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110 metri,110 metri, sono due mesi che mi alleno per stabilire un nuovo record e quest’oggi
finalmente…
Il braccio della Ninja si fletté all’indietro caricando la
spinta che avrebbe portato il suo Shuriken a raggiungere l’agognato bersaglio.
Il muscoli tesi, lo sguardo concentrato, le gambe appena divaricate in modo da
ottenere uno stabile equilibrio. Finalmente, dopo due mesi di allenamento ce
l’avrebbe fattae dopodichè avrebbe
avuto una scusa per andare dal suo ‘vampiro’ preferito a declamare i suoi
meriti bellici. Una scusa come un’altra per poterlo vedere, ma in fondo ciò che
contava era il risultato. Già si immaginava la sua entrata in scena. Lo avrebbe
sorpreso al Quartier Generale della WRO saltando a sorpresa da dietro al primo
angolo in cui si sarebbe appostata, gli si sarebbe avvinghiata al collo,
baciato una guancia e poi dalla guancia sarebbe scivolata inesorabilmente verso
le sue labbra…
Aaaaah, no! Non è il
momento di fantasticare!
Stupida, stupida
Yuffie!
Se non batti questo
record non avrai nessuna scusa valida per andarlo a trovare!
E tu non vuoi certo
che capisca che sei tanto cotta di lui da pensarci in ogni momento della tua
giornata, vero?
Allora piantala di
fantasticare come un’adolescente alla prima cotta, hai già passato quella fase!
Comportati da vera
Ninja, concentrati e…lancia!
“YUFFIE!”
“AAAAH!!”
Spaventata dal brusco aprirsi della porta scorrevole che
segnava l’ingresso alla sala riservata agli allenamenti, Yuffie emise un
poderoso grido che da impaurito si trasformò in disperato, quando lo Shuriken
che aveva appena scagliato si andò a piantare al lato del manichino, sbagliando
clamorosamente la traiettoria che la Ninja di Wutai aveva stabilito in modo
così accurato. Il tutto a causa di suo padre che di punto in bianco decideva di
fare irruzione durante i suoi allenamenti.
“PAPA’ CHE COSA TI SALTA IN MENTE DI ENTRARE COSI’
ALL’IMPROVVISO??” Sbottò infuriata la ragazza lasciando che la propria voce
riecheggiasse per l’enorme ambiente che costituivail dojo della Famiglia Reale di Wutai.
“Figlia mia, vengo a portarti una meravigliosa notizia!”
Esclamò in un impeto di esaltazione Godo Kisaragi allargando le braccia come a
voler invitare la figlia ad abbracciarlo.
Yuffie fu pervasa da un brivido. Ogni volta che suo padre
era entusiasta di qualcosa, erano sempre guai per lei.
“…Papà…” azzardò quindi timidamente la ragazza alzando verso
il genitore l’indice destro, ma non ebbe modo di continuare, perché ciò che
Godo le disse la lasciò totalmente pietrifica sul posto.
“Rallegrati, piccola mia! Finalmente ho trovato un uomo
degno di ricevere la tua mano! Domani daremo l’annuncio di fidanzamento alla
popolazione e dopodomani si celebreranno le nozze! Via, senza perdere neanche
un minuto!” Entusiasta l’anziano Imperatore osservò sua figlia la quale
tuttavia sembrava fissare il vuoto alle di lui spalle. Sembrarono passare
interminabili minuti quando la ragazza aprì di nuovo bocca.
“…Credo di non aver capito bene…”
“Ma certo che hai capito bene!” Ribattè il genitore
avvolgendo la Ninja in un poderoso abbraccio, senza far molto caso che sembrava
di abbracciare una statua di marmo. “Il tuo futuro marito è un abile samurai e
sarà in grado di fornire all’impero una robusta e forte discendenza!”
Alle ultime parole di suo padre, Yuffie diventò rossa come il
mantello del ‘vampiro’ che le occupava costantemente i pensieri e si distaccò
in fretta dal padre.
“Futuro marito?? Discendenti??”
“Sì! Vedi figlia mia, io ormai sono vecchio, mi resta poco
da vivere… E vorrei vedere sia te che il futuro di Wutai sistemati, prima di
andarmene… Vorrei dei nipotini, insomma…”
Prima ancora che suo padre avesse terminato la frase, Yuffie
aveva già cominciato a gesticolare in preda al panico. “Ma… Ma io sono troppo
giovane per sposarmi e avere figli!”
L’altro non si scompose per niente. “Ma Yuffie, tua madre
era già sposata con me ed incinta di te alla tua età!”
La ragazza era rimasta a bocca aperta. “Ma… ma… ma…!”
Godo però zittì il suo balbettio con un secco gesto di una
mano. “Mettiti il cuore in pace, figlia mia: domani ti fidanzi, dopodomani ti
sposi.”
Sotto lo sguardo allibito della Ninja, il padre uscì tutto
contento dalla sala d’allenamento, sbraitando ordini ai servitori riguardanti
gli imminenti festeggiamenti in casa Kisaragi.
Quella sera Yuffie se ne stava seduta a gambe incrociate sul
letto, lucidando il proprio shuriken.
Ma cosa diavolo gli è
venuto in mente, a quello svampito di mio padre??
Io, sposarmi
dopodomani e fidanzarmi domani? Anzi, forse sarebbe meglio dire fidanzarmi
domani e sposarmi dopodomani… Ma il concetto non cambia! Non posso e non voglio
fare nessuna delle due cose, sono troppo giovane! Beh, magari per fidanzarmi
no, ma per sposarmi sì… Ma non certo con un qualche samurai spocchioso scelto
da mio padre per il suo pedigree!
…
Non mi resta altro da
fare, allora… Dovrò fuggire, scappare di casa finché a quel vecchio
rincitrullito non sarà tornato del sale in zucca!
A quel pensiero Yuffie smise di lucidare lo shuriken e si
alzò impetuosamente dal letto, iniziando contemporaneamente a legare insieme le
lenzuola onde trarne una corda per calarsi giù dalla finestra. A metà
dell’opera però si interruppe, dubbiosa.
Però, anche se dovessi
scappare da qui, dove potrei andare…? Da Tifa forse. No, è la mia migliore
amica, sarebbe la prima persona da cui mio padre mi cercherebbe… Devo trovare
un posto in cui nessuno potrebbe aspettarsi di trovare me… Ma quale potrebbe
essere questo posto…?
…
…
TROVATO!!
Senza pensarci due volte, la Ninja soffocò un grido di
giubilo, gettò un’estremità della corda improvvisata giù dalla finestra ed in
un batter d’occhio si era già dileguata nella notte.
Quando nemmeno chiudere le finestre dall’interno serve
Due giorni dopo Yuffie era finalmente arrivata al rifugio
che aveva designato. Si guardò furtivamente attorno, ma nessuno l’aveva notata. Sorrise sotto i baffi: sicuramente nessuno si
sarebbe aspettato di trovarla proprio in quel luogo. Tutto stava nel riuscire
ad entrare in piena notte e senza disturbare l’occupante della dimora che aveva
scelto.
Con le sue innegabili abilità di ladra, riuscì ad aprire
dall’esterno una finestra chiusa dall’interno, senza lasciare segni evidenti di effrazione. Mentre i battenti
della finestra si aprivano silenziosamente, Yuffie gongolò.
Se non fosse che ora è infuriato, mio padre
sarebbe fiero di me.
La casa, nella penombra, era immersa nel caos. Scatole di
pizza aperte ed abbandonate vuote sul pavimento, indumenti vari e stropicciati
gettati sui mobili, un odore di chiuso pressoché insopportabile. La Ninja
storse il naso.
Non mi aspettavo che
casa sua potesse essere così disordinata.
Senza pensarci due volte, riaprì la finestra da cui era
entrata, lasciando penetrare nell’ambiente la frescura della notte serena, e
cominciò a riordinare i vari ambienti in cui di volta in volta entrava. Solo
una volta ebbe un’esitazione, quando scoprì un paio di boxer gettati in un
angolo, che recavano numerose immagini di chocobo
impegnati in varie attività.
Ma che diavolo ci fa qui della roba come
questa??
Li rigirò tra le mani, come a volersi sincerare della loro
natura, poi fece spallucce e con un’aria leggermente disgustata li gettò dove
li aveva trovati: senza dubbio c’era un buon motivo perché il loro proprietario
li avesse abbandonati in quel modo.
Nella camera da letto c’era un giaciglio ad una piazza e
mezza, dalle lenzuola sfatte ed riversate sul pavimento,
accanto ad una branda più piccola intatta, su cui erano appoggiati numerosi
capi di biancheria intima. Nell’intera stanza non c’erano segni di vita.
Probabilmente, si disse Yuffie quando fu entrata timidamente,
il suo ospite involontario era occupato in qualche missione notturna e
non aveva avuto il tempo di rifare il letto; in realtà, la ragazza sperava
ardentemente che quella trascuratezza generale non fosse un tratto distintivo
del suo carattere che lei non aveva mai rilevato. Ma
poi si rassicurò al pensiero che, dopotutto, quella era la casa di un single.
Dopo aver rimesso in ordine anche quella stanza, decise che
come compenso per il disturbo di ospitarla a tempo indeterminato poteva
bastare, e si sedette sul letto del proprietario. Guardò la sveglia sul
comodino e realizzò che mancavano ancora almeno tre
ore all’alba.
Sono due giorni che praticamente non dormo… posso concedermelo un riposino. E poi, col mio sonno leggero da Ninja, posso accorgermi
dell’arrivo di qualcuno in un attimo.
Forte di quella convinzione, si sdraiò con un sospiro
soddisfatto sul letto e cadde nel sonno.
Vincent usò un’ultima pozione prima di varcare la soglia di
casa sua. Il familiare formicolio della sostanza che aveva effetto gli pervase
le membra, confermandogli che presto i pochi graffi che gli erano rimasti
sarebbero guariti.
Ancora non sapeva che cosa l’avesse convinto ad accettare la
proposta di Reeve e mettersi a lavorare per la WRO: lui voleva solo vivere in
pace, ed invece almeno una volta la settimana veniva
spedito da un angolo all’altro di quello che era stato il grande impero
economico della Shinra, ad evitare che qualcuno si facesse male sul serio. Una
specie di poliziotto sovrannaturale, insomma.
Appena oltrepassata la soglia una
strana impressione di allarme lo bloccò. Subito la destra corse all’impugnatura
della Cerberus, mentre gli occhi cremisi scandagliavano l’entrata del suo
appartamento, a malapena illuminato dal sole dell’alba, alla ricerca di segni di effrazione. Ma non fu la vista il primo senso a rivelargli la verità riguardo quella situazione: il
familiare odore di chiuso della sua casa era infatti sparito, sostituito da
quello fresco della rugiada all’esterno, appena condito dal sentore di
carburante tipico di quella zona di Edge.
Inoltre, qualcuno aveva messo le mani tra le sue cose: i
cartoni di pizze che aveva accumulato per buttarli via tutti in una volta sola
erano spariti, e così pure gli abiti che aveva strategicamente disposto in
alcune parti della casa in modo che fossero più facilmente accessibili.
Senza emettere un suono, se non il lieve fruscio del
mantello, si spostò lentamente camminando rasente il muro,
per sorprendere chiunque si trovasse nella parte più interna
dell’appartamento. Ma fu lui a rimanere sorpreso.
All’improvviso una figura multicolore gli balzò innanzi.
Vincent non si diede nemmeno il tempo di chiedersi cosa diavolo fosse, ma puntò subito la pistola per fare fuoco. Tuttavia,
con una rapidità impressionante, l’invasore gli aveva già bloccato con una mano
i tre tamburi della Cerberus, e con l’altra l’aveva avvinto in un serrato corpo
a corpo. Soffocando un’imprecazione, l’ex Turk si dimenò cercando di liberarsi
dalla presa, ma l’altro non gli dava tregua. Fu in quel momento che si accorse
che quello non era affatto un combattimento corpo a corpo, ma un abbraccio, e
che il losco figuro che l’aveva aggredito non era affatto un
‘figuro’, al maschile.
“SORPRESA!!” gli urlò nelle orecchie Yuffie, senza togliere
la mano sinistra dai tamburi della Cerberus. Vincent, dal canto suo, era troppo
stordito per fare qualsiasi cosa.
Notando il suo irrigidimento, la Ninja di Wutai allentò la
presa fino a lasciarlo andare. Finalmente la pistola pendeva inoffensiva lungo
il suo fianco, non rappresentando quindi più un pericolo.
“Sei contento di vedermi?” gli
chiese ancora la ragazza, sfoggiando il più aggressivo ma al tempo stesso
disarmante dei suoi sorrisi.
“Yuffie…?” riuscì solo a dire l’uomo, boccheggiando.
“Esatto! Che privilegio, ti ricordi
addirittura come mi chiamo!”
La Ninja aveva cominciato a vorticare su se stessa come al
suo solito, al punto che Vincent ebbe tutto il tempo
di riprendersi.
“Yuffie! Che ci fai qui??”
L’altra si fermò, subito prima di mettere il piede in fallo
su una piega del tappeto che l’avrebbe fatta
sicuramente cadere. Assunse anche una strana espressione, come se cercasse di
mostrarsi affabile nonostante stesse nascondendo qualcosa di terribile.
“Beh, che domande, sono venuta a trovarti, no?”
“Perché ti ho trovata già in casa
mia, in cui sei entrata probabilmente scassinandomi la porta o una finestra? Perché hai messo in ordine le mie cose? E
perché tutto questo è avvenuto a notte fonda?”
Yuffie sgranò gli occhi. “Ehi, Vinnie… Non sapevo che fossi
in grado di parlare così a lungo!”
“E la risposta quale sarebbe?” tagliò corto l’altro,
timoroso che la ragazza cambiasse argomento e non gli
spiegasse niente.
“Ehm…” disse lei, grattandosi distrattamente la testa. “Il
fatto è che… Beh…”
“In due parole, Yuffie. Prometto che non mi arrabbierò.”
“Bene. In pratica, mi serve un posto dove
stare, ed ho deciso di venire ad abitare un po’ da te!”
Nonostante l’espressione gioviale
della giovane Ninja, il pistolero impallidì, cercando di mantenere la calma. L’aveva promesso, si disse, di non arrabbiarsi. Non voleva
rimangiarsi la parola.
“E dimmi Yuffie… Perché hai preso
questa decisione…?”
“In poche parole, mio padre ha deciso che dovessi
sposarmi con un tizio di una qualche famiglia nobile di Wutai, ovviamente senza
nemmeno consultarmi: dovevi vederlo! Sembrava un Molboro bipede e con la pelle
giallognola!”
In realtà lei non aveva mai visto il suo pretendente, ma era
convinta che condire un po’ la sua tragica storia con dettagli disgustosi sarebbe servito alla sua causa. Vincent però non sembrava
impressionato.
“E quindi?”
“Come ‘e quindi’??”
“Non ho intenzione di fare il tuo gioco e mettermi contro
l’Imperatore di Wutai, Yuffie. Ho già abbastanza grattacapi in questo periodo
anche senza diventare il nemico pubblico di una nazione straniera. A maggior
ragione se ospito in casa mia la principessa fuggiasca, chissà che razza di
punizione mi aspetterebbe.”
La ragazza, dopo un primo attimo di smarrimento, chinò il
busto e sollevò la testa, producendosi in una interpretazione
molto convincente del prototipo di una ragazzina timida, spaurita e braccata.
“Ti prego, Vincent… Non lasciare che quei bruti che mi danno la caccia mi
prendano e mi portino dall’uomo-Molboro… Altrimenti io…”
Se fosse servito, la Ninja era
anche in grado di simulare un pianto disperato, ma sembrava che
l’interpretazione sostenuta fino a quel momento fosse stata sufficiente. L’uomo infatti alzò gli occhi al cielo, esasperato, e nonostante
lei non avesse mai fatto riferimento prima ad un ‘branco di bruti che le dava
la caccia’, si limitò ad annuire.
“E va bene, Yuffie, puoi restare.”
La ragazza non seppe trattenere l’entusiasmo. Con un grido
di giubilo saltò in piedi e gli gettò le braccia al collo, al punto che sembrava completamente un’altra rispetto alla ragazzina
tenera ed indifesa di poco prima.
“Evvai, grande Vincent!”
L’uomo non ebbe nemmeno il tempo di reagire che si trovò
qualcosa che gli premeva con violenza sulle labbra. Gli ci volle un po’ a
capire che si trattava di un altro paio di labbra. Dopo un secondo di
smarrimento riuscì a staccarsi la ragazza di dosso e la guardò allontanarsi
barcollando fino ad appoggiare la schiena contro la parete. Era arrossita, e
non solo sul volto, ma su ogni centimetro visibile di pelle. Lo fissava
stordita ed allibita, e forse lei stessa non si era resa conto di ciò che era
successo.
“Yuffie…” iniziò Vincent, mantenendo la voce bassa, per poi
alzarla un attimo dopo. “COSA DIAVOLO TI E’ PRESO??”
L’altra scosse il capo sulla difensiva. “N-non lo so, ti giuro! Mi è venuto così, spontaneamente! Per la gioia
pens… Sì, per la gioia!”
Lui la guardò inquisitorio, ma infine decise di lasciar
correre. Dopotutto, quello non era stato il suo primo bacio, ed era
ragionevolmente sicuro che non lo fosse stato nemmeno per lei. D’altro canto,
Yuffie continuava ad avere un’espressione sperduta come se avesse perso quel
poco di razionalità che aveva.
“Ad ogni modo,” ricominciò Vincent,
per cambiare subito argomento, “ti ripeto che puoi fermarti qui da me, se è
proprio necessario.”
Quella volta Yuffie si limitò ad annuire spaesata, senza
esibirsi nelle performance acrobatiche cui era solita. “V-va bene,” bofonchiò. L’altro scrollò le spalle.
“Puoi dormire nella branda singola che c’è nella mia camera
da letto.”
“E tu dove dormirai??”
Vincent la vide arrossire di nuovo violentemente e decise di
prevenire eventuali manifestazioni troppo agitate da parte sua. “Dove ho sempre
dormito dacché abito qui: nel mio letto.”
La ragazza annuì vistosamente e
prese un profondo respiro, che sembrò calmarla.
“Non so se hai dormito da quando sei arrivata,” proseguì lui, “ma io ho piuttosto sonno. Per cui ti
lascio la casa e vado a dormire.”
“D’accordo!” sbottò Yuffie, all’improvviso
tornata come prima, anche se forse solo apparentemente. “Farò in modo
che la tua bara rimanga ben chiusa durante il giorno!”
L’infelicità di quella battuta testimoniava quanto in realtà
la ragazza fosse a disagio. Vincent lo notò e decise
di non rispondere, anche perché trovava piuttosto irritante il fatto che gli venisse costantemente ricordato il suo passato di ‘abitatore
di una bara’.
“Mi raccomando,” glissò, mentre la
stessa Ninja si rendeva conto di quanto la sua precedente battuta fosse
inappropriata e cercava goffamente delle parole per scusarsi, “cerca di non
fare disastri mentre mi riposo. Non farti scoprire al tuo primo giorno di
latitanza, non provocare disastri in cucina, non cercare di riordinare il resto
della casa, il cui arredamento apparentemente caotico è in realtà frutto di
un’attenta serie di valutazioni. L’unica eccezione che ti concedo è di togliere
la mia biancheria intima dal tuo letto.”
“Ehm…”
“… Che cosa c’è?”
“… Veramente ho già riordinato quasi tutto, in casa…”
Vincent comprese che sarebbe stata una lunga, lunga
convivenza, la loro.
Ma come mi è venuto in mente di baciarlo?? E così violentemente poi! D’accordo che ero contenta che mi
avesse accettato in casa sua, ma reagire in quel modo!! Ora chissà cosa penserà
di me…
Mentre ragionava in quel modo,
Yuffie guardava pensierosa Vincent che si recava in
camera da letto. Non credeva che avrebbe dato il suo primo bacio in quel modo:
lei si era sempre immaginata all’interno di un giardino fiorito con indosso un
elaborato kimono da nobildonna, mentre un glorioso samurai dai lunghi capelli
neri entrava nel palazzo in groppa al suo chocobo
bardato da battaglia, scendeva dal suddetto animale, si toglieva l’elmo e la
rapiva in un coinvolgente bacio con la lingua… Il fatto che poi con il tempo
quel samurai si fosse tramutato in un pistolero dal lungo mantello rosso era
del tutto irrilevante ai suoi occhi.
“Ehm… Vinnie?” chiese, dopo averlo
seguito fino nella camera da letto. Il pistolero dei suoi sogni stava togliendo
la sovraccoperta che la ragazza aveva con tanta perizia
disteso sulle lenzuola e la degnò solo di un grugnito. Cercando di non
pensare a ciò che le era appena successo, Yuffie
deglutì e continuò. “Il fatto è che… sono andata via di casa così di fretta che
non ho preso molte cose con me… E mi mancherebbe… Beh, in sostanza, ce l’hai un pigiama per me? Anche
se mi viene grande non è importante…”
VIENE GRANDE?? Ma che
razza di espressioni uso di fronte a lui??
Mentre la ragazza si stava
arrovellando per scoprire per quale assurdo motivo avesse utilizzato quell’espressione, Vincent
scrollò le spalle. “Mi spiace, Yuffie. Io dormo nudo.”
Quella semplice osservazione ebbe l’effetto di strappare la
giovane Ninja dalle sue elucubrazioni e gettarla in
una serie apparentemente illimitata di fantasie di ovvio
argomento, mentre il suo volto cominciava ad assumere il colore del mantello
dell’uomo di cui era innamorata. Questi, che aveva notato il rossore della sua
coinquilina, capì che avrebbe dovuto avere più riguardo nei suoi confronti.
“Non preoccuparti,” disse infatti, “visto che non sarò
da solo in casa terrò addosso i boxer. Ed a te posso
solo offrire una delle mie camicie pulite… Yuffie, ti senti bene?”
“Sì… No… Cioè, volevo dire… sì, sto
bene,” bofonchiò quest’ultima, scuotendo la testa e
riprendendosi dalle sue fantasticherie, che concernevano visioni notturne di Vincent addormentato e scoperto dalle lenzuola.
L’altro, non sospettando minimamente la vera natura del
turbamento della ragazza ed attribuendolo ancora alla precedente rivelazione
del suo modo di dormire, annuì comprensivo. “Devi essere stanca anche tu,
dopotutto. Nell’armadio troverai delle camicie, prendi
quella che più ti aggrada e va’ pure a cambiarti in bagno. Io intanto lo farò
qui.”
Vincent si era già voltato, per cui non notò l’espressione sconvolta che Yuffie aveva
assunto alle sue parole.
Yuffie, stai calma,
con ‘lo farò qui’ non
intendeva nulla di tutto quello che tu hai in mente…
Cercando di calmare la propria respirazione, si decise a
seguire il consiglio di Vincent ed aprì l’armadio che
solo poche ore prima aveva riordinato in uno stato d’animo del tutto diverso da
quello attuale.
Accidenti… Sapevo che
rivederlo dopo tanto tempo mi avrebbe fatto qualche effetto, ma non mi
aspettavo certo che mi sconvolgesse fino a questo punto!!
Alla fine scelse un’elegante camicia bianca a strisce
azzurre, probabilmente uno dei pochi vestiti da festa che quel guardaroba contenesse e che lei stessa aveva già adocchiato poco prima.
La tolse dalla sua gruccia e la squadrò con attenzione; inevitabilmente, però,
il suo sguardo era attratto da Vincent stesso, che si
stava togliendo il suo mantello rosso. Per un singolo, inebriante secondo, la
ragazza fu convinta che le si sarebbe svestito di
fronte, ma subito dopo l’operazione cui aveva appena assistito, l’uomo si volse
verso di lei ed incrociò le braccia sul petto, in attesa. “Chiaramente
aspetterò che tu sia andata in bagno, per spogliarmi.”
Dandosi della stupida per aver anche solo pensato che Vincent si sarebbe messo in boxer di fronte a lei, Yuffie
bofonchiò un ‘d’accordo, ora vado’
e si chiuse in bagno, stringendo al seno la camicia ed aspettandosi da un
momento all’altro di essere rimproverata per qualcosa, forse solo per i suoi
pensieri. Con il suo affinato udito da Ninja, udì i
vestiti dell’uomo frusciare mentre venivano tolti ed
abbandonati chissà dove, lasciando il suo scultoreo corpo nudo di fronte
all’aurora di quella nascente giornata…
Scuotendo il capo la ragazza di Wutai
scacciò quei pensieri dalla mente e si convinse a non ascoltare più quei soavi
rumori e a darsi da fare per indossare la camicia. Aveva un buon aroma di
detersivo, il che voleva dire che era stata veramente lavata da poco. Vincent era stato molto gentile a permetterle di indossarla
come pigiama. Senza volerlo, infilando la camicia chiuse gli occhi ed immaginò
che, al posto dell’indumento, a sfiorarle la pelle fossero le sue mani. Al
posto dell’odore di bucato, immaginò che ci fosse il suo odore, quello che
aveva sentito nel suo letto, tra le sue lenzuola sfatte…
All’improvviso aprì gli occhi; aveva il fiatone, nonostante
il suo fisico fosse ben allenato a sopportare la fatica, e si rese conto che la
fantasia stava per avere il sopravvento sulla realtà, tanto da portarla a
compiere atti di solitaria e tormentata passione.
Socchiuse la porta, timidamente. Ora la camera da letto era
maggiormente rischiarata dai raggi del sole che filtravano dalle persiane
chiuse, e Vincent era già sdraiato sul letto più
grande, coperto dalle lenzuola. Sembrava essersi già addormentato. Con il cuore
in gola, Yuffie aprì di più la porta e sgattaiolò fuori dal
bagno, ancora turbata per la fantasia di poco prima. Però
stavolta sapeva che se avesse ceduto, probabilmente Vincent
si sarebbe svegliato e non sarebbe stato facile cavarsela mantenendo la
dignità. Con passi leggeri e felpati, la ragazza raggiunse la propria branda e
vi si gettò sopra. In un attimo era già sotto le lenzuola, lo
sguardo sbarrato rivolto al ciuffo di capelli neri che, unica parte visibile di
Vincent, usciva da sotto le coltri dell’altro
letto.
Sì, si disse, sembrava profondamente addormentato. Riusciva
a percepire solo il lieve movimento prodotto dal suo respiro calmo. Finalmente
si decise a rilassarsi a sua volta e chiuse gli occhi, godendosi la sensazione
di dormire nuovamente in un vero letto. Assieme ad un uomo. Sbarrò di nuovo gli
occhi e si irrigidì.
Oh Leviathan… Questa…
è la prima volta che dormo con un uomo!! Beh, non è proprio come se fossimo
nello stesso letto, ma… insomma… non mi era mai capitato, nemmeno quando
viaggiavo con Cloud e gli altri, per
cui è un evento importante della mia vita di fanciulla… E succede subito
dopo il mio primo bacio! A questo punto non mi stupirei se accadesse qualche
altra ‘prima volta’ mentre sono qui…
…
Ah, accidenti, sto pensando come una ragazzina in piena tempesta ormonale.
Ormai sono grande per queste cose, ho già vent’anni! Forse ciò dipenderà dal fatto che ho passato la
mia adolescenza scorazzando per il pianeta a rubare materia, e che l’unica
cotta seria che abbia mai avuto è stata per un ragazzo innamorato di altre due ragazze…
Dannazione,
tutta colpa di mio padre che non mi ha lasciato frequentare i ragazzi della mia
età. Certo, sono scappata di
mia spontanea volontà, ma lui avrebbe potuto fare qualcosa di più che mettere
una taglia sulla mia testa per farmi restare!
In preda a questi tormentosi pensieri, Yuffie prese a
girarsi e rigirarsi nel letto, fino a sprofondare in un sonno agitato.
Nel frattempo Vincent, che non si
era affatto addormentato, si chiedeva quale fosse il
vero motivo per cui aveva accettato di tenere Yuffie presso di sé. Era vero, in
fondo ne avevano passate tante insieme, ma in tutta
sincerità non sapeva se avrebbe risposto allo stesso modo se a porre quella
domanda fosse stata Tifa. Se fosse stato uno dei ragazzi
non avrebbe avuto problemi, in fondo avevano già dormito insieme durante la
guerra di Jenova, ma dormire nella stessa stanza di
una ragazza ridestava in lui i ricordi ormai sopiti di Lucrecia.
Con lei non aveva mai avuto il privilegio di passare una notte calma e serena, ma
ogni volta che erano sul punto di portare il proprio rapporto ad un livello più
concreto qualcosa andava storto. Ma d’altronde, quella
ormai era acqua passata. Aveva messo una pietra sopra a Lucrecia
da almeno un anno, da quando era riuscito a perdonarsi per i suoi peccati.
Certo, in un solo anno non avrebbe mai potuto cambiare uno stile di vita
maturato in trent’anni, ma almeno aveva cominciato a
guardare di fronte a sé, anziché alle proprie spalle.
Si rigirò nel letto, lievemente disturbato da quei pensieri.
Doveva ancora abituarsi a ricordare il passato senza dolore. Inspirò
profondamente per ridisporsi a dormire, ma qualcosa lo stupì. Le lenzuola
avevano un odore particolare, che si mescolava armoniosamente a quello del
bucato. Era l’odore delle rose bianche di Wutai, e
gli sembrava stranamente dolce e rilassante. D’un
tratto la sua mente si rischiarò e lui riuscì ad assopirsi con serenità, senza però
comprenderne del tutto il motivo.
“Tifa… Non ci riesco…”
“Ti prego, Cloud… Ancora un po’…”
“Non… riesco a trattenermi… Ah!”
“NO, CLOUD!!”
La pesantissima trave su cui Tifa
stava appendendo le tende scivolò dalle mani del guerriero biondo e si sfracellò
sul pavimento del locale, finendo quasi per sbilanciare la donna in bilico
sulla scala. Questa, non appena ebbe ripreso stabilmente l’equilibrio, lanciò
uno sguardo furioso a Cloud. “Accidenti a te! Che ti costava reggerla ancora per un po’??”
Cloud, dall’altra parte della
finestra che stavano decorando, si appoggiò al muro per non cadere. “Che ci potevo fare?? Ti avevo avvisata
che per un lavoro di questo genere dovevamo essere in due a tenere la trave, ma
tu cos’hai detto?? ‘Ma no, guarda che ce la fai, e poi
non abbiamo il tempo di chiamare Barret, dobbiamo finire
entro stasera!’”
Nel dire le ultime parole, il biondo aveva posato entrambe
le mani sui fianchi, ancheggiando vistosamente e
parlando con una voce decisamente acuta. All’udire la sua imitazione, a Tifa salì il sangue alla testa. Digrignando i denti, strinse
i pugni e si preparò a gettarsi addosso al proprio fidanzato, a costo di cadere
entrambi a terra, ma la campanella della porta d’ingresso del locale attirò la
sua attenzione.
“Siamo chiusi!” sbraitò in direzione di coloro
che erano appena entrati, ma si zittì subito non appena li ebbe visti.
Il terzetto di visitatori era formato da individui calvi,
tutti dotati di occhiali scuri e di pizzetto curato,
mentre sul corpo indossavano vistosi camicioni con allegri disegni di chocobo in corsa sopra un paio di calzoni verde militare
dalle molte tasche e degli scarponi neri lucidi. Se
non fosse stato per la diversa statura, sarebbero stati perfettamente identici.
Tifa non sapeva se ridere o
infuriarsi contro di loro per averli disturbati. Alla fine, optò
per una terza via. Senza badare all’espressione manifestamente divertita di Cloud, la donna scese dalla scala e si avvicinò al
terzetto, con aria severa. “Siamo chiusi,” ripeté.
“Apriremo questa sera alle 19.00, ma se proprio non potete resistere troverete
un altro bar…”
Si interruppe quando uno dei tre,
il più basso (che le arrivava al seno) sollevò una mano per intromettersi. “Cerchiamo
una persona,” disse con un accento stranissimo, che
però suonava in maniera piuttosto familiare a Tifa. “Non vogliamo bere.”
Nonostante l’arrabbiatura che non accennava a passare, ma
anzi si era accentuata a causa dell’interruzione, Tifa rimase in silenzio,
attendendo che l’improbabile capo del trio proseguisse.
Dal momento che ciò non accadeva, la donna sospirò rumorosamente. “Chi state
cercando?” chiese, esasperata.
“Diteci dove si trova la Somma Principessa Yuffie Kisaragi di Wutai,” rispose l’ometto, con un’espressione solenne sul volto.
Per poco Cloud non cadde dalla scala dal ridere,
sentendo appellare in quel modo la sua amica Ninja.
Tifa, invece, si sforzò in tutti i modi di restare seria, anche se immaginare
Yuffie con un vestito di lusso e una coroncina splendente sulla testa aveva un effetto assolutamente esilarante. “Mi dispiace…”
riuscì ad articolare con fatica, “ma è quasi un anno
che non la vediamo. L’ultima volta che l’abbiamo incontrata era da qualche
parte nei dintorni di Midgar.”
Il capo dei tre stranieri annuì
lievemente, abbattuto, poi rivolse agli altri delle parole in un
linguaggio sconosciuto pieno di suoni vocalici. Quando anch’essi ebbero
risposto con una singola sillaba, il piccoletto tornò
a girarsi verso Tifa. “Ci dispiace di avervi disturbati. Sayonara.”
Dopo un rapido inchino, i tre fecero dietro-front ed
uscirono in fila indiana dal locale. Solo allora Tifa si
permise di scoppiare a ridere, piegandosi in due con le mani all’addome.
Rocambolescamente, intanto, Cloud
era sceso dalla scala e si era unito a lei nelle risate.
“Ma li hai visti??” domandò il
ragazzo, con le lacrime agli occhi. “Sono così i Turks
di Wutai!!”
Per il successivo quarto d’ora i due continuarono a ridere
incontrollatamente senza nemmeno chiedersi per quale motivo i tre samurai stessero cercando Yuffie.
Quando Yuffie si svegliò era orma pomeriggio inoltrato
BRUSCHI RISVEGLI
Quando si viene colti in flagrante
durante un’imitazione
Quando Yuffie si svegliò era già pomeriggio inoltrato.
La luce ormai irrompeva quasi con prepotenza nella camera da
letto che aveva diviso con Vincent. La prima cosa che vide quando aprì gli
occhi, fu la sagoma di Vincent messa in risalto dai raggi del sole che
filtravano dalla finestra sotto cui era sistemato il letto dell’ex Turk.
Quest’ultimo aveva il volto verso di lei, rivolgendo le
spalle alla forte luce. Era coperto fino al collo dal lenzuolo ed i capelli
privi della bandana che era solito portare, scendevano in parte a ricoprirgli
il volto. La Ninja sgranò gli occhi.
Oh Leviathan…
Il cuore prese a batterle forsennatamente nel petto e con
movimenti silenziosi, si tirò su a sedere per poi scostarsi di dosso le coperte
e scendere dal letto.
Senza poter far nulla per impedirselo, si avvicinò
silenziosamente al volto di Vincent tentennando ad ogni singolo passo.
Deve avermi dato di
volta il cervello proprio come a mio padre!
Eppure…
Si umettò le labbra nervosamente mentre si chinava su di
lui, trattenendo il respiro per il timore di svegliarlo ed infrangere
quell’incanto.
Eppure non riesco a
farne a meno…
Gli sfiorò i capelli con una mano, leggermente, e si bloccò
terrorizzata quando le sue sopracciglia ebbero un tremito; se l’avesse vista
compiere quel gesto, chissà come avrebbe reagito…
Fortunatamente, Yuffie non dovette scoprirlo in quel
momento, poiché sembrava che il sonno dell’ex-Turk fosse tutt’altro che turbato.
La sua espressione anzi si rasserenò un poco. Quello fu il colpo di grazia per
l’autocontrollo di Yuffie. Senza riuscire a trattenersi si chinò su di lui e
gli sfiorò la guancia con le labbra. Subito dopo, avendo realizzato ciò che
aveva fatto, saltò direttamente sulla propria branda e si coprì con le lenzuola
fin sopra la testa, producendo solo un fastidioso cigolio a causa delle molle
eccessivamente sollecitate. In risposta a tale rumore, la ragazza udì solamente
il fruscio delle lenzuola di Vincent, forse disturbato dalle molle o forse, nel
peggiore dei casi, svegliato da quel bacio. In ogni caso, Yuffie rimase in
trepidante attesa.
Accidenti a me, ma che
mi è saltato in mente di fare?? Poteva svegliarsi ed arrabbiarsi a morte, la
MIA morte! Cos’è, respirare di nuovo l’aria del mondo esterno a Wutai mi ha
fuso il cervello??
Nei minuti che seguirono però nella casa regnò solo il
silenzio, disturbato unicamente dai rumori provenienti dall’esterno, il che
significava probabilmente che Vincent era tornato a sprofondare nel sonno
profondo. Solo quando ebbe questa consapevolezza, Yuffie si concesse un lungo e
silenzioso respiro di sollievo.
Nota per il futuro: se
dovesse capitarmi di nuovo di voler fare una cosa del genere, pensarci su due
volte e, se non bastasse, mordermi la lingua con forza.
…
Sarà stata
l’agitazione, ma avverto all’improvviso la necessità di andare al bagno.
Quando si fu accertata per l’ennesima volta che Vincent
stesse dormendo, la Ninja scese in punta di piedi dal letto ed attraversò la
stanza fino alla porta del gabinetto, che aprì e chiuse senza emettere il
minimo cigolio.
Alla sua uscita, la scena non era cambiata per niente:
l’uomo di cui era cotta era ancora addormentato nella stessa posizione di
prima. Yuffie decise che, per l’incolumità di Vincent ma soprattutto per la
propria, era meglio se si metteva a fare qualcosa e non continuava a rimuginare
sul primo e sul secondo bacio che si erano scambiati… Anche se in entrambi i
casi sarebbe stato più corretto dire che lei se li era presi. Fece per sgattaiolare
in cucina quando vide una cosa che la fece bloccare sul posto. Abbastanza
distanziato dal letto di Vincent, c’era il suo mantello rosso, appoggiato
languidamente ad una sedia, che sembrava sussurrare alla ragazza di andarlo a
prendere per rimirarselo in santa pace. Chiaramente, tale impressione era
totalmente frutto dell’immaginazione di Yuffie, così come l’atteggiamento
languido del capo di vestiario, ma cionondimeno il richiamo le era
irresistibile. Quando finalmente ebbe tra le mani l’agognato abito lo soppesò e
ne tastò la consistenza, con aria vigile.
… A vederlo sembrava
più leggero… deve tenere ben caldo. Però avrebbe decisamente bisogno di una
rattoppata. Magari posso farglielo io questo lavoro, per contribuire a
sdebitarmi dell’ospitalità e del fatto di avergli messo ‘in disordine’ la crip…
ehm, la casa. E poi chissà, potrebbe anche scapparci un ringraziamento coi
fiocchi, uno di quelli accompagnati da caldi abbracci ed ancor più accaldati
baci…
Scuotendo vigorosamente la testa, la giovane Ninja scacciò
quei pensieri e si avviò verso la cucina, laddove avrebbe cominciato a cercare
il materiale per rattoppare il mantello; anche se, in effetti, non aveva molte
speranze di trovare ago e filo rosso nella casa di un single come Vincent
Valentine.
Per raggiungere la sua stanza di lavoro, la ragazza dovette
passare davanti ad un grande specchio: poteva riflettere una persona intera, e
la sua cornice dorata rappresentava scene agresti di ninfe e satiri. Tuttavia,
riflettere sul valore di un simile oggetto era in quel momento l’ultimo dei pensieri
di Yuffie. Infatti era rimasta imbambolata fissare la propria immagine
riflessa, seminascosta dall’indumento rosso che le arrivava fino ai piedi.
