Drunk - A Kind Of Romeo and Juliet Story -

di Finitem_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I wanna be drunk when I'll wake up ***
Capitolo 2: *** Guilt ***
Capitolo 3: *** Beautiful Monster ***
Capitolo 4: *** The Weight To Be Living ***
Capitolo 5: *** Everything Has Changed ***
Capitolo 6: *** The Worst Things In Life Come Free To Us ***
Capitolo 7: *** It's Too Cold Outside For Angels To Die ***
Capitolo 8: *** The Man Who Can't Be Moved ***
Capitolo 9: *** Wide Awake ***
Capitolo 10: *** It Is What It Is ***
Capitolo 11: *** The Panda Made Me Do It ***
Capitolo 12: *** Call Me Maybe ***
Capitolo 13: *** You'll Never Walk Alone ***
Capitolo 14: *** Walking Beside You ***
Capitolo 15: *** And I Found You Flightless Bird ***
Capitolo 16: *** Living Could Be an Awfully Big Adventure ***
Capitolo 17: *** Joining The Dark Side ***
Capitolo 18: *** Two World Collide ***
Capitolo 19: *** I Pray That You Will See The Light That's Shining From The Star Above ***
Capitolo 20: *** Got You Stuck On My Body Like a Tattoo ***
Capitolo 21: *** I'll Call Ya After My Blood Turns To Alcool ***



Capitolo 1
*** I wanna be drunk when I'll wake up ***


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drunk Faceva male.
Faceva male dappertutto.
Sentiva il sapore ferroso del sangue sulle labbra colargli sul mento e sul bavero della giacca.
I lampeggianti della sirena dell'ambulanza si riflettevano sulle lamiere dell'auto di sua madre, completamente sfasciata e illuminata a giorno nel buio della notte.
Sentiva l'asfalto duro, freddo e ruvido sotto il corpo dolorante.
"Ragazzo, riesci ad alzarti?" un uomo strizzato in una divisa bianca lo aveva rimesso in piedi come se fosse fatto di cartacrespa.
Gli tremavano le ginocchia e aveva freddo, tanto freddo, tranne che alla testa.
Quella bruciava e pulsava come se avesse vita propria.
"Come ti chiami?" gli aveva chiesto mentre lo aiutava ad adagiarsi su una barella, prima di puntargli una luce negli occhi, facendoglieli lacrimare.
"Louis Tomlinson"
La sua bocca era secca come un deserto. Probabilmente quelle birre prima di uscire di casa non erano state una grande idea.
La vista era più chiara ora, anche se lo spiacevole sfarfallio ai lati della sua visuale persisteva.
Uno stramaledetto albero segava il cofano dell'Audi in due, i finestrini erano in frantumi e le gomme a terra.
Sua madre l'avrebbe ucciso.
"Quanti anni hai?"
"Diciotto. Quasi diciotto"
"Sai dirmi in che anno e mese siamo?"
Ci aveva pensato un attimo.
"Siamo a Novembre, giusto? Novembre 2007"
"Credo che tu abbia una commozione celebrale Louis. Devi venire in ospedale con me, i tuoi genitori ci raggiungeranno la'"
L'uomo lo coprì con un cappotto, e lo sospinse fino all'ambulanza, dove intanto altri paramedici stavano cercando di rianimare un altro corpo.
A prima vista non gli sembrò neppure umano: attraverso il capanello di infermieri riuscì solo a distinguere una testa riversa sulla barella, coperta da un groviglio di capelli insanguinati, un braccio che pendeva nel vuoto, due occhi spalancati che fissavano il cielo stellato senza vederlo davvero, e dove la luna si specchiava,vanitosa.
"Lo conosci?" gli aveva chiesto il medico.
Avrebbe voluto scuotere la testa e dire di no, ritornare a due ore prima, quando era seduto sul divano di casa sua a ignorare bellamente i compiti di letteratura, che non voleva, non l'aveva fatto apposta...
Ma il senso di colpa e la vista del sangue, uniti alla sbornia che iniziava a farsi sentire lo fecero piegare in due, scosso dai conati, che gli bruciavano in gola come il rimorso che provava.
Era tutta colpa sua.









Due ore prima...



Stava comodamente seduto sul divano di casa sua, ammirando la figura snella e elegante di sua madre che si pavoneggiava per tutti gli specchi dell'abitazione.
Era il suo primo appuntamento galante dopo il divorzio, di sei mesi prima.
"Come sto tesoro?"
"Benissimo mamma. Farai una strage"
Essendo rimasto l'unico maschio in famiglia, circondato da quattro sorelle vanitose e narcisiste, aveva imparato in fretta quello che le donne volevano sentirsi dire.
"Divertiti"
"Anche tu. Per qualsiasi cosa mi trovi al cellulare. Se senti l'impellente mancanza delle tue sorelle, cosa alquanto improbabile, ma non si sa' mai, chiama la zia. Non andare a letto tardi"
Dopo queste raccomandazioni aveva schioccato un bacio all'aria nelle vicinanze delle guance di suo figlio prima di marciare verso l'uscita, trionfante come una regina.
La porta che sbatteva, un auto costosa che ripartiva sgommando.
Ed era di nuovo solo.
Tutto per colpa dell'insegnante di francese di sua sorella Lottie, che ai colloqui genitori insegnanti non si era limitata a parlare del rendimento scolastico e in cosa sua sorella eccelleva, aveva mostrato al padre anche le sue qualità.
Si erano dovuti trasferire in un appartamento più piccolo, in un altra città, avevano dovuto cambiare scuola e gruppo di amici, sua madre si era rimessa a lavorare e i soldi non bastavano mai.
Tutto per colpa di una Janine qualunque.
E prima di lei, stando agli sfoghi isterici della ex signora Tomlinson, c'era stata l'istruttrice di Sci, la nuova segretaria, la cameriera al bar dell'angolo e l'insegnante di piano.
Indispettito dalla piega che i suoi pensieri avevano preso Louis si alzò, diretto in camera sua per terminare i compiti.
Avrebbe voluto fargliela pagare.
Per colpa sua adesso la sua vita era un inferno, ed era costretto a essere padre delle sue sorelle, a contribuire al bilancio dell'economia famigliare e ad essere il reietto della scuola, solo e senza amici.
E nonostante ciò continuava  a fare il bravo bambino, quando invece avrebbe voluto solo buttarsi per terra e picchiare i pugni, urlando a squarciagola come tutto questo gli facesse schifo.
Non aveva fatto in tempo a finire di formulare questi pensieri che una forza oscura lo aveva diretto verso l'armadio dove sua madre teneva gli alcolici, senza lucchetto perchè "Si fidava dei suoi figli", e a stappare il primo litro di birra.
A metà del terzo gli era venuta l'illuminazione: avrebbe bevuto ancora un po', tanto per fare scena, poi avrebbe rubato le chiavi della macchina di sua madre, chiusa in garage come tutti i week-end, avrebbe guidato per 15 Kilometri fino a casa di suo padre e gli avrebbe fatto una scenata in piena regola, con o senza Janine.
E mentre finiva il contenuto della bottiglia si sentiva elettrizzato e trionfante, come se avesse trovato la soluzione a tutti i suoi problemi.






La biblioteca era immersa in un religioso silenzio, incrinato solo dal rumore della vibrazione del cellulare contro il tavolo, che segnalava l'arrivo di un messaggio.

"Mamma dice che tra mezz'ora è pronta la cena. Torna a casa, secchione! X "

Il proprietario del cellulare sorrise allo schermo, alzandosi per rimettere i libri all'interno dello zaino e pettinandosi con la mano libera i ricci spettinati, provati dopo tante ore di studio.
Dopo aver riconsegnato alla bibliotecaria i libri di testo e essersi coperto con il bomber nero, si era affrettato ad uscire all'aria fredda di novembre, rispondendo al messaggio inviato alla sorella:

"Arrivo. Lasciane un po' anche a me, cicciona!"

"E' già in tavola... Pasta al forno... Meglio se ti sbrighi"

Il ragazzo camminò più in fretta, percorrendo più veloce che poteva il ciglio della strada provinciale, mentre le macchine gli sfrecciavano accanto, nelle ultime luci del crepuscolo.





Aveva perso troppo tempo.
Appena salito in macchina aveva spinto troppo l'acceleratore, ed era finito nel giardino dei vicini, decapitando tutti i loro nanetti da giardino e schiacciando le loro aiuole ben curate con i pneumatici.
Dopo esserne uscito con una maldestra retromarcia, aveva riso per i 100 metri seguenti, interrompendosi di colpo all'orribile immagine della testa di ceramica realisticamente dipinta del nano, tanto da sembrare umana, sotto la sua ruota.
Vedeva tutto sfocato, e il buio che sopraggiungeva indolente e i lampioni rotti e mal distribuiti lungo la provinciale non lo aiutavano di certo.
Ma Louis non pensava a tutto questo.
Immaginava l'ingresso trionfale che avrebbe fatto nel giardino del padre, e di come, a fine ramanzina-sfogo adolescenziale, avrebbe vomitato sul suo zerbino nuovo di zecca, non prima di aver sfondato l'entrata col cofano della Audi.
Forse per questo non vide le suole bianche delle scarpe da ginnastica che, illuminate dagli abbaglianti, si muovevano davanti a lui.




Harry camminava al buio, con il pensiero della deliziosa pasta della mamma, sicuramente già in tavola, fisso nella mente.
Guardò l'ora sul cellulare.
Le 8.45.
Ribloccò lo schermo del telefono, alzando lo sguardo improvvisamente abbagliato dai fari di una grossa auto che viaggiava a tutta velocità verso di lui, incrociando per un millesimo di secondo due occhi azzurro cielo.
Una brusca frenata, stridore di pneumatici sull'asfalto, odore di bruciato.
Un corpo che viene sbalzato bruscamente fuori dal veicolo, un altro che giace poco più in la', in un prato.
La macchina, schiantata contro un albero, fuma ancora nell'aria gelida.
Fari che si spengono e si riaccendono di nuovo, prima di morire.
Luce inghiottita dal buio.
E poi più niente.














Angolo Autrice :)
Mi sono cimentata, per la prima volta, in una cosa seria.
Ho deciso che tutte le schifezze che mi deprimono e mi fanno stare male (non faccio nomi, ma chi mi conosce sa a che mi riferisco lol) troveranno valvola di sfogo in questa FF, quindi non ci sarà PER NIENTE da ridere...
A voi il verdetto, se continuare la cosa o sciacquonare tutto nel wc, magari autrice compresa.
Non m'importa chi siate o quali difetti abbiate, siate gentili con me e io lo sarò con voi. Non mordo.
Quindi vedete di recensire.
#muchlove




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Capitolo 2
*** Guilt ***


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fgfdhfgh
L'ambulanza scivolava sulla strada, illuminando con la sua sirena di morte la notte.
Al suo interno gli infermieri si affaccendavano attorno al corpo del ragazzo, innaturalmente rigido, come una bambola di plastica.
I monitor suonavano impazziti, scandendo il ritmo dei medici che si affollavano nell'angusto spazio, intubando il paziente.
Una volta calmato il ritmo frenetico di morte, l'infermiera si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, annuncinado:
"Dottore, le sue condizioni sono stazionarie adesso"
"Comunque non mi fido, prima arriviamo in ospedale, meglio è per lui"
Mentre la folle corsa verso la vita continuava, l'infermiera fissava il volto pallido e insanguinato del ragazzo, che conservava un' espressione spaventata e stupita insieme, gelata sul suo volto come una fotografia istantanea.
"Peccato" sospirò la donna, accarezzandogli il volto "Così un bel ragazzino..."
Chissà quanti anni aveva. Tredici? Quattordici?
Come suo figlio.
Il paragone la colpì ancora di più, spingendola a domandarsi che tipo di madre sedeva sul divano, in ansia per il figlio, mascherano il timore in rabbia, pregustando con veemente speranza il momento in cui sarebbe tornato a casa e lei, sollevata, avrebbe fatto una sfuriata per scaricare la tensione.
Chissà dove andava a scuola, se aveva una fidanzata, fratelli o sorelle, perchè il destino lo aveva portato su quella maledetta strada a quell'ora e perchè aveva lasciato che un ragazzino senza colpa venisse rovinato dalla follia di un pazzo ubriaco.
"Credo che dovremmo scoprire chi sia" aveva sussurrato la donna, rivolta più a se' stessa che al medico, che indicò lo zaino nero dell'eastpack sporco di terra e il bomber ormai ridotto a brandelli.
Eastpack. Un altro tuffo al cuore. Tutti i ragazzini ne avevano uno, andavano di moda quell'anno.
Se ne vedevano dappertutto quando accompagnava il figlio a scuola.
L'infermiera frugò nello zaino, estraendo libri di scuola, quaderni, astuccio, penne...
Del cellulare neanche l'ombra.
La sua attenzione venne catturata dal diario gonfio e spiegazzato, sulle pagine appunti come "Verifica di biologia" "Esercizi pag 969" " -34 alle vacanze"...
"Penso che l'abbiamo identificato" esclamò il medico, raccogliendo da terra il portafoglio ed estraendone la carta di identità: lo stesso ragazzo, il viso lucido senza tracce di sangue, sorrideva vivace al fotografo, mettendo in evidenza le fossette.
"Harry Styles, anni 14, studente"
L'infermiera alzò lo sguardo dal diario col cuore stretto, augurando a Harry tutta la fortuna del mondo.
Ne avrebbe avuto bisogno.













Fissava il bianco asettico della parete della stanza dell'ospedale, cercando di ignorare i singhiozzi soffocati di sua madre, che sedeva di fianco al letto.
Se da brillo aveva trovato il pianto disperato di sua madre irritante e fuori luogo, in quel momento, dolorosamente lucido, gli veniva voglia di unirsi a lei.
Aveva ucciso una persona.
Se lo ricordava, anzi, l'immagine non voleva andare via: due enormi occhi verdi che fissavano spenti la luna, nascosti da una maschera di sangue e dolore.
Ed era tutta colpa sua.
Se in primo luogo non avesse bevuto, se non avesse preso la macchina, se non fosse stato così idiota e immaturo...
Il dolore alla testa raggiunse l'apice con delle fitte che lo fecero gemere dal dolore e dal rimorso.
"M-Mamma!"
La donna prese la mano del figlio.
"Come stai? Senti dolore?"
"Mi fa male la testa" disse il ragazzo con una smorfia, cercando di girarsi su un fianco per guardare la sua interlocutrice.
"Stai fermo" lo aveva rabbonito lei "Hai una commozione celebrale, non devi fare sforzi"
Nella stanza era calato il silenzio, rotto solo dai passi felpati delle infermiere che facevano su e giù nel corridoio.
"Mi hai fatto così tanto preoccupare!"
"Mi dispiace"
"Ma cosa diavolo volevi fare eh?!" il tono della ex signora Tomlinson da compassionevole era diventato furente " Se non avessi pestato la testa ti prenderei a sberle!"
"Non lo so... Volevo..."
Sua madre lo fissava con un aria famelica: era affamata di giustificazioni, di spiegazioni... Voleva capire cosa avesse spinto il figlio, così maturo, giudizioso e assennato a compiere un gesto così sconsiderato e scellerato.
Soprattutto alla luce delle conseguenze.
"Volevo... Andare da papà. E fargli una scenata. E' tutta colpa sua: è colpa sua se fai i doppi turni, se a casa non ci sei mai, se le gemelle devono mettersi i vecchi vestiti di Lottie, se la mia nuova scuola fa' schifo..."
La donna aveva ricominciato a singhiozzare.
"Volevo solo che lo sapesse"
Poi improvvisamente, il pensiero che aveva cercato di tenere fuori dalla sua testa e l'angoscia che l'accompagnava l'aveva soffocato, impedendogli di parlare e perfino di respirare.
Doveva sapere.
Cosa aveva fatto.
"Mamma... Credo di aver... investito un ragazzo. Non volevo, t-te lo giuro. N-non l'ho visto... Io..."
Sua madre si era coperta il viso con le mani, sovrastando le sue parole col suo pianto, impedendogli di continuare.
Sembrava così vecchia, nonostante fosse ancora vestita elegante per l'appuntamento.
Così stanca.
"C-come sta?"
"N-Non lo so..."
"Ma è... Vivo?"
La donna aveva annuito, parlando attraverso gli spiragli tra le dita.
"Lo hanno portato in rianimazione poco fa'. Dio Louis, era solo un bambino..."
Lo stomaco del ragazzo si contorse violentemente.
Era un potenziale assassino, adesso.
Un criminale.
"Dovrai essere processato. Dobbiamo trovare un buon avvocato, chiamare tuo padre..."
"Non m'importa. E' colpa mia. Mi merito qualunque posizione vogliano darmi. H-ho ucciso una persona..."
La gravità dell'accaduto colpì Louis in pieno petto, mozzandogli il fiato e opprimendogli la gola.
Si sciolse in singhiozzi, unendosi alla madre in un abbraccio affranto, in cerca di una rassicurazione che un unico gesto sciagurato aveva spazzato via.
E in mezzo a tutta quella desolazione , un unica speranza illuminava i loro cuori.
Il ragazzo era ancora vivo, non era morto. Per ora.





Due reparti più in la' Gemma ed Anne Styles si stringevano in un abbraccio che sapeva di morte e distruzione.
Medici facevano avanti e indietro dalla sala operatoria, la luce rossa brillava sulle piastrelle opache, pesando sulle loro teste come un macigno.
Era stato uno shock.
Anne era sotto la doccia, mentre la figlia in salotto, china sui libri, intenta a prepararsi per un importante esame.
Era squillato il telefono, e la ragazza, irritata dall'interruzione, si era alzata per rispondere.
"Pronto?"
"Buonasera, sono il dottor Collins, chiamo dal St Barbara Hospital. C'è stato un incidente automobilistico e il signor Harry Styles è ricoverato presso di noi. Al momento si trova in camera di rianimazione. Lei è una parente?"
La ragazza aveva sentito le dita, ancorate attorno alla cornetta, diventare gelide e scivolose, e la stanza era diventata sfocata sotto i suoi occhi, spalancati per la paura.
"La sorella"
"Recatevi qui appena possibile, grazie"
Sentiva il cuore che le pulsava il sangue nel petto, che le rimbombava nelle orecchie, impedendole di sentire alcunchè.
Aveva riattaccato, appoggiandosi al muro per raccogliere le forze e realizzare, prima di spiccare una corsa disperata al piano di sopra a informare la madre.
Un dottore era venuto verso di loro, facendole entrambe scattare in piedi all'istante, come due soldati davanti al caporale.
Non erano riuscite a formulare neppure una domanda.
"Ha appena superato un arresto cardiaco, ed ora è stabile. Purtroppo dalla risonanza magnetica si è evidenziata la presenza di un ematoma cerebrale, da tenere sotto controllo. Per questo motivo abbiamo proceduto alla sedazione farmatologica e invitiamo alla massima cautela"
La madre si era lasciata cadere sulle seggioline di plastica, una mano premuta sul cuore e i singhiozzi ormai intrattenibili.
"Mi dispiace"
Il dottore le aveva stretto la mano, prima di allontanarsi per la corsia, tutto affaccendato e curvo per le troppe ore di lavoro.
Avevano aspettato un' ora, un'ora intera, passata nel limbo, terra dei vivi e dei morti, per sapere così poco.
Non sapevano che l'attesa sarebbe diventata, da quella sera in poi, una costante della loro vita, che si sarebbe insinuata lentamente, subdolamente, come l'acqua che erode le montagne, dentro i loro cuori, rinchiudendole in una prigione a metà strada tra la speranza e la disperazione.
Intanto, come in una favola, Harry Styles, ignaro dei drammi che si svolgevano a pochi metri da lui, riposava in un lettino morbido e bianco, come la principessa vittima di un crudele incantesimo, condannata a un sonno lungo 100 anni che aspettava solo il bacio del suo bel principe, per svegliarsi.






Angolo Autrice *-*
Ho deciso dopo molto tempo e soddisfacenti recensioni positive, di continuare la storia :)
Vorrei quindi ringraziare larrjshug che era convinta che Harreh fosse morto (non istigare il mio angst please lol) maybepunky che è sotto shock e le ho fatto guadagnare almeno 2 anni di analisi, 2directioners, onedpassjon e OneDlover entrambe molto impazienti per il seguito e io le ho fatte attendere tipo tre mesi ( shame on me) la mia mogliettina Ellie che mi segue in trasferta ovunque (olè olè olè olèèèèèè olèèèèè olèèèèè XD) Vivian, Erica e Domenico ( che non so come abbreviarlo XD Dome? Nico? Meni? Mimmo?) che mi hanno spronato a far diventare questa FF da un OS a una long e quindi ve la dovete prendere con loro, My heart is broken che non ha idea di come questa FF andrà avanti, ma nemmeno io se è per questo, e Lola, che presto avrà le sue scene Larry, deve solo aspettare :)
Spero sarete soddisfatte da questo secondo capitolo e che recensirete nonostante il mio COLOSSALE ritardo.
#muchlove
Cami

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Capitolo 3
*** Beautiful Monster ***


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ollog La stanza, lunga e stretta, era illuminata malamente dalle finestre dotate di sbarre che lasciavano filtrare attraverso le tapparelle grige la luce che si rifletteva sulle pareti bianche e asettiche.
La moquette sul pavimento era macchiata, incrostata,  in alcuni punti appiccicosa o mancante, e in origine doveva essere stata di un bel blu elettrico.
Si, 40 anni fa... pensò amaramente Louis, mentre contemplava il suo castigo divino.
Sette relitti umani vegetavano nella stanza, aspettando la morte, accolta calorosamente come una vecchia amica che aveva iniziato a mietere genitori, parenti ed amici, e che prima o poi sarebbe venuta a reclamare anche loro, prodotti scaduti, emarginati nella società new age, anime testarde che portavano sulle spalle il fardello del passato, ogni anno più pesante, e che non accennava a alleggerirsi.
O meglio, non ancora.
Due vecchi giocavano a scacchi, muovendo i pezzi con le mani tremule e rinsecchite, i capillari rotti per via delle flebo e le vene evidenti sporgevano grottescamente su tutta la mano e parte del braccio, ricoperto da un triste pigiamino di flanella.
Altri due erano accasciati sul divano, come fiori avvizziti, lo sguardo vitreo fisso nel vuoto in direzione del televisore, spento, in un angolo a prendere polvere.
Forse erano morti.
Poi uno di loro, un ometto grasso e flaccido coi bermuda a righe tossì per due minuti buoni, sputando catarro nel suo fazzoletto stropicciato, tornando per un attimo alla vita prima di ridiscendere nel limbo.
Una donna, seduta per terra faceva correre due macchinine sulle gambe del tavolo, dove un'altra era seduta intenta nelle parole crociate, lisciando ossessivamente il foglio del giornale, come se stesse stirando un lenzuolo con delle pieghe.
L'ultima vecchia era seduta sulla sua carrozzella, spostata al sole, intenta a leggere un libro.
Mr Hales, Leighton, Phipps e Davis, e Mrs Bruce, Stowe e Carew.
Le sue sette torture.
Louis ascoltò distrattamente la caporeparto cianciare riguardo a qualcosa che avrebbe dovuto tenere a mente.
Notò nel riflesso degli occhiali scuri della donna, un esserino baffuto sulla cinquantina, abituata a far rigare dritto una squadra di 7 infermiere al lavoro e cinque figli e un marito a casa, che aveva il colletto della camicia storto.
Si affrettò a sistemarselo, esattamente come aveva fatto sua madre, nell'atrio di casa, una settimana prima.
Glielo aveva sistemato anche prima di scendere dall'auto, all'ingresso e affollato e caotico del tribunale e prima di entrare in aula.
Poi si era lisciata il tailleur preso in prestito da una delle sue amiche, non si ricordava quale, e aveva iniziato a sparare consigli a manetta, senza riprendere fiato tra una frase e l'altra, sistemandogli il ciuffo, la cravatta, di nuovo il colletto e poi via, tutto da capo.
Sembrava sicura di se, forte e determinata come sempre, ma le tremavano le mani e la voce diventava via via più incerta, mentre lanciava occhiate imploranti al loro legale di famiglia, il fratello di uno zio di nonsochì.
Louis registrava tutto ciò come un robot vuoto e senza ne sentimenti ne alcuna partecipazione o coinvolgimento col mondo esterno.
Mangiava, dormiva, respirava, quella mattina si era alzato, aveva forzato giù per la sua gola mezzo pancake, si era lavato, vestito come un pinguino, col completo che sua madre aveva comprato mesi prima per il funerale del Signor Barney, il loro ex dirimpettaio, era salito in macchina, ed era lì in quel momento, ma era come se non ci fosse.
Non parlava, a meno che non gli si venisse espressamente rivolta la parola con insistenza, non mangiava se sua madre non lo esortava a farlo, sarebbe restato tutto il giorno a letto se non lo avessero costretto ad andare a scuola, dove si limitava a trascinarsi da una classe all'altra e a sedersi nel banco fissando il vuoto, dentro e al di fuori  di lui.
Si sentiva come immerso in una piscina, dove sott'acqua è tutto ovattato e irreale, la percezione è alterata, tutto sembra statico, immobile, pesante, e si fa fatica a respirare.
Si era alzato quando sua madre gli aveva rifilato una gomitata, avvertendolo che il giudice era entrato, e si era seduto quando lei lo aveva tirato violentemente per la manica.
Quando aveva dovuto dare la sua deposizione aveva barcollato come uno zombie fino al banco degli imputati, pronunciando il giuramento sulla Bibbia con voce distaccata, monotona, apatica, morta.
Aveva risposto, non sapeva neanche lui come, alle domande del giudice, e poi si era riseduto al suo posto, mentre iniziava la zuffa tra avvocati.
Poi sua madre gli aveva stretto fortissimo la mano, e nella sua testa erano rimbombate le parole del giudice "Lavori socialmente utili..." e sua madre si era messa a piangere e l'aveva abbracciato forte, inondadogli tutta la camicia di trucco.
E adesso si trovava lì, a svolgere le sue 1488 ore di lavori socialmente utili, nel reparto di geriatria del St Barbara Hospital.
1488 ore erano pressochè 62 giorni.
Ovvero due mesi.
Calcolando che avrebbe lavorato tutti i giorni dalle 2.00 alle 18.00, la sua punizione divina sarebbe durata 372 giorni.
Più di un anno.
Precisamente un anno ed otto giorni.
E mentre la caposala gli allungava brusca una divisa sterile di un bianco stinto e delle ciabatte di gomma che avevano visto tempi migliori, mostrandogli dove poteva cambiarsi, Louis contemplava con orrore l'immensità della pena che giustamente doveva scontare, che si stagliava infinita davanti a lui, oscura e profonda come la notte nei vicoli bui.




Era stato un disastro.
Louis sapeva che i primi giorni possono essere lievemente traumatizzanti, ma quelle 4 ore erano state le più brutte della sua vita, più brutte del divorzio dei suoi, a parimerito col suo primo giorno di scuola alla Bennett High e quasi orribili come l'incidente.
Mr Phipps, che soffriva di una gastrite cronica, non si era disturbato ad alzarsi e aveva scaricato esattamente dove si trovava, ovvero seduto sul divano, davanti alla TV.
E Louis, infermiere alle prime armi, indossante la divisa da neanche un ora, era sprovvisto di guanti.
In più la postazione delle sue colleghe, che avrebbero dovuto sorvegliarlo, era deserta.
2.45, pausa caffè.
Maledette zoccole.
Aveva dovuto sollevare di peso la mole del vecchio, che di certo non era un fuscello, trasportarlo nel bagno, svestirlo ( con suo grande imbarazzo) lavarlo e rimetterlo a letto.
Poi era tornato nello stanzino ricreativo, e armato di coraggio e di uno spazzettone aveva ripulito, come poteva, la moquette e il divano, prima di spruzzare il deodorante per ambiente recuperato nell'armadio dei detersivi.
Si era consolatopensando che il peggio fosse passato, invece non sapeva che era appena iniziato...
Era stato incaricato dalle sue supervisori, rese ancor più acide dalla caffeina, di preparare i pazienti per la cena ( alle 16.45!) e servir loro quella sbobba liquida e inconsistente che chiamavano cibo, così aveva accompagnato i vecchietti nella sala mensa, mettendo a ciascuno delle bavaglie pulite, somministrando la terapia pre pasto o  l'insulina a chi ne necessitava, aveva apparecchiato con piattini sbeccati e con aloni giallastri, posate spaiate e tovagliolini lisi e di colori diversi, prima di impilare tutte le scodelle sbeccate su un vassoio e portarle alla cuoca che aveva provveduto a riempirle con un mestolo d' alluminio incrostato di sostanze non identificabili fino a farle traboccare, prima di restituirgliele pronte da mettere in tavola per i pazienti.
Fino a quel momento Louis era molto soddisfatto di se' stesso, ma bastò varcare per la seconda volta la soglia della mensa per cambiare idea, gettando il ragazzo
nella disperazione più pura: Mrs Bruce piangeva e si lamentava a gran voce, coprendosi la bocca con le mani e scalciando come una forsennata a destra e a sinitra nel tentativo di alzarsi.
- Che cos'è successo?- aveva chiesto il ragazzo, meravigliandosi di sentire la sua voce stupita e turbata, al posto della solita patina apatica che gli appiccicava la lingua al palato, regalandogli una cadenza strascicata.
- Le è caduta la dentiera- aveva sbuffato noncurante e completamente indifferente Mr Hales, tamburellando impaziente le dita sul tavolo prima di sbottare:
- Allora? Cosa devo fare per mangiare un pasto decente, morire?!-
- Mi sa dire dove è caduta, Mrs Bruce?- aveva chiesto gentilmente il ragazzo, appoggiando la mano sulla spalla ossuta della donna, cercando di calmarla.
- Si vergogna- aveva riso maligna la sua vicina di tavolo, Mrs Carew - Si vergogna perchè non vuole farsi vedere da un bel ragazzo come te senza dentiera, perchè non vuole sembrare una vecchia carampana, ma lo è, non può farci niente!-
- Dov'è caduta la dentiera?- aveva quasi urlato Louis, esasperato.
La vecchina aveva indicato un punto imprecisato sotto il tavolo, e il ragazzo aveva scorto qualcosa di biancastro, viscido e bavoso che impregnava la moquette.
Aveva sospirato.
Era proprio scemo, non aveva imparato niente dai suoi errori...
Ancora una volta era senza guanti.
Una volta recuperata la dentatura di Mrs Bruce, di averla accuratamente sciacquata nel lavello sotto fiotti di litri e litri di acqua corrente, con un sorriso maniacale in faccia per rassicurare la vecchia signora e per far crepare l'altra di invidia, Louis credeva di aver superato la prova peggiore.
Le infermiere avevano distrubuito le scodelle, sedando le rumorose proteste di Mr Hales, che finalmente, con la bocca piena, taceva, e Mrs Bruce gli aveva sorriso riconoscente una volta rimessa a posto la dentiera, e aveva afferrato il cucchiaino, iniziando a mangiare di buona lena.
Era sucesso tutto in un attimo: Mr Hales mangiava troppo in fretta, e un boccone gli era andato di traverso facendolo quasi soffocare.
Il ragazzo era accorso in suo aiuto.
Il vecchio si era alzato, puntellandosi sul tavolo, la faccia cianotica e le labbra viola.
Si era portato le mani allo stomaco, premendole sul pancione flaccido.
E aveva vomitato la sbobba liquida e verdognola, quella che aveva tanta fretta di mangiare, centrando in pieno Louis, ancora intento nell'atto di accorrere in suo aiuto.
Le sue supervisori avevano iniziato a strillare, isteriche, tanto che era accorsa perfino la caporeparto, il camice abbottonato storto nella fretta e la crocchia che cedeva lentamente alla gravità, proprio in quel momento la donna iniziava il turno, che si rivelava poco promettente e difficoltoso.
- Cosa diavolo è successo?- aveva ululato, cercando di sovrastare gli ultrasuoni delle sue sottoposte, che si agitavano ancora, squittendo ininterrottamente.
- Va a lavarti- gli aveva sbraitato addosso, irritata dalla confusione - Al piano di sotto, nell'ala sud ci sono le docce e gli spogliatoi. Troverai le divise pulite impilate vicino agli armadietti. Hai 5 minuti, Tomlinson, e non ti lascerò andare a casa finchè non avrai pulito questo disastro!-






Il getto dell' acqua gli scorreva piano sul corpo, facendogli venire i brividi.
Pure le docce facevano schifo: erano un cubicolo da nemmeno un metro quadrato per un metro quadrato, con il bocchettone dell'acqua arrugginito e che perdeva, il portasapone infisso alle piastrelle blu scivolose del muro era quasi vuoto e in più la tenda che garantiva la sua intimità, separandolo dal resto del mondo guardone, svolazzava in maniera irritante.
Aveva appoggiato la mano sulle pareti umide, dove schizzi di shampoo e gocce d'acqua facevano una gara di velocità verso il basso.
Era stata proprio una giornata di merda.
Era un fallito, un idiota incapace perfino di resistere più di un giorno con un lavoro vero, esattamente come suo padre, quello biologico, tanto odiato da sua madre che glielo aveva fatto odiare a sua volta.
Ma d'altronde tale padre tale figlio, due scansafatiche, mangiapane ad ufo, pigri parassiti opportunisti e soprattutto perdenti.
"Perdente... perdente... perdente"
Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentirli, quelli della Bennet High, il suo primo giorno di scuola...
All'inizio lo avevano ignorato, e gli andava bene così, davvero.
Sedeva in fondo alla classe, studiava in biblioteca e qualche volta ci pranzava pure , dal momento  che gli scocciava sedersi in mensa tutto solo, come un ritardato, uno sfigato senza amici.
Lui di amici ne aveva, nella sua vecchia scuola era molto popolare.
Peccato che suo padre avesse deciso di rovinargli la vita.
Poi un mattino, tutto d'improvviso, prima che la lezione di algebra iniziasse, un ragazzo alto e smilzo si era staccato dal gruppetto che stava allegramente spettegolando e si era lasciato sedere nella sedia affianco alla sua.
- Posso? - aveva chiesto sorridendo e soffiandosi via il ciuffo dal viso.
- Uhm... Certo- aveva risposto Louis, con un attimo di esitazione.
Non gli piaceva il suo sorriso, era unticcio, arido... era decisamente falso.
- Perchè te ne stai sempre da solo?-
Il ragazzo ci aveva pensato un attimo.
- Sono nuovo, non conosco nessuno, e non voglio imporre la mia presenza agli altri-
Tutti avevano smesso di parlare, e li fissavano dissimulando malamente il loro bruciante interesse per la loro conversazione.
- Quindi in sintesi... Non hai amici e non ne vuoi?-
Louis si era stretto le spalle, non sapendo cosa rispondere: se avesse detto di no avrebbe fatto la figura del ragazzo altezzoso e snob con la puzza sotto il naso, ma se avesse detto di si sarebbe suonato come un patetico sfigato.
Così aveva trovato una via di mezzo, dopotutto non si dice "la miglior difesa è l'attacco"?
- Come mai tutte 'ste domande? Vuoi immolarti come volontario?-
Il sorriso del ragazzo si era allargato sulla faccia larga e molle.
- Non credo, amico... Gli esemplari di emo non rientrano nelle mie abituali frequentazioni-
Avrebbe voluto rispondere, ma era rimasto letteralmente spiazzato e in più l'insegnante era entrata riportando l'ordine e il silenzio nella classe.
Lui emo?
Louis si era nervosamente spostato il ciuffo dagli occhi, cercando di riprendere il controllo di se stesso.
Proprio il suo taglio di capelli aveva "tratto in errore" i suoi compagni: aveva sempre avuto la frangia, di solito portata di lato per permettergli di vedere meglio, e non molto lunga perchè non lo intralciasse troppo.
Man mano il tempo passava, man mano cresceva, e tra un divorzio, un trasloco e una nuova scuola, la sua parucchiera personale, sua madre, non aveva avuto il tempo per sistemargliela, ne i soldi per far fare il lavoro ad altri.
Così, dopo quello spiacevole inconveniente il ragazzo aveva deciso di farsi tagliare i capelli da sua sorella, dopo cena, seduto sul bordo della vasca per colmare la differenza di altezza, con un paio di forbici di fortuna che seminavano ciocche marroni sul tappetino del bagno.
Il risultato finale non era male, ma se Louis credeva di aver sistemato la faccenda si sbagliava di grosso: era solo all'inizio.
Le voci sul suo conto non si erano spente, anzi si erano amplificate creando un crudele coro, che lo perseguitava nei corridoi, nelle aule, in mensa, additandolo, spingendolo contro gli armadietti, rubandogli i libri e imbrattando i suoi averi.
Poi qualcuno della sua vecchia scuola aveva cantato, disseppellendo la storia del campo da rugby e del tabellone segnapunti.
E così dagli assalti psicologici che lo lasciavano irritato e frustrato, erano passati a quelli sul piano fisico, prendendo come scusa il fatto che era "una checca che doveva imparare la lezione" che prevedeva un incontro riavvicinato del terzo tipo con l'intera squadra di football, riserve comprese, nello spogliatoio maschile dopo l'ora di ginnastica.
" Perdente... Perdente... Perdente"
Le voci dei giocatori, distorte dall'eco che le rendeva ancor più mostruose, risuonavano tra le pareti delle docce, esattamente come in quel momento rimbombava il rumore dell'acqua che scorreva sulla sua pelle, o dell'anta dell'armadio pieno di divise che aperta con troppo vigore sbatteva contro il muro,  o il rumore della sua rotula che accidentalmente sbatteva contro la panca al centro del corridoio, provocando un fiume di imprecazioni  che aveva fatto tremare lo specchio appannato sopra il lavello.
Louis indossando una divisa pulita, macchiata solo dai capelli gocciolanti che testimoniavano l'assenza di phon funzionanti, sgusciò furtivamente fuori dal bagno, cercando di seppellire in un angolo della sua mente quei ricordi dolorosi: mancava quasi un ora prima della fine del suo turno, e lui non aveva di certo intenzione di trascorrerla moppando il maleodorante vomito di un vecchio ingordo che non sapeva neanche stare a tavola.
Così si era incamminato più svelto che poteva nella direzione opposta dalla quale era venuto, imboccando corridoi a caso: destra, attraverso una porta a vetri, sinistra, destra, giù di due gradini, ascensore fino al quinto piano, destra, destra, sinistra e attraverso un'altra porta a vetri.
Solo quando fu certo di aver messo abbastanza distanza tra lui e il vomito di Mr Hales, si era azzardato a fermarsi, appoggiandosi contro una parete per riprendere fiato e cogliendo l'occasione per guardarsi attorno e capire dove era capitato.
Era finito in un corridoio bianco ed estremamente lungo, illuminato dalla luce giallastra delle lampade al neon ancorate al soffitto basso e dagli ultimi raggi del sole che macchiavano tutto d'arancio, intrufolandosi nell'ospedale dalla grande vetrata in fondo all'atrio.
Una volta calmato il battito cardiaco, Louis si era alzato, incamminandosi proprio verso la grande finestra, dalla quale scorgeva il parcheggio delle ambulanze, la strada deserta e più in la' gli edifici della città e l'orizzonte dentro il quale il sole stava annegando.
A disagio, si era fermato dopo qualche metro: era come correre e fare osceni schiamazzi in un imponente cattedrale deserta, il rumore dei suoi passi rimbombava rimbalzando sulle pareti e le piastrelle del corridoio, inducendolo a camminare in punta di piedi ed ad affacciarsi nelle stanze per assicurarsi di non aver disturbato nessuno.
La prima stanza alla sua sinistra era vuota, il materasso crudo e spoglio era privo di lenzuola e del cuscino.
Aveva allora rivolto l'attenzione alla porta alla sua destra, varcando la soglia con passo incerto, notando appena la svolazzante e voluminosa cartella clinica appesa fuori dalla porta bianca, su cui troneggiava il numero 17, stampato con un nero così scuro da risultare psichedelico in mezzo a tutto quel candore.
In mezzo al locale troneggiava un solo letto, circondato da macchinari imponenti che emettevano inquietanti rumori, con i monitor riempiti di righe, numeri e pulsazioni segnalate da un acuto e penetrante "bip".
I cavi del monitor s'intrecciavano sul pavimento, facendo e disfacendo infiniti nodi per poi ingarbugliarsi di nuovo, confluendo con i tubicini della flebo,  per risalire sul letto dove erano collegati a un corpo, spezzato e rattappito, che giaceva mollemente tra le lenzuola.
Sembrava una mummia, un alieno proveniente da un altro pianeta capitato per sbaglio tra le mura di quella stanza: la parte superiore della testa era avvolta da  spesse bende, che mascheravano l'assenza di capelli ma che lasciavano scoperti gli ematomi sul lato sinistro del viso, la pelle tirata sopra l'estesa echimosi così scura da apparire nero-bluastra, e l'occhio sinistro con la palpebra così gonfia da raddoppiare la grandezza dell'altra.
Una maschera per l'ossigeno gli copriva le labbra, anch'esse sfigurate da svariati punti di sutura, permettendogli di respirare, tenendolo in vita, confinandolo nel limbo, in una condizione ne' di vita ne' di morte.
Louis aveva sfilato la cartella ospedaliera appesa al letto tramite un sostegno di plastica, per soddisfare la sua cocente curiosità su cosa potesse essere la patologia che affliggeva quella sottospecie di mostro.
Aveva letto il nome stampato sul frontespizio del referto medico, un plico di fogli giallastri gonfio di lastre, risultati di analisi, prelievi, elettrocardiogrammi...



Harry Styles




I fogli erano caduti sul pavimento, frusciando furiosi.
Harry Styles, il ragazzo che aveva investito.
Il ragazzo che aveva quasi ammazzato.
Era lì, in quel letto, i polmoni forzati a respirare, il cuore a battere, cercando brutalmente di recuperare in extremis la vita che Louis gli aveva brutalmente strappato.
Era corso via, in preda alla paura nel constatare coi suoi stessi occhi le conseguenze della sua scelleratezza, sfrecciando per i corridoi, come fuggendo da un terribile pericolo, da tutto l'orrore che aveva causato per una bravata, una ragazzata che aveva stroncato la vita di un altro ragazzino, rovinandolo per sempre.
Ma l'unico pericolo da cui fuggire era se stesso.
E lui, per quanto avrebbe corso, non sarebbe mai stato in salvo.
Meritava di stare dove stava, meritava di raccogliere merda e spalare vomito, di sudare sangue e  di bruciare all'inferno il resto della sua vita se questo significava  espiare la propria colpa, fare ammenda delle sue azioni e tenere gli altri al riparo dall'orco che c'era in lui.
Ma forse nel caso di Harry Styles era troppo tardi.
E qualche ora dopo, mentre moppava il pavimento della sala mensa del St Barbara Hospital un pensiero fulminò Louis lasciandolo svuotato come una lampadina che si spegne: si chiese che cosa sarebbe successo all'altro ragazzo, con la sua macabra immagine di morte imminente che dardeggiava nella sua mente come una saetta durante il temporale, tormentandolo senza dargli pace.
E Louis si domandò se non fosse il caso di tirar fuori dalla gruccia dell'armadio il vestito buono comprato per il signor Barney.
 






Angolo Finny *-*
Buonsaaaaalve a tutti :)
Credevate di essermi liberata di me, ero?
NON CI RIUSCIRETE MAI HAHAHAHAHAHAHA
E visto che ho ritardato molto ho scritto un capitolonr lungo lungo che spero soddisfi tutti quanti :)
Vorrei veramente ringraziarvi dal profondo del mio cuoricino pieno di feelings (?)
perchè solo due capitoli hanno già 38 recensioni, tutte positive, e questo significa tanto per me...
Molte bravissime scrittrici sono passate a leggere, e quasi me ne vergogno perhè questo qui è un 'coso' in fase sperimentale, un os che sta diventando una long e non si capisce bene cosa sia :)
Vorrei quindi ringraziarvi una a una partendo da Erica, che mi segue sempre e comunque da tempo immemore, come Ilaria ( sia la numero 1 sia la numero 2) che si è scottata in spiaggia diventando color Malik con sfumature di 'Horan alle audizioni di X Factor' mentre  lanche la number 2 mi ha seguito recentemente anche qui, e davvero la amo per questo perchè Love Liar sta finendo e io non voglio perdere tutte le meravigliose persone che ho conosciuto fino ad adesso, Ellie, la mia moglietina che balla la ola sul divano perchè Harry è vivo ( della serie #sputtaniamoci e comunque non è detto che resterà vivo a lungo... MUHAHAHAHAHA)
 larrjshug, che nonostante l'estenuante attesa di tre mesi o più è rimasta fedele ad aspettarmi ( grazie *w*) Ely che nella recensione scrive che mi farebbe una statua per aver continuato, bhe, io ti farei una statua per aver recensito!!!
Maple che si scambia di posto con Gemma e si fa filmini mentali deprimentissimi, rovinandosi la pizza che l'aspetta, Evelyn_25 che sta in pena per il suo Haroldo ma io che c'è posso fa se Louis è un tamberlo? #sempredarelacolpaaglialtrineh
Nialler is mine_Maj che farebbe resuscitare Harry con una seduta spiritica di magia nera solo per avere momenti Larry ( e non la biasimo) Nora, la mia teatrante, anche lei reduce da Love Liar, che si ritrova catapultata in una FF  completamente diversa che spero le piaccia lo stesso, zaynholdme a cui faccio le condoglianze per il suo amico morto come Harry lo scorso dicembre :(
Row che è perdonato per le sue recensioni lampo ma solo perchè è sotto esame, ohana__ che come me capisce l'espediente di Harry 14enne ( un detto inglese dice "Great minds thinks alike" hahahahahaha) loudasmyheart, che spero di poter chiamare dada, che mi regala l'onore di leggere la mia larry, nonostante non ne legga molte, Iris che finalmente è tornata tra noi * alleluia, alleluia, aalleluiaaaaaaaa* e che ha già comperato il vestito per il matrimonio dei Larry in Francia, dove noi faremo le damigelle d'onore :3, Ele ( o givemejames, dipende se posso chiamarla col nome di battesiomo o meno) che dice che la mia umile, modesta, bazzecola FF è meglio della sua Os.
Come direbbe la mia prof di filosofia "Giammai!"
E ultime, ma non meno importanti daceyx, le cui recensioni sono ( come le ho già detto) uno dei motivi per cui continuo a intasare il fandom,  e tommoshorts che un giorno si esibirà su un palco tutto suo, e io sarò li sotto con la maglia "Fan Number 1"...
E sarà la verità!! Le altre tutte BM!!!
Spero di non aver dimenticato nessuno, perchè ci tengo davvero a ringraziare tutti, quindi Grazie grazie grazie grazie e al prossimo capitolo, se ci sarete ancora.
#muchlove
Finny










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Capitolo 4
*** The Weight To Be Living ***


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4. The Weight To Be Living









Dopo mezza settimana di lavoro socialmente utile presso il reparto geriatrico, Louis Tomlinson giunse a comprendere una delle più sconvolgenti e scottanti verità su cui si fondava l'universo: non esistono vecchietti buoni e gentili.
Le fiabe mentono.
Babbo Natale mente.
Il nonno di Heidi mente.
La verità è che i vecchi e storditi pazienti del reparto di lungo degenza del St Barbara Hospital erano subdoli, meschini, approffittatori, ingordi, egoisti, egocentrici e doppiogiochisti.
E inoltre comportavano un carico di mansioni decisamente disgustoso e spiacevole, come raccattare dentiere dal pavimento, spalare vomito/merda, raccogliere in appositi contenitori vomito/merda che in seguito sarebbe stata analizzata, somministrare clisteri mattutini, pomeridiani e serali, affrontarne le conseguenze, e praticare frequentemente iniezioni che ti esponevano alla vista di parti del corpo vecchie, rugose e decadenti che ti lasciavano scosso e tremante per il resto della giornata.
Louis odiava quel lavoro.
Non ne combinava mai una giusta, non faceva altro che far cadere flaconi, ciotole,  soluzioni e bicchieri per terra, dimenticarsi delle medicine di un paziente, montare al contrario la piantana della flebo, inciampare nei cavi dei monitor, rischiando di farli cadere tutti per terra e frantumarli in mille pezzi, faceva cadere a terra i ferri sterili, che dovevano essere di nuovo sterilizzati...
Le infermiere sbuffavano in silenzio, risentite dalla sua presenza, dal momento che più che una risorsa da sfruttare per rendere a loro il lavoro meno pesante, era un fardello imbranato che gravava ulteriormente sulle loro spalle.
E il ragazzo continuava a sbagliare e a combinare danni, non potendo far nulla per combattere la sua sbadataggine e la sua incapacità.
Lasciava cadere tutto quello che aveva per le mani, sobbalzando, appena sentiva il penetrante suono dell'ambulanza rieccheggiare per la strada, il rumore concitato delle voci e dei passi frettolosi delle infermiere che sospingevano le barelle verso la rianimazione gli faceva venire i crampi allo stomaco, e la sola vista del sangue violenti capogiri.
Non ci poteva fare nulla.
E ogni volta, appena abbassava la guardia, nella sua testa dardeggiava l'immagine spaventosa di due occhi verdi spalancati verso il cielo, freddi, immobili, nonostante il sangue caldo e rosso che scorreva dalla fronte fino alle palpebre, inzuppando gli zigomi, il mento, il bavero e le mani degli infermieri che lo tenevano sulla barella.
E spesso, un in un angolo della sua mente rieccheggiava il rumore martellante del monitor, mentre tra i suoi pensieri riaffiorava un viso deforme, gonfio e bluastro, nascosto dalle bende come le mummie nei film dell'orrore.
E Louis non trovava pace: non riusciva a mangiare, e quando sua madre a cena aveva portato in tavolo la bistecca al sangue come secondo, il suo stomaco si era ribellato e lui aveva passato il resto della serata chiuso nel bagno a vomitare, non riusciva a dormire, e ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva le luci d'emergenza dell'ambulanza riflettersi sulle lamiere dell'utilitaria di sua madre, creando una luce così forte da ferirgli gli occhi e restare per sempre impressa nella sua memoria.
La cosa che più lo spaventava era il fatto che si ricordava poco o nulla dell'incidente, solo  una serie di immagini sfocate  e confuse che non rispettavano la sequenza temporale delle sue azioni.
Il suo cervello era come un groviera: molle e pieno di buchi.
Aveva quasi ucciso una persona, perdio! Come cazzo faceva a non ricordarsi di una cosa tanto importante?
Cercava di recuperare tutte le tessere del puzzle, sforzandosi di mettere a fuoco ogni dettaglio, ogni singolo particolare che lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio, più umano, meno estraneo, in modo da alleviare il senso di colpa e ritornare ad essere se stesso.
Questo compito assorbiva tutte le energie, già limitate a causa della mancanza di appetito e di sonno, e Louis si ritrovava a vagare nei corridoi della sua scuola come un morto vivente, il viso scavato, le occhiaie violacee, il colorito giallastro e gli occhi vitrei persi nel vuoto nero e cupo della lavagna.
Presenziava a tutte le lezioni, immobile e muto come un automa, fingendo di seguire le spiegazioni e di essere interessato agli argomenti trattati, ma in realtà cercava con tutte le sue forze di dare un senso a quello che era accaduto, alla stronzata che aveva combinato per un capriccio immaturo che adesso si ripercuoteva irreparabilmente sulla vita di un altro ragazzo come lui, che andava a scuola, aveva una famiglia, degli amici, un futuro che era stato spazzato via, per colpa sua.
Durante un ora di biologia particolarmente infruttuosa, mentre lasciava vagare la mente a briglia sciolta il ragazzo era stato catapultato indietro fino a quella tragica sera.
Era in macchina, le mani sudaticce che stringevano il volante, la radio che gracchiava stonata una melodia che non riusciva a focalizzare, gli occhi pesanti e confusi dalle birre che si era stupidamente scolato fissi sulla strada inghiottita dal buio.
E poi, d'improvviso la luce degli abbaglianti aveva illuminato qualcosa.
Un viso di un bianco spettrale.
Due occhi chiari che fendevano l'oscurità.
Louis aveva sentito un crampo allo stomaco, incapace di reagire.
Non si ricordava se aveva tentato di frenare o meno, se aveva provato a sterzare o a spegnere il motore.
Era troppo tardi.
Si era quasi sentito male quel giorno, durante l'ora di biologia, e una nuova ossessione si era accesa nella sua mente, come un fuoco che arde la legna e che nemmano il temporale più violento poteva spegnere: ora sapeva che l'aveva visto, aveva visto Harry Styles davanti a se, ma doveva sapere se aveva provato a salvarlo.
Solo quello, si convinse, gli avrebbe ridato la pace.
Doveva sapere cosa gli aveva fatto, come e se avrebbe potuto evitarlo, se ci aveva già provato e perchè aveva fallito.
Era l'unico modo per riavere indietro se stesso e la sua vecchia vita.
E l'unico modo per raggiungere la sua meta era nascosto in un plico di referti medici nella stanza 17 del reparto di rianimazione dell'ospedale di St Barbara.




Destra, attraverso una porta a vetri, sinistra, destra, giù di due gradini, ascensore fino al quinto piano, destra, destra, sinistra e attraverso una porta a vetri.
Puoi farcela Louis, si disse il ragazzo, accelerando il passo per darsi coraggio, la terza volta è sempre quella buona...
Era un quarto d'ora che cercava disperatamente di trovare il coraggio di entrare nella stanza dove era ricoverato Harry Styles.
Da quano aveva avuto quel flash a biologia, la sua cartella clinica era diventata il suo chiodo fisso.
Nella sua mente, il fatto che avesse tentato di salvarlo o meno faceva una sostanziale differenza: il Louis Tomlinson che pensava di essere avrebbe cercato in tutti i modi di evitare il ragazzo, lo sconosciuto che temeva di essere diventato invece no.
E lui voleva sapere chi era in realtà.
Era sempre lui?
O si era trasformato in un perfetto estraneo, un mostro, senza neanche accorgersene?
La spinta all'azione gli era scattata durante il suo turno, dopo che Mr Hales gli aveva deliberatamente sputato in faccia, in un attacco di "demenza senile" ( o come il ragazzo aveva strillato prima di lasciare il reparto geriatrico "stronzaggine acuta") caricandolo di rabbia e frustrazione repressa, che lo avevano riempito di adrenalina, purtroppo sfumata non appena si era trovato davanti alla porta della Rianimazione.
E così aveva rifatto il giro un'altra volta, è un'altra volta ancora, ma quella volta era determinato ad entrare.
Il ragazzo accelerò il passo, bloccandosi sulla soglia della numero 17, spiando dallo spiraglio.
Qualcosa lo fermò.
Dall'interno proveniva una voce femminile, che rimbalzava sulle pareti bianche, diffondendosi anche in corridoio.
"Ho dovuto imparare! Adesso sono capace. Mi sento un genio " la voce era stranamente allegra, stonando dal contesto cupo e austero dell'ospedale " E' successo l'altra sera... Eravamo a tavola mamma e io, e a metà del primo si è fulminata la lampadina! Eravamo nel panico, era tutto buio e noi continuavamo a chiederci come avremmo fatto senza l'uomo di casa..."
Nella stanza era caduto un silenzio scomodo, che aveva messo Louis, ancora in ascolto dalla soglia, molto a disagio, così tanto da mozzargli il fiato nel petto, costringendolo a girare i tacchi e a sparire in silenzio, così come era venuto, mentre nel corridoio il pianto disperato e senza speranza della ragazza lacerava il cuore:
"Mi manchi così tanto..."




Era passata mezz'ora, e la pazienza di Louis si stava lentamente esaurendo: una volta tornato indietro dalla sua "passeggiata" aveva scoperto che, durante la sua assenza, Mrs Bruce aveva strappato le pagine del libro che Mrs Stowe, l'unica che non dava mai problemi, stava leggendo, prima di forzarle giù nello scarico del bagno.
E in men che non si dica il ragazzo si era trovato in ginocchio nel cubicolo puzzolente con una ventosa sturacessi in mano, cercando di liberare l'impianto idraulico dal tappo di pagine di carta appallottolate chissàdove nel tubo di scarico.
Ottimo.
Gli facevano male le braccia a furia di spingere e tirare, ma non si era perso d'animo, e aveva provato a rompere il ghiaccio con l'anziana donna, che appoggiata al lavello attendeva di riavere il suo ormai inutilizzabile libro, inevitabilmente destinato a essere gettato nell'immondizia.
"Cosa ho l'onore di star sturando?" aveva chiesto sarcastico il ragazzo, soffiandosi il ciuffo sudato via dalla faccia.
" L'Amleto di Shakespeare"
Louis aveva sbuffato.
L'anziana signora l'aveva guardato male al di sotto degli occhiali a mezzaluna con la montatura dorata.
"L'hai già letto?"
" No, ma posso immaginarmi il genere"
"Mai giudicare il libro dalla copertina"
Il ragazzo non voleva che la conversazione finisse e che la donna rimanesse in silenzio, perchè avrebbe inevitabilmente pensato a Harry Styles, e al pianto della ragazza che aveva imparato a cambiare da sola le lampadine fulminate, alla madre, che metteva in tavola solo due piatti e lasciava un capo della tavola religiosamente vuoto, in modo che lui riprendesse il suo posto al ritorno e che tutto tornasse come prima, così aveva buttato lì, con tono annoiato:
" E di cosa parla?"
" E'... Difficile dirlo.  In sostanza, Amleto è un adolescente. Ha certi... Desideri, ma non ha le palle per alzarsi e combattere per ottenerli. Così finisce per impazzire e si masturba su Ofelia finendo col diventare così noioso che qualcuno deve ucciderlo"
Era arrossito, sorpreso dal linguaggio volgare della donna, all'apparenza rispettabile e decisamente all'antica.
" E tu, giovanotto, hai le palle per raggiungere i tuoi desideri?" aveva continuato la vecchia, incurante del suo silenzio.
" Non ne ho"
" Neanche uno?"
"No"
"Male, molto molto male ragazzo. Senza l'ambizione nella vita non si va da nessuna parte"
"Appunto "
Sentiva lo sguardo azzurrino di Mrs Stowe sulla nuca.
Quella conversazione non gli piaceva per niente.
"Dovresti, invece. E dovresti anche leggere quel libro"
"Dubito che dopo questo imprevisto si riuscirà a leggere qualcosa"
" E' un romanzo di formazione, di crescita. Essere o non essere, vivere o non vivere, agire o non agire. Restare se stessi, o cambiare. Crescere.
Tu cosa faresti, Louis Tomlinson? Confermeresti quello che sei, coerentemente ai tuoi ideali, o ti spingeresti verso mete inesplorate, rischiando di capire chi sei realmente?"
Il ragazzo non rispose, limitandosi a sforzare i muscoli portandoli al limite, fino a farsi male, riuscendo finalmente a liberare lo scarico, che iniziò a perdere acqua, inondando velocemente il pavimento del bagno, sotto la porta, nella saletta e nelle camere.
"Cosa diavolo sta succedendo?!"
Le infermiere accorsero subito,  trovandolo con un' aria colpevole stampata in faccia e la ventosa ancora in mano, iniziando a inveire contro di lui.
La caposala fece la sua comparsa, strillando e sputacchiando saliva da tutte le parti mentre si sfogava si di lui, investendolo con una bella ramanzina, potente come un ciclone.
Lò spedì a cambiarsi i pantaloni, zuppi dal ginocchio in giù.
Fu in quel momento, solo nello spogliatoio come il primo giorno al reparto, che decise che voleva agire, vivere, capire chi era realmente, se si conosceva ancora oppure era diventato uno sconosciuto.
Era lo stesso Louis di un mese fa?
Lo stesso ragazzo allegro e solare con una mamma e un papà che stravedevano per lui, amandolo più di ogni cosa al mondo?
Lo stesso bambino che da piccolo giocava in piazza a calcetto con gli amici in estate e che passeggiava tenendo la mano alla nonna, divertendosi a sfamare i piccioni?
Quello stesso Louis che "per darsi un tono" aveva iniziato a fumare erba davanti alla scuola?
La stessa persona che si era tatuata una bussola sul braccio, sperando gli indicasse la via?
O che nonostante l'esplicito 'no' della madre, si era fatto un piercing al labbro?
No.
Non sapeva più chi era.
Si mise a correre.
Conosceva la strada.
Destra, attraverso una porta a vetri, sinistra, destra, giù di due gradini, ascensore fino al quinto piano, destra, destra, sinistra e attraverso un'altra porta a vetri.
Mentre svoltava nel reparto vide sparire nella luce chiara che filtrava dalle vetrate dietro l'angolo del corridoio una ragazza mora, alta, con l'andatura grave, le spalle curve, la testa china e un fazzolettino di carta sporco di rimmel in mano.
Questo poteva voler dire solo una cosa...
Via libera.
Il ragazzo respirò profondamente, come a garantirsi una riserva di ossigeno pulito, prima di abbassare dolcemente la maniglia di acciaio della numero 17, scivolare dentro e chiudersi la porta alle spalle.






" Uhm... Ciao"
Era così stupido parlare con quel fagotto di bende e flebo che vegetava sul letto, ma in quel momento, in quella stanza tagliata fuori dal mondo e dal tempo, gli sembrava la cosa migliore da fare.
Forse doveva essere internato anche lui.
Tutto era pressocchè uguale dalla sua ultima visita: il groviglio di flebo, il rumore estenuante dei monitor, il candore delle bende, forse più bianche rispetto all'altra volta.
Probabilmente erano state cambiate.
"Ciao" ripetè nervosamente Louis " Sono... sono quello dell'altra volta, mi spiace disturbare"
Ovviamente nessuna risposta.
Il ragazzo aveva male alla gola: dopo l'incidente si era chiuso nel mutismo più assoluto.
Le sue sorelle avevano quasi paura di lui, e piuttosto che chiedergli di passare il sale in tavola si alzavano e facevano il giro della stanza, di amici non ne aveva, e in quel momento non  ne voleva neanche, e suo padre e sua madre non gli parlavano, troppo delusi dal suo comportamento.
E lui era troppo stanco per fargli notare che se agiva in un certo modo era solo colpa loro e dei loro errori, che gli avevano rovinato la vita.
Parlare al vuoto più assoluto, a quel bozzolo di coperte che era vivo per intercessione divina lo faceva sentire allo stesso tempo strano e normale, nonostante la rauchezza della voce lo mettesse in allarme: se avesse continuato a tacere probabilmete avrebbe perso l'uso della parola, e nessuno se ne sarebbe accorto.
" Uhm... Ehm..."
Tutto questo è ridicolo, pensò il ragazzo.
"Prendo la cartella clinica, ci do' un occhiata e me ne vado, okay?"
Silenzio.
Il ragazzo si chinò davanti al letto, sfilando il plico di fogli dai fermagli metallici ancorati al letto, iniziando a sfogliarli nervosamente, mescolando fogli, lastre, referti nella cartelletta aperta tra le sue braccia, mentre termini come "pneumotorace", "coma vigile", "Edema cerebrale drenato durante intervento", "politraumatismi" e "arresto cardiocircolatorio"  gli saltavano all'occhio, rimanendo impresse nel suo cervello, che le interpretava come una profezia di vita o di morte.
Non ci  capiva niente.
In biologia era sempre stato una sega, come in tutte le altre materie che richiedevano un minimo di applicazione teorica o scientifica, e quindi di studio.
Aveva continuato a leggere, disperato, riga per riga, parola per parola, cercando di dare al tutto un senso compiuto, cercandoci se stesso in quei termini astrusi che parevano essere parole di un altra lingua.
Dopo aver riletto tutto almeno 3/4 volte, dopo aver scandagliato con lo sguardo ogni singola lastra, referto chimico, ed esami del sngue senza aver capito nulla tranne le congiunzioni che legavano le misteriose e criptiche frasi della lingua aliena, Louis si arrese.
" Non si capisce una mazza!" aveva sbuffato rivolto più a se stesso che a Harry Styles.
Solo in quel momento si accorse che era seduto sulla seggiola precedentemente occupata dalla ragazza  che piangeva.
" Non si capisce niente" aveva sbottato di nuovo, polemico, soddisfatto dalla possibilità di poter sfogarsi a voce alta con un altro interlocutore, ridotto al silenzio.
Quasi si era dimenticato cosa volesse dire parlare con qualcuno: dopo il fidanzamento di suo padre con Janine e la furente ma passiva rassegnazione di sua madre che culminava in scenate isteriche, Louis aveva smesso di parlare.
Non che ci fosse niente da dire, le cose che pensava le aveva già dette e ridette da un pezzo: la scuola faceva schifo, l'appartamento era stretto, perchè lui doveva dormire nello sgabuzzino manco fosse Harry Potter, i compagni erano stupidi, la TV via cavo non prendeva, in bagno non aveva neanche un po' di privacy, il tragitto casa scuola era lunghissimo, i mezzi pubblici facevano schifo ed erano sempre in ritardo, i professori e i compagni li stavano sul cazzo, il centro era lontanissimo, le sue converse andavano cambiate perchè la suola si stava lentamente scollando, i soldi non bastava mai, era tutto colpa di papà, non avrebbe dovuto cacciarlo via, non avrebbe dovuto lasciarlo andare da quella zoccola che scialacquava tutti i soldi che avrebbero potuto usare loro, era tutta colpa di mamma, era tutto una merda...
Piano piano gli argomenti di conversazione erano finiti, e mentre le ragazze a tavola chiacchieravano allegramente, Louis, quando si degnava di presentarsi, restava seduto zitto all'altro capo della tavola, immusonito, se non furente, e scuro in volto.
"Come è andata a scuola?" chiedeva la madre.
"Una merda" rispondeva lui, con quel tono stizzoso e monocorde che tanto faceva arrabbiare sua madre.
"Louis! Ti sembra il modo di parlare davanti alle bambine?"
"Tu mi hai fatto una domanda, e io ti ho risposto sinceramente. Se non vuoi sentire cosa ho da dire, allora smetti di farmi domande"decretava lui, ponendo irremediabilmente fine alla conversazione.
Paradossalmente sua madre aveva seguito il suo consiglio, e dalle semplici domande era passata agli imperativi nazisti: "Pulisci la tua stanza", "Rifai il letto", "Levati le scarpe", "Va  a far la spesa/portare fuori l'immondizia/prendere le gemelle dall'asilo"...
Da dopo l'incidente il mutismo era diventato sia una scelta, sia una costrizione, ma parlare con Harry Styles provocava a Louis un sentimento di sollievo e leggerezza, una sensazione della quale si era dimenticato da lungo tempo.
Aveva alzato lo sguardo dal referto a cui stava facendo l'orecchio, e aveva visto una cosa pelosa per terra, che non c'era durante la sua precedente visita.
Era un peluches, alto più o meno una spanna, a forma di gattino a strisce bianche e nere, con gli occhietti di plastica color blu oceano e un caramelloso cuore morbido tra le zampe.
Era sicuro di non averlo visto l'ultima volta che era stato lì.
"Uhm... Ehm... Ti è caduto il peluches"
Si era chinato a raccoglierlo.
" E' tuo?"
Ovvio, che cavolo di domanda era? C'era solo lui lì!
"E' a forma di gattino. E' molto carino. Te lo rimetto sul comodino, Okay? che sennò si riempie di polvere, o qualche infermiera cicciona rischia di schiacciarlo"
Si era chinato sul pavimento, sollevando l'animaletto e posandolo delicatamente sul mobile a fianco al letto.
E intanto continuava a parlare a briglia sciolta, galvanizzato dal sollievo che provava a far far fare allenamento alle corde vocali.
"Deve averlo portato tua sorella. L'ho vista prima, sai? E' molto carina, ti assomiglia parecchio"
Clamorosa bugia.
Quella ragazza alta, magra, viva, che camminava tra i corridoi, studiava, respirava, attraversava la strada, non aveva niente, niente, a che vedere con quel relitto umano che faceva fagotto tra le coperte.
Ma ormai Louis straparlava, e non aveva intenzione di fermarsi.
"Deve essere proprio una brava sorella maggiore. Ma è facile esserlo quando tua madre ne ha sfornato un'altro soltanto! Mia madre ne ha fatti altri 4 prima che la fabbrica chiudesse i battenti. E tutte femmine poi! Lottie che ha 14 anni e va in giro per la casa conciata come una ninfomane, Fizzy non è ancora in quella fase, ha 12 anni ed è perennemente attaccata al cellulare, manco fosse il prolungamento naturale del suo braccio, mentre invia sms e fa telefonate a destra a manca imitando Gossip Girl, e Daisy e Phoebe che sono gemelle che ne hanno 5 e sarebbero adorabili se non spiassero ogni mia mossa e non litigassero per ogni stupidata in continuazione.
Sei fortunato ad averne una sola, davvero.
Sembra forte, in tutti i sensi.
Io, in una situazione come la sua non credo che riuscirei a reggere e a restare ottimista e positivo per dare l'esempio agli altri...
Perchè è questo il nostro compito, no? Dare il buon esempio..."
E lui certamente non ne rappresentava uno, specialmente per le sue sorelle.
Fumava.
Beveva.
Disubbidiva in continuazione, tatuaggi, piercing, non aveva limiti ormai, e ciò lo portava a litigare con sua madre.
E così Lottie aveva iniziato a vestire un look alquanto discutibile, Fizzy aveva trovato rifugio nella cerchia di amiche, porto caldo e sicuro eletto a rimpiazzare il nido famigliare, ormai in decadenza, mentre le gemelle, costrette dalla loro tenera età nell'occhio del ciclone, in piena burrasca, erano diventate lagnose e aggressive, sempre attaccate alle gonne di mamma e sempre pronte a mettere le mani addosso alla prima frustrazione della giornata.
Certo, non era tutta colpa sua, sapeva che il divorzio era stato difficile per tutti quanti, ma i vestiti dark improponibili di sua sorella, le continue richieste di uscita dell'altra e gli inquietanti svaghi delle piccoline ( giocare alla droga al posto della famiglia, giocare a fumare al posto che guardare le Winx, disegnarsi tatuaggi neri coi pennarelli al posto che disegnare casette, fiori e famiglie felici...) quello era colpa sua.
In quel momento desiderò di tornare indietro nel tempo, per essere la pietra miliare nella vita delle sue sorelle, la loro guida, la loro spalla su cui piangere, e non l'erbaccia che seminava zizzania nel campo, e che succhiava come una sanguisuga tutte le energie e le attenzioni della mamma, che finiva per trascurare le altre.
Faceva schifo.
Aveva fallito come fratello maggiore, aveva fallito come studente, come amico, e soprattutto come figlio.
Un bravo figlio ubbidisce alle regole, non si sfonda di erba, non rientra in casa alle tre di notte durante la settimana incappando nel genitore costretto dall'ansia a stare sveglio e a rischiare di arrivare tardi al lavoro il giorno dopo per la troppa stanchezza.
Un bravo figlio non ruba i soldi, già pochi di per se', dal cassetto dei risparmi.
Un bravo figlio è un bravo fratello.
Un bravo figlio è un bravo studente: non salta la scuola un mese di fila, non si mette nei guai con gli altri alunni, prende voti accettabili e segue le lezioni con impegno e costanza. Non viene bocciato.
Un bravo figlio non fuma in casa e non spegne la sigaretta sui mobili guardandoti fisso con sprezzo.
Un bravo figlio non ti urla " Spero che tu muoia in un incidente" o "Se la mia vita è una merda è colpa tua perchè come madre fai schifo" prima di uscire di casa sbattendo la porta.
Louis non era un bravo figlio.
Era una delusione su tutti i fronti.
L'ultimo fallimento, l'ultima delusione, la più eclatante e grave vegetava sotto i suoi occhi, alimentata e tenuta in vita dalle macchine che pompavano l'ossigeno nel suo corpo.
In lontananza una porta sbattè violentemente, risuonando nel corridoio silenzioso.
Il ragazzo si alzò in piedi di scatto, stringendosi le spalle come se l'avesse colpito una pallottola.
Non importava se aveva cercato di salvare in extremis la vita di Harry Styles o se lo aveva centrato in pieno.
Il fatto che era ubriaco marcio alla guida di un auto rubata senza gli abbaglianti accesi nonostante il buio era già abbastanza.
Non aveva scuse.
Era inutile cercare futili giustificazioni su degli stupidi foglietti di carta per provare a se' stesso la sua innocenza e mettersi la coscienza in pace.
Non si meritava pace.
Non si meritava tregua.
Per il corridoio risuonava rimbombando il rumore delle ruote del carrello dei medicinali, spinto da un imponente infermiera che camminava lenta a causa del peso del mezzo.
Poco dopo entrò sbuffando nella numero 17, intonsa nella sua immobilità, tranne che per la sedia leggermente spinta all'indietro, ancora calda, e la cartelletta piena di referti aperta sul pavimento, probabilmente sfuggita dalla presa dei fermagli metallici ancorati sul letto.
Ma Louis Tomlinson era già lontano da quella stanza e da quel corridoio, correva a perdifiato verso l'uscita di quel casino in cui si era cacciato, cercando disperatamente di fuggire dai suoi errori e dimenticare il passato, per ricominciare di nuovo.













