Cronache di una Ninja

di DarkPenn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga a Perdifiato ***
Capitolo 2: *** Rifugio sicuro ***
Capitolo 3: *** Un sonno agitato ***
Capitolo 4: *** Bruschi risvegli ***
Capitolo 5: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 6: *** Una colazione per due ***
Capitolo 7: *** La vipera di Midgar ***
Capitolo 8: *** La dichiarazione ***
Capitolo 9: *** Botta e risposta ***
Capitolo 10: *** Braccato ***
Capitolo 11: *** Braccato di nuovo ***
Capitolo 12: *** L'infiltrazione ***
Capitolo 13: *** Sempre più braccato ***
Capitolo 14: *** Amore tra l'erba gishal ***
Capitolo 15: *** La meravigliosa avventura di Ping, Pang e Pong ***
Capitolo 16: *** Il coronamento di un sogno ***
Capitolo 17: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 18: *** Il ritorno di Yuffie ***
Capitolo 19: *** Birra party ***
Capitolo 20: *** Scontro finale ***
Capitolo 21: *** Una scelta che cambia la vita ***
Capitolo 22: *** Il giorno più bello ***



Capitolo 1
*** Fuga a Perdifiato ***


FUGA A PERDIFIATO

FUGA A PERDIFIATO

 

Quando i padri sono particolarmente apprensivi

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa volta ce la posso fare, me lo sento.

110 metri,  110 metri, sono due mesi che mi alleno  per stabilire un nuovo record e quest’oggi finalmente…

 

 

Il braccio della Ninja si fletté all’indietro caricando la spinta che avrebbe portato il suo Shuriken a raggiungere l’agognato bersaglio. Il muscoli tesi, lo sguardo concentrato, le gambe appena divaricate in modo da ottenere uno stabile equilibrio. Finalmente, dopo due mesi di allenamento ce l’avrebbe fatta  e dopodichè avrebbe avuto una scusa per andare dal suo ‘vampiro’ preferito a declamare i suoi meriti bellici. Una scusa come un’altra per poterlo vedere, ma in fondo ciò che contava era il risultato. Già si immaginava la sua entrata in scena. Lo avrebbe sorpreso al Quartier Generale della WRO saltando a sorpresa da dietro al primo angolo in cui si sarebbe appostata, gli si sarebbe avvinghiata al collo, baciato una guancia e poi dalla guancia sarebbe scivolata inesorabilmente verso le sue labbra…

 

Aaaaah, no! Non è il momento di fantasticare!

Stupida, stupida Yuffie!

Se non batti questo record non avrai nessuna scusa valida per andarlo a trovare!

E tu non vuoi certo che capisca che sei tanto cotta di lui da pensarci in ogni momento della tua giornata, vero?

Allora piantala di fantasticare come un’adolescente alla prima cotta, hai già passato quella fase!

Comportati da vera Ninja, concentrati e…lancia!

 

“YUFFIE!”

“AAAAH!!”

Spaventata dal brusco aprirsi della porta scorrevole che segnava l’ingresso alla sala riservata agli allenamenti, Yuffie emise un poderoso grido che da impaurito si trasformò in disperato, quando lo Shuriken che aveva appena scagliato si andò a piantare al lato del manichino, sbagliando clamorosamente la traiettoria che la Ninja di Wutai aveva stabilito in modo così accurato. Il tutto a causa di suo padre che di punto in bianco decideva di fare irruzione durante i suoi allenamenti.

“PAPA’ CHE COSA TI SALTA IN MENTE DI ENTRARE COSI’ ALL’IMPROVVISO??” Sbottò infuriata la ragazza lasciando che la propria voce riecheggiasse per l’enorme ambiente che costituiva  il dojo della Famiglia Reale di Wutai.

“Figlia mia, vengo a portarti una meravigliosa notizia!” Esclamò in un impeto di esaltazione Godo Kisaragi allargando le braccia come a voler invitare la figlia ad abbracciarlo.

Yuffie fu pervasa da un brivido. Ogni volta che suo padre era entusiasta di qualcosa, erano sempre guai per lei.

“…Papà…” azzardò quindi timidamente la ragazza alzando verso il genitore l’indice destro, ma non ebbe modo di continuare, perché ciò che Godo le disse la lasciò totalmente pietrifica sul posto.

“Rallegrati, piccola mia! Finalmente ho trovato un uomo degno di ricevere la tua mano! Domani daremo l’annuncio di fidanzamento alla popolazione e dopodomani si celebreranno le nozze! Via, senza perdere neanche un minuto!” Entusiasta l’anziano Imperatore osservò sua figlia la quale tuttavia sembrava fissare il vuoto alle di lui spalle. Sembrarono passare interminabili minuti quando la ragazza aprì di nuovo bocca.

“…Credo di non aver capito bene…”

“Ma certo che hai capito bene!” Ribattè il genitore avvolgendo la Ninja in un poderoso abbraccio, senza far molto caso che sembrava di abbracciare una statua di marmo. “Il tuo futuro marito è un abile samurai e sarà in grado di fornire all’impero una robusta e forte discendenza!”

Alle ultime parole di suo padre, Yuffie diventò rossa come il mantello del ‘vampiro’ che le occupava costantemente i pensieri e si distaccò in fretta dal padre.

“Futuro marito?? Discendenti??”

“Sì! Vedi figlia mia, io ormai sono vecchio, mi resta poco da vivere… E vorrei vedere sia te che il futuro di Wutai sistemati, prima di andarmene… Vorrei dei nipotini, insomma…”

Prima ancora che suo padre avesse terminato la frase, Yuffie aveva già cominciato a gesticolare in preda al panico. “Ma… Ma io sono troppo giovane per sposarmi e avere figli!”

L’altro non si scompose per niente. “Ma Yuffie, tua madre era già sposata con me ed incinta di te alla tua età!”

La ragazza era rimasta a bocca aperta. “Ma… ma… ma…!”

Godo però zittì il suo balbettio con un secco gesto di una mano. “Mettiti il cuore in pace, figlia mia: domani ti fidanzi, dopodomani ti sposi.”

Sotto lo sguardo allibito della Ninja, il padre uscì tutto contento dalla sala d’allenamento, sbraitando ordini ai servitori riguardanti gli imminenti festeggiamenti in casa Kisaragi.

 

Quella sera Yuffie se ne stava seduta a gambe incrociate sul letto, lucidando il proprio shuriken.

 

Ma cosa diavolo gli è venuto in mente, a quello svampito di mio padre??

Io, sposarmi dopodomani e fidanzarmi domani? Anzi, forse sarebbe meglio dire fidanzarmi domani e sposarmi dopodomani… Ma il concetto non cambia! Non posso e non voglio fare nessuna delle due cose, sono troppo giovane! Beh, magari per fidanzarmi no, ma per sposarmi sì… Ma non certo con un qualche samurai spocchioso scelto da mio padre per il suo pedigree!

Non mi resta altro da fare, allora… Dovrò fuggire, scappare di casa finché a quel vecchio rincitrullito non sarà tornato del sale in zucca!

 

A quel pensiero Yuffie smise di lucidare lo shuriken e si alzò impetuosamente dal letto, iniziando contemporaneamente a legare insieme le lenzuola onde trarne una corda per calarsi giù dalla finestra. A metà dell’opera però si interruppe, dubbiosa.

 

Però, anche se dovessi scappare da qui, dove potrei andare…? Da Tifa forse. No, è la mia migliore amica, sarebbe la prima persona da cui mio padre mi cercherebbe… Devo trovare un posto in cui nessuno potrebbe aspettarsi di trovare me… Ma quale potrebbe essere questo posto…?

TROVATO!!

 

Senza pensarci due volte, la Ninja soffocò un grido di giubilo, gettò un’estremità della corda improvvisata giù dalla finestra ed in un batter d’occhio si era già dileguata nella notte.

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Capitolo 2
*** Rifugio sicuro ***


RIFUGIO SICURO

RIFUGIO SICURO

 

Quando nemmeno chiudere le finestre dall’interno serve

 

 

 

 

 

 

Due giorni dopo Yuffie era finalmente arrivata al rifugio che aveva designato. Si guardò furtivamente attorno, ma nessuno l’aveva notata. Sorrise sotto i baffi: sicuramente nessuno si sarebbe aspettato di trovarla proprio in quel luogo. Tutto stava nel riuscire ad entrare in piena notte e senza disturbare l’occupante della dimora che aveva scelto.

Con le sue innegabili abilità di ladra, riuscì ad aprire dall’esterno una finestra chiusa dall’interno, senza lasciare segni evidenti di effrazione. Mentre i battenti della finestra si aprivano silenziosamente, Yuffie gongolò.

 

Se non fosse che ora è infuriato, mio padre sarebbe fiero di me.

 

La casa, nella penombra, era immersa nel caos. Scatole di pizza aperte ed abbandonate vuote sul pavimento, indumenti vari e stropicciati gettati sui mobili, un odore di chiuso pressoché insopportabile. La Ninja storse il naso.

 

Non mi aspettavo che casa sua potesse essere così disordinata.

 

Senza pensarci due volte, riaprì la finestra da cui era entrata, lasciando penetrare nell’ambiente la frescura della notte serena, e cominciò a riordinare i vari ambienti in cui di volta in volta entrava. Solo una volta ebbe un’esitazione, quando scoprì un paio di boxer gettati in un angolo, che recavano numerose immagini di chocobo impegnati in varie attività.

 

Ma che diavolo ci fa qui della roba come questa??

 

Li rigirò tra le mani, come a volersi sincerare della loro natura, poi fece spallucce e con un’aria leggermente disgustata li gettò dove li aveva trovati: senza dubbio c’era un buon motivo perché il loro proprietario li avesse abbandonati in quel modo.

Nella camera da letto c’era un giaciglio ad una piazza e mezza, dalle lenzuola sfatte ed riversate sul pavimento, accanto ad una branda più piccola intatta, su cui erano appoggiati numerosi capi di biancheria intima. Nell’intera stanza non c’erano segni di vita. Probabilmente, si disse Yuffie quando fu entrata timidamente, il suo ospite involontario era occupato in qualche missione notturna e non aveva avuto il tempo di rifare il letto; in realtà, la ragazza sperava ardentemente che quella trascuratezza generale non fosse un tratto distintivo del suo carattere che lei non aveva mai rilevato. Ma poi si rassicurò al pensiero che, dopotutto, quella era la casa di un single.

Dopo aver rimesso in ordine anche quella stanza, decise che come compenso per il disturbo di ospitarla a tempo indeterminato poteva bastare, e si sedette sul letto del proprietario. Guardò la sveglia sul comodino e realizzò che mancavano ancora almeno tre ore all’alba.

 

Sono due giorni che praticamente non dormo… posso concedermelo un riposino. E poi, col mio sonno leggero da Ninja, posso accorgermi dell’arrivo di qualcuno in un attimo.

 

Forte di quella convinzione, si sdraiò con un sospiro soddisfatto sul letto e cadde nel sonno.

 

Vincent usò un’ultima pozione prima di varcare la soglia di casa sua. Il familiare formicolio della sostanza che aveva effetto gli pervase le membra, confermandogli che presto i pochi graffi che gli erano rimasti sarebbero guariti.

Ancora non sapeva che cosa l’avesse convinto ad accettare la proposta di Reeve e mettersi a lavorare per la WRO: lui voleva solo vivere in pace, ed invece almeno una volta la settimana veniva spedito da un angolo all’altro di quello che era stato il grande impero economico della Shinra, ad evitare che qualcuno si facesse male sul serio. Una specie di poliziotto sovrannaturale, insomma.

Appena oltrepassata la soglia una strana impressione di allarme lo bloccò. Subito la destra corse all’impugnatura della Cerberus, mentre gli occhi cremisi scandagliavano l’entrata del suo appartamento, a malapena illuminato dal sole dell’alba, alla ricerca di segni di effrazione. Ma non fu la vista il primo senso a rivelargli la verità riguardo quella situazione: il familiare odore di chiuso della sua casa era infatti sparito, sostituito da quello fresco della rugiada all’esterno, appena condito dal sentore di carburante tipico di quella zona di Edge.

Inoltre, qualcuno aveva messo le mani tra le sue cose: i cartoni di pizze che aveva accumulato per buttarli via tutti in una volta sola erano spariti, e così pure gli abiti che aveva strategicamente disposto in alcune parti della casa in modo che fossero più facilmente accessibili.

Senza emettere un suono, se non il lieve fruscio del mantello, si spostò lentamente camminando rasente il muro, per sorprendere chiunque si trovasse nella parte più interna dell’appartamento. Ma fu lui a rimanere sorpreso.

All’improvviso una figura multicolore gli balzò innanzi. Vincent non si diede nemmeno il tempo di chiedersi cosa diavolo fosse, ma puntò subito la pistola per fare fuoco. Tuttavia, con una rapidità impressionante, l’invasore gli aveva già bloccato con una mano i tre tamburi della Cerberus, e con l’altra l’aveva avvinto in un serrato corpo a corpo. Soffocando un’imprecazione, l’ex Turk si dimenò cercando di liberarsi dalla presa, ma l’altro non gli dava tregua. Fu in quel momento che si accorse che quello non era affatto un combattimento corpo a corpo, ma un abbraccio, e che il losco figuro che l’aveva aggredito non era affatto unfiguro’, al maschile.

“SORPRESA!!” gli urlò nelle orecchie Yuffie, senza togliere la mano sinistra dai tamburi della Cerberus. Vincent, dal canto suo, era troppo stordito per fare qualsiasi cosa.

Notando il suo irrigidimento, la Ninja di Wutai allentò la presa fino a lasciarlo andare. Finalmente la pistola pendeva inoffensiva lungo il suo fianco, non rappresentando quindi più un pericolo.

Sei contento di vedermi?” gli chiese ancora la ragazza, sfoggiando il più aggressivo ma al tempo stesso disarmante dei suoi sorrisi.

“Yuffie…?” riuscì solo a dire l’uomo, boccheggiando.

“Esatto! Che privilegio, ti ricordi addirittura come mi chiamo!”

La Ninja aveva cominciato a vorticare su se stessa come al suo solito, al punto che Vincent ebbe tutto il tempo di riprendersi.

“Yuffie! Che ci fai qui??”

L’altra si fermò, subito prima di mettere il piede in fallo su una piega del tappeto che l’avrebbe fatta sicuramente cadere. Assunse anche una strana espressione, come se cercasse di mostrarsi affabile nonostante stesse nascondendo qualcosa di terribile.

“Beh, che domande, sono venuta a trovarti, no?”

Perché ti ho trovata già in casa mia, in cui sei entrata probabilmente scassinandomi la porta o una finestra? Perché hai messo in ordine le mie cose? E perché tutto questo è avvenuto a notte fonda?”

Yuffie sgranò gli occhi. “Ehi, Vinnie… Non sapevo che fossi in grado di parlare così a lungo!”

“E la risposta quale sarebbe?” tagliò corto l’altro, timoroso che la ragazza cambiasse argomento e non gli spiegasse niente.

“Ehm…” disse lei, grattandosi distrattamente la testa. “Il fatto è che… Beh…”

“In due parole, Yuffie. Prometto che non mi arrabbierò.”

“Bene. In pratica, mi serve un posto dove stare, ed ho deciso di venire ad abitare un po’ da te!”

Nonostante l’espressione gioviale della giovane Ninja, il pistolero impallidì, cercando di mantenere la calma. L’aveva promesso, si disse, di non arrabbiarsi. Non voleva rimangiarsi la parola.

E dimmi Yuffie… Perché hai preso questa decisione…?”

“In poche parole, mio padre ha deciso che dovessi sposarmi con un tizio di una qualche famiglia nobile di Wutai, ovviamente senza nemmeno consultarmi: dovevi vederlo! Sembrava un Molboro bipede e con la pelle giallognola!”

In realtà lei non aveva mai visto il suo pretendente, ma era convinta che condire un po’ la sua tragica storia con dettagli disgustosi sarebbe servito alla sua causa. Vincent però non sembrava impressionato.

E quindi?”

“Come ‘e quindi’??”

“Non ho intenzione di fare il tuo gioco e mettermi contro l’Imperatore di Wutai, Yuffie. Ho già abbastanza grattacapi in questo periodo anche senza diventare il nemico pubblico di una nazione straniera. A maggior ragione se ospito in casa mia la principessa fuggiasca, chissà che razza di punizione mi aspetterebbe.

La ragazza, dopo un primo attimo di smarrimento, chinò il busto e sollevò la testa, producendosi in una interpretazione molto convincente del prototipo di una ragazzina timida, spaurita e braccata. “Ti prego, Vincent… Non lasciare che quei bruti che mi danno la caccia mi prendano e mi portino dall’uomo-Molboro… Altrimenti io…”

Se fosse servito, la Ninja era anche in grado di simulare un pianto disperato, ma sembrava che l’interpretazione sostenuta fino a quel momento fosse stata sufficiente. L’uomo infatti alzò gli occhi al cielo, esasperato, e nonostante lei non avesse mai fatto riferimento prima ad un ‘branco di bruti che le dava la caccia’, si limitò ad annuire.

E va bene, Yuffie, puoi restare.”

La ragazza non seppe trattenere l’entusiasmo. Con un grido di giubilo saltò in piedi e gli gettò le braccia al collo, al punto che sembrava completamente un’altra rispetto alla ragazzina tenera ed indifesa di poco prima.

“Evvai, grande Vincent!”

L’uomo non ebbe nemmeno il tempo di reagire che si trovò qualcosa che gli premeva con violenza sulle labbra. Gli ci volle un po’ a capire che si trattava di un altro paio di labbra. Dopo un secondo di smarrimento riuscì a staccarsi la ragazza di dosso e la guardò allontanarsi barcollando fino ad appoggiare la schiena contro la parete. Era arrossita, e non solo sul volto, ma su ogni centimetro visibile di pelle. Lo fissava stordita ed allibita, e forse lei stessa non si era resa conto di ciò che era successo.

“Yuffie…” iniziò Vincent, mantenendo la voce bassa, per poi alzarla un attimo dopo. “COSA DIAVOLO TI E’ PRESO??”

L’altra scosse il capo sulla difensiva. “N-non lo so, ti giuro! Mi è venuto così, spontaneamente! Per la gioia pens… Sì, per la gioia!”

Lui la guardò inquisitorio, ma infine decise di lasciar correre. Dopotutto, quello non era stato il suo primo bacio, ed era ragionevolmente sicuro che non lo fosse stato nemmeno per lei. D’altro canto, Yuffie continuava ad avere un’espressione sperduta come se avesse perso quel poco di razionalità che aveva.

“Ad ogni modo,” ricominciò Vincent, per cambiare subito argomento, “ti ripeto che puoi fermarti qui da me, se è proprio necessario.”

Quella volta Yuffie si limitò ad annuire spaesata, senza esibirsi nelle performance acrobatiche cui era solita. “V-va bene,” bofonchiò. L’altro scrollò le spalle.

“Puoi dormire nella branda singola che c’è nella mia camera da letto.

E tu dove dormirai??”

Vincent la vide arrossire di nuovo violentemente e decise di prevenire eventuali manifestazioni troppo agitate da parte sua. “Dove ho sempre dormito dacché abito qui: nel mio letto.

La ragazza annuì vistosamente e prese un profondo respiro, che sembrò calmarla.

“Non so se hai dormito da quando sei arrivata,” proseguì lui, “ma io ho piuttosto sonno. Per cui ti lascio la casa e vado a dormire.

“D’accordo!” sbottò Yuffie, all’improvviso tornata come prima, anche se forse solo apparentemente. “Farò in modo che la tua bara rimanga ben chiusa durante il giorno!”

L’infelicità di quella battuta testimoniava quanto in realtà la ragazza fosse a disagio. Vincent lo notò e decise di non rispondere, anche perché trovava piuttosto irritante il fatto che gli venisse costantemente ricordato il suo passato di ‘abitatore di una bara’.

“Mi raccomando,” glissò, mentre la stessa Ninja si rendeva conto di quanto la sua precedente battuta fosse inappropriata e cercava goffamente delle parole per scusarsi, “cerca di non fare disastri mentre mi riposo. Non farti scoprire al tuo primo giorno di latitanza, non provocare disastri in cucina, non cercare di riordinare il resto della casa, il cui arredamento apparentemente caotico è in realtà frutto di un’attenta serie di valutazioni. L’unica eccezione che ti concedo è di togliere la mia biancheria intima dal tuo letto.

“Ehm…”

“… Che cosa c’è?”

“… Veramente ho già riordinato quasi tutto, in casa…”

Vincent comprese che sarebbe stata una lunga, lunga convivenza, la loro.

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Capitolo 3
*** Un sonno agitato ***


UN SONNO AGITATO

UN SONNO AGITATO

 

La tempesta ormonale

 

 

 

 

 

 

 

SONO UN’IDIOTA COMPLETA!!!

Ma come mi è venuto in mente di baciarlo?? E così violentemente poi! D’accordo che ero contenta che mi avesse accettato in casa sua, ma reagire in quel modo!! Ora chissà cosa penserà di me…

 

Mentre ragionava in quel modo, Yuffie guardava pensierosa Vincent che si recava in camera da letto. Non credeva che avrebbe dato il suo primo bacio in quel modo: lei si era sempre immaginata all’interno di un giardino fiorito con indosso un elaborato kimono da nobildonna, mentre un glorioso samurai dai lunghi capelli neri entrava nel palazzo in groppa al suo chocobo bardato da battaglia, scendeva dal suddetto animale, si toglieva l’elmo e la rapiva in un coinvolgente bacio con la lingua… Il fatto che poi con il tempo quel samurai si fosse tramutato in un pistolero dal lungo mantello rosso era del tutto irrilevante ai suoi occhi.

“Ehm… Vinnie?” chiese, dopo averlo seguito fino nella camera da letto. Il pistolero dei suoi sogni stava togliendo la sovraccoperta che la ragazza aveva con tanta perizia disteso sulle lenzuola e la degnò solo di un grugnito. Cercando di non pensare a ciò che le era appena successo, Yuffie deglutì e continuò. “Il fatto è che… sono andata via di casa così di fretta che non ho preso molte cose con me… E mi mancherebbe… Beh, in sostanza, ce l’hai un pigiama per me? Anche se mi viene grande non è importante…”

 

VIENE GRANDE?? Ma che razza di espressioni uso di fronte a lui??

 

Mentre la ragazza si stava arrovellando per scoprire per quale assurdo motivo avesse utilizzato quell’espressione, Vincent scrollò le spalle. “Mi spiace, Yuffie. Io dormo nudo.”

Quella semplice osservazione ebbe l’effetto di strappare la giovane Ninja dalle sue elucubrazioni e gettarla in una serie apparentemente illimitata di fantasie di ovvio argomento, mentre il suo volto cominciava ad assumere il colore del mantello dell’uomo di cui era innamorata. Questi, che aveva notato il rossore della sua coinquilina, capì che avrebbe dovuto avere più riguardo nei suoi confronti. “Non preoccuparti,” disse infatti, “visto che non sarò da solo in casa terrò addosso i boxer. Ed a te posso solo offrire una delle mie camicie pulite… Yuffie, ti senti bene?”

“Sì… No… Cioè, volevo dire… sì, sto bene,” bofonchiò quest’ultima, scuotendo la testa e riprendendosi dalle sue fantasticherie, che concernevano visioni notturne di Vincent addormentato e scoperto dalle lenzuola.

L’altro, non sospettando minimamente la vera natura del turbamento della ragazza ed attribuendolo ancora alla precedente rivelazione del suo modo di dormire, annuì comprensivo. “Devi essere stanca anche tu, dopotutto. Nell’armadio troverai delle camicie, prendi quella che più ti aggrada e va’ pure a cambiarti in bagno. Io intanto lo farò qui.”

Vincent si era già voltato, per cui non notò l’espressione sconvolta che Yuffie aveva assunto alle sue parole.

 

Yuffie, stai calma, conlo farò qui’ non intendeva nulla di tutto quello che tu hai in mente…

 

Cercando di calmare la propria respirazione, si decise a seguire il consiglio di Vincent ed aprì l’armadio che solo poche ore prima aveva riordinato in uno stato d’animo del tutto diverso da quello attuale.

 

Accidenti… Sapevo che rivederlo dopo tanto tempo mi avrebbe fatto qualche effetto, ma non mi aspettavo certo che mi sconvolgesse fino a questo punto!!

 

Alla fine scelse un’elegante camicia bianca a strisce azzurre, probabilmente uno dei pochi vestiti da festa che quel guardaroba contenesse e che lei stessa aveva già adocchiato poco prima. La tolse dalla sua gruccia e la squadrò con attenzione; inevitabilmente, però, il suo sguardo era attratto da Vincent stesso, che si stava togliendo il suo mantello rosso. Per un singolo, inebriante secondo, la ragazza fu convinta che le si sarebbe svestito di fronte, ma subito dopo l’operazione cui aveva appena assistito, l’uomo si volse verso di lei ed incrociò le braccia sul petto, in attesa. “Chiaramente aspetterò che tu sia andata in bagno, per spogliarmi.

Dandosi della stupida per aver anche solo pensato che Vincent si sarebbe messo in boxer di fronte a lei, Yuffie bofonchiò und’accordo, ora vado’ e si chiuse in bagno, stringendo al seno la camicia ed aspettandosi da un momento all’altro di essere rimproverata per qualcosa, forse solo per i suoi pensieri. Con il suo affinato udito da Ninja, udì i vestiti dell’uomo frusciare mentre venivano tolti ed abbandonati chissà dove, lasciando il suo scultoreo corpo nudo di fronte all’aurora di quella nascente giornata…

Scuotendo il capo la ragazza di Wutai scacciò quei pensieri dalla mente e si convinse a non ascoltare più quei soavi rumori e a darsi da fare per indossare la camicia. Aveva un buon aroma di detersivo, il che voleva dire che era stata veramente lavata da poco. Vincent era stato molto gentile a permetterle di indossarla come pigiama. Senza volerlo, infilando la camicia chiuse gli occhi ed immaginò che, al posto dell’indumento, a sfiorarle la pelle fossero le sue mani. Al posto dell’odore di bucato, immaginò che ci fosse il suo odore, quello che aveva sentito nel suo letto, tra le sue lenzuola sfatte…

All’improvviso aprì gli occhi; aveva il fiatone, nonostante il suo fisico fosse ben allenato a sopportare la fatica, e si rese conto che la fantasia stava per avere il sopravvento sulla realtà, tanto da portarla a compiere atti di solitaria e tormentata passione.

Socchiuse la porta, timidamente. Ora la camera da letto era maggiormente rischiarata dai raggi del sole che filtravano dalle persiane chiuse, e Vincent era già sdraiato sul letto più grande, coperto dalle lenzuola. Sembrava essersi già addormentato. Con il cuore in gola, Yuffie aprì di più la porta e sgattaiolò fuori dal bagno, ancora turbata per la fantasia di poco prima. Però stavolta sapeva che se avesse ceduto, probabilmente Vincent si sarebbe svegliato e non sarebbe stato facile cavarsela mantenendo la dignità. Con passi leggeri e felpati, la ragazza raggiunse la propria branda e vi si gettò sopra. In un attimo era già sotto le lenzuola, lo sguardo sbarrato rivolto al ciuffo di capelli neri che, unica parte visibile di Vincent, usciva da sotto le coltri dell’altro letto.

Sì, si disse, sembrava profondamente addormentato. Riusciva a percepire solo il lieve movimento prodotto dal suo respiro calmo. Finalmente si decise a rilassarsi a sua volta e chiuse gli occhi, godendosi la sensazione di dormire nuovamente in un vero letto. Assieme ad un uomo. Sbarrò di nuovo gli occhi e si irrigidì.

 

Oh Leviathan… Questa… è la prima volta che dormo con un uomo!! Beh, non è proprio come se fossimo nello stesso letto, ma… insomma… non mi era mai capitato, nemmeno quando viaggiavo con Cloud e gli altri, per cui è un evento importante della mia vita di fanciulla… E succede subito dopo il mio primo bacio! A questo punto non mi stupirei se accadesse qualche altra ‘prima volta’ mentre sono qui…

Ah, accidenti, sto pensando come una ragazzina in piena tempesta ormonale. Ormai sono grande per queste cose, ho già vent’anni! Forse ciò dipenderà dal fatto che ho passato la mia adolescenza scorazzando per il pianeta a rubare materia, e che l’unica cotta seria che abbia mai avuto è stata per un ragazzo innamorato di altre due ragazze…

Dannazione, tutta colpa di mio padre che non mi ha lasciato frequentare i ragazzi della mia età. Certo, sono scappata di mia spontanea volontà, ma lui avrebbe potuto fare qualcosa di più che mettere una taglia sulla mia testa per farmi restare!

 

In preda a questi tormentosi pensieri, Yuffie prese a girarsi e rigirarsi nel letto, fino a sprofondare in un sonno agitato.

Nel frattempo Vincent, che non si era affatto addormentato, si chiedeva quale fosse il vero motivo per cui aveva accettato di tenere Yuffie presso di sé. Era vero, in fondo ne avevano passate tante insieme, ma in tutta sincerità non sapeva se avrebbe risposto allo stesso modo se a porre quella domanda fosse stata Tifa. Se fosse stato uno dei ragazzi non avrebbe avuto problemi, in fondo avevano già dormito insieme durante la guerra di Jenova, ma dormire nella stessa stanza di una ragazza ridestava in lui i ricordi ormai sopiti di Lucrecia. Con lei non aveva mai avuto il privilegio di passare una notte calma e serena, ma ogni volta che erano sul punto di portare il proprio rapporto ad un livello più concreto qualcosa andava storto. Ma d’altronde, quella ormai era acqua passata. Aveva messo una pietra sopra a Lucrecia da almeno un anno, da quando era riuscito a perdonarsi per i suoi peccati. Certo, in un solo anno non avrebbe mai potuto cambiare uno stile di vita maturato in trent’anni, ma almeno aveva cominciato a guardare di fronte a sé, anziché alle proprie spalle.

Si rigirò nel letto, lievemente disturbato da quei pensieri. Doveva ancora abituarsi a ricordare il passato senza dolore. Inspirò profondamente per ridisporsi a dormire, ma qualcosa lo stupì. Le lenzuola avevano un odore particolare, che si mescolava armoniosamente a quello del bucato. Era l’odore delle rose bianche di Wutai, e gli sembrava stranamente dolce e rilassante. D’un tratto la sua mente si rischiarò e lui riuscì ad assopirsi con serenità, senza però comprenderne del tutto il motivo.

 

Tifa… Non ci riesco…”

“Ti prego, Cloud… Ancora un po’…”

“Non… riesco a trattenermi… Ah!”

“NO, CLOUD!!”

La pesantissima trave su cui Tifa stava appendendo le tende scivolò dalle mani del guerriero biondo e si sfracellò sul pavimento del locale, finendo quasi per sbilanciare la donna in bilico sulla scala. Questa, non appena ebbe ripreso stabilmente l’equilibrio, lanciò uno sguardo furioso a Cloud. “Accidenti a te! Che ti costava reggerla ancora per un po’??”

Cloud, dall’altra parte della finestra che stavano decorando, si appoggiò al muro per non cadere. “Che ci potevo fare?? Ti avevo avvisata che per un lavoro di questo genere dovevamo essere in due a tenere la trave, ma tu cos’hai detto?? ‘Ma no, guarda che ce la fai, e poi non abbiamo il tempo di chiamare Barret, dobbiamo finire entro stasera!’”

Nel dire le ultime parole, il biondo aveva posato entrambe le mani sui fianchi, ancheggiando vistosamente e parlando con una voce decisamente acuta. All’udire la sua imitazione, a Tifa salì il sangue alla testa. Digrignando i denti, strinse i pugni e si preparò a gettarsi addosso al proprio fidanzato, a costo di cadere entrambi a terra, ma la campanella della porta d’ingresso del locale attirò la sua attenzione.

“Siamo chiusi!” sbraitò in direzione di coloro che erano appena entrati, ma si zittì subito non appena li ebbe visti.

Il terzetto di visitatori era formato da individui calvi, tutti dotati di occhiali scuri e di pizzetto curato, mentre sul corpo indossavano vistosi camicioni con allegri disegni di chocobo in corsa sopra un paio di calzoni verde militare dalle molte tasche e degli scarponi neri lucidi. Se non fosse stato per la diversa statura, sarebbero stati perfettamente identici.

Tifa non sapeva se ridere o infuriarsi contro di loro per averli disturbati. Alla fine, optò per una terza via. Senza badare all’espressione manifestamente divertita di Cloud, la donna scese dalla scala e si avvicinò al terzetto, con aria severa. “Siamo chiusi,” ripeté. “Apriremo questa sera alle 19.00, ma se proprio non potete resistere troverete un altro bar…”

Si interruppe quando uno dei tre, il più basso (che le arrivava al seno) sollevò una mano per intromettersi. “Cerchiamo una persona,” disse con un accento stranissimo, che però suonava in maniera piuttosto familiare a Tifa. “Non vogliamo bere.”

Nonostante l’arrabbiatura che non accennava a passare, ma anzi si era accentuata a causa dell’interruzione, Tifa rimase in silenzio, attendendo che l’improbabile capo del trio proseguisse. Dal momento che ciò non accadeva, la donna sospirò rumorosamente. “Chi state cercando?” chiese, esasperata.

“Diteci dove si trova la Somma Principessa Yuffie Kisaragi di Wutai,” rispose l’ometto, con un’espressione solenne sul volto. Per poco Cloud non cadde dalla scala dal ridere, sentendo appellare in quel modo la sua amica Ninja. Tifa, invece, si sforzò in tutti i modi di restare seria, anche se immaginare Yuffie con un vestito di lusso e una coroncina splendente sulla testa aveva un effetto assolutamente esilarante. “Mi dispiace…” riuscì ad articolare con fatica, “ma è quasi un anno che non la vediamo. L’ultima volta che l’abbiamo incontrata era da qualche parte nei dintorni di Midgar.

Il capo dei tre stranieri annuì lievemente, abbattuto, poi rivolse agli altri delle parole in un linguaggio sconosciuto pieno di suoni vocalici. Quando anch’essi ebbero risposto con una singola sillaba, il piccoletto tornò a girarsi verso Tifa. “Ci dispiace di avervi disturbati. Sayonara.”

Dopo un rapido inchino, i tre fecero dietro-front ed uscirono in fila indiana dal locale. Solo allora Tifa si permise di scoppiare a ridere, piegandosi in due con le mani all’addome. Rocambolescamente, intanto, Cloud era sceso dalla scala e si era unito a lei nelle risate.

Ma li hai visti??” domandò il ragazzo, con le lacrime agli occhi. “Sono così i Turks di Wutai!!”

Per il successivo quarto d’ora i due continuarono a ridere incontrollatamente senza nemmeno chiedersi per quale motivo i tre samurai stessero cercando Yuffie.

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Capitolo 4
*** Bruschi risvegli ***


Quando Yuffie si svegliò era orma pomeriggio inoltrato

BRUSCHI RISVEGLI

 

Quando si viene colti in flagrante durante un’imitazione

 

 

 

 

 

 

 

Quando Yuffie si svegliò era già pomeriggio inoltrato.

La luce ormai irrompeva quasi con prepotenza nella camera da letto che aveva diviso con Vincent. La prima cosa che vide quando aprì gli occhi, fu la sagoma di Vincent messa in risalto dai raggi del sole che filtravano dalla finestra sotto cui era sistemato il letto dell’ex Turk.

Quest’ultimo aveva il volto verso di lei, rivolgendo le spalle alla forte luce. Era coperto fino al collo dal lenzuolo ed i capelli privi della bandana che era solito portare, scendevano in parte a ricoprirgli il volto. La Ninja sgranò gli occhi.

 

Oh Leviathan…

 

Il cuore prese a batterle forsennatamente nel petto e con movimenti silenziosi, si tirò su a sedere per poi scostarsi di dosso le coperte e scendere dal letto.

Senza poter far nulla per impedirselo, si avvicinò silenziosamente al volto di Vincent tentennando ad ogni singolo passo.

 

Deve avermi dato di volta il cervello proprio come a mio padre!

Eppure…

 

Si umettò le labbra nervosamente mentre si chinava su di lui, trattenendo il respiro per il timore di svegliarlo ed infrangere quell’incanto.

 

Eppure non riesco a farne a meno…

 

Gli sfiorò i capelli con una mano, leggermente, e si bloccò terrorizzata quando le sue sopracciglia ebbero un tremito; se l’avesse vista compiere quel gesto, chissà come avrebbe reagito…

Fortunatamente, Yuffie non dovette scoprirlo in quel momento, poiché sembrava che il sonno dell’ex-Turk fosse tutt’altro che turbato. La sua espressione anzi si rasserenò un poco. Quello fu il colpo di grazia per l’autocontrollo di Yuffie. Senza riuscire a trattenersi si chinò su di lui e gli sfiorò la guancia con le labbra. Subito dopo, avendo realizzato ciò che aveva fatto, saltò direttamente sulla propria branda e si coprì con le lenzuola fin sopra la testa, producendo solo un fastidioso cigolio a causa delle molle eccessivamente sollecitate. In risposta a tale rumore, la ragazza udì solamente il fruscio delle lenzuola di Vincent, forse disturbato dalle molle o forse, nel peggiore dei casi, svegliato da quel bacio. In ogni caso, Yuffie rimase in trepidante attesa.

 

Accidenti a me, ma che mi è saltato in mente di fare?? Poteva svegliarsi ed arrabbiarsi a morte, la MIA morte! Cos’è, respirare di nuovo l’aria del mondo esterno a Wutai mi ha fuso il cervello??

 

Nei minuti che seguirono però nella casa regnò solo il silenzio, disturbato unicamente dai rumori provenienti dall’esterno, il che significava probabilmente che Vincent era tornato a sprofondare nel sonno profondo. Solo quando ebbe questa consapevolezza, Yuffie si concesse un lungo e silenzioso respiro di sollievo.

 

Nota per il futuro: se dovesse capitarmi di nuovo di voler fare una cosa del genere, pensarci su due volte e, se non bastasse, mordermi la lingua con forza.

Sarà stata l’agitazione, ma avverto all’improvviso la necessità di andare al bagno.

 

Quando si fu accertata per l’ennesima volta che Vincent stesse dormendo, la Ninja scese in punta di piedi dal letto ed attraversò la stanza fino alla porta del gabinetto, che aprì e chiuse senza emettere il minimo cigolio.

Alla sua uscita, la scena non era cambiata per niente: l’uomo di cui era cotta era ancora addormentato nella stessa posizione di prima. Yuffie decise che, per l’incolumità di Vincent ma soprattutto per la propria, era meglio se si metteva a fare qualcosa e non continuava a rimuginare sul primo e sul secondo bacio che si erano scambiati… Anche se in entrambi i casi sarebbe stato più corretto dire che lei se li era presi. Fece per sgattaiolare in cucina quando vide una cosa che la fece bloccare sul posto. Abbastanza distanziato dal letto di Vincent, c’era il suo mantello rosso, appoggiato languidamente ad una sedia, che sembrava sussurrare alla ragazza di andarlo a prendere per rimirarselo in santa pace. Chiaramente, tale impressione era totalmente frutto dell’immaginazione di Yuffie, così come l’atteggiamento languido del capo di vestiario, ma cionondimeno il richiamo le era irresistibile. Quando finalmente ebbe tra le mani l’agognato abito lo soppesò e ne tastò la consistenza, con aria vigile.

