Show must go on

di ClaudsClauds
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giorno della mietitura ***
Capitolo 2: *** Destinazione: Capitol City ***
Capitolo 3: *** Benvenuti nella capitale ***
Capitolo 4: *** La sfilata ***
Capitolo 5: *** Incontro privato con gli Strateghi ***



Capitolo 1
*** Il giorno della mietitura ***


Mi asciugai con una mano la fronte.

Faceva molto caldo, per essere un giorno di fine ottobre.

Sollevai l'ascia sopra la mia testa e l'abbattei con forza sul pezzo di legno davanti a me.

Con il tonfo familiare che scandiva il ritmo della mia giornata, il legno si divise in due metà perfette.

Le feci scivolare giù dai due lati opposti del tronco che usavo come tavolo con la lama dell'attrezzo.

Raccolsi da terra un altro pezzo e lo disposi sul tronco.

Mi preparai a sferrare un nuovo colpo, quando una voce, familiare tanto quanto il rumore del legno che si spaccava, mi chiamò.

Mio fratello Maxwell, in piedi accanto al tronco di una conifera, sventolò una mano per farsi notare.

Appoggiai l'ascia contro il tronco e lo raggiunsi.

-Mi sono strappato la maglietta. Qui.- Mi spiegò, indicando uno strappo sulla manica sinistra.

-Ho lasciato l'ago e il filo a casa.- Gli risposi dispiaciuta.

-Per il momento la terrò così.- Dichiarò lui, scrollando le spalle.

Lo guardai allontanarsi dentro il bosco, poi tornai a concentrarmi sul mio lavoro.

Prima di morire, mia madre mi aveva insegnato a cucire.

D'altronde, lei era la migliore sarta del nostro distretto, ed io, ora, avevo preso il suo posto.

Questo però non significava che io potessi accantonare il mio lavoro come taglialegna.

Capitol City si aspettava grandi quantità di legname ogni anno, e tutti gli abitanti del Distretto 7, fin da piccoli, erano costretti a lavorare.

Quando il sole raggiunse il suo apice, riposi gli attrezzi e tornai a casa.

Maxwell non era ancora rientrato, così pensai di occuparmi io dei suo vestiti.

Fortunatamente, mio fratello aveva la stessa taglia di nostro padre, così estrassi con cura dall'armadio l'abito con cui lui e la mamma si erano sposati.

Era uno smoking nero ed elegante. Probabilmente il vestito più costoso che avevamo.

Lo guardai ammirata: era veramente un bel completo.

Lo spolverai con la mano e lo appoggiai sul tavolo.

Ci posai sopra una maglietta celeste e, ai piedi del tavolo, sistemai un paio di scarpe nere laccate.

Poi mi diressi nella mia stanza, alla ricerca di un abito per me altrettanto raffinato.

Avevo conservato anche il vestito da sposa di mia madre, ma non mi sembrava il caso di indossarlo.

Sebbene non potessimo permetterci altro che un vestito semplice e povero, era comunque un abito da sposa.

Inoltre non volevo infangare la purezza di quell'abito, simbolo della felicità e dell'amore dei miei genitori, indossandolo per assistere ad una condanna a morte.

Oggi era il giorno della mietitura.

I nomi di due ragazzi, miei coetanei, sarebbero stati estratti questo pomeriggio per partecipare alla 68^ edizione degli Hunger Games.

Anch'io, in quanto diciassettenne, sarei potuta diventare uno dei due tributi del nostro distretto, e l'idea mi spaventava molto.

Sapevo maneggiare bene l'ascia, certo, ma non sapevo di certo combattere.

Ed il mio carattere pacifista non sarebbe stato d'aiuto.

Non avevo nemmeno il coraggio di uccidere una mosca fastidiosa o un ragno, protagonista dei miei più spaventosi incubi, come potevo anche solo pensare di poter uccidere una persona.

Mi ricordavo ancora l'edizione dell'anno precedente, quando l'arena era costituita da una foresta fitta e selvaggia, piena di ragni.

In un posto del genere io non sarei mai nemmeno riuscita a mettere piede, figurarsi rimanerci intrappolata per essere trattata come un animale da macello.

Trovai il vestito che avevo indossato l'anno precedente, la prima mietitura senza i miei genitori.

Impedii alle lacrime di scendere e provai il capo d'abbigliamento.

Nell'ultimo anno mi ero alzata e le mie braccia erano diventate più muscolose, con la conseguenza che l'abito ora mi stava stretto.

Frugai negli scatoloni che conservavo infondo all'armadio, contenenti i vestiti di quando ero più piccola.

Con immenso piacere trovai una vecchia maglietta blu acciaio, che si abbinava perfettamente all'abito color lavanda.

L'occhio esperto da sarta di mia madre mi aveva insegnato anche a riconoscere le varie tonalità di colori.

Era un'abilità inutile nel nostro distretto, ma io ero fiera di possederla.

Senza esitazioni, impugnai ago e filo ed inizia a lavorare sul vestito.

Tolsi le maniche strette e lo allungai con la stoffa della vecchia maglietta.

Dalla stoffa che avanzò ricavai una cintura che legai attorno alla vita, annodandola in un fiocco sul fianco.

