Over the rainbow

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In salute e in malattia... ***
Capitolo 2: *** Il mistero della valigetta ***
Capitolo 3: *** Stagioni - Parte prima ***
Capitolo 4: *** Stagioni - Parte seconda ***
Capitolo 5: *** Stagioni - Parte terza ***
Capitolo 6: *** Di gelo e calore ***
Capitolo 7: *** SOMEWHERE OVER THE RAINBOW... ***



Capitolo 1
*** In salute e in malattia... ***


Questa storia è nata quasi come atto di ribellione: perché non esistono quasi per niente fanfiction su Maison Ikkoku se non in lingua straniera? Come mai Ranma e Inuyasha vantano sfilze di racconti dei generi più disparati e Maison Ikkoku no? E come mai la Takahashi, pur avendo concepito per l'unica volta nelle sue serie un finale vero e proprio, ha lasciato un vuoto tra il matrimonio di Kyoko e Godai e la nascita della loro primogenita? E dopo cosa è accaduto ai nostri eroi?

Insomma, mi sono avventurata in questo terreno pressoché inesplorato e ho riempito vuoti, aggiunto e inventato; il tutto con il valido supporto di due beta di eccezione, Kuno senpai e Tiger Eyes, le cui dritte e i cui consigli sono stati determinanti per la buona riuscita della storia.

Un grazie di cuore a loro due e a tutti coloro che vorranno leggere/criticare/commentare.

 

 

 

IN SALUTE E IN MALATTIA...

 

Stava sognando una tavola imbandita, stracolma di delizie come nel giorno del suo secondo matrimonio; poteva sentire persino gli odori del cibo e le voci dei commensali che chiacchieravano e ridevano.

 

Lei però non stava bene.

 

Avvertiva una sensazione di disagio giù nella gola, e si rendeva conto che la nausea stava minacciando di sopraffarla. Cominciò a camminare lungo il tavolo, tentando di non guardare verso tutte quelle pietanze che le davano il voltastomaco, tenendo una mano sulla bocca mentre gli occhi cominciavano a lacrimarle per lo sforzo di trattenersi.

 

"Kyoko, assaggia questo!". Suo marito le aveva appena messo sotto il naso qualcosa che sapeva di panna e cioccolato.

 

La classica goccia che faceva traboccare il vaso.

 

Ebbe appena il tempo di aprire gli occhi, riprendere lo stato di veglia e precipitarsi alla cieca verso il bagno. Solo dopo aver rimesso anche l'anima, china sul water con le mani agganciate alla ceramica fredda, realizzò che doveva aver calpestato qualcosa durante la sua corsa disperata.

 

Yusaku la guardava con gli occhi spalancati dall'entrata del bagno: "Stai bene?".

 

Solo un uomo poteva fare una domanda così stupida a una donna in quelle condizioni miserevoli.

 

Da quando sono così dura nelle mie considerazioni?, si domandò frustrata, rialzandosi e aprendo il rubinetto per bagnarsi la faccia con l'acqua fresca.

 

"Non... non è niente, forse ho solo mangiato qualcosa che mi ha fatto male". Ricordò con disgusto il sogno da cui si era appena destata e si domandò se avrebbe avuto un altro conato.

 

"Ma come è possibile, tu cucini così bene! E poi io sto benissimo; non è che sei ammalata, piuttosto?". Dopo il contatto con l'acqua fresca sul viso accaldato, la sensazione di suo marito che le poneva la mano tiepida sulla fronte fu meravigliosa. Si rilassò al suo tocco, desiderando che rimanesse così per sempre.

 

"Febbre non ne hai, ma sarebbe meglio che ti riguardassi per oggi, magari hai contratto un virus...".

 

"Oppure sei incinta!".

 

"Ichinose-san!". Non poteva credere che quell'impicciona fosse stata per tutto il tempo dietro la porta del bagno a origliare. Anzi, a ben pensarci era una cosa normalissima per lei.

 

"Una donna che vomita la mattina presto non può che essere incinta", sentenziò annuendo seria.

 

"Sì, lo penso anch'io". Ci mancava solo Yotsuya a sparare sentenze. "Una volta ho letto, su un libro di medicina...".

 

"E da quando leggi libri di medicina, tu?!". Sorrise a suo marito: aveva fatto la domanda giusta. Ora però voleva solo stendersi, la testa le girava e aveva l'impressione che Yusaku avesse sussultato impercettibilmente alla parola 'incinta'.

 

"Ora basta, per favore, vorrei tornare a letto se non vi dispiace". Si appoggiò a suo marito perchè non si fidava delle proprie gambe e immediatamente attirò su di sé gli sguardi indagatori degli inquilini.

 

"Ho anche letto - continuò imperterrito Yotsuya - che uno dei sintomi è l'aumento del desiderio sessuale, per via degli ormoni che...".

 

Se Godai si era irrigidito e rischiava di andare a fuoco a quelle parole, lei stessa si sentì avvampare: "Non ho un aumento del desiderio sessuale!", gridò prima di rendersi conto di ciò che era appena echeggiato tra le piastrelle del piccolo bagno. Chinò la testa e bisbigliò: "Voglio solo riposare".

 

Nessuno disse più una parola: che fosse per la sua esplosione di poco prima o per mancanza di argomenti, ne fu grata ai suoi intraprendenti affittuari. Si appoggiò al braccio del marito e si lasciò accompagnare nella loro camera. Per fare congetture sul suo malessere c'era tempo, ora voleva solo dormire.

 

                                                                       ***

 

"Mi dispiace, temo di averti calpestato mentre correvo in bagno".

 

"Ahahahah, non ti preoccupare, l'unica cosa a cui pensavo era se tu stessi bene; non ti ho mai vista in quelle condizioni".

 

"Già".

 

Dannazione, possibile che anche dopo averla sposata si sentisse così impacciato a parlare con Kyoko? Se davvero c'era la possibilità che lei fosse incinta, allora aveva il diritto di saperlo! Si grattò la testa, indeciso su da farsi.

 

"Se... senti Kyoko-san, non è che tu... come dire... ecco...". Niente da fare, era il solito imbranato. Sua nonna avrebbe certamente riso di lui e poi l'avrebbe sgridato come se fosse ancora un bimbetto delle elementari. Se la vedeva, china in un angolo che lo guardava in cagnesco e gli dava dell'imbecille.

 

Basta, doveva essere un vero uomo e parlare chiaro!

 

"Kyoko-san! - esclamò a bassa voce guardando verso la finestra - sei per caso... incinta?".

 

Gli rispose il silenzio e si domandò se non fosse stato un po' brusco: d'altronde era un argomento delicato e andava affrontato con gioia e serenità.

 

"Ca... capisco che tu ti senta un po' spaventata da questo ma... ti giuro che se fosse così io cercherò di fare del mio meglio sul lavoro. Farò gli straordinari e chiederò un aumento, così tu potrai startene a casa a riposo. E poi... cercheremo una casa tutta per noi...". Le aveva parlato col cuore in mano, superando finalmente lo scoglio dell'insicurezza che ancora lo sopraffaceva di tanto in tanto. Avere un figlio era una grossa responsabilità, ma in fin dei conti erano sposati, no? Avrebbero affrontato la cosa insieme e, come aveva dichiarato il giorno in cui l'aveva sposata, con lei avrebbe scalato qualsiasi montagna. Era orgoglioso di averle parlato con tanta serietà, finalmente le stava dimostrando di essere maturato ancora!

 

Non capiva, però, perchè Kyoko non gli rispondesse. Aveva forse sbagliato a parlare di lavoro? Magari lei non aveva pensato alle loro difficoltà economiche e quel discorso l'aveva turbata. Dannazione, non ne faceva una giusta!

 

"Kyoko-san, mi dispiace, io non volevo dire...". Rimase congelato nel momento stesso in cui si voltò e la trovò profondamente addormentata nel futon.

 

Ho... ho parlato da solo?

 

Sorrise di se stesso e rimase per qualche istante a contemplare sua moglie che dormiva serenamente. Un'occhiata all'orologio gli indicò che era tardi e doveva sbrigarsi se voleva arrivare per tempo all'asilo; tolse l'allarme alla sveglia che sarebbe suonata di lì a qualche minuto e rimboccò le coperte a Kyoko, domandandosi ancora una volta come avesse fatto quell'angelo caduto dal cielo a scegliere proprio un imbranato come lui.

 

"Farò sempre del mio meglio, Kyoko-san...", mormorò carezzandole i capelli via dalla fronte leggermente sudata. La baciò piano e uscì dalla stanza ripromettendosi che l'avrebbe chiamata verso l'ora di pranzo per sapere come stava.

 

                                                                       ***

 

Si sentiva uno straccio.

 

Persino le grida di Ichinose da dietro la porta del bagno le martellavano in testa come una motosega. Si portò le mani alle tempie e respirò a fondo prima di rispondere: "Sì, va tutto bene! Ora esco".

 

Era la terza volta, quella mattina, e francamente era stufa di vedere in continuazione il fondo del water. Per non parlare dei puntini neri che le danzavano davanti agli occhi ogni volta che camminava.

 

Sì, doveva preoccuparsi seriamente: avrebbe visto un dottore, e poi...

 

"Tieni, usa questo". Ichinose le aveva appena messo sotto al naso una scatolina rettangolare. Ma quando diavolo era entrata?!

 

"Che... che cos'è?", domandò temendo la risposta.

 

"Un test di gravidanza, naturalmente. Lo tenevo di scorta nella mia stanza ma credo che ormai io non ne abbia più bisogno!". Si lasciò andare a una grassa ristata mentre Kyoko avvertiva una serie di gocce di sudore inumidirle il viso: come poteva parlare con tanta disinvoltura di una cosa così personale?

 

"Gra... grazie ma non credo di averne bisogno". Con un brivido, si accorse che invece era curiosa di provarlo. Non ci furono problemi nonostante il suo diniego, tuttavia, perché la coinquilina le sbatté in mano la scatola senza tante cerimonie.

 

"Smettila di fare la bambina e ricordati che devi provarlo a digiuno".

 

Già, come se avessi intenzione di abbuffarmi, stamattina!

 

Kyoko abbassò lo sguardo verso la confezione rosa, sentendosi bramosa eppure spaventata allo stesso tempo da un oggetto così piccolo.

 

"Sai come si usa, vero?". Sobbalzò con tale violenza che il test le saltò via dalle mani come se avesse vita propria; lo riacchiappò per puro miracolo e si voltò a guardare in cagnesco la donna più anziana.

 

"Certo che so come si usa!", disse piccata.

 

"Va bene, va bene, non c'è bisogno di prendersela! Hai già gli ormoni in subbuglio, eh? Eheheheeheh!". Ridacchiava senza ritegno quando uscì dal bagno, ma finalmente Kyoko poté rilassarsi. Guardò ancora una volta la scatola tra le sue mani e si chiese dove mai avrebbe trovato il coraggio di usarla.

 

                                                                       ***

 

"E vola, vola, vola!". Godai agganciò fermamente il corpicino della bambina sotto le ascelle e la fece girare in tondo per qualche secondo; la piccola rideva con le braccia spalancate, con l'abbandono e la fiducia che solo a quell'età si potevano avere.

 

Lavorare con i bambini era meraviglioso e si stupiva di essersene accorto solo per caso, da qualche anno: con il suo spirito romantico e sentimentale, spesso tra le nuvole, i bimbi erano gli esseri più affini al suo modo di vedere la vita.

 

"Anche io vola vola, anche io!". Si chinò per far scendere la riluttante bambina e afferrò il maschietto moro che gli tirava con insistenza i pantaloni.

 

"Allacciamo le cinture! Accendiamo i motori eeeeee... viaaa!". Il sole giocava con i riflessi blu notte sul caschetto del piccolo e la sua mente andò ai lunghi capelli di Kyoko.

 

Chissà se nostro figlio avrebbe gli stessi capelli.

 

"Direttore, mi gira la testa!".

 

Potrebbe essere un bel maschietto come quello che sto tenendo ora fra le braccia o una femminuccia come quella che sta insistendo per fare a cambio tirandomi la maglietta.

 

"Direttore basta!".

 

Preferirei più una femminuccia, che somigliasse a Kyoko possibilmente ma magari che prendesse da me almeno il colore degli occhi...

 

"DIRETTORE!". Si accorse che il bambino strillava tra le sue braccia e si bloccò di scatto.

 

"Oh... oh, scusami Akihiko, ti metto giù subito". Il piccolo barcollò per qualche istante e sedette su un'altalena.

 

Idiota, mi sono perso di nuovo nei miei pensieri come uno scemo...

 

"Direttore, perché ridevi tanto prima?". Guardò la bambina con i codini e avvampò.

 

"Stavo... ridendo?". La bimba annuì e Godai si sentì ancora più stupido: meno male che non aveva mollato la presa sul piccolo mentre era in trance! Doveva assolutamente fare qualcosa per questo problema. A cominciare da una telefonata: voleva sapere come stava sua moglie.

 

                                                                       ***

 

"Voi dite che rimarrà a guardarlo ancora a lungo?", domandò Akemi, accorsa dal Chachamaru non appena avuta la notizia che Kyoko stava per fare un test di gravidanza.

 

"Mah, non saprei: il fatto che si sia dimenticata di chiudersi nella sua stanza e che non si sia ancora accorta di noi mi fa pensare che sia veramente molto presa", rispose Yotsuya aprendosi un'altra birra.

 

Devo decidere cosa fare della mia valigetta, si sorprese a pensare.

 

"Per me ha il terrore di sapere che è incinta perché il marito non guadagna ancora abbastanza da portarla in una casa decente". Dichiarò Ichinose prima di scolare metà della sua lattina con un sorso.

 

L'uomo annuì: "Nonostante sia direttore dell'asilo da quasi un anno non gli hanno ancora dato un aumento. Quel ragazzo è sempre così dannatamente lento...".

 

Lo squillo del telefono echeggiò dietro di loro ma nessuno si affannò a muoversi per rispondere: erano tutti ipnotizzati dalla schiena dell'amministratrice china a fissare la scatoletta rosa come se contenesse la verità del mondo.

 

"Finché non la apre e non usa quello che c'è dentro non saprà mai l'esito, che cosa aspetta?", borbottò Akemi poggiando la testa su una mano, evidentemente annoiata.

 

"Qualcuno dovrebbe rispondere al telefono", disse Ichinose senza muoversi di un centimetro.

 

"Già", gli fece eco Yotsuya.

 

La valigetta, devo capire cosa fare della valigetta. E di tutte quelle altre cose... non posso tenerle per sempre in camera mia, ma non posso nemmeno usarle visto quello che mi frutterebbero. Beh, forse una parte potrei...

 

"Si è mossa!".

 

"No, era solo uno starnuto".

 

"Ah, è vero...".

 

Bah, ho tempo per pensarci: nessuna di quelle bustine andrà a male. Ora voglio solo scoprire se l'amministratrice si deciderà a fare quel maledetto test di gravidanza o no.

 

                                                                       ***

 

Non risponde. Che si sia sentita male improvvisamente e sia corsa in ospedale? E tutti gli altri dove sono, nessuno è rimasto a Casa Ikkoku? Forse sono già tutti ubriachi fradici e non si sono accorti di nulla... Forse Kyoko giace svenuta nella sua stanza e nessuno lo sa...

 

"Ah, basta con queste congetture tragiche!", esclamò tentando di riscuotersi da quei pensieri funesti. Un crampo allo stomaco lo indusse a pensare che forse doveva mettere qualcosa sotto i denti. Non aveva fame, in realtà, tuttavia decise di andare alla macchinetta che distribuiva merende a prendersi qualcosa per pranzo: quella mattina Kyoko era stata troppo male per prepararglielo.

 

Inserì gli yen e guardò attraverso il vetro: non lo attiravano né la cioccolata, né i panini salati. La preoccupazione per sua moglie gli stava letteralmente torcendo le budella. Spinse il pulsante della restituzione e rimise i soldi in tasca, poi provò di nuovo a telefonare. Niente.

 

"Direttore, possiamo giocare con le formine colorate?".

 

"Eh? Oh, certo Aya-chan, le vado subito a prendere!".

 

"Perchè stai sudando, direttore? Hai caldo?".

 

"Cosa?". Godai si passò una mano sulla fronte e si accorse che la bambina aveva ragione: stava sudando freddo. Evidentemente era così in pena per Kyoko che stava somatizzando la sua ansia.

 

"Non è niente, Aya-chan, andiamo a giocare con gli altri bambini".

 

Sarebbe tornato a casa prima, sissignore, si sarebbe preso un permesso per accudire sua moglie malata. Dopotutto era il direttore.

 

                                                                       ***

 

Era stato difficile decidere di aprire quella scatoletta e andare in bagno a provare il test che conteneva; soprattutto era stato difficile chiudere i suoi assillanti coinquilini fuori dal bagno. Li immaginava tutti lì fuori, con le loro birre, a origliare qualsiasi suo movimento e si sentì a disagio.

 

"Non si può mai avere un po' di privacy, qui!", borbottò sfilando la bustina dalla scatola. L'aprì strappando un lembo di lato e ne uscì quello che a prima vista sembrava proprio un termometro, non fosse stato per la finestrella bianca che doveva indicarle il risultato. Si mise a leggere attentamente le istruzioni.

 

"La prima linea rivelatrice vi indicherà che il test è stato effettuato correttamente. Se dopo qualche minuto ne compare una seconda, allora...". Represse un brivido.

 

Un bambino. Un bambino suo e di Yusaku...

 

Il signor Otonashi le aveva detto di prendere da quel matrimonio ciò che non aveva potuto avere da quello con Soichiro. E un bambino rientrava nei suoi più fervidi desideri; aveva sognato tante volte di rimanere incinta, durante il breve periodo in cui era stata sposata con il suo primo marito, ma evidentemente il karma aveva altri progetti. Forse i Kami sapevano che la loro sarebbe stata una felicità di breve durata, che suo figlio sarebbe dovuto nascere dall'unione tra lei e un ronin entrato nella sua vita e diventato uomo sotto i propri occhi.

 

Sorrise.

 

Nonostante avesse solo due anni meno di lei, Godai era sempre stato abbastanza immaturo, o forse era lei ad essere maturata in fretta quando aveva dovuto fronteggiare la morte così precoce di Soichiro. Si era sentita molto materna nei confronti del ragazzo, inizialmente, ma con il passare del tempo si era resa conto che ogni suo sforzo, per laurearsi prima e per trovare un lavoro poi, era finalizzato alla possibilità di chiedere la sua mano. Quell'amore incondizionato che provava nei suoi confronti l'aveva lusingata e ben presto si era resa conto di sentirsi attratta da quello che era uno spirito un po' infantile ma infinitamente battagliero. Molte volte aveva dubitato, a torto o a ragione, di lui e man mano che le diventava più caro sviluppava una partecipazione sempre maggiore alle sue sconfitte o alle sue vittorie. Ora si rendeva conto che Mitaka-san non era altro che una scappatoia dal futuro così incerto che poteva avere con Godai: nel momento di scegliere tra uno dei due, la sera in cui il suo allenatore di tennis l'aveva portata lontana da casa dichiarando di aver prenotato una stanza, il suo cuore non aveva avuto dubbi. Quale che fosse stato l'avvenire, era chiaro che era innamorata dell'uomo più squattrinato e indeciso, ma era altrettanto certa che con lui sarebbe stata felice.

