Oltre la maschera

di LeanhaunSidhe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Aveva rigirato il bicchiere tra le mani, riscaldando il vetro col calore delle proprie dita. Pioveva forte quel pomeriggio. Era troppo presto per ubriacarsi. Distrattamente, portò il liquido ambrato più vicino alle narici. L'aroma penetrante le sibilò appena nella testa. Invece di allontanare il brandi, vuotò il liquore in un lampo. Mentre l'alcool le bruciava la gola riarsa, battè le nocche sul bancone per richiamare l'attenzione del barman. Ne chiese ancora. Quando era al lavoro, prima del fattaccio, lei non avrebbe mai bevuto. Sapeva che, in realtà, non sarebbe mai stata sola. Aveva la testa leggera e il cuore pesante quandò finì il terzo giro. Rise di se stessa: una piega amara, accennata, sulle labbra sottili, ma un suono lungo e cupo che le scuoteva il petto e l'anima, nel profondo. Al funerale di Toki non aveva battuto ciglio. Anche se l'aveva amato tanto, con tutta se stessa, non era stata in grado di versare neppure una lacrima. Le male lingue, l'avevano già battezzata l'arrivista e lei, col cuore sigillato in una corazza di pietra, era rimasta a testa alta di fronte ai commenti acidi di tutti quei parenti. Quelle voci erano stati come mille pugnali. Sentiva le lame invisibili tagliarla brano a brano, eppure pareva essere anestetizzata dolore. Quello sarebbe arrivato dopo o, forse, non sarebbe arrivato affatto.

Lasciò i soldi sul bancone e tirò su il collo del giubbotto di pelle. Recuperò il casco e salì in moto. Mentre correva veloce sull'asfalto bagnato, si allontanava velocemente da quell'inferno di smog che era Tokio. Non aveva mai sopportato quella città. L'aveva amata solo perchè li c'era Toki. Prima di lui era il nulla e ora era tornato ad essere così. Diede più gas e assottigliò le palpebre. Le strade erano quasi deserte in quel punto e a quell'ora di sera. Lei voleva sentire il brivido della velocità.

Assottigliò lo sguardo ed accellerò ancora. Il manto lattiginoso e sporco della luce dei fari illuminava lentamente lo strato d'asfalto, che scorreva sotto di lei come la schiena viscida d'un serpente. Frenò di colpo quando capì che quel punto che si muoveva non era un effetto della stanchezza sui suoi occhi ma una ragazzina. In pochi attimi, imprecò contro tutte le divinità che conosceva. Per fortuna, aveva mantenuto inalterati i suoi riflessi pronti. Veloce lasciò cadere la moto al lato della strada per raggiungere quella persona. Un nodo cominciò a stringerle le viscere e si sentiva mancare, mentre spostava le ciocche bagnate per via della pioggia dal viso pallido di quella ragazzina. Ringraziò il cielo: era solo svenuta. Dopo una rapida occhiata, dedusse che aveva solo qualche graffio e livido di troppo. Toki glielo ripeteva sempre che non doveva correre a quel modo, quando era in moto. Rapida, prese in braccio la ragazza e raggiunse un punto riparato dalla pioggia. Per fortuna, il cellulare prendeva ancora. Non si accorse che la ragazza stava riprendendo i sensi, mentre lei componeva il numero del pronto intervento.

Maja si toccò la testa. Le prese un colpo nel trovarsi in compagnia di quel motociclista che l'aveva quasi messa sotto. Nell'incrociare il suo sguardo terrorizzato, quello chiuse un secondo il telefonino.

“Tutto a posto?Riesci a dirmi quante sono queste?”

Gli aveva messo due dita sotto al naso e alla sua risposta affermativa doveva essere rimasto soddisfatto.

“Sto chiamando l'ambulanza. Verrano a prenderti in pochi minuti, tranquilla.”

Ancora confusa, la giovane si tastò il corpo e si rimise in piedi senza fatica.

“Non è necessario. Sto bene.”

Il motociclista annuì, poco convinto. Si aspettava una sfuriata che sarebbe arrivata non appena la ragazzina avesse inteso la vera portata del rischio corso, subito dopo che la paura fosse scemata.

Restò come un baccalà, quando quella si inchinò per andarsene. Istintivamente, le afferrò il polso, spaventandola di nuovo, per l'irruenza del suo gesto.

“Ma sei scema ad andare da sola in giro a quest'ora, per queste strade e con questo tempo?”

La lasciò andare subito dopo, sbuffando. Da una borsa che teneva legata al fianco della sella tirò su un altro casco e un giaccone.

“Indossali. “

Le disse lapidaria, col tono di chi non è abituato a ripetere due volte i propri ordini. Pareva seccata mentre la ragazza eseguiva timida i suoi comandi, timorosa. Quando l'altra ebbe fatto, montò in sella e le fece cenno di accomodarsi dietro di lei.

“Dove abiti?”

Memorizzò l'indirizzo e tirò via il cavalletto. Pochi attimi dopo sfrecciavano insieme nella notte.

 

Masumi Hayami era preoccupato. Quella notizia l'aveva messo in allarme. Che significava che Maya Kitajima arrivava alle prove accompagnata?

Gli prese un colpo quando, effettivamente, la vide salire su quella motocicletta nera, stretta così' forte a quello che, in tutto e per tutto, sembrava un delinquente o un teppista. Li aveva incrociati di sfuggita, mentre lui passava con la sua auto lussuosa e loro due sfrecciavano velocissimi nella direzione opposta. Per una frazione di secondo, ebbe l'impressione che quel balordo, anzi no, quel disgraziato avesse girato di proposito la testa verso di lui. Ne immaginava perfettamente l'espressione di sfida da sotto la visiera scura del casco. Hayami si sentì ardere dentro. Fuori, però, era la solita maschera di ghiaccio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

La pioggia batteva forte e penetrava attraverso la stoffa, pungendo la pelle come le punte di mille aghi. Riprese il giaccone dalle mani della ragazzina e restò sull'uscio.

“Domani passerò a vedere come stai. In caso di bisogno ti porterò a farti visitare all'ospedale più vicino.”

La ragazzina doveva aver scambiato quelle parole come una gentilezza e si era inchinata con rispetto. Cresciuta in occidente, Amina non si era mai abituata del tutto a quegli atteggiamenti. Si sentì in dovere di chiarire subito le cose.

“Non fraintendere: semplicemente, non voglio essere in debito con nessuno.”

Doveva averla spiazzata di nuovo. Le era sembrata così fragile che, per un momento, si era sentita in dovere di proteggerla. Dall'aspetto del quartiere, dalla veloce occhiata alla casa che aveva potuto dare attraverso l'uscio aperto, dedusse che quella giovane non navigava in buone acque e, con molta probabilità, non meritava certo di essere attaccata con irruenza.

“Questo è il mio biglietto da visita. C'è il mio numero di cellulare. Se ti occorre, chiama.”

Le aveva allungato un cartoncino rettangolare, uno degli ultimi che conservava. C'era anche il nome di Toki. Non aveva fatto in tempo a cancellarlo.

L'altra lo aveva preso titubante e sul suo viso era sbocciato un moto di sorpresa.

“Sei un investigatore privato?”

Amina aveva annuito.

“Per qualche giorno ancora, ma il numero resterà comunque attivo.”

Senza tanti convenevoli l'aveva poi salutata con un cenno del capo. La aspettava un letto sudicio in un hotel che di hotel aveva solo il nome. Per come stava, avrebbe dormito anche sotto un ponte. Eppure, chissà perchè, se ne andò col cuore appena più leggero quella sera.

 

Il pomeriggio dopo il sole splendeva lucente e l'aria era più calda. Maya credette quasi che l'accaduto della sera prima fosse stato un sogno, ma quella motocicletta scura parcheggiata al lato del viale e la persona che ci stava appoggiata a braccia conserte, non potevano essere un parto della sua immaginazione.

La motociclista sembrava attenderla annoiata.

La ragazza, meno intimorita, si avvicinò a lei. La salutò con un sorriso accennato. Ebbe l'impressione di avere di fronte una persona stanca e provata: riconosceva un viso troppo segnato dalla stanchezza e un'espressione spenta.

Le tese la mano.

“Piacere: mi chiamò Maya Kitajima.”