… Perché no… Intanto
non lo saprà mai nessuno…
Furtivamente, la ragazza tornò in camera da letto, dove
Vincent dormiva ancora, e vide che anche la bandana e l’artiglio dorato giacevano
abbastanza lontani dal loro proprietario. Un subdolo sorriso le si dipinse
sulle labbra.
Vincent si svegliò scosso da una strana nenia. O almeno, nel
suo dormiveglia quel rumore che continuava a sentire da un po’ di tempo suonava
come un qualche tipo di nenia. Un po’ contrariato da questo fatto, l’uomo aprì
gli occhi e ricordò di trovarsi nella sua casa di Edge, al termine di una
missione per conto della WRO, e, cosa forse più importante di tutte, che non
era solo. D’impulso guardò la branda che aveva riservato come giaciglio per
Yuffie ma la trovò vuota. Solo quando si guardò attorno per capire che fine
avesse fatto quella ragazza si rese finalmente conto di quale fosse l’origine
di quelle strane parole, poiché di parole si trattava, che l’avevano svegliato.
Di fronte allo specchio nell’ingresso c’era Yuffie,
impettita e con uno sguardo serioso, avvolta nel suo mantello rosso troppo
lungo per lei, al punto che si accumulava ai suoi piedi. Sulla fronte, al posto
della sua solita bandana nera, indossava quella rossa del suo ospite, e così
pure portava l’artiglio sul braccio sinistro. Vincent strabuzzò gli occhi e se li
stropicciò più volte, incredulo. Poi iniziò a mettere a fuoco il significato di
ciò che la ragazza stava dicendo, e sobbalzò per la sorpresa.
“… Mi nascondo nell’oscurità,” stava dicendo la ragazza, “non
ho pietà per i miei nemici! Sono il vampiro più sexy che abbia mai lavorato per
la Shinra! Il mio nome è Vincent Valentine, e sono qui per punirti…GAH!!”
Nel pronunciare la sua ultima battuta, Yuffie aveva fatto
una piroetta, con la quale si era trovata faccia a faccia con Vincent, che si
era avvicinato di soppiatto a lei ‘nascondendosi nell’oscurità’. L’espressione
dell’uomo era impassibile, mentre quella della ragazza oscillava tra la
sorpresa, il terrore ed il più terreo sgomento.
“Cosa stai facendo?” chiese l’ex-Turk, mantenendo un tono di
voce uniforme, dal quale non traspariva alcuna emozione.
“Eh? Eh… Io… Ehm… Eh eh…” bofonchiò la ragazza, arretrando
verso la porta d’ingresso, pronta ad imboccarla e fuggire a gambe levate.
All’improvviso, optò per una decisione drastica. Con un gesto fulmineo si sfilò
il mantello e lo gettò in faccia a Vincent, in modo da accecarlo, e subito dopo
spiccò una rapida corsa in cucina, alla ricerca di qualunque cosa potesse usare
come arma per l’autodifesa. L’uomo si divincolò in fretta dal proprio indumento
(d’altronde era stato addestrato ad uscire da situazioni ben peggiori) e lo
fissò con uno sguardo indecifrabile, che passava da un momento all’altro dall’interdizione,
all’ira al… divertimento?
Quell’ultima emozione lo lasciò interdetto. Non aveva ancora
rifatto l’abitudine a divertirsi, per cui quella strana sensazione, quella
voglia di scoppiare a ridere lo lasciava interdetto. Strinse tra le mani il
mantello ed all’improvviso ebbe un’altra sorpresa. Al posto dei numerosi
strappi che vi erano stati lasciati dagli interminabili anni di dolore durante
i quali era stato indossato vi erano cuciture e toppe, come le cicatrici ormai
rimarginate che lui portava nel suo animo. Ma la cosa più sorprendente era che il
colletto del vestito portava lo stesso odore che Vincent aveva sentito solo
poco tempo prima, a letto. L’aroma di Wutai, il profumo usato da Yuffie.
Bastò quello a rasserenarlo, sebbene non riuscisse a darsene
una spiegazione convincente. Semplicemente, mentre prima era pronto a
rimproverare la sua ospite per aver trafugato i suoi vestiti, in quel momento
si sentiva intenerito, pronto a passare sopra quel piccolo incidente e, anzi, a
riderci sopra con lei.
“Mmh,” si decise a dire, preferendo non lasciar trapelare
alcuno dei suoi sentimenti, né quelli attuali positivi né quelli negativi
passati. “Non fa niente, Yuffie. La prossima volta che vuoi imitarmi, però,
chiedimi il permesso. Io vado in bagno, ti lascio qui il mantello.”
Mentre la porta del bagno si chiudeva, la Ninja di Wutai
abbassò la padella che aveva sollevato sopra la testa a mo’ di mazza e rimase a
lungo immobile, a bocca aperta, stupita per essersela cavata così con poco.
Pochi minuti dopo qualcuno tempestò di colpi la porta,
facendo sobbalzare la ragazza in cucina, che riprese in mano la pentola, pronta
a tutto. Dal corridoio all’esterno trapelò una voce molto sensuale, sebbene non
fosse particolarmente profonda, che lei però non riconobbe.
“Vincent Valentine, ti prego, apri la porta, ho bisogno di
vederti!”
Yuffie fece per andare a guardare dallo spioncino a chi appartenesse quella voce, ma si bloccò quando sentì la porta
del bagno aprirsi. Sebbene, nei minuti passati da quando Vincent
l’aveva scoperta, lei fosse riuscita a riprendersi un po’ dalla sorpresa, ora
sobbalzò di nuovo e trattenne il fiato, sicura che il suo volto fosse diventato dello stesso colore della bandana che
portava ancora attorno alla fronte. Dal bagno infatti
era uscito Vincent, avvolto in un accappatoio bianco,
coi capelli bagnati che gli circondavano il volto e rilucevano alla luce del
sole pomeridiano. Yuffie arrancò all’indietro, in modo da non trovarsi di
fronte a quella visione paradisiaca, e strinse spasmodicamente il manico della padella,
questa volta non per prepararsi ad un attacco ma per calmare il tremito alle
mani.
Vincent d’altro canto non la degnò
di uno sguardo: sembrava visibilmente preoccupato per qualcosa. Forse la donna
dall’altra parte della porta era un emissario della WRO che gli avrebbe portato
qualche altra richiesta di Reeve, o una missione in
cui avrebbe rischiato la vita?
“Avanti, Vincent Valentine,
aprimi!” disse di nuovo la voce, stavolta con un tono più basso del precedente.
Sospirando, l’interpellato fece scattare la serratura ed aprì la porta. Yuffie,
intanto, si era nascosta dietro il tavolo della cucina, pronta ad aggredire con
la padella, dato che il suo shuriken
giaceva abbandonato in camera da letto, chiunque fosse stato tanto stolto da
mettere a rischio la vita di Vincent.
Dalla soglia sbucò una donna alta e formosa con un sorriso
smagliante, che gettò le braccia al collo dell’uomo in accappatoio.
“Oh, Vincent Valentine, mi sei
mancato,” disse la donna con voce sensuale, senza
accennare a sciogliere l’abbraccio ma anzi appoggiandogli la testa tra capo e
collo e socchiudendo gli occhi con fare beato. Nel suo angolino, Yuffie si alzò
in piedi e brandì la padella pronta ad aggredire l’intrusa: chi era quella
femme fatale che si introduceva nella sua vita per rubarle
il suo Vincent??
“Ma se ci siamo visti ieri, alla
sede della WRO…” disse l’uomo, senza rispondere all’abbraccio ma senza nemmeno
allontanarla da sé. La donna dal canto suo si strinse maggiormente a lui,
strofinando il volto sul tessuto dell’accappatoio con un sorriso. “Lo sai che
per me anche un minuto senza di te è come un’eternità.”
Yuffie si ritirò dietro la sporgenza del muro, in modo da
poter ascoltare e sbirciare ciò che si sarebbe detto e fatto senza essere
vista. Quella tizia non poteva permettersi di sedurre Vincent
in quel modo spudorato e passarla liscia.
“Lo sai, Vincent Valentine, quello
che provo per te,” proseguì la donna, che aveva
sollevato il capo per guardare l’oggetto delle sue parole negli occhi, mentre
una mano si sollevava per accarezzargli i capelli bagnati che gli scendevano
lungo una guancia. Finalmente, l’ex-Turk si decise a
separarsi da lei, badando però a non essere troppo brusco.
Alla buonora! E poi
non ha avuto tutto questo riguardo per me quando mi ha scansata,
l’altra sera! Vabbeh che questa qui non ha tentato di baciarlo di sorpresa… Ma non è questo il
punto! Oh, Leviathan, fa che questa bomba sexy non sia la sua fidanzata…
Dopo un breve attimo di silenzio, fu Vincent
che parlò. “Di questo ne abbiamo già parlato, Shelke.”
Se in quel momento si fosse aperta una voragine ai piedi di
Yuffie facendola cadere, ed in fondo ad essa ci
fossero stati suo padre e Sephiroth in groppa ad
Omega, lei non si sarebbe sentita tanto atterrita.
COSA?? QUELLA STANGONA
TETTONA SAREBBE SHELKE??? Ma se l’ultima volta che
l’ho vista mi arrivava ai gomiti e non poteva nemmeno portare il reggiseno, ora
non può essere di colpo diventata più alta di me e sfoggiare delle tette grosse
quasi quanto quelle di Tifa!! Sapevo che aveva smesso di assumere il Mako, ma non credevo che questi sarebbero stati gli
effetti!! E poi, dove diavolo ha imparato ad usare
quel tono di voce??
Mentre Yuffie stava ancora cercando di
capacitarsi di ciò che aveva appena saputo, la donna che Vincent
aveva chiamato Shelke perse il proprio sorriso e
diventò seria. “E’ ancora per quella donna?”
La Ninja di Wutai
dovette trattenersi dal saltare allo scoperto con i denti scoperti urlando.
QUELLA DONNA?? NON
STARA’ MICA ANCORA FLAGELLANDOSI PER QUELLA DANNATA LUCRECIA!!!
OPPURE SI TRATTA DI UN’ALTRA DONNA??
Vincent scosse il capo ed abbassò
lo sguardo. “Non è solo per quello, Shelke, e tu lo
sai.”
Nel silenzio che seguì, a Yuffie sbiancarono le nocche,
tanta era la forza con cui stringeva l’impugnatura della padella. E così, nonostante
tutto quello che era successo, l’uomo che amava non
era suo. Che fosse perso dietro ad un fantasma, ad
un’altra donna o a una ragazza che fino a pochi mesi prima dimostrava dieci
anni scarsi, poco importava. Non era suo e, cosa forse altrettanto importante,
lui non le aveva detto assolutamente niente.
Nonostante quello che
c’è stato tra di noi… Il nostro primo bacio… La prima
volta che abbiamo dormito insieme… La prima volta che l’ho imitato… Per lui io
valgo così poco?
Nell’ingresso, intanto, Shelketornò a sorridere, anche se in modo meno seducente di prima.
“Sì, capisco. Comunque sappi che se mai dovessi sentirti
pronto, sai dove trovarmi.”
Senza aver dato tempo a Vincent di
reagire, la donna gli fece un cenno di saluto con una mano ed uscì dalla casa,
chiudendo la porta dietro di sé. L’ex-Turk emise un
profondo sospiro, ma non fece in tempo nemmeno a pensare a come avrebbe
spiegato tutto quello che era successo a Yuffie che sentì un poderoso colpo
sonoro risuonare nell’aria, come una campana che veniva
suonata poco distante. Ci mise qualche secondo a capire che quel rumore
proveniva dalla padella che ora era di nuovo sollevata in aria, e che il
batacchio era stata la sua testa. A reggere l’utensile, che presentava una vistosa ammaccatura nel suo centro, era una Yuffie
completamente rossa in viso, con un’espressione di rabbia a stento tenuta sotto
controllo, al punto che le bagnava gli occhi di lacrime.
“Brutto scellerato, cos’è, ti si sono risvegliati gli ormoni
dopo trent’anni di astinenza??
Adesso corri dietro a delle tette che sono quasi grosse come quelle di Tifa?? Ed io che mi illudevo che tu
fossi diverso dagli altri maschi, stupido casanova che non sei altro!! Sei un…
un… UN MASCALZONE!!”
Vincent era troppo stordito per riuscire a schivare la seconda padellata che lo colpì
proprio in fronte, sbattendolo contro il muro e facendogli perdere
l’equilibrio. Solo il fatto che stava cadendo lo salvò dal suo stesso artiglio,
che venne lanciato con foga verso di lui e che si
conficcò nel muro. Incapace di pensare, l’uomo fu a mala pena consapevole delle
grida disperate di Yuffie e della porta d’ingresso che veniva
sbattuta alle spalle di lei.
“Yu… ffie…
non hai capito…” riuscì a stento a mormorare, decisamente
in ritardo, prima di sprofondare nell’incoscienza.
“… E così gli ho lanciato
l’artiglio contro e sono scappata sbattendo la porta alle mie spalle!” finì di
dire Yuffie, ancora in lacrime, tremando. Tifa, che aveva ascoltato tutto il
suo sproloquio a bocca aperta e con lo straccio che stava usando per lucidare il suo bancone penzoloni, attese qualche secondo, temendo
che l’amica dovesse aggiungere ancora qualcosa, ma quando vide che invece lei
stava per avere un’altra crisi di pianto si decise ad intervenire. Lentamente
posò lo straccio su una vicina sedia, e solo allora parlò. “Capisco, Yuffie, ma
ora è tutto a posto, ci sono io con te. Adesso, posa quella padella…”
Rendendosi conto solo in quel momento di avere ancora la sua
arma contundente stretta in pugno, la Ninja la posò
su un tavolo e si lasciò cadere su una sedia, ricominciando a piangere.
Incapace di trattenere il proprio istinto materno, Tifa le si
avvicinò e le abbracciò il capo, ma fu bruscamente scostata. “Non
stringermi alle tue tette, che mi ricordi Shelke!”
Avendo ricevuto per la prima volta nella sua vita un rifiuto
ad un abbraccio, la barista rimase interdetta e un po’ indispettita, ma subito
si riprese, conscia che quello era un momento veramente brutto per la sua
amica. Dopotutto, aveva appena fatto irruzione nel suo locale
senza darle nemmeno il tempo di salutarla, figurarsi quello di informarla che
tre strani individui erano sulle sue tracce. Le aveva subito riversato addosso il racconto degli ultimi giorni, partendo dalla sua
ultima discussione con suo padre fino alla scoperta che Shelke
era cresciuta tutta d’un colpo. Tifa aveva ascoltato pazientemente, soprattutto
perché durante tutto il racconto Yuffie aveva
continuato a brandire nervosamente la padella ammaccata. Ora però era il
momento di rilassarsi un po’.
“Ora calmati, Yuffie,” riprese la
barista, lasciando perdere il riferimento al suo seno. “Ti preparo qualcosa?”
L’altra scosse la testa singhiozzando, ma Tifa
scomparve ugualmente dietro il bancone, da cui riemerse con un fazzoletto
pulito ed una bottiglia di rum per sé. Giunta al tavolo di Yuffie appoggiò il
suo fardello e notò con disappunto che la ragazza ignorò totalmente il
fazzoletto, ed invece afferrò e bevve un lungo sorso dalla bottiglia di rum.
“Ma… Yuffie! Non eri astemia??”
“Ora non più… Cazzo, quant’è forte…!”
Premurosamente la donna le allontanò la bottiglia, mentre
aspettava che la sua crisi di tosse fosse terminata. Tuttavia,
finito di tossire, Yuffie continuò a piangere disperatamente. Con mano tremante
si tolse anche la bandana rossa che aveva portato con sé e, d’un
tratto, la morse con furia. “QUEL MASCALZONE!!”
Tifa lottò a lungo per strappare il
brano di stoffa dalla presa dentale della Ninja, ma
alla fine vi riuscì. “Yuffie, accidenti, calmati! Se
proprio vuoi saperlo, è da quando è diventata adulta che Shelke
ci prova con Vincent!”
Quelle parole ebbero il solo effetto di provocare un lungo
ululato di dolore da parte della ragazza, per cui Tifa
alzò la voce per concludere il più in fretta possibile il suo discorso. “Però
lui non ci è mai stato!!”
All’improvviso l’espressione disperata di Yuffie si tramutò
in una di gioia infantile. “Davvero??”
“Sì! Che io sappia, ed io ne so
tante di cose visto il lavoro che faccio, Vincent è
ancora single.”
L’espressione euforica della Ninja
durò appena qualche secondo in più, per poi essere sostituita da un’aria
malinconica. “Allora sicuramente Shelke si riferiva a
Lucrecia. E contro di lei io
non ho nessuna speranza. E non si tratta solo di una questione di tette.”
Tifa si preoccupò per il fatto che
Yuffie basasse la propria immagine di sé sulla dimensione del suo seno, ma
decise che quello non era proprio il momento adatto per discuterne. Invece, forse, sarebbe stato meglio cambiare argomento.
“Dai, non pensarci più. Piuttosto, lo sai che ci sono tre tizi che ti stanno cercando?”
La Ninja di Wutai
drizzò le orecchie, allarmata. “Tre tizi?”
“La Somma Principessa LuffyKisacosa di Buttai? Certo che sappiamo dove si trova!” disse uno dei quattro giovanotti
dall’aria trasandata cui i tre samurai si erano rivolti. Gli altri individui
annuirono vigorosamente e con larghi sorrisi sulle facce da sbarbare. Gli
emissari di Wutai trassero contemporaneamente un
sospiro di sollievo: finalmente una traccia da seguire, dopo giorni di indagini.
“Prego, prego, seguiteci, onorevoli signori,” fece un altro del quartetto, ed i tre samurai non se lo
fecero ripetere due volte, seguendo le loro guide in un vicolo poco illuminato
di Edge. Circa dieci minuti dopo ne uscirono dallo
stesso lato da cui erano entrati, con l’aria abbattuta e la testa china.
“Il nostro addestramento speciale non doveva fornirci
abilità simili a quelle dei Turks della Shinra?” chiese il più alto, le mani affondate nelle tasche
dei calzoni.
“Magari è successo qualcosa del genere anche a loro, agli
albori della loro storia,” disse il samurai mediano.
“Ping, Pang[1],” fece il terzo, stizzito, quello più basso, “dubito
fortemente che loro si sarebbero fatti derubare da un gruppetto di sbandati
durante una missione d’infiltrazione segreta.”
Gli altri due annuirono, e per un certo periodo camminarono
in silenzio, in fila indiana, senza una meta precisa. Poi il
più alto riprese a parlare. “Dov’è che abbiamo
sbagliato, Pong?”
Il silenzio fu la più loquace delle risposte a quella
domanda.
[1] I nomi dei tre ‘Turks di Wutai’sono tratti dall’opera “Turandot”
di Giacomo Puccini.
Nell’ombra, una sagoma si protese
su Tifa, che si era addormentata da poco dopo una lunga giornata di lavoro.
“Tifa…” mormorò una voce, al che la donna sobbalzò colpendo con la testa un oggetto contundente e gridando con forza. Dopo una
breve colluttazione riuscì ad accendere la luce e si preparò a fronteggiare il
suo aggressore, nonostante il dolore che le martellava in fronte. Ma accanto a lei, gemente sul letto, c’era solo Yuffie, con
entrambe le mani sul capo dove si stava rapidamente formando un grosso
bernoccolo.
“Y-Yuffie!” sbottò la barista, ancora agitata. “Si può
sapere che ti prende??”
“Ma vorrei sapere cosa prende a te,
per darmi una testata simile!” esclamò la Ninja, con
le lacrime agli occhi. “Ahi… scommetto che una pozione non basterà…”
“Ma scusa, secondo te come dovevo
reagire sentendo una voce che mi ansimava nelle orecchie come hai fatto tu?”
“Chissà, forse potevi rispondere cortesemente e magari
offrire un tè!”
Il sarcasmo nelle parole dell’amica ebbe l’effetto di
calmare Tifa, che sospirò più volte prima di
riprendere. “Ad ogni modo, di cos’hai bisogno?”
Intanto, dalla porta della camera arrivò l’ansare di Cloud, in pigiama e assonnato, che si era precipitato a
vedere cosa fosse successo non appena ebbe udito il grido della sua ragazza.
“Si può sapere che sta succedendo qui??”
“Niente, niente,” rispose Yuffie,
facendo un cenno con la mano per congedare il ragazzo. Questi, dopo un cenno di
conferma da parte di Tifa, mugugnò qualcosa come ‘non ti basta
esserti presa il mio posto letto?’ e se ne andò chiudendo la porta alle sue
spalle.
“Bene,” continuò Tifa, paziente.
“Dimmi pure cos’è successo.”
“Tifa…” rispose Yuffie, titubante. “Secondo te… come posso
fare per farmi perdonare? Dovrei fargli un regalo? E
che tipo di regalo? Puoi prestarmi tu qualche gil,
che sono al verde?”
“Ma dovevi chiedermi queste cose
proprio alle tre di notte, facendomi prendere un colpo??”
“Ma non riuscivo a dormire!”
Tifa sospirò nuovamente. “Allora…
Yuffie… ti dico subito che non ho tanti gil da
prestarti, e che li rivoglio indietro… Al massimo mille,
e solo perché sei mia amica…”
La donna sollevò subito una mano frenando l’incontenibile
entusiasmo della ragazza.
“E comunque, non so se con mille gil puoi comprare qualcosa di decente con cui tornare da Vincent. Forse una padella nuova ed una pozione per
rimediare al danno che gli hai fatto… anzi, forse è
meglio una granpozione…”
“Ma questi sono tutti oggetti di consumo,”
obiettò Yuffie, evidentemente considerando anche la padella come ‘oggetto di consumo’, dato l’uso che ne faceva di solito. “Io vorrei
prendergli qualcosa che gli ricordi me, qualcosa che lo renda felice ogni volta
che penserà a me…”
‘Forse potresti regalargli la fotocopia di un biglietto di
sola andata per Wutai con il tuo nome, così ogni
volta che lo vedrà penserà che tu sei lontana, fuori
dalle scatole, e sarà felice, specialmente se ha sgobbato come un chocobo per dieci ore di fila e vuole solamente dormire,
come me,’ pensò Tifa, ma l’ultimo barlume di compassione che albergava ancora
in lei la convinse a non dare quel consiglio. Invece, dopo
una lunga pausa, le fece una diversa proposta, quasi con noncuranza. “Perché non gli regali la tua bandana?”
Terminò quella frase con un rumoroso sbadiglio, il che le
impedì di cogliere l’espressione di entusiasmo e
gratitudine che era esplosa sul volto di Yuffie. “Tifa, sei un genio, ti
adoro!”
Senza capire bene perché, la donna si trovò ad essere
strattonata brutalmente in un rude abbraccio. “Ah… eh… grazie… ora però dormici
su, va bene?”
Yuffie annuì prontamente, le si sdraiò
quasi addosso per spegnere la luce e tornò a sdraiarsi al suo fianco, lasciando
Tifa nel dubbio su cosa, nella sua proposta che in quel momento nemmeno
ricordava più, avesse eccitato a tal punto la sua amica.
Ma in fondo, la cosa veramente
importante era che adesso poteva dormire in pace.
Vincent ci mise un po’ a
riprendersi e a realizzare che Yuffie se n’era andata,
e per giunta indossando la sua bandana rossa. Non che gli importasse molto
della bandana, ma avrebbe voluto tanto scambiare quattro chiacchiere con quella
ragazza dal pugno facile. O, per meglio dire, dalla
padella facile. Non aveva nemmeno avuto tempo di spiegarle che non aveva mai
accettato le avances di Shelke,
che non gli piaceva né quando era bambina né in quel momento. Avrebbe voluto
dirle che…
Il dolore alla testa era lancinante. Barcollando, raggiunse
la camera da letto e frugò nel proprio zaino, alla ricerca di qualche oggetto
di recupero. Consumate due pozioni si sentiva già meglio; abbastanza bene da
infuriarsi con Yuffie per avergli portato via la bandana, per aver anche solo
pensato che potesse stare con una comeShelke e per averlo preso a padellate in testa. E se l’era pure portata via, la padella!
“Calmo,” si disse. “Stai calmo. Al
massimo dovrai solo ricomprarti una padella e una bandana,
non è una grave perdita. E poi, a ben vedere, Yuffie era troppo
sconvolta per fare qualcosa di inconsulto;
probabilmente tornerà tra poco, oppure sarà andata a piagnucolare da Tifa. Avrò
di sicuro quella peste ancora fra i piedi per molto
tempo. Eppure, per quale motivo non mi sento così
arrabbiato all’idea?”
Vincent scosse la testa per non
pensare a quell’argomento. Ne aveva
già parlato abbastanza in passato, con Shelke e Reeve, da averne a sufficienza, almeno per il momento. Dal
momento che si era ripreso dalla botta in testa, non aveva nessuna
intenzione di deprimersi pensando a ciò che nemmeno a lui era molto
chiaro. Sospirando, si recò in cucina per prepararsi un rapido pasto.
“Il Sommo Imperatore ci ucciderà per questo, lo so,” mugugnò Ping, l’uomo più alto
fra i tre, mentre facevano cuocere su un fuoco di fortuna l’ultima confezione
di ramen istantanei che avevano. A quelle parole il
più basso, Pong, si inalberò.
“E’ mai possibile che tu sia sempre così pessimista?? Non è detto che tutte le
missioni debbano essere semplici, gli errori di valutazione possono capitare!”
Pang, il samurai che fino ad allora non aveva ancora parlato, smise di contemplare la
confezione di ramen che emanava già un delicato
profumino e fissò con astio il suo capo. “Tu chiameresti ‘errori di valutazione’ il fatto di non aver guardato la data di scadenza del ramen istantaneo che
hai comprato a Wutai, il fatto di aver dimenticato di
cambiare i nostri yen privi di valore internazionale con i gil
alla Banca di Da-Chao, e quindi aver dovuto lavorare
part-time per guadagnare qualcosina, ed il fatto di
esserci fatti rubare il suddetto qualcosina da un
gruppo di teppisti armati di serramanico e scacciacani?”
Nuovamente i tre rimasero immobili in
silenzio, assorti, di fronte allo scoppiettante fuoco di copertoni
bruciati. Da qualche parte, poco distante, un ubriaco iniziò una stonatissima
canzone che terminò con un volgare e poderoso rutto soddisfatto.
“Ho una strana voglia di fare harakiri,” commentò Ping,
triste.
“Non dire scemenze,” lo interruppe Pong, infastidito. “Non possiamo morire prima di aver
trovato la Somma Principessa Yuffie Kisaragi ed
averla riportata da suo padre. Fino ad allora, non
potremo fare harakiri.”
“Piuttosto,” si intromise Pang con tono pragmatico, “non potremo farlo finché non
avremo riscattato le nostre spade corte da quel robivecchi.”
Di nuovo le parole del samurai furono accolte dal silenzio
generale, al termine del quale i tre cominciarono a mangiare il ramen semicrudo, nel timore che rimanesse bruciacchiato ed
immangiabile se lasciato sul fuoco di gomme troppo a lungo.
Mancava ancora poco all’alba quando Yuffie penetrò
furtivamente in casa di Vincent, la padella ammaccata
appesa alla cintura. Aveva tutte le intenzioni di fargli una sorpresa per farsi
perdonare, e sarebbe stata veramente una bella sorpresa
stavolta. Silenziosa come un’ombra si recò in cucina e posò quella che era
stata la sua fedele arma per un giorno su un ripiano, mentre cercava di
orientarsi e decidere dove trovare gli ingredienti per l’impresa che stava
cercando di attuare; aveva tormentato Tifa per ore per farsi dare una ricetta
semplice ma sfiziosa per una colazione romantica, ed ora aveva tutte le
intenzioni di mettere in pratica ciò che aveva appreso. Purtroppo, però, il
frigorifero di Vincent non conteneva alcun uovo di chocobo, filetto di ochu o mazzo di erba gishal
fresca, ragion per cui le ‘uova di chocobo all’occhio
di ochu’ di cui le aveva parlato la sua amica erano
impossibili da preparare. C’erano solo una gran quantità di bistecche, del
tutto inadeguate per una colazione che non fosse anche
pranzo e cena. Alla fine ripiegò per il semplice ma efficace latte con cereali,
i cui ingredienti erano a mala pena sufficienti per
preparare la colazione per due.
Accese il gas e cominciò a scaldare il latte, sperando di
non fare disastri, svegliare Vincent e di conseguenza
mandare all’aria tutto il suo piano. Fortunatamente per
lei non accadde nulla ed in poco tempo poté porre sul vassoio che aveva
preparato due tazze colme di latte e cereali Corn-Shinra.
Si sentiva fiera di se stessa: dopotutto, quella era la prima volta che
cucinava, e trovava estremamente romantico il fatto
che fosse anche la prima volta che cucinava per l’uomo di cui era innamorata.
Si avvicinò con passo felpato, cercando di non rovesciare
nemmeno una goccia di latte dalle due tazze, alla camera da letto, la cui porta era leggermente socchiusa. Ora il sole era già sorto e
rischiarava un po’ i suoi passi, per cui almeno
l’ostacolo dell’oscurità non si presentava più. Restava invece il ben più
assillante ostacolo di come risvegliare Vincent ed
offrirgli la deliziosa colazione che aveva preparato apposta per lui.
Questo problema fu risolto dallo stesso ex-Turk,
cui il suo speciale addestramento aveva permesso di svegliarsi perfettamente
pronto a combattere al minimo cenno di avvicinamento
da parte di un potenziale nemico. Prima che Yuffie potesse dire qualsiasi cosa,
si ritrovò la Cerberus puntata in faccia; fu il
tintinnare delle scodelle, mosse dal tremito delle sue mani, a rispondere per
lei a quella silenziosa minaccia.
Non appena Vincent si fu reso
conto dell’identità dell’intrusa ritrasse la pistola
ed abbassò i cani, rendendola inoffensiva. Prima di parlare rilasciò lentamente
l’aria che aveva inspirato con forza per garantire il necessario rifornimento di ossigeno ai suoi muscoli, in vista di un’azione di forza.
“Yuffie, sei tu,” si limitò a constatare.
“C-c-ciaoV-Vincent,
t-ti ho p-preparato la c-colazione,” balbettò lei,
porgendogli il vassoio. Lui lo guardò per un attimo, poi rannicchiò le gambe e
le fece cenno di posarlo sul letto e di calmarsi, cosa che lei fece.
“Scusami per prima,” dissero
entrambi, contemporaneamente. Yuffie era troppo sconvolta per
farlo, ma Vincent accennò un sorriso e
proseguì. “Volevo chiederti scusa per averti minacciato con la pistola. Il
fatto è che, anche se è passato tanto tempo, non ho mai perso le mie capacità
di Turk, ed è sempre meglio non farmi sorprese… per
quanto gentili esse siano.”
La ragazza arrossì a quelle parole. Sembravano un
complimento, in effetti, ma sapeva che non doveva farsi illusioni. Dopotutto, come
aveva saputo solo il giorno prima, lui era ancora perso dietro a Lucrecia…
“Anch’io devo porti le mie scuse,”
si riscosse la Ninja. “Devo averti dato un colpo bello forte, con quella padella. Comunque
non preoccuparti, te l’ho riportata, sai? E’ di là in cucina, anche se è un po’
ammaccata…”
L’uomo fece spallucce, cominciando a mangiare. “Non preoccuparti,
può capitare di fraintendere ed agire in modo incontrollato.”
Anche Yuffie cominciò a mangiare,
pensierosa. “Sì, ma… FRAINTENDERE??”
L’improvviso urlo della ragazza fece andare per traverso il
latte ed i cereali a Vincent.
“Sì…” disse quest’ultimo, tossendo.
“Hai… hai frainteso le parole di Shelke,
l’altro giorno. Io non sto e non sono mai stato con lei.”
La ragazza si sentì rinascere. “E…”
ricominciò, cauta ma trepidante, “sei… sei ancora… sì, diciamo… innamorato… no…
beh, hai capito… con Lucrecia?”
Nonostante la sintassi disastrata
di Yuffie, Vincent capì quello che intendeva e scosse
il capo, lievemente malinconico. “No, Yuffie. Lucrecia
ormai fa parte del mio passato e non sono intenzionato a riaprire quel vecchio
capitolo della mia…”
L’uomo avrebbe voluto terminare la frase con la parola ‘vita’, ma la Ninja di Wutai glielo impedì. Gettò un
acutissimo grido di gioia e sobbalzò, alzando le braccia al cielo e facendo
cadere per terra entrambe le tazze di latte con i
cereali. Vincent non fece in tempo a chiederle che
cosa le fosse preso che si ritrovò schiacciato sul letto e stretto in un
abbraccio simile a quello di un pitone. Yuffie lo stava stordendo a forza di
risate acutissime nelle orecchie, ma in fondo non era poi così male. Nonostante il bruciore del latte caldo che gli colava su una
gamba ed il senso di soffocamento provocato dall’abbraccio di Yuffie, l’uomo
non si divincolò né la scostò; anzi, non gli sarebbe dispiaciuto se quell’abbraccio fosse durato ancora per ore ed ore.
Nei giorni successivi Vincent ebbe
la fortuna di non ricevere alcun incarico, ufficiale o meno, da parte della
WRO, sicché poté dedicarsi a quello che, da un anno a quella parte, era
diventato il suo hobby preferito: la costruzione di armi
artigianali. Nel campo era diventato ben presto un’autorità, al punto che la
Sezione Difesa della WRO gli aveva proposto un incarico part-time come consulente
nella progettazione di armi. Sebbene non si trattasse
di un incarico a tempo pieno, si trovava spesso a lavorare fino a tardi negli
uffici delle nuove industrie di Edge,
al punto che dovette a malincuore rinunciare di nuovo a fabbricare nuovi
modelli di pistola e fucile per il proprio piacere personale.
D’altro canto, ogni volta che rientrava, indifferentemente
dall’ora, trovava sempre la cena pronta e Yuffie in un multicolore grembiule
floreale che lo accoglieva a braccia aperte. Ormai lui aveva
accettato come la normalità la piacevole presenza della ragazza di Wutai in casa, e spesso, nei momenti di pausa sul lavoro,
si sorprendeva ad aspettare con ansia di tornare da lei. Yuffie invece
aveva da subito considerato la situazione alla pari con quella di una coppia
felicemente sposata, per cui non esitava ad intraprendere
tutte le mansioni che ci si sarebbe potuto aspettare da una moglie: il primo
giorno fu un disastro completo, al punto che dovette andare a dormire in
locanda mentre Vincent e Cloud
rimettevano in ordine e scacciavano le spore di ochu
che lei aveva deciso malauguratamente di utilizzare come ingrediente per una
delle sue ricette. Da allora però le cose migliorarono: si fece spiegare da
Tifa e dalle altre donne del loro quartiere come svolgere i lavori di casa e
prestò particolare attenzione a non acquistare nessun prodotto alimentare
venduto vivo. Per renderli del tutto simili ad una
coppia mancava solo il matrimonio e la consecutiva consumazione (non
necessariamente in quest’ordine), ma quando Yuffie
pensava che col tempo sarebbe arrivato anche quello arrossiva smodatamente e si
perdeva per almeno due ore in scottanti fantasticherie.
Una sera la Ninja casalinga di Wutai sentì bussare piuttosto presto: di solito Vincent non tornava a casa a quell’ora,
e nemmeno bussava ma apriva la porta con le proprie chiavi. Però
forse voleva farle una sorpresa, pensò. Quindi, quasi
canticchiando di gioia, saltellò verso la porta d’ingresso e l’aprì dopo una
rapida piroetta.
Subito qualcosa le piombò addosso, qualcosa di morbido e dai
capelli castani, qualcosa che sicuramente non era Vincent,
a meno che non avesse bevuto parecchio e non avesse deciso di travestirsi da Shelke. Pur prendendo in considerazione tale ipotesi,
Yuffie decise che era piuttosto improbabile, visto anche il timbro acuto della
voce che era promanata dalla figura. Si divincolò e la
spostò con uno spintone, mettendosi contemporaneamente in guardia.
L’essere barcollò sui tacchi alti, scuotendo la testa dai
capelli uguali a quelli di Shelke, e così facendo
mise in risalto il seno, del tutto simile a quello di Shelke,
e proruppe in un’imprecazione con una voce identica a quella di Shelke. “Dannazione, Yuffie Kisaragi,
ma tu non sei Vincent Valentine!!”
Non c’erano dubbi. Era Shelke.
Yuffie trattenne a stento la rabbia torcendosi le dita.
“Potrei dire lo stesso di te, Shelke.”
L’altra sembrò non aver ascoltato. “Ad ogni modo, cos’è
questa pantomima?”
La Ninja seguì con lo sguardo la
direzione indicata dalla rivale e contemplò le proprie pantofole a forma di chocobo, i calzoni troppo corti del pigiama che aveva
acquistato con il supporto economico e di consulenza di Tifa,
il grembiule con la scritta ‘cucina di Wutai, più di
mangiare non smetterai’ ed il bordo della maglietta
del suddetto pigiama, decorato, come anche i calzoni, di maialini volanti.
“Beh, io abito qui, è normale che sia vestita in modo comodo,” replicò acida. “Ed invece come mai tu sei vestita da
ospite fissa della HoneybeeInn?”
Quasi imitando la cordiale nemica, Shelke
rimirò i propri stivali a mezza coscia borchiati neri
e blu, la minigonna con spacco laterale e shorts in
vista, la canotta bianca ‘à la Tifa’
sotto una giacchetta blu chiusa appena sopra l’ombelico, in modo da mettere in
risalto il seno ed il collare di cuoio attorno al collo collegato alle coppe
della canotta tramite due sottili catenelle.
“Non vedo perché dovrei dare spiegazioni a te, Yuffie Kisaragi, riguardo al mio modo di vestire,”
commentò. “Ad ogni modo, ero venuta qui per incontrare
Vincent Valentine, ma visto che non c’è credo di
poter togliere il disturbo.”
L’ex Tsviet fece per imboccare la
porta ma Yuffie le si parò davanti, impedendole di
aprire la porta, che nel frattempo si era richiusa. “E cosa volevi da ‘VincentValentine’conciata in quel modo?” chiese, accentuando in particolare
il nome ed il cognome del suo coinquilino con lo scopo palese di imitare il
modo di parlare di Shelke. Questa non si scompose.
“Quello che volevo l’avrei chiesto direttamente a lui, se solo fosse stato
presente. Visto che al posto suo mi ti sei presentata tu, non ho motivo di
restare. Se vuoi scusarmi, geisha-san…”
“No, non ti scuso. E comunque non
sono una geisha, per tua
informazione. E soprattutto…” continuò la Ninja, più agguerrita che mai, togliendosi di dosso il
grembiule e gettandolo sopra il comodino su cui erano custoditi i mazzi di chiavi
della casa, “non ti lascerò Vincent senza
combattere!”
Shelke si mise in guardia, pronta
a tutto. “E come speri di contrastarmi, vestita da
casalinga, alta come un moguri nano e con il seno
microscopico che ti ritrovi?”
Quelle affermazioni bruciarono nell’animo di Yuffie, tanto
che provò l’impulso di cedere alla propria ira e balzare addosso a quella
sgualdrina, non importava se così facendo avrebbe messo a soqquadro la casa. “Vincent non è tipo da lasciarsi abbindolare da due sfere, e
nemmeno ben proporzionate, Mako-dipendente!”
“Senti chi parla, pensi forse che Vincent
Valentine dorma bene temendo ogni momento per la sorte delle
sue materia?”
“Almeno io non vado in giro vestita
come una coniglietta sfuggita dal maniero di Don Corneo Junior!”
“Infatti! Vai in
giro vestita da squallida sciacquetta quale
sei!”
