Non solo passione

di Cicciospillo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solito Sogno ***
Capitolo 2: *** I Suoi Occhi ***
Capitolo 3: *** Messaggi e Ancora Messaggi ***
Capitolo 4: *** Oscura stanza ***



Capitolo 1
*** Solito Sogno ***


Ciao ragazzi, questa è la mia prima storia a più capitoli. Mi scuso subito per eventuali errori d’ortografia. Spero che rencensirete, intanto, il primo capitolo anche perché, per me, è molto importante una vostra opinione (anche negativa). Grazie.
PROLOGO
Ed è così che tutto incominciò. Una calda giornata di settembre che mi sconvolgerà l’anima tra dolori, passioni e novità. Camminavo per il centro città. Attratta da qualcosa di oscuro. Non so dove stessi andando o dove più precisamente mi stava portando. Era imponente e mi dominava. Impossibile sottrarsi. Però non sembrava qualcosa di volatile come un fantasma o qualcosa di astratto. Era solido. Forse una persona. Forse. O forse anche no. Mi attirò fuori città, al limitare del bosco, dove la nebbia e l’oscurità mi stavano circondando inghiottendomi sempre di più verso il buio.
CAPITOLO 1
Rebeccah! Svegliati!
Chi ero io? Stavo dormendo? Aprì un occhio alla volta cercando di ricordare chi ero. A fatica mi misi seduta e mi guardai attorno. La luce che penetrava dalla finestra era molto intensa e illuminava l’intera stanza. Il lenzuolo era sparito. Impossibile. Guardai meglio. No, non era sparito, era solo caduto a terra completamente stropicciato. La sveglia segnava le sette in punto del mattino. Così mi alzai svogliatamente e andai in bagno. Dopo una lunga e fresca doccia avvolsi un asciugamano intorno al mio corpo e mi asciugai i capelli. Neri fino a metà schiena, dopodiché il blu li dominava.  Curiosai nell’armadio senza i problemi delle solite ragazzine di starci ore davanti senza decidersi. In qualche minuto ero già pronta: calza a rete nera, canotta azzurra scollata, pantaloncini corti in jeans e le scarpe – amatissime scarpe in stile skateboard – nere. Presi al volo la borsa appoggiata sul mio comodino. Mi guardai un secondo allo specchio.
Eccomi lì: bella e magra, le curve al posto giusto. Non troppo alta. Non dimostravo quei soli quindici anni che mi ritrovavo, ma pochi di più. Scesi le scale diretta in cucina, dove ci trovai la madre che stava preparando il the per tutte: io, lei e la mia sorellina di quattro anni e mezzo Stephanie. Subito dopo suonò il campanello. No, non poteva già essere arrivata. Bevi frettolosamente il the e così, da brava furba che sono, mi ustionai la lingua. Mia madre stava già facendo entrare la nostra solita e abbonata ospite nell’ingresso che corse verso di me e mi abbracciò. Salutai la mia famiglia e m'incamminai con lei verso la scuola. Avevamo due sorrisi a trentadue denti stampati in faccia.
Era da due settimane che non la vedevo. Era andata in Italia dai suoi parenti prima dell’inizio della scuola così ci chiamavamo tutti i giorni e per delle buone ore non facevamo altro che parlare, ma anche di cose inutili come le nostre stronzate. La guardai. Eravamo proprio diverse. Lei era bionda, o almeno la maggior parte dei capelli, compresa la sua frangetta che le ricadeva leggermente sugli occhi. Per il resto aveva le ciocche fuxia intense. Sì, i capelli ce li eravamo andate a colorare insieme. Era vestita molto semplicemente: anche lei aveva dei pantaloncini in jeans, infradito argentate, e una maglietta grigia con scritta una frase: viva gli alieni verde fluo. Gliel’avevo regalata io per il suo compleanno. La frase l’avevo scritta io con i colori per tessuti. Era venuta