Indossai la mia creazione e rimasi piacevolmente impressionata a guardare il mio riflesso nel vetro della finestra, usato come specchio.

Raccolsi poi i capelli in un chignon perfetto, impreziosito da qualche pervinca tra una ciocca di capelli e l'altra.

Lasciai che una delle ciocche mi scivolasse sul viso, accentuando le linee del mio volto.

Stavo pulendo con uno strofinaccio i miei stivali, mio unico paio di scarpe, quando la porta si aprì, lasciando entrare in casa mio fratello.

Vide i vestiti sul tavolo e fece una smorfia.

-Detesto tutto questo. Perchè dobbiamo vestirci elegantemente per andare al macello?- Sbottò.

Accantonai il fatto di aver fatto io stessa, poco prima, quello stesso pensiero e lo ripresi:- Non dire queste cose ad alta voce, Max. potrebbe sentirti qualcuno.

Il ragazzo sbuffò, prese senza tante cerimonie i vestiti da tavolo e sparì nella sua stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

Sospirai.

Per quanto Maxwell avesse ragione a pensarla così, era sempre meglio evitare di lamentarsi del governo di Capitol City ad alta voce.

L'ultima persona che l'aveva fatto era stata frustata in piazza da un pacificatore e, dopo pochi giorni, era scomparsa misteriosamente senza lasciare traccia.

Finii di pulire gli stivali, poi andai a vedere se mio fratello era pronto per andare in piazza.

Lui aveva diciannove anni, perciò non c'erano più possibilità che lui venisse estratto.

Ma era obbligatorio per tutti partecipare all'estrazione dei nomi, così come lo era seguire gli Hunger Games in televisione.

Si era vestito e, come avevo immaginato, il vestito gli calzava a pennello.

Mi avvicinai e gli sistemai il colletto spiegazzato della camicia.

-Sei agitata?- Mi chiese lui.

-Terrorizzata. Non ricordo neanche più quante volte il mio nome compare in quell'urna.- Riposi, tentando di metterla sul ridere.

Ma entrambi sapevamo che non c'era niente su cui scherzare.

Casa nostra era vicina alla piazza, così non fummo costretti a camminare a lungo prima di arrivarci.

Davanti al palazzo del comune sorgeva un largo ed imponente palco, su cui, ai due lati opposti, stavano le due grandi urne di vetro contenenti i nomi di tutti i ragazzi del distretto.

Lascia mio fratello davanti alle corde che limitavano l'area destinata ai possibili estratti e raggiunsi il settore dei diciassettenni.

Intorno a me vidi i visi familiare dei miei vicini di casa, dei miei compagni di classe, delle persone che richiedevano il mio lavoro da sarta.

Tutti volti sfigurati dall'inquietudine e dalla paura, per se stessi, per i propri figli, nipoti, amici, fratelli.

Il volto di mio fratello era dipinto dalla stessa espressione angosciata degli altri.

Gli sorrisi, tentando di rassicurarlo, e lui mi rispose con un sorriso tirato e spento.

Poi un uomo, chiaramente proveniente da Capitol City, salì sul palco e attirò l'attenzione di tutti i presenti picchiando con le dita sul microfono.

Tutti gli occhi, compresi i miei, si puntarono su di lui.

Aveva la pelle ambrata e i capelli verde muschio dritti in un'alta cresta.

Mi chiesi quanto fosse il vero lui e quanto il frutto della chirurgia della capitale.

Il suo smoking verde smeraldo ricoperto di lustrini e di paillettes brillò sotto i raggi del sole.

Dopo il discorso introduttivo di rito, si avvicinò all'urla contente i nomi delle ragazze.

Con estrema lentezza, immerse la mano nella boccia ed estrasse un striscia di carta bianca piegata a metà.

E l'aprì.

Il mio cuore batteva così forte che potei sentirlo rimbombare nelle orecchie.

-Lexi Leight.- Annunciò.

La voce dell'uomo rimbombò nella piazza, all'improvviso silenziosa.

Vidi persone tirare sospiri di sollievo, altre con espressione preoccupata guardavano me e mio fratello.

Poi capii.

Lexi Leight. Ero io.

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Capitolo 2
*** Destinazione: Capitol City ***


Il mio nome rimbombava ancora in tutta la piazza, quando mi decisi a muovermi.

I miei piedi si mossero da soli verso il palco, nella mia mente non sentivo altro che il battito furioso del mio cuore.

Due pacificatori, avvolti nelle loro caratteristiche uniformi bianche, mi affiancarono e mi scortarono fino alle scale.

I miei stivali di cuoio picchiavano sull'acciaio dei gradini, producendo un ticchettio che alle mie orecchie arrivò come il più caotico frastuono infernale.

Quando raggiunsi l'uomo, lui mi sorrise e mosse le labbra per formare parole.

Ma io non udii niente.

L'uomo mi rivolse un altro sorriso, poi spostò lo sguardo sulla folla.

Come la marea che prima si ritira e poi si rialza, tutti i suoni tornarono e mi sommersero.

La folla. Maxwell.

Il mio sguardo lo cercò con foga.

Eccolo là, in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi, la bocca arricciata in una smorfia di dolore, gli occhi acquosi persi nel vuoto.

Chi nella folla conosceva la nostra storia, faceva saettare lo sguardo tra me e lui, preoccupato.