Yuffie non ci vide più e fece per balzare addosso alla sua
acerrima nemica, ma un improvviso spintone alla schiena la fece capitombolare
al suolo. Dannazione, pensò, aveva un complice! Infuriata si mise in ginocchio, pronta ad aggredire l’infingardo che l’aveva
colpita alle spalle, ma rimase di ghiaccio quando vide che, in realtà, ad
aprire di scatto la porta e mandarla a ruzzolare per terra non era stato altri
che Vincent. La stava fissando dall’alto in basso con
evidente sorpresa e non si accorse che Shelke, che
alla sua entrata aveva fatto un balzo indietro per
mettersi al riparo, si stava avvicinando rapidamente.
“Vincent, attento!” urlò Yuffie,
ma invano. L’ex Tsviet aveva già compiuto un balzo ed
aveva avvolto le braccia attorno al collo di Vincent,
che oscillò senza cadere. La donna si strinse e fece
aderire il più possibile il proprio corpo al suo, soffocando una breve
risatina.
“Ero venuta per vederti,” gli
sussurrò all’orecchio. “Ora che l’ho fatto, posso anche andare. Ciao, tesoro…”
Vincent aprì la bocca per
replicare, ma quello fu un grosso errore, poiché Shelke
gliela chiuse subito con un bacio molto appassionato. Purtroppo per lei, non
poteva essere molto duraturo, vista la fastidiosa presenza di Yuffie, per cui si distaccò da lui presto. Mentre
lui la fissava con un’espressione a metà tra lo sconcerto ed il timore, lei
ridacchiò e lo strinse un’ultima volta, soffiandogli poche parole all’orecchio.
“Sei tutto maschio…[1]”
Dopo un’altra risatina, la ‘vipera di Midgar’,
come Yuffie ebbe modo di soprannominare Shelkequalche giorno prima, infilò la soglia e si dileguò. Nel
silenzio della stanza, i cardini cigolarono finché la porta non si fu richiusa.
In quel momento Vincent sembrò uscire da una specie
di trance e fece un balzo all’indietro,
rannicchiandosi e coprendosi il volto con l’artiglio metallico.
“Cosa ti ha fatto quella dannata Deepground!!”
sbottò Yuffie balzando in piedi, e già temendo una qualche forma di avvelenamento. L’ex Turk però
sbirciò da sopra il braccio dorato, titubante. “Non hai nessuna padella a portata di mano, vero?”
La ragazza si rabbuiò. “Aspetta qui,”
ringhiò lapidaria, per poi sparire in bagno. Vincent
temeva che le venisse in mente qualche altra strana idea, ma sapeva anche che
sarebbe stato inutile fuggire: una volta che la rosa bianca di Wutai avesse deciso di perseguire un obiettivo, non ci
sarebbe stato nulla che l’avrebbe fermata.
Un attimo dopo Yuffie tornò, lo
sguardo duro negli occhi, e nelle mani un tubetto di dentifricio e lo
spazzolino di Vincent. Quest’ultimo
impiegò solo un secondo per capire cosa quella ragazza furiosa volesse fare, ed immediatamente lei gli spremette quasi
tutto il dentifricio in bocca e prese a frizionare con vigore, nonostante i
suoi gemiti di protesta.
“La prossima volta che la vedrò,”
disse a se stessa a lavoro terminato, mentre Vincent
si stava sciacquando vigorosamente la bocca, “non mi limiterò ad usare
spazzolino e dentifricio…”
“Va bene così?” chiese l’ex Turk
massaggiandosi la mandibola, dolorante a causa dello sforzo di Yuffie nel
ripulire ogni suo recesso. La ragazza lo guardò critica, poi sembrò
illuminarsi, come se avesse all’improvviso pensato a qualcosa di
divertentissimo. “A dire la verità c’è ancora qualcosa.”
“C-Cosa?” chiese l’uomo, temendo ulteriori
rappresaglie. Lei però si avvicinò con passo marziale, ma quando lui stava per
ripetere la domanda, si alzò sulle punte e lo baciò sulle labbra.
[1] Citazione dal film “Frankenstein Junior”, di cui vi presentiamo
un brevissimo stralcio della nostra parodia yuffentinosa,
in particolare della scena in cui Frederick scambia
la testa di Igor per un cranio: Vincent: CaitSaith! CaitSith: Vaincent! V: Yauffie! Yuffie: Vaincent! C: Yauffie! Y: CaitSaith!!
Il felino, la padella e la minaccia di
non pensionamento[1]
Vincent, sorpreso, esitò per
lunghi attimi senza muoversi. Poi si decise, la abbracciò
e prese l’iniziativa, approfondendo il bacio. La ragazza dovette essere colta
impreparata, perché sul momento si irrigidì, ma,
proprio come aveva fatto lui, dopo pochi secondi si rilassò, concedendosi a quell’abbraccio e a quel bacio che la stavano reclamando.
D’accordo, quella
dannata Shelke deve avermi tramortita e questo è un
sogno. Oppure mi ha del tutto fatto fuori ed ora mi
trovo in paradiso. Non posso credere che Vincent mi
stia davvero baciando… Io non sono Lucrecia, sono
bassa, ho il seno piccolo e non sono quel genio di simpatia… Cosa ci potrebbe
trovare in me? D’accordo, è stato bello finché è durato, ma ora è meglio che mi
svegli, non vorrei che il vero Vincent
mi trovasse a rotolarmi sul pavimento pomiciando con il tappeto…
…
Però…
Questo sogno non si interrompe… Allora forse non è un sogno… E non sono
nemmeno morta, visto che sento il mio cuore battere e non sono circondata dal
paradiso dei materia…
… Allora…
Oh, Leviathan… grazie
di aver risposto alle mie preghiere…
E grazie, Vincent,
di tutto.
Il loro attimo di tenerezza fu bruscamente interrotto da
qualcuno che bussava poco delicatamente alla porta. Yuffie interruppe di
malavoglia il bacio e fissò l’uscio con odio.
“Se è di nuovo quella vipera,”
disse sciogliendosi dall’abbraccio di Vincent e
dirigendosi verso l’entrata con passo marziale, “la mordo, giuro che la mordo e
l’avveleno. Peccato che non ho a portata di mano la materia Bio…”
“Ehi, Yuffie,” s’intromise l’uomo,
andandole dietro. “Guarda che rischi la denuncia se la attacchi a quel modo.”
In realtà quella questione non lo interessava molto: in
fondo erano amici di Reeve, l’autore della legge che
bandiva i morsi da tutto il territorio sotto la giurisdizione della WRO, ed in
qualche modo la ragazza ne sarebbe uscita fuori. Ciò cui stava pensando con
maggior vigore era l’esperienza che aveva appena
attraversato: quel bacio, meraviglioso anche se non particolarmente
appassionato, lo aveva fatto sentire come non si sentiva più da trent’anni. Se non da prima. La
guardò ignorarlo e aprire bruscamente la porta, drizzando la schiena e
posandosi la mano libera su un’anca, in una posa teatrale, e sorrise. Si
sentiva innamorato.
“Senti un po’, tu,” iniziò Yuffie,
ma subito rimase allibita. “Ehm…” proseguì, fissando il corridoio vuoto di
fronte a sé.
“Ehi! Qui sotto!” disse una voce squillante e familiare. La
ragazza abbassò lo sguardo.
“C-CaitSith!”
sbottò.
“Y-Yuffie!” rispose il gatto meccanico, salutandola con un
gesto della mano. “Cos’è che dovrei sentire?”
La Ninja si scostò e fece entrare CaitSith, che si presentò ad un allibito
Vincent con la parodia di una riverenza. “Ciao, Vincent, come va?”
L’uomo attese che Yuffie avesse chiuso
la porta per parlare. “Beh, bene, e tu?”
“Ho faticato un po’ a passare la scorsa revisione,
ma con un’aggiustatina qua e là da parte del nostro
comune amico sono ancora in servizio. Ad ogni modo,”
proseguì, facendosi serio (ammesso che quell’espressione
potesse essere applicata al suo volto), “sono qui in veste ufficiale per
portarti un messaggio da parte della WRO.”
“Eh no!” sbottò Yuffie, facendo fare
un alto salto per la sorpresa a CaitSith. “Proprio adesso no! Proprio ora
che…”
“Di che si tratta?” si intromise Vincent impedendo alla ragazza di fare qualunque accenno
alla loro situazione. Dopotutto, probabilmente Reeve
era in ascolto, e non era tipo da tenere per sé un pettegolezzo…
Il gatto non si scompose e tornò a prestare attenzione al
destinatario del suo messaggio. “Dovresti recarti alla base WRO per un colloquio
con il presidente, niente di più semplice.”
Vincent inarcò un sopracciglio,
dubbioso. “Perché non possiamo farlo qui? Se non attraverso CaitSith, per telefono…”
L’altro scosse la testa, dispiaciuto. “Purtroppo in entrambi
i casi c’è il rischio che la comunicazione venga
intercettata da chi non vede di buon occhio la WRO, come quelli del porto di Junon. Non capisco come facciano ad essere contro di noi,
dal momento che sanno che io sono la mascotte… Non sono disarmante?”
“Davvero, non capisco come riescano a resisterti,” rispose l’ex-Turk, il cui
impulso a scoppiare a ridere fu bloccato dallo sguardo esasperato di Yuffie. “Ad
ogni modo, andrò alla base appena possibile, tra un paio di settimane forse…”
CaitSith
scosse vigorosamente il capo. “No, no, no, no, no, devi
venire subito, Vincent, farai il viaggio con
me!”
Che fortuna, pensò l’uomo, ma si
rese conto che non poteva rifiutare una richiesta così esplicita da parte di Reeve. “D’accordo, felino, domattina partiremo.”
“No!” si intromise Yuffie,
evidentemente alterata. “No che non partirai domattina! E
tu sta’ zitto!” ingiunse a CaitSith,
che stava per obiettare, ma che alle sue parole non emise un fiato.
“Yuffie…” iniziò Vincent,
conciliante, ma fu subito interrotto dalla ragazza, ora decisamente
infuriata. “‘Yuffie’ un corno, caro mio! Non puoi partire adesso per chissà
quale missione, perché sappiamo benissimo che Reeve
non esiterà ad affibbiartene qualcuna quando sarai da lui, e chissà se e quando
farai ritorno!”
“A proposito,” interloquì CaitSith, “per quale motivo sei
qui a Edge, in casa Valentine, Yuffie? Sapevamo che
eri tornata stabilmente a Wutai…”
“Non sono affari tuoi, gatto!”
“Ecco, appunto,” disse Vincent, facendo cenno al robot di recarsi in camera da
letto. “Ti dispiace aspettarmi di là? Dico un paio di cose a Yuffie e ti
raggiungo, così ci mettiamo d’accordo per i dettagli.”
CaitSith
fece per obiettare, ma un’occhiata furiosa della Ninja
lo convinse a restare in silenzio se non voleva risvegliarsi in un corpo nuovo
di zecca, perciò si limitò ad annuire ed obbedire all’ex-Turk.
Quando la porta della camera da letto si fu chiusa, quest’ultimo trasse un profondo respiro e si voltò verso la
ragazza.
“Non dire una parola,” lo ammonì quest’ultima, sollevando un dito per rafforzare le sue
parole. “Non puoi giustificare le manie di un dannato burocrate amante dei
felini [2], Vincent! Accidenti, gli hai salvato la vita più e più
volte, sei praticamente il suo fattorino, potrà
concederti delle ferie, no??”
Nonostante volesse darle ragione,
l’uomo dovette scuotere il capo. “Devi capire che Reeve
ormai è praticamente un capo di stato, ed ha bisogno
di collaboratori. Purtroppo io sono l’unico con una certa esperienza di
missioni in solitaria tra i suoi uomini, per cui credo
che a volte non possa fare a meno di me…”
“Senti, Vincent…” lo interruppe la
ragazza, titubante. “Non sarà che è gay…?”
“Ma figurati!” sbottò l’uomo, quasi
scoppiando a ridere. “E se anche lo fosse non avrebbe certo delle mire su uno come me!”
Almeno spero, pensò, ma si guardò
bene dal dirlo. “Ad ogni modo,” proseguì, “se mi ha
fatto chiamare così è perché ha davvero bisogno di me.”
La ragazza s’intristì all’improvviso. “Però… anch’io… ho
bisogno di te,” disse, e lo abbracciò con tenerezza.
“Non ti sei accorto,” proseguì, trattenendo le
lacrime, “che sono quattro anni che sono innamorata di te?”
Vincent la strinse a sua volta,
cullandola dolcemente. “Purtroppo me ne sono accorto in ritardo. Ti chiedo
perdono, Yuff…AAHIA, MA CHE FAI??”
La ragazza, inviperita, gli aveva afferrato il lobo di un
orecchio tra due dita, torcendolo dolorosamente. “Ed in tutto questo tempo ho
anche dovuto sopportare che ti disperassi per Lucrecia, le avances di quella
vipera di Midgar, ed ora pure quelle di quel dannato felinomane!!”
“D’accordo, però ora lasciami… Ahia… Ahia… Bene, grazie…”
“Allora, cos’hai deciso?” incalzò lei, quando furono tornati
ad una distanza reciproca di sicurezza. Vincent si
massaggiò il lobo dell’orecchio a lungo prima di rispondere.
“Yuffie,” iniziò, “andrò con CaitSith. Ma prometto che farò
in fretta, che non mi attarderò lungo la strada, che
continuerò ad essere disponibile al telefono per tutto il tempo, che non
accetterò strane avances da Reeve,
che… Ti prego, posa quella padella!!”
Questa volta la ragazza aveva impugnato un arnese molto più grande della padella precedente: era praticamente
una teglia da forno provvista di manico.
“Dannato infingardo,” gli urlò
contro, “ti telefonerò ad ogni ora del giorno e della notte, e se non mi
risponderai saprai cosa ti aspetta!!”
Vincent decise che serviva un’azione di polso. Mentre
Yuffie brandiva l’oggetto contundente alto sulla testa, l’uomo scattò e le
afferrò il polso destro, mentre con la mano destra le bloccava il braccio
corrispondente contro l’addome e la baciava con passione. Lei dapprima
resistette, ma in meno di un secondo capitolò, e la padella cadde a terra con
un poderoso rumore metallico. Restarono così per molto tempo,
poi Vincent distaccò le proprie labbra da
quelle di lei.
“Tornerò da te,” le sussurrò. “Te
lo prometto.”
“Oh Vincent,”
fu la risposta. “Ti amo…”
L’ex-Turk non esitò. “Anch’io ti amo…”
Nel frattempo, CaitSith aveva trovato in un cassetto un oggetto che avrebbe
cambiato per sempre la sua vita di creatura meccanica. Avvolgendosi nel
mantello rosso, impugnò il modellino di pistola che il padrone di casa aveva
tenuto come ricordo della sua avventura contro i Deepground.
“Tremate,” disse il gatto con voce
roca. “Io sono il giustiziere che viene dall’oscurità, il portatore vivente di Chaos, l’unica vera GalianBeast! Il mio nome è Vincent
Valentine!!”
Il felino artificiale era così impegnato nella propria
pantomima che non si accorse nemmeno del rumore della
padella che cadeva al suolo, né di ciò che accadde poi nell’altra stanza.
Il telefono portatile di Pong,
l’ultimo modello della Wutai no com[3],
squillò emettendo l’inno nazionale di Wutaia una nota sola. Un gruppo di giovinastri guardò i tre
samurai, incuriositi e forse attratti dalla possibilità di un facile guadagno. Quando però videro il telefono, la cui cover di legno
rappresentava minuziosamente una pagoda, cambiarono idea e si allontanarono.
“Pronto…?” rispose titubante il capo, vedendo sullo schermo
all’ultimo piano della cover il numero di telefono speciale utilizzato dal
governo del suo paese per le comunicazioni segrete. Il che voleva dire una cosa
sola.
“Allora, come procedono le indagini?” chiese autoritaria la
voce dell’Imperatore GodoKisaragi.
Pong tremò, visibilmente scosso. “Ehm… Eccellenza…
siamo sulle tracce di vostra figlia…”
Il silenzio dall’altra parte dell’apparecchio telefonico non
stava a significare nulla di buono.
“Miei samurai,” riprese il sovrano,
la voce tesa. “Voi sapete quanti yen vengono consumati
ogni anno per il vostro mantenimento e per l’addestramento del vostro corpo
speciale, vero? Per addestrare le giovani leve che un giorno vi sostituiranno
permettendovi di andare meritatamente in pensione? Dimmelo, Pong-kun…”
L’interpellato deglutì. Gli altri due samurai lo fissavano
frementi, poiché sapevano che probabilmente il loro destino lavorativo
dipendeva da quello scambio di battute.
“Più o meno… metà della produzione nazionale del paese…”
“Esatto,” si complimentò Godo,
apparentemente soddisfatto. “E con tutti i soldi che
spendo per mantenervi e per fornirvi un addestramento pari a quello dei Turks, voi non siete ancora riusciti a recuperare mia
figlia?? Farei meglio ad addestrare un branco di
scimmie, ed a mandare voi tre a spolverare la statua di Da-chao
fino alla fine dei vostri giorni!!”
Ora il sovrano di Wutai era decisamente infuriato. Tremando visibilmente, Pong cercò di replicare in qualche modo. “Ma… Eccellenza…”
“NIENTE SCUSE!” sbottò questi, dall’altro capo del telefono.
“Pensate forse che la gente prenderebbe sul serio un branco di scimmie in
missione?? Beh, lo prenderebbe più sul serio di voi!! Ed
ora sbrigatevi a rintracciare mia figlia e a riportarla qui! Se non riceverò vostre notizie entro altri due giorni potrete considerarvi
licenziati, ed assegnati a tempo indeterminato allo spurgo delle fognature del
regno!”
Le urla di Godo furono sostituite
dal ripetitivo suono della comunicazione interrotta, e Pong
guardò i suoi compagni, atterrito. Le ultime parole dell’Imperatore dovevano
essere state abbastanza sonore da essere sentite anche da loro, poiché entrambi
erano sbiancati in volto.
“Ho sentito storie terribili sulla nostra rete fognaria,” commentò con un filo di voce Ping,
rabbrividendo nella sua camicia-chocobo ormai non più
pulita. “Sembra che ci siano orribili esseri simili a topi giganti che divorano
l’immondizia e coloro che sono mandati a raccoglierla…”
“E sembra che un ramo delle fogne sbuchi nella tana di un
terribile oni![4]”
proseguì Pang, stringendo un braccio del più grosso
dei tre quasi a farsi scudo di esso. Pong chinò il capo, pensieroso. “C’è solo una cosa da fare,” disse infine. “Dobbiamo cercare casa per casa.”
Gli altri due annuirono risoluti e cominciarono a bussare
sistematicamente a tutte le case di Edge,
ricevendo, quando erano fortunati, dei poco amichevoli inviti a recarsi
in un certo posto che loro non conoscevano e, quando erano sfortunati, molto
peggio.
[1] Liberamente ispirato al
sottotitolo di “Le cronache di Narnia”.
[2] Riferimento all’altra
nostra fiction in cui quest’espressione viene usata: “Di nuovo lui”.
[3] Traduzione grossolana dal Wutai: “Comunicazioni di Wutai”.
E’ la principale, forse perché l’unica, compagnia telefonica di Wutai.
Ecco, l’unico uomo
della mia vita è uscito da quella porta da poche ore, ed io già mi sento
abbandonata. Si è pure portato via i suoi cambi d’abito, così
non posso nemmeno divertirmi imitandolo, e in tal modo sentirmi meno
sola, accidenti!
…
Proviamo
a cantare mentalmente la mia canzoncina infantile preferita, magari il tempo
passa più in fretta. In fondo
si tratta solo di qualche giorno, ed il mio record di canto ininterrotto è di
due settimane…
… Ah, non funziona!
Non riesco a non pensare a Vincent! Non resisto, lo chiamo!
La ragazza balzò su dal letto ed afferrò il proprio telefono
cellulare, cominciando a comporre il numero di Vincent
prima ancora di averlo portato alla vista.
Uno squillo…
Due squilli…
Tre squilli…
“Pronto?” rispose Vincent,
dall’altra parte della linea.
“Perché ci hai messo tanto a
rispondere?” chiese Yuffie, inquisitoria.
“Perché, ci ho messo tanto a
rispondere?”
La ragazza fremette e trattenne la rabbia.
In fondo ha ragione,
tre squilli non è un’enormità di tempo… Forse sono
solo io…
“Come stai?” si decise a chiedere dopo essersi morsa un labbro.
“… Yuffie, sono partito da due ore, sto bene,” fu la risposta, mentre in sottofondo si sentiva la voce
di CaitSith che chiedeva
insistentemente chi fosse.
“Ah… bene…” disse lei, laconica.
“E tu sei sicura di star bene?”
“Sì, certo! Perché?”
“Ti sento un po’ strana…”
“Eh? Ah… dev’essere qualche
interferenza nella comunicazione… Io sto bene, grazie.”
“D’accordo.”
“Bene.”
“Yuffie…”
“Sì…?”
“Ti serve altro?”
“No no, figurati!”
“Allora io vado.”
“Certo Vincent, a presto!”
“Ciao.”
La ragazza chiuse la comunicazione e gettò il telefono sul
letto come se fosse stato incandescente, l’espressione a metà tra il disperato
e l’infuriato.
Ma che stupida che sono!! Io non ho mai avuto
problemi a parlare con Vincent, com’è che tutto d’un tratto mi si annoda la lingua quando sono al telefono
con lui? E’ solo per quel bacio e per la sua dichiarazione? Ma
dannazione, non è che ora mi provoca sconvolgimenti ormonali peggiori di prima!
Eppure mi sento così in imbarazzo a parlare con lui!! Che devo fare… Che devo fare??
Con un gemito di disappunto Yuffie si lasciò cadere seduta
sul letto, sopra il telefono, che tolse subito con una smorfia infastidita ed
in parte dolorante.
Ci sono così tante
domande, ed ho così poche risposte… Se almeno Vincent
non fosse stato portato via da quel dannato gatto… Ma
chi voglio ingannare?? In questo stato non sarei riuscita a rivolgergli neanche
la parola! Eppure deve esserci qualcuno… Ci sono!!
Senza por tempo in mezzo, Yuffie balzò in piedi con un gridolino, raccolse in fretta e furia qualcosa da portare
con sé ed imboccò la porta, che si chiuse automaticamente alle sue spalle.
Non più tardi di dieci minuti dopo, tre
misteriosi individui raggiungevano il pianerottolo con il fiatone. Il
più basso dei tre, che presentavaun’occhio
pesto ed un labbro gonfio, bussò alla porta dell’appartamento di Vincent, trattenendo una smorfia di dolore per le nocche
sbucciate. Dopo qualche minuto riprovò, ma ancora senza esito.
“Pong,”
piagnucolò quello più alto, “sono dieci ore ininterrotte che giriamo per Edge chiedendo informazioni e ricevendo insulti quando va
bene e botte quando va male… Possiamo riposarci un po’?”
Sospirando, Pong annuì, facendo
trarre un sospiro di sollievo ai suoi due compagni.
“Hai ragione, Ping. Prendiamoci qualche ora di
riposo.”
Mentre i tre scendevano le scale,
già rinfrancati dalla prospettiva di un po’ di tranquillità, il loro capo
parlava tra sé. “Chissà dove è andata a cacciarsi la Principessa…”
Tifa annuì distrattamente alle
parole di Jacob, anche se le sembrava che le avesse
appena chiesto di sposarla. Non c’era da preoccuparsi, però; lui era un habitué
del suo locale, e le faceva una proposta di matrimonio al
giorno, salvo poi dimenticarsene e sprofondare addormentato, sopraffatto dalla
sbronza quotidiana. Cloud l’aveva già minacciato un
paio di volte, ma Tifa lo aveva dissuaso dal
trasformare il locale in un mattatoio raccontandogli la triste storia del
ragazzone dal bicchiere facile, che aveva perso il lavoro con la fine della Shinra e le uniche sue consolazioni erano l’alcool e
rimirare Tifa ogni tanto. Ovviamente gran parte di quella storia era una balla per evitare che il suo ragazzo desse in
escandescenze: in fondo Jacob non era una cattiva
persona, solo che l’alcool gli diminuiva i freni inibitori. Come ad almeno metà
degli avventori innamorati di lei. Qualcuno aveva anche provato a metterle le
mani addosso, ma non c’era stato bisogno dell’intervento di Cloud:
lei aveva sconfitto Sephirothcoi
propri pugni.
“Jacob ha ragione,” biascicò Jeremy, semi sdraiato
sul bancone con un sorriso inebetito sul volto. “Sei
splendida stasera, Tifa…”
“Grazie, Jerry,”
rispose la donna, con un sorriso di circostanza ma senza prestare molta
attenzione al suo interlocutore. “Però non vale, me lo
dici ogni sera…”
PeròJeremy
si era già addormentato.
In quel momento la porta del locale si aprì ed una sorta di
turbine entrò nella sala, disturbando gli habitué, che borbottarono il loro
fastidio ma ripresero a poltrire, e i ragazzi e le ragazze che erano lì per
fare una bevuta in compagnia. Prima ancora che Tifa si rendesse
conto di ciò che era successo, l’essere che era entrato assunse le sembianze di
una Yuffie arrossata in volto per l’agitazione. Lo sguardo fisso su Tifa, la
ragazza fece cadere per terra Jeremy, il quale
d’altronde non se ne accorse nemmeno, e prese il suo
posto al bancone.
Tifa faticò parecchio per
comprendere quelle frasi emesse con un singolo fiato dalla sua amica, tanto che
quest’ultima ripeté tutto da capo alla stessa
velocità, temendo che l’altra non avesse capito bene. Dopo questa seconda
volta, la proprietaria del locale finalmente comprese ed annuì.
“Sì, sì, Yuffie, andiamo di là, aspetta solo un secondo.”
Mentre la Ninja
scalpitava sul suo alto sgabello, Tifa gettò indietro la testa e chiamò a gran
voce. “Ruana!! Vieni al banco, devo
assentarmi qualche minuto!”
La ragazza bionda e prosperosa che rispose sorridendo al
richiamo suscitò una grande quantità di fischi di
ammirazione da parte dei presenti nel locale. Tifa approfittò
di quel momento di confusione per portarsi nel retrobottega, prendendo per un
braccio Yuffie.
“Si può sapere che ti prende??” le chiese quando furono
finalmente sole, nella dispensa del locale, con la porta ben chiusa. La ragazza
di Wutai ansimò a lungo prima di riuscire a parlare.
“Scusa… ma sono arrivata di corsa… da casa di Vincent…”
“Oh, per Leviathan!” sbottò la donna. “Ma
è dall’altra parte della città!”
“Lo so…”
“Ma cos’è successo?” Ora Tifa era
visibilmente preoccupata. “Avete litigato? Quel deprimente mucchio di stracci
ti ha fatto qualcosa che non va?”
“No, no, sei fuori strada,” rispose
Yuffie, non accorgendosi che il suo amato era stato definito ‘deprimente mucchio
di stracci’. “Il fatto è che è dovuto andare alla
sede della WRO con CaitSith
per un qualche colloquio con Reeve… Ammesso che si
tratti solo di un colloquio… Comunque, quando gli ho
telefonato non sono praticamente riuscita a parlare… C’entra il fatto che ci
siamo dichiarati reciprocamente il nostro amore solo qualche ora fa?”
Tifa la guardò strabuzzando gli
occhi. “VI SIETE DICHIARATI?? E lo dici così??”
“Hai ragione, ma ho già festeggiato prima, ora sono troppo
preoccupata… Ti prego, dimmi se è normale che non riesca più nemmeno a dirgli
di non accettare proposte oscene da parte di Shelke
in questo momento!”
La Ninja di Wutai
era praticamente in lacrime, per cui Tifa ritenne
opportuno mettere da parte la sua curiosità tutta femminile e preoccuparsi di
tranquillizzarla.
“Allora, Yuffie,” iniziò,
mettendole le mani sulle spalle e convincendola a sedersi su uno sgabello, cosa
che fece anche lei in modo da poterla guardare dritta negli occhi. “Vincent è il tuo primo… ragazzo, vero?”
“Sì.”
Sempre ammesso che si possa
definire ragazzo, pensò la donna, ma preferì tenerselo per sé.
“Ebbene, allora è normale che tu
sia particolarmente impreparata ad affrontare la situazione. Il consiglio che
ti posso dare è di comportarti come facevi prima.”
La ragazza la fissò apparentemente senza capire. “Cioè, non dovrei telefonare a sorpresa per evitare che si
faccia strane storie con Shelke? Oppure
dirgli mille paroline carine prima di andare a dormire? E
vegliare su di lui affinché non succeda qualcosa con Reeve?”
Tifa aveva capito la metà delle
cose che Yuffie aveva detto, ma decise di annuire ugualmente, come insegnava a
fare la sua professione di barista. “Devi solo fidarti di lui, ok Yuffie? E non devi essere troppo pressante con le
smancerie, altrimenti finiresti per stressarlo per niente.”
La ragazza pendeva dalle sue labbra. “Davvero basta fare
così?” chiese con un filo di voce. Tifa annuì. “Beh, è
un inizio…”
All’improvviso Yuffie arrossì e chinò il capo di colpo. La
donna non si azzardò a chiedere cosa le stesse passando per la testa, e dopo un
attimo fu proprio lei a svelarlo.
“Senti Tifa… Ed invece…”
“Sì…?”
“… Per quanto riguarda… Quelle cose…?”
“Che cosa?”
“Dai… che hai capito… quando si… ehm… si va a letto…?”
“Aah…” Tifa era un po’ titubante.
Le sembrava che la sua amica volesse sapere un po’ troppo subito. Però, in uno
slancio di buon cuore e di intraprendenza, decise di
soddisfare la sua curiosità, attingendo dalla propria esperienza.
Dopo pochi minuti Yuffie la fissava stralunata. “CHE COSA??”
“Ehi, calmati,” provò ad
intervenire Tifa. “Sono cose normali…”
“Normali un bicorno!! Ti sembra normale fare cose del genere
a una persona??”
“Beh…” ora era il turno di Tifa di
arrossire. “Cloud non se ne lamenta…”
“CLOUD?? Oh per Leviathan, sto per vomitare!!”
La donna la guardò allibita correre fuori
dalla dispensa e catapultarsi in bagno, sbarrando la porta dietro di sé.
Proprio non capiva cosa le fosse preso: in fondo le aveva solo
spiegato in cosa consistesse un succhiotto.
Vincent sospirò di sollievo quando
l’acqua calda cominciò a scorrere sul suo corpo. Era appena arrivato alla base
della WRO quando Reeve l’aveva fatto chiamare nel suo
ufficio. Stanco per il viaggio, durante il quale il trasporto aveva forato una
gomma ed era stato ribaltato da un bicorno impazzito, l’ex Turk
aveva però deciso di concedersi una doccia rinfrancante prima di recarsi ad un
colloquio che, di certo, sarebbe stato snervante come tutti gli incontri di
lavoro. Reeve aveva insistito attraverso l’interfono
affinché si presentasse subito, ma lui era stato irremovibile. D’altra parte
non capiva proprio cosa ci fosse di tanto urgente, quando alla base tutti
sembravano coinvolti in tranquilli compiti di routine. Che
fosse stata davvero una scusa per restare solo con lui…?
Vincent scacciò quel pensiero ed
immerse la testa nel getto d’acqua, che prese a scorrergli tra i capelli e sul
volto donandogli una piacevole sensazione di calore e conforto. I flussi
d’acqua sembravano delle mani che lo accarezzavano e lo massaggiavano,
tonificando i suoi muscoli. Forse fu per la fatica che non si accorse subito
che quelle erano davvero delle mani. Non appena se ne avvide
si voltò nella doccia, mettendosi in guardia, ma rimase a bocca aperta quando
vide, attraverso il velo dei propri capelli bagnati, che ad accarezzarlo era
stata una donna nuda. Era una ragazza formosa dai capelli castani, che gli sorrideva in un modo al tempo stesso seducente ed ingenuo.
Era Shelke.
“Sh-Shelke!!” sbottò Vincent appiattendosi contro il muro della doccia e
coprendosi con le mani tra le gambe. Per un istante aveva pensato che si
trattasse proprio di Reeve, ma non si sarebbe mai aspettato che proprio l’ex Tsviet
l’avesse seguito da Edge fino… fino alle docce!
“Sì, Vincent Valentine,” confermò lei, con voce arrochita, “sono io, e sono qui
per te.”
La ragazza prese ad avanzare verso di lui, entrando nel
getto d’acqua. L’acqua le cadde sul capo, incollandole i capelli attorno al
volto, e lei socchiuse gli occhi e le labbra piene, esprimendo tutto il suo
desiderio, mentre allungava le braccia per raggiungere ed abbracciare Vincent, il quale da parte sua cercava di appiattirsi
contro il muro come un’ombra.
“Shelke, smettila,” le disse, cercando di apparire il più deciso possibile,
anche se l’agitazione stava avendo il sopravvento su di lui. La ragazza però
sembrò sorda alle sue parole, ed anzi finalmente lo raggiunse con le mani
bagnate, raggomitolandosi contro il suo petto. “Siamo soli in
tutto il locale docce, ho controllato,” gli sussurrò lei, le labbra
accostate alla sua pelle profumata, pronte per un bacio colmo di passione. Vincent aprì la bocca per protestare, ma capì che non sarebbe servito a niente: doveva uscirne con le sue sole
forze.
Con uno sforzo sovrumano liberò le sue braccia dalla
pressione del corpo di lei, reso scivoloso dall’acqua, e
cercò di scostarla premendole sulle spalle; qualcosa del Mako
che aveva assorbito per dieci anni doveva esserle rimasto in corpo, perché
oppose una resistenza formidabile alla pressione, al punto che le sue mani
scivolarono e si slanciarono verso l’alto, in un gesto che un osservatore
esterno avrebbe scambiato per una patetica e disperata richiesta di aiuto. Quel
gesto però ebbe un effetto ben diverso dal richiamare l’attenzione di
chicchessia, però: le mani di Vincent si scontrarono
con i prodotti da bagno appoggiati su una mensola sopra la sua testa,
rovesciandoli tutti nel vano della doccia.
L’aria si riempì di molti profumi diversi, ottenendo un effetto
inebriante per i sensi, mentre le varie sostanze, mescolandosi con l’acqua
corrente che continuava a precipitare dall’alto, si trasformavano in una
voluminosa schiuma, la quale aderiva sui loro due
corpi avvinghiati rendendoli ulteriormente scivolosi e morbidi al tatto.
“Shelke…” mormorò con voce roca Vincent, che avrebbe voluto aggiungere ‘spostati,
altrimenti sarò costretto a denunciarti per molestie sessuali’,
ma il miscuglio di profumi lo prese alla gola
mozzandogli il fiato e trasformando l’inizio della sua minaccia in quello che
poteva sembrare un gemito di piacere. Ed ovviamente Shelke non esitò ad interpretarlo così.
“Sì, mio unico amore,” rispose la
ragazza, che ormai aveva tolto il bagnoschiuma da una buona parte del pettorale
sinistro di Vincent utilizzando solo le labbra. “Anch’io ti desidero, ed ora te lo dimostrerò…”
Non appena ebbe notato che le gambe di Shelke
avevano cominciato a piegarsi, facendo sì che il seno e le labbra
di lei scivolassero lungo il suo corpo verso il basso, l’ex Turk realizzò di aver commesso un grave errore tattico:
nello sforzo di liberarsi dalla nefasta presenza della ragazza, aveva lasciato
completamente sguarnite le sue vergogne. In quel momento conobbe chiaramente le
intenzioni di colei che, solo un anno prima, era una
bambina depressa con seri problemi relazionali.
La bocca aperta in un muto grido di terrore, Vincent approfittò della diminuita pressione esercitata dal
corpo bagnato della ragazza per sgusciare, letteralmente, lontano dalla sua
presa. Schizzato ad una velocità maggiore di quella prevista a causa dello
scivolamento sulla pelle di lei, per poco non
capitombolò al suolo, e riuscì a mantenersi in equilibrio sul pavimento
sdrucciolevole solo in virtù del suo addestramento come Turk.
Imprecando a denti stretti, afferrò un asciugamano appeso accanto al suo box e
corse a perdifiato verso l’uscita, avvolgendosi nel panno bianco durante la
corsa, incurante della schiuma e dell’acqua che continuava a grondargli di
dosso.
Presa alla sprovvista dall’improvvisa sparizione del suo
sostegno, Shelke scivolò e cadde sulle ginocchia.
Stupita che la sua tattica fosse fallita, nonostante
la pianificazione durata per tutto il viaggio da Edge
alla base della WRO, la ragazza strinse i pugni nello strato di acqua e schiuma
che si era formato sul pavimento. Sulla bocca aveva ancora il sapore della
pelle di Vincent, condito dagli aromi dei
bagnoschiumi e degli oli per il corpo che l’uomo aveva fatto cadere, a suo
parere volutamente. Nonostante il fallimento, si passò
la lingua sulle labbra e sorrise. “C’è mancato poco,”
si disse. “Un pochino gliel’ho toccato!”[1]
Incurante degli sguardi allibiti (ed in qualche caso
ammirati) che i soldati della WRO gli rivolgevano, Vincent
continuò imperterrito a correre verso la camera che gli era stata assegnata.
Una volta al sicuro, avrebbe provveduto ad asciugarsi,
anche se non aveva potuto sciacquarsi di dosso tutta la schiuma che si era
prodotta nell’incontro avvenuto nella sala docce. Fortunatamente la sua
costituzione sovrannaturale l’avrebbe protetto come sempre dalle malattie,
perché chiunque altro, correndo seminudo e bagnato come lui, si sarebbe preso
come minimo una polmonite.
Raggiunta l’agognata porta del suo alloggio, la aprì e la
chiuse di scatto dietro di sé, emettendo un profondo sospiro
di sollievo volto anche a calmare i battiti furiosi del suo cuore,
eccitato dallo sforzo improvviso. Lasciò anche andare l’asciugamano, che gli
cadde ai piedi, convinto che ormai non avesse più
bisogno di celarsi allo sguardo altrui.
“Ehm… Vincent…?” disse una voce
alle sue spalle.
Agghiacciato ma sempre pronto al combattimento, l’uomo si
voltò con un balzo, nuovamente in posizione di guardia, e ancora una volta si
spinse all’indietro contro la superficie rassicurante della porta, coprendo le
proprie pudende con le mani a conchiglia.
Seduto comodamente sul suo letto, le gambe accavallate sotto
la sua uniforme lunga tanto simile ad una tunica dei tempi antichi (oppure ad
un vestito femminile), c’era Reeve che lo fissava
allibito.
Leviathan, pensò l’ex Turk
esasperato, cosa ti ho fatto di male oggi?
“Ehm, Vincent,”
ripeté il presidente della WRO, “stai bene?”
“Sì, mai stato meglio,” rispose
l’altro, forse troppo rapidamente e con un volume troppo alto. “Piuttosto, tu
che ci fai qui?”
“Visto che non sei voluto venire
nel mio ufficio ho pensato di aspettarti direttamente qui, ma non credevo che
ti saresti presentato in questo… abito.”
Era solo un’impressione di Vincent,
oppure gli occhi di Reeve si erano concentrati per un
po’ troppo tempo sullo spazio tra le sue gambe?
“Ho avuto dei problemi con la doccia,”
rispose, laconico. L’altro sollevò un sopracciglio, laconico.
“E’ venuta a mancare l’acqua calda?”
Vincent annuì: non aveva nessuna intenzione di parlare dello spiacevole incontro con Shelke di poco prima. Non a lui, e non in quel momento.
Specialmente con le insinuazioni di Yuffie che continuavano a ronzargli nella
mente…
All’improvviso Reeve si alzò in
piedi, e l’ex Turk sobbalzò, allarmato.
“Resta pure comodo,” disse
all’amico, ma questi scosse il capo. “Prenditi pure il tuo tempo per
rivestirti, io posso aspettare in piedi.”
“No, non c’è problema,” lo
rassicurò Vincent, vago. “Io sto bene così.”
Reeve era sempre più scettico. “Ne
sei sicuro?”