 

La motociclista esitò qualche secondo prima di rispondere a quel gesto. Scandì il proprio nome con apparente malavoglia.

“Come ti senti?”

Le chiese, infatti, subito dopo. Aveva uno sguardo penetrante, di chi parla poco e osserva molto. A Maya sembrò quasi che volesse strapparle i suoi segreti e ci stesse anche riuscendo bene.

“Sto benissimo, ti ringrazio.”

Quella aveva annuito, apparentemente convinta.

“Dove sei diretta? Ti accompagno.”

Alla risposta entusiasta della più giovane, le aveva lanciato un secondo casco.

Sorrise scoprendo la sua presa sicura.

“Reggiti.”

Aveva dato gas e girato l'angolo. Restò senza parole quando capì che la loro meta era un teatro.

 

Maya aveva una luce dentro. Era qualcosa che si schiudeva lentamente, appena saliva sul palco. Mentre recitava, ciò che aveva nell'anima risplendeva. All'inizio, quando la ragazzina le aveva detto che era un'attrice, Amina non aveva ben compreso il senso delle sue parole. Le era stato offerto di assistere alle prove. Lei l'aveva trovato un buon diversivo per non piangersi addosso, pensando a Toki. Così aveva accettato.

Nel momento esatto in cui Maia si era trasformata a pieno, aveva spalancato le palpebre ed era stato come se qualcosa si incrinasse di nuovo in lei. Quella passione cocente... Gli occhi azzurri di Toki brillavano alla stessa maniera quando lavoravano insieme ad un'indagine, quando cercavano di dare un senso al filo ingarbugliato del destino. Impallidì e dovette appoggiarsi al muro per non cadere.

Non era pronta. Sanguinava ancora. La ferita alla spalla era rimarginata, quello al cuore no.

Non doveva piangere. Non doveva permettere al suo dolore di esplodere li, in quel frangente.

Decise di allontanarsi subito da quella sala, lei, che non aveva temuto neppure le percosse dei delinquenti, perchè Maja, come Toki, aveva il potere di trascinarti con sé, farti vivere la sua passione e lei non ce la faceva. In quegli ultimi periodi, le era diventato chiaro come il sole che la sua anima era debole al rimorso quanto il suo corpo era resistente al dolore fisico.

Amina doveva ancora accettare che Toki non l'avrebbe più stretta a sé e non ci sarebbe riuscita se si fosse fatta trascinare dal fascino indomabile di quella interpretazione.

Rimise il casco, conscia del fatto che la sua faccia tradiva perfettamente la tempesta che aveva dentro.Cercò di avviarsi all'esterno con passo spedito.

Era alta e con le spalle larghe. Più di una volta, in quel modo, l'avevano scambiata per un uomo. Non curò delle persone che attraversavano il corridioio nella direzione opposta. Andò a sbattere contro un damerino in giacca e cravatta e non gli chiese certo scusa. Solo, veloce, lasciò l'edificio. Non aveva sentito le rimostranze dei leccapiedi di quel tizio.

L'avrebbe scoperto più tardi, dopo settimane che accompagnava Maja alle prove, che quello era il padrone della baracca, un certo Masumi Hayami.

 

Masumi Hayami l'aveva capito dopo diverse settimane: il bell'imbusto col giubbetto di pelle che l'aveva spintonato la prima volta era il fantomatico accompagnatore di Maya.

Si chiese in che modo, una ragazza timida e ingenua come lei, avesse legato con uno come quello. Non doveva essere tanto più vecchio di lei, ma aveva l'aria di chi non guarda in faccia a nessuno. Uno squalo non solo di nome, ma pure di fatto. Non si sarebbe sorpreso di sapere il suo nome in qualche rapporto della polizia, per piccoli furti o anche di peggio. Si sentiva ribollire a quel pensiero . Era pronto a sapere Maya legata a qualcuno, ma non l'avrebbe mai lasciata nelle mani di un poco di buono. Doveva sapere chi fosse e pure presto. Inquieto, guardava fuori dalla finestra il crepuscolo che lento abbracciava Tokio. All'inizio, si disse, avrebbe provato ad allontanare il tizio senza clamore, con le buone. All'inizio...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il presentimento di essere stato fregato alla grande non l'aveva abbandonato per tutto il tempo. Abituato a giocare al gatto col topo coi suoi avversari, era rimasto parecchio infastidito dal vedere la preda che si beffava di lui. La preoccupazione per Maya cresceva di ora in ora. Decise di rimettersi la maschera solo perchè, quella sera, ci sarebbe stato lo spettacolo. Se non altro, avrebbe rivisto l'attrice esibirsi sul palco. Si sarebbe sincerato della situazione coi propri occhi.

Rapito, estasiato, come al solito il freddo e perfetto Hayami si era lasciato trascinare dalla luce di Maya e ne era rimasto affascinato e succube. Una volta ancora. Terminato lo spettacolo, aveva fatto recapitare il solito mazzo di rose scarlatte e si avviava fuori dalla sala. Con un po' di fortuna, avrebbe intercettato la ragazzina, sognante per quel mazzo di rose, in uno dei corridoi. Ci sarebbe stato un battibecco e lui avrebbe risposto per le rime, con classe, a trentadue denti. Quella era la sua maschera. Il suo sollievo nell'indivuduarla mentre chiacchierava cogli altri attori si spense subito, non appena scorse la figura di spalle vicino a Maya. Adesso, quel debosciato si presentava pure in teatro. Meglio così, si disse: era senza casco. Finalmente avrebbe potuto vedere la sua odiosa faccia.

Aveva capelli rossi, lunghi e ricci. Con una pettinatura ed un abbigliamento simile, di certo non era un rappresentante dell'alta società. Qualcosa, però, mentre li raggiungeva, non tornava al giovane presidente della daito. Gli sembrava più piccolo, meno massiccio di quando era in moto. Maya, come al solito, era raggiante per il suo mazzo di rose scarlatte.

“Non sono magnifiche?”

La sua ragazzina esibiva entusiasta ed ingenua quel trofeo scarlatto, lo cullava quasi fosse un bambino.

“Sì, però, non proprio sotto al mio naso. Soffro d'allergia.”

Il motociclista era indietreggiato di un passo e la sua voce, benchè fiera e tagliente, era decisamente poco maschile. Erano seguiti diversi starnuti e le risate di Maya e delle sue amiche.

Per tutta la scena, il giovane presidente era rimasto ad attendere, basito. Ogni suo calcolo mentale era scemato in fretta in quei secondi, lasciandolo balia degli eventi. Quando però l'odiato accompagnatore si era voltato e si era avviato nella sua direzione, era stato finalmente in grado di svelare l'arcano. Quel viso femminile e quel corpo più minuto di quando all'inizio gli era sembrato, doveva appartenere, senza ombra di dubbio, ad una donna. Repentino, si liberò del suo stupore per recuperare la sua maschera di ghiaccio. Si rendeva conto di aver incuriosito quella donna, a giudicare dal fatto che lei l'aveva fissato non proprio velatamente mentre si avvicinava, quasi fosse un curioso esemplare alieno. Di certo, non era quella l'impressione che lasciava nella maggior parte delle persone. Evidentemente, quello che lui aveva scambiato per un pericoloso delinquente, era in realtà solo qualcuno con un suo caratterino. Per certi, versi, si disse, non troppo dissimile dalla sua ragazzina.

Sbattè le palpebre quando quella, arrivata davanti a lui, gli bloccò il passo. Accennò un saluto e stava per partirgli la sua solita battuta sarcastica.

“Bel fiorellino, tesoro.”

Lo precedette però quella, indicando la rosa scarlatta che teneva appuntata alla giacca.

Hayami si sentì gelare un secondo, quando quella si girò nuovamente verso maya che si beava col suo mazzo.

Amina starnutì ancora ed imprecò sotto voce, prima di allontanarsi del tutto, bofonchiando qualcosa su quando odiasse tutte le rose, scarlatte in particolare, stringendo agitata un fazzoletto sotto al naso. Non capiva proprio perchè Maya si scaldasse tanto, parlando di quel tizio. Dalla veloce occhiata che gli aveva dato, non gli era parso così pericoloso.... cosa che, tra l'altro, collimava con le informazioni che su di lui aveva raccolto. Alzò le spalle, uscendo dal teatro. Certo che, si disse, era strana quella passione del misterioso ammiratore e dell'erede di Hayami per quella stramaledetta varietà di rose...