 

Infatti lo era, anche ora che stava chiusa in quel bagno a trepidare per la risposta del test di gravidanza. Anche se avessero dovuto rimanere in quella piccola stanzetta accanto a un'orda di vicini curiosi. Anche se avessero vissuto a casa Ikkoku in eterno.

 

Kyoko Godai era una donna felice e lo sarebbe stata per sempre.

 

                                                                       ***

 

Sbadigliò, chiedendosi come mai suo marito non l'avesse ancora cercata per dirle di tornare al locale, dannazione, c'erano i clienti e aveva bisogno di aiuto! Per quanto la riguardava, Akemi era troppo attratta dalla strana situazione che le si stava parando davanti agli occhi per farsi altre domande o preoccuparsi di venire contagiata da un virus.

 

"Tesoro, hai bisogno di una mano?". Kyoko si era affacciata dalla sua camera stringendosi attorno una coperta di lana, rabbrividendo per la febbre.

 

"No, cara, ce la faccio da s... bluuuurghh!".

 

"Bleah, mi chiedo come si possa festeggiare mentre Godai si vomita l'anima in bagno", domandò a nessuno in particolare.

 

"Potrebbe almeno essere più silenzioso!", esclamò Ichinose alle sue spalle; il rumore metallico che udì subito dopo le indicò che si era aperta una birra.

 

"Ehi, danne un po' anche a me!", si fece largo Yotsuya.

 

"Prima le signore!", blaterò dando una gomitata al suo ex vicino.

 

"Se non vi sta bene quello che sta accadendo qui, potete andare di sopra a... ugh!".

 

Akemi guardò in aria: bene, ora anche l'amministratrice ricominciava con i conati. La vide correre, curva come una vecchietta, nel bagno dove il marito non stava messo meglio e si domandò se essere sposati significasse condividere anche momenti stomachevoli come quello.

 

"Per quel che mi riguarda, se mio marito si prende un virus così assurdo può stare solo anche una settimana", commentò sorseggiando la birra. "C'è mica del sakè?".

 

"Sì, nella mia camera. EHI, KENTARO!". L'urlo di Ichinose non riuscì a coprire i versi raggelanti che provenivano dal bagno.

 

Se continuano così potrei vomitare anch'io...

 

"Che c'è, mamma?!". Il ragazzino era evidentemente contrariato.

 

"Portaci il sakè!".

 

"Ma mamma, sto facendo i compiti!".

 

"Non fare il bravo studente quando ti chiedo i favori, non ti crede nessuno!", esclamò la donna sbottando in una fragorosa risata.

 

Con la coda dell'occhio vide Yotsuya giocherellare con qualcosa e si girò a chiedergli cosa fosse, prima di riconoscerlo lei stessa: era il test di gravidanza che aveva fatto Kyoko quel pomeriggio.

 

Negativo.

 

"E quello quando l'hai preso?", domandò strappandoglielo dalle mani per guardarlo lei stessa, quasi potesse comparire una seconda tacca che nessuno aveva ancora visto.

 

"L'ho preso prima, quando Kyoko ha accolto in casa il suo maritino verdognolo", rispose tranquillamente riprendendosi il maltolto, neanche fosse una preziosa reliquia.

 

Ridacchiò: era stato esilarante vedere Godai tornare proprio nel momento in cui Kyoko annunciava che il test era negativo, guardarla stralunato come se la notizia l'avesse sconvolto, poi impallidire e soffocare un conato precipitandosi in bagno. Tra una corsa e l'altra, aveva spiegato loro che stava girando una forma di gastroenterite particolarmente virulenta tra i bambini dell'asilo e che probabilmente lui ne era stato portatore sano. Fino a quel momento.

"Bisogna sempre vaccinarsi contro i malanni stagionali", aveva detto Ichinose rimproverando i due padroni di casa che avevano rifiutato categoricamente di fare una cosa così stupida, anche perchè, a loro detta, poteva 'danneggiare il bambino in caso di gravidanza'.

E così, invece che con una gravidanza, ora si trovavano ad avere a che fare con una serie di montagne russe gastriche. Si sarebbero divertiti ancor meno quando la malattia fosse passata alle viscere.

 

"Credo che sia il caso di spostarci davvero al piano di sopra, in caso il virus dovesse diventare più grave", borbottò grattandosi la testa. "Andiamo da te, Yotsuya?".

 

"No". L'uomo era imperturbabile come sempre, ma il suo diniego la stupì. "Tu non devi tornare al Chachamaru?".

 

"Mio marito non mi ha ancora chiamata".

 

"Perché mai dovrebbe chiamarti? Si aspetta che tu torni a casa, no?".

 

"E a te cosa te ne importa?".

 

Ichinose, che era rimasta a fissarli per tutto il tempo, si sporse verso il coinquilino, guardandolo attentamente: "Hai qualcosa da nascondere". Era un'affermazione, non una domanda.

 

Yotsuya scattò in piedi come un pupazzo a molla e si avviò in direzione delle scale. "Vado a dormire, buonanotte".

 

"Ehi, ma dove vai?! Allora è vero che hai un segreto!", gli urlò dietro Ichinose.

 

"No, è che ho paura di prendere il virus da quei due testoni", rispose senza fermarsi.

 

"Ma se hai fatto la vaccinazione!", ribatté Akemi, perplessa.

 

"Ricordate che c'è una percentuale di insuccesso. Fossi in voi mi toglierei da lì, è zona altamente virulenta! Altamente. Virulenta". Le ultime due parole riecheggiarono allontanandosi con lui per le scale, come se fosse soprappensiero mentre le pronunciava.

 

Akemi guardò l'amica e fece spallucce; l'ultimo verso, così gutturale che non capì a chi dei due sprovveduti appartenesse, la indusse ad alzarsi in piedi: "Beh, magari ha ragione, meglio togliersi da qui". Si stiracchiò e seguì Ichinose che la invitava, con un gesto, a continuare a bere in camera sua. Kentaro non sarebbe stato per niente d'accordo, ma in quanto minorenne non poteva che obbedire alla madre e accettare la loro strana festicciola a due.

 

Dal canto suo, non poteva fare a meno di sentirsi convinta che Yotsuya nascondesse qualcosa in camera ed era più che determinata a scoprirlo. 

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Capitolo 2
*** Il mistero della valigetta ***


IL MISTERO DELLA VALIGETTA

Il vento faceva ondeggiare le lenzuola che stava stendendo e le scompigliava i capelli. Aspirò profondamente l'aria che sapeva ancora di pioggia e in quel momento il sole fece capolino dalle nubi costringendola a schermarsi gli occhi.

"Ah, che bella giornata! Non sei d'accordo anche tu?", domandò accarezzandosi il ventre prominente.

Chissà se sei maschietto o femminuccia e chissà quando ti deciderai a darmi il primo calcetto...

Ridacchiò all'idea della sua pancia che si deformava sotto la spinta di un piedino: che faccia avrebbe fatto Yusaku? E lei cosa avrebbe sentito? Sarebbe stato doloroso o semplicemente le avrebbe fatto il solletico?

"Ehi, Kyoko!". Il vocione di Ichinose interruppe i suoi pensieri piacevoli e la riportò con i piedi a terra: era di nuovo l'amministratrice di Casa Ikkoku e per il momento non potevano ancora permettersi un appartamento. Ma d'altronde lei era felice anche così, no?

Alzò la testa per guardare l'inquilina affacciata alla finestra del piano superiore: "Buongiorno Ichinose, non è una bellissima giornata?".

"Sì, sì, ma adesso sali, c'è qualcosa che non va nella stanza di Yotsuya!". Il suo umile tentativo di indurre una conversazione leggera aveva miseramente fallito. Problemi in vista, probabilmente. E cosa ci faceva quella ficcanaso in una stanza che doveva essere chiusa a chiave? Per un attimo desiderò che suo marito fosse lì con lei e le parve assurdo: se l'era sempre cavata da sola ma da quando era sposata con Godai non poteva fare a meno di lui nemmeno per un momento. E lui in quel momento era al lavoro, naturalmente.

"Ma...". La donna era già scomparsa all'interno, non lasciandole altra scelta che salire la rampa di scale per raggiungerla. Fece i gradini con una certa fatica e si chiese come avrebbe fatto quando il pancione fosse stato di dimensioni ben più importanti.

Ichinose era per metà sporta nella stanza numero quattro: quella che doveva essere chiusa a chiave. "Mi dici come hai fatto a entrare?", domandò contrariata.

La coinquilina sorrise sorniona prima di mostrarle una forcina che aveva nei capelli.

"Ichinose!".

"Ah, smettila di fare la moralista e vieni a vedere!", sbottò scomparendo nella stanza. Kyoko la seguì con un sospiro, chiedendosi cosa potesse esserci di tanto strano nella camera di quello svitato di Yotsuya.

Sacchetti di polvere bianca. Sparsi ovunque. Alcuni si erano aperti lasciando uscire il contenuto; altri erano pieni di una polvere di colore verde-marrone.

Kyoko deglutì rumorosamente. Possibile che...

"E non è tutto. Ho notato che manca anche la sua ventiquattrore!", esclamò Ichinose gesticolando concitata.

"Insomma, è normale che la valigetta non ci sia, no? Stamattina ha detto che partiva per un viaggio di lavoro, l'avrà portata con sé!".

La donna chiuse gli occhi e si accese una sigaretta, annuendo con aria grave: "Un uomo parte in fretta e furia con una valigetta piena di bustine di polvere bianca dicendo che ha un lavoro urgente. Non ti sembra strano?".

"Ma non sappiamo se ne ha portate...", tentò, ma gli occhi dell'inquilina si piantarono sui propri come due coltelli affilati, mettendola a disagio. Molto a disagio. No, non poteva essere. Yotsuya era un uomo misterioso e un po' folle ma lo conosceva da anni e non credeva fosse quel tipo di persona.

"Inoltre non abbiamo mai capito che lavoro faccia e lui si è sempre rifiutato di dircelo".

L'ultima frase di quell'impicciona non fece altro che affondarla ancora di più in un mare di dubbi. Tentava con tutte le sue forze di non cedere al panico ma, naturalmente, il ragionamento di Ichinose non faceva una piega.

"Pensa se - continuò imperterrita, prendendo una boccata dalla sigaretta - per tutti questi anni ti avesse pagato l'affitto con soldi sporchi". Anche se non avesse usato tutta quell'enfasi, a Kyoko sarebbe comunque crollato il mondo addosso dopo aver realizzato quella consapevolezza: il cuore le mancò un battito e s'impose di calmarsi per il bene del bimbo che portava in grembo.

Ma Ichinose non aveva intenzione di porre fine a quella tortura e aggiunse con aria tragica: "Potrebbe addirittura lavorare per la Yakuza".

Un macigno le piombò direttamente sulla testa e Kyoko si chiese se avrebbe retto a una simile verità. "Adesso basta, Ichinose! Non possiamo fare tutte queste... elucubrazioni mentali!", esclamò in cerca del termine adatto. "Ora usciamo da questa stanza e quando ritornerà Yotsuya-san chiederemo spiegazioni a lui!". Detto questo, le voltò la schiena e camminò fino alla soglia, dove venne raggiunta dall'odore della sigaretta. "E per favore non fumare in mia presenza, non lo sai che fa male al bambino?".

"Ti dico solo un'ultima cosa." Ichinose fece una pausa ad effetto e a Kyoko venne l'insano desiderio di strozzarla seduta stante. "Se le cose stanno così, Yotsuya potrebbe anche non tornare".

                                                                                              ***

Godai correva verso casa, domandandosi cosa diamine fosse accaduto. Kyoko, solitamente così seria e controllata, gli aveva telefonato in preda all'agitazione parlando di strani sacchetti nella stanza di Yotsuya e di Yakuza; aveva blaterato qualcosa sul fatto di essere l'amministratrice e quindi responsabile dei suoi inquilini e poi lo aveva pregato di tornare a casa al più presto. Per quel che ne sapeva, il suo ex vicino di stanza era partito quella mattina molto presto, addirittura prima che lui uscisse per andare al lavoro: cosa c'entrava, poi, con la Yakuza? Il pensiero che quell'idiota si fosse ficcato in qualche guaio destabilizzando la serenità di sua moglie incinta lo faceva fumare di rabbia.

Arrivò a Casa Ikkoku con il fiatone ed ebbe appena il tempo di chiedere lumi che venne trascinato letteralmente al piano di sopra da una concitata Ichinose; Kyoko era ferma davanti alla stanza numero quattro e teneva in mano un foglio spiegazzato. Glielo porse con aria seria: "Dobbiamo andare. Potremmo essere indagati anche noi, senza contare che lui potrebbe trovarsi in pericolo".

La guardò stralunato. "Ma di che diavolo stai parlando?! Io non...". Kyoko lo afferrò per un braccio, inducendolo a guardare nella stanza. Sentì la mascella allentarsi e cadergli letteralmente dalla faccia: fortuna che c'era l'articolazione a tenergliela attaccata alla testa, o non si sarebbe stupito di vederla rotolare allegramente ai suoi piedi.

Sacchetti di... di...

"Ma... ma non possiamo essere sicuri che sia quello che pensiamo, no?", balbettò in un ultimo tentativo di ripristinare una parvenza di normalità in quell'assurda faccenda. "E poi quale mafioso degno di tale nome lascerebbe tutta la merce sparpagliata per la stanza alla mercé di tutti?!".

Ichinose e Kyoko si limitarono a fissarlo con aria grave, poi la donna più bassa tirò fuori dalla tasca l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere. "Abbiamo trovato anche questa in un cassetto".

Con uno squittio spaventato e tutt'altro che virile, Godai incespicò all'indietro trascinando con sé sua moglie, nel tentativo di allontanarla il più possibile da un tale abominio.

"Ehi, che ti prende? Non sappiamo nemmeno se è carica!", disse maneggiando la rivoltella come se fosse un pacchetto di chewing-gum.

"Proprio per questo non... non agitarla così!".

"Ichinose, ti avevo detto di metterla via, potrebbe essere pericoloso!". Meno male che Kyoko non aveva perso del tutto la ragione, ma era pallida e seria e questo non andava bene.

"D'accordo, andrò io a vedere cosa sta combinando e se sarà necessario... chiamerò la polizia", sentenziò ostentando un coraggio che non aveva affatto.

"No!", esclamarono all'unisono le due donne.

Le fissò stupito: per ficcanaso che fosse, Ichinose non poteva certo immischiarsi in una cosa del genere, e Kyoko poi...

"Non se ne parla nemmeno! Aspetti un bambino, non permetterò che tu e nostro figlio siate coinvolti in una questione così rischiosa!". L'espressione decisa di sua moglie non lo sorprese più di tanto e si ritrovò a pregare che cambiasse idea anche se, testarda com'era, la cosa era alquanto improbabile.

"Che io lo voglia o no sono l'amministratrice di questo condominio, te l'ho già detto. E continuerò a occuparmi dei miei inquilini fintanto che sono sotto la mia responsabilità!". Godai la guardò fisso per qualche secondo, cercando di controllarsi e di trasmetterle tutte le emozioni che traboccavano da lui in quel momento. Terrore. Preoccupazione. Senso d'impotenza.

"C'è... c'è qualcosa che posso fare per impedirti di venire con me?", le domandò senza smettere di guardarla. L'espressione di Kyoko si ammorbidì un poco e un lieve sorriso le affiorò sulle labbra.

"No. Ma non preoccuparti. Non correremo rischi inutili. Voglio solo parlare al più presto con Yotsuya-san e farmi spiegare come stanno le cose. Se necessario chiameremo la polizia". Quella era la Kyoko che conosceva, decisa a perseguire la verità ma con i piedi ben piantati per terra.

"È deciso, allora, vado a chiamare Akemi!", dichiarò Ichinose dirigendosi verso il telefono e strappandolo ai suoi pensieri.

"Akemi?! Ma cosa c'entra lei?". Domanda stupida: se dovevano ficcarsi nei guai, lo avrebbero fatto come al solito tutti insieme, come era loro usanza da sempre.

"Vado a preparare una borsa con dei vestiti, sarà meglio partire leggeri". Kyoko si stava già allontanando e fu allora che Godai si ricordò del foglio che aveva in mano e che ormai era tutto stropicciato.

"Ehi, qui c'è il numero di telefono di dove alloggia, potremmo semplicemente chiamarlo!". Si aggrappò a quella flebile speranza ben sapendo che sarebbe stata subito stroncata.

Infatti, mentre componeva il numero del Chachamaru, Ichinose strillò: "Ci abbiamo già provato ma il padrone ci ha detto che lì non alloggia alcun Yotsuya!".

Appunto.

Abbassò lo sguardo sulla nota e vide che l'uomo aveva scribacchiato gli orari del treno che portava a Fuji Hakone, a circa un'ora e mezza da lì, e il nome di una locanda situata a Miyanoshita, con tanto di numero telefonico.

"Quindi è qui che siamo diretti", mormorò infilandosi il foglio in tasca e richiudendo la stanza che, evidentemente, era stata già ben controllata da Ichinose e Kyoko.

Sarebbe stato un lungo viaggio. E non in termini di tempo.

                                                                                              ***

"Io ho portato anche il costume da bagno! So che lì ci sono le terme e non voglio farmele sfuggire!", trillò allegramente Akemi facendole pulsare un nervo sulla fronte.

"Guarda che non siamo in viaggio di piacere!", la rimbeccò Kyoko stringendo la stoffa della gonna con tanta forza che le si sbiancarono le nocche. Aveva paura, era inutile negarlo. Yotsuya si era ficcato in un mare di guai se le cose stavano come aveva immaginato e avrebbe rischiato di trascinare anche loro nel baratro. Quella pistola poi... già si vedeva i titoli sui giornali: 'Amministratrice di una pensione e inquilini indagati per favoreggiamento del mafioso Yotsuya'. Rabbrividì e il braccio di suo marito la strinse protettivo.

"Tutto bene, cara?".

"Sì", mentì in un bisbiglio. Le pareva di rivivere il dejà-vu del loro viaggio a Nigata, qualche anno prima, quando Yusaku la stava portando a conoscere i suoi genitori e lei era nervosa come una scolaretta.

"Ma insomma, che facce lunghe che avete! Ha ragione Akemi, finché non sappiamo come stanno le cose è inutile preoccuparsi. Godiamoci il viaggio piuttosto e festeggiamo il diversivo!". Con la noncuranza che la caratterizzava, la donna tirò fuori ventagli festosi e lattine di birra e si mise a brindare con la rossa al suo fianco.

"Insomma, disturbate gli altri passeggeri! Non vedete che vi guardano tutti?", gemette Yusaku assumendo un colorito porpora.

