cui c’erano milioni di cose da preparare; bisognava preparare il corredo, e l’abito, e sistemare la nuova casa in cui sarebbero andati ad abitare.
 
“Tu e Rose sarete le mie damigelle d’onore” disse entusiasta Mel alla sorella.
“Tesoro,non si possono avere due damigelle d’onore” rispose ridacchiando Lucy.
“Io le avrò!” dichiarò trionfante “padre Gorge potrà lamentarsi all’infinito, ma non mi farà cambiare idea” concluse.
 
In quel momento, udimmo la porta di casa sbattere, e i gemellini corsero in cucina trafelati “una macchina mamma! Sta venendo proprio da noi! L’abbiamo vista mentre svoltava nella strada che porta qui” quasi urlarono. “Cosa viene a fare?”
 
Mi si gelò il sangue nelle vene, e con il pensiero corsi a centinaia di miglia di distanza. A New York. Cal. Mia madre. La mia vecchia vita. Per quanto cercassi una risposta alternativa a quella strana situazione, sapevo bene che non c’era. Quell’auto era qui per me.
 
Dopo pochi minuti, l’auto scura comparve nel cortile, sollevando una gran quantità di polvere, e si fermò proprio davanti all’entrata di casa. Ne scesero due uomini sulla quarantina, alti, prestanti e con lo sguardo severo; erano ben vestiti, con completi che non vedevo da mesi, da quando avevo lasciato New York.
 
Entrarono in casa, e, senza molti convenevoli, quello che sembrava essere il capo parlò, guardandomi negli occhi “Lei è la signora Rosalinda Dewitt Bukater Hockley?”
Conosceva già la risposta, e mi limitai ad annuire.
“Deve venire con noi a New York signora. Il treno partirà tra due ore” non sembrava una richiesta, ma un ordine.
 
Mi decisi a parlare “Cosa vuole il vostro padrone da me?” dissi, riferendomi a mio marito.
“Desidera solo parlarle. Porti anche il bambino”.
“Il bambino rimane qui, è troppo piccolo per viaggiare” su quel punto avevo deciso che non avrei fatto passi indietro. Se Cal voleva una spiegazione, sarei andata a New York a chiudere la storia, ma Jack sarebbe rimasto qui con Lucy.
“D’accordo per il bambino. Ma ora prepari la sua valigia. La aspettiamo qui”.
 
Lucy e le figlie mi guardavano impietrite; ero stata onesta con loro, e li avevo avvisati sul fatto che Cal sarebbe potuto venire a cercarmi, ma probabilmente dopo tutti questi mesi non pensavano che sarebbe più successo. Le ragazze mi precedettero in camera, e organizzarono il mio bagaglio per il viaggio. Misero in valigia anche uno degli abiti migliori di Mel, confezionato apposta per la sua festa di fidanzamento. Cercai di oppormi, non mi interessava di come Cal mi avrebbe considerato. Non mi guardava nemmeno quando indossavo i meravigliosi abiti di seta e pizzo che avevo quando vivevo con lui.
 
Loro non vollero sentire ragioni, e lo misero sopra agli altri, facendo scattare la chiusura del bagaglio. Ero pronta a partire, e mi veniva da piangere. Non volevo separarmi da loro, e da Jack, ma sapevo che avrei dovuto farlo, in nome della nostra tranquillità futura.
 
Salii in auto con i due investigatori, e alle sette di sera il treno sbuffò e uscì dalla stazione.
 
Mi pentii di non aver salutato Andrew, eravamo diventati molto amici in questi mesi. Sperai che Cal sarebbe stato ragionevole, e che mi avrebbe lasciato tornare dai Thomson; in caso contrario, sarei scappata di nuovo.
 
Arrivammo a New York, e i due tirapiedi mi portarono immediatamente nelle mia vecchia casa; la mia richiesta di andare a stare in albergo venne completamente ignorata.
In casa era tutto come mi ricordavo, e mia madre era all’ingesso ad attendermi; mi abbracciò e mi disse che era felice di rivedermi. Ammisi con me stessa che ero felice di constatare che stava bene, e che Cal non l’aveva cacciata. Naturalmente, non perse l’occasione di osservare disgustata il mio vestito misero.
 