bellissima. Dietro la frase c’era una lunga storia fra noi. Assì, il suo nome era Nicole. Ed eccola lì, piccola, gialla e sconosciuta scuola. S'innalzava dietro ad un piccolo boschetto. Sì, sconosciuta perché era il mio primo giorno in una nuova scuola. Nuova perché quella vecchia era veramente troppo lontana dal nuovo quartiere in cui ero andata ad abitare. Nuovo quartiere perché l’anno scorso mio padre uccise la sorella di mia madre – zia Antonella – per chissà quale motivo, così la mia mamma non volle vivere in una casa macchiata di tale delitto.
Eccoci arrivate all’ingresso della mia nuova scuola dove gli studenti erano riuniti in piccoli gruppetti che chiacchieravano tra loro. Nicole si diresse verso un gruppo un po’ più numeroso. Composto da cinque ragazze e un paio di ragazzi. Mi presentò a loro con fare orgoglioso. Poi si presentarono tutte loro e infine i ragazzi. Sam e Jim. Unici due nomi che non riuscì a ricordare da subito. Supposi fossero fratelli – forse anche gemelli – avendo troppi lineamenti uguali per essere solo simili. La prima campanella suonò ed entrammo a scuola, dirette in classe. Le pareti dei corridoi erano grigi chiari e gli armadietti verdi scuri. In fin dei conti era un istituto ben tenuto. Entrate in classe ci andammo a sedere in fondo. Nessuno degli amici di Nicole era in classe con noi. Dimenticavo, Niki – soprannome di Nicole – aveva sedici anni, fu bocciata un anno alle medie. Ma non sembrava che quest'argomento le desse troppo fastidio.
Entrò un uomo cicciottello, basso e si mise in piedi davanti alla lavagna e guardava proprio verso di me. Ordinò il silenzio poi disse “Buongiorno ragazzi, e buona fortuna per il prossimo anno scolastico a venire. Vedo facce nuove, benvenuti ai nuovi arrivati”. Mi fece un gesto con la mano di alzarmi. Così mi ritrovai di fronte alla classe per presentarmi. Dissi semplicemente “Mi chiamo Rebeccah ed ho quindici anni” poi aggiunsi per richiesta del professore “conosco solo Nicole” e la indicai. Lei non fece una piega e mi sorrise. Tornai imbarazzata al mio posto. Le prime due ore di matematica e la terza di spagnolo passarono rapidamente.
Così ora eravamo sedute a un tavolo in mensa a gustare tutto ciò che avevamo sul vassoio. Purè, pane, prosciutto, pasta e aranciata. Tutto abbastanza discreto, niente di speciale. Così ci alzammo e finimmo quella prima giornata di scuola. Ce ne tornammo a casa quando decisi di far restare Nicole a dormire da me. Niki, da sempre, era abbonata a casa nostra. Ogni giorno di ogni settimana lo passava con me. Così l’accompagnai nel suo appartamento, dove abitava lei, suo padre, sua madre e un fratello. Si prese un pigiama e spazzolino. Ci fermammo al noleggio dei film dove ne prendemmo due.
Arrivate a casa mia ci preparammo pop-corn, tramezzini e coca-cola. Passammo una bellissima serata. Purtroppo coloro che mi fecero passare le notti insonni erano i miei incubi. Mi tormentavano ormai da mesi ma di giorno in giorno si facevano sempre più vividi. Non sapevo cosa significassero. Ero sempre in città che passeggiavo e a un certo punto qualcosa mi attirava al limitare del bosco e mi risucchiava all’interno di questo. Ma non era qualcosa, bensì qualcuno. E ogni santa notte l’aspetto di questo signor qualcuno si faceva sempre più chiaro. L’unica cosa che non si riusciva neanche a scorgere il volto. Qualcosa mi diceva che fosse un brutto presagio e credevo nel mio oscuro presentimento. Ma un’altra parte di me stava urlando che invece sarebbe stato qualcosa di positivo ma non troppo. A quale sensazione dovevo dar ascolto?

