Illusioni

di Blue Drake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***
Capitolo 6: *** Cap.6 ***
Capitolo 7: *** Cap.7 ***
Capitolo 8: *** Cap.8 ***
Capitolo 9: *** Cap.9 ***
Capitolo 10: *** Cap.10 ***
Capitolo 11: *** Cap.11 ***
Capitolo 12: *** Cap.12 ***
Capitolo 13: *** Cap.13 ***
Capitolo 14: *** Cap.14 ***
Capitolo 15: *** Cap.15 ***
Capitolo 16: *** Cap.16 ***
Capitolo 17: *** Cap.17 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


ILLUSIONI

 

Seguito diretto di “Sogni” ...

 

 

Cap.1

 

Forte delle proprie introspezioni, delle molte riflessioni che avevano richiesto quasi l'intera giornata, era tornato a casa, con una nuova speranza e nuove convinzioni. Si sentiva più determinato ora, abbastanza da tornare sui propri passi, da ammettere i propri sbagli, da tentare il tutto per tutto per riparare agli errori commessi in tanto tempo di leggerezze e negligenze.

Quella piccola ragazza – ragazza? - quella specie di folletto dispettoso, era rimasta con lui, in quella giornata, ad ascoltare con pazienza, senza mai interromperlo, se non per porre le domande giuste, senza mai giudicare ciò che sentiva. Poi era sparita, di nuovo e come sempre. Forse non l'avrebbe più rivista, anche se sperava il contrario.

Ora però era tempo di tornare a casa e mettere in pratica quello che avrebbe già dovuto fare fin dall'inizio, ma che non aveva mai avuto la voglia, la pazienza, la costanza o, più semplicemente, il coraggio di fare.

Fino ad ora.

 

Lo stava aspettando. Normalmente questo lo avrebbe messo a disagio, ma questa volta era diverso. Rappresentava per lui la prova evidente che ciò che aveva in mente meritava di essere messo in pratica, che valeva la pena di tentare, perché in fondo a lei importava ancora se lui ci fosse o meno. Anche se adesso era arrabbiata, perché aveva fatto tardi, comunque significava che una parte di lei continuava a preoccuparsi della sua sorte, quando non erano insieme.

Lo aveva fissato e, nei suoi occhi, era lampeggiata quella pericolosa luce che indicava rabbia e, forse, qualcos'altro, qualche cosa di indefinito. Ma non voleva pensarci, adesso. Aveva ben altro su cui concentrarsi, o meglio, qualcuno. E quel qualcuno era adesso proprio davanti a lui.

Le aveva sorriso, dolcemente. Lei era parsa un po' sorpresa e si era irrigidita, nel momento in cui le era andato in contro, senza fretta ma con decisione.

I suoi occhi, il suo atteggiamento, perfino le sue labbra erano sospettose. Lui aveva trattenuto a stento una risata divertita, che sarebbe stata eccessivamente fuori luogo. Invece le si era avvicinato ancora, senza toccarla, e le aveva detto ciò che per lui era divenuto quasi scontato. Ma non per lei, evidentemente.

"Ti amo".

 

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Ormai quello che era fatto era fatto. Se si fosse rivelato un danno oppure no, lo avrebbe scoperto in seguito.

Lo aveva lasciato andare. Anzi no, lo aveva praticamente spintonato, finché lui stesso aveva compreso che era la cosa più giusta da fare.

Ma, come spesso accade, non sempre ciò che è giusto è anche facile da accettare. Ora, nella propria testa, si chiedeva se sarebbe mai tornato... per lei.

Si augurava, se non altro, che fosse riuscito nel suo intento di recuperare qual legame che, ormai da tempo, aveva perduto senza neppure rendersene conto, quindi senza comprenderne appieno il motivo. Si augurava che lui, infine, avesse capito ciò che doveva fare, per riaverla dalla sua parte. Si chiedeva anche il perché, di questa speranza, visto che, indirettamente, significava con una certa sicurezza che non si sarebbe più interessato a lei.

La risposta era però talmente ovvia da farla sorridere, scuotendo la testa, rassegnata da tanta ineluttabilità. Il perché, come sempre, era lui. Non riusciva ad immaginare di saperlo triste. Come avrebbe mai potuto sopportare di vederlo soffrire?

Ecco la risposta. Così semplice, così senza uscita. Se lui riusciva a ritrovare la propria serenità nella propria casa, accanto alla donna che amava, allora lei doveva accettarlo ed essere semplicemente felice di riflesso.

Potenzialmente facile a parole, ma così assurdamente difficile all'atto pratico...

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***


Cap.2

 

Lo stava ancora fissando, ma non con l'espressione che si era aspettato, che aveva sperato, dopo averle fatto capire quanto tenesse a lei ed al loro legame. Sembrava, piuttosto, incredula, come se non si aspettasse quelle parole, quasi che lui, invece di dichiararle i propri sentimenti, le avesse dato un pugno nello stomaco.

Ho detto qualcosa di...?” -

Prima ancora che riuscisse a terminare la domanda, lei gli aveva voltato le spalle e se n'era andata.

Era rimasto fermo, più confuso di quanto non fosse mai stato, per molto tempo. Fino a che le sue labbra avevano iniziato a tremare. Disorientato, si era allora guardato attorno, quasi sperando di trovare una spiegazione, da qualche parte. Invece, al suo posto, c'era solo silenzio.

Perché aveva reagito in quel modo? Che avesse fatto, senza averne l'intenzione, qualcosa di sbagliato, che l'aveva fatta arrabbiare? Ma cosa? Che cosa poteva aver combinato, questa volta? Perché non riusciva a trovare il modo di recuperare, con lei, il rapporto che pensava di avere ormai perduto?

Avrebbe voluto andare da lei, ora, e chiederle cosa poteva fare per riaverla. Ma, allo stesso tempo, era spaventato. Spaventato dalla sua possibile reazione ma, soprattutto, di scoprire che, per quanto tentasse di rincollare i pezzi, per quanto si sforzasse di parlarle con sincerità, tentando di farle comprendere quanto lei fosse ancora importante, avrebbe potuto essere tutto inutile, che ogni suo tentativo non lo avrebbe mai portato a nulla, se non ad altri rancori e recriminazioni.

Eppure aveva bisogno di sapere. Come poteva vivere con una donna che, non solo non era interessata a lui, ma non lo voleva al punto di non sopportare nemmeno le sue premure e il suo affetto? A costo di farsi del male, era deciso ad andare fino in fondo, per scoprire se c'era del salvabile o se, invece, la sua era solo un'illusione.

 

 

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Nel vano tentativo di non restare fossilizzata in sé stessa, pensando a lui, era tornata a dedicarsi alla soluzione di tutte quelle magagne della propria vita. Una ad una, le stava analizzando minuziosamente, spendendo gran parte delle proprie energie, fino al punto di non avere più il tempo di pensare ad altro, men che meno a sé stessa ed alla propria “felicità”.

La sera, quando tornava a casa, sdraiandosi nel letto, era talmente stanca che si addormentava all'istante, senza neppure avere la possibilità di rivedere la propria giornata, per capire se ciò che aveva fatto l'aveva condotta ad un buon traguardo, oppure era ancora ferma, annaspando tra la miriade di problemi che la circondavano, quasi soffocandola, mentre la soluzione le sfuggiva di mano, come una mera, flebile speranza. Un'illusione

 

 

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Ci aveva provato. Aveva tentato di chiederle il motivo del suo comportamento, del perché gli riservasse tanto disprezzo. Tanto più che, ogni volta in cui gli capitava di farsi un esame di coscienza, non trovava nulla che potesse veramente giustificare il modo in cui lei lo trattava, così freddo e privo di ogni interesse, se non quello di mortificarlo ad ogni buona occasione che le si presentava propizia.

Aveva però smesso di parlarle, alla lunga, perché ogni volta che ci provava, si ritrovava di fronte ad un invalicabile muro che, con le sue sole forze, non sapeva come superare o aggirare. Ormai era troppo stanco, per continuare a provare ma, soprattutto, amareggiato. In primo luogo con sé stesso, per non essere stato capace di ritrovarla. Poi con lei, perché in fondo non trovava giusto che non gli offrisse nemmeno una misera possibilità di riscatto.

E dopo giorni, forse settimane, di inutili ed estenuanti lotte, per trovare la strada giusta, sembrava ora essersi arreso. Si era perfino ridotto ad aspettare che lei andasse a letto e prendesse sonno, prima di raggiungere, a propria volta, la camera, quella stessa camera che gli apparteneva, per evitare ogni possibile e controproducente discussione.

