The Story of Us.

di Gerugber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Finalmente diciotto. ***
Capitolo 2: *** Lui. ***
Capitolo 3: *** Prima della festa. ***
Capitolo 4: *** Ricordi. ***
Capitolo 5: *** Ospiti. ***
Capitolo 6: *** La festa in breve. ***
Capitolo 7: *** La festa. ***
Capitolo 8: *** Il discorso. ***
Capitolo 9: *** Regali. ***
Capitolo 10: *** Il ragazzo della porta affianco. ***
Capitolo 11: *** Il racconto di Martina. ***
Capitolo 12: *** Ritorno a casa. ***
Capitolo 13: *** Per farsi perdonare. ***
Capitolo 14: *** La telefonata. ***
Capitolo 15: *** Il risveglio. ***
Capitolo 16: *** Davanti alla scuola. ***
Capitolo 17: *** La fuga. ***
Capitolo 18: *** La verità. ***
Capitolo 19: *** Fingere. ***
Capitolo 20: *** The end. ***



Capitolo 1
*** Finalmente diciotto. ***


Una cosa che amavo era svegliarmi la domenica, con calma, senza la fretta di dover andare a scuola.
Quella domenica ero particolarmente felice perchè era un giorno speciale, era il mio compleanno.
Ma non un compleanno come tutti gli altri, era il mio diciottesimo compleanno. 
Mi svegliò un raggio di sole che filtrava dalle tende, e che mi colpì il viso. Sembrava la scena di un film, mancava il canto degli uccelli di sottofondo, se no sarebbe stato uguale. Altro che il solito risveglio che comprendeva sempre la caduta del cellulare e di almeno una testata alla scrivania.
Mi ci volle un po’ per rendermi conto che finalmente ero maggiorenne, ero libero di fare quello che volevo, andare dove volevo,  e con chi volevo. Almeno così pensavo… ma come cambiai opinione è un’altra storia che magari un giorno vi racconterò.
Quando il cervello cominciò a funzionare di nuovo in modo normale un sorriso ebete mi si stampò sul volto.
Ero maggiorenne.
Scesi con un balzo dal mio letto matrimoniale. Eh si, dormivo in un letto matrimoniale, da solo. Lo so è una cosa triste ma io ci stavo comodo e potevo dormire come volevo, anche se era una mia abitudine dormire in un angolo del letto con la testa sotto la scrivania per sentire meglio la sveglia. Ecco spiegate le testate alla scrivania la mattina.
Mi diressi verso la specchio dall’altra parte della stanza e guardai il mio riflesso. Mi dissi “Mi chiamo Alex, ho diciotto anni e posso fare quello che voglio.”
Avevo ancora un sorriso stampato in faccia, e poi guardai il riflesso del mio volto. Avevo i capelli neri afflosciati da un lato. Era quello che era rimasto della pettinatura della sera precedente quando andai a festeggiare il compleanno con i miei amici. Ma il festeggiamento migliore doveva ancora venire. Poi guardai il resto del viso, le guance, gli occhi marroni scuro, la fronte e in fine il naso. Quanto odiavo il mio naso, non lo sopportavo, era l’unica cosa che veramente disprezzavo di me. Era enorme, e visto che finalmente avevo diciotto anni potevo finalmente rifarmelo con un’operazione chirurgica. Ma solo che il mio ragazzo non voleva… ah si mi sono dimenticato di dirvelo, sono gay. Eh già, proprio così, un gay fidanzato da quattro anni con un ragazzo che tutti chiamavano Max. 
Max è nato e cresciuto nella mia stessa città, fino ai suoi diciotto anni, poi si è trasferito in Inghilterra. Non chiedetemi della sua storia, è una lunga storia. Va beh, rimane il fatto che lui viveva in Inghilterra e io rimasi lì in quella città dove ci conoscemmo. Lui era un anno più grande di me, ma non ci è mai pesata più di tanto la differenza d’età.
Fatto sta che il regalo più bello me lo avrebbe fatto lui.
Sarebbe tornato dall'Inghilterra una settimana per stare con me!
Quando me l’ha detto non volevo crederci.
Ma c'era ancora tempo, sarebbe arrivato la domenica del mio compleanno, e sarei andato a prenderlo alla stazione della città.
Presi il cellulare dalla scrivania e lessi "25 nuovi messaggi". E tutti dicevano la stessa cosa: auguri, auguri auguri.
Iniziai a rispondere a tutti con la solita frase fatta "grazie mille", e poi mi iniziai a vestire.
Mi misi una T-Shirt nera, un cardigan bordeaux e un paio di jeans blu scuro. Dopo mi rimisi a letto e iniziai a guardare il soffitto. 
Erano passate da poco le dieci e quindi in tutta casa risuonavo i rumori di mamma che lavorava, probabilmente per cucinare una torta, e la voce di Giammi mio fratello che urlava "Mamma non trovo il cellulare!" "Mamma non trovo i pantaloni!" "Mamma...mamma...mamma!", era una delle poche che sapeva dire quando gli serviva qualcosa, mamma.
Il tempo di chiudere gli occhi e mi arrivò un messaggio. Era da parte di Max e mi sfuggì un sorriso, che scomparve quasi subito:
 
Max: "Ma dove piffero sei finito?"
 
E lì ricordardai che la domenica del mio compleanno, era proprio quel giorno.

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Capitolo 2
*** Lui. ***


Mi alzai di botto dal letto e iniziai a imprecare.
Gli risposi velocemente un “sto arrivando” e uscii dalla mia stanza continuando a imprecare e dandomi dello stupido per essermene dimenticato. “Come ho fatto a dimenticarmene? Come?!” pensavo. All’angolo tra il corridoio e l’entrata andai a sbattere contro mio fratello e caddi. Giammi mi squadrò e mi chiese “Dove vai?”
Non avevo tempo di stare dietro a mio fratello e rimanendo per terra presi le scarpe che mi stavano a un passo di distanza e me le iniziai a mettere. “Ti ho chiesto dove vai” richiese Giammi. Finii di infilarmi tutte e due le scarpe e alzandomi gli risposi “Vado a prendere Max alla stazione. Me ne ero dimenticato che arrivava oggi.”
Detto questo lasciai mio fratello là nell’ingresso e uscii di corsa prima dalla porta di casa e poi dal portone del palazzo. Ringraziando Dio la stazione era vicino a casa mia, in cinque minuti di corsa ci sarei dovuto arrivare.
“Chissà da quanto tempo è lì che aspetta… cosa mi invento? Max io….nono aspetta… Max stavo dando da mangiare al cane è ho fatto tardi. Perfetto! Ma io non ho un cane… Max mi… si!.. mi stavo facendo la doccia e ho perso la cognizione del tempo. Ok questa va bene.”
Attraversai un paio di volte con il rosso ma per fortuna non girava praticamente nessuna macchina e riuscii a cavarmela.
Dopo cinque minuti arrivai alla stazione con il fiatone, mi piegai in due, non ce la facevo più, avrei voluto morire là sul colpo, e un dolore lancinante mi colpì la milza. Mi tirai su e cercai di prendere respiri profondi ed entrai in stazione. A quel punto dovevo solo cercare il binario, ma a quanto pare non ce ne fu bisogno, Max era già all’entrata ad aspettarmi. Si avvicinò con un sorriso stampato in faccia e non vedevo l’ora di dirgli ciao,  raccontarli tutto degli ultimi mesi e sentire di nuovo il suo respiro sulla pelle… ma la prima cosa che mi disse fu “Se provi di nuovo a dimenticarti di me in stazione giuro che ti lascio.”
All’inizio non capii se fu serio o stava solo scherzando, ma vedendo che non la smetteva di sorridere contraccambiai il sorriso e gli dissi “Mi stavo facendo la doccia.”
“Allora ok. Ah te l’ho detto che mi ci ha portato un unicorno volante fino a qua?” mi disse ironico, e io iniziai a ridere. A ridere come non facevo da mesi. A ridere come solo lui sapeva farmi ridere.
E poi lo abbracciai.
Non ci baciavamo mai in pubblico. Non eravamo gay dichiarati e le voci in città, soprattutto quella città, giravano, e velocemente. I nostri parenti erano gli unici a saperlo insieme a qualche amico stretto. Dopo un minuto di abbraccio mi staccai e gli chiesi scusa.“Tranquillo amore” mi disse. Amore… da quanto tempo non sentivo chiamarmi in quel modo, troppo. Credo che diventai rosso in quel momento e cercai subito di cambiare discorso “Solo una valigia? Strano da parte tua, di solito ti porti dietro minimo tre valigie quando viaggi.”
Questa volta rise lui “Visto? Ho deciso di viaggiare leggero questa volta. Bene… allora mi vuoi portare a casa o devo dormire qua stasera?”
“Ah si scusa andiamo” dissi.
Mamma mia quanto era bello. Era alto più o meno quanto me, forse un paio di centimetri più basso. Aveva gli occhi verdi, erano stupendi, ti ci perdevi dentro. E i capelli? Aveva un'acconciatura ribelle di un color nocciola, li amavo.
Non si smentiva mai. Ogni volta che lo vedevo era come innamorarsi di lui un’altra volta.
Dopo cinque minuti tornammo a casa e mamma iniziò a fare una delle sue mega feste a Max “Max! Come stai? Quanto tempo! Ma come sei cresciuto. Sei ogni giorno più bello e penso che Alex. sia fortunato. Vorrei averlo io un ragazzo come te e…” bla bla bla.
Soliti convenevoli, anche se mamma le pensava veramente tutte le cose che diceva. Andava pazza per Max, era come un figlio per lei. E poi arrivò Giammi che fu molto più breve di mamma nei discorsi.
“Bene mamma adesso andiamo in camera così Max si sistema” dissi.
“Sisi andate tranquilli, intanto preparo il pranzo.”
Presi Max per il polso e lo accompagnai in camera con tutta la valigia.
Volevo rimanere solo con lui.
Arrivati in camera mi chiusi la porta dietro e mi disse “Sai il tempo passa ma questo posto rimane sempre lo stesso, non credi?”
“Se lo dici tu” e mi avvicinai di un passo.
“Ti sono mancato?” mi chiese guardandomi negli occhi.
“Si, moltissimo.”
“Ah davvero? Bene, perché anche tu mi sei mancato” e fece un passo verso di me, e si avvicinò al mio viso.
Ormai ci potavamo praticamente baciare.
Io come di norma arrossì, no anzi, avvampai.
“Ah…” aggiunse. Ormai potevo sentire il suo respiro “…auguri.”
E detto questo, mi baciò.