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Capitolo 2
*** I Suoi Occhi ***


Ciao ragazzi, ecco a voi un altro capitolo. Non so com'è, nessuno recensisce e io non capisco se è tanto banale da non poterlo neanche leggerlo o cosa….il prossimo capitolo lo metterò a breve. Spero la storia vi piaccia e mi scuso per eventuali errori di ortografia. ultima cosa : gli accapo non mi funzionano, mi diapisce :( Bacioni, Ila CAPITOLO 2 Rebeccah! Un’altra mattina. Un’altra voce che mi svegliava. Nicole. Aprì gli occhi, assonnata. Me la ritrovai a qualche centimetro dal mio naso. Mi stava urlando che avevo delle occhiaie terribili. Lei sapeva dei miei incubi, sapeva cosa stava succedendo. Ma neanche lei non sapeva come interpretarli. Mi trascinò in bagno dove mi truccò coprendo quelle “ borse della spesa” – come chiamava lei le occhiaie – e poi un trucco veloce sul resto del viso. Pronte per la scuola – con gli stessi vestiti del giorno prima – andammo in cucina: tea pronto per tutte, mamma non c’era, era al lavoro. Stephanie stava ancora dormendo e da lì a poco sarebbe arrivata Deborah, la sua baby – sitter. Dopo aver fatto colazione andammo a scuola. Arrivata in classe vidi la mia professoressa di italiano: altra, un po’ grossa, capelli scuri e un sorriso sulle labbra. Invece di ordinare silenzio, appoggio i libri sulla cattedra e venne verso di me e si presentò “Benvenuta Rebeccah. Sono la professoressa Lucinda Loowed. insegno lettere e geografia” così dicendo ci mettemmo a chiacchierare. Era al corrente della mia situazione in famiglia, fui grata di non raccontare per un’ ennesima volta l’accaduto. Chiacchierammo della mia vecchia scuola, dei programmi di quest’anno e dell’amicizia tra me e Nicole – pur non sapendo bene il perché l’ insegnante me l’avesse chiesto -. Passai il resto della mattinata seguendo le lezioni di matematica. Il pomeriggio Nicole restò anche quella giornata a casa mia. Facemmo insieme una ricerca di italiano e un pochi di compiti di matematica. Eravamo sedute entrambe sulla mia vasta scrivania con le due sedie e il computer acceso. Finito il tutto scendemmo in cucina e ci prendemmo un cono gelato confezionato e ce lo gustammo davanti ad un film. Poi, dato che mia madre dovette andare ad una riunione di lavoro, io e Niki dovemmo badare a Stephanie poiché Debora – l’odiosa baby-sitter – si era sentita poco bene. Così giocammo insieme a nascondino e alla caccia al tesoro. Demmo da mangiare al gatto – gatto Oceano – e aiutammo Stephy a fare i compiti. Quando arrivò mia madre restammo a chiacchierare un po’ con lei della scuola. Poi uscimmo e andammo a casa sua per prendere quello che le occorreva per il giorno seguente dato che , anche quella sera, voleva dormire da me. Tempo di tornare a casa a riportare la sua roba e ci incamminammo a piedi verso il centro commerciale che distava pochi isolati da casa. Erano le cinque circa ed il cielo era ancora chiaro e il sole splendeva. C’era gente che passeggiava, da sola o in compagnia del proprio cane, macchine che andavano e venivano e chi, passando, si scontravano l’uno con l’altro. La città era in movimento. Tutti sembravano allegri, comprese io e Nicole. Ad un certo punto mi venne addosso un ragazzo che stava correndo. Dall'impatto caddi a terra. Nicole – che per miracolo era riuscita a tenersi in equilibrio – mi aiutò ad alzarmi. Il ragazzo stava ancora barcollando ma riuscì a restare in piedi. Si chinò a raccogliermi la borsetta blu che mi era scivolata. Quando alzò gli occhi, finalmente lo riuscì a squadrare da capo a piedi. E rimasi a bocca aperta. Era bellissimo. Semplicemente bellissimo. Occhi chiari e capelli scuri come la notte. Era vestito di scuro. Magro, alto e sotto quella maglietta….mmm….non volevo neanche immaginare. I bicipiti si facevano vedere dalla maglietta a maniche corte attillata. Mi veniva la bava alla bocca solo a guardarlo. E mi accorsi che lui mi squadrava a mia volta. Mi stava porgendo la borsetta. La presi arrossendo, si presentò “sono Diego” e mi sorrise. Pensai ora svengo, Nicole prendimi! Mi sentivo ridicola così mi presentai a mia volta e lo salutai con la scusa di avere fretta. Sentì i suoi occhi addosso fino a che non girai l’angolo. A quel punto Nicole mi prese per un braccio, si parò davanti a me e mi disse “l’hai notato anche tu?”. “si” risposi “nei suoi occhi”. ANGOLO DELL’AUTRICE: Devo dire: non avevo idee per questo nuovo capitolo…ci lavoro da quando ho caricato quello precedente e l’ho rifatto mille volte. Forse non sarà il migliore, ma prometto che i prossimi saranno più interessanti…e magari anche un po’ più lunghi. Accenno prossimo capitolo: “Ecco che quella sera, come tutte le altre, gli incubi ricomparivano. Questa volta riuscì a scorgere una parte del volto non identificando nessuno. Sapevo che a breve quella faccia misteriosa sarebbe comparsa anche nella mia vita reale. Forse per portarmici via o semplicemente per portare qualche novità nella mia routine…” Recensioni: riguardo alle recensioni sono un po’ perplessa. Non so se la mia storia fa così tanto schifo da non esserci la bandierina rossa o solo per pigrizia (spero la seconda). Sinceramente anch'io a volte sono pigra ma solo quando una storia mi suscita poso interesse. Ditemi solo come la pensate anche qualcosa come : “fa schifo” mi basta! Saluti: saluto tutti, anche i pigroni, e la mia amica Nicole!