Max aveva già perso così tanto, non poteva perdere anche me.

L'uomo smise di parlare davanti al microfono e si avvicinò all'urna contenente i nomi maschili.

Senza pensarci, mi impossessai del microfono e, guardando negli occhi mio fratello, come se fossimo soli, senza che tutta la città stesse assistendo alla scena, dichiarai:- Tornerò, Maxwell. Tornerò vincitrice, te lo prometto.

Gli occhi di mio fratello, che ora erano puntati su di me, si riempirono di speranza.

-Non posso lasciarti, devo ancora sistemare il buco nella manica della tua maglietta.- Sorrisi.

Il mio era un sorriso spento, per niente divertito, ma volevo far capire a Maxwell che andava tutto bene.

Vidi il mio viso trasmesso su tutti gli schermi che circondavano la piazza e allargai il mio sorriso, tentando di renderlo il più verosimile possibile.

La telecamera tornò poi a inquadrare l'uomo che, con la stessa lentezza snervante con cui aveva estratto il mio nome, estrasse un altro foglio.

Lo aprì con calma, poi mi prese il microfono e parlò:- Darren Wolftale.

Conoscevo quel ragazzo.

Aveva sedici anni, uno in meno di me.

Lo vedevo tutti i giorni a scuola e, qualche volta, anche nel bosco a lavorare la legna.

I pacificatori ci scortarono poi dentro all'edificio del comune, dove avremmo potuto vedere per l'ultima volta, prima di partire, i nostri amici e i nostri familiari.

La stanza in cui mi lasciarono era molto semplice.

Un letto di legno di quercia ricoperto da lenzuola candide, una cassettiera in legno di quercia, un tavolino in legno di quercia...

Avevano usato indubbiamente molte querce per costruire quella stanza.

Mi sedetti sul letto, aspettando che mio fratello venisse a farmi visita.

Quale sorpresa fu, invece, vedere arrivare il sindaco del nostro distretto.

La mia famiglia non aveva mai avuto rapporti particolarmente amichevoli con lui, ed il sindaco non aveva figli che avrei potuto conoscere a scuola, così non capii il motivo della sua visita.

Almeno finché non parlò.

-Mi dispiace, Lexi. So quanto avete passato tu e tuo fratello e so a quanto avete dovuto rinunciare per riuscire a sopravvivere. Per questo, volevo farti sapere che, se tu non dovessi far ritorno dall'arena, mi occuperò io di aiutare tuo fratello Maxwell. Almeno dal punto di vista economico.

Non mi aspettavo una proposta del genere, e non capivo perché mi fosse stata posta, però, se davvero non fossi riuscita a sopravvivere, avrei preferito sapere che qualcuno si sarebbe preso cura di mio fratello.

-D'accordo, grazie.- Risposi io sorridendo.

Lui ricambiò il mio sorriso ed uscì.

Subito dopo entrò mio fratello.

Mi alzai in piedi e gli corsi incontro, gettandogli le braccia al collo e scoppiando a piangere.

Soffocai i singhiozzi e le lacrime contro la camicia di Maxwell.

Lui mi accarezzò i capelli, come faceva quando, da piccola, facevo un incubo e non riuscivo più a dormire.

-Ehi, sono sicuro che tornerai. Me l'hai promesso, dopotutto.

Mi lasciò sfogare finché i pacificatori non vennero ad avvertirci che il tempo delle visite era finito.

Mio fratello fu invitato a lasciare l'edificio, mentre io venni accompagnata in una grande sala a lato dell'ingresso.

Lì, seduti ad un lungo tavolo, sempre di quercia, stavano Darren, l'uomo che ci aveva estratto dall'urna, un altro uomo ed una donna.

Gli ultimi due li riconobbi: erano i vincitori di due edizioni passate, i nostri mentori.

L'uomo era Basil Lanfort, il vincitore della 52^ edizione degli Hunger Games.

La donna, invece, era Acacia Crown, la vincitrice dell'edizione dell'anno seguente.

La storia di Acacia era una delle più famose e delle preferite a Capitol City.

D'altronde agli stravaganti abitanti della capitale piacevano le storie crude e tristi.

Acacia era stata costretta a partecipare ai giochi con suo fratello ed insieme erano finiti nell'arena.

Chiaramente si erano subito alleati, terrorrizzati però all'idea di doversi uccidere a vicenda.

Erano anche una coppia piuttosto temuta, tanto che arrivarono a dover fronteggiare solo i Favoriti per poter vincere.

Ma proprio uno di questi favoriti, il tributo maschio del Distretto 1, particolarmente abile nell'uso della spada, affondò l'arma fino all'elsa nel petto del ragazzo, proprio davanti agli occhi di Acacia.

La ragazza allora era diventata una furia e, dimostrando un'agilità e una forza che nessuno si sarebbe mai aspettato da una ragazza all'apparenza così minuta ed esile, seminò lamorte con la sua ascia fino a raggiungere il traguardo.

Ero intimorita dal fatto che lei dovesse essere il mio mentore.

Mi avvicinai titubante al tavolo e l'uomo dei capelli verdi mi indicò la sedia accanto a Darren.

Quando mi fui accomodata, l'uomo si presentò:- Io sono Teeg Williogh ed ho il compito di scortarvi fino a Capitol City. Se volete seguirmi, abbiamo un treno che ci aspetta.