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Capitolo 3
*** Prima della festa. ***


Quel bacio fu fantastico. 
Fidatevi quando vi dico che non poter neanche toccare la persona che amate per mesi è frustrante.
Dopo quel bacio passammo il resto della mattina a letto, a parlare del più e del meno. Lui mi raccontò del college dove stava studiando. Sembrò tutto così perfetto... sembrò esattamente come si vedeva nei film o nelle serie TV. Un giorno ci sarei andato anche io. Ma ero ancora in terza superiore, mi bocciarono il primo anno per le troppe assenze. Motivazioni di salute.
Il tempo volò e io non riuscì a raccontare niente a Max, ma non mi importò, avevamo un’intera settimana per parlare.
Quando mamma chiamò per il pranzo Max preferì rimanere a dormire, viaggiò tutta la notte e non si reggeva in piedi. E quella sera doveva rimanere sveglio fino a tardi perché ci sarebbe stata la mia festa di compleanno!
Non vedevo l’ora, io, la mia famiglia, alcuni amici e Max. Sembrò quasi un sogno ma era vero. Poi iniziai a pensare “Come mi vesto? Se mi chiedono di fare un discorso non so cosa dire, sono la persona più timida del mondo. Starò zitto e diventerò rosso e… oddio che vergogna. Ma no intanto lo sanno tutti che non so parlare in pubblico, nessuno mi chiederà niente. Se qualcuno ci prova gli arriva la torta in faccia.”
La giornata passo velocemente e aiutai Max a disfare la valigia in camera mia, avremmo dormito nello stesso letto (eh eh).
Poi il tempo di ancora due discorsi ed era già ora di prepararsi. Andò prima Max a farsi la doccia, e ci stette anche un bel po’. Meglio, così io ebbi il tempo di decidere cosa mettermi. Anche se in realtà non ebbi tanta scelta perché mamma mi impose di mettermi uno smoking nero, una camicia nera, e un papillon. Per fortuna riuscii ad averla vinta sui pantaloni e sulle scarpe. Mi lasciai i jeans blu scuro che mi misi quella mattina e un paio di Vans. Sembra ridicolo come abbinamento detto così, ma visto di persona non era poi così male.
Se fosse stato per mia madre mi sarei vestito per un funerale, non per un compleanno.
Quando uscì Max dalla doccia entrai io.
Ci fu un momento in cui ci incontrammo per il corridoio e lui era in accappatoio e non so perché avvampai. Penso che se fosse mancata la luce avrei potuto illuminare tutta casa.
Lo so che eravamo fidanzati ma arrossivo ogni volta che lo vedevo in situazioni… “strane”.
Ad esempio non riuscivo mai a vederlo quando si cambiava, mi imbarazzavo troppo e uscivo dalla stanza.
Entrai in bagno, chiusi la porta e girai la chiave nella serratura. Presi l’Ipod che avevo in tasca e scelsi una canzone. Era un’abitudine farmi la doccia con la musica.
Scelsi “Mine” di Taylor Swift. Amavo quella cantante.
Mi iniziai a spogliare e aprii l’acqua calda.
Quando rimasi completamente nudo mi girai verso lo specchio sopra il lavandino.
“Sono Alex, ho diciotto anni, posso fare quello che voglio e sono fidanzato con il ragazzo più figo dell’interna città” pensai.
Dio che pena era vedermi nudo, nell’ultimo periodo ero ingrassato di quindici chili e non potevo vedermi. In fondo il naso non era l’unica cosa mostruosa di me.
Entrai dentro la doccia e l’acqua calda mi bagnò tutto. Amavo farmi le docce, era una delle mie cose preferite, mi rilassavano sempre.
Mentre mi insaponai iniziai a cantare le parole che uscivano dall’Ipod:
 
You said, “I remember how we felt sittin’ by the water
And every time I look at you, it’s like the first time
I fell in love with a careless man’s careful daughter
She is the best thing that’s ever been mine”

 
E partì l’acuto di Taylor. Evitai di farlo per non fare figuracce con Max nella stanza affianco.
Nel frattempo che mi sciacquai finì la canzone e iniziò "Our Song" sempre di Taylor Swift e iniziai a cantarla con tutto me stesso, me la dedicò Max qualche anno prima, l’amavo.
Uscii dalla doccia e mi misi l’accappatoio.
Inizia ad asciugarmi i capelli e cercai di metterli come meglio potevo, e iniziai a domandarmi “Da che parte lo metto il ciuffo, destra o sinistra? Ci metto il gel? Ci metto la lacca? Ci…”
Dopo dieci minuti riuscii a farmi una pettinatura decente con il ciuffo sparato in alto a destra e avevo optato per non mettermi nessun tipo di prodotto sui capelli.
Mi tolsi l’accappatoio e mi guardai di nuovo allo specchio, e questa volta il mio sguardo si fermò su un particolare in più, un particolare che faceva male al solo ricordo, un particolare che mi sarei portato dietro per tutta la vita… le cicatrici causate dalle lamette sulle mie braccia. 

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Capitolo 4
*** Ricordi. ***


La vista di quei segni mi fece riaffiorare ricordi, ricordi che ferivano esattamente come le lamette quando mi tagliavo.
Mi ricordo ancora tutto.
Quando tornavo a casa sconvolto, stanco della vita, stanco di quello che mi dicevano e stanco di quello che ero. Mi chiudevo in bagno prendevo le lamette di papà e le facevo scorrere sul braccio, e ricordo il dolore, e ricordo il sangue che scorreva, e ricordo le braccia sotto il cuscino la sera prima di andare a dormire che pulsavano ancora di dolore, e ricordo le lacrime, e ricordo…
Bussarono alla porta del bagno e tornai alla realtà.
“Alex hai finito? Devo lavarmi anche io”, era Giammi.
“Si arrivo” risposi continuando a fissare le cicatrici.
Mi misi l’accappatoio che coprì le cicatrici, presi l’Ipod per stoppare la musica e uscii.
“Finalmente! Ci hai messo una vita, cosa stavi facendo?” mi chiese Gammi.
Risposi con un secco “Niente” e me ne tornai in camera mia.
Mi sbattei la porta alle spalle e qualcuno mi chiese “Ehi tutto bene?”
Mi girai e vidi che Max mi stava guardando preoccupato. “S-s-si tutto ok, tranquillo” gli risposi, mi avvicinai e lo baciai. Poi mi accorsi che ero ancora in accappatoio e che mi si era aperto.
Quando me ne accorsi altro che lampadina, ero un faro! Che vergogna! Volevo seppellirmi sotto terra e…
“Ehi amore tranquillo, non succede niente” mi disse Max, e si mise a ridere. Io mi coprì velocemente e questa volta fu lui a baciarmi.
“Ti amo” e mi sorrise.
“Anche io” risposi senza starci troppo a pensare. Stavo pensando ancora alle mie braccia.
“Dai vestiti che tra poco arrivano gli altri festeggiato, e magari ci scappano anche cinque minuti per una sigaretta” mi disse.
Eh già, fumavamo entrambi.
“Ok, allora dai che mi sbrigo... dai esci un po’!” aggiunsi dopo un po’ che non si schiodava da lì. E mentre lo spinsi verso la porta disse “Uffa come sei antipatico, non posso mai fare niente. Ti conviene stare attento stasera” e gli sbattei la porta in faccia, che aveva un sorriso malizioso stampato sopra.
Sorridendo mi misi tutta la roba che mi aveva dato mamma pulita e mi iniziai a vestire molto velocemente, mi diedi un’occhiata allo specchio e mi dissi “Sono Alex, ho diciotto anni, sono fidanzato con il ragazzo più bello della città e…mi tagliavo le vene.”
Il sorriso scomparve subito dal mio volto è uscii dalla stanza.
Andai in cucina dove c’era Max che parlava con mamma. La cucina era piena, e dico piena, di cose da mangiare. Avremmo festeggiato a casa, ma tutta quella roba mi sembrò un esagerazione. C’erano pizzette, tramezzini, torte salate e stuzzichini di ogni genere dappertutto.
“Mamma non ti sembra un po’ troppa roba per quattro gatti che siamo?” chiesi.
“Va beh ma in caso avanza e ci mangiamo per altri due giorni… Ah eccoti Giammi, tieni inizia a portare questi di là” e diede un vassoio pieno di tramezzini a mio fratello.
Sbuffando Giammi li prese e li portò di là. “Mamma io cosa posso fare?” chiesi.
“Niente, stai fermo e ti rilassi. Anzi vai fuori a fumarti una sigaretta con Max” mi rispose mamma senza fermarsi un attimo.
Quando mia mamma ha da fare mai disturbarla, sarebbe capace di buttarti giù dalla finestra.
Quindi seguii il suo consiglio e uscii sul balcone  con Max e ci accendemmo una sigaretta.
Poi qualcosa mi fece raggelare.
Non fu il freddo, eravamo a marzo, non poteva essere quello.
Ma una domanda da parte di Max “Allora dimmi un po’… ti droghi ancora? O ti fai le canne?”
E in quel momento strabuzzai gli occhi, perché altri ricordi mi tornarono in mente.
Altri ricordi che fecero male, troppo male.
E rivissi una scena nella mia mente….
 
Passarono tre anni da quel giorno ma ricordai ancora tutto come se fosse stato il giorno prima, cioè tutto molto confuso.
Erano i tempi in cui Max viveva ancora nella mia città ed era inverno, il vento ci scompigliava i capelli e ridevamo.
No, per cosa non me lo ricordo, quello no.
Ma mi ricordo benissimo dove mi portò Max. In discoteca.
All’inizio fui un po’ restio sull’idea ma lui mi assicurò che sarebbe andato tutto bene e che ci saremmo divertiti. E allora andai con lui.
Quando entrammo in discoteca la musica mi riempì le orecchie e un calore mi invase.
Poi mi ricordo che ballai, bevvi, mi baciai con Max e poi mi drogai.
Come, dove e con chi non me lo ricordo.
Ma so per certo che mi drogai.
Poi, vuoto, nero, più niente. So solo che mi svegliai nel letto con Max la mattina dopo…


Iniziai a drogarmi da quel giorno.

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Capitolo 5
*** Ospiti. ***


“Alex, tutto ok?” mi chiese Max riportandomi alla realtà.
“Si tutto ok” risposi spegnendo la sigaretta.
“Allora? Se vuoi io qualcosa dietro me la sono portata” mi disse sorridendomi, con il suo stupendo sorriso.
Sembrava un angelo, però in fondo dietro a quel sorriso si nascondeva il Max che non tutti conoscevano.
“Guarda io in realtà…” iniziai ma poi suonò il campanello e mamma dalla cucina mi disse di andare ad aprire, per fortuna.
Cosa avrei dovuto rispondere a Max?
Che avevo smesso?
Mi avrebbe riso in faccia e mi avrebbe chiesto “Come mai? Hai paura? Te l’ho sempre detto che non hai niente di cui temere. Non c’è niente di male nel vivere la proprio vita. E tu la vuoi vivere la tua vero?”
E io in quel caso cosa avrei dovuto rispondere? 
”No, non la voglio vivere” o “Si, la voglio vivere”?
Voi cosa avreste risposto? Beh penso la maggior parte di voi la seconda.
Quando andai ad aprire la porta, Martina, la mia vicina di casa nonché mia migliore amica mi si  buttò addosso abbracciandomi e riempiendomi di baci. “Auguri vecchio! Come stai? Bene? Auguri comunque” mi disse con un sorriso enorme sulla faccia.
“Martina! Si tutto bene grazie, tu? Ehi, dove stai andando?” chiesi dato che Martina andò spedita in cucina.
“A dare una mano a tua madre, che domande!” mi disse.
Dietro di lei poi entrarono Silvio, nonché mio migliore amico, e la sua ragazza, Arianna.
“Ehi roccia, auguri!” mi disse Silvio, tirandomi una pacca sulla spalla. Era un più muscoloso di me e mi superava di poco in altezza. “Grazie Silvio. Ciao Arianna” salutai.
“Ciao Alex, auguri” mi salutò Arianna e mi passò un pacchettino involto nella carta da regali rossa.
“Grazie! Non dovevate!” dissi con un sorriso stampato sulla faccia.
Come a tutti i compleanni avevo detto niente regali. Ma quando dici così nessuno ti ascolta, e se dico nessuno, fidatevi, intendo nessuno.
Vi è mai capitato?
Comunque a parte loro tre gli invitati alla festa ci sarebbero dovuti essere tutti, mancava solo…
E risuonò il campanello.
“Vado io!” sentii urlare dalla cucina, era mio fratello, e quella che aveva suonato non poteva essere altro che la sua ragazza, Laura.
 “Levati” mi disse Giammi con la sua solita delicatezza di fratello maggiore.
“Si capo” e mi spostai, mentre lo feci il mio sguardo finì sul riflesso dello specchio dell’ingresso e mi dissi “Sono Alex, ho diciotto anni, sono fidanzato con il ragazzo più bello della città, mi tagliavo le vene e mi drogavo.”
Rimasi imbambolato fino a che qualcuno non mi abbracciò, era Laura.
“Auguri nanetto” mi disse mentre mi stritolò.
Non è che fossi un nanetto ma in confronto a lei tutti lo sarebbero stati, era alta 1 e 85, e con i tacchi poi non ne parliamo.
Adesso che mi viene in mente tutte si misero i tacchi a quella festa, infatti le basse erano alte quanto me e le alte mi superavano di un bel po’.
“Grazie” risposi, e nel frattempo Laura cacciò un pacchettino dalla borsetta di perline impachettato di un verde brillante.
“Laura ma non…” iniziai, ma mi zittì.
Indovinate cosa stavo per dire? Esatto. “Laura non ce ne era bisogno.”
Ma come ho detto, nessuno ti ascolta in certi casi.
Passammo una mezz’oretta a passarci convenevoli e molti chiesero a Max come stesse.
Tutti conoscevano Max, e tutti gli volevano bene, era una persona molto carismatica.
 Forse era per questo che l’amavo?
Forse era per questo che iniziai a drogarmi?
Forse era per questo che ogni volta che mi chiedeva di fare qualcosa la mia risposta era sempre si?
Fatto sta che Max era veramente una persona molto carismatica.
Riuscì subito a dominare la scena.
“Arianna, che bel vestito.”
“Oh Silvio, l’hai vista la partita domenica? Che casino hanno fatto?”
“Laura, sei sempre più alta e sempre più bella.”