Volendo stare via il meno possibile, chiesi subito di Cal, ma mia madre scambiò la mia impazienza come un pentimento; era convinta che sarei ritornata a stare col loro.
 
“è nello studio” disse, e poi tornò in salotto ad attendere.
 
Aprii la porta e lo vidi. Era di spalle, seduto nella sua poltona, e mi aspettava.
Non feci in tempo ad aprire bocca.
 
“Rose, sono felice che tu abbia accolto il mio invito”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
….Continua! ;) Ringrazio di cuore tutte/i voi che continuate a leggere la mia storia, e un grazie speciale a cicciospillo per le belle recensioni e il supporto. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


 
“Rose, sono felice che tu abbia accolto il mio invito”
 
Non sembrava davvero felice; era solo vittorioso, poiché avevo deciso di tornare a New York.
 
“Cosa vuoi Cal? Non ho attraversato mezzo continente per vedere il tuo ghigno” risposi acida. Se credeva davvero che sarei tornata da lui implorando di riprendermi,si sbagliava di grosso.
 
“Rose, mia cara, volevo solo essere gentile”, disse calmo, poi proseguì “riconosco che sposarci non sia stata una buona idea; non siamo fatti per stare insieme, quindi, ho incaricato il mio avvocato di preparare le carte per il divorzio. Se le firmerai, sarai libera, e potrai tornare a vivere in Texas, o ovunque tu voglia”.
 
Sembrava troppo bello per essere vero, e rimasi a guardarlo sospettosa. Cal non faceva mai nulla per buon cuore. Lui se ne accorse e scoppiò a ridere “Rose, controlla pure, ma non ti sto ingannando; è tutto regolare. Dopo aver firmato, sarai una donna libera”.
 
Rimasi tutta la notte alzata, a leggere e spulciare tutti i documenti; volevo accertarmi che non ci fossero clausole o altri trucchetti da parte del mio “caro” marito. Incredibilmente, era tutto in regola.
Firmai e consegnai i documenti a Cal.
Si premurò di riaccompagnarmi alla stazione personalmente, in auto, mentre prima lo avrebbe fatto fare a uno dei suoi tirapiedi. Comprò il biglietto per il treno; ci salutammo con una stretta di mano, senza rancore, e pensai che forse era cambiato davvero.
 
Mancava ancora un’ora all’arrivo del treno, così decisi di acquistare il giornale; l’occhio mi cadde subito su una foto in prima pagina. Era Cal, a braccetto con una giovane ragazza, all’uscita da uno dei teatri più famosi della città. Curiosa, lessi anche l’articolo: “Il magnate Cal Hoackey in compagnia di Susanne Whright, figlia di Albert Whright”. Conoscevo il signor Whright, era un famoso miliardario californiano, e probabilmente lui e Cal stavano pensando a un matrimonio.
 
Mi venne da ridere; in fondo Cal non era cambiato per niente, e mi aveva concesso il divorzio solo per sposare quella ragazzina e la sua gigantesca eredità.
 
Avevo mandato un telegramma ai Thomson, annunciando il mio arrivo, e alla stazione venne Andrew a prendermi. Fui felice di rivederlo, e mi scusai per non averlo salutato prima di andarmene. “Non fa niente Rose, piuttosto, come è andato il viaggio?”
Gli raccontai tutto, dell’incontro con Cal, del divorzio, e anche della signorina Susanne.
 
“Ma suo figlio? Non desidera vederlo, o passare del tempo con lui?” chiese innocentemente.
 
Decisi di raccontagli tutto, non aveva senso tenere dei segreti ad Andrew, o agli altri membri della famiglia, dopo che loro erano stati così gentili e amorevoli con me. Mi sentivo pronta a condividere il mio passato.
 
Mentre tornavamo a casa a piedi, gli parlai del Titanic, descrivendolo in ogni particolare della sua magnificenza; sorrisi come una sciocca mentre raccontavo di Jack, e del bambino. Sperai che non si scandalizzasse troppo per l’ultima parte, ma non mi interruppe mai e mi ascoltò come un amico.
Poi ci fu il racconto concitato e confuso dell’affondamento, e di come rimasi a mollo in acqua sopra a una porta rotta. Descrissi la gioia che provai nel vedere le luci del Carpathia in lontananza, quella notte.
Finii di parlare che eravamo quasi a casa; mi era scesa qualche lacrima, e lui mi abbracciò per tirarmi su di morale.
Dalle finestre fidi le ragazze intente a preparare la cena, si stavano dando molto da fare.
 