I pacificatori, che poco prima mi avevano accompagnato in questa stanza, mi seguirono fino al mezzo di trasporto.

Quando salii, loro rimasero a terra, fermi davanti alla porta.

Volevano farmi credere che il treno fosse un posto sicuro e privato, non una prigione.

Ma io sapevo che in ogni angolo buio, sotto ogni tappetto e dietro ogni mobile c'erano telecamere, cimici e microspie.

Saremmo stati per tutto il viaggio, come se fossimo già nell'arena.

Seguii gli altri fino al vagone ristorante, dove ci sedemmo, nella stessa posizione in cui ci trovavamo nel palazzo del comune.

-Sapete già in cosa consistono gli Hunger Games. E immagino sappiate già anche che ottenere il favore del pubblico è essenziale per poter sperare nella vittoria.- Iniziò Basil.

-Quindi dovete rendevi appetibili e mostrare un lato di voi a cui le persone si possano affezionare.-Continuò Acacia:- La comicità, il mistero, l'aspetto esteriore...

-Qualsiasi caratteristica vogliate mostrare, assicuratevi di sapervi immedesimare nel personaggo.- Terminò Basil.

Negli occhi di Darren si accese un sorriso compiaciuto.

-Io penso di avere già un'idea.- Spiegò, prima di lasciare la stanza per raggiungere il suo alloggio, seguito dal suo mentore.

Acacia posò su di me i suoi spaventosi occhi neri e, con voce seria, disse:- Trova anche tu un'idea. In quell'arena sarete ventiquattro e solo uno tornerà vivo. Se vuoi essere tu, datti una mossa.

Bene, mi sarei data una mossa.

Lo dovevo a Maxwell.

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Capitolo 3
*** Benvenuti nella capitale ***


Un bussare continuo alla porta del mio alloggio mi svegliò.

Lo ignorai, sperando che, chiunque fosse, se ne sarebbe andato se non avesse ricevuto risposta.

Ma il suono irritante continuava.

Mi premetti il cuscino sulle orecchie, tentando di coprire il rumore,ma senza risultato.

Maledissi la persona che era venuta a disturbarmi nel bel mezzo della notte.

Non avevo mai dormito così bene, in un letto così soffice, avvolta in lenzuola così candide e profumate.

Mi sembrava di essere in paradiso.

Per non parlare della cena.

Pur di poter assaggiare tutte le invitanti squisitezze, che erano posate sul tavolo davanti a me e che a casa non potevo nemmeno sognare, mi ero abbuffata come un maiale, sotto lo sguardo divertito di Acacia e Darren.

Quando mi ero addormentata, il terribile mal di pancia che ne era conseguito mi aveva appena dato tregua.

Una voce flebile, attutita sia dalla porta chiusa che dal cuscino premuto sul viso, mi raggiunse.

-Lexi, ho bisogno di parlarti.

Era Darren.

Cosa era venuto a fare qui?

E cosa aveva di tanto importante da non poter aspettare il mattino seguente per parlarmi?

Mi alzai a sedere e buttai le gambe giù dal letto.

Quando i miei piedi nudi toccarono il pavimento gelido del treno, un brivido freddo mi percorse tutto il corpo, raggiungendo il cervello.

Mi svegliai definitivamente.

Raggiunsi la porta e la aprii.

Sulla soglia, vestito interamente di nero, Darren aspettava impazientemente, picchiettando a terra un piede.

Immaginai fosse una specie di tic nervoso.

-Cosa succede?- Gli chiesi.

Lui mi mise un dito davanti alle labbra, dandomi l'ordine muto di stare in silenzio.

Poi, dopo essersi guardato attorno con attenzione e aver appurato che nessuno stava assistendo alla scena, sgusciò nella mia stanza.

Mi voltai a guardarlo incredula e confusa.

Con una mano mi fece cenno di chiudere la porta e di raggiungerlo.

Ubbidii e mi sedetti sul bordo del letto, accanto alla poltroncina su cui si era accomodato Darren.

-Se non dovessi essere io il vincitore di questi giochi, vorrei che lo fossi tu.- Disse.

Il discorso era serio.

-Per questo, penso sia meglio, per noi e per il nostro distretto, se ci alleassimo.

-Mi sembra una buona idea.- Ammisi:- Ma non voglio essere io a doverti uccidere. Perciò, prima che a restare in vita saremo solo noi, dovremo separarci.

Darren annuì con un movimento quasi impercettibile del capo, poi ricominciò a parlare:- Se sarà necessario, avrai il coraggio di uccidermi?

Mi circondai le braccia con le gambe e ci appoggiai sopra la testa, attenta a non incrociare il suo sguardo.

-Quando uno degli altri tributi mi punterà un'arma alla gola, intenzionato a uccidermi, io riuscirò a difendermi? Riuscirò ad ucciderlo? Penso proprio di no. Come si può pensare di togliere la vita a qualcuno e rimanere impunito?

Sollevai lo sguardo ed incontrai i suoi grandi occhi color mogano.

-Io, se sarà necessario, troverò il coraggio. Ti ucciderò.

Nel suo sguardo determinato passò un lampo di incertezza.