Ed è inutile dire che tutti caddero ai suoi piedi, tranne Martina.
Strano, Martina è sempre stata molto restia nei confronti di Max.
C’era qualcosa, nel modo in cui lo guardava…
Forse, Martina sapeva qualcosa che io non sapevo?
Magari, qualcosa che Max mi teneva nascosto.
Molto probabile, Max mi nascondeva sempre un sacco di cose.
Un sacco di cose importanti.

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Capitolo 6
*** La festa in breve. ***


La festa iniziò quando fummo tutti in sala.
Mamma si cambiò e finì di preparare le ultime cose molto velocemente dopo che arrivò l’ultimo invitato. Maurizio, il fidanzato di mamma.
Perché fidanzato? Beh ecco forse mi sono dimenticato di dirvi che i miei si separarono alcuni anni prima.
Successe tutto molto rapidamente, quasi non me ne accorsi.
Quel periodo passò veloce in realtà. Oh si, molto veloce.
Ma allo stesso tempo sembrò interminabile. Non so se vi è mai sembrato che il tempo sia fermo ma dopo poco ti ritrovi catapultato nel futuro che sembrava non arrivare più. E senza neanche accorgertene ti stai già guardando alle spalle.
Ecco, è proprio quello che è successo a me.
La separazione dei miei, la mia dichiarazione, il mio fidanzamento, l’inizio della mia assuefazione per la droga, la mia bocciatura, la mia malata ossessione di tagliarmi le vene, e poi ci fu il trasferimento di Max e… un sacco di altre cose.
Tutte che mi portarono a quel giorno, il mio diciottesimo compleanno.
E sperai veramente che quel giorno fosse il giorno giusto per ricominciare, ve lo giuro. Era come una meta per me, finalmente raggiunta, ma non andò esattamente come me l’aspettai.
Beh ecco, diciamo che era tutto troppo diverso da come me lo aspettai.
Vi do alcune informazioni sparse:
 
- mi arrivò un messaggio non tanto carino diciamo;
- Silvio e Arianna litigarono;
- Martina tirò uno schiaffo a Max;
- a Laura si ruppe un tacco;
- mi scivolò una bottiglia dalle mani;
- mi si ruppe il cellulare;
- vomitai;
- mi chiesero di fare IL discorso.

 
Già mi chiesero di fare il discorso, e secondo voi chi è stato a chiedermelo?
Sono successe un po’ di cose vero?
E direi che nella mia lista non ce ne era manco mezza di queste.
Non sono successe in questo preciso ordine in realtà.
Io l’avevo detto che sarebbe stato il momento giusto per ricominciare, ma non ho mai detto in meglio.
Poi stiamo parlando di me, quando qualcosa mi cambiava in meglio?
Volete saperne di più di quella festa?
Volete sapere i dettagli di quella sera e come arrivammo a questa completa catastrofe?
Beh ecco la storia per intero…

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Capitolo 7
*** La festa. ***


“E allora vedi, erano tutti lì a fissarmi e a vedere se avessi fallito e poi presi la nota più alta che potevo raggiungere e… ce la feci.”  Max si buttò in uno dei suoi racconti sulla sua carriera canora. Già, era bello, era intelligente e sapeva pure cantare.
Cercava qualcuno che lo finanziasse, ma non trovò ancora nessuno.
“Wow Max, sei incredibile” disse Arianna guardando Max con occhi spalancati.
Come vi ho già detto, tutti cadono ai suoi piedi.
Ma Silvio con questa affermazione lanciò uno sguardo di traverso alla sua ragazza.
Eravamo in sala, una stanza abbastanza grande per farci stare tutti dentro e anche abbastanza comodi direi.
E la festa finalmente cominciò.
Max parlava del più e del meno un po’ con tutti, Giammi e Laura scomparvero ( non volli sapere ), mamma parlò con Maurizio, e… l’unica che mancava all’appello era Martina. Decisi di andarla a cercare, non si sapeva mai.
Prima guardai in cucina, poi sul balcone, e poi in giro per le stanze.
Bussai in bagno, ma niente. Allora optai per le uniche due stanze rimaste: camera mia, e quella di mio fratello.
Dato che fu molto probabile che Giammi si trovasse in camera sua con Laura, e che non volevo vedere scene di cui potevo pentirmi, optai per camera mia. E indovinai, Martina era proprio là! Quando entrai la stanza era buia e non vidi niente, ma poi quando accesi la luce notai una cosa: Martina cercava qualcosa nella borsa di Max.
“Ehi!” le dissi, e lei si girò d scatto. Rimase sorpresa appena si ricompose ma poi si riprese “Ah sei tu Alex” mi disse con un sorriso smagliante.
“Cosa stai facendo?” chiesi guardandola torvo.
“Stavo cercando il tuo libro di…” si guardò un po’ attorno e rispose “…economia aziendale.”
“Economia aziendale?” ripetei.
“Si esatto, proprio economia aziendale!” replicò annuendo con la testa.
“Peccato che quello sia la valigia di Max” le dissi.
“Oh davvero? Sembrava il tuo zaino!” mi rispose cercando di fare la faccia sorpresa, che le riuscì malissimo. Anche perché non era una scusa credibile, il mio zaino era uno zaino, la valigia di Max invece era uno di quei borsoni che si portano nelle palestre.
“Non è proprio uguale al mio zaino. Cosa cercavi?”
“Niente.”
“Martina. Dimmelo.”
“Niente, e ora se non ti dispiace torno di là” e mi superò uscendo dalla stanza.
Cosa cercava Martina? E poi nella borsa di Max? Ok che non gli era mai piaciuto ma controllare nella sua borsa mi sembrava un’esagerazione.
Mi chiusi la porta alle spalle e aprii la borsa, non c’era niente di male a vedere cosa cercasse Martina. L’unica cosa che trovai erano mutande, vestiti, un pacchetto di sigarette e… un pacchetto di profilattici. Non mi sorpresi più di tanto, era da Max portarseli dietro, ma notai che dentro alla scatola non c’era niente.
Cosa se ne faceva Max di una scatola vuota di profilattici?
Rimisi tutto a posto e uscii dalla stanza spegnendo la luce e chiudendo la porta.
Dopo neanche un paio di secondo mi arrivò un messaggio:
 
“Ho sempre odiato i froci di merda. Dovresti morire nel peggiori dei modi. Buona fortuna per la scuola domani checca. Attento a non farti sfondare stasera dal tuo fidanzato.
PS: i chiletti che hai messo su non sono mica pochi, dovresti fidanzarti con un ippopotamo.”
 

Un numero: 3319876543.
Ero abituato a quel genere di cose ma mi prese alla sprovvista. Perché dovevano rovinarmi anche quella che doveva essere la serata più bella della mia vita?
Invece di tornare in sala mi chiusi in bagno, mi appoggiai alla porta e… iniziai a piangere.
A piangere in silenzio, in modo che nessuno potesse sentirmi.
Mi guardai allo specchio e pensai “Sono un obeso di merda. Faccio schfo.” E poi guardai il gabinetto, e un’idea mi fulminò.
Non ci pensai due volte, mi inginocchiai vicino al gabinetto e mi misi due dita in gola, fino in fondo. E iniziai a vomitare.
Cercavo di vomitare tutto quello che potevo, dovevo levarmi tutto quel grasso, tutto.
Lo pensava anche Max che ero un obeso di merda? E se si perché non me lo aveva mai detto?
Quando smisi di vomitare mi alzai, tirai lo sciacquone e mi lavai i denti sul lavandino. Non volevo che qualcuno capisse che avevo vomitato. Controllai gli occhi ma non erano per niente rossi. Meglio, un problema in meno.
Quando mi asciugai le lacrime e mi diedi una sistemata e uscii dal bagno.
Fuori dalla porta c’era Max ad aspettarmi.
“Bisognini?” mi chiese con aria divertita.
“Emmm, si diciamo di si” risposi sorridendo,
“Alex, emm, non so come dirtelo ma…. Ho trovato questo in corridoio” e mi mostrò il mio cellulare.
Mi si gelò il sangue nelle vene.
Aveva letto il messaggio?
E poi come c'era finito là?
Ah è vero, lasciai il cellulare a terra prima di entrare in bagno.
Ma poi mi accorsi che il cellulare aveva lo schermo frantumato.
“Ma lo schermo…” cominciai.
“Si lo so amore, non so chi sia stato, l’avranno schiacciato per sbaglio. Mi dispiace” disse con una faccia che sembrava veramente dispiaciuta.
“Figurati, non è colpa tua” gli dissi stampandogli un bacio sulla guancia.
Mi ripresi il cellulare e me lo misi in tasca.
Bene, adesso come lo recuperavo il numero che mi inviò il messaggio?
Perfetto direi.
Quando entrai in sala c’era qualcosa che non andava. Silvio stava urlando contro Arianna.
”AH SI? E ALLORA IO COSA DOVREI DIRE? MA GUARDATI, SEI SOLO UNA SGUALDRINA!” e in quel momento si senti uno schiocco, all’inizio non capii da dove venne, poi mi accorsi che era il rumore di uno schiaffo.
Il cervello non ebbe il tempo di elaborare nessun pensiero che già Arianna uscì dalla stanza piangendo.
Ci fu un momento di silenzio e tensione e poi Silvio seguì Arianna fuori dalla stanza.
Si sentì lo sbattere della porta.
Dopo qualche secondo Max disse “Beh, allora…. Stappiamo la bottiglia?”
Come poteva pensare si fare una cosa del genere proprio in quel momento?
Ma tutti parvero d’accordo.
“E’ carismatico Alex, ricordatelo” pensai.
 
Dopo qualche minuto Giammi e Laura ci degnarono della loro presenza.
Entrarono nella stanza insieme a mamma, che portava una bottiglia di spumante.
“Ce la fai ad aprirla da solo cucciolo?” mi sussurrò Max nell’orecchio. Venni percorso da un brivido di piacere e gli risposi “Non sono più il quindicenne che fa cadere bottiglie e colpisce le persone con i tappi.”
“Speriamo” e mi sorrise.
Mamma mi passò la bottiglia e mi sorrise “Aspetta eh.”
In quel momento si spesero le luci e un coro di “Tanti auguri a te” riempì la stanza.
Delle candeline accese erano sopra a una torta enorme, erano in due a portarla: Giammi e Maurizio.
Posarono la torta nel tavolo che mi era affianco e il coro cessò.
Partì un flash, spensi le candeline e aprì la bottiglia, o almeno era quello che volevo fare, perché in quel momento la bottiglia mi cadde di mano e fece un gran fracasso, spargendo lo spumante dappertutto.
Le luci si riaccesero e tutti mi guardarono.
“Scusate” sussurrai.
“Ah ma non c'è problema, ne abbiamo un’altra bottiglia” mi disse mamma sorridendomi, e io le sorrisi a mia volta.
Max scoppiò a ridere e tutti lo seguirono.
Che imbarazzo…. Non avevo appena finito di dire che non ero più quel quindicenne imbranato che ero qualche anno prima?
Le risate furono seguite da degli applausi e poi da un fischio.
Poi Max alzò la mano e tutti tacquero, c’erano occhi solo per lui.
Silenzio.
E poi parlò “Allora Alex, perché non ci fai il discorso?”

