The Reckless and the Brave

di MikiBarakat96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stella ***
Capitolo 2: *** My friends are a different breed, my friends are everything ***
Capitolo 3: *** 'Cause real life just isn't right let's get away, let's fabricate ***
Capitolo 4: *** Weightless ***
Capitolo 5: *** I can wait forever ***
Capitolo 6: *** 'Cause right now could last forever just as long as i'm with you ***
Capitolo 7: *** A party song ***
Capitolo 8: *** Poppin' champagne ***
Capitolo 9: *** Holly ***
Capitolo 10: *** No idea ***
Capitolo 11: *** Well there's no way out of this ***
Capitolo 12: *** Perfect ***
Capitolo 13: *** Do you want me (dead)? ***
Capitolo 14: *** Get out while you can or she'll tear you to pieces ***
Capitolo 15: *** Walls ***
Capitolo 16: *** Hello Rome, Hey Italy! ***
Capitolo 17: *** Keep holding on ***
Capitolo 18: *** Memories Fade Like Photographs ***
Capitolo 19: *** Unanswered questions would be the only thing to stop them now ***
Capitolo 20: *** Damned if I do ya (Damned if I don't) ***
Capitolo 21: *** Painting Flowers ***
Capitolo 22: *** Sick little games ***
Capitolo 23: *** The Reckless and the Brave ***
Capitolo 24: *** This could be all that I've waited for ***
Capitolo 25: *** You know i'm never gonna let you go ***



Capitolo 1
*** Stella ***


Salveee :D 
Dopo quasi un anno che non pubblicavo nulla finalmente sono tornata! :) Lo so, avevo detto che non era in programma il seguito di So Wrong, It's Right, ma mia sorella mi ha implorata di scriverlo e mi sono venute un sacco di idee per la trama ed... ecco qui il risultato! :) . Spero davvero che il seguito piaccia come è piaciuto il primo :3 io ho cercato di fare del mio meglio xD. 
Vi lascio alla lettura di questi primi capitoli che sono abbastanza noiosi rispetto al resto della storia u.u (xD). 
Ci sentiremo prestissimo ;). Un bacio. 
Micaela/Miki :3 


And they keep, keep me coming back for more
Another night, another score
I’m faded
bottles breaking”.
 
Eccomi di nuovo qui, sono Stella Barakat, la sorella del chitarrista degli All Time Low, Jack, una normalissima ragazza di Roma che fino a un anno fa cantava chiusa nella sua stanza per paura del pubblico e che ora si esibisce davanti a milioni di persone vendendo ogni giorno sempre più dischi. Sono la fidanzata del migliore amico di mio fratello, Alex, cantante degli All Time Low, che vedo una volta al mese (quando va bene), ma ormai non facciamo della lontananza un problema, abbiamo imparato che l’amore vero dura… per sempre, come nelle favole! Già, ma questa non è una favola, è la mia vita, la mia complicata vita che ora è all’apice della felicità, ma si sa, le cose belle durano poco.
Era passato un anno dalla mia prima registrazione in studio e tutto stava andando nel migliore dei modi.
Il dirigente della casa discografica era stato entusiasta della mia voce e aveva subito iniziato a fare mille progetti continuando a ripetermi che mi avrebbe fatta diventare una star, famosa in tutto il mondo… e c’era riuscito! Era stato un anno di duro lavoro, con molti concerti, l’incisione del mio primo disco, le interviste e le altre cose, ma ero sopravvissuta e la mia carriera andava a gonfie vele.
La mia prima canzone era stata trasmessa subito da molte stazioni radio Americane e subito era diventata un tormentone che aveva spinto i ragazzi a comprare il mio primo demo. Dopo il successo del mio primo singolo Life, avevo fatto dei provini per cercare una band che mi aiutasse a comporre le canzoni e che viaggiasse con me nei tour mondiali. Era stato molto duro scegliere chi tra i mille e passa musicisti che si erano presentati dovesse diventare un membro della mia band, ma per fortuna avevo avuto qualche aiuto da parte di una vecchia amica: Cassadee, cantante degli Hey Monday, fidanzata di Rian, batterista degli All Time Low, nonché mia seconda migliore amica (che vedevo molto di più di Alex); la prima era Debbie, il mio agente che mi accompagnava ovunque andassi e che organizzava ogni concerto e ogni mio appuntamento, era lei il pilota della mia vita e non era decisamente una brutta cosa, anzi, sapevo di essere in buone mani perché nessuno mi conosceva più di Debbie.
La mia band era composta da: Travis, il chitarrista, Christopher, il bassista, Edward l’altro chitarrista e quando serviva anche pianista e Sam, il batterista. In un anno mi ero legata completamente a questi quattro ragazzi e non mi ero pentita affatto della scelta che avevo fatto, perché erano bravissimi, avevano un talento straordinario e insieme eravamo un gruppo affiatato che ogni sera faceva emozionare milioni di fans.
Se ve lo state chiedendo si, sono una cantante solista, io e i ragazzi non siamo una band come gli All Time Low, ma siamo una sorta di Selena Gomez e The Scene: io sono la cantante e loro la mia band che alla fine è importante come me visto che senza di loro la mia musica non esisterebbe, sono loro che hanno dato vita alle melodie per le mie canzoni. Condividevo il mio successo con loro e mi rifiutavo di pensarli come a dei miei subordinati perché non lo erano, anzi, erano molto più importanti loro di me, infatti nei servizi fotografici o nelle interviste loro erano sempre con me nonostante qualche volta venissero guardati in malo modo dagli intervistatori o dai fotografi che volevano parlare o fotografare solo me.
Era la sera del 15 gennaio ed io e i ragazzi ci trovavamo a Londra, nello stadio che più di un anno prima mi aveva ospitata insieme ai Simple Plan, quando il mio sogno era ancora tutto da realizzare. Avevamo fatto concerti in tutta l’Inghilterra, quello di Londra sarebbe stato il penultimo del tour, poi saremmo passati al resto dell’Europa per poi arrivare in America, dove speravo di poter stare un po’ di tempo con Alex che era occupato anche lui con il suo tour mondiale.
Ero dietro le quinte  che circondavano il palco sul quale mi sarei esibita tra una manciata di minuti e come
mio solito, cercavo di calmarmi facendo dei lunghi e profondi respiri e andando avanti e indietro non
potendo fare a meno di muovermi.
Travis era al mio fianco, che accordava la chitarra con aria tranquilla e non curante. Travis aveva un anno in più a me, era alto, molto più di Jack il che per me era stato sconvolgente visto che mio fratello era una montagna e be’… anche io non ero affatto bassa; era magro come un chiodo, i capelli erano castano scuri abbastanza lunghi e gli ricadevano scompostamente davanti agli occhi color marrone scuro. La carnagione era pallida e la testa era leggermente di forma quadrata, ma in generale era un bel ragazzo.
<< Come fai ad essere così tranquillo? >>, gli chiesi continuando ad andare avanti e indietro con le mani strette sui fianchi.
Mi guardò e si strinse nelle spalle. << Avere la chitarra in mano mi fa sentire… sicuro, perché so che sono bravo a suonarla e che quindi niente andrà storto >>.
Si, forse aveva ragione, ma io non sapevo suonare una chitarra e non avevo neanche il microfono in mano perché era sul palco che mi aspettava, pronto per portare la mia voce in ogni angolo di quell’enorme stadio. Dovevo trovare qualcos’altro che mi dava sicurezza, ma cosa? Le corde vocali? Erano comunque lo strumento che mi permetteva di cantare, ma le avevo ogni giorno quindi non mi avrebbero mai dato un senso di sicurezza e in più non potevo neanche prenderle in mano!
<< Odio l’ansia >>, dissi scuotendo nervosamente la testa.
Travis mi mise una mano sulla spalla. << Ehi Tella tranquilla, andrà tutto bene >>, mi sorrise per tranquillizzarmi, ma neanche il suo sorriso riuscì a distrarmi dall’agitazione che contorceva il mio stomaco.
<< Stasera si rockeggia! >>, esclamò Sam arrivando dalla zona dei camerini e alzando le braccia come in segno di trionfo.
Eccone un altro che era al settimo cielo.
Sam aveva ventuno anni- due in più a me-, era alto quanto me, con i capelli neri lunghi fino alla fine del viso che portava raccolti in una minuscola codina che stranamente gli dava un’aria sexy o forse era merito del piercing sul labbro inferiore e dei magnetici occhi color ghiaccio. La pelle era candida e il suo fisico era completamente scolpito, con dei muscoli ancora più grossi di quelli di Zack (il bassista degli All Time Low, nonché fidanzato di Debbie), il che è tutto dire.
<< Ma dove la prendete tutta questa positività? >>, chiesi retoricamente.
<< Dai cereali >>, rispose Sam ridacchiando.
Si, era figo quanto stupido, ma aveva i suoi momenti seri e alle volte anche saggi. Mi ricordava Jack in qualche modo.
Gli scoccai un’occhiataccia. << Non è divertente >>.
<< Uuuh >>, fece Sam, << nervosetta >>.
La mia occhiataccia si accentuò.
<< Non sai quanto >>, gli sussurrò Travis mettendosi una mano davanti alla bocca per non farsi sentire, ma per sua sfortuna riuscì lo stesso a sentirlo.
<< Dovreste esserlo anche voi visto che stiamo per andare in scena! >>, sbottai.
Sam e Travis si guardarono poi all’unisono esclamarono: << Naaah! >>.
<< Siamo bravi, affronteremo anche questo concerto >>, disse Sam.
<< Puoi contarci fratello >>, concordò Travis che batté un cinque al batterista.
Uno dei membri dei tecnici ci venne ad avvisare che stavamo per cominciare ed io mi sentì ancora più male. Mi veniva da vomitare.
Feci vari bei respiri mentre Travis e Sam si posizionavano nelle loro quinte. Mi augurarono un in bocca al lupo al quale io risposi con un sentito “crepi”. Dall’altra parte del palco scorsi le figure di Christopher e Edward, che ci salutavano anche loro emozionati. Christopher -o Chris, come lo chiamavamo noi- ed Edward erano fratelli, avevano: uno la mia stessa età -Chris- e l'altro era di un anno più piccolo di me; erano di poco più alti di me, con i fisici magri e leggermente muscolosi. Chris aveva i capelli castano chiaro, corti e ricci e gli occhi di un bellissimo color
rame, mentre Edward aveva i capelli castano scuro corti e leggermente mossi e gli occhi color castano
chiaro.
Controllai che l’auricolare inserito nel mio orecchio fosse al suo posto e nello stesso momento arrivò al mio fianco Debbie che mi prese per un braccio facendomi sobbalzare per lo spavento.
La guardai perplessa, mentre lei con i capelli biondi legati in due codine da ragazzina mi porgeva il cellulare totalmente touch screen che mi aveva gentilmente regalato Jack per il mio diciannovesimo compleanno. Presi il telefono ancora confusa e vidi che mi era arrivato un messaggio lo aprì e un sorriso mi comparve spontaneo sulle labbra.
Non era un oggetto come il microfono o la chitarra a darmi la fiducia che tutto sarebbe andato bene, ma una meravigliosa persona che, purtroppo, era kilometri e kilometri lontana da me, ma che sentivo vicina sempre, in ogni singolo momento.
Ringraziai Debbie elargendole un enorme sorriso rilassato. Lei mi fece l’occhiolino e mi augurò buona fortuna.
Ero pronta, potevo farcela, anche quella sera avrei dimostrato al mondo chi era davvero Stella Barakat e mi sarei esibita nelle canzoni che rispecchiavano la mia vita, le mie esperienze belle e brutte.
Sam entrò accolto dalle urla dei fans, a seguire entrò Edward che rivolse un sorriso dolce al pubblico, poi entrò Christopher che affiancò il fratello e salutò la folla con un ampio gesto della mano; subito dopo Chris entrò Travis che fece aumentare le urla della folla e che con una piccola presentazione preparò i fans alla mia uscita che fu accolta calorosamente.
Trattenni il respiro e uscì dalle quinte sorridendo alla folla che salutai dirigendomi verso il mio caro microfono che mi aveva accompagnato già in molti concerti.
<< Ehi Londra! >>, urlai nel microfono. << Sei pronta a fare casino?! >>, chiesi ricevendo come risposta grida ancora più forti di quelle che avevano accompagnato la mia uscita.
<< Bene, allora iniziamo >>, sorrisi ai miei amici e ripensai al messaggio di Alex.
 
“Ehi Stell! Spacca tutto stasera e non aver paura, sei brava, hai la voce più bella che io abbia mai sentito e poi io ti sono vicino, basta che guardi nel tuo cuore, lì mi troverai. Ti amo e mi manchi un sacco. Ci sentiamo dopo, in bocca al lupo ;)”.
 
 
 
  

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Capitolo 2
*** My friends are a different breed, my friends are everything ***


-Vegas -.

A concerto finito, andai nel mio camerino, dove mi diedi una veloce rinfrescata e poi radunando tutte le mie cose, raggiunsi l’uscita dove George (la mia guardia del corpo personale) mi stava aspettando per riportarmi sopra il bus del tour.
Il concerto era andato molto bene, come sempre ci eravamo divertiti da matti e avevamo anche avuto qualche inconveniente: durante uno dei pezzi centrali, una fan aveva lanciato sul palco un reggiseno, probabilmente indirizzato ad uno dei ragazzi, che si era andato a infilare sulla chitarra di Travis che aveva suonato tutta la canzone cercando di toglierlo ma a scarso successo; in compenso ci aveva fatto morire dalle risate. Alla fine del concerto Travis aveva messo il reggiseno nella sua borsa così da poterlo conservare… indovinate come chi? Già, come Jack che aveva completamente influenzato quei quattro ragazzi, ma non solo lui, tutti e quattro gli All Time Low! La band adorava il gruppo di mio fratello, li consideravamo come dei modelli da seguire e decisamente non era una buona cosa, visto quanto erano squilibrati gli A.T.L.
Dopo aver firmato qualche autografo, mi rifugiai nel bus, che era lungo e a due piani, con due bagni (uno per ogni piano), sei letti, una sala relax, un salotto, un’area per guardare la televisione e per giocare ai videogiochi e una cucina che di solito usavamo solo per la colazione, soprattutto quando Travis decideva di liberare il suo talento culinario e preparava delle vere squisitezze.
Debbie era già sul bus, seduta su uno dei divani neri vicino l’entrata, che scriveva messaggi con il telefonino indirizzati probabilmente a Zack.
<< Ehi Tella >>, mi sorrise sollevando per un momento lo sguardo dal cellulare.
<< Ehi Deb, che stai facendo? >>, le chiesi posando con un tonfo il mio borsone sul pavimento poco distante dalla porta.
Quasi avesse preso la scossa, Debbie chiuse il telefono e se lo mise in tasca. << Niente, massaggiavo >>, rispose stringendosi nelle spalle.
Mi abbandonai sul divano affianco a lei sentendomi improvvisamente stanchissima e tanto affamata; prima dei concerti di solito non mangiavo, ero troppo agitata per mettere qualcosa nello stomaco. << Con Zack?  >>, chiesi.
Annuì. << Sono appena arrivati ad Orlando >>, mi annunciò.
Alzai gli occhi al cielo. << La Florida si, l’Inghilterra no >>, borbottai contrariata. << Sembra che Matt mi odi >>.
Matt era il tour manager degli All Time Low che organizzava tutte le loro tappe per il tour e sembrava lo facesse a posta a non far coincidere le tappe dei miei concerti con quelli loro. Di sicuro però era solo una mia impressione, a quanto ne sapevo Matt non mi odiava anzi le poche volte che lo avevo visto era stato gentile e simpatico con me.
<< Lui non ti odia, sta solo facendo il suo lavoro >>, ribattè Debbie. << E credimi, non è una passeggiata organizzare tutte le tappe del tour >>, continuò.
Sorrisi.
Avevo assunto Debbie come agente non appena i miei impegni di cantante erano andati sempre più ad aumentare ed io mi ero accorta che non avrei più avuto molto tempo da dedicare alla mia migliore amica e la cosa mi aveva fatta sentire talmente tanto male e in colpa che quando il capo della casa discografica mi aveva detto che mi serviva un agente avevo subito pensato a Debbie che non avrebbe mai rifiutato
un’opportunità del genere e che almeno avrebbe viaggiato con me e sarebbe stata ventiquattro ore su ventiquattro insieme a me, l’avrei avuta vicino in ogni situazione, in ogni minuto e non c’era cosa che
 volessi di più al mondo visto che lei era la persona che sapeva sempre come tirarmi su, quella con la quale avevo condiviso così tante esperienze da poterci scrivere un libro; era la mia migliore amica e lo sarebbe stata per tutta la vita.
All’inizio non si era rivelata molto brava come agente, varie volte mi aveva fissato appuntamenti nello stesso orario e in due città diverse, ma alla fine ci aveva preso la mano ed era diventata davvero brava! Si occupava di tutti i bisogni miei e dei ragazzi, ci preparava la colazione, selezionava i vestiti che dovevamo indossare per ogni evento, ci dava le medicine quando ci ammalavamo… insomma era una sorta di mamma premurosa che ci voleva bene e adorava il suo lavoro. Non ero mai stata più fiera di lei.
Faceva sempre sembrare il suo lavoro una passeggiata, ma come aveva detto in quel momento non lo era affatto e a volte la stressava molto infatti circa una volta a settimana doveva andare da un massaggiatore per prendersi qualche ora di pausa.
<< Lo so e infatti non ce l’ho con Matt, so che vuole solo accontentare i fan di mezzo mondo e che non lo sta facendo a posta a non portare Alex più vicino a me >>, le dissi.
Debbie mi diede delle pacche sulla gamba che era vicina alla sua. << Tranquilla, tra poco il tour inglese finirà e le tappe europee non sono molte, poi andremo in America e vedremo di organizzare un incontro >>.
Sorrisi a trentadue denti solo all’idea di rivedere Alex. << Grazie >>, dissi poi continuai punzecchiandola: << Anche se lo so che organizzeresti un incontro solo per poter rivedere Zack >>.
Prima che me ne potessi accorgere, Debbie mi tirò una cuscinata in piena faccia facendomi male al naso.
<< Ehi! >>, protestai prima di scoppiare in una grossa risata.
Debbie mi guardò storto e disse: << Te lo sei meritato >>. Poi, anche lei iniziò a ridere accasciandosi sullo schienale del divano con la testa poggiata vicino alla mia.
La porta del bus si aprì con un tonfo e Sam apparve sulle scalette con i capelli per la maggior parte davanti agli occhi chiari. << Cos’è così divertente? >>, chiese guardandoci con aria divertita.
Io e Debbie ci guardammo e soffocando altre risate rispondemmo all’unisono. << Niente, ridiamo perché siamo sceme >>.
Sam ci scoccò un’occhiata perplessa poi annuendo tra sé disse: << Si, siete decisamente sceme >>.
<< Senti chi parla, il re degli scemi >>, lo presi in girò facendogli la linguaccia.
<< Ho preso da voi >>, ribattè il batterista ridendo sotto i baffi.
Debbie gli lanciò un cuscino che Sam schivò accovacciandosi a terra e che andò a finire addosso a Travis che proprio in quel momento stava salendo su bus.
<< Ahi! >>, si lamentò Travis toccandosi il punto della testa contro il quale aveva sbattuto il cuscino che per essere tale era davvero duro e faceva male se lanciato con forza. << Va bene che ho temporeggiato troppo a fare autografi ai fan, ma mi sembra esagerato tirarmi cuscini addosso >>.
Debbie, che era rimasta a bocca aperta con le guance paonazze per l’imbarazzo chiese scusa a Travis che tenendosi ancora la testa affiancò Sam che nel mentre stava sogghignando sollevato di non aver preso lui la cuscinata. << Non preoccuparti Debbie, è meglio di una martellata >>, sorrise lievemente.
Da fuori al bus si sentì la voce di George che urlava: << Chi diavolo è che lancia cuscini fuori dal bus? >>.
Nel momento stesso in cui un George arrabbiato si affacciava dalla porta, io, Sam e Travis puntammo all’unisono un dito verso Debbie che irrigidendosi boccheggiò in cerca di parole che la salvassero dall’ira della mia guardia del corpo: un uomo sulla quarantina di corporatura robusta e muscolosa, alto, pelato con gli occhi di un bellissimo verde chiaro e la pelle chiara.
<< Non l’ho fatto apposta >>, disse alla fine Debbie assumendo quell’aria da cucciolo bastonato che mi commuoveva sempre e sapevo per certo che avrebbe commosso anche George. Nonostante fosse una guardia del corpo grande e grossa non aveva assolutamente un cuore di pietra anzi era una persona buonissima, severa si, ma pur sempre buonissima.
George sospirò e le sorrise come avrebbe fatto un papà con la propria figlia che aveva combinato un guaio ma non riusciva a sgridarla perché le voleva troppo bene. Si, più o meno George era quello, un padre per tutti noi.
<< Va bene, ma non farlo mai più >>, disse George posando il cuscino all’interno del bus.
Debbie annuì e gli sorrise grata.
Quando George se ne andò Debbie ci guardò tutti e tre in cagnesco. << Siete degli stronzi! >>, esclamò.
<< Piano con gli insulti o dovrò chiamare Zack per farti rimproverare >>, scherzò Sam facendo accentuare ancora di più la rabbia di Debbie che alzandosi gli diede un pugno sul braccio non abbastanza forte da fargli male, ma Sam fece finta di sì e recitò da bravo attore finché Debbie non fu sparita al piano di sopra indignata.
<< Vorresti un oscar ora? >>, chiesi a Sam scuotendo la testa nonostante stessi sorridendo.
Sam ricambiò il sorriso. << Mi farebbe decisamente comodo >>.
Nel momento in cui Travis e Sam si sedettero accanto a me sul divano, dalla porta del bus entrarono gli altri due membri mancanti che come al solito se l’erano presa comoda nei loro camerini per farsi belli agli occhi delle fans.
<< Ho rimediato un numero di telefono! >>, esclamò Edward mostrandoci un cartellino bianco sul quale c’erano scritte delle cifre in nero.
<< Buon per te fratello >>, disse Christopher. << Chiamala quando torneremo tra due o tre anni >>, continuò rivolgendo al fratello un sorriso furbo e strafottente.
Edward lo spinse. << Sei solo geloso >>.
Chris sbuffò. << Posso avere più ragazze di te >>.
Il fratello alzò gli occhi al cielo. << Si certo come no! Solo pagandole riusciresti a farle uscire con te >>.
<< Vogliamo scommettere? >>, gli chiese Chris con sguardo minaccioso.
Okay, quella era la sera dei litigi, ma era normale, eravamo tutti stanchi e succedeva spesso che litigassimo tra di noi –soprattutto i due fratelli-, ma tornavamo sempre a ridere e a scherzare dopo poche ore.
Mi alzai e mi intromisi tra i fratelli sentendomi come l’arbitro di un incontro di wrestling. << Okay, calmatevi signori e andate ognuno al proprio angolo >>.
Fortunatamente mi ubbidirono senza ribattere nulla e si diressero uno verso la postazione della televisione sul fondo del bus e l’altro al tavolo della cucina dove si sedette.
Ora che c’eravamo tutti saremmo partiti a breve e probabilmente ci saremmo fermati a mangiare qualcosa; quel qualcosa si rivelò essere un panino al McDonald’s che ordinammo da portare via e lo mangiammo sul bus mentre grazie al dvd inserito nella televisione del bus ci guardavamo “Transformers” e commentavamo il film con varie battute la maggior parte ridicole che però ci fecero ridere a crepapelle. Alla fine questo succedeva quando ti trovavi fra amici: iniziavi a sparare cavolate sapendo che poi ci avresti riso insieme agli altri e avresti continuato a ridere finché il dolore alla pancia non si sarebbe fatto sempre più insopportabile. Adoravo le serate in cui potevamo rilassarci tutti insieme e parlare tra di noi, erano il momento che preferivo di tutto il tour perché quelle con cui stavo non erano solo persone che avevo assunto per lavorare con me, ma erano persone con le quali condividevo segreti, affetti, che ormai mi conoscevano e facevano parte della mia vita… erano miei amici, erano tutto. Nei momenti in cui stavo con loro non mi pentivo mai della scelta che avevo fatto ovvero quella di cantare, ma certe volte devo dire che mi sono chiesta come sarebbe andata avanti la mia vita se quel giorno in cui stavo facendo le valige per andare a Baltimora invece di posticipare la registrazione del cd l’avessi proprio annullata rimanendo con Alex e gli altri. Magari sarei andata a vivere da Alex come avevo fatto lasciando casa dei miei genitori e la mia adorata Roma oppure sarei tornata a Roma lasciando che gli A.T.L. finissero il tour oppure ancora sarei andata con loro. Nessuno poteva sapere come sarebbe andata se avessi preso una strada diversa e per la maggior parte del tempo quel pensiero non mi sfiorava nemmeno, ma quando mi mettevo a pensare, quando pensavo a quanto io ed Alex fossimo lontani non riuscivo a respingere tutte                 quelle domande che mi si accalcavano nella mente come in quel momento, quando alla fine del film, Travis ci sorprese tutti chiedendoci: << Vi manca mai casa? >>.
Dieci paia di occhi stanchi ma ancora presenti, lo fissarono. Chissà come gli era venuta in mente una domanda del genere.
Visto che ognuno cadde in un silenzioso ragionamento, Travis si rispose da solo sperando di convincere gli altri a parlare. << A me si, sono molto legato ai miei genitori e il non vederli sempre è… un po’ strano, sono sempre stato abituato ad averli vicini per sostenermi e per aiutarmi, ma ora me la devo cavare da solo >>, fece una pausa. << Non che non mi piaccia la vita che sto vivendo, la adoro, ma a volte… >>.
<< Ti chiedi come sarebbe stata la tua vita se avessi fatti scelte diverse >>, finì per lui.
Un po’ mi consolava il fatto di non essere l’unica ad avere tante domande in testa… ho detto solo un po’.
Mi sorrise. << Già >>, annuì. << Più di tutti penso mi manchi il mio cane >>, ridacchiò seguito a ruota da tutti noi.
Mi alzai per andarmi a sedere di fianco a lui sul divano che si trovava su un lato del televisore. << Non ti preoccupare >>, gli dissi stringendogli affettuosamente una spalla, << è normale che ti manchi la tua famiglia, è il tuo primo tour lontano da casa >>, gli sorrisi cercando di tirarlo su. << Li rivedrai presto >>, gli promisi. << Vedrai che saranno fieri di te e quando tornerai a casa ti riempiranno di baci e di abbracci, così tanti che alla fine desidererai di ricominciare il tour >>, finì con una risata che coinvolse tutti.
Travis mi sorrise. << Grazie >>, disse. << Non so tu come faccia a resistere alla malinconia >>.
Ricambiai il sorriso ma non risposi subito. In effetti io non resistevo alla malinconia, non ci sarei mai riuscita; ero solo abituata a sentire la mancanza delle persone alle quali volevo bene e quindi ormai non mi facevo più molti problemi ne scoppiavo a piangere improvvisamente e convulsamente come avevo fatto in passato, mi consolavo solo pensando che avrei rivisto le persone che mi mancavano, non così presto come speravo ma le avrei riviste. L’unica malinconia che mi assaliva spesso e mi faceva salire le lacrime agli occhi era quella che avevo sempre sofferto di più: quella della distanza con Alex, ma anche quella avevo imparato a gestirla… più o meno.
<< Resisto perché so che sto girando il mondo con i miei migliori amici e… se ci penso bene, non c’è nient’altro che vorrei fare se non questo: guardare film, ridere, cantare su un palco e divertirmi con voi >>, risposi a Travis mentre una vocina nel mio cervello mi sussurrava che c’era qualcos’altro che avrei voluto fare e non riguardava nessuno dei miei amici.
Christopher alzò il suo bicchiere di Coca Cola quasi finito e con un sorriso disse: << Brindiamo a noi migliori amici che siamo la parte più bella del tour >>.
Ridendo ognuno di noi prese un bicchiere in mano e lo alzò vicino a quello di Chris per brindare e dire insieme: << A noi! >>.
 
“The interstate, my home tonight
 For one more long night
 I’m sure as hell the happiest
 I’ve ever been”.

(Alex)
 
Era da giorni che cercavo l’ispirazione per scrivere una nuova canzone, ormai era passato più di un anno dalla pubblicazione dell’ultimo cd e la band aveva bisogno di nuove canzoni, di un nuovo cd che esaltasse i fans, che raccontasse le esperienze di quell’ultimo anno… che ne erano davvero tante!
Ero seduto sul divano in pelle del bus che anche quell’anno ci stava accompagnando per il nostro tour invernale che sarebbe stato davvero lungo ma con abbastanza giorni di paura per farci riposare di tanto in tanto. Nel “salotto” c’eravamo solo io, Jack, Zack e Rian, gli altri erano al piano di sopra a fare qualcosa di tutt’altro che normale come per esempio fare balletti sexy in mutande o giocare al gioco della bottiglia; chiederete: cosa c’è di non normale? Be’ c’è che la nostra Crew è formata da soli uomini tutti con una percentuale di perversità davvero alta come anche la loro voglia di divertirsi e fare cavolate.
Reggevo sulle ginocchia un quadernino sul quale avrei dovuto scrivere la canzone ma per il momento era solo pieno di scarabocchi e di parolacce che esprimevano perfettamente la mia frustrazione; avevo avuto tante nuove esperienze in quell’anno e non mi veniva neanche una mezza frase che ne descrivesse una!
I ragazzi dal canto loro non mi aiutavano neanche: Jack sfogliava lentamente e distrattamente un giornalino porno –cosa davvero strana perché di solito li sfogliava con la bava  alla bocca!-, Rian mangiava del cibo cinese mentre guardava la televisione e Zack stava vedendo le foto che aveva scattato quel giorno durante il viaggio con la sua nuova macchinetta fotografica all’ultimo modello.
Ticchettai con la matita sul foglio scarabocchiato e iniziai a guardarmi intorno cercando, invano, un’ispirazione. Fu Jack a distrarmi dai miei pensieri.
Il mio migliore amico chiuse di scatto il giornalino e mi guardò perplesso. << Non ti viene ancora in mente nulla? >>, chiese.
Mi strinsi nelle spalle, poi lanciando un’occhiata al foglio che avevo davanti risposi: << Be’… in mente ho qualcosa e l’ho anche scritto >>, sorrisi.
Jack, incuriosito si avvicinò per sbirciare il foglio che oltre alle parolacce e gli scarabocchi aveva anche righe piene del suo nome.
Stella. Stella. Stella. Stella.
Jack scosse la testa. << Mi dispiace dirtelo Alex, ma una canzone con il nome di mia sorella l’abbiamo già fatta >>, disse sedendosi al mio fianco sul divano.
<< Lo so! >>, esclamai frustrato. << Perché mai abbiamo scritto una canzone su una birra? Soprattutto perché sulla birra che si chiama come tu sorella? >>.
<< Perché ci ubriacavamo sempre in quel periodo >>, disse Rian prima di mettersi in bocca un pezzo di involtino primavera.
<< Tempi gloriosi! >>, disse Jack con un sorriso beato sul volto.
<< Ci ubriachiamo anche adesso >>, dissi.
<< Si, ma quando abbiamo scritto Stella era il periodo in cui non ci reggevamo in piedi per tutto il giorno e sparavamo cavolate a raffica >>, disse Rian prendendo un altro boccone.
<< Infatti io non ricordo nulla di quei giorni >>, dichiarò Jack un po’ allarmato.
<< Meglio non ricordare >>, disse Zack senza alzare gli occhi dalla sua macchinetta. << Avete fatto cose assurde in quel periodo! >>.
<< Senti chi parla, il santo della situazione! >>, borbottò Jack.
Rian rise. << Ricordiamo benissimo il tuo spogliarello in quel locale >>.
Io e Jack scoppiammo a ridere con lui. << Oh si, hai fatto impazzire tutte le ragazze! >>, commentai.
Anche Zack alla fine dovette ridere, perché il ricordo di quella serata era davvero esilarante, Zack che era sempre stato il più serio tra di noi si era lanciato in quello spogliarello così provocante, aveva fatto urlare una sala intera di ragazze e si era fatto fare anche delle foto!  Che non so per quale fortuna non giravano sul web.
Il click della macchina fotografica fece girare me e Jack sorpresi verso Zack.
<< Eravate in una posa perfetta >>, spiegò stringendosi nelle spalle.
<< Chiama questa foto: mancanza di ispirazione >>, dissi abbattuto.
<< Avanti Alex, ci sarà qualcosa di cui vuoi parlare, qualche messaggio che vuoi dare ai fans? >>, mi chiese
Rian che dagli involtini era passato al riso.
<< Amo le tette >>, disse Jack annuendo tra se e se.
Lo guardammo storto tutti e tre e lui ricambiando l’occhiataccia disse: << Come se non vi piacessero davvero! >>.
<< Serve qualcosa… di più serio… di triste… >>, dissi mentre il mio cervello si scervellava per trovare un titolo.
<>, esclamò Jack sorridendo come uno scemo quale era.
Mi girai verso di lui e gli rivolsi un’altra occhiataccia. << Che ne dici di: “il mio migliore amico è uno scemo?” >>, proposi.
<< Va bene, tanto parlerai di Rian >>, scherzò Jack.
Per tutta risposta Rian tirò un pezzo di pollo fritto dritto sulla faccia di Jack che invece di arrabbiarsi scoppiò in una risata e si mise il pezzo di pollo in bocca. Era la follia fatta persona e in quel periodo era anche peggiorato, era più strambo del solito e la cosa mi preoccupava non poco.
<< Zack, invece di pensare alla macchinetta fotografica, perché non mi aiuti? >>, gli chiesi rivolgendomi almeno al più tranquillo e al più saggio che forse mi avrebbe dato un’idea  geniale.
<< Non posso, sono occupato a guardare le mie foto da nudo >>.
Sia io che Rian e Jack lo guardammo con espressioni di sgomento dipinte sul volto. A Rian cadde persino il pollo di mano. Tranquillo e saggio ma ugualmente pazzo, pervertito e fuori di testa.
Il bassista rise divertito. << Vi stavo prendendo in giro, rilassatevi >>.
Tirai un sospiro di sollievo e tornai al mio quaderno. << Ci dev’essere qualcosa che devo raccontare >>.
<< Forse deve ancora accadere >>, ipotizzò Zack che si venne a sedere anche lui accanto a me lasciando la macchinetta sull’altro divano sul quale era seduto prima.
<< Infatti, non devi scrivere la canzone per forza oggi, hai tempo >>, disse Rian.
<< Hai tutto il tempo del tour, vedrai che ce la farai a trovare l’ispirazione >>, m’incoraggiò Jack mettendomi un braccio dietro le spalle.
Sospirai. << Va bene, aspetterò >>.
Rian si alzò dalla sedia e si avvicinò a noi. << Bene, quindi ora che hai finito di pensare e non abbiamo nulla da fare… io avrei un’idea >>.
<< Quale? >>, gli chiesi non accorgendomi delle occhiate complici che aveva scambiato con Zack e Jack.
<< TUTTI ADDOSSOOOO! >>, urlò Rian e come una mandria di bufali mi si buttarono tutti e tre addosso schiacciandomi ma facendomi ridere come un pazzo soprattutto quando iniziarono maleficamente a farmi il solletico.
Adoravo quei ragazzi, erano i miei migliori amici e per me erano tutto, non avrei mai saputo come vivere una vita senza di loro o senza gli All Time Low.
 
Tonight, we lie awake
 Remember how the coffee made us shake
 on those long drives?
 One more long night”.
 
 
 

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Capitolo 3
*** 'Cause real life just isn't right let's get away, let's fabricate ***


-Under a Paper Moon-.
 
Nonostante fossimo andati a dormire tardi, quella mattina avevo messo la sveglia alle nove meno dieci perché avevo un appuntamento molto importante alle nove al quale non potevo mancare per nessuna ragione al mondo. Svegliarmi fu un trauma visto quanto ero stanca, ma mi consolava il fatto che dopo il mio appuntamento avrei potuto dormire un altro po’ almeno finché non fossimo arrivati a Richmond e Debbie ci avrebbe svegliati urlando e magari facendo rumore anche con qualche pentola. A volte mi domandavo se ci provasse gusto a disturbare il nostro sonno.
Scesi dal mio letto a castello cercando di non far rumore per non svegliare gli altri e a passo felpato mi diressi nella sala relax che si trovava proprio alla fine della “postazione” dei letti subito dopo il grande armadio contenente tutti e dico proprio tutti i nostri vestiti per il tour. Per fortuna solo Debbie metteva mano in quell’armadio perché io se mai lo avessi solo aperto non ci avrei capito assolutamente nulla e non avrei mai saputo dove mettere le mani.
Entrai nella sala dai grandi finestrini che davano sulla strada già illuminata dal tenue sole mattutino inglese e mi andai a sedere su uno dei divani dove avevo lasciato il mio computer portatile. A pensarci bene quel pullman era troppo pieno di divani, ma dopotutto cosa si sarebbe dovuto fare in un bus in continuo movimento se non sedersi?
Accesi il computer sentendo il cuore iniziare a battere ogni secondo sempre più velocemente come ogni volta che avevo quell’appuntamento. Non capitava molto che ci sentissimo tramite un computer, ma quelle poche volte che accadeva mi sentivo talmente agitata e felice allo stesso tempo da avere lo stomaco sottosopra e le mani che tremavano.
L’ultima volta che avevo sentito Alex era stata la settimana prima per telefono, quando noi eravamo ad Oxford e avevamo appena finito un altro concerto. La conversazione non era durata molto per colpa dello show che mi aveva stancata parecchio, ma comunque nel poco tempo eravamo riusciti ad organizzarci per una video chiamata programmata per quel giorno alle ore nove da me e da lui alle ore quattro… di mattina! Lo so, avevamo scelto un orario assurdo soprattutto per lui e io avevo cercato di convincerlo a sceglierne uno più decente ma lui aveva detto che a quell’ora era sempre sveglio e che non sarebbe stato un problema; così eccomi lì, alle nove di mattina davanti ad un computer, con il cuore in fibrillazione pronta per vedere il mio fidanzato attraverso uno schermo. Non era di certo come vederlo dal vivo, ma per ora mi accontentavo immaginando che fosse davvero lì con me e non kilometri e kilometri lontano.
Sullo schermo apparve la schermata iniziale. Aspettai qualche minuto che si caricasse tamburellando con le dita sulla tastiera, poi cliccai sull’icona di Skype  e aspettai l’arrivo della richiesta di chiamata da parte di Alex. Erano le nove precise. Ero stata puntuale! E come al solito Alex si sarebbe connesso in ritardo per colpa del suo computer lento e vecchio di secoli.
Aspettai pazientemente aggiustandomi con le mani i capelli che di sicuro erano ridotti male: tutti scompigliati quasi come quelli di Jack. Fortunatamente non ci volle tanto e prima che potessi finire di districarmi un nodo nei capelli, sullo schermo apparve la scritta: “Video chiamata da Alex Gaskarth” seguita dalle due opzioni “Accetta” e “Rifiuta”.
Urlando quasi per l’emozione, schiacciai il tasto accetta.
La faccia di Alex apparve sullo schermo, con dietro quello che riconobbi essere il salotto del pullman che accompagnava gli All Time Low nel loro nuovo tour.
Mi pizzicarono fastidiosamente gli occhi, ma mi costrinsi a non lasciar andare le lacrime, non era il
momento di lasciarsi andare a singhiozzi disperati, avrei solo perso tempo e lo avrei messo di malumore.
<< Stell! >>, esclamò elargendomi uno dei suoi soliti sorrisi sghembi che tanto adoravo.
<< Alex! >>, ricambiai il sorriso. << Sei in ritardo >>, gli feci notare con finta aria arrabbiata.
Scoccò un’occhiata perplessa all’orologio che teneva al polso e poi riportò lo sguardo su di me. << Solo di due minuti! >>, protestò.
<< Tranquillo, stavo scherzando >>, gli sorrisi.
<< Oh lo so, neanche attraverso un computer sei brava a mentire >>, ridacchiò.
Feci una smorfia. << Lo so >>, dissi. << Ma è una cosa positiva, giusto? >>, chiesi presa da un dubbio.
Alex annuì. << Certo >>, rispose. << Almeno so che non mi mentirai mai >>.
<< Non lo farei comunque >>.
Sorrise. << Per questo mi fido ciecamente di te >>.
Ricambiai il sorriso mentre sentivo il cuore farmi una piroetta nel petto.
<< Va bene, passiamo ad argomenti seri >>, si scortò dalla fronte il ciuffo di capelli castano chiaro con una mano, come era suo solito fare, << com’è andato il concerto? >>.
Nell’ultimo anno Alex si era tagliato i capelli che ora non erano più lunghi e a caschetto, ma erano corti fatta eccezione per il ciuffo che gli copriva metà della fronte; si era lasciato crescere la barba che gli dava un’aria ancora più sexy di quanto già fosse ma era fastidiosissima e pizzicava un sacco! Inutili erano state le mie proteste e i miei consigli a radersi.
<< Molto bene, è stato divertente >>, risposi. << E pensare che più di un anno fa ero in questa stessa città solo che ero un membro dei Simple Plan >>.
<< Oh a proposito dei Simple Plan, ti salutano, li ho incontrati qualche giorno fa >>, m’informò.
<< Davvero? Dove? >>, chiesi sorridendo al ricordo di quei cinque ragazzi che mi avevano fatta entrare nel loro gruppo ed erano stati molto carini e simpatici con me.
<< A Toronto >>, rispose. << Hanno detto che quella era l’ultima loro tappa in America prima di venire anche loro in Inghilterra >>.
Sembrava che quell’anno l’Inghilterra fosse una tappa nel tour di tutti: Simple Plan, All Time Low, persino gli Hey Monday!
<< Magari li incontrassi, è quasi da un anno che non li vedo >>, feci una smorfia.
<< Sono sfuggenti quanto me >>, commentò con un sorriso amaro.
Dovetti deglutire varie volte per far scendere un groppo che mi si era formato in gola. << Di sicuro li rincontrerò prima di rivedere te >>, commentai in tono pacato e tenendo lo sguardo basso.
L’ultima volta che avevo visto Alex, mio fratello e gli altri, era stato il giorno di Natale che avevamo passato tutti insieme prima che io e Jack tornassimo a Roma per salutare i nostri genitori e per passare il capodanno con loro mentre Alex era andato un po’ dai suoi genitori e un po’ a trovare degli amici. Al mio ritorno in America ci eravamo visti per un’ora scarsa prima che io partissi per il tour. Certo, non era passato così tanto visto che era ancora gennaio, ma ogni giorno sembrava un’eternità senza Alex e il fatto di averlo visto pochissimo quel Natale mi faceva sentire ancora di più la sua mancanza.
<< A questo proposito… ho una brutta notizia >>, iniziò a dire vagando con lo sguardo per la stanza in cui si trovava, un segno del suo nervosismo.
Lo guardai preparandomi psicologicamente a disperarmi.
<< Lo sai che oggi siamo arrivati ad Orlando, vero? >>.
Annuii.
<< E be’ questa sarebbe dovuta essere una delle tante tappe che ancora ci aspettano per l’America >>, si grattò nervosamente la testa.
<< Ma? >>, lo spronai curiosa del finale della sua frase.
<< Matt… ha cambiato le date e dopodomani inizieremo il tour in Inghilterra >>.
Stavo per sorridere e mettermi ad urlare per la felicità chiedendo ad Alex perché considerasse quella notizia
brutta, ma poi mi ricordai che dal giorno dopo io non sarei più stata in Inghilterra, sarei andata in Europa… e Alex lo sapeva ecco perché sapeva che la notizia non mi sarebbe piaciuta.
Visto che non rispondevo nulla troppo impegnata a mordermi un labbro per la frustrazione, Alex cercò di farmi stare calma, ma non appena pronunciò una parola io scattai. << Diamine Matt me lo fa apposta! >>, sbottai.
Alex cercò di parlare ma io continuai a parlare quasi urlando. << Come può cambiare tappe dopo che aveva già deciso i concerti, non pensa a tutti i fan che hanno comprato i biglietti?! Non pensa a tutti i ragazzi che rimarranno delusi?! >>.
<< In verità le tappe successive non erano ancora decise >>, mi corresse Alex.
Sgranai gli occhi sentendo la rabbia dentro di me ampliarsi. << Cosa?! E avete aspettato tutto questo tempo per decidere?! Non potevate direttamente venire in Inghilterra e dirmelo così da organizzare i nostri concerti? >>.
<< Stell, non è così facile come sembra >>.
<< Oh certo che no, cambiare tappe del tour da un momento all’altro è difficilissimo! >>, esclamai irritata.
<< Senti, Matt non lo sapeva, credeva di farci un favore, ma quando gli ho detto che tu non saresti stata più in Inghilterra ormai era tutto già deciso >>, mi spiegò Alex.
Mi abbandonai contro lo schienale del divano sbuffando. Non potevo arrabbiarmi con Matt, faceva solo il suo lavoro ed io mi stavo arrabbiando per un qualcosa che dovevo imparare ad accettare perché non sarebbe mai cambiata, avremmo incontrato sempre quel problema, ad ogni tour, ogni anno.
Mi passai una mano fra i capelli prima di tornare a guardare lo schermo dove Alex stava aspettando che smaltissi la rabbia prima di tornare a parlare.
<< Scusa, mi sono arrabbiata per niente, mi dispiace >>, mi scusai appoggiando la testa sulle mani.
Alex mi sorrise dolcemente. << Non devi scusarti Stell, questa storia distrugge anche me soprattutto ora che vorrei abbracciarti e accarezzarti una guancia >>.
Sorrisi nonostante le lacrime che mi pizzicavano gli occhi. << Facciamo finta che tu lo stia facendo >>.
Rise amaramente. << Non sono bravo a lavorare di fantasia >>.
<< Ma le fantasie erotiche te le fai però >>, lo presi in giro con un sorriso furbo sulle labbra.
Scoppiò a ridere e così anche io. << Solo su di te >>, disse quando le risate scemarono.
Non sapevo se sentirmi lusingata da quell’affermazione o disgustata. Optai per la prima pensando che era meglio che fantasticasse su di me invece che su di un’altra donna. << Questo mi fa sentire più rassicurata >>, dissi annuendo varie volte.
Sorrise, poi tornò serio. << Pensi che Debbie vi prenoterebbe delle tappe in Giappone? >>, mi chiese.
Aggrottai le sopracciglia. << No, penso di no, non abbiamo neanche ancora fatto concerti in America figurati se andiamo in Giappone! >>, scossi la testa ridacchiando, poi alzai lo sguardo verso di lui e nonostante avessi paura di sapere la risposta, gli chiesi: << Perché? >>.
Giocherellò nervosamente con le mani e poi disse: << Perché molto probabilmente andremo lì tra qualche mese >>.
Sospirai per calmare la nuova ondata di rabbia che mi stava crescendo dentro. << Fantastico! Davvero fantastico! >>, commentai. << Al Polo Nord non ci andate? >>, chiesi sarcastica.
Alex assunse un’espressione perplessa. << Non penso che i pinguini ascoltino la nostra musica >>.
Alzai gli occhi al cielo ma non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
<< Lo so, è dall’altra parte del mondo e con noi lì sarà molto più difficile vederci, ma troverò il modo di farci incontrare prima che partiamo >>.
Sospirai nuovamente. << La vita fa davvero schifo! >>, sbottai.
<< Me and you, living under a paper moon, cause real life just isn’t right >>, cantò Alex elargendomi un
piccolo sorriso.
<< In questi momenti odio davvero le vostre canzoni >>, borbottai.
<< Non è vero >>, ribatté. << Ti tirano su >>.
Mi accigliai. << In che modo? >>.
Sorrise. << Ti fanno volare un po’ con la fantasia >>.
<< Aha allora vedi che sei bravo a fantasticare! >>, esclamai.
Rise brevemente poi si strinse nelle spalle.
<< Sentiamo, su cosa ti fa fantasticare Under a Paper Moon? >>, gli chiesi con un sorriso divertito che non  riuscì a trattenere.
<< Su noi due >>, rispose prontamente ed io mi sentì il cuore riempirsi di tristezza. << Su noi due che viviamo… in una casa di carta! >>, continuò ridacchiando anche se dal suo sguardo si capiva che credeva in quello che stava dicendo e per lui quelle non erano solo parole. Era una fantasia, si, ma una fantasia che lo faceva sorridere nonostante fosse irreale.
<< Una casa di carta che costruiremo noi >>, continuò, << dopo essere scappati da… tutto >>.
<< Let’s get away, let’s fabricate >>, cantai. < Mi piace questa idea >>, commentai sorridendo.
Alex rise. << Pensa che casino se scappassimo! >>, esclamò.
Immaginai Debbie dare di matto e urlarmi contro nel caso mi sarebbe riuscita a trovare. << Aumenteremmo i nostri problemi >>.
<< Secondo me Jack mi ucciderebbe >>, disse, << mi verrebbe subito a prendere e mi urlerebbe che non posso scappare con sua sorella >>.
<< Lo stesso vale per Debbie >>, dissi, poi ci pensai su e aggiunsi: << Però… dopotutto Debbie potrebbe capire, si arrabbierebbe perché abbandonerei i concerti, ma… poi sarebbe felice per me >>.
<< Si, penso di si, lei non è tua sorella quindi non è gelosa come invece lo è Jack >>.
<< Pensi che Jack sia geloso? >>, gli chiesi sorpresa da quella sua affermazione.
Non avevo mai pensato che mio fratello potesse essere geloso della mia relazione con Alex; quando si era arrabbiato con noi ci aveva spiegato il motivo e non aveva di certo detto che era geloso… ed io gli avevo creduto, ma ora che Alex lo aveva detto mi chiedevo se la gelosia non fosse un altro dei motivi che Jack però non mi aveva detto.
Alex annuì varie volte. << Ne sono più che sicuro >>.
Sbuffai. << Di che dovrebbe essere geloso? Non passo più tempo con te che con lui! >>, ribattei.
Si strinse nelle spalle. << Non lo so, ma hai presente qualche settimana fa quando stavamo messaggiando e all’improvviso non ti ho più risposto? >>.
Annuì. << Si e mi sono sempre dimenticata di chiederti il perché >>.
<< Be’ Jack mi aveva preso il telefono dicendo che messaggiavamo troppo >>.
Comportamento strano, ma non per questo io avrei ritenuto Jack geloso.
<< È da un po’ di tempo che è strano, fa… idiozie >>, continuò.
Scoppiai inevitabilmente a ridere guadagnandomi un’occhiataccia da Alex. << Scusa, ma ti ricordo che stai parlando di mio fratello, lui fa idiozie da quando è nato >>.
<< Fa idiozie più idiote del solito! >>, si corresse Alex.
<< Tipo? >>, chiesi sperando che Alex mi spiegasse di più perché non ci stavo capendo nulla.
Sospirò. << Si ubriaca di più del solito, passa tutto il tempo a dire cavolate, guarda più film porno, cerca di conquistare le fan per portarsele a letto… >>.
<< Aspetta, aspetta, aspetta >>, lo bloccai. << Cerca di portarsi a letto le fan? >>, chiesi scioccata.
Alex annuì lentamente.
<< Ma tutto questo non ha senso! >>, esclamai. << Le altre cose più o meno vanno bene anche perché le ha sempre fatte, ma… con le fan? E loro ci stanno? >>.
<< No, rimangono abbastanza spaventate oppure pensano che scherzi >>, rispose.
<< Meno male >>, dissi sentendomi un po’ più tranquilla.
<< Sai >>, fece Alex, << Jack non ha più avuto una fidanzata da quando usciva con una modella di PlayBoy >>.
Alzai gli occhi al cielo. << Tipico, se ne sceglie una e neanche una santarellina >>.
<< Non è questo il punto >>, protestò. << Ora che ci penso bene, so perché Jack si comporta in questo modo >>.
<< Cioè? >>.
<< Si sente solo >>.
<< Solo? >>.
Okay, non ci stavo di nuovo capendo nulla. Da geloso, mio fratello era passato a strano e poi a solo.
<< Pensaci bene: è l’unico tra di noi che non è fidanzato e questo spiegherebbe perché cerca di conquistare le fan poi il fatto che beve di più sta a significare che è depresso… perché si sente solo! >>.
Annuì varie volte. << Ebbene dottore, cosa intende fare a riguardo? >>, gli chiesi ridendo sotto i baffi.
Mi guardò storto. << Non prendi sul serio la questione! >>, mi sgridò.
<< Sai è che… faccio fatica a pensare a Jack che si deprime perché non ha una fidanzata >>, dissi. << È sempre stato un ragazzo allegro, che non si fa mai buttare giù da nulla… come potrebbe essere depresso per una cosa che alla fine viene da sé, non siamo noi a cercare l’amore, viene lui da noi >>.
<< Lo so che Jack non se n’è fatto mai un problema, ma… se lo avesse nascosto? Se soffrisse da sempre ma non ce l’avesse mai detto? >>.
Rimasi in silenzio ripetendomi in mente le parole di Alex. Jack e Alex erano amici da tanti anni, si confidavano tutto e così valeva anche tra me e Jack, non c’era mai stato nulla che io o lui ci tenessimo nascosto a parte alcune cose che però dopo erano venute a galla. Possibile che Alex avesse ragione? Mio fratello stava male e io non me ne ero mai accorta. Grandioso, mi sentivo la sorella più buona del mondo!
<< Parlerò con lui >>, dissi. << Cercherò di farmi dire se veramente si sente solo >>.
Alex annuì. << Va bene, anche io cercherò di indagare >>.
<< Wow, da dottore a detective in soli cinque minuti >>, scherzai.
<< Sono un uomo fantastico >>, si vantò alzando e abbassando le sopracciglia.
Alzai gli occhi al cielo poi passai ad un altro argomento. << Allora, a voi come va il tour? >>.
<< Magnificamente! >>, sorrise. << Ci divertiamo un sacco, ogni giorno è pieno di cose divertenti per le quali ridere tutta la giornata finché non ci fa male la pancia; anche se la maggior parte delle volte ridiamo perché siamo ubriachi e quindi qualsiasi cosa diciamo ci fa ridere >>.
Scossi la testa sorridendo. << Sempre i soliti >>, commentai. << Scommetto però che Zack non beve come voi >>.
<< Già, anche lui è sempre il solito serio! >>, sbuffò.
<< Per questo è il mio preferito >>, sorrisi a trentadue denti.
<< Ehi, mi offendo! >>, esclamò fingendosi arrabbiato.
Risi. << Offenditi ma è vero, Zack è quello più affidabile tra voi quattro >>.
<< Mah! >>, commentò acido volgendo volontariamente la testa da un lato per non guardarmi così da accentuare la sua aria offesa.
<< Dai, non te la prendere, tu rimani comunque quello che amo di più >>, dissi cercando di tirarlo su.
Si girò di nuovo verso lo schermo. << Va bene, per oggi sei perdonata, ma quando ci vedremo sarò ancora arrabbiato e lì si che dovrai farti perdonare sul serio >>.
Gli sorrisi maliziosa. << Già so come >>.
Rise. << Oh adoro quando fai quello sguardo sexy! >>.
Ridacchiai sentendo le guance diventarmi rosse per l’imbarazzo.
<< Appena ci rincontreremo ti salterò addosso, lo sai? >>, mi chiese alzando e abbassando le sopracciglia.
<< Si e sono acconsenziente >>, ridacchiai.
Sospirò. << Mi manchi >>.
Cercai di sorridere, ma quello che ottenni fu una smorfia triste. << Perché finiamo sempre a parlare di questo? >>.
<< Perché è il nostro principale problema e perché abbiamo bisogno di stare vicini >>.
Era verissimo, non c’era persona che necessitassi di più di avere vicino come Alex, odiavo il fatto che non fosse lì con me, ma avevo preso una scelta e quella era una conseguenza che dovevo accettare perché non c’erano altre soluzioni.
<< Perché niente è mai facile nella vita? >>, chiesi ma più in generale che ad Alex.
<< Sarebbe tutto monotono se no >>.
<< E se monotono fosse bello? >>, chiesi.
Alex alzò le spalle, poi rise. << È ironico come nessuno non abbia mai pensato che una vita monotona possa essere meglio della vita normale >>.
<< Ma per favore! Una vita monotona sarebbe deprimente e stupida! >>, esclamò una voce dall’altra parte del computer che non era Alex.
<< Non mi si alzerebbe neanche >>, continuò la voce scoppiando in una grande risata che riconobbi subito anche se avrei riconosciuto il proprietario solo da quello che aveva detto.
Nonostante la stupidaggine di quella frase, Alex scoppiò a ridere e diede il cinque a Jack che si andò a sedere accanto a lui ed entrò nel campo visivo della web cam. Anche Jack si era tagliato i capelli, ma a differenza di quelli di Alex, a lui sembravano tali e quali a prima magari solo un po’ più corti ma davvero di poco. Notando che Jack indossava un pigiama e che i suoi capelli erano più sconvolti del solito, mi ricordai che da loro erano le quattro di notte.
<< Ciao sorellina >>, mi salutò Jack con un gesto della mano.
Be’ dal sorrisone scemo che aveva stampato sulla faccia non sembrava affatto che stesse male, ma poteva essere anche un buon attore. Ringraziai che Jack non fosse entrato nella stanza in cui si trovava Alex mentre stavamo parlando di lui.
<< Ehi fratellone, come stai? >>, gli chiesi abbozzando un sorriso che sentì essere teso invece che spontaneo.
<< Bene, se non sentissi il mio migliore amico che parla fino al mio letto alle quattro di notte! >>, sottolineò
l’ultima parte con tono irritato.
<< Potevi metterti il cuscino sulla testa >>, dissi.
Mi guardò storto. << Non sarebbe servito a nulla >>, borbottò.
<< E allora pazienza >>, tagliai corto.
<< Da te sono le nove vero? >>, mi chiese Jack dopo aver contato varie volte sulle dita le ore di differenza.
<< Si >>, annuì.
<< Allora perché avete scelto di parlare in un orario in cui di solito si dorme?! >>, chiese guardando prima me e poi Alex che stava ridendo sotto i baffi.
Alzai gli occhi al cielo. << Perché la mattina lavoriamo entrambi !>>.
Sbuffò. << Un minuto di pausa si trova sempre >>.
<< Non ci basta un minuto >>, ribattei.
Questa volta fu Jack ad alzare gli occhi al cielo. << Lasciamo perdere, me ne torno a dormire sperando che la vostra “chiamata” finisca presto visto che domani… oggi ci dobbiamo svegliare alle otto... alle otto ti rendi conto?! >>.
Scossi la testa ridacchiando e prima che potessi salutarlo, Jack sparì dallo schermo. Stavo per urlargli che non mi aveva salutata sperando che mi sentisse, ma all’improvviso la sua faccia da scemo ricomparve sullo schermo facendomi sobbalzare. << Ehi, ti voglio bene, ricordatelo >>.
Gli sorrisi. << Ti voglio bene anche io Jack e mi manchi tanto >>.
Mi mandò un bacio. << Anche tu >>.
Sparì dalla schermata e lo sentì augurare la buonanotte ad Alex prima di sentire il suono della porta che sbatteva.
Sospirai mentre il familiare senso di malinconia s’impossessava del mio cuore.
Alzai lo sguardo verso lo schermo e vidi Alex che mi sorrideva comprensivo. << Lo so, la vita reale è difficile, ma possiamo farcela, basta che pensiamo che ogni giorno che viviamo ci porterà al giorno in cui ci rincontreremo >>.
<< Sarebbe bello sapere quando arriverà quel giorno >>, dissi.
<< Presto >>.
<< È una promessa? >>.
<< Si >>, sorrise. << Bene, non vorrei dirlo, ma Jack ha ragione, è ora per me di andare a dormire, domani ci dobbiamo alzare presto >>.
Annuì. << Si, credo sia meglio anche perché vorrei riuscire a dormire un altro po’ prima che Debbie ci svegli >>.
<< Giornata dura anche domani… che poi sarebbe oggi? >>, chiese correggendosi.
Feci una smorfia. << Più o meno, avrò qualche momento di pausa nel quale probabilmente visiterò Richmond >>.
<< Bene, allora buona visita e buon concerto >>, mi augurò.
<< Anche a te >>, sorrisi.
Ci fu un attimo di pausa, nel quale ci guardammo in silenzio in cerca del modo migliore per salutarci che non sembrasse triste e che non ci lasciasse con una sensazione amara in bocca. Alla fine fu Alex a parlare per primo. << Ci sentiamo per via telefono, allora? >>.
<< Si, aspetto il tuo in bocca al lupo >>.
<< Arriverà sempre puntuale >>, mi garantì.
<< Bene >>.
<< Buonanotte Stell >>, mi fece l’occhiolino.
<< ’Notte Alex >>.
<< Ti amo >>.
Repressi a stento un singhiozzo. << Ti amo anche io >>.
Un ultimo sorriso e poi svanì lasciandomi con le lacrime agli occhi che premevano per essere lasciate uscire. Nonostante evitassi sempre di piangere, in quel momento non riuscì a fermarmi e così lasciai scorrere le lacrime calde sulle mie guance. Non mi lasciai andare a singhiozzi però, non volevo finire come l’anno prima, volevo essere felice e volevo continuare ad aspettare pazientemente il momento in cui avrei potuto riabbracciare Alex.
Uscì dalla stanza relax e tornai al mio letto allontanandomi con il viso di Alex nei pensieri.
 

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Capitolo 4
*** Weightless ***


Well I’m stuck in this fucking rut

Waiting on a second hand pick me up

And I’m over, getting older”.

Arrivammo a Richmond solo verso mezzogiorno ed io riuscì a dormire ancora per qualche ora sognando Alex e la città nella quale avevamo fantasticato di scappare. Era stato un bel sogno, soprattutto la parte finale che non vi sto a scrivere, so che le vostre menti perverse ci arriveranno lo stesso. Ero quasi invidiosa della Stella che viveva nei miei sogni, lei poteva avere Alex vicino e poteva lasciar perdere tutto perché nessuno l’avrebbe mai disturbata…

<< Sveglia pop-stars! Oggi è giornata di lavoro! >>, urlò Debbie già vestita, pettinata e pronta per uscire.

Soprattutto le urla della sua migliore amica.

Vari grugniti di protesta seguirono quell’urlo e questo non fece che spronare Debbie a continuare. << Forza! Forza! Non c’è tempo per continuare a dormire! La giornata è corta e voi avete un concerto >>.

<< Siamo già arrivati? >>, chiese Travis con una voce che ricordava molto quella di un cavernicolo.

Non avevo mai visto Richmond e per questo ero impaziente di visitarla e di scattare qualche foto da attaccare poi all’album di foto del tour che stavo facendo per tenerlo come ricordo e anche per far vedere a mamma e papà dove ero stata.

<< Si, non era molto lontana >>, rispose Debbie.

<< Ma non siamo ancora arrivati sul posto, giusto? >>, chiese Sam.

<< No >>, rispose Debbie e dal suo tono capì che era rimasta perplessa dalla domanda.

<< E allora dormiamo! >>, esclamò Sam.

Nonostante avessi ancora gli occhi chiusi, m’immaginai Sam che appoggiava di nuovo la testa contro il cuscino e si riaddormentava mentre Debbie lo fulminava con lo sguardo. Le urla e le preghiere che seguirono dopo mi fecero capire che Debbie era entrata in azione e che probabilmente Sam era stato buttato fuori dal suo letto. Se non mi fossi alzata sarebbe toccato anche a me.

Aprì gli occhi sentendomi riposata, rilassata e piena di buon umore probabilmente dovuto al fatto di aver visto Alex solo poche ore prima. Il suo sorriso continuava a vagarmi per la mente insieme alle ultime parole che mi avevano detto e che ogni volta che mi ripeteva mi facevano gioire talmente tanto il cuore da aver paura che scoppiasse. Sapere di essere amati da qualcuno è una sensazione fantastica, come se… avessi tutto, come se non potessi desiderare di meglio dalla vita. Sapere di essere amata da Alex mi faceva sentire bene ed era l’unica certezza che avevo nella vita.

Allungai le braccia e le gambe stiracchiandomi come un gatto che è stato troppo tempo seduto, chiudendo gli occhi; li riaprì giusto in tempo per vedere la faccia allegra e totalmente sveglia di Debbie che si sporgeva sul mio letto e mi sorrideva.

Ricambiai il sorriso con uno a trentadue denti.

Debbie alzò un sopracciglio e mi scrutò con attenzione. << Con quel sorriso furbetto non me la conti giusta >>, disse, poi assunse un’espressione curiosa. << Cos’è successo con Alex? >>.

Prima che potessi rispondere, la faccia di Christopher apparve al fianco di Debbie. << Avete fatto uno spogliarello davanti alla web cam? >>, chiese con un sorriso pervertito.

<< No! >>, esclamai indignata.

Debbie lo spinse giù dalla scala alla quale probabilmente si era arrampicato per arrivare al mio letto che si

trovava sopra quello di Debbie. << Vatti a preparare! >>, gli ordinò.

<< Stavo scherzando! >>, esclamò Chris prima di sparire al piano di sotto.

Debbie tornò a guardarmi. << Allora, che è successo? >>.

<< Nulla di che, abbiamo solo parlato ma lo sai che il rivedere Alex, anche se attraverso uno schermo, mi fa quest’effetto >>, dissi.

<< Una specie di droga della felicità assolutamente non nociva >>, ridacchiò.

Mi unì alla sua risata. << Già è proprio così >>.

<< Come sta? >>, mi chiese.

<< Bene, si stanno divertendo molto e hanno in programma di andare in Giappone tra qualche mese >>, finì la frase sentendomi un brutto groppo alla gola.

Debbie sgranò gli occhi. << Giappone? >>, chiese sbalordita. << Ma è… lontanissimo! >>.

Feci una smorfia. << Già ho realizzato questo particolare >>.

<< Incredibile, andranno dall’altra parte del mondo e Zack non me lo ha detto! >>, sbottò indignata.

<< Probabilmente è una novità, Matt lo avrà deciso da poco >>, cercai di rassicurarla.

<< Mi sentirà lo stesso >>, sbuffò incrociando le braccia al petto.

<< Ma dai, non puoi sgridarlo, è l’uomo più silenzioso e dolce di questa terra! >>.

Un sorriso le comparve sulle labbra nonostante tentasse di rimanere seria e arrabbiata. << Si, è davvero un amore >>, sussurrò dopo un po’.

Le sorrisi mentre un’idea si faceva largo nella mia mente. E se avessi convinto Debbie a fissare alcune date del tour in Giappone? Così che lei potesse stare con il suo Zack e io con il mio Alex. Il momento era anche perfetto! Visto che ora che stava pensando a Zack era tutta un “fiori e cuoricini”… tentar non nuoce.

<< Debbie… senti, ma… se anche noi andassimo in Giappone? >>.

L’espressione solare di Debbie scomparve dal suo volto lasciando spazio a una maschera cupa e priva di emozioni che riuscissi a capire. Salì gli ultimi gradini che la separavano dal mio letto e si mise seduta accanto a me all’altezza della mia pancia. << Tella, da quant’è che non entri sul tuo Twitter? >>, mi chiese usando un tono tranquillo dal quale sperai non mi rimproverasse o non si arrabbiasse.

Ci pensai su. << Da un po’ >>, risposi infine visto che non ricordavo esattamente quando ci ero entrata l’ultima volta.

Non ero molto una fan di Twitter, mi ci ero iscritta solo per seguire le persone famose che mi interessavano e per avere un altro modo con cui comunicare con Alex anche se preferivo i messaggi del cellulare. Di quel sito erano più le cose che non capivo che quelle che capivo e poi diversamente da Facebook non arrivavano notifiche nel caso qualcuno ti avesse risposto ad un Tweet e quindi alcuni messaggi potevi anche non leggerli mai.

<< Per tua fortuna, io entro spesso con il tuo Twitter e leggo un sacco di messaggi che ti lasciano i fans >>, m’informò.

<< Davvero? E cosa dicono? >>, chiesi incuriosita.

<< La maggior parte ti chiede di andare nelle loro città o nei loro stati a fare concerti, altri ti fanno una valanga di complimenti >>.

Forse avrei dovuto connettermi di più a Twitter.

<< È dalle richieste che ti hanno fatto i fan che io ho deciso le tappe di questo tour, non le ho tirate a sorte! >>, mi spiegò. << Ci sono tantissimi fans Europei e Americani che hanno chiesto di vederti in concerto, non posso cancellare le prossime date per andare in Giappone dove le persone ti stanno conoscendo solo in questi giorni >>.

Sospirai. << Hai ragione, è stata un’idea stupida >>, dissi infilandomi le mani nei capelli.

Debbie mi batté qualche colpetto su una spalla. << Non ti preoccupare, lo so quanto tu voglia rivedere Alex

e, fidati, sarò la prima a cogliere la prima occasione per farvi rivedere, ma andare fino in Giappone non si

può davvero, hai dei… doveri verso i tuoi fans Europei e Americani >>.

Le sorrisi. << Si, e li onorerò >>, garantì.

<< Benissimo! >>.

<< Sai, dopodomani gli All Time Low verranno qui in Inghilterra >>, dissi guardandola senza esprimere nessuna emozione.

Debbie fece una smorfia. << Vengono quando noi ce ne andiamo >>.

<< Già >>.

<< Mi sa che avevi ragione, Matt ti odia >>.

Le lanciai un’occhiataccia. << Non è vero! >>, protestai.

Ricambiò l’occhiataccia. << Ma eri tu a dirlo! >>, ribattè.

<< Mi sbagliavo >>, dissi, << Matt non mi odia, fa solo il suo lavoro >>.

Mi spinse. << Questo l’ho detto io ieri! >>.

La guardai fingendomi perplessa. << Davvero? A me sembrano parole venute fuori da una mente geniale come la mia >>.

Mi spinse nuovamente. << Ma guarda che vanitosa! >>, esclamò ridendo.

<< Ehi, io sono la star >>, dissi mettendo le mani sui fianchi e alzando il mento sebbene fossi sdraiata.

Debbie prese il cuscino sul quale ero poggiata e me lo mise sopra la faccia facendo finta di soffocarmi.

Iniziammo a ridere come sceme.


 

Dopo essermi vestita e lavata, scesi al piano di sotto dove la solita routine mattiniera era iniziata: Travis stava preparando qualche spuntino per iniziare bene la giornata, Debbie stava già decidendo cosa avremmo fatto, Christopher si aggiustava i capelli specchiandosi in tutte le superfici riflettenti che trovava, Edward si esercitava con la chitarra probabilmente già preoccupato per lo show della sera e Sam era sdraiato sul divano ancora in fase di coma post dormita. Appena il pullman si sarebbe fermato quella situazione sarebbe cambiata e tutti si sarebbero messi a lavoro comprese le guardie del corpo e i tecnici che avrebbero iniziato a trafficare con tutti gli strumenti, le luci e un sacco si altre cose che ci portavamo dietro dall’inizio del tour.

Mi sedetti al tavolo della colazione e aspettai che Travis finisse di preparare quello che si rivelò essere un panino con la nutella. Niente di speciale ma molto, molto buono e mi ricordava casa, quando mia madre la mattina mi preparava la merenda da portare a scuola che di solito era proprio il panino con la nutella.

Mangiammo tutti insieme mentre Debbie iniziava a elencarci i nostri impegni. Dopo la prima prova avremmo avuto una pausa pranzo, poi di nuovo una prova e dopo potevamo andare dove volevamo per più di un’ora, poi dovevamo tornare nel locale dove si sarebbe svolto il concerto per prepararci… una normale giornata lavorativa.

Il pullman si fermò. Neanche il tempo di alzarci che la porta del bus era già aperta e almeno una decina di persone erano entrate invadendo il “salotto”.

<< Buongiorno ragazzi! >>, ci augurò George con un grosso sorriso. Quella mattina era decisamente più gioioso del solito.

<< ’Giorno George >>, dicemmo noi all’unisono.

<< Oggi è proprio una bella giornata, siamo stati fortunati >>, disse.

<< Non direi visto che staremo al chiuso per metà del giorno >>, gli fece notare Edward.

<< Tranquillo, te la godrai nella pausa delle tre e delle sei >>, gli disse Debbie indicando il suo cellulare dove sullo schermo era ancora aperta l’applicazione dell’agenda.

Edward alzò gli occhi al cielo, ma non fece in tempo a dire nulla, perché tornò a parlare George. << Forza, dobbiamo andare, c’è tanto lavoro da fare >>, ci spronò battendomi qualche pacca sulla spalla.

Senza contestare nulla –perché con George era meglio non farlo-, seguimmo George fuori dal bus. Che bella

la sensazione di tornare sulla terra ferma, con i piedi ben piantati su un pavimento che non si muove trasportato da delle ruote.

Il sole era alto nel cielo e splendeva gioioso illuminando tutta la piccola città di Richmond le cui strade erano quasi deserte; probabilmente gli abitanti avevano approfittato della bella giornata per andare al Richmond Park il grandissimo parco vicino Richmond che confinava anche con altre città. Richmond affacciava sul Tamigi e una delle cose che volevo assolutamente vedere di quella cittadina era il Richmond Bridge che però si trovava abbastanza lontano dalla zona in cui noi ci eravamo fermati: più o meno nelle vicinanze del Richmond Park. Magari la mattina dopo ci saremmo passati con il pullman.

Dopo aver portato nel locale i vestiti e tutta l’attrezzatura che ci serviva, i tecnici si misero subito a lavoro per preparare il palco e dopo un’ora fu tutto pronto e noi iniziammo a fare le prove delle canzoni che avremmo suonato quella sera per sentire l’acustica della sala e per rassicurarci che la sera sarebbe andato tutto bene perché ancora sapevamo le canzoni. A volte ci capitava che la mattina prima del concerto ci venissero gli attacchi di panico e pensassimo di non ricordarci più nessuna canzone, così provavamo e ci tranquillizzavamo rendendoci conto che i nostri timori erano solo sciocchezze.

Durante la pausa pranzo ci recammo tutti in un ristorante nel quale mangiammo abbondantemente pensando che poi la sera non avremmo mangiato nulla per l’agitazione, infatti di solito la sera non cenavamo quasi mai al massimo andavamo in qualche bar dopo il concerto per sgranocchiare qualcosa e bere.

Dopo la pausa pranzo tornammo a provare e finalmente dopo altre interminabili ore arrivò l’altra pausa. Prima di uscire tornai nel mio piccolo camerino per asciugarmi dal poco sudore che mi imperlava la fronte e la schiena, poi mi legai i capelli neri in una lunga coda di cavallo, mi infilai un paio d’occhiali da sole, mi cambiai la maglietta e uscì portandomi dietro il portafoglio, la macchina fotografica e il telefono.

Nonostante fossi stanca volevo comunque fare un giro per sgranchirmi le gambe e staccare un po’ da quella routine che si ripeteva ogni giorno. Nonostante adorassi cantare e viaggiare, il fatto di dover fare ogni giorno sempre le stesse prove, le stesse azioni, era noioso e stressante; mi serviva qualcosa che me ne tirasse fuori, una novità.

Quando uscì dal camerino gli altri se ne erano già andati, solo Debbie era rimasta con la troupe sul palco per aiutare nei lavori. La avvertì prima di andarmene, ma lei non mi diede troppo ascolto visto che era impegnata a messaggiare molto probabilmente con Zack; adoravo la coppia che formavano Debbie e Zack, erano davvero carini insieme, ma erano appiccicati come calamite! Non c’era giorno in cui Debbie non avesse il telefono tra le mani per rispondere ad un messaggio di Zack. Che problema l’amore!

Il Richmond Park era bellissimo come avevo visto nelle foto di internet, con i suoi grandi prati verdi e gli alberi che circondavano tutta le stradine che si diramavano da quella principale, le varie specie di animali come i daini e i suoi monumenti antichi. Percorrendo tutto quel parco si poteva arrivare ad altre città vicine e la cosa era davvero sorprendente, perché a vederlo dal vivo, a passeggiarci dentro non sembrava si allungasse per così tanto, sembrava solo… grande e spazioso come quasi tutti i parchi inglesi.

Non persi neanche un minuto, iniziai subito a scattare qualche foto alle piante più belle e a delle specie di uccelli che non avevo mai visto ma che somigliavano molto a pappagalli. Dopo aver scattato almeno una ventina di foto, presi il telefono e digitai il numero di Jack mentre continuavo a passeggiare con il sole che mi riscaldava la faccia. Da loro era l’una quindi probabilmente si erano appena alzati e magari erano già impegnati, ma era l’ultima pausa che mi rimaneva e volevo davvero parlare con Jack per verificare se quelle che aveva detto Alex fosse vero, quindi i suoi impegni avrebbero aspettato… Matt avrebbe aspettato! Me ne aveva già fatte tante, mi doveva almeno concedere il permesso di sentire mio fratello e assicurarmi che non fossi una cattiva sorella che non si era mai accorta della sua solitudine.


 

(Jack)


 

Ero davanti alla porta del bagno del bus… a fare la fila. Ormai per me non era più una cosa strana visto che lo facevo ogni mattina e ogni mattina mi fregavano sempre il posto, non riuscivo mai ad arrivare primo al bagno mentre Alex si, e a disdetta di tutti era quello che ci metteva più tempo. Più di una volta mi ero domandato cosa realmente facesse lì dentro… magari non era solo il viso o il sorriso di mia sorella a mancargli.

Rian aspettava paziente davanti a me con il cellulare tra le mani mentre Zack si trovava dietro di me e picchiettava nervosamente un piede sul pavimento; a differenza di Rian, Zack non stava tutto il giorno a mandare messaggi amorosi. Gli altri della crew erano un po’ dietro Zack –tra cui Matt- e un po’ al bagno del piano di sotto, tutti a fare la fila. La fila per il bagno era l’unico momento in cui stavamo tutti in silenzio a pensare ognuno ai fatti propri il che era strano perché confusionari come eravamo era difficile che ci fossero dei momenti di tranquillità… ma del resto quel nuovo tour era tutto strano a cominciare dalle tappe che saltavano dall’America all’Inghilterra come se si trovassero vicine: Matt aveva perso qualche rotella, così come Alex che non faceva altro che parlare di Stella, Rian che ci abbandonava puntualmente per volare di notte in una delle città in cui c’era Cassadee e Zack che… no be’ lui era sempre lo stesso, ma io no. Mi ero stancato di tutta quella routine, mi ero stancato di fingere di divertirmi quando in realtà era da un po’ di tempo che non mi sentivo più allegro, ma mi sentivo a terra circondato da tutte quelle persone innamorate che avevano trovato quell’amore che sospettavo per me non sarebbe arrivato mai. Odiavo sentirmi geloso, non lo ero mai stato prima soprattutto nei confronti dei miei amici, ma in quel periodo non riuscivo a farne a meno, la vita mi sembrava ingiusta e mi sentivo come se non fossi abbastanza per nessuno, come se nessuno mi volesse, come se fossi solo un passatempo per le persone, qualcuno con cui ridere ma di cui in realtà ti importa davvero poco.

Tutto ciò che desideravo era sentirmi leggero, non più geloso, non più agitato per i concerti, non più abbandonato… e lei era l’unica che mi faceva sentire così, l’unica che si preoccupava per me.

Il mio telefono iniziò a squillare da sopra al mio letto.

Merda!

Pensai.

Se andavo a prendere il cellulare avrei perso il posto in fila e non mi andava di aspettare di più di quanto già stessi aspettando, ma se fosse stato importante? Se fosse stata lei?

Spostavo il peso da una gamba all’altra indeciso su cosa fare mentre gli squilli continuavano prossimi però alla fine.

All’improvviso una mano mi toccò una spalla ed io trasalì prima di girarmi a guardare Zack che con un sorriso disse: << Vallo a prendere, prometto che non ti rubo il posto >>.

Ricambiai il sorriso anche se mi sentì salire un groppo alla gola. Corsi verso il mio letto e presi in mano il telefono guardando la schermata.

Era mia sorella. Almeno si ricordava di me qualche volta invece di pensare solo al suo amato Alex.

Risposi tornando verso la fila. << Tell! Ti sembra il momento di chiamarmi? Stavo facendo la fila per il bagno! >>, la rimproverai.

<< Fila per il bagno? >>, chiese trattenendo a stento una risata.

<< Già, ci siamo appena svegliati e dobbiamo tutti farci la doccia, così stiamo facendo la fila >>, le spiegai, poi in tono scocciato aggiunsi: << Lo sai che il tuo fidanzato ci mette tre ore per farsi una doccia? >>.

Rian e Zack scoppiarono a ridere contagiando anche me.

<< Meglio, almeno avrò più tempo per parlare con te >>, disse.

<< Di cosa? >>, domandai curioso.

<< Nulla in particolare, volevo sapere solo come stavi visto che non ci sentiamo da un po’ >>, rispose in tono

non curante il che mi fece pensare che c’era qualcosa sotto. La conoscevo troppo bene.

<< Oh sto bene, nonostante tu ed Alex mi abbiate svegliato, ho dormito come un ghiro e ora mi sento molto

riposato >>, risposi.

<< Bene, mi fa piacere >>.

<< E tu? Alex mi ha detto che ti sei abbastanza arrabbiata per il fatto dell’Inghilterr a>>.

<< Ovvio, sembra che Matt cambi apposta le date per non farci rivedere! >>.

<< Matt è un cazzone, che vuoi che ti dica >>, ridacchiai.

Matt, che si trovava dopo Zack, si sporse verso di me e mi lanciò un’occhiataccia esclamando in tono offeso: << Ehi! >>.

Scoppiai a ridere ma dentro mi sentivo lo stesso schifo di sempre; era come se stessi ridendo e punzecchiando il nostro tour manager solo perché era quello che tutti si aspettavano da me non perché fosse quello che realmente volevo fare.

<< Jack, in verità c’è un motivo per il quale ti ho chiamato >>, disse Stella quando smisi di ridere.

<< Quale? >>, chiesi curioso e allo stesso tempo preoccupato. << È successo qualcosa? >>.

<< No, è solo che… da un po’ di tempo mi stavo chiedendo… >>, tentennò facendomi preoccupare ancora di più. << Quand’è stata la tua ultima relazione? >>, sparò.

Sgranai gli occhi. Come diavolo le saltava in mente di farmi una domanda del genere? Da quando si interessava alla mia vita amorosa? Non che ci fosse qualcosa da raccontare o da tenere segreto, anzi magari ci fosse stato! Ormai le mie relazioni consistevano solo in notti di sesso. Niente amore, solo appagamento.

Feci segno a Zack di rimanere al suo posto e con passo svelto tornai verso la zona dei letti dove nessuno mi avrebbe sentito.

<< Perché lo vuoi sapere? >>, le chiesi sospettoso.

<< Be’… non mi hai mai detto nulla sulla tua vita amorosa e… sono curiosa >>, rispose sempre con quel tono tranquillo che mi diceva che non stava dicendo la verità e che era nervosa.

Sospirai. << Non è niente d’interessante, solo storie casuali durate qualche giorno >>.

<< La più lunga risale a…? >>.

Mi accigliai e con una stretta al cuore risposi: << Tre anni fa >>.

<< E la più corta? >>, mi chiese ancora.

Queste domande mi urtarono più di quanto volessi e per non rispondere in tono troppo acido dovetti aspettare qualche secondo per calmarmi. << Stella! >>, esclamai, << cos’è, un cazzo d’interrogatorio? >>.

<< No! >>, rispose sulla difensiva. << Te l’ho detto, sono solo curiosa >>.

Curiosa… si, e io ero ancora vergine!

<< Così, all’improvviso? >>, le chiesi.

<< Si >>, rispose con finto tono sicuro.

Sbuffai. << Tell sono tuo fratello, non mi freghi con queste spiegazioni idiote >>, dissi, << non sono mica un coglione! >>, continuai ridacchiando.

Ora che le avevo fatto capire che con me la sua recita non attaccava, probabilmente mi avrebbe spiegato il motivo di quella strana telefonata.

<< È che sono preoccupata per te >>, ammise –finalmente-.

Per un attimo mi sentì meno solo di quello che in realtà ero.

<< Perché? >>.

<< Perché… sei strano in questo periodo e io ho paura che tu ti possa sentire solo >>.

Mi si bloccò il respiro. Come faceva a saperlo? Non mi aveva neanche visto in questo periodo e neanche sentito, non avrebbe mai potuto capire cosa avevo… a meno che non lo avesse notato qualcun altro. Era più che ovvio che Alex sapesse che non stavo affatto bene come volevo far sembrare, era il mio migliore amico e ci conoscevamo da anni, come io riuscivo a capire quando mia sorella mentiva, lui riusciva a capire me.

Stella continuò prima che potessi dire qualcosa. << Insomma, con me, Alex, Rian e Zack fidanzati… forse ti senti escluso e vorresti anche tu qualcuno da frequentare, una storia seria e… >>.

La interruppi prima che potesse tirare fuori altre opzioni che sarebbero andate a gravare sul mio umore già nero. << Tell, non ho la più pallida idea di come ti sia venuto in mente tutto questo >>, dissi, << ma ti posso assicurare che non mi sento solo, non ho mai neanche pensato al fatto che tu e gli altri siete fidanzati tranne me >>.

Mi sentì uno stronzo per aver appena mentito alla mia sorellina, quella che proprio in quel momento era preoccupata per me e stava solo cercando di capire per aiutarmi. Ero contento del suo interessamento, perché voleva dire che nonostante Alex fosse entrato nella sua vita e stessero quasi ogni giorno in contatto, lei voleva ancora bene anche a me, ma il problema era che non poteva aiutarmi, nessuno poteva perché nessuno doveva sapere cosa mi stava succedendo.

<< Bene, ne sono felice >>, disse e dal suo tono sollevato la immaginai sorridere.

Io no, mi sento peggio di prima.

<< Mi dispiace di aver pensato questa cosa assurda >>, si scusò.

Mi sforzai di ridere e la cosa mi riuscì facilmente. << Assurdo è la parola giusta, mi ci vedi in una relazione seria? Con fiori, parole sdolcinate e bigliettini amorosi? >>, scherzai.

Si unì alla mia fasulla risata. << No direi proprio di no, queste romanticherie non fanno per te >>.

Aveva ragione, quelle cose sdolcinate non facevano per me e infatti io non le stavo chiedendo, io volevo solo qualcuno vicino, qualcuno che mi amasse per quello che ero.

<< Giusto, quindi stai tranquilla… sto bene >>, la rassicurai.

<< Questo mi fa sentire molto meglio >>.

<< Bene, ora che sei rassicurata io dovrei tornare a fare la fila al bagno >>, dissi per poter fuggire da quella chiamata e dai sensi di colpa.

Rise, una risata che per un attimo mi fece sentire la nostalgia di casa, della mia famiglia. << Va bene, ma… Jack? >>.

<< Si? >>.

<< Lo sai che ci sono e ci sarò sempre per te, vero? >>.

Spostai lo sguardo verso i miei piedi e mi concentrai affinché dai miei occhi non uscissero le lacrime che premevano per essere fatte uscire.

<< Lo so >>, risposi soltanto prima di chiudere la telefonata e tornare a fare la fila come se nulla fosse, come se la mia vita stesse andando ancora a gonfie vele.

 

Salveee :D 
Ecco un nuovo capitolo! :3 spero vi sia piaciuto, la storia inizia a farsi intrigante u.u XD Quersta FF è molto più complicata della prima u.u 
Penso che aggiornerò ogni domenica se la scuola me lo permetterà -.- ; quindi ci vediamo la prossima settimana a meno che non riesca a caricare prima il capitolo ;) 
Bacio :*

Miki*

 

p.s. non so perchè me lo ha pubblicato tutto staccato >.< 

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Capitolo 5
*** I can wait forever ***


 
“When you call my heart stops beating
 When you're gone it won't stop bleeding
 I can wait, I can wait forever”.
 
-Simple Plan-.
 
Il giorno dopo dormimmo tutti fino a tarda mattinata visto che non ci aspettava nessun impegno se non quello di ritornare a Londra così che il giorno dopo saremmo volati con l’aereo in Francia dove il nostro tour sarebbe continuato. Quella mattina fui la prima a svegliarsi e a prepararsi, così toccò a me andare a prendere da mangiare per tutti.
Non eravamo ancora partiti da Richmond, quindi per la seconda volta in quei due giorni mi incamminai lungo le strade della cittadina in cerca di un bar. Dopo non molto trovai uno Starbucks e con lo stomaco che borbottava per la fame, ci entrai pensando che i miei compagni di viaggio avrebbero apprezzato molto di più qualche dolce che dei panini visto che ci eravamo anche appena svegliati e nonostante fosse ora di pranzo noi dovevamo fare colazione. Purtroppo il bar era un po’ affollato e c’era molta fila per ordinare, ma avrei aspettato, tanto avevo tutta la giornata libera.
Mi misi in fila e dopo aver adocchiato le varie prelibatezze che avrei preso insieme ai caffè e i frappuccini, iniziai a guardarmi intorno osservando le varie persone che sedevano ai tavoli che conversavano con gli amici o i parenti oppure che scrivevano al computer oppure ancora che leggevano. Mi erano sempre piaciuti gli Starbucks, facevano dei dolci buonissimi, ed era davvero un peccato che non ci fossero a Roma. Stavo per tornare a guardare di fronte a me, ma un ragazzo seduto ad uno dei tavolini poco distanti da me attirò la mia attenzione.
Un ampio sorriso mi si aprì sulle labbra non appena lo riconobbi. Era passato più di un anno dall’ultima volta che ci eravamo visti e durante tutto quel tempo ci eravamo sentiti raramente e questo mi dispiaceva visto quanto lui e la sua band avessero significato tanto nella mia vita. Senza pensarci due volte, uscì dalla fila e mi diressi verso Pierre che non era assolutamente cambiato, era sempre il solito ragazzone con un fisico da sballo e la faccia dolcissima. Durante il breve periodo nel quale i Simple Plan mi avevano accolta nella loro band, mi ero legata molto a Pierre e lui era diventato come una sorta di secondo fratello più grande… molto più grande visto che io e Pierre avevamo quattordici anni di differenza. Strano come fino a quel momento non avessi mai pensato a quanto più grandi erano di me i Simple Plan come anche Alex che era più grande di me di sei anni… dopotutto l’età è solo un numero, no? Perché mai mi sarebbe dovuto importare della differenza di età?
Arrivai vicino al tavolino di Pierre, ma lui troppo assorto dalla lettura di un giornale non si accorse di me e così dissi: << Ehi ma tu sei Pierre Bouvier! Potresti farmi un autografo? >>.
Pierre alzò gli occhi dal giornale con un sorriso gentile e caloroso stampato sulla faccia, pronto ad eseguire la richiesta di una fan ma quando si accorse che in realtà non ero una fan e mi riconobbe il suo sorriso se ne andò per qualche secondo per poi riapparire più ampio che mai. << Stella! >>, esclamò alzandosi dalla sedia per avvicinarsi a me e abbracciami.
Ricambiai l’abbraccio. << Da quanto tempo! >>, esclamai.
<< Decisamente troppo >>, disse sciogliendo l’abbraccio.
<< Come mai sei qui tutto solo? >>, gli chiesi.
<< Gli altri sono in giro per negozi, io li sto aspettando >>.
<< Lo sai che prima che David abbia finito di fare shopping passeranno delle ore, vero? >>.
Ricordavo molto bene la passione per i vestiti che aveva il bassista bruno e il suo grande guardaroba.
Pierre rise. << Hai ragione, è una fortuna che sei arrivata allora >>.
<< Ti terrò compagnia finché non arrivano >>, dissi. << Almeno così saluterò anche loro >>.
Pierre mi indicò la sedia di fronte a quella dove prima era seduto lui. << Prego >>.
Ci sedemmo al tavolo. Gli altri e il mio stomaco borbottante avrebbero aspettato, non ci sarebbero state più molte occasioni per rincontrare Pierre e gli altri quindi non potevo assolutamente sprecare quel momento.
<< E tu, come mai sei qui? >>, mi chiese.
<< Qui a Richmond o qui allo Starbucks? >>.
Sorrise scoprendo le adorabili fossette. << Tutti e due >>.
<< Sono a Richmond perché sono in tour e sono qui allo Starbucks perché dovrei portare la colazione agli altri, ma penso che dovranno aspettare un po’ >>, finì ridacchiando.
<< Colazione? >>, chiese Pierre con un sorriso divertito.
Mi strinsi nelle spalle. << Oggi è una giornata senza impegni e quindi ce la stiamo prendendo comoda >>.
<< Anche per noi oggi niente concerti >>, disse. << Solo relax >>, si stiracchiò allungando le braccia all’indietro.
<< Qualche volta ci vuole >>, annuì.
<< Allora, dimmi, come vanno le cose con Alex? >>, mi chiese tornando ad appoggiare i gomiti sul tavolo.
<< Non lo vedo da un po’ >>, risposi facendo una smorfia. << Ma ci sentiamo spesso e abbiamo anche iniziato a fare delle video chiamate per vederci >>, continuai con un sorriso.
Ricambiò il sorriso e mi batté qualche colpetto su una spalla. << L’importante è che teniate sempre duro e che non vi facciate sopraffare dalla distanza >>.
<< Ho già imparato la lezione >>, dissi.
<< Meglio così, perché le lacrime non ti donano >>, mi fece l’occhiolino.
Sorrisi. << Non serve a nulla essere tristi, peggiora solo le cose >>.
Pierre annuì. << Vedo che ti ho insegnato qualcosa >>, si batté un colpo sulla spalla come a congratularsi con se stesso.
<< Certo, stare vicino a mr. positività mi ha influenzata >>, ridacchiai riferendomi a lui con il soprannome che qualche volta avevo sentito pronunciare dagli altri della band data la tendenza di Pierre ad essere sempre solare e raggiante; erano davvero poche le volte in cui era triste, non si faceva mai abbattere da nulla.
 << Se sorridi alla vita, la vita ti sorriderà >>.
Sbuffai. << Si vede proprio come la vita mi stia sorridendo! >>.
<< Ehi a quanto leggo dai giornali la tua carriera sta andando a gonfie vele, non vedo nulla di cui dovresti lamentarti >>, ribattè.
<< Si, in effetti va tutto più che bene >>, concordai. << Il problema sono solo… gli impegni >>, spiegai.
Rise. << Essere famosi comporta l’avere molti impegni, dovresti saperlo >>.
<< Si, lo so, ma forse una parte di me sperava che facendo lo stesso lavoro e girando tutti e due per il mondo io e Alex ci saremmo potuti vedere più spesso >>.
<< Una cosa negativa del nostro lavoro: le relazioni sociali >>.
Sospirai. << Forse dovrei arrendermi all’idea che probabilmente vederlo durante il tour è impossibile >>, dissi giocherellando nervosamente con le mani.
Pierre mi prese le mani tra le sue e me le strinse affettuosamente. << Non bisogna mai buttarsi giù! >>, mi rimproverò con tono serio ma guardandomi con occhi comprensivi e dolci. << Continua a sperare e aspettare, perché prima o poi arriverà il momento in cui lo rivedrai >>.
<< È questo “poi” che mi preoccupa >>, feci una smorfia.
<< Anche per me lasciare Lachelle è difficile, ma la mia lunga attesa alla fine verrà ripagata e io potrò
riabbracciarla >>, disse. << Quindi penso che potrei anche aspettare per sempre pur di poter avere dopo del
tempo da passare con lei >>.
Sgranai gli occhi. << Per sempre? >>, chiesi sbigottita.
Annuì convinto. << Aspetterei anche l’eternità se fosse necessario, pur di tornare da lei >>.
Sorrisi. << Lo sai che sei dolcissimo? >>, gli chiesi retoricamente.
Arrossì lievemente. << E tu lo sai che mi ispiri tanta ma tanta tenerezza? >>.
Sbuffai. << Ma dai, sono una specie di diavoletto >>.
Scosse la testa sorridendo. << Mi ero dimenticato di come era averti accanto >>, disse, << susciti nelle altre persone un senso di protezione verso di te e sei talmente tanto carina e dolce che è davvero difficile non volerti bene >>.
<< Davvero? >>, chiesi sorpresa.
Non avevo mai pensato che potessi ispirare tenerezza ma se la memoria non mi ingannava anche Zack aveva detto qualcosa in proposito quel giorno molto lontano in cui mi ero aperta con lui e gli avevo rivelato il perché del mio dimagrimento improvviso dopo la partenza degli All Time Low da Roma. Le sue parole esatte erano state: “Adesso capisco perché Alex e Jack si sentono così protettivi con te”. Si, probabilmente anche lui vedeva in me le stesse cose che vedeva Pierre… e probabilmente anche tutti gli altri.
Pierre annuì. << Anche se a volte sei una vera rompiscatole >>, alzò gli occhi al cielo.
<< Ehi! >>, protestai offesa.
Pierre scoppiò in una grossa risata che si prolungò per più di due minuti finché non gli tirai un pugno su un braccio muscoloso per farlo tacere.
<< Mi fa male la pancia >>, si lamentò quando la risata scemò.
<< Ne sei sorpreso? >>, gli chiesi acida.
<< Dai, stavo scherzando! >>, esclamò.
Strinsi le braccia al petto. << Mi sento offesa >>, borbottai.
<< Allora, signorina Offesa, ho una novità che mi farà rimediare >>.
Lo guardai curiosa senza però abbandonare la mia aria offesa. << Cosa? >>.
<< Tra quattro mesi la mia famiglia si allargherà >>, mi annunciò con un sorriso a trentadue denti.
All’inizio non capì cosa volesse dire con quell’affermazione e chissà perché stupidamente andai a pensare che si stesse riferendo al suo cane Delilah che era incinta, ma poi capì e osservando gli occhi di Pierre che erano lucidi per l’emozione, capì di aver fatto centro.
<< Oh mio Dio! >>, esclamai sentendomi improvvisamente felicissima.
Il sorriso di Pierre si ampliò.
<< Oh mio Dio! >>, ripetei mentre anche i miei occhi si riempivano di lacrime d’emozioni. << Stai per diventare papà! >>, squittì per evitare di urlare e farmi sentire dal resto del bar.
Pierre annuì euforicamente. << Di una bambina >>
Non potendomi trattenere mi alzai dalla sedia e mi fiondai addosso a lui per stringerlo in un abbraccio quasi soffocante per quanto ero emozionata.
Oh mio Dio il cantante della mia band preferita non che mio amico stava per diventare papà! Stava per avere una bambina che di sicuro sarebbe stata bellissima e dolcissima dati gli splendidi genitori che si ritrovava. Non avevo mai conosciuto Lachelle, ma dalle foto che avevo visto di lei e Pierre avevo potuto constatare che era davvero una bella ragazza e per stare con uno come Pierre doveva essere per forza una ragazza in gamba, buona… insomma proprio come lui.
Quanto ero contenta! Mi sentivo emozionatissima e stentavo a immaginare come si potesse sentire Pierre.
Smisi di abbracciarlo consapevole che se avessi continuato a stringerlo sarebbe soffocato.
Pierre prese un bel respiro. Era diventato paonazzo per quanto lo avevo stretto. << La prossima volta ti darò una notizia con più calma e mi vedrò bene dall’abbracciarti >>.
Sorrisi imbarazzata. << Scusa, ma mi hai presa davvero alla sprovvista, era l’unica cosa che non mi sarei mai
aspettata >>.
<< Neanche io >>, rise. << È successo tutto per caso, ma siamo contentissimi che sia accaduto >>, mi spiegò.
Sorrisi. << Scommetto che sarete due genitori fantastici >>.
Ricambiò il sorriso con gratitudine. << Spero solo di riuscire ad aiutare Lachelle continuando a fare concerti>>, sospirò. <>.
Annuii varie volte. << Mi sembra giusto >>.
<< Magari per i primi anni faremo concerti solo vicino casa >>, ipotizzò Pierre.
<< Sono sicura che riuscirai a fare tutte e due le cose, bisogna solo sapersi organizzare >>.
Mi strizzò un occhio. << Giusto >>.
Continuammo a parlare della nascita della futura nuova arrivata e dei nomi che Pierre e Lachelle avevano pensato per lei. Dopo una ventina di minuti, finalmente, arrivarono gli altri quattro quinti dei Simple Plan che cercarono di non dare nell’occhio nascosti da cappelli e occhiali da sole. David fu il primo a raggiungerci e guardando accigliato Pierre gli disse: << Ehi Bouvier! Ti lasciamo solo per qualche minuto e tu subito fai conquiste?! >>.
Okay, mi sa che non mi aveva riconosciuta.
Pierre lo guardò confuso ma non riuscì a dire nulla, perché David spostando lo sguardo verso di me assunse un’espressione sorpresa e con gesto lento e teatrale si tolse gli occhiali da sole lasciandomi vedere i suoi sgranati occhi marroni. << Oh Dio, ma sei Stella! >>, esclamò.
<< Wow, hai buon occhio Desrosiers >>, commentò Pierre alzando gli occhi al cielo.
<< Stella? >>, chiese il batterista avvicinandosi a David e osservandomi anche lui sorpreso.
Jeff e Sebastian affiancarono gli altri due ragazzi e anche loro iniziarono a fissarmi. Cavolo, era davvero così scioccante rivedermi?!
<< Con queste facce vorreste farmi capire che non siete contenti di rivedermi? >>, chiesi perplessa.
Come risposta alla mia domanda, i quattro ragazzi mi si buttarono addosso abbracciandomi ad uno ad uno mentre Pierre iniziava a ridere di gusto. La nostra scena, ovviamente, raccolse l’attenzione dell’intero bar, ma per fortuna nessuno ci venne a dire nulle e nessuno riconobbe i cinque musicisti o me.
Finiti i saluti, ognuno dei ragazzi prese una sedia dai tavoli vuoti vicini e si accomodò al tavolo con noi. Era bellissimo ritrovarli tutti lì, mi ricordava i vecchi tempi.
<< Allora Tell, che ci racconti? >>, mi chiese Sebastian guardandomi con i suoi straordinari occhi celesti.
<< Sto facendo il mio primo tour e per ora va tutto alla grande, posso cantare ogni sera, la mia band è fantastica, Debbie è la mia segretaria e un sacco di giornali o radio chiedono di avere delle interviste con me >>, dissi.
Chuck mi mise un braccio attorno al collo e mi avvicinò a lui per passarmi una mano sulla testa scompigliandomi i capelli con fare affettuoso.
<< E brava la nostra Stella >>, disse David facendomi l’occhiolino.
<< Siamo fieri di te >>, mi disse Chuck prima di lasciarmi andare.
Sorrisi imbarazzata e cercai di sistemarmi i capelli. << Grazie >>.
<< Hai fatto esattamente quello che volevamo facessi: far sentire la tua voce, dimostrare a tutti quello che vali senza l’aiuto di nessun’altra band >>, disse Jeff sorridendomi dolcemente.
<< In realtà siete stati voi a far cominciare tutto con quell’appuntamento con il capo della vostra casa discografica >>, dissi.
<< Ma tutto il resto lo hai fatto tu >>, ribattè Pierre.
<< Giusto >>, annuii.
<< Ma certo che è giusto! >>, esclamò David, poi rivolgendosi ai suoi amici disse: << Questa ragazza è decisamente troppo modesta, dovevamo istruirla meglio >>.
<< Si, così diventava egocentrica come te >>, disse Chuck.
David gli mostrò il medio e tutti e sei scoppiammo allegramente a ridere, delle risate che mi scaldarono il cuore e mi fecero sentire più felice che mai.
Finite le risate, Jeff e Chuck andarono ad ordinare sei frappuccini per noi e anche i dolci che dovevo portare alla mia band che probabilmente una volta tornata mi avrebbe uccisa visto quanto tempo stavo perdendo.
<< Allora, di cosa stavate parlando tu e Pierre prima che arrivassimo? >>, mi chiese Sebastian quando Chuck e Jeff tornarono al tavolo.
Sorrisi emozionata prima di rispondere: << Della piccola Bouvier che sta per arrivare >>.
Ampi sorrisi si aprirono sulle facce dei cinque musicisti, probabilmente la notizia non rendeva solo me emozionata, ma tutti quanti.
<< È una notizia bellissima, vero?! >>, mi chiese Seb con gli occhi lucidi.
<< Bellissima?! È fantastica! >>, esclamai.
<< Il bel Pierre si è dato da fare >>, disse David dando di gomito a Pierre che lo guardò storto ma non riuscì a fare a meno di sorridere.
<< Spero tanto che abbia le guance morbide di Pierre >>, disse Jeff pizzicando una guancia al cantante.
Risi. << Oh questo lo spero anche io, sarebbe carinissima >>.
<< Proporrei di fare un brindisi >>, disse Chuck prendendo in mano il suo frappuccino. << Al secondo futuro papà dei Simple Plan >>.
Il primo papà dei Simple Plan era Jeff che aveva ben due figlie che avevo visto solo una volta sullo sfondo del suo telefono e che sapevo si chiamassero Zoe e Maya.
Portammo in alto i nostri bicchieri e li battemmo l’uno conto l’altro ridendo e ripetendo insieme a chi era dedicato il nostro brindisi.
L’incontro con i Simple Plan e la chiacchierata con Pierre mi avevano ricordato il perché fossero la mia band preferita: loro erano i miei incoraggiatori, quelli che avevano sempre le parole giuste per mettermi di buon umore e per farmi andare avanti. Pierre aveva ragione riguardo ad Alex, dovevo tenere duro e anche se mi mancava da morire… anche io avrei potuto aspettare per sempre.   
 
 
Hello! :D

Ho aggiornato prima perchè domani andrò sulla neve (*-*) e probabilmente non avrò la connessione internet per connettermi D:  .
In questo capitolo non succede nulla di che, ci sono solo i miei amati Simple Plan che non potevano non esserci anche in quest'altra storia :D rimedierò nel prossimo capitolo ;) Alla prossima settimana!*

Miki* :)

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Capitolo 6
*** 'Cause right now could last forever just as long as i'm with you ***


-Daydream Away-.
 