Ma, proprio come un lampo, compì il suo percorso in un istante, per poi scomparire con la stessa velocità con cui era apparso.

Mi chiesi se avesse pronunciato quelle parole perché le pensava davvero o solo perché voleva farmi capire che, se volevo sopravvivere e tornare a casa, dovevo uccidere.

-Ora dormi. Domani saremo a Capitol City, perciò stampati in faccia un bel sorriso per il pubblico.

Nessuno si affeziona agli imbronciati.

Con le dita mi sollevò le estremità della bocca, tentando di riprodurre un sorriso.

Poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasi per un attimo immobile ad osservare la poltrona dove, fino a poco prima, sedeva Darren.

Infine mi sdraiai, intenzionata a lasciarmi nuovamente avvolgere dalle braccia di Morfeo.

Il sonno non stentò ad arrivare.

Quando riaprii gli occhi, la stanza era illuminata a sprazzi dai raggi del sole che erano riusciti ad insinuarsi oltre le tende tirate.

Mi alzai, stiracchiandomi, e aprii del tutto le tende e guardai il paesaggio che si muoveva rapido e sfocato davanti a me.

Era così diverso da ciò che potevo vedere a casa mia, nel Distretto 7.

Qui c'erano parchi verdi e ben curati, alti palazzi di vetro che riflettevano la luce, grandi villette dai colori più vivaci e sgargianti.

Davanti a me, svettava imponente Capitol City.

Cercai il vestito che indossavo il giorno prima, ma non lo trovai.

Al suo posto, però, appoggiato con cura sul fondo del letto, vidi un altro vestito.

Lo fissai disgustata.

Non avrei mai indossato un abito del genere!

Era in pieno stile “capitoliano”: il taglio pareva casuale, con un lato della gonna più lungo dell'altro.

Il tessuto, di un verde molto acceso, era di un qualche strano materiale che lo faceva sembrare vetro.

Temetti che, se avessi indossato quel vestito, sarei apparsa come uno dei grattacieli che avevo visto poco prima.

Ma non avevo altra scelta.

Oltre al pigiama che già indossavo, non c'era nient'altro con cui potessi presentarmi agli abitanti della capitale.

A meno che...

Il mio sguardo cadde sulle tende di velluto verde muschio.

Nessuno si sarebbe accorto della loro mancanza.

Improvvisando un ago con una delle forcine che portavo nei capelli, iniziai a cucirle per dar loro una nuova vita.

Quando ebbi finito, ammirai con soddisfazione la mia creazione.

Il corpetto mi fasciava delicatamente il busto e la gonna, a balze, terminava poco sopra le ginocchia.

Questa tonalità di verde metteva in risalto i miei occhi, dello stesso colore.

Presi le scarpe di cristallo verde che mi erano state recapitate con l'abito di Capitol City e le indossai.

Quelle non erano niente male.

Mi calzavano perfettamente e, nonostante il tacco alto, riuscii a camminare agevolmente.

Lasciai ricadere i miei boccoli rossi sulle spalle.

Infine, finalmente, uscii dalla stanza e raggiunsi il vagone ristornate, dove mi aspettavano gli altri.

Alla mia vista, Acacia serrò gli occhi indignata.

Basil, invece, fece saettare lo sguardo tra me e lei, trattenendo a fatica una risata.

Darren rimase a fissarmi a bocca aperta, stupito dal fatto che non indossassi pantaloni come invece facevo nel Distretto 7.

Teeg, ignorando il mio scambio d'abito, mi sorrise:- Bel vestito, Lexi.

-Già, bello, ma non mi sembra quello che ho messo nella tua stanza.- Replicò Acacia.

-Non mi piaceva.- Riposi con una scrollata di spalle.

-Non mi interessa. Vai subito a cambiarti.

Acacia si alzò in piedi di scatto, picchiando i palmi delle mani sul tavolo.

-Non c'è più tempo per farlo.- Ribatté Basil, indicando la finestra.

Ci voltammo tutti a guardare il tunnel, che fungeva da ingresso per la città, venirci incontro.

-Siamo arrivati.

Io e Darren ci alzammo e ci sistemammo davanti alla finestra, pronti a salutare gli abitanti della capitale.

Trassi un respiro profondo, poi sfoderai il miglior sorriso che riuscii a trovare.

Notai che Darren fece lo stesso.

Quando la galleria terminò e la luce del sole tornò ad illuminare i vagoni del treno, urla di giubilo che ci acclamavano giunsero alle nostre orecchie.

Migliaia di persone, abbigliate nei modi più insoliti e con le pettinature più stravaganti, erano ammassate nella ferrovia per assistere all'arrivo di noi tributi.

Sorridendo come non avevo mai fatto, agitavo la mano per salutarli tutti.

Venimmo poi raggiunti dai pacificatori, che ci accompagnarono nell'edificio riservato ai tributi del nostro distretto.

Poi la porta si chiuse alle nostre spalle, lasciando ogni suono dietro di sé, e io potei finalmente smettere di sorridere.