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 ***


Amina non sapeva stare con gli altri. Il suo vero collegamento con le persone era stato Toki. Adesso che lui era sparito, non era più in grado di comunicare. Non riusciva a dire ciò che aveva dentro: il rimorso per averlo esposto al pericolo fatale la dilaniava. Forse fu per alleggerirsi la coscienza, forse fu solo per trovare un modo per riempire le giornate i primi tempi, mentre cercava di rimettere ordine nella propria esistenza. Fatto sta che, da quando aveva ritrovato in quella ragazzina la stessa passione che aveva reso viva lei tempo addietro, aveva deciso di votare tutte le risorse a proteggere Maya Kitajima. Perchè se Toki era stato addestrato ad essere indipendente e all'occorrenza pericoloso, quell'attrice alle prime armi ne aveva ancora parecchia di strada da percorrere per destreggiarsi nel mondo.

Nelle ore che trascorrevano insieme, come semplici amiche, Amina l'aveva fatta parlare a lungo e l'aveva ascoltata con attenzione. Maya gli aveva detto di un affarista senza scrupoli, che cercava di sabotarla in tutti i modi. Lei non aveva battuto ciglio e le aveva fatto terminare il racconto, ma si era segnata il nome. Nell'attesa di riaprire l'agenzia investigativa, coi pochi guadagni che aveva da parte, decise di occuparsi di quel caso leggero e senza prestese. Voleva saperne di più, capire. C'erano aspetti d quel personaggio che non le erano chiari.

Aveva ancora informatori a Tokio. Di solito era Toki, in qualità di suo socio, a cercarli per entrambi, ma non certo per chiedere di un impresario teatrale. Amina però era nota nel giro per essere a dir poco stravagante.

Non si fece perciò alcun problema ad infilarsi in quella bettola appena il crepuscolo lasciò il passo alla notte. Tra tutti i miserabili che frequentavano quel posto, ne cercava uno soltanto.

Quando Shiro Takeru incrociò le sue iridi verdi, si sentì gelare il sangue nelle vene. Pochi istanti, prima di cercare di darsela a gambe. Inutile: Amina non era forte, ma era tremendamente veloce. L'uomo si ritrovò senza sapere come faccia contro il bancone e braccio ricurvo dietro la schiena.

“E' così che saluti le vecchie conoscenze?”

Gli sibilò la matta all'orecchio, mentre i suoi capelli rossi, lunghi e ricci, gli solleticavano il viso.

“Che diavolo vuoi da me? Sono pulito ora!”

La megera continuò a tenerlo arpionato.

“Informazioni su una persona. Nient'altro.”

Takeru deglutì, immaginandosi di nuovo con qualche malavitoso alle calcagna per una ritorsione. Quando, però, quella gli chiese di Hayami balbettò di ripetere il nome due volte.

“L'impresario teatrale? Ma sei rincoglionita? Ti sei svalvolata del tutto per la fine che ha fatto il tuo compare?”

Non potè continuare, perchè la svitata aveva aumentato la pressione e un altro po' gli avrebbe spezzato il braccio. La scongiurò di calmarsi. Le avrebbe rivelato tutto ciò che voleva sapere.

Ansimò mentre riprendeva il controllo del proprio arto. Doveva averla avanti, la disgraziata: quella era più rapida di un gatto e più fuori di un balcone. Bastava un nulla per farla scattare.

Si massaggiò il braccio su cui, sicuro, sarebbe comparso presto un grosso livido violaceo.

“Che vuoi sapere di lui, di preciso?”

Amina lo fissò con quelle iridi che erano insieme smeraldo e cenere, lo intimorì.

“Tutto. Io di lui devo conoscere ogni cosa.”

La matta non andava contraddetta e Takeru cantò. Solo alle prime luci dell'alba, Amina si decise ad andarsene da quel locale.

 

Erano giorni che Masumi Hayami si stava preoccupando. Ogni suo tentativo di avere notizie su quel singolare accompagnatore si era rivelato un buco nell'acqua. Aveva provato a farlo avvicinare, ma chiunque veniva scacciato in malo modo. Quel motociclista, più che di un essere umano, con chi lo avvicinava aveva i modi di un robot, con chi persisteva di un cane rabbioso. Non era un semplice teppista. Celata dalla visiera scura del casco, Hayami era certo che si nascondesse una mente acuta e pensate, qualcuno di difficile da afferrare. Ma era pur sempre un avversario che minacciava qualcuno che lui amava tremendamente. Hayami doveva venire a capo di quella faccenda. Quel pomeriggio, era rimasto ad attendere all'uscita del teatro. Voleva intercettarlo prima che sparisse in sella a quella maledetta moto. Aspettò per una buona mezz'ora che fossero usciti tutti gli altri attori, impalato, in strada. Solo dopo venne informato che Maya e il motociclista, quello stesso giorno, si erano incontrati presso l'uscita secondaria.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Il giorno seguente, nel suo ufficio, Masumi Hayami era nuovamente preda dell'inquietudine. Per un motivo diverso, però: non più per la sua piccola e preziosa attrice, ma per se stesso. Una volta vista in faccia, era riuscito subito ad avere informazioni sulla nuova conoscenza di Maya. Quel dossier non gli era piaciuto per niente. Amina Forks, nata a Dublino e cresciuta in Australia, era la terza figlia di un importante capo della polizia europea, saltato in tempi andati all'onore della cronaca per aver risolto casi altrimenti insolubili. Tutti i figli del capitano Forks avevano seguito una carriera simile, per tipologia e successo, a quella del padre. Amina, ultimogenita, non aveva fatto eccezione.

 

Lei era in Giappone da pochi anni. Chiamata come consulente esterno dalla polizia locale, aveva poi aperto una discreta agenzia investigativa con un socio. Neppure un mese prima, però, lei e il socio erano stati coinvolti in una sparatoria. I malviventi erano stati presi tutti. Lei era stata ferita lievemente, ma il socio era rimasto ucciso.

Toki Anabe era stato acclamato come eroe e aveva ricevuto una medaglia al valore. Hayami conosceva bene la famiglia Anabe, perchè si trattava di una delle più ricche del Giappone. Di Toki non aveva saputo quasi nulla, se non che era laureato in legge ed era un tipo alquanto ribelle. Il suo funerale gli era scivolato addosso. Aveva presenziato in fretta e con poca attenzione. Tuttavia, ora che aveva il dossier in mano, riusciva a capire i commenti acidi dei suoi parenti, quando accusavano la socia di averlo trascinato in un caso losco che gli era costata la vita. Dicevano che era una poco di buono, che l'aveva sedotto con l'inganno.

Doveva esserci stata una storia tra loro due e il fatto che la giovane non fosse di famiglia ricca e pare fosse stata citata nel testamento, era motivo più che sufficente per sospettare di lei. Abituato a quegli “intrighi di corte”, Hayami, all'inizio non ci aveva fatto caso. Aveva solo appreso che la giovane non si era presentata al funerale. Aveva fatto indagare più a fondo e aveva scoperto che si, lei era citata nel testamento, ma aveva rifiutato in tronco ogni possedimento che Toki le aveva lasciato. Addirittura rintracciarla per le firme notarili era stato difficile.

Hayami, dunque, si chiese in che modo si fossero incontrate, lei e Maya, quale fosse il vero legame tra loro. Soprattutto, lo preoccupava il suo lavoro: e se avesse avuto davvero il fiuto dello sbirro? E se avesse già capito che era lui il donatore di rose scarlatte? Cercò di calmarsi. In fin dei conti, cosa mai avrebbe potuto importare, ad una che si occupava di sventare i piani di killer e jakuza, cosa faceva lui con le sue rose?

Amina era stranita. Non era la prima volta che la sua mancanza di tatto le provocava attriti con quelcuno. Tuttavia, da una timida e compita come Maja non se l'aspettava proprio. Aveva compreso quanto profondo fosse il legame che la giovane attrice intratteneva con la sensei ma, dal suo punto di vista, proprio perchè quel vincolo era sincero la giovane non se la sarebbe dovuta prendere tanto. Evidentemente, si disse, quella ragazzina doveva ancora crescere. Amina sospirò. Lei, invece, che avrebbe dovuto essere più matura, doveva imparare necessariamente a stare zitta proprio.