Dopo aver salutato i Simple Plan ero tornata al bus dove ero stata accolta da rimproveri non molto carini che però erano svaniti non appena avevo fatto vedere cosa avevo portato da mangiare. Con mia sorpresa, Debbie aveva anticipato il viaggio verso Londra e così non appena finimmo di mangiare, il bus ripartì verso Londra, dove avremmo alloggiato in un albergo -dove Debbie aveva già prenotato le camere-, fino al giorno dopo quando avremmo preso l’aereo. La mia migliore amica era una manager davvero efficiente, anche se non capivo perché all’improvviso avesse cambiato i piani con tutta quella fretta.
Durante il viaggio, Travis e Edward mi costrinsero a guardare un film con loro nell’area tv che si trovava al primo piano e per ricreare l’atmosfera di un cinema, coprirono tutti i finestrini con le tende apposite, un gesto che mi lasciò un po’ confusa ma al quale non badai. Dieci minuti dopo che il film era iniziato, mi addormentai nonostante avessi dormito abbastanza. Mi svegliai quando ormai il bus si era fermato e Travis ed Edward mi stavano scuotendo lievemente per farmi svegliare.
<< Siamo arrivati? >>, chiesi faticando ad aprire gli occhi tanto era la stanchezza che improvvisamente mi sentivo addosso.
Era incredibile come appena svegli ci si sentisse completamente rincretiniti e stanchi.
Travis annuì. << Già, hai dormito davvero tanto! >>, esclamò con divertimento.
Feci una smorfia richiudendo per un attimo gli occhi. << Il film era noioso >>, mi giustificai.
Sentì Travis ridacchiare e quando aprì gli occhi vidi che stava guardando divertito Edward, che invece aveva un’espressione quasi scioccata sul volto. << Edward non la pensa come te >>, rise Travis.
<< Non ho mai visto niente di più disgustoso >>, commentò Edward uscendo dalla stanza.
Guardia Travis interrogativa.
<< Nel film c’erano un po’ di budella da fuori >>, spiegò con un’alzata di spalle.
<< Meno male che non l’ho visto >>, dissi sinceramente sollevata.
Uscimmo dalla zona tv e ci dirigemmo nel salotto dove Debbie stava urlando ordini a Sam e Chris riguardo le loro valige. Non appena vide me e Travis iniziò a tampinare anche noi con le sue indicazioni. << Forza ragazzi, prendete qualche vestito, gli effetti personali, lo spazzolino… insomma le cose che vi servono e mettetele nella valigia così potete posarle nelle vostre camere >>.
<< Ma non potevamo dormire sul bus? >>, chiesi. << Avremmo risparmiato anche dei soldi >>.
Debbie mi scoccò un’occhiataccia. << Non vorresti anche tu un bagno privato dove rilassarti e un normale letto nel quale dormire almeno per una notte? >>, mi chiese.
Sorrisi. << Sei fantastica, lo sai? >>.
Sorrise soddisfatta e con una mano si gettò i lunghi capelli biondi dietro le spalle. << Lo so, per questo mi hai assunta >>.
Ridacchiai.
Una volta preso il necessario, guidati da Debbie e protetti dalle guardie del corpo ci avviammo tutti dentro il grande hotel a cinque stelle che era il migliore che io avessi mai visto, con una reception molto illuminata tutta color oro, dei lampadari fenomenali, dei comodi divani, una piscina gigantesca e un giardino pieno di bellissimi fiori colorati. Davvero stupendo.
<< Io opterei per restare qui per una settimana >>, disse Sam mentre salivamo sull’ascensore che ci avrebbe portati fino alle nostre camere che immaginavo già sarebbero state bellissime e lussuose. Cavolo mi sentivo già rilassata al solo pensiero di una camera confortevole e una vasca da bagno dove annegare nell’acqua e
nella schiuma profumata.
<< Anche io, questo posto è fantastico! >>, esclamai.
Io e Sam avevamo le camere sullo stesso piano: il terzo; Travis, Edward e Chris invece le avevano al secondo e Debbie al quarto con le guardie del corpo. Ce le avevano date separate perché l’albergo era pieno di persone il che era sorprendente visto quanto erano alti i prezzi in quel posto! Forse si trattava di miliardari o magari altri artisti come noi.
Quando arrivammo al piano, io e Sam trovammo le nostre valige davanti alle rispettive camere che si trovavano l’una di fronte all’altra.
<>, mi disse il moro facendomi l’occhiolino mentre spingeva con la schiena la porta della sua camera per aprirla.
<< A dopo Sam >>, lo salutai infilandomi nella mia camera.
Mi chiusi la porta alle spalle e iniziai a osservare la camera attentamente. Per essere una camera di un albergo a cinque stelle era davvero piccola e molto deludente. Maledissi mentalmente quei fortunati che avevano occupato le suite che Debbie ci avrebbe voluto dare come stanze. La stanza era rettangolare, con un letto ad una piazza, il pavimento rosso, le pareti bianche, un balcone che per fortuna aveva una vista fantastica, una scrivania con sopra un televisore a schermo piatto, un armadio di medie dimensioni ed un bagno con una vasca da bagno normalissima se non almeno un po’ più grande del normale.
La delusione che provai fu terribile, ma decisi di accontentarmi nonostante il pensiero di essere stata truffata mi ronzasse nel cervello. Che genere di albergo era uno che aveva una reception e un giardino mozzafiato e delle camere solo carine? La prossima volta avrei deciso io in che albergo andare a dormire.
Mi stesi sul letto e presi il cellulare dalla tasca. Avrei chiamato Alex per distrarmi un po’ e magari dopo sarei andata a vedere se le camere degli altri erano deludenti quanto la mia.
Digitai il numero di Alex e premetti il pulsante verde. Dopo una decina di squilli a vuoto, interruppi la chiamata perplessa e leggermente preoccupata: non era da Alex non rispondere, ma probabilmente stava facendo le prove o chissà che altro.
Neanche il tempo di posare il cellulare che iniziò a squillare. Era Debbie.
<< Pronto? >>, chiesi incuriosita da quella telefonata visto che la mia migliore amica si trovava giusto un piano sopra di me.
<< Tella? >>.
<< Si Debbie, che succede? >>, le chiesi.
<< Vieni giù alla reception, ho bisogno di parlarti >>, rispose in un tono così serio da farmi preoccupare e acconsentire subito senza ribattere nulla.
<< Arrivo >>.
Uscì di corsa dalla camera portandomi dietro le chiavi. Prenotai l’ascensore che arrivò dopo qualche minuto e quando le porte si aprirono per la fretta di entrare, andai a sbattere contro un uomo che stava uscendo. << Oh! Mi scusi >>, dissi alzando distrattamente lo sguardo verso l’uomo barbuto con un piercing proprio al centro del labbro inferiore che mi sorrise. << Non ti preoccupare >>.
Nonostante l’ansia del dover arrivare subito da Debbie mi fermai a fissare l’uomo mentre se ne andava riportando alla mente il suo viso. Era strano, ma mi sembrava di aver già visto quell’uomo, anche se non riuscivo a ricordare dove. Le mie riflessioni furono interrotte dal rumore delle porte dell’ascensore che si chiudevano. Mi infilai nell’ascensore e scesi alla reception dove ci misi un po’ a trovare la mia migliore amica vista la grandezza di quella sala; la trovai seduta alla postazione dei computer proprio vicino ai divani dorati posti di fronte ad un televisore enorme. Con scarso interesse, notai che i divani erano occupati da un numeroso gruppo di ragazzi che facevano abbastanza chiasso disturbando la quiete che aveva regnato in quel posto quando eravamo arrivati.
<< Debbie, che succede? >>, le chiesi preoccupata.
La osservai da capo a piedi e non notai nulla che non andava, anzi, sembrava stare benissimo, era felice
come una pasqua. E allora perché era sembrata così seria al telefono?
Mi scossò un’occhiataccia. << Succede che sei cieca! >>.
Sgranai gli occhi in un’espressione sbalordita. Okay, forse avevo capito male… Debbie mi aveva appena detto che ero cieca? Ma se ci vedevo benissimo!
Non feci in tempo a chiederle che diavolo stesse blaterando che un’ esclamazione proveniente dalle mie spalle mi fece comprendere tutto.
<< Ehi Alex! >>.
Ora capivo chi fosse quell’uomo e perché mi fosse familiare, capivo perché c’era un gruppo numeroso di ragazzi sui divani dietro di me, capivo perché Debbie fosse così felice e il perché mi avesse dato della ceca. Santo cielo lo ero davvero!
Il cuore iniziò a battermi fortissimo e le gambe mi tremarono leggermente per l’emozione. Avevo quasi paura a girarmi, non volevo che quello che stavo pensando fosse in realtà un’idea fasulla, non volevo girarmi per scoprire che era stato tutto un gioco del mio cervello malinconico; quello che avevo pensato era troppo inaspettato per essere vero.
Mi girai lentamente anche se avrei voluto spezzare subito la tensione e scoprire se era tutto vero.
Lo era.
Mio fratello era in piedi affiancato da Rian e Zack vicino ai divani e tutti e tre mi stavano sorridendo dolcemente mentre mi salutavano con la mano. Matt era seduto sul divano e anche lui mi sorrise come gli altri membri della crew.
Alex era in piedi, un po’ più avanti di Jack con gli occhi incollati ai miei e un sorriso sghembo stampato sulla faccia. Nell’attimo in cui lo vidi persi completamente la cognizione dello spazio e del tempo, mi sembrò come se all’improvviso non esistesse più niente se non noi due e con questa favolosa sensazione mi ritrovai a correre verso di lui impaziente di riabbracciarlo e di colmare quella profonda distanza che c’era stata tra di noi per troppo, troppissimo tempo. Mi fiondai tra le sue braccia con le lacrime che scendevano calde sulle guance. Mi strinse forte a se appoggiando il mento sulla mia testa che sprofondò nell’incavo tra il collo e la spalla dove inspirai avidamente il suo profumo che mi invase totalmente e l’unica cosa che riuscì a percepire con tutti i sensi fu solo Alex. Mi ci volle qualche minuto per convincermi che era davvero lì davanti a me e che le sue mani mi stavano circondando come il suo amore.
Scostai la testa dal suo collo e alzai il viso verso il suo che era così dannatamente bello. << Mio Dio non posso crederci, sei qui >>, dissi mentre lui mi accarezzava dolcemente una guancia asciugandomi le lacrime che non la smettevano di uscire per quanto ero emozionata e felice.
<< Sorpresa! >>, sussurrò prima di avvicinare il suo viso al mio e appoggiare le sue labbra sulle mie in un bacio che assaporai fino in fondo ma che però badai bene a tenere controllato visto che ci trovavamo nel mezzo di una hall di un albergo e i nostri amici stavano tutti fissando noi come se fossimo  stati i protagonisti di un film al cinema.
Probabilmente anche Alex si controllò, perché si staccò dopo poco dalle mie labbra sorridendomi. << È bellissimo riaverti tra le braccia >>, disse.
Lo abbracciai stringendomi nuovamente al suo petto. Non volevo lasciarlo mai più…
<< Su, su! Fate spazio al fratello maggiore! >>.
Ma purtroppo dovetti.
Lasciai andare Alex che si mise al mio fianco e sorrisi a Jack che mia accolse con il suo solito sorriso scemo. Chissà perché ogni volta che rivedevo Jack mi sembrava sempre più alto… forse per colpa della sua incredibile magrezza; chissà se sarebbe mai ingrassato almeno quel tanto da farlo sembrare un tipo forte e possente invece di uno scricciolo quale era.
<< Dillo che ti mancavo più io di Alex ma per non ferire i suoi sentimenti gli hai fatto credere il contrario >>,
scherzò.
<< Oh è ovvio! >>, esclamai con un sorriso divertito.
Scosse la testa ridendo. << Che stronza! >>.
Abbracciai il mio fratellone riprovando la straordinaria sensazione di casa che lui mi faceva sempre provare. La mia casa era ovunque fosse Jack. << Anche io ti voglio tanto bene >>, gli dissi.
Mi strinse più forte. << Era uno “stronza” affettuoso >>.
<< Ne sono più che convinta >>, ridacchiai.
Lasciai mio fratello e andai a salutare anche Rian e Zack che mi abbracciarono all’unisono. << Ehi ragazzoni, come state? >>, gli chiesi.
Rian mi elargì il suo famoso sorriso a trentadue denti che quel giorno era circondato da molta più barba di quanto ricordassi. << Benissimo e siamo molto felici di rivederti >>, rispose per tutti. Guardai Zack che mi sorrise. << Zack, sei sempre in gran forma >>, gli dissi osservando i suoi muscoli che risaltavano sotto la maglietta a maniche lunghe grigia che indossava.
Ridacchiò. << Grazie, anche tu sei in gran forma, non sei affatto dimagrita il che mi fa pensare che tu stia bene >>.
<< Si >>, annuii, << sto bene e ora che siete qui sto anche meglio >>.
Salutati gli All Time Low passai a salutare anche la crew: Matt Colussy -l’assistente dell’altro Matt-, che mi salutò con un semplice “Hi”  accompagnato da un piccolo sorriso, Vinny che invece mi salutò allegramente come se ci conoscessimo da anni e mi ammiccò, Danny che mi strinse la mano come se fossi stata un’adulta e non una ragazza più piccola di lui e Jeff, il tipo dell’ascensore che mi sorrise e disse: << Ci si rivede! >>.
Per ultimo salutai Matt che era rimasto un po’ distante dal gruppo come se volesse passare inosservato. Le poche volte che avevo visto Matt e ci avevo scambiato qualche parola, mi era sembrato un ragazzo troppo tranquillo e serio per stare con quei matti di mio fratello, Alex e il resto della banda e quel giorno me ne convinsi ancora di più, chissà perché.
Matt era alto come me, aveva i capelli neri, corti, gli occhi castani, il fisico magro con le braccia abbastanza muscolose, un sorriso sexy e un piercing sul labbro inferiore. Era decisamente un bel ragazzo, ma da una parte lo odiavo perché sembrava sempre remarmi contro… a parte quel giorno.
<< Ehi Matt! >>, lo salutai con un sorriso un po’ titubante visto il dubbio che continuava a girarmi in testa: mi odiava o non mi odiava?
<< Stella >>, mi salutò con un cenno del capo.
<< Come mai questo cambiamento di programma? >>, gli chiesi. << Hai per caso bevuto? >>, scherzai.
I ragazzi della crew scoppiarono a ridere e così anche i quattro ATL. Anche Matt ridacchiò, ma la sua fu una risata quasi seria. Okay, quando dicevo che Matt ce l’aveva con me pensavo di sbagliarmi ma dalla sua reazione a quella mia battuta iniziavo a pensare che avessi fatto centro.
<< È tutta opera mia >>, rispose Debbie alle mie spalle facendomi girare verso di lei.
La guardai perplessa. << In che senso? >>.
Mi sorrise. << Ho convinto Matt a portarli qui prima che noi ce ne andassimo così oggi e domani staremo tutti insieme e tu potrai passare un po’ di tempo con quel figone lì >>, indicò Alex con un dito.
<< Mi sento offeso >>, disse Zack scoccando un’occhiataccia a Debbie che gli si avvicinò e gli stampò un dolce bacio sulla guancia. << Tranquillo, sarai sempre tu il più figo >>.
<< Ora sono io quello offeso! >>, protestò Jack.
Scoppiammo tutti a ridere.
<< Penso che su questo potremmo stare a discutere per tutta la vita >>, disse Rian.
<< Oppure facciamo a votazione >>, propose Alex.
Lo guardai perplessa. << Sul serio? >>.
<< Si! >>, esclamò Vinny. << Una gara su chi è il più figo tra i quattro All Time Low >>.
<< Che sciocchezza! >>, sbuffò Debbie.
Prima che prendessero realmente sul serio l’idea di fare una gara o di votare, una voce che proveniva da dietro il cerchio che avevamo formato e che riconobbi all’istante, esclamò: << Io voto per Rian! >>.
Ci girammo tutti verso la fonte della voce: la dolce Cassadee dagli occhi bellissimi, la frangetta tinta di biondo e i capelli leggermente più lunghi rispetto a quando l’avevo conosciuta.
<< Questa è una mia sorpresa >>, ci informò Matt sorridendo a Rian che era senza parole e osservava Cassadee con gli occhi fuori dalle orbite.
Lanciai un’occhiata a Matt. Sembrava molto più entusiasta dell’arrivo di Cassadee che non del mio. Mi odiava, era ufficiale.
<< Si, io non ci ho partecipato >>, sottolineò Debbie visto quanto odiava Cassadee.
Ebbene si, la mia migliore amica e la mia nuova amica si odiavano come cane e gatto, non potevano stare nella stessa stanza che iniziavano ad insultarsi e a tirarsi i capelli come due indemoniate. Non avevo idea del perché si odiassero tanto ma credo che Debbie non la sopportasse perché da quando io e Cassadee eravamo diventate amiche non era solo lei a sapere tutti i miei segreti e a condividere le giornate di shopping sfrenato con me; Cassadee dal canto suo invece odiava Debbie perché lei la odiava e perché un giorno si era messa a criticare il suo modo di cantare. La mia migliore amica era quella in torto, ma come potevo non comprenderla?
<< Se no a quest’ora sarebbe venuto a piovere >>, disse Cassadee evitando di guardare Debbie che si era stretta al braccio di Zack e glielo stava stringendo talmente tanto che le sue dita erano diventate bianche. Per fortuna che Zack aveva delle braccia forti.   
Rian abbracciò Cassadee e la riempì di paroline dolci finché non si ricordò che si trovava in presenza di altre persone e allora si ricompose. << Grazie mille Matt, sei veramente un amico >>, lo ringraziò Rian abbracciandolo.
Alex mi si avvicinò e mi mise un braccio dietro le spalle. << Si Matt, grazie davvero e grazie anche a te Debbie >>.
Debbie sorrise. << Dovere di migliore amica >>.
Matt si strinse nelle spalle. << Dovere di tour manager >>.
Scoppiammo a ridere.
Salutai Cassadee con un enorme e forte abbraccio prima che lei passasse a salutare tutti gli altri tranne Debbie che fece finta di essere interessata a qualcosa che c’era fuori dalla finestra dell’hotel. Finiti i saluti di Cassadee, arrivarono i componenti della mia band che salutarono amichevolmente tutti. Iniziavano ad esserci troppi maschi.
Dopo altre chiacchiere, ognuno di noi risalì alle proprie camere. Io seguì Alex nella sua che si rivelò essere una delle suite e di questo ne fui più che contenta soprattutto perché alla fine non avrei dormito affatto nella mia stanza.
Io e Alex fummo gli ultimi a prendere l’ascensore per salire al quinto piano dove le stanze erano occupate dai quattro All Time Low e da Matt. Non parlammo molto durante la salita dell’ascensore nonostante avessi cercato di fare un po’ di conversazione, ma in quella situazioni le parole erano di troppo: eravamo stati lontani per tanto tempo, ma avevamo parlato abbastanza. Quando arrivammo al piano e le porte dell’ascensore si aprirono, Alex continuò imperterrito a tenermi il viso con le mani e a baciarmi. Per fortuna riuscì a staccami da lui prima che le porte si richiudessero. << Non penso che restare chiusi nell’ascensore sia una grande idea >>, dissi uscendo dalla cabina di metallo.
Alex mi raggiunse. << Finché sto con te posso anche stare… in un porcile! >>, disse.
Lo guardai perplessa. << La dovrei prendere come una cosa positiva o…? >>, chiesi.
Ridacchiò. << Positiva >>.
Sorrisi raggiante. << Bene >>.
Infilò la chiave nella toppa della porta della sua camera, la girò e aprì la porta facendo entrare prima me e poi lui in quella che si rivelò essere una stanza enorme, quasi il triplo della mia. Era bellissima, aveva le pareti e il pavimento color bordeaux, un balcone gigantesco con tanto di tavolino e sedie, un letto matrimoniale bianco e dall’aspetto comodo, un televisore al plasma ultimo modello appeso al muro con tanto di lettore dvd, uno stereo nero con casse enormi, una scrivania, alcune poltrone sempre color bordo e un bagno con una vasca grande molto più del normale; ci saremmo potuti entrare tranquillamente io, Alex e una terza persona. Sembrava di essere in paradiso.
<< Santo cielo questa camera è favolosa! >>, esclamai continuando a guardarmi intorno meravigliata.
 << Matt non bada a spese >>, disse Alex affiancandomi e ammirando con me la stanza; probabilmente ogni volta che ci era entrato si era fermato a fare lo stesso per quanto fosse mozzafiato la vista di quell’ampio spazio di lusso.
<< Non mi dispiacerebbe dormire in questa stanza >>, dissi sentendomi depressa al solo pensiero dell’eventualità di dover ritornare nella mia camera per quella notte.
Alex si girò verso di me sorridendomi sghembo. << Non avrai mica pensato di dormire nella tua stanza? >>, mi chiese.
Mi strinsi nelle spalle facendo finta di pensarci. << Non lo so… pensavo di si >>.
Mi posò una mano dietro la schiena e mi avvicinò a se facendomi sobbalzare per la sorpresa, ma lo stupore finì non appena mi trovai a pochi centimetri dal suo viso con il naso che sfiorava appena il suo. << Non andrai da nessuna parte >>, sorrise.
Ricambiai il sorriso sentendo il cuore esplodere di felicità. << Perché, mi hai rapita? >>, scherzai.
<< No, perché per oggi e domani >>, accentuò la presa sulla mia schiena, << sarai solo mia >>.
Era normale che quell’innocuo aggettivo possessivo mi facesse perdere completamente il controllo ed esplodere di felicità?
<< Non mi dispiace affatto >>, mormorai prima di unire le mie labbra con le sue mentre le mie mani accarezzavano le sue guance ruvide e le sue mi stringevano sempre di più a lui.
Alla fine ci trovammo talmente tanto appiccicati da poter essere scambiati benissimo per una sola persona.
Nel momento in cui i nostri baci si fecero sempre più profondi e le sue mani iniziarono a vagare sotto la mia maglietta, mi accorsi che l’astinenza del fare l’amore con Alex era stata quella più dura di tutte; il non poterlo baciare, il non poterlo amare completamente era stato una sofferenza enorme, amavo le emozioni così forti e inebrianti che mi faceva provare il suo corpo unito al mio e amavo ancora di più stare tra le sue braccia cullata dal dolce suono del suo respiro.
Iniziai a togliergli la giacca che aveva ancora addosso- segno che probabilmente prima di rivederli, lui e gli altri erano in giro-, mentre continuavamo a baciarci quasi senza respirare. Dopo la giacca fu la volta della maglietta che una volta sfilata gli scompigliò i capelli ancora di più di prima. Trattenni una risata e ripresi a baciarlo mentre lui mi slacciava i jeans e me li sfilava quel tanto che poteva, poi passò alla maglietta che mi sfilò prima di iniziare ad accarezzarmi lentamente la schiena e la pancia. Con dolcezza mi iniziò a baciare il collo facendomi crescere dei brividi lungo la schiena. Soffrivo terribilmente il solletico sul collo, ma per nulla al mondo mi sarei sottratta al tocco delle labbra di Alex sulla la mia pelle.
Ci finimmo di sfilare i vestiti e ci avvicinammo al letto dove continuammo a baciarci, ad accarezzarci, ad amarci fra gemiti e versi di piacere ricordandoci responsabilmente di usare il preservativo che, come suo solito, Alex cacciò fuori dal comodino vicino al letto; aveva la mania di conservarli sempre lì.
Dopo essere arrivati al culmine del piacere, i nostri corpi si separarono, Alex si sdraiò al mio fianco mentre entrambi facevamo dei profondi respiri per far tornare normali i nostri battiti cardiaci. Mi passai una mano sulla fronte che era imperlata di sudore come il resto del mio corpo.
Sentendo il bisogno di darmi una sciacquata e di rilassarmi un po’, decisi di andarmi a fare un bel bagno in quella fantastica vasca che mi stava chiamando da quando ero entrata.
<< Posso farmi un bagno? >>, chiesi.
Alex si girò verso di me e mi sorrise prima di sporgersi verso di me e baciarmi la fronte. << Certo amore questa è anche la tua stanza >>.
Ricambiai il sorriso e gli stampai un bacio sulle labbra prima di scendere dal letto e dirigermi verso il bagno, fermata per un attimo dalla mano maliziosa di Alex che mi pizzicò un gluteo tra le risate. Gli lanciai un’occhiataccia anche se stavo ridendo anche io.
Entrai nel bagno immacolato e iniziai a far scorrere l’acqua calda nella vasca che riempii di sapone così che ci fosse talmente tanta schiuma da ricoprire tutta la vasca. Amavo la schiuma, rendeva il bagno più rilassante e poi l’odore di quel sapone era buonissimo.
Aspettai che la vasca si riempisse tutta e proprio mentre stavo sollevando un piede per infilarmici, due mani mi circondarono la vita e la testa di Alex si posò sulla mia spalla facendomi leggermente trasalire.
<< Stavo pensando >>, disse, << che anche io avrei bisogno di farmi un bel bagno caldo, quindi… vuoi ospitarmi nella vasca con te? >>, mi chiese.
Sorrisi e mi girai con la testa verso la sua faccia osservando i suoi occhi marroni che mi fissavano dolci e imploranti. << Certo che si >>, acconsentì.
Senza aspettare neanche un minuto, si immerse nella vasca piena di schiuma che gli coprì tutto il corpo eccetto per la parte al di sopra delle spalle e le ginocchia che spuntavano dall’acqua segno che non aveva disteso le gambe. Mi unì a lui sedendomi tra le sue gambe con la schiena appoggiata al suo petto e la testa ad una delle sue spalle. Il tepore dell’acqua calda sulla pelle e la morbidezza del petto di Alex sulla schiena erano due sensazioni fantastiche che resero quel momento ancora più rilassante di quanto avessi immaginato.
Rilassandomi completamente, chiusi gli occhi mentre le mani di Alex iniziavano a massaggiarmi i capelli, poi
le spalle…
<< Mi sei mancato tantissimo >>, gli dissi mentre le sue mani mi avvolgevano in un abbraccio.
<< Anche tu, come l’aria >>, mi baciò una guancia, << non sapevo come avrei fatto a stare ancora un'altra manciata di giorni senza di te >>.
<< Ringraziamo l’affetto che Debbie e Matt hanno per noi >>.
Be’… Matt a quanto pare ce l’ha solo per te.
Pensai ripensando a come il moro avesse sottolineato con enfasi il fatto di aver portato Cassadee da Rian e non me da Alex.
<< Si, sono davvero dei buoni amici >>, concordò.
Riaprendo gli occhi presi in mano un po’ di schiuma e portandola vicino alle labbra ci soffiai sopra facendola svolazzare in aria. Alex mi imitò, ma invece di soffiare sulla schiuma me la mise sul naso. Scoppiò a ridere ed io sentì il suo petto tremare contro la mia schiena.
Alzai la schiena dal suo petto e mi girai verso di lui per guardarlo storto. << Ti sembra divertente? >>, gli chiesi.
Si avvicinò a me. << Si >>, disse e poi mi passò un dito sul naso per togliere la schiuma. << E sei dannatamente adorabile con la schiuma sul naso >>.
Sorrisi ma invece di baciarlo come si aspettava, gli restituì il favore spalmandogli sulla faccia un po’ di schiuma.
Scoppiai a ridere mentre Alex preso di sorpresa si toglieva la schiuma scuotendo la testa e aiutandosi un po’ con le mani. Liberatosi della schiuma mi guardò stringendo le palpebre ma sorridendo. << Piccola impertinente >>, disse prendendomi per le mani e avvicinandomi a lui così da unire le nostre labbra in un bacio breve dovuto al fatto che io gli morsi un labbro facendogli emettere un leggero “ahi”. Per tutta risposta lui allungò una mano sotto l’acqua per pizzicarmi il sedere. << Ehi! >>, lo ammonì.
Si strinse nelle spalle con un’espressione da schiaffi stampata sul viso.
Mi gettai sui di lui e lo feci stendere mettendomici seduta sopra con le mani sulle sue spalle e i visi vicini. << Mi vuoi sodomizzare? >>, chiese ridacchiando.
Risi anche io, ma fu una risata breve. << No >>, risposi. << Voglio dirti che ti amo >>.
Mi accarezzò una guancia e poi intrecciò la sua mano nei miei capelli per avvicinarmi di più a lui. << Ti amo anche io >>, disse baciandomi. << Se non ti amassi sarei un coglione >>, continuò staccando le labbra dalle mie per poi riunirle in un bacio più lungo.
<< Per fortuna non lo sei >>, dissi una volta sciolto il bacio. << Sei solo un cantante un po’ pervertito e ubbriacone >>, aggiunsi ridendo.
Scosse la testa. << Quello è Jack, non sono io >>, mi corresse.
<< Direi che vi assomigliate >>, commentai.
Dopo un altro bacio, mi girai per ridare le spalle ad Alex e ci rimettemmo nella stessa posizione che avevamo adottato all’inizio, con le braccia di Alex che mi circondavano il petto e mi tenevano stretta a sé. Il suo mento era appoggiato sulla mia testa.
<< Che ne dici se restiamo così per tutta la sera? >>, gli proposi.
<< Per me andrebbe bene, ma l’acqua tra poco diventerà fredda >>.
Alzai le spalle. << Tanto ci sei tu a tenermi al caldo >>.
Lo sentì ridacchiare sommessamente. << Preferisco le lenzuola >>.
Sorrisi. << Allora lenzuola sarà >>.
Quel momento perfetto e rilassante venne interrotto dall’entrata in bagno di mio fratello con indosso solo un paio di boxer neri. Io e Alex lo guardammo entrambi perplessi e sorpresi.
Come diavolo aveva fatto ad entrare?
Probabilmente più per riflesso che per volere, Alex mi coprì i seni con le sue braccia come se a mio fratello
avesse mai potuto fregare qualcosa delle mie tette. Ci eravamo visti nudi a vicenda talmente tante volte che ormai ci avevo fatto l’abitudine e non mi vergognavo più. Lui… be’ lui non si era mai vergognato, poteva anche andare in giro per le strade nudo, non gliene sarebbe importato nulla.
<< Alex, hai un profumo che il mio l’ha fatto cadere Rian? >>, gli chiese Jack mentre si dirigeva vicino al lavandino dove si trovavano tutti i deodoranti e profumi di Alex, senza neanche guardarci o chiederci scusa.
<< Jack?! >>, lo chiamò l’amico.
Jack prese in mano un profumo, lo annusò e annuì fra se prima di girarsi verso di noi. << Si? >>.
Alex lo guardò alzando un sopracciglio. << Ti sembra il momento opportuno per chiedermi queste cose? >>.
Jack sembrò non capire poi vidi i suoi occhi guardare me, poi lui, poi la vasca e poi un sorriso divertito si aprì sul suo volto. << Ah vuoi dire perché voi due stavate facendo gli sporcaccioni? >>, chiese.
<< No, perché volevamo stare da soli >>, ribattei io sottolineando al meglio l’ultima parola.
<< Oh non preoccuparti sorellina, ero venuto solo per prendere un profumo, me ne vado subito >>, mi assicurò Jack con un sorriso.
<< Ma come hai fatto ad entrare? >>, gli chiese Alex che dalla voce sembrava seccato.
<< L’avete lasciata aperta e allora sono entrato >>, si è stretto nella spalle.
<< La prossima volta bussa! Potevi trovarci a fare… altro >>, disse Alex.
Jack ridacchiò. << Tranquillo, ho aspettato che placaste la vostra passione prima di entrare >>.
Arrossì lievemente. << Perché, ci hai sentiti? >>, chiesi curiosa e allo stesso tempo intimorita da quale sarebbe potuta essere la risposta.
Jack sbuffò. << Sono nella camera accanto e il mio letto è proprio vicinissimo al muro che separa le nostre camere, è ovvio che io vi abbia sentiti! >>.
Sentì le guance tingermisi di un rosso ancora più forte.
<< E c’erano anche Zack, Rian, Matt e Vinny >>, aggiunse Jack.
Sgranai gli occhi. << Cosa?! >>, quasi sbraitai.
Jack rise. << Ci vediamo più tardi ragazzi >>, ci salutò prima di uscire di corsa dal bagno e poi riapparire solo con la testa. << Ah vi volevo anche dire che ci siamo organizzati per andare tutti in discoteca stasera, la nostra crew, la band di Stella compresa e ovviamente anche Cassadee >>.
<< A che ora? >>, chiese Alex.
<< Alle otto e mezza ci ritroviamo tutti giù per andare a mangiare qualcosa e poi andare in discoteca >>.
<< Okay, allora a dopo >>.
Jack sparì di nuovo e questa volta uscì anche dalla camera visto che sentì la porta sbattere.
Sospirai affondando la testa nelle mani. Dio che vergogna! Come avrei fatto a guardare in faccia Rian, Zack e gli altri ora che sapevo che ci avevano sentiti?
Alex mi accarezzò dolcemente una guancia. << Tranquilla, non è una cosa di cui preoccuparsi, è una cosa naturale della vita >>.
Riemersi dalle mie mani e mi girai a guardarlo. << Si, ma se ci penso non riesco a non provare vergogna >>.
Mi sorrise e mi prese il viso tra le mani. << Non vergognarti Stell, non ce n’è nessun motivo >>, fece una pausa. << Di cosa dovresti vergognarti poi, di amarmi? Di fare l’amore con me come tutti gli innamorati? >>.
Improvvisamente la vergogna svanì sovrastata da un senso d’orrore verso me stessa per aver fatto arrivare Alex a quella conclusione. << No! >>, esclamai preoccupata di averlo offeso. << Assolutamente no! >>, dissi scuotendo la testa quasi istericamente.
Mi sorrise e mi baciò la fronte prima di uscire fuori dall’acqua avvolgendosi un asciugamano alla vita e prendendone un altro per avvolgerci me dopo avermi fatta uscire dalla vasca.
Nonostante mi avesse sorriso in me balenava ancora la sensazione che lo avessi ferito e questo mi corrodeva lo stomaco. Non potevo sopportare una cosa del genere, ero stata un’idiota, mi ero comportata
da ragazzina e non volevo che per questo Alex ne soffrisse.
Mi alzai dalla vasca e raggiunsi Alex fuori mettendomi di fronte a lui. Mi avvolse l’asciugamano rosso intorno al corpo, abbastanza lungo da coprirmi dal seno fino a metà coscia.
<< Alex, dico sul serio >>, dissi catturando la sua attenzione. << Io ti amo e sono stata una stupida, mi sono
comportata come una ragazzina vergognosa, mi dispiace, non volevo dire in alcun modo che mi vergogno di te, di noi, del fatto che ci amiamo e che facciamo l’amore, non era davvero mia intenzione… mi dispiace tanto >>, dissi mente gli occhi mi iniziavano a pizzicare fastidiosamente.
<< Ehi >>, mi alzò il mento così che potessimo guardarci negli occhi. << Hai ragione, sei una stupida >>, disse.
Deglutì a fatica. Dirmelo da sola mi faceva già sentire male, detto anche da lui mi faceva sentire una vera merda.
<< Perché hai pensato che io mi sia offeso >>, continuò facendomi un sorriso.
Provai un profondo sollievo che mi costrinse a sorridere. << Non sei arrabbiato? >>, gli chiesi.
Rise. << Come potrei mai? È una cosa normale anche vergognarsi, non c’è nessun motivo per cui io debba essere arrabbiato con te e poi quelle che ti ho fatto erano solo delle domande per farti capire che non c’era nulla di cui vergognarsi >>.
Lo abbracciai affondando con la faccia nel suo petto nudo e profumato. Ricambiò l’abbraccio e mi strinse forte a lui.
Ogni secondo che passavo con lui mi faceva amarlo sempre di più, era un ragazzo fantastico e non riuscivo ad immaginare come sarebbe stata una vita senza di lui che era tutto per me. Ancora mi domandavo perché la vita ci dovesse separare sempre per diversi mesi per poi farci rincontrare solo per qualche giorno. Spinta dal sentimento immenso che mi legava a lui, alzai il viso e iniziai a baciarlo intrecciando le mani dietro la sua testa mentre le sue accarezzavano le mie cosce ancora parzialmente bagnate.
Lo spinsi fuori dal bagno per portarlo di nuovo sul letto, ma lui si fermò staccando le sua labbra dalle mie. << Non devi dimostrarmi niente >>, mi disse.
<< Non voglio dimostrarti nulla >>, lo rassicurai. << Voglio solo amarti ancora >>.
Sorrise sghembo. << Allora non posso dire di no >>.
Mi sollevò da terra e portandomi in braccio mi scortò fino al letto dove ci liberammo degli asciugamani e tornammo ad esplorare le parti nascoste del copro dell’altro. Quando fu di nuovo dentro di me non potei  fare a meno di gemere di piacere abbandonandomi completamente al piacere. Ma si, che sentissero pure, io ed Alex ci amavamo e questa era la cosa importante, nient’altro lo era.
Ci fermammo solo quando fummo stremati e a corto di fiato.
<< Siamo stati lontani per troppo tempo >>, dissi dopo aver ripreso fiato, << dobbiamo rimediare >>.
<< Se non fosse per la discoteca farei l’amore con te per tutta la notte fino all’alba >>.
Mi morsi un labbro intrigata dalla proposta. << Sarebbe un bel piano >>, commentai.
Alex mi sorrise. << Ma dobbiamo andare in discoteca >>.
Sospirai. << Abbiamo ancora domani >>.
Mi strinse a se. << Vorrei che questo momento non passasse mai >>, disse e mi tornò alla memoria una frase della canzone degli ATL “Daydream away”.
 
“Doesn’t matter when we get back, To doing what we do
‘Cause right now could last forever,  Just as long as I’m with you”. Hii :D  

Ecco un nuovo capitolo! In questo ho dovuto fare un po' di modifiche per via della scena "hot" (xD) visto il vecchio problema del raiting rosso e del mio non essere ancora maggiorenne u.u
Spero vi sia piaciuto ;) . Tenetevi pronti perchè dal prossimo capitolo la storia decollerà un po' (XD), questi primi capitoli erano di "assestamento", diciamo, i fatti interessanti inizieranno a breve :3. Speriamo che vi piacerà la svolta che ho dato alla storia!

Alla prossima settimana :D

Miki*

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Capitolo 7
*** A party song ***


“I feel the tention that’s been pulling us in
And then we do it again
So we can feel alright
Falling in love for the night”.
 
La cena con quella che Alex aveva definito la sua “grande famiglia”, andò abbastanza bene a parte per il fatto che appena io e Alex eravamo scesi nella hall Jack, Rian, Zack e gli altri della crew degli ATL –come previsto- avevano iniziato a fare battutine sceme e a ridere come deficienti. Mi era bastato alzare un po’ la voce e dire qualche parola colorata perché si stessero zitti… mi erano sembrati tanti bambini impauriti dal rimprovero della mamma. Un’altra cosa negativa era stata il fatto che Debbie e Cassadee si erano lanciate occhiatacce per tutta la cena e si erano punzecchiate a vicenda; che ci servisse da lezione: mai farle sedere di fronte o vicine anche con qualcuno in mezzo, dovevano stare il più lontane possibile.
Per quella sera avevo deciso di indossare una maglietta rossa a corpetto senza maniche con sopra un copri spalle nero intonato ai pantaloni stretti che mi rendevano ancora più magra di quello che già ero. Come scarpe indossavo degli stivaletti neri con il tacco quadrato color marroncino che mi aveva prestato Cassadee dopo che le avevo viste in camera sua e me ne ero completamente innamorata.
Avevamo deciso di cenare nel ristorante dell’albergo e alla fine della cena ci eravamo fatti chiamare una limousine che ci accompagnasse ad una discoteca. Con la limousine probabilmente avremmo attirato di molto l’attenzione delle persone, ma per delle fans urlanti non si poteva rinunciare ad un giro in limousine per le strade di Londra! E poi George e le altre guardie del corpo sarebbero venute con noi per controllare quindi sarebbe andato tutto per il verso giusto. A pensarci bene se non fossimo andati in Limousine saremmo dovuti andare con un po’ di taxi visto quanti eravamo.
Eravamo tutti fermi sul marciapiede davanti all’entrata dell’hotel, che chiacchieravamo in gruppi e aspettavamo l’arrivo della lunga macchina bianca. Alex e Jack erano ai miei fianchi e mi stavano raccontando alcuni episodi divertenti che gli erano successi in quei mesi come la battaglia di torta alla crema durante un concerto, le lezioni che Jack aveva dato agli altri su come si ballasse la macarena e ovviamente delle serate folli nelle quali si erano ubriacati e aveva fatto non pochi casini.
<< Ricordate l’ultima volta in cui siamo andati in discoteca tutti e tre? >>, chiesi mentre con la mente ritornavo a quella sera che era stata davvero orribile! Almeno la fine, perché durante la serata io ed Alex ci eravamo baciati per la prima volta… prima che vomitasse.
<< Oooh si! >>, esclamò Jack con un sorriso pervertito stampato sul viso. << Mi ricordo molto bene la tettona che mi ha intrattenuto quella sera >>.
Alzai gli occhi al cielo. Lo sapevo che si sarebbe andato a ricordare quello.
<< Io me la ricordo bene >>, disse Alex, poi aggrottando le sopracciglia continuò: << Anche se avevo finto di non ricordarmela >>.
Gli lanciai un’occhiataccia e lui mi sorrise come un bambino che sa di aver combinato un guaio. << Meglio non ricordare >>, dissi.
Jack sbuffò. << Già, mette depressione pensare cosa mi sono perso per colpa tua >>, mi guardò storto, << e sua >>, indicò Alex con un dito.
<< Ehi, stavo uno schifo! >>, esclamò Alex.
<< Tienilo presente mentre siamo lì, non voglio rivivere quell’esperienza >>, dissi.
<< Io si! >>, sorrise Jack.
Alex mi sorrise dolcemente cercando di rassicurarmi. << Tranquilla, berremo poco >>.
<< Parla per te! >>, sbottò Jack, poi guardando me disse: << Tanto non ci sei solo tu questa sera quindi non toccherà a te portarci a casa >>.
Annuii. << Si, hai ragione >>, dissi sentendomi sollevata almeno di poco visto che comunque da ubriachi quei due sarebbero stati intrattabili. Speravo solo non vomitassero di nuovo.
<< Sperando che non si ubriachino tutti >>, disse Alex facendo una smorfia.
<< A quel punto dovremmo ricantare tutti insieme: Stella wold you take me home >>, cantò Jack mettendomi un braccio dietro le spalle.
<< Spero di no perché questa volta non ho alcuna intenzione di “portarvi a casa” >>, feci il segno delle virgolette con le mani. << Anche perché non ho una macchina >>, aggiunsi.
Jack non sembrò neanche avermi sentito e infatti iniziò a cantare a squarciagola subito seguito da Alex e le loro voci furono accompagnate dal tamburellare di Rian sulle sue gambe come se fossero una batteria. E così per tutta l’attesa e per tutto il viaggio in limousine, Stella, ci accompagnò come colonna sonora che alla fine ci ritrovammo a cantare tutti in coro mentre osservavamo la città con ammirazione e scherzavamo come scemi.
 
Lose myself in a chemical moment
 White lights taking it’s tole
 That’s just the way it goes
 Come on, Stella would you take me home
 
You’re only happy when I’m wasted
 I point the finger but I just can’t place it
 It feels like I’m falling in love alone
 Stella would you take me home”.
 
Arrivammo alla discoteca che era piena di gente e la musica era talmente alta da far tremare i vetri delle finestre. Nonostante la massa di gente non passammo per nulla inosservati e al nostro arrivo un sacco di ragazzi iniziarono a guardarci e –soprattutto le ragazze- a emettere dei gridolini che fecero subito scattare le guardie del corpo infatti mi ritrovai improvvisamente vicino George che scrutava attento e vigile la folla.
<< Vorrei sapere di chi è stata questa grande idea >>, borbottò George.
<< Prenditela con mio fratello >>, dissi.
Jack, che era in testa al gruppo seguito da me e Alex con ai lati le rispettive guardie del corpo, si girò verso di me. << Dai! Sarà una serata spettacolare, ci divertiremo e nessuno ci darà fastidio >>.
George sbuffò. << Speriamo >>.
Il viso di Christopher comparve tra me e George facendomi leggermente trasalire. << Jack ha ragione, andrà tutto bene e ci divertiremo un sacco! >>.
Jack batté il cinque sulla mano di Chris mentre George li guardava con aria contrariata. Probabilmente stava pensando che la sua amicizia con Jack avrebbe portato ad essere un ubriacone più ubriacone di quanto già era, per questo Edward da dietro di noi lo rassicurò dicendogli che avrebbe sorvegliato lui il fratello.
Entrammo nell’enorme discoteca dalle luci blu che facevano sembrare i colori scuri tutti neri e i colori chiari tutti bianchi; mi prese un colpo quando vidi gli occhi di Cassadee bianchi e non più del loro fantastico colore, ma dopo essermi accorta che era un effetto delle luci mi sentì decisamente meglio. La pista da ballo occupava i due quarti della discoteca, a destra dell’entrata c’era il bar con il lungo bancone e gli scaffali pieni di alcolici e infine al di là della pista da ballo c’era uno spazio per i tavoli e i divani in pelle dove ci accomodammo tutti quanti prima di separarci in mezzo alla folla. Io costrinsi Jack, Alex, Zack e Debbie ad andare a ballare, più per allontanare mio fratello e Alex dal bar che perché mi andasse di ballare; Cassadee si unì a noi poco dopo insieme a Rian il quale con l’aiuto di Zack cercò il più possibile di far stare lontano le due ragazze. La crew degli ATL era rimasta ai divanetti con le guardie del corpo mentre del mio gruppo, Christopher era già seduto al bar con Edward vicino che gli faceva da babysitter, Travis e Sam invece stavano ad un angolo della pista ed osservare e ammiccare alcune ragazze.
Ballammo sulla pista allegramente lasciandoci trasportare da quel ritmo incessante che ti rimbombava nelle orecchie. Ballai un po’ con Alex, un po’ con Jack e persino con Zack! Il quale mi sconvolse quando iniziò a muovere il bacino in un modo che mi ricordava vagamente le ballerine di lap dance, gli mancava solo una palo per essere perfetto. Ballare con Alex fu decisamente più facile rispetto a quella sera a Roma visto che potei assecondare i suoi movimenti senza pensare che fosse un mio amico e che non sapeva che ero innamorata di lui.
Dopo alcune canzoni che alla fine sembravano sempre le stesse, i quattro ATL, si diressero verso il bar. Lo so, mi sarei dovuta preoccupare o sarei dovuta andare con loro, ma Zack mi assicurò che ci avrebbe pensato lui a tenerli in riga e di questo gli fui grata. Andati via i ragazzi io e Debbie rimanemmo da sole a ballare nella pista schiacciate ad altre persone che neanche facevano caso a noi, pensavano solo a ballare e a scuotere la testa come forsennati.
Una breve occhiata ai ragazzi al bancone, mi fece capire che probabilmente le fans presenti nella discoteca si erano fatte avanti, perché i quattro ragazzi erano circondati da ragazze con fotocamere e fogli bianchi. Sorrisi pensando che anche le fans mi sarebbero state d’aiuto a loro insaputa, distraendo i ragazzi avrebbero evitato che bevessero… fantastico!
Tornai a concentrarmi sul balletto che stavamo improvvisando io e Debbie.
<< Debbie ti devo un favore >>, le urlai cercando di farmi sentire.
Mi sorrise. << Ma dai, sono la tua migliore amica, ho solo fatto il mio dovere >>.
<< Si ma tu fai sempre tanto per me >>, feci una smorfia.
Mi spinse scherzosamente. << Non pensarci, non mi devi niente io sono contenta di renderti felice >>.
La abbracciai nonostante stessimo continuando ad ondeggiare a tempo di musica.
Quella sera Debbie indossava un vestitino corto color acquamarina con una profonda scollatura sulla schiena e con delle spalline davvero sottili. Si era fatta sexy per il suo bel bassista. Quando i ragazzi tornarono –ancora sobri per fortuna-, io e Debbie uscimmo dalla pista da ballo e andammo al bar dove lei ordinò una birra ed io un Bacardi all’arancia che divisi con Edward che- poverino- era già esasperato dal fratello che continuava a bere come un forsennato. Per fortuna di serate così ne facevamo una ogni sette mesi –più o meno-.
Dopo aver bevuto un po’, Debbie tornò in pista mentre io mi andai a sedere ai divanetti posando la birra di Debbie su un tavolino.
La crew degli ATL si era spostata fuori per parlare più liberamente, tutti tranne Matt che invece era rimasto seduto sul divano a sorseggiare una birra che nonostante i colori alterati, riconobbi essere quella dalla bottiglia verde. Sorrisi ricordandomi di Dracula e automaticamente cercai nella folla Alex, che stava firmando un autografo per delle ragazze insieme a Cassadee e Jack.
Mi sedetti nel posto accanto a Matt… no non proprio accanto, ma a qualche centimetro di distanza. Lui non mi guardò neanche, continuò a fissare davanti a se come se non ci fossi. Un po’ infastidita dalla sua indifferenza e con il dubbio ancora che in qualche modo Matt ce l’avesse con me, iniziai a parlargli per capire se avevo veramente ragione oppure no.
<< Ehi, ti stai divertendo? >>, gli chiesi con il tono più gentile che mi riuscì anche se mentre si urla il tono non sembra mai gentile.
Matt girò la testa verso di me e mi fisso con gli occhi marroni ridotti a dei cerchi neri e profondi. Mi sorrise solo dopo un po’, ma questo bastò a rilassarmi. << Si, anche se le serate in discoteca non fanno per me >>.
Mi ero immaginata che mi avrebbe risposto con un monosillabo o che non mi avrebbe risposto affatto come più o meno era successo all’albergo anche se lì forse era stata Debbie a togliergli la parola. Era possibile che avessi equivocato tutto.
<< Non sei un bravo ballerino? >>, chiesi per continuare a farlo parlare.
Fece una smorfia. << Non mi piace ballare, sono incapace nei movimenti >>.
<< Strano per uno che si intende di musica >>.
<< Ballare è diverso, è più complicato dell’ essere il manager di una band e occuparsi qualche volta degli strumenti >>.
Annuii. << Si, hai ragione >>, concordai.
Giocherellò nervosamente con la bottiglia di birra e quel gesto mi fece pensare che c’era qualcosa che non andava, che non era rilassato e forse era colpa del fatto che non gli andavo proprio a genio. Per scoprire se era veramente così dovevo per forza chiederglielo.
Coraggio Stella, non è niente di difficile.
M’incoraggiai.
<< Matt, posso chiederti una cosa? >>.
Mi guardò e ci mise un po’ prima di annuire. << Si, spara >>. Bevve un sorso di birra.
<< Mi odi? >>, gli chiesi andando subito al sodo senza troppi giri di parole.
Mi guardò con gli occhi sgranati, poi scoppiò in un’allegra risata. Wow lo avevo fatto ridere… chissà se era una cosa positiva. << Pensi che ti odi? >>, mi chiese.
Annuii.
<< Perché? >>, chiese nuovamente assumendo un’espressione incredula.
<< Perché… prima all’hotel mi hai praticamente ignorato, l’unica parola che mi hai rivolto è stata il mio nome, ora quando mi sono seduta non mi hai neanche guardata e in più sembra sempre che tu voglia impedire che io riveda Alex >>, risposi tutto d’un fiato.
Matt rimase a guardarmi passando dall’incredulo allo scioccato ed io mi sentì arrossire. Ora mi avrebbe di sicuro dato della pazza visionaria che si inventata le cose, e aveva ragione, da come mi stava guardando Matt potevo capire benissimo che lui non mi odiava affatto.
<< Okay, probabilmente ho fatto un buco nell’acqua >>, dissi prima che lui potesse parlare. << Mi dispiace, ho frainteso tutto >>.
Scosse la testa. << Sei tu che devi scusarmi, probabilmente con il mio atteggiamento distaccato ti ho dato l’impressione di odiarti, ma non è così >>.
<< Perché eri distaccato? >>, gli chiesi. << Non è che siamo sconosciuti o cosa >>.
Seguì una lunga pausa che mi insospettì. Evitò accuratamente il mio sguardo mentre finalmente rispondeva: << Sono sempre un po’… diffidente con le persone che non conosco >>.
<< Ma noi ci conosciamo >>, ribattei.
Un altro momento di silenzio. Non mi guardò neanche in quel momento, sembrava cercasse di nascondermi qualcosa. << Si, ma non siamo poi dei veri e propri amici >>, disse.
<< Potremmo esserlo, ora che so che non mi odi >>, gli proposi con un sorriso d’incoraggiamento.
Finalmente mi guardò, ma la sua espressione era qualcosa di indecifrabile, un misto di terrore, tristezza e speranza. Mi spaventò riconoscere quelle emozioni soprattutto perché non riuscivo a capire perché le stesse provando.
Mi sorrise, ma fu un sorriso falso che mi confuse ancora di più. << Certo >>, accettò.
Prima che potessi dire altro o chiedergli cosa ci fosse che non andava, lui si alzò e sparì in mezzo alla folla. Lo vidi dopo un po’ uscire dalla discoteca per dirigersi probabilmente all’hotel visto che per il resto della serata non lo vidi.
Era stato un comportamento davvero insolito e strano, ma mi tirai su pensando che lui non mi odiava e che
mi ero inventata tutto io. Mi sentivo molto più leggera.
Finì il mio Bacardi e nel mentre venni raggiunta da alcune fan che mi chiesero una foto e un autografo che feci volentieri. 
<< Stella! Stella! >>.
Mi sentì chiamare dalla folla quando le fan se ne andarono.
Era Cassadee che si faceva largo tra la folla mollando gomitate a tutti quelli che le si mettevano davanti. Mi avvicinai a lei e l’aiutai ad uscire. << Che succede? >>, le chiesi vedendo la sua espressione spaventata.
<< Zack ha vomitato in mezzo alla pista, già da un po’ aveva iniziato a dire che non si sentiva bene >>, mi spiegò.
<< E perché nessuno lo ha portato al bagno o a sedersi? >>, chiesi stupita dal fatto che nessuno se ne fosse preoccupato. Insomma se un tuo amico ti dice che sta male non ti viene da farlo stendere o portarlo da un’altra parte?!
<< Pensavo se ne occupasse la biondina >>, ripose Cassadee poi alzando gli occhi al cielo continuò: << Ma quella è una stupida, probabilmente ha pensato solo a divertirsi >>.
La guardai storto. << Non era compito solo di Debbie ma di tutti voi che eravate con lui! >>, ribattei in tono
irritato.
Cassadee abbassò lo sguardo. << Si, hai ragione >>.
La superai e mi avvicinai agli altri, che stavano portando Zack fuori dalla discoteca mentre il proprietario imprecava per il vomito lasciato sulla pista. Seguì gli altri fuori seguita a mia volta da Cassadee. Due guardie del corpo, fecero salire Zack su un taxi nero che lo avrebbe riaccompagnato all’hotel dove avrebbe potuto vomitare quante volte voleva.
<< Ti vengo a trovare dopo! >>, gli urlò Debbie prima che lo sportello del taxi venisse chiuso.
La guardai perplessa per un attimo. Perché non era andata con Zack? Gli sarebbe servito un po’ di supporto.
<< Poverino >>, disse Alex con una smorfia sul viso. << Spero di non fare la sua stessa fine >>.
Jack al suo fianco sbuffò. << Tranquillo, abbiamo bevuto talmente tanto poco che torneremo all’albergo più sobri che mai >>.
Sorrisi ringraziando mentalmente Zack per non aver fatto ubriacare quei due. << È una buona notizia >>.
Jack pestò un piede per terra. << E non c’è neanche una tettona da portarsi a letto! >>, si lamentò come un bambino.
Scoppiai a ridere seguita da Alex, Rian, Debbie e Cassadee.
<< Ma cosa ridete?! >>, sbottò Jack.
Rian gli batté dei colpetti sulla spalla per confortarlo e lo riportò dentro seguito da Cassadee e poi da Debbie che però si tenne a distanza da Cassadee come se fosse malata e non volesse essere contagiata.
Alex mi si avvicinò e mi cinse la vita con un braccio avvicinandomi a lui. << Perché queste serate finiscono sempre con qualcuno che vomita? >>, chiesi appoggiandomi con la testa al suo petto.
Mi accarezzò una guancia. << Perché se no non c’è divertimento >>, ridacchiò.
<< Poi proprio Zack che è quello più tranquillo tra voi >>.
Alex si strinse nelle spalle. << Forse aveva mangiato prima qualcosa che gli ha fatto male >>, ipotizzò.
Sospirai sperando che non succedesse nient’altro in quella serata, mi bastava e avanzava il comportamento strano di Matt e Zack che si sentiva male.
Tornammo dentro per scoprire che anche Christopher aveva vomitato ma per fortuna nel bagno. Edward lo riaccompagnò all’albergo con un altro taxi. Se avessimo continuato così saremmo rimasti davvero in pochi a tornare a casa con la limousine.
Il proprietario aveva ripulito in fretta la pista e così tutti erano tornati a ballare come se nulla fosse successo e così anche noi. Io e Alex ci buttammo quasi subito in pista seguiti da Jack e da Debbie che varie volte uscì dalla discoteca per chiamare Zack e vedere come stava.
Dopo un po’ il Dj annunciò un’altra canzone dedicata proprio a noi che eravamo ospiti in quella discoteca: “A party song”. Insieme a Rian, Cassadee, i membri della crew e i rimanenti della mia band, ci buttammo nelle danze al centro della pista cantando a squarcia gola come fossimo stati al concerto degli ATL e loro stessero suonando quella canzone.
 
I took a walk for the very first time on the dark side of the dance floor,
Lit a match just to heat things up but I got more than I bargained for;
 
Mixed drinks, mixed feelings of elation,
I should have known it was a one night invitation”.
 
Mi ritrovai a pensare che la serata non mi avrebbe più riservato sorprese, quando delle urla sovrastarono la voce di Alex nelle casse. Mi prese un colpo quando capì che quelle urla provenivano dalle mie amiche che si stavano insultando pesantemente.
<< Oh cielo! >>, esclamai sgranando gli occhi davanti alla scena scioccante che purtroppo non era la prima
volta che me la ritrovavo davanti.
Cassadee tirava Debbie per i capelli mentre la mia migliore amica teneva le spalle di Cassadee e la scuoteva come fosse stata un salvadanaio che scuoti per sentire quanti soldi ci sono all’interno. Più una tirava più l’altra scuoteva; sembrava un circolo vizioso.
La situazione cambiò in peggio quando Debbie si tirò su con il busto e tirò un cazzotto dritto in faccia a Cassadee nonostante quest’ultima la tenesse ancora per i capelli. Cassadee traballò all’indietro, ma non cadde e con gli interessi rispose al pugno di Debbie con un altro sulla guancia che fece girare la testa di Debbie da un lato. La mia migliore amica, dopo essersi ripresa dal cazzotto, prese i capelli di Cassadee e li tirò verso il basso.
<< Puttana! >>, esclamò Cassadee buttandosi addosso a Debbie con tutto il suo peso così da farle perdere l’equilibrio e buttarla per terra sulla pista.
Quella sera la pista era davvero sfortunata.
Un altro pugno sulla faccia di Cassadee. << Senti chi parla, quella che per andare in discoteca si mette le calze a rete! >>, esclamò Debbie. << Non lo sai che le calze a rete se le mettono solo le puttane?! >>, continuò mollandole un altro pugno.
Mentre le lotte continuavano mi chiesi perché nessuno stesse facendo niente –compresa me- e perché stessimo tutti guardando come se quelle che si stavano scannando non fossero delle nostre amiche.
<< Cazzo, fermatele! >>, urlai agli altri che sembrarono risvegliarsi da una specie di trans.
Se avessi provato io a staccarle probabilmente ci avrei rimesso qualche capello, meglio far fare il lavoro ai ragazzi visto che non avevano i capelli lunghi e avevano decisamente più muscoli di me.
Debbie e Cass furono separate prima che iniziassero a menarsi a sangue.
<< La porto via >>, mi disse Jack che si era caricato Debbie in braccio nonostante lei si stesse dimenando come una pazza. Non si sarebbe detto ma Jack aveva davvero dei buoni muscoli!
Rian portò Cassadee nella zona dei divanetti mentre Jack usciva dalla discoteca.
Presi un bel respiro e scossi la testa mentre la folla scioccata tutta intorno a me rimaneva in un silenzio di tomba che mi fece male alle orecchie, ormai abituate alla musica alta. << Stella mi porteresti a casa? >>, chiesi a me stessa non curandomi affatto delle persone che probabilmente mi avrebbero presa per pazza. << Con piacere >>, mi risposi e prendendo Alex uscì dalla discoteca pensando che non ci sarei mai più andata.
 
(Jack)

Dopo aver portato di peso Debbie fuori dalla discoteca, avevo chiamato un taxi e lo avevo aspettato pazientemente con Debbie poggiata su una spalla in modo che non cercasse di scappare. L’attesa sembrò lunghissima, ma mi divertii a sentire Debbie inveire contro di me con ogni insultoitaliano possibile. Il sentirla parlare in Italiano mi riportava con la memoria alla mia dolce casa a Roma dove mamma e papà ora vivevano da soli senza più ne Stella ne me in giro… chissà come si intrattenevano. Magari quando il tour sarebbe finito sarei tornato da loro per riprendermi un po’ da quella sorta di depressione che avevo e avrei
portato con me Stella e anche Debbie –sempre se avesse smesso di insultarmi visto che la lista di parolacce era lunga-, così saremmo tornati alla normalità come quando eravamo piccoli.
Quando il taxi arrivò ci infilai dentro Debbie e diedi l’indirizzo dell’hotel all’autista. Per tutto il tragitto lei mi ignorò e io la lasciai stare, volevo che smaltisse la rabbia prima di confidarsi con me cosa che sapevo avrebbe fatto; ormai lo faceva da più di qualche mese e io facevo lo stesso con lei. Eravamo diventati il migliore amico l’uno dell’altra anche se dal canto mio avrei preferito qualcosa di più. Ebbene si, ero innamorato di Debbie da… sempre?! Da quando a undici anni, mia sorella me l’aveva presentata e lei timida com’era mi aveva rivolto un sorriso esitante ed era arrossita come un peperone.
Sorrisi tra me.
Ricordavo benissimo quel giorno e ricordavo bene anche quante volte negli anni successivi ero stato sul punto di dirle che ero innamorato di lei ma poi ci avevo rinunciato pensando a quanto più piccola fosse di me e al fatto che lei avrebbe potuto non ricambiarmi. Quando poi ero partito per l’America avevo iniziato ad avere altre relazioni e quindi avevo pensato che la mia cotta per la migliore amica della mia sorellina fosse morta e sepolta e invece quando l’avevo rivista a Roma, avevo sentito di nuovo il cuore battermi all’impazzata e avevo capito che tutto quel tempo lontano da lei non me l’aveva fatta dimenticare. Forse quell’estate ci avrei riprovato a dichiararle quello che sentivo, ma Zack mi aveva confidato che le piaceva e così avevo lasciato perdere preferendo l’amicizia ad una storia d’amore che a quell’epoca mi sembrava una cosa stupida e non adatta a me… tutto il contrario di adesso. Quella strana depressione che mi aveva attaccato proprio all’inizio di quell’anno, aveva cambiato totalmente il mio modo di pensare e mi aveva reso una persona… triste, vulnerabile e bisognosa d’affetto. Lei era stata la prima ad accorgersi che qualcosa non andava in me ed era stata l’unica alla quale avevo rivelato il casino di emozioni che avevo dentro. Da lì avevamo iniziato a sentirci quasi ogni giorno per via telefono: un po’ con i messaggi e un po’ con le chiamate. Nessuno sapeva di quella nostra “amicizia” e nessuno lo sarebbe dovuto venire a sapere, più di tutti Zack. Mi sentivo malissimo al solo pensiero di amare la ragazza che era amata anche da uno dei miei migliori amici, ma non potevo farci nulla, lei mi faceva sentire bene, mi ridava un po’ di serenità, con lei ero me stesso mentre con gli altri ero… il vecchio Jack, quello che tutti si aspettavano di vedere davanti a loro.
Arrivammo all’hotel. Scesi dal taxi aspettandomi di vedere Debbie che ancora arrabbiata correva verso l’entrata per superarmi, invece al posto di una Debbie ancora incavolata, c’era una Debbie stanca e triste che mi si avvicinò senza dire una parola e si fece stringere tra le mie braccia. Nonostante fosse sudata il suo profumo alla pesca –che indossava sempre- continuava a persistere sulla sua pelle il che rese l’abbracciarla ancora più bello e rilassante di quanto già fosse.
Sciolsi l’abbraccio e mettendole a posto qualche capello scomposto cercando di non toccarla nei punti in cui Cassadee glieli aveva tirati, le dissi: << Andiamo di sopra, così parliamo più liberamente >>.
Lei annuì.
Pagai il taxi e insieme a Debbie mi diressi nella sua stanza che era decisamente meno lussuosa della mia suite, ma era abbastanza grande, con un letto matrimoniale, la tv, una scrivania e un armadio di medie dimensioni.
Si sedette sul letto e si accasciò su un lato. << Ahia >>, sibilò toccandosi lentamente la testa.
Scossi la testa. << La prossima volta pensaci due volte prima di fare a botte >>, dissi mentre entravo nel
bagno per prendere un asciugamano, bagnarlo con acqua gelata e poi tornare da lei per metterglielo sulla testa.
<< Non era fare a botte >>, ribatté con voce stanca, << solo… auto-difesa >>.
<< Quindi è stata Cassadee a cominciare? >>, le chiesi mentre le premevo delicatamente l’asciugamano sulla testa bionda.
Sbuffò. << Quell’idiota mi ha pestato un piede apposta >>.
<< E tu ovviamente hai risposto >>.
<< Ovvio, così ci penserà due volte prima di darmi fastidio >>.
E pensare che ad undici anni era una bambina gentile e generosa con tutti e invece ora si prende a botte con le altre ragazze.
Risi. << Penso che anche tu dovrai pensarci bene prima di attaccarla di nuovo >>, dissi constatando che sulla guancia le si stava formando un brutto livido.
Sospirò e mi guardò tristemente. << Sono messa male? >>, mi chiese.
Le sorrisi e senza neanche accorgermene, mi ritrovai ad accarezzarle la guancia ferita. << Niente di grave, solo un livido che se ne andrà presto >>. Ritornai in me e con un gesto veloce tolsi la mano dalla sua guancia distogliendo automaticamente anche lo sguardo da lei.
 << Se vuoi nella valigia ho del ghiaccio >>, disse. << Servirà di più di questo asciugamano bagnato >>.
<< Potevi dirlo subito! >>, la rimproverai lasciando sul letto l’asciugamano e avvicinandomi alla sua valigia. << Ammettilo, avevi già programmato di fare a botte con Cassadee e per questo ti sei portata il ghiaccio >>.
Scoppiò a ridere e le mie orecchie si bearono di quel suono dolce e musicale. << Si, lo ammetto era tutto calcolato, anche il farmi strappare i capelli >>, scherzò.
Preso il ghiaccio, lo ricoprì con l’asciugamano e lo posai nuovamente sulla testa di Debbie che chiuse gli occhi e sorrise. << Va decisamente meglio >>.
La guardai provando l’irresistibile voglia di baciare le sue labbra rosee e quel suo nasino tanto carino. Nasino tanto carino? Cos’ero, una sorta di idiota con la passione per i nasi?! Anche se non ero più il vecchio Jack non voleva dire che potevo pensare cose… idiote e completamente sdolcinate come quella.
Dopo che le fu passato il dolore, ci sdraiammo entrambi sul letto, lei pronta per parlare io pronto per ascoltare. Visto che dopo qualche minuto lei non iniziava a parlare decisi di farle qualche domanda. << Come mai odi Cassadee? >>, le chiesi.
Prese un bel respiro prima di rispondere. << Come ti sentiresti se improvvisamente Alex avesse un nuovo migliore amico con il quale passare il tempo? >>.
La guardai. << È per questo? Perché ti ha portato via mia sorella? >>.
Scosse la testa. << No, non me l’ha portata via, so benissimo che Stella mi vuole bene e che non mi abbandonerà mai, ma il sapere di non essere più l’unica che l’aiuta e le sta vicino è un po’… strano >>.
<< Può capitare che si conoscano nuovi amici e che ci si dimentichi di quelli vecchi >>, dissi, << ma se non è questo il caso di mia sorella allora non so perché dovresti odiare Cassadee, non ti ha tolto niente in fondo e potreste essere tutte e tre amiche >>.
Fece una smorfia. << Non lo so, Cassadee mi da l’aria di una che si aspetta sempre che gli altri siano ai suoi ordini, una montata di prima categoria che si nasconde dietro quel faccino dolce e bellissimo… >>.
Le scoccai un’occhiata divertita che lei ricambiò con una perplessa. << Che c’è? >>.
Risi silenziosamente. << Non è che sei gelosa? >>.
Sbuffò facendo alzare un ciuffo di capelli che le era caduto sulla faccia. Glielo spostai quasi automaticamente, senza pensare a quello che in realtà stavo facendo e a cosa quei gesti che stavo facendo potessero significare per lei. Per fortuna lei non disse nulla e continuò a parlarmi del suo problema. << Non sono gelosa! Di cosa dovrei essere gelosa, della sua voce straordinaria, della sua bellezza e del fatto che sembra sempre così sicura di sé da farmi sentire come una stupida idiota che non concluderà mai nulla nella vita?! >>.
Lo guardai come per dire: visto che avevo ragione.
Mi guardò storto, ma poi infine si arrese e sputò fuori tutto quello che aveva tenuto dentro. << Da quando è iniziata la sua amicizia con Stella ho sempre avuto paura che… me la potesse portare via, perché io non sono come Cassadee, lei sembra perfetta, sembra dolcissima, ha una voce che è magnifica e ha molte cose in comunque con Stella come per esempio il lavoro, il canto, l’emozione di stare su un palcoscenico… >>.
<< Ma tu hai tutto il resto in comune con Stella >>, le feci notare. << Tu condividi un’intera adolescenza con Stella, un’amicizia lunga che non si è mai sciolta >>, continuai.
Debbie incrociò il mio sguardo e vidi dai suoi occhi che era comunque spaventata, aveva paura.
Le sorrisi cercando di incoraggiarla. << Cassadee non è migliore di te e non ti porterà via mia sorella ne sono sicurissimo >>.
Ricambiò il sorriso. << Però di fare pace non se ne parla >>, sentenziò. << Mi da troppo fastidio! >>.
<< È una bravissima ragazza, la conosco da molto tempo e ti posso assicurare che potreste diventare davvero buone amiche >>.
Sbuffò. << Si, come no! >>.
<< Provaci almeno >>, la incoraggiai. << Non la insultare, fai qualcosa di gentile per lei >>, proposi.
<< Se mi insulta lei però rispondo >>.
Sospirai. << Se proprio non ne puoi fare a meno… >>.
<< No >>, sentenziò. << Non la sopporto proprio… e poi, anche se mi offendessi tu, io ti risponderei! >>.
<< Stronza! >>, la offesi per metterla alla prova.
Scoppiò a ridere ma per rimanere fedele alle sue parole mi offese a sua volta. << Coglione! >>.
<< Attenta con gli insulti, potrei prenderti a schiaffi o tirarti i capelli >>, la minacciai scherzosamente.
Rise divertita, poi la sua risata scemò e disse in tono sincero: << Ne ho abbastanza di fare a botte >>.
<< O di perdere i capelli? >>, le chiesi con un sorriso divertito.
<< Entrambi >>, rispose.
<< Bene, almeno la prossima volta ci penserai due volte prima di reagire come un lottatore di wrestling >>, commentai.
Scoppiò nuovamente a ridere e dalla sua espressione felice potei constatare che tutto il malumore se n’era andato.
Si girò verso di me e mi sorrise dolcemente. << Grazie Jack, sei un amico fantastico >>.
<< Di niente, aiuto sempre le persone alle quali voglio bene >>.
Si… “alle quali voglio bene”… come no!
Pensai.
<< Anche se sono senza una sesta di reggiseno? >>, chiese scherzando.
Scoppiai a ridere. << Si, direi di si >>.
Debbie prese il telecomando dal comodino vicino al letto. << A quest’ora ci dovrebbero essere alcuni film vietati ai minori >>, disse accendendo la televisione.
Le tolsi il telecomando dalle mani. << Pervertita! Non si vedono questi film! >>, la rimproverai trattenendo a stento una risata.
Mi guardo con finta aria offesa. << Pervertita io?! Chi è quello che si legge i giornaletti porno? >>, ribattè riprendendosi il telecomando.
Mi alzai con la schiena e mi misi seduto verso di lei. << Non più, ora sono un uomo nuovo! >>, dissi con scarsa serietà.
<< Ma per favore! Se vado a guardare sotto il tuo letto di sicuro trovo il giornalino della PlayBoy ed una bambola gonfiabile! >>.
<< Si, si come no, credici bambina >>, dissi strappandole nuovamente il telecomando dalle mani per spegnere la tv.
Con mia totale sorpresa, Debbie mi saltò addosso iniziandomi a fare il solletico con scarsissimi successi visto che io non lo soffrivo più di tanto… ma lei invece si. La iniziai a pizzicare sulla pancia e sui fianchi facendola ridere a crepapelle e fu proprio con quelle innocue risate che iniziammo ad avvicinarci fin troppo. Ad un certo punto ci ritrovammo con i nasi che si toccavano, il respiro che ci accarezzava la faccia e gli sguardi incrociati tra di loro. Quello fu il momento in cui capì che dovevo fare una scelta: andare avanti e pensare poi alle conseguenze inevitabili e disastrose che ci sarebbero state o allontanarmi subito da lei e far rimanere le cose come stavano. A differenza di quello che mi ordinava il cuore, stavo per staccarmi da lei quando dalla sua bocca uscì la frase che fin da quando eravamo piccoli avevo sognato che lei mi dicesse.
<< Jack… credo di essermi innamorata di te >>.
Quella semplice frase mi procurò una gioia immensa soprattutto per il fatto che l’aveva pronunciata in tono sincero e sicuro, senza nessun tentennamento. Il mio cuore iniziò a battere talmente forte che pensavo lo potesse percepire anche Debbie. Per la prima volta dopo quel periodo di depressione, mi sentì… a casa, al sicuro, mi sentì talmente leggero da pensare di essere morto e invece ero ancora nella mia stupida vita che ora però aveva un senso: lei.
<< Io lo sono da sempre >>, le dissi confessandole finalmente quello che avevo sempre temuto di dirle.
<< Davvero? >>, mi chiese con aria sorpresa.
Le accarezzai una guancia senza mai staccare il mio sguardo dal suo. << Fin dal primo giorno, ma ho sempre avuto paura di dirtelo perché non volevo che mi rifiutassi >>.
Mi sorrise e mi prese il viso tra le mani. << Tu sei la persona più simpatica, più dolce e più pervertita che io conosca ed è proprio per questo che mi piaci >>.
Sentì un fastidioso pizzicore agli occhi e lottai contro me stesso per non lasciar uscir fuori le lacrime; che figura ci avrei fatto?! Ero pur sempre un uomo.
<< Ti amo >>, le dissi con il cuore che esplodeva d’amore.
Sembrò sorpresa per un attimo, poi sorridendo avvicinò le labbra al mio orecchio e mi sussurrò: << Ti amo anche io >>.
Le nostre labbra si incontrarono colmando quei pochi centimetri che ci separavano. Ci baciammo assaporando ogni centimetro delle nostre labbra per minuti che mi sembravano infiniti ma che mi godetti fino all’ultimo. Le mie mani massaggiarono lentamente i suoi capelli per poi scendere giù sulla schiena nuda. Le sue labbra si schiusero invitando la mia lingua ad incontrare finalmente la sua in un bacio completo e travolgente che mi spinse a tenerla sempre più stretta a me. Le sue mani vagarono sotto la mia maglietta infuocandomi ogni centimetro di pelle che sfiorava e accentuando sempre di più la mia voglia di lei. Mi spogliò con movimenti frettolosi e quasi imploranti; io feci lo stesso ma molto più lentamente accarezzando ogni parte del suo corpo con le mani che mi tremavano per l’emozione, una cosa che non mi era mai successa perché ogni volta che avevo spogliato una ragazza era stato solo per il desiderio di fare sesso, ora non lo stavo facendo per desiderio, ma per amore.
Per il resto della notte restammo ad amarci con i corpi che si univano esplorandosi a vicenda e assaporando quelle emozioni così grandi e belle che chissà se le avremmo potute riprovare. Chi ce lo assicurava che ci sarebbero state altri momenti come quello in cui c’eravamo solo io e lei e il nostro amore che finalmente si era incontrato e aveva dato sfogo alla sua passione?
Quando uscì da dentro di lei lasciandola ansimante, mi sdraiai al suo fianco e la guardai. Dopo aver preso dei lunghi respiri anche lei si girò verso di me e mi guardò, poi mi prese una mano tra le sue.
<< Vorrei che questo momento durasse per sempre >>, le dissi.
Mi accarezzò una guancia e con un sorriso triste disse: << Anche io >>.
Si addormentò tra le mie braccia mentre io continuavo a stare sveglio in modo che le ore passassero molto lentamente e potessi godere fino all’ultimo secondo del contatto della sua pelle nuda contro la mia, dei suoi capelli morbidi sotto il mio mento, del suo profumo nelle mie narici, delle sue mani strette alle mie.
Improvvisamente mi trovai a canticchiare “A party song”, probabilmente perché l’avevo sentita quella sera. La strofa prima dell’ultimo ritornello fu quella che mi fece pensare a quello che avevamo appena fatto sentendoci bene, felici e innamorati.
 
 “And then we do it again, so we can feel alright.
 Falling in love for the night”.

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Capitolo 8
*** Poppin' champagne ***


“The television set would show me more
Than just a picture of the things I’ve grown to detest
 I strip down my dignity
 They can take all of me
 But they won’t ever take what I still believe”.
 
Nonostante la serata movimentata, riuscì a dormire benissimo grazie anche ad Alex che una volta tornati in albergo mi aveva di nuovo… “assalita”, facendomi dimenticare tutti gli eventi disastrosi della serata. Mi svegliai con un buco allo stomaco per la fame e con il borbottio rumoroso del mio stomaco che rimbombava per tutta la stanza visto il silenzio di tomba che c’era. Mi picchiettai lo stomaco sperando ingenuamente che il borbottio smettesse e invece continuò sempre più forte e sempre più doloroso.
Aprì gli occhi sbuffando. La camera era illuminata completamente dalla luce che entrava dal balcone. Per fortuna era una bella giornata, odiavo prendere l’aereo con il brutto tempo, mi metteva un’agitazione terribile e non facevo altro che giocherellare nervosamente con le mani guardando fuori dal finestrino in attesa dell’atterraggio.
Stavo per alzarmi e andarmi a lavare e vestire per poi scendere di sotto a fare colazione, ma mentre scivolavo pigramente fuori dal letto, le braccia di Alex mi circondarono e mi tirarono verso di lui finché non toccai con le spalle il suo petto. Mi posò il mento su una spalla graffiandomi con quella sua barbetta sexy. Mi girai con la faccia verso di lui per dargli un bacio, ma fui bloccata dall’ennesimo borbottio del mio stomaco.
Alex aveva ancora gli occhi chiusi, ma ridacchiò sommessamente. << Gli puoi dire di fare silenzio? >>, mi chiese con la voce ancora impastata dal sonno.
Risi con lui. << E secondo te mi darà ascolto?! >>.
Un altro borbottio.
<< Credo che quello fosse un no >>, disse Alex.
Aprì gli occhi sbattendo più volte le palpebre. << Buongiorno >>, gli augurai sorridendogli. Ricambiò il sorriso con uno assonnato. << Buongiorno >>.
Rimanemmo per qualche altro minuto stretti l’uno all’altra sotto le coperte a baciarci, poi, facendosi coraggio, Alex uscì dal letto per avvicinarsi al telefono dell’albergo depositato sopra la scrivania dove c’era anche un menu per la colazione che Alex mi passò dicendo: << Perché lasciare il letto per scendere a fare colazione quando ce la possono portare a letto? >>.
Sul menu c’era un sacco di roba da mangiare: uova, pane, frutta, vari tipi di affettati, la pancetta, le salsicce, gli yogurt con i cereali, i biscotti, cornetti, torte e un sacco di altre cose che solo a leggere mi facevano aumentare la salivazione. Alla fine optai per un pezzo di torta al cioccolato con del succo mentre Alex ordinò un piatto di uova e pancetta. Nonostante ormai vivessi in America non mi ero ancora abituata a mangiare carne o uova la mattina, preferivo ancora il tradizionale caffè o il latte con i biscotti.
<< Gusti totalmente diversi >>, ridacchiò Alex quando riattaccò la chiamata.
A turno ci facemmo la doccia -anche se Alex tentò varie volte di insinuarsi con me sotto il getto d’acqua calda- e poi ci vestimmo mentre aspettavamo l’arrivo della colazione che consumammo sul balcone all’aria aperta.
<< Secondo te come sta Debbie? >>, chiesi dopo aver finito di mangiare la mia ottima colazione.
<< Starà bene di sicuro >>, mi rassicurò Alex. << Jack l’avrà riportata in albergo dopo l’azzuffata e probabilmente lei sarà andata in camera di Zack >>.
<< Lo spero, magari si sono fatti coraggio a vicenda >>.
<< Lo so io come si sono fatti coraggio >>, sghignazzò.
Gli tirai addosso uno dei tovagliolini che erano stati messi sul vassoio della mia colazione. << Stupido! >>, esclamai.
<< Come se non la pensassi anche tu così >>, mi rimbeccò togliendosi il fazzoletto da sopra la maglietta.
Lo guardai storto. << Per come stava ieri sera non penso proprio che Zack fosse in vena di fare lo sporcaccione >>.
<< Non si può mai sapere >>, fece spallucce. << I più calmi sono sempre i più pervertiti >>.
Ridacchiai. << Ma dai! >>.
<< È vero! >>, esclamò.
La nostra discussione fu interrotta da qualcuno che bussava alla porta. Alex andò ad aprire facendo entrare Cassadee che, come sempre, sfoggiava il suo bellissimo sorriso come se qualche ora prima non avesse fatto a capelli con un’altra ragazza. A pensarci bene il pregio di Cassadee era proprio quello: l’essere sempre positiva e sorridente. Forse era per quello che lei e Rian formavano una bellissima coppia, aveva tutti e due un sorriso che non si spegneva mai.
<< Buongiorno piccioncini! >>, ci salutò Cassadee saltellando allegramente fino al balcone dove ero rimasta io.
<< Ehi Cass, come mai tutta questa allegria? >>, le chiesi mentre prendeva posto sulla sedia al mio fianco.
Si strinse nelle spalle. << Non lo so, la mattina sono sempre scoppiettante >>.
<< Come lo champagne? >>, chiese Alex con un sorriso divertito tornando a sedersi sulla sedia di fronte alla mia.
Cassadee capì che Alex si stava riferendo ad una delle vecchie canzoni degli ATL e ridacchiò. << Si proprio come uno champagne >>.
<< Allora, stai bene? >>, le chiesi scrutandola dalla testa ai piedi per vedere se avesse qualche livido o qualche graffio, ma era immacolata.
Aggrottò le sopracciglia. << Si, perché dovrei stare male? >>.
Sia io che Alex la guardammo accigliati. Probabilmente non aveva ancora riordinato tutte le idee perché solo dopo un po’ annuì. << Oh si, sto bene, non ho riportato nessuna ammaccatura tranne un forte dolore alla testa per via dei capelli tirati >>, rispose.
Alex ridacchiò. << Sei una forza Cass! >>.
Lo guardai storto. << Non la incoraggiare! >>, esclamai stizzita.
Alex si strinse nelle spalle.
<< Tranquilla, non voglio continuare a fare a botte, ieri è solo… capitato >>, disse Cassadee.
<< Non dovrebbe capitare >>, ribattei.
Cassadee scosse la testa. << Non sono qui per parlare di ieri sera >>, chiarì, << sono qui perché vi devo riferire il programma della giornata >>, continuò cacciando dalla tasca dei suoi jeans una mappa della città sulla quale erano cerchiati con un pennarello rosso alcuni nomi che riconobbi essere di monumenti importanti.
<< Abbiamo un programma della giornata? >>, chiese Alex sporgendosi per guardare la cartina.
<< Pensavi che Matt ti avrebbe lasciato qui dentro a non fare nulla per tutto il giorno? >>, gli chiese Cassadee con un sorriso.
<< No, ma non sapevo avessimo fatto un programma >>, ribattè Alex.
<< Infatti lo abbiamo fatto io, Rian e Matt >>, precisò Cassadee, << e prevede un giro di alcuni dei monumenti più importanti più un giro su un pullman turistico e un po’ di tempo per lo shopping >>.
<< Mi piace! >>, sentenziai sorridendo.
<< Va bene, a che ora si parte? >>, chiese Alex.
<< Tra più o meno un’ora, diamo il tempo a tutti di prepararsi >>.
<< Okay, allora ci vediamo tra un’ora giù? >>, chiesi.
<< Si e se poteste avvisare anche Zack, Jack e… >>, deglutì a fatica, << Deborah, mi fareste un grosso piacere >>.
<< Certo, vado io da Jack e poi passo da Zack e Debbie >>, disse Alex prima di uscire insieme a Cassadee dalla stanza.
 
(Jack)
 
La mattina arrivò troppo presto nonostante avessi lottato fino all’ultimo per addormentarmi il più tardi possibile. Fui svegliato dalle dolci mani di Debbie che mi accarezzavano i capelli e le guance in un modo che mi faceva sorridere nonostante fossi ancora per metà nel mondo dei sogni. Era fantastico svegliarmi con lei al mio fianco, con la sua pelle che riscaldava la mia, con i suoi lunghi capelli tra le dita, con il suo profumo sul cuscino e sulle coperte. Quante volte avevo sognato quel momento, quante volte mi ero svegliato pensando che tutto fosse vero e invece aprendo gli occhi mi ero accorto di essere da solo in un deprimente letto freddo e singolo con altri tre ragazzi intorno a me che russavano come tromboni.
Aprì gli occhi lentamente con il timore che tutto quello che stavo percependo con il tatto e l’olfatto potesse scomparire improvvisamente, rivelandomi che avevo fatto ancora un altro irrealizzabile sogno.
Debbie mi stava guardando con i suoi dolci occhi marroni e mi stava sorridendo mentre la sua mano passava di nuovo tra i miei capelli e poi scendeva giù sulla guancia dove mi accarezzava la corta barba che portavo sempre.
Le sorrisi coprendo la sua mano con la mia. << Buongiorno >>, le augurai sorridendole.
Aprì la bocca per rispondermi, ma la sua voce fu bloccata dal rumore delle nocche che battevano sulla porta della camera. Mi si bloccò il respiro e gli occhi di Debbie si sgranarono al massimo in un’espressione di totale terrore. Mi sembrò quasi di non star respirando tanta era la paura che all’improvviso mi aveva assalito.
<< Debbie? >>.
Mi sentì come se il cuore mi stesse affondando nello stomaco. Era la voce di uno dei miei migliori amici, che mi stava riportando alla realtà. Avevo tradito Zack… ma per quanto mi potessi sentire male, una parte di me era felice di averlo fatto, perché finalmente mi ero sentito felice per una notte, mi ero sentito amato e avevo scoperto che Debbie ricambiava i miei sentimenti.
<< Sono Zack… ci sei? >>.
Rimanemmo immobili a guardarci senza dire nulla, troppo timorosi di quello che sarebbe potuto succedere da lì a qualche minuto. Dopo altri minuti interminabili, Debbie si scosse dal suo stato di shock e disse: << Si, ci sono, aspetta solo un minuto >>.
Scossi la testa cercando di far tornare a pensare lucidamente il mio cervello, ma tutto quello che riusciva a formulare era: e ora che cazzo si fa?
Debbie si infilò in fretta e furia il pigiama che cacciò da sotto il suo cuscino seguita dal mio sguardo curioso e allo stesso tempo terrorizzato. Come avrei fatto ad uscire di lì senza farmi vedere da Zack? E se ci avesse beccati? Sarebbe stata la fine degli All Time Low… Alex mi avrebbe ucciso… Zack mi avrebbe stritolato! Oddio che enorme casino!
Debbie mi si avvicinò e mi prese per le spalle facendomi sussultare visto quanto ero distratto da tutti quei pensieri e quelle domande che mi affollavano la mente mandandomi sempre più nel panico. <>, mi ordinò.
Eseguì i comandi senza obiettare nulla, ma riuscì solo ad infilarmi i pantaloni e a prendere la maglia prima
che Debbie tornasse da me e mi spingesse con gesti frettolosi  dentro l’armadio che per fortuna era abbastanza alto da contenere tutto il mio metro e ottanta se non anche più… era da tanto che non misuravo quanto ero alto.
<< Esci solo quando te lo dico io, cercherò di portare Zack fuori al balcone >>, mi disse reggendo un’anta dell’armadio.
Annuii. << Va bene >>.
Per un attimo mi si strinse il cuore e mi ritrovai a pensare che non era giusto che quella bellissima nottata dovesse finire così… ma se non fossi stato alle indicazioni di Debbie il mio “incontro” con lei sarebbe finito anche peggio, con uno stritolamento di ossa… le mie!
Mi sorrise un po’ tristemente . << Ci vediamo dopo >>.
Mi sporsi verso di lei per baciarla un’ultima volta, desiderando che ci fosse almeno una certezza che in un futuro o vicino o lontano saremmo tornati insieme ad amarci lontano da tutto e da tutti. << Ti amo >>, le sussurrai guardandola negli occhi e sfiorando lentamente una sua guancia.
<< Anche io >>, disse prima di chiudere l’anta ed andare ad aprire a Zack che lo sentì esordire con un: << È passato più di un minuto! >>. Per fortuna lo disse ridendo.
<< Scusa >>, sentì dire Debbie e dalla sua voce capì che era nervosa… chissà se anche Zack lo aveva notato. << Ero in bagno e… mi sono dovuta vestire >>, continuò Debbie.
<< Non ce n’era bisogno, ci sono solo io >>, disse Zack.
Cercai di restare calmo nonostante qualcosa dentro di me mi stesse gridando di saltare fuori dall’armadio e urlare a Zack che lei era mia.
Sentì la porta chiudersi e i loro passi dirigersi verso l’interno della camera. << Allora, come stai? >>, gli chiese Debbie.
Sbirciai nello spazio aperto tra le due ante dell’armadio e riuscì a vedere la porta d’ingresso, poi spostando lo sguardo più alla mia sinistra, li vidi –anche se non molto chiaramente- in piedi vicino al letto uno di fronte all’altra.
<< Bene, anche se ieri sera è stato un incubo… odio vomitare >>, rispose Zack e lo vidi incurvare le labbra in una smorfia di disgusto.
Debbie gli accarezzò una guancia sorridendogli. Chiusi le mani a pugno. << Mi dispiace di non essere venuta da te ieri sera, ma… >>.
<< Hai avuto uno scontro con Cassadee, lo so, me lo ha detto Alex >>.
Debbie annuì. << Già, mi ha pestato il piede >>, spiegò incrociando le braccia al petto.
Zack le sorrise ridacchiando. << Dai, non è nulla, magari non lo ha fatto a posta >>.
Debbie scosse la testa. << Ci odiamo, è ovvio che l’ha fatto a posta >>.
<< Non potreste cercare di far pace? >>, le chiese.
Alzai gli occhi al cielo.
Caro Zack questo gliel’ho già detto io, sei arrivato in ritardo!
Pensai continuando a spiare dalla fessura.
<< Non ci tengo a fare pace con lei >>, tagliò corto Debbie.
Zack sospirò. << Almeno non fare più a botte >>, le toccò il livido che le era affiorato sulla guancia. << Ti fa male? >>.
Debbie scosse lentamente la testa. << No, ci ho messo del ghiaccio >>, rispose in tono normale anche se dal nervoso giocherellare con le sue mani capì che il suo stato interiore era tutt’altro che normale, questo perché stava mentendo ad una persona a cui teneva, al suo fidanzato che aveva appena tradito con il sottoscritto.
Strinsi più forte i pugni, questa volta non per gelosia ma per rabbia verso me stesso. Quella situazione era orrenda, perché per essere felice avevo dovuto incastrarmi in quell’impiccio, in quel casino?! Perché io o Zack non eravamo innamorati di un’altra ragazza, perché tutti e due della stessa?
<< Comunque sono venuto qui perché Alex mi ha informato che tra un’ora usciamo, andiamo a fare un giro per Londra >>, disse Zack.
Debbie gli sorrise. << Forte, sarà divertente >>, commentò mettendo una mano dietro la schiena di Zack facendolo procedere verso il balcone.
<< Si, sicuramente e potrò fare tante foto! >>, esclamò il bassista entusiasta.
Debbie portò Zack sempre più lontano da me e sempre più vicino al balcone continuando a farlo parlare. Con la mano che non cingeva la schiena di Zack, Debbie mi fece segno di andare ed io dopo aver preso un bel respiro, aprì piano piano l’anta dell’armadio. Sperai di essere silenzioso come un gatto.
Debbie spiò alle sue spalle per vedere se stavo uscendo e una volta che si accorse che ero uscito allo scoperto, si affrettò a portare Zack fuori al balcone dove –per fortuna- lui si mise ad osservare il paesaggio senza voltarsi indietro.
Uscì dalla camera voltandomi un’ultima volta a guardare la ragazza che amavo che come me mi guardò e mi salutò con un sorriso triste. Chiusi la porta alle mie spalle senza far rumore.
 
Arrivato al mio piano, scesi dall’ascensore e mi diressi a passo lento verso la mia camera pensando che non ci fosse nessuno in corridoio e invece il mio migliore amico era davanti alla porta della mia camera che bussava ripetutamente senza ottenere risposta… ovviamente.
Cazzo!
Pensai.
Alex si girò nonostante non avessi fatto rumore e mi guardò accigliato. << Dove diavolo eri finito? È la seconda volta che vengo a bussare alla tua camera >>.
Per fortuna ero diventato bravo a mascherare le emozioni, se no Alex avrebbe capito che gli stavo mentendo mentre rispondevo: << Sono stato con una ragazza che ho conosciuto ieri sera >>.
In effetti non era proprio una bugia fino a “ragazza”.
<< Impossibile, dalla discoteca sei uscito con Debbie e suppongo tu l’abbia riaccompagnata qui >>, disse Alex confuso.
Che idiota che ero, non era possibile che l’avessi conosciuta in discoteca, me ne ero andato con Debbie! Però io non avevo specificato ieri sera in discoteca, era stato Alex a pensarlo. Mi si accese una lampadina nel cervello.
<< Infatti, l’ho incontrata dopo aver portato Debbie in camera sua >>, dissi.
<< È dell’albergo? >>, mi chiese.
Annuii. << Si, ma se ne è andata questa mattina >>, risposi.
<< Strano, non ti ho visto quando io e Stella siamo tornati in albergo >>, disse e dalla sua espressione capì che non lo stava dicendo perché sapeva che avevo mentito ma solo per curiosità il che mi fece sospirare silenziosamente di sollievo.
<< Siamo andati ad un bar qui vicino >>, spiegai stringendomi nelle spalle.
Alex annuì. << Okay, spero che tu ti sia divertito >>, mi sorrise dolcemente, un gesto che mi fece crescere un groppo in gola enorme. Alex era il mio migliore amico da molti anni ormai e non c’era nulla che non gli avessi mai raccontano, lui conosceva tutti i miei segreti, mi conosceva per filo e per segno, dalla testa ai piedi fino a quello che avevo dentro… mi sentivo malissimo a non potergli dire quello che era successo veramente, ma sapevo di non potere perché in cuor mio sapevo che Alex si sarebbe incavolato da morire, per lui l’amicizia era una cosa molto importante come la nostra band... anche se nell’ultimo anno non si riusciva a capire se tenesse di più al suo lavoro o a Stella.
<< Ovvio >>, risposi sforzandomi di sorridere divertito.
<< Ero venuto a trovarti perché ti volevo informare che tra più o meno un’ora andremo a fare una passeggiata per Londra >>, mi informò.
Già lo so.
<< Bene, speriamo che non ci attacchino le fan >>, commentai ridacchiando.
<< Oh è meglio che ti nascondi bene, ha detto Cassadee che all’entrata dell’albergo ci sono un centinaio di fans che attendono il nostro arrivo >>.
<< E come faremo ad uscire? >>, chiesi.
Alex mi sorrise. << Abbiamo già trovato un’uscita sul retro dell’hotel >>.
Annuii varie volte. << Okay, allora ci vediamo tra un’ora giù >>.
Alex annuì e si scostò dalla porta della mia camera per dirigersi alla sua che era quella affianco. << Jack? >>, mi chiamò mentre infilavo la chiave nella toppa.
<< Si? >>.
<< Come si chiamava la ragazza? >>.
Per fortuna non dovetti inventare un nome, lo avevo già pensato da tempo, da quando io e Debbie avevamo iniziato a mandarci i messaggi, infatti sulla mia rubrica del telefono lei era salvata con un altro nome che avevo preso da una delle nostre canzoni, proprio per evitare che qualcuno scoprisse la nostra ravvicinata amicizia.
<< Holly >>, risposi con un sorriso a trentadue denti.
 
(Stella)
 
Precisamente un’ora dopo che Cassadee ci aveva avvisati, eravamo tutti nella hall dell’albergo, anche se dire tutti non è esatto visto che della Crew c’erano solo Matt –che quella mattina neanche mi guardava nonostante il giorno prima mi avesse detto che non mi odiava… chi lo capiva era bravo!- e Vinny, della mia band c’erano solo Sam e Travis visto che Christopher stava subendo il tormento dei postumi della sbornia ed Edward come un bravo fratello era rimasto a fargli compagnia; per il resto eravamo tutti: io, i quattro ATL, Debbie e Cassadee.
Prima di uscire dall’albergo, Cassadee distribuì ad ognuno di noi un accessorio o un cappello per camuffarci così da sperare di passare inosservati. A me toccò un capello sportivo rosso con incorporata una parrucca dai corti capelli castani. Appena la indossai raccogliendo tutta la massa dei miei veri capelli in uno chignon, Jack scoppiò a ridere come un’idiota attirando l’attenzione dei dipendenti dell’hotel che ci lanciarono delle occhiate minacciose e rimproveratorie. Jack smise di ridere quando Alex gli mollò uno schiaffo dietro la testa.
Uscimmo dall’albergo in silenzio, in fila indiana, cercando di non far nessun rumore e sperando che nessuna fan si nascondesse dietro l’angolo pronta a saltarci addosso. Seguivamo tutti Rian, che si muoveva come un ninja: veloce e silenzioso e nel mentre si guardava intorno facendo correre lo sguardo in tutte le direzioni possibili. Dietro Rian c’era Cassadee che seguiva i suoi passi guardando anche lei da una parte all’altra, dietro Cassadee c’era Zack che camminava normalmente con le braccia conserte e ogni tanto lanciava occhiate confuse a Rian che si buttava per terra oppure saltava come fosse stato un gatto, ancora dietro c’era Vinny che rideva sotto i baffi per non far rumore; il resto di noi camminava a passi lenti e circospetto ma senza fare mosse strane. L’ultimo della fila era Jack che data la sua altezza, poteva vedere tutti noi e come Vinny stava morendo dalle risate.
Dopo qualche altro rotolamento, Rian finalmente ci informò che la strada era libera, non c’era nessuna fan in giro e così tutti sollevati ci incamminammo a passo più spedito verso il centro di Londra tornando a parlare allegramente. Durante tutta la passeggiata io, Zack e Alex restammo alla fine della sorta di fila che avevamo formato, insieme a Debbie così da assicurarci che fosse il più lontano possibile da Cassadee che invece era davanti con Rian.
Dopo quelli che mi sembrarono pochi minuti, arrivammo al Westminster Bridge, la zona di Londra dove si trovava il Big Ben con il quale ci facemmo varie foto nelle quali io venni con quegli osceni capelli castani, che, nonostante fossero scuri quasi come i miei capelli, non mi stavano affatto bene anche perché sembravano più peli di un cane che capelli veri. Perché a me quell’ingiustizia? E avevo anche un cappellino rosso che mi ricordava quello di Super Mario! Gli mancava solo la M davanti.
Ci facemmo un giro sul London Eye dopo aver fatto una fila di ben venti minuti, poi continuammo a passeggiare seguendo il percorso che Cassadee aveva tracciato per noi.  All’ora di pranzo ci fermammo in un ristorante e dopo aver finito di manguare, prendemmo il bus per fare un tour della città. Finito anche il tour arrivammo con la metro a Piccadilly Circus dove imboccammo una via per i negozi e iniziammo a darci allo shopping.
Dopo alcuni negozi di abbigliamento, ci fermammo in un piccolo supermercato sotto richiesta di Sam e Travis che dovevano acquistare un giornalino di musica che usciva ogni giovedì del mese. Entrammo tutti nel supermercato e seguimmo i due ragazzi verso l’angolo dove si trovavano tutti i giornalini e mentre loro cercavano quello che volevano, noi tornammo a parlottare tra di noi.
<< Sai, mi è venuta un’idea per far fare pace a Debbie e Cassadee >>, mi disse Alex.
<< Davvero? >>, chiesi sorpresa.
Sorrise sghembo. << Si, ed è anche un’idea fantastica! >>, esclamò.
<< Lo spero, perché quello che è successo ieri non si deve ripetere >>.
Probabilmente mi portai sfiga da sola, perché finito di parlare, si sentirono degli insulti provenire dalle nostre spalle e ancora una volta mi venne un colpo riconoscendo la voce delle mie due amiche. Mi girai pronta a vederle prendersi a pugni e tirarsi i capelli e invece erano tutte e due abbastanza distanti l’una dall’altra ma si stavano guardando in cagnesco pronte tutte e due ad entrare in azione nel caso l’altra avesse attaccato per prima. Un giornalino che teneva Cassadee tra le mani attirò la mia attenzione. Mi avvicinai curiosa di sapere quale fosse il motivo di quelle occhiatacce che si stavano lanciando.  << Che succede? >>, chiesi.
Cassadee sospirò e mi passò il giornalino che aveva tra le mani. L’articolo di prima pagina recitava: Cassadee Pope fa a botte con una ragazza in una discoteca di Londra”; sotto il titolo c’era una foto di Cassadee che teneva Debbie per i capelli con un’espressione quasi da assatanata. Da quella foto sembrava che Debbie fosse l’innocua vittima e Cassadee la pazzoide che menava le mani così a cavolo… proprio quello che volevano i giornalisti.
Alzai lo sguardo verso Cassadee e nel farlo mi accorsi che tutti gli altri mi si erano affiancati per cercare di spiare la copertina. Passai a Sam il giornalino così che lo potessero vedere senza me davanti.
<< Questo non doveva succedere >>, disse Cassadee indicando il giornalino.
<< Neanche la vostra “rissa” sarebbe dovuta accadere >>, ribattei scoccando a tutte e due un’occhiataccia.
Debbie si strinse nelle spalle. << È stata colpa sua >>.
Cassadee la fulminò con lo sguardo. << Ti ho solo pestato un piede! Sei tu che hai reagito male >>.
<< Sarei dovuta stare ferma e zitta?! >>, sbottò Debbie.
<< Magari! Almeno adesso non sarei io quella che è sul giornale! >>.
<< Ci sono anche io sul giornale! >>.
<< Ma non c’è il tuo nome! >>.
Okay la situazione si stava facendo accesa e proprio non ci voleva un’altra rissa, così mi misi tra le due ragazze sperando che non scannassero anche me nel caso si fossero iniziate a prendere a pugni. << Okay, la situazione è abbastanza brutta, lo capisco, ma non c’è nessun modo di rimediare alla cosa a parte evitando di picchiarvi e di litigare >>, dissi guardando prima Cassadee e poi Debbie.
<< Stella ha ragione, e se faceste pace? >>, propose Jack.
Ci fu qualche minuto di silenzio nel quale passai con lo sguardo da Cassadee a Debbie a Jack che però stava guardando Debbie la quale ricambiava lo sguardo. Li guardai aggrottando le sopracciglia. Sembrava stessero conversando silenziosamente con il pensiero… che cosa strana.
Debbie infine sospirò e si girò verso Cassadee. << Mi dispiace, non volevo che finissi in prima pagina e… mi dispiace anche di averti dato qualche pugno >>, si scusò.
Sorrisi alla mia migliore amica per farle capire che ero fiera di lei, poi mi girai verso Cassadee che a sua volta sospirò e guardando Debbie disse: << A me dispiace di averti provocato ieri >>.
<< E quindi… amiche? >>, chiese Jack con un sorriso speranzoso.
<< No! >>, sbottarono all’unisono facendomi trasalire.
<< Una… tregua >>, rispose Debbie e Cassadee annuì per far vedere che era d’accordo.
Jack non si perse d’animo e con un’alzata di spalle disse: << Meglio di niente >>.
<< Bene, ora che si è ristabilita la calma >>, disse Zack, << che ne dite se ritorniamo all’albergo? >>.
Ci dicemmo d’accordo con il bassista e riprendendo la metro, tornammo all’albergo entrando sempre dalla piccola porta sul retro. Per tutto il tragitto Debbie e Cassadee tornarono a non parlarsi il che fu una cosa positiva. Entrati nell’hotel pensavamo di essere al sicuro da possibili attacchi dei fan e così ci togliemmo i nostri vari accessori, ma proprio quando attraversammo la hall per prendere l’ascensore, ci ritrovammo davanti a quel centinaio di fans che qualche ora prima si trovava davanti all’hotel. Rimanemmo tutti a fissare le fan con gli occhi sgranati mentre loro ci restituivano lo sguardo con gli occhi lucidi per l’emozione e le bocche aperte in un sorriso. Interruppe quel momento silenzioso, l’altro Matt, l’assistente tour manager, che corse verso di noi. << Aspettate! Non è come pensate! >>.
Ci girammo tutti verso di lui con espressioni confuse.
<< Che vuol dire? >>, chiese Alex.
<< Le abbiamo fatte entrare noi >>, disse Matt.
<< Davvero? >>, chiese Jack sorpreso.
Matt annuì. << Si, è da stamattina che sono qui ad aspettarvi e… non mi è sembrato giusto lasciarle fuori e non concedergli almeno… un autografo, delle foto >>, ci spiegò Matt e aveva perfettamente ragione, non era giusto che quelle ragazze avessero aspettato tanto senza ricevere nulla in cambio.
<< Non sono qui solo per gli All Time Low, ma anche per Stella, per Cassadee… quando gli ricapiterà di avervi tutti insieme nella loro città? >>, continuò Matt.
Il tour manager si avvicinò all’assistente e gli mise un braccio dietro le spalle. << E bravo Matt, hai fatto una cosa davvero molto bella >>.
<< Già, mi meraviglio di te >>, scherzò Vinny.
Alex uscì dal cerchio che avevamo formato seguito da Jack, e si avvicinò alle fans che iniziarono a emettere dei piccoli strilli che riecheggiarono per la hall.
<< Ehi ragazze! Come state? >>, chiese Alex sorridendo amichevolmente alla folla.
Le risposte arrivarono in un coro assordante e per questo non si capirono, ma era proprio quello che volevano i ragazzi, infatti Jack con un sorrisone disse: << Non ho capito nulla ma nel caso che steste male, abbiamo in mente qualcosa che vi farà tirare su >>.
Le ragazze rimasero in un silenzio curioso pronte per vedere la sorpresa. Alex fece segno a Matt di venire da lui e il brunetto obbedì ascoltando la richiesta che il cantante gli stava sussurrando all’orecchio. Matt sparì al piano di sopra accompagnato dall’altro Matt e da Vinny. Io e gli altri ci avvicinammo ad Alex e Jack e con loro iniziammo a firmare autografi e a farci foto con le fans mentre aspettavamo il ritorno dei tre ragazzi della crew.
Interagire con i fan era una cosa che mi riusciva sempre più facile ed era una cosa che adoravo visto quanto li rendeva felici. La prima volta che Debbie mi aveva organizzato un Meet&Greet ero tesissima e non avevo idea di come comportarmi con i fans, ma una volta che mi ero trovata lì mi era venuto tutto naturale, li avevo trattati come se fossero miei amici e li avevo accontentati in qualunque loro richiesta anche la più strana. Era stato divertente e da quel giorno avevo incontrato sempre più spesso i fans, rendendomi conto di quanto mi rendesse felice il far spuntare sui loro visi dei sorrisi giganteschi solo con un abbraccio o una foto.
I due Matt e Vinny tornarono quando noi ancora eravamo a metà del giro, portando con loro due chitarre acustiche e una sorta di tamburo che avrebbe sostituito la batteria. Finimmo di fare gli autografi e tornammo vicino agli altri. Alex prese una delle chitarre in mano e così anche Zack al quale Jack aveva lasciato il posto di chitarrista, Rian prese il tamburo e si sedette sul braccio di una poltrona lì vicino.
<< Okay ragazzi, vi vogliamo regalare una performance >>, disse Alex sorridendo sghembo. << Vi suoneremo Poppin Champagne! >>, annunciò.
I fans urlarono.
<< Jack, Cassadee, Stella, vi unite a me? >>, ci chiese Alex.
Accettai con entusiasmo. Adoravo quella canzone e anche il video, l’avevo visto almeno un centinaio di volte.
<< Ovvio, oggi mi sento scoppiettante >>, accettò Cassadee facendo l’occhiolino ad Alex che rise.
<< Siamo pronti? >>, chiese Jack.
Annuimmo.
Rian sorrise e ci diede il tempo. Alex iniziò a cantare e con lui anche le fans. Ci dividemmo la canzone in pezzi anche se Jack non era proprio intonato, ma per fortuna Alex lo aiutò cantando con lui il pezzo prima del penultimo ritornello, e il pezzo prima dell’ultimo ritornello lo cantò insieme a me. Chissà perché nell’osservare Jack cantare quei due pezzi mi sembrò che non stesse solo cantando, senza alcuna emozione, stava cantando… come se le parole della canzone fossero i suoi pensieri… ma potevo anche sbagliarmi.
 