Angolo Fin c:

* Dopo 3 mesi d'assenza*

Uhm... Ciao?

É tutta colpa di Ellie se sono in ritardo. Always blame the wife XD Lei mi ha scritto di non pubblicare più per una settimana, perché partiva per la montagna, e così mi sono presa un periodo di 'vacanza'. E l'ho esteso per tre mesi #shameonme :/ Spero di non essere finita nel dimenticatoio, perché sono pronta a ripartire con questa ff, che decollerà di nuovo proprio ADESSO.

Ma prima, i sentitissimi e dovuti ringraziamenti a:

niallhugsme che paragona le mie descrizioni dettagliate, e tanto odiate dalla mia prof di italiano, a ambientazioni di famosissime serie televisive ( io comunque optavo più per uno stile simile a dottor House c:) Ilaria number 1 che fa appello alla mia compassione per non far soffrire Harry troppo, ma mi spiace dirti che dovrà tribolare per un po', dal momento che mi é venuto il pallino dell' angst, anche se neanche lontanamente avvicinabile a quello di Lu, la regina incontrastata *s'inchina al suo cospetto*

Iris, che é coliona pakistana e non mette la g.

Perché la g é brutta.

Perché g di 'girl' a Louis non piasa, non piasa pe davvero! ( Si, sarò la tua Maria para siempre)

_BlueSky e daceyx che poverine le ho lasciate sulla graticola per 3 mesi :'( non succederà MAI più, lo giuro #giuringiurelloilbueelasinello

Nora, che mi deve assolutamente raccontare come va la sua carriera da teatrante ed aggiornarmi sulle sue news da stella di Brodway, maple che si unisce alle preghiere di veglia per il povero Harry, _ohana che si stupisce per i miei ringraziamenti quando invece a me sembrano il minimo, Erica che la riempirei di baci perché ha segnalato come storia scelta Love Liar che se mi decido a rivederla e spedirla magari, forse, se Dio lo concede diventerà un libro, Caro che alla 'vista' del nostro povero Loueh-coi-capelli-a-scodella si frega la mani alla Montgomery Burns, Dada e martins_ che come Ilaria non sono shipper ma mi seguono lo stesso, cosa che apprezzo molto ( sappiate che rispetto le vostre opinioni a che qualsiasi cosa dica/ faccia nei miei angoli autrice non é intenzionato a forzarvi a cambiare idea c:) Row che recenscisce in extremis e ultima ma non meno importante Mrs_direction_ che é autorizzata a picchiarmi se ritardo con gli aggiornamenti.

Autorizzo solo lei perché tutte insieme fareste troppo male e finireste per uccidermi XD

Dai vogliamosi bene.

Dobbiamo stare vicini vicini lol.

Quindi comunico ufficialmente che la stagione delle fanfiction é aperta da questo momento in poi, così come domani riaprirà la scuola T.T

Colgo quindi l'occasione di augurarvi un buon primo giorno pieno di sole e tante belle ed improbabili cose.

Felice anno scolastico a tutte.

'And may the odds be ever in your favor'


#Love

Fin



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Capitolo 5
*** Everything Has Changed ***


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5)

5. Everything Has Changed

Svoltare a destra, una porta a vetri, sinistra, destra, giù di due gradini, ascensore fino al quinto piano, destra, destra, sinistra e attraverso un'altra porta a vetri.
Ormai sembrava che Louis avesse inghiottito un navigatore satellitare.
La visita a Harry era diventata un abitudine di routine: la giornata del ragazzo era nera e cupa come il più invalicabile baratro, e solo verso le sei, quando sgattaiolava fuori dalla geriatria con le scuse più improbabili ( "Vado a fare rifornimento di guanti di lattice", "Non ci sono abbastanza pannoloni", "Quella flebo si sta otturando, vado a comprare la coca cola alle macchinette") la luce sconfiggeva tutto quel buio, regalandogli qualche minuto dorato di pace.
All'inizio, spaventato dalla prospettiva di dover fronteggiare la famiglia, si limitava a mettere a sbirciare dalla porta, per controllre che fosse ancora lì, ancora vivo, anche se più di la' che di qua.
Una volta, stanco dallo snervante turno in geriatria, dove aveva dovuto sollevare vecchi obesi e e lavare pavimenti inginocchiato a terra e con le vertebre incriccate, si era seduto sull'onnipresente seggiola bianca davanti al letto, per riposarsi un attimo e si era ritrovato a parlare del tempo, di come non funzionasse il riscaldamento a casa e dormire fosse un'incubo, di come dovesse indossare 4 paia di calze per tener caldi i piedi, di come, a volte, rimpiangesse le fiamme di un camino...
Man mano le sue visite si allungavano: se all'inizio aveva paura perfino ad entrare nella stanza 17, adesso ogni volta si sedeva, chiacchierava, cercava in qualche modo di alleggerirsi la coscienza, di fare meno schifo di quanto avesse fatto in quel momento, di dare un senso alle sue giornate...
I primi tempi le conversazioni più gettonati erano il clima invernale, rigido e polare che aveva investito la città, gelando tubature e uccidendo tutti i gerani esposti sui balconi delle villette dei più ricchi, i pettegolezzi dell'ospedale, e i vecchietti a cui Louis badava.
Più il tempo passava, più le visite si allungavano, più anche gli argomenti iniziavano ad avere un certo spessore: non che al ragazzo piacesse parlare di se' e di cose particolarmente raffinate, ma qualcosa dentro di lui lo spingeva ad aprirsi, a confidarsi, a rivelare i suoi pensieri più intimi e più segreti ad un perfetto sconosciuto se questo poteva alleviare il peso e la sofferenza che si portava dentro da ancor prima dell'incidente, prima di trasferirsi, prima ancora che i suoi mettessero una fine all'idillio della loro famiglia felice mettendo un punto fermo al loro matrimonio, quando tutte le litigate e l'odio verso le due persone che più amava aveva iniziato a corrodere i muri della loro stessa casa.

Era successo in modo graduale tanto che quasi non s'è n'era accorto, finchè non era capitata la discussione sul cane e il gatto, ma ormai era troppo tardi, ormai Louis non riusciva a fare a meno di fidarsi di Harry, ormai viveva la giornata solo in funzione di quel quarto d'ora rubato al lavoro da trascorrere in compagnia di ciò che restava, ciò che lui non aveva brutalmente distrutto in quella maledetta sera di novembre, di quel ragazzino di quattordici anni, sospeso tra la vita e la morte in una snervante attesa immobile che accadesse un miracolo.

Si era reso conto di quanto effettivamente stesse mettendo se stesso nelle conversazioni col ragazzo il giorno che, varcando la soglia della camera, vide troneggiare sul letto un enorme cuscino morbido e peloso a forma di gatto.

“Wow” aveva commentato, avvicinandosi al letto e tastandolo con mano per vederlo meglio, allontanandosi di scatto quando dalla stoffa soffice e profumata si era diffuso un penetrante miagolio registrato.

“Wow” aveva ripetuto ancora, con più enfasi, mentre con una mano appoggiata al petto cercava di calmare il battito cardiaco, impazzito dallo spavento.

“Devono proprio piacerti i gatti, Harry” aveva esordito, annunciando la sua presenza nella stanza all'altro, prima di sedersi sulla sedia bianca, mentre si passava una mano tra i capelli, aggiungendo “ Anche alla signora Stowe piacciono, e molto. A parer mio forse anche troppo. Mi racconta sempre che a casa ne ha più di venti, e poi comincia ad elencare i nomi: Baffino, Bianchino, Codino, Fumino, Nerino... Poi se ti va bene a metà si scorda qualche nome e trascorre le due ore successive a cercare di ricordarselo finchè non si dimentica del tutto di cosa stava parlando, se invece è in buona e le stai simpatico ti va proprio male perchè tira fuori il suo album di fotografie che ritrae esclusivamente gatti, e fa passare tutte le foto davanti ai tuoi occhi, lentamente, commentandole una per una per almeno 10 minuti ciascuna. E sono più di settanta foto. E ognuna ha un sacco di anneddoti terribilmenti noiosi che tu sei costretto ad ascoltare con un sorriso sulle labbra, e alla fine devi sempre ridere o essere intenerito o sembrare dispiaciuto...

Credimi, è una vera palla.”

Il ragazzo aveva scosso la testa, pensieroso, mentre fissava il cuscino ai piedi del ragazzo-statua.

“Non so perchè piacciano così tanto: sono menefreghisti, approfittatori, diffidenti, portano malattie, quando graffiano ti fanno un male boia perchè ti brucia per tre giorni minimo, perdono un sacco di peli, non sono mai in casa quando li cerchi e rompono sempre le scatole quando restano chiusi fuori, specialmente di notte, con i loro miagolii irritanti 'miao miao miaoo'...

Preferisco i cani, certo anche loro perdono i peli e in più sbavano dappertutto, ma ti riempiono la casa di gioia, quando ti disturbano con i loro versi irritanti è perchè c'è qualcosa che non va o perchè ti stanno facendo la guardia, sono coccoloni, affettuosi, hanno il senso della famiglia e quello del dovere, ti amano dal profondo della loro anima in modo sincero ed eterno, e sono fedeli, per sempre.

Coi gatti non si può mai sapere: un attimo prima sono lì che si strusciano su di te come se fossi la cosa più importante al mondo per loro, e due secondi dopo ti graffiano o ti snobbano perchè ne hanno piene le scatole di aspettare che gli dai da mangiare.

Ci sono già abbastanza persone nel mondo che si comportano in questo modo, ci manca solo che inizino a far così anche gli animali...”

Il ragazzo si era riscosso dalla specie di trance in cui era caduto, rendendosi conto di quello che aveva detto, avvampando dalla vergogna: chissà cosa pensava Harry di lui, il noioso ragazzo che dalle 6.45 alle 7.30 lo assillava con la sua parlantina irritante, discutendo di cose assolutamente stupide e prive di importanza e dei suoi dubbi adolescenziali, mentre si lamentava di quanto sfigata fosse la sua esistenza.

Infatti, dopo aver letto la sua cartella clinica Louis si era dato ai “compiti a casa”, ovvero una ricerca a tappeto dei termini astrusi, che impressi nella sua memoria definivano l'incerta situazione dell'altro ragazzo, e aveva scoperto le devastanti conseguenze della sua bravata: pneumotorace significava che Harry aveva una rotto costola nell'impatto dell'incidente, che aveva bucato la membrana del suo polmone, riempiendolo di sangue, i politraumatismi invece erano le varie macchie che gli costellavano la pelle, rendendogli quasi mostruoso il lato sinistro della faccia, allargandosi sul torace e sulle gambe, perfino dentro di lui.Il termine più difficile che gli aveva dato più problemi era “Edema cerebrale drenato durante l'intervento” ma dopo diverse visite in biblioteca e ricerche online era riuscito ad assumere che il cervello di Harry avesse una vena, o peggio ancora un'arteria, ostruita da un grumo sangue, e che i medici l'avessero ripulita durante l'intervento, durante il quale avevano dovuto, stando a ciò che diceva Wikipedia, asportargli una parte del cranio. A Louis la cosa faceva vomitare, ma almeno spiegava le bende sul capo... Durante l'intervento avevano anche dovuto far ripartire il cuore del ragazzo, che per un motivo a lui ancora sconosciuto, si era fermato, forse per la paura, forse per il fortissimo scontro con la sua auto quando lo aveva travolto, forse mentre si schiantava al suolo dopo essere stato sbalzato 15 metri lontano dal punto dove era stato investito.

Ma il termine che più lo spaventava e lo confortava allo stesso tempo e che dava il senso alle sue quotidiane visite era “coma vigile”: Harry era cosciente, sentiva ogni cosa che diceva, capiva ogni sua parola, e sapeva che lui sarebbbe tornato ogni giorno a trovarlo, sapeva che non era cattivo, che non aveva avuto intenzione di fargli del male, che aveva quattro sorelle rompiballe e che preferiva i cani ai gatti, soprattutto se presi come metafora di fedeltà e opportunismo. Ma ciò implicava anche che conoscesse i suoi pensieri e i sentimenti, e questo lo spaventava: aveva eretto attorno a se infiniti muri e barriere per provare a proteggersi dal dolore che quelli che più amava gli causavano, finendo per allontanarli da se' con tatuaggi, sigarette fumate di nascosto e soldi trafugati dal borsellino in piena notte e venire classificato come “il ragazzaccio” “l'adolescente ribelle” “il fattone” “ la disgrazia della mia vita” “il fallimento per eccellenza dei suoi genitori”...

Anche se inconsciamente lo desiderava con tutto se stesso non poteva, non doveva, cedere al bisogno di avere qualcuno con cui parlare, un posto dove finalmente essere ciò che era, un amico...

Probabilmente Harry, quando si sarebbe svegliato, lo avrebbe insultato, cacciato via a male parole, e forse anche denunciato per stalking colpevolizzandolo non a torto per tutto quello che gli era successo, ma mentre vegetava Louis si permetteva di illudersi, ogni giorno sempre di più, che le cose sarebbero andate diversamente, che tutto quello schifo sarebbe finito, che lui avrebbe capito...

Era un povero illuso.

Era un povero sfigato che sognava che il ragazzo a cui aveva rovinato la vita lo perdonasse, dimenticando tutto e diventando il suo migliore amico. C'era qualcosa di più patetico?

Spesso la sera ci pensava, e si sfotteva da solo: il nuovo Louis con piercing e tatuaggi avvezzo alla droga e alla feccia umana, cinico e senza pietà verso il vecchio Louis, rintanato in un cantuccio infondo al suo cuore, mentre sanguinava assistendo inorridito ai suoi errori e al suo inesorabile andare alla deriva.

Però con il sorgere del sole ogni cosa tornava come prima, le lacrime amare si asciugavano e tutto lo sconforto e il dolore venivano dimenticati e il ragazzo si ritrovava immancabilmente a bussare alla stanza 17 del reparto di rianimazione, mentre tre piani sopra la caposala acida, sua responsabile, lo cercava furibonda tra camici e lenzuoli sterili.

E anche se ogni volta si riprometteva che era l'ultima volta, che sarebbe stato zitto, che non avrebbe detto niente di importante, che doveva tenersi le sue cose per lui, ecco che appena varcava la soglia il suo guscio così faticosamente costruito iniziava a sgretolarsi, e lui iniziava ad aprirsi, a confidarsi, a sorridere....

Si sentiva così vulnerabile.

Eppure era incapace di smettere, non poteva o forse non voleva.

Il suo cuore, così grande e gioioso prima, dove c'era un posto per tutti, così buono e premuroso, e adesso così attentamente gelato e conservato freddo ed impenetrabile stava iniziando a sciogliersi, non potendo più sopportare di andare contro la sua natura sopportando un fardello simile.

Una settimana dopo l'episodio ndel gabinetto, alla signora Stowe venne interdetta per sempre la lettura, ordini del medico avevano detto le infermiere, mentre portavano scatoloni pieni di libri fuori dalla stanza dell'anziana donna, a cui erano stati requisiti anche gli occhiali per evitarle di “cadere in tentazione”. Quando sua nonna, pace all'anima sua, e le sue amiche zitelle si riunivano nei loro salotti per spettegolare malignamente alle spalle delle altre compaesane, Louis spesso sentiva la stoica frase “E' andata indietro, povera donna, com'è andata indietro...”

Non aveva mai capito cosa volesse dire, fino a quando non aveva assistito all'irreversibile e repentino cambiamento di Mrs Stowe: se il giorno prima zampettava allegra per il reparto, trascinando qua e la la sua sdraio per scegliere il posticino più adatto per leggere, cercando ogni volta di intavolare con chi passava conversazioni letterarie su questo o quell'autore e guardando con rassegnata superiorità gli altri pazienti suoi compagni di sventura, dopo la confisca dei suoi beni si era rinchiusa nella sua stanza, stando sdraiata nel letto tutto il giorno a fissare il soffitto bianco e vuoto che si rifletteva nei suoi occhi che avevano la medesima espressione.

Non parlava più come prima, raccontando a un Louis constantemente disinteressato le sue avventure di professoressa di letteratura femminista in una scuola palesemente conservatrice che non la vedeva troppo di buon'occhio considerando che aveva avuto diversi “compagni” senza sposarsi mai e avere figli come tutte le donne della sua epoca.

Non lo assillava con la vita di Enrico VIII, con l'epoca vittoriana, con Churchill e le sue strategie, facendolo sentire ignortante quanto un mattone bacato.

Se ne stava lì a fissare il vuoto, come tutte le altre pazienti.

“E' successo” bisbigliavano nenache troppo a bassa voce le infermiere, scuotendo la testa, più rassegnate che affrante “ Mrs Stowe ha avuto Il Crollo” “E' l'inizio della fine” rincaravano ancor din più la dose, con uno sguardo pieno di pietà negli occhi stanchi e abituati alla vista di vite che lentamente si spengono, come candele nella notte, “ Adesso è tutta in discesa”

Intanto Louis fremeva di rabbia: non aveva avuto un crollo, per Dio! Gli avevano portato via la sola cosa che gli era rimasta, i suoi amati libri, e con essi anche la sua voglia di vivere e la sua sanità mentale, trasformandola in un altro catetere da cambiare, riducendola ad essere un mero caso clinico più che una persona, sottraendogli tutta la sua umanità ed individualità.

Come potevano fare una cosa simile?!

Certo, sapeva che il mondo faceva schifo, ma questa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: non poteva stare fermo a guardare, non un'altra volta. Non lo avrebbe permesso. L'avrebbe impedito.

Così si era ritrovaton di sabato pomeriggio, prima del suo turno feriale, in una polverosa libreria del centro, dove aveva chiesto imbarazzatissimo una copia dell'Amleto di Shakespeare, costata la bellezza di 15 sterline, cioè almeno tutte le sigarette che si fumava in un giorno. Ringraziando a denti stretti per trattenere le imprecazioni che erano lì lì per uscirgli, il ragazzo si era diretto all'ospedale dove dopo il consueto giro di clisteri e medicinali da somministrare ai vecchietti giusti senza confondere pazienti e patologie e ammazzare qualcuno, si era eclissato in camera della Stowe.

“Ragazzo, è inutile” aveva commentato con un tono triste, quando aveva visto tra le mani di Louis, tutto saltellante dalla felicità di farla in barba alle infermiere, la pesante copertina del libro.

“Come è inutile?!”

“Apprezzo il tuo gesto, ma i dottori hanno ragione: i miei occhi non sono più quelli di una volta...”

“Oh ma per favore!” aveva esclamato l'altro, agitando i pugni in aria per scaricare la frustrazione “ Lei ci vede benissimo! Martedì scorso mi ha urlato di levarmi il piercing al naso, ed era senza occhiali!!”

La vecchia signora si era limitata a sospirare “E' vero, ma devi contare che eri molto vicino a me... I miei occhi non son più quelli di una volta, e io mi devo rassegnare che non leggerò mai più un bel libro sdraiata al sole...”

“Non dica così”

“Ma è la verità Louis: invecchiare fa parte del vivere, così come tanto tempo fa lo è stato anche crescere”

“Se invecchiare significa dover umiliarsi a pisciare nella padella o a dover scarrozzarsi dietro cateteri e flebo a non finire, o a essere costretti in un cazzo di letto asettico io non ci sto”

“E come pensi di fare, allora?” aveva chiesto la donna con tutta la flemma che una vecchia insegnante poteva possedere, come se fossero semplicemente in classe e lei gli avesse posto una domanda non prevista dal programma.

“Facile” aveva risposto lui, con un ghigno sul viso “Resterò giovane in eterno”

La donna aveva sorriso “ Hai dato la tipica risposta che tutti gli adolescenti danno, Louis. Ma dobbiamo imparare a non temere la realtà, e a guardarla dritta negli occhi: io non assaporerò mai più un buon libro e tu, come tutti del resto, prima o poi dovrai invecchiare e morire, non importa se tra 10 giorni, 10 mesi, 10 anni o 10 secoli, prima o poi accadrà. Accettalo”

Il ghigno non era scomparso, anzi, era vacillato per un attimo, uno soltanto, prima di diventare un enorme sorriso sincero: “ Forse lei ha ragione, io prima o poi dovrò morire, ma lei può ancora 'assaporare' un bel libro...”

Il ragazzo si era seduto sulla seggiola di fianco al letto, aprendo quel mattone di libro da 15 sterline e cominciando a leggere, facendosi coraggio “ La prima comparsa cronachistica e letteraria della figura di Amleto, principe di Danimarca, avviene nel XII secolo all’interno dell’opera latina Gesta danorum, divisa in 16 libri, di un certo Saxo Grammaticus (1140 ca-1210 ca), storico danese di cui ben poco sappiamo, addirittura pare che il suo vero nome sia un altro...”



L'idea gli era venuta tre pomeriggi dopo, mentre leggeva per la signora Stowe, o come aveva iniziato a chiamarla affettuosamente lui, “Prof”: leggere gli piaceva perchè non si doveva concentrare per farlo, gli veniva in automatico, era roba trita e ritrita vecchia di secoli che gli teneva occupata la mente impedendogli di pensare, riempiva imbarazzanti silenzi e soprattutto faceva passare il tempo più in fretta, allietando sia chi leggeva sia chi ascoltava.Di tanto in tanto la Prof lo interrompeva per spiegargli qualche pezzo che aveva particolare rilevanza, e le sue spiegazioni non erano poi così noiose come sembravano, anche se Louis non l'avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura.

Era un perfetto metodo per tenere i suoi segreti e i suoi pensieri più intimi per se', continuando però a frequentare la camera 17 del reparto di rianimazione...

Leggere era la soluzione.

Così martedì mattina, prima di uscire di casa per andare a scuola, aveva spulciato la libreria di casa per trovare qualche titolo decente da proporre a Harry ( non che lui avesse molta possibilità di ribattere, dal momento che vegetava in stato comatoso) ma aveva trovato solo vecchi manuali di puericoltura di sua madre, i vecchi numeri di Vogue di Lottie, gli intoccabili e preziosissimi Harry Potter di Fizzy e i libri per bambini delle gemelle. Non c'era niente di suo, perchè non gli era mai piaciuto leggere e quando lo faceva era perchè obbligato dalla scuola o da sua madre, che lo forzava a leggere almeno un libro al mese, quando ancora si parlavano ed erano la perfetta famiglia felice.

Louis aveva imprecato coloritamente prima di rassegnarsi ad accontentarsi di ciò che aveva in casa: non poteva permettersi di spendere altri soldi dopo la spesa imprevista per la signora Stowe, e riproporre L'Amleto a Harry era impensabile: già era noioso una volta, figuriamoci due... Eliminò dai possibili libri papabili i manuali di sua madre. Poi i Vogue di sua sorella. Prese in mano un Harry Potter, ma appena vide lo spessore del volume lo rimise al suo posto, gli urli isterici di sua sorella che già gli risuonavano nelle orecchie “Come hai osato toccare le mie cose....”

Sospirando, rivolse la sua attenzione ai libri di Daisy e Phoebe: 10 libretti da colorare della Pimpa, la collezione dei libri illustrati della Walt Disney, qualche numero di Topolino... E poi, in mezzo agli album delle figurine delle Winx, la soluzione ai suoi problemi “Matilda” di Roald Dahl.

Ignorando l'urlo della voce della sua coscienza (“Patetico!”) il ragazzo sfilò il libro dallo scaffale e lo mise nello zaino, pregando che a Harry Styles la letteratura infantile piacesse da morire.






"La signorina Spezzindue non possedeva nessuna di queste qualità, ed era un mistero per tutti come fosse riuscita a farsi nominare direttrice di quella scuola.
Si trattava di un donnone davvero colossale.
In passato era stata un’atleta famosa, e anche adesso i suoi muscoli apparivano poderosi.
Aveva il collo taurino, spalle enormi, braccia grosse, polsi fortissimi e gambe più che robuste. Bastava guardarla per capire che avrebbe potuto piegare una sbarra di ferro, o strappare in due un elenco telefonico. Il viso, purtroppo, era tutt’altro che bello: mento ostinato, bocca crudele e piccoli occhi arroganti. E quanto ai suoi vestiti... non si può fare a meno di definirli stravaganti.
Indossava, in genere, un camiciotto marrone stretto in vita da una larga cintura di cuoio chiusa da una massiccia fibbia d’argento. Le cosce possenti che emergevano dal camiciotto erano inguainate in un paio di calzoni alla zuava, di una ruvida stoffa color verde bottiglia. Dal ginocchio in giù, portava calzettoni verdi con risvolto, che sottolineavano i polpacci muscolosi. Le scarpe erano da uomo, a tacco basso.
Insomma, assomigliava a un eccentrico cacciatore, assetato di sangue e scatenato dietro a una muta di segugi, piuttosto che alla direttrice di una gradevole scuola per bambini. "
Louis ridacchiò, voltando pagina.
"Sembra proprio la descrizione dell'infermiera media di quest'ospedale: acida, isterica, con manie di protagonismo e canoni estetici piuttosto bassi" aveva continuato a sogghignare tra se' e se'.
"Tu non lo puoi sapere perchè stai dormendo il sonno dei giusti, ma qui dentro le donne sono così, e più hanno potere più sono odiose: prendi la signora  Alberta Caposala Hitler Cohen, lei strilla addosso a tutti in continuazione"
Il ragazzo si era lanciato in una fedelissima parodia del suo capo, che veniva imitato con così tanto fervore che il libro sulle ginocchia di Louis era finito per terra, mentre questi si alzava esclamando con un possente vocione roco "Tomlinson! Cosa ci fai ancora qui?"
Tornò al suo tono di voce originario, voltandosi verso un interlocutore invisibile "Allore io le rispondo ' Ho finito di sturare le flebo, signora'"
"E come mai te ne stai lì con le mani in mano?!" ululò il ragazzò, con la voce che si abbassava di diverse ottave "Inizia il giro dei catateri, no?! Devo sempre dirti tutto io?"
"E allora io corro come un galoppino deficiente a infilare in quel cazzo di forno quelle perette di plastica del cavolo, e ogni santa volta mi scotto come un picio, e non posso neanche correre a prendermi un cerotto!!"
"Tomlinson, sei proprio incorreggibile... Tutta l'erba che fumi ti ha bruciato il cervello e carbonizzato i neuroni, sembri un ritardato!"
Il ragazzo si era fermato un attimo, prima di ricominciare a gesticolare così forte da far traballare i monitor a causa dello spostamento d'aria " Ma cosa ne sa questa di quanta cazzo di erba mi fumo eh?! Cos'è che fa, mi spia anche mentre mi faccio la doccia e quando cago?! Già me la sento: ' Tomlinson, devi strappare un'altro strato di carta! Idiota! Cos'hai nel cervello? Merda, te lo dico io, sei pieno di merda!!'
E la maggior parte delle volte che me lo dice è vero perchè qualcun'altro di quei rimbambiti matusalemme l'ha puntualmente scaricata da qualche parte, mai che arrivino al cesso una volta, mai, e indovina chi è il galoppino deficiente ritardato che pulisce? Io, hai indovinato..."
Il ragazzo scosse la testa, prima di ricominciare a leggere:
" Quando la signorina Dolcemiele entrò, la direttrice era in piedi accanto all’enorme scrivania, con espressione minacciosa e impaziente.
—Allora, Dolcemiele, che cosa vuole? È tutta rossa e agitata, stamattina. Che le succede? Quelle piccole canaglie l’hanno bombardata di palline di carta?
—No, direttrice. Niente del genere.
—Allora di che si tratta? Su, avanti. Non ho tempo da perdere.
Mentre parlava, si versò un bicchiere d’acqua da una caraffa che si trovava in permanenza sulla sua scrivania.
—Nella mia classe c’è una bambina che si chiama Matilde Dalverme... —
cominciò la signorina Dolcemiele.
—È la figlia di quel tizio che-"
Louis sbuffò: prima l'Amleto e adesso Matilda, e i suoi poveri occhi iniziavano a bruciare, confondendo righe e parole.
"Ti dispiace se oggi ci fermiamo? Ho già letto 3 capitoli dell'Amleto a una delle pazienti in geriatria e contando che a scuola per vedere la lavagna le poche volte che cago la lezione devo cavarmi fuori i bulbi oculari perchè sono all'ultimo banco, direi che sono un po' stanco..."
Il ragazzo chiuse il libro, rimettendolo al suo posto nell'armadietto dei medicinali borbottando più a se stesso che a Harry "Magari quell'ammasso di carne alto un metro e venti ha ragione..."
Scosse la testa infastidito.
"Non che io fumi così tanta erba come si è messa in testa quella la, ma ovviamente quella vuole vedere solo il lato peggiore di me" tergiversò sul fatto di essere lì a scontare lavori socialmente utili perchè lo aveva investito mentre guidava ubriaco fradicio una macchina rubata alla sua stessa madre "Che poi è da tanto che non mi faccio un po' perchè mi mancano i soldi per mangiare, figurati per sballarmi... Ho smesso di lavorare dopo la scuola perchè dovevo fare lo schiavetto qui, e sinceramente ora come ora non sento neanche l'esigenza di fumare roba. Mi sento uno schifo, è vero, ma ho ancora la mia dignità e non mi metto a rubare i soldi dal portapranzo delle mie sorelline: preferisco che loro mangino e sopportare un po' questa situazione del cazzo piuttosto che fare la parte del fratello tossicodipendente che diventa demente a furia marijuana"
"Tutti i miei compagni la pensano diversamente: o sono dei santerellini della serie 'la droga è male, vai in Chiesa a pregare e ti sentirai meglio', ' Meglio stare con Dio che star fuori' ... Oppure sono l'opposto e vengono a scuola completamente fatti e si fumano cannoni all'intervallo e se non sei fuori come un balcone non ti filano minimamente"
Il ragazzo tossicchiò imbarazzato prima di continuare a disagio "Ammetto che a inizio quadrimestre mi sentivo così solo che ho provato a entrare nel loro gruppetto, ma loro sono come una famiglia di mafiosi e non accettano gli altri facilmente... Sono stato un idiota.
Un vero idiota, parola mia.
Non che di solito non lo sia, ma stare al loro gioco e rimettere l'intero stipendio di un mese più tutti i soldi del compleanno per aver sciacquonato la loro roba nel cesso al posto di spacciarla non è stata una grande idea"
Il silenzio dell'altro venne interpretato come un'assoluta incredulità per il senso contorto e incoerente delle sue azioni, sicchè Louis aggiunse a mo di spiegazione " Ho avuto una crisi di coscienza dopo essermi fatto metà del carico, e siccome era roba buona, anzi, veramente buona, non capivo più niente e quando mi sono svegliato c'era droga che galleggiava nel cesso..."
"Si, lo so, sono un idiota"
Si fermò un attimo, titubante, prima di ricominciare a parlare esitante "Non è neanche così bello come dicono... Farsi a manetta, intendo. Sballarsi di continuo. Sfondarsi di roba. All'inizio, quando ti entra in circolo è fantastico, okay... Non senti più niente, come se galleggiassi in un mare infinito di colori in preda alla felicità più assoluta... Ma dopo neanche cinque minuti ti risvegli e fai fatica a muoverti perchè hai la testa leggera ma il corpo pesantissimo, ti gira la testa e la maggior parte delle persone vomita anche perchè la nausea è insopportabile, e poi scopri che in quei cinque minuti di estasi totale hai combinato casini su casini che devi risolvere nonostante il mal di testa, la bocca secca e l'irrefrenabile voglia di mandare tutto a fanculo e dormire"
Un'opinione come la sua sarebbe stata normalmente accolta con fischi e scherno dagli altri adolescenti che vedevano nella droga, a seconda delle loro inclinazioni, il Diavolo o Dio, o la prendevi ventiquattro ore su ventiquattro e ti piaceva così tanto che ipotecavi la casa per averne di più oppure la rifuitavi completamente condannandola come un'eretico al rogo.
Harry invece era diverso.
Certo, il coma non gli permetteva di parlare e quindi esprimere la sua opinione, ma Louis era sicuro che anche se fosse stato in grado di rispondergli, non avrebbe riso.
Era così giovane e aveva un faccino così tenero e bambinesco sotto quell'ammasso di ematomi e garze che sicuramente non si sarebbe mai dichiarato pro agli stupefacienti, ma il ragazzo era certo che non l'avrebbe giudicato...Forse leggere non era poi così necessario come lo reputava.
Non sapeva perchè, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che continuare a parlare con lui, e fidarsi così tanto di un completo sconosciuto che vegetava per colpa sua in un letto d'ospedale, era la cosa giusta da fare.
E ogni volta, quando la campana della chiesa vicina suonava sette rintocchi gravi e due più acuti, il giovane si alzava, stando attento a rimettere tutto a posto come l'aveva trovato, in quella stanza  dove sembrava che il tempo non passasse mai, salutava Harry dalla soglia con frasi imbarazzate che lasciavano anche lui sorpreso come "Uhm.. Ci vediamo domani allora" "Buonanotte" "Guarisci presto" e lasciava la stanza 17 del reparto di rianimazione del St Barbara Hospital con un lieve sorriso sulle labbra, che rimaneva lì, tremolante, per tutta la giornata, fino a quando quell'immobile soglia veniva varcata di nuovo, e Louis sentiva il respiro farsi più leggero, il sangue scorrere più velocemente e le ferite del suo cuore rimarginarsi lentamente, guarite da una magica medicina a lui ancora ignota, ma che aveva il tremendo sospetto che avesse qualcosa a che fare con Harry Styles, rinchiuso nel suo limbo a metà tra la vita e la morte.

Angolo Fin *w*

Saaaaalve :)

Come vedete ho mantenuto la parola e sono stata puntualissimissima nell'aggiornare * tossisce* solo 24 ore di ritardo * tossisce*.

Sono rimasta un po' delusa dal fatto che molte delle ragazze che prima recensivano, adesso sembrano essersi dimenticate di me...

Si, lo so che è colpa mia perchè non ho aggiornato per tre mesi e storie varie, ma a me spiace perchè con molte di loro andavo d'accordo e mi mancano i loro commenti sul capitolo e le nostre chiacchierate sulla mia casella efp :( 

Ma suppongo che il detto 'pochi ma buoni' faccia al caso mio! Vorrei a maggior ragione ringraziare tantissimissimissimissimo chi ha recensito il quarto capitolo di questa umile fanfiction, come Ilaria che... HA CAMBIATO NICK! Anche Domenico! Ma che è, un epidemia?! Tipo ci conosciamo da quasi un anno ed è stato uno shock tremendo XD o Ellie, la mia mogliettina che è condannata a una lunga e dolorosa agonia in questa ff, essendo una Louis!Girl ed essendo questo Louis in particolare dipendente da erba e altre droghe leggere, tatuato, incline ad affogare i pensieri nell'alcool e pieno di tatuaggi, cosa che zaynholdme non riesce nemmeno ad immaginarsi* sadismo mode on*

Infinity_1D che non ha scuse per picchiarmi ( mi piacerebbe molto sapere il tuo nome se non ti scoccia, io chiamo sempre tutte per nome perchè penso sia più bello conoscersi tra 'lettrici' :) )

Daceyx ( anche lei per ora ignota) e le sue recensioni bellissime che m'illuminano la giornata, che rimarrà purtroppo delusa perchè... Harry non si è ancora svegliato T.T Anche Lu mi odierà per questo... Portate pazienza! Un po' di sana e pura suspance, unita a un pizzico di angst, fa bene al cuore!!!

Caro che annega nei feeling per colpa mia e della mia modestissima fanfiction ( se vuoi ti lancio un salvagente, ma tanto e sapessi quello che ho in programma per voi annegheresti comunque :* :* )

Nora, che presto diventerà una star mondiale della danza e se ne andrà alla Juliard e si dimenticherà di noi T.T * corre a prendere un barattolo di gelato per superare incolume la depressione* ... e ultima ma non meno importante niallhugssme, l'unica che mi ha giustificato, rassicurandomi che dopotutto non era un peccato capitale prendersi tre mesi di vacanza :P

Purtroppo oggi la lista di ringraziamenti è molto, molto, molto corta, e spero che al prossimo aggiornamente qualcuno si faccia vivo e si unisca alla nostra allegra compagnia :/

Fino ad allora un bacio, buona seconda settimana di scuola ( solo! *sob*) e mille cuori per voi

Fin

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Capitolo 6
*** The Worst Things In Life Come Free To Us ***


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7)
6. The Worst Things In Life Come Free To Us



"Mi sentivo una merda. Davvero. Non potevo sopportarlo, o almeno, non più. Come quando metti la mano vicino al fuoco e ti avvicini sempre di più,  e il dolore aumenta e aumenta, finchè non riesci più a stare fermo e devi togliere la mano o altrimenti impazzirai perchè ti stai scottando, e la carne brucia così forte che non riesci nemmeno a stare fermo.
Così mi sentivo io: non potevo stare fermo su quel divano a fare niente, mentre la mia vita e quella delle persone a cui tenevo di più andava a rotoli.
Dovevo andare da quello stronzo"
Louis Tomlinson si era agitato sulla sediola di plastica di fianco al letto d'ospedale della stanza 17, provando a calmare la voce rabbiosa  e il tremito delle mani con vani risultati: era come un fiume in piena, selvaggio, incontrollabile, furioso.
Non ricordava come fosse arrivato a parlare dell'incidente.
Era iniziata come una visita normale, Louis aveva approfittato della scarsa vigilanza delle infermiere per sgattaiolare fuori dal reparto geriatrico e per intrufolarsi in quello di rianimazione, e in particolare nella stanza di Harry.
Aveva iniziato a parlare del tempo, che faceva proprio schifo e secondo le previsioni del tempo preannunciava la prima grande nevicata della stagione, e lui aveva raccontato come da piccolo i suoi genitori portassero lui e le sue sorelle a sciare in Francia, e di come i video delle loro discese fossero esilaranti per il loro modo di arrancare nella buffa tutona da scii, di quella volta che aveva perso un dente da latte perchè gli era arrivato un ostacolo dritto dritto in faccia, e di come queste bellissime gite fossero state "cancellate" alla nascita di Phoebe e Daisy, che erano troppo delicate e non dovevano prendere troppo  freddo.
Poi, tanto per restare in tema,  aveva parlato di quella volta che lui, il cretino della classe e qualche suo compagno,  avevano introdotto illecitamente a scuola del cognac sostenendo che glielo aveva portato un San Bernardo per salvarli dall'assideramento, dal momento che nel laboratorio di chimica i caloriferi non funzionavano.
Era scoppiato a ridere, lasciandosi trasportare dai ricordi dolci e allo stesso tempo resi amari dal pensiero che niente sarebbe mai stato come prima, nessuno a scuola gli avrebbe mai rivolto la parola, nessuno sarebbe diventato suo amico e avrebbe combinato cazzate con lui.
"Una volta bevevo poco. Solo il sabato sera e alle feste. Zayn aveva un cugino di terzo grado che lavorava come buttafuori nel locale più costoso e lussuoso della città che ci lasciava sempre passare anche se non avevamo l'età o l'invito. Oppure io e Stan andavamo in qualche locale gay, o al cinema e poi in discoteca a folleggiare, o se volevamo stare tranquilli ci chiudevamo in qualche pub...
Due birrette con gli amici erano tutto quello che mi concedevo, andavo leggermente oltre solo se dovevo rimorchiare o cose così.
Mi fingevo più ubriaco di quello che ero in realtà, strillavo come una ragazzina, correvo di qua e di la' per scaricare l'adrenalina, facevo o dicevo cose stupide per far ridere gli altri e la mattina dopo sostenevo di non ricordarmi niente."
Un sorriso gli increspò le labbra, prima di sparire inghiottito dalla sua espressione cupa.
" Poi dopo sono iniziati i problemi. Per tutti noi. Mia madre ha scoperto che quello stronzo la tradiva e che aveva speso l'ultimo stipendio in regali all'amante, e i litigi che io consideravo normali avevano raggiunto livelli inimmaginabili: piatti che volavano, storie vecchie di anni che tornavano a galla, addirittura papà gli ha rinfacciato il fatto che si è dovuto prendere cura di me, che non sono neanche suo figlio, e mamma lo ha schiaffeggiato e lui si è messo a piangere e chiedere perdono..."
"Sono uscito dalla finestra quella notte, ma ero rimasto abbastanza per sentire tutto. Io e Zayn ci trovavamo spesso davanti al vecchio cinema e stavamo in giro tutta la notte, solo io e lui come ai vecchi tempi, a sparare cazzate e a fumare sui tetti.
Nemmeno lui se la passava bene: suo padre era stato licenziato perchè la azienda dove lavorava era fallita, e adesso si trovava a dover provvedere a 4 figli, rette scolastiche, tasse, bollette, benzina...
Anche lì erano litigi che si sprecavano, ma i coniugi Malik non erano neanche minimamente ai livelli di mia mamma e mio papà, e noi ci sentivamo meglio a stare fuori casa, a combinare cose che, ne eravamo sicuri, avrebbero riscosso tutta la loro disapprovazione e preoccupazione e scenate a non finire.
Non so perchè lo facevamo: forse perchè volevamo inconsciamente distrarli dai loro problemi, o ricordargli che esistevamo anche noi e che il loro compito era prendersi cura di noi...
Quella sera abbiamo usato i soldi per il pranzo in mensa del giorno dopo di Zayn per comprare una bottiglia di vodka.
E' stato meraviglioso: era la magica medicina che cercavamo, l'euforia ad ondate che ti avvolge già dopo i primi sorsi, che ti scaldava lo stomaco, il dolce oblio che ti faceva dimenticare tutto e infine il sonno profondo delle membra, che ti garantiva un po' di pace fino al risveglio.
Certo, dopo abbiamo vomitato l'anima e camminato piegati da un mal di testa atroce per almeno 3 giorni, ma ne era valsa la pena.
E' stata la prima bottiglia, alla quale ne sono seguite molte in quel periodo.
Dopo il trasferimento ho cercato di comportarmi bene, di essere forte e responsabile per le mie sorelle, ma non c'è l'ho fatta."
"Mi sentivo una merda. Davvero. Non potevo sopportarlo, o almeno, non più. Come quando metti la mano vicino al fuoco e ti avvicini sempre di più,  e il dolore aumenta e aumenta, finchè non riesci più a stare fermo e devi togliere la mano o altrimenti impazzirai perchè ti stai scottando, e la carne brucia così forte che non riesci nemmeno a stare fermo.
Così mi sentivo io: non potevo stare fermo su quel divano a fare niente, mentre la mia vita e quella delle persone a cui tenevo di più andava a rotoli.
Dovevo andare da quello stronzo"
" Io dormivo, e dormo tutt'ora nello scantinato, mentre Fizzy e Lottie dividono la camera di fianco alla cucina, e fanno a turni per chi deve dormire nel sacco a pelo, e le gemelle dormono nel  divano letto matrimoniale con mamma in salotto.
Ci dobbiamo portare a scuola gli avanzi della cena e riutilizzarli per il pranzo, siamo in pieno dicembre e io vado ancora in giro con le scarpe estive, per di più bucate.
Volevo solo dirglielo, lo giuro.
Ma avevo paura, e allora mi sono ricordato della prima volta che Zayn ha venduto delle pasticche in discoteca, quando diceva che aveva caga della polizia o che qualcuno si sentisse male per colpa sua e il suo datore di lavoro lo ha fatto sbronzare per fargliela passare e ho deciso di fare lo stesso: sono andato in cucina e ho aperto l'armadio degli alcolici e mi sono scolato tutte le birre che ho trovato, e allora mi è venuta l'idea di guidare fino a casa sua, di prenderlo per il bavero, magari davanti a quella zoccola del cazzo e di urlarglielo in faccia quanto faceva male avere una testa di cazzo di padre come lui, e che avrei preferito rimanere senza padre piuttosto che chiamarlo ancora tale, e che maledicevo il giorno in cui lui e la mamma si erano sposati..."
Il ragazzo, distrutto nell'atmosfera immobile della camera, si era passato una mano tra i capelli, asciugandosi il ciuffo sudato per il mare di emozioni che si scatenava dentro di lui, costringendolo a boccheggiare, dolorante e piegato in due.
" Non volevo dirglielo al telefono, volevo proprio dirglielo in faccia, ma non sapevo come arrivarci e allora mi sono ricordato della macchina del nonno, che ancora funzionava per miracolo divino e che era in garage perchè la mamma era uscita con il suo nuovo appuntamento galante sulla mercedes di lui, e allora ho preso le chiavi e sono partito: all'inizio la marcia non voleva andare e io non riuscivo..."
Il respiro del ragazzo era corto e spezzato mentre fissava Harry, con la speranza di venire perdonato, o di svegliarsi da quel terribile incubo che era diventata la sua vita mentre l'altro vegetava di fianco a lui per colpa sua e del suo egoismo.
"... E' partita all'improvviso ed ha sfondato la recinzione del giardino della vicina, e gli ho schiacciato tutti  i fiori, e ho decapitato un nanetto da giardino.
Mi ricordo che l'alcool non era entrato in circolo ancora completamente e a me sembrava una cosa così buffa, e ridevo di quel nanetto da giardino che all'inizio mi era tanto sembrata una testa umana sotto la ruota anteriore...
Poi è tutto confuso. Ci sono troppe luci, mi danno fastidio. Non riesco a tenere gli occhi aperti, e allora penso di accostare, ma non riesco a trovare la levetta delle frecce direzionali.
Lascio perdere, o forse me ne dimentico.
Poi le luci non ci sono più, e allora accendo i fari perchè è tutto buio.
Tengo forte il volante perchè ho tutte le mani sudate, e mi scivola via, e non voglio finire fuori strada e inizio ad avere un po' di paura.
Poi...
Poi ho visto qualcosa.
Bianco.
Proprio davanti al parabrezza.
Galleggiava nel buio vuoto.
Strizzo gli occhi per vedere cos'è, ma non lo vedo.
E poi...
Poi..."
In quel momento accaddero contemporaneamente due cose inaspettate: il corpo di Harry si era mosso all'improvviso, come se fosse stato attraversato da  una scossa elettrica dalla testa bendata ai piedi, e il monitor che controllava il battito cardiaco era esploso, iniziando a suonare dei lunghi e perforanti "bip".
Louis si era gelato sul posto, incapace di muoversi o reagire.
Harry si era mosso, si era mosso davvero.
Il ragazzo era stato travolto da una scarica di adrenalina, ed era corso fuori dalla stanza, rischiando di scontrarsi con le infermiere che stavano accorrendo:
"Si è mosso! Si è mosso!"
Aveva afferrato il braccio dell'infermiera più vicina ed aveva iniziato a saltellare ed ad esultare come se avesse segnato un goal.
"Si è mosso! Tutto! Dalla testa ai piedi!"
Il team infermieristico si era unito al suo entusiasmo, applaudendo e ricoprendo di carezze e complimenti il corpo di nuovo immobile del ragazzino, prima che il medico sopraggiunto alla baraonda che si era creata proponesse calorosamente, ma freddando l'entusiasmo di Louis " Potremmo provare a procedere con il distacco del respiratore, oggi stesso se necessario"
Un'infermiera di mezz'età e la permanente gli aveva sorriso, prima di annunciare con un sorriso ancora più grosso:
" Vado a chiamare i famigliari"






Per giorni e giorni Anne Styles si era rifiutata di tornare al lavoro, passando le sue giornate a fissare il telefono cellulare, in attesa che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, perchè tutto era meglio di quel limbo, quell'immobile attesa che era diventata la sua vita.
Poi aveva deciso di tornare in ufficio, dal momento che passare tutte le sue giornate chiusa in casa, in vestaglia, seduta sul divano a fissare lo schermo del suo iPhone non giovava per niente, e che lei doveva essere forte e reagire.
Per cominciare doveva accettare ciò che era successo, e anche sopportare la vista del corpo del figlio inerte nel letto d'ospedale sarebbe stata una buona idea: così tutti i giorni lo andava a trovare il mattino prima di iniziare il lavoro, nella sua pausa pranzo e prima che il severissimo orario delle visite  rigorosamente rispettato dalle infermiere la sbattesse fuori.
Si era abituata a quella strana routine, a non doversi precipitare a casa a mezzogiorno per sfamare un adolescente affamato, a preparare la cena solo per due, ad affrontare la casa vuota dal momento che l'altra sua figlia studiava in un altra città...
Certo, adesso per starle vicino saltava spesso le lezioni e si rimetteva in pari come poteva, ma durante il giorno e la maggior parte delle sere lei era sola.
Sola.
Aveva appena superato il dramma di "lasciare andare" Gemma ed ecco che il destino crudele cercava di portargli via anche Harry.
Stava rientrando in casa dopo aver fatto un po' di spesa, giusto lo stretto indispensabile per non cenare con l'ennesima ciotola di cereali e latte scaduto, quando le era squillato il telefono.
Quando aveva visto il numero dell'ospedale le si era ghiacciato il sangue nelle vene, ma appena aveva capito dal tono dell'infermiera che erano buone nuove aveva mollato i sacchetti pieni di cibo sul vialetto ed era saltata in macchina, diretta in ospedale.
Aveva guidato come una folle, alla massima velocità, beccandosi i clacson e gli insulti degli altri guidatori, ma non ci aveva fatto neppure caso: suo figlio aveva dato segni di vita, magari si sarebbe svegliato, e lei doveva essere lì.
Doveva.
Era arrivata nella stanza 17 correndo trafelata, quasi scontrandosi con il dottore, che la stava aspettando.
"C-Come sta?" aveva boccheggiato, accasciandosi sulla parete.
" Siamo accorsi perchè il monitor segnalava un'anomalia nel battito cardiaco,  che era accelerato, e un ragazzo che era con suo figlio ha sostenuto di averlo visto muoversi"
La donna gli aveva scoccato uno sguardo confuso.
"Si è.... Mosso?"
"Si. Ha avuto uno spasmo"
"Ne è sicuro?"
Il tono dubbioso della donna nascondeva la speranza debole e fragile che era nata in lei, che non voleva illudersi per poi soffrire di nuovo.
"Si, in effetti era in una posizione differente da come l'aveva lasciato l'infermiera che lo assisteva, e poi non ci sarebbe motivo di dubitare del ragazzo"
"E chi era questo?"
" Un'inserviente"
Il dottore aveva liquidato la questione con un gesto della mano, come se fosse una mosca fastidiosa.
" L'ho chiamata perchè stiamo per procedere allo svezzamento di suo figlio dal respiratore, cioè gradualmente metteremo in opera manovre affinchè suo figlio possa respirare di nuovo da solo"
"E funzionerà?" chiese Anne, attaccandosi caparbiamente a quella nuova speranza come un naufrago cerca il faro nella tempesta.
"Noi siamo ottimisti" l'esperto aveva sorriso, prima di indicare con un cenno la porta "Stiamo per procedere, vuole assistere?"
Ma la donna lo aveva già preceduto nella stanza.
Tutto era come era sempre stato: il rumore regolare dei monitor che accerchiavano il letto, minacciosi, i cavi sparsi a terra, il groviglio di flebo...
E suo figlio, immobile nel letto come 10 giorni prima, come 20 giorni prima, da quel maledetto 19 Novembre fino a quel giorno, ma stavolta Anne era animata da una nuova speranza, che aveva spazzato via la rassegnazione come il sole scioglie i nuvoloni carichi di pioggia.
Il medico aveva fatto cenno a un collega, che aveva armeggiato con un monitor.
Lo schermo si era spento.
La spia rossa era diventata nera.
Il martellante "bip" che era sempre risuonato nella stanza era cessato, cedendo il posto al silenzio.
Il tempo si era dilatato: Harry non si muoveva, il viso bianco gelato nella stessa espressione, il corpo avvolto nel camice immobile.
I dottori erano tesi verso di lui, in attesa che facesse qualcosa, che desse un segno...
Non succedeva niente.
Il panico iniziò a diffondersi come un mortal veleno nella donna: perchè non succedeva niente? Suo figlio non stava respirando, perchè diavolo allora non gli rimettevano quel diavolo di apparecchio? Volevano farlo morire?
Stava per mettersi ad urlare quando un lieve e agognato suono, meraviglioso quanto impercettibile, era giunto alle orecchie dei presenti.
Harry aveva schiuso le labbra pallide, inspirando piano gonfiando appena il petto scarno sotto le lenzuola, prima di espirare leggermente dal naso, producendo un lieve fischio.
 Stava respirando.
Da solo, senza macchine.
Stava respirando autonomamente.
L'equipe medica stava esultando, ma lei non aveva occhi che per lui, e il suo respiro lieve, come quello di un neonato in culla, che scandiva i battiti del suo cuore e della sua fede.
E non aveva smesso di respirare Harry, neanche dopo 5 minuti, neanche dopo 10, sorvegliato dallo sguardo vigile della mamma che sedeva di fianco a lui con una sua mano in grembo, in attesa.
Quel ritmo lento, calmo e pacifico, come quello di un sonno profondo e giustamente meritato, si era interrotto solo per un attimo, bruscamente, quando un'infermiera aveva prelevato un po' di sangue per le analisi, che che avevano confermato una percentuale ottimale di ossigeno nel sangue del paziente, autorizzando così l'ufficiale distaccamento del respiratore artificiale. 
Una volta rimasta sola, Anne aveva frugato nella borsa, freneticamente cercando il telefono: teoricamente l'orario di visita era finito da un pezzo, ma i medici gli avevano concesso ancora qualche minuto col figlio.
Aveva composto il numero di telefono con le dita che gli tremavano, portandoselo nervosamente all'orecchio e passeggiando su e giù vicino al letto.
"Pronto?" era la risposta che non era esitata ad arrivare.
"Lo senti?" aveva chiesto a bruciapelo la donna, appoggiando il microfono dell'apparecchio elettronico sul cuscino del figlio.
Per un attimo dall'altra parte della cornetta c'era stato un silenzio tombale, prima che Gemma rispondesse stanca:
"Mamma, sono in università a studiare, non ho tempo per giocare agli indovinelli..."
"Ma l'hai sentito?"
"Si, ma non riesco a capire che rumore è..."
"E' il rumore di tuo fratello che respira"
E mentre un'urlo di felicità esplodeva dal ricevitore, rimbombando sulle pareti dell'aula studio dell'università infrangendo il silenzio come un vetro sfondato, Anne sorrise, perchè forse insieme potevano ricominciare a sperare.



 
Stesso bar, stesso sgabello sgangherato e traballante, stesso banconte unto di patatine fritte e appiccicoso di alcool rovesciato per sbaglio, che da anni aveva macchiato e impregnato il legno una volta chiaro e immacolato.
Louis doveva accettarlo, non sarebbe mai cambiato.
Nella sua vecchia cerchia di amici era definito il "Peter Pan" del gruppo, quello sempre pronto a fare pazzie, a sparare cagate, quello che non era mai serio e che trovava sempre il lato divertente della situazione, quello che faceva il buffone...
Tutti poi erano cresciuti, facendo scelte che avrebbero influenzato la loro vita e il loro futuro, affermando la loro maturità assumendosi le proprie responsabilità.
Tutti, tranne lui.
Perchè dopotutto "Tutti i bambini alla fine crescono. Tranne uno", ed era vero, perchè anche se aveva smesso di fare il buffone da un pezzo, anche se la situazione in cui i suoi genitori l'avevano cacciato non aveva alcunchè di divertente e anche se l'unica pazzia che aveva fatto era quasi costata la vita ad un quattordicenne sconosciuto ma decisamente più meritevole di vivere, lui era ancora lì, seduto al bar davanti a 5 boccali di vodka vuoti, l'esofago in fiamme e lo stomaco indolenzito dal digiuno, incapace di fare altro che compatirsi e colpevolizzarsi allo stesso tempo, senza sapere cosa fare, senza avere il coraggio e la benchè minima idea di come fare ad alzarsi e ad ammettere i suoi errori accorpandosi la responsabilità del suo agire.
Dopo aver falciato Harry si era ripromesso di non ubriacarsi mai più, ma non aveva mantenuto la promessa, ed ora era lì, col braccio alzato ad ordinare l'ennesimo bicchiere, lo stesso che gli aveva annebbiato i sensi, lo stesso che aveva impedito a Louis di accorgersi di quel ragazzino con le converse bianche che camminava nel buio sul bordo della strada, lo stesso che aveva unito in una maledizione di sangue e amari rimpianti amari il loro destino, e che quel giorno funesto lo divideva di nuovo.
Il cameriere aveva sbattuto con poca grazia la sua vodka ice sul bancone, spargendo gocce azzurre ovunque, mentre il ragazzo con gli occhi arrossati e la puzza di alcool appiccicata ai vestiti e sui capelli, fissava il fondo del bicchiere come se volesse affogarvi dentro con tutto se stesso.
Non avrebbe mai più potuto vedere Harry.
Non finchè Anne Style era in giro.
Ma cosa diavolo stava pensando la prima volta che aveva deciso di andarlo a trovare?!
Lo aveva investito cazzo! Era solo uno stronzetto egoista che gli aveva rovinato la vita, era come il diavolo, l'uomo nero...
Più lontano gli stava meglio era, aveva combinato un casino pazzesco e ora aveva anche la presunzione di andare a trovare Harry?
Quella donna voleva la sua pelle, lo sapevano tutti.
Quando era rientrato a scuola tutti bisbigliavano alle sue spalle, si davano il gomito al suo passaggio, lo fissavano, segnandolo a dito...
Abituato ad essere "quello nuovo" Louis non ci aveva fatto caso, ma i commenti sul casino che aveva combinato lo colpivano come frecce avvelenate, e la prima volta che aveva sentito il nome di Anne Styles aveva rischiato di collassare.
C'erano due ragazze appoggiate all'armadietto  all'angolo con i bagni.
Bisbigliavano.
Di lui ovviamente.
"Lo vedi quello?"
"Quale?"
"Quello"
La ragazza aveva fatto un cenno discreto nella sua direzione, che però non gli era sfuggito.
"Chi è?"
"Louis Tomlinson, quello nuovo"
"Quello che ha investito il fratello di Gemma Styles?"
"Sì..."
"Oddio, mia sorella è nella sua stessa classe di biologia, dicono che sia messo malissimo!"
"Io sapevo che era in ospedale"
"Certo che è in ospedale" aveva esclamato la ragazza con tono di superiorità, mentre Louis si infilava nel bagno, appoggiandosi non visto alla parete vicino ai lavabi per sentire meglio la conversazione.
" E non ci uscirà tanto presto"
"Poveretto..."
"Dicono che sua madre, Anne, sia furiosa: ha fatto causa a quello stronzo perchè stava guidando ubriaco marcio e senza neppure la patente in tasca"
"Che sfigato"
Louis sentiva l'odio delle due ragazze perforagli la pelle come appuntiti spilli: stavolta non era bullismo sull'ultimo arrivato, stavolta non erano sciocche diffamazioni sparate a caldo tanto per ridere, tanto per conformarsi alla massa, stavolta era tutto vero, stavolta loro avevano ragione, stavolta se lo meritava.
"Dicono che sia quasi impazzita, e che non si sia nemmeno presentata all'udienza perchè minacciava di ammazzarlo, ma ammazzarlo sul serio... Non l'hanno fatta entrare perchè era armata. Voleva sparargli un colpo in testa"
"Sinceramente se lo sarebbe pure meritato"
La campanella aveva interrotto la loro chiacchierata, ma Louis aveva fatto in tempo a sentire, nonostante il tramestio di libri sbattuti nell'armadietto e il rumore di passi che rieccheggiavano nel corridoio " Se fossi stata sua madre, il colpo glielo avrei sparato direttamente in bocca" e a rimanere da solo, con un peso che gli gravava sul petto che lo costringeva a sostenersi alle piastrelle fredde sel muro.
Era stato un pazzo, un folle: come aveva anche solo potuto pensare per un attimo che passare del tempo in compagnia di Harry avrebbe portato a qualcosa di buono?
Cosa aveva lui da dare a Harry?
Niente, assolutamente niente.
Anzi, ad essere schietti, lui gli aveva tolto molto, e non meritava di danneggiarlo ulteriormente con la sua presenza.
Come aveva potuto illudersi che non l'avrebbero mai scoperto?
S'è l'era sempre cavata, ma prima o poi doveva capitare, e allora sarebbero state grane a non finire: con gli assistenti sociali, con il tribunale, con la famiglia Styles, con sua madre...
Era stato un vero coglione.
Non doveva più vederlo, era troppo pericoloso.
Louis svuotò il bicchiere tutto d'un colpo, mentre una parte di lui, la più coscenziosa e irritante, che doveva essere assolutamente ignorata, si chiedeva come avrebbe fatto a sopravvivere agli interminabili turni, con chi avrebbe parlato, quale sarebbe stata la sua ragione per tirare avanti...
Improvvisamente il suo stomaco si ribellò violentemente, facendogli rimpiangere di non aver mangiato qualcosa prima di bere tutto quello che aveva bevuto, e il ragazzo cercò di alzarsi per raggiungere il bagno.
E mentre ricadeva pesantemente sul bancone, facendo leva sui gomiti per cercare di tirarsi su ma ricadere in modo patetico ogni volta, si domandò se quel dolore radicato nelle viscere che provava non fosse dovuto allo spavento di trovari faccia a faccia con Anne Styles, o all'aver finalmente compreso quanto stupido e incosciente fosse stato, ma alla terribile prospettiva di dover imparare a vivere la sua vita inutile e vuota senza Harry.






Angolo Fin *-*
Sono ufficialmente in crisi esistenziale: lo so che ho detto 1000 volte che la mia scuola è un buco e che fa schifo etc etc etc, ma ho realizzato che ne sentirò la mancanza, anche se ci hanno relegato in cantina senza riscaldamento, anche se non ci è ancora arrivato il libretto delle assenze, anche se la preside è furba e crede che noi non ci accorgiamo che la campanella della quarta ora suona 3 minuti prima...
Comunque...
Tatatatata' questo capitolo è angst allo stato puro, ma aspetto il giudizio dell'esperta (Lu) per dirlo XD
E voi che mi dicevate che eravate contente perchè le cose per Harry andavano bene... Uhm, diciamo che le cose si sono complicate * si gratta la nuca imbarazzata dalla propria cattiveria, fingendo di non temere la Louis!Girl della situazione, Ellie, che salterà fuori da qualche anfratto buio con una padella e vanificherà in quattro colpi il lungo lavoro del dentista lol* e Harry non si è ancora svegliato e Caro mi ucciderà, poi la mia arabina troverà il mio cadavere  sdentato e mi taglierà a pezzi e mi infilerà in un barattolo sottolio spacciandomi per la Simmenthal.
E Daria mi darà in pasto al suo gatto ( o in alternativa cane, pesce rosso o volpe acquatica del deserto)
Forse l'unica  che mi compiangerà sarà Erica.
E niallhugme e Infinity_1D ( delle quali morirò senza sapere i nomi, argh!)
E Nora ( che ha fatto gli anni! Tantissimi auguri sorella riccia) ballerà e reciterà negli eventi in mia memoria.
E Domenico scriverà il mio epitaffio.
Cazzo, rileggendo ciò che ho scritto l'angst regna pure nell'angolo autrice o.O
Vabbè, per stavolta va così gente. Non c'è niente di cui essere allegri: le vacenze di natale sono lontane, domani c'è scuola e io sono single quanto una coppia spaiata di calzini XD
I mali di questo mondo sono infiniti ahahahaha
Grazie mille per le vostre bellissime recensioni, spero un giorno di abbracciarvi forte una ad una <3
#amassivethankyou
#lotsoflove
#Lularia and Domiele are real :)
Cami

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Capitolo 7
*** It's Too Cold Outside For Angels To Die ***


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7. It's Too Cold Outside For Angels To Die.


12 giorni, 288 ore, 17280 minuti, 1036800 secondi.
Louis aveva resistito tutto quel tempo lontano da Harry, lontano dalla sua mezz'oretta dorata di pace, esiliato dalla sua piccola bolla di felicità che lo teneva a galla nella tempesta che si era abbattuta nella sua vita.
Era tutto uno schifo.
A scuola non ci andava, e la cosa si era rivelata estremamente positiva finchè sua madre non lo aveva beccato a bighellonare nel supermercato in fondo alla strada.
E poi erano stati cazzi, cazzi amari, molto amari: aveva urlato fino a diventare rauca, acchiappandolo per un orecchio e trascinandolo a casa, mollandogli di tanto in tanto qualche scapaccione lungo la via mentre inveiva contro la sua stupidità e la sua incapacità di pensare al futuro, profetizzando la sua lunga permanenza in un carcere minorile e la sua residenza presso ospizi, case di cura e sotto le arcate dei ponti.
Lo aveva punito levandogli il telefono ( che tanto non usava mai perchè tutti i suoi vecchi amici sembravano essersi dimenticati della sua esistenza) e, fatto senza precedenti, il suo iPod.
Come avrebbe fatto adesso senza la sua musica? Chi gli avrebbe tenuto compagnia nel tragitto casa-scuola, a pranzo in mensa e negli spostamenti extrascolastici?
Sua madre lo voleva privare della sua unica e fedele compagna e consolazione.
Era tutto una merda.
In più la caposala Cohen era in ferie, e le sue colleghe avevano tirato fuori la loro vena schiavista: se prima Louis credeva di essere sfruttato si sbagliava di grosso.
Gli ordini nazisti della donna erano bambagia in confronto alla nuova situazione.
Le infermiere si limitavano a star sedute limandosi unghie e spennellandosi smalto a chili, strillando ordini contradditori a destra e a manca “Louis! Porta in mensa Mr Phipps!” “Tomlinson, dove diavolo si è cacciato Phipps? Devi somministrargli l'insulina, idiota!” “Metti a letto Leighton” “Che cazzo hai fatto?! Perchè lo hai mandato a dormire così presto?! Non lo sai che soffre d'insonnia? Se gli fai fare il riposino adesso stanotte non chiuderà occhio!!”
Gli facevano pulire i pavimenti, i vestiti, i camici, raschiare via la zuppa dai piatti, spostare carrelli che pesavano almeno una tonnellata, lavare vecchietti obesi, e tutto da solo.
Si sentiva la versione punk e sboccata di Cenerentola, senza vestito e principe e con un ingente carico di stress, soprattutto dopo che sua madre lo aveva rispedito a scuola a calci in culo.
Aveva aumentato la dose giornaliera di nicotina al giorno, unico metodo per sopravvivere alla giornata senza 'strippare' contro il mondo intero, prelevando 20 sterline dal borsellino di sua madre.
Peccato che al suo rientro a casa dopo essere stato in “Biblioteca” (in realtà si era sdraiato in una panchina nel parco a fumare Malboro fino a fondersi il piercing al labbro) l'aveva trovata sul piede di guerra.
Quando era rientrato in casa regnava un silenzio irreale, ma appena varcata la soglia della cucina sua madre gli era saltata alla gola, scuotendolo per il bavero mentre tra i singhiozzi malediceva il giorno in cui aveva dato alla luce un bastardo, un ladro, un traditore del suo sangue, un topo di fogna...
Durante l'attacco isterico era riuscito a capire, mentre cercava di schivare i colpi e trovare un senso alle frasi sconnesse che erano spariti dei soldi, molti soldi.
150 sterline.
Louis era sconvolto.
Di solito quando ne combinava una delle sue usava la sua tattica “io non ne so nulla”, facendo la sua faccina da angioletto candido, che ultimamente tanto bene non gli riusciva, tanto che aveva rimpiazzato questa strategia con “chissenefrega, non me ne fotte, il danno è fatto quindi risparmia il fiato”, ma stavolta davvero non ne sapeva niente.
A parte le 20 sterline fumati al parco.
Era sempre stato attento a prelevare poche sterline alla volta per non dare nell'occhio ma soprattutto per evitare di sconvolgere il già precario equilibrio economico della famiglia.
“ E adesso come farò a pagare l'affitto?! Cristo Louis, ci vuoi sbattere in mezzo alla strada, eh? Non sei abbastanza soddisfatto dei danni fatti fino ad adesso?! E l'auto nuova, l'assicurazione di quel povero ragazzo, l'avvocato, la multa... Vuoi farci morire di fame?!”
L'aveva lasciato andare, portandosi le mani alla bocca e scoppiando in lacrime.
Louis l'aveva abbracciata, chiedendosi mentalmente da quanto non lo faceva, sentendo un familiare groppo alla gola, lo stesso che gli impediva di respirare bene la notte quando era nel buio della sua camera, mentre sussurrava nei suoi capelli:
“Ti giuro che non sono stato io mamma. Non piangere, in qualche modo faremo... Tutto si risolverà, vedrai”
Era così lampante che era innocente e all'oscuro di tutto, anche lui sull'orlo del pianto per lo shock, ma sua madre non ne aveva voluto sapere, irrigidendosi nel suo abbraccio e rifiutandosi di farsi toccare da lui di nuovo.
Faceva male, essere rifiutati dalla propria madre, non essere creduti, essere insultati.
Come gelare davanti a un camino acceso, come essere morti dentro.
Era corso al piano di sopra, sbattendo forte la porta prima di prendere a pugni il cuscino per sfogare l'attacco di rabbia omicida che l'aveva investito.
Perchè doveva prendersi lui tutte le colpe?
Perchè doveva sempre essere lui la delusione, la pecora nera, il disgraziato?
Sapeva perfettamente chi era stato: le gemelle non sapevano neanche cosa fossero le sterline, credendo che tutto quello che possedevano piovesse dal cielo, e Fizzy era felice lassù nel suo piccolo mondo di pettegolezzi futili e senza senso.
Restava Lottie, la maniaca della moda.
Aveva fatto irruzione nella camera che lei e l'altra sorella dividevano, spalancando il suo guardaroba
ignorando le loro proteste e i colpi che Charlotte gli dava, forti e ripetuti mentre in preda al panico gli urlava di uscire e lasciarla in pace. Sotto la biancheria pulita c'erano un paio di stivaletti di vernice nera, con borchie e tacco a spillo esageratamente alto.
Lottie continuava a colpirlo ed ad urlare “Vattene, vattene stronzo!” mentre fissava con orrore cosa la sua dolce sorellina aveva fatto.
Continuava a colpirlo, isterica.
L'aveva repentinamente presa per il gomito, stringendola forte, incurante di farle male, afferrando con la mano libera gli stivali, prima di trascinarla a strattoni violenti e privi di delicatezza fino in cucina, sordo alle sue proteste e dei suoi pesanti insulti, dove sua madre era ancora seduta al tavolo ingombro di kleenex.
L'aveva spinta verso la madre, riannchiappandola per i capelli quando aveva cercato di fuggire, prima di rispingerla violentemente nella stanza, urlando furibondo:
“Eccotela la tua puttana” prima di sbattere sul tavolo le scarpe incriminate e lasciare la casa senza una parola, sbattendosi forte la porta d'ingresso dietro di se', prima di sparire in fondo alla via.
“E' stato un meccanismo di difesa” l'aveva giustificata Mrs Stowe “Lei è abituata ad essere delusa da te, e non è pronta a essere ferita anche dagli altri figli, così ha preferito darti la colpa per sentire meno male”
Poi, dopo che Louis gli aveva letto il capitolo dell'Amleto gli aveva dato 50 sterline.
“Non posso accettarli” si era schernito lui, vergognoso di accettare la carità da una povera vecchietta.
“Devi. Sono la tua busta paga per avermi comperato il libro e per leggermelo regolarmente tutti i pomeriggi”
“M-ma io...”
“Tu non sei obbligato a farlo, o mi sbaglio?”
“No ma...”
“Ma un corno, prendi la tua busta paga e chiudi quella ciabatta o chiamo l'infermiera e le dico che hai cercato di soffocarmi col cotone”
E così il ragazzo la sera a cena aveva sbattuto sul tavolo i soldi, fissando con disgusto il piatto apparecchiato per lui e gli occhi bassi di sua madre, in un patetico tentativo di farsi perdonare.