Dopo l'ennesima lamentela sui piani scellerati di Masumi Hayami, l'ex investigatrice, poco avvezza a lamentarsi e a supportare le lamentele degli altri, stufa, aveva avuto l'ardire di far notare alla giovane attrice che, sebbene Hayami fosse uno squalo nel suo modo di agire, l'aveva però sempre indirizzata nella giusta strada e, se lo reputava un mostro, forse avrebbe fatto bene rivalutare un attimino la Zukikage che, giusto per citare solo quelle che lei conosceva, l'aveva presa a schiaffi, steccata col bambù, spintonata giù dalle scale...

Maja era esplosa urlando che quelli erano gli unici modi in cui la sua insegnante avrebbe potuto farla entrare nel personaggio, che faceva meglio ad informarsi su cosa significasse essere un attore e poi parlare.

Se avesse avuto di fronte un collega, sarebbe uscita una lite e forse una scazzottata. Con Maja che le arrivava si e no alla spalla non era proprio il caso. Si era morsa la lingua e aveva abbandonato la stanza.

Ciò che avrebbe voluto gridare di rimando lei, alla bambina, era che non sono solo gli attori mettono passione in ciò che fanno e, che, forse, lei non avrebbe mai interpretato la dea scarlatta, ma sicuro aveva alle spalle una carriere brillante quanto la sua, nel proprio campo. Se era convinta che Hayami non era il mascalzone che lei credeva, era perchè aveva le sue ragioni fondate per affermarlo.

Non era rimasta a grattarsi quella settimana e i risultati delle sue indagini erano chiari in merito. Per certi versi, invece, aveva pena di quella persona. Masumi, nella sua prigione dorata, era molto più in trappola di quanto lei sarebbe mai stata. Amina non aveva paura di quel povero diavolo. Altro la preoccupava. Per la sua passata esperienza di killer seriali, sapeva che un ammiratore anonimo era molto più ambiguo e potenzialmente pericoloso. Certo, però, vista la reazione precedente di Maya, non poteva riverlarle a cuor leggero una cosa del genere. Perciò tacque e inforcò la moto. La piccola attrice, quando non era arrabbiata, aveva parlato di una villa al mare, proprietà di quell'ammiratore, che le era stata offerta per preparare il personaggio di Helen dei miracoli.

Amina avrebbe fatto un giro da quelle parti....

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Era autunno e il vento spirava forte. Amina era arrivata che era quasi notte. La villa si trovava in un punto riparato, in mezzo alla vegetazione. Per ciò che aveva in mente, era meglio che nessuno si fosse accorto della sua presenza.

Si era portata un sacco a pelo e un termos di caffè. Non bisognava essere geni per organizzare un appostamento. Le stelle iniziavano a splendere nel cielo più scuro e la luna garantiva comunque una buona visuale. La temperatura si abbassava in fretta e il mare aveva un suono pacato e lontano. Le ricordava casa. Le estati trascorse nella tenda. La nostalgia aveva il profumo di sua madre e il suono delle risate dei suoi fratelli, in mezzo allo sguardo severo di loro padre. Era tanto tempo che non coltivava più quei ricordi. Scacciò via una lacrima furtiva. Forse non era stata una grande idea tenere all'oscuro i suoi su dove fosse. Solo Dio sapeva di quanto avesse bisogno del sorriso solare dei fratelli e dell'abbraccio sicuro di suo padre.

Le onde, che sbattevano sul bagnasciuga in lontananza, avevano l'eco di un ricordo antico. Avevano il sapore di un bicchiere di wisky consumato accanto al fuoco, mentre fuori c'è la tormenta e tu chiaccheri con un vecchio amico, che non vedi da tanto.

Nell'azzurro scuro delle onde, Amina rivedeva gli occhi ridenti e stanchi di sua madre. La malattia aveva colto quella donna troppo presto e la sua bambina non aveva fatto in tempo a conoscerla. Di lei, però, la piccola rammentava quando la tirava per la mano e la portava a camminare nella sabbia umida, con i piedi che ci affondavano dentro.

Sua madre era minuta, non particolarmente bella, ma di gran fascino. Anche se malata, la luce che irradiava scacciava ogni ombra. Quando la morte se l'era portata via per sempre, nessuno della sua famiglia aveva pianto. Loro padre, prima di chiudere il coperchio della bara, aveva abbracciato forte Amina e i suoi due fratelli, tutti insieme, senza distinzioni. Il generale Forks era un uomo apparentemente freddo e burbero, ma aveva promasso che avrebbe vegliato su di loro, che avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per proteggerli ed amarli.

Nessuno dei suoi tre figli aveva pianto perchè sapevano che ogni cosa è labile e leggera, tutto, tranne le promesse del generale Forks.

Così, quei ragazzi erano cresciuti raddrizzati dalla cinghia e senza la guida sensibile d'una madre, ma con la fede incrollabile d'essere amati come il tesoro più prezioso. Negli anni, avevano compreso quanto speciale e rara, nonostante tutto, fosse la loro condizione. In un mondo in cui ogni cosa era labile e passeggera, loro erano roccia.

Loro padre viveva per proteggere e servire. I suoi tre figli l'avevano sentita come una vocazione e avevano scelto di vivere per proteggere e servire anche loro.

Con Amina, madre natura era stata strana: sembrava la copia femminile di suo padre. Forse era per quello che aveva il fiuto del segugio: gli somigliava in ogni cosa. Però, anche lei ogni tanto falliva.

Lo sciabordare ritmico delle onde era come il passo lieve di sua madre. Dopo che s'era alzato il vento, ci udiva anche i rimproveri di suo padre. Seduta da sola sulla spiaggia, Amina aveva raccolto le ginocchia al petto. Sentiva in bocca il sapore del wisky sorseggiato davanti al fuoco mentre fuori fa freddo, chiacchierando con un vecchio amico.

Aveva percepito dei movimenti strani presso la villa e più d'una volta aveva carezzato la pistola che nascondeva sotto il giubbotto di pelle. Aveva capito subito che che non erano i custodi ma qualche ladruncolo che perlustrava la zona prima di farci visita. Aveva chiuso gli occhi qualche secondo. Quando li aveva riaperti, erano di nuovo identici a quelli ombrosi del capitano Forks. Lei non avrebbe mai dimenticato Toki, ma non poteva più permettersi di dimenticare se stessa. Sorrise alla luna e mandò più giù la zip del giubbotto, fino alla fondina. Ormai, i movimenti e le intenzioni dei ladruncoli alla villa erano chiari. Iniziò ad avvicinarsi all'abitazione, silenziosa come un gatto. Assottigliò lo sguardo quando vide il primo dei due uomini che armeggiava col pannello dei comandi del cancello automatico, appena fuori l'ingresso. Amina sorrise, prese la mira e tirò indietro il grilletto.

Il sibilo del proiettile, che gli passava a meno di dieci centimetri dalle orecchie, bloccò l'ignaro ospite prima che iniziasse il suo lavoro. L'investigatrice, compiaciuta, restò ad osservare lo scompiglio che aveva creato mentre dava l'allarme con un solo tasto del telefonino. Era comodo avere un canale diretto con la polizia. La sua amica che lavorava li dentro non le avrebbe mai negato di conoscere il nome del proprietario della villa, se le avesse lasciato l'onore di catturare quei tre pivelli con le mani nel sacco. Quegli sciocchi stavano ancora fuggendo quando furono bloccati nel loro agire dalle sirene rosse e bianche della polizia.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


La bionda aveva scosso elegantemente la testa per mostrare con movimento simuoso la sua chioma perfetta. Usciva in quel momento dalla centrale e continuava a bearsi dei complimenti dei colleghi e del suo capo. Dopo aver acciuffato i tre pericolosi malviventi che avevano cercato di saccheggiare la villa estiva di un pezzo grosso, nessuno avrebbe potuto negare che, passo dopo passo, si sarebbe avvicinata presto alla tanto agognata promozione.

Salutò tutti con un sorriso, prima di infilarsi in macchina. Dopo essersi chiusa la portiera al fianco e messo in moto, sospirò pesantemente, afflosciandosi sul sedile di pelle. C'era il conto da pagare. Amina Forks non faceva mai nulla per nulla.