“Stanno preparando una festa per il tuo ritorno” disse Andrew allegro. Poi mi prese per mano ed entrammo.
 

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Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


Passò l’estate, e ai primi di ottobre si celebrò il matrimonio tra Mel ed Henry, il suo fidanzato. La sposa alla fine la spuntò, e riuscii a convincere il prete a farle avere due damigelle d’onore. Per me fu davvero significativo, poiché mi sentito a tutti gli effetti sorella di Mel e Hannah, e un membro della famiglia Thomson. La cerimonia fu semplice, completamente diversa dal mio matrimonio, ma, al contrario di me e Cal, loro due erano davvero innamorati, e i parenti e gli amici erano felici per loro. Organizzammo una piccola festa a casa nostra, che durò fino a notte inoltrata. Ballai sempre con Andrew quella sera.  
Jack Jr. cresceva forte e sano, ed era adorato da tutti; era il cocco di casa, e il signor Thomson se la cavava alla grande come nonno. Lucy passava le sere a preparare vestitini nuovi per lui, poiché stava imparando a camminare, e nel giro di qualche settimana sarebbe diventato davvero bravo. Ogni volta che lo guardavo, mi tornava in mente suo padre, e quei pochi giorni trascorsi insieme; erano i miei migliori ricordi, e non me ne sarei separata per niente al mondo, ma sapevo che avevo bisogno di andare avanti con la mia vita, e di essere felice di nuovo, e crearmi una famiglia.
 
Anche il mio lavoro alla fattoria procedeva bene; mano a mano che acquisivo esperienza, Andrew mi dava nuovi incarichi da svolgere e sempre più responsabilità. Per la prossima primavera stavamo organizzando di andare insieme ad una fiera per vendere alcuni capi di bestiame e acquistarne altri.
 
Pochi giorni prima della partenza, mentre ero in camera a preparare il mio bagaglio, Andrew mi raggiunse; era pensieroso da un po’ di tempo, ma non aveva spiegato il motivo a nessuno.
 
“Rose, vorrei parlarti” disse entrando.
 
Gli sorrisi, e lo invitai a sedersi, per poi mettermi accanto a lui.
 
“Ci conosciamo da molti mesi ormai, e in tutto questo tempo ho potuto osservare che meravigliosa donna sei; stai crescendo un figlio da sola, lavori con me e nonostante tutto a fine giornata hai ancora le energie per aiutare mia madre e noi. Il tuo arrivo è stato una benedizione per noi”.
 
Mi stavo commuovendo, ma cercai di trattenermi per far finire a Andrew il suo discorso.
 
Infatti continuò, un po’ imbarazzato “quello che voglio dire, è che sei stata una benedizione soprattutto per me”. Mi prese la mano la le sue.
 
“Vorresti sposarmi?”
 
Speravo da tempo che arrivasse questo momento. “Sì, sì, sì!” urlai, e ci abbracciammo, un po’ goffamente. Dopo essere stati amici per così tanto, era un po’ strano vedersi come fidanzati, ma era ciò che desideravo.
 
 
 
 
1988
 
Con Andrew sono stata davvero felice, abbiamo avuto altri tre figli oltre a Jack Jr., che a loro volta hanno avuto altri figli. Le riunioni di famiglia sono sempre vivaci e chiassose. Abbiamo continuato a vivere in Texas, nel ranch di famiglia.
Il fatto che  io abbia deciso di sposare Andrew, nel lontano 1913, non significava che io avessi smesso di amare Jack. Lo amavo con tutto il cuore, e lo amo anche ora, dopo tutti questi anni. Non l’ho mai dimenticato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eccoci alla fine della storia! :D
Mi sono divertita a scriverla, e in alcuni punti anche un po’ emozionata.

Spero che vi sia piaciuta, e ringrazio tutti coloro che l’hanno letta, pur senza recensire; mi farebbe però piacere sapere cosa ne pensate, e aiutarmi a migliorare. Siamo qui per questo no? XD
Un bacio grande a Cicciospillo, per il suo sostegno costante :D

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