Mrs Stowe aveva mentito.
Non era vero che tutti i giorni gli teneva compagnia leggendo.
Dopo che la caposala era andata in ferie il tempo che poteva dedicarle era via via diminuito, nonostante impiegasse nella lettura il tempo che di solito trascorreva con Harry nella camera 17.
Poi Mrs Carew aveva caduta dalle scale, e Louis aveva saltato un'incontro.
Il giorno dopo si era scusato e scusato a non finire, dal momento che la donna sembrava più pallida e più sciupata.
“Un solo giorno senza i suoi amati libri può fare questo?” aveva pensato stupito il ragazzo, subito rassicurato dall'immediata ripresa di colore della donna dopo che l'infermiera le aveva servito il thè.
Poi martedì aveva quasi perso la testa, scoprendo che 1/3 dell'equipe medica era a casa con la salmonella, e aveva dovuto fare gli straordinari per far funzionare  tutto come doveva nel reparto.
Mercoledì aveva solo fatto in tempo a infilare la testa nella camera e salutarla, prima che Mr Phipps rischiasse di rompere la macchina per la dialisi col suo dolce peso.
Non si era fatto vedere fino a venerdì, e a quel punto la Prof era molto arrabbiata, tanto che aveva interrotto i suoi soliloqui e le sue pallose lezioncine su Shakespeare e la sua vita travagliata, chiudendosi in un mutismo ostinato e fissando il soffitto con gli occhi cerulei ormai spenti, che neanche la promessa di dolci e bevande avevano potuto riaccendere.
Per sei giorni Louis non aveva osato mancare a un appuntamento, e si tratteneva anche oltre l'orario delle visite finchè non lo sbattevano fuori a calci in culo.
Il terzo giorno la Prof aveva sorriso, facendogli capire che era stato perdonato e che era tutto come prima.
Il sesto giorno il ragazzo faceva fatica a concentrarsi, gli occhi che confondevano le lettere, saltando le righe e provocandogli un senso di nausea che, ne era sicuro, lo rendeva verde come un rospo.
L'anziana donna aveva lasciato correre per un po', ma alla quarta volta che rileggeva la stessa riga lo aveva fermato, chiedendogli se ci fosse qualcosa che non andava.
“In effetti si” aveva ammesso restìo l'altro “Non mi sento molto bene”
Mrs Stowe gli aveva fatto segno di avvicinarsi al letto, prima di posargli la mano rugosa e rattrappita sulla fronte sudata.
Un gesto così inaspettato e materno che Louis aveva dovuto chiudere gli occhi e stringerli forte per non piangere...
Ma che diamine mi succede oggi?!
“Ragazzo mio, la febbre non c'è l'hai ma sei verde e tutto appiccicaticcio e sudato. Forse è meglio che vai a casa...”
Lui aveva annuito debolmente, prima di scostersi dal suo tocco, sorriderle stancamente e mormorare piano “ a domani”
Ma non avrebbe mantenuto la promessa.
Il settimo giorno Louis si era alzato alle cinque e mezzo, svegliando tutta la casa correndo in bagno e vomitando l'anima.
Anche lui aveva preso la salmonella.
Cazzo.
Aveva cercato di fare meno rumore possibile, ma quando due ore dopo era sceso in cucina lavato, vestito e con la cartella distrattamente gettata su una spalla, fingendo che non fosse successo niente, sua madre gli aveva chiesto incredula:
“ Ma... Dove credi di andare?”
“A scuola” aveva risposto asciutto lui, che non l'aveva ancora perdonata per l'ultima litigata, e non era poi così sicuro di volerlo fare.
“ Ma... Sei malato! E poi ho già chiamato sia la scuola che l'ospedale per avvisare che non saresti andato oggi... Stavo per chiamare al lavoro e prendermi un giorno di ferie...”
Certo, pensò sarcastico il ragazzo, adesso chiede le ferie se sto male. E prima dov'era, sentiamo? Prima mi dovevo arrangiare.
 Cos'è cambiato? Assolutamente niente... Che incredibili cambiamenti può causare una coscienza sporca...
“ Sto benissimo” aveva troncato la conversazione, appoggiando la mano sulla maniglia della porta d'ingresso, prima di venir richiamato ancora una volta dalla madre.
“ Louis! Non puoi uscire di casa in queste condizioni!”
L'aveva fissata, glaciale, prima di sibilare, sentendo la rabbia bruciargli nelle vene “ Ma non posso nemmeno restare qui con te, ti pare?”
Ed era uscito, sbattendo la porta alle sue spalle.
Era andato avanti così per una settimana: la mattina ignorava la colazione calda e fumante che sua madre gli faceva trovare ( tanto avrebbe finito per vomitarla nel giro di due ore in uno squallido cesso pubblico) e usciva di casa, vagando per le strade fino a che non era sicuro che lei fosse al lavoro, prima di sgattaiolare di nuovo in casa grazie alla finestra che Fizzie lasciava aperta apposta per lui.
Il settimo giorno, sentendosi meglio e avendo ricevuto un'ammonizione per posta dalla sua assistente sociale, che si domandava come mai non si fosse presentato in geriatria per un così lungo periodo, e non sopportando lo sguardo ferito e colpevole di sua madre quando posava i suoi occhi su di lui, aveva annunciato tetro, una volta seduto in cucina e sbocconcellato una mezza brioches “Vado a scuola” prima di uscire di casa e dirigersi verso il parco pubblico, a fumare le sigarette che gli erano avanzate.


In realtà non era andato a scuola, ma al lavoro sì.
Si era giustificato e lievemente scusato con la Caposala Cohen, appena rientrata dalle vacanze alle Maldive più isterica e incazzata di prima ( probabilmente a causa delle evidenti scottature che le donavano un'abbronzatura tipo aragosta in pentola) prima di cambiarsi nella sua scialba divisa, aiutare a distribuire la merenda ed affrontarne le conseguenze come noccioli sputati in terra e pesce ricoperte di bava che rotolavano sul pavimento, e afferrare l'Amleto diretto verso la camera della Prof camminando di buona lena.
Aveva bussato, ma non aveva ottenuto nessuno risposta.
La stanza era vuota.
Le finestre erano aperte, e le tende bianche sbattevano qua e la come la spuma di mare sui cavalloni nei giorni di vento. Non c'era traccia del vaso di argilla greca che una volta troneggiava sul comodino bianco. L'edizione illustrata delle leggende di Re Artù era sparita.
Il letto era vuoto, spogliato di cuscino e lenzuola, lasciando solo il nudo materasso sulla rete di ferro, in un terribile messaggio di decadenza e squallore che aveva reso le gambe di Louis molli e tremanti.
Era lentamente ritornato sui suoi passi, perdendo tutta la sua baldanza, e una volta arrivato nella saletta aveva fermato la prima infermiera che aveva trovato, una ragazza giovane che subito saltava all'occhio in quel gruppo di carampane.
“Scusi... L-la Signora Stowe che stava alla 13...?”
La donna l'aveva guardato addolcendo lo sguardo in un espressione piena di pietà e tristezza.
Gli era bastato quello per capire.
Lo sapeva da quando aveva visto il letto sfatto, ma aveva voluto illudersi ancora per un po', convincendo se stesso che l'avevano cambiata di reparto, che stavano solo rifacendo il letto...
Aveva sentito un sapero metallico sulla punta della lingua, come un veleno, che lentamente si era espanso in tutta la bocca, in tutto il suo corpo, distruggendo le speranze che stupidamente si era creato come scudo e lasciando posto al panico.
E al dolore.
Non c'è l'aveva fatta a rimanere impassibile, non anche stavolta, e la ragazza l'aveva notato, regalandogli un sorriso pieno di compassione.
“Mi dispiace Louis. So che le eri affezionato, e so che significavi tanto per lei. Continuava a chiedere di te sai? “
Aveva sussultato, agonizzando dentro, morendo lentamente come 1000 volte prima d'allora, ma ogni volta faceva più male.
“Non ha sofferto, si è solo... addormentata, e non si è più svegliata. Ha semplicemente smesso di respirare”
Occhi colmi di pietà.
“Mi dispiace Louis, sei così un bravo ragazzo...”
Non le aveva lasciato finire la frase.
Si era voltato, scusandosi brevemente e proclamando con voce attentamente controllata che voleva 'stare un po' da solo' prima di imboccare il corridoio, e una volta girato l'angolo, non visto, aveva iniziato a correre, venendo inghiottito dall'oscurità del suo cuore.




Era tutta colpa sua.
La voce della ragione, fievole e stanca per il troppo urlare, cercando di sovrastare il senso di colpa che la soffocava, urlava che non era stato lui, che non c'entrava niente, che la Signora Stowe era tanto anziana e tanto malata, e che il fatto che lui l'avesse trascurata per una settimana di fila senza leggerle niente era una crudele coincidenza del fato.
No, è colpa mia... Quando l'ho lasciata stava bene: era stanca, provata, ma non si sarebbe mai arresa.
Mai.
Me lo avrebbe fatto capire prima...
Forse te lo avrebbe fatto capire se ti fossi presentato ai vostri appuntamenti, ribatteva crudele il Panico, che gli stringeva i visceri in una morsa così stretta e dolorosa da impedirgli di respirare.
Puntini di luce vivida gli esplosero davanti agli occhi, e Louis dovette interrompere la sua corsa sfrenata per l'ospedale e sedersi sui gradini della scala di servizio per riprendere fiato ed evitare di andare in iperventilazione: avrebbe tanto voluto che l'infermiera bionda si sbagliasse, avrebbe tanto voluto tornare indietro ed urlarle che lui non le era affezionato, che odiava quel cazzo di lavoro, che non era un bravo ragazzo, che era insignificante, che era un teppista disgraziato che si faceva di erba e coca dalla mattina alla sera, che rubava dal borsellino di sua madre anche se i soldi non bastavano mai, che bastava guardarlo in faccia e notare piercing e tatuaggi per capire che era un poco di buono senza cuore ne' futuro, che non valeva nulla, e non meritava la pietà di niente e di nessuno, perchè non era un semplice volontario come voleva far credere a tutti, ma era lì perchè costretto a lavori socialmente utili, perchè aveva rubato la macchina di sua madre e, ubriaco fradicio, aveva investito un povero ragazzino innocente...
Il suo cuore si era stretto così tanto da rischiare di piegarsi su se stesso ed esplodere, al pensiero di Harry.
Non si era dimenticato di lui, non era “andato avanti” con la sua vita, scordandosi della loro piccola parentesi, di quel fragile esserino in quel bozzolo di coperte, come un bruco che sta per diventare farfalla, ma lentamente muore soffocato dal suo stesso involucro, e vincendo le sue paure e i suoi remori ogni giorno si era recato nel corridoio del reparto di rianimazione, resistendo all'impellente tentazione di varcare la soglia della 17 solo per un attimo, solo per vedere se era ancora lì, ancora aggrappato a questo mondo da un filo sottile ed ogni giorno più liso, ma trattenendosi aveva superato la porta diretto verso la postazione delle infermiere sul piano, e timidamente chiedeva, con il cuore in gola e il viso in fiamme: “Mi scusi... Il paziente della 17 come sta oggi?”
Ogni volta attendeva, trepidante, speranzoso e tremendamente terrorizzato la risposta, ogni volta sempre uguale: “Nessuna novità, respira autonomamente, per il resto è stazionario”
Non aveva dimenticato.
Come avrebbe potuto?
In quel momento il terreno gli franò sotto i piedi, il suo cervello farneticante per il digiuno prolungato e per la crisi di astinenza da nicotina aveva formulato un pensiero agghiacciante.
La signora Stowe era morta perchè lui l'aveva abbandonata.
Lui aveva abbandonato Harry.
Ciò significava che anche lui era...?
Louis non ci poteva neanche pensare, non riusciva a concepire nemmeno l'idea che Harry morisse, ma il dubbio si era instillato nel suo cuore come un potente veleno che annebbiava la mente e stordiva i sensi, e così si era trovato di nuovo in piedi, a correre verso la Rianimazione urtando carrelli, pazienti e dottori senza nemmeno farci caso, senza fermarsi a chiedere scusa, senza curarsene davvero...
Non poteva andarsene anche lui, non l'avrebbe sopportato: aveva sperimentato cosa volesse dire essere un rinnegato, un delinquente senza speranza e senza affetti, e aveva deciso che quella vita non faceva per lui.
Se Harry fosse morto, il pensiero di essere stato l'inizio e la fine dei guai nella sua giovane vita lo avrebbe tormentato fino alla morte, ma nessuno avrebbe creduto alla sua redenzione.
Avrebbero tutti continuato a vederlo solo come l'ubriaco che l'aveva ucciso, il poco di buono, il reietto, Satana in persona che aveva messo fine alla breve vita di un angelo innocente.
Avrebbero avuto ragione, Louis lo sapeva.
Harry era la sua unica possibilità di redenzione, e poi...
Spesso si era chiesto come doveva essere stata la sua vita, cosa avrebbe fatto quella fredda e maledetta sera di Novembre se lui fosse semplicemente rimasto a casa a fare i compiti e a guardare la tv come gli era stato detto, cosa avrebbe fatto dopo, le materie che avrebbe scelto al college,  che mestiere avrebbe fatto...
Parallelo al pensiero della vita del ragazzino, spesso lui pensava anche alla sua vita, a cosa sarebbe cambiato anche per lui con quel “ e se non l'avessi investito” e capiva che sarebbe stato ancora lì a piangersi addosso per essere l'ultimo arrivato, l'outsider, l'emarginato...
Harry era stato la sua svolta, e lui voleva prendere la giusta via da qul momento in poi.
Non voleva che la sua vita, per ora messa in pausa come un film sul più bello, venisse bruscamente stoppata e poi spenta solo a causa della sua stupidaggine, perchè Harry aveva ancora tanto da offrire al mondo, al contrario di lui che portava solo danni e sofferenza.
Non glielo aveva mai detto, ma voleva perchè lui doveva saperlo, e forse se si sbrigava era ancora in tempo, forse non era troppo tardi...
Aveva fatto irruzione nella stanza come nei film polizieschi, prima di gelarsi sul posto, calmato dall'imperturbabile immobilità della camera, che sembrava essere fuori dal tempo e dallo spazio: ora niente più importava, niente più esisteva: c'erano solo loro due.
“Ciao Harry. Sono venuto a trovarti”





Lacrime calde che scivolando lungo il viso ustionano la pelle.
“Ciao Harry, sono venuto a trovarti” la voce trema mentre il corpo cerca di tenersi dentro tutto, come una diga che argina pensieri, sentimenti, emozioni...
Ma non ce la fa più.
La muraglia di cemento si sgretola sotto la potenza devastatrice dell'acqua, e Louis inizia a piangere incontrollabilmente, come un bambino.
Lei non ci sarà più, mai più.
Tutto quello che rimarrà di una vecchia donna, anziana e sola è una  misera lapide  e l'ombra del suo ricordo nel cuore del ragazzo.
Comparirà ogni volta che apre uno dei libroni che tanto amava, e Louis sentirà nella sua mente la sua voce seria e puntigliosa mentre spiega qualcosa che culturalmente parlando è molto importante, ma che non ha nessun riscontro e nessuna importanza nella vita reale.
E Louis piange perchè sa che ogni volta farà male sapere che lei non c'è più.
Piange perchè non sa se è abbastanza forte da portarsi dietro quel ricordo così prezioso per tutta la vita.
Piange perchè in quel momento ha capito che la morte è irreversibile: te lo spiegano a parole a scuola o  in Chiesa, ma nessun discorso sulla biologia o su Dio ti prepara alla cruda realtà che il tuo cervello, così piccolo e impotente davanti a una verità tanto immensa e devastante, non riesce a pensare, ostinandosi a pensare a quella persona al presente, come se respirasse e il suo cuore battesse ancora.
Non riesce ad accettare che il corpo verrà sepolto o cremato, le ceneri conservate o buttate al vento, i fiori sulle lapidi prima o poi sfioriranno ed appassiranno, così come prima della morte aveva fatto il corpo sfatto dal tempo, dal fato o dalla malattia, adesso sepolto sotto la terra gelida e buia, dove inizia la decomposizione, e presto di quel corpo che una volta amava ed era amato resterà solo il nudo scheletro custodito da una tomba senza significato ne fiori, sbiaditi come il ricordo della persona che una volta era stato.
Piange Louis, per la triste sorte della donna, perchè si sente colpevole, perchè sotto sotto sapeva che a lei importava e che gli voleva bene...
Piange per il corpo che immobile giace nel letto davanti a lui per causa sua, perchè lui ha provato a fregarsene di tutto e di tutti, di fare solo quello che voleva, di taglare tutti i ponti e vivere solo, come un duro, come uno di quei brutti ceffi che sembran fatti di pietra da quanto son freddi e insensibili, ma non può, lui ama ancora la sua famiglia, soffre la solitudine senza gli amici, prova ancora e sempre rimorsi per quello che ha fatto...
Piange perchè ha appena realizzato quanto le sue azioni abbiano portato vicino alla morte Harry: una birra in più, una spinta all'acceleratore, e lui poteva essere morto, e sarebbe stata colpa sua.
Piange perchè è tutto così confuso e doloroso, ma una cosa è certa, lui non vuole essere un assassino, non vuole che Harry muoia, e quando alza lo sguardo dalle sue stesse mani che gli coprono il viso soffocando i singhiozzi e vede il corpo del ragazzino che si sforza di tornare in vita, si chiede come mai non glielo abbia mai detto.
Prima che sia troppo tardi.
Si china su di lui, ma non resiste: ha bisogno di conforto, di qualcuno che lo stringa e gli dica che la Signora Stowe è morta, ma che andrà tutto bene, che ne uscirà, che non si deve preoccupare per lei, che è in un posto migliore adesso...
Valica quel tacito confine tracciato tra lui ed Harry prendendogli la mano bianca sotto le lenzuola e stringendogliela forte sussurrando tra i singhiozzi: “La Signora Stowe è m-m-morta... Mi mancherà così tanto!”
Bagna le lenzuola con il suo dolore, mentre il sapore delle sue lacrime gli da' il coraggio di continuare “ Io non voglio che muoia anche tu... Ti giuro che non volevo investirti, era tutto uno schifo e volevo che passasse, ti prego, perdonami, volevo solo che passasse, non voglio che tu muoia, ti prego, perdonami, vorrei essere morto io...”
Con una mano stringe forte quella dell'altro ragazzo, invocando come una litania il suo perdono e la sua innocenza, mentre con l'altro braccio sotto la fronte si regge la testa, stringendo  le lenzuola  sussurrando di tanto in tanto “Vorrei essere morto io...” finchè non è troppo stanco, finchè non ha più ne' fiato ne' lacrime.
E sa che adesso rientrerà in casa e crollerà tra le braccia di sua madre, perchè ne ha bisogno anche se c'è l'ha a morte con lei, anche se non l'ha ancora perdonata, sa che riprenderà a far visita ad Harry, anche se le prime volte, dopo quello sfogo sarà imbarazzante, sa che lavorare in reparto senza la sua Prof non sarà la stessa cosa, sa che anche se gli farà male, recupererà il libro di Amleto e lo metterà tra i Vogue, gli Harry Potter e la Pimpa sulla loro libreria.
Sa che farà male, non s'illude del contrario, ma in quel momento di pace assoluta senza lacrime ne' singhiozzi, è tranquillo.
Forse perchè la sua presa sulla mano di Harry si è allentata e lui sente chiaramente quanto forte lui ricambi, magari perdonandolo o per consolarlo, partecipe al suo dolore.
E allora forse c'è ancora speranza.





Angolo di Fin *-*

Buonasera popolo! ( o quel che ne resta)
Si, contro ogni scommessa sono ancora viva.
Si, lo so, dopo questa lieta notizia organizzerete una giornata di lutto nazionale :)
Sono stata super impegnata: giuro, non avrò mai figli... Gli amici creano già abbastanza problemi.
In sintesi, tanto per scartavetrarvi i maroni, S. è andata a sparlare di A. che l'ha saputo dal suo ragazzo, che è migliore amico del ragazzo di S., che in modo molto poco furbo la sputtanava davanti alla loro compagnia quando nojn c'era.
Oh figliuola mia,  ma è ovvio che se sputtani A. davanti al suo boy lui glielo va a dire! Sveglia!
Io, visto che sono tra due fuochi ho cercato di metter pace: all'inizio mi sono mantenuta neutra, ma dopo la 30esima volta che S. mi tirava da parte per dirmi che era un brutto periodo e voleva tanto parlare con A. mi sono sentita in dovere d'agire, creando un gruppo su whats app e chiudendole lì in modo che si potessero parlare...
Non l'avessi mai fatto!
In sintesi,  il giorno dopo davanti a tutta la classe, S. ha urlato che sono solo una 'piccola pacificatrice di merda che si deve solo fare i cazzi suoi', abbreviato da me e A. come 'ppdm'
Cuz I'm a ppdm, and I want it on a T-Shirt.
E a voi non frega una sega lol
Vorrei comunque ringraziarvi per l'ascolto, partendo dalle mie nuove recensitrici, marti_lala che purtroppo resterà delusa dalla staticità di Harry (pazienta, figliuola, pazienta)  Ily, che non mi deve più uccidere e Chiamami-come-vuoi, alias Priscilla che giuro che non so come chiamare... Priscy? E' pessimo. Lilla? Nah... Se ti piacciono gli Hunger Games ti chiamo Prim e ce semo levate er dente :)
My wife Ellie, che vedendo il povero Loueh soffrire così prenderà armi e bagagli e organizzerà insieme a Caro un attentato alla mia persona * tenta di schivare le padellate sul cranio stile Petunia Evans in Dursley*
Lu che è stata l'unica a ipotizzare una ricaduta di Harry, e con la quale mi stava sufuggendo uno spoiler enorme sui prossimi capitoli a venire e la figura di Anne.
Anne sarà una bigottona acida di prima categoria, accettatelo ( *piange lacrime amare per la sua blasfemia*)
Ilaria che è all'estero (spero vivamente di ricevere una cartolina lol) e Domenico che magari incontrerò al concerto ( se non vendo il biglietto) e passerò tutto il tempo a sbavare sul suo ragazzo e sul suo tatuaggio ( più sul tatuaggio credo, o non vedrò l'alba di un nuovo giorno XD)
And last but not the least Fiordilice, ovvero Erica alla quale vanno i neuroni in pappa dai feels.
Ma ammettiamolo, capita a tutte.
Veramente 100 grazie e 20000 baci a tutte, che non m'avete abbandonato, che mi avete riempito di complimenti, che avete addirittura paragonato sta schifezzuola a 'Akob'...
Veramente, grazie mille.
Al prossimo aggiornamento pupe XD E se avete bisogno della sottoscritta per qualsiasi cosa, messagiatemi e vi sarà risposto.
Hasta la vista, e che Dio vi benedica!
#likeaGerryScotti
#Lotsoflove
#Kisses



 

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Capitolo 8
*** The Man Who Can't Be Moved ***


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8. The Man Who Can't Be Moved

Coppiette che si sbaciucchiavano.

Ragazzi che flirtavano in coda per il dessert della mensa.

I ragazzi facevano gli spacconi, inventando stronzate su stronzate per impressionare il gentil sesso, che in tutta risposta provvedeva a ridacchiare con le amiche e a scoprire quanta più mercanzia poteva.

Che schifo.

Louis abbassò lo sguardo sulla triste insalata ai pomodori raggrinziti e rugosi che aveva davanti, misero pasto di un misero studente, e spinse via il piatto, disgustato.

Non tanto per il suo contenuto, ma per l'ambiente saturo di ipocrisia e opportunismo che lo circondava: sostanzialmente a scuola lui stava zitto e si faceva i cazzi suoi, e dopo i primi due mesi aveva cambiato status passando da "l'ultimo arrivato/punchball in prova" a "l'uomo invisibile che si mimetizza con la carta da parati", che veniva ignorato dai compagni di corso, disprezzato dai più grandi e classificato come uno "sfigato" persino da quelli più piccoli, che quindi non si sentivano minimamente in dovere di portargli rispetto.

Assennatamente Louis non poteva dargli torto: anche lui  nella sua vecchia scuola non avrebbe cagato di striscio un reietto, sfigato invisibile qual'era, tanto meno se era più grande o più piccolo.

Ma anche se a prima vista il ragazzo sembrava disinteressarsi di tutto e di tutti, vivendo chiuso nel suo guscio come la più caparbia delle ostriche, ciò non toglieva che, tramite Fizzy, che trascorreva ore e ore al telefono camminando come un'anima in pena tra le quattro anguste mura del loro appartamento, conoscesse tutti i pettegolezzi più scabrosi e succosi della Bennett High.

Per esempio sapeva che Gavin Ferrier era ufficialmente fidanzato Euphemia, una studentessa della scuola Cattolica privata della città vicina, ma nonostante questo si portava a letto Moira Barker durante la settimana o l'orario scolastico.

Sapeva che Dred Chapmann, il giocatore più promettente della squadra di basket e suo personale aguzzino prima che "lo lasciassero perdere"  aveva carta d'identità e patente falsificati, perchè il suo vero nome, uguale a quello della sua amata trisnonna Mildred, gli recava un terribile imbarazzo.

Non credeva minimamente che il segno rosso sul collo di Lynn Hardcourt, malamente coperto da un foularino firmato, fosse una bruciatura accidentalmente causata da un esperimento nel laboratorio di chimica, quando il vero colpevole non era il suo storico fidanzato Richard Skyes, il principale sospettato, bensì il viscido Ian Dwith che si divertiva a intrufolarsi nei bagni delle ragazze al primo piano e a "giocare a Edward Cullen".

Tutto intorno a lui era corrotto: amicizie troncate, rivalità sportive, furti tra compagni di classe, sfruttamento dei secchioni, amori non corrisposti, gare di popolarità estile...

Neanche a San Valentino si davano una calmata.

C'erano le primine che si pavoneggiavano nei corridoi, contando quanti patetici orsetti di peluches a forma di cuore avevano ricevuto, prima di canzonare le fino-a-un-secondo-prima-migliori-amiche che erano rimaste a bocca asciutta, creando gruppetti e leadership di crudele natura verso le malcapitate, c'erano le topmpdel della scuola che ricevevano mazzi di costose rose rosse dai nerd superimbarazzati che vedevano in quel giorno speciale un'occasione per dichiararsi, e costernati osservavano le loro speranze raggiungere i fiori tanto accuratamente scelti nel bidone dell'immondizia, le corna spuntavano da tutte le parti a tutti, come una fastidiosa epidemia che non risparmiava nessuno, e tutti parlavano dell'imminente ballo della scuola, dove i ragazzi invitavano le ragazze.

C'è tortura più perfida e raffinata di questa?

L'intera popolazione dell'istituto credeva di no, e secondo Louis aveva ragione.

Il ragazzo si alzò, sfilando attraverso la mensa per gettare l'insalata di pomodori, ancora intatta come sua madre l'aveva preparata la sera prima, poi uscì dal locale affollato facendo lo slalom tra i suoi compagni, che non l'avrebbero notato neppure se avesse indossato lucine di Natale intermittenti al posto dei vestiti.

Andava sul tetto, lo faceva spesso, per stare un po' in pace e ascoltare la musica nel silenzio più totale.

I posti più isolati godono di un'acustica perfetta.

Si mise comodo nel suo solito angolino, le braccia incrociate dietro la nuca e una sigaretta tra le labbra, prima di infilarsi le auricolari e premere play.

Subito l'iPod si collegò alla sua stazione radiofonica preferita, Radio 1, dove stavano trasmettendo una playlist dei Coldplay (ormai giunta al termine) dedicata alla festa degli innamorati.

Fix you terminò dolcemente, lasciando al posto a una band sconosciuta tamarrissima diventata famosa solo grazie all'autotune.

Louis si accese un'altra sigaretta.

Dopo che i "nuovi talenti" ebbero finito di martoriare i timpani agli ascoltatori, e dopo qualche canzone di Pink per rimediare, la conduttrice speciale di quella puntata, un'attrice televisiva di qualche serie TV smielosa e patetica di cui Louis non riusciva a ricordare il nome, aprì la sua personalissima rubrica dove preadolescenti esaltate in piena crisi ormonale telefonavano alla radio per chiedere consigli sulle loro attuali situazioni sentimentali.

Il ragazzo rimase in ascolto, tanto per farsi una risata, ma alla terza telefonata si strappò via le cuffie, esasperato.

Anche Radio 1 era caduta in basso, tutta colpa di San Valentino.

Tutta colpa delle bimbette oche che non sanno cos'è l'amore, aveva pensato tra se e se il ragazzo, accendendosi la terza Malboro in un giorno: era nervoso, irritabile e di cattivo umore, e per una volta non era colpa della scuola.

Non sapeva neanche lui di chi fosse la colpa, in realtà, sapeva solo che nel giorno dove si celebrava la festa dell'amore tutto sembrava falso e ipocrita: Cornificazioni con la C maiuscola che spuntavano ovunque, non risparmiando nemmeno coppie di migliori amici e magici trii noti a tutti come inseparabili fin dall'asilo, litigi ( che ovviamente ne conseguivano) che facevano tremare le pareti e cadere il calcinacci dal soffitto della sala mensa, tanto che pareva nevicasse anche all'interno, strilli, capelli strappati, risse tra giocatori di football e cestisti della squadra di basket, zuffe tra gatte, cheerleaderVStopmodel, psicodrammi durante le lezioni che si trasformavano immancabilmente in talk show dove ognuno era un tronista che dava il suo parere, consigli, che la maggior parte più che rendersi utili facevano degenerare la situazione, infiammando gli animi più del dovuto e creando disastri di proporzioni mondiali.
Ma la cosa che più di tutte detestava era la sciocca competizione che ogni anno, immancabilmente si andava a creare tra ragazzi e ragazze.
Le ragazze collezionavano fidanzati come se fossero paia di scarpe in saldo, con storie si lampo di due giorni massimo durante le quali si sentivano con minimo altre 4 persone, i prossimi candidati sulla lista.
E poi s'incazzavano se le chiamavi "troie".
Il sesso opposto non era da meno, solo che al posto di collezionare scarpe si divertiva ad accumulare trofei, descrivendo dettagli intimi della relazione, cose che Louis non avrebbe mai rivelato alla più stretta cerchia di amici se avesse mai trovato l'amore.
Ma forse era solo lui a pensarla così, era sempre stato diverso in queste cose.
Diverso e lento.
Ci aveva messo 4 anni solo per capire che il suo migliore amico di sempre era più che un compagno di giochi per lui, e che i sentimenti che provava  erano più profondi e indelebili.
Era innamorato.
Innamorarsi a 12 anni del tuo migliore amico, maschio, non era una passeggiata, eppure Louis conservava un bel ricordo di quel periodo: lui e Zayn, inconsapevole di tutto, uniti contro i grandi, pronti a spaccare il mondo.
A quel tempo non aveva la minima percezione di cosa fosse l'omosessualità, non aveva ancora scoperto il magico mondo del sesso e l'unico passatempo che occupava le sue giornate erano gli amici, i videogiochi e il calcio.
Poi si era innamorato, e prima di uscire con Zayn per i loro soliti lunghi giri in bicicletta prima di invadere il campetto comunale dietro la Chiesa, passava ore e ore in bagno a sistemarsi i capelli, a controllare come gli stavano i vestiti, cambiando T-shirt ogni 2 minuti prima che l'altro suonasse il campanello impaziente e che sua madre lo sbattesse fuori  con quello che aveva addosso senza tanti complimenti.
Ovviamente sapeva che all'amico piacevano le ragazze, e questo lo portava spesso a rannicchiarsi su se stesso la notte e a sfogare tutto il suo dolore adolescenziale in lacrime e singhiozzi soffocati dal cuscino, ma non aveva mai provato a "farsela passare" e a frequentare qualcun'altro.
Il suo cuore apparteneva a Zayn, e se lui l'avrebbe amato solo come un amico, allora sarebbe stato il migliore amico che poteva esistere, e si sarebbe limitato ad amarlo da lontano senza farsi illudere da niente e da nessuno.
Non se la sentiva nemmeno di frequentare altre persone, neanche verso i 13/14 anni, quando tutti gli altri si affrettavano a trovare le prime fidanzatine ed ad avere i primi appuntamenti e le prime esperienze.
Sarebbe stato sbagliato ed immorale fingere di amare qualcun'altro,  lui non era il tipo che usava gli altri per i suoi scopi, e comunque nel suo cuore c'era solo spazio per Zayn.
Aveva sofferto, e molto.
Per di più la scoperta di essere "omosessuale" e tutte le negative implicazioni che comportavano, nonostante nessuno lo sapesse e Louis fosse determinato a mantenere il segreto fino alla tomba lo avevano portato a chiudersi a riccio, scoraggiando i numerosi amici ad invitarlo ad uscire e alle feste e alle ragazze di farsi avanti, e la cosa più dolorosa di tutte era che Zayn si era eletto suo personale aiutante ad uscire dal suo "guscio".
Se solo avesse saputo...
Il ragazzo temeva che, schifato, sarebbe fuggito a gambe levate, troncando i rapporti con lui per sempre.
Per questo doveva restare tutto un segreto.
Infatti Zayn non sapeva, e organizzava appuntamenti a quattro con le sue fidanzatine e un amica cessa di scorta per Louis, e ogni volta che la scintilla non scoccava, ogni volta che non funzionava il dottor Stranamore ci rimaneva malissimo.
E lui soffriva.
Ma aveva avuto la sua piccola vendetta su quelle vipere velenose che ogni volta giocavano col cuore del suo unico amore: era riuscito a strappare il suo primo bacio a Zayn.

"Allora? Come mai stavolta con Gwen non ha funzionato?"
Il tredicenne Louis Tomlinson aveva scrollato le spalle, prima di stringere nervosamente i pugni nelle tasche dei jeans e calciare lontano sul selciato un sasso che intralciava la via.
"Non lo so"
"Non lo sai mai Louis"
Zayn si era tolto gli occhiali da sole per fissare meglio l'amico, che non sapeva più cosa dire.
Era estate, e con la fine della scuola gli era difficilissimo inventare scuse per dare bidone agli appuntamenti a quattro che l'altro organizzava, e soprattutto era ancor più difficile ideare nuovi piani per smollare le ragazze che Zayn gli propinava.
Il moro si era fermato all'ombra di un albero, mollando la bici a lato della strada sterrata della ciclabile che ogni giorno percorrevano per andare in piscina e tornare a casa quando l'afa estiva si era attenuata e le ombre della sera si allungavano per le vie distorcendo la normalità con la loro particolare luce.
L'aveva seguito, a disagio, passandosi nervosamente la mano tra i capelli bagnati e sedendosi sulla staccionata di legno di fianco a lui.
"Non c'è la faccio a vederti così... Dimmi perchè rifiuti tutte le ragazze che ti trovo!"
"Te l'ho detto, non lo so!"
"Sei innamorato di qualcun'altra che non mi vuoi dire?"
La verità rischiava di schizzargli fuori dalle labbra, come il vapore da una pentola a pressione prima che esploda, così aveva distolto lo sguardo dall'amico e aveva mormorato fissando il suolo polveroso un mesto "no".
"E allora qual'è il problema?! Bea mi ha detto che ti sei rifiutato di baciare Doreen. E' vero?"
Aveva annuito gravemente, restando in silenzio.
"Ho capito!" Zayn era saltato in piedi battendo le mani, improvvisamente illuminato " Non l'hai baciata perchè non hai mai dato il tuo primo bacio, e non si come si fa!"
Louis aveva alzato la testa di scatto, rosso come un peperone.
"Io non-"
L'altro non l'avrebbe ascoltato comunque, saltava su e giù come un'ossesso, una luce che gli illuminava gli occhi definita spesso dall'amico "sinistra", la stessa indelebilmente impressa nei ricordi di Louis, come quella volta che a sette anni avevano voluto insegnare al criceto di Lottie a nuotare ed erano finiti con un cadavere da nascondere e un lavandino otturato.
"Che idiota che sono! Adesso tutto quadra! E' per questo che hai piantato tutte le altre!"
Il ragazzo aveva annuito cautamente, prima che l'amico annunciasse, stringendogli le mani "Non ti preoccupare, lo Zio Zayn t'insegnerà tutti i trucchi del mestiere!" e si risedesse di fianco a lui.
"Io inizierei con uno a stampo, è più facile e hai meno possibilità di sbagliare: praticamente non devi fare altro che avvicinarti e appoggiare le labbra sulle sue, è facile, no?"
"Eh?"
Louis era diventato viola  dall'imbarazzo, ed era certo che gli uscisse del fumo dalle orecchie per quanto aveva caldo.
"Così, guardami"
Zayn aveva sporto le labbra all'infuori, strillando con la voce in falsetto "Oh Louis baciami bel maschione" prima di chiudere gli occhi e sbattere lascivamente le ciglia.
E Louis l'aveva baciato.
Si era sporto verso di lui e aveva premuto le sue labbra  contro le sue, e per un attimo il mondo si era fermato: il vento aveva smesso di soffiare, gli uccelli di cantare, ogni singola persona si era immobilizzata, come quando metti in pausa in un film.
Era come se il sole splendesse dentro di lui, irradiando i suoi raggi caldi e benefici in tutto il mondo, come se avesse scalato l'Everest e adesso guardasse la terra dalla sua vetta, come se avesso sollevato un camion con una mano sola...
E poi Zayn si era staccato, strillando.
"Aaaaah Louis!!! Mi stai sgocciolando su tutta la maglietta!!!"
Il ragazzo si era scostato velocemente, mortificato.
"Guarda che stasera devo uscire, e non mi voglio cambiare solo perchè tu sei un impiastro che non sa neanche usare il phon" gli aveva fatto l'occhiolino " E stasera vieni anche tu... Non c'è niente da temere, baci proprio bene"
Non aveva protestato, ne' gli aveva risposto.
In verità non aveva parlato per un bel po', era troppo occupato a sentirsi al settimo cielo.

Aveva continuato ad amare l'amico ( e a sognare le sue labbra) in silenzio, sempre perdutamente innamorato, poi in terza liceo aveva conosciuto Stan, ed erano diventati un magico trio, sempre in giro in sella alle bici a rimpinzarsi di dolci e gelati...
Lentamente il suo amore per Zayn si stava trasformando da una forte infatuazione ad un amore platonico, e quando Stan si era dichiarato, usando le stesse parole che lui avrebbe usato per dichiararsi all'amico, aveva accettato la proposta, mettendosi il cuore in pace e rassegnandosi ad amarlo solo come un fratello.
Zayn era rimasto lo stesso anche dopo aver saputo che era gay e col passare del tempo la cotta gli era passata, lasciando posto a un'amicizia più forte di prima.
La storia con Stan era durata fino alla fine della seconda liceo, e dopo tutto quel tempo Louis aveva ammesso, in confidenza, i sentimenti che aveva provato verso Zayn, che si era limitato a ridacchiare e ad ammettere a sua volta che lo sapeva, ma non voleva incoraggiarlo o illuderlo perdendo per sempre la sua amicizia.
Erano ancora in ottimi rapporti, nonostante dopo la terza liceo avessero intrapreso strade diverse che avevano finito per separarli: lui voleva diventare un avvocato, assecondando la sua indole polemica e sarcastica, mentre Zayn sarebbe voluto diventare un'insegnante.
Frequentavano corsi diversi e compagnie diverse, erano entrambi fidanzati ( lui con un giovane e promettente calciatore, bomber della squadra della scuola, Ashton, l'altro con la commessa carina di Starbucks) eppure continuavano a sentirsi, a telefonarsi ogni tanto, a scriversi...
Poi i suoi avevano divorziato, e lui si era trasferito, mentre Zayn aveva iniziato a frequentare le persone sbagliate, e ad avere qualche guaio con la giustizia, pagando il suo errore con l'allontanamento da casa e l'affidamento presso un'altra famiglia in un paese sconosciuto che Louis non aveva neanche mai sentito nominare.
"Eravate così due bravi ragazzi!" sospirava sua madre ogni volta che erano in argomento.
Con Ashton invece le cose non erano andate così bene: di comune accordo alla sua partenza non si erano promessi niente e anche se la relazione era diventata molto seria ed importante col passare del tempo, due venerdì dopo la sua partenza i compagni di classe di Louis lo avevano informato che si era presentato alla festa con un accompagnatore ufficiale, un certo Fabian, sostenendo di frequantarlo da mesi e che fossero ufficialmente fidanzati.
In quel periodo era così preso dalla nuova sistemazione, dai suoi e dalla nuova scuola che non ci aveva fatto troppo caso, ma quando al suo messaggio "Sei uno stronzo" il fidanzato ( o meglio, l'ex fidanzato) aveva risposto semplicemente "Lo so :( " Louis aveva convenuto con se stesso che l'ultima cose che gli serviva in quel momento erano problemi di cuore, e quel 14 febbraio, sdraiato sul tetto della scuola, al freddo e completamente solo, lo ricordò a se' stesso, modificando leggermente il suo pensiero:
Faceva schifo, ma era meglio così.
 

" ... All'inizio mi ero proprio scocciato, io sono solo un inserviente: è già tanto se non mi lamento quando mi fanno fare clisteri e lavare corpi decrepiti e puzzolenti! Poi però abbiamo preso il pullman, e lui continuava a parlare di quanto 'la sua donna' fosse bella, fosse eccezionale, fosse un'ottima cuoca e bla bla bla...

Mi ha persino fatto la predica!"

Il ragazzo si era interrotto, per poi proseguire con una voce esageratamente bassa e strozzata:

" Dagli dei lei, lei è una vera signora, mica le sciacquette facili che frequenti tu!!" era scoppiato in una breve risata "Andare con le sciacquette? Io? Io sono single e gay, e comunque anche se frequentassi qualcuno di certo non sceglierei una sciacquetta, qualsiasi cosa voglia dire..."

Era scoppiato a ridere, strillando tra una risata e l'altra "sciacquetta!" e sghignazzando a crepapelle più forte di prima.

"Hey Harry vuoi sapere cos'è una sciacquetta? Ho cercato sul dizionario e ho scoperto che è un termine tecnico con il quale viene indicato un individuo di sesso femminile che vive perseguendo la morale di scoparsi chi gli capita a tiro: trans, uomini, donne, altri..."

Louis non aveva riso così tanto in vita sua: stare con Harry lo faceva stare proprio bene, e riprendere a recarsi nella stanza 17 dopo l'orario di chiusura si era rivelato essere un toccasana per il suo umore.

All'inizio, date le circostanze del loro ultimo incontro, era molto imbarazzato, ma tutto sembrava come prima: stesso letto, stesse flebo, stesse bende e stesso Harry.

Dopo essersi tolto un tale peso dal cuore era più facile rapportarsi con lui, tanto che Louis poteva liberamente "divertirsi" e provare a coinvolgere l'altro ragazzo senza sentirsi in colpa.

"La prossima volta che mi avanzano soldi ti porto un pigiama, quelli con le scritte... I love sciacquette" il ragazzo si era asciugato le lacrime che ormai gli rigavano il volto per il troppo ridere, prima di calmarsi con qualche respiro profondo e tornare a parlare normalmente.

"Oggi è la giornata mondiale delle sciacquette. Ormai San Valentino è stato declassato... Jordie Barton ha pubblicamente umiliato sua cugina, sua cugina! E tutto perchè non ha ricevuto nemmeno un cioccolatino, riducendola in lacrime tanto che la poveretta ha passato il resto della pausa pranzo in mensa, e stando al bollettino di Fizzy non è uscita neanche per le lezioni...

Ragazzine di 12 anni santo Dio! Non c'è speranza per la nuova generazione..."

Il ragazzo aveva scosso la testa, addocchiando per la prima volta un oggetto non identificato sul comodino.

" Uhuuu!" aveva strillato, in una forzata e acuta parodia di uno strillo da ragazzina, che copriva la lieve fitta che provava al ventre " Anche tu hai ricevuto qualcosa... Posso darci un occhiatina?"

Silenzio.

" Lo prendo per un sì"

Era un peluches morbido, con occhi e bocca disegnati in versione cartoons, a forma di cuore rosso e peloso.

Di fianco c'era un biglietto con dei cuccioli di cane che dividevano un osso incartato nella carta regalo al chiaro di Luna, che recitava "Tanti auguri di Buon San Valentino!" e qualcuno a penna aveva aggiunto " E una Buona Guarigione" 

Il biglietto era firmato "Mamma e Gemma"

Lo stomaco di Louis si era rilassato, e lui si era sentito avvampare per la sua sciocca reazione.

" Che carine! Le tue donne ti hanno mandato un bellissimo biglietto e un bellissimo peluches!" 

Nella stanza era calato il silenzio, mentre Louis giocherellava con il peluches.

"E tu Harry? C'è l'hai la fidanzatina?"

Silenzio.

" Io no... Detto sinceramente forse oggi mi sono sentito un po' solo, ma so che è meglio così. L'amore per me è diverso da come lo intendono gli altri: loro pensano solo all'aspetto materiale, ai fiori, ai regalini, a quante volte mi porta in discoteca, a quante volte mi costringe ad andare al cinema a vedere un film palloso, a quante stupide partite di calcio dovrò assistere? Quando me la smollerà?

Poi se un'altra ragazza o un altro ragazzo più bella o più muscoloso li guarda, cadono ai loro piedi e la precedente relazione va a puttane, tutti i momenti passati insieme, tutte le confidenze, le frasi tenere,i gesti romantici...

Non c'è più niente.

E a volte le ex gelose ti diffamano, mandando in giro foto, video, rivelando i tuoi segreti, e gli amici magari non ti dicono che il tuo lui o la tua lei ti sta cornificando, e così tu sei doppiamente fregato: perdi amore, amici e se ti va proprio male anche la dignità.

E se aspetti quello giusto e non ti fidanzi entro la terza elementare sei una suora bigotta o uno sfigato, e tutti ti renderanno la vita un'inferno, ma se lo fai prima degli altri perchè sei precoce, o perchè sei davvero innamorato, allora sei una troia o un don Giovanni.

Se collezioni cazzi allora sei una 'in' se giochi con la squadra di calcio a 'cielo manca' sulle ragazze che ti sei portato a letto sei uno 'cool'...

Io non sono tagliato per tutto questo.

Io sono diverso, e se questo mi condanna a stare da solo ben venga, perchè io non mi abbasserò mai ad essere un puttaniere che si diverte a giocare coi sentimenti degli altri solo per avere qualcuno accanto ed essere accettato in società"

Il ragazzo aveva ripreso fiato, ansimando infervorato, prima di continuare più tranquillo:

" Oggi quando il pullman è arrivato a destinazione, mi sono dovuto ricredere su Mr Hales.

Si era vestito di tutto punto in giacca e cravatta, si era fatto una doccia e pettinato i quattro peli che aveva in testa perchè 'aveva un appuntamento'  continuava a specchiarsi nei finestrini dell'autobus e a lamentarsi che puzzavo di piscia di gatto e io credevo che  fossimo diretti in una casa di riposo, dove lui avrebbe brontolato un po' con la moglie, che credevo essere una vecchietta bavosa e antipatica come lui, me lo immaginavo stupidamente mentre le tirava addosso i fiori che aveva tanto insistito per comprare, prima di iniziare ad urlare come al suo solito ordini a destra e a manca, e invece non siamo scesi davanti ad un ricovero.

Siamo scesi davanti al cimitero.

E lui ha appoggiato un mazzo di rose rosse da 50 sterline su una tomba, e col suo vestito buono si è seduto sul marmo per più di due ore, a parlare al vento, dicendo che voleva restare solo con lei.

Mentre ritornavamo qui in ospedale mi ha raccontato che razza di donna fosse e tutti i guai che avevano dovuto passare per riuscire a sposarsi in santa pace.

E io ho pensato che forse Mr Hales non è così male, e che forse è così insopportabile perchè si sente solo, e che anche io sarei arrabbiato se i miei figli non mi venissero mai a trovare tra queste stupide quattro mura..."

"Ecco, io voglio un amore come il loro: voglio che qualcuno faccia pazzie per me, voglio qualcuno che mi ami davvero e che mi renda una persona migliore di quello schifo che sono, voglio qualcuno che tra 60 anni porti rose rosse sulla mia tomba per festeggiare con i miei resti San Valentino, qualcuno che mi ami oltre lo spazio, il tempo e la morte..."

Louis aveva sospirato.

"Mi sa che per oggi ho parlato troppo..."

La stanza era piombata nel silenzio.

Fuori iniziava a piovere, e il ragazzo si era avvicinato alla finestra per osservare la strada sotto di loro bagnata dalla pioggerella sottile, che batteva contro il vetro.

Le auto schizzavano i poveri passanti ignari, svuotando le pozze e inzuppando i marciapiedi ingombri di mantelle colorate ed ombrelli.

Sovrappensiero si era messo a canticchiare un motivetto.

C'era stato un rumore di lenzuola smosse: Harry aveva avuto un'altro spasmo.

Le infermiere dicevano che  era una cosa normale, e che gli episodi si erano moltiplicati dalla prima volta che era capitato, così Louis non ci aveva dato troppo peso: si era limitato a riportare il suo sguardo e i suoi pensieri all'interno di quella stanza, rivolgendosi di nuovo al ragazzo.

“ Ti piace? E' la canzone dei The Script che preferisco, sai. The man who can't be moved. Ti va di ascoltarla con me?”

Il ragazzo aveva sorriso al volto cereo e immobile sotto le coperte, prima di sgarbugliare le cuffie dell'iPod, prendendo quel silenzio statico come un assenso e infilando delicatamente l'auricolare nell'orecchio dell'altro, prima di sedersi di fianco al lettino bianco e premere play.


Going back to the corner where I first saw you

Gonna camp in my sleeping bag, I'm not gonna move

Got some words on cardboard, got your picture in my hand

Saying if you see this girl can you tell her where I am?


Some try to hand me money, they don't understand

I'm not broke I'm just a broken hearted man

I know it makes no sense, but what else can I do

How can I move on when I'm still in love with you?


Louis, trasportato dalla musica aveva iniziato a canticchiare a bassavoce il ritornello.


'Cause if one day you wake up and find that you're missing me

And your heart starts to wonder where on this earth I could be

Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet

And you'd see me waiting for you on the corner of the street


So I'm not moving

I'm not moving


Policeman says son you can't stay here

I said there's someone I'm waiting for if it's a day, a month, a year

Gotta stand my ground even if it rains or snows

If she changes her mind this is the first place she will go


'Cause if one day you wake up and find that you're missing me

And your heart starts to wonder where on this earth I could be

Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet

And you see me waiting for you on the corner of the street


So I'm not moving

I'm not moving

I'm not moving

I'm not moving


People talk about the guy

Who's waiting on a girl, oh whoa

There are no holes in his shoes

But a big hole in his world


Maybe I'll get famous as the man who can't be moved

And maybe you won't mean to but you'll see me on the news

And you'll come running to the corner

'Cause you'll know it's just for you


I'm the man who can't be moved

I'm the man who can't be moved


'Cause if one day you wake up and find that you're missing me

And your heart starts to wonder where on this earth I could be

Thinking maybe you'll come back here to the place that we meet

Oh, you see me waiting for you on a corner of the street


So I'm not moving

'Cause if one day you wake up, find that you're missing me

I'm not moving

And your heart starts to wonder where on this earth I could be

I'm not moving

Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet

I'm not moving

Oh, you see me waiting for you on a corner of the street.


“ Anche io sto aspettando qualcuno” aveva sussurrato il ragazzo “Ma non so se mai tornerà”

Si era voltato verso lo spettro dell'altro ragazzo, che era letteralmente l'uomo che non può essere mosso, caparbiamente rinchiuso nel suo bozzolo, in attesa che qualcuno lo trovasse e lo prendesse per mano, conducendolo fuori dalla oscurità che lo circondava, riportandolo alla vita, di nuovo.

E mentre Louis lo fissava, immerso in cupi e dolorosi pensieri, vide qualcosa scivolargli lungo la pelle biancastra, partendo dall'occhio destro e scorrendo lungo la guancia scavata, per atterrare con un rumore impercettibile sulle lenzuola.

Stava piangendo.

Il ragazzo aveva appoggiato la mano calda contro la pelle granitica, raccogliendo piano con un dito le lacrime dell'altro, stupito dalla sua reazione, meravigliato che fosse successo qualcosa, e che fosse stato lui e la sua musica a causarla.

Sentiva l'impellente bisogno di toccarlo, come quando era morta Mrs Stowe, sentiva il bisogno di accarezzarlo, consolarlo, fargli sapere che lui, anche se era un perfetto sconosciuto e per di più causa di tutti i suoi guai, sarebbe stato lì per lui, a sostenerlo, ad assicurargli che tutto sarebbe andato per il meglio.

“Tutti aspettiamo qualcosa, Harry, la cosa che io sto aspettando non tornerà mai, e io so che è tutta colpa mia, ma per te le cose sono diverse... Tu sei forte, sei intelligente, e soprattutto non sei una testa di cazzo come il sottoscritto. Tu non rovinerai nulla”

Continuava a passare la mano lungo la guancia bianca, quella sana e sgonfia, priva di ematomi ormai giallastri, nella speranza di confortarlo e di far cessare il pianto.

“Tu avrai tutto quello che vuoi dalla tua vita, devi solo tenere duro ancora un po', uscire da questo maledetto coma, e vedrai che tutto andrà bene...

Io sarò sempre qui, sarò il tuo 'uomo che non si muoverà' resterò ad aspettarti con la neve, con la pioggia, per tutto il tempo che riterrai necessario, perchè ti ho messo in un casino quando non c'entravi assolutamente niente, e hai dovuto pagare le conseguenze delle mie azioni idiote, e non puoi neanche immaginare quanto mi dispiaccia”

Il peso e il dolore che portava sullo stomaco s' attutiva ogni volta che glielo diceva,  e per questo motivo e soprattutto per il fatto che gli dispiaceva veramente e ogni parola era così veritiera da fargli male, non si sarebbe mai stancato di ripeterglielo.

“ E se quando ti riprenderai l'unica cosa che vorrai fare sarà spaccarmi la faccia a pugni, bene, posso solo dire che me lo sono proprio meritato, ma se dopo avermi deviato il setto nasale in quante direzioni ti pare, possiamo ricominciare ed essere amici sarò infinitamente più contento”

Louis era vicinissimo al viso dell'altro, poteva vedere ogni singola vena bluastra solcargli il viso, ogni piccola ferita, le pieghe delle labbra chiare, le palbebre pesanti che gravavano sopra gli occhi...

Il ragazzo notò il movimento frenetico e impazzito dei bulbi oculari sotto le palperbe chiuse, e lo interpretò come un tentativo di tornare a galla, di combattere contro il destino, di prendere in mano le redini della sua vita, e ritornare a vedere, sentire, respirare...

In lontananza si udì la risata rimbombante di un uomo, seguita a ruota da un precipitoso arrivo di un'ambulanza, la sirena che squarciava il silenzio dell'ospedale dando il via a una nuova sfida per il personale infermieristico.

Doveva andare.

Doveva tornare al lavoro.

Louis appoggiò piano la mano sulla fornte di Harry, accarezzandola piano e guardando con orgoglio quel piccolo campione pieno di vita, che ne era sicuro, non si sarebbe arreso alla morte.

Cercò di ignorare il rumore dei monitor e delle macchine che circondavano il letto, l'aria immobile in attesa del miracolo, del risveglio nel quale confidavano i medici più ottimisti, e inviò pensieri positivi nell'universo imponendosi, per una volta, di sperare anche lui, di farsi illusioni, di sognare...

Avvicinò la bocca al suo orecchio, indugiando un'attimo, improvvisamente incerto e spaventato dal suo convolgimento emotivo di una persona che neanche conosceva.

Ma poi gli sussurrò a bassa voce, una supplica più che un segreto tra due ragazzi irreparabilmente legati a doppio filo dal fato:

“Per favore, per favore Harry. Ti prego, non arrenderti”


Going back to the corner where I first saw you

Gonna camp in my sleeping bag, I'm not gonna move.




Angolo Fin *-*

Saaaaaalvah centah :)

Sono in ritardo di almeno 48 ore * si fustiga in ginocchio su ceci/frammenti di bottiglia* ma non è colpa mia! E' colpa della scuola, tra compiti in classe, interrogazioni che esplodono come mine, tesine da fare, libri da leggere e professori che più hanno studiato più sono scemi, io non c'è la faccio più.

Datemi un letto!
Datemi le vacanze!

Datemi Midnight Memories e i Larry che conigliano vicendevolmente in a gay friendly way! ( non so cosa sto dicendo lol)

Datemi un carro di biscotti con gocce di cioccolato per ringraziare ciascuna di voi: Ele28, che mi ha colpito per le sue profonde riflessioni, tanto che le inserirò tra qualche capitolo, perchè sono troppo belle per non usarle e descrivono perfettamente l'interiorità di Louis ( tranquille, ho chiesto il permesso) Lu che insieme alla mia mogliettina Ellie mi ha dato una magnifica idea da sviluppare in futuro, kukukukukuku * ridacchia in modo maligno* Non immaginate minimamente cosa vi aspetta!!!! #evilface

Erica che m'ucciderà perchè, già la sento "Siamo all'ottavo capitolo e non si è ancora svegliato!" Tesoro mio, c'hai ragione, ma... per i greci il numero perfetto era il 10.

E non dico altro :3

Stessa cosa vale per Caro, e sappi che più veloce recensite più veloce io scrivo, quindi.... Scrivete, ragazze, scrivete! Che recensire fa bene al cuore!!!

marti_lala che si stupisce per il mio angolino sempre fortunatamente stipato di gente, ma che non dovrebbe dal momento che io ringrazio sempre TUTTI :)

Iris, che mi ha scritto la recensione più lunga di sempre, più lunga di quelle che lasciava a Love Liar, più lunga delle prime fatte a Drunk, insomma.... The longest! (cuz longest is better :3)

Ila, che abbandona il suo boy solo per leggere le mie ff e lui le intasa whats app di messaggi, non sono l'ammmmmmmore? Adottatemi :Q_

Prim ( Priscilla che non m'ha ancora detto come vuole essere chiamata) alla quale sudano gli occhi spesso e volentieri, come la sottoscritta, soprattutto a causa dell'angst del fandom o film commuoventissimi vari ( ho visto ieri sera "Molto forte incredibilmente vicino" e ho perso tutti i liquidi che avevo nel corpo lol) and last but not least, e so già che m'ucciderà per questo,  Leeroy hmm che finalmente compare nei miei angolini pieni di polvere! E che è l'unica che, conoscendomi nella vita reale e vedendomi tutti i giorni, domani potrà vendicarvi tutte e menarmi per bene perchè Harry è ancora in coma...

Solo fallo in fretta, così la Bordy non mi interroga  XD 

Che altro dirvi?

Che vi amo perchè siete meravigliose? (meravigliosi nel caso Domenico stesse  leggendo lol) Lo sapete già.

Che amo Story of my life? Credo lo sappiate già.

Che mercoledì esce il video di SOML ( o come cacchio s'abbrevia)? ASDFGHJKL sbaviamo in coro <3

Quindi vi dico solo di continuare a battere quei tasti e a non abbandonarmi, perchè questo, tutto questo, singnifica tanto per me :)
E se fate le brave faccio svegliare Harry, quindi....

Keep calm and wait till the next chapter!

#Loveya

Cami


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Capitolo 9
*** Wide Awake ***


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9. Wide Awake






Passi che rimbombano nel corridoio vuoto.

Rumore di suole vecchie e consumate sul lineolum liso, seguite dallo svolazzare di un vecchio camice verde che ondeggia ad ogni passo, gettando ombre fugaci sui muri illuminati dalla luce delle asettiche lampade al neon.
Illuminano tutto il corridoio, le luci.
Anche il sorriso dell'inserviente che si affretta per il reparto, gettando ogni tre passi uno sguardo alle sue spalle, per controllare di essere davvero solo, per assicurarsi di non essere visto da nessuno, di proteggere il suo segreto da quelle lampade così bianche e potenti, che rischiarano anche gli angoli più oscuri, portando a galla ciò che deve essere nascosto.
Si guarda ancora alle spalle, scrutando il corridoio vuoto, come per scacciare quel fugace senso di panico e quel brutto presentimento che si porta dentro da tre mesi, lo stesso che insieme agli incubi lo tiene sveglio la notte, mentre domande che non avranno mai risposta gli frullano per la testa e il suo cuore, incapace di darsi pace, rasenta la tachicardia.
La testa di Louis fece capolino dalla soglia della stanza 17: “Hey Harry” aveva salutato il ragazzo raggiante, mentre si accomodava sulla ormai famigliare seggiola bianca, cercando precipitosamente di sgarbugliare l'intricata matassa che erano diventate i suoi auricolari.
“Devo assolutamente farti sentire questa canzone” aveva strillato, con voce eccitata “ Ero in internet ieri sera e stavo cazzeggiando su Youtube, quando questo video è spuntato fuori dal nulla... Dev'essere stato il destino!”
Completata la sua missione di districare le cuffie, le aveva delicatamente infilate nelle cavità auricolari del ragazzino pallido e immobile nel suo letto candido e bianco, prima di premere play, cambiando posizione sulla sedia, così nervoso da non riuscire a stare fermo.
Si era avvicinato all'altro, in modo da poter sentire anche lui la musica senza alzare troppo il volume.
Ci mancava solo che lo rendesse sordo, oltre che in stato comatoso con un arresto cardiaco e politraumatismi vari...

Give me love, like her
'Cuz lately I've been waking up alone
Splattered tear drops on my shirt
I told you I would let them go.

Non aveva dimenticato, Louis.
Nonostante tutto l'alcool che si era scolato quella sera al pub, non aveva dimenticato quanto fosse stato incosciente, stupido e assolutamente incurante delle disastrose conseguenze che per grazia divina non aveva scatenato.
Vedere Harry, con sua madre e sua sorella che si erano autoelette cani da guardia e durtante l'orario di visite facevano la ronda, era praticamente una missione suicida.
Eppure lui continuava a sgattaiolare via prima della fine del suo turno e precipitarsi in rianimazione, solo per vedere lui, rischiando ogni singolo giorno di venire beccato dalla capo sala acida sua responsabile, che minacciava di riportare agli assistenti sociali il suo comportamento immaturo e inefficiente, dai medici del reparto, che avrebbero potuto iniziare a fare domande scomode che l'avrebbero messo prima o poi nei guai, ma soprattutto da Gemma ed Anne Styles, che avrebbero volentieri giocato a golf con la sua testa, usando come mazza uno dei suoi arti e colpendolo più forte del necessario.
A lui non importava.
Sapeva che era stupido, ma per lui Harry era molto più che un semplice sconosciuto entrato nella sua vita in tragiche circostanze: quando pensava a lui, lo faceva con una piccola dose di rimorso, ma un'infinita quantità di affetto.
Spesso si chiedeva cosa pensasse, come vivesse prima dell'incidente, cosa pensasse di lui, se l'avrebbe mai perdonato, che musica ascoltasse...
Nella sua mente, era un amico.
O forse qualcosa di più: non aveva mai provato sentimenti così confusi e forti, nemmeno per Stan, nemmano per Zayn, anche se era stato il suo primo amico, il migliore, e la sua prima cotta.
Con Harry era diverso, quasi doloroso.
Perchè sentiva quella morsa attanagliargli le viscere ogni volta che pensava a quel corpo immobile e bianco costretto in quel letto d'ospedale?
Forse gli faceva pena.
Forse il suo istinto da fratello maggiore aveva sviluppato un feroce attaccamento al ragazzo,  o forse invece lo sentiva come sua responsabilità, forse cercava disperatamente qualcuno che lo amasse per quello che era, in modo da essere meno solo in quel mondo vasto e buio che sembrava averlo abbandonato.
Sta di fatto che ogni giorno, tutti i giorni, Louis rischiava, e lo faceva con un sorriso sulle labbra.
E adesso che aveva scoperto che avevano qualcosa in comune ( oltre il fatto di essere vittima e carnefice dello stesso incidente, sia chiaro) era semplicemente entusiasta: aveva capito che Harry amava la musica dal modo in cui aveva reagito la prima volta che aveva condiviso con lui la sua canzone preferita, e da allora trascorrevano i pomeriggi a sentire le playlist di Louis e a cercare nuovi talenti in rete.
Avevano più o meno gli stessi gusti, e il ragazzo riusciva attraverso alla musica a vedere come il viso dell'altro si trasformava: allegria, tristezza, rabbia, dolore...
Tutte le espressioni erano perfette, ogni tassello era al posto giusto, e il ragazzo aveva finalmente trovato qualcuno sulla sua stessa lunghezza d'onda e questo lo estasiava tanto da toglierli il respiro.
Dopo tanto tempo, qualcuno che lo capiva finalmente.
Le ultime note erano rimbalzate tra le loro teste vicine, tanto che si sfioravano appena, prima che l'iPod tornasse muto e Louis si grattasse la nuca, imbarazzato:
“Lo so, lo so, non è il mio genere. Decisamente non è il mio genere, eppure la voce è... Toccante? Super coinvolgente? E il testo... E' pura poesia! Altro che Shakespeare e l'Amleto!”
Il ragazzo aveva sentito una fitta al cuore pensando alla sua Prof che riposava sottoterra, ma decise che a Harry, che inconsciamente gli era stato vicino in quei momenti difficili e bui, poteva parlarne.
A lui poteva dirlo, avrebbe capito.
“Oggi... Sono andato al cimitero. A trovare la signora Stowe” aveva esitato un attimo, soppesando le parole “Hanno fatto proprio un bel lavoro con la tomba e tutto il resto. Se fosse stata in vita, credo che avrebbe approvato: hanno inciso il nome e la data di nascita e di morte  su un librone di marmo rosato, uno di quei vecchi tomi che pesano 200 chili e tra polvere e carta, uno di quelli che, sicuramente, lei sapeva citare a menadito...”
Si era interrotto un'attimo, cercando di non farsi sopraffare dalla commozione che gli stringeva la gola e gli faceva bruciare gli occhi in un modo intollerabile, disumano.
“Ho incontrato la mia professoressa di lettere: era lì per lo stesso motivo. Se l'avessi vista prima sarei scappato a gambe levate, perchè è un'intero trimestre che faccio assenze strategiche per evitare l'interrogazione, ma ero così preso a sistemare i fiori che le avevo portato...”
Si, le aveva comprato pure i fiori.
Un mazzetto di non-ti-scordar-di-me azzurri, per ironia della sorte.
E con quell'acquisto il suo borsellino era ufficialmente vuoto, e le sue finanze in perdita: non aveva neppure gli spiccioli necessari per comprarsi un pacchetto di patatine alle macchinette, figuriamoci il suo pacco di sigarette settimanale...
Erano state 30 sterline spese bene, però.
Aveva messo il mazzo di fianco alla composizione di granito, fissandosi le scritte inutili e senza significato nella mente, consumandole a furia di guardarle.
Era la prima volta che comprava fiori per una donna, e Louis era certo che sarebbe stata anche l'ultima.
Era così scosso da quel pensiero ridicolo che non aveva fatto caso al rumore di passi dietro di lui, finchè la professoressa lo aveva chiamato per nome, incredula:
“Louis Tomlinson?”
Si era voltato di scatto, col viso in fiamme, fronteggiando la donna che aveva tanto accuratamente evitato per almeno 3 mesi, stringendo i denti per assumere la sua solita espressione apatica e bianca, che in quel momento così doloroso e intimo, proprio non gli veniva.
“Salve”
“Cosa ci fai qui?”
“Potrei farle la stessa domanda”
Per un attimo era seriamente stato tentato di mandarla a farsi fottere, ma aveva cercato di non essere irrispettoso per evitare eventuali ripercussioni in classe, decidendo di utilizzare la variante affabile e simpatica di “si faccia i cazzi suoi”.
Peccato che il suo tono, che rasentava la maleducazione, avesse vanificato il tuo intento.
“Ho saputo che la mia professoressa  preferita  è passata a miglior vita, e ho deciso di renderle l'ultimo omaggio... E tu?”
“Lavoro nel reparto dove era ricoverata”
Anche se adesso che è morta ho perso l'unica ragione per cui valeva davvero andarci.
“Una persona straordinaria, vero?”
“Hn”
Lo stava fissando, mettendolo estremamente a disagio.
“E dimmi, come mai lavori in ospedale?”
“Lavori socialmente utili” aveva borbottato a malavoglia il ragazzo.
“Quindi sei un'inserviente”
“Hn”
“ E vieni a portare i fiori ad ogni paziente che muore?”
“No... Lei era diversa. Lei era speciale” aveva ammesso, come se la professoressa gli stesse strappando la verità con la forza, lasciandolo svuotato e dolorante.
“Era una vecchietta come tutte le altre”
“No” si era infervorato Louis,  trovando per la prima volta il coraggio di fissare l'insegnante negli occhi “Lei non era una vecchiette come tutte le altre, come immagino non fosse stata una professoressa come tutte le altre: era intelligente, pesantemente sarcastica, severa, irritante da morire con le sue critiche sempre pungenti, aveva sempre la risposta pronta...”
“Non era molto diversa da come la ricordavo io, allora...”
“No infatti” aveva lanciato un'occhiataccia alla docente, prima di continuare “è rimasta se stessa fino alla fine: lei e i suoi amati libri, e quando glieli hanno tolti non è stata più la stessa...
Glieli leggevo io, sa?”
L'aveva guardata con aria di sfida, sentendosi addosso una rabbia che non aveva mai provato prima.
“Gli leggevo l'Amleto, ed era una rottura, perchè ogni tre parole lei m'interrompeva per spiegarmi, e ci impiegava delle ore...
E quando le chiedevo se potevamo andare avanti con la storia o se aveva intenzione di uccidermi dalla noia lei s'incazzava forte, e iniziava la sua fottutissima ramanzina sull'istruzione, l'educazione, la cultura, la vita, il futuro...
Cristo, durava più quella che la spiegazione...”
“ E allora perchè lo facevi, se ti scocciava tanto?”
Il ragazzo aveva sorriso “Non lo so neanche io...”
“Forse ti piaceva la storia, dopotutto Shakespeare...” la donna non aveva potuto finire, perchè Louis aveva iniziato a ridere, sprezzante “Come può davvero piacere l'Amleto? Dopotutto è solo un adolescente, ha dei desideri, ma non ha le palle per alzarsi e combattere per essi, così finisce per impazzire e si masturba su Ofelia, e diventa così noioso che qualcuno lo deve ammazzare...”
Si era voltato verso la tomba, ignorando l'altra persona di fianco a lui, mentre la sua mente turbinava veloce, come l'acqua delle tubature dell'ospedale che sturate con troppa forza avevano allagato il reparto.
“Mi piacerebbe molto sentire le argomentazioni di questa tesi nell'interrogazione della settimana prossima, Tomlinson. Veda di presentarsi o risulterà non classificabile per assenza di voti”
La donna si era girata, pronta ad andarsene, ed era solo a qualche tomba di distanza quando Louis aveva risposto a bassa voce, tra se' e se', prima di lasciarsi andare a una sequela di imprecazioni decisamente poco appropriate:
“Non ci conti...”