Che vergogna, erano sempre gli stessi! Non poté fare altro che portarsi una mano al viso, come cercando un ridicolo nascondiglio da quella situazione irreale. Quando l'altoparlante annunciò la loro fermata e si alzò per scendere dal treno, avvertì un capogiro che la fece barcollare: naturalmente Godai l'afferrò e lei si rilassò un poco a contatto con il suo petto.

"Kyoko, cos'hai?". La voce di suo marito era chiaramente allarmata e lei se ne dispiacque: doveva farsi forza, non era il momento di essere deboli.

"Tutto bene, tranquillo, era solo un giramento di testa".

"Continuo a dire che tu non dovresti sottoporti a un simile strapazzo". Il tono voleva essere di rimprovero ma lei avvertì chiaramente la preoccupazione che traspariva. Si impose di sorridergli.

"Stai tranquillo, magari potremmo cercare davvero di vederla come una specie di gita, no?". Non era convinta per niente di quello che diceva ma tentò di alleggerire l'atmosfera con una bugia a fin di bene. Dall'espressione perplessa di suo marito, però, capì che aveva fallito miseramente.

"Va bene, facciamola finita. Andiamo a cercare Yotsuya e poniamo un termine a questa storia". Lui annuì e l'accompagnò fino all'uscita.

"Finalmente! Pensavamo che avreste proseguito fino alla fermata successiva!", esclamò Ichinose abbandonandosi a una delle sue grasse risate.

"Bene, ora che ne dite di cercare un taxi fino a destinazione? Io proseguirei anche a piedi ma mi sa che Kyoko sverrebbe nel tentativo...", disse Akemi squadrandola dalla testa ai piedi. Doveva aver notato che era pallida.

"Ma no, non spendiamo soldi inutili, vediamo se c'è un autobus!", propose cercando di apparire allegra.

"Assolutamente no! Non se ne parla! Ora, mentre voi le fate compagnia su quella panchina laggiù io cerco un telefono in stazione e chiamo un taxi. Inoltre penso che tu debba mangiare qualcosa, tesoro, sei bianca come un lenzuolo".

Alla fine si arrese all'evidenza: non si fidava delle proprie gambe e rimase in attesa di Yusaku sgranocchiando un dolce alle mandorle mentre Akemi e Ichinose brindavano ancora con le loro lattine di birra.

"Al viaggio inaspettato!", gridavano, oppure: "Alle terme!", o ancora: "Alla Yakuza!". A quell'ultima esclamazione quasi si strozzò e intimò loro di smetterla con una veemenza tale che le due si limitarono a sorseggiare la bevanda senza più dire niente.

Suo marito tornò di corsa qualche minuto dopo.

"Allora? Hai trovato un taxi?", gli domandò la donna più anziana.

"Purtroppo no, però ho trovato una corriera che parte tra qualche minuto e ha dei sedili comodi e spaziosi. Per te va bene, Kyoko?".

Gli sorrise, stavolta non dovette fingere: tutte quelle attenzioni le facevano sempre un piacere enorme, anche dopo tanto tempo. Continuava a non capacitarsi di quanto fosse stata fortunata a incontrare un altro uomo tanto meraviglioso dopo la prima, triste esperienza.

"Ma certo che va bene,  te l'ho detto, andava benissimo anche un semplice autobus".

"Solo il meglio per la mia bellissima moglie", dichiarò scherzoso prendendola sottobraccio e incamminandosi con lei verso l'area dove la corriera attendeva.

Per un momento non le importò più di nulla, neanche di essere in viaggio per scoprire che forse uno dei suoi inquilini era un mafioso dedito allo spaccio di droga: c'erano solo loro due e la creatura che le cresceva in grembo. Si sentiva attraversata da una corrente elettrica che la rinvigoriva e non si trattava solo del dolce che l'aveva rinfrancata. Era un'elettricità che proveniva dallo spirito e le indicava quanto fosse bella la sua vita ora e quanto ancora di più lo sarebbe stata da adesso in poi. Quasi non udì le voci complici delle due affittuarie alle sue spalle.

"Ma guardali, tubano come due piccioncini alle prese con il primo appuntamento!".

"Se continuano così mi verrà il diabete".

"Che dici, ci accomodiamo in un sedile lontano da loro?".

"Io vado a comprare dell'altra birra...".

                                                                                              ***

Quanto era passato? Un minuto? Due? Quel che era certo era che se Yotsuya avesse scritto il nome della locanda sui suoi appunti, si sarebbe guardato bene dal prenotare delle stanze proprio lì. Ora stavano tutti sulla soglia a fissare l'insegna come dei beoti, lui e Kyoko in silenzio, le due pettegole invece si stavano lasciando andare a commenti di tutti i tipi tra una risata e l'altra.

D'altronde come potevano rimanere indifferenti di fronte a quella coincidenza pazzesca? Erano andati a cercare Yotsuya, che sospettavano spacciasse droga per conto della mafia, e si trovavano ad alloggiare al ryokan Kyodai (1)!

Si riscosse, non voleva mettere fine alla serenità che Kyoko sembrava aver riacquistato alla stazione: "Adesso basta, voi due, vi ricordo che Kyodai significa anche fratelli o sorelle! Probabilmente è un ryokan a conduzione familiare, andiamo!". Avrebbe tanto voluto crederci anche lui! La verità era che gli pareva di essere finito in una sorta di scherzo di pessimo gusto. Con una moglie incinta e altre due donne al seguito, lui era l'unico uomo nel loro gruppo squinternato e per un attimo rimpianse che Akemi non avesse convinto il marito a mollare quel dannato locale per seguirla: si chiese se sapesse che la moglie si era imbarcata in un viaggio del genere.

"Buongiorno signori, posso aiutarvi?".

Se possibile, la vista dell'uomo vestito di nero lo sconvolse anche più del nome della locanda: notò subito che gli mancava un dito della mano sinistra... precisamente il mignolo (2), e non era forse un tatuaggio quello che occhieggiava dalle pieghe della sua giacca da camera? (3).

Ora svengo... ci sono talmente vicino...

"Allora?!". Il vecchio proprietario aveva avvicinato il volto in modo quasi inquietante e poté avvertire il suo fiato sulla faccia. Doveva riscuotersi e prendere immediatamente una decisione: si guardò alle spalle e vide che Ichinose e Akemi annuivano furiosamente. Anche sua moglie, pallida ma risoluta, faceva sì con la testa.

"Vo... vorremmo due camere, per favore. Una per me e mia moglie e una per le due signore". Ridacchiò in maniera sciocca per compensare il balbettio che l'aveva afflitto all'inizio della frase ma il risultato fu che dovette apparire al vecchio ancora più spaventato di prima. Lo fissò perplesso, inarcando un sopracciglio candido, poi scoppiò in una fragorosa risata e cominciò a dargli delle pacche sulla schiena che per poco non lo fecero cadere.

"Ah ah ah! Ma certo, figliolo, vi darò le stanze migliori! Solo comodità e cortesia da Kyodai!".

Deglutì e strinse forte la mano di Kyoko mentre salivano la rampa di scale. Quando, poco dopo, si ritrovarono soli, si riunirono tutti e quattro in un'unica camera per fare il punto della situazione. Per un tacito accordo, decisero che era meglio partire dalla fine: dovevano cercare Yotsuya; sì, probabilmente alloggiava lì con un nome falso; no, lo scambio di droga non poteva essere avvenuto alla luce del giorno con gli ospiti in giro per il ryokan, forse avrebbe agito di notte. Esauriti gli argomenti principali calò il silenzio, interrotto solo dal loro rumoroso sorseggiare; stranamente anche Akemi e Ichinose stavano bevendo del the, invece della solita birra.

"Come mai voi due bevete dell'ignobile the?", scherzò con l'intenzione di alleggerire l'atmosfera.

"Perché stanotte dovremo essere lucide per affrontare il proprietario del ryokan; non dirmi che non hai notato il suo mignolo, Godai!". Per l'appunto, la risposta della rossa lo fece ricadere con i piedi per terra.

"E il tatuaggio sul petto? Avete visto?", rincarò Ichinose.

"Già, senza contare che vestiva di nero... come fanno la maggior parte dei membri della yakuza". La voce pacata di Kyoko gli parve la cosa peggiore; pensava, per caso, che non fosse così sveglia da non essersi accorta di tutte quelle stranezze? O che il non dirle ad alta voce l'avrebbe protetta dal pericolo? No, inutile rifuggire la realtà, era il momento di mettere le carte in tavola.

Posò la tazza con un rumore forte, facendo fuoriuscire qualche goccia di the sul tatami: "Bene, ecco cosa faremo", disse guardandole una a una.

                                                                                              ***

Si fidava di Yusaku. Ciecamente. Eppure non smettevano di tremarle le mani mentre, nel buio dei corridoi, cercavano le scarpe di Yotsuya fuori dalle stanze.

Avevano atteso che calasse la notte e poi si erano divisi: Akemi e Ichinose erano andate a cercare la stanza del padrone del ryokan mentre loro due avrebbero localizzato il loro squinternato coinquilino. Il primo movimento falso di uno dei due avrebbe portato a un pedinamento volto a scoprire l'eventuale scambio di droga e a quel punto avrebbero chiamato la polizia. Sarebbe stato inutile chiamarla senza avere uno straccio di prova: solo dopo aver assistito alla reale consegna delle bustine potevano avere la certezza che fosse necessaria una perquisizione dell'albergo.

A piedi nudi, con le mani gelate e la fronte sudata, Kyoko stringeva una mano a suo marito e con l'altra artigliava il proprio ventre, nel disperato tentativo di proteggere la nuova vita che stava crescendo in lei da quella missione assurda.

Arrivati a questo punto, ormai...

Un rumore la fece sobbalzare. Godai soffocò un' imprecazione e spostò la torcia sul suo piede indicandole che era solo una tavola di legno che aveva scricchiolato sotto il suo peso; annuì, battendo i denti per il tremore che si andava diffondendo: ora sì che le avrebbe fatto piacere una birra. Era da quando aveva scoperto di essere incinta che non toccava una goccia di alcool e si ritrovò a desiderarne disperatamente.

Di' la verità, non dispiacerebbe neanche a te in questo momento, vero, piccolo mio?

Risolse di essere impazzita, perché lui o lei non poteva sapere in che razza di situazione anomala si fosse cacciata la sua stolta mamma, eppure doveva avere la percezione del terrore che mandava continue scariche di adrenalina nel suo sangue. Doveva calmarsi o il bambino avrebbe deciso di nascere per lo stress. E lei non voleva che nascesse con tutto quell'anticipo, no? Cominciò a respirare come le avevano insegnato a fare durante i corsi nei quali si imparava a controllare il dolore delle contrazioni e le parve che il suo battito cardiaco tornasse a livelli normali. Stava cominciando a rilassarsi quando delle voci da una delle stanze attirarono la sua attenzione. Smise di respirare e anche Yusaku si fermò improvvisamente.

"Oh, caro, ma che fai, non possiamo! Non siamo ancora sposati!".

Incredibilmente, le venne da ridacchiare e l'impulso divenne irrefrenabile quando suo marito si voltò a guardarla imbarazzato con un sorrisetto di circostanza. Si mise una mano davanti alla bocca e procedette oltre quando lui le fece cenno di rimanere in silenzio, mentre a sua volta tentava di trattenere le risa con l'unico risultato di produrre un buffo suono dalle narici.

Mentre tentavano di riprendere il controllo procedendo per il corridoio, il fascio luminoso della torcia si fermò su un paio di scarpe nere: impossibile sbagliarsi, per anni il loro coinquilino non ne aveva portate altre ed erano consumate anche se perfettamente lucide.

"Magari... magari non sono le sue e lui non alloggia affatto qui", bisbigliò Yusaku con voce malferma; sarebbe piaciuto anche a lei che tutto tornasse alla normalità e che quell'avventura non si rivelasse altro che un brutto sogno. Ma non era così e dovevano rendersene conto. D'altronde cosa potevano rischiare? Al massimo avrebbero chiamato la polizia e spiegato le loro ragioni.

Sì, faremo così, pensava mentre superava la figura di suo marito per esaminare le scarpe più da vicino. Le girò e sulla suola era scritto chiaramente 'Yotsuya', anche se le lettere erano sbiadite dal tempo e dall'uso.

"Ora non dobbiamo fare altro che rimanere qui e aspettare. Prima o poi potrebbe uscire", mormorò riponendo le scarpe con delicatezza per non fare rumore.

"Io aspetterò, tu torna in camera nostra", le disse Yusaku con fermezza.

"Non se ne parla affatto!", ribatté con forza. "Siamo arrivati fin qui insieme e insieme aspetteremo".

"Invece io ti dico che devi tornare in camera e riposare!".

"E invece io...!".

Si bloccarono nel medesimo istante, rendendosi conto che avevano parlato ad alta voce e che la porta di Yotsuya si stava aprendo.

Il suo primo istinto fu di scappare, nascondersi, ma rimase a fissare Godai negli occhi come uno stoccafisso; poteva udire le parole non dette che attraversavano le loro menti in un dialogo che non stava avvenendo davvero: 'Accidenti, abbiamo alzato la voce senza accorgercene!', 'Colpa tua che sei così testarda!', 'Scappiamo!', 'Troppo tardi, sta già uscendo...' , 'Ci ha scoperti', 'Oh, Kami!'.

Mai la figura del suo coinquilino le era parsa così minacciosa come nell'istante in cui aprì la porta e li guardò col suo viso eternamente pallido e perplesso, le sopracciglia inarcate nella sua tipica espressione interrogativa.

"Yo... Yotsuya-san, ma che combinazione!", balbettò suo marito nel disperato tentativo di inventarsi una scusa decente. "Ci siamo detti: perché non fare una vacanza alle terme! E guarda un po' chi ha avuto la nostra stessa idea!".

Kyoko deglutì a fatica, notando che Yotsuya era imperturbabile. "Non m'incanti, Godai, so benissimo che mi stavate spiando".

Ed ecco che il cuore le accelerava di nuovo e l'adrenalina riprendeva a riversarsi a fiumi nelle vene: li aveva scoperti! Tentò di mettere le cose a posto; Yotsuya non avrebbe mai fatto del male a una donna incinta, per di più la sua padrona di casa da anni! Si avvicinò a lui di un passo.

"Yotsuya-san, in realtà io mi sentivo poco bene e mio marito mi stava accompagnando in bagno a rinfrescarmi un po', così...".

Le parole le morirono in gola e Kyoko Godai realizzò, in quel preciso istante, che stava per raggiungere il suo ex marito in Cielo abbandonando Yusaku su questa Terra e portando con sé il loro primo figlio.

Yotsuya aveva estratto una pistola dalla tasca della giacca da camera e gliela stava puntando addosso.

                                                                                              ***

Sbuffò. Si era davvero stufata di aspettare e aveva bisogno di una birra gelata: erano almeno cinque ore che non ne beveva una!

"Insomma, Akemi, vuoi stare un po' ferma? Se ti agiti così ci scoprirà!", borbottò la sua grassa compagna.

"È che mi sto annoiando, quest'attesa è sfibrante!", si lamentò arricciandosi su un dito una ciocca rossa.

"Hai ragione, non ci siamo nemmeno portate da bere", annuì Ichinose accomodandosi meglio nel suo angolo: da dietro quella colonna potevano spiare tranquillamente la porta della stanza più grande del ryokan, quella in cui alloggiava il vecchio padrone di casa. Il silenzio era assoluto e stava per proporre una morra cinese per decidere chi delle due sarebbe andata a rimediare della birra quando udì, lontano ma distinto, uno scricchiolio provenire dal soffitto. Alzò lo sguardo, puntando la torcia.

"Viene dal piano di sopra", commentò.

"Già".

"Morra cinese?".

"Cosa?!". Ichinose la fissò senza capire.

"Morra cinese. Per decidere chi delle due va a prendere le birre in frigo. Sai? Sasso, carta, forbice...".

"Ho capito, ho capito! Ma non dobbiamo ubriacarci, cosa succederebbe se ci addormentassimo qui?".

"E dai, solo un paio di lattine!", pregò mettendo il broncio.

La donna più anziana sogghignò e disse che sarebbe andata personalmente a pescare un paio di 'rifornimenti' direttamente dal frigo delle cucine. Non più di due, però, eh? Fece appena in tempo a voltarsi che udirono un nuovo scricchiolio che rivolse la loro attenzione alla porta: stavolta era quest'ultima che si stava aprendo.

Ichinose cominciò a fare gesti concitati con la mano grassoccia per indurla a spegnere la torcia e a nascondersi meglio dietro la colonna, ma quell'aggeggio non ne voleva sapere di scattare e dovettero usare quattro mani per far arretrare finalmente l'interruttore nella posizione off. Dopodiché si accucciarono il più possibile e si misero a osservare l'ombra dell'uomo illuminata solo dalla luce della luna.

Il vecchio si stirò le membra, allungando le braccia, e poi fece una cosa che le gelò il sangue nelle vene: tirò fuori qualcosa dalla tasca, vi infilò un dito dentro e se lo portò sulla punta della lingua come per assaggiarlo, quindi annuì compiaciuto.

"La droga! L'ha già avuta e sta sentendo se è di buona qualità!", emise Ichinose alle sue spalle, in un verso strozzato. Per tutta risposta, Akemi le piantò un gomito sul torace senza tante cerimonie e si mise a cercare freneticamente nella tasca della vestaglia.

"Ahio, ma sei impazzita?! Cosa cerchi? Svelta, dobbiamo seguirlo!".

Ma lei fece finta di non sentire e continuò a cercare: sentiva il peso nella tasca ma non riusciva a trovarla. Non c'era tempo di chiamare la polizia, se solo...

"Se ne sta andando, Akemi!". Ichinose aveva alzato la voce e questo la fece voltare bruscamente. Era vero, il vecchio si stava dirigendo verso l'area in cui c'erano i bagni. Allora dovevano incontrarsi lì! Ma dov'erano Kyoko e Godai? Yotsuya era già sceso e loro non l'avevano intercettato? Dannazione, doveva trovarla subito o...

L'urlo fermò il flusso dei suoi pensieri e la sua inquilina, che stava uscendo circospetta dal nascondiglio, si accucciò di nuovo alle sue spalle con un balzo; la mano le rimase paralizzata nella tasca dove aveva appena afferrato la sagoma di ciò che cercava.

"Fermo, Yotsuya!". Era la voce di Godai.

Strinse la mano sul calcio della pistola e si voltò verso Ichinose mettendosi un dito perentorio sulle labbra: gli occhi della donna erano spalancati dal terrore quando le fece cenno di seguirla in silenzio.

                                                                                              ***

Yotsuya che portava una mano nel kimono, la ritraeva impugnando una rivoltella e la puntava addosso a Kyoko, indifesa di fronte a lui.

Tutto ciò non poteva che far parte di un incubo.

Continuava a pensarlo anche mentre la propria mano lasciava cadere la torcia illuminando la scena dal basso, nel momento esatto in cui sua moglie si lasciava sfuggire un urlo dalle labbra cineree e lui le si parava davanti a braccia spalancate intimandogli di stare fermo.