Poi un giorno, prima di distendersi, l'aveva osservata dormire, assorto, per diversi minuti. Si era infine chinato su di lei, dandole un leggerissimo bacio sulla fronte ed aveva sospirato, chiudendo gli occhi ed addormentandosi con un altro, piccolo vuoto, che si allargava di ora in ora nel proprio cuore, minacciando di inghiottirlo da un momento all'altro...

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Capitolo 3
*** Cap.3 ***


Cap.3

 

Avrebbe voluto rimanere in piedi ancora un po', ma quella sera non riusciva propria a far restare gli occhi aperti e, se non intendeva addormentarsi sul tavolo, sarebbe stato meglio trascinarsi a letto. Il giorno dopo era domenica ed avrebbe potuto concedersi di rimanere sotto le coperte fino a tardi, o almeno finché non si fosse dovuta alzare per forza, nonostante non avesse poi molto da fare.

A dire il vero, qualche cosa di "essenziale" da sbrigare riusciva sempre a trovarla ma, per l'indomani, non si era ancora preparata. Quindi, la lista delle faccende da sbrigare era tutt'ora in bianco. A questo piccolo intoppo pensava il proprio cervello, mentre gli occhi si chiudevano, dandole in fine un po' di respiro.

Il momento di tranquillità era però durato così poco che non aveva neppure fatto in tempo a registrarlo.

Ad un tratto si era ritrovata, nuovamente, in quella grande camera da letto, quella che aveva ormai quasi dimenticato ma che, in fondo ai propri ricordi, era tutt'ora nitida e sempre presente.

Lì c'erano loro. La donna dormiva, lui invece era appena entrato in scena e si stava giusto infilando sotto le lenzuola, con più cautela del dovuto, invero.

Avrebbe desiderato riaprire gli occhi ma, allo stesso tempo, non voleva perderlo di nuovo, non ancora, per lo meno. Così le palpebre avevano tremato, indecise, ma erano rimaste abbassate, obbedendo al desiderio più forte.

Lo osservava mentre, pensieroso, rimaneva seduto a fissare lo sguardo nel vuoto, ed anche mentre si chinava su di lei e le dava un bacio sulla fronte. Infine, sospirando, sembrava essersi rassegnato a distendersi e provare a prendere sonno.

 

 

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Era appena riuscito a chiudere gli occhi, quando un piccolo brivido, rapidamente era risalito lungo la propria schiena. Quasi un leggero alito di vento, che lo aveva costretto a riaprirli immediatamente.

Quella sensazione. La riconosceva così bene, nonostante fosse trascorso molto tempo. Quell'impressione di essere osservato, che non era mai davvero riuscito a scordare, ora ritornava a farlo tremare, inquieto.

Era stato in fine costretto a rimettersi seduto. Nella silenziosa semi-oscurità della stanza, si era guardato attorno, con circospezione ed un poco di nervosismo, cercando, poi aveva bisbigliato, incerto, mentre la sua voce si perdeva nell'aria immota.

"Sei tu?" -

Nessuna risposta era però giunta a conferma dei propri sospetti, eppure era rabbrividito, ancora.

Chissà, forse era solo la sua immaginazione e la stanchezza di quella sera. Ma sapeva, in fondo, che non era così. Sapeva che lei era lì, da qualche parte. Che lo osservava, aspettando. Forse in attesa del momento giusto per uscire allo scoperto.

 

 

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Quando lui aveva fatto vagare lo sguardo per la stanza e le aveva parlato, pur non sapendo con certezza se fosse realmente lì, lei aveva sorriso. Stava anche per rispondergli, ma qualcosa l'aveva fermata all'ultimo secondo. Avrebbe voluto farsi vedere, avvicinarglisi, ma non era per nulla sicura che fosse la decisione giusta. Lui era con quella donna, ora, e lei non desiderava che la propria presenza rovinasse tutto.

Ciò nonostante, il modo in cui i suoi occhi azzurri la guardavano, senza poterla davvero vedere. Non riusciva ad andarsene. Avrebbe probabilmente dovuto farlo, ma non ne era capace, non trovava la forza.

Lui l'aveva sentita, anche se non aveva fatto alcun rumore, né aperto bocca. Sapeva che lei si trovava lì, per lui...

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Capitolo 4
*** Cap.4 ***


Cap.4

 

 

Non aveva importanza quello che gli dicevano i propri occhi, o le orecchie. Sapeva che c'era qualcuno, così come sapeva che quel qualcuno doveva essere lei. All'improvviso, come una folgorazione, sapeva anche alla perfezione ciò che voleva, o meglio, ciò che non voleva. Non voleva che lei se ne andasse.

Fino al momento in cui era tornata, non aveva avuto la più pallida idea di quanto dolorosamente sentisse la sua mancanza, la mancanza di una persona a cui importasse veramente di lui, abbastanza da permettergli di scegliere con le proprie forze, abbastanza da offrirgli l'alternativa, per avere modo di prendere la decisione giusta - o quanto meno quella che riteneva tale -

Ma ora sapeva anche che non lo era stata, la decisione più giusta. Per quanto, sul momento e per molto tempo, lo avesse creduto. Aveva sperato, con tutto sé stesso, che potesse essere quella che lo avrebbe reso felice - o, se non altro, un surrogato di questa sfuggente condizione -

No, alla fine si era rivelata la decisione più sbagliata, quella che lo aveva maggiormente fatto soffrire.

Chissà se lei, questo, lo sapeva?

 

 

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Perché si trovava di nuovo lì? Eppure aveva cercato, con ogni mezzo, di toglierselo dalla testa, di dimenticare il suo viso, i suoi occhi, la sua voce. Ma erano bastate due parole, per confonderla a tal punto da cancellare tutto quel tempo senza di lui... Tempo sprecato.

Prima ancora, prima di sentire la sua voce, la propria mente l'aveva riportata in quella camera, la stessa dove lo aveva visto per la prima volta. E, come la prima volta, si era trovata impreparata, di fronte a lui. Ora, tutto ciò che desiderava, era di poter risentire il suo calore, il suo profumo, il suo sapore.

 

 

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"Non te ne andare..." -

Le aveva detto, con un sussurro.

Lei lo aveva comunque sentito, la sua voce era rimbombata dentro di sé, quasi fosse stato un grido. Allora aveva spalancato gli occhi, sorpresa.

In quel preciso momento, lui aveva scorto, nel buio, un luccichio verde e si era alzato, veloce, dal letto, andandole incontro.

Lei però questo non se lo aspettava, per ciò non era stata in grado di reagire in tempo, per evitarlo. Così si era ritrovata stretta fra le sue braccia, senza nemmeno rendersene conto.

Il corpo caldo di lui, avvolto attorno al proprio, l'aveva fatta tremare come una foglia.

 

 

 

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Eccola! Aveva appena scorto i suoi occhi verdi. Non si era sbagliato, dunque. Adesso però doveva fare in fretta, prima che lei scomparisse di nuovo, forse per sempre, senza che lui avesse la possibilità di ritrovarla in alcun modo.

Senza pensare, aveva lasciato le lenzuola, fredde, e l'aveva raggiunta, alla cieca, afferrandola e stringendola nel proprio abbraccio, ufficialmente per impedirle di scappare. Ma la verità era che aveva bisogno della sua vicinanza, di sentirla contro di sé. Ora, che aveva nuovamente la possibilità di toccarla, avrebbe anche potuto rimanere così per tutta la notte, se solo gli fosse stato possibile.

Invece...

 

 

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"Non riesco a respirare, se mi stringi così..." -

Aveva mollato la presa all'istante e si era scostato di qualche centimetro. Troppi, per i suoi gusti. Il divario, inatteso, l'aveva lasciata frastornata, tanto che, per sopperire, aveva allungato un braccio, facendo scorrere una mano sulla sua schiena, e si era appoggiata a lui, con la testa posata leggermente sul suo petto tiepido.

"Non ti ho detto di mollarmi, ma solo di stringere meno" -

 

 

 

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Lui si era improvvisamente reso conto di essere arrossito, sentendosi un vero idiota, nemmeno fosse stato un adolescente al primo appuntamento. Quindi aveva balbettato uno stentato e poco sicuro;

"Scusa... N-non..." -

Subito, lei lo aveva interrotto, bloccando sul nascere le sue scuse con un sibilo fievole, e gli aveva chiuso, una volta per tutte, la bocca con la propria...

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Capitolo 5
*** Cap.5 ***


Cap.5

 

 

Si sarebbe volentieri lasciata andare, a quel punto. Se non che, un lampo di consapevolezza le era appena balenato in testa, frenandola giusto in tempo - o proprio sul più bello e nel momento più sbagliato. Dipendeva, ovviamente, dai punti di vista -

Quello, infatti, non era decisamente il punto di vista di lui, che a quel punto l'aveva guardata, perplesso, con un'ombra di panico negli occhi chiari, chiedendosi che altro poteva aver fatto di sbagliato, dato che oramai era avvezzo all'idea di auto-accusarsi per qualsiasi intoppo imprevisto.