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Capitolo 8
*** Il discorso. ***


“Ecco, perfetto. E ora cosa faccio?” pensai.
Ero nel panico, non potevo dire “No, non lo voglio fare”, che figura ci avrei fatto? Quella del bambino piccolo viziato.
Mi iniziarono a sudare le mani e mi si iniziò a seccare anche la gola.
Cosa potevo dire?
“Emm…” cominciai, tutti gli sguardi erano puntati verso di me.
“Dai Alex sono i tuoi amici non è che devi fare chissà quale discorso” mi dissi tra me e me.
“Allora” sospirai. “Grazie per essere venuti. Grazie veramente di cuore a tutti.”
Ok e poi? Continuarono tutti a fissarmi aspettandosi che continuassi.
“Emmm… ci sono momenti in cui… si beh ecco… in cui penso di essere fortunato ad avere persone fantastiche come voi al mio fianco.”
“Si grande, la carta dell’amicizia funziona sempre!” mi congratulai tra me e me, mi sarei stretto anche la mano da solo se non fosse sembrata una cosa strana.
“E…” e basta, ecco. Non sapevo cosa dire. Ero nel panico, di nuovo.
Poi miracolo, partì la suoneria del mio cellulare: You Belong With Me di Taylor Swift.
“Dio, grazie” pensai.
“Scusate devo rispondere è….Silvio? Pronto, che succede.”
“Alex cazzo è successa una cosa, non ho fatto in tempo ad accorgermene e…e…” Silvio era agitato e di sottofondo si sentivano delle…sirene?
“Silvio calmati. Cosa è successo e dove sei?” chiesi, mi iniziai ad agitare e pensare il peggio.
“E’ Arianna. E’ stata investita. Stava correndo cercando di scappare mentre la inseguivo per poterle parlare e mentre attraversava la strada beh ecco…” poi la sua voce si spezzò.
“Dimmi dove sei, ti raggiungiamo” dissi. Tutti mi stavano fissando… nessuno sapeva ancora niente.
“Vediamoci all’ospedale, faremo prima. Salgo nell’ambulanza con lei, ciao” e riattaccò.
Vi state chiedendo come ho fatto a rispondere al cellulare dopo che mi si era rotto? Beh prima di rientrare in sala con Max andammo a prendere il cellulare per le emergenze in cucina e ci infilai la mia SIM.
Comunque dopo che Silvio riattaccò fissai un secondo il cellulare, dopodichè alzai lo sguardo e dissi “Arianna è in ospedale.”
IL CAOS.
Ecco cosa successe dopo, il caos più totale.
Mamma continuava ad urlare che dovevamo chiamare i suoi genitori, Giammi e Maurizio iniziarono ad andare a prendere le macchine. Giammi ne aveva una tutta sua quindi avevamo due macchine.
Poi nel caos generale nessuno notò che Martina e Max stavano litigando, o almeno… Martina sbraitava contro Max che sembrava del tutto indifferente alle sue grida.
Non capivo bene cosa gli stesse dicendo ma sentì perfettamente lo schiocco dello schiaffo che tirò poco dopo Martina a Max.
Rimasi un secondo spiazzato, non capivo…
Poi arrivò un rumore frastornante, era Laura.
Gli si ruppe un tacco.
E non vi dico quanto imprecò, riuscì a buttare giù tutto quello che c’era sul tavolo della sala.
“Tranquilla tesoro è tutto ok” le disse mamma dandole una mano a rialzarsi.
“Scusa, scusa, scusa” continuava a dire Laura.
Ok, ero confuso. Cosa dovevo fare? Cosa dovevo dire?
“Amore, non sono sicuro sia una buona idea andare all’ospedale per te” mi sussurrò Max all’orecchio.
“Ma io devo vedere Arianna! E poi cosa sta succedendo? Perché Martina ti ha tirato uno schiaffo?” chiesi. Non stavo capendo…
Max aveva un segno rosso dove Martina gli tirò lo schiaffo.
“E’ una lunga storia, te la spiego dopo. Ora ascoltami…”
“No ascoltami tu, non posso non andare. Devo vederla, e Silvio ha bisogno di me” risposi brusco, ma mi pentii subito.
Mai rispondere in modo brusco a Max, MAI.
“Ah davvero? Nessuno ha bisogno di te, tanto meno Silvio, soprattutto in questo momento, porti solo guai e nessuno ti vorrebbe vicino in un momento come questo. Quindi tu resti a casa e non passi il tuo compleanno in ospedale. Resti qua apri i regali da bravo bambino che sei, ti fumi una bella sigaretta e non rompi per un po’ a nessuno.
Punto fine della discussione.”
Ero sul punto di piangere.
E mentre Max se ne stava per andare si girò e mi disse “Ah e Alex… non rivolgerti mai più a me con quel tono.”
E se ne andò.

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Capitolo 9
*** Regali. ***


Dopo un po’ uscirono tutti e io rimasi solo.
“Non ci credo mi hanno lasciato veramente qui da solo” pensai.
Volevo urlare ed è quello che feci e tirai un pugno contro il muro.
Dopo un secondo la mano mi iniziò a pulsare e guardandomela notai che mi ero fatto male, usciva un po’ di sangue, niente di più ma faceva comunque male.
Andai a bagnarla con un po’ di acqua fredda in cucina e tornai in sala.
Dato che non seppi cosa fare iniziai ad aprire i regali.
Ce ne erano due: quello di Laura e quello di Silvio, Arianna e Martina.
Aprii prima quello di Laura, avvolto nella carta da regali verde brillante. Era piccolino e leggero, e lo scartai, conteneva un braccialetto arrotolato, con la scritta “Fearless” incisa sopra.
Era stupendo!
“Grazie Laura!” dissi, ma poi mi ricordai che ero solo.
“Si, grazie per avermi lasciato qua da solo come hanno fatto tutti gli altri” dissi ad alta voce.
 C’era un bigliettino che diceva:
“Sai Alex, sei un ragazzo fantastico. Soprattutto sopporti ventiquattrore su ventiquattro tuo fratello e posso capire cosa significhi. Sei diventato grande, piccoletto! Non sei contento? Spero che il regalo ti piaccia. Sai pensavo fosse il regalo più appropriato dopo tutto quello che mi hai raccontato… Tanti auguri! Laura.”
Vi starete domandando cosa sappia Laura.
Beh Laura è sempre stata una sorella maggiore per me e gli ho raccontato sempre tutto, e quando dico tutto intendo proprio tutto.
Indossai subito il braccialetto, ed era bellissimo. Non me lo sarei più tolto, beh tranne per lavarmi ovviamente.
Presi il secondo regalo, quello di Silvio, Arianna e Martina che era impacchettato nella carta rossa.
Era un regalo strano perché era sottilissimo e si piegava, come se fosse… carta?
Lo scartai e all’inizio non capii cosa fosse, poi lessi:
“Biglietto Andata/Ritorno.
Londra.”
Oddio, era uno scherzo, non poteva essere.
Ma invece era così, mi avevano regalato un biglietto per andare a trovare Max…. ma quando? Quando sarei andato? E con chi? Da solo?
C’era un biglietto ma l’unica cosa che c’era scritto era “Tantissimi auguri! Silvio, Arianna, Martina”, si vede che era previsto che mi spiegassero tutto a voce.
Continuai a fissare il biglietto, incapace di capire.
“Perché?” mi domandai.
Era troppo facile, c’era qualcosa sotto.
I regali erano finiti. Non mi sorpresi di non trovare quello di Max, perché lui aveva un modo tutto suo di fare regali alle persone.
Comunque non potevo rimanermene con le mani in mano. Presi la giacca e uscii.
Destinazione: ospedale. 

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Capitolo 10
*** Il ragazzo della porta affianco. ***


Devo ammettere che non mi ricordo perché presi la giacca esattamente, nonostante fossimo a marzo faceva caldo, troppo caldo in effetti.
Sarà stato perché correvo o perché ero agitato o solo per il fatto che faceva caldo, sinceramente non lo so.
Fatto sta che stavo sudando e non poco.
L’ospedale non era troppo lontano da casa mia, ma neanche troppo vicino a dire la verità.
Diciamo che era abbastanza vicino per arrivarci a piedi, ma troppo lontano per andarci camminando lento. Beh si in realtà avrei potuto andarci camminando lentamente ma Arianna era in ospedale e io non potevo mettermi a fare una passeggiata meditativa sul senso della vita.
Il problema sarebbe stato Max.
Avevo disubbidito e non l’avrei passata liscia, su questo non avevo dubbi.
Sapete un motivo per cui mi innamorai di Max era proprio questo, si faceva rispettare.
Sapete a volte mi sorprendo ancora di quanto fossimo diversi io e Max.
Io timido, introverso, poso carismatico, mediocre ecco.
Lui invece ovunque andasse illuminava tutto.
Era estroverso, carismatico, bellissimo e nessuno poteva evitare di guardarlo.
Come si sia accorto di me non l’ho mai capito.
Era il tipo di ragazzo che tutti volevano e per me era il ragazzo della porta affianco.
E dire che era il ragazzo della porta affianco non è un’espressione figurale, era letteralmente il ragazzo della porta affianco, fino ai miei dieci anni.
In qualche modo siamo cresciuti insieme anche se ci rivolgevamo solo qualche parola di cortesia.
Ogni tanto ci incontravamo nel portone o nell’ascensore o in occasionali cene che organizzavano i nostri genitori dato che erano amici, ed era anche gradevole la sua compagnia per quanto silenziosa.
Ovviamente a scuola non mi rivolgeva mai la parola.
Figurarsi, uno come lui che parlava con uno come me?
Sarebbe stato uno scandalo sociale.
Si parlo scandalo sociale a 10 anni.
Nella società di oggi non mi sembra una sorpresa.
Comunque in fondo non ci stavo tanto male, era normale.
Quando Max compì undici anni si trasferì con la famiglia dall’altra parte della città.
Quindi niente più incontri nel portone, sull’ascensore o niente più cene occasionali.
In realtà non fu un gran cambiamento nella mia vita.
.Il cambiamento arrivò alle superiori.
La mia espressione quando lo rividi per i corridoi della scuola era da foto.
Mi si spalancò la bocca e molto probabilmente assomigliavo più a un pesce che a un ragazzo neoliceale.
Era cinque volte più bello dall’ultima volta che lo vidi. E mamma mia fidatevi, non è poco.
E poi ripensai a quando…
No non avevo tempo di ripensare al passato, ero arrivato all’ospedale.
Avevo il fiatone, e lo ammetto, anche paura per Max, ma soprattutto mi spaventavano le condizioni di Arianna.
Entrai in ospedale e mi investì la luce accecante delle luci al neon seguito subito dal classico odore degli ospedali di lattice e cose non ben identificate.
Mi avvicinai al bancone delle informazioni e per cinque minuti nessuno mi considerò.
Ecco una cosa che mi piaceva di me.
Ero trasparente.
Almeno che non iniziassi a saltare in giro tipo malato mentale nessuno mi considerava più di tanto.
“Mi scusi” dissi.
L’infermiera al bancone, una donna di mezza età che sembrava poco soddisfatta della proprio vita, si girò e mi guardò in cagnesco.
“Cosa vuoi?” mi chiese bruscamente “non ho tanto tempo da perdere, non vedi che ho da fare?”
Diedi un’occhiata allo schermo del computer e vidi una schermata aperta su una partita di poker.
“Si vedo signora” risposi ironicamente “sono qui per cercare una mia amica si chiama Ariana L….”
“Alex?” mi sentii chiamare.
Mi girai e mi trovai davanti Martina.
“Martina! Grazie a Dio! Dov’è Arianna? Sta bene?” chiesi, felice di vedere una faccia amica.
“Si ma… tu cosa ci fai qui?” chiese.
“Non potevo starmene a casa con le mani in mano da solo mentre Arianna era qui in ospedale.”
“No aspetta… cosa hai detto?”
“Ho detto che non potevo starmene a casa…”
“Sisi ma non questo, hai detto da solo?” mi chiese stupita.
“Emm si Martina, siete venuti tutti qui” risposi.
“E Max?” chiese sempre più sorpresa.
“E’ venuto con voi Martina…. Ma che cosa…?”
“Brutto bastardo senza cuore” sospirò “Alex è il momento che ti dica una cosa.”