“Certo. Allora, di cosa volevi parlare?”
“Ecco…” Reeve sembrava titubante,
e si guardò attorno come se stesse cercando le parole giuste. Quando prese ad avvicinarglisi con
aria cospiratrice, Vincent cominciò a sudare
veramente freddo.
“La verità, Vincent,” iniziò il presidente, a bassa voce, “è che credo ci sia
una spia qui alla WRO, una spia di Junon, e vorrei
che la stanassi. Sei stato addestrato anche per questo tipo di missioni, vero?”
Tutta la tensione dell’ex Turk gli
scivolò via e lui si sarebbe volentieri sfogato
prendendo a pugni la prima cosa o persona che gli fosse capitata davanti. Il
fatto che si sarebbe trattato proprio di Reeve
era del tutto casuale.
“E tu mi hai fatto venire di corsa
da Edge per una cosa del genere?” gli si rivolse
acido.
“Beh,” fu la risposta, “che tu ci
creda o no, sono veramente preoccupato per questa questione: i rapporti con Junon sono tesi e stiamo preparando dei piani per una
soluzione diplomatica. Però so che laggiù c’è una fazione che vorrebbe la
guerra a tutti i costi, per cui la presenza di una
spia qui potrebbe portarci rapidamente al conflitto.”
Vincent sospirò di nuovo di
frustrazione.
“Sei sicuro che vada tutto bene?” gli chiese l’altro.
“Sì, te l’ho detto, ho avuto dei problemi con la doccia.”
“Mando subito un tecnico a controllare.”
“Ehm… Forse è il caso che aspetti ancora qualche minuto, e
intanto diffondi l’avviso con l’interfono.”
Reeverifletté
sulla cosa, poi annuì. “Sì, hai ragione. Meglio avvisare prima.
Dopotutto sarebbe oltremodo fastidioso per uno che stesse facendo la doccia
ritrovarsi davanti un tizio all’improvviso.”
Non sai quanto hai ragione, pensòVincent, ma se lo tenne per sé.
“Se ora ti sposti…” iniziò il
presidente della WRO, accennando all’amico di togliersi dalla porta, in modo da
permettergli di uscire. Questi obbedì, badando bene a non voltargli mai le
spalle né a scoprirsi i cosiddetti gioielli di famiglia. Continuava a sentirsi
a disagio, a dire la verità, nudo com’era e con i suoi dubbi sull’orientamento
del suo amico.
“Senti,” iniziò, titubante. “Scusa
per la domanda, ma… per caso…”
“Dimmi, Vincent.”
“… sei omosessuale?”
Reeve sgranò gli occhi per la
sorpresa. “Ma certo che no! Anzi, ti ho fatto venire qui anche perché volevo invitarti al mio matrimonio!”
Vincent, che si era aspettato una
risposta del tipo ‘ma come hai fatto a scoprirlo??’
rimase sorpreso a sua volta. “Matrimonio?”
“Sì, non l’ho ancora reso pubblico, ma tra un paio di mesi
dovrei convolare a nozze con Chole, che come me è appassionata di animali.”
“… Ma non è quella della fattoria dei chocobo non distante da Midgar?”
“Esatto, proprio lei! Allora è una celebrità!”
Vincent, ormai più stanco che altro, bofonchiò un ‘non proprio’
e salutò Reeve, che imboccò la porta non senza
avergli rivolto un ultimo sguardo stranito.
Senza nemmeno asciugarsi si lasciò cadere sul letto. Se avesse raccontato a Yuffie quello che era successo non ci
avrebbe creduto. Voltando il capo di lato vide la fascia del tipo ‘hachimaki’ che gli aveva regalato lei stessa poco prima
della partenza. Gli avrebbe portato fortuna, o almeno così aveva
detto la ragazza di Wutai. Fino a quel momento
non sembrava aver funzionato molto.
Ciononostante, l’aver ricordato la sua ragazza rasserenò un
po’ Vincent, che ritrovò la forza di alzarsi a
sedere, asciugarsi e rivestirsi dopo aver dato un ultimo sguardo alla fascia.
[1]Citazione,
lievemente modificata, dal film di MelBrooks “RobinHood
– Un uomo in calzamaglia”.
Un ex Turk ed
una barista sull’orlo di una crisi di nervi
Vincent chiuse a chiave la porta
alle proprie spalle e si sedette sul letto, sospirando per la fatica. Aveva
appena finito di giocare a nascondino con l’infiltrato di Junon
per tutta la base della WRO. Ed ora quel tale sarebbe rimasto in quelle comode
celle sotterranee, senza niente da fare se non contare
le crepe sui muri in attesa di un interrogatorio da parte di Reeve, mentre invece lui molto probabilmente sarebbe stato
scelto per una missione quasi suicida nel territorio nemico nel giro di poche
ore. E tutto perché aveva deciso di aver bisogno di
una camomilla.
***
Ancora un po’ scosso per quello che era
successo nelle docce e per il fraintendimento delle intenzioni di Reeve, Vincent decise che aveva
bisogno di calmare i propri nervi. Fortunatamente avevano aggiunto al
menù tradizionale delle macchinette distributrici di bevande anche la
camomilla, così decise di uscire con circospezione dalla propria camera e prenderne
un bicchiere.
Mentre camminava infilò una mano in tasca ed estrasse una
moneta da cinque gil; a quanto ricordava però la
macchinetta dava il resto, per cui non c’era di cui
preoccuparsi.
Quando fu arrivato notò con
disappunto un biglietto scritto a mano, appeso sopra il tastierino
per la selezione delle bevande. Vi era scritta una sola frase: “NON DA RESTO”. Non mancò di notare l’errore grammaticale
formato dal ‘da’ senza accento, ma la cosa non gli
diede fastidio quanto il fatto che la macchina si sarebbe rubata i quattro gil che gli avrebbe dovuto. Non sarebbe stata la prima volta che gli avessero portato via i gil (dopotutto, aveva passato molto tempo con Yuffie, e CaitSith gli aveva più volte
proposto di predirgli il futuro ‘per qualche spicciolo’),
ma era contrario per principio a regalare soldi a quelle macchinette: troppe
volte lo avevano lasciato squattrinato durante il suo tirocinio di Turk. Controllò nuovamente nelle tasche del proprio
mantello sbrindellato, ma non trovò altro denaro, lo aveva
lasciato tutto in camera. Fortunatamente c’era un soldato della WRO,
imbacuccato nella propria uniforme e con il berretto da tenente, che si stava
servendo dalla macchinetta vicina.
“Mi scusi,” gli si rivolse,
porgendo la moneta. “Mi può cambiare cinque… gil…?”
La causa della sua esitazione era stata l’improvvisa fuga
del soldato, che aveva sparato qualche colpo verso di lui al grido di ‘muori,
feccia WRO!’ Grazie alla sua innata abilità, comunque,
nessun proiettile colpì Vincent, che fu in grado di
intercettarne la maggior parte con il proprio guanto metallico. Tuttavia quelli che non bloccò finirono per distruggere la
macchinetta della camomilla, rendendo di fatto impossibile per l’uomo calmare i
propri nervi. Sospirando, comprese che c’era una sola cosa da fare:
inseguire l’aspirante omicida, che con molte probabilità si sarebbe rivelato la
spia di Junon.
***
Ripensando alla propria rocambolesca avventura, Vincent recuperò il borsello con i soldi e ne estrasse un pugno di monete da un gil.
Con esse stipò le proprie tasche, in modo da non avere
più problemi simili a quelli che aveva dovuto affrontare. In quel momento
qualcuno bussò alla porta.
“E’ stato più rapido
del previsto”, pensò, prima di rispondere. “Entra pure, Reeve.”
Il presidente entrò, visibilmente sorpreso. “Come facevi a
sapere che ero io?”
“Chiamalo pure intuito. Hai già parlato con il tuo ospite?”
“Non ancora. Prima di farlo dovevo farti una proposta
urgente.”
“Fammi indovinare: vorresti che io intraprendessi una
missione di spionaggio a Junon, in
risposta al loro tentativo di scoprire i nostri segreti.”
Reeve spalancò la bocca,
esterrefatto, poi la richiuse. “Si può sapere come
fai…?”
“Te l’ho detto, si chiama intuito,”
lo interruppe scrollando le spalle. L’uomo che aveva di fronte era molto suscettibile
alle critiche all’originalità delle sue idee (forse c’entrava qualcosa il fatto
che avesse un alter ego, e che quell’alter ego fosse
un gatto meccanico sostituibile), per cui decise di
non fargli sapere che stava diventando assai prevedibile.
“Comunque,” continuò Reeve dopo essersi ripreso, “hai ragione, vorrei che tu
andassi in incognito a Junon per scoprire qualcosa
dei loro piani per noi.”
Vincent però scosse la testa. “Mi
dispiace, ma non faccio più missioni di infiltrazione,
ormai sono troppo conosciuto.”
“Forse il tuo aspetto solito è molto conosciuto,” rispose l’altro con un sorriso sornione, “ma di sicuro
nessuno dubiterà di te se ti presenti ad uno dei loro ricevimenti come il Barone
HanselKristoff di Nibelheim in visita presso Junon!”
Vincentcredette
di aver capito male. “Scusa… Barone chi?”
“E’ la tua copertura, ti piace?”
Reeve era raggiante, e l’ex Turk non ebbe il cuore di confutare le sue parole. Però non poteva nemmeno accettare. Non era lì per quello. “Secondo
te io potrei passare per un barone?”
“Con un’aggiustatina ai capelli,
un cambio di look… potresti confonderti bene
nell’aristocrazia di Junon!”
“I miei capelli non si toccano!” sbottò l’uomo, innervosito.
“Ehi, calmo,” lo blandì Reeve. “si tratterebbe solo di raccoglierli in una coda,
com’è di moda ora.”
Mentre parlava fece una mezza
giravolta, mettendo in risalto i suoi capelli che si erano allungati di molto
nel giro di un anno e che ora facevano bella mostra di sé sulla sua schiena. Vincent si astenne da qualsiasi commento. D’altronde,
sapeva che lusingarlo con false dimostrazioni di apprezzamento
non sarebbe servito ad evitargli il viaggio a Junon. Suo malgrado sospirò e si arrese. “Dopo questa missione però
voglio almeno sei mesi di calma, voglio essere dimenticato da te e da tutti
quelli che potrebbero aver bisogno della mia Cerberus.
Intesi?”
A Reeve non sembrò vero di averla avuta vinta così facilmente e annuì entusiasta. “Ma certo che va bene!! Guarda, ho già preparato tutto: fra
poco ti farò portare qui dei vestiti eleganti per camuffarti, dopodiché vi farò assistere entrambi ad un briefing con le nostre ultime
informazioni sulla situazione di Junon.”
Vincent drizzò le orecchie. “Come, ‘vi’? Non sarò da solo?”
“Ah, avevo dimenticato di dirtelo. Visto che si tratta di
una missione un po’ particolare e delicata, avevo intenzione di affiancarti un
partner, qualcuno che potesse farti da spalla.”
“E di chi si tratta…?”
Reeve sorrise, ma nei suoi occhi
fu evidente un lampo di preoccupazione. “La conosci già.”
L’ex Turk stava per chiedere lumi
ma una terribile consapevolezza lo bloccò. “No… Non mi dirai che…”
“Si tratta di ShelkeRui, con la quale dovresti avere già una certa confidenza.”
Il presidente arretrò quando l’altro balzò in piedi, gli
occhi che baluginavano di una sinistra luce rossastra, come se stesse per
trasformarsi in GalianBeast
senza bisogno di un potenziatore massimo. “Con chi
avrei una certa confidenza io?” ringhiò, e Reeve
cominciò a sudare freddo.
“Beh… Shelke mi ha detto che ormai
siete piuttosto… intimi… se capisci cosa intendo.”
“NOI NON SIAMO INTIMI!!” ruggì l’altro, talmente forte da
far temere seriamente il felinofilo per la propria
incolumità.
“Suvvia… non ti arrabbiare…” provò a calmarlo. “Ricorda che dopo
ti lasceremo in pace per sei mesi interi!”
La furia di Vincent cominciò
lentamente a calare, finché non fu altro che un sinistro bagliore rosso nei
suoi occhi. Sebbene la trasformazione in GalianBeast fosse stata
sventata, l’ex Turk sembrava tutt’altro
che innocuo.
“Va bene,” mormorò a denti stretti col
tono di una persona che aveva appena firmato la propria condanna a morte.
“T’immagini, tesoro? Io e te in una splendida sala da ballo,
con tutti che ci guardano attorno e tu che mi baci con
passione!” esultò Shelke, stretta nel suo abito verde
chiaro che metteva bene in risalto la sua generosa scollatura, contro la quale
non mancava di strofinare il braccio di Vincent ogni
volta che l’aeromobile aveva uno scossone.
“Modera le fantasie, Shelke,” rispose quest’ultimo, liberando
per l’ennesima volta il braccio destro dalla presa della ragazza e cercando
senza risultato di allentarsi il colletto del gilet inamidato con cui l’avevano
conciato. Si sentiva come se stesse andando al Carnevale di Kalm,
vestito con un abito che persino suo nonno avrebbe trovato fuori moda. E considerato che dal punto di vista cronologico lui aveva già
più di sessant’anni, la cosa era piuttosto
significativa. “E non chiamarmi tesoro,” aggiunse.
“Oh, ma come vuoi che chiami suo marito la Baronessa Viviana
Janettedi Arlanse-Boignot, durante il viaggio di nozze!” replicò la
ragazza, strusciandosi di nuovo contro il braccio di lui.
“Gran bella copertura
che ci hai dato, Reeve”, pensò Vincent stringendo i denti. E dire
che le aveva anche permesso di scegliere quel nome assurdo tra quelli proposti
dai computer della WRO.
“Ti ricordo che la missione d’infiltrazione non è ancora iniziata,” le rinfacciò lui, scostandosi di nuovo. “E comunque, anche quando saremo a Junon,
ti ricordo che il tuo obiettivo sarà di aiutarmi a raccogliere informazioni,
non di tentare spudoratamente di portarmi a letto.”
“Come vuoi tu, mio unico amore, Hansel…”
affermò Shelke, tornando per l’ennesima volta a
premere il proprio generoso decolleté contro il braccio di
lui. Esasperato, Vincent si decise ad
esprimere il proprio disaccordo a quelle manovre nel modo più civile che gli fosse possibile in quel momento. “Oh, guarda, a furia di strusciarsi contro le tue grazie il mio braccio sta
avendo un’erezione!”
Colta completamente di sorpresa, Shelke
si staccò e guardò con avidità verso il basso. “Dove, dove??”
Vincent non poté trattenere un
sorriso quando sollevò la mano destra dinnanzi agli occhi di
lei, mostrandole apertamente il dito medio alzato.
Il pianto e le grida disperate della ragazza lo assordarono
per gran parte del resto del viaggio, ma almeno l’ex Turk
poté tirare un sospiro di sollievo ed evitare ulteriori maldestri tentativi di approccio.
Tifa era sull’orlo del pianto. Da
quando Yuffie era venuta a vivere a casa sua, non
aveva più avuto un attimo di tempo libero da passare con Cloud.
La ragazza di Wutai dormiva con lei, mangiava con
lei, chiacchierava con lei mentre il locale era abbastanza vuoto da lasciarle
tirare il fiato, e quando doveva servire i clienti lei se ne stava appollaiata
su una botte in cucina, scambiando qualche chiacchiera con Ruana,
che però aveva troppe cose da fare per darle ascolto. Il che naturalmente
significava che Tifa stessa doveva sorbirsi il doppio delle paranoie della
ragazza, di sera.
In quei pochi giorni le aveva spiegato
tutto ciò che sapeva sulla creazione dei cocktail, sul concepimento dei
bambini, sull’architettura midgariana e sui metodi di
seduzione per quando Vincent sarebbe ritornato. Ora
era stremata.
Yuffie era tornata a casa dell’ex Turk
per prendere le sue cose e trasferirsi in pianta semistabile da lei. Tifa si
era anche chiesta cosa intendesse per ‘le sue cose’, dal momento che era arrivata da Wutai
con poco più che un fagotto in spalla, ma preferì non indagare. Non osò nemmeno
immaginare la reazione di Vincent quando fosse tornato e avesse trovato i suoi risparmi completamente
azzerati e la casa piena di oggettistica di dubbio gusto e armi da lancio dalle
forme più disparate.
La porta dell’alloggio che Tifa
divideva un tempo con Cloud ed ora con Yuffie (con il
guerriero biondo divideva ormai solo il soggiorno dove lui dormiva) si
spalancò, e la voce della giovane Wutai esplose nel
suo solito ‘tadaima’, espressione nella sua lingua il
cui significato restava oscuro alla barista[1].
“Ciao, Yuffie, tutto bene?” chiese, svogliata,
sollevando appena la testa dal tavolo della cucina.
“Tifa,” rispose l’altra, con un
tono sorprendentemente serio e con un pesante zaino su una spalla, “ho preso
una decisione cruciale.”
“Vai a vivere da
sola??” pensò Tifa col cuore in gola, diventando
all’improvviso attentissima. “Cioè?”
“Vado alla sede della WRO a trovare Vincent!”
esclamò la Ninja, raggiante.
La barista però era perplessa. “Scusa, ma quando l’hai
avvisato? L’hai chiamato al cellulare per vedere che non sia impegnato?”
Yuffie fece spallucce. “Gli farò una sorpresa! In fondo
l’ultima volta che gliene ho fatta una… beh, a parte il fatto di nascondermi in
casa sua questa volta… Dicevo, la penultima volta che
gliene ho fatta una l’ho salvato da una psicopatica che voleva farlo fuori![2]”
Tifa stava per obiettare, ma un
pensiero la fermò. Se Yuffie fosse partita, magari per un bel
po’ di tempo, per stare da Vincent e magari compiere
qualche missione per conto di Reeve, lei avrebbe
avuto un sacco di tempo libero da passare con Cloud:
tanto tempo per recuperare quello perduto e rinsaldare il loro rapporto.
E mettere anche in pratica un paio di cosucce che la
sua fervida immaginazione aveva elaborato in quei giorni di forzata astinenza.
“Sono contenta per te!” esclamò Tifa,
all’improvviso raggiante.
“Grazie! Davvero?”
“Stramegacontentissima,” confermò la donna, forse esagerando un po’ con l’enfasi.
Ma poco importava, perché Yuffie aveva già abbandonato lo zaino e le era saltata al collo, abbracciandola. “Oh, grazie, Tifa-chan, se non ci fossi tu non
so cosa farei! Beh, io parto, salutami Cloud quando
lo vedi!!”
In men che non si dica la Ninja era già fuori dalla
porta e Tifa esultò in silenzio. “Cloud!!” chiamò.
“Che c’è?” giunse come risposta dal
salotto, dove uno svogliatissimo biondino piuttosto depresso stava facendo
zapping alla tv.
“Yuffie ti saluta, ha detto che se ne va via per un bel po’
di tempo!”
“Dici sul serio??” sbottò Cloud
balzando in piedi e catapultandosi in cucina, già rosso in volto. La donna
annuì con aria maliziosa.
“Dobbiamo festeggiare di essere tornati in possesso della
nostra casa, allora!” propose il guerriero.
“Io qualche idea ce l’avrei,”
mormorò Tifa, sorridendo.
Quella notte nessuno di loro due dormì molto.
[1] In realtà significa
semplicemente “sono tornato”.
[2] Si riferisce a Rosso,
personaggio di Dirge of Cerberus.
Il “Barone”, la “Baronessa” ed una Ninja infuriata
“Il Barone e la Baronessa Kristoff
di Nibelheim,” annunciò il
pomposo maggiordomo al salone già gremito di ospiti.
Vincent deglutì e si preparò ad
affrontare la missione più difficile della sua vita, e non tanto perché non era
stato addestrato a fingere di essere nobile o perché
il nemico fosse particolarmente pericoloso. Perché la
donna al suo fianco, la sedicente Baronessa Kristoff,
sua moglie, che sorrideva e salutava animatamente tutti i presenti mentre lo
teneva sottobraccio era Shelke.
“Cerca di comportarti da nobildonna,”
le sussurrò, quando notò che si stava sbracciando verso un gruppo di allibite junonesi in abito da sera.
“E tu da marito innamorato della tua bella sposina,” gli rinfacciò lei, che d’altronde dovette comprendere che
la sua vivacità rischiava di compromettere la missione. Almeno questo è quello
che pensava Vincent.
“Uh, guarda, i salatini!” sbottò lei, trascinandoselo dietro
fino al tavolino dove era servito un sostanzioso aperitivo. “Ecco perché sembrava che mi avesse dato
ascolto,” pensò l’uomo sconsolato, mentre la
ragazza emetteva versi di apprezzamento poco nobiliari.
“Permette?”
Vincent si voltò a guardare la
persona che gli aveva rivolto la parola, e dovette trattenersi dal ridere. Il
nuovo giunto gli arrivava allo sterno, se si escludeva il cappello piumato che
portava in testa, sopra i lunghi capelli neri raccolti in una coda. I baffetti arcuati sotto gli occhiali tondi dalla montatura
dorata davano al volto grassoccio l’aspetto di una faccia disegnata su un
palloncino gonfiato, mentre il soprabito marrone lungo fino ai piedi (il che
voleva dire che strusciava per terra, dato che il
soggetto non era un campione di altezza) sembrava il vestito di un adulto addosso
ad un bambino. A completare il quadro c’erano gli stivali a mezza coscia dotati
di cavigliere con brillanti e il corpetto-gilet decorato con motivi floreali in
filo d’oro.
“Sì?” chiese Vincent, pregando
Leviathan che Shelke non si voltasse, perché dubitava
molto della sua capacità di autocontrollo.
“Mi presento,” disse l’omino
assumendo un’aria austera e tendendogli una mano. “Ambrogio VilàsEfestoMariaJeoffreyLadislavChegunelejev di BonagePurlàn nato Mideel, commendatore esimio
nonché fondatore dell’associazione di beneficenza ‘una
pala per la vita’, che aiuta i bambini di Mideel a ricostruire la loro città distrutta.”
Vincent, stordito da tutte quelle
parole in una volta sola, guardò a lungo la mano ingioiellata che gli veniva porta, prima di capire che doveva stringerla. “Ehm…
Barone Kristoff,” si
presentò sinteticamente. In quel momento Shelke si
voltò, nella sinistra un salatino mentre con le dita della destra si puliva le
labbra. Fortunatamente ebbe il buongusto di deglutire prima di presentarsi a
sua volta.
“Caro, perché non mi presenti il tuo amico?” fece la ragazza,
porgendo ad Ambrogio la mano destra inguantata per un bacia
mano ed effettuando al tempo stesso un inchino. A Vincent
però quel movimento ricordò quello di un chocobo che
si sta per nutrire di erba gishal;
preferì non dire niente a riguardo.
“Baronessa Viviana Janette di…
ehm…” si presentò Shelke, ma all’improvviso si interruppe, avendo dimenticato il resto del nome
elaborato che lei stessa si era scelta. Vincent,
fiutando il pericolo, infilò una mano nella tasca della sua giacca rossa ed
impugnò la Cerberus. Sequell’incapace di Shelke avesse
fatto fallire la missione prima ancora che questa fosse cominciata, avrebbe
dovuto fare in modo di scamparne vivo. Aveva troppe cose da fare per morire
così, in quel momento. Doveva tornare a Edge. Doveva
tornare da lei…
“… di Nibelheim!” sbottò Shelke, strappando un sorriso tirato da parte del suo buffo
interlocutore. “Deve scusarmi, ma io e mio marito ci siamo
sposati da poco, e devo ancora imparare bene il nome della sua città natale!”
“Capisco,” disse lui, ritraendo la
mano e scoprendo con disappunto che ora era ricoperta da una sottile patina di
olio, senza dubbio proveniente dal banco del buffet. Mascherò subito il suo
fastidio e tornò a sorridere affettatamente. “Ho intuito subito che voi due
venite da due mondi diversi… Mi sembra di vedere in lei, Lady Viviana, il mio
passato di ragazzino a Mideel.”
Temendo che il commendatore dai molti nomi iniziasse una lunga e noiosa storia sulla sua infanzia di
ragazzino viziato ma triste, trattenendoli così per il resto della serata, Vincent prese per il braccio sinistro Shelke.
“Voglia scusarmi, signor commendatore, ma io e mia
moglie siamo stanchi per il lungo viaggio: sa, veniamo da un altro continente,
e vorremmo ritirarci per riposare.”
Ambrogio Vilàs non badò
all’espressione stupita ed entusiasta della giovane e si limitò ad annuire. “La
capisco, signor Barone, vi auguro buona notte!”
Ma i due erano già lontani, persi
tra i capannelli di persone eleganti che quella sera si erano riuniti per il
ricevimento. Allora il sedicente gentiluomo si guardò attorno furtivamente, e
quando fu sicuro che nessuno lo avesse notato prese un tovagliolo pulito, si
pulì rapidamente la mano unta e lo ripose con cura sopra gli altri, per poi
allontanarsi rapidamente.
Quando furono finalmente nella stanza che
era stata loro assegnata del palazzo gigantesco del Governatore, Vincent lasciò il braccio della ragazza e tirò un lungo
sospiro di sollievo. Decisamente non era
portato per quel tipo di missioni di infiltrazione. Non poteva fare a meno di
fissare con sguardo truce tutti coloro che lo
circondavano, i capelli, privi della solita bandana, stavano riassumendo la
loro posizione solita ed il colletto del gilet gli stava mordendo il collo come
se fosse un vampiro. Senza contare che Shelke non
aveva la minima idea di cosa fosse la finezza.
L’ex Turk sentì un fruscio e si
voltò. All’istante il sangue gli si raggelò nelle vene e nella mente maledisseReeve e la maggior parte
dei suoi progenitori fino all’homo erectus per averlo
infilato in quel guaio.
Con la pizzetta in bocca, Shelke
si era sbottonata la parte posteriore dell’abito e ne aveva
abbassato la lampo fino in fondo. Il corsetto verde acqua era già sceso sulla parte anteriore delle gambe, rendendo visibile
il generoso seno della ragazza ed il suo addome liscio, su cui lei stessa
cominciò a passare sensualmente le mani per abbassarsi anche la gonna. La
pizzetta tra i denti aggiungeva quel tocco di assurdità
necessario per trasformare una scena potenzialmente sexy in collage di comicità
d’autore. Ma agli occhi di Vincent
si trattava di un momento di puro orrore.
“C-CHE STAI FACENDO???” sbraitò
verso la donna che sorrideva seducente verso di lui, nonostante il poco afrodisiaco
alimento.
“Hohaueuihehho he hoehihehieihaea
ho he??” disse Shelke, ammiccando con lo
sguardo.
“Togliti quella pizzetta dalla bocca!” Vincent
stava per perdere le staffe.
La ragazza l’afferrò e si concesse un
generoso morso prima di ripetere, masticando. “Non avevi detto che
volevi venire in camera con me??”
“Era per staccarci da quel tizio, Shelke,
non perché volevo vederti nuda!! Ma si può sapere cosa
credi di fare?”
“Quindi…” continuò lei,
interrompendosi per deglutire e mettersi in bocca il resto della pizzetta. “Quindi non hai intenzione di…”
“ASSOLUTAMENTE NO!!” la interruppe Vincent,
che già sapeva dove voleva arrivare.
“Ma dico, mi hai vista bene??”
sbottò Shelke, abbassandosi la gonna con un ultimo
gesto delle mani ed ancheggiando invitante. L’uomo gettò un grido, temendo che
la situazione degenerasse all’improvviso.
“Ti ho vista fin troppo bene, Shelke,” la rimbrottò cercando a tentoni dietro di sé la maniglia
e la chiave. “Saranno anche dieci anni di ormoni che
ti invadono tutti in una volta, ma non puoi comportarti così durante una
missione! Ma io so come trattare con te!”
Shelke lo guardava senza capire,
ma fece appena in tempo ad aprire la bocca che lui aveva già aperto la porta,
era uscito nel corridoio e si era chiuso la porta alle spalle, girando più
volte la chiave nella serratura. Accostando l’orecchio al legno pregiato,
riuscì a sentire qualche lieve vibrazione nonostante l’insonorizzazione
della camera e la blindatura della porta. La ragazza non doveva averla presa
molto bene.
Sospirando di sollievo, l’ex Turk
sedicente nobiluomo si rassegnò a passare il resto della serata al bar del
palazzo, fingendo di aver litigato con la propria moglie. Almeno così avrebbe
potuto fare un po’ di indagini.
Dopo un’estenuante giornata di viaggio in groppa ad un chocobo spennacchiato (l’affitto del quale
le era costato più di quanto volesse permettersi), finalmente Yuffie
giunse in vista della base della WRO.
“Preparati Vincent,” disse a se stessa, “sto arrivando da te!”
Diede di redini, ma il chocobokuettì[1]
infastidito, drizzò la schiena ed agitò le ali.
“Ehi, calmo, ma che ti prende!” protestò la ragazza, che
però fu subito presa dal suo familiare mal d’aria e mollò le redini per
portarsi le mani alla bocca. Il volatile colse quell’attimo
per vendicarsi di un viaggio intero senza pause e senza neanche un filo di erba gishal. Si
impennò di nuovo e fece un salto, riuscendo grazie al battito delle ali
ad alzarsi considerevolmente da terra. La Ninja perse
l’equilibrio e con un grido cadde a terra. Kuettando
di gioia, il chocobo traditore si scrollò di dosso il
piccolo bagaglio che gli aveva caricato sulla schiena e se ne
andò nella direzione da cui erano venuti, correndo più veloce di quanto
avesse fatto con Yuffie in groppa.
Quando la ragazza ebbe finito di
insultare la madre del volatile ed imprecare contro il proprio mal d’aria, che
la colpiva ogni volta che c’era anche solo la vaga possibilità di alzarsi in
volo, si mise in spalla lo zaino e si avviò a passi pesanti verso la base della
WRO.
“CHE COSA??”
Yuffie gli aveva sbraitato in faccia in maniera tanto
veemente che Reevedovette
attendere che il fischio nelle sue orecchie sparisse prima di rispondere.
“Ehm… Sì, Yuffie, l’ho mandato in missione…”
“Come diavolo ti sei permesso,
dannato gatto travestito da uomo!!”
“Veramente…”
“SO BENISSIMO CHE E’ IL CONTRARIO, NON CONTRADDIRMI!!”
Reeve trattenne il fiato. Non
l’aveva mai vista tanto arrabbiata, ma l’istinto gli suggeriva che non era il
caso di mettersi a discutere con lei.
“Yuffie,” iniziò, “devi capire che Vincent è uno degli elementi migliori della WRO…”
“Salvo per il fatto che non lavora
stabilmente per la WRO,” lo interruppe lei.
“… Però quando c’è sarebbe un
sacrificio inutile non utilizzarlo, capisci?”
“Reeve, stai parlando di un uomo,
non di un dannato chocobo!”
Era già il terzo riferimento spregiativo a quegli adorabili
animali che la ragazza faceva durante quel discorso, ed il presidente della WRO
cominciava a chiedersi cosa avesse contro di loro. Ma
si guardò bene dal cambiare argomento.
“Il fatto è che in poche ore dal suo arrivo aveva già risolto il problema per cui l’avevo chiamato e…”
“Cosa?? Lui aveva svolto la
missione e non l’hai lasciato tornare a casa??”
“Ma poteva ancora essermi ut…
poteva ancora fare qualcosa di buono per la WRO!”
“E sentiamo, dove l’avresti spedito
questa volta?”
Yuffie era incollerita e nonostante la sua bassa statura
sembrava riempire la stanza. Reeve deglutì a fatica,
sapendo che la notizia che stava per darle non le avrebbe fatto
per niente piacere.
“Ehm…” biascicò lui, cercando di prendere tempo, ma lo
sguardo della ragazza non ammetteva scuse. “L’ho mandato a Junon.”
“L’hai spedito da solo nel covo dei nostri nemici?? Sei un
irresponsabile!!”
“In realtà… lui non è da solo…”
Yuffie sollevò un sopracciglio. “E
con chi è?”
“Con una persona che sa il fatto suo, non preoccuparti.”
“Chi è?”
“E poi, una volta finita la
missione, gli ho promesso sei mesi di congedo…”
“CHI E’!!”
“… ShelkeRui…”
Cinque minuti dopo, i soldati che accorsero presso l’ufficio
di Reeve videro una specie
di furia scardinare la porta e passare in mezzo a loro, lasciando la stanza in
uno stato disastroso ed il suo occupante più morto che vivo. Fortunatamente, Reeve ebbe almeno la forza di rassicurare gli uomini sul
fatto che non era successo niente, prima che gli cadesse la testa e che dal
torso cavo uscisse il muso sorridente di CaitSith. “Devo far sapere al vostro capo che deve progettare
dei manichini più resistenti,” disse alle guardie
allibite.
Nel frattempo, la
furia chiamata Yuffie Kisaragi arraffò una delle aeromoto della base e partì, girando al massimo la
valvola dell’acceleratore, alla volta di Junon.
[1] Verbo onomatopeico del
verso del chocobo (in italiano: “kuékué”) inventato da noi.
Per chi volesse utilizzarlo nel linguaggio comune o in
altre fanfiction (inserendoci tra i credits dato che ci siamo scervellati per trovare un verbo
alternativo per il verso del chocobo invece delle
solite imprecise perifrasi^^), si comporta praticamente come il verbo
“squittire”.
Vincent ora si sentiva molto più a
suo agio senza Shelke in giro. Purtroppo, per
mantenere la copertura, i prestanome di Reeve avevano prenotato per loro due solo una stanza doppia
con letto matrimoniale, per cui se avesse voluto dormire sarebbe dovuto tornare
da lei. Ma sentiva di poterne fare a meno; dopotutto
era quasi l’alba e quello che aveva tra le mani era il sesto Irish Coffee che si faceva preparare dal barman. In effetti si sentiva un po’ strano, ma confidava che il suo
organismo modificato riuscisse a smaltire tutto il veleno che aveva ingurgitato
quella notte. Inoltre aveva approfittato di quelle inattese ore di veglia per
fare qualche domanda ai tristi cuori solitari che gli facevano
compagnia.
Era così venuto a sapere che poco dopo che lui e Shelke se n’erano andati, si era
fatto vivo il fantomatico Governatore, il nemico numero uno della WRO, la cui
identità era sempre stata coperta da un fitto segreto e dalle più insolite
teorie: fuori da Junon c’era chi diceva che si
trattava di un robot fatto costruire da quello che rimaneva della Shinra per riprendere il potere, chi diceva che si trattava
dello stesso RufusShinra,
oppure dell’ennesimo clone di Sephiroth che tornava
alla luce dopo un triste passato di cavia umana. Vincent
credeva che tutte quelle supposizioni fossero il frutto di fantasie troppo
fervide, oppure di menti annebbiate da troppo alcool,
oppure ancora dicerie diffuse appositamente dallo stesso Governatore per sviare
i sospetti dalla sua vera identità.
Stava appunto per chiedere chi fosse
in realtà ad un uomo seminudo e completamente ubriaco quando questo cadde sul
pavimento dell’elegante salone della dimora, ruttando con soddisfazione ed
addormentandosi di sasso. Il barman, che era entrato in servizio solo un’ora
prima e quindi non aveva visto proprio nessun Governatore, fece spallucce di
fronte all’espressione interrogativa dell’ex Turk.
“Non fa niente,” disse, accennando all’ubriaco. “Lo
lasci pure lì, prima o poi qualcuno lo porterà via.”
Gli occhi di Vincent stavano per
chiudersi sopra il suo ottavo Irish Coffee quando
sentì una mano vigorosa posarglisi sulla spalla. Allarmato si voltò, pronto ad attaccar briga, e si trovò di
fronte quello che gli sembrava un militare in pensione. Folti capelli grigi,
corti sulla fronte e lunghi nella coda modaiola, sovrastavano un volto dai
lineamenti duri, aperto però in un sorriso cordiale ed un po’ alticcio sotto i
folti baffi. Ciò che gli aveva fatto pensare al fatto che fosse un militare era
la giacca rossa pluridecorata recante il grado di generale delle Forze di Autodifesa di Junon: era aperta
sul davanti in modo fintamente casuale, e la camicia bianca con i bottoni d’oro
che avrebbe dovuto completare l’uniforme era assente, facendo quindi in modo
che il petto villoso dell’uomo fosse bene in vista, così come la sua pancia
lievemente fuori forma. Vincent era indeciso se
ridergli in faccia spinto da un’incomprensibile
desiderio di ilarità o informarlo di non essere omosessuale né gerontofilo, e che le sue eventuali avances
sarebbero state destinate a cadere nel vuoto. Nel dubbio, non fece nessuna
delle due cose, ma continuò a fissarlo in modo interrogativamente
truce. Dopo quasi trenta secondi di mutismo continuo, il vegliardo (ma non
troppo) generale scoppiò a ridere, ed il suo volto si arrossò per lo sforzo,
diventando più rubizzo di quanto già non fosse. Vincent
lo guardò per un attimo, preoccupato che potesse avere un infarto e morirgli
addosso, ma poi l’insensata ilarità dell’altro lo contagiò. Era tanto tempo che
non rideva così di gusto, e francamente non trovava nulla di divertente in
quella situazione, ma l’alcool contenuto nel nono Irish
Coffee che si era bevuto si era accumulato con quello degli altri, al punto che
avrebbe potuto ridere anche di fronte alla notizia della resurrezione
contemporanea diSephiroth, Hojo, Lucrecia e Weiss.
Si stava ancora chiedendo chi diavolo fosse
quel Weiss il cui nome gli era tornato alla memoria
quando le risate dei due cominciarono a scemare.
“Mi… mi voglia perdonare… signor Barone…” iniziò il generale
mentre si asciugava le lacrime dagli occhi. “Non so proprio cosa mi sia preso.”
“La stessa cosa che ha preso a me, signor
generale,” rispose Vincent, ormai deciso ad ignorare
quel Weiss di cui continuava a non ricordare nulla
tranne il nome. Si stavano calmando entrambi, tornando ad una gioviale serietà,
e la minuscola parte sobria dell’ex Turk si rese
conto che quella era un’ottima opportunità per scoprire qualche informazione.
“Mi permetta di presentarmi,” fece
l’uomo anziano, porgendogli una mano guantata di
bianco. Vincent fece particolare attenzione che non fosse unta prima di stringerla. “Boris Milavia,
generale delle Forze Armate di Junon.”
“Vin…
ehm, HanselKristoff, di Nibelheim,” rispose Vincent. Fortunatamente
l’altro sembrava non aver notato il suo errore durante la presentazione, ed
inoltre l’ex Turk aveva notato che quell’individuo si era riferito all’esercito di Junon come ‘Forze Armate’e non ‘Forze di Autodifesa’ come
erano conosciute presso la WRO. Poteva essere un indizio fondamentale, oppure
l’equivalente di una traccia di bicorno per un cercatore di chocobo,
ma in tutta franchezza non gliene importava molto. In effetti
non sapeva bene perché si trovasse lì in quel momento. Ma
non gli importava nemmeno di quello! Non si sentiva così bene da quando aveva
passato un’intera serata a bere al bar di Tifa insieme a Cid
e Barret ed il mattino dopo si era svegliato a Cosmo
Canyon senza sapere come ci era arrivato. Chissà
perché.
“Vai, Vince, stai
andando forte!!” gli disse la sua parte meno sobria, ma lui decise di
ignorarla. Era l’alba, dannazione, perché non poteva andare a dormire un po’?
“Ah, si vede che lei è un nobile di nascita,” commentò il generale, richiamando la sua attenzione. “Sua
moglie invece è di origine plebea, vero?”
Ecco perché non andava a dormire: sua
moglie. OssiaShelke.
D’un tratto tutta l’euforia che aveva caratterizzato
quei momenti si tramutò in una tristezza crepuscolare. Perché doveva essere in
un posto così chic con una comeShelke?