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Capitolo 3
*** Messaggi e Ancora Messaggi ***


Ciao a tutti, finalmente sono riuscita a caricare questo terzo capitolo. Non avevo molte idee quindi pensavo di introdurre il prossimo in cui penso di mettere qualche svolta. Il prossimo pensavo di pubblicarlo al massimo tra qualche sera. Non ho altro da aggiungere, mi scuso sempre per eventuali errori. Spero nelle vostre recensioni per capire come la pensate. Ps: ho capito come funzionavano gli “accapo”. Bacioni, Ila

CAPITOLO 3

Non parlammo più dell’accaduto per tutta la serata. Andammo a mangiare una pizza nella pizzeria di fronte al negozio di scarpe. Così poi andai a salutare un’amica che lavorava lì. Frida. La conoscevo dalle elementari e recentemente c'eravamo un po’ allontanate ma fummo comunque felici di vederci. Tutta la serata passò spensieratamente e poi tornammo a casa. Ci guardammo un film comico giusto per finire la giornata. Sembrava come se Nicole avesse dimenticato il piccolo avvenimento de quel pomeriggio. Bho, forse meglio così. Ci lavammo i denti, ci struccammo e poi ci mettemmo il pigiama, pronte  per andare a dormire e riposarsi finalmente dopo quella giornata fin troppo attiva. Sperai veramente di non avere incubi una sera ogni tanto. Ma quel desiderio, come al solito non si avverò.
Ecco, infatti, che anche questa sera, come tutte le altre, gli incubi ricomparivano. Questa volta riuscì a scorgere una parte del volto non identificando nessuno. Sapevo che a breve quella faccia misteriosa sarebbe comparsa anche nella mia vita reale. Forse per portarmi via o semplicemente per portare qualche novità nella mia routine. Speravo tanto che non fosse nulla di troppo oscuro.
L’indomani ci alzammo entrambe pimpanti e vivaci senza nessuna ombra di sonno sul volto. Ci vestimmo io un paio di jeans lunghi stretti, le mie solite scarpe – bellissime – e una canottiera – questa volta fuxia, lei pantaloni lunghi neri fino al ginocchio, ballerine – le invidiavo, erano troppo belle – e una maglietta semplice bianca. Andammo a scuola. Arrivate a metà strada ci accorgemmo che qualcuno era dietro di noi e prendeva le nostre stesse strade. Ne parlammo sottovoce e sostenemmo che fosse un ragazzo o una ragazza che andasse nella nostra stessa scuola. Eppure Nicole sentiva che qualcosa non andava.
Lei era mezza strana – in senso positivo -. Ogni tanto ne veniva fuori con qualche notizia o avvenimento che accadeva realmente qualche giorno dopo. Era speciale. Non se ne capacitava neanche lei diceva semplicemente: Sono una fottuta veggente. E ridevamo. Davo sempre retta ai suoi presentimenti, belli o brutti che siano. Qualche giorno prima che mio papà uccidesse mia zia, lei aveva sognato una lapide con inciso lo stesso cognome di mia madre. Tre erano le possibilità: mia madre, sua sorella o mio nonno. Era toccato a mia zia. Da quel giorno presi sul serio tutti i suoi sogni. E restavo stupita io stessa. Così velocizzammo il passo ma la figura dietro di noi fece lo stesso. Non sapendo bene perché cominciammo a correre fino a che, dopo qualche centinaio di metri non ci ritrovammo davanti scuola. E ci girammo. Non c’era più nessuno. Infatti, ci pareva di non averlo sentito più dall’incrocio, una decina di metri più in là da dove eravamo noi adesso.