Raggiunse in pochi minuti il locale in cui si erano date appuntamento. Osservò tra i tavoli vuoti e appoggiò le mani ai fianchi, sbuffando. Non aveva voglia di aspettare. Stava invecchiando: non si era accorta di subito del tizio col giubbetto di pelle e la chioma di fuoco, rintanato nell'angolo più buio. Mentre si avvicinava, non potè che confermare a se stessa quanto quella ragazza fosse strana.

“Buongiorno a te, mia cara.”

Esordì con tono mellifluo, con leggero scherno. Quando però incrociò i suoi occhi, il sorriso le morì in gola. Si sedette silenziosa e appoggiò le dita sulla birra che era già stata ordinata per lei. Osservò il collo stretto della bottiglia e bevve un lungo sorso. Posò il vetro scuro sul legno e la guardò in viso. C'era solo l'ombra di Amina, di fronte a lei. Dov'era finita la fiamma che ardeva nelle iridi verdi della figlia del generale Forks?

 

Iniziarono a parlare per diversi minuti, prima di venire al punto. Lesse la sorpresa dell'amica quando confidò il nome del misterioso magnate. Amina restò dapprima in silenzio, poi esplose in una fragorosa risata. La rossa non rideva mai. Era sempre dura, composta. Quella risata aveva il suono argentino della voce di una donna e del cristallo che si spezza.

 

A forza di vedere il male ovunque, era caduta così in basso da non percepire l'ovvio. Che quell'uomo era troppo innamorato di Maya, che l'amava così tanto che voleva proteggerla anche da se stessa. La verità fu come una scossa che le squassò il cuore all'improvviso, come un lampo che illuminasse per una frazione di secondo il buio che l'attanagliava. Ayami amava Maya nella stessa maniera in cui Toki amava lei. Al ricordo della forza di quel sentimento, l'immagine di Toki che correva verso la pallottola per farle da scudo le tolse il respiro. Sentì il cuore mancarle un battito e si portò la mano al petto. Ripeté il nome dell'amato mentre le lacrime sfuggivano bollenti dalle sue ciglia a rigarle il viso. Lo ripetè ancora, stringendosi le braccia con le mani, perché era in quel modo che lui l'aveva abbracciata l'ultima volta. Si piegò su se stessa, a toccare il legno puzzolente di quel tavolo con la fronte. Poi non seppe dire. Fu tutto buio.

 

Si ritrovò nell'ambiente asettico di un ospedale, collegata ad una macchina che dedusse doveva monitorare il suo battito cardiaco. Vicino a lei c'era un comodino bianco. Sopra, un mazzo di fiori. Non ci mise molto a capire che fossero della sua amica. Un grazie sussurrato le morì sulle labbra. In quella stanza, un'altra donna, molto più vecchia di lei, ancora dormiva. Si staccò i cerotti cogli elettrodi da sola, mentre i fili penzolavano inerti sul letto, fece forza sulle gambe e si alzò. Impiegò poco. Era abbastanza in forze da vestirsi da sola ed abbandonare la stanza. Quando le infermiere la videro uscire, sembravano aver visto un fantasma. Stavano per iniziare a rimproverarla, ma la testa le doleva. Le precedette, chiedendo di avere subito il foglio di uscita con cui si prendeva da sola la responsabilità della propria avventatezza. Aveva una cosa da fare e voleva finire in fretta.

 

Alzò il bavero del giubbetto di pelle. Qualcuno, incrociandola lungo la strada, si fermava spiritato a causa della sua brutta cera. Amina non era tipo da curarsi di certe cose. Cerea, si dirigeva verso la moto. Scacciò le lacrime che volevano ricominciare a scendere, lei, che non piangeva mai. Da quando era diventata così donnicciola? Non se ne voleva curare, anche se il suo cuore stava diventando una maschera che si rompe in pezzi. Il suo obiettivo, ora, era raggiungere Hayami.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Mentre acquistava quel mazzo di rose scarlatte dal fioraio rideva intimamente di se stessa. Una cameriera del ricco magnate del teatro le doveva un favore ed era certa che avrebbe fatto recapitato anche il biglietto.

“So chi sei e ho intenzione di rivelarlo all’interessata. Se non vuoi, chiama immediatamente al 3** *******.
  1. F.”
Non aveva badato a nascondere le sue intenzioni e neppure le interessava.  La testa le girava e aveva bisogno di concludere quella questione in fretta. Tossì energicamente e si passò una mano sui capelli per avviarli indietro.
Anche la sua fronte era madida. Le immagini di Toki e Hayami si confondevano in un vortice che le dava la nausea. Strinse i denti e represse un conato. Lo sapeva perfettamente: Toki era morto e Hayami no.
Avrebbe dato molto per avere la morte alle calcagna anche lei. Se ne rendeva conto da tempo, ma solo in quel momento aveva ammesso a se stessa che era così. Non voleva piangersi addosso. Aveva sbagliato molte cose in vita sua e non avrebbe accettato che altri percorressero gli stessi passi senza avvertirli del rischio. Sarebbe intervenuta nella sua plateale ed insolita maniera.
La tempesta aveva scelto il profumo dei fiori per essere annunciata, si ripeteva Amina Forks come una nenia, mentre riponeva il portafogli dopo aver allungato al ragazzo le banconote. La tempesta avanzava tra petali di fiori danzanti, cantava a se stessa mentre attraversava la strada diretta al suo squallido bar preferito, dove il barista la attendeva, tranquillo, su quel sudicio bancone mezzo lercio. Le aveva già posato una birra e arricciava il naso con un sorriso sghembo.
La donna si trascinò fin dove voleva. Il puzzo di fumo e stantio aveva un che di rilassante. Odorava di casa, di quel tabacco scadente che suo padre fumava poco dopo il funerale della defunta signora Forks. Spalancò gli occhi quando recuperò quel ricordo. Il sorso di liquore tardò a scendere dalla sua gola. In quel momento fu consapevole che anche suo padre aveva sofferto per un amore spezzato.
Che la sua famiglia di portasse dietro una qualche fattura o maledizione? Poteva essere stata lanciata da qualche vecchio collega irlandese, geloso del successo lavorativo di suo padre?  In fondo, ce n’erano tanti di pazzi nelle campagne di Dublino. Posò la bottiglia e chiese un bicchiere. Stava diventando impaziente. Il  piede calzato nello stivale di cuoio riprese a ticchettare, nervoso, contro il pavimento di legno. La figlia del generale stava recuperando le forze, allora. Meglio, sarebbe stato più divertente vedere dove l’amore e la follia possono arrivare.

 
Aveva ordinato, oltre la birra, anche un assaggio di quel whiskey forte che suo padre vantava tanto.  Rise sorniona mentre sentiva il telefonino vibrare, nella tasca del giubbotto nero, di pelle. Sì, certamente si sarebbe divertita. Con un gesto rapido aprì il cellulare. Si passò la lingua sulle labbra come il lupo che pregusta la preda mentre la voce professionale di una giovane donna le chiedeva di venire subito, per un colloquio privato col principale.

“Amina, ti sei decisa a cambiar lavoro e vestirti da donna?”

James, il barista che la conosceva da una vita, aveva captato parte della conversazione.

“Io? Per chi mi hai presa?”

L’uomo scosse la testa riccioluta e piegò la bocca in quella maniera strana, dovuta a un tic.
“Allora vai solo a divertirti. Sai, per un attimo mi eri sembrata quella prima del fattaccio.”
Conosceva lei e Toki e avevano una certa fiducia reciproca, dovuta al fatto di aver svolto per lungo tempo le stesse mansioni e aver frequentato lo stesso giro.
Amina, annuì. Pareva più serena.

“Dopo, però, prenditi una vacanza. Hai una cera da schifo. Sembri un fantasma.”

La ragazza rise di gusto e lasciò le banconote per pagare il conto, che l’amico rifiutò. Egli era contento di vedere che si stava riprendendo. Per lei, offriva la casa.
 