Non poteva esserci andato con Yuffie?
“Ah già, la missione,” si disse, e si riscosse abbastanza da riuscire a
rispondere all’uomo di fronte a lui.
“Ehm… in effetti sì, da cosa l’ha
notato?” rispose, assecondando le supposizioni del vecchio. Gongolando, questi
mosse una mano tra i peli del petto, come a stringersi il colletto di una
camicia inesistente. Quando si accorse di ciò, abbassò
nuovamente la mano facendo lo gnorri. “Un vero nobile come me e come lei non ha
bisogno di anteporre al proprio nome il titolo nobiliare, perché la nobiltà
traspare da tutti i suoi gesti. E poi… Niente, la
prego di scusarmi.”
Vincent non lo scusò affatto. Anche se la sua teoria sulla nobiltà era confutata dai fatti
(lui non era mai stato nobile, e così pure i suoi antenati, per quanto ne
sapesse), il fatto che gli stesse tacendo qualche informazione risvegliò la
spia che era in lui, sebbene fosse pesantemente assopita anche a causa
dell’alcool.
“Ma no, la prego, cosa stava
dicendo?”
“… Non si offende, vero?”
“Si figuri, siamo tra uomini,
giusto? E poi sento istintivamente di potermi fidare di lei,”
lo rassicurò Vincent con una pacca sulla spalla,
consapevole che quell’uomo, nello stato in cui si
trovava, non avrebbe riconosciuto una menzogna nemmeno se gli avessero detto
che sua madre era un chocobo e suo padre un kyactus. Dopo un’ultima esitazione, il rubicondo vegliardo
si decise a svuotare il sacco, e l’ex Turk si
apprestò ad ascoltare con attenzione quella che avrebbe potuto essere
un’importante informazione.
“Il fatto è che… ecco… stasera al ricevimento ho notato come
si comportava sua moglie. Era così rozza, così squallida…
era impossibile che fosse una nobile di nascita. E’ come quel pomposo
escremento di goblin che aveva
attaccato bottone con voi, quell’Ambrogio VilàsVattelapesca. Quello non è
più nobile dell’ultimo dei miei garzoni, solo che ha fatto un sacco di gil scavando a BoneVillage e rivendendo le cianfrusaglie che trovava come inestimabili
reperti dei Cetra… Ovviamente ogni tanto cerca di far
quadrare il bilancio estorcendo denaro ai nobili tanto creduloni da prestargli
orecchio. Ma per fortuna lei doveva aver fiutato la
truffa, a giudicare dalla velocità con cui se l’è svignata. Credo proprio che
se ci fosse stata solo sua moglie ci sarebbe cascata come un frutto di molboro troppo maturo.”
A dire la verità Vincent non aveva
affatto sentito odore di imbroglio, solo di una
quantità di noia colossale. E non gli interessava nemmeno se quell’Ambrogio eccetera fosse un
truffatore, un sant’uomo o il Governatore di Junon. Beh, in quest’ultimo
caso gli sarebbe interessato un po’ di più, visto che era lì proprio per spiare
quella persona. In ogni caso, cestinò l’informazione come la cosa più
inutile che aveva trovato a Junon dopo Ambrogio
stesso.
“Le chiedo scusa se mi sono lasciato andare un po’ troppo
nei confronti di sua moglie,” riprese Boris portandosi
una mano alla bocca. Si era finalmente accorto di aver esagerato nel coprire di insulti la moglie del suo interlocutore nobile. Per
fortuna Vincent non era nobile, né Shelke era sua moglie, per cui
l’ex Turk non se la prese affatto. Anzi, la cosa gli
era risultata piuttosto divertente. Diede una rapida
occhiata alle finestre: il sole era ancora basso, quindi poteva godersi ancora
un po’ l’assenza della sua collega, e decise di farlo nel modo che in quel
momento gli sembrava più gustoso. Sparlando di lei.
“No, no, si figuri, anzi, finalmente qualcuno è andato al di là delle sue trine e ha visto di che pasta è fatta,”
gli rispose, sorridendo.
Boris sollevò un sopracciglio e sorrise malizioso. “Avete
litigato, vero?”
“Sì, ma le assicuro che è veramente rozza e squallida come l’ha descritta. Pensi che una volta, ad un
ricevimento simile a questo, si è pure ubriacata e si
è messa a ballare sopra un tavolo.”
Il generale scoppiò a ridere. “Sul serio??”
“Certo!” mentì Vincent, gongolando
alle spalle di entrambi. “Le sembro forse uno che racconta bugie?”
I due risero a lungo, chiacchierando circa le presunte
avventure della Baronessa VivianaJanette
senza lesinare in particolari.
“Ma davvero…?” si azzardò a
chiedere Boris ad un certo punto, stupefatto.
“Sì, sì, certo, è andata proprio così!” rispose Vincent, divertendosi come un bambino al Luna Park.
“Così come?”
Entrambi si raggelarono e si voltarono verso Shelke, di nuovo avvolta nel suo
vestito verde acqua, i capelli lievemente spettinati e l’espressione omicida
sul suo bel viso.
“Ehm…” disse Boris, tornato inaspettatamente lucido. “Avrei
un impegno. Con permesso…”
Il generale vigliacco si defilò in men
che non si dica, mentre nella sala ricominciava ad
affluire la gente. Il tizio ubriaco che si era
addormentato ai piedi di Vincent era sparito, ma lui
non se n’era nemmeno accorto, così come non si era accorto che sua ‘moglie’ era arrivata di soppiatto mentre sparlava di lei con
un perfetto sconosciuto. Deglutì, nervoso. “Ciao, Viviana…”
Shelke si piegò in un inchino
sarcastico. “Barone… Ora vuoi gentilmente dirmi perché stavi parlando di me ad
un emerito sconosciuto?”
Con lo sguardo l’ex Turk cercò una via d’uscita, ma sapeva che non ce n’erano:
era nella base nemica, praticamente ubriaco fradicio e con una ex Tsviet ninfomane, cotta come un vaso d’argilla per lui e
probabilmente infuriata a morte. Non aveva possibilità di fuga. Tranne forse una. Gli ripugnava, ma sapeva che era l’unico
modo per uscirne senza doversi sorbire una scenata. Ricacciò indietro il
nervosismo e gli effetti degli ormai quindici Irish
Coffee che si era bevuto e si sforzò di assumere un’espressione seria, il più
possibile seducente. Subito prima che Shelke cominciasse con la sua scenata, lui si alzò in
piedi, sovrastandola, e le prese le mani fra le sue, portandosele al petto. La
ragazza restò a bocca aperta.
“Viviana…” iniziò con voce roca,
sensuale, e dopo aver controllato che non ci fosse
nessuno in ascolto proseguì, abbassando la voce. “Shelke…
Dopo tutto questo tempo, ho capito una cosa…”
La ragazza lo fissava negli occhi con la bocca spalancata,
tanto che riuscì a mala pena a pronunciare poche
parole. “C-che… cosa…?”
“… Shelke, io ti amo.”
Vincent fece appena in tempo ad
inorridire quando si ritrovò il volto affondato nel seno di Shelke,
che gli era balzata addosso urlando di gioia e che ora
lo abbracciava minacciando di soffocarlo. L’uomo barcollò all’indietro alla
ricerca di aria, e finalmente riuscì ad abbassare la
ragazza quel tanto che bastava per tornare a respirare. Lei allora chiuse gli
occhi e, con una precisione stupefacente, cercò di baciarlo sulle labbra. Vincent però fece in tempo a scostarsi e a riceversi quel
bacio umido su una guancia, anche se a dire il vero più che un bacio sembrava
la poderosa leccata/succhiata di un molboro affamato.
In quel preciso momento la sala fu scossa da un boato. I
vetri alle finestre scoppiarono mentre la parete più esterna dell’edificio
crollava. Dal varco così formato saettò rombando un’aeromoto della WRO, che roteò più volte prima di
stabilizzarsi. Vincent non volle credere ai suoi
occhi quando vide che sul sellino di guida c’era, infuriata e terribile come
una valchiria di Wutai, Yuffie.
“VINCENT VALENTINE!!” urlò, sovrastando quasi il rumore
inferocito del motore. Quando poi si accorse della
posa in cui l’aveva trovato, i suoi occhi mandarono lampi quasi visibili di
furore. “LEVAGLI LE TUE ZAMPE DI DOSSO, DANNATA VIPERA!!”
“E’ una spia della WRO!! Fuoco!!” gridò una voce. All’istante
la sala fu invasa da proiettili sparati in tutte le direzione,
mentre i gentiluomini e le gentildonne che non erano svenuti per la paura
scappavano. Gridando come un’ossessa, Yuffie fece ruotare su se stessa
l’aeromoto, lanciando shuriken senza fermarsi un
momento.
La missione era fallita, senza ombra di
dubbio. Ed era durata meno di un giorno, il
tempo di vedere Shelke nuda e di scoprire che si
poteva fare carriera scavando a BoneVillage e vendendo cianfrusaglie. Era giunto il momento di
tagliare la corda il più presto possibile.
Incurante di tutto, l’ex Tsviet
continuava a restare avvinta a lui come un mitilo al suo scoglio. “SIII’!” stava urlando, “ANCH’IO TI AMO,
VINCENT VALENTINE!!”
“Mollami, dannazione!” le rispose lui di rimando, riuscendo
infine a scollarsela di dosso. Con un grido la ragazza volò dall’altra parte
del bancone, sparendo alla vista.
“Puoi darmi un passaggio?” chiese Vincent
mentre sparava senza fermarsi un secondo, dopo essere riuscito a districare la cerberus dal suo pastrano.
“Dopo facciamo i conti io e te!!” gli promise Yuffie, ma non
si scostò quando lui salì con un balzo sull’aeromoto. L’idea di litigare con la
sua ragazza però gli riusciva quasi più odiosa che dire a Shelke
che l’amava. Con un’ultima salva di spari ed un lancio di shuriken,
il velivolo schizzò via rombando nella luce del mattino incipiente, svegliando
i cittadini attoniti di Junon alta e di quella bassa.
Nel salone devastato regnò il silenzio, mentre i soldati si
rendevano finalmente conto di aver lasciato fuggire una spia dei loro mortali
nemici ed una mercenaria di Wutai giunta a dare man
forte nello scontro. Alcuni si diedero da fare a soccorrere i feriti, ma i più
attenti si avvicinarono al bancone del bar, i fucili spianati. Da oltre il
pianale fece capolino prima una mano, poi una testa dai capelli castani
arruffati ed infine il resto della donna che aveva accompagnato la spia nemica:
la sedicente Baronessa VivianaJanettedi Arlanse-Boignot.
Di fronte a tutti quei fucili spianati, Shelke
non poté fare altro che sollevare le mani in segno di resa. “Ehm…” disse poi,
cercando febbrilmente una via di scampo. “Desiderate un drink?”
“Cosa diavolo facevi abbracciato a
quel serpente dal corpo di donna, eh??” gridò Yuffie voltandosi all’indietro e
cercando di superare il rombo dei motori e del vento. La Ninja
non aveva nemmeno aspettato di atterrare per cominciare il suo interrogatorio,
ma le era bastato uscire dalla portata della contraerea junoniana.
“Era una missione di infiltrazione,
Yuffie!” rispose d’un fiato Vincent, in cui il
movimento altalenante del mezzo e tutto l’alcool ingurgitato stavano cospirando
per fargli vomitare l’anima, la GalianBeast ed anche un paio delle pozioni assunte per
riprendersi dai colpi di padella ricevuti in passato.
“Lo so benissimo!” gridò la Ninja,
che stranamente sembrava non soffrire il suo solito mal d’aria, “ma a Wutai la parola ‘infiltrazione’
non significa ‘pomiciare con la collega in territorio nemico’[1]!!”
“Non stavo pomiciando con Shelke!
Le ho detto che l’amavo soltanto per farla stare
buona!!”
“TU COSA??” sbottò la Ninja,
voltandosi verso di lui e perdendo così il controllo sul veivolo.
Vincent non badò alla mano di lei
che gli afferrava il bavero della giacca, né all’altra mano che caricava un poderoso
pugno rivolto alla sua faccia. “Yuffie, per l’amor di Leviathan, guarda av…!”
Ora che l’aveva centrato in pieno volto, al pugno di Yuffie
ci badava eccome. Riuscì a mala pena a sentire un ‘fedifrago!’
urlato con violenza verso di lui, attraverso il fischio insistente che lo
assordava. L’aeromoto oscillò pericolosamente e Vincent
dovette combattere duramente per non cedere alle spinte
che cercavano di farlo vomitare. Quando ne fu uscito
vittorioso, notò con stupore che stavano volando su una distesa marittima,
sebbene ricordasse che da Junon si erano diretti
verso l’entroterra. Solo dopo un secondo si rese conto che quello sotto di loro
non era il mare, ma il cielo, e la distesa verde ondulata sulle loro teste non
era uno strano fenomeno atmosferico, ma il terreno stesso[2]. E ci
mise un altro po’ a realizzare che, se ciò era vero,
allora non stavano cabrando, ma stavano precipitando.
“WAAH!! STIAMO PRECIPITANDO!” esplose Yuffie, sottolineando l’ovvio e cominciando a sbracciarsi. Da dietro
di lei, Vincent serrò i denti e la circondò con le
braccia.
“NON MI SEMBRA IL MOMENTO PER QUESTE COSE, VINCENT!!”
protestò lei, il cui rossore poteva derivare in ugual misura
dall’imbarazzo, dalla rabbia di poco prima o dal terrore. “Sto solo cercando di
far atterrare questo dannato affare!” fu la risposta dell’ex Turk, le cui mani non si erano fermate sul corpo della
ragazza ma avevano afferrato saldamente il manubrio e
stavano ora cercando di stabilizzare il volo.
“OH LEVIATHAAN!!” urlò Yuffie quando fu chiaro che non sarebbero
riusciti ad effettuare un atterraggio morbido.
Chiudendo gli occhi, gli strinse le braccia al collo e si accoccolò su di lui.
Sono troppo giovane per morire!! E poi non siamo
neanche ancora andati a letto insieme!!
Con uno schianto terribile l’aeromoto sfondò le porte di un
vecchio fienile, da cui uscì un branco di chocobo
selvatici che kuettavano in preda al panico. Vincent fece appena in tempo ad accorgersi di essere ancora vivo, di essere circondato ovunque
dall’erba gishal essiccata e, soprattutto, che Yuffie
respirava ancora sebbene fosse priva di sensi, prima di svenire per la
stanchezza.
[1] Il riferimento alle
avventure sentimentali dei film di JamesBond è puramente casuale.
[2] Minuscolo omaggio al film
“Il grande dittatore” di e con CharlieChaplin.
“No… Non voglio diventare una geisha…” mormorò Yuffie nel sonno. Vincent
a quelle parole cominciò a svegliarsi e si chiese come mai fosse immerso nel
fieno gishal fino al collo. Poi ricordò tutto e lo
prese un gran mal di testa.
“Non mi interessa niente della
cerimonia del tè, papà!” gemette la ragazza, distesa fra le sue braccia.
Probabilmente stava avendo un incubo. Senza prestare la dovuta attenzione al
fatto che poco prima di precipitare stavano litigando, Vincent
decise che era meglio svegliarla.
“Yuffie, Yuffie, stai avendo un incubo,”
le sussurrò, scuotendola gentilmente. La ragazza aprì gli occhi e mise a fuoco
il volto dell’ex Turk. Con un sorriso ed
un’espressione non del tutto consapevole sollevò una mano e gli accarezzò una
guancia sporca di fango. “Oh, Vincent, amore mio,
sono morta e sono in paradiso tra le tue braccia…”
“No che non sei morta,” la corresse
l’uomo, che però accolse le sue parole con un sorriso. In quel momento Yuffie
tornò ad avere ben presente a se stessa ciò che era successo e la sua
espressione si tramutò dal sorriso dolce di poco prima alla furia. La carezza
divenne uno schiaffo.
“Ahia!” protestò l’uomo, più per la sorpresa che per
l’effettivo dolore. “Ma che ti prende??”
“COM’E’ CHE HAI DETTO A QUELLA VIPERA DI SHELKE CHE
L’AMAVI??” fu l’unica risposta che ottenne.
“Te l’ho detto, era per distrarla, dato che si era
arrabbiata con me!”
Prima che la Ninjaesplodesse contro di lui, Vincent
iniziò a raccontare ciò che era successo durante la missione a Junon. Quando arrivò al punto in cui Shelke
si era denudata con intenzioni più che evidenti Yuffie, che nel frattempo si
era scostata sdraiandosi su quanto rimaneva del sellino, cominciò a dare segni di insofferenza, generalmente urlando e tirando pugni
all’erba gishal, perciò Vincent
ritenne opportuno sorvolare e passare direttamente al punto della storia in cui
era entrata in scena lei. Rapidamente com’era iniziato, l’attacco d’ira della
ragazza evaporò, lasciando spazio ad un’ilarità parimenti incontenibile.
“Davvero hai raccontato questa cosa anche al generale Burris??”
“Si chiamava Boris…”
“Fa lo stesso.”
“Sì, ho usato proprio queste parole.”
Yuffie si gettò all’indietro sprofondando con un fruscio nel
fieno, la bocca spalancata in una risata folle. “Olleviathan,
peccato che non ero ancora arrivata!”
“Ora capisci per quale motivo Shelke,
che invece era appena arrivata, si era arrabbiata?”
All’improvviso l’espressione divertita di Yuffie divenne scontrosa.
“Sì, lo capisco…”
Vincent non disse niente, ma la
guardò come se intendesse ‘allora… mi perdoni…?’ La
ragazza sbuffò. “D’accordo, sei perdonato per averle detto
quella cosa oscena.”
“Grazie,” disse l’ex Turk abbozzando un sorriso. Nonostante
l’avesse perdonato, però, Yuffie continuò a guardarlo di sottecchi.
Com’è possibile che
sia cambiato in così poco tempo, rispetto al Vincent
musone di pochi anni fa? E’ stato veramente solo merito mio, se ha lasciato Lucrecia nella sua tomba-brillantino ed è tornato un essere
umano? Mah… Comunque, ora che abbiamo chiarito la
questione della vipera , c’è un ultimo grosso interrogativo che mi assilla…
“Ehm… Vincent?” lo chiamò dopo
alcuni minuti di silenzio. “Hai idea di dove siamo?”
L’uomo si guardò attorno con espressione concentrata,
malgrado ovunque si voltasse lo sguardo si vedesse solo fieno di erba gishal.
“Dunque…” iniziò a rispondere, riflessivo, “ad occhio e
croce direi che siamo… in un fienile.”
Erano momenti come quello che facevano desiderare a Yuffie
di non aver mai conosciuto Vincent, di non essersene
mai andata da Wutai, di aver sposato un kyactus e di aver passato il resto della sua vita in una
casa tradizionale, circondata da gatti e senza avere idea che nel mondo potesse
esistere una stupidità tanto concentrata da sembrare sarcasmo. O viceversa.
Lo fissò con aria di sfida. “Scusami… Il tuo era sarcasmo
così dotto da sembrare una stupidaggine o una stupidaggine tanto geniale da
sembrare sarcasmo?” chiese, dando voce ai suoi pensieri. Vincent
rispose al suo sguardo indurendo appena la propria espressione. “Valuta tu…
Secondo te come ho fatto a capirlo, dato che per metà
del tempo che siamo stati in volo eravamo a testa in giù e per l’altra metà
stavo litigando con te?”
Yuffie la prese sul personale. Senza badare al fatto che non
aveva la minima idea di dove si trovasse il terreno, scattò in piedi,
sprofondando fino alla vita nel fieno.
Vuoi discutere con me,
signorsono-il-più-figo-della-WRO-Shelke-ti-amo??
Non sai di cosa sono
capace quando mi arrabbio davvero! Ed ora ti mostrerò
ciò che sa fare una vergine guerriera di Wutai!!
“Non mi sembra il momento di scherzare, Vincent!”
sbraitò, cercando di arrampicarsi sui resti dell’aeromoto per togliersi da quell’imbarazzante posizione che la costringeva a guardarlo
dal basso verso l’alto. Come accadeva sempre, dopotutto. “Per quanto ne
sappiamo potremmo ancora essere nel territorio di Junon,
con gli sgherri del generale Burris che ci stanno
dando la caccia, e tu ti metti a fare battutine
stupide??”
“A parte che si chiama ancora Boris,”
puntualizzò Vincent, incrociando le braccia
imperturbabile, “credo che siamo abbastanza lontani da Junon
per stare tranquilli.”
“Resta il fatto che continuiamo a
non sapere dove siamo, che non abbiamo più il nostro mezzo di trasporto e che
HO UNA FAME BLU!!”
Se ora dice che potrei
sgranocchiare un po’ di erba gishal
giuro che lo meno… ma con violenza, altro che padellate in testa…
“Yuffie,” rispose l’uomo.
“Purtroppo non ho niente da mangiare con me, ma non sarà gridando che usciremo
da questo pantano.”
La ragazza esitò.
Beh… almeno non ha
detto niente sull’erba gishal…
“E come conti di uscire, sentiamo,”
lo sfidò con un sorriso di scherno, mentre finalmente era riuscita ad issarsi
sui resti del sellino. “Questo posto mi sembra leggermente abbandonato,” continuò, indicando sopra di loro le assi pericolanti del
soffitto, frantumatesi ben prima del loro schianto, “e non credo che se
facciamo l’autostop fuori di qui troveremo qualcuno che ci accompagnerà alla
base della WRO.”
“Yuffie…”
“Non interrompermi! Una volta fuori di qui, dicevo, dovremo
cercare da mangiare, un punto di riferimento per
orientarci…”
“Yuffie…”
“Ti ho detto di non interrompermi! Stavo dicendo, io ho
cinquanta gil con me, non so tu quanti ne abbia, ma credo che dovremmo trovare un modo per
racimolarne qualcun altr…”
Questa volta Vincent non la
interruppe più a parole, ma con un bacio, il più focoso che si fossero mai scambiati.
Ma che diavolo…!! Ma… Cosa
vuole fare… Mmhh…
La ragazza dapprima si divincolò, indispettita per il fatto
di essere stata interrotta, ma lentamente cedette alla lusinga di quel bacio,
alla muta richiesta di completa dedizione che esso pretendeva, e si abbandonò
tra le braccia dell’uomo, che la fece distendere con delicatezza sul fieno.
Dopo un tempo che parve infinito il bacio terminò sulle labbra, ma continuò tra
i loro sguardi.
“V-Vincent…” riuscì appena a
mormorare lei, ma lui le diede un altro rapido bacio.
“Penseremo poi a come uscire da qui,”
fece lui con un filo di voce. “Ora voglio solo stare con te. Mi sei mancata,
Yuffie.”
La ragazza non trovò le parole per rispondere. Il cuore le
batteva con forza nel petto mentre rispondeva al suo bacio con un altro bacio,
stringendo a sé il suo amore con tutta la passione che aveva. Un attimo dopo Vincent si era già tolto la giacca rossa ormai logora ed
aveva cominciato a scendere con le labbra lungo il collo di Yuffie, mentre con
le mani le accarezzava la vita.
Oh, Vincent… Erano anni che aspettavo questo momento… Tu non lo
sai, ma ti ho amato dal primo momento che ti ho visto…
Anche se all’epoca credevo di avere una cotta per Cloud,
prima di andare a dormire, io… pensavo a te…
Con mano sicura l’uomo le sollevò la maglietta fino a
scoprirle il seno. Al tocco delle sue mani e delle sue labbra, Yuffie si sentì
rabbrividire.
Ho sempre pensato a
te, Vincent… In tutto il tempo che ho passato a Wutai, da mio padre, non è passato un giorno in cui io non
ti abbia pensato, non abbia fantasticato sul nostro
nuovo incontro, oppure su… questo momento…
A fatica le mani di lei si
insinuarono tra il proprio corpo, quello di Vincent e
i fili di erba gishal, cercando come potevano di
slacciare l’elaborata chiusura della camicia-corpetto dell’uomo.
Accidenti a te, Reeve… Non potevi fornirgli un completo più facile da
togliere??
All’improvviso il sole che filtrava dalle aperture sul soffitto fu oscurato da una grossa ombra, sebbene Yuffie non
se ne fosse accorta subito poiché teneva gli occhi chiusi, così come Vincent, persi entrambi nel turbine delle loro sensazioni.
Finalmente ci sto riuscendo… sento già i tuoi poderosi muscoli sotto le
mie mani… Vincent… Vincent!!
Vin…YYYAAAAAHHHHHH!!
Mentre urlava la ragazza sgusciò da sotto il corpo dell’ex Turk, che si trovò ad abbracciare e baciare una balla di
fieno, salvo poi drizzarsi allarmato dal grido e
cercare istintivamente la Cerberus al suo fianco. Una
grossa testa gialla li stava fissando incuriosita con i suoi grandi occhi
screziati. Nel becco stava frusciando una manciata di
erba gishal essiccata. “Kué?”
fece l’animale, perplesso.
UN DANNATO CHOCOBO!!
Perché ce l’hai con me, Leviathan!! Prima quella
vipera di Midgar che turba il mio idillio d’amore ed ora questo chocobo
che salta fuori mentre sto per perdere la verginità!! MA COS’HO
FATTO DI MALE!!
MentreVincent,
piuttosto imbarazzato, rinfoderava la Cerberus e si
richiudeva la camicia, nel casolare abbandonato e per qualche centinaio di
metri tutto attorno risuonò il terribile grido della Ninja
di Wutai, simile a quello di una banshee
portatrice di sventura: “IO ODIO I CHOCOBO!!”
Il misterioso Governatore scese le scale che dal suo ufficio
portavano al salone dei ricevimenti dove, a quanto gli era
stato riferito, il suo esercito aveva sventato un attacco a sorpresa della WRO
ed aveva catturato una spia. I soldati che presidiavano l’entrata si misero
sull’attenti. “HailGovernor!”
salutarono in coro. “Sì, sì,” rispose l’uomo agitando
una mano. “Fatemi entrare. Sono proprio curioso di vedere quanto fegato ha
questa spia della WRO.”
Uno dei soldati aprì la porta e precedette il suo signore
nella stanza, con l’intenzione di annunciarlo. Le parole però gli morirono in
gola e rimase a fissare a bocca aperta ciò che, a quanto sembrava, stava
avvenendo all’altro capo della sala.
Senza por tempo in mezzo il Governatore portò la sua
corpulenta autorità al di là della soglia, deciso a
vedere di persona cosa stava succedendo. Anche lui
rimase a bocca aperta.
Una decina di soldati erano seduti
al bar o semisdraiati per terra, ubriachi fradici.
Sopra il bancone erano seduti il generale Boris Milavia ed un suo subordinato, completamente sbronzi, tra
le mani due grossi boccali di birra. Tra i due, le braccia
appoggiate sulle spalle come se fosse stata tra vecchi commilitoni, c’era una
bella ragazza sui vent’anni, con i capelli castani ed
un ardito vestito verde chiaro lungo, che metteva in risalto il suo seno
generoso. Anche lei era ubriaca, e anzi
sembrava guidare il coro dei soldati junoniani.
“Osteria del Governatore…!!” cantavano sguaiatamente.
Il Governatore si mise le mani sulle orecchie, non volendo
ascoltare oltre. Irato si rivolse alla guardia che era entrata con lui. “E quella me la chiamate una spia? Rimandatela indietro, mi
vergognerei io per i miei uomini che la dovrebbero interrogare.”
Con l’obbrobrioso suono di quel canto incivile nelle
orecchie, l’uomo se ne andò con rabbia, pensando che
forse era meglio fare finta che non fosse successo nulla.
Era stata una giornata stressante, quella: aveva ricevuto
due proposte di matrimonio, tre avventori avevano iniziato una rissa per avere
il suo favore ed era finito il rum. Ora però Tifa poté
con soddisfazione chiudere la cassa. La aspettava un’altra notte di
divertimenti con Cloud: volevano sfruttare tutte le
occasioni che avevano prima che avessero la notizia del ritorno di Yuffie, la
quale avrebbe riportato la depressione nel loro rapporto di coppia.
Stava quasi per raggiungere la porta d’ingresso per
chiuderla quando questa si aprì di schianto ed entrò un uomo molto
più alto di lei. Stava per buttarlo fuori a suon di pugni (nessuno
avrebbe messo a rischio la sua notte con Cloud,
nemmeno un cliente pagante!) quando lo riconobbe. La sua camicia con le
decorazioni a chocobo era piuttosto malridotta, come
anche i suoi bermuda, ma quell’assurdo abbinamento le
era rimasto indelebile nella memoria.
“E’ permesso?” chiese il grosso Wutai,
anche se la porta era già aperta e lui era già entrato.
“Il locale sarebbe chiuso,” rispose
Tifa senza celare il fastidio, “ma se proprio dovete entrare…”
L’uomo lo prese per un sì ed entrò,
seguito dai suoi due colleghi in ordine di altezza. La donna trattenne le
risate pensando che quel trio le ricordava molto un
trio di statuette identiche, salvo per le dimensioni, che si potevano infilare
l’una dentro l’altra e che lei aveva visto una volta in vendita a Midgar.
“Stiamo cercando la Somma Principessa Yuffie Kisaragi di Wutai,” disse quello più basso ed un senso di déjà-vu colse Tifa.
“L’avete mancata di poco, ragazzi!”
disse quest’ultima, pregustandosi già l’effetto che quell’affermazione avrebbe avuto sui tre. “Ho sentito che è
partita per Junon, ma questo ormai qualche giorno fa,
non so se si trova ancora là…”
Con una sincronia impressionante i tre sospirarono di
sconforto all’unisono.
“Ci è scappata, Pong,”
disse quello alto, subito redarguito con un ceffone da parte di quello di
mezzo. “Baka!
Lo sai che non dobbiamo usare i nostri veri nomi!”
“La ringraziamo per l’informazione, signorina,” fece cortesemente quello più basso, ignorando gli altri
due che avevano cominciato a discutere animatamente in una lingua che Tifa non
conosceva ma che supponeva essere Wutai.
“Ma figuratevi,” rispose la donna
con un sorriso che stentava a non scoppiare in una risata. I due litiganti si interruppero e tutti e tre fecero un solenne inchino
verso di lei, prima di uscire dalla porta nell’ordine inverso a quello con cui
erano entrati. Mentre osservava quelle tre figure
allontanarsi nella notte, Tifa sbarrò la porta e scoppiò a ridere.
“Olleviathan!” disse tra una
risata e l’altra. “Aspetta che ti racconti questa, Cloud!”
Capitolo 15 *** La meravigliosa avventura di Ping, Pang e Pong ***
LA MERAVIGLIOSA AVVENTURA DI PING PANG E PONG
LA MERAVIGLIOSA AVVENTURA DI PING PANG E
PONG
Picaresche peregrinazioni di un gruppo
di samurai
Erano giorni che camminavano, ma Junon
non era ancora in vista. A quel punto, Pong era
veramente convinto che avessero sbagliato strada.
“Mi sa che non abbiamo fatto bene a fidarci di quel
pescatore,” disse Ping,
quasi leggendo nel pensiero al suo capo. Pang, il
samurai di media altezza, annuì con aria saggia. “Forse dovremmo trovare
qualcuno che sappia dirci dove ci troviamo.”
“Ma prima dobbiamo mangiare qualcosa!”
sostenne Ping, che era visibilmente dimagrito
dall’inizio di quella missione. Con un sospiro, Pong
annuì. “Ci accamperemo là, dove riposa quel curioso esemplare di fauna locale.”
Il curioso esemplare di fauna locale drizzò le orecchie e li
guardò diffidente, poi si alzò e, mugugnando stizzito, si allontanò di qualche
passo. Ping lo seguì con lo sguardo, famelico. “Dite
che quell’animale sarebbe buono da mettere sotto i
denti?”
“Per vostra informazione,” rispose
una voce che non apparteneva né a Pang né a Pong, “non sono buono da mettere sotto i denti, e non sono
nemmeno un animale, se è per questo.”
Il curioso esemplare, sentitosi chiamato in causa, uscì dal
proprio nascondiglio e si fece avanti con aria truce.
“MA QUEL GATTO PARLA!!” esclamarono in coro Ping e Pang, facendo un salto indietro esterrefatti.
“E non sono nemmeno un gatto,”
replicò la creatura, che da parte sua non sapeva con chi prendersela per essere
stato disturbato da un simile trio.
“Ci perdoni… ehm…” interloquì Pong,
diplomatico, “signor… signore, ma crediamo di esserci
persi. Sa, siamo tre inviati speciali di una ditta di spedizioni diWutai e non siamo molto pratici
di questi posti…”
‘L’animale’ sbuffò. “Sentiamo, dove
dovreste recarvi? Sempre ammesso che un ‘gatto’ possa esservi utile. E lei,”
aggiunse, digrignando i denti verso Ping, che
continuava a guardare con aria affamata le sue cosce, “la smetta di guardarmi
in quel modo, oppure credo che dovrei cominciare a fare altrettanto con il suo
voluminoso sedere.”
L’interpellato mise subito le mani a protezione del suo
organo e dedicò la sua attenzione ad un sasso lì vicino, sperando che non si
mettesse a parlare anch’esso.
“Ecco,” riprese Pong,
ignorando apparentemente l’incidente. “Siamo diretti a Junon
e le saremmo grati se potesse indicarci la strada…”
Il rosso essere strabuzzò gli occhi, o per meglio dire
l’unico occhio che gli restava, e per qualche secondo restò a bocca aperta. “Junon?? Ehm… credo che siate veramente fuori strada.”
“Lo sospettavamo,” rispose il capo
dei samurai. “Sarebbe disposto ad accompagnarci, o a
indicarci qualcuno che ci possa portare laggiù?”
“Ehm… Io non posso, al momento… Però posso comunque darvi una mano.”
Pang si morse un labbro per
evitare di pronunciare una battuta che avrebbe potuto suonare ‘al massimo ci può offrire una zampa, signore!’ e lasciò parlare il suo
capo.
“Splendido! E ci dica, dove
dobbiamo andare?”
“Capo?” interloquì Ping,
titubante. “Dovremmo anche trovare qualcosa da mettere sotto i denti…”
In quel momento lo stomaco di Pong
brontolò rumorosamente, sottolineando le parole del
subordinato. “Per l’appunto,” si risolse ad aggiungere
il caposquadra, “conosce anche un posto dove possiamo ristorarci? Che non sia molto caro, invero, perché le nostre risorse monetarie
sono piuttosto scarse…”
L’essere che avevano disturbato sospirò sconsolato. Li
avrebbe volentieri indirizzati al deserto insuperabile di Gold Saucer, ma quel giorno aveva mangiato
bene e si sentiva di buon umore. Pensando alla bistecca ben cotta con zucchine
alla griglia e patatine fritte annuì lievemente. “Seguite quel crinale fino alla sporgenza rocciosa laggiù.
Dovreste intravedere un villaggio che si chiama Cosmo Canyon. Presentatevi al
cancello e chiedete di essere ospitati. Prendete pure tutto quello che vi serve
e mettetelo sul mio conto, tanto da quando ho vinto la lotteria di Gold Saucer posso permettermi di offrire qualche milione di gil a dei perfetti sconosciuti
come voi. Ah, dite che siete stati invitati da Nanaki.”
Senza parole per la gratitudine, i tre si profusero in
inchini elaborati e lasciarono l’ex tredicesimo soggetto sperimentale di Hojo a chiedersi come avessero fatto quei
tizi non solo a sbagliare strada, ma addirittura a sbagliare continente…
MentrePing
ancora tesseva le lodi del felino-non-felino che avevano
incontrato (soprattutto per il numero ‘XIII’ tatuato
su una sua spalla), Pong lo zittì e riportò quanto
era stato loro detto allo strano guardiano del cancello di Cosmo Canyon.
Dovette poi ripetere tutto alla vera guardia, dopo che ebbe compreso che ciò
cui si era rivolto era un totem.
A Cosmo Canyon Ping, Pang e Pong trovarono
un’accogliente ospitalità: mangiarono e bevvero a sazietà, rimpinguarono le
scorte di pozioni e granpozioni e, di nascosto,
quelle di denaro (in fondo, come aveva sottolineatoNanaki, cosa sarebbero mai stati qualche milione di gil devoluti a loro in beneficenza?). Ma la cosa più
importante fu che scoprirono con incredulità che Junon
si trovava su un altro continente, e che il pescatore cui avevano
promesso tutti i loro averi, vestiti esclusi, per accorciare loro la strada, li
aveva gabbati, attraversando il mare e scaricandoli in un luogo dimenticato da
Leviathan.
Gli abitanti furono talmente gentili (o, secondo un altro
punto di vista, esasperati) da offrire loro un mezzo di trasporto su ruote
alimentato a pedali, che li avrebbe portati sani e salvi in un posto chiamato
Costa del Sol, dove avrebbero potuto imbarcarsi per Junon.
Sfortunatamente quel mezzo di trasporto si ruppe poco dopo, durante
l’attraversamento di un immenso deserto. Imprecando contro quegli spilorci di
Cosmo Canyon (che non li avevano avvertiti del pessimo stato delle guarnizioni del mezzo), i tre intrepidi samurai cercarono di
attraversare il deserto a piedi. Nel corso di quei giorni di marcia forzata
furono attaccati da due Formicaleoni divoratori di uomini,
che avevano spalancato le fauci proprio sotto di loro, cinque vermi giganti
delle sabbie, un gigantesco uccello del quale non avrebbero saputo dire il nome
ed un curioso mostro ciclopico e rossastro, dall’apparenza metallica, che però,
scosso dal timore per la loro possanza, se ne andò riaffondando
nel deserto (la realtà era che la RubyWeapon non li aveva considerati degni di attenzione). A
parte quest’ultimo incontro, i tre samurai se l’erano
cavata egregiamente, fuggendo ad una velocità tale che nessuna creatura era riuscito a star loro dietro.
Dopo un ultimo giorno di snervante avanzata nel deserto,
finalmente i prodi guerrieri videro un branco di chocobo
selvatici che brucava una minuscola oasi di erba gishal. Decisero di corromperli terminando la già scarsa
scorta di tabacco gishal di Ping,
dalla quale il proprietario si separò con uno struggente addio.
I tre chocobo che avevano
conquistato li portarono in men che non si dica ai piedi di una montagna, ben lontano dal deserto,
prima di stramazzare al suolo in preda ad una crisi di allucinazioni. Una
lunghissima funivia usciva da una cavità scavata nel fianco dell’altura ed alla
sua base si stendeva un piccolo villaggio fatto di tende e casupole diroccate.
Alla porta di questo, a sua volta, si stendeva un omaccione dalla pelle scura e
con un braccio meccanico, tramortito dall’impatto con uno dei chocobo imbizzarriti.
“Accidenti, ci scusi, signore!” esclamò Pong,
chiedendo a gesti l’intervento dei suoi due compagni per rimettere in piedi il
muscoloso infortunato.
“Ohi, ohi…” mormorò questo, accarezzandosi il capo, confuso.
“Dove sono? Chi mi ha lanciato
contro un Comet…?”
“Ehm…” Pong cercò di guadagnare
tempo. “Fortuna che siamo passati noi a darle una mano, signore!”
“… Davvero?”
“Ma certo!”
Per lunghi secondi l’uomo rimase in silenzio, poi
all’improvviso sollevò le braccia e gridò, gettando nel panico i tre provati
avventurieri. “MA ALLORA DOBBIAMO FESTEGGIARE!!”
Per tutta la sera i samurai bevvero birra assieme al loro
nuovo amico Barret (così aveva detto di chiamarsi) e
scoprirono con una gioia appena velata dall’ebete euforia dell’ubriacatura di
essere ormai vicini alla loro meta: una volta attraversato il passo di Monte Corel, infatti, Costa del Sol sarebbe stata
ormai in vista!