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Capitolo 4
*** La sfilata ***


Mi guardai attorno, un po' spaventata, e mi strinsi con più forza l'accappatoio di spugna contro il corpo.
Nel centro della sala, un lettino bianco candido mi aspettava e, tutto intorno, strani macchinari lampeggiavano.
All'improvviso la porta si aprì e quattro figure, un uomo e tre donne, fecero il loro ingresso nella stanza.
Una delle donne, quella più alta, mi venne incontro.
Aveva lunghi capelli (effettivamente troppo lunghi per essere naturali) gialli.
Non biondi, proprio gialli, come limoni maturi.
La sua pelle era bianca e lucida, tanto che mi ricordò una madreperla.
-Accomodati pure sul lettino.- Mi disse sorridendo.
Tese un braccio verso di me, aspettando che le consegnassi l'accappatoio.
Ma io ero titubante.
Mostrarmi nuda a degli sconosciuti era imbarazzante, anche se loro erano estetisti.
Ma dovevo farlo.
Mi spogliai e mi stesi sul lettino.
Le tre figure che ancora non mi avevano rivolto la parola iniziarono a volteggiarmi intorno, facendo il loro lavoro.
Intanto, la donna dai capelli gialli si presentò:- Io sono Maya, la tua stilista. Loro invece sono la tua equipe di estetisti: Vick- Indicò l'unico uomo, con la pelle ricoperta di strani tatuaggi concentrici blu e capelli dello stesso colore, raccolti in un'alta cresta appuntita. -Elena- Una donna minuta, dai capelli da un lato fucsia e dall'altro neri, tenuti alzati con una quantità indicibile di lacca sulle due estremità del capo, per formare due orecchie feline, mi sorrise. -e Sofia- Una ragazza bassa e tozza, con ricci fitti color nero pece e pelle della stessa innaturale tonalità, mi fece un cenno con la mano.
Quando Maya ebbe terminato con le presentazioni, gli stilisti iniziarono a chiacchierare di argomenti futili e superficiali, come per esempio la nuova collezione di borse di una qualche marca prestigiosa nella capitale.
Pensare che, mentre la loro preoccupazione più grande fosse quella di accaparrarsene una prima che venissero vendute tutte, la mia era quella di sopravvivere mi fece venire la nausea.
Per tutto il pomeriggio rimasi imprigionata in quella stanza a subire che tutte le cure che loro ritenevano necessarie per poter apparire al mio meglio al pubblico acclamante.
A mio parere, però, erano solo torture molto dolorose.
Era la prima volta che subivo un trattamento simile, dato che, nel Distretto 7, l'ultima preoccupazione che poteva affliggerti era quella dell'aspetto fisico.
Senza contare che non avevo ne i soldi ne il tempo per curarmene.
Mi depilarono con la cera a caldo, mi tagliarono le unghie e ci stesero sopra uno strato di smalto verde, mi sistemarono i capelli, tagliando le doppie punte e rendendo i miei boccoli soffici e ordinati,
infine ricoprirono il mio viso con creme e polveri.
Quando finalmente ebbero terminato e mi permisero di andare a specchiarmi, notai che la mia pelle era diventata leggermente più scura, le mie labbra più rosse e le mie palpebre erano della stessa sfumatura verde dello smalto.
-È arrivato il momento della prova vestito.- Annunciò radiosa Maya.
Da un appendiabiti accanto alla parete prese un abito nascosto da un drappo scuro.
Fece scorrere la cerniera verso il basso e mi mostrò il contenuto.
L'ennesimo vestito da albero.
-Non ti piace, cara?- Mi chiese la donna, notando la mia espressione.
-È dalla prima edizione dei giochi che i tributi del Distretto 7 si vestono da albero. Io non ho intenzione di vestirmi con quello.
Maya mi guardò incuriosita:- E cosa pensi di fare al riguardo?
Sorrisi:- Hai ago e filo?
 Inizialmente strappai il tessuto lungo la cucitura che univa la “chioma” al “tronco”, scatenando un urlo inorridito da parte di Elena e Sofia.
Vick si accontentò di coprirsi la bocca con le mani e di strabuzzare gli occhi.
Poi, con gli strumenti che Maya mi porse, trasformai il “tronco” in un tubino color acero a cui applicai, sul fondo, delle rouches ottenute dalla “chioma” verde scuro.
Con delle strisce di stoffa verde avanzate aggiunsi due spalline all'abito.
Maya mi sorrise compiaciuta.
-Sei sicura di essere una taglialegna?- Mi chiese.
Gli estetisti guardarono increduli l'abito che tenevo in mano.
Quando si riscossero, mi aiutarono a vestirmi.
-Ora però dobbiamo trovare un bel paio di scarpe.
Maya uscì di corsa dalla stanza e scomparve nel corridoio, lasciandomi con gli estetisti che si complimentavano con me per la mia abilità nel cucito.
-Merito degli insegnamenti di mia madre.- Mi giustificai io, un po' imbarazzata.
Nel momento in cui la porta si riaprì di scatto e Maya fece il suo ingresso, con il fiato corto, nella stanza era calato il silenzio.
Gli estetisti volevano vedere quale tipo di scarpe la stilista mi avrebbe consegnato.
Erano dei bellissimi stivali di camoscio, chiaramente molto costosi.
Quando li infilai, rimasi piacevolmente sorpresa.
Non era come indossare i rigidi stivali di cuoio che portavo quando andavo a tagliare la legna.
Quelli erano scomodi e, dopo alcune ore, anche dolorosi.
Questi, invece, erano soffici e sembravano essere stati disegnati apposta per il mio piede.
Lo sguardo che Maya mi lanciò poteva essere paragonato a quello di un atleta verso il suo trofeo.
Calò la sera e alcuni pacificatori vennero a chiamarmi.
Così come tutti gli altri tributi, ero attesa alla sfilata.
Era arrivato il momento.
Venni scortata fino ad una grande sala, dove gli altri ventitré ragazzi aspettavano.
Mi misi a cercare Darren.
La scusa era che dovevamo disporci per entrare insieme, la verità era che ero tesa all'idea di dover sfilare davanti a tutte quelle persone, e volevo vedere un volto familiare.
Eccolo.
Purtroppo per lui, non era riuscito a scamparla, ed ora girava per la sala indossando il suo costume da albero.
Quando mi vide, mi raggiunse a grandi passi.
-Il tuo abito è meraviglioso, Lexi. Perché io allora devo indossare questo ridicolo pezzo di stoffa?- Si lamentò.
-Anch'io avevo quel costume. Ho solo apportato qualche modifica.- Risposi io, vaga.
Lui scosse la testa e mi mostrò il nostro carro.
Chiaramente era fatto di legno.
Questa storia per cui ogni tributo doveva mostrare a quale Distretto apparteneva stava diventando irritante.
Maya ed un altro uomo, che non conoscevo, ci raggiunsero.
-Salite sul carro, svelti. La sfilata sta per iniziare.
Maya non fece in tempo a terminare la frase che il grande portone, che ci separava dalla navata e dagli spalti affollati, si aprì senza rumore.
Partendo dal Distretto 1, in ordine crescente, i carri uscirono e sfilarono davanti alla platea acclamante.
Quando il nostro carro si mosse, io temetti di cadere, sobbalzata fuori.
Strinsi con forza il bordo del carro, finché le nocche della mia mano sinistra divennero bianche.
Quando la luce accecante dei faretti e le urla degli abitanti della capitale mi colpirono, mi scordai di tutto.
Il panico mi assalii.
Darren, accanto a me, salutava con la mano e sorrideva a tutti.
Quando si accorsi che io ero immobile, si voltò verso di me, rivolgendomi un'occhiata eloquente, con cui tentò di dirmi di imitarlo.
Ubbidii ed inizia a salutare e sorridere a mia volta.
Quando percorremmo tutta la navata ed il nostro carro si fu fermato, potei finalmente trarre un sospiro di sollievo.
La sfilata si era conclusa e tutto era andato per il meglio.
Ma l'ingresso nell'arena si faceva sempre più vicino.