Neppure mezz’ora dopo, la detective si trovava  a percorrere i corridoi asettici e bianchi della società Daito. Essa aveva sempre detestato ambienti simili. Li trovava soffocanti. Parevano infinite corsie di ospedali, budelli di giganti ciechi. Incurante delle sopracciglia alzate dei colletti bianchi che incrociava al suo passaggio e del risolino di qualche bella impiegata con i tacchi a spillo, infilò una mano in tasca a con l’altra sollevò il giubbotto che si era tolta dal colletto, per poggiarlo sulla spalla e sulla schiena,  come il dannato dei peggiori film di serie b.
Non aveva mai visto un concentrato simile di cinismo ed ipocrisia dal funerale del suo amato e il disgusto le stampò in faccia la peggiore delle espressioni. Riuscì a calmarsi solo poco prima di raggiungere  l’ufficio principale.  Quando fu davanti la scrivania di quella che aveva identificato come Mizuki, si esibì nel migliore finto sorriso di circostanza. Era venuta con l’intenzione di fare casino in una stanza sola, contro una sola persona, l’unica che, forse, avrebbe potuto essere un avversario degno.
Pretese di essere lasciata da sola col capo e, suo malgrado, Mizuki fu obbligata a farlo.
Era la prima volta che la solerte impiegata, per davvero, non aveva la minima idea di cosa si sarebbe dovuta aspettare.
 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Non appena fu dentro, Amina chiuse la porta alle proprie spalle col braccio che teneva in tasca. Non era aggraziata nei movimenti,  ma aveva imparato a non interrompere mai il contatto visivo. Per lei, ogni confronto si basava su una dimostrazione di forza. Certo non fisica, ma di carattere e quella, almeno per il suo lavoro,  ne aveva da vendere. Avanzò lenta e decisa verso l’uomo che l’attendeva fumando una sigaretta, eretto nella sua poltrona girevole di tessuto chiaro, come se fosse un trono.
Hayami la osservava curioso, apparentemente per nulla intimorito, mentre lei buttava il giubbotto su una delle sedie di fronte alla sua scrivania e occupava l’altra.

“Andiamo subito al sodo: cosa vuoi?”

Non era l’apparenza di quella donna ad essere fastidiosa, ma solo i suoi occhi. Lei aveva uno sguardo penetrante, che pareva carpirti tutti i segreti in un istante e certo senza il tuo permesso.
Amina pretese una sigaretta prima di rispondere e una volta accesa se la portò lentamente alle labbra.
Voleva vedere fino a che punto poteva stuzzicare, ora che aveva recuperato un poco le forze. Sorrise e poggiò la mano sul legno chiaro della scrivania.

“Voglio solo capire.”

Il brillante affarista storse il naso.

“Cosa?”

La vide ridere ancora e mostrare una fila di denti bianchi, ma lievemente sovrapposti davanti. Leggermente truccata e vestita degnamente, poteva addirittura definirsi bella. C’era un fascino magnetico nelle sue iridi così verdi. Se riusciva a farle ardere con il fuoco di una stessa persona che lui ben conosceva, non faticava a credere che na come lei  si potesse addirittura amare.

“Posso capire il perché del tuo agire ma, francamente, proprio non lo condivido.”

Cercando di contenere l’orgoglio ferito, l’uomo provò a portare sul tavolo il blocchetto degli assegni.
Si arrestò ben prima di poggiare la penna sul primo foglio.

“Se con quel coso non riesci a riportare in vita il mio Toki, puoi tranquillamente riporlo dove l’hai preso. “

Sapeva benissimo che la sua avversaria aveva rifiutato una eredità legittima, che si aspettava di ottenere?

“Pensi di poter avere di più raccontando la storia a qualche giornalista scandalistico?”

Tranquillamente, la donna di fronte a lui negò.

“Sono stanca Hayami. Non so se crollerà prima la mia mente o il mio fisico. Ma prima di uscire di scena, sta pure sicuro che Maya saprà l’identità del suo ammiratore, da me, entro una settimana. Oppure puoi precedermi. Fa come ti pare. In ogni caso, la mia amica sarà informata.”

Hayami balzò sulla sedia e l'afferrò per il colletto della maglia scura. Mai prima d'allora aveva provato così forte l'impeto di colpire una donna.

"Maya deve pensare unicamente a realizzare il suo sogno. Non ti permetterò di metterla in pericolo."

Incurante del suo gesto, Amina gli soffiò sul naso parte del fumo che aveva ancora in bocca.

"Sai benissimo che lei non ha bisogno di te per realizzare il suo sogno. Ammettilo."

Un angolo delle sue labbra si arricciò verso l'alto mentre si beffava di lui.

"Maya sta crescendo: un fiore magnifico, sbocciato nel terreno più arido e impervio, per questo ancora più sublime."

Poggiò le mani sul tavolo e si avvicinò ulteriormente a quell'uomo. Era bello, non c'era da dire, ma vacuo come la parte grezza della maschera.

"E quando sarà arrivata alla sua forma definitiva, tu, in confronto a lei, sarai nulla. Lentamente, per lei resterai un ricordo. Il tempo le insegnerà a farsene una ragione e troverà qualcuno che abbia il coraggio di amarla veramente perchè ammettiamolo..."

Osservava elettrica la mano di Masumi, colmo risentimento e rabbia, fremere sulla sua maglietta: con le prossime parole era certa che avrebbe causato una reazione a catena.

"... tu non ne hai il coraggio. Non sei degno di amarla."

Si aspettava lo schiaffo caricato con l'altra mano dell'uomo, diretta alla guancia destra. La parò con l'avambraccio e approfittò del suo momentaneo stupore per afferrargli il polso, fulminea. Balzata sulla scrivania e scivolata alle sue spalle, gli torse il braccio dietro la schiena. Aumentò la pressione e lo obbligò a piegarsi col viso tra i fogli che stava firmando fino a poco prima. Portò le labbra al suo orecchio e scandì con chiarezza poche parole.

"Se ne avessi avuto il coraggio, avresti cambiato le cose molto tempo fa."

Lo mollò con uno strattone e gli fece sbattere la fronte sul legno, tramortendolo appena.
Calmò il respiro leggermente affannato e girò attorno alla scrivania per recuperare il giubbotto.
Hayami si risistemò la cravatta e si riavviò  i capelli con dita tremanti.

"Intendi dire che dovrei morire per lei, come Toki ha fatto per te, per dimostrare che la amo."

Non avrebbe mai più dimenticato il silenzio di quella donna, durato momenti che erano sembrati secoli, pesanti come macigni. In un attimo, si era mostrata a lui del tutto diversa da poco prima.
"Intendo dire che devi amarla ora, perchè siete vivi, Hayami, non c'è la morte che vi separa, come per  me e Toki."
Improvvisamente, quel giubbetto di pelle gli parve troppo largo per quelle spalle fragili. Da un attimo all'altro, gli sembrava che Amina avrebbe potuto cascarci dentro.

"A differenza nostra, voi avete la possibilità di essere ancora felici. Sarebbe da veri idioti non sfruttarla."

Sbattè più volte le palpebre, quando iniziò a vedere le lacrime lambire le ciglia di Amina Forks. Aveva di fronte quasi un fantasma. Sentì salire la nausea quando si rese conto che proprio lui avrebbe potuto essere causa di una sofferenza simile per Maya. Fu un attimo che la donna di fronte a lui impallidì e perse i sensi. L'affarista senza scrupoli si affrettò a sorreggerla e chiamare un'ambulanza. Non riuscì a chiudere occhio quella notte e neppure le seguenti. Fu poco prima dello scadere della settimana che si decise ad uscire da casa in jeanz, senza giacca e cravatta. Voleva acquistare due mazzi di fiori: uno di rose scarlatte ed un altro per un'amica.


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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Era ansioso quella mattina, ma anche in pace con se stesso. Hayami era andato dallo stesso fioraio per due identici mazzi di rose scarlatte: uno per la donna che amava, un altro per ringraziare un'amica.

Non aveva la minima idea di come sarebbe andata con Maya, ma certo doveva qualcosa anche ad Amina. Di quest'ultima sapeva solo che era ancora in ospedale ed erano arrivati a trovarla alcuni familiari, non sapeva se dall'Irlanda o dall'Australia. Di certo non era sola.

Della sua dea scarlatta, invece, sapeva solo che sarebbe uscita di li a poco dalle prove e sicuramente non si aspettava di trovarlo ad aspettarla lungo la strada.