Una manata sul comodino, forte, aveva fatto cadere l'Ipod sul pavimento, mentre Louis strillava, furibondo:
“E adesso come cazzo faccio? Quella m'interroga, m'interroga di sicuro! E io non ho nemmeno un cazzo di appunto del cazzo, neanche una cazzo di idea di a che pagina siamo su quel cazzo di libro del cazzo o una cazzo di indizio di cosa cazzo stiamo trattando! E se non mi presento mi segano, perchè ho almeno 4 materie non classificabili, un sacco di assenze ingiustificate e altrettanti votacci non pervenuti...
Sono fottutamente fottuto”
Si era passato una mano sulla faccia, cercando di calmare il respiro affannoso e il martellante battito del cuore nel petto, prima di imprecare coloritamente ancora una volta, prima di chinarsi a raccogliere l'iPod, che nell'impatto con il pavimento aveva perso la sua cover e la batteria.
Stava appunto cercando di rimontare il tutto, tra cristoni e madonne frequentemente interpellati, quando l'aveva sentita:
“L'orario delle visite è finito signora...”
La voce dell'infermiera che rieccheggiava nel corridoio vuoto.
“Lo so, ma ho dimenticato il cellulare sul comodino di mio figlio...”
Si era girato verso il mobiletto bianco e sgangherato.
C'era un telefono.
Un'iPhone, nero, con la cover rosa.
“Ci metterò solo un minuto, promesso”
Un sospiro dell'infermiera.
“Va bene, va bene... Ma solo perchè è lei, signora Styles”
Lo aveva sentito, il sangue ghiacciarsi nelle vene, e defluire dal viso, il cuore smettere di battere, il cervello spegnersi, ed andare in corto circuito dallo shock.
Era certo che succedesse solo nei film, ed invece il tempo era rallentato, dilatandosi all'infinto e permettendogli di contemplare tutto l'orrore di ciò che stava per succedere.
Anne Styles stava per entrare in quella stanza, certa di recuperare il suo telefono, baciare il figlio perennemente sospeso, e tornare alla sua vita tranquilla.
E invece no, invece si sarebbero incrociati ancora i loro destini, e Louis sarebbe stato in un mare di guai.
C'era la remota possibilità che non  lo riconoscesse, ma lo avrebbe comunque visto e allora sarebbe iniziato uno scomodo interrogatorio, dal quale sarebbe uscito sconfitto e malconcio.
Il ragazzo aveva sentito una fitta allo stomaco che gli aveva tolto il fiato.
Chi voleva ingannare?
Anne Styles lo voleva morto: non aveva forse cercato di fare irruzione al suo processo, armata, secondo i pettegolezzi locali? Non glielo avevano forse impedito, per la sua stessa sicurezza?
E poi loro si erano già incontrati...
Due infermieri tengono stretti il corpo braccato di una donna, che si divincola e urla tanto che sembra una Baccante posseduta.
I capelli sudati le danzano furiosi davanti al viso, come serpenti velenosi che sibilano furiosi, gli occhi fuori dalle orbite, pazzi dal dolore, mentre il mascara le cola insieme alle lacrime sporcandole l'espressione selvaggia.
La bocca è spalancata, enorme e deformata dall'odio, come se lo volesse azzannare, mentre urla forte, con la voce stridula e rauca allo stesso tempo parole di sangue che rimbalzano sulle pareti della corsia del pronto soccorso.
Ma Louis non le può sentire quelle parole, non le può capire...
La morfina lo ha lasciato intontito, debole, svuotato, e sua madre lo sorregge, mentre gli sussurra “Andiamo via, vieni, andiamo via”...
Tic tac, tic tac.
Il rumore dei tacchi di Anne Styles sul pavimento del corridoio.
Tic tac, tic tac.
I battiti del suo cuore, ripartito ed in folle.
Tic tac, tic tac.
Il rumore del tempo che gli scivolava tra le dita, firmando la sua condanna.
Una scossa dolorosa gli attraversa il corpo, adrenalina pura lo sveglia: con un salto è in piedi, mentre si guarda intorno febbrilmente, cercando una via di fuga, una soluzione, mentre l'immagine di Anne Styles versione Baccante gli balena nella testa, scatenandogli il panico.
Tic tac, tic tac.
C'è una tenda, una di quelle verdi come i camici della sala operatoria, scura, di stoffa rigida, spessa e ruvida.
E' tutta piegata e lascia scoperto il nudo lettino gemello a quello di Harry, lasciato spoglio, vuoto ed intatto  sopra la base metallica dove appoggiare  il materasso che non c'è.
Tic tac, tic tac.
Louis ci salta sopra, tirando la tenda accertandosi di coprirsi completamente.
Silenzio.
Sta per entrare in camera.
Louis si sdraia sul ferro nudo, le molle della rete del letto conficcate nella carne della sua schiena, mentre lui si morde le labbra per non lasciarsi sfuggire nemmeno un lamento e cerca di smettere di respirare.
La donna entra nella camera, la sente perchè sposta la sedia da lui precipitosamente abbandonata, e la rimette a posto, meticolosa.
Si ferma un poco a vegliare il sonno irreversibile del figlio, mentre gli accarezza la mano.
Poi gli bacia la fronte, prima di afferrare il telefono dal comodino, urtando appena la lampada da notte, prima di infilarlo nella borsa e girarsi per andarsene.
Louis sente il sollievo irradiarsi nel suo corpo, investendolo come una doccia calda: c'è l'ha fatta, non l'ha visto, Dio o chiunque comandi lassù l'ha salvato.
Poi la luce lo tradisce, ed Anne scorge l'ombra del suo profilo che si staglia sul verde della stoffa della tenda.
Si avvicina.
“Un altro paziente?” mormora tra se' e se'.
Fa un altro passo.
“Tesoro, non mi avevi detto che abbiamo un nuovo vicino!” aveva esclamato con tono gaio, voltandosi verso il figlio allettato.
Un'altro passo.
Sfiora la tenda.
Un rumore viene dall'altra parte della stanza: un sibilo, che si blocca nel fondo della
gola, strozzato con la saliva, con l'aria bloccata a metà trachea, quasi un colpo di tosse soffocato, lieve, inudibile, che però nell'immobilità e nel silenzio della stanza risuona come un colpo di pistola, gelando la mano della donna, che già si apprestava a tirare la tenda.
Si volta, Anne, e lascia andare la tenda.
C'è un attimo di silenzio, dove Louis vede il profilo immobile della donna, girato verso il letto  attraverso la stoffa che protegge lui e il suo piccolo segreto.
E poi Anne urla.
Urla con quanto fiato ha in corpo, mentre il ragazzo sul letto sobbalza per lo spavento,  ma lei non se ne accorge e urla, urla e continua ad urlare.
“ E' sveglio!! E' sveglio!!” corre verso il letto “Tesoro mio!!”
Harry... sveglio?
Il suo cervello, troppo preso dal nascondersi dalla donna a caccia della sua testa, non riesce ad assimilare completamente la notizia.
E' questione di un attimo: prima Anne Styles piange dalla felicità al capezzale del figlio, poi si volta e corre via per il corridoio, tutta trafelata nella sua estasi euforica, strillando: “Infermiera! Infermiera! Venga, venga, è sveglio!”
Louis scosta la tenda con un brusco gesto, tanto veemente da rischiare di staccarla dal muro, perchè vuole vederlo, Harry, vuole vedere se ha occhi che lo tormentano nei suoi sogni, prima che lui si svegli madido di sudore e con il cuore pesante, per sapere se le sue notti insonni sono dovute a vaghe e confuse reminescenze dell'incidente o se è solo la sua coscienza che si diverte a tormentarlo.
Ma il ragazzino, nell'altro letto sta già chiudendo gli occhi: le palpebre scivolano pesanti ed inesorabili verso il basso, permettendo all'altro di scorgere solo un lampo verde prima di chiudersi, e nulla più.
Louis lo fissa, rabbrividendo immobile, mentre i passi del personale che accorre fanno accelerare i battiti del suo cuore: deve sbrigarsi, deve andarsene, non c'è abbastanza tempo per chiarire la confusione che ha in testa, per dirsi addio, il campanile ha già suonato le sette e mezza da un pezzo.
“I-io...”
Tramestio nel corridoio.
Non ha più tempo Louis, e non ne avrà mai più.
Con una sola frase recide il filo rosso del destino, che in quel tragico incidente li aveva legati col doppio nodo, che lui aveva cercato in tutti i modi di proteggere nonostante il segreto, insieme al senso di colpa e al dolore lo logorasse dentro.
Inspira, e le parole pesanti gli si fermano in fondo alla gola, bloccate contro il pomo d'Adamo, come se non volessero uscire, rifiutandosi di mettere la parola' fine' a una situazione che più di una volta, compreso quel giorno, ha rischiato di metterlo nei guai, come se quelle parole sapessero che una volta uscite, Louis sarebbe tornato alla sua vita triste e monotona senza la luce di Harry e la felicità che gli causava, solo perchè era troppo codardo per rischiare per la sua felicità.
Si gira, una volta sulla soglia, per cercare di memorizzare tuti i dettagli di quella stanza, abbracciandola con lo sguardo l'ultima volta per non dimenticarsela mai, evitando di proposito la figura immobile nel letto, perchè sarebbe troppo troppo doloroso guardarlo un ultima volta, e poi sussurra piano, con un piede già fuori dalla porta e la sgradevole impressione di non potersi più voltare indietro senza cambiare idea, come Orfeo ed Euridice:
“Addio Harry”

 




Angolo Finitem *-*

Lo so, per un attimo mi avete amato alla follia, e adesso... BUUM, mi odiate.
Ma capitemi... otto recensioni! Otto!
Qua sfioriamo i minimi storici gente.
Probabilmente è colpa mia che non m'impegno abbastanza, che ho tirato troppo la corda con il fatto che non ho svegliato il bell'addormentato per 9 capitoli, e poi a parlare fuori dai denti il fatto è che sono furibonda con me stessa perchè secondo la mia teoria non si scrive mai, mai, MAI per il numero delle recensioni...
Però mi urta lo stesso aiò.
Quindi se perfavore mi lasciate anche un parerino di tipo unidici parole e mezzo della serie "Fa schifo, è una merda, ritirati che è meglio e fai un favore a tutti" ve ne sarei davvero grata.
Perchè non è possibile avere 100 visualizzazioni e 1 recensione, dai, non siate crudeli!!! Faccio così schifo?
... Passando al capitolo...
Ho fatto svegliare Harry! Siete felici? Ovviamente Louis doveva incasinare tutto tirandosi problemi come al suo solito, ma prometto che se fate i bravi risolvo tutto :3
Potrei davvero prendere in considerazione l'idea di 'rovinare' il nostro Curly Boy, come suggerisce Lu, che nomino da adesso oltre a regina dell'angst, pure regina di tumblr :3 perchè usare photoshop per i larry fa bene al cuore!!
E a proposito di cuore, Ila ( se la conosco bene) in questo momento è super indecisa se amarmi e odiarmi XD Considerando che ieri su whats app l'ho tirata scema mezz'ora facendole fare congetture su congetture su questo capitolo... ovviamente portandola fuori strada di proposito :P (ma quanto sono simpatica!)
E Caro mi ucciderà. Aspettava da molto questo capitolo, e io nella mia angstosa angstosità ho rovinato tutto :( ma prometto che davvero nel 10 capitolo ci sarà una sorpresa...
O forse no :P
Prima che mi dimentichi: mi prostro umilmente davanti a Erica! Non avendo ricevuto il messaggio in cui dicevi che avevo aggiornato, non sono più passata! Mi rimetterò in pari, lo giuro :)
Ringrazio anche Ele28 ( anche da lei passerò prestissimo, appena finito qui) per le sue recensioni profondissime che mi danno sempre da riflettere, Mari con le sue recensioni a vacca su richiesta, Leeroy hmm che domani mi picchierà quando saprà che... Zayn Malik comparirà solo nei flashback! Tan tan taaaan :( Ma avrà comunque un ruolo fondamentale a metà della vicenda, se non ammazzo tutti prima :P
Prim che finalmente sarà soddisfatta perchè, dopotutto, qualcosa è successo... prima che la sottoscritta rovinasse tutto D:
E ultima ma non meno importante, marti_lala che per colpa mia apre i rubinetti a casa altrui XD sorrami dai, cercherò di essere meno lacrimosa lol
Come avete passato la notte di ' AULIN'? Io mi sono vestita da Harry Styles, e ho u-mi-lia-to Taylor Swift a Just Dance 4... Modestamente :P
Spero anche voi vi siate divertite :) ancora mille grazie a voi che non ve ne siete andate e una particolare preghiera a chi sta leggendo... recensire fa bene al cuore!
Bacissimi, io e il mio nuovo ( e ultimo) piercing ci dileguiamo <3 <3 <3 <3
Fim

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Capitolo 10
*** It Is What It Is ***


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11)

10. It Is What It Is.

"Quanti anni hai, ragazzino?"
Il tatuatore lo fissava torvo da dietro il bancone, almeno 5 piercing all'orecchio, la barba lunga e unta e un minaccioso tatuaggio nero che gli scendeva lungo il collo, impedendogli l'accesso al locale scarsamente illuminato pieno di espositori e cartelloni che mostravano varie tecniche e vari disegni.
Louis aveva decisamente le idee chiare, voleva un maledetto tatuaggio, come avrebbe detto sua madre.
Un'altro, per essere davvero precisi, e per farlo aveva attraversato alle 10 di sera tutta la città con mezzi pubblici sporchi e maleodoranti, sotto una tempesta di neve e grandine, senza avere ne' impermeabile ne' ombrello, ai piedi le converse di tela e coperto solo da una vecchia giacca a vento, che si era subito inzuppata, permettendo al freddo di entrargli nella pelle congelandogli le ossa.
Certo, sarebbe stato più facile andare in quel negozietto a due isolati da casa sua, ma dopo aver scoperto il primo tatuaggio ( un omino che andava in skateboard, una cosa del tutto innocua) sua madre era diventata una furia e aveva fatto il diavolo a quattro, prendendo il maggiore dei suoi figli per le orecchie e trascinandolo davanti ai tatuatori che lo avevano "irreparabilmente macchiato" dando vita a una scenata "da lavatoio" piena di lacrime, strilli, minacce e melodramma, e ora Louis era ufficialmente bandito dal negozio.
E doveva attraversare tutta la città per farsi un cazzo di tatuaggio.
Provava una gioia maligna a figurarsi mentalmente la faccia disgustata che sua madre avrebbe fatto quando l'avrebbe scoperto, anche se sapeva che ciò avrebbe comportato drammi e scenate a non finire, lacrime delle sue sorelle e telefonate di suo padre.
Proprio lui era stato il motivo che aveva fomentato il suo animo ribelle: sua madre aveva insistito per farli parlare insieme durante la sua ultima chiamata, dove aveva esposto all'ex marito l'ultimo disastro combinato dal primogenito ( l'ennesimo piercing al sopracciglio, l'ultimo di una lunga serie che aveva visto spuntare anelli multipli sui lobi, sul naso e sul labbro) ed era riuscita a costringere il ragazzo a prendere la cornetta.
Non era stata una conversazione ne' lunga ne' particolarmente illuminante.
Si poteva tranquillamente riassumere in due proposizioni principali:
- Chiami solo per chiedermi soldi ( ma Louis non poteva fare altrimenti, aveva freddo ai piedi ad andare in giro a gennaio inoltrato con le scarpe estive e per di più bucate);
- Chiami solo per farmi i cazziatoni ( ma neanche il signor Tomlinson si poteva biasimare, ogni volta che chiedeva del figlio l' ex moglie snocciolava una serie spiacevole di resoconti e spiegazioni di quanto fosse cambiato che per lui era naturale rimproverarlo)
Man mano che i minuti passavano il figlio s'irritava sempre più, sentendo la bile ribollire di rabbia rodendogli il fegato.
" Sono tuo padre, e come tale sono obbligato verso di te da dei doveri, tra cui quello di rimproverarti se..."
"Oh ma per favore!" era esploso lui, ormai al limite " Se davvero ti fossi sentito in obbligo verso di me non saresti andato a letto con quella puttana scappando come un codardo e piantandoci in asso mentre siamo nella merda più totale"
Anche suo padre dall'altro capo del telefono si era infervorato.
"Non osare parlare a tuo padre in questo modo!"
" Oso eccome, dal momento che sei uno stronzo ingrato e mi fai la paternale quando non siamo nemmeno imparentati!"
Sua madre, alle loro urla era accorsa e inorridita aveva strappato il cordless di mano al figlio spintonandolo via.
Non era vero.
Non era vero niente.
Certo, la verità era che non condividevano legami di sangue, ma questo non importava nulla, e non era mai importato.

Dentro di lui rabbia e rimorso ribollivano nelle vene in eugual misura: dopotutto era lui l'uomo che gli aveva comprato il suo primo triciclo, che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, che a Natale si travestiva da Babbo Natale e fingeva di consegnare doni e carbone, con grande divertimento della moglie, era lui che quella volta che si era slogato la caviglia a otto anni giocando a calcio gli disse che sarebbe andato tutto bene, e che non era necessario piangere e spaventarsi, mentre cercava di mascherare il tremito e il pallore per non mostrare il proprio panico.

Era suo padre, e avrebbe dovuto comportarsi come tale nonostante il divorzio e le controversie con sua madre, perchè si può cessare di essere un marito, ma non vuol dire che si debba smettere anche di essere un genitore.

Avrebbe dovuto accompagnarlo il primo giorno nella nuova scuola con la macchina dell'azienda, tirata a lucido la domenica prima dal figlio stesso con la patetica scusa “che doveva fare una buona impressione” ma che in verità significava “ Papà non ne ha voglia, quindi fallo tu o domani a scuola ci andrai muovendo il tuo regal culo” e poi, come ogni anno avrebbe cercato di convincerlo a partecipare alle selezioni per la squadra di calcio, elogiando le sue doti calcistiche nelle loro infinite partite e tiri liberi dopo cena, sul patio dietro casa nel freddo delle sere invernali e alla fioca luce del garage.

Come ogni anno Louis si sarebbe invece iscritto al corso musicale di strumento o a teatro, e suo padre si sarebbe strappato i capelli e per due settimane gli avrebbe rivolto la parola a monosillabi, facendo musi lunghi ai tentativi di riappacificazione del figlio e maledicendo tra se' e se' “quando ti ho comprato quel maledetto mandolino” riferendosi alla chitarra acustica comprata al suo undicesimo compleanno.

Poi a metà dicembre lo avrebbe accompagnato alla annuale mostra della musica della città vicina, e non avrebbero più parlato di calcio mentre guardavano gli strumenti esposti nelle teche, video di concerti famosi, ammirato fotografie e racconti sulla vita di grandi musicisti e compositori...

E al momento del saggio di fine anno, Louis avrebbe avuto, come in ogni rappresentazione scolastica, la certezza che suo padre sarebbe stato lì con un sorrisetto compiaciuto sulla faccia, dimostrandogli che anche se avevano interessi diversi lui sarebbe sempre stato fiero di lui, e soprattutto sarebbe sempre stato pronto ad aiutarlo.

Peccato che una prostituta francese avesse rovinato tutto: come poteva preferire quella donna a sua madre? E soprattutto, come poteva preferirla ai suoi figli?

E' così e basta, aveva sospirato una vocina triste in fondo alla sua testa, mentre aspettava l'autobus per andare in centro sotto una bufera di grandine, le situazioni cambiano, le persone cambiano.

E' la vita, aveva continuato imperterrita mentre a sobbalzi e scossoni il pullman lo portava a destinazione, e non ci puoi fare niente.

A quella conclusione si era demoralizzato così tanto che era stato seriamente tentato di fare retromarcia e tornare a casa ( sempre che sua madre gli avesse aperto la porta) mettersi qualcosa di asciutto e infilarsi a letto per restarci per i successivi 2000 anni.

Ma all'ultimo aveva cambiato idea: non si sarebbe arreso a quella stupida depressione, non si sarebbe seduto in un angolo in preda all'autocommiserazione.

Lui si sarebbe ribellato. Non si sarebbe fermato.

Non puoi fare niente, gli sussurrò la vocina emo dentro di lui, inutile agitarsi tanto.

E invece sì, pensò Louis con fervore, qualcosa posso fare: posso resistere, posso sbatterlo in faccia gli altri, posso non dimenticare.

E a quella gloriosa conclusione il ragazzo si risedette tranquillo sull'autobus, con la stessa meta e un nuovo proposito che gli invadevano la mente.






Louis si tastò il petto, la pelle arrossata attorno al tatuaggio che si allargava da una spalla all'altra, e sorrise al suon riflesso allo specchio.

Era soddisfatto di se' stesso, e anche il vecchio tatuatore, all'inizio sprezzante e diffidente era stato colpito dal suo atteggiamento.

"Sai, di solito i ragazzini come te si fanno tatuare delle cagate schifose giapponesi” gli aveva confessato mentre incideva per sempre la sua pelle con l'inchiostro “ O il nome della fidanzatina che li mollerà dopo neanche due mesi. I giovani d'oggi non sono più capaci di apprezzare un buon tatuaggio della vecchia scuola, ma tu devi essere un'eccezione”

Per complimentarsi gli aveva mollato una sonora pacca sul braccio nudo e infreddolito e a Louis era sembrato che l'osso sotto la pelle si fosse sbriciolato data la potenza del colpo.

Quell'uomo aveva cambiato totalmente espressione quando al posto che sfogliare l'espositore con i kanji giapponesi e cinesi, lui aveva chiesto se poteva avere una semplice scritta.

E quando aveva scelto il carattere con cui voleva scriverla ( una scrittura un po' spessa e arzigogolata gotica, ma non troppo) aveva rischiato di essere travolto dalla valanga di complimenti del vecchio, che infondo infondo tanto burbero e cattivo non era, nonostante ne avesse l'aspetto.

Dopo essersi rimirato allo specchio, nella casa silenziosa e deserta, finalmente capiva perchè.

Era semplice, pulito, e discreto per quanto potesse esserlo un tatuaggio di quelle dimensioni.

Era tutto ciò che pensava, tutto ciò con cui avrebbe combattuto, tutto quello che era o non voleva essere, lì davanti agli occhi di tutti, una cosa concreta e non una fantasia astratta.

Uno scricchiolio interruppe i suoi pensieri filosofici, facendolo voltare di scatto verso la porta, dove sua madre in una camicia da notte sgualcita lo fissava dalla soglia.

Quando era sgattaiolato dalla finestra socchiusa del bagno ( avrebbe dovuto ringraziare Lottie per questo) erano ormai le due di notte.

Aveva dovuto farsi a piedi l'ultimo pezzo di strada dal momento che la metro e il servizio dei bus avevano chiuso, quando era rientrato la casa era immersa nel silenzio, e Louis aveva deciso che era un momento buono per farsi una doccia calda e andare dritto dritto a letto.

Ora nel riflesso dello specchio vedeva sua madre fissarlo astiosa, mentre i capelli li gocciolavano, bagnando il pavimento, pieno di piccole pozze.

Dove sei stato?”

In giro”

In giro?! IN GIRO?! Tu non hai idea di come io mi preoccupi ogni volta che esci da quella schifo di porta! Adesso pretendo di sapere dove sei stato e cosa hai fatto”

Altrimenti?” l'aveva sfidata lui, consapevole che non aveva modo di minacciarlo.

Altrimenti?! Altrimenti farò tutto quello che avrei dovuto fare mesi e mesi fa, quando hai cominciato a comportarti come un completo stronzo! Brucerò quell'ammasso di legno che chiami chitarra, venderò quel cazzo di amplificatore, l'iPod, il telefono e ogni cosa che riterrò necessaria!”

Non puoi-” aveva provato a controbattere lui, prima di essere investito dall'ira funesta della donna.

Io faccio quello che VOGLIO. Io POSSO perchè sono tua MADRE!”

Louis si era voltato lentamente verso di lei.

Improvvisamente la certezza che vedendo l'espressione di sua madre avrebbe provato il dolce sapore della vendetta, si era dissolta come neve al sole.

Era furibonda, disgustata, delusa, ma nei suoi occhi il figlio scorse un'ombra scura che più di tutto lo colpì, più di una sfuriata in grande stile, più della punizione più severa.

Sotto sotto, in fondo in fondo, se lo aspettava, e forse questo era il minore dei suoi timori.

Fissò la scritta nera a lungo, in un silenzio immobile tanto che si sentivano le lancette dell'orologio della cucina spostarsi.

Non so più chi sei, Louis. Non so più cosa vuoi da me o perchè mi fai questo” la donna si era passata una mano sul viso, provata, rompendo l'equilibrio precario del silenzio su cui entrambi galleggiavano, e il ragazzo ebbe l'impressione che più che parlare con la carne della sua carne, si stesse rapportando con uno sconosciuto indesiderato.

Non era questa la reazione che cercava, non era quello che si era aspettato da lei.

Si aspettava che non capisse, perchè non poteva capire, lei andava avanti come se nulla fosse successo, come se abitassero ancora nella loro bella casa, con un bel giardino, una bella macchina, due stipendi ben pagati, una buona scuola, dei bei vestiti, degli amici... Louis non riusciva a fingere.

Erano relegati in un buco di appartamento, a lavorare tutto il giorno per uno stipendio da fame che veniva subito dilapato per luce, gas, telefono, acqua e riscaldamento, e quasi non bastavano per fare la spesa, per comprare anche un'assurdità come un panino alla mensa della scuola erano costretti a fare l'elemosina al padre, che intanto se la faceva indisturbato con la sgualdrina di turno, che si divertiva a dar fondo alle sue finanze, tanto che gli alimenti che per legge doveva alla moglie s'impoverivano sempre di più.

Non aveva amici, la scuola era una topaia, doveva lavorare, aiutare in casa e “fare il grande” e l'unica volta che si era permesso di comportarsi come un adolescente normale aveva finito per quasi ammazzare un altra persona e distruggere l'unico catorcio di macchina che avevano, che tra l'altro non era neanche loro, era la vecchia macchina scassata del nonno.

Ma lei non sembrava rendersene conto, e continuava imperterrita a fingere che tutto fosse normale, e a parlare.

So solo che mio figlio non farebbe mai una cosa del genere, e questo mi spaventa molto, Louis” lo aveva fissato dritto negli occhi azzurri, così simili a quelli delle sue sorelle, così simili ai suoi...

Perchè forse questo significa che non sei più mio figlio” gettò un'altra occhiata in tralice al tatuaggio, non trovando la forza neanche di leggerlo, e senza aggiungere una parola si voltò e uscì dalla stanza.

Louis cercò disperatamente di non piangere, mentre si strofinava con l'indice la scritta.

Era l'odio di sua madre il prezzo della verità, della libertà? Lui non lo sapeva, ma mentre con il dito ricalcava le lettere nere, osservò con se' stesso che era un prezzo un po' alto.

It is what it is.

Il riflesso del tatuaggio nero si appannò davanti ai suoi occhi, mentre in uno scatto di rabbia il ragazzo spegneva la luce e sbatteva la porta, incurante se il rumore che causava avrebbe svegliato il resto della famiglia, profondamente addormentata, raggiungendo a large falcate camera sua e buttandosi sul letto.

Si, decisamente era un prezzo troppo alto, e dopotutto la colpa non era neanche sua.

Lui non c'entrava niente.

Il mondo era quello che era, la società, la politica, le istituzioni, perfino la Chiesa e la famiglia erano quello che erano.

Cioè uno schifo.

E se sua madre voleva cullarsi nell'infantile illusione che il mondo fosse pieno di gente perbene, arcobaleni dell'amicizia e My Little Pony parlanti, che facesse pure, che s'ingannasse fino alla morte se voleva, pagando le tasse, andando in Chiesa a pregare e predicando uguaglianza, tolleranza e rispetto reciproco, ma che non si aspettasse il suo appoggio.

Lui non si sarebbe cullato in queste false speranze, non si sarebbe fatto fregare di nuovo dalla vita, lui non ci sarebbe stato.

E con questo pensiero poco confortante, chiuse gli occhi sprofondando nel cuscino e si addormentò.










“Tomlinson, hanno bisogno di te di sotto” ragliò un'infermiera dalla sua postazione di controllo, sbattendo la cornetta nel ricevitore con fare annoiato.

Il ragazzo smise di tentare di sturare una flebo ostruita e si avvicinò alla donna.

Cosa devo fare?”

E io che ne so', hanno chiesto di te in terapia intensiva” il ragazzo strabuzzò gli occhi, preoccupato.

Per quello che mi hanno detto non c'è da preoccuparsi” intervenne una ragazza giovane seduta a fianco della prima, rassicurandolo dolcemente “Gli servi per una commissione extra, evidentemente”

In terapia intensiva” aveva sottolineato l'altra “Muoviti però”

Dove devo andare?”

Prendi l'ascensore fino al terzo piano, poi gira a destra, seconda porta a sinistra e poi...” s'interruppe, vedendo la faccia smarrita del suo interlocutore.

Spazientita lo prese per un braccio, stringendoglielo in modo sgradevole, prima di trascinarlo lungo un dedalo di scale, porte, corridoi, scalini e reparti, raggiungendo un corridoio laterale “ad uso del personale addetto”, animato da un viavai di infermieri e dottori.

L'infermiera aveva aperto con uno scatto del braccio una scadente porta scorrevole azzurra, che scrostandosi ad ogni minima scossa che riceveva rivelava il suo precedente colore grigio topo,  e senza dare a Louis nemmeno il tempo di pensare lo aveva spinto all'interno del bagnetto angusto, asettico e illuminato dalle luci al neon, che facevano rimbalzare la luce bianca ovunque.
Un' altra infermiera se ne stava seduta sul bordo del wc, con la ciccia delle cosce che stradipava oltre l'orlo della tazza e le braccia a chiazze rossastre incrociate sopra il petto prominente, mentre fissava con aperto astio il paziente in carrozzina.
Aveva fulminato col il cipiglio porcino anche il ragazzo, appena questo aveva attraversato la soglia della stanza.
"Di cosa... Di cosa avete bisogno?" aveva chiesto lui, confuso.
"La mia collega non te lo ha detto?"
La donna interpretò il suo silenzio come un "no".
" Potresti perfavore lavare il paziente?" aveva gesticolato impaziente verso il suddetto prima di lanciarsi in un appassionato sproloquio:
" Non si vuole far lavare da nessuno. Nessuno. Capisco che a questa età l'acqua non è la vostra migliore amica e non uscite spesso col sapone, ma un po' di decenza, un po' di decenza! Io volevo farlo lo stesso, ci mancherebbe, ma la mia collega al cuore tenero e si è lasciata commuovere... Capricci, ecco cosa sono questi!"
Louis non aveva sentito nemmeno una parola di ciò che la donna aveva detto, finalmente la sua attenzione era stata catturata dal paziente.
Il cuore aveva smesso per un attimo di battere, ed era precipitato verso il basso cozzando contro lo stomaco attorcigliato su se stesso come una matassa, mentre dentro di lui sentiva quella sgradevole sensazione che si ha quando sulle scale per la fretta si salta un gradino.
Era Harry.
Avvolto in un enorme camice bianco stropicciato, da cui spuntavano gli arti scheletrici e bianchi, segnati di blu e viola dove era presente un ematoma o un capillare rotto, stava scompostamente seduto sulla sedia a rotelle in una posizione innaturale e rigida (Louis sospettò causata dall'incuranza delle infermiere) la testolina rapata che insieme all'aspetto macilento  gli dava l'aria di un deportato ebreo durante il nazismo e gli occhi verdi, meravigliosamente spalancati sul mondo, traboccanti di lacrime e supplica.
Il maggiore si trattenne a malapena dal darsi una manata in faccia dalla disperazione, e di colpire ripetutamente la crocerossina cicciona, che spaparanzata sul cesso continuava a cianciare senza sosta.
Era ovvio che un qualsiasi adolescente di 14 anni avesse vergogna a farsi vedere nudo da un enorme donnone sulla 50, e siccome il ragazzo in questione si era appena risvegliato da un coma di 3 mesi ed era quasi completamente immobilizzato, era fottutamente comprensibile che piangesse per la frustrazione di non essere capito e per l'imbarazzo che provava.
"Vada fuori"
"Come scusa?"
Louis, rendendosi conto di essere stato un po' troppo brusco fece del suo meglio per sorridere alla donna, aggiungendo con tono assolutamente falso e lecchino:
" Non c'è bisogno che stia anche lei qui, il bagno è molto stretto e ci intralceremmo a vicenda. E poi sono quasi le due e un quarto"
Le due e un quarto, l'ora preferita dal personale per una sana pausa caffè.
Il motto delle infermiere che il ragazzo aveva conosciuto fino a quel momento era ' è sempre un buon momento per una pausa caffè', e anche la cicciona sembrava pensarla alo stesso modo.
Aveva bonfonchiato dei ringraziamenti prima di lanciare un'occhiata esasperata a Harry e uscire dalla porta, rischiando di rimanerci incastrata e rovinare così la sua uscita trionfale.
Il maggiore aveva fatto scorrere i pannelli della porta, in modo da nascondere il bagno alla vista di chi passava per il corridoio, garantendo al più piccolo un po' d'intimità.
Gli scoccò un occhiata sottecchi, non riuscendo a fissarlo apertamente: quegli occhi verdi che spesso lo avevano perseguitato nei suoi peggiori incubi, ora lo fissavano con un intensità tale da fargli venire la pelle d'oca.
Stava ancora piangendo.
Forse perchè era nuovo nell'ambiente ospedaliero, forse perchè in quel periodo della sua vita tutti gli adulti, senza nessuna eccezione, erano delle bestie immonde senza sentimenti, ma Louis proprio non riusciva a comprendere il distacco con cui medici e infermieri trattavano i pazienti.
Non erano oggetti, cristo santo!
Come poteva quell'obesoide sferica e pelosa guardarlo male, anche solo di striscio, perchè provava imbarazzo, perchè la sua privacy veniva violata, perchè non poteva parlare?
Era certo che nei suoi panni, l'infermiera prosciutto si sarebbe comportata nello stesso modo.
Si frugò nelle tasche, dove sapeva esserci un pacchetto di Kleenex mezzo usato, rubato dalla borsa di sua madre mentre cercava della grana per comprarsi qualsiasi cosa si potesse fumare per sballarsi un po'.
Puzzavano un po' di fumo, dal momento che li teneva nel pacchetto di Malboro insieme all'accendino, ma Louis sapeva che erano meglio di niente, e sperò che Harry fosse dello stesso parere.
S'inginocchiò davanti alla carrozzina, asciugandogli delicatamente il viso.
Sembrava così fragile che aveva paura che si spezzasse sotto il suo tocco, così debole e indifeso in quel camice enorme che gli ballava addosso, così in imbarazzo ad aver bisogno di uno sconosciuto per essere lavato...
"Che antipatica" aveva commentato il più grande, cercando di metterlo a suo agio mentre gli tamponava il fazzoletto sulle guance.
"Neanche io vorrei essere lavato da una macelleria ambulante come lei" si era interrotto per guardarsi alle spalle con aria da cospiratore " Certo, avesse 20 anni e 20 chili di meno ci potrei pensare, ma così proprio no..."
Gli aveva sorriso, mentre l'altro lo aveva guardato come incuriosito, gli occhi finalmente asciutti.
Louis era balzato in piedi annunciando "Dobbiamo fare un bagno? E facciamocelo, per l'amor di Dio, prima che quel mega hamburger ritorni tutta inacidita dalla caffeina"
Aveva svestito quello scheletrino di ragazzo con più tatto e delicatezza che poteva, temendo di vederlo sbriciolarsi tra le sue mani, mentre la sua filippica contro le infermiere continuava, riempiendo i vuoti tra loro, poi lo aveva trasportato più delicatamente che poteva nella vasca rotonda, aiutandolo a sedersi sull'apposito seggiolino, prima di chiedergli, sinceramente preoccupato:
" Sei comodo?"
L'altro aveva battuto le palpebre, e il maggiore lo aveva interpretato come un si.
"Dove diavolo è il bagnoschiuma?" aveva sbuffato l'altro, sporgendosi per prendere la boccetta nell'armadietto a muro affianco al sanitario, per aprirla e commentare successivamente " Ti è andata di culo... Se ti lavavi tre reparti più in la' avresti odorato di piscio di gatto per una settimana".
Aveva aperto l'acqua stando attento a non schizzarlo, per poi saggiare la temperatura della doccia con due dita, per accertarsi che non fosse bollente o troppo gelida.
Quando poi aveva raggiunto un calore soddisfacente aveva chiesto al ragazzino:
" E' abbastanza calda?" mentre gli bagnava dolcemente le dita dei piedi.
Alla totale assenza di reazioni da parte di Harry, Louis aveva preceduto con il lavaggio, evitando di mettere il sapone nelle ferite aperte o di far pressione sui lividi violacei che costellavano il corpo stremato.
Gli veniva da vomitare al solo pensiero che era stato lui a conciarlo in quello stato, che per una stupida cazzata che poteva anche evitare aveva rovinato in modo così orribile la vita di un altro essere umano, che se lui per una volta avesse fatto i compiti, o avesse fatto come gli era stato detto a quest'ora Harry Styles sarebbe un felice sconosciuto, un liceale che va a scuola, studia e a casa cambia le lampadine quando si fulminano, e non un mucchietto di ossa e pelle malconcia, muto, incapace di comunicare e in balìa delle infermiere.
Aveva dovuto fare una pausa per riprendere fiato ed evitare di svenire quando aveva visto in che condizioni era la sua testa.
Si era fermato un attimo, spostandosi con le mani insaponate il ciuffo sudato dalla fronte, respirando forte ed aggrappandosi saldamente al bordo della vasca per non cadere dallo shock.
Doveva avere un'espressione veramente orribile, perchè il ragazzino gli era improvvisamente sembrato molto a disagio, quasi sul punto di mettersi a piangere di nuovo mentre faceva vagare lo sguardo sulla stanza spoglia, fissando con caparbia ostentazione il vuoto.
"Scusa" aveva mugugnato a mezza voce Louis, che provava l'inspiegabile bisogno di giustificarsi e di evitare di ferire i sentimenti dell'altro, " E' che... E' così grossa.... Sembra di essere sul set di un film splatter"
Non aveva tutti i torti: la cicatrice che gli aveva lasciato andava da un orecchio all'altro disegnando in modo grottesco il diametro della sua testa, come se qualcuno l'avesse disegnata con un pennarello molto grosso e spesso che la rendeva sporgente, come un margine, cucito con stretti punti di sutura neri che gli arrossavano la cute.
Forse era meglio non mettere acqua e sapone sopra la ferita.
Forse.
Louis aveva iniziato a insaponargli la testa, evitando attentamente di anche solo sfiorare i punti o la pelle arrossata: non voleva fare altri danni, oltre a quelli irreparabili che aveva già fatto.
Quando aveva dovuto preoccuparsi della parte superiore del capo gli aveva spinto piano la testa indietro, le mani che tremavano dalla paura di spezzargli il collo in due, prima di lavare meglio che poteva la testolina rapata, con una mano che gli sosteneva la nuca e l'altra che massaggiava leggera sulla sua pelle.
Poi quando aveva dovuto sciacquarlo aveva inclinato la testa ancor di più, ponendo la mano libera a coppa sulla fronte per evitare che l'acqua gli andasse negli occhi, esattamente come sua madre faceva con Daisy e Phoebe e come tanto tempo fa', prima di odiarlo a morte, aveva fatto anche con lui.
"Ecco fatto" aveva esclamato pienamente soddisfatto del suo lavoro " Non mi è sembrato così traumatico, no?"
Harry si era limitato a fissarlo intensamente.
" Ti rivesto, prima che la Signorina Spezzaindue torni e mi faccia una lavata di capo"
Il ragazzino, ancora immerso fino alle ginocchia nell'acqua e nella schiuma, aveva sgranato gli occhi, già enormi di per se' nella faccia smagrita.
Louis si era chinato per togliere il tappo sul fondo della vasca, che era sparita giù nello scarico gorgogliando, prima di voltarsi a prendere un ascuigamano dall'armadietto bianco.
Sentiva lo sguardo del ragazzino trafiggergli la nuca, facendogliela formicolare in modo fastidioso.
Aveva continuato a fissarlo mentre tamponava delicatamente la spugna morbida dell'asciugamano sulla sua pelle, mentre lo sollevava piano per rimetterlo sulla carrozzina e mentre lo rivestiva con un camice pulito  che lo copriva di più, senza quasi sbattere le palpebre, scrutando in maniera quasi ossessiva il suo viso in cerca di un qualcosa che non riusciva a trovare.
Mentre il più grande lo sistemava meglio sulla sedia a rotelle, in modo che fosse più comodo, qualcuno bussò alla porta, facendolo sobbalzare.
" Louis! La Cohen ti vuole immediatamente di sotto per un clistere"
"Arrivo"
"Ha detto che è urgente"
" Se è urgente non servirebbe un clistere, non ti pare?"
Nonostante le preghiere del giovane chiedessero il contrario, proprio in quel momento la mastodontica infermiera aveva deciso di fare la sua comparsa infondo al corridoio, preceduta dal suo solito brontolio come se fosse una pentola di fagioli in ebollizione.
"Allora?" aveva chiesto impaziente affacciandosi alla soglia "Il principino ha fatto il bagno?"
"Si" aveva risposto acidamente il ragazzo, urtato dal ingrato compito che lo aspettava.
Aveva abbassato lo sguardo sul piccolo paziente, temendo che la bruschezza della prosciuttona lo riducesse di nuovo in lacrime, e invece aveva incontrato il suo sguardo luminoso, più vivo che mai, mentre lo fissava stupito e meravigliato, mentre le labbra di ghiaccio si scioglievano in un piccolo sorriso.
Stava sorridendo.
A lui.
Stava sorridendo a lui.
Le labbra pallide leggermente arricciate all'insù, verso di lui, le fossette sulla pelle pallida, gli occhi illuminati come stelle nella notte più nera...
Era adorabile.
"Allora... Ehm... Ciao" aveva balbettato il più grande, mentre l'altra infermiera, inviata appositamente dalla Tiranna per richiamarlo ai suoi doveri, gli faceva fretta.
"Al prossimo bagno" aveva aggiunto, tanto per salvare la sua dignità di badboy e  ritrovare un po' della sua faccia tosta, mentre si grattava la nuca, imbarazzato.
"Allora?! Andiamo!" la donna l'aveva agguantato per un braccio, spingendolo a forza nel corridoio.
E mentre un'esile ragazza sulla trentina, neolaureata e con la terribile fobia della caposala prepotente e con manie di protagonismo lo sospingeva giù dalle scale affollate verso il tanto odiato reparto che puzzava di chiuso e di morte, Louis Tomlinson ebbe la non troppo fugace impressione che Harry Styles avesse riconosciuto la sua voce.

Angolo Finny *w*

Okay, ammettete che mi amate :) Li ho fatti incontrare di nuovo, e dal momento che ho finito la mia dose di angst mensile e i supermercati sono chiusi... Ecco a voi il caro e vecchio fluff!

Sono annegata nei miei stessi feels scrivendo questo capitolo, che mi ha fortunatamente distratto dalla scuola.

Io odio la scuola, e in particolare un certo professore ottuso, omofobo e... testa di cazzo? Scopamerda? Faccia da culo?

E pensare che domani abbiamo due ore con lui.... Mi sale il suicidio.

Leeroy hmm può testimoniarlo: l'ultima lezione al cambio dell'ora eravamo in bagno a piangere e a passarci il rotolo di carta igienica mentre lo insultavamo. 

Giuro che ogni volta che domani mi guarderà gli dirò " Brutto idiota" e " Lurido bastardo" nel linguaggio dei segni. Perchè io posso lol.

Eniuei, cambiando discorso, vorrei veramente ringraziarvi: rinato Harry siete rinati anche voi, in particolare marti_lala e i suoi Oreo che compromettono la mia dieta ancora prima che io la inizi, Lu che da adesso in poi è la mia maestra, e spero che il suo cuore fluff apprezzi questo capitolo nonostante la mente angst, Ele28 alla quale stavolta non ho spoilerato proprio niente *applause applause applause* Ila che ora, dal momento che sono un potenziale e valido aiuto per la tesina e che ho fatto incontrare Harry e Louis, mi amerà con tutto il suo cuoricino ( ma non più di Luca XD) Horan_Smile che grazie alla mia puntualità puntuale non avrà un attacco d'astinenza, Prim che spero si sia ripresa dallo shock dello scorso capitolo e che si possa godere questo ( avete visto? Alla fine sono buona come il pane, li ho fatti tornare subito insieme!) Niall_Horan che sarà felice di vedere che ho risistemato le cose, Elli la mia mogliettina sotto stress che nonostante frequenti quel merdaio del classico ( nel senso che il greco è inutile e le materie sono pesanti, non che sei una cacca te eh) passa comunque a recensire e mi da' sempre delle fantastiche idee, Erica che mi piange la sig.ra Stowe e mi fa sentire in colpa di averla, uhm... fatta fuori XD

E ultima ma non meno importante Caro, con la quale mi scuso di non aver risposto alla magnifica recensione ma... Preferivi che ti rispondevo o che aggiornavo? :P

Grazie a tutte per il vostro sostegno, siete meravigliose e non mi stancherò mai di ripeterlo.

Pensatemi un po' domani :)

#Lotsoflove

Cami

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Capitolo 11
*** The Panda Made Me Do It ***


wefertferf AVVERTENZE (per tutte le Lovatic e le fan di Demi): Questo capitolo contiene una canzone di Demi Lovato, ma è un troll.
Una ragazza inspirandosi alla sua storia ha scritto questa canzone, l'ha cantata, registrata e postata su Youtube facendola risultare come un Lyric Video di VEVO.
Ma siccome si sposava con la storia l'ho attribuita a Demi. Pace e Amen #sorrylovatics #demiurockanyway



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11. The Panda Made Me Do It.


" Ma porca di quella..." Louis aveva dato un colpo al vecchio televisore che da due ore stava cercando di aggiustare per poter intrattenere i suoi cari e decrepiti pazienti con una vecchia videocassetta in bianco e nero di Casablanca, trovata da qualche parte nello scantinato di sua nonna e per qualche misteriosa ragione portata a casa, per poter stare in pace un attimo e riprendere fiato senza dover preoccuparsi di cateteri e grattacapi vari.

Il televisore era partito all' improvviso, sibilando e scoppiettando in maniera preoccupante, tanto che il ragazzo aveva faticato molto a sentire che qualcuno lo stava chiamando:
" Tomlinson! Louis! Louis!" si era voltato, individuando la fonte del rumore, l'infermiera carina bionda, che stava seduta dietro il bancone della reception del piano del reparto, mentre con una mano giocherellava con due ciocche sfuggite all' ordinata coda di cavallo e con l'altra si teneva premuta la cornetta del telefono contro una spalla.
" Ti chiamano dalla rianimazione... Ancora"
" Posso andare?" aveva chiesto lui, sgranando gli occhioni blu da cucciolo di labrador abbandonato in mezzo a una strada da Lord Voldemort.
" E se si pianta il televisore?"
"Un cazzotto forte sul lato sinistro dovrebbe bastare" gli aveva urlato in risposta, già a metà strada verso il corridoio.
Ogni giorno, tutti i giorni, lo chiamavano 3 o 4 volte dalla rianimazione: le prime volte era solo per lavare Harry, ma ben presto tutti avevano notato la predilizione che il piccolo paziente sembrava avere nei confronti del bell'inserviente, che comunque tornava utile dal momento che il giovane era in un età critica e comunque molto pudico e si vergognava a farsi vedere o toccare dalle infermiere che dovevano prendersi cura di lui.
E così oltre che per la toeletta del paziente, lo chiamavano perfino per la fisioterapia: la solita scazzata infermiera ciccona stava spaparanzata sull' unica sedia presente nella stanza,  col grasso che lentamente stradipava dai bordi mentre impartiva ordini bruschi e commenti acidi a destra e a manca.
Le prime quattro volte Louis non aveva detto nulla, limitandosi a chinare la testa e sopportare, ma alla quinta era esploso:
" Se mi spiega prima cosa devo fare poi se ne può anche andare, di sicuro ha di meglio da fare che stare qui seduta!".
L'aveva preso alla lettera, e da quel momento in poi lo aspettava fuori dalla camera 17 per spiegargli la procedura da applicare quel giorno, prima di sparire chissadove ( si sospettava a gozzovigliare vicino alla macchinetta del caffè) e mandare di tanto in tanto una collega, decisamente più simpatica, a supervisionare la situazione.
All' inizio aveva solo dovuto massaggiare le gambe e le braccia del ragazzino più piccolo, poi aveva dovuto ' rinforzare' i muscoli stirandoli in un po' di doloroso stretching, e infine era giunto la lenta ed interminabile fase dei cuscini: Harry veniva messo seduto su un trono di piume, ogni giorno sempre in posizioni diverse e sempre più a lungo, levando gradualmente i vari appoggi che aveva per permettergli di stare seduto da solo, finché un bel giorno la fisioterapista curante aveva dato l'ordine di levare tutti i supporti.
Era stato un fiasco.
La prima volta era semplicemente scivolato all' indietro ritrovandosi di nuovo sdraiato in un batter d'occhio, la seconda volta invece se Louis non l'avesse afferrato al volo sarebbe capitombolato a terra, la terza volta si era limitato a scuotere la testa e a fare faticosamente segno di no con la mano, non prestandosi più al loro 'gioco' e fissando ostinato il soffitto a braccia conserte.
" Facciamo un pausa di 10 minuti, okay?" aveva proposto l'infermiera gentile, prima di lasciare la stanza e andare a caccia di caffeina.
L'inserviente ovviamente era rimasto per tirarlo su di morale, e ci sarebbe riuscito se un' altra infermiera non fosse entrata, cinguettando a vanvera sul fatto che finalmente il chirurgo le aveva dato il permesso di togliergli le bende sul capo.
E così aveva rimesso il ragazzino seduto e aveva iniziato a svolgere  quello che lui aveva amorevolmente soprannominato il 'turbante del professor Raptor', prima di disinfettarlo ancora un po' con un batuffolo di cotone imbevuto di acqua ossigenata e porgergli trionfante uno specchio, tubando adorante: " Hai visto Harry? Hai visto come sei tornato bello?"
Pessima idea, dal momento che il diretto interessato sembrava pensarla diversamente.
Il viso del piccolo paziente si era contratto in un orrenda smorfia d'orrore e ribrezzo nel guardare il suo stesso riflesso livido, scavato e senza capelli.
Probabilmente era l'ultimo particolare a turbarlo così tanto: la ferita, che Louis aveva già avuto modo di vedere durante i suoi bagni, ora spiccava rossastra sulla sua pelle nuda, come un marchio infame, un indesiderato tatuaggio che ti rendeva un' indegna creatura riportandoti sempre alla mente infausti ricordi di morte, sottolineato ancor di più dall' assenza di capelli che lo rendeva spelacchiato, scheletrico e deformato, tanto che la testa sembrava essere spropositatamente grande rispetto al resto del corpo.
Con un rumore acuto a metà tra un grido e a un singhiozzo soffocato Harry era scivolato giù dai cuscini, coprendosi la faccia con le mani,cercando di nascondersi alla vista dei due visitatori.
Louis si era sentito in dovere di rassicurare l'infermiera che guardava il piccolo paziente costernata, prima di spingerla gentilmente fuori dalla stanza e tornare al capezzale del malato, il viso seppellito tra le lenzuola e le gambe tutte di traverso in un goffo ed inutile tentativo di voltarsi su un fianco per nascondere le lacrime.
" Ehi, non é così tragico..." il maggiore si era chianato su di lui, accarezzandogli un braccio " Ricresceranno. I capelli dico... Non hai il cancro Harry, ricresceranno in un battibaleno, vedrai, non te ne accorgerai neppure da quanto faranno in fretta!"
Il più piccolo si era limitato a tirare su col naso, il viso rigato dalle lacrime.
" Su, non fare così... É solo una giornata storta... Domani andrà meglio, te lo prometto"
Aveva allungato la mano per accarezzargli la guancia umida, ma Harry aveva strizzato gli occhi fortissimo:
" Va' via, non voglio vedere nessuno" gli stava dicendo, supplicandolo di obbedirgli, e così in men che non si dica il ragazzo si era ritrovato sulla soglia della 17  a spiegare alla fisioterapista perché quel giorno non potevano continuare con gli esercizi, con un inspiegabile nodo allo stomaco e il cuore pesante.
Il giorno dopo non c'era stata nessuna chiamata dal reparto di rianimazione, e verso le cinque e mezza, quasi la fine del suo turno, Louis aveva iniziato a preoccuparsi.
Tendeva l'orecchio sopra il rumore del monotono ( e dalla tragica dipartita della signora Stowe insignificante) chiacchiericcio dei vecchietti, sperando di udire il famigliare trillo del telefono che lo convocava ai piani superiori, invano.
Non poteva sopportare un attimo di più: doveva assolutamente dare una cosa a Harry, ma se nessuno gli dava il pretesto per allontanarsi sarebbe rimasto bloccato tra dentiere e pannoloni superassorbenti per il resto del turno.
"Niente capatina in rianimazione oggi?" aveva chiesto la biondina,entrando nella stanza spingendo la cigolante  carrozzina di Mr Phipps, sorridendo esausta.
" In effetti stavo giusto andando" era stata la sua pronta risposta, mentre scattava in piedi lasciando cadere lo straccio con cui stava pulendo  le scodelle della zuppa.
" Ma hanno chiamato?" aveva chiesto lei, spostandosi una ciocca sudata dalla fronte.
" Si ma eri di là a lavare Phipps, e così ho risposto io" aveva inventato di sana pianta lui " lo so che non sono autorizzato a rispondere al telefono, ma non sapevo che altro fare"
Con l' ultima parte della frase aveva evitato le sue proteste e lamentele " Okay okay, vai pure, solo... La prossima volta chiamami. Va bene?"
Louis aveva annuito, cercando di sembrare dispiaciuto, mentre in realtà la sua mente galoppava alla camera 17, e alla reazione di Harry nel vedere ciò che gli aveva comprato.
Era stato più forte di lui: le inaspettate lacrime del ragazzino gli avevano lasciato lo stomaco stretto in una morsa e il cuore colmo di tristezza e di rancore verso se stesso, perché dopotutto era colpa sua se Harry piangeva, era colpa sua se stava così male, e lui desiderava ardentemente poter rimediare in qualsiasi modo soprattutto perché il più piccolo sapeva che era colpa sua ma lo aveva inspiegabilmente perdonato, e lui non si meritava tanto.
Arrivato a casa il suo senso di colpa non si era placato, anzi: Lottie era di turno alla sala da the dove aveva trovato lavoro, Fizzie a una cena di classe e lui avrebbe dovuto preparare da mangiare per se' e le sue sorelline dal momento che la madre era ad un importante riunione di lavoro.
Inutile dire che si era dimenticato.
Aveva evitato di dirlo a mammina, lasciandola uscire beatamente illusa prima di mettere i cappotti alle bambine e di correre verso il supermercato più vicino, fortunatamente ancora aperto.
Li aveva visti prima di pagare, allo stand vicino alla cassa: un assortimento di cappelli, calze e cinture, e non aveva potuto fare a meno di fermarsi.
Aveva persino trovato il modo di tenere buone le piccole pesti chiedendo loro un  consiglio su un berretto da regalare a un amico.
"Perché devi regalargli un cappello?" aveva chiesto Phoebe curiosa, mentre si appendeva al suo braccio " Perché? Perché? Perché?"
" Perché, Uhm, non ha capelli"
Le due monelle avevano sussultato in preda all' orrore.
" E peeeeeerche'?"
" Glieli hanno rasati"
" Chi?" aveva chiesto Daisy guardandosi attorno circospetta, come se qualcuno armato di rasoio elettrico potesse spuntar fuori da dietro l'espositore dei surgelati e privarla della sua zazzera bionda.
" I dottori"
" E peeeeeerche'?"
Cristo, ma anche lui a quattro anni era stato così petulante?!
" Perché non si lavava e aveva i pidocchi..."
" Bleah"
" Che schifo"
"... Quindi vedete di fare il bagno ogni volta che ve lo dice mamma, okay?"
Con questo aveva finito la conversazione, e sotto lo sguardo impaziente del gestore che era in procinto di chiudere, era giunto a due possibili cappelli candidati da regalare a Harry: il primo l'aveva scelto lui, un berretto da baseball rosso e nero della Obey, alla 'Zayn' aveva ricordato nostalgico, mentre il secondo era un cappello di lana marroncina, fatto a mano, con orecchie sporgenti e occhi naso e bocca... da panda.
L'avevano scelto le bambine nella loro tenera innocenza, e cercavano inutilmente di convincerlo:
" Senti come é morbido!" avevano esclamato in coro alzandosi in punta di piedi e strusciandoglielo sulla faccia.
" Daaaaaai! Non é carino?"
Il ragazzo aveva sospirato, decidendo che sarebbe stato il prezzo a scegliere: aveva guardato con orrore il cartellino dell' Obey che segnava il costo di 32 $ e sospirando tra le urla di trionfo delle bambine si era diretto verso la cassa con quella parodia di peluches in mano, sperando in seguito di non pentirsi della sua scelta dettata dalle sue ristrette finanze.
E invece, mentre sgattaiolava in rianimazione, si era pentito: era troppo strambo! Insomma,  chi si mette un panda in testa?! E se non gli sarebbe piaciuto? Avrebbe fatto la figura del picio! Gli stava regalando un ridicolo berretto da bambino disagiato , era proprio un coglione senza speranza. Però era così adorabile...
Le pippe mentali del ragazzo erano state dimenticate appena aveva varcato la soglia della 17: le tapparelle erano mezze abbassate, la stanza immersa nel silenzio, la fisioterapista seduta sconsolata su una sedia di fianco a quello che una volta era un letto d'ospedale, ma in quel momento era ridotto ad un baco di lenzuola e coperte.
L' inserviente aveva bussato, annunciando la sua presenza in maniera discreta alla specialista, che aveva esclamato gioiosa vedendolo:
" Guarda chi é venuto a trovarti Harry! É Louis, é venuto a salutarti!'
Nulla.
Il bozzolo di coperte era rimasto immobile.
" Ehi pigrone, cosa ci fai ancora a letto? Non si fa ginnastica oggi?"
Silenzio.
" Sei in sciopero?"
Ancora niente.
Il ragazzo aveva questionato la fisioterapista con lo sguardo, e la donna si era limitata a sospirare dicendo:
" Brutta giornata... Non ha mangiato nulla, non ha voluto fare gli esercizi e per di più é da ieri sera che non esce da sotto le coperte, non ha nemmeno voluto salutare sua madre"
Il ragazzo aveva riflettuto un attimo, pensieroso.
" Vuoi andare a prenderti un caffè e fare una pausa mentre qui ci sto io?"
La donna aveva valutato l'offerta, prima di alzarsi e incamminarsi verso la porta " Sei molto gentile... Chiamami se hai bisogno"
Louis aveva annuito, e la donna aveva rinchiuso la porta alle sue spalle, lasciandoli da soli.
" Ehi?" aveva chiamato il più grande, avvicinandosi al letto " Harry?"
Nulla.
" Non vuoi uscire da lì sotto?"
"..."
Si era seduto sulla sedia, sfilando dalla tasca l'iPod e infilando l'auriolare sotto il groviglio di coperte " Ascoltiamo un po' di musica?"
Aveva sentito qualcosa muoversi sotto le lenzuola.
" Lo prendo per un sì"
Le note di ' Stay strong' di Demi Lovato si erano diffuse nella stanza, attutite dalla stoffa delle coperte del letto.



" Stay strong
Don't let them break you, no don't let them change you
You know you have got to
Stay strong
I see the real you, hurting, trying to breakthrough
But just know you know, you know
Stay strong
Just stay strong"




Alla fine della canzone era calato il silenzio, e il ragazzo aveva arrotolato di nuovo le cuffie, attorcigliandosi il filo nero attorno alle dita come se fosse una canna da pesa, ma purtroppo il suo pesce non aveva abboccato: Harry era ancora sotto le coperte.
" É forte la Lovato, vero? La ascolta sempre mia sorella... Crede di aver perso il CD ma in realtà l'ho preso io..."
Nulla.
"Harry?"
"Sei morto?" nessun rumore tranne un piccolo sibilo, che doveva essere interpretato come un 'ti sembrano cose da dire?'
" Dai, un po' di humour nero ci sta"
"..."
" Ti prego Harry esci un' attimo da lì. Per favore"
Aveva usato un tono così supplichevole che gli occhi acquamarina dell' altro avevano fatto capolino da uno spiraglio tra le lenzuola.
" Ieri ti ho promesso che oggi sarebbe andata meglio, giusto?"
Annuisce.
" E allora perché non proviamo ad agire noi piuttosto che aspettare che lassù qualcuno decida di farci un favore? Dai, esci da lì sotto e insieme possiamo provare a raddrizzare questa giornata storta"
Lentamente il piccolo allettato era emerso dalle coperte, mentre l'altro cercava di strappargli un sorriso su quel viso sempre triste " Ecco, se avessi avuto i capelli adesso saresti un disastro, mentre sei fresco fresco come una rosa... Non é che mi dai il numero del tuo parrucchiere?"
Louis aveva riso mentre lo sguardo dell' altro si riduceva ad un' occhiataccia cattiva, subito interrotta a causa della troppa luce che entrava dalle tapparelle ora completamente alzate.
" Dai su, su, scherzavo!" gli aveva dato un buffetto sulla fronte, respirando profondamente prima di trovare il coraggio di dirgli:
" Ti ho preso un pensierino..." gli aveva teso il berretto, senza pacchetto perché sapeva che non sarebbe riuscito a scartarlo da solo e che avrebbe finito solo per mortificarlo " Lo hanno scelto le mie sorelle... Spero ti piaccia"
Si era fissato la punta delle converse per un po' e quando si era azzardato ad alzare lo sguardo ci era mancato poco che scoppiasse a ridere: il cappello calcato sulla fronte, fino alla sopracciglia, per  coprire la mancanza di capelli e il sorriso assolutamente radioso che andava da un orecchio all' altro di Harry lo sollevavano e divertivano a tal punto da fargli venir voglia di farsi una bella risata.
Ed era quello che si era fatto porgendo al ragazzino uno specchio perché anche lui potesse godere dell' esilarante e allo stesso tempo adorabile spettacolo, rantolando "Come sei bello! Come sei bello!"
Una volta terminati gli attacchi di risa, il maggiore si era rivato senza fiato, accasciato sulla solita seggiola bianca davanti al letto, mentre il più piccolo era sdraiato sui cuscini, con un sorriso così grande da far presumere una paralisi facciale, mentre gesticolava entusiasticamente un inequivocabile ' vieni qui'.
Louis si era seduto sul letto affianco a lui.
" Cosa c'è? Ti piace? Hai visto che bello? Ha pure le orecchie e-"
Ma non voleva fargli vedere le orecchie: voleva ringraziarlo.
Baciandolo su una guancia.
Aveva alzato appena la testa, forzando i muscoli indeboliti a reggere la testa mentre appoggiave le labbra ancora sorridenti sulla mascella, con la pelle ruvida di barba non fatta, non sporgendosi abbastanza per centrare bene la guancia dell'altro ora in fiamme. Il tutto era stato l'unico modo che Harry aveva per comunicare la sua gratitudine al più grande, sempre  accorto e premuroso nei suoi confronti, ed era durato un secondo ma a Louis quel contatto inaspettato ed un po' umido era bastato per diventare viola, arrossendo come uno scolaretto alle prime armi.
Era assolutamente cotto di lui.
" Lo prendo per un sì" aveva mormorato, cercando di salvare un po' della sua facciata da duro che andava inesorabilmente a sbriciolarsi, cadendo come il muro di Berlino, soprattutto dopo essersi umiliato con un acquisto tale e avergli fatto sentire una canzone pop al posto che del pesante heavy metal pieno di bestemmie e satanismi.
Ma soprattutto per il panda.
" Ah ma allora ti sei alzato!" la voce della specialista aveva praticamente fatto cadere Louis dal letto, cogliendolo di sorpresa e imbarazzandolo ancor di più.
Aveva visto...?
Harry era arrossito lievemente, senza smettere però di sorridere.
" Che cos'hai in testa?" aveva chiesto la donna avvicinandosi al letto, notando per la prima volta il cappellino e facendo sorridere il paziente ancor di più, se possibile.
Il ragazzino aveva appoggiato le mani sugli avambracci di Louis, agitandosi eccitato,  facendo leva con le braccia per mettersi seduto, da solo, ed indicare trionfante i cappello, la schiena dritta come un fuso e priva di ogni sostegno o appoggio e un sorrisone ignaro stampato in faccia.
Non tremava dallo sforzo e non sembrava neanche provare dolore.
Poi, agli strilli entusiasti della fisioterapista, si era reso di quello che era riuscito a fare, che c'è l'aveva fatta, e che come stava urlando lei ' volere era potere' e che ' era stato un grande' o come stava dicendo Louis ' spaccava i culi'.
Gli aveva sorriso una volta ancora, bellissimo, bianco e rosso come una mela, gli occhi lucidi di felicità e di soddisfazione e quelle adorabili orecchie che lo facevano assomigliare ad un orsetto lavatore tutto da coccolare e sbaciucchiare, e il più grande aveva capito che non si sarebbe levato quel buffissimo panda di lana dalla testa per un po'.








Angolo Fin *w*

Hey Hey Hey fanciulle c: Buon Mercoledì sera a tutte!
Ho raggiunto l'apoteosi del fluff, che ne dite? Tipo che vomito arcobaleni da due giorni. Con tanto di brillantini sberluccicosi. Puah  :)
Devo assolutamente piantarla perchè dopodomani ho i coscritti e devo entrare nel mio tipico umore da festa: cazzate, vino rifiutato in modo molto poco convincente, cazzate, attimo di depressione post sbornia e tutto daccapo.
E metterò dei pantacollant neri che ora grazie alla dieta posso permettermi e un vestitino nero con tutte i i brillantini che ho vomitato lol
E faccio la tinta rossa Louis!Punk e mi stiro il bosco selvaggio che ho in testa.
Ma vabbe', a voi non frega, ma ci tenevo a condividere il mio eccitamento con voi, dal momento che quassù sui monti la vita è una noia- perfino la capretta di Heidi si è suicidata per l'esasperazione... Anche se il macellaio racconta un'altra storia XD-
Meno male che ci siete voi a tenermi compagnia! Un'infinito grazie a Caro e ai nostri indovinelli idioti su Twitter, Prim che spero sia contenta della temporanea soluzione alternativa ai ricci di Harry, _HoranSmile_ della quale purtroppo non so ancora il nome che finalmente ha incontrato uno dei suoi idoli, e secondo me se lo meritava tantissimo, bluemeetsgreen_ ( anche lei ignota, come anche Larry_Art) che salgono su questo folle folle treno, benvenute di cuore :)
Erica che spero abbia il cuore in countdown pronto ad esplodere come un fuoco d'artificio a Capodanno, Lu che probabilmente mi odierà di nuovo per il mute!andfaint!Harry, ma figliola mia porta pazienza e vedrai che sarai soddisfatta ( spero) Ila che non sento da un sacco per via di quell'orrido male chiamato s.c.u.o.l.a Niall_Horan ( un'altra ignota) che probabilmente farò piangere di nuovo, la mia pusher d'Oreo marti_lala e il suo braccio destro il gatto Eddy, Ellie, la mia mogliettina, che abbraccio forte forte forte per la situazione che sta passando, e sappi che ti sono tanto vicina anche se probabilmente abitiamo a mezzo Paese di distanza, Leeroy hmm e le nostre coltissime conversazioni in inglese ( twittah, sistah, forevah, powah, Tygah e l'ultima, che c'ho pensato tipo tutto il viaggio in treno... NEVAH) e last but not least Ele ( levo il 28 perchè ormai siamo un po' in confidenza suvvia) e il nostro the virtuale ( visto che nemmeno io ho la patente XD)
Grazie mille a tutte, spero che questo capitolo vi piaccia e che continuerete a sseguirmi....
Mille cuori pieni di brillantini per voi!!
Cami

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Capitolo 12
*** Call Me Maybe ***


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12) Call me maybe  12. Call Me Maybe                                                                    
                                                                     
 Il ragazzo aveva picchiato piano le nocche su legno freddo e bianco della porta della stanza, annunciando con quei colpi sordi e ripetuti la sua presenza, prima di affrettarsi ad attraversare la soglia:
" Mi hai chiamato?"
Louis aveva infilato la testa nella stanza, sorridendo già: non si poteva di certo dire che fosse tutto uguale a prima...
Col risveglio di Harry, anche la stanza e l'atmosfera che si respirava dentro essa era cambiata: non era più cupa, opprimente, immobile e fuori dal tempo, ora che la maledizione era stata rotta e il principe si era svegliato dal sonno durato cento lunghi anni al quale era stato condannato, ogni cosa sembrava più calda, più luminosa e più... viva.
Il comodino non era più ornato da fiori di plastica votati a rallegrare i visitatori con il loro aroma chimico e i colori sintetici, ma era ingombro di libri, quaderni, fazzoletti, parole crociate con cruciverba mezzi svolti, bicchieri di the vuoti con ancora uno spicchio di limone raggrinzito sul fondo ed innumerevoli bottiglie d'acqua, tutte rigorosamente prive di tappo.
E in mezzo a tutto quel casino, con un sorrisone stampato sulla faccia, sdraiato in mezzo alle lenzuola trionfalmente sfatte, simbolo che stava rincominciando a muovere le gambe e che la fisioterapia stava funzionando, nello stesso letto che l'aveva visto immobile per mesi, stava Harry Styles, che lo accoglieva ogni giorno con uno dei suoi larghissimi sorrisi bianchi e luccicanti, tanto che a Louis sembrava di aver chiuso il sole in una stanza.
Quel giorno il sorriso del ragazzo brillava radioso spuntando da sopra un librone dalla copertina rigida che Harry teneva appoggiato sulle ginocchia, girando pagina con una mano e giocherellando distrattamente con l'orlo del cuscino con l'altra.
" Oddio, non starai mica facendo i compiti?!"
Il ghigno affermativo dell' altro l'aveva fatto fremere, pieno di orrore:
" Ma che schifo! Sei un secchione di merda! Fatti curare! Guarda già che ci sono te lo chiamo io il manicomio"
Il ragazzo più grande aveva afferrato il telefono d'ufficio appoggiato tra le tazze di the, sollevando la cornetta bianca e suonando grave, mentre il piccolo paziente mulinava le braccia, che ora muoveva quasi perfettamente e lo scuoteva per una spalla, cercando di riprendersi l'apparecchio telefonico al suo declamare tragico "Pronto psichiatria?"
"Ehm, ehm"
Qualcuno alla porta si era schiarito rumorosamente la gola, facendolo sobbalzare e perdere la presa sul telefono che il ragazzo-panda non aveva esitato a strappargli, prima di esultare alzando le braccia al cielo come se avesse segnato un goal a Cech.
" Oggi é un gran giorno!" aveva esclamato la fisioterapista ignorando il debole 'buongiorno' del ragazzo più grande, e i buffi movimenti di festeggiamento dell'altro, suonando impaziente ed estasiata.
"Oggi é un gran giorno" aveva ripetuto " Oggi, mio caro Harry, ti rialzerai in piedi e camminerai!"
Il ragazzino l'aveva fissata stranita, cessando all'istante di agitarsi.
" Come Lazzaro?" aveva replicato a voce bassissima Louis, ma abbastanza forte da farsi sentire dal piccolo paziente, che aveva premuto le labbra in una rigida e quasi invisibile linea che spariva nel pallore del viso scavato, in un disperato tentativo di non scoppiare a ridere in faccia alla povera infermiera.
"Louis, mettilo seduto sul bordo del letto" aveva ordinato quella, mettendo fine al loro piccolo momento di ilarità " un po' più in qua... Un po' più in qua... Così bravo"
Harry era seduto sul ciglio del materasso, le gambe magre e segnate da graffi e lividi a penzoloni nel vuoto, e i piedi che di muovevano appena su e giù, su e giù, come un bambino impaziente che non vede l'ora di alzarsi da tavola e correre in giardino a giocare.
Era l'ultimo esercizio della settimana, una vera conquista a parere della dottoressa, sollevata dalla velocità che il ragazzo dimostrava nel rispondere positivamente nelle diverse terapie.
Quella volta però lo aveva ammonito bonaria " Non ti stancare inutilmente e risparmia le forze per dopo, non sarà una passeggiata"
"Ma io veramente avevo capito che dovevamo farlo camminare..."
La battuta dell' inserviente era terminata nel silenzio, mentre la specialista lo ignorava, fissando intensamente il paziente e decidendo sul da farsi, prima di cominciare a dare ordini secchi e precisi, come un gendarme tedesco:
" Mettiti davanti a lui, Louis. Fa aderire le vostre ginocchia"
"Che?"
La donna, troppo impaziente a parole lo aveva spinto contro l'altro ragazzino, finché i suoi jeans consumati e ruvidi non si erano incollati al lino leggero del pigiama.
Poteva sentirne la consistenza liscia e morbida attraverso il buco che aveva sul ginocchio sinistro, tanto erano vicini...
" Adesso, Harry mettigli le braccia attorno al collo e stringiti più forte che puoi, okay?"
Il ragazzo-panda aveva annuito prima di fare, anche se con un po' di esitazione, quello che gli era stato ordinato, facendo venire al più vecchio le farfalle nello stomaco e dei brividi leggeri al suo tocco fresco, delicato e quasi impercettibile.
" Stringiti pure" lo aveva rassicurato
lui, sentendo la sua presa molle e priva di forza, " Non mi fai male"
Harry aveva appoggiato piano le  mani tremanti sulla sua nuca, ma Louis non aveva detto nulla, credendo che fosse troppo debole o imbarazzato da un contatto fisico così ravvicinato, per poter fare di più.
"Okay Louis , adesso punta le tue ginocchia contro le sue in modo da farle stendere completamente, e in tanto alzati. Se tutto va bene, e con un po di aiuto, riusciresti a portarlo in posizione eretta..."
Il ragazzo aveva annuito, perdendo subito la sua aria scherzosa e diventando mortalmente serio e concentrato: dopotutto si parlava di Harry, e su di lui e sulla sua salute non avrebbe mai potuto giocare o fare dell' ironia.
Aveva fatto leva contro i deboli legamenti del piccolo paziente con le sue rotule , forzandolo ad alzarsi mentre rialzandosi lo accompagnava in posizione eretta.
La pianta dei piedi del ragazzo-panda avevano toccato il pavimento
freddo, e in una reazione involontaria lui aveva strizzato i grandi occhi verdi e arricciato le dita, infastidito dalla pelle d'oca che gli provocava brividi su braccia e gambe.
E poi le braccia calde di Louis avevano lasciato il suo corpo debilitato e tremante, allontanandosi appena per alleviare il rossore che gli tingeva le guance vermiglie e gli inumidiva gli occhi, ma anche per riprendere il controllo di se', per arrestare i crampi allo stomaco allo stesso tempo deliziosi e tanto dolorosi, perché Harry gli faceva tanta, tanta, tantissima tenerezza, perché era debole, perché necessitava del suo aiuto e perché era tremendamente carino e tenero con la faccia rossa rossa e con quegli occhi che gli scavavano un buco in mezzo al petto, perforandogli il cuore quando si ricordava che era tutta colpa sua, del suo egoismo e della sua stupidità...
E adesso era in piedi davanti a lui: Louis quasi non sentiva l'esultare allegro, spropositato e rumoroso della dottoressa, che gli giungeva da un luogo lontano e confuso, come se fosse in una bolla ovattata, mentre sentiva perfettamente le mani infuocate e leggere come farfalle del più piccolo scivolargli lungo le spalle, come per dirgli che non aveva bisogno del suo aiuto per stare in piedi.
E così l'aveva lasciato andare, rifiutando però di allontanarsi da lui, notando per la prima volta quanto fosse alto: nella sua mente contorta l'aveva sempre associato ad un bambino di cui prendersi cura, al pari di Daisy e Phoebe, ma vedendo la sua altezza reale ( le orecchie del suo maledetto cappello gli sfioravano la punta del naso) capiva che non era così indifeso e bisognoso di attenzioni come lui credeva.
Era fragile.
Ma avrebbe superato tutte le difficoltà che il destino gli riservava, ne era certo, e sarebbe diventato ancora più bello e ancora più alto.
E lui sarebbe stato lì per vederlo.
Si sentiva così fortunato...
Così perso nei suoi pensieri non si era accorto dell' impercettibile tremore delle ginocchia del paziente, e quando queste avevano ceduto per un attimo, l'aveva riacchiappato in extremis per i gomiti, rimettendolo in piedi in un batter d'occhio, mormorandogli ridacchiando ancora trasognato "Attenta mozzarellina..." prima di lasciarlo andare sotto lo sguardo attento e allo stesso tempo trionfante della fisioterapista.
Ma la resistenza del ragazzo aveva raggiunto il limite, e le gambe stanche ed affaticate avevano ceduto di nuovo, di schianto stavolta, e Harry era stato prontamente  sorretto per la vita dall' inserviente che lo aveva portato in piedi un altra volta, mentre lui si attaccava disperatamente alle sue spalle cercando di riprendere il controllo di sé, ma ancora scivolava verso il basso, aggrappandosi alla maglia scollata  della divisa di Louis, tirandola verso il basso con se' e scoprendo parte della scritta tatuata sui pettorali.
" Penso che per oggi sia abbastanza" aveva annunciato grave la specialista " Anche se non capisco come mai non cammini: hai svolto correttamente tutti gli esercizi, e adesso dovresti essere in grado di ..."
Si era interrotta, scuotendo la testa delusa e iniziando a raccogliere alcuni attrezzi da riabilitazione sparsi nella stanza, prima di costringerli nella sua valigetta e avviarsi verso la porta.
" Proprio non me lo spiego" aveva continuato dalla soglia, incapace di trattenersi " Ormai sei più che pronto a stare sulle tue gambe, Harry. Non so se é un tuo limite psicologico o altro, ma di sicuro so che non é un mio errore di valutazione o nel lavoro svolto. La vera domanda qui é: vuoi davvero guarire, Harry?"
La donna aveva aperto la porta con uno scatto, prima di uscire nel corridoio e svanire nei dedali del corridoio, furibonda, lasciando un Louis impalato nel bel mezzo della stanza, con un Harry tra le braccia a cui sembrava non importargliene un fico delle sue parole taglienti e pesanti come macigni che avevano distrutto l'atmosfera calda e accogliente della diciassette, ora immerso in un silenzio teso ed imbarazzato che forse valeva più di mille parole.