Il tempo si bloccò.

Morire non era più la peggiore delle ipotesi se questo significava salvare la vita a sua moglie e a suo figlio. Il perché Yotsuya si fosse messo in un giro come quello era irrilevante, ora la priorità era proteggere la sua famiglia; non importava se le gambe tremavano e il sudore colava in grosse gocce dalla fronte accecandogli gli occhi. Doveva essere forte e cercare di ridurre i danni al minimo.

"Ora ragiona, Yotsuya, metti giù quell'affare e parliamone con calma, va bene?".

L'uomo aprì la bocca per rispondere, ma fu interrottò dalla voce di Akemi: "Fai come dice lui, Yotsuya, ti comunico che ho una mira infallibile!". La rossa, da quel che poteva vedere, era alle sue spalle: aveva evidentemente salito la rampa di scale nel più assoluto silenzio e puntava a sua volta quella che aveva tutta l'aria di un'arma.

Oh, no, Ichinose deve averla data a lei!

"Oh, ma che sorpresa, ci siete anche voi?", disse Yotsuya.

"Ehi, ma cos'è tutto questo baccano in piena notte? Mi ero alzato per andare in bagno e sento un fracasso... ma che succede?". Quella voce era del padrone del ryokan! Ma non dovevano tenerlo d'occhio quelle due?! Che guaio, la situazione si stava facendo pericolosa! Akemi continuava a puntare l'arma contro Yotsuya spostandosi lentamente di lato, Ichinose rimaneva  alle sue spalle ripetendo a pappagallo a Yotsuya di non muoversi ma schermandosi, seppur malamente vista la stazza, dietro la schiena di Akemi.

Fu allora che udì il respiro di Kyoko accelerare all'improvviso e poi bloccarsi: "Si è mosso!".

Senza spostare il corpo, perché Yotsuya non aveva abbassato la mano con la pistola, Godai girò la testa verso di lei: sua moglie era pallida e sudata ma sorrideva mentre ansimava.

"Il bambino. Mi ha dato il suo primo calcetto!", disse prima di accasciarsi al suolo priva di sensi.

                                                                                              ***

Al risveglio aveva sempre la dolce sensazione di tornare a casa. Dopo l'incoscienza della notte, veniva cullata dalla consapevolezza di stare accanto all'uomo che amava, ascoltandone il respiro; poi la mano sul ventre le ricordava che il frutto del loro amore cresceva lì, come il più meraviglioso tra i miracoli, e avrebbe avuto i loro lineamenti.

Stavolta invece ebbe una sensazione di bagnato. Acqua. Che le cadeva sul viso in spruzzi regolari.

Che diamine?!

La prima cosa che vide quando aprì gli occhi fu la canna di una pistola e il ricordo di poco prima

ore? Giorni?

le ripiombò addosso come un macigno mozzandole il fiato in gola.

Erano a Miyanoshita, in una locanda gestita da un membro della yakuza per cercare Yotsuya. Yotsuya, che nascondeva sacchetti di droga in camera; Yotsuya, che li aveva scoperti mentre lo cercavano nella notte. Yotsuya, che le aveva puntato una pistola mentre lei avvertiva, per la prima volta, muoversi il bambino dentro di sé.

Yotsuya, chino su di lei dopo che era evidentemente svenuta, e le stava ancora puntando l'arma.

Gridò, scalciando via le coperte con cui dovevano averla avvolta, e cominciò a indietreggiare furiosamente. La sua attenzione era concentrata sul dito dell'uomo che si stava muovendo sul grilletto, come in un incubo, al rallentatore.

E lo premeva.

E dell'acqua fuoriusciva a inzupparle ancora il viso.

Acqua.

Una dannata, maledettissima pistola ad acqua?!

"Insomma, Yotsuya, vuoi farla svenire di nuovo?! Ti diverti tanto a terrorizzare le donne incinte?", urlò Yusaku strappandogli di mano il giocattolo.

Una. Pistola. Ad acqua. Un giocattolo.

"Beh, che vuoi fare, picchiarmi? Stavo solo tentando di rinfrescarla, come poco fa sulla porta. Ora che sai anche tu che contiene acqua non dovresti prendertela tanto!".

Rinfrescarmi?! Cosa avevo detto poco prima che si aprisse la porta? Che mio marito mi stava accompagnando al bagno per rinfrescarmi. E la pistola. Ad ACQUA...

"E chi sospettava che questi aggeggi somigliassero tanto a quelle vere?". Era Akemi ad aver parlato, seduta poco distante, mentre spruzzava addosso a Yusaku con un'altra pistola.

AD ACQUA.

Kyoko sentì un formicolio alla gola e capì che era una risata isterica in procinto di esplodere.

"Oh, vedo che la signora si è ripresa, finalmente! Però che idea balzana: uno spaccio di droga nel mio rispettabile ryokan! Yotsuya-san, non avevi detto ai tuoi amici che smerciavi sale di ottima qualità?". Quello era il padrone dell'albergo; l'uomo vestito di nero, il presunto yakuza.

Sale? Bustine... di sale?!

Storse la bocca in una smorfia che doveva essere un sorriso e ricadde sdraiata.

Acqua. E sale.

"Tesoro che hai, ti senti ancora male? Vuoi che chiami un medico?". Yusaku fu subito accanto a lei. Scosse la testa e tentò di rassicurarlo ma non riuscì a fare altro che ridere, dando sfogo a tutta la tensione accumulata. Rise così tanto che gli occhi le si riempirono di lacrime e lo stomaco si contrasse.

"Beh, almeno ha ripreso colore!", esclamò la voce di Ichinose.

Ci vollero quasi due minuti interi prima che riuscisse a smettere, allora si asciugò gli occhi e accettò il bicchiere che le porgeva suo marito.

Un bicchiere d'acqua, pensò avvertendo l'ilarità solleticarle nuovamente la gola.

Bevve avidamente e si sentì rinata, come se il macigno che si stava trascinando da quella mattina si fosse trasformato in una piuma.

"Ora, per favore, mi spiegate cosa mi sono persa?". Godai la guardò accigliato.

"Sei sicura di stare bene? Poco fa ho temuto davvero che stessi per morire, o per perdere il bambino o... entrambe le cose...". Fu allora che si rese conto di quanto doveva essere stato in pena. Scosse la testa e gli mise una mano sul viso, sorridendogli.

"Sono solo svenuta per la paura.  Sicuramente Yotsuya non avrebbe dovuto farmi prendere uno spavento simile ma ora sto bene. E anche il bambino; prima mi ha dato il suo primo calcetto e se metti una mano qui sentirai che è ancora bello arzillo".

Portò la mano di Yusaku sul ventre e fu una sensazione indescrivibile: sentiva qualcosa tirare deliziosamente dentro

un piedino o una manina, chissà

e il calore del palmo di Godai fuori.

"Oh, cara, che meraviglia...". Era commossa anche lei e se non fosse stato per il vocione di Ichinose che intimava loro di rimandare le smancerie a più tardi, sicuramente si sarebbero abbracciati teneramente.

Ora sì che vorrei una casa tutta nostra, si sorprese a pensare mentre Yotsuya in persona si preparava a raccontare la verità pura e semplice.

                                                                                              ***

"La ditta per cui lavoravo è fallita e così sono rimasto con un carico di merce nella valigetta che non sapevo a chi vendere. Mi sembrava stupido usarla quando avrei potuto farci un sacco di soldi".

"Ti ci sono voluti anni per rivelarci che facevi il rappresentante. E dire che noi pensavamo a qualcosa di più eccitante e misterioso!", borbottò Akemi sorseggiando una birra.

Fredda al punto giusto e con quella nota amarognola che amava tanto. Ne offrì a Kyoko che scosse la testa: razza di testarda, bambino o non bambino le avrebbe fatto bene dopo quello che aveva passato!

"Ti ricordo che vi sto raccontando tutto questo solo perché siete arrivati fin qui e vi siete spaventati a morte, altrimenti non vi avrei mai raccontato i fatti miei. Vi rammento inoltre che sono molto riservato riguardo la mia vita privata e non ne parlerei neanche sotto tortura!".

Lo liquidò con un gesto, intimandogli di continuare. Lui si schiarì la gola e proseguì:

"Grazie a un giro di telefonate sono riuscito a trovare un acquirente che mi avrebbe comprato una certa quantità di sale e spezie, così stamattina ho preparato la valigetta in fretta e furia e sono corso qui. Se non avessi venduto tutto entro questa settimana non avrei avuto neanche i soldi per pagare l'affitto".

Scoccò un'occhiata all'amministratrice che ascoltava con interesse: "Capisco ma... non c'era bisogno di precipitarsi in questo modo così... ehm... sospettoso".

"Non arrossire, Kyoko-san, sappiamo benissimo chi ti ha messo in testa la storia della droga e della mafia giapponese!", ribatté facendo un cenno col mento in direzione di Ichinose.

La donna incrociò le braccia, piccata: "Non è colpa mia se Yotsuya si comporta in maniera misteriosa e mi fa venire il sospetto che nasconda qualcosa in camera! Che modo è, poi, quello di mettere tutto all'aria in quel modo?! E per del volgarissimo sale... bah!".

"Per tua informazione ero molto di fretta perché avevo il treno all'alba e la sveglia non era suonata e non ti azzardare più a chiamarlo volgarissimo sale, ci siamo intesi?!".

Caspita, Yotsuya era proprio sensibile su quell'argomento! Beh, era anche normale visto che era la sua unica fonte di denaro, al momento, e che il suo acquirente principale era lì davanti a loro.

"Questo sale si chiama Aguni ed è naturale al cento per cento, prodotto dalle sole forze della natura di una sconosciuta isola del Giappone! (4)". Yotsuya aveva ripreso con fervore.

"Ma... ma la pistola ad acqua?". Dal pallore sul volto di Kyoko capì che anche lei se l'era quasi fatta sotto dal terrore: era addirittura svenuta! Lei stessa avrebbe perso i sensi se non fosse prevalso l'istinto di autoconservazione che l'aveva indotta a impugnare a sua volta un'arma per salvarsi la pelle. Dopo, quando tutto si era chiarito, si era accasciata a terra sentendosi come svuotata.

Il sollievo generale era stato istantaneo e si erano tutti adoperati per far rinvenire Kyoko.

"Era carina e l'ho comprata. Me la porto sempre dietro per rinfrescarmi", rispose l'idiota spruzzandosi la faccia con aria di sufficienza. "E siccome mi piaceva molto ne ho comprate due".

"Oh...", fu l'unica risposta dell'amministratrice. Scosse la testa, chiedendosi quale sorta di segatura marcia avesse mai nella testa il suo ex coinquilino.

"Continuando la mia storia... sono arrivato qui e mi sono registrato con un nome falso perché la concorrenza dei miei colleghi rimasti senza lavoro non mi potesse raggiungere neanche per sbaglio".

"Eh, eh! Un buon venditore sa come difendere i suoi affari! Anche mio figlio lo diceva sempre...". Il vecchio proprietario cominciò a singhiozzare penosamente e lei guardò in aria, esasperata.

Ci risiamo, ora ricomincia...

Kyoko, da cuore fragile qual era, gli stava per l'appunto chiedendo cosa fosse accaduto al suo povero figliolo. Così le toccò ascoltare un'altra volta la storia.

"Anche mio figlio era un rappresentante: commerciava the verde di altissima qualità ma rimase ucciso in un incidente stradale durante uno dei suoi spostamenti: pare che al guidatore si fosse bloccato il pedale del freno! Per questo porto il lutto da cinque lunghi anni...".

E giù, singhiozzi e lacrime a non finire; Akemi si alzò in piedi e annunciò che si sarebbe andata a prendere un'altra birra. Alle sue spalle, Kyoko e Godai stavano dicendo qualcosa di confortante e il vecchio si stava soffiando il naso con un rumore terribile.

Bleah, che razza di ryokan abbiamo beccato!

Quando tornò, l'uomo anziano si era ricomposto e stava terminando la storia.

"Per questo quando ho sentito la voce di questo volenteroso giovane al telefono gli ho detto che poteva venire con il suo sale quando voleva, in un ryokan le spezie servono sempre. Mi ricordava tanto il mio giovane figliolo...".

Stavolta si limitò ad asciugarsi una singola lacrima all'angolo dell'occhio. Meno male che Ichinose stava scoppiando a ridere proprio in quel momento.

"Volenteroso! E giovane per di più! Ahahahahah!".

"Smettila di prendermi in giro, sono di certo più giovane di te!".

"Ah, sì? E quanti anni hai?", gli domandò stappando la lattina con dito esperto.

"Non ve lo dico", rispose Yotsuya voltando la testa ostinatamente.

"E dai, questa è la sera delle rivelazioni!".

"No che non lo è!", insisté lui, riluttante.

"Ehm... a proposito di rivelazioni...". Incredibilmente, il timido Godai stava per porre una domanda. Forse proprio quella che aleggiava già da prima e a cui il vecchio non aveva dato risposta neanche a loro, perso com'era nei ricordi del figlio morto.

"Cosa... cosa è successo al suo dito?".

Bingo! Era esattamente quello che voleva sapere! Improvvisamente tutti pendevano dalle labbra dell'uomo.

"Questo?", domandò mostrandolo con noncuranza. "Oh, un incidente di giardinaggio! Stavo potando le piante quando mi è venuto in mente il mio povero Eikichi... sniff!".

Oh, no, non di nuovo!

Quella storia lacrimevole non sarebbe finita mai e la sua sarebbe stata una sbronza triste e malinconica; non sarebbe mai dovuta andare fin laggiù con Ichinose e gli altri! Attese pazientemente che il proprietario smettesse di frignare ed ebbe anche la risposta alla sua ultima domanda.

"Vedete questa cicatrice? Il mio povero cuore non ha retto al dolore e qualche mese fa ho subìto un intervento molto lungo". Si scostò il kimono e rivelò che quello che avevano creduto un tatuaggio yakuza altro non era che la ferita di un'operazione.

Rabbrividì.

"Insomma, si sa che gettare del sale dietro la spalla sinistra porta bene, no? Direi che questo signore ha bisogno di tutto quello che ti è avanzato, che ne dici, Yotsuya?". Un pedale del freno che causa un incidente, il figlio che muore; poi la sventura in giardino con tanto di dito mozzato e infine l'operazione a cuore aperto. Ah, già, stava quasi dimenticando quella specie di avventura thriller-mozzafiato che avevano appena vissuto...

"Ma quello non si faceva solo quando ne cadeva a tavola?", domandò Ichinose finendo la propria birra.

"Akemi!", la redarguì stizzosamente Kyoko.

"Oh, è la verità. Ho proprio bisogno di un po' di fortuna in questa casa...", disse l'uomo con aria sconsolata.

Yotsuya gli prese le mani con trasporto: "E allora, mio sfortunato signore, che ne dice se domani torno a casa a prendere quello rimasto e glielo porto tutto? Glielo vendo a soli trentamila yen!".

"Trentamila yen? Oh, no, figliolo, è troppo caro! Facciamo ventimila".

"Venticinquemila e ci aggiungo anche un po' di spezie per cucinare".

Non poteva restarsene là a guardare quei due che mercanteggiavano, urgeva una bella festa notturna. Si alzò in piedi decisa ad annunciare la sua intenzione ma scoprì con orrore che Ichinose era caduta addormentata e completamente ubriaca in un angolo.

Ma come, fino a poco fa era sveglia!

Godai invece stava inginocchiato accanto a Kyoko con una mano sulla pancia a sentire le acrobazie del loro bambino e rideva scioccamente.

"Oh, che vita grama la mia, stare qui porta veramente sfortuna!", commentò uscendo dalla stanza. Aveva una mezza idea di farsi raggiungere da suo marito, cercare un altro ryokan e concedersi una seconda luna di miele alle terme.

Dopo tutto se lo meritava, no?

 

(1) Membro della Yakuza al terzo posto nella gerarchia.

(2) Amputarsi l'ultima falange del mignolo è una pratica che nella Yakuza viene usata da chi, per aver commesso un errore, si autoinfligge la suddetta punizione in segno di fedeltà per farsi perdonare dal capo.

(3) I membri della Yakuza, notoriamente, hanno il corpo ricoperto da tatuaggi.

(4) "Proveniente da una sconosciuta isola del Giappone, questo sale è prodotto solamente dall’interazione delle forze della natura: il mare cristallino, il vento, il sole, gli alberi del bambù e una lenta essiccazione su legno. Questa tipo di lavorazione conferisce al sale un gusto piacevole e morbido. Inoltre è ideale per la salute data la sua naturale proprietà di neutralizzare gli effetti dell’eccessiva assunzione di caffeina". Che la fonte sia attendibile o no mi è servita allo scopo!

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Capitolo 3
*** Stagioni - Parte prima ***


STAGIONI - PARTE PRIMA

 

PRIMAVERA

I ricordi fanno parte della vita delle persone e ne influenzano gioie e dolori. Fino a un po' di tempo fa,  i ciliegi che fiorivano e la natura che si risvegliava dopo il freddo inverno mi evocavano solo dolore e tristezza: è stato in quel periodo che Soichiro, il mio primo marito, è morto improvvisamente.

Oggi, vicino a Yusaku, posso festeggiare qualcosa di meraviglioso grazie a te, piccola mia. Haruka, sei il mio miracolo: hai ridato gioia e colore alle mie primavere con la tua nascita e oggi, invece di recarmi in un triste cimitero a visitare mio marito, posso festeggiare il tuo compleanno con il tuo papà.

Grazie, tesoro, grazie di essere venuta al mondo proprio in questa stagione. Grazie per darmi dei ricordi belli da rivivere ogni giorno, Haruka.

 

"Kyoko, come devo mettere questi festoni?".  Si affacciò dalla stanza numero due cercando con lo sguardo sua moglie, ma non la vide da nessuna parte. Invece gli arrivò una poderosa pacca sulla spalla.

"Ehi Godai, guarda che tua moglie è andata a far spese!". Il vocione di Ichinose lo distolse dai suoi dubbi.

"Altre spese?! Ma come...". Dal cortile gli arrivò la vocina allegra di Haruka che giocava con il cagnone bianco di Kyoko.

"Chiro. Chiro!". Esultava felice tirandogli la coda per indurlo a uscire dalla sua casetta.

Sorrise e raggiunse la sua bambina, accosciandosi accanto a lei. "Lascialo stare, tesoro, si vede che non ha voglia di giocare". Come a sottolineare la veridicità delle sue parole, il cane emise uno dei suoi più malinconici 'bau' girando verso di lui il testone candido.

"Ma mi 'gnoio, vojo 'care con Chiro!". Non ci mise molto a capire che la bimba si annoiava e voleva giocare con il riluttante Soichiro.

"Forse se usassi il suo nome vero ti risponderebbe!", le disse ridendo, poi sillabò: "So-i-chi-ro", ed ebbe un brivido. Era abituato da tempo al nome del buffo cagnone, ma il fatto di dirlo così chiaramente e di poterlo sentire sulle labbra della sua bambina gli evocò tristi ricordi.