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Capitolo 11
*** Il racconto di Martina. ***


Ci sedemmo lontani dal bancone e rimanemmo lì senza parlare per qualche minuto.
Non volevo metterle fretta, sapevo che Martina prima di fare un discorso serio se lo preparava mentalmente.
E quello che mi doveva fare, a quanto parve, era un discorso serio.
“Alex” iniziò, non mi stava guardando in faccia “dopo tutto questo tempo avrai notato che Max mi sta un po’ antipatico…”
“Un po’?” chiesi perplesso “gli hai tirato uno schiaffo che gli ha lasciato un segno che rimarrà come minimo una settimana!”
“E se lo è meritato” mi disse duramente “ora se vuoi farmi finire.”
“Scusa…” e rimasi ad ascoltare quello che aveva da dirmi.
“Comunque come stavo dicendo, mi sta un po’ tanto antipatico. Giuro ci ho provato a farmelo stare simpatico ma non ce la faccio. Non la prendere come una cosa personale Alex. E’ lui. E’ questo suo modo di comportarsi che mi da fastidio. Si crede di essere Dio sceso in terra ma non lo è. E a quanto pare nessuno lo vede, pensano tutti che sia perfetto. Questo accresce in lui la convinzione di essere di più di quello che è. E poi Alex, non pensare che non lo sappia, so che quando c’era lui qua ti drogavi. So che quando c’era lui qua ti tagliavi perché soffirivi. So che quando c’era lui qua tu non mangiavi perché ti faceva sentire grasso. So che quando c’era lui qua andavi in discoteca quasi tutte le sere, tornavi sbronzo e mezzo drogato, scopavate e il giorno dopo lui a scuola faceva finta di non conoscerti. Pensi che io queste cose non le sappia? Sono una delle tue migliori amiche e queste cose le ho scoperte da sola. Ti osservavo Alex. Eri così triste quando c’era lui! E poi le mie preghiere sono state ascoltate. Se ne è andato. Non sai quanto io abbia ringraziato Dio per questo. Alex ti stavi riprendendo. Ricominciavi a mangiare, non ti drogavi, avevi smesso di coprirti in continuazione i polsi e poi le serate hai iniziato a passarle con noi, con i tuoi amici, a vedere un bel film o andando a mangiare una pizza o andando a semplicemente a farti un giro. Iniziavo a ritrovare l’Alex a cui volevo bene. Ma poi lui tornava e tu sparivi e tornavi la persona che odiavo. No va beh magari odiare no, ma sicuramente non mi stavi simpatico.”
Silenzio.
Per tutto il discorso non mi guardò neanche una volta e continuava a guardare davanti a se come se guardarmi negli occhi gli riuscisse difficile nonostante l’avesse fatto un sacco di volte.
Ero come un estraneo.
Ma nonostante tutto io non capivo una cosa.
“Scusa e cosa centra questo con il fatto che Max non sia qua quando invece mi ha detto il contrario? Non trovo il senso logico.”
“Ti ricordi Rosa Jane? La studentessa che faceva l’intercultura da Londra?” mi chiese.
“Si ma continuo a non capire…”
“Fammi finire” mi interruppe.
“Comunque” continuò “ti ricordi perché era tornata a casa prima?”
“Si perché si diceva che si fosse spaventata per un tentato stupro” risposi ricordandomi molto bene i pettegolezzi che giravano.
“Ecco, non si è mai saputo chi è stato, giusto? Beh in realtà qualcuno lo sapeva. E…” si fermò un secondo “…e lo sapevo anche io.”
Rimasi a bocca aperta, ma non dissi niente per non farmi sgridare un'altra volta.
“Se ti stai domandando perché non l’ho detto a nessuno, la risposta non la so manco io. Odiavo quella persona e dopo quello che è successo a Rosa la volevo ammazzare e…”
Inizia a realizzare cosa mi stesse dicendo e sussurrai un lieve “no”.
Ma lei sembrò non sentirlo e continuò.
“E l’ho fatto per te Alex, non pensare che l’abbia fatto per chissà quale altra persona. E mi dispiace dirtelo dopo tutto questo tempo. Ma comunque non ho finito….”
C’era dell’altro?
“L’altro giorno quando sono andata in stazione… Alex io non so come dirtelo, ma beh… Ho visto Max baciarsi con una.”
Mi si inumidirono gli occhi, una sensazione che odiavo, significava che ero vicino al pianto.
“Quindi è per questo che oggi fregavo nella sua borsa, cercavo quello che ho trovato, una scatola di profilattici vuota. Che poi è stato stupido da parte sua portane solo uno o due. E poi è per questo che gli ho tirato uno schiaffo, se lo meritava Alex. Quindi ecco… credo che stasera Max sia andato a utilizzare l’ultimo profilattico che gli era rimasto.”
Mi alzai in piedi. Ormai le lacrime mi rigavano le guance, ma per fortuna era un pianto silenzioso. Per la prima volta dall’inizio del suo racconto Martina mi guardò e sul suo viso c’era una traccia di pietà.
Odiavo essere come un cucciolo di cane abbandonato sulla strada quando tutti ti guardano come se avessero pietà di te.
Ma non le credevo.
Non credevo neanche a una parola.
La guardai, un’immagine sfocata tra le lacrime.
Nonostante fosse la mia migliore amica le dissi.
“Sai, pensavo di potermi fidare di te. Invece no. Quanto ti ci è voluto per inventare tutto, eh? Dai dimmelo. Tu aspettavi solo che lasciassi Max ammettilo. Ma sai una cosa, io non ti credo.”
E detto questo mi girai e me ne andai.

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Capitolo 12
*** Ritorno a casa. ***


Max è sempre stato con me, come con gli altri, un tipo strano.
Non è quel tipo di persona che si affeziona facilmente, anzi è quel tipo di persona che proprio non si affeziona.
Lo so è strano, vi assicuro una cosa: per quanto io sia stato con Max, lui per me rimane un mistero.
Non lo capisco!
E sfido chiunque a farlo.
Ma ci metterei la mano sul fuoco: Max non avrebbe mai potuto cercare di stuprare Rosa Jane e tanto meno baciarsi con una ragazza.
Max è sempre stato una delle poche certezze nella mia vita, ed ero sicuro, e vi dico sicuro, che lui non avesse mai potuto fare tutto quello che mi disse Martina.
E poi non era vero che quando Max viveva ancora nella nostra città mi drogavo, non mangiavo e cose così.
Stavo benissimo, se non di più.
Fatto sta che una parte di me credeva a Martina ovviamente. Non aveva motivazioni per mentirmi.
Max invece si.
Ma dall’altra parte credevo a Max, anzi quella parte sapeva che Max non avrebbe mai fatto niente del genere.
Dovevo controllare.
In quel momento l’incidente di Arianna passava in secondo piano.
Voi penserete che sia stata una cosa egoistica da parte mia, e magari lo è anche stato, però dovevo sapere, e dovevo vedere.
Uscii dall’ospedale e tornai indietro, verso casa.
Non andai troppo veloce, sinceramente avevo paura di cosa avrei potuto trovare.
E se Martina avesse ragione?
E se Max si fosse veramente baciato con una ragazza quella mattina in stazione?
O magari era solo una sua vecchia amica e si sono baciati sulla guancia e magari Martina ha visto male.
E poi…. Cosa ci faceva quella mattina Martina in stazione?
Max era in città da meno di 24 ore ed è riuscito a fare più casini di non so chi.
Arrivai davanti al portone ed entrai.
Premetti il tasto dell’ascensore.
No, cosa pensate, non stavo cercando di prendere tempo.
O forse si?
Aspettai l’ascensore per un tempo che sembrò interminabile, e una volta arrivato decisi di andare su con le scale.
Si forse stavo cercando di prendere tempo lo ammetto.
Arrivato davanti alla porta di casa sospirai.
Cosa avrei fatto se non fosse stato in casa?
O peggio, con qualcun altro?
Mentre presi le chiavi dalla tasca la porta nel pianerottolo di fronte alla mia si aprì e ne usci l’anziana signora Annamaria.
Sapete l’anziana signora abitava nella vecchia casa di Max, già.
Quindi potete immaginare quanto mi sia stata antipatica i primi tempo che abitava lì.
Poi però ho iniziato a conoscerla e devo ammettere che era una signora niente male.
La mia camera da letto e la sua camera da letto avevano un muro in comune e io avevo il brutto vizio di ascoltare la musica a volume troppo alto.
Però non si è mai lamentata, anzi una volta mi fece anche i complimenti per il tipo di musica che ascoltavo!
“Buonasera signora Annamaria” la salutai.
“Oh ciao caro, te l’ho detto centinaia di volte di non chiamarmi signora e di non darmi del tu, mi fai sentire vecchia” disse sorridendo.
Beh si in effetti detto da una signora di 78 anni era alquanto ironica come cosa.
“Oh si scusa, me ne dimentico sempre” dico ricambiando il sorriso.
”Allora, come te la cavi? E’ da un po’ che non ti vedo! Però guarda che mi ricordo tutto eh, lo so che oggi è il tuo compleanno” mi disse, e detto questo si avvicinò e mi abbracciò.
La signora Annamaria fu come una nonna per me.
A volte mi invitava a bere il tè con lei, cosa che mi faceva molto piacere soprattutto in inverno con il freddo.
“Oggi per caso ho visto il tuo amico, quello che una volta abitava qua: Ma…rco?” chiese dubbiosa.
“No, Max” risposi.
“Ah si giusto Max! Anche lui, un bravissimo ragazzo. L’ho visto stamattina con una tua amica…quella che abita qua di fronte. Aspetta si chiama…Marta? No no… forse Marzia. Ah no Martina!” mi disse sorridendomi come se ricordarsi il nome della mia migliore amica fosse una soddisfazione senza pari.
Ma… Max e Martina?
Sinceramente non ci mi soffermai neanche più di tanto a quello che mi disse, cioè a 78 anni non ci si sta tanto con il cervello.
“Comunque io stavo portando a spasso Spike, vuoi venire?” mi chiese.
Spike era il suo cagnolino.
“No grazie ora vorrei andare a casa a riposarmi” mi inventai, anche se per metà era vero.
“Oh va beh fa lo stesso. Allora ci vediamo…” mi prese la mano e ci mise dentro una caramella al miele “e buon compleanno. Bel braccialetto comunque” mi disse guardando il braccialetto che mi regalò Laura.
“Oh grazie” risposi sorridendo, me ne ero quasi completamente dimenticato.
“Salutami la mamma Alex” e detto questo chiamò Spike, un cagnolino piccolo, sarebbe potuto essere un barboncino, ma in realtà era un incrocio, chiuse la porta di casa e scese le scale.
Guardai il braccialetto.
“Fearless”.
Beh non ci sarebbe stata una parola più azzeccata in quel momento come questa.
Mi voltai verso la porta, inserii la chiave nella toppa e la girai.
Quando la porta si aprii con un toc la spinsi ed entrai nell’oscurità che profumava di…sapone?