Ma lei, inaspettatamente, gli aveva sorriso, minacciando seriamente di mandare all'aria quel poco autocontrollo che ancora sentiva di possedere. Gli si era accostata di più e, con tutta calma, gli aveva mormorato all'orecchio;

"Non credi che sia il posto sbagliato nel momento sbagliato?" -

Lui, troppo confuso anche solo per riuscire a ragionare lucidamente, l'aveva quindi osservata, in allarme, scuotendo la testa senza capire veramente.

Solo a quel punto, lei aveva avuto pietà delle sue precarie condizioni mentali. Infilando le dita fra i suoi capelli morbidi, gli aveva abbassato la testa fino a condurlo al proprio livello e, con pazienza, gli aveva fatto presente che erano in camera sua e che, nel suo letto, dormiva ignara la sua poco comprensiva compagna.

In quel preciso momento i suoi occhi erano divenuti enormi polle celesti e sconvolte. Aveva, suo malgrado, spalancato la bocca in un grido silenzioso e, per lunghi istanti, aveva annaspato in cerca d'aria, nello smarrimento più totale.

Come aveva potuto dimenticarsene? Che cosa gli stava capitando? Aveva perduto completamente la testa! E ora?

"Oh mio dio...", aveva soffiato, in un rantolo sfiatato e confuso -

Lei lo aveva osservato, preoccupata. Forse aveva sottovalutato la situazione, ed ora doveva pensare ad un modo per riportarlo alla ragione - sempre che ne esistesse uno - ed anche piuttosto in fretta, prima di rischiare di perderlo definitivamente.

 

 

Nell'urgenza del momento non era però stata capace di trovare di meglio che afferrarlo per un braccio e trascinarlo fuori, nel tentativo di allontanarlo, almeno fisicamente, dalla fonte delle sue preoccupazioni.

Lui si era così ritrovato, d'un tratto e senza aspettarselo, nel giardino di casa, a notte fonda, a camminare a piedi nudi sull'erba bagnata e con in dosso unicamente un leggero pigiama di cotone, per di più sbottonato.

Era rabbrividito, nella fresca aria notturna, senza davvero riuscire a comprendere l'evolversi dei fatti, disorientato ed ancora sconvolto dai propri pensieri.

Ma lei non si era fermata e lo aveva fatto camminare fino ad un grosso albero che, in un luminoso giorno di sole, avrebbe certamente prodotto una gradevole ombra rinfrescante. In quel momento fungeva però unicamente da punto di riferimento. Un'ancora di salvezza, proprio come le dita di lei, strette attorno al proprio braccio, la rappresentavano, ora, per lui.

 

 

Aveva l'aria così sperduta, in quel momento. Lei non sapeva come raggiungerlo, ma non aveva alcuna intenzione di lasciarlo da solo in quello stato, abbandonato ai suoi dubbi. Così, mentre lui tremava un pochino, nell'aria umida e frizzante, lo aveva gentilmente sospinto, fino a farlo appoggiare al solido tronco alle loro spalle. Poi, appoggiandosi al suo petto, aggrappata ai lembi della camicia del suo pigiama, si era infine sollevata sulle punte dei piedi e lo aveva baciato.

 

Per diversi secondi i suoi occhi erano rimasti spalancati, persi nel nulla. Non aveva reagito in alcun modo, se non con una rigidità attonita ed annebbiata. Poi un brivido, un po' più forte, lo aveva riscosso quel tanto che bastava a fargli registrare la novità. Allora aveva chiuso gli occhi, smarrendosi infine nelle labbra di lei, mentre le proprie braccia tornavano a stringere un corpo caldo, capace di desiderarlo...

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Capitolo 6
*** Cap.6 ***


Cap. 6

 

 

Adorava sentirsi stringere in quel modo possessivo. Era tremendamente eccitante. Senza più pensare a nulla, né porsi ulteriori problemi, aveva infine ceduto alle proprie esigenze fisiche. Le sue mani lo avevano accarezzato, lentamente, scivolando prima sul petto nudo, poi lungo i fianchi, sgusciando di tanto in tanto oltre l'elastico dei pantaloni, ed aveva iniziato a strusciarsi contro di lui, con delicatezza - almeno da principio -

In risposta ai suoi movimenti, lui aveva sospirato, piano, ed il suo fiato tiepido, sulla guancia, l'aveva fatta piacevolmente rabbrividire, invitandola a diventare più audace. Suggerimento, questo, che non aveva esitato un solo attimo a seguire, così che le sue labbra avevano scelto un itinerario più mirato, scendendo languidamente, dal collo fino al petto liscio, soffermandosi a torturare un roseo capezzolo.

I suoi leggeri sospiri si erano quindi trasformati in rochi rantoli e, aderendo strettamente a lui, riusciva ad avvertire distintamente la sua eccitazione, che cresceva con il variare del suo respiro, interrotto, sempre più spesso, da fievoli gemiti.

Nel momento in cui credeva di averlo molestato a sufficienza, le sue labbra si erano spostate sulla sua bocca morbida e gli aveva accarezzato i denti e la lingua con la propria, giusto pochi istanti prima che tutto il suo corpo iniziasse a vibrare ed i suoi polmoni andassero alla ricerca di nuovo ossigeno, di cui evidentemente avevano un disperato bisogno.

Lei lo aveva gentilmente trattenuto, con una mano sulla nuca, ed aveva attutito il suo grido che, invece di perdersi nell'aria, le si era riversato in gola.

Sorretto, fino ad un istante prima, dal tronco dell'albero, si era lasciato in fine scivolare sull'erba, ancora umida, ed era scoppiato a piangere, mentre luccicanti goccioline salate si erano mischiate alla rugiada notturna.

 

 

 

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Sapeva perché lui, ora, stava piangendo. Non poteva evitarlo, ma poteva rimanere con lui, ed è quello che aveva fatto, senza il dubbio che fosse giusto o meno. Lo aveva stretto a sé, accarezzandogli dolcemente i capelli, un po' arruffati, e la schiena.

Avrebbe voluto - lo desiderava più di ogni altra cosa, in quel momento - potergli asciugare le lacrime. Ma non sapeva come, né se ne fosse davvero in grado, né se ne avesse, in fondo, il diritto.

Si sentiva così triste, per lui. Si sentiva anche perfettamente inutile e senza scopo. Trovava tutto troppo ingiusto e senza senso, per riuscire a riflettere con lucidità e dare una spiegazione accettabile al suo dolore. Perché era un dolore che non sembrava in grado di trovare una via d'uscita. Perché quando l'aveva cercata, credendo di averla trovata, tutto sembrava essere precipitato. Da quel momento, niente aveva più spiegazioni, tutto era divenuto insensato ed impossibile.

 

 

 

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Se solo avesse potuto stare con lei, così, senza domande, né aspettative. Semplicemente, solo a riposare fra le sue esili braccia, dimenticando ogni altra cosa. Il mondo, là fuori, il tempo che scorre, tutta la gente ipocrita, le azioni insensate, le parole dure, perfino la propria casa e, naturalmente, colei che, in quel momento, dormiva al suo interno, nella sua camera, sotto le sue lenzuola. La stessa donna che lo odiava...

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Capitolo 7
*** Cap.7 ***


Cap.7

 

 

"Adesso basta piangere" -

Aveva cercato di essere delicata, ma non era per nulla certa del risultato ottenuto e, forse, lui nemmeno l'aveva sentita, troppo preso dai suo pensieri, distratto dal dolore, tanto da non rendersi conto della realtà.

 

 

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Invece, le parole di lei gli erano arrivate, eccome! Nonostante il fastidioso ronzio, che offuscava le sue percezioni, aveva sentito la sua voce fin troppo chiaramente, ma non era stato capace di seguirla. Si sentiva troppo debole, perfino per sollevare la testa e guardarla negli occhi.

Non voleva, però, che i suoi sforzi andassero sprecati, perché, in fondo, sapeva che lei aveva ragione e, per cercare di farle capire questo, di dimostrarle che l'aveva sentita e che avrebbe voluto continuare ad ascoltarla, aveva stretto una mano attorno al suo braccio.

 

 

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Quel gesto che, dapprima, l'aveva fatta trasalire per la sorpresa, lo aveva poi interpretato come il segno tangibile che, in qualche modo, lui era ancora lì, con lei, e tentava di seguire le sue parole, nonostante desse l'impressione di faticare molto a rimanere collegato al mondo reale, invece di lasciarsi trascinare in quella sorta di gorgo mentale da cui doveva essere terribilmente difficile uscire.