Louis non se ne capacitava: l'infermiera aveva fatto un cazziatone in grande stile, l'aveva accusato di fancazzismo, di essere psicotico e nullafacente, andandosene sbattendo la porta incazzata come una iena, e tutto quello che Harry sapeva fare era starsene lì tra le coperte smosse con un sorriso ebete sulla faccia.
Non aveva neanche dovuto consolarlo per il clamoroso fallimento, e questo era particolarmente insolito dal momento che ad ogni minima difficoltà il ragazzino si rifugiava sotto le lenzuola , accampandosi lì finché qualcuno non lo tirava fuori per le orecchie pandose (la caporeparto-prosciutto) o convincendolo con le buone maniere ( Louis stesso).
"Come mai sei così allegro oggi?" aveva chiesto improvvisamente curioso l'altro, facendolo sobbalzare per l'inaspettata domanda.
Aveva scrollato le spalle con noncuranza, mentre un sorrisetto di chi la sa più lunga si allargava sul suo viso.
"Ti conosco troppo bene, Harry Styles, e non mi freghi..."
All'ennesima esortazione del più grande, il ragazzino si era guardato intorno guardingo, forse aspettandosi di trovare telecamere nascoste e cimici tra i monitor o sotto il cuscino, prima di aiutarsi con le braccia a spostare il suo stesso peso verso il comodino, controllare ancora che nessuno li stesse spiando, e aprire senza far rumore il cigolante cassetto del mobile, come uno 007 in erba.
A quel punto anche Louis era divenuto curioso, ed era quasi rimasto deluso quando il ragazzo-panda aveva estratto da sotto una pila di riviste...
Un cellulare.
Nuovo di zecca, con la cover di gomma morbida rosso fiammate e dei ghirigori nero scuro sopra, sul palmo di Harry stava l'ultimo modello di iPhone, appena uscito in america e non ancora in commercio in europa.
Non era riuscito a trattenere un fischio ammirato.
" Sta minchia, che figata!"
Era una figata sì, il ragazzo lo sapeva bene: Lottie non faceva che blaterare sulle sue app, i pixel della macchina fotografica, il riconoscimento vocale, la connessione permanente ad internet...
Sua sorella si faceva mille illusioni, ma lui preferiva guardare in faccia la realtà: nella situazione economica famigliare attuale non si sarebbero potuti premettere nemmeno la confezione, figurarsi quello che conteneva.
" Chi te l' ha regalato?"
aveva domandato pieno d'invidia, esaminandolo meglio da vicino e provando una scossa di gelosia, quando Harry, stufo di giocare al gioco dei mimi per rispondere a quella domanda e irritato dal fatto che l'attenzione del giovane inserviente fosse altrove, glielo aveva strappato di mano prima di digitare con dita incerte e tremanti, non ancora completamente riabilitate della fisioterapia:
" Mio papà..."
Louis aveva letto il messaggio da sopra la spalla dell' altro, realizzando in un battito di ciglia quel che quel semplice e costoso cellulare poteva significare per loro: niente più conversazioni unilaterali per il più grande, niente più sudate, movimenti stancanti  e lunghe attese per farsi capire per il più piccolo, niente più limiti di tempo ed orari, niente più "Devo andare, ciao" niente più weekend lontani ed interminabili pomeriggi passati ad aspettare le sei...
Con 'quell'infernale marchingegno'
come lo definiva sua madre, mille e mille porte gli si spalancavano davanti: interminabili discorsi su whats app, a partire dal 'buongiorno' quando avrebbe aperto gli occhi, fino ad addormentarsi con la guancia  contro lo schermo freddo e pieno di ditate del suo vecchio telefono touch, con la testa nascosta sotto le coperte  per non fare troppa luce, le chiamate prima di andare a dormire, solo per fargli ascoltare la sua voce, solo per tenergli compagnia perché sapeva che dopo la fine dell'orario di visita, quando calava la notte e le infermiere andavano a casa a ripulirsi dall' odore di fumo e caffè, mentre le loro colleghe passavano a ritirare i piatti vuoti della misera cena, prima di spendere la luce e chiudere la porta del corridoio, l'ospedale faceva paura, tanta paura con il rumore delle ambulanze che sfrecciavano avanti ed indietro dalla struttura e i contorni indefiniti e minacciosi degli attrezzi nelle stanze, con i led colorati degli apparecchi elettronici che ti fissano come creature maligne pronte ad attaccare.
Harry gli aveva tirato una manica della divisa, richiamando così la sua attenzione: sul display ancora protetto dalla pellicola spiccava una scritta, testimone del fatto che erano così in sintonia da pensare alle stesse cose e perdersi nelle stesse fantasie, spiegazione di quel dolce sorriso imbarazzato che gli sfiorava appena le labbra.
"Mi dai il tuo numero?"
Louis si era ritrovato a ridacchiare come un adolescente alla prima cottarella, mentre dettava piano il contatto telefonico e si tormentava le mani in grembo, ansioso di vedere come il panda l'avrebbe salvato in rubrica.
Era una cosa stupida ed estremamente infantile, ma non riusciva a non preoccuparsene, e quando il ragazzino l'aveva denominato " Loueh" aggiungendoci perfino un cuore alla fine, aveva ricominciato a respirare liberamente, dal momento che aveva involontariamente trattenuto il fiato fino a quell'istante.
Subito il suo cellulare aveva iniziato a vibrare, e lui stupito aveva aperto il messaggio di Harry, che consisteva solo in una frase:
"Ciao"
Il più vecchio si sentiva leggero come un palloncino a elio, mentre esitante salvava il nuovo contatto come "Hazza" e davanti allo sguardo indagatorio dell' altro mormorava un serafico "oops!"
Per un po' era calato un silenzio imbarazzante, durante il quale avevano entrambi evitato di guardarsi negli occhi per non arrossire o ridere incontrollatamente per la vergogna immotivata che provavano.
Gli tremavano le ginocchia, sentiva caldo e le proverbiali farfalle allo stomaco gli facevano venir voglia di alzarsi in piedi ed andare via ballando.
Evita, gli consigliò premurosa la sua coscienza, e dì qualcosa... Stai praticamente imbastendo una conversazione con te stesso!
" É stato un errore mostrarmi quel telefono" aveva detto Louis, schiarendosi la voce " adesso che ho il tuo numero ti annoiero' giorno e notte, 24 ore su 24, sette giorni su sette senza pause feriali, sfracellandoti i maroni e ulcerandoti i timpani con la mia vocetta irritante..."
Il piccolo paziente aveva scosso la testa, iniziando lentamente a digitare una risposta:
" A me piace sentirti parlare... Non mi annoi per niente!"
" Adesso lo dici"  aveva ripreso il moro con un improvvisa amarezza che come veleno gli riempiva la bocca " perché sei allettato e costretto in una stanza d'ospedale... Ma quando guarirai tornerai a casa dai tuoi amici e riderai di quel patetico, sfigato, psicopatico, lagnoso, tossico, emo e noioso di Louis Tomlinson e-"
Proprio nel bel mezzo della sua autocritica, quando stava per dare il meglio di se' a svalutarsi e a rendersi miserabile, Harry l'aveva fermato.
Era stato un'attimo: si era sporto verso di lui avvicinandosi così tanto da sentire il calore del viso rosso dell' alto sulla sua, stupita, confusa e totalmente ignara di ciò che stava per accadere.
Erano così vicini, millimetri di distanza, la mente di Louis era in standby, non connetteva, non capiva più nulla, tutto quello che sapeva e che le labbra di Harry erano calde, tremanti e così tanto, troppo vicine...
E poi si toccarono.
Non si mossero. Le labbra del ragazzo-panda premevano contro le sue, non troppo duramente, ma nemmeno con troppa leggerezza, rimanendo  increspate in due sorrisi mentre si muovevano come in sperimentazione.
Per i dieci secondi che restarono lì, a bearsi dolcemente l'uno del soave sapore dell' altro, il moro non riusciva a descrivere i suoi sentimenti. Era come se tutto era stato rivestito con 'HarryHarryHarryHarry' e 'baciobaciobaciobacio'.
Non riusciva a pensare ad altro.
Con riluttanza, Louis si tirò via, timoroso che qualcuno potesse vederli, di fare qualcosa di sbagliato, di avere un alito cattivo, ma il più piccolo trascinò le labbra in avanti in modo da mantenere il contatto per tutto il tempo che poteva, anche se ben presto si arrese. Una volta che si separarono definitivamente Louis appoggiò la fronte su quella di Harry. Aprì gli occhi per vedere quelli verdi brillanti e scintillanti puntati verso di lui, ballare con gioia, mentre quelle labbra ancora fresche della sua impronta venivano strette tra i denti, come a voler assaggiare ciò che rimaneva del suo sapore.
E in quel momento tutti gli iPhone e le parole del mondo erano inutili, perché aveva tanto sognato, tanto sperato e si era tanto illuso durante il sonno  incantato dell' altro, e quando non l'aveva cacciato, quando non l' aveva odiato, quando era diventato suo amico lui era felice, era più di quello che si aspettava e anche se lui non ricambiava i suoi sentimenti, sarebbe stato pronto ad essere suo amico, il migliore amico che poteva essere come a sua volta aveva fatto con Zayn, e gli sarebbe bastato.
Ma questo...
Non sarebbe tornato a casa, dimenticandosi per sempre di lui, facendosi beffe della sua colpa e del suo rimorso.
Non avebbe raccontato a tutti i suoi amichetti di scuola quanto miserabile, solo, e patetico fosse,.
Non avrebbe lasciato alle tenebre di inghiottirlo di nuovo, soffocandolo ancora, trascinandolo in un abisso profondo di disperazione e infelicità.
Non era un sogno.
Harry lo amava,  era la realta' e Louis chinandosi ancora verso quelle labbra si convinse di essere guarito, di essere libero, e decise in quel momento, mentre mandava all'aria paure e prudenza, che per una volta poteva smettere di sopravvivere ed iniziare a vivere.











Angolo Fin *w*

Saaaaaalve :)
Finalmente si sono dichiarati!!! *pepepepeeee pepepepeeeee facciamo il trenino!!*
Ed è uscito Midnight Memories!
Asdfghjjkl awwwwwwwwww *w*
E sabato sarò al cinema a vedere Catching Fire!!
Il mondo sarebbe perfetto e pieno di arcobaleni e unicorni se domani quella nevrotica non m'interrogasse in chimica #misaleilporco
Abbiamo superato le 150 recensioni, signori e signore.
La sottoscritta plebea si prostra davanti a cotale maestria lol
Quindi grazie mille a Annie che si unisce ai miei vaneggiamenti euforici per l'uscita di Catching Fire ( o Catching Firah, come direbbe Leroy hmm) Caro e Prim, che saranno grate di trovarmi in versione fluff per un altro capitolo ancora e sclereranno per i feelings e per il fatto che ' non ho rovinato tutto', Kenz che spero sia felice del maggior coinvolgimento che ha avuto Hazzino cuoricino in questo capitolo, Lu e i pandaunicorni gay, specie protetta e barbaramente usata per la loro coccolosa coccolosità per produrre cappelli di lana, Swami che come me non ha il cappello (per protesta contro il massacro dei pandaunicorni gay) Ila che ha la tigre etero ( perchè non shippa Larry lei) Veronica e Delia che finalmente chiamo per nome #yaaaay marti_lala che non andrà in crisi di astinenza e sopravviverà per un'altra settimana, Larry_Art che farà come Karate Kid e sfonderà il suo televisore ( potresti proprio fare l'attrice... visto che spacchi lo schermo lol) e last but not least Ele che quasi quasi mi preferisce in angst... Va che torno in versione depressissima neh XD
Non provocatemi :P
Veramente, grazie mille, siete tutte delle persone fantastiche che nella vita di tutti i giorni sono difficili da trovare :)
#amassivethankyou
#urock!
Cami

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Capitolo 13
*** You'll Never Walk Alone ***


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estratto cap bho

13. You'll Never Walk Alone

Datemi un buon motivo.
La testa di Louis sbatteva contro il vetro duro e freddo del finestrino, ad ogni buca e scossone che l'angusto e sporco pullman non riusciva a evitare, procedendo a singhiozzo nelle strade deserte della città che si stava ancora svegliando.
Era Lunedì.
Di nuovo.
Avrebbe dovuto prepararsi per tre schifose materie, e non ne aveva fatta neanche una.
Di nuovo.
Avrebbe fatto la figura dello scemo, prendendo un altro voto inclassificabile.
Di nuovo.
Sua madre si sarebbe incazzata a morte con lui, avrebbe alzato la voce strillando come la sirena dell'ambulanza per almeno un quarto d'ora facendogli venire un emicrania, e alla fine lui sarebbe uscito dalla porta sul retro, sbattendola violentemente e facendo cadere quella schifosa imitazione di vaso ming che stava sulla mensola sopra il termosifone.
Non era una novità.
Sua madre avrebbe pianto fino quasi a soffocarsi, mentre cercava di reincollare i pezzi del vaso con la sottomarca di attack presa in offerta, poi si sarebbe tagliata un dito e sarebbe crollata sul tavolo, singhiozzando isterica,  addormentandosi lì, dove il ragazzo l'avrebbe trovata all'alba, mentre sgattaiolava di nascosto di nuovo dentro casa.
Per l'ennesima volta.
E in più, come se questa deprimente prospettiva non bastasse, aveva finito l'erba, l'unica cosa capace di risollevargli il morale il lunedì mattina.
Datemi un buon motivo, pensò di nuovo Louis mentre l'autobus lo conduceva lentamente al patibolo.
Poi lo schermo del cellulare si era illuminato.
Gli era arrivato un messaggino su What's App.
Di Harry, ovviamente.

"Buongiorno"

"Mh" aveva digitato l'altro, troppo scazzato perfino per rispondergli.
Poi però si era sentito in colpa, e così aveva allungato la sua risposta:
" Cosa fai di bello?"

"Mi annoio. Gemma è tornata all'università, mamma è al lavoro e in più qui la colazione fa schifo"

"Pensando a cosa mi aspetta farei cambio con te subito"

"Anche io. Detesto la solitudine, e qualcosa mi dice che questa mattinata la trascorrerò tutto solo soletto"

Poco dopo aveva aggiunto anche uno smile triste.
Louis invece aveva sogghignato fissando lo schermo, mentre l'autobus si fermava davanti alla scuola e tutti meno lui scendevano: aveva trovato un'alternativa migliore allo schifo di lunedì che lo aspettava.
Venti minuti dopo ( tempo dell'autobus di raggiungere la fermata più vicina all'ospedale e di Louis per comperare una colazione decente per l'allettato, infilarsene in bocca metà, essere preso dal rimorso, fare dietrofront rientrare nel negozio e comprargliene un'altra) con indosso semplici abiti civili e le sue converse scollate ai piedi, faceva il suo ingresso trionfale nella camera 17.
Era rimasto un po' sulla soglia, come ai primi tempi, per spiare senza essere visto Harry, che stava guardando con scarso interesse uno di quei talk show mattutino per casalinghe disperate e vecchietti paranoici.
Aveva bussato, e quando il ragazzino lo aveva visto, distogliendo lo sguardo dal televisore, si era aperto nel più luminoso dei sorrisi, allungandosi sul comodino per afferrare il telefono e iniziare a digitare rapidamente:

"Hey, ma cosa ci fai tu qui???"

Il ragazzo aveva sorriso "Ti ho portato la colazione, mi pare ovvio..."
Harry aveva strabuzzato gli occhi davanti al croissanti al cioccolato ancora caldo e fumante che il più grande gli stava tendendo.
"Spero solo che rientri nella tua 'dieta' " aveva ridacchiato Louis, soddisfatto della sua espressione felice.
Il ragazzino era diventato titubante, rispondendo alla domanda dell'altro con una stretta di spalle desolata, quasi a dire "non lo so".
" Eddai, chissenefrega! Ci balli dentro in quel cazzo di pigiama! Finirai per scomparire se non ingrassi un po', dico davvero..."
Questo lo aveva convinto, e per un attimo in camera era regnato il silenzio, mentre Louis spezzettava con le mani la brioches in pezzettini piccoli che poi passava a Harry affinchè potesse infilarseli in bocca e mangiarli senza soffocarsi.
Sembrava di imboccare un uccellino.

"Come mai qui?" aveva digitato Harry a fine colazione, macchiando lo schermo touch di cioccolata.

"Come mai finito il cibo hai perso la gioia con cui mi avevi accolto?" aveva ribattuto prontamente l'altro, allungandosi per pizzicargli le guance.

" -.-  Sono serio" gli aveva sventolato il messaggio successivo sotto il naso e aveva inarcato un sopracciglio, aspettando scettico una risposta.
"Umh.... Sono uscito prima"
"Non sei neanche entrato" era stata la risposta frenetica dell'altro.
"Non è vero"
"Si che è vero!"
"Sono le 8.25! Sei entrato, hai fatto il giro del banco e sei uscito?" aveva lanciato il telefono sul letto, incrociando le braccia con un espressione furente.
"Okay okay mi arrendo!" aveva sospirato stanco Louis, alzando le mani in segno di resa "Hai vinto Sherlock, ho attaccato a scuola. Vuoi venire e farmi la predica come mia madre?"
Il ragazzo aveva di nuovo stretto le spalle, come a dire "forse".
Il più grande si era tolto le scarpe, per poi sdraiarsi sul letto con le braccia incrociate dietro la nuca e i piedi a penzoloni.
Si era soffiato via il ciuffo dalla fronte, per evitare che come sempre gli rimanesse impigliato nel piercing al sopracciglio, prima di ammettere a malincuore:
"Non mi trovo bene nella mia scuola, okay?"
Harry aveva digitato qualcosa lentamente, come se formulasse una domanda difficile, poi aveva tenuto il telefono sospeso davanti ai suoi occhi, in modo che potesse leggere ciò che aveva scritto senza cambiare posizione.
"E' per i tuoi compagni?"
"Ma chi se li caga quel branco di sfigati" aveva mormorato stancamente l'altro in risposta " E' per tutto. I compagni. Gli insegnati. I voti. Tutto. La verità è che non ho proprio la testa per studiare o preoccuparmi del rendimento in questo periodo"
"E' a causa mia?" aveva digitato di nuovo l'altro, turbato.
"Si e no" Louis si era passato una mano sulla faccia "Tu sei una conseguenza, non una causa".
Harry gli aveva mostrato un punto interrogativo.
"Prima del divorzio mi piaceva andare a scuola, anche se non andavo benissimo. Anche quando i miei litigavano e piovevano insufficienze ci andavo volentieri perchè trovavo i miei amici e per un po' pensavo ad altro, ma poi con il trasloco e tutto il resto ho fatto molta fatica ad ambientarmi" il ragazzo aveva ridacchiato lugubre "Anzi, puoi dire che non mi sono ambientato, che facciamo prima. I professori che spiegano in un modo diverso, libri di testo nuovi, compagni che ti cagano quanto cagherebbero la tappezzeria, un buco per appartamento diviso per 6 persone, i turni al lavoro e scoprire che tuo padre ha ripetutamente tradito tua madre negli anni di certo non hanno aiutato, ecco.
E di mio non ho mai avuto molta voglia"
Aveva sospirato.
" So benissimo che è importante, che ne va del mio futuro, che per andarmene da sto posto di merda devo avere buoni voti eccetera eccetera eccetera... Me lo ripete urlando mia madre ogni sera, e sinceramente a me importa.
Quello che sfugge a tutti è che "mi importa" e "riesco a farlo" non vuol dire la stessa cosa: quindi si, mi importa, ma con tutto quello che è successo e che sta succedendo proprio non riesco a impegnarmi. Okay?"
"Capisco" aveva digitato veloce Harry, mentre la stanza sprofondava nel silenzio.
Si era coricato anche lui vicino al ragazzo più grande, sfiorandolo appena mentre appoggiava il cellulare sul letto e ci giocherellava distrattamente.
Immersi nella quiete avevano sentito passare un'infermiera con il carrello delle medicazioni, con le ruote pesanti che scivolavano sul lineolum dell'ospedale.
"E tu?" Louis si era sentito quasi in dovere di rompere il silenzio con quella domanda, dal momento che Harry sapeva tutto di lui, mentre lui ignorava gran parte della sua vita prima dell'incidente.
"Eri bravo a scuola?"
Il ragazzino aveva riflettuto un attimo, prima di scrivere velocemente con le dita agili " Me la cavavo. Ero bravino"
Esitò di nuovo.
"Ero in biblioteca per studiare per la verifica di biologia quando mi hai investito" Harry lo scrutava preoccupato di aver urtato i suoi sentimenti, o di averlo fatto infuriare, fissandolo attentamente in volto per decifrarne la mimica facciale.
L'altro aveva stiracchiato un sorriso pigro, colpendolo piano al braccio e commentando "Vedi? Io l'ho sempre detto che lo studio fa male"
Dalle labbra di Harry era uscito una specie di sbuffo, prima che il ragazzo si tappasse violentemente la bocca con entrambe le mani, mentre le spalle sussultavano e gli occhi lacrimavano.
Louis all'inizio si era preoccupato un po', ma poi l'aveva capito: stava ridendo.
Si era unito a lui, stupito, leggero, sghignazzando di cuore per almeno 10 minuti buoni, perchè ogni volta che i loro sguardi si incrociavano ricominciavano di nuovo a ridere, lui a voce alta, la testa gettata all'indietro sul cuscino e gli occhi chiusi, l'altro con una mano che teneva lo stomaco e una sulla bocca, silenzioso ma eugualmente divertito.
Quando l'accesso di risa si era spento e la camera era ripiombata nel silenzio tranquillo dell'ospedale, il più vecchio aveva chiesto con un tatto che non aveva mai dimostrato verso altri:
"Perchè ti tappi la bocca quando ridi?"
Il più piccolo aveva agitato la mano con noncuranza, come a dire "non importa"
"Non ti avrò mica fatto saltare anche qualche dente?" aveva chiesto di nuovo l'altro, sinceramente inorridito.
L'unica risposta che ottenne fu il rumore di un risucchio, un verso strozzto e altre risate mute e soffocate.
Louis aveva aspettato che Harry smettesse, attendendo paziente una risposta.
"Ho paura di sentire di nuovo la mia voce"
Gli aveva lasciato tutto il tempo che voleva per digitare quella semplice e dolorosa risposta, ma con tutta la comprensione del mondo non riusciva a capire quella frase.
"Perchè?"
"Perchè si"
"Spiegati meglio, continuo a non capire"
" E se fosse diversa? E se non si capisse più niente quando parlo? E se parlassi come un cavolo di sordomuto?"
Louis aveva allontanato con decisione il telefono, strappandoglielo di mano e appoggiandolo sul comodino.
" E se invece Vostra Grazia ci degnasse della sua favella e scoprisse che tutto è come prima?"
Il ragazzo non sembrava convinto.
"Dai... Andrà tutto bene" l'aveva attirato a se', accarezzandogli piano le orecchie morbide dell'inseparabile cappello, che celava la rada peluria che ricominciava a coprirgli la testa rasata.
Intanto pensava, pensava alla voce di Harry.
Si chiedeva come fosse.
Nella sua mente, quando leggeva i suoi messaggi o ciò che scriveva per comunicare con lui, riusciva a sentirla, ma era una sensazione talmente ingannevole e offuscata che ogni volta che cercava di metterla a fuoco o a ricordarla gli scivolava tra le dita, come sabbia sulla spiaggia.
Gettò un occhiata veloce e discreta all'esserino pelle e ossa sdraiato di fianco a lui, con la testa appoggiata alla sua spalla e gli occhi fissi al soffitto: nonostante il ricovero l'avesse indebolito e rattappito, non si poteva di certo negare che fosse alto per la sua età, e che crescendo sarebbe diventato ancora più alto e imponente.
Uno con una stazza così non poteva avere la voce da topino di Cenerentola, ma non era così grande da far pensare che avesse una voce cavernosa e spaventosa, come quella usata dai doppiatori per i 'cattivi' dei cartoni animati.
Louis cercò di immaginarselo, focalizzando nella sua mente i primini che frequentavano il suo stesso istituto, che spesso intasavano i corridoi con le loro grida e i loro drammi adolescenziali sbandierati ai quattro venti.
Rabbrividì.
E se Harry fosse stato come loro?
Quella parlantina strafottente, che metteva l'accento su tutte le vocali disponibili, infarcita di termini stranieri, di parolacce ( tiravano un "cazzo" e porconi vari ogni due parole) e di parole gergali assolutamente vergognose come "lol" "zio" "yo bro" e  chi ne ha più ne metta.
Avrebbe anche lui parlato solo ed esclusivamente di quanto si sbatteva il sabato sera, di quanto era fuori dopo quella canna o di come non si ricordava niente?
Non aveva niente da ridire a quelli che "si tiravano scemi" la sera, lui era uno di quelli, ma non andava a sbandierarlo ai quattro venti, mentendo a tutti quando in realtà era stato a casa con mammina e papino tutta la sera a giocare coi Pokemon.
No, se Harry parlava così forse era meglio stesse zitto.
Però di solito, pensò il ragazzo confutandosi da solo, si tende a scrivere come si parla, e nei loro messaggi non era presente neanche un abbreviazione, niente "cm stai? Hhìhìhìhìhìh11!!" o schifezze varie.
Magari valeva la pena parlasse.
Magari.
Di fianco a lui il paziente sospirò.
Louis si mise lentamente in piedi, stiracchiandosi come un gatto al sole, prima di picchiettare gentilmente sulla spalla dell'altro.
"Forza, facciamo un po' di esercizio" aveva esclamato, offrendosi volontario ed eseguendo senza costrizioni un qualcosa che gli era stato imposto per la prima volta in tutta la sua vita, qualcosa che doveva ammettere, neanche troppo sotto sotto gli piaceva, che veniva accolto con un sorriso sulle labbra e una sensazione strana nello stomaco " Prima che qualcun'altro mi dia dello sfaticato per l'ennesima volta"













Erano passati due Lunedì.
Il primo Lunedì Louis si era recato a scuola con il cuore pesante, un broncio di due chilometri e l'aria palesemente insofferente.
Lui lì non ci voleva stare.
Harry lo aveva spinto (anzi costretto) ad andare, riempiendogli la chat di whats app con messaggi minacciosi e inquietanti su cosa gli sarebbe successo se non si fosse presentato a lezione.
Gli aveva fatto una testa tale che lui aveva ceduto.
Quando poi aveva capito di averlo convinto aveva iniziato ad incoraggiarlo e a confortarlo, manco stesse correndo una maratona.
All'inizio il più grande era irritato dall'atteggiamento buonista e moralista dell'altro, ma la verità era che era tremendamente spaventato all'idea che Harry esercitasse su di lui un'influenza tale.
Era come avere un "angioletto delle buone azioni" appollaiato sulla spalla, che suggeriva buone azioni e cose giuste da fare sussurrandole incessantemente al tuo orecchio.
Nonostante questo Louis aveva messaggiato con lui tutto il giorno, perfino durante la pausa pranzo che di solito era trascorsa in religioso silenzio ad ascoltare una playlist appositamente composta per quel momento della giornata.
Quel Lunedì il ragazzo non aveva nemmeno pensato al suo iPod e alla sua musica, mentre con una mano scriveva all'allettato e con l'altra si ingozzava vorace seminando pezzettini di pomodoro e insalata per tutto il suo tavolo: le parole che si scambiava con Harry erano più importanti.
Non aveva smesso di scrivergli neanche durante le lezioni, nemmeno mentre l'autobus di linea lo scaricava davanti all'ospedale, e anche durante il suo turno nel reparto geriatrico Louis aveva continuato a scrivergli.
Aveva smesso solo quando aveva varcato la soglia bianca della stanza 17.
Perchè pian piano si rendeva conto che niente gli importava, tranne lui.
Il secondo Lunedì l'aveva rischiata grossa, perchè sapeva di dover essere interrogato: non aveva neanche un voto e i consigli di classe per le pagelle si sarebbero tenuti da lì a una settimana...
In sintesi era spacciato.
Però le minacce di Harry, ma soprattutto la paura di deluderlo, di renderlo scontento e di fargli una brutta impressione ( l'aveva investito ubriaco marcio con una macchina rubata, spiandolo ossessionato come il peggiore degli stalker mentre era in coma, e si, ancora si preoccupava di cosa pensava di lui e di fare in modo di impressionarlo) l'avevano fatto alzare dal letto, lavarsi, vestirsi e salire sul pullman nella catalessi più totale.

Solo quando si era svegliato alla seconda ora, comodamente svaccato sul freddo compensato, al terribile suono della campanella, si era reso conto dov'era e cosa stava per succedergli: aveva pensato se c'era qualche disperata scappatoia che poteva intraprendere, come salvarsi, se era davvero spacciato, ma...
Non gli era venuto in mente nulla.
Era finito, aveva chiuso, the end, morto, kaput...
Si era alzato di scatto, correndo verso la porta per provare a scappare in extremis dalla finestrella del bagno, ma aveva quasi avuto un frontale con l'enorme pancia flaccida e obesa del professore di economia, che l'aveva acciuffato per il cappuccio della felpa, sollevandolo quasi da terra, e ghignando serafico "Andiamo da qualche parte, Tomlinson?"
Merdamerdamerdamerdamerda.
"Al bagno" aveva mugugnato lui.
"Io non credo proprio" l'aveva spinto all'interno della classe, chiudendo la porta dopo di lui senza lasciargli via di fuga, e con questo anche nessun barlume di speranza.
Gli odiava lui, i professori.
Tutti uguali, con quell'aria da snob, la loro ventiquattrore griffata ( e poi si lamentavano della loro misera paga) e il caffè caldo delle macchinette sempre in mano, nonostante fosse vietato dal regolamento d'istituto consumare cibi o bevande in classe.
O usare il telefono e messaggiare nel bel mezzo delle interrogazioni, o telefonare a casa per il compleanno del nipotino.
Chi dava loro il diritto di credersi superiori? Le regole valevano per tutti, loro compresi.
Ma loro si credevano una specie eletta da Dio per illuminare gli studenti e riportarli sulla retta via, per assicurare al mondo un futuro migliore e dormire tranquilli la notte rassicurati dalle loro nobili intenzioni.
La verità?
La ragazza sovrappeso che il professore di educazione fisica costringe a correre di più degli altri, "per il suo bene", non é grassa per cosa mangia o quanta attività fisica fa, ma perché ha una disfunzione endocrina.
Il ragazzo sempre ritenuto insufficiente a causa delle date storiche  appena mormorate davanti al professore gonfio di rabbia, non "potrebbe studiare di più" perché le cose le sa' ma soffre di balbuzie e gli strilli isterici del patetico docente e le risate dei compagni non giovano.
L'ultimo arrivato, approdato chissà come e chissà dove da una nazione straniera, non é che non fa i compiti per svogliatezza o per strafottenza: probabilmente a casa non ha neanche una scrivania, e anche se l'avesse non riuscirebbe a combinare niente dal momento che conosce due termini in croce della nostra lingua.
La triste verità é che tutto quello che spinge gli insegnanti ad agire sono i soldi.
Soldisoldisoldisoldi.
Sempre soldi.
L'unico motivo per cui tirano  avanti, presentandosi tutti i giorni al lavoro e usando come valvola di sfogo i propri studenti.
Altro che guide nel sentiero della luce: erano i più valorosi cavalieri oscuri...
E Mr Flambert non era certo da meno.
Dopo aver sbattuto la porta dietro di se', e lasciato andare il cappuccio di Louis, aveva esordito con:
" Bene bene bene... Finalmente ho l' onore di incontrarla, signor Tomlinson. A cosa devo la sua presenza?"
Il ragazzo, al tono canzonatorio dell'insegnante si era morso la lingua per non rispondere male, tornando mestamente al suo posto.
" Dove sta andando?"
" A sedermi"
" No, no, lei resta qua. Si sieda qui" il disgustoso ometto aveva fatto segno al ragazzo di sedersi alla cattedra, e Louis riluttante aveva obbedito.
Non prometteva nulla di buono.
Una volta seduto al posto del docente, questi gli aveva chiesto con aria maligna:
" Dunque Signor Tomlinson..."
" Solo Louis" si era schernito, ma l'altro aveva fatto le orecchie da mercante e aveva continuato.
" Signor Tomlinson, cosa vede?"
" Come scusi?"
" Guardi davanti a sé... cosa vede?"
" I miei compagni" aveva mugugnato lui controvoglia, cercando di non prestarsi ai suoi sporchi giochetti.
" Guarda meglio"
" Studenti?"
Il professore si era cimentato in un piccolo applauso sarcastico.
" Si! Si! Studenti, signor Tomlinson. E sa qual' é la caratteristica peculiare di uno studente?"
Louis era rimasto in silenzio, cercando di capire dove quel bizzarro discorso andasse a parare.
" Gli studenti.... studiano, signor Tomlinson"
Qualche timida risatina era serpeggiata tra le file della classe, annebbiando la vista del povero martire che tremava dalla rabbia e dall' umiliazione di essere sfottuto e di perdere la faccia davanti a tutti.
" Lei si ritiene uno studente, signor Tomlinson?"
" Si"
"Lei ritiene di far parte di questa classe, signor Tomlinson?"
" Si"
" Questo quindi, a rigor di logica, equivarrebbe a dire che lei ha studiato, non é così?"
Silenzio.
" Non può negare, signor Tomlinson, secondo il sillogismo aristotelico lei essendo uno studente ed appartenendo a questa classe deve aver studiato... Lei nega di appartenere a questa classe?"
" No"
" Nega di essere uno studente?"
" No"
" Quindi di conseguenza ciò vuol dire che lei ha studiato, e cosa che vedremo subito di dimostrare"
Nell'aula era caduto un silenzio tombale, e Louis aveva capito di essere solo, senza la solidarietà dei compagni, destinato a fallire e, notando il ghigno molle che deformava il faccione di Mr Flamber, spacciato e costretto alla più crudele delle torture.
Aveva sospirato rassegnato, mentre i suoi compagni si sistemavano più comodamente che potevano, pronti ad assistere alla sua disfatta, e Louis aveva capito di essere fottutissimamente fottuto.




" E allora quel coglione avariato ha cominciato a sfogliare il registro con le sue dita pelose a salsiccia ' Chissà quanto indietro devo andare con gli argomenti... Dicembre? Settembre? La prima media? Le elementari? L'asilo?'...
Ma chi si crede di essere?! E poi ha cominciato ad interrogarmi davvero sul programma di settembre, e io a settembre manco c'ero in quella classe!
Ci ha messo tipo mezz'ora perché continuava a commentare con la sua vocetta nasale ogni parola che dicevo..."
Louis aveva premuto il cellulare tra la spalla e l'incavo del collo, accendendosi la terza Malboro nel giro di un quarto d'ora e cercando di trovare una posizione confortevole sulla rigida panchina del parco.
" Giuro" aveva poi mugugnato, il filtro tra le labbra e l'occhiata di biasimo del nonnino bigotto che leggeva il giornale di fianco a lui " Non riuscivo a pensare niente che non fosse ' sono fritto'  e proprio mentre lui era al massimo del godimento per la sua tortura sadomaso... DRIIIIN!"
Il ragazzo tatuato era esploso in un ilare risata che aveva fatto fuggire una coppia di piccioni appollaiati sul ramo di un albero alle sue spalle " La simulazione anti-incendio!" aveva boccheggiato, prima di ricominciare a sghignazzare incontrollatamente.
Normalmente l'episodio avrebbe divertito Harry, che dall' altro capo del telefono non si perdeva una parola, tanto da farlo
lacrimare, ma tutto quello che il ragazzo tatuato aveva ottenuto quel giorno era un triste e laconico sospiro.
Ma Louis non si era fatto scoraggiare:
" Pensava di fregarmi, quello stronzo ammuffito, ma io mi sono imboscato tra i primini senza che mi vedesse e sono uscito dalla finestra dei bagni al piano terra"
Aveva spento la cicca a terra, la Malboro già finita grazie alle sue profonde 'tirate' prima di continuare trionfante " Sono andato alla sua patetica bici da donna, che probabilmente risale all' anteguerra, mi sono guardato in giro per controllare che non ci fosse nessuno, mi sono calato i pantaloni e... ho pisciato nel casco"
Era esploso in un' altra risata e il vecchietto aveva chiuso il giornale con fare seccato, prima di alzarsi e zampettare via con aria impettita.
La sua ilarità era finita presto, sentendo il silenzio del suo interlocutore.
Aveva sospirato.
" Dai Harry, non fare così... Pensa a quel picio di Flamber e alla sorpresina dentro il suo caschetto sfigato!"
Silenzio.
" Hanno soppresso tutti i pullman, te l'ho detto..."
Silenzio.
" Domani mi farò perdonare: passero' con te tuuuutto il pomeriggio, promesso. Faremo tanti esercizi, tu camminerai e la dottoressa sarà contenta e la smetterà di prendersela con te. Okay?"
La guerra fredda tra la fisioterapista e il piccolo paziente aveva raggiunto picchi inimmaginabili: lui si trincerava dietro al suo sprezzante silenzio, e lei lanciava commenti acidi sull' incapacità di Harry nel deambulare, cogliendo il fatto che il ragazzo era impossibilitato a relazionarsi con lei per fraintendere (apposta, supponeva Louis) tutte le mute risposte che il paziente gli dava.
Un altro sospiro anelante nella cornetta.
"Mi manchi anche tu" aveva mormorato piano il più grande, quasi incapace di pronunciare quelle parole "Domani ci vediamo. Dovessi farmela a piedi. E a proposito, é meglio che mi avii verso casa o non arrivero' mai in tempo per la cena..."
Grugnito d'approvazione.
"Dai, dammi un bacio"
C'era stato un lieve sciocco dall' altro capo del telefono, e il ragazzo tatuato si era sentito arrossire.
" Ci vediamo domani, panda... Mandamene un altro dai. Mi manchi così tanto!"
Una specie di ringhio lo aveva fatto ridacchiare: non era proprio dell' umore.
" Okay, okay, sto andando! Me ne vado. A domani, panda. Ti amo"
Incamminandosi verso l'uscita del parco prima di chiudere definitivamente la chiamata, era certo di aver sentito un altro schiocco nel ricevitore, molto più dolce e intimo.
E Louis sorrise.
Valeva più di mille 'ti amo'





"... Mamma?"
La donna, stanca e provata, aveva alzato gli occhi dalla pila di bollette e scontrini della spesa che aveva in grembo.
Stava facendo i "conti della serva", cercando di pareggiare le spese della settimana con il loro bilancio economico.
Era strano vedere il figlio in casa, e ancora più strano era il fatto che si aggirasse fuori dall'angusto ripostiglio che la sua coscienza, per alleggerirsi, continuava a chiamare stanza.
" Che c'e?" il 'tesoro con il quale solitamente avrebbe terminato la frase le era rimasto incastrato in gola: amava da morire Louis, il suo eterno bambino, sempre allegro e in movimento come un vulcano, ma a volte lo odiava.
Lo odiava perché si stava rovinando, perché stava buttando via la sua vita, per i suoi tatuaggi e piercing, perché a volte glielo sentiva sui vestiti l'odore di fumo, alcool e marijuana, perché dormiva in un buco, perché aveva una madre indegna che lo faceva soffrire...
Lo amava così tanto da odiare se stessa per il male che aveva fatto, a lui e alle altre sue figlie.
Una volta, quando i suoi "momenti no" ero sporadici e relativamente contenuti, era facile dimenticarselo, adesso invece si ritrovava a cercare di ricordare suo figlio nei "momenti si" per cercare una sua ombra nello sconosciuto che le stava davanti.
"Come si insegna ai bambini a camminare?" la voce seccata  e imbarazzata di Louis l'aveva riportata al presente.
"Come scusa?"
"Come si insegna ai bambini a camminare?"
" E perché vuoi saperlo?" aveva chiesto lei dubbiosa sull' interesse di suo figlio in materia bambini.
"Mi serve per un approfondimento a scuola"
" Per quale materia?"
"... Puericoltura..."
La donna aveva soppesato la risposta mentre il suo interlocutore sosteneva fieramente il suo sguardo azzurrino specchio del suo.
"Louis... non ci sono corsi di puericoltura nella tua scuola!"
Il ragazzo, colto in flagrante si era voltato per andarsene, scattando seccato:
" Se non vuoi rispondermi bastava dirlo!"
" No! Aspetta!" lo aveva quasi pregato la donna, che fremeva dalla voglia di avere una conversazione normale madre-figlio, come non accadeva da tempo " Aspetta. Ero solo curiosa..."
Louis si era fermato sulla soglia, voltandosi appena verso di lei, che pensierosa aveva iniziato a parlare:
" Bhe, l'espressione 'insegnare' a camminare non é esattamente corretta, perché più che qualcosa che si apprende é un qualcosa di istintivo, insito in noi...
Innanzitutto non puoi far camminare un neonato di due settimane, ma nemmeno forzare uno di dieci mesi: ognuno ha i suoi ritmi, camminera' quando si sentirà pronto.
Il compito del genitore é rassicurare il bambino, tenerlo per le mani, guidarlo, sostenerlo, pronto ad afferrarlo al volo in caso di caduta...
Come quando avevi sei anni e papà ti insegnò ad andare in bicicletta, e tu avevi paura di cadere e lo pregavi di continuare a tenere il sellino.
Bhe, quando lui capì che eri pronto, senza dirti nulla lascio' andare il cestino. E sai cosa successe?"
"Mi ricordo" aveva tagliato corto il teenager " Mi sono schiantato contro un albero... Non mi aveva detto quali erano i freni"
" Ma la cosa importante é che hai imparato ad andare in bicicletta, Louis"
Il ragazzo, che senza accorgersene si era seduto sul bracciolo del divano durante la spiegazione, si era alzato stiracchiandosi e dirigendosi al piano superiore.
"Grazie mamma, sei stata molto utile"
" Louis!" gli gridò dietro la donna saltando a conclusioni affrettate " Non avrai mica messo incinta qualcuno?!"
Dalla tromba delle scale era rieccheggiata una sonora risata, e la donna riprendendo in mano le sue carte aveva sorriso, desiderando con tutto il suo cuore di condividere sempre più " momenti si"



La carrozzina sbandava qua e la mentre l'inserviente camminava, anzi, volava attraverso il corridoio, urtando medici e ignari visitatori che si interponevano tra lui e il suo geniale piano: dopo la chiacchierata con sua mamma ci aveva pensato tutta la notte, girandosi e rigirandosi tra le lenzuola ruvide senza riuscire a prender sonno, fino all' illuminazione.
Era rischioso, complicato, ma Louis voleva provarci.
E così si era ritrovato a supplicare a inizio turno la caposala per ottenere il permesso di uscire, e in seguito la fisioterapista per aver in prestito una sedia a rotelle e l'approvazione e autorizzazione per la sua grande impresa.
E mentre filava a tutta birra verso la 17 non poteva che complimentarsi con se stesso.
" Buongioooooorno" aveva strillato, entrando di volata nella stanza, frenando strisciando le lise converse sul pavimento, producendo un rumore stridulo e due linee che scalfivano lineolum.
" Principessa, é arrivata la vostra carrozza a prendervi!"
Harry, a quel trambusto era sobbalzato violentemente, prima di fissare Louis con gli occhi sgranati sotto il berretto a panda.
" Vedi? Io mantengo sempre le mie promesse... E siccome devo farmi perdonare..."
Il ragazzo si era diretto verso il letto, aiutando l'altro a sistemarsi sulla carrozzina, prima di raccomandargli, con un sorriso terribilmente malizioso stampato in faccia, " Tieniti forte..."   e partire a tutta velocità verso l'imboccatura del corridoio, ululando " Pistaaaaaa fate largo fate largo fate largoooooo" mentre volavano alla velocità della luce su e giù per corridoi, atrii, nell' ascensori e ancora daccapo.
E il piccolo paziente, una mano attaccata all bracciolo della sedia a rotelle e un altra premuta sul berretto per evitare che volasse via, rideva muto, ma con i denti bianchi in mostra e con gli occhi spalancati: Louis sapeva come farsi perdonare.
La loro folle corsa era durata una ventina di minuti, prima che l' energia del più grande si esaurisse del tutto e lo riducesse a una massa sudata ed arrancante.
Dopo qualche minuto aveva spinto una porta antincedio che stava in fondo alla fine di un corridoio di un reparto deserto e assolato.
La meraviglia di Harry era stata indescrivibile quando aveva intravisto  dalla soglia un giardino.
Certo, era un po' spelacchiato, con le piantine dei fiori così colorate e rigide da sembrare finte, l'erba di un giallastro malsano e le panchine scrostate, ma era comunque un giardino, e si vedeva l'azzurro del cielo, lo stesso degli occhi di Louis, e il sole che splendeva in alto, sfiorandogli appena il viso con il suo tepore mentre il vento gli spettinava i capelli, portando con se' il cinguettio degli uccelli, appollaiati tra le travi del tetto e sulle tegole della struttura.
Non si vedeva nulla di tutto ciò dalla sua stanza.
Non si vedevano né il cielo blu né gli uccelli volare, e seguendoli con lo sguardo Harry si sentiva un groppo alla gola: gli era mancato così tanto vedere i colori, che sembravano venir inghiottiti in quel bianco asettico, sentire un odore diverso da quello della formaldeide e voci amiche che non erano quelle gravi e severe dei medici annunciatori di morte o speranza.
Era come prigioniero, e l'unica cosa che poteva far breccia nelle sue carceri, l'unica cosa che lo aiutava ad evadere da quella stanza bianca che sapeva di disinfettante, erano gli occhi blu di Louis che sembravano portare il cielo all' interno , e l'odore del suo dopobarba e del sapone che usava nel lavare i vestiti.
Anche in quel momento, nonostante fosse fuori dall' angustia struttura, e si trovasse all' aria aperta, il ragazzo-panda si sentiva legato con pesanti catene a quella maledetta sedia a rotelle, testimone del vile tradimento della sue gambe, unica cosa che ancora lo legava a quel posto di morte e sofferenza.
Ma Harry non ci pensava, e contemplando il cielo si sentiva per una volta libero come il vento e infinito e senza confini come il cielo, che si rifletteva nei suoi occhi desiderosi di spiccare il volo.
Louis lo guardava da lontano, ammirando la sua espressione rapita e il suo viso colmo di stupore, come un bambino davanti a un regalo inaspettato, mentre cercava di riprendere fiato e fi ritrovare le forze per mettere a punto il suo piano.
Aveva aspettato che Harry si abituasse al nuovo ambiente, prima di saltare in piedi dalla panchina dove era rimasto afflosciato a peso morto per più di venti minuti, dirigendosi verso il piccolo paziente con fare deciso:
"Forza! Siamo pronti a fare un po di esercizio?"
L'altro aveva strabuzzato gli occhi incredulo mentre veniva rapidamente sollevato dal più grande e trasportato nel bel mezzo del giardino.
" Avevo promesso che mi sarei fatto perdonare, ma anche che ti avrei fatto camminare: quindi vediamo di darci dentro!"
L'inserviente aveva afferrato le piccole mani dell' altro, prima di allontanarsi un poco da lui, che gracchiava versi incoerenti dalla paura, fino a stendere completamente le braccia.
"Ehi, ehi, ehi.... Sta' calmo" la voce forte e rassicurante di Louis era vibrata nell' aria, raggiungendo il suo corpo in preda ai tremiti " Non aver paura: non ti lascio andare. Non ti faccio cadere. Sono qui per aiutarti, perché lo so che hai tanta paura, ma io credo in te e so che c'è la puoi fare. É normale avere paura Haz, ma io sono con te, e non ti permetterò che ti accada nulla di male"
Le sue parole si erano diffuse nel suo corpo come un benefico balsamo, sconfiggendo il panico e scacciandolo in fondo al suo cervello, in un angolino così stretto e buio che quasi ci si poteva dimenticare della sua esistenza.
Harry aveva guardato Louis, ancora insicuro e dubbioso sul da farsi.
" Non guardare in basso, guarda me. Se hai paura di camminare guarda me: non stiamo camminando Haz, stiamo ballando. Scegli tu la musica, scegli tu il ritmo e la durata, solo... balla con me"
Lentamente Harry aveva annuito, prima di tuffarsi nell' immensità degli occhi dell' altro infiniti come il cielo e profondi come il mare, fino a calmarsi completamente, fino a ricordarsi che c'era un mondo fuori da quelle quattro mura scrostate, e lo stava aspettando, e Louis ne avrebbe potuto far parte...
" Dì al tuo cervello di dire alla tua gamba di muovere il tuo piede"
Piano piano il piede sinistro del più piccolo si era staccato dal suolo, muovendosi con lentezza inesorabile verso quelli del ragazzo più grande, mentre entrambi trattenevano il fiato.
Quando finalmente la pantofola si era posata sull' erba soffice, Louis aveva mormorato, l'orgoglio che gli sprizzava da tutti i pori:
" Bravissimo cupcake, adesso anche l'altro, coraggio..."
Avevano iniziato una danza lenta e sensuale: Harry si avvicinava piano, gli occhi fissi in quelli dell' altro, come due anime allo specchio, mentre Louis si allontanava piano, senza però andarsene mai, le dita intrecciate alle sue e i palmi sudati a contatto, come un bacio in un temporale estivo.
Poi Louis aveva rotto il silenzio, cercando di alleggerire la tensione:
" Vieni dallo zio Louis bel bambino, ghitighitighiti, vieni dallo zio, dai vieni..."
L'altro era rimasto serio e concentrato nei suoi piedi che volteggiavano sull'erba, scoraggiando l'altro che aveva mormorato ancora:
"Adesso ti ho slegato i piedi, un giorno ti sleghero' anche la lingua..."
Il piccolo paziente aveva roteato gli occhi, per poi alzarli al cielo in un silenzioso " See come no" mentre Louis ridacchiava sotto i baffi per la teatralità delle reazioni dell' altro.
" Non ci credi?"
Harry aveva mimato 'no' con la testa.
" E così tu osi diffidare del caro vecchio Louis, uh?"
Stavolta aveva annuito.
" La tua malafede mi offende nel profondo. Potrei perfino considerare l'idea di andarmene e piantarti qui"
La serietà con cui aveva detto queste parole aveva spaventato il ragazzino, che con un verso strozzato aveva piantato le unghie nei palmi dell' altro, facendolo strillare dal dolore.
" Ahi! Cazzo Harry mollami! Fa malissimo!!! Guarda che stavo scherzando" aveva continuato più calmo " Non ti lascerei mai andare, se non sei pronto. Non voglio forzarti. Non devi camminare per me, perché io posso, voglio, aspettarti, perché te lo meriti e devi prenderti i tuoi tempi, devi farlo per te, perché vuoi guarire, perché vuoi tornare a casa e..."
Il serissimo discorso del ragazzo tatuato, che aveva fatto arrossire il ragazzo-panda fino alle orecchie e ridotto le sue ginocchia a una mozzarella tremolante, era stato interrotto da un rumore sospetto.
'Sciak'
Il ragazzino aveva abbassato gli occhi a terra, e Louis aveva seguito il suo esempio, solo per trovare la sua vecchia e lisa converse destra immersa in una cacca.
Una cacca di cane.
Una grossa cacca di cane, che si stagliava sul giallastro dell'erba con un contrasto netto, e impossibile da non vedere.
Peccato che Louis stesse camminando all' indietro.
Normalmente avrebbe urlato, dato un calcio a qualcosa mentre imprecava, sputato a terra, bestemmiato, prima di camminare via, furibondo non si sa con chi o con cosa, con l' incazzatura che lo avrebbe tormentato per ore, rendendolo irritabile e intrattabile.
Ma stavolta era diverso, qualcosa era cambiato, qualcosa era successo: una dolce melodia era risuonata nell' aria, zittendo il cinguettio degli uccelli invidiosi, fermando il vento e riducendolo in ascolto e facendo tremare il cuore di Louis.
Era un suono bellissimo, delicato e cristallino ma allo stesso tempo sfrenato, selvaggio e spontaneo, allegro ma non maligno, divertito ma anche effimero.
Era come se la felicità più pura uscisse dalle labbra dell' altro e si trasformasse in musica: la testa gettata all' indietro, per una volta priva dal berretto che giaceva per terra, nel prato, lontano da quei primi, spelacchiati e cortissimi ricci castani che lentamente stavano ricrescendo, gli occhi chiusi contro l'invadenza del sole che attraverso le sue ciglia disegnava fini ombre sul suo viso delicato, illuminato da una luce nuova, che spazzava via le tenebre nel cuore dell'altro, che assisteva basito a questo piccolo miracolo, a questo rumore di selvaggia libertà, di pura euforia, il suono più meraviglioso e bello del mondo: una risata.
Era riuscito senza nemmeno provarci sul serio a " sciogliergli la lingua".
Harry Styles stava ridendo.
E mentre ascoltava per la prima volta la sua voce, non troppo infantile, non troppo adulta, che Louis aveva capito che per una volta poteva dire di aver combinato qualcosa di buono, che per una volta i suoi piani erano andati per il verso giusto, per una volta c'è l'aveva fatta...
Si era unito alla risata dell' altro, neanche lontanamente arrabbiato anzi, sentendosi leggero come un palloncino gonfio di felicita.
Aveva tutte le ragioni per farlo.





Angolo Fin *-*

Hey Hey pimpe pelle :)
Posso amarvi? 172 recensioni...
Se fosse legale vi sposerei tutte.
Vi farei monumenti d'oro.
Vi farei i regali di Natale più costosi.
Mi offirei come tributo volontario al posto vostro agli Hunger Games...
Non divaghiamo. Sennò con Catching Fire e tutto il resto qua sclero, ma di brutto brutto brutto lol
Cosa posso dirvi? Questo capitolo è particolarmente dedicato ad un certo professore che io e Leeroy hmm abbiamo ben presente.
Diciamo che lei ha avuto un ruolo fondamentale in questo capitolo, in quanto m'ha ispirato il comportamento di Louis: il brutto idiota e le mie carissime compagne di classe hanno fatto il resto D:
Pisciagli nel casco della bici, dai. Lo so che puoi. Offrimi il the alle macchinette e sarò ben felice di contribuire alla causa XD
Oltre a questo posso solo ringraziare lei e tutte voi per tutto il supporto che mi date, quindi un milione di baci a Ila-la-ritardataria e il suo boy che fanno due mesi #yaaaay Ele28 e la piccola Marghe che non può venire a trovarmi a causa del mio hot dog col pelo ( e Marco, per posta. Col fiocco, grazie lol) Elli e i suoi caps lock che mi fanno venire i crampi dal ridere, finalmente tornata nel mio angolo autrice #yaaay anche per te, Delia che pensa che la snobbi solo perchè ho 18 anni.
Ho 18 anni. E allora? Mica bevo acido muriatico a colazione... Non ho mai mangiato nessuno, anzi, di solito sono gli altri che mangiano me :P
Io e Lu che andiamo a vedere Catching Fire insieme ( arrivo, prendo il treno che ha unica fermata 'Casa di Lu' e ci sono... Inizia a prendermi il biglietto lol)
Prim che di sicuro vorrà venire con noi a rivedere quella meraviglia ( io sono ancora in fase fangirl lol) Veronica che mi fa pubblicità nel cortile della scuola manco fossi anfetamina, che ringrazio tantissimisimo, continua a 'spacciarmi' marti_lala che ha sospeso la caccia con torce e forconi per la mia testa, e spero sia una cosa definitiva dopo questo capitolo fluffoso, Swami che spero non sia assiderata davanti al Pc, Annie con la sua bandierina "TeamLouis" che ora dopo questo capitoletto full of feelings spero sbandieri così forte da prendere fuoco e rompersi...
Anzi no perchè serve nei prossimi capitoli.
Procurati anche due vuvuzela, va'.
And last but not least, Larry_Art che quando legge i miei capitoli... Twerka! Come la Cyrus! O il tacchino morto su youtube lol
Alla prossima settimana, un grazie infinito e un abbraccio stretto stretto a tutti voi <3
E che la sorte sia sempre in vostro favore!
Fin (-nick)











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Capitolo 14
*** Walking Beside You ***


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13) Walking Beside You                                                                      
14. Walking Beside You                                                                     
                                                                     
 Passi lungo il corridoio.
Non troppo affrettati né troppo lenti, come chi va di fretta ma non vuole darlo a vedere.
Il ragazzino sdraiato nel letto si lascia sfuggire un sorriso, mentre si raddrizza mettendosi seduto e lisciandosi piano il pelo del buffo berretto che porta in testa, sorridendo teneramente perché quei passi felini, quella camminata strascicata e noncurante da duro, con le converse scollate e le stringhe slacciate, la riconoscerebbe tra mille.
Poco dopo i passi si arrestano, davanti alla sua porta, e l'allettato inizia a contare.
" Uno..." sente rumore di vestiti riassettati con una mano, in un gesto nervoso e veloce, pieno di assurdi e infondati timori.
Come se a lui importasse qualcosa se ha la divisa stropicciata.
" Due..." sente la mano dell' altro posarsi sulla maniglia, esitando un attimo, perché lui checché ne dica e nonostante cerchi di apparire come un teppista, lui è educato, è discreto, ha paura di disturbare.
E poi, finalmente...
" Tre"
Toc toc toc.
Louis batte sempre tre volte sulla porta, prima di fare capolino sulla soglia con un immenso sorriso sul viso e un timido " Buongiorno Harry" sulle labbra e ogni volta trova sempre il modo di farlo ridere, anche se é triste, di farlo alzare dal letto, anche se è stanco, di farlo camminare, anche se ha tanta paura di cadere.
" Andiamo" gli aveva detto  un pomeriggio di qualche settimana prima " Dobbiamo presenziare a un the" lui l' aveva fissato come se fosse pazzo, mentre si chinava su di lui e lo strattonava fuori dallo scudo caldo e confortevole delle coperte, forzandolo a stare in piedi.
" Hn?"
" Andiamo, dai non vorrai arrivare in ritardo al tuo primo the delle cinque in compagnia coi simpatici vecchietti della geriatria?"
Harry le aveva provate tutte: aveva puntato i piedi, si era lasciato cadere per terra, aveva lanciato occhiate di puro odio a Louis, aveva strillato come la prima volta che le infermiere avevano provato a spogliarlo per fargli fare il bagno, lo aveva morso, aveva pianto...
Non era servito a niente, niente.
L' inserviente tatuato aveva continuato a tenergli le mani, e a sussurrargli frasi come " So che c'è la puoi fare" o " Credo in te" cercando di sovrastare i suoi urli isterici e fermandosi solo per asciugare il viso rosso, congestionato e lacrimante dell'altro con il suo fazzoletto buono che sapeva di tabacco.
Gli facevano così male le gambe che sembrava gli potessero cadere da un momento all' altro, e in più era così arrabbiato con Louis!
Prima della fine del corridoio del reparto di rianimazione il suo pianto rabbioso si era trasformato in un lamento rassegnato, e il ragazzo più grande, fermandosi per l' ennesima volta a tamponargli il viso e a soffiargli il naso, lo aveva rassicurato dolcemente:
" Lo so che ti fanno molto male... Strombazza, dai" si era interrotto per asciugargli la candela, prima di riprendere dolcemente " Ma io credo nelle tue capacità e so che presto tornerai come nuovo, e che un giorno ricorderai oggi come un grande piccolo passo verso l' indipendenza"
Lui aveva grugnito, dubbioso, mentre l'altro ridendo piano s'inginocchiava infilandogli il fazzoletto nell' elastico del pigiama.
" Credimi, una volta arrivato alla meta sarai orgoglioso di te stesso, e mi ringrazierai. In più ci tengo davvero a presentarti ai miei vecchietti..."
Quest' ultima frase era stata sufficiente per instillare a Harry la forza di volontà necessaria per caracollare avanti, sorretto dalle mani grandi, calde e premurose di Louis, nella sua Odissea infinita verso l'ascensore che si stagliava in fondo al percorso come la Terra Promessa di pace e salvezza.
I suoi muscoli continuavano a protestare, doloranti, ma guardandosi intorno e memorizzando ogni singolo dettaglio il piccolo paziente aveva provato a distrarsi: la luce giallastra del neon rimbalzava sulle pareti immacolate, spandendo pennellate di accecante bianco ovunque: sui muri, sul lucido e consumato pavimento di lineolum, sull' acciaio del carrello dell' infermiera, nei piercing di Louis, dietro le sue palpebre...
Forse era tutto bianco e luminoso per scacciare la paura della morte, o del buio, o di restare soli.
O tutt'e tre.
Non gli piaceva.
Non riusciva a vedere i colori, gli sembrava di soffocare, di annegarci in tutto quel bianco asettico e spersonalizzante.
Anche la divisa del giovane inserviente era immacolata, ma il ragazzo panda poteva facilmente scorgere sotto la stoffa chiara il blu scuro di una felpa e lo scollo a 'v' di una t-short nera.
Erano gli unici colori che vedeva, a parte l'azzurro dei suoi occhi.
Lentamente e faticosamente erano giunti  all' ascensore, e mentre le porte si chiedevano sibilando, Harry aveva sentito il cuore pompargli il sangue nelle vene, i muscoli delle gambe pulsare, i piedi intorpidirsi...
Come quando la professoressa di educazione fisica lo costringeva a correre attorno al perimetro dell' istituto, fischiando il termine dell' esercizio dopo 14 minuti invece dei dieci promessi, e lui cadeva in ginocchio e provava quasi dolore per lo sforzo compiuto, ma si sentiva appagato guardando i quattro deficienti della classe ai quali veniva assegnato un ' non classificabile' per aver vomitato a metà percorso.
Si sentiva soddisfatto perché c'è l'aveva fatta, perché aveva resistito.
Quel familiare sentimento lo pervase anche in quel momento, mentre le porte del marchingegno infernale si riaprivano di nuovo su un corridoio completamente diverso: le pareti maldipinte e scrostate, l'odore di the così intenso e forte da essere nauseante, il rumore di vecchie voci graffianti che si mescola al chiacchericcio delle infermiere...
Erano solo a qualche piano di distanza, eppure sembrava di essere in un posto completamente diverso.
Ma in quella sua prima visita Harry l' aveva quasi notato, sfinito com'era dallo sforzo e dalla fatica.
In seguito avrebbe notato e si sarebbe appoggiato, lasciando la presa sicura delle braccia di Louis  ai corrimani che erano posti lungo le pareti del corridoio che lo avrebbero visto muovere i suoi primi veri passi in autonomia, il vecchio televisore unicolor dell' anteguerra abbandonato in un angolo e solo recentemente riportato dal giovane inserviente riformista agli antichi fasti, o l'unico quadro che abbelliva la parete, una madonnina azzurra dalla faccia anonima e sbiadita, ma in quel momento l'unica cosa che vide fu una delle poltroncine imbottite e bitorzolute, dove il ragazzo tatuato lo aveva delicatamente adagiato, prima di voltarsi verso la cucina e prendere una tazza di the per l'ospite speciale della merenda di quel pomeriggio.
Ma tempo di riempire una tazza fumante e tornare indietro, il ragazzino si era addormentato profondamente, sfinito, con la testa abbandonata sul petto e i piedi a penzoloni.
Sarebbe stato diverso, più facile e meno faticoso: lentamente Harry avrebbe abbandonato le mani del più grande per passare al suo bicipite sodo, e avrebbe camminato in modo più sicuro, sempre più confidente nelle sue forze, sconfiggendo la paura di cadere o di non essere abbastanza forte per reggersi da solo, stancandosi sempre di meno, imparando a conoscere i vecchietti del reparto e a giocare a briscola e a poker con loro sotto lo sguardo felice e realizzato di Louis.
Ma mentre veniva trasportato di nuovo a letto, Harry dormiva russando appena tra le braccia del suo moro, e una volta sveglio avrebbe creduto che fosse stato tutto un sogno, prima di agitarsi tra le lenzuola e trovare un fazzoletto puzzolente di nicotina, unica prova della sua resistenza, del suo coraggio e del fatto che Louis aveva ragione, lui poteva davvero andare fiero di se stesso:
c'era riuscito, c'è l' aveva fatta.