Senza perdere altro tempo, dopo che il dopo sbornia fu
passato, i tre salutarono e si avviarono su una vecchissima rete di viadotti e
ponti ferroviari, utilizzati un tempo per il trasporto del carbone, a bordo di
un vagoncino mosso a mano. Rischiarono più volte di precipitare nelle voragini
che si aprivano sotto di loro all’improvviso, ma riuscirono ad arrivare,
stremati ma raggianti, al capolinea di quella sgangherata linea ferroviaria. Ed
effettivamente, in lontananza, si intravedeva un
ridente porto dotato di spiagge e bagni privati, che non poteva essere altro se
non Costa del Sol!
Vi giunsero in serata ed
osservarono a lungo sbigottiti gli esemplari umani di sesso femminile (altrove
detti ‘donne’) che si aggiravano per la località
scarsamente vestiti. A dire il vero ce n’erano anche alcuni di sesso maschile,
ma comprensibilmente l’attenzione dei tre stranieri era attirata prevalentemente
dai primi.
Prima di cercare un posto per la notte riuscirono
precipitosamente a stipulare un accordo con il capitano di una nave mercantile
diretta a Junon, un ragazzo giovane e cordiale,
sicché erano straordinariamente felici quando si recarono alla locanda ‘All’aeroplano
affondato’e pretesero per sé le tre suite, pagandole con l’equivalente in gil di sei mesi di stipendio di ciascuno di loro.
Il mattino dopo, rilassati come non
capitava ormai da mesi, i tre samurai reindossarono i
loro abiti da viaggio mimetici, sicuri che in mezzo a così tanta varietà di
stili d’abbigliamento come si rilevava a Costa del Sol le loro camicie a chocobo ed i loro bermuda sarebbero passati inosservati.
Non badarono nemmeno al fatto che il capitano che avevano
ingaggiato la sera prima aveva ora un’aria molto più losca, con la sua benda
sull’occhio e la sua gamba di legno, e salirono contenti sulla nave che li
avrebbe portati più vicini alla meta. Poco dopo la partenza
uno strano gas si diffuse nelle loro cabine, cullandoli dolcemente fino
a farli cadere in un sonno profondo.
Pong fu svegliato da una sorta di pizzicorio al sopracciglio destro. Effettivamente, un
grosso granchio stava saggiando la sua consistenza con una chela. Allontanato
con prudenza il molesto animale, il samurai si guardò attorno, sconcertato. Si
aspettava di trovarsi ancora nella sua cabina sul mercantile, ed invece si
trovava al freddo, su una spiaggia desolata ed in parte coperta di neve. Vicino
a lui, i quarti posteriori ancora immersi nel mare, c’erano Pang
e Ping, privi di sensi.
Pong li svegliò a calci,
imprecando contro quel furfante di marinaio, che evidentemente li aveva
scaricati lontano dalla loro destinazione senza farsi troppi scrupoli.
Fortunatamente, il patrimonio che avevano preso in
prestito al gentile felino-non-felino di Cosmo Canyon
era ancora al sicuro, celato nella tasca nascosta nell’interno della biancheria
intima di Ping. Continuando ad inveire contro la mala
sorte, i tre si avviarono lungo la spiaggia, sperando di trovare qualche
traccia di civiltà. Fortunatamente, dopo sole due ore di cammino (e due ore al
gelo con i vestiti bagnati possono risultare oltremodo
sfiancanti), i tre si imbatterono in uno strano oggetto. Aveva l’aria di una
piccola imbarcazione, ma al posto delle vele in cima all’albero maestro c’era
una specie di elica. Accanto ad essa
c’era un ometto dall’aria indaffarata, i cui baffi all’insù ed i capelli
raccolti in una lunga coda nera denotavano un’attenzione per il suo aspetto ben
superiore a quella ostentata in quel momento.
“Ehilà, buonuomo!” chiamò Pong,
agitando una mano, felice di aver incontrato qualcuno che, a quanto pareva, non
aveva cattive intenzioni. L’ometto drizzò il capo paffuto e li guardò con
curiosità.
“Buongiorno, signori,” li salutò,
ancora sospettoso. “Posso sapere cosa ci fate qui nel desolato Continente
Settentrionale?”
Senza badare ai commenti sconsolati dei suoi colleghi, il
caposquadra fece un inchino solenne. “Mi permetta di presentarmi. Sono Omuri-san, inviato commerciale dell’impresa Wutai&Co., e questi sono i
miei associati, Imuri-san e Amuri-san.
Sarebbe così gentile da indicarci la strada per Junon?”
L’altro aggrottò le sopracciglia e per un attimo a Pong sembrò che stesse ragionando ad una velocità
supersonica, tramando qualcosa contro di loro. Però
dovette essere solo un’impressione, perché subito dopo sorrise cordiale. “Io
invece mi chiamo Ambrogio Vilàs degli Eustàchei,” si presentò tendendo
la mano, “umile archeologo di Mideel. Proprio ora stavo dando un’altra occhiata alla mia ultima,
sensazionale scoperta.”
Pong guardò il trabiccolo accanto
a loro. “Interessante… Ma, ci perdoni, siamo un po’ di fretta, quindi se non
può indicarci la strada per Junon, noi continueremmo il
nostro cammino.”
L’Eustàcheo scosse vigorosamente
le mani e la testa. “No nonono, posso offrirvi molto di più! Dovete sapere che
questo gioiello emerso dai secoli passati è un’autentica nave volante dei Cetra! Pensate, pur sembrando niente
più che un trabiccolo assemblato a caso a partire da imprecisati residui
metallici[1],
questa meraviglia della tecnica è in grado di trasportarvi in qualsiasi luogo
del mondo, con pochissime manovre essenziali!”
Il capo dei samurai guardò di nuovo l’oggetto volante che
ancora non volava e questa volta gli parve di scorgere un senso nell’ammasso
apparentemente caotico di paratie, valvole, griglie e piastre che ne
costituivano la fiancata: un senso che sapeva di antico
e di geniale. Guardò con rinnovato rispetto l’archeologo.
“Mi rendo conto che il suo lavoro dev’essere
molto appassionante, Vilàs-san, e starei qui ancora
per ore ad ascoltarla parlare, se solo non avessi una missione urgente che mi
aspetta a Junon. Quindi, se non le
dispiace…”
Fece per passargli davanti, ma in quel momento Ambrogio Vilàs gli si accostò, scuotendo il capo sconsolato. “Ahimè,
le sue parole sono sagge, signor Omuri-san, ma
purtroppo la vita di noi archeologi di Mideel è assai
difficile… al punto che a volte dobbiamo separarci da ciò che abbiamo di più
caro al mondo…”
Pong non si rese conto che
l’ometto, alto pressappoco quanto lui, stava meramente fingendo di piangere e
gli posò una mano sulla spalla, comprensivo. “Su, non faccia così…”
“Pensi che per mettere da mangiare nei piatti dei miei
dodici figli sarò costretto a vendere questa cetramobile
così preziosa… E dire che voi, che mi sembrate brave
persone, ne avreste proprio bisogno, visto che per raggiungere Junon dovrete attraversare il mare…”
Il samurai strinse i denti; si era dimenticato di quel
piccolo particolare. Vedendo le spalle dell’architetto pluriproletario
che sobbalzavano e la ‘cetramobile’ che giaceva
tirata in secco, invitante, gli venne all’improvviso un’idea. Sperando di non
doversene pentire come quella volta con il pescatore, fece cenno ai suoi due
colleghi di avvicinarsi. “Senta, buonuomo,” disse poi,
“sono disposto ad acquistargliela io, questa cetramobile,
se vuole.”
Gli occhi di Ambrogio brillarono di
speranza. “Dice sul serio?”
“Certo, in fondo l’ha detto lei che dovrebbe venderla comunque per mantenere i suoi figli… Che prezzo mi farebbe?”
“Beh, considerato che c’è anche un
profondo valore affettivo…” valutò l’altro, all’improvviso molto più attento
agli affari che alla famiglia, “direi cinquecentomila gil.”
Dopo aver sborsato settecentomila gil (duecentomila per pagare la scuola ai ragazzi) e dopo
che si fu fatto spiegare a grandi linee come funzionava l’attrezzo, Pong si sedette alla postazione da pilota e fece salire gli
altri due samurai. “Arrivederci,” salutò
Ambrogio. “E mi saluti anche la sua famiglia!”
L’altro stava contando affannosamente i gil
e gli rispose con un saluto affrettato, saltellando poi con aria felice verso il
vicino bosco. Con un ultimo sospiro e una silenziosa preghiera a Leviathan, Pong mise in moto e tirò verso di sé la cloche, che
somigliava in modo inquietante alla testa di una mazza da golf. La cetramobile si sollevò dal suolo scoppiettando ed emettendo
un denso fumo nero, cosa che i tre presero come un buon auspicio, e si inerpicò a fatica verso il cielo terso.
Pong cominciò a rendersi conto di
aver preso l’ennesima cantonata quando il mezzo li fece atterrare nel mezzo di
un’isola desertica per poi rifiutarsi di ripartire, lasciandoli così alla mercé
di un’agguerrita tribù di kyactus. Malgrado
i tentativi di comunicare da parte di Pong, i
vegetali decisero che sarebbero stati un’ottima alternativa alla solita dieta
di acqua e sali minerali, sicché li presero, li legarono e li misero a cuocere
in un pentolone. La base del recipiente aveva già cominciato a diventare
bollente quando una di quelle creature, la principessa, a giudicare dal
gonnellino di foglie ornato di conchiglie che indossava, ordinò che venissero liberati. Dal momento che parlava
un po’ della lingua comune agli altri popoli, i tre Wutai
compresero che la kyactessa si era invaghita di Ping e che avrebbe fatto aggiustare la cetramobile
e li avrebbe fatti andare via sani e salvi in cambio di una notte di passione
con il suo amore. Nonostante le vive proteste
dell’interessato, Pong e Pang
accettarono prontamente l’offerta.
Il mattino dopo la cetramobile era
nuovamente funzionante e Ping era pronto a partire
con i colleghi, sebbene avesse il volto pallido e non fosse
chiacchierone come al solito. La principessa, invece, sembrava soddisfatta.
Dopo due soli giorni passati sull’isola dei kyactus i tre la lasciarono e puntarono verso nord. O
almeno, così credevano.
Nel giro delle successive giornate di viaggio si ritrovarono
a sorvolare una città dai tetti a spiovente accanto ad una montagna la cui parete era stata incisa, località che a loro parve
stranamente familiare, furono sfiorati da un missile lanciato da una sorta di
trampolino nei pressi di una cittadina immersa nel verde e sorvolarono una
baita nei pressi di un immenso cratere situato tra i ghiacci, attorno al quale
si potevano notare una gran quantità di turisti e scalatori.
Infine la cetramobile li abbandonò
in mare, di fronte ad una grande città costruita in
parte sopra ed in parte dietro un immensa muraglia metallica che rinforzava la
scogliera attorno alla quale si era sviluppata. Senza versare molte lacrime sui
resti della ‘Godo Kisaragi’ (così avevano battezzato
il velivolo durante la loro breve sodalizio), i tre
samurai raggiunsero a nuoto il piccolo villaggio costruito all’ombra della
struttura più grande. Tre ore più tardi. A trovarli, mezzi morti sulla
spiaggia, fu un vecchietto, venuto da quelle parti a cercare qualche tesoro portato
dal mare.
“Che mi prenda un accidente,” disse
a se stesso, stupito, “ma da dove arrivano questi tizi, vestiti in modo così
assurdo??” Si avvicinò ad uno di loro, quello più piccolo, e lo scosse con la
punta di un piede. “Ehi, lei, è vivo?”
L’individuo ebbe un brivido e sollevò il capo,
un’espressione mortalmente stanca sul volto. “Ju… Junon…” biascicò. “Questa… è la strada… giusta… per… Junon?”
“Se è la strada giusta?” chiese il
vecchio, ridendo di gusto. “Giovanotto, tu SEI a Junon!”
Pong rimase immobile qualche
secondo, non credendo alle proprie orecchie. Diede
un’occhiata attorno a sé e notò che entrambi i suoi compagni erano
sopravvissuti a quel viaggio infernale e, nonostante tutto, rivolse una
preghiera wutai di ringraziamento a Leviathan prima
di svenire, sfinito ma felice.
[1]Omaggio
ai proprietari dell’Opéra Populaire nel film musical
di JoelSchumacher “Il
Fantasma dell’Opera”.
Il chocobo imbizzarrito kuettì in preda al panico mentre Yuffie, seminuda, lo
inseguiva brandendo il proprio shuriken.
“VIENI QUI, DANNATO PENNUTO!!”
Intanto dal fienile abbandonato uscì anche Vincent, privo solamente della sua giacca, con la maglietta
della ragazza che volteggiava alta sopra la sua testa. “Copriti, Yuffie!!”
“NON PRIMA DI AVERLO SPENNATO E COTTO AL VAPORE!!”
Il chocobo, intuendo la gravità
della sua situazione, gridò un ‘Kué!’
di scusa e prese a correre più velocemente verso la vicina foresta. Dopo
qualche altro centinaio di metri Yuffie, che nella foga non aveva badato a
tenere sotto controllo la respirazione, si fermò ansimando. Vincent
la raggiunse e le posò la maglietta sulle spalle. Al contrario
di lei, lui non aveva nessun problema respiratorio.
“Che diamine ti è preso??” le
chiese il pistolero guardandosi attorno per capire se qualcuno si era accorto
di loro. Per loro fortuna, sembrava che nessuno vivesse in quella zona da anni,
a giudicare dallo stato del fienile dove erano precipitati e dei pochi casolari
in rovina attorno ad esso.
“Cosa mi è preso?” ripeté Yuffie
dopo aver ripreso fiato. “Dannazione, Vincent, stavo per perdere la verginità con l’unico uomo che abbia
mai amato in tutta la mia vita, un dannato chocobo ci
interrompe sul più bello e hai ancora dei dubbi su cosa mi sia preso??”
L’uomo non aveva mai visto la ragazza in quello stato: si
stava infilando la maglietta in fretta e furia, lo shuriken
infisso con rabbia per terra, e nel frattempo aveva fatto il suo discorso, con
il risultato che metà di esso fu inintelligibile. Tuttavia,
dal tono, lui riuscì a capire che non si trattava di parole particolarmente
dolci o femminili, soprattutto rivolte alla razza dei chocobo.
C’era però una cosa che a Vincent
non sfuggì e che fece nascere in lui un sentimento di tenerezza che non si
aspettava di provare dopo tanta frenesia. Mentre lei
ancora bisbigliava imprecazioni in Wutai contro il chocobo, lui la prese per un braccio e la fece voltare
verso di lui. Chiuse le sue labbra con un bacio appassionato, che ebbe
l’effetto di farla rilassare completamente fra le sue braccia. Quando si staccarono sembrava che alla Ninja
fosse andato per traverso un tubero, tanto era rossa in volto. Vincent la fissò negli occhi ed accennò un sorriso. “E tu pensi che un semplice chocobo
possa fermarmi, mi possa impedire di amarti?” le disse e la baciò di nuovo, con
una passione mitigata dalla tenerezza, dalla semplice gioia di stare insieme.
La prese in braccio e lei non oppose resistenza: credeva di
stare sognando.
L’improvvisata del chocobodev’essere stata solo un
brutto sogno, ecco che la realtà ricomincia da dove l’avevamo lasciata…
La mente obnubilata dalla voluttà, la ragazza si premette
contro il poderoso petto dell’ex Turk, sentendo
premuti contro la mano ed il fianco i suoi invincibili
muscoli.
Olleviathan, Vincent, quanto
sei… quanto sei… BONO!![1]
Vincent non disse nulla,
imperturbabile, finché non raggiunsero il fienile ed il giaciglio di erba gishal che aveva già
assunto le loro forme. L’uomo vi adagiò la ragazza con dolcezza. “Dov’eravamo rimasti?” chiese con voce roca.
“Mmhh…” rispose Yuffie tremante.
Ancora non le sembrava vero che quella del chocobo fosse solo un’interruzione momentanea ma, in
tutta franchezza, non le importava più nulla di quei pennuti gialli.
Solo quando Vincent aveva già
cominciato a scenderle con i suoi baci lungo il collo
le venne in mente una cosa importantissima.
“Aspetta!” lo fermò. Promettendo spiegazioni allo sguardo
stupito di lui, la Ninja di Wutai
si alzò dal fieno, si spazzò sommariamente i pochi abiti e si avvicinò alle
porte dell’edificio. Con uno sguardo di sfida chiuse i battenti e vi incastrò in mezzo il suo shuriken,
in modo che fosse possibile aprire quell’entrata solo
dall’interno. Annuendo soddisfatta al proprio lavoro, la ragazza si voltò,
sorrise, e si avvicinò a Vincent.
Nella grande grotta sacra di Da-Chao, Godo Kisaragi stava
traendo gli auspici alla luce di poche torce ed al profumo di antichi incensi,
come solevano fare i suoi antenati alla vigilia delle battaglie più importanti.
“O grande Da-Chao,” cominciò ad implorare ad occhi chiusi, tendendo in alto
le mani, “araldo degli Dei! Mostrami, ti prego, il
fato di mia figlia, la mia legittima erede!”
Con un rombo la statua minore di Da-Chao,
di fronte alla quale stava pregando, si infranse
all’altezza del collo. Quando il brevissimo terremoto finì
la testa della statua si era inclinata in basso e sembrava guardare in modo
arcigno una delle tante fotografie che adornavano l’altare: quella che
rappresentava Godo e la sua compianta moglie il giorno delle nozze. La notte
successiva al quale fu concepita Yuffie.
Quando il batticuore per il misterioso avvenimento fu
passato, l’Imperatore osservò la scena interdetto.
“Sarà un segno?” mormorò fra sé fissando il modo con cui la statua fissava
insistentemente la fotografia. Dopo un attimo però scrollò le spalle,
attribuendo quell’evento portentoso ad una mera
casualità, e ricominciò ad interrogare l’oracolo. Continuò così per quindici
ore, durante le quali non accadde più assolutamente nulla.
Pong sollevò il capo, ansimando.
Da quando avevano lasciato Junon a mani vuote, quella
era la prima volta che i tre samurai si fermavano. In mancanza di ulteriori indizi sulla sorte della loro Principessa
avevano deciso di tornare a Edge e ricominciare da
capo le indagini, sebbene fossero ormai di gran lunga al di là del concetto
stesso di stanchezza.
Pang si fermò a sua volta,
osservando il capo che scrutava pensieroso il cielo. “C’è qualche problema?”
L’altro non rispose, ma continuò a scrutare uno stormo di uccelli che stava volando in modo curioso. Era strano, ma
ebbe la netta impressione che stessero scrivendo
qualcosa contro l’azzurro del cielo: una Y, seguita dal disegno di un cuore,
per finire con una V. Chissà cosa significava, secondo l’antico sistema di ornitomanzia della sua tribù. Ad ogni modo, quella era
un’interrogazione futile, dal momento che nessuno ricordava più quell’antica tradizione.
QuandoPang
ripeté la domanda, Pong si limitò a scuotere la
testa. “Niente, ho solo avuto un presentimento. Sento che questa volta non
sbaglieremo.”
Rinfrancato dalle sue stesse parole, il capo samurai
raddrizzò le spalle e continuò a testa alta verso Edge,
seguito da un dubbioso Pang e da uno stremato Ping, che in virtù della stazza era stato democraticamente designato
come portatore del bagaglio dei tre. Forse c’entrava anche il fatto che fosse
l’unico dei tre ad essere stato con una donna negli ultimi due mesi, sebbene la
suddetta donna fosse una kyactus e la loro notte
d’amore fosse consistita in una specie di ‘lancio di coltelli-aghi’
che avevano il samurai come bersaglio, ma di questo
nessuno potrebbe essere certo.
Tifa sollevò il capo, allarmata. “Che c’è?” le chiese Cloud,
baciandole con ardore il collo. Lei lo ignorò e drizzò le orecchie. Le era
parso di sentire la voce di Yuffie proveniente dal piano di sotto, dal bar
chiuso. Sembrava aver detto qualcosa come ‘Ce l’ho
fatta, Tifa!’ o qualcosa del genere. Ma si era
trattato solo di un attimo.
“C’è qualcosa che non va?” ripeté il biondo, stavolta allarmato. La donna scosse la testa, sorridendo. “No,
tesoro, dev’essere stata solo una mia impressione.”
Cloud rispose al sorriso e
ricominciò a fare ciò che stava facendo.
“Sei deconcentrato, capo,” lo
rimproverò CaitSith,
sconfiggendolo ancora una volta a battaglia aeronavale. Reeve
guardò il gatto, stupito, poi riportò gli occhi sullo schema tridimensionale,
in cui le aeronavi con l’insegna del felino artificiale (una zampa di gatto
rossa su sfondo nero) avevano appena affondato la sua
ultima nave.
“Hai ragione,” ammise, “devo essere
un po’ distratto ultimamente.”
“Non è chestarai
pensando a Yuffie Kisaragi, quella Ninja, vero?”
L’uomo lo guardò con genuino stupore. “Ma
che stai dicendo?”
“Guarda tu stesso!” lo rimbrottò CaitSith, accennando allo schema recante i punti in cui Reeveaveva lanciato i suoi
missili. Tutti, nessuno escluso, contribuivano a disegnare il contorno di una
Yuffie piuttosto bassa e grassoccia in viso[2] che
saltellava esultante.
“Accidenti, guarda che coincidenza,”
si limitò a rilevare Reeve. Il gatto lo guardò di
sottecchi. “Non è che mi stai nascondendo qualcosa?”
“Ma per chi mi hai preso?” chiese
l’uomo con aria scandalizzata. “Ti ricordo che sto per sposarmi con Chole e che lei stessa verrà qualche giorno qui da noi,
quando avrà rintracciato i chocobo che sono scappati
dal suo ranch. Ti sembra che io mi debba mettere a fare pensieri su un’altra
ragazza?”
“Ammetto di essermi sbagliato,”
disse CaitSith scrollando
le spalle. “Ad ogni modo, dov’è che si sono recati i chocobo
fuggiaschi, secondo i rilevamenti della squadra di Chole?”
Reeve ci pensò su un attimo. “In una vecchia zona dedicata all’allevamento, con tanto di casolari
e fienili, credo, non lontano da Edge. Perché me lo chiedi?”
“Semplice curiosità. Vuoi la rivincita?”
Era stato fantastico.
Non c’erano altre parole per descriverlo. Se
non meraviglioso, incredibile, celestiale, superbo, estatico e bellissimo.
Oltre a indescrivibile, ovviamente. Anche
un pochino doloroso, ma tutto sommato molto meno di quella volta in cui aveva
fatto bungeejumping dalla
mano di Da-Chao con l’elastico troppo lungo.
Ansimando, accarezzò le spalle nude di Vincent,
ancora chino su di lei. L’erba gishal, rinsecchita e
spezzettata dai loro continui movimenti, li ricopriva quasi interamente,
donando all’ambiente il suo tipico odore pungente; non era la situazione più
romantica del mondo, ma per Yuffie era sufficiente.
In quel momento, anche se fosse comparso suo padre sulla
soglia non si sarebbe scomposta minimamente. Beh,
forse un po’ sì, ma gli avrebbe semplicemente detto di ripassare più tardi.
Niente e nessuno doveva rovinare quel momento.
L’ex Turk si sollevò leggermente,
sprofondando nel fieno fin quasi ai gomiti. Dalla punta del suo naso penzolava
un filo di erba gishal, che
le solleticava una guancia. Contemporaneamente la spostarono con un soffio, che
però finì per infastidire entrambi. Ciononostante risero, teneramente. Nessuno
dei due si era mai sentito così bene fra le braccia di un’altra persona.
Nemmeno nei sessant’anni di vita del più vecchio dei due.
“Vincent…” sussurrò lei,
accarezzandogli una guancia sudata con la mano. “Ti amo.”
“Anch’io ti amo, Yuffie,” rispose
lui, prima di donarle un altro bacio dolce e salato sulle labbra.
[1] Nella finzione letteraria
di questa fanfiction, quest’espressione,
tipica del dialetto di NorthCorel,
è ormai diffusa in tutto il mondo con il significato di ‘ben sodo, ben tornito’. In origine era un giudizio di valore utilizzato
dai minatori di Corel, che solevano gridare in questo
modo quando tastavano con un morso un pezzo di carbone dalla consistenza
ideale.
[2] In altri tempi ed in altri
luoghi si sarebbe detto ‘deformed’.
Capitolo 17 *** La quiete prima della tempesta ***
LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA
LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA
Il pericolo corre sul filo di una piuma.
Di chocobo.
I giorni successivi lasciarono un ricordo indelebile nella
memoria della giovane Ninja: era stata con un uomo
per la prima volta nella sua vita, e secondo le usanze di Wutai
ora poteva considerarsi una donna a tutti gli effetti. Non che le fosse mai
importato particolarmente delle usanze della sua patria, ma per quel preciso
costume era disposta a fare un’eccezione. Ora che era adulta formalmente
adulta, inoltre, non avrebbe dovuto più sottostare
alle rigide imposizioni di suo padre, il che voleva dire che non doveva più
sposare il principe-molboro che lui avrebbe voluto
rifilarle. Restava il fatto che gli doveva comunque
assoluta obbedienza in quanto suo imperatore, e quindi Godo avrebbe potuto in
ogni caso costringerla a sposare il principe-molboro
se l’avesse voluto, ma Yuffie preferiva non soffermarsi su questo secondo
pensiero.
Per il momento, si diceva, voleva solamente saltellare
vivacemente assieme al suo Vincent e ai dolcissimi chocobo che la circondavano.
Questi ultimi la fissavano con un’espressione vagamente scettica (per quanto
potesse essere scettica l’espressione di un uccello) ma lei non ne capiva
veramente il motivo: non sapeva proprio perché avessero qualcosa contro di lei
e non si lasciassero cavalcare ‘a piuma’[1].
D’altronde la cosa non la interessava particolarmente, finché c’era il suo
adorato Vincent con lei.
Il problema era che quest’ultimo
faticava un po’ a starle dietro. Mentre lei saltellava
vivacemente per il pascolo, l’uomo non faceva altro che rincorrerla
ricordandole che avrebbero fatto meglio, ora che si erano riposati e chiariti,
a cercare di capire dove si trovassero e come raggiungere Edge
o il più vicino luogo abitato. Quando Yuffie rallentò fino a fermarsi Vincent le stava ripetendo per
l’ennesima volta la stessa proposta, ma lei gli fece notare che ormai era quasi
sera e che sarebbe stato di gran lunga meglio cominciare la loro ricerca alla
luce del sole. Lui la squadrò sospettoso.
“Yuffie, questa non è solo una
scusa, vero?”
“Una scusa?” ripeté la ragazza sorpresa. “E
per cosa?”
“… Lasciamo stare,” fece Vincent, sorridendole dolce e indicandole il fienile
diroccato. “Riposiamo ancora laggiù questa notte. Domattina vedremo il da
farsi.”
“Evviva!!” esultò la Ninja
gettandogli le braccia al collo. A dire a se stesso la verità, Vincent si aspettava una reazione del genere, e d’altronde
non se ne dispiaceva affatto.
La scusa di Yuffie circa il calar della sera funzionò a
meraviglia e i due replicarono gli avvenimenti del giorno
prima. Per la ragazza fu nuovamente un’esperienza estatica, sentiva che
non si sarebbe mai abituata. E poi Vincent
era così dolce e nel contempo così maschio che lei avrebbe voluto ricominciare
subito. Non capì bene il motivo che addusse l’uomo per rifiutare ma fece buon
viso a cattivo gioco, rannicchiandosi contro di lui e addormentandosi nel fieno
gishal.
“Sono tornata!!” annunciò allegra Shelke
non appena ebbe rimesso piede nella base della WRO. A causa del suo innegabile
sex-appeal, accentuato dall’abito che sottolineava il
suo seno procace, dall’aria leggermente trasandata dovuta al lungo viaggio e
dal lieve odore di alcool che le usciva dalla bocca, Reeve
dovette farsi strada a gomitate tra i vari operatori e soldati
dell’organizzazione, casualmente tutti maschi, che proprio in quel momento
transitavano lentamente nell’atrio del grande palazzo.
“Bene, Shelke,”
disse quando infine ebbe raggiunto la ragazza, che nel frattempo stava
chiacchierando amabilmente con un terzetto di giovanotti, mettendo in risalto
la sua già evidente intossicazione alcolica. “Ehm…” continuò Reeve gettando uno sguardo minaccioso ai tre, ed attese che
se ne fossero andati prima di continuare. “Possiamo
parlare in privato?”
Shelke annuì vigorosamente e prese
sottobraccio il presidente della WRO. “A presto
ragazzi!” gridò agli altri, agitando una mano in segno di saluto. “Vedo cosa
vuole questo bel figliuolo e poi facciamo quattro
chiacchiere di fronte ad un buon cognac!”
Reeve accelerò sentendo alcuni dei
commenti che i soldati rivolgevano a Shelke, ai quali
lei rispondeva con risatine poco presenti a se stessa, e ringraziò Leviathan
che Chole non fosse lì a
vederlo con quella specie di vamp svampita appesa ad un braccio.
“Finalmente siamo arrivati!” esclamò Chole
asciugandosi il sudore dalla fronte. Il chocobo
che stava cavalcando kuettì animatamente alle parole
della sua padrona. “Sei contento, Choco?” gli chiese dandogli delle affettuose pacche sul
collo.
In pochi sapevano dell’abitudine, da parte di quella strana
ragazza, di parlare con i chocobo. Ed
anche quei pochi sarebbero rimasti senza parole se lei avesse rivelato che
qualche chocobo le rispondeva.
“Certo!” rispose Choco, scuotendo
in alto e in basso la testa in segno di approvazione.
“Guarda quanti miei simili!”
“Lo vedo!” constatòChole ridendo. “Andiamo a dare
un’occhiata a quel vecchio fienile, dai!”
Kuettendo felice, il chocobo parlante sgambettò verso l’edificio abbandonato.
“Sei sicura che non abbiamo dimenticato niente?” chiese Vincent, chino sulla testa del chocobo
imbizzarrito. Quando Yuffie l’aveva attirato con un mazzetto di
erba gishal, il volatile sembrava propenso a
lasciarsi cavalcare, mostrando così una certa familiarità con gli umani. Una
volta che i due furono montati sulla sua schiena, però, il pennuto diede un
acuto kuettio e partì di gran carriera in una
direzione apparentemente casuale. Solo dopo molti minuti di estenuanti
tentativi di blandirlo l’ex Turk era riuscito a
ricondurlo alla ragione e ad indirizzarlo verso Edge.
Dopotutto, l’addestramento che aveva affrontato lo rendeva teoricamente in
grado di domare anche un bicorno. Teoricamente.
“Ohi ohi…” si lamentò Yuffie,
stretta contro la schiena di Vincent. La sua
familiare nausea, il mal d’aeronave che stava diventando sempre più mal di chocobo, le era tornata non appena
l’animale fu partito. E dire che durante il viaggio in
aeromoto era stata benissimo!
“Forse dipende dallo
stato d’animo…” azzardò l’uomo nella sua mente ma decise che non era una
questione molto rilevante. Quel che contava in quel
momento era riuscire a mantenere la direzione del chocobo
e sperare che la Ninja non accondiscendesse alle
pressanti ingiurie del suo stomaco.
“Lo prendo come un sì,” sussurrò Vincent, e le sue parole furono soffocate dall’urlo del
vento tutto attorno a lui, mentre il chocobokuettiva entusiasta per quella straordinaria sensazione di
velocità.
“Vin…”
mormorò Yuffie ad un certo punto, la bocca premuta contro la giacca rossa
dell’uomo. Rendendosi conto di non essere stata ascoltata,
ripeté più forte, scostando più che poteva la bocca dalla sua schiena. “Vin… Vincent…
Vincent, ferma, ferma, ferma!!”
Allarmato, l’uomo tirò i pennacchi
ai lati del becco del chocobo; questi scartò un po’,
infastidito dalla sensazione, ma in un attimo rallentò fino a fermarsi.
All’istante Yuffie scese e corse dietro un cespuglio, che prese a muoversi
ripetutamente. Dopo meno di un minuto, ne uscì una Yuffie pallida e sudata, con
una mano sulla fronte e una sullo stomaco.
“Non credo di sentirmi molto bene…” annunciò sottolineando l’ovvio. L’ex Turk,
comprendendo la ragione del malore della ragazza, annuì comprensivo.
“Se vuoi ci fermiamo un po’…”
La ragazza scosse la testa, movimento che, nello stato in
cui versava, le produsse un nuovo accesso di nausea. “Credo… di non aver più
nulla nello stomaco. Qualche minuto e tornerò come nuova. Solamente… ti
dispiace andare un po’ più piano…?”
Vincent rise. “D’accordo, cercherò
di convincere il nostro amico a rallentare la sua andatura.”
Dopo quelle parole diede delle affettuose carezze al
collo del chocobo, che kuettì
di piacere sbatacchiando le ali. “Sei d’accordo, Choco?”
Se l’animale avesse potuto comprendere la lingua umana avrebbe sicuramente sbalzato via Vincent
e l’avrebbe attaccato a suon di beccate, non sopportando né comprendendo
l’assurda motivazione che spingeva quei poco villosi primati a chiamare ‘Choco’ tutti gli esemplari di chocobo
su cui cercassero di vantare un qualche diritto. Fortunatamente per i due,
l’animale, essendosi sentito chiamato in causa, si limitò a scuotere
vigorosamente il capo in un cenno di assenso.
Yuffie, la quale aveva cominciato a riprendersi, guardò il
proprio fidanzato in modo strano. “Da quando sei così ridanciano, Vincent?”
Lui rispose al suo sguardo in modo
stupito, poi sollevò il capo verso il sole, ancora basso sull’orizzonte
e sorrise, malinconico. “Ho passato trent’anni della
mia vita in una bara, pensando ad una donna morta e dannandomi al suo ricordo.
Ora che il sole è tornato a splendere su di me, lascia che mi abbeveri alla sua
luce.”
La Ninja non aveva capito molto di
quelle parole, ma il modo in cui Vincent le aveva
dette risuonò incredibilmente dolce nelle sue
orecchie.
[1] Espressione ricalcata
dall’equivalente ‘a pelo’, la quale però si riferisce
a creature mitologiche rimaste vive nel folklore di Rocket
Town con il nome di ‘cavalli’.
“Si può sapere che ti prende?” chiese Cloud
quando, per l’ennesima volta quella notte, Tifa si
alzò dal letto e prese a camminare su e giù. “Ogni volta che mi addormento tu
ti alzi e cominci la tua marcia!”
La donna si fermò e lo guardò come se l’avesse visto in quel
momento per la prima volta. “Scusa, Cloud, è solo
che…”
“… che cosa?”
“… ho un brutto presentimento.”
Cloud sospirò e le fece cenno di
avvicinarsi al letto. “Si tratta ancora di quella cosa?” le chiese dolcemente,
mentre lei prendeva posto seduta accanto a lui. Tifa annuì, contrita. “Sì… Scusami, ma ho la netta
sensazione che stia per succedere.”
Il biondo fece spallucce, cominciando ad accarezzare una
mano della sua fidanzata. “E se anche succedesse? La
situazione è cambiata, non è detto che le cose si ripetano come in passato.”
Tifa avrebbe voluto sentirsi
rincuorata da quelle parole, ma non vi riuscì del tutto. “Hai ragione, però…
non riesco a stare tranquilla, ecco.”
Cloud sospirò di nuovo. “D’accordo,
Tifa, se potrà farti sentire meglio ci penserò io.”
“Davvero lo faresti?” gli chiese lei con gli occhi
illuminati da una gioia inattesa. L’uomo sorrise e le
accarezzò il volto. “Lo sai che per te farei qualsiasi cosa…”
Sciolta da quell’affermazione,
Tifa si concesse all’abbraccio innamorato del suo ragazzo ed al suo bacio
appassionato, lasciando da parte il timore che Yuffie avrebbe
potuto tornare presto.
“Guarda, Yuffie, finalmente siamo arrivati,”
disse Vincent fermando il chocobo
ed indicando la città in lontananza. Alle sue spalle, la Ninja
di Wutai si sollevò debolmente dalla schiena
dell’uomo e guardò. “Be…ne…” mormorò, per poi tornare
ad appoggiarsi alla giacca di Vincent, vinta dalla
nausea. L’ex Turk sospirò: sebbene fosse un po’
dispiaciuto che la loro ‘fuga insieme’, come l’aveva
denominata la ragazza, fosse quasi finita, era contento che finalmente
potessero tornare alla normalità, anche se sapeva che il termine ‘normalità’ non poteva essere applicato ad una vita
condivisa con Yuffie Kisaragi.
Spronando il chocobo, Vincent accelerò il passo verso la città, già animata
dell’attività del caldo primo pomeriggio. Avevano deciso di passare da lì prima
di recarsi alla sede della WRO, dove l’ex Turk
avrebbe fatto rapporto e la ragazza avrebbe fatto una solenne lavata di capo a Reeve per la missione a Junon.
Inoltre era volontà di entrambi fermarsi per un po’ di tempo in un luogo
familiare per rilassarsi: in questo modo, Vincent
avrebbe potuto togliersi quei fastidiosissimi abiti ormai laceri e sporchi e
Yuffie avrebbe potuto far visita alla sua amica Tifa
che, la ragazza ne era sicura, sarebbe stata sommamente felice di rivederla,
dopo tutti quei giorni in cui era stata via.
Il chocobo saltellò con la sua
caratteristica andatura verso gli edifici e le strade della città. Le persone
che i due viaggiatori incrociavano li scrutavano con occhiate curiose e
stupite, rafforzando l’impressione di Vincent di
essere completamente fuori posto con quegli abiti ed una Ninja
che sembrava completamente ubriaca stesa sulla schiena. Fortunatamente la casa
dell’uomo era poco distante dalla periferia di Edge, così lo spettacolo offerto ai passanti dovette essere
di scarsa durata. A fatica, l’uomo fece scendere la ragazza,
che si piegò poco distante. Subito Vincent le fu
accanto, pronto a sorreggerla nel caso di un attacco di nausea.
“S-sto bene…” disse Yuffie
aggrappandosi però al braccio che le era stato teso. Si sentiva veramente
meglio, ora che la terra aveva smesso di ballonzolare sotto di lei, tanto più
con il suo ex Turk personale che la sorreggeva.
“Vieni dentro, così potrai riprenderti un po’,” le propose quest’ultimo,
conducendola verso la porta della palazzina. La Ninja
di Wutai non oppose resistenza e si lasciò guidare,
troppo stordita dal malessere per esprimere un’opinione. L’aria fresca
dell’interno dell’edificio fu un toccasana per lei, che la respirò ad ampie boccate incurante del lieve odore di chiuso dovuto
all’assenza di abitanti. Intanto Vincent si levò la
sporchissima giacca con un sospiro di sollievo, cominciando a sbottonarsi la
fluente camicia, che da bianca che era aveva assunto un colore intermedio tra
il giallo chocobo e il verde erbagishal. Notando però la strana espressione di Yuffie
interruppe subito la sua attività, allarmato. “Cosa c’è? Stai ancora male?” chiese, facendo un passo verso
di lei, nella semioscurità della stanza. La ragazza però, la cui mente era in realtà attraversata da una miriade di pensieri che
fino a pochi giorni prima l’avrebbero fatta arrossire, scosse il capo ripetutamente.
“No, no, nient’affatto… Anzi, sto benissimo,” rispose con un sorriso. Vincent
sospirò di sollievo e rimase a guardarla. Stranamente, il volto
di lei stava cominciando a mostrare un’aria contrariata, cui l’uomo non
riusciva a dare una spiegazione. La sua domanda successiva fu però anticipata
dalle parole della ragazza.