Valeva la pena continuare a provare, finché lui non fosse riuscito a risponderle, con sicurezza. La stessa che, non dubitava, possedesse o avesse posseduto, per lo meno in un passato non troppo remoto, ma che, era certa, potesse recuperare in un futuro che, si augurava con tutta sé stessa, non si rivelasse troppo lontano da qual momento.

 

Temeva, però, di aver fatto male i conti. Non aveva infatti tenuto in considerazione la propria stanchezza.

Era sveglia, praticamente, dalla mattina presto del giorno precedente. Quante ore erano che non dormiva? Ventuno, forse ventidue.

Ad un tratto, aveva visto l'aria tremolare davanti ai propri occhi.

Sapeva di cosa doveva trattarsi. Stava per perdere il contatto con quella realtà, dovunque fosse, e non poteva fare assolutamente nulla, per impedire l'inevitabile, così che, di lì a pochi istanti, sarebbe scomparsa nel nulla, ritrovandosi nel proprio letto, di nuovo sola.

 

 

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Gli aveva stropicciato la camicia, fra le dita nervose, e si era accostata al suo orecchio.

Qualcosa non andava. Sembrava agitata, perfino spaventata, mentre poco prima lo teneva fra le braccia, con calma, ora in ogni suo piccolo gesto c'era inquietudine, una sorta di urgenza.

La sua voce gli era giunta come un sibilo.

"Mi dispiace... Io... non..." -

Si era allora aggrappata più saldamente, quasi temesse di poter essere spazzata via dalla brezza notturna.

"Tornerò presto... T-ti..." -

Ma le sue parole si erano perse, nel vuoto nel quale lui era rimasto nel momento in cui era scomparsa, e si era ritrovato sdraiato sull'erba, a tremare, sconvolto per averla persa nuovamente e senza sapere se sarebbe mai tornata da lui.

 

 

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Dopo aver riaperto gli occhi, come si aspettava sdraiata nella propria camera da letto, si era messa ad urlare, almeno per scaricare la frustrazione.

Lo aveva lasciato in quel giardino, da solo, senza neppure uno straccio di spiegazione. Si sentiva in colpa, e così maledettamente impotente. Non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che la tormentava: lo aveva abbandonato...

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Capitolo 8
*** Cap.8 ***


Cap.8

 

 

Aveva dovuto racimolare tutto il proprio coraggio e la poca forza di volontà che ancora possedeva, per riuscire ad alzarsi e barcollare, incerto, in direzione di casa. Ad ogni passo, la propria insicurezza aumentava. Presto ne sarebbe certamente stato soffocato ma, in qualche modo, doveva tornare lì dentro.

Che altra scelta gli rimaneva? Cos'altro gli restava, da fare?

Lei se n'era andata, ancora una volta. Non aveva avuto alcun modo di sapere dove, né perché, né se avesse la possibilità o, peggio, l'intenzione di fare ritorno.

La donna con cui, invece, divideva il proprio letto, lo detestava. Ormai, di questo, era più che sicuro. Con tutta probabilità non avrebbe mosso un dito, se mai gli fosse accaduto qualcosa.

Ecco, aveva infine raggiunto il muro di casa. Ora sarebbe entrato - avrebbe dovuto, entrare, giunto fin lì - ma per quale motivo? Perché, tutto quello a cui teneva di più, era destinato a perdersi? Avrebbe voluto sbattere la testa contro quel grande muro. Chissà, forse, con un po' di fortuna, se la sarebbe rotta, risolvendo in un colpo solo tutti i propri problemi. Una volta per tutte.

 

 

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Dopo aver tentato, inutilmente e più volte, si era infine rassegnata all'idea che non le era possibile raggiungerlo in quelle condizioni. Forse aveva solo bisogno di un po' di riposo ma, quando aveva deciso di provare a rilassarsi e dormire, il proprio stomaco aveva rumorosamente protestato, costringendola ad ammettere che, prima di tutto, doveva assolutamente mangiare qualcosa.

Si era allora preparata un frullato, con il latte e della frutta. Mentre beveva, sgranocchiava biscotti con dentro pezzetti di cioccolato.

Buoni...” -

Aveva bofonchiato, con le guance gonfie.

Accontentata una delle necessità primarie, si apprestava a soddisfare l'altra, quando un piccolo flash visivo era partito, di punto in bianco, nella propria testa. Per lunghi istanti era rimasta ferma, in attesa che succedesse qualcosa, una cosa qualsiasi, in grado di darle spiegazioni. Poi, guardandosi attorno e registrando si essere ancora nella propria cucina, aveva sospirato, tristemente, infilandosi infine sotto le coperte, per sprofondare in un sonno agitato.

 

 

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Era infine riuscito a percorrere i lunghi corridoi che l'avrebbero condotto alla camera quando, giunto alla meta, tutti i propri sforzi si erano disintegrati nel peggiore dei modi.

Aperta la porta, si era ritrovato a fissare, costernato, la compagna, in piedi al fianco del letto, la quale aveva tutto l'aspetto di volergli strappare il cuore e cavargli gli occhi - non necessariamente in quest'ordine -

Dopo aver deglutito, nella disperata ricerca di qualcosa di intelligente da dire, se non altro per spezzare qual maledetto silenzio opprimente, lei lo aveva anticipato e, con voce pacata, gli aveva fatto proprio quel genere di domanda a cui non avrebbe mai, per nessuna ragione, voluto rispondere.

"Che cosa hai fatto?" -

Il suo tono, gelido e così calmo, in contrasto con la luce sinistra che le leggeva negli occhi, lo aveva fatto rabbrividire.

Dalla bocca gli era uscito unicamente un lamento agonizzante e, quando si era mossa nella propria direzione, lui si era lasciato sopraffare dal panico così, suo malgrado, era prontamente indietreggiato di qualche passo, urtando le spalle contro lo stipite della porta ancora aperta.

Quello che provava, in quel momento, non era più timore, non era nemmeno semplice paura delle conseguenze delle proprie azioni. Si era direttamente trasformato in terrore puro. Avrebbe anche gridato, se solo fosse riuscito a ritrovare la voce, invece non gli era uscito nemmeno un fiato, mentre lei lo aveva fissato con disgusto ed era uscita dalla camera, quasi scardinando la porta.

Ecco, ora se n'erano andate tutte e due. Mentre rifletteva, tristemente, su questa nuova condizione, cercando inutilmente di radunare l'aria necessaria per continuare a respirare, aveva avuto una sorta di visione e, per un attimo, solo un brevissimo istante, l'aveva vista.

Non era lì. Non si trovava, fisicamente, nella sua stessa camera. Era in un posto che non aveva mai visto e, quegli occhi verdi, ora sembravano tristi, esattamente come dovevano esserlo i propri...

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Capitolo 9
*** Cap.9 ***


Cap.9

 

 

Aveva dormito malissimo, quella notte, e si era risvegliata nervosa ed agitata. Ne aveva abbastanza di aspettare! Aveva infine compreso che, quello strano fenomeno di scambio, funzionava bene se c'era sufficiente carburante ed una miccia abbastanza potente.

Il carburante era il suo stesso corpo che, se era in forma e riposato, permetteva alla mente di elaborare la situazione in modo efficiente. Mentre la miccia era lui, ed il bisogno più o meno manifesto che aveva di lui, di stargli vicina.

Ora però si era decisamente stancata. Ne aveva ormai fin sopra i capelli di aspettare che le batterie si ricaricassero. Non aveva più la pazienza necessaria, per essere possibilista. Voleva tornare da lui, e voleva farlo il più presto possibile. Per lui, certo, ma anche e soprattutto per sé stessa.

 

 

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Si era sdraiato, ma non era riuscito a chiudere occhio. Nonostante si sentisse esausto e privo di ogni energia, continuava a pensare a lei e, allo stesso tempo, si sentiva in colpa con la propria compagna. Non poteva però fare un granché, per impedirsi di desiderare di rivederla, presto.

Ad un certo punto, un pensiero bizzarro gli era balenato in mente. L'aveva vista molte volte, le aveva parlato a lungo, l'aveva perfino stretta fra le braccia... e non si era mai preoccupato di sapere da dove veniva. Il luogo che aveva intravisto, in quei pochi istanti, e nel quale lei faceva invariabilmente ritorno, ogni volta.