You’ve got me thinking that
 Lately I’ve been wishing
 The television set would show me more
 Than just a picture of the things I’ve grown to detest
 I strip down my dignity
 They can take all of me
 But they won’t ever take what I still believe”.
 
 “I know, I know, I know
That there’s a place for me somewhere out there
I know, I know, I know
That there’s a place for me somewhere out there”.
 
Due ore dopo quella piccola performance, io, Debbie e la mia band eravamo davanti al bus nero che avremmo abbandonato presto per volare fino in Francia con l’aereo; gli ATL e gli altri erano di fronte a noi, schierati come dei soldati, pronti a salutarci uno ad uno. Era triste pensare come il mio tempo insieme ad Alex fosse volato e che adesso saremmo stati di nuovo separati per tanto tempo, ma cercai di farmi forza ricordando le parole di Pierre. Prima che ce ne andassimo, Alex rivelò a tutti quale era la sua idea per far fare pace a Cassadee e Debbie: Cassadee doveva venire con noi in tour visto che il suo era finito e aveva alcuni mesi liberi. L’idea sorprese tutti, ma era davvero geniale, lo stare insieme per i mesi a venire avrebbe fatto bene a tutte e due e magari si sarebbero iniziata a sopportare un po’ di più. Speravo solo non facessero a botte, perché a quel punto l’idea di Alex sarebbe stata pessima. Cassadee accettò l’idea sotto richiesta di Rian che le promise in cambio qualcosa che non ci fu dato sapere, ma che entusiasmò tanto la cantante e per questo doveva essere qualcosa di fantastico ma che per uno strano sesto senso non volevo sapere. Durante i saluti generali, non mi ero persa il lungo abbraccio che si erano scambiati Jack e Debbie al contrario degli altri che erano stati troppo distratti per accorgersene. Mi trovai a pensare che c’era qualcosa che non sapevo e ne ebbi ancora di più la conferma quando Debbie salita sul pullman, si sedette sul divano e non fece altro che guardare il vuoto per qualche minuto. Decisi di non indagare… almeno per il momento, sperando che sarebbe venuta lei a raccontarmi quel qualcosa che non sapevo; non dovetti aspettare molto, quando fummo quasi arrivati all’aeroporto, Debbie mi portò nella stanza del relax e ci chiuse dentro.
<< Ma che stai facendo? >>, le chiesi confusa.
Si morse il labbro inferiore e vagò con lo sguardo per la stanza; dopo un minuto parlò guardandomi dritto negli occhi. Era preoccupata.  << Devo dirti una cosa >>.
 
 
 
Buonaseraaa :3

Vi ho lasciato con la suspance u.u mi piace un sacco quando riesco a finire un capitolo con frasi "ad effetto" xD. Probabilmente visti i giorni di vacanza metterò il continuo a breve senza farvi aspettare una settimana :).
Dedico questo capitolo a Matt Colussy che ha lasciato la crew solo da pochi giorni :( ci mancherà <3 
Chiudo il capitolo con una foto recente di Zack e Jack :) la loro amicizia (nella mia storia) è appesa ad un filo... (tanto per essere drammatici xD).
Un bacio!

Miki :)
 

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Capitolo 9
*** Holly ***


“Just one fix
To keep me in the mix
 And I’m still strung out on you
 Drove all night
 I’m a deer in your headlights
 What’s left of me you’ll swallow soon
 Too much of you is never enough”.
 
Non prendere l’aereo che mi avrebbe portato in Francia era una cosa che non avrei mai immaginato di fare quella mattina, quando ero ancora convinta che tutto andasse bene e che le persone che mi stavano intorno stessero tutte bene… invece ero stata imbrogliata dalle persone che pensavo di conoscere davvero bene; non mi ero neanche accorta che mio fratello stesse male! Come diavolo avevo fatto?! Gli avevo creduto, ecco come, mi ero lasciata convincere dalle sue parole, dal suo comportamento normale… ero stata un’emerita idiota, mi sentivo malissimo ma allo stesso tempo ero piena di rabbia perché quello che era successo non era una cosa da niente, avrebbe potuto cambiare ogni cosa. Probabilmente Jack l’aveva fatto a posta ad imbrogliarmi, per farmela pagare per quando non  gli avevo detto dei miei sentimenti per Alex.
La rabbia mi guidò fino all’albergo e poi fino alla camera di Jack alla quale bussai con le mani strette a pugno. Jack aprì la porta dopo poco e prima che potesse sorprendersi della mia presenza lì, lo superai ed entrai nella camera andando a fermarmi proprio al centro.
<< Che diavolo ci fa… >>.
<< So che cosa è successo con Debbie >>, dichiarai interrompendo la sua domanda alla quale dopotutto avevo risposto.
Jack sgranò gli occhi per la sorpresa, ma ben presto quell’emozione venne sovrastata dalla preoccupazione, dalla paura… le stesse emozioni che avevo visto negli occhi della mia migliore amica.
 
Mi sedetti su uno dei divani della stanza del relax e Debbie fece lo stesso andandosi a sedere di fronte a me. Era nervosa e non riusciva a guardarmi e la cosa iniziava a spaventarmi.
<< Che succede?  >>, le chiesi per spingerla a parlare.
Fece qualche bel respiro per cercare di calmarsi ma non ci riuscì, infatti continuò a giocherellare nervosamente con le mani e a guardarsi intorno indecisa non facendo altro che aumentare la mia ansia. Quando ormai ero arrivata al limite di sopportazione, Debbie si chiuse a modi riccio con la testa appoggiata alle ginocchia e le mani che stringevano le gambe al petto. << Sono andata a letto con Jack >>, sussurrò.
Sentì ogni muscolo del mio corpo bloccarsi così come anche il respiro. Il mio sguardo era fisso su Debbie, ma non stavo guardando lei, ero persa nei mie pensieri, che giravano tutti intorno alla frase che era appena uscita dalle labbra della mia migliore amica che era fidanzata con il bassista della band di mio fratello, con il quale era andata a letto. Oddio. Jack, mio fratello, era andato a letto con la mia migliore amica che era fidanzata con uno dei suoi migliori amici. Oh mio Dio!
Tornai ad essere padrona del mio corpo e riuscii a sbattere le palpebre tornando a fare attenzione a quello che stava succedendo davanti a me. Debbie continuava a stare rannicchiata e si dondolava lentamente come a cullarsi.
Non sapevo bene cosa dire, ero scioccata, era una situazione alla quale non avevo mai neanche lontanamente pensato. << Tu… come… oddio >>, affondai con la faccia nelle mani cercando di tirare fuori una frase sensata. << Come è potuto  succedere? >>, le chiesi riemergendo dalle mie mani e guardandola. Anche lei alzò il viso verso di me anche se evitò accuratamente di guardarmi. << Io e Jack siamo in contatto da un po’ >>.
Deglutì a fatica. Erano in contatto? Che voleva dire quell’ “erano in contatto”?  << Da un po’ quanto? >>, chiesi.
<< Qualche mese, da quando lui è entrato in quella che chiama “depressione” >>, mi spiegò.
Jack era in depressione? Perché io non lo sapevo?
<< Perché Jack è… >>, mi tornò alla mente quello che mi aveva detto Alex durante la videochiamata: Jack era strano, si sentiva solo… cavolo Alex ci aveva visto giusto! E Jack mi aveva mentito. << Si sente solo non è vero? >>, le chiesi.
Debbie annuì. << Aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino, di qualcuno che lo amasse >>.
Sorrisi amaramente. << Come te? >>.
<< Non è stata una cosa programmata, ho capito solo ieri di essere innamorata di Jack >>.
<< Sei innamorata di lui? >>, chiesi con gli occhi sgranati.
<< Già e anche lui di me >>, rispose e sul suo viso vidi affiorare un piccolo sorriso che però mi diede fastidio.
Mi massaggiai la fronte con una mano forse sperando di cancellare quello che avevo appena appreso. << E Zack? >>, chiesi tornando a guardarla. << Non hai pensato a Zack? >>.
Non mi rispose, si strinse ancora di più le gambe al petto.
Lasciai perdere quella domanda e presa da un improvviso scoppio d’ira, mi alzai. << Perché non me lo avete detto? Perché Jack mi ha mentito dicendo che stava bene? Se me lo avesse detto non sarebbe successo quello che è successo! >>.
<< Sarebbe successo lo stesso perché ci amiamo >>, ribattè Debbie. << E poi… tu sei troppo presa da Alex per pensare a lui >>.
<< Cosa?!>>, esclamai per tutte e due le domande. << Voi vi amate? Io penso solo ad Alex? >>.
<< Si, ci amiamo e si, Alex è l’unica cosa a cui pensi, per questo Jack si sente abbandonato >>.
<< Ah si adesso è colpa mia se lui si sente solo! >>, sbottai.
<< No, anche perché era… è… l’unico non fidanzato >>.
<< E ovviamente tu hai posto rimedio al suo problema vero? Pensando bene di tradire Zack >>, commentai acida.
Mi lanciò un’occhiataccia. << Io non ho posto rimedio a nulla! Io ho fatto quello che mi ha ordinato il cuore >>.
<< E a Zack che fine ha fatto fare il tuo cuore? >>, le chiesi in tono irritato.
Si morse un labbro. << Lo amo ancora, ma… con Jack è tutto diverso, con lui riesco a parlarci, con lui sono felice >>.
<< Hai idea del casino che avete combinato? >>, le chiesi quasi esasperata.
<< Non abbiamo creato nessun casino >>.
<< Per adesso! >>, esclamai. << Ma come la metteremo quando Zack verrà a saperlo? >>.
Debbie evitò la mia domanda con una scrollata di spalle, probabilmente non sapeva cosa rispondere. << Non capisco perché ti scaldi tanto >>.
<< Perché mi avete mentito! >>, sbottai. << Sono la tua migliore amica e non mi hai mai detto niente del tuo avvicinamento a mio fratello e del fatto che provassi qualcosa per lui >>.
<< L’ho saputo solo di recente, non me ne sono accorta prima >>, si giustificò.
<< Ma comunque non mi hai detto che stava male >>.
<< Perché avrei dovuto farlo? Sono sua amica e ho mantenuto il suo segreto >>.
<< Ma sei anche mia amica, avresti dovuto dirmelo >>.
<< Perché? >>, chiese. Adesso era lei quella irritata.
<< Perché avremmo evitato questo guaio! >>, quasi urlai. << Non hai idea di che cosa comporterà questa vostra semi relazione, non hai idea di quanti problemi e quante discussioni farà nascere >>.
<< Io… >>, prese un bel respiro, << non so cosa fare, sono confusa… io amo Zack e non voglio farlo soffrire >>.
<< È troppo tardi >>, dissi e mi buttai sul divano cercando di calmarmi senza successo.
Non riuscivo a placare in me la sensazione di essere stata tradita, imbrogliata dal mio fratellone… proprio come lui si era sentito con me.
Mi alzai dal divano e mi avviai verso la porta. << Ci vediamo in Francia >>, dissi e Debbie mi lasciò andare senza fermarmi.
 
 << C… c… cosa… come? >>, balbettò Jack.
<< Debbie ha vuotato il sacco >>, risposi incrociando le braccia al petto. << Cosa che a parer mio avrebbe dovuto fare anche prima invece di farmi pensare che ogni volta che prendeva il cellulare era per mandare un messaggio a Zack, il suo fidanzato >>, sottolineai l’ultima parola.
Jack si passò una mano tra i capelli. << Lo so che ho combinato un pasticcio, non c’è bisogno che tu mi rimproveri >>, disse andandosi a sedere sul suo letto con la testa appoggiata sulle mani.
<< Invece si! >>, esclamai voltandomi verso di lui. << Non solo hai combinato un casino, ma mi hai anche mentito quel giorno, quando ti ho chiamato per sapere se stavi bene e tu mi hai detto di si, anche se a quanto pare non era vero >>.
Sospirò. << Io… mi dispiace, okay? Non era necessario che tu sapessi di questa mia sorta di depressione >>.
<< E perché no? Avrei potuto aiutarti >>, dissi cercando di mantenere la calma.
Scosse la testa e rise amaramente. << Non puoi aiutarmi >>.
<< Perché? >>.
<< Perché… è una cosa che dipende da me, perché sono cambiato >>.
Non riuscivo a capire cosa intendesse e il tono triste con il quale mi aveva risposto fece sparire improvvisamente la mia rabbia. << Che vuoi dire? >>.
Sospirò nuovamente e per un attimo chiuse gli occhi. << Tutta questa… storia è iniziata da quando tutti quanti avete trovato l’amore della vostra vita e siete contenti come delle pasque e non fate altro che stare insieme, baciarvi, riempirvi di parole sdolcinate… >>.
<< Sei geloso? >>, gli chiesi un po’ sorpresa e un po’ preoccupata. Alex alla fine aveva ragione.
Alzò lo sguardo e io potei vedere tutta l’angoscia e la tristezza che l’opprimeva. << Si, ma non del fatto che tu stia con Alex o che Rian stia con Cassadee, ma del fatto che anche io vorrei qualcuno che mi stesse accanto >>, deglutì varie volte prima di continuare ma questa volta lo fece senza guardarmi. << Non ho mai desiderato niente di simile, lo so, sono sempre stato il tipo che non crede alle storie serie, ma… qualcosa è cambiato, in questo periodo mi sento più solo che mai e non vorrei esserlo, vorrei tornare ad essere il me di sempre, ma è come se fosse un’identità che non mi appartiene più >>.
<< Jack, tu non sei solo >>, dissi avvicinandomi a lui di qualche passo. << Tu hai Alex, me e tutti gli altri >>.
Scosse lentamente la testa. << Da quando tu ed Alex state insieme sembra che non abbiate più posto nei vostri cuori per me, sembra che esistiate solo voi due nel vostro mondo >>.
Mi diede una strana sensazione il vedere Jack così sconfitto e abbattuto e mi fece male sentirgli dire quelle cose perché non erano assolutamente vere; magari ora che stavo con Alex ero più propensa a pensare sempre a lui e a stare sempre con lui, ma non per questo non volevo più bene a Jack, per me era sempre la persona più importante nella mia vita e lo sarebbe sempre stata.
Mi andai a sedere accanto a lui e gli poggiai una mano su una gamba. << Jack, io ti voglio bene, non ti ho mai abbandonato, non lo farei mai >>, dissi. << Anche se sono fidanzata con Alex non vuol dire che non ho tempo per te, perché sei mio fratello e nessuno è più importante di te >>.
Mi guardò e nonostante i suoi occhi fossero tristi, sorrise. << Lo sai che non ti crederò mai, vero? >>.
Lo spinsi scherzosamente. << Devi, perché sono seria e… non voglio che tu pensi che non ti puoi aprire con me, perché puoi >>.
<< Ma di questa situazione con Debbie non ne sei contenta, vero? >>, mi chiese guardandosi i piedi.
Non era un fatto di contentezza, non importava se io ero contenta o no, quella situazione complicava ogni cosa e comprometteva l’amicizia tra Jack e Zack e scommettevo anche quella con gli altri due membri della band.
<< Mi fa abbastanza strano pensare a te e Debbie >>, ammisi, << e potrei essere contenta di questo fatto, ma… questa situazione è un gran casino >>.
<< Zack non se lo merita, lo so e credimi non voglio ferire uno dei miei migliori amici, ma sono innamorato di Debbie da tanto tempo ed ora che so che lei ricambia i miei sentimenti non ho nessuna intenzione di lasciarmela scappare >>, disse. << Anche perché lei mi è stata vicina in tutto questo tempo e mi ha fatto sentire di nuovo felice, con lei vicino tutta la tristezza se ne va e io non mi sento più solo >>.
<< Sai che se Zack lo verrà a sapere si arrabbierà molto e probabilmente anche Alex e Rian? >>, gli chiesi.
Annuì. << Lo so, ma Zack non deve per forza venirlo a sapere >>.
Lo guardai con gli occhi sgranati. << Stai dicendo che vuoi fare l’amante? >>.
Si strinse nelle spalle. << Se non c’è altra soluzione >>.
Mi alzai dal letto di nuovo animata da un moto di rabbia. << Jack così peggiori solo le cose! >>, sbottai. << Tu non puoi stare con Debbie, sarebbe un casino e perderesti dei buoni amici nonché il lavoro >>.
Mi guardò storto. << Allora non hai ancora capito >>.
<< Io ho capito, ma tu non puoi stare con Debbie >>.
<< Ti piacerebbe se ti dicessi che non puoi stare con Alex? >>, mi domandò in tono irritato.
<< No, ma è diverso, io non sono fidanzata con un altro! >>.
<< Debbie può lasciare Zack >>, propose Jack.
Aggrottai le sopracciglia. << Glielo hai almeno chiesto? Che ne sai che lei vuole lasciare Zack? >>.
<< Lei mi ama >>.
<< Ma ama anche Zack >>, ribattei. << Non puoi decidere per lei >>.
<< Non sto decidendo per lei, sto facendo un’ipotesi per continuare a stare con Debbie visto che la prima non l’hai apprezzata >>, precisò.
<< Non ci sono soluzioni! Non potete stare insieme! >>.
<< Tell, non mi interessa di perdere la band o i miei amici, non lascerò andare via Debbie, non posso >>.
Lo guardai prendendo un bel respiro. << Allora non venirmi a cercare quando rimarrai davvero da solo >>, dissi e con un’uscita di scena teatrale, mi diressi verso la porta, dritta all’ascensore e fuori dall’hotel dove George mi stava aspettando. Non volevo che gli All Time Low si sciogliessero; capivo Jack, sapevo cosa voleva dire amare una persona e sapere di non poterci stare insieme, ma non potevo permettergli di distruggere tutto quello che aveva e quello che voleva fare era assurdo! Fare l’amante? Ma da dove gli era uscito fuori?! Probabilmente era impazzito.
Non sapevo cosa fare e per tutto il viaggio verso la Francia continuai a ipotizzare soluzioni su soluzioni ma nessuna di quella che pensai risultò abbastanza brillante da risolvere tutto. Era meglio essere sinceri, ma la sincerità avrebbe portato ad un pasticcio e una bugia prima o poi sarebbe comunque venuta a galla, Jack e Debbie non poteva stare mica tutta la vita a fare gli amanti.
Il viaggio fu un’ora e mezza di contorti ragionamenti che mi fecero venire un mal di testa bestiale… fantastico!  Arrivata all’aeroporto, trovai Cassadee ad aspettarmi. << Ehi Stella! Finalmente sei arrivata! >>, esclamò abbracciandomi come se non ci vedessimo da tempo.
<< Si, avevo una cosa da fare >>, risposi vaga.
<< Ho visto, sei scappata dal bus di fretta e non hai spiegato nulla >>.
<< E non intendo farlo neanche adesso >>, chiarì prima di essere bombardata di domande.
<< Perché? Che cos’hai fatto di così segreto? >>, mi chiese curiosa.
<< Nulla che ti interessi >>, risposi.
<< C’entra per caso la biondina? >>.
Mi si gelò il sangue nelle vene ma non lo diedi a vedere. << Perché me lo chiedi? >>.
Si strinse nelle spalle. << Era un po’ giù quando te ne sei andata e vi abbiamo sentite discutere >>.
Mi girai verso di lei presa da un’improvvisa paura. << Avete sentito cosa dicevamo? >>.
Cassadee aggrottò le sopracciglia. << No, ma ora che vedo che questa cosa ti spaventa tanto mi pento di non aver origliato >>.
Tirai un sospiro di sollievo e non badando al suo commento, mi diressi con lei e George fuori dall’aeroporto dove mi aspettava un nuovo bus nero dove gli altri si erano già sistemati. Il nuovo bus era talmente simile a quello vecchio che mi domandai se non fosse lo stesso arrivato dall’Inghilterra a bordo di una nave. Appena salita sul bus venni accolta da un sacco di domande che ignorai dirigendomi al piano di sopra nel mio piccolo angolo appartato: il mio letto. Debbie non si vedeva in giro e di questo ne fui abbastanza felice, non mi andava di affrontare una nuova discussione, avevo ancora la testa che mi faceva male e l’unica cosa che avevo in programma di fare per quella sera, era riposarmi un po’ e chiamare Alex… per raccontargli tutto. Non ero riuscita a trovare una soluzione e mi serviva un aiuto, mi serviva qualcuno con cui parlarne, qualcuno che mi avrebbe fatta sentire meglio e l’unica persona era Alex. Non volevo spargere la voce di quello che era successo, volevo solo dirlo ad Alex sperando che lui non si incavolasse con Jack ma che invece lo convincesse a lasciar perdere.
Composi il numero e mi portai il telefono all’orecchio aspettando che gli squilli finissero rimpiazzati dalla sua voce. << Stell! >>, esclamò al terzo squillo.
Presi un bel respiro sentendomi improvvisamente più tranquilla. << Ehi >>.
<< Te ne sei andata solo da qualche ora, non mi aspettavo di sentirti così presto >>.
<< Mi annoiavo >>, risposi improvvisamente incerta. Era davvero una buona idea dirlo ad Alex?
<< Oh be’ è un bene che tu abbia chiamato comunque, perché ho una cosa da raccontarti >>.
<< Si anche io >>, dissi.
Avanti Stella, racconterai ad Alex quello che è successo e lui ti aiuterà a risolvere la situazione, non c’è nulla di cui aver paura, nulla per cui non dovresti raccontarglielo.
<< Vuoi iniziare tu? >>.
<< No, raccontami prima tu >>.
Io devo trovare il coraggio.
Aggiunsi mentalmente.
<< Stamattina, quando sono andato a dire a Jack del programma che avevamo per la giornata, l’ho trovato che stava rientrando in camera e indossava ancora i vestiti di ieri sera >>.
Trattenni il fiato aspettando che Alex finisse di raccontare. E se già sapeva di Jack e Debbie?
<< Gli ho chiesto dove era andato e lui mi ha detto che aveva passato la notte da una ragazza che aveva incontrato in albergo >>.
Ancora non osavo respirare. Chissà perché ora l’idea che Alex potesse sapere tutto mi spaventava e mi faceva rendere conto che se lo sapeva Alex forse non ci sarebbe voluto molto perché lo venissero a sapere anche gli altri tra cui Zack.
<< All’inizio non ci ho molto creduto, perché lo conosco e lo so quando sta mentendo e in quel momento mi è sembrato che mi nascondesse qualcosa, infatti gli ho chiesto come si chiamava la ragazza per metterlo alla prova >>.
<< E? >>, chiesi presa dall’ansia.
<< E lui mi ha detto che si chiamava Holly >>.
Holly? Mio fratello non aveva per niente fantasia, aveva preso il nome da una delle loro canzoni! Di sicuro
 Alex aveva capito tutto.
<< E quindi… gli credi? >>, chiesi mordicchiandomi un labbro.
<< Prima no, ma quando siamo tornati in albergo, dopo che voi ve ne siete andati, con una scusa ho preso il suo telefono e ho controllato i suoi messaggi e questa Holly esiste davvero! Ma da quello che risulta dai messaggi si conoscono da molto tempo, Jack non l’ha conosciuta ieri >>.
Ripresi a respirare sentendomi libera dal peso che mi opprimeva il petto. Alex non sapeva nulla, Jack aveva avuto una buona idea per nascondere il suo avvicinamento a Debbie ed io non ne potevo essere più che felice. Non potevo dire ad Alex quale era la verità, volevo bene a Jack e dovevo proteggerlo il meglio che potevo. Se lo avessi detto a qualcuno le possibilità che Zack lo venisse a sapere si sarebbero raddobbiate e allora sarebbe stata davvero la fine. Non ero contenta di quello che voleva fare Jack, non ero contenta del fatto che avesse tradito un suo amico, ma credevo nel fatto che fosse innamorato e se c’era una persona che avrei voluto vedergli accanto quella era proprio la mia migliore amica che ero sicurissima che lo avrebbe reso felice… lui meritava di essere felice e io non glielo avrei impedito.
<< Meno male, vuol dire che si sta sentendo con una ragazza e che probabilmente ora è felice >>, dissi.
<< Già, ne sono contento anche io, da quello che si scrivono si vede che tengono l’uno all’altra >>.
Sorrisi. << Ne sono contenta, gli serviva proprio qualcuno che gli stesse accanto >>.
Una lacrima mi scese lentamente su una guancia mentre ripensavo a come avevo lasciato Jack e a come mi ero arrabbiata con Debbie; non avrei dovuto arrabbiarmi, non avrei dovuto ferirli, non se lo meritavano, non era colpa loro e io ero stata un’idiota a prendermela con loro.
<< Mi dispiace solo che non me lo abbia detto, sono comunque il suo migliore amico >>, ammise Alex.
<< Tranquillo, probabilmente lo farà presto >>, lo rassicurai anche se sapevo che gli stavo mentendo.
<< Lo spero >>, commentò. << E tu, che mi dovevi dire? >>.
Mi asciugai la lacrima. << Nulla, mi hanno perso il bagaglio all’aeroporto >>.
 
Bussai alla porta della stanza relax dove Sam mi aveva detto che Debbie si era rintanata da quando erano arrivati.
<< Chi è? >>.
<< Stella >>, risposi.
Il silenzio più assoluto.
Debbie non era una persona rancorosa, mi perdonava sempre ogni cosa visto che ero sempre io quella che faceva sciocchezze, ma in quel momento, mentre il silenzio persisteva provai improvvisamente paura al solo pensiero che lei questa volta potesse non perdonarmi.
Aprì la porta senza aspettare oltre ed entra nella stanza piena di divani. Non si girò quando entrai, restò a guardare il paesaggio francese fuori dal finestrino con un’espressione neutra dipinta sul viso. In silenzio mi andai a sedere di fronte a lei. Mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo per quanto quella stanza somigliasse a quella del vecchio bus dove qualche ora prima io e Debbie avevamo discusso.
<< Visto?! Sono arrivata presto, per niente in ritardo >>, dissi cercando di smorzare il silenzio e farla parlare, ma a scarso successo, ottenni solo un profondo sospiro.
Sospirai a mia volta. << Ho litigato anche con Jack >>, dissi decidendo di andare subito al sodo. << È stata colpa mia, ho cercato di convincerlo a lasciarti perdere, ma ho sbagliato >>.
Gli occhi marroni di Debbie si spostarono leggermente verso la mia direzione, un gesto che mi spinse a continuare. << Lui tiene a te e io sono stata una stupida a cercare di fargli cambiare idea, perché… lui è felice! E non c’è cosa più bella che io possa desiderare per lui che avere una fidanzata, una ragazza che si prende cura di lui e che lo ami >>, la guardai e lei girò la testa verso di me. << Sarei felicissima se quella ragazza fossi tu, perché ti conosco e so che saresti perfetta per lui >>.
Gli occhi della mia migliore amica erano velati di lacrime ed erano anche rossi, segno che durante la mia
 assenza non era solo rimasta a pensare.
<< Mi dispiace tanto di essermi arrabbiata, non avrei dovuto, io sono contenta per te, per voi >>.
Senza preavviso e cogliendomi totalmente di sorpresa, Debbie si alzò e mi si sedette addosso per abbracciarmi. Scoppiò in silenziosi singhiozzi che le facevano sobbalzare il petto. << Mi fa piacere che tu non sia più arrabbiata, ma io non so come fare >>, mi sussurrò quando i singhiozzi si furono placati.
Le accarezzai i capelli cercando di calmarla. << Non lo so neanche io >>, ammisi. << Devi cercare di fare chiarezza nei tuoi sentimenti >>.
<< Non voglio ferire nessuno >>.
Avrei dovuto dirle che uno dei due ragazzi che amava avrebbe sofferto, ma preferì non farlo.
Jack aveva proprio sbagliato a dare a Debbie il nome Holly, perché la ragazza descritta nella canzone degli ATL era completamente diversa dalla mia migliore amica.
 
 “You took what you wanted
 You got it
 You know when I’m haunted
 By everything that you gave me
 You made me, you broke me, you saved me
 You’re crazy, but I’m not done
 
So when’re you gonna give it up?
 You’re giving me such a rush
 Come on, Holly
 Would you turn me on?
 (Holly, would you turn me on?)
 Just another pretty face
 But I want one more taste
 Come on, Holly
 Would you turn me on? “.

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Capitolo 10
*** No idea ***


 

“Now there’s a piece of me

Tells me I shouldn’t leave

Every time I see your face

Because every time you come around

Well, you take my breath away”.

 

Passò un mese e la situazione rimase invariata, ma Debbie era più serena e lei e Jack continuavano a sentirsi ogni giorno di nascosto. Con Jack non avevo ancora chiarito, aspettavo il momento in cui ci saremmo rivisti e avremmo potuto parlare a voce, mi sembrava stupido chiedergli scusa per telefono quando l’unica cosa che volevo fare era abbracciarlo e dirgli che da allora in poi non sarei stata più la terribile sorella che avevo dimostrato di essere. E pensare che gli avevo detto che sarebbe rimasto solo quando poco prima gli avevo detto che non lo avrei mai abbandonato… probabilmente pensava fossi un’idiota incoerente, una falsa. Mi pesava aspettare, ma volevo fare le cose per bene.

Il tour proseguiva bene, dall’aeroporto di Parigi ci eravamo spostati con il bus verso il Belgio dove avevamo fatto solo due concerti, poi eravamo tornati in Francia per altri concerti e quel pomeriggio saremmo tornati a Parigi per l’ultimo concerto prima di spostarci in Germania il giorno dopo. Purtroppo quel giorno iniziò proprio male, quando ancora era buio iniziai a provare un forte mal di pancia che mi tenne sveglia per qualche ora fino all’arrivo del giorno. Probabilmente era colpa del ciclo che quando arrivava mi distruggeva con sintomi sempre diversi e ne esistevano davvero tanti, aveva solo l’imbarazzo della scelta.

Per fortuna riuscì a dormire un po’ e quando mi svegliai tutti gli altri erano già svegli e li sentivo parlare al piano di sotto. Cassadee dormiva sul divano al piano di sotto visto che non avevamo un letto per lei e invece di mandarla nell’altro bus insieme alle guardie del corpo e i tecnici dove di posto ce n’era eccome, avevamo preferito tenerla con noi e lei aveva accettato ben volentieri il divano. Il rapporto tra lei e Debbie procedeva bene, riuscivano a fare una conversazione normale senza iniziare ad insultarsi il che era già tanto; Alex sarebbe stato orgoglioso del fatto che il suo piano stava dando buoni frutti.

Nonostante fossi sveglia dovetti restare qualche minuto ancora nel letto bloccata da un forte giramento di testa che mi aveva fatto vedere per un attimo il mondo capovolto. Quando tornai a vedere il mondo normalmente, mi alzai e mi diressi al bagno già pronta con un assorbente in mano, ma non mi servì, probabilmente quelli erano solo dei dolori di preavviso, sarebbe arrivato presto, non potevo scampare.

Scesi al piano di sotto dove aleggiava un gustoso profumo di pancakes appena fatti che stava a significare solo una cosa: Travis si era messo ai fornelli.

<< Buongiorno! >>, esclamai facendo girare le teste dei miei amici verso di me.

<< Ehi Stella! Buongiorno >>, mi salutò allegro Travis che aveva un grembiulino da cucina legato dietro la schiena.

<< Buongiorno Tella, hai dormito male? >>, mi chiese Debbie scrutandomi attentamente.

<< Perché? Si vede? >>, chiesi preoccupata.

Debbie annuì. << Hai delle orrende borse sotto gli occhi >>.

Sospirai. << Tutta colpa del ciclo >>.

<< Bleah! >>, esclamò Christopher con un paio di pancakes infilati nella bocca.

<< Potrei dire lo stesso >>, dissi facendo una smorfia.

<< Non si parla di problemi femminili a prima mattina! >>, mi rimproverò Chris.

<< E tu non farmi vedere quello che mastichi a prima mattina >>, ribattei andando a prendere posto al piccolo tavolo dove al centro c’era un enorme piatto di pancakes. << Vedo che ti sei dato da fare >>, dissi a Travis.

Travis annuì soddisfatto. << Mi andava e così ho dato sfogo alla mia bravura >>.

Presi un pancake e ne strappai un morso gustandolo. Andavo pazza per i pancake, li avrei mangiati tutti in

un solo boccone se solo fossero stati tutti miei quelli presenti sul tavolo. Dopo il primo ne presi altri e stavo per continuare a mangiucchiare, quando improvvisamente mi sentì di nuova la testa che girava… poi la pancia che mi faceva male e… il veloce risalire dei pancakes che avevo ingurgitato. Penso di non aver mai corso così velocemente come in quel momento. Mi fiondai nel bagno e vomitai sentendomi terribilmente male. Improvvisamente il profumo dei pancakes mi aveva fatto venire la nausea. Che schifo di giornata!

Debbie venne a soccorrermi quando ormai avevo vomitato anche l’anima e come una sorta di mamma, mi fece sciacquare la bocca e lavare i denti per togliermi quell’orribile sapore dalla bocca. << Che cosa è successo? >>, mi chiese alla fine in tono preoccupato.

Mi sedetti sul water chiudendo il coperchio e facendo dei lunghi respiri. << Niente, un attimo di nausea, lo sai che quando mi stanno per venire mi sento male in tutti i modi possibili e immaginabili >>.

<< Si, ma non ti era mai capitato di vomitare >>, disse Debbie con aria ancora preoccupata.

Mi strinsi nelle spalle. << Se ne sarà inventata una nuova >>.

Si morse un labbro e mi studiò a lungo. << Non mi convince questa cosa >>.

Mi alzai constatando che mi sentivo molto meglio e le sorrisi. << Tranquilla, sto bene, sono solo problemi femminili >>.

Scosse la testa per non sorridere e rimanere seria. << Va bene, ma se ti senti di nuovo male voglio che tu me lo dica anche se abbiamo un concerto stasera >>.

Annuii. << Ovvio, non ci salgo su un palco se potrei vomitare da un momento all’altro >>.

Uscimmo dal bagno e tornammo nel salotto dove gli altri stavano finendo di fare colazione in un silenzio quasi inquietante che era innaturale nel nostro bus.

<< Tutto bene? >>, mi chiese Edward guardandomi preoccupato.

Annuii facendo un grande sorriso. << Si, non è nulla di grave, solo… problemi femminili >>, risposi.

<< O forse i miei pancake fanno schifo >>, disse Travis facendo una smorfia mentre osservava i pancakes sul tavolo.

<< Ma se sono buonissimi! >>, disse Chris mentre masticava l’ennesimo pancakes.

<< Si, ha ragione, sono buonissimi, grazie per la bella colazione >>, dissi risollevando l’umore del mio chitarrista che mi sorrise e si girò per mettere a posto le varie pentole che aveva usato per cucinare.

Arrivammo a Parigi nel tardo pomeriggio ed io per tutto il viaggio rimasi sdraiata su uno dei divani nell’area del televisore di nuovo tormentata dal mal di pancia. Vomitai solo una volta, quando a ora di pranzo Debbie mi portò un panino che dopo neanche qualche morso avevo subito espulso dal mio stomaco ma non per voler mio ovviamente.

Arrivati allo stadio dove ci saremmo esibiti, i vari tecnici iniziarono a lavorare e a portare le varie attrezzature mentre noi ci accomodavamo in un camerino dove la parrucchiera e la truccatrice ci avrebbero acconciati per andare in scena. Quando i miei capelli furono ondulati al punto giusto e il mio viso truccato, mi diressi verso il mio camerino dove Debbie mi aveva già portato ciò che avrei indossato: dei jeans con sopra una maglia blu con una scollatura lunga a “v” sulla parte di dietro che mi lasciava scoperta praticamente tutta la schiena. Ad Alex sarebbe piaciuta se fosse stato lì.

Qualcuno bussò alla porta. << Posso? >>, mi chiese Cassadee facendo capolino con la testa dalla porta.

Le sorrisi. << Vieni >>.

<< Oho! guarda un po’ come si è messa in tiro >>, scherzò osservandomi.

Stavo per fare una piroetta su me stessa per farle vedere il tutto, ma neanche a metà giro, la testa mi girò talmente tanto forte che persi l’equilibrio e quasi caddi all’indietro, ma riuscì a reggermi al tavolo che si trovava vicino a me.

<< Oh Dio! Stella stai bene? >>, mi chiese Cassadee venendomi vicino.

Annuii massaggiandomi la testa cercando invano di far passare il dolore che improvvisamente mi aveva assalito. << Si, solo un giramento di testa, niente di che >>, la rassicurai cercando di farle un sorriso che risultasse convincente, ma a quanto pare non funzionò, perché alzò un sopracciglio e mi studiò attentamente. << Credi di riuscirmi a prendere in giro, signorina? >>.

Sospirai alzando gli occhi al cielo. << No, ma non c’è bisogno che ti preoccupi, finito questo concerto mi andrò a riposare e starò bene >>.

<< Almeno mangia qualcosa >>, propose.

<< Si, così vomito un’altra volta, no grazie >>.

Si mise le mani sui fianchi e mi guardò storto. << Ti vuoi proprio sentir male >>.

<< No, ti ho detto che sto bene >>, ribattei.

<< Okay, facciamo così: io ti vado a prendere qualcosa che tu farai lo sforzo di mettere nello stomaco ed io in cambio non andrò a chiamare Debbie che di sicuro annullerà il concerto e ti terrà a letto per giorni >>.

Il fatto che Cassadee avesse chiamato Debbie per nome mi rese talmente tanto felice che accettai il suo ricatto senza protestare. << Va bene, andiamo a prendere qualcosa >>, dissi prendendola sotto braccio.

Sorrise a trentadue denti probabilmente fiera dell’esito positivo del suo ricatto e a passo saltellante mi guidò verso il bar che c’era nello stadio.

Per fortuna riuscii a mangiare qualcosa senza vomitare e questo un po’ mi rincuorò facendomi pensare che magari i “dolori” se ne stavano andando e io potevo stare tranquilla per il resto della serata e cantare allegramente come sempre.

I primi pezzi del concerto andarono alla grande e nonostante la stanchezza mi sentivo benissimo ed ero contenta di trovarmi su quel palco a fare ciò che mi riusciva di più e ciò che amavo fare: cantare. Ero così felice che non mi facessero più male ne la testa ne la pancia, che prima del ritornello di una canzone salì su un cubo posto al centro del palco, proprio vicino alla batteria e dopo aver aspettato l’arrivo del ritornello, saltai giù dal cubo pensando di ricadere sui miei piedi… e invece la mia testa girò vorticosamente facendomi perdere la sensibilità del mio corpo. Caddi a terra e battei la testa perdendo i sensi.

 

(Cassadee)

 

Stella era a terra, completamente priva di sensi.

La maggior parte dei ragazzi tra la folla aveva gli occhi o la bocca spalancati e tutti stavano in un silenzio di tomba che mi faceva fischiare le orecchie. I ragazzi della band più George si precipitavano a circondare Stella che stava lì... ferma, immobile, a pancia in sotto e con le gambe piegate. Ero scioccata, bloccata dal panico, non riuscivo neanche più a ragionare, era come se il mio cervello fosse spento e non riuscisse a capacitarsi di ciò che era successo. E pensare che sembrava stesse così bene mentre cantava. Che diavolo era successo? Perché Stella era svenuta? Centrava qualcosa il fatto che avesse vomitato, che avesse avuto mal di pancia e mal di testa?

Quando finalmente riuscì a riprendere il controllo di me stessa dicendomi che non potevo rimanere lì immobile senza fare nulla, mi accorsi che Stella era stata presa in braccio da George mentre Debbie era al telefono e stava chiamando l’ambulanza con le mani che le tramavano e gli occhi lucidi per le lacrime. I successivi minuti che seguirono furono un totale casino: Stella fu portata nel suo camerino, i fans furono fatti uscire dallo stadio e allontanati dalla strada dalla quale da un momento all’altro sarebbe arrivata l’ambulanza per portare Stella in ospedale. I ragazzi della band erano tutti scioccati, fissavano il pavimento con sguardi spenti e Debbie dopo aver chiuso la telefonata con l’ambulanza era scoppiata in lacrime come una bambina il che non aveva senso, Stella non stava mica morendo! Era solo svenuta… ma chissà perché.

Mi avvicinai a Debbie e cerai di farla smettere di piangere dicendole che sarebbe andato tutto bene, ma lei continuò a ripetermi che era colpa sua se era svenuta perché lei non aveva annullato il concerto. Rinunciai a consolare Debbie visto che era inutile e visto che ero l’unica che si era ripresa dallo shock, guidai i ragazzi della band e Debbie nei camerini dove Stella era stata stesa su un divano con un asciugamano bagnato

sopra la fronte. 

L’ambulanza arrivò dopo quella che mi sembrò un’eternità per il fatto che nessuno si muoveva e tutti fissavano Stella sperando che da un momento all’altro si riprendesse. Stella fu portata all’interno dell’ambulanza con cautela; io, Debbie e George salimmo con lei. Durante il tragitto, Debbie smise finalmente di piangere e rispose alle domande che un dottore le porse riguardo a cosa era accaduto a Stella. Visto che mi sentivo inutile, decisi di chiamare Jack, aveva il diritto di sapere che sua sorella si era sentita male e poi la sua vicinanza avrebbe fatto decisamente bene a Stella… anche se non sapevo se sarebbe potuto volare da Londra a lì, soprattutto senza far venire anche Alex che di sicuro avrebbe dato di matto.

<< Pronto? >>, rispose la voce allegra di Jack.

<< Jack! >>.

<< Oh Cass sei tu! >>, esclamò probabilmente non notando il tono preoccupato che avevo usato per esclamare il suo nome. << Come stai? >>.

<< Non c’è tempo per i convenevoli Jack! >>, sbottai, << devo dirti una cosa >>.

Questa volta il tono che usai fu abbastanza convincente, perché Jack parlò in tono preoccupato: << Qualcosa non va? >>.

<< Non ti agitare Jack, stai calmo e non fare pazzie, okay? >>, gli chiesi prima di dirgli cosa stava succedendo.

<< Che è successo Cassadee? >>, chiese alzando il tono della voce.

<< Stella è svenuta durante il concerto e durante la giornata ha vomitato e ha avuto mal di testa e mal di pancia, ora siamo nell’ambulanza e la stiamo accompagnando all’ospedale >>.

Calò un profondo silenzio interrotto solo da un’imprecazione che preferisco non ripetere. << Dove siete? >>.

<< Parigi >>, risposi.

<< Sarò lì il più presto che posso, prenderò un jet privato >>, garantì Jack.

<< Bene, ma… non ti agitare, okay? Stai calmo e non dire nulla ad Alex, non voglio che si preoccupi… >>, uno strano rumore mi bloccò. << Jack ma che…? >>.

<< Cos’è che non dovrebbe dirmi? >>, sbottò Alex dall’altro capo del telefono.

Impallidii. O cazzo ma come aveva fatto a sentirmi?

<< Alex… >>, cercai di dire, ma mi interruppe. << Cassadee dimmi che cosa hai detto a Jack! >>, mi ordinò. << Jack è pallido come un pupazzo di neve, che cosa è successo? >>.

<< Stella è svenuta durante il concerto di stasera e adesso la stiamo portando all’ospedale ma… >>, mi bloccai di nuovo interrotta da un rumore che però questa volta mi stava avvisando che la chiamata era stata chiusa.

Oh Dio! Ci mancava solo che Alex arrivasse qui tutto preoccupato. Matt mi avrebbe ucciso per avergli portato via il cantante; sapevo che non sopportava il fatto che Alex dimenticasse tutto quando si trattava di Stella, era per questo che cercava di tenerli lontani il più possibile, perché era come se Stella eclissasse tutta la vita di Alex facendogli abbandonare anche il lavoro. Questo almeno era un motivo per il quale Matt li teneva lontani, l’altro, Rian non me lo aveva voluto dire. Più che rivelarmi utile avevo incasinato le cose ancora di più, se Stella aveva qualcosa di grave o che ne so, la febbre, Alex non se ne sarebbe andato e questo avrebbe fatto infuriare Matt.

Arrivammo all’ospedale e Stella fu portata dentro con la barella seguita a ruota da me, Geroge e Debbie che però fummo lasciati fuori mentre il dottore visitava Stella in una stanza.

<< Tranquilli, non sarà nulla di grave >>, ci tranquillizzò il dottore che ci aveva accompagnati fino lì sull’ambulanza, rivolgendoci un sorriso quasi allegro che mi fece rimanere perplessa.

Un infermiere uscì dalla stanza di Stella solo dopo più o meno un’ora. Alex e Jack non erano ancora arrivati e George e Debbie erano scesi al bar per prendersi qualcosa; ero rimasta solo io che non appena vidi l’infermiere, mi ci avvicinai incrociando le dita dietro la schiena sperando che in qualche modo potessero portare fortuna. L'infermiere mi disse che potevo entrare.

Entrai nella stanza e provai una dolorosa stretta al cuore nel vedere Stella priva di sensi sdraiata su quel letto così triste e spoglio, collegata a vari macchinari che emettevano alcuni beep.

Una parte della fronte di Stella era gonfia probabilmente perché nello svenire aveva sbattuto sul palco.

Avevo il cuore che batteva a mille e i denti che non facevano altro che mordere ripetutamente il labbro inferiore, tanto forte da farmi uscire il sangue.

Il dottore sedeva accanto a Stella e non appena mi vide mi sorrise come aveva fatto un'ora prima. Se sorrideva voleva dire che non c’erano problemi,  che non mi stava per dire che era grave.

Aspetta prima di cantar vittoria.

Mi dissi.

<< La signorina Pope? >>, mi chiese.

Annuii. << Si, sono io >>.

Mi sentivo talmente agitata da temere di vomitare addosso al dottore.

<< Non mi guardi così preoccupata, perché le sto per dare una bella notizia >>, mi sorrise nuovamente.

Un sorriso si aprì anche sul mio viso e sentii tutto il mio corpo rilassarsi al suono di quelle parole. << Davvero? >>, chiesi incredula.

Il dottore annuì.

<< Quindi Stella sta bene? >>.

Il dottore mi porse un foglio e mi incoraggiò ad aprirlo. << Da quello che la sua amica ha detto al mio collega riguardo i sintomi che ha covato questa ragazza, mi ero già fatto qualche idea su che cosa potesse essere e facendo delle analisi ne ho avuto la conferma >>.

Lessi cosa c’era scritto sul foglio e a prima vista mi sembrarono solo vari numeri e vari risultati di analisi che non capivo, ma poi, alla fine del foglio lessi quello che non mi sarei mai aspettata e mi si gelò il sangue nelle vene. Oh no, non era possibile. Era un disastro e a Stella non sarebbe piaciuto affatto… e neanche a tutti gli altri.

<< Ne è sicuro? >>, chiesi al dottore.

<< Sicurissimo >>, mi garantì con un sorrisone.

Lo guardai continuando a ripetermi che non era possibile. << Al cento percento? >>.

Il dottore aggrottò le sopracciglia perplesso. << Si >>.

<< Ma... non si dovrebbe fare un test? >>, chiesi cercando di aggrapparmi ad un'ultima speranza.

<< Il test si fa prima di venire in ospedale a fare le visite e non è attendibile al cento percento mentre le nostre analisi si >>.

<< Oh cavolo! >>, esclamai sentendomi sempre più agitata.

<< Se poi non ci crede può farle fare anche il test >>, mi propose continuando a guardarmi perplesso.

Quella non era decisamente la reazione che si era aspettato.

Annuii distrattamente mentre il mio sguardo si spostava di nuovo sul foglio che mi aveva dato il dottore.

Oddio, cosa avrebbe detto Alex? Di sicuro non sarei stata io a dargli quella notizia, non potevo, doveva essere Stella a dargliela e soprattutto lei doveva essere la prima a saperlo. E Jack? Oddio, Jack si sarebbe arrabbiato… e anche Matt! Mio Dio erano tutti e due troppo giovani.

Guardai il dottore. << La prego non lo dica a nessuno, dica che è svenuta per un calo di zuccheri >>.

Il dottore mi guardò visibilmente confuso. << Cosa? >>.

<< Lei non dica nulla, se qualcuno le chiede qualcosa dica solo che è svenuta perché non ha mangiato >>.

<< Ne è sicura? >>, il dottore mi continuò a guardare come se fossi pazza.

Annuii. << Si, sicurissima >>, garantì.

<< Ci sono per caso dei problemi? >>, mi chiese.

Tantissimi!

<< Si, ma... sono troppi da spiegare >>, gli elargì un sorriso sperando che lasciasse perdere, l'ultima cosa che mi andava di fare era raccontare ad un dottore tutto il casino che avrebbe comportato il risultato della visita di Stella.

Nonostante la sua aria perplessa il dottore annuì. << Adesso lasciamola riposare, si sveglierà fra poco >>, disse portandomi fuori dalla stanza.

Non appena uscimmo mi trovai davanti George e Debbie che mi guardavano pieni d’apprensione. << Allora, come sta? >>, chiese George.

Il dottore mi guardò spaesato ed io ringraziai il cielo che George e Debbie non erano Alex e Jack perché se no non avrebbero mai bevuto la storia del calo di zuccheri. << Non si preoccupi, glielo dico io >>, dissi al dottore che con un cenno della testa si congedò ed io lo ringraziai.

Debbie mi si avvicinò. << Che ha? È grave? >>.

È grave si!

Pensai.

<< No, ma… non è una cosa bella o meglio lo è, ma non penso che Stella la prenderà bene >>.

<< Che vuoi dire? >>, mi chiese George.

Presi un bel respiro. << Stella è incinta >>.

Gli occhi della guardia del corpo si sgranarono al massimo e Debbie divenne pallida come uno straccio. Non potevo biasimarli, era una notizia sconcertante. Stella avrebbe reagito anche peggio.

 

Una mezz’oretta dopo, mi trovavo seduta su una sedia accanto al letto di Stella in compagnia di Debbie, che vagava per la stanza senza trovare pace. Era da un po’ che non ci punzecchiavamo più io e la migliore amica di Stella, in quel periodo che avevamo passato insieme avevo iniziato a sopportarla di più e avevo scoperto che non era insopportabile come credevo ma a volte dei suoi atteggiamenti mi davano sui nervi, come quello di camminare avanti e indietro per la stanza d’ospedale di Stella in ansia per l’arrivo imminente di Alex e Jack che ci avevano avvisato di essere arrivati.

<< La smetti per favore?! >>, sbottai.

Mi guardò preoccupata. << Non posso! >>, esclamò. << Mi sento nervosissima solo al pensiero di dover mentire a Jack… e ad Alex, insomma, non dovrebbero saperlo? >>.

<< Non prima che lo sappia Stella >>, scossi la testa. << Spetta a lei decidere se dirglielo o no >>.

Sospirò. << Conoscendola, penso che non glielo dirà, sa quanto è complicata la loro vita e per questo penso che non la prenderà affatto bene >>.

<< Nessuno la prenderebbe bene a meno che non si voglia un figlio a diciannove anni >>, dissi amareggiata da quella situazione.

Debbie scosse la testa. << Ma come diavolo è potuto succedere?! >>.

Le sorrisi divertita. << Non dirmi che non sai come nasce un bambino >>.

Mi scossò un’occhiataccia. << Non fare l’idiota! >>, sbottò. << Lo sai benissimo cosa volevo dire >>.

<< E allora sai darti anche una risposta: non hanno usato le precauzioni >>, le risposi in tono brusco.

<< Ma da quello che mi diceva lei le hanno sempre usate >>, ribattè.

<< Una svista >>, risposi.

Debbie scosse la testa con aria triste. << Mi sento malissimo, come se fosse stata colpa mia >>.

Sbuffai. << Questa si che è buona! Come fa ad essere colpa tua? >>.

Rise anche se tristemente. << Non lo so, ma mi sento… dispiaciuta, nonostante avere un bambino sia una cosa bellissima... >>.

<< Ma non a questa età e soprattutto con una carriera appena cominciata >>, continuai per lei.

Annuì sommessamente, poi si girò a guardarmi. << Dobbiamo starle vicino, senza crearle problemi con le nostre divergenze >>.

<< Per me va benissimo >>, dissi. << Ma da parte mia le divergenze si stanno affievolendo, il piano di Alex sta andando a buon fine >>, le confessai.

Con mia sorpresa sorrise. << Si, anche per me nonostante ancora non ti sopporti >>, ammise.

<< Bene, allora possiamo allearci per il bene di Stella >>, ricambiai il sorriso.

Sentì una sorta di verso assonnato che non veniva da Debbie e mi girai verso Stella, che stava aprendo lentamente gli occhi. Debbie si avvicinò al letto con un sorriso di sollievo.

<< Tella! >>, esclamò Debbie mentre lo sguardo di Stella si spostava dalla stanza a me e poi a Debbie.

Sorrise lievemente. << Do… dove siamo? >>, aveva la voce assonnata, ma da come i suoi occhi si stavano facendo sempre più vispi capì che stava benone.

<< Siamo all’ospedale, ricordi di essere svenuta? >>, le disse Debbie sorridendole.

Stella annuì lentamente distogliendo lo sguardo da Debbie, poi tornò a guardarla e disse: << Mi dispiace tanto, ho rovinato il concerto >>.

Debbie scosse la testa. << Non ti preoccupare, i fan non saranno arrabbiati, non è stata colpa tua >>.

<< Già, colpa di questo odioso ciclo >>, sbuffò.

Io e Debbie ci scambiammo un’occhiata. Avevamo deciso che avremmo detto la verità a Stella quando Alex e Jack se ne sarebbero andati.

<< Stella… in realtà non è per colpa del ciclo se… sei stata male >>, dissi.

Mi guardò preoccupata. << E allora cosa? >>.

Il mio telefono vibrò. Era un messaggio di Jack. Stavano salendo.

Merda!

Lanciai un’occhiata d’intesa a Debbie che annuì lievemente.

<< Non possiamo dirtelo ora, è meglio se te lo diciamo dopo anche perché stanno arrivando Jack e Alex >>, dissi alzandomi di fretta dalla sedia.

<< Jack e Alex sono qui? Ma come? Perché non posso sapere che cos’ho? È grave? >>, mi domandò Stella con  gli occhi pieni di apprensione.

Le misi una mano su una spalla. << Stai tranquilla e dì a Jack e Alex che è stato solo un calo di zuccheri perché oggi non hai mangiato >>.

<< Dovrei mentirgli? >>, chiese sconcertata.

<< Si, ma è a fin di bene, quando ti porteremo fuori di qui ti spiegheremo tutto >>, la rassicurai.

<< Ora dobbiamo andare, mi raccomando fai la brava, torneremo tra poco >>, disse Debbie dirigendosi a passo svelto verso la porta.

<< Aspettate! >>, esclamò facendoci voltare all’unisono. << Non ci sto capendo nulla! Potreste spiegarmi per favore? >>, chiese in tono quasi esasperato.

Sospirai. << Tell, vorrei spiegarti, ma non posso, ti prometto che quando Jack ed Alex se ne andranno ti dirò tutto >>.

<< Ma perché non possono sapere ciò che ho davvero? >>.

<< Fidati di me, quando lo saprai capirai perché ti voglio far mentire >>.

Rimase in silenzio per qualche minuto, poi annuì. << Va bene, ma fatemi uscire in fretta da qui, odio gli ospedali >>.

Le sorrisi. << Andrò dal dottore a chiederglielo >>.

Uscimmo dalla stanza pronte ad accogliere i due quarti degli All Time Low che uscirono proprio in quel momento dall’ascensore.

<< Alex! Jack! >>, li chiamai per attirare la loro attenzione visto che stavano andando dalla parte sbagliata del corridoio.

<< Cass! >>, disse Alex avvicinandosi con passo svelto. << Come sta? >>, mi chiese preoccupato.

Jack e Debbie si allontanarono da noi e nonostante stessi guardando Alex, con la coda dell’occhio vidi che si stavano abbracciando.

Sorrisi per far smettere Alex di preoccuparsi. << Tranquillo, sta bene, ha avuto solo un calo di zuccheri perché oggi non ha mangiato >>, alzai gli occhi al cielo cercando di recitare al meglio.

<< Come non ha mangiato? >>, chiese ancora più preoccupato di prima. << Non starà di nuovo passando quella specie di depressione che ha avuto anche più o meno un anno fa? >>.

Stella mi aveva raccontato di quando aveva passato quattro mesi chiusa nella sua camera dopo la partenza degli ATL, ma non avevo pensato che Alex potesse collegare il finto calo di zuccheri ad una nuova depressione di Stella… anche se era un buon modo per convincerlo.

Mi strinsi nelle spalle. << Non lo so, si tratta solo di oggi, ma… >>, sospirai teatralmente, << le mancavi >>.

Matt mi avrebbe odiato a morte se Alex fosse tornato in Inghilterra preoccupato perché mancava a Stella, ma era meglio l’ira di Matt che dire ad Alex che stava per diventare papà.

Alex non disse nulla, rimase in silenzio ma dalla sua espressione addolorata capì che non si sentiva affatto bene. << Posso vederla? >>.

Annuii e gli indicai la porta. << Si è svegliata da poco >>, lo informai.

Alex mi sorrise debolmente ed entrò nella stanza.

Jack mi si avvicinò con accanto Debbie. << Non è giusto! Volevo andare anche io con lui! >>, protestò.

<< Lasciali stare un po’ da soli >>, dissi.

<< Va bene, ma anche io devo parlare con mia sorella, dobbiamo chiarire molte cose >>.

Aggrottai le sopracciglia. << Cosa dovete chiarire? >>.

Rimase in silenzio, poi dopo aver spostato varie volte lo sguardo per il corridoio disse: << Cose private >>.

Alzai le spalle. << Va bene, chiedevo solo >>.

Me ne andai dicendo a Debbie di rimanere con Jack mentre io andavo dal dottore e andavo a prendere un test di gravidanza. Ovviamente l’ultimo pezzo lo omisi ma Debbie capì lo stesso.

 

(Stella)

 

Ero ancora parecchio perplessa dallo strano comportamento di Cassadee e Debbie, non riuscivo a capire perché mi stessero nascondendo quello che avevo, il perché fossi svenuta… non era una mia specie di diritto saperlo? Perché non c’era nessun dottore lì che me lo dicesse? Nonostante mi avessero promesso che me lo avrebbero detto, non riuscivo a stare tranquilla e non riuscivo a farmi uscire dalla mente il pensiero che avessi qualcosa di grave; se no perché non dirlo ad Alex e Jack? Non li volevano far preoccupare, quindi avevo qualcosa di grave… oppure stavo divagando.

Cercai di dare un freno ai miei pensieri e ci riuscì grazie all’entrata di Alex nella stanza. In quel momento mi sentì talmente felice da dimenticarmi di tutto quello che mi preoccupava e anche di essere legata ad un lettino da ospedale davvero deprimente. La mia felicità venne sovrastata dal senso di colpa quando vidi l’orrenda espressione preoccupata che Alex aveva dipinta sul viso. Ma perché lo avevano chiamato?! Ero solo svenuta, niente di che! –o almeno speravo fosse nulla di che-; probabilmente avevano annullato un loro concerto per colpa mia, ora milioni di fans sarebbero stati tristi per colpa mia.

Prima che me ne potessi rendere conto, le braccia di Alex mi circondarono ed io affondai la faccia nel suo petto respirando a fondo il suo odore così familiare. Mi accarezzò varie volte i capelli prima di sciogliere l’abbraccio per guardarmi negli occhi. << Come ti senti? >>, mi chiese sedendosi sul bordo del letto. Mi spostai per fargli spazio invitandolo a sedersi più vicino a me.

<< Bene >>, sorrisi. << Non c’era nulla di cui preoccuparsi, nulla di grave, non so neanche perché mi hanno portata qui quando non ce n’era bisogno >>.

Mi accarezzò una guancia guardandomi dolcemente. << Volevano assicurarsi che non fosse nulla di grave e per fortuna non lo è >>. Le sue mani salirono fino alla mia fronte, dove sentì improvvisamente dolore. << Ahi! >>, mi lamentai.

Alex mi sorrise. << Scusa, ma hai riportato un’enorme ferita di guerra >>, scherzò.

<< In che senso? >>, chiesi.

<< Hai un bernoccolo >>, disse annuendo tra sé e sé.

Fantastico!

Sbuffai. << Sarà colpa della caduta, ho sbattuto la testa quando sono svenuta >>.

<< Così impari a non mangiare >>, mi rimproverò.

Probabilmente Cassadee gli aveva già detto la finta causa del mio malessere… e io dovevo solo stare al gioco, dovevo mentire ad Alex.

Mi strinsi nelle spalle. << Non mi andava, abbiamo talmente tanti impegni che non mi va di mangiare >>, dissi cercando di rimanere calma e tranquilla nonostante nella mente mi stessi ripetendo di essere un’idiota perché quella spiegazione non avrebbe convinto neanche un tacchino.

Alex mi guardò preoccupato. << Non è che hai ricominciato a digiunare? >>.

Lo guardai storto. << Ma certo che no! >>, esclamai stizzita. << Non ci tengo a ritornare uno scheletro >>, garantì.

<< Sicura? >>.

Annuii più volte. << Sicurissima, non ho mangiato solo oggi perché non avevo fame ed ero stanca per i troppi impegni, non perché sia di nuovo triste >>, lo guardai, << anche se mi manchi sempre >>.

Mi cinse di nuovo fra le sue braccia e mi baciò la testa. << Mi manchi anche tu, ogni giorno >>.

Rimanemmo abbracciati per minuti che mi sembrarono interminabili e che mi fecero sentire benissimo, sarei potuta restare tra le braccia di Alex per tutta la vita senza mai stancarmene e senza mai smettere di sentire il cuore che batteva forte contro il petto.

<< Tu che ci fai qui? >>, gli chiesi rovinando a mio malgrado il bel momento.

<< Che domande! >>, esclamò guardandomi storto. << Cassadee ha chiamato ed io sono venuto >>.

<< Ma eri in Inghilterra >>, ribattei io, << e avevi un concerto >>.

<< Cosa vuoi che mi importi del concerto >>, disse.

Sgranai gli occhi sorpresa. Era decisamente peggio di quanto mi aspettassi.

<< Stavi male ed ero preoccupato, non mi importa di aver perso un concerto che probabilmente rifaremo >>, continuò.

<< Ma Alex… è il tuo lavoro, saresti dovuto salire su quel palco e regalare una bellissima serata ai vostri fans che di sicuro non vedevano l’ora che suonaste >>.

Mi prese le mani fra le sue. << Tu sei più importante di un concerto >>.

Nonostante la cosa mi lusingasse trovavo quasi sbagliato il fatto che Alex prendesse tanto sotto gamba l’importanza di un concerto e quella sua reazione mi metteva addosso una strana sensazione.

Cercai di scacciare dalla mente quei pensieri e gli sorrisi nonostante improvvisamente fosse l’ultima cosa che volessi fare. << Non è vero, ma grazie comunque >>.

Si allungò a baciarmi dolcemente ed io mi lasciai andare a quel bacio sentendomi improvvisamente stanca. Quel risveglio non era stato uno dei migliori: le mie migliore amiche mi nascondevano cosa avevo realmente e il mio fidanzato pensava che fossi più importante della sua passione.

Quando le nostre labbra si allontanarono sospirai. << Penso che farei bene a dormire un altro po’, sono ancora un po’ stanca >>.

Alex mi sorrise e con cautela scivolò fuori dal letto. << Probabilmente al tuo risveglio non ci sarò, Matt ha già dato di matto prima che venissi qui e poi ho un’intervista che Matt non vuole che perda >>.

Sorrisi al pensiero che almeno non avrebbe saltato anche un’intervista per stare con me, perché davvero non l’avrei sopportato, non ero più importante della sua musica, del suo lavoro, anche se ero svenuta per cause ancora sconosciute.

Sospirai. << Ti rivedrò probabilmente tra un mese >>.

Mi accarezzò una guancia. << Cercherò di vederti prima >>.

<< Non credo che dopo questo concerto mancato Matt ti farà più un favore >>, dissi.

Rise. << Io invece penso di si, mi vuole bene dopotutto >>.

Mi strinsi nelle spalle.

Si sedette sulla sedia che poco prima era stata occupata da Cassadee. << Resterò qui con te finché non ti addormenti, e ti canterò una canzone >>.

Mi sistemai su un fianco per guardarlo meglio. << Quale? >>.

<< No Idea >>, disse. << Buona parte di questa canzone mi fa pensare a te >>.

<< Spero non sia il ritornello >>, dissi non vedendo cosa potesse centrare con noi.

Scosse la testa ridendo. << No, tutto tranne quello >>.

Lo guardai per un’ultima volta e poi chiusi gli occhi cercando di continuare a vederlo nei miei pensieri. Sentì le sue mani accarezzarmi i capelli e poi il viso, poi mi prese una mano, intrecciò le mie dita con le sue e iniziò a cantare.

 

I was dreaming we were running from the city burning

 Down, down, down

 Made a break, a new escape, and let the world crash

 Down, down, down

 

Now there’s a piece of me

Tells me I shouldn’t leave

Every time I see your face

Because every time you come around

Well, you take my breath away

 

And I just wanna breathe until I take you in

I never want you to leave until I take you in”.

 

Quando Alex finì di cantare ero in dormiveglia e stavo lottando per cercare di restare sveglia e guardarlo un’ultima volta, ma la stanchezza ebbe la meglio e sprofondai nel mondo dei sogni ma non prima di aver sentito le sue labbra poggiarsi sulla mia fronte e la sua voce sussurrarmi le due parole più semplici del mondo che mi facevano stare benissimo.

 

 

 

Buonaseraaa :D
Ecco come sempre un nuovo capitolo :3 allora, che ne pensate? Vi piace l'idea di Stella incinta oppure no? u.u mi piacerebbe molto sapere i vostri pareri perchè io non so ancora se mi piace xD o meglio, non so se mi piace come va a finire xD ... vabbè non badate ai miei dilemmi interiori u.u. Ora la storia sta entrando nel vivo ma ne succederanno tante altre di cose :3.
Beh... buona settimana a tutti, al prossimo sabato! :). Scusate se ho aggiornato in ritardo ma ieri non ho avuto tempo e stamattina ho dovuto studiare >.<.

P.s. vi lascio con una nuova foto degli ATL in cui sono troppo fighi <3 L'ho vista stamattina e me ne sono tipo innamorata, sia di questa che di tutte le altre dello stesso servizio fotografico *-*
P.s. 2* non so perchè mi ha staccato tutto il testo >< scusate! D:

Bacioniiii :* 

Miki*

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Capitolo 11
*** Well there's no way out of this ***


-Time Bomb-.
 
Al mio risveglio, il mattino dopo, non trovai Alex seduto vicino a me, ma una donna con un camice bianco che mi sorrideva come fossi stata un bambino… forse per lei lo ero visto che sembrava aver superato la mezza età da un po’.
<< Ben svegliata, piccola >>, mi disse. << Come ti senti? >>.
Mi misi seduta e sbattei più volte le palpebre per abituare gli occhi alla luce che inondava la camera. << Bene, mi è passato tutto >>, risposi constatando che non avevo ne mal di pancia ne mal di testa e mi sentivo molto più rilassata del giorno prima.
<< Fantastico, allora credo proprio che tu possa tronare a casa >>, disse la donna annuendo.
Casa era una parola grossa, sarei tornata solo dentro al bus, non a casa mia, in quella chissà quando ci sarei ritornata.
La donna mi portò un’abbondante colazione che mangiai solo per metà, troppo preoccupata di vomitare di nuovo, poi chiamò Cassadee che mi portò dei vestiti nuovi insieme al mio spazzolino e un accappatoio nel caso mi volessi fare una doccia; nonostante l’idea mi allettasse, decisi che la doccia me la sarei fatta nel bus, non vedevo l’ora di uscire da quella stanza.
Finalmente uscite dall’ospedale, Cassadee chiamò un taxi che ci portò in un albergo a quattro stelle, dove gli altri si erano fermati per la notte.
<< Alex è partito stamattina presto >>, mi informò Cassadee.
Annuii. << Mi ha detto che oggi aveva un’intervista alla quale non poteva mancare >>.
<< Jack però è rimasto qui >>.  
La guardai sorpresa. << Davvero? >>.
<< Si, ha detto che voleva rimanere per parlarti e che l’intervista era solo per Alex non per tutto il gruppo >>.
Mi sentì sollevata al pensiero che Jack fosse rimasto, per vari motivi: perché dovevamo ancora discutere del nostro litigio, perché il giorno prima non ci eravamo visti, perché così avrebbe passato un po’ di tempo con Debbie e perché non mi sarebbe dispiaciuto passare un po’ di tempo con il mio fratellone come ai vecchi tempi.
<< È decisamente una buona notizia, non vedo l’ora di vederlo >>, sorrisi dirigendomi di corsa verso l’ascensore. << A che piano è la sua camera? >>, chiesi girandomi verso Cass che era rimasta indietro.
Aspettò di avermi raggiunta prima di rispondermi. << Scusami ma adesso non puoi vedere Jack, c’è una cosa che dobbiamo fare >>.
La guardai accigliata, poi mi ricordai. << Oh certo, tu e Debbie dovete vuotare il sacco >>, dissi mentre l’ascensore si apriva e il mio stomaco si attorcigliava in un fastidiosa nodo.
Cassadee annuì. << Debbie ci aspetta nella tua camera che poi è anche la nostra visto che è una tripla >>.
Spinse il pulsante del secondo piano e l’ascensore partì.
<< Una tripla? Quindi… Debbie ha dormito con te? >>, le chiesi.
Mi guardò confusa. << Si… perché? >>.
Non so se sarei stata felice di sapere che Jack e Debbie avessero di nuovo dormito insieme, perché quella situazione mi puzzava ancora di sbagliato, ma forse sarei stata felice per loro che al contrario di me si era divertiti per una notte invece di passarla in un lettino d’ospedale.
Mi strinsi nelle spalle. << Chiedevo solamente >>.
Mi rivolse un’occhiata divertita. << Lo so che stavi pensando che io e Debbie che dormiamo nella stessa stanza senza azzuffarci è un miracolo >>.
Non lo avevo neanche lontanamente pensato Cass.
Pensai, ma stetti al gioco per evitare di farle scoprire segreti che dovevano rimanere tali. << Si, in effetti è un miracolo e mi fa piacere che andiate d’accordo >>.
<< È più un sopportarsi a vicenda >>, mi corresse.
<< Tra un po’ sarete migliori amiche >>, scherzai.
Sbuffò. << Sogna ragazza, sogna >>.
Arrivammo al secondo piano e Cassadee mi fece strada verso la nostra camera che era grande, bianca, pulita... niente male, meglio dell’ultima che avevamo preso a Londra.
Debbie era seduta su uno dei tre letti a leggere un giornalino, non appena mi vide saltò giù dal letto e mi venne ad abbracciare come se non mi vedesse da anni. Ricambiai l’abbraccio.
<< Tella, sono così felice che tu sia uscita >>, mi disse. << Stai bene, vero? Niente giramenti di testa, niente nausea? >>, mi chiese una volta sciolto l’abbraccio.
Stavo per rispondere ma Cassadee prese la parola guardando storto Debbie. << Dacci un taglio con le domande, sta benissimo >>.
Debbie ricambiò l’occhiataccia e tornò a guardare me con un sorriso teso che non mi convinse per niente.
<< Allora, volete iniziarmi a spiegare? >>, chiesi andandomi a sedere sul letto più vicino.
Cassadee e Debbie si posizionarono davanti a me e iniziarono a guardarsi un po’ incerte, poi dopo quella che mi sembrò una lunga discussione silenziosa, Cassadee prese la parola. << Stella, ieri ci hai detto che stavi male perché ti stava per venire il ciclo... >>.
Annuii guardando prima l’una e poi l’altra. << Si >>.
<< Quando ti è venuto l’ultima volta? >>, mi chiese Debbie.
Ci pensai su più di qualche minuto visto che non ero solita segnarmi il giorno in cui mi arrivava il ciclo, ero più una ragazza che aspettava che le arrivassero senza tenere conto dei giorni e che veniva avvertita da quegli orribili dolori alla pancia. << Mi sembra verso i primi del mese scorso >>.
Cassadee mi guardò strabuzzando gli occhi. << Hai un ritardo di diciassette giorni e neanche te ne sei accorta! >>, esclamò con un tono quasi accusatorio.
Mi strinsi nelle spalle. << Non tengo il conto dei giorni >>.
<< Dovresti >>, sbuffò Debbie. << Non ti viene in mente nulla pensando al fatto che hai un ritardo anche di molti giorni? >>.
Mi era capitato anche diverse volte di avere un ritardo del ciclo, ma si era trattato solo di pochi giorni, non di diciassette. Mi sentì lo stomaco capovolgersi ed un’idea si andò piano piano a formare nella mia testa, ma lottai con tutta me stessa per non ascoltarla, perché era meglio così. << Che ho un semplice ritardo ma che tra un po’ il ciclo arriverà? >>, chiesi accorgendomi persino io di quanto il mio tono era sembrato insicuro.
<< Un mese fa hai rivisto Alex >>, disse Cassadee tornando a parlare in tono normale anche se i suoi occhi tradivano una brutta, brutta preoccupazione.
Deglutì a fatica sperando di mandare giù oltre che la saliva anche tutte le parole che avevo appena ascoltato. Non riuscivo a credere a quello che stavano dicendo, era… completamente assurdo!  Come era potuto accadere? Erano davvero sicure di quello che stavano dicendo? Si trattava forse di uno scherzo stupido?
Mentre quelle domande continuavano a vagarmi nella mente, mi ricordai del bagno fatto insieme ad Alex e di quello che era successo dopo… senza preservativo.
Mi venne da vomitare. Mi alzai da letto e mi diressi verso il balcone per prendere un po’ d’aria, improvvisamente mi sembrava di non sapere più come si facesse a respirare.
<< Tella? >>, mi chiamò Debbie.
Mi girai e la guardai. << Non abbiamo usato precauzioni >>, dissi infilandomi le mani nelle tasche dei jeans
visto che avevano iniziato a tremare.
Debbie sembrò scioccata.
<< Non è stata una cosa premeditata… >>. Ripensai a come quando l’avevamo fatto venti minuti prima mi ero ricordata del preservativo e dopo invece me ne ero dimenticata completamente come un’idiota. Mi nascosi il viso tra le mani e cercai di fare dei profondi respiri. << Mi sono scordata… sono un’idiota >>.
Mentre continuavo a respirare lentamente, sentì una mano posarsi sulla mia spalla. << Non è ancora sicuro, il dottore ha detto che possiamo fare il test per verificare >>.
Alzai la faccia dalle mani e la guardai con le sopracciglia aggrottate. Lo sapevamo tutte e due che di solito si faceva prima il test e poi si andava dal medico per accertarsi che la gravidanza fosse vera e non il contrario, ma probabilmente quello di Debbie era solo un tentativo di farmi sperare ancora che tutto quello fosse solo uno sbaglio… e io avrei tanto voluto crederci, avrei voluto essere convinta al cento percento che non era possibile perché io e Alex avevamo sempre usato le precauzioni, ma non era vero e non potevo mentire alla verità.
Decisi comunque di stare al “gioco”, tanto cosa mi sarebbe costato fare il test? Potevo pur sempre continuare a sperare, potevo attaccarmi a quel bastoncino di plastica che era la mia ultima speranza per continuare la mia vita senza un nuovo problema.
<< Avete il test? >>, chiesi.
Cassadee annuì e andò verso la sua valigia dalla quale cacciò una scatolina rettangolare color celeste che mi passò.
Strinsi tra le mani la scatola e mi diressi verso il bagno continuando a respirare molto lentamente per cercare di mantenermi calma e non lasciarmi prendere dal panico che sapevo sarebbe arrivato molto presto, una volta che il mio cervello avesse registrato tutto quello che stava accadendo e tutte le sue conseguenze.
Sulla scatolina c’era scritto “leggere le istruzioni prima dell’uso” ; nonostante sapessi come funzionava visto che lo avevo visto in milioni di film, decisi di guadagnare qualche altro minuto prima di scoprire qual era la verità anche se la sapevo già.
Seguì alla lettera le istruzioni e una volta finito appoggiai il test sul bordo del lavandino. Dovevo aspettare quattro minuti, i quattro minuti più strazianti della mia vita probabilmente.
Aprì la porta del bagno, Cassadee e Debbie erano sedute su uno dei letti in silenzio con sul viso la stesse espressione di terrore e preoccupazione che avevo io.
<< Quattro minuti >>, dissi guardando l’orologio che portavo al polso.
Annuirono.
Inspiegabilmente mi venne in mente la canzone di Madonna e Justin Timberlake “4 Minutes” e mi venne quasi da ridere mentre me la canticchiavo per far passare in fretta quei minuti. Nella canzone Justin diceva che aveva solo 4 minuti per salvare il mondo… io avevo solo quattro minuti per sperare di salvare… me stessa.
Erano passati due minuti. Solo due minuti. I secondi continuavano a scorrere sul mio orologio. Tic Tac. Tic Tac. Trenata. Trentuno. Trentadue. Trentatré. I battiti del mio cuore si adattavano benissimo a quel ticchettio che ormai sentivo rimbombare nelle orecchie sempre più forte. Cinquantadue. Cinquantatré. Cinquantaquattro. Cinquantacinque. Debbie e Cassadee restavano impalate a fissare il vuoto e questo mi metteva sempre più in agitazione. C’era troppo silenzio in quella stanza, troppa ansia, troppa attesa. Tre minuti. Sessanta secondi e la mia vita sarebbe potuta cambiare o restare quella che era. Non c’era nessuna speranza. Dovevo continuare a sperare.
Chiusi gli occhi.
Un più o un meno.
Due stupidi segni matematici che avevano il potere di farmi crollare.
Tic Tac.
Tic Tac.
Trenta secondi.
Venti.
Il tempo stava per scadere.
Mi avvicinai al lavandino e presi in mano il test. Mi sentivo come se avessi lo stomaco in gola, le mani mi tremavano senza sosta e il cuore era pronto ad esplodere come una bomba. Ero una bomba ad orologeria.
Dieci secondi e sarei esplosa.
Sapevo cosa sarebbe risultato dal test, ormai me lo sentivo dentro, non potevo negare la verità.
Cinque.
Deglutì rumorosamente.
Quattro.
Sii coraggiosa.
Tre.
Strinsi forte il test. Si intravedeva qualcosa al centro.
Due.
Le gambe mi tremarono.
Uno.
Ero scoppiata.
Come un palazzo quando viene abbattuto, caddi a terra senza più nessuna forza, senza più nessun pensiero razionale. Le lacrime uscirono violente dai miei occhi per andare a bagnare le guance e poi le ginocchia che mi ero stretta al petto come un riccio, per proteggermi.
Ero solo una ragazzina. E mi ero rovinata con le mie stesse mani.
Mi sentivo rotta, distrutta, non riuscivo a respirare, i singhiozzi m’impedivano di prendere ossigeno.
Cassadee e Debbie erano accanto a me, percepivo le loro voci, le loro mani, ma era come se fossero lontane anni luce. Ero sola. Non sentivo più nulla, mi rifiutavo di continuare a sentire qualsiasi cosa.
Bomba ad orologeria.
Non potevo tornare indietro.
Mi ripetei una frase mentre i minuti continuavano a passare senza nessuna importanza; quella frase era accompagnata dalla voce di Alex e una melodia.
Well there’s no way out of this.
Piansi per non so quanto, so solo che rimasi rannicchiata sul pavimento del bagno per quella che mi sembrò una vera eternità, per tanti di quei minuti che da un momento all’altro mi aspettavo di veder calare il buio. Ma non successe. Quando smisi di piangere era passata solo un’ora e gli occhi mi facevano così male che non riuscivo neanche a tenerli aperti o a vedere chiaramente quello che c’era intorno a me.
<< Tella?! Per favore, dì qualcosa >>, sentì pregarmi Debbie e nonostante la vista appannata riuscì a scorgere il suo viso proprio davanti a me.
Avrei voluto dirle qualcosa così che non continuasse a preoccuparsi, ma non ci riuscivo, mi sentivo talmente male che non sentivo neanche più gli arti, la lingua… sentivo solo il dolore agli occhi ed una straziante tristezza.
Sbattei varie volte le palpebre e riuscì finalmente a vedere il viso della mia migliore amica imbruttito dalla preoccupazione e rigato da alcune lacrime ancora fresche.
<< Sono… sono… sta… stata un’idiota >>, balbettai. << Avrei… dovuto ricordarmi… delle precauzioni e…  >>, singhiozzai, << e invece sono fregata >>, altre lacrime mi scesero sulle guance ed io appoggiai la testa al muro che avevo dietro per non guardare Debbie. Mi sentivo una delusione, per tutto, per tutti.
<< Tella, so che adesso sei sconvolta e anche se non sono mai stata in questa situazione, posso immaginare come ti senti e mi dispiace tanto, davvero, ma non ti puoi buttare giù in questo modo, possiamo risolvere la situazione >>.
<< E come? >>, sbottai. << Non ci sono soluzioni, la mia vita si complicherà ancora più di prima e sarà tutta colpa mia della mia stupida distrazione… sono una stupida! >>.
<< Auto insultarti non ti servirà a nulla >>, disse. << Okay, non si può tornare indietro, ormai è fatto, sei incinta, ma lo stesso se ti deprimi non risolvi nulla >>.
<< E cosa dovrei fare? Mettermi a saltare dalla gioia perché tra nove mesi dovrò occuparmi di un bambino quando anche io sono ancora una bambina?! >>.
<< Non sei una bambina, hai diciannove anni >>, mi corresse.
<< Sono comunque troppo giovane! E anche Alex, non penso davvero che in questo momento vorrebbe un bambino da me >>.
Improvvisamente sentì il terrore farsi largo dentro di me. Cosa avrebbe detto Alex? Ma domanda più importante: come avrei fatto io a dirglielo? Diamine aveva abbandonato un concerto per venire da me! Se gli avessi detto che ero incinta forse avrebbe lasciato tutto e questo non doveva succedere. Ora capì perché Cassadee e Debbie non l’avevano voluto dire ad Alex e Jack, perché sapevano che io non glielo avrei voluto dire una volta saputo il tutto.
Jack si sarebbe arrabbiato, lui sarebbe stato deluso da me perché ero stata un’irresponsabile e si sarebbe arrabbiato di nuovo con Alex.
Non avevo idea di come avrebbe reagito Alex, sapevo solo che avevo una gran paura di dirglielo. Non volevo che abbandonasse la band per stare dietro a me e… oddio non riuscivo neanche a pensarci… ma non volevo neanche che mi scaricasse con quel peso dentro la pancia. Probabilmente stavo impazzendo, perché Alex mi amava e non mi avrebbe mai lasciata solo a crescere… il bambino… oppure si?
La porta del bagno sbatté –non mi ero neanche accorta che fosse chiusa-, ma sulla soglia non c’era Cassadee come mi aspettavo, ma Jack che aveva l’aria preoccupata.
Bene, la giornata procedeva davvero bene.
Gli bastò guardarmi e guardare il test che qualcuno aveva rimesso sul lavandino per capire cosa stava succedendo. Cassadee era dietro di lui che guardava spaventata la scena. Incrociò il mio sguardo e mimò uno “scusa” con le labbra.
Debbie si alzò e si girò verso Jack che però continuava a guardare me con un’espressione talmente neutra che mi faceva venir voglia di ficcare la testa sotto terra come gli struzzi. Altre lacrime mi pizzicarono gli occhi e mentre le facevo cadere, distolsi lo sguardo da Jack che però continuò a guardarmi.
<< Jack, che ci fai qui? >>, gli chiese Debbie cercando di parlare in modo calmo.
<< Ero venuto per parlare con Stella del nostro litigio visto che George mi ha detto che era tornata dall’ospedale, ma… >>, guardò il test sul lavandino e la scatolina che era accanto, << a quanto pare c’è qualcos’altro di cui parlare >>.
Debbie fece un bel respiro. << Noi… volevamo dirtelo ma… >>.
Jack la interruppe con un gesto della mano. << Non mi servono le scuse, voglio parlare con Stella >>, disse in un tono così duro che mi fece sprofondare il cuore.
Debbie annuì lentamente, poi sorpassò Jack, ma prima di andarsene gli mise una mano su un braccio magro e gli sussurrò: << Non essere troppo duro >>.
Jack non batté ciglio e la porta dietro di lui si richiuse lentamente. Debbie mi rivolse un’ultima occhiata dispiaciuta.
Raccolsi le uniche forze che mi erano rimaste per alzarmi e darmi almeno un contegno, pronta ad affrontare il rimprovero di Jack. Mi asciugai le lacrime con le mani cercando di cancellarne il passaggio. Jack mi si avvicinò senza mai distogliere lo sguardo da me. << Sei incinta? >>, mi chiese senza far trasparire nulla dalla sua voce.
Annuii serrando gli occhi prima di scoppiare di nuovo a piangere. Non riuscivo a credere che con quella parola stesse descrivendo la mia situazione; non avevo neanche mai immaginato di rimanere incinta così presto, non era di certo un mio progetto per il futuro più immediato, mi ero sempre immaginata come cantante e fidanzata con Alex, ma mai con un bambino tra le braccia.
<< L’ho saputo solo stamattina, è per questo che ieri sono stata male >>, risposi riaprendo gli occhi ma tenendo comunque lo sguardo basso.
Jack annuì varie volte. << Come è potuto succedere? >>.
<< È colpa mia, è successo l’ultima volta che ci siamo visti, ho dimenticato il preservativo e… >>.
<< Non sei tu che devi mettere il preservativo! >>, sbottò Jack. << Non è una cosa di cui ti saresti dovuta preoccupare tu >>.
Scossi la testa. << E invece si, ci avrei dovuto pensare anche io >>.
Lo vidi stringere i pugni. << Non ci posso credere, davvero, è…  >>, scosse anche lui la testa.
<< Jack, mi dispiace >>, dissi con un groppo alla gola e le lacrime che mi bruciavano negli occhi.
Mi guardò quasi stupito, poi con mia sorpresa, mi cinse le spalle e mi avvicinò a lui stringendomi forte. Affondai la testa nel suo petto e ricominciai a piangere sentendo di non meritarmi tutta quella comprensione. << Ho rovinato tutto >>, dissi.
<< No, non è colpa tua Tell, è successo, alla persona sbagliata, ma è successo e non possiamo fare nulla >>.
<< Ti ho deluso Jack, ho deluso tutti >>.
<< Ma che dici?! >>.
Mi scostai dal suo petto per guardarlo negli occhi. << Pensa quando lo sapranno mamma e papà, come pensi che reagiranno? Mi abbracceranno e mi diranno che sono felici?! >>.
Jack non rispose nulla.
Scossi la testa. << Li ho delusi, loro si fidavano di me, pensavano che sarei stata attenta ma invece non lo sono stata >>.
<< Non continuare a prendertela con te stessa, non serve a nulla >>, disse asciugandomi una guancia bagnata.
<< Non riesco a smettere di pensare che sia colpa mia, perché ora… sarà tutto un casino, come faccio con i concerti? >>.
Scosse la testa e sciolse l’abbraccio. << Alex mi sentirà, non credere che la passerà liscia per quello che ha fatto >>.
Il panico si impadronì di me e quasi urlai mentre dicevo: << No! >>.
<< Cosa no? >>, chiese perplesso. << Non dovrei urlargli addosso che ha messo incinta mia sorella perché non si è ricordato di mettere il preservativo e ora siete tutti e due fottuti?! >>.
<< Non gli devi proprio dire nulla >>.
<< Perché no? >>.
Da una parte non era giusto che Alex non lo sapesse, ma volevo davvero rovinare anche lui? Volevo davvero farlo stare male quanto stavo male io? Volevo davvero che rinunciasse a tutto per me? Già io avrei dovuto abbandonare tutto perché non avevo scelta… avrei tanto voluto averla, avevo iniziato la mia carriera solo da un anno e le dovevo già dire addio.
<< Voglio solo che mantieni il segreto, per adesso non mi sento di dirglielo >>, dissi.
<< Ma… così sarà tutto sulle tue spalle… insomma… non puoi nasconderglielo, deve prendersi le sue responsabilità >>.
<< Jack, per favore >>, gli dissi. << Non ho detto che non glielo dirò mai, ho detto solo che per ora non ho intenzione di dirglielo >>. Lo guardai. << Io tengo il tuo segreto e tu tieni il mio >>.
Mi guardò leggermente storto, poi arrendendosi sospirò.  << Va bene, ma ora è meglio se pensiamo un po’ a cosa fare >>.
Scossi la testa. << Tu non devi pensare a nulla, devi tornare in Inghilterra >>.
<< Neanche per sogno! >>, esclamò alzando la voce. << Io non ti lascio in questo stato >>.
Sorrisi tristemente. << Devi, perché se non torni Alex capirà che c’è qualcosa che non va >>.
<< Non me ne frega un cazzo di quello che penserà Alex, io non ti lascio da sola, non adesso >>, mi guardò serio.
Gli accarezzai una guancia. << Non sarò da sola, Cassadee e Debbie saranno con me >>.
Andò avanti e indietro per il bagno poi tornò a fermarsi davanti a me. << Se ti senti male di nuovo voglio che mi chiami, voglio che per qualunque problema tu mi chiami senza esitazioni >>.
<< Lo farò >>, garantì.
Mi guardò negli occhi ed io notai che i suoi luccicavano leggermente. << Come posso lasciarti in questa merda? Sei la mia sorellina e… Dio! Pensavo che avrei avuto dei nipoti a cinquant’anni, non adesso! >>.
Mi bruciarono gli occhi. << Credimi anche io >>.
Mi abbracciò e io sprofondai di nuovo nel suo petto cercando di confortarmi. << Non sei una delusione per me >>.
<< Ti voglio bene >>, gli sussurrai.
<< Anche io, tanto >>, mi strinse di più a lui ed entrambi scoppiammo in lacrime, le sue poche e silenziose, le mie dolorose e disperate.
 
(Jack)
 
Debbie mi accompagnò fuori dalla stanza che condividevano con Stella così da permettere a Stella di riprendersi un po’ e lo stesso anche a me. Sapere che Stella era incinta era stato come fare una doccia fredda, mi ero sentito il sangue congelarsi nelle vene e il corpo paralizzarsi per qualche minuto. All’inizio ero stato preso da un moto di rabbia indescrivibile, ma subito era sparito quando avevo incrociato lo sguardo triste e doloroso di mia sorella. Non avevo mai pensato che l’accettare Alex e Stella come fidanzati mi avrebbe portato a questo, a diventare zio! Avevo solo ventiquattro anni e mia sorella solo diciannove. Se Alex fosse stato lì probabilmente lo avrei pestato di botte perché aveva messo mia sorella in quella situazione e perché non si era neanche accorto di non avere usato le precauzioni, ma per fortuna non  c’era ed io avevo un po’ di tempo per calmarmi e tornare da lui il più sorridente possibile così da non farlo preoccupare.
<< Tutto okay? >>, mi chiese Debbie fermandosi in un angolino del corridoio e sposando lo sguardo lucido verso di me.
<< Se per okay intendi che mia sorella è incinta del mio migliore amico, che io sono arrabbiato con lui ma che sono più arrabbiato del fatto che devo mentirgli anche su un’altra cosa oltre al fatto che sono innamorato di te… allora si, sono okay >>.
Debbie abbassò lo sguardo. << Non deve essere facile mentire ad Alex, soprattutto se vi siete sempre detti tutto >>, disse. << Lo capisco, anche tra me e Stella è così >>.
<< Lui dovrebbe saperlo, lo sai, vero? >>, le chiesi.
Era impensabile che Stella fosse incinta e non lo volesse dire ad Alex che era il padre e che secondo me doveva prendersi le sue responsabilità. Mia sorella era una stupida, se lo avesse detto ad Alex probabilmente non sarebbe stata così giù, anzi, insieme avrebbero potuto risolvere molti dei problemi che in quel momento lei si stava creando.
Debbie sospirò e mi guardò dispiaciuta. << Non glielo abbiamo detto perché ci sembrava più giusto che lo sapesse prima Stella… poi lei non glielo ha voluto dire >>.
Scossi la testa irritato. << Mia sorella fa sempre scelte idiote >>.
Debbie mi guardò storto. << È spaventata! >>, esclamò alzando la voce di qualche tono. << Come pensi ti sentiresti tu al suo posto? >>. Una lacrima le scivolò svelta sulla guancia ed io le asciugai con un dito la striscia bagnata che aveva lasciato dietro di se.
Feci un bel respiro. << Mi dispiace è… che sono sconvolto e arrabbiato, e anche preoccupato per Stella >>.
Debbie mi prese una mano tra le sue e mi l’accarezzò dolcemente facendomi un piccolo sorriso. << Lo so, ti capisco, non è una situazione facile per nessuno e anche io sono terribilmente preoccupata per lei>>.
<>.
Il suo sorriso si fece più grande. << Se la caverà, le serve solo del tempo e poi io e Cassadee saremo qui con lei, fidati di noi, ce la sapremo cavare >>.
Le accarezzai una guancia. << Mi fido sempre di te, soprattutto quando si tratta di mia sorella >>.
Coprì la mia mano con la sua. << Allora torna dagli altri, tranquillo >>.
Posai le mie labbra sulle sue mentre le mie mani si intrecciavano nei suoi capelli. Il giorno prima avevamo avuto solo qualche momento da soli lontani da Alex e Cassadee, ma lo avevamo sfruttato al meglio recuperando tutto il tempo in cui eravamo stati lontani.
Negli ultimi tempi, Zack si era confidato con la band –una vera novità per noi- dicendo che sentiva Debbie distante, come se non lo amasse più e io avevo finto un forte mal di pancia per non dover essere costretto a dirgli qualcosa che lo incoraggiasse a non lasciarsi deprimere perché probabilmente era solo una sua impressione…  sarei stato un ipocrita se lo avessi incoraggiato e non volevo esserlo, mi costava già tantissimo mentirgli, ma cos’altro potevo fare? Amavo Debbie e nulla avrebbe cambiato i sentimenti che provavo per lei.
Allontanai le mie labbra dalle sue mentre dentro di me una vocina fastidiosa mi continuava a ripetere che ero un traditore e che Zack non si meritava quello che gli stavo facendo.
<< È meglio che vada a vedere gli orari degli aerei >>, dissi allontanandomi da lei nonostante fosse l’ultima cosa che volessi fare.
<< Vengo con te >>, disse e prima che potessi obiettare contro la mia volontà, le dita di Debbie si unirono alle mie e un sorriso felice e sincero mi spuntò sulle labbra.
Perché la cosa sbagliata era anche quella più bella? 

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Capitolo 12
*** Perfect ***


'Cause we lost it all
 Nothin' lasts forever
 I'm sorry I can't be perfect
 Now it's just too late
 And we can't go back
 I'm sorry I can't be perfect”.
 
-Simple Plan-.
 
Jack se ne andò quella sera, più costretto da me che di sua spontanea volontà. Lo avevo salutato augurandomi che mantenesse la bocca chiusa e che non assalisse Alex, perché per il momento non mi ci voleva che Alex venisse a sapere della mia gravidanza indesiderata soprattutto se con un occhio nero. Per il resto della giornata me ne rimasi nella camera dell’albergo con Debbie e Cassadee che cercavano di distrarmi in qualsiasi modo ed io le accontentavo cercando di dimenticare le precedenti ore e cercare di comportarmi normalmente, ma ogni volta che ci provavo mi assaliva un senso di tristezza enorme che non capivo neanche io.
Gli altri della band erano venuti a bussare alla porta per sapere come stavo, ma Debbie li aveva mandati via dicendo che non ero ancora in gran forma e che quindi stavo riposando per riprendere le forze.
I concerti dei giorni successivi erano stati annullati e forse lo sarebbero stati anche gli altri del tour. Non era stata solo una mia decisione, ma anche di Debbie, secondo la quale era meglio se mi prendevo un po’ di tempo per riprendermi visto che il mio umore era nerissimo e mi sentivo talmente triste che se fossi stata su un palco non avrei neanche cantato una sola parola delle mie canzoni. I fan erano stati avvisati anche tramite Twitter e tutti quelli che avevano risposto al tweet, erano stati comprensivi: mi avevano augurato di guarire presto –sapevano che stavo male, non che ero incinta- e mi avevano chiesto se quando mi fossi ripresa sarei tornata nelle città dei concerti che avrei saltato. Non avevo risposto a nessuno, sia perché non avevo idea di come funzionasse Twitter, sia perché in quel momento il mio futuro era un grande buco nero e non vedevo via d’uscita da quell’immenso buio.
La notte, non riuscì a dormire, rimasi sveglia a fissare il muro che c’era di fianco al mio letto, con le gambe strette al petto e le lacrime che ormai erano così familiari sulla mia pelle che neanche mi accorgevo più che stavano uscendo, me ne accorgevo solo quando iniziavo a singhiozzare. Avrei voluto smettere di piangere, ma non ci riuscivo, mi sentivo impotente, strana e non capita; mi faceva piacere che tutti si preoccupassero per me, che cercassero di tirarmi su, ma nessuna delle persone che sapeva la vera causa del mio malessere poteva aiutarmi o capiva la mia situazione, nonostante ci provassero, non potevano capirlo e io speravo per loro che potessero capirlo il più tardi possibile, perché da quel momento io non dovevo solo prendermi cura di me stessa, ma di un’altra persona che per otto mesi sarebbe stata dentro di me.
Vidi sorgere l’alba, cosa che non mi capitava molto spesso il che era un peccato visto quanto fosse bello il cielo colorato di quei mille colori e il vedere la luna calare e il sole prendere il suo posto alto e caldo nel cielo.
Alle otto, Cassadee e Debbie non si erano ancora svegliate ed io per non far rumore, mi andai a chiudere nel bagno insieme al mio cellulare. Era presto, soprattutto per chi come gli All Time Low o la mia band ama dormire fino all’una, ma lo stare in tour insieme mi aveva insegnato che Pierre Bouvier ama alzarsi presto così da non sprecare una mattinata per dormire.
Cercai il numero nella rubrica e quando lo trovai premetti il tasto verde del cellulare. Se c’era una persona che poteva capirmi e che stava passando la mia stessa situazione, quella era il neo papà dei Simple Plan. Rispose quasi subito il che fu un vero sollievo, lo volevo lì il prima possibile. << Pronto? >>. Parlò sottovoce ed io capì che probabilmente era in camera con gli altri che ancora dormivano.
<< Pierre? Sono io, Stella >>.
<< Ehi Stella! >>, disse usando un tono così allegro che me lo immaginai sorridere. << Come mai sveglia a quest’ora del mattino? >>, mi chiese con tono divertito.
<< Mi serve il tuo aiuto >>, dissi sedendomi sul bordo della vasca da bagno.
Sentì il rumore di una porta che si chiudeva. << È successo qualcosa? >>, mi chiese smettendo di sussurrare.
<< Be’… si e… >>, scossi la testa chiudendo gli occhi, << È una cosa inaspettata… scioccante >>.
<< Puoi dirmelo, non mi spavento >>, scherzò ma con una vena di preoccupazione nella voce.
Feci un bel respiro, respingendo le nuove lacrime che stavano invadendo i miei occhi. << Sono incinta >>. Deglutì a fatica mentre dall’altro capo del telefono calava il silenzio e il desiderio di scoppiare in lacrime si faceva sempre più grande.
<< Che cosa? >>.
<< Non farmelo ripetere, per favore >>, dissi soffocando un singhiozzo.
<< No… no… non volevo che lo ripetessi, volevo solo… non me lo aspettavo! >>.
<< Neanche io >>, singhiozzai scivolando giù dalla vasca fino ad arrivare al pavimento. << Io non volevo che accadesse, pensavo di essere sempre stata attenta ma…  >>, tirai su con il naso, << a quanto pare non è stato così e ora mi ritrovo incasinata e con un bambino nella pancia >>.
<< Stella… mio Dio mi dispiace tanto... io… posso fare qualcosa? >>.
<< Puoi… puoi venire da me? >>, gli chiesi.
<< Dove sei? >>.
<< Parigi >>, risposi.
<< Bene, noi siamo diretti proprio lì, arriverò tra qualche ora >>, disse.
<< Ti mando un messaggio con il nome dell’albergo >>.
<< Okay, allora ci vediamo dopo >>.
Annuii, anche se lui non poteva vedermi e mi passai una mano fra i capelli.
<< Non ti preoccupare, andrà tutto bene >>, disse prima di salutarmi e riattaccare.
No, non sarebbe andato tutto bene, sarebbe stato ogni giorno più complicato.
Mi alzai dal pavimento e mi asciugai le guance, neanche il tempo di due minuti che mi ritrovai piegata sul water a vomitare in preda ad una nausea improvvisa che desiderai solo potesse sparire.
 
Pierre arrivò due ore dopo, da solo, non aveva detto nulla agli altri, se non che  avevo bisogno del suo aiuto e che non sapeva per quanto sarebbe stato via; infatti, quando lo vidi entrare nell’hotel notai subito il borsone che portava in spalla probabilmente contenente le sue cose.
In quelle due ore avevo smesso di piangere confortata un po’ dal fatto che stessero arrivando i rinforzi, al contrario, la nausea e il vomito continuavano imperterriti, senza darmi un minimo di tregua; se continuavo così sarei dimagrita di dieci chili in una sola settimana.
Lo salutai con la mano per farmi vedere e lui mi sorrise procedendo a grandi falcate verso di me. Neanche il tempo di dirgli “ciao” che già mi stava abbracciando forte battendomi pacche affettuose sulla schiena come per rassicurarmi. Mi lasciai andare a quell’abbraccio cercando di rilassarmi e far sparire tutta la negatività che avevo dentro. Nei momenti così bui gli abbracci erano i rimedi più efficaci che conoscessi.
Sciolse l’abbraccio ma mi continuò a tenere per le braccia. << Come stai? >>, mi chiese come se non ci fossimo sentiti solo due ore prima.
Feci spallucce. << Più male che bene, ho vomitato per tre o quattro volte dopo che ti ho chiamato >>.
Pierre annuì varie volte. << Anche a Lachelle succede spesso, ma è un buon segno, vuol dire che la gravidanza sta procedendo >>.
Sbuffai. << Per me potrebbe anche smetterla di procedere >>.
<< E impedire ad una vita di nascere? >>, mi lanciò un’occhiata in tralice, << non ti facevo così crudele, Stella >>.
Gli lanciai un’occhiataccia. << Non sono cattiva, sono… obiettiva: non sono pronta e questo bambino non dovrebbe nascere >>.
Sembrò che neanche avesse sentito le mie parole, perché mi sorrise e mi mise un braccio dietro le spalle. << Andiamo nella tua camera, abbiamo tanto di cui parlare >>, disse e come se fosse stato lui quello che aveva una camera nell’hotel, prenotò l’ascensore e mi precedette nel breve tratto verso la mia camera che non avevo idea di come facesse a sapere dove fosse.  
Sembrava essere meno preoccupato di quanto mi era sembrato al telefono, anzi sembrava quasi felice-come al solito- il che in una situazione normale mi avrebbe fatto piacere, ma in quel momento mi diede sui nervi e per poco non gli dissi di tornare dagli altri perché probabilmente non mi sarebbe stato di nessun aiuto; il pensiero che forse sarebbe stata proprio quella capacità di Pierre di sorridere sempre che mi avrebbe tirata fuori dalla disperazione in cui ero caduta, però, mi convinse a non dire nulla e seguirlo fino alla mia camera che era vuota: Debbie e Cassadee erano andate dagli altri della band per dare a me e Pierre un po’ di tempo per parlare da soli senza essere disturbati. Anche loro speravano che Pierre potesse aiutarmi a superare quel momentaccio.
<< Dove posso poggiare il borsone? >>, mi chiese guardandosi intorno nella camera.
Alzai le spalle. << Dove vuoi >>, dissi. << Fai come se fossi a casa tua >>.
Posò il borsone sulla sedia della scrivania nascondendolo alla mia vista. Sentì la cerniera del borsone che veniva aperta e subito dopo Pierre girò il viso verso di me con un grosso sorriso stampato sulla faccia e una bottiglia di Jack Daniel’s stretta in una mano.
Lo guardai un po’ sorpresa un po’ perplessa. << Lo sai che non si possono bere alcolici quando si è… in… incinta? >>, gli chiesi con ancora qualche difficoltà a pronunciare quella parola soprattutto se pensavo che era rivolta a me.
Rise. << Si, infatti questo è per me, per te ho… >>, cacciò una bottiglietta di Coca Cola dal borsone e me la lanciò, << questa >>.
Non avendo i riflessi molto pronti, la bottiglia finì quasi a terra, ma per fortuna la riuscì a prendere prima che cadesse. << Che te ne fai tu del Jack Daniel’s, non sei mica tu quello… >>.
Ah! Al diavolo!
<< Quello… incasinato >>.
<< L’ho comprato dall’inizio del tour e non ho mai avuto tempo per berlo, così questa mi è sembrata l’occasione giusta >>, alzò le spalle.
<< Va bene, andiamo sul balcone >>, dissi indicandoglielo con la mano libera.
Ci sedemmo ai lati opposti del tavolino sul balcone e posammo le nostre rispettive bottiglie e i rispettivi bicchieri sul tavolo.
<< Di quant’è? >>, mi chiese versandosi un po’ del liquido marrone nel bicchiere.
<< Un mese >>, risposi seguendo con lo sguardo il via vai di macchine che c’era sotto di noi per non concentrarmi solo sull’argomento di cui stavamo andando a parlare.
<< Com’è successo? >>.
<< Niente precauzioni, me ne sono dimenticata >>, dissi alzando di poco lo sguardo verso di lui giusto per vedere la sua fronte aggrottarsi e i suoi occhi guardarmi confusi. Non commentò nulla nonostante mi aspettassi che, come Jack, mi correggesse sul fatto che non sarei dovuta essere io a ricordare ad Alex di usare le precauzioni.
<< Lui lo sa? >>.
<< No >>, scossi la testa chiudendo gli occhi. Li riaprì e incontrai il suo sguardo. << Come faccio a dirglielo? >>. Il mio tono suonò così debole e fragile che mi fece paura.
<< Come lo hai detto a me >>, disse.
<< Per telefono e piangendo? >>, scherzai nonostante non avessi proprio l’umore per fare del sarcasmo.
Pierre ovviamente non afferrò il fatto che stessi scherzando –nessuno lo avrebbe fatto vedendo il modo in cui lo avevo chiesto- e scosse la testa. << No, ovviamente dovresti farlo di persona e cercando di non piangere >>.
<< È probabile che non lo saprà per un po’ >>, dissi e visto che Pierre mi guardò interrogativo gli spiegai: << Mi riesce difficile non scoppiare in lacrime quando penso al casino in cui sono >>.
Mi fece un piccolo sorriso d’incoraggiamento. << Devi iniziare a vederla come una cosa positiva o almeno devi accettare l’idea >>, disse bevendo un po’ del whisky. << Se non l’accetti tu come farà ad accettarla Alex? >>.
<< Non posso accettarla >>, dichiarai. << È… tutto totalmente sbagliato! >>.
<< Non è sbagliato, è una cosa bella che ti riempirà di felicità una volta che accetterai la tua situazione e vedrai che renderà felice anche Alex >>.
<< Come? >>, chiesi. <>.
<< Io sono stato felice che Lachelle sia rimasta incinta e non lo avevamo premeditato >>.
<< Ma tu hai trent’anni! >>, esclamai. << Io ne ho solo diciannove e Alex ne ha venticinque, siamo troppo giovani! >>.
Sospirò. << Si, hai ragione, siete giovani, ma diventare mamma ora o tra vent’anni che differenza fa? >>.
<< Fa che io non avrò diciannove anni e probabilmente sarò più matura! >>.
<< L’età non conta, puoi essere una buona madre anche a quest’età >>.
<< Ma io non lo voglio essere! >>, ribattei in tono quasi disperato. << L’avere un bambino mi compromette tutto >>, sospirai cercando di far passare la rabbia. << Persino l’affetto dei mie genitori >>.
Pierre sgranò gli occhi sorpreso. << Cosa? >>.
Appoggiai la testa su una mano e chiusi gli occhi per far passare un’altra ondata di lacrime mentre nella mente passava l’immagine dei miei genitori profondamente delusi da quello che avevo fatto. << Pensi che i miei genitori prenderanno bene la gravidanza?! Pensi che mi accoglieranno a braccia aperte senza dirmi che sono una delusione che loro si aspettavano una figlia più giudiziosa?! >>.
<< Non conosco i tuoi genitori >>, disse, << ma… non penso siano così cattivi da dirti questo, sei comunque loro figlia e… non è stata colpa tua, è stato un incidente >>.
<< Un incidente che dovrò pagare caro >>, riaprì gli occhi e due lacrime mi rigarono le guance. Scossi la testa furiosamente per cercare di riprendermi, ma ormai ero scoppiata di nuovo, quella situazione era qualcosa che non potevo sopportare, che non riuscivo a farmi andare giù. << È che io ho tanta paura >>, sussurrai tra i singhiozzi prima di nascondere il viso tra le mani.
Si, avevo paura, di tutto, di come sarebbe andata la mia vita, di essere lasciata sola, di non riuscire a gestire le cose, di perdere tutto, di avere un bambino da proteggere… avevo paura perché sapevo di non essere pronta, sapevo che sarei stata un disastro.
Sentì le braccia di Pierre stringermi al suo petto. << Ti capisco Tell, non deve essere una bella sensazione >>, lo sentì dire. << Hai ragione, sei giovane, hai appena trovato l’amore, hai iniziato da poco più di un anno la carriera che hai sempre sognato e questa gravidanza sta minacciando di sconvolgere tutta la tua vita che già non è facile >>.
Avrei voluto dirgli che non era facile per niente, ma quando mi staccai dal suo petto per parlare, mi accorsi che aveva gli occhi chiusi e che stava canticchiando la melodia di una canzone che riconobbi solo quando
iniziò a cantare le parole.
 