Il trillo penetrante del telefono aveva infranto l' insolitamente pacifico silenzio che regnava il casa Tomlinson: le gemelle erano ancora all' asilo, Lottie aveva trovato lavoro in una sala da the nel centro commerciale locale, Fizzie stava facendo i compiti in camera sua e Louis stava sonnecchiando sul suo letto con gli auricolari infilati per metà.
Non si poteva certo dire che stesse ascoltando musica: ogni suo pensiero, da " ma che cielo azzurro che c'è oggi" a " dovrei fare i compiti di matematica" finiva inevitabilmente per convergere in un unica direzione...
Harry.
Harry che ride finalmente ad alta voce per ogni sua stupidata, dopo ogni battuta, riempiendo il suo cuore di gioia, di riflesso, come se fosse allo specchio.
Harry che pian piano sta reimparando a camminare, e ogni giorno va fino al reparto di geriatria solo per prendere un the, e nel tragitto fianco a fianco discorrono di tutto e di niente, e i "Mh" o i " Tsk" che intervallano i suoi monologhi lo fanno sentire meno solo mentre scorta il piccolo paziente sempre più lontano, prima ancorato alle sua mani, poi appeso al suo braccio, e infine l ultima conquista di quel giorno... Perché Louis, se chiude gli occhi sdraiato sul suo letto sente ancora la mano piccola e calda di Harry infilarsi tra la sua, mentre il proprietario scuotendo piano la testa rifiuta il braccio.
" Non ne ho più bisogno" gli stanno dicendo quelle luminose pozze smeraldo " Posso camminare da solo adesso, ma ho ancora paura di cadere... Non lasciarmi andare, stammi vicino"
E così i due passeggiano mano nella mano nei corridoi, il più piccolo con il viso arrossato dall' imbarazzo e il più grande con un' irrefrenabile voglia di mettersi a ridere, a correre e a saltare.
Anche a distanza di poche ore, sdraiato tra le strette pareti di camera sua si sente come una Coca Cola shakerata insieme a delle Mentos.
E poi suona il telefono.
E il telefono in casa Tomlinson non suona mai.
Sua madre interrompe le sue faccende e corre a rispondere, già temendo che sia successo qualcosa alle figlie fuori casa, Fizzie e Louis si sporgono dalla balaustra delle scale, pronti ad origliare, la curiosità che prende il sopravvento.
"Pronto? Si, sono io"
Nella stanza cade il silenzio, e il più grande può giurare di sentire più volte il suo nome uscire dalla cornetta, mentre sua madre rimane immobile come una statua di sale davanti al cordless.
" Ne è sicura? Non abbiamo ricevuto niente per posta..."
Per sentire meglio la sorella più piccola si sporge ancor di più verso il basso, facendo involontariamente sbattere la catenina d'oro del battesimo contro il corrimano della scala, producendo un penetrante tintinnio, che per un attimo distoglie l'attenzione della madre dalla conversazione telefonica.
E mentre alza lo sguardo, furibondo, fulminante e agghiacciante, tanto che potrebbe ucciderlo seduta stante, Louis capisce tutto e vorrebbe trovarsi a mille miglia dalla casa, fuori dalla portata di sua madre, lontano da tutti e da tutto.
Perchè era stato così stupido?
Come aveva fatto a dimenticarsi di una cosa così importante?
Era così preso da Harry e così entusiasta per i suoi progressi che si era dimenticato del casino che era scoppiato il giorno dopo l'esercitazione in caso d'incendio a scuola.
Non aveva nemmeno fatto in tempo ad appoggiare la vecchia e consumata suola delle scarpe dentro i cancelli dell'angusto ed infernale luogo, che si era trovato davanti il bidello straniero, altro uno e novanta, con un naso che pareva  una canappia e lo strettissimo accento russo, che l'aveva acchiappato  per un orecchio prima di intimargli penetrante mentre lo trascinava all'interno:
" Tu con me fieni ora! Prezide vuole vetere te!"
E non mentiva: la Preside aveva strillato a pien polmoni per almeno un quarto d'ora, sottolineando crudelmente la sua mancanza di coerenza, responsabilità, e soprattutto educazione: evidentemente qualcuno lo aveva visto 'insudiciare' la proprietà privata di un professore, anche se la Direttrice non aveva detto esplicitamente chi, e questo lo portava a pensare che Mr Flambert avesse mosso accuse su di lui, che però erano totalmente prive di fondamento... per il momento.
E dal momento che la donna parlava di sospensione a tempo indeterminato, cioè non ammissione all'anno successivo, Louis aveva cercato di salvare il salvabile, perchè era sicuro che sua madre lo avrebbe sotterrato vivo se avesse perso un altro anno.
Ne aveva già persi due!
" Io non ho fatto nulla del genere! Lo giuro! E' vero, sono uscito da scuola senza permesso e autorizzazione, ma di questa 'infrazione' di cui parla lei non ne so nulla!"
L'arpia suprema aveva intrecciato le dita, costernata dal fatto di non avere prove per condannare lo studente, che appariva innocente quanto uno spacciatore di droga durante una retata della polizia.
" Il suo comportamento, infrazione e  non, è  stato molto  grave e..."
" Lo so, non stavo pensando, non ero in me. So che non è una giustificazione"
" Infatti non lo è!" si era scaldata la Preside, alzandosi di scatto dalla sedia e camminando avanti e indietro per il suo spazioso ufficio come un animale in gabbia "Non lo è! E sta tranquillo che prenderemo provvedimenti, Tomlinson, partendo con una comunicazione scritta alla famiglia, e se t'azzarderai a fare un altro passo falso farò in modo di farti espellere dalle scuole di tutto il Regno immediatamente!"
La cosa non l'aveva preoccupato più di tanto, anzi, quando frugando tra la posta aveva scovato la lettera della Direttrice si era quasi messo a ridere, seguitando a tagliare la carta con il timbro della scuola in diverse strisce per usarle come filtro per la Maria.
Erano state  le fumate più soddisfacenti della sua vita.
Non avrebbe mai immaginato, nemmeno nei suoi sogni più perversi e selvaggi che quella sadica masochista della Preside, non ricevendo nessuna forma scritta di scuse, avrebbe chiamato direttamente a casa per parlare lei stessa con sua madre.
Madre che in quel momento lo fissava con astio, le guance infiammate dall'imbarazzo e dall'umiliazione per il comportamento del figlio, gli occhi traboccanti di lacrime di delusione, le mani che stringevano il cordless tremanti dalla rabbia.
" Mi rincresce" aveva pigolato nella cornetta, gli occhi fissi in quelli di Louis, e le parole dolorosamente sincere strozzate in gola, prima che l'intervento dall'altro capo del telefono la facesse esplodere in mille e mille patetiche scuse  per il suo comportamento.
Non poteva sopportarlo.
Non si poteva umiliare così tanto.
Non se lo meritava.
Il ragazzo si era allontanato dalla balaustra ed era tornato lentamente in camera sua, ascoltando sdraiato sul letto il  resto della conversazione, le membra pesanti, la felicità evaporata come pozze d'acqua piovana sotto il sole d'agosto.
Sua mamma era stata al telefono per un'ora.
Poi l'aveva chiamato:
" Louis, in cucina. Dobbiamo parlare"














Niente risate felici nel cortile dell'ospedale oggi.
" E poi ha cominciato con il ' Mi hai deluso, ma a cosa cazzo stavi pensando?' cioè, era proprio fuori di se', ha detto cazzo! Ed è peggiorata sempre più! ' Ti si sono fottuti i neuroni? Sembri un cazzo di ritardato! Nemmeno i bambini di due anni sono così infantili ed idioti! Come posso anche solo pensare di fare affidamento su di te per le cose di famiglia? Sei il più grande, eppure sei il più coglione di tutti!'"
La voce di Louis, prima in falsetto per imitare la furia omicida della madre, era tornata alla sua tonalità naturale, appena velata da una profonda tristezza  maldissimulata, che Harry, seduto di fianco a lui sulla panchina nello spiazzo erboso del giardino dell'ospedale, era riuscito a cogliere.
" Giuro, quando ha preso la padella dal lavello ho davvero creduto che m'avrebbe ammazzato. Invece ha iniziato a sbatterla qua e la, come un'ossessa, come una pazza maniaca scappata da un manicomio: sul tavolo, sul piano cottura e perfino sui muri! ' Non so più come fare con te! Come mi devo comportare? Uh?'"
Harry aveva scosso la testa, dispiaciuto.
" E non hai sentito il peggio! ' NON STARE LI' IMPALATO COME UN IDIOTA! DI' QUALCOSA! FAI SEMPRE LO SPUTASENTENZE POLEMICO, NON TI VA MAI BENE NIENTE, TI LAMENTI CHE NON ASCOLTO E QUANDO TI CHIEDO ESPLICITAMENTE COSA VUOI CHE FACCIA CON TE, NON SAI FARE ALTRO CHE FISSARMI CON QUELLA FACCIA DA CAZZO?!' Cosa dovevo dirle? Che avrei preferito che non avesse mai divorziato, che non si sarebbe dovuta trasferire che...
Che cosa poi?
Ormai il danno è fatto! Non è che può tornare strisciando da mio padre e supplicarlo di scaricare quella lurida zoccola  e di tornare a fingere di essere la Famiglia Felice delle reclame di Natale!
' Io non so cosa fare, non so cosa fare! E sei mio figlio! Ti ho messo al mondo io, e si suppone che una madre debba conoscere il figlio, ma tu...
Tu lo rendi impossibile! Fumi, ed è inutile che neghi, ti ho visto alla fermata dell'autobus che stavi rollando Dio sa cosa, bevi, ti fai piercing e tatuaggi, e forse ti fai di erba, di coca, di crack... Io non lo so, Louis! E non voglio saperlo, perchè già per quelle poche cose che so non ti riconosco più! A volte mi chiedo chi sei, e dov'è finito mio figlio. Chi sei?'"
Il ragazzo tatuato aveva seppellito il viso tra le mani, stanco e provato come non mai, mentre il piccolo ragazzo-panda gli aveva appoggiato la mano sull'avambraccio, non sapendo bene come confortarlo.
Non aveva mai davvero sentito la necessità di parlare: sua madre era tremendamente insistente, e gli metteva un sacco di pressione, sua sorella invece la prendeva con filosofia.
"Parlerà quando sarà pronto mamma, non forzarlo" le diceva sempre fuori dalla porta della camera, quelle due o tre volte a settimana che riusciva a tornare a casa dall'università, convinta che il fratello non la sentisse.
Peccato che Gemma non potesse saltare tutte le lezioni: avere a che fare con l'impazienza del genitore, che non si accontentava dei suoi progressi correnti e che lo spingeva inesorabilmente e frettolosamente verso nuovi, e ancora troppo distanti traguardi, lo rendeva isterico.
Con Louis era diverso, perchè anche se non lui parlava, cercava comunque altri modi per comunicare e farlo sentire a proprio agio.
Si veninavo incontro, insomma.
In quel momento però Harry sentiva una pressione sconosciuta che gli opprimeva i polmoni, bloccandogli l'aria nell'esofago e impedendogli di respirare, seccandogli la bocca e incollandogli la lingua al palato.
Gli bruciava la gola dalla voglia di parlare, dalla voglia di dire a Louis che non era un ritardato, che sua madre aveva ragione, che non sapeva nulla di lui, e nessuno dei due aveva colpa perchè tutti e due avevano fatto degli sbagli e si erano comportati da idioti egoisti, che non è una canna o un piercing a renderti un drogato o un alcolizzato, che niente in natura fa male, basta non abusarne, che la vita si deve vivere senza la paura dei giudizi degli altri, che sì, è vero, aveva fatto tante stronzate e tanti difetti, ma a lui andava benissimo così, perchè sapeva che si era pentito, che non l'aveva fatto apposta, che aveva imparato, era cambiato...
" E sai qual'è la cosa peggiore?"
Il più piccolo aveva scosso la testa, il pizzicore che si espandeva nel palato, non risparmiando neppure la lingua, e le labbra che tremavano dallo sforzo e dalla voglia  di consolarlo, di esserci come lui c'era stato nei suoi momenti no e nel buio del coma, di amarlo...
Harry era rimasto quasi sconvolto e spiazzato dal pensiero, che concretizzava una situazione di fatto nella sua mente.
" Che neanche io so chi sono"
Non c'era spazio e tempo per lo stupore: Harry doveva dirlo.
Doveva parlare.
Perchè lui sapeva chi era Louis...
Era il ragazzo che fumava erba 'per darsi un tono' ma che piangeva la morte di una vecchietta che lo aveva convinto a leggere l'Amleto, che usava piercing e tatuaggi per nascondere la sua fragilità, il suo apparente menefreghismo, costruendo uno scudo di cartapesta pronto a sciogliersi al primo temporale, il ragazzo tronfio e strafottente che leggeva libri per bambini ai malati, che si credeva un fallito, un rifiuto dell'umanità, che si rovinava il presente perchè convinto di non avere un futuro, mentre guardava con rimpiati e nostalgia il passato.
Lo stesso ragazzo che tutti i giorni alle cinque del pomeriggio preparava il thè per i vecchietti, che gli era stato vicino quando nessun'altro c'era, che gli aveva comprato il berretto-panda solo per evitargli la vergogna di andare in giro calvo, che gli aveva insegnato a camminare.
Era unico e irripetibile, bello, dannato ed impossibile, innocente come un agnello e letale come un veleno, complicato da capire, facile da interpretare, indefinibile...
Il più grande teneva ancora il viso nascosto tra le mani, mentre sussurrava:
" Io non so chi sono Harry. Tu lo sai? Perchè se lo sai, ti prego, dimmelo"
E lui sudava.
Neanche durante le ore di educazione fisica sudava così tanto: sentiva il tessuto sotto le ascelle bagnato, che gli sfregava sulla pelle fredda, le gocce scendergli lentamente lungo la fronte e sotto il naso, inzuppandogli le labbra tremanti.
Si, sudava, tremava, ansimava e uno strano ronzio gli riempiva le orecchie, tutto nello sforzo di riuscire a parlare, riuscire a vincere la sua paura immotivata nella battaglia contro se' stesso, in modo da rompere le catene ed essere finalmente libero: libero dal suo mutismo, libero dagli assilli di sua madre, degli equivoci delle infermiere...
Libero di dire a Louis che  lo amo.
Aveva inspirato lentamente, preparandosi a buttar fuori l'aria, costringendo le sue corde vocali a vibrare, la gola piena di schegge di vetro, mentre la bocca e la lingua asciutta come il Sahara sfregavano assieme, prima che il muscolo secco scivolava lentamente tra le labbra bagnate e indisciplinate.
L'aveva detto.
Aveva risposto alla domanda.
Dolce come una caramella, aveva assaporato che effetto faceva sentirlo sulla sua bocca che così faticosamente era riuscita a spezzare quella maledizione che l'aveva gelata per così tanto tempo, e ne era rimasto inebriato.
Perchè adesso c'è l'aveva fatta, perchè adesso era libero.
Perchè con una voce debole e tremante, rauca e leggermente stridula, come una corda di violino scordata aveva parlato.
E forte e chiaro aveva detto:
"Louis"
 




Angolo Finny **
Ta-daaaaaaaaaaaaa :)
Dopo "Lazzaro alzati e cammina" ecco a voi "Lazzaro apri la bocca e spara cagate" LOL
Harry ha parlato! Ha detto Louis, awwwwwawawawawwwwwwwasfdfghjkkl è strapatatoso puccioso cremoso denso classico avvolgente ( manco fosse un caffe' zuccheroso *w*) e visto che ha tanta voglia di parlare, gli facciamo dire al nostro Hazzino cuoricino convalescente:
Unn enorme grazie a Diana che si è appena unita a noi e mi è già supersimpatica perchè le sue recensioni mi fanno morire dal ridere ( Mi mandano in banana, tanto per usare parole sue XD) e perchè è una santa che mi ha messo la storia tra le segnalate, è una Tribute e ha recensito un sacco di capitoli... Se t'avessi tra le mani ti farei ciompi ciompi fino a farti staccare le guance :3
Ellie che finge di essere una bad girl come Louis ma invece è dolcisshimisshimisshima ( ha addirittura smesso di fumare!) marti_lala, la mia stalker preferita finalmente tornata tra noi, che ci era tanto mancata, Ele e Marghe che spero abbiano proclamato un cessate il fuoco perchè sono come un puzzle e insieme si completano, Annie ( come Annie Cresta, awwww) che nuota nelle sue lacrime perchè Louis non l'abbraccia solo perchè è una portatrice sana di vagina ( magari magari fa il bagnino tipo Baywatch e ti salva, ma solo se non nuoti a farfalla XD) Ila che è il meglio del meglio ma se non glielo diciamo io e Luca non ci crede, Lu, la mia nuova cliente a cui vendo LSD e che mi ha permesso di comprarmi dei favolosissimi nuovi leggins di natale come quelli che si vedono su Tumblr o Weheartit, Leeroy hm che ha appena compiuto 18 anni e che andrà a vedere i ragazzi ad xfactor ( a me nessuno ha fatto un regalo così bello se non si conta la Mary T.T) Caro che ancora rassicuro che non la hato ma la lovvo molto anche se salta i capitoletti, riotwithcher anche lei appena salita sul nostro folle e delirante treno, Veronica che spero che non mi vorrà male se la copio e mi faccio un piercing al naso, Larry_Art e le sue converse che affondano nella m***a come il Titanic, Swami che sorride perchè la ff le sorride e last but not least  Delia che spero di aver dissuaso dal fatto che le 18enni mangiano le più piccole a colazione lol
E poi fanno le diete per dimagrire XD
Grazie mille per tutto il vostro amore, sappiate che vi amo anche io :)
Bacissimi
Cami

PS: se cambiassi il nickname in Finnick vi creerebbe problemi?
 

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Capitolo 15
*** And I Found You Flightless Bird ***


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15)                                                                      
                                                                     
 15. And I found You, Flightless Bird.                                                                    
                                             
Cinque giorni dopo che Harry ha ripreso a parlare, Louis sgattaiola per l' ennesima volta lontano dal reparto geriatrico, mentre l'infermiera giovane e bionda lo copre dal capo.
L'inserviente tatuato sorride, e quasi quasi fischietta tra se' e se': sua madre due giorni prima aveva trovato tra la posta una busta stropicciata a bagnata dalla pioggia con il timbro sbiadito dell' ufficio giudiziario al quale Anne Styles si era rivolta, ed era subito andata in panico, rientrando in casa come una furia e chiedendo al figlio maggiore cosa diavolo avesse combinato stavolta.
L' aveva praticamente sottoposto ad un interrogatorio mentre camminava impettita verso il mobile e cercava di aprire la busta con un tagliacarte e senza rovinarla.
Si era poi scoperto che tutto quel nervosismo era inutile, e per una volta quello che Louis aveva combinato era qualcosa di buono: il giudice, piacevolmente colpito dai giudizi estremamente positivi che il personale infermieristico del St Barbara aveva riportato su di lui, aveva deciso di premiarlo  con una riduzione dell' orario e del carico di lavoro, lasciandolo decisamente più libero di vedere Harry.
Evviva!
Cinque giorni dopo che il piccolo panda aveva riacquistato la favella, Louis si era imbattuto nel peggiore dei suoi incubi.
Una volta arrivato sulla soglia della 17, si era ritrovato davanti una camera familiare, ma occupata da un altro paziente: una giovane donna sulla trentina era sdraiata priva di coscienza nel letto del suo Harry, il comodino, di solito ingombro di libri, carica cellulare, vecchie bottiglie di acqua minerale e bicchieri di the vuoti, era libero da tutti gli effetti personali, e i peluches e i palloncini che solitamente Anne e altri visitatori non facevano mancare mai, erano spariti.
Il ragazzo si era spaventato, entrando nella stanza completamente buia, dentro la quale riusciva solo a distinguere il comodino vuoto e un corpo sotto le coperte e il monitor per la respirazione che lo teneva in vita pompando l'aria dentro e fuori i suoi polmoni, emettendo un suono sibilante, che spesso aveva fatto da sottofondo ai pomeriggi che Louis aveva trascorso tra quelle quattro mura.
Dov'era Harry?
Perché quel corpo lì sotto non poteva essere quello del ragazzino, non poteva...
Il moro si era avvicinato al corpo, lo stomaco così contratto da essere diventato duro come il marmo, da fargli così male da impedirgli di respirare, e nemmeno quando aveva riconosciuto i gentili e dolci tratti di un viso femminile sconosciuto, devastato da un rissa in discoteca e qualche trip, si era calmato.
Ormai erano quasi più quattro mesi che lavorava in un ospedale, e una cosa l'aveva capita: se un paziente scompare improvvisamente da un reparto vuol dire che era arrivato al capolinea, al punto di non ritorno.
Come la Sig.ra Stowe.
Ma ieri Harry stava bene...
Ieri era ieri, cretino, aveva detto il nuovo, cinico e cattivo Louis, quello che era stato negli ultimi sei mesi, quello che del piccolo panda aveva paura perché era l'unica cosa che lo rendeva debole, magari ha avuto una crisi stanotte, magari i medici che si sono presi cura di lui
hanno sbagliato diagnosi o hanno abbassato la guardia e non sono stati abbastanza veloci, dopotutto il respiratore é staccato da tantissimo tempo...
Nonononono. No. No. No. Ti prego, ti prego Dio no. No.
Non serve pregare Dio, non lo sapevi?
Il ragazzo si era precipitato fuori dalla stanza e lungo il corridoio,
il petto che si abbassava e alzava velocemente, cercando di star dietro al suo respiro impazzito che lo stava portando all'iperventilazione, mentre il sudore gli appiccicava il ciuffo sudato alla fronte fredda e pallida, tanto che si confondeva con il bianco asettico delle pareti dietro di lui.
Il mondo sembrava vorticare alla velocità della luce davanti ai suoi occhi, sgretolandosi lentamente sotto i suoi piedi e aprendo una voragine pronto a inghiottirlo.
Correva così veloce che quando si era brutalmente scontrato con la fisioterapista non l'aveva nemmeno riconosciuta, e questa per farlo fermare aveva dovuto rincorrerlo per mezzo atrio e agguantarlo per un braccio:
"Louis... Louis dove stai andando così di fretta?!"
"Harry" il ragazzo non riusciva più a pensare coerentemente " Non è nella sua stanza. C'è un altra persona nel suo letto. Devo trovarlo, devo trovarlo..."
"È quello di cui ti volevo parlare: abbiamo spostato Mr Styles in Medicina Riabilitativa... Ormai non c è più alcun motivo che lo trattenga in Riabilitazione"
"Medicina Riabilitativa?" aveva mormorato il ragazzo tatuato, cercando di ricacciare indietro l'urlo che voleva uscire dalla sua bocca e di ignorare le macchie nere che gli ballavano davanti agli occhi.
"Si" aveva confermato la donna " Prendi l'ascensore fino al secondo piano: sulla destra troverai la Neurochirurgia, tu devi andare a sinistra... Sta nella stanza 8!" gli aveva urlato, mentre lui partito in quarta era già lontano.
Altro che ascensore e ascensore, quel maledetto arnese ci metteva ore e ore...
Le scale erano decisamente un'idea migliore.
Harry d'altro canto, aspettava Louis con impazienza: aveva così tante cose da raccontargli!
Non si messaggiavano da ben 24 ore perché ogni tanto la batteria catorcia del più grande andava in mutua, e lui doveva ancora dirgli che quella mattina, per la prima volta, aveva chiamato Gemma sul cellulare per tirarla giù dal letto e augurarle un buon giorno e un "imbocca al lupo" per le lezioni.
La sua voce era ancora un po' rauca a causa del suo lungo periodo di mutismo, e a volte, soprattutto quando era stanco faceva fatica a controllare bene i muscoli, finendo per incespicare nelle parole, ma la sorella, ignara dei suoi progressi, aveva avuto un mini shock lo stesso.
Poi si era riavuta, azzardando perfino un " mi sei mancato topastro" e il più piccolo si sentiva ancora diviso a metà tra il desiderio di ridere e piangere.
Dalla gioia, ovviamente.
Ma quando aveva intravisto la figura tremante di Louis filare verso di lui a tutta birra, Harry aveva capito che non c'era nulla di gioioso nel più grande quel giorno, ed era rimasto a dir poco sorpreso quando questo, arrivato abbastanza vicino l' aveva afferrato saldamente prima di stringerlo al petto senza tanti complimenti, così forte che il più piccolo riusciva a sentire il martellare frenetico del suo cuore contro il suo corpo.
"Dove cazzo eri?" aveva sussurrato l'altro, senza fiato "Mi hai fatto cagare in mano, cazzo. Non farlo mai più, capito?"
"Qui ero. Sono sempre stato qui" aveva risposto lui, mugugnando nella sua maglietta.
Ma Louis sembrava non sentirlo.
"Non ti trovavo più. Ho avuto così paura..."
E Harry, ricambiando l'abbraccio, aveva capito che la telefonata con Gemma poteva aspettare.
La seconda volta che Harry era sparito, Louis aveva rischiato di morire di crepacuore, anche se questa volta aveva cercato di mantenere la calma, respirando profondamente per calmarsi alla vista del letto vuoto e del cappellino a forma di panda abbandonato sul cuscino.
Intimando alle coronarie impazzite di smettere di ballare e uscendo senza voltarsi indietro dalla stanza, aveva percorso il corridoio facendo il tragitto inverso rispetto a quello tracciato pochi istanti prima, per ritrovarsi a fissare con sguardo smarrito e spaventato il via vai degli infermieri e dei visitatori, senza la minima idea di dove fosse Harry o di come fare a trovarlo.
Stava per avere un attacco di panico in grande stile quando aveva intravisto tra l'ondeggiare dei camici e delle divise, un pantalone a strisce orizzontali bianche e blu.
Si ricordava bene la risata che si era fatto quando l'aveva visto...
"Ci stai dentro due volte!" si era rotolato sul letto, incapace di trattenere la propria ilarità "Cristo, Harry sembri un deportato di guerra!"
Il ragazzino, seduto ben dritto sul suo letto gli aveva scoccato un'occhiata altera, prima di lanciargli uno dei cuscini che avrebbe dovuto usare come sostegno, e colpendolo in piena faccia, causando altre risate.
"Harry!" aveva urlato, facendo voltare tutti quelli che passavano di li in quel momento, mentre il diretto interpellato litigava con la macchinetta del caffè per ritirare la sua cioccolata.
"Ehi Louis"
"Cosa ci fai fuori dal letto?! Mi stavo preoccupando" il più grande avrebbe continuato con una bella ramanzina, se non fosse stato distratto dal vedere quanto i capelli del più piccolo fossero ricresciuti in fretta: la ferita rossastra quasi non si vedeva più, coperta da un mini cespuglio di corti, morbidi e spettinati ricci color cioccolato.
Louis era rimasto a fissarli, estasiato, mentre entrambi facevano ritorno alla nuova sistemazione del paziente, che una volta fatto accomodare il suo ospite sulla poltroncina ai piedi del letto, si era lasciato cadere mollemente tra le lenzuola, pronto a gustarsi la sua cioccolata ancora calda.
"Vuoi mangiare anche tu qualcosa? Mamma mi ha portato dei biscotti al cioccolato"
Il più piccolo aveva gesticolato distrattamente verso l'armadietto di fianco al letto, mentre soffiava piano sopra la bevanda calda.
"No grazie "
"Sei ancora arrabbiato perché non ero a letto?" Il ricciolino aveva stretto il bicchiere di plastica tra le mani, cercando di scaldarle.
"No! No. Non sono arrabbiato, è solo che quando non ti trovo mi spavento sempre..."
Louis si sentiva un totale idiota: era necessario che andasse così in panico ogni volta che Harry scompariva dalla sua vista?
"Scusa. Davvero, non lo faccio apposta. É che mentre eri in coma una mia paziente é morta e allora..."
"Si, lo so, la Sig.ra Stowe"
Per un attimo il più grande l'aveva fissato con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata.
"T-tu... Te lo ricordi?"
"A dir la verità" aveva cominciato il più piccolo "Ricordo tutto quello che mi hai detto. Ogni canzone, ogni lamentela, ogni singola cosa...
Ricordo la prima volta che sei entrato, e io che speravo fosse mia mamma, e ricordo che ero così arrabbiato con lei e con mia sorella che diceva che ' le serviva tempo' e che 'sarebbe venuta a trovarmi prima o poi'...
Non riuscivo a pensare ad altro.
Ma poi sei arrivato tu: all' inizio non ci avevo fatto molto caso, perché ti fermavi poco e non parlavi molto, però poi ho cominciato a farci l' abitudine, quasi inconsciamente.
Mi chiedevo dove fossi e dopo un po' saltavi fuori, e raccontavi tante cose, a volte erano tristi, a volte mi facevi ridere, a volte avrei voluto essere sveglio per dire la mia...
Era strano il fatto che volessi parlare con me, ma mi piaceva, e mi faceva sentire bene, sentire vivo e "normale".
Eri l'unico lì dentro che non mi trattasse come un cactus di plastica"
La battuta finale non aveva alleggerito l'umore del più grande, che si sentiva la faccia paonazza, così calda da essere sicuro di avere del fumo che gli usciva dalle orecchie.
Avrebbe potuto friggersi un uovo sulle guance.
Non sapeva nemmeno perché si sentiva così in imbarazzo: forse perché più volte aveva aperto il suo cuore alla statua di cera immobile che vegetava nel letto, forse perché gli aveva rivelato una parte di lui che nemmeno lui sapeva di avere, forse perchè gli aveva confessato cose che  nemmeno a Zayn avrebbe detto...
"Chissà cos'hai pensato di me" aveva mormorato debolmente, prima di nascondere il viso tra le mani, mentre Harry ridacchiava piano:
"Che eri un brontolone, un polemico di prima categoria, quando  in realtà volevi solo fare il figo ma che sotto sotto non eri così teppista come volevi far pensare: eri tenero,  e carino, e..."
"Intendo dell'incidente. Cos'hai pensato di me quando hai saputo... Quando hai saputo che ero stato io?"
Il ragazzo tatuato non osava respirare: buffo, come uno girasse nelle zone della città  più malfamate alle ore più improbabili fumando erba senza un solo pensiero ma morisse di paura al solo pensiero di guardare negli occhi un ragazzino di quattordici anni e di vederci l'odio dentro.
"All'inizio, quando ancora non ti conoscevo, ti odiavo. Pensavo che fossi un quarantenne fallito e depresso che una sera aveva avuto la brillante idea di guidare strafatto in un patetico tentativo suicida"
 Non ero fatto. Non stavo tentando di uccidermi, e soprattutto non era premeditato, avrebbe voluto dire, sarei voluto morire io, al posto che fare del male a te, ma aveva perso la voce.
"Poi però ti ho conosciuto, e ho ascoltato mentre mi facevi scoprire il tuo mondo fatto di musica, bravate e purtroppo anche tanti problemi, e ho scoperto dopo cosa avevi fatto. E questo cambia tutto, Louis, perchè sei solo vittima degli eventi e delle circostanze, perchè non sei cattivo, non l'hai fatto apposta e so' che ti sei pentito. E ti ho perdonato"
"Perchè?" aveva sussurrato il più grande, finalmente trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
Lui non se lo meritava, il suo perdono! Si, magari non era così cattivo come sembrava, magari non l'aveva fatto apposta e si, si era decisamente pentito, tanto che aveva giurato a se stesso di non mettere mai più piede a bordo di un auto, ma questo non attenuava la gravità delle sue azioni.
I pensieri  di Harry s'arrovellavano l'uno sull'altro, come un vortice: Perche Louis non è crudele, è imprigionato dal giudizio che gli altri hanno di lui, e automaticamente si rispecchia in quella versione distorta di se stesso, filtrata dalla cattiveria delle persone, perchè lui è fragile, molto molto fragile, e il fatto che tutti lo odino e lo allontanino per questo, lo fa sentire  realmente di cartapesta e non è forte abbastanza per reggere tutto questo, infatti non va a scuola, spaventato dai giudizi dei compagni, spaventato persino dai giudizi della madre  mentre i sensi di colpa lo corrodono dentro.
La verità è che è solo una ragazzo forse un po' immaturo, un po' impulsivo, che non avendo avuto una figura paterna stabile cerca di affrontare le difficoltà come può perchè dopotutto non ha avuto una guida, e si rifugia nel fumo e nell'alcool perché è l'unica via di fuga che una ragazzo disperato e debole riesce a vedere in un pasticcio del genere.
Perchè Harry lo vede per quello che è: non è colui che lo ha quasi strappato dalla vita, non è il mostro che lo ha quasi ucciso, è un ragazzo come lui, un ragazzo disperato che cerca di rimediare ai suoi errori, ma ha paura, paura di sbagliare di nuovo, e scappare, aggredire gli altri, fumare e bere è più facile che affrontare i propri problemi, ma nonostante tutto ciò sia sbagliato, nonostante non possa affogare il dolore nell'alcool, nonostante i piercing e tatuaggi gli diano una apparente forza, in realtà è debole.
E' debole, ma fa lo spaccone, è debole e finge di essere forte, è debole e ferito, e solo, e Harry sa che non può fare a meno di lui, della sua corazza fatta di piume e del suo modo di vedere il mondo attorno a lui tutto nero, come il colore che lui ama tanto vestire per coprire e annegare le tinte fosche del suo cuore una volta pieno di sfumature brillanti.
Ma Harry non riesce a dirlo, anche se vorrebbe, perchè all'improvviso tutta la massa in subbuglio dei suoi sentimenti ribolle e schizza improvvisamente verso l'alto, bloccandosi a metà gola e rischiando di soffocarlo per la sua intensità, e così tutto quello che riesce a dire, tutto ciò che riesce a spiegare sputando fuori una misera frase e quasi tornando al suo precedente stato di mutismo è:
"Perchè ti amo, idiota" 
A dispetto dell'insulto a fine frase, il tono con cui essa era stata pronunciata era tremulo, strozzato ed assolutamente terrorizzato.
 Louis aveva alzato la testa di scatto, incontrando per un millesimo di secondo gli occhi lucidi del più piccolo, che subito aveva distolto lo sguardo, mentre anche le sue di guance diventavano color porpora.
Mi ama. Mi ama. Miamamiamamiama.
"Si?"
Il ragazzo tatuato era incredulo, perchè questo non era uno sguardo mal interpretato, o un bacio sulle labbra o a stampo che avevano mille significati che il mutismo inghiottiva nel suo abisso oscuro, era quasi una dichiarazione, ed era tutto quello che aveva sempre sperato, sognandolo ad occhi aperti fissando il soffitto di notte, al posto di dormire, pregando Quel Dio Che Non Lo Ascolta Mai di fare avverare quel suo unico bruciante desiderio, di dargli una possibilità di essere felice, promettendo che stavolta non l'avrebbe sprecata.
Era troppo bello per essere vero, e lui non ci credeva, perchè le cose belle non capitavano mai a lui.
Non se lo meritava.
"Si! Si!! Amo la tua voce mentre legge i libri, e il modo in cui la cambi per adeguarla ai diversi personaggi, o quando t'infili le auricolari e canticchi così forte da coprire la musica...
Ho sempre cercato di immaginarti, quando ancora non riuscivo a vederti, eppure ogni volta ottenevo solo un'immagine sfocata e confusa, ma poi ti hanno chiamato per farmi il bagno.
Ti ricordi?"
E come poteva lui dimenticarlo?
"Ti ho amato dal primo momento in cui t'ho riconosciuto, perchè nessun principe azzurro che mi ero costruito nella solitudine buia della mia testa poteva competere con te, perchè ogni minimo dettaglio che mi ero immaginato sbiadiva davanti alla perfezione dell'originale.
Perchè per una volta la realtà era migliore delle fantasie"
"M-ma... Ma... T'ho investito. Ed ero ubriaco. Sei qui a causa della mia stupidità, del mio egoismo, della mia inettitudine... Sei qui, e hai sofferto per colpa mia, Harry"
"Tutti fanno degli errori. C'è chi li fa meno gravi e chi combina catastrofi, ma non ho intenzione di fartene una colpa e odiarti per il resto della mia vita.
Quello che è stato è stato"
L'inserviente era senza parole.
I ricordi gli avevano riempito la mente come un fiume in piena.
"Io sarò sempre qui, sarò il tuo 'uomo che non si muoverà' resterò ad aspettarti con la neve, con la pioggia, per tutto il tempo che riterrai necessario, perchè ti ho messo in un casino quando non c'entravi assolutamente niente, e hai dovuto pagare le conseguenze delle mie azioni idiote, e non puoi neanche immaginare quanto mi dispiaccia"
"E se quando ti riprenderai l'unica cosa che vorrai fare sarà spaccarmi la faccia a pugni, bene, posso solo dire che me lo sono proprio meritato, ma se dopo avermi deviato il setto nasale in quante direzioni ti pare, possiamo ricominciare ed essere amici sarò infinitamente più contento"
Amici.
Quando Harry, o le infermiere sfinite dai suoi capricci e dalle sue urla inarticolate ed isteriche  lo mandavano a chiamare era questo che si ripeteva mille e mille volte nella sua testa:
"Amici. Solo amici" e si sentiva sempre in colpa per quel solo, perchè già quello che aveva era tutto quello che poteva desiderare, e sognare ad occhi aperti l'impossibile lo faceva sentire in colpa.
Ma dopo quello che aveva detto il più piccolo, il suo ragazzo panda, il suo ricciolino, tutto cambiava.
"Louis?"
La voce rotta dal panico e dalla paura aveva scosso il maggiore come se fosse stato attraversato da una potente scossa elettrica.
"Louis, ti prego, dì qualcosa. Qualsiasi cosa..."
Per la prima volta dopo la cocente rivelazione i loro occhi si erano incontrati, incatendandosi per sempre l'uno nell'altro.
"Io... Io non so che dire"
E lo intendeva veramente.
"Dì qualcosa. Qualunque cosa: mi piaci anche tu, ci penso per un po', non sono interessato, dormo che è meglio..."
Non l'aveva lasciato finire, e mentre entrambi s'attraevano irreparabilmente l'uno verso l'altro come due potenti calamite sottoposte alle leggi della fisica, decisero che non era colpa delle cariche negative o positive che duellavano nel loro animo, ma qualcosa di più grande e potente, dal quale non si poteva sfuggire.
Mentre per la seconda volta le loro labbra si toccavano, assumendo diversi significati rispetto alla volta precedente, carica d'una inconsapevolezza e di una spensieratezza ora sostituita dalla conoscenza del fuoco che insieme li ardeva, decisero che era tutta colpa del destino, che li aveva portati insieme in tragiche circostanze, facendoli sentire completi e vivi, anche se erano stati un passo dalla morte.
E quindi se era colpa del destino, aveva pensato Louis mentre arpionava Harry per il pigiama, al diavolo il passato, ormai obsoleto e irrimediabile nella sua lontananza, che si fotta il futuro, ancora sfocato e indefinito.
Perchè entrambi lo sapevano.
Sapevano che Harry non sarebbe stato malato in eterno, che presto sarebbe stato dimesso dall'ospedale e che le loro strade si sarebbero divise di nuovo, e stavolta la forza fatale che li aveva uniti fino a quel momento li avrebbe abbndonati, costringendoli a combattere per il loro amore e per rimanere uniti attraverso le mille difficoltà che la vita gli avrebbe riservato.
Chinandosi un'altra volta sulle labbra di Harry e cercando di scacciare l'insopportabile pensiero, Louis si ripetè di nuovo si fotta tutto: Haz ha ragione, quello che è stato è stato, e quello che verrà... è tutto da vedere.
L'unica cosa importante in quel momento era il futuro, e il ragazzo tatuato colse l'attimo, perdendosi ancora in un altro dolce bacio.






Angolo Finny *w*

Jingle bells, Jingle bell, Jingle All the waaaaaaay :)
Buona sera popolo di efp! Come andiamo? *cerca di svicolare perchè è in ritardo di ben 24 ore*
Umh... che posso dire?
Prendetevela con Leeroy hm che mi ha fatto correggere tutti i dialoghi! #alwaysblameothers lol
No, scherzo. Colpa mia che sto incartando i regali di Natale adesso XD (spero di non aver spoilerato a nessuno il fatto che Babbo Natale non esiste LOL)
Vi piace il capitolo? Hazzino cuoricino riacquisisce la sua vocina amorina, e dice tante belle cosine a Boo Boo amorino *w*
E a proposito di amorini... VOI siete amorine, anzi, amorinissime! * è strafatta di glassa per dolci, ma cerca di dare un senso a ciò che dice*
Un'immenso grazie e un'augurio di buone feste in omaggio a Lu, che non è per niente contagiata dallo spirito delle feste ( dai, questo povero Louis almeno a Natale potresti lasciarlo essere felice :P) Ele28 che adesso conosce la mia brutta faccia da strega e che mi ha dimostrato che l'amicizia non conosce distante e limiti #loveya Ila che mi manda in depressione senza whats app ( NOOOOOOOOOO COME SOPRAVVIVO SENZA TEEEEEEE T.T) Diana che non si chiama Diana ma Francesca che è un bellissimo nome, mica come il mio che pare il nome d'un barboncino -.- e che seguirò subitissimo su Twitter mentre faccio i fiocchi ai pacchetti XD, Annarita alla quale do' il benvenuto su questo folle e matto treno, giusto in tempo per le feste c: Caro e i suoi elogi che mi fanno arrossire così tanto che sembro una palla da appendere all'albero ( anche la forma è la stessa, rossa o non rossa ahahahahaha) Annie che ringrazio per avermi mostrato Reaping Ball, perchè l'ho fatto vedere a tutto il treno stamattina alle sei e sto ancora ridendo adesso, Larry_Art che spero che deponga le armi e la smetta di dare la caccia alla mia testa, Delia e la sua girlfriend che shippo da morire anche se non le conosco e alle quali auguro un Natale pieno d'amore, Swami che pensava di trovarsi un capitolo.... *tossisce* e invece si è trovata un'altra cosa, e ultima ma non meno importante Veronica che spero mi abbia perdonato per il mio imperdonabile ritardo nel recensire la sua ff ( non lo faccio più T.T mi sento così in colpa)
Al prossimo giovedì fanciulle, con un nuovo capitolo che s'addentrerà sempre più nella trama della storia che si fa sempre più complessa :) Che Babbo Natale vi porti tutto quello che desiderate sotto l'albero e che possiate passare delle feste meravigliose, che ve lo meritate!
Un bacio
Cami

Ps: Louis e Harry si uniscono a me nell'augurarvi Buone Feste!

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Capitolo 16
*** Living Could Be an Awfully Big Adventure ***


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16) I medici non se ne capacitavano.
Era scientificamente impossibile, slegato dalla sua precedente diagnosi, senza nessun nesso alle eventuali complicazioni che sarebbero potute insorgere e completamente sconcertante, eppure era vero: Harry Styles aveva iniziato a stare male, di nuovo.
All'inizio non ci avevano dato molto peso, accusando la leggera nausea e la diarrea ad un colpo d'aria che il paziente aveva subito durante la passeggiata serale nel cortile interno della struttura, sgridando severamente l'inserviente e proibendo nuove 'escursioni' fino a una completa guarigione.
Però un semplice colpo d'aria non si protrae per sei giorni, e soprattutto non è affiliato a mal di testa e incapacità di tenere nello stomaco persino un misero craker.
Avevano prelevato diversi campioni di sangue, urine, feci, eseguito lastre, ecografie, TAC...
Il ragazzo era sano come un pesce, leggermente disidratato e appena sottopeso per il continuo vomito, ma fondamentalmente non aveva niente che non andava, sulla carta.
La realtà si presentava brutale e incomprensibile agli occhi delle infermiere: il ragazzo tirava su persino il the a colazione, non s'alzava più dal letto, era di umore depresso/intrattabile/depresso e aveva ricorrenti attacchi isterici e d'ansia: quello che era un paziente pronto a essere dimesso, allegro e pieno di energia ora sembrava una pianta che non veniva annaffiata da troppo tempo, che vegetava secca e striminzita nel suo vaso, così come lui se ne stava tutto il giorno sdraiato sul letto, lamentandosi ad alta voce dei dolori intercostali ed interrompersi solo per rimettere.
Anne Styles non ci credeva.
Proprio adesso che il suo bambino stava per tornare a casa e che tutto stava per ricomporsi, tornando alla normalità, ecco che la sfortuna colpiva di nuovo facendo sorgere altri sgradevoli imprevisti.
Non che non fosse preoccupata, ovvio, ma quello che di più l'indisponeva era l'ostinato silenzio dei medici:
Com'era possibile che suo figlio stesse così male e che non avesse niente?
Avevano fatto mille e mille controlli, mille e mille anamnesi, eppure non erano ancora riusciti a giustificare i malori del loro paziente.
All'inizio pensava fossero stati i biscotti al cioccolato che aveva comprato, che si dissociavano completamente dalla sua dieta, ma poi aveva scoperto il pacchetto chiuso nel cassetto del comodino e ancora intatto, e si era sbarazzata dei sensi di colpa.
Se non era stato il cioccolato, allora cosa poteva essere?
Aveva provato a chiedere a Harry, ma tutto quello che aveva ottenuto era un "Non lo so, va bene?! Non lo so. Pensi che se potessi non la smetterei? Perchè mi devi sempre dare la colpa?! Sto male mamma, sto male! Perchè per una volta non mi puoi lasciare in pace e piantarla di assillarmi?" seguito da un attacco d'ansia in grande stile, con tanto di tremore, sudore, tachicardia e pallore, terminato con il suo stomaco che si rivoltava come un calzino nel bagnetto attiguo alla camera.
E Anne non aveva più osato chiedere.
Louis non se lo sapeva spiegare.
Harry stava uno schifo, e nessuno sapeva il perchè: la madre credeva che qualcuno l'avesse avvelenato, l'equipe medica che fosse colpa sua, che l'aveva fatto camminare fuori al freddo fino ad ammalarsi, e lui inizialmente aveva pensato a un virus.
Dopotutto anche lui che non si ammalava mai aveva preso la salmonella che girava in reparto.
Dopo l'ennesimo prelievo sanguigno, il ragazzo tatuato era rimasto con il malato, massaggiandogli piano le tempie e il ventre mentre alternava momenti in cui tendeva all'altro il catino con momenti in cui andava a svuotarlo nel bagno, cercando di non sboccare a sua volta.
Per Harry era già abbastanza mortificante così, senza che lui decidesse di fare lo schizzinoso.
Venti minuti più tardi una delle nuove infermiere che si occupavano del ragazzo panda e che faceva una silenziosa e spietata corte a Louis, si era affacciata dalla porta, esclamando:
" Louis, non è che mi fai un favorone? Mentre provo la febbre a Harry non è che puoi scendere in laboratorio a ritirare i suoi esami?"
Il giovne aveva alzato gli occhi.
"Ma sono tre rampe di scale!"
"Lo so... Sii cavaliere, non vorrai mica lasciare un tale sforzo a una vecchietta come me?"
E così si era ritrovato a sbuffare ed ansimare come un cavallo da traino vecchio e asmatico davanti al bureau mal illuminato del centro ematologico, pronto a ritirare l'esito degli esami del riccio.
Inutile dire che le infermiere erano in pausa caffè, attimo dorato di pace che lui aveva brutalmente interrotto.
" Buongiorno..."
"Posso esserle d'aiuto?" l'anziana donna aveva alzato gli occhio dalla sua tazza personalizzata e fumante, palesemente seccata.
" Devo ritirare gli esami del paziente Harry Styles. Sta in Medicina Riabilitativa"
"Ah, si, dovrei averli qui..."
La donna si era messa a frugare nei disordinati plichi di fogli spiegazzati sulla scrivania polverosa, impiegando più tempo del previsto e mettendo il ragazzo, già nervoso per conto suo, palesemente a disagio.
" Uhm... Vanno bene? Gli esami dico... Erano belli?"
L'infermiera aveva alzato un sopracciglio, e Louis si era dovuto trattenere dal non schiaffeggiarsi da solo.
Erano belli ?! Cos'aveva nel cervello, criceti?
Gli aveva teso dei fogli, dopo aver inforcata gli occhiali ed aver letto velocemente ciò che c'era scritto, sospirando stanca ormai rassegnata a non poter gustarsi il suo caffè in pace:
" Gli ha dato un occhio il primario prima... E' quel ragazzino della 163 che vomita da una settimana?"
"Si" era riuscito a risponderle lui, il pomo d'Adamo che quasi lo soffocava e il cuore a mille per la preoccupazione.
" Dagli esami strumentali non risulta nulla... E' una cagata... Sarà una roba psicosomatica"
Psicoche'?
Aveva pensato l'inesperto inserviente, ma non aveva osato chiedere dal momento che la  pigra donna l'aveva liquidato con un brusco gesto della mano, tornando con gioia famelica al suo caffè.
Psicocosa? Vuol dire che ha qualcosa che non va nel cervello? Ma che c'entra col vomito e col mal di pancia se è psicoroba?
Risalendo lentamente le scale (l'ascensore era fuori discussione, dal momento che bisognava fare la fila per prenderlo e essere stipato in una scatoletta del tonno da due metri quadrati per tre con altre dieci persone non rientrava nelle sue massime priorità di vita) aveva estratto dalla tasca dei jeans che portava sotto la divisa il suo caro e consumato telefono, che nonostante l'anzianità talvolta riusciva a connettersi a  internet.
Perchè da sempre Wikipedia era la risposta ai problemi esistenziali dell'uomo, e di certo funzionava più di Dio.
" I disturbi psicosomatici si possono considerare malattie vere e proprie che comportano danni a livello organico e che sono causate o aggravate da fattori emozionali. Disturbi di tipo psicosomatico possono manifestarsi nell’apparato gastrointestinale (gastrite, colite ulcerosa, ulcera peptica), nell’apparato cardiocircolatorio (tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica, ipertensione essenziale), nell’apparato respiratorio (asma bronchiale, sindrome iperventilatoria)..."
Louis aveva fissato lo schermo, inorridito.
Harry non voleva guarire, e lui sapeva perchè.
E questo era un grande, grande, grande problema.






Al rumore dei passi che rimbombavano nel corridoio Harry aveva nascosto la testa sotto le coperte.
Non avrebbe sopportato un altro prelievo o un altro interrogatorio pieno di domande idiote su come stava e cosa aveva mangiato.
Non sarebbe sopravvissuto ad un'altra visita di sua madre, che non faceva altro che lamentarsi dell'inerzia dei dottori e raccontargli di quanto fosse ansiosa di averlo a casa di nuovo, di magiare insieme e accompagnarlo la mattina a scuola...
I passi si erano fermati a qualche metro dal letto.
"Disturbo, bell'addormentato?"
A quelle parole non aveva potuto fare a meno di sorridere nonostante la spossatezza che provava in quei giorni, prima di uscire dal nascondiglio e fare la linguaccia al suo visitatore:
" Tu disturbi sempre Loueh"
Louis Tomlinson stava lì, svaccato sulla sedia in tutto il suo splendore fatto di jeans rotti e stropicciati, capelli scompigliati e piercing che riflettevano la luce proveniente dalla finestra.
E odore di tabacco e dopobarba, ovviamente.
" Ho ritirato i tuoi esami, Haz" il ragazzo a disagio si era messo a giocherellare con la manica bucata della felpa che indossava sotto la divisa " Ehm... Uhm... Ecco... Ti dimettono dopodomani"
Il ricciolo si era faticosamente messo a sedere, fumante di indignazione e rabbia:
"Dimettermi?! Dimettermi?! In queste condizioni?!"
"Apparentemente non hanno trovato niente"
" E come si spiegano il fatto che non tengo nulla nello stomaco da una settimana, uh?!"
Il ragazzo tatuato aveva distolto lo sguardo.
" Uhm... Potrebbe essere un disturbo psicosomatico. Cioè quando una tua ansia o paura si manifesta con disturbi fisici. Cioè, cioè, io non nego che tu non stia davvero male, ma..."
Aveva sospirato, come quando si prende aria prima di un'immersione:
"Harry, tu vuoi tornare a casa, vero?"
Nella stanza era calato un silenzio glaciale, tanto che il ragazzo-panda era sicuro che il più grande sentisse lavorare senza sosta gli ingranaggi del suo cervello, come le ventole di un computer in cortocircuito.
La domanda l'aveva proprio lasciato alla sprovvista.
Voleva davvero tornare a casa?
Questo voleva dire principalmente rientrare a scuola, fare gli esami integrativi a metà trimestre per rimettersi in pari sul programma perduto ma contemporaneamente seguire le lezioni e le regolari interrogazioni e verifiche su quello attuale, e questo significava un'ingente carico di stress, e sua madre gli sarebbe stata col fiato sul collo per farlo studiare, perchè studiare è il tuo lavoro adesso, e ti prepara al futuro, e i suoi compagni lo avrebbero assillato con domande assurde sull'incidente e gli insegnanti tutti preoccupati lo avrebbero preso da parte, piombandogli addosso all'improvviso nei corridoi come fetidi avvoltoi per chiedergli come stava, e la sua vita si sarebbe ridotta a casa-scuola-scuola-casa, e non avrebbe più rivisto Louis...
Lo stomaco all'ultimo pensiero si era violentemente stretto in una morsa, tanto che se avesse contenuto qualcosa l'avrebbe espulso a seduta stante.
Non l'avrebbe sopportato, non saprebbe sopravvissuto.
C'è chi si fuma, c'è chi beve, chi si taglia, chi si droga.
C'è chi s'innamora.
Ognuno si uccide a modo suo.
E lui aveva scelto il modo peggiore per morire: si era innamorato del suo carnefice, come l'agnello del lupo, ed era certo che sua madre non l'avrebbe mai, mai, mai accettato.
Anche se fosse stata una ragazza alla guida di quella maledetta Audi e dentro quei meravigliosi blue jeans. Anche se Louis avesse chiesto una bolla papale per confermare il suo pentimento.
Anche se avesse passato il resto della sua vita chiuso in un convento di penitenti.
Harry aveva alzato lo sguardo verso il ragazzo più grande, gli occhi pieni di lacrime e di fiducia, perchè lui avrebbe capito, perchè a lui poteva dirlo...
" Io... Io non lo so"
La voce si era incrinata sulle ultime parole, e il più piccolo aveva nascosto la faccia tra le mani, diviso tra senso di colpa e disperazione.
" Devi saperlo Harry. E' questo che ti sta infettando"
" Mi manca la mia vita ma... non posso far finta di niente! Non posso comportarmi come se fosse stata una bella vacanza, una parentesi della mia vita da cancellare, come se tutto questo non fosse mai accaduto, come se tu non fossi mai esistito"
Aveva sentito la mano calda dell'altro posarsi sulla sua spalla.
" Nessuno ti chiede di far finta di niente"
"Si invece. Tornerò a essere il recluso in casa, il cocco dei prof che tutti guardano con invidia, lo sfigato con amici sfigati che fanno cose sfigate... Io non voglio. Voglio tornare a casa perchè mi manca il mio letto e la mia famiglia, ma mi mancherai anche tu. E non voglio che mi manchi, perchè se mi manchi vuol dire che una volta uscito da sto posto non ci vedremo più..."
"Harry, Harry, Harry!!!" il più grande aveva interrotto il delirio del piccolo paziente, scuotendolo per le spalle "  Non posso prometterti che i professori ti odino o che non diano più compiti che impiegheranno tutto il pomeriggio, o che i tuoi amici la smettano di fare i nerd e inizino a vivere, ma ti prometto che una volta varcata quella soglia non ci diremo addio. Okay, magari ci vedremo un po' di meno, ma forse mi ridurranno ulteriormente l'orario di lavoro, e forse se studiassi di meno saresti meno stressato e pronto a uscire di casa a fare cose normali, cose che tutti fanno! Ma ci pensi! Potremmo passeggiare dove ci pare, fare merenda nei bar con la cioccolata calda, unica cosa che mi potrò permettere, e potremmo mangiare pizze ogni weekend e andare al cinema a vedere film cretini o semplicemente parlare, parlare e parlare..."
Il più piccolo aveva tirato su col naso.
" Mia mamma non lo permetterà, c'è lo impedirà"
Louis gli aveva scompigliato i capelli " Non ci riuscirà" aveva ridacchiato " Noi siamo più forti di lei"
" Davvero?"
" Si, e comunque ciò che è destino troverà sempre un modo. Fidati"
Gli aveva teso il solito fazzoletto intriso di fumo e nicotina.
" E poi che  razza di relazione si vive tra quattro mura di un ospedale?"
Morire può essere una grandissima avventura, aveva sibilato dentro la testa di Louis il vecchio, ferito, stanco e suicida se'.
Quante volte ci aveva pensato, mentre Zayn gli passava le canne e Stan gli porgeva una lattina di birra?
Tante, tantissime.
C'erano giorni nei quali non riusciva a pensare ad altro, fissando con smodato desiderio il tubo in gomma della doccia, la bombola del gas sotto i fornelli insieme all'amoniaca e i detersivi o ai coltelli di fianco al piatto a tavola.
Per capire il valore della vita aveva quasi dovuto uccidere una persona.
Era quasi un paradosso.
" Me lo prometti?"
" Cosa?"
" Che non sparirai, che non mi lascerai andare, che resterai nonostante tutto..."
" Lo prometto"
Louis si era seduto sul letto affianco a Harry, per poterlo abbracciare meglio e giocherellare con i capelli che lentamente stavano ricrescendo.
Erano rimasti un attimo in silenzio, prima che la voce di nuovo tremula del più piccolo infrangesse la pace sonnolenta nella quale la stanza era immersa.
"Louis... Mi concedi un ultima canzone sulla nostra panchina?"
Il ragazzo col viso tra i ricci dell'altro aveva sorriso: forse dopotutto avevano risolto il problema, ed erano entrambi pronti ad andare avanti.
Questa volta insieme.







I was a quick-wit boy, diving too deep for coins
All of your street light eyes wide on my plastic toys
Then when the cops closed the fair, I cut my long baby hair
Stole me a dog-eared map and called for you everywhere

Have I found you
Flightless bird, jealous, weeping or lost you, american mouth
Big pill looming

Now I'm a fat house cat
Nursing my sore blunt tongue
Watching the warm poison rats curl through the wide fence cracks
Pissing on magazine photos
Those fishing lures thrown in the cold
And clean blood of Christ mountain stream

Have I found you
Flightless bird, grounded, bleeding or lost you, american mouth
Big pill stuck going down





Era capitata con la riproduzione casuale, quel giorno amaro sulla panchina del cortile dell'ospedale, ma a Louis e Harry era sembrato un segno superiore, e uno si era messo a fumare e l'altro a fissare il cielo, cercando di convincersi che quella non era la fine, ma solo l'inizio di una nuovo capitolo della loro vita, lontano da morte sofferenza e dolore.
Il giorno dopo il Ragazzo che Guardava il Cielo aveva ordinatamente piegato i pigiami nella sua valigia, provando dopo molti mesi l'ebbrezza di indossare un paio di jeans che gli sfregavano ruvidi contro la pelle, prima di nascondere sotto la pila di vestiti un berretto di lana morbida a forma di panda e cercare di ignorare il pizzicore nella gola e negli occhi.
Aveva varcato la soglia del corridoio del reparto scrutando l'atrio, disilluso, mentre sua mamma trascinando il trolley chiacchierava a tutto spiano su quello che avrebbero avuto per cena e su quanto fosse meraviglioso riaverlo di nuovo a casa, mentre lui respirava profondamente, lasciando che la delusione si conficcasse dentro di lui come pugnali infuocati.
Non si era mai voltato indietro, ripetendosi meccanicamente come una litania che non era un addio, non era un addio, non era un addio...
Se mi girò tradirò il nostro segreto.
Se guardo indietro non riuscirò più ad andare via.
Louis...
E così come Orfeo con la sua Euridice aveva piantato lo sguardo per terra, muovendo un passo dopo l'altro, costringendosi ad andare lontano, soffocando i suoi ripensamenti e i rimpianti, uccidendo le domande e i dubbi, verso il destino che fuori lo aspettava...
Una folata gelida nonostante i timidi raggi di sole di quel primo pomeriggio invernale lo aveva accolto quando sua madre aveva spalancato la porta d'ingresso della struttura.
Aveva camminato sui carboni ardenti fino a metà parcheggio, diretto verso la macchina mentre sua madre infilava la valigia nel portabagagli, saltellando qua e la eccitata.
Non c'è l'aveva fatta, si era voltato.
Perchè faceva troppo male che Louis non fosse venuto a salutarlo, perchè il pensiero dell'ignoto lo spaventava e la sua non-presenza lo spaventava ancora di più.
E si era voltato, fissando la facciata del St Barbara per l'ultima volta, in un commiato silenzioso.
I suoi occhi erano stati attratti dalla fila di finestre al quarto piano, e l'aveva visto.
Perchè sapeva dove guardare.
Si erano fissati per un attimo, e Harry non aveva avuto più paura.
Era salito in macchina, interrompendo gli ansiosi richiami della madre, sentendo due occhi azzurro cielo perforargli la nuca e augurargli arrivederci, prima che l'auto sgommasse via, sempre più lontano, diventando una macchina in mezzo a tante macchine imbottigliate nel traffico, e infine un puntolino minuscolo inghiottito dall'orizzonte.
Il Ragazzo che Fumava però non si era mosso,  continuando a fissare la linea dove il paesaggio sfumava in qualcosa che era troppo lontano per essere raggiunto, le mani affondate nelle tasche per impedirsi dolorosamente di salutare, la fronte premuta contro al vetro e gli occhi fissi sul futuro.
Si era acceso una sigaretta, respirando a pieni polmoni l'aria fredda e i raggi di sole.
Perchè vivere può essere una grandissima avventura.







Angolo Finitem :)

Sono una grandissima merda.
Sono una grandissima, stratosferica, gigantesca merda ambulante: sono 20 gg che non aggiorno!
Ho passato un Natale tranquillo ( quindi non ho scusanti) e un pazzo pazzo pazzo capodanno ( 48 ore in piedi, petardi in camera e la sottoscritta ubriaca di vodka che a momenti con un fuoco difettoso mandava a fuoco tutto il paesino di montagna dov'eravamo... QUESTA è una scusa) e per di più il 28 ho la simulazione di terza prova T.T
In sintesi, sono un poco sclerata ed isterica ( tutte le maturande mi capiranno .-.) ma prometto che dal prossimo mercoledì in poi aggiornerò puntualissimevolmente!
Quindi, velocissimamente perchè ho 5 materie da studiare ( gli argomenti da settembre a oggi) ringrazio e bacio Ele con cui mi scuso perchè se non ci sentiamo è anche un po' colpa mia e stessa cosa vale per Ilaria, rido' il bentornata a Erica e il Benvenuto al lato oscuro di Malu, se posso anche io permettermi di chiamarti così e a Courtney131love :) Ellie che è onnipresente anche se non recensisce, come il capitolo 14, Annie alla quale auguro un buonissimo anno pieno di Odesta #ifyouknowwhatimean, Caro che riporta vecchie promesse ormai dimenticate ( della serie, non saprei manco come iniziare il sequel di Moments :O) Veronica che spero sia rimasta illesa dai parenti, 1D_1D che non mi chiedeva di ritardare e invece.... Francy mi scuoierà viva, lo sento... Prometto che se mi risparmi aggiornerò subitissimissimissimo apopena terminato il capitolo. Non ucccidermi ti prego.
Delia che mi minaccia di farmi brutte cose se succede qualcosa di brutto... ooops già fatto :) ma come hai visto si è sistemato subito :) Marti_lala che, a quest'ora mi parla di dolci e io sono a dieta ( gnammmm fame fame fameee) Lu che spero sia sopravvissuta al Natale pieno d'amore e gioia dal momento che potrebbe essere la sorella a lungo perduta del Grinch ( pelame e verde a parte spero) Swami alla quale faccio gli auguri di Natale in ritardo  ( di nuovo ooops)  e Leeroy hmm che il primo giorno di scuola mi ha salutato con un " Tuuuuuu perchè non hai aggiornato?!"
Dovete a lei la mia presenza qui oggi puhahahaha, non so se sia un bene o un male XD
Tantissimi baci e ancora non uccidetemi, vi prego.
Abbiate pietà di una povera scrittrice.
Tanto amore
Cami
Ps: Cosa ne pensate del nuovo tattoo di Hazzino cuoricino?
Ps del ps: Tanti auguri a teee taanti auguri a teee tanti auguri-in-ritardo-di-un-giorno caro Zaaaaaayn tanti auguri-in-ritardo-di-un-giorno-ma-non-mi-andava-il-wifi a teeeee :')


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Capitolo 17
*** Joining The Dark Side ***


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17) 17. Joining The Dark Side


" Come è andata al lavoro oggi?"

Louis aveva cercato di digitare qualcosa di coerente e sensato con una mano, mentre con l'altra strappava il telecomando di mano a Fizzy, cercando di arbitrare la partita di wrestling tra lei e una delle due gemelline, in quel momento non gli importava quale, urlando a entrambe di smetterla se non volevano pulire i piatti sporchi della cena con la lingua.
Una volta sospesa la lotta e appoggiato il telecomando lontano dal campo di battaglia aveva sporto la testa dal corrimano delle scale, strillando a pieni polmoni verso il piano di sopra:
" Lottie! Apparecchia!"
Poi, finalmente la sua attenzione si era dedicata completamente allo schermo del suo telefono, acceso sulla schermata di what's app con la sua conversazione con 'Hazza'.
" Bene, bene... Niente di nuovo: ho ritrovato la dentiera della Sig.ra Carrey nel suo letto mentre cambiavo le lenzuola, abbiamo visto di nuovo Casablanca (ormai so le battute a memoria) e il Sig. Davis imbroglia a scacchi e in più oltre il danno pure la beffa perchè mi da del tarato. E' una noia da quando sei andato via"
Il ragazzo, tenendo sempre il telefono in mano, come se fosse il prolungamento del suo braccio, si era trascinato ai fornelli, mettendo sul fuoco una pentola piena d'acqua e richiamando ai suoi doveri ancora una volta la sorella minore, chiusa in camera sua al piano superiore.
Un altro ' Lottie' esasperato era stato smorzato dal fischio del cellulare, che indicava l'arrivo di un altro sms.
" Lo so, lo so, me lo dici sempre. E' una settimana che me lo ripeti"
"E' perchè mi manchi"
" Mi manchi anche tu"
" Cosa fai tutto il giorno senza di me?"
Il ragazzo tatuato aveva aperto  il pacchetto della pasta con i denti, mentre con la mano libera cercava di aprire un barattolo di passata di pomodoro aspettando trepidante la risposta.
" Nulla... Leggo, gioco col gatto, sto su Facebook, guardo la Tv... Mi annoio in effetti"
Louis aveva sorriso.
"Siamo in due"
Aveva versato la passata nella padella e l'aveva messa a scaldare, prima di pesare la pasta alla cazzo, dal momento che le sue capacità matematiche erano pressochè inesistenti.
Si era dimenticato che Lottie era al lavoro.
Merda.
"Daisy! Phoebe! Fizzy! Qualcuno apparecchi!"
Aveva versato la pasta nell'acqua che bolliva.
Merda.
Aveva dimenticato di aggiungere il sale.
Sopprimendo l'istinto di picchiarsi da solo e guardando appena l'orologio nel microonde per evitare di far scuocere la cena, aveva ripreso in mano il cellulare.
" Domani dovrei rientrare a scuola"
Se lo vedeva Louis, tormentarsi i quattro peli che aveva in testa e mordersi le cuticole fino a farsi sanguinare le dita dall'ansia.
" E questo è male?"
"Si. No. Non lo so"
" Vuoi che ti chiamo?"
"Non puoi, mamma è a casa"
"Ah. Ma almeno mi dici perchè non sei contento di tornare dai tuoi compagni e dai tuoi amici?"
Il ragazzo aveva mollato il telefono sul ripiano della credenza prima di stendere la tovaglia frettolosamente, tutta storta e stropicciata, ormai rassegnato a dover far da solo.
" Non lo so" aveva letto quando aveva ripreso in mano il telefono " Tutti mi faranno domande e mi fisseranno. E' una cosa che odio"
" Brutta cosa la popolarità" aveva scherzato Louis mentre come un equilibrista impilava i bicchieri, piatti e posate e li portava in tavola tenendoli con una mano sola.
Aver lavorato come cameriere per più di sei mesi aiutava.
A questo punto poteva lasciare la scuola e andare a lavorare in un circo.
" Non sono popolare!" aveva specificato Harry " Sono un fenomeno da baraccone, il povero bravo ragazzo che era sempre in oratorio che è stato investito da un  pazzo ubriaco"
Dimenticandosi un attimo della pasta, il ragazzo aveva digitato furioso " Meglio fenomeno da baraccone che pazzo ubriaco, tanto per la cronaca"
"Touchè. Scusa. Non stavo pensando"
Louis aveva appena fatto in tempo a leggere le scuse dell'altro quando aveva visto l'acqua della pasta che ribolliva in una frizzante schiuma bianca che strabordava dal bordo della pentola, gettandosi suicida tra le fiamme dei fornelli e sul pavimento.
Cazzo cazzo cazzo.
Il ragazzo si era precipitato verso l'angolo cottura, imprecando ad alta voce mentre afferrava i manici della stoviglia incandescente e gettava il contenuto nello scolapasta nel lavello, spargendo spaghetti ovunque tranne che nell'arnese.
Merda.
Sentiva il cellulare abbandonato sul tavolo fischiare selvaggiamente e così, una volta spento il gas si era precipitato a leggere il papiro di scuse del suo ragazzo-panda.
"Piantala di scusarti!" aveva digitato " Va tutto bene: non rispondevo perchè sono un marcione tarato"
Gli aveva inviato una foto della pasta sparsa nel lavandino e quell'unico spaghetto supersite nello scolapasta.
Harry aveva risposto dopo qualche minuto con una serie di faccine divertite, prima di scrivere "Mi sto pisciando sotto dalle risate... Oddio, decedo! Sei proprio un marcione tarato!!"
Louis, terminando di apparecchiare e raccattare la pasta per rimetterla nella pentola ed aggiungerci il sugo, aveva sorriso: se riusciva a farlo ridere e distrarre un po' vuol dire che non era inutile come pensava.
A qualcosa ancora serviva.
" Mi sento offeso"
Gli era arrivata una faccina che gli faceva una linguaccia.
Aveva riposto anche lui con uno sberleffo, prima di aggiungere:
" Vorrei vederti io a cucinare con una mano sola!"
Gli aveva mandato un bacio, aggiungendo un "Ti lascio andare a mangiare allora. Anche se non vorrei mai essere un suo commensale, oh Chef Marcione"
"Scemo"
"Buon appetito"
" Grazie. Ti chiamo domani, così mi racconti"
" Okay. Ti amo"
Mentre le gemelline facevano irruzione in cucina proclamando a gran voce che sarebbero morte di famissima se non avessero avuto del cibo subito, Louis aveva sorriso.
"Buonanotte panda, a domani. Ti amo anche io"









"Allora? Come è andata?"
Harry non aveva nemmeno fatto in tempo ad alzare la cornetta che Louis lo aveva investito di domande.
"Eri nervoso? Che hanno detto i tuoi amici? E i prof? Sei contento?"
" Louis calma!"aveva strepitato nella cornetta " Non è stato tutto sto granchè. Davvero. I miei amici erano contentissimi di vedermi e i professori ci hanno dato il permesso di festeggiare in classe con dei salatini, delle bibite...
Marcel mi ha organizzato questa specie di festa-lezione a sorpresa, e i prof si sono tutti fermati a chiedere come stavo, se mi serviva aiuto... Robe così"
"Non sembri molto entusiasta"
Harry aveva sospirato.
" Non è stato nulla di speciale, Loueh. Non c'è nulla di cui essere entusiasti"
"Ti aspettavi di più?"la voce dell'altro si era fatta riflessiva e così seria da sfiorare la tristezza.
"No, certo che no..."
" E allora dov'è il problema?"
" Il problema è che sai, mi aspettavo un 'bentornato' o qualcosa dai miei compagni di classe, un minimo di interessamento sulla mia salute e non su 'quello che farò per rimettermi in pari'
Ho chiesto gli appunti di algebra a cinque persone, cinque, e nessuno me li ha voluti prestare, l'unica domanda che mi è stata rivolta è se potevo essere subito inserito nel giro delle interrogazioni o preferivo una settimana di pausa, e in più ho scoperto che in mia assenza mi hanno eletto rappresentante di classe e che devo compilare tre verbali dell'ultima assemblea.
E indovina cosa?! Io non c'ero"
Il ricciolo aveva sentito il più grande fremere dall'indignazione, prima di esplodere di rabbia:
"Brutti figli di buona donna, ratti di fogna, esseri immondi..."
"Louis"
" Sono dei bastardi opportunisti e falsi. Sono solo invidiosi perchè tu sei più intelligente di loro, e perchè sanno che non saranno mai alla tua altezza. Devi solo lasciarli perdere"
"Lo so. Non importa: aspettarsi per una volta di essere trattato da essere umano al posto che da librone stampato è troppo"
Il tono deluso del più piccolo feriva a morte Louis, che essendo a sua volta un reietto outsider capiva cosa si provava a essere guardati come carta da parati al posto che essere pensante che prova sentimenti.
A quanto ne sapeva lui importava eccome.
"Com'eri vestito?"
Aveva chiesto, desideroso di distrarlo e di farlo sentire meglio.
Harry era rimasto spiazzato dall'improvviso cambio di argomento.
"Come scusa?"
"Com'eri vestito?"
"Perchè vuoi saperlo?"
" Per immaginarti meglio"
Lo aveva sentito sorridere dall'altro capo della cornetta.
" Bah... Jeans, tennis e una felpa colorata"
" Colore?"
" Arancione. Sei un maniaco"
Louis aveva ridacchiato.
"Solo quando si tratta di te Haz, sai?"
Il più piccolo, palesemente imbarazzato, aveva precipitosamente cambiato l'oggetto di conversazione.
" E tu?"
"Cosa?"
"Come sei vestito? Sai, per immaginarti meglio"
" Ti va male riccio: sono come mi hai sempre visto... In divisa"
"Perchè? Dove sei?"
"Sto andando al lavoro, che domande! Mi aspettano 2 ore in compagnia di simpatici vecchietti, ancora più simpatiche infermiere e odore di piscio di gatto"
" Beato te... Mi attendono due ore di letteratura inglese più mezzo libro di storia da recuperare. Mi esplode la testa dallo stress al pensiero di tutta la roba che devo recuperare... Ehi, non è che mi investi di nuovo?"
" Non è divertente"
Il tono inequivocabilmente serio e di rimprovero del più vecchio aveva spento ogni ilarità.
"Scusa. E' che mi viene voglia di buttarmi giù da un ponte al pensiero di ricominciare tutto il tram tram da capo"
Il tono di Harry era veramente triste e abbattuto, e il badboy insito in Louis non ci aveva messo più di due secondi per tentare di portarlo sulla via della perdiziona.
"Manda tutto a fanculo Harry. Nessuno morirà se per una volta non sei il primo della classe"
" Ti sbagli: io morirò, e per mano della mia stessa madre!"
"Tua madre ha bisogno di rivedere le sue priorità" era sbottato Louis, non riuscendo a celare la sua antipatia verso Anne "Preferisce avere il piccolo genio depresso o un figlio felice?"
" Bho, a volte me lo chiedo anche io"
" Dai Haz, molla lì tutto. Molla libri e quaderni e vieni da me, dai. Unisciti al lato oscuro, abbiamo biscotti al cioccolato"
"Scordatelo Louis. Ho un mucchio di roba da fare"
"Potrei darti ripetizioni io... Sono un genio! Devi solo chiudere gli appunti e portare le tue chiappe qui"
Harry aveva riso forte nella cornetta, prima di chiudere la chiamata, congendandosi con un:
"Non mi avrai mai, Satana"
E Louis gli aveva creduto, dimenticandosi  totalmente della loro conversazione ( e tentata traviazione) nelle successive due ore: le infermiere erano particolarmente simpatiche quel giorno, i vecchietti ancora più statici e prossimi a passare a miglior vita e il piscio di gatto rischiava di corrodergli i polmoni ad ogni respiro.
La Fulton si dimostrava, come sempre, utile come un gatto in superstrada, tanto da confondere i suoi stessi ordini:
" Sono finite le sonde!" aveva urlato facendo irruzione nel reparto "Dov'è quell'inutile scimunito?"
Intendeva lui, ovviamente.
Dopo le prime settimane, quando ancora rimaneva scioccato, Louis iniziava a pensare che lo insultasse in modo affettuoso, dopotutto aveva sentito chiamare suo figlio al telefono ' essere inutile e senza forma'...
Affettuosamente o no, la vecchia bacucca l'aveva spedito all'ultimo piano a fare rifornimento, e lui avrebbe preso volentieri l'ascensore se un troglodito sfasciaballe che portava al braccio una vecchietta esile come una ragnatela mossa dal vento non avesse proclamato la sua presunta precedenza nella fila, prima di indignarsi a voce spropositamente alta sul fatto che i giovani facevano sempre i furbetti, cercando sempre la via più breve e rubando il posto in ascensore alle povere e oneste persone normali...
S'è l'era fatta a piedi.
La prima volta a mani vuote, e la seconda volta con le braccia ingombre di due scatoloni pieni di sonde e sonde sterili pigiate le une sulle altre tanto da rischiare di far esplodere il cartone.
E come se non bastasse, appena sistemato l'ultimo scaffale della dispensa dei medicinali la donna era tornata all'attacco:
" Tomlinson!"
"Si?"
" Sono le 15.45!!"
" E quindi?"
" Quindi, i referti medici dei pazienti sono stati portati in laboratorio un'ora fa e sono pronti per essere ritirati, brutto scansafatiche idiota e senza spina dorsale!"
E quindi dopo la scarpinata fino al tetto, era anche dovuto scendere fino al centro della terra, sempre nel bunker polveroso e buio dove l'infermiera-con-la-tazza-personalizzata-perennemente-in-mano ( la stessa che gli aveva visto usare quando aveva ritirato le analisi di Harry) gli aveva pigramente teso una pila di cartelle rigide coi bordi appuntiti che puntualmente gli si infilavano nella pelle, prima di congedarlo soffiando sulla sua cioccolata calda.
" Tra mezz'ora stacco, tra mezz'ora stacco, tra mezz'ora stacco" pensava il povero ragazzo, ripetendo il mantra ad ogni gradino che s'interponeva tra lui e la geriatria, con il fiatone e la lingua a penzoloni dalla stanchezza: non bastava lavare vecchi obesi dagli 80 chili in su, spazzare il pavimento in ginocchio e spingere carrelli di metallo da una tonnellata, ora doveva pure allenarsi per l'arrampicata.
Era così stanco e incazzato per il servilismo e lo sfruttamento a cui era costretto che una volta tornato ai piani alti dov'era in servizio non aveva nemmeno cagato di striscio la schiera di nonnini seduti sul divano sfondato a guardare di nuovo Casablanca, o almeno, non ci aveva fatto caso finche due giovani gambe strette in un paio di blue jeans e vecchie Adidas non erano spuntate fuori dal nulla rischiando di mandarlo a gambe all'aria sul vecchio tappeto peloso se non avesse saltato in tempo.
La compagnia dei vecchietti supersiti era scoppiata a ridere, ignorando la sua occhiata assassina e il suo "Ma che cazzo?!" dopo essersi girato di scatto, furibondo e pronto a sfogare tutto il suo stress con una bella scenata.
Ma non aveva avuto il cuore di farlo: tutta la rabbia che provava era svanita come neve al sole quando aveva incontrato quei bellissimi occhi verdi che lo facevano andare fuori di testa come il più potente dei trip.
"Guarda dove metti i piedi" aveva provato a dire Harry con tono da duro, rovinando il tutto con il suo sorriso dotato di fossette da Cherubino.
"Oi! Cosa ci fai qui?" era inorridito: aveva fatto tutta la strada a piedi?!
" Mi ha portato mia mamma quando le ho, uhm, casualmente menzionato quanto fossi legato a questi vecchietti e del fantastico the delle 16.00..."
"Shhh!" li aveva sgridati la Sig.ra Bruce, sputacchiando ovunque e distogliendo lo sguardo famelico dallo schermo.
" E lei t'ha lasciato uscire?" aveva sussurrato l'inserviente, una volta che l'attenzione dell'anziana donna era ritornata al film.
" Le ho detto che comunque dopo mi sarei trovato in biblioteca con un compagno per fare ripetizioni"
Al pensiero di aver mentito a sua madre Harry era arrossito, la colpa che gli si dimenava nelle viscere come un pesce catturato ancora vivo.
Ma d'altronde, che poteva fare? Altri cinque minuti a fissare il libro di storia, fermo a pagina 5, sapendo che i suoi compagni erano a pagina 125, e sarebbe diventato matto.
" E poi mi hai promesso dei biscotti al cioccolato"
Louis aveva ridacchiato piano, prima di controllare l'orologio:
" Venti minuti e sono tutto tuo. Intanto, perchè non vieni di la a giocare a dama con il Sig. Davis? Così almeno puoi provare l'ebbrezza di essere chiamato ' idiota tarato' anche tu"
" Non contarci" aveva esclamato il ragazzo, alzandosi dal divano e superandolo diretto nell'altra stanza " Sono un asso a dama"
E diceva il vero.
Dopo aver sistemato le cartelle e messo a sterilizzare la biancheria, prima di rifare i letti con quella pulita, il più grande aveva assistito agli ultimi, emozionanti momenti dello scontro sul piano di gioco: non aveva mai visto il vecchio così concentrato e assorto prima d'ora.
Evidentemente era davvero un idiota tarato.
La partita si era conclusa con una vittoria all'ultimo minuto di Harry, che era stato invitato a tornare l'indomani dall'anziano, onorato e sorpreso di avere un avversario del suo stesso livello.
A Louis non aveva dato fastidio, soprattutto perchè Harry aveva infilato velocemente il suo giaccone prima di congedarsi frettolosamente ed essere trascinato fuori, nelle strade della città dove l'aria gonfiava i sacchetti della spesa abbandonati sui marciapiedi vicino ai bidoni della raccolta differenziata e le macchine gli scompigliavano i capelli sfrecciando a tutta velocità di fianco a loro.
Il maggiore si sentiva tre metri sopra il cielo: come aveva potuto pensare di non essere voluto da Harry una volta dimesso, di essere dimenticato, di essere rifiutato...
Non era forse più bello poter fermarsi a guardare le vetrine, sorridere ai passanti, essere liberi di andare dove volevano quando volevano, piuttosto che camminare tra le pareti asettiche e puzzolenti di un ospedale, a fianco di barelle e carrozzine piene di morte e disperazione, sottoposti al comando e al coprifuoco delle infermiere?
Solo in quel momento, nel profondo sentiva di aver in qualche modo aver avuto paura della guarigione di Harry e delle sue conseguenze, ma non era forse valsa la pensa avere un po' di timore, ora che insieme potevano camminare per le strade come due persone normali, lasciandosi alle spalle il dolore e la colpa dell'incidente quasi fatale che li aveva portati insieme?
Mentre prendeva posto in un anonimo bar di fianco all'edicola, Louis pensava di sì, soprattutto perchè l'altro sorrideva nel suo solito modo candido, innocente e disarmante.
Harry sorrideva perchè era felice, perchè tutta l'ansia del futuro e di come l'avrebbe affrontato era sparita nel momento in cui aveva visto la piacevole meraviglia dipinta nel volto dell'altro nel vederlo.
Non era deluso dal fatto che non avesse ancora recuperato la seconda rivoluzione francese, non si sentiva a disagio scoprendo che stava facendo quello che non avrebbe dovuto fare, mentendo e ignorando i suoi doveri ai quali di solito era così ligio, non si aspettava che lui tornasse con naso infilato tra i libri...
Louis non voleva questo da lui.
Voleva solo trascorrere del tempo insieme con lui, facendo cose normali in posti normali ad orari normali, ora che erano fuori da quella piccola parentesi che era stato l'ospedale.
Ora che era scampato alla morte ed era guarito da tutti i suoi mali, Harry poteva permettersi di essere egoista e di ringraziare il destino per averli fatti incontrare, mettendo Louis ubriaco su quell'Audi la notte dell'incidente.
Certo, pensando a quanto Gemma e sua mamma avevano sofferto si sentiva un depravato, ma d'altronde le cioccolate non servivano ad affogare i pensieri e le preoccupazioni nella felicità liquida?
"A che pensi?"  aveva chiesto Louis , prendendo un sorso della propria aveva interrotto le sue macchinazioni interiori.
" Penso che sono felice di essere seduto qua con te oggi" aveva bevuto anche lui, per coprire il rossore che quelle parole gli causavano, scottandosi tutta la lingua e arrossendo ancor di più.
" Anche io sono felice. Non mi succedeva da tanto" anche il maggiore gli aveva sorriso imbarazzato, rompendo il ghiaccio e dando inizio alla conversazione.
Avevano parlato, parlato e parlato: di quanto certe materie scolastiche facessero schifo, di come la Fulton spadroneggiasse su Louis, di quanto Anne fosse apprensiva-oppressiva nei confronti del figlio, dei 101 modi per torturare più crudelmente possibile i compagni sia dell'uno che dell'altro...
Ovviamente erano uno più pazzo e improbabile dell'altro, ma loro ci ridevano sopra, accontentandosi di gioire del semplice pensiero e della facile teoria.
Una volta finita la cioccolata si erano diretti al bancone a pagare, dove era avvenuta una piccola zuffa per chi avrebbe pagato, che aveva visto Harry trionfale vincitore e Louis perdente sconfitto che soffiando un ' la prossima volta sta' minchia che paghi tu' aveva rimesso via il portafoglio, mentre usciva all'esterno, fissando la volta celeste scurirsi per il sopraggiungere della sera.
" Hey, non te la prendere... D'altronde sono in debito no? Sennò come te le pago le ripetizioni?"
Harry era a due passi da lui, pienamente illuminato sotto la luce giallastra del lampione appena acceso.
Louis era sbiancato.
" Accidenti! Io non ho portato nessun libro Haz... Secondo te è ancora aperta la biblioteca?"
Un ghigno furbesco arricciò le labbra del piccolo, mentre uno sguardo di maliziosa intesa gli illuminava il viso.
" Biblioteca? Ma non ci siamo già stati?"
E a Louis era venuta una voglia irrefrenabile e irresistibile di levargli quel sorriso da schiaffi che stonava su una faccia tanto angelica, e assaggiare i suoi baffi di cioccolata, e così lo aveva spinto contro al lampione, troncando ogni sua protesta sul nascere, zittendo quella lingua lunga che si ritrovava.
E così l'aveva fatto.
Libero, senza la paura che Anne spuntasse furibonda dietro da qualche angolo pronto a fargli la festa, senza l'angoscia che qualche infermiera curiosona vedesse ciò che non doveva vedere, finalmente lo assaporava fino in fondo.
Due ragazzi si baciano appassionatamente nel bel mezzo del marciapiede, sotto lo sguardo indiscreto di tutta la gente, che è costretta a fissarli e a riconoscere il loro amore, e a scendere nella strada e fare un  pezzo in balìa del pericolo delle macchine, perchè non si può passare perchè i loro corpi ingombrano e impediscono il passaggio, e fa freddo e i loro respiri condensati e uniti salgono in spirali verso il cielo come la più dolce e mortale delle sigarette, ed è buio e i negozi iniziano a chiudere, e inizia a piovere e il cellulare di uno dei due inizia a squillare rumorosamente, ma a loro, in quel momento, importa poco o nulla.