Sembrava stupido non aver mai riflettuto su di una cosa così ovvia e banale. In quel momento, si era ripromesso di parlargliene, alla prossima occasione in cui l'avesse rivista - se ci fosse stata, un prossima occasione -

 

 

Alle 8:30 a.m. si era alzato, senza però essere riuscito a dormire nemmeno mezz'ora, quasi più stanco di quando era andato a letto. Si era fatto una doccia tiepida e, infilandosi un paio di comodi jeans ed una camicia bianca, era sceso in cucina, per mettere qualcosa nello stomaco, vuoto ormai dal mezzogiorno precedente.

Lì, vi aveva trovato la sua compagna, che si preparava la colazione e che, al suo arrivo, gli aveva riservato un'espressione infastidita e poi lo aveva completamente ignorato.

Avrebbe voluto parlarle, ma il suo atteggiamento non era esattamente un aperto invito al dialogo. Così era stato praticamente costretto a rinunciare presto al proprio proposito, decidendo invece di raccattare un po' di cibarie varie ed uscire in giardino per mangiare, tanto più che, quella mattina, c'era un bel sole e, aveva scoperto con piacere, anche un gradevole tepore.

 

 

 

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Si era appena preparata un altro frullato. Di malavoglia faceva colazione ma, dato che era necessaria ai propri scopi, non si poneva nemmeno il problema.

Risoluta più che mai a portare a compimento il proprio piano, si era poi concessa un bagno caldo e, ripulita e rivestita, si era infine messa comoda sul tappeto in salotto, assicurandosi che la stanza mantenesse una temperatura il più possibile costante.

Era nuovamente pronta per ritentare la sorte ma, questa volta, c'era una sostanziale differenza. Voleva assolutamente trovare un modo per rimanere. Un modo definitivo. Per fare ciò, le era necessaria la collaborazione di quell'uomo.

Sperava solo di essere in grado di trovare i giusti argomenti...

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Capitolo 10
*** Cap.10 ***


Cap.10

 

 

E quando aveva riaperto gli occhi, lui era lì, sotto lo stesso albero della notte appena trascorsa. Chissà se la stava aspettando?

 

 

Era comparsa dal nulla, come un miraggio nel deserto - un incantevole miraggio, ad essere precisi - e lui aveva sgranato gli occhi e si era lasciato sfuggire il biscotto che teneva fra le labbra, che era finito, dimenticato, sull'erba fresca.

Lei gli aveva sorriso ed i suoi occhi celesti erano diventati ancora più grandi. Poi si era alzato, abbandonando l'ombra delle fronde, e l'aveva raggiunta sotto il sole.

Nel momento esatto in cui l'aveva abbracciata, si era messo a ridere e l'aveva sollevata in alto, proprio come un bambino che si diverte con il suo nuovo giocattolo.

Ma lei non era un giocattolo. Non lo era. Si era aggrappata alle sue spalle, per non perdere l'equilibrio, e lui l'aveva rimessa giù, con delicatezza.

"Mi sei mancata" -

"Ah sì?", gli aveva chiesto, con un piglio impertinente -

Le aveva sorriso e, avvicinandosi alle sue labbra, aveva annuito, mormorando un "Sì" che l'aveva fatta rabbrividire. E le loro labbra si erano incontrate ed esplorate, per un istante che sembrava destinato a prolungarsi all'infinito nel tempo.

Quando lei si era, finalmente, scostata, lo aveva osservato, perdendosi a lungo nel suo sguardo.

"Anche tu", gli aveva detto -

Ed era certa che nemmeno potesse immaginare quanto. Dato che comunque ora si trovava lì, e l'uomo che desiderava era proprio davanti a lei, si era decisa a farlo: si era stretta a lui, circondandolo con le braccia, ed aveva appoggiato la testa al suo petto. In quel momento si sentiva serena, forse perfino felice, come mai le era accaduto di essere.

 

 

Quando l'aveva sollevata nuovamente, lei aveva spalancato gli occhi in una buffa espressione sorpresa ed allarmata, ma si era presto rilassata, quando le aveva fatto intendere che voleva semplicemente portarsela appresso nel suo posticino sotto l'albero. Lì si era seduto, sistemandola, con cura e non senza una certa malizia, sulle proprie gambe.

Allora lei aveva richiuso gli occhi e, stavolta, lui l'aveva imitata. Stava quasi per assopirsi, con il suo piccolo corpo caldo abbandonato contro di lui, ma lei, d'un tratto, si era ridestata, con un sussulto ed un'esclamazione di sorpresa. Disorientato da quel repentino cambiamento, le aveva allora chiesto, con un po' di preoccupazione;

"Che succede?" -

Guardandolo, si era sentita un po' in colpa, per aver interrotto il suo pisolamento ed averlo messo in agitazione, ma quasi si stava dimenticando la cosa più importante. Quindi, prima che fosse troppo tardi per qualsiasi tipo di ragionamento, doveva assolutamente dirglielo.

"Voglio rimanere con te" -

Lui, a quel punto, l'aveva fissata con stupore, poi si era messo a ridere piano.

"Perché, ora dove sei?" -

Aveva sgranato gli occhi, fissandolo accigliata.

"Non intendevo ora... Non solo, almeno..." -

Lo aveva osservato sbattere le ciglia velocemente, tre o quattro volte, ad oscurare momentaneamente gli occhi celesti, sorpresi.

"Non... solo?" -

La sua titubanza non era molto incoraggiante, a dire il vero. Aveva comunque tentato di ignorare l'insicurezza di entrambi, si era fatta coraggio, aveva inspirato profondamente e l'aveva fissato, diritto negli occhi, con decisione.

Lui si era mosso, leggermente a disagio e nervoso per quel nuovo cambio di scena, e suo malgrado aveva trattenuto il fiato, con un brivido.

Vedendolo in quello stato, nonostante la serietà richiesta dal momento, era scoppiata a ridere senza potersi trattenere perché, in fondo, era stato proprio lui a metterla in quella posizione sconveniente ed ora, per così dire, ne stava giusto pagando le conseguenze...

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Capitolo 11
*** Cap.11 ***


Cap.11

 

 

"Quando hai finito di strusciarti contro di me, vorrei parlarti seriamente" -

Era diventato un poco rosso, emettendo poi un basso gorgoglio indispettito.

"Non l'ho fatto apposta" -

"Sì, certo..." -

"Davvero!" -

Ed i suoi occhioni azzurri, avevano mandato uno scintillio di indignazione, al quale lei non aveva dato importanza alcuna.

Lo aveva invece baciato, infilando le dita fra i capelli soffici della sua nuca, poi si era scostata, prima di perdere la cognizione del tempo, ed era tornata a fissarlo, con il rischio nemmeno troppo remoto di perdersi in quel freddo azzurro, che poi tanto freddo non era.

"Ora parliamo" -

In risposta aveva ottenuto un gemito sconsolato.

"Non potremmo parlare dopo?" -

Lei, allora, aveva sospirato e scosso la testa.

"No. Dopo sarebbe tardi e non è assolutamente detto che me ne rimanga il tempo... o meglio: l'energia necessaria" -

L'aveva osservata, con un pizzico di curiosità. Il suo sguardo si era soffermato sulle labbra ed aveva allungato una mano, senza poterselo impedire, sfiorandole con due dita e con il desiderio, decisamente malcelato, di tornare a baciarle.

"D'accordo", aveva dunque ribattuto, ormai rassegnato all'inevitabile, "Ti ascolto" -

Lei aveva sorriso, per un breve istante, poi era tornata seria.

"Voglio provare a... raggiungerti fisicamente" -

L'aveva fissata, dubbioso, "Non capisco. Ora dove sei? Non sei forse qui, con me?" -

Stavolta toccava a lei, muoversi a disagio e trovare una spiegazione plausibile e sensata.

"Sì, in un certo senso lo sono ma... in realtà non è proprio così" -

Si stava palesemente arrampicando sui vetri. Infatti, lui aveva un'aria molto perplessa e confusa.

"Continuo a non capire" -

"Nemmeno io", gli aveva risposto con sincerità, "Riesco solo ad ipotizzare, ed anche questo mi riesce molto difficile".

 

 

 

Ci aveva provato, a capire di che diavolo stesse parlando. Ma il sospetto che, improvvisamente, gli era balenato in testa, non gli era piaciuto nemmeno un po'. Adesso si sentiva un perfino spaventato, all'idea di far chiarezza in questa storia. Spaventato, al pensiero che il sospetto si rivelasse più realistico del dovuto.

Di nuovo, l'aveva osservato. Aveva un aria così confusa ed insicura. Lei non avrebbe mai voluto esserne la causa, né tanto meno concorrere a creare confusione ma, nella propria situazione, non poteva evidentemente fare diversamente.