“Hey, Dad, look at me
Think back, and talk to me
Did I grow up according to plan?
And do you think I'm wasting my time
Doing things I want to do?
But it hurts when you disapproved all along
 
And now I try hard to make it
I just want to make you proud
I'm never gonna be good enough for
You can't pretend that I'm alright
And you can't change me
 
'Cause we lost it all
Nothin' lasts forever
I'm sorry I can't be perfect
Now it's just too late
And we can't go back
I'm sorry I can't be perfect”.
 
Cantai la canzone con lui pensando che il messaggio della canzone non aveva nulla a che fare con me, se non un po’ il ritornello, ma capivo perché a Pierre fosse venuta in mente. Quella canzone l’aveva scritta Chuck per suo padre che non apprezzava il fatto che fosse un musicista e che lui pensava di aver deluso, come io pensavo che avrei deluso i miei quando gli avrei detto che ero incinta.
Mi asciugai le lacrime e alzai lo sguardo verso di lui.
<< Lo so che ora ti sembra tutto terribilmente sbagliato e in un certo senso lo è perché alla tua età non dovresti preoccuparti di essere madre, ma ormai non puoi tornare indietro e devi trovare il coraggio di affrontare il futuro >>. Mi strinse affettuosamente una spalla. << Ce la puoi fare >>.
Aveva ragione, non lo potevo negare, ma di coraggio ne avevo ben poco, lo dimostrava il fatto che avessi aspettato diciott’anni per decidermi a cantare davanti ad un pubblico. Ero ancora convinta che da sola non ce l’avrei fatta a fare tutto, non avevo idea di come fare la madre, ma forse era una cosa che sarebbe venuta da se; intanto come aveva detto Pierre e come diceva Time Bomb, non potevo tornare indietro, non c’era via d’uscita.
Improvvisamente mi venne in mente che mi ero ricordata solo l’inizio della seconda strofa della canzone degli ATL.
Well there’s no way out of this, so let’s stay in.
Dovevo restare in ballo, anche se sarebbe stato difficile, si, molto difficile.
Sospirai. << Farò del mio meglio, ma… non so se ci riuscirò >>.
Mi sorrise. << Intanto basta che smetti di piangere, di dare la colpa a te stessa e di vederla come una brutta cosa >>.
Feci una smorfia. << Sarà difficile >>.
<< Ce la puoi fare, un passo alla volta >>.
Sembrava facile dirlo, ma da quale passo dovevo iniziare? Mi spaventava l’idea di dirlo ad Alex e ancora di più mi spaventava l’idea di dirlo ai miei genitori.
Feci un bel respiro.
Magari il primo passo sarebbe stato calmarmi e decidere cosa avrei fatto una volta che il bambino fosse nato: l’avrei tenuto? L’avrei dato via? Avrei continuato a cantare? Come diavolo avrei fatto a crescere un figlio?!
La voce di Pierre interruppe i miei pensieri confusi e spaventati. << Vedrai che i tuoi capiranno e anche Alex, non ti angosciare con tutti questi problemi, vedrai che andrà tutto bene >>.
Feci una smorfia. << Io non ne sono così convinta >>, dissi, << anche nei film fanno sempre vedere che i genitori si arrabbiano e che si sentono feriti >>.
<< Non in tutti >>, mi corresse. << E poi quelli sono solo film, la vita reale è diversa, i genitori sono diversi >>.
<< Forse >>, alzai le spalle.
<< Ti hanno mai fatto pressioni? Ti hanno mai detto che dovevi stare attenta o che non dovevi fare sesso prima del matrimonio? >>, domandò non potendo fare a meno di nascondere un sorriso divertito.
Scossi la testa. << No, non mi hanno mai detto nulla riguardo questo argomento >>, ammisi. << Ma quando mi sono fidanzata con Alex papà non ne è stato molto contento visto che lui è di sei anni più grande di me >>.
<< Si è arrabbiato? >>.
<< No, l’ha accettato, come d’altronde ha fatto Jack >>, dissi. << Se però ora andassi da lui e gli dicessi che sono incinta non penso che risparmierebbe un pugno ad Alex >>.
<< Tutti i padri sono gelosi, si sa, e a volte anche i fratelli maggiori >>, disse, << ma io sono convinto che non ti dovresti preoccupare, vedrai che ti staranno vicini, magari sarà difficile da digerire come ora lo è per te, ma poi l’accetteranno >>.
<< Lo spero, perché se mai lo terrò un aiuto mi servirà >>.
Gli occhi scuri di Pierre mi puntarono e sulla sua fronte comparvero delle piccole rughe. << Come hai detto? >>.
Lo guardai perplessa. << Ho detto che mi servirà aiuto >>, dissi in tono incerto.
Scosse la testa. << No, prima, hai detto “se lo terrò” >>. Lo guardai ancora confusa e lui continuò a parlare spiegandomi dove voleva andare a parare. << Vorresti darlo via? >>.
Spostai lo sguardo verso la città animata dal rumore dei motori delle macchine, dalle chiacchiere dei passanti, dalle luci delle insegne, dalle vetrine colorate. Prima dell’arrivo di Pierre avevo avuto modo di pensare tra una corsa al bagno e l’altra ed ero arrivata alla conclusione che dare via il bambino sarebbe stata una buona idea. Di abortire non se ne parlava! Nonostante non lo volessi, mi sentivo male solo al pensiero di togliere la vita ad un futuro essere umano e quindi l’aborto non era la soluzione, ma l’adozione si, non sarei mai stata una buona madre, ero troppo giovane, troppo inesperta e viaggiavo per la maggior parte dell’anno. Darlo ad una famiglia che l’avrebbe saputo accudire e crescere era la scelta più giusta.
<< Si, non penso che riuscirei mai a crescere una bambino mentre viaggio per il mondo e faccio concerti soprattutto se poi il bambino deve crescere con un padre lontano e che vede una volta ogni mese >>, risposi.
<< E quindi per te la soluzione è darlo via? >>. Il suo sguardo era incredulo.
Annuii. << Avrà bisogno di una madre che sia pronta ad esserlo e di un posto dove abitare stabilmente insieme ad un papà >>.
<< Non puoi darlo via, esistono altri modi per tenerlo e fare in modo che stia sia con te che con Alex >>.
<< Perché non dovrei darlo via se può avere una vita migliore di quella che posso offrirgli? >>, chiesi confusa.
<< Perché è da solo due giorni che sai di essere incinta e ancora non ci hai fatto l’abitudine, ma quando avrai accettato la tua situazione, quando ti ci sarai affezionata lo vorrai tenere e se tutti gli accordi per l’adozione saranno già firmati, tu non potrai fare nulla per riavere il bambino >>, fece una pausa forse per dar maggior peso alle sue parole. << Non puoi essere sicura del fatto che senza te come madre avrà una vita più bella e in più aspetta di dirlo ad Alex per decidere, non è solo un problema tuo, è anche suo >>.
Sospirai. << Perché hai sempre così dannatamente ragione? >>, gli chiesi appoggiando la testa sulla mano e guardandolo divertita.
Sorrise. << Perché sono più grande di te e perché anche Lachelle ha avuto qualche momento di sconforto i primi giorni in cui ha scoperto di essere incinta >>.
<< Davvero? Pensavo l’avesse presa bene >>, dissi sorpresa.
Alzò le spalle.<< Anche Lachelle era spaventata dal fatto che io avrei dovuto viaggiare per lavoro e non sarei stato mai con la bambina, ma abbiamo deciso che una volta avuta la bambina ci organizzeremo, come ti ho detto a Richmond >>.
Annuii. << Si mi ricordo >>.
<< Potrebbe essere una soluzione anche per te ed Alex >>.
<< Potrebbe >>, ammisi.
Mi sorrise e mi prese una mano. << Non prendere decisioni affrettate potresti pentirtene >>.
Rimanemmo a parlare a lungo e in tutto quel tempo non piansi mai; come avevo sperato, Pierre aveva fatto bene al mio umore ed ora ero molto più serena di prima anche se non avevo accettato ancora la mia situazione, non ero ancora sicura di me stessa, non ero ancora sicura di potercela fare e questo non sarebbe cambiato solo con le parole e la presenza confortante di Pierre.

'Seraaaaa :D
Ecco puntuale un altro capitolo in cui non succede nulla di speciale, c'è solo un lungo dialogo fra Stella e Pierre (*-*). Lo so che probabilmente vorreste un capitolo in cui succede qualcosa di più, ma dovrete aspettare la prossima settimana u.u tanto passano talmente velocemente i giorni che tra pochissimo sarà già il prossimo sabato D: .
Vorrei ricordarvi che sono bene accette le recensioni, mi interessa sapere cosa ne pensate della storia, davvero e soprattutto della gravidanza di Stella u.u.
Un bacione! :D

Miki*

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Capitolo 13
*** Do you want me (dead)? ***


I’ve got my hands up
I’m staring down the barrel of a loaded night
I’ve got my hands up
 So do you want me
 Or do you want me dead?”
 
<< Che cosa?! >>, chiesi scioccata.
Cassadee alzò gli occhi al cielo. << Sveglia! Sei incinta, se vuoi controllare che vada tutto bene devi andare dal ginecologo >>.
<>.
<< Ha ragione, le serve un ginecologo che la segua per tutta la gravidanza e non possiamo di certo rimanere qui in Francia per nove mesi >>, disse Debbie prendendo le mie difese.
<< Hai ragione >>, annuì Cassadee dopo aver riflettuto sulle parole di Debbie. << Allora dovremmo tornare tutti in America >>, propose.
Era passato un giorno dall’arrivo di Pierre ed io stavo meglio per quanto riguardava l’umore, ma peggio per la salute: quella mattina mi era iniziato un gran mal di testa che per fortuna era passato nel primo pomeriggio, ma aveva lasciato posto alla nausea che persisteva da qualche ora. Eravamo tutti e quattro –io, Pierre, Cassadee e Debbie-, seduti ad un bar poco distante dall’hotel, dove gli altri mi avevano portato per farmi un po’ uscire da quella stanza che iniziava a starmi stretta; stavamo ovviamente parlando del bambino e di tutte le viste che avrei dovuto fare ora, tra cui quella dal ginecologo che Cassadee si era impuntata di volermi far fare il giorno dopo o un giorno di quella settimana.
Mi morsi un labbro. << Con quel “dovremmo tornare tutti”, chi intendi esattamente? >>, chiesi timorosa della risposta.
Lo sguardo glaciale di Cassadee mi immobilizzò alla sedia. << Intendo tutti: gli All Time Low, noi e la band e Pierre se vuole unirsi >>, concluse guardando il cantante che stava sorseggiando una Coca Cola mentre ascoltava il discorso.
Pierre posò il bicchiere sul tavolo e fece una smorfia. << Verrei se non avessi un tour da continuare >>, disse.
<< Già, a proposito di tour, te lo devo ricordare io che gli All Time Low sono in tour e non possono venire con noi? >>, chiesi guardando Cassadee che sedeva di fronte a me.
Mi sorrise quasi malignamente e allungò una mano verso il centro del tavolo per prendere una patatina dall’apposito contenitore. << Verranno con noi una volta che tu dirai ad Alex che aspetti un bambino >>.
Mi si bloccò il respiro e con quello anche il mio cervello che sembrò non capire più nulla e rimase morto per circa qualche secondo prima che Pierre mi scuotesse per un braccio guardandomi un po’ accigliato. << Che? >>, riuscì a dire infine con la voce ridotta ad un sussulto.
Pierre sorrise a Cassadee. << Questo piano mi piace >>, le batté il cinque sulla mano.
Li guardai con gli occhi ridotti a due fessure. << A me non piace per niente, vi rendete conto che mi state dicendo di dirlo ad Alex?! E se mi ride in faccia oppure si rifiuta di crescere il bambino oppure ancora mi lascia? >>.
Tutti e tre rimasero in silenzio a guardarmi tra lo scioccato e il confuso. Alla fine il silenzio e i loro sguardi diventarono così fastidiosi che fui costretta a urlargli: << Che diavolo c’è? >>.
<< Tella >>, prese la parola Debbie che era quella più comprensiva tra i tre. << Tu più di noi tre conosci Alex, sai com’è fatto, potrebbe mai fare una delle cose che hai appena elencato? >>.
Come potevo rispondere alla sua domanda? Le persone potevano sempre sorprenderti, anche se le conoscevi benissimo…
Anche il mio Alex?
Abbassai lo sguardo verso le mie mani. << Non lo so >>, ammisi. << Insomma, lo amo, si, ma… che ne posso sapere io di come reagirà, non avevamo mai neanche pensato che avremmo potuto avere un bambino, non ne abbiamo neanche mai parlato! >>.
<< È un ragazzo responsabile, non penso che ti lascerà a cavartela da sola >>, disse Cassadee.
<< Responsabile si, ma pronto per diventare genitore? >>, chiesi.
Nessuno rispose e come me tutti e tre abbassarono lo sguardo. Fu Pierre il primo a rialzare lo sguardo puntandolo verso di me. <<  Penso che dovresti dirglielo Tell, è suo diritto saperlo… indipendentemente dal modo in cui reagirà >>.
Sospirai.
Alex non mi avrebbe deluso, non lo aveva mai fatto e io lo amavo così tanto, mi fidavo di lui al cento per cento… potevo superare questa mia paura, come aveva detto Pierre era un suo diritto sapere che stava aspettando un bambino e io glielo avrei detto senza pensare alle conseguenze.
<< Va bene, glielo dirò >>.
Debbie mi mise una mano su una spalla. << Sicura? Se non vuoi non sei costretta >>, disse evitando l’occhiataccia che le stava lanciando Cassadee.
Le sorrisi per rassicurarla. << Tranquilla, lo voglio fare, è giusto >>.
Mi strinse affettuosamente la spalla e mi sorrise.
<< Fantastico! >>, esclamò Cassadee con un sorriso gigantesco.
<< Così mi piaci >>, mi disse Pierre facendomi l’occhiolino.
<< Ora bisogna solo organizzare come accadrà il tutto >>, disse Debbie sempre pronta a programmare gli appuntamenti con data ora e luogo.
<< Dovrò chiedere a Matt se possiamo andare da loro >>, dissi.
Cassadee si fece improvvisamente seria e pallida, il vederla così mi fece quasi paura.
<< Cass? >>, la chiamai. << Che succede? >>.
Alzò gli occhi chiari verso di me e spostò lo sguardo anche verso Pierre e Debbie che la stavano guardando curiosi. Si morse un labbro. << C’è un problema >>, disse.
<< Quale? >>, chiese Debbie.
Cassadee fece un bel respiro e poi scostandosi dallo schienale della sedia, si avvicinò con il busto a noi e disse: << Sai, non penso che Matt accetterà di averti di nuovo con loro >>.
<< Come mai? >>, chiesi confusa.
Sospirò. << Rian mi ha detto che be’… Matt non è molto contento del fatto che tu ed Alex stiate insieme, perché dice che sei una distrazione per Alex, che quando è con te sembra non capisca più nulla e si dimentichi del suo lavoro >>, spiegò. << Penso che ne abbiamo avuto una dimostrazione anche quando si è precipitato qui perché eri svenuta >>.
Mi sentì sprofondare. Se anche Matt lo aveva notato allora era vero: Alex metteva il lavoro in secondo posto quando si trattava di me… e il dirgli del bambino sarebbe stato ancora peggio, perché di sicuro mi avrebbe riportata in America e non avrebbe continuato più il tour. Non andava proprio bene.
<< Questo è un problema >>, dissi abbandonandomi sullo schienale della sedia.
<< No! >>, esclamò Debbie infastidita. << Dovrà per forza dire di si, non si nega nulla ad una donna incinta! >>.
Cassadee la guardò con la fronte aggrottata. << E questa dove l’hai sentita? >>.
<< Non mi riferivo a Matt >>, dissi interrompendo la risposta di Debbie. << Lui ha ragione, Alex… fa passare tutto in secondo piano quando ci sono io e questo non va bene, non voglio che abbandoni il tour per tornare con me in America solo per un ginecologo >>.
<< Se gli dirai che sei incinta e che devi andare dal ginecologo probabilmente verrà con te in America, i papà non si perdono un’esperienza del genere >>, intervenne Pierre probabilmente parlando per esperienza.
<< Però dopo dovrà tornare al suo lavoro, è una cosa che devi mettere in chiaro >>, disse Debbie.
<>, scherzai.
<< Dopo la notizia che sei incinta, però >>, disse Cassadee.
<< Meglio prima, se no dopo sarà troppo esaltato per capirci qualcosa >>, propose Debbie.
<< Quindi siamo d’accordo >>, concluse Pierre. 
Cassadee cacciò dalla sua borsa il suo cellulare e me lo passò. << Tieni, chiama Matt >>.
Bene, già era tanto che dovevo rivelare ad Alex che ero incinta, ora mi facevano chiamare anche Matt che a quanto pareva quella sera in discoteca non era stato troppo sincero con me, aveva omesso il fatto che non mi voleva tra le scatole! Ecco perché mi era sembrato così strano e prima di andarsene mi aveva rivolto quel sorriso finto.
Mi assalii un senso di rabbia che superò la mia paura e mi fece afferrare il cellulare di Cassadee. << Torno subito >>, dissi e con il telefono stretto in mano mi avviai fuori dal bar dove cercai il numero di Matt nella rubrica e lo trovai sotto il nome di Matthew, il suo nome per esteso. Schiacciai il tasto verde con tanta forza da temere di poterlo incastrare.
Matt rispose verso il quarto squillo. << Pronto, qui è Matt >>.
Tentai di addolcire il mio tono e dissi: << Ehi Matt, sono Stella! >>.
Un momento di silenzio. << Stella? Come fai ad avere il mio numero di telefono? >>, mi chiese e nella sua voce riconobbi una nota di panico.
Perché, ti da fastidio?
Pensai infastidita alzando gli occhi al cielo.
<< Sto usando il telefono di Cassadee, non hai visto chi era quando hai risposto? >>.
<< In realtà no, ero impegnato >>, rispose.
<< Oh be’ allora sarò breve >>, dissi. << Mi serve un favore >>.
<< Di che genere? >>, mi chiese e dalla sua voce non sembrò contrariato o scocciato, anzi, sembrava abbastanza… felice?
<< Ho bisogno di vedere Alex e quindi mi chiedevo se io e gli altri potevamo venire su da voi >>.
Un altro momento di silenzio. << Non hai il tour? >>.
Strinsi a pugno la mano libera. << No, sono stata male e Debbie ha annullato alcune tappe per farmi riprendere >>.
<< Si, lo so, Alex e Jack sono venuti da te… e non hanno fatto un concerto >>, commentò in tono neutro e glaciale.
Odiavo farlo soprattutto perché in quel momento Matt mi stava dando davvero sui nervi –forse per gli ormoni della gravidanza?-, ma se c’era un modo per farmi dire di si da Matt, dovevo giocarmi la carta delle scuse… e poi ad una piccola parte di me dispiaceva sul serio. << Senti Matt, mi dispiace, lo so che Alex quando si tratta di me non pensa più ai suoi impegni o al suo lavoro e ti giuro che se mi farai venire lì parlerò con Alex e cercherò di cambiare questa cosa >>.
<< Non lo so, potresti essere una distrazione e sinceramente Stella preferirei che i ragazzi finissero questo tour senza che io debba spostare altre tappe o avvisare i fan che uno dei concerti non si farà >>.
<< Ti prego, è una cosa urgente >>, lo pregai.
<< Io… non posso… >>.
<< Senti >>, sbottai interrompendolo, << ho capito che ti sto antipatica e che vorresti che non stessi sempre in mezzo alle scatole, credimi in questo momento non lo vorrei neanche io e non vorrei che Alex non pensasse ai suoi concerti per me, ma la situazione è urgente >>, feci una pausa per pensare un’ultima volta a quello che stavo facendo e se era davvero necessario farlo, << sono incinta… e non posso dirlo ad Alex tramite un telefono >>.
Il silenzio che seguì questa volta fu molto più duraturo e mi avrebbe quasi fatto pensare che Matt fosse svenuto se non fosse stato per il suo respiro irregolare che riuscivo a percepire in sottofondo. Non volevo spezzare quel silenzio anche perché non toccava a me dirgli qualcosa, era lui che mi doveva dare una risposta.
<< S… s… sei incinta? >>, chiese infine con la voce ridotta ad un sussulto. << Sei sicura? >>, mi chiese nuovamente prima che potessi rispondere.
<< Si, ho un ritardo di diciannove giorni, dovrei essere al primo mese >>, risposi. << È per questo che mi sono sentita male qualche giorno fa, non perché ho avuto un calo di zuccheri >>.
<< Perché non lo hai detto subito ad Alex? >>.
<< Perché quando lui è venuto io ancora non lo sapevo ma anche se lo avessi saputo… non sarei stata pronta a dirglielo >>.
<< Ora lo sei? >>.
Penso di si.
<< Si >>, risposi in un tono che sperai suonasse sicuro.
Lo sentì sospirare. << Voi siete in Francia? >>, mi chiese.
<< Si >>, confermai.
<< Noi domani nel primo pomeriggio arriveremo a Berlino, ci vediamo all’aeroporto? >>.
<< Perfetto >>, sorrisi.
<< Così visto che la sera non abbiamo nessun concerto tu ed Alex avrete tutto il tempo per parlare >>.
<< Doppio perfetto >>, dissi sentendomi un’idiota per quella frase.
<< Allora ci vediamo domani, poi ci sentiamo domani quando partiamo, mando un messaggio a Cassadee >>.
<< Okay, grazie mille Matt, davvero >>.
<< Di nulla >>.
Riattaccò senza dire nient’altro ed io tornai dagli altri che non appena mi videro sorridente, capirono e ricambiarono i sorrisi battendosi qualche cinque tra di loro. << Matt ha detto di si, domani pomeriggio loro atterreranno a Berlino e avranno la serata libera >>.
Debbie cacciò il suo telefono multiuso. <<  Mi informerò subito sugli orari dei voli per Berlino >>.
 << Bene, così domani mattina tornerò anche io dagli altri prima che ricomincino i concerti >>, disse Pierre.
<< Se vuoi dì agli altri la… grande notizia >>, dissi.
Pierre mi sorrise. << Bene, questo è un altro passo per accettare la tua situazione >>.
<< Bene, per dare la notizia ad Alex ci vuole che siate da soli e che siate felici e rilassati >>, disse Cassadee mente mi risedevo al mio posto.
<< Quindi? >>, chiesi.
<< Io opterei per una cena romantica >>, propose Pierre.
<< Ottima idea >>, commentò Cassadee.
<< Si, sono d’accordo >>, annuì Debbie staccando per un attimo gli occhi dallo schermo del suo telefono.
Mi ritrovai per la terza volta a dire: << Perfetto >>.
<< Ma ti serve un bel vestito >>, disse Cassadee. << Devi essere splendida domani sera >>.
<< Perché, se vado vestita normale mi lascerà e non vorrà il bambino? >>, scherzai.
<< No >>, sbuffò, << è perché sarete solo voi due, è una serata importante e voglio che tu sia così sexy da mozzargli il fiato >>.
<< Si, così muore e addio padre del bambino >>, commentai ridacchiando.
<< Fa la seria! >>, esclamò infastidita nonostante sotto sotto stesse ridendo anche lei.
<< E lui poi ti chiede: do you want me o do you want me dead? >>, disse Debbie.
Scoppiammo a ridere tutti insieme.
<< Okay, allora muoviamoci e andiamo a trovare un bel vestito per la cena di domani >>, ci incitò Pierre.
<< E anche della biancheria sexy, quando saprà del bambino secondo me sarà tanto contento che ti porterà subito a letto >>, disse Cassadee.
<< Ma dai! Sono incinta, non lo posso fare >>, obiettai.
<< No, no, guarda che lo puoi fare, lo ha chiesto anche Lachelle al suo ginecologo e lui ha detto che quando non ci sono problemi con la gravidanza lo si può fare senza preoccupazioni anche se deve essere più… delicato >>, ci informò Pierre.
<< Be’ è una buona cosa >>, commentò Cassadee.
<< Si, ma io non so se la mia gravidanza ha problemi >>, ribattei.
<< Se la nausea vuol dire che la gravidanza sta procedendo allora secondo me non hai nessun problema >>, disse Debbie sorridendomi.
Mi preoccupava un po’ il pensiero di farlo quando nella pancia avevo già un esserino che stava crescendo, ma se il neo-papà aveva detto che si poteva fare non vedevo perché non avrei dovuto provare.
<< Fa anche bene al bambino >>, disse Pierre.
Ancora meglio!
Pensai e mi ritrovai a sorridere. Almeno per quello la gravidanza non era un problema.
Pagammo quello che avevamo preso e uscimmo dal bar incamminandoci per la città alla ricerca di un negozio d’abbigliamento dove trovare il vestito perfetto. La ricerca non fu affatto facile, i miei tre accompagnatori avevano gusti completamente diversi e quindi il vestito che piaceva ad uno non piaceva all’altro... a me piacevano tutti e non sapevo decidere, quindi uscimmo da una decina di negozi sempre a mani vuote e con nessuna idea su come dovesse essere il vestito che avrebbe fatto perdere la testa ad Alex.
Fu Pierre il primo che individuò il vestiti perfetto, in un negozio di abiti a poco prezzo; era indossato dal bianco manichino nella vetrina e appena Pierre me lo fece vedere, me ne innamorai e corsi dentro il negozio senza nemmeno aspettare gli altri. Era un vestitino che mi arrivava mooolto più sopra delle ginocchia, aderente, color blu scuro, senza spalline, con una sorta di velo trasparente sopra sempre di color blu, che mi copriva solo una spalla. La commessa mi ci fece provare anche delle scarpe a tacco non troppo alto e sempre color blu che andavano a meraviglia con il vestito. Piacque a tutti quanti e così lo comprai insieme alle scarpe mentre Debbie allegra canticchiava Do you want me dead degli All Time Low. 
Usciti dal negozio, Cassadee insistette per andarmi a comprare della nuova biancheria da mettere sotto il vestito così da mozzare ancora di più il fiato ad Alex, ed io l’accontentai pensando che non mi sarebbe dispiaciuto affatto se Alex mi fosse saltato addosso. Nel negozio di intimo, Pierre restò fuori, preferendo non assistere alla mia prova biancheria e di questo ne fui abbastanza sollevata anche perché una volta dentro Cassadee iniziò a prendere tutti i completini più assurdi tra cui alcuni leopardati, altri ultra trasparenti, alcuni persino pelosi! Alla fine Debbie prese in mano la situazione e mi trovò un completino blu come il vestito e di pizzo, con il reggiseno senza spalline e –purtroppo- le mutande a perizoma che però a detta delle ragazze sarebbero piaciute molto ad Alex ed io mi ritrovai ad essere pienamente d’accordo nonostante la scomodità di quel tipo di mutande.
Quella sera confessai agli altri della band il vero motivo per il quale ero stata male e tutti ne rimasero prima un po’ scioccati, poi, esaltati dalla notizia, avevano iniziato a fare brindisi e a darsi alla pazza gioia come dei matti. Mentre li guardavo festeggiare sperai che anche Alex reagisse così allegramente alla notizia.
 
La mattina dopo, Pierre se ne andò facendomi promettere che gli avrei raccontato com’era andata con Alex, e noi verso tarda mattinata dopo aver fatto colazione –nonostante avessi avuto un po’ di nausea appena mi ero svegliata-, dopo aver fatto le valigie e aver lasciato l’albergo, andammo all’aeroporto per prendere l’aereo che ci avrebbe portati a Berlino o meglio, avrebbe portato solo me, Cassadee e Debbie; la mia band aveva preferito tornare in America dalla famiglia visto che il tour per adesso era finito e io li avevo fatti andare, confidando nel fatto che li avrei rivisti quando anche noi saremmo tornati in America. Era stato un saluto quasi doloroso, perché nell’ultimo anno eravamo stati la maggior parte del tempo insieme, ma sapevo che li avrei rivisti, quindi avevo evitato di piangere e di far sembrare quei baci e quegli abbracci un addio, anche perché speravo che la mia carriere non finisse lì… anche se ero incinta. Anche George e il resto della troupe tornarono a casa, dalle loro famiglie.
Matt mandò un messaggio a Cassadee proprio quando arrivammo all’aeroporto dicendo che loro stavano per partire. Probabilmente saremmo arrivati prima di loro visto che il nostro viaggio era più corto, ma li avremmo aspettati anche perché era Matt quello che aveva prenotato l’albergo.
Il loro aereo atterrò quasi un’ora dopo del nostro e quando arrivò io e gli altri ci eravamo già messi davanti all’uscita pronti ad accogliere gli ATL e la Crew a braccia aperte. Purtroppo non eravamo gli unici ad aspettarli, c’erano anche alcuni giornalisti che guardavano la porta in attesa, pronti per partire con le loro domande e le loro foto non appena le porte scorrevoli si fossero aperte; per fortuna Debbie aveva attrezzato me e Cassadee con dei berretti sportivi prima di farci scendere dall’aereo così da evitare di essere riconosciuti, chissà se Matt aveva avuto la stessa idea… speravo di si.
Le porte si iniziarono ad aprire facendo uscire un sacco di persone che sorridevano ai parenti o agli amici e li abbracciavano. I giornalisti si alzavano sulle punte dei piedi e allungavano i colli cercando di vedere se gli ATL stavano uscendo insieme all’altra marea di gente, ma non fu così. Passò qualche minuto, ma i ragazzi ancora non si vedevano, ma forse era normale e quindi nessuno di noi si preoccupò, ma quando la gente scemò e nessuno uscì più dalle porte mi ritrovai a mordermi nervosamente il labbro completamente in ansia.
<< Dove sono? >>, chiesi girandomi verso Cassadee che fissava le porte con le braccia incrociate al petto.
<< Non lo so >>, disse. << Forse hanno saputo dei giornalisti >>, continuò indicando il gruppetto non molto distante da noi con un cenno della testa.
Tornai a guardare le porte sperando che si aprissero da un momento all’altro, quando in lontananza sentii un rumore che somigliava ad un bisbiglio. Tesi le orecchie cercando di sentire meglio quel suono che somigliava molto al sibilo di un serpente. Mi girai guardando prima a destra e poi a sinistra cercando di seguire la direzione del sibilo, ma non vidi nessuno e iniziai a pensare di avere un difetto all’orecchio, quando il suono si fece più forte e deciso e capì perfettamente cos’era. Mi girai e dietro ad una colonna scorsi il viso di Matt, messo in ombra da un berretto nero con la visiera, che continuava a sussurrare: << Psst >>.
Quando si accorse che lo avevo visto, Matt mi sorrise un po’ incerto e sollevò una mano che tremolò leggermente come se avesse avuto paura di me, il che era ridicolo, non ero mica una criminale.
Battei un dito sulla spalla di Cassadee che si girò a guardarmi; le indicai Matt e lei dopo averlo riconosciuto, mi imitò attirando l’attenzione di Debbie. Con nonchalance, ci allontanammo dall’uscita del volo sperando di non attirare l’attenzione dei giornalisti che praticamente erano gli unici rimasti con noi davanti alle porte, a parte alcuni viaggiatori che continuavano a salutare i parenti.
<< Matt, che diavolo ci fai qui dietro? >>, gli chiesi. << E gli altri? >>.
Matt si sporse dalla colonna e vidi il suo sguardo correre fino ai giornalisti che ancora fissavano le porte con un’intensità che metteva i brividi. << Con quei tipi davanti alla porta non avrei mai fatto uscire i ragazzi dalla porta principale >>, disse, << per quanto ci serva la pubblicità, questa settimana abbiamo avuto sei interviste di cui due lo stesso giorno >>.
<< Wow! >>, esclamò Cassadee. << Come mai quest’affluenza? >>.
Matt si strinse nelle spalle. << Sarà perché hanno annullato un concerto per andare a Parigi >>, mi lanciò un’occhiata che però non riuscì a decifrare prima di tornare a guardare Cassadee, << oppure perché… Zack da qualche giorno sbaglia le note delle canzoni >>.
<< Cosa? >>, chiese Debbie visibilmente scioccata.
<< E perché mai? >>, chiesi in tono neutro anche se dentro avvertivo un leggero terrore.
Matt si strinse nuovamente nelle spalle. << È depresso… da un po’ di tempo >>.
Senza volerlo mi ritrovai a guardare Debbie che però non ricambiò lo sguardo ma abbassò gli occhi verso il pavimento assumendo un’espressione che conoscevo fin troppo bene: si sentiva in colpa.
Cassadee, con mia sorpresa, rimase in silenzio, così toccò a me risollevare un po’ il morale. << Va bene, allora, dove sono gli altri? >>, chiesi.
Matt riportò lo sguardo su di me e annuendo ci fece segno di seguirlo. Ci guidò in una parte un po’ nascosta dell’aeroporto dove non c’era molta gente nonostante fosse in prossimità di un bar dove quattro ragazzi stavano in piedi vicino al bancone e altri quattro erano riuniti in cerchio con alcune valigie e borsoni e parlavano scherzando tra di loro.
Ci fermammo, ancora lontani per essere notati dai ragazzi.
Sorrisi nel vedere Alex che stava ridendo con Jack mentre Vinny al loro fianco stava facendo parlare una bottiglia d’acqua ed una lattina di Coca Cola. Per un attimo, nel vederlo così felice mi domandai se la mia notizia non lo avrebbe rattristato come aveva fatto con me… era l’ultima cosa che volevo, ma ormai ero lì, avevo organizzato tutto e non potevo tirarmi indietro, non dopo che avevo detto a Pierre che lo avrei fatto, si sarebbe sentito deluso da me e non lo volevo.
Feci un bel respiro. Tanto mancava ancora un po’ all’arrivo della sera, era inutile che mi iniziassi a far prendere dall’ansia.
<< Non ti preoccupare, il pancione non ti si vede ancora >>, disse Cassadee sorridendomi.
Risi e senza pensarci mi portai le mani alla pancia. << Per fortuna, se no non sarei riuscita a nasconderla >>.
Alzai gli occhi giusto in tempo per vedere Matt con gli occhi fissi sulla mia pancia e sulle mie mani che la circondavano. Tolsi le mani stranamente messa a disagio da quei profondi occhi scuri; Matt si accorse che lo stavo guardando e si sbrigò a distogliere lo sguardo. << Ho prenotato un tavolo per te ed Alex al ristorante dell’hotel >>, disse.
Lo guardai sorpresa.
<< Lo so che non è il massimo, ma… almeno siete vicini a noi… non si sa mai >>, continuò Matt distogliendo nuovamente lo sguardo dopo avermi guardata per un attimo.
<< Non portare sfiga per favore! >>, lo ammonì Cassadee scoccandogli un’occhiataccia.
Matt alzò le spalle come a scusarsi.
<< Grazie, è stato un gesto carino >>, lo ringraziai sorridendogli.
<< Di nulla, lo faccio con piacere >>, disse Matt accennando ad un sorriso teso.
Volevo quasi ribattere che sapevo che non era vero, ma preferì rimanere con la bocca chiusa per evitare discussioni.
<< Pronta? >>, mi chiese Debbie affiancandomi dal lato in cui non c’erano né Cassadee né Matt.
Annuii, poi mi girai verso di lei e le sussurrai. << E tu? >>.
Mi guardò ed io capì che non era affatto pronta per rivedere Zack soprattutto ora che sapeva che era stato male probabilmente perché lei non si faceva sentire dall’ultima volta che si erano visti.
Le presi la mano e la strinsi mentre avanzavamo verso gli ATL e la Crew totalmente ignari del nostro arrivo. Una volta avevano fatto loro la sorpresa a me, ora l’avrei fatta io a loro.
Danny fu il primo ad alzare gli occhi su di noi e a sorriderci mentre Vinny continuava a far ridere Alex e Jack, mentre dell’altro piccolo gruppo, fu Jeff che mentre sorseggiava una Coca Cola con la cannuccia, ci vide e rimase per un attimo perplesso, poi sorrise all’amico e avvisò gli altri. Gli occhi di Zack saettarono da una parte all’altra dell’aeroporto scrutando i volti di tutte le persone che vedeva mentre il suo corpo si irrigidiva leggermente facendolo sembrare ancora più grosso; non ci volle molto perché i suoi occhi andarono ad incontrarsi con quelli di Debbie che accentuò la stretta intorno alla mia mano e si sforzò di sorridere
 con naturalezza nonostante la sua faccia sembrasse paralizzata in un’espressione terrorizzata.
Le strinsi due volte forte la mano cercando di farle capire che doveva rilassarsi, ma lei lanciandomi un’occhiata in tralice, scosse leggermente la testa facendomi capire che non ce la faceva.
Rian si precipitò tra le braccia di Cassadee con talmente tanta enfasi da far quasi cadere tutti e due. Fu proprio la corsa di Rian a far girare Alex e Jack che non appena ci videro rimasero a bocca aperta completamente presi alla sprovvista.
Con mia sorpresa, Debbie mi lasciò la mano e andò da Zack anche se molto lentamente. Non mi sfuggì lo sguardo triste di Jack che la seguì mentre percorreva la distanza che la separava dal bassista.
Alex rimase immobile a fissarmi con un’espressione scioccata stampata sul viso e per un attimo fui bloccata dalla paura che Jack gli avesse potuto dire qualcosa oppure che nonostante non avessi ancora la pancia mi trovava un po’ più rotonda; ma fu questione di un attimo, poi calmandomi capì che era solo sorpreso di trovarmi lì.
Nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono, il battito del mio cuore accelerò e in quel momento capì che nonostante non desiderassi un bambino, il fatto che lo aspettassi da Alex mi rendeva più felice, perché lo amavo e quel bambino sarebbe stato il frutto del nostro legame.
L’espressione sconvolta di Alex si trasformò piano piano in un sorriso, no, non in un sorriso ma in quel sorriso che adoravo e che era capace di rassicurarmi, di farmi sciogliere come il burro e di farmi scordare tutto quello che era all’infuori di lui. Prima che potessi farlo io, Alex mi corse incontro e mi prese tra le braccia sollevandomi leggermente da terra come se non pesassi nulla e stringendomi tanto forte da farmi mancare quasi il respiro.
<< Mio Dio! Ma che ci fai qui? >>, mi chiese allentando la stretta intorno al mio busto e facendomi ripoggiare i piedi a terra.
Mi strinsi nelle spalle sorridendogli. << Una piccola sorpresa >>.
Lo sguardo di Alex si spostò a Matt che gli sorrise allegramente. << È opera tua? >>, gli chiese.
<< Più o meno >>, rispose il moro. << L’idea è di Stella, io ho solo dato il permesso >>.
<< Strano, quando sono tornato da Parigi mi hai detto che non volevi più distrazioni >>, disse Alex con le sopracciglia aggrottate.
Matt sembrò non sapere cosa dire e si guardò nervosamente intorno mentre il mio stomaco si chiudeva in una morsa tagliente.
<< Sei contento di averla qui o no?! >>, sbottò alla fine Matt facendomi fare un silenzioso sospiro di sollievo.
<< Si >>, confermò Alex spostando lo sguardo verso di me e sorridendomi.
<< E allora non fare domande! >>, esclamò Matt con irritazione.
Nonostante fosse confuso dal comportamento del tour manager, Alex si strinse nelle spalle e lasciandomi per un momento andò a salutare Cassadee e Debbie; io invece mi avvicinai a Jack che non aspettò neanche un minuto e mi strinse a se. << Come stai? >>, mi sussurrò all’orecchio.
<< Abbastanza bene, ho superato la fase del pianto disperato >>, risposi sempre sussurrando.
<< Bene, è una buona notizia >>, sciolse l’abbraccio e mi scompigliò affettuosamente i capelli.
Gli schiaffeggiai la mano che mi aveva infilato nel capelli e lui scoppiò in un’allegra risata. << Sono qui perché voglio dirlo ad Alex >>, sussurrai di nuovo.
Jack rimase in silenzio, poi spostò lo sguardo verso Alex e poi di nuovo verso di me. << Mi sembra un’ottima idea >>, commentò. << Almeno potrò prenderlo a pugni >>.
Alai gli occhi al cielo.
<< Matt lo sa, non è vero? >>, mi chiese.
Annuii. << Se no come avrei fatto a convincerlo a farmi venire qui?! >>.
Jack mi abbracciò nuovamente. << Più ci penso e più non mi sembra vero >>.
<< Fidati, anche a me >>.
Ci staccammo e io andai a salutare gli altri per poi tornare da Alex che mi prese una mano e se la portò alle labbra facendomi arrossire e ridacchiare come una scema.
<< Bene ragazzi, fuori ci sono due pullmini neri che ci aspettano, facciamo in fretta e non fatevi beccare dai giornalisti >>, disse Matt che si era messo davanti a tutti noi che formavamo una sorta di fila per due.
<< Agli ordini capitano! >>, disse Rian imitando un saluto militare.
Matt alzò gli occhi al cielo, ma gli angoli della sua bocca si alzarono leggermente. Si girò e iniziò a camminare a passo svelto seguito da noi che chiacchieravamo allegramente come un gruppo di ragazzi in gita scolastica.
<< Ti sei ripresa? >>, mi chiese Alex dopo un po’.
Annuii cercando di non badare al fatto che Jack dietro di noi si era leggermente irrigidito al suono di quella domanda. << Si, non era nulla di che, Debbie si è preoccupata troppo >>, risposi scoccando una veloce occhiata alla mia migliore amica che era quasi alla fine della fila con Zack, ma non si tenevano per mano e neanche si sorridevano, camminavano semplicemente l’uno accanto all’altra parlando a bassa voce. Mi si strinse il cuore e per un attimo ripensai a come mi erano sempre sembrati una bellissima coppia che parlava sempre e si diceva tutto… tranne in quell’ultimo periodo; odiavo vederli così lontani, ma odiavo di più il fatto che fosse stato mio fratello a renderli così. Potevo fargliene una colpa? No.
<< Invece ha fatto bene, così la prossima volta che decidi di non mangiare ci pensi su due volte >>.
<< Ma dai! Si è trattato solo di una volta, io mangio sempre >>.
<< Oh si, è vero, da piccola era un barilotto per quanto mangiava >>, scherzò Jack.
Alex rise.
<< Ma non dire scemenze! >>, esclamai guardando storto Jack che però aveva iniziato a ridere come un idiota contagiando anche Alex. Era da lui dire una cosa scema e poi riderci per ore anche se non era affatto divertente.
Arrivammo ai pulmini senza incontrare nessuna difficoltà, e dopo aver sistemato le valigie, io, Jack, Alex, Vinny, Matt e Jeff ci accomodammo su un pullman e gli altri si accomodarono nell’altro dopodiché partimmo verso l’albergo dove io avrei onorato la mia decisione.
<< Per stasera Matt ci ha prenotato un tavolo nel ristorante dell’hotel >>, dissi ad Alex che era seduto vicino a me negli ultimi posti del pullmino dove nessuno ci avrebbe sentiti.
Alex sembrò stupito. << Davvero? >>.
Annuii.
<< Come mai? C’è qualcosa che dobbiamo festeggiare? >>, chiese con un sorriso sghembo che mi fece saltare il cuore.
Scossi la testa. << No, è solo per passare una bella serata insieme >>, risposi sorridendo nervosamente –mio malgrado-. Per fortuna Alex non se ne accorse e sorridendomi dolcemente mi mise un braccio dietro le spalle e mi strinse a sé.
<< Mi sembra un’idea bellissima >>, commentò baciandomi la testa.
Sorrisi.
Avevo preferito non dire nulla ad Alex così da evitare che mi iniziasse a fare domande alle quali probabilmente avrei ceduto e non volevo che venisse a sapere della gravidanza prima di quella sera, con l’atmosfera giusta e le parole giuste.
<< È strano come Matt ci abbia prenotato anche la cena, da quando sono tornato da Parigi non aveva fatto altro che ripetermi che sarei dovuto restare concentrato sulla band, che non avrei dovuto saltare altri concerti e che non gli dovevo chiedere di farti venire qui da noi >>.
Il mio sguardo vagò verso Matt che era seduto in uno dei posti davanti ma era girato verso Jack che sedeva al posto dietro al suo e quindi lo potevo vedere mentre sorrideva divertito dalle battute dell’amico e rideva come mai gli avevo visto fare. Con me non era mai così allegro, restava sempre sulle sue e Cassadee mi
aveva svelato il perché, ma non aveva senso che non mi sopportasse solo perché ero una distrazione per Alex, avrebbe dovuto conoscermi prima di decidere di non essere simpatico con me o di non essermi amico… a pensarci bene perché aveva accettato di essere mio amico quella sera in discoteca se alla fine pensava che fossi una che sta sempre in mezzo?
Provai una strana sensazione di tristezza mentre guardavo il suo bel sorriso candido, la barba leggermente accennata, gli occhi scuri, i capelli neri leggermente spettinati per via del cappello che aveva indossato fino a quel momento e il piercing al labbro che toccava ogni tanto con la lingua forse più per abitudine che perché lo volesse.
Gli occhi di Matt si spostarono da Jack a me beccandomi mentre lo stavo ancora osservando. Sentì il sangue affluire alle guance e imbarazzata spostai lo sguardo fuori dal finestrino pensando che fosse una cosa davvero poco carina stare tra le braccia di Alex mentre osservavo Matt ammirando la sua bellezza soprattutto visto che ero incinta.
Non potevo ignorare però il fatto che il mio cuore avesse accelerato i suoi battiti mentre lo sguardo di Matt si intrecciava con il mio anche se per pochi secondi.
 
Scesa la sera, mi ritrovai in camera di Debbie insieme a lei, Jack e Cassadee per prepararmi alla grande cena che avrebbe segnato la mia vita o per meglio dire quella di Alex che di sicuro non si aspettava affatto di star per diventare padre, infatti varie volte mente eravamo in camera aveva cercato di portare dei semplici baci a qualcosa di più, ma io avevo dovuto fermarlo con la scusa che avremmo avuto tutto il tempo dopo la cena ma la verità era che mi sentivo strana a lasciarmi andare con dentro un piccolo essere che nei vari mesi sarebbe diventato un bambino, quindi avrei aspettato che lui lo sapesse così che facesse tutto con più… delicatezza. Nonostante avesse provato a nasconderla, avevo notato l’espressione delusa sul volto di Alex quando per la seconda volta lo avevo allontanato.
<< Io non faccio andare mia sorella in giro con addosso quella roba >>, si ribellò Jack quando Cassadee cacciò dalla sua valigia il completino blu intimo che mi ero comprata. Lo avevamo messo lì insieme al vestito per precauzione, nel caso Alex fosse andato a sbirciare nella mia valigia.
<< Infatti avrà questo sopra >>, disse Debbie cacciando il vestito e mostrandolo a Jack che seduto sul letto guardava con aria preoccupata il completino intimo.
<< Sei fortunato che Cassadee non mi abbia costretta a comprare un completino leopardato >>, dissi vergognandomi solo al pensiero di indossare mai una cosa del genere.
Jack mi guardò con gli occhi sgranati. << Be’ il leopardato è peggio, ma… >>, si interruppe prendendo in mano il perizoma, <>.
Ridacchiai.
Cassadee sbuffando tolse di mano la mutanda a Jack. << Lo sappiamo tutti che se non lo dovesse indossare tua sorella lo troveresti “accettabile” >>.
Le guance di Jack si tinsero di rosso ed io e Debbie scoppiammo a ridere. << Va bene, forse hai ragione >>, disse Jack incrociando le braccia al petto.
<< Bene, quindi non fare storie e dicci solo se ti piace oppure no >>, lo istruì Cassadee battendogli qualche pacca sulla schiena alla quale Jack rispose con un’occhiataccia.
La preparazione fu abbastanza veloce e Jack apprezzò tutto, forse perché costretto da Cassadee, ma sembrò abbastanza sincero quando uscita dal bagno con addosso il vestito aveva spalancato la bocca e contemporaneamente anche gli occhi.
Debbie mi acconciò i capelli in una sorta di coda alta che si reggeva grazie ad alcune mie ciocche di capelli, non grazie ad un elastico il che mi lasciò un po’ dubbiosa su quanto potesse reggere, ma mi fidai di Debbie; poi mi truccò usando un ombretto dello stesso colore del vestito, del mascara, della matita, un po’ di cipria e per finire il rossetto rosa visto che il rosso non mi donava affatto.
Quando fui pronta, Jack uscì dalla stanza dopo avermi augurato buona fortuna, per andare da Alex ad avvertirlo che io ero pronta e per vedere lui com’era vestito; Cassadee rimase in camera e anche lei mi abbracciò augurandomi che tutto andasse bene, Debbie invece mi accompagnò fino al ristorante. Ci volle un po’ per arrivare visto che per l’agitazione non riuscivo a camminare bene sui tacchi e quindi ad ogni passo scivolavo oppure prendevo una storta perché non riuscivo a reggermi in piedi. Per fortuna Debbie mi sorresse per tutto il tragitto ridacchiando quando inciampavo nei miei stessi piedi e mi davo della stupida.
Avevo pensato di chiedere a Debbie come era andata con Zack, ma visto che dovevo rimanere concentrata su dove e come mettevo i piedi, decisi che avrei rimandato la domanda al giorno dopo anche perché ero troppo nervosa per parlare o per pensare ad altro. Quando dopo una decina di minuti buoni, arrivammo al ristorante, Jack era fuori alla porta che ci aspettava andando avanti e indietro la porta. Non appena ci vide ci venne incontro e ridacchiò anche lui non appena mi vide inciampare.
<< Non c’è nulla da ridere! >>, sbottai. << Sono talmente agitata che mi trema tutto >>.
<< Tranquilla, andrà bene, devi solo essere più rilassata >>, disse Debbie.
<< E come? Sto per dirgli che aspettiamo un bambino e non so come reagirà >>.
Jack mi sorrise e mi si avvicinò per baciarmi la fronte. << Vedrai che ne sarà felice… oppure se la vedrà con me >>.
Scossi la testa sorridendo.
Debbie mi strinse una mano. << Buona fortuna Tella >>.
Le sorrisi e la strinsi in un abbraccio cercando di prendere dal suo affetto il coraggio che mi mancava. << Grazie >>.
Abbracciai anche Jack che mi indicò il tavolo dove era seduto Alex e poi se ne andò mano nella mano con Debbie. Sorrisi nel vederli andare via così felici. Mi girai e guardai Alex, seduto ad uno dei tavoli con un’espressione rilassata sul volto, nonostante non fosse molto a suo agio nello smoking elegante che indossava; probabilmente era opera di Jack oppure di Cassadee che amava mettere sempre il suo zampino ovunque.
Mi avviai al tavolo continuando a ripetermi che ce la potevo fare e che Alex sarebbe stato felice. Non mi potevo più tirare indietro, dovevo affrontare il mio futuro.
Non appena lo sguardo di Alex si alzò su di me e la sua bocca si aprì in un sorriso, fui sicura che quella era la cosa giusta da fare e mi affrettai ad arrivare al tavolo.
Alex si alzò e dopo avermi osservata bene dalla testa ai piedi facendomi leggermente arrossire, mi strinse a se e posò le sue labbra sulle mie facendo sparire completamente ogni traccia di agitazione che mi era rimasta. Quando ci allontanammo, notai con imbarazzo che la gente presente nel ristorante ci stava guardando, così mi affrettai a mettermi seduta per non attirare più l’attenzione.
<< Dio mio, sei bellissima >>, disse Alex continuando a squadrarmi con gli occhi.
Arrossì nuovamente ringraziando mentalmente Cassadee. << Cassadee sperava reagissi così >>, dissi. << Anzi, sperava iniziassi a cantare do you want me dead >>.
Ridacchiò. << In effetti stavo proprio pensando che ti sei vestita così per farmi morire dalla voglia di saltarti addosso >>.
<< Vero >>, sorrisi. << Per questo ti ho detto che era meglio aspettare questa sera >>.
<< Ne varrà di sicuro la pena >>, commentò con gli occhi che continuavano a muoversi maliziosi lungo il mio corpo nonostante fossi seduta.
<< Se ti piace il vestito aspetta di vedere cosa c’è sotto >>, dissi soffocando una risata quando mi guardò
storto perché era ovvio che stava morendo dalla voglia di lasciare il ristorante per andare di sopra.
<< Si, mi vuoi decisamente morto >>, disse prima di portarsi il bicchiere alla bocca.
La serata trascorse velocemente e mi divertì così tanto che mi dimenticai quasi del vero motivo per il quale era stata organizzata tutta quella cena; per fortuna ci pensò Alex a ricordarmelo, che dopo aver finito di mangiare anche il dolce disse: << Allora, prima di venire qui Jack è venuto da me e si è assicurato che mi fossi vestito elegante come mi aveva ordinato Cassadee e in più mi ha raccomandato di non trattarti male e di rimanere calmo il che mi fa pensare che c’è qualcosa sotto tutta questa cena >>.
Ormai eravamo alla fine, non c’era più motivo per rimandare o per mentire. Annuii. << Si, in effetti c’è qualcosa che ti devo dire >>, ammisi.
Appoggiò i gomiti al tavolo e unì le mani mentre un sorriso soddisfatto gli aleggiava sul viso. << Una cosa buona o brutta? >>.
Bella domanda.
Pensai.
Mi morsi un labbro. << Penso che questo lo debba decidere tu >>.
Alex non disse nulla e aspettò che io iniziassi a parlare guardandomi dritto negli occhi. Mi sentì come se la cena mi stesse tornando su e per un attimo impallidì pensando fosse per colpa della nausea, ma poi mi accorsi che era solo colpa del nervosismo che aveva ricominciato ad attaccarmi lo stomaco.
Feci un bel respiro. << Be’… è successo… cioè… no… io ho… oh santo cielo! >>, balbettai. Ero senza speranze, non ce l’avrei mai fatta a dirglielo.
Alex mi prese le mani tra le sue e mi incitò ad alzare di nuovo lo sguardo che avevo abbassato per la vergogna. Mi sorrise ma non disse nulla, così ci riprovai insultandomi mentalmente per spingermi a tirare fuori il rospo, ma proprio quando stavo per parlare, vidi Matt correre a perdi fiato verso di noi. Alex, vedendo la mia reazione stupita, si girò e fissò Matt altrettanto sbalordito. << Matt che succede? >>, gli chiese.
Matt parlò con l’affanno, ma riuscì a capire perfettamente quello che diceva. << Zack… e Jack… si stanno… picchiando >>.
Mi si gelò il sangue nelle vene e l’unica cosa a cui pensai prima ci catapultarmi verso l’ascensore fu: oh cazzo!

Ehiii :D
Con -spero- vostra gioia (xD) ho aggiornato prima :) anche se ora vi lascerò con la voglia di leggere il continuo fino alla prossima settimana D: non odiatemi! U.U se ce la faccio metterò il prossimo capitolo prima anche grazie alle vacanze di pasqua *w*.
Avete sentito la buona notizia? :D gli ATL tornano in Italia *-* anche se fanno da band di supporto ai Green Day D: io sono ancora indecisa se andarci o meno, non sono una fan sfegatata dei Green Day, ma alcune canzoni mi piacciono quindi penso che non sarebbe brutto o noioso vederli in concerto... però bo'... sono ancora titubante, i biglietti costano anche tanto D: contando il fatto che a vedere gli ATL vogliono venire sia mia sorella che mia mamma xD
Andare o non andare, questo è il dilemma D: . Ma un concerto loro da soli no è?! D:
Tra di voi lettori c'è qualcuno che è intenzionato ad andare o che ci va? :3

Buona settimana genteee :D! A presto! 

Miki*

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Capitolo 14
*** Get out while you can or she'll tear you to pieces ***


-The Girl’s Straight Up-.

 

Viaggiai in uno stato di confusione mentale per tutto il tragitto verso la camera di Jack dove Matt ci guidò mentre Alex scioccato continuava a fare domande su come fosse possibile che stessero facendo a botte, ma Matt non gli rispondeva, anzi, quando Alex faceva delle domande guardava me con espressione neutra e io non riuscivo a capire il perché; forse perché sapeva che io ero a conoscenza del motivo per il quale probabilmente Zack stava uccidendo il mio fratellone che era magro come un’acciuga e Zack l’avrebbe potuto spezzare in due come un grissino a mani nude.
La porta della camera di Jack era spalancata, Cassadee era la più vicina alla porta, al suo fianco c’era Rian che guardava la scena ai loro piedi senza battere ciglio: Zack era sopra Jack e lo stava tartassando di pugni in un modo che mi fece rabbrividire. Debbie era a qualche passo di distanza dai due ragazzi e piangeva a dirotto scossa dai singhiozzi che non si sentivano neanche per quanto Jack stesse urlando e per quando fosse forte il rumore dei colpi di Zack contro la pelle di Jack.
Alex intervenne insieme a Matt alzando di peso Zack che si dimenava come una sorta di gorilla impazzito. Mi sentì cedere il cuore quando vidi Jack sdraiato a terra grondante di sangue e con il naso rotto. Mi chinai su di lui. << Mio Dio Jack stai bene? >>, gli chiesi cercando di togliergli il sangue dalla faccia il meglio che potevo, ma non feci altro che imbrattarmi a mia volta. Un occhio di Jack era nero e non riusciva ad aprirlo bene.
<< Stagli lontana! >>, mi urlò Zack. Alzai lo sguardo verso di lui e lo vidi rosso in faccia per la rabbia, che continuava a dimenarsi tra le braccia di Matt ed Alex. << Quello è un traditore bastardo, non merita nulla! >>, continuò Zack.
Non riuscì a replicare, improvvisamente la bocca mi diventò arida come un deserto.
<< Okay Zack, calmati adesso >>, lo pregò Alex. << Calmati e spiegami cos’è successo >>.
Con uno strattone Zack si liberò dalla presa dei due amici che caddero quasi all’indietro. Per fortuna Zack non cercò di tuffarsi di nuovo addosso a Jack, ma lo continuò comunque a guardare con gli occhi verdi pieni di rabbia e di delusione. << È successo che questo stronzo, che io pensavo fosse mio amico, se la faceva alle mie spalle con quella puttana >>, si girò indicando Debbie che continuava a singhiozzare.
Alex spostò lo sguardo da Jack a Zack a Debbie. << Che cosa? >>.
<< Hai capito bene, il nostro caro chitarrista è un traditore che non aspetta altro che pugnalare alle spalle gli amici pur di farsi una donna >>, disse Zack.
Alex guardò Jack e dal suo sguardo potei capire che era scioccato, deluso. << Holly >>, sussurrò e Jack annuì senza forze.
<< Zack… mi dispiace tanto >>, gli dissi alzandomi e catturando il suo sguardo glaciale. << Ma… Jack non l’ha fatto apposta, lui si è innamorato di Debbie >>.
Zack mi si avvicinò di un passo ed io ammutolì presa dalla paura. << Come può essere innamorato? >>, sibilò tra i denti. << Lui che è passato di ragazza in ragazza come se non fossero nulla, come può essere innamorato di qualcuno? >>.
<< Non sono un mostro >>, disse Jack che si stava alzando piano piano.
<< Ah no? E allora perché mi hai tradito? >>, urlò quasi Zack. << Perché me l’hai portata via?! >>. Vidi scendere una lacrima sulla guancia di Zack.
<< Io… non volevo Zack… davvero, non… >>, cercò di dire Jack, ma l’ira di Zack era implacabile.
<< Non volevi, un cazzo! >>, sbottò. << Se tenevi a me non l’avresti fatto, se tenevi alla nostra band ci avresti ripensato >>.
<< Sono innamorato! >>, esclamò Jack con esasperazione.
<< Di lei? >>, Zack indicò Debbie con una mano. << Quella ragazza che ti potrebbe tradire senza provare rimorso, che alla prima occasione ti lascerà perché improvvisamente non ti ama più e non gli basta più quello che hai fatto per lei >>. Guardò Debbie con dispiacere ma anche con disgusto.
<< Non… non… è vero che non ti amo… più >>, disse Debbie tra un singhiozzo e l’altro.
<< E allora perché mi hai fatto questo? >>, le chiese Zack con la voce rotta dal dolore. Le lacrime sgorgarono veloci dai suoi occhi e alcuni singhiozzi scossero il suo corpo.
Debbie mosse qualche passo verso Zack cercando di toccarlo, ma non appena le sue mani gli toccarono un braccio, lui la spinse via facendola cadere a terra. << Non voglio rivederti mai più! >>, esclamò.
Debbie scosse la testa. << No, ti prego >>.
<< Tu mi hai spezzato il cuore… io ti amavo! >>, singhiozzò Zack.
<< Zack… mi dispiace… >>, sussurrò Debbie.
<< Sei un stronza! >>, urlò Zack che fece per aggredire Debbie, ma per fortuna Matt e Rian lo ostacolarono e lo portarono indietro.
<< Smettila Zack >>, dissi. << Non puoi arrabbiarti tanto con lei, lei ti ama... solo... che ama anche Jack >>.
Zack mi guardò ma non disse nulla, al suo posto fu Rian a rispondere. << Per te ha senso quello che stai dicendo? >>, mi chiese. Per una volta sulla sua faccia non c’era nessun sorriso allegro e luminoso. <>, guardò Jack, << e gli amici non si tradiscono >>.
<< È innamorato, lo dovresti capire >>, dissi proteggendo Jack.
Mi guardò fulminandomi con lo sguardo. << Prendi le sue difese perché probabilmente anche tu come la tua amichetta sei un puttanella e aspetti solo il momento giusto per tradire Alex >>.
Mi ribollì il sangue nelle vene. << Ma che cazzo dici! >>.
Alex si fece avanti. << Rian tieni la bocca chiusa! >>, esclamò.
Rian lo guardò. << Come fai a proteggerla? >>, gli chiese. <>.
Alex mi guardò ed io distolsi lo sguardo non riuscendo a incrociare i suoi occhi. << L’ho fatto perché voglio bene a Jack e perché sapevo che era veramente innamorato >>.
<< Dovevi fermarlo! >>, sbottò Rian. << Hai combinato un disastro >>.
<< Io?! >>, sbottai. << Io non ho fatto nulla, sono stata solo leale >>, ribattei.
<< Verso tuo fratello, non verso Zack >>, precisò Rian.
Aveva ragione. Restai in silenzio finché non mi venne in mente una cosa. << Come hai fatto a saperlo? >>, chiesi guardando Zack.
<< Me lo ha detto Rian >>, rispose asciugandosi le lacrime che continuavano a scendergli lungo le guance.
Guardai Rian che guardò a sua volta Cassadee che non alzò gli occhi verso di me. Mi sentì mancare. << Cassadee? >>. Ero scioccata.
<< Ho visto Jack e Debbie baciarsi quando è venuto a Parigi >>, rispose lei, poi alzò finalmente lo sguardo verso di me. << Dovevo dirglielo, Zack stava male e io non sopportavo di vederlo così >>.
<< Non ti scusare Cass >>, le disse Rian. << Vuol dire che non sei una bugiarda puttana come quelle due >>.
Il pugno che colpì in faccia Rian fu rumoroso e violento vista la rabbia che si era scatenata in Alex. << Non ti azzardare mai più a dare della puttana alla mia fidanzata >>.
<< Ti ha mentito! >>, esclamò Rian.
Alex scosse la testa. << Ha fatto quello che era giusto >>, mi guardò e mi sorrise lievemente. << È Jack quello che mi ha mentito >>.
Guardai il mio fratellone che si era seduto sul letto e sembrava quasi moribondo; al suono delle parole di Alex distolse lo sguardo dalla scena.
<< Jack, mi domando davvero come tu abbia potuto farlo… non hai neanche avuto il coraggio di dircelo! >>, disse Rian con la voce più calma.
Jack si girò di scatto verso i suoi amici. << Per dirvi cosa? >>, sbottò. << Che mi sono innamorato per la prima volta e che dovrei tirarmi indietro perché la ragazza che mi piace è fidanzata con uno dei miei migliori amici anche se io la conosco da molto più tempo e la amo da sempre ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo? Se vi avessi detto questo sarebbe cambiato qualcosa? >>.
Si ammutolirono, fu Zack a riprendere la parola. << Tanto sarebbe finita comunque così >>, disse. << Te la puoi prendere, non mi interessa più… e neanche  tu >>.
Jack guardò l’amico serio. Aveva ottenuto Debbie ma aveva perso molto di più. Non che Debbie non valesse, ma l’amicizia con gli altri era sempre stata molto unita e ora… li aveva persi.
Zack rivolse un ultimo sguardo a Jack e a Debbie e poi se ne andò dicendo solo: << Get out while you can or she’ll tear you to pieces >>.
Quella frase mi sembrò familiare e mi ci volle un po’ per ricordare dove l’avessi sentita: “The girl’s a straight up” canzone degli All Time Low uscita nel 2006… chissà se ce ne sarebbero state altre.
<< Penso che siamo arrivati al capolinea >>, disse Rian e come Zack sparì dalla stanza seguito a ruota da Cassadee che mi rivolse un’occhiata dispiaciuta che io non riuscì a ricambiare sentendomi improvvisamente tradita da un lato ma dall’altro sapevo perché Cassadee lo avesse fatto e la capivo… lo stesso non sarebbe stato per Debbie.
Matt fece per uscire ma prima, rivolto a me, mormorò un “mi dispiace” ed io gli sorrisi tristemente un po’ sorpresa dal fatto che si fosse dispiaciuto dell’andata in fumo del piano. Debbie si alzò e fece anche lei per uscire, ma Jack la fermò esclamando: << Debbie! Non andare via! >>.
Lei si girò con le lacrime che le rigavano il dolce viso ridotto ad una smorfia di dolore. << Mi dispiace Jack, ma non posso… >>, singhiozzò.
<< Ma… è tutto risolto >>.
Lei scosse la testa. << Non voglio… continuare, ho combinato un disastro e non mi merito ne te ne nessun’altro >>. Uscì dalla camera prima che Jack potesse obiettare.
<< Ero il tuo migliore amico, avresti potuto anche dirmelo, io non ti avrei giudicato, non l’ho mai fatto >>, disse Alex e il fatto che avesse usato il passato mi fece sussultare al pensiero che anche lui potesse abbandonare Jack.
Jack non disse nulla ed Alex uscì dalla camera, poi si girò verso di me per vedere se avevo intenzione di seguirlo, ed io dissi: << Ti raggiungo dopo, ha bisogno di me >>.
Alex annuì comprensivo. << Io vado a pagare il conto >>.
Gli sorrisi lievemente e chiusi la porta facendo un profondo respiro. La tempesta si era palcata almeno per il momento, ma aveva lasciato molte vittime.
Mi girai verso Jack che era rimasto seduto immobile a guardare un punto davanti a sè con il sangue che sgorgava dal naso. Andai nel bagno e recuperai un asciugamano, lo bagnai e tornai da Jack il quale non disse nulla mentre gli ripulivo la faccia dal sangue e constatavo che probabilmente il naso non era rotto, era solo un po’ ammaccato, quello che stava messo peggio era l’occhio sinistro che stava già diventando viola come anche la guancia. Non ero certo un medico, ma riuscì a cavarmela e a farmi dare dalla reception un po’ di ghiaccio da far mettere sull’occhio a Jack.
<< Ho rovinato tutto >>, disse una volta che mi fui seduta accanto a lui sul letto. << Gli All Time Low sono finiti, ho perso i miei amici e anche la ragazza che amo >>.
<< Non saltare subito a conclusioni affrettate, devi dare il tempo a tutti di digerire la notizia >>, dissi. << Debbie è scioccata e spaventata, non deve avere le idee molto chiare in questo momento e Zack… è arrabbiato, ma… sbollirà e magari ti perdonerà >>.
Scosse la testa. << No, Zack non mi perdonerà, e Debbie non si perdonerà mai di aver fatto soffrire Zack quindi probabilmente non mi vorrà più >>.
<< Hai sempre Alex >>, dissi.
<< Ho tradito anche lui >>, disse togliendosi il ghiaccio dall’occhio viola. << Non avrei dovuto farlo, lui è come un fratello per me… meritava la mia onestà >>.
<< Lui capirà, Alex ti vuole molto bene >>.
<< Non ne sono così sicuro >>, ammise. << Ho fatto un tale casino da non meritarmi nessuno >>.
Lo guardai storto. << Nessuno dovrebbe essere solo e tu di sicuro non devi esserlo, hai fatto la cosa… che ti diceva il cuore >>.
Rise amaramente. << Per una volta che… ero felice, mi è caduto tutto addosso >>.
<< Si sistemerà tutto, vedrai >>, cercai di rassicurarlo.
Scosse la testa. << No, non si aggiusterà mai nulla >>. Scoppiò in lacrime cogliendomi totalmente alla sprovvista. Si accasciò sulle mie gambe continuando a singhiozzare.
Mi sentì il cuore cedere. Non avevo mai visto mio fratello così tanto triste e avrei voluto aiutarlo, ma non sapevo come, non potevo risolvere la situazione, al massimo potevo parlare con gli altri ma dubitavo fortemente che Rian e Zack mi sarebbero stati ad ascoltare.
Gli accarezzai la testa cercando di confortarlo, ma ben presto anche io scoppiai in un pianto silenzioso sentendomi impotente e preoccupata per Jack.
Jack si addormentò dopo aver pianto a dirotto per un tempo lunghissimo ed io prima di andarmene lo feci sdraiare sul letto e gli rimboccai le coperte.
Uscita dalla camera di Jack andai in camera di Alex –che poi era anche camera mia-, ma non lo trovai e così mi trovai costretta ad andare a chiedere a Matt se lo avesse visto.
Bussai piano alla porta non sapendo se fosse andato a dormire, ma quale manager avrebbe mai potuto dormire ora che i suoi musicisti stavano iniziando ad allontanarsi?
La porta si aprì subito e Matt fece capolino con la testa per vedere chi era rimanendo con il resto del corpo dietro la porta come per nascondersi, e dopo un’attenta osservazione capì il perché.
Arrossii all’istante appena capì che non stava indossando nessun indumento a parte forse la biancheria e lui probabilmente se ne accorse, perché imbarazzato mi fece segno di aspettare un attimo e sparì nella camera per poi tornare dopo poco con indosso una paio di jeans.
<< Scusa, non mi aspettavo un visita >>, si scusò diventando leggermente rosso.
Inaspettatamente gli angoli della mia bocca si alzarono in un sorriso. << No, scusa tu se ti disturbo, ma ho bisogno di chiederti solo una cosa >>, dissi.
<< Tranquilla, tanto mi ci vorrà un po’ per prendere sonno >>, disse toccandosi stancamente la fronte. << Comunque dimmi >>, mi incitò.
<< Sto cercando Alex, in camera non c’è e mi domandavo se lo avessi visto >>.
Matt annuì. << Si, l’ho visto uscire dall’albergo ma non so dove sia precisamente >>.
Be’ il fatto che fosse uscito mi bastava, probabilmente non era andato molto lontano e potevo raggiungerlo.
<< Bene, lo vado a cercare >>, dissi poi rivolgendogli un altro sorriso lo ringraziai facendo per andarmene.
<< Stella? >>.
Mi girai e vidi che Matt mi stava tendendo un cappotto nero che guardai perplessa. << Fuori fa freddo e poi hai il vestito sporco di sangue, è meglio se metti qualcosa sopra >>, spiegò.
Colpita da quel gesto di gentilezza, presi il cappotto  e sorrisi nuovamente a Matt che sembrò quasi soddisfatto. Mi ero completamente dimenticata di avere il vestito macchiato di sangue. << Grazie >>.
<< Ci vediamo domani >>, mi salutò sorridendomi: non un sorriso tirato o finto, ma un sorriso vero, come quello che aveva rivolto a Jack sul pullmino.
Quando la porta si richiuse non riuscì a non sorridere pensando al fatto che finalmente avevo ottenuto un sorriso dal tour manager che non mi sopportava. Indossai il cappotto che era impregnato di un profumo buonissimo, probabilmente quello che usava Matt; me lo abbottonai così da nascondere il vestito e presi l’ascensore per scendere al piano terra dove mi avviai verso l’uscita e una volta arrivata sul marciapiede,  girai a destra affidandomi all’istinto e sperando che non mi portasse in un vicolo cieco.
Matt aveva ragione, quella sera faceva abbastanza freddo, ma il suo cappotto era talmente caldo e morbido che avvertì il freddo pungente solo nel momento in cui uscii dall'hotel.
Camminai per un po’ lungo il marciapiede senza vedere Alex da nessuna parte e stavo per rinunciare alla ricerca e tornare indietro, quando lo vidi, accucciato su una panchina con le gambe strette al petto e la testa appoggiata alle ginocchia. Mi ci avvicinai lentamente e quando arrivai mi sedetti accanto a lui accorgendomi solo in quel momento che i piedi mi facevano un male tremendo probabilmente per colpa dei tacchi.
Ma quando si è incinta si possono indossare i tacchi?
Lo guardai e lui si girò verso di me. << Come hai fatto a trovarmi? >>, mi chiese.
<< Matt mi ha detto che eri uscito dall’albergo allora sono venuta a cercarti affidandomi al mio istinto >>.
La sua espressione si fece accigliata. << Indossi il cappotto di Matt? >>.
Sobbalzai leggermente e mi sentì stranamente in imbarazzo, ma cercai di fingere nonchalance. << Si, il vestito si è un po’ macchiato… visto quanto sangue ha perso Jack >>.
Alex annuì. << Solo che ora profumi di Matt >>, rise lievemente.
Risi anche io. << O mettevo il cappotto oppure mi avrebbero arrestata pensando che avessi commesso un omicidio >>.
<< Giusto >>, annuì.
Rimanemmo per un attimo in silenzio ad osservare la strada deserta che si estendeva davanti a noi.
<< Non l’ha fatto apposta a non dirti nulla, lui ti vuole bene, ma ha passato un periodo un po’… così >>, dissi.
Sentì Alex sospirare. << Lo so, anche io gli voglio bene, ma...  vorrei che fosse sincero con me, avrei preferito che mi raccontasse i suoi problemi, non che se li tenesse per se stesso >>.
<< Anche io quando ho saputo di questa storia ne sono rimasta abbastanza scioccata, e delusa dal fatto che nessuno dei due me lo avesse detto, ma… poi ho capito che avevano solo paura di far diventare troppo “popolare” il loro segreto >>. Sorrisi. << Per quando riguarda Jack avevi ragione, lui si sentiva solo e anche non capito >>.
Si infilò le mani nei capelli. << Avrei… voluto saperlo per fare qualcosa… >>.
<< Ma cosa avresti potuto fare? >>, gli chiesi con un sorriso triste. << Tanto prima o poi Zack lo sarebbe venuto a sapere… e nessuno avrebbe potuto farci niente >>.
<< Ma… ora è tutto finito, Zack e Rian sono incavolati con Jack, Zack e Debbie si sono lasciati e a quanto pare lei ha lasciato anche Jack… come possono andare avanti le cose in questa situazione? >>.
Scossi la testa. << Non lo so, ma forse si risolveranno da sole, devi dare solo il tempo agli altri di sbollire la rabbia >>.
<< Vorrei poter credere nelle tue parole, ma noi non avevamo mai litigato così pesantemente e anche se è mio amico, Jack ha combinato un casino e ha incasinato… tutta la nostra vita! Tutti i nostri sogni >>.
Gli presi una mano tra le mie. << L’ha fatto per un motivo valido >>.
Si girò a guardarmi e strinse di più la sua mano alla mia. << Forse anche io avrei fatto quello che avrebbe fatto lui se ci fossi stata tu al posto di Debbie >>, ammise dopo averci pensato su.
Sorrisi. << Visto? Non possiamo giudicare Jack per quello che ha fatto, perché se fossimo stati al suo posto avremmo fatto la stessa identica cosa >>.
Sospirò. << Parlerò con lui e con gli altri domani mattina, sperando di risolvere la situazione >>.
Gli passai una mano tra i capelli scompigliandoglieli. << La speranza è l’ultima a morire e io credo molto nella vostra amicizia >>.
Mi prese il mento con una mano e avvicinò il suo viso al mio per far incontrare le nostre labbra. << Mi dispiace per la nostra serata >>, sussurrò allontanando le labbra solo di pochi centimetri dalle mie prima di farle riunire in un bacio più lungo e più intenso.
<< Non fa nulla >>, sussurrai a mia volta.
<< Cos’era che mi dovevi dire? >>, mi chiese.
Con gli avvenimenti di quella sera non era più l’occasione per dire ad Alex della gravidanza, non solo ora era in pensiero per il suo futuro, dovevo anche mettergli addosso il pensiero che sarebbe diventato padre… no, non potevo. Il bambino avrebbe aspettato, c’erano questioni più importanti che andavano risolte e Alex era già abbastanza triste, non volevo peggiorare la situazione.
Scossi la testa facendo sbattere il mio naso contro il suo per la troppa vicinanza. << Nulla di importante >>.
Alex non mi chiese di più e avvicinò di nuovo il viso al mio schiudendo le sue labbra per far incontrare le nostre lingue in una sorta di danza che mi infuocava il cuore.
<< Meglio che andiamo, è stata una serata pesante >>, disse quando ci staccammo per riprendere fiato.
Annuii. << Si, credo sia meglio >>.
Si alzò e poi aiutò me ad alzarmi tendendomi una mano. Ripercorremmo la strada che avevo fatto all’andata in silenzio, mano nella mano. Ad un certo punto mi accorsi di una presenza alle nostre spalle e sbirciando con la coda dell’occhio riuscì solo a vedere una sagoma scura. Mi girai per vedere chi fosse a seguirci, ma non vidi nessuno e quindi mi convinsi che probabilmente mi ero immaginata tutto.
Solo qualche giorno dopo avrei scoperto che non era stata affatto una mia immaginazione.

 (Alex)

Non sapevo quanto tempo fosse passato da quando io e Stella ci eravamo messi a letto, sapevo solo che non sarei riuscito a chiudere occhio quella notte, avevo troppi pensieri per la testa e troppe preoccupazioni, tutto l’incontrario di Stella, che invece si era appisolata quasi subito tra le mie braccia. Era da molto che ascoltavo i suoi profondi respiri e che le accarezzavo i capelli, questo lo sapevo e sapevo anche che era ancora notte, lo sentivo dal silenzio che filtrava dalla finestra mezza aperta.
Avrei tanto voluto addormentarmi per scivolare via dalla mia vita e andarmi a rifugiare nel felice e tranquillo mondo dei sogni così da scordare per un po’ gli avvenimenti catastrofici di quella sera, ma non ci riuscivo proprio, ogni volta  che chiudevo gli occhi mi tornavano in mente le avventure che avevo avuto con i miei tre amici, i viaggi che avevamo fatto, i concerti… più ci pensavo e più mi sentivo soffocare alla sola idea che tutto quello fosse finito così, senza sorrisi, senza abbracci ma con rabbia e insulti. Il pensiero che mi tormentava più di tutti era quello che Jack potesse pensare che lo odiassi, che non lo volevo più come amico e che anche io lo avrei allontanato, ma questo non era affatto vero anche se all’inizio ero ferito e probabilmente gli avevo dato quell’impressione visto che l’avevo data anche a Stella.
Ricordavo la prima volta che avevo visto Jack come se fosse stata il giorno prima e mi veniva da ridere se pensavo a quanto buffo lo avessi trovato con quelle specie di mesh bionde nei capelli neri che poi dopo alcuni anni mi ero fatto anche io sotto sua richiesta.
Scocciato di quella situazione, mi alzai lentamente cercando di non svegliare Stella che però si girò dall’altro lato lasciandomi la via libera. Uscì dalla camera con il pigiama addosso portandomi dietro la copia delle chiavi della camera di Jack che mi aveva dato Matt visto che Jack era solito perdersi tutte le chiavi delle camere degli alberghi. Mio Dio se era sbadato!
Il corridoio era deserto, quindi nessuno mi beccò in pigiama e a piedi nudi a girovagare. Arrivai alla porta della camera di Jack, girai la chiave nella toppa e piegai la maniglia aprendo la porta e infilandomi dentro la camera immersa nel buio. Mi ci volle qualche minuto per iniziare a vedere qualcosa e quando i mobili della camera mi si fecero più chiari, vidi il letto di Jack e lui rannicchiato sotto le coperte che ronfava beatamente. Mi dispiaceva svegliarlo, ma se non riuscivo a dormire era anche colpa sua e quindi avrebbe dovuto ascoltarmi che lo volesse o no.
Mi avvicinai al letto ed iniziai a scuotere il corpo magro di Jack che era talmente leggero da poter essere spostato anche con un filo di vento; Lo stesso non si poteva dire del suo sonno che era profondissimo e infatti mi ci volle qualche minuto per riuscirlo a svegliare.
<>, esclamai per l’ennesima volta.
Gli occhi del mio migliore amico si spalancarono terrorizzati. << Alex! Ma che cazzo ci fai qui? >>, mi chiese accendendo la lampadina che si trovava accanto al letto illuminando un po’ la stanza.
Smisi di scuoterlo e avendo ottenuto quello che volevo, mi andai a sdraiare nel posto accanto al suo del grande letto matrimoniale. << Volevo parlarti >>, risposi mettendomi comodo.
Jack si era seduto sul letto e mi osservava con le sopracciglia aggrottate. << Non potevi aspettare la mattina? Così da non farmi prendere un infarto? >>, si mise una mano sul cuore. << Senti qua! Mi sta battendo all’impazzata! >>.
Alzai gli occhi al cielo. << Scusa, ma… non riuscivo a dormire e avevo la grande necessità di… chiederti scusa >>.
Mi guardò senza dire nulla, poi emettendo un lungo sospiro, si abbandono sul letto. << Sarei io che dovrei chiederti scusa >>, ribattè.
<< Indubbiamente >>, dissi sopprimendo a stento un sorriso nel vedere la sua faccia contrariata, << ma… mi sono arrabbiato per niente prima, non te ne faccio una colpa del fatto che hai preferito non dirmi nulla, avevi solo paura e ti capisco >>.
<< No, hai fatto bene ad arrabbiarti, non avrei dovuto mentirti, è stato un gesto stupido, so benissimo che posso contare su di te ed è stato un grosso errore diffidare della tua amicizia >>.
<< Diffidavi della mia amicizia quando hai passato quella specie di “depressione” >>. Non era una domanda, ma la feci suonare come tale per essere sicuro di aver capito bene.
Mi guardò. << Te l’ha detto Stella? >>, mi chiese.
Mi strinsi nelle spalle. << Ormai le carte sono in tavola quindi lei me lo ha raccontato >>, dissi. << Mi ha detto che ti sentivo solo >>.
Sospirò. << Già, ma non è una cosa che devi prendere sul personale, ero solo… un po’ strano >>.
<< Eppure era anche colpa mia, colpa del fatto che pensassi sempre e solo a Stella >>.
Quando Stella mi aveva detto che più o meno tutti pensavano che io fossi troppo fissato con lei, mi ero sentito quasi offeso, ma riflettendoci sopra avevo capito che forse mi ero lasciato un po’ trasportare dalla novità di avere qualcuno che ami accanto e non avevo pensato più molto al mio lavoro, ai miei amici… e solo ora che li stavo perdendo mi ero accorto dello sbaglio che avevo fatto nel concentrarmi solo su Stella. Se non fossi stato così preso da lei magari Jack si sarebbe aperto con me prima.
<< Si, questo è vero amico, non possono negarlo >>, mi elargì un sorriso di scuse.
Mi strinsi nelle spalle come a dirgli “non fa nulla”. << Mi dispiace essermi comportato come una sorta di egoista che se ne fregava di tutto se non di Stella >>, mi scusai mettendomi le mani nei capelli.
<< Tranquillo, l’amore è così: travolgente >>.
Lo guardai e nell’osservarlo mi soffermai sul livido viola che aveva intorno all’occhio sinistro e al naso che sembrava leggermente ammaccato. Era un miracolo che fosse sopravvissuto alla scazzottata con Zack, non avevo mai assaggiato i suoi pugni ma bastava vedere i suoi muscoli per capire che quando picchiava faceva davvero molto male. << Mi dispiace che con Debbie sia andata a finire così, da quello che mi ha raccontato Stella ho capito che ne sei molto innamorato >>, dissi sinceramente.
Alzò gli occhi scuri verso di me. << Si, è vero, ne sono completamente cotto >>.
<< So cosa si prova ad essere innamorati e so che non è facile dimenticare una persona anche se sarebbe giusto o opportuno farlo >>, dissi ricordando di come più di un anno prima avessi cercato di dimenticare Stella mentre lei era in tour con i Simple Plan, ma non ci ero riuscito perché lei era costantemente nei miei pensieri.
<< Non volevo ferire Zack, davvero, e non volevo neanche che la nostra amicizia finisse, ma non volevo neanche rinunciare a Debbie, ho già dovuto farlo troppe volte >>.
<< Era una situazione dalla quale non si poteva scappare e infatti... eccoci qui, noi due insieme, Zack e Rian insieme >>, dissi deglutendo varie volte per cercare di far andare giù quella brutta sensazione di perdita che mi stava tormentando.
<< Un grande litigio per nulla >>, rise amaramente. << Debbie non starà né con me né con lui >>.
<< Magari sarà proprio questo che ci farà riunire >>, ipotizzai.
<< Lo spero >>.
Rimanemmo così: sdraiati l’uno accanto all’altro a parlare, a sperare, a ricordare l’inizio della nostra band, finché esausti non ci addormentammo entrambi con le teste che si toccavano come la prima notte in cui dormimmo insieme in camera mia, quando eravamo ancora agli inizi, quando sognavamo di diventare dei musicisti, quando non c’era ancora nessun problema.

 
Erano passati più o meno sei anni da quando una calda mattina d’estate ero uscito presto per fare la spesa a mia madre e tra i vari muri che dividevano gli scaffali, trovai appeso un volantino scritto con un pennarello nero che annunciava delle audizioni per cercare un cantante, un chitarrista e un batterista per una nuova band formata solo da due membri ma che aveva molte aspirazioni.
Forse fu la voglia di esibirmi finalmente davanti a qualcuno oppure il disegno di un paio di tette che era stato disegnato sotto l’annuncio, a convincermi ad unirmi a quella band che non avrei mai immaginato potesse portarmi a tanto.
Quando il giorno dell’audizione mi presentai all’indirizzo che c’era scritto sul volantino, mi ritrovai davanti ad una grande casa a due piani bianca che all’inizio mi sembrò deserta, ma poi tendendo bene le orecchie riuscì a sentire il dolce suono di una chitarra classica suonata in un modo quasi perfetto.
Suonai al campanello e mi venne ad aprire un ragazzo alto quanto me, con i capelli castani corti, il viso magro come il resto del fisico e gli occhi castani. Mi sorrise lanciando una veloce occhiata alla chitarra legata alla mia spalla.
<< Sei qui per l’audizione? >>, mi chiese con gli occhi che brillavano per l’emozione.
<< Si >>, risposi.
<< Prego, entra! >>, mi invitò, con entusiasmo, nella grande casa che era disordinata e aveva uno strano odore di bruciato e di ammuffito che mi fece leggermente ribaltare lo stomaco.<< Scusa per il casino, ma io e Jack abbiamo così tante cose da fare che non c’è tempo per mettere a posto >>.
Non mi venne nulla da dire, così lo seguì in silenzio mentre si dirigeva verso una rampa di scale piena di lattine di birra e di panni sporchi.
<< Comunque piacere, io sono Marc, il bassista >>, mi porse una mano girandosi di scatto verso di me e facendomi prendere uno spavento.
Gli strinsi la mano. << Io sono Alex> >, mi presentai.
<< E cosa sai fare, Alex? >>, mi chiese Marc guardandomi con curiosità.
<< So cantare e so suonare la chitarra >>.
Gli occhi castani di Marc scintillarono. << Perfetto >>.
Si girò di nuovo e scese velocemente le scale urlando: << Jaaaaaack!!! Abbiamo un cantante che sa suonare la chitarraaaaaa!! >>.
Scesi le scale per ritrovarmi in un enorme seminterrato con un tavolo da ping pong, un biliardino, qualche bicicletta, varie chitarre e altre cianfrusaglie tutte sparse. Al centro della stanza c’era un ragazzo con in mano una chitarra classica –probabilmente quello che avevo sentito suonare da fuori-; aveva i capelli neri leggermente lunghi con un taglio stravagante e delle ciocche tinte di biondo, era magro come un’acciuga e leggermente più alto di me con gli occhi marroni e un naso grosso. Be’… doveva essere Jack visto che non c’era nessun altro nella stanza.
Gli sorrisi. << Ciao, mi chiamo Alex >>, mi presentai.
Il ragazzo mi rivolse un sorriso gentile. << Piacere Alex, io sono Jack >>, mi strinse la mano.
<< Caro Alex, ti farà piacere sapere che non dovrai fare nessuna audizione >>, disse Marc che  ora aveva in mano una bottiglia di birra.
Mi accigliai. << Perché? >>.
Jack si strinse nelle spalle. << Diciamo che non abbiamo ricevuto molte chiamate e quindi se vogliamo procedere con la band dobbiamo accettare tutti i ragazzi che vogliono farne parte >>.
<< E anche le ragazze >>, aggiunse Marc rivolgendo un sorriso al suo amico che scoppiò a ridere.
<< Quindi… sono nella band? >>, chiesi un po’ confuso.
<< Congratulazioni! >> , esclamò Marc.
Nonostante mi fossi aspettato di dimostrare la mia bravura prima di entrare in quella band, sorrisi ai due ragazzi. << Be’ wow! È stato più facile di come lo avevo immaginato >>.
<< Si, ma vogliamo lo stesso metterti alla prova >>, sentenziò Marc.
Ecco, ora si ragionava.
<< Sono pronto >>, garantii.
Jack mi indicò la sedia vicino a lui. << Se vuoi sederti per stare più comodo… >>.
<< Si, grazie >>, accettai.
Tirai fuori la mia fedele chitarra dall’involucro e sedendomi sulla sedia, iniziai a strimpellare le prime note della canzone che mi ero preparato per quel giorno: una cover di una nuova canzone dei Blink 182. Continuai la mia esibizione cercando di esprimere la mia passione per la musica, il modo straordinario in cui mi faceva stare e la voglia matta che avevo di sfondare con la mia di musica. Probabilmente ci riuscì, perché alla fine della canzone, riaprì gli occhi e vidi Jack e Marc che mi guardavano come se avessero visto un fantasma.
<< Sei fantastico >>, disse Marc.
Mi sentì arrossire.
<< Eri proprio ciò che cercavamo >>, annuì Jack.
Sorrisi. << Be’… grazie >>.
Marc battè una pacca sulla spalla di Jack. << Ora ci manca solo un batterista >>.

Qualche mese dopo, Marc lasciò la band scoraggiato dal fatto che non avessimo trovato nessun batterista il che, secondo lui, equivaleva ad un impedimento per diventare famosi. Jack rimase deluso e profondamente scosso dall’abbandono di Marc, che lo aveva anche lasciato a vivere da solo nella grande casa che Jack aveva messo in vendita progettando di comprarne un’altra più piccola con i soldi ricavati dalla vendita. La casa era stata affidata ad un agente immobiliare e Jack era venuto a stare da me e aveva subito conquistato i miei genitori con la sua simpatia.
Una sera, mentre ci preparavamo per andare a dormire, Jack –che dormiva su un materasso poggiato sul pavimento-iniziò a parlarmi della sua famiglia in Italia e del suo sogno di diventare un musicista.
<< Sai… quando Marc mi ha proposto di formare un gruppo, ero felicissimo, perché pensavo di essere sulla strada giusta per diventare famoso e perché volevo far vedere alla mia famiglia che non sono venuto in America allo sbaraglio, volevo fargli vedere che potevo concludere qualcosa >>, sospirò sdraiandosi a pancia in su con la testa appoggiata alle mani, << ma ora che Marc mi ha mollato… mi sa che ho cantato vittoria troppo presto >>.
<< Non dovresti darti per vinto >>, gli dissi sporgendomi dal mio letto per guardarlo. << Ci siamo ancora noi due >>.
<< Si, ma non siamo una band, siamo solo due chitarristi e tu sei anche un cantante, ci servono un basso e una batteria per essere completi >>, ribatté.
<< Potremmo cantare a qualche festa e vedere se qualcuno si unisce a noi >>, proposi.
Sospirò nuovamente. << Non lo so… in questo momento mi sento… scoraggiato >>, fece una smorfia.
<< Non dovresti! >>, lo rimproverai.
<< Invece si, la mia famiglia si aspetta che io realizzi i miei sogni e spera di non aver speso soldi inutilmente mandandomi in America e io non so come non deluderli, la mia strada per il successo… non esiste! >>.
Mi gettai dal mio letto per atterrare sul suo materasso a pochissimi centimetri dalle sue gambe lunghe e snelle. Mi guardò spaventato. << Sta attento! La prossima volta potresti uccidermi >>, protestò.
Alzai gli occhi al cielo. << Non esagerare! >>.
Ritirò le gambe piegandole ma restando comunque steso sul materasso.
<< Non dovresti essere così pessimista >>, gli dissi. << Le cose si ottengono se tu credi che le puoi ottenere >>.
<< La fiducia in me stesso in questo momento è un po’ bassa >>, ribatté in tono triste.
Gli pizzicai un braccio. << E allora tirala su! >>.
Soffocò un grido ma mi lanciò un’occhiataccia mentre si massaggiava il punto in cui lo avevo pizzicato. << La finisci di attentare alla mia vita? >>, mi chiese.
<< No finché non ti tiri un po’ su >>.
<< Cosa c’è da tirarsi su? >>, chiese. << Guarda in faccia la realtà Alex, siamo due ragazzi maggiorenni pieni di sogni ma che non hanno nessun futuro >>.
<< Se non ci mettiamo in gioco non avremmo di certo nessun futuro >>.
Sbuffò ma non disse nulla e così continuai imperterrito, convinto che prima o poi avrebbe ceduto.
<< Dai Jack, siamo bravi, non siamo un disastro, possiamo cavarcela, ci basta trovare altri componenti e farci conoscere in giro >>.
<< Da come lo dici sembra una cosa facile, ma non lo è >>, commentò in tono brusco.
<< Lo è se stiamo insieme >>.
Mi guardò ed io capì di aver premuto il tasto giusto.
<< Possiamo farcela Jack, insieme realizzeremo il nostro sogno, te lo garantisco >>, gli feci l’occhiolino.
Sorrise. << Va bene, ci sto >>.
Ci battemmo un cinque e poi iniziammo a progettare, progettare e progettare finché non crollammo in un sonno profondo. Quella notte nonostante avessimo ognuno il proprio letto, dormimmo insieme.
La nostra grande amicizia, iniziò lì.

 

 

 

Buona Seraaa! :D
Ecco il nuovo capitolo, finalmente è finita la suspance u.u consideratelo come il mio regalo di pasqua ahaha :). Visto che probabilmente posterò il prossimo capitolo direttamente sabato prossimo, vi faccio gli auguri di Pasqua :D Grazie a tutte le lettrici che hanno recensito e grazie anche a chi legge ma rimane in silenzio :3. Mangiate tante uova, mi raccomando u.u

Un bacioneee :*

Miki*

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Capitolo 15
*** Walls ***


Ciaoo :D

Scusate il giorno di ritardo, ma ieri non sono riuscita a mettere il capitolo >.<. Ho una brutta notizia D: la prossima settimana non ci sarò per un po' di giorni quindi penso che il prossimo capitolo lo metterò non il prossimo sabato ma quello ancora dopo. Lo so, perdonatemi ma partirò e penso che non avrò l'opportunità di connettermi ad internet. Intanto godetevi questo capitolo che non sarà molto allegro, cosa normale vista la situazione critica in cui si sono trovati tutti u.u 
Vi mando un bacio! 
A presto!

p.s. Sono sempre bene accolte le recenzioni :3 (anche se non me le merito per tutto il tempo che vi farò aspettare D:)

Miki*







Hey there it’s good to see you again
 It never felt right calling this just friends
 I’m happy if your happy with yourself
 Take off your shirt your shoes
 Those skinny jeans I bought for you
 We’re diving in there’s nothing left to lose”.
 
(Alex)
 
La mattina dopo, sgattaiolai via dalla camera di Jack senza svegliarlo e tornai nella mia camera, dove Stella dormiva ancora profondamente. Mi sdraiai accanto a lei e lentamente le poggiai un braccio su un fianco per poi farlo scivolare sulla sua pancia così da stringermi a lei e far finta che non me ne fossi mai andato durante la notte. Il tocco delle sue dita sulle mie braccia mi fece leggermente sobbalzare. Era sveglia.
<< Dove sei andato? >>, mi chiese in un sussurro assonnato.
Le appoggiai la testa su una spalla e vidi che aveva ancora gli occhi chiusi. << Da Jack, avevo bisogno di parlare con lui >>, dissi. Posai le labbra sul suo collo e glielo baciai alcune volte assaporando la delicatezza della sua pelle e percependo il suo delizioso profumo. << Mi dispiace di averti lasciata sola >>, sussurrai sfiorando la sua pelle con le labbra.
<< Non fa nulla, anzi, ne sono contenta, non mi piace quando tu e Jack litigate >>, disse continuando a tenere gli occhi chiusi.
Mi arrotolai una sua ciocca di capelli tra le dita. << Neanche a me >>, ammisi. << Stare senza Jack mi fa sentire come se fossi… svuotato >>.
Si girò, facendo scivolare i capelli dalle mie mani come fossero acqua, per appoggiare la testa al mio petto. << So esattamente quello che vuoi dire, per me è lo stesso con Debbie >>.
La circondai con le braccia. << Cosa pensi che farà ora Debbie? >>, le chiesi ripensando a quanto sconvolta mi era sembrata la sera prima mentre usciva dalla stanza di Jack con le lacrime che le rigavano il viso.
Sospirò e aprì gli occhi dopo aver sbattuto varie volte le palpebre per abituarli alla luce. << Non lo so >>, rispose in tono triste. << Dovrei andarle a parlare, di sicuro sarà… sconvolta >>.
<< Si, penso che sia una buona idea e anche un buon motivo per alzarci da questo comodo letto >>, dissi sorridendo lievemente.
Alzò lo sguardo verso di me e ricambiò il sorriso. << Io resterei per qualche altro minuto, la giornata si presenta molto turbolenta e questo potrebbe essere l’unico momento di pace che avremmo >>.
In effetti aveva ragione, non sapevo cosa la giornata ci avrebbe riservato, ma sapevo per certo che sarebbe stato qualcosa di molto vicino a quello che era successo la sera prima.
<< Hai ragione, quindi godiamoci questi pochi minuti >>, dissi pensando che lei volesse rimanere semplicemente sdraiata tra le mie braccia in silenzio e invece sorridendomi maliziosa, si tirò su a sedere sulle ginocchia di fianco a me e allungò il busto per avvicinare i nostri visi e le nostre labbra che si sfiorarono in modo lento e profondo. Le accarezzai una guancia per poi far proseguire la mano fin dentro i suoi capelli corvini che, per quanto erano lunghi, mi solleticavano le braccia. I battiti del mio cuore accelerarono mentre mi perdevo in lei lasciandomi sopraffare da tutte quelle emozioni bellissime che mi faceva provare, che mi facevano dimenticare di tutto e mi bloccavano i sensi.
Massaggiavo la sua lingua delicatamente, intrecciandola con la mia, sentendo crescere sempre di più la voglia che avevo di lei e il bisogno di farla mia mentre le mie mani percorrevano la sua pelle nuda e le mie labbra assaggiavano avide il suo collo.
Le misi le mani sui fianchi e con facilità la feci spostare sopra di me, con le ginocchia che premevano sui mie fianchi. Le infilai le mani sotto la maglia del pigiama e solo in quel momento notai che non indossava il reggiseno il che mi fece rimanere leggermente deluso soprattutto perché la sera prima mi aveva detto di aver indossato della biancheria che mi sarebbe piaciuta. Allontanai le mie labbra dalle sue e dopo aver ripreso un po’ di fiato dissi: << Dov’è finita la biancheria che mi avrebbe fatto restare senza fiato? >>, le chiesi con i pollici che percorrevano il profilo dei suoi seni.
Sorrise maliziosamente. << L’ho conservata per un’altra serata >>.
Feci una smorfia. << Peccato, ero curioso >>.
Abbassò il suo viso verso il mio, ma invece di far combaciare di nuovo le nostre labbra, mi mordicchiò il lobo di un orecchio facendomi venire la pelle d’oca. << Dovrai aspettare >>, mi sussurrò. << Sia per quello che per questo >>.
Rimasi un po’ confuso dall’ultima frase, ma la compresi una volta che lei scivolò dalla mia presa per alzarsi dal letto. La guardai stupito e deluso. << Perché te ne sei andata? >>, le chiesi lanciando una breve occhiata ai miei pantaloni un po’ rigonfiati al centro. Cavolo!
<< Perché non è il momento giusto per… lasciarci andare, abbiamo tante cose da fare >>, mi rispose dirigendosi verso la sua valigia, dalla quale iniziò a cacciare fuori vari vestiti.
<< L’hai detto anche ieri >>, le feci notare con irritazione nonostante non volessi perché non volevo sembrarle una sorta di bisognoso del sesso, ero solo preoccupato perché non era mai capitato prima e già dal giorno prima mi stavo domandando se non ci fosse qualche problema che non la facesse lasciar andare.
Si avvicinò di nuovo a me che mi ero seduto sul letto e la stavo osservando con la coperta che mi copriva le gambe così da sperare che non si accorgesse della mia piccola erezione che probabilmente sarebbe sparita in qualche minuto. Mi sorrise. << Non prenderla male, è che non mi sento molto in vena dopo quello che è successo ieri >>.
Decisi di lasciar perdere l’argomento, perché non sarebbe stato giusto costringerla a fare l’amore con me, non era così che mia madre mi aveva educato.
Ricambiai il sorriso e le accarezzai una guancia. << Tranquilla, non fa nulla >>.
<< Ti prometto che rimedierò presto >>, disse e prima che potessi ribattere, se n’era già andata nel bagno con i vestiti.
Quando Stella uscì dal bagno lavata e vestita, presi io il suo posto concedendomi una lunga e rilassante doccia calda iniziando a pensare a dei discorsi convincenti da fare a Zack e Rian così che potessimo risolvere tutta quella odiosa situazione dalla quale però una parte di me sapeva che non ne saremo usciti molto facilmente. Dopo la doccia mi vestii e mi lavai i denti. Mentre passavo lo spazzolino sui denti, fui attirato da delle voci provenienti dal corridoio che riconobbi solo dopo un po’.
Sentì un botto.
<< Cazzo! Ma questa valigia le rotelle ce le ha solo per bellezza?! >>.
Sputai il dentifricio nel lavandino e mi passai l’asciugamano sulla bocca prima di uscire dalla stanza come un fulmine troppo allarmato da quello che stava succedendo per ragionare con calma.
Come avevo immaginato, Rian era nel corridoio con davanti a se Jeff e Matt Colussy e tutti e tre trasportavano le valigie e alcuni borsoni. La valigia di Rian era a terra capovolta e lui sbuffando la stava rimettendo in piedi.
<< Che diavolo state facendo? >>, chiesi prendendo alla sprovvista i tre ragazzi che probabilmente non si aspettavano di vedermi.
<< Ehi Alex, già sveglio? >>, mi chiese Jeff con un sorriso teso.
Gli scoccai un’occhiata perplessa. << È mezzogiorno! Sono sempre sveglio a quest’ora >>.
<< Non è vero, ci sono quelle mattine in cui dormi come un sasso fino alle due del pomeriggio >>, ribattè Matt ridacchiando.
<< Quello succede quando si ubbriaca >>, disse Jeff rivolgendosi a Matt.
<< Non mi interessa quando mi sveglio tardi! >>, sbottai. << Voglio sapere che cosa state facendo! >>.
Abbassai lo sguardo verso Rian che aveva un livido viola su una guancia e mi stava guardando storto. Mi sentì malissimo nel vedere che cosa gli avevo fatto, ma cercai di non darlo a vedere.
<< Ce ne andiamo >>, rispose Rian guardandomi serio. << Zack è già di sotto >>, aggiunse.
<< Cosa? >>, chiesi sentendomi totalmente spiazzato da quella notizia nonostante me lo fossi immaginato non appena li avevo visti con la valigia.
<< Hai capito bene Gaskarth e non fare quella faccia scioccata, avresti dovuto immaginarlo che non saremmo voluti restare un giorno di più con voi >>.
Odiavo quando le persone che mi avevano sempre chiamato Alex mi iniziavano a chiamare per cognome come se fossi diventato improvvisamente uno sconosciuto.
<< Non volete neanche provare a chiarire? >>, chiesi.
Rian sbuffò. << Cosa dovremmo chiarire? Il fatto che Barakat è un traditore e che ha preferito una ragazza alla nostra amicizia? >>. Fece una pausa, poi con un sorriso totalmente lontano da quello che era solito rivolgermi aggiunse: << A pensarci bene non è l’unico, anche tu hai preferito il bel culetto della tua ragazza a noi >>.
Sentì le braccia tremarmi dalla rabbia, ma mi trattenni, non volevo complicare ancora di più le cose, volevo cercare di attenuarle. << Mi sono lasciato un po’ prendere da lei, ma non l’ho mai preferita a voi, io adoro la nostra band, quello che siamo >>.
<< Quello che eravamo >>, mi corresse in tono duro.
Scossi la testa e mi avvicinai a lui. << Possiamo ancora esserlo, possiamo chiarire e perdonare >>, proposi.
L’occhiata ostile che mi lanciò mi fece capire che probabilmente non gli piaceva la mia idea. << Zack è incavolato nero con Jack, non lo perdonerà mai >>.
<< Può provarci >>, dissi. << Per la nostra band, per la nostra amicizia >>.
Rian scosse la testa. << Alex non capisci proprio, non possiamo tornare ad essere quello che eravamo perché tutta la nostra band era fondata sulla nostra amicizia, sui legami che avevamo tra di noi… ora quei legami si sono spezzati e dal canto mio non mi senti più vicino a nessuno di voi >>.
<< Perché? >>, gli chiesi. << Dovrebbe essere un problema di Zack e Jack alla fine, cosa abbiamo fatto a te? >>.
<< Zack è mio amico e non meritava di essere tradito in quel modo e poi… io non mi fido più di nessuno >>.
<< Dovresti >>.
<< Non dopo questo >>.
<< Avanti Rian, cerca di metterti nei panni di Jack, tu come avresti reagito? Non avresti fatto quello che ha fatto anche lui? >>, gli chiesi in tono quasi supplicante.
<< No! >>, esclamò stizzito. << Non si tradiscono gli amici soprattutto dopo tutti questi anni che abbiamo passato insieme >>.
<< Neanche se al posto di Debbie ci fosse stata Cassadee? >>.
Non credevo affatto che lui nella stessa situazione di Jack avrebbe scelto comunque gli amici, era una cosa che nessuno poteva fare, perché l’amore era potente, l’amore ti faceva fare quello che  voleva, ti pervadeva con le sue belle sensazioni e ti faceva dimenticare tutto quello che avevi intorno, tutti i tuoi doveri… a me era  successo e quindi lo sapevo bene.
Rian rimase per un attimo in silenzio ed evitò il mio sguardo per evitare che leggessi nei suoi occhi la verità. Era inutile che si nascondesse, tanto sapevo già qual era la risposta che lui non mi avrebbe mai dato.
Sospirai. << Rian, per favore, perché tu e Zack non lasciate le valigie e rimanete con noi così che possiamo parlare? >>.
Alzò lo sguardo verso di me. << Non posso, ormai il nostro tempo insieme è finito, prima o poi doveva succedere >>.
<< Siete voi che lo state facendo finire! >>, esclamai preso da un moto di rabbia.
Rian scosse la testa con un sorriso crudele che avrei voluto togliergli dalla faccia a suon di pugni. << È Jack che l’ha fatto finire >>.
Si voltò e se ne andò superando i due membri della Crew che con sguardi di scusa seguirono Rian fino all’ascensore che l’avrebbe condotto fuori dalla mia vita, fuori dalla band. Non avevo mai pensato ad una fine come quella, quando immaginavo la fine della nostra band vedevo noi quattro vecchi con i capelli e le barbe bianche, le schiene curve e le bocche sprovviste di denti che ci abbracciavamo e ripensavamo a tutto il lungo percorso che avevamo fatto insieme e tutte le gioie che ci aveva regalato il realizzare il nostro sogno comune.
Repressi le lacrime che mi stavano accecando gli occhi e strinsi le mani a pugno. Non mi sarei arreso, non potevo lasciarmi scivolare dalle mani tutto quello che avevo ottenuto lavorando sodo. Il problema era… come potevo rimettere tutto a posto?
Mi girai per tornare in camera, ma mi ritrovai davanti Stella che dallo sguardo triste nei suoi occhi, capì che aveva ascoltato la conversazione tra me e Rian. Stranamente mi venne spontaneo sorridere per rassicurarla e farle capire che andava tutto bene, ma in realtà era me stesso che volevo rassicurare e lei lo capì, infatti aprì le braccia e mi fece segno di andare da lei. Affondai con il viso nei suoi capelli e chiusi gli occhi lottando contro me stesso per non lasciarmi andare alle lacrime, per continuare a lottare perché nonostante non sapessi cosa fare dovevo tenere duro.
Sentì il rumore di una porta che veniva aperta e aprendo gli occhi, vidi Jack che ci guardava con la faccia per metà viola e un’espressione triste sul volto. Sciolsi l’abbraccio e guardai il mio migliore amico elargendogli un sorriso incoraggiante.
<< Torno subito >>, sussurrò Stella e prima che potessi chiederle dove andasse, sparì nel corridoio lasciandomi solo con Jack che si avvicinò a braccia conserte. << Che è successo? >>, mi chiese.
Quando Marc aveva lasciato la band ero stato bravo a far riprendere Jack, a spingerlo ad andare avanti, ma ora che eravamo cresciuti, avevamo vissuto il nostro sogno e purtroppo era finito… come avrei fatto a tirarlo su?
<< Rian e Zack se ne sono andati insieme a Cassadee, Colussy e Jeff >>, risposi.
Fece un bel respiro e poi con mia sorpresa sorrise, anche se fu un sorriso forzato. << Stella aveva proprio ragione, si è sistemato tutto! >>, commentò in tono sarcastico.
 