 

… A vederlo sembrava più leggero… deve tenere ben caldo. Però avrebbe decisamente bisogno di una rattoppata. Magari posso farglielo io questo lavoro, per contribuire a sdebitarmi dell’ospitalità e del fatto di avergli messo ‘in disordine’ la crip… ehm, la casa. E poi chissà, potrebbe anche scapparci un ringraziamento coi fiocchi, uno di quelli accompagnati da caldi abbracci ed ancor più accaldati baci…

 

Scuotendo vigorosamente la testa, la giovane Ninja scacciò quei pensieri e si avviò verso la cucina, laddove avrebbe cominciato a cercare il materiale per rattoppare il mantello; anche se, in effetti, non aveva molte speranze di trovare ago e filo rosso nella casa di un single come Vincent Valentine.

Per raggiungere la sua stanza di lavoro, la ragazza dovette passare davanti ad un grande specchio: poteva riflettere una persona intera, e la sua cornice dorata rappresentava scene agresti di ninfe e satiri. Tuttavia, riflettere sul valore di un simile oggetto era in quel momento l’ultimo dei pensieri di Yuffie. Infatti era rimasta imbambolata fissare la propria immagine riflessa, seminascosta dall’indumento rosso che le arrivava fino ai piedi.

 

… Perché no… Intanto non lo saprà mai nessuno…

 

Furtivamente, la ragazza tornò in camera da letto, dove Vincent dormiva ancora, e vide che anche la bandana e l’artiglio dorato giacevano abbastanza lontani dal loro proprietario. Un subdolo sorriso le si dipinse sulle labbra.

 

Vincent si svegliò scosso da una strana nenia. O almeno, nel suo dormiveglia quel rumore che continuava a sentire da un po’ di tempo suonava come un qualche tipo di nenia. Un po’ contrariato da questo fatto, l’uomo aprì gli occhi e ricordò di trovarsi nella sua casa di Edge, al termine di una missione per conto della WRO, e, cosa forse più importante di tutte, che non era solo. D’impulso guardò la branda che aveva riservato come giaciglio per Yuffie ma la trovò vuota. Solo quando si guardò attorno per capire che fine avesse fatto quella ragazza si rese finalmente conto di quale fosse l’origine di quelle strane parole, poiché di parole si trattava, che l’avevano svegliato.

Di fronte allo specchio nell’ingresso c’era Yuffie, impettita e con uno sguardo serioso, avvolta nel suo mantello rosso troppo lungo per lei, al punto che si accumulava ai suoi piedi. Sulla fronte, al posto della sua solita bandana nera, indossava quella rossa del suo ospite, e così pure portava l’artiglio sul braccio sinistro. Vincent strabuzzò gli occhi e se li stropicciò più volte, incredulo. Poi iniziò a mettere a fuoco il significato di ciò che la ragazza stava dicendo, e sobbalzò per la sorpresa.

“… Mi nascondo nell’oscurità,” stava dicendo la ragazza, “non ho pietà per i miei nemici! Sono il vampiro più sexy che abbia mai lavorato per la Shinra! Il mio nome è Vincent Valentine, e sono qui per punirti…GAH!!”

Nel pronunciare la sua ultima battuta, Yuffie aveva fatto una piroetta, con la quale si era trovata faccia a faccia con Vincent, che si era avvicinato di soppiatto a lei ‘nascondendosi nell’oscurità’. L’espressione dell’uomo era impassibile, mentre quella della ragazza oscillava tra la sorpresa, il terrore ed il più terreo sgomento.

“Cosa stai facendo?” chiese l’ex-Turk, mantenendo un tono di voce uniforme, dal quale non traspariva alcuna emozione.

“Eh? Eh… Io… Ehm… Eh eh…” bofonchiò la ragazza, arretrando verso la porta d’ingresso, pronta ad imboccarla e fuggire a gambe levate. All’improvviso, optò per una decisione drastica. Con un gesto fulmineo si sfilò il mantello e lo gettò in faccia a Vincent, in modo da accecarlo, e subito dopo spiccò una rapida corsa in cucina, alla ricerca di qualunque cosa potesse usare come arma per l’autodifesa. L’uomo si divincolò in fretta dal proprio indumento (d’altronde era stato addestrato ad uscire da situazioni ben peggiori) e lo fissò con uno sguardo indecifrabile, che passava da un momento all’altro dall’interdizione, all’ira al… divertimento?

Quell’ultima emozione lo lasciò interdetto. Non aveva ancora rifatto l’abitudine a divertirsi, per cui quella strana sensazione, quella voglia di scoppiare a ridere lo lasciava interdetto. Strinse tra le mani il mantello ed all’improvviso ebbe un’altra sorpresa. Al posto dei numerosi strappi che vi erano stati lasciati dagli interminabili anni di dolore durante i quali era stato indossato vi erano cuciture e toppe, come le cicatrici ormai rimarginate che lui portava nel suo animo. Ma la cosa più sorprendente era che il colletto del vestito portava lo stesso odore che Vincent aveva sentito solo poco tempo prima, a letto. L’aroma di Wutai, il profumo usato da Yuffie.

Bastò quello a rasserenarlo, sebbene non riuscisse a darsene una spiegazione convincente. Semplicemente, mentre prima era pronto a rimproverare la sua ospite per aver trafugato i suoi vestiti, in quel momento si sentiva intenerito, pronto a passare sopra quel piccolo incidente e, anzi, a riderci sopra con lei.

“Mmh,” si decise a dire, preferendo non lasciar trapelare alcuno dei suoi sentimenti, né quelli attuali positivi né quelli negativi passati. “Non fa niente, Yuffie. La prossima volta che vuoi imitarmi, però, chiedimi il permesso. Io vado in bagno, ti lascio qui il mantello.”

Mentre la porta del bagno si chiudeva, la Ninja di Wutai abbassò la padella che aveva sollevato sopra la testa a mo’ di mazza e rimase a lungo immobile, a bocca aperta, stupita per essersela cavata così con poco.

Pochi minuti dopo qualcuno tempestò di colpi la porta, facendo sobbalzare la ragazza in cucina, che riprese in mano la pentola, pronta a tutto. Dal corridoio all’esterno trapelò una voce molto sensuale, sebbene non fosse particolarmente profonda, che lei però non riconobbe.

“Vincent Valentine, ti prego, apri la porta, ho bisogno di vederti!”

 

 

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Capitolo 5
*** Una visita inaspettata ***


UNA VISITA INASPETTATA

UNA VISITA INASPETTATA

 

Padelle e lacrime

 

 

 

 

 

 

 

 

Yuffie fece per andare a guardare dallo spioncino a chi appartenesse quella voce, ma si bloccò quando sentì la porta del bagno aprirsi. Sebbene, nei minuti passati da quando Vincent l’aveva scoperta, lei fosse riuscita a riprendersi un po’ dalla sorpresa, ora sobbalzò di nuovo e trattenne il fiato, sicura che il suo volto fosse diventato dello stesso colore della bandana che portava ancora attorno alla fronte. Dal bagno infatti era uscito Vincent, avvolto in un accappatoio bianco, coi capelli bagnati che gli circondavano il volto e rilucevano alla luce del sole pomeridiano. Yuffie arrancò all’indietro, in modo da non trovarsi di fronte a quella visione paradisiaca, e strinse spasmodicamente il manico della padella, questa volta non per prepararsi ad un attacco ma per calmare il tremito alle mani.

Vincent d’altro canto non la degnò di uno sguardo: sembrava visibilmente preoccupato per qualcosa. Forse la donna dall’altra parte della porta era un emissario della WRO che gli avrebbe portato qualche altra richiesta di Reeve, o una missione in cui avrebbe rischiato la vita?

“Avanti, Vincent Valentine, aprimi!” disse di nuovo la voce, stavolta con un tono più basso del precedente. Sospirando, l’interpellato fece scattare la serratura ed aprì la porta. Yuffie, intanto, si era nascosta dietro il tavolo della cucina, pronta ad aggredire con la padella, dato che il suo shuriken giaceva abbandonato in camera da letto, chiunque fosse stato tanto stolto da mettere a rischio la vita di Vincent.

Dalla soglia sbucò una donna alta e formosa con un sorriso smagliante, che gettò le braccia al collo dell’uomo in accappatoio.

“Oh, Vincent Valentine, mi sei mancato,” disse la donna con voce sensuale, senza accennare a sciogliere l’abbraccio ma anzi appoggiandogli la testa tra capo e collo e socchiudendo gli occhi con fare beato. Nel suo angolino, Yuffie si alzò in piedi e brandì la padella pronta ad aggredire l’intrusa: chi era quella femme fatale che si introduceva nella sua vita per rubarle il suo Vincent??

Ma se ci siamo visti ieri, alla sede della WRO…” disse l’uomo, senza rispondere all’abbraccio ma senza nemmeno allontanarla da sé. La donna dal canto suo si strinse maggiormente a lui, strofinando il volto sul tessuto dell’accappatoio con un sorriso. “Lo sai che per me anche un minuto senza di te è come un’eternità.

Yuffie si ritirò dietro la sporgenza del muro, in modo da poter ascoltare e sbirciare ciò che si sarebbe detto e fatto senza essere vista. Quella tizia non poteva permettersi di sedurre Vincent in quel modo spudorato e passarla liscia.

“Lo sai, Vincent Valentine, quello che provo per te,” proseguì la donna, che aveva sollevato il capo per guardare l’oggetto delle sue parole negli occhi, mentre una mano si sollevava per accarezzargli i capelli bagnati che gli scendevano lungo una guancia. Finalmente, l’ex-Turk si decise a separarsi da lei, badando però a non essere troppo brusco.

 

Alla buonora! E poi non ha avuto tutto questo riguardo per me quando mi ha scansata, l’altra sera! Vabbeh che questa qui non ha tentato di baciarlo di sorpresa… Ma non è questo il punto! Oh, Leviathan, fa che questa bomba sexy non sia la sua fidanzata…

 

Dopo un breve attimo di silenzio, fu Vincent che parlò. “Di questo ne abbiamo già parlato, Shelke.”

Se in quel momento si fosse aperta una voragine ai piedi di Yuffie facendola cadere, ed in fondo ad essa ci fossero stati suo padre e Sephiroth in groppa ad Omega, lei non si sarebbe sentita tanto atterrita.

 

COSA?? QUELLA STANGONA TETTONA SAREBBE SHELKE??? Ma se l’ultima volta che l’ho vista mi arrivava ai gomiti e non poteva nemmeno portare il reggiseno, ora non può essere di colpo diventata più alta di me e sfoggiare delle tette grosse quasi quanto quelle di Tifa!! Sapevo che aveva smesso di assumere il Mako, ma non credevo che questi sarebbero stati gli effetti!! E poi, dove diavolo ha imparato ad usare quel tono di voce??

 

Mentre Yuffie stava ancora cercando di capacitarsi di ciò che aveva appena saputo, la donna che Vincent aveva chiamato Shelke perse il proprio sorriso e diventò seria. “E’ ancora per quella donna?”

La Ninja di Wutai dovette trattenersi dal saltare allo scoperto con i denti scoperti urlando.

 

QUELLA DONNA?? NON STARA’ MICA ANCORA FLAGELLANDOSI PER QUELLA DANNATA LUCRECIA!!! OPPURE SI TRATTA DI UN’ALTRA DONNA??

 

Vincent scosse il capo ed abbassò lo sguardo. “Non è solo per quello, Shelke, e tu lo sai.

Nel silenzio che seguì, a Yuffie sbiancarono le nocche, tanta era la forza con cui stringeva l’impugnatura della padella. E così, nonostante tutto quello che era successo, l’uomo che amava non era suo. Che fosse perso dietro ad un fantasma, ad un’altra donna o a una ragazza che fino a pochi mesi prima dimostrava dieci anni scarsi, poco importava. Non era suo e, cosa forse altrettanto importante, lui non le aveva detto assolutamente niente.

 

Nonostante quello che c’è stato tra di noi… Il nostro primo bacio… La prima volta che abbiamo dormito insieme… La prima volta che l’ho imitato… Per lui io valgo così poco?

 

Nell’ingresso, intanto, Shelke tornò a sorridere, anche se in modo meno seducente di prima. “Sì, capisco. Comunque sappi che se mai dovessi sentirti pronto, sai dove trovarmi.”

Senza aver dato tempo a Vincent di reagire, la donna gli fece un cenno di saluto con una mano ed uscì dalla casa, chiudendo la porta dietro di sé. L’ex-Turk emise un profondo sospiro, ma non fece in tempo nemmeno a pensare a come avrebbe spiegato tutto quello che era successo a Yuffie che sentì un poderoso colpo sonoro risuonare nell’aria, come una campana che veniva suonata poco distante. Ci mise qualche secondo a capire che quel rumore proveniva dalla padella che ora era di nuovo sollevata in aria, e che il batacchio era stata la sua testa. A reggere l’utensile, che presentava una vistosa ammaccatura nel suo centro, era una Yuffie completamente rossa in viso, con un’espressione di rabbia a stento tenuta sotto controllo, al punto che le bagnava gli occhi di lacrime.

“Brutto scellerato, cos’è, ti si sono risvegliati gli ormoni dopo trent’anni di astinenza?? Adesso corri dietro a delle tette che sono quasi grosse come quelle di Tifa?? Ed io che mi illudevo che tu fossi diverso dagli altri maschi, stupido casanova che non sei altro!! Sei un… un… UN MASCALZONE!!”

Vincent era troppo stordito per riuscire a schivare la seconda padellata che lo colpì proprio in fronte, sbattendolo contro il muro e facendogli perdere l’equilibrio. Solo il fatto che stava cadendo lo salvò dal suo stesso artiglio, che venne lanciato con foga verso di lui e che si conficcò nel muro. Incapace di pensare, l’uomo fu a mala pena consapevole delle grida disperate di Yuffie e della porta d’ingresso che veniva sbattuta alle spalle di lei.

Yuffie… non hai capito…” riuscì a stento a mormorare, decisamente in ritardo, prima di sprofondare nell’incoscienza.

 

“… E così gli ho lanciato l’artiglio contro e sono scappata sbattendo la porta alle mie spalle!” finì di dire Yuffie, ancora in lacrime, tremando. Tifa, che aveva ascoltato tutto il suo sproloquio a bocca aperta e con lo straccio che stava usando per lucidare il suo bancone penzoloni, attese qualche secondo, temendo che l’amica dovesse aggiungere ancora qualcosa, ma quando vide che invece lei stava per avere un’altra crisi di pianto si decise ad intervenire. Lentamente posò lo straccio su una vicina sedia, e solo allora parlò. “Capisco, Yuffie, ma ora è tutto a posto, ci sono io con te. Adesso, posa quella padella…”

Rendendosi conto solo in quel momento di avere ancora la sua arma contundente stretta in pugno, la Ninja la posò su un tavolo e si lasciò cadere su una sedia, ricominciando a piangere. Incapace di trattenere il proprio istinto materno, Tifa le si avvicinò e le abbracciò il capo, ma fu bruscamente scostata. “Non stringermi alle tue tette, che mi ricordi Shelke!”

Avendo ricevuto per la prima volta nella sua vita un rifiuto ad un abbraccio, la barista rimase interdetta e un po’ indispettita, ma subito si riprese, conscia che quello era un momento veramente brutto per la sua amica. Dopotutto, aveva appena fatto irruzione nel suo locale senza darle nemmeno il tempo di salutarla, figurarsi quello di informarla che tre strani individui erano sulle sue tracce. Le aveva subito riversato addosso il racconto degli ultimi giorni, partendo dalla sua ultima discussione con suo padre fino alla scoperta che Shelke era cresciuta tutta d’un colpo. Tifa aveva ascoltato pazientemente, soprattutto perché durante tutto il racconto Yuffie aveva continuato a brandire nervosamente la padella ammaccata. Ora però era il momento di rilassarsi un po’.

Ora calmati, Yuffie,” riprese la barista, lasciando perdere il riferimento al suo seno. “Ti preparo qualcosa?”

L’altra scosse la testa singhiozzando, ma Tifa scomparve ugualmente dietro il bancone, da cui riemerse con un fazzoletto pulito ed una bottiglia di rum per sé. Giunta al tavolo di Yuffie appoggiò il suo fardello e notò con disappunto che la ragazza ignorò totalmente il fazzoletto, ed invece afferrò e bevve un lungo sorso dalla bottiglia di rum.

Ma… Yuffie! Non eri astemia??”

“Ora non più… Cazzo, quant’è forte…!”

Premurosamente la donna le allontanò la bottiglia, mentre aspettava che la sua crisi di tosse fosse terminata. Tuttavia, finito di tossire, Yuffie continuò a piangere disperatamente. Con mano tremante si tolse anche la bandana rossa che aveva portato con sé e, d’un tratto, la morse con furia. “QUEL MASCALZONE!!”

Tifa lottò a lungo per strappare il brano di stoffa dalla presa dentale della Ninja, ma alla fine vi riuscì. “Yuffie, accidenti, calmati! Se proprio vuoi saperlo, è da quando è diventata adulta che Shelke ci prova con Vincent!”

Quelle parole ebbero il solo effetto di provocare un lungo ululato di dolore da parte della ragazza, per cui Tifa alzò la voce per concludere il più in fretta possibile il suo discorso. “Però lui non ci è mai stato!!”

All’improvviso l’espressione disperata di Yuffie si tramutò in una di gioia infantile. “Davvero??”

“Sì! Che io sappia, ed io ne so tante di cose visto il lavoro che faccio, Vincent è ancora single.”

L’espressione euforica della Ninja durò appena qualche secondo in più, per poi essere sostituita da un’aria malinconica. “Allora sicuramente Shelke si riferiva a Lucrecia. E contro di lei io non ho nessuna speranza. E non si tratta solo di una questione di tette.

Tifa si preoccupò per il fatto che Yuffie basasse la propria immagine di sé sulla dimensione del suo seno, ma decise che quello non era proprio il momento adatto per discuterne. Invece, forse, sarebbe stato meglio cambiare argomento. “Dai, non pensarci più. Piuttosto, lo sai che ci sono tre tizi che ti stanno cercando?”

La Ninja di Wutai drizzò le orecchie, allarmata. “Tre tizi?”

 

“La Somma Principessa Luffy Kisacosa di Buttai? Certo che sappiamo dove si trova!” disse uno dei quattro giovanotti dall’aria trasandata cui i tre samurai si erano rivolti. Gli altri individui annuirono vigorosamente e con larghi sorrisi sulle facce da sbarbare. Gli emissari di Wutai trassero contemporaneamente un sospiro di sollievo: finalmente una traccia da seguire, dopo giorni di indagini.

“Prego, prego, seguiteci, onorevoli signori,” fece un altro del quartetto, ed i tre samurai non se lo fecero ripetere due volte, seguendo le loro guide in un vicolo poco illuminato di Edge. Circa dieci minuti dopo ne uscirono dallo stesso lato da cui erano entrati, con l’aria abbattuta e la testa china.

“Il nostro addestramento speciale non doveva fornirci abilità simili a quelle dei Turks della Shinra?” chiese il più alto, le mani affondate nelle tasche dei calzoni.

“Magari è successo qualcosa del genere anche a loro, agli albori della loro storia,” disse il samurai mediano.

Ping, Pang[1],” fece il terzo, stizzito, quello più basso, “dubito fortemente che loro si sarebbero fatti derubare da un gruppetto di sbandati durante una missione d’infiltrazione segreta.”

Gli altri due annuirono, e per un certo periodo camminarono in silenzio, in fila indiana, senza una meta precisa. Poi il più alto riprese a parlare. “Dov’è che abbiamo sbagliato, Pong?”

Il silenzio fu la più loquace delle risposte a quella domanda.



[1] I nomi dei tre ‘Turks di Wutai’ sono tratti dall’opera “Turandot” di Giacomo Puccini.

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Capitolo 6
*** Una colazione per due ***


UNA COLAZIONE PER DUE

UNA COLAZIONE PER DUE

 

Sorprese di prima mattina

 

 

 

 

 

 

 

Nell’ombra, una sagoma si protese su Tifa, che si era addormentata da poco dopo una lunga giornata di lavoro. “Tifa…” mormorò una voce, al che la donna sobbalzò colpendo con la testa un oggetto contundente e gridando con forza. Dopo una breve colluttazione riuscì ad accendere la luce e si preparò a fronteggiare il suo aggressore, nonostante il dolore che le martellava in fronte. Ma accanto a lei, gemente sul letto, c’era solo Yuffie, con entrambe le mani sul capo dove si stava rapidamente formando un grosso bernoccolo.

“Y-Yuffie!” sbottò la barista, ancora agitata. “Si può sapere che ti prende??”

Ma vorrei sapere cosa prende a te, per darmi una testata simile!” esclamò la Ninja, con le lacrime agli occhi. “Ahi… scommetto che una pozione non basterà…”

Ma scusa, secondo te come dovevo reagire sentendo una voce che mi ansimava nelle orecchie come hai fatto tu?”

“Chissà, forse potevi rispondere cortesemente e magari offrire un tè!”

Il sarcasmo nelle parole dell’amica ebbe l’effetto di calmare Tifa, che sospirò più volte prima di riprendere. “Ad ogni modo, di cos’hai bisogno?”

Intanto, dalla porta della camera arrivò l’ansare di Cloud, in pigiama e assonnato, che si era precipitato a vedere cosa fosse successo non appena ebbe udito il grido della sua ragazza. “Si può sapere che sta succedendo qui??”

“Niente, niente,” rispose Yuffie, facendo un cenno con la mano per congedare il ragazzo. Questi, dopo un cenno di conferma da parte di Tifa, mugugnò qualcosa come ‘non ti basta esserti presa il mio posto letto?’ e se ne andò chiudendo la porta alle sue spalle.

“Bene,” continuò Tifa, paziente. “Dimmi pure cos’è successo.”

“Tifa…” rispose Yuffie, titubante. “Secondo te… come posso fare per farmi perdonare? Dovrei fargli un regalo? E che tipo di regalo? Puoi prestarmi tu qualche gil, che sono al verde?”

Ma dovevi chiedermi queste cose proprio alle tre di notte, facendomi prendere un colpo??”

Ma non riuscivo a dormire!”

Tifa sospirò nuovamente. “Allora… Yuffie… ti dico subito che non ho tanti gil da prestarti, e che li rivoglio indietro… Al massimo mille, e solo perché sei mia amica…”

La donna sollevò subito una mano frenando l’incontenibile entusiasmo della ragazza.

“E comunque, non so se con mille gil puoi comprare qualcosa di decente con cui tornare da Vincent. Forse una padella nuova ed una pozione per rimediare al danno che gli hai fatto… anzi, forse è meglio una granpozione…”

“Ma questi sono tutti oggetti di consumo,” obiettò Yuffie, evidentemente considerando anche la padella come ‘oggetto di consumo’, dato l’uso che ne faceva di solito. “Io vorrei prendergli qualcosa che gli ricordi me, qualcosa che lo renda felice ogni volta che penserà a me…”

‘Forse potresti regalargli la fotocopia di un biglietto di sola andata per Wutai con il tuo nome, così ogni volta che lo vedrà penserà che tu sei lontana, fuori dalle scatole, e sarà felice, specialmente se ha sgobbato come un chocobo per dieci ore di fila e vuole solamente dormire, come me,’ pensò Tifa, ma l’ultimo barlume di compassione che albergava ancora in lei la convinse a non dare quel consiglio. Invece, dopo una lunga pausa, le fece una diversa proposta, quasi con noncuranza. “Perché non gli regali la tua bandana?”

Terminò quella frase con un rumoroso sbadiglio, il che le impedì di cogliere l’espressione di entusiasmo e gratitudine che era esplosa sul volto di Yuffie. “Tifa, sei un genio, ti adoro!”

Senza capire bene perché, la donna si trovò ad essere strattonata brutalmente in un rude abbraccio. “Ah… eh… grazie… ora però dormici su, va bene?”

Yuffie annuì prontamente, le si sdraiò quasi addosso per spegnere la luce e tornò a sdraiarsi al suo fianco, lasciando Tifa nel dubbio su cosa, nella sua proposta che in quel momento nemmeno ricordava più, avesse eccitato a tal punto la sua amica.

Ma in fondo, la cosa veramente importante era che adesso poteva dormire in pace.

 

Vincent ci mise un po’ a riprendersi e a realizzare che Yuffie se n’era andata, e per giunta indossando la sua bandana rossa. Non che gli importasse molto della bandana, ma avrebbe voluto tanto scambiare quattro chiacchiere con quella ragazza dal pugno facile. O, per meglio dire, dalla padella facile. Non aveva nemmeno avuto tempo di spiegarle che non aveva mai accettato le avances di Shelke, che non gli piaceva né quando era bambina né in quel momento. Avrebbe voluto dirle che…

Il dolore alla testa era lancinante. Barcollando, raggiunse la camera da letto e frugò nel proprio zaino, alla ricerca di qualche oggetto di recupero. Consumate due pozioni si sentiva già meglio; abbastanza bene da infuriarsi con Yuffie per avergli portato via la bandana, per aver anche solo pensato che potesse stare con una come Shelke e per averlo preso a padellate in testa. E se l’era pure portata via, la padella!

“Calmo,” si disse. “Stai calmo. Al massimo dovrai solo ricomprarti una padella e una bandana, non è una grave perdita. E poi, a ben vedere, Yuffie era troppo sconvolta per fare qualcosa di inconsulto; probabilmente tornerà tra poco, oppure sarà andata a piagnucolare da Tifa. Avrò di sicuro quella peste ancora fra i piedi per molto tempo. Eppure, per quale motivo non mi sento così arrabbiato all’idea?”

Vincent scosse la testa per non pensare a quell’argomento. Ne aveva già parlato abbastanza in passato, con Shelke e Reeve, da averne a sufficienza, almeno per il momento. Dal momento che si era ripreso dalla botta in testa, non aveva nessuna intenzione di deprimersi pensando a ciò che nemmeno a lui era molto chiaro. Sospirando, si recò in cucina per prepararsi un rapido pasto.

 

“Il Sommo Imperatore ci ucciderà per questo, lo so,” mugugnò Ping, l’uomo più alto fra i tre, mentre facevano cuocere su un fuoco di fortuna l’ultima confezione di ramen istantanei che avevano. A quelle parole il più basso, Pong, si inalberò. “E’ mai possibile che tu sia sempre così pessimista?? Non è detto che tutte le missioni debbano essere semplici, gli errori di valutazione possono capitare!”

Pang, il samurai che fino ad allora non aveva ancora parlato, smise di contemplare la confezione di ramen che emanava già un delicato profumino e fissò con astio il suo capo. “Tu chiameresti ‘errori di valutazione’ il fatto di non aver guardato la data di scadenza del ramen istantaneo che hai comprato a Wutai, il fatto di aver dimenticato di cambiare i nostri yen privi di valore internazionale con i gil alla Banca di Da-Chao, e quindi aver dovuto lavorare part-time per guadagnare qualcosina, ed il fatto di esserci fatti rubare il suddetto qualcosina da un gruppo di teppisti armati di serramanico e scacciacani?”

Nuovamente i tre rimasero immobili in silenzio, assorti, di fronte allo scoppiettante fuoco di copertoni bruciati. Da qualche parte, poco distante, un ubriaco iniziò una stonatissima canzone che terminò con un volgare e poderoso rutto soddisfatto.

“Ho una strana voglia di fare harakiri,” commentò Ping, triste.

“Non dire scemenze,” lo interruppe Pong, infastidito. “Non possiamo morire prima di aver trovato la Somma Principessa Yuffie Kisaragi ed averla riportata da suo padre. Fino ad allora, non potremo fare harakiri.”

“Piuttosto,” si intromise Pang con tono pragmatico, “non potremo farlo finché non avremo riscattato le nostre spade corte da quel robivecchi.”

Di nuovo le parole del samurai furono accolte dal silenzio generale, al termine del quale i tre cominciarono a mangiare il ramen semicrudo, nel timore che rimanesse bruciacchiato ed immangiabile se lasciato sul fuoco di gomme troppo a lungo.

 

Mancava ancora poco all’alba quando Yuffie penetrò furtivamente in casa di Vincent, la padella ammaccata appesa alla cintura. Aveva tutte le intenzioni di fargli una sorpresa per farsi perdonare, e sarebbe stata veramente una bella sorpresa stavolta. Silenziosa come un’ombra si recò in cucina e posò quella che era stata la sua fedele arma per un giorno su un ripiano, mentre cercava di orientarsi e decidere dove trovare gli ingredienti per l’impresa che stava cercando di attuare; aveva tormentato Tifa per ore per farsi dare una ricetta semplice ma sfiziosa per una colazione romantica, ed ora aveva tutte le intenzioni di mettere in pratica ciò che aveva appreso. Purtroppo, però, il frigorifero di Vincent non conteneva alcun uovo di chocobo, filetto di ochu o mazzo di erba gishal fresca, ragion per cui le ‘uova di chocobo all’occhio di ochu’ di cui le aveva parlato la sua amica erano impossibili da preparare. C’erano solo una gran quantità di bistecche, del tutto inadeguate per una colazione che non fosse anche pranzo e cena. Alla fine ripiegò per il semplice ma efficace latte con cereali, i cui ingredienti erano a mala pena sufficienti per preparare la colazione per due.

Accese il gas e cominciò a scaldare il latte, sperando di non fare disastri, svegliare Vincent e di conseguenza mandare all’aria tutto il suo piano. Fortunatamente per lei non accadde nulla ed in poco tempo poté porre sul vassoio che aveva preparato due tazze colme di latte e cereali Corn-Shinra. Si sentiva fiera di se stessa: dopotutto, quella era la prima volta che cucinava, e trovava estremamente romantico il fatto che fosse anche la prima volta che cucinava per l’uomo di cui era innamorata.

Si avvicinò con passo felpato, cercando di non rovesciare nemmeno una goccia di latte dalle due tazze, alla camera da letto, la cui porta era leggermente socchiusa. Ora il sole era già sorto e rischiarava un po’ i suoi passi, per cui almeno l’ostacolo dell’oscurità non si presentava più. Restava invece il ben più assillante ostacolo di come risvegliare Vincent ed offrirgli la deliziosa colazione che aveva preparato apposta per lui.

Questo problema fu risolto dallo stesso ex-Turk, cui il suo speciale addestramento aveva permesso di svegliarsi perfettamente pronto a combattere al minimo cenno di avvicinamento da parte di un potenziale nemico. Prima che Yuffie potesse dire qualsiasi cosa, si ritrovò la Cerberus puntata in faccia; fu il tintinnare delle scodelle, mosse dal tremito delle sue mani, a rispondere per lei a quella silenziosa minaccia.

Non appena Vincent si fu reso conto dell’identità dell’intrusa ritrasse la pistola ed abbassò i cani, rendendola inoffensiva. Prima di parlare rilasciò lentamente l’aria che aveva inspirato con forza per garantire il necessario rifornimento di ossigeno ai suoi muscoli, in vista di un’azione di forza. “Yuffie, sei tu,” si limitò a constatare.

C-c-ciao V-Vincent, t-ti ho p-preparato la c-colazione,” balbettò lei, porgendogli il vassoio. Lui lo guardò per un attimo, poi rannicchiò le gambe e le fece cenno di posarlo sul letto e di calmarsi, cosa che lei fece.

“Scusami per prima,” dissero entrambi, contemporaneamente. Yuffie era troppo sconvolta per farlo, ma Vincent accennò un sorriso e proseguì. “Volevo chiederti scusa per averti minacciato con la pistola. Il fatto è che, anche se è passato tanto tempo, non ho mai perso le mie capacità di Turk, ed è sempre meglio non farmi sorprese… per quanto gentili esse siano.

La ragazza arrossì a quelle parole. Sembravano un complimento, in effetti, ma sapeva che non doveva farsi illusioni. Dopotutto, come aveva saputo solo il giorno prima, lui era ancora perso dietro a Lucrecia

“Anch’io devo porti le mie scuse,” si riscosse la Ninja. “Devo averti dato un colpo bello forte, con quella padella. Comunque non preoccuparti, te l’ho riportata, sai? E’ di là in cucina, anche se è un po’ ammaccata…”

L’uomo fece spallucce, cominciando a mangiare. “Non preoccuparti, può capitare di fraintendere ed agire in modo incontrollato.

Anche Yuffie cominciò a mangiare, pensierosa. “Sì, ma… FRAINTENDERE??”

L’improvviso urlo della ragazza fece andare per traverso il latte ed i cereali a Vincent.

“Sì…” disse quest’ultimo, tossendo. “Hai… hai frainteso le parole di Shelke, l’altro giorno. Io non sto e non sono mai stato con lei.”

La ragazza si sentì rinascere. “E…” ricominciò, cauta ma trepidante, “sei… sei ancora… sì, diciamo… innamorato… no… beh, hai capito… con Lucrecia?”

Nonostante la sintassi disastrata di Yuffie, Vincent capì quello che intendeva e scosse il capo, lievemente malinconico. “No, Yuffie. Lucrecia ormai fa parte del mio passato e non sono intenzionato a riaprire quel vecchio capitolo della mia…”

L’uomo avrebbe voluto terminare la frase con la parola ‘vita’, ma la Ninja di Wutai glielo impedì. Gettò un acutissimo grido di gioia e sobbalzò, alzando le braccia al cielo e facendo cadere per terra entrambe le tazze di latte con i cereali. Vincent non fece in tempo a chiederle che cosa le fosse preso che si ritrovò schiacciato sul letto e stretto in un abbraccio simile a quello di un pitone. Yuffie lo stava stordendo a forza di risate acutissime nelle orecchie, ma in fondo non era poi così male. Nonostante il bruciore del latte caldo che gli colava su una gamba ed il senso di soffocamento provocato dall’abbraccio di Yuffie, l’uomo non si divincolò né la scostò; anzi, non gli sarebbe dispiaciuto se quell’abbraccio fosse durato ancora per ore ed ore.

 

 

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Capitolo 7
*** La vipera di Midgar ***


LA VIPERA DI MIDGAR

LA VIPERA DI MIDGAR

 

Faccia a faccia tra donne

 

 

 

 

 

 

Nei giorni successivi Vincent ebbe la fortuna di non ricevere alcun incarico, ufficiale o meno, da parte della WRO, sicché poté dedicarsi a quello che, da un anno a quella parte, era diventato il suo hobby preferito: la costruzione di armi artigianali. Nel campo era diventato ben presto un’autorità, al punto che la Sezione Difesa della WRO gli aveva proposto un incarico part-time come consulente nella progettazione di armi. Sebbene non si trattasse di un incarico a tempo pieno, si trovava spesso a lavorare fino a tardi negli uffici delle nuove industrie di Edge, al punto che dovette a malincuore rinunciare di nuovo a fabbricare nuovi modelli di pistola e fucile per il proprio piacere personale.

D’altro canto, ogni volta che rientrava, indifferentemente dall’ora, trovava sempre la cena pronta e Yuffie in un multicolore grembiule floreale che lo accoglieva a braccia aperte. Ormai lui aveva accettato come la normalità la piacevole presenza della ragazza di Wutai in casa, e spesso, nei momenti di pausa sul lavoro, si sorprendeva ad aspettare con ansia di tornare da lei. Yuffie invece aveva da subito considerato la situazione alla pari con quella di una coppia felicemente sposata, per cui non esitava ad intraprendere tutte le mansioni che ci si sarebbe potuto aspettare da una moglie: il primo giorno fu un disastro completo, al punto che dovette andare a dormire in locanda mentre Vincent e Cloud rimettevano in ordine e scacciavano le spore di ochu che lei aveva deciso malauguratamente di utilizzare come ingrediente per una delle sue ricette. Da allora però le cose migliorarono: si fece spiegare da Tifa e dalle altre donne del loro quartiere come svolgere i lavori di casa e prestò particolare attenzione a non acquistare nessun prodotto alimentare venduto vivo. Per renderli del tutto simili ad una coppia mancava solo il matrimonio e la consecutiva consumazione (non necessariamente in quest’ordine), ma quando Yuffie pensava che col tempo sarebbe arrivato anche quello arrossiva smodatamente e si perdeva per almeno due ore in scottanti fantasticherie.

Una sera la Ninja casalinga di Wutai sentì bussare piuttosto presto: di solito Vincent non tornava a casa a quell’ora, e nemmeno bussava ma apriva la porta con le proprie chiavi. Però forse voleva farle una sorpresa, pensò. Quindi, quasi canticchiando di gioia, saltellò verso la porta d’ingresso e l’aprì dopo una rapida piroetta.

Subito qualcosa le piombò addosso, qualcosa di morbido e dai capelli castani, qualcosa che sicuramente non era Vincent, a meno che non avesse bevuto parecchio e non avesse deciso di travestirsi da Shelke. Pur prendendo in considerazione tale ipotesi, Yuffie decise che era piuttosto improbabile, visto anche il timbro acuto della voce che era promanata dalla figura. Si divincolò e la spostò con uno spintone, mettendosi contemporaneamente in guardia.

L’essere barcollò sui tacchi alti, scuotendo la testa dai capelli uguali a quelli di Shelke, e così facendo mise in risalto il seno, del tutto simile a quello di Shelke, e proruppe in un’imprecazione con una voce identica a quella di Shelke. “Dannazione, Yuffie Kisaragi, ma tu non sei Vincent Valentine!!”

Non c’erano dubbi. Era Shelke.

Yuffie trattenne a stento la rabbia torcendosi le dita. “Potrei dire lo stesso di te, Shelke.”

L’altra sembrò non aver ascoltato. “Ad ogni modo, cos’è questa pantomima?”

La Ninja seguì con lo sguardo la direzione indicata dalla rivale e contemplò le proprie pantofole a forma di chocobo, i calzoni troppo corti del pigiama che aveva acquistato con il supporto economico e di consulenza di Tifa, il grembiule con la scritta ‘cucina di Wutai, più di mangiare non smetterai’ ed il bordo della maglietta del suddetto pigiama, decorato, come anche i calzoni, di maialini volanti.

“Beh, io abito qui, è normale che sia vestita in modo comodo,” replicò acida. “Ed invece come mai tu sei vestita da ospite fissa della Honeybee Inn?”

Quasi imitando la cordiale nemica, Shelke rimirò i propri stivali a mezza coscia borchiati neri e blu, la minigonna con spacco laterale e shorts in vista, la canotta bianca ‘à la Tifa’ sotto una giacchetta blu chiusa appena sopra l’ombelico, in modo da mettere in risalto il seno ed il collare di cuoio attorno al collo collegato alle coppe della canotta tramite due sottili catenelle.

“Non vedo perché dovrei dare spiegazioni a te, Yuffie Kisaragi, riguardo al mio modo di vestire,” commentò. “Ad ogni modo, ero venuta qui per incontrare Vincent Valentine, ma visto che non c’è credo di poter togliere il disturbo.”

L’ex Tsviet fece per imboccare la porta ma Yuffie le si parò davanti, impedendole di aprire la porta, che nel frattempo si era richiusa. “E cosa volevi da ‘Vincent Valentine’ conciata in quel modo?” chiese, accentuando in particolare il nome ed il cognome del suo coinquilino con lo scopo palese di imitare il modo di parlare di Shelke. Questa non si scompose. “Quello che volevo l’avrei chiesto direttamente a lui, se solo fosse stato presente. Visto che al posto suo mi ti sei presentata tu, non ho motivo di restare. Se vuoi scusarmi, geisha-san…”

“No, non ti scuso. E comunque non sono una geisha, per tua informazione. E soprattutto…” continuò la Ninja, più agguerrita che mai, togliendosi di dosso il grembiule e gettandolo sopra il comodino su cui erano custoditi i mazzi di chiavi della casa, “non ti lascerò Vincent senza combattere!”