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Capitolo 13
*** Per farsi perdonare. ***


Si non avevo dubbi, l’odore che sentivo era sapone.
Bagnoschiuma per l’esattezza.
Il mio bagnoschiuma se vogliamo essere precisi.
Dopo un attimo mi accorsi anche del rumore dell’acqua.
Ma chi si stava facendo la doccia in casa mia alle undici di sera?
Oddio era a casa, era lì!
“Max, sei tu?” chiesi ad alta voce.
Nessuna risposta.
Posai le chiavi e iniziai ad andare verso la luce che usciva dai lati della porta del bagno, per il resta casa era buia.
Penso che una persona normale dopo non aver ricevuto risposta non sarebbe andata avanti fino alla porta ma anzi si sarebbe iniziata a preoccupare.
Ma come avrete capito tutto sono tranne che normale.
Arrivato davanti alla porta l’odore di bagnoschiuma diventò più pungente ma la cosa mi rilassava.
Inoltre si sentiva anche attraverso la porta il calore che c’era all’interno.
Bussai.
“Chi è?” rispose una voce dall’altra parte.
La stessa voce che mi consolava nei momenti difficili, quella di Max.
Non so se l’avevate già capito ma il mio rapporto con Max era strano, Max stesso è strano.
Ogni tanto spariva lasciandoti solo, ma a volte sapeva quando avevi bisogno di lui e lui c’era.
E poi se avevo bisogno di divertirmi lui c’era e sapeva come tirarmi su di morale, su questo non c’era dubbio.
Magari erano discutibili i mezzi con cui lo faceva ma lui diceva sempre: “Il fine giustifica i mezzi.”
E mi ricordo ancora la prima volta che me lo disse:
 
Eravamo in discoteca, e non era la prima volta che mi portava là, e neanche la seconda.
Forse la terza, o la quarta.
Ma comunque quel mondo ancora non mi apparteneva.
Ero un ragazzino impacciato, con un il ciuffo ben pettinato e con gli occhiali.
Beh si ecco una caricatura di me stesso direi.
Fatto sta che io e Max eravamo seduti su un divanetto in disparte.
Il caldo mi faceva sudare e la musica mi trapanava le orecchie.
Beh Max era abituato. E poi era a petto nudo quindi non aveva esattamente problemi di sudorazione.
Erano ancora i primi tempi che uscivamo insieme e vederlo a petto nudo mi faceva ancora un certo effetto.
“Non ti preoccupare Alex, lasciali stare, sono solo degli stupidi non capiscono niente” mi disse quella sera.
Gli raccontai che dei miei compagni avevano preso il vizio di prendermi in giro per i miei modi di fare.
“Si ma Max non capisci, è difficile. A volte vorrei solo scappare via per qualche ora” sospirai.
“Ah ma per questo non c’è problema” mi disse. Prese la camicia sul braccio del divanetto e dal taschino tirò fuori una bustina.
“Cos’è?” chiesi.
Max scoppiò a ridere “Non la riconosci? E’ erba. E non quella del giardino” disse con un sorriso in faccia.
Io rimasi alquanto sbalordito, era la prima volta che vedevo dell’erba da vicino, e soprattutto mi faceva strano vederla in mano a Max.
“Allora, vuoi scappare per qualche ora? Guarda che il fine giustifica i mezzi” mi disse allungandomi il sacchetto.
E, ragazzi, cercate di capirmi.
Cosa ne sapevo io?
Ero completamente ed incondizionatamente innamorato, avrei fatto qualsiasi cosa per lui.
Devo ammettere che per quanto sbagliato fosse stato, mi sentivo meglio, o almeno pensavo...
 
“Max sono io” risposi.
“Alex?” sentii l’acqua chiudersi e la tenda della doccia spostarsi, dopo di che si aprì la porta e mi ritrovai avanti un Max completamente nudo.
“Alex dove eri finito? Ti avevo detto di rimanere a casa! Perché sei uscito?” mi sgridò.
“Io non lo so….scusa” ero del tutto imbarazzato davanti alle nudità di lui, cosa che lui non sembrava affatto, allora cercai di concentrarmi sui suoi occhi verdi.
Quei stupendi, magnifici e paurosi occhi verdi.
“No Alex non lo devi fare più. Lo sai che mi infastidisce quando disubbidisci. Però…” aggiunse “oggi è pur sempre il giorno del tuo compleanno quindi te la faccio passare.”
Il suo sguardo si addolcì, sorrise e poi mi baciò.
Una, due, tre volte.
Era il primo momento di intimità da soli da quando lui arrivò.
Appoggiai la testa sulla sua spalla e mi sussurrò “Sai, mi sono mancati tanto i tuoi baci.”
“Anche a me” pensai, ma non lo dissi.
Ero comunque imbarazzato dal fatto che lui era completamente nudo.
Nonostante stessimo insieme da un bel po’ di tempo, come vi ho detto all’inizio del mio racconto e adesso, mi faceva sempre un certo effetto vederlo nudo.
Beh cercate di capire anche questo, aveva un bel fisico.
Alto, muscoloso e senza peli.
Ma senza neanche un pelo.
Si esatto, la magia della ceretta.
Max mi baciò un’altra volta.
“Ehi tutto bene?” mi chiese.
“Si, ma lo sai che vederti nudo mi fa sempre un certo effetto” risposi arrossendo.
Lui rise, come sempre davanti ai miei comportamenti impacciati.
“Oh dai su, come se non mi avessi mai visto nudo” rispose guardandomi malizioso.
Ok si lo ammetto, abbiamo fatto sesso.
Ma penso che questo l’abbiate già capito tutti.
Vi giuro è così… bello.
Non sono il tipo di ragazzo che parla della sua vita sessuale perché mi imbarazza troppo.
Però se volete qualcosa ve la posso dire.
Beh tanto per iniziare quando succede mi sento così…goffo.
Sinceramente non so se sia lui troppo bravo o io troppo schifoso.
Una cosa è certa, non mi ha mai fatto pesare il fatto di non essere bravo a letto.
Anzi ogni volta che abbiamo finito lui mi fa i complimenti, e la cosa mi fa piacere.
Scusate i complimenti me li merito tutti dato che poi una volta finito per un giorno non posso sedermi!
E poi qualsiasi cosa faccia lui la fa sembrare così… sexy.
Anche il semplice fatto di sudare.
Io sembro una foca in calore, lui uno di quei fotomodelli che bagnano per fare i servizi fotografici.
“Sai, può darsi che io ti possa perdonare completamente solo se mi dai qualcosa in cambio” mi disse guardandomi negli occhi.
Ed era serio.
Mamma mia se era serio!
Come dire di no?
Bastò un sorriso e lui capì, dopo di che mi baciò e mi portò in camera. 

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Capitolo 14
*** La telefonata. ***


“Dovevi chiamarmi subito, devi ringraziare Dio che fossi già tornato a casa!
Cosa?
No non voglio le tue schifosissime scuse.
No devi stare zitta, non capisci veramente niente.
Ha rischiato di scoprirmi, cosa sarebbe successo eh?
Non me ne frega niente che Arianna si sia svegliata, è soltanto un sgualdrina.
Si.
Senti te lo dirò una volta sola: se mi lascerò con Alex mi seguite, tutti, sul fondo.
Quindi state attenti, abbiamo tutti da perderci.
Si, salutamela.
Si, sta bene, non vuole vedere nessuno.
Sta dormendo.
Si abbiamo scopato.
Ovvio che sei meglio tu.
Ok, domani.
Si ok.
Va bene.
Si anche io.
‘Notte.”

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Capitolo 15
*** Il risveglio. ***


Mi svegliai con un mal di testa assurdo.
Ci misi due secondi per rendermi conto che ero nudo nel mio letto.
La domanda era: perché ero nudo nel mio letto?
Mi girai sulla schiena e andai a sbattere contro qualcosa che produsse un qualche suono.
No, in realtà non era un qualcosa era un qualcuno: Max.
Oddio ci ero andato a letto!
Non che fosse la prima volta ovvio, ma di solito o ero ubriaco, o drogato o per qualche motivo non mi rendevo conto mai di quello che facevo.
Ma quella volta era diverso: mi ricordavo tutto.
Mi ricordavo il suo profumo, i suoi baci sul collo, la sua pelle nuda sulla mia, il… ok forse non è il caso di scendere troppo nei dettagli.
Povero, avevo appena svegliato Max
“Buongiorno” mi disse.
Sembrava quasi sorpreso di vedermi, infatti mi chiese “Emm, cosa ci fai qui?”
Mi si fermò il cuore, con chi pensava di aver scopato?
Aveva sbagliato persona?
Rosa Jane forse?
“Dovrei farti io questa domanda, questo è il mio letto” gli risposi gelido.
Sentivo bruciarmi gli occhi, quella sensazione fastidiosa che si prova prima di piangere.
“Ehi che succede?” mi baciò, ma io non ricambiai “Ho fatto qualcosa? Ti ho fatto male ieri sera? Non ti è piaciuto? Cosa…?”
“Smettila di fingere!” gli urlai girandomi dall’altra parte.
“Oh ma cosa ti succede?” mi chiese alzandosi su gomito.
Mi rigirai verso di lui con le lacrime agli occhi.
Riuscivo a vedere il suo fisico scolpito, la tartaruga, il chiarore della sua pelle… non era il momento di avere gli ormoni a mille.
“Con chi pensavi di essere stasera eh? Rosa?” me ne pentii subito.
Il volto di Max si rabbuio e mi guardò con uno sguardo che mi fece davvero, davvero paura.
“Non so di cosa tu stia parlando, e non so chi sia questa Rose.”
“Allora perché mi hai chiesto cosa ci facessi qui?” risposi alzando la voce.
“Perché è lunedì brutto essere inutile, hai scuola e sono le otto.”
No… non ci credevo.
Avevo appena fatto la figura di merda più grande della mia vita.
Mi sentì avvampare la faccia e l’unica cosa che mi uscì dalla bocca fu un suono che assomigliava molto ad “ah”.
Max scese dal letto, era completamente nudo e mi faceva l’effetto che mi faceva sempre… non giudicatemi come un pervertito, vorrei vedere voi!
Si iniziò a vestire, e appena finì e si infilò la maglietta si girò e mi guardò con i suoi occhi verdi.
Non erano per niente rassicuranti, non come la sera prima.
“Ci vediamo quando esci, ciao” e detto questo uscì.
Non potevo essere stato veramente così stupido, c’era un limite a tutto.
Mi alzai anche io e anche io ero nudo.
C’era una notevole differenza tra il mio fisico e il suo.
Il mio ormai mi faceva schifo.
Era grasso.
Avevo la pancia da alcolizzato.
E la odiavo.
E mi odiavo.
Per tutto.
Mi vestii e mi preparai lo zaino, sarei entrato alla seconda ora.
Pensai alla sera prima e avevo un vago ricordo di Max che mi diceva mi chiamava per nome parole tipo “fondo” “sgualdrina” … però non erano parole che mi aveva detto mentre scopavamo.
Erano tipo parole di un ricordo, come di un sogno.
Non ci feci caso, pensai al fatto che dovevo tornare a scuola, ma non ne avevo voglia.
Però sarebbe stato tutto facile perché ci sarebbe stato Max a proteggermi.
E avevo deciso di non avere più sorprese a scuola.
Mi sbagliavo.
 
 

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Capitolo 16
*** Davanti alla scuola. ***


Avete mai la sensazione che potrebbe andare tutto storto però allo stesso tempo non sapete come perché peggio di così non potrebbe andare?
Bene ecco, allora sapete come mi sentivo.
Il fatto di aver litigato con Max quella mattina non giovava molto al mio umore ma a scuola ci dovevo andare comunque, in un modo o nell’altro.
Non mi ricordo manco cosa mi fossi messo quella mattina!
Forse un paio di jeans e una maglietta con la scritte “SMILE.”
No anzi della maglietta ne sono sicuro, mi ricordavo l’ironia della frase quella mattina.
Nel tragitto casa-scuola i miei pensieri andavano sempre a finire a Max e a dove si potesse trovare: da qualche amico, in quale bar, a trovare i suoi al cimitero… ah già quasi dimenticavo: Max è orfano. E lo so che è un particolare abbastanza grande ma non ho ancora avuto l’occasione di raccontarvelo.
C’è una motivazione se Max è andato a studiare il più lontano possibile e dorme da me ogni volta che torna in città.
E sicuramente non è per amore nei miei confronti.
L’anno prima i genitori di Max sono morti in un incidente d’auto.
E allora lui ha giustamente scelto di andare a studiare lontano, come biasimarlo?
Scappare da tutto e da tutti.
Quello che non vi ho detto è che è scappato così, da un giorno all’altro, senza avvertire.
Ha degli zii che hanno una casa in Inghilterra, una gran fortuna, non c’è che dire.
La prima volta che lo sentii dopo la sua partenza non sapevo se definirmi: arrabbiato, disperato o, a volte sono arrivato a pensare, felice.
Quindi appena lo sentii ci parlammo come se niente fosse.
Arrivai davanti alla scuola e c’erano quattro ragazzi, non li conoscevo.
Mi sedetti su un muretto non lontano dall’entrata aspettando il suono della campanella.
Guardai il cellulare:
 
0 nuovi messaggi;
 
0 chiamate perse.
 