(Stella)
 
Mi precipitai verso le scale cercando di non inciampare mentre correvo da un gradino all’altro sperando di arrivare in tempo. Rian non aveva accennato al fatto che Cassadee sarebbe andata con loro, ma era palese, ormai sembrava che gli All Time Low si fossero divisi in due schieramenti e le persone che gli stavano intorno avevano deciso a loro volta da che parte stare il che era assurdo, perché erano tutti così amici e all’improvviso si erano separati come se il loro volersi bene non esistesse più, come se la loro amicizia fosse svanita nel nulla.
Quella mattinata era iniziata proprio male! A cominciare dal fatto che mi ero dovuta sottrarre alle mani di Alex per evitare di andare troppo oltre e così far del male in qualche modo alla vita che mi cresceva nella pancia –anche se Pierre mi aveva detto che non c’era nessun rischio a fare l’amore, ero ancora molto scettica al riguardo e avevo difficoltà nel lasciarmi andare-, e a finire con il fatto che avevo appreso ascoltando la conversazione in corridoio, che Rian se ne stava andando insieme a Zack perché per loro era tutto finito, il loro legame era finito e questo aveva mandato K.O. Alex che probabilmente avevo illuso
troppo con le mie speranze… ma io lo avevo fatto a fin di bene, perché volevo aiutarli a stare su, a credere che le cose si sarebbero sistemate per il meglio e perché credevo che il legame della band avrebbe in qualche modo resistito, credevo che il loro affetto gli avrebbe fatto far pace.
La hall era piena di gente che si stava dirigendo verso la sala della colazione e per un attimo mi venne voglia di seguire la massa visto che avevo una fame da lupi e non avevo ancora messo qualcosa sotto i denti, ma poi mi dissi che per fare colazione avrei avuto tutto il tempo dopo, così mi infilai tra la corrente di gente e iniziai a guardarmi intorno per vedere se riuscivo a trovare Rian e gli altri. Quando la maggior parte della gente se ne fu andata, riuscì a scorgere una figura alta e con i capelli castani che stava uscendo dall’albergo: Zack.
Imprecai pensando che fosse troppo tardi, ma spostando lo sguardo per un attimo alla reception, vidi Rian e Cassadee appoggiati al bancone che stavano pagando la camera. Per fortuna ero arrivata in tempo.
Mi avvicinai a loro sperando che Rian non iniziasse ad urlarmi contro perché volevo parlare con la sua ragazza.
<< Ciao >>, salutai i due ragazzi con un sorriso timoroso che non venne affatto ricambiato se non da Cassadee che alzò solo gli angoli della bocca in un piccolo sorriso.
Gli occhi di Rian mi fissarono pensierosi e la sua bocca divenne una linea dritta e rigida che mi faceva venir voglia di tornare sui miei passi, ma non sarebbe stata una mossa coraggiosa in più non ero lì per parlare con Rian –sarebbe stato inutile-.
Distolsi lo sguardo da quello di Rian e guardai Cassadee. << Ti posso parlare? >>.
Gli occhi chiari della cantante vacillarono da me a Rian e lui vedendo la sua esitazione, si intromise. << Non credo che lei voglia parlare con te e poi ce ne stiamo andando, non abbiamo tempo per le chiacchiere >>.
<< Lo so che ve ne state andando, ho bisogno solo di qualche minuto >>, guardai Cassadee implorante.
<< Penso che sia meglio che te ne vada, ormai non siamo più neanche amici >>, disse Rian.
<< E perché? >>, chiesi infastidita. << Cosa diamine c’entro io in tutto questo? >>.
<< Tu sapevi tutto e hai preferito tenere la bocca chiusa >>.
<< Ho preferito non fare la spia perché Jack è mio fratello >>, chiarì.
<< Hai scelto la parte del torto >>.
<< Non esiste una parte del torto! >>, sbottai.
<< Un ragazzo che tradisce un suo amico per te sta dalla parte del bene? >>, mi chiese scettico.
<< No, ma Jack l’ha fatto per buone ragioni, per un motivo al quale non si poteva sottrarre >>.
Scosse la testa. << Almeno avrebbe potuto essere sincero, avrebbe potuto fare la figura del coraggioso invece che lasciarcelo scoprire così >>.
Non replicai trovando quell’affermazione giusta, ma a parer mio nessuno al posto di Jack avrebbe avuto il coraggio di ferire un amico.
<< Potrà anche essere innamorato e potrà anche dire di essere cambiato, ma rimarrà per sempre uno sregolato che fa sempre tutto a modo suo, che non si da mai un freno >>.
Ignorai Rian scuotendo leggermente la testa; non ero corsa per le scale per discutere con Rian e non avrei perso un minuto di più che lui si opponesse o no.
<< Io devo parlare con Cassadee >>, dissi rivolgendo di nuovo lo sguardo a lei che questa volta annuì e mentre mi allontanavo di un po’ disse qualcosa a Rian che lo fece stare fermo e buono al suo posto.
L’espressione titubante di Cassadee fu sostituita da una più sicura e più dura che mi fece quasi male, visto che solo una volta me l’aveva rivolta: quando non eravamo ancora amiche e io le avevo tirato uno schiaffo.
<< Se sei qui per rimproverarmi perché ho detto la verità, puoi anche risparmiare il fiato, perché io so di aver fatto la cosa giusta >>, disse incrociando le braccia al petto.
<< La cosa giusta? >>, le chiesi. << Tu hai tradito Jack, hai tradito Debbie! >>.
<< Non mi è mai interessato nulla della biondina e avresti dovuto saperlo che non l’avrei mai aiutata a mantenere il segreto anche perché voglio più bene a Zack che a lei >>.
<< Ma eravate amiche, stavate iniziando ad andare d’accordo >>, ribattei.
Fece una smorfia. << Magari si, la stavo iniziando a sopportare di più, ma non la consideravo la mia migliore amica, non ci ero così legata da proteggerla >>. Fece una pausa. << Che poi da che cosa avrei dovuto proteggerla, dal fatto che tutti venissero a sapere che è una bugiarda traditrice?! >>.
<< Non è una bugiarda, voleva solo non far soffrire nessuno >>.
Rise ma senza nessuna traccia di divertimento nella voce. << Guarda che grande risultato ha ottenuto! >>, esclamò. << Ora stiamo male tutti >>.
<< È colpa tua! >>, l’accusai sentendomi per la prima volta in collera con Cassadee.
Strabuzzò gli occhi. << Colpa mia?! >>.
Annuii. << Si! Sei tu che l’hai detto a Rian, sei tu che hai rovinato tutto facendolo sapere a Zack prima che Jack e Debbie fossero pronti a dirglielo, è colpa tua se adesso tutti stanno male >>.
Nonostante l’espressione ferita di Cassadee, mi sentì decisamente molto meglio dopo averle detto tutto quello che pensavo e che credevo fosse vero al cento percento.
<< Zack si sarebbe comunque arrabbiato, non dire stupidaggini! >>, esclamò in tono irritato.
<< Si, ma magari avrebbe accettato la cosa con più calma e Jack non sarebbe passato per un traditore, perché sarebbe stato lui stesso a confessarlo a Zack >>.
<< Non l’avrebbe mai fatto, Jack non ha coraggio >>.
<< Che cavolo ne sai tu!>>, sbottai sentendomi sempre più arrabbiata. << Jack l’avrebbe fatto perché lui non voleva ferire Zack >>.
<< Se non lo voleva ferire non se la sarebbe fatta con la biondina >>.
Ma perché nessuno si sforzava di capire? Perché nessuno si metteva nei panni di Jack e provava a comprenderlo invece di accusarlo e insultarlo? Ne avevo le scatole piene di stare a discutere su quel fatto, non volevano capire, allora non avrebbero capito, pazienza!
Scossi la testa. << Lasciamo perdere, avevo pensato che magari venendoti a parlare avresti capito lo sbaglio che hai fatto >>.
<< Non ho fatto nessuno sbaglio >>, affermò Cassadee con convinzione.
<< Invece si, avresti potuto dirmi che lo sapevi, così io ti avrei spiegato come stavano le cose e tu avresti capito invece di combinare un casino >>. La guardai cercando di farle capire quanto mi aveva delusa. << Io mi fidavo di te e anche Debbie aveva iniziato a farlo >>.
Distolse lo sguardo senza replicare nulla.
<< Mi chiedo come mai non hai ancora spifferato il mio segreto >>, continuai.
Per un attimo mi guardò stupita, poi ricomponendo la sua maschera dura, disse: << Non lo farei mai, la tua gravidanza non ha nulla a che fare con la storia di Debbie e Jack e io non ho alcuna intenzione di dirlo a qualcuno finché non vorrai tu >>.
Risi tristemente. << Strano come tu adesso sia diventata leale nei miei confronti >>.
<< Lo sono sempre stata >>, ribattè.
Scossi la testa guardandola dritto negli occhi. << Non dopo che hai fatto questo a mio fratello e alla mia migliore amica >>.
La superai e mi diressi verso le scale sentendomi improvvisamente triste e stanca ora che la rabbia se ne era andata. Avevo avuto l’idea di parlare con Cassadee così da sperare di chiarire qualcosa, ma avevo fatto peggio e ora la situazione continuava a farsi sempre più critica, non si riusciva a vedere neanche una soluzione per far tornare tutto come prima.
Mi sedetti su uno scalino sentendomi troppo stanca per arrivare fino al quinto piano, e senza spere perché affondai la testa nelle mani e iniziai a piangere pensando che ai problemi che si erano creati si aggiungeva anche la gravidanza che io non avevo idea di come gestire o di come informare Alex della cosa, era troppo preoccupato e triste per occuparsi anche di un nuovo problema che però richiedeva la mia attenzione perché mancavano solo otto mesi e il tempo scorreva così velocemente che prima che me ne accorgessi sarebbe arrivato il momento di partorire e occuparmi di una nuova vita.
 
 (Jack)
 
Sapevo che probabilmente non avrei dovuto farlo, anche perché lei aveva detto che non poteva più stare con me dopo quello che era successo, ma mi ritrovai davanti alla porta della sua  camera quasi per caso mentre vagavo per i corridoi dell’albergo cercando di fare qualcosa che mi facesse distrarre dai sensi di colpa. Probabilmente l’unica soluzione che il mio cervello aveva trovato per tirarmi un po’ su era andare da lei.
Bussai alla porta dopo un lungo dibattito interiore nel quale mi ero insultato a dovere per decidermi ad agire.
<< Chi è? >>, chiese Debbie da dietro la porta.
<< Jack >>, risposi ignorando il fatto che il mio cuore avesse iniziato ad impazzire solo al suono della sua voce.
Ci fu un minuto di silenzio nel quale pensai che non avrebbe aperto la porta e che ero stato davvero stupido a presentarmi lì davanti dopo quello che mi aveva detto la sera prima, ma il rumore della serratura che scattava mi riempì il cuore di speranza e sorrisi ancora prima di vedere il suo viso comparire sulla soglia della sua camera.
<< Ciao >>, la salutai con forse troppa enfasi vista la situazione in cui eravamo, ma non ne potei fare a meno, il fatto che mi avesse aperto mi stava esaltando più di quanto avrebbe dovuto, perché voleva dire che non era finita totalmente tra di noi, che magari avrei potuto farle cambiare idea.
Non ricambiò il sorriso e questo mi aiutò a smontare l’entusiasmo. << Ciao >>.
<< Posso entrare? >>, le chiesi visto che non dava segni di spostarsi dalla porta.
Mi fissò per qualche istante e poi con movimenti lenti, si fece da parte per farmi entrare sussurrando: << Entra >>.
La sua camera ovviamente non era molto diversa dalla mia se non per il fatto che io avevo un letto matrimoniale, quindi non c’era nulla di interessante a guardarsi intorno a parte forse il poter sbirciare qualche reggiseno lasciato magari su una sedia…
Scossi la testa cercando di scacciare dalla mente quei pensieri davvero poco opportuni. Forse i pugni di Zack mi avevano fatto uscire un po’ di testa… anzi più di prima.
L’occhiata per cercare reggiseni, però, mi servì per adocchiare la valigia di Debbie che era deposta ai piedi del letto ed era completamente piena, come se da quando fossimo arrivati non l’avesse mai aperta il che era impossibile visto che ricordavo benissimo di aver guardato nel suo armadio e aver visto tutti i suoi vestiti appesi. Quella valigia piena voleva dire solo una cosa.
Mi girai verso di lei sentendo improvvisamente tutto l’entusiasmo e la speranza sciogliersi come la neve sul palmo della mano. << Te ne stai andando? >>.
Mi si avvicinò a passo lento ma senza alzare lo sguardo verso di me. << Già, non ho più nulla da fare qui >>, disse usando un tono neutro.
<< Che vuol dire? >>, chiesi leggermente perplesso da quella risposta.
<< Vuol dire che ora che ho rovinato tutto probabilmente non servirò più a nessuno, quindi è meglio che me ne vada >>, alzò lo sguardo e mi rivolse un sorriso che voleva essere convinto ma che invece fu insicuro e triste.
La guardai storto. << Non è stata colpa tua >>.
Rise amaramente e prima che potessi di nuovo guardarla negli occhi, lei si diresse verso l’armadio situato alla fine delle stanza. << È carino sentirlo, ma so che non è vero >>.
Mi voltai verso di lei e osservandola mentre tirava fuori gli ultimi vestiti dissi: << Tu non hai fatto nulla Debbie, è solo colpa mia >>.
Sbuffò. << Sono padrona di me stessa Jack, sono io che prendo le decisioni e sono io che ti ho dato corda lasciandomi… travolgere dai sentimenti >>. Mi passò accanto per andare vicino alla valigia dove iniziò a mettere dentro i vestiti piegandoli accuratamente cosa che io non riuscivo mai a fare, infatti era sempre Matt che metteva ordine nella mia valigia per evitare che le maglie si spiegazzassero.
<< Cos’è questa, una sorta di dichiarazione del fatto che ti sei pentita di quello che è successo tra di noi? >>, chiesi anche se non volevo assolutamente sapere la risposta.
Alzò la testa verso di me e dalla sua espressione quasi sconvolta, capì che probabilmente avevo equivocato e mi sentì immensamente meglio. << Non sono pentita, certo che no >>, chiarì. << Però avrei preferito che le cose fossero andate in un altro modo, avrei preferito che invece di lasciarmi andare subito con te avessi lasciato prima Zack oppure che avessi riflettuto a fondo se ti amavo davvero così tanto rispetto a Zack >>.
<< E ora sapresti rispondere a questa domanda? >>, le chiesi.
Tornò a riordinare le maglie con fare lento ma teso. << Zack mi ha chiesto la stessa cosa >>. Disse quella frase talmente tanto a bassa voce che per un attimo mi illusi di averla immaginata.
Aggrottai le sopracciglia. << Cosa? >>.
Sospirò e poggiò i vestiti che le erano rimasti in mano sul letto prima di alzarsi e venire da me. Alzò lo sguardo così che la potessi guardare in quegli occhi così familiari e potessi vedere lo struggimento che vi aveva dentro.
<< Prima Zack è stato qui >>, disse ed io mi sentì come se qualcuno mi avesse dato un pugno allo stomaco, sensazione che avevo provato proprio la  sera prima. << Mi ha chiesto se c’era qualche possibilità che potessi tornare con lui, perché lui mi ama ancora e… ieri era fuori di sé, non voleva reagire così, mi ha chiesto scusa… >>.
Si interruppe vedendo che stavo ridendo ma senza divertimento. << Quel ragazzo ha davvero le idee molto chiare, neanche dodici ore fa ti ha detto che con lui avevi chiuso e ora se ne riesce che ti ama e che vuole stare con te… ha davvero tutte le rotelle a posto! >>.
Mi sentì un infame a parlare male di uno dei miei migliori amici che avevo anche tradito, ma il suo comportamento era stupido e lo faceva sembrare un indeciso e anche un incoerente.
<< Ieri era arrabbiato, era normale che lo fosse, ho tradito la sua fiducia! >>.
<< Ma è venuto a dichiararti di nuovo il suo amore nonostante ieri sembrasse un indemoniato e nonostante il fatto che mi abbia sfregiato la faccia! >>.
Con mia sorpresa, Debbie mi sorrise lievemente e con delicatezza mi accarezzò la parte della faccia che era un po’ viola e un po’ ammaccata. Il dolore mi fece venire i brividi, ma non lo diedi a vedere, chiudendo gli occhi e godendomi fino in fondo quella sensazione, perché sapevo che non l’avrei riprovata così presto.  << Gli ho detto che mi serviva tempo per riflette, per prendere una decisione >>, disse lasciando scivolare via la mano dalla mia guancia.
<< Per questo te ne vai, per riflettere? >>. Continuai a tenere gli occhi serrati anche se quello sinistro mi faceva un male cane.
<< Si, tornerò a Roma per un po’ >>.
Aprì gli occhi di scatto. << A Roma? >>.
Annuì sorridente. << Mi manca casa >>.
Annuii distrattamente. << Perché devi per forza scegliere? >>.
<< Perché… glielo devo, Jack, l’ho tradito facendolo soffrire e il minimo che gli devo è riflettere su chi dei due scegliere >>.
<< Solo per questo? >>.
Scosse la testa mordendosi un labbro forse per non scoppiare a piangere. << Tengo a tutti e due >>, disse, << non voglio rinunciare ad uno dei due, ma se è l’unico modo di far finire questa storia, allora sceglierò, ma lo devo fare da sola, stando lontana sia da te che da lui >>.
<< Questa storia non finirà! >>, esclamai. << Se scegli uno dei due non ci riappacificheremo, gli All Time Low non torneranno mai quello che erano >>.
<< Magari si, che ne sai, dopotutto è questa situazione che ha fatto si che vi allontanaste >>.
Scossi la testa sentendo gli occhi che bruciavano per l’arrivo delle lacrime. << Non potrei mai tornare amico di Zack sapendo che si è preso la parte migliore di me stesso >>.
Alzò il viso verso di me e vidi i suoi occhi scintillare per le lacrime. << Se scegliessi lui… dovresti solo accettarlo >>.
Scossi nuovamente la testa, ma questo volta per scacciare via dal mio corpo la voglia di colpire qualcosa che mi stava crescendo dentro. << Come puoi dirmi questo? >>, dissi in tono quasi strozzato. << Io sono perso senza di te, prima che mi accorgessi di essere ancora innamorato di te, ero uno stupido, uno che non aveva nessuna regola nella vita, uno che se la spassava e spezzava cuori come se nulla fosse, ero senza un freno, non sapevo cosa fosse l’amore >>, feci una pausa. << Tu mi hai cambiato, hai abbattuto i muri che mi circondavano, mi hai fatto conoscere la gioia dell’amore, mi hai tirato fuori da un periodo buio, mi hai dato la forza e la speranza per lottare, per andare avanti, per trovare il vero me stesso, quel Jack che ti ama follemente da quando eravamo piccoli ma che è sempre stato troppo codardo e spaventato per dirtelo e quindi si nascondeva dietro battute sceme e maschere di allegria per nascondere i suoi veri sentimenti >>.
Una lacrima le rigò il viso.
<< Ti amo tantissimo Debbie e non avrei combinato tutto questo guaio se non fosse stato vero, non avrei tradito uno dei miei migliori amici se non fosse vero >>, tirai su con il naso mentre le lacrime iniziavano a scendere. << Ho fatto tutto questo perché volevo stare con te, perché nonostante sapevo di star facendo un errore il sentimento che provavo con te era così forte da farmi ignorare tutto il resto, perché senza di te non ero nulla, perché se tu mi lasci io crollo a terra, senza di te a sorreggermi non so come potrò andare avanti… se ora tu mi lasci dopo tutto quello che ho rischiato pur di stare con te, dopo che ho perso i miei amici… mi uccidi >>.
Se fossi stato ancora il vecchio Jack quel lungo discorso mi sarebbe sembrato molto mieloso, molto disperato e ridicolo e quelle ultime due parole mi avrebbero fatto ridere, perché non avrei avuto idea di come l’amore poteva farti soffrire come se ti stessi piano piano lacerando dentro, come se tutti i tuoi organi stessero bruciando.
Mi prese una mano tra le sue. << Jack… ti amo anche io, davvero e… mi dispiace che sia dovuta andare a finire così, è tutta colpa mia, avrei dovuto subito decidermi e mi dispiace se ora per colpa mia tu ti ritrovi tutto pieno di lividi e senza più degli amici, una band >>.
<< Non è colpa tua >>, mi affrettai a dire, ma lei mi fece segno ti tacere.
<< Non voglio farti soffrire più di quanto io abbia già fatto, ma io devo scegliere, non l’ho fatto al tempo debito e quindi lo devo fare ora che mi piaccia o no >>. Represse un singhiozzo. << Ti amo e non voglio che tu ti deprima per colpa mia, non valgo poi così tanto alla fine, troverai qualcun’altra >>.
Mi avvicinai a lei così tanto da poter sentire il suo respiro sulla pelle. << Non c’è nessun’altra! >>, esclamai. << Non c’è mai stata nessun’altra, sei sempre stata tu l’unica ad avere il mio cuore, sei tu quella che voglio da sempre >>.
I suoi occhi scintillavano pieni di dolore, ma quando parlò quell’emozione non trasparì nella voce, solo una durezza che mi fece male al cuore. << Magari avresti dovuto farti avanti prima, avresti dovuto affrontare le tue paure per non rischiare di soffrire ora >>.
Ricacciai indietro le lacrime nonostante l’unica cosa che volessi fare fosse piangere perché aveva ragione, mi ero lasciato scappare quelle occasioni e ora le stavo rimpiangendo.
<< Ora è meglio che tu vada >>, tirò su con il naso e si asciugò le lacrime, << ho ancora da finire la valigia e meno stiamo insieme meglio sarà >>.
Mi diede le spalle impedendomi di vedere le emozioni che le stavano passando negli occhi come se fossero stati una sorta di specchio della verità. Lo specchio dell’anima come si suol dire.
Mi avviai a passi lenti verso la porta, cercando qualcosa da dire, qualcosa che rendesse quell’ultimo saluto qualcosa di speciale, ma non potevo avvicinarmi a lei, non potevo baciarla un’ultima volta o dirle che l’amavo, non sarebbe servito a nulla. Fu nel momento in cui mi fermai che le parole uscirono da sole dalla mia bocca. << Anche se sceglierai Zack io non ti lascerò mai andare, sarai mia… per sempre >>.
Varcai la soglia proprio nel momento in cui Stella stava per entrare. Mi guardò preoccupata, ma non fece in tempo a chiedermi cosa fosse successo che io corsi via, allontanandomi dall’unica persona che aveva il potere di farmi battere forte il cuore e di distruggermi in mille pezzi.
 
(Stella)
 
Chiamai Jack varie volte, ma lui non si girò, continuò a correre finché non sparì in un altro corridoio, lontano dalla mia vista. La sua espressione mi aveva spaventata, mi era sembrato così triste, distrutto, senza la solita allegria che lo caratterizzava… era spento.
Entrai nella camera per trovarmi davanti un’altra espressione addolorata che mi fece stringere il cuore talmente tanto che sentì il dolore dipinto negli occhi di Debbie come se fosse stato il mio. Mi avvicinai a lei a passo svelto. << Dio mio, Debbi! Che è successo? >>.
Proprio mentre la circondavo con le braccia, Debbie perse ogni forza e cadde a terra portandomi con lei. Pianse per minuti che mi sembrarono ore, ma non mi spostai neanche di un centimetro mentre lei si sfogava e cacciava via tutta la tristezza. Solo dopo essersi calmata per bene mi raccontò cosa era successo, cosa le aveva chiesto Zack, come aveva reagito Jack e come lei aveva mandato via Jack in tono duro per fare in modo che forse un  po’ la odiasse. Probabilmente non sapeva ancora che la persona che si ama non si può mai odiare, anche se ti spezza il cuore, anche se te lo calpesta, anche se ti uccide con le parole… non la si potrà mai odiare finché si tiene a lei.
<< Hai fatto bene a dire a Zack che ti serve un po’ di tempo, perché non sono decisioni che possono essere prese velocemente >>, dissi.
<< Lo so, ma… anche decidere mi fa paura >>, disse dopo essersi soffiata il naso. << Non voglio ferire nessuno >>.
Le sorrisi lievemente. << Non sta a te occuparti di questo, saranno loro che dovranno accettare la tua decisione qualunque sia, se ti amano davvero lo faranno >>.
Annuì anche se i suoi occhi mi dissero che non era affatto convinta della mia affermazione, ma decisi di far finta di nulla, se ne sarebbe convinta da sola, poi.
Preferì cambiare discorso. << Quindi te ne vai, ritorni a Roma >>.
Annuì. << Mi manca la mia famiglia e… mi manca soprattutto la mia vita lì, la nostra vita di prima, ricordi com’era? >>.
Annuii con una stretta al cuore. Certo che la ricordavo, ci pensavo molto più spesso di quanto mi piacesse ammettere e desideravo sempre avere un modo per tornare indietro, per tornare ad essere… semplicemente Stella, con una mamma e un papà, una casa fissa, degli amici, i pomeriggi liberi da spendere in shopping e un fratello famoso che girava il mondo con i suoi amici che io non conoscevo, che odiavo e che consideravo dei Losers.
Sorrisi. << Me lo ricordo benissimo >>.
<< Non vorresti tornare ad essere un’adolescente piena di sogni e di speranze? >>, mi chiese.
<< Si >>, ammisi. << Mi piacerebbe molto, ma ormai non c’è nulla che possa fare, il tempo non va a ritroso >>.
<< Lo so >>, disse. << Ma io voglio comunque provarci a ricominciare tutto d’accapo, a tornare a casa e trovarmi un lavoro normale >>.
<< Guarda che mi offendi >>, scherzai.
<< Non mi fraintendere, adoro fare la tua agente, ma… tutto quello che è successo mi ha fatto capire che non voglio far parte del mondo della fama, non è mai stato un mio sogno >>.
<< Il tuo sogno è sempre stato quello di conoscere gli All Time Low >>.
<< E guarda che fine gli ho fatto fare! >>, commentò con finto tono scherzoso.
Le misi una mano su una spalla per confortarla. << Secondo me torneranno insieme >>, dissi anche se con scarsa convinzione.
<< Magari potrei nascondermi a Roma per tutta la vita così da non rischiare di farli litigare di nuovo >>, propose.
La guardai storto. << Non ci pensare proprio! >>.
<< Scherzavo >>, mi rassicurò.
Le sorrisi. << Quindi ora sarò una cantante senza agente >>.
<< Tranquilla, ne troverai un’altra >>.
<< Sempre se tornerò a cantare >>.
Mi guardo comprensiva. << Quasi dimenticavo che sei in dolce attesa >>, disse mettendomi una mano sulla pancia.
<< Io purtroppo non me lo dimentico mai >>, commentai sbuffando.
<< Dovresti venire anche tu a Roma con me >>.
La guardai sorpresa. << Perché? >>.
<< Per allontanarti un po’ da questa vita da “super star” e riflettere su quello che vuoi fare, su come far crescere il piccoletto, se in giro per il mondo oppure se in una casa stabile e soprattutto con un padre >>, mi lanciò un’occhiata significativa.
<< Si, lo so, lo dovrò dire ad Alex prima o poi, ma per ora non mi sembra proprio il caso >>.
<< Vieni a Roma anche per questo, per prendere coraggio e per parlare con una signora che ne sa più di te in fatto di maternità visto che ha avuto due figli e tutti e due sono usciti benissimo >>.
Sorrisi pensando alla mamma, la donna che avevo avuto sempre accanto e che non avrebbe mai voluto che me ne andassi così di casa come aveva fatto Jack ma che aveva accettato la cosa perché sapeva che era il mio sogno e perché sapeva cosa voleva dire essere innamorati. Mi mancava da morire. << Non so se ho più paura di dirlo a mamma e papà oppure ad Alex >>.
Si strinse nelle spalle. << Per me sarebbe uguale, perché possono reagire tutti sia bene che male >>.
Nonostante l’idea di tornare a Roma mi allettasse, non potevo tornare a casa, Alex aveva bisogno di me, era triste e io non potevo abbandonarlo da solo a casa senza più un lavoro, senza più una band… e se si fosse suicidato? No, decisamente poco probabile.
<< Non posso venire a Roma, Alex ha bisogno di me e mi sentirei in colpa a lasciarlo da solo nei casini in più Matt ha deciso che torneremo in America questa sera >>, dissi alzandomi dal letto su cui eravamo sedute per mettermi davanti a lei.
<< Ti capisco e non voglio costringerti a venire con me, non possiamo mica andare sempre ovunque vada l’altra >>, nei suoi occhi balenò una luce di tristezza dalla quale capì che anche per lei era doloroso lasciarsi dopo aver passato tanto tempo insieme, quasi ogni giorno sempre insieme, sempre attaccate.
<< Tanto ci rivedremo presto, vero? >>, le chiesi spaventata al pensiero di non rivederla per tanto.
<< Ma certo! >>, esclamò mettendosi in piedi di fronte a me. << Ci sentiremo per telefono ogni giorno e tu mi aggiornerai su come va la gravidanza e soprattutto mi dirai come vanno le visite dal ginecologo visto che ci andrai! >>.
Feci una smorfia. << Ci andrò solo per farti contenta >>, chiarì.
Mi sorrise. << Lo devi fare anche per il benessere del mio nipotino >>.
<< Ti sei già proclamata zia? >>, mi accigliai.
<< Ovvio, come tua migliore amica devo essere per forza la zia >>.
Mi venne in mente che se fosse stata la fidanzata di Jack sarebbe stata la vera zia del bambino, ma preferì tenere la bocca chiusa invece che rovinare quel momento così stranamente positivo.
La abbracciai prima che le lacrime potessero straripare dai miei occhi e la strinsi forte a me. << Mi mancherai tanto Debbie, davvero, non so come farò senza di te >>.
<< Io non so cosa farò senza di te >>, ribattè.
Rimanemmo abbracciate per vari minuti finché lei non mi propose di aiutarla a finire la valigia e concludemmo il nostro ultimo giorno insieme tra risate, scherzi e chiacchiere. Per un attimo quel giorno mi sembrò di essere tornata davvero ai tempi in cui ero solo un’adolescente piena di sogni.
 

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Capitolo 16
*** Hello Rome, Hey Italy! ***


Buongiornoooo :D
Sono tornata! Ecco a voi il nuovo capitolo, finalmente sono riuscita a postarlo :) spero che l'attesa non sia stata troppa :3 
Questo è un capitolo diciamo "morto" xD, in cui non succede nulla di importante, c'è solo qualche indizio su cosa prevederà il prossimo capitolo u.u 
Buona lettura... alla prossima settimanaaa :D!  P.s. Oggi un ragazzone muscoloso di mia "conoscenza" compie gli anni *-* auguri al nostro Zack <3 

Miki*

 
-Hello Brooklyn-.
 
Il viaggio in aereo di quella sera fu abbastanza calmo ma allo stesso tempo deprimente visto il silenzio che c’era tra i ragazzi rimasti della crew e della band che si parlavano a malapena, ma io pensavo fosse più un fatto che nessuno era in vena di scherzare o di fare battute invece che un fatto che non si sopportassero più cosa poco probabile visto anche il fatto che erano ancora insieme e non avevano fatto come Zack, Rian, Jeff e Matt Colussy che se ne erano andati. Ancora mi chiedevo perché i due membri della crew se ne fossero andati, dopotutto loro non c’entravano nulla in quella storia, ma probabilmente erano legati di più a Zack e Rian.
Durante il viaggio, mi sedetti tra Alex e Vinny visto che Matt mi ignorava di nuovo, Jack sembrava una mummia e Denny non è poi che lo conoscessi così bene. Alla fine mi divertì un po’ durante il viaggio grazie alle battute di Vinny che erano davvero stupide, ma in modo divertente e anche grazie ad un film comico che misero da far guardare ai passeggeri. Quando mi misi comoda per dormire un po’, Alex –che mi tenne la mano per tutto il viaggio come per paura che senza non ce l’avrebbe fatta a sopportare quel viaggio silenzioso- mi aiutò a facilitare il sonno cantandomi la ninna nanna più innovativa del mondo: under a paper moon che da un po’ iniziavo a considerare come la nostra canzone.
Debbie avrebbe preso l’aereo il giorno dopo, tornando ad una vita normale e dalla sua famiglia che di sicuro l’aspettava a braccia aperte. Non era venuta a salutarci quando ce ne eravamo andati e sospettavo fosse per il fatto che dopo quello che era successo si vergognava troppo anche per rivolgere solo un saluto ad Alex e gli altri; ma comunque non appena atterrammo mi mandò un messaggio chiedendomi come fosse andato il volo e io per non farla preoccupare dissi che era stato divertente… per tutti.
Usciti dall’aeroporto, ci dovemmo separare: io, Alex e Jack prendemmo un taxi che ci avrebbe portato a Baltimora, mentre Matt, Vinny e Danny ne presero un altro che li avrebbe portati alle loro rispettive case che esattamente non sapevo dove fossero. Jack salutò tutti con un veloce gesto della mano a cui gli altri non badarono, era comprensibile che fosse così giù e scontroso, lo saremmo stati tutti al suo posto. Alex, invece abbracciò tutti con affetto e promise che si sarebbero rivisti per un altro tour; avevano tutti annuito nonostante non credessero affatto in una probabile “rinascita” degli All Time Low, speravo almeno che ci sperassero. Una cosa strana di quei saluti fu che Matt mi abbracciò! E mi sussurrò anche di avere coraggio e di dire ad Alex la verità visto che ora lui non cantava più e io ero in una sorta di pausa riflessione e insieme saremmo potuti diventare dei buoni genitori anche se senza lavoro… ma a quello avremmo pensato più in là.
Il taxi si fermò davanti casa di Jack, il quale ci salutò a malapena e dopo aver recuperato le valige, si andò a ficcare nella casetta simile a quella di Alex che distava abbastanza poco dalla mia nuova casa. Mi accorsi di quanto mi fosse mancato quel posto, solo quando il taxi si arrestò e un sorriso mi affiorò sulle labbra mentre guardavo la piccola casetta bianca con il tetto blu e il piccolo giardino intorno circondato dalla staccionata bianca. Non sapevo se mi fossero mancati di più i cani oppure il senso di pace che mi dava quella casa, un luogo in cui mi potevo finalmente rilassare, in cui finalmente io e Alex saremmo stati da soli senza gli altri e un luogo fisso che non avrei mai dovuto cambiare, che non avrei mai dovuto lasciare almeno finché non avessi preso una decisione.
Sebastian e Peyton erano a casa, i genitori di Alex erano stati informati del nostro ritorno e quindi aveva riportato le due pesti in quella che era anche la loro casa; probabilmente non vedevano l’ora di rivedere Alex, perché una volta aperta la porta di casa gli schizzarono addosso come razzi e iniziarono a fargli le feste e a leccargli tutta la faccia facendomi scoppiare a ridere piena di una favolosa sensazione di… benessere, di felicità, ero tornata e per la prima volta dopo mesi potevo riposarmi un po’ anche se da quando Debbie me l’aveva proposto non riuscivo a togliermi dalla mente il pensiero di tornare a Roma.
<< Finalmente a casa! >>, esclamò Alex fermandosi al centro della stanza che comprendeva la cucina e il salotto.
Dopo aver salutato Alex, i cani vennero anche da me prima di svignarsela fuori nel giardino dove finalmente potevano uscire. << Eh già >>, sospirai, << dopo tanto tempo fuori siamo di nuovo tornati >>.
<< Purtroppo non nel modo in cui mi aspettavo >>, disse dirigendosi verso il frigorifero dal quale estrasse una bottiglia d’acqua.
Gli sorrisi. << Forse un po’ di tempo a casa vi farà bene, siete stati per tanto tempo insieme che forse alla fine è normale che si vada in escandescenza >>.
Prese due bicchieri e li poggiò sul tavolo prima di riempirli con l’acqua. Stavo morendo di sete da quando eravamo arrivati all’aeroporto, questo perché avevo mangiato dei maledetti salatini durante il volo. << A Jack non farà per niente bene >>, disse lasciandosi cadere su uno degli sgabelli intorno al tavolo. << Hai visto com’è stato per tutto il viaggio? Sembrava completamente assente >>.
Bevvi l’acqua tutta d’un fiato facendomi venire i brividi per quanto fosse fredda. << Be’… Debbie se n’è andata, deve decidere tra lui e Zack e Jack si sente male solo al pensiero che lei possa scegliere Zack e uscire dalla sua vita >>.
Non appena la nominai, sentì il telefono nella mia tasca vibrare; era un suo messaggio nel quale mi chiedeva se potevo dire io ai ragazzi della band che lei si era definitivamente licenziata mentre lei in cambio avrebbe chiamato la casa discografica per dire che il tour era annullato e così forse anche la mia carriera.
Le risposi che per me andava bene, anzi benissimo visto che mi mancavano un po’ i miei quattro musicisti e avevo voglia di sentirli.
<< Dov’è andata Debbie? >>, mi chiese quando finì di rispondere al messaggio.
<< È tornata a Roma >>, risposi sorridendo solo al ricordo di quella bellissima città che mi aveva vista crescere.
Alex sorrise a sua volta. << Mi manca un po’ Roma, è una bellissima città e quell’estate ci siamo divertiti tantissimo >>.
<< Si, è vero, ma ci sono stati comunque alcuni alti e bassi, come la nostra litigata >>, dissi.
Scacciò le mie parole con un gesto della mano. << Solo per quello, per il resto eravamo tutti felici e contenti quando non c’era di mezzo Enrico >>.
Scoppiai a ridere al suono di quel nome. Ah Enrico! Mi sembrata passata un’eternità dall’ultima volta che lo avevo visto ed era di sicuro una cosa positiva visti i tanti problemi che mi aveva causato! Lo disprezzavo così tanto che il desiderio che esprimevo ogni notte era quello di non rivederlo più per il resto della mia vita, perché sapevo che se fosse successo si sarebbe attaccato a me come una sanguisuga e avrebbe di nuovo cercato di diventare mio amico per ridiventare poi il mio fidanzato. Ripensando alla mia relazione con Enrico mi veniva da domandarmi come diavolo avessi fatto a stare con uno così.
<< Oddio non me lo ricordare >>, dissi continuando a ridere.
<< Credimi, non lo voglio ricordare neanche io, era un tale… ragazzino! Un idiota, un egoista, un bastardo, un perdente, un… >>.
<< Okay, ho capito il concetto >>, dissi.
Alex ridacchiò. << Mi fa felice il pensiero di averti tolta dalle sue grinfie >>, annuì, << anche se è stata dura, non lo mollavi mica! >>.
Mi strinsi nelle spalle per rispondere alla sua occhiataccia. << Ero ancora innamorata, era passato poco tempo da quando ci eravamo lasciati e lui sapeva benissimo come incantarmi per bene >>.
<< Speriamo che se lo rincontri non finisci di nuovo tra le sue braccia >>, commentò.
Questa volta fui io a guardarlo storto. << Ma certo che no! >>, esclamai stizzita. << Tu sei duemila volte migliore di Enrico >>.
Sorrise compiaciuto. << Lo so >>, disse. << Però è bello sentirselo dire >>.
Alzai gli occhi al cielo, poi decisi di cambiare discorso e tornare a parlare dell’estate in cui io e Alex ci eravamo conosciuti. << Ricordi il giorno che siete arrivati a Roma? >>, gli chiesi.
Rise. << Oh si, la corsa a perdi fiato per sfuggire alle fans >>.
<< È stato un arrivo un po’ movimentato >>.
<< Un po’ è riduttivo, ho sudato come un maiale! >>, esclamò.
<< Tu sudi sempre come un maiale >>, ribattei stuzzicandolo.
Cercò di guardarmi con disappunto, ma non ci riuscì visto che gli angoli della bocca continuavano ad alzarsi verso l’alto. Non rispose alla provocazione, ma cambiò domanda. << Ricordi i giorni al mare? >>.
Annuii. << I castelli di sabbia, i bagni… >>.
<< Tu in costume >>, aggiunse al mio elenco.
Lo guardai perplessa non sapendo se prendere quel commento in modo negativo –visto che prima lo avevo offeso- oppure positivo, così lui si affrettò ad aggiungere. << Eri da bava alla bocca >>.
Arrossii. << Oh be’… anche la vista del tuo petto mi faceva venire la bava alla bocca >>, dissi ricordando perfettamente la sensazione che mi aveva dato la prima volta la vista del petto nudo di Alex e la stupenda sensazione quando mi ci ero ritrovata contro mentre le sue braccia mi cingevano la schiena davanti al camerino di un negozio il cui nome sfortunatamente non me lo ricordavo, ma mi ricordavo che avevamo speso più soldi lì dentro che da qualsiasi altra parte.
<< Davvero? >>, chiese aggrottando le sopracciglia.
Annuii varie volte.
Si strinse nelle spalle. << Non ho mai pensato che il mio fisico potesse essere bello sinceramente, insomma, paragonato a quello di Zack che è tutto magro e muscoloso… >>.
Sbuffai. << Per favore! Non mi piaceresti tutto palestrato >>.
Mi mostrò i muscoli. << Invece a me piacerebbe avere degli addominali da urlo >>.
Mi alzai dallo sgabello e andai da lui facendo il giro del tavolo. << A me piaci così come sei >>, dichiarai. << E detto questo prima che tu prenda la pazza decisione di andare in palestra per diventare come Zack, è meglio se andiamo a dormire, sono stanchissima >>.
<< Già, è tardissimo anche se in Europa a quest’ora sarebbero le sette di mattina >>.
<< Io dormirei comunque >>, dissi.
Sospirò. << Sarà uno strazio riabituarsi al fuso orario >>.
<< Però il bello di essere tornati a casa è che possiamo dormire fino a quando volgiamo >>.
Alex fece rientrare Peyton e Sebastian, poi mi raggiunse in camera da letto dove dopo esserci infilati i rispettivi pigiami, ci rifugiammo sotto le calde coperte e ci addormentammo abbracciati.
Finalmente un po’ di riposo. 
 
<< Che cosaaaaaaaaaaaaaaaaa?! >>, quasi urlò Chris attraverso il ricevitore del mio cellulare.
<< Povero Zack >>, sentì commentare Travis.
<< Da Debbie non me lo sarei mai aspettato! >>, dichiarò Edward.
<< Zack l’ha spaccato in due non è vero? >>, chiese Sam con una curiosità malata.
Alzai gli occhi al cielo. << Non l’ha spezzato, è ancora vivo e vegeto! >>, chiarì.
<< Non se lo merita, avrebbe dovuto farlo nero >>, sbuffò Sam
<< Ma che dici, è Jack! >>, esclamò Edward
<< Ha ragione, sarebbe dovuto rimanere al suo posto >>, ribattè Travis.
<< Ha fatto benissimo per me, meglio le donne che gli amici! >>, esclamò Chris.
<< Vuoi finire fuori dalla finestra? >>, gli chiese Travis con tono irritato.
<< Scherzavo bello, fatti una canna! >>.
<< Ma che suggerimenti dai?! >>, gli chiese il fratello.
<< Utili per il suo umore irritabile >>, disse Chris.
<< Sei un…>>.
<< Ragazzi! >>, esclamai esasperata. << Potete per favore stare zitti o almeno parlare uno alla volta? >>.
Era da quando era iniziata la telefonata che non facevano altro che parlare l’uno sopra l’altro non facendomi parlare. Quella mattina Alex era uscito già da prima che io mi svegliassi e mi aveva lasciato un bigliettino con su scritto che andava da Jack per fargli compagnia e per vedere un po’ come stava. Avevo approfittato dell’assenza di Alex per chiamare i vari membri della mia band che con mia sorpresa e con mio sollievo, erano tutti riuniti a casa di Chris e Edward per passare una giornata insieme e che quindi per sentirmi tutti avevano messo il vivavoce. Avevo raccontato loro quello che era successo con Debbie e Jack e anche del fatto che lei si fosse licenziata, ma ovviamente i ragazzi avevano quasi ignorato l’ultima notizia preferendo parlare della relazione segreta tra mio fratello e la mia migliore amica.
Ero sdraiata sul divano bianco del salotto, con le gambe piegate e Sebastian appollaiato sulla pancia che mi osservava con quello sguardo furbetto che lo rendeva tenerissimo; sembrava quasi che stesse ascoltando la telefonata.
<< Scusa Tell >>, dissero in coro.
<< Bene, ora fate le domande uno alla volta, se ne avete >>, dissi.
<< Quindi gli All Time Low si sono sciolti? >>, chiese Edward.
<< Per ora si, sembra che si siano divisi in due parti >>.
<< Zack con chi sta? >>, chiese Travis.
<< Con Rian che a quanto pare si è arrabbiato con tutti come se tutta la situazione riguardasse lui personalmente >>, risposi pensando a come Rian avesse difeso Zack e ci avesse insultati tutti come se avessimo fatto a lui qualche torto.
<< Forse ha manie di protagonismo >>, commentò Chris.
<< No, vuole solo proteggere il suo amico e fa bene, Jack ha veramente sbagliato >>, disse Sam.
<< Non è colpa sua Sam, ha fatto solo quello che doveva >>, dissi e mi sembrò quasi la milionesima volta che lo dicevo a qualcuno per dissuaderlo dal pensare a mio fratello come il cattivo della situazione, perché non lo era.
Sentì Sam sbuffare. << Si, come no >>.
Prima che potessi rispondergli male, Travis intervenne. << Jack è davvero innamorato di Debbie? >>, chiese. << Non è che… è stata solo una botta e via? >>.
Ripensai alla scena che mi ero trovata davanti il giorno prima, quando ero entrata nella camera di Debbie: mio fratello in lacrime. Era raro vedere Jack piangere, soprattutto per una donna. Amava veramente Debbie, ne ero convintissima e sapevo che Debbie lo amava quasi quanto lui. << Si, lui ama Debbie, farebbe qualsiasi cosa per lei >>.
<< È sbagliato in un certo senso che abbia fatto questo a Zack, ma è anche giusto perché non si rinuncia alla persona che si ama >>, disse Edward.
So wrong, it’s right.
Una frase che aveva caratterizzato la mia vita da quando gli All Time Low vi erano entrati, una frase che mi aveva fatto capire molte cose e che, chissà come, trovavo sempre lungo il mio cammino.
Sorrisi inconsciamente. << Già è proprio così >>.
<< Quindi… è per questo motivo che Debbie si è licenziata? >>, chiese Travis.
<< Be’… no, si è trasferita perché vuole allontanarsi un po’ dalla vita “da star”, perché le manca la famiglia e perché ha bisogno di un po’ di tempo per riflettere, ma quello che è successo è stato il motivo che l’ha
spinta ad andarsene >>, spiegai.
Ci fu un attimo di silenzio.
<< Mi ha deluso, ma non voglio che se ne vada >>, disse infine Edward spezzando il silenzio.
<< Già, ormai eravamo tutti amici >>, commentò con tono triste Chris.
<< Hai già in mente qualcuno che la sostituirà? >>, mi chiese Sam.
Non so neanche se tornerò mai a cantare, come diavolo faccio a sapere chi sostituire a Debbie?!
Pensai infastidita.
<< Può venire Cassadee >>, propose Travis.
Mi sentì ribollire di rabbia al solo suono di quel nome, ma non fui abbastanza veloce da dire a Travis di non nominarla neanche che Edward disse: << Già, è molto simpatica >>.
<< Idioti, Cassadee ha già un lavoro! >>, commentò acido Chris.
<< E poi abbiamo litigato >>, aggiunsi io.
<< Avete litigato? >>, mi chiesero all’unisono.
<< Già, è stata lei a spifferare la storia di Jack e Debbie a Rian che a sua volta l’ha detto a Zack >>, dissi.
<< Ha fatto bene >>, disse Sam.
Se fosse stato lì lo avrei preso a schiaffi, ma purtroppo era dall’altro capo del telefono e quindi mi limitai solo ad ammonirlo. << Se hai commenti positivi da fare sul comportamento di Cassadee ti prego di tenerteli per te perché per oggi o anche per un altro paio di giorni non sarò affatto in vena di mettermi a discutere ancora! >>.
<< Va bene >>, accettò anche se dal suo tono di voce capì che non era affatto d’accordo e probabilmente dentro stava ribollendo dalla voglia di dirmene quattro.
<< Comunque, tornando al fatto di rimpiazzare Debbie… >>, feci una pausa per cercare il coraggio di proseguire il discorso dichiarando ai ragazzi della mia indecisione sul continuare a cantare dato il mio stato di futura mamma assolutamente inesperta e inadatta. Con mia sorpresa, Sebastian si alzò sulle zampe e dalla pancia salì fino al mio petto sul quale si fermò e come se mi volesse dare coraggio, mi iniziò a leccare la faccia. Gli accarezzai la testa e lo ringraziai a bassa voce prima che lui si accucciasse di nuovo tornando a guardarmi. << Credo che non ce ne sarà bisogno >>, continuai.
<< Perché no? >>, chiese Chris. << Non ti serve più un agente? >>.
<< No, perché… non so se… tornerò a cantare >>, ammisi.
<< Che cosaaaaaaaaaaaaaaaaa?! >>, urlò di nuovo Chris.
<< Sei impazzita? >>, mi chiese Sam.
<< È per il bambino? >>, mi chiese Travis.
<< Si, è per il bambino >>, mi affrettai a dire prima che potessero ricominciare a parlarsi sopra.
<< Che problema c’è?! Canterai con il pancione! >>, disse Chris.
<< È Alex che ti ha detto che non puoi più cantare? >>, chiese Sam.
<< No! >>, risposi riferendomi a tutti e due. << Non canterò con il pancione e Alex… non mi ha detto nulla perché… è una decisone che spetta a me >>, risposi evitando di dire che Alex non sapeva nulla del bambino così da evitare che mi iniziassero a dire che lo doveva sapere come ormai facevano tutti. Avevo bisogno dei miei tempi per dirglielo e avevo anche bisogno di un’atmosfera migliore. << Comunque il problema non è cantare con il pancione o meno, il problema è dopo… dopo che nascerà il bambino come farò a girare il mondo mentre imparerò a fare la madre?! Come faccio a dedicarmi ad un bambino quando ogni giorno di un tour è piano di cose da fare e mi stanca molto?! >>.
Li sentì sospirare. << Hai ragione >>, disse Travis. << È una grossa responsabilità e io ti capisco, non sarebbe facile pensare al bambino in tour, quindi è meglio se rifletti bene >>.
<< Potremmo aiutarti noi a tenerlo >>, propose Edward.
<< Già, non devi per forza rinunciare alla tua carriera >>, disse Chris.
<< O a noi >>, aggiunse Sam.
Feci un bel respiro per cercare di eliminare il senso di colpa che mi stava bloccando lo stomaco. << Ragazzi, io non vorrei lasciarvi, davvero, io amo cantare e vi voglio davvero molto bene, abbiamo passato del tempo bellissimo insieme, ma… devo prendere una decisione e quella che prenderò potrebbe non piacervi >>.
Calò un silenzio di tomba che mi fece temere che da un momento all’altro i ragazzi potessero iniziare ad accanirsi contro di me… ma non fu così.
<< Come ho detto prima, io ti capisco e accetterò qualsiasi cosa tu deciderai di fare >>, disse Travis.
Sorrisi nonostante non potesse vedermi. << Grazie Travis >>.
<< Stella, noi ti vogliamo bene e sappiamo anche quanto tu ci tenga al canto, non vorremmo mai che ci rinunciassi >>, disse Chris.
<< Ma se è quello che deciderai… per noi andrà bene >>, continuò Edward.
<< Si, ti staremo vicini comunque, anche se non saremo più una band saremo sempre tuoi amici >>, disse Sam.
<< Grazie, significano molto per me le vostre parole >>.
<< Conservale nella tua memoria, perché potremmo anche cambiare idea >>, disse Travis.
Risi. << Me lo potevate dire prima, almeno registravo la chiamata >>, scherzai.
<< Troppo tardi, carina >>, rise Sam.
Avrei voluto chiedergli cosa avrebbero fatto se io non fossi più tornata a cantare, ma preferì lasciar perdere per evitare di metterli di cattivo umore e magari metterli anche in crisi. Concludemmo la chiamata pochi minuti dopo, salutandoci allegramente.
Finita la chiamata feci alzare Sebastian da sopra di me e un po’ riluttante mi diressi nella camera da letto dove c’erano due valigie piene di vestiti che mi stavano aspettando a braccia aperte. Sospirando mi sedetti accanto ad una valigia, l’aprì e iniziai a togliere i vari vestiti raggruppandoli in due gruppi: quelli da lavare e quelli che invece potevo ancora indossare. Mi ci vollero una decina di minuti per finire e per portare la roba da lavare dentro la lavatrice. Quando tornai in camera per chiudere la valigia vuota, mi saltarono all’occhio due fogli rettangolari infilati in una tasca interna della valigia. Li presi in mano domandandomi cosa potessero essere: biglietti aerei, ma non dei biglietti qualsiasi, il primo era quello che mi era stato regalato da Debbie per andare da Roma e Baltimora e invece il secondo mi era stato regalato da Cassadee e dava come meta sempre Baltimora, dove c’era Alex e la mia unica felicità in quel periodo. Chissà come sarebbe stato il mio futuro se non avessi conosciuto Alex, se non me ne fossi mai andata da Roma… probabilmente avrei iniziato a cantare per i pub oppure avrei partecipato ad X Factor per cercare di ottenere un contratto discografico, supportata sempre dalla mia famiglia, da Debbie… solo da loro.
Mi alzai con ancora i biglietti in mano e mi andai a sdraiare di nuovo sul divano dove chiusi gli occhi presa improvvisamente da un senso di malinconia gigantesco che mi faceva desiderare così tanto di essere a casa mia che potevo quasi sentire la voce della mamma che mi chiamava, l’odore buono di cibo italiano che caratterizzava la cucina, mio padre che imprecava contro il computer perché non sapeva come usarlo, il profumo familiare della mia camera, il rombo dei motori delle macchine che si dirigevano verso il centro della città.
Dio mio! Roma mi mancava tantissimo, era quella città che per tanto tempo era stata la mia casa, il posto in cui da piccola pensavo di vivere fino alla vecchiaia lavorando in qualche bar o in qualche negozio come commessa oppure ancora come guida turistica; oltre che diventare una cantante, da piccola, ne avevo avute di idee su come impiegare il mio futuro, su come lavorare anche se cantare era sempre stato il mio sogno e per questo diventando più grande avevo deciso che tutti gli altri lavori non potevano fare per me perché io sarei diventata una cantante a qualunque costo. Roma mi aveva vista crescere e in quelle antiche strade piene di storia mi erano successe talmente tante cose sia positive che negative che non riuscivo a ricordarle tutte. Mi mancava un po’ avere una casa stabile, non viaggiare sempre, uscire con Debbie a fare shopping, cenare con i miei e cantare nella mia camera senza nessuno che mi ascoltasse; mi mancava anche un po’ la scuola, soprattutto i miei compagni di classe, le gite, le risate. Mi mancava la mia vecchia vita da ragazza normale e in quel momento più di tutti avrei voluto tornare indietro così da essere ancora una ragazzina piena di sogni e non una neo-mamma che non si sentiva affatto pronta. Sembrava impossibile che stessi davvero sentendo la mancanza di quello che avevo sempre odiato, di quella routine e quella normalità che avevo sempre accettato a forza con il desiderio che un giorno sarei andata via e avrei cavalcato i palchi di milioni di città… probabilmente non avevo mai capito quanto la vita che avevo fosse facile e preziosa.
<< Ma io non posso tornare a casa >>, dissi gettando i biglietti per terra in un tentativo di far andar via tutta quella malinconia e farmi tornare a pensare a cose più importanti, a problemi più urgenti. Purtroppo quel gesto si rivelò inutile così come i “baci” di Sebastian che aveva approfittato di nuovo del fatto che mi ero sdraiata e mi era risalito sopra, ma questa volta aveva poggiato le zampette bianche all’altezza delle mie clavicole e mi stava leccando le guance forse cercando di rassicurarmi, chi lo può sapere!
<< Mi dispiace ma questo non servirà a farmi stare meglio >>, gli dissi riaprendo gli occhi giusto in tempo per ricevere un abbaio di protesta. << Però lo apprezzo lo stesso >>, continuai grattandogli la testolina dove il pelo era di color marrone.
<< Ti mancherei se me ne andassi? >>, gli chiesi.
Alzò le orecchie, sollevò il muso con la lingua penzoloni e iniziò a scodinzolare prima di abbaiare una sola volta; decisi di prenderlo per un si.
<< Ti occuperesti di Alex se me ne andassi? >>.
Un altro abbaio.
Sospirai. << Ma non me ne posso andare, lascerei tutti da soli e farei la figura dell’egoista che preferisce tornare a casa sua invece che stare vicina al fidanzato e al fratello >>.
Sebastian si mise a sedere e posò il muso tra le zampette con aria afflitta. Lo accarezzai. << Meglio che mi levi quest’ idea della testa >>, dissi, poi guardando il cane aggiunsi: << Non lo dire ad Alex, okay? >>.
Sbuffò il che mi fece ridere, perché mi sembrava un gesto talmente umano da non poter mai immaginare di vederlo fare ad un cane.
Sentì delle chiavi infilarsi nella serratura della porta di casa e sorridendo al cagnolino dissi: << Ehi, Alex è… >>. Non riuscì a finire la frase che Sebastian mi era già passato sopra la faccia per buttarsi dal divano e correre verso la porta. << Grazie Sebastian, mi serviva proprio che mi passassi sulla faccia >>, borbottai mettendomi seduta giusto in tempo per vedere Alex entrare con ai piedi Sebastian che lo rincorreva saltellando per essere preso in braccio. Per essere piccolo saltava davvero molto in alto!
<< Non mi vedi solo da qualche ora, non ti sembra una reazione esagerata? >>, gli chiese Alex mentre Sebastian continuava a saltellargli da una parte all’altra abbagliando.
<< Io sarei contenta, vuol dire che ti vuole bene >>, dissi rivolgendogli un sorriso.
Alex si arrese e si chinò per prendere in braccio il cagnolino che con un ultimo abbaglio si sistemò tra le braccia di Alex e si accucciò. << Sei sveglia da tanto? >>, mi chiese sedendosi vicino a me.
Feci spallucce. << Forse un’oretta, non mi ricordo che ore erano quando mi sono svegliata >>.
<< Spero non ti sia annoiata >>.
<< No, per la prima volta dopo tanto tempo mi sono alzata e non avevo nulla da fare, tranne disfare le valigie >>.
<< Io devo ancora disfare le mie… che pizza! >>, sbuffò grattando la testolina di Sebastian.
Alzò lo sguardo verso di me e mi sorrise raggiante ed io capì all’istante cosa stesse pensando. << Non guardare verso di me, farai tutto da solo >>, lo avvisai.
Mi guardò storto. << Che gentile! >>, commentò sarcastico.
Risi. << Io ho dovuto fare da sola quindi anche tu farai da solo >>.
<< L’hai fatta da sola perché io ero da Jack >>, ribattè.
<< A proposito, come sta? >>, chiesi.
Riabbassò lo sguardo mentre sospirava. << Sta cercando di tirarsi su >>.
<< In che modo? >>, chiesi preoccupata della risposta.
<< Be’… è tornato a fare quello che faceva sempre >>, rispose Alex evasivo.
<< Cioè? >>, chiesi ancora più preoccupata.
<< Quando sono arrivato era ubbriaco fradicio, neanche mi aveva riconosciuto per quanto stava fuori e si reggeva in piedi a stento, ma poco gli interessava visto che aveva messo nel lettore dvd un film porno che… lo impegnava molto >>, mi lanciò un’occhiata significativa ed io capì al volo anche se avrei preferito non capire ed evitare che il mio cervello pensasse ad una scena parecchio… raccapricciante.
Feci una smorfia di disgusto che fece sorridere Alex. << Be’… se è ubbriaco almeno è allegro, è fuori di sè e non pensa a Debbie >>.
<< Già, ma può sempre fare qualche pazzia >>, disse.
Annuii. << Hai ragione, ma conoscendolo l’unica pazzia che potrebbe fare è quella di andare nudo per la città >>.
Rise. << Si, sarebbe decisamente da lui, lo fa persino da sobrio! >>.
Lo guardai perplessa. << Va in giro nudo per la città? >>.
<< No, no, non per la città, ma comunque sono molte le volte in cui va in giro nudo anche sopra al bus, nei camerini prima dei concerti… >>.
Sorrisi tristemente ricordandomi di tutte le volte in cui Jack correva per casa senza vestiti e mamma lo rimproverava dicendogli che era un indecente e che se continuava così avrebbe trovato lavoro solo come spogliarellista. Quella prospettiva, a differenza di quanto sperasse mia madre, aveva sempre reso Jack quasi euforico, non gli sarebbe mai dispiaciuto spogliarsi per delle ragazze.  Altri ricordi, altra malinconia.
<< Anche quando era piccolo andava sempre in giro per casa nudo e mia madre si arrabbiava molto >>, dissi.
Scoppiò a ridere.<< È sempre stato così… pazzo >>.
<< Già >>, concordai.
Mi sentì improvvisamente di nuovo triste e malinconica soprattutto perché ora che sapevo che Jack stava degenerando non potevo assolutamente andarmene, dovevo fare qualcosa per lui.
<< Che hai? >>.
Sobbalzai leggermente al suono della voce di Alex che mi stava guardando preoccupato. Cercai di sorridere. << Nulla, va tutto bene… a parte Jack >>, risposi sperando che lasciasse perdere e tornasse a parlare di Jack e invece si chinò facendo scendere Sebastian e raccolse dal pavimento i biglietti aerei che avevo cacciato dalla valigia facendomi salire il cuore in gola. << C’entrano qualcosa questi biglietti? >>, chiese dopo averli osservati.
Scossi la testa. << No, quelli sono solo i biglietti che avevo usato per venire qui l’anno scorso >>, risposi.
<< E perché sono qui, per terra? >>, chiese sospettoso.
<< Li ho trovati nella valigia, mi devono essere caduti mentre tornavo in salotto >>, risposi cercando di sembrare sincera. << Meglio che li vada a rimettere dov’erano >>, continuai prendendo i due biglietti e alzandomi per dirigermi nella camera.
<< Stell? >>, mi chiamò.
Mi girai anche se con riluttanza cercando di sembrare tranquilla. << Si? >>.
<< Dimmi la verità, che c’è che non va? >>.
Risi forzatamente. << Wow, hai fatto la rima >>.
Mi guardò storto ed io capì che i miei tentativi di sviare il discorso sarebbero stati inutili, quindi dovevo dirglielo, tanto non ci sarei andata comunque a Roma.
Mi andai a risedere sul divano e dopo aver fatto un profondo respiro dissi: << Mi manca Roma >>.
Alex non disse nulla, così continuai. << È da quando Debbie è partita che non riesco a togliermi dalla mente l’idea di tornare a Roma, dalla mia famiglia, per stare… un po’ tranquilla visto che ora non ho più nessun impegno >>, sospirai, << sarebbe davvero bello per me poterci tornare, ma… so benissimo che non posso andarmene perché lascerei te e Jack da soli e visto il brutto periodo non mi sembra davvero una buona idea >>.
<< Dai Stell, non sono un bambino, posso cavarmela anche da solo, non c’è bisogno che ti preoccupi per me >>, disse.
<< Invece mi preoccupo, perché da un giorno all’altro hai perso alcuni dei tuoi amici più cari e so che ci stai male e mi dispiacerebbe un sacco lasciarti sapendoti da solo con l’umore a terra >>.
Sospirò. << Si, è vero, ci sto male, ma non così tanto da volere che tu rinunci a qualcosa per me, non ti chiederei mai di restare con me invece di andare a trovare la tua famiglia, perché non sarebbe giusto, non passi del tempo con loro da… molto tempo e io sarei felicissimo se tu tornassi a Roma >>, fece una pausa, << ammetto che mi mancheresti come l’ossigeno, ma non importa, me la caverò lo stesso, non devi assolutamente preoccuparti >>.
<< E Jack? Come posso lasciarlo in questo stato pietoso? >>.
<< Portalo con te >>, disse.
<< Dici sul serio? >>.
<< Potrebbe fargli bene tornare a casa, magari tornerebbe un po’ più sereno >>.
In effetti quella di Alex era davvero una buona idea, io e Jack saremmo tornati a casa per riflettere, per allontanarci un po’ da quella vita, per tornare a star bene. La mamma ci avrebbe aiutati, era sempre stata brava in quello.
<< Hai ragione, tornare a Roma servirà a Jack per staccare un po’… anche se Debbie sarà comunque lì >>.
<< Ma non la vedrà, probabilmente neanche uscirà di casa! >>, sorrise soddisfatto.
Incrociai il suo sguardo. << Sei sicuro? >>.
Mi sorrise sghembo. << Assolutamente si, starò benissimo, tranquilla >>.
Sorridendo mi ci avvicinai andandomi a sedere sulle sue gambe girata verso di lui; lo abbracciai forte cercando di fargli percepire tutta la mia gratitudine. Tornare a Roma era importante per me più di quanto lui sapesse.
<< Grazie >>, dissi.
Mi accarezzò i capelli. << Per te questo ed altro Stell >>.
Sciolsi l’abbraccio e mi allontanai da lui per guardarlo mentre dentro il cuore mi esplodeva per quanto felice mi sentissi in quel momento, per quanto sentissi di amare Alex che era assolutamente fantastico; non avrei mai saputo cosa fare se lui non fosse stato lì con me.
<< A che pensi? >>, mi chiese.
Sorrisi. << Al fatto che ti amo molto più di qualsiasi altra cosa e sono felicissima di averti al mio fianco >>.
Mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo facendo incontrare le nostre labbra che senza induci si schiusero in un bacio profondo ed intenso che mi fece rimanere senza fiato ma non me ne curai finché i polmoni non iniziarono a bruciarmi, allora lì staccai lievemente le labbra dalle sue per riprendere fiato e poi ricominciai a baciarlo assaggiando il sapore amaro della birra che era rimasto sulle sue labbra probabilmente perché aveva bevuto da Jack, cosa normale visto che appena vedeva una birra non riusciva assolutamente a non berla.
Le sue mani scivolarono svelte lungo il mio busto andandosi a fermare all’altezza della fine maglietta i cui bordi se li arrotolò intorno alle dita così che sollevando le mani potesse sollevare anche l’indumento fino a farmelo passare su per la testa e poi buttarlo via. Anche io feci lo stesso con la sua maglietta, approfittando del momento in cui le nostre labbra si erano divise. Presi a baciargli il collo lentamente, mentre le sue mani mi accarezzavano dolcemente la schiena facendomi venire i brividi per quanto fosse piacevole quella
sensazione. Dal collo scesi a baciargli il petto, ricoprì ogni centimetro della sua pelle. Finito di baciarlo, lui ricondusse la mia bocca verso la sua e fece incontrare le nostre lingue nuovamente facendo aumentare il mio desiderio di averlo. Le sue mani arrivarono al gancetto del mio reggiseno che sganciò e fece scivolare lentamente a terra mentre mi osservava con quegli occhi così scuri e profondi dei quali ero tanto innamorata. Mentre Alex mi lasciava profondi baci sul petto, nella mia mente si fece largo un pensiero che mi fece rinsavire dal mio stato di eccitazione e mi fece ricordare che avevo un bambino in grembo e non potevo fare l’amore con Alex o meglio, potevo, ma avevo paura che potesse succedere qualcosa, non ero andata neanche dal ginecologo, come potevo sapere se fare l’amore con Alex avrebbe potuto comportare qualche rischio per il bambino? Anche se non volevo quel bambino non significava che avrei voluto farlo morire solo perché volevo fare l’amore con il mio fidanzato, non volevo assolutamente distruggere una nuova vita.
Accarezzai la schiena di Alex soffermandomi sulle scapole che sentivo muoversi ad ogni movimento delle sue mani sul mio corpo. Dovevo trovare il modo di staccarmi da lui, di fermarmi, ma non ci riuscivo, più lui mi accarezzava più mi sentivo bene, mi sentivo rilassata, sentivo la pelle bruciare al passaggio del suo tocco e il desiderio aumentare sempre di più come un fuoco che bruciava feroce.
Mio Dio! La sua pelle era così morbida, la sua bocca così delicata, i suoi pantaloni erano così gonfi… okay, dovevo mettere un freno a tutto quello prima che perdessi totalmente il controllo. Mi allontanai da lui. Si appoggiò di nuovo con la schiena allo schienale del divano e mi guardò mentre facevo dei lunghi respiri per cercare di tornare lucida. Quando incrociai il suo sguardo, mi sentì il cuore sprofondare, erano pieni di delusione, di preoccupazione e di tristezza. << Per favore, non… interromperlo ora, non di nuovo >>.
Non riuscì a dire nulla, anche perché non sapevo cosa dirgli. E se avesse pensato che non lo volevo più?
<< Mi piacciono i preliminari, ma vorrei avere anche di più >>, continuò. << Voglio averti Stella, lo so che dicendo questo posso sembrarti uno che lo vuole fare e basta, ma ti posso assicurare che fare l’amore con te è la cosa più bella che io abbia mai fatto, mi da sensazioni bellissime e mi piace sentirti solo mia, sentire che ci amiamo davvero, sei l’unica persona adesso con la quale posso concedermi un po’ di serenità e… io… non so perché tu in questo periodo non lo voglia fare e sinceramente mi preoccupa il fatto che io abbia fatto qualcosa di male, se è così per favore dimmelo, perché… >>.
Sentire quelle parole mi fece sentire uno schifo, perché non mi meritavo affatto di averlo accanto, gli stavo mentendo perché non avevo il coraggio di dirgli la verità e per questo lo stavo anche facendo preoccupare, lo stavo facendo sentire rifiutato. Ero davvero un’idiota! Al diavolo tutto, io lo desideravo e volevo con tutto il cuore fare l’amore con lui che facesse bene al bambino o meno.
Gli posai un dito sulle labbra interrompendo il suo discorso. << Alex, mi dispiace tanto, è solo che con tutto quello che è successo non mi sentivo molto di buon umore per fare l’amore con te, ma… adesso… al diavolo tutto, sei l’unica cosa che voglio in questo momento >>.
Mi sorrise e prima che potesse dire qualcos’altro, mi avvicinai a lui e lo baciai pronta a lasciarmi andare.
 
Quando Alex uscì da dentro di me, eravamo tutti e due ricoperti da un leggero velo di sudore ed eravamo senza fiato, ma io mi sentivo benissimo e penso che lo stesso valesse per Alex visto che mi sorrise e ricominciò a baciarmi dolcemente accarezzandomi le guance.
Prendendomi alla sprovvista, improvvisamente mi fece sdraiare sul divano e mi si sdraiò sopra attento a non appoggiarsi con tutto il peso. << Ti amo Stell >>, mi disse portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Gli sorrisi e lo baciai a stampo. << Ti amo anche io >>.
Per la prima volta da quando avevo scoperto di essere incinta, mi ero sentita felice e spensierata, come se fossi uscita per un po’ dal mondo.
 
Jack accettò volentieri di andare con me a Roma nonostante quando glielo chiesi avesse un mal di testa terribile dovuto alla brutta sbronza che si era preso. Quando avrebbe imparato?! Mah!
Partimmo il giorno dopo alle dieci di sera così che dopo otto lunghissime ore di volo, arrivassimo a destinazione a mezzo giorno, così da star sicuri che mamma e papà fossero svegli. Non li avevamo avvisati del nostro arrivo, volevamo fargli una sorpresa. Quando atterrammo all’aeroporto, mi sentivo molto emozionata e non vedevo l’ora di rivedere i miei genitori e di vedere le loro espressioni quando aprendo la porta si sarebbero trovati me e Jack davanti. Il mio entusiasmo però si spense non appena ricordai a me stessa l’altra “sorpresa” che avevo in serbo per i miei genitori e che li avrebbe sconvolti di sicuro e magari anche fatti arrabbiare… speravo che almeno non mi cacciassero di casa, perché avevo intenzione di rimanere per qualche giorno a Roma così da dare il tempo a Jack di riprendersi; nonostante fossimo partiti, Jack sembrava lo stesso di quando eravamo partiti da Berlino, era sempre spento e poco allegro, ma almeno era più partecipe, infatti ci riuscì a parlare e qualche volta anche a farlo ridere anche se per qualche breve secondo.
A Roma era una bellissima giornata, il sole splendeva caldo e riscaldava almeno un po’ la città che se no sarebbe stata freddissima vista la stagione ancora invernale. Fu strano uscire dall’aeroporto e prendere un taxi, in tutti gli anni che ero vissuta a Roma non avevo mai preso un taxi per spostarmi, o andavo a piedi oppure mi facevo accompagnare da papà quando ancora non avevo la patente.
Entrammo nel taxi e demmo l’indirizzo di casa al tassista. Per la prima volta dopo tanto tempo mi trovavo in un posto dove qualcun altro oltre me –Debbie e Jack- parlasse italiano, ormai lo parlavo talmente tanto poco che a volte mi domandavo se sapessi ancora parlarlo per bene.
Dopo aver fatto l’amore con Alex, il giorno prima, non mi ero sentita ne male e ne avevo trovato tracce di sangue nelle mutande quindi a quanto sembrava quello che sarebbe diventato un bambino stava benissimo e non aveva rischiato nulla. Il pomeriggio del giorno prima, un po’ preoccupata, mi ero anche andata a documentare su internet e avevo letto che il primo mese di solito non si sa di essere incinta e quindi capita spesso che si abbiano rapporti e quindi non si corre nessun rischio. Era divertente come su internet si potessero trovare le risposte a tutto quello che chiedevi e molte varie opinioni su un determinato argomento.
Quando entrammo a Roma, sentì Jack iniziare a canticchiare a bocca chiusa una canzone che conoscevo ma che sentita così non riuscivo ad identificare; solo quando cantò ad alta voce capì di che canzone si trattava o meglio di quale canzone modificata.
<< Hello Rome, hey Italy! >>.
<< Take the streets all night cause you sleep all day >>, cantai mentre il mio sguardo vagava fuori dal finestrino, pronto a rivedere la sua vecchia casa.
<< When the world comes crashing down, who’s ready to party? >>.
<< Hello Rome, hey Italy! >>, cantammo insieme. << Coast to coast, I’ll take you down in flames,
 let the good times roll, we can let go, everybody knows that there’s a party at the end of the world >>.
Ci guardammo e ci scambiammo un sorriso che sparì in fretta dalle labbra di Jack che con sguardo malinconico si girò verso il suo finestrino. << Non suonerò mai più questa canzone e neanche la sentirò mai più in un concerto >>, disse.
Mi sembrava stupido ripetere ancora una volta che sarebbe andato tutto bene, perché io non ne ero affatto sicura e non volevo illudere inutilmente Jack anche perché continuare a dargli speranza per ora non aveva affatto funzionato.
Gli presi una mano e la strinsi senza dire nulla, lui ricambiò la stretta e sperai che quel gesto potesse farlo sentire almeno un po’ meno triste.
<< Sei venuta qui per dire a mamma e papà della gravidanza, vero? >>, mi chiese senza girarsi a guardarmi.
<< Si, sperando che… mi diano qualche consiglio su come gestire d’ora in poi la mia vita >>, dissi.
<< Quello lo dovrai decidere tu, loro possono solo darti dei consigli >>, ribattè.
<< Lo so… spero solo che con i loro consigli sceglierò di fare la cosa giusta >>, ammisi sospirando.
Si girò a guardarmi sorridendomi e questa volta il suo sorriso durò più di un minuto. << Ti starò vicino sorellina >>, disse accentuando la stretta intorno alla mia mano. << So per certo che farai la cosa più giusta >>.
Gli sorrisi.
E così eravamo tornati a Roma, dopo tanto tempo, dopo tanti cambiamenti… finalmente eravamo tornati a casa.
 
 

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Capitolo 17
*** Keep holding on ***


Buonaseraa :)

Scusate sempre per il ritardo >< ma purtroppo ho avuto un po' da fare e un po' da studiare D: per fortuna però sono riuscita a postare prima che inizi una nuova settimana. Il titolo di questo capitolo stranamente non è preso da una canzone degli ATL, ma di Avril Lavigne per due motivi u.u : 1. non riuscivo a trovare nessuna canzone degli ATL o Simple Plan che potesse andare bene per questo capitolo e 2. in quel periodo ero fissata con Keep Holding on e quindi la dovevo per forza mettere da qualche parte xD
Spero vi piaccia :)
Passate una buona settimana :*

A presto! :D

Miki*


Keep holding on
 ‘Cause you know we’ll make it through, we’ll make it through
 Just stay strong
 ‘Cause you know I’m here for you, I’m here for you”.
 
<< E se non ci sono? >>, chiesi rivolta a Jack. << Magari sono andati dagli zii ed è stata una pessima idea venire qui… avremmo dovuto prenotare in un albergo così nel caso mi avessero cacciato avrei saputo dove andare >>.
<< Non fare la polla! >>, mi rimproverò guardandomi storto. << Non dirmi che ora che siamo arrivati fin qui ci hai ripensato e non vuoi dire più nulla a mamma e papà >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Forse >>, sussurrai.
<< Non ci provare proprio Stella! Siamo venuti fin qui per cercare di mettere ordine nella nostra vita ed è quello che faremo >>, disse in un tono così serio e deciso che mi sorprese visto che non glielo avevo mai sentito usare.
Annuii. << Si, hai ragione, ormai ci siamo non posso farmi prendere dal panico >>, concordai.
<< Pensalo come un allenamento per quando dovrai dire della gravidanza ad Alex >>.
Mi si serrò lo stomaco solo al pensiero di trovarmi davanti Alex e dovergli dire che aspettavo un bambino da lui perché come due idioti ci eravamo dimenticati di usare il preservativo. << Dirlo alla mamma sarà una passeggiata in confronto >>, dissi.
<< Mmm… >>, assunse un’aria pensierosa, << io non ne sarei così sicuro >>.
Lo guardai allarmata, ma prima che potessi dirgli qualcosa, lui suonò il campanello della nostra piccola casa. Eravamo arrivati a casa da più o meno cinque minuti e di questi cinque ne avevamo passati quattro a guardare la porta senza fare nulla perché improvvisamente io mi ero ritrovata spaventata e piena di dubbi su come avrebbe reagito la mamma e anche papà.
Jack si girò verso di me e mi sorrise. << Sii coraggiosa! >>, mi incoraggiò.
Appena il taxi si era fermato davanti al palazzo in cui abitavamo, Jack aveva cambiato subito umore il che mi aveva resa davvero felice perché voleva dire che la magia di Roma funzionava ancora, quel posto aveva ancora la capacità di farci sorridere, di farci sentire a casa.
<< Hai intenzione di raccontargli che hai litigato con Zack? >>, gli chiesi.
<< Non sei l’unica che è venuta qui per farsi consigliare >>, rispose.
Annuii.
La porta si aprì e sulla soglia spuntò la mamma, con l’aria di una persona che si stava annoiando a morte, i capelli ricci più indomabili del solito e una palla di pelo in braccio che riconobbi solo dopo una lunga occhiata essere un volpino dal color del pelo sopra arancione e sotto bianco. Be’ questa si che era una sorpresa!
Ci guardò con gli occhi sgranati, come se avesse visto due fantasmi.
<< Sorpresaaaaa! >>, esclamammo io e Jack all’unisono sorridendo a trentadue denti.
Rimase a guardarci per qualche altro secondo, poi, lasciando il cane a terra, ci si avvicinò e ci strinse entrambi in un abbraccio affettuoso di quelli che sono una mamma ti può dare. Durante tutto l’abbraccio non fece che ripetere “oh mio Dio” e “non posso credere che siate qui” o ancora “questo è un sogno!”.
<< Avanti mamma, non siamo mica morti, non c’è da meravigliarsi così tanto >>, disse Jack rovinando il momento di gioia.
Scossi la testa guardandolo storto. << Sei incorreggibile >>.
<< Concordo con tua sorella >>, disse la mamma. << È così che si saluta la tua mamma dopo tutto questo tempo che siete state lontani?! >>, chiese verso Jack rivolgendogli un’occhiataccia.
Jack le sorrise dolcemente e l’abbraccio di nuovo. << Mi sei mancata tanto, mamma >>, le disse. Solo in quel momento mi resi conto di quanto Jack fosse alto rispetto alla mamma, faceva quasi paura per quanto la superava.
<< Oh, anche tu Jack >>.
Le piccola palla di pelo che prima mamma aveva tra le braccia, mi venne ad annusare scodinzolando e abbagliando, così mi accucciai per accarezzarlo e quello come se gli avessi dato l’invito, si fiondò tra le mie braccia iniziando a leccarmi tutta la faccia. << È un piacere conoscerti anche per me piccolino >>, dissi accarezzandogli il morbido pelo.
<< È una femminuccia >>, mi informò la mamma sorridendo alla cagnolina. << Si chiama Pesca >>.
<< Pesca? >>, chiese Jack sorridendo sotto i baffi.
<< Il colore del suo pelo rispecchia molto quello delle pesche >>, disse la mamma.
<< Io avrei detto più arancia >>, ridacchiò Jack.
Cambiato o no il suo umorismo rimaneva sempre lo stesso.
<< Venite, andiamo dentro >>, ci disse aiutandoci a portare le valigie all’interno della casa dove avevo passato tutta l’infanzia. Quel luogo era così pieno di ricordi, così pieno di profumi, di suoni che mi erano familiari e mi davano un senso di sicurezza enorme, conoscevo quel posto come le mie scarpe e in un certo senso mi sentivo come se lì non potesse succedermi nulla di male.
Anche se era tutto come lo ricordavo, non potei fare a meno di guardarmi intorno, mentre dalla porta d’ingresso passavamo accanto al salotto, poi vicino al corridoio con le camere da letto per dirigerci alla cucina blu dove ogni mattina, quando andavo a scuola, facevo colazione in modo lento e pigro con le palpebre quasi del tutto chiuse per il sonno. Quanto non mi mancava quella parte della scuola.
<< Andate a posare i vostri bagagli e a rinfrescarvi un po’, il viaggio deve essere stato lungo, io intanto vi preparo qualche panino, sarete affamati vista l’ora >>, disse la mamma.
Ne io ne Jack avevamo fame visto che in America erano ancora le sette del mattino, ma nessuno dei due voleva rifiutare la proposta della mamma anche perché era da tanto che non mangiavamo qualcosa fatto da lei, così annuendo ci dileguammo verso le nostre camere portandoci dietro i bagagli e anche il cagnolino, che probabilmente mi aveva presa in simpatia o forse sentiva solo addosso a me l’odore di Sebastian.
Rientrare nella mia camera fu strano e allo stesso tempo emozionante; strano perché non ero più abituata a quella piccola stanzetta tutta disordinata ed emozionante perché in quel posto c’era tutta la roba che avevo lasciato, tutti i miei cd, tutti i miei libri di scuola, i film, i peluche e anche il mio fedele microfono mezzo rotto con il quale mi ero esibita davanti ad un pubblico invisibile per tanti e tanti anni.
Mi buttai sul letto ridendo tra me e me. Era bello essere tornata, era bello rivedere quell’ambiente familiare, mi sembrava quasi di essere tornata indietro nel tempo ed era proprio quello che avevo desiderato intensamente negli ultimi gironi. Dopo qualche minuto, mi alzai dal letto e mi tolsi il cappotto che avevo tenuto fino a quel momento, poi uscì dalla camera per dirigermi verso il bagno dove mi diedi un “rinfrescata” prima di andare in cucina ansiosa di parlare con la mamma –non della gravidanza ma di come andavano le cose lì-. Quando arrivai, Jack era già seduto al tavolo che mangiucchiava un panino con il prosciutto crudo mentre la mamma metteva dei croccantini nella ciotola di Pesca.
<< Dov’è papà? >>, chiesi andandomi a sedere vicino a Jack.
<< È ancora a lavoro, tornerà nel tardo pomeriggio >>, rispose la mamma.
 Annuii poi spostando lo sguardo verso Pesca chiesi: << Come mai avete comprato un cane? >>.
La mamma sorrise e si strinse nelle spalle prima di sedersi sulla sedia di fronte a quella di Jack. << Questa casa era troppo vuota senza voi due e così per sentirci meno soli abbiamo comprato lei >>, sorrise alla cagnetta che si stava leccando i baffi.
<< Be’… è stata una buona idea e poi mi sembra molto tranquilla come cagnolina >>, commentai pensando a Sebastian che era una vera peste, Peyton almeno era calmo e se ne stava quasi sempre per le sue.
<< Infatti è davvero un amore >>, disse la mamma rivolgendo un’ultima occhiata affettuosa a Pesca. << Ma non parliamo del cane, raccontatemi di voi, so per certo che è successo un pasticcio >>.
Io e Jack ci lanciammo un’occhiata. << Che ne sai? >>, le chiese lui guardandola tra il sorpreso e il perplesso.
La mamma non rispose, si alzò scomparendo nel salotto, lasciando me e Jack a guardarci perplessi e a chiederci perché se ne fosse andata senza dire nulla. Qualche minuto dopo tornò stringendo tra le mani un giornale di gossip, lo posò sul tavolo e ce lo avvicinò per farci vedere la copertina ma soprattutto il titolo in prima pagina. La copertina illustrava una foto degli All Time Low, una foto di molti anni prima in cui facevano gli stupidi, Rian aveva una cresta come capelli, Jack aveva le mesh bionde, Zack era molto più biondo e Alex… era sempre Alex; la foto era stata modificata e ai lati di ognuno dei ragazzi erano state fatte delle specie di crepe che andavano a simboleggiare la rottura del loro gruppo infatti il titolo diceva: “è arrivata anche la loro ora, gli All Time Low si sono separati”.
Be’ ci era andato giù pesante quel titolo.
<< ”è arrivata anche la loro ora”?! Non siamo mica morti! E poi cosa diavolo vuol dire?! >>, sbraitò Jack visibilmente adirato.
<< Vuol dire che come molte altre band, vi siete sciolti anche voi >>, disse la mamma con voce calma cercando di non farlo arrabbiare ancora di più.
<< Noi non ci siamo sciolti! >>, protestò Jack.
Lo guardai. Nonostante non avessero mai detto precisamente: “il gruppo è sciolto”, ormai con la partenza di Rian e Zack era sott’inteso che non stavano più insieme come gruppo, che la loro amicizia era finita e così anche la loro carriera come band.
<< Non abbiamo mai detto ufficialmente di esserci sciolti >>, riformulò la frase Jack vedendomi non molto d’accordo con la sua affermazione. << Come diavolo fanno i giornali a saperlo? Soprattutto quelli italiani! >.
<< Penso sia normale >>, dissi, << come chitarrista famoso e per metà italiano penso che i giornalisti di qui si interessino ad avere notizie su di te >>.
<< E poi queste notizie fanno presto il giro del mondo, i giornalisti non aspettando altro che scoop come questi >>, disse la mamma scuotendo la testa per esprimere il suo dissenso.
Jack si appoggiò allo schienale della sedia. << Non ci posso credere, pensavo non lo sapesse nessuno e invece… lo sa tutto il mondo! >>.
<< E si sa anche della vostra rissa >>, disse la mamma aprendo il giornale ad una pagina piena di foto degli ATL e un articolo nel quale ad una riga che mi indicò c’era scritto che secondo alcune fonti, Jack e Zack si erano presi a pugni nell’albergo in cui stavano, il perché era ancora un mistero ma molti pensavano fosse perché Jack avesse bevuto troppo oppure perché Zack avesse dato di matto o ancora perché Zack era segretamente innamorato di Alex ed era geloso della sua relazione con Alex.
I giornalisti non si davano assolutamente un freno.
<< Appena sei arrivato ho notato subito quell’orrendo livido che hai intorno all’occhio e subito ho pensato alla rissa di cui parla il giornale >>, disse la mamma.
<< Quello almeno è vero >>, commentò Jack.
<< Questo è l’articolo con le idee più assurde che io abbia mai letto >>, commentai guardandolo disgustata.
Jack sospirò. << Almeno Debbie non viene nominata >>.
In effetti era una fortuna che i giornalisti non fossero venuti a sapere della verità, perché se no avrebbero iniziato a cercare Debbie per mare e monti, avrebbero iniziato a scrivere cose su di lei… forse anche brutte e non sarebbe stata più lasciata in pace almeno finché non sarebbe arrivato un scoop più succulento.
<< Già, meno male >>, dissi.
La mamma spostò lo sguardo perplesso da me a Jack, poi chiese in tono incredulo. << Debbie? >>, spostò lo sguardo verso di me, << la tua amica Deborah? >>.
Annuii e poi mi strinsi nelle spalle per rispondere alla sua domanda silenziosa che mi avevano posto i suoi
occhi. Non volevo risponderle, perché non sapevo se Jack volesse dirle il vero motivo dello scioglimento
degli All Time Low, quindi preferì tenere lo sguardo basso e aspettare che Jack dicesse qualcosa.
Jack scelse di dire la verità come era giusto, alla fine alla mamma non puoi mai mentire, ti conosce meglio di quanto tu conosca te stesso!
<< La nostra band si è sciolta… perché io e Debbie stavamo insieme >>, disse in tono amaro Jack; glielo leggevo in faccia che dentro stava soffrendo.
<< Ma… Debbie stava con Zack… giusto? >>, chiese la mamma.
Annuii.
<< Oh! >>, esclamò la mamma iniziando a scuotere la testa. << Jack, ma che cosa hai combinato?! >>, gli chiese.
Scossi velocemente la testa suggerendole di non iniziare così il discorso perché se no l’avrebbe fatto arrabbiare, ma lei ignorò il mio gesto lanciandomi un’occhiataccia che voleva dire: “non ti intromettere”.
<< Assolutamente nulla mamma, mi sono solo innamorato >>, rispose Jack con aria abbattuta.
<< Di una ragazza già fidanzata e per giunta con uno dei tuoi migliori amici, ma come ti è venuto in mente di tradirlo? >>, sospirò, << E a Debbie, come diavolo le è venuto di stare con te mentre stava ancora con Zack?! >>.
<< Senti mamma non sono qui per farmi dire che ho sbagliato! >>, sbottò Jack. << Lo so già da solo che ho sbagliato e di sicuro non volevo combinare tutto il casino che è successo ma ho avuto le mie buone ragioni e tu dovresti cercare di comprenderle invece di giudicare solo come hanno fatto Zack, Rian e gli altri >>.
La mamma annuì. << Scusami tesoro, hai ragione, non dovrei giudicarti >>, si scusò. << Quindi, raccontami bene la faccenda >>, lo incitò.
<< Io sono innamorato di Debbie da… sempre, mamma >>, iniziò Jack fissando il tavolo, << ma non ho mai avuto il coraggio di dichiararmi perché era più piccola di me e avevo paura che non potesse ricambiare >>.
La mamma rise. << Io mi sarei sentita molto lusingata di piacere ad uno più grande >>.
Jack alzò un sopracciglio e rimase a guardarla perplesso per un po’ prima di dire: << Non è di questo che stiamo parlando >>.
<< Oh si, scusa >>.
Jack riprese a parlare, raccontando alla mamma che quando era partito per l’America pensava di dimenticarsi di Debbie, di trovare un’altra ragazza, ma non l’aveva mai trovata e quando era ritornato a Roma insieme agli altri e l’aveva rivista si era accorto di essere ancora innamorato di lei, ma non era comunque uscito allo scoperto perché a lei piaceva Zack e così aveva lascato perdere preferendo la felicità dell’amico e decidendo di rinunciare a quell’amore impossibile che nutriva per lei almeno fino all’inizio di quell’anno, quando ha iniziato a stare male e l’unica che se ne era preoccupata era stata Debbie che lo aveva consolato e gli era stata accanto facendolo riaccendere i sentimenti che lui aveva cercato di sotterrare; l’amicizia con Debbie poi era diventata così forte da diventare molto di più per entrambi e finalmente Jack le aveva rivelato i suoi sentimenti tornando ad essere felice nonostante sapesse che fosse sbagliato stare con Debbie.
<< E ora lei è tornata qui a Roma… per riflettere >>, pronunciò quell’ultima parola come se fosse stato un insulto. << Deve scegliere tra me e Zack perché a quanto pare lui dopo essersi arrabbiato e dopo aver fatto tutta quella sceneggiata l’ha perdonata e ha capito di amarla ancora e di volerla tutta per sé >>.
<< Capita che quando si è arrabbiati si dicano cose che non si pensano >>, disse la mamma. << Probabilmente la rabbia non gli aveva fatto capire di amare ancora Deborah >>.
<< A me sembra solo stupido il fatto che prima faccia un casino e poi voglia ritornare con lei! >>, sbottò Jack che giocherellava nervosamente con le sue mani senza alzare mai lo sguardo, forse per non farci scorgere le lacrime che gli avevano fatto tremare la voce per tutto il racconto.
<< A te sembra stupido perché vuoi che lei stia con te >>, lo corresse la mamma.
<< Certo che lo voglio! Dannazione! >>, esclamò battendo un pugno sul tavolo facendoci sobbalzare. << Lui non se la merita! Non la ama come la amo io e per me non ci sarebbe nulla da scegliere, perché io non le avrei mai urlato in faccia come invece ha fatto Zack, l’ha anche spinta e chissà cos’altro avrebbe potuto farle! >>.
Jack si era alzato e stava sbraitando dimenando le mani e andando avanti e indietro per la stanza. La mamma si alzò e lo raggiunse, gli posò le mani sulle spalle cercando di calmarlo. << Jack, tesoro, non puoi essere sicuro che Zack non ami Deborah come la ami tu e non puoi pretendere di essere tu la scelta giusta, perché quella è una cosa che deve decidere lei, tu devi solo prendere atto delle sue parole e decidere cosa fare di conseguenza >>.
Parlò con calma accarezzandogli dolcemente le guance per tranquillizzarlo, ma i metodi calmi della mamma non funzionarono, Jack era ferito e per riprendersi aveva bisogno di tempo, aveva bisogno di capire da solo, di riflettere e di farsi coraggio.
<< Non capisci! >>, esclamò allontanandosi di un passo dalla mamma. << Non posso accettare che lei stia con Zack, non di nuovo! Mi sono già fatto indietro una volta, ma ora non lascerò che lei mi scivoli di nuovo via dalle mani, io la amo come non ho amato mai nessuno e ho bisogno di lei, ho bisogno dei suoi incoraggiamenti, della sua dolcezza, dei suoi dolci sorrisi, della sua risata armoniosa >>, si asciugò una guancia eliminando una lacrima che gli era appena iniziata a scendere dall’occhio. << Mi dispiace per quello che ho fatto, mi dispiace che la band si sia sciolta, non volevo che succedesse, io volevo solo essere felice come gli altri, volevo provare anche io cosa significa essere amati e se mi sono innamorato della ragazza del mio migliore amico, non è colpa mia, non ci ho potuto fare nulla… anche perché sono arrivato prima di Zack! >>.
La mamma trattenne a stento un sorriso. << Non è una gara a chi arriva prima, non funziona così l’amore, quello te lo devi guadagnare >>.
<< Oh be’, allora non mi sceglierà di sicuro visto che sono un disastro ambulante! >>.
<< Non sei un disastro! >>, ribattè la mamma.
<< Ti prego! Non ne faccio mai una buona, ho il pallino fisso del sesso, mi piace ubriacarmi, faccio le capriole nudo dopo essermi fatto la doccia, dico sempre cose idiote anche quando non ce n’è bisogno… insomma sono uno che non si controlla, uno senza regole… uno sregolato! Un pervertito! Un… >>.
<< Questi sono solo i tuoi difetti >>, lo interruppe la mamma con un sorriso dolce. << Sei molto più di questo e il fatto che tu ami davvero tanto questa ragazza dimostra quanto grande sia il tuo cuore, quanto dolce e tenere in realtà dentro tu sia >>.
Jack fece una smorfia. << Dolce e tenero sono aggettivi che non mi caratterizzano affatto >>.
<< E invece si >>, sorrise radiosa la mamma, << te ne accorgerai presto e allora mi verrai a dire che avevo ragione >>.
<< Si, certo >>, commentò sbuffando.
<< Comunque, tornando a parlare del problema, l’unica cosa che puoi fare adesso è aspettare la decisione di Debbie e… approfitta di questo tempo che ti dà per convincerti che potresti non riaverla, che potresti doverla rivedere con Zack e, a quel punto, se vuoi davvero che la band torni insieme ,devi accettare la scelta di Debbie >>, disse la mamma tornando seria.
Jack spostò lo sguardo verso dalla finestra dalla quale si vedeva la strada affollata di macchine. << Non credo che accetterò mai una cosa del genere >>, sentenziò. << Se Debbie scegliesse Zack io mi sentirei… perso, quasi morto >>.
<< Poi ti riprenderesti, troverai qualcun’altra >>.
Jack scosse velocemente la testa. << Non ce ne sarà un’altra! >>, esclamò. << È già un miracolo che ci sia lei! >>.
Pensai per un attimo a come sarebbe la mia vita senza Alex e tutto quello che ottenni fu un profondo dolore al petto. Capivo cosa intendesse Jack con il sentirsi quasi morto, se Alex avesse scelto un’altra ragazza la mio posto mi sarei di sicuro sentita malissimo, non avrei avuto più il coraggio di fare nulla, mi sarei sentita inutile, sola e una totale nullità.
<< Io la amo con tutto il cuore e non permetterò mai a nessuno di portarmela via neanche a Zack >>, disse Jack con gli occhi che scintillavano avvisandoci che le lacrime stavano pericolosamente salendo ai suoi occhi. << Sono stanco di rinunciare a quello che voglio, sono stanco di stare da solo, di non essere preso sul serio di essere visto come quello che si diverte sempre e che non prova emozioni, perché non è vero! Non voglio più essere triste, voglio avere anche io il mio momento di felicità, qualcuno che mi ami per quello che sono, non dovrei meritarmelo anche io? >>. Ormai le lacrime erano uscite a cascate dagli occhi di Jack ed io mi sentì completamente inutile perché non avevo idea di come poterlo tirare su.
<< Ma certo che te lo meriti tesoro! >>, rispose la mamma con espressione addolorata.
<< Allora perché sono di nuovo a terra? Perché mi sento di nuovo uno schifo dopo… i migliori giorni della mia vita? >>.
<< Perché devi dare il tempo a Debbie di riflettere e lo devi accettare, altrimenti continuerai a starci male >>.
Jack annuì distrattamente, poi borbottando qualcosa di incomprensibile, se ne andò dirigendosi verso la sua camera sbattendo la porta dietro di sé, chiaro segno che non volesse essere seguito o disturbato.
Iniziamo bene!
Pensai per poi rimproverarmi perché dopotutto sarebbe potuta andare molto peggio.
<< Neanche siete arrivati che già uno dei due si chiude nella sua stanza arrabbiato… devo essere una mamma terribile >>, disse la mamma cercando di scherzare, ma vedevo perfettamente dalla sua espressione che ci era rimasta male.
<< Non ti preoccupare mamma, è un periodo un po’ storto per tutti, non è colpa tua, ha bisogno di rimanere un po’ da solo >>, dissi sorridendole.
Annuii rimettendosi seduta al suo posto. << Lo so, deve essere davvero dura per lui, prima la separazione della band e poi Debbie che se va… anche gli altri ragazzi della band ci staranno malissimo >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Alex si, ne è molto dispiaciuto, gli altri due non ne ho idea, hanno chiuso i ponti sia con Alex e Jack sia con tutti i loro amici o parenti >>.
<< Zack non ha tutti i torti ad essere arrabbiato, però >>, disse a bassa voce.
<< No, ma… potrebbe anche cercare di capire, di chiarire con Jack… per il bene della band, per la loro amicizia >>.
<< Il problema è che probabilmente Zack si sentirà tradito e molto arrabbiato nei confronti di tuo fratello, così arrabbiato da pensare che ormai tutta la loro amicizia sia finita >>, sospirò, << bisogna solo aspettare che sbollisca >>.
Sbuffai. << Bisogna aspettare per tutto >>.
<< Le cose si sistemano con il tempo, non da un giorno all’altro >>.
Mi strinsi nelle spalle.
<< Allora, ora è il tuo turno >>, disse sistemandosi comoda sulla sedia rivolgendomi uno sguardo curioso che mi fece chiudere dolorosamente lo stomaco. << Come va con Alex? >>.
<< Nonostante la brutta situazione va tutto bene, stiamo benissimo insieme e io… lo amo davvero, è un ragazzo fantastico ed è molto dolce con me >>, risposi sorridendo spontaneamente al ricordo di Alex. Oddio già mi mancava da impazzire… possibile che non potessi stargli lontana un giorno senza sentire la mancanza della sua voce, dei suoi sorrisi, dei suoi baci e del modo dolce in cui pronunciava il mio nome?
La mamma allungò una mano sul tavolo fino ad arrivare a prendere la mia che strinse forte. << Sono felice per te Stella, davvero, si vede che ne sei molto innamorata, spero solo che anche lui lo sia >>.
<< Oh certo, se il nostro amore non fosse stato sincero non staremmo ancora insieme con tutti i mesi che siamo stati separati >>.
<< Si, hai ragione, ma spero di rivederlo presto, neanche me lo ricordo più per quando tempo è passato dall’estate in cui sono venuti tutti e quattro a Roma >>.
Tra un po’ forse non avrai così voglia di rivederlo.
Pensai.
<< Tranquilla, presto te lo porterò >>, le promisi.
Era arrivato il momento di rivelarle cosa bolliva in pentola o meglio, cosa bolliva nella mia pancia, uno dei principali motivi che mi avevano spinta a tornare a Roma. Era arrivato il momento di prendermi le mie responsabilità.
<< Mamma… c’è una cosa che ti devo dire >>.
<< Lo so, è da quando Jack se n’è andato che sei diventata pallida come uno straccio e se ti conosco so perfettamente che questo vuol dire che sei agitata o meglio, hai paura >>. Mi osservò attentamente curiosa.
<< Già… infatti… è una cosa un po’… difficile da dire e… potresti arrabbiarti >>, balbettai nervosa con lo stomaco che mi si contorceva facendomi venire voglia di vomitare.
<< Non farmi preoccupare Stella, dimmi che cosa succede >>, mi ordinò in tono duro ma preoccupato.
<< Ehm… nulla di grave, non ti agitare è… >>, cercai di temporeggiare.
<< Stella! >>, esclamò con un moto di irritazione.
<< Okay, Okay, sputo il rospo >>, dissi. << Ma prima che tu sappia questa cosa devi sapere che non è stata colpa mia, io non lo volevo, è stato un incidente e mi dispiace davvero, probabilmente sarò una delusione per te e papà perché penserete che non mi avete insegnato nulla, ma in realtà mi avete insegnato bene… si è trattato solo di un errore stupido che… >>.
<< Arrivi al punto per favore? >>, mi chiese guardandomi storto. << Più ci giri intorno più mi fai innervosire >>.
Feci un bel respiro cercando di rimanere tranquilla… oppure sarei dovuta scoppiare a piangere? Con le lacrime forse le avrei ispirato pietà e allora non mi avrebbe cacciata fuori di casa a calci nel sedere.
Avanti Stella, un po’ di coraggio, non fare la polla, sii forte e tutto andrà bene.
Alzai lo sguardo verso di lei che continuava a guardarmi impaziente di sapere e stringendo le mani a pugno per darmi forza dissi: << Sono incinta >>.
Gli occhi di mia madre si sgranarono così tanto da diventare quasi come quelli dei pesci e rimase impalata a fissarmi senza muovere un muscolo; se non fosse stato per il suo petto che si alzava ed abbassava avrei detto che fosse morta per lo sconcerto.
Non avevo il coraggio di aggiungere nulla e lei continuava a guardarmi come se mi fossi messa a ballare nuda sul tavolo cosa che, a dirla tutta, non l’avrebbe sconvolta affatto, tante erano le volte che lo aveva fatto Jack da piccolo… c’era anche una foto che lo dimostrava, chissà se la mamma ce l’aveva ancora… quello però non mi sembrava proprio il momento per chiederglielo, sembrava una statua! Era davvero una cosa così scioccante sapere che tua figlia è rimasta incinta? Forse sì, se ha solo diciannove anni.
Finalmente gli occhi della mamma tornarono alla normalità e lei si alzò di scatto facendomi sobbalzare. Ora arrivava la parte in cui mi faceva volare fuori di casa?
Iniziò a camminare avanti e indietro come aveva fatto Jack ma, a differenza sua, la mamma non sembrava affatto arrabbiata, sembrava… pensierosa e io non sapevo se fosse un bene o un male.
<< Di quanto? >>, mi chiese continuando a camminare avanti e indietro.
<< Un mese e una settimana >>, risposi.
Il conto lo avevo fatto proprio prima di partire.
Spostò improvvisamente lo sguardo verso di me. << È di Alex, vero? >>, mi chiese preoccupata.
Annuii. << Certo che si! >>.
Scosse la testa. << Mio Dio… mi sembra impossibile >>, mormorò risedendosi pesantemente sulla sedia con la testa appoggiata ad una mano.
Era successo, avevo deluso mia madre e nonostante l’idea di essere cacciata di casa mi avesse spaventata fino a quel momento, sarebbe stato meglio  che rimanere lì, seduta su quella sedia a fissare mia madre che non era assolutamente il ritratto della futura nonna felicissima dell’arrivo di un nipotino.
<< Era… l’ultima cosa che mi sarei mai aspettata >>, disse continuando a scuotere la testa. << Come… è successo? Insomma… non siete stati attenti? >>.
<< Si, ci siamo scordati di usare le precauzioni… ma… è successo solo una volta, non l’abbiamo fatto apposta >>, cercai di giustificarci anche se con frasi davvero stupide. “è successo solo una volta”?! Ma come mi era venuta quella frase?! Non mi stupì affatto la risposta dura della mamma: << Una volta è bastata e avanzata! >>.
<< Mamma… ti prego, non ti arrabbiare, io non volevo, è stato un errore a cui vorrei poter rimediare ma… ormai sono fregata e ti giuro che ho passato giorni d’inferno quando l’ho saputo perché non so assolutamente come fare ad essere una madre, sono completamente inesperta ed ho un lavoro che comporta lo spostarsi da una città all’altra quasi ogni giorno >>, feci un bel respiro cercando di mandar giù il groppo che mi si era formato in gola. << Sono venuta qui perché… ho bisogno di aiuto, perché non sono affatto pronta per tutto quello che verrà in questi nove mesi e anche dopo… non ho idea di come affrontare tutto questo, non so come continuare a cantare e… non so come dirlo ad Alex >>.
La mamma sgranò di nuovo gli occhi. << Lui non lo sa? >>.
Scossi la testa lentamente sentendomi malissimo. << No, non ho avuto il coraggio di dirglielo, come potevo dargli questa notizia scioccante con tutto quello che sta passando? >>.
La mamma sospirò ma non disse nulla.
<< Io ho tanta paura >>, ammisi. << Ho paura di come potrebbe reagire Alex, ho paura del giorno in cui dovrò tirare fuori questo bambino dalla pancia, ho paura di dover rinunciare alle cose che mi rendono felici per questo bambino, ho paura di non essere all’altezza >>. Tirai su con il naso. << Ho diciannove anni e non vorrei mai dovermi occupare di un bambino, ma ormai è fatta, non posso tornare indietro e forse… alla fine anche tra qualche anno sarei sempre nella stessa situazione di impreparazione e di paura… per questo mi serve il tuo aiuto mamma, io ho bisogno di qualcuno che mi insegni cosa fare, qualcuno con molta più esperienza di me >>.
Il suo sguardo si posò su di me, ma non riuscì a capire cosa stesse provando, la sua faccia sembrava una maschera rigida e questo non fece che aumentare la mia ansia e le mie preoccupazioni. Mi vedevo già fuori dalla porta, abbandonata, senza neanche una valigia!
Okay, magari stavo un po’ esagerando forse per colpa dei tanti film che avevo visto riguardanti adolescenti rimaste incinta, ma l’espressione che aveva sul viso mia madre non mi comunicava nulla e non gliel’avevo mai vista in faccia prima, quindi facevo bene a preoccuparmi e ad immaginarmi il peggio… così almeno se fosse successo davvero sarei stata preparata.
Per fortuna quelle paranoie non si rivelarono la realtà, infatti con mia sorpresa, la mamma dopo aver sospirato nuovamente, mi raggiunse dall’altro capo del tavolo e mi abbracciò stratta a sé, come quando era piccola. Un po’ per il sollievo e un po’ per la paura che avevo per quel misterioso e oscuro futuro che mi attendeva, scoppiai a piangere come una fontana, affondando il viso nel profumo dolce di mia madre, che accarezzandomi i capelli mi sussurrava all’orecchio parole di conforto cercando di placare il mio pianto a dirotto.
Sciolse l’abbraccio e mi iniziò a togliere i capelli davanti alla faccia per assicurarsi che la guardassi bene in faccia. << Tesoro, io non posso insegnarti nulla, perché per diventare madri non ci vuole un manuale d’istruzione o qualcos’altro >>, rise, << è una cosa che viene da sé, è una cosa che imparerai a fare vivendo la gravidanza e ti assicuro che non c’è niente di cui avere paura, so per certo che sarai una fantastica mamma e io lo so perché ti conosco bene e adesso è normale che tu sia spaventata e ti senta impreparata, ma queste sensazioni spariranno presto, perché non appena il bambino nascerà tu saprai esattamente cosa fare senza che nessuno te lo dica >>.
Mi asciugai le lacrime. << Sei sicura? >>, le chiesi.
<< Sicurissima, ci sono passata prima di te! >>, sorrise.
Ricambiai il sorriso anche se con uno piccolo e debole. << E con la carriera, come faccio? >>, chiesi. << Come faccio ad accudire il bambino mentre giro il mondo? Soprattutto se anche Alex gira per il mondo… finirebbe che io non avrei il tempo per badare a lui e lui vedrebbe il padre solo una volta al mese quando va bene >>.
<< Prima di occuparci di questo… >>, disse attirando la mia attenzione. << Sei sicura che vuoi tenere il bambino? Se proprio non ti senti pronta puoi sempre farlo adottare >>.
Scossi la testa. << No, se lo devo portare nella pancia per nove mesi sarà perché alla fine della gravidanza io lo tenga con me, non voglio assolutamente darlo a qualche sconosciuto >>, risposi convinta al cento per cento di quella mia scelta che Pierre mi aveva aiutato a compiere.
<< È bello sentirtelo dire, vuol dire che ci tieni >>.
Mi strinsi nelle spalle. << In realtà non lo so ancora se ci tengo >>, ammisi. << Creerà talmente tanto scompiglio nella mia vita che non so se io riuscirò mai ad essere felice di essere rimasta incinta a quest’età >>.
<< Tranquilla, lo sarai quando avrai deciso cosa fare con la carriera, quando lo avrai detto ad Alex… quando tutto si sarà aggiustato >>.
Sbuffai. << Allora sarò felice tra molto, molto tempo >>.
Mi guardò storto. << Non dirlo neanche per scherzo, non appena tornerai in America tu lo dirai ad Alex! >>, mi ordinò. << Lui a quest’ora dovrebbe già saperlo, non riesco a non immaginare come sarà furioso una volta che glielo dirai >>.
La guardai preoccupata. << Perché dovrebbe essere furioso? >>.
<< Perché lui sarebbe dovuto essere il primo a saperlo e invece ancora ne è all’oscuro… quante persone lo sanno? >>, mi chiese per sfidarmi.
Mi morsi un labbro. << Uhm… lo sa… Jack, Debbie, Matt… Cassadee… la mia band… il mio staff… la casa discografica… i Simple Plan… >>.
Scosse la testa guardandomi male. << Ti rendi conto che lo sanno tutti tranne Alex?! >>.
<< Ma non è stata mia intenzione non dirglielo è che… con tutto quello che è successo non volevo farlo preoccupare e… oddio ora ho ancora più paura di dirglielo visto che mi hai detto che si arrabbierà! >>, le lanciai un’occhiataccia.
<< Avanti Stella, non sarà così difficile, dovrai essere coraggiosa come lo sei stata adesso con me >>.
<< Non lo so… ho… >>.
<< Stella, ti sei sempre fatta fregare dalla paura, fin da quando eri piccola, anche con il canto, avevi paura di cantare in pubblico e guardati adesso, sei una cantante famosa e canti ogni sera davanti ad una folla! Hai superato la tua paura del canto, ora devi superare quest’altra paura, perché tu sei più forte e so che sei coraggiosa >>.
<< E perché io non lo so? >>.
<< Perché tu non hai fiducia in te stessa e pensi troppo alle conseguenze… buttati! Non è detto che Alex si arrabbierà potrebbe anche non farlo e prenderla bene, chi lo può sapere! >>.
Sospirai.
<< Sii coraggiosa e vedrai che andrà tutto bene >>, disse stringendomi una mano tra le sue.
<< E con la carriera? >>, chiesi.
<< Dimmi tu >>, mi guardò sorridente, << cosa vuoi fare? >>.
<< Non… lo so >>, risposi incerta.
<< Pensaci un attimo e dimmelo >>, mi incitò.
Feci come aveva detto e iniziai a pensare a quanto amavo cantare, a quanto mi piaceva trasmettere le emozioni alle persone attraverso la mia musica, pensai al vuoto allo stomaco che avevo ogni volta che stavo per salire sul palco, pensai alla folla urlante, ai miei amici, alla mia band che avevo conosciuto all’inizio di quell’avventura che mi aveva portata a vendere tantissimi dischi e a girare il mondo… proprio come avevo sempre sognato.
Pensai a tutte quelle volte in cui mi ero ritrovata a piangere nel letto perché sentivo la mancanza di Alex che era sempre troppo lontano da me, pensai a come mi sentivo a casa quando ero con lui e con Jack, pensai al giorno in cui Cassadee mi aveva detto che non dovevo scegliere tra Alex ed il canto. Chissà perché un’altra volta ero a quel bivio dove dovevo scegliere cosa era più importante, se Alex o il canto.
Potevo davvero rinunciare al mio sogno più grande per occuparmi del bambino? E se mi fossi pentita della mia scelta? Come avrei potuto lasciare i ragazzi della band? Come avrei potuto mollare tutto dopo che l’avevo aspettato per tanti e tanti anni?
<< Io non voglio smettere di cantare >>, dichiarai. << Ho aspettato troppo il giorno in cui sarei stata famosa per lasciar perdere tutto, cantare per me è come vivere, non potrei mai stare senza, è il modo migliore che ho per esprimere le mie emozioni e non ci rinuncerei mai >>.
<< Allora non devi per forza farlo, nessuna cantante madre l’ha dovuto fare perché dovresti farlo tu? >>.
<< Perché… è difficile! >>.
Scosse la testa. << Devi trovare solo il modo di conciliare le due cose >>.
<< E come? >>, le chiesi sperando in una risposta.
Mi pizzicò una guancia. << Sta a te trovare la soluzione >>.
Nulla di più semplice!
 