Shelke si mise in guardia, pronta a tutto. “E come speri di contrastarmi, vestita da casalinga, alta come un moguri nano e con il seno microscopico che ti ritrovi?”

Quelle affermazioni bruciarono nell’animo di Yuffie, tanto che provò l’impulso di cedere alla propria ira e balzare addosso a quella sgualdrina, non importava se così facendo avrebbe messo a soqquadro la casa. “Vincent non è tipo da lasciarsi abbindolare da due sfere, e nemmeno ben proporzionate, Mako-dipendente!”

“Senti chi parla, pensi forse che Vincent Valentine dorma bene temendo ogni momento per la sorte delle sue materia?”

“Almeno io non vado in giro vestita come una coniglietta sfuggita dal maniero di Don Corneo Junior!”

Infatti! Vai in giro vestita da squallida sciacquetta quale sei!”

Yuffie non ci vide più e fece per balzare addosso alla sua acerrima nemica, ma un improvviso spintone alla schiena la fece capitombolare al suolo. Dannazione, pensò, aveva un complice! Infuriata si mise in ginocchio, pronta ad aggredire l’infingardo che l’aveva colpita alle spalle, ma rimase di ghiaccio quando vide che, in realtà, ad aprire di scatto la porta e mandarla a ruzzolare per terra non era stato altri che Vincent. La stava fissando dall’alto in basso con evidente sorpresa e non si accorse che Shelke, che alla sua entrata aveva fatto un balzo indietro per mettersi al riparo, si stava avvicinando rapidamente.

Vincent, attento!” urlò Yuffie, ma invano. L’ex Tsviet aveva già compiuto un balzo ed aveva avvolto le braccia attorno al collo di Vincent, che oscillò senza cadere. La donna si strinse e fece aderire il più possibile il proprio corpo al suo, soffocando una breve risatina.

“Ero venuta per vederti,” gli sussurrò all’orecchio. “Ora che l’ho fatto, posso anche andare. Ciao, tesoro…”

Vincent aprì la bocca per replicare, ma quello fu un grosso errore, poiché Shelke gliela chiuse subito con un bacio molto appassionato. Purtroppo per lei, non poteva essere molto duraturo, vista la fastidiosa presenza di Yuffie, per cui si distaccò da lui presto. Mentre lui la fissava con un’espressione a metà tra lo sconcerto ed il timore, lei ridacchiò e lo strinse un’ultima volta, soffiandogli poche parole all’orecchio. “Sei tutto maschio…[1]

Dopo un’altra risatina, la ‘vipera di Midgar’, come Yuffie ebbe modo di soprannominare Shelke qualche giorno prima, infilò la soglia e si dileguò. Nel silenzio della stanza, i cardini cigolarono finché la porta non si fu richiusa. In quel momento Vincent sembrò uscire da una specie di trance e fece un balzo all’indietro, rannicchiandosi e coprendosi il volto con l’artiglio metallico.

“Cosa ti ha fatto quella dannata Deepground!!” sbottò Yuffie balzando in piedi, e già temendo una qualche forma di avvelenamento. L’ex Turk però sbirciò da sopra il braccio dorato, titubante. “Non hai nessuna padella a portata di mano, vero?”

La ragazza si rabbuiò. “Aspetta qui,” ringhiò lapidaria, per poi sparire in bagno. Vincent temeva che le venisse in mente qualche altra strana idea, ma sapeva anche che sarebbe stato inutile fuggire: una volta che la rosa bianca di Wutai avesse deciso di perseguire un obiettivo, non ci sarebbe stato nulla che l’avrebbe fermata.

Un attimo dopo Yuffie tornò, lo sguardo duro negli occhi, e nelle mani un tubetto di dentifricio e lo spazzolino di Vincent. Quest’ultimo impiegò solo un secondo per capire cosa quella ragazza furiosa volesse fare, ed immediatamente lei gli spremette quasi tutto il dentifricio in bocca e prese a frizionare con vigore, nonostante i suoi gemiti di protesta.

“La prossima volta che la vedrò,” disse a se stessa a lavoro terminato, mentre Vincent si stava sciacquando vigorosamente la bocca, “non mi limiterò ad usare spazzolino e dentifricio…”

“Va bene così?” chiese l’ex Turk massaggiandosi la mandibola, dolorante a causa dello sforzo di Yuffie nel ripulire ogni suo recesso. La ragazza lo guardò critica, poi sembrò illuminarsi, come se avesse all’improvviso pensato a qualcosa di divertentissimo. “A dire la verità c’è ancora qualcosa.”

“C-Cosa?” chiese l’uomo, temendo ulteriori rappresaglie. Lei però si avvicinò con passo marziale, ma quando lui stava per ripetere la domanda, si alzò sulle punte e lo baciò sulle labbra.



[1] Citazione dal film “Frankenstein Junior”, di cui vi presentiamo un brevissimo stralcio della nostra parodia yuffentinosa, in particolare della scena in cui Frederick scambia la testa di Igor per un cranio: Vincent: Cait Saith! Cait Sith: Vaincent! V: Yauffie! Yuffie: Vaincent! C: Yauffie! Y: Cait Saith!!

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Capitolo 8
*** La dichiarazione ***


LA DICHIARAZIONE

LA DICHIARAZIONE

 

Il felino, la padella e la minaccia di non pensionamento[1]

 

 

 

 

 

 

Vincent, sorpreso, esitò per lunghi attimi senza muoversi. Poi si decise, la abbracciò e prese l’iniziativa, approfondendo il bacio. La ragazza dovette essere colta impreparata, perché sul momento si irrigidì, ma, proprio come aveva fatto lui, dopo pochi secondi si rilassò, concedendosi a quell’abbraccio e a quel bacio che la stavano reclamando.

 

D’accordo, quella dannata Shelke deve avermi tramortita e questo è un sogno. Oppure mi ha del tutto fatto fuori ed ora mi trovo in paradiso. Non posso credere che Vincent mi stia davvero baciando… Io non sono Lucrecia, sono bassa, ho il seno piccolo e non sono quel genio di simpatia… Cosa ci potrebbe trovare in me? D’accordo, è stato bello finché è durato, ma ora è meglio che mi svegli, non vorrei che il vero Vincent mi trovasse a rotolarmi sul pavimento pomiciando con il tappeto…

Però…

Questo sogno non si interrompe… Allora forse non è un sogno… E non sono nemmeno morta, visto che sento il mio cuore battere e non sono circondata dal paradiso dei materia…

… Allora…

Oh, Leviathan… grazie di aver risposto alle mie preghiere…

E grazie, Vincent, di tutto.

 

Il loro attimo di tenerezza fu bruscamente interrotto da qualcuno che bussava poco delicatamente alla porta. Yuffie interruppe di malavoglia il bacio e fissò l’uscio con odio.

“Se è di nuovo quella vipera,” disse sciogliendosi dall’abbraccio di Vincent e dirigendosi verso l’entrata con passo marziale, “la mordo, giuro che la mordo e l’avveleno. Peccato che non ho a portata di mano la materia Bio…”

“Ehi, Yuffie,” s’intromise l’uomo, andandole dietro. “Guarda che rischi la denuncia se la attacchi a quel modo.

In realtà quella questione non lo interessava molto: in fondo erano amici di Reeve, l’autore della legge che bandiva i morsi da tutto il territorio sotto la giurisdizione della WRO, ed in qualche modo la ragazza ne sarebbe uscita fuori. Ciò cui stava pensando con maggior vigore era l’esperienza che aveva appena attraversato: quel bacio, meraviglioso anche se non particolarmente appassionato, lo aveva fatto sentire come non si sentiva più da trent’anni. Se non da prima. La guardò ignorarlo e aprire bruscamente la porta, drizzando la schiena e posandosi la mano libera su un’anca, in una posa teatrale, e sorrise. Si sentiva innamorato.

“Senti un po’, tu,” iniziò Yuffie, ma subito rimase allibita. “Ehm…” proseguì, fissando il corridoio vuoto di fronte a sé.

“Ehi! Qui sotto!” disse una voce squillante e familiare. La ragazza abbassò lo sguardo.

C-Cait Sith!” sbottò.

“Y-Yuffie!” rispose il gatto meccanico, salutandola con un gesto della mano. “Cos’è che dovrei sentire?”

“Ehm… niente, credevo fossi un’altra persona… entra pure.

La Ninja si scostò e fece entrare Cait Sith, che si presentò ad un allibito Vincent con la parodia di una riverenza. “Ciao, Vincent, come va?”

L’uomo attese che Yuffie avesse chiuso la porta per parlare. “Beh, bene, e tu?”

“Ho faticato un po’ a passare la scorsa revisione, ma con un’aggiustatina qua e là da parte del nostro comune amico sono ancora in servizio. Ad ogni modo,” proseguì, facendosi serio (ammesso che quell’espressione potesse essere applicata al suo volto), “sono qui in veste ufficiale per portarti un messaggio da parte della WRO.”

“Eh no!” sbottò Yuffie, facendo fare un alto salto per la sorpresa a Cait Sith. “Proprio adesso no! Proprio ora che…”

“Di che si tratta?” si intromise Vincent impedendo alla ragazza di fare qualunque accenno alla loro situazione. Dopotutto, probabilmente Reeve era in ascolto, e non era tipo da tenere per sé un pettegolezzo…

Il gatto non si scompose e tornò a prestare attenzione al destinatario del suo messaggio. “Dovresti recarti alla base WRO per un colloquio con il presidente, niente di più semplice.

Vincent inarcò un sopracciglio, dubbioso. “Perché non possiamo farlo qui? Se non attraverso Cait Sith, per telefono…”

L’altro scosse la testa, dispiaciuto. “Purtroppo in entrambi i casi c’è il rischio che la comunicazione venga intercettata da chi non vede di buon occhio la WRO, come quelli del porto di Junon. Non capisco come facciano ad essere contro di noi, dal momento che sanno che io sono la mascotte… Non sono disarmante?”

“Davvero, non capisco come riescano a resisterti,” rispose l’ex-Turk, il cui impulso a scoppiare a ridere fu bloccato dallo sguardo esasperato di Yuffie. “Ad ogni modo, andrò alla base appena possibile, tra un paio di settimane forse…”

Cait Sith scosse vigorosamente il capo. “No, no, no, no, no, devi venire subito, Vincent, farai il viaggio con me!”

Che fortuna, pensò l’uomo, ma si rese conto che non poteva rifiutare una richiesta così esplicita da parte di Reeve. “D’accordo, felino, domattina partiremo.”

“No!” si intromise Yuffie, evidentemente alterata. “No che non partirai domattina! E tu sta’ zitto!” ingiunse a Cait Sith, che stava per obiettare, ma che alle sue parole non emise un fiato.

“Yuffie…” iniziò Vincent, conciliante, ma fu subito interrotto dalla ragazza, ora decisamente infuriata. “Yuffie un corno, caro mio! Non puoi partire adesso per chissà quale missione, perché sappiamo benissimo che Reeve non esiterà ad affibbiartene qualcuna quando sarai da lui, e chissà se e quando farai ritorno!”

“A proposito,” interloquì Cait Sith, “per quale motivo sei qui a Edge, in casa Valentine, Yuffie? Sapevamo che eri tornata stabilmente a Wutai…”

“Non sono affari tuoi, gatto!”

“Ecco, appunto,” disse Vincent, facendo cenno al robot di recarsi in camera da letto. “Ti dispiace aspettarmi di là? Dico un paio di cose a Yuffie e ti raggiungo, così ci mettiamo d’accordo per i dettagli.

Cait Sith fece per obiettare, ma un’occhiata furiosa della Ninja lo convinse a restare in silenzio se non voleva risvegliarsi in un corpo nuovo di zecca, perciò si limitò ad annuire ed obbedire all’ex-Turk. Quando la porta della camera da letto si fu chiusa, quest’ultimo trasse un profondo respiro e si voltò verso la ragazza.

“Non dire una parola,” lo ammonì quest’ultima, sollevando un dito per rafforzare le sue parole. “Non puoi giustificare le manie di un dannato burocrate amante dei felini [2], Vincent! Accidenti, gli hai salvato la vita più e più volte, sei praticamente il suo fattorino, potrà concederti delle ferie, no??”

Nonostante volesse darle ragione, l’uomo dovette scuotere il capo. “Devi capire che Reeve ormai è praticamente un capo di stato, ed ha bisogno di collaboratori. Purtroppo io sono l’unico con una certa esperienza di missioni in solitaria tra i suoi uomini, per cui credo che a volte non possa fare a meno di me…”

“Senti, Vincent…” lo interruppe la ragazza, titubante. “Non sarà che è gay…?”

Ma figurati!” sbottò l’uomo, quasi scoppiando a ridere. “E se anche lo fosse non avrebbe certo delle mire su uno come me!”

Almeno spero, pensò, ma si guardò bene dal dirlo. “Ad ogni modo,” proseguì, “se mi ha fatto chiamare così è perché ha davvero bisogno di me.”

La ragazza s’intristì all’improvviso. “Però… anch’io… ho bisogno di te,” disse, e lo abbracciò con tenerezza. “Non ti sei accorto,” proseguì, trattenendo le lacrime, “che sono quattro anni che sono innamorata di te?”

Vincent la strinse a sua volta, cullandola dolcemente. “Purtroppo me ne sono accorto in ritardo. Ti chiedo perdono, Yuff…AAHIA, MA CHE FAI??”

La ragazza, inviperita, gli aveva afferrato il lobo di un orecchio tra due dita, torcendolo dolorosamente. “Ed in tutto questo tempo ho anche dovuto sopportare che ti disperassi per Lucrecia, le avances di quella vipera di Midgar, ed ora pure quelle di quel dannato felinomane!!”

“D’accordo, però ora lasciami… Ahia… Ahia… Bene, grazie…”

“Allora, cos’hai deciso?” incalzò lei, quando furono tornati ad una distanza reciproca di sicurezza. Vincent si massaggiò il lobo dell’orecchio a lungo prima di rispondere.

“Yuffie,” iniziò, “andrò con Cait Sith. Ma prometto che farò in fretta, che non mi attarderò lungo la strada, che continuerò ad essere disponibile al telefono per tutto il tempo, che non accetterò strane avances da Reeve, che… Ti prego, posa quella padella!!”

Questa volta la ragazza aveva impugnato un arnese molto più grande della padella precedente: era praticamente una teglia da forno provvista di manico.

“Dannato infingardo,” gli urlò contro, “ti telefonerò ad ogni ora del giorno e della notte, e se non mi risponderai saprai cosa ti aspetta!!”

Vincent decise che serviva un’azione di polso. Mentre Yuffie brandiva l’oggetto contundente alto sulla testa, l’uomo scattò e le afferrò il polso destro, mentre con la mano destra le bloccava il braccio corrispondente contro l’addome e la baciava con passione. Lei dapprima resistette, ma in meno di un secondo capitolò, e la padella cadde a terra con un poderoso rumore metallico. Restarono così per molto tempo, poi Vincent distaccò le proprie labbra da quelle di lei.

“Tornerò da te,” le sussurrò. “Te lo prometto.”

“Oh Vincent,” fu la risposta. “Ti amo…”

L’ex-Turk non esitò. “Anch’io ti amo…”

Nel frattempo, Cait Sith aveva trovato in un cassetto un oggetto che avrebbe cambiato per sempre la sua vita di creatura meccanica. Avvolgendosi nel mantello rosso, impugnò il modellino di pistola che il padrone di casa aveva tenuto come ricordo della sua avventura contro i Deepground.

“Tremate,” disse il gatto con voce roca. “Io sono il giustiziere che viene dall’oscurità, il portatore vivente di Chaos, l’unica vera Galian Beast! Il mio nome è Vincent Valentine!!”

Il felino artificiale era così impegnato nella propria pantomima che non si accorse nemmeno del rumore della padella che cadeva al suolo, né di ciò che accadde poi nell’altra stanza.

 

Il telefono portatile di Pong, l’ultimo modello della Wutai no com[3], squillò emettendo l’inno nazionale di Wutai a una nota sola. Un gruppo di giovinastri guardò i tre samurai, incuriositi e forse attratti dalla possibilità di un facile guadagno. Quando però videro il telefono, la cui cover di legno rappresentava minuziosamente una pagoda, cambiarono idea e si allontanarono.

“Pronto…?” rispose titubante il capo, vedendo sullo schermo all’ultimo piano della cover il numero di telefono speciale utilizzato dal governo del suo paese per le comunicazioni segrete. Il che voleva dire una cosa sola.

“Allora, come procedono le indagini?” chiese autoritaria la voce dell’Imperatore Godo Kisaragi. Pong tremò, visibilmente scosso. “Ehm… Eccellenza… siamo sulle tracce di vostra figlia…”

Il silenzio dall’altra parte dell’apparecchio telefonico non stava a significare nulla di buono.

“Miei samurai,” riprese il sovrano, la voce tesa. “Voi sapete quanti yen vengono consumati ogni anno per il vostro mantenimento e per l’addestramento del vostro corpo speciale, vero? Per addestrare le giovani leve che un giorno vi sostituiranno permettendovi di andare meritatamente in pensione? Dimmelo, Pong-kun…”

L’interpellato deglutì. Gli altri due samurai lo fissavano frementi, poiché sapevano che probabilmente il loro destino lavorativo dipendeva da quello scambio di battute.

“Più o meno… metà della produzione nazionale del paese…”

“Esatto,” si complimentò Godo, apparentemente soddisfatto. “E con tutti i soldi che spendo per mantenervi e per fornirvi un addestramento pari a quello dei Turks, voi non siete ancora riusciti a recuperare mia figlia?? Farei meglio ad addestrare un branco di scimmie, ed a mandare voi tre a spolverare la statua di Da-chao fino alla fine dei vostri giorni!!”

Ora il sovrano di Wutai era decisamente infuriato. Tremando visibilmente, Pong cercò di replicare in qualche modo. “Ma… Eccellenza…”

“NIENTE SCUSE!” sbottò questi, dall’altro capo del telefono. “Pensate forse che la gente prenderebbe sul serio un branco di scimmie in missione?? Beh, lo prenderebbe più sul serio di voi!! Ed ora sbrigatevi a rintracciare mia figlia e a riportarla qui! Se non riceverò vostre notizie entro altri due giorni potrete considerarvi licenziati, ed assegnati a tempo indeterminato allo spurgo delle fognature del regno!”

Le urla di Godo furono sostituite dal ripetitivo suono della comunicazione interrotta, e Pong guardò i suoi compagni, atterrito. Le ultime parole dell’Imperatore dovevano essere state abbastanza sonore da essere sentite anche da loro, poiché entrambi erano sbiancati in volto.

“Ho sentito storie terribili sulla nostra rete fognaria,” commentò con un filo di voce Ping, rabbrividendo nella sua camicia-chocobo ormai non più pulita. “Sembra che ci siano orribili esseri simili a topi giganti che divorano l’immondizia e coloro che sono mandati a raccoglierla…”

“E sembra che un ramo delle fogne sbuchi nella tana di un terribile oni![4]” proseguì Pang, stringendo un braccio del più grosso dei tre quasi a farsi scudo di esso. Pong chinò il capo, pensieroso. “C’è solo una cosa da fare,” disse infine. “Dobbiamo cercare casa per casa.”

Gli altri due annuirono risoluti e cominciarono a bussare sistematicamente a tutte le case di Edge, ricevendo, quando erano fortunati, dei poco amichevoli inviti a recarsi in un certo posto che loro non conoscevano e, quando erano sfortunati, molto peggio.

 



[1] Liberamente ispirato al sottotitolo di “Le cronache di Narnia”.

[2] Riferimento all’altra nostra fiction in cui quest’espressione viene usata: “Di nuovo lui”.

[3] Traduzione grossolana dal Wutai: “Comunicazioni di Wutai”. E’ la principale, forse perché l’unica, compagnia telefonica di Wutai.

[4] Creatura demoniaca della tradizione di Wutai.

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Capitolo 9
*** Botta e risposta ***


BOTTA E RISPOSTA

BOTTA E RISPOSTA

 

Dubbi ed incontri ravvicinati, troppo ravvicinati

 

 

 

 

 

 

Ecco, l’unico uomo della mia vita è uscito da quella porta da poche ore, ed io già mi sento abbandonata. Si è pure portato via i suoi cambi d’abito, così non posso nemmeno divertirmi imitandolo, e in tal modo sentirmi meno sola, accidenti!

Proviamo a cantare mentalmente la mia canzoncina infantile preferita, magari il tempo passa più in fretta. In fondo si tratta solo di qualche giorno, ed il mio record di canto ininterrotto è di due settimane…

Vediamo…

 

Là, sui monti di Da-chao

do-ve la neve cade giù,

ho nascosto materia gialli e blu

ma ne voglio ancor di più…[1]

 

… Ah, non funziona! Non riesco a non pensare a Vincent! Non resisto, lo chiamo!

 

La ragazza balzò su dal letto ed afferrò il proprio telefono cellulare, cominciando a comporre il numero di Vincent prima ancora di averlo portato alla vista.

 

Uno squillo…

Due squilli…

Tre squilli…

 

“Pronto?” rispose Vincent, dall’altra parte della linea.

Perché ci hai messo tanto a rispondere?” chiese Yuffie, inquisitoria.

Perché, ci ho messo tanto a rispondere?”

La ragazza fremette e trattenne la rabbia.

 

In fondo ha ragione, tre squilli non è un’enormità di tempo… Forse sono solo io…

 

“Come stai?” si decise a chiedere dopo essersi morsa un labbro.

“… Yuffie, sono partito da due ore, sto bene,” fu la risposta, mentre in sottofondo si sentiva la voce di Cait Sith che chiedeva insistentemente chi fosse.

“Ah… bene…” disse lei, laconica.

E tu sei sicura di star bene?”

“Sì, certo! Perché?”

“Ti sento un po’ strana…”

“Eh? Ah… dev’essere qualche interferenza nella comunicazione… Io sto bene, grazie.

“D’accordo.”

“Bene.”

“Yuffie…”

“Sì…?”

“Ti serve altro?”

“No no, figurati!”

“Allora io vado.”

“Certo Vincent, a presto!”

“Ciao.”

La ragazza chiuse la comunicazione e gettò il telefono sul letto come se fosse stato incandescente, l’espressione a metà tra il disperato e l’infuriato.

 

Ma che stupida che sono!! Io non ho mai avuto problemi a parlare con Vincent, com’è che tutto d’un tratto mi si annoda la lingua quando sono al telefono con lui? E’ solo per quel bacio e per la sua dichiarazione? Ma dannazione, non è che ora mi provoca sconvolgimenti ormonali peggiori di prima! Eppure mi sento così in imbarazzo a parlare con lui!! Che devo fare… Che devo fare??

 

Con un gemito di disappunto Yuffie si lasciò cadere seduta sul letto, sopra il telefono, che tolse subito con una smorfia infastidita ed in parte dolorante.

 

Ci sono così tante domande, ed ho così poche risposte… Se almeno Vincent non fosse stato portato via da quel dannato gatto… Ma chi voglio ingannare?? In questo stato non sarei riuscita a rivolgergli neanche la parola! Eppure deve esserci qualcuno… Ci sono!!

 

Senza por tempo in mezzo, Yuffie balzò in piedi con un gridolino, raccolse in fretta e furia qualcosa da portare con sé ed imboccò la porta, che si chiuse automaticamente alle sue spalle.

Non più tardi di dieci minuti dopo, tre misteriosi individui raggiungevano il pianerottolo con il fiatone. Il più basso dei tre, che presentava un’occhio pesto ed un labbro gonfio, bussò alla porta dell’appartamento di Vincent, trattenendo una smorfia di dolore per le nocche sbucciate. Dopo qualche minuto riprovò, ma ancora senza esito.

Pong,” piagnucolò quello più alto, “sono dieci ore ininterrotte che giriamo per Edge chiedendo informazioni e ricevendo insulti quando va bene e botte quando va male… Possiamo riposarci un po’?”

Sospirando, Pong annuì, facendo trarre un sospiro di sollievo ai suoi due compagni. “Hai ragione, Ping. Prendiamoci qualche ora di riposo.”

Mentre i tre scendevano le scale, già rinfrancati dalla prospettiva di un po’ di tranquillità, il loro capo parlava tra sé. “Chissà dove è andata a cacciarsi la Principessa…”

 

 

Tifa annuì distrattamente alle parole di Jacob, anche se le sembrava che le avesse appena chiesto di sposarla. Non c’era da preoccuparsi, però; lui era un habitué del suo locale, e le faceva una proposta di matrimonio al giorno, salvo poi dimenticarsene e sprofondare addormentato, sopraffatto dalla sbronza quotidiana. Cloud l’aveva già minacciato un paio di volte, ma Tifa lo aveva dissuaso dal trasformare il locale in un mattatoio raccontandogli la triste storia del ragazzone dal bicchiere facile, che aveva perso il lavoro con la fine della Shinra e le uniche sue consolazioni erano l’alcool e rimirare Tifa ogni tanto. Ovviamente gran parte di quella storia era una balla per evitare che il suo ragazzo desse in escandescenze: in fondo Jacob non era una cattiva persona, solo che l’alcool gli diminuiva i freni inibitori. Come ad almeno metà degli avventori innamorati di lei. Qualcuno aveva anche provato a metterle le mani addosso, ma non c’era stato bisogno dell’intervento di Cloud: lei aveva sconfitto Sephiroth coi propri pugni.

Jacob ha ragione,” biascicò Jeremy, semi sdraiato sul bancone con un sorriso inebetito sul volto. “Sei splendida stasera, Tifa…”

“Grazie, Jerry,” rispose la donna, con un sorriso di circostanza ma senza prestare molta attenzione al suo interlocutore. “Però non vale, me lo dici ogni sera…”

Però Jeremy si era già addormentato.

In quel momento la porta del locale si aprì ed una sorta di turbine entrò nella sala, disturbando gli habitué, che borbottarono il loro fastidio ma ripresero a poltrire, e i ragazzi e le ragazze che erano lì per fare una bevuta in compagnia. Prima ancora che Tifa si rendesse conto di ciò che era successo, l’essere che era entrato assunse le sembianze di una Yuffie arrossata in volto per l’agitazione. Lo sguardo fisso su Tifa, la ragazza fece cadere per terra Jeremy, il quale d’altronde non se ne accorse nemmeno, e prese il suo posto al bancone.

“Tifa-dobbiamo-parlare-assolutamente-subito-se-no-io-qui-impazzisco!! Ti-prego-andiamo-di-là-a-parlare-che-qui-c’è-troppa-gente!!”

Tifa faticò parecchio per comprendere quelle frasi emesse con un singolo fiato dalla sua amica, tanto che quest’ultima ripeté tutto da capo alla stessa velocità, temendo che l’altra non avesse capito bene. Dopo questa seconda volta, la proprietaria del locale finalmente comprese ed annuì.

“Sì, sì, Yuffie, andiamo di là, aspetta solo un secondo.

Mentre la Ninja scalpitava sul suo alto sgabello, Tifa gettò indietro la testa e chiamò a gran voce. “Ruana!! Vieni al banco, devo assentarmi qualche minuto!”

La ragazza bionda e prosperosa che rispose sorridendo al richiamo suscitò una grande quantità di fischi di ammirazione da parte dei presenti nel locale. Tifa approfittò di quel momento di confusione per portarsi nel retrobottega, prendendo per un braccio Yuffie.

“Si può sapere che ti prende??” le chiese quando furono finalmente sole, nella dispensa del locale, con la porta ben chiusa. La ragazza di Wutai ansimò a lungo prima di riuscire a parlare.

“Scusa… ma sono arrivata di corsa… da casa di Vincent…”

“Oh, per Leviathan!” sbottò la donna. “Ma è dall’altra parte della città!”

“Lo so…”

“Ma cos’è successo?” Ora Tifa era visibilmente preoccupata. “Avete litigato? Quel deprimente mucchio di stracci ti ha fatto qualcosa che non va?”

“No, no, sei fuori strada,” rispose Yuffie, non accorgendosi che il suo amato era stato definito ‘deprimente mucchio di stracci’. “Il fatto è che è dovuto andare alla sede della WRO con Cait Sith per un qualche colloquio con Reeve… Ammesso che si tratti solo di un colloquio… Comunque, quando gli ho telefonato non sono praticamente riuscita a parlare… C’entra il fatto che ci siamo dichiarati reciprocamente il nostro amore solo qualche ora fa?”

Tifa la guardò strabuzzando gli occhi. “VI SIETE DICHIARATI?? E lo dici così??”

“Hai ragione, ma ho già festeggiato prima, ora sono troppo preoccupata… Ti prego, dimmi se è normale che non riesca più nemmeno a dirgli di non accettare proposte oscene da parte di Shelke in questo momento!”

La Ninja di Wutai era praticamente in lacrime, per cui Tifa ritenne opportuno mettere da parte la sua curiosità tutta femminile e preoccuparsi di tranquillizzarla.

“Allora, Yuffie,” iniziò, mettendole le mani sulle spalle e convincendola a sedersi su uno sgabello, cosa che fece anche lei in modo da poterla guardare dritta negli occhi. “Vincent è il tuo primo… ragazzo, vero?”

“Sì.”

Sempre ammesso che si possa definire ragazzo, pensò la donna, ma preferì tenerselo per sé.

Ebbene, allora è normale che tu sia particolarmente impreparata ad affrontare la situazione. Il consiglio che ti posso dare è di comportarti come facevi prima.

La ragazza la fissò apparentemente senza capire. “Cioè, non dovrei telefonare a sorpresa per evitare che si faccia strane storie con Shelke? Oppure dirgli mille paroline carine prima di andare a dormire? E vegliare su di lui affinché non succeda qualcosa con Reeve?”

Tifa aveva capito la metà delle cose che Yuffie aveva detto, ma decise di annuire ugualmente, come insegnava a fare la sua professione di barista. “Devi solo fidarti di lui, ok Yuffie? E non devi essere troppo pressante con le smancerie, altrimenti finiresti per stressarlo per niente.

La ragazza pendeva dalle sue labbra. “Davvero basta fare così?” chiese con un filo di voce. Tifa annuì. “Beh, è un inizio…”

All’improvviso Yuffie arrossì e chinò il capo di colpo. La donna non si azzardò a chiedere cosa le stesse passando per la testa, e dopo un attimo fu proprio lei a svelarlo.

Senti Tifa… Ed invece…”

“Sì…?”

“… Per quanto riguarda… Quelle cose…?”

Che cosa?”

“Dai… che hai capito… quando si… ehm… si va a letto…?”

“Aah…” Tifa era un po’ titubante. Le sembrava che la sua amica volesse sapere un po’ troppo subito. Però, in uno slancio di buon cuore e di intraprendenza, decise di soddisfare la sua curiosità, attingendo dalla propria esperienza.

Dopo pochi minuti Yuffie la fissava stralunata. “CHE COSA??”

“Ehi, calmati,” provò ad intervenire Tifa. “Sono cose normali…”

“Normali un bicorno!! Ti sembra normale fare cose del genere a una persona??”

“Beh…” ora era il turno di Tifa di arrossire. “Cloud non se ne lamenta…”

“CLOUD?? Oh per Leviathan, sto per vomitare!!”

La donna la guardò allibita correre fuori dalla dispensa e catapultarsi in bagno, sbarrando la porta dietro di sé. Proprio non capiva cosa le fosse preso: in fondo le aveva solo spiegato in cosa consistesse un succhiotto.

 

Vincent sospirò di sollievo quando l’acqua calda cominciò a scorrere sul suo corpo. Era appena arrivato alla base della WRO quando Reeve l’aveva fatto chiamare nel suo ufficio. Stanco per il viaggio, durante il quale il trasporto aveva forato una gomma ed era stato ribaltato da un bicorno impazzito, l’ex Turk aveva però deciso di concedersi una doccia rinfrancante prima di recarsi ad un colloquio che, di certo, sarebbe stato snervante come tutti gli incontri di lavoro. Reeve aveva insistito attraverso l’interfono affinché si presentasse subito, ma lui era stato irremovibile. D’altra parte non capiva proprio cosa ci fosse di tanto urgente, quando alla base tutti sembravano coinvolti in tranquilli compiti di routine. Che fosse stata davvero una scusa per restare solo con lui…?

Vincent scacciò quel pensiero ed immerse la testa nel getto d’acqua, che prese a scorrergli tra i capelli e sul volto donandogli una piacevole sensazione di calore e conforto. I flussi d’acqua sembravano delle mani che lo accarezzavano e lo massaggiavano, tonificando i suoi muscoli. Forse fu per la fatica che non si accorse subito che quelle erano davvero delle mani. Non appena se ne avvide si voltò nella doccia, mettendosi in guardia, ma rimase a bocca aperta quando vide, attraverso il velo dei propri capelli bagnati, che ad accarezzarlo era stata una donna nuda. Era una ragazza formosa dai capelli castani, che gli sorrideva in un modo al tempo stesso seducente ed ingenuo. Era Shelke.

 



[1] Sull’aria di “Là sui monti con Annette”.

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Capitolo 10
*** Braccato ***


BRACCATO

BRACCATO

 

La schiuma, la fuga, il timore

 

 

 

 

 

 

Sh-Shelke!!” sbottò Vincent appiattendosi contro il muro della doccia e coprendosi con le mani tra le gambe. Per un istante aveva pensato che si trattasse proprio di Reeve, ma non si sarebbe mai aspettato che proprio l’ex Tsviet l’avesse seguito da Edge fino… fino alle docce!

“Sì, Vincent Valentine,” confermò lei, con voce arrochita, “sono io, e sono qui per te.”

La ragazza prese ad avanzare verso di lui, entrando nel getto d’acqua. L’acqua le cadde sul capo, incollandole i capelli attorno al volto, e lei socchiuse gli occhi e le labbra piene, esprimendo tutto il suo desiderio, mentre allungava le braccia per raggiungere ed abbracciare Vincent, il quale da parte sua cercava di appiattirsi contro il muro come un’ombra.

Shelke, smettila,” le disse, cercando di apparire il più deciso possibile, anche se l’agitazione stava avendo il sopravvento su di lui. La ragazza però sembrò sorda alle sue parole, ed anzi finalmente lo raggiunse con le mani bagnate, raggomitolandosi contro il suo petto. “Siamo soli in tutto il locale docce, ho controllato,” gli sussurrò lei, le labbra accostate alla sua pelle profumata, pronte per un bacio colmo di passione. Vincent aprì la bocca per protestare, ma capì che non sarebbe servito a niente: doveva uscirne con le sue sole forze.

Con uno sforzo sovrumano liberò le sue braccia dalla pressione del corpo di lei, reso scivoloso dall’acqua, e cercò di scostarla premendole sulle spalle; qualcosa del Mako che aveva assorbito per dieci anni doveva esserle rimasto in corpo, perché oppose una resistenza formidabile alla pressione, al punto che le sue mani scivolarono e si slanciarono verso l’alto, in un gesto che un osservatore esterno avrebbe scambiato per una patetica e disperata richiesta di aiuto. Quel gesto però ebbe un effetto ben diverso dal richiamare l’attenzione di chicchessia, però: le mani di Vincent si scontrarono con i prodotti da bagno appoggiati su una mensola sopra la sua testa, rovesciandoli tutti nel vano della doccia.

L’aria si riempì di molti profumi diversi, ottenendo un effetto inebriante per i sensi, mentre le varie sostanze, mescolandosi con l’acqua corrente che continuava a precipitare dall’alto, si trasformavano in una voluminosa schiuma, la quale aderiva sui loro due corpi avvinghiati rendendoli ulteriormente scivolosi e morbidi al tatto.

Shelke…” mormorò con voce roca Vincent, che avrebbe voluto aggiungere ‘spostati, altrimenti sarò costretto a denunciarti per molestie sessuali’, ma il miscuglio di profumi lo prese alla gola mozzandogli il fiato e trasformando l’inizio della sua minaccia in quello che poteva sembrare un gemito di piacere. Ed ovviamente Shelke non esitò ad interpretarlo così.

“Sì, mio unico amore,” rispose la ragazza, che ormai aveva tolto il bagnoschiuma da una buona parte del pettorale sinistro di Vincent utilizzando solo le labbra. “Anch’io ti desidero, ed ora te lo dimostrerò…”

Non appena ebbe notato che le gambe di Shelke avevano cominciato a piegarsi, facendo sì che il seno e le labbra di lei scivolassero lungo il suo corpo verso il basso, l’ex Turk realizzò di aver commesso un grave errore tattico: nello sforzo di liberarsi dalla nefasta presenza della ragazza, aveva lasciato completamente sguarnite le sue vergogne. In quel momento conobbe chiaramente le intenzioni di colei che, solo un anno prima, era una bambina depressa con seri problemi relazionali.

La bocca aperta in un muto grido di terrore, Vincent approfittò della diminuita pressione esercitata dal corpo bagnato della ragazza per sgusciare, letteralmente, lontano dalla sua presa. Schizzato ad una velocità maggiore di quella prevista a causa dello scivolamento sulla pelle di lei, per poco non capitombolò al suolo, e riuscì a mantenersi in equilibrio sul pavimento sdrucciolevole solo in virtù del suo addestramento come Turk. Imprecando a denti stretti, afferrò un asciugamano appeso accanto al suo box e corse a perdifiato verso l’uscita, avvolgendosi nel panno bianco durante la corsa, incurante della schiuma e dell’acqua che continuava a grondargli di dosso.

Presa alla sprovvista dall’improvvisa sparizione del suo sostegno, Shelke scivolò e cadde sulle ginocchia. Stupita che la sua tattica fosse fallita, nonostante la pianificazione durata per tutto il viaggio da Edge alla base della WRO, la ragazza strinse i pugni nello strato di acqua e schiuma che si era formato sul pavimento. Sulla bocca aveva ancora il sapore della pelle di Vincent, condito dagli aromi dei bagnoschiumi e degli oli per il corpo che l’uomo aveva fatto cadere, a suo parere volutamente. Nonostante il fallimento, si passò la lingua sulle labbra e sorrise. “C’è mancato poco,” si disse. “Un pochino gliel’ho toccato!”[1]

 

Incurante degli sguardi allibiti (ed in qualche caso ammirati) che i soldati della WRO gli rivolgevano, Vincent continuò imperterrito a correre verso la camera che gli era stata assegnata. Una volta al sicuro, avrebbe provveduto ad asciugarsi, anche se non aveva potuto sciacquarsi di dosso tutta la schiuma che si era prodotta nell’incontro avvenuto nella sala docce. Fortunatamente la sua costituzione sovrannaturale l’avrebbe protetto come sempre dalle malattie, perché chiunque altro, correndo seminudo e bagnato come lui, si sarebbe preso come minimo una polmonite.

Raggiunta l’agognata porta del suo alloggio, la aprì e la chiuse di scatto dietro di sé, emettendo un profondo sospiro di sollievo volto anche a calmare i battiti furiosi del suo cuore, eccitato dallo sforzo improvviso. Lasciò anche andare l’asciugamano, che gli cadde ai piedi, convinto che ormai non avesse più bisogno di celarsi allo sguardo altrui.

“Ehm… Vincent…?” disse una voce alle sue spalle.

Agghiacciato ma sempre pronto al combattimento, l’uomo si voltò con un balzo, nuovamente in posizione di guardia, e ancora una volta si spinse all’indietro contro la superficie rassicurante della porta, coprendo le proprie pudende con le mani a conchiglia.

Seduto comodamente sul suo letto, le gambe accavallate sotto la sua uniforme lunga tanto simile ad una tunica dei tempi antichi (oppure ad un vestito femminile), c’era Reeve che lo fissava allibito.