"In questo esatto momento, mi trovo - o meglio: il mio corpo, si trova - sdraiato sul tappeto del mio salotto... Spero davvero che, stavolta, non faccia troppo freddo, o è la volta buona che mi becco un accidente" -

Ci aveva riflettuto, con apparente e stoica calma, poi l'aveva guardata in profondità, all'interno di quegli occhi verdi e, scuotendo leggermente la testa, la sua voce era tornata, incerta, a farsi sentire, per provare a controbattere alla sua stravagante ed insensata teoria.

"Ma io riesco a sentirti e... posso toccarti... Sei qui, con me. Com'è possibile che tu sia anche là?!" -

Lei, purtroppo, non ne aveva idea. Non sapeva come spiegare un fatto simile, sapeva però che le cose stavano esattamente così e che, proprio per questo motivo, non poteva rimanere con lui, come invece avrebbe voluto. Era reale, sì, ma fino ad un certo punto. Per buona parte, si trattava di un'illusione, e non voleva assolutamente continuare ad illudersi ma, soprattutto, non poteva continuare ad illudere lui.

"Permettimi di provare a venire fino a qui, con i normali mezzi che usano di solito le persone. Se solo... Io credo di poterci riuscire, se solo potessi sapere DOVE esattamente cercare..." -

Ad un tratto, si era rammentato che anche a lui era venuto in mente di chiederle dove poteva trovarla. In quel momento, gli sembrava l'idea più sensata che avessero tirato fuori dal giorno in cui si erano incontrati e conosciuti...

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Capitolo 12
*** Cap.12 ***


Cap. 12

 

 

Le aveva spiegato, con quanta pazienza era riuscito a radunare, come e dove raggiungerlo, ed aveva più volte tentato di convincerla a permettere che fosse invece lui, ad andare da lei, per una volta. Ma, come previsto, lei non aveva voluto sentire ragioni, rispondendogli che, se malauguratamente avesse fallito nella propria ricerca, allora e solo allora gli avrebbe permesso di cercarla. Non prima.

La sua decisione lo aveva un poco rattristato. Aveva avuto l'amara sensazione che lei non riponesse abbastanza fiducia, da offrirgli l'opportunità di decidere di raggiungerla, quando ne avesse sentito il bisogno. Quindi, in pratica, due minuti dopo la sua scomparsa dal proprio campo visivo.

Nonostante tutto, era anche e soprattutto felice, alla sola idea che, presto, si sarebbe messa in viaggio.

Lei, invece, si sentiva segretamente preoccupata, per l'esito di quello stesso viaggio che entrambi bramavano. Sperava che le proprie paure e preoccupazioni fossero prive di fondamento, però erano lì, a scavare mille dubbi nella sua anima fragile.

Intanto, dato che aveva finalmente ottenuto la preziosa informazione che cercava, ora si sentiva perfettamente in diritto di sfruttare il resto del tempo a loro disposizione a proprio giovamento nonché in favore del piacere personale e, decisa, gliel'aveva fatto notare, in modo anche piuttosto allusivo.

 

 

Lui stava per baciarla, gesto che aveva pazientemente atteso dal momento stesso in cui lei si era appollaiata comodamente su di lui, ma si era dovuto fermare prima, agghiacciato da un isterico urlo femminile, proveniente dalla casa. La sua compagna lo stava giusto cercando, e sembrava tutto fuorché di buon umore. Dopo aver nervosamente deglutito, si era guardato alle spalle, con una punta di panico, poi aveva fissato la donna che ancora teneva stretta a sé, con un'espressione che sembrava colpevole ma, allo stesso tempo, aveva una spiccata nota rassegnata, ben visibile in fondo agli occhi.

Devi andare?”, gli aveva allora chiesto, con cautela -

Dopo un lungo momento di titubanza, lui era stato costretto ad annuire.

Mi dispiace...” -

Con una mano, gli aveva accarezzato una guancia, dolcemente. Le sue labbra si erano poi appoggiate, lievi, a quelle morbide ed un po' tremanti di lui e, nel momento in cui le avevano lasciate, si era costretta a ricacciare indietro il disappunto e la delusione, con un lungo sospiro.

Non ha importanza...”, aveva assicurato, anche se con evidente fatica, “Ma, se riesco ad arrivare fino a qui, fa' in modo di ritagliarti qualche ora di libertà. D'accordo?” -

A quelle parole, lui aveva riso. Una risata un po' amara, a dire il vero, ma aveva comunque annuito di buon grado.

Farò il possibile e, se non fosse sufficiente, vorrà dire che scapperò di casa” -

Anche lei, a quel punto, non aveva potuto trattenere una risata, divertita alla prospettiva della sua fuga.

Come gli adolescenti?”, lo aveva pizzicato, sfrontata -

Esatto”, le aveva però risposto, deciso -

In effetti, non c'era poi molta differenza. Almeno in quel momento, sembrava proprio un ragazzino cocciuto, pronto ad infrangere il regolamento ed a disobbedire, sfidando l'autorità superiore che, in questo caso particolare, non era affatto rappresentata dai genitori, ma da una donna che viveva con lui, in casa sua, senza averlo veramente...

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Capitolo 13
*** Cap.13 ***


Cap.13

 

 

Era stato costretto a lasciarla lui, stavolta, e non sopportava quest'idea. Aveva desiderato così tanto, che tornasse da lui. Ma nel momento in cui lo aveva fatto, lui se n'era dovuto andare, mandando in fumo i suoi evidenti sforzi per raggiungerlo.

Sapeva, fin troppo bene, di non avere molte altre alternative. Tuttavia non riusciva a togliersi dalla testa che lei avrebbe potuto decidere di non complicarsi più la vita in quel modo, pensare che non valesse poi la pena di impegnarsi, quando i risultati erano quelli.

Lui, però, non desiderava affatto che potesse arrivare a pensare una cosa simile. Non voleva che decidesse di rinunciare. Non lo voleva perché, l'idea di perderla, gli risultava insopportabile, perché in quel momento la prospettiva non gli sembrava solo impensabile, ma anche e sopratutto dolorosa. La sola idea che potesse, in qualche modo, essere colpa sua, aveva iniziato a punzecchiarlo già da tempo, ma in quel momento si era fatta decisamente più insistente e pressante.

 

 

 

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Le era andata male. Tutto quel popò di lavoro, tanta preparazione, per che cosa? Tutta fatica sprecata.

No, non proprio. In fondo, per quanto amareggiata fosse, sapeva che non era stato tutto tempo sprecato. Sapeva che, anche se non avesse ottenuto nulla - e così non era - comunque ne sarebbe valsa la pena. Anche un solo minuto, in sua compagnia, valeva qualunque sacrificio.

In ogni caso, era pur vero che aveva dovuto andarsene. Ciò nonostante, questa volta, se n'era andata con qualcosa in mano, ed una piccola, nuova speranza nel cuore. Il suo malumore era così attutito dalla prospettiva di poter provare a tornare da lui, con mezzi più leciti, augurandosi che, quando fosse successo, lui potesse trovare tutto il tempo per sfruttare questa nuova opportunità.

 

 

 

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Nel momento stesso in cui era entrato in casa, si era visto costretto a tralasciare qualunque altro pensiero che non fosse la donna che ora gli stava di fronte e che, come spesso capitava negli ultimi tempi, non sembrava per nulla felice di vederlo, anzi, aveva tutta l'aria di volerlo picchiare.

"Che succede?" -

Si era infine arrischiato a chiedere. Lei, per reazione, era divenuta rossa in viso e gli aveva risposto con un tono più acuto del necessario.

"Che succede? E' tutto qui, quello che sei capace di dire? Hai anche il coraggio di chiedermelo. Credi davvero di essere tanto furbo?!" -

In verità, non sapeva cosa pensare. Tuttavia, su una cosa, ormai, poteva considerarsi certo: non intendeva più darle alcuna giustificazione, men che meno se questo comportava il parlarle dell'altra donna.

"Allora?", lo aveva incalzato, non ottenendo risposte -

"Allora, che?", aveva invece ribattuto, all'apparenza imperturbabile -

Lo aveva fissato, torva, per poi chiedergli;

"Non hai nulla da dirmi?" -

Le aveva dunque dato la propria risposta, rassegnata e definitiva.

"No. Ho paura di aver esaurito gli argomenti... e la voglia ed il desiderio di cercarne altri" -

Se n'era andato, senza aspettare di vedere la sua reazione alle proprie parole, tanto vere quanto crude. Tutto sommato, non lo riteneva poi così importante, non più, ora che i suoi pensieri continuavano a tornare sempre alla stessa persona. Avrebbe voluto averla lì, con sé, proprio in quello stesso momento. Invece era lontana, e chissà cosa stava facendo, ora...