<< Oh qui è il primo giorno di scuola di Jack! >>, esclamò la mamma emozionata. << Era così carino! >>.
La foto ritraeva Jack da piccolo, con i capelli corti e le orecchie a sventola che sorrideva emozionato alla macchinetta con stretto nelle mani il suo nuovo zainetto pronto per andare a scuola a conoscere nuovi amici.
<< Questa invece è la gita in montagna che avevamo organizzato con i nonni quando Jack aveva cinque anni >>, disse indicandomi la foto successiva che ritraeva Jack seduto su un tronco con un bastone in mano che sorrideva come uno scemo.
<< Oh mio Dio! >>, quasi urlò facendomi prendere un colpo. << Qui siete assolutamente adorabili! >>.
La foto ritraeva Jack a undici anni con i capelli a caschetto che mi teneva in braccio seduto sul divano di casa. Entrambi sorridevamo ed eravamo l’uno la fotocopia dell’altro se non per il fatto che io avevo i capelli un po’ più lunghi ed ero decisamente più carina.
Continuammo a sfogliare le foto dell’album d’infanzia mio e di Jack, anche se mooolto lentamente visto che la mamma si fermava ad ogni foto per commentare oppure per urlare emozionata cosa che mi costò un orecchio, ma che mi fece anche molto piacere; mi piaceva vedere come la mamma tenesse a noi e come si ricordasse di ogni nostro giorno importante con tutti i dettagli che desideravi conoscere.
Speravo di diventare come lei: dolce, comprensiva e allo stesso tempo severa e forte. Chissà se anche io come lei tra molti anni avrei guardato le foto d’infanzia con il bambino che aspettavo e sarei stata così felice nel rivivere i ricordi dei suoi primi passi, del suo primo giorno di scuola, della sua prima parola…
mi sembrava ancora così assurdo il pensiero che io stessi per diventare madre, era come se il mio cervello non avesse ancora accettato l’idea e forse era perché il solo immaginarmi con un pancione o a cambiare pannolini mi faceva venire voglia di ridere a crepapelle fino a perdere il fiato, perché sembrava… troppo impossibile per essere vero e invece lo era e io dovevo affrontare al più presto la realtà, dovevo al più
presto dirlo ad Alex e organizzarmi sul mio futuro.
<< I giorni della nascita di Jack e della tua sono stati quelli più felici della mia vita, perché finalmente potevo vedervi, potevo abbracciarvi… nonostante il parto doloroso quei giorni sono stati bellissimi e non li scorderò mai >>.
Le posai la testa sulla spalla.
<< Vi voglio un mondo di bene, siete la cosa più cara che ho… a parte vostro padre >>, finì ridacchiando.
<< Mi vuoi bene anche se sto per darti un nipotino? >>, le chiesi
<< Certo! >>, esclamò. << E in questo momento ti voglio doppiamente bene visto che ormai siete in due là dentro >>.
Sorrisi.
<< Vedrai che diventare mamma sarà un’esperienza che ti cambierà la vita >>.
<< In modo positivo spero >>, sospirai.
<< Ovviamente >>.
Dopo aver finito di guardare le foto, di comune accordo, ci dirigemmo verso la camera di Jack per cercare di consolarlo. Arrivate sulla soia della porta chiusa, sentimmo le dolci note di una chitarra che veniva suonata. Non mi ci volle molto per riconoscere la canzone nonostante non fosse cantata, era Keep Holding On di Avril Lavigne. Quella canzone l’avevo ascoltata e cantata talmente tante volte quando ero triste che l’avrei riconosciuta da per tutto e quel giorno la trovai perfetta per la situazione in cui eravamo io e Jack.
Sentire le note di quella stupenda canzone mi rincuorò e quasi senza accorgermene iniziai a cantare mentre entravo nella stanza di Jack seguita dalla mamma che mi guardava sorridente.
Jack sussultò spaventato nel vederci entrare, ma non smise di suonare e mentre io gli dedicavo il primo verso della canzone guardandolo negli occhi, lui mi sorrise lievemente ricambiando lo sguardo.
 
You’re not alone
 Together we stand
 I’ll be by your side
 You know, I’ll take your hand
 When it gets cold
 And it feels like the end
 There’s no place to go
 You know, I won’t give in
 No, I won’t give in”.
 
La mamma mi prese una mano e cantò con me il ritornello armonizzando perfettamente la sua voce alla mia mentre il sorriso di Jack si ampliava sempre di più e le sue dita scorrevano veloci sulle delicate corde della chitarra.
 
“Keep holding on
 ‘Cause you know we’ll make it through, we’ll make it through
 Just stay strong
 ‘Cause you know I’m here for you, I’m here for you
 There’s nothing you could say
 Nothing you could do
 There’s no other way when it comes to the truth
 So keep holding on
 ‘Cause you know we’ll make it through, we’ll make it through”.

Se mai mi avessero chiesto da chi avessi ereditato la voce che avevo io avrei risposto: dalla mia fantastica mamma; era lei che mi aveva trasmesso la passione per il canto e per la musica, era lei che mi aveva insegnato tutti i trucchi su come riuscire a cantare bene e per me lei era sempre stata come un modello da seguire. Aveva una voce stupenda e io l’ammiravo moltissimo, l’avevo sempre ammirata fin da piccola e mi ero sempre detta che un giorno sarei diventata brava come lei e finalmente lo ero diventata.
 
Hear me when I say, when I say I believe
 Nothing’s gonna change, nothing’s gonna change destiny
 Whatever is meant to be
 Will work out perfectly, yeah yeah yeah yeah”.
 
La mamma canto l’ultimo pezzo della canzone e l’ultimo ritornello, spronando me e Jack a tenere duro, ad affrontare la vita e i suoi problemi perché alla fine tutto sarebbe andato bene… e lei era con noi e lo sarebbe sempre stata per sostenerci e per aiutarci.
Ero fiera di avere una mamma così buona  e ora che le avevo confessato cosa bolliva nella mia pancia mi sentivo molto meglio, più leggera e forse anche pronta per affrontare la gravidanza… si, ce l’avrei fatta, perché non ero da sola, c’era la mia famiglia con me e loro mi avrebbero sempre sostenuta e aiutata in ogni situazione.
Alla fine della canzone, Jack posò la chitarra sul letto e si alzò per abbracciarci forte.
Papà arrivo qualche ora dopo, la mamma mi aiutò a dargli la notizia e stranamente, a differenza della mamma, lui non subì nessuno shock, non rimase immobile per svariati minuti, no, appena appresa la notizia corse ad abbracciarmi e con mia sorpresa scoppiò in lacrime sussurrandomi che lui mi avrebbe aiutata, che lui ci sarebbe stato per qualsiasi cosa e che era tanto contento di diventare nonno anche se non pensava così presto.
Alla fine tutte le mie preoccupazioni si stavano rivelando nulle… sperai che anche quelle per Alex lo fossero.
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Memories Fade Like Photographs ***


Your love is the barrel of a gun
 So tell me, am I on the right end?
 I could be nothing but a memory to you
 Don't let this memory fade away”.
 
Fu bello tornare a dormire nel mio letto quella notte, mi era mancata la sua comodità, ma fu un problema riuscire a prendere sonno! Ormai non ero più abituata all’orario Italiano e andare a dormire alle undici di sera - in America erano le cinque del pomeriggio- risultò essere una cosa quasi impossibile infatti mi ritrovai al computer a vagare su vari siti e a leggere quasi la metà di un libro per riuscire a trovare il sonno mentre mia madre e mio padre russavano beati nella loro stanza. Neanche Jack riusciva ad addormentarsi e infatti quando ormai si era fatta l’una, decidemmo di metterci insieme in camera sua a guardare un film e finalmente dopo la fine del film, riuscimmo ad addormentarci anche se per poco visto che la mattina dopo alle dieci di mattina –le quattro di mattina in America-, la mamma ci venne a svegliare dicendo che non potevamo passare tutta la mattinata a dormire e a stare chiusi in casa. E io che avevo pensato a quel viaggio come ad una sorta di vacanza per rilassarmi! La mamma approfittò del mio dolce far niente, per mettermi a lavare i pavimenti e spolverare i mobili mentre Jack lo mandò a fare la spesa, compito che si rivelò totalmente sbagliato per Jack visto che tornò con un sacco di dolci, patatine e lattine di birra senza nessuna delle cose che la mamma gli aveva raccomandato di portare.
La mamma passò buoni dieci minuti a sgridare Jack e poi, visto che non c’era nulla da mangiare in frigo, decise che saremmo andati a mangiare fuori, in un ristorante così che noi ci saremmo potuti ricordare il buon sapore che aveva il cibo Italiano… “il cibo vero” a detta della mamma.
Quella mattina la mamma evitò accuratamente di parlare dello scioglimento degli All Time Low o della storia finita tra Jack e Debbie il che fu un sollievo, perché per la prima volta da giorni mi sembrò che Jack fosse più felice, mi sembrò che fosse tornato quello di sempre: il mio stupido fratellone che faceva tutto quello che gli passava per la testa senza vergognarsi o darsi una regolata. Era tornato lo sregolato di sempre o almeno così speravo.
Quando tornammo a casa, Alex mi telefonò per chiedermi come andava ed io gli raccontai quello che era successo il giorno prima, di come Jack si era sfogato con la mamma che aveva cercato di capirlo e di come poi ci eravamo ritrovati tutti e tre a cantare Keep Holding On per dare forza a Jack, e poi gli raccontai di come sembrava stare bene quella mattina, di come era allegro.
<< Lo sapevo che Roma gli avrebbe fatto bene! >>, esclamò Alex che dal tono di voce mi sembrò sollevato. << Quella città è magica! >>.
<< L’aria di casa fa sempre bene >>, sorrisi sbirciando dalla finestra della cucina il via vai di macchine che si avviavano al centro della grande città.
<< Lo so bene, ieri sono tornato anche io dai miei e… sto meglio, riesco a non pensare ai problemi con la band ventiquattro ore su ventiquattro >>.
<< Bene, mi fa piacere, mi sento meno in colpa per averti lasciato da solo >>, dissi in tono triste.
<< Amore, non mi serve la babysitter >>.
<< Lo so, ma mi rende triste il pensiero che con te non ci sia nessuno >>.
<< Ci sono i miei e con tutte le cure che mi danno, fidati, non mi sento affatto triste o solo >>, ridacchiò.
Risi anche io rincuorata da quelle parole. << Okay, allora smetterò di stare in pensiero per te >>.
<< Brava… allora, com’è Roma? >>, mi chiese.
<< Mi sembra tutto come prima, nulla di nuovo, tra poco esco e vado in giro un po’ per la città così per ricordare un po’ i vecchi tempi e ricordarmi di te quando facevi il turista e passeggiavi per le strade ancora ignaro dell’amore immenso che provavi per me >>.
<< Ma sentila come si vanta! >>, esclamò ridendo.
<< Vorresti dire che non è vero? >>, gli chiesi in tono offeso.
<< Certo che no, è verissimo! Il mio amore per te è immenso e infatti non vedo l’ora che torni qui da me >>.
<< Tornerò presto, tranquillo e quando tornerò organizzeremo una serata romantica visto che l’ultima volta ce l’hanno rovinata >>.
<< Ci sto e questa volta voglio anche la biancheria sexy a fine serata >>.
Scoppiai a ridere. << Va bene, l’avrai >>.
Sempre se non ti arrabbi come ha detto mamma…
Pensai sentendomi improvvisamente invasa dal terrore.
<< Bene, allora ora ti lascio al tuo giro di ricordi per Roma >>, disse. << Mi raccomando salutamela >>.
<< Ci puoi contare >>.
<< Salutami anche Jack e i tuoi che spero di rivedere presto >>.
Più presto di quanto immagini.
<< E tu salutami i tuoi che spero di conoscere presto >>.
Non avevo mai visto i genitori di Alex se non nel DVD che avevano registrato lui e la band dove c’erano le interviste di tutti i genitori dei componenti della band tra cui anche la mamma che aveva accettato di farsi intervistare mentre papà no; solo qualche volta avevo proposto ad Alex di farmi incontrare i suoi, ma non c’era mai stato tempo, così avevamo sempre rimandato ma ora che ero incinta, probabilmente, li avrei conosciuti forse di lì a qualche mese o anche prima… forse subito dopo averlo detto ad Alex.
<< Appena sarà possibile ti prometto che te li farò incontrare, tanto ora… di impegni non ne ho più >>, colsi il tono di tristezza nella sua voce e mi venne una voglia pazzesca di abbracciarlo, ma purtroppo non potevo e così mi limitai a fargli coraggio con le parole e a dirgli –per l’ennesima volta- che sarebbe andato tutto bene.
Chiusa la telefonata, presi la borsa e il cappotto dall’attaccapanni vicino la porta d’ingresso e salutando mamma e Jack, uscì di casa, pronta per una bella passeggiata nel centro storico di Roma dove solo due estati prima ero stata con i quattro ragazzi che mi avevano cambiato la vita e che mi avevano fatto passare una bellissima estate.
Presi la macchina per arrivare nella zona del Colosseo e una volta arrivata lì parcheggiai –con qualche difficoltà visto quanta gente c’era!- . Scesi dalla macchina per andarmi ad unire a quella massa di turisti che scattavano foto meravigliati e ascoltavano distrattamente la spiegazione della guida.
Il Colosseo era il mio monumento preferito a Roma, lo era sempre stato fin da quando ero piccola, avevo pregato tantissime volte i miei per farmici portare e loro lo avevano fatto solo una volta della quale non ricordavo nulla, infatti mi era difficile ricordare come fosse l’interno del Colosseo visti quanti anni erano passati dalla mia prima visita.
Mi andai a sedere sul muretto di pietra proprio di fronte al Colosseo come avevamo fatto con gli All Time Low il primo giorno in cui avevamo visitato Roma; ricordavo perfettamente la loro ammirazione per quel bellissimo monumento nelle cui mura erano impressi i ricordi di tutte le persone che ci avevano combattuto dentro, di tutti quei poveri uomini che avevano perso la vita combattendo contro altri uomini o contro delle bestie.
Spostando lo sguardo dal Colosseo ai turisti, vidi uno degli uomini vestiti da gladiatori che si stava facendo la foto con un gruppo di giapponesi e non potei non scoppiare a ridere ricordandomi quando Jack mi aveva pregato di fargli una foto vicino ad uno di loro in una posa veramente oscena che però mi aveva fatto ridere fino alle lacrime.
Procedetti a piedi per la stessa strada che avevamo percorso quel giorno così lontano e mi ritrovai davanti al Milite Ignoto, dove dopo tanto tempo Jack aveva rivisto Debbie. Se fosse esistita una macchina del tempo sarei tornata indietro per stare più attenta alla reazione di Jack quando aveva rivisto Debbie; mi ricordavo perfettamente di come mi era sembrato stranamente troppo felice nel rivederla… e pensare che in tutti quegli anni non avevo mai sospettato nulla. Chissà se anche Debbie si era innamorata di Jack da subito, dal loro primo incontro... non mi aveva mai detto niente però. Sicuramente quando gli ATL erano venuti a Roma lei era innamorata persa di Zack! Da quando la band si era formata lei si era presa una sbandata per Zack e non riusciva a non parlare di lui ogni secondo della giornata… non avrei mai immaginato che un giorno, dopo essere riuscita ad esaudire il suo sogno di essere la fidanzata di Zack, lo avrebbe lasciato e si sarebbe innamorata di un altro che poi era mio fratello.
Certo che la vita ti sorprendeva proprio!
Nel dirigermi verso la via dei negozi non potei fare a meno di riportare alla memoria il mio “rincontro” con Enrico nel negozio d’abbigliamento nel quale mi ero infilata per smetterla di sentire Debbie parlare con gli ATL che pendevano completamente dalle sue labbra. Il ricordo delle mani di Enrico sulle mie braccia mi fece venire voglia di vomitare, ma per fortuna riuscì a domare il senso di nausea e continuai a camminare facendo vagare la mia mente verso altri ricordi più piacevoli e meno recenti, come i giorni in cui io e Debbie andavamo a fare shopping con i soldi dei nostri genitori e compravamo tantissime cose tra cui vestiti, gioielli, cd e quando tornavamo a casa venivamo sempre sgridate a dovere ma rifacevamo sempre la stessa cosa, perché ci divertivamo un mondo e adoravamo provarci montagne di vestiti nei camerini.
Prendendo la metro, arrivai a Fontana di Trevi dove la massa di turisti non mancava mai; spintonando un po’ la gente riuscì ad arrivare ad un lato della grande fontana  dove quell’estate ci eravamo seduti con i ragazzi per ripararci dal sole e dove dopo un po’ avevamo iniziato a schizzarci con l’acqua sia per rinfrescarci sia per divertirci. In quei giorni la mia infatuazione per Alex stava già iniziando a crescere, ma io non me ne ero ancora accorta troppo impegnata a pensare ancora a Dracula, il ragazzo misterioso della festa in America che poi si era rivelato essere proprio il bel cantante che ora amavo con tutto il cuore.
Frugando nel portafoglio, presi un euro e andandomi a posizionare vicino al bordo della fontana, mi girai di spalle e chiusi gli occhi immaginando di essere di nuovo lì con Alex che mi stringeva la mano mentre un po’ più distanti da noi c’erano Jack, Zack e Rian che parlavano tra di loro nascosti dai berretti e dagli occhiali da sole.
Questa volta non espressi un desiderio riguardante me, ma espressi un desiderio pensando alle persone che amavo e a quanto volessi che riuscissero a ritrovare la loro serenità e a tornare di nuovo tutti amici.
Quell’estate qualcuno aveva ascoltato il mio desiderio, sperai che lo facesse anche questa volta.
Dopo altri infiniti giri, mi ritrovai a Piazza del Popolo dove stranamente non c’era molta gente e quindi un po’ stanca, ne approfittai per sedermi  sugli scalini che separavano due delle statue dei leoni che sputavano acqua dalla bocca.
Ripensare a tutti i momenti che quella città mi aveva regalato mi aveva fatto capire come la vita potesse essere imprevedibile, come le cose potessero cambiare da un giorno all’altro senza che nessuno ci potesse fare nulla, come le persone che prima erano vicinissime potessero improvvisamente allontanarsi e non parlarsi più per degli stupidi errori.
Alex aveva ragione, l’aria di casa faceva bene, essere tornata a Roma era stata la scelta giusta, ora grazie al supporto di mia madre e di mio padre, mi sentivo molto più fiduciosa in me stessa e mi sentivo… per la maggior parte pronta ad affrontare la gravidanza e una volta detto ad Alex sarei stata ancora più pronta.
Sarei riuscita a conciliare le due cose più importanti della mia vita.
Sorrisi al nulla sentendomi piena di nuove speranze e proprio in quel momento mi sentì chiamare. Sussultando lievemente mi girai per vedere chi mi avesse chiamata sperando con tutto il cuore che non fosse Enrico sbucato all’improvviso per rompermi ancora le scatole. Per fortuna non era Enrico, ma era
qualcuno la cui presenza era abbastanza scioccante soprattutto perché sarebbe dovuto essere in America a godersi i suoi giorni liberi e invece era lì davanti a me… a Roma, in Italia e mi stava sorridendo!
<< Matt?! >>, chiesi guardandolo con gli occhi sgranati per lo stupore.
Il tour manager degli ATL era in piedi alle mie spalle, con il sorriso più bello e splendente che gli avessi mai visto in faccia –soprattutto se rivolto a me-, i capelli neri leggermente spettinati, gli occhi scuri che mi fissavano dolci e allegri e con indosso il giubbotto che mi aveva prestato qualche giorno prima.
<< Si, sono proprio io >>, accentuò il sorriso.
Continuai a guardarlo sconcertata incapace di ricambiare il sorriso. Era l’ultima persona che mi sarei mai immaginata di trovare lì. << E perché… come… che ci fai qui? >>.
<< La tua felicità nel vedermi è sconcertante >>, commentò ironico.
Mi scossi dal mio stato di shock e alzandomi gli sorrisi e lo abbracciai per non sembrare una maleducata e anche perché dopotutto non era una brutta sorpresa averlo lì, era scioccante, si, ma in modo buono, era bello rivedere una faccia conosciuta anche se non ci vedevamo solo da pochi giorni. << Scusa, ma è un po’ strano vederti qui, non me lo aspettavo davvero >>, dissi quando sciogliemmo l’abbraccio.
E pensare che solo qualche settimana prima Matt non si sarebbe mai fatto abbracciare o non mi avrebbe mai sorriso così allegramente… era decisamente strano… anche se in modo buono.
Si strinse nelle spalle. << Lo so, non lo sa nessuno che sono venuto qui, volevo stare un po’ da solo e ho scelto Roma perché non l’ho mai visitata >>.
<< Bene, hai fatto bene, è davvero una bellissima città e te lo dice una che c’è vissuta da quando era piccola >>, ridacchiai.
<< I ragazzi ne hanno sempre parlato bene e così sono venuto a verificare se quello che dicevano era vero >>, mi spiegò.
<< Fidati, non deluderà le tue aspettative >>, gli assicurai.
<< E tu, invece, cosa fai qui? >>, mi chiese.
<< Se ci sediamo te lo spiego, perché ho camminato tanto e i piedi mi fanno un male cane >>, dissi facendo una smorfia pensando alle fitte terribili che tormentavano i miei poveri piedi.
<< Ma certo >>, acconsentì Matt sedendosi al mio fianco sugli scalini.
<< Allora… sono arrivata qui ieri insieme a Jack, era da un po’ che avevo nostalgia di casa e volevo tornare qui per rivedere i miei e per stare un po’ di tempo tranquilla per riflettere un po’ su tutto quello che sta succedendo >>, spiegai brevemente. << Ho portato Jack con me perché Alex me l’ha suggerito dicendomi che gli avrebbe fatto bene e in effetti sta molto meglio nonostante soffra ancora molto >>.
<< E tu, stai bene? >>, mi chiese con espressione preoccupata.
Annuii. << Si, direi di si, tornare qui ha fatto bene anche a me, ho detto a mamma e papà che sono incinta e… loro non mi hanno cacciata di casa ma mi hanno offerto il loro aiuto e ora grazie alle parole di mia madre mi sento molto più… coraggiosa nell’affrontare questa inattesa gravidanza >>.
<< Mi fa piacere sentirlo, è un bene che per te non sia più… una cosa brutta perché alla fine penso che non lo sia, nonostante siate tutti e due molto giovani e molto inesperti in questo campo… penso che ve la caverete bene e alla fine sarete felici di aver avuto questo bambino >>.
<< Io spero che Alex ne sia felice… >>, ammisi.
<< Non glielo hai ancora detto? >>, chiese guardandomi perplesso.
Sospirai. << Ti prego, non dirmi anche tu che si arrabbierà appena lo scoprirà perché lo sanno tutti tranne lui, perché ci ha già pensato mia madre e non voglio che mi vengano altre paranoie >>.
Mi sorrise ridacchiando. << Tranquilla non volevo dire nulla del genere, so che notizie come queste non si danno con molta facilità, ci vuole tempo e per me fai bene ad aspettare di essere pronta e anche che tutto il casino che è successo si risolva >>.
Sorrisi soddisfatta delle sue parole. << Be’ grazie, è bello sentirsi dire qualcosa di diverso invece che del solito “dovrebbe già saperlo” >>, alzai gli occhi al cielo.
<< Io sono dalla tua parte >>, disse.
<< Strano sentirlo dire da uno che mi ha remato contro fin dall’inizio >>.
Abbassò lo sguardo visibilmente in imbarazzo ed io mi sentì lievemente in colpa, non solo era –stranamente- gentile con me, io lo trattavo pure male!
<< Allora… hai più visto Zack o Rian? >>, gli chiesi per cambiare discorso.
Non alzò subito lo sguardo, ma riuscì comunque a vedere l’imbarazzo andar via dal suo viso. << No, non li ho più visti >>, scosse la testa con fare pensieroso, << dubito che si faranno mai più risentire da me o da qualcun altro della crew, ci ritengono responsabili quanto Jack >>.
<< E perché mai? >>, chiesi perplessa.
<< Perché rimaniamo comunque amici di Jack quindi ci vedono come dei traditori >>, spiegò stringendosi nelle spalle.
Sbuffai. << Si stanno comportando come dei… bambinetti! >>, esclamai.
<< Hai ragione, va bene che Jack ha sbagliato ma arrivare ad odiare tutti noi solo perché gli siamo ancora amici… è… stupido >>.
<< Posso capire Zack, poi, ma Rian? Che torto gli ha mai fatto Jack? >>, chiesi più retoricamente che perché Matt mi potesse rispondere.
<< Non ne ho idea, vorrà proteggere Zack forse >>, ipotizzò.
<< Dobbiamo fare qualcosa per fargli fare pace >>, dissi. << Non possono continuare in questo modo >>.
<< Non possono fare pace se prima Debbie non prende una decisione >>, ribattè Matt.
Sbuffai nuovamente. << Non posso credere che il futuro di un gruppo di amici dipenda dalla scelta della mia migliore amica! È… una cosa stupida! Perché deve dipendere tutto da Debbie? Perché non possono tornare amici e perdonarsi tutto? >>.
<< Perché c’è di mezzo l’amore >>, concluse Matt con un sorriso quasi triste che mi incuriosì. << L’amore complica sempre tutto ed è un sentimento dal quale non si può scappare >>, continuò in tono triste… sembrava stesse parlando per esperienza.
Lo guardai, ma lui non ricambiò lo sguardo, continuò a guardare davanti a se perso nei suoi pensieri.
<< Non posso credere che stia di nuovo parlando di questo problema… questa è una sorta di vacanza anche per te e quindi non dovremmo stare qui a deprimerci, dovremmo… sorridere e parlare di cose più allegre >>, dissi cercando di risollevare l’umore di Matt.
<< Hai ragione… quindi… ora ti darò una bella notizia >>, mi annunciò girandosi con il busto verso di me e sorridendomi di nuovo allegro.
<< Davvero? >>, chiesi sorpresa, << quale? >>.
<< Ho deciso che… se mai gli All Time Low torneranno insieme, per i mesi della gravidanza e per i primi anni della sua nascita, faremo i tour insieme, così che tu potrai continuare a cantare e Alex potrà stare con il bambino tutto il tempo… viaggerete, si e questo è un po’ brutto però almeno starete tutti e tre insieme e noi tutti vi aiuteremo a prendervi cura del bambino >>.
Sentì il cuore esplodermi di gioia. << Stai dicendo sul serio? >>, gli chiesi con gli occhi che scintillavano per l’emozione.
Sorrise della mia reazione e annuì varie volte. << Sono serissimo >>.
Mi feci scappare uno strillo e senza più il controllo di me, buttai le braccia al collo del tour manager e lo abbracciai forte mentre dentro di me già immaginavo come sarebbe stato fare un tour tutti insieme, assistere ai concerti degli All Time Low, stare con il bambino ed Alex ogni giorno, cantare ogni sera come sempre, continuare a vivere il mio sogno… era la soluzione che stavo aspettando.
<< Grazie Matt, grazie, grazie, grazie! >>, ripetei varie volte stringendolo sempre più forte. << Non sai che
favore enorme che mi stai facendo! >>.
Lo sentì ridere. << Di nulla Stella, lo faccio perché non è giusto che tu lasci la tua carriera per diventare mamma, sei troppo brava per rinunciare al tuo sogno e… io ho sbagliato a tenere te ed Alex lontani, mi dispiace tanto, non avrei dovuto, per questo ora voglio rimediare e voglio che nel prossimo tour voi stiate insieme >>.
<< Tranquillo, avevo deciso comunque di non smettere di cantare anche se non sapevo comunque come avrei fatto a stare con il bambino, ma ora grazie a te è tutto risolto >>, sorrisi raggiante prima di sciogliere l’abbraccio.
<< Tutto tranne il fatto che gli All Time Low si sono sciolti >>.
Sospirai. << Quando tornerò in America andrò da Zack per parlargli, cercherò di convincerlo >>, dissi.
<< Non so a quanto servirà, ma provarci non farà male >>.
Mi sentivo ancora più fiduciosa di prima, mi sentivo più felice, più sicura di me stessa… dopo quella notizia sapevo che tutto sarebbe andato per il verso giusto, ormai era giunto il momento di sconfiggere tutte le avversità e di essere forti e coraggiosi.
Stavo sorridendo come una matta, mi faceva male la mascella, ma non riuscivo a non sorridere, mi sentivo talmente bene! Ma come era prevedibile, quella bella sensazione non durò più di qualche minuto; la rovinò la stessa persona che l’aveva fatta nascere.
<< Stella… io… dovrei confessarti una cosa >>, disse Matt facendomi voltare verso di lui preoccupata.
<< Dimmi >>, lo esortai curiosa di sapere cosa avesse da dirmi.
Fece un bel respiro e distolse lo sguardo da me fissandolo di nuovo in un punto di fronte a lui. << Sai… c’è un motivo se io non volevo che tu e Alex steste insieme, se ti consideravo come una scocciatrice e se non ti volevo sempre con noi… >>.
Deglutì rumorosamente presa improvvisamente da una paura irrazionale che mi attanagliò lo stomaco.
<< E… il motivo è… perché… io sono... innamorato di te >>.
Mi si bloccò il respiro. Se avessi avuto un telecomando per rimandare indietro quel momento, l’avrei usato così da sapere se avevo sentito davvero bene oppure se avevo solo confuso il significato delle sue parole.
Sorrise tristemente. << Ecco, finalmente te l’ho rivelato così saprai che non mi comportavo in modo distaccato con te perché non ti sopportavo, ma perché ti amo e non volevo che scoprissi cosa provavo per te perché so che non ti avrei mai potuta avere e Alex… se lo avesse scoperto mi avrebbe ucciso >>.
<< E… allora perché… me lo stai dicendo… adesso? >>, gli chiesi riuscendo a trovare a stento il respiro necessario per emettere quelle parole.
Sospirò. << Perché sono stanco di nascondermi e perché voglio che tu sappia la verità e voglio che tu mi dica una cosa >>, si girò e mi guardò con i suoi penetranti occhi neri che per un attimo mi fecero tremare il cuore, ma si trattò solo di un breve attimo. << Ti ricordi quattro anni fa, quando sei venuta in America a trovare Jack? Ti ricordi di me? >>.
Che voleva dire “ti ricordi di me?”.
La mia espressione dovette parlare chiaro, perché Matt mi chiese: << Non ti ricordi di avermi incontrato, vero? Non ricordi che non  riuscivi a trovare un modo per entrare e io sono venuto da te per aiutarti? Non ricordi che ho cercato di consolarti quando le fans l’hanno portato via? >>.
Non avevo idea di che cosa stesse parlando, io non ricordavo affatto di aver visto Matt quel giorno, ricordavo solo il dispiacere che avevo provato quando Jack se ne era andato portato via dalle fans. Perché Matt mi stava facendo quelle domande? Voleva confondermi? Voleva farmi credere di averlo incontrato quando invece non era così? Però in effetti… io non ricordavo come fossi entrata nel backstage e non ricordavo il momento in cui me ne ero andata. Poteva aver ragione?
<< Matt… io… non mi ricordo di te >>, ammisi sentendomi male quando nel suo sguardo vi lessi tutta la delusione che stava provando.
<< Oh >>, disse soltanto.
<< Tu sei… sicuro di avermi incontrata quel giorno? >>, gli chiesi.
Rise tristemente. << Ne sono sicurissimo, non potrei mai dimenticarmi di te, eri così… bella, così indifesa, così triste quando Jack se ne andò… mi colpisti subito e da quel giorno non riuscì a fare altro che pensare a te >>.
<< Ma… sono passati quattro anni… >>.
<< E in questi quattro anni io ho aspettato solo di rivedere te >>.
Quelle parole mi fecero venir voglia di sprofondare. Ora quadrava tutto, ora capivo perché era sempre così… strano, distante… e avrei preferito che lo fosse stato perché non mi sopportava.
<< Quando gli All Time Low sono venuti qui a Roma, io avrei dovuto raggiungerli gli ultimi giorni per stare un po’ con loro e non vedevo l’ora di farlo perché sapevo che ti avrei rivista, ma… qualche giorno prima che partissi Alex per telefono mi rivelò che si era innamorato di te e io… mi sentì morire e alla fine scelsi di non venire più a Roma per non rivederti e per non rischiare di innamorarmi ancora più di te così da rovinare la mia amicizia con Alex >>, fece una pausa. << Ho cercato di tenervi lontano perché ero geloso e perché non volevo neanche vederti, perché… è dilaniante vederti con Alex quando vorrei essere io al suo posto… darei qualsiasi cosa per essere lui e per averti tutta per me >>.
Mi salirono le lacrime agli occhi. Come diavolo era possibile che Matt fosse innamorato di me? Perché doveva essere innamorato di me? Perché me lo stava dicendo ora? E perché io non ricordavo di averlo conosciuto?
Cercai di riprendere il controllo di me stessa e con movimenti veloci mi alzai sussurrando: << Mi dispiace, devo andare >>. Iniziai ad andare via a passi veloci, ma Matt mi fermò dopo neanche qualche metro.
<< Stella! Per favore, non te ne andare io… >>.
<< Tu cosa? >>, sbottai presa improvvisamente da un moto d’odio. << Sei venuto qui per mettermi un altro problema addosso? Oppure sei venuto qui sperando che dopo avermi dichiarato i tuoi sentimenti io avrei lasciato Alex perché ho incontrato prima te anche se non me lo ricordo? >>.
Quello che stavo dicendo era orribile, lo sapevo benissimo, ma… il mio cervello stava esplodendo, avevo un sacco di domande che mi frullavano in mente e non riuscivo a trovare nessuna risposta, non riuscivo neanche a capacitarmi del fatto che Matt fosse innamorato di me; insomma, stavamo parlando dello stesso Matt che mi allontanava, che mi sorrideva a malapena e che pensavo mi odiasse, lo stesso Matt che però mi aveva dato il suo giubbotto, mi aveva organizzato una cena con Alex e mi avrebbe dato una mano per i tour futuri.
<< Io sono venuto qui a Roma per stare con te >>, rispose sincero facendomi venire ancora più voglia di scoppiare in lacrime e di rimangiarmi quello che avevo appena detto. << Senza secondi fini però, volevo solo trovarti… niente di più >>.
Scossi la testa. << Perché mi hai detto dei tuoi sentimenti, perché adesso? >>, gli chiesi.
<< Perché volevo che tu sapessi la verità e volevo sapere se ti ricordavi di me >>.
<< Ma… adesso hai complicato tutto! >>, sbottai.
<< Perché? >>.
<< Mi spieghi come potrò continuare a guardarti senza che mi vengano in mente le tue parole? Come posso continuare a parlare con te se mi viene in mente che… tu sei innamorato di me ma io non potrò mai esserlo di te e questo non mi fa stare affatto bene?! >>.
<< Non mi aspetto niente da te Stella, volevo solo che lo sapessi, non volevo che tu lasciassi Alex >>.
<< Matt non posso credere che tu mi abbia detto una cosa così importante solo per mettermene a conoscenza perché se è solo per questo potevi tenerti questo segreto per te… perché… io non so che farci! Non posso… non posso fare nulla, io sono già innamorata e non so perché non mi ricordo di te, non mi ricordo di averti incontrato e anche se me lo ricordassi non cambierebbe nulla >>.
<< Okay… va bene, forse in parte te l’ho detto perché speravo che tu potessi darmi una chance, ma… davvero volevo solo che tu lo sapessi perché non riuscivo più a mantenere il segreto ma… ora me ne pento, perché io non voglio che tu stia male per questo perché io me ne farò una ragione >>.
<< Non potevi pensarci prima di buttarmi addosso questa verità?! >>.
<< Mi dispiace… io… non volevo >>.
Scossi la testa. << Lascia stare >>.
Gli diedi le spalle e me ne ritornai sui miei passi prendendo la metro per tornare a casa dove mi buttai sul letto e scoppiai a piangere liberandomi di tutto il senso di colpa che mi era cresciuto dentro. Non avrei dovuto parlare a Matt in quel tono duro, ma non mi ero riuscita a trattenere, la situazione mi aveva scioccata e non avevo saputo reagire in un modo migliore perché davvero non riuscivo a capire perché me lo avesse detto in quel momento, perché dopo tutto quel tempo…
La gravidanza faceva schifo, quegli stupidi ormoni mi aveva resa super sensibile e avevo degli sbalzi d’umore sconcertanti, un minuto prima ero triste, poi ero arrabbiata e poi ero felice.
Quando finì di piangere mi addormentai.
 
Le fans si accalcavano sotto e intorno al palco continuando ad urlare come matte nonostante non potessero vedere nessuno se non i tecnici che stavano aggiustando gli strumenti e le casse per il concerto.
Mi sentivo un’idiota a stare lì in mezzo come una statua ad aspettare un qualcosa o un qualcuno che mi riconoscesse e mi facesse entrare nel backstage per andare a salutare quel cazzone di mio fratello che come suo solito si era dimenticato che quel giorno sarei passata a salutarlo e non mi aveva fatta aspettare da nessuno. Idiota! E io ero ancora più idiota perché stavo aspettando che qualcuno dello staff di mio fratello mi riconoscesse… come avrebbero mai potuto riconoscermi se nessuno di loro mi aveva mai vista?! Forse mi illudevo che Jack avesse una mia foto nel portafoglio… ma come faceva ad avercela se l’ultima volta che mi aveva vista di persona era stata tre anni prima?!  E in tre anni ero davvero cresciuta molto!
Continuai a rimanere lì, in mezzo alla massa di oche starnazzanti per altri interminabili minuti pregando che qualcuno mi venisse a tirare fuori, ma ovviamente non arrivò nessuno e gli uomini della sicurezza erano troppo lontani da me perché potessi parlargli. Dopo l’ennesimo spintone, decisi che non ce la facevo più, così, feci un tentativo per chiamare Jack, ma ovviamente il suo telefono era spento, così sospirando iniziai ad uscire dalla massa di ragazzine che mi guardavano storto ogni volta che gli davo una gomitata nel fianco per riuscire a passare. Stupide! Non stavo mica cercando di superarle, me ne stavo andando, potevano anche farmi la gentilezza di farmi passare.
Stupida la band, stupide anche le fans.
Quando dopo una buona decina di minuti riuscì ad uscire da quella massa soffocante di gente, mi diressi verso la parte dietro del palco dove di sicuro ci sarebbe stato qualcuno al quale avrei potuto spiegare chi ero e cosa ci facevo lì a quel concerto gratuito che avevano organizzato in un parco di New York, la grande città nella quale ero in gita con la scuola.
Convincere la professoressa a mandarmi da sola a incontrare mio fratello era stata una missione quasi impossibile quindi non potevo sprecare quell’occasione, dovevo assolutamente trovare il modo di entrare nei camerini e andare a salutare mio fratello che mi mancava più dell’aria.
Gli uomini della sicurezza erano da tutte le parti, ma un gruppo numeroso era situato nei pressi di una specie di tendone bianco che era stato montato dove con molta probabilità si trovava la band. Non aspettando neanche un attimo, mi avvicinai al tendone e al gruppo delle guardie che non appena videro che mi stavo avvicinando, si avvicinarono l’uno all’altro come a formare una sorta di barriera e mi iniziarono a scoccare occhiate intimidatorie che però più che paura mi fecero solo venire da ridere: ero la persona meno pericolosa che ci fosse a quel concerto visto che non ero una fan e non mi stavo per strappare i capelli alla sola idea di vedere i ragazzi della band.
Sorrisi amabilmente a quegli omoni muscolosi e con il mio tono più gentile dissi: << Salve signori, so che probabilmente state pensando che sono una fan che vuole intrufolarsi nei camerini per assaltare quei quattro ragazzi che tra un po’ suoneranno, ma non è così, io sono Stella Barakat, la sorella di Jack e sono qui perché devo incontrarlo, anche se lui probabilmente se n’è dimenticato >>, alzai gli occhi al cielo, << comunque, una volta che mi vedrà se ne ricorderà, ci abbracceremo e poi me ne andrò >>. Finì di parlare elargendo a tutti un altro grande sorriso che purtroppo non migliorò la situazione in nessun modo.
Uno degli uomini che stava al centro scoppiò in una grossa risata che mi saltò ai nervi. << Certo che voi ragazzine ve le inventate tutte! >>.
Anche gli altri della sicurezza iniziarono a ridere.
<< La sorella di Jack, questa si che è nuova! >>, commentò l’uomo vicino al primo che aveva parlato.
<< Hai una bella fantasia, ragazzina >>, commentò di nuovo il primo continuando a ridacchiare.
Li guardai storto. << Non è una balla! >>, esclamai sconcertata. << Sono davvero la sorella di Jack! Non notate nessuna somiglianza? >>, chiesi indicandomi il viso nonostante sapessi che di uguale a Jack mi era rimasto ben poco a differenza di quando eravamo piccoli che eravamo due gocce d’acqua. 
Gli uomini iniziarono a scrutarmi attentamente.
<< Ha i capelli neri >>, disse dopo un po’ uno di loro.
Ci girammo tutti a guardarlo accigliati. Con quell’affermazione aveva scoperto l’America!
L’uomo che aveva parlato per primo lo guardò storto. << Come sei perspicace Paul >>, gli disse scuotendo lievemente la testa.
Paul si rabbuiò e spostò lo sguardo a terra verso i suoi piedi.
<< Io non vedo nessuna somiglianza >>, commentò un uomo vicino a Paul.
<< Neanche io! >>, concordò un altro.
<< Già, io neanche! >>.
<< Okay, ammetto che non ci somigliamo più molto, ma io sono davvero la sorella di Jack! >>, protestai esasperata.
Scoppiarono nuovamente tutti a ridere facendomi irritare sempre di più.
<< Senti ragazzina, dacci un taglio e vatti a godere il concerto, tanto da qui non passi >>, disse il “primo” uomo.
Sbuffai sentendomi triste e abbandonata.
Mio fratello era un idiota! Come si era potuto scordare che lo sarei venuta a trovare quando ne stavamo parlando da settimane?
Diedi le spalle alle guardie e feci per andarmene, ma il rumore del tendone che veniva aperto mi fece sperare per un attimo che fosse uscito mio fratello e così mi girai per verificare se quella mia speranza fosse esatta… ma al posto di mio fratello c’era una ragazzo che non avevo mai visto prima: capelli neri, gli occhi scuri, un piercing sul labbro, il fisico magro e muscoloso… davvero niente male!
Il ragazzo guardò le guardie e gli chiese: << Che sta succedendo? >>.
Le guardie gli indicarono me con una mano e gli occhi scuri del ragazzo si fissarono su di me per un tempo che mi sembrò infinito.
<< Dice di essere la sorella di Jack >>, rise l’uomo al centro.
Il ragazzo guardò prima le guardie, poi me, poi di nuovo le guardie con un’espressione stupita che non sapevo come interpretare.
Improvvisamente il ragazzo scosse la testa e venne verso di me. << Scusami, non erano stati avvisati del tuo arrivo, ma io si, me lo ha detto Jack questa mattina e mi sono scordato di venirti a prendere, scusa, davvero >>.
Allora Jack se ne era ricordato!
Sorrisi al ragazzo sentendomi sollevata del suo arrivo. Meno male che non me ne ero andata.
<< Non fa nulla, l’importante è che alla fine tu sia qui >>.
Mi porse una mano. << Io sono Matt, il tour manager dei ragazzi >>, si presentò.
<< Io sono Stella, ma penso tu lo sappia già >>, gli strinsi la mano rivolgendogli un sorriso.
Sorrise lasciandomi a bocca aperta per quanto fosse bello. << Si, lo so eccome, tuo fratello mi ha molto parlato di te >>.
<< Davvero? >>, gli chiesi felice di quella notizia.
<< Certo, sei la cosa a cui tiene di più insieme alla musica >>.
Era bello sentirselo dire perché da quando Jack se ne era andato non ero più convinta che fosse così, anzi molte volte mi ritrovavo a pensare che probabilmente lui non mi volesse più bene.
<< Mi fa piacere sentirlo >>, dissi.
<< Vieni, ti porto da lui >>, disse iniziando ad incamminarsi davanti a me per farsi seguire.
Mentre entravamo nel capannone feci la linguaccia alle guardie che ci stavano guardando a bocca aperta increduli per quello che stava facendo… Matt.
Seguì Matt nel backstage dove c’era di tutto e di più: bibite, cartoni di pizza, vestiti sparsi, chitarre, bacchette per la batteria, casse, fili, macchinari strani, radioline, microfoni… il completo caos! Non avevo idea di come riuscissero a trovare gli oggetti che gli servivano in quel completo casino.
Ad un certo punto, in lontananza scorsi una figura alta e slanciata con i capelli neri spettinati e le movenze un po’ idiote. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata. Avevo aspettato quel momento dal giorno in cui gli avevo dovuto dire addio tre anni prima e ora finalmente era arrivato, finalmente stavo per riabbracciare il mio caro fratellone al quale volevo un mondo di bene.
<< Jack! >>, urlai completamente euforica.
Jack si girò sorpreso, verso di me, poi, dopo avermi riconosciuta, mi sorrise ampliamente e urlò a sua vola il mio nome… 
Improvvisamente una massa di fans piombò addosso a mio fratello come una colonia di formiche e prima che io potessi arrivare vicino a lui, lo portò via, lasciandomi confusa e triste. Se quello che si erano portate via non fosse stato mio fratello mi sarei messa a ridere per quanto la scena era sembrata comica, ma l’unica cosa che mi veniva da fare in quel momento era scoppiare a piangere.
Matt era senza parole quanto me, probabilmente neanche lui si aspettava un assalto dalle fans che chissà da dove erano entrate. Che uomini della sicurezza affidabili che avevano!
Un uomo alto e pelato si avvicinò di corsa a Matt e iniziò a parlargli quasi a fatica, segno che aveva corso. << Matt, abbiamo un problema, sembra che le fans siano riuscite ad entrare, dobbiamo portare i ragazzi fuori di qui >>.
Un'improvvisa ondata di urla acute mi investì e prima che me ne potessi accorgere, mi ritrovai immersa in una folla di ragazzine urlanti che mi travolsero completamente facendomi cadere a terra. Furiosa e amareggiata, mi rimisi in piedi una volta che la folla mi aveva superata. Mi guardai intorno, ma Matt e l'uomo pelato sembravano spariti.
Mi voltai per tornarmene sui miei passi e raggiungere la mia classe in albergo dove avrei potuto piangere da sola senza che nessuno mi vedesse.
<< Stella! Aspetta! >>.
Mi girai e vidi Matt che correva verso di me.
 << Mi dispiace davvero, io non… non riesco davvero a capire come abbiano fatto ad entrare le fans >>, scosse la testa. << Se vuoi posso portarti comunque Jack qui, le guardie del corpo lo stanno già riprendendo dalle... mani delle fans >>.

<<  No, grazie, non è necessario >>, dissi abbattuta girandomi nuovamente per andarmene..
Matt mi prese per le spalle. << Su, non essere triste, non è stata colpa di Jack, lui voleva davvero vederti se non fosse successo questo pasticcio >>, disse scuotendo la testa in direzione delle guardie che correvano allarmate verso la zona in cui probabilmente le fans stavano assalendo mio fratello e gli altri tre Losers. 
Alzai le spalle. << Forse... comunque adesso ha dei problemi più impotanti a cui pensare >>.
<< Si, ma di sicuro lo avranno già ripreso >>, ribattè. << Dai, vieni, ti porto da lui >>, disse prendendomi per mano e tirandomi verso la direzione che stavano prendendo le guardie.
Impuntai i piedi per terra e tolsi la mano dalla presa di Matt. << Meglio di no, voglio solo andarmene in albergo >>, dissi sentendomi sempre più a terra.
Il pensiero di non essere più una parte della vita di mio fratello, in quel momento, faceva male più che mai.

Mi guardò preoccupato. << Sei sicura? >>.
Annuii varie volte. << Si, adesso Jack avrà altro da fare invece che stare un po’ con sua sorella >>, dissi in tono amaro.
Matt sospirò. << Mi dispiace tanto >>.
Gli sorrisi cercando di rassicurarlo. << Non fa nulla… grazie comunque per il tuo aiuto >>.
Ricambiò il sorriso. << Di nulla >>.
<< Be’… addio >>, lo salutai sicura che non lo avrei mai più rivisto…
Quanto mi ero sbagliata!
Mi girai e uscì dal tendone.
 
Mi svegliai di soprassalto con il cuore che batteva forte. Matt aveva detto la verità, ci eravamo davvero incontrati quel giorno… ma perché io non me lo ero ricordato? Perché non mi ero ricordata di come era stato gentile con me, di come era sembrato dispiaciuto nel vedermi triste e delusa? Come avevo fatto a scordarmi di una cosa così… importante?
Improvvisamente mi venne in mente il titolo di una delle prime canzoni degli All Time Low: Memories fade like photograps e pensai a tutti quei ricordi, quei momenti della mia vita che probabilmente non ricordavo più e che erano rinchiusi chissà in quale angolo del mio cervello senza che io ne sapessi nulla. Mi dispiaceva non essermi ricordata del mio primo incontro con Matt e soprattutto mi dispiaceva che per lui fosse stato un momento molto importante mentre per me non aveva significato nulla. Lo avevo ferito. Ero stata una stupida, ero stata crudele e mi dovevo far perdonare. Quale colpa potevo dare a Matt? Quella di essersi innamorato di me? Non mi sarei mai dovuta arrabbiare con lui, ero stata davvero… una stronza! Lui era stato sincero, si era aperto con me, mi aveva dichiarato i suoi sentimenti e io gli avevo urlato contro… dopo tutto quello che aveva fatto per me.
Mi riaddormentai dopo un po’ con il pensiero fisso che il giorno dopo sarei andata da Matt a chiedergli scusa per il mio comportamento.
 
La mattina dopo venni svegliata di buon’ora da mia madre che tutta allegra entrò in camera mia canticchiando. << Avanti tesoroooo… alzatiiii… il giorno è appena iniziato e hai un appuntamento molto importanteee >>.
Un appuntamento? Io? E con chi?
Aprì un occhio che subito venne accecato dalla luce del sole che penetrava dalla finestra che mia madre aveva gentilmente aperto o per meglio dire spalancato come se fuori non facesse freddo ma come se stessimo in pieno luglio. Cercai di chiederle che appuntamento avevo, ma tutto quello che ne uscì fuori fu uno strano verso assonnato. Odiavo parlare appena sveglia, soprattutto se non mi ero svegliata da sola, infatti tutte le mattine prima di andare a scuola non rivolgevo mai la parola a mia madre, non perché non volessi, ma perché proprio formulare frasi di prima mattina non mi riusciva, avevo il cervello troppo assonnato e il fuso orario non aiutava di certo.
<< Non fare la pigrona, non vorrai fare tardi! >>, mi sgridò scuotendomi leggermente.
Ma per che cosa?
Non ricordavo affatto che il giorno prima avessi preso un appuntamento con qualcuno, ricordavo solo il brutto momento con Matt che avrei preferito non dover ricordare…
Matt…
Dovevo chiedergli scusa il prima possibile, prima che se ne tornasse triste e sconsolato in America con l’immagine di me che lo trattavo una merda. Che mi piaceva o no dovevo alzarmi da quel letto, alla fine un appuntamento ce lo avevo davvero anche se non aveva un orario.
Aprì gli occhi e combattendo contro la voglia che avevo di rimettermi a dormire, mi misi a sedere per stiracchiare le braccia e la schiena.
<< Brava la mia bambina, ora vatti a lavare e vestire che il dottor Lorenzi ha molti appuntamenti fissati per questa mattina e non sai quanto ho dovuto pregarlo per avere un piccolo spazio anche per te >>.
<< Il dottor Lorenzi? >>, le chiesi perplessa.
<< Si, il mio ginecologo >>, rispose con totale nonchalance come se mi avesse appena detto di andare a fare la spesa.
Sgranai gli occhi. << Hai detto ginecologo? >>, chiesi improvvisamente terrorizzata all’idea di lasciare il letto.
<< Si, quanto ancora vuoi aspettare per fare la visita? >>.
Tanto.
<< Ma… ma… >>, balbettai nervosa, << non mi hai neanche avvertita! >>, protestai.
Si strinse nelle spalle. << Pensavo te lo aspettassi e poi ho preso l’appuntamento il prima possibile così vediamo come sta il bambino e ci mettiamo l’anima in pace >>.
<< Io ho già l’anima in pace! >>, esclamai contrariata anche se improvvisamente mi resi conto che mi importava l’andatura della gravidanza e mi sarebbe interessato sapere se c’era qualche problema e se veramente dopo il rapporto con Alex era tutto apposto. Nonostante questo però l’idea di andare da un ginecologo mi terrorizzava, non ci ero mai stata e fin da piccola avevo odiato solo l’idea di andarci.
<< Ma io no… voglio sapere se il mio nipotino sta bene e poi hai un sacco di analisi da fare! >>.
<< Non si potrebbero non fare? >>, chiesi con una smorfia.
La mamma mi lanciò un’occhiataccia. << Non fare la bambina Stella! Ora hai delle responsabilità verso una nuova vita >>.
<< Detta così mi fa venire l’ansia >>, dissi.
Si strinse nelle spalle. << È la verità >>.
Sbuffai. << Non voglio andare dal ginecologo >>, borbottai incrociando le braccia al petto con fare risoluto.
<< Devi andarci, per la tua salute e quella del bambino, vedrai che non sarà male, il dottore è molto carino e gentile e non è lì per guardarti come potresti pensare >>.
Avvampai al solo pensiero di un uomo medico che avrebbe potuto farmi spogliare. Sprofondai con la faccia nel cuscino. << Perché hai dovuto dirmelo?! >>.
<< Perché ci sono passata anche io e alla mia prima visita mi vergognai un sacco, ma poi capì che quello era il suo lavoro e che a lui non interessava vedere… “come ero fatta” >>.
<< E tu che ne sai, mica sei nella sua testa! >>, protestai.
Alzò teatralmente gli occhi al cielo. << Ci sarò anche io nella stanza con te, su, non succederà nulla di male si tratterà solo di una visita normale >>.
<< Possiamo portare anche Jack? >>, chiesi.
La mamma mi guardò sorpresa. << Vuoi che Jack stia nella stanza con te? >>.
Scossi la testa energicamente pensando a come sarebbe stato doppiamente imbarazzante. << No! >>, esclamai. << Voglio solo che mi accompagni così da farmi forza >>.
La mamma annuì. << Ora capisco… okay, allora ora glielo vado a dire tu intanto preparati >>, disse e uscì dalla camera.
Mi preparai e feci colazione in fretta e furia per poi scoprire che avevo ancora un’ora prima di dover andare dal ginecologo cosa che mi permise di chiamare Matt con il telefono di Jack per dargli un appuntamento e incontrarlo così per chiarire quello che era successo il giorno prima. Era meglio togliermi quel peso prima di andare alla visita, così sarei stata più rilassata.
Diedi appuntamento a Matt sempre in Piazza del Popolo dove a differenza del giorno prima, c’era una marea di gente che passeggiava allegra e ovviamente molti turisti che scattavano le foto. Fu abbastanza difficile trovare Matt, ma lo riconobbi subito grazie alla sua maglia di topolino che lo caratterizzava e lo distingueva da quella massa di persone. Mentre mi avvicinavo a lui a passo svelto, mi chiesi se avrei fatto bene a sorridergli… non sapevo se lui ce l’aveva con me ma se fosse stato arrabbiato ne avrebbe avuto  tutte le ragioni, perché ero stata davvero un’insensibile.
Lo salutai con un cenno della mano e abbozzai un piccolo sorriso quando alzò lo sguardo verso di me e lui fece lo stesso. Eravamo a disagio tutti e due.
<< Ciao >>, dissi fermandomi vicino a lui.
<< Ciao >>.
Non avevo idea di come iniziare il discorso… mi sarei dovuta buttare in ginocchio e chiedere il suo perdono? Oppure avrei dovuto iniziare dicendo “come va? Tutto bene?”.
<< Mi ha sorpreso la tua chiamata >>, disse interrompendo le mie riflessioni. << Era l’ultima cosa che mi sarei aspettato… dopo ieri >>.
<< Matt… mi dispiace >>, dissi provando improvvisamente una strana voglia di abbracciarlo per fargli capire quanto in colpa mi sentissi. << Mi dispiace davvero tanto, ieri sono stata… una cogliona a parlarti in quel modo, non sai quanto mi senta in colpa per come ti ho trattato, tu non te lo meritavi affatto, tu sei stato solo sincero con me e io ti ho aggredito invece di… ringraziarti perché tu sei stato molto buono con me e non ti meritavi che ti trattassi in quel modo perché tieni a me e… di questo dovrei solo esserne contenta perché sei un bravo ragazzo e sei molto dolce >>.
Gli angoli della bocca gli si sollevarono verso l’alto, ma cercò di reprimere il sorriso per non far vedere che si sentiva lusingato; purtroppo per lui il rossore delle sue guance parlava chiaro.
<< Stanotte ho… sognato il giorno in cui ci siamo incontrati e ora ricordo tutto e vorrei davvero non averlo scordato, perché sei stato davvero gentile nonostante non mi conoscessi neanche >>, continuai. << Mi dispiace che… tu sia innamorato di me, vorrei che non lo fossi perché almeno non soffriresti ma so che certe cose non possono cambiare molto facilmente soprattutto i sentimenti… però voglio che comunque… restiamo amici, o almeno che diventiamo buoni amici… se tu lo vuoi >>.
Annuii non sapendo se lui avrebbe accattato oppure no.
Scosse nuovamente la testa prima di elargirmi un grosso e dolce sorriso. <>.
Sorrisi a mia volta prima di essere stritolata dal suo abbraccio.
<< Non fa nulla per ieri, eri solo… sconvolta, ti ho dato questa notizia in un momento già particolare è normale che tu abbia reagito così  e io non mi sono affatto arrabbiato anzi, temevo che tu fossi arrabbiata e che non mi avresti parlato più >>.
<< Se lo avessi fatto sarei stata un mostro >>, commentai.
<< No, solo una donna incinta in preda agli ormoni >>, disse ridacchiando.
Mi unì alla sua risata. << A proposito di donne incinta, tra meno di un’ora ho la visita dal ginecologo e ho una paura fregata… che ne dici di accompagnarmi? >>.
Sembrò leggermente in imbarazzo. << Non so… questa mi sembra tanto roba da padri e poi… dovrei assistere agli esami che ti faranno e se… >>.
<< No, no, no >>, lo interruppi prima che potesse finire la frase. << Mi accompagnerai solo, non entrerai con me nella stanza della visita, rimarrai fuori con Jack ad aspettare… sempre se vuoi venire… mi serviresti come supporto morale >>.
<< Oh >>, disse sorridendo sollevato. << Allora va bene, ci vengo volentieri! >>, esclamò.
Ricambiai il sorriso. << Fantastico! >>.
Mah… così fantastico non era, stavo per andare per la prima volta da un ginecologo e avevo una paura fregata che potesse scoprire qualche malattia o qualche problema che avrebbero compromesso la gravidanza.





Buonaseraaaa :DD

Okay, sono riuscita ad aggiornare in tempo! Yeee ;D
Spero il capitolo sia di vostro gradimento u.u non sapevo se aggiungere un bacio tra Stella e Matt, mia sorella dice di si, però non ne sono tanto convinta, voi che dite? un'altra cosa di cui non sono molto sicura è il ricordo di Stella, sembra un po' che il comportamento di Stella non abbia senso xD però questa è la mia impressione u.u a voi la parola (il giudizio)
Continuate a recensire! :) mi farebbe davvero piacere sentire i vostri pareri.
Buona settimana! 
Un bacio. :*
Miki*

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Capitolo 19
*** Unanswered questions would be the only thing to stop them now ***


-Circles-.

 Durante il viaggio per arrivare allo studio del ginecologo, Matt pensò bene di mettermi al corrente del fatto che la sera che era successo tutto il macello tra Zack e Jack, quando io ero uscita a cercare Alex, lui mi aveva seguita per assicurarsi che non mi cacciassi in nessun guaio e che non mi perdessi , ed ecco svelato il mistero della strana sensazione che avevo quella sera quando io e Alex stavamo tornando all’albergo. Alla fine me lo aveva rivelato di più per distrarmi dalla mia imminente visita che perché me lo volesse raccontare veramente. Ero tutto un fascio di nervi, ero preoccupatissima, avevo lo stomaco che si agitava facendomi male, non riuscivo a respirare regolarmente e sentivo il cuore che mi batteva forte. Era normale essere così spaventati per un visita? No… ma per una visita dal ginecologo si! Ero sempre stata un tipo che odiava le novità e le prime volte di ogni cosa mi avevano sempre messo agitazione come la prima visita dal dentista, i primi giorni di scuola, la prima lezione di danza quando ero piccola, anche la mia prima volta con Enrico! Anche se alla fine non era stata affatto una prima volta… ma prima che succedesse ero comunque agitata all’idea. Mi agitavo sempre perché non sapevo mai cosa aspettarmi e quel giorno non c’era nulla di diverso, anzi forse era anche peggio visto che a differenza del mio strampalato fratello per me la nudità non era mai stata una cosa… bella… le uniche volte che mi ero spogliata davanti a qualcuno era stato quando facevo l’amore con Alex e anche lì alle volte mi sentivo terribilmente in imbarazzo. È vero, quella non era una normale visita dal ginecologo, quindi non era certo che mi sarei dovuta spogliare, ma se invece avessi dovuto? Era pur sempre davanti ad un uomo! E anche se era il suo lavoro… non mi sentivo per nulla rilassata.

Alla fine, però, andò tutto bene, arrivati lì non dovemmo aspettare molto infatti entrammo quasi subito nello studio, ma prima il dottore venne a salutare la mamma calorosamente salutando anche me e Jack come se ci conoscesse da sempre. Purtroppo il dottore scambiò Matt per il padre del bambino e il poverino passò cinque minuti di totale imbarazzo nei quali il dottore gli fece un discorsetto su quanto fossero molto importanti gli anticoncezionali soprattutto quando non si volevano proprio i bambini.

Durante la visita il dottore mi fece solo un sacco di domande sulle malattie che avrei potuto avere, mi prelevò il sangue, mi fece fare l’esame delle urine e anche un altro esame un po’ più imbarazzante che non vi sto a dire per controllare che fosse tutto apposto. Durante l’ultima visita il mio imbarazzo fu così visibile che il dottore scoppiò a ridere seguito da mia madre e iniziò a tranquillizzarmi dicendomi che quel lavoro lo faceva da tantissimi anni e che non era un maniaco e che quindi non dovevo preoccuparmi.

Alla fine, visto che ormai l’imbarazzo c’era stato, gli chiesi se ci fossero problemi ad avere rapporti durante la gravidanza e lui sorridendomi mi rispose che più ne avevo più andava bene e mia madre ridendo fece un’allusione al fatto che per lei Alex fosse uno stallone che ci dava dentro un sacco.

Uscì dallo studio come un peperone e appena mi videro Jack e Matt scoppiarono a ridere immaginando cosa fosse successo. Diedi una pacca dietro la testa a tutti e due che la smisero all’istante di ridere almeno Matt, mio fratello continuò a ridacchiare sotto i baffi per il resto del tempo e scoppiò nuovamente a ridere quando gli raccontai del commento osceno della mamma alla quale lui le diede ragione… e anche io anche se nella mia mente.

<< Il dottore mi ha consigliato di dirlo ad Alex prima della prossima visita che sarà tra qualche settimana >>, dissi mentre uscivamo dal palazzo dello studio.

Mamma e Jack erano davanti che parlavano e ridevano tra di loro mentre io e Matt li seguivamo camminando a passo lento.

<< Be’ ha fatto bene, non pensi sia ora di dirglielo? >>, mi chiese guardandomi accigliato.

Mi strinsi nelle spalle. << Penso di si… >>.

<< Pensi? >>, chiese rivolgendomi uno sguardo di rimprovero.

<< No, okay, deve saperlo e prima lo sa meglio è >>, dissi.

<< Bene, allora… dimmi cosa stai spettando! >>.

Sospirai. << Ho troppi dubbi e un sacco di domande senza risposte >>.

<< Tipo? >>.

<< Tipo… come diamine reagirà Alex? Mi abbraccerà felice oppure andrà a buttarsi sotto una macchina? È il momento giusto di dirglielo? Se è già abbastanza giù per colpa dello scioglimento della band come diavolo posso mettergli addosso quest’altro problema? Accetterà di essere padre? Mi lascerà? Se la darà a gambe levate? Lo so, queste ultime domande sono sciocche perché entrambi conosciamo bene Alex e sappiamo che non è il tipo che scappa dalle sue responsabilità, ma sono sempre più nel panico, ho paura di dargli… che so, una delusione… >>.

Matt mi guardò inespressivo per un lungo momento nel quale temetti che potesse iniziare ad accusarmi di essere una paranoica del cavolo… e avrebbe avuto ragione. << È giunto il momento di fermare tutte queste domande senza risposta! >>, dichiarò in un tono fermo e risoluto che non gli avevo mai sentito prima. << Io non ho risposte alle tue domande, perché… nessuno può essere sicuro di come la prenderà Alex, quindi  tu il prima possibile prenderai un aereo per Baltimora e tornerai da Alex e che ti piaccia o no gli dirai che sei incinta, perché se continui a temporeggiare qui finiamo che tra nove mesi lui ancora non saprà nulla e si ritroverà all’improvviso con un bambino in braccio da accudire! >>. Parlò con voce autoritaria e la sua espressione era talmente seria che non ebbi il coraggio di ribattere nulla anche perché aveva ragione e io non potevo farmi bloccare dalla paura, dovevo dirlo ad Alex senza pensare alle conseguenze.

<< Anche se sta passando un momento difficile non fa nulla, deve saperlo > >, continuò Matt che ormai si era lanciato nella parte dell’”incoraggiatore”. << E poi pensi davvero che lui potrebbe sentirsi deluso da te? >>, mi chiese incredulo.

Mi strinsi nelle spalle timorosa di dare una risposta che di sicuro lui avrebbe criticato.

<< Se lo facesse sarebbe un coglione! Un coglione di dimensioni gigantesche! Non solo è stato lui a scordarsi il preservativo poi avrebbe anche la faccia tosta di sentirsi deluso! >>.

<< Okay, ho capito, non devi arrabbiarti per qualcosa che non è ancora successo e che probabilmente non succederà >>, gli dissi vedendo che stava leggermente uscendo di se.

Fece un bel respiro per calmarsi. << Scusa, ma immaginare una reazione del genere da parte di Alex mi ha fatto davvero innervosire >>.

<< Questo perché sei decisamente troppo dolce >>, gli sorrisi.

Arrossì e mormorò un “grazie” imbarazzato.

 

(Alex)

 Era incredibile come avessi iniziato a camminare per le strade di Baltimora senza una meta e come alla fine i miei piedi mi avessero portato proprio nel posto al quale avevo pensato per tutta quella sorta di passeggiata che avevo deciso di fare per schiarirmi un po’ le idee e per trovare risposte alle domande che mi frullavano in testa continuamente senza mai darmi tregua.

Ero davanti alla vecchia casa di Jack e Marc, quella che avevano comprato insieme quando il primo si era trasferito qui da Roma e quella stessa casa dove gli All Time Low erano ufficialmente nati. Jack l’aveva messa in vendita subito dopo l’abbandono di Marc, ma la casa non era stata ancora venduta quando incontrammo Rian e Zack qualche settimana dopo, infatti l’avevamo continuata ad usare per le nostre prove –con il permesso dell’agente immobiliare- fino al giorno in cui non era arrivato un acquirente

interessato e noi avevamo spostato il luogo delle prove nel seminterrato della casa di Rian.

Nonostante fosse solo una casa, quelle quattro mura riuscivano a farmi accelerare il battito del cuore, riuscivano a farmi stare bene e facevano riaffiorare nella mia mente un sacco di ricordi come per esempio il giorno in cui Jack venne da me tutto eccitato e mi presentò Rian.

 

Nonostante non avessimo né un batterista né un bassista, io e Jack avevamo comunque continuato a provare varie cover usufruendo della grande casa ancora in cerca di un padrone che l’abitasse. Era un venerdì pomeriggio e io ero da solo nella grande casa silenziosa e stavo aspettando Jack, che come suo solito era in ritardo, ma il venerdì era normale visto che aveva lezione di francese. Si, la scuola l’aveva finita, ma era da quando avevamo deciso di continuare a suonare che si era fissato con il voler imparare il francese perché secondo lui il miglior modo per fare colpo sui fans era parlare in francese. Io l’avevo lasciato fare evitando di dirgli che quella sua idea era totalmente strampalata –come del resto tutte le altre sue idee!- e così ogni venerdì mi ritrovavo a doverlo aspettare dieci minuti in più rispetto agli altri giorni.

Per il momento io e Jack non avevamo in programma di suonare canzoni nostre, per il momento volevamo solo continuare a suonare cover delle canzoni dei Blink 182 e dei New Found Glory, nonostante questo, però ogni tanto mentre aspettavo Jack mi venivano in mentre alcuni accordi e alcune parole che sarebbero potuti stare insieme e formare una melodia decente e orecchiabile e ogni volta che mi veniva qualcosa di nuovo lo segnavo in un quadernino della quale esistenza non sapeva nessuno e per il momento era meglio così, erano inizi di “canzoni” con testi molto personali che non ero ancora pronto a mostrare al mondo o alla mia famiglia o a Jack.

<< Make it a sweet, sweet goodbye… it could be for the last time and it’s not right… >>. << Don’t let yourself get in over your head… he said… alone and far from home we’ll find you… >>.

<< ALEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEX!!!!! >>. 

La voce di Jack interruppe la mia composizione e rimbombò in tutta la casa facendomi sobbalzare. Mi affrettai a nascondere il quaderno nella custodia della mia fedele chitarra e mi andai a risedere sullo sgabello, che di solito occupavo, con aria tranquilla e serena.

<< GASKAAAAAAAAAAAAAAAAARTH!!! >>, mi chiamò nuovamente Jack che dalla vicinanza della voce immaginai fosse vicino alle scale.

<< SONO QUI SOTTO, BARAKAAAAAT! >>, urlai a mia volta prolungando il suo cognome come lui aveva fatto con il mio.

Un rumore di tonfi seguì al mio urlo. Jack non scendeva mai le scale normalmente, preferiva sempre saltare come un canguro impazzito. Un giorno sarebbe caduto e si sarebbe rotto la testa, ma io sarei stato lì a soccorrerlo e a ridere come un matto. Era proprio questo suo comportamento da pazzo scatenato che mi faceva voler molto bene a quel ragazzo.

<< WILLIAM! Come staii? >>, mi chiese apparendo alla fine delle scale con il suo solito sorriso idiota stampato sulla faccia.

<< Ora che mi hai chiamato sia per cognome, sia per nome e sia per secondo nome sto benissimo >>, risposi ricambiando il sorriso. << E tu? È andata bene la lezione? >>, gli chiesi.

<< Molto più che bene! >>, rispose con enfasi. << Ne ho ricavato una grande e bella sorpresa! >, annunciò.

Lo guardai sorpreso. << Davvero? E quale sarebbe? Una creme brûlé? > >, scherzai.

<>, disse girandosi verso le scale dalle quali stava scendendo qualcuno che si rivelò essere un ragazzo alto più o meno quanto me se non di poco più basso, con la faccia tonda, i vestiti larghi, gli occhi marroni i capelli castano scuro lunghi e un sorriso bianco come una perla e straordinariamente largo e gentile. Non avevo mai visto un sorriso più bello e più luminoso. 

<< Alex, lui è Robert Rian Dawson >>, lo presentò Jack che gli cinse le spalle con un braccio come avrebbe fatto anche con uno sconosciuto cosa che probabilmente Robert era.

<< Chiamami Rian, odio il nome Robert >>, disse Rian porgendomi una mano.

Mi alzai e gli strinsi la mano sorridendo. << È un piacere Rian, io sono Alex >>.

<< Alexander William Gaskarth, cantante e chitarrista del nostro gruppo >>, disse Jack con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

Scossi la testa. << Dimmi che ti ha pagato per venire fin qui perché non vedo come una persona potrebbe decidere di andare con lui >>, dissi rivolgendomi a Rian che scoppiò in un’allegra risata mentre Jack mi lanciava un’occhiataccia.

<< Dovresti ringraziarmi invece di insultarmi, ci ho procurato un batterista! >>, esclamò indicando Rian sul quale posai il mio sguardo sorpreso e lui visibilmente in imbarazzo, mi elargì nuovamente il suo sorriso perlato.

<< Suoni la batteria? >>, gli chiesi curioso.

Rian annuì. << Si, da quando ero piccolo >>.

<< Quanti anni hai? >>, gli chiesi.

<< Diciotto >>.

Gli sorrisi. << Bene, direi che sei perfetto >>.

<< Questo lo avevo già deciso io >>, borbottò Jack sbuffando.

<< E chi ti ha nominato capo della band? >>, chiesi guardandolo accigliato.

<< Lo sono dal momento in cui ho trovato un nuovo membro >>, rispose prontamente Jack.

<< Bene, allora a te il compito di trovarci un bassista >>, dissi.

<< Ci sto >>, annuì deciso Jack.

Dopo neanche un minuto scoppiammo entrambi a ridere. Battibeccavamo sempre tutti e due, ma poi ridevamo insieme come solo due amici sanno fare.

<< Vai anche tu al corso di francese con Jack? >>, chiesi a Rian per non farlo sentire escluso.

<< Si, purtroppo >>, rispose sbuffando.

<< Come mai? >>, chiesi.

<< Ho una cugina francese che tra qualche mese ci verrà a trovare e i miei vogliono che impari il francese così che ci possa parlare tranquillamente e possa anche tradurre a loro >>, mi spiegò.

<< Una scocciatura >>, commentai.

<< Già, non mi piace neanche il francese >>, borbottò Rian.

<< Pensa che Jack ci va di sua spontanea volontà al corso >>, dissi scuotendo la testa con disapprovazione.

<< Oh si, me lo ha detto! >>, esclamò Rian. << E io penso sia leggermente pazzo >>.

<< Io toglierei il “leggermente” >>, sghignazzai.

Jack ci guardò male. << Non capite nulla! >>, sbottò.

Io e Rian scoppiammo a ridere.

<< Allora, Rian, che ne dici se ci fai sentire qualcosa >>, propose Jack con allegria cambiando il discorso.

Rian si guardò intorno perplesso. << Vorrei, ma… qui non c’è nessuna batteria >>.

Io e Jack ci guardammo per un attimo, poi spostammo anche noi lo sguardo per la stanza e ci rendemmo conto che Rian aveva ragione, noi non avevamo una batteria.

<< Ops! >>, disse Jack piegando la bocca in una smorfia.

<< Siamo due idioti >>, commentai ridacchiando.

<< Se volete potete venire a casa mia, lì ce l’ho la batteria >>, propose Rian.

Io e Jack ci scambiammo un’occhiata silenziosa con la quale prendemmo una decisione unanime infatti quando tornammo a guardare Rian rispondemmo all’unisono: << Va bene >>.

Rian ovviamente si rivelò all’altezza delle nostre aspettative sia per il suo talento alla batteria sia per il suo carattere, in poco tempo diventammo tutti e tre molto amici, Rian era sulla nostra stessa lunghezza d’onda, era pazzo e idiota proprio come noi e non rifiutava mai una bottiglia di birra cosa che ce lo fece amare ancora di più. Le cover, grazie alla batteria, iniziarono ad essere più interessanti e più belle come anche il nostro gruppo che finalmente stava iniziando a formarsi.

 

Sorrisi pensando a come era cambiato Rian da quel giorno, a come era dimagrito, a come erano corti ora i suoi capelli… tutto era cambiato in lui fisicamente tranne il bel sorriso che ancora oggi continuava ad ispirarmi felicità e allegria. Peccato che l’ultima volta che lo avevo visto il sorriso sulle sue labbra non c’era per niente. Il sorriso mi si spense sulle labbra e al suo posto mi salirono le lacrime agli occhi. Faceva male ricordare, mi faceva sentire un vuoto terribile dentro il petto che niente avrebbe potuto riempire se non le due persone che lo avevano lasciato, se non i miei due migliori amici, le due persone che insieme a Jack avevano colorato la mia vita, le due persone con le quali condividevo un sogno, le due persone che mi erano sempre state vicine nei momenti difficili. Ero cresciuto con gli All Time Low, ero cresciuto essendo parte di quel gruppo, ero cresciuto con accanto tre fratelli e il pensiero che adesso mi ritrovassi con due delle persone più importanti della mia vita lontane era insopportabile e non riuscivo ad accettarlo.

Da giorni mi chiedevo come avrebbe fatto la nostra band a tornare unita, come avrei fatto a far pace con Rian e Zack e soprattutto cosa avrei fatto se non fossi riuscito a riportare tutto com’era prima; che ne sarebbe stato della mia carriera, del mio sogno?

Mi sedetti sulle scale della grande casa e mi lasciai andare ad un altro ricordo per non continuare a rimuginare sul presente disastroso e triste.

 

Uno dei negozi di strumenti che preferivo, si trovava non molto lontano da casa dei miei, in un parco sempre affollato di ragazzi che di solito erano tutti accalcati vicino al camioncino degli Hot Dog oppure erano nel prato a giocare a football. Quel negozio aveva la particolarità di vendere anche skateboard, la seconda passione del proprietario del negozio che ormai mi conosceva da quando ero un ragazzino per quante volte ero entrato nel suo negozio non per comprare, ma per stare lì ad osservare le chitarre con ammirazione per ore ed ore senza mai muovermi. Lo so, un comportamento un po’ strano, ma la bellezza delle chitarre mi colpiva sempre e in quel negozio ne vendevano di bellissime, tutte colorate, tutte di diverso tipo… era una sorta di paradiso per me. Lì avevo comprato la mia prima chitarra, la mia fedele chitarra classica che ancora mi portavo sempre dietro come se fosse stata la mia ombra.

Entrai nel negozio che profumava sempre di… antico, quasi come una biblioteca, e sorrisi al proprietario, Andrew, che mi sorrise allegramente. Andrew aveva su per giù una cinquantina d’anni, era alto, con braccia muscolose, i capelli neri e lunghi, gli occhi color celeste ghiaccio e le mani piene di calli lasciati probabilmente dai tanti anni di mestiere. Andrew era stato il chitarrista di un vecchio gruppo del luogo infatti era conosciuto in tutta la città.

Ero lì quel giorno per comprare la mia prima chitarra elettrica, come mi aveva suggerito Jack per dare più “brio” al nostro gruppo, ma invece che con una nuova chitarra, tornai da lui con qualcosa di meglio.

Iniziai a guardare le varie chitarre che erano appese, tutte di colori diverse e tutte dannatamente bellissime; non ce n’era una che non mi piacesse e quella era la cosa brutta, non avrei mai potuto sceglierne una, era come chiedermi di scegliere tra mamma e papà. Rimasi per molto a fare su e giù con lo sguardo tra le chitarre cercando di escluderne qualcuna, quando con la coda dell’occhio scorsi un ragazzo che sollevava quella che mi sembrò una chitarra, rossa e bianca. Mi voltai subito pensando che quella era la chitarra che stavo cercando, ma una volta che la osservai bene, mi accorsi che era un basso e non potei fare a meno di sbuffare rumorosamente.

Il ragazzo dai lunghi capelli neri che gli coprivano il viso come una tenda, alzò lo sguardo dal bellissimo

basso che stava strimpellando e mi scrutò curioso ed io mi sentì sprofondare dall’imbarazzo: probabilmente aveva pensato che stessi sbuffando per lui, così mi affrettai a dire: << Scusa, non volevo disturbarti >>.

Scosse la testa. << Tranquillo, stavo solo provando qualche nota, nulla di che >>.

Annuii. << È davvero un basso molto bello >>, dissi.

<< Già >>, sorrise. << Sarà il mio prossimo regalo di compleanno >>.

<< Se fosse stato una chitarra sarei stato felicissimo di riceverla al mio compleanno >>, dissi.

<< Suoni la chitarra? >>, mi chiese.

Annuii. << Già, da quando ero piccolo >>.

<< Anche io >>.

<< E sai suonare anche il basso? >>.

<< Si, ho iniziato da qualche anno e devo dire che me la cavo abbastanza bene >>.

Mentre annuivo lentamente mi resi improvvisamente conto di quello che avevo davanti, di quello che avevo trovato.

Sorrisi raggiante al moro che mi guardò leggermente preoccupato e fece per posare il basso così da poter scappare da me che probabilmente in quel momento sembravo un pazzo per quanto stavo sorridendo.

<< Ho avuto un’illuminazione! >>, esclamai con enfasi.

Il moro guardò prima a destra e poi a sinistra in cerca di qualcuno che lo salvasse. << Fantastico… ma io credo che… devo andare >>, si alzò dallo sgabello sul quale si era seduto per suonare.

<< Non ti muovere da lì! >>, gli ordinai avvicinandomi.

Mi fissò circospetto e solo in quel momento mi accorsi che i suoi occhi erano di color verde.

<< Come ti chiami? >>, gli chiesi.

<< Zackary >>, rispose.

<< Ti posso chiamare Zack? >>, gli chiesi pensando che il suo nome per intero fosse davvero brutto.

Annuì.

<< Bene Zack, io sono Alex il cantante di una band che ha bisogno di un bassista che io penso di aver appena trovato >>, sorrisi nuovamente.

<< Io? Bassista di una band? >>, chiese sorpreso.

<< Già, sei il ragazzo che fa per noi >>, dissi calcolando ad occhio  e croce che nonostante la corporatura magrolina, Zack aveva più o meno la mia età.

Si morse un labbro indeciso. << Non saprei… >>.

<< Avanti, ti sto chiedendo di far parte di un gruppo dove potrai suonare il tuo strumento, dove potrai praticare il tuo amore per la musica >>.

Non sembrò ancora convinto, così continuai: << Suonerai in un gruppo che un giorno diventerà famoso e quando succederà tu avrai una marea di ragazze che ti correranno dietro e che ti adoreranno >>.

Rise.

<< Fai solo una prova, vieni con me a conoscere gli altri e poi deciderai se unirti a noi oppure no >>, continuai.

Sospirò. << Ci sto >>.

Alzai le mani in segno di trionfo e quasi urlai mentre dicevo: << FANTASTICO! >>.

Zack mi potò fuori dal negozio dove suo padre lo aspettava in macchina. Appena mi vide salire sulla sua macchina, il padre mi scoccò un’occhiata perplessa dallo specchietto retrovisore e rimase perplesso per tutto il viaggio verso “la casa della band”- così denominata da Jack- nonostante Zack gli avesse spiegato chi fossi e cosa stesse succedendo. Il povero signor Merrick si sconvolse ancora di più quando alla fine delle prove della band si vide salire in macchina altri due ragazzi –Rian e Jack- e ci dovette accompagnare tutti ad un pub per festeggiare la formazione del gruppo. Col senno di poi, avrei capito perché era stato così scioccato nel vederci salire sulla sua macchina e perché rivolgendosi a Zack gli aveva chiesto: <>; non eravamo di certo gli amici che vorresti per tuo figlio, soprattutto perché eravamo tre pazzoidi e lo sembravamo anche: Jack aveva quelle mesh bionde, Rian aveva il suo sorriso splendente che risaltava sulla faccia cicciottella e io… io avevo l’aria sexy!

Nonostante i look diversi –Zack somigliava molto ad una sorta di emo-e la nostra apparenza bizzarra, come gruppo di sconosciuti ci amalgamavamo molto bene, riuscivamo ad andare d’accordo e ad essere sempre uniti nelle decisioni importanti. Tra noi fu subito amore a prima vista.

 

Ricordavo benissimo il nostro primo concerto, nello stesso bar in cui andammo a festeggiare quando ingaggiammo Zack, ricordavo le prove faticose, il batticuore frenetico, il male allo stomaco, le birre ai lati del palco, la folla curiosa che ci aveva ascoltato in silenzio finché alla fine non si era scatenata in un forte applauso.

La sera più bella della mia vita fu quando la casa discografica ci chiese di firmare un contratto. Eravamo al settimo cielo, Jack più di tutti e ricordavo benissimo come quella sera mi avesse ringraziato per averlo spinto a continuare quell’avventura che alla fine ci aveva condotti proprio dove volevamo: ad una sala di registrazione, con una casa discografica e un’intera carriera a disposizione.

Tutti e quattro ci conoscevamo da anni ormai, avevamo passato tantissimo tempo insieme, talmente tanto che ricordare tutti gli episodi divertenti che avevamo fatto insieme era quasi impossibile visto che ogni giorno avevamo almeno dieci cose su cui ridere a crepa pelle. Tutte quelle risate, tutti quei momenti speciali in cui ci eravamo dati forza l’un l’altro, tutte quelle sere ai pub, tutte le sfide ai videogiochi, i giorni interi che avevamo passato in studio di registrazione… era ingiusto che tutto quello improvvisamente fosse stato dimenticato, tutto quel tempo che avevamo passato insieme, tutti quei momenti erano le basi fondamentali della nostra amicizia e non mi sembrava possibile che Zack e Rian improvvisamente odiassero me e Jack, perché noi eravamo legati da un affetto profondo, eravamo fratelli, eravamo l’uno la spalla dell’altro e non avremmo mai voluto separarci così.

Dalla casa della band, mi avviai verso il centro della città, dove ogni edicola aveva almeno cinque diversi giornali che recitavano lo stesso deprimente titolo: “GLI ALL TIME LOW SI SONO SCIOLTI”; non sapevo chi avesse dato la notizia ai giornalisti, ma sapevo certamente che quella notizia aveva fatto il giro del mondo, infatti il mio profilo twitter era intasato di messaggi di fans disperate che m chiedevano come fosse possibile oppure mi pregavano di tornare ad essere un gruppo. Non sapevano che se fosse stato per me io a quell’ora sarei stato felicissimo di essere su un palco a fare un concerto insieme agli altri. Era bello avere qualche giorno di tranquillità per riposarsi, ma non se alla fine non si aveva nessun lavoro al quale tornare.

Passai davanti ad un negozio di cd che aveva un televisore in vetrina nel quale si vedevano sempre video di varie band; da piccolo avevo sempre sognato di apparire con la mia band su quello schermo… e non potevo davvero immaginare che ci sarei finito quando la mia band si sarebbe sciolta.

Il video di Circles era il primo che avevamo fatto e infatti non aveva nulla di particolare o di divertente, ma in quel momento mi fece salire le lacrime agli occhi. Quel video era stato girato quando eravamo ancora agli inizi, quando io avevo ancora quei capelli osceni, quando Zack aveva ancora i capelli lunghi e anche Rian che era ancora grassottello; quando il nostro sound non era ancora definito, quando ancora non eravamo conosciuti in tutto il mondo.

Round in circles let’s start over.

Nonostante il senso di malinconia, mi venne da ridere per quanto apparivamo ridicoli soprattutto con quelle chitarre ad altezza pancia che facevano sembrare le nostre gambe ancora più lunghe di quel che già erano. Se confrontavi quel video con uno che avevamo registrato ultimamente o anche qualche anno dopo, la differenza la notavi; eravamo cresciuti sia fisicamente che musicalmente.

Le scene sul divano erano state le più divertenti da girare, esprimevano benissimo il nostro modo di essere… anche perché le avevamo fatte spontaneamente, non c’era stato nessuno che ci aveva detto: << Buttatevi  l’uno addosso all’altro >> o << Prendetevi a cuscinate >>, no, avevamo fatto tutto da soli, avevamo dato il meglio di noi perché volevamo farci conoscere, volevamo che la gente sapesse esattamente come eravamo e che eravamo dei ragazzi tutt’altro che seri.

 

“Go back to the place we knew before

retrace our steps to the basement door,

I’ll ask you if the rain still makes you smile,

 Like so much time that we spent in the fall

 it put color in our cheeks while the air turned cold,

 Preceding what became our bitter end”.

 

Magari se Zack e Rian avessero visto quel video avrebbero perdonato Jack e sarebbero tornati nella band… non avrebbero potuto ignorare i ricordi di quel giorno, le risate, le lotte, le pose idiote che ci eravamo inventati per la fine del video e la memorabile scena finale dove Rian e Jack facevano finta di dormire, Zack guardava la telecamera come se fosse incantato e io cantavo rigorosamente in playback le ultime parole.

 

Unanswered questions would be the only thing to stop them now…

 He was the poet while she was the muse,

 but she had a pen that she knew how to use,

 with a touch of redemption, a hint of elation;

 a recipe for disaster”.

 

Il video finì e così anche le risate, tornai Improvvisamente a sentirmi triste, inutile, senza più una carriera, con un sogno spezzato e degli amici arrabbiati.

Cosa mi rimaneva ormai?

Stella, Jack, i miei cani e le mille domande senza risposta… le quali avrei fatto bene a fermare, come avevo scritto nel testo di Circles.

 
(Stella)

 << Avanti Debbie! Si tratta solo di un viaggio per accompagnare la tua migliore amica a Baltimora a fare la cosa più importante della sua vita >>, la pregai usando a posta un tono fastidiosamente lamentoso.

Sospirò per l’ennesima volta da quando ero entrata nella sua vecchia camera dalle pareti color rosa chiaro coperte in parte dagli enormi poster degli All Time Low –due giorni dopo la visita-, e come tutte le volte precedenti, rispose negativamente. << Mi dispiace Tella, ma stiamo parlando di un viaggio lungo nel quale ci sarà anche tuo fratello e in più tornerò a Baltimora dove c’è anche Zack che di sicuro se scoprirà che sono lì verrà da me e io non ho ancora preso una decisone >>.

<< Zack non potrà mai venire a sapere che tu sei a Baltimora, come potrebbe?! Non parla più con nessuno di noi! >>, ribattei.

<< Ma ci sarebbe comunque Jack >>, disse. << Sai benissimo che sarebbe difficile sia per lui che per me >>.

Aveva ragione, avevo portato lì Jack perché potesse ritrovare un po’ di serenità e ora che l’aveva ritrovata io stavo per fargli rincontrare Debbie così che la situazione si andasse a complicare ulteriormente… ero davvero un genio! Però avevo bisogno di qualcuno, avevo bisogno di una persona che mi sostenesse, che mi spingesse dentro casa di Alex –nonché casa mia- perché se no da sola temevo che non ce l’avrei mai fatta. Chi avrebbe potuto farlo se non la mia migliore amica? Quella che mi aveva sempre spinta a fare tutto, quella che sapeva perfettamente come prendermi e anche come ricattarmi…

Jack non poteva non venire, anche perché era stato lui stesso a dirmi che voleva tornare a Baltimora così

da poter stare accanto ad Alex nel caso avesse preso male la notizia… non avrei mai potuto dirgli di non venire perché doveva venie Debbie… anche perché sapendolo avrebbe insistito per venire, non vedeva l’ora di rivedere Debbie.

Come eravamo finiti in quella situazione? Perché non potevo più avere le persone a cui tenevo di più vicine nello stesso posto e nello stesso momento? Perché dovevo decidere di chi fare a meno? Sarebbe stato così anche se Debbie avesse scelto Zack?

Mi sedetti accanto a Debbie sul letto e la guardai fisso negli occhi cercando di trasmetterle tutto il bisogno che avevo che sia lei che Jack venissero a Baltimora con me. Avrei voluto anche Matt, ma lui si era rifiutato di tornare a casa preferendo restare a Roma per continuare a visitarla.

Aprì la bocca per parlare, ma lei mi anticipò. << Non continuare a cercare di convincermi Tella, perché è inutile, non ho alcuna intenzione di tornare a Baltimora con Jack… o anche senza, è passata solo una settimana da quando sono arrivata e decisamente non ho avuto tempo per schiarirmi le idee >>.

<< Neanche se ho un bisogno disperato che tu ci sia? >>, le chiesi adottando un’espressione da cucciolo sperando che la intenerisse.

Scosse la testa. << Lo so che sarà difficile, ma devi farcela da sola e devi capire perché io non posso venire >>.

<< Io lo so, l’ho capito >>, dissi, << e ti capisco perfettamente, so che è difficile per te rivedere Jack soprattutto perché lui probabilmente inizierebbe a parlarti e magari ti pregherebbe anche di scegliere lui invece che Zack, ma io ho bisogno di te, non ho il coraggio per andare a fare una cosa tanto importante, non l’ho mai avuto neanche per alzare la mano durante le lezioni! >>.

Rise. << Oh mio Dio! Me lo ricordo, eri davvero tremenda, non riuscivi a fare nulla perché eri maledettamente timida e paurosa >>.

<< E lo sono ancora… anche se di meno >>.

<< Ma ora sei grande e stai per diventare mamma quindi affronta la paura e vai da Alex, io non ti servo a nulla, è solo un tuo… capriccio, la mia presenza non è necessaria, sei tu che ti sei fissata che lo sia >>.

<< E se invece fosse necessaria e tu ti stessi sbagliando? >>, le chiesi guardandola storto.

Rise. << Ti conosco meglio di te stessa e so benissimo che te la caverai perché sai che dirglielo è la cosa giusta e quindi affronterai la paura senza nessun problema >>.

Sbuffai. << Io non ne sono tanto convinta >>.

Mi diedi una pazza affettuosa sulla spalla. << Lo sarai quando sarai lì >>.

<< Allora è un no definitivo? >>, le chiesi dispiaciuta.

Lei annuì. << Devo rimanere qui a Roma >>, dichiarò. << Mi dispiace non poterti accompagnare, davvero, ma la situazione è quella che è e io non me la sento di affrontare Jack, però voglio che mi dica cosa è successo non appena avrai tempo >>.

<< Certo >>, garantì.

Mi abbracciò. << Vedrai che andrà tutto bene >>.

<< Lo spero >>.

 

Domenica quattro febbraio, esattamente una settimana e due giorni dal nostro arrivo, io e Jack partimmo per Baltimora nel primo pomeriggio dopo aver salutato malinconicamente Roma che stavamo lasciando un’altra volta senza sapere quando ci saremo tornati e dopo aver passato una buona decina di minuti ad abbracciare la mamma che in lacrime ci aveva continuato a dire di fare i bravi, di non combinare altri casini e di essere forti, perché nella vita bisognava sempre affrontare nuovi ostacoli e si doveva avere il coraggio per farlo. Anche papà ci salutò con le lacrime agli occhi.

Arrivammo all’aeroporto di Baltimora verso le quattro del pomeriggio Americane e non appena scesi dall’aereo mi sentì invadere da una sensazione di senso di familiarità; iniziavo a conoscere troppo bene

quell’aeroporto, ci avevo passato davvero moltissime ore, sia in quello che in altri di paesi diversi come dopotutto era giusto che fosse visto che tipo di carriera avevo deciso di intraprendere. L’unica cosa brutta di tutti quegli spostamenti era che non ne potevo più dei fuso orari, erano tremendi! Ormai mi veniva sonno quando non era ora di dormire e mi svegliavo quando era ora di andare a letto… per non parlare poi degli orari del pranzo e della cena! Almeno, per il momento, progettavo di rimanere a Baltimora per un po’, il ginecologo della mamma mi aveva anche dato il nome di un suo amico che abitava lì quindi non ci sarebbero sati problemi per le visite… restava da vedere solo come si sarebbero messe le cose.