Leviathan, pensò l’ex Turk esasperato, cosa ti ho fatto di male oggi?

“Ehm, Vincent,” ripeté il presidente della WRO, “stai bene?”

“Sì, mai stato meglio,” rispose l’altro, forse troppo rapidamente e con un volume troppo alto. “Piuttosto, tu che ci fai qui?”

Visto che non sei voluto venire nel mio ufficio ho pensato di aspettarti direttamente qui, ma non credevo che ti saresti presentato in questo… abito.”

Era solo un’impressione di Vincent, oppure gli occhi di Reeve si erano concentrati per un po’ troppo tempo sullo spazio tra le sue gambe?

“Ho avuto dei problemi con la doccia,” rispose, laconico. L’altro sollevò un sopracciglio, laconico.

“E’ venuta a mancare l’acqua calda?”

Vincent annuì: non aveva nessuna intenzione di parlare dello spiacevole incontro con Shelke di poco prima. Non a lui, e non in quel momento. Specialmente con le insinuazioni di Yuffie che continuavano a ronzargli nella mente…

All’improvviso Reeve si alzò in piedi, e l’ex Turk sobbalzò, allarmato.

“Resta pure comodo,” disse all’amico, ma questi scosse il capo. “Prenditi pure il tuo tempo per rivestirti, io posso aspettare in piedi.

“No, non c’è problema,” lo rassicurò Vincent, vago. “Io sto bene così.”

Reeve era sempre più scettico. “Ne sei sicuro?”

“Certo. Allora, di cosa volevi parlare?”

“Ecco…” Reeve sembrava titubante, e si guardò attorno come se stesse cercando le parole giuste. Quando prese ad avvicinarglisi con aria cospiratrice, Vincent cominciò a sudare veramente freddo.

“La verità, Vincent,” iniziò il presidente, a bassa voce, “è che credo ci sia una spia qui alla WRO, una spia di Junon, e vorrei che la stanassi. Sei stato addestrato anche per questo tipo di missioni, vero?”

Tutta la tensione dell’ex Turk gli scivolò via e lui si sarebbe volentieri sfogato prendendo a pugni la prima cosa o persona che gli fosse capitata davanti. Il fatto che si sarebbe trattato proprio di Reeve era del tutto casuale.

E tu mi hai fatto venire di corsa da Edge per una cosa del genere?” gli si rivolse acido.

“Beh,” fu la risposta, “che tu ci creda o no, sono veramente preoccupato per questa questione: i rapporti con Junon sono tesi e stiamo preparando dei piani per una soluzione diplomatica. Però so che laggiù c’è una fazione che vorrebbe la guerra a tutti i costi, per cui la presenza di una spia qui potrebbe portarci rapidamente al conflitto.”

Vincent sospirò di nuovo di frustrazione.

“Sei sicuro che vada tutto bene?” gli chiese l’altro.

“Sì, te l’ho detto, ho avuto dei problemi con la doccia.

“Mando subito un tecnico a controllare.”

“Ehm… Forse è il caso che aspetti ancora qualche minuto, e intanto diffondi l’avviso con l’interfono.

Reeve rifletté sulla cosa, poi annuì. “Sì, hai ragione. Meglio avvisare prima. Dopotutto sarebbe oltremodo fastidioso per uno che stesse facendo la doccia ritrovarsi davanti un tizio all’improvviso.

Non sai quanto hai ragione, pensò Vincent, ma se lo tenne per sé.

Se ora ti sposti…” iniziò il presidente della WRO, accennando all’amico di togliersi dalla porta, in modo da permettergli di uscire. Questi obbedì, badando bene a non voltargli mai le spalle né a scoprirsi i cosiddetti gioielli di famiglia. Continuava a sentirsi a disagio, a dire la verità, nudo com’era e con i suoi dubbi sull’orientamento del suo amico.

“Senti,” iniziò, titubante. “Scusa per la domanda, ma… per caso…”

“Dimmi, Vincent.”

“… sei omosessuale?”

Reeve sgranò gli occhi per la sorpresa. “Ma certo che no! Anzi, ti ho fatto venire qui anche perché volevo invitarti al mio matrimonio!”

Vincent, che si era aspettato una risposta del tipo ‘ma come hai fatto a scoprirlo??’ rimase sorpreso a sua volta. “Matrimonio?”

“Sì, non l’ho ancora reso pubblico, ma tra un paio di mesi dovrei convolare a nozze con Chole, che come me è appassionata di animali.”

“… Ma non è quella della fattoria dei chocobo non distante da Midgar?”

“Esatto, proprio lei! Allora è una celebrità!”

Vincent, ormai più stanco che altro, bofonchiò un ‘non proprio’ e salutò Reeve, che imboccò la porta non senza avergli rivolto un ultimo sguardo stranito.

Senza nemmeno asciugarsi si lasciò cadere sul letto. Se avesse raccontato a Yuffie quello che era successo non ci avrebbe creduto. Voltando il capo di lato vide la fascia del tipo ‘hachimaki’ che gli aveva regalato lei stessa poco prima della partenza. Gli avrebbe portato fortuna, o almeno così aveva detto la ragazza di Wutai. Fino a quel momento non sembrava aver funzionato molto.

Ciononostante, l’aver ricordato la sua ragazza rasserenò un po’ Vincent, che ritrovò la forza di alzarsi a sedere, asciugarsi e rivestirsi dopo aver dato un ultimo sguardo alla fascia.

 

 



[1] Citazione, lievemente modificata, dal film di Mel BrooksRobin Hood – Un uomo in calzamaglia”.

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Capitolo 11
*** Braccato di nuovo ***


BRACCATO DI NUOVO

BRACCATO DI NUOVO

 

Un ex Turk ed una barista sull’orlo di una crisi di nervi

 

 

 

 

 

 

Vincent chiuse a chiave la porta alle proprie spalle e si sedette sul letto, sospirando per la fatica. Aveva appena finito di giocare a nascondino con l’infiltrato di Junon per tutta la base della WRO. Ed ora quel tale sarebbe rimasto in quelle comode celle sotterranee, senza niente da fare se non contare le crepe sui muri in attesa di un interrogatorio da parte di Reeve, mentre invece lui molto probabilmente sarebbe stato scelto per una missione quasi suicida nel territorio nemico nel giro di poche ore. E tutto perché aveva deciso di aver bisogno di una camomilla.

 

***

 

Ancora un po’ scosso per quello che era successo nelle docce e per il fraintendimento delle intenzioni di Reeve, Vincent decise che aveva bisogno di calmare i propri nervi. Fortunatamente avevano aggiunto al menù tradizionale delle macchinette distributrici di bevande anche la camomilla, così decise di uscire con circospezione dalla propria camera e prenderne un bicchiere.

Mentre camminava infilò una mano in tasca ed estrasse una moneta da cinque gil; a quanto ricordava però la macchinetta dava il resto, per cui non c’era di cui preoccuparsi.

Quando fu arrivato notò con disappunto un biglietto scritto a mano, appeso sopra il tastierino per la selezione delle bevande. Vi era scritta una sola frase: “NON DA RESTO”. Non mancò di notare l’errore grammaticale formato dalda’ senza accento, ma la cosa non gli diede fastidio quanto il fatto che la macchina si sarebbe rubata i quattro gil che gli avrebbe dovuto. Non sarebbe stata la prima volta che gli avessero portato via i gil (dopotutto, aveva passato molto tempo con Yuffie, e Cait Sith gli aveva più volte proposto di predirgli il futuro ‘per qualche spicciolo’), ma era contrario per principio a regalare soldi a quelle macchinette: troppe volte lo avevano lasciato squattrinato durante il suo tirocinio di Turk. Controllò nuovamente nelle tasche del proprio mantello sbrindellato, ma non trovò altro denaro, lo aveva lasciato tutto in camera. Fortunatamente c’era un soldato della WRO, imbacuccato nella propria uniforme e con il berretto da tenente, che si stava servendo dalla macchinetta vicina.

“Mi scusi,” gli si rivolse, porgendo la moneta. “Mi può cambiare cinque… gil…?”

La causa della sua esitazione era stata l’improvvisa fuga del soldato, che aveva sparato qualche colpo verso di lui al grido di ‘muori, feccia WRO!’ Grazie alla sua innata abilità, comunque, nessun proiettile colpì Vincent, che fu in grado di intercettarne la maggior parte con il proprio guanto metallico. Tuttavia quelli che non bloccò finirono per distruggere la macchinetta della camomilla, rendendo di fatto impossibile per l’uomo calmare i propri nervi. Sospirando, comprese che c’era una sola cosa da fare: inseguire l’aspirante omicida, che con molte probabilità si sarebbe rivelato la spia di Junon.

 

***

 

Ripensando alla propria rocambolesca avventura, Vincent recuperò il borsello con i soldi e ne estrasse un pugno di monete da un gil. Con esse stipò le proprie tasche, in modo da non avere più problemi simili a quelli che aveva dovuto affrontare. In quel momento qualcuno bussò alla porta.

E’ stato più rapido del previsto”, pensò, prima di rispondere. “Entra pure, Reeve.”

Il presidente entrò, visibilmente sorpreso. “Come facevi a sapere che ero io?”

“Chiamalo pure intuito. Hai già parlato con il tuo ospite?”

“Non ancora. Prima di farlo dovevo farti una proposta urgente.

“Fammi indovinare: vorresti che io intraprendessi una missione di spionaggio a Junon, in risposta al loro tentativo di scoprire i nostri segreti.”

Reeve spalancò la bocca, esterrefatto, poi la richiuse. “Si può sapere come fai…?”

“Te l’ho detto, si chiama intuito,” lo interruppe scrollando le spalle. L’uomo che aveva di fronte era molto suscettibile alle critiche all’originalità delle sue idee (forse c’entrava qualcosa il fatto che avesse un alter ego, e che quell’alter ego fosse un gatto meccanico sostituibile), per cui decise di non fargli sapere che stava diventando assai prevedibile.

Comunque,” continuò Reeve dopo essersi ripreso, “hai ragione, vorrei che tu andassi in incognito a Junon per scoprire qualcosa dei loro piani per noi.”

Vincent però scosse la testa. “Mi dispiace, ma non faccio più missioni di infiltrazione, ormai sono troppo conosciuto.”

“Forse il tuo aspetto solito è molto conosciuto,” rispose l’altro con un sorriso sornione, “ma di sicuro nessuno dubiterà di te se ti presenti ad uno dei loro ricevimenti come il Barone Hansel Kristoff di Nibelheim in visita presso Junon!”

Vincent credette di aver capito male. “Scusa… Barone chi?”

E’ la tua copertura, ti piace?”

Reeve era raggiante, e l’ex Turk non ebbe il cuore di confutare le sue parole. Però non poteva nemmeno accettare. Non era lì per quello. “Secondo te io potrei passare per un barone?”

“Con un’aggiustatina ai capelli, un cambio di look… potresti confonderti bene nell’aristocrazia di Junon!”

“I miei capelli non si toccano!” sbottò l’uomo, innervosito.

“Ehi, calmo,” lo blandì Reeve. “si tratterebbe solo di raccoglierli in una coda, com’è di moda ora.

Mentre parlava fece una mezza giravolta, mettendo in risalto i suoi capelli che si erano allungati di molto nel giro di un anno e che ora facevano bella mostra di sé sulla sua schiena. Vincent si astenne da qualsiasi commento. D’altronde, sapeva che lusingarlo con false dimostrazioni di apprezzamento non sarebbe servito ad evitargli il viaggio a Junon. Suo malgrado sospirò e si arrese. “Dopo questa missione però voglio almeno sei mesi di calma, voglio essere dimenticato da te e da tutti quelli che potrebbero aver bisogno della mia Cerberus. Intesi?”

A Reeve non sembrò vero di averla avuta vinta così facilmente e annuì entusiasta. “Ma certo che va bene!! Guarda, ho già preparato tutto: fra poco ti farò portare qui dei vestiti eleganti per camuffarti, dopodiché vi farò assistere entrambi ad un briefing con le nostre ultime informazioni sulla situazione di Junon.”

Vincent drizzò le orecchie. “Come,vi’? Non sarò da solo?”

“Ah, avevo dimenticato di dirtelo. Visto che si tratta di una missione un po’ particolare e delicata, avevo intenzione di affiancarti un partner, qualcuno che potesse farti da spalla.

E di chi si tratta…?”

Reeve sorrise, ma nei suoi occhi fu evidente un lampo di preoccupazione. “La conosci già.”

L’ex Turk stava per chiedere lumi ma una terribile consapevolezza lo bloccò. “No… Non mi dirai che…”

“Si tratta di Shelke Rui, con la quale dovresti avere già una certa confidenza.

Il presidente arretrò quando l’altro balzò in piedi, gli occhi che baluginavano di una sinistra luce rossastra, come se stesse per trasformarsi in Galian Beast senza bisogno di un potenziatore massimo. “Con chi avrei una certa confidenza io?” ringhiò, e Reeve cominciò a sudare freddo.

“Beh… Shelke mi ha detto che ormai siete piuttosto… intimi… se capisci cosa intendo.

“NOI NON SIAMO INTIMI!!” ruggì l’altro, talmente forte da far temere seriamente il felinofilo per la propria incolumità.

“Suvvia… non ti arrabbiare…” provò a calmarlo. “Ricorda che dopo ti lasceremo in pace per sei mesi interi!”

La furia di Vincent cominciò lentamente a calare, finché non fu altro che un sinistro bagliore rosso nei suoi occhi. Sebbene la trasformazione in Galian Beast fosse stata sventata, l’ex Turk sembrava tutt’altro che innocuo.

“Va bene,” mormorò a denti stretti col tono di una persona che aveva appena firmato la propria condanna a morte.

 

“T’immagini, tesoro? Io e te in una splendida sala da ballo, con tutti che ci guardano attorno e tu che mi baci con passione!” esultò Shelke, stretta nel suo abito verde chiaro che metteva bene in risalto la sua generosa scollatura, contro la quale non mancava di strofinare il braccio di Vincent ogni volta che l’aeromobile aveva uno scossone.

“Modera le fantasie, Shelke,” rispose quest’ultimo, liberando per l’ennesima volta il braccio destro dalla presa della ragazza e cercando senza risultato di allentarsi il colletto del gilet inamidato con cui l’avevano conciato. Si sentiva come se stesse andando al Carnevale di Kalm, vestito con un abito che persino suo nonno avrebbe trovato fuori moda. E considerato che dal punto di vista cronologico lui aveva già più di sessant’anni, la cosa era piuttosto significativa. “E non chiamarmi tesoro,” aggiunse.

“Oh, ma come vuoi che chiami suo marito la Baronessa Viviana Janette di Arlanse-Boignot, durante il viaggio di nozze!” replicò la ragazza, strusciandosi di nuovo contro il braccio di lui.

Gran bella copertura che ci hai dato, Reeve”, pensò Vincent stringendo i denti. E dire che le aveva anche permesso di scegliere quel nome assurdo tra quelli proposti dai computer della WRO.

“Ti ricordo che la missione d’infiltrazione non è ancora iniziata,” le rinfacciò lui, scostandosi di nuovo. “E comunque, anche quando saremo a Junon, ti ricordo che il tuo obiettivo sarà di aiutarmi a raccogliere informazioni, non di tentare spudoratamente di portarmi a letto.”

“Come vuoi tu, mio unico amore, Hansel…” affermò Shelke, tornando per l’ennesima volta a premere il proprio generoso decolleté contro il braccio di lui. Esasperato, Vincent si decise ad esprimere il proprio disaccordo a quelle manovre nel modo più civile che gli fosse possibile in quel momento. “Oh, guarda, a furia di strusciarsi contro le tue grazie il mio braccio sta avendo un’erezione!”

Colta completamente di sorpresa, Shelke si staccò e guardò con avidità verso il basso. “Dove, dove??”

Vincent non poté trattenere un sorriso quando sollevò la mano destra dinnanzi agli occhi di lei, mostrandole apertamente il dito medio alzato.

Il pianto e le grida disperate della ragazza lo assordarono per gran parte del resto del viaggio, ma almeno l’ex Turk poté tirare un sospiro di sollievo ed evitare ulteriori maldestri tentativi di approccio.

 

Tifa era sull’orlo del pianto. Da quando Yuffie era venuta a vivere a casa sua, non aveva più avuto un attimo di tempo libero da passare con Cloud. La ragazza di Wutai dormiva con lei, mangiava con lei, chiacchierava con lei mentre il locale era abbastanza vuoto da lasciarle tirare il fiato, e quando doveva servire i clienti lei se ne stava appollaiata su una botte in cucina, scambiando qualche chiacchiera con Ruana, che però aveva troppe cose da fare per darle ascolto. Il che naturalmente significava che Tifa stessa doveva sorbirsi il doppio delle paranoie della ragazza, di sera.

In quei pochi giorni le aveva spiegato tutto ciò che sapeva sulla creazione dei cocktail, sul concepimento dei bambini, sull’architettura midgariana e sui metodi di seduzione per quando Vincent sarebbe ritornato. Ora era stremata.

Yuffie era tornata a casa dell’ex Turk per prendere le sue cose e trasferirsi in pianta semistabile da lei. Tifa si era anche chiesta cosa intendesse perle sue cose’, dal momento che era arrivata da Wutai con poco più che un fagotto in spalla, ma preferì non indagare. Non osò nemmeno immaginare la reazione di Vincent quando fosse tornato e avesse trovato i suoi risparmi completamente azzerati e la casa piena di oggettistica di dubbio gusto e armi da lancio dalle forme più disparate.

La porta dell’alloggio che Tifa divideva un tempo con Cloud ed ora con Yuffie (con il guerriero biondo divideva ormai solo il soggiorno dove lui dormiva) si spalancò, e la voce della giovane Wutai esplose nel suo solito ‘tadaima’, espressione nella sua lingua il cui significato restava oscuro alla barista[1].

“Ciao, Yuffie, tutto bene?” chiese, svogliata, sollevando appena la testa dal tavolo della cucina.

“Tifa,” rispose l’altra, con un tono sorprendentemente serio e con un pesante zaino su una spalla, “ho preso una decisione cruciale.”

Vai a vivere da sola??pensò Tifa col cuore in gola, diventando all’improvviso attentissima. “Cioè?”

“Vado alla sede della WRO a trovare Vincent!” esclamò la Ninja, raggiante.

La barista però era perplessa. “Scusa, ma quando l’hai avvisato? L’hai chiamato al cellulare per vedere che non sia impegnato?”

Yuffie fece spallucce. “Gli farò una sorpresa! In fondo l’ultima volta che gliene ho fatta una… beh, a parte il fatto di nascondermi in casa sua questa volta… Dicevo, la penultima volta che gliene ho fatta una l’ho salvato da una psicopatica che voleva farlo fuori![2]

Tifa stava per obiettare, ma un pensiero la fermò. Se Yuffie fosse partita, magari per un bel po’ di tempo, per stare da Vincent e magari compiere qualche missione per conto di Reeve, lei avrebbe avuto un sacco di tempo libero da passare con Cloud: tanto tempo per recuperare quello perduto e rinsaldare il loro rapporto. E mettere anche in pratica un paio di cosucce che la sua fervida immaginazione aveva elaborato in quei giorni di forzata astinenza.

“Sono contenta per te!” esclamò Tifa, all’improvviso raggiante.

“Grazie! Davvero?”

Stramegacontentissima,” confermò la donna, forse esagerando un po’ con l’enfasi. Ma poco importava, perché Yuffie aveva già abbandonato lo zaino e le era saltata al collo, abbracciandola. “Oh, grazie, Tifa-chan, se non ci fossi tu non so cosa farei! Beh, io parto, salutami Cloud quando lo vedi!!”

In men che non si dica la Ninja era già fuori dalla porta e Tifa esultò in silenzio. “Cloud!!” chiamò.

Che c’è?” giunse come risposta dal salotto, dove uno svogliatissimo biondino piuttosto depresso stava facendo zapping alla tv.

“Yuffie ti saluta, ha detto che se ne va via per un bel po’ di tempo!”

“Dici sul serio??” sbottò Cloud balzando in piedi e catapultandosi in cucina, già rosso in volto. La donna annuì con aria maliziosa.

“Dobbiamo festeggiare di essere tornati in possesso della nostra casa, allora!” propose il guerriero.

“Io qualche idea ce l’avrei,” mormorò Tifa, sorridendo.

Quella notte nessuno di loro due dormì molto.

 

 



[1] In realtà significa semplicemente “sono tornato”.

[2] Si riferisce a Rosso, personaggio di Dirge of Cerberus.

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Capitolo 12
*** L'infiltrazione ***


L’INFILTRAZIONE

L’INFILTRAZIONE

 

Il “Barone”, la “Baronessa” ed una Ninja infuriata

 

 

 

 

 

 

“Il Barone e la Baronessa Kristoff di Nibelheim,” annunciò il pomposo maggiordomo al salone già gremito di ospiti.

Vincent deglutì e si preparò ad affrontare la missione più difficile della sua vita, e non tanto perché non era stato addestrato a fingere di essere nobile o perché il nemico fosse particolarmente pericoloso. Perché la donna al suo fianco, la sedicente Baronessa Kristoff, sua moglie, che sorrideva e salutava animatamente tutti i presenti mentre lo teneva sottobraccio era Shelke.

“Cerca di comportarti da nobildonna,” le sussurrò, quando notò che si stava sbracciando verso un gruppo di allibite junonesi in abito da sera.

“E tu da marito innamorato della tua bella sposina,” gli rinfacciò lei, che d’altronde dovette comprendere che la sua vivacità rischiava di compromettere la missione. Almeno questo è quello che pensava Vincent.

“Uh, guarda, i salatini!” sbottò lei, trascinandoselo dietro fino al tavolino dove era servito un sostanzioso aperitivo. “Ecco perché sembrava che mi avesse dato ascolto,” pensò l’uomo sconsolato, mentre la ragazza emetteva versi di apprezzamento poco nobiliari.

“Permette?”

Vincent si voltò a guardare la persona che gli aveva rivolto la parola, e dovette trattenersi dal ridere. Il nuovo giunto gli arrivava allo sterno, se si escludeva il cappello piumato che portava in testa, sopra i lunghi capelli neri raccolti in una coda. I baffetti arcuati sotto gli occhiali tondi dalla montatura dorata davano al volto grassoccio l’aspetto di una faccia disegnata su un palloncino gonfiato, mentre il soprabito marrone lungo fino ai piedi (il che voleva dire che strusciava per terra, dato che il soggetto non era un campione di altezza) sembrava il vestito di un adulto addosso ad un bambino. A completare il quadro c’erano gli stivali a mezza coscia dotati di cavigliere con brillanti e il corpetto-gilet decorato con motivi floreali in filo d’oro.

“Sì?” chiese Vincent, pregando Leviathan che Shelke non si voltasse, perché dubitava molto della sua capacità di autocontrollo.

“Mi presento,” disse l’omino assumendo un’aria austera e tendendogli una mano. “Ambrogio Vilàs Efesto Maria Jeoffrey Ladislav Chegunelejev di Bonage Purlàn nato Mideel, commendatore esimio nonché fondatore dell’associazione di beneficenza ‘una pala per la vita’, che aiuta i bambini di Mideel a ricostruire la loro città distrutta.”

Vincent, stordito da tutte quelle parole in una volta sola, guardò a lungo la mano ingioiellata che gli veniva porta, prima di capire che doveva stringerla. “Ehm… Barone Kristoff,” si presentò sinteticamente. In quel momento Shelke si voltò, nella sinistra un salatino mentre con le dita della destra si puliva le labbra. Fortunatamente ebbe il buongusto di deglutire prima di presentarsi a sua volta.

“Caro, perché non mi presenti il tuo amico?” fece la ragazza, porgendo ad Ambrogio la mano destra inguantata per un bacia mano ed effettuando al tempo stesso un inchino. A Vincent però quel movimento ricordò quello di un chocobo che si sta per nutrire di erba gishal; preferì non dire niente a riguardo.

“Baronessa Viviana Janette di… ehm…” si presentò Shelke, ma all’improvviso si interruppe, avendo dimenticato il resto del nome elaborato che lei stessa si era scelta. Vincent, fiutando il pericolo, infilò una mano nella tasca della sua giacca rossa ed impugnò la Cerberus. Se quell’incapace di Shelke avesse fatto fallire la missione prima ancora che questa fosse cominciata, avrebbe dovuto fare in modo di scamparne vivo. Aveva troppe cose da fare per morire così, in quel momento. Doveva tornare a Edge. Doveva tornare da lei…

“… di Nibelheim!” sbottò Shelke, strappando un sorriso tirato da parte del suo buffo interlocutore. “Deve scusarmi, ma io e mio marito ci siamo sposati da poco, e devo ancora imparare bene il nome della sua città natale!”

“Capisco,” disse lui, ritraendo la mano e scoprendo con disappunto che ora era ricoperta da una sottile patina di olio, senza dubbio proveniente dal banco del buffet. Mascherò subito il suo fastidio e tornò a sorridere affettatamente. “Ho intuito subito che voi due venite da due mondi diversi… Mi sembra di vedere in lei, Lady Viviana, il mio passato di ragazzino a Mideel.

Temendo che il commendatore dai molti nomi iniziasse una lunga e noiosa storia sulla sua infanzia di ragazzino viziato ma triste, trattenendoli così per il resto della serata, Vincent prese per il braccio sinistro Shelke. “Voglia scusarmi, signor commendatore, ma io e mia moglie siamo stanchi per il lungo viaggio: sa, veniamo da un altro continente, e vorremmo ritirarci per riposare.”

Ambrogio Vilàs non badò all’espressione stupita ed entusiasta della giovane e si limitò ad annuire. “La capisco, signor Barone, vi auguro buona notte!”

Ma i due erano già lontani, persi tra i capannelli di persone eleganti che quella sera si erano riuniti per il ricevimento. Allora il sedicente gentiluomo si guardò attorno furtivamente, e quando fu sicuro che nessuno lo avesse notato prese un tovagliolo pulito, si pulì rapidamente la mano unta e lo ripose con cura sopra gli altri, per poi allontanarsi rapidamente.

 

Quando furono finalmente nella stanza che era stata loro assegnata del palazzo gigantesco del Governatore, Vincent lasciò il braccio della ragazza e tirò un lungo sospiro di sollievo. Decisamente non era portato per quel tipo di missioni di infiltrazione. Non poteva fare a meno di fissare con sguardo truce tutti coloro che lo circondavano, i capelli, privi della solita bandana, stavano riassumendo la loro posizione solita ed il colletto del gilet gli stava mordendo il collo come se fosse un vampiro. Senza contare che Shelke non aveva la minima idea di cosa fosse la finezza.

L’ex Turk sentì un fruscio e si voltò. All’istante il sangue gli si raggelò nelle vene e nella mente maledisse Reeve e la maggior parte dei suoi progenitori fino all’homo erectus per averlo infilato in quel guaio.

Con la pizzetta in bocca, Shelke si era sbottonata la parte posteriore dell’abito e ne aveva abbassato la lampo fino in fondo. Il corsetto verde acqua era già sceso sulla parte anteriore delle gambe, rendendo visibile il generoso seno della ragazza ed il suo addome liscio, su cui lei stessa cominciò a passare sensualmente le mani per abbassarsi anche la gonna. La pizzetta tra i denti aggiungeva quel tocco di assurdità necessario per trasformare una scena potenzialmente sexy in collage di comicità d’autore. Ma agli occhi di Vincent si trattava di un momento di puro orrore.

“C-CHE STAI FACENDO???” sbraitò verso la donna che sorrideva seducente verso di lui, nonostante il poco afrodisiaco alimento.

Hoh aueui hehho he hoehi hehie i haea ho he??” disse Shelke, ammiccando con lo sguardo.

“Togliti quella pizzetta dalla bocca!” Vincent stava per perdere le staffe.

La ragazza l’afferrò e si concesse un generoso morso prima di ripetere, masticando. “Non avevi detto che volevi venire in camera con me??”

“Era per staccarci da quel tizio, Shelke, non perché volevo vederti nuda!! Ma si può sapere cosa credi di fare?”

Quindi…” continuò lei, interrompendosi per deglutire e mettersi in bocca il resto della pizzetta. “Quindi non hai intenzione di…”

“ASSOLUTAMENTE NO!!” la interruppe Vincent, che già sapeva dove voleva arrivare.

Ma dico, mi hai vista bene??” sbottò Shelke, abbassandosi la gonna con un ultimo gesto delle mani ed ancheggiando invitante. L’uomo gettò un grido, temendo che la situazione degenerasse all’improvviso.

“Ti ho vista fin troppo bene, Shelke,” la rimbrottò cercando a tentoni dietro di sé la maniglia e la chiave. “Saranno anche dieci anni di ormoni che ti invadono tutti in una volta, ma non puoi comportarti così durante una missione! Ma io so come trattare con te!”

Shelke lo guardava senza capire, ma fece appena in tempo ad aprire la bocca che lui aveva già aperto la porta, era uscito nel corridoio e si era chiuso la porta alle spalle, girando più volte la chiave nella serratura. Accostando l’orecchio al legno pregiato, riuscì a sentire qualche lieve vibrazione nonostante l’insonorizzazione della camera e la blindatura della porta. La ragazza non doveva averla presa molto bene.

Sospirando di sollievo, l’ex Turk sedicente nobiluomo si rassegnò a passare il resto della serata al bar del palazzo, fingendo di aver litigato con la propria moglie. Almeno così avrebbe potuto fare un po’ di indagini.

 

Dopo un’estenuante giornata di viaggio in groppa ad un chocobo spennacchiato (l’affitto del quale le era costato più di quanto volesse permettersi), finalmente Yuffie giunse in vista della base della WRO.

“Preparati Vincent,” disse a se stessa, “sto arrivando da te!”

Diede di redini, ma il chocobo kuettì[1] infastidito, drizzò la schiena ed agitò le ali.

“Ehi, calmo, ma che ti prende!” protestò la ragazza, che però fu subito presa dal suo familiare mal d’aria e mollò le redini per portarsi le mani alla bocca. Il volatile colse quell’attimo per vendicarsi di un viaggio intero senza pause e senza neanche un filo di erba gishal. Si impennò di nuovo e fece un salto, riuscendo grazie al battito delle ali ad alzarsi considerevolmente da terra. La Ninja perse l’equilibrio e con un grido cadde a terra. Kuettando di gioia, il chocobo traditore si scrollò di dosso il piccolo bagaglio che gli aveva caricato sulla schiena e se ne andò nella direzione da cui erano venuti, correndo più veloce di quanto avesse fatto con Yuffie in groppa.

Quando la ragazza ebbe finito di insultare la madre del volatile ed imprecare contro il proprio mal d’aria, che la colpiva ogni volta che c’era anche solo la vaga possibilità di alzarsi in volo, si mise in spalla lo zaino e si avviò a passi pesanti verso la base della WRO.

 

CHE COSA??”

Yuffie gli aveva sbraitato in faccia in maniera tanto veemente che Reeve dovette attendere che il fischio nelle sue orecchie sparisse prima di rispondere.

“Ehm… Sì, Yuffie, l’ho mandato in missione…”

“Come diavolo ti sei permesso, dannato gatto travestito da uomo!!”

“Veramente…”

“SO BENISSIMO CHE E’ IL CONTRARIO, NON CONTRADDIRMI!!”

Reeve trattenne il fiato. Non l’aveva mai vista tanto arrabbiata, ma l’istinto gli suggeriva che non era il caso di mettersi a discutere con lei.

“Yuffie,” iniziò, “devi capire che Vincent è uno degli elementi migliori della WRO…”

“Salvo per il fatto che non lavora stabilmente per la WRO,” lo interruppe lei.

“… Però quando c’è sarebbe un sacrificio inutile non utilizzarlo, capisci?”

Reeve, stai parlando di un uomo, non di un dannato chocobo!”

Era già il terzo riferimento spregiativo a quegli adorabili animali che la ragazza faceva durante quel discorso, ed il presidente della WRO cominciava a chiedersi cosa avesse contro di loro. Ma si guardò bene dal cambiare argomento.

“Il fatto è che in poche ore dal suo arrivo aveva già risolto il problema per cui l’avevo chiamato e…”

Cosa?? Lui aveva svolto la missione e non l’hai lasciato tornare a casa??”

Ma poteva ancora essermi ut… poteva ancora fare qualcosa di buono per la WRO!”

“E sentiamo, dove l’avresti spedito questa volta?”

Yuffie era incollerita e nonostante la sua bassa statura sembrava riempire la stanza. Reeve deglutì a fatica, sapendo che la notizia che stava per darle non le avrebbe fatto per niente piacere.

“Ehm…” biascicò lui, cercando di prendere tempo, ma lo sguardo della ragazza non ammetteva scuse. “L’ho mandato a Junon.”

“L’hai spedito da solo nel covo dei nostri nemici?? Sei un irresponsabile!!”

“In realtà… lui non è da solo…”

Yuffie sollevò un sopracciglio. “E con chi è?”

“Con una persona che sa il fatto suo, non preoccuparti.

“Chi è?”

E poi, una volta finita la missione, gli ho promesso sei mesi di congedo…”

“CHI E’!!”

“… Shelke Rui…”

Cinque minuti dopo, i soldati che accorsero presso l’ufficio di Reeve videro una specie di furia scardinare la porta e passare in mezzo a loro, lasciando la stanza in uno stato disastroso ed il suo occupante più morto che vivo. Fortunatamente, Reeve ebbe almeno la forza di rassicurare gli uomini sul fatto che non era successo niente, prima che gli cadesse la testa e che dal torso cavo uscisse il muso sorridente di Cait Sith. “Devo far sapere al vostro capo che deve progettare dei manichini più resistenti,” disse alle guardie allibite.

 Nel frattempo, la furia chiamata Yuffie Kisaragi arraffò una delle aeromoto della base e partì, girando al massimo la valvola dell’acceleratore, alla volta di Junon.

 

 



[1] Verbo onomatopeico del verso del chocobo (in italiano: “kué kué”) inventato da noi. Per chi volesse utilizzarlo nel linguaggio comune o in altre fanfiction (inserendoci tra i credits dato che ci siamo scervellati per trovare un verbo alternativo per il verso del chocobo invece delle solite imprecise perifrasi^^), si comporta praticamente come il verbo “squittire”.

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Capitolo 13
*** Sempre più braccato ***


SEMPRE PIU’ BRACCATO

SEMPRE PIU’ BRACCATO

 

Bere troppo fa male

 

 

 

 

 

 

Vincent ora si sentiva molto più a suo agio senza Shelke in giro. Purtroppo, per mantenere la copertura, i prestanome di Reeve avevano prenotato per loro due solo una stanza doppia con letto matrimoniale, per cui se avesse voluto dormire sarebbe dovuto tornare da lei. Ma sentiva di poterne fare a meno; dopotutto era quasi l’alba e quello che aveva tra le mani era il sesto Irish Coffee che si faceva preparare dal barman. In effetti si sentiva un po’ strano, ma confidava che il suo organismo modificato riuscisse a smaltire tutto il veleno che aveva ingurgitato quella notte. Inoltre aveva approfittato di quelle inattese ore di veglia per fare qualche domanda ai tristi cuori solitari che gli facevano compagnia.

Era così venuto a sapere che poco dopo che lui e Shelke se n’erano andati, si era fatto vivo il fantomatico Governatore, il nemico numero uno della WRO, la cui identità era sempre stata coperta da un fitto segreto e dalle più insolite teorie: fuori da Junon c’era chi diceva che si trattava di un robot fatto costruire da quello che rimaneva della Shinra per riprendere il potere, chi diceva che si trattava dello stesso Rufus Shinra, oppure dell’ennesimo clone di Sephiroth che tornava alla luce dopo un triste passato di cavia umana. Vincent credeva che tutte quelle supposizioni fossero il frutto di fantasie troppo fervide, oppure di menti annebbiate da troppo alcool, oppure ancora dicerie diffuse appositamente dallo stesso Governatore per sviare i sospetti dalla sua vera identità.

Stava appunto per chiedere chi fosse in realtà ad un uomo seminudo e completamente ubriaco quando questo cadde sul pavimento dell’elegante salone della dimora, ruttando con soddisfazione ed addormentandosi di sasso. Il barman, che era entrato in servizio solo un’ora prima e quindi non aveva visto proprio nessun Governatore, fece spallucce di fronte all’espressione interrogativa dell’ex Turk. “Non fa niente,” disse, accennando all’ubriaco. “Lo lasci pure lì, prima o poi qualcuno lo porterà via.”

Gli occhi di Vincent stavano per chiudersi sopra il suo ottavo Irish Coffee quando sentì una mano vigorosa posarglisi sulla spalla. Allarmato si voltò, pronto ad attaccar briga, e si trovò di fronte quello che gli sembrava un militare in pensione. Folti capelli grigi, corti sulla fronte e lunghi nella coda modaiola, sovrastavano un volto dai lineamenti duri, aperto però in un sorriso cordiale ed un po’ alticcio sotto i folti baffi. Ciò che gli aveva fatto pensare al fatto che fosse un militare era la giacca rossa pluridecorata recante il grado di generale delle Forze di Autodifesa di Junon: era aperta sul davanti in modo fintamente casuale, e la camicia bianca con i bottoni d’oro che avrebbe dovuto completare l’uniforme era assente, facendo quindi in modo che il petto villoso dell’uomo fosse bene in vista, così come la sua pancia lievemente fuori forma. Vincent era indeciso se ridergli in faccia spinto da un’incomprensibile desiderio di ilarità o informarlo di non essere omosessuale né gerontofilo, e che le sue eventuali avances sarebbero state destinate a cadere nel vuoto. Nel dubbio, non fece nessuna delle due cose, ma continuò a fissarlo in modo interrogativamente truce. Dopo quasi trenta secondi di mutismo continuo, il vegliardo (ma non troppo) generale scoppiò a ridere, ed il suo volto si arrossò per lo sforzo, diventando più rubizzo di quanto già non fosse. Vincent lo guardò per un attimo, preoccupato che potesse avere un infarto e morirgli addosso, ma poi l’insensata ilarità dell’altro lo contagiò. Era tanto tempo che non rideva così di gusto, e francamente non trovava nulla di divertente in quella situazione, ma l’alcool contenuto nel nono Irish Coffee che si era bevuto si era accumulato con quello degli altri, al punto che avrebbe potuto ridere anche di fronte alla notizia della resurrezione contemporanea di Sephiroth, Hojo, Lucrecia e Weiss.

Si stava ancora chiedendo chi diavolo fosse quel Weiss il cui nome gli era tornato alla memoria quando le risate dei due cominciarono a scemare.

“Mi… mi voglia perdonare… signor Barone…” iniziò il generale mentre si asciugava le lacrime dagli occhi. “Non so proprio cosa mi sia preso.”

“La stessa cosa che ha preso a me, signor generale,” rispose Vincent, ormai deciso ad ignorare quel Weiss di cui continuava a non ricordare nulla tranne il nome. Si stavano calmando entrambi, tornando ad una gioviale serietà, e la minuscola parte sobria dell’ex Turk si rese conto che quella era un’ottima opportunità per scoprire qualche informazione.

“Mi permetta di presentarmi,” fece l’uomo anziano, porgendogli una mano guantata di bianco. Vincent fece particolare attenzione che non fosse unta prima di stringerla. “Boris Milavia, generale delle Forze Armate di Junon.