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Capitolo 14
*** Cap.14 ***


Cap.14

 

 

Logisticamente parlando, stava mettendo a punto un piano di viaggio, un piano possibilmente infallibile. Ecco, cosa stava facendo.

A dire il vero, aveva trascorso tutta l'ora successiva a struggersi, nell'indecisione tra l'essere arrabbiata perché lui aveva altro da fare - e a cui pensare - e l'aveva praticamente mandata via, contro l'essere invece triste, per la sua sorte e perché ora si trovava lontano, troppo lontano. Ci avrebbe messo delle ore - se non addirittura giorni - per riavvicinarglisi.

Tuttavia, dopo mille dubbi ed indecisioni, si era messa finalmente al lavoro, per mettere in pratica quel viaggio fino a quel momento solo desiderato ed immaginato. Aveva così scoperto che, per lo meno, non le serviva un passaporto, ma che doveva assolutamente cambiare un po' di spicci in moneta locale - non si poteva mai sapere, se e quando ne avesse avuto bisogno -

Tutto sommato, non era poi così drammaticamente irraggiungibile. Probabilmente, in mezza giornata - massimo una - pensava di potercela fare. Ad un tratto, però, si era resa conto di non avergli nemmeno chiesto un numero di telefono. Se si fosse persa, nel bel mezzo di una qualche campagna sconosciuta, a chi avrebbe potuto chiedere aiuto?

Con un gran sospiro, si era risolta a stabilire che, se le cose si fossero messe davvero male e lei avesse seriamente avuto bisogno di aiuto, avrebbe potuto tornare a contattarlo come aveva fatto fino ad ora, nel modo che le era stato più congeniale fino al momento in cui si era resa conto che, ad entrambi, serviva un rapporto più tangibile e reale, meno illusorio ed evanescente, di quello al quale non erano mai stati in grado di abituarsi.

 

 

 

Era scesa dall'aereo, con un treno era uscita dalla zona aeroportuale ed aveva preso un autobus, che ora ondeggiava su di una bianca stradina, nel cuore del nulla più assoluto, immersa in verdi distese di pianeggiante erba, intervallata e vivacizzata qua e là da sporadici crocchi di alberi enormi.

Se l'autobus si fosse fermato ora, probabilmente, sarebbe morta lì, in mezzo alla campagna deserta. Questo era il suo pensiero fisso e preoccupante. Per sua fortuna, sembrava che il mezzo sul quale viaggiava, facesse il suo lavoro in modo egregio, mentre lei si distraeva ad osservare i prati sfilare, monotoni, dal finestrino, ed a sgranare gli occhi quando, di tanto in tanto, scorgeva piccoli greggi di pecore al pascolo, che davano al paesaggio un tocco suggestivo e stranamente surreale.

 

 

 

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Due giorni erano trascorsi, dalla mattina in cui l'aveva avuta con sé, fra le sue braccia, per l'ultima volta. Da allora tentava, in tutti i modi, di evitare la donna con la quale divideva la propria abitazione. In ogni malaugurato caso in cui gli capitava di incrociarla, rimaneva in silenzio, sperando di poter continuare inosservato per la propria strada e nei propri pensieri.

 

Si era appallottolato nel letto enorme, vuoto ed ora singolarmente freddo, provando a recuperare le troppe ore di sonno perdute. Ciò nonostante, tutto quello che aveva ottenuto, era stato un graduale cammino verso l'incupimento. Si sentiva demoralizzato e senza stimoli. Nei momenti in cui apriva gli occhi, lo faceva solo ed unicamente per perdersi nel vuoto che c'era dentro ed attorno a sé.

Non riusciva nemmeno più a sognare e, se lo faceva, non lo ricordava. Spesso, invece, ricordava i suoi occhi verdi, ed un timido accenno di sorriso spuntava sulle sue labbra, per scomparire, poco dopo, cancellato dalla sensazione che non avrebbe mai più avuto la possibilità di rivederli davanti a sé.

Voleva tenerla di nuovo fra le braccia. Le proprie dita avvertivano, tutt'ora, la sensazione di quei capelli morbidi, che vi si intrecciavano attorno, dispettosi. Riusciva a sentire il suo profumo ed il lieve tepore del suo corpo, la sua pelle morbida e liscia. Voleva unicamente la possibilità di toccarla di nuovo - o per la prima volta...

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Capitolo 15
*** Cap.15 ***


Cap.15

 

 

L'autobus l'aveva scaricata in quello che sembrava un villaggio rurale, o più semplicemente un paesino di campagna. A tradimento, il mezzo che fino a lì l'aveva condotta, aveva fatto dietrofront ed era tornato in città. Così, ora, si ritrovava a piedi, costretta a decidere sul da farsi.

Con calma, aveva provato a controllare la piantina, ma non ne aveva ricavato granché di informazioni. Quel paesino era un semplice puntino, in mezzo al verde uniforme, e ciò non le era di molto aiuto. Si augurava, se non altro, di essere capitata nel posto giusto e di dover semplicemente trovare la via che, sperabilmente, l'avrebbe condotta da lui.

 

 

Ed ecco il primo, ingombrante problema. Si ricordava perfettamente il nome della via ma, lì attorno, non c'era anima viva a cui chiedere indicazioni, tanto più che vi era capitata in una mattina di un giorno feriale e, anche volendo, probabilmente la gente si trovava al lavoro.

Che fare, dunque? "Non disperare", si era detta, "Un modo, dev'esserci per forza!". Già, ci scommetteva, che da qualche parte ne esistesse uno. Peccato che, al momento, si ritrovava drammaticamente a corto di idee, ed era anche un poco stanca, a causa delle traversie del viaggio.

Si era allora seduta, sul bordo di un marciapiede, per riposare un po' e, con la fronte appoggiata alle ginocchia, aveva chiuso un momento gli occhi.

Ad un tratto, senza preavviso, aveva scorto, nella propria testa, i suoi: azzurri, grandi, luminosi ed un po' tristi.

 

 

 

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Era rimasto qualche istante senza fiato, totalmente impreparato - come sempre, del resto -

Era comparsa dal nulla, nella propria testa, e per poco non gli era preso un colpo.

"Dove sei?" -

Le aveva chiesto, con un tono leggermente eccitato ed impaziente. La sua voce, un po' stanca, gli aveva allora risposto.

"Magari lo sapessi... Credo abbastanza vicino, ma... Non ne ho davvero idea" -

"Stai bene?" -

Silenzio. Poi, senza troppa convinzione;

"Sì..." -

E lui aveva iniziato a preoccuparsi sul serio.

"Che cos'hai?" -

Di nuovo silenzio. Quando si era, infine, decisa a parlare di nuovo, lui aveva potuto rivedere i suoi occhi verdi aprirsi e fissarsi nei propri e, suo malgrado, era rabbrividito.

"Ho bisogno di te".

 

 

Si era alzato in piedi, quasi potesse andare da lei semplicemente con quell'unico gesto. Poi però si era bloccato, ritrovando uno sprazzo di lucidità.

"Non so dove sei", si era lamentato, "Dammi qualche indicazione. Vengo a prenderti" -

Si era guardata attorno, cercando un qualche punto di riferimento, qualsiasi cosa che potesse servire. Ma da lì, non riusciva a scorgerne nessuno, così si era obbligata a muovere le chiappe ed ispezionare quel paese, da cima a fondo se fosse servito allo scopo.

"Non vedo nulla di indicativo. Niente di... particolare" -

Si era a sua volta lamentata, ormai demoralizzata, dopo un buon quarto d'ora di ricerche infruttuose.

"Qui sembra tutto maledettamente uguale a sé stesso, maledizione! Ma si può sapere che diavolo di paesini avete?" -

Stava già per offendersi ma, prima che se ne presentasse l'occasione, aveva risentito la sua voce, nella testa, accorgendosi del tono che aveva usato. Lei non ce l'aveva affatto con le campagne ed i piccoli paesini rurali. Era spaventata e, probabilmente, anche esausta. Avrebbe tanto voluto essere al suo fianco, per trovare il modo di tranquillizzarla. Invece era bloccato in casa e non poteva fare proprio nulla, almeno fino a che non avesse scoperto dove andarla a cercare. Ciò che poteva fare, invece, era parlarle, per provare a farla calmare e, forse, ragionare, ed era esattamente quello che avrebbe fatto.

"D'accordo. Non ti agitare. Troveremo una soluzione, te lo prometto" -

Questa volta, il suo silenzio sembrava destinato a durare un'eternità. Infine, la sua voce incrinata, gli aveva debolmente chiesto;

"Come?"...