“Certo che… starei ancora meglio, se solo… ti togliessi
anche la camicia…”
Cogliendo il sottinteso divertito della Ninja,
Vincent rispose con una risatina. Le passò accanto e
chiuse la porta d’ingresso all’appartamento, facendolo cadere in una
semioscurità ancora più fitta, ma caratterizzata da un’intimità che nessun
fienile avrebbe mai potuto avere. Senza perdere il sorriso dalle proprie
labbra, l’uomo cominciò a soddisfare la tacita richiesta di Yuffie.
Pong si fermò su un’altura,
ansimando profondamente. Dietro di lui, Ping e Pang erano pressoché esanimi, dopo un viaggio di oltre una
settimana da Junon, dopo essersi persi varie volte ed
essersi trovati in pericolo di vita alla mercé di un gruppo di
fuoriusciti tomberry. Finalmente, però, erano tornati
ad Edge, là dove la loro missione era iniziata.
“Capo…” boccheggiò Pang che gli
era arrancato alle spalle di soppiatto. Per tutta risposta Pong
sobbalzò fino quasi al punto da cadere lungo il pendio scosceso che si
stagliava di fronte a lui. Quando ebbe ripreso
l’equilibrio, però non ritenne il caso di arrabbiarsi con il suo sottoposto.
Forse, semplicemente non ne aveva la forza.
“Com’è che siamo tornati al punto di partenza?” chiese Pang, ignorando a causa della stanchezza l’incidente che il
suo capo aveva evitato per miracolo.
“Questa volta,” gli rispose Pong, con tutta la fierezza che gli permetteva il suo
disastrato stato, “sono certo che riusciremo a completare la missione. Me lo
sento nel karma…”
Pang preferì non fargli notare
che, alla loro partenza da Wutai, lui stesso aveva
sostenuto di sentire che quella missione sarebbe stata un gioco da ragazzi. Si
limitò invece ad annuire e a scendere dal pendio verso la città, seguito subito
dal suo capo e da Ping, che aveva cominciato a
delirare dalla fatica ed in quel momento stava parlando con l’Avatar Divino di Da-chao, che
solo lui vedeva.
Stasera finalmente faccio una bella sorpresa alla mia cara amica Tifa!
Chissà quanto è stata
in pena per me, in questi giorni… Ma non importa, le dirò che ora resterò con
lei per sempre!
E poi le devo
raccontare tutto quello che ho fatto nel frattempo con
Vincent… Arrossisco al solo pensiero! Anche se non ho seguito i suoi consigli, devo dirle che è
stato piacevole lo stesso, anche per lui dalla sua espressione.
Ma bando alle ciance, Yuffie! Finisci questa doccia e parti alla ricerca di TifaLockhart!
Canticchiando una canzoncina di Wutai,
Yuffie terminò la sua doccia ed uscì dal bagno di Vincent,
che si era addormentato a letto, incurante di lasciare impronte bagnate e
schizzi d’acqua ovunque. In meno di cinque minuti era asciutta e vestita, senza
che il suo ragazzo si fosse svegliato.
Per la strada quella sera non c’era molta gente, e Yuffie
approfittò della relativa calma della cittadina per ripassare il discorso che
avrebbe tenuto di lì a poco alla sua amica del cuore. Non fece però in tempo a
finirlo, perché ben presto il bar di Tifa si stagliò
di fronte a lei. Non dandoci troppo peso e pensando che avrebbe improvvisato,
Yuffie spalancò la porta, attirando su di sé l’attenzione di tutti i presenti.
“Eccomi tornata!!” gridò, rivolgendo un sorriso smagliante a
Tifa, che la stava fissando a bocca aperta da dietro al bancone. Doveva essere
veramente felice di vederla, perché non si accorse nemmeno di aver cominciato a
far traboccare il bicchiere che stava riempiendo. Anzi, Yuffie stessa rimase
stupita di vedere che la sua amica era così felice che piantò il suo cliente
senza dare spiegazioni e si ritirò nel retrobottega, piangendo e urlando di
gioia. Di fronte allo sbalordimento dei clienti del
bar, Yuffie non seppe fare altro che sorridere ancora, con una semplicità
disarmante.
“Avete visto come mi vuole bene, la mia amica?” chiese,
dopodiché si avviò tranquillamente al bancone, dove decise di aspettare finché
Tifa non si fosse calmata un po’ e avesse trovato le parole con cui festeggiare
il suo ritorno.
“E’ TORNATA!!” sbraitò Tifa al
telefono fra le lacrime, senza badare al fatto di poter essere udita dalla sala
principale del locale. D’altronde non sarebbe stato possibile, vista la musica
country a tutto volume che qualcuno aveva selezionato neljuke box mezz’ora prima.
“Chi? Ma di chi stai parlando?” chiese Cloud
all’altro capo della linea telefonica, allarmato.
“DI… DI… DI LEI!! specificò la
donna, riuscendo a malapena a respirare a causa del pianto smodato che le
tormentava il torace. Cloud fece una lunga pausa:
forse aveva cominciato a capire.
“Si tratta forse di Yuff…”
“SI’!!!
ORA NON POTREMO PIU’ FARCI LE COCCOLE TUTTO IL
POMERIGGIO!!”
Dall’altra parte del telefono Cloud
era interdetto, ma cercò comunque di calmare la
fidanzata. “Dai, Tifa… sono sicuro che non ti assillerà più come prima…”
“CAPIRAI!! NON E’ ENTRATA DA TE URLANDO ‘ECCOMI TORNATA’ E FISSANDOTI CON UN GHIGNO MALEFICO!”
“Dai, Tifa, non può essere grigia come la dipingi tu…”
“INFATTI E’ MOLTO PEGGIO!!”
“Ok, però puoi smettere di urlarmi
nell’orecchio?”
“… Sì, scusami…”
“Va bene. Senti, ora sono a Chocoville[1] per
una consegna, ma entro un’ora sono da te. Ci parlo io con Yuffie.”
“… Davvero?” Anche se ancora disperata, Tifa si sentiva più sollevata all’idea che qualcuno la aiutasse ad
affrontare la situazione.
“Certo, cosa ti ho detto stanotte?
Per te farei qualsiasi cosa…”
“Oh, Cloud…” Ora la barista si
sentiva decisamente meglio, e fu in grado addirittura
di sorridere.
“Allora resisti fino al mio arrivo, mi
raccomando. A presto.”
Tifa annuì anche se nessuno poteva
vederla e chiuse la comunicazione. Con un sospiro per darsi coraggio, si asciugò
gli occhi e si voltò per fronteggiare il ritorno di Yuffie.
[1] Cittadina immaginaria
situata nei dintorni della ChocoboFarm. Voci non confermate sostengono che in questo luogo
sia stato concesso ai chocobo il diritto di voto,
però il sindaco ed il suo vice, un chocobo molto
distinto, non confermano nulla.
“… E così è successo che siamo tornati ad Edge!” concluse finalmente, con un grande
sorriso, la Ninja. Nelle ultime tre ore, durante le
quali non aveva fatto altro che raccontare le peripezie sue
e di Vincent, le due donne erano praticamente rimaste
sole presso il bancone; gli altri clienti badavano bene a rimanere nei tavoli
più lontani per non rimanere storditi dalla voce squillante e priva di argini
della Ninja. Quest’ultima,
dal canto suo, era così presa dal proprio racconto che non se
n’era nemmeno accorta. “Allora, ti sono piaciute le mie avventure, Tifa-chan?”
La barista, che aveva recuperato uno sgabello da portare
dietro il bancone subito dopo il loro commosso abbraccio, sollevò la testa
dalle braccia, dove era rimasta abbandonata già da parecchi minuti.
“Sì, carinissime… hic…”
La ragazza la guardò stralunata. “Ma
sei ubriaca??”
“Un pochino…”
“Ma… ma…” Yuffie sembrava fosse sul punto di piangere
quando, invece, balzò sul bancone, scivolò ed atterrò
accanto a Tifa, che si ritrasse terrorizzata. “Ma
come?? Festeggi il mio ritorno senza condividere con me la tua gioia??”
Senza aspettare la risposta, la Ninja
afferrò il tubo di gomma che Tifa aveva precedentemente
fissato alla spina della birra, se lo ficcò in bocca ed aprì la valvola. Subito
la birra dorata di Kalm, la Kalmeer,
cominciò a scorrere, finché Yuffie non si sentì annegare e non ne fermò il
flusso.
“Aah, ora che mi sono rinfrescata la gola sì che sto
meglio!” esclamò la ragazza, rossa in volto e con una striscia di birra che le
colava dall’angolo della bocca. “Avanti, Tifa-chan,
ora raccontami tu tutto quello che hai fatto in mia assenza!”
Tifa la fissò negli occhi, non
ancora del tutto conscia né dei gesti di Yuffie né della sua domanda: era così
contenta che l’alcol ingurgitato durante la narrazione le ottundesse i sensi e
le facesse sembrare tutto così lento ed ovattato che, quando comprese ciò che
l’amica le aveva chiesto, si sentì precipitare in un inferno di vergogna.
Fortunatamente il rossore provocato dall’alcol mascherava quello provocato
dall’imbarazzo, e l’euforia di Yuffie le aveva impedito di notare le lacrime
che avevano ricominciato a scorrere dai suoi occhi: in quel momento Tifa voleva
solamente che Cloud fosse lì con lei e la sollevasse
dal penoso compito di dover relazionare la sua amica
sull’esplosione della propria vita sessuale avvenuta in sua assenza.
Ma sapeva bene che Cloud non
sarebbe arrivato in tempo: non bastavano certo tre ore
per raggiungere Edge da Chocoville.
Cercando di trattenere le lacrime, tornò a guardare negli occhi una Yuffie
sempre più impaziente, deglutì e si preparò a raccontare la più grande quantità di fandonie che avesse mai raccontato, nella
speranza che la sua cara amica un po’ troppo invadente si ubriacasse prima di
accorgersi dell’inganno.
Cloud arrivò a notte inoltrata. Il
sindaco di Chocoville non voleva lasciarlo andar via,
anzi, voleva indire un giorno di festeggiamento apposta per lui, e solo perché
gli aveva portato un pacco di erba gishal
di prima qualità. Come se non bastasse, aveva trovato il vice-sindaco, un chocobo dallo splendido piumaggio dorato, che cercava di
accoppiarsi con la sua motocicletta: c’era voluta quasi un’ora per convincerlo che
il sellino, per quanto morbido, non aveva alcun valore per lui, ed un’altra
mezzora per togliere tutte quelle piume dal tubo di scappamento…
Edge, a quell’ora
di notte, sembrava una città fantasma: per quanto si sforzasse, il biondo non
riusciva a vedere nessuno per le strade. Nemmeno di fronte al locale di Tifa c’era nessuno, anche se di solito vi sostavano numerosi
ubriaconi. Eppure le finestre erano illuminate, segno che la donna era comunque al lavoro. L’atmosfera però aveva un che di inquietante, ed a Cloud questo
non piaceva. Parcheggiò la motocicletta ad una certa distanza dal locale e
allentò la spada nel fodero: voleva essere pronto a tutto. Ma non era pronto
alla saetta umana che gli piombò addosso una volta
aperta la porta del bar.
Di norma avrebbe reagito prontamente, tagliando in due a
mezz’aria il suo aggressore, se non si fosse trattato
di un esperto nel combattimento corpo a corpo, se non avesse avuto un seno
inconfondibile e se non l’avesse stordito con una zaffata di birra nel naso.
“Ti-Tifa??” riuscì appena a chiedere il ragazzo, che cercava
con tutta la sua esperienza di restare in piedi nonostante il brusco movimento.
La donna gli urlò di gioia nelle orecchie, rendendolo
completamente sordo dalla parte destra: in cuor suo, Cloud
sperava che il danno non fosse permanente, ma d’altronde era felice che Tifa non fosse in pericolo. In realtà era lui ad essere in
pericolo.
In preda ai fumi dell’alcol, la donna aveva dimenticato di
dosare la propria forza, e gli stava stringendo le braccia attorno al collo
senza risparmiarsi. Se in un’altra occasione Cloud sarebbe stato contento di morire soffocato
dall’abbraccio della sua ragazza, in quel momento cercò di scollarsela di
dosso, paonazzo. Non appena ci fu riuscito, però, il fiato gli fu tolto
nuovamente da un bacio appassionato che ebbe l’effetto di costringerlo ad
appoggiarsi al muro.
“Th…fh…!”
bofonchiò disperato. Finalmente, la donna sembrò capire che stava per uccidere
il proprio fidanzato e si scostò da lui, in modo da permettergli di riprendere
fiato.
“Sono tanto felice di vederti!!” gli urlò contro, il volto
arrossato dall’alcol disteso in un sorriso smagliante. Cloud
boccheggiò ancora un po’ alla ricerca di ossigeno
prima di riuscire a rispondere. “Sì… anch’io sono felice… ma che ti è successo?
Quando ci siamo sentiti eri disperata, ed ora…”
“Cloudduccio, se solo sapessi!”
fece la donna, prendendolo per mano e trascinandolo verso il bancone. Il biondo
stava ancora riprendendosi dalla storpiatura terribile del suo nome quando vide
Yuffie sdraiata a faccia in giù sul mobile, braccia e gambe penzoloni da
entrambi i lati ed un tubo di gomma che le usciva dalla bocca e dal quale
colavano rivoli di birra sul pavimento.
“A… Amic… Aauuh…”
cercò di dire la Ninja, sollevando a stento un
braccio verso il giovane, ma dopo un paio di tentativi andati a vuoto desistette.
Cloud guardò ripetutamente lei e la propria ragazza,
ma dal momento che la prima sembrava aver perso i sensi e la seconda continuava
a fissarlo con un sorriso inebetito sul volto, si decise a chiedere lumi.
“Tesoro,” cominciò a bassa voce, in modo da non
attrarre l’attenzione della Ninja, “si può sapere
cosa diavolo è successo?” La sua pazienza stava mostrando i primi segni di
cedimento.
Trattenendo una risata, Tifa lo
prese per mano e lo allontanò dal bancone, verso uno dei tavoli deserti. “Siamo
ubriache,” spiegò semplicemente.
“Grazie, non l’avevo notato…”
“Prego!”
“Ma per quale motivo vi siete
ubriacate, quando tu eri disperata solo poche ore fa proprio a causa di quella
ragazza? Di solito reggi bene l’acol! Ed è sempre pieno di clienti qua dentro, anche a quest’ora, come mai non c’è nessuno?”
“Ehi… una domanda alla volt… hic… volta…
Allora… Non c’è più nessuno perché… hic… non ero più in grado di servire i clienti. Ci pensi…?”
Tifa stava per scoppiare nuovamente in un parossismo di
risa, per cuiCloud decise
di agire tempestivamente. “Sì… ma dimmi, cos’è che ti ha resa così euforica?”
Per tutta risposta, la donna gli prese il volto fra le mani,
traendolo a sé e guardandolo con una luce maliziosa negli occhi lucidi. “Yuffie
e Vincent sono stati insieme, durante questo
viaggio…”
“Ah… bene,” disse Cloud, sforzandosi di non tirarsi indietro a causa
dell’odore di birra. “Sono contento per loro… ma cosa comporta?”
Tifa ridacchiò, gli scosse
bruscamente la testa stordendolo ed infine gli diede un rapido bacio sulle
labbra. “Comporta che vivranno insieme d’ora in poi… E sai questo… hic… cosa
comporta?”
All’improvviso lo sguardo annebbiato del guerriero si illuminò. “Vuoi dire che…”
“Esatto…”
Per la gioia di poter stare nuovamente e senza limiti
temporali insieme alla propria compagna, lui urlò e la abbracciò, sollevandola
da terra e facendole fare due rapidi volteggi in aria.
Dal bancone Yuffie sollevò il volto, come infastidita. “Ma che… fa… bah… mmhh…” All’improvviso tutto ciò che la circondava
le sembrò distante, allegro e conciliante, tanto che con un sorriso la Ninja si abbandonò al sonno, lì com’era, nonostante la
birra che continuava a scorrerle sulle labbra e lo stomaco che minacciava di
ribellarsi ad ogni momento.
Dopo che ebbero fatto l’amore, presi dalla foga del momento,
Cloud si rivestì in fretta mentre Tifa,
recatasi in bagno per una doccia, finì per vomitare copiosamente nella tazza.
Dovevano riportare la Ninja svenuta sul bancone da Vincent, in modo da poter passare il resto della notte ed il
giorno successivo in pace… sempre ammesso che lo stomaco di Tifa non avesse qualcos’altro da ridire.
“Allora io vado a portare Yuffie da Vincent,” gridò Cloud dall’esterno del
bagno. Un conato fu l’unica risposta che ottenne. Preoccupato, rimase in attesa ancora qualche minuto.
“Sei sicura di star bene?” chiese ad un certo punto,
allarmato dal prolungato silenzio.
“Sì, guarda, sto così bene che ballerei una chocopolka[1]
durante la battaglia con Sephiroth!” rispose Tifa rabbiosamente. Forse avrebbe voluto aggiungere
altro, ma un nuovo conato di vomito la costrinse al
silenzio. Subito dopo, continuò. “E porta quella
scriteriata via dal mio locale, prima di fare altre domande idiote!”
Colpito dall’insolita aggressività della sua ragazza, Cloud non rispose e scese le scale in fretta. Yuffie era
nella stessa posizione in cui l’avevano lasciata quando erano saliti, con la
differenza che il tubo di gomma era scivolato a terra e aveva smesso di
emettere birra e un sonoro russare proveniva dalla ragazza, tanto forte che il
giovane si stupì che potesse essere prodotto da una persona così minuta.
Sospirando, il ragazzo le diede una sommaria pulita sul
volto e sul collo, in modo che evitasse almeno di macchiargli di birra i
vestiti, e la prese in braccio. Avrebbe anche potuto notare l’aspetto
teneramente romantico di quella situazione se dalla gola della ragazza non
fosse uscito un tremendo rutto, cui seguì una zaffata disgustosa che per poco
non fece svenire anche lui. Soddisfatta, Yuffie si leccò le labbra e si accoccolò
tra le braccia di Cloud, utilizzando i suoi pettorali
come cuscino.
Rapidamente, il giovane uscì dal locale aprendo la porta con
un piede, senza curarsi di spegnere la luce. Solo allora si concesse di
riprendere fiato e dimenticare l’orrore di poco prima, ma subito la giovane Wutai emise una serie di piccoli rutti soddisfatti, mentre
si accoccolava maggiormente contro il suo petto.
Reprimendo il disgusto ed innalzando una preghiera
silenziosa a Leviathan affinché non gli vomitasse addosso, Cloud
salì sulla motocicletta e si sistemò la ragazza davanti, seduta all’amazzone
sulla parte anteriore del sellino ed abbandonata contro le sue braccia. Accese
il motore e diede gas, sperando di arrivare da Vincent
prima che fosse troppo tardi. Purtroppo per lui, non si
rese conto che, nello stato in cui versava, Yuffie non poteva minimamente
reggersi, così alla prima curva rischiò di scivolare giù dalla moto e rotolare
sull’asfalto.
Quando ripartirono, la ragazza era
saldamente legata ai tubi del motore dalla lunga corda che Cloud
portava sempre con sé durante le missioni.
“Aauuah…”
commentò inconsapevolmente l’esanime Ninja, mentre
sfrecciavano a tutta velocità lungo le strade deserte di Edge.
Nel giro di pochi minuti furono arrivati di fronte alla casa
di Vincent. Secondo quello che gli aveva
raccontato Tifa tra un ansito e l’altro, l’uomo doveva essersi fermato
lì, prima di recarsi da Reeve alla sede della WRO, e Cloud non poteva fare altro che sperare che le informazioni
fossero esatte.
Slegata la ragazza, la prese nuovamente in braccio e si
avvicinò a passo spedito alla porta d’ingresso della casa.
“Chi è?” mormorò sospettosa una voce, quando ebbe suonato il
campanello. “Sei tu, Yuffie?”
“No, sono Cloud… Yuffie te l’ho
riportata io, visto che si è ubriacata al bar di Tifa e non era
in grado di tornare a casa da sola…”
Si udì il rumore del chiavistello che girava e la porta si
aprì, rivelando l’ombrosa figura dell’ex Turk, ancora
coperta dal suo logoro mantello rosso e dalla tuta da combattimento che portava
solitamente. Persino l’artiglio dorato era al suo posto; era come se non si
fosse ancora cambiato nonostante il tempo trascorso dal suo arrivo in città.
Per un attimo Cloud si chiese se per caso non andasse
a dormire proprio così, con l’artiglio metallico e tutto il resto, poi scrollò
la testa, dicendosi che aveva questioni ben più importanti di cui occuparsi.
“Cloud,”
iniziò Vincent, artificiosamente freddo. “Posso
sapere come mai la tieni in braccio?”
“Eh? Ah sì! Yuffie è svenuta sul bancone di Tifa, ha bevuto
troppo, per questo l’ho dovuta accompagnare.”
“Ieeh…” iniziò la ragazza, ma
qualunque cosa volesse dire nel suo sonno offuscato
dall’alcol si spense in un lieve rutto. Per un significativo
momento i due uomini rimasero in silenzio, guardandola stupiti, l’uno perché
non l’aveva mai sentita ruttare così sonoramente, l’altro perché si stupiva che
avesse ancora aria nello stomaco.
“Ehm… prendila, Vincent,” fece Cloud dopo un attimo,
porgendo all’amico il leggero fardello. Questi meccanicamente prese Yuffie in
braccio, avendo cura di non ferirla con l’artiglio, e fece un passo indietro.
“Bene, almeno adesso
io e la mia moto non corriamo più pericoli,” pensò
Cloud, tirando un sospiro di sollievo.
“Cloud…” disse Vincent,
atono.
“S-sì?” rispose l’altro, credendo
per un attimo di aver parlato ad alta voce invece che tra sé e sé.
“Grazie.”
Il biondo lo guardò per un attimo stupito: doveva essere la
prima volta che lo sentiva ringraziare qualcuno senza un sottinteso ironico.
Eppure l’espressione di Vincent era senz’altro seria, senza nulla che facesse sospettare un
sottinteso.
Cloud si limitò a borbottare un ‘prego’ e ad augurare la
buonanotte, poi fece dietro-front e tornò alla sua moto. In meno di un minuto stava
già correndo verso il locale, sperando ardentemente che Tifa
si fosse ristabilita e fosse nuovamente calda come in precedenza. E soprattutto che si fosse lavata i denti.
Dal canto suo, Vincent chiuse la
porta con un piede e portò Yuffie in camera da letto.
La pose con delicatezza sul giaciglio matrimoniale che ormai avevano deciso di
condividere e la scrutò pensieroso, domandandosi come avesse fatto a ridursi in
quel modo. All’improvviso, senza motivo apparente, la ragazza
sorrise e voltò la testa verso di lui, sempre incosciente. In quel
momento Vincent non poté fare altro che constatare che, nonostante il volto congestionato e sudato,
il notevole odore di birra che emanava ed il sonoro russare che aveva
cominciato ad uscirle dalla gola, era la ragazza più bella e dolce che avesse
mai visto.
Dopo essersi concessi un paio d’ore di sonno in un vicolo
isolato, i tre valorosi membri dei servizi segreti di Wutai
ricominciarono la missione, suonando a tutti i campanelli della città alla
ricerca della loro principessa. Era da poco passata l’alba, e questo era forse
il motivo per cui la maggior parte delle volte gli
inquilini delle abitazioni che visitavano li accoglievano con schiaffi, pugni,
urla di panico o colpi d’arma da fuoco. Un altro possibile motivo era il loro
aspetto mostruoso, dopo oltre due settimane di vagabondaggi senza trovare il
tempo di cambiarsi d’abito, di rendersi presentabili o anche solo di lavarsi. Ma serviva molto più che la semplice ostilità del popolo per
fermare tre valorosi samurai dell’Imperatore.
O almeno questo era ciò che Pong sperava. In effetti, dopo il quinto
schiaffo che aveva reso il suo volto più brutto di quanto già non fosse a causa
delle sue disavventure, cominciava a dubitare che la loro ricerca avrebbe dato
qualche frutto. Tuttavia sapeva di non doversi
mostrare afflitto di fronte ai suoi uomini, che in tal caso avrebbero perso
ogni speranza e si sarebbero rassegnati a ripulire dalle incrostazioni di guano
la sommità della grande statua di Da-Chao per il
resto della loro vita. Ma ormai cominciava anche lui a
pensare che anche quella triste sorte fosse migliore che girovagare per tutto
il pianeta alla ricerca di una ragazzina ribelle che non voleva sposare l’uomo
che suo padre aveva scelto.
Ping volle fare una pausa, ma Pong sapeva bene che se si fossero fermati in quel momento
lo sconforto avrebbe avuto il sopravvento e non sarebbero stati in grado di
completare la missione. Ignorando le proteste dei suoi compagni di sventura, il
temerario ma sfortunato samurai si avvicinò all’ennesima porta, pronto a
ricevere un altro schiaffo. In un istante di scoramento, giurò sui propri
antenati che quella sarebbe stata l’ultima porta che avrebbero tentato,
dopodiché avrebbero accettato il loro triste destino
di spalatori di guano e netturbini delle fogne di Wutai.
Subito dopo ricordò a se stesso il giuramento solenne di ubbidienza
che aveva prestato anni prima all’Imperatore e si maledì in cuor suo per quell’attimo di debolezza: ma ormai il dado era tratto[2] e, se
avesse rotto il giuramento rivolto ai suoi antenati avrebbe gettato fango e
disonore sulla sua famiglia per decine di generazioni. ‘Meglio spalare guano’,
si disse, cercando di convincersi. Con un sospiro di rassegnazione ricacciò
indietro lo sconforto e si costrinse ad assumere un’aria dignitosa, mentre
leggeva il nome sull’ultimo campanello che avrebbe suonato.
“Valentine,” compitò. Attese che i
suoi due compagni si sistemassero alle sue spalle, nel
solito ordine ascendente di presentazione, prima di premere, con il cuore in
gola, il pulsante sotto l’etichetta con il nome.
Buona lettura!! E
venite a trovarci sul nostro forum http://darkpenn.devil.it/
!!
Come sempre grazie per
i commenti!!^__^
[1] Movimenti tipici, ritmati
e vorticosi, che i chocobo mettono in atto qualora venga loro fatta ascoltare della musica. Non è ancora chiaro
se si tratti di un’insieme di atti riflessi o di
azioni consapevoli, ma gli estimatori di questi animali sono concordi nel
ritenere questa ‘danza’ l’ennesima prova della loro
splendida intelligenza.
[2]Espressione
utilizzata da un antichissimo condottiero Cetra ed entrata ormai nell’uso
comune.
Al martellante crepitio del campanello Vincent
non poté fare a meno di svegliarsi. Sebbene fosse ormai quasi l’alba e lui avesse bisogno di poco sonno, era stanco morto. Probabilmente perché aveva vegliato tutta la notte su Yuffie,
scrutandone la bellezza addormentata. Ora però avrebbe dato qualsiasi
cosa per altri cinque minuti di sonno. La ragazza, dal canto suo, restava
bellamente assopita, incurante del fastidioso rumore che aveva invaso la casa.
Dal momento però che Vincent sapeva bene cosa si
provava ad essere svegliati bruscamente dopo una sbornia colossale (era stato
anche lui all’Accademia Turk), decise di sbrigarsi ad
aprire e a far smettere quel frastuono lancinante.
In un attimo ebbe indossato i calzoni aderenti ed il
cinturone della Cerberus e si lanciò
verso la porta. Quando la aprì, stentò a credere ai
propri occhi.
Di fronte a lui c’erano tre improbabili individui, che
indossavano i resti di ciò che sembrava un completo da spiaggia di Costa del
Sol, coperti di fango indurito fino ai capelli e con un’espressione
indecifrabile sui loro volti smunti ed affossati da profonde occhiaie. Ma
l’aspetto più incredibile di quel terzetto era l’aria
di dignità che, nonostante l’aspetto, mostravano con la loro postura bene
eretta e la loro disposizione ascendente. Se non stesse cadendo dal sonno Vincent avrebbe trovato la loro visita estremamente
buffa.
“Che c’è?” chiese bruscamente
invece di scoppiare a ridere loro in faccia. Credette
per un attimo di vedere il sollievo sul volto del più basso dei tre, ma non ci
diede molto peso: l’unica cosa che voleva era che quei tre se ne andassero in modo da poter tornare a dormire.
“Scusatemi, Signore onorevole,”
iniziò quello che doveva essere il capo, il nanetto,
inchinandosi rispettosamente. “Siamo venuti qui da voi
dalla lontana terra di Wutai per cercare la Somma
Principessa Yuffie di Wutai. Potrebbe dirci
cortesemente dove si trova?”
Un vago tono di supplica mista a rassegnazione traspariva da
quelle parole, ma Vincent si limitò a fissare a bocca
aperta i tre. Ora che ci pensava, sotto la coltre di sporcizia riuscì ad
intravedere le fattezze tipiche della gente di Wutai,
ed un cupo sospetto prese forma nel suo animo.
“Non so di chi lei stai parlando,”
ribatté evasivo, cercando di chiudere la porta in faccia all’altro. Se quelle erano le persone che lui credeva che fossero,
doveva sbarazzarsene al più presto possibile.
“Vi prego,” insistette il nanetto, supplicante, dopo aver messo un piede tra lo
stipite e la porta con un’abilità degna dei migliori venditori di enciclopedie.
“Se non ci date una mano con la nostra ricerca, noi
saremo costretti a…”
“Si può sapere chi rompe le scatole a quest’ora,
porca di una porca??” sbraitò Yuffie con la voce impastata dal sonno. Il sangue
di Vincent si ghiacciò per un istante. “Niente di importante, se ne stanno andando,” replicò subito,
forzando la spinta sulla porta. L’omino però non desistette, nonostante
l’espressione di dolore che si andava evidenziando sempre di più sul suo volto.
“Vi prego…”
All’improvviso quello di mezzo, che sembrava il più sveglio
dei tre, posò una mano sulla spalla del capo. “Io riconosco questa voce!”
“Si sbaglia!” ribatté prontamente Vincent,
assestando un brusco colpo alla porta ed ottenendo in cambio il rumore di ossa spezzate. Subito il piccoletto urlò come un
forsennato, mentre il suo collega che aveva parlato
gridò una parola, che aveva tutta l’aria di essere un ordine. “Ping!”
L’ex-Turk era appena riuscito a
serrare la soglia quando ebbe la strana sensazione che
la stanza si muovesse attorno a lui. Ci mise un po’ a capire che in realtà era
lui che stava volando a qualche metro di distanza, spinto da una forza
mostruosa.
Ora il vano della porta era occupato dal terzo degli
stranieri, un po’ più alto di Vincent ma decisamente più largo, mentre alle sue spalle il capo
saltellava su una gamba sola lanciando con tutta la voce che aveva improperi in
lingua wutai (che l’ex-Turk,
suo malgrado, conosceva bene).
Prontamente l’ex-Turk, con tutta
l’abilità maturata nella sua decennale esperienza, balzò in piedi ed estrasse
la Cerberus, puntandola contro gli invasori, ma
qualcosa di duro lo colpì alle spalle di sorpresa, facendolo stramazzare al
suolo. Imprecando contro la slealtà dei suoi avversari, che evidentemente erano semplicemente un’esca volta a distrarlo mentre i veri
inviati di Godo Kisaragi rapivano la giovane Ninja, cercò di divincolarsi per alzarsi in piedi, ma a
quanto pareva il suo aggressore si era praticamente seduto sulla sua schiena. E come se non bastasse, la Cerberus
gli era sfuggita di mano e si trovava ormai fuori portata.
“Vi pare il caso di fare tutto questo casino??” brontolò il
suddetto aggressore, e solo allora Vincent si rese
conto che non era affatto stato attaccato alle spalle, ma semplicemente
investito da una Yuffie ancora non molto lucida, che aveva sbagliato mira per
il proprio slancio.
“S-siete proprio voi, Altezza
Celeste…” mormorò il Wutai di
mezzo, incredulo, quindi si gettò in ginocchio, subito imitato dal
gigante e, con un po’ di difficoltà visto il piede frantumato, anche dal più
basso.
“Grazie a Da-Chao vi abbiamo
trovata,” mormorò quest’ultimo,
con le lacrime agli occhi. “Non dovremo spalare sterco di chocobo
dalle stalle di vostro padre…[1]”
“Avevamo ormai perso le speranze…” singhiozzò il Wutai di mezzo, sempre tenendo la fronte appoggiata al
pavimento.
“Aaaghuuu…” riuscì solamente a
dire il più voluminoso, che sembrava essere anche il più emotivo dei tre.
“Ehm…” commentò ‘l’Altezza Celeste’,
ancora appollaiata sopra il suo ospite, con candore, “e voi chi sareste?”
Il silenzio successivo a quelle parole sembrò durare
un’eternità, finché Vincent non riuscì a trovare la
prontezza di spirito per tornare a parlare. “Yuffie… potresti scendere?”
Con una risatina imbarazzata la ragazza si spostò e l’uomo
riuscì finalmente a rimettersi in piedi.
“Questi,” disse quest’ultimo,
indicando i tre individui semisdraiati in adorazione
al suolo, “suppongo siano degli inviati di tuo padre, mandati per cercarti…
giusto?”
Il nanetto annuì precipitosamente,
non osando sollevare il capo verso la figlia del suo padrone. In quel momento
la ragazza si batté il pugno destro nel palmo sinistro, colta da un’improvvisa
intuizione. “Ci sono! Sono quei tre tizi strani di cui mi aveva
parlato Tifa[2]!”
Vincent la guardò stralunato. “Cosa?”
“Ma sì! Me ne aveva
parlato Tifa-chan quando sono andata da lei, quella
volta che ti ho lasciato per morto dopo averti preso a padellate! Mi aveva
detto che c’erano tre individui che mi cercavano…”
“Vuoi dire,” la interruppe l’uomo,
incredulo, “che tu sapevi di essere inseguita e non mi hai detto niente??”
“Ehm… me ne sono dimenticata…” si giustificò lei,
distogliendo lo sguardo. “Sai com’è, la missione a Junon,
Shelke… a proposito, ma che fine ha fatto quella
tizia?”
“Non ne ho idea, ma non cambiare
argomento… E se invece di questi… signori, fossero venuti i temutissimi
Samurai della Morte di Wutai?? Come l’avremmo messa?”
“Scusate…” si intromise il capo
degli inviati di Wutai, deferente. “Noi SIAMO i
Samurai della Morte di Wutai…”
Nell’appartamento dominò un altro lungo periodo di silenzio, questa volta interrotto da Yuffie, che si
rivolse direttamente ai tre.
“Ad ogni modo, sono contenta che mi abbiate trovata, ma
potete dire a papino che non torno a casa. Sto bene
qui e non voglio sposare quel tizio.”
“Non potete, o Sublime Creatura!” sbottò il nano, balzando
in piedi, subito imitato dagli altri. “Se torneremo
senza di voi, il Celeste Imperatore ci farà raccontare tutta la storia della
famiglia Kisaragi a gesti!”
“Ed invece posso!” ribatté la
ragazza, poggiandosi i pugni sui fianchi. “E non intendo sposare SuzukiHonda[3]
nemmeno se mi comprasse tutti i materia del mondo!”
“Zuzzuchi Conta sarebbe l’uomo-molboro di cui mi avevi parlato?” le sussurrò Vincent, al che Yuffie annuì con decisione. “Già, dovresti
vedere quanto è brutto! E mio padre vorrebbe farmelo
sposare!”
“Ma… Vivente Splendore,” si
intromise il capo, frugando tra i lembi lerci della sua camicia, “vi state
sbagliando! Altrimenti non avrebbe ricevuto così tante
proposte di matrimonio da parte dei maggiori patriarchi di Wutai!”
Così dicendo estrasse una fotografia spiegazzata,
mostrandola ai due. Vincent, aspettandosi di vedere
una sorta di ibrido umano-vegetale dotato di una bocca
spaventosa, si ritrasse istintivamente, ma dovette ricredersi quando, dalla
foto, lo fissò un giovane uomo dai capelli neri e dagli occhi penetranti, a
cavallo di una motocicletta scintillante, con un completo da samurai argentato
ed una rosa sostenuta dalla mano sinistra, portata di fronte alla bocca con
aria sensuale. A quella vista, Vincent si volse verso
Yuffie.
“Un uomo-molboro??” le chiese,
ragionevolmente perplesso, ma la ragazza continuava a fissare la fotografia con
evidente interesse. Solo quando l’ex-Turk la scosse
lei riuscì a rispondere. “Eh? Ah sì, eeehm… me ne avevano parlato male, sai, io… io non l’avevo mai visto…”
Nel suo intimo, Pong si congratulò
con se stesso: era stata geniale l’idea di sostituire la foto di SuzukiHonda, una specie di rospo
gigante con le cellule di Jenova, con quella di suo
cugino Ting… Ma non poteva ancora cantare vittoria,
doveva ancora portare la principessa a Wutai. Solo
allora avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo…
“Quindi verrete con noi, o Aspirante
alla Bellezza Celestiale?” chiese con trepidazione.
“No!” rispose Vincent per lei,
stringendola a sé con un braccio attorno alle spalle. A quel gesto Yuffie si
riprese finalmente dalla sorta di trance in cui era
caduta vedendo quella foto e guardò l’uomo. Allora si rese conto, ancora una
volta, di quanto lui l’amasse, sfidando per gelosia i terribili Samurai della
Morte, l’ira di suo padre e l’accecante fascino di SuzukiHonda, e seppe cosa avrebbe fatto.
“Esattamente,” incalzò verso Pong e gli altri, stringendo alla vita quello che, ormai ne
era convinta nel suo cuore, era il suo fidanzato. “Io non mi muoverò da qui
neanche di un passo, e potete dire al mio papino che quel motociclista della domenica può darlo da
sposare a mia cugina Buffie[4]!”
MentrePing,
ricadeva in ginocchio in lacrime e Pong si chiedeva
per quale assurdo motivo si fosse appoggiato al piede danneggiato come reazione
a quelle parole, Pang, il Wutai
di mezzo, mantenne la calma e non si lasciò intimidire. “Allora sappiate che
dopo di noi verranno decine di altri Samurai, e dopo
di loro altre centinaia, e nessuno di loro avrà pace finché non vi avrà
riportato alla corte di vostro padre.”
Vincent stava per mettersi a
ridere sprezzante a quelle parole, ma poi la prospettiva di centinaia di cloni di quei tre che suonavano incessantemente il suo campanello
lo inquietò parecchio. Anche Yuffie, dal canto suo, si
sentiva meno sicura di prima.
“Ma… ma papino
capirà che io non voglio, non posso andare via da qui!”
“Incarnazione della Virtù,” rispose
Pang, sempre più deciso visto l’effetto della sua
effimera minaccia sulla principessa, “vi assicuro che l’Imperatore Celeste non
è sempre accomodante, persino con la sua unica figlia.”
A quelle parole la ragazza rabbrividì: ancora si ricordava
di quando suo padre le aveva fatto scrivere diecimila
volte sulle pareti della pagoda ‘Da-Chao non deve mai
essere appellato con il suffisso ‘-chan’’…
“Ma io non posso!” ripeté per
l’ennesima volta la Ninja, sempre più alle strette.
“Voi dovete,” la incalzò fermamente
Pang, che sentiva già il gusto della vittoria e,
perché no, di una promozione.
“Ma io… io…” Yuffie boccheggiava,
stretta a Vincent, che dallo sguardo che rivolgeva ai
tre si sarebbe detto pronto a fare una strage per la donna che amava. Fu allora
che prese la decisione su cui per lungo tempo aveva meditato
e che non avrebbe nemmeno voluto considerare. Ma la
situazione era diventata critica: non si poteva sfuggire facilmente ai Samurai
della Morte di Wutai.
Con il cuore in gola, prese
coraggio, e fissò negli occhi Pang, con disperata
decisione.
“Io sono incinta!”
Tutti i presenti la fissarono, attoniti e storditi.