Angolo Finny *w*

Buenas Diasssssssssss :)
Eccomi qui, puntuale come un treno Svizzero ( No, Novi) la sottoscritta s'appresta ad aggiornare!
Che dire sul capitolo in questione?
Harry è un po' me, un po' in fase pentola-a-pressione-che-sta-per-esplodere-per-il-troppo-studio, datemi retta, emigrate in Australia prima della quinta liceo, e salvatevi da questa tortura!
Per fortuna mia mamma non è Anne, e preferirebbe vedermi calma e tranquilla non molto preparata al posto della mia condizione attuale nervosa e cattivissimissimissima della serie che se salto un pasto e qualcuno mi fa arrabbiare sono capace di mordere.
A voi invece, vi mangerei di baci <3 a partire da Caro che le piase la mia svolta e spero che anche questo capitolo le piaccia molto perchè i Larry sono pucci pucci, Frappucciana a cui do' il benvenuto in questa folle folle fanfiction, Annie che è l'unica che ha visto Peter Pan, quello del 2009 con Mr Malfoy Senior che fa Mr Darling e Uncino e Jeremy Sumpter come un piccolo Peter che CBCR :Q_ sbav, Ellie la mia mogliettina che vorrebbe riempire di botte Harry per il nuovo tatuaggio ( io invece l'ho letto in una chiave completamente diversa... prendi "Strong" i primi versi, che parlano di navi, e loro hanno tutto: la nave, la bussola, la corda e infine... l'ancora.
Coincidence? I think not) Larry_Art che ha purtroppo fatto centro sul caratterino che Anne avrà in questa ff, Lu invece che c'ha preso con Hazzino cuoricino e la droga, Vero con la quale mi scuso di nuovo per l'immensissimo ritardo dello scorso aggiornamento, 1D_1D anche lei nuova da queste parti, di nuovo benvenuta, Delia che mi spadellerebbe la faccia superincazzata e si perderebbe tutto il resto del capitolo (perchè io faccio gli scherzoni, faccio 'prendere male', o prendere colpi come dice Malu, le persone ma poi si risolve tutto... forse XD) Ele che ha scritto una OS che ho letto stamattina e per quanto è bella mi tremano le ginocchia ancora adesso, Lerooy hmm, che, cazzo domani c'è biologiaaaaaaaaaaaa and last but not least Fra , che voglio sapere com'è andato l'esame, che sono in ansia per te :)

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Capitolo 18
*** Two World Collide ***


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18)
18. Two World Collide.

Nda: Dedicato alla mia Stratega.




Il ragazzo era sprofondato nella sedia, il viso affondato nel palmo della mano e gli occhi stanchi in procinto di chiudersi sulle fitte righe del libro di testo:
" I glucidi (dal greco glucos, cioè dolce) sono dei composti chimici organici spesso studiati in alimentazione e in biologia, altrimenti chiamati glicidi, zuccheri, carboidrati (da idrati di carbonio, solitamente divisi in semplici o complessi), saccaridi solitamente divisi in mono- o poli- o più specificatamente in chimica, classi di biomolecole CHO.
Hanno numerose funzioni biologiche, tra cui quella di riserva energetica, il trasporto dell'energia e..."
Aveva chiuso gli occhi.
Basta, non c'è la faceva più: erano tre ore che studiava, e contando il fatto che si era alzato alle cinque per portarsi avanti prima di andare a scuola era veramente, veramente stanco.
Ma d'altronde non poteva fare diversamente, il giorno dopo aveva un'importante interrogazione per risultare almeno classificabile sul registro di classe in vista dei colloqui, e gli mancavano ancora 3 interi capitoli da esaurire prima di ritenersi anche solo lontanamente 'pronto'.
Non c'è l'avrebbe mai fatta.
Aveva appoggiato la testa sul libro odoroso d'inchiostro, disperato, ripromettendosi di riposarsi solo cinque minuti, solo cinque minuti, solo cinque minuti...
 Così l'aveva trovato Louis a fine turno, dopo essere uscito dall'ospedale: la faccia infilata nel libro, il braccio ancorato al quaderno, come se solo tenendolo in mano avrebbe rimediato tutte le risposte, e le caviglie incrociate sotto la sedia spinta all'indietro lontano dal tavolino sgangherato della biblioteca dove solitamente aspettava studiando che l'altro finisse di lavorare: insomma non la migliore posizione e il miglior posto per dormire comodi, soprattutto per schiena e collo.
Ma Harry sembrava non soffrirne, dal momento che dormiva seneramente russando leggermente di tanto in tanto, muovendo appena col suo respiro un angolo del libro dotato di voluminoso orecchio, con un'espressione felice, distesa e tranquilla che nell'ultimo periodo era mancata spesso dal suo viso.
Il giovane inserviente sapeva che il più piccolo era stressato, stanco e provato, e si era interpellato a lungo chiedendosi se svegliarlo o meno, osservando le lunghe ciglia gettare ombre meravigliose sulle sue adorabili guanciotte e decidendo alla fine di prendere posto di fianco a lui e di rimanere in assoluto silenzio aspettando il suo risveglio.
Si era rivisto in un dejavù inprovviso un mese prima, seduto di fianco al letto nella stanza 17 del reparto di rianimazione, e gli era venuta voglia di scuotere il ragazzino che russava piano di fianco a lui per un braccio, per sopprimere l'irrazionale paura di vederlo scivolargli di nuovo via, come granelli di sabbia tra le dita e poi dispersi dal vento nell'immensità cupa e buia del suo lungo sonno durato troppo troppo tempo.
Era stato insopportabile vederlo immobile giorno dopo giorno, e sapere che era stato lui a ridurlo così, e non poterci fare niente.
Louis distrattamente aveva iniziato a giocherellare coi capelli del ragazzo, accarezzandoglieli piano e con delicatezza mentre cercava di districare la matassa ingarbugliata dei suoi pensieri che gli vorticavano violentemente nella mente: quanto Harry avesse sofferto a causa della sua bravata, come fosse stato nobile il suo perdono, come gli sembrasse impossibile che lui ricambiasse i suoi sentimenti, quanto gli paresse piccolo e indifeso mentre dormiva, finalmente lontano da quel maledetto letto...
Aveva iniziato anche a massaggiargli la schiena e le spalle, sfregando le sue dita appena ingiallite dalla nicotina sulla stoffa ruvida della sua maglietta, disegnando ampi cerchi e ghirigori immaginari.
Meno male che è vivo, si era ritrovato a pensare fissando il suo piccolo miracolo mugugnare appena e lasciando involontariamente un'impronta bagnata sul libro di testo, meno male che è guarito, meno male che mi ha perdonato.
Il fatto che oltretutto condivideva ciò che provava lo riempiva di immensa gioia e infinito sollievo, e ora che era lontano dal St Barbara e dal suo personale infermieristico, il sogno era diventato realtà: avrebbero potuto dimenticare tutta la tristezza, tutto il dolore, la paura, la solitudine e la rabbia e andare avanti.
Per la prima volta desiderava davvero lasciarsi tutto alle spalle.
Prima era così pieno di rabbia e odio che non voleva saperne niente, stava bene dove stava, autocrogiolndosi nella sua misera condizione e fumandosi una canna dietro l'altra, affogando il passato nell'oblio e riducendo in cenere il futuro, fluttuando statico nel nulla più assoluto senza più punti di riferimento, valori in cui credere e case a cui tornare.
Ma poi...
Poi aveva travolto Harry, e l'orrore e la consapevolezza di essere così insensibile, apatico e vuoto aveva spazzato via la nebbia post-sbornia in cui sembrava perennemente immerso, aiutandolo a sentire e a vivere di nuovo, illuminando il suo buio come un lampo nel cielo notturno, tanto luminoso da fare male alla vista e a dover chiudere gli occhi per aprirli pian piano e poterlo finalmente ammirare.
E ora era lì, e diceva di amarlo, anche se non era costretto a farlo, anche se poteva andarsene via dai suoi amici e compagni di scuola, anche se ormai poteva farcela da solo.
Per Louis era un piccolo grande miracolo, l'unico motivo che lo spingeva ad aprire gli occhi al suono della sveglia, l'unica cosa che era certo di volere nel suo futuro, l'unico che voleva prendere per mano e camminare piano verso l'orizzonte che li attendeva, insieme.
Il rumore di uno sbadiglio soffocato aveva distolto il ragazzo tatuato dai suoi profondi pensieri, costringendolo a levare le mani dalla schiena e dai morbidi ricci dell'altro: dopotutto era un badboy, no? Aveva una reputazione da difendere.
" Buongiorno Bell'Addormentato" aveva ridacchiato, incrociando le braccia sul petto e tentando inutilmente di sopprimere il sorriso che rischiava di fargli venire una paralisi facciale per la sua intensità.
Come dark faceva proprio schifo: ogni volta che lo guardava negli occhi si accendeva come una lampadina.
Harry l'aveva fissato per un istante, l'espressione apatica ed inespressiva, prima di abbassare gli occhi sul libro e fissarlo con orrore.
Il suo sguardo era saettato dal libro al quaderno, e di nuovo al libro, per un paio di volte, diventando via via che il tempo passava sempre più disperata e sull'orlo del pianto.
" Cos'è successo?" aveva chiesto con voce stridula e tremante.
" Penso che tu ti sia... Addormentato"
Il ragazzino si era messo le mani tra i capelli.
" No. No. Nononononono. E adesso? Come faccio adesso?" il respiro di Harry era diventato sempre più veloce e spezzato, mentre lui sfogliava febbrilmente le pagine del libro " Mi mancano tre capitoli! Tre! Come faccio?"
Dal suo solito colore bianco spettrale post ricovero ospedaliero era diventato paonazzo, le mani tremanti e sudate, gli occhi piene di lacrime e l'affanno che rischiava di spedirlo in iperventilazione e farlo svenire "Io m'ammazzo. Come faccio, come faccio adesso?"
Louis l'aveva saldamente afferrato per le spalle: aveva già visto il suo panda avere reazioni di questo tipo, come quando in ospedale lo aveva forzato a camminare fino alla geriatria e indietro o quando ancora sua madre lo metteva sottopressione per farlo parlare di nuovo.
"Harry. Calmati" gli aveva ordinato in tono perentorio,  scuotendolo appena "Respira... Quand'è la verifica?"
"E'-è un'interrogazione"
"Quando?"
Il più piccolo aveva tirato su col naso.
"Domani"
Cazzo.
La mancanza di risposte del maggiore aveva scatenato una reazione isterica, con attacco di panico annesso, nel ricciolo, che si era portato le mani al cuore, mugolando piano "Mi sento male. Sono finito. Mi sento male" come una litania da chiesa tanto cara alle nonnine bigotte.
" Oh, ma per favore!"
Louis aveva estratto dal suo zaino una bottiglietta d'acqua mezza vuota, e gliela aveva schiaffata in mano.
"Toh. Bevi adesso, e cerca di calmarti." aveva poi continuato quando aveva visto la plastica sfiorare le labbra dell'altro " Apri bene le orecchie... Quanti sarete in classe? 20? 30?"
" Ventiquattro"
"Ecco, su ventiquattro persone, vuoi che interroghi proprio te?"
"Si" aveva ribattuto Harry mesto, prendendo il fazzoletto che il più grande gli offriva e usandolo per tergersi il sudore che gli imperlava la fronte "Deve per forza. Altrimenti ai colloqui risulterei inclassificabile per il primo quadrimestre e potrebbero bocciarmi a giugno"
"Quindi... è solo una questione burocratica?"
Il ragazzino aveva annuito.
"Allora dov'è il problema?! Non penso che se dici al tuo prof che ti mancano tre capitoli t'interroghi proprio su quelli... Torni da un coma di tre mesi, non sei mica stato a Disneyland!"
Non gli sembrava convinto.
" E poi comunque anche se prendi 3 l'importante è che ti presenti per risultare classificabile, no?"
"Ma se poi prendo 3 risulto insufficiente!"
" Ma nel secondo quadrimestre prenderai nove e potrai essere promosso e avere voti stellari"
Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, cercando di confortarlo.
" Sei appena uscito dall'ospedale... Non sbatterti troppo Haz"
Il ragazzo aveva distolto lo sguardo e Louis aveva sospirato: se un attimo prima, nel sonno, gli sembrava calmo e rilassato, ora sembrava stanco e sull'orlo dello sfinimento.
Neanche durante la riabilitazione l'aveva mai visto così.
Desiderava dannatamente vederlo sorridere, perchè la sua felicità era come una droga, e se anche solo riusciva a  farlo stare bene anche per un solo attimo si sentiva di nuovo utile e indispensabile, come quando le infermiere disperate lo mandavano a chiamare per lavarlo, come quando non si faceva toccare da nessuno tranne lui, come quando tenendolo per mano lo reggeva durante i suoi primi passi...
Con uno scatto improvviso aveva agguantato il materiale sparso sul tavolino e l'avevo gettato alla rinfusa nello zaino, decidendo repentinamente che la sua priorità assoluta era la sua gioia, e che non era possibile che la scuola sottraesse così tanta energia e tanto, anzi troppo tempo, speso sui libri e sulla misera carta al posto che vivere nel mondo reale.
"Cosa stai facendo?!"
" C'è n'è andiamo, ovvio"
"Che?!" era sbottato il piccolo, incredulo.
"Basta. Hai finito di studiare"
"Ma non posso smettere!" aveva piagnucolato lui " Mi mancano-"
"Ancora tre capitoli, lo so, è la quarta volta che me lo ripeti... Ma pensi davvero che se studi in questi condizioni, riuscirai a finire tutto? Andiamo Harry! Ti sei addormentato a faccia in giù nel libro! Studiare così è controproducente!"
Lo aveva costretto ad alzarsi tirandolo delicatamente per un gomito e sfoderando il suo tono più persusivo e suadente:
"Manda 'affanculo tutto, Haz. Andiamo via"
Harry, riprendendosi lo zaino e guardando il sorriso malandrino dell'altro aveva sorriso a sua volta, sentendo l'enorme morsa che gli stringeva il cuore e gravargli sulle spalle dissolversi come neve al sole: non gli importava se quel "via" di cui parlava il più grande fosse la fermata della metro, il tetto del centro commerciale o la panchina del parco.
Finchè s'illuminava così mentre lo prendeva per mano e lo trascinava via, Harry avrebbe seguito Louis in capo al mondo.













Gemma era appoggiata alla credenza, le braccia conserte strette al petto e lo sguardo battagliero, pronta a scagliarsi e per difendere le sue idee a spada tratta.
Anne era seduta alla sua sinistra, le dita che tamburellavano sul legno bianco con fare seccato ed impaziente e le labbra, carnose come quelle del figlio, strette in una linea severa e tagliente che lasciava presagire il peggio.
Harry era seduto di fronte a lei, le mani che si torcevano nervose nel suo grembo e le dita morse a sangue.
Erano anni che non si sentiva così nervoso.
In mezzo a loro, arbitro di quella diatriba familiare, c'era il tavolo di mogano di vernice bianca nel quale quasi si confondeva il bianco del foglio di protocollo della verifica di algebra del ragazzino, causa dello scontento e della conseguente riunione di famiglia.
Infatti, in mezzo a tutto quel candore spiccavano diversi segnacci rossi, come macchie di sangue innocente versato, come un affronto di cui l'onta più grande consisteva nel sei e mezzo che troneggiava in cima alla pagina.
"Harry" aveva iniziato la donna, con fare grave "Sono molto stupita e delusa dai risultati di questo compito"
Un verso strozzato, a metà tra uno sbuffo e una risata incredula proveniente dalla giovane ragazza era stato soffocato da un'occhiataccia della donna.
" Sei e mezzo è un voto molto basso, e prendere  certi voti non è da te-"
" E cosa ti aspetti?!" l'aveva interrotta Gemma, furibonda " E' stato in coma mamma! E' rientrato in quel buco di scuola da neanche due settimane, ed è già grave che quei professori tarati come mattoni lo interroghino e lo verificano su parti del programma che lui deve recuperare da solo, senza che ti ci metti anche tu a fare la paternale!"
Anne aveva chiuso gli occhi per un attimo, per poi rispondere alla figlia.
" Io e Harry abbiamo un accordo sui voti, e tu lo sai. Sei e mezzo in questa casa non è accettabile e-"
" Ma ti senti quando parli? Avete un accordo? E che accordo è!?" aveva sbattuto un pugno sul tavolo " Lui ti porta a casa 10 e lode e tu? Cosa fai tu? Lo lasci uscire il sabato sera? Gli dai la paghetta?"
"No"
" Allora non è un accordo, e Harry è tenuto a conseguire i risultati che vuole"
La donna aveva sbattuto a sua volta il palmo della mano sul legno, prima di scattare in piedi:
" I voti di tuo fratello e le richieste che io gli faccio non sono affar tuo! In questa casa si va bene a scuola, e sei e mezzo non è un voto accettabile: bisogna studiare di più, fare esercizi, andare a ripetizioni..."
"E' un sei e mezzo mamma! Harry ha saltato metà delle spiegazioni: è già tanto che non abbia preso una insufficienza!"
" A maggior ragione deve concentrarsi e impegnarsi di più-"
" Cristo, non è un robot! E' tuo figlio! Sembra che t'importi in più dei suoi voti che della sua felicità!"
"Basta!" ora anche il ragazzino era in piedi, i suoi occhi che serpeggiavano da una all'altra donna ai lati opposti della stanza come ai bordi di un ring.
" Quand'è l'ultima volta che ha visto i suoi amici per puro piacere e non per ripetizioni o progetti didattici? L'ultima volta che è andato al bowling, o al cinema? Ha 15 anni, deve smetterla di prendere lo studio così seriamente e iniziare a vivere!"
"Gemma. Basta"
Harry aveva pregato la sorella, che lentamente era tornata ad appoggiarsi alla credenza, rimanendo in silenzio.
"Mamma... Lo so che ho tradito il patto, e davvero, credimi, mi dispiace. Non l'ho fatto apposta: è che non sto ancora bene... A volte mentre leggo o quando alzo lo sguardo mi gira fortissimo la testa e ho le vertigini, sono sempre stanco e mi è difficile concentrarmi.
Ho provato ad andare a letto prima ma non cambia nulla, a volte ho voglia di dire ai professori che mi sento male per andare in infermeria a dormire, e quando studio ci manca poco che non mi addormento sui libri"
Il ragazzo aveva alzato lo sguardo dal pavimento, azzardandosi a fissare la madre.
"La prossima volta cercherò di fare meglio. Promesso. Lasciami solo il tempo di guarire"
La stanza era diventata silenziosa.
"Intanto, se può aiutare ho preso otto e mezzo in biologia" aveva aggiunto dopo un attimo lo studente timidamente, scoccando un occhiata alla madre, che sospirando aveva concesso:
" Questa volta te la cavi così, ma vedi di riprenderti presto e di riposarti di più: non voglio che la tua media venga rovinata. Okay?"
Harry aveva annuito, lieto che la questione si fosse risolta, ma Gemma sembrava non voler demordere:
"Questo non cambia le cose. Quando lascerai a Harry il tempo di divertirsi, di socializzare, di vivere la sua vita? Se continui a costringerlo a vivere come un recluso finirai per crescere un piccolo nerd forever alone: lascialo andare prima che si rovini del tutto"
Troppo tardi, aveva pensato amaramente il ragazzino, avvelenandosi con il suo stesso sarcasmo mentre sua
madre ponderava la situazione.
" Quello che dice tua sorella è vero?"
Aveva annuito.
" Sabato allora puoi uscire: cosa avevi intenzione di fare?"
Harry non credeva alle proprie orecchie: davvero sua madre gli stava concedendo un po' di libertà? Era un'occasione più unica che rara da cogliere al volo, prima che il vento ( e la fortuna) cambiassero rotta e gli scivolassero tra le dita lasciandolo a bocca asciutta.
"Uhm... In classe si parlava..."
"Si?" lo aveva incoraggiato Gemma, come se lo volesse indirizzare verso la risposta che lei riteneva più giusta.
"Cinema" aveva bonfonchiato lui, sparando la prima cosa che gli veniva in mente.
"Ottimo. Che cinema sia" aveva concesso Anne, alzandosi e mettendo sul fuoco il bollitore del the, segno che la riunione di famiglia era giunta al termine e che loro erano liberi di tornare alle loro precedenti occupazioni " Ma vi voglio a casa per mezzanotte, tutti e due"
E mentre Harry afferrava il cellulare, impaziente di comunicare a Louis che aveva il grande privilegio di poter scegliere un film da vedere sabato sera insieme al cinema, Gemma aveva commentanto acidamente tra se' e se' salendo le scale:
"Certo, certo mamma. L'importante è crederci"






Louis non ci credeva ancora.
Il film era iniziato da 18 minuti e già la sua sete omicida sfiorava livelli inimmaginabili: in quel momento, se le dita di Harry non fossero state ancorate alle sue, tenendolo magicamente seduto sulla sua poltroncina, si sarebbe alzato e avrebbe ripetutamente colpito le ragazzine che strillavano ogni volta che il tipo con la maschera da maniaco faceva ondeggiare il coltello, i tipi che le sfottevano allegramente ed ad alta voce, o i tipi che sfottevano i tipi che sfottevano le tipe che strillavano come oche.
Insomma, la locandina diceva chiaramente che era un film dell'orrore, diamine! Se erano così suggestionabili che se ne stessero a casa loro.
E che i ragazzi la piantassero di fare casino e seguissero in silenzio.
Tutto il casino, più il fatto che l'età media dei presenti nella sala sfiorasse a malapena i quindici anni lo irritava a non finire.
Come può Harry avere la stessa età di questi buffoni?
Aveva pensato Louis scandagliando e fulminando con lo sguardo i casinari dietro di lui: tutti in tuta stropicciata, i bordi sbrindellati e slabbrati, l'elastico molle, la canottiera intima bene in vista ( come se i loro pettorali da pischelli valessero chissà che) e immancabile cappello calcato sopra la cresta.
Disgustoso.
Aveva sbirciato la figura buia del riccio seduto affianco a lui.
Jeans, felpa e giacca.
E berretto da panda.
In più Harry stava seduto composto in silenzio, quei patetici ragazzini invece si comportavano come se fossero a casa loro, mettendo i piedi sul velluto, schiamazzando senza ritegno a cazzi  e bestemmioni e tirandosi pop corn.
Neanche quando era fatto si comportava così.
Avevano iniziato a spruzzarsi coca cola.
"Dio, che infantilismo..." aveva commentato acidamente a bassa voce, fissando con fastidio palese il primo gruppo insultare il secondo gruppo che aveva scavalcato le poltroncine pronto a iniziare una rissa.
" Perdonali... Sono i miei compagni di classe"
Harry fissava ostentatamente il volto pieno d'orrore della prossima vittima dello psicopatico sullo schermo, mentre si apprestava a squartarla ridendo sguaiatamente da dietro a quella stupida maschera.
"Davvero? Beh, allora è un bene che non ti frequentino"
La maschera era intervenuta a sedare gli animi nella sala.
"Sembrano dei bambini dell'asilo"
"Hanno la mia stessa età" aveva replicato quasi tristemente l'altro.
" Ma non il tuo stesso cervello" Louis gli aveva strizzato rassicurante la mano, prima di tornare a fissare lo schermo.
Sono solo dei poveri sfigati, è per quello che Harry si trova male con loro...
Ma non sarebbe meglio che frequentasse qualcuno della sua età? Qualcuno con cui comportarsi da idiota?
Forse si è pentito.
Forse sarebbe stato meglio se non l'avessi più rivisto una volta fuori dall'ospedale.
Forse se avessimo degli interessi comuni sarebbe meglio.
Cosa ci unisce? Perchè stiamo insieme?
Il più grande fissava la proiezione senza davvero vederla, le domande che s'accavallavano l'una sopra l'altra.
L'ho investito e quasi ucciso,  ecco perchè, si era risposto tristemente.
Decisamente non era una buona motivazione.
La musica, si era poi ricordato all'improvviso, precipitando verso il baratro quando si era reso conto che probabilmente non bastava: erano troppo, troppo diversi.
Harry era il tipico ragazzo di buonafamiglia, tutto casa-scuola-scuola-casa, e come se questo non bastasse aveva tre anni in meno, e nonostante la sua maturità dovuta alla sua straordinaria intelligenza, Anne lo teneva nella bambagia, trattandolo come un bambino.
Perchè magari è un bambino, aveva puntualizzato acida la sua coscienza, e i bambini devono stare lontano dai cannomani tatuati, soprattutto se questi spacciano e hanno rischiato di diventare potenziali assassini.
Louis aveva sospirato, mentre la sua lotta interiore continuava.
Ma io lo amo! aveva quasi urlato al suo alterego oscuro, disperato.
Se lo amassi davvero lo lascieresti andare.
Cos'hai da offrirgli? Nulla.
Non hai futuro, ha ragione tua madre... Andrai a vivere sotto un ponte dividendo il cartone con i ratti di fogna della metropolitana.
Sei uno spreco di cellule e organi.
Ormai è troppo tardi per te, ma lui è piccolo, e se lo lasci andare e eviti di traviarlo, si può recuperare.
Inconsciamente gli aveva stretto la mano più forte, non accorgendosi del suo sguardo preoccupato.
L'età non conta, e poi per lui sarò migliore, lo prometto!
Non lo travierò, rispetterò i suoi tempi e farò tutto quello che vorrà... Lo amerò esattamente così com'è.
Non importa se i suoi coetanei sono degli idioti, se sua madre vuole uccidermi e se ho tre anni più di lui.
Me ne sbatto.
L'età è solo un numero, e io sono come Peter Pan, e non crescerò mai, a meno che non sia lui a chiedermelo.
Lo prometto.
Risoluto, Louis aveva sorriso sconfiggendo e zittendo definitivamente la voce dell'altro se dark, che furibondo si era rintanato in un angolo della sua mente, pronto ad attaccare quando meno se lo aspettava.
Analogamente anche Harry era nella medesima condizione di dissidio interiore: provava vergogna a causa del comportamento dei suoi compagni, e avrebbe voluto rimediare dicendo qualcosa ma aveva paura di ottenere l'effetto contrario.
Che idioti. Perchè non possono stare zitti?!
Cioè, hanno ragione, il film è una merda, ma perchè non se ne vanno e basta?
Se gli dico qualcosa magari penserà che anche io sono un bambino.
Harry si era aggrappato alla poltroncina, infilando le unghie nell'imbottitura.
Perche diavolo ho messo questo stupido cappello?
Perchè me l'ha regalato lui... Però mi fa sembrare un bambino.
E poi ieri in biblioteca... O in ospedale...
Penserà che sono un moccioso frignone.
E non vorrà più stare con me.
Magari lo fa per pietà.
Magari s'annoia.
Devo dire qualcosa, devo dire qualcosa, devo dire...
" M-mi dispiace per i miei compagni... Se t'annoi possiamo andare da un'altra parte"
Louis aveva letto il suo stesso dilemma negli occhi smeraldini dell'altro, che imperterrito aveva continuato " Lo so che il sabato sera al cinema fa schifo ed è una cosa da bambini delle elementari e se vuoi andar via ti capisco e-"
"Io quando sono con te non mi annoio mai"
L'aveva interrotto Louis, prima di risistemargli i capelli sotto il cappello, come mamma chioccia coi suoi pulcini.
" Davvero Louis? Perchè lo so che sei abituato ad altro, e se preferivi andare in discoteca o-"
"Non m'importa dove sono, Haz. L'importante è stare con te"
Ed era completamente sincero.
Andrà come andrà, aveva pensato, è inutile fasciarsi la testa prima di rompersela.
Guardandolo negli occhi mentre approfittava del buio della sala per chinarsi sopra le sue labbra aveva capito cosa gli univa:
L'amore.
Erano loro due, Harry e Louis, senza se e senza ma.
E mentre i loro mondi si univano fondendosi insieme, aveva capito che era l'unica cosa che contava.




Angolo Finny :)

Seeeeera :)
Scusate se non mi sono fatta sentire, e se sono in ritardo di almeno due orette buone, ma ieri ho avuto la simulazione di terza prova e sono S-F-I-N-I-T-A.
In questo capitolo Harry è un po' la sottoscritta, e Louis sono i miei amici cazzari che m' inneggiano al fancazzismo :)
E la sottoscritta per domani non ha studiato :o e il professore con crisi d'identità la punirà ( come ha fatto con Leeroy_hmm :( Poverina, io avrei preso a sprangate miss-sto-perdendo-sangue-dal-naso) Passando i ringraziamenti ringrazio la mia stratega Fra, alla quale questo capitolo è dedicato perchè è super dolce e mi ha aiutato in un momento difficilissimo mitigando la mia ansia da prestazione e impedendo che mi gettassi sotto un pullman.
Ti adoro, e sappi che questo capitolo mi fa schifo perchè tu meriti di più, meriti di meglio, e io purtroppo non sono capace di dartelo :(
Ringrazio anche Lu che no, non pensavo si fossero mollati ma che Harry facesse il putty e andasse con Nick :) ammettiamolo, sembra tanto un angioletto tutto guanciotte e riccioli ma secondo me ogni tanto Louis lo fa ingelosire apposta :) Delia che spero sia soddisfatta anche da questo capitolo come dell'altro e spero che lo stia leggendo a un orario decente ( nottambula! Che poi domani a scuola c'hai sonno!) Vero che mi rassicura sul mio stato mentale, e spero vivamente che suo fratello sia psicologicamente sopravvissuto alla maturità e che ora non sia internato in qualche luogo, Ele che mi fa sciogliere con le sue frasi dolcissime ** e che è una piccola grande cosa bella della mia vita <3 Annie che scusa se non ti recensisco e quando lo faccio t'illudo, ma lo sai che il giorno in cui metto i nuovi capitoli è il mercoledì ( e appunto sono superpuntuale XD) Malu e i nostri biscotti al cioccolato (cuz share is care LOL) dolci come Harry in questo chappy col suo cappello fluffoso da panda come quello di Leeroy :3 1D_1D che è ancora ignota ma che è anche lei nottambula come Delia (seriamente ragazze, se non vado a letto alle 10 io il giorno dopo sono un mostro. Un mostro vi dico :) )
Per questo motivo vi saluto e vi bacio tutte, vi ringrazio del supporto che mi date a dell'amore che mi dimostrate, significa davvero tanto per me :)
Sogni d'oro a tutte, una maturanda in crisi <3

Ps: Qui da me sta nevicando :3
Ps del Ps: Chi di voi ha instagram? Se volete seguirmi mi chiamo 'Smilla____' followo tutte!




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Capitolo 19
*** I Pray That You Will See The Light That's Shining From The Star Above ***


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bgjh,gjhvfhgfh  Gli uccellini cinguettavano tra le fronde della quercia sotto il quale era sdraiato, gli occhi color del cielo che al cielo con lo sguardo tornavano, confondendosi nel medesimo azzurro e perdendosi nella sua immensità infinita.
Non c'era neanche una nuvola.
Il ragazzo sorrise afferrando il telefono e digitando velocemente:
"Ci vediamo oggi?"
La risposta era arrivata quasi subito.
Erano quasi telepatici ormai.
" Non posso, devo aiutare il gruppo della parrocchia ad organizzare i giochi per la festa del paese :("
Louis aveva alzato gli occhi al cielo, roteandoli in maniera esasperata per mostrare tutto il suo disappunto alla sua canna, unica compagnia che avrebbe ottenuto quel pomeriggio.
" E stasera? Potremmo andare al bowling o cose così :))"
" Non posso, devo star qua alla festa... Mi dispiace tantissimo"
Il ragazzo aveva fatto un altro tiro, cercando di non esplodere dalla rabbia, dalla delusione e dalla frustrazione: ma proprio del chirichetto dell' oratorio si doveva andare ad innamorare?!
" Dì qualcosa :("
"Qualcosa "
"Dai non mi tenere il muso... Vado solo perché mi ci ha costretto mia mamma perché dice che ormai in oratorio non sanno più nemmeno che faccia ho :/ "
" Mnpf"
" Dai..."
" :'( "
" Ho un idea!! Perché non vieni anche tu stasera? Ci sarà musica dal vivo, fish and chips, e giochi come tiro a segno, calci in culo, gli autoscontri..."
No, no, no e ancora no: già se le vedeva le vecchine del rosario interrompere le loro ferventi preghiere e indicarlo col dito, le mamme spingere via le carrozzine come se fosse un terribile mostro affetto da un morbo contagioso, i bambini fuggire davanti a lui urlando terrorizzati manco fosse l'uomo nero e il prete spruzzargli l'acqua santa addosso cercando di esorcizzarlo, credendolo la reincarnazione di Satana in persona.
" No" aveva digitato velocemente mentre si alzava dalla panchina del parco, gettando a terra il mozzicone spento.
Certo che l'avevano proprio fegato, la maria che gli avevano spacciato per 'roba buona' faceva proprio cagare, in più non si sentiva per niente sballato, solo lievemente seccato.
" Perché? :'("
"Non é il mio ambiente Haz"
Si era alzato stiracchiandosi, prima di infilare il telefono nella tasca dei jeans e incamminarsi verso casa, cercando di ignorare la continua vibrazione del cellulare che iniziava a rendergli il polpaccio insensibile.
"E chissenefrega! É solo per passare un po' di tempo assieme"
" Daaaai. Ti prego"
" Mi annoiero' a morte senza di te :'("
" Se vieni potrai vedere una parte di me che ancora non conosci..."
"Per favoooooore!"
"Non mi condannare all' infelicità perpetua!"
" E poi tanto non hai niente di meglio da fare..."
Louis si era accigliato: era deciso a ignorare le suppliche e le preghiere dell' altro in modo da non essere tentato a cedere e finire col ritrovarsi a cantare l' Halleluia in mezzo alle suore, ma l' ultimo commento l' aveva proprio irritato: cosa ne sapeva Harry dei suoi programmi per la serata? E se avesse avuto voglia di sfondarsi di crack? E se avesse voluto tatuarsi 'succhiamelo' sull' inguine?
Doveva solo stare zitto, dal momento che lo sfigato fraticello di merda bloccato ad una cazzo di festa di paese per volere di mammina, era lui.
" Devo recuperare robe di scuola"
" Non é vero! Già il fatto che dici 'robe di scuola'  indica che non hai la minima idea di ciò che devi fare, e anche se c'è l'avessi, pigro come sei non la faresti lo stesso, quindi porta le tue chiappe qui"
L'altro l'aveva semplicemente ignorato, entrando in casa sua dalla porta sul retro e lanciando il telefono sulla penisola della cucina prima di fiondarsi in bagno spogliandosi e gettando i vestiti in terra prima di aprire il getto caldo e rigenerante della doccia.
I nervi tesi avevano iniziato a distendersi, lo stress e le preoccupazioni a scivolare via come la terra e lo sporco sulla sua pelle e l'odore di fumo e sudore, mentre il ragazzo chiudeva gli occhi inarcando la schiena sotto il bollente e benefico tocco dell' acqua ustionante, sentendosi in paradiso...
Non era durato molto.
Improvvisamente una massa d'acqua gelata si era abbattuta sulla sua povera schiena rossa e scottata, facendolo urlare dal dolore, dalla sorpresa e dalla rabbia.
" Porca di quella puttana Eva balorda!" aveva urlato mentre saltava fuori dal box doccia sgocciolando sul pavimento del bagno, che pareva allagato "Lottie! Fizzie! Chi di voi due stronze ha consumato tutta l'acqua calda?!"
Aveva sentito due colpi secchi sulla porta: " Louis William Tomlinson, modera il linguaggio..."
" Io parlo come cazzo mi pare!" aveva strillato, colpendo il legno della porta al di là della quale stava sua madre, furibonda e pronta a una delle sue ramanzine " Non alle tue sorelle!"
" Quelle due tarate hanno finito l'acqua calda! Il boiler é vuoto e l'unico picio che deve lavarsi con l'acqua gelata qui sono io!"
" E non sotto questo tetto!"
Come al solito non l'aveva neppure ascoltato, non aveva nemmeno fatto finta...
" E allora dormo in giardino!"
Il ragazzo aveva spalancato la porta,fronteggiano furente il genitore con addosso solo un asciugamano legato in vita " Non ascolti mai! Vuoi sempre avere ragione tu, cazzo!"
Aveva spintonato la donna da parte in modo da poter attraversare il corridoio e chiudersi in camera sua per vestirsi, ma lei non aveva demorso.
" Io HO ragione!" aveva urlato spalancando la porta della stanza " Le tue sorelle di 5 anni parlano a cazzi e madonne!"
Il figlio in tutta risposta aveva gridato, soffocando un verso selvaggio, mentre cercava di infilarsi una maglietta e contemporaneamente i jeans:
" Fuori! FUORI! Fuori da camera mia! Levati dal cazzo!!"
" Non osare-" l'aveva sbattuta fuori senza tanti complimenti, continuando a inveire contro di lei.
" Devo farmi la doccia con l'acqua gelata, sentirmi urlare addosso ogni volta che apro bocca, dormire in un buco di sgabuzzino, darti sempre ragione e non avere neanche diritto alla privacy?! Tu sei malata! " aveva riaperto la porta, comparendo vestito di tutto punto tranne che per i capelli gocciolanti " Non mi meraviglio che papà ti abbia tradita! Nessuno riuscirebbe a sopportati! Neanche io!"
L' aveva superata lungo il corridoio, afferrando lungo la strada verso la cucina la felpa di pile, il portafoglio e in seguito il cellulare, le urla che rimbombavano sulle pareti mentre raggiungeva la porta:
" E allora vai!! Fai solo un favore a tutti! Vattene da questa casa!"
Non si era degnato di rispondere, il fracasso della porta sbattuta e il vaso ming caduto a terra e ridotto i mille pezzi per lo spostamento d'aria era più che sufficiente.
Aveva camminato per tre isolati prima di crollare sul primo muretto che aveva trovato, odiando se stesso per quello che stava facendo mentre estraeva il telefono, contemplando con orrore la prospettiva di una serata da solo, altamente paragonabile a una serata trascorsa con Dio.
Aveva sospirato.
Lo faccio per Harry, si era ricordato, infondendosi coraggio.
" E va bene, sfasciacazzi, dimmi dove che arrivo"
La riposta era arrivata immediatamente:
" Sapevo che l'avresti detto"
E Louis aveva capito di essere stato fregato.







L'aria vibrava dal vociare delle persone ammassate nel campo da calcietto, e l' odore di corpi sudati e pesce surgelato fritto con olio scadente aveva fatto venire il voltastomaco a Louis, che aveva respirato profondamente, come per assicurarsi una riserva d'aria pulita, prima di tuffarsi in quel marasma di magliette, colori, volti e parole, alla ricerca del suo riccio.
Non era poi così male, aveva pensato mentre fissava invidioso un'allegra famigliola mangiare seduta ad un tavolo di legno sotto l'enorme capannone che occupava il centrocampo.
Grazie alla sfuriata di sua madre non aveva mangiato nulla e nel portafoglio aveva trovato solo spiccioli... Gli era andata bene che non gli avevano controllato il biglietto...
Il brontolare del suo stomaco lo aveva riportato alla realtà: la band sul palco aveva appena attaccato un'altra penosa canzone, la chitarra era scordata, la batteria fuori tempo, chi stava al mixer avrebbe dovuto diminuire i bassi (era dall' altra parte del campo e sentiva sbattere le sue ginocchia a tempo) e il cantante... sembrava avesse un gatto attaccato alle palle, ma per questo non ci si poteva fare nulla.
Aveva cercato di trovare una ragione per cui dei seguaci di Dio volessero così male a Bruno Mars, rovinando per sempre con un arrangiamento pessimo Just The Way You Are, mentre cercava di non sputare le tonsille ridendo ai vari cartelli esposti dietro il bancone, come una freccia che indicava un barattolo con scritto "ogni bestemmia 0,50 $" o un cartello stradale indicante divieto di transito e appiccato in mezzo il logo della Guinness, "Qui non si vende alcool" chiariva un foglietto scritto a mano sotto.
Che sballo.
La festa dell' anno, che fortuna ad essere stato invitato.
Il ragazzo non aveva fatto in tempo a formulare un altro pensiero polemico che aveva sentito qualcuno che lo scrollava per il gomito.
"Finalmente sei arrivato!" gli stava urlando Harry, cercando di sovrastare l'irritante musica da liscio che aveva riempito la pista da ballo di vecchietti bavosi e signore obese nei vestiti a fiori che ancheggiavano provocati mentre i bambini le usavano come ostacoli con cui fare slalom, sorridendo da un orecchio all'altro.
"Non credo di poter restare per molto!" aveva urlato di rimando lui,indicando con il capo il barattolo delle bestemmie.
Il più piccolo aveva gettato la testa all'indietro, ridendo a crepapelle, e Louis aveva capito perché alla fine aveva ceduto: non importava se era  a stomaco vuoto imboscato in un ritrovo de "Gli amici di Gesù", si sarebbe messo a ballare in mezzo alla pista con le nonnine solo per vederlo ridere.
"Vieni" aveva sussurrato nel suo orecchio "ti faccio fare un giro"
L'aveva trascinato vicino ai gonfiabili, dove la musica si sentiva un po di meno, attutita dagli strilli di piacere dei bambini più piccoli che saltavano su e giù dai tappeti elastici, si arrampicavano sullo scivolo, si lanciavano giù dall' enorme balena di gomma...
Durante il tragitto il più piccolo aveva salutato mille persone, nonnine in carrozzina, gruppetti di ragazzine ridoline, un gruppo di ragazzi con le macchine fotografiche... Sembrava ben voluto, sembrava che tutti lo conoscessero.
" Siamo una parrocchia piccola" aveva spiegato quasi scusandosi il ricciolo " Ci conosciamo tutti... I ragazzi più grandi sono stati quasi tutti miei animatori quando andavo al grest, e a mia volta sono diventato animatore e quindi conosco i bambini. Con gli scout andavamo a far volontariato in casa di riposo, e quindi ogni volta che i pazienti ci incontrano iniziano a parlare, parlare, parlare ... "
Louis aveva ridacchiato.
" Sei un piccolo boyscout?" lo aveva preso in giro, acchiappandolo per le guance " Awwww vieni a cantare l'Ave Maria attorno al fuoco con me"
" Non é divertente" era sbottato lui, liberandosi dalla stretta dell' altro massaggiandosi la faccia " Piantala di prenderti gioco della mia religione: é razzismo anche quello, sai?"
" Io non c'è l'ho con la tua religione" aveva mormorato Louis, prima di chinarsi complice verso di lui e sussurrare lascivo " Io c'é l'ho solo col tuo orientamento sessuale"
Si erano fissati negli occhi qualche secondo prima di esplodere in un' unica risata, che ricominciava ogni volta che i loro sguardi s'incrociavano di nuovo, lasciandoli senza fiato e appoggiati alle transenne di sicurezza usate per contenere le piccole pesti, a peso morto incapaci di reggersi in piedi.
" In realtà credo sia una cosa bella" aveva ammesso dopo un po' il più vecchio, mentre Harry riprendeva a camminare al suo fianco, sospingendolo piano verso alcune bancarelle che vendevano prodotti fatti a mano, " Dico stare tutti insieme in un gruppo di amici che ti accetta per quello che sei..."
L' altro aveva scosso la testa, rabbuiandosi un poco " Se credi che, solo perché siamo del gruppo della parrocchia, siamo tutti amici che si vogliono bene ti sbagli. E pure tanto. É per questo che sono uscito dagli scout: tolleranza zero verso le idee degli altri, manie di protagonismo, competizione, atti di superiorità...
Non mi trovavo insomma, e gli altri non mi sono mai stati grandi amici, eccetto per quando volevano qualcosa..."
" Non mi aspettavo una cosa del genere dagli 'amici di Maria'" aveva commentato il moro mimando le virgolette.
" Neanche io" aveva risposto l'altro " per questo me ne sono andato. Ci sono voluti due mesi di pianti, scenate isteriche e litigate con mia mamma, ma alla fine c'è l'ho fatta"
Avevano curiosato tra le bancarelle per un attimo, prima che Louis chiedesse, giocerellando con la cinghia in corda di una borsa artigianale:
" Tua madre... ci tiene molto a queste cose?"
Il più piccolo aveva scrollato le spalle " É cresciuta in una famiglia molto cattolica, tutto qui. E poi ci crede"
" E tu? Tu ci credi?"
Il ragazzino aveva sospirato " Non lo so. A volte sono sicuro a volte no. Sto cercando la mia strada" era rimasto in silenzio per un po' prima di aggiungere precipitosamente " Ma non farlo sapere a mia mamma, altrimenti sclera: dopo l'incidente é diventata quasi fanatica..."
Louis aveva cercato di cambiare argomento, perché non gli piaceva lo sguardo triste e pensieroso di Harry, che si faceva via via più cupo e spento ogni ragazzo che lo salutava.
" Bhe alla fine ti vogliono ancora bene nonostante tutto" aveva commentato cercando di risollevargli il morale, dopo che una comitiva di ragazzi li aveva invitato ad unirsi a loro calorosamente.
Il ricciolo si era lasciato sfuggire una risata sprezzante " Non é per quello, mi salutano solo perché sono 'famoso' dopo l'incidente, solo perché sono tornato dall' aldilà, solo per farsi vedere.
Mi cagano solo perché sono qualcuno, adesso.
Altrimenti m'ignorerebbero come sempre.
Secondo loro sono un morto che cammina"
Louis aveva capito che forse era una questione un po' più delicata e personale che competizione e manie di protagonismo, e dopo l'ultima frase dell' altro aveva deciso: se ne dovevano andare da lì, se questo significava rivedere il sorriso di Harry sorgere luminoso come la luna in cielo che illuminava il campetto, più delle luci psichedeliche e strobo della pista da ballo invasa dai giovani in tempo per il Dj del paese: il parrocco in persona.
" Questa gente é matta" aveva pensato Louis mentre pensava a come mettere in atto il suo piano di fuga " Non smetteranno mai di stupirmi..."







Non era stata proprio una fuga la loro: poco lontano dall' oratorio, nello spiazzo che precedeva la passeggiata pedonale che costeggiava il fiume, avevano allestito un mini lunapark e Harry aveva acconsentito subito ad andarci, probabilmente felice di allontanarsi un po' dal frastuono e dalla confusione della festa.
Louis sperava che questo bastasse a farlo sentire meglio, ma una volta arrivati sul posto quella brutta piega della fronte riccioluta era ancora lì.
Il maggiore si era guardato intorno: potevano scegliere se provare a sfidare la velocità su un patetico trenino a forma di bruco chiamato "Brucomela" oppure salire sulle giostre che nemmeno Daisy e Phoebe avrebbero trovato interessanti, o provare al tiro a segno o aspettare di aver digerito e salire sui calci in culo o gli autoscontri.
" Vieni, voglio fare questo!" aveva strillato, afferrandolo per un braccio e letteralmente trascinandolo davanti al tiro a segno: il gioco era molto semplice, bisognava far cadere una piramide di barattoli di latta con una pallina da tennis e si vincevano vari peluches che per il momento ingombravano il pavimento dello stand.
" Scegli adesso quale pupazzo vuoi" aveva annunciato il moro, trinfio di vanagloria " Presto sarà tuo"
La sua fiducia in se stesso non si era affievolita nemmeno quando aveva pagato all'uomo dietro al bancone il costo di un tiro in monetine da cinque centesimi, poi aveva preso le palline, aveva chiuso gli occhi e aveva fatto il primo tiro.
La vetta della piramide era ondeggiata pericolosamente, prima di abbattersi fragorosamente al suolo, facendo esultare Harry, dimentico delle preoccupazioni e dei turbamenti che prima lo affliggevano.
" Hai già scelto che peluches vuoi?" aveva chiesto il maggiore, ghignando sornione.
" Quello lì" aveva puntato il dito contro un orsacchiotto grande quanto una eastpack con la pelliccia marrone e gli occhioni neri di bottone.
Louis aveva tirato di nuovo, riuscendo a far cadere altri due barattoli.
" Hai deciso come chiamarlo?"
" Boo Bear" aveva sorriso lui " Ci dividero' il letto da questa sera in poi"
"Guarda che divento geloso"
Il più piccolo era avvampato furiosamente mentre Louis prendeva la mira, ma calibrando male la forza del tiro col risultato di far lievemente ondeggiare i barattoli rimasti.
" Cazzo!" aveva imprecato a bassa voce, tutta la strafottenza di prima scomparsa in un secondo e rimpiazzata da una concentrazione disperata e rabbiosa.
Il più piccolo non aveva potuto fare altro che ridacchiare tra se' e se' per la piega inaspettatamente drammatica che la situazione stava prendendo.
L'ultimo tiro era finito contro la parete di legno dietro i barattoli mentre Louis ululava in preda alla frustrazione tutti gli insulti che conosceva, scandalizzando l'uomo dello stand e riducendo Harry ad un ammasso di nervi scossi da incontrollabili risate, mentre cercava di trascinare via il maggiore prima che corrompesse il commesso o facesse qualcosa di illegale per avere il suo orsacchiotto.
Sapeva che ne era capace.
Una volta lontano dal tiro a segno e ripreso il fiato dopo che anche gli ultimi accessi di risa si erano spenti,si era scusato:
" Mi dispiace di aver fallito... volevo regalartelo davvero l'orsacchiotto"
" Non fa niente... Non hai mica superpoteri!"
" Si invece! Sono Superman!!"
" E poi puoi sempre essere tu il mio orsacchiotto..."
Aveva evitato il suo sguardo, terribilmente imbarazzato, mentre l'altro ridacchiava e continuava a tormentarlo:
" E mi chiamerai BooBear?"
L'altro aveva sorriso, stando al gioco "Forse"
" E dividero' il letto con te tutte le sere?"
Il riccio lo aveva colpito su un braccio cercando di dissimulare l'imbarazzo:
" Dipende da come ti comporti..."
" Allora farò il bravo, promesso"
"Questo significava che possiamo andare sui calci in culo?" aveva chiesto speranzoso.
"Certo, a meno che tu non voglia fare un giro faccia a faccia con la morte sul 'Brucomela'"
Ed entrambi avevano riso, dirigendosi verso l'enorme ottovolante che roteava a tempo di musica assordante e fonditimpani in mezzo al piazzale.









Harry non sapeva spiegarsi come fosse successo: un attimo prima tutto andava bene, era la serata più bella della sua vita ed essere lì con Louis rendeva tutto meraviglioso, e due secondi dopo le cose andavano a rotoli, scivolandogli tra le mani fuori controllo.
Erano saliti sul calci in culo come lui aveva voluto ed Harry si era ritrovato a volare nella vertigine del vuoto, tentando di afferrare quella maledetta coda di gatto appesa al palo più alto, prima di ricadere giù provando ogni volta un brivido di adrenalina e una traccia di paura qualche secondo prima che le forti catene del suo sedile lo riportassero in asse con la traiettoria degli altri sedili, in attesa che il maggiore colpisse di nuovo.
Avevano vinto 4  partite gratis, e alla quinta il riccio aveva pregato Louis di cambiare gioco, dal momento che sentiva la cena arrampicarsi su per l'esofago.
Così avevano barattato la vittoria con un buono per due stecche di zucchero filato allo stand dei dolcetti, consumati immediatamente mentre si riposavano un attimo.
" Certo che tiri dei calci portentosi" si era complimentato il più piccolo, sinceramente impressionato, mentre ingoiava l' ultimo boccone biancastro.
" Piacere, Louis Tomlinson, ex ala destra della prima squadra di Doncaster" gli aveva teso scherzosamente la mano mentre gettava nel cestino il bastoncino di legno prima di seguire il riccio che si stava dirigendo verso gli autoscontri, dove ragazzini della sua età sfogavano le loro pulsioni sessuali represse cercando di demolire con più violenza possibile l'abitacolo degli altri.
" Non sapevo che giocassi a calcio"
" Non sapevo fossi un boyscout. Direi che siamo pari, no?"
Ridendo Harry si era seduto nel sedile del passeggero del kart, mentre Louis afferrava il volante con piglio sicuro continuando a chiacchierare del più e del meno.
All'inizio non era successo proprio niente: gli altri concorrenti si limitavano a studiarli da lontano, colpendoli occasionalmente e non con troppa forza.
Le mani avevano cominciato a formicolargli, e una scarica di adrenalina gli era scesa lungo la schiena facendogli tremare la spina dorsale: non era la carica agonistica che ti spronava a dare del tuo meglio in una gara, non era una sensazione sana che creava della sana competivita', era qualcosa di più claustrofobico che gli opprimeva i polmoni costringendogli il petto in una morsa dolorosa, come se fosse un animale in gabbia.
Ecco cos'era: una bestia braccata.
Da chi e da cosa Harry non lo sapeva, ma qualcosa di terribile stava per accadergli, lo sentiva...
"Haz, va tutto bene?" Louis si era chinato su di lui, percependo il suo respiro affaticato e il suo tremare a scatti.
Harry stava per rispondergli, quando era successo: uno dei ragazzi più grandi  li aveva attaccati, colpendoli alla fiancata del loro kart lanciandocisi contro a tutta velocità.
L'impatto non era stato così violento, ma sufficiente forte ma farli slittare contro gli altri autoscontri e sbattere contro il guardrail a bordo pista in testa coda.
Ma gli occhi di Harry, spalancati nel vuoto ed illuminati dalle luci psichedeliche vedevano altro.
Una strada buia.
Due luci sorelle che si muovono da un lato all'altro dell'asfalto, sbandando.
Sono fari, ma Harry non lo capisce abbastanza in fretta.
É una macchina lanciata verso di lui alla massima velocità, allo sbaraglio, ma Harry non é abbastanza svelto da spostarsi.
Due occhi blu prima del buio, prima del dolore, ma Harry non é abbastanza deciso da distogliere lo sguardo.
E poi l'agonia, come un veleno che ti entra in circolo piano, togliendoti tutte le forze: e all'inizio Harry vorrebbe urlare perché sente il sangue caldo colare sull' asfalto, ma non c'è nessuno che sentirebbe le sue urla.
É solo, nella sua tortura.
E arrivano i medici e gli dicono di "stare con lui" ma Harry non é abbastanza forte per dargli retta, e fa così male che spera sopraggiunga la morte ma non é così fortunato e il dolore continua a bruciare e non se ne va, e se questo é morire fa male, troppo male perché esista un Dio, e 'ti prego Dio fallo smettere' ma nessuno fa niente ed Harry rimane sul rogo in agonia, da solo, invocando la morte...
Sta per morire di dolore, lo sente, sta per arrivare...
All'improvviso percepisce qualcosa che gli preme le tempie  una gradevole pressione alla base del collo.
Cercando di respirare normalmente guarda in alto, verso la figura di Louis stagliata contro il profilo della notte e resa sfocata dal vento che soffia lungo la passeggiata sul fiume.
E Harry si sente ancora peggio perché i suoi amiconi dell' oratorio, così rispettabili di buona famiglia e ammirati da tutta la comunità, non si sarebbero fatti scrupoli a lasciarlo lì dov'era, mentre il povero disprezzato ed emarginato Louis, quello da cui "doveva stare lontano", il "mostro che gli aveva rovinato la vita" era seduto sui talloni, in modo da scostargli le ciocche sudate dalla fronte mentre urlava e si dimenava, sussurrandogli parole di conforto nelle quali ricorreva spesso "Non ti farò del male, non ti farò del male" mentre lo forzava a stare con la testa tra le ginocchia per non svenire, come aveva visto fare una volta all'istruttore di nuoto con Zayn, cercando di fargli respirare tutta l'aria che poteva, sperando che lontano dalla fonte di panico si sarebbe calmato.
E così era successo.
Il suo respiro era ancora un po affannoso quando gli aveva lasciato andare il viso in modo che potesse risedersi normalmente e affondare il viso nella sua felpa.
" Va meglio?"
L'altro aveva scosso la testa nascosta nella stoffa, ma già il fatto che fosse cosciente e rispondesse per Louis era segno di miglioramento.
"Adesso ci calmiamo, adesso ci calmiamo" aveva iniziato a canticchiare come in una litania, affondando la mano tra i ricci del più piccolo ed accarezzandoli  piano per calmarlo, mentre estraeva dalla tasca una Malboro prima di infilarsela tra le labbra, recuperare l'accendino e accendersela con una mano sola, il fumo che saliva a spirali nel cielo buio e l'odore di bruciato che impegnava i loro vestiti.
Dopo un lasso di tempo che gli era parso infinito, Harry aveva parlato con voce tremante:
" Cosa fai?"
" Fumo. Aiuta a calmarmi"
Aveva alzato la testa.
" Mi piace l'odore. Mi ricorda la prima volta che ti ho visto... Mi ricorda di te"
Louis l'aveva baciato sulla fronte sussurrandogli mezzo scherzoso e mezzo serio: " Vuoi provare? Calma i nervi"
Il venticello fresco che spirava dal fiume faceva ondeggiare gli alberi, sollevando foglie cadute che sembravano danzare nei turbini dell' aria che agitava i moschettoni metallici di un paio di pescherecci abbandonati lungo le sponde, producendo insieme al fruscio degli alberi e al rumore gorgogliante dell' acqua, una melodia ipnotica che stordiva la mente e i sensi, e che era riuscita a calmare anche Harry, che tornato in se' ascoltava i battiti del cuore di Louis unirsi a quella misteriosa armonia del mondo.
Dopo un attimo d' esitazione il più piccolo aveva alzato la testa, uscendo dal suo dolce e caldo rifugio, fissando dritto negli occhi il maggiore, e tendendo la mano verso la sigaretta.
Il ragazzo aveva ridacchiato:
" So per esperienza che la prima volta non si arriva in fondo, quindi permettimi di dividere la mia con te, se non ti fa schifo"
Il riccio aveva annuito: trovava confortante il fatto che Louis si comportasse come se il suo attacco di panico fosse una cosa normale, e il fatto che parlasse del più e del meno in modo così tranquillo valeva più di mille "Vuoi parlarne?" e frasi fatte varie della serie " Non te ne devi vergognare, se vuoi io ci sono"...
Louis lo capiva, lo accettava e gli dimostrava che non c'era nulla di sbagliato nell'ammettere come si sentiva, e questo era molto più di quello che avrebbe potuto sperare. Aveva preso tra l'indice e il medio la Malboro, il filtro all'altezza delle nocche, prima di portarselo goffamente alle labbra e ispirare il fumo, come aveva visto fare tante volte all'altro, guardandolo affascinato.
Il sapore amaro gli aveva invaso la gola, coprendo quello metallico del panico e della paura, facendolo tossire mentre l'altro gli massaggiava la schiena...
" Okay okay basta" aveva esclamato Louis, sfilandogliela velocemente dalle mani " Abbiamo combinato già abbastanza guai stasera, direi di evitare la morte per asfissia dopo quella per infarto..."
"NO!" aveva gracchiato il più piccolo, cercando di riprendersi la sigaretta, ignorando la vocina che gli domandava come avrebbe giustificato con sua madre l'odore di tabacco, " Mi piace il sapore... Lasciamela finire, poi te la pago"
Il più grande gliela aveva resa, prima di fissare il cielo stellato sopra di loro, come una trapunta blu zaffiro ricamata da splendenti diamanti, di tanto in tanto attraversato dalla luce intermittente degli aerei che sfrecciavano nell' aria tremante di vento, rumori, odori...
Si sentiva l'olezzo di fritto provenire dalla festa paesana, e la brezza a volta portava il vociare della gente e qualche nota della musica al lunapark,  prima che si perda nell' immensità del vuoto spegnendosi per sempre.
"Non é per i soldi, testone" aveva rotto il silenzio, lo sguardo ancora rivolto verso il cielo, lo stesso che poche ore prima guardava sdraiato sotto un albero e che sembrava in quel momento così diverso anche se era sempre lo stesso " Fumare fa male"
Harry aveva riso, interrompendosi solo per fare un altro tiro prima di mormorare:
" Senti da che pulpito arriva la predica..."
"Su su, non fare il polemico" Louis aveva ripreso a massaggiargli il collo e la schiena notando la pelle d'oca e il lieve tremore che lo scuoteva quando soffiava il vento, cercando di scaldarlo.
"Mi piace. É buono... Sa di te"
" Non ti ci abituare... Non ti permetterò di fumarne altre o di diventare dipendente"
Harry aveva sospirato, arrendevole.
Aveva fatto un altro tiro, gli occhi rivolti al cielo, fissando la stessa stella che si rifletteva negli occhi di Louis mentre lui le pregava, ringraziandole perché anche se avverse gli avevano fatti incontrare, e nonostante tutto li avevano protetti, permettendogli di rimanere insieme e camminare affianco fino a quel momento.
" Va bene"  aveva mormorato, e il più grande aveva sorriso alla volta celeste, non sapendo che aveva perso la guerra ancora prima di scendere in campo per la battaglia.