Questa è la stagione in cui morì Soichiro. E io sono un idiota, perché Kyoko ama solo me, ci siamo sposati e lei è nostra figlia.

"So...", Godai sussultò mentre guardava le labbra rosee di Haruka schiudersi a quel suono incerto. "...chiro!". Le spalle gli ricaddero: c'era andata vicino, però. Tanto che il cane si voltò di nuovo e si esibì in un altro dei suoi comici 'bau', prima di tornare a sonnecchiare.

"Hai sentito? Ha detto che non gli va di giocare. Che ne dici invece di venire a vedere la tua cameretta addobbata a festa?".

Haruka annuì felice e gli porse diligentemente la mano per tornare dentro casa. Godai decise di prenderla in braccio e metterle una mano sugli occhi; la bimba emise un gridolino di sorpresa.

"Non sbirciare, adesso ti porto nella tua stanza". Le sussurrò all'orecchio, aspirando il suo dolce profumo infantile; sapeva davvero di primavera, la sua bambina, e a parte i capelli castani come i suoi, era la copia perfetta di Kyoko: per questo l'amava ancora di più.

"Ta-daaaan!". Esclamò togliendo la mano e allargando il braccio per mostrarle la stanza.

Haruka sbatté le palpebre e la sua espressione di stupore divenne gioia e infine esultanza pura: "Bello, bello papi!", gridava agitando le braccine. Godai la mise a terra e lei si aggirò con passetti barcollanti tra i tavolini pieni di giochi e i palloncini colorati agli angoli della stanza; godette di quel momento e rise con lei quando, a furia di guardarsi intorno girando su se stessa, cadde a terra seduta con un piccolo tonfo.

"Devo dedurre da queste risa che avete cominciato senza di noi?". Si voltò e tese la mano per stringere quella di Mitaka, che stava sulla soglia con una delle gemelline in braccio; Asuna era poco dietro, con l'altra per mano e il terzogenito in braccio.

"Ben arrivati! È passato tanto tempo dall'ultima volta!".

"Esattamente un anno, quando facemmo quella grande festa a casa nostra per i bambini". Già, anche l'anno precedente si erano riuniti per festeggiare i compleanni delle gemelle e di Haruka: anche se avevano qualche mese di differenza, erano nate tutte lo stesso anno e la primavera era la stagione migliore per i bambini, con la sua temperatura mite e i colori accesi.

La casa di Mitaka era enorme, con una camera grandissima solo per i piccoli: armadi pieni di giocattoli, luci colorate e un giardino recintato con scivoli e altalene al quale si poteva accedere nelle giornate di sole.

"Vedo che anche lui è cresciuto parecchio". Disse solleticando il naso al maschietto di circa un anno: a differenza delle gemelle, aveva preso quasi esclusivamente dalla mamma, compresa l'aria timida. Infatti si accucciò tra le braccia di Asuna non appena lo sfiorò.

"Da bravo, Daisuke, saluta il signor Godai". Lo esortò lei inducendolo a voltarsi; il piccolo si limitò a fissarlo con la testa bassa e si portò un dito alla bocca come chiedendosi cosa dovesse fare esattamente.

Sorrise: era davvero un bel bambino, ma se fosse rimasto così remissivo le gemelline gli avrebbero dato ben presto del filo da torcere! Già le sentiva incitare i due adulti perché le lasciassero andare a giocare, con quel loro linguaggio acerbo che solo un genitore o un esperto di bambini come lui potevano comprendere.

"Potete far giocare i bambini nella stanza di Haruka: deve essere ancora terminato l'addobbo ma ci sono tanti giocattoli con cui possono divertirsi".

Certo, nulla a che vedere con le bambole e i robot che parlavano e camminavano da soli; le bambine di Mitaka disponevano addirittura di una piccola cucina in miniatura dove potevano simulare la cottura di dolci colorati.

Osservare i piccoli giocare, per lui, era come godere di quella spensieratezza che riusciva a provare solo quando diventava un ragazzino a sua volta: e poteva farlo ogni giorno con il suo lavoro, a dispetto delle difficoltà della vita. In quei momenti si sentiva appagato, felice, come se tutti i suoi desideri si fossero infine realizzati e non potesse desiderare di più. Se non...

"Ehi, voi, cosa fate lì impalati? Volete giocare con gli orsacchiotti?! Venite a bere con noi un goccio di birra! Oggi offre lui!". Ichinose strepitava, già evidentemente ubriaca, dal piano di sopra e indicava l'imbarazzato marito di Akemi: si vedeva che il poveretto sorrideva suo malgrado, ma evidentemente aveva preso parte a una delle terribili festicciole dei tre ex inquilini per amore della moglie.

Guardò Mitaka con espressione divertita ma lui scosse la testa con un sorriso: "Io passo, per questa volta; questa è la festa dei bambini, non vorrei proprio ridurmi come loro".

"Concordo pienamente, ma insisto per offrirti almeno un bel the freddo in giardino".

"Volentieri, grazie Godai". Sorrise e i denti gli brillarono quasi accecandolo. E chi avrebbe mai immaginato che, dopo essersi guardati in cagnesco per anni, lui e quel brillio ambulante potessero diventare tanto amici?

L'unica differenza tra noi è che tu puoi dare alla tua famiglia tutto ciò che desideri. I soldi non comprano la felicità, ma spesso ne esaltano il sapore...

"Andate pure, io resto con i bambini". Disse Asuna sorridendo loro dalla stanza dove i piccoli esploravano divertiti i giochi sparsi sul pavimento: avevano fatto bene a mettere quella morbida moquette colorata, così nessuno poteva farsi male qualora fosse caduto: era costata un po' ma Kyoko aveva avuto un'idea davvero ottima.

Se potessi comprare le nuvole, mia moglie e mia figlia avrebbero un soffice giaciglio su cui riposare...

Quando sedette sugli scalini di casa Ikkoku accanto a Mitaka, con la bevanda fresca in mano, pensò che era inutile mettersi a rimuginare su ciò che non aveva o non poteva permettersi: quante famiglie veramente ricche conosceva, in fondo? Nonostante le difficoltà quotidiane non gli mancava assolutamente niente. A parte...

"Perché non vi trasferite in una casa tutta vostra?" La domanda di Mitaka lo fece sobbalzare e per poco non lasciò cadere il bicchiere: come diamine aveva fatto a leggergli nel pensiero?! Lo guardò stralunato, come se avesse di fronte una specie di medium.

Oh, se potessi guadagnare un po' di più e far vivere Kyoko nell'agio! Se non avesse più bisogno di lavorare come amministratrice di casa Ikkoku così da potersi occupare solo della nostra Haruka! Lavorerei giorno e notte solo per vederle circondate da cose belle.

Mitaka doveva aver frainteso la sua espressione, perché agitò le mani davanti a sé dicendo: "Oh, no, scusa, scusa, volevo solo dire..."

Capì che doveva temere di averlo offeso e si affrettò a spiegarsi: "Ma no, non devi scusarti: vedi, stavo pensando proprio a questo quando me l'hai chiesto, perciò mi sono sorpreso". Sorrise, poi continuò: "Sai, aspetto una promozione entro la fine dell'anno e a quel punto potrei cominciare a mettere da parte per una casa".

Guardò l'amico che aveva assunto un'espressione più tranquilla, ora, e pensò di nuovo alla casa dove viveva con Asuna e i bambini: non solo era grande, ma anche arredata con bei mobili, compreso un divano comodo e un televisore di ultima generazione nel salone. Ogni stanza era ampia e piena di luce e non c'era alcun vicino chiassoso a ubriacarsi al piano superiore.

"Ehi?". Mitaka gli stava agitando una mano davanti agli occhi e lui si rese conto che si era perso nei propri pensieri.

"Ah, perdonami è solo che... pensavo..." Non terminò la frase, insicuro su cosa dire.

Cosa poteva rispondergli? Che era tormentato dal dubbio di dare poco alla sua famiglia quasi ogni giorno? Che, pur sforzandosi di fare del suo meglio, si sentiva quasi in colpa perché amava a dismisura il proprio lavoro pur rendendosi conto che fare carriera in quel campo non lo avrebbe certo portato a livelli di eccellenza?

"A proposito, dov'è Kyoko?".

"Ichinose dice che è andata a fare spese, dovrebbe tornare tra poco".

Improvvisamente, tutta la gioia e la sensazione di completezza cui tentava di attingere fino a poco prima si stavano affievolendo, riducendosi a una minuscola fiammella, gettandolo nel panico: quello che era stato un pensiero quasi remoto appena l'anno prima, mentre si aggirava in quella grande casa insieme a sua moglie, col tempo era mutato in un dubbio, poi in un'ossessione che rischiava di risucchiarlo in un vortice di incertezza.

"Certe volte mi domando... se non sarebbe stata molto più felice con te". Era stato appena un sussurro, considerando l' esplosione al centro della testa di una rivelazione che aveva tentato con ogni mezzo di non formulare a livello conscio; ma già avvertiva il respiro di Mitaka strozzarsi e gli occhi fissarsi sulla sua spalla, mentre non osava voltarsi a guardarlo.

Un petalo di ciliegio gli volò tra le mani, portato dal vento e lui lo fissò per un istante: era di un rosa così delicato che temeva di spezzarne i contorni solo guardandolo. Ciononostante strinse il pugno come se non volesse più lasciarlo andare.

"È sempre stata innamorata di te, e tu lo sai benissimo". La voce di Mitaka era bassa, calma, e quella stessa sensazione si impadronì di lui non appena la udì. Ma il dubbio che lo aveva assillato, nascosto nell'ombra per mesi, stava già cominciando a rosicchiargli le pareti dello stomaco.

"La vecchia storia di due cuori e una capanna... E noi amiamo Maison Ikkoku: è qui che ci siamo conosciuti; qui che ci siamo innamorati; qui che è nata la nostra Haruka. Questa è la ricchezza più importante, giusto? Eppure... non riesco a togliermi dalla mente che Kyoko avrebbe meritato di più". Aprì la mano e il petalo era lì, intatto, anche se un po' piegato e leggermente inumidito.

"Kyoko ha fatto la sua scelta molto chiaramente: sapeva cosa l'aspettava ma non ha esitato a sposare te. E tutto questo a prescindere da Asuna". Godai sorrise; la storia della gravidanza della cagnolina aveva definitivamente allontanato il suo eterno rivale da Kyoko ma lui stesso si era reso conto che lei, ormai, non aveva più alcun dubbio.

Perché si ostinava a struggersi? Avrebbe forse preferito che sposasse Mitaka e fosse infelice per tutta la vita in una gabbia dorata? No. Se avesse avuto anche il minimo sentore che Kyoko provasse qualcosa per il ricco allenatore di tennis non avrebbe esitato a farsi da parte, sacrificando la propria felicità in cambio di quella di colei che amava disperatamente. Ma avendo avuto il dono dell'amore incondizionato di Kyoko, non poteva far altro che lottare per renderla  ancora più felice di così. Ora che aveva finalmente concretizzato il suo timore più grande, riusciva a gestirlo in maniera più consapevole e d'improvviso, complici le parole di Mitaka, avvertì netta la sensazione di poterlo afferrare tra le mani e gettarlo via, come un macigno in uno stagno che si trasformi in un insignificante sassolino.

Si alzò in piedi, di nuovo fiducioso: "Giusto, devo dimostrarle che merito il suo amore e che posso farle vivere una vita altrettanto piena e serena!".

Udì Mitaka scoppiare a ridere e si voltò a guardarlo, sedendosi di nuovo accanto a lui: "Scusa, Godai, è che sei passato da un estremo all'altro in così pochi minuti che mi sei apparso particolarmente buffo!".

Non sapeva se quella sensazione di leggerezza sarebbe durata o se i dubbi si sarebbero riaffacciati, incontrollabili, alla sua mente. Quel che era certo, era che dire quella frase proibita solo qualche istante prima gli aveva fatto acquisire l'improvvisa consapevolezza che piangersi addosso sarebbe servito solo a renderlo più insicuro e infelice: ora la possibilità che Kyoko avesse potuto scegliere Mitaka gli sembrava l'ipotesi di un pazzo. Non aveva lottato per anni per meritarsi l'amore di Kyoko? Non meritavano, forse, di migliorare insieme, giorno per giorno, senza paranoie?

"Eh, eh... e già!". Balbettò imbarazzato, portandosi una mano alla nuca e ridendo scioccamente insieme all'amico. Già, ormai quel belloccio palestrato dai denti abbaglianti era diventato davvero suo amico. Era riuscito addirittura a contribuire all'annientamento degli spettri che lo perseguitavano da tempo.

Soichiro emise un 'bau' di protesta dalla sua casetta di legno, guardandoli con quei suoi occhietti striminziti e questo li fece ridere ancora di più.

"Sono contenta di vedervi così felici!", esclamò Kyoko comparendo all'entrata del giardino con dei pacchi tra le braccia. Godai la guardò e, ancora una volta, gli parve la creatura più bella che avesse mai messo piede nella sua vita. Forse era proprio la bellezza che sprigionava dall'anima e dal corpo che gliela faceva apparire così inadeguata per un ragazzo semplice come lui.

Un angelo per un mortale.

Si ritrovò a pensare mentre le andava incontro per aiutarla. Non poteva comprarle una casa grande, né giocattoli costosi per far giocare la loro bambina: ma poteva lottare ogni giorno, un passo dopo l'altro, per nutrire entrambe col suo amore immenso e far sì che si arrivasse a una felicità ancora più grande e completa.

"Godai..." Che voleva Mitaka? Non importava, la cosa fondamentale era aver trovato di nuovo la sicurezza dentro di sé, nonostante regredisse contemporaneamente a quando era un imbranato ragazzino alle prese con la sua prima cotta per l'amministratrice bella e irraggiungibile.

"Yusaku!". E regredì ancora di più quando lei pronunciò il suo nome, anche se non capiva come mai avesse quell'espressione preoccupata sul viso.

Urtò qualcosa con il piede e perse l'equilibrio, mentre quel qualcosa faceva 'bau!' e gli sfrecciava come un fulmine tra le gambe, accelerando la sua rovinosa caduta... direttamente tra le braccia di Kyoko. Pacchi e pacchetti volarono tutt' intorno, come un'allegra pioggia e lui cadde a terra sopra di lei portando, istintivamente e all'ultimo momento, una mano a proteggerle la nuca dal suolo.

Il silenzio, lui che fissava gli occhi spalancati di Kyoko mentre le chiedeva se si fosse fatta male e lei che scuoteva la testa, ancora sconvolta. Poi lo scoppio di risa; risa di adulti, risa di bambini. Infine le proprie e quelle di sua moglie mentre si rimettevano in piedi.

"Ma insomma, Godai, qui fuori davanti a tutti... e ai bambini!", esclamò la voce di Akemi  che suonava indignata e divertita allo stesso tempo.

Strinse Kyoko a sé, guardando prima Mitaka che si chinava a raccogliere i pacchetti e poi i suoi vicini e amici riuniti davanti alla porta di casa, con i piccoli che sbirciavano incuriositi: "Che ci volete fare? Sono troppo innamorato di mia moglie!", dichiarò con soddisfazione e una punta di complice imbarazzo.

ESTATE

Credeva di aver capito male; pensava che la sua ex inquilina si stesse burlando di lei. Appoggiò a terra la bacinella piena d'acqua che aveva tra le mani con un'attenzione doppia e si deterse la fronte con il polso, soffiando via i capelli che il sudore le aveva stampato sul viso.

Akemi fece spallucce: "Beh, non è poi così strano! Prima o poi doveva accadere, non sono mica più giovane come te".

L'aria tranquilla della rossa la sconvolgeva: era una notizia per la quale lei aveva provato una tale emozione che per giorni non aveva fatto altro che sorridere e parlare da sola. Akemi  invece sembrava le stesse raccontando una mattinata al supermercato.

"E Hideo (1) lo sa?".

"Non sono ancora riuscita a dirglielo. È così sensibile in questi ultimi tempi..."

Kyoko continuava a guardarla e pensò che, tutto sommato, era proprio da Akemi tutta quella pacatezza languida e quasi annoiata. Tuttavia, aveva bisogno di cavarle almeno un segno di emozione: "E tu sei felice?".

Per tutta risposta, la rossa tirò fuori una sigaretta e, con suo sommo orrore, si apprestò ad accendersela; ebbe appena il tempo di spalancare gli occhi e accennare un movimento con la mano destra, boccheggiando nel tentativo di redarguirla, prima che la donna si bloccasse con l'accendino a mezz'aria e togliesse il pollice facendo spegnere la fiamma. "Ecco, vedi? Continuo a dimenticarmi delle cose elementari: niente fumo, né alcool. Ho provato la birra analcolica e per poco non mi sentivo male... Non sono proprio tagliata per questa cosa!".

"Ah..." Riuscì ad articolare; pur conoscendola, non si capacitava affatto che un evento del genere non avesse sortito in Akemi nulla, se non una specie di annoiata privazione dei suoi vizi preferiti.

La rossa dovette accorgersi dell'espressione perplessa che aveva sul volto, perché la guardò un istante e poi disse: "Guarda che starò attenta, ci tengo che vada tutto bene. È solo che non ci sono abituata, tutto qui".

No, non le bastava come risposta. Akemi doveva fare i salti di gioia, doveva sentire una specie di brivido al pensiero, doveva adorare la sensazione che si provava di fronte a quello che somigliava così tanto a un miracolo...

Ma Akemi non era come lei e si sentì quasi in colpa a formulare quel pensiero, come se l'accusasse intrinsecamente di insensibilità; eppure quell'espressione così imbronciata all'idea di non potersi più dare alla pazza gioia per un po'...

"Ehi, di che si sparla qui?!". Ichinose...

"Già, fatelo sapere anche a noi!". Yotsuya...

Si voltò verso i due e cominciò: "Beh, il fatto è che Akemi..."

"...sono incinta", concluse la diretta interessata con la stessa aria annoiata di poco prima.

Kyoko rimase lì impalata per un intero minuto mentre Ichinose e Yotsuya dichiaravano che bisognava festeggiare, che era davvero una notizia strepitosa e che la famiglia si allargava.

Quanta leggerezza per una notizia così grande...

Quasi si pietrificò all'ultima frase che poté udire dalla donna prima che scomparisse al piano di sopra: "Mio marito ha insistito così tanto..."

                                                                                              ***

Da un po' di tempo, per Yusaku Godai scendere dal treno e fare a piedi i pochi isolati che lo portavano alla Maison Ikkoku era diventato il momento migliore della giornata. Nel giardino, a parte nei mesi più freddi, c'era sempre qualcuno ad accoglierlo: la sua piccola Haruka che giocava con la coda di Soichiro e gli correva incontro, o sua moglie che spazzava via le foglie e gli dava il bentornato con un lungo bacio.

Fece la strada quasi di corsa e si fermò a comprare un mazzo di fiori per Kyoko: quella era una serata speciale...