Sospiro.
Max è sempre stato una persona impulsiva e avevo paura di cosa potesse fare.
Guardai i ragazzi fuori dalla scuola, non li avevo mai visti.
Erano 3 maschi e a me dava le spalle una ragazza mora con i capelli che le arrivavano all’altezza delle anche.
La sentivo parlare, aveva un accento inglese e la sua voce mi faceva affiorare qualcosa dalla memoria, ma era come non riuscire a mettere bene a fuoco un ricordo.
“Dobbiamo bloccarla, me la pagherà” stava dicendo ai ragazzi.
Si vede che uno dei ragazzi mi ha scoperto a fissare i ragazzi quindi mi indica e la ragazza si gira.
Perdo un battito.
Non respiro più.
Spalanco gli occhi e la bocca.
Non ci credevo.
Aveva la carnagione bianchissima, gli occhi blu elettrico e le labbra rosso accesso.
Era passata un po’ di tempo ma la sua bellezza era rimasta immutata.
Per un motivo o per un altro…
…Rosa Jane era tornata in città. 

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Capitolo 17
*** La fuga. ***


Il tempo, di solito, cambia le persone, ma Rosa Jane non era cambiata per niente.
Sembrava ancora  la ragazzina arrivata dall’Inghilterra per studiare, in una città sconosciuta, senza nessun amico.
Ma qualcosa era cambiato in lei: nel suo sguardo e nel suo portamento c’era più sicurezza, quella sicurezza, quel autorevolezza che faceva quasi paura.
Quando i nostri sguardi si incrociarono riuscì a capire che mi riconobbe.
Mi sorrise, e non so perché, non mi sembrava un sorriso rassicurante.
Ora, sinceramente, non so se esista un Dio, anzi quasi sicuramente esiste, perché in quel momento, mentre Rosa si dirigeva verso di me suonò la campanella.
Senza pensarci due volte entrai correndo nella scuola.
In giro per i corridoi c’erano soltanto alcuni professori che stavano cambiando aula per il cambio dell’ora.
A un certo punto, senza rendermene conto, mi ritrovai sdraiato a terra.
Avevano appena passato la cera e lo notai dalla lucentezza del pavimento.
Cercai di rialzarmi ma qualcuno mi mise un piede sopra il petto e mi respinse verso il pavimento facendomi sbattere la testa sul pavimento.
“Ehi frocietto come stai? L’hai ricevuto il messaggio con gli auguri?” mi chiese il ragazzo.
Era un bestione alto, biondo ed…enorme.
Sarà stato una cosa come tre volte me.
“Se quelli erano auguri, wow, posso dire che sono gli auguri migliori che io abbia mai ricevuto” risposi ironico.
Fece un po’ più di forza sul piede “Ah se ti potesse vedere Max adesso. Sei solo un povero sfigato” e detto questo, se ne andò.
Ah si: Marco era amico di Max.
Dovete sapere che Max, al contrario di me, non dava per niente a vedere che era gay, anzi.
Quindi usciva con i ragazzi più importanti della scuola, mentre io, passavo la ricreazione con solo con Martina.
Mi rialzai e come se niente fosse ricominciai a correre verso la classe.
Mi faceva un po’ male la testa ma penso fosse normale.
Mi fermai davanti fuori dalla porta della classe e il mio cervello iniziò a lavorare tipo una macchinetta: dovevo dirlo a Martina.
E pensare che non le avevo creduto, aveva visto veramente Rosa Jane.
Che stupido che sono stato!
Beh ovviamente non è detto che Max l’abbia baciata o che sia stato lui a stuprarla quando è successo.
Un minimo ancora credevo in Max.
Proprio mentre stavo allungando la mano per aprire la porta si aprì dall’interno e qualcuno mi finì addosso.
Era Martina.
“Dove vai?” chiedo.
Sembrava agitata.
“Al bagno” risponde evasiva.
“Con la cartella?” le chiedo.
Mi guardò con aria agitata, e continuavamo a fissarci per un po’.
Poi all’improvviso sospirammo insieme e all’unisono dicemmo “Ti devo dire una cosa.”
Sorridemmo entrambi: nonostante tutto eravamo ancora Martina e Alex.
“Dimmi prima tu” le dissi.
“Ok, ti devo confessare una cosa ma prima devi aiutarmi a scappare.”
“Scappare? E perché? Senti volevo chiederti scusa e dirti che qua fuori c’è…”
“Rosa Jane, lo so. Senti è una lunga storia, l’altro giorno all’ospedale non ti ho detto tutto. Ora però aiutami per favore” mi interruppe.
Mi stava guardando supplicante… come potevo dirle di no?
“Va bene. Rosa è qua fuori con tre ragazzi. Da dove vuoi uscire?” le chiesi.
“Non lo so, mi è venuta in mente la palestra” mi disse.
“Perfetto, io cosa devo fare?” le chiesi.
“Scappare con me, non ci scappo da sola Alex, e ho subito bisogno di parlarti. Non devi fare altro.”
“Ah” risposi sorpreso “va bene.”
Detto questo iniziamo a correre verso la palestra che però, era chiusa.
“Ottimo” dice Martina “ e ora?”
Cero farmi di venire in mente qualche idea, e me ne esce una che potrebbe funzionare.
”Martina, se c’è una cosa che ho imparato da tutti i film che ho visto è che il nemico non ti aspetterà mai nel punto più ovvio da dove tu possa uscire” le dissi.
“Ma certo, la porta principale, non ci aspetterà mai là, sei un genio.”
“Grazie, modestamente.”
“Dai muoviti.”
E ricominciammo a correre, uscimmo nel giardino della scuola e senza pensarci due volte corremmo il più lontano possibile.

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Capitolo 18
*** La verità. ***


Ci fermammo al parco con il fiatone.
Ce l’avevamo fatta.
“Bene ora fino a che non suona l’ultima ora saremo al sicuro” disse Martina, e si sdraiò su una panchina.
“Cosa mi devi dire?” le chiesi.
Fino a due minuti prima non ci stavo pensando, ero troppo impegnato a correre, ma ora che mi ero fermato volevo saperlo.
Martina si tira su a sedere e si fissa le scarpe, cattivo segno.
“Alex, l’altra sera non ti ho detto tutto e…”
Basta. 
Non ne potevo più.
Un giorno, neanche, che Max era in città e già era riuscito a farmi impazzire.
“Martina” dissi. Non ero arrabbiato, ne’ triste, ero solo stanco “Dimmi la verità. Tutta la verità. E non voglio sentire altro. Niente giri di parole, niente scuse, niente. Solo la verità.”
Ripeto: non ero arrabbiato, quindi il mio tono di voce era alquanto piatto e senza emozioni, e la cosa sembrava sorprendere Martina.
“Mi sono baciata con Max.”
Perché la cosa non mi sorprendeva?
Perché non ero arrabbiato con Martina ma solo con Max?
No anzi, il perché lo sapevo.
Mi aveva sempre mentito spudoratamente, guardandomi negli occhi, dicendomi “ti amo” e senza badare ai miei sentimenti.
Eppure DOVEVO essere arrabbiato con Martina, non era possibile che…
“Ti perdono” le dissi “ma solo se mi spieghi tutto, per filo e per segno. E voglio sapere anche perché Rosa Jane ti cerca.”
Martina sospirò, sorrideva, l’avevo perdonata senza pensarci due volte.
Rimaneva comunque la mia migliore amica.
“Sai” cominciò “com’è fatto Max. Cioè in un modo o nell’altro riesce a capirti e te ne innamori. Ma ora ascoltami: non sono innamorata di lui. L’ho odiato e lo odio tuttora. Lo odio per quello che ti ha fatto, lo odio perché è riuscito a farmi sentire in colpa per anni e…”
“Anni?” chiesi.
“Si… lo baciai quando ancora abitava qua” mi rispose “ma comunque lo odiavo. Quando se ne andò fui felicissima, cioè sarebbe andato il più lontano possibile e non sarebbe tornato più. Ma poi…” sospirò “prima di tornare qua mi ha scritto un messaggio scrivendomi che ci saremmo visti alla stazione per parlare. Ed ero seriamente curiosa di sapere. Una volta arrivata là però l’ho visto baciarsi con Rosa Jane. E’ per questo che alla festa io e lui stavamo litigando.”
Ok le cose iniziavano a quadrare.
“Ho aspettato che Rosa se ne andasse e poi andai a parlare con lui, lo insultai, gli dissi che era un coglione che non ti meritava e altre cose. Lui però poi mi ha risposto…” si fermò.
Alzo lo sguardo e ci guardammo negli occhi, capii cosa voleva chiedermi, era un: vuoi veramente sapere?
Io risposi “Tutta la verità.”
“Mi rispose che l’amava, era veramente l’unica ragazza che aveva mai amato, che però non voleva farti soffrire. In fondo Alex, ti vuole bene. Ma era veramente convinto di quello che diceva, lo riuscivo a percepire. Lo vedevo. Aveva buttato giù la maschera del duro e in quel momento ai miei occhi era una persona normale, e innamorata. Gli intimai di dirti tutto subito, ma lui non mi diede ascolto e per questo che l’altra sera gli ho tirato uno schiaffo. Non te l’aveva detto, e non ci ho più visto e l’ho picchiato. Ah e c'è dell'altro.." 
"Ancora?" pensai. Ma ero stanco, volevo solo sapere.
"Arianna..." a quel nome la guardai sbalordita "la lite che ha avuto con Silvio è stata uno sbaglio. Arianna ha chiesto un preservativo a Max perchè voleva fare una sorpresa a Silvio, ieri sera volevano farlo per la prima volta, ma Silvio non ci ha creduto ed è successo quello che è successo."
Ora iniziava tutto ad avere un senso: la signora Annamaria che vede Martina e Max insieme, Silvio e Arianna che litigano, lo schiaffo di Martina a Max.
"Ho ancora due domande: perchè controllavi nella sua borsa e perchè Rosa Jane ti cerca" chiesi.
"Controllavo non avesse portato dell'erba o che so io... non volevo che ricominciassi Alex. E poi non è logico perchè Rosa Jane mi cerca? E' gelosa, vuole picchiarmi fino a che ne ha capacità."
"Ma lei non sta con Max, lei non è la sua ragazza" o si?
"Senti Alex, tu mi hai detto di dirti tutta la verità no? Beh ecco, in realtà si, sono fidanzati, vivono insieme in Inghilterra e lei è scesa con lui qui per chiudere i conti con me. Si vede che le aveva detto tutto."
Non volevo piangere.
Non volevo gridare.
Non volevo picchiare Max.
Ma finalmente dopo anni capii.
Lo odiavo.
Mi aveva sempre usato e l'unica cosa che dovevo fare era lasciarlo.
Ma avevo un ultimo dubbio "I biglietti per Londra. Perchè?"
"Ah quelli? Beh ecco niente, errori di tempo. Non ho fatto in tempo a dire a tutti di Max e Rosa che avevamo già comprato i biglietti. Poi avremmo parlato dopo e ti avrei spiegato tutto."
Rimanemmo in silenzio.
Dopo un po' dissi "Grazie."
E ci abbracciammo.
Lei si staccò da me con gli occhi lucidi e mi disse "Ti voglio bene, amici fino alla pensione?"
"Amici fino alla pensione, dopo schiatti quindi non c'è problema" le risposi sorridendo.
Lei rise e quando finì mi chiese "E ora?"
"E ora facciamo quello che andava fatto tanto tempo fa."