Vin… ehm, Hansel Kristoff, di Nibelheim,” rispose Vincent. Fortunatamente l’altro sembrava non aver notato il suo errore durante la presentazione, ed inoltre l’ex Turk aveva notato che quell’individuo si era riferito all’esercito di Junon come ‘Forze Armate’ e non ‘Forze di Autodifesa’ come erano conosciute presso la WRO. Poteva essere un indizio fondamentale, oppure l’equivalente di una traccia di bicorno per un cercatore di chocobo, ma in tutta franchezza non gliene importava molto. In effetti non sapeva bene perché si trovasse lì in quel momento. Ma non gli importava nemmeno di quello! Non si sentiva così bene da quando aveva passato un’intera serata a bere al bar di Tifa insieme a Cid e Barret ed il mattino dopo si era svegliato a Cosmo Canyon senza sapere come ci era arrivato. Chissà perché.

Vai, Vince, stai andando forte!!” gli disse la sua parte meno sobria, ma lui decise di ignorarla. Era l’alba, dannazione, perché non poteva andare a dormire un po’?

“Ah, si vede che lei è un nobile di nascita,” commentò il generale, richiamando la sua attenzione. “Sua moglie invece è di origine plebea, vero?”

Ecco perché non andava a dormire: sua moglie. Ossia Shelke. D’un tratto tutta l’euforia che aveva caratterizzato quei momenti si tramutò in una tristezza crepuscolare. Perché doveva essere in un posto così chic con una come Shelke? Non poteva esserci andato con Yuffie?

Ah già, la missione,” si disse, e si riscosse abbastanza da riuscire a rispondere all’uomo di fronte a lui.

“Ehm… in effetti sì, da cosa l’ha notato?” rispose, assecondando le supposizioni del vecchio. Gongolando, questi mosse una mano tra i peli del petto, come a stringersi il colletto di una camicia inesistente. Quando si accorse di ciò, abbassò nuovamente la mano facendo lo gnorri. “Un vero nobile come me e come lei non ha bisogno di anteporre al proprio nome il titolo nobiliare, perché la nobiltà traspare da tutti i suoi gesti. E poi… Niente, la prego di scusarmi.”

Vincent non lo scusò affatto. Anche se la sua teoria sulla nobiltà era confutata dai fatti (lui non era mai stato nobile, e così pure i suoi antenati, per quanto ne sapesse), il fatto che gli stesse tacendo qualche informazione risvegliò la spia che era in lui, sebbene fosse pesantemente assopita anche a causa dell’alcool.

Ma no, la prego, cosa stava dicendo?”

“… Non si offende, vero?”

“Si figuri, siamo tra uomini, giusto? E poi sento istintivamente di potermi fidare di lei,” lo rassicurò Vincent con una pacca sulla spalla, consapevole che quell’uomo, nello stato in cui si trovava, non avrebbe riconosciuto una menzogna nemmeno se gli avessero detto che sua madre era un chocobo e suo padre un kyactus. Dopo un’ultima esitazione, il rubicondo vegliardo si decise a svuotare il sacco, e l’ex Turk si apprestò ad ascoltare con attenzione quella che avrebbe potuto essere un’importante informazione.

“Il fatto è che… ecco… stasera al ricevimento ho notato come si comportava sua moglie. Era così rozza, così squallida… era impossibile che fosse una nobile di nascita. E’ come quel pomposo escremento di goblin che aveva attaccato bottone con voi, quell’Ambrogio Vilàs Vattelapesca. Quello non è più nobile dell’ultimo dei miei garzoni, solo che ha fatto un sacco di gil scavando a Bone Village e rivendendo le cianfrusaglie che trovava come inestimabili reperti dei Cetra… Ovviamente ogni tanto cerca di far quadrare il bilancio estorcendo denaro ai nobili tanto creduloni da prestargli orecchio. Ma per fortuna lei doveva aver fiutato la truffa, a giudicare dalla velocità con cui se l’è svignata. Credo proprio che se ci fosse stata solo sua moglie ci sarebbe cascata come un frutto di molboro troppo maturo.

A dire la verità Vincent non aveva affatto sentito odore di imbroglio, solo di una quantità di noia colossale. E non gli interessava nemmeno se quell’Ambrogio eccetera fosse un truffatore, un sant’uomo o il Governatore di Junon. Beh, in quest’ultimo caso gli sarebbe interessato un po’ di più, visto che era lì proprio per spiare quella persona. In ogni caso, cestinò l’informazione come la cosa più inutile che aveva trovato a Junon dopo Ambrogio stesso.

“Le chiedo scusa se mi sono lasciato andare un po’ troppo nei confronti di sua moglie,” riprese Boris portandosi una mano alla bocca. Si era finalmente accorto di aver esagerato nel coprire di insulti la moglie del suo interlocutore nobile. Per fortuna Vincent non era nobile, né Shelke era sua moglie, per cui l’ex Turk non se la prese affatto. Anzi, la cosa gli era risultata piuttosto divertente. Diede una rapida occhiata alle finestre: il sole era ancora basso, quindi poteva godersi ancora un po’ l’assenza della sua collega, e decise di farlo nel modo che in quel momento gli sembrava più gustoso. Sparlando di lei.

“No, no, si figuri, anzi, finalmente qualcuno è andato al di là delle sue trine e ha visto di che pasta è fatta,” gli rispose, sorridendo.

Boris sollevò un sopracciglio e sorrise malizioso. “Avete litigato, vero?”

“Sì, ma le assicuro che è veramente rozza e squallida come l’ha descritta. Pensi che una volta, ad un ricevimento simile a questo, si è pure ubriacata e si è messa a ballare sopra un tavolo.”

Il generale scoppiò a ridere. “Sul serio??”

“Certo!” mentì Vincent, gongolando alle spalle di entrambi. “Le sembro forse uno che racconta bugie?”

I due risero a lungo, chiacchierando circa le presunte avventure della Baronessa Viviana Janette senza lesinare in particolari.

Ma davvero…?” si azzardò a chiedere Boris ad un certo punto, stupefatto.

“Sì, sì, certo, è andata proprio così!” rispose Vincent, divertendosi come un bambino al Luna Park.

“Così come?”

Entrambi si raggelarono e si voltarono verso Shelke, di nuovo avvolta nel suo vestito verde acqua, i capelli lievemente spettinati e l’espressione omicida sul suo bel viso.

“Ehm…” disse Boris, tornato inaspettatamente lucido. “Avrei un impegno. Con permesso…”

Il generale vigliacco si defilò in men che non si dica, mentre nella sala ricominciava ad affluire la gente. Il tizio ubriaco che si era addormentato ai piedi di Vincent era sparito, ma lui non se n’era nemmeno accorto, così come non si era accorto che sua ‘moglie’ era arrivata di soppiatto mentre sparlava di lei con un perfetto sconosciuto. Deglutì, nervoso. “Ciao, Viviana…”

Shelke si piegò in un inchino sarcastico. “Barone… Ora vuoi gentilmente dirmi perché stavi parlando di me ad un emerito sconosciuto?”

Con lo sguardo l’ex Turk cercò una via d’uscita, ma sapeva che non ce n’erano: era nella base nemica, praticamente ubriaco fradicio e con una ex Tsviet ninfomane, cotta come un vaso d’argilla per lui e probabilmente infuriata a morte. Non aveva possibilità di fuga. Tranne forse una. Gli ripugnava, ma sapeva che era l’unico modo per uscirne senza doversi sorbire una scenata. Ricacciò indietro il nervosismo e gli effetti degli ormai quindici Irish Coffee che si era bevuto e si sforzò di assumere un’espressione seria, il più possibile seducente. Subito prima che Shelke cominciasse con la sua scenata, lui si alzò in piedi, sovrastandola, e le prese le mani fra le sue, portandosele al petto. La ragazza restò a bocca aperta.

Viviana…” iniziò con voce roca, sensuale, e dopo aver controllato che non ci fosse nessuno in ascolto proseguì, abbassando la voce. “Shelke… Dopo tutto questo tempo, ho capito una cosa…”

La ragazza lo fissava negli occhi con la bocca spalancata, tanto che riuscì a mala pena a pronunciare poche parole. “C-che… cosa…?”

“… Shelke, io ti amo.”

Vincent fece appena in tempo ad inorridire quando si ritrovò il volto affondato nel seno di Shelke, che gli era balzata addosso urlando di gioia e che ora lo abbracciava minacciando di soffocarlo. L’uomo barcollò all’indietro alla ricerca di aria, e finalmente riuscì ad abbassare la ragazza quel tanto che bastava per tornare a respirare. Lei allora chiuse gli occhi e, con una precisione stupefacente, cercò di baciarlo sulle labbra. Vincent però fece in tempo a scostarsi e a riceversi quel bacio umido su una guancia, anche se a dire il vero più che un bacio sembrava la poderosa leccata/succhiata di un molboro affamato.

In quel preciso momento la sala fu scossa da un boato. I vetri alle finestre scoppiarono mentre la parete più esterna dell’edificio crollava. Dal varco così formato saettò rombando un’aeromoto della WRO, che roteò più volte prima di stabilizzarsi. Vincent non volle credere ai suoi occhi quando vide che sul sellino di guida c’era, infuriata e terribile come una valchiria di Wutai, Yuffie.

“VINCENT VALENTINE!!” urlò, sovrastando quasi il rumore inferocito del motore. Quando poi si accorse della posa in cui l’aveva trovato, i suoi occhi mandarono lampi quasi visibili di furore. “LEVAGLI LE TUE ZAMPE DI DOSSO, DANNATA VIPERA!!”

“E’ una spia della WRO!! Fuoco!!” gridò una voce. All’istante la sala fu invasa da proiettili sparati in tutte le direzione, mentre i gentiluomini e le gentildonne che non erano svenuti per la paura scappavano. Gridando come un’ossessa, Yuffie fece ruotare su se stessa l’aeromoto, lanciando shuriken senza fermarsi un momento.

La missione era fallita, senza ombra di dubbio. Ed era durata meno di un giorno, il tempo di vedere Shelke nuda e di scoprire che si poteva fare carriera scavando a Bone Village e vendendo cianfrusaglie. Era giunto il momento di tagliare la corda il più presto possibile.

Incurante di tutto, l’ex Tsviet continuava a restare avvinta a lui come un mitilo al suo scoglio. “SIII’!” stava urlando, “ANCH’IO TI AMO, VINCENT VALENTINE!!”

“Mollami, dannazione!” le rispose lui di rimando, riuscendo infine a scollarsela di dosso. Con un grido la ragazza volò dall’altra parte del bancone, sparendo alla vista.

“Puoi darmi un passaggio?” chiese Vincent mentre sparava senza fermarsi un secondo, dopo essere riuscito a districare la cerberus dal suo pastrano.

“Dopo facciamo i conti io e te!!” gli promise Yuffie, ma non si scostò quando lui salì con un balzo sull’aeromoto. L’idea di litigare con la sua ragazza però gli riusciva quasi più odiosa che dire a Shelke che l’amava. Con un’ultima salva di spari ed un lancio di shuriken, il velivolo schizzò via rombando nella luce del mattino incipiente, svegliando i cittadini attoniti di Junon alta e di quella bassa.

Nel salone devastato regnò il silenzio, mentre i soldati si rendevano finalmente conto di aver lasciato fuggire una spia dei loro mortali nemici ed una mercenaria di Wutai giunta a dare man forte nello scontro. Alcuni si diedero da fare a soccorrere i feriti, ma i più attenti si avvicinarono al bancone del bar, i fucili spianati. Da oltre il pianale fece capolino prima una mano, poi una testa dai capelli castani arruffati ed infine il resto della donna che aveva accompagnato la spia nemica: la sedicente Baronessa Viviana Janette di Arlanse-Boignot.

Di fronte a tutti quei fucili spianati, Shelke non poté fare altro che sollevare le mani in segno di resa. “Ehm…” disse poi, cercando febbrilmente una via di scampo. “Desiderate un drink?”

 

Cosa diavolo facevi abbracciato a quel serpente dal corpo di donna, eh??” gridò Yuffie voltandosi all’indietro e cercando di superare il rombo dei motori e del vento. La Ninja non aveva nemmeno aspettato di atterrare per cominciare il suo interrogatorio, ma le era bastato uscire dalla portata della contraerea junoniana.

“Era una missione di infiltrazione, Yuffie!” rispose d’un fiato Vincent, in cui il movimento altalenante del mezzo e tutto l’alcool ingurgitato stavano cospirando per fargli vomitare l’anima, la Galian Beast ed anche un paio delle pozioni assunte per riprendersi dai colpi di padella ricevuti in passato.

“Lo so benissimo!” gridò la Ninja, che stranamente sembrava non soffrire il suo solito mal d’aria, “ma a Wutai la parola ‘infiltrazione’ non significa ‘pomiciare con la collega in territorio nemico’[1]!!”

“Non stavo pomiciando con Shelke! Le ho detto che l’amavo soltanto per farla stare buona!!”

“TU COSA??” sbottò la Ninja, voltandosi verso di lui e perdendo così il controllo sul veivolo. Vincent non badò alla mano di lei che gli afferrava il bavero della giacca, né all’altra mano che caricava un poderoso pugno rivolto alla sua faccia. “Yuffie, per l’amor di Leviathan, guarda av…!”

Ora che l’aveva centrato in pieno volto, al pugno di Yuffie ci badava eccome. Riuscì a mala pena a sentire unfedifrago!’ urlato con violenza verso di lui, attraverso il fischio insistente che lo assordava. L’aeromoto oscillò pericolosamente e Vincent dovette combattere duramente per non cedere alle spinte che cercavano di farlo vomitare. Quando ne fu uscito vittorioso, notò con stupore che stavano volando su una distesa marittima, sebbene ricordasse che da Junon si erano diretti verso l’entroterra. Solo dopo un secondo si rese conto che quello sotto di loro non era il mare, ma il cielo, e la distesa verde ondulata sulle loro teste non era uno strano fenomeno atmosferico, ma il terreno stesso[2]. E ci mise un altro po’ a realizzare che, se ciò era vero, allora non stavano cabrando, ma stavano precipitando.

“WAAH!! STIAMO PRECIPITANDO!” esplose Yuffie, sottolineando l’ovvio e cominciando a sbracciarsi. Da dietro di lei, Vincent serrò i denti e la circondò con le braccia.

“NON MI SEMBRA IL MOMENTO PER QUESTE COSE, VINCENT!!” protestò lei, il cui rossore poteva derivare in ugual misura dall’imbarazzo, dalla rabbia di poco prima o dal terrore. “Sto solo cercando di far atterrare questo dannato affare!” fu la risposta dell’ex Turk, le cui mani non si erano fermate sul corpo della ragazza ma avevano afferrato saldamente il manubrio e stavano ora cercando di stabilizzare il volo.

“OH LEVIATHAAN!!” urlò Yuffie quando fu chiaro che non sarebbero riusciti ad effettuare un atterraggio morbido. Chiudendo gli occhi, gli strinse le braccia al collo e si accoccolò su di lui.

 

Sono troppo giovane per morire!! E poi non siamo neanche ancora andati a letto insieme!!

 

Con uno schianto terribile l’aeromoto sfondò le porte di un vecchio fienile, da cui uscì un branco di chocobo selvatici che kuettavano in preda al panico. Vincent fece appena in tempo ad accorgersi di essere ancora vivo, di essere circondato ovunque dall’erba gishal essiccata e, soprattutto, che Yuffie respirava ancora sebbene fosse priva di sensi, prima di svenire per la stanchezza.

 

 



[1] Il riferimento alle avventure sentimentali dei film di James Bond è puramente casuale.

[2] Minuscolo omaggio al film “Il grande dittatore” di e con Charlie Chaplin.

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Capitolo 14
*** Amore tra l'erba gishal ***


AMORE TRA L’ERBA GISHAL

AMORE TRA L’ERBA GISHAL

 

Galeotto fu il chocobo… o forse no?

 

 

 

 

 

 

“No… Non voglio diventare una geisha…” mormorò Yuffie nel sonno. Vincent a quelle parole cominciò a svegliarsi e si chiese come mai fosse immerso nel fieno gishal fino al collo. Poi ricordò tutto e lo prese un gran mal di testa.

“Non mi interessa niente della cerimonia del tè, papà!” gemette la ragazza, distesa fra le sue braccia. Probabilmente stava avendo un incubo. Senza prestare la dovuta attenzione al fatto che poco prima di precipitare stavano litigando, Vincent decise che era meglio svegliarla.

“Yuffie, Yuffie, stai avendo un incubo,” le sussurrò, scuotendola gentilmente. La ragazza aprì gli occhi e mise a fuoco il volto dell’ex Turk. Con un sorriso ed un’espressione non del tutto consapevole sollevò una mano e gli accarezzò una guancia sporca di fango. “Oh, Vincent, amore mio, sono morta e sono in paradiso tra le tue braccia…”

“No che non sei morta,” la corresse l’uomo, che però accolse le sue parole con un sorriso. In quel momento Yuffie tornò ad avere ben presente a se stessa ciò che era successo e la sua espressione si tramutò dal sorriso dolce di poco prima alla furia. La carezza divenne uno schiaffo.

“Ahia!” protestò l’uomo, più per la sorpresa che per l’effettivo dolore. “Ma che ti prende??”

“COM’E’ CHE HAI DETTO A QUELLA VIPERA DI SHELKE CHE L’AMAVI??” fu l’unica risposta che ottenne.

“Te l’ho detto, era per distrarla, dato che si era arrabbiata con me!”

Prima che la Ninja esplodesse contro di lui, Vincent iniziò a raccontare ciò che era successo durante la missione a Junon. Quando arrivò al punto in cui Shelke si era denudata con intenzioni più che evidenti Yuffie, che nel frattempo si era scostata sdraiandosi su quanto rimaneva del sellino, cominciò a dare segni di insofferenza, generalmente urlando e tirando pugni all’erba gishal, perciò Vincent ritenne opportuno sorvolare e passare direttamente al punto della storia in cui era entrata in scena lei. Rapidamente com’era iniziato, l’attacco d’ira della ragazza evaporò, lasciando spazio ad un’ilarità parimenti incontenibile.

“Davvero hai raccontato questa cosa anche al generale Burris??”

“Si chiamava Boris…”

“Fa lo stesso.”

“Sì, ho usato proprio queste parole.”

Yuffie si gettò all’indietro sprofondando con un fruscio nel fieno, la bocca spalancata in una risata folle. “Olleviathan, peccato che non ero ancora arrivata!”

“Ora capisci per quale motivo Shelke, che invece era appena arrivata, si era arrabbiata?”

All’improvviso l’espressione divertita di Yuffie divenne scontrosa. “Sì, lo capisco…”

Vincent non disse niente, ma la guardò come se intendesse ‘allora… mi perdoni…?’ La ragazza sbuffò. “D’accordo, sei perdonato per averle detto quella cosa oscena.”

“Grazie,” disse l’ex Turk abbozzando un sorriso. Nonostante l’avesse perdonato, però, Yuffie continuò a guardarlo di sottecchi.

 

Com’è possibile che sia cambiato in così poco tempo, rispetto al Vincent musone di pochi anni fa? E’ stato veramente solo merito mio, se ha lasciato Lucrecia nella sua tomba-brillantino ed è tornato un essere umano? Mah… Comunque, ora che abbiamo chiarito la questione della vipera , c’è un ultimo grosso interrogativo che mi assilla…

 

“Ehm… Vincent?” lo chiamò dopo alcuni minuti di silenzio. “Hai idea di dove siamo?”

L’uomo si guardò attorno con espressione concentrata, malgrado ovunque si voltasse lo sguardo si vedesse solo fieno di erba gishal.

“Dunque…” iniziò a rispondere, riflessivo, “ad occhio e croce direi che siamo… in un fienile.”

Erano momenti come quello che facevano desiderare a Yuffie di non aver mai conosciuto Vincent, di non essersene mai andata da Wutai, di aver sposato un kyactus e di aver passato il resto della sua vita in una casa tradizionale, circondata da gatti e senza avere idea che nel mondo potesse esistere una stupidità tanto concentrata da sembrare sarcasmo. O viceversa.

Lo fissò con aria di sfida. “Scusami… Il tuo era sarcasmo così dotto da sembrare una stupidaggine o una stupidaggine tanto geniale da sembrare sarcasmo?” chiese, dando voce ai suoi pensieri. Vincent rispose al suo sguardo indurendo appena la propria espressione. “Valuta tu… Secondo te come ho fatto a capirlo, dato che per metà del tempo che siamo stati in volo eravamo a testa in giù e per l’altra metà stavo litigando con te?”

Yuffie la prese sul personale. Senza badare al fatto che non aveva la minima idea di dove si trovasse il terreno, scattò in piedi, sprofondando fino alla vita nel fieno.

 

Vuoi discutere con me, signor sono-il-più-figo-della-WRO-Shelke-ti-amo??

Non sai di cosa sono capace quando mi arrabbio davvero! Ed ora ti mostrerò ciò che sa fare una vergine guerriera di Wutai!!

 

“Non mi sembra il momento di scherzare, Vincent!” sbraitò, cercando di arrampicarsi sui resti dell’aeromoto per togliersi da quell’imbarazzante posizione che la costringeva a guardarlo dal basso verso l’alto. Come accadeva sempre, dopotutto. “Per quanto ne sappiamo potremmo ancora essere nel territorio di Junon, con gli sgherri del generale Burris che ci stanno dando la caccia, e tu ti metti a fare battutine stupide??”

“A parte che si chiama ancora Boris,” puntualizzò Vincent, incrociando le braccia imperturbabile, “credo che siamo abbastanza lontani da Junon per stare tranquilli.”

Resta il fatto che continuiamo a non sapere dove siamo, che non abbiamo più il nostro mezzo di trasporto e che HO UNA FAME BLU!!”

 

Se ora dice che potrei sgranocchiare un po’ di erba gishal giuro che lo meno… ma con violenza, altro che padellate in testa…

 

“Yuffie,” rispose l’uomo. “Purtroppo non ho niente da mangiare con me, ma non sarà gridando che usciremo da questo pantano.

La ragazza esitò.

 

Beh… almeno non ha detto niente sull’erba gishal

 

“E come conti di uscire, sentiamo,” lo sfidò con un sorriso di scherno, mentre finalmente era riuscita ad issarsi sui resti del sellino. “Questo posto mi sembra leggermente abbandonato,” continuò, indicando sopra di loro le assi pericolanti del soffitto, frantumatesi ben prima del loro schianto, “e non credo che se facciamo l’autostop fuori di qui troveremo qualcuno che ci accompagnerà alla base della WRO.”

“Yuffie…”

“Non interrompermi! Una volta fuori di qui, dicevo, dovremo cercare da mangiare, un punto di riferimento per orientarci…”

“Yuffie…”

“Ti ho detto di non interrompermi! Stavo dicendo, io ho cinquanta gil con me, non so tu quanti ne abbia, ma credo che dovremmo trovare un modo per racimolarne qualcun altr…”

Questa volta Vincent non la interruppe più a parole, ma con un bacio, il più focoso che si fossero mai scambiati.

 

Ma che diavolo…!! Ma… Cosa vuole fare… Mmhh

 

La ragazza dapprima si divincolò, indispettita per il fatto di essere stata interrotta, ma lentamente cedette alla lusinga di quel bacio, alla muta richiesta di completa dedizione che esso pretendeva, e si abbandonò tra le braccia dell’uomo, che la fece distendere con delicatezza sul fieno. Dopo un tempo che parve infinito il bacio terminò sulle labbra, ma continuò tra i loro sguardi.

V-Vincent…” riuscì appena a mormorare lei, ma lui le diede un altro rapido bacio.

“Penseremo poi a come uscire da qui,” fece lui con un filo di voce. “Ora voglio solo stare con te. Mi sei mancata, Yuffie.”

La ragazza non trovò le parole per rispondere. Il cuore le batteva con forza nel petto mentre rispondeva al suo bacio con un altro bacio, stringendo a sé il suo amore con tutta la passione che aveva. Un attimo dopo Vincent si era già tolto la giacca rossa ormai logora ed aveva cominciato a scendere con le labbra lungo il collo di Yuffie, mentre con le mani le accarezzava la vita.

 

Oh, Vincent… Erano anni che aspettavo questo momento… Tu non lo sai, ma ti ho amato dal primo momento che ti ho visto… Anche se all’epoca credevo di avere una cotta per Cloud, prima di andare a dormire, io… pensavo a te…

 

Con mano sicura l’uomo le sollevò la maglietta fino a scoprirle il seno. Al tocco delle sue mani e delle sue labbra, Yuffie si sentì rabbrividire.

 

Ho sempre pensato a te, Vincent… In tutto il tempo che ho passato a Wutai, da mio padre, non è passato un giorno in cui io non ti abbia pensato, non abbia fantasticato sul nostro nuovo incontro, oppure su… questo momento…

 

A fatica le mani di lei si insinuarono tra il proprio corpo, quello di Vincent e i fili di erba gishal, cercando come potevano di slacciare l’elaborata chiusura della camicia-corpetto dell’uomo.

 

Accidenti a te, Reeve… Non potevi fornirgli un completo più facile da togliere??

 

All’improvviso il sole che filtrava dalle aperture sul soffitto fu oscurato da una grossa ombra, sebbene Yuffie non se ne fosse accorta subito poiché teneva gli occhi chiusi, così come Vincent, persi entrambi nel turbine delle loro sensazioni.

 

Finalmente ci sto riuscendo… sento già i tuoi poderosi muscoli sotto le mie mani… VincentVincent!! Vin…YYYAAAAAHHHHHH!!

 

Mentre urlava la ragazza sgusciò da sotto il corpo dell’ex Turk, che si trovò ad abbracciare e baciare una balla di fieno, salvo poi drizzarsi allarmato dal grido e cercare istintivamente la Cerberus al suo fianco. Una grossa testa gialla li stava fissando incuriosita con i suoi grandi occhi screziati. Nel becco stava frusciando una manciata di erba gishal essiccata. “Kué?” fece l’animale, perplesso.

 

UN DANNATO CHOCOBO!! Perché ce l’hai con me, Leviathan!! Prima quella vipera di Midgar che turba il mio idillio d’amore  ed ora questo chocobo che salta fuori mentre sto per perdere la verginità!! MA COS’HO FATTO DI MALE!!

 

Mentre Vincent, piuttosto imbarazzato, rinfoderava la Cerberus e si richiudeva la camicia, nel casolare abbandonato e per qualche centinaio di metri tutto attorno risuonò il terribile grido della Ninja di Wutai, simile a quello di una banshee portatrice di sventura: “IO ODIO I CHOCOBO!!”

 

 

Il misterioso Governatore scese le scale che dal suo ufficio portavano al salone dei ricevimenti dove, a quanto gli era stato riferito, il suo esercito aveva sventato un attacco a sorpresa della WRO ed aveva catturato una spia. I soldati che presidiavano l’entrata si misero sull’attenti. “Hail Governor!” salutarono in coro. “Sì, sì,” rispose l’uomo agitando una mano. “Fatemi entrare. Sono proprio curioso di vedere quanto fegato ha questa spia della WRO.

Uno dei soldati aprì la porta e precedette il suo signore nella stanza, con l’intenzione di annunciarlo. Le parole però gli morirono in gola e rimase a fissare a bocca aperta ciò che, a quanto sembrava, stava avvenendo all’altro capo della sala.

Senza por tempo in mezzo il Governatore portò la sua corpulenta autorità al di là della soglia, deciso a vedere di persona cosa stava succedendo. Anche lui rimase a bocca aperta.

Una decina di soldati erano seduti al bar o semisdraiati per terra, ubriachi fradici. Sopra il bancone erano seduti il generale Boris Milavia ed un suo subordinato, completamente sbronzi, tra le mani due grossi boccali di birra. Tra i due, le braccia appoggiate sulle spalle come se fosse stata tra vecchi commilitoni, c’era una bella ragazza sui vent’anni, con i capelli castani ed un ardito vestito verde chiaro lungo, che metteva in risalto il suo seno generoso. Anche lei era ubriaca, e anzi sembrava guidare il coro dei soldati junoniani.

“Osteria del Governatore…!!” cantavano sguaiatamente.

Il Governatore si mise le mani sulle orecchie, non volendo ascoltare oltre. Irato si rivolse alla guardia che era entrata con lui. “E quella me la chiamate una spia? Rimandatela indietro, mi vergognerei io per i miei uomini che la dovrebbero interrogare.

Con l’obbrobrioso suono di quel canto incivile nelle orecchie, l’uomo se ne andò con rabbia, pensando che forse era meglio fare finta che non fosse successo nulla.

 

 

Era stata una giornata stressante, quella: aveva ricevuto due proposte di matrimonio, tre avventori avevano iniziato una rissa per avere il suo favore ed era finito il rum. Ora però Tifa poté con soddisfazione chiudere la cassa. La aspettava un’altra notte di divertimenti con Cloud: volevano sfruttare tutte le occasioni che avevano prima che avessero la notizia del ritorno di Yuffie, la quale avrebbe riportato la depressione nel loro rapporto di coppia.

Stava quasi per raggiungere la porta d’ingresso per chiuderla quando questa si aprì di schianto ed entrò un uomo molto più alto di lei. Stava per buttarlo fuori a suon di pugni (nessuno avrebbe messo a rischio la sua notte con Cloud, nemmeno un cliente pagante!) quando lo riconobbe. La sua camicia con le decorazioni a chocobo era piuttosto malridotta, come anche i suoi bermuda, ma quell’assurdo abbinamento le era rimasto indelebile nella memoria.

“E’ permesso?” chiese il grosso Wutai, anche se la porta era già aperta e lui era già entrato.

“Il locale sarebbe chiuso,” rispose Tifa senza celare il fastidio, “ma se proprio dovete entrare…”

L’uomo lo prese per un sì ed entrò, seguito dai suoi due colleghi in ordine di altezza. La donna trattenne le risate pensando che quel trio le ricordava molto un trio di statuette identiche, salvo per le dimensioni, che si potevano infilare l’una dentro l’altra e che lei aveva visto una volta in vendita a Midgar.

“Stiamo cercando la Somma Principessa Yuffie Kisaragi di Wutai,” disse quello più basso ed un senso di déjà-vu colse Tifa.

“L’avete mancata di poco, ragazzi!” disse quest’ultima, pregustandosi già l’effetto che quell’affermazione avrebbe avuto sui tre. “Ho sentito che è partita per Junon, ma questo ormai qualche giorno fa, non so se si trova ancora là…”

Con una sincronia impressionante i tre sospirarono di sconforto all’unisono.

Ci è scappata, Pong,” disse quello alto, subito redarguito con un ceffone da parte di quello di mezzo. “Baka! Lo sai che non dobbiamo usare i nostri veri nomi!”

“La ringraziamo per l’informazione, signorina,” fece cortesemente quello più basso, ignorando gli altri due che avevano cominciato a discutere animatamente in una lingua che Tifa non conosceva ma che supponeva essere Wutai.

“Ma figuratevi,” rispose la donna con un sorriso che stentava a non scoppiare in una risata. I due litiganti si interruppero e tutti e tre fecero un solenne inchino verso di lei, prima di uscire dalla porta nell’ordine inverso a quello con cui erano entrati. Mentre osservava quelle tre figure allontanarsi nella notte, Tifa sbarrò la porta e scoppiò a ridere.

Olleviathan!” disse tra una risata e l’altra. “Aspetta che ti racconti questa, Cloud!”

 

 

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Capitolo 15
*** La meravigliosa avventura di Ping, Pang e Pong ***


LA MERAVIGLIOSA AVVENTURA DI PING PANG E PONG

LA MERAVIGLIOSA AVVENTURA DI PING PANG E PONG

 

Picaresche peregrinazioni di un gruppo di samurai

 

 

 

 

 

 

Erano giorni che camminavano, ma Junon non era ancora in vista. A quel punto, Pong era veramente convinto che avessero sbagliato strada.

“Mi sa che non abbiamo fatto bene a fidarci di quel pescatore,” disse Ping, quasi leggendo nel pensiero al suo capo. Pang, il samurai di media altezza, annuì con aria saggia. “Forse dovremmo trovare qualcuno che sappia dirci dove ci troviamo.”

Ma prima dobbiamo mangiare qualcosa!” sostenne Ping, che era visibilmente dimagrito dall’inizio di quella missione. Con un sospiro, Pong annuì. “Ci accamperemo là, dove riposa quel curioso esemplare di fauna locale.

Il curioso esemplare di fauna locale drizzò le orecchie e li guardò diffidente, poi si alzò e, mugugnando stizzito, si allontanò di qualche passo. Ping lo seguì con lo sguardo, famelico. “Dite che quell’animale sarebbe buono da mettere sotto i denti?”

“Per vostra informazione,” rispose una voce che non apparteneva né a Pang né a Pong, “non sono buono da mettere sotto i denti, e non sono nemmeno un animale, se è per questo.”

Il curioso esemplare, sentitosi chiamato in causa, uscì dal proprio nascondiglio e si fece avanti con aria truce.

“MA QUEL GATTO PARLA!!” esclamarono in coro Ping e Pang, facendo un salto indietro esterrefatti.

“E non sono nemmeno un gatto,” replicò la creatura, che da parte sua non sapeva con chi prendersela per essere stato disturbato da un simile trio.

“Ci perdoni… ehm…” interloquì Pong, diplomatico, “signor… signore, ma crediamo di esserci persi. Sa, siamo tre inviati speciali di una ditta di spedizioni di Wutai e non siamo molto pratici di questi posti…”

‘L’animale’ sbuffò. “Sentiamo, dove dovreste recarvi? Sempre ammesso che ungatto’ possa esservi utile. E lei,” aggiunse, digrignando i denti verso Ping, che continuava a guardare con aria affamata le sue cosce, “la smetta di guardarmi in quel modo, oppure credo che dovrei cominciare a fare altrettanto con il suo voluminoso sedere.”

L’interpellato mise subito le mani a protezione del suo organo e dedicò la sua attenzione ad un sasso lì vicino, sperando che non si mettesse a parlare anch’esso.

“Ecco,” riprese Pong, ignorando apparentemente l’incidente. “Siamo diretti a Junon e le saremmo grati se potesse indicarci la strada…”

Il rosso essere strabuzzò gli occhi, o per meglio dire l’unico occhio che gli restava, e per qualche secondo restò a bocca aperta. “Junon?? Ehm… credo che siate veramente fuori strada.

“Lo sospettavamo,” rispose il capo dei samurai. “Sarebbe disposto ad accompagnarci, o a indicarci qualcuno che ci possa portare laggiù?”

“Ehm… Io non posso, al momento… Però posso comunque darvi una mano.”

Pang si morse un labbro per evitare di pronunciare una battuta che avrebbe potuto suonare ‘al massimo ci può offrire una zampa, signore!’ e lasciò parlare il suo capo.

“Splendido! E ci dica, dove dobbiamo andare?”

“Capo?” interloquì Ping, titubante. “Dovremmo anche trovare qualcosa da mettere sotto i denti…”

In quel momento lo stomaco di Pong brontolò rumorosamente, sottolineando le parole del subordinato. “Per l’appunto,” si risolse ad aggiungere il caposquadra, “conosce anche un posto dove possiamo ristorarci? Che non sia molto caro, invero, perché le nostre risorse monetarie sono piuttosto scarse…”

L’essere che avevano disturbato sospirò sconsolato. Li avrebbe volentieri indirizzati al deserto insuperabile di Gold Saucer, ma quel giorno aveva mangiato bene e si sentiva di buon umore. Pensando alla bistecca ben cotta con zucchine alla griglia e patatine fritte annuì lievemente. “Seguite quel crinale fino alla sporgenza rocciosa laggiù. Dovreste intravedere un villaggio che si chiama Cosmo Canyon. Presentatevi al cancello e chiedete di essere ospitati. Prendete pure tutto quello che vi serve e mettetelo sul mio conto, tanto da quando ho vinto la lotteria di Gold Saucer posso permettermi di offrire qualche milione di gil a dei perfetti sconosciuti come voi. Ah, dite che siete stati invitati da Nanaki.

Senza parole per la gratitudine, i tre si profusero in inchini elaborati e lasciarono l’ex tredicesimo soggetto sperimentale di Hojo a chiedersi come avessero fatto quei tizi non solo a sbagliare strada, ma addirittura a sbagliare continente…

Mentre Ping ancora tesseva le lodi del felino-non-felino che avevano incontrato (soprattutto per il numero ‘XIII’ tatuato su una sua spalla), Pong lo zittì e riportò quanto era stato loro detto allo strano guardiano del cancello di Cosmo Canyon. Dovette poi ripetere tutto alla vera guardia, dopo che ebbe compreso che ciò cui si era rivolto era un totem.

A Cosmo Canyon Ping, Pang e Pong trovarono un’accogliente ospitalità: mangiarono e bevvero a sazietà, rimpinguarono le scorte di pozioni e granpozioni e, di nascosto, quelle di denaro (in fondo, come aveva sottolineato Nanaki, cosa sarebbero mai stati qualche milione di gil devoluti a loro in beneficenza?). Ma la cosa più importante fu che scoprirono con incredulità che Junon si trovava su un altro continente, e che il pescatore cui avevano promesso tutti i loro averi, vestiti esclusi, per accorciare loro la strada, li aveva gabbati, attraversando il mare e scaricandoli in un luogo dimenticato da Leviathan.

Gli abitanti furono talmente gentili (o, secondo un altro punto di vista, esasperati) da offrire loro un mezzo di trasporto su ruote alimentato a pedali, che li avrebbe portati sani e salvi in un posto chiamato Costa del Sol, dove avrebbero potuto imbarcarsi per Junon. Sfortunatamente quel mezzo di trasporto si ruppe poco dopo, durante l’attraversamento di un immenso deserto. Imprecando contro quegli spilorci di Cosmo Canyon (che non li avevano avvertiti del pessimo stato delle guarnizioni del mezzo), i tre intrepidi samurai cercarono di attraversare il deserto a piedi. Nel corso di quei giorni di marcia forzata furono attaccati da due Formicaleoni divoratori di uomini, che avevano spalancato le fauci proprio sotto di loro, cinque vermi giganti delle sabbie, un gigantesco uccello del quale non avrebbero saputo dire il nome ed un curioso mostro ciclopico e rossastro, dall’apparenza metallica, che però, scosso dal timore per la loro possanza, se ne andò riaffondando nel deserto (la realtà era che la Ruby Weapon non li aveva considerati degni di attenzione). A parte quest’ultimo incontro, i tre samurai se l’erano cavata egregiamente, fuggendo ad una velocità tale che nessuna creatura era riuscito a star loro dietro.

Dopo un ultimo giorno di snervante avanzata nel deserto, finalmente i prodi guerrieri videro un branco di chocobo selvatici che brucava una minuscola oasi di erba gishal. Decisero di corromperli terminando la già scarsa scorta di tabacco gishal di Ping, dalla quale il proprietario si separò con uno struggente addio.

I tre chocobo che avevano conquistato li portarono in men che non si dica ai piedi di una montagna, ben lontano dal deserto, prima di stramazzare al suolo in preda ad una crisi di allucinazioni. Una lunghissima funivia usciva da una cavità scavata nel fianco dell’altura ed alla sua base si stendeva un piccolo villaggio fatto di tende e casupole diroccate. Alla porta di questo, a sua volta, si stendeva un omaccione dalla pelle scura e con un braccio meccanico, tramortito dall’impatto con uno dei chocobo imbizzarriti.

“Accidenti, ci scusi, signore!” esclamò Pong, chiedendo a gesti l’intervento dei suoi due compagni per rimettere in piedi il muscoloso infortunato.