Entrare in casa aveva un sapore dolceamaro perché doveva dividersi tra lo spirito festaiolo dei due inquilini rimasti e l'amore della sua famiglia: alcune sere tornava in camera di Kyoko completamente ubriaco  e qualche volta discutevano della sua indulgenza nei confronti di Ichinose e Yotsuya, occasionalmente anche di Akemi. Non era facile dire di no a quella combriccola e la mancanza di volontà che lo affliggeva non gli era certo d'aiuto.

Ma qualunque discussione avessero, lui e Kyoko non rimanevano col broncio per più di qualche ora: ogni rientro a casa era meraviglioso come il precedente e quella sera sarebbe stata ancora più bella delle altre. Già la immaginava, in piedi sulla soglia, nel suo vestito elegante e le labbra leggermente truccate. Le avrebbe porto il mazzo di fiori e lei sarebbe arrossita, e allora...

Rimase basito quando, al suo rientro, trovò la moglie che parlava animatamente al telefono e Haruka che giocava nel corridoio.

"Ciao principessa!". Salutò sua figlia prendendola in braccio e facendola volteggiare. Tentò di scacciare la delusione concedendosi quel girotondo con Haruka e assorbendo tutta l'infantile gioia che emanava. Poi la mise giù e chiese: "Con chi parla la mamma?".

"Gno 'o so!". Naturalmente, cosa poteva saperne la sua bambina?  E soprattutto, perché Kyoko non era ancora vestita? Avrebbero fatto tardi e...

"Certo, ho capito perfettamente che non può venire perché si è ammalata, ma mi consigli per lo meno una sostituta!", stava dicendo sua moglie al telefono mentre accennava un vago cenno di saluto con la mano.

Oh, no...

"No, non mi interessa l'età, basta che sia affidabile e abbia esperienza di bambini".

Non stasera...

"Cosa? Un'agenzia? Ma hanno personale qualificato?".

L'anno scorso non abbiamo potuto festeggiare il nostro anniversario per una febbre che ha colpito Haruka proprio in quel periodo; quest'anno l'abbiamo rimandato per risparmiare. E ora...

Kyoko riattaccò e si voltò a guardarlo: sembrava costernata, anche se non era colpa sua. "Il fatto è che..."

"... la baby sitter ha dato buca, non è così?". Lei annuì e il suo sguardo andò con un sospiro alle scale: di sopra si sentiva un baccano tale che sembrava stessero festeggiando anche i giorni arretrati. Udiva distintamente le risate sguaiate di Ichinose e i suoi piedi sbattere sul pavimento nel solito, scomposto balletto; Yotsuya la incitava con grandi urla e Akemi sembrava già ubriaca fradicia.

Incontrò lo sguardo di Kyoko per un istante e capì che l'agenzia di cui stava parlando poco prima era l'ultima spiaggia: non era mai capitato di dover lasciare Haruka a casa ma l'unica volta in cui avevano tentato di portarla con loro al ristorante era stata così agitata che avevano potuto a malapena mangiare; in particolare adorava giocare con le posate facendo tintinnare piatti e bicchieri come altrettanti tamburelli e appena si cercava di darle un giocattolo al posto di cucchiaio e forchetta le urla facevano voltare i presenti. Stare tutti assieme come una famiglia era sempre meraviglioso, ma talvolta sentivano quel bisogno di romanticismo per cui la loro adorabile bambina era semplicemente troppo vivace. L'istinto materno di Kyoko aveva sopraffatto quel pensiero, scacciandolo più volte, ma dopo una lunga chiacchierata avevano convenuto che, ora che era più grandicella, potevano concedersi senza sensi di colpa una cenetta al lume di candela, se non altro per festeggiare i due anniversari arretrati. Quindi si erano messi alla minuziosa ricerca di una brava baby sitter e, grazie alle sue conoscenze all'asilo, avevano trovato una signora che aveva dei figli ormai grandi, ma si occupava volentieri dei bambini altrui in attesa dei nipotini.

A Kyoko aveva ispirato immediatamente fiducia e si erano accordati per quella sera.

Il destino, però, era loro avverso e l'alternativa all'agenzia che forniva baby sitting erano i tre sbandati al piano di sopra: "Beh, tanto vale andare a vedere in che condizioni sono", suggerì prendendo Haruka per mano e sforzandosi di sorridere. Sua moglie lo imitò coraggiosamente e lo seguì al piano di sopra.

La scena era la stessa di sempre e non lo colpì più di tanto: Ichinose stava effettivamente ballando, con un ventaglio in una mano e una lattina di birra nell'altra, mentre gli altri due cerebrolesi battevano le mani a tempo, evidentemente ubriachi.

A colpirlo fu la reazione di Kyoko: andava bene essere indignata per il loro comportamento compulsivo, andava bene che quella sera non era davvero aria di festa,  ma marciare a grandi passi verso l'alticcio trittico con quell'aria minacciosa non era proprio da lei!

"Mamy 'bbiata". Commentò tranquillamente Haruka, senza lasciare la sua mano.

"E già, sembrerebbe..." Rispose con un risolino nervoso.

Non era preparato neanche a quello che seguì: la sua dolcissima moglie, mostrando il suo lato battagliero, strappò dalle mani di Akemi la lattina e la scagliò con violenza nella stanza, rovesciandone l'ormai esiguo contenuto sul pavimento. Tutti si zittirono in quel momento, ipnotizzati dalla padrona di casa che fronteggiava un'intontita Akemi.

"Ma sei impazzita?! Cosa ti salta in mente di bere nelle tue condizioni? Sei incinta, razza d'imprudente!".

Godai avvertì distintamente il peso della mascella spalancargli la bocca con uno scrocchiare sonoro di articolazione.

Incinta? Akemi?! Oh, Kami...

"Papà, che 'gnifica ci... cinta?". La curiosità dei bambini, che meraviglia! Una domanda così grossa a due anni in un momento del genere gli mancava proprio.

"Vuol... vuol dire che... che... ha un bimbo nella pancia". Doveva ancora realizzare quello che aveva appena udito con le proprie orecchie e non gli venne fuori che la verità.

"'Cia 'Kemi mangia i bambini". Realizzò con serietà sua figlia.

"Ma no, zia Akemi non mangia i bambini, tesoro, solo..." Che bella idea quella di spiegare a una bambina che ancora non aveva imparato a parlare come si facevano i bambini!

Ci pensarono i suoi inquilini a trarlo d'impaccio. Akemi emise un singulto, tipico di chi è ubriaco e dichiarò che la birra di quella lattina era analcolica.

 

"E tu pretendi che io ci creda?", gridò Kyoko fuori di sé. "Lo vedo benissimo che sei sbronza come tuo solito! Non te ne importa nulla della vita che ti sta crescendo in grembo? Solo perché l'ha voluto tuo marito non significa che tu non debba comportarti da madre responsabile!".

 

Beh, quello aveva senso: il master del Chachamaru usciva da un matrimonio fallito e senza figli, probabilmente aveva espresso alla sua seconda moglie il desiderio di avere prole. Ma Kyoko aveva ragione: non che Akemi fosse il ritratto della madre ideale, ma doveva pur provare qualcosa nei confronti della nuova vita che cresceva.

 

Non riesco ancora a crederci.

 

"Guarda che ho smesso di bere non appena mi hanno detto che ero incinta di tre mesi, leggi l'etichetta sulla lattina se non ci credi". Addirittura? Quello significava che avrebbe partorito il prossimo inverno! Come aveva fatto ad accorgersene solo a quel punto?

Vide Kyoko raccogliere la lattina rovesciata con la fronte corrugata e un'espressione di perplessità in volto. Poi i suoi tratti si distesero e spalancò gli occhi: "Analcolica. Si tratta davvero di birra analcolica! Ma non avevi detto che non ti piaceva?".

Akemi guardò in aria e allargò le braccia: parlò con il tono di chi spiega con pazienza a una bambina poco sveglia. "Naturalmente non mi piace, ma non ho alternative, ti pare?".

"Ma... ma sembravi veramente..."

"Ubriaca? Certo! Ormai dopo tanti anni passati a ingurgitare alcolici le viene naturale avere i sintomi della sbornia anche con un succo di frutta, ah ah ah ah!". Ichinose aveva dato una spiegazione veloce ma che non faceva una grinza; Godai si chiese se avesse anche un fondamento scientifico o fosse solo il frutto di una mente birra-dipendente.

"Tu mi giudichi troppo male, cara Kyoko. Il fatto che la gravidanza non sia la maggiore delle mie aspirazioni non fa di me un'infanticida! Te l'ho detto anche oggi, ci tengo ad avere un figlio sano..."

Incredibile, Akemi che faceva un discorso serio e sensato, ma allora sposarsi l'aveva fatta maturare! Poteva leggere l'incredulità anche sul volto di sua moglie.

"Mi... mi dispiace, io... sono stata una sciocca impulsiva. E anche maleducata". Si sentì costernato nell'udire le sue scuse: non aveva mica reagito così in cattiva fede!

"...così dopo posso ricominciare a bere birra vera!", terminò Akemi come se non l'avesse neanche udita, alzando le braccia e sancendo, con quel gesto, il proseguimento dei balli e delle urla.

Chiamò il nome della moglie, ancora impalata al centro della stanza con la lattina in mano e le fece un cenno col capo per indurla a uscire.

                                                                                              ***

Trovare la baby sitter all'ultimo minuto grazie all'agenzia e spostare la prenotazione al ristorante era stato facile; la sua ansia scemava poco a poco anche se rimaneva un unico neo: chi le avrebbero mandato a badare ad Haruka?

Si era rifiutata di andarsi a preparare finché non avesse visto con i propri occhi quella 'ragazza ben educata e amante dei bambini' che stava per arrivare. Non che avesse nulla contro le ragazze giovani che ancora studiavano, ma temeva che l'inesperienza data dall'età potesse mettere in pericolo la sua bambina: e se fosse uscita di casa in un attimo di distrazione? E se si fosse avvicinata a una cucina a gas o, peggio, a qualche utensile pericoloso? O magari a dei detersivi... o avesse aperto l'acqua in bagno o fosse caduta nella vasca rischiando di affogare...

Si diede della paranoica: d'accordo che era madre, ma questo era catastrofismo allo stato puro! Potevano accadere simili disgrazie proprio a sua figlia? Non che non ne avesse sentite di tutti i colori, tipo quella conoscente del circolo di tennis che aveva lasciato per un minuto il suo bimbo di un anno incustodito e lui aveva inghiottito la perlina di una collana: 'Fortuna che non gli è andata di traverso, non avrei mai potuto perdonarmelo!', aveva esclamato tremando al ricordo.

Si morse un'unghia e alzò gli occhi all'orologio: potevano pur portarla con loro e farla sedere in una di quelle sedie-seggiolone! Le avrebbero spiegato che doveva giocare solo con i suoi giocattoli senza pretendere le posate, che se avesse fatto la brava magari avrebbe avuto in regalo quella bambola che le piaceva tanto.

Guardò suo marito e notò solo in quel momento il mazzo di fiori all'entrata, adagiato sul gradino. "Li avevo comprati per te e ho dimenticato di darteli".

Evidentemente aveva seguito il suo sguardo; si alzò e lo baciò dolcemente: "Grazie". Sussurrò prima di adoperarsi per metterli in acqua.

No, doveva stare calma e riflettere: se la baby sitter non l'avesse convinta avrebbe portato Haruka con loro ma se, come si aspettava, era una persona affidabile, si sarebbe goduta la serata con suo marito senza remore. Non significava mica voler male ad Haruka appartarsi qualche ora per una cena, no?

Più ci pensava e più se ne convinceva, e più se ne convinceva e più non vedeva l'ora di vederla entrare da quella porta per potersi rilassare.

Non dovette aspettare molto, perché qualche minuto dopo una figura esile si affacciò al vialetto d'entrata e lei scattò in piedi in preda a un'ansia che credeva di aver dissipato, ma che ora le irrigidiva le braccia lungo i fianchi e le labbra in una linea sottile. Yusaku le si avvicinò da dietro e le pose una mano sulla spalla: "Stai tranquilla, sono sicuro che è bravissima!".

La ragazza entrò nella luce del loro campo visivo ed entrambi emisero un verso strozzato di sorpresa.

"Buonasera signor Godai! Quanto tempo, vero?".

Davanti a loro c'era Yagami in carne e ossa.

                                                                                              ***

"Ya-Yagami?!". Improvvisamente regredì a qualche anno prima, quando la ragazza gli faceva una corte indecente proprio davanti alla donna che amava e lui era troppo timido e imbranato per allontanarla con decisione.

"È sorpreso, vero? Alle scuole superiori continuavo a pensare a lei e un giorno ho capito! Ho capito che dovevo seguire la sua stessa strada, solo così avrei potuto esserle vicino in qualche modo..." Aveva lo sguardo sognante e le mani raccolte sul petto come a proteggere l'amore ancora vivo nei suoi confronti.

Qualcuno mi dica che è un incubo...

"Yagami, ti faccio presente che sono un uomo sposato e questa è nostra figlia, per cui...!". Aveva preso in braccio una sorridente Haruka e l'aveva usata quasi come scudo, deciso a dirle chiaramente come stavano le cose, ma non si aspettava la sua reazione.

Prima ancora che potesse terminare la sua impacciata paternale, Yagami batté le mani allegramente ed esclamò: "Ma è una bambina bellissima! Le somiglia davvero tanto, lo sa? Posso tenerla in braccio?".

Troppo stupefatto dalla situazione, lasciò che la ragazza prendesse sua figlia in braccio e la coccolasse riempiendola di complimenti; da parte sua, Haruka sembrava a proprio agio: evidentemente la sua ex studentessa le piaceva. Si azzardò a guardare Kyoko, che ancora non aveva proferito parola, solo quando la udì schiarirsi rumorosamente la voce.

Yagami la guardò come se si fosse accorta solo in quel momento che c'era anche lei, allora mise giù Haruka e si produsse in un elegante e composto inchino: "Mi scusi per la mia scortesia, buonasera signora Otonashi. Come sta?".

Il sangue gli andò in testa  e fu sicuro che, se si fosse guardato allo specchio, avrebbe visto i propri capelli drizzarsi uno ad uno come in certi cartoni animati che vedeva la sua bambina il pomeriggio.

"Ti ricordo che adesso sono la signora Godai. Sto splendidamente ma trovo bene anche te, Yagami." Aveva temuto  che la serata potesse non finire bene nel momento esatto in cui aveva capito che la baby sitter non sarebbe venuta. Ma non credeva che avrebbe potuto finire così male: il modo in cui sua moglie aveva calcato sulle parole 'Godai' e 'Yagami' lasciava presagire una tempesta imminente, nonostante il sorriso e la gentilezza che mostrava.

"Oh, mi scusi, ha ragione..." Rimediò la ragazza con un imbarazzo quasi sincero. "Lei ora è sposata con il mio Godai, quindi io non posso che accontentarmi di diventare la sua amante, giusto?", dichiarò sorridendo con aria allegra, inclinando la testa di lato a sottolineare la domanda.

MIO Godai? AMANTE?!

"Yagami!", gridò prima che Kyoko potesse dire o fare qualsiasi cosa. Sentì tirare i pantaloni e abbassò lo sguardo verso sua figlia.

"Che 'uol dile 'mmante?". Haruka fu la ciliegina sulla torta: prima la storia del bambino nella pancia di Akemi, ora quella dell'infedeltà coniugale! Cominciò a balbettare, guardando alternativamente sua moglie e Yagami. Fu proprio quest'ultima a trarla d'impaccio: e fu un bene, perché Kyoko aveva le spalle contratte e il colorito era virato velocemente al rosso-violaceo.

"Ma che bambina sveglia, già vuole sapere le cose grandi della vita!". Si chinò e la prese nuovamente in braccio. "Amante è una persona che cerca di rubare il tuo papà alla tua mamma... ma io scherzavo! Volevo solo prenderli un po' in giro per ridere come ai vecchi tempi!".

Udì il sospiro di Kyoko e anche a lui parve di essersi tolto un peso: certo che però era stato davvero pesante come scherzo! Non avrebbe mai imparato a comportarsi come una vera signora.

"Yagami, ascoltami; io e Yusaku vorremmo andare a cena fuori e ci serve una baby sitter perché al piano di sopra stanno facendo una delle solite feste e non è il caso che lasci Haruka a loro. Nonostante le incomprensioni del passato e questo tuo scherzo poco simpatico voglio darti fiducia, perché in fondo sei una brava ragazza... Posso affidarti la nostra bambina confidando che tu abbia cura di lei come se si trattasse della tua?". Le parole di Kyoko erano state pacate e gentili, ma ferme in una maniera che non lasciava dubbi sulle sue reali priorità: se Haruka non fosse stata in buone mani, non se ne sarebbe fatto nulla.

Yagami posizionò meglio la bimba sul braccio sinistro e la guardò dolcemente: "Così il tuo nome significa 'profumo di primavera', giusto?".

"... 'mmaveraaa!", strillò tutta contenta agitando le braccine. Il sorriso di Yagami si affievolì e d'un tratto la ragazza sembrò maturare di colpo.

"Quando ho cominciato le scuole superiori ho davvero scelto questa strada perché amavo ancora il signor Godai". Ebbe un sussulto e lanciò l'ennesima occhiata a sua moglie, che però rimase pazientemente in silenzio. Gli sembrava addirittura che avesse uno sguardo comprensivo.

"Mi sono trovata subito bene con i bambini e ho cercato lavoro come baby sitter presso l'agenzia che avete chiamato stasera; nel tempo libero li accudisco e se inizialmente farlo mi faceva sentire più vicina all'uomo che amavo, col tempo mi sono resa conto che fosse la strada giusta da intraprendere. Pian piano il dolore ha lasciato il posto alla passione per il futuro che mi aspettava e oggi non desidero altro che avere una famiglia tutta mia, un giorno".

Incontrò i suoi occhi adoranti... ma a chi era rivolta quell'adorazione? A lui o al suo lavoro?

"Naturalmente non ho intenzione di diventare l'amante di nessuno, voglio un marito e dei figli miei!", concluse sorridendo a Kyoko. "Può stare tranquilla, Kyoko-san, questa bambina somiglia troppo al mio primo amore perché io non possa adorarla di già. E ho lavorato anche con bambini più piccoli e pestiferi, lei mi sembra un angioletto".

"Oh, non farti ingannare, sa essere vivace come un diavoletto quando ci si mette!", rise Kyoko.

Incredibile, le cose stavano andando bene adesso: quello che si era preannunciato un uragano in piena regola ora si concludeva nel migliore dei modi.

"Yusaku, mi hai sentita?". Kyoko gli stava sventolando una mano davanti al viso.

"Eh? Oh, dimmi, cara". Idiota, si era di nuovo auto ipnotizzato con i suoi viaggi mentali.

"Ho detto che io vado a prepararmi, tu mostra a Yagami la stanza di Haruka e tutte le sue cose".

Sorrise: finalmente avrebbero avuto il loro anniversario... e grazie a Yagami!