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Capitolo 16
*** Cap.16 ***


Cap.16

 

 

Aveva dovuto stringere i denti e chiudere gli occhi. Poi, finalmente, un'idea gli era balenata in testa. Un'idea che poteva anche funzionare.

"Forse ho la soluzione!", le aveva detto, esclamando, probabilmente con più entusiasmo del necessario -

Lei, con appena un filo di voce ed un tenue barlume di speranza, aveva allora provato a rispondergli.

"D'avvero?... Quale?".

 

 

Nel momento in cui le aveva spiegato la propria idea, si era sentito un po' idiota. Ma, riflettendoci meglio, c'erano tutto sommato buone prospettive. Lei, del resto, l'aveva presa come una soluzione fattibile, fornendogli un poco di quell'autostima che gli mancava già da tempo.

"Va bene. Possiamo provarci. E' una buona idea" -

Gli aveva detto. In quel momento, lui lo aveva finalmente capito.

Fino ad ora, non ci aveva mai pensato. Non l'aveva neppure preso in considerazione. Credeva, semplicemente, che lei rappresentasse un buon motivo per stare bene, qualcuno a cui dare e da cui ricevere quel calore di cui aveva così tanto bisogno. Invece non era così. Non solo, almeno. Era anche questo, e molto altro ancora. Era qualcosa di più forte e di più grande. Era...

"Hey... Ci sei ancora?" -

Lei aveva così interrotto i suoi ragionamenti. La sua voce, turbata, aveva una sfumatura di disperazione.

"Sì, sono qui. Non me ne vado... Mi dispiace, non volevo lasciarti sola" -

Un sospiro, stanco, dall'altra parte, era tutto ciò che aveva ottenuto.

"Vogliamo tentare?", si era arrischiata, incerta -

Lui, allora, aveva annuito poi, per nulla sicuro che lei lo avesse visto, le aveva anche risposto.

"Sono pronto. Quando vuoi tu".

 

 

 

Era stanca. Molto stanca. Si sentiva così insicura e demoralizzata, forse troppo, chissà. Ma voleva tentare ugualmente. Doveva tentare. Che altro le rimaneva, altrimenti?

Aveva trovato un angolo in ombra, chiuso gli occhi e, d'un tratto era con lui.

"Ci siamo. Ora apro gli occhi... Riesci a vedermi?" -

"Sì" -

Le aveva risposto, a disagio. Cercava di stare calmo e mantenere il controllo, ma era più facile a dirsi che non a farsi. Nel momento in cui lei aveva allentato la presa, per un attimo, aveva temuto di perderla. Poi aveva visto il paese, attraverso i suoi occhi verdi, ed allora aveva compreso che, in qualche modo - non importava come - ci erano riusciti.

 

"Lo vedi?", gli aveva domandato, fremente -

"Sì. Passeggia, per favore. Mostramelo un po'... fammi dare un'occhiata al paesaggio intorno, vuoi?" -

Aveva annuito, lei, ed a lui era venuto un principio di mal di mare, dal quale si era ripreso subito, quando la visuale si era spostata tutt'intorno.

E finalmente aveva individuato ciò che gli interessava. Ora sapeva, quasi esattamente, dove lei si trovava.

"Beccato!" -

Lei aveva fatto un salto per lo spavento e lui non aveva potuto trattenere una risata.

"Scusa. So dove sei! Vengo a prenderti, non ti muovere" -

Lei aveva tremato un pochino. Poi, piano, con voce incerta;

"Davvero?" -

Le aveva sorriso, anche se non era certo che lo potesse vedere.

"Sì, è tutto OK. Tra poco sarò da te"...

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Capitolo 17
*** Cap.17 ***


Cap.17

 

 

Ormai ne era sicuro. Non poteva sbagliarsi. Non c'era assolutamente nient'altro che ci somigliasse, anche lontanamente. Doveva essere così. Dal momento in cui lui stesso lo voleva, significava automaticamente che così era – per lo meno secondo la sua logica un po' contorta -

La sua mente era poi tornata al problema principale: andare da lei. Aveva dunque preso l'automobile e si era messo in strada per raggiungerla, infine.

 

 

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Probabilmente era stata la decisione migliore, forse perfino l'unica possibile. Tuttavia, ora si sentiva stremata e senza più nemmeno le energie necessarie per reggersi in piedi. Così si era lasciata scivolare contro il muro screpolato di una casa, accasciandosi per riprendere fiato.

Sperava con tutta sé stessa che lui arrivasse, soprattutto che lo facesse presto. Si sentiva strana, irreale, quasi evanescente. Voleva, desiderava ardentemente potersi lasciare andare, per una volta, fra le sue braccia, ed addormentandosi sentendosi al sicuro e protetta, senza la costante paura di perderlo da un momento all'altro. Prima di completare il ragionamento, aveva però chiuso gli occhi, solo per un attimo, e si era addormentata.

 

 

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Eccolo! Era arrivato, alla fine. Il paese era quello, non v'erano dubbi. Ora, non gli restava che cercarla.

Si era risolto a parcheggiare l'auto appena dentro il centro abitato, incamminandosi poi a piedi, temendo altrimenti che potesse sfuggirgli la sua figura ormai famigliare.

Non l'aveva più sentita da quando aveva scoperto dove si trovava. Pregava, in cuor suo, che stesse bene e che lo stesse aspettando, proprio come lui le aveva chiesto.

 

 

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E poi, finalmente, l'aveva vista. Rannicchiata all'ombra di un muro, con la testa fra le gambe. Aveva cacciato uno strillo di felicità e si era messo a correre nella sua direzione ma, prima di raggiungerla, aveva gridato di nuovo, troppo impaziente per attendere oltre.

"Sono qui!" -

Al suono della sua voce, lei si era riscossa da quello strano torpore e, nonostante il velo di stanchezza che le appannava gli occhi, lo aveva scorto poco lontano.

Si era messa a ridere. Le lacrime si erano mischiate alle risate. Poi si era alzata, con un po' di fatica, ed aveva teso le braccia, come una bambina, fino a quando le sue dita si erano strette alle sua giacca morbida. Lui le accarezzava i capelli, cercando di fermare le sue lacrime con il dolce mormorio della sua voce.

"Va tutto bene. E' tutto a posto. Non piangere più".

 

 

 

"Ti amo" -

Quel suono soffice, il suono della sua voce, le era giunto alle orecchie, nonostante i singhiozzi. Un suono basso e roco, ma assolutamente inconfondibile. Allora si era fermata, per pochi istanti, respirando nel tentativo di riprendere fiato.

Lui le si era avvicinato ancora di più, sfiorando piano, con le labbra, il suo orecchio.

"Ti amo" -

Così lei aveva spalancato gli occhi, si era scostata appena e l'aveva fissato, in quel suo sguardo azzurro e luminoso.

Le aveva sorriso. Ora nient'altro aveva importanza, voleva solo che le sue lacrime si fermassero, voleva solo tenerla fra le braccia, lasciarla riposare tranquilla. Si sarebbe accontentato di rimanere con lei ad osservarla dormire. Gli bastava averla al proprio fianco, avere la possibilità di accarezzare la sua pelle e sfiorare le sue labbra, proprio come stava facendo in quello stesso momento.

Ma, a volte, i sogni sono crudeli. A volte, ciò che vedi, non è più reale di un'illusione, e quel sogno finisce prima ancora che tu abbia il tempo di realizzare di cosa si tratti.

Ora, quel sogno, era giunto alla sua conclusione, senza alcun preavviso, e lei era svanita, come la bruma alle prime luci dell'alba, lasciando le sue braccia nuovamente vuote.

 

 

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Il paese era scomparso, cancellato dal buio della notte. Ora si trovava nel proprio letto, con i chiari occhi spalancati ed increduli, fissi in quelli della compagna, la quale cercava di fargli un discorso serio senza che lui, evidentemente, la stesse ad ascoltare.

"Sei sordo, ora? Che diavolo ti prende? Ti decidi a rispondere, quando ti faccio una domanda?" -

L'aveva guardata, con un mesto sorriso triste, ed una piccola lacrima era rotolata lungo la sua guancia.

 

 

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Distesa sul tappeto, il fuoco spento nel camino ormai freddo, aveva iniziato a tremare, con lo sguardo perso nel buio della stanza.

Quanto tempo era trascorso? Non ne aveva idea. Ma aveva fame, perché quella sera non aveva toccato quasi nulla.

E poi, nella sua mente, l'effimero ricordo di un uomo dagli occhi celesti si era fatto largo, nell'ingombro dei suoi pensieri. La sua voce, le era strisciata nella testa, ripetendo le ultime parole che aveva udito pronunciargli.

Allora aveva pianto, in silenzio.

 

 

 

FINE

 

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