“Ohi, ohi…” mormorò questo, accarezzandosi il capo, confuso. “Dove sono? Chi mi ha lanciato contro un Comet…?”

“Ehm…” Pong cercò di guadagnare tempo. “Fortuna che siamo passati noi a darle una mano, signore!”

“… Davvero?”

Ma certo!”

Per lunghi secondi l’uomo rimase in silenzio, poi all’improvviso sollevò le braccia e gridò, gettando nel panico i tre provati avventurieri. “MA ALLORA DOBBIAMO FESTEGGIARE!!”

Per tutta la sera i samurai bevvero birra assieme al loro nuovo amico Barret (così aveva detto di chiamarsi) e scoprirono con una gioia appena velata dall’ebete euforia dell’ubriacatura di essere ormai vicini alla loro meta: una volta attraversato il passo di Monte Corel, infatti, Costa del Sol sarebbe stata ormai in vista!

Senza perdere altro tempo, dopo che il dopo sbornia fu passato, i tre salutarono e si avviarono su una vecchissima rete di viadotti e ponti ferroviari, utilizzati un tempo per il trasporto del carbone, a bordo di un vagoncino mosso a mano. Rischiarono più volte di precipitare nelle voragini che si aprivano sotto di loro all’improvviso, ma riuscirono ad arrivare, stremati ma raggianti, al capolinea di quella sgangherata linea ferroviaria. Ed effettivamente, in lontananza, si intravedeva un ridente porto dotato di spiagge e bagni privati, che non poteva essere altro se non Costa del Sol!

Vi giunsero in serata ed osservarono a lungo sbigottiti gli esemplari umani di sesso femminile (altrove detti ‘donne’) che si aggiravano per la località scarsamente vestiti. A dire il vero ce n’erano anche alcuni di sesso maschile, ma comprensibilmente l’attenzione dei tre stranieri era attirata prevalentemente dai primi.

Prima di cercare un posto per la notte riuscirono precipitosamente a stipulare un accordo con il capitano di una nave mercantile diretta a Junon, un ragazzo giovane e cordiale, sicché erano straordinariamente felici quando si recarono alla locanda ‘All’aeroplano affondato’ e pretesero per sé le tre suite, pagandole con l’equivalente in gil di sei mesi di stipendio di ciascuno di loro.

Il mattino dopo, rilassati come non capitava ormai da mesi, i tre samurai reindossarono i loro abiti da viaggio mimetici, sicuri che in mezzo a così tanta varietà di stili d’abbigliamento come si rilevava a Costa del Sol le loro camicie a chocobo ed i loro bermuda sarebbero passati inosservati. Non badarono nemmeno al fatto che il capitano che avevano ingaggiato la sera prima aveva ora un’aria molto più losca, con la sua benda sull’occhio e la sua gamba di legno, e salirono contenti sulla nave che li avrebbe portati più vicini alla meta. Poco dopo la partenza uno strano gas si diffuse nelle loro cabine, cullandoli dolcemente fino a farli cadere in un sonno profondo.

Pong fu svegliato da una sorta di pizzicorio al sopracciglio destro. Effettivamente, un grosso granchio stava saggiando la sua consistenza con una chela. Allontanato con prudenza il molesto animale, il samurai si guardò attorno, sconcertato. Si aspettava di trovarsi ancora nella sua cabina sul mercantile, ed invece si trovava al freddo, su una spiaggia desolata ed in parte coperta di neve. Vicino a lui, i quarti posteriori ancora immersi nel mare, c’erano Pang e Ping, privi di sensi.

Pong li svegliò a calci, imprecando contro quel furfante di marinaio, che evidentemente li aveva scaricati lontano dalla loro destinazione senza farsi troppi scrupoli. Fortunatamente, il patrimonio che avevano preso in prestito al gentile felino-non-felino di Cosmo Canyon era ancora al sicuro, celato nella tasca nascosta nell’interno della biancheria intima di Ping. Continuando ad inveire contro la mala sorte, i tre si avviarono lungo la spiaggia, sperando di trovare qualche traccia di civiltà. Fortunatamente, dopo sole due ore di cammino (e due ore al gelo con i vestiti bagnati possono risultare oltremodo sfiancanti), i tre si imbatterono in uno strano oggetto. Aveva l’aria di una piccola imbarcazione, ma al posto delle vele in cima all’albero maestro c’era una specie di elica. Accanto ad essa c’era un ometto dall’aria indaffarata, i cui baffi all’insù ed i capelli raccolti in una lunga coda nera denotavano un’attenzione per il suo aspetto ben superiore a quella ostentata in quel momento.

“Ehilà, buonuomo!” chiamò Pong, agitando una mano, felice di aver incontrato qualcuno che, a quanto pareva, non aveva cattive intenzioni. L’ometto drizzò il capo paffuto e li guardò con curiosità.

“Buongiorno, signori,” li salutò, ancora sospettoso. “Posso sapere cosa ci fate qui nel desolato Continente Settentrionale?”

Senza badare ai commenti sconsolati dei suoi colleghi, il caposquadra fece un inchino solenne. “Mi permetta di presentarmi. Sono Omuri-san, inviato commerciale dell’impresa Wutai&Co., e questi sono i miei associati, Imuri-san e Amuri-san. Sarebbe così gentile da indicarci la strada per Junon?”

L’altro aggrottò le sopracciglia e per un attimo a Pong sembrò che stesse ragionando ad una velocità supersonica, tramando qualcosa contro di loro. Però dovette essere solo un’impressione, perché subito dopo sorrise cordiale. “Io invece mi chiamo Ambrogio Vilàs degli Eustàchei,” si presentò tendendo la mano, “umile archeologo di Mideel. Proprio ora stavo dando un’altra occhiata alla mia ultima, sensazionale scoperta.”

Pong guardò il trabiccolo accanto a loro. “Interessante… Ma, ci perdoni, siamo un po’ di fretta, quindi se non può indicarci la strada per Junon, noi continueremmo il nostro cammino.

L’Eustàcheo scosse vigorosamente le mani e la testa. “No no no no, posso offrirvi molto di più! Dovete sapere che questo gioiello emerso dai secoli passati è un’autentica nave volante dei Cetra! Pensate, pur sembrando niente più che un trabiccolo assemblato a caso a partire da imprecisati residui metallici[1], questa meraviglia della tecnica è in grado di trasportarvi in qualsiasi luogo del mondo, con pochissime manovre essenziali!”

Il capo dei samurai guardò di nuovo l’oggetto volante che ancora non volava e questa volta gli parve di scorgere un senso nell’ammasso apparentemente caotico di paratie, valvole, griglie e piastre che ne costituivano la fiancata: un senso che sapeva di antico e di geniale. Guardò con rinnovato rispetto l’archeologo.

“Mi rendo conto che il suo lavoro dev’essere molto appassionante, Vilàs-san, e starei qui ancora per ore ad ascoltarla parlare, se solo non avessi una missione urgente che mi aspetta a Junon. Quindi, se non le dispiace…”

Fece per passargli davanti, ma in quel momento Ambrogio Vilàs gli si accostò, scuotendo il capo sconsolato. “Ahimè, le sue parole sono sagge, signor Omuri-san, ma purtroppo la vita di noi archeologi di Mideel è assai difficile… al punto che a volte dobbiamo separarci da ciò che abbiamo di più caro al mondo…”

Pong non si rese conto che l’ometto, alto pressappoco quanto lui, stava meramente fingendo di piangere e gli posò una mano sulla spalla, comprensivo. “Su, non faccia così…”

“Pensi che per mettere da mangiare nei piatti dei miei dodici figli sarò costretto a vendere questa cetramobile così preziosa… E dire che voi, che mi sembrate brave persone, ne avreste proprio bisogno, visto che per raggiungere Junon dovrete attraversare il mare…”

Il samurai strinse i denti; si era dimenticato di quel piccolo particolare. Vedendo le spalle dell’architetto pluriproletario che sobbalzavano e la ‘cetramobile’ che giaceva tirata in secco, invitante, gli venne all’improvviso un’idea. Sperando di non doversene pentire come quella volta con il pescatore, fece cenno ai suoi due colleghi di avvicinarsi. “Senta, buonuomo,” disse poi, “sono disposto ad acquistargliela io, questa cetramobile, se vuole.”

Gli occhi di Ambrogio brillarono di speranza. “Dice sul serio?”

“Certo, in fondo l’ha detto lei che dovrebbe venderla comunque per mantenere i suoi figli… Che prezzo mi farebbe?”

“Beh, considerato che c’è anche un profondo valore affettivo…” valutò l’altro, all’improvviso molto più attento agli affari che alla famiglia, “direi cinquecentomila gil.”

Dopo aver sborsato settecentomila gil (duecentomila per pagare la scuola ai ragazzi) e dopo che si fu fatto spiegare a grandi linee come funzionava l’attrezzo, Pong si sedette alla postazione da pilota e fece salire gli altri due samurai. “Arrivederci,” salutò Ambrogio. “E mi saluti anche la sua famiglia!”

L’altro stava contando affannosamente i gil e gli rispose con un saluto affrettato, saltellando poi con aria felice verso il vicino bosco. Con un ultimo sospiro e una silenziosa preghiera a Leviathan, Pong mise in moto e tirò verso di sé la cloche, che somigliava in modo inquietante alla testa di una mazza da golf. La cetramobile si sollevò dal suolo scoppiettando ed emettendo un denso fumo nero, cosa che i tre presero come un buon auspicio, e si inerpicò a fatica verso il cielo terso.

Pong cominciò a rendersi conto di aver preso l’ennesima cantonata quando il mezzo li fece atterrare nel mezzo di un’isola desertica per poi rifiutarsi di ripartire, lasciandoli così alla mercé di un’agguerrita tribù di kyactus. Malgrado i tentativi di comunicare da parte di Pong, i vegetali decisero che sarebbero stati un’ottima alternativa alla solita dieta di acqua e sali minerali, sicché li presero, li legarono e li misero a cuocere in un pentolone. La base del recipiente aveva già cominciato a diventare bollente quando una di quelle creature, la principessa, a giudicare dal gonnellino di foglie ornato di conchiglie che indossava, ordinò che venissero liberati. Dal momento che parlava un po’ della lingua comune agli altri popoli, i tre Wutai compresero che la kyactessa si era invaghita di Ping e che avrebbe fatto aggiustare la cetramobile e li avrebbe fatti andare via sani e salvi in cambio di una notte di passione con il suo amore. Nonostante le vive proteste dell’interessato, Pong e Pang accettarono prontamente l’offerta.

Il mattino dopo la cetramobile era nuovamente funzionante e Ping era pronto a partire con i colleghi, sebbene avesse il volto pallido e non fosse chiacchierone come al solito. La principessa, invece, sembrava soddisfatta.

Dopo due soli giorni passati sull’isola dei kyactus i tre la lasciarono e puntarono verso nord. O almeno, così credevano.

Nel giro delle successive giornate di viaggio si ritrovarono a sorvolare una città dai tetti a spiovente accanto ad una montagna la cui parete era stata incisa, località che a loro parve stranamente familiare, furono sfiorati da un missile lanciato da una sorta di trampolino nei pressi di una cittadina immersa nel verde e sorvolarono una baita nei pressi di un immenso cratere situato tra i ghiacci, attorno al quale si potevano notare una gran quantità di turisti e scalatori.

Infine la cetramobile li abbandonò in mare, di fronte ad una grande città costruita in parte sopra ed in parte dietro un immensa muraglia metallica che rinforzava la scogliera attorno alla quale si era sviluppata. Senza versare molte lacrime sui resti della ‘Godo Kisaragi’ (così avevano battezzato il velivolo durante la loro breve sodalizio), i tre samurai raggiunsero a nuoto il piccolo villaggio costruito all’ombra della struttura più grande. Tre ore più tardi. A trovarli, mezzi morti sulla spiaggia, fu un vecchietto, venuto da quelle parti a cercare qualche tesoro portato dal mare.

“Che mi prenda un accidente,” disse a se stesso, stupito, “ma da dove arrivano questi tizi, vestiti in modo così assurdo??” Si avvicinò ad uno di loro, quello più piccolo, e lo scosse con la punta di un piede. “Ehi, lei, è vivo?”

L’individuo ebbe un brivido e sollevò il capo, un’espressione mortalmente stanca sul volto. “JuJunon…” biascicò. “Questa… è la strada… giusta… per… Junon?”

Se è la strada giusta?” chiese il vecchio, ridendo di gusto. “Giovanotto, tu SEI a Junon!”

Pong rimase immobile qualche secondo, non credendo alle proprie orecchie. Diede un’occhiata attorno a sé e notò che entrambi i suoi compagni erano sopravvissuti a quel viaggio infernale e, nonostante tutto, rivolse una preghiera wutai di ringraziamento a Leviathan prima di svenire, sfinito ma felice.

 

 



[1] Omaggio ai proprietari dell’Opéra Populaire nel film musical di Joel Schumacher “Il Fantasma dell’Opera”.

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Capitolo 16
*** Il coronamento di un sogno ***


IL CORONAMENTO DI UN SOGNO

IL CORONAMENTO DI UN SOGNO

 

Le premonizioni a volte ci azzeccano

 

 

 

 

 

 

Il chocobo imbizzarrito kuettì in preda al panico mentre Yuffie, seminuda, lo inseguiva brandendo il proprio shuriken.

“VIENI QUI, DANNATO PENNUTO!!”

Intanto dal fienile abbandonato uscì anche Vincent, privo solamente della sua giacca, con la maglietta della ragazza che volteggiava alta sopra la sua testa. “Copriti, Yuffie!!”

“NON PRIMA DI AVERLO SPENNATO E COTTO AL VAPORE!!”

Il chocobo, intuendo la gravità della sua situazione, gridò unKué!’ di scusa e prese a correre più velocemente verso la vicina foresta. Dopo qualche altro centinaio di metri Yuffie, che nella foga non aveva badato a tenere sotto controllo la respirazione, si fermò ansimando. Vincent la raggiunse e le posò la maglietta sulle spalle. Al contrario di lei, lui non aveva nessun problema respiratorio.

Che diamine ti è preso??” le chiese il pistolero guardandosi attorno per capire se qualcuno si era accorto di loro. Per loro fortuna, sembrava che nessuno vivesse in quella zona da anni, a giudicare dallo stato del fienile dove erano precipitati e dei pochi casolari in rovina attorno ad esso.

Cosa mi è preso?” ripeté Yuffie dopo aver ripreso fiato. “Dannazione, Vincent, stavo per perdere la verginità con l’unico uomo che abbia mai amato in tutta la mia vita, un dannato chocobo ci interrompe sul più bello e hai ancora dei dubbi su cosa mi sia preso??”

L’uomo non aveva mai visto la ragazza in quello stato: si stava infilando la maglietta in fretta e furia, lo shuriken infisso con rabbia per terra, e nel frattempo aveva fatto il suo discorso, con il risultato che metà di esso fu inintelligibile. Tuttavia, dal tono, lui riuscì a capire che non si trattava di parole particolarmente dolci o femminili, soprattutto rivolte alla razza dei chocobo.

C’era però una cosa che a Vincent non sfuggì e che fece nascere in lui un sentimento di tenerezza che non si aspettava di provare dopo tanta frenesia. Mentre lei ancora bisbigliava imprecazioni in Wutai contro il chocobo, lui la prese per un braccio e la fece voltare verso di lui. Chiuse le sue labbra con un bacio appassionato, che ebbe l’effetto di farla rilassare completamente fra le sue braccia. Quando si staccarono sembrava che alla Ninja fosse andato per traverso un tubero, tanto era rossa in volto. Vincent la fissò negli occhi ed accennò un sorriso. “E tu pensi che un semplice chocobo possa fermarmi, mi possa impedire di amarti?” le disse e la baciò di nuovo, con una passione mitigata dalla tenerezza, dalla semplice gioia di stare insieme.

La prese in braccio e lei non oppose resistenza: credeva di stare sognando.

 

L’improvvisata del chocobo dev’essere stata solo un brutto sogno, ecco che la realtà ricomincia da dove l’avevamo lasciata…

 

La mente obnubilata dalla voluttà, la ragazza si premette contro il poderoso petto dell’ex Turk, sentendo premuti contro la mano ed il fianco i suoi invincibili muscoli.

 

Olleviathan, Vincent, quanto sei… quanto sei… BONO!![1]

 

Vincent non disse nulla, imperturbabile, finché non raggiunsero il fienile ed il giaciglio di erba gishal che aveva già assunto le loro forme. L’uomo vi adagiò la ragazza con dolcezza. “Dov’eravamo rimasti?” chiese con voce roca.

Mmhh…” rispose Yuffie tremante. Ancora non le sembrava vero che quella del chocobo fosse solo un’interruzione momentanea ma, in tutta franchezza, non le importava più nulla di quei pennuti gialli.

Solo quando Vincent aveva già cominciato a scenderle con i suoi baci lungo il collo le venne in mente una cosa importantissima.

“Aspetta!” lo fermò. Promettendo spiegazioni allo sguardo stupito di lui, la Ninja di Wutai si alzò dal fieno, si spazzò sommariamente i pochi abiti e si avvicinò alle porte dell’edificio. Con uno sguardo di sfida chiuse i battenti e vi incastrò in mezzo il suo shuriken, in modo che fosse possibile aprire quell’entrata solo dall’interno. Annuendo soddisfatta al proprio lavoro, la ragazza si voltò, sorrise, e si avvicinò a Vincent.

 

 

 

 

Nella grande grotta sacra di Da-Chao, Godo Kisaragi stava traendo gli auspici alla luce di poche torce ed al profumo di antichi incensi, come solevano fare i suoi antenati alla vigilia delle battaglie più importanti.

“O grande Da-Chao,” cominciò ad implorare ad occhi chiusi, tendendo in alto le mani, “araldo degli Dei! Mostrami, ti prego, il fato di mia figlia, la mia legittima erede!”

Con un rombo la statua minore di Da-Chao, di fronte alla quale stava pregando, si infranse all’altezza del collo. Quando il brevissimo terremoto finì la testa della statua si era inclinata in basso e sembrava guardare in modo arcigno una delle tante fotografie che adornavano l’altare: quella che rappresentava Godo e la sua compianta moglie il giorno delle nozze. La notte successiva al quale fu concepita Yuffie.

Quando il batticuore per il misterioso avvenimento fu passato, l’Imperatore osservò la scena interdetto. “Sarà un segno?” mormorò fra sé fissando il modo con cui la statua fissava insistentemente la fotografia. Dopo un attimo però scrollò le spalle, attribuendo quell’evento portentoso ad una mera casualità, e ricominciò ad interrogare l’oracolo. Continuò così per quindici ore, durante le quali non accadde più assolutamente nulla.

 

 

 

 

Pong sollevò il capo, ansimando. Da quando avevano lasciato Junon a mani vuote, quella era la prima volta che i tre samurai si fermavano. In mancanza di ulteriori indizi sulla sorte della loro Principessa avevano deciso di tornare a Edge e ricominciare da capo le indagini, sebbene fossero ormai di gran lunga al di là del concetto stesso di stanchezza.

Pang si fermò a sua volta, osservando il capo che scrutava pensieroso il cielo. “C’è qualche problema?”

L’altro non rispose, ma continuò a scrutare uno stormo di uccelli che stava volando in modo curioso. Era strano, ma ebbe la netta impressione che stessero scrivendo qualcosa contro l’azzurro del cielo: una Y, seguita dal disegno di un cuore, per finire con una V. Chissà cosa significava, secondo l’antico sistema di ornitomanzia della sua tribù. Ad ogni modo, quella era un’interrogazione futile, dal momento che nessuno ricordava più quell’antica tradizione.

Quando Pang ripeté la domanda, Pong si limitò a scuotere la testa. “Niente, ho solo avuto un presentimento. Sento che questa volta non sbaglieremo.”

Rinfrancato dalle sue stesse parole, il capo samurai raddrizzò le spalle e continuò a testa alta verso Edge, seguito da un dubbioso Pang e da uno stremato Ping, che in virtù della stazza era stato democraticamente designato come portatore del bagaglio dei tre. Forse c’entrava anche il fatto che fosse l’unico dei tre ad essere stato con una donna negli ultimi due mesi, sebbene la suddetta donna fosse una kyactus e la loro notte d’amore fosse consistita in una specie di ‘lancio di coltelli-aghi’ che avevano il samurai come bersaglio, ma di questo nessuno potrebbe essere certo.

 

 

 

 

Tifa sollevò il capo, allarmata. “Che c’è?” le chiese Cloud, baciandole con ardore il collo. Lei lo ignorò e drizzò le orecchie. Le era parso di sentire la voce di Yuffie proveniente dal piano di sotto, dal bar chiuso. Sembrava aver detto qualcosa come ‘Ce l’ho fatta, Tifa!’ o qualcosa del genere. Ma si era trattato solo di un attimo.

“C’è qualcosa che non va?” ripeté il biondo, stavolta allarmato. La donna scosse la testa, sorridendo. “No, tesoro, dev’essere stata solo una mia impressione.

Cloud rispose al sorriso e ricominciò a fare ciò che stava facendo.

 

 

 

 

“Sei deconcentrato, capo,” lo rimproverò Cait Sith, sconfiggendolo ancora una volta a battaglia aeronavale. Reeve guardò il gatto, stupito, poi riportò gli occhi sullo schema tridimensionale, in cui le aeronavi con l’insegna del felino artificiale (una zampa di gatto rossa su sfondo nero) avevano appena affondato la sua ultima nave.

“Hai ragione,” ammise, “devo essere un po’ distratto ultimamente.”

Non è che starai pensando a Yuffie Kisaragi, quella Ninja, vero?”

L’uomo lo guardò con genuino stupore. “Ma che stai dicendo?”

“Guarda tu stesso!” lo rimbrottò Cait Sith, accennando allo schema recante i punti in cui Reeve aveva lanciato i suoi missili. Tutti, nessuno escluso, contribuivano a disegnare il contorno di una Yuffie piuttosto bassa e grassoccia in viso[2] che saltellava esultante.

“Accidenti, guarda che coincidenza,” si limitò a rilevare Reeve. Il gatto lo guardò di sottecchi. “Non è che mi stai nascondendo qualcosa?”

Ma per chi mi hai preso?” chiese l’uomo con aria scandalizzata. “Ti ricordo che sto per sposarmi con Chole e che lei stessa verrà qualche giorno qui da noi, quando avrà rintracciato i chocobo che sono scappati dal suo ranch. Ti sembra che io mi debba mettere a fare pensieri su un’altra ragazza?”

“Ammetto di essermi sbagliato,” disse Cait Sith scrollando le spalle. “Ad ogni modo, dov’è che si sono recati i chocobo fuggiaschi, secondo i rilevamenti della squadra di Chole?”

Reeve ci pensò su un attimo. “In una vecchia zona dedicata all’allevamento, con tanto di casolari e fienili, credo, non lontano da Edge. Perché me lo chiedi?”

“Semplice curiosità. Vuoi la rivincita?”

 

 

 

 

Era stato fantastico.

Non c’erano altre parole per descriverlo. Se non meraviglioso, incredibile, celestiale, superbo, estatico e bellissimo. Oltre a indescrivibile, ovviamente. Anche un pochino doloroso, ma tutto sommato molto meno di quella volta in cui aveva fatto bungee jumping dalla mano di Da-Chao con l’elastico troppo lungo.

Ansimando, accarezzò le spalle nude di Vincent, ancora chino su di lei. L’erba gishal, rinsecchita e spezzettata dai loro continui movimenti, li ricopriva quasi interamente, donando all’ambiente il suo tipico odore pungente; non era la situazione più romantica del mondo, ma per Yuffie era sufficiente.

In quel momento, anche se fosse comparso suo padre sulla soglia non si sarebbe scomposta minimamente. Beh, forse un po’ sì, ma gli avrebbe semplicemente detto di ripassare più tardi. Niente e nessuno doveva rovinare quel momento.

L’ex Turk si sollevò leggermente, sprofondando nel fieno fin quasi ai gomiti. Dalla punta del suo naso penzolava un filo di erba gishal, che le solleticava una guancia. Contemporaneamente la spostarono con un soffio, che però finì per infastidire entrambi. Ciononostante risero, teneramente. Nessuno dei due si era mai sentito così bene fra le braccia di un’altra persona. Nemmeno nei sessant’anni di vita del più vecchio dei due.

Vincent…” sussurrò lei, accarezzandogli una guancia sudata con la mano. “Ti amo.”

“Anch’io ti amo, Yuffie,” rispose lui, prima di donarle un altro bacio dolce e salato sulle labbra.

 

 



[1] Nella finzione letteraria di questa fanfiction, quest’espressione, tipica del dialetto di North Corel, è ormai diffusa in tutto il mondo con il significato di ‘ben sodo, ben tornito’. In origine era un giudizio di valore utilizzato dai minatori di Corel, che solevano gridare in questo modo quando tastavano con un morso un pezzo di carbone dalla consistenza ideale.

[2] In altri tempi ed in altri luoghi si sarebbe detto ‘deformed’.

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Capitolo 17
*** La quiete prima della tempesta ***


LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA

LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA

 

Il pericolo corre sul filo di una piuma. Di chocobo.

 

 

 

 

 

 

I giorni successivi lasciarono un ricordo indelebile nella memoria della giovane Ninja: era stata con un uomo per la prima volta nella sua vita, e secondo le usanze di Wutai ora poteva considerarsi una donna a tutti gli effetti. Non che le fosse mai importato particolarmente delle usanze della sua patria, ma per quel preciso costume era disposta a fare un’eccezione. Ora che era adulta formalmente adulta, inoltre, non avrebbe dovuto più sottostare alle rigide imposizioni di suo padre, il che voleva dire che non doveva più sposare il principe-molboro che lui avrebbe voluto rifilarle. Restava il fatto che gli doveva comunque assoluta obbedienza in quanto suo imperatore, e quindi Godo avrebbe potuto in ogni caso costringerla a sposare il principe-molboro se l’avesse voluto, ma Yuffie preferiva non soffermarsi su questo secondo pensiero.

Per il momento, si diceva, voleva solamente saltellare vivacemente assieme al suo Vincent e ai dolcissimi chocobo che la circondavano. Questi ultimi la fissavano con un’espressione vagamente scettica (per quanto potesse essere scettica l’espressione di un uccello) ma lei non ne capiva veramente il motivo: non sapeva proprio perché avessero qualcosa contro di lei e non si lasciassero cavalcare ‘a piuma’[1]. D’altronde la cosa non la interessava particolarmente, finché c’era il suo adorato Vincent con lei.

Il problema era che quest’ultimo faticava un po’ a starle dietro. Mentre lei saltellava vivacemente per il pascolo, l’uomo non faceva altro che rincorrerla ricordandole che avrebbero fatto meglio, ora che si erano riposati e chiariti, a cercare di capire dove si trovassero e come raggiungere Edge o il più vicino luogo abitato. Quando Yuffie rallentò fino a fermarsi Vincent le stava ripetendo per l’ennesima volta la stessa proposta, ma lei gli fece notare che ormai era quasi sera e che sarebbe stato di gran lunga meglio cominciare la loro ricerca alla luce del sole. Lui la squadrò sospettoso.

“Yuffie, questa non è solo una scusa, vero?”

“Una scusa?” ripeté la ragazza sorpresa. “E per cosa?”

“… Lasciamo stare,” fece Vincent, sorridendole dolce e indicandole il fienile diroccato. “Riposiamo ancora laggiù questa notte. Domattina vedremo il da farsi.”

“Evviva!!” esultò la Ninja gettandogli le braccia al collo. A dire a se stesso la verità, Vincent si aspettava una reazione del genere, e d’altronde non se ne dispiaceva affatto.

La scusa di Yuffie circa il calar della sera funzionò a meraviglia e i due replicarono gli avvenimenti del giorno prima. Per la ragazza fu nuovamente un’esperienza estatica, sentiva che non si sarebbe mai abituata. E poi Vincent era così dolce e nel contempo così maschio che lei avrebbe voluto ricominciare subito. Non capì bene il motivo che addusse l’uomo per rifiutare ma fece buon viso a cattivo gioco, rannicchiandosi contro di lui e addormentandosi nel fieno gishal.

 

 

“Sono tornata!!” annunciò allegra Shelke non appena ebbe rimesso piede nella base della WRO. A causa del suo innegabile sex-appeal, accentuato dall’abito che sottolineava il suo seno procace, dall’aria leggermente trasandata dovuta al lungo viaggio e dal lieve odore di alcool che le usciva dalla bocca, Reeve dovette farsi strada a gomitate tra i vari operatori e soldati dell’organizzazione, casualmente tutti maschi, che proprio in quel momento transitavano lentamente nell’atrio del grande palazzo.

“Bene, Shelke,” disse quando infine ebbe raggiunto la ragazza, che nel frattempo stava chiacchierando amabilmente con un terzetto di giovanotti, mettendo in risalto la sua già evidente intossicazione alcolica. “Ehm…” continuò Reeve gettando uno sguardo minaccioso ai tre, ed attese che se ne fossero andati prima di continuare. “Possiamo parlare in privato?”

Shelke annuì vigorosamente e prese sottobraccio il presidente della WRO. “A presto ragazzi!” gridò agli altri, agitando una mano in segno di saluto. “Vedo cosa vuole questo bel figliuolo e poi facciamo quattro chiacchiere di fronte ad un buon cognac!”

Reeve accelerò sentendo alcuni dei commenti che i soldati rivolgevano a Shelke, ai quali lei rispondeva con risatine poco presenti a se stessa, e ringraziò Leviathan che Chole non fosse lì a vederlo con quella specie di vamp svampita appesa ad un braccio.

 

 

“Finalmente siamo arrivati!” esclamò Chole asciugandosi il sudore dalla fronte. Il chocobo che stava cavalcando kuettì animatamente alle parole della sua padrona. “Sei contento, Choco?” gli chiese dandogli delle affettuose pacche sul collo.

In pochi sapevano dell’abitudine, da parte di quella strana ragazza, di parlare con i chocobo. Ed anche quei pochi sarebbero rimasti senza parole se lei avesse rivelato che qualche chocobo le rispondeva.

“Certo!” rispose Choco, scuotendo in alto e in basso la testa in segno di approvazione. “Guarda quanti miei simili!”

“Lo vedo!” constatò Chole ridendo. “Andiamo a dare un’occhiata a quel vecchio fienile, dai!”

Kuettendo felice, il chocobo parlante sgambettò verso l’edificio abbandonato.

 

 

“Sei sicura che non abbiamo dimenticato niente?” chiese Vincent, chino sulla testa del chocobo imbizzarrito. Quando Yuffie l’aveva attirato con un mazzetto di erba gishal, il volatile sembrava propenso a lasciarsi cavalcare, mostrando così una certa familiarità con gli umani. Una volta che i due furono montati sulla sua schiena, però, il pennuto diede un acuto kuettio e partì di gran carriera in una direzione apparentemente casuale. Solo dopo molti minuti di estenuanti tentativi di blandirlo l’ex Turk era riuscito a ricondurlo alla ragione e ad indirizzarlo verso Edge. Dopotutto, l’addestramento che aveva affrontato lo rendeva teoricamente in grado di domare anche un bicorno. Teoricamente.

“Ohi ohi…” si lamentò Yuffie, stretta contro la schiena di Vincent. La sua familiare nausea, il mal d’aeronave che stava diventando sempre più mal di chocobo, le era tornata non appena l’animale fu partito. E dire che durante il viaggio in aeromoto era stata benissimo!

Forse dipende dallo stato d’animo…” azzardò l’uomo nella sua mente ma decise che non era una questione molto rilevante. Quel che contava in quel momento era riuscire a mantenere la direzione del chocobo e sperare che la Ninja non accondiscendesse alle pressanti ingiurie del suo stomaco.

“Lo prendo come un sì,” sussurrò Vincent, e le sue parole furono soffocate dall’urlo del vento tutto attorno a lui, mentre il chocobo kuettiva entusiasta per quella straordinaria sensazione di velocità.

Vin…” mormorò Yuffie ad un certo punto, la bocca premuta contro la giacca rossa dell’uomo. Rendendosi conto di non essere stata ascoltata, ripeté più forte, scostando più che poteva la bocca dalla sua schiena. “VinVincentVincent, ferma, ferma, ferma!!”

Allarmato, l’uomo tirò i pennacchi ai lati del becco del chocobo; questi scartò un po’, infastidito dalla sensazione, ma in un attimo rallentò fino a fermarsi. All’istante Yuffie scese e corse dietro un cespuglio, che prese a muoversi ripetutamente. Dopo meno di un minuto, ne uscì una Yuffie pallida e sudata, con una mano sulla fronte e una sullo stomaco.

“Non credo di sentirmi molto bene…” annunciò sottolineando l’ovvio. L’ex Turk, comprendendo la ragione del malore della ragazza, annuì comprensivo.

Se vuoi ci fermiamo un po’…”

La ragazza scosse la testa, movimento che, nello stato in cui versava, le produsse un nuovo accesso di nausea. “Credo… di non aver più nulla nello stomaco. Qualche minuto e tornerò come nuova. Solamente… ti dispiace andare un po’ più piano…?”

Vincent rise. “D’accordo, cercherò di convincere il nostro amico a rallentare la sua andatura. Dopo quelle parole diede delle affettuose carezze al collo del chocobo, che kuettì di piacere sbatacchiando le ali. “Sei d’accordo, Choco?”

Se l’animale avesse potuto comprendere la lingua umana avrebbe sicuramente sbalzato via Vincent e l’avrebbe attaccato a suon di beccate, non sopportando né comprendendo l’assurda motivazione che spingeva quei poco villosi primati a chiamare ‘Choco’ tutti gli esemplari di chocobo su cui cercassero di vantare un qualche diritto. Fortunatamente per i due, l’animale, essendosi sentito chiamato in causa, si limitò a scuotere vigorosamente il capo in un cenno di assenso.

Yuffie, la quale aveva cominciato a riprendersi, guardò il proprio fidanzato in modo strano. “Da quando sei così ridanciano, Vincent?”

Lui rispose al suo sguardo in modo stupito, poi sollevò il capo verso il sole, ancora basso sull’orizzonte e sorrise, malinconico. “Ho passato trent’anni della mia vita in una bara, pensando ad una donna morta e dannandomi al suo ricordo. Ora che il sole è tornato a splendere su di me, lascia che mi abbeveri alla sua luce.

La Ninja non aveva capito molto di quelle parole, ma il modo in cui Vincent le aveva dette risuonò incredibilmente dolce nelle sue orecchie.



[1] Espressione ricalcata dall’equivalente ‘a pelo’, la quale però si riferisce a creature mitologiche rimaste vive nel folklore di Rocket Town con il nome di ‘cavalli’.

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Capitolo 18
*** Il ritorno di Yuffie ***


IL RITORNO DI YUFFIE

IL RITORNO DI YUFFIE

 

E anche di Vincent

 

 

 

 

 

 

“Si può sapere che ti prende?” chiese Cloud quando, per l’ennesima volta quella notte, Tifa si alzò dal letto e prese a camminare su e giù. “Ogni volta che mi addormento tu ti alzi e cominci la tua marcia!”

La donna si fermò e lo guardò come se l’avesse visto in quel momento per la prima volta. “Scusa, Cloud, è solo che…”

“… che cosa?”

“… ho un brutto presentimento.”

Cloud sospirò e le fece cenno di avvicinarsi al letto. “Si tratta ancora di quella cosa?” le chiese dolcemente, mentre lei prendeva posto seduta accanto a lui. Tifa annuì, contrita. “Sì… Scusami, ma ho la netta sensazione che stia per succedere.”

Il biondo fece spallucce, cominciando ad accarezzare una mano della sua fidanzata. “E se anche succedesse? La situazione è cambiata, non è detto che le cose si ripetano come in passato.

Tifa avrebbe voluto sentirsi rincuorata da quelle parole, ma non vi riuscì del tutto. “Hai ragione, però… non riesco a stare tranquilla, ecco.

Cloud sospirò di nuovo. “D’accordo, Tifa, se potrà farti sentire meglio ci penserò io.

“Davvero lo faresti?” gli chiese lei con gli occhi illuminati da una gioia inattesa. L’uomo sorrise e le accarezzò il volto. “Lo sai che per te farei qualsiasi cosa…”

Sciolta da quell’affermazione, Tifa si concesse all’abbraccio innamorato del suo ragazzo ed al suo bacio appassionato, lasciando da parte il timore che Yuffie avrebbe potuto tornare presto.

 

 

“Guarda, Yuffie, finalmente siamo arrivati,” disse Vincent fermando il chocobo ed indicando la città in lontananza. Alle sue spalle, la Ninja di Wutai si sollevò debolmente dalla schiena dell’uomo e guardò. “Be…ne…” mormorò, per poi tornare ad appoggiarsi alla giacca di Vincent, vinta dalla nausea. L’ex Turk sospirò: sebbene fosse un po’ dispiaciuto che la loro ‘fuga insieme’, come l’aveva denominata la ragazza, fosse quasi finita, era contento che finalmente potessero tornare alla normalità, anche se sapeva che il termine ‘normalità’ non poteva essere applicato ad una vita condivisa con Yuffie Kisaragi.

Spronando il chocobo, Vincent accelerò il passo verso la città, già animata dell’attività del caldo primo pomeriggio. Avevano deciso di passare da lì prima di recarsi alla sede della WRO, dove l’ex Turk avrebbe fatto rapporto e la ragazza avrebbe fatto una solenne lavata di capo a Reeve per la missione a Junon. Inoltre era volontà di entrambi fermarsi per un po’ di tempo in un luogo familiare per rilassarsi: in questo modo, Vincent avrebbe potuto togliersi quei fastidiosissimi abiti ormai laceri e sporchi e Yuffie avrebbe potuto far visita alla sua amica Tifa che, la ragazza ne era sicura, sarebbe stata sommamente felice di rivederla, dopo tutti quei giorni in cui era stata via.

Il chocobo saltellò con la sua caratteristica andatura verso gli edifici e le strade della città. Le persone che i due viaggiatori incrociavano li scrutavano con occhiate curiose e stupite, rafforzando l’impressione di Vincent di essere completamente fuori posto con quegli abiti ed una Ninja che sembrava completamente ubriaca stesa sulla schiena. Fortunatamente la casa dell’uomo era poco distante dalla periferia di Edge, così lo spettacolo offerto ai passanti dovette essere di scarsa durata. A fatica, l’uomo fece scendere la ragazza, che si piegò poco distante. Subito Vincent le fu accanto, pronto a sorreggerla nel caso di un attacco di nausea.

S-sto bene…” disse Yuffie aggrappandosi però al braccio che le era stato teso. Si sentiva veramente meglio, ora che la terra aveva smesso di ballonzolare sotto di lei, tanto più con il suo ex Turk personale che la sorreggeva.

“Vieni dentro, così potrai riprenderti un po’,” le propose quest’ultimo, conducendola verso la porta della palazzina. La Ninja di Wutai non oppose resistenza e si lasciò guidare, troppo stordita dal malessere per esprimere un’opinione. L’aria fresca dell’interno dell’edificio fu un toccasana per lei, che la respirò ad ampie boccate incurante del lieve odore di chiuso dovuto all’assenza di abitanti. Intanto Vincent si levò la sporchissima giacca con un sospiro di sollievo, cominciando a sbottonarsi la fluente camicia, che da bianca che era aveva assunto un colore intermedio tra il giallo chocobo e il verde erba gishal. Notando però la strana espressione di Yuffie interruppe subito la sua attività, allarmato. “Cosa c’è? Stai ancora male?” chiese, facendo un passo verso di lei, nella semioscurità della stanza. La ragazza però, la cui mente era in realtà attraversata da una miriade di pensieri che fino a pochi giorni prima l’avrebbero fatta arrossire, scosse il capo ripetutamente.