Non ne feci parola con nessuno, e così anche Nicole. Ne parlammo solo con la professoressa d’italiano in privato sperando in qualche consiglio. Sfortunatamente nessun buon aiuto, era rimasta un po’ senza parole. Dopo aver letto la ricerca d’italiano ad alta voce, andai in cerca del mio telefonino nello zaino sentendo una leggera vibrazione. Un messaggio. Numero sconosciuto.
Diceva semplicemente :”ora che ti ho ritrovata ti porterò nuovamente nel nostro mondo. Promesso. Tuo unico cuore.” Mio cosa? Promesso? Nostro mondo? Nuovamente? Chi mi ha ritrovata? Al momento mi sentì mancare l’aria. Per poco non svenni. Cercai di convincermi che fosse solo uno scherzo. Solo un cazzo di stupido scherzo. Uno stupido e fottutissimo ragazzo al quale piace scherzare con le nuove arrivate…giusto? Quel giorno uscimmo prima di pranzo per assemblea. Ci facemmo venir a prendere da mia madre che stava andando al lavoro e si era offerta di darci un passaggio. Arrivammo a casa. C’era un biglietto verde appoggiato sul tavolo. C’era scritto che Deborah aveva portato Stephanie in giardino e che poi se la sarebbe portata a casa perché la mattina dopo la mia mamma lavorava di buon’ora. Stropicciai il biglietto e lo buttai via. Scongelai due porzioni di pasticcio che Nicole ed io mangiammo davanti alla televisione parlando del messaggio. Anche Nicole era convinta che fosse tutto uno stupido scherzo così mi rilassai. Ad un certo punto bussò qualcuno così mi alzai per andare a vedere chi fosse e Nicole mi seguì. Quando fui a qualche metro dalla porta, scivolò sotto la fessura un biglietto piccolo e bianco.
Stavolta il messaggio era leggermente più lungo: “forse sarai confusa ma tu mi appartieni. Noi ci apparteniamo da sempre. Forse non te lo ricordi. Non mi credi? Vai nella soffitta di casa tua. Esatto quella che hai sempre avuto paura di entrare. In fondo al quarto armadietto a contare da sinistra c’è una scatola piccola. Aprila. Non mi credi ancora? Vai a vedere. Con tanto affetto e speranza, il Tuo unico cuore.” Svenni impaurita. La mia soffitta, dalla descrizione di mia mamma - perché io non ho mai avuto coraggio di salirci - era davvero grande con mille cianfrusaglie. E c’erano davvero quattro armadietti.

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Da dire:poche idee per sta volta. Pensavo di “introdurre” il prossimo capitolo. Spero che vi piaccia e mi dispiace che sia un po’ cortino ma idee zero. So come continuare, ma non so bene fare questa parte di transizione. Mi scuso magari se pensate che scriva in modo banale ma non penso di avere un linguaggio…abbastanza “colto” (un po’ di pazienza, non tutti a 14 anni scrivono). Un'altra cosa: ora so come funzionano gli "accapo" ma odio usarli.

Recensioni:spero recensirete questi capitoli perché per me sono molto importanti in quanto (forse con qualche modifica) vorrei pubblicarlo per davvero. Vi prego fatemi sapere come la pensate! Grazie!

Piccolo assaggio prossimo capitolo:“ Finalmente, quella notte. In quell’incubo lo vidi. Vidi il suo volto. Era lì, al limitare del bosco che mi osservava con occhi pieni di passione. Era incappucciato ma nonostante ciò il suo sorriso era unico tra mille. Fu allora ch lo riconobbi. Essì, era proprio lui. Ma…questo voleva davvero di qualcosa?