 


Angolo Fin *-*

Buonaseeeeeera :)
Vedo che siamo calati nelle recensioni... *scuote il dito* No no no, non va bene ragazze.
Sta volta ve la faccio passare ma la prossima volta interrogo su tutto Midnight Memories :)
Nel capitolo di oggi la sottoscritta si scaglia contro la Chiesa.
Perchè, vi chiderete voi.
Perchè a) le amiche di Maria son le prime a darla via
            b) le ragazze casa e chiesa è il tragitto che le frega
            c) mia mamma ha appena parlato col prete perchè quell'idiota                     non permette a mio zio che convive di fare il padrino di                           cresima a mio fratello 'perchè è peccato' e nemmeno a mio                       cugino 'perchè ha l'orecchino'.
Sfigato ( il prete dico).
Quelli del clan della Chiesa del mio paese (falsi, bigotti...) mi stano tutti sul pisy. Ma davvero!
Ma a voi non frega XD Serve solo a spiegarvi il capitolo :)
E a proposito di capitolo... Settimana prossima parto per Roma e quindi non credo che sarò in grado di aggiornare... Quindi in teoria aggiornerei tra due settimane :( ( scusa Fra ma mi sono ricordata che ho l'appuntamento dal parrucchiere martedì sera e siccome parto alle 5 non farò in tempo :/ non odiarmi, per farmi perdonare ho fatto il capitolo più lungo del solito)
Vorrei ringraziarvi tutte, una ad una (mettete il caso che un onda anomala mi travolge mentre visito il Vaticano XD) per il sostegno che mi date e la gioia che provo ogni volta che vedo le vostre recensioni.
Un abbraccio grande grande a Lu che shippa Nick-Harry solo per far star male Loueh *rabbrividisce* quanta crudeltà, Ila che mi trasforma Drunk in Rapunzel ( son due ore che rido e ogni tanto mi viene un flash di Louis che tenta di arrampicarsi coi capelli di Harry che essendo ricciosi e matassosi finiscono per inglobarlo come il Tranello del Diavolo di Harry Potter) Delia chè è FA VO LO SA e se lo deve ricordare sempre, soprattutto a scuola quando the tamarraide is on, Malu che spero abbia capito dopo il mio dilungarmi sulla chiesa e sulla bigottaggine che ruolo avrà Anne in questa storia ( Muhahahahahahaha i biscotti al cioccolato mi rendono cattiva!) Swami che mi ha seguito su instagram ed è la mia prima follower, seguita a ruota dalla sempre mattiniera 1D_1D and last but not least Fra', la McGuiver degli esami #staystrong and #don'tgiveup #ucandoit #1500paginedastudiaresonounabazzecolaperchètuseisuperman!
Spero vivamente che chi è scomparso ricompaia e se lo scorso capitolo faceva schifo I'm Sorry :( 
Don't leave me :( I'm fluffy, I need hugs :(
Bacissimi a tutte e ci vediamo tra due settimane
Cami

Ps: Ogni recensione devolverà in beneficenza 1 euro per comprare alla sottoscritta un canotto, siccome Roma è allagata...
Ps del ps: Se qualcuno ha instagram e vuole guadagnare un follower, sono smilla____

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Capitolo 20
*** Got You Stuck On My Body Like a Tattoo ***


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Louis avrebbe dovuto saperlo.
Il pacco di Lucky Strike, comprato due giorni fa' è già praticamente vuoto, tranne per una sola misera sigaretta che lo sguarda come con scherno mentre la fissa incredulo e senza spiegarsi questa morìa di nicotina, proprio adesso che Fizzie ha acceso lo stereo litigando con Lottie per scegliere il CD e le gemelle giocano a nascondino correndo su e giù per il corridoio.
Ha già mal di testa, e senza un po' di sano fumo sente che non sopravviverà alla giornata.
Sospirando prende la sigaretta, apre la finestra e se l'accende sporgendosi sul davanzale: non sia mai che sua madre lo becchi di nuovo a fumare in casa o che parta l'allarme antincendio un'altra volta, fracassandogli i timpani col suo rumore irritante.
Sa benissimo, dopo aver fatto mente locale, come mai la sua razione di viveri è durata così poco, la causa ha due occhi acquamarina, mille ricci e altrettanti capricci, e un nome che è tutto un programma.
Si, Harry Styles aveva iniziato a fumare.
Non fumare seriamente tutto un pacchetto di Lucky Strike, ma quasi: dopo l'espisodio al lunapark ci aveva preso gusto, e aveva implorato Louis di fargli provare a fumare ancora.
Aveva fatto gli occhi da cucciolo indifeso, la vocina triste, si era strusciato come un gatto, finto di piangere e pregato il maggiore fino a quando, questi, nauseato ed estremamente irritato, aveva acconsentito.
All'inizio gli aveva fatto una tenerezza immensa mentre lo guardava tenere la sigaretta tra due dita, terrorizzato come se fosse una bomba, o aspirare appena il fumo, buttandolo subito fuori senza nemmeno mandarlo giù, bagnando con le labbra troppo umide tutto il filtro rendendolo inutilizzabile a parer suo.
Si era perfino dimenticato di essere arrabbiato.
I primi giorni si sedevano nel patio sul retro della biblioteca (dove Anne Styles sapeva che suo figlio 'studiava') e facevano un tiro ciascuno, fissando le nuvole rincorrersi in cielo, ma dopo qualche tempo Harry gliene aveva chieste in prestito un paio, da fumare all'intervallo aveva detto, e poi aveva iniziato a prenderle senza nemmeno chiedere.
Sapeva la motivazione: voleva sentirsi grande e farsi vedere dai compagni, che lo avevano sempre visto come il nerd perfettino cocco dei prof, e nonostante lui negasse fino a non avere più voce lui non ci cascava.
Voleva solo giocare a fare il grande, e anche se questo era sbagliato e la nicotina rovinava i polmoni  favorendo in futuro l'insorgere di un cancro, Louis aveva lasciato correre: si ricordava com'era avere quindici anni, e soprattutto si ricordava che Harry era più piccolo di lui e che soffriva della sindrome dell' non essere abbastanza, di essere troppo piccolo, troppo immaturo perchè Louis lo prendesse sul serio e rimanesse con lui a lungo, quindi aveva lasciato che il ragazzino facesse il ragazzino, facendo lo sborone con gli amici e fumando come un turco agli angoli delle strade quando uscivano insieme, interpretando quel sorriso soddisfatto come una conferma delle sue teorie.
“Vedi?” sembrava dire “Non c'è bisogno che mi tratti diversamente, non sono piccolo, sono capace di fare le stesse cose che fai tu...”
Aveva capito che stava iniziando a sorpassare il limite della sua sopportazione e del buon senso in generale quando si era ritrovato nel negozietto di tatuaggi dove si era rifugiato una notte di dicembre durante una tempesta di neve che però non era riuscita a placare i suoi bollenti spiriti di ribellione.
Il vecchio tatuatore l'aveva pure riconosciuto:
“Quello della vecchia scuola” aveva mormorato quasi canticchiando tra se' e se' mentre finiva di parlare con un cliente al telefono.
Nel mentre si erano seduti e Louis aveva cercato il coraggio di cercare di dissuadere di nuovo il piccolo dall'idea di farsi un tatuaggio.
Un paio di sigarette non fanno nulla, ma un tatuaggio è indelebile e resta per sempre, ma il riccio non ne aveva voluto sapere, anche se in quel momento se la stava decisamente facendo sotto dalla paura.  
“F-farà molto male?”
Quando Louis aveva guardato negli occhi di Harry aveva visto paura e molta apprensione mal dissimulata.
“Non sei obbligato a farlo, sai” aveva sussurrato piano nel suo orecchio, facendolo rabbrividire dal solletico “Possiamo dire al vecchio che hai cambiato idea e andarcene”
“No” si lamentato lui piano “Io voglio restare, voglio farlo! La mia era solo una domanda...”
“Bhe, innanzitutto conta dove lo vuoi fare, ci sono posti molto sensibili come le caviglie, i polsi o dietro il collo...”
Il ricciolo si era toccato il fianco sinistro “E qui? Qui fa male?”
“Non dovrebbe” li aveva interrotta la voce burbera e rozza del vecchio tatuatore, lo stesso che qualche mese prima aveva inciso la pelle di Louis “Ma prima di anche solo pensare di tatuare qualcosa a un tredicenne...”
“Quindicenne”
“Fa lo stesso. Non voglio grane: sei accompagnato da un maggiorenne?”
Louis si era indicato con una mano, mentre con l'altra mostrava la carta d'identità, precedendo la domanda dell'uomo, che senza scomporsi aveva continuato impassibile “E l'autorizzazione di un genitore?”
Harry aveva estratto dalla cartella il foglietto dell'autorizzazione, dove troneggiava la firma di sua madre palesemente falsificata ottenuta ricalcandola da una verifica di scuola quella mattina prima di prendere l'autobus, ma con grande sollievo di tutti e due l'uomo non aveva detto niente, limitandosi a invitarli nella saletta con un cenno.
“Allora? Cosa vorresti farti tatuare, ragazzino?” l'uomo si era voltato verso Louis “Ma lo sa che poi non viene via?”
“Certo che lo so! Non sono idiota!”
Il più grande siera trattenuto per non ridere, sapeva dal modo in cui le labbra del tatuatore si contraevano che stava scherzando e che cercava di rimanere serio e non scoppiare a ridere in faccia al povero Harry, irritato come non mai.
“Una scritta”
“ E di grazia, posso sapere cosa vuoi che io scriva?”
Louis aveva grugnito, sull'orlo di cedere al desiderio incontrollato di sghignazzare a più non posso, davanti alla faccia offesa e altezzosa del più piccolo.
“Maybe we will” aveva risposto tagliente, addolcendosi un poco ed avvampando furiosamente quando aveva incontrato gli occhi blu dell'altro che lo scrutavano curiosi.
Il tatuatore non aveva avuto più niente da ridire: aveva pregato il ragazzo di sdraiarsi e abbassarsi un poco i pantaloni e l'elastico dei boxer, prima di iniziare a preparare la macchinetta dell'inchiostro, riempiendola del liquido nero che gli avrebbe macchiato la pelle.
“Sicuro? aveva chiesto di nuovo Louis, che aveva paura che forse il piccolo, candido, tenero ed innocente Harry si sarebbe amaramente pentito di quello che stava per fare, e che quello era solo un capriccio o un colpo di testa.
“Si. E tu?”
“ E io cosa?”
“Sicuro che non faccia male?”
Il più grande si china su di lui, pizzicandogli gioiosamente il fianco e solleticandolo senza pietà, facendolo contorcere, scalciare e dimentare come un anguilla,  mentre dice forte per sovrastare le risate dell'altro:
“ Povero il mio pasticcino che ha paura di farsi male!”
“Lo-Louis piantala!” lo prega questo tra le risate.
“E' questo il male che sentirai” risponde l'altro continuando la sua tremenda tortura, mentre l'altro rotola sullettino, incapace di star fermo “ Povero piccolo Harry, non riesce proprio a sopportarlo!”
“B-basta! N-non sono un bambino!!”
Il provvidenziale arrivo del tatuatore salva il ricciolino, che a dispetto delle sue parole stringe fortissimo la mano di Louis e caccia uno strilletto decisamente poco mascolino quando l'ago inizia a incidergli delicatamente la pelle.
“Ti faccio male?” chiede immediatamente l'uomo, interrompendo l'operazione.
Harry avvampa, e stringe la mano ancora più forte mentre scuote la testa.
Il vecchio si china nuovamente su di lui, e riprende il lavoro lasciato a metà.
“Ne hai tanti di tatuaggi?” chiede il più piccolo, mentre fissa Louis con occhi grandi grandi che lo fanno sembrare più piccolo e fragile di quello che è, e così l'altro per distrarlo gli parla, proprio come quando era in ospedale, quando la sua mano era fredda e scheletrica e il corpo ricoperto di tubi e macchine che lo tenevano in vita.
“ Tanti. Troppi...”
“Hanno tutti un significato?”
“Più o meno...Il primo è stata una bussola, perchè m'indicasse la giusta via ma credo che non sia servita a molto, perche non mi ha portato molto lontano...
Poi c'è stato il mio “Far Away”, perchè è lì che voglio andare, molto, molto, molto lontano da questo buco di città e da tutto il resto di questo schifo di mondo, poi un aereoplanino di carta, che ho sempre abbinato alla libertà, un mappamondo, da abbinare alla bussola, che mi servirà durante i viaggi che farò, un ferro di cavallo, che porta fortuna e con la mia sfiga cronica male non fa, una corda con un nodo da marinaio attorno al polso, il numero 78, che è quello che più vorrei eliminare...”
“Perchè?”
“Mi ricorda una storia d'amore finita male”
“Ugh, brutta storia” aveva commentato il vecchio, chino sulla pelle bianca e immacolata di Harry, che però sembrava essersi dimenticato del dolore, tanto era interessato al racconto di Louis.
“E poi? Ne hai altri?”
“ Quello che ho fatto qui: la scritta “ It is what it is”, perchè la vita dopotutto è quello che è...”
“Me li fai vedere?”
Il più grande si era arrotolato le maniche della felpa e si era chinato all'altezza del lettino per permettergli di vederli meglio e di ridisegnare i loro contorni scuri con la punta delle dita, facendogli venire la pelle d'oca lungo la spina dorsale e le farfalle nello stomaco.
 Era tanto tempo che non si sentiva così.
Qualche chiacchiera dopo la scritta, nera come la pece sulla tenera pelle di Harry, era completa e dopo aver pagato con un piccolo sconto ( ma solo perchè era un tatuaggio della vechia scuola e il ragazzino era simpatico) ed essersi sorbiti le raccomandazioni del vecchio, erano di nuovo fuori all'aria aperta, mentre sulla città calava la sera.
“E' tardi” aveva commentato il più piccolo, fissando lo schermo del cellulare con uno sguardo quasi inorridito.
“Ti accompagno al pullman”
“Grazie”
“Ti fa male?” aveva chiesto preoccupato Louis, sbiarciando la mano di Harry premuta sul fianco dove lui sapeva esserci la garza che copriva il tatuaggio, cercando di scacciare dalla mente tutte le orribili storie che aveva sentito su persone che soffrivano le pene dell'inferno a causa di un infezione del sangue a causa dell'inchiostro, o peggio ancora di una reazione allergica.
“No, sto bene. Non vedo l'ora di levare la benda per vedere com'è”
“All'inizio sarà un po' arrossato, ma poi passa col tempo. Fidati”
“Lo so che sei un'esperto”
“Mandami una foto su What's app, mi raccomando” si era preoccupato di dire il più grande, scorgendo la lugubre figura del pullman imbottigliato dal traffico.
“Anche tu! Non ho ancora visto il 78 e la scritta...”
Louis aveva fatto un cenno verso il pullman “Ci vediamo domani allora”
Harry aveva annuito.
“ A domani”
Il moro si era guardato intorno velocemente, prima di chianrsi un po' verso l'altro e baciarlo piano sulla bocca, appoggiando le labbra contro le sue, prima di ritirarsi in fretta, troppo per i suoi gusti, facendole schioccare giocosamente.
Harry, viola dall'imbarazzo e con uno sguardo shockato aveva coperto le labbra con una mano, proprio mentre il pullman alle sue spalle si arrestava sibilando.
“Ma sei impazzito?!” gli aveva strillato arrampicandosi a bordo del mezzo “Avrebbe potuto vederci qualcuno! Come hai potuto correre un rischio così idiota!”
“ 'Rischio' è il mio secondo nome!” aveva fatto in tempo a rispondere l'altro, prima che le porte si chiudessero e lui si allontanasse dal marciapiede salutando distrattamente con la mano.
E mentre il pullman si allontanava, Louis era sicuro di aver visto il più piccolo sorridere estatico, passandosi la  lingua sulle labbra che ancora sapevano di Louis 'Rischio' Tomlinson.





Louis Tomlinson non lo direbbe mai.
Non è consapevole del fascino buio e tenebroso che esercita sugli altri, con quell'aria da cattivo ragazzo duro e misterioso con un armatura fatta di piercing, orecchini ed anelli nei posti più strani: una pallina verde e striata di mille colori, come la carta di un ciupa ciupa sul sopracciglio, il piccolo anellino sulla narice, l'orecchino fatto a borchia appuntita sul lobo e le altre semplici 5 palline d'argento che secondo sua madre gli 'sfigurano' l'orecchio, per non parlare del labbro e di tutta la scena da lavatoio che gli era toccato sorbire quando sua madre l'aveva notato per la prima volta...
No, non sapeva che effetto devastante ad assolutamente assuefante poteva avere.
Harry invece si'.
Quella stessa sera, dopo aver cenato e fatto i compiti per l'indomani era andato in bagno a levarsi la garza che copriva il suo tatuaggio nuovo fiammante, ammirando l'elegante scritta nera che si allargava sulla sua pelle come un marchio maledetto.
Come promesso aveva inviato una foto all'altro, esigendone un'altra dove mostrava i tatuaggi che non gli aveva potuto far vedere nel salone.
Aveva anche insistito per conoscere la storia dietro al tatuaggio che gli ricordava una relazione finita male: non lo aveva dato a vedere ma quel commento lo aveva reso geloso, insicuro e timoroso di poter anche lui perdere Louis un giorno.
“ E' una storia vecchia” aveva digitato l'altro dopo le sue mille insistenze.
“Prima che i miei si separassero a scuola stavo con un ragazzo, Ashton, bomber della squadra di calcio del liceo...
Sembrava essere una cosa seria, insomma, lui si è dichiarato mandando sui tabelloni elettronici che segnano i punti, durante una partita importantissima una cosa tipo: ' Louis Tomlinson sei la mia terza stella a destra e poi dritti fino al mattino. Ti amo. Ti prego dammi una chance'...
Immagina di ragazzi della nuova scuola come hanno reagito quando hanno scoperto la notizia, scoperchiando il vaso di Pandora...
Sta di fatto che ci siamo messi insieme, e per i nostri sei mesi mi sono tatuato il suo numero maglia sul petto.”
“E poi?” l'aveva incalzato l'altro, bruciando di gelosia.
“ E poi cosa?”
“Perchè dici che è finita male e non vuoi ricordare la vostra storia?” Harry sapeva di non essere la prima relazione dell'altro, e lo accetava, ma  venire a sapere i suoi vecchi trascorsi amorosi era tutto un altro paio di maniche...
“Perchè quando mi sono trasferito sono stato male come un cane, ero solo, depresso e oserei dire quasi suicida, ma nessuno si è fatto sentire, e mi è stato riferito che lo stesso venerdì della mia partenza, a una festa, si è presentato con un nuovo accompagnatore ufficiale, un certo Fabian con cui, stando alla loro versione, era fidanzato da mesi...
Mi ha abbandonto, cornificato e preso per il culo, in sintesi.
E non ha nemmeno chiesto scusa.
Tutto quello che mi resta è un 78 tatuato sulla pelle e una grande amarezza”.
Poi era arrivata la foto.
Non sapeva assolutamente che effetto gli faceva.
Di solito indossava sempre felponi enormi e neri, che non lasciavano immaginare il ben di Dio nascosto lì sotto: la pelle era lievemente più scura della sua, macchiata da un crudele, sadico e realista “e' quello che è” che gli attraversava le clavicole sottili, arricciandosi fino a sfiorare i pettorali, ben sodi ma non da palestrato pompato, non troppo definiti da steroidi e schifezze varie, ma sufficientemente marcati da lasciare lo sguardo vagare su di essi, ottenuti attraverso il duro lavoro a furia di sollevare vecchietti e carrelli medicinali...
Più in basso, proprio sul pettorale sinistro, sopra il cuore, era stampato il '78'.
Gli occhi di Harry erano scesi verso il basso, rapiti dal colore della sua pelle levigata e soda e dalla tartaruga appena delineata, fino a sotto l'ombelico, fino alla linea a 'v' che gli aveva fatto perdere la testa.
Se fosse stato a casa Styles, Louis non avrebbe saputo come spiegarselo, ma ciò che  avrebbe sentito provenire dalla camera del suo ricciolino gli sarebbero sembrati sospiri e gemiti mozzati e miagolii come di molle.
E allora, sentendo appena i gemiti soffocati provenienti dall'altra parte della porta, non s'immaginerebbe mai suo il candido, adorabile, dolce Harry a contorcersi attraverso le lenzuola bianche del letto sfatto e strusciarsi forte contro il materasso sottile e soffiare mugolando sui cuscini profumati e masturbarsi piano, lentamente, come in un sogno. E Harry non riesce proprio a smettere di pensare a quanto deve essere bello Louis, mentre con una mano si tocca piano e con l'altra si accarezza piano la pancia, quasi per calmare la sua stessa eccitazione e rallentare il galoppare inesorabile dell'orgasmo. Solo al sopraggiungere di quest'ultimo, Louis non lo potrebbe neanche immaginare, si porterà la mano libera sulla bocca per non urlare di piacere, per non allarmare sua madre che sta guardando la TV al piano di sotto, mordendo quelle piccole dita bianche e chiudendo con forza gli occhi, finalmente soddisfatto.
E subito dopo Harry torna in se', e arrossisce a quei pensieri che gli invadono la mente stanca, mentre il corpo sfatto e sfinito giace tra le lenzuola cercando di riprendere fiato, cercando di spiegarsi o di scacciare quei dolci tormenti che gli hanno sempre insegnato essere sbagliati, ingiusti, disgustosi e sporchi.
Si accarezza piano il tatuaggio con due dita, serrando forte gli occhi cercando di non pensare alla reazione che sua madre potrebbe avere nel vederlo, dal morire d'infarto sul colpo a chiuderlo in cantina e nutrirlo a croste di formaggio e latte rancido per il resto dei suoi giorni, cercando di ignorare il pizzicore della sostanza estranea nel suo corpo, accentuato dalla mancata protezione delle bende, cerca di non pensare che domani ha un test e che se non prende almeno una 'B +' inizieranno tutti a fare pressione perchè non si rovini la sua media perfetta nonostante un'incidente quasi mortale e un ricovero di più di tre mesi, cerca di dimenticare che è sabato, e che andrà a stare da suo padre per il weekend e che non vedrà la sua ragione di vita fino a martedì...
Semplicemente chiude gli occhi, continuando ad accarezzarsi piano come a volersi consolare di tutte le ingiustizie della sua vita.
E immagina che le sue stesse mani da quindicenne siano quelle grandi e rovinate dal lavoro e dalla fatica di Louis, anche se sono sempre fredde, anche se a volte puzzano di sigaretta.
Perchè sono l'unica cosa che vorrebbe sul suo corpo adesso.

















Angolo Fin *w*

*Ansima* che corsa ragazze...
So di essere in ritardo, ma il rientro post-gita è stato a dir poco traumatico O.O
Eniuei è stato divertentissimo, tranne il fatto che m'hanno messo in stanza con la mia ex-migliore-amica ( qualcuna di voi lettrici più anziane se la ricorderà -.-)
Ma ora sono qui, a vedere Harry Styles che manca i Brit Award perchè sta pisciando, Niall con le stampelle e Louis depresso perchè girano voci che la Larry sia finita.
Ma scherziamo?!
Qualcuno mi aggiorni plis :(
Vorrei festeggiare il ritorno di Annie che mi è mancata tantissimissimissimo *la piglia e la sbaciuccia come lei farebbe con Louis* Ele che ha fatto un'analisi perfettissima del capitolo che tra l'altro  è una descrizione perfetta della sottoscritta che, nei panni di Lou, girovaga per Roma fumando Camel Blue, Delia che crede di non valere come la cacca di Harry, ma diciamocelo dopo la sua ultima figura di cacca ai Brit è lui a dover pensare che non vale quanto la TUA cacca XD Ila che mi spezza nella descrizione del suo paese che sembra il mio, che se dovessi contare i bestemmioni che sento quando passeggio per i campi dietro casa mia mentre lavorano i contadini non mi basterebbero le mani, e che non deve perdere nessun'etto per carità che sei già troppo bella così <3
Lu la mia queen of angst che aveva ragione (se le voci sul web sono vere) a shippare Styles-Grimshaw mentre Louis si deprime insieme alla sottoscritta sob sob, 1D_1D che si unisce a me nella protesta contro la Chiesa in quanto musulmana #yeeeeeeeah! Avevo un'amica musulmana che veniva a giocare con noi in oratorio (quando ancora lo frequantavo) ma poi il prete l'ha scoperta e l'ha mandata via.
Come si può mandare via una bambina di 11 anni perchè di religione diversa? Con che coraggio ti fai chiamare uomo di Dio?
Bah. Mi sale il porca troia, ma stiamo tranquilli che io non mando via nessuno <3
Veronica che mi deve aggiornare sulle ultime di Davide ( devo chiamare chi l'ha visto?) e quella fortunella di Fra che vede Harry Styles a Londra dal vivo ma vi rendete conto?! E' la mia stalker preferita <3
Leeroy_hmm che a proposito di fumare devo assolutamente spettegolarti cos'è successo in gita con la mia "amata" compagna di stanza (#ifyouknowwhatimean) e le sigarette!!! Roba da non crederci!!! And last but not least Malu che mi sommerge di cuori e mi fa sentire tanto amata aw che bella cosa <3
Scusate ancora per il ritardo, se avete bisogno di qualcosa (QUALSIASI COSA) mi trovate qua su efp oppure cercando "smilla____" su Instagram :) e se mi scrivete il nome in un messaggio privato ci si può sentire anche su facebook <3 <3 <3
Tantissimi baci romani e un pezzo di Colosseo per tutte!
#Muchlove
Cami

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Capitolo 21
*** I'll Call Ya After My Blood Turns To Alcool ***


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21)

22. I'll Call Ya After My Blood Turns To Alcool

Mai il suono della campanella gli era sembrato così dolce e soave.

La prof stava ancora parlando, forse dettando i compiti, ma a lui non importava.

In un attimo Harry aveva raccolto penne, evidenziatori, gomme e tutto ciò che aveva sparso sul banco nelle ultime 5 ore, disordinato com'era, prima di gettarlo direttamente nella cartella, e infilarci dentro i libri che ci stavano a malapena, afferrare lo zaino per le cinghie e guadagnare l'uscita senza nemmeno preoccuparsi di salutare o di recuperare l'astuccio praticamente vuoto che troneggiava sul banco, dimenticato.

Si sentiva un palloncino a elio che vola nel cielo blu, così felice da toccare il cielo con un dito: ora che il momento era arrivato non stava più nella pelle.

Veramente non stava più nella pelle da quella mattina alle 7.30, quando gli era suonata la sveglia, facendolo schizzare in piedi sul letto, perfettamente sveglio e perfettamente conscio che quella giornata sarebbe stata speciale, anzi, superspeciale.

La sua prima visita in casa di Louis.

Non aveva pensato ad altro tutta la mattina, perdendosi nei suoi pensieri con sguardo sognante, ripercorrendo mentalmente due pomeriggi prima, quando durante una delle loro conversazioni per sms lui glielo aveva chiesto.

Aveva scritto:

Dopodomani ho la casa libera: mia mamma lavora e le mie sorelle sono tutte fuori... Facciamo merenda lì e poi usciamo a cena? Non ho voglia di stare solo :))”

Harry aveva rischiato di farsi beccare 4 volte dal professore di storia mentre rileggeva ancora e ancora col cellulare il messaggio sotto il banco, ogni volta sorridendo al pavimento polveroso come un idiota, ogni volta sentendo che il suo cuore mancava un battito e la faccia diventargli rossa come un un peperone al sole.

Mi piacerebbe tantissimo” aveva risposto lui, in estasi, prima che la sua mente venisse occupata da pensieri come 'cosa mi metto?' 'è buona educazione portare qualcosa per ringraziare dell'ospitalità?' 'Non sarà troppo presto?' e da filmini mentali dove lui, cadendo e incespicando per la sua goffaggine finiva per distruggergli casa.

Un altro sms lo aveva distratto dalle sue pippe mentali.

Va bene, allora ti passo a scuola, okay?”

Per una volta Harry si era completamente scordato che se l'altro lo passava a prendere significava che aveva saltato le lezioni ancora una volta, e comunque sarebbe stato troppo felice per iniziare con la sua solita ramanzina.

Okay :))” aveva risposto, attendendo trepidante un'altro messaggio dall'altro.

Aveva aspettato invano, controllando il telefono giorno e notte ma l'altro non si era più fatto sentire...

Questo aveva smorzato un po' del suo entusiasmo, mentre rimaneva bloccato nell'ingorgo degli studenti che si ammassavano sulle scale e nell'atrio principale cercando di arrivare prima possibile all'uscita, come se ne valesse la loro vita. Spingendo, strattonando e pestando qualche piede Harry era riuscito ad arrivare in fondo alle scale, prima che il gruppo dei più grandi lo travolgesse rispedendolo tra la calca che premeva contro i muri dell'edificio che sembrava stesse per esplodere da un momento all'altro.

Non voglio farlo aspettare!” aveva pensato, il panico che iniziava a farsi strada tra i suoi pensieri felici, “E se magari pensa che sono assente o che mi sono dimenticato e mi lascia qui?”

Aveva già detto a sua madre che si sarebbe fermato a pranzo e a cena da un amico, e che si sarebbe fermato fino a tardi, non aveva neanche le chiavi di casa e se Louis gli dava buca sarebbe stato davvero nei guai.

Era riuscito a estrarre il telefono dalla tasca dei jeans rifilando una gomitata a una ragazza vicino a lui e aveva digitato velocemente un messaggio al suo accompagnatore mentre cercava instancabilmente di avanzare:

C'è un po' di ressa nell'atrio, ma sto arrivando :/”

Inutile dire che nonostante i suoi sforzi era uscito quasi per ultimo.

Quando finalmente era uscito nel trionfante sole di maggio, socchiudendo gli occhi per proteggerli dai suoi raggi di fuoco, non aveva visto nessun Louis Tomlinson in attesa. Aveva scandagliato attentamente con lo sguardo, trepidante, il parcheggio pieno di macchine, il cortile delle elementari dove irritanti e petulanti bambinetti in grembiule venivano trainati via dallo scivolo dai genitori, e aveva persino allungato il collo per controllare il campo da calcio, ovviamente deserto.

Aveva sospirato, cercando di ricacciare indietro la delusione e la tristezza.

Si era dimenticato di lui.

Cerchi qualcuno?”

Harry si era girato di scatto, il cuore che gli martellava nel petto: converse bianche lise che avevano visto tempi migliori, blue jeans strappati in punti strategici ( e più volte ricuciti) e una felpa marrone a maniche lunghe con il cappuccio che insieme al ciuffo castano copriva gli occhi celesti, lasciando scoperto solo la fine del sopracciglio destro dotato di ingente piercing, così come sul naso e sulle labbra ghignanti che stringevano con fare sensuale una sigaretta mezza consumata.

Louis Tomlinson.

Sembrava il padrone del mondo, appoggiato al muro con le mani dietro la testa e quel suo sorriso beffardo, ma Harry poteva vedere dalla luce nei suoi occhi che anche lui era emozionato.

Si era sentito meglio, più sicuro e meno imbarazzato, mentre cercava di darsi un contegno e di non sbavargli addosso come un'adolescente in piena tempesta ormonale.

Vaffanculo Tomlinson, mi hai fatto cagare in mano: pensavo mi avessi tirato un bidone!”

L'altro si era finto mortalmente offeso.

Io? Io sono un uomo di parola: mantengo sempre le mie promesse”

Erano entrambi scoppiati a ridere al suo tono pomposo, attirandosi le occhiatacce dei professori che attraversavano il piazzale deserto per salire sulle loro macchine e tornare alle loro tristi e monotone vite, prima che il più piccolo si scusasse, con uno sguardo contrito in viso:

E' che non mi hai più risposto e pensavo che...”

Che l'avessi dimenticato?”

Aveva annuito colpevole, mentre l'altro spalancava melodrammaticamente gli occhi blu, declamando al cielo:

Che onta, che vile offesa! Finchè non ricarico il mio credito è morto e stecchito, e siccome tu sei di un'altro operatore telefonico...”

Il più piccolo ridacchiava per la teatralità dell'altro, prima tornasse serio e che sussurrasse piano piano, tanto che per un momento Harry lo scambiò per un soffio di vento in un caldo e soleggiato giorno di primavera, mentre veniva gentilmente guidato per un braccio verso casa Tomlinson:

E comunque di te non mi dimenticherei mai...”

Sorrise.

Sarebbe stata una bellissima giornata.















Era stato un incidente.

Harry avebbe dovuto immaginare che era troppo bello per essere vero e che avrebbe finito per combinare qualche disastro.

E dire che il pomeriggio era iniziato bene: una volta arrivati all'appartamento di Louis, che era veramente angusto e stretto come diceva lui, soprattutto contando il fatto che avevano utilizzato i mobili della vecchia casa, lussuosi, raffinati ed in aperto contrasto con le minuscole dimensioni dell'appartamento, per arredare quella nuova ( ma Harry avrebbe preferito essere investito un'altra volta piuttosto che dirlo ad alta voce), avevano cucinato maccheroni al formaggio, rischiando di fondere il pentolino dove stavano facendo sciogliere il formaggio per la loro scarsa attenzione ai fornelli.

Non era certo un pasto da gran gourmet, ma il fatto che l'avessero cucinato loro due, insieme, lo rendeva il piatto più buono del mondo.

Una volta sparecchiato si era posto il problema di cosa fare durante il pomeriggio, e siccome non c'erano consolle o videogiochi in vista, il riccio non sapeva proprio cosa proporre, così si era limitato a un “Quello che ti va'” e il padrone di casa era saltato in piedi dal divano dove era sprofondato, fregandosi le mani con fare diabolico:

Che ne dici di una partita a tennis?”

Venti minuti dopo Louis si stava rotolando dalle risate sulla moquette di camera sua, mentre Harry cercava di suonare serio e indignato mentre agitava minaccioso la racchetta da ping pong attraverso la “rete” che separava i rispettivi campi, in realtà un lungo filo di ferro ricoperto di gomma bianca che sua madre usava per stendere i panni sul loro stiminzito balcone nei giorni di sole .

E' l-l-la q-q-q-quinta v-volta che t-t-ti colpisci c-c-con la racchetta!” aveva boccheggiato il maggiore, ancora a terra, incapace di alzarsi per l'eccesso di risa.

Ridi, ridi finchè puoi Louis Tomlinson, perchè adesso ti farò mangiare la mia polvere!”

Lo hai detto anche due partite fa” l'altro rischiava seriamente di soffocarsi con la saliva, se andava avanti a sghignazzare così.

Harry aveva incrociato le braccia sul petto, mentre il suo faccino si contraeva in un broncio infantile che Louis nella sua testa aveva definito adorabile.

Era seriamente adorabile, tutto riccioli, guanciotte e capricci, ma quasto non significava che lo avrebbe lasciato vincere apposta.

Non dicevo veramente. Adesso faccio sul serio. Stai in guardia!”

O magari si.

Louis si rialzò, servendo una palla decisamente facile, e dopo qualche scambio (Harry esultava ogni volta che riusciva a toccare la pallina) il più piccolo aveva mantenuto fede alla sua promessa, caricando i suoi tiri con tutta la forza che aveva fatto rimbalzare la pallina su tutti i muri, rendendola, secondo lui, imprendibile.

Ma Louis l'aveva presa, tirandola piano verso l'avversario, che deciso a portarsi a casa la vittoria aveva schiacciato, urlando: “Il punto della vittoria!”

La pallina da ping pong era rimbalzata sul pavimento, prima di roteare verso il soffitto e schiantarsi sulla lampadina, facendo piovere ovunque gocce di vetro.

Harry si era gelato sul posto, mortificato.

Lui lo sapeva, lo sapeva che geneticamente era un imbranato idiota e che l'incidente e le inutili sedute di fisioterapia avevano solo peggiorato la sua situazione, rendendolo un pericolo pubblico,

M-mi dispiace...”

Louis guardava il danno con aria distaccata, gli occhi appena socchiusi e le mani in tasta, disinteressato.

Cazzo. Mia madre mi ammazza”

M-mi dispiace, è colpa mia, mi sono lasciato trasportare...”

L'altro aveva scrollato le spalle.

Non preoccuparti, meglio la lampadina che il tuo naso.”

Ma-”

Non è successo niente, davvero. Ne abbiamo di riserva” aveva sorriso “Vado in salotto a prenderle, attento a non camminare sui vetri e-”

Il suono del telefono di casa aveva interrotto le raccomandazioni del ragazzo, che sbuffando era andato alla cornetta a rispondere, lasciando l'ospite solo in camera con il suo senso di colpa.

Pronto? Ah, Ciao ma'. Cosa? No, non l'ho perso, ho dimenticato di togliere il silenzioso quando sono tornato da scuola...”

E mentre Louis mentiva spudoratamente a sua madre, a Harry venne un idea per riparare il disastro che aveva combinato.

In salotto, hn?










Si. Okay. Ciao ma'... Ciao”

Louis riattaccò con un gesto stizzito.

Sua madre lo aveva tenuto al telefono praticamente un quarto d'ora, lasciando Harry in camera sua, da solo in mezzo alle schegge di vetro della lampadina rotta... Sperava non si fosse tagliato.

Ehi Harry!” lo aveva chiamato dal salotto, fissando l'orologio del televisore che segnava l'orario delle 18.37 “Ci si mette un po' a raggiungere il centro a piedi da qui... Usciamo adesso o aspettiamo ancora un po'?”

Silenzio.

Il ragazzo si affacciò sull'uscio di camera sua, e ciò che vide bastò a lasciarlo attonito, incapace di muovere un altro passo in avanti e di proferire una frase di qualche senso compiuto.

He- Ma cosa diavolo stai facendo?!”

Sono soltanto caduto. Non mi sono fatto niente, non preoccuparti”

Louis guardò Harry che, col solito adorabile cipiglio imbronciato, dapprima si strofinò un paio di volte i jeans all’altezza delle ginocchia, per scuotere via la polvere che vi si era raccolta nella caduta; e poi raddrizzò  la sedia che si era rovesciata sul pavimento e vi salì sopra in piedi, in un equilibrio precario che fece impallidire ancora di più il maggiore.

Si può sapere cosa stai cercando di fare?”

Così dicendo, gli si lanciò letteralmente dietro, senza però osare toccarlo per la paura di farlo cadere ancora anche solo sfiorandogli una gamba, turbando l’asse perfetto in cui il suo corpo si allungò pericolosamente nel tentare di raggiungere il lampadario con le mani.

Cerco di rimediare al danno di prima, non vedi?”

Harry gli sorrise dolcemente, mentre lui cercava di non piegarsi in due a causa delle sue fitte al petto:si sentiva un pervertito, indegno d’essere ricambiato con così tanto trasporto e innocenza di un amore comunque proibito e condannato da ogni morale. Ma ciò che più lo intenerì continuando a guardare gli sforzi del ricciolino furono le sue sopracciglia aggrottate, le labbra morsicchiate e le sue parole affrante.
“Non ci arrivo!”
Ansimò sconfitto e stette per ruzzolare di nuovo a terra se non fosse stato per Louis che, con uno slancio fulmineo, lo afferrò saldamente per la vita.
“Lascia stare, faccio io, è una stupida lampadina non è così importante!”
“No!”
Proprio nel momento in cui stava per rimetterlo con i piedi per terra, il maggiore percepì chiaramente la mano libera di Harry aggrapparsi alla sua maglietta e le sue gambe snelle allacciarsi saldamente al suo bacino. In quella stretta improvvisa, distinse chiaramente il profumo fresco della sua pelle, lo stesso di cui aveva goduto baciandolo più e più volte sul collo nei giorni precedenti, ma senza andare oltre per il timore di violarlo troppo giovane, troppo presto. Sussultò perché, in quella posizione dettata solo dal fatto che lui non intendesse demordere e farsi rimettere semplicemente giù, ciò che invece essendo più grande gli tolse il fiato fu l’attrito che inavvertitamente il più piccolo provocò tra i loro corpi, muovendo le anche in avanti e risvegliandogli un’erezione di cui non riuscì a non vergognarsi.
“Ce la faccio se mi tieni tu. Sollevami solo un po’ più in alto”
Louis non replicò subito, scorgendo chiaramente in quelle parole un disperato tentativo del ricciolo di sembrare a tutti i costi già adulto e perfettamente autosufficiente.
“Ti hanno mai detto che sei testardo da morire?”
Gli chiese soltanto in un mormorio appena percettibile, cingendogli entrambe le mani dietro le ginocchia e sollevandolo il più possibile.
“E a te hanno mai detto che sei appiccicoso da far quasi paura?”
Rimbrottò Harry altrettanto fra i denti mentre, con l’ultimo, sforzo riavvitava  la lampadina più saldamente gli riuscisse.
“Solo quando si tratta di te, Haz, sai?”
Lo provocò scherzoso, accennando un mezzo sorriso al rossore che tinse quasi subito il viso del più piccolo e che quest’ultimo provò goffamente a dissimulare, voltando la testa di lato per evitare di incrociare lo sguardo rapito e rivolto verso l’alto del maggiore.
“Ho finito. Puoi anche lasciarmi andare, adesso”
“Come vuoi”
Lo assecondò, cominciando a farlo discendere fra le sue braccia con una lentezza quasi estenuante; si fermò solo allorchè le sue mani andarono a sorreggere i glutei del più piccolo e la punta del suo naso sfiorò l’orlo della maglietta nera che Harry indossava, inspirando anche attraverso la stoffa il suo odore d’irresistibile innocenza.
“Mi lasci andare?”
Dopo aver colmato un’ultima volta le proprie narici di quell’odore fresco e inebriante, Louis sollevò lo sguardo a quel sussurro, quasi dolce come gli occhi di Harry che si puntarono verdi e immensi nei suoi, imploranti quel sì che, rimproverandosi ancora una volta d’essere egoista, non riuscì a concedergli.
“Lo vuoi davvero?”
Non attese replica alcuna; non gliene diede nemmeno il tempo. Avendo le mani occupate a sorreggerlo, si servì invece proprio della punta del proprio naso per sollevargli di un poco la maglietta: quel tanto che bastava affinchè vi si insinuasse sotto con la testa e iniziasse a tracciare con le labbra la striscia sottile di peluria appena accennata che, dalla cintola dei jeans, risaliva fino al suo ombelico.
Stringendo di più le braccia attorno ai suoi fianchi, la disseminò di piccoli baci casti e ravvicinati, risalendo e scendendo più volte, fino al momento in cui le mani del ricciolo, che fino a quel momento erano rimaste appoggiate alle sue spalle larghe e forti, non si artigliarono alla sua maglia con una forza tale da sfilargliela quasi.
“Louis… !”
Solo il fatto di sentirsi chiamare per nome a quel modo, con la voce rotta di un’emozione che sapeva benissimo essere la stessa che provava anch’egli in quel medesimo istante, lo incoraggiò a rendere quei baci meno casti e sempre più umidi.
E sorrise contro la sua pelle quando infine affondò delicatamente la lingua nel suo ombelico; sentì la presa sulle proprie spalle farsi più forte e disperata, proprio come il gemito che Harry si lasciò sfuggire, gettando la testa all’indietro.
Facendo attenzione a non interrompere quel loro contatto, Louis mosse qualche passo in avanti; e, una volta che fu arrivato alla sponda del letto, lasciò che entrambi ricadessero sul materasso in quella stessa posizione, Harry sotto e lui sopra, le labbra ancora sul suo ombelico, incapaci di staccarsene.
Gli sembrò di non aver mai assaggiato in vita sua una pelle più morbida e più dolce di quella del più piccolo; pregò Dio affinchè nessun altro tranne che lui riuscisse ad assaggiare quel sapore vergine che apparteneva solo a lui. Furono l’idea di sporcare irrimediabilmente quella creatura così pura e il tremore violento che la scosse sotto di lui a far arrestare il movimento delle dita che, quasi mosse da una volontà propria, avevano finito per sbottonargli i jeans.
Non senza riguardarlo con un ultimo bacio a fior di labbra, Louis appoggiò la testa sul ventre tremante del più piccolo, la guancia contro la pelle fresca della sua pancia, le mani a stringere le lenzuola e nelle orecchie il  suono affannoso del suo respiro spaventato.
“Lou, io…”
“Non preoccuparti, Haz, ti aspetto. Ti aspetto quanto vuoi”
Cercò di calmarlo, unendo al tono gentile della voce un altro bacio casto, appena sotto l’ombelico. Ma fu Harry a sorprenderlo, non appena si sentì affondare le dita di lui fra i capelli, in una serie di piccole carezze impacciate e innamorate.
Rimasero a lungo in quella posizione, senza muoversi, tranne che per le mani del più piccolo che di tanto in tanto andavano a intrecciare le dita fra i  capelli del maggiore. E in ognuno di quei tocchi Louis si sentì ricambiato e capace d’aspettare Harry, se fosse stato necessario, anche tutta la vita.

Un rumore viscerale proprio dov'era appoggiato interruppe i suoi pensieri.
“Qualcuno qui ha fame, o sbaglio?”
Harry arrossì, non azzardandosi a muoversi per non disturbare il più grande che però si stava già alzando, stiracchiandosi come un gatto per poi tendergli una mano, sorridergli sincero ed esclamare, completamente dimentico della lampadina rotta:

Andiamo a mangiare?”












Andava tutto bene, troppo bene per i suoi gusti.

Per tutta la serata si era sentito euforico e tremebondo a furia di ridere, la testa sgombra da qualsiasi pensiero e il cuore leggero.

Ma lui era Louis Tomlinson e la sua sfiga lo seguiva ovunque andasse come la sua ombra, non permettendogli mai di abbassare la guardia nemmeno per un istante: restava sempre in luoghi solitari, da solo, isolandosi nel suo scudo di mutismo e distaccato sprezzo grazie al quale teneva a bada gli altri.

Tranne Harry.

Il destino gli aveva uniti in una maniera così inaspettata ed improvvisa che neanche Louis, con la sua sociopatia acuta aveva potuto evitare, e così lo aveva lasciato entrare nella sua vita, avendo bisogno di Harry quanto Harry avesse bisogno di lui; poi erano entrati in gioco i sentimenti ed entrambi erano rimasti ufficialmente fregati l'uno con l'altro, anche se Louis era fermamente convinto di essere l'unico dei due a vedere la loro relazione in maniera così pessimista, e un po' se ne vergognava anche se sapeva che i suoi pensieri sarcastici erano un inutile tentativo dell'innamorato badboy dentro di lui di darsi un tono.

E così quella sera aveva deliberatamente abbassato la guardia, concedendosi per una volta di vedere il lato romantico della situazione: la loro gigantesca pizza al formaggio (italiana d'hoc come diceva l'insegna al di fuori del ristorante) faceva ”filo” da tutte le parti, come gli spaghetti di Lilli e il Vagabondo, nel locale risuonava la dolce melodia del violino di Scarlatti o Paganini (Louis non era sicuro quale autore fosse), l'aria agrodolce che una volta all'esterno gli inebriava i sensi gonfiandogli i vestiti e scompigliando i ricci di Harry, diffondendo l'odore del suo shampoo attorno a loro, come una magica aura, una protezione che nessuno avrebbe potuto infrangere mentre camminavano per la città, dondolando le braccia imbarazzati, con le mani che si sfioravano appena e le dita che desideravano intrecciarsi ma non potevano perchè avrebbero tradito il loro segreto, mentre parlavano di tutto e di niente sotto le stelle più belle che brillavano nel cielo...

O mio Dio! Ma è Louis Tomlinson!”

Una sgradevole voce alle sue spalle lo aveva riportato alla realtà, e il sangue gli si era ghiacciato nelle vene: era sabato, erano le otto e mezza e lui era in pieno centro.

Cazzo, cazzo e ancora cazzo.

Cristo, non credevo che potessi veramente camminare in giro... Posso farti una foto?”

Si era girato lentamente per fronteggiare i suoi interlocutori mentre Harry lo fissava curioso.

Lucas Dixon e Christoper Hale.

Gli aveva fissati nella maniera più letale che poteva, prima di rispondere freddamente “ Il fatto che nessuno di voi due rientri nelle mie frequentazioni non vuol dire che io non abbia una vita sociale”

Un ghigno sgradevole si era dipinto sulla faccia del primo, mentre il suo tirapiedi si era limitato a fissarlo confuso, prima di imitarlo fedelmente come un cane bastardo e pulcioso fa con il suo padrone.

Dixon si era fatto avanti e gli aveva passato un braccio attorno alle spalle amichevolmente, dandogli qualche pacca sulla schiena come se gli fosse andato qualcosa di traverso e aggiungendo con un tono cameratesco:

Intendevo dire che è difficle beccarti in giro, Tomlinson”

Già”

Perchè non festeggiamo questo lieto incontro, huh?”

Nonononononono.

Venite dentro a bere qualcosa con noi, sarà divertente”

Aveva fissato Harry con i suoi occhi neri e penetranti sorridendo come un ebete per coprire la sua aria malvagia e sostituirla con una patetica aria di affabilità che non era affatto convincente, ma che aveva fatto crollare le difese del più piccolo, che subito si era diretto verso l'ingresso del pub irlandese dietro di loro scrollando le spalle “Sembra divertente”

Louis l'aveva riacchiappato per un braccio.

Veramente noi dovremmo andare, abbiamo un coprifuoco piuttosto rigido”

Il più piccolo aveva alzato le spalle con noncuranza.

E' sabato sera, Tom”

Tom? Tom?!

Non c'è scuola domani, ergo non c'è coprifuoco stasera”

Ma porca di quella...

Sentito il tuo amico?” aveva rincarato la dose Dixon mentre Hale lo precedeva nel locale “Dai, unitevi a noi... Solo un paio di birre e poi vi lasciamo andare, promesso. Non fare l'asociale, Tom”

Si Louis, non fare il sociopatico”

Harry aveva fatto per seguire gli altri due all'interno, ma il ragazzo gli aveva stretto il braccio mormorando furibondo: “Non penso sia il caso andare...”

Se è per i soldi posso offrire io, non c'è problema...”

Stava per dire al riccio che non era un fottutissimo problema di soldi stavolta, e che voleva quei due sottoni il più lontano possibile da loro, che stavano rovinando la loro serata speciale, che voleva stare da solo con lui, ma i diretti interessati avevano fatto capolino dall'uscio, quell'orrendo ghigno molle e perfido, parodia di un sorriso, stampato in faccia mentre esultavano allegramente: “Venite, abbiamo trovato un tavolo!”







Era surreale, strambo, bizzarro, psichedelico, pazzo ed assurdamente sbagliato quello che stavano facendo.

Louis lo aveva capito appena aveva messo piede in quella bettola sudicia e puzzolente di alcool. Era da sfigati ubriacarsi prima di mezzanotte, ma ai loro indesiderati compagni non importava: appena seduti al tavolo ( già appiccicaticcio di birra e unto di patatine) avevano chiamato la cameriera come un fischio, manco fosse un cane, che aveva risposto a quell'inusuale richiamo con un sorriso mentre si avvicinava con il suo vassoio sbeccato e il blocchetto delle ordinazioni.

Ciao ragazzi” più che un saluto era un sospiro rassegnato “ Cosa vi porto stasera?”

Il solito, Maddie. Sarà una lunga serata” le aveva fatto l'occhiolino “ Unisciti a noi quando hai un attimo di tempo”

Che viscido, schifoso, lurido...

E i tuoi amici?”

Amici sto cazzo.

Mi stavo dimenticando”

Ma guarda che strano, che caso, che coincidenza, non si ricordava proprio il poveretto.

Voi cosa prendete?”

Harry era avvampato così furiosamente che Louis, seduto di fianco a lui, poteva sentire il calore della sua pelle, tanto che il suo gomito che toccava appena quello dell'altro si era ustionato dal cocente imbarazzo dell'"amico".

Niente” si era affrettato a dire Tom a denti stretti.

Come niente?” aveva chiesto il viscido in tono fintamente sorpreso, solo per umiliare ancor di più il più piccolo che era arrossito ancor di più.

Harry ha appena subito un operazione, non può bere alcool” aveva spiegato lui a denti stretti.

Ah” Dixon aveva fatto una faccia da 'cosa ti dicevo?' mentre rifilava una gomitata a Hale che aveva ridacchiato. Povero Harry, povero agnello che era andato a sedersi al tavolo del lupo, che adesso si faceva beffe di lui, che non voleva bere, che non sapeva neanche cosa avrebbe potuto ordinare, che era troppo piccolo...

Proprio questo aveva spinto Harry a mormorare con una vocina piccola piccola “Veramente io avevo sete...”

Maddie, la cameriera, si era voltata indietro sorridendo “Allora cosa ti porto?” mentre gli occhi del ragazzino si allargavano dallo sconforto.

Louis aveva sospirato, perchè era ovvio che non sapeva neanche com'era un superalcolico, figurarsi saperne il nome!

La cameriera aveva tamburellato le dita sul vassoio, impaziente.

Allora?”

Un Malibù Cola e una Vodka Ice Blue” aveva risposto per lui Tom, con voce annoiata.

Questo era bastato per cancellare per una frazione di secondo il ghigno da Dixon&Hale, viscido più viscido, che evidentemente erano di casa perchè tutti venivano al loro tavolo per scambiare due parole, deliranti ed ubriache, ma pur sempre parole.

Che cos'è un Malibù Cola e una Vodka Ice?” aveva sussurrato Harry pianissimo, evitando di guardarlo negli occhi.

La Vodka azzurra nel bicchierino piccolo è per me, il bicchiere con il limone è per te”

E di cosa sa?” aveva chiesto ancora ansiosamente, come se avesse paura.

Forse se evitavi di fare lo spaccone non saresti stato costretto a prendere qualcosa!”

Al tono arrabbiato dell'altro il riccio aveva distolto lo sguardo.

Coca cola” aveva mormorato Louis sottovoce e controvoglia, preferendo evitare di rovinare ulteriormente la serata con la loro prima lite “E' coca cola corretta, non è molto forte. Ho pensato...”

Grazie” aveva mormorato l'altro, mentre gli ubriachi andavano a combattere mulini a vento da un'altra parte e i due viscidoni riportassero la loro attenzione sui loro 'ospiti'.

Non ci hai ancora presentati Tomlinson”

Madonna, doveva avvisare Discovery Channel: aveva appena scoperto che anche Hale poteva parlare e formulare una frase di senso compiuto!

Adesso si che mi sento realizzato.

Già”

Era calato un silenzio imbarazzante.

Harry aveva teso la mano a Lucas.

Harry Styles”

Lucas Dixon, e lui è Christopher Hale”

Louis aveva trattenuto un conato mentre le loro mani si toccavano: tuti sapevano che Dixon era un malato pervertito e perverso che si faceva tutto quello che stava fermo abbastanza tempo da permetterglielo, uomo, donna o animale non faceva alcuna differenza.

Viveva in periferia, e spendeva maggior parte del suo tempo in una galleria inutilizzata della metro a creare murales, 'la sua arte', in compagnia di ratti, rifiuti radioattivi e tossici.

Chissà cosa avevano toccato quelle mani prima di stringere quelle di Harry.

Bleah.

Un brivido gli aveva scosso la spina dorsale facendolo sussultare e urtare la cameriera che arrivava con le loro ordinazioni.

Ottimo, trincavano ciò che avevano nei bicchieri e poi levavano le tende.

Subito.

Ma il riccio non sembrava dello stesso parere, dal momento che sorseggiava lentamente e tutto soddisfatto il suo drink e occhieggiando affascinato quello di Louis, decisamente più piccolo e di un blu fluorescente.

I Viscidoni avevano imbastito una conversazione con loro, alla quale Tom aveva risposto a grugniti e monosillabi, desideroso di andarsene, mentre Harry chiacchierava amabilmente con loro, come se fossero amici.

Sta minchia.

Non immaginava neanche lontanamente chi aveva davanti, e se l'avesse saputo se ne sarebbe andato immediatamente.

Hale e Dixon erano i pusher che avevano il controllo e l'influenza più grande a scuola: Dixon coordinava le operazioni, comprava la roba buona e la mischiava con quella più scadente prima di suddividerle in dosi e mandare il suo cagnetto Hale a spacciare negli anfratti della palestra, tra gli scaffali della biblioteca o sotto i banchi.

Quando Louis aveva cercato di entrare nel gruppo dei sottoni il leader era in crisi: Dixon vendeva roba pessima, ma a un prezzo decisamente più conveniente e abbordabile per gli studenti, mentre lui...

Aveva deciso di mandare il nuovo arrivato a spacciare nel territorio dei concorrenti, a sua insaputa.

Indovinate chi si era beccato tre costole rotte da una mazza mentre quel bruto senza cervello di Hale urlava che “non gliela infilava nel culo solo perchè gli sarebbe piaciuto”?

Indovinato.

Aveva avuto così caga che tornato a casa aveva distrutto tutto il resto della roba nel water, ma siccome era orgoglioso aveva giustificato il fatto come una “crisi di coscienza”, perfino con Harry.

Posso provarla?” a parlar, o meglio pensar, del diavolo ti spuntano le corna, dicono.

Il ricciolo fissava ancor più insistentemente la sua Vodka ancora intatta.

Stava per rispondere con un 'te lo scordi' secco ma gli era suonato il telefono, e così aveva finalmente trovato la scusa per allontanarsi dal tavolo mormorando a mezzavoce “Basta che non la finisci” prima di uscire di fuori all'aria aperta.

Pronto?”

Ciao Louis”

Ciao Fizzy” aveva sospirato lui sollevato, salutando l'unica persona della famiglia che ancora gli parlava come se fosse una persona normale.

La mamma vuole sapere a che ora rientri e se hai le chiavi”

Rientro tardi, non so quando, ma dille di andare pure a letto che ho le chiavi”

Sapevano entrambi che erano mesi, se non anni, che sua madre non lo aspettava alzata la sera quando usciva, ma loro fingevano che fosse tutto normale, e andava bene così.

Davvero.

Dove sei?” aveva chiesto lei, più per continuare la conversazione che per altro, ormai nessuno gli chiedeva più dove andava, con chi, cosa facevano...

A un pub, con degli amici...” aveva apposta omesso quali amici per lasciarle intendere quel che voleva, se voleva poteva pensare a nuovi amici di scuola, o alla vecchia compagnia con Zayn e Stan, perchè lui non aveva amici.

A parte Harry.

Ma lui non era un amico.

Okay, allora ti lascio andare”

Fiz?”

Si?”

Prima si è fulminata la lampadina, e mentre la cambiavo mi è caduta. Non andare a piedi scalzi”

Okay. Grazie”

Buonanotte”

Buonanotte”









Non aveva nessuna voglia di rientrare.

Forse era solo una sua impressione causata dalla sgradevole e forzata compagnia che gli aveva rovinato tutto il divertimento e cacciato lui ed Harry in quella situazione sgradevole, ma il locale gli sembrava troppo caldo, quasi asfissiante nella sua claustrofobica struttura angusta, resa sudicia dagli ubriachi che iniziavano a puzzare come carogne e a scatenare risse per stupidate che non avevano alcuna importanza e il giorno dopo nessuno si sarebbe ricordato.

Meglio stare di fuori all'aria aperta a fumare una sigaretta in santa pace finchè Harry non fosse uscito a cercarlo, in modo da filarsela all'improvviso e in fretta senza dover questionare ancora con quegli stronzi.

Louis si era acceso la sigaretta sospirando: erano riusciti a colpirlo dove faceva male... Anche lui spesso si faceva problemi sull'età del fidanzato, considerando che erano significativi gli anni che gli separavano, anche se non in modo così drammatico perchè Harry era diverso dai suoi coetanei, più maturo, più cosciente di se stesso, con valori ed ideali propri, meno attratto dalla massa e dalle mode...

Ecco, Harry era se' stesso, e l'altro lo invidiava perchè era tutto ciò che avrebbe voluto e non sarebbe mai potuto essere.

Per questo era arrabbiato, perchè in quel momento il più piccolo stava cercando di dimostrargli che era grande abbastanza, che era come i suoi compagni di classe, che poteva essere indipendente e autonomo, che poteva farcela da solo...

Come con la lampadina oggi.

Ma non aveva bisogno di dimostrarlo, non a lui che lo amava così esattamente come era: ingenuo ogni tanto, orgoglioso oltre ogni buon senso, determinato, allegro e sempre con la battuta pronta e un sorriso sulle labbra, un piccolo sole, il suo piccolo sole candido e luminoso che eppure era seduto al tavolo unticcio e appiccicoso di puzzolente pub scadente con due sorci di fogna della peggior specie.

Non poteva fare a meno di essere arrabbiato, anche se sapeva benissimo il fascino che l'alcool aveva a quell'età, e pensando razionalmente non poteva neanche biasimare troppo il comportamento dell'altro, dopotutto lui e Zayn avevano fatto molto molto molto peggio di un Malibù Cola.

E non era stato Harry a mettersi alla guida di una macchina rubata ubriaco marcio, quindi doveva solo stare zitto, anche se gli prudevano le mani dalla rabbia e dall'incontrollabile voglia di fargli una bella lavata di capo.

Oddio, inizio ad assomigliare a mio padre!

Il pensiero lo aveva irritato oltre ogni limite, e il ragazzo aveva spento il mozzicone della sigaretta con uno scatto nervoso.

Perchè diavolo ci metteva così tanto?!

Si era diretto di nuovo all'interno, pronto a ripescare il ricciolino per le orecchie e trascinarlo fuori da lì se necessario, ma una volta tornato al tavolo lo sgomento davanti alla vista che gli si presentava aveva preso il sopravvento sull'irritazione bruciante che lo aveva consumato fino a quel momento: una piramide di shortini colorati mezza crollata e già ampiamente consumata troneggiava sul tavolo davanti agli occhi lucidi e brillanti di Harry, le pupille dilatate e un sorriso deficiente mentre Louis si avvicinava al tavolo.

Ti prego ti prego ti PREGO, fa che non li abbia bevuti tutti lui...

Louuuuuuuuuuis!!! Louuuuuuuuuis!! Ho bevuto il colluttorio, ho bevuto il colluttorio!”

Le sue speranze erano naufragate come onde sugli scogli, mentre guardava il ragazzino sbracciarsi verso di lui agitando in bicchierino con resudui verdastri di vodka alla menta.

Porca Eva.

Se li era scolati tutti lui.

Harry! Cosa cazzo hai fatto!?”

I tuoi amici sono simpaticissimi! Mi hanno offerto un triangolo di shottini!”

Si era schiaffato una mano in faccia, desideroso di farsi male: aveva quattordici anni. Quattordici. Se il proprietario del locale lo beccava lì, ubriaco fradicio e senza nemmeno aver l'età per poterci entrare in un pub, gli avrebbe dato una multa e Louis essendo più grande e quasi maggiorenne si sarebbe preso tutta la colpa, e questo voleva dire altri guai con gli assistenti sociali.

E con i poliziotti, dal momento che la piramide costava 30 sterline e lui non ne aveva nemmeno mezza.

Porca Eva.

Harry, alzati! Dobbiamo andarcene da qui o siamo nella merda!!”

Il riccio si era alzato barcollando, muovendo passi incerti prima di crollare a terra come un sacco di patate.

Non sono caduto, non sono caduto!” aveva strillato tra le risate mentre lo rimetteva in piedi tirandolo per un braccio e guadagnando velocemente l'uscita “E' la gravità che mi vuole!”

Una volta all'aperto e lontano dal pub Harry sembrava essersi calmato: aveva smesso di ululare ininterrottamente, limitandosi a parlare da solo a raffica, senza neanche respirare tra una parola e l'altra mentre Louis lo sorreggeva e malediva mentalmente la loro sfiga.

E adesso? Dove l'avrebbe portato? Mica poteva lasciarlo lì, o mandarlo a casa in quello stato!

Al parco.

A casa sua no di certo, edifici pubblici o stazioni ferroviarie a quell'ora pulullavano di brutta gente e non c'era altro posto che garantisse altra privacy e possibilità di restoro.

Era il posto giusto, avrebbero camminato un po' finchè non si sarebbe calmato, poi lo avrebbe fatto tornare in se' con l'acqua gelida della fontana e dopo averlo istruito su come comportarsi lo avrebbe accompagnato a casa.

Sembrava la cosa giusta da fare.

Una volta giunti sul posto Louis si era rilassato, concedendosi persino di prestare attenzione ai vaneggiamenti deliranti dell'altro che parlava di fiori, di lampadine e lampioni che andavano aggiustati e di come le stelle si muovessero velocemente (in realtà erano aerei, ma a Louis sembrava inutile puntualizzarlo).

Una farfalla! Una farfalla!!”

Come non detto.

Io odio le farfalle, mi fanno cooosì schifo! Le detesto quando mi svolazzano intorno e mi vengono addosso... Se tipo tu avessi la farfalla credo che saremmo solo amici, magari migliori amici, ma poi basta”

Il sobrio aveva ascoltato attentamente il delirio alcolico dell'altro, cercando di carpirne un senso e delle verità.

Tutti amano le farfalle, ma a me fanno proprio schifo. Tutti credono che dovrebbero piacermi. Ma a me non piacciono. Mi fanno schifo. E se magari sono l'unico che non gli piacciono le farfalle? Vuol dire che c'è qualcosa di sbagliato dentro di me?Se è una cosa brutta posso provare a farmele piacere, davvero, almeno un pochino, ma io non so se è brutta o no perchè se lo dico in giro ed è una cosa strana, magari a loro che gli piacciono le farfalle faccio schifo io e-”

Louis, sentendo i suoi respiri spezzati e la vooce prossima al pianto lo aveva scrollato per le spalle, prima di dargli qualche schiaffetto sulle guance.

Sapeva cosa stava passando, era stato lo stesso per lui finchènon aveva trovato Stan e finchè la sua infautazione per Zayn si era transformata in una semplice ma forte amicizia.

Per un attimo avevano camminato vicini, assorti nei loro pensieri mentre l'aria fredda della sera raffreddava il viso in fiamme di Harry, che dopo qualche minuto, appena riacquistato il controllo di se stesso e dei suoi arti inferiori, aveva scrollato via il braccio del maggiore, imbarazzato da quel momento di debolezza.

Ce la faccio adesso” aveva mormorato allo sguardo interrogativo dell'altro, continuando a camminare e fissando il sentiero di ciottoli per non incontrare il suo sguardo.

Louis?”

Hn?”

Sei arrabbiato?”

Da adesso sono di nuovo 'Louis'? Cosa c'è, 'Tom' risulta occupato?”

La frase era uscita con più veleno di quanto avrebbe voluto.

Aveva visto il guizzo ferito degli occhi di Harry, prima che lui voltasse la testa, fissando ostinatamente qualcosa nel buio.

Si, sono arrabbiato. Molto arrabbiato. Perchè lo hai fatto? Se fossimo stati solo io e te non avresti mai bevuto! Dovevi fare il montato con-”

Io non volevo fare il montato!” Harry stava iniziando ad alzare la voce “ Volevo solo... Quando gli hai visti sembrava volessi scappare...Non volevo farti sentire in imbarazzo! Mi dispiace se non passo i miei sabati sera a seccarmi di alcool come tutti i miei compagni, mi dispiace se non ho neanche un tatuaggio, se non infilo cazzi e madonne ad ogni frase, se mia madre mi trascina a messa ogni domenica, se ho solo quindici anni, se non sono degno di essere presentato ai tuoi amici, se ti vergogni di me...”

Harry” aveva provato a zittirlo Louis, con scarsi risultati “Harry... HARRY!”

Aveva urlato così forte che dall'albero di fianco a loro era caduta una pigna.

Harry, io non mi vergogno di te, me ne sbatto di quante volte preghi il Signore, di quanti anni hai e di cosa fanno i tuoi compagni. Mi piaci così come sei e non perchè cerchi di assomigliare a loro, non mi imbarazzi, e quelli non sono i miei amici”

Ma... Sembravano così... In confidenza...”

Sono dei sottoni di merda”

M-ma ti conoscevano”

Sono due pusher che lavorano a scuola” aveva spiegato seccamente Louis “Una volta ho venduto due pasticche per conto di altre persone nel loro territorio e mi sono ritrovato con due costole rotte. Per questo erano amichevoli, per intimorirmi e tenermi buono. Credimi quando gli ho visti volevo davvero scappare via, ma tu eri così pappa e ciccia con loro che non sapevo come fare a scollarti da lì”

E' che non mi hai mai presentato ai tuoi amici, e quindi ho pensato...”

Non ne ho” lo aveva interrotto l'altro “Di amici. Non ne ho. Non qui comunque”

E Dean e Zayn?”

Stan. Stan e Zayn. Stan non è proprio un amico, è il mio ex”

Ah”

Non fare quella faccia, ci siamo lasciati un'era fa”

Non sto facendo nessuna faccia” aveva replicato Harry.

Vuoi proprio litigare stasera? L'ho mollato perchè la nostra relazione era ormai morta e sepolta, ma lui non voleva accettarlo, e non ha preso bene la cosa. Zayn, secondo i pettegolezzi del paese, è in collegio. Alcuni dicono in riformatorio. Quindi no, zero amici.”

C'era stato un lungo attimo di silenzio, durante il quale Harry aveva rallentato l'andatura, passandosi stancamente una mano sulla faccia.

Mi sento così stupido”

Stava per rimettersi a piangere di nuovo.

Probabilmente era colpa l'alcool.

Mi sento un idiota, ho rovinato tutto...”

Non dire così... Vederti ubriaco è stato uno spasso, anche se preferirei evitare la prossima volta. Rischiavo anche di dover pagare la piramide di shortini, ma dal momento che c'è la siamo svignata toccherà a viscidone&viscidone”

Aveva ridacchiato leggermente, aggiungendo “Sono anche contento che abbiamo chiarito”

Harry aveva annuito riconoscente, prima di prendersi la testa tra le mani.

Mi gira la testa”

Alla prossima panchina ci fermiamo, promesso”

Non ci erano arrivati. Dopo qualche metro Harry aveva iniziato a lamentarsi, prima di fermarsi a vomitare violentemente a lato della strada mentre Louis gli massaggiava la schiena e gli reggeva la fronte, ravvivandogli i capelli all'indietro in modo che non si sporcassero e sussurrando parole di conforto, sorreggendolo fino a quando era collassato sulla tanto desiderata panchina di fianco a una fontanella.

Non si era lamentato neppure quando gli aveva lavato il viso e le mani con l'acqua gelida, obbligandolo a berne un bel po' per mascherare l'odore dell'alcool e farlo tornare in se'.

Grazie” aveva mormorato stancamente una volta ripulito, mentre il più grande lo soppesava attentamente.

Adesso sembri solo crollare dal sonno: ti riaccompagno a casa, ma non avvicinarti troppo a tua madre e fila a letto, chiaro?”

Aveva annuito.

Non desidero altro, credo che non riuscirò più a camminare...” aveva sbadigliato, inspirando ad occhi chiusi la frizzante aria notturna, prima di aggiungere maliziosamente “Mi dovrai portare in braccio, temo”

Aveva sentito qualcosa avvolgerlo e sollevarlo, e in un attimo si era ritrovato con le braccia attorno al collo del più grande e la testa appoggiata alla sua spalla, mentre Louis lo trasportava come se fosse la sua sposa.

Non intendevo sul serio!”

Saresti collassato di nuovo, quindi...”

L'unica cosa che risuonava per le strade della città deserta erano i passi pesanti di Louis sul marciapiede buio, e i respiri di Harry nella sua maglietta.

Si sentiva come cullato, protetto, sospeso in un altra dimensione, al settimo cielo.

Poteva volare fino alla luna e indietro.

Non importava quanti casini aveva combinato, tra le braccia di Louis tutto perdeva importanza.

Una volta imboccata la via di casa sua Harry aveva rotto il silenzio, più per far conversazione che altro.

Comunque Tom mi sembrava carino come soprannome”

Louis aveva grugnito in risposta, e il più piccolo ridacchiando di gusto si era allungato verso di lui per baciarlo sulle labbra, ricompensa della sua grande fatica, ma il maggiore si era scostato lentamente, le labbra fuori dalla sua portata.

Sei ancora arrabbiato con me?”

Silenzio.

Un sorriso appena accennato nella notte ed illuminato nel buio dalla luce dei lampioni, come lo Stregatto ed Alice, il vento sui loro vestiti che raffredda il calore dei loro corpi uniti che bruciano d'amore.

Le labbra del più grande si piegano in un sorriso ancora più largo mentre baciano la fronte sudata del più piccolo, che trattiene il fiato, in attesa.

No. Ma puzzi ancora di vodka”

E Harry aveva capito di essere stato perdonato.

















Angolo Fin *w*

TATATATATAAAAAAAA' :)

Eccomi qui, ad aggiornare in extremis in pigiama prima di andare a letto LOL

Cosa posso dirvi? La scuola mi sta uccidendo e dal momento che come terza materia interna è uscito diritto...

Voglio morireeeeeeeeeeee *tenta di porre fine alle sue sofferenze ingozzandosi di cioccolata e pregando di schiattare per overdose*

Penso che chiederò ripetizioni telefoniche a Fra' che tanto lei il diritto lo sa bene <3 vero che mi aiuti? *faccia da labrador abbandonato e in carenza di coccole* Se non mi aiuti faccio morire Harry ucciso da sua madre che poi costringe Loueh a prendersi la colpa e lo sbattono in prigione #ImevilandIknowit

Sono molto contenta perchè molte persone che mi avevano "abbandonato" sono ritornate! Come Elli, la mia mogliettina che non sento da tantissimo tempo, a che ha recensito tutti i capitoli! Ti farò fare un monumento <3 Come va'? Tutto bene? A casa tutti a posto? Visto che si parlava di sigarette e Lucky Strike...Ti ricordi quando ti facevo la ramanzina perchè fumavi? Uhm, ecco... Ritiro tutto lol 

E oltre a festeggiare Elli ringrazio anche tutti voi per il supporto e l'affetto che mi dimostrate, quindi ringrazio Delia, che è un tesoro e ti assicuro che non sei l'unica ad avere paura degli aghi: mia mamma lavora in un ambulatorio e dice sempre che i ragazzi che le arrivano per fare le analisi "più sono grossi tanto prima svengono" e non devi tirare da una sigaretta per essere figa, tra non molto le fumatrici tue coetanee avranno labbra, dita e denti gialli e i capelli sempre puzzolenti, sembreranno delle vecchie pelli di elefente raggrinzite mentre tu sarai un fiorellino <3 e sarai tu l'ultima figa che riderà <3

1_D 1_D che, se nel capitolo prima pensava che Harry fosse un po' sporcaccione figuriamoci adesso LOL Awww grazie mille per i complimenti, sei un tesoro <3 sei TU quella persino migliore della cioccolata calda in inverno, e non la cioccolata normale, quella Lindt <3

Leeroy_hmm che sta partendo per ROMA e che dopo questo capitolo non guarderò in faccia per almeno un mese ( sai, l'imbarazzo per la scena semi-quasi-preludio-slash lol, che questa l'ho scritta proprio io senza intermediari XD) e che spero si accorgerà che ho corretto la punteggiatura. Happy?

Lu che mi parla di Skins. Chiariamo: io sono Skins dipendente. Ho amato Maxxie ed Anwar della prima generazione. Ho pianto con Emily. Sono andata in trip con Effie, mi sono innamorata di Freddie fino ad impazzire per lui, ho odiato Cook... e poi? E poi sono rimasta di merda al finale della serie. Ma si può?! Non so se l'hai già visto o meno, quindi non ti dico nulla, ma sappi solo che per la delusione non ho nemmeno guardato gli episodi della serie sucessiva con l'altra generazione.

Annie che è una badgirl che recensisce a scuola mentre i prof spiegano magari...

Attenta che magari le cose che ti sei persa mentre mi scrivevi saranno chiesti nell'esame di maturità! Non ti devi distrarre! Mai! Vigilanza Costante! (cit Malocchio Moody) #attimodisclerodiunamaturandaincrisi

Ila che per fortuna ora è calma e spero abbia risolto tutto con le sue "amiche"...
Ho un nuovo consiglio: se hai ancora problemi con loro compra un panda e regalaglielo.
Non c'è modo più dolce per mandarcele che con un Pandaffanculo <3

E ultima ma non meno importante è Malu che ad ogni 'o' m ha messo un cuore ahahahaha ma quanto sei picci <3 Visto che non ho rovinato tutto? Anne è ancora ignara e Lou e Hazza tentano di calmare i bollenti spiriti XD Ma non so quanto resisteranno... Si aprono scommesse lol

E con questo ho finito, ho ringrato tutte :) Mamma mia, ogni volta la lista è sempre più corta, e solo i migliori (modestamente) rimangono!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e se non si fosse capito le frasi di Harry ubriache mi sono state raccontate dai miei più cari amici il lunedì mattina una volta passata la sbornia, spesso con tanto di imitazione -.- Motivo in più per vergognarmi davanti a Leeroy_hmm... Non pensare male ( se non è già troppo tardi!)
Grazie mille a tutte per il sostegno che mi date, siete così meravigliose che dovrebbero creare una nuova parola per definire quanto <3
Buona settimana e buonanotte!
Cami









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