Maya sembrava assorta in pensieri in cui lui non c'entrava nulla e camminava lenta ma decisa, apparentemente troppo concentrata per rendersi conto delle altre persone che la salutavano prima di dirigersi verso casa. Tirando un sospiro di sollievo per la possibilità di parlarle quasi in privato, Masumi aveva alungato il passo, superandola appena, per essere sicuro di intercettarla quando ormai tutti i suoi colleghi fossero stati ormai lontani. Una cosa lo stupiva immensamente: senza gli abiti formali del lavoro, alla gente che passava, sembrava davvero semplicemente un uomo con un mazzo di rose in mano, uno che probabilmente stava per fare la figura dell'imbecille con una donna a cui teneva, ma poco gli importava. Era come se la maschera gli si stesse sgretolando appena e sentiva un leggero formicolio al viso: possibile stesse arrossendo? Per l'aria trasognata con cui lo squadrarono due ragazzine in uniforme delle medie che passavano poco distanti da lui, poteva anche essere. Sospirò e si schiarì la voce: Maya stava per arrivargli al fianco.

“Signorina Kitajima!”

Per una frazione di secondo, quando la giovane sembrò non curarsi di lui, sentì il terreno franargli sotto i piedi e provò una sensazione di nausea farsi largo dal centro dello stomaco. Quando però la giovane sbattè le palpebre e iniziò a tremare appena, davvero, si illuse che il suo non era stato poi un gesto così avventato.

 

 

Quando Jigiri era stato convocato, quella mattina, si chiese se davvero il suo principale fosse impazzito. Masumi lo aveva accolto in jeanz e camicia bianca, mentre gli comunicava che quello era l'ultimo incarico che gli affidava, perché da quel momento in poi si sarebbero chiamati tra loro, semplicemente per nome. Alle spiegazioni richieste, il giovane presidente della Daito aveva affermato che si dimetteva da capo della casa di produzione e non ci sarebbe stato più bisogno di formalità tra loro. Erano due amici che parlavano, nulla di più. Alle repliche del fidanzamento con l'erede Takamiya, era stato risposto con un velo di tristezza ma risoluta determinazione: rinunciando ai suoi incarichi lavorativi e con essi al patrimonio paterno, il matrimonio avrebbe perduto ragion d'essere. Forse Shiori avrebbe così trovato modo di placare il suo animo inquieto, rendendosi conto di aver amato un giovane Hayami che, in realtà, mai era esistito.

“Vado a prendere in mano la mia vita, qualunque sia la piega che essa prenderà.”


Aveva spiegato il biondo. Nel momento in cui Hijiri comprese che ciò significava chiarire con la piccola attrice, non potè che esserne felice. Del perché di quel cambiamento repentino ed improvviso di intenzioni, il moro non sapeva nulla e ci capì ancora meno quando gli fu chiesto di recapitare quelle rose in ospedale ad una certa Detective Forks.

 

 

Maya era come in trance e piccole lacrime avevano preso a scenderle lungo le guance. Aveva allungato le braccia verso quel mazzo di rose, prima di dedicarsi a lui, come se il portatore fosse meno importante del regalo. Silenziosa, cercò il biglietto tra i petali profumati e non appena lesse le poche righe vergate a mano, si un sorriso radioso le distese le labbra gentili. Corse ad abbracciare con impeto il suo ammiratore delle rose scarlatte, che potè finalmente abbracciarla stretta alla luce del sole.

“Sapevo che eri tu!”

Gli sussurrò dolce all'orecchio e quando Masumi, sorpreso, allontanò appena il viso di Maya per poterlo guardare e capire a fondo il senso di quella rivelazione, si rese finalmente conto che aveva di fronte non una ragazzina, ma una donna. Quelle rose stropicciate dal loro abbraccio forte e improvviso, stillavano appena qualche rara goccia di rugiada. Il viso imperfetto di Maya, a Masumi, parve divino nella sua radiosità.

Non c'era bisogno di dirsi altro. Raggiunsero sotto braccio l'auto del giovane parcheggiata poco lontano. Avrebbero avuto tutto il tempo per chiarirsi ed organizzare i contropiani di battaglia, che irl vecchio Eisuke difficilmente si sarebbe dato per vinto. Per quella manciata di ore, però, non ci sarebbe stato spazio per il fantasma del vecchio e gli scandali. Fino a quel tramonto appena, si sarebbero illusi di esistere solo loro due.

 



Hijiri si affacciò appena alla porta della camera d'ospedale dove si trovava la persona che doveva raggiungere e due paia d'occhi uguali lo trafissero appena attraversò l'uscio. Il giovane deglutì: quelle iridi verdi sembravano dissezionare la sua anima con precisione chirurgica e, se quelli della ragazza parevano solo sorpresi, quelli dell'anziano parevano voler dargli fuoco.

Fu per prima la ragazza a chiedergli chi fosse e che ci facesse li, mentre il vecchio, troppo alto per essere così vecchio, gli andava incontro con aria minacciosa.

A sua discolpa mostrò subito le rose e spiegò fossero per la giovane detective, come augurio di pronta guarigione.

Amina guardò con orrore quei fiori prima prendere un fazzoletto e portarselo al naso, sentendo già i propri starnuti riecheggiare nella camera ancor prima che iniziassero. Indicò un vaso dall'altra parte della stanza. Pregava il probabile sicario, che aveva poi apostrofato papà, di andare a riempirlo per sistemare degnamente i fiori. Al moretto appena arrivato aveva invece indicato una sedia e lo aveva incitato a spiegarsi, mentre un sorriso largo si affacciava sul viso tanto a lungo così spento.

Fu la risata di cuore di sua figlia a rallentare i movimenti del generale Forks: Hijiri non poteva esserne a conoscenza, ma il primo pensiero del generale, appena aveva visto come il Giappone aveva ridotto la sua amata terzogenita, era stato massacrare di botte qualunque altro giapponese si fosse avvicinato a lei, visto come quell'incapace di Toki, pace all'anima sua che era morto, l'aveva ridotta ad un fantasma, dalla persona vitale e battagliera che era.



NOTE:
Ho usato un continuo cambio di scena, spero non risulti fuorviante. Lo scritto in nero racconta il punto di vista di Hayami, quello in blu di Hijiri. Non vogliatemene se vado cambiando: non sono una professionista e cerco anche di capire quale sia il modo migliore di esprimermi: sia per semplicità di scrittura che di comprensione. Qualora generassi però confuzione ditemelo che rimedio subito.
Per quanto mi riguarda, questo è uno dei capitoli finali, che saranno al massimo due o tre. 
Saluti :)

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Jigiri ci aveva messo un po' per comprendere tutta la storia e, adesso che gli era chiara, aveva provato a sentire una certa ammirazione per quella donna così battagliera che svolgeva quel lavoro particolare. Era andato a trovarla quasi ogni giorno dal loro primo incontro e la trasformazione che lei aveva subito gli era parsa lampante. La vicinanza con la sua famiglia sembrava aver restituito ad Amina le enegie e il carisma che aveva perso.

Nel giro di una settimana, la detectiva aveva deciso di riaprire l'agenzia, mettere del tutto a tacere quelle iene dei parenti di Toki grazie all'aiuto di certi avvocati molto in gamba amici di suo padre (era stata intentata una querela che gli avvocati dell'altra famiglia si erano sbrigati a chiudere, perché avrebbero palesemente perso) ed era uscita dall'ospedale.

Quella mattina, libera da medici e dal puzzo dei disinfettanti dell'ospedale, aveva inforcato la moto per dirigersi al cimitero di prima mattina. Salutava il suo amato Toki, con il chiaro intento di svolgere un'ultima missione in Giappone e ripartire poi alla volta dell'Europa o dell'Australia, per non fare più ritorno. Nei giorni passati, complice la vicinanza della sua famiglia, aveva avuto modo di riflettere sul conto di Hayami ed era giunta ad un giudizio molto meno negativo sul suo conto.

Lei, pur con tutte le rogne che le erano capitate, aveva una ricchezza immensa che Masumi non aveva mai posseduto e avevano segnato la differenza nelle loro vite: una fanciullezza serena e una famiglia solida, pronta a sostenere le scelte azzardate della vita e i colpi avversi della fortuna.