Saluti: Un saluto a tutti e grazie per chi magari ha letto questi capitoli, grazie ai pigroni e alla mia amica Nicole! 

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Capitolo 4
*** Oscura stanza ***


Ciao ragazzi, ecco per voi un nuovo capitolo. Mi scuso per la mia assenza essendo troppo impegnata con la scuola. Spero che questo capitolo vi piaccia e che mi farete capire come la pensate. Ps: so che i tempi verbali probabilmente non saranno giusti. Mi dispiace. Buona lettura,
Baci Ila
 
Mi risvegliai la mattina dopo ricordando a tratti il giorno prima. Ero svenuta. Poi ripresa e avevo mangiato qualcosa e poi mi ero messa a dormire. Anche quella sera Nicole mi fece compagnia. La notte stranamente sognai qualcosa di diverso. Non molto rassicurante ma almeno era diverso: ero al buio, non so dove fossi. Avevo paura forse proprio per il fatto che non si vedeva niente e dalla sensazione di avere qualcuno vicino. A un certo punto quel qualcuno che stavo cercando di convincermi che non ci fosse, mi toccò. Su una spalla. Dallo spavento avevo chiuso gli occhi e cominciato a tremare mentre una voce che proveniva da lontano – o almeno così sembrava – mi disse “apri i tuoi occhi, sarai finalmente nel tuo mondo. Te lo ricordi?”

Avevo paura. Ma nonostante tutto schiusi gli occhi e una forte luce mi abbagliò in pieno viso tanto da coprirmeli con entrambe mani. Il bagliore si disperse e riuscì a guardarmi attorno. Ero su una stradina con accanto ad un grande parco giochi chiuso, e dall’altro lato un parcheggio mezzo vuoto. Improvvisamente nelle mani stringevo qualcosa così abbassai lo sguardo.
Avevo nella mano destra un coltello da cucina grande ed affilato sporco di pittura rossa. Nell’altra, in quella sinistra, stringevo un cuore ancora pulsante. Ebbi il sospetto che niente di tutto quel colore fosse pittura. I miei vestiti. No, non indossavo i miei vestiti. Avevo un abito bianco fin sotto il sedere, senza spalline. Anche quello era macchiato di pittura. Sempre scura. Ero felice, la paura era sparita e addentai il cuore. Era caldo e aveva ancora pochissimi battiti per poi morire per sempre. Lanciai i rimasugli a terra. Il mio abito era sempre più sporco. Misi bene a fuoco tutto ciò che mi circondava e non vidi altro che persone. Sì, persone accasciate a terra sporchi di colore rosso. Alcuni si lamentavano agonizzanti. Altri non emettevano più un sibilo. La strada ne era piena. Ma vidi una figura, davanti a me. A era l’unica zona di visione ottica a essere sfuocata così mi avvicinai lentamente cercando di non cadere tra tutte quella gente a terra. Mi avvicinai notando – finalmente anche riuscendo a mettere più a fuoco quell’ombra- che era di spalle e indossava un cappuccio rosa. Nicole. Si girò, mi si avvicinò, e mi pregò di tornare con lei alla normalità. Via da tutto quello scempio. E il coltello sparò un colpo per scostarla e la ferì su un braccio. Ed io proseguì avanti. Un’altra figura. Lasciai perdere le urla di Nicole che mi pregavano di non farlo. Ma non l' ascoltai. Soddisfatta misi la mia mano su quella che la figura mi stava porgendo.