Dopo aver preso il bagaglio, mi avviai a passo spedito verso l’uscita che sapevo esattamente dove fosse e Jack mi seguì; era stranamente silenzioso e per un attimo pensai che fosse tornato ad essere triste, ma quando mi girai verso di lui vidi che stava sorridendo.

<< Sei contento di essere tornato? >>, gli chiesi mentre ci avvicinavamo all’uscita del volo.

<< Si, Roma mi ha fatto proprio bene, parlare con la mamma mi ha fatto bene, ora sento che… posso farcela >>.

La mamma e Jack avevano parlato molto in quella settimana e grazie a lei il buon umore di Jack era andato ad aumentare e anche il mio che nonostante la paura fregata e l’assenza di Debbie, mi sentivo fiduciosa sulla reazione di Alex.

<< Abbiamo molte cose da fare qui >>, dissi.

<< Saranno delle lunghe giornate, ma ne usciremo vincitori, ne sono sicuro >>, mi elargì un sorriso di incoraggiamento che ricambiai.

Uscimmo dalla porta scorrevole e ci dirigemmo verso l’uscita dall’aeroporto, ma neanche fatto qualche metro che sentì urlare alle mie spalle.

<< Ehi! Non si salutando gli amici?! >>.

Sia io che Jack ci girammo a guardare il ragazzo –a giudicare dalla voce- che aveva parlato e tutti e due rimanemmo sorpresi di vedere David dei Simple Plan, affiancato da tutta la band e dalla mia migliore amica che mi stava rivolgendo un sorriso raggiante e un po’ nervoso.

<< Siamo qui ad aspettarvi da ore e neanche vi degnate di salutarci >>, ci rimproverò Chuck in tono scherzoso.

Guardai i cinque ragazzi completamente presa alla sprovvista. Che diavolo ci facevano lì? E Debbie? Aveva cambiato idea?

Spostai lo sguardo verso Jack che aveva gli occhi incollati a Debbie la quale invece guardava me per non guardare lui.

<< Smettila di guardarci a bocca aperta e vieni ad abbracciarci! >>, mi ordinò David allargando le braccia in una sorta d’invito ad abbracciarlo.

Nonostante lo shock, non rifiutai e abbracciai il bassista, poi anche Chuck, Jeff, Sebastian che mi salutò con un << ciao mammina! >> che mi fece scoppiare a ridere... l’idea di essere chiamata mamma tutto ad un tratto non mi dispiaceva troppo. Jack abbracciò gli altri dopo di me. Per ultimo abbracciai Pierre il quale mi guardo storto e ricambiò l’abbraccio in modo distaccato.

<< Cosa c’è? >>, gli chiesi perplessa dal suo comportamento.

Alzò un sopracciglio. << Non ti sei fatta più sentire, signorina! >>, mi accusò. << Mi avevi detto che mi avresti chiamato quando avresti detto tutto ad Alex per farmi sapere come era andata, ma non lo hai fatto ed io ho sempre pensato che tu glielo avessi detto e invece qualche giorno fa mi ha chiamato Debbie e mi ha detto che stavi andando a Baltimora per dire ad Alex che sei incinta e io ho pensato: oh mio Dio ancora non glielo ha detto! >>, la sua occhiataccia si accentuò. << Va bene che mi si è rotto il telefono da un po’ e non ho potuto chiamarti per sapere come era andata, ma avresti comunque potuto farti sentire, soprattutto perché così avrei potuto obbligarti a dirlo subito ad Alex >>.

<< Mi dispiace, ma penso tu abbia saputo dei… problemi che abbiamo avuto >>, dissi.

<< Certo che abbiamo saputo! >>, esclamò David. << La notizia ha fatto il giro del mondo, è sconcertante il fatto che vi siate sciolti, eravate così amici >>, continuò rivolto a Jack che diversamente da quanto immaginai, non si rabbuiò, ma si strinse solamente nelle spalle. << Lo siamo ancora, abbiamo solo bisogno di un po’ di tempo per aggiustare… alcuni problemi >>, disse evitando di guardare Debbie che aveva abbassato lo sguardo.

Pierre batté una pacca amichevole sulla spalla di Jack e gli sorrise trasmettendogli con lo sguardo tutta la sua comprensione e il suo appoggio.

<< Non ci avete ancora detto cosa ci fate qui >>, dissi.

Chuck indicò Pierre. << Siamo venuti perché lui veniva >>.

Aggrottai le sopracciglia. << Come? >>.

Pierre a sua volta indicò Debbie. << Come ho detto prima, qualche giorno fa mi ha chiamato lei dicendomi di venire con te a Baltimora per sostenerti >>.

Guardai la mia migliore amica che si strinse nelle spalle. << Mi è dispiaciuto vederti andare via da casa mia triste, così ho pensato che potevo chiamare Pierre per vedere se poteva darti coraggio lui al mio posto… visto che Cassadee è fuori gioco… e per fortuna lui mi ha detto che avevano finito un'altra parte del tour e che sarebbe stato felice di venire con te, ma poi qualche giorno dopo ho pensato che non volevo lasciati da sola e che potevo affrontare… >>, guardò Jack per un attimo per farmi capire cosa intendeva ed io annuì, << quello che c’è da affrontare per starti accanto in un momento così importante  e così mi sono unita a Pierre e insieme a me si sono uniti anche gli altri Simple Plan che volevano rivederti e hanno seguito Pierre >>.

<< Volevi una persona che ti spingesse dentro casa di Alex… be’… ne hai trovate sei >>, disse Jeff ridacchiando.

<< Ci sono anche io! >>, protestò Jack, < >, continuò rivolto a me.

<< Primo: non mi devi spingere, secondo: volevo che venisse Debbie perché è la mia migliore amica e ha buone capacità di persuasione su di me e mi sarebbero servite in caso avessi avuto un attacco di panico >>, spiegai.

<< Tranquilla, ora non corri nessun rischio, Alex lo saprà assolutamente tra qualche ora se non tra qualche minuto >>, disse Pierre.

Mi si ribaltò lo stomaco.

Coraggio Stella, lo sai che lo devi fare.

<< Bene… allora andiamo! >>, sorrisi cercando di allentare la tensione che improvvisamente mi stava torturando lo stomaco.

Mi accompagnarono a casa di Alex solo Jack, Debbie e Pierre, gli altri Simple Plan andarono direttamente a casa di Jack nonostante avessero insistito non poco di poter venire con noi. Se fossero venuti, alla fine saremmo stati troppi, non mi serviva troppa gente… almeno lo speravo.

Una mezz’oretta dopo eravamo davanti casa di Alex, io al centro, Jack e Debbie ai miei lati e Pierre al fianco di Debbie. Il cielo era scuro, le nuvole grigie, segno che da un momento all’altro sarebbe iniziato un bel temporale… un tempo perfetto per l’occasione!

Feci dei profondi respiri per tranquillizzarmi mentre Pierre mi ripeteva con voce calma parole che in quel momento non riuscivo proprio ad ascoltare tanta era l’agitazione e tante le voci che erano nella mia mente.

<< Avanti Tella, ce la puoi fare, andrà tutto bene e vedrai che quando ti sarai tolta il peso sarai contentissima >>, mi incoraggiò Debbie stringendomi forte una mano e sorridendomi.

<< Alex sarà contentissimo, vedrai, diventare padri è… una cosa magnifica >>, mi disse Pierre. << Anche se siete giovani… sarete due fantastici genitori >>.

<< Mi copi le frasi? >>, gli chiesi trattenendo a sento una risata.

<< Sono con te sorellina, se mai Alex reagisse male ci sarò io che lo rimetterò apposto >>, mi rassicurò Jack stringendomi l’altra mano. << Sei più coraggiosa di quello che pensi >>.

Sorrisi al mio fratellone. << Siamo entrambi coraggiosi >>.

Sorrise e mi baciò la fronte. << Hai ragione >>.

Rivolsi lo sguardo verso la casa… la mia casa.

Eccoci qui Stella, sei arrivata, non puoi più tirarti indietro, non puoi più ripensarci, Alex ha il diritto di sapere la verità. Andrà tutto bene.

Mi allontanai dai tre membri della mia grande famiglia e voltandomi una sola volta per sorridere a tutti e tre, mi avvicinai alla porta.

Un ultimo respiro profondo.

Toc Toc.

Oh accidenti… devo fare pipì!

 
Ciaooo :D

Scusate, scusate, scusate! Lo so, non aggiorno da tantissimo, mi dispiace, ma la scuola sta occupando tutto il mio tempo libero e negli ultimi weekend non sono stata a casa quindi non ho potuto postare, ma adesso... eccolo qui! Il nuovo capitolo che avevo caricato già ieri sera ma chissà per quale motivo non è stato pubblicato o.o mah! Prometto che non tarderò più, il prossimo lo posterò sabato, prometto u.u
Questo capitolo è uno di quelli che mi piace di più soprattutto per il fatto che ci sono i flashback *-* adoro scrivere i flashback :D. Nel prossimo capitolo finalmente scopriremo come la prenderà Alex u.u per farmi personare non vi farò aspettare tanto ;).

A sabato genteee :D 

Miki*

 

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Capitolo 20
*** Damned if I do ya (Damned if I don't) ***


Salveee :DD

Ho aggiornato in tempo ! :D non vi ho fatto rimanere troppo con la curiosità di sapere cosa sarebbe successo u.u finalmente in questo capitolo scoprirete come reagirà Alex :D fatemi sapere cosa ne pensate, ho bisogno delle vostre opinioni, come ho ripetuto varie volte sono ancora molto dubbiosa su quello che succede in questa storia xD. Non ho altro da dire... quindiii vi lascio alla lettura sperando vi piaccia :).

Un bacioo :*

Miki* 
 
  “Something’s telling me to leave
 But I won’t
 ‘Cause I’m damned if I do ya
 Damned if I don’t”.
 
Alex aprì la porta proprio quando Jack, Pierre e Debbie, sparirono dalla strada per andare due nella casa di Jack e una nella sua casa affittata quando stava ancora con Zack. Durante il viaggio in taxi Debbie mi aveva detto che era tornata a Baltimora anche perché voleva prendere le cose che aveva lasciato nella casa per portarle a Roma dove voleva andare a vivere ufficialmente.
L’espressione sorpresa che mi ritrovai davanti mi ricordò la sera della prima vigilia di Natale che avevo festeggiato insieme ad Alex e gli altri e anche del giorno in cui ero arrivata a Baltimora per la prima volta dopo la vacanza a Roma degli All Time Low; come in tutti e due quei giorni, il mio cuore esplose di gioia e per un attimo mentre mi buttavo tra le braccia dell’unico ragazzo che avevo mai amato sul serio, mi dimenticai della preoccupazione che fino ad un minuto prima mi aveva chiuso lo stomaco.
<< Perché non avverti mai quando torni? >>, mi chiese Alex mentre ancora mi teneva stretta forte tra le sue braccia come se avesse avuto paura che me ne andassi un’altra volta.
<< Perché è divertente vederti sulla soglia della porta con l’espressione da pesce lesso stampata in faccia >>, risposi ridendo.
Mi scoccò un rumoroso bacio sulla guancia. << Sei una cattiva ragazza >>.
<< Senti chi parla >>, gli mostrai la lingua.
Mi baciò il naso e successivamente le labbra. << Mi sei mancata >>.
<< Anche tu >>, dissi sprofondando nuovamente con la testa nel suo petto.
Ma brava, fai ancora un po’ la ruffiana così magari non ti darà uno schiaffo per non avergli detto prima che sei incinta.
Disse una vocina fastidiosa nella mia testa.
Mi allontanai dal suo petto come se avessi preso la scossa pensando che in effetti quella vocina aveva ragione, dovevo smetterla di fare la coccolosa e dovevo dirglielo in quel momento, prima che potessimo andare a parlare di altro.
<< Allora, com’è andata? >>.
Appunto.
<< Bene, come ti avevo detto l’aria di casa ha fatto molto bene a Jack… e anche a me >>, risposi.
Okay, era il momento giusto.
Coraggio. Coraggio. Coraggio.
Feci un bel respiro. << È stato un periodaccio per tutti questo, tutto questo grande casino con la band ha mandato tutto in fumo e ha reso tristi tutti… per me però… è stato un periodaccio per un altro motivo >>.
Alex mi guardò perplesso. << Che cosa intendi? >>.
Un altro bel respiro. << Alex… c’è qualcosa che devo dirti… >>.
Nonostante la sua espressione fosse improvvisamente mutata diventando una maschera tesa e preoccupata, si strinse nelle spalle e usando un tono tranquillo disse: << Ti ascolto >>.
Forse avrei dovuto dirgli di sedersi? Sarebbe potuto svenire?
<< È… una cosa difficile da dire… e infatti ho aspettato non poco tempo per decidermi a dirtelo e di questo sinceramente mi dispiace… >>.
Mi scrutò attentamente il viso e probabilmente vi lesse la mia preoccupazione, perché il suo tono di voce si fece più duro ed era facile leggere l’ansia nei suoi occhi. << Puoi arrivare al punto? >>, mi pregò.
Che stupida! Perché stavo girando intorno all’argomento?
Dillo e basta.
Per un attimo pensai che l’ansia mi avrebbe bloccato la lingua così che non sarei riuscita a parlare, e invece pronunciai quella due parole che avevo così temuto di dire senza la minima esitazione.
<< Sono incinta >>.
Mi sentì come se mi avessero tolto un peso dallo stomaco e per un attimo mi venne voglia di sorridere e di esultare perché in un certo senso mi sentivo vincitrice: finalmente ce l’avevo fatta, avevo rivelato ad Alex che stava per diventare papà, avevo fatto la cosa giusta…
Il senso di felicità svanì non appena guardai Alex.
Il corpo di Alex si era irrigidito come un’asse di legno, lo sguardo gli si era posato su un punto dietro di me che però non stava realmente guardando: si vedeva perfettamente che con la mente era da un’altra parte. Fu quando riportò lentamente lo sguardò assente su di me che parlai di nuovo per cercare di farlo riemergere dallo stato di shock in cui era caduto. << È successo dopo che ci eravamo fatti il bagno insieme nell’albergo in Inghilterra, quando io me ne sono uscita con quella stupida storia che mi vergognavo… e… ci siamo scordati le precauzioni… e… >>.
<< Da quanto lo sai? >>, mi chiese interrompendomi –cosa di cui gli fui grata visto che non avevo idea di come continuare-.
<< Dal giorno in cui sono uscita dall’ospedale >>, risposi tenendo lo sguardo basso non riuscendo a guardare la sua espressione neutra e tesa. << È per questo che sono stata male… non perché non avevo mangiato >>.
Il suo sguardo si fece improvvisamente vivo e accusatorio. << Mi hai mentito? >>.
<< Non all’inizio >>, risposi sentendomi improvvisamente malissimo; avevo voglia di sotterrarmi, le cose non stavano andando come avevo sperato. << Quando tu sei venuto all’ospedale io non sapevo ancora nulla, Cassadee e Debbie avevano voluto nascondermelo perché sapevano che sarebbe stato scioccante per me >>.
<< E quando l’hai saputo, non potevi dirmelo? >>, chiese stringendo le mani a pugno, segno che si stava arrabbiando.
<< Eri già partito e il dirtelo per telefono mi sembrava brutto e in più Matt mi avrebbe uccisa se ti avessi fatto saltare un altro concerto >>, risposi.
<< Chi se ne frega di Matt! Dovevi dirmelo! >>, esclamò.
<< Lo stavo per fare quando ci siamo rivisti, ecco perché sono venuta a Berlino >>, dissi.
Annuì varie volte. << Quindi era questo che mi dovevi dire quella sera a Berlino, prima che Zack e Jack litigassero… tu me lo stavi per dire… perché poi non lo hai fatto? >>.
<< Come avrei mai potuto darti quest’altro peso dopo quello che era successo? Saresti stato ancora più male e io non volevo che passassi quello che avevo passato anche io >>, spiegai.
<< Ma io dovevo passarlo! Perché io avevo bisogno di sapere cosa ti stava succedendo! >>, esclamò trattenendo a stento l’irritazione.
<< Non volevo darti altre preoccupazioni, va bene?! >>, ribattei di rimando improvvisamente irritata anche io. << Ero spaventata, ero confusa, non avevo idea di che cosa fare, non avevo mai pensato che sarei potuta rimanere incinta e… non ho avuto il coraggio di dirtelo… fino ad oggi, il viaggio a Roma mi serviva anche per quello, dovevo riprendermi un po’, dovevo decidere cosa fare con la mia carriera >>.
<< Avresti dovuto dirmelo prima nonostante tutto >>, dichiarò con tono più calmo. << Almeno avremmo potuto trovare subito una soluzione insieme, avremmo potuto agire subito >>, iniziò a camminare avanti e indietro.
Lo guardai confusa. << Agire? Ma di che stai parlando? >>.
<< Avremmo chiamato un medico e gli avremmo detto di trovarci una famiglia a cui dare il bambino in affidamento >>.
Mi sentì come se mi avessero pugnalato, fui attraversata da un dolore e da un senso di delusone così grandi che per un attimo temetti di cadere a terra senza forze, e invece quel dolore si trasformò in rabbia. << CHE COSA?! >>.
Alex mi guardò confuso. << Cosa, “che cosa”? >>.
<< Vuoi dare via il bambino?! >>, gli chiesi con un tono leggermente meno alto.
<< Come potremmo tenerlo? Sarebbe… un casino! E siamo troppo giovani! >>.
<< Chi se ne frega che siamo troppo giovani! >>, sbottai nonostante nella mia mente mi stessi dicendo che fino a pochi giorni prima anche io pensavo di essere troppo giovane. << Io questo bambino non lo do via! >>.
<< Come? Lo vuoi tenere? >>, mi chiese perplesso.
Scossi la testa furente. << Come potrei dare via un bambino che porterò dentro la pancia per altri otto mesi?! Va bene che non lo volevamo, ma ormai è fatta e io non voglio darlo via, voglio tenerlo, ho anche deciso di continuare a cantare nonostante il bambino e Matt mi ha anche detto che ci farà fare i tour insieme così che potremmo stargli vicino tutti e due >>.
<< Matt?! Matt sapeva che eri incinta? >>, mi chiese alzando il tono della voce per lo stupore.
<< Gliel’ho dovuto dire per convincerlo a farmi venire da te a Berlino, ma… non è di questo che stiamo parlando >>.
<< Invece si! Quante persone lo sanno? >>, chiese.
Mi morsi un labbro decisa a non rispondergli, ma sapevo benissimo che se non l’avessi fatto lo avrei solo fatto arrabbiare di più. << Lo sanno Jack, Debbie, Cassadee, i miei genitori e anche Pierre>>.
Avevo saltato un po’ di persone… ma non importava.
<< Anche Pierre?! >>, sbottò. << Diamine Stella! Lo hai detto a tutto il mondo tranne che a me! >>.
<< Come ho detto prima non volevo darti altre preoccupazioni >>, ribadì, << e avevo anche paura di come avresti reagito… e facevo bene, tu vuoi dare via il bambino… nostro figlio! >>, esclamai sentendo le lacrime salirmi agli occhi per la straziante sensazione di delusione che mi stava pervadendo.
<< Certo che lo voglio dare via, non siamo affatto pronti per affrontare una cosa così importante >>.
<< Io lo sono >>, ribattei.
<< Stella… come puoi pensare di rovinarti la vita così? >>.
<< Rovinarmi la vita?! È questo che pensi del bambino, che ci rovinerà la vita?! >>, sbottai furiosa.
<< Si! >>, esclamò. << Come potremmo continuare a goderci la "vita giovanile" se dovremmo sempre stare dietro ad un ragazzino lagnoso?! >>.
<< Potremmo ancora fare tutto quello che facciamo adesso >>, ribattei.
<< Certo, ma dovremmo sempre stare a preoccuparci per il bambino e continuare le nostre carriere sarà un casino e una fatica perché ci dovremmo portare dietro sempre lui! >>.
<< Non sarà assolutamente un casino, anche io lo pensavo all’inizio, ma poi ho capito che possiamo continuare le nostre carriere normalmente >>.
<< Ah si, giusto, perché tu hai deciso praticamente tutto anche per me senza nemmeno pensare che forse io non avrei voluto il bambino >>.
<< Mi hai messa TU in questa situazione quindi ora TI TIENI IL BAMBINO! >>, urlai.
<< IO NON LO VOGLIO! >>, urlò di rimando.
<< Allora sei proprio un coglione >>, sibilai fra i denti. << Come puoi tirarti indietro? Non ti senti nemmeno un po’ in colpa per quello che stai dicendo? >>.
<< Sinceramente no, visto che tu potresti anche farmi il favore di dare il bambino in affidamento invece che darci una grossa responsabilità >>.
<< Neanche io volevo prendermi questa responsabilità, ma ho deciso di farlo perché… >>, una lacrima mi
rigò il viso e un singhiozzo mi morì nella gola fermando le mie parole, << dopotutto non può essere così male essere madre… soprattutto di un figlio che so di aver concepito con la persona che amo >>.
La sua rabbia sparì e la sua espressione divenne completamente neutra. << Stella… io non sono pronto >>, disse calmo. << Non riesco neanche ad immaginarmi come padre, so che sarei una schifezza quindi… ti prego, dallo via >>.
Scossi la testa singhiozzando. << No >>.
Sospirò. << Non posso farlo… non me la sento >>
Scossi nuovamente la testa. << Sei uno stronzo, prima mi metti in questa situazione e poi te ne lavi le mani… sinceramente credevo fossi meglio di così >>.
Mi girai prima di scoppiare a piangere e fuggì da quella casa tuffandomi nel temporale che nel mentre era iniziato. Almeno il cielo accompagnava il mio pianto disperato.
Mi sentivo ferita, delusa. Mai e poi mai avrei immaginato che sarebbe andata a finire così male. Sapevo che Alex si sarebbe potuto arrabbiare e sapevo anche che sarebbe stato scioccato all’inizio, ma che volesse dare il bambino in adozione? Non lo avevo mai pensato, persino io che mi ero distrutta al solo pensiero di diventare madre non avevo mai pensato all’adozione ma avevo deciso di tenerlo subito nonostante non lo volessi. Come poteva non voler prendersi quella responsabilità? Come aveva potuto rifiutarsi di tenere il bambino… il nostro bambino, il frutto del nostro amore…
La pioggia ormai si era mescolata alle lacrime sul mio viso e aveva bagnato tutti i miei capelli e i miei vestiti; sembrava di essere in una doccia lì fuori, la pioggia cadeva imperterrita e i tuoni rimbombavano per la città inghiottendo i miei singhiozzi che si facevano sempre più forti per colpa dell’affanno che mi stava provocando il correre.
Corsi finché non arrivai a casa di Debbie.
 
(Alex)
 
Nel momento in cui la porta si richiuse dietro Stella, capì che cosa avevo fatto e tutto quello che avevo detto mi ricadde addosso come una valanga.
Non volevo diventare padre, non in quel momento, non così presto! Ma non volevo perdere Stella.
Ero stato un idiota, un coglione, un deficiente, uno stronzo… mi ero fatto prendere dal panico, dallo shock, non ero riuscito a pensare chiaramente e avevo detto tutto quello che non avrei mai dovuto dire ferendo la persona che amavo più di ogni altra cosa.
Ero stato un emerito stupido!
Come avevo potuto dirle che non volevo il bambino? Okay, era vero, non lo volevo, ma avrei potuto dirlo con più calma, con parole diverse… mi ero lasciato trasportare dalla rabbia, dalla paura…
Ero un codardo!
Codardo.
Codardo.
Codardo.
Lo sapevo benissimo.
Avrei dovuto accettare la situazione, avrei dovuto essere più comprensivo, avrei dovuto accettare in silenzio la sua decisione perché ero io che l’avevo messa incinta, era colpa mia se lei ora aspettava un bambino a soli diciannove anni.
Era colpa mia.
MIA.
MIA.
MIA.
E mie le responsabilità che non mi ero preso.
Nonostante sapessi di aver sbagliato non riuscivo ad accettare l’idea di… dover… crescere un figlio.
Il solo pensiero di diventare padre mi faceva tremare le gambe, mi faceva chiudere lo stomaco. Sarei voluto tornare a quel giorno, avrei voluto cambiare quello che era successo oppure mi sarebbe bastato tornare indietro di pochi minuti così che potessi cambiare quello che avevo detto.
Non volevo quella responsabilità.
Non la volevo.
Non la volevo.
Non la volevo.
Mi veniva voglia di mettermi a piangere come un bambino.
Perché era successo a me? Perché ero stato così coglione da non ricordarmi di mettermi il preservativo? Perché Stella non voleva affidare il bambino a qualcuno già maturo abbastanza da poterlo accudire per bene?
Non ero pronto, ero terrorizzato, il mondo mi stava cadendo addosso.
Prima la band che si scioglie e poi questo… che avevo fatto di male? Perché tutto ad un tratto le ingiustizie capitavano tutte a me?
Certo, avere un figlio è una cosa stupenda, ma non quando non lo vuoi! Non quando sai perfettamente di non essere pronto.
Dovevo trovare Stella, dovevo chiederle scusa per quello che le avevo detto.
Mi precipitai fuori dalla casa e dopo neanche aver fatto qualche passo mi ritrovai i capelli bagnati dalla pioggia e i vestiti zuppi come se mi fossi buttato in una piscina vestito.
<>, iniziai a chiamarla cercando di vedere qualcosa oltre la pioggia; nonostante fossero solo le cinque del pomeriggio, il cielo era buio come se improvvisamente fosse calata la notte.
Percorsi la strada davanti alla mia casa continuando a cercarla e a chiamarla, ma nessuno mi rispondeva e non riuscivo a vederla. Chissà dov’era andata. Se le fosse capitato qualcosa non me lo sarei mai perdonato.
Se era tornata lei voleva dire che anche Jack era tornato e quindi molto probabilmente lei sarebbe andata a casa sua.
Iniziai a correre ignorando completamente la pioggia che continuava a bagnarmi, il rombo dei tuoni che mi rimbombavano nelle orecchie e i fari accecanti di alcune macchine che correvano per la strada.
Non volevo perdere Stella, sarei stato perso senza di lei. Chi altro mai avrebbe potuto farmi provare le emozioni che mi faceva provare lei? Chi altro mai avrebbe potuto farmi impazzire con un solo sguardo? Chi altro mai avrebbe potuto farmi sentire meglio solo con la sua presenza?
Non volevo diventare padre, ma non volevo neanche perderla, magari parlando con più calma mi avrebbe dato ascolto, avrebbe capito che non potevo badare ad un bambino, non me la sentivo.
Arrivato davanti alla porta della casa di Jack, iniziai a bussare alla porta come un matto sperando che Jack mi aprisse e mi dicesse che Stella era lì, ma dopo alcuni minuti e qualche sbirciata alla finestra, capì che in casa non c’era nessuno.
E allora lei dov’era?
Sentendomi una totale merda, mi rincamminai verso casa mia a passo lento… che fretta avevo? Non c’era nessuno ad aspettarmi a casa, lei se n’era andata… per colpa mia.
Mi chiusi la porta di casa alle spalle, mi tolsi i vestiti fradici che sostituì subito con degli altri, mi passai un asciugamano sui capelli per togliere le gocce che erano rimaste, poi presi la mia fedele chitarra acustica e mi andai a sedere sul divano del salotto dove chiesi aiuto alla mia fedele amica: la musica, l’unica cosa che non mi avrebbe mai abbandonato e l’unica cosa che in quel momento potesse farmi sentire meglio.
Chiusi gli occhi e iniziai a suonare Remembering Sunday.
Le note della canzone mi furono subito di conforto, erano così familiari, così belle.
 
“Woke up from dreaming and put on his shoes
 Starting making his way past 2 in the morning
 He hasn’t been sober for days
Leaning out into the breeze
 Remembering Sunday, he falls to his knees
 They had breakfast together
 But two eggs don’t last
 Like the feeling of what he needs
Forgive me, I’m trying to find
My calling, I’m calling at night
I don’t mean to be a bother,
But have you seen this girl?
She’s been running through my dreams
And it’s driving me crazy, it seems
I’m going to ask her to marry me
 
The neighbors said she moved away
 Funny how it rained all day
 I didn’t think much of it then
 But it’s starting to all make sense
 Oh, I can see now that all of these clouds
 Are following me in my desperate endeavor
 To find my whoever, wherever she may be”.
 
Cantai in mente il pezzo destinato ad una voce femminile e per un attimo immaginai di sentire la voce melodiosa di Stella che cantava, ma era solo una stupida allucinazione, quando riaprì gli occhi, ero ancora da solo con la mia chitarra.
Cantai le ultime strofe.
 
I guess I’ll go home now
 I guess I’ll go home now
 I guess I’ll go home now
 I guess I’ll go home”.
 
Quando il temporale si fu calmato, uscì di nuovo. Stare a casa senza sapere cosa fare era una tortura soprattutto per la mia mente che continuava a rivedere Stella in lacrime che mi diceva che voleva tenere il bambino, che ignorava le mie suppliche e che alla fine diceva che si aspettava fossi migliore.
Lei aveva avuto tantissimo tempo per digerire la situazione, e io? Mi aveva dato giusto qualche minuto per apprendere la notizia quando forse se mi avesse dato qualche giorno forse avrei accettato l’idea anche se ne dubitavo fortemente, più passavano le ore più non riuscivo a cambiare idea nonostante mi sentissi sempre più male al pensiero di averla ferita.
Le mie gambe mi portarono dritte in un posto che avevo avuto in mente da quando ero uscito di casa, un posto che probabilmente in quel momento sarebbe stato vuoto visto l’acquazzone che aveva fatto, ma non importava, era meglio se stavo da solo, avevo bisogno di tranquillità.
Arrivai in una ventina di minuti al parco giochi e con mio stupore, vidi che c’era già qualche bambino che aveva approfittato dell’uscita improvvisa del sole dopo la tempesta, per andare subito a giocare.
Mi sedetti su una delle panchine del parco, asciugandola prima con un fazzoletto. Non sapevo perché avessi scelto quel posto, ma sapevo di non averlo scelto a caso, bastava che mi guardassi intorno per capire cosa mi aveva spinto fin lì. Tanti sorrisi, tanti piccoli bambini che si rincorrevano, che giocavano con le pozzanghere, che si dondolavano sulle altalene, che si arrampicavano sulle corde, che scivolavano sullo scivolo. Insieme a loro ovviamente c’erano i genitori, che parlavano tra di loro e ridevano controllando ogni tanto che i figli fossero al sicuro e si stessero divertendo.
A guardarli così sembrava una passeggiata essere genitori, sembrava che dovessi solo dargli amore e proteggerli, due cose comunque non molto facili.
Come si poteva educare un bambino?
Sinceramente non ci avevo mai riflettuto e pensavo che il problema mi si sarebbe posto tra… dieci anni? Venti? Decisamente non così presto. Che poi presto non era visto che avevo venticinque anni… ma per la mia carriera era presto, insomma, ero un musicista che viaggiava sempre, come facevo ad avere dei bambini? Era stato difficile mantenere una relazione figuriamoci dei figli! Mi scioccava il fatto che Stella volesse tenerlo nonostante la nostra vita movimentata, okay che aveva trovato una soluzione, ma aspettare qualche anno? Aspettare di essere pronti? Lei aveva solo diciannove anni, perché voleva questa grande responsabilità? Perché lei riusciva a prendersela e io no?
Scossi la testa per cercare di eliminare tutti quei pensieri che mi avrebbero sicuramente fatto venire il mal di testa.
<< Stai già vedendo dove portare il mio nipotino a giocare? >>.
Mi girai di scatto e vidi Jack in piedi dietro di me con il suo solito sorriso scemo stampato sulle labbra.
Tornai a guardare davanti a me. << Più che altro cerco di accettare l’idea >>, risposi.
Jack fece il giro della panchina e venne a sedersi accanto a me. << Quale idea? >>.
<< Quella di dovermi occupare di un bambino nonostante io non lo voglia >>, risposi continuando a guardare di fronte a me.
<< Oh si, Debbie me lo ha raccontato >>, disse annuendo.
<< Debbie? >>, chiesi perplesso.
<< Si, è venuta qui con Stella, che ora è con lei, e sta cercando di consolarla >>, mi rivolse uno sguardo severo e accusatorio che non gli stava per niente bene.
<< Che c’è? >>, gli chiesi infastidito da quell’occhiata accusatoria.
<< Lo sai che come fratello maggiore di Stella ti dovrei fare una bella ramanzina e ti dovrei prendere a parolacce per quello che le hai detto? >>.
Affondai con la testa nelle mani e feci un bel respiro. << Ti prego, risparmiamelo, ci sto già abbastanza male per questa storia >>.
<< Oh lo so >>, mi sorrise dolcemente. << Infatti non ti farò nessun discorsetto, starò solo seduto qui, vicino a te come un bravo migliore amico e aspetterò che tu inizierai a dirmi cosa c’è che non va >>.
<< Oh bene allora dovrò parlare per ore visto che non c’è nulla nella mia vita che vada bene! >>, esclamai.
<< Parlami solo di quello che è successo con Stella >>, disse. << L’altro problema lo conosco già benissimo da me >>, aggiunse con una smorfia.
<< Sono stato uno stupido Jack, lo riconosco, quando Stella mi ha detto che era incinta… mi sono sentito come se il mondo mi fosse caduto addosso, ho iniziato ad avere paura, nella mia mente si sono formati milioni di pensieri contrastanti e l’unico che emergeva, l’unico che ho ascoltato è stato quello che mi diceva che non ero pronto, per questo ho detto a Stella che dobbiamo darlo in adozione, perché secondo me è un grande errore tenerlo, non siamo preparati a fare i genitori e con la vita movimentata che ci ritroviamo sarà ancora più difficile >>.
<< Nessuno è mai preparato ad essere un genitore, è una cosa che viene con il tempo >>, disse Jack con un’espressione saggia sul volto che non gli si addiceva per nulla.
Ridacchiai. << E tu che ne sai, sei stato padre e neanche me lo hai detto? >>, scherzai.
Mi scoccò un’occhiataccia, ma sulle sue labbra balenò un sorriso. << Non dirlo neanche per scherzo, io non sono tagliato per fare il papà >>.
<< Perché io?! >>.
Si strinse nelle spalle. << Tu sei molto meno squilibrato di me, sei una persona affidabile, sei coraggioso… >>.
<< Jack! >>, lo interruppi. << In questo momento sono tutto tranne che coraggioso, non riesco neanche ad accettare di prendermi la responsabilità di avere un figlio! >>.
<< La accetterai >>, disse sicuro delle sue parole.
<< Che ne sai? >>.
<< Ti conosco e so che alla fine farai la cosa giusta, perché sei un ragazzo in gamba che sa quali sono le sue responsabilità e so che ami mia sorella e quindi per amor suo accetterai questo bambino >>.
Lo guardai di sottecchi. << Non è che con tutti questi complimenti stai solo cercando di farmi accettare il bambino? >>.
Sbuffò. << Ti sto solo dicendo la verità >>.
Mi bastò solo uno sguardo ai suoi occhi per capire che era sincero.
Sospirai. << Quindi per te… dovrei accettare di tenere il bambino? >>.
<< Tu lo vuoi questo bambino >>, dichiarò, << solo che sei troppo bloccato dalla paura per accorgertene >>.
<< Certo che ho paura, non sono preparato! >>, esclamai.
<< Non devi esserlo, devi solo capire che questo bambino non sarà una cosa negativa, è… una sorta di simbolo del fatto che tu e Stella vi amate, è il risultato del vostro amore e dovresti essere contento di averlo con lei e non… che so, con una sconosciuta da una botta e via >>.
Dopotutto il mio migliore amico aveva ragione, mi ero fatto suggestionare dalla paura e dall’incertezza, invece avrei solo dovuto essere felice, avrei solo dovuto accettare quella situazione… per Stella, perché io l’amavo e perché per lei avrei potuto fare tutto, anche vivere in una montagna di pannolini, per lei potevo affrontare quello che mi aspettava, per lei potevo essere forte. Magari alla fine sarei stato anche contento di diventare padre, magari avrei anche potuto voler bene a questo bambino, perché era mio, sangue del mio sangue… ora capivo perché Stella non voleva darlo in adozione.
Neanche io volevo darlo in adozione.
 
“Something’s telling me to leave
 But I won’t
 ‘Cause I’m damned if I do ya
 Damned if I don’t”.
 
La canzone aveva perfettamente ragione: Che io fossi maledetto se avessi lasciato Stella da sola ad accettare le responsabilità che erano anche mie.
<< Hai ragione Jack >>, dissi e subito un sorriso compiaciuto gli comparve sulla labbra. << La paura mi ha bloccato, mi ha incasinato le idee, non avrei mai dovuto dire a Stella di dare il bambino in adozione perché è il nostro bambino e… non vorrei mai che stesse con altre persone, anche se potrebbero prendersi cura di lui meglio di me >>.
<< Questo non lo puoi sapere, ma secondo me non devi neanche preoccuparti, mi sento che ve la caverete bene >>.
<< Io lo spero, ma… mi sento fiducioso >>, sorrisi.
Mi diede una pacca su una spalla. << Questo è il mio migliore amico, questo è il mio Alex, un ragazzo che non si tira mai indietro davanti a nulla >>.
<< E tu? >>, gli chiesi.
<< Io? >>.
<< Sei un ragazzo che non si tira mai indietro? >>.
Sbuffò. << Io sono uno sregolato >>.
<< Si, in effetti è vero >>, risi.
Mi posò un braccio dietro le spalle. << Eccoci qui, lo sregolato e il coraggioso, amici inseparabili che fanno un sacco di casini >>.
Gli rivolsi un’occhiataccia. << Tu fai un sacco di casini >>, ribattei.
<< Si >>, ammise, << è vero, ho litigato con due dei miei migliori amici per una ragazza che adesso si rifiuta di stare con me >>.
<< Davvero? >>, chiesi sorpreso.
Sospirò. << Sono andato da lei poco fa, prima di venire da te, mi hanno spinto i Simple Plan ad andare perché volevano che me la riprendessi perché hanno capito quanto la amo… >>.
<< I Simple Plan? >>, chiesi scioccato. << Sono qui? >>.
<< Oh si, Stella si è portata dietro un sacco di persone solo perché aveva paura di non farcela a dirti che era incinta >>.
Le parole di Jack mi fecero sentire male. Lei aveva paura e io l’avevo trattata proprio nel modo in cui lei temeva.
<< E quindi eri con i Simple Plan mentre Stella era da me? >>, gli chiesi ripensando al fatto che non l’avevo trovato in casa.
<< Si, siamo andati a bare una birra e poi sono andato da Debbie dove però ho trovato Stella che piangeva, lei mi ha spiegato cosa era successo e poi io ne ho approfittato per parlare con Debbie, per vedere se c’era qualche cambiamento, se aveva deciso, ma lei mi ha detto di no e che non sceglierà per un po’ di tempo >>.
<< Non è decisamente una buona cosa, se non decide tu non puoi riappacificarti con Zack >>.
<< Pensi davvero che Zack vorrà fare pace? O anche Rian? >>, mi chiese dubbioso.
<< Devono, noi siamo amici da tanti anni, abbiamo condiviso tantissimi momenti memorabili e siamo legati da un affetto profondo, non possiamo smettere così di essere amici, non è giusto >>.
<< Hai ragione, ma come facciamo a fargli cambiare idea, come facciamo a ricordargli l’importanza della nostra amicizia? >>.
Era giunto il momento di rimboccarsi le maniche e di mettersi a lavoro, era giunto il momento di prendere quello che volevamo, era giunto il momento di agire.
<< Jack… dobbiamo fare tutto un passo alla volta >>, dissi rivolgendogli un sorriso.
<< Cioè? >>, mi chiese perplesso.
<< Risolveremo tutto, te lo prometto e lo faremo insieme >>, gli strinsi una spalla affettuosamente.
<< Non so che cosa hai in mente >>, disse guardandomi curioso, << ma ci sto, ti seguirò amico >>.
Ci abbracciammo.
Anche se il mondo ti cade addosso, finché avrai un amico accanto non resterai mai sotto le macerie.
Tornammo a casa mia pieni di fiducia, sentendoci pronti a sfidare il mondo per quello che volevamo, ma ovviamente c’era sempre qualcosa che rovinava i momenti positivi e in quel momento fu Pierre che davanti alla porta di casa mia ci stava aspettando con espressione preoccupata.
<< Ehi Pierre! >>, lo salutai.
<< Ciao Alex >>, mi sorrise.
<< Che ci fai qui, amico? >>, gli chiese Jack.
<< Vi stavo aspettando, perché abbiamo un codice rosso >>, ci annunciò con faccia seria.
<< Di che genere? >>, chiesi preoccupato.
<< Stella e Debbie stanno per ripartire per Roma >>, disse.
<< Ora? >>, chiese Jack allarmato.
<< Si, hanno prenotato sul primo volo disponibile >>.
Guardai Jack. << Lo sai che dobbiamo fare, vero? >>.
Mi guardò perplesso. << No, cosa? >>.
Gli sorrisi nonostante il pensiero che la ragazza che amavo, che era incinta e che io avevo ferito, se ne stava per tornare a casa sua. << Dobbiamo pitturare dei fiori >>, risposi.
Jack mi guardò con gli occhi sgranati come se fossi pazzo.
<< Fico >>, commentò Pierre annuendo nonostante si vedesse che fosse perplesso anche lui.
 
 

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Capitolo 21
*** Painting Flowers ***


Hiii :D

ho aggiornato in tempo :D yeee!! Avrei aggiornato già qualche ora fa se non mi fosse venuta la brillante idea di rimettere a posto i miei libri... è stata un'impresa ardua! 
La fine della storia si fa sempre più vicina T.T mancano quattro capitoli D: ... vabbè non pensiamoci e per ora godetevi il nuovo capitolo :D
A sabato prossimo :* 

Miki*

p.s. Buon primo giugno! :D (Anche se non sembra proprio giugno D:)
p.s.p.s. c'è qualcuno che in questo fortunato mese andrà a vedere gli ATL (A Roma con i Green Day o il 7 a Milano)? Io andrò a vederli il 5 insieme ai Green Day, purtroppo la fretta mi ha giocato un brutto scherzo e invece di aspettare che miracolosamente gli ATL facessero un concerto da soli in Italia ho voluto comprare i biglietti del concerto dei Green Day e qualche giorno dopo... puf! è uscita la notizia che gli ATL avrebbero fatto un concerto da soli -.- e per giunta ora si viene pure a sapere che incontreranno i fan -.- ... sono tipo super depressa per questa cosa ma cerco di non pensarci u.u almeno lì vedrò <3 
Be'... dopo avervi annoiato con la mia storia triste (xD) vi faccio andare a leggere il capitolo u.u 



When I wake up, the dream isn’t done.
I wanna see your face, and know I made it home.
If nothing is true, what more can I do?
I am still painting flowers for you”.
 
(Alex)
 
Non avevamo tempo da perdere, dovevamo subito arrivare all’aeroporto prima che Stella e Debbie partissero, me lo continuavo a ripetere mentre correvo dentro casa per andare a recuperare la chitarra che avevo lasciato nel salotto e un’altra che si trovava nella stanza alla fine del corridoio; quelle ci sarebbero servite di sicuro.
<< Avanti Alex, muoviti! >>, mi urlò Jack che già si era accomodato al posto del guidatore sulla mia macchina.
Corsi verso di lui con le chitarre strette tra le mani.
<< E quelle a che ci servono? >>, chiese il mio migliore amico che ancora non aveva afferrato la mia idea.
<< Te lo spiego mentre andiamo >>, tagliai corto mentre infilavo le chitarre nella macchina e prendevo posto accanto a Jack.
Pierre ci salutò con la mano e ci augurò buona fortuna.
<< Forza, parti >>, gli dissi passandogli le chiavi della macchina.
Jack girò la chiave nel quadrante e non appena il motore della macchina si accese, schiacciò sull’
acceleratore facendo partire la macchina come un razzo e facendomi prendere un colpo.
<< Prima dici che dobbiamo dipingere e poi te ne esci con delle chitarre… spiegami! >>, disse continuando ad accelerare l’andatura della macchina.
<< Come fai ad essere così ottuso da non capirlo? >>, gli chiesi.
<< Tu parli in modo criptato, come faccio a capirti? >>.
<< Non è molto difficile, devi solo… ATTENTO ALLA VECCHIETTA! >>, strillai preso dal panico alla vista della vecchia signora che stava per attraversare la strada.
<< Oh merda! >>. Jack sterzò bruscamente per evitare la vecchietta che ci guardò passare spaventata, ma non ebbe neanche il tempo di strillarci o insultarci, perché passammo troppo veloci, andavamo ad una velocità per la quale ci avrebbero di sicuro arrestato.
<< Ho capito che dobbiamo fare presto, ma, Jack, rallenta se no ci farai ammazza… ahia! >>. Jack aveva girato bruscamente ad una curva facendomi finire con la faccia contro il finestrino.
<< Scusa >>, disse rivolgendomi un sorriso di scuse.
Finalmente frenò e rallentò l’andatura della vettura.
<< Vorrei tanto sapere chi ti ha dato la patente >>, borbottai massaggiandomi la guancia che mi ero schiacciato.
<< Guarda che io so guidare bene >>.
<< Ora capisco perché Zack diceva sempre di non farti guidare perché se no saremmo morti… e io che pensavo esagerasse >>.
<< Lo stai dicendo solo perché per la fretta ho accelerato troppo >>, disse Jack guardandomi storto.
<< JACK IL SEMAFORO È ROSSO! >>, urlai.
La macchina frenò bruscamente... sulle strisce pedonali.
Lo guardai storto e lui si strinse nelle spalle.
<< Ti prego, facci arrivare all’aeroporto sani e salvi >>, dissi.
<< Tranquillo, ci arriveremo in tempo e in buonissime condizioni fisiche >>, garantì ma una volta che ripartì non gli credetti affatto.
 
(Stella)
 
Ero sfinita, sia dentro che fuori, il pianto a dirotto e la corsa mi avevano stancata e il mio umore a terra non mi aiutava a riprendere le forze.
Era ridicolo il fatto che fossi di nuovo in quell’aeroporto ad aspettare l’arrivo di un aereo che mi avrebbe riportato a Roma, era ridicolo il fatto che avessi salutato i miei genitori, la mia casa per poi tornarci qualche ora dopo… ma che altro avrei dovuto fare? Ero ferita, triste e arrabbiata, non volevo rimanere un minuto di più a Baltimora ora che niente più mi legava a quel posto.
Il ricordo delle parole di Alex mi riecheggiava ancora nella mente, non riuscivo a pensare a nient’altro che non fosse la gravidanza o l’idea di Alex di far adottare il bambino. Sarebbe potuta essere una soluzione? Davvero non eravamo pronti? No, no, lui non lo era, io lo ero e infatti ero pronta a prendermi la mia responsabilità, avrei tenuto questo bambino e lo avrei cresciuto, anche senza Alex, mi sarei arrangiata da sola anche se alla fine da sola non sarei stata, la mamma sarebbe stata accanto a me e anche Debbie, anche papà, Jack e magari anche la band… allora perché sentivo che nessuna di quelle persone sarebbe bastata? Sapevo che mi avrebbero aiutata, ne ero sicura, perché erano la mia famiglia, ma io non volevo il loro aiuto, volevo quello di Alex.
Anche io ero sconvolta quando avevo saputo della gravidanza e potevo capire la paura di Alex perché anche io avevo provato quella paura, ma mi sentivo troppo ferita, mi sentivo abbandonata e per niente al mondo volevo tornare sulla mia decisione. Sarei andata a Roma e me la sarei cavata da sola.
Pierre aveva cercato di farmi ragionare in tutti i modi, ma alla fine ci aveva rinunciato e io e Debbie avevamo chiamato un taxi per farci portare all’aeroporto.
Ero seduta su una delle centinaia di sedie che c’erano vicino al gate dove tra qualche minuto ci avrebbero controllato i biglietti e ci avrebbero fatto salire sull’aereo. Avevo la testa appoggiata sulla mano e fissavo la luce splendente del sole che era improvvisamente uscito dopo quell’acquazzone che mi aveva fatto prendere un bel raffreddore. Ero stata una pazza a pensare di correre a perdifiato in mezzo alla pioggia, a detta di Debbie avrei anche potuto far male alla gravidanza, ma quando ero uscita dalla casa di Alex ero stata troppo sconvolta per preoccupami della mia salute o quella del bambino cosa che invece dovevo iniziare a fare se volevo portare a termine la gravidanza.
Debbie mi posò una mano su una gamba per attirare la mia attenzione e quando mi girai a guardarla, lei mi sorrise e mi chiese: << Come ti senti? >>.
<< Mi pizzica la gola e ho il naso chiuso >>, risposi facendo una smorfia.
<< Non mi riferivo a come stai fisicamente >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Meglio… forse… mi sento ancora a terra ma… passerà >>, dissi nonostante non credessi affatto che sarebbe passata a meno che non avessi smesso di amare Alex cosa poco probabile almeno per il momento.
Anche Debbie non mi credette, ma annuì lo stesso, sapeva che non era il momento migliore per fare domande. Neanche per lei doveva essere un bel momento, quando ero rimasta da sola a parlare con Pierre dopo quello che era successo, avevo sentito lei e Jack parlare, ma non mi era sembrato che si stessero scambiando promesse d’amore e l’umore triste di Debbie aveva confermato la mia supposizione.
<< E tu, come stai? >>, le chiesi.
Si strinse nelle spalle e finse nonchalance. << Bene >>.
<< Davvero? >>, la guardai per nulla convinta dalla sua risposta.
Annuì con lo sguardo basso.
<< Perché so che prima hai parlato con Jack e non mi è sembrato che andasse tutto bene >>, continuai.
<< Non voglio annoiarti con i miei problemi >>, disse.
Le diedi una leggera spinta scherzosa. << Ti prego, sono io quella che ti annoia sempre con i suoi problemi e tu mi ascolti e mi aiuti sempre, quindi adesso tocca a me >>, le sorrisi.
Sospirò. << D’accordo >>, si appoggiò allo schienale della sedia. << Jack mi ha chiesto se avevo scelto e mi ha pregato ancora di stare con lui, perché mi ama veramente e perché se no il litigio con Zack non sarebbe valso a nulla, lui avrebbe rinunciato ad un amico per rimanere comunque da solo e… con il cuore spezzato >>.
In effetti è vero.
Pensai, ma preferì non dire nulla e lasciarla continuare.
<< Io gli ho risposto che non avevo deciso e che mi ci voleva dell’altro tempo, ma gli ho mentito >>, continuò.
La guardai sorpresa. << Come? >>.
Incrociò il mio sguardo. << Io ho deciso >>.
La mia espressione di sorpresa si accentuò.
Le luccicavano gli occhi. << Zack è stato molto importante nella mia vita, sono una fan degli All Time Low da quando si sono formati e sono sempre stata innamorata di lui >>, disse. << Quando è venuto a Roma e l’ho finalmente incontrato per me è stato come realizzare un sogno, avevo desiderato quel momento con tutte le mie forze e… quando poi ci siamo messi insieme… io ero al settimo cielo, pensavo di essere apposto, di essere soddisfatta, di non volere nient’altro nella vita e invece… è arrivato Jack che… >>, rise nonostante le lacrime che avevano iniziato a scenderle sul viso, << mi ha completamente rapita, è un ragazzo fantastico nonostante a volte si comporti da idiota e abbia il pallino fisso del sesso… ma… è anche per questo che lo amo, per la sua spontaneità, per la sua pazzia e per la sua dolcezza che tenta molte volte di nascondere >>.
Sorrisi con le lacrime agli occhi per la gioia; era bello sentir parlare in quel modo una persona del proprio fratello, soprattutto se era la mia migliore amica. E io che non ero stata contenta che si fossero avvicinati! Avrei dovuto soltanto ringraziare il cielo per aver dato a Jack una persona che lo amasse così tanto e così onestamente.
<< Zack rimarrà sempre una parte di me e gli vorrò sempre bene ma amo Jack con tutto il cuore >>, disse.
Le sorrisi felicissima di quello che aveva appena detto, ma improvvisamente pensai a quello che aveva detto prima, a come aveva risposto a Jack e la guardai perplessa.  << E allora perché non glielo hai detto? >>, le chiesi.
Si asciugò le guance bagnate e con voce rotta rispose: << Se dico a Zack che ho scelto Jack lui non tornerà più negli All Time Low e sarà… un disastro! Quei ragazzi devono stare insieme, sono migliori amici e si vogliono bene, non posso lasciare che rimangano divisi, il loro destino purtroppo dipende dalla mia scelta ed io preferisco che loro stiano uniti, preferisco che gli All Time Low tornino a suonare per migliaia di ragazzi e non che finiscano la carriera perché ho fatto litigare due membri del gruppo >>.
<< Debbie, la tua è una scelta è molto altruista, ma ne sei proprio sicura? Anche se scegli Jack loro troveranno comunque il modo di riunirsi, Zack non può avercela con Jack in eterno, è un ragazzo adulto, capirà e accetterà la tua decisione >>.
<< Zack si sente veramente ferito per quello che gli abbiamo fatto, non so se perdonerà Jack e poi non pensi che gli darebbe fastidio continuare a suonare e fare tour con Jack che gli ha “fregato la ragazza”? >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Magari all’inizio… ma poi lo perdonerà con il tempo >>.
Scosse la testa. << Non sarà così >>.
<< Non lo puoi sapere e non puoi solo per questo lasciare andare Jack soprattutto se lo ami, dovresti seguire i tuoi desideri, quello che vuoi >>.
Mi sorrise. << È quello che voglio >>, annuì.
<< Ne sei sicura? >>, le chiesi preoccupata.
<< Si, staremo tutti meglio in questo modo >>.
Nessuno sarebbe stato meglio, ne lei, ne Jack, ne Zack! Come poteva pensare che fosse una buna idea? Avesse scelto o non l’avesse fatto qualcuno ne avrebbe comunque sofferto nella prima ipotesi però avrebbero sofferto meno persone.
Però… forse, la cosa migliore per tutti era che io e Debbie ce ne tornassimo a Roma, lontane dagli All Time Low che dopotutto sarebbero stati tutti single –tranne Rian- e senza problemi, con la mente sempre concentrata sul loro lavoro. Si, quella era la cosa migliore.
Alcuni dipendenti ci avvisarono che potevamo iniziare ad entrare nell’aereo.
<< Si torna a casa >>, dissi mentre osservavo la gente che iniziava a mettersi in fila.
<< Ad una nuova vita >>.
<< Nella quale ce la caveremo perfettamente e staremo per sempre insieme >>, le sorrisi porgendole una mano.
Ricambiò il sorriso. << Per sempre >>, giurò intrecciando le sue dita con le mie.
Ci alzammo dai nostri posti e ci mettemmo in fila verso quello che speravo fosse davvero l’ultimo viaggio almeno fino ad un paio di mesi perché non ce la facevo più a viaggiare in aereo soprattutto quando c’erano dieci ore di volo.
La fila scorreva velocemente quindi non dovemmo aspettare molto, infatti nel giro di una decina di minuti, ci trovammo davanti agli uomini che avrebbero dovuto controllare i nostri documenti e strappare i nostri biglietti. Salutai educatamente l’uomo che era davanti a me e gli porsi i documenti, ma lui non li prese e non ricambiò neanche il mio sguardo, stava osservando qualcosa che si trovava dietro di me. Prima che mi girassi, iniziò una familiare canzone che però non veniva dagli altoparlanti dell’aeroporto e non era affatto registrata.
Girarmi e trovarmi Alex a pochi metri di distanza con una chitarra in mano affiancato da Jack che sorreggeva anche lui una chitarra fu scioccante, non mi sarei mai immaginata di trovarmi davanti una scena del genere soprattutto in un aeroporto con almeno una ventina di persone che li stavano guardando  sorpresi e soprattutto non me la sarei mai aspettata dopo quello che era successo.
Stavano suonando Painting Flowers, nonostante fosse la versione acustica la riconobbi subito. Sentì il cuore battermi forte quando Alex iniziò a cantare con gli occhi fissi nei miei come quelli di Jack erano fissi in quelli di Debbie che era rimasta immobile e sorpresa quanto me.
 
Strange maze, what is this place?
I hear voices over my shoulder,
Nothing’s making sense at all.
Wonder, why do we race?
When everyday we’re runnin’ in circles,
Such a funny way to fall.
Tried to open up my eyes,
I’m hopin’ for a chance to make it alright”.

 
Avete presente nei film quando al ballo della scuola la folla si apre per far passare il protagonist maschile e farlo arrivare dalla ragazza? Be’ successe proprio quello, la persone in fila dopo di me si aprirono andando a formare una sorta di corridoio cosa che divertì alquanto Alex che lo percorse a passo lento mentre iniziava a cantare il ritornello.
 
When I wake up,
the dream isn’t done.
I wanna see your face,
and know I made it home.
If nothing is true,
What more can I do?
I am still painting flowers for you
”.
 
Pensando al significato della canzone mi sentì come se il cuore mi stesse esplodendo, ma subito provai a scacciare quella sensazione. Dovevo ricordarmi cosa era successo solo qualche ora prima. Mi ci voleva davvero così poco per cadere di nuovo tra le braccia di Alex? No, certo che no, non mi sarei lasciata abbindolare… ma lo avrei tanto voluto.
 
“Holdin’ my clutch,
Even my heart,
Wish we could start all over.
Nothing’s makin’ sense at all.
Tried to open up my eyes,
I’m hopin’ for a chance to make it alright”.

 
Il modo in cui cantò il secondo pezzo mi fece capire che rispecchiava esattamente ciò che pensava e anche il modo in cui il suo sguardo si intensificò.
Era bello sentirsi cantare una canzone, soprattutto una così bella sia per la musica che per il testo, ma come avrei dovuto interpretare quel gesto? Voleva solo far pace e continuare a rimanere sulla sua idea oppure voleva tenere il bambino?
 
“I heard everything you said,
I don’t wanna lose my head”.


Forse significava solo che mi amava e questo mi sarebbe anche bastato, ma mi ricordavo bene in che situazione eravamo e non potevo perdonarlo se continuava a voler dare il bambino in adozione, non potevo perdonarlo se non voleva prendersi la responsabilità di quello che aveva fatto. Lo amavo anche io, ma c’erano cose più importanti in gioco, cose che non avrei abbandonato.
 
“When I wake up,
the dream isn’t done.
I wanna see your face,
and know I made it home.
If nothing is true,
What more can I do?
I am still painting flowers for you,
I am still painting flowers for you”.

 
La canzone finì e le persone si misero ad applaudire estasiate. Lanciando una veloce occhiata a Debbie vidi che stava sorridendo a Jack con gli occhi che le luccicavano e mi sentì felicissima per lei e anche per Jack, finalmente avrebbe potuto essere anche lui felice, avrebbe potuto anche lui avere una ragazza come tutti
gli altri, qualcuno che lo amasse e che si prendesse cura di lui.
Tornai a guardare Alex che dopo aver ringraziato la folla, tornò a guardarmi. << Stell >>, disse togliendosi la chitarra dal collo.
<< Signori, state bloccando la fila >>, ci avvertì l’uomo dell’aeroporto non molto gentilmente.
<< Oh, scusi >>, disse Alex prendendomi per le braccia e spostandomi insieme a lui fuori dalla fila.
Aveva paura che me ne scappassi?
<< Che cosa diavolo ci fai qui? >>, gli chiesi in tono duro cercando di rimanere distaccata.
<< Sono venuto a fermarti, non te ne puoi andare, non se non abbiamo chiarito >>, disse.
<< Non c’è nulla da chiarire, hai fatto una scelta e io ne sto prendendo atto >>, ribattei.
<< Io non ho scelto, ho solo cercato di dirti quello che pensavo, ma l’ho fatto nel modo sbagliato e me ne dispiace tanto perché io non volevo ferirti, mi sono fatto prendere dalla paura e non sono riuscito a pensare lucidamente… mi dispiace tanto >>.
Non riuscì a replicare nulla, ero combattuta tra due sentimenti diversi, non sapevo cosa fare, da una parte avrei solo voluto abbracciarlo e perdonarlo, ma dall’altra sapevo che se non avesse cambiato idea sarei dovuta rimanere al mio posto e prendere quell’aereo.
Improvvisamente mi prese una mano tra le sue facendomi sussultare leggermente per la sorpresa. << Stell… io ti amo, ti amo tantissimo, più di qualsiasi cosa al mondo e ho sbagliato, l’ho capito non appena te ne sei andata e ti giuro che avrei fatto qualsiasi cosa per rimangiarmi le parole che avevo detto, ma non si può tornare indietro così adesso sono qui a chiederti di perdonarmi perché se lo farai… >>, mi sorrise dolcemente, << sarò felicissimo di crescere insieme a te il nostro bambino >>.
Improvvisamente mi sembrò che il mio cuore fosse stato lanciato in aria come il tappo di sughero di una bottiglia di spumante. << Dici sul serio? >>, gli chiesi con la voce che mi tremava dall’emozione.
Sorrise. << Mai stato più serio >>.
Presa dalla felicità, gli buttai le braccia al collo e lo strinsi forte scoppiando in un pianto che non riuscì proprio a trattenere. Non erano lacrime di tristezza, ma di gioia, finalmente qualcosa si era sistemato.
<< Mi dispiace di non essermi preso prima le mie responsabilità, ma avevo paura e avevo bisogno di ragionare un po’ >>, disse accarezzandomi dolcemente i capelli.
<< Tranquillo, è tutto perdonato, l’importante ora è che… saremo una famiglia >>.
Sciogliemmo l’abbraccio ma continuammo a tenerci: lui per i fianchi ed io per le braccia. << Non riesco ad immaginarmi come padre, ma so che sarà fantastico e so che ce la caveremo… affronterò qualsiasi cosa per te, per starti accanto >>.
Appoggiai la testa al suo petto e scoppiai nuovamente a piangere.
<< Perché piangi? >>, mi chiese preoccupato.
<< Primo: perché con la gravidanza sono molto più emotiva e, secondo, perché ti amo… tantissimo e sono felicissima di averti al mio fianco e di star per avere un figlio da te >>.
Mi fece alzare la testa quel tanto che bastava per far incontrare le nostre labbra in un bacio salato ma pieno d’amore.
 
(Jack)
 
L’idea di suonare quella canzone per Debbie e Stella era stata un’idea geniale e sembrava avesse anche funzionato, mentre suonavo e canticchiavo stonatamente insieme ad Alex, Debbie non aveva staccato per un attimo gli occhi dai miei e mi aveva sorriso più di una volta.
Quando finimmo di suonare le sue guance erano rigate dalle lacrime che speravo le fossero scese per l’emozione o per la felicità e non per tristezza.
<< Siete dei pazzi! Che cosa ci fate qui? >>, mi chiese sorridendo lievemente.
<< Siamo venuti per fermarvi, perché non vogliamo che andiate via e io… ti amo troppo per lasciarti andare >>, dissi.
Abbassò lo sguardo.
<< Lo so che ti sto assillando, ma io… ho bisogno di sapere chi ami veramente, chi tra me e Zack sceglierai perché così almeno se non sono io quello che ami di più allora me ne farò una ragione e Zack tornerà con il gruppo così che saremo felici e contenti >>, dissi. << Ho fatto un vero casino perché volevo stare con te e vorrei che almeno ne fosse valsa la pena >>.
Sospirò. << Jack, io sono sempre stata sincera con te e quindi voglio esserlo anche adesso, voglio che tu sappia la verità >>.
Mi incuriosì con quelle parole, così, posando la chitarra a terra, mi preparai per sapere quella verità che mi spaventava un pochino. << Dimmi pure >>, la incitai.
<< Io ho scelto, Jack >>, mi annunciò.
Mi si serrò la gola e il cuore iniziò a battermi all’impazzata.
Aveva scelto.
Aveva scelto.
Me o Zack?
Me o Zack?
Se non ha scelto te non fa nulla, accetterai la sua decisione con coraggio.
Mi dissi mentre l’ansia continuava a salire facendomi sudare sette camice. Non fece una pausa così lunga ma a me sembrò che i secondi trascorressero in modo lentissimo, mi sembrò che tutto andasse a rallentatore solo per farmi morire di preoccupazione.
Quasi inconsciamente mi ritrovai ad incrociare l’indice e il medio così forte che dopo un po’ mi fecero male le dita ma non me ne importai, volevo che quelle due dita incociate mi portassero fortuna, volevo aggrapparmi a qualcosa che mi continuasse a dare speranza.
<< Ho scelto te >>.
Ho scelto te. Ho scelto te. Ho scelto te. Ho scelto te. HA SCELTO ME!
Avrei voluto mettermi a saltare come un matto, avrei voluto abbracciarla, abbracciare tutti quelli che mi stavano intorno, avrei voluto urlare, avrei voluto scoppiare a piangere dalla gioia, avrei voluto anche spaccare la chitarra, ma poi Alex avrebbe spaccato me quindi era meglio esprimere la mia gioia in un modo più tranquillo.
Alzai le braccia in segno di incitamento e urlai moderatamente: << Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! >>.
Debbie scoppiò a ridere perché probabilmente sembravo buffo, ma non me ne importava, non mi importava più di nulla ormai, solo di lei.
<< È fantastico Debbie, mi hai reso l’uomo più felice del mondo! >>, esclamai.
<< Jack… >>.
<< Ma perché non me lo hai detto prima? Mi sarei risparmiato un viaggio disastroso in macchina nel quale stavo per morire insieme ad Alex! >>.
<< Ho scelto te, si, perché ti amo ma… non voglio che  gli All Time Low si sciolgano per sempre per colpa mia, non  voglio essere la responsabile della fine della vostra amicizia, non voglio avere questo peso addosso perché ci starei troppo male >>.
<< Gli All Time Low si rimetteranno insieme, non ti devi preoccupare >>, cercai di convincerla.
<< Se Zack saprà che io ho scelto te non vorrà assolutamente riformare il gruppo >>, ribattè.
<< Lo dovrà fare, se ne dovrà fare una ragione, se ti ama veramente  capirà che dovrà lasciarti libera di scegliere con chi stare >>.
Scosse la testa. << Io non voglio questo peso Jack, non voglio che tu soffra, non voglio che tutti voi siate tristi perché gli All Time Low non ci sono più, non voglio vivere con questo peso nonostante io ti ami con tutto il cuore >>.
<< Se mi ami allora non rinunciare a me >>.
<< Preferisco rinunciarci che vedere te e Zack separati per sempre >>.
Feci un bel respiro per calmarmi, poi guardandola dritto negli occhi dissi: << Debbie, tu sei la parte migliore della mia vita ed io non voglio per nulla al mondo rinunciare a te ora che so finalmente che anche tu mi ami >>, feci una pausa per dare un tono deciso alla mia voce. << Ti prometto che gli All Time Low torneranno insieme, parlerò io con Zack, farò in modo che capisca, lui non è cattivo, non ce l’avrà con te, ti perdonerà >>.
<< E se non perdona te? >>, mi chiese preoccupata.
<< Lo farà anche se forse non subito, ma con il tempo la ferita si richiuderà e tutto tornerà come prima >>.
Sospirò. << Non lo so >>.
<< Mi ami? >>.
Alzò lo sguardo verso di me sorpresa. << Si, te l’ho appena detto >>.
<< Faresti qualsiasi cosa per me? >>.
<< Certo >>, rispose convinta.
<< Allora ti prego, non mi lasciare un’altra volta, stai con me… e io ti prometto che andrà tutto bene >>.
Dopo qualche secondo di silenzio, annuì e sorridendomi disse: << Okay, va bene >>.
L’abbracciai riprovando quella meravigliosa sensazione di benessere e di felicità che per anni mi era stata privata e che per anni avevo cercato  con altre ragazze che però non mi avevano mai fatto provare nulla di simile a quello che mi faceva provare Debbie. L’amavo così tanto che avrei potuto fare qualsiasi cosa per lei senza mai pentirmene.
<< Ti prego, baciami >>, mi sussurrò all’orecchio.
Non me lo feci ripetere due volte. Posai le mani sui suoi fianchi e senza aspettare un minuto di più, la baciai trasmettendole tutte le emozioni che provavo in quel semplice contatto così intimo e così speciale.
 
Quando ormai la pace era fatta, tornammo tutti e quattro alla macchina dove Alex occupò subito il posto del guidatore ancora traumatizzato dal viaggio di andata che dopotutto non era stato così male, avevo fatto solo qualche curva troppo veloce e avevo investito un secchio della spazzatura, nulla di troppo importante!
<< Ora che abbiamo chiarito con voi, dobbiamo chiarire con Zack e Rian >>, disse Alex.
<< Io sono prontissimo >>, dissi stringendo la mano di Debbie.
Mi sentivo veramente pronto, ora che avevo Debbie con me potevo affrontare Zack, potevo convincerlo a tornare con noi. Ero al massimo della felicità e mi sentivo molto positivo, sentivo che da quel giorno in poi tutto sarebbe andato per il verso giusto e io sarei tornato a sorridere.
<< Veniamo anche noi? >>, chiese Stella.
<< No, mi dispiace, è una cosa che dobbiamo risolvere io e Alex >>, dissi facendo un sorriso di scuse sia a lei che a Debbie.
<< Si, tranquille, ce la caveremo a meraviglia >>, le rassicurò Alex che come me era felicissimo.
<< Non dovrei parlare anche io con Zack? >>, chiese Debbie. << Insomma… ha diritto ad una spiegazione e anche alle mie scuse, non voglio che smettiamo di salutarci, voglio che comunque rimaniamo amici anche se sarà difficile >>.
<< Ha ragione >>, concordò Stella. << E anche io devo far pace con qualcuno… >>.
<< Va bene, allora vedremo cosa fare >>, disse Alex.

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Capitolo 22
*** Sick little games ***


We’re all part of the same, sick little games,
And I need a get-away (get away)
I’m wasting my days, I throw them away,
Losing it all on these sick little games”.


(Alex)

Scoprire che la casa dove erano ufficialmente nati gli All Time Low era di nuovo in vendita, fu uno shock e anche una fortuna enorme! Finalmente la vita aveva deciso di darci una mano per recuperare agli errori che avevamo fatto.
La comprai il giorno dopo il ritorno di Debbie e Stella. La mia vecchia casa ormai era troppo piccola, con l’arrivo del bambino ci sarebbe servita una casa più grande e soprattutto un’altra stanza dove sistemare la sua cameretta cosa che nella mia vecchia casa non si sarebbe mai potuta fare visto che le camere erano poche. Non mi pentì affatto di quel trasferimento, adoravo quella casa, era piena di ricordi, ci avevo passato moltissimo tempo insieme ai miei migliori amici e la verità era che quella casa era sempre stata nostra e di nessun’altro.
Fu un ottimo luogo dove organizzare il nostro rincontro con Zack e Rian, magari con il luogo familiare, i ricordi impressi nelle pareti e qualche supplica, si sarebbero convinti a riformare il gruppo.
<< Spero che aver portato tutti gli strumenti qui sotto serva a qualcosa >>, disse Jack che si stava ancora riprendendo dallo sforzo che avevamo fatto per portare la batteria nel seminterrato.
Ero così positivo sull’esito di quell’incontro che avevo deciso di portare gli strumenti necessari nella casa così che dopo aver fatto pace avremmo potuto suonare di nuovo insieme una canzone che si adattava bene alla situazione che avevamo passato.

<>, gli feci l’occhiolino mentre montavo i piatti della batteria che avevamo dovuto togliere. Dove avevamo preso la batteria? Da casa di Rian! Come il basso da casa di Zack; anche i genitori volevano che il gruppo si riformasse e ci avevano offerto il loro aiuto prestandoci gentilmente gli strumenti per quel giorno.
<< Se va tutto male la batteria la riporti su da solo  >>, mi avvisò Jack.
<< Quanto sei pessimista >>, lo rimproverai.
Si lasciò cadere stancamente sullo sgabello dietro la batteria. << Non sono pessimista, sono solo nervoso, voglio che questo incontro vada bene >>.
<< Ma certo che andrà bene, siamo amici, migliori amici, niente può dividerci >>, dissi sicuro di quello che stavo dicendo.
<< Tranne l’amore >>, rispose con un sorriso divertito.
Risi pensando a quanto fosse vero, i litigi più lunghi che avevamo mai avuto dentro la band riguardavano tutti l’amore: tradimenti, nuove cotte, relazioni con le sorelle, fidanzati troppo sdolcinati o troppo appiccicati… di tutto e di più, ma alla fine avevamo sempre risolto tutto quindi quella volta non sarebbe stato diverso.
<< Neanche quello potrà tenerci lontani per sempre >>, dissi. << Siamo come i pezzi di un puzzle, qualcuno prima o poi ci rimetterà insieme, perché insieme formiamo qualcosa, da soli non siamo nulla >>.
<< Sarebbe una buona idea per una canzone >>, propose.
In effetti aveva ragione. Non avevo più pensato ad un tema per la nuova canzone, avevo semplicemente posticipato il compito al momento in cui avrei trovato l’ispirazione ma poi con tutto quello che era successo non mi era più venuto in mente di pensare alla nuova canzone e invece avrei dovuto farlo perché tutta quell’esperienza pullulava di idee per una canzone e grazie a Jack avevo trovato il tema… e forse anche il titolo.
Finì di montare la batteria mentre Jack posizionava le due chitarre, il basso e il microfono. << Bene, è tutto pronto, ora dobbiamo solo aspettare >>.
<< E se non venissero? >>, chiese Jack guardandomi preoccupato.
Stavo per rispondergli, ma il rumore di passi per le scale mi interruppe.
<< Non ci sperare tanto Jack >>, disse Rian quando arrivò alla fine delle scale.
Per un attimo il fatto che avesse chiamato Jack per nome e non per cognome mi fece pensare che non ce l’avesse più con lui o con me, ma l’espressione fredda con cui ci guardò mi confermò il contrario. Zack affiancò Rian e anche lui ci rivolse uno sguardo tutt’altro che amichevole.
Iniziamo bene.
Pensai.
<< Siamo venuti perché eravamo curiosi di sapere cosa ci avreste detto >>, disse Rian dopo aver guardato brevemente la stanza che probabilmente gli stava riportando alla memoria i momenti che avevo ricordato anche io come anche Jack e di sicuro anche Zack che con i suoi occhi chiari scrutava attentamente la stanza con espressione malinconica.
<< Sapete perfettamente perché siete qui, vogliamo sistemare le cose >>, dissi guardando prima Rian e poi Zack che ricambiò silenziosamente il mio sguardo.
Con dispiacere notai che il suo sguardo non si era mai posato su Jack da quando era entrato e Jack dal canto suo si stava guardando i piedi a disagio.
<< La situazione è troppo grave per essere risolta >>, obiettò Zack.
<< Eppure siete qui >>, ribattei io lanciando a tutti e due delle occhiate penetranti che gli fecero distogliere lo sguardo. << Se non aveste voluto far pace non vi sareste scomodati a venire >>.
Rian sbuffò. << Okay, lo ammetto, da parte mia c’è almeno un piccolo desiderio di tornare di nuovo tutti amici >>.
Sorrisi compiaciuto; non sarebbe stato per niente difficile.
<< Io sono venuto qui sperando in delle scuse >>, disse in tono duro Zack lanciando un’occhiata torva a Jack che per la prima volta alzò lo sguardo verso di lui.
<< Lo sai che mi dispiace per quello che è successo >>, gli disse Jack.
<< No, probabilmente ti dispiace solo avermi tradito per poi non ottenere nulla visto che Debbie si sta rifiutando di scegliere tra me e te >>, ribattè Zack.
Lanciai una veloce occhiata a Jack e aspettai che i nostri occhi si incrociassero per scuotere lentamente la testa quasi in modo impercettibile, per dirgli di rimanere con il becco chiuso perché se mai avesse detto in quel momento a Zack che Debbie aveva scelto lui, il bassista sarebbe stato irrecuperabile.
<< Non è vero Zack e lo sai, noi siamo amici ed io ti voglio molto bene >>, disse Jack.
<< Mi volevi bene quando mi hai fregato la ragazza? >>, chiese Zack con irritazione.
<< Non volevo ferirti Zack, davvero, ma io sono da sempre innamorato di Debbie anche da prima che tu entrassi nella sua vita, ma non ho mai saputo se lei ricambiava il mio amore oppure no >>.
<< E quando lo hai saputo ovviamente non hai perso un minuto e l’hai subito portata via da me >>.
<< Io ci stavo male per te, che tu ci creda o no, mi faceva male l’idea di star tradendo la tua amicizia, ma non potevo fare diversamente, sono innamorato perso di Debbie e non volevo lasciarla andare ora che l’avevo trovata >>.
Io e Rian ascoltavamo la conversazione in silenzio; alla fine noi non c’entravamo nulla, Rian si era messo in mezzo perché aveva iniziato ad insultare tutti -tra cui anche Stella- e io ero stato messo in mezzo solo perché ero il migliore amico di Jack e a quanto pare esserlo bastava a farmi odiare.
<< Anche io sono innamorato di Debbie, la amo tantissimo, ma se fossi stato al posto tuo non avrei mai osato tradire un mio amico >>.
<< Ho sbagliato Zack, mi dispiace, mi scuso con te e mi scuserei cinquantamila volte perché so di aver sbagliato, so che avrei dovuto dirtelo prima e so che magari avrei dovuto solo farmi da parte e lasciare che tu continuassi la tua relazione con Debbie >>, fece una pausa, << non l’ho fatto perché io la amo troppo, l’ho sempre amata e non volevo lasciarla andare un’altra volta, l’avevo già fatto troppe volte >>.
<< Zack >>, intervenni, << da quando conosco Jack, non l’ho mai visto innamorato così tanto di una ragazza, ti posso garantire che quello che ha fatto l’ha fatto per motivi molto validi e anche io nella sua stessa posizione avrei fatto lo stesso non perché volessi farti del male, ma perché quando ami veramente una persona non puoi… smettere improvvisamente di non farlo e anche tu lo dovresti sapere >>.
Zack sospirò. << Lo so bene e… okay, ammetto che forse non avrei rinunciato neanche io a lei nella tua situazione, ma… io non riesco a perdonarti Jack, sono troppo ferito da quello che hai fatto, mi hai tradito, tu che eri uno dei miei migliori amici >>.
Jack abbassò lo sguardo triste. << Vorrei tanto lo potessi fare Zack, perché noi siamo un gruppo, siamo sempre stati amici e sarebbe bello poter far tornare tutto come prima >>.
<< Mi manca suonare insieme >>, ammise Zack, << ma non so se riuscirei ancora a farlo soprattutto se Debbie sceglierà te >>.
Jack mi lanciò una veloce occhiata allarmata che Zack questa volta notò e ne capì anche il significato.
Rise amaramente. << Ha scelto te non è vero? >>, chiese.
Jack annuì lentamente. << Si, ma… lei tiene ancora a te e non vuole che soffri >>.
<< Purtroppo sarà inevitabile >>, disse tristemente Zack.
<< Potrei sempre dirle che non voglio stare con lei… >>, propose Jack nonostante sapessi che odiava quell’idea.
Zack scosse la testa. << Se ha scelto te una volta lo farà sempre e io… devo solo farmene una ragione anche se perdonarti ora sarà ancora più difficile >>.
<< Fallo per la band, fallo per la nostra musica >>.
<< Non lo so >>, sospirò. << Come ho detto prima mi manca suonare insieme, ma come faccio a farlo dopo quello che è successo? >>.
Nessuno rispose, perché nessuno sapeva cosa rispondere. Ci pensò Rian a interrompere il silenzio.
<< Anche a me manca suonare insieme, mi mancate tantissimo tutti >>, disse Rian che nel mentre si era andato a sedere sulle scale. << Visto che siamo qui per scusarci… anche io lo volevo fare, soprattutto con Jack, mi sono intromesso nella situazione come se avessi fatto qualche torto anche a me e invece non era vero >>, scosse la testa, << mi sono arrabbiato con te solo perché avevo paura che potessi fare anche a me quello che avevi fatto a Zack e quindi ero spaventato, ma so di essermi comportato come uno stupido e di essermi agitato per nulla e quindi chiedo scusa anche a te Alex e vorrei chiedere scusa anche a Stella e Debbie, non ho detto di loro cose carine… e neanche di voi e me ne dispiace molto >>.
Mi avvicinai al batterista e gli misi una mano su una spalla. << Tranquillo, è tutto dimenticato e non ti preoccupare, avrai modo di chiedere scusa anche alle ragazze, ci raggiungeranno presto >>.
Rian ricambiò il sorriso scoprendo i suoi denti perfetti e luminosi. Ora si che ero sicurissimo che ci avesse perdonati. << Bene >>, disse, poi spostò lo sguardo verso Jack che con il suo sorriso stupido si avvicinò al batterista e lo abbracciò.
<< È tutto perdonato Robert >>, gli disse.
Mi girai verso Zack. << Abbiamo bisogno anche di te nella band, sei stato il membro che l’ha completata quando sono nati gli All Time Low e sei quello che potrà ricompletarla ora per una rinascita >>.
<< Mi scuso un'altra volta con te Zack >>, disse Jack affiancandomi. << Ho capito che sei ancora ferito e mi dispiace, ma nella band non ci sono solo io, ci sono altre persone alle quali vuoi bene, rientra nel gruppo per loro e per te >>.
<< Senza di te non potremmo mai essere gli All Time Low >>, dissi.
Zack ci scrutò a lungo senza che io riuscissi a decifrare la sua espressione, alla fine disse: << Jack… sono ferito si, ma ti voglio comunque molto bene come ne voglio a tutti voi e nonostante il pensiero di non avere più Debbie mi faccia male, sono sicuro che tu l’amerai e che la renderai molto più felice di quanto possa fare io, quindi rientrerò nella band, mi ci vorrà un po’ di tempo per perdonarti del tutto e per accettare il fatto di vederti con Debbie, ma tu avrai molte occasioni per farti perdonare più velocemente >>, sorrise al chitarrista.
<< Non ti deluderò una seconda volta, te lo prometto >>, disse Jack e come un bambino, si tuffò tra le braccia di Zack che però approfittò della situazione per stritolarlo non molto affettuosamente.
<< Okay, me lo meritavo >>, disse Jack gemendo dal dolore causando una grossa risata di Zack.
Rian mi guardò sorridendo. << Io avrei un’idea >>, disse.
Questa volta capì esattamente a cosa si riferiva e dopo avergli rivolto un sorriso a trentadue denti, urlai insieme a lui: << TUTTI ADDOSSOOO! >>.
Cademmo a terra tutti e quattro e come quella sera sul pullman, scoppiammo a ridere come matti di nuovo felici, di nuovo insieme.
Quando ci rialzammo annunciai ai ragazzi che Stella era incinta e loro ancora più felici proposero di brindare a tutte quelle bellissime novità; fu durante il brindisi che trovai la frase perfetta da mettere nella canzone che piano piano si stava formando nella mia mente. << Long live us! >>, esclamai mentre portavo la bottiglia di birra verso l’alto.
<< Long live us! >>, ripeterono gli altri imitandomi e colpendo la mia bottiglia con le loro.
Per continuare a festeggiare, dopo aver finito le birre, mi avviai verso gli strumenti che avevamo sistemato io e Jack e proposi: << Che ne dite di suonare una canzone che più o meno si adatta alla situazione che abbiamo vissuto? >>.
<< Di quale canzone si tratta? >>, chiese Zack.
<< Sick little games >>, risposi.
<< Bene, mi piace, non la cantiamo spesso ai concerti quindi sarà una cosa… speciale >>, commentò Rian sorridendo.
<< Concordo con te Robert >>, disse Jack accarezzandogli scherzosamente la testa.
<< Ehi! Ti ho perdonato ma questo non vuol dire che puoi chiamarmi Robert, lo sai che lo odio >>, protestò Rian.
<< Se io chiamo Alex, William, non si offende! >>, ribattè Jack. << E neanche Zack se lo chiamo Steven >>.
Zack si girò verso Jack e gli lanciò un’occhiataccia. << Iniziamo male Bassam >>.
<< Okay, basta chiamarci con i secondi nomi! >>, esclamai per stoppare il battibecco.
<< Giusto, pensiamo a riaccendere gli All Time Low >>, concordò Rian posizionandosi alla sua postazione.
<< Ma questo non è il basso che ho dai miei? >>, chiese Zack perplesso guardando lo strumento.
<< Io questa batteria la conosco! >>, esclamò Rian.
<< Calmi, i vostri genitori mi hanno solo prestato gli strumenti per questa rimpatriata >>, spiegai.
<< Come facevi a sapere che avremmo fatto pace? >>, mi chiese Zack.
Mi strinsi nelle spalle. << Non lo sapevo, ma ci speravo >>.

Oh my God, I’m such a terrible mess.
I’m turned on by the tabloids, you would never have guessed,
that I’m a sucker for their gossip, man I take it too far.
I bottle up my Hollywood, and watch them name their kids after cars


I’m finding me out,
I’m having my doubts,
I’m losing the best of me.


We’re all part of the same, sick little games,
And I need a get-away (get away)
I’m wasting my days, I throw them away,
Losing it all on these sick little games.


Fell in love, she was the friend of a sister,
of somebody famous – at least for a day.
Expensive habits and a taste for the town,
had me chasing down red carpets, and watching all my friends slip away”.

La prima frase del pezzo dopo il ritornello era proprio fatta apposta per la nostra situazione.
Quando finimmo la canzone, arrivarono giusto in tempo Stella e Debbie con le quali avevamo concordato che sarebbero potute venire solo dopo che avevamo risolto la situazione, così io e Jack avremmo potuto parlare più liberamente con Zack e Rian.
Lo sguardo di Zack diventò improvvisamente triste, ma fece di tutto per nasconderlo dietro ad un sorriso allegro che faceva pensare che stesse bene. Per lui sarebbe stata dura, ma alla fine ce l’avrebbe fatta; Zack a volte dava l’idea di essere indifeso visto il suo carattere chiuso, ma in realtà era tutto tranne che indifeso, aveva un carattere forte ed era un ragazzo talmente dolce che non avrebbe fatto fatica a trovare un’altra ragazza che potesse togliere Debbie dai suoi pensieri.
<< Da questo deduco che state di nuovo insieme >>, disse Stella osservandoci con gli occhi che brillavano per l’emozione.
<< Ci puoi contare sorellina! >>, esclamò Jack sollevando la chitarra come in un gesto di trionfo.
Mi tolsi la chitarra dal collo e allargai le braccia per invitarla a venire da me; non esitò un attimo e come una furia mi mise le braccia intorno al collo e mi strinse stretto. << Lo sapevo che ce l’avreste fatta >>, disse.
<< Oh lo sapevo anche io >>, ridacchiai.
Sciolto l’abbraccio Stella passò ad abbracciare Zack che si trovava alla mia destra. << Zack! Che bello riaverti con noi, mi sei mancato >>.
Il bassista ricambiò l’abbraccio sorridendo. << Sono contento che questo brutto periodo sia finito e di essere di nuovo con i miei amici >>.
Mi veniva quasi da piangere, finalmente era tutto risolto, gli All Time Low erano di nuovo insieme, più affiatati di prima... e io stavo per diventare papà.
Prima che Stella potesse abbracciarlo, Rian disse in tono pentito: << Mi dispiace per tutto quello che ti ho detto Stella, non avrei mai dovuto offenderti, sono stato un idiota, mi avresti dovuto tagliare la lingua! >>.
Stella rise. << Non fa nulla, ormai è passato e io ti ho perdonato già da tanto >>.
<< Mi scuso anche con te Debbie, ma ero fuori di me quella sera, ho detto cose davvero orribili >>, disse Rian.
Debbie gli sorrise mentre lo raggiungeva. << Acqua passata, l’importante è che ora siamo di nuovo tutti amici >>, disse rivolgendo una veloce occhiata a Zack che le sorrise.
<< Allora fatevi abbracciare >>, le incoraggiò Rian che abbracciò Stella due volte visto che ormai lei contava per due e non più per uno.
<< Visto che ci stiamo scusando tutti… >>, iniziò Debbie avvicinandosi a Zack, << Zack, mi dispiace tanto per quello che è successo, non voglio che tu pensi di aver fatto qualcosa che non va o di non avermi amata abbastanza o qualcosa di simile, perché non sarebbe vero, sei stato un fidanzato perfetto e io terrò sempre molto a te, avrai sempre un posto speciale nel mio cuore e ci terrei molto se potessimo continuare ad essere comunque amici >>.
<< Non potrei mai non averti neanche come amica nella mia vita, sei una persona fantastica e io ti starò sempre vicino e aspetterò paziente il giorno in cui Jack farà qualcosa di idiota e tu lo lascerai >>, scherzò rivolgendo un’occhiata divertita a Jack che sbuffò rumorosamente.
Debbie scoppiò a ridere. << Ti voglio bene Zack >>, gli disse stringendosi al suo petto muscoloso.
<< Anche io te ne voglio e te ne vorrò sempre >>.
<< Tutto è bene quel che finisce bene >>, dissi sentendomi finalmente libero dalle preoccupazioni e felice.
Felice. Felice. Felice. Felice.
Era bellissimo sapere che finalmente nella mia vita andava tutto bene e che non dovevo più preoccuparmi di nulla. La mia seconda famiglia era di nuovo riunita.
<< In realtà non è ancora finita >>, disse Stella attirando l’attenzione di tutti.
Spostò lo sguardo su Rian il quale aveva già capito a cosa si stesse riferendo e anche io. << Vuole tanto chiarire con te >>, disse Rian.
Stella sorrise. << Anche io >>.
<< Meno male, perchè... lei è qui >>.
<< Qui a Baltimora? >>, chiese Stella sorpresa.
<< No, è qui vicino a fare una passeggiata, mi ha detto che se ci fossi stata anche tu avrei dovuto farle uno squillo così sarebbe arrivata >>, spiegò Rian.
<< Oh allora faglielo! >>, lo incoraggiò.
Rian prese il telefono dalla tasca dei pantaloni e digitò il numero di Cassadee mentre Stella si girò verso Debbie e le chiese: << Per te va bene se viene? >>.
La bionda annuì. << È giunta l’ora di chiudere anche questa storia >>.


(Stella)

La mia vita stava prendendo una svolta decisamente buona, dopo tutte le cose brutte che erano accadute finalmente stavo tornando a rivedere il sole nelle mie giornate. Tutto si stava aggiustando nel migliore dei modi ed io non potevo che essere più contenta di vedere finalmente tutte le persone importanti della mia vita unite.
Cassadee arrivò una decina di minuti dopo lo squillo che Rian le aveva fatto; durante quel breve arco di tempo noi ci eravamo accomodati sugli sgabelli e stavamo parlando del più e del meno.
<< Ciao a tutti >>, esordì Cassadee elargendoci il suo bellissimo sorriso che in quel momento sembrò molto insicuro ed era comprensibile, in quel momento si trovava davanti alle persone che aveva tradito e che non sapeva se l’avessero perdonata oppure no. Mi ero molto arrabbiata con Cassadee, ma ormai la rabbia era passata, non mi importava più se aveva fatto la spia, come non mi importava più che Rian mi avesse dato della puttana, avevamo fatto tutti degli sbagli e tutti ci eravamo pentiti alla fine, quindi era giusto perdonare tutto e ricominciare tutto d’accapo come se quel lungo e sofferente litigio non fosse mai accaduto.
Feci segno a Rian di rimanere seduto e mi avvicinai a Cassadee. In momenti come quelli essere alta non era decisamente una bella cosa, visto che superavo di qualche centimetro Cassadee nell’avvicinarmi a lei sembrai una specie di omone arrabbiato che voleva incuterle timore cosa che in realtà non volevo assolutamente fare.
<< Stella… >>-
La interruppi subito. Basta scuse, basta mi dispiace, era il momento di andare avanti. << Non dire nulla Cass, è tutto perdonato, non ce l’ho più con te e ci terrei tanto se tornassimo amiche >>.
<< Sul serio? >>, mi chiese con gli occhi che luccicavano.
<< Certo che si, ormai è passato, non pensiamoci più! >>.
Ci abbracciammo.
<< Mi sei mancata tanto Stella, temevo che non mi avresti mai perdonata per quello che avevo fatto >>, disse.
<< Non ti preoccupare Cass, abbiamo fatto tutti qualcosa che non andava fatto >>, mi strinsi nelle spalle, << capita, siamo umani >>.
Debbie si avvicinò a noi e Cassadee, vedendola, si preparò per scusarsi anche con lei, ma anche Debbie la interruppe. << Direi che adesso siamo pari, io ho iniziato a prenderti in giro e ad aggredirti e tu hai rivelato a Zack la mia relazione con Jack >>.
<< Quello che ho fatto io è un po’ più grave >>, sussurrò Cassadee con lo sguardo basso.
<< Non importa, questo è… una sorta di giorno della pace, quindi… >>, le porse una mano, << direi che da oggi possiamo iniziare ad essere amiche senza più aggredirci verbalmente e fisicamente >>.
Cassadee le strinse la mano. << Per me va benissimo... amica >>.
Ridendo si abbracciarono e io non resistendo, le abbracciai a mia volta.



Il giorno dopo, il trasloco non era ancora cominciato, quindi io ed Alex vivevamo ancora nella vecchia casa, ma avevamo già iniziato a mettere i vestiti e altra roba nei vari scatoloni che poi sarebbero stati portati da un camion fino alla nuova casa: la prima casa dove Jack aveva abitato quando era venuto lì, la casa che aveva visto nascere gli All Time Low. Quella casa era destinata ad ospitare i Barakat o meglio… uno dei Barakat.
Tornati dalla nuova casa, il giorno prima, io avevo subito iniziato a mettere fuori la mia roba, invece Alex era stato tutta la sera nella stanza della musica insieme a Peyton e Sebastian –con i quali lo avevo sentito parlare-, a scrivere qualcosa che non avevo avuto il piacere di leggere visto che ogni volta che avevo provato a bussare lui mi aveva mandata via dicendo che avrei saputo il giorno dopo di cosa si trattava; era uscito dalla stanza solo a tarda notte quando io mi ero già addormentata.
La mattina del giorno dopo, però, lui non mi disse nulla ed evitò accuratamente di rispondere ad ogni mia domanda sulla questione. Il pomeriggio, verso le cinque, arrivò Jack a casa.
<< Ehi Jack! >>, lo salutai spostandomi dalla porta d'ingresso per farlo entrare.
<< Ciao sorellina >>, mi salutò allegro stampandomi un bacio sulla fronte.
<< Come mai qui? >>, gli chiesi.
<< Alex mi ha detto di venire, ha detto che ha una sorpresa >>, rispose.
<< Oh allora deve dire anche a te cosa stava combinando ieri >>.
<< Che ha combinato? >>, mi chiese incuriosito.
<< È rimasto chiuso nella "stanza della musica" tutto il tempo >>, risposi convincendomi sempre di più che quel comportamento era davvero strano da parte sua.
Jack probabilmente non era d’accordo con la mia idea, perché sorrise a trentadue denti.
<< Che c’è? >>, gli chiesi spaventata da quella sua improvvisa allegria.
<< Quando succede così vuol dire solo una cosa… >>, si interruppe per creare la suspense e quando ci fu riuscito, portando le braccia al cielo per esultare esclamò: << Ha scritto una nuova canzoneeeeeeeeeee! >>.
Nuova canzone?
Oh si aveva senso, perché non ci avevo pensato prima!
Alex uscì in quel momento dal corridoio con un sorriso larghissimo stampato sul viso e una chitarra tra le mani. << Hai indovinato Jack, ho scritto una nuova canzone e devo dire che ho fatto davvero un bel lavoro >>.
Si batterono il cinque. << Fantastico amico! Non vedo l’ora di sentirla >>.
<< Bene, perché me l’hai ispirata tu >>.
<< Io? >>, chiese Jack sorpreso.
<< Già, ricordi come ci hai chiamati quel giorno al parco giochi? >>, gli chiese.
Jack sembrò per un attimo perplesso, poi annuendo disse: << Oh si! Lo sregolato e il coraggioso >>.
Alex sorrise. << È il titolo della canzone: The Reckless and The Brave >>.
<< Già che ci sono io nel titolo mi piace >>, disse Jack.
<< Un po’ del “Brave” sei anche tu Stella >>, disse Alex. << Sei stata coraggiosa a decidere di tenere il bambino, non molte persone lo avrebbero fatto... come me >>, finì con una smorfia.
<< I fratelli Barakat ispirano il titolo di una canzone >>, gioì Jack mettendomi un braccio dietro le spalle.
Risi.
<< Mi ha ispirato tutta questa storia, tutto quello che abbiamo vissuto in quest’ultimo anno e mentre la scrivevo ho pensato alla nostra amicizia, agli All Time Low che iniziano un nuovo periodo della loro carriera >>.
<< Sono curiosissima di sentirla! >>, esclamai.
<< Non vi faccio attendere oltre >>, disse Alex andandosi a sedere sul divano.


Eccomiii!! :D
Oggi sono in anticipo u.u non avevo nulla da fare quindi ho voluto postare prima :3. Finalmente hanno fatto tutti pace *-* si vede che sta arrivando la fine ahaha :)
Non so più che dire xD alla prossima settimana! :D 

Miki*


 

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Capitolo 23
*** The Reckless and the Brave ***


“Long live the reckless and the brave
I don’t think I want to be saved
My song has not been sung
So long live us”.
 
Una settimana dopo essersi riappacificati, la notizia che gli All Time Low si fossero riformati aveva già fatto il giro del mondo. I fans ne furono entusiasti, avevano mandato tantissimi messaggi ai ragazzi via twitter nei quali li ringraziavano per non averli abbandonati e per essere tornati insieme. A rendere doppiamente felici i fans era stata la notizia della mia gravidanza che aveva fatto raddoppiare gli appuntamenti per le interviste; Matt non ne poteva più di organizzare tutto, poverino, ogni giorno chiamavano sempre più redazioni di giornali diversi che volevano fare un’intervista con gli ATL per sapere di più sul motivo del loro scioglimento e per chiedere ad Alex come si sentisse all’idea di star per diventare padre.
La nuova canzone piacque a tutti quelli della crew, era davvero fantastica, ti dava una carica incredibile e sarebbe di sicuro piaciuta ai fans che l’aspettavano con ansia; quella sera, infatti, i ragazzi avrebbero fatto un concerto a Baltimora e avrebbero cantato per la prima volta la loro nuovo canzone che nello stesso momento sarebbe stata pubblicata sul loro sito e quindi sarebbe stata sentita da tutti gli altri fans sparsi nel mondo.
Cassadee era ripartita qualche giorno prima per ritornare dagli altri membri della sua band con i quali anche lei stava scrivendo nuovi pezzi per un nuovo cd. I Simple Plan tornarono in Canada dove passarono gli ultimi giorni di riposo che avevano e dove Pierre potette stare un po’ con Lachelle che tra due mesi avrebbe partorito.
Eravamo tutti riuniti nella stanza grande del backstage: io, Alex, Jack, Rian, Zack, Matt, Vinny, Danny e Matt  Colussy, mancava all’appello solo Jeff che era già andato alla sua postazione e anche Debbie che però ci avrebbe raggiunti in breve tempo.
Nell’attesa di dover iniziare il concerto, Jack si era messo a ballare la macarena in mezzo alla stanza, io ero seduta sul divano con la testa di Alex appoggiata sulle gambe, Rian era seduto per terra e guardava divertito Jack, Zack stava scattando qualche foto girovagando per la stanza, i due Matt parlavano ai walkie talkie e Vinny e Danny parlavano tra di loro delle magliette degli All Time Low che erano in vendita.
<< E se improvvisamente non ricordassi più le parole? Sarebbe… imbarazzante, riderebbero tutti e mi tirerebbero addosso di tutto! >>, disse Alex preoccupato mentre giocherellavo con i capelli che gli scendevano obliquamente sulla fronte.
<< Non succederà, ormai dovresti essere abituato a far sentire al pubblico nuove canzoni, lo sai che le fans la ameranno come hanno amato le canzoni di Dirty Work e quelle di Nothing Personal >>.
Sospirò. << Lo so, ma questa canzone è diversa, è una sorta di ritorno al vecchio sound e l’ho imparata solo da una settimana, potrebbe succedere che mi dimentichi le parole >>.
<< Tranquillo, andrà tutto bene, una volta lì sul palco non avrai più paura e canterai la canzone benissimo >>. Lo rassicurai.
<< Tu sarai con me? >>, mi chiese.
<< Non sul palco, ma sarò dietro le quinte come sempre >>.
<< Allora suggerisci se non mi ricordo le parole >>.
Scoppiammo a ridere.
La porta della stanza si aprì e ne comparve Debbie che rivolse un sorriso a tutti noi prima di soffermarsi con lo sguardo a guardare Jack che per la decima volta stava ripetendo i movimenti della macarena con l’aria per niente stanca anzi, era sempre più allegro.
Debbie scoppiò a ridere. << Ma che diavolo stai facendo? >>, gli chiese.
Jack si strinse nelle spalle. << Faccio riscaldamento >>.
<< Se non la smetti arriverai a suonare stanchissimo >>, lo rimproverò Matt.
<< Non è vero, sono carichissimo per il concerto >>, ribattè Jack.
<< Tranquillo, l’adrenalina non lo farà stancare >>, disse Zack a Matt che sospirando tornò a parlare al walkie talkie.
Debbie si avvicinò al divano dove eravamo seduti io e Alex. << Ho una buona notizia per te >>, mi annunciò sorridendomi, poi, scoccando un’occhiataccia ad Alex disse: << Le tue gambe occupano tutto il divano! >>.
Alex ridacchiò e alzò le gambe per far sedere Debbie e poi le riabbassò mettendogliele sulle gambe.
<< Che viziato che sei >>, sbuffò Debbie.
Alex per tutta risposta le mostrò la lingua.
<< Allora, qual è la buona notizia? >>, le chiesi curiosa.
<< Ho chiamato la casa discografica! >>, esclamò.
<< E? >>.
<< Hanno detto che sono contentissimi che tu abbia deciso di continuare la carriera e che sono d’accordo con la tua idea di prenderti un anno di pausa >>.
Sorrisi sollevata. << Fantastico! >>.
<< Ti manderanno anche un cestino di muffin come augurio di buona gravidanza >>, aggiunse Debbie.
<< Un cestino di muffin?! >>, chiese Alex sorpreso.
<< Si, ve lo invieranno a casa >>, rispose Debbie.
Alex mi guardò sorridente. << Dovremmo avere bambini più spesso >>, ridacchiò.
Gli scoccai un’occhiataccia. << Sparisci prima che ti faccia male >>, lo avvertì e lui nonostante ridesse, si alzò e si andò ad unire al balletto di Jack insieme a Rian e Zack.
<< Eeeee… macarena! >>, cantarono insieme.
<< Dobbiamo avvertire anche i ragazzi della band, saranno così contenti quando sapranno che non abbandoni la carriera >>, mi disse Debbie mettendosi seduta a gambe incrociate.
<< Avevo intenzione di chiamarli dopo il concerto >>, dissi.
<< Brava, prima lo fai prima potrò organizzare tutti i tuoi prossimi appuntamenti >>.
Girai di scatto la testa verso di lei e la guardai incredula. Aveva davvero detto quello che avevo sentito?
Mi lanciò un’occhiata in tralice e sorrise vedendo la mia reazione.
Si avevo sentito bene!
<< Oh Dio! Sarai di nuovo la mia agente? >>, le chiesi quasi urlando per la felicità.
<< Certo che si, non troverai mai qualcuno bravo quanto me >>, rise.
Invece che abbracciarla come volevo, mi ci buttai addosso con tutto il peso facendola cadere con la schiena sul divano. << Grazie, grazie, grazieeeeeeeeeee! >>.
<< Ehi attenta che schiacci sia me che il bambino! >>, esclamò continuando a ridere.
Tornai a sedermi liberandola dal mio peso. << Sono felicissima!                Non saprei come avrei fatto a trovare un’altra agente >>.
<< Visto che tutto si è risolto non vedo perché non sarei dovuta tornare a lavorare con te >>.
<< Già, hai ragione >>, sorrisi. << Allora visto che ora sei di nuovo la mia agente devi sapere che per i prossimi concerti mi serviranno dei jeans più larghi oppure mi serviranno dei pantacollant >>.
<< Stiamo già diventando più rotonde? >>, mi chiese battendomi qualche lieve pacca sulla pancia ancora per metà piatta.
Sbuffai. << Stamattina ci ho messo un po’ per chiudermi il bottone dei jeans >>.
Rise. << Se ti disperi adesso, come farai quando avrai la pancia il doppio di adesso? >>.
Affondai la testa nelle mani. << Non me lo ricordare! >>.
<< Ne varrà la pena alla fine, vedrai >>, mi strizzò l’occhio.
Finalmente i ragazzi smisero di ballare la macarena e spinti da Matt, uscirono dal camerino pronti per andare in scena. Mi mancava fare i concerti, sentire l’ansia prima di entrare in scena, scherzare con Sam, Travis, Edward e Chris, sentire la folla che urlava, le sere ai pub dopo i concerti, i lunghi viaggi notturni nel bus… come avevo solo potuto immaginare di rinunciare a tutto quello? Essere diventata una cantante era una fortuna, c’erano persone che ogni anno provavano ad entrare nel mondo della musica ma non ci riuscivano e io che avevo avuto quella fortuna stavo anche per rinunciarci solo perché mi piaceva sempre complicarmi la situazione  anche quando la soluzione ai problemi era così semplice.
In pochi minuti, il concerto iniziò, la prima canzone fu Lost in stereo seguita poi da Stella canzone che nonostante non parlasse di me, mi faceva sempre battere forte il cuore forse perché ogni volta che Alex pronunciava il mio nome si girava verso di me e mi sorrideva. Dopo Stella passarono a Damned if i do ya (damned if i don’t) e Alex prima di iniziare a suonarla disse che questa canzone gli era stata di molto aiuto per prendere una decisione importante. A seguire suonarono I feel like dancing, dove Jack non fece altro che ballettare da una parte all’altra del palco, Heroes, Weightless,Time Bomb, Guts, Break your little heart, Forget about it, Jasey Rae e in fine arrivò il momento della nuova canzone.
<< Bene ragazzi, ci siamo >>, disse Alex madido di sudore. << L’attesa sta per finire >>.
La folla urlò emozionata.
<< Siete pronti per la nuova canzone? >>, chiese.
Le urla aumentarono.
<< Vorrei dedicarla a noi, agli All Time Low e alla ragione della mia vita >>, si girò verso di me sorridendo, << sei molto più coraggiosa di quello che credi >>.
Debbie mi punzecchiò il fianco con un gomito ed io mi sentì arrossire.
<< Questa è The reckless and the brave , spero che vi piaccia >>.
Presi la mano di Debbie e insieme facemmo un respiro profondo. Improvvisamente al mio fianco apparve anche Matt.
<< Nervose? >>, ci chiese.
<< Giusto un po’ >>, rispose Debbie.
<< Probabilmente Alex mi ha contagiata >>, dissi. << Tu? >>.
<< Il fatto che Alex sia nervoso rende nervoso anche me >>.
Gli porsi la mano libera e lui la strinse quasi stritolandomi una mano.
Alex scambiò un cenno di assenso con Jack, poi con Rian e poi con Zack che gli sorrisero all’unisono. 
La folla era silenziosa e il fatto che la canzone iniziasse senza musica e solo con la voce di Alex sottolineò ancora di più la cosa per cui temetti per un attimo che Alex si sarebbe fatto prendere dall’ansia, ma non successe, chiudendo gli occhi iniziò a cantare.
 