Masumi ne era stato privato e per questo era cresciuto apparentemente forte, ma solo, una decisione autoimposta e sofferta, che l'aveva portato a scindersi da se stesso.

Amina, invece, che non aveva mai conosciuto sua madre, era cresciuta nell'amore incondizionato di suo padre e dei suoi fratelli. Ricordava benissimo i commenti di alcuni colleghi di suo padre, specie delle loro mogli, al funerale di sua madre. Giudicavano lei e i suoi fratelli strani perché non avevano pianto. Loro però erano troppo piccoli per spiegare che non avevano bisogno di piangere e non volevano mostrarsi deboli alla gente: non erano mai soli e non lo sarebbero mai stati. C'era il generale con loro e l'amore di loro madre li avrebbe accompagnati sempre. In un certo senso, anche quel voler lavorare nella omicidi era stato per riconoscenza: loro avevano avuto una ricchezza che a pochi era concessa e si erano sentiti tutti in obbligo di restituire, a chi gli era tolta ingiustamente, quella pace degli affetti che a loro era stata donata gratuitamente.

Non era mai importato a nessuno dei suoi che gli altri non capivano. Amina svelava quella parte di se solo a chi la conosceva intimamente. Toki era entrato presto nel suo cuore e non se ne sarebbe mai andato. Carezzò la lapide sospirando e si alzò lentamente. Sorrise. Anche se non erano più insieme, la vita doveva continuare.

 

Jigiri l'aveva attesa con silenzio e trepidazione all'uscita del cimitero. Come ogni giorno da quando era in ospedale, le portava un mazzo di rose scarlatte. Le altre volte lei era riuscita a farle mettere in un vaso lontano dal letto e la sua allergia non ne aveva risentito ma ora, che aveva i fiori sotto il naso, iniziò subito a starnutire.

Il giovane si affrettò a sorreggerla, temendo una ricaduta, ma quando lei lo allontanò decisa, in qualche modo si sentì come colpito da uno schiaffo.

“Per carità, porta quei fiori lontano. Sono allergica da morire.”

Gli spiegò, tra uno starnuto e l'altro, mentre recuperava un fazzoletto.

A malincuore, Jigiri lasciò le sue belle rose, confezionate con cura, su una panchina. Si allontanò insieme alla detective e restò silenzioso, come assorto nei suoi pensieri.

Dal canto suo, Amina gli aveva fatto cenno di seguirlo e l'aveva condotto in uno dei suoi pub preferiti, tanto diverso dai locali di lusso a cui l'altro era abituato. Non appena si furono seduti e la ragazza si era premurata di ordinare una birra per entrambi (autentica birra irlandese, non poteva non piacere), si ruppe quel silenzio tranquillo in cui tutti e due si erano immersi.

“Allora? Come mai il tuo capo continua a mandarmi fiori? Non ha da pensare a maya in questi giorni o continua a cercarmi per chiedermi un favore?”

A quel sorriso gioviale e sincero, Jigiri, pur non essendo una persona timida, arrossì di colpo.

“In realtà i fiori erano una mia iniziativa, Masumi non c'entra. Credevo piacessero a te come a Maya. Ignoravo la tua allergia.”

Spiegò, ancora più rosso. Poi, provò a correggere il tiro, intuendo quando le sue parole potessero suonare ambigue.

“In realtà, sono io che vorrei chiedere il tuo aiuto, per conto di Masumi, ma lui non sa di questa mia iniziativa.”

Amina tese le orecchie ed il sapore agonato della sfida le si diffuse in bocca.

“Teme ritorsioni dal suo vecchio e dalla famiglia della ex, giusto?”

Hijiri annuì e sorseggiò la sua birra, che trovò curiosamente piacevole.

“Avevo già deciso che questo sarebbe stato l'ultimo caso che avrei seguito in Giappone. Ho già parlato con degli amici. Ho dei documenti falsi per Masumi e dei colleghi a guardia di Maja. Queste cose è meglio gestirle nel modo più discreto possibile. E' vitale che Maja finisca la turnee. Per lei e anche per lui. Nel frattempo, Masumi potrà restarle accanto in segreto, con un nome falso, un altro taglio di capelli e vestiti diversi. Non morirà di certo e quando le acque si saranno calmate recupererà il suo nome prima dell'adozione e la sua vita insieme a Maja. Credo che in un paio d'anni tutto tornerà a posto. E' un tempo sufficiente per mettere a tacere quei ricchi sciocchi, con le buone o con le cattive. La mia proposta è questa.”

Scettico, jigiri si perse per un attimo nei suoi occhi verdi.

“Sicura che basterà così poco e che delle persone che conosci ci si possa fidare?”

La rossa rise di gusto, ordinando un'altra birra.

“Mi fido cecamente dei miei amici. Sai, non sembra, ma quando aiuti la gente te ne fai molti.”

Jigiri annuì, sollevato.

“Sembri un tipo solitario, in realtà.”

Da tempo sentiva di non poter parlare così liberamente con qualcuno.

“Questo perché i miei amici non sono esattamente persone con cui è bene avere a che fare tutti i giorni, ma sono dei buoni diavoli e voglio loro molto bene. Non sembra, ma sono molto fortunata.”

Il pomeriggio era trascorso in fretta e il moro non protestò quando gli offerto di tornare alla Daito a cavallo di una moto. Amina aveva scherzato che non avrebbe giovato alla sua immagine, ma l'aveva accompagnato volentieri, come si fa con un vecchio amico. Sapeva benissimo che da li a poco sarebbe sparito da Hayami.

 

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Masumi restò interdetto quando ascoltò il discorso dell'amico.

“Praticamente Forks ha già pianificato tutto. Sarò davvero così semplice come dice lei?”

Jigiri si mostrò convinto. Pareva aver piena fiducia in quella giovane.

“Del resto, se vi siete dichiarato ed ora siete insieme a Maya, anche se non ufficialmente, è anche grazie a lei. Direi che è riuscita laddove nessuno ce l'aveva mai fatta.”

Sapeva di aver anche espresso il parere di Mizuki con quelle parole, ma era stato zitto.

Scettico, Hayami aveva letto quello che avrebbe dovuto essere il suo nuovo nome e l'indirizzo della sua nuova casa. In realtà erano state proposte due alternative: un paesello sperduto in montagna, tra i contadini e vicino ad un tempio, ed un quartiere malfamato di Tokio. Hayami scelse senza pensarci troppo il primo. Certo sarebbe stato scomodo per Maja arrivare fin lassù, ma il posto era più raccomandabile.

Il biondo sarebbe dovuto passare per un infermiere che dava una mano in una piccolo ospizio.

“In realtà, Amina ha detto che se siete in gamba, il proprietario è disposto ad assumervi a contratto pieno. La paga sarebbe bassa, ma avreste di sicuro cibo e un tetto sopra la testa. Hanno un piccolo appartamento sfitto vicino alla struttura. Vi sistemerebbero li. Il proprietario è anziano e non ha figli. Ne aveva...”

Masumi era curioso, lo incitò a continuare.

“Uno dei tanti casi di omicidio risolti da Amina. Il figlio del proprietario è stato ucciso mentre era in vacanza con la fidanzata. A gestire l'ospizio all'inizio era lui. Dopo la morte del ragazzo, la fidanzata non ne ha più voluto sapere e si è trasferita in città. Il padre, invece, ha cercato di mantenere aperta in ogni modo la struttura, ma anche lui ormai è avanti negli anni e non reggerà da solo a lungo. Amina mi ha assicurato che se anche Maja dovesse fermarsi da voi, l'anziano proprietario non farà domande e la ospiterà volentieri. Deve trattarsi di una gran brava persona.”

Appena commosso, Masumi accettò senza pensarci. Un padre che voleva bene al figlio: l'esatto opposto del suo. Era più di quanto poteva chiedere in un frangente come quello. Pensò un attimo a Maja nell'altra stanza. Chiese solo due giorni per preparare le valigie e salutarla. Sarebbe stata una vita in sordina la sua, per un poco, ma sarebbe stata una vita vera.

Sul rasarsi i capelli e tingerli poi di nero, come sulle lenti a contatto colorate scure, aveva avuto qualcosa da ridire ma, se non altro, così anonimo, difficilmente l'avrebbero riconosciuto.

 

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