Mi svegliai di colpo sentendo la sveglia che quando suonava erano cazzi perché indicava che mancavano venti minuti alle otto. Tardissimo. Nicole dormiva ancora. La svegliai e le raccontai tutto. Quel giorno decidemmo di restare a casa e saltare la mattinata di scuola. Dovevamo riflettere sull’accaduto. Mia madre era al lavoro e Stephanie in asilo. Facemmo colazione e restammo chiuse in camera il resto del tempo. A metà mattina ricevetti un messaggio. Numero sconosciuto. Sicuramente doveva essere un messaggio misterioso e sicuramente spaventoso come quelli del giorno prima. Diceva: “Allora sei andata a vedere il contenuto della scatolina nel quarto armadietto da sinistra? Ancora non mi credi? Controlla…”
Io e Nicole ci scambiammo un sguardo indecise sul da farsi. Non credo avrei trovato il coraggio per salire in soffitta. La scala era in fondo al corridoio dove non era illuminato da neanche una luce e portava fino ad una porta in quercia, dipinta di blu. Riuscimmo a prendere coraggio l’una con l’altra e ci munimmo di torcia e tanto coraggio. Arrivate in fondo al corridoio accendemmo le lampadine e salimmo le scale. Senza quella fioca luce il buio era pesto. Arrivammo davanti la porta chiusa. Nicol mise una mano sulla maniglia e rimase di sasso quasi quanto me. Era chiusa a chiave.

 Il mio primo pensiero fu quello di esultare. Nessun problema. Nessuna soffita. Niente armadi o scatole. Espirando di sollievo mi allontanai a passo veloce diretta in camera. Vidi la finestra aperta. Ma ero sicura che sia io che Nicole non ci eravamo avvicinate al davanzale quella mattina. Guardai attorno. Magari era entrato qualcuno, magari un ladro. Trovai però quell’unica cosa che non volevo più vedere. Un foglietto bianco infatti era stato attaccato con un pezzettino di scotch alla leggera tenta che ricadeva ai lati. Lo lessi “Solo tu puoi sapere dove hai nascosto la chiave”. Stropicciai il biglietto e, dopo averlo strappato, lo buttai nel cestino. Nicole era lì con me che pensava. A lei piacevano i misteri ma mi disse che questo era veramente troppo.

Era quasi ora di pranzo così per svagarci un po’ uscimmo e andammo in una vecchia pizzeria all’angolo della strada per non allontanarci troppo da casa. Silenziosamente ci sedemmo al tavolgo e ordinammo una pizza ai peperoni. Non spiccai una parola mentre Nicole era ancora pensierosa poi se ne venne fuori “Dove nasconderesti una cosa se non vuoi che venga trovata da nessuno apparte te?” In quel momento qualcuno mi toccò la spalla e sussultai girandomi per scoprire chi fosse.
Sorriso unico tra mille. Capelli neri come la notte e occhi come la luce. Un cenno goffo cercò di nascondere l’imbarazzo. Diego. “Senti, so che magari secondo te…so che magari non ci conosciamo bene ma vorrei invitare te e la tua amica sabato prossimo ad una festa a casa dei Riscow, vicino al parcheggio del centro commerciale” poi aggiunse “ci sarà da divertirsi”. Guardai prima Nicole e poi nuovamente quegli occhi bellissimi che celavano chissà quale mistero. Gli feci un cenno di consenso. Poi lui se ne andò dopo un frettoloso bacio sulla guancia.

Tornammo a casa ormai il pomeriggio era alle porte. Il sole splendeva, il cielo era limpido senza nuvole passeggere. Durante tutto il pranzo pensai alla domanda fatta da Nicole. Sì, un luogo mi era venuto in mente. Forse era troppo stupido. Ma qualcosa mi diceva che nessuno ci pensasse solo per il fatto che era davvero troppo scontato.
 
Nicole mi guardò direttamente negli occhi e notò la mia espressione ansiosa così sputai il rospo “seguimi”. La mia stanza. Avrei nascosto qualcosa sotto il tappeto. Il mio tappeto era molto alto per essere un tappeto. Era sempre stato lì senza polvere perché mia madre lo spolverava sempre. Ci inciampavo spesso finendo a gambe all’aria. Nicole si mise davanti ad esso e lo alzò. Non doveva farlo. Una nuvola di polvere si alzò nell’aria ed entrambe starnutimmo. Corsi in cucina e presi una scopa e pulì quel vero ammasso di polvere. Pensai che mia madre non dovrebbe averlo mai pulito sotto, solo sopra. Sul parquet di legno sottostante intravidi un largo buco di metallo. Una botola. Era semi scavata nel pavimento. Pensai fosse impossibile avere una botola al secondo piano di una casa dove sotto…