“Long live the reckless and the brave
I don’t think I want to be saved
My song has not been sung
So long live us”.
 
La musica iniziò e con lei anche i fans si animarono iniziando a saltare e ad urlare. Sollevati, anche noi tre ci lasciammo andare ai festeggiamenti cantando quelle poche strofe che avevamo imparato della canzone.
 
Looking out at a town called Suburbia
 Everybody’s just fighting to fit in
 Little rats running mazes, having babies
 It’s a vicious little world that we live in
 
Looking back at a life on the other side
I realize that I didn’t fit in
Didn’t hate it
But I didn’t quite relate it
To my precious little world
 
Still I’m leaving
Got a van, got a chance
Got my dignity, got a dream, got a spark
Got somewhere to be
Take a breath, say goodbye
To their precious little world
 
So long live the reckless and the brave
 I don’t think I want to be saved
 My song has not been sung
 
And long live the fast times
So come what may
I don’t think I’ll ever be saved
Our song has not been sung
Long live us”.
 
Era andata! Ai fans piaceva un sacco, non solo quelli presenti al concerto, ma anche gli altri in tutto il mondo, la pagina degli All Time Low stava avendo molte visite e i messaggi su Twitter non potevano essere contati. Quella canzone era un successo su tutta la linea.
L’ultima canzone che suonarono fu Dear Maria, poi augurarono la buonanotte alla folla e tutti elettrizzati rientrarono nelle quinte.
<< Gli è piaciuta! >>, esultò Alex con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
<< Io me lo aspettavo >>, ridacchiai.
Mi prese per i fianchi e mi avvicinò a lui per far incontrare le nostre labbra. Incrociai le braccia dietro il suo collo e passai una mano tra i suoi capelli che erano  completamente bagnati; era incredibile come si sudasse a stare sotto i riflettori mentre si suonava e si cantava.
<< Sono molto fiera di te, hai fatto davvero un bel lavoro con questa nuova canzone >>, dissi quando il bacio finì ma i nostri nasi continuavano a toccarsi.
<< Tutto merito delle meravigliose persone che mi colorano la vita >>, posò le sue labbra sulle mie.
<< Ora vai a farti la doccia che dopo andiamo a festeggiare >>, dissi sciogliendo l’abbraccio.
<< Io avrei un altro modo per festeggiare… >>, mi sorrise sghembo.
Gli diedi una pacca sul sedere. << Vai, muoviti! >>, gli ordinai indicandogli con la mano la direzione dei camerini.
<< La gravidanza ti ha reso una suora >>, protestò.
Scoppiai a ridere mentre Alex spariva insieme agli altri nelle docce. Ne approfittai di quella pausa per uscire
fuori e chiamare i ragazzi della band che come sospettavano erano tutti insieme a casa di Edward e Chris.
<< Pronto? >>, rispose Chris.
<< Chris! Sono Stella! >>, dissi.
<< Ehi ragazzi, c’è Stella! >>, urlò Chris e subito sentì un sacco di rumore sotto. <>.
<< Okay >>.
<< Buonasera Stella! >>, mi salutò Travis.
<< Ciao Stellaaa!  >>, esclamò Edward euforico.
<< Ehi Tell, come stai? >>, mi chiese Sam.
<< Ciao ragazzi, sto molto bene, grazie, voi? >>.
<< Si va avanti >>, rispose Sam.
<< Come sta il nostro futuro nipotino? >>, mi chiese Edward.
<< Bene, l’ho detto finalmente ad Alex e lui è contento, abbiamo deciso di tenerlo >>.
<< Che bello! Non vedo l’ora di vederlo >>, squittì Edward.
<< Siamo contenti per te Stella e da quello che abbiamo letto sul giornale gli All Time Low sono di nuovo insieme e hanno fatto una nuova canzone, quindi sarete tutti al settimo cielo >>, disse Travis.
<< Oh si, lo siamo eccome >>, confermai.
<< Però ci dispiace molto che non potremo tornare ad esibirci insieme per colpa della tua gravidanza >>, continuò in tono triste.
<< Già, ormai mi ero affezionato al nostro gruppo >>, singhiozzò Edward.
<< Mi mancheranno i tour insieme >>, disse Chris.
<< Chissà se troverò mai un altro lavoro >>, sospirò Sam.
<< Avanti ragazzi, non siate tristi, perché è proprio per questo motivo che vi ho chiamato >>.
<< Ci hai trovato un nuovo lavoro? >>, chiese Chris.
<< No! >>.
Li sentì sospirare amareggiati.
<< Perché non avete perso quello vecchio >>, dissi.
<< Sul serio? >>, chiese Edward con tono sorpreso.
<< Si, ho deciso che non lascerò la mia carriera e non lascerò voi, ormai siete anche voi parte della mia grande famiglia >>.
<< Mi fai venire voglia di essere lì con te per abbracciarti forte >>, disse Travis.
<< Ti vogliamo molto bene Stella >>, disse Sam.
<< Anche io ve ne voglio ed è per questo che tra qualche giorno ci rivedremo per rimetterci a lavoro >>.
<< Saremo prontissimi! >>, garantì Chris.
Sorrisi.
 
Passarono tre mesi dall’uscita di The reckless and the brave e le cose andavano sempre meglio.
Erano cambiate moltissime cose in tre mesi, per iniziare, la mia pancia! Ero diventata una sorta di bomboniera il che era strano perché ero sempre stata magra come uno stecchino nonostante mangiassi molto e invece tutto ad un tratto mi ritrovavo con un pancione ingombrante che non mi faceva neanche allacciare le scarpe! Avevo rinunciato a mettermi i jeans ormai da un po’, già al terzo mese avevo iniziato ad avere seri problemi nel far chiudere quel dannato bottone. Il mio enorme pancione dava a Jack un motivo in più per prendermi in giro, ma per fortuna c’era Alex che ogni volta che Jack faceva qualche battuta gli mollava un bel ceffone dietro la testa.
In quei tre mesi avevo rifatto tutte le tappe del tour che avevo saltato e avevo annunciato ai miei fans il mio
imminente anno di pausa nel quale però avrei continuato a lavorare scrivendo nuove canzoni per il mio secondo album con ovviamente l’aiuto della mia band. Gli All Time Low avevano scritto una nuova canzone: For Baltimore dedicata alla loro città natale, e anche questa canzone aveva riscosso molto successo. Debbie era andata a vivere con Jack dopo una lunga riflessione, Alex mi aveva fatto conoscere i suoi genitori che erano stati gentilissimi con me e mi avevano trattata come se fossi già una di famiglia, anche i miei genitori avevano conosciuto quelli di Alex e da quello che avevo potuto notare andavano molto d’accordo, persino Pesca, Peyton e Sebastian andavano d’amore e d’accordo.
Tre mesi erano passati velocissimi ed erano successe un sacco di cose, avevo vissuto un sacco di prime volte tra cui la prima ecografia della quale sinceramente non avevo capito molto con tutte quelle immagini scure, ma era stato comunque emozionante e Jack si era persino commosso.
Pierre aveva avuto la sua bambina che aveva chiamato Lennon, non l’avevo ancora vista dal vivo, ma dalle foto sembrava davvero carina e assomigliava molto a Pierre soprattutto per gli occhi marroni e le guance paffutelle.
Era giugno, più precisamente il diciassette giugno, il giorno in cui raggiungevo il mio quinto mese di gravidanza e questo voleva dire una sola e bellissima cosa: finalmente avrei scoperto se il bambino che portavo nella pancia era maschio o femmina.
L’ecografia era fissata nel pomeriggio visto che per quel giorno gli All Time Low non avrebbero avuto nessun concerto e quindi potei svegliarmi tardi e prepararmi con calma. Ero diventata una pigrona per colpa di quel pancione, non volevo fare nulla perché mi stancavo subito e la maggior parte delle cose non le riuscivo a fare perché… ero troppo ingombrante.
Jack, Debbie e Matt vennero con noi per assistere all’ecografia, curiosi di sapere cosa li avrebbe aspettati tra quattro mesi se un nipotino o una nipotina.
<< Voglio che sia femmina> >, dichiarò Jack qualche minuto prima che arrivassimo allo studio del ginecologo.
<< Davvero? >>, chiesi sorpresa. << Io avrei detto che avresti voluto un maschio >>.
<< No, se è maschio poi esce come Alex e io non voglio, se è femmina invece esce come te e visto che tu sei mia sorella mi assomiglierà >>.
<< Non è detto che se è maschio esce come Alex > >, disse Debbie.
<< Ha ragione, il sesso non c’entra nulla con i caratteri che avrà il bambino >>, disse Matt.
<< Matt usi parole da lezione di scienze >>, rise Alex che era alla guida.
<< Mi piaceva scienze, era una delle materie che preferivo a scuola >>, ci informò.
<< E sei finito a fare il manager di una band > >, dissi.
<< Preferivo la musica alla scienza >>, spiegò.
<< Ritornando a parlare del bambino >>, intervenne Jack, << a me comunque piacerebbe che fosse femmina > >.
<< Io vorrei che fosse maschio, sarebbe bello insegnargli a suonare la chitarra >>, disse Alex sorridendo. << Ma anche femmina mi va bene >>, continuò.
<< Mmm… mi piacerebbe femmina, sto sempre con troppi maschi >>, disse Matt.
<< Oh si, anche io la voglio femmina! >>, concordò Debbie. << Mi divertirei moltissimo a pettinarle i capelli, a fargli le codine… oh e vorrei giocare a Barbie con lei! >>.
<< E tu Tell? >>, mi chiese Jack.
In realtà non sapevo cosa volessi, mi andavano bene sia un bambino che una bambina, sarei stata felice in tutti e due i casi  anche se a pensarci bene con una bambina avrei forse capito di più il suo mondo quando sarebbe cresciuta e come aveva detto Debbie avrei potuto giocare insieme a lei con le Barbie quando sarebbe stata piccola, avrei potuto pettinarle i capelli, comprarle tanti vestitini carini. E con un bambino maschio? Non sarebbe stata la stessa cosa, certo, sarebbe stato un mondo tutto nuovo da affrontare, ma mi sarebbe andato bene lo stesso, avrei giocato insieme a lui con i supereroi o con le macchinine e avrei
fatto si che non uscisse un pervertito come lo zio, ma un bravo ragazzo, come Alex, con la testa sulle spalle.
<< Non ho preferenze, qualunque sia il sesso a me va bene >>.
<< Bene, quindi ricapitolando siamo a: tre voti per la femmina, uno per il maschio e un voto neutro >>, disse Jack.
<< Tra poco vedremo chi vincerà, siamo arrivati >>, ci annunciò Alex che si stava dirigendo al parcheggio della clinica.
Il resto si svolse tutto molto velocemente, trovammo parcheggio, entrammo nello studio del dottore che ci fece entrare subito, ci salutò calorosamente tutti, mi chiese come stavo, mi fece stendere sul lettino, accese il monitor, mi spalmò il gel freddo sulla pancia, iniziò a passarmici sopra quello che mi ricordava un pennello e… tadààààà! Ecco le immagini del didentro della mia pancia! A differenza di quando l’avevo fatta la prima volta, in quell’ecografia riuscivo a capirci molto di più infatti quando il dottore ci indicò la testa riuscì a vederla e subito sentì un guizzo al cuore. Quello era il mio bambino o la mia bambina!
Alex mi stringeva forte una mano tra le sue; era bello vederlo così emozionato, mi faceva convincere sempre di più che sarebbe stato un padre fantastico.
<< Volete sapere il sesso? >>, ci chiese il dottore.
<< Si! >>, rispose subito Jack con gli occhi fissi sul monitor.
<< Si >>, confermammo io ed Alex all’unisono.
Jack incrociò le dita e così anche Debbie e Matt. Era una scena che faceva quasi ridere, eravamo lì tutti impazienti di sapere di che sesso fosse il bambino e guardavamo lo schermo come se potesse suggerisci quale era il verdetto.
Il dottore, dopo aver mosso un altro po’ il pennello, si girò verso di noi con un sorriso dolce sul viso. Ecco, eravamo arrivati al momento che tanto avevo aspettato. Maschio o femmina?
<< Congratulazioni, ragazzi, è un maschietto >>.
<< Noooooo! >>, protestarono Debbie, Jack e Matt all’unisono lasciando il dottore perplesso.
Gli occhi di Alex diventarono lucidi e dovette fare un grosso sforzo per non scoppiare a piangere per la felicità. << Oh Dio… è fantastico! >>, esclamò prima di baciarmi la mano.
Peccato, niente Barbie, ma ero felicissima lo stesso, tanto felice che non volevo più aspettare altri quattro mesi, volevo che il bambino nascesse subito.
Era incedibile come in soli pochi mesi la mia visione della gravidanza fosse completamente cambiata, ora ero contenta di avere un bambino, ero contenta che tutti fossero emozionati all’idea della sua nascita e mi sembrava che la gravidanza avesse reso più bella la mia vita, con più amore. La mamma aveva ragione, avere un figlio è una delle cose più belle della vita.
<< Avete già in mente un nome? >>, ci chiese il dottore distraendomi dalle mie riflessioni.
Non avevamo mai pensato ad un nome.
Guardai Alex che scosse la testa. << Non ne ho nessuna idea >>, disse.
<< Ci dobbiamo assolutamente pensare! >>, esclamò Jack.
Tutti lo guardammo perplessi così lui spiegò: << Anche se non è una femminuccia comunque sono felice di avere un nipotino e voglio trovargli un nome! >>.
<< Bene, allora iniziamoci a pensare >>, dissi.
<< Avete ancora quattro mesi, fate pure con calma, non c’è nessuna fretta >>, ci disse il dottore ridacchiando.
Dopo essermi tolta il gel dalla pancia, salutammo il dottore e tornammo alla macchina; neanche iniziato il viaggio che già stavamo discutendo sul nome.
 
Due giorni dopo, gli All Time Low avevano un concerto a Washington! Una delle città più belle che avessi visto. Quella sera avrei cantato anche io, ma solo due canzoni quindi non avevo affatto bisogno di provare per questo io e Debbie approfittammo del pomeriggio di prove per andare a visitare la città e fare tantissime foto che poi avremmo dato a Zack che, poverino, sarebbe voluto venire con noi.
Su Twitter Jack aveva già annunciato ai fans del sesso del bambino ed erano nati tantissimi Tweet in cui i fans dicevano che non vedevano l’ora di vedere il piccolo Gaskarth o che speravano tanto diventasse un cantante come tutti e due; il mio profilo Twitter era pieno di messaggi d’auguri e lo stesso quello di Alex, era davvero incredibile come i fans fossero contentissimi della mia gravidanza e come cercassero di essermi vicini in qualunque modo.
Dopo il giro per la città, io e Debbie tornammo nello stadio dove si sarebbe svolto il concerto, così che io potessi iniziare a prepararmi. Vestirmi per un concerto era una cosa che mi piaceva moltissimo, amavo indossare sempre vestiti diversi e cambiarmi durante il concerto, rendeva tutto più emozionante, più bello! Lo so, era una cosa stupida, ma mi aveva sempre emozionata da quando ero piccola, quando immaginavo i miei concerti mi vedevo sempre con tantissimi vestiti diversi, tanti accessori e pettinature sempre diverse che con i capelli lunghi che avevo erano anche facili da fare.
Purtroppo con l’ingrossarsi del mio pancione, la scelta dei vestiti da indossare durante i concerti era diventata sempre più difficile; non volevo nulla che evidenziasse il fatto che fossi incinta, ma purtroppo quel pancione enorme si evidenziava da solo qualunque cosa mettessi addosso -come d’altronde era normale-, solo il nero riusciva a rendermi almeno un po’ più snella e fu per questo che –anche se contro il volere di Debbie- indossai un vestito lungo fin sopra le ginocchia, nero, a pois bianchi, legato con un cintura nera all’altezza dello stomaco, che scendeva con un gonna larga e fresca che non mi stringeva affatto la pancia e non me la evidenziava nemmeno.
Debbie mi arricciò i capelli con la piastra rendendo i miei capelli -di solito lisci come una lastra- pieni di boccoli che non mi stavano affatto male. Insieme ad un po’ di trucco e a delle ballerine con poco tacco, l’effetto fu fantastico e ne fui molto soddisfatta, soprattutto perché Alex non appena mi vide mi riempì di baci e mi continuò a ripetere che ero bellissima finché Jack non lo portò via di peso prima che mi “prosciugasse”.
Il concerto iniziò nel migliore dei modi e The reckless and the brave fu cantata a squarciagola da tutti come anche For Baltimore che nonostante fosse uscita da poco, la sapevano ormai tutti a memoria tanto la melodia ti entrava in testa.
Verso la fine del concerto, cantai Under a Paper Moon con Alex che era diventata una sorta di canzone della nostra storia d’amore e successivamente cantai Remembering Sunday la cui prima parte cantata solo da Alex, la passai seduta accanto a lui a guardarlo e a pensare a quanto fosse dannatamente sexy quando era tutto sudato con i capelli che non avevano più una direzione e a come fossi stata fortunata a trovare un ragazzo come lui che mi amava , che era dolce con me e che rendeva speciale ogni singolo momento della mia vita.
La canzone finì ed Alex si alzò dallo sgabello, mi prese per mano e mi fece fare un inchino mentre diceva nel microfono: << Un bell’urlo per la mia Stella >>.
La folla urlò scaldandomi il cuore.
Alex mi baciò la fronte e mi sussurrò: << Sei stata bravissima >>.
<< Oh anche tu >>.
<< Tu di più >>.
Scoppiammo a ridere insieme.
Salutai la folla e la ringraziai prima di tornare dietro le quinte dalle quali nel mentre stavano riuscendo i tre quarti mancanti degli All Time Low.
Stavo per uscire dalla scena, quando sentì Jack dire al microfono: << Cos’è quello? >>.
Curiosa mi girai verso di lui e seguì il punto lontano che stava indicando come stavano facendo anche Alex,
Rian e Zack. Nonostante i riflettori mi accecassero riuscì comunque a vedere un grande cartello bianco con una scritta grande nera che riuscì a leggere solo dopo un po’.
Chiamatelo Colin”.
Rimasi a fissare il cartello perplessa. Chi dovevamo chiamare Colin?
Dopo qualche altra occhiata al cartello capì e sorrisi alla folla come una stupida per l’emozione forte che mi stava travolgendo. Mi girai verso Alex che ricambiò il sorriso e mi si avvicinò per stringermi a se.
<< Oh mio Dio! >>, esclamò Jack al microfono. << State proponendo un nome per il mio nipotino? >>, chiese Jack emozionato.
Dalla folla arrivarono alcuni “Si” e successivamente altri cartelli come il primo si alzarono e tutti avevano sopra scritto un nome diverso, tutti maschili ovviamente.
Rimasi completamente a bocca aperta, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere ma proprio mai mai mai in vita mia! Era un gesto così carino, così speciale che dovetti trattenermi dallo scoppiare a piangere.
<< Oh Dio, siete fantastici ragazzi, davvero >>, disse Alex passando lo sguardo tra i tantissimi cartelli che i fans ci stavano mostrando.
Alcuni cartelli li vedevo ma non riuscivo a leggerli ma anche se ci fossi riuscita come avrei mai potuto ricordarmi tutti i nomi e poi sceglierne uno?
<< Non li vedo tutti >>, sbuffai.
<< Ehi, Jeff! >>, urlò Alex al microfono, << potete illuminare la folla così riusciamo a vedere tutti i cartelli? >>.
Chiesto, fatto, immediatamente tutta la sala fu illuminata ed io riuscì a leggere tutti i nomi. Ce ne erano di tutti i tipi: Carl, Brendon, Cory, Denver, Duke, Eddie, Jude, Joe, Leo, Tom, Michel, …
Erano tantissimi nomi e io non avevo idea di come fare a ricordarmeli tutti, ma per fortuna, mio fratello aveva avuto già un’idea infatti lui e Zack si erano fatti portare alcuni pezzi di carta e una penna e avevano iniziato a scrivere tutti i nomi commentandoli con la folla esultante. Io ed Alex li aiutammo per fare prima e quando finimmo di scriverli tutti li contammo ed erano almeno un centinaio, davvero troppi tra cui scegliere, ma li avremmo comunque valutati, sarebbe stato bello dire un giorno che il nome di nostro figlio ce lo aveva suggerito una o un fan.
A fine concerto, dovemmo subito ripartire per tornare a Baltimora e durante il viaggio nel pulmino iniziammo a leggere tutti insieme i vari nomi che avevano proposto i fans per cercare di decidere quello definitivo.
<< Vediamo… abbiamo… James >>, lesse Matt dal foglio bianco che teneva tra le mani.
<< Mi piace >>, disse Rian.
<< James Gaskarth… suona piuttosto bene >>, disse Jeff annuendo varie volte.
<< Mi ricorda il nome di un nobile >>,disse Jack.
<< Di un nobile? >>, chiese Alex accigliato.
Jack si strinse nelle spalle. << Si, non so perchè >>.
<< Perché non chiamarlo James? >>, chiese Rian.
<< No, non mi piace, avanti il prossimo! >>, ordinò Jack.
<< Uh! C’è William! >>, esclamò Matt.
Risi. << Sarebbe carino chiamarlo con il tuo secondo nome >>, dissi rivolta ad Alex.
<< No, non mi piacciono i genitori che danno il proprio nome ai figli, potrebbe prenderla come: hai il mio nome quindi devi essere come me >>, disse Alex.
<< Che ne dite di un’unione tra i vostri nomi? >>, propose Vinny.
<< Uscirebbe un nome osceno! >>, esclamò Zack contrariato.
<< Stellex >>, annuì varie volte Jack.
<< Sembra un nome unisex >>, commentò Rian.
<< Ha ragione, Vinny hai avuto un’idea pessima >>, gli disse Alex.
<< Continuiamo con la lista >>, propose Debbie.
Matt tornò a studiare la lista dei nomi. << Sam >>.
<< No, mi ricorda il mio batterista >>, scossi la testa.
<< Però è un bel nome >>, commentò Colussy.
<< Perché non lo chiamate Matt >>, propose Jeff.
Scossi la testa. << Pessima idea! >>.
Ci mancava solo che chiamassi mio figlio come il ragazzo che era innamorato di me. Lanciai una veloce occhiata a Matt che però fingeva di star leggendo la lista e di non star ascoltando.
<< Sarebbe divertente, avremmo tre Matt >>, continuò Jeff.
<< Nooo >>, sbuffò Jack. << Sarebbe troppo un casino >>.
<< Luke? >>, lesse Matt.
<< Nah >>, lo scartò Alex.
<< Bill? >>.
<< Mi fa pensare ad un ciccione ubriaco >>, disse Jack guadagnandosi una generale occhiata perplessa.
<< Walter? >>.
<< Andiamo avanti! >>, ordinò Rian.
<< Enrico? >>.
<< Neanche morto! >>, sbottai.
<< Concordo! >>, disse Alex.
<< Zack? >>.
<< Ci sono già io come Zack >>, protestò il bassista.
<< Harry? >>.
<< Ti presento Selly >>, scherzò Jack e tutti scoppiammo a ridere con tanto di lacrime agli occhi.
<< Simon? >>.
<< Mmm… niente male >>, disse Jack.
<< Si, potrebbe andare >>, approvò Debbie.
<< Simon Gaskarth… si, mi sa che mi piace >>, annuì Rian.
<< Si, anche a me piace >>, dissi, poi mi girai verso Alex per vedere se anche lui era d’accordo.
<< Si, anche per me va bene, ma continuiamo a leggere la lista così vediamo se ne troviamo un altro più bello >, propose.
<< Concordo con il futuro papà >>, disse Zack sorridendo ad Alex.
<< Allora andiamo avanti, il prossimo è… Ralph >>.
<< Mi da l’idea di capelli rossi >>, commentò Matt Colussy.
<< Cosa che non succederà mai visto che nessuno dei due è rosso >>, disse Rian.
<< Mi sa comunque di capelli rossi >>, si strinse nelle spalle Colussy.
<< David? >>.
<< Troppo Simple Plan >>, rise Jack.
<< Ned? >>.
<< Mi ricorda Nerd >>, disse Vinny facendo una smorfia.
<< Max? >>.
<< Mi piace, finisce con la “x” come Alex >>, approvò Debbie.
<< Max Gaskarth… potrebbe andare >>, annuì.
<< Bene, ne abbiamo già trovati due, andiamo avanti >>, disse Alex.
<< Bob? >>.
Jack scosse la testa. << Un camionista >>.
<< Mi fa pensare ad un gatto >>, disse Zack.
<< Dean? >>.
<< No >>, lo eliminò Jeff.
<< Jake? >>.
<< Sa molto di Jack >>, commentai.
<< Cameron? >>.
<< Un bel nome, ma non suona molto con Gaskarth >>, disse Debbie.
<< Mason? >>.
<< Potrebbe andare >>, annuì Rian varie volte.
<< Avanti! >>, esclamò Jack.
<< Robert? >>.
<< Come Rian? >>, chiese Jack accigliato.
<< Robert Gaskarth… >>, feci la prova.
<< Non suona male >>, disse Alex.
<< Davvero chiamereste il bambino con il mio primo nome? >>, ci chiese Rian meravigliato.
Annuì. << È un bel nome e se a te non dispiace potremmo chiamarlo proprio così >>.
Alex sorrise. << Si, sono d’accordo anche io, mi piace come nome e se penso che è anche il nome di uno dei miei migliori amici mi piace ancora di più > >.
Il viso di Rian si illuminò e la sua bocca si aprì in un sorriso più luminoso del solito. << A me non dispiace affatto, anzi, mi farebbe felicissimo! >>.
<< Bene, allora che Robert Gaskarth sia! >>, esclamai.
<< Sarà bello chiamare Robert una persona che non si arrabbierà >>, commentò stupidamente Jack.
<< A me piace molto >>, disse Debbie sorridendo.
<< Quindi siamo tutti d’accordo? >>, chiese Jack.
Lo eravamo.
 
 
 Salveeee!
Okay, ce l'ho fatta :D non ero sicura di riuscire a postare stasera, mi sono ritrovata con un sacco di cose da fare tra cui la valigia, una torta e guardare Garfield *-* (ma quanto è tenero quel gatto? :3)... ma alla fine ce l'ho fatta U.U ho corretto in fretta e furia quindi se trovate degli errori è per questo e forse ho anche scordato di staccare qualche virgoletta, se è così fatemelo sapere ;).
Che ve ne pare del nome del bambino? :3 ci ho messo un po' a deciderlo e inizialmente avevo optato per Max, poi però ho pensato a Robert e mi è piaciuto tanto *w*. Beneee... ora devo andare a dormire che domani mi devo alzare presto D:.
Buonanotteeee :D
A sabato!!

Miki*
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** This could be all that I've waited for ***


-Weightless-.
 
Passarono quattro mesi e il momento tanto atteso si avvicinava sempre di più.
La gravidanza andava sempre meglio, il bambino era in ottima salute e anche io, nonostante non fossi più molto autosufficiente e nonostante avessi sempre un’insaziabile voglia di dolci che mi erano costati alcuni chili che speravo di perdere non appena il bambino fosse nato.
Il nuovo cd degli All Time Low era uscito un mese prima e aveva riscosso molto successo, erano tantissime le copie che erano state vendute e i ragazzi per ringraziare i fan avevano deciso di organizzare in alcune città anche Europee dei Meet and Greet dove avevano incontrato i fan e avevano autografato i loro cd. Era stata dura convincere Alex a partire, nonostante io fossi ancora all’ottavo mese, lui si era rifiutato di lasciarmi da sola per paura che da un giorno all’altro potessi partorire! Per fortuna, però, dopo giorni di discussioni, finalmente si era convinto ed era partito con gli altri e durante i suoi giorni d’assenza era andato tutto bene.
Il mio secondo cd era ancora in fase di creazione, con i ragazzi della band stavamo scrivendo ad uno ad uno i pezzi che poi avremmo registrato per il cd e più andavamo avanti più uscivano canzoni davvero fantastiche! Ne avevo di materiale su cui scrivere, con tutto quello che mi era successo potevo scrivere almeno una ventina di canzoni.
L’undici ottobre, gli All Time Low avevano organizzato un altro concerto a Baltimora al quale io non avrei cantato visto che nelle ultime settimane ero stata colta da vari dolori, alle gambe e anche alle costole, che a detta del dottore erano normali perché ormai la gravidanza stava per finire, il bambino era pronto infatti di lì ad una settimana avrei partorito.
Quel giorno, nel pomeriggio, mentre la band e la crew erano impegnati a sistemare l’attrezzatura nel locale dove si sarebbe svolto il concerto, io e Debbie andammo all’aeroporto per accogliere i miei genitori arrivati da Roma per assistere al mio imminente parto o meglio: la mamma avrebbe assistito al parto, papà si sarebbe limitato a rimanere fuori dalla sala ad aspettare insieme agli altri.
<< Oh mio Dio! Ma guarda come sei grossa! >>, esclamò mia madre non appena usciti dall’aeroporto.
Sbuffai. << Mamma sei davvero molto delicata >>.
Mi sorrise e mi abbracciò. << Dai, ti stavo solo prendendo un po’ in giro >>.
<< Peccato che non è divertente quando sei in queste situazioni e tu dovresti saperlo >>, dissi.
<< Scusami, allora! >>, disse la mamma sbuffando.
<< Non se la prenda signora Barakat, in quest’ultimo mese è davvero una brontolona >>, disse Debbie per consolarla.
<< Non sono una brontolona! >>, protestai.
No, in realtà lo ero, perché sinceramente non vedevo l’ora che finisse tutto quello e che il bambino fosse fuori, non ne potevo più di sentirmi sempre stanca, di non riuscire a fare quasi nulla da sola e di avere sempre quei dolori fastidiosi che mi facevano venir voglia di rimanere sdraiata nel letto per tutto l’intero giorno.
<< Sta sempre a lamentarsi che con il pancione non riesce a fare nulla >>, raccontò Debbie.
<< Oh anche tua madre si lamentava sempre >>, intervenne papà rivolgendosi a me. << Era una vera tortura, se la prendeva con tutti e non la finiva mai di mangiare >>, ridacchiò.
Risi, rincuorata da quelle parole.
<< Ehi non ti permettere di prendermi in giro, tu! >>, protestò la mamma sulla cui faccia, però, spuntò un sorriso che non riuscì a trattenere.
<< Come tu prendi in giro Stella io posso prendere in giro te >>, ribatté papà.
Sorrisi avvicinandomi al mio papà che presi sottobraccio. << Ha ragione papà >>, annuii. << Da oggi sarà a lui che vorrò più bene >>, sentenziai.
<< Ma se neanche vuole venire in sala parto con te! >>, ribattè la mamma.
<< Se potessi scegliere non ci verrei neanche io >>, ammisi.
Arrivammo alla macchina di Jack, che Debbie aveva requisito, e caricammo nel bagagliaio tutte le valigie che si erano portati, poi entrammo in macchina con Debbie alla guida, io sul sedile a fianco al suo e i miei dietro.
<< Allora, il dottore ti ha già detto quando nascerà? >>, mi chiese la mamma quando partimmo.
<< Si, ha detto che per la prossima settimana nascerà >>, risposi cercando di ignorare l’improvvisa pesantezza del mio stomaco.
<< Bene, benissimo, non vedo l’ora! >>, esclamò la mamma.
<< Non lo dica a me, finalmente nascerà il mio primo nipotino >>, squittì Debbie che sarebbe stata a tutti gli effetti la zia del bambino non perché era la mia migliore amica ma perché era ufficialmente la fidanzata di Jack. Era divertente come io fossi fidanzata con il migliore amico di mio fratello e come mio fratello fosse fidanzato con la mia migliore amica e come alla fine saremmo diventati tutti parenti!
<< Io non vedo l’ora che nasca, non lo sopporto più questo pancione, ma vorrei tanto che… uscisse senza farmi provare un dolore cane >>, dissi immaginandomi già in quella deprimente sala d’ospedale a contorcermi dal dolore con un sacco di medici intorno che mi ripetono di respirare e di spingere.
Mi scossi da quel pensiero e mi accorsi che stavo rabbrividendo.
<< Tranquilla piccola, ci sono passate tante donne e tantissime altre ci passeranno, è un dolore atroce, ma passa e appena sarà finito vedrai che sarai contentissima e sai perché? >>.
<< Perché la sofferenza sarà finita? >>, chiesi.
Rise. << No, perché finalmente vedrai il bambino e ti posso assicurare che non esiste momento più bello >>.
Sorrisi appoggiando una mano sulla pancia. << Hai sentito la nonna, Robert? Dopo avermi fatto soffrire atrocemente mi renderai felicissima >>.
Robert mi assestò un leggero calcio alla pancia giusto per farmi capire che aveva sentito. Ormai era da un po’ che lo sentivo scalciare e alle volte era divertente e irresistibilmente dolce, soprattutto quando lo faceva mentre gli parlavo, ma a volte faceva un male cane! E il brutto era che non ci potevo fare nulla.
<< Ha sentito >>, dissi verso la mamma che con espressione emozionata mi chiese: << L’hai sentito? >>.
<< Oh si, ormai lo sento da un po’ >>, risposi.
La mamma si sporse in avanti e mi appoggiò una mano sulla pancia. << Ciao piccolino, io sono la nonna e non vedo l’ora di vederti >>.
<< Tutto sanguinante >>, aggiunsi con una smorfia.
Un calcio, molto più forte.
Gemetti. << Scusa, ma è vero >>, dissi senza fiato per il dolore.
La mamma rise. << È davvero un bel tipino >>.
<< Per ora è molto suscettibile >>, ridacchiai.
<< Allora, dimmi, Alex come sta, è pronto per l’arrivo del piccolino? >>, mi chiese papà.
<< Oh, si, è pronto da quando è iniziato il settimo mese, non fa altro che spaventarsi per ogni mio singolo dolore >>.
La mamma rise. << Oh, ma com’è carino!  >>, commentò.
<< Anche io ero così quando tua madre aspettava Jack, ero sempre terrorizzato che chissà per quale motivo il bambino potesse uscire prima, quindi mi allarmavo sempre quando tua madre mi diceva che le faceva male qualcosa >>, mi raccontò.
 << I papà sono sempre apprensivi, anche mio padre lo era quando mamma aspettava me >>, intervenne Debbie.
Papà si strinse nelle spalle. << Non vogliamo che corriate nessun pericolo, né voi né il bambino >>, spiegò.
<< Ed è una delle cose più dolci del mondo >>, disse la mamma appoggiando la testa sulla spalla di papà.
<< Papà, è vero che tutte e due le volte che la mamma partorì tu non volli mai entrare nella sala con lei? >>, gli chiesi.
<< Entrai solo per i primi cinque minuti durante la nascita di Jack e quello che vidi fu… abbastanza >>, rispose.
Lo guardai preoccupata. << Fa così impressione? >>.
Prima che papà potesse rispondere ci pensò la mamma. << Certo! C’è tanto sangue, sudore, urla, pezzi di budella che se ne vengono e dolore, tanto dolore! >>.
<< Mamma! >>, sbottai infastidita dal suo tentativo –riuscito- di spaventarmi ancora di più di quanto già fossi.
Scoppiò a ridere. << Andiamo tesoro, smettila di angosciarti andrà tutto bene! >>, cercò di tirarmi su. << Ammetto che quello che ho detto succederà davvero, anche se non verrà fuori nessun pezzo di budella, ma puoi affrontarlo, dovrai solo fare come ti dicono i medici ed andrà tutto bene >>.
<< Durerà tanto? >>, chiesi.
Mi posò una mano su una spalla e stringendomela leggermente disse: << Il giorno del parto lo saprai >>.
Sospirai. Gli incoraggiamenti della mamma non servivano a molto, ma forse aveva ragione, non dovevo angosciarmi, dovevo cercare di stare tranquilla perché se mi agitavo sarebbe stato peggio.
<< Non ti preoccupare Tella, saremo tutti lì per darti forza >>, disse Debbie.
<< Tutti? >>, chiesi perplessa.
<< Be’… intendevo me, tua madre, Alex e forse Jack >>.
Mamma e papà scoppiarono a ridere. << Jack? >>, chiese mio padre tra una risata e l’altra.
Li guardai perplessa anche se immaginavo già il motivo di quell’improvvisa ilarità, Jack non sarebbe mai riuscito ad assistere al parto, era piuttosto sensibile al sangue e di sicuro o avrebbe dato di stomaco oppure sarebbe svenuto.
<< Si, forse meglio eliminare Jack dalla lista >>, concordò Debbie lasciandosi sfuggire una risata.
 
La sera, poco prima del concerto, io, Debbie, mamma e papà, raggiungemmo il locale dove gli All Time Low si sarebbero esibiti. Mamma e papà si sarebbero visti il concerto da giù, da quella che diciamo era la “platea” mentre io sarei stata con Debbie ai lati del palco, dove ero sempre per sostenere Alex.
Appena entrati, lasciai subito i miei genitori e andai da Alex che non appena mi vide mi corse incontro.
<< Ehi Stell, come stai? >>, mi chiese accarezzandomi leggermente una guancia.
<< Bene, anche se ho appreso cose del parto che non avrei mai voluto sapere >>, feci una smorfia.
Rise. << Pensa che sarò io quello che vedrà tutto il sangue >>.
<< Ma io sarò quella che dovrà urlare >>.
<< Okay, hai vinto tu >>.
Avvicinò il viso al mio e posò le sue labbra sulle mie facendo aumentare i battiti del mio cuore. Schiusi le labbra per far crescere l’intensità del bacio che mi liberò in fretta da tutto quello che non era Alex, le sue dolci labbra e la sua lingua che massaggiava la mia.
<< Ehi! Queste smancerie fatele in privato! >>, esclamò Jack.
Sciogliemmo il bacio ridendo e ci girammo entrambi verso Jack che ci stava guardando sorridendo divertito.
<< Incredibile sorellina, arrivi e neanche ti degni di venirmi a salutare >>, disse con finto tono offeso.
<< Scusa, ma è stato Alex il primo che ho visto >>, mi strinsi nelle spalle.
Sbuffò. << Tutte scuse >>.
<< Va bene, allora per farmi perdonare ti concedo un abbraccio con tanto di pancione in mezzo >>, ridacchiai.
Jack accettò con piacere nonostante sapesse che sarebbe stato scomodissimo abbracciarmi visto quel piccolo intruso che ci sarebbe stato in mezzo. Mi strinse forte a se e dopo si chinò ad abbracciare anche il mio pancione salutandolo con un: << Ciao nipotino! >>.
<< Ha fatto il bravo oggi? >>, mi chiese Alex appoggiandomi un braccio dietro le spalle mentre ai nostri piedi Jack stava iniziando un’allegra conversazione con il mio pancione.
<< Abbastanza, solo qualche calcio ogni tanto >>, risposi.
<< Almeno vuol dire che sta bene e che non vede l’ora di uscire >>, intervenne Jack.
<< Oh non vedo l’ora anche io >>, dissi.
<< Non ne vediamo l’ora tutti >>, intervenne Rian rivolgendomi il suo splendente sorriso.
Ero contenta di aver dato al bambino il primo nome di Rian, non perché lo preferissi per esempio a Zack, ma perché lo avevo reso felice, perché il nome Robert mi piaceva e perché avevo usato un nome proposto da uno dei fan.
Insieme a Rian arrivò anche Zack che nonostante tutto quello che era successo, si era ripreso molto bene ed era diventato il solito uomo del silenzio che però, ad insaputa di tutti tranne me ed Alex, si stava vedendo con una ragazza da qualche settimana; si, si era davvero ripreso bene ed era una cosa fantastica perché finalmente, forse, si stava togliendo Debbie dalla testa.
Matt arrivò qualche minuto dopo scuotendo la testa con fare divertito. << Cercavo la mia band disperatamente e guarda dove la trovo! >>. Mi sorrise. << Sei sempre fonte di distrazione, lo sai? >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Ora siamo in due >>, risposi. << E lui distrae più di me, fidati >>.
Risero.
<< Allora, forza ragazzi, sul palco! >>, disse Matt battendo le mani come per dare il via all’azione. << Stella, tu vieni con me >>.
Gli All Time Low scattarono subito ai loro posti di “combattimento” ed io seguì Matt che mi portò dall’altra parte del palco dove c’era già Debbie in piedi pronta per iniziare ad urlare e accanto a lei c’era una sedia che era probabilmente destinata a me e alla mia povera schiena dolorante.
Il concerto iniziò con alcune delle vecchie canzoni di Nothing Personal per poi passare alle canzoni del nuovo album. Più o meno a metà concerto, sentì l’urgenza di andare in bagno, cosa che mi capitava spesso visto la gravidanza, ma non mi sarei mai riuscita ad alzare da sola, così fui costretta ad attirare l’attenzione di Debbie, che stava cantando e saltando come una matta, tirandole la maglietta.
Non si girò.
<< Debbie! >>, urlai per sovrastare la musica.
Si girò a guardarmi perplessa.
<< Devo andare in bagno! >>.
Annuì. << Bene, anche io >>, urlò. Mi porse una mano e mi aiutò ad alzarmi sollevandomi di tutto peso non so neanche io con che forza.
All’inizio pensai che l’improvviso bagnato che avvertivo nei pantaloni fosse il risultato della mia vescica piena e dello sforzo che avevo fatto nel cercare di alzarmi e per un attimo mi vergognai del mio scarso controllo, ma poi, fermandomi un attimo a riflettere capì cosa era realmente successo.
Per fortuna la canzone finì e quindi non dovetti urlare per farmi sentire da Debbie che stava iniziando ad avviarsi verso il bagno.
<< Debbie! >>, la chiamai con la voce che tradiva tutto l’improvviso panico che sentivo dentro.
Mi guardò spaventata. << Tella… che succede? >>.
La guardai con gli occhi pieni di terrore. << Mi si sono rotte le acque >>.
Gli occhi di Debbie si sgranarono al massimo e per un attimo temetti che le potessero uscire dalle orbite, ma per fortuna non successe.
<< Oh cazzo! Oh cazzo, cazzo, cazzo! >>, ripeté tra se per un minuto buono prima di esclamare: << Vado a chiamare Matt, tu stai qui e non ti muovere >>.
Come se potessi andarmene in giro!
Pensai infastidita.
Ero nel completo panico. Il bambino stava per nascere. Stavo per avere il bambino e noi eravamo lì in quel locale, lontani più o meno venti minuti di macchina dall’ospedale... ci saremmo arrivati in tempo? Oddio e il concerto? Non c’era tempo per avvertire tutti e i ragazzi erano sul palco.
Matt comparve improvvisamente accanto a Debbie con la faccia pallida e preoccupata. << Stella! Stella! Stai bene? >>.
<< Dobbiamo andare all’ospedale! >>, esclamai.
<< Prima chiamo i tuoi genitori >>, ribattè Debbie.
<< Non c’è tempo! >>, sbottai. << Matt, mi puoi accompagnare all’ospedale? >>, chiesi guardando il manager che annuì.
<< Bene, allora noi andiamo, Debbie avvisa i miei e raggiungeteci >>, le dissi.
<< E Alex? >>, chiese Debbie.
Mi sarebbe dispiaciuto interrompere il concerto, ma diavolo, stava per nascere suo figlio, Alex doveva assolutamente esserci.
<< Dì a Vinny o a qualcuno degli altri di avvisarlo appena finisce questa canzone >>, dissi.
Debbie annuì. << Okay Tella, ti raggiungo subito, tu tieni duro >>.
<< Be’… per ora mi sento solo bagnata e terrorizzata, quindi tenere duro non sarà molto difficile, dimmelo quando starò urlando dal dolore per le contrazioni >>, dissi.
Matt mi prese per la vita e mi portò fuori, verso la sua macchina. Mi fece entrare delicatamente nella macchina e neanche due secondi dopo lui era già con le mani sul volante e stava già mettendo in moto.
Avevo il cuore a mille per la paura. Una settimana sto’ cavolo! Ma che dottore era quello?! Mi aveva fatta stare così tranquilla dicendomi che sarebbe nato tra una settimana e invece ora mi ritrovavo con un bambino in arrivo in rotta verso l’ospedale dove sapevo che avrei sofferto le pene dell’inferno e avevo tanta, tanta, tanta paura. Magari se fossi andata ad uno di quei corsi preparto sarei stata meno spaventata… oppure no.
Matt mi prese la mano e la strinse per cercare di farmi sentire più tranquilla. Meno male che c’era almeno lui vicino a me.  << Stella, non ho idea di che cosa si faccia in questi casi, ma so che non bisogna farsi prendere dal panico, devi stare tranquilla e fare dei profondi respiri >>.
<< Quello non è durante il parto? >>, scherzai, ma il mio tono suonò tutt’altro che scherzoso.
<< Be’… serve anche a tranquillizzarti >>.
Annuì e feci come mi aveva detto, cercai di respirare profondamente e di calmarmi, potevo affrontare tutto quello che stava succedendo, ce la potevo fare.
<< Non è che partorisci in macchina, vero? >>, mi chiese improvvisamente Matt preoccupato.
Scoppiai a ridere e in un attimo sentì tutta la paura sciogliersi come se non ci fosse mai stata. Nel vedermi improvvisamente così sorridente, Matt si rilassò. << Stai tranquillo, mi si sono rotte le acque, ma per fortuna non ho ancora nessuna contrazione quindi il bambino non è in arrivo imminente >>.
<< Allora perché tanta fretta? >>, chiese.
<< Perché non so quanto questo stato di calma potrà durare quindi è meglio se arriviamo all’ospedale il prima possibile >>.
Annuì. << Non ne so proprio niente di parti >>, commentò amaramente.
Risi. << Quando sarà il momento imparerai tutto >>, dissi pensando a come Alex si fosse fatto spiegare per bene da sua madre e mia madre cosa succedeva quando una donna stava per partorire.
<< Spero che quel momento arrivi molto tardi >>, ammise.
<< Anche io lo volevo… e invece ora non vedo l’ora che il bambino venga fuori >>.
<< Be’… tra qualche ora o… qualche minuto sarai accontentata >>.
<< Ehi! >>, protestai. << Non dirlo neanche per scherzo! Non voglio partorire tra qualche minuto, preferisco tra qualche ora >>.
Così passerai ore in preda alle contrazioni!
Mi disse una vocina nella mia testa.
La mamma mi aveva detto che le contrazioni potevano non arrivare subito, ma se non mi fossero arrivate proprio? E se avessi allarmato tutti per nulla? Se avessi fatto interrompere un concerto per nulla?! Che figura ci avrei fatto?
<< Matt… se si scoprisse che… non partorirò adesso ma forse domani, mi prenderesti a schiaffi? >>, gli domandai.
<< No >>, rispose prontamente, poi guardandomi perplesso continuò: << Perché? Non… non stai per partorire? >>.
<< No… o almeno credo di no… insomma, mi stavo domandando se vista l’assenza di contrazioni non dovessi iniziare a pensare di essermi allarmata per nulla… cioè no per nulla, ma per l’arrivo del bambino non ancora imminente >>.
<< Stella, stai tranquilla, anche se non dovessi partorire adesso partorirai comunque domani o anche stanotte, e io di sicuro non mi arrabbierei, anzi, penso che nessuno si arrabbierebbe, perché è normalissimo che tu sentendo che ti si sono rotte le acque ti sia subito allarmata >>.
Proprio mentre finiva di parlare sentì un’improvvisa fitta più o meno nella parte bassa della pancia dove di solito mi faceva male quando avevo il ciclo.
<< Ho parlato troppo presto >>, dissi mentre la fitta si faceva sempre più forte, sempre più dolorosa.
Chiusi gli occhi e mi concentrai per non gridare.
<< Tell?! Tell?! >>, mi chiamò Matt con il tono di voce allarmato.
<< Matt… ti prego… sbrigati >>, sussurrai ancora pervasa dal dolore che somigliava molto ad un pizzicore solo molto ma molto più doloroso.
<< Siamo quasi arrivati >>, mi rassicurò. << Tieni duro, ce la faremo >>.
Gli lanciai un’occhiata veloce e vidi che la sua faccia era un velo di terrore, preoccupazione e agitazione, aveva i denti conficcati nel labbro inferiore, la fronte sudata, le mani che tamburellavano nervosamente sul volante e gli occhi pieni di apprensione. Poverino, lo stavo facendo preoccupare tantissimo, avrei voluto rimettermi a sedere normalmente e fingere che non stesse succedendo nulla, ma il dolore era talmente forte che non riuscivo a non star ripiegata su me stessa.
Arrivammo in ospedale e io quasi non me ne accorsi troppo occupata a trattenere tutte le imprecazioni possibili e immaginabili che mi stavano venendo in mente in quel terribile momento.
<< La mia amica sta per partorire! >>, urlò quasi Matt appena entrato nell’ospedale.
Le donne che erano al bancone dell’entrata, vennero subito a prendermi e a farmi domande del tipo: << Quando le si sono rotte le acque? >> , << Ha le contrazioni da molto? >>.
Matt rispose per me visto che io non avevo neanche la forza di camminare.
Le donne mi portarono in una stanza deprimente con le pareti color giallo ocra e il lettino con le coperte dello stesso colore. Matt ci seguì silenzioso ma agitato e mi rimase accanto per tutti i minuti successivi nei quali un dottore mi venne a visitare per vedere a che punto della dilatazione ero arrivata; alla fine della visita disse che ce ne voleva ancora prima che il bambino uscisse e io in mente lo mandai al diavolo perché non avrei potuto sopportare quel dolore ancora per molto. Per fortuna, quando la visita si concluse, nella stanza entrarono la mamma, Debbie e papà che mi trovarono seduta scompostamente sul lettino in cerca di una posizione che mi permettesse di riprendere fiato da quel dolore che per un attimo era divento più lieve ma che in quel momento si stava facendo sentire sempre di più.
Dopo essersi assicurato che stessi bene, papà portò fuori Matt che a detta sua sembrava davvero sconvolto.
<< Tesoro, avanti, stai tranquilla, finirà tutto presto >>, mi disse mia madre accarezzandomi dolcemente la schiena.
<< Oh… lo… spero… AH! Davvero… >>, dissi con affanno.
<< Tella, ho avvisato Vinny di avvertire Alex e gli altri come mi avevi detto, penso che stiano per arrivare >>, mi avvisò Debbie.
Mi sentì un po’ più tranquilla al pensiero che Alex sarebbe stato lì con me, che tutta la mia famiglia sarebbe stata lì con me a farmi coraggio.
<< Dio che male! >>, esclamai.
Altro che coraggio, lì mi ci voleva una botta in testa per perdere i sensi fino al momento in cui tutto non fosse finito.
<< Tranquilla, calmati, respira >>, disse la mamma parlando in modo lento e tranquillo.
<< Sono calmissima! >>, sbottai.
No, non lo ero affatto, ma nessuno lo sarebbe stato in quella situazione.
Improvvisamente come era venuto, il dolore si attenuò ed io ritornai a respirare normalmente. Guardai la mamma. << È passato >>, dissi.
La mamma annuì. << È normale, ora avrai ancora per qualche ora le contrazioni irregolari che poi si regolarizzeranno da sole e solo a quel punto dopo un po’, potrai partorire> >.
<< Bisogna aspettare tutto questo tempo? >>, chiesi scioccata.
<< Tesoro, ma non l’hai sentito il medico? >>, mi chiese.
<< Ero più occupata a soffrire >>, risposi.
<< Meno male che Matt ha prestato attenzione >>, ridacchiò Debbie.
<< Come faccio ad aspettare delle ore mentre soffro? >>, chiesi più in generale che a qualcuno.
<< Possiamo cantare una canzone >>, propose mia madre.
<< Ma che cantiamo una… AAH! >>. Una fitta.
Mi piegai in due... per quanto mi fosse possibile.
<< Santo cielo che male >>, gemetti. 
Debbie mi prese una mano e la strinse forte mentre la mamma riprese ad accarezzarmi la schiena e a mormorarmi parole d’incoraggiamento.
Passò un’ora e di Alex e gli altri non c’era nessuna notizia, al contrario, del bambino c’erano notizie, il dottore era tornato a controllarmi e aveva detto che stavo iniziando a dilatarmi e che le contrazioni sarebbero durate almeno per un’altra ora. Io intanto, continuavo a soffrire e a stare bene ad intermittenze non regolari come aveva detto la mamma, ma la durata si stava facendo sempre più corta e sempre la stessa almeno così aveva calcolato un’infermiera che dopo il dottore era venuta a contare per quanti minuti mi contorcessi dal dolore.
Dopo la fine dell’ennesima fitta di dolore, improvvisamente Matt rientrò nella stanza. << Stella! >>.
<< Si? >>.
Sembrò colpito di vedermi forse perché a differenza di quando mi aveva portata lì, avevo indosso un osceno camice verde da ospedale e avevo i capelli scompigliati e leggermente sudati.
<< Alex e gli altri sono stati bloccati dal traffico, pare che si sia scatenata una sorta di protesta contro le pellicce >>, m’informò.
Sbuffai. << Proprio oggi dovevano mettersi a protestare?! >>.
<< Mi hanno detto che stanno facendo di tutto per arrivare in tempo >>.
<< Tanto ci vorrà più o meno un’altra ora >>, disse la mamma.
Un’altra contrazione mi fece gemere dal dolore.  << Spero arrivino presto >>, sussurrai.
Matt sorrise. << Pur di portare Alex qui farò atterrare il nostro jet provato in mezzo alla strada >>.
<< Sul serio? >>, gli chiesi con un sorriso che purtroppo risultò sofferente.
<< Te lo prometto >>, mi strizzò l’occhio ed uscì di nuovo dalla stanza.
Il dolore se ne andò lentamente e questa volta riuscì a sorridere pensando a quanto dolce fosse Matt che mi aveva portata fin lì con la macchina, mi aveva portata di peso dentro l’ospedale e si era spaventato così tanto.
<< Che ragazzo dolce >>, disse la mamma fissando la porta dalla quale era uscito il manager.
<< Si, lo è davvero >>, dissi ampliando il mio sorriso.
<< Non me la conti giusta con quel sorrisino allegro >>, mi disse Debbie guardandomi accigliati.
Improvvisamente mi ricordai che Debbie non sapeva nulla del fatto che Matt fosse innamorato di me, non glielo avevo ancora detto e dopotutto perché avrei dovuto? Era meglio se nessuno lo sapesse, così sarebbe rimasto un segreto solo mio e di Matt che avremmo mantenuto probabilmente fino alla tomba.
La mamma mi pizzicò un braccio.
<< Aho! >>, protestai.
<< Ti devo ricordare che stai per partorire il figlio di Alex? >>.
<< No, certo che no! >>, esclamai.
<< Bene, perché che non ti venga in mente di tradire Alex ora che avrete anche un bambino! >>.
<< Ma come ti viene in mente?! >>, le chiesi stizzita.
La sua aria accigliata si accentuò e guardandomi minacciosa disse: << Guarda che ho visto bene come ti guardava Matt e ho visto come hai sorriso tu >>.
Debbie la guardò curiosa. << Lei dice che a Matt piace Stella? >>, chiese.
La mamma annuì.
Addio al segreto solo mio e di Matt.
Contrazione. Urlo. Carezza della mamma. Secondi di agonia. Fine.
<< Ma… non… dite sciocchezze! >>, dissi mentre facevo dei profondi respiri.
<< Io dico solo quello che ho visto >>, sorrise la mamma in modo furbo.
<< Quello che hai visto è solo un buon rapporto d'amicizia, nulla di più >>, dichiarai.
<< Meglio che lo sia >>, disse.
Le contrazioni continuarono e continuarono, sempre più frequenti e sempre più regolari e di Alex nessun segno. Matt non si vedeva più ed io ero sempre più inquieta.
Dopo molto più di un’ora, la dottoressa che aveva misurato la frequenza delle mie contrazioni, mi venne a visitare e mi comunicò che ero quasi pronta e che quindi potevo essere condotta in sala parto. Fui colta dal panico più totale. Non volevo andare in sala parto, non volevo, non volevo, non volevo, non senza Alex, non senza che lui potesse vedere la nascita di suo figlio per una stupida protesta che avrebbero potuto organizzare un altro cavolo di giorno.
<< Io non mi muovo di qui! >>, dichiarai con un tono che sperai suonasse risoluto, ma per colpa di una nuova contrazione sembrai solo disperata.
<< È arrivato il momento cara, non puoi tirarti indietro ora >>, mi disse la dottoressa.
Guardai mia madre. << Non posso partorire se non c’è anche Alex >>.
<< Mi dispiace tesoro, ma se il bambino deve uscire, deve uscire, non possiamo rimandare il parto perché Alex è bloccato nel traffico >>.
Mi salirono le lacrime agli occhi. << Ma… è colpa mia! >>, esclamai. << È colpa mia se lui non è già qui, avrei dovuto avvertirlo subito e invece sono scappata… non avrei dovuto e gli devo qualche minuto d’attesa >>.
<< Non si può davvero, cara >>, disse la dottoressa.
Le lacrime mi scesero sulle guance dichiarando tutta la mia tristezza. << No! No! No! >>, urlai quasi. << Non voglio entrare in quella stanza senza Alex, mi rifiuto! >>.
<< Avanti cara, non ti agitare, ti fa male nella tua situazione >>, cercò di calmarmi la dottoressa, a scarso successo.
 << Non mi importa! >>, sbottai. << Voglio aspettare l’arrivo di Alex! >>.
Cercai di alzarmi per sfuggire da quel lettino, ma quel movimento mi costò caro infatti un dolore allucinante mi fece urlare dal dolore e mi costrinse a sdraiarmi di nuovo impotente. Strinsi forte gli occhi sperando che quel dolore finisse.
<< Mi sa che ci siamo >>, sentì dire la dottoressa e subito dopo sentì il letto muoversi in modo rapido.
Il dolore passò e nel momento esatto in cui riaprì gli occhi, sentì la sua voce e automaticamente il mio cuore scoppiò di gioia.
<< Stell! >>.
<< Alex?! >>.
Vidi comparire il suo viso sopra il mio e sentì la sua mano stringere forte la mia e subito provai un profondo sollievo.
Ora puoi smetterla di fare la bambina capricciosa e andare a partorire questo bambino così finirà tutta questa agonia?
Mi chiesi sapendo perfettamente di non aver fatto una bella figura prima, ma ero in buona fede, ero terrorizzata e avevo paura che Alex potesse perdersi quel momento importante.
<< Andrà tutto bene amore mio, io sono con te, adesso >>, mi disse Alex stringendomi sempre di più la mano.
Aveva il viso stravolto da tantissime emozioni contrastanti, ma sembrava totalmente padrone della situazione.
<< Come sei arrivato? >>, gli chiesi.
<< Matt ha fatto atterrare il jet per la strada >>.
Risi nonostante il momento di tensione. << Lo ha fatto veramente? >>.
<< A mali estremi, estremi rimedi >>, disse Alex.
Grazie Matt.
Pensai.
Quando tutto quello sarebbe finito avrei dovuto ringraziarlo di persona.
Fui portata in sala parto dove iniziò il vero inferno. Il dolore che avevo provato in tutte le contrazioni non era niente rispetto al dolore che provai quando i dottori iniziarono a dirmi che dovevo respirare profondamente e dovevo iniziare a spingere.
Ho un ricordo molto confuso del parto, ricordo solo le mie urla, il dolore atroce, la mano di Alex stretta alla mia, mia mamma che mi stringeva l’altra mano baciandomela delicatamente, Debbie che si commuoveva, i dottori che mi dicevano cosa fare… ricordo anche di aver visto Jack ad un certo punto, ma in quel momento ero troppo impegnata ad urlare e a spingere per verificare se davvero si trovasse nella stanza; successivamente pensai di essermelo immaginato perché dopo quella veloce apparizione non lo vidi più.
Il bambino nacque dopo il momento più doloroso, sanguinoso e lungo della mia vita. La mamma aveva avuto ragione, appena i miei occhi stanchi e pieni di lacrime riconobbero la figura insanguinata e urlante che un’infermiera stava tenendo in braccio mi sentì come se improvvisamente non mi importasse più di quanto fossi stanca o del dolore atroce che avevo provato, tutto era passato in secondo piano ora che avevo visto finalmente il mio bambino.
Dopo essere stato lavato e avvolto in una coperta, il bambino venne dato ad Alex che lo prese con mani tremanti. Nonostante non connettessi bene, ricordo benissimo di aver visto Alex commuoversi mentre quel piccolo fagottino si muoveva tra le sue braccia e urlava.
Di lì a qualche minuto, caddi in un sonno profondo senza neanche accorgermene. Ricordo che, prima che il sonno mi inghiottisse, pensai ad una frase di una canzone degli All Time Low: This could be all that I’ve waited for.
Si, quello era decisamente tutto quello che stavo aspettando, finalmente nella mia vita avevo tutto: una
grande famiglia, la mia carriera da cantante, un fidanzato che amavo più di qualsiasi altra cosa e un
bambino che mi avrebbe reso la vita bellissima, ne ero sicura.

Salveeee :D
Finalmente il bimbo è nato :DD yee! xD La reazione  di Stella prima di entrare in sala parto è un po' esagerata, lo so u.u però quando l'ho scritta mi è uscita così e non volevo cambiarla xD. Il prossimo sabato sarà l'ultima volta che aggiornerò D: poi finirà anche questa :( che cosa triste D: mi sono affezionata un sacco a questa storia *-* ha vissuto con me per due anni :3 (più precisamente ad Agosto "so wrong, it's right" farà due anni :3).

Buona settimana!! :D

Un bacio!

Miki*  P.s. la foto ci sta tutta :3 ed è tanto carina *w*

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Capitolo 25
*** You know i'm never gonna let you go ***


-Time Bomb-.


Passarono un anno e dieci mesi dal giorno del parto e Robert cresceva a vista d’occhio. Era un bambino bellissimo, aveva degli splendidi occhi azzurri che aveva preso da mio padre e dal padre di Alex, aveva i capelli castano scuro che portava già tutti scompigliati come il papà e lo zio, e nonostante fosse ancora piccolo, era già abbastanza alto come dopotutto era naturale visto che io ed Alex eravamo molto alti. Nonostante avesse quasi due anni, ancora non aveva detto la sua prima parola, balbettava solo ogni tanto qualcosa che però era indecifrabile; inutili erano i miei tentativi di fargli dire mamma o papà.
Era agosto ed io, Alex, Robert, Zack, Jack, Rian, la crew, Debbie e Cassadee, eravamo tornati in Italia, a Roma, dove avevamo affittato una grande casa in un città vicino al mare dove passare le vacanze e dove festeggiare allegramente ogni mese di Robert. Si, era un’esagerazione, ma era bello festeggiare il piccolino che ogni mese diventava sempre più grande e sempre più adorabile, aveva un faccino birichino del quale ti innamoravi subito ed era molto dolce, si faceva coccolare da tutti e non faceva che dare abbracci e baci.
Il giorno in cui Robert compiva un anno e dieci mesi, organizzammo una piccola festicciola e invitammo anche i Simple Plan e la mia band. I miei genitori e quelli di Alex sarebbero venuti a trovarci in settimana per stare un po’ con il bambino.
La mattina, prima che arrivassero gli altri, scendemmo tutti in spiaggia come eravamo sempre soliti fare ogni mattina, per prendere un po’ il sole e soprattutto per far divertire un po’ Robert con il quale Alex, Matt e Rian si mettevano a costruire tantissimi castelli di sabbia che occupavano quasi tutta la spiaggia; si divertivano un mondo, tutti quanti. Dopo il primo bagno tutti insieme con Robert in braccio a me che, poverino, aveva ancora troppa paura dell’acqua per starci dentro, ci andammo a sdraiare tutti al sole e alcuni sotto i vari ombrelloni che avevamo portato da casa. Eravamo tantissimi, sembravamo una sorta di colonia e invece eravamo tutta una grande famiglia che abitava in una stessa casa sempre troppo affollata e sempre troppo chiassosa, non vi dico che fila c’era per il bagno al mattino quando ci dovevamo preparare tutti.
<< Avanti, non è troppo difficile >>, dissi rivolta a Robert che più che ascoltarmi stava giocherellando con il secchiello, seduto di fronte a me sull’asciugamano.
A fianco a me c’erano Alex e Jack, al fianco di Jack c’era Debbie e un po’ più avanti di Debbie c’era Cassadee che prendeva il sole sdraiata con gli occhi chiusi.
<< Magari preferisce dire Jack >>, disse Jack.
<< Jack è più difficile da dire, mamma è formata da solo due lettere diverse >>.
<< Papà è più corto >>, disse Alex.
Sbuffai. << Tanto mi sa non dirà nessuna delle tre parole >>, dissi guardando Robert che ci guardava quasi divertito come se lo stesse facendo apposta a non ripetere quello che dicevamo.
<< Mamma >>, gli ripetei per la decima volta.
Balbettò qualcosa che non assomigliava minimamente a mamma.
Sospirai.
<< Vuoi dire papà? >>, gli chiese Alex. << Avanti, ripeti… pa… pà >>.
<< Prova a dire Jack >>, lo esortò mio fratello.
Zack, in piedi alle nostre spalle, rise. << Secondo me gli state incasinando un po’ le idee >>.
<< Ha ragione, perché non provate a fargli imparare prima solo una parola? >>, intervenne Debbie.
<< Jack o zio per me va bene, basta che la sua prima parola sia un modo per chiamarmi >>.
Sia io che Alex lo guardammo storto.
<< Certo, imparerà a chiamare il suo caro zio che è svenuto nella sala parto non appena lo ha visto uscire >>, borbottò Alex.
Ebbene si, il giorno del parto avevo visto bene, ad un certo punto era davvero entrato Jack che a detta di Matt era voluto entrare per assistere dicendo che era forte e che ce la poteva fare, ma non appena era entrato aveva visto tutto il sangue, si era impressionato e aveva perso i sensi allarmando i dottori che però, visto il momento delicato in cui erano, lo avevano lasciato svenuto e avevano solo chiamato soccorsi, per fortuna c’era stata Debbie che lo aveva fatto riprendere e lo aveva portato fuori. Avrei tanto voluto ricordarmelo perché di sicuro se lo avessi visto mi sarei fatta un sacco di risate come me le facevo ogni volta che gli altri ne parlavano.
Jack intrecciò le braccia al petto. << Uffa! Per quanto ancora mi rinfaccerete questa storia? >>, chiese.
<< Finché sarà divertente >>, dissi scoppiando a ridere seguita da Alex, Zack e anche Debbie che Jack guardò storto e lei stringendosi nelle spalle si difese dicendo: << Mi dispiace Jack, ma è stato davvero un momento comico e ora che non siamo più in una situazione di tensione è divertente ricordarlo >>.
<< Siete insopportabili >>, sbuffò Jack.
Alex gli si avvicinò e gli diede qualche pacca sulla spalla. << Avanti Jack, lo sai che scherziamo, non te la prendere >>.
Jack ignorò le parole di Alex e voltò il viso dall’altra parte con indifferenza. A difesa dello zio, Robert si alzò e gli andò vicino per abbracciarlo.
<< Oddio che amore >>, disse Debbie.
Jack sorrise e rispose all’abbraccio. << Grazie Robert, almeno qui qualcuno mi capisce e mi vuole bene >>.
Alex e Zack lo spinsero scherzosamente. << Lo sai che ti vogliamo bene anche noi >>, disse Zack mettendogli un braccio intorno al collo per avvicinarlo a se e così sfregargli amichevolmente i capelli.
Jack scoppiò a ridere e subito dopo iniziò a protestare e a pregare Zack di lasciarlo, ma la morsa del bassista era forte e inutili erano i tentativi di Jack di sottrarsi a quella presa ferrea che alla fine accettò.
Robert tornò da me ora che aveva portato a termine il suo compito e come se non fosse successo nulla, tornò a giocare con la sabbia e con il secchiello.
<< Non dirai nessuna parola che io ti dirò, vero? >>, gli chiesi.
Si limitò ad alzare gli occhi azzurrini verso di me e a sorridermi prima di tornare a giocare.
Sospirai. << Va bene, allora sarà bene che mi metta l’animo in pace e aspetti che tu ti decida a dire qualsiasi cosa >>, dissi.
Balbettando sempre in quella sua lingua a me sconosciuta, mi porse a fatica il secchiello nel quale iniziò a metterci dentro la sabbia che sfuggiva dalla sua piccola mano facendolo innervosire. Era adorabile quando corrugava la fronte indispettito.
<< Rian?! >>, sentì chiamare Cassadee. << Rian! Vieni qui! >>.
Il batterista, dalla riva, arrivò da noi correndo sulla sabbia. << Dimmi >>.
<< Ri… >>, sussurrò Robert.
Lo guardai perplessa. << Cosa? >>, chiesi.
<< Ri… an… Ri… Ri… >>, balbettò.
Cosa voleva dire?
<< Rian! >>, esclamò improvvisamente rivolgendomi un sorriso largissimo con cui sembrava volesse dirmi: << Vedi, finalmente ho parlato >>.
Il batterista si girò a guardarmi. << Mi hai chiamato? >>, mi chiese.
Passai lo sguardo incredulo da lui a Robert e poi tornai a guardare lui e dissi: << Non sono stata io >>.
Gli altri si girarono verso di noi a guardarci perplessi.
<< Rian! >>, esclamò di nuovo Robert allegro.
<< Rian? >>, chiese Jack scioccato.
<< Ha detto Rian? >>, chiese Alex con gli occhi fissi sul piccolo.
<< Ha detto il mio nome! >>, esclamò Rian emozionato.
<< Rian >>, ripeté ancora Robert.
<< Incredibile, tre ore a ripetere parole e cosa va a dire: Rian! >>, sbuffò Jack.
Zack si strinse nelle spalle. << È il suo omonimo >>.
Rian si chinò a prendere in braccio Robert che girandosi verso di lui spalancò le braccia, esclamò di nuovo il suo nome e abbracciò il batterista allacciandogli le braccia al collo.
Sorrisi. << Almeno ha detto la sua prima parola >>.
Zack si alzò. << Ci vuole una foto per questo momento >>, disse correndo verso la sua borsa dove aveva messo a riparo la macchinetta dai granelli di sabbia.
Zack scattò una foto ai due Robert.
Verso ora di pranzo, io, Debbie, Alex, Robert e Cassadee, ritornammo a casa per metterci a cucinare quello che sarebbe dovuto essere un pranzo abbondante per ventiquattro persone compresi i bambini, si, dico bambini perché con i Simple Plan sarebbero venute anche Lachelle e la piccola Lennon che aveva già compiuto due anni.
La casa era a due piani, bianca, molto spaziosa, con camere abbastanza grandi da poter contenere massimo cinque letti, due armadi, una scrivania, una libreria e qualche poltrona. I bagni erano solo due, uno al piano di sotto ed uno al piano di sopra dove si trovavano tutte le camere. Al primo piano, invece, si trovava la cucina, la sala da pranzo, il salotto e una sorta di studio che era pieno di cianfrusaglie. Il giardino intorno alla casa era molto ampio infatti fu proprio in giardino che apparecchiammo il lungo tavolo per il pranzo, sotto un gazebo di plastica bianco. Sebastian e Peyton erano venuti insieme a noi, ovviamente, e mentre noi cucinavamo, tennero compagnia a Robert che si divertiva un mondo a rincorrerli per tutto il giardino. Alex alla fine, annoiato dal cucinare, uscì in giardino con Robert a giocare con i cani. Faceva tenerezza vederli giocare tutti e quattro insieme.
Quando ormai eravamo a metà preparazione, sentì un clacson che suonava e affacciandomi alla finestra vidi una sorta di pullmino che si stava parcheggiando davanti alla casa. Pierre sbucò dal finestrino del guidatore e salutò Alex con una mano.
<< Sono arrivati i Simple Plan >>, annunciai prima di uscire di corsa dalla casa per andare ad accogliere la mia band preferita.
<< Buon pomeriggio! >>, esclamò Jeff in italiano scendendo dal pullmino con indosso degli occhiali da sole neri e una maglietta grigia che recitava “I LOVE ITALY!”.
<< Buon pomeriggio a te Jeff >>, dissi in italiano mentre gli aprivo il cancelletto della recinzione che chiudeva il giardino.
<< Come stai? >>, mi chiese Jeff sempre in italiano.
<< Bene, bene e tu? >>.
<< Benissimo! Amo l’Italia e prima di venire qui ho fatto un corso per imparare l’italiano >>.
<< Oh… è davvero un bel corso! >>, dissi constatando che parlava davvero molto bene l’italiano a parte per qualche piccolissimo errore di accento. << Parli perfettamente l' italiano >>.
<< Grazie mille >>.
Alex, che nel mentre aveva seguito tutto lo scambio di battute con espressione perplessa, ci chiese in inglese: << Potete tradurre? >>.
Io e Jeff scoppiammo a ridere. << Non abbiamo detto nulla d’importante, tranquillo >>, rispose Jeff che si avvicinò a salutarlo.
<< Tell! >>, esclamò Sebastian che corse ad abbracciarmi senza neanche darmi il tempo di rispondere al “saluto”.
<< Mi sei mancata tantissimo! Come stai? >>, mi chiese sciogliendo l’abbraccio.
<< Benissimo e tu? >>.
<< Bene, bene, lo sai che sto avendo successo con le mie nuove canzoni da solista? >>.
<< Ma è fantastico! Complimenti >>, lo abbracciai nuovamente.
David affiancò Sebastian e mi sventolò davanti al naso un cd che a prima vista non riconobbi. << Guarda che cosa stavamo sentendo mentre venivamo qui >>, mi disse.
Osservai più attentamente il cd e lo riconobbi. << Oh Dio! Ma è il mio nuovo cd! >>, esclamai.
<< Davvero un bel lavoro >>, si complimentò Chuck affiancando i due amici.
<< Grazie, ma il merito è anche della mia band >>, dissi.
<< Non vedo l’ora di incontrarli per parlare con loro di composizioni >>, disse Sebastian.
<< Dovrebbero arrivare tra poco >>, dissi.
I ragazzi entrarono nel giardino e andarono a salutare Alex che ora teneva in braccio Robert che spaventato dell’arrivo di tutti quegli estranei era corso al sicuro da lui.
<< Ecco la mammina! >>, esclamò Pierre mentre veniva verso di me seguito da quella che doveva essere Lachelle: una ragazza alta, con i capelli biondi, lunghi e lisci, magra e con gli occhi marroni. Per mano a Lachelle c’era Lennon paffutella e carinissima che indossava un vestitino rosa che era davvero un amore.
<< Be’ ormai lo sono da quasi due anni >>.
<< Lo so, ma mi sembra solo ieri che sono venuto da te in Francia per consolarti dopo che avevi scoperto di essere incinta >>, mi abbracciò.
<< A me invece sembra passata un’eternità da quel giorno >>.
Sciogliemmo l’abbraccio e Pierre si scostò per presentarmi la sua fidanzata. << Stella, loro sono Lachelle e Lennon, le due donne della mia vita >>.
Sorrisi a Lachelle e le porsi una mano. << Molto piacere di conoscerti >>.
Mi strinse la mano. << Piacere mio, era da tanto che volevo conoscerti >>, disse.
<< Oh anche io, ma non ce n’era mai il tempo >>.
<< Oh e ora ne abbiamo sempre di meno >>, disse guardando la piccola Lennon che mi stava guardando curiosa.
<< Concordo in pieno >>, risi.
<< Lennon, dì ciao a Stella >>, la incitò Lachelle.
Mi chinai vicino alla piccolina e le sorrisi. << Ciao, io sono Stella >>.
<< Ciao >>, mi sorrise timidamente rivelandomi le sue dolcissime guanciotte paffutelle.

<< Già parla? >>, chiesi sia a Pierre che a Lachelle.
<< Si, abbastanza >>, rispose Pierre.
<< E il tuo bambino? >>, mi chiese Lachelle.
<< Oggi ha detto la sua prima parola >>, dissi.
<< Qual è stata? >>, mi chiese Pierre.
<< Rian >>, risposi stringendomi nelle spalle.
Pierre scoppiò a ridere, poi si affrettò a spiegare a Lachelle. << Rian è il nome del batterista degli All Time Low >>.
<< Oh >>, annuì Lachelle.
<< Ha sentito Cassadee che lo chiamava e… ha ripetuto il nome >>, spiegai facendo una smorfia.
Lachelle sorrise. << Probabilmente gli sarà piaciuto >>.
<< Più di mamma o di papà? >>, chiesi anche se la mia non era una vera e propria domanda.
Lachelle si strinse nelle spalle. << È un bambino originale >>.
<< Dovrei preoccuparmi del fatto che non parla? >>, le chiesi approfittando dell’opportunità di avere lì con me una neo-mamma come me.
Scosse la testa. << No, tranquilla, ogni bambino ha bisogno dei suoi tempi >>, mi rassicurò.
<< Vedrai che ora che ha detto la sua prima parola ci prenderà gusto e inizierà a dirne altre >>, intervenne Pierre.
<< Spero che una delle prossime sarà mamma >>, ammisi.
I Simple Plan salutarono tutti gli altri e io e Lachelle facemmo fare conoscenza a Robert e Lennon che dopo un po’ di timidezza iniziale, iniziarono subito a giocare insieme. Chissà se sentendo Lennon che parlava anche Robert avrebbe iniziato a parlare.
Lachelle, Jeff e Sebastian aiutarono me, Cassadee e Debbie in cucina e successivamente ci aiutarono anche ad apparecchiare fuori.
La mia band arrivò poco prima che il resto degli All Time Low e della crew tornasse dalla spiaggia. A differenza dei Simple Plan, non arrivarono con la stessa calma e lo stesso silenzio, infatti, non appena scesi dalla macchina iniziarono subito a chiamarmi come se fossero stati al mercato. Sempre i soliti ragazzi chiassosi.
<< Volete avvisare tutto il mondo del vostro arrivo? >>, gli chiesi poggiando le mani sui fianchi.
<< Perché no! Qui siamo come celebrità >>, disse Sam esultante.
Lo guardai perplessa. << In che senso? >>.
Edward mi appoggiò le mani sulle spalle. << Tieniti forte Tella, perché sto per darti una notizia super >>.
Lo fissai aspettando che continuasse, curiosa.
<< Il tuo nuovo cd è primo nella classifica italiana delle vendite, quarto nella classifica Europea e decimo nella classifica Americana! >>.
Mi lasciai sfuggire un urlo e presa dall’emozione abbracciai Edward che ricambiò l’abbraccio con una stretta forte.
<< Sei contenta? >>, mi chiese Travis che affiancò Edward insieme a Chris e Sam.
<< Se sono contenta? Sono al massimo della felicità! >>, risposi. << È fantastico, non mi sarei mai aspettata che il cd vendesse così tanto >>.
<< Te lo meriti, hai fatto davvero un buon lavoro >>, disse Chris stringendomi affettuosamente una spalla.
<< Non avrei fatto un bel niente senza di voi e questo non è il mio cd > >, guardai Edward, << è il nostro cd, perché anche se lì sopra c’è il mio nome è comunque un lavoro che abbiamo fatto insieme e sicuramente senza di voi quel cd non avrebbe nessuna musica ma solo parole >>.
<< Io direi che è il momento giusto per un abbraccio di gruppo >>, propose Sam.
Ridendo, ci abbracciammo tutti insieme.
<< Oh, ho portato la torta, come mi avevi chiesto >>, mi informò Travis.
<< Grazie mille, qui non sapevo proprio dove andarla a recuperare >>, dissi.
La band si unì al resto dei presenti che prese subito posto a tavola visto che eravamo tutti affamati ed avevamo aspettato l’arrivo dei ragazzi per iniziare a mangiare. Decidere la disposizione dei posti fu un’impresa visto quanti eravamo ma alla fine ci disponemmo così: Robert a capotavola, io ed Alex vicino a lui, l’uno di fronte all’altra; dalla mia parte del tavolo erano seduti: Debbie, Jack, Cassadee, Rian, Matt, Travis, Vinny, David, Sam e Jeff mentre seduti dal lato di Alex c’erano: Zack, Pierre, Lachelle, Lennon, Jeff –della crew-, Chuck ,Sebastian, Chris e Matt Colussy e Danny.
Mangiammo un pranzo davvero abbondante con tanto di primo, secondo, contorno e dolce. Fu una sorta di pranzo di Natale che riempì tutti fino al limite ma che divertì  visto quante risate ci facemmo a fare battute e a raccontare fatti divertenti che ci erano accaduti. Arrivati al momento della torta, la portai in tavola e feci spegnere –con qualche difficoltà- a Robert le candeline anche se non era ancora il suo compleanno, ma visto che c’eravamo tutti e che ad ottobre non sapevo chi ci sarebbe stato per festeggiare i suoi due anni, era meglio festeggiare prima, tutti insieme l’anno e i dieci mesi.
Passammo un pomeriggio molto divertente, era bello stare tra amici dopo tutto quel tempo che eravamo stati tutti impegnati con i tour, i nuovi cd e i figli.
Qualche ora dopo il pranzo tronammo tutti in spiaggia per un mega torneo di beach volley per il quale ci dividemmo in quattro squadre, tre formate da cinque giocatori e una formata da sei giocatori. Io ero in quella da sei, visto che ero abbastanza scarsa a giocare a beach volley, insieme a: Pierre, Vinny, Matt, Cassadee e Travis.
La mia squadra non vinse, ma fu comunque divertente ed io mi divertì soprattutto a testare la mia totale incapacità di coordinare il movimento occhio-braccia.
Dopo la partita a beach volley, Jeff e Sebastian andarono a prendere le loro chitarre così che insieme potessimo cantare Summer Pardise, la canzone dei Simple Plan che aveva riscosso molto successo lì in Italia soprattutto dopo che avevano registrato la nuova versione insieme a Sean Paul.
La sera, sia i Simple Plan che la mia band, andarono a dormire in un hotel poco lontano dal mare così da non affollare ancora di più la casa che era già piena, infatti di posti letto non ce ne erano più se non si contavano i due divani che si potevano aprire e potevano ospitare massimo due persone ognuno.
 

Il giorno successivo, dopo un’altra mattinata passata in spiaggia a bere granite, fare i bagni e a prendere il sole, partimmo tutti insieme, nel pomeriggio, verso Roma dove Matt aveva organizzato un concerto degli All Time Low dove però non si sarebbero esibiti solo loro ma anche i Simple Plan, io e la mia band e anche Cassadee che avrebbe suonato le sue canzoni da sola con la chitarra visto che gli Hey Monday non erano lì con lei. Mamma e papà vennero a vederci e a tenere Robert che per la prima volta avrebbe visto i suoi genitori su un palco. Quello fu il giorno in cui Robert disse, finalmente, per la prima volta, mamma, indicandomi mentre ero sul palco a cantare una delle nuove canzoni che si intitolava Be strong e che avevo dedicato soprattutto a me stessa.
Gli All Time Low furono gli ultimi ad esibirsi ed io questa volta, invece di vedere il concerto dai lati del palco, raggiunsi i miei che si trovavano un po’ distanti dalla folla di fans insieme a Debbie che come suo solito si sgolò per urlare a squarciagola le parole delle canzoni. Robert si divertì un mondo soprattutto nei momenti di pausa tra una canzone e l’altra, quando gli dicevo di applaudire e lui iniziava a battere le mani esaltato come se fosse stata la cosa più bella da fare al mondo. Probabilmente anche lui sarebbe diventato un musicista un giorno, glielo leggevo in quei vivaci occhi azzurri che osservavano con ammirazione quell’enorme palco pieno di luci colorate dove i ragazzi stavano suonando e dove Jack stava anche ballettando muovendosi come un forsennato.
<< Ti piace? >>, gli chiesi.
Robert non mi rispose e nemmeno mi guardò, troppo occupato a guardare attentamente tutto quello che succedeva sul palco.
La mamma guardò prima me e poi Robert sorridendo, poi mi si avvicinò e mi sussurrò che anche io da piccola avevo lo stesso sguardo di Robert quando mi portarono a vedere il mio primo concerto di cui però non ricordavo assolutamente nulla, neanche di che cantante fosse stato.
Con due genitori che lavoravano nel mondo della musica probabilmente Robert avrebbe vissuto solo di quello, ma poteva anche succedere che da grande avrebbe avuto altre ambizioni e io allora lo avrei lasciato fare, perché sapevo benissimo a mie spese che i sogni andavano sempre inseguiti.
Gli diedi un lieve bacio sulla fronte. << Ti voglio tanto bene, piccolino >>.
Robert girò la testolina verso di me, mi sorrise ed esclamò: << Mamma! >>. Usò lo stesso tono allegro che aveva usato per dire Rian il giorno prima; probabilmente il fatto di riuscire finalmente a dire qualche parola lo rendeva felicissimo.
Il concerto finì verso le nove di sera, agli ATL vennero chiesti ben cinque bis che loro fecero senza protestare. Non finì tardi perché era iniziato a metà pomeriggio.
A concerto finito, gli altri tornarono a casa mentre solo io e Debbie rimanemmo a Roma insieme a Robert e ai miei. L’idea di rimanere a Roma era stata di Debbie e io avevo proposto anche agli altri di restare con noi, ma nessuno aveva voluto, nemmeno Alex, avevano risposto tutti che erano stanchi e che preferivano andarsene a casa a riposare; visto il rifiuto di tutti anche io ero stata tentata di dire a Debbie di rimandare “la serata a Roma” per un altro giorno, ma i miei si erano uniti a Debbie e avevano iniziato a pregarmi di rimanere, così ero stata costretta ad accettare l’offerta e a rimanere a Roma cosa che si rivelò tutt’altro che maligna, anzi, mi era mancato guardare Roma di sera. Passeggiammo molto per le strade affollate parlando un po’ dei vecchi ricordi, un po’ di com’era bella Roma di notte. Robert si addormentò appoggiato al mio petto neanche dopo qualche minuto dall’inizio della passeggiata; poverino, di solito a quell’ora dormiva già da molto, forse avrei fatto meglio a farlo andare con Alex, anche perché non avrei mai voluto che la persona che incontrai vedesse che avevo avuto un bambino.
Successe tutto molto velocemente: io e Debbie camminavamo davanti a mamma e papà, e parlavamo allegramente mentre passavamo davanti alle vetrine di Via Del Corso, ad un certo punto, sul marciapiede opposto al nostro, un ragazzo che passeggiava con una combriccola d’amici dietro, attirò la mia attenzione. Ci misi un po’ a riconoscerlo, forse per il nuovo taglio di capelli davvero troppo corto oppure perché in tutti quegli anni che erano passati si era arrotondato davvero di molto, soprattutto sui fianchi il che era incredibile per uno che era sempre stato molto magro. Se avessi tenuto lo sguardo basso, magari non mi avrebbe riconosciuta, ma fu quasi impossibile non fissarlo, ero troppo scioccata, non mi sarei mai aspettata di rivederlo, soprattutto così cambiato. Come se avesse sentito il mio sguardo su di se, Enrico alzò i suoi occhi verdi verso di me e per un attimo anche lui rimase perplesso probabilmente indeciso se fossi davvero io. Il suo sguardo si fermò a lungo su Robert quasi incredulo, poi tornò a me… e poi io distolsi lo sguardo pensando che per niente al mondo avrei voluto che Enrico venisse lì da me, il fatto che lo avevo visto e che lui avesse visto me era già troppo.
Tornammo a casa dove tutti erano già nelle loro camere, tutti tranne Alex. La nostra camera era vuota, non c’era segno di Alex il che era davvero strano. Dove diavolo era andato a quell’ora della notte? Dovevo preoccuparmi.
Robert si era svegliato durante il viaggio di ritorno e sembrava più allegro di quando si era addormentato, così nell’aspettare Alex, mi misi a giocare con lui con i supereroi che gli aveva regalato Matt al suo primo compleanno quasi un anno prima. Il suo preferito era Thor, il Dio del fulmine, lo usava sempre e ci dormiva anche a volte.
Dopo un po’, qualcuno bussò piano piano alla porta.
Alex non aveva bisogno di bussare.
<< Avanti >>, dissi.
Jack fece capolino con la testa nella camera. << Ciao sorellina >>, mi salutò sorridendomi allegro.
Lo guardai aggrottando le sopracciglia. << E tu che ci fai qui? >>, gli chiesi mentre chiudeva la porta della camera alle sue spalle e si avvicinava al letto.
<< Sono venuto per il mio turno di babysitter >>, disse.
<< Il tuo turno di cosa? >>, chiesi perplessa.
Mi sorrise e mi porse un foglio bianco con sopra una scritta a penna nera. << È da parte di Alex >>, disse prima che lo prendessi.

Indossa un costume e raggiungimi in spiaggia, ti aspetta una bella cenetta romantica.
Alex.”

Alzai lo sguardo verso mio fratello che mi guardava aspettando che dicessi qualcosa.
<< Una cenetta romantica, a quest’ora? >>, chiesi.
<< Be’… nessuno dei due ha cenato, se ti ricordi bene >>.
Solo in quel momento mi accorsi del mio stomaco che stava brontolando affamato. Una cenetta romantica ci avrebbe fatto bene.
<< Quindi tu sei qui per occuparti di Robert? >>, gli chiesi.
Jack annuì. << Starà con me e con Debbie >>, mi informò.
<< Siete sicuri che volete prendervi questo compito? >>, scherzai.
<< Certo, se no Alex mi uccide >>.
<< Va bene >>, acconsentì.
<< Vieni Rob, stasera starai con gli zii mentre i tuoi genitori faranno gli sporcaccioni >>, gli disse Jack prendendolo in braccio.
<< Spoccaccioni >>, disse Robert.
<< Jack! >>, lo rimproverai.
Mio fratello scoppiò a ridere e Robert insieme a lui. << Scusa, ma non è colpa mia se impara parole che non dovrebbe imparare >>.
<< Spocaccioni >>, ripeté scatenando una nuova risata di Jack.
Sospirai. << Vai prima che chiami Alex e gli dica di annullare tutto perché ha assunto una babysitter inappropriata >>.
<< Vatti a preparare signorina invece di stare qui a giudicare il mio lavoro che Alex non può mica aspettare per sempre >>.
Mi alzai e diedi un bacio su una guancia a Robert. << Ci vediamo dopo, piccolino >>.
Jack mi porse la guancia e io gli stampai un affettuoso bacio sopra. << Grazie Jack >>.
Si strinse nelle spalle. << E di che, per una volta che potete fare voi gli sporcaccioni invece che io >>.
Mi coprì le orecchie. << Non voglio saperlo! >>, protestai.
Rise. << Ma dai! Neanche ti avessi detto i dettagli >>.
<< Buonanotte Jack! >>, esclamai con ancora le mani sulle orecchie.
Scosse la testa. << Buonanotte sorellina >>.
<< Ti voglio bene! >>.
<< Anche io e mi raccomando non urlare troppo che potrebbero sentirvi e chiamare la polizia per atti osceni in luogo pubblico >>.
Gli lanciai un cuscino contro, ma lui uscì prima e il cuscino finì addosso alla porta.
Dopo tutti quegli anni separati, finalmente sarei stata per tutta la mia vita con mio fratello, con il mio fantastico fratellone che finalmente aveva messo la testa a posto ed era felice.
Indossai un costume a due pezzi a strisce colorate e sopra indossai un copricostume qualunque tanto per non andare in giro per la strada con solo il costume addosso. Raggiunsi la spiaggia in più o meno cinque minuti probabilmente perché presa dalla fame e dalla voglia di stare un po’ da sola con Alex, camminai a passo svelto come se stessi gareggiando per una maratona.
La spiaggia era completamente deserta, Alex era seduto in riva al mare e poco distante da lui c’era un gazebo bianco che probabilmente era stato portato da casa nostra con sotto un tavolino basso con sopra due cartoni di pizza e ai lati del tavolo due cuscini. Il gazebo era illuminato poco, con delle candele sparse un po’ intorno al tavolo e per il resto del gazebo.
Sorrisi. Nonostante fosse una cena molto spartana, la adoravo, era semplice e proprio per questo era bellissima. Mi avvicinai ad Alex e mi sedetti accanto a lui sulla sabbia. Indossava i pantaloncini del costume e sopra una maglia bianca leggera che aveva lasciato slacciata all’altezza dello sterno dove si intravedeva la leggera peluria che ricopriva il suo petto.
<< Mi piace >>, dissi girandomi a guardarlo.
Sorrise. << È organizzato tutto un po’ di fretta e furia >>, disse.
<< È per questo che siete scappati tutti dopo il concerto, vero? >>, chiesi.
<< Si, i Simple Plan e la band mi hanno aiutato a portare il gazebo qui e a organizzare il resto >>, spiegò.
<< Molto carino da parte loro e soprattutto molto carino da parte tua, non me lo aspettavo proprio >>.
<< Bene, mi fa piacere, volevo proprio che fosse una sorpresa >>.
<< Ora possiamo mangiare? >>, gli chiesi ridacchiando. << Sto morendo di fame! >>.
<< Anche io >>, ammise ridacchiando.
Si alzò e una volta in piedi mi porse una mano per aiutarmi ad alzare. Prima che potesse dirigersi verso il gazebo, lo attirai a me e lo baciai pensando che era davvero troppo tempo che io ed Alex non avevamo un po’ di intimità, con il bambino e tutto il resto era diventato difficile trovare anche un momento per appartarci in privato.
<< Vorrei saltarti addosso subito >>, disse interrompendo per un attimo il bacio, << ma è meglio mangiare prima, tanto abbiamo tutto il tempo dopo >>, continuò staccando di nuovo le sue labbra dalle mie.
Annuì. << Hai ragione >>, concordai.
Mi porse un braccio. << Mi permetta di accompagnarla, milady >>.
Scoppiai a ridere. << Il gentiluomo non ti si addice proprio >>, dissi ma accettai comunque il suo braccio e mi lasciai scortare fino al gazebo dove l’odore di pizza calda mi fece borbottare ancora di più lo stomaco. Presi posto su uno dei due cuscini e così anche Alex che aprì il primo cartone di pizza liberando ancora di più l’ottimo profumino che avevo avvertito appena ci eravamo avvicinati.
<< Questa è mia >>, disse posando il cartone davanti a lui, poi aprì l’altro e me lo porse a me.
Mangiammo tutto in poco tempo, avevamo talmente tanta fame da non vederci quasi più. La pizza era buonissima e insieme alla presenza di Alex, al suono rilassante delle onde del mare e all’effetto romantico delle candele, rese la serata davvero speciale, ma le sorprese non erano finite.
Finito di mangiare, Alex si fece improvvisamente serio e con fare un po’ indeciso, si venne a sedere al mio fianco.
< < Qualcosa non va? >>, gli chiesi preoccupata dal modo strano in cui improvvisamente si era fatto silenzioso e preoccupato.
Fece un bel respiro. << Stell… in realtà questa cena non l’ho organizzata solo per stare un po’ insieme >>, confessò.
<< E per cos’altro? >>, chiesi in tono tranquillo per evitare di agitarlo ancora di più in qualche modo.
Dopo aver fatto un altro respiro, scoppiò a ridere.
Lo guardai perplessa.
<< Mi sento… davvero stupido, sono qui a tentennare quando dovrei solamente dirtelo e basta >>.
<< Dirmi cosa? >>, chiesi sperando che facesse finire quel momento d’ansia e mi dicesse finalmente cosa voleva dirmi.
<< Stell >>, iniziò in tono convinto, << ormai è da quasi quattro anni che stiamo insieme, abbiamo avuto un bambino e io sono contentissimo di questo, sono contento di aver formato una famiglia con una ragazza che amo con tutto il cuore, che mi rende felice ogni momento della mia vita e che mi sta sempre accanto nei momenti difficili e che si preoccupa sempre di me >>. Mi prese le mani tra le sue e mi guardò fisso negli occhi. << Stell, ti amo tantissimo, sei una persona stupenda e sono sicurissimo al cento per cento di voler trascorrere tutto il resto della mia vita con te e di voler costruire con te una famiglia che in parte abbiamo già iniziato con Robert >>.
Mi pizzicarono gli occhi. Stava dicendo delle cose bellissime e io ero una che si commuoveva facilmente, ma non volevo scoppiare a piangere, Alex avrebbe potuto capir male il motivo per cui piangevo e non volevo che si sentisse pentito oppure offeso dalla mia reazione. Ricacciai indietro le lacrime e lo osservai mentre sfilava una mano via dalla mia per andarsi a frugare nella tasca del costume dalla quale estrasse un cofanetto piccolo e nero.
Mi mancò il fiato.
Ma quello era… ?
Oddio era davvero…?
Oh mio Dio! Oh mio Dio! Oh santissimo cielo!
Gli occhi di Alex si alzarono per incontrare i miei e per un attimo tradirono una leggera apprensione. Le mani tremanti di Alex aprirono il cofanetto rivelando un magnifico anello argentato con un diamante a forma di cuore al centro.
<< Stella Barakat, vuoi sposarmi? >>.
Mi sentì come se il cuore mi fosse esploso nel petto per l’emozione troppo grande che stavo provando in quel momento; era un’emozione così pura, così gioiosa che non riuscì più a controllare me stessa e senza che me ne accorgessi, iniziai a piangere e per non farlo capire ad Alex, lo abbracciai di getto iniziando a ripetere all’infinito: << Si, si, si, si, si, siiiii >>.
Alex ricambiò l’abbraccio e mi strinse forte a se. << Ti amo >>.
<< Ti amo anche io >>, singhiozzai.
Sciolto l’abbraccio, Alex mi infilò l’anello al dito mentre io continuavo a piangere silenziosamente con il cuore in completo fermento. Mi sentivo talmente tanto bene che improvvisamente mi chiesi se non stessi sognando tutto.
Le labbra di Alex mi fecero capire che era tutto reale.
<< Che ne dici di un bagno? >>, mi chiese con le labbra ancora vicinissime alle mie.
<< Ci sto >>, accettai.
Ci spogliammo rimanendo in costume, ci avviammo verso la riva ed entrammo nell’acqua che era calda ed invitante, ti faceva venire proprio la voglia di immergerti e di rilassarti in quell’immensa distesa d’acqua scura illuminata solo dalla luna piena. Dopo esserci allontanati dalla riva, abbastanza perché l’acqua ci arrivasse al polpaccio, Alex, prendendomi di sorpresa, mi spinse facendomi cadere con il sedere a terra sulla sabbia; per fortuna la sabbia era abbastanza morbida e quindi non mi feci male.
Lo guardai storto. << Ehi! >>.
Rise. << Scusa, ma non ho resistito >>, disse e mentre io continuavo a guardarlo male, lui si piegò e si venne a mettere sopra di me, che ero sdraiata sui gomiti immersi nell’acqua. Attirò la mia bocca alla sua e mi baciò dolcemente. Approfittai di quel momento e con tutta la forza che avevo, lo spostai da sopra di me e lo feci ricadere al mio fianco tra gli schizzi dell’acqua.
Mi guardò sorpreso, non si sarebbe mai aspettato che io gli restituissi il favore. Mi alzai e iniziai a correre nell’acqua per distanziarmi da lui che sapevo benissimo che una volta rialzato me l’avrebbe fatta pagare. Mentre correvo feci attenzione a rimanere sempre nell’acqua bassa così che non mi fosse difficile correre. Alex non si pose lo stesso problema, infatti nuotò fino a me venendo dalla parte dell’acqua alta dove io non me lo sarei mai aspettata. Mi prese i fianchi facendomi sussultare per la sorpresa, e mi tenne stretta finché non mi arresi, stanca e con l’affanno.
<< Mi arrendo >>, dissi e mentre Alex abbassava le mani ne approfittai di nuovo e lo schizzai.
Mi rimandò lo schizzo e scoppiammo tutti e due a ridere come scemi.
Alex mi attirò nuovamente a se ma invece di baciarmi le labbra, mi baciò il collo, prima di leccarlo in un medo che mi fece venire i brividi. << Sai di sale >>, commentò.
Scoppiai a ridere e lo imitai. Si, anche la sua pelle sapeva di sale, cosa che lo rendeva ancora più appetitoso.
<< Io torno a riva, devo preparare una cosa, tu intanto resta qui e raggiungimi tra qualche minuto, tanto non ci vorrà molto >>, mi disse.
<< D’accordo >>, sorrisi.
Alex si allontanò ed io ne approfittai per farmi una bella nuotata sotto la luce pallida della luna che sembrava ci stesse osservando da lassù. Dopo aver nuotato per un po’, poggiai i piedi a terra ed alzai fuori dall’acqua la mano sinistra dove scintillava il mio anello di fidanzamento. Probabilmente gli altri erano già a conoscenza della proposta che Alex mi aveva fatto…  chissà se anche i miei genitori lo erano, dopotutto erano stati loro a convincermi a rimanere a Roma per un altro po’, quindi potevano benissimo essere in
combutta con lui. Ora che eravamo fidanzati ufficialmente, avrei dovuto pensare al matrimonio, alla cerimonia, al vestito, agli invitati, al ristorante… quante cose c’erano da preparare! Ce ne sarebbe stato il tempo? Speravo di si. Mi sentivo emozionatissima all’idea che tra qualche mese o anche tra un anno sarei diventata la signora Gaskarth. Avevo solo ventidue anni ma avevo già un figlio, un lavoro, una casa e stavo anche per sposarmi; non stavo forse correndo troppo? Ma che importava alla fine, l’unica cosa importante era che Alex ed io ci amavamo e troppo presto o no, io ero sicura di volerlo sposare, non avrei mai trovato una persona migliore di lui e volevo passare il resto della mia vita con lui al mio fianco e con la nostra famiglia.
Tornai a riva, dove Alex era seduto su degli asciugamani stesi sulla sabbia tutti messi vicini così da sembrare una sorta di letto.
Mi strizzai capelli per far uscire l’acqua e mi avvicinai a lui. << Hai organizzato proprio tutto >>, dissi sorridendogli.
Si strinse nelle spalle. << Ci tenevo che fosse speciale >>.
Mi sedetti accanto a lui. << Fidati, dopo questo >>, alzai la mano sinistra per indicare l’anello, << non potrebbe essere più speciale >>.
Sorrise sghembo. << Neanche se ci stendiamo su questi asciugamani e diamo vita ai nostri desideri più sconci? >>, mi chiese.
Feci finta di pensarci. << Mmm… forse >>.
Alex si sdraiò ed io mi sdraiai a mia volta sopra di lui facendo subito combaciare i nostri corpi ancora in parte bagnati. Le mie labbra cercarono le sue che avevano un vago sapore di sale che assaporai lentamente lasciando che il nostro bacio si facesse sempre più intenso, sempre più profondo. Le sue mani mi accarezzarono le gambe con movimenti lenti che mi infuocavano la pelle e andavano ad accrescere sempre di più la mia passione. [...]
Ci sdraiammo l’uno accanto all’altra e rimanemmo in silenzio per qualche minuto aspettando di riprendere fiato e di far attenuare tutte quelle emozioni che ci avevano travolti.
Rimanemmo ancora un po’ sotto il cielo stellato a coccolarci ascoltando il silenzio della notte interrotto solo dai nostri respiri e dal rumore delle onde che si infrangevano sulla riva. Alex mi tenne stretta a se tutto il tempo accarezzandomi i capelli e baciandomi qualche volta la testa mentre io ero appoggiata con la testa contro il suo petto, con gli occhi chiusi e le mani che gli accarezzavano delicatamente la pancia.
<< Lo sai che non ti lascerò mai? >>, mi chiese.
Sorrisi. << Neanche io lascerò mai te >>, promisi.
Quando tornammo a casa, era davvero tardi, ma Jack era ancora sveglio come anche Debbie e sfortunatamente anche Robert che però si vedeva benissimo che stava morendo di sonno. Jack e Debbie mi chiesero subito cosa avessi risposto e non appena gli dissi che avevo detto di si, Debbie mi saltò addosso e mi abbracciò cercando di non urlare per la gioia, mentre Jack mi sorrise e mi strizzò l’occhio dicendomi che era molto felice per me; mi avrebbe abbracciata anche lui se Debbie non mi fosse rimasta appesa al collo come un Koala per tutto il tempo.
Raggiunsi Alex in camera nostra che già si era messo il pigiama ed era già sdraiato a letto. Cambiai Robert e gli feci indossare il pigiama, poi andai in bagno per cambiarmi a mia volta; quando tornai in camera erano già tutti e due piombati nel sonno e la cosa dolce era che tutti e due erano girati su un fianco nella stessa posizione solo uno di fronte all’altro.
Sorrisi.
Ecco la mia famiglia, i due uomini della mia vita.
Pensai con emozione.
Spensi le luci e mi andai a sdraiare sul letto accanto a Robert che era girato verso Alex. Il mio telefono si illuminò avvisandomi che mi era arrivato un messaggio che ancora non avevo letto. Presi il telefono domandandomi chi diavolo potesse mandarmi un messaggio a quell’ora della notte.
Era un numero sconosciuto, ma non appena lessi il messaggio capì chi fosse e l’unica cosa che mi venne da fare invece di distruggere il cellulare, fu scoppiare a ridere.
Enrico mi aveva scritto: “Eri davvero tu stasera, in via del corso?”.
Non mi presi il disturbo di rispondergli, anche perché ero veramente stanca, volevo solo dormire fino all’ora di pranzo del giorno dopo.
<< Chi era? >>, mi chiese improvvisamente Alex facendomi prendere un colpo.
Non lo riuscivo a vedere per colpa del buio, ma dal tono assonnato che aveva usato capì che stava per ricadere di nuovo nel sonno, quindi preferì non dirgli nulla e lasciarlo dormire.
<< Nulla, te lo dico domani >>.
Lo sentì allungare una mano verso di me e a mia volta l’allungai anche io intrecciando le mie dita con le sue.
Mi addormentai ed entrai nel mondo dei sogni che dopotutto non era tanto diverso dalla mia vita.


Salveeee :DD
Scusatemi, scusatemi davvero tanto, soo in ritardissimo D: è che ho avuto il saggio di danza e quindi ho avuto prove su prove e zero tempo per riuscire a postare D:; oggi, nonostante la stanchezza (mi sa che dopo aver pubblicato il capitolo andrò a dormire xD) mi sono imposta di postarvi il finale di questa luuunga FF. Oddio che brutto... è finita T.T. la scena "rossa" xD l'ho proprio tolta perchè non sapevo come "sintetizzarla" xD... magari quando sarò più sveglia la metterò ;). 
Vi è piaciuto il ritorno di Enrico? XD lo dovevo rimettere in qualche modo u.u così la storia sarebbe finita come la prima :3.
Ringrazio davvero, dal profondo del mio cuoricino, tutte le persone che hanno recensito :) mi dispiace di non aver risposto a tutte o di aver ripetuto le stesse cose nelle varie risposte, ma non sono molto brava in queste cose xD. Un grande grazie va anche alle persone che non hanno recensito ma che hanno comunque seguito la storia e se ne sono affezionate :3 .
Un altro seguito è sicuro che non ci sarà :S questa volta non ci saranno sorprese >< anche perchè alla fine se si continua troppo una storia può diventare noiosa e magari ripetitiva u.u e poi sinceramente non saprei che scrivere xD quindi la stpria di Stella ed Alex finisce qui *-*, vi ringrazio ancora tanto :)... probabilmente mi rivedrete sul sito u.u ho già in mente una nuova FF di cui però non riesco ancora a scrivere l'inizio ><.
Ok, vi ho annopiato abbastanza xD
A prestooo! :DD
Un bacio.

Miki*

P.s. se volete aggiungermi su fb sono questa xD  
https://www.facebook.com/micaela.crisci ho anche twitter, ma non lo uso tanto xD se volete cmq seguirmi sono @MikiBarakat96 :)
 


 


 


 


 

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