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Capitolo 5
*** Incontro privato con gli Strateghi ***


-Oggi dovrete mostrare la vostre abilità di fronte agli Strateghi. Spero che siate pronti.- Annunciò Acacia con voce piatta.

Eravamo tutti a tavola per fare colazione ed i nostri mentori ci ricordavano gli impegni della giornata, come segretari diligenti.

-Se non lo siete, è affar vostro. Ricordate solo che dal vostro punteggio potrebbe dipendere il vostro gioco nell’Arena.- Continuò la donna, spalmando un abbondante strato di burro sulla sua fetta di pane.

Non potei evitare di lanciarle un'occhiata allibita.

Come poteva parlare di argomenti così seri con tale disinteresse?

Era stata resa così incolore dagli Hunger Games? O la sua personalità era sempre stata così cinica?

Anche Basil non doveva aver apprezzato molto questo suo ultimo commento, perché la fulminò con uno sguardo e le rubò la parola.

-Vi abbiamo visto durante gli allenamenti e sappiamo in cosa siete maggiormente abili, per questo se avete bisogno di un aiuto potete venire a chiedercelo.

Darren, come al solito, sorrise confidente e, dopo aver ringraziato, lasciò la stanza.

Allora gli occhi dei due vecchi vincitori si posarono su di me.

-Cosa hai intenzione di fare?- Mi chiese Basil.

Bella domanda. Cosa avevo intenzione di fare?

Sapevo abbattere gli alberi e tagliare la legna, distinguere i vari tipi di pianta e cucire abiti.

Come qualcosa di simile avrebbe potuto dimostrarsi utile davanti agli Strateghi?

-Ho notato una cosa interessante durante gli ultimi giorni.- Mi richiamò all'attenzione Acacia, finalmente posando sul tavolo la sua colazione:- Oltre a cucire abiti, tu madre ti ha anche insegnato a disegnarli, vero?

Io annuii confusa:- Come fai a saperlo?

-Ti ho osservato mentre provavi le tecniche per mimetizzarti. Riuscivi a disegnare in modo molto realistico ciò che ti veniva chiesto. Sei molto brava in questo.

-Quindi mi stai consigliando di mostrare questo agli Strateghi?- Chiesi.

Acacia terminò il suo panino, si alzò da tavola e si diresse verso la porta della cucina.

Prima di uscire, si voltò e mi studiò con quei suoi occhi dorati.

Infine stiracchiò un sorriso e se ne andò.

-Sembra disinteressata, ma in realtà non lo è.

Voltai la testa verso Basil, sorpresa che avesse intuito i miei pensieri.

-Come ti saresti comportata tu se qui, invece che Darren, ci fosse stato Maxwell?