Il “sotto” era stato murato. Forse una decina di anni fa. Non riuscivo a ricordare bene. Forse era rimasta una piccola stanza all’interno circondata da mura in mattoni e intonaco ormai incrostato. Una volta faceva parte del soggiorno poi per problemi alle tubature era stato modificato venendosi a creare una piccola e stretta stanza buia all’interno.
Dopo esserci scambiate uno sguardo d’ intesa cominciammo a svitare la botola impresa non troppo facile. Dopo qualche minuto ci riuscimmo e, prese le torce, guardammo giù. Era molto profonda. Sembrava come scavata anche al di sotto del terreno. C’erano dei piccoli gradini in pietra così uno per volta cominciammo  a scenderli con molta cautela. Il buio ci sovrastava. Dopo poco la stanza si allargava fino a diventare a grandezza di un soggiorno. Tastammo le pareti alla ricerca di qualunque cosa. Stranamente trovai un interruttore. Era l’ultima cosa che avrei pensato di trovare. Lo premetti e una fioca luce si accese ad un angolo. Illuminava discretamente tutta la stanza abbastanza da poter vedere ciò che ci circondava.

Lo spazio era per la maggior parte vuoto. Era tutto umido e per ciò cominciai a pensare che eravamo davvero scese sottoterra. Spegnemmo le torce e le appoggiammo su un tavolino a lato della fioca lampada. Tutti i quattro angoli erano vuoti. Tutti tranne uno. Sulla sinistra c’era una piccola scrivania con due cassetti  e qualche libro appoggiato sulla mensola poco più sopra. Una sedia era accostata mentre un’altra appoggiava su un lato, era rovesciata a terra. Poi, una libreria stava appoggiata pericolosamente alla parete e ogni secondo che passavo ad osservarla sembrava sempre più instabile. Conteneva grossi libri alcuni dei quali rivestiti in finissimo tessuto ingiallito. C’erano anche vari vasetti che non contenevano nulla.
Le paresti erano di un grigio scuro che provocava una strana sensazione di paura e mistero. Al pavimento un tessuto blu rivestiva la stanza. Nicole raccolse la sedia da terra e la appoggiò ad una parete. Io invece andai verso la scrivania. Era marrone scuro. Lucida e dipinta a mano, su tutto il bordo, con un striminzito motivo floreale rosso e verde. Aprì i due cassetti. In uno era riposto solamente un libro. Nell’altro una penna, una matita e un blocco di fogli stropicciati. Presi il libro e lo sfogliai. Era un libro molto grosso. Voltai la prima pagina. Non ci potevo
credere. La mia scrittura. Si, era proprio la mia. Lessi frettolosamente ad alta voce:

“Se mai ricapiterà di trovarmi quaggiù devo ricordare. Ricordare quello che ho fatto. Il male, il bene. Non devo più ricaderci. Non devo. Non posso. Non posso più permettermi di sbagliare. Mi sono pentita, sono caduta e mi sono rialzata, pronta a ricominciare. Ma se cadrò di nuovo penso che resterò lì per sempre stesa a terra. Non devo dire di sì. Non devo cedere.  Ma lo amo. Spero che non mi ritroverò mai qui a leggere questo ma penso che sia inevitabile. Lui vuole che io ritorni. Mi metto in guardia. Non ne uscirei viva.”
Svenni. Per la paura, per il terrore. Per l’ansia che mi cresceva nel petto causata da quelle poche parole scritte. Sognai. Lo sognai. E fu proprio lì, in quell’incubo che lo vidi. Il suo sorriso era unico tra mille.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ho da dire:Ecco qui un nuovo capitolo e mi scuso se ci ho messo tanto :D Le idee son tante ma articolarle insieme non è sempre facile :D
Accenno al prossimo capitolo: “Eravamo rimaste chiuse, al buio. Ormai era sera mia madre sarebbe rientrata a breve. La botola era chiusa. Non potevamo più uscire. Dovevamo fare qualcosa e in fretta. Nicole era in lacrime, come me del resto. Prese dal panico ci accasciammo a terra, l’una vicina all’altra e ci addormentammo in un sonno profondo e indisturbato, senza sogni.”
Saluti: Un grosso bacio e saluto a chi legge i miei capitoli in Particolare un grosso abbraccio soprattutto a Follemente Me, Alexeia, Kay33 e EllaMasen :D Un bacione :D

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