“No, no, nient’affatto… Anzi, sto benissimo,” rispose con un sorriso. Vincent sospirò di sollievo e rimase a guardarla. Stranamente, il volto di lei stava cominciando a mostrare un’aria contrariata, cui l’uomo non riusciva a dare una spiegazione. La sua domanda successiva fu però anticipata dalle parole della ragazza.

“Certo che… starei ancora meglio, se solo… ti togliessi anche la camicia…”

Cogliendo il sottinteso divertito della Ninja, Vincent rispose con una risatina. Le passò accanto e chiuse la porta d’ingresso all’appartamento, facendolo cadere in una semioscurità ancora più fitta, ma caratterizzata da un’intimità che nessun fienile avrebbe mai potuto avere. Senza perdere il sorriso dalle proprie labbra, l’uomo cominciò a soddisfare la tacita richiesta di Yuffie.

 

 

Pong si fermò su un’altura, ansimando profondamente. Dietro di lui, Ping e Pang erano pressoché esanimi, dopo un viaggio di oltre una settimana da Junon, dopo essersi persi varie volte ed essersi trovati in pericolo di vita alla mercé di un gruppo di fuoriusciti tomberry. Finalmente, però, erano tornati ad Edge, là dove la loro missione era iniziata.

“Capo…” boccheggiò Pang che gli era arrancato alle spalle di soppiatto. Per tutta risposta Pong sobbalzò fino quasi al punto da cadere lungo il pendio scosceso che si stagliava di fronte a lui. Quando ebbe ripreso l’equilibrio, però non ritenne il caso di arrabbiarsi con il suo sottoposto. Forse, semplicemente non ne aveva la forza.

“Com’è che siamo tornati al punto di partenza?” chiese Pang, ignorando a causa della stanchezza l’incidente che il suo capo aveva evitato per miracolo.

“Questa volta,” gli rispose Pong, con tutta la fierezza che gli permetteva il suo disastrato stato, “sono certo che riusciremo a completare la missione. Me lo sento nel karma…”

Pang preferì non fargli notare che, alla loro partenza da Wutai, lui stesso aveva sostenuto di sentire che quella missione sarebbe stata un gioco da ragazzi. Si limitò invece ad annuire e a scendere dal pendio verso la città, seguito subito dal suo capo e da Ping, che aveva cominciato a delirare dalla fatica ed in quel momento stava parlando con l’Avatar Divino di Da-chao, che solo lui vedeva.

 

 

 

Stasera finalmente faccio una bella sorpresa alla mia cara amica Tifa!

Chissà quanto è stata in pena per me, in questi giorni… Ma non importa, le dirò che ora resterò con lei per sempre!

E poi le devo raccontare tutto quello che ho fatto nel frattempo con Vincent… Arrossisco al solo pensiero! Anche se non ho seguito i suoi consigli, devo dirle che è stato piacevole lo stesso, anche per lui dalla sua espressione.

Ma bando alle ciance, Yuffie! Finisci questa doccia e parti alla ricerca di Tifa Lockhart!

 

Canticchiando una canzoncina di Wutai, Yuffie terminò la sua doccia ed uscì dal bagno di Vincent, che si era addormentato a letto, incurante di lasciare impronte bagnate e schizzi d’acqua ovunque. In meno di cinque minuti era asciutta e vestita, senza che il suo ragazzo si fosse svegliato.

Per la strada quella sera non c’era molta gente, e Yuffie approfittò della relativa calma della cittadina per ripassare il discorso che avrebbe tenuto di lì a poco alla sua amica del cuore. Non fece però in tempo a finirlo, perché ben presto il bar di Tifa si stagliò di fronte a lei. Non dandoci troppo peso e pensando che avrebbe improvvisato, Yuffie spalancò la porta, attirando su di sé l’attenzione di tutti i presenti.

“Eccomi tornata!!” gridò, rivolgendo un sorriso smagliante a Tifa, che la stava fissando a bocca aperta da dietro al bancone. Doveva essere veramente felice di vederla, perché non si accorse nemmeno di aver cominciato a far traboccare il bicchiere che stava riempiendo. Anzi, Yuffie stessa rimase stupita di vedere che la sua amica era così felice che piantò il suo cliente senza dare spiegazioni e si ritirò nel retrobottega, piangendo e urlando di gioia. Di fronte allo sbalordimento dei clienti del bar, Yuffie non seppe fare altro che sorridere ancora, con una semplicità disarmante.

“Avete visto come mi vuole bene, la mia amica?” chiese, dopodiché si avviò tranquillamente al bancone, dove decise di aspettare finché Tifa non si fosse calmata un po’ e avesse trovato le parole con cui festeggiare il suo ritorno.

 

 

“E’ TORNATA!!” sbraitò Tifa al telefono fra le lacrime, senza badare al fatto di poter essere udita dalla sala principale del locale. D’altronde non sarebbe stato possibile, vista la musica country a tutto volume che qualcuno aveva selezionato nel juke box mezz’ora prima.

“Chi? Ma di chi stai parlando?” chiese Cloud all’altro capo della linea telefonica, allarmato.

“DI… DI… DI LEI!! specificò la donna, riuscendo a malapena a respirare a causa del pianto smodato che le tormentava il torace. Cloud fece una lunga pausa: forse aveva cominciato a capire.

“Si tratta forse di Yuff…”

SI’!!! ORA NON POTREMO PIU’ FARCI LE COCCOLE TUTTO IL POMERIGGIO!!”

Dall’altra parte del telefono Cloud era interdetto, ma cercò comunque di calmare la fidanzata. “Dai, Tifa… sono sicuro che non ti assillerà più come prima…”

“CAPIRAI!! NON E’ ENTRATA DA TE URLANDO ‘ECCOMI TORNATA’ E FISSANDOTI CON UN GHIGNO MALEFICO!”

“Dai, Tifa, non può essere grigia come la dipingi tu…”

INFATTI E’ MOLTO PEGGIO!!”

Ok, però puoi smettere di urlarmi nell’orecchio?”

“… Sì, scusami…”

“Va bene. Senti, ora sono a Chocoville[1] per una consegna, ma entro un’ora sono da te. Ci parlo io con Yuffie.”

“… Davvero?” Anche se ancora disperata, Tifa si sentiva più sollevata all’idea che qualcuno la aiutasse ad affrontare la situazione.

Certo, cosa ti ho detto stanotte? Per te farei qualsiasi cosa…”

“Oh, Cloud…” Ora la barista si sentiva decisamente meglio, e fu in grado addirittura di sorridere.

“Allora resisti fino al mio arrivo, mi raccomando. A presto.”

Tifa annuì anche se nessuno poteva vederla e chiuse la comunicazione. Con un sospiro per darsi coraggio, si asciugò gli occhi e si voltò per fronteggiare il ritorno di Yuffie.



[1] Cittadina immaginaria situata nei dintorni della Chocobo Farm. Voci non confermate sostengono che in questo luogo sia stato concesso ai chocobo il diritto di voto, però il sindaco ed il suo vice, un chocobo molto distinto, non confermano nulla.

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Capitolo 19
*** Birra party ***


BIRRA PARTY

BIRRA PARTY

 

Galeotto fu il rutto

 

 

 

 

 

 

 

 

“… E così è successo che siamo tornati ad Edge!” concluse finalmente, con un grande sorriso, la Ninja. Nelle ultime tre ore, durante le quali non aveva fatto altro che raccontare le peripezie sue e di Vincent, le due donne erano praticamente rimaste sole presso il bancone; gli altri clienti badavano bene a rimanere nei tavoli più lontani per non rimanere storditi dalla voce squillante e priva di argini della Ninja. Quest’ultima, dal canto suo, era così presa dal proprio racconto che non se n’era nemmeno accorta. “Allora, ti sono piaciute le mie avventure, Tifa-chan?”

La barista, che aveva recuperato uno sgabello da portare dietro il bancone subito dopo il loro commosso abbraccio, sollevò la testa dalle braccia, dove era rimasta abbandonata già da parecchi minuti.

“Sì, carinissime… hic…”

La ragazza la guardò stralunata. “Ma sei ubriaca??”

“Un pochino…”

“Ma… ma…” Yuffie sembrava fosse sul punto di piangere quando, invece, balzò sul bancone, scivolò ed atterrò accanto a Tifa, che si ritrasse terrorizzata. “Ma come?? Festeggi il mio ritorno senza condividere con me la tua gioia??”

Senza aspettare la risposta, la Ninja afferrò il tubo di gomma che Tifa aveva precedentemente fissato alla spina della birra, se lo ficcò in bocca ed aprì la valvola. Subito la birra dorata di Kalm, la Kalmeer, cominciò a scorrere, finché Yuffie non si sentì annegare e non ne fermò il flusso.

“Aah, ora che mi sono rinfrescata la gola sì che sto meglio!” esclamò la ragazza, rossa in volto e con una striscia di birra che le colava dall’angolo della bocca. “Avanti, Tifa-chan, ora raccontami tu tutto quello che hai fatto in mia assenza!”

Tifa la fissò negli occhi, non ancora del tutto conscia né dei gesti di Yuffie né della sua domanda: era così contenta che l’alcol ingurgitato durante la narrazione le ottundesse i sensi e le facesse sembrare tutto così lento ed ovattato che, quando comprese ciò che l’amica le aveva chiesto, si sentì precipitare in un inferno di vergogna. Fortunatamente il rossore provocato dall’alcol mascherava quello provocato dall’imbarazzo, e l’euforia di Yuffie le aveva impedito di notare le lacrime che avevano ricominciato a scorrere dai suoi occhi: in quel momento Tifa voleva solamente che Cloud fosse lì con lei e la sollevasse dal penoso compito di dover relazionare la sua amica sull’esplosione della propria vita sessuale avvenuta in sua assenza.

Ma sapeva bene che Cloud non sarebbe arrivato in tempo: non bastavano certo tre ore per raggiungere Edge da Chocoville. Cercando di trattenere le lacrime, tornò a guardare negli occhi una Yuffie sempre più impaziente, deglutì e si preparò a raccontare la più grande quantità di fandonie che avesse mai raccontato, nella speranza che la sua cara amica un po’ troppo invadente si ubriacasse prima di accorgersi dell’inganno.

 

 

Cloud arrivò a notte inoltrata. Il sindaco di Chocoville non voleva lasciarlo andar via, anzi, voleva indire un giorno di festeggiamento apposta per lui, e solo perché gli aveva portato un pacco di erba gishal di prima qualità. Come se non bastasse, aveva trovato il vice-sindaco, un chocobo dallo splendido piumaggio dorato, che cercava di accoppiarsi con la sua motocicletta: c’era voluta quasi un’ora per convincerlo che il sellino, per quanto morbido, non aveva alcun valore per lui, ed un’altra mezzora per togliere tutte quelle piume dal tubo di scappamento…

Edge, a quell’ora di notte, sembrava una città fantasma: per quanto si sforzasse, il biondo non riusciva a vedere nessuno per le strade. Nemmeno di fronte al locale di Tifa c’era nessuno, anche se di solito vi sostavano numerosi ubriaconi. Eppure le finestre erano illuminate, segno che la donna era comunque al lavoro. L’atmosfera però aveva un che di inquietante, ed a Cloud questo non piaceva. Parcheggiò la motocicletta ad una certa distanza dal locale e allentò la spada nel fodero: voleva essere pronto a tutto. Ma non era pronto alla saetta umana che gli piombò addosso una volta aperta la porta del bar.

Di norma avrebbe reagito prontamente, tagliando in due a mezz’aria il suo aggressore, se non si fosse trattato di un esperto nel combattimento corpo a corpo, se non avesse avuto un seno inconfondibile e se non l’avesse stordito con una zaffata di birra nel naso.

“Ti-Tifa??” riuscì appena a chiedere il ragazzo, che cercava con tutta la sua esperienza di restare in piedi nonostante il brusco movimento.

La donna gli urlò di gioia nelle orecchie, rendendolo completamente sordo dalla parte destra: in cuor suo, Cloud sperava che il danno non fosse permanente, ma d’altronde era felice che Tifa non fosse in pericolo. In realtà era lui ad essere in pericolo.

In preda ai fumi dell’alcol, la donna aveva dimenticato di dosare la propria forza, e gli stava stringendo le braccia attorno al collo senza risparmiarsi. Se in un’altra occasione Cloud sarebbe stato contento di morire soffocato dall’abbraccio della sua ragazza, in quel momento cercò di scollarsela di dosso, paonazzo. Non appena ci fu riuscito, però, il fiato gli fu tolto nuovamente da un bacio appassionato che ebbe l’effetto di costringerlo ad appoggiarsi al muro.

Thfh…!” bofonchiò disperato. Finalmente, la donna sembrò capire che stava per uccidere il proprio fidanzato e si scostò da lui, in modo da permettergli di riprendere fiato.

“Sono tanto felice di vederti!!” gli urlò contro, il volto arrossato dall’alcol disteso in un sorriso smagliante. Cloud boccheggiò ancora un po’ alla ricerca di ossigeno prima di riuscire a rispondere. “Sì… anch’io sono felice… ma che ti è successo? Quando ci siamo sentiti eri disperata, ed ora…”

Cloudduccio, se solo sapessi!” fece la donna, prendendolo per mano e trascinandolo verso il bancone. Il biondo stava ancora riprendendosi dalla storpiatura terribile del suo nome quando vide Yuffie sdraiata a faccia in giù sul mobile, braccia e gambe penzoloni da entrambi i lati ed un tubo di gomma che le usciva dalla bocca e dal quale colavano rivoli di birra sul pavimento.

“A… AmicAauuh…” cercò di dire la Ninja, sollevando a stento un braccio verso il giovane, ma dopo un paio di tentativi andati a vuoto desistette. Cloud guardò ripetutamente lei e la propria ragazza, ma dal momento che la prima sembrava aver perso i sensi e la seconda continuava a fissarlo con un sorriso inebetito sul volto, si decise a chiedere lumi. “Tesoro,” cominciò a bassa voce, in modo da non attrarre l’attenzione della Ninja, “si può sapere cosa diavolo è successo?” La sua pazienza stava mostrando i primi segni di cedimento.

Trattenendo una risata, Tifa lo prese per mano e lo allontanò dal bancone, verso uno dei tavoli deserti. “Siamo ubriache,” spiegò semplicemente.

“Grazie, non l’avevo notato…”

“Prego!”

Ma per quale motivo vi siete ubriacate, quando tu eri disperata solo poche ore fa proprio a causa di quella ragazza? Di solito reggi bene l’acol! Ed è sempre pieno di clienti qua dentro, anche a quest’ora, come mai non c’è nessuno?”

“Ehi… una domanda alla volthic… volta… Allora… Non c’è più nessuno perché… hic… non ero più in grado di servire i clienti. Ci pensi…?”

Tifa stava per scoppiare nuovamente in un parossismo di risa, per cui Cloud decise di agire tempestivamente. “Sì… ma dimmi, cos’è che ti ha resa così euforica?”

Per tutta risposta, la donna gli prese il volto fra le mani, traendolo a sé e guardandolo con una luce maliziosa negli occhi lucidi. “Yuffie e Vincent sono stati insieme, durante questo viaggio…”

“Ah… bene,” disse Cloud, sforzandosi di non tirarsi indietro a causa dell’odore di birra. “Sono contento per loro… ma cosa comporta?”

Tifa ridacchiò, gli scosse bruscamente la testa stordendolo ed infine gli diede un rapido bacio sulle labbra. “Comporta che vivranno insieme d’ora in poi… E sai questo… hic… cosa comporta?”

All’improvviso lo sguardo annebbiato del guerriero si illuminò. “Vuoi dire che…”

“Esatto…”

Per la gioia di poter stare nuovamente e senza limiti temporali insieme alla propria compagna, lui urlò e la abbracciò, sollevandola da terra e facendole fare due rapidi volteggi in aria. Dal bancone Yuffie sollevò il volto, come infastidita. “Ma che… fa… bah… mmhh…” All’improvviso tutto ciò che la circondava le sembrò distante, allegro e conciliante, tanto che con un sorriso la Ninja si abbandonò al sonno, lì com’era, nonostante la birra che continuava a scorrerle sulle labbra e lo stomaco che minacciava di ribellarsi ad ogni momento.

 

 

Dopo che ebbero fatto l’amore, presi dalla foga del momento, Cloud si rivestì in fretta mentre Tifa, recatasi in bagno per una doccia, finì per vomitare copiosamente nella tazza. Dovevano riportare la Ninja svenuta sul bancone da Vincent, in modo da poter passare il resto della notte ed il giorno successivo in pace… sempre ammesso che lo stomaco di Tifa non avesse qualcos’altro da ridire.

“Allora io vado a portare Yuffie da Vincent,” gridò Cloud dall’esterno del bagno. Un conato fu l’unica risposta che ottenne. Preoccupato, rimase in attesa ancora qualche minuto.

“Sei sicura di star bene?” chiese ad un certo punto, allarmato dal prolungato silenzio.

“Sì, guarda, sto così bene che ballerei una chocopolka[1] durante la battaglia con Sephiroth!” rispose Tifa rabbiosamente. Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma un nuovo conato di vomito la costrinse al silenzio. Subito dopo, continuò. “E porta quella scriteriata via dal mio locale, prima di fare altre domande idiote!”

Colpito dall’insolita aggressività della sua ragazza, Cloud non rispose e scese le scale in fretta. Yuffie era nella stessa posizione in cui l’avevano lasciata quando erano saliti, con la differenza che il tubo di gomma era scivolato a terra e aveva smesso di emettere birra e un sonoro russare proveniva dalla ragazza, tanto forte che il giovane si stupì che potesse essere prodotto da una persona così minuta.

Sospirando, il ragazzo le diede una sommaria pulita sul volto e sul collo, in modo che evitasse almeno di macchiargli di birra i vestiti, e la prese in braccio. Avrebbe anche potuto notare l’aspetto teneramente romantico di quella situazione se dalla gola della ragazza non fosse uscito un tremendo rutto, cui seguì una zaffata disgustosa che per poco non fece svenire anche lui. Soddisfatta, Yuffie si leccò le labbra e si accoccolò tra le braccia di Cloud, utilizzando i suoi pettorali come cuscino.

Rapidamente, il giovane uscì dal locale aprendo la porta con un piede, senza curarsi di spegnere la luce. Solo allora si concesse di riprendere fiato e dimenticare l’orrore di poco prima, ma subito la giovane Wutai emise una serie di piccoli rutti soddisfatti, mentre si accoccolava maggiormente contro il suo petto.

Reprimendo il disgusto ed innalzando una preghiera silenziosa a Leviathan affinché non gli vomitasse addosso, Cloud salì sulla motocicletta e si sistemò la ragazza davanti, seduta all’amazzone sulla parte anteriore del sellino ed abbandonata contro le sue braccia. Accese il motore e diede gas, sperando di arrivare da Vincent prima che fosse troppo tardi. Purtroppo per lui, non si rese conto che, nello stato in cui versava, Yuffie non poteva minimamente reggersi, così alla prima curva rischiò di scivolare giù dalla moto e rotolare sull’asfalto.

Quando ripartirono, la ragazza era saldamente legata ai tubi del motore dalla lunga corda che Cloud portava sempre con sé durante le missioni.

Aau uah…” commentò inconsapevolmente l’esanime Ninja, mentre sfrecciavano a tutta velocità lungo le strade deserte di Edge.

Nel giro di pochi minuti furono arrivati di fronte alla casa di Vincent. Secondo quello che gli aveva raccontato Tifa tra un ansito e l’altro, l’uomo doveva essersi fermato lì, prima di recarsi da Reeve alla sede della WRO, e Cloud non poteva fare altro che sperare che le informazioni fossero esatte.

Slegata la ragazza, la prese nuovamente in braccio e si avvicinò a passo spedito alla porta d’ingresso della casa.

“Chi è?” mormorò sospettosa una voce, quando ebbe suonato il campanello. “Sei tu, Yuffie?”

“No, sono Cloud… Yuffie te l’ho riportata io, visto che si è ubriacata al bar di Tifa e non era in grado di tornare a casa da sola…”

Si udì il rumore del chiavistello che girava e la porta si aprì, rivelando l’ombrosa figura dell’ex Turk, ancora coperta dal suo logoro mantello rosso e dalla tuta da combattimento che portava solitamente. Persino l’artiglio dorato era al suo posto; era come se non si fosse ancora cambiato nonostante il tempo trascorso dal suo arrivo in città. Per un attimo Cloud si chiese se per caso non andasse a dormire proprio così, con l’artiglio metallico e tutto il resto, poi scrollò la testa, dicendosi che aveva questioni ben più importanti di cui occuparsi.

Cloud,” iniziò Vincent, artificiosamente freddo. “Posso sapere come mai la tieni in braccio?”

“Eh? Ah sì! Yuffie è svenuta sul bancone di Tifa, ha bevuto troppo, per questo l’ho dovuta accompagnare.

Ieeh…” iniziò la ragazza, ma qualunque cosa volesse dire nel suo sonno offuscato dall’alcol si spense in un lieve rutto. Per un significativo momento i due uomini rimasero in silenzio, guardandola stupiti, l’uno perché non l’aveva mai sentita ruttare così sonoramente, l’altro perché si stupiva che avesse ancora aria nello stomaco.

“Ehm… prendila, Vincent,” fece Cloud dopo un attimo, porgendo all’amico il leggero fardello. Questi meccanicamente prese Yuffie in braccio, avendo cura di non ferirla con l’artiglio, e fece un passo indietro.

Bene, almeno adesso io e la mia moto non corriamo più pericoli,” pensò Cloud, tirando un sospiro di sollievo.

Cloud…” disse Vincent, atono.

S-sì?” rispose l’altro, credendo per un attimo di aver parlato ad alta voce invece che tra sé e sé.

“Grazie.”

Il biondo lo guardò per un attimo stupito: doveva essere la prima volta che lo sentiva ringraziare qualcuno senza un sottinteso ironico. Eppure l’espressione di Vincent era senz’altro seria, senza nulla che facesse sospettare un sottinteso.

Cloud si limitò a borbottare unprego’ e ad augurare la buonanotte, poi fece dietro-front e tornò alla sua moto. In meno di un minuto stava già correndo verso il locale, sperando ardentemente che Tifa si fosse ristabilita e fosse nuovamente calda come in precedenza. E soprattutto che si fosse lavata i denti.

Dal canto suo, Vincent chiuse la porta con un piede e portò Yuffie in camera da letto. La pose con delicatezza sul giaciglio matrimoniale che ormai avevano deciso di condividere e la scrutò pensieroso, domandandosi come avesse fatto a ridursi in quel modo. All’improvviso, senza motivo apparente, la ragazza sorrise e voltò la testa verso di lui, sempre incosciente. In quel momento Vincent non poté fare altro che constatare che, nonostante il volto congestionato e sudato, il notevole odore di birra che emanava ed il sonoro russare che aveva cominciato ad uscirle dalla gola, era la ragazza più bella e dolce che avesse mai visto.

 

 

Dopo essersi concessi un paio d’ore di sonno in un vicolo isolato, i tre valorosi membri dei servizi segreti di Wutai ricominciarono la missione, suonando a tutti i campanelli della città alla ricerca della loro principessa. Era da poco passata l’alba, e questo era forse il motivo per cui la maggior parte delle volte gli inquilini delle abitazioni che visitavano li accoglievano con schiaffi, pugni, urla di panico o colpi d’arma da fuoco. Un altro possibile motivo era il loro aspetto mostruoso, dopo oltre due settimane di vagabondaggi senza trovare il tempo di cambiarsi d’abito, di rendersi presentabili o anche solo di lavarsi. Ma serviva molto più che la semplice ostilità del popolo per fermare tre valorosi samurai dell’Imperatore.

O almeno questo era ciò che Pong sperava. In effetti, dopo il quinto schiaffo che aveva reso il suo volto più brutto di quanto già non fosse a causa delle sue disavventure, cominciava a dubitare che la loro ricerca avrebbe dato qualche frutto. Tuttavia sapeva di non doversi mostrare afflitto di fronte ai suoi uomini, che in tal caso avrebbero perso ogni speranza e si sarebbero rassegnati a ripulire dalle incrostazioni di guano la sommità della grande statua di Da-Chao per il resto della loro vita. Ma ormai cominciava anche lui a pensare che anche quella triste sorte fosse migliore che girovagare per tutto il pianeta alla ricerca di una ragazzina ribelle che non voleva sposare l’uomo che suo padre aveva scelto.

Ping volle fare una pausa, ma Pong sapeva bene che se si fossero fermati in quel momento lo sconforto avrebbe avuto il sopravvento e non sarebbero stati in grado di completare la missione. Ignorando le proteste dei suoi compagni di sventura, il temerario ma sfortunato samurai si avvicinò all’ennesima porta, pronto a ricevere un altro schiaffo. In un istante di scoramento, giurò sui propri antenati che quella sarebbe stata l’ultima porta che avrebbero tentato, dopodiché avrebbero accettato il loro triste destino di spalatori di guano e netturbini delle fogne di Wutai. Subito dopo ricordò a se stesso il giuramento solenne di ubbidienza che aveva prestato anni prima all’Imperatore e si maledì in cuor suo per quell’attimo di debolezza: ma ormai il dado era tratto[2] e, se avesse rotto il giuramento rivolto ai suoi antenati avrebbe gettato fango e disonore sulla sua famiglia per decine di generazioni. Meglio spalare guano, si disse, cercando di convincersi. Con un sospiro di rassegnazione ricacciò indietro lo sconforto e si costrinse ad assumere un’aria dignitosa, mentre leggeva il nome sull’ultimo campanello che avrebbe suonato.

“Valentine,” compitò. Attese che i suoi due compagni si sistemassero alle sue spalle, nel solito ordine ascendente di presentazione, prima di premere, con il cuore in gola, il pulsante sotto l’etichetta con il nome.

 

 

 

 

 

 

Buona lettura!! E venite a trovarci sul nostro forum http://darkpenn.devil.it/ !!

 

Come sempre grazie per i commenti!!^__^

 



[1] Movimenti tipici, ritmati e vorticosi, che i chocobo mettono in atto qualora venga loro fatta ascoltare della musica. Non è ancora chiaro se si tratti di un’insieme di atti riflessi o di azioni consapevoli, ma gli estimatori di questi animali sono concordi nel ritenere questa ‘danza’ l’ennesima prova della loro splendida intelligenza.

[2] Espressione utilizzata da un antichissimo condottiero Cetra ed entrata ormai nell’uso comune.

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Capitolo 20
*** Scontro finale ***


SCONTRO FINALE

SCONTRO FINALE

 

I terribili Samurai della Morte

 

 

 

 

 

 

 

 

Al martellante crepitio del campanello Vincent non poté fare a meno di svegliarsi. Sebbene fosse ormai quasi l’alba e lui avesse bisogno di poco sonno, era stanco morto. Probabilmente perché aveva vegliato tutta la notte su Yuffie, scrutandone la bellezza addormentata. Ora però avrebbe dato qualsiasi cosa per altri cinque minuti di sonno. La ragazza, dal canto suo, restava bellamente assopita, incurante del fastidioso rumore che aveva invaso la casa. Dal momento però che Vincent sapeva bene cosa si provava ad essere svegliati bruscamente dopo una sbornia colossale (era stato anche lui all’Accademia Turk), decise di sbrigarsi ad aprire e a far smettere quel frastuono lancinante.

In un attimo ebbe indossato i calzoni aderenti ed il cinturone della Cerberus e si lanciò verso la porta. Quando la aprì, stentò a credere ai propri occhi.

Di fronte a lui c’erano tre improbabili individui, che indossavano i resti di ciò che sembrava un completo da spiaggia di Costa del Sol, coperti di fango indurito fino ai capelli e con un’espressione indecifrabile sui loro volti smunti ed affossati da profonde occhiaie. Ma l’aspetto più incredibile di quel terzetto era l’aria di dignità che, nonostante l’aspetto, mostravano con la loro postura bene eretta e la loro disposizione ascendente. Se non stesse cadendo dal sonno Vincent avrebbe trovato la loro visita estremamente buffa.

Che c’è?” chiese bruscamente invece di scoppiare a ridere loro in faccia. Credette per un attimo di vedere il sollievo sul volto del più basso dei tre, ma non ci diede molto peso: l’unica cosa che voleva era che quei tre se ne andassero in modo da poter tornare a dormire.

“Scusatemi, Signore onorevole,” iniziò quello che doveva essere il capo, il nanetto, inchinandosi rispettosamente. “Siamo venuti qui da voi dalla lontana terra di Wutai per cercare la Somma Principessa Yuffie di Wutai. Potrebbe dirci cortesemente dove si trova?”

Un vago tono di supplica mista a rassegnazione traspariva da quelle parole, ma Vincent si limitò a fissare a bocca aperta i tre. Ora che ci pensava, sotto la coltre di sporcizia riuscì ad intravedere le fattezze tipiche della gente di Wutai, ed un cupo sospetto prese forma nel suo animo.

“Non so di chi lei stai parlando,” ribatté evasivo, cercando di chiudere la porta in faccia all’altro. Se quelle erano le persone che lui credeva che fossero, doveva sbarazzarsene al più presto possibile.

“Vi prego,” insistette il nanetto, supplicante, dopo aver messo un piede tra lo stipite e la porta con un’abilità degna dei migliori venditori di enciclopedie. “Se non ci date una mano con la nostra ricerca, noi saremo costretti a…”

“Si può sapere chi rompe le scatole a quest’ora, porca di una porca??” sbraitò Yuffie con la voce impastata dal sonno. Il sangue di Vincent si ghiacciò per un istante. “Niente di importante, se ne stanno andando,” replicò subito, forzando la spinta sulla porta. L’omino però non desistette, nonostante l’espressione di dolore che si andava evidenziando sempre di più sul suo volto. “Vi prego…”

All’improvviso quello di mezzo, che sembrava il più sveglio dei tre, posò una mano sulla spalla del capo. “Io riconosco questa voce!”

“Si sbaglia!” ribatté prontamente Vincent, assestando un brusco colpo alla porta ed ottenendo in cambio il rumore di ossa spezzate. Subito il piccoletto urlò come un forsennato, mentre il suo collega che aveva parlato gridò una parola, che aveva tutta l’aria di essere un ordine. “Ping!”

L’ex-Turk era appena riuscito a serrare la soglia quando ebbe la strana sensazione che la stanza si muovesse attorno a lui. Ci mise un po’ a capire che in realtà era lui che stava volando a qualche metro di distanza, spinto da una forza mostruosa.

Ora il vano della porta era occupato dal terzo degli stranieri, un po’ più alto di Vincent ma decisamente più largo, mentre alle sue spalle il capo saltellava su una gamba sola lanciando con tutta la voce che aveva improperi in lingua wutai (che l’ex-Turk, suo malgrado, conosceva bene).

Prontamente l’ex-Turk, con tutta l’abilità maturata nella sua decennale esperienza, balzò in piedi ed estrasse la Cerberus, puntandola contro gli invasori, ma qualcosa di duro lo colpì alle spalle di sorpresa, facendolo stramazzare al suolo. Imprecando contro la slealtà dei suoi avversari, che evidentemente erano semplicemente un’esca volta a distrarlo mentre i veri inviati di Godo Kisaragi rapivano la giovane Ninja, cercò di divincolarsi per alzarsi in piedi, ma a quanto pareva il suo aggressore si era praticamente seduto sulla sua schiena. E come se non bastasse, la Cerberus gli era sfuggita di mano e si trovava ormai fuori portata.

“Vi pare il caso di fare tutto questo casino??” brontolò il suddetto aggressore, e solo allora Vincent si rese conto che non era affatto stato attaccato alle spalle, ma semplicemente investito da una Yuffie ancora non molto lucida, che aveva sbagliato mira per il proprio slancio.

S-siete proprio voi, Altezza Celeste…” mormorò il Wutai di mezzo, incredulo, quindi si gettò in ginocchio, subito imitato dal gigante e, con un po’ di difficoltà visto il piede frantumato, anche dal più basso.

“Grazie a Da-Chao vi abbiamo trovata,” mormorò quest’ultimo, con le lacrime agli occhi. “Non dovremo spalare sterco di chocobo dalle stalle di vostro padre…[1]

“Avevamo ormai perso le speranze…” singhiozzò il Wutai di mezzo, sempre tenendo la fronte appoggiata al pavimento.

Aaaghuuu…” riuscì solamente a dire il più voluminoso, che sembrava essere anche il più emotivo dei tre.

“Ehm…” commentò ‘l’Altezza Celeste’, ancora appollaiata sopra il suo ospite, con candore, “e voi chi sareste?”

Il silenzio successivo a quelle parole sembrò durare un’eternità, finché Vincent non riuscì a trovare la prontezza di spirito per tornare a parlare. “Yuffie… potresti scendere?”

Con una risatina imbarazzata la ragazza si spostò e l’uomo riuscì finalmente a rimettersi in piedi.

“Questi,” disse quest’ultimo, indicando i tre individui semisdraiati in adorazione al suolo, “suppongo siano degli inviati di tuo padre, mandati per cercarti… giusto?”

Il nanetto annuì precipitosamente, non osando sollevare il capo verso la figlia del suo padrone. In quel momento la ragazza si batté il pugno destro nel palmo sinistro, colta da un’improvvisa intuizione. “Ci sono! Sono quei tre tizi strani di cui mi aveva parlato Tifa[2]!”

Vincent la guardò stralunato. “Cosa?”

Ma sì! Me ne aveva parlato Tifa-chan quando sono andata da lei, quella volta che ti ho lasciato per morto dopo averti preso a padellate! Mi aveva detto che c’erano tre individui che mi cercavano…”

“Vuoi dire,” la interruppe l’uomo, incredulo, “che tu sapevi di essere inseguita e non mi hai detto niente??”

“Ehm… me ne sono dimenticata…” si giustificò lei, distogliendo lo sguardo. “Sai com’è, la missione a Junon, Shelke… a proposito, ma che fine ha fatto quella tizia?”

“Non ne ho idea, ma non cambiare argomento… E se invece di questi… signori, fossero venuti i temutissimi Samurai della Morte di Wutai?? Come l’avremmo messa?”

“Scusate…” si intromise il capo degli inviati di Wutai, deferente. “Noi SIAMO i Samurai della Morte di Wutai…”

Nell’appartamento dominò un altro lungo periodo di silenzio, questa volta interrotto da Yuffie, che si rivolse direttamente ai tre.

“Ad ogni modo, sono contenta che mi abbiate trovata, ma potete dire a papino che non torno a casa. Sto bene qui e non voglio sposare quel tizio.

“Non potete, o Sublime Creatura!” sbottò il nano, balzando in piedi, subito imitato dagli altri. “Se torneremo senza di voi, il Celeste Imperatore ci farà raccontare tutta la storia della famiglia Kisaragi a gesti!”

Ed invece posso!” ribatté la ragazza, poggiandosi i pugni sui fianchi. “E non intendo sposare Suzuki Honda[3] nemmeno se mi comprasse tutti i materia del mondo!”

Zuzzuchi Conta sarebbe l’uomo-molboro di cui mi avevi parlato?” le sussurrò Vincent, al che Yuffie annuì con decisione. “Già, dovresti vedere quanto è brutto! E mio padre vorrebbe farmelo sposare!”

“Ma… Vivente Splendore,” si intromise il capo, frugando tra i lembi lerci della sua camicia, “vi state sbagliando! Altrimenti non avrebbe ricevuto così tante proposte di matrimonio da parte dei maggiori patriarchi di Wutai!”

Così dicendo estrasse una fotografia spiegazzata, mostrandola ai due. Vincent, aspettandosi di vedere una sorta di ibrido umano-vegetale dotato di una bocca spaventosa, si ritrasse istintivamente, ma dovette ricredersi quando, dalla foto, lo fissò un giovane uomo dai capelli neri e dagli occhi penetranti, a cavallo di una motocicletta scintillante, con un completo da samurai argentato ed una rosa sostenuta dalla mano sinistra, portata di fronte alla bocca con aria sensuale. A quella vista, Vincent si volse verso Yuffie.

“Un uomo-molboro??” le chiese, ragionevolmente perplesso, ma la ragazza continuava a fissare la fotografia con evidente interesse. Solo quando l’ex-Turk la scosse lei riuscì a rispondere. “Eh? Ah sì, eeehm… me ne avevano parlato male, sai, io… io non l’avevo mai visto…”

Nel suo intimo, Pong si congratulò con se stesso: era stata geniale l’idea di sostituire la foto di Suzuki Honda, una specie di rospo gigante con le cellule di Jenova, con quella di suo cugino Ting… Ma non poteva ancora cantare vittoria, doveva ancora portare la principessa a Wutai. Solo allora avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo

Quindi verrete con noi, o Aspirante alla Bellezza Celestiale?” chiese con trepidazione.

“No!” rispose Vincent per lei, stringendola a sé con un braccio attorno alle spalle. A quel gesto Yuffie si riprese finalmente dalla sorta di trance in cui era caduta vedendo quella foto e guardò l’uomo. Allora si rese conto, ancora una volta, di quanto lui l’amasse, sfidando per gelosia i terribili Samurai della Morte, l’ira di suo padre e l’accecante fascino di Suzuki Honda, e seppe cosa avrebbe fatto.

“Esattamente,” incalzò verso Pong e gli altri, stringendo alla vita quello che, ormai ne era convinta nel suo cuore, era il suo fidanzato. “Io non mi muoverò da qui neanche di un passo, e potete dire al mio papino che quel motociclista della domenica può darlo da sposare a mia cugina Buffie[4]!”

Mentre Ping, ricadeva in ginocchio in lacrime e Pong si chiedeva per quale assurdo motivo si fosse appoggiato al piede danneggiato come reazione a quelle parole, Pang, il Wutai di mezzo, mantenne la calma e non si lasciò intimidire. “Allora sappiate che dopo di noi verranno decine di altri Samurai, e dopo di loro altre centinaia, e nessuno di loro avrà pace finché non vi avrà riportato alla corte di vostro padre.”

Vincent stava per mettersi a ridere sprezzante a quelle parole, ma poi la prospettiva di centinaia di cloni di quei tre che suonavano incessantemente il suo campanello lo inquietò parecchio. Anche Yuffie, dal canto suo, si sentiva meno sicura di prima.

Ma… ma papino capirà che io non voglio, non posso andare via da qui!”

“Incarnazione della Virtù,” rispose Pang, sempre più deciso visto l’effetto della sua effimera minaccia sulla principessa, “vi assicuro che l’Imperatore Celeste non è sempre accomodante, persino con la sua unica figlia.”

A quelle parole la ragazza rabbrividì: ancora si ricordava di quando suo padre le aveva fatto scrivere diecimila volte sulle pareti della pagoda ‘Da-Chao non deve mai essere appellato con il suffisso ‘-chan’’…

Ma io non posso!” ripeté per l’ennesima volta la Ninja, sempre più alle strette.

“Voi dovete,” la incalzò fermamente Pang, che sentiva già il gusto della vittoria e, perché no, di una promozione.

Ma io… io…” Yuffie boccheggiava, stretta a Vincent, che dallo sguardo che rivolgeva ai tre si sarebbe detto pronto a fare una strage per la donna che amava. Fu allora che prese la decisione su cui per lungo tempo aveva meditato e che non avrebbe nemmeno voluto considerare. Ma la situazione era diventata critica: non si poteva sfuggire facilmente ai Samurai della Morte di Wutai.