 

                                                                                              ***

Avevano bevuto decisamente troppo: Yusaku continuava a ridere e a farla volteggiare in un ballo senza posa per tutta la strada di ritorno e lei, nonostante le scarpe le facessero ormai un male indicibile, continuava ad assecondarlo, divertendosi e ignorando le proteste dei piedi che sembravano volerle esplodere da un momento all'altro.

Giunti davanti alla soglia di casa, strozzò a forza l'ennesima risata alcoolica e si pose un dito sulle labbra inducendo suo marito a fare silenzio: "Pensa che imbarazzo se ci facessimo vedere in queste condizioni, Yagami penserebbe che non siamo molto diversi da Ichinose e gli altri!". Ridacchiò senza potersi controllare e lo stesso Yusaku si piegò in due tenendosi la pancia e sprizzando lacrime dagli occhi.

Cercarono l'autocontrollo per qualche istante poi, raddrizzando la schiena per apparire più lucidi possibile, aprirono la porta d'ingresso: quello che vide la sconcertò.

La camera di Haruka era spalancata e nel corridoio ronfavano bellamente Ichinose, Yotsuya e Akemi. Corse nella stanza e trovò la sua bambina dolcemente addormentata nel suo lettino rosa; Yagami era inginocchiata accanto a lei, con la testa sulle braccia e un libro di favole ancora semi aperto ai piedi del letto, caduta anch'ella in un sonno profondo.

"Fate silenzio... la piccola deve dormire...", biascicava nel sonno. Si voltò a guardare i suoi vicini attorniati da bottiglie di birra e capì che la poveretta doveva aver lottato strenuamente per sfuggire ai festeggiamenti e mettere a letto Haruka... prima di bere qualche birra di troppo e addormentarsi a sua volta.

Sorrise e coprì le spalle della ragazza con una coperta leggera, decidendo che era troppo tardi per rimandarla a casa: "Grazie, Yagami, domattina ti darò quello che ti spetta". Si chiuse la porta alle spalle e guardò i propri vicini indecentemente accampati sul pavimento. Scorse le bottiglie con lo sguardo e notò che dalla parte di Akemi continuava a leggere l'etichetta 'analcolica'.

Brava ragazza.

Due braccia l'afferrarono saldamente da dietro, circondandole la vita e risalendo verso il seno; sussultò: "Yu-Yusaku, qui...?".

"No, non qui. Nella nostra camera". Le sussurrò con voce roca all'orecchio: il suo fiato caldo, nonostante la temperatura estiva, le fece venire la pelle d'oca. Girò la testa e capì che non era più l'alcool a guidarla, ma un desiderio ardente che fluiva dal corpo di suo marito direttamente nelle proprie vene.

Si voltò verso di lui, anelandone improvvisamente il contatto e si lasciò andare a un lungo bacio umido di sudore, saliva e respiro.

"Kyoko...", le ansimò sul collo prima di sollevarla per alzarla di peso dal pavimento.

Incendiata da un fuoco che prima d'ora non l'aveva mai consumata a quel modo, incrociò le gambe attorno al corpo di lui, permettendogli di trasportarla fin nella loro camera mentre le bocche non smettevano di cercarsi spudoratamente.

Era stato tutto così veloce che, se suo marito non l'avesse afferrata saldamente, sarebbe caduta a terra priva di forze; le pareva di sciogliersi ad ogni istante, mentre la bramosia diventava un desiderio selvaggio e imponente: Yusaku la schiacciò col proprio corpo sulla porta chiusa e allungò una mano per dare un giro di chiave.

Ottima idea...

La stanza girava, girava... e la visione della tranquilla cameretta di Haruka di poco prima le parve lontana millenni nel passato. Ora c'erano solo mani, braccia, labbra e pelle sudata, un'urgenza che li faceva annaspare alla ricerca l'uno dell'altra. Le pareva di essere racchiusa in una bolla rovente e onirica, dove il corpo comandava e la mente azzerava ogni pensiero coerente: non aveva mai sperimentato delle sensazioni del genere, né le prime volte con Yusaku, né tantomeno con Soichiro, entrambi sempre molto dolci e attenti. Era come se l'istinto più primordiale si fosse impadronito di loro rendendoli più simili al primo uomo e alla prima donna, piuttosto che a una coppia sposata del ventesimo secolo.

Non capì come accadde, ma mentre Yusaku s'impossessava della sua anima così come del suo corpo, le salirono alle labbra le parole: "Dammi un altro figlio..."

                                                                                              ***

Luce. Tanta luce, come se fosse mezzogiorno. Le palpebre sembravano ricoperte di piombo mentre le sollevava a fatica per leggere l'ora sulla sveglia: che era effettivamente quella che aveva immaginato.

Con un mugugno di disappunto e la testa che pulsava a ogni movimento, si rotolò nel futon fino ad abbracciare il corpo di Kyoko. Erano entrambi nudi e qualche vago ricordo della sera prima gli fece temere di aver esagerato con l'alcool... e non solo.

"Tesoro...? Sono le dodici passate..."

Mugugnò anche lei, strizzando gli occhi e stiracchiandosi beatamente. Quando aprì gli occhi e lo guardò, le sorrise: "Buongiorno, mogliettina". L'aveva salutata così la prima mattina dopo le nozze, ma la notte passata era lontana mille miglia da quella di due anni prima.

"Buongiorno..." Aveva la voce impastata, era spettinata e gli occhi erano ancora semichiusi; eppure gli parve la creatura più bella della Terra.

"Ehm... ecco, ieri sera... non ho fatto qualcosa che... insomma, tu non volessi, vero?". Il dubbio di aver passato una notte di sesso sfrenato era divenuto ormai certezza, ma era stato troppo ubriaco per ricordare esattamente fino a che punto si fosse spinto e quanto lei fosse stata consenziente. Di sicuro si ricordava che inizialmente l'aveva assecondato di buon grado, ma lo stesso temeva di essere andato un po' oltre i limiti.

Quando Kyoko scoppiò a ridere fu confuso e sollevato allo stesso tempo: "Devo ricordarmi di segnare la marca del vino che abbiamo bevuto ieri sera! Rammento solo di aver avuto il tempo di accertarmi che Haruka stesse dormendo, poi ho completamente perso di vista la realtà!".

Si sollevò a baciarlo sulle labbra e lui la ricambiò con dolcezza: ma c'era qualcosa che gli sfuggiva, un particolare che non riusciva a mettere a fuoco. Forse era qualcosa che aveva detto...

"Oh, santa pazienza! Yagami sarà ancora qui ad aspettare la sua paga e Haruka non avrà nemmeno fatto colazione! Che madre rimbambita!". Scivolò fuori dal futon e la osservò aggirarsi nuda per la stanza alla ricerca dei vestiti. Il suo corpo, così ben fatto anche dopo una gravidanza, gli fece salire nuovamente un desiderio incontrollabile: forse il vino non aveva ancora esaurito il suo effetto, dopotutto. Ma Kyoko aveva ragione; avevano una figlia di cui occuparsi, una baby sitter da pagare e dei vicini che sperava non avessero visto né sentito nulla: non ricordava altro se non di aver chiuso la porta a chiave, ma era quasi certo di aver cominciato il suo insolito approccio amoroso là, nel corridoio. E continuava a sfuggirgli cosa avesse detto a Kyoko qualche ora prima...

Sua moglie intanto si era vestita. Si sistemò velocemente i capelli allo specchio e uscì in corridoio. Udì parlottare e capì che Yagami aveva preparato la colazione ad Haruka e aveva giocato un po' con lei, certa che loro due avessero fatto le ore piccole.

"Mi scusi per essermi addormentata ieri sera, ma Ichinose e gli altri volevano festeggiare il mio ritorno a casa Ikkoku, e così...".

"...ti hanno fatta bere, vero? Ma tu sei stata molto gentile stamattina, considerando che ci siamo svegliati solo adesso, per cui hai diritto a un bonus!".

"Oh, no, non c'è bisogno! Mi sono divertita con lei, è una bambina speciale!".

"Allora vedilo come un regalo, va bene? Te lo sei meritato!".

Kyoko aveva ragione: per qualche ora erano stati dei genitori un po' libertini e Yagami si era presa cura della loro bambina facendo fronte anche ai loro vicini. Per cui meritava una paga più alta. Cominciò a vestirsi cercando di captare anche le voci degli altri, ma dubitò che si sarebbero alzati dal letto prima di un'ora, considerando la quantità di bottiglie di birra che aveva adocchiato nel corridoio la sera prima. Per quanto potesse vederci doppio per via del vino, non credeva fossero meno di...

Abbassò le braccia, rimanendo bloccato nelle maniche della maglietta che stava per infilare sulla testa; un rivolo di sudore gli scese sulla tempia.

Ora ricordo cos'era... non era qualcosa che ho detto io a Kyoko, ma qualcosa che lei chiedeva a me...

Finì meccanicamente di vestirsi, si diede una sistemata ai capelli arruffati e uscì in corridoio a dare il buongiorno alla sua bambina e a ringraziare personalmente Yagami. Mentre tornava alla quotidianità di ogni giorno, si sforzò di ricordare se avesse assecondato la richiesta di sua moglie oppure no.

 

(1) Visto che il Master del Chachamaru non ha un nome, ma Akemi è sposata con lui, avevo necessità di dargliene uno, prima o poi. Spero vi piaccia...

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Capitolo 4
*** Stagioni - Parte seconda ***


STAGIONI - PARTE SECONDA

AUTUNNO

"Dammi un altro figlio". Ecco cosa aveva chiesto quella notte di quasi tre mesi prima a suo marito, in un momento di debolezza.

Era un desiderio che coltivava da sempre, quello di avere un maschio e una femmina; la sua meravigliosa Haruka andava per i tre anni, il periodo era perfetto. C'era solo un problema...

"Kyoko! Il rubinetto del bagno al piano di sopra perde!". Ichinose gridava, come suo solito, dalla cima delle scale.

"Tesoro, farai la brava mentre salgo su a vedere che succede?", domandò alla bimba impegnata a colorare un album di disegni.

"Mh-mh". Rispose lei annuendo e facendo dondolare i codini, senza staccare lo sguardo dal suo complicato lavoro con i pastelli colorati. La stanza era colma di cose: armadi di vestiti e giocattoli, per non parlare dei pannolini che a breve avrebbe dovuto imparare a smettere... Non sarebbe entrato un altro lettino, né un altro guardaroba nella numero due e neanche aveva intenzione di occuparne un'altra troppo lontana da quella sua e di Godai.

Alzò lo sguardo e valutò per un istante se far spostare Ichinose con la sua famiglia per utilizzare la uno. "Ehi, ti sei incantata?".

"Smettila di strillare, ho capito. Ma a te cosa importa del bagno di sopra, Ichinose?".

"Da quando Akemi si è trasferita le nostre feste le facciamo da Yotsuya, o te lo sei scordata? Per cui deve esserci un bagno funzionante anche qui!". Già, ormai il piano inferiore era off limits: con una bambina piccola non si poteva fare baccano di notte, senza contare che lei e Yusaku dovevano poter passare dalla stanza dell'amministratore a quella di Haruka senza rischiare di inciampare in lattine e bottiglie vuote. Il risultato era che ogni mattina, a Kyoko toccava ripulire il corridoio del primo piano da cima a fondo, neanche ci passasse una mandria di bufali; con le visite di Akemi sempre più rare, a causa della gravidanza ormai in stato avanzato, pareva che i due inquilini rimasti facessero ancora più caos del solito per compensarne l'assenza.

Un giorno o l'altro dovrò farli ricoverare d'urgenza per coma etilico...

"Ecco, vedi? È così da ieri sera, ma visto che eri impegnata con Haruka non ti ho chiamato". Guardò la donna e capì che doveva costarle molto sacrificare quella specie di amicizia di comodo perché l'amministratrice aveva una figlia a cui badare; e capì anche che Hanae Ichinose aveva bisogno di compagnia: ormai le gite al club del tennis erano un ricordo lontano e Yotsuya aveva da fare con un nuovo, misterioso lavoro; tornava quasi all'imbrunire e spesso aveva sentito la donna prenderlo in giro e dire che si vedeva con una signora di bell'aspetto. Non che non fosse ora, anche per lui! Kentaro si era fatto dei nuovi amici e studiava fuori quasi ogni giorno e il signor Ichinose si assentava sempre più spesso per motivi di lavoro.

Ma per lei cominciava a essere davvero dura badare a casa Ikkoku e contemporaneamente a una figlia: Yusaku si era offerto di portarla all'asilo con sé, quando fosse stata più grandicella, per farla socializzare con altri bambini, ma per il momento voleva accudirla e crescerla lei. Almeno fino a che non avesse compiuto quattro o cinque anni.

"Che ti prende? Hai un'aria così strana...". Si era accorta a malapena di star cercando di avvitare il rubinetto malfunzionante con un martello.

"Oh... ah, no, è che sono soprappensiero. Devo ancora andare a fare la spesa e cercare di convincere Haruka a seguirmi!". Rise in imbarazzo, prendendo l'attrezzo adatto e cercando di non far trapelare la sua preoccupazione.

Desiderare una cosa è un conto. Averla nel momento meno opportuno è un altro. Nella vita bisogna proprio programmarsi tutto...

"Sei di nuovo incinta". La pinza le cadde dalle mani e sbatté nel lavandino con un rumore assordante, rompendo la ceramica. Se non ci fosse stato il lavabo si sarebbe fracassata un piede.

Come diavolo aveva fatto a capirlo?! Sapeva che, quando era sobria e si impegnava, Ichinose era una donna astuta e osservatrice, ma quello era troppo!

"Ah, ah ah! Avevo ragione, non mi sfugge nulla!". Si era portata le mani dietro la nuca, con aria soddisfatta.

"Ma... ma come hai fatto a...?".

"Come l'ho capito? Beh, bisogna essere davvero ciechi per non accorgersene! In questi ultimi giorni sei sempre stata pensierosa: hai cominciato a mangiarti le unghie e a guardare il calendario. L'altra mattina sei uscita di nascosto mentre Haruka dormiva e sei rientrata di soppiatto, come una ladra, con un sacchetto della farmacia tra le mani. Bastava fare due più due!".

Doveva avere una faccia alquanto ebete, in quel momento, stupita com'era. E lei che pensava di averlo nascosto così bene!

"Di' la verità, ti è venuto il desiderio di un altro figlio quando hai saputo che Akemi era incinta, non è vero?", le domandò accendendosi una sigaretta.

"Ecco, io veramente... era già da un po' che ci pensavo. Ma ora... devo badare alla Maison Ikkoku e non abbiamo abbastanza soldi per pagare una baby sitter a tempo pieno; anche se Yagami viene qui occasionalmente senza pretendere nulla non vogliamo approfittarne e io non voglio lasciare Haruka...". Si fermò appena in tempo: stava per dire che non voleva lasciare sua figlia in casa col rischio che si trovasse incustodita mentre lei e Yotsuya si ubriacavano al piano di sopra, senza contare che uno spettacolo del genere non era affatto educativo per una bambina.

"Capisco che tu non voglia mandarla all'asilo perché vuoi che cresca con sua madre, ma potresti lasciarla a noi qui al piano di sopra, qualche volta, si divertirebbe da matti!".

Colta in fallo, raccolse le pinze dal lavandino e aprì un armadietto in cerca dello smalto per coprire lo squarcio che aveva prodotto lasciandole cadere. Fortunatamente Ichinose passò velocemente a un altro discorso, anche se non era certo più semplice: "Lo hai detto a Godai?".

Il barattolo di smalto era semi aperto e lo aveva afferrato con una mano tremante; bastò quella domanda a farlo cadere a terra spargendone il contenuto sul pavimento. Per un attimo credette che sarebbe scoppiata a ridere. O a piangere.

"Devi trovare al più presto una soluzione a questa storia e raccontarlo a tuo marito, o questa casa andrà in pezzi", commentò allontanandosi e scuotendo la testa.

E, in effetti, aveva ragione lei.

***


Era stata bravissima a colorare tutto l'album in così poco tempo! Non vedeva l'ora di farlo vedere alla mamma, ma quando aveva provato a chiamarla le aveva risposto che sarebbe scesa non appena avesse sistemato il lavandino. Aveva udito il rumore dell'acqua che riempiva il secchio e si chiese se non si fosse messa ad aggiustarlo usando lo straccio per i pavimenti.

Da qualche giorno la mamma era così distratta! Si era persino scordata di comprarle i suoi dolcetti di riso preferiti per la colazione ed era dovuto uscire il papà prima di andare al lavoro per andare a prenderglieli. Guardò l'album e decise di lasciarlo aperto sulla scrivania perché lo vedesse quando fosse scesa e si mise a girare per la stanza alla ricerca di un giocattolo nuovo. Le bambole le aveva pettinate tutte e i cubi colorati l'avevano stufata. Neanche le costruzioni l'allettavano; ma cosa c'era là in alto? Il nuovo puzzle che le aveva portato papà la sera prima! Ma perché l'avevano messo su quello scaffale dove lei non arrivava?

Sbatté i piedi a terra e protestò, chiamò di nuovo sua madre ma lei chiedeva di aspettare ancora un attimo e cominciò a sentire un rumore metallico seguito da alcune di quelle parole che le avevano sempre proibito di ripetere.

La mamma era nervosa e aveva da fare e lei si annoiava a morte! Pensò che avrebbe potuto far entrare Soichiro e giocare un po' con lui, così corse alla porta d'ingresso e fece per aprirla. Si fermò nel mezzo dell'azione, ricordandosi i genitori che l'ammonivano di non uscire mai, MAI da sola in cortile, per nessun motivo. Sbuffò, lei non stava uscendo, avrebbe chiamato il cagnone dalla soglia inducendolo ad entrare e così sarebbe andato bene, no?

Si aspettava di trovarlo raggomitolato nella cuccia, invece quel giorno era particolarmente giocherellone: si stava divertendo a inseguire le foglie colorate che cadevano dagli alberi e si muovevano nel vento.

"'Chiro, vieni qui!", gridò mettendosi le mani ai lati della bocca per farsi sentire: sua madre stava facendo un gran baccano al piano di sopra.

Il cagnone la guardò, abbaiò brevemente e ricominciò a giocare con le foglie. Gonfiò le guance, accalorata dal disappunto e lo chiamò più forte: "So! Chiroooooo!", articolò sperando che dire bene il suo nome e gridare lo richiamasse.

Invece lui non si voltò neanche e Haruka decise che sarebbe andata da lui. Scese gli scalini e si aspettò di sentire sua madre rimproverarla, ma i rumori continuavano e non si vedeva neanche Ichinose in giro.

"Socchiro!", trillò abbracciandolo e ridendo felice. Il suo nuovo compagno di giochi le leccò il viso e lei pensò che sarebbe stato bellissimo poter salire a cavalluccio su di lui mentre rincorreva le foglie colorate. Si aggrappò al folto pelo e il cane si limitò a guardarla mentre eseguiva la complicata operazione di scalarlo fin sulla groppa. Dopo qualche caduta e alcuni tentativi vani, riuscì nell'intento e alzò le braccia al cielo.