“E lui è il padre!” sottolineò
ancora la ragazza indicando con forza Vincent. Quest’ultimo la guardava a bocca aperta, incredulo: come
poteva esserne sicura dopo così poco tempo dal loro incontro d’amore? Come
faceva ad ammetterlo con così tanta decisione, nonostante la sua solita
titubanza sulle questioni serie? Ma soprattutto… Non
poteva farglielo sapere in un altro momento??
[1] Questa e le altre
punizioni che i tre samurai citano sarebbero state senz’altro
messe in atto, nonostante Godo avesse parlato solo di una di esse.
Questo perché l’Imperatore di Wutai è notoriamente
una persona molto irascibile.
[3]Quest’uomo
è discendente di due delle più grandi aziende di
produzione di veicoli di Wutai, decadute dopo la
monopolizzazione del settore effettuata dalla ShinraMotors.
[4] Principessa di Wutai che, all’occorrenza, può diventare ammazzavampiri con una semplice tintura ai capelli.
“Vo… voi…” iniziò Pong, che alle parole di Yuffie era caduto a terra a bocca
aperta.
“siete…” proseguì Ping con voce
stridula, sull’orlo del pianto.
“INCINTA??” concluse Pang urlando.
Yuffie, gongolante in segreto per l’effetto esplosivo della sua piccola bugia,
annuì con un sorriso e si strinse a Vincent, che però
sembrava freddo e rigido come una statua di Da-Chao.
Preoccupata lo guardò in volto: la stava fissando terreo, la fronte corrucciata
e lo sguardo vitreo, pallido come un cencio. In quel momento
Yuffie comprese che, forse, anche lui le aveva creduto e probabilmente il mondo
gli era appena precipitato addosso. Mentre gli
rivolgeva un timido sorriso rassicurante, si ripromise di spiegargli la
situazione al più presto, prima che corresse a comprare un vestitino per il
bebè virtuale.
“Ebbene sì,” concluse infine la
ragazza, tornando a fronteggiare i suoi tre conterranei. Questi allora
proruppero in un’agghiacciante sequela di grida e lamenti in wutai, gettandosi al suolo e rotolandosi sul pavimento in
preda a quello che un osservatore esterno avrebbe scambiato per un attacco di
convulsioni collettive, ma che Yuffie sapeva bene essere la tipica
dimostrazione di dolore del suo popolo.
“L’Imperatore ci trasformerà in spaventapasseri viventi!”
urlava uno dei tre.
“Ci farà fare da guida per le gite
scolastiche al monumento di Da-Chao!” urlava un
altro.
“Il mio piede!” faceva il terzo, verosimilmente Pong.
Approfittando di quell’attimo di
bailamme, Vincent afferrò Yuffie per un braccio e la
trascinò senza troppe cerimonie in disparte, verso la cucina.
“Ehi, che modi!” protestò debolmente la ragazza.
“Ti sembrava il caso di farmi sapere che aspettavi un
bambino di fronte a quei tre??” le chiese lui senza
preamboli, serissimo, per poi continuare, “e poi, come fai ad esserne
così certa dopo così poco tempo? E cosa faremo quando quei
tre buffoni si saranno ripresi??”
“Ehi ehiehiehiehi,”
lo interruppe lei, divincolandosi dalla sua presa e gesticolando vistosamente.
“Prima di tutto, loro non possono farci niente perché io sono la loro
Principessa, tu sei il mio fidanzato e non possono permettersi di ferirci. In
secondo luogo, effettivamente dopo così poco tempo non potrei
esserne del tutto sicura… Ma ad ogni modo, io non sono affatto incinta!”
Vincent reagì come se gli fosse
precipitato un secondo masso gigantesco sul capo. “Sarebbe… una balla…?”
“Precisamente,” gongolò di nuovo
Yuffie, convinta che anche lui dovesse essere orgoglioso dell’astuzia che lei
aveva messo in atto. “Così facendo loro non potranno farmi sposare il principe-molboro perché crederanno che io sia incinta di un
altro uomo, e noi potremo vivere finalmente tranquilli in barba al mio papino!”
Nonostante le sue aspettative,
però, non le sembrava che Vincent fosse particolarmente
contento della situazione: anzi, sembrava stranamente teso, sebbene lei avesse
voluto essere molto chiara sul fatto di non essere incinta.
“Sei proprio sicura che non lo
sei?” le chiese, ancora titubante.
“Ma certo! Quante
volte te lo devo dire?”
“E come fai ad esserne certa…?”
A quelle parole Yuffie si rabbuiò. “Ehm… ne sono certa!”
“Sì, ma come? Se non puoi essere
certa di essere incinta dopo così poco tempo, non puoi nemmeno essere certa di
non esserlo!”
“Ed invece sì, posso essere certa
di non essere incinta!” replicò ancora lei, quasi esasperata.
“Allora ti spiacerebbe spiegarmi come fai?”
“Perché è da quando quei tre sono
arrivati che ho un fiume in piena che mi scorre tra le gambe!”
All’inizio Vincent la guardò
confuso, poi finalmente comprese a cosa la ragazza si riferisse
e si limitò ad annuire con aria colpevole sebbene sollevata. Lei, dal canto
suo, fece un gesto indispettito con la testa e si avviò, impettita, verso i tre
samurai, che apparentemente avevano terminato la loro dimostrazione di
sofferenza.
“Vergine delle Divine Distese… ehm…” la appellò Ping, rendendosi conto troppo tardi
dell’assurdità delle sue parole.
“Ancella delle Ineffabili Dee,”
corresse Pang, dopo aver lanciato al suo collega uno
sguardo feroce ancorché disperato, “siete consapevole di ciò che avete fatto?”
La ragazza attese che Vincent l’avesse raggiunta e confidò che l’espressione di lui non la
tradisse, quando annuì, ergendosi in tutta la sua altezza. “Ho fatto ciò che mi
ha suggerito il mio cuore: ho donato tutta me stessa all’uomo che amo e che un
giorno sarà il padre del futuro Imperatore di Wutai!”
L’ex Turk la guardò da dietro,
nascondendo un sorriso: non perché lo divertisse la situazione, ma perché in
quel momento trovava la propria ragazza estremamente
accattivante, con quel suo modo di fare forzatamente tronfio ed orgoglioso
nonostante le minute dimensioni. Lo prese un gran desiderio di abbracciarla e
baciarla con passione, in modo da sottolineare con i
fatti le sue parole, ma si trattenne quando pensò che, vista la loro reazione
di poco prima, i tre Samurai della Morte, vedendoli baciarsi, avrebbero anche
potuto esplodere.
“O Aiuola del Celeste Giardino,”
riprese Pong quando fu riuscito a rimettersi in
ginocchio nonostante il dolore al piede, “voi senz’altro capirete che… ecco… il
Celeste Imperatore potrebbe non essere molto entusiasta di questo fatto…”
“Quale fatto?” incalzò Yuffie, alzando sempre di più la
voce. “Il fatto che mi sono innamorata di un uomo che
lui nemmeno conosce? Oppure il fatto che suo nipote sarà per
metà forestiero?”
Ad ogni sua domanda Ping, che
evidentemente era il più emotivo del gruppo, dava in un gemito e si prostrava
maggiormente a terra, tuttavia riuscì a trattenersi dal fare harakiri per la
disperazione, complice la completa assenza di oggetti
taglienti nei dintorni.
“Beh… Tessitrice della Trama della Bellezza…” interloquì Pang, dei tre quello che sembrava maggiormente equilibrato,
“mi rendo conto che nella vostra giovanile età non vi rendiate
conto del… ehm… della situazione in cui vi siete messa… Tuttavia vi assicuro
che il Celeste non potrà lasciar correre… No, decisamente no…”
“Ah sì? E sentiamo, tu cosa
proporresti?” lo sfidò Yuffie. Vedendo gli sguardi d’intesa mista a
disperazione che i tre samurai si scambiarono, Vincent
provò l’impulso di fermare la ragazza prima che proponesse
qualcosa di pericoloso per loro, ma esitò, pensando forse che lei sapesse ciò
che stava facendo. Quell’esitazione decise il loro
destino.
“Per come la vediamo noi, o Stella Splendente Figlia della
Luce,” rispose Pang con uno
strano sguardo negli occhi, “l’unica soluzione è che ci seguiate… entrambi,
onde convolare a nozze riparatrici nella nostra madrepatria.
Se Yuffie avesse avuto qualcosa in
bocca, sicuramente le sarebbe andato per traverso. Sposarsi? Lei che era
scappata di casa proprio per evitare di scontrarsi contro quella parola dall’eccessiva
quantità di ‘esse’? In
effetti, però, dal momento che non si trattava di sposarsi con un ibrido umano-molboro o con un rampollo motociclista delle due
famiglie più ricche diWutai,
ma con il suo Vincent…
Quest’ultimo, dal canto suo, stava
deglutendo della saliva nel momento in cui udì quella proposta, per cui si piegò in due, rosso in volto a causa dell’accesso
di tosse.
“V-Vincent, cos’hai??” si
preoccupò subito la ragazza, strappata ai suoi pensieri dai rantoli del
fidanzato, dopo aver cominciato senza successo a tentare di sollevarlo in
posizione eretta. Finalmente l’uomo si raddrizzò e tornò a
respirare normalmente. Solo allora i due tornarono a prendere in considerazione
i samurai, che dal canto loro sembravano aver ritrovato parte della baldanza
con cui erano partiti per la missione.
“Il futuro Onorevole Consorte si sente meglio?” si informò Pong sorridendo, ed il
suo era il sorriso di un cacciatore che aveva appena catturato una preda
insperata.
“Sì sì, sto meglio,” tagliò corto Vincent, ancora
affannato, “ma mettiamo in chiaro una cosa: non ho nessuna intenzione di farmi
chiamare Onorevole Consorte per il resto della mia vita, né tanto meno di sposarmi
per ottemperare a qualche strana tradizione.”
L’amarezza che quelle parole provocarono in Yuffie la
colsero di sorpresa. Certo, nemmeno lei aveva intenzione di sposarsi,
soprattutto non a causa di una balla raccontata per levarsi dai piedi tre
servitori troppo zelanti di suo padre, ma sentire quel netto rifiuto espresso
dal suo fidanzato l’aveva delusa moltissimo. Era come se, in una remota parte
di sé, avesse continuato fino a quel momento a coltivare l’idea di un
matrimonio e che ora quell’idea fosse definitivamente
tramontata.
L’ex Turk forse colse lo stato
d’animo di Yuffie, oppure agì indipendentemente da esso:
nessuno avrebbe potuto dirlo, se non lui stesso. Ma ciò che alla Ninja di Wutai importava davvero
in quel momento era che, subito dopo quelle parole, Vincent la abbracciò alla vita, la guardò dolcemente negli
occhi e si rivolse ai tre samurai con atteggiamento di sfida.
“Invece ho tutte le intenzioni di sposare questa ragazza
perché la amo più di quanto qualsiasi tradizione
potrebbe impormi.”
Se Yuffie non svenne fu solo un
caso.
“No, Shelke, non ho altre missioni
da affidare a te e a Vincent,”
ripeté per l’ennesima volta Reeve, mentre l’iperattiva ragazza, ancora nel suo vestito verde scollato,
gli chiedeva di nuovo se aveva qualche altra ‘eccitante esperienza’
da farle fare con l’ex Turk membro della WRO.
“Ehi-ma-almeno-lasciami-finire-di-parlare!”
protestò lei imbronciandosi e volgendo altrove lo sguardo. “Piuttosto-non-è-che-hai-un-goccio-di-liquore-da-qualche-parte?”
“Sei ubriaca!” la rimproverò l’uomo quando fu riuscito a
comprendere il fiume di parole senza interruzione di continuità che le era
uscito dalla bocca. “E ti sei ubriacata in missione! Ma si può sapere dove avevi la testa??”
La ragazza lo guardò attonita per qualche
secondo, elaborando il significato del discorso dell’uomo, poi sbottò a
ridere. “Non lo so proprio… Ma so di certo dove avrei voluto
averla: appiccicata a quella di Vincent!”
“A proposito, vuoi dirmi che fine ha fatto Vincent?” chiese esasperato Reeve.
Anche se non era riuscito ad ottenere informazioni sull’andamento della missione sperava almeno di conoscere la sorte del suo
migliore agente.
“E che ne so? Stavamo flirtando quando è balzata nel palazzo una pazza in aeromoto
che se l’è portato via, poi… beh… poi sono successe delle cose che non mi
ricordo e mi sono ritrovata qui nel tuo ufficio…”
Reeve cominciava ad avere una
forte emicrania. Stava pensando seriamente a sguinzagliare CaitSith in giro per il mondo quando un ufficiale
spalancò la porta, trafelato.
“Signore…”
“Che succede??”
“Uh, ciao bel tipo!”
Ignorando il commento di Shelke,
il soldato deglutì prima di proseguire a parlare. “Junon,
Signore! Si apprestano ad attaccare!”
Emettendo un suono che, se si fosse trattato di CaitSith, sarebbe sembrato un ‘gulp!’, Reeve,
seguito a ruota da Shelke e dal soldato, corse verso
gli spalti della base della WRO, il cui restauro dopo la guerra con i Deepground era appena finita, e che si apprestava a subire
un altro, devastante assedio.
Il Governatore, tronfio nella sua armatura tradizionale di Junon ed in groppa ad un affannatissimochocobo, stava passando in rassegna le sue truppe,
sul crinale che dava verso la base dell’odiata WRO. In realtà il suo esercito
constava in poco più di una decina di uomini, dopo che
aveva fatto espellere con disonore tutti i soldati che aveva pescato ad
ubriacarsi insieme a quella spia nemica, ma ciò non era molto importante, dato
che dalla loro parte avevano loro.
“Governatore!” lo chiamò uno degli ufficiali. “L’arma
segreta è pronta per essere attivata.”
Il grasso uomo politico sorrise:
grazie a quell’arma, l’ultima sviluppata dalla Shinra prima del disastro di qualche anno prima, avrebbe
finalmente potuto spazzare via dalla faccia della terra la feccia WRO.
“Allora attaccate,” comandò con un
sogghigno. Sotto la sua grande mole, il chocobokuettì di fatica mentre
le sue zampe tremavano.
Il suo secondo in comando, sogghignando a sua volta,
estrasse il telecomando da una tasca della giubba, lo puntò verso le migliaia
di pericolosissimi automi che erano stati posizionati
a formare un semicerchio attorno alla base WRO e premette il tasto di
accensione. Con un rombo, tutte le riproduzioni meccaniche in scala 1:35 dei Soldier[1] si
attivarono. In un turbinio di luci colorate e suoni fantasmagorici cominciarono
a marciare disordinatamente in tutte le direzioni, a volte cadendo, a volte
sbattendo contro i loro simili. Dai loro fucili partivano roboanti
rumori di spari e sulle punte si illuminava un pezzo di plastica rossa ad
imitare una fiammata, ma nulla di più.
In preda al panico, il Governatore spronò il chocobo verso il suo vice.
“Che diavolo stanno facendo le
nostre armi segrete??”
Il soldato annaspò alla ricerca di qualche tasto segreto sul
telecomando, ma i pochi tasti coloratissimi che vi erano presenti non
sembravano avere effetto.
“Io… non lo so, Signore!”
“Dia qua!” ordinò il Governatore, afferrando il telecomando
e scrutandolo da vicino con i suoi occhi porcini. Sembrava davvero che non ci
fossero sorprese particolari, almeno finché non ne guardò il dorso. Sulla
plastica nera dell’oggetto campeggiava una scritta dorata.
“‘Dipartimento di Studi per
l’Infanzia, Shinra, Inc.’”
compitò, agghiacciato. “‘Made
in Mideel’.”
“C’è qualcosa di importante?”
chiese il gregario, cercando di sbirciare da sopra il braccio del suo
comandante.
“Ritiriamoci,” mormorò questo con
un filo di voce.
“Cosa?? Non possiamo arrenderci
così, Signore!”
“Ho detto ritiriamoci!” replicò il Governatore, puntandogli
contro minacciosamente l’ultimo ritrovato della Shinra
nel campo del divertimento infantile. Intimorito da quel gesto ed ignorandone
il nullo potere bellico, l’ufficiale si affrettò ad ordinare la ritirata. Il
Governatore, scorato, guardò uno dei Soldier in
miniatura che gli si avvicinava e gli puntava contro il fucile, senza alcun
effetto se non l’accrescimento della sua tristezza. Il chocobo,
invece, sembrò apprezzare.
“Ma che fanno, si ritirano??”
commentò Reeve osservando la ritirata dei nemici da
una feritoia. Sul campo restavano solo i Soldier
Tascabili, che sarebbero stato un ottimo regalo per i
bambini di Kalm.
“Signore!” chiamò di nuovo l’ufficiale di prima, entusiasta,
con un auricolare all’orecchio. “Ci hanno contattato
via radio! Si arrendono!”
In tutta la base risuonò un solo boato di gioia, mentre
cappelli rossi venivano lanciati in aria e armi
venivano abbandonate negli angoli. Reeve stesso,
incredulo che la tanto temuta guerra con Junon fosse
durata meno di cinque minuti, si appoggiò al muro, tirando un sospiro di sollievo. Ora finalmente avrebbe potuto, insieme
alla sua futura moglie Chole, coronare il suo sogno:
mettere su un allevamento di chocobo da corsa e da
monta, in modo da rendere imperituro il suo nome per tutti gli anni a venire.
“Non ho ben capito che cosa sia successo, ma mi sembra una
gran figata!” sbottò Shelke,
entusiasta a sua volta anche senza comprenderne il motivo. Comprese
invece molto bene quanto era carino l’ufficiale che aveva comunicato una così
bella notizia. “Ehm… sei occupato stasera?” gli chiese dandogli di
gomito nello stomaco. Lui la guardò, dapprima titubante, ma alla vista della
sua generosa scollatura e del suo altrettanto generoso seno un sorriso timido
gli comparve sulle labbra.
[1] Per coloro che, in FFVII,
si sono imbattuti nei fantomatici “1/35 Soldier”,
ecco spiegato il loro scopo.
Nella grande sala del tempio i
monaci stavano intonando il loro mantra da ormai cinque ore filate, quando nell’aria risuonò
un’allegra musichetta giovanile, del tutto inadatta al luogo. L’atmosfera
magica che si era creata durante la recitazione del mantra si
incrinò e si spezzò in un’infinità di frammenti di voci non coordinate che
quasi subito si spensero, sostituiti dagli sguardi corrucciati che i monaci si
scambiavano l’un l’altro. Godo Kisaragi, che aveva
diretto il canto, scrutò severo tutti i suoi
sottoposti finché la musichetta non terminò. Allora trasse un profondo sospiro
e ordinò che gli altri si prendessero cinque minuti di pausa, prima di
ricominciare con le preghiere.
Ritiratosi nella sua sagrestia, l’Imperatore scagliò lontano
la tiara che indossava.
“Accidenti!” sbottò fra sé, “ma guarda
se mi devono chiamare proprio quando dimentico il telefono acceso!”
Detto questo estrasse il suo cellulare Wutai
no com dalla tasca della veste, dove campeggiava la
scritta ‘una chiamata persa’,
deciso a farla pagare al suo disturbatore. Tutti i suoi propositi di punizione
svanirono quando si accorse che si trattava del numero di Pong.
Si affrettò a ricomporre il numero ed attese con il cuore in gola che
dall’altra parte qualcuno rispondesse.
“Pronto?” chiese la voce del comandante dei Samurai della Morte in missione.
“Pong, dannazione, dimmi che avete
trovato Yuffie o vi farò spalare guano di chocobo per
il resto della vostra vita!”
“Ah, Eccellentissimo Illuminato Signore
della Terra, Padre della Virtù, Figlio di Da-Chao, Ineffabilissimo…”
“Dacci un taglio e rispondimi!” di solito Godo lasciava che i suoi servitori lo adulassero, ma in quel
momento non aveva tempo da perdere.
“Sì, o Illustrissimo… ehm… Sì, Maestà…” seguì una breve
pausa, durante la quale si sentirono distintamente le
voci dei tre samurai discutere piano, in modo che le loro parole non fossero
comprensibili e poi, “Bene, Maestà… Le annuncio che abbiamo trovato vostra
figlia?”
“E cosa aspettavi a dirmelo, baka??” sbottò
l’Imperatore, che in realtà non stava più in sé dalla gioia. “Allora, quando
tornerete in patria in modo che venga celebrato il
matrimonio?”
“Ehm…” fu l’unica risposta, seguita da un bisbiglio
imbarazzato, al quale Godo non poté fare altro che
accigliarsi.
“Pong…” riprese dopo un attimo,
cercando di mantenere la calma. “C’è qualcos’altro che dovrei sapere…?”
“No, Illustrissima Maestà!” fu la pronta risposta. “Vedrà
che entro una settimana al massimo saremo a Wutai…”
“E mia figlia si sposerà, vero?”
“…”
“VERO??”
“Sì, Sublime Eroe degli Dei, si
sposerà.”
Godo sorrise gongolando: finalmente le cose cominciavano a
girare nel verso giusto. Le due famiglie di cui SuzukiHonda era il rampollo si sarebbero imparentate a lui,
sanando il deficit cronico delle finanze wutai e
finalmente lui avrebbe potuto coronare i suoi due più grandi sogni: sistemare
la figlia con un bravo ragazzo ricco e avere abbastanza soldi da restaurare la
statua ciclopica di Da-Chao, aggiungendo il proprio
busto sorridente a quello degli altri dei…
“Bene,” ricominciò infine,
staccandosi dalle proprie fantasie, a parlare al telefono, “quando si celebrerà
il matrimonio saprò dimostrare a te ed ai tuoi colleghi la mia generosità.”
“Grazie, o Sublime,” fu la risposta
di Pong, subito seguita dal segnale che poneva
termine alla comunicazione. Nuovamente giulivo, Godo tornò
dai suoi monaci.
La piazza antistante al tempio di Wutai
era gremita di gente: non solo c’era l’intera popolazione della capitale, ma
anche molte persone provenienti dagli altri continenti si erano presentate per
l’occasione. Dall’alto, sulla montagna, l’imperturbabile statua di Da-Chao guardava in basso con i suoi occhi enigmatici, e
l’osservatore attento avrebbe creduto di scorgere sul volto di pietra
un’espressione di intenso sollievo, come se la
divinità fosse appena uscita da una terribile e faticosissima avventura.
Un assoluto sollievo si poteva leggere anche sui volti di Ping, Pang e Pong,
finalmente rassettati e vestiti con la loro uniforme ufficiale da Samurai della
Morte: dopo le prime ore di furia indomabile, l’Imperatore Godo
aveva ritrattato le maledizioni, le condanne a morte e quelle alla gogna
perpetua che aveva pronunciato verso di loro ed aveva con malcelata ira
accettato di nuovo in famiglia Yuffie. Senza contare che si era trattenuto
dallo scatenare Leviathan contro Vincent, il che
faceva capire quanto quel giorno Godo fosse di buon
umore.
Pong ancora non credeva che la
missione fosse terminata con un successo. Se non fosse stato per quel capellone
con gli occhi rossi di sarebbe preso anche una
promozione, probabilmente, ma era felice anche solo di aver scampato le molte
punizioni dovute al fatto di aver riportato Yuffie a casa non solo con un
fidanzato, ma addirittura incinta.
Chi invece non sembrava affatto felice era
la ragazza dal vestito verde che singhiozzava nelle prime file. Teneva
sottobraccio un giovane ufficiale della WRO il quale,
invece di preoccuparsi degli sguardi che gli uomini vicini lanciavano al
generoso seno della sua accompagnatrice si limitava a guardarsi attorno
nervoso.
“Ti prego, Shelke, calmati,” le diceva ogni tanto. “Non siamo ad un funerale!”
“Ma… ma… ma lui è…” balbettava
allora lei.
“Sì, è Vincent Valentine, l’eroe
della WRO, che sta per sposarsi con l’erede al trono di Wutai.
Non mi sembra nulla di così tragico!”
Dopo quelle parole, inevitabilmente, la ragazza scoppiava a
piangere, calmandosi solo dopo un numero imprecisato di amorevoli
pacche sulle spalle.
“Ma perché è dovuta venire anche lei?” esclamò sottovoce
proprio Vincent Valentine dopo che l’ennesimo scoppio
di lacrime della sua ex-collega molto emotiva l’ebbe distratto dal suo continuo
andirivieni sotto al palco centrale. Subito Reeve lo afferrò al braccio
metallico, costringendolo a fermarsi.
“Perché non potevo lasciare a casa
proprio lei, dopo aver invitato mezza WRO… E si può sapere per quale motivo ti
sei messo questo dannato affare? Ed il mantello
sbrindellato? Potevi cambiarlo vista l’occasione, no?”
A quelle parole Vincent abbassò lo
sguardo sul proprio vestiario, che era esattamente identico a quello che
indossava di solito, Cerberus compresa. “Cos’ha che
non va questo vestito?”
Reeve scosse la testa, rassegnato.
“Non fa niente…” disse, poi si voltò verso sua moglie che correva a perdifiato
verso di lui.
“Chole, tesoro, che succede?”
Chole frenò il chocobo
che kuettì eccitato e scese con un unico, fluido
movimento.
“Le orazioni alla statua di Da-Chao
sono terminate,” comunicò la donna, ansimando. “Presto
lei sarà qui!”
“Meno male,” commentò Vincent, stringendo convulsamente il calcio della pistola,
come faceva sempre quando era nervoso. “Almeno questa gigantesca carnevalata[1]
finirà presto.”
Reeve e Chole
lo fissarono con un sorriso comprensivo. “Ma la vuoi
smettere di agitarti?” gli chiese il suo testimone. “Guarda che se continui così ti partirà un colpo dalla pistola…”
A quelle parole Vincent lo guardò
di sottecchi. “Vogliamo parlare del tuo di matrimonio? Di quando mi hai pregato
di mandare tutto a monte due ore prima che arrivasse Chole?”
“Ehm…” fece Reeve, evasivo, “forse
hai ragione.”
“Kuééé…” fece il chocobo, con aria inquietantemente soddisfatta.
“Eh?” chiese Vincent, perplesso.
“Choco, cosa c’è?” chiese Chole al pennuto.
“Avevo un grosso peso, poco fa,”
tradusse quest’ultimo a beneficio esclusivo della sua
padrona, “ma ora mi sento meglio…”
Subito lo sguardo della donna scese al tappeto intessuto di
pietre preziose ed un violento rossore le invase il volto.
“Che succede, amore?” chiese il
marito, preoccupato, ma Vincent aveva già intuito la
terribile verità. “No,” la supplicò, “non dirmi che è
successo come al vostro matrimonio…”
Chole si girò verso di lui con
aria colpevole, ma la macchia verdognola e dal pungente odore di erba gishal che risaltava sul
tappeto rosso era più eloquente di mille parole.
“Kuuéé…” kuettì
di nuovo il chocobo.
“Per le corna di Ifrit!” esclamò Reeve, “di
nuovo!”
Mentre Vincent stava contando fino
a mille per evitare di trasformare Choco nel più grande pollo arrosto che si fosse mai visto a Wutai, il suo testimone prese in mano la situazione.
“D’accordo, niente panico,” disse
con autorevolezza. “Chole, accompagna il tuo chocobo alle stalle reali. Barret,
Cid, datemi una mano a pulire qui!”
I due proruppero in una serie irripetibile
di imprecazioni, al punto da costringere alcune nobildonne di Wutai ad allontanarsi scandalizzate, ma non si mossero dai
loro posti. Cloud stava per proporsi come volontario,
ma un solo sguardo di Tifa, che sembrava voler dire “prova a sporcare il
vestito che ti ho lavato ieri e conoscerai il vero significato della parola ‘astinenza’, tesoro”, lo immobilizzò. Alla fine fu Red XIII, di malavoglia, ad avanzare. “Non voglio nemmeno
pensare a come farò ad aiutarti, Reeve,” disse arcigno, “ma il lavoro sporco qualcuno dovrà pur
farlo…”
“Grazie, Reddy,”
rispose il presidente della WRO, guadagnandosi uno sguardo infuriato dal felino-non-felino, per poi portare lo sguardo sugli altri
invitati che conosceva. “Voialtri, per favore, cercate di sistemare questo
casino…”
L’uomo dall’aria trasandata e con i lunghi capelli rossi
strabuzzò gli occhi. “Noi? E che dovremmo fare?”
Reeve, che nonostante l’uniforme tirata in lucido non aveva esitato ad
inginocchiarsi sul tappeto per pulire, scrollò le spalle. “Che ne so? Siete voi i Turks,
inventatevi qualcosa!”
“Non si preoccupi signore!” esclamò una giovane ragazza
bionda in uniforme da Turk, mettendosi in una strana
posa. “Noi, i Turks, non esiteremmo a sacrificare la
nostra vita e la nostra dignità per lei!”
“Oh, Levy[2],”
commentò il rosso posandosi una mano sulla fronte, ma qualcuno accanto a lui lo
fissava con un sogghigno.
“So già come fare,” aggiunse quest’ultimo, un robusto uomo calvo con gli occhiali scuri,
“vero Reno?”
A quelle parole il Turk rosso lo
guardò, visibilmente inquieto.
Pochi minuti dopo, sembrava che non fosse mai accaduto nulla
al prezioso tappeto rosso tempestato di gioielli. Solo un osservatore attento
si sarebbe accorto che la macchia scura che era rimasta dopo
l’intervento di Reeve e Red
XIII era coperta da un folto strato di capelli rossi, che si confondevano con
le fibre circostanti. Nelle ultime file, il Turk
calvo annuiva soddisfatto mentre teneva in mano un rasoio da barbiere ancora
caldo.
“Novecentoventuno, novecentoventidue,”
continuava a contare Vincent, gli occhi chiusi e la
fronte imperlata di sudore, apparentemente inconsapevole di ciò che lo
circondava.
D’un tratto il brusio nervoso che
animava il pubblico fu interrotto da un poderoso suono di gong.
“Attenzione, sudditi!” annunciò l’eunuco imperiale. “Ci
benedice con la sua santa presenza l’Illustrissimo Signore degli
Dei, il Padre della Virtù, il Prescelto di Da-Chao,
il Pescatore delle Acque del Mondo, l’Araldo dei Diecimila Petali Bianchi, il
Sommo Patrono del Pianeta, l’Ineffabile Divinità di Godo Kisaragi,
Sublime Imperatore Celeste di Wutai!”
Dopo quell’interminabile
presentazione, finalmente, Vincent riaprì gli occhi e
scrutò attento il margine della piazza. L’aria fu
invasa dal suono degli strumenti tipici wutai, che
intonavano una delicata marcia nuziale.
Poi finalmente li vide che avevano appena girato l’angolo
per entrare nella piazza.
L’Imperatore era altero come al
solito, nel suo kimono dorato, con la sua alta tiara ingioiellata e la katana al fianco, ma gli occhi di tutti si posarono su
colei che accompagnava, tenendola per un braccio.
Non sembrava una ventenne che fingeva di essere incinta.
Non sembrava una Ninja di Wutai col vizio di rubare tutti i materia
che vedeva.
Ma soprattutto non sembrava Yuffie.
Forse era per il fatto cheVincent non l’aveva mai vista vestita da donna, ma stentava
quasi a credere che fosse lei la persona sotto quel vistoso kimono bianco e
rosso, stretto in vita da un obi lucente ed adornato con sottili strisce di
seta su cui erano state scritte a mano le antiche benedizioni del suo popolo. Il
volto era bianco per la cipria utilizzata, ad eccezione del rossetto che
formava un piccolo cerchio rosso intenso sulle labbra e l’ombretto viola che le
decorava gli occhi, ed era incorniciato da un elaborato copricapo bianco da cui
pendevano sottili catenelle in argento e fili di perle naturali. Le decorazioni
si innalzavano lungo il fusto del copricapo,
intrecciandosi più volte fino a formare la figura di un drago serpentiforme che
si attorcigliava attorno alla testa della ragazza, il corpo argenteo tempestato
di lapislazzuli del colore del mare.
Vincent continuò a chiedersi se quella fosse veramente la sua Yuffie
finché non incontrò i suoi occhi: in quel momento estrasse la lingua, assumendo
un’espressione di buffa esasperazione che contrastava nettamente con la
solennità del suo aspetto, e l’ex-Turk dovette
faticare a trattenere un sorriso divertito: era davvero la sua Yuffie.
Quando la sposa e suo padre ebbero raggiunto il palco coperto
dove lo sposo ed il suo testimone aspettavano, la musica si interruppe
e su tutta la piazza, sull’intera città scese un silenzio di tomba. Godo, con
espressione severa ed uno sguardo di ammonimento,
lasciò andare il braccio di Yuffie e si portò dietro al piccolo altare
approntato per l’occasione. Vincent colse rapido
l’occasione per sfiorare una mano della ragazza, attirandone l’attenzione.
“Sei agitata?” chiese con un filo di voce quando ebbe
incontrato i suoi profondi occhi blu-violetti.
“Da impazzire,” rispose lei
sorridendo.
Godo si schiarì rumorosamente la
voce, in modo da distogliere i due innamorati dai loro scambi di battute.
“Figli di Da-Chao,” esordì l’Imperatore ad alta voce, in modo da essere
sentito per tutta la piazza. “Onorevoli ospiti. Siamo qui riuniti oggi, sotto
lo sguardo benevolo del nostro Padre, per un’occasione irripetibile.
In questo sacro giorno, mia figlia si consacrerà all’uomo che ama.”
Yuffie e Vincent, trepidanti,
chinarono il capo, mentre Shelke ricominciava a
singhiozzare e Tifa stringeva spasmodicamente la
spalla del fidanzato. Godo, dal canto suo, rimase in
silenzio alcuni secondi, ripensando a quante cose erano passate da quando la
sua piccola Yuffie se n’era andata di casa. Quello era l’ultimo momento in cui
avrebbe potuto opporsi alla decisione di sua figlia e costringerla a sposare un
partito migliore di uno straniero che si presentava di fronte a lui con un
abito sbrindellato e senza una dote. Ma d’altronde gli era giunta solo il giorno prima che SuzukiHonda, il ragazzo che aveva scelto come futuro genero,
aveva abbandonato la fortuna delle sue famiglie e si era dedicato ad una
campagna itinerante per sensibilizzare l’opinione pubblica di fronte alla
drammatica situazione dei molboro, mandando di fatto
a monte un luminoso futuro come Samurai e Consorte Imperiale. Quindi, anche se avesse voluto interrompere il matrimonio,
non avrebbe avuto un sostituto per Vincent.
“Almeno questo tizio,
lei lo ama,” pensò, per poi scrollare le spalle. In fondo, molto tempo prima, aveva avuto anche lui vent’anni.
“Lasciate che vi dica quanto questo giorno sia importante
per me, e non solo come sovrano, ma come padre.”
Per un attimo rimase in silenzio, tanto che la coppia di
fidanzati lo guardò preoccupata, ma poi l’uomo scrollò di nuovo le spalle,
stavolta più vigorosamente, ed uno stanco sorriso gli si dipinse sulle labbra.
“Credo che abbiate già capito tutti come mi senta.”
Una lieve ed imbarazzata risata serpeggiò fra la folla a quella infrazione del protocollo, ma nessuno protestò: dopotutto
la tradizione di Wutai era stabilita dall’Imperatore,
e se lui aveva deciso di modificarla il popolo non avrebbe potuto fare altro
che accettarla.
Tornato serio, Godo sollevò una
mano ingioiellata. “Che s’avanzino gli anelli!”
Con passi felpati, CaitSith caracollò verso il padiglione degli sposi, portando su
un cuscino decorato due piccoli anelli d’argento. Su ciascuno di essi brillava una minuscola scheggia di materia,
sufficientemente potente però da emettere un bagliore autonomo, senza il
bisogno di riflettere la luce esterna. L’una era di un vivace
colore rosso acceso, l’altra era accesa di una tenue luce bianca.
Non senza difficoltà il gatto meccanico depositò il cuscino
con le fedi sull’altare, per poi defilarsi dietro a Reeve.
Godo guardò il felino vagamente accigliato, ma lasciò
correre e si rivolse a Vincent.
“Vincent Valentine, sotto lo
sguardo ed il giudizio sovrano di Da-Chao, accetti di
prendere Yuffie Kisaragi come tua sposa, di
proteggerla, di onorarla, di amarla finché non ritornerete al Pianeta?”
“Sì,” rispose l’uomo con decisione.
Nella sua mano destra, quella sinistra della ragazza tremava.
Con un sospiro dettato dall’agitazione del momento, Godo si rivolse alla figlia.
“Yuffie Kisaragi, sotto lo sguardo
ed il giudizio sovrano di Da-Chao, accetti di
prendere Vincent Valentine come tuo sposo, di
consigliarlo, di appoggiarlo, di amarlo finché non ritornerete al Pianeta?”
“Sì,” rispose Yuffie con voce
tremante.
Godo diede in un altro sospiro, poi
annuì. “Scambiatevi gli anelli.”
Vincent, quasi intontito, prese
l’anello con la pietra rossa dal cuscino e lo infilò alla mano sinistra di
Yuffie, dopodiché, quasi in lacrime per la gioia, la ragazza prese
l’anello bianco e fece per inserirlo alla mano sinistra di Vincent, ma si fermò a causa del guanto metallico
dell’uomo. Dopo un breve momento di imbarazzo e
smarrimento, in cui l’ex-Turk, per la prima volta
nella sua vita, era troppo stordito per sapere cosa fare, l’Imperatore tossì
stringendo gli occhi in modo intimidatorio.
“Ah… s… scusami…” borbottò lo sposo, e cominciò a sciogliere
le cinghie che fissavano il guanto di metallo. Quando
finalmente fu riuscito a liberare la propria mano sinistra ed ebbe consegnato la
protezione a Reeve, il quale stentava a trattenersi
dal ridere, Yuffie riuscì, al terzo tentativo, ad infilare l’anello al dito
giusto. Si tennero per mano ancora per un attimo, sorridendo frastornati, prima
di tornare a rivolgersi all’Imperatore. Questi, suo malgrado, dovette
asciugarsi una lacrima prima di concludere.
“Nel nome di Leviathan e di Da-Chao,
vi dichiaro marito e moglie.”
I due trattennero il fiato, quasi aspettandosi che
succedesse qualche catastrofe improvvisa ad interrompere la cerimonia, ma non
accadde nulla.
“Vincent, puoi baciare mia figlia,” concluse Godo con un sospiro, modificando quell’ultima formula senza però che nessuno ci prestasse
attenzione. Vincent e Yuffie non se lo fecero
ripetere e finalmente si abbracciarono, scambiandosi un bacio appassionato e
dolce come l’ambrosia. Mentre Godo distoglieva lo
sguardo, visibilmente imbarazzato, la folla esplose in un unico grido di
giubilo, unito ai fuochi d’artificio lanciati dalla montagna di Da-Chao ed al roboante applauso che percorse la piazza.
Dal suo posto in prima fila, Tifa stava
piangendo senza freni, strattonando il braccio destro di Cloud.
“Tifa… calmati… mi fai male!” protestò quest’ultimo.
“Sposiamoci anche noi!!” disse per tutta risposta la donna.
Cloud la fissò come se avesse
appena visto un molboro vestito da moguri declamargli i versi d’amore di Shake The Espire.
“Ehm…” tentò di rispondere lui. “Veramente io… non mi sento
ancora pronto… cioè…”
Tifa non lo lasciò finire, ma lo
tempestò di pugni, ben consapevole del fatto che in tutto quel bailamme nessuno
avrebbe sentito i lamenti del suo ragazzo.
Ma neppure quel piccolo litigio
poté rovinare quel giorno, un giorno di festa per tutta Wutai.
Ma soprattutto per la sua Principessa e suo marito.
FINE
[1]: Riferimento ad una antica festa Cetra, caratterizzata da grande solennità e
costumi sgargianti.
[2]:
Contrazione piuttosto irrispettosa del nome ‘Leviathan’.