Tornai a guardare verso la porta dalla quale la mia mentore era appena uscita e non risposi.

Se Max fosse stato qui...

Se Max fosse entrato nell'Arena...

Se Max Fosse stato ucciso davanti ai miei occhi...

Mi alzai di scattò dalla sedia, facendola cadere, e corsi nella mia camera.

Dovevo tornare a casa.

Max mi aspettava e anche se quanto detto dal sindaco mi rincuorava, ero io che dovevo occuparmi di lui, nessun altro.

Bene! Avrei mostrato agli strateghi le mie abilità artistiche!

Ma prima dovevo fare un'altra cosa.

Uscii dalla mia stanza e mi diressi verso quella di Darren.

Il ragazzo aveva sbadatamente dimenticato la porta aperta, ma io bussai lo stesso prima di entrare.

-Lexi, a cosa devo questa visita?- Mi chiese lui quando mi vide.

Era sdraiato sul suo letto a pancia in giù, stringendo tra le mani una collana.

Chiaramente non si aspettava visite.

Senza aspettare un suo invito, voltai una sedia nella sua direzione e mi sedetti.

Ma mi rialzai subito in piedi.

Lui sembrava divertito dalla mia indecisione, ma tentò di nasconderlo.

-Sono qui per rispondere alla domanda che mi hai fatto sul treno.- Annunciai.

Il suo sguardo si fece di colpo serio ed il ragazzo si alzò a sedere.

-Mi hai chiesto se avrei avuto il coraggio di ucciderti se fosse stato necessario. Non mi importa con chi dovrò combattere, io tornerò a casa da mio fratello.- Terminai.

Darren sorrise, lo stesso sorriso stiracchiato di Acacia, e annuì.

-Era questo che volevo sentirti dire. Non fare quello che vogliono loro, combatti per quello in cui credi tu. Solo così non diventerai un burattino.

Stavo per andarmene, quando la collana che stringeva tra le mani attirò la mia attenzione.

Era un medaglione d'argento contenente la foto di una famiglia.

-Siamo io e i miei genitori il mio primo giorno di scuola. È spaventoso pensare che potrei non rivederli più.- Mi spiegò lui, seguendo il mio sguardo.

-So cosa si prova.- Risposi.

Infine lo lascia finalmente solo.

Rimasi nella mia stanza finché Acacia non venne a chiamarmi.

Era arrivato il momento di presentarsi di fronte agli Strateghi.

Noi Tributi venimmo fatti accomodare tutti e ventiquattro in un'enorme sala con un lungo tavolo.

Nella parete opposta rispetto a quella da cui eravamo entrati si apriva un grande portone metallico, da cui uscì uno degli Strateghi.

L'uomo invitò il ragazzo del Distretto 1 a seguirlo oltre la porta, che si richiuse alle loro spalle.

Ci avrebbero chiamati in ordine di distretto, prima il maschio e poi la femmina, quindi sarei entrata per quattordicesima.

I Tributi che entravano prima di me mostravano le più svariate espressioni: paura, incertezza, insicurezza, preoccupazione, disagio.

Quando arrivò il turno di Darren, il suo volto era inintelligibile.

Avanzò senza guardarmi e scomparve oltre la porta.

Fu allora che la ragazza del Distretto 8 mi si avvicinò.

-Ciao, io sono Karrie.

Inarcai un sopracciglio confusa.

Non mi sembrava questo il momento per fare nuove conoscenze.

-Io e il mio compagno del Distretto 8, Adam, ti abbiamo visto durante gli allenamenti e volevamo chiederti se potrebbe interessarti allearti con noi.

Anch'io li avevo visti allenarsi ed avevo notato che erano molto forti e veloci, cosa che dava loro un punto a favore, ma perché avevano aspettato che Darren mi lasciasse sola per venirmelo a chiedere?

-Devo parlarne con il mio compagno prima.

Karrie si voltò a guardare Adam, come se cercasse aiuto.

Il ragazzo annuì e lei tornò a guardarmi.

-D'accordo, aspetteremo.

Proprio in quel momento la porta si aprì e io fui invitata ad entrare.

La stanza in cui mi accompagnarono ricordava quella di un ospedale: bianca, inodore e silenziosa.

Gli Strateghi mi guardavano da una terrazza sopraelevata, scambiandosi occhiate e sussurri.

Avanzai fino al centro della sala e mi presentai:- Sono Lexi Leight del Distretto 7.

-Mostraci cosa sai fare.- Mi invitò un uomo grassoccio e pelato, probabilmente il capo.

Presi l'occorrente ed iniziai a disegnarmi sulla pelle la complicata struttura della corteccia chiara di un faggio.

Gli uomini smisero per un istante di parlare, interessati ai movimenti sicuri che compievo col pennello e che trasformavano la mia pelle in ruvido legno.

Prima che potessi iniziare il secondo braccio, l'uomo grassoccio mi fermò:- Basta così, sappiamo già quale valutazione meriti. Puoi andare.

Detto questo, mi venne indicata un'altra piccola porta da cui uscire, mentre lo stratega che mi aveva accompagnato dentro, andava a chiamare il prossimo Tributo.

Augurai mentalmente un buona fortuna per Karrie ed uscii dalla porta.

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