Con il cuore in gola, prese coraggio, e fissò negli occhi Pang, con disperata decisione.

“Io sono incinta!”

Tutti i presenti la fissarono, attoniti e storditi.

“E lui è il padre!” sottolineò ancora la ragazza indicando con forza Vincent. Quest’ultimo la guardava a bocca aperta, incredulo: come poteva esserne sicura dopo così poco tempo dal loro incontro d’amore? Come faceva ad ammetterlo con così tanta decisione, nonostante la sua solita titubanza sulle questioni serie? Ma soprattutto… Non poteva farglielo sapere in un altro momento??



[1] Questa e le altre punizioni che i tre samurai citano sarebbero state senz’altro messe in atto, nonostante Godo avesse parlato solo di una di esse. Questo perché l’Imperatore di Wutai è notoriamente una persona molto irascibile.

[2] Si veda il capitolo “Una visita inaspettata”.

[3] Quest’uomo è discendente di due delle più grandi aziende di produzione di veicoli di Wutai, decadute dopo la monopolizzazione del settore effettuata dalla Shinra Motors.

[4] Principessa di Wutai che, all’occorrenza, può diventare ammazzavampiri con una semplice tintura ai capelli.

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Capitolo 21
*** Una scelta che cambia la vita ***


UNA SCELTA CHE CAMBIA LA VITA

UNA SCELTA CHE CAMBIA LA VITA

 

La terribile guerra tra la WRO e Junon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vo… voi…” iniziò Pong, che alle parole di Yuffie era caduto a terra a bocca aperta.

“siete…” proseguì Ping con voce stridula, sull’orlo del pianto.

“INCINTA??” concluse Pang urlando. Yuffie, gongolante in segreto per l’effetto esplosivo della sua piccola bugia, annuì con un sorriso e si strinse a Vincent, che però sembrava freddo e rigido come una statua di Da-Chao. Preoccupata lo guardò in volto: la stava fissando terreo, la fronte corrucciata e lo sguardo vitreo, pallido come un cencio. In quel momento Yuffie comprese che, forse, anche lui le aveva creduto e probabilmente il mondo gli era appena precipitato addosso. Mentre gli rivolgeva un timido sorriso rassicurante, si ripromise di spiegargli la situazione al più presto, prima che corresse a comprare un vestitino per il bebè virtuale.

“Ebbene sì,” concluse infine la ragazza, tornando a fronteggiare i suoi tre conterranei. Questi allora proruppero in un’agghiacciante sequela di grida e lamenti in wutai, gettandosi al suolo e rotolandosi sul pavimento in preda a quello che un osservatore esterno avrebbe scambiato per un attacco di convulsioni collettive, ma che Yuffie sapeva bene essere la tipica dimostrazione di dolore del suo popolo.

“L’Imperatore ci trasformerà in spaventapasseri viventi!” urlava uno dei tre.

“Ci farà fare da guida per le gite scolastiche al monumento di Da-Chao!” urlava un altro.

“Il mio piede!” faceva il terzo, verosimilmente Pong.

Approfittando di quell’attimo di bailamme, Vincent afferrò Yuffie per un braccio e la trascinò senza troppe cerimonie in disparte, verso la cucina.

“Ehi, che modi!” protestò debolmente la ragazza.

“Ti sembrava il caso di farmi sapere che aspettavi un bambino di fronte a quei tre??” le chiese lui senza preamboli, serissimo, per poi continuare, “e poi, come fai ad esserne così certa dopo così poco tempo? E cosa faremo quando quei tre buffoni si saranno ripresi??”

“Ehi ehi ehi ehi ehi,” lo interruppe lei, divincolandosi dalla sua presa e gesticolando vistosamente. “Prima di tutto, loro non possono farci niente perché io sono la loro Principessa, tu sei il mio fidanzato e non possono permettersi di ferirci. In secondo luogo, effettivamente dopo così poco tempo non potrei esserne del tutto sicura… Ma ad ogni modo, io non sono affatto incinta!”

Vincent reagì come se gli fosse precipitato un secondo masso gigantesco sul capo. “Sarebbe… una balla…?”

“Precisamente,” gongolò di nuovo Yuffie, convinta che anche lui dovesse essere orgoglioso dell’astuzia che lei aveva messo in atto. “Così facendo loro non potranno farmi sposare il principe-molboro perché crederanno che io sia incinta di un altro uomo, e noi potremo vivere finalmente tranquilli in barba al mio papino!”

Nonostante le sue aspettative, però, non le sembrava che Vincent fosse particolarmente contento della situazione: anzi, sembrava stranamente teso, sebbene lei avesse voluto essere molto chiara sul fatto di non essere incinta.

Sei proprio sicura che non lo sei?” le chiese, ancora titubante.

Ma certo! Quante volte te lo devo dire?”

E come fai ad esserne certa…?”

A quelle parole Yuffie si rabbuiò. “Ehm… ne sono certa!”

“Sì, ma come? Se non puoi essere certa di essere incinta dopo così poco tempo, non puoi nemmeno essere certa di non esserlo!”

Ed invece sì, posso essere certa di non essere incinta!” replicò ancora lei, quasi esasperata.

“Allora ti spiacerebbe spiegarmi come fai?”

Perché è da quando quei tre sono arrivati che ho un fiume in piena che mi scorre tra le gambe!”

All’inizio Vincent la guardò confuso, poi finalmente comprese a cosa la ragazza si riferisse e si limitò ad annuire con aria colpevole sebbene sollevata. Lei, dal canto suo, fece un gesto indispettito con la testa e si avviò, impettita, verso i tre samurai, che apparentemente avevano terminato la loro dimostrazione di sofferenza.

“Vergine delle Divine Distese… ehm…” la appellò Ping, rendendosi conto troppo tardi dell’assurdità delle sue parole.

“Ancella delle Ineffabili Dee,” corresse Pang, dopo aver lanciato al suo collega uno sguardo feroce ancorché disperato, “siete consapevole di ciò che avete fatto?”

La ragazza attese che Vincent l’avesse raggiunta e confidò che l’espressione di lui non la tradisse, quando annuì, ergendosi in tutta la sua altezza. “Ho fatto ciò che mi ha suggerito il mio cuore: ho donato tutta me stessa all’uomo che amo e che un giorno sarà il padre del futuro Imperatore di Wutai!”

L’ex Turk la guardò da dietro, nascondendo un sorriso: non perché lo divertisse la situazione, ma perché in quel momento trovava la propria ragazza estremamente accattivante, con quel suo modo di fare forzatamente tronfio ed orgoglioso nonostante le minute dimensioni. Lo prese un gran desiderio di abbracciarla e baciarla con passione, in modo da sottolineare con i fatti le sue parole, ma si trattenne quando pensò che, vista la loro reazione di poco prima, i tre Samurai della Morte, vedendoli baciarsi, avrebbero anche potuto esplodere.

“O Aiuola del Celeste Giardino,” riprese Pong quando fu riuscito a rimettersi in ginocchio nonostante il dolore al piede, “voi senz’altro capirete che… ecco… il Celeste Imperatore potrebbe non essere molto entusiasta di questo fatto…”

“Quale fatto?” incalzò Yuffie, alzando sempre di più la voce. “Il fatto che mi sono innamorata di un uomo che lui nemmeno conosce? Oppure il fatto che suo nipote sarà per metà forestiero?”

Ad ogni sua domanda Ping, che evidentemente era il più emotivo del gruppo, dava in un gemito e si prostrava maggiormente a terra, tuttavia riuscì a trattenersi dal fare harakiri per la disperazione, complice la completa assenza di oggetti taglienti nei dintorni.

“Beh… Tessitrice della Trama della Bellezza…” interloquì Pang, dei tre quello che sembrava maggiormente equilibrato, “mi rendo conto che nella vostra giovanile età non vi rendiate conto del… ehm… della situazione in cui vi siete messa… Tuttavia vi assicuro che il Celeste non potrà lasciar correre… No, decisamente no…”

“Ah sì? E sentiamo, tu cosa proporresti?” lo sfidò Yuffie. Vedendo gli sguardi d’intesa mista a disperazione che i tre samurai si scambiarono, Vincent provò l’impulso di fermare la ragazza prima che proponesse qualcosa di pericoloso per loro, ma esitò, pensando forse che lei sapesse ciò che stava facendo. Quell’esitazione decise il loro destino.

“Per come la vediamo noi, o Stella Splendente Figlia della Luce,” rispose Pang con uno strano sguardo negli occhi, “l’unica soluzione è che ci seguiate… entrambi, onde convolare a nozze riparatrici nella nostra madrepatria.

Se Yuffie avesse avuto qualcosa in bocca, sicuramente le sarebbe andato per traverso. Sposarsi? Lei che era scappata di casa proprio per evitare di scontrarsi contro quella parola dall’eccessiva quantità di ‘esse? In effetti, però, dal momento che non si trattava di sposarsi con un ibrido umano-molboro o con un rampollo motociclista delle due famiglie più ricche di Wutai, ma con il suo Vincent

Quest’ultimo, dal canto suo, stava deglutendo della saliva nel momento in cui udì quella proposta, per cui si piegò in due, rosso in volto a causa dell’accesso di tosse.

V-Vincent, cos’hai??” si preoccupò subito la ragazza, strappata ai suoi pensieri dai rantoli del fidanzato, dopo aver cominciato senza successo a tentare di sollevarlo in posizione eretta. Finalmente l’uomo si raddrizzò e tornò a respirare normalmente. Solo allora i due tornarono a prendere in considerazione i samurai, che dal canto loro sembravano aver ritrovato parte della baldanza con cui erano partiti per la missione.

“Il futuro Onorevole Consorte si sente meglio?” si informò Pong sorridendo, ed il suo era il sorriso di un cacciatore che aveva appena catturato una preda insperata.

“Sì , sto meglio,” tagliò corto Vincent, ancora affannato, “ma mettiamo in chiaro una cosa: non ho nessuna intenzione di farmi chiamare Onorevole Consorte per il resto della mia vita, né tanto meno di sposarmi per ottemperare a qualche strana tradizione.”

L’amarezza che quelle parole provocarono in Yuffie la colsero di sorpresa. Certo, nemmeno lei aveva intenzione di sposarsi, soprattutto non a causa di una balla raccontata per levarsi dai piedi tre servitori troppo zelanti di suo padre, ma sentire quel netto rifiuto espresso dal suo fidanzato l’aveva delusa moltissimo. Era come se, in una remota parte di sé, avesse continuato fino a quel momento a coltivare l’idea di un matrimonio e che ora quell’idea fosse definitivamente tramontata.

L’ex Turk forse colse lo stato d’animo di Yuffie, oppure agì indipendentemente da esso: nessuno avrebbe potuto dirlo, se non lui stesso. Ma ciò che alla Ninja di Wutai importava davvero in quel momento era che, subito dopo quelle parole, Vincent la abbracciò alla vita, la guardò dolcemente negli occhi e si rivolse ai tre samurai con atteggiamento di sfida.

“Invece ho tutte le intenzioni di sposare questa ragazza perché la amo più di quanto qualsiasi tradizione potrebbe impormi.”

Se Yuffie non svenne fu solo un caso.

 

 

“No, Shelke, non ho altre missioni da affidare a te e a Vincent,” ripeté per l’ennesima volta Reeve, mentre l’iperattiva ragazza, ancora nel suo vestito verde scollato, gli chiedeva di nuovo se aveva qualche altra ‘eccitante esperienza’ da farle fare con l’ex Turk membro della WRO.

Ehi-ma-almeno-lasciami-finire-di-parlare!” protestò lei imbronciandosi e volgendo altrove lo sguardo. “Piuttosto-non-è-che-hai-un-goccio-di-liquore-da-qualche-parte?”

“Sei ubriaca!” la rimproverò l’uomo quando fu riuscito a comprendere il fiume di parole senza interruzione di continuità che le era uscito dalla bocca. “E ti sei ubriacata in missione! Ma si può sapere dove avevi la testa??”

La ragazza lo guardò attonita per qualche secondo, elaborando il significato del discorso dell’uomo, poi sbottò a ridere. “Non lo so proprio… Ma so di certo dove avrei voluto averla: appiccicata a quella di Vincent!”

“A proposito, vuoi dirmi che fine ha fatto Vincent?” chiese esasperato Reeve. Anche se non era riuscito ad ottenere informazioni sull’andamento della missione sperava almeno di conoscere la sorte del suo migliore agente.

E che ne so? Stavamo flirtando quando è balzata nel palazzo una pazza in aeromoto che se l’è portato via, poi… beh… poi sono successe delle cose che non mi ricordo e mi sono ritrovata qui nel tuo ufficio…”

Reeve cominciava ad avere una forte emicrania. Stava pensando seriamente a sguinzagliare Cait Sith in giro per il mondo quando un ufficiale spalancò la porta, trafelato.

“Signore…”

Che succede??”

“Uh, ciao bel tipo!”

Ignorando il commento di Shelke, il soldato deglutì prima di proseguire a parlare. “Junon, Signore! Si apprestano ad attaccare!”

Emettendo un suono che, se si fosse trattato di Cait Sith, sarebbe sembrato ungulp!’, Reeve, seguito a ruota da Shelke e dal soldato, corse verso gli spalti della base della WRO, il cui restauro dopo la guerra con i Deepground era appena finita, e che si apprestava a subire un altro, devastante assedio.

 

Il Governatore, tronfio nella sua armatura tradizionale di Junon ed in groppa ad un affannatissimo chocobo, stava passando in rassegna le sue truppe, sul crinale che dava verso la base dell’odiata WRO. In realtà il suo esercito constava in poco più di una decina di uomini, dopo che aveva fatto espellere con disonore tutti i soldati che aveva pescato ad ubriacarsi insieme a quella spia nemica, ma ciò non era molto importante, dato che dalla loro parte avevano loro.

“Governatore!” lo chiamò uno degli ufficiali. “L’arma segreta è pronta per essere attivata.

Il grasso uomo politico sorrise: grazie a quell’arma, l’ultima sviluppata dalla Shinra prima del disastro di qualche anno prima, avrebbe finalmente potuto spazzare via dalla faccia della terra la feccia WRO.

“Allora attaccate,” comandò con un sogghigno. Sotto la sua grande mole, il chocobo kuettì di fatica mentre le sue zampe tremavano.

Il suo secondo in comando, sogghignando a sua volta, estrasse il telecomando da una tasca della giubba, lo puntò verso le migliaia di pericolosissimi automi che erano stati posizionati a formare un semicerchio attorno alla base WRO e premette il tasto di accensione. Con un rombo, tutte le riproduzioni meccaniche in scala 1:35 dei Soldier[1] si attivarono. In un turbinio di luci colorate e suoni fantasmagorici cominciarono a marciare disordinatamente in tutte le direzioni, a volte cadendo, a volte sbattendo contro i loro simili. Dai loro fucili partivano roboanti rumori di spari e sulle punte si illuminava un pezzo di plastica rossa ad imitare una fiammata, ma nulla di più.

In preda al panico, il Governatore spronò il chocobo verso il suo vice.

“Che diavolo stanno facendo le nostre armi segrete??”

Il soldato annaspò alla ricerca di qualche tasto segreto sul telecomando, ma i pochi tasti coloratissimi che vi erano presenti non sembravano avere effetto.

“Io… non lo so, Signore!”

“Dia qua!” ordinò il Governatore, afferrando il telecomando e scrutandolo da vicino con i suoi occhi porcini. Sembrava davvero che non ci fossero sorprese particolari, almeno finché non ne guardò il dorso. Sulla plastica nera dell’oggetto campeggiava una scritta dorata.

‘Dipartimento di Studi per l’Infanzia, Shinra, Inc.’” compitò, agghiacciato. “Made in Mideel’.”

“C’è qualcosa di importante?” chiese il gregario, cercando di sbirciare da sopra il braccio del suo comandante.

“Ritiriamoci,” mormorò questo con un filo di voce.

Cosa?? Non possiamo arrenderci così, Signore!”

“Ho detto ritiriamoci!” replicò il Governatore, puntandogli contro minacciosamente l’ultimo ritrovato della Shinra nel campo del divertimento infantile. Intimorito da quel gesto ed ignorandone il nullo potere bellico, l’ufficiale si affrettò ad ordinare la ritirata. Il Governatore, scorato, guardò uno dei Soldier in miniatura che gli si avvicinava e gli puntava contro il fucile, senza alcun effetto se non l’accrescimento della sua tristezza. Il chocobo, invece, sembrò apprezzare.

 

Ma che fanno, si ritirano??” commentò Reeve osservando la ritirata dei nemici da una feritoia. Sul campo restavano solo i Soldier Tascabili, che sarebbero stato un ottimo regalo per i bambini di Kalm.

“Signore!” chiamò di nuovo l’ufficiale di prima, entusiasta, con un auricolare all’orecchio. “Ci hanno contattato via radio! Si arrendono!”

In tutta la base risuonò un solo boato di gioia, mentre cappelli rossi venivano lanciati in aria e armi venivano abbandonate negli angoli. Reeve stesso, incredulo che la tanto temuta guerra con Junon fosse durata meno di cinque minuti, si appoggiò al muro, tirando un sospiro di sollievo. Ora finalmente avrebbe potuto, insieme alla sua futura moglie Chole, coronare il suo sogno: mettere su un allevamento di chocobo da corsa e da monta, in modo da rendere imperituro il suo nome per tutti gli anni a venire.

“Non ho ben capito che cosa sia successo, ma mi sembra una gran figata!” sbottò Shelke, entusiasta a sua volta anche senza comprenderne il motivo. Comprese invece molto bene quanto era carino l’ufficiale che aveva comunicato una così bella notizia. “Ehm… sei occupato stasera?” gli chiese dandogli di gomito nello stomaco. Lui la guardò, dapprima titubante, ma alla vista della sua generosa scollatura e del suo altrettanto generoso seno un sorriso timido gli comparve sulle labbra.



[1] Per coloro che, in FFVII, si sono imbattuti nei fantomatici “1/35 Soldier”, ecco spiegato il loro scopo.

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Capitolo 22
*** Il giorno più bello ***


IL GIORNO PIU’ BELLO

IL GIORNO PIU’ BELLO

 

E vissero tutti felici e contenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella grande sala del tempio i monaci stavano intonando il loro mantra da ormai cinque ore filate, quando nell’aria risuonò un’allegra musichetta giovanile, del tutto inadatta al luogo. L’atmosfera magica che si era creata durante la recitazione del mantra si incrinò e si spezzò in un’infinità di frammenti di voci non coordinate che quasi subito si spensero, sostituiti dagli sguardi corrucciati che i monaci si scambiavano l’un l’altro. Godo Kisaragi, che aveva diretto il canto, scrutò severo tutti i suoi sottoposti finché la musichetta non terminò. Allora trasse un profondo sospiro e ordinò che gli altri si prendessero cinque minuti di pausa, prima di ricominciare con le preghiere.

Ritiratosi nella sua sagrestia, l’Imperatore scagliò lontano la tiara che indossava.

“Accidenti!” sbottò fra sé, “ma guarda se mi devono chiamare proprio quando dimentico il telefono acceso!”

Detto questo estrasse il suo cellulare Wutai no com dalla tasca della veste, dove campeggiava la scritta una chiamata persa’, deciso a farla pagare al suo disturbatore. Tutti i suoi propositi di punizione svanirono quando si accorse che si trattava del numero di Pong. Si affrettò a ricomporre il numero ed attese con il cuore in gola che dall’altra parte qualcuno rispondesse.

“Pronto?” chiese la voce del comandante dei Samurai della Morte in missione.

Pong, dannazione, dimmi che avete trovato Yuffie o vi farò spalare guano di chocobo per il resto della vostra vita!”

“Ah, Eccellentissimo Illuminato Signore della Terra, Padre della Virtù, Figlio di Da-Chao, Ineffabilissimo…”

“Dacci un taglio e rispondimi!” di solito Godo lasciava che i suoi servitori lo adulassero, ma in quel momento non aveva tempo da perdere.

“Sì, o Illustrissimo… ehm… Sì, Maestà…” seguì una breve pausa, durante la quale si sentirono distintamente le voci dei tre samurai discutere piano, in modo che le loro parole non fossero comprensibili e poi, “Bene, Maestà… Le annuncio che abbiamo trovato vostra figlia?”

E cosa aspettavi a dirmelo, baka??” sbottò l’Imperatore, che in realtà non stava più in sé dalla gioia. “Allora, quando tornerete in patria in modo che venga celebrato il matrimonio?”

“Ehm…” fu l’unica risposta, seguita da un bisbiglio imbarazzato, al quale Godo non poté fare altro che accigliarsi.

Pong…” riprese dopo un attimo, cercando di mantenere la calma. “C’è qualcos’altro che dovrei sapere…?”

“No, Illustrissima Maestà!” fu la pronta risposta. “Vedrà che entro una settimana al massimo saremo a Wutai…”

E mia figlia si sposerà, vero?”

“VERO??”

“Sì, Sublime Eroe degli Dei, si sposerà.”

Godo sorrise gongolando: finalmente le cose cominciavano a girare nel verso giusto. Le due famiglie di cui Suzuki Honda era il rampollo si sarebbero imparentate a lui, sanando il deficit cronico delle finanze wutai e finalmente lui avrebbe potuto coronare i suoi due più grandi sogni: sistemare la figlia con un bravo ragazzo ricco e avere abbastanza soldi da restaurare la statua ciclopica di Da-Chao, aggiungendo il proprio busto sorridente a quello degli altri dei…

“Bene,” ricominciò infine, staccandosi dalle proprie fantasie, a parlare al telefono, “quando si celebrerà il matrimonio saprò dimostrare a te ed ai tuoi colleghi la mia generosità.”

“Grazie, o Sublime,” fu la risposta di Pong, subito seguita dal segnale che poneva termine alla comunicazione. Nuovamente giulivo, Godo tornò dai suoi monaci.

 

 

 

 

La piazza antistante al tempio di Wutai era gremita di gente: non solo c’era l’intera popolazione della capitale, ma anche molte persone provenienti dagli altri continenti si erano presentate per l’occasione. Dall’alto, sulla montagna, l’imperturbabile statua di Da-Chao guardava in basso con i suoi occhi enigmatici, e l’osservatore attento avrebbe creduto di scorgere sul volto di pietra un’espressione di intenso sollievo, come se la divinità fosse appena uscita da una terribile e faticosissima avventura.

Un assoluto sollievo si poteva leggere anche sui volti di Ping, Pang e Pong, finalmente rassettati e vestiti con la loro uniforme ufficiale da Samurai della Morte: dopo le prime ore di furia indomabile, l’Imperatore Godo aveva ritrattato le maledizioni, le condanne a morte e quelle alla gogna perpetua che aveva pronunciato verso di loro ed aveva con malcelata ira accettato di nuovo in famiglia Yuffie. Senza contare che si era trattenuto dallo scatenare Leviathan contro Vincent, il che faceva capire quanto quel giorno Godo fosse di buon umore.

Pong ancora non credeva che la missione fosse terminata con un successo. Se non fosse stato per quel capellone con gli occhi rossi di sarebbe preso anche una promozione, probabilmente, ma era felice anche solo di aver scampato le molte punizioni dovute al fatto di aver riportato Yuffie a casa non solo con un fidanzato, ma addirittura incinta.

Chi invece non sembrava affatto felice era la ragazza dal vestito verde che singhiozzava nelle prime file. Teneva sottobraccio un giovane ufficiale della WRO il quale, invece di preoccuparsi degli sguardi che gli uomini vicini lanciavano al generoso seno della sua accompagnatrice si limitava a guardarsi attorno nervoso.

“Ti prego, Shelke, calmati,” le diceva ogni tanto. “Non siamo ad un funerale!”

Ma… ma… ma lui è…” balbettava allora lei.

“Sì, è Vincent Valentine, l’eroe della WRO, che sta per sposarsi con l’erede al trono di Wutai. Non mi sembra nulla di così tragico!”

Dopo quelle parole, inevitabilmente, la ragazza scoppiava a piangere, calmandosi solo dopo un numero imprecisato di amorevoli pacche sulle spalle.

“Ma perché è dovuta venire anche lei?” esclamò sottovoce proprio Vincent Valentine dopo che l’ennesimo scoppio di lacrime della sua ex-collega molto emotiva l’ebbe distratto dal suo continuo andirivieni sotto al palco centrale. Subito Reeve lo afferrò al braccio metallico, costringendolo a fermarsi.

Perché non potevo lasciare a casa proprio lei, dopo aver invitato mezza WRO… E si può sapere per quale motivo ti sei messo questo dannato affare? Ed il mantello sbrindellato? Potevi cambiarlo vista l’occasione, no?”

A quelle parole Vincent abbassò lo sguardo sul proprio vestiario, che era esattamente identico a quello che indossava di solito, Cerberus compresa. “Cos’ha che non va questo vestito?”

Reeve scosse la testa, rassegnato. “Non fa niente…” disse, poi si voltò verso sua moglie che correva a perdifiato verso di lui.

Chole, tesoro, che succede?”

Chole frenò il chocobo che kuettì eccitato e scese con un unico, fluido movimento.

“Le orazioni alla statua di Da-Chao sono terminate,” comunicò la donna, ansimando. “Presto lei sarà qui!”

“Meno male,” commentò Vincent, stringendo convulsamente il calcio della pistola, come faceva sempre quando era nervoso. “Almeno questa gigantesca carnevalata[1] finirà presto.

Reeve e Chole lo fissarono con un sorriso comprensivo. “Ma la vuoi smettere di agitarti?” gli chiese il suo testimone. “Guarda che se continui così ti partirà un colpo dalla pistola…”

A quelle parole Vincent lo guardò di sottecchi. “Vogliamo parlare del tuo di matrimonio? Di quando mi hai pregato di mandare tutto a monte due ore prima che arrivasse Chole?”

“Ehm…” fece Reeve, evasivo, “forse hai ragione.

Kuééé…” fece il chocobo, con aria inquietantemente soddisfatta.

“Eh?” chiese Vincent, perplesso.

Choco, cosa c’è?” chiese Chole al pennuto.

“Avevo un grosso peso, poco fa,” tradusse quest’ultimo a beneficio esclusivo della sua padrona, “ma ora mi sento meglio…”

Subito lo sguardo della donna scese al tappeto intessuto di pietre preziose ed un violento rossore le invase il volto.

Che succede, amore?” chiese il marito, preoccupato, ma Vincent aveva già intuito la terribile verità. “No,” la supplicò, “non dirmi che è successo come al vostro matrimonio…”

Chole si girò verso di lui con aria colpevole, ma la macchia verdognola e dal pungente odore di erba gishal che risaltava sul tappeto rosso era più eloquente di mille parole.

Kuuéé…” kuettì di nuovo il chocobo.

“Per le corna di Ifrit!” esclamò Reeve, “di nuovo!”

Mentre Vincent stava contando fino a mille per evitare di trasformare Choco nel più grande pollo arrosto che si fosse mai visto a Wutai, il suo testimone prese in mano la situazione.

“D’accordo, niente panico,” disse con autorevolezza. “Chole, accompagna il tuo chocobo alle stalle reali. Barret, Cid, datemi una mano a pulire qui!”

I due proruppero in una serie irripetibile di imprecazioni, al punto da costringere alcune nobildonne di Wutai ad allontanarsi scandalizzate, ma non si mossero dai loro posti. Cloud stava per proporsi come volontario, ma un solo sguardo di Tifa, che sembrava voler dire “prova a sporcare il vestito che ti ho lavato ieri e conoscerai il vero significato della parola ‘astinenza’, tesoro”, lo immobilizzò. Alla fine fu Red XIII, di malavoglia, ad avanzare. “Non voglio nemmeno pensare a come farò ad aiutarti, Reeve,” disse arcigno, “ma il lavoro sporco qualcuno dovrà pur farlo…”

“Grazie, Reddy,” rispose il presidente della WRO, guadagnandosi uno sguardo infuriato dal felino-non-felino, per poi portare lo sguardo sugli altri invitati che conosceva. “Voialtri, per favore, cercate di sistemare questo casino…”

L’uomo dall’aria trasandata e con i lunghi capelli rossi strabuzzò gli occhi. “Noi? E che dovremmo fare?”

Reeve, che nonostante l’uniforme tirata in lucido non aveva esitato ad inginocchiarsi sul tappeto per pulire, scrollò le spalle. “Che ne so? Siete voi i Turks, inventatevi qualcosa!”

“Non si preoccupi signore!” esclamò una giovane ragazza bionda in uniforme da Turk, mettendosi in una strana posa. “Noi, i Turks, non esiteremmo a sacrificare la nostra vita e la nostra dignità per lei!”

“Oh, Levy[2],” commentò il rosso posandosi una mano sulla fronte, ma qualcuno accanto a lui lo fissava con un sogghigno.

“So già come fare,” aggiunse quest’ultimo, un robusto uomo calvo con gli occhiali scuri, “vero Reno?”

A quelle parole il Turk rosso lo guardò, visibilmente inquieto.

“Seicentouno, seicentodue,” continuò Vincent, imperterrito.

Pochi minuti dopo, sembrava che non fosse mai accaduto nulla al prezioso tappeto rosso tempestato di gioielli. Solo un osservatore attento si sarebbe accorto che la macchia scura che era rimasta dopo l’intervento di Reeve e Red XIII era coperta da un folto strato di capelli rossi, che si confondevano con le fibre circostanti. Nelle ultime file, il Turk calvo annuiva soddisfatto mentre teneva in mano un rasoio da barbiere ancora caldo.

“Novecentoventuno, novecentoventidue,” continuava a contare Vincent, gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore, apparentemente inconsapevole di ciò che lo circondava.

D’un tratto il brusio nervoso che animava il pubblico fu interrotto da un poderoso suono di gong.

“Attenzione, sudditi!” annunciò l’eunuco imperiale. “Ci benedice con la sua santa presenza l’Illustrissimo Signore degli Dei, il Padre della Virtù, il Prescelto di Da-Chao, il Pescatore delle Acque del Mondo, l’Araldo dei Diecimila Petali Bianchi, il Sommo Patrono del Pianeta, l’Ineffabile Divinità di Godo Kisaragi, Sublime Imperatore Celeste di Wutai!”

Dopo quell’interminabile presentazione, finalmente, Vincent riaprì gli occhi e scrutò attento il margine della piazza. L’aria fu invasa dal suono degli strumenti tipici wutai, che intonavano una delicata marcia nuziale.

Poi finalmente li vide che avevano appena girato l’angolo per entrare nella piazza.

L’Imperatore era altero come al solito, nel suo kimono dorato, con la sua alta tiara ingioiellata e la katana al fianco, ma gli occhi di tutti si posarono su colei che accompagnava, tenendola per un braccio.

Non sembrava una ventenne che fingeva di essere incinta.

Non sembrava una Ninja di Wutai col vizio di rubare tutti i materia che vedeva.

Ma soprattutto non sembrava Yuffie.

Forse era per il fatto che Vincent non l’aveva mai vista vestita da donna, ma stentava quasi a credere che fosse lei la persona sotto quel vistoso kimono bianco e rosso, stretto in vita da un obi lucente ed adornato con sottili strisce di seta su cui erano state scritte a mano le antiche benedizioni del suo popolo. Il volto era bianco per la cipria utilizzata, ad eccezione del rossetto che formava un piccolo cerchio rosso intenso sulle labbra e l’ombretto viola che le decorava gli occhi, ed era incorniciato da un elaborato copricapo bianco da cui pendevano sottili catenelle in argento e fili di perle naturali. Le decorazioni si innalzavano lungo il fusto del copricapo, intrecciandosi più volte fino a formare la figura di un drago serpentiforme che si attorcigliava attorno alla testa della ragazza, il corpo argenteo tempestato di lapislazzuli del colore del mare.

Vincent continuò a chiedersi se quella fosse veramente la sua Yuffie finché non incontrò i suoi occhi: in quel momento estrasse la lingua, assumendo un’espressione di buffa esasperazione che contrastava nettamente con la solennità del suo aspetto, e l’ex-Turk dovette faticare a trattenere un sorriso divertito: era davvero la sua Yuffie.

Quando la sposa e suo padre ebbero raggiunto il palco coperto dove lo sposo ed il suo testimone aspettavano, la musica si interruppe e su tutta la piazza, sull’intera città scese un silenzio di tomba. Godo, con espressione severa ed uno sguardo di ammonimento, lasciò andare il braccio di Yuffie e si portò dietro al piccolo altare approntato per l’occasione. Vincent colse rapido l’occasione per sfiorare una mano della ragazza, attirandone l’attenzione.

“Sei agitata?” chiese con un filo di voce quando ebbe incontrato i suoi profondi occhi blu-violetti.

“Da impazzire,” rispose lei sorridendo.

Godo si schiarì rumorosamente la voce, in modo da distogliere i due innamorati dai loro scambi di battute.

“Figli di Da-Chao,” esordì l’Imperatore ad alta voce, in modo da essere sentito per tutta la piazza. “Onorevoli ospiti. Siamo qui riuniti oggi, sotto lo sguardo benevolo del nostro Padre, per un’occasione irripetibile. In questo sacro giorno, mia figlia si consacrerà all’uomo che ama.

Yuffie e Vincent, trepidanti, chinarono il capo, mentre Shelke ricominciava a singhiozzare e Tifa stringeva spasmodicamente la spalla del fidanzato. Godo, dal canto suo, rimase in silenzio alcuni secondi, ripensando a quante cose erano passate da quando la sua piccola Yuffie se n’era andata di casa. Quello era l’ultimo momento in cui avrebbe potuto opporsi alla decisione di sua figlia e costringerla a sposare un partito migliore di uno straniero che si presentava di fronte a lui con un abito sbrindellato e senza una dote. Ma d’altronde gli era giunta solo il giorno prima che Suzuki Honda, il ragazzo che aveva scelto come futuro genero, aveva abbandonato la fortuna delle sue famiglie e si era dedicato ad una campagna itinerante per sensibilizzare l’opinione pubblica di fronte alla drammatica situazione dei molboro, mandando di fatto a monte un luminoso futuro come Samurai e Consorte Imperiale. Quindi, anche se avesse voluto interrompere il matrimonio, non avrebbe avuto un sostituto per Vincent.

Almeno questo tizio, lei lo ama,” pensò, per poi scrollare le spalle. In fondo, molto tempo prima, aveva avuto anche lui vent’anni.

“Lasciate che vi dica quanto questo giorno sia importante per me, e non solo come sovrano, ma come padre.

Per un attimo rimase in silenzio, tanto che la coppia di fidanzati lo guardò preoccupata, ma poi l’uomo scrollò di nuovo le spalle, stavolta più vigorosamente, ed uno stanco sorriso gli si dipinse sulle labbra. “Credo che abbiate già capito tutti come mi senta.”

Una lieve ed imbarazzata risata serpeggiò fra la folla a quella infrazione del protocollo, ma nessuno protestò: dopotutto la tradizione di Wutai era stabilita dall’Imperatore, e se lui aveva deciso di modificarla il popolo non avrebbe potuto fare altro che accettarla.

Tornato serio, Godo sollevò una mano ingioiellata. “Che s’avanzino gli anelli!”

Con passi felpati, Cait Sith caracollò verso il padiglione degli sposi, portando su un cuscino decorato due piccoli anelli d’argento. Su ciascuno di essi brillava una minuscola scheggia di materia, sufficientemente potente però da emettere un bagliore autonomo, senza il bisogno di riflettere la luce esterna. L’una era di un vivace colore rosso acceso, l’altra era accesa di una tenue luce bianca.

Non senza difficoltà il gatto meccanico depositò il cuscino con le fedi sull’altare, per poi defilarsi dietro a Reeve. Godo guardò il felino vagamente accigliato, ma lasciò correre e si rivolse a Vincent.

Vincent Valentine, sotto lo sguardo ed il giudizio sovrano di Da-Chao, accetti di prendere Yuffie Kisaragi come tua sposa, di proteggerla, di onorarla, di amarla finché non ritornerete al Pianeta?”

“Sì,” rispose l’uomo con decisione. Nella sua mano destra, quella sinistra della ragazza tremava.

Con un sospiro dettato dall’agitazione del momento, Godo si rivolse alla figlia.

“Yuffie Kisaragi, sotto lo sguardo ed il giudizio sovrano di Da-Chao, accetti di prendere Vincent Valentine come tuo sposo, di consigliarlo, di appoggiarlo, di amarlo finché non ritornerete al Pianeta?”

“Sì,” rispose Yuffie con voce tremante.

Godo diede in un altro sospiro, poi annuì. “Scambiatevi gli anelli.”

Vincent, quasi intontito, prese l’anello con la pietra rossa dal cuscino e lo infilò alla mano sinistra di Yuffie, dopodiché, quasi in lacrime per la gioia, la ragazza prese l’anello bianco e fece per inserirlo alla mano sinistra di Vincent, ma si fermò a causa del guanto metallico dell’uomo. Dopo un breve momento di imbarazzo e smarrimento, in cui l’ex-Turk, per la prima volta nella sua vita, era troppo stordito per sapere cosa fare, l’Imperatore tossì stringendo gli occhi in modo intimidatorio.

“Ah… s… scusami…” borbottò lo sposo, e cominciò a sciogliere le cinghie che fissavano il guanto di metallo. Quando finalmente fu riuscito a liberare la propria mano sinistra ed ebbe consegnato la protezione a Reeve, il quale stentava a trattenersi dal ridere, Yuffie riuscì, al terzo tentativo, ad infilare l’anello al dito giusto. Si tennero per mano ancora per un attimo, sorridendo frastornati, prima di tornare a rivolgersi all’Imperatore. Questi, suo malgrado, dovette asciugarsi una lacrima prima di concludere.

“Nel nome di Leviathan e di Da-Chao, vi dichiaro marito e moglie.

I due trattennero il fiato, quasi aspettandosi che succedesse qualche catastrofe improvvisa ad interrompere la cerimonia, ma non accadde nulla.

Vincent, puoi baciare mia figlia,” concluse Godo con un sospiro, modificando quell’ultima formula senza però che nessuno ci prestasse attenzione. Vincent e Yuffie non se lo fecero ripetere e finalmente si abbracciarono, scambiandosi un bacio appassionato e dolce come l’ambrosia. Mentre Godo distoglieva lo sguardo, visibilmente imbarazzato, la folla esplose in un unico grido di giubilo, unito ai fuochi d’artificio lanciati dalla montagna di Da-Chao ed al roboante applauso che percorse la piazza.

Dal suo posto in prima fila, Tifa stava piangendo senza freni, strattonando il braccio destro di Cloud.

“Tifa… calmati… mi fai male!” protestò quest’ultimo.

“Sposiamoci anche noi!!” disse per tutta risposta la donna.

Cloud la fissò come se avesse appena visto un molboro vestito da moguri declamargli i versi d’amore di Shake The Espire.

“Ehm…” tentò di rispondere lui. “Veramente io… non mi sento ancora pronto… cioè…”

Tifa non lo lasciò finire, ma lo tempestò di pugni, ben consapevole del fatto che in tutto quel bailamme nessuno avrebbe sentito i lamenti del suo ragazzo.

Ma neppure quel piccolo litigio poté rovinare quel giorno, un giorno di festa per tutta Wutai. Ma soprattutto per la sua Principessa e suo marito.

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]: Riferimento ad una antica festa Cetra, caratterizzata da grande solennità e costumi sgargianti.

[2]: Contrazione piuttosto irrispettosa del nome ‘Leviathan’.

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