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Capitolo 19
*** Fingere. ***


Ero arrabbiato con Martina.
Aveva baciato il mio fidanzato.
Non le avrei parlato più.
Ok ce la potevo fare.
Tornai a casa, cercando di sembrare il più sconvolto possibile sperando che Max ci fosse.
Aprii la porta con le mie chiavi: mamma, Maurizio e Giammi erano a lavoro, però appena entrai sentii una voce: era Max.
Entrai in cucina dove lui era seduto a fumare, mentre parlava al telefono, alzò lo sguardo e disse “Ci sentiamo dopo, ciao.”
“Chi era?” chiesi.
“Ricorda Alex, recita” mi dissi.
Dopo che Martina mi raccontò tutto, tutti i pezzi si erano collegati, e ne avevo uno di cui lei non sapeva niente ma era abbastanza facile da collegare agli altri.
L’altra sera mi ero svegliato.
Ecco cosa erano quelle parole confuse, era una chiamata!
Beh non è neanche difficile pensare a chi l’avesse fatta: Rosa.
Ora vi spiego il mio ragionamento:
Rosa voleva vendicarsi di Martina no?
E che modo migliore se non vendicarsi sul suo migliore amico?
Ovviamente mi pedinava, e appena vide che stavo per tornare indietro dall’ospedale ha subito chiamato Max che era chissà dove.
Beh almeno, mi sembra una buona spiegazione no?
“Max…” iniziai a pensare a cose tristi per farmi inumidire gli occhi cercando a non pensare a quello che mi aveva fatto perché la cosa mi faceva solo innervosire.
Tutto quello che avevo fatto per lui, tutto quello che gli avevo detto.
Mi si iniziarono ad inumidire gli occhi dal nervoso.
Alzai lo sguardo.
Lui mi stava guardando e mi sembrava preoccupato.
Dico mi sembrava, perché in fondo sapevo che non lo era.
“Che succede?” mi chiese.
“Martina mi ha detto che ti ha baciato e la odio per questo. Mi ha detto che è colpa sua, che voleva che la perdonassi ma non ce la potevo fare. Mi ha detto che ti ha costretto… vero?”
Ok, lo ammetto, ero abbastanza bravo come attore, ed ero riuscito anche a farmi uscire una o due lacrime.
“Ti ha detto questo?” mi chiese Max sbalordito.
“Si… è vero?” chiesi.
“Si” mi rispose afflitto.
Che nervoso, avrei voluto tiragli un pugno.
Io sapevo la verità e lui continuava a mentirmi.
Si alzò e mi venne ad abbracciare.
”Recita Alex, fallo bene” pensai.
“Mi dispiace… io ti amo” mi rispose mentre mi accarezzava i capelli.
“Alex, pensa ad unicorno che gli trafigge lo stomaco” pensai.
Ma comunque al “ti amo” non risposi.
“Senti” dissi “ho un’idea.”
Presi dal cassetto il secondo dei miei regali di compleanno, ok era arrivato il momento.
Mentre presi il regalo guardai il braccialetto.
“Fearless.”
Ero arrivato fino a li, non potevo tornare indietro.
Mi giro con i biglietti in mano, glieli porgo e nell’orecchio gli sussurro “Andiamo a Londra. Ora. Insieme.”

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Capitolo 20
*** The end. ***


Il fatto che Max cercò di pararsi il culo mi diede sui nervi.
Ovviamente, non potevamo partire per Londra.
Lui aveva una relazione con Rosa lassù e ci abitava pure insieme.
Come avrebbe giustificato tutto questo?
Ma sicuramente erano bazzecole per lui.
Era una sottospecie di genio del male, in un modo o nell’altro se la sarebbe cavata.
Non ci mettemmo tanto a fare le valigie, lui ancora non la svuotava dalla sera prima e io ci buttai dentro le prime cose che trovai.
Scrissi anche un biglietto a mia mamma sperando che non sarebbe tornata tanto presto.
Diceva:
“Mamma, vado con Max a Londra.
Ci vediamo.
Alex.”
Pregai Dio che la trattenessero in ufficio.
Uscimmo con le valigie e lui sembrava pensieroso, molto probabilmente cercava un qualche piano per quando saremmo arrivati là.
Prendemmo la macchina di Giammi che andò a lavoro con Maurizio quella mattina e Max, che già aveva la patente, accese il motore.
“Sei sicuro?” mi chiese prima di partire.
“Si” risposi sicuro.
Si piegò verso di me e mi sfiorò le labbra con le sue.
Iniziavo ad avere dei rimorsi ma non era il momento.
Saremmo andati all’aeroporto che era a mezzora di macchina.
Passammo la maggior parte del viaggio in silenzio ad ascoltare la radio, a scambiarci qualche parola ogni tanto.
Poi mi chiese “Come pensi che la prenderà tua madre?”
Sinceramente non sapevo cosa pensare.
“Spero bene” risposi.
Mi vibrò il cellulare in tasca, era un messaggio di Martina.
“Scusami. Sono sotto casa tua, scendi.”
Era il segnale, loro c’erano.
Mancavamo noi.
“Chi è?” mi chiese Max.
“Martina, mi ha chiesto scusa, di nuovo.”
“Lasciala stare non ti merita” mi disse. Strinsi i pugni.
“Già” risposi.
Arrivammo all’aeroporto, parcheggiamo e scendemmo dirigendoci verso l’entrata con le valigie. Adesso niente poteva e non doveva andare più storto. Avevamo un’occasione sola, ma non ebbi neanche il tempo di preoccuparmene che loro erano là. Rosa e Martina, insieme.
Max sembrava alquanto sbalordito ma io sorrisi e sospirai felice.
Rosa si girò e appena ci vide rimase spiazzata, Martina, invece, sorrise.
“Cosa ci fanno loro qua?” mi chiese Max.
Aveva capito, non era stupido.
Sapeva che ormai c’erano le carte in tavola, che avevamo scoperto tutto.
Vi starete domandando come Martina sia riuscita a portare Rosa Jane in aeroporto senza un graffio. Beh facile, l’aeroporto era, nella nostra città, uno dei posti meno frequentati, quindi qualsiasi cosa abbia voluto fare Rosa a Martina, sarebbe passata alquanto inosservata lì. Più che altro mi chiedevo che fino avessero fatto gli “scagnozzi” di Rosa, ma molto probabilmente ci aveva già pensato Martina.
Ci vennero incontro e a quanto pare anche Rosa sembrava sorpresa.
“Ma cosa cazzo sta succedendo?” chiese Max alterato al massimo.
Mi girai verso di lui e con tutto il coraggio che avevo gli dissi “Max io ti lascio.”
Semplice, coinciso, una frase che non poteva avere fraintendimenti.
Ero libero.
Oddio, ero libero!
“Tu cosa?” mi chiese quasi sconvolto.
“Io ti lascio, hai capito bene” risposi. Più lo dicevo più mi sentivo leggero.
“No caro non hai capito, sono io che lascio te. Io sto con…”
“Sappiamo benissimo tutto Max” lo interruppe Martina “ma mi dispiace per te, non sei tu ad aver lasciato Alex, è Alex che ha lasciato te. Ti ha battuto sul tempo.”
Sapevo per certo che questo colpì nel profondo l’orgoglio di Max.
“Sai… sei il mio primo ragazzo e non lo dimenticherò mai. Ti ho amato, e ora ti voglio bene come a un fratello. Sei importante e.... niente” mi disse.
Ora sapevo cosa intendeva Martina quando disse che vide Max senza la sua corazza da duro, in quel momento lo vedevo anche io così.
Gli passai i biglietti “Questi sono vostri” dissi indicando lui e Rosa “tornatevene in Inghilterra e continuate la vostra vita. Voglio che tu sappia che non c’è lo con te. Ma voglio anche che tu sappia che mi hai fatto male e che non si trattano così i fratelli.”
Detto questo gli passai i biglietti.
Rosa era troppo sconvolta per parlare e Max spalancò gli occhi “Ma…”
“Ma niente, la tua vita è là adesso. Con lei” e indicai Rosa “ e spero avrai più fortuna con lei che con me.”
Senza preavviso Rosa spinse da parte Martina e all’inizio pensai che fosse per picchiarla, ma poi mi accorsi che ci avevano lasciato solo un po’ di intimità per l’ultimo addio.
“Ci sentiremo ancora, ogni tanto?” mi chiese.
”Magari quando prenderai il diploma o avrai un figlio, per il resto, per un bel po’, non voglio sentirti.”
“Va bene” rispose afflitto.
Per una volta avevo vinto.
E ora mi veniva in mente tutto. Martina aveva ragione, quando c’era lui io ero un altro, che stupido che ero stato.
Dopo un po’ di silenzio lui mi abbracciò a sorpresa.
Non era il tipo di persona che faceva gesti d’affetto in pubblico.
“Addio piccolo, ti voglio bene” mi sussurrò all’orecchio.
Si, lo ammetto mi stavo per mettere a piangere, ma avevo resistito fino a quel punto, non potevo crollare.
“Addio” gli risposi. E lo strinsi un po’ più forte solo per un secondo.
Ci staccammo e l’aiutai a portare il suo bagaglio dal metal detector.
“Rosa la tua roba?” chiesi.
“E’ nella valigia di Max” rispose.
“Ma io quando ho cercato nella sua borsa non…” iniziò Martina.
“Tu cosa?” le chiese Max sconvolto.
”Ehm…” arrossì Martina.
“Scompartimento nascosto” tagliò corto Rosa.
Ora, un fatto era se mi abbracciava il mio ex ragazzo per un addio, un fatto era se lo faceva la sua attuale ragazza, e la cosa mi sconvolse quando successe.
“Grazie, non dimenticherò mai quello che hai fatto” mi sussurrò in modo che gli altri non ci potessero sentire.
Poi si staccò si girò verso Martina e le strinse la mano “Ritieniti fortunata, ti sei salvata la pellaccia” le disse.
Era il turno di Max, le strinse la mano e le disse “Comunque non baci niente male” facendo così avvampare la povera Martina.
“Grazie. Stammi bene” gli rispose.
Poi strinse la mano a me “Buona fortuna, per tutto.”
“Anche a te.”
Detto questo le nostre mani si staccarono e, una volta passati attraverso il metal detector, Rosa e Max si presero per mano.
Lui si girò, mi sorrise e con quegli occhi verdi, di cui mi ero innamorato, mi fece l’occhiolino. Sarebbe stata l’ultima volta che lo vedevo, ne ero certo.
“Addio” pensai.
Poi Max si girò e se ne andò.
“Ok” disse Martina “e ora?”
“E ora guidi tu di corsa fino a casa mia prima che mi madre legga il biglietto e le prenda un infarto” le dissi lanciandole le chiavi.
E ridendo uscimmo dall’aereoporto.
 
Lo so, la storia mia e di Max può sembrare una tragedia, ma in fondo, non lo è.
 
 
NOTE DELL’AUTORE.
Grazie a tutti per aver letto la storia.
Veramente, un grazie di cuore a tutti.
E grazie a tutti quelli che mi hanno dato dei consigli o hanno recensito la mia storia durante la stesura!
Per qualsiasi domanda mi trovate:
Ask: http://ask.fm/Gerugber
Se volete potete seguirmi su Twitter: https://twitter.com/Gerugber
O potete chiedermi l’amicizia su Facebook: https://www.facebook.com/loris.ferrarini.9
Spero che la storia vi sia piaciuta.
Ancora un enorme grazie a tutti!
Alla prossima!
 
P.S. un grazie speciale al vero Alex.
Senza di lui questa storia non sarebbe mai esistita. 

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