"Galoppa, Socchiro, galoppa!", lo incitò saltellandogli sul dorso.

"Bau". Rispose il cagnone uscendo in strada e galoppando come un vero destriero.

***


La birra era fredda al punto giusto e la gravidanza di Kyoko era un ottimo pretesto per festeggiare. Peccato che dovesse aspettare la sera per dirlo a Yotsuya! Intanto però poteva mettere al corrente la piccola Haruka che presto sarebbe arrivato un fratellino.

L'aveva vista poco prima guardare in alto sullo scaffale dei giocattoli e pensava che, dopotutto, un compagno di giochi era proprio quello di cui aveva bisogno, vivace com'era. Scolò una birra d'un fiato e si domandò dove si fosse cacciato quell'ingrato di suo figlio, che la lasciava sola per giorni interi.

"Li cresci con tanto amore per poi sentirti così abbandonata!", borbottò aprendo un'altra lattina. Con Akemi a fare la brava moglie e la futura mamma, e Yotsuya ad amoreggiare con quella signora attempata del circolo del tennis, aveva ben poco da fare. Se non bere da sola.

Alla terza birra si ricordò della sua missione giornaliera e barcollò in direzione della stanza numero due per parlare ad Haruka. Ma la stanza era vuota. "Che strano, deve averla portata Kyoko su con sé per controllarla meglio. Bah!".

Non aveva di meglio da fare che uscire per comprare altre birre e magari anche un dolce per cena: se quello scellerato di Kentaro non si fosse fatto vedere, con la scusa di dormire dal suo compagno di scuola, se lo sarebbe mangiato da sola! Prese la borsa e tornò in corridoio: la porta d'ingresso era socchiusa. "Non si usa chiudere le porte, da queste parti?", domandò ad alta voce uscendo e, naturalmente, non ricevette risposta. Richiuse la porta dietro le spalle e notò che non c'era nei paraggi neanche Soichiro.

Stupido cane...

Sperava di incontrare qualche signora di sua conoscenza, giù al negozio, almeno avrebbe potuto spettegolare un po' e passare il tempo.

***


Conosceva il parco, ma in quel momento Soichiro si era addentrato nella boscaglia e lei non si orientava più; il suo cavallo improvvisato non si era fermato neanche per farla scendere il tempo di un giro sull'altalena e sullo scivolo. Cominciò a battere le manine aperte sulla pelliccia del cane, pensando che forse con la sola voce non attirava abbastanza la sua attenzione. Solo quando afferrò un ciuffo tirandolo con tutte le sue forze, Soichiro emise un guaito di disappunto facendola cadere a terra con un movimento inconsulto.

Haruka cominciò a piangere sbattendo pugni e gambe sull'erba, arrabbiata e dolorante. "Cattivo, cattivo 'Cchiro!".

Dal canto suo, il cane si stava leccando accuratamente la parte offesa e solo dopo aver terminato l'operazione si degnò di avvicinarsi a lei lambendola sul viso finché, invece che lacrime, cominciò a grondare bava.

"Va bene, basta, ti perdono! Che schifo, 'Chiro!". Ora le veniva da ridere perché la lingua le faceva il solletico. Si alzò in piedi, passandosi la manica sulla faccia nel vano tentativo di asciugarsi e si guardò intorno: non sapeva dove si trovasse e non aveva la minima idea di come tornare a casa. Le tremavano le labbra ed era sicura che si sarebbe messa di nuovo a piangere; però sapeva anche che se si fosse lasciata andare alla disperazione si sarebbe sentita ancora più spaventata, quindi decise di fare la bambina grande.

"Socchiro andiamo a casa!", disse risoluta, tirando su col naso e incamminandosi dove le sembrava più giusto.

"Bau?", fece lui inclinando la testa di lato come se non avesse capito. Haruka si mise dietro a lui e cominciò a spingerlo con tutte le sue forze. "Andiamo!", esclamò sforzandosi inutilmente di farlo camminare. "Tu fai come ti pare, io vado a casa!".

In lontananza vedeva i tetti di alcune abitazioni e decise che la direzione giusta era quella; fu contenta di vedere che il cagnone la seguiva e sperò di riuscire ad arrivare prima che la mamma si accorgesse che si era allontanata: rischiava una punizione coi fiocchi!

***


Si asciugò il sudore dalla fronte con l'avambraccio; stringeva ancora in mano la pinza e fece attenzione a rimetterla al suo posto prima di combinare altri danni. Non aveva le nausee devastanti della prima gravidanza ma si sentiva stanca oltre ogni dire: adesso si sarebbe messa beatamente a dormire.

E perché no? Aveva bisogno di riposare e di riordinare le idee, tentando di trovare il modo migliore per dare a suo marito la notizia che era incinta. Avrebbe preso Haruka con sé e avrebbero dormito insieme nella sua stanza per un'oretta o forse due, poi sarebbero uscite per la spesa; le avrebbe promesso un gelato, così l'avrebbe seguita per negozi senza fare troppi capricci.

Si complimentò con se stessa per quei pensieri mentre scendeva le scale e chiamava Ichinose per dirle che il rubinetto era a posto. Strano, non rispondeva nessuno; bussò alla porta della sua stanza accostando l'orecchio ma sembrava che non fosse neanche lì. Forse è uscita, si disse dirigendosi alla numero due per avvisare sua figlia dei piani che aveva in mente.

Haruka non c'era.

Deglutì, sentendo la gola improvvisamente secca e imponendosi la calma. "Tesoro? Dove sei? La mamma è troppo stanca per giocare a nascondino, vieni fuori". Aveva parlato con tono conciliante ma nella stanza tutto taceva. Decise allora di cercarla nei corridoi.

"Haruka vieni fuori o mi arrabbio sul serio!". Era difficile che la sgridasse perché, nonostante fosse una bambina vivace, diventava giudiziosa quando lei o Yusaku assumevano un tono fermo. Ma non la trovò neanche lì. Tornò nella sua stanza quasi di corsa e vide l'album di disegni spalancato e completamente colorato; rifece i gradini per il piano di sopra.

"Haruka!". Odiò sentire il panico vibrarle nella voce e odiò maggiormente avvertire una stretta sempre più prepotente allo stomaco.

Non può essere uscita, la porta è chiusa, sa che non deve uscire!

Ma in nessun angolo di casa Ikkoku pareva esserci traccia della sua bambina e Kyoko aprì la porta principale ormai con il fiato corto e in preda alla disperazione: non era nemmeno fuori in giardino e, quando gridò il suo nome con voce strozzata, le lacrime avevano già cominciato ad accecarla. Tentò di controllare il respiro, guardandosi intorno freneticamente e gettandosi in strada.

Fece la discesa che portava ai primi negozi ma si trattenne dal chiedere notizie nel timore che potessero bollarla come una madre disattenta e irresponsabile. Trasalì quando qualcuno le diede una pacca sulla schiena: "Ehi, Kyoko, anche tu in città?". Ichinose aveva una busta in mano, probabilmente colma di birre; si disse che anche lei doveva esserne colma, perché aveva il naso arrossato e la voce strascicata.

"Hai visto mia figlia?", le sibilò in maniera quasi aggressiva.

Ichinose parve colpita dal suo tono e indietreggiò un poco. "Ma che ti prende? Stai bene?".

"L'hai vista sì o no?!". Si chinò su di lei e per un istante orribile pensò che avrebbe potuto prenderla per i capelli pur di farla parlare.

La donna scosse la testa: "No che non l'ho vista, in camera sua non c'era quando sono passata".

Fece un gesto di frustrazione, sentendo nuove lacrime arroventarle gli occhi.

Dannazione!

Si portò le mani tra i capelli, scrutando in ogni angolo, divorata da un tormento simile a quello che si deve provare quando ci si trova sul bordo di un precipizio senza imbragature di sicurezza.

"Dovresti stare più attenta a chiudere la porta principale, prima l'ho trovata socchiusa. Potrebbe essere uscita".

Il mondo si fermò, mentre artigli di ghiaccio le afferravano il cuore in una morsa implacabile; avvertì chiaramente il sangue defluirle dal viso e poi tornare in gran quantità, alimentando una furia animale che non aveva mai provato in vita sua. "Che cosa hai detto?", ringhiò voltandosi verso l'inquilina.

Ichinose la guardava con aria ottusa, rinnovando in lei una nuova, terribile ondata d'odio; tutta la comprensione che aveva provato poco prima nei suoi confronti era svanita, sostituita da un'ira cieca che la portò ad artigliarle le spalle e a fissarla con gli occhi fuori dalle orbite.

"La... la porta di casa... era aperta ma io l'ho richiusa subito dopo essere uscita e...". Sembrava spaventata, si accorse la sua parte razionale, e qualcuno si era fermato a guardare. Stava praticamente aggredendo Ichinose in mezzo alla strada ma non gliene importava un fico secco; anzi, aumentò la stretta sulle sue spalle.

"Tu, hai visto che mia figlia non era in camera sua, hai notato la porta aperta e non mi sei venuta a dire niente?" Aveva alzato la voce e stretto i denti, perdendo ogni parvenza di controllo: si sentiva come una tigre cui avessero rapito i piccoli, pronta a graffiare e a sbranare.

"Kyoko, mi stai facendo male!", sbottò la donna liberandosi con uno strattone e guardandola con un'espressione sconvolta, come se non la riconoscesse. "E poi eri al piano di sopra ad aggiustare il rubinetto!".

Neanche lei si riconosceva, era come preda di un demonio. "Tu", articolò con una voce che non era la sua, "tu e i tuoi amici, schiavi di questa maledetta birra!". Ne afferrò una lattina direttamente dal sacchetto della donna e la scagliò a terra con tutte le sue forze: esplose, praticamente, spargendo schiuma ovunque. Avvertiva distintamente gli sguardi dei passanti e notò lo sgomento incredulo sulla faccia di Ichinose, ma neanche questo bastò a fermarla. Era colma, colma di una rabbia repressa da tempo.

"Se per colpa delle vostre maledette feste e dei vostri maledetti rubinetti è successo qualcosa a mia figlia, giuro che vi uccido con le mie stesse mani!". Parlava a vanvera, non connettendo bene situazioni e parole: nella sua mente arroventata dalla disperazione la colpa era tutta sua e di Yotsuya; se ci fosse stata Akemi, quel giorno, non avrebbe esitato ad addossare la responsabilità anche a lei.

Ma la cosa peggiore era che in quel momento aveva veramente l'istinto di fare del male; no, non era corretto, la cosa peggiore era che se ne sentiva soddisfatta, come lo era della paura che vedeva chiaramente comparire sul volto della donna di fronte a sé.

"Kyoko...". Qualcosa scattò in lei al suono della voce tremante di Ichinose.

Già, quello è il mio nome, solo che per il momento sono fuori di me. Kyoko è fuori servizio...

Se aveva toccato il fondo, ora stava finalmente rendendosene conto. Sbatté le palpebre nel tentativo di snebbiarsi la vista e vide chiaramente la faccia sconvolta della sua inquilina, udì distintamente il mormorio delle persone intorno a lei e fissò incredula la birra che spumeggiava in un rivolo ai suoi piedi.

"Io.. io...".

Mi dispiace, voleva dire, ho perso la testa. Voglio solo ritrovare Haruka, adesso.

Ma non riuscì a dire nulla. Si voltò e cominciò a correre verso l'asilo dove lavorava Yusaku, per chiedergli aiuto.

***


La piccola padroncina umana chiamata Haruka camminava da tanto tempo e lui cominciava a sentirsi stanco. Abbaiò per farla fermare ma lei continuava testardamente per la sua strada. Eppure quando aveva sentito pronunciare la parola 'casa', aveva chiaramente capito che dovevano tornare indietro, alla sua cuccia e dalla sua padrona più grande! Quest'ultima utilizzava sempre quella parola alla fine delle loro passeggiate.

Haruka invece stava andando dalla parte opposta, in una zona della città che lui non conosceva; inclinò il testone, fissando la schiena della bambina in modo interrogativo, confuso: possibile che avesse perso il fiuto e non ritrovasse la strada?

Improvvisamente lei si fermò ed emise uno strano verso; sentì quasi subito l'odore delle lacrime, poi la piccola umana si lasciò cadere a terra e cominciò a guaire. Alcuni umani adulti le si fecero intorno, dicendole qualcosa, ma lui distinse solo la parola 'casa', nuovamente pronunciata dalla padroncina. A quel punto capì che la sua sofferenza dipendeva dal fatto che aveva perso la strada: si guardò un po' intorno, annusando l'aria e individuò quella che doveva essere la direzione giusta. Abbaiò verso la bambina per avvisarla che doveva seguirlo se aveva intenzione di tornare indietro ma lei continuava a lamentarsi e qualcuno gli si avvicinò per accarezzarlo.

"Bau-uuu!". Era quasi un ululato quello che aveva emesso: possibile che nessuno lo stesse a sentire? Doveva agire subito! Si avvicinò alla bimba e la indusse a rialzarsi, poi, con un movimento della testa, se la caricò sul dorso. Abbaiò ancora una volta e cominciò a correre verso casa, ignorando le proteste della sua padroncina, sperando solo che si tenesse ben salda fino all'arrivo.

***


Aveva visto sua moglie arrabbiata un mucchio di volte, anche prima che diventasse sua consorte; l'aveva bollata come testarda, dolce e gelosa.

Ma non avrebbe mai pensato che potesse perdere la ragione.

Eppure era stata quella la sua prima impressione non appena si era presentata , rossa e affannata, al giardino d'infanzia farfugliando frasi senza senso; aveva biascicato qualcosa come: "Haruka è scomparsa!", ed era stato quello a farlo scattare in piedi, chiedere velocemente alle colleghe di occuparsi dei bambini e seguirla in una corsa frenetica.

L'aveva assecondata per un po', non capendo esattamente cosa fosse accaduto, ma alle sue richieste Kyoko farfugliava parole che si perdevano nel vento; aveva colto solo 'rubinetto', 'Ichinose' e 'sparita'. Allora l'aveva afferrata per un polso e costretta a guardarlo in viso, imponendole di calmarsi. Ciò che le aveva visto negli occhi era molto simile allo spettro dell'insanità mentale e questo lo spaventò oltre ogni dire.

"Kyoko, guardami. Ora calmati, prendi fiato; ho capito che è successo qualcosa ad Haruka ma se non mi spieghi per bene cosa è accaduto non la troveremo mai, capisci? Per cui adesso parlami senza piangere, va bene?". Si era imposto un autocontrollo che non possedeva, preoccupato com'era, ma era necessario prendere in mano la situazione e razionalizzare l'accaduto.

Sua moglie boccheggiò per qualche istante, prese dei respiri tremanti, espirando lentamente. Si ritrovò ad emularla come se questo potesse indurla a calmarsi più in fretta e gli sembrò di essere tornato ai corsi di respirazione pre-parto a cui partecipavano anche i mariti delle future madri.

"Stamattina Ichinose si è lamentata per un rubinetto che perdeva al piano di sopra, così ho lasciato Haruka nella sua stanza per andare a vedere di cosa si trattasse". La voce non era ferma e aveva ancora il fiatone per la corsa e l'ansia, ma perlomeno aveva messo insieme una frase sensata.

"Quando... quando sono scesa Haruka era scomparsa dalla sua stanza. Ho cominciato a cercarla per tutta la Maison Ikkoku e persino in giardino, ma non c'era da nessuna parte...". Altre lacrime le si gonfiarono negli occhi e Godai s'impose nuovamente la calma.

"E cosa c'entra Ichinose in tutto questo?", domandò con la mente che già galoppava verso i più terribili scenari in cui la figlia era persa per la città o addirittura rapita.

Kyoko deglutì nervosamente, guardandosi intorno come in cerca di un appiglio, poi finalmente parlò: "Lei... è uscita di casa per comprare della birra". Calcò su quest'ultima parola come se si trattasse di qualcosa di rivoltante: improvvisamente capì dove stava per andare a parare sua moglie e sentì a sua volta montare la rabbia. "Quando sono arrivata giù in città lei era lì, già ubriaca come al solito, e mi ha candidamente detto che non aveva visto Haruka nella sua stanza, quando era uscita di casa, ma che la porta principale era aperta".

"E non ti ha avvisata?". La sua voce si alzò di un tono e la calma raggiunta cominciò a dissiparsi.

"È esattamente quello che le ho chiesto io!", gridò esasperata. "In quel momento io... io ho perso il controllo".

Godai si accigliò. "L'avrebbe perso chiunque al posto tuo, anche io..." .

Kyoko scosse la testa con vigore e lo interruppe: "No, tu non capisci! Mi sono trasformata in una bestia, l'ho presa per le spalle, ho gridato, ho persino scagliato una delle sue stramaledette lattine per terra davanti a tutti! Oh, Yusaku, in quel momento... le ho giurato che se fosse accaduto qualcosa ad Haruka li avrei uccisi tutti quanti! Loro e le maledette fe... feste!". Prese a singhiozzare, a corto di fiato e Godai dovette stringersela al petto per farla tornare in sé. Mentre cercava di concentrarsi nel tentativo di mantenere i nervi saldi per entrambi, cercando di capire come dovessero agire a quel punto, si scoprì a pensare che anche lui li avrebbe uccisi volentieri, in quel preciso istante.

***


La stanza girava, girava, girava... conosceva bene quella sensazione meravigliosa che induceva la birra, eppure c'era qualcosa di storto che la turbava, mentre schiacciava tra le mani l'ennesima lattina e la lasciava rotolare nel corridoio dove sedeva da sola.

Kyoko era andata fuori di testa. VERAMENTE fuori di testa; non come quando si era sbronzata al locale dove lavorava Godai tanti anni prima e insisteva perché smettessero di bere a sue spese: quella volta il poveretto se l'era dovuta caricare sulle spalle per riportarla a casa!

No, stavolta sembrava una belva ferita, e lei ne aveva avuto paura per la prima volta in vita sua. Aveva ancora i segni sulle spalle, là dove le aveva conficcato le unghie con tutta la sua forza.

"Pazza scatenata, lei e i suoi ormoni impazziti!", disse al corridoio vuoto. Suo marito sarebbe stato fuori un altro mese e Yotsuya non sarebbe rientrato che dopo qualche ora. Cercò di ricordarsi quando dovesse tornare Kentaro, ma si rese conto che aveva perso la nozione del tempo.

Si accese una sigaretta, aspirandola profondamente come se così potesse trovare delle risposte. Quando era nato Kentaro aveva avvertito un senso di protezione materna che le faceva storcere il naso persino quando qualcuno le chiedeva di prenderlo semplicemente in braccio: una sensazione di possesso irrazionale, che è propria degli ormoni di una puerpera. Ma non aveva mai perso la bussola come la sua amministratrice!

O no?

Stappò l'ennesima birra, andando indietro con i ricordi, e scovò nella memoria un episodio che aveva rimosso da tempo.

Kentaro aveva poco più di due anni, come Haruka, e suo marito era come al solito lontano per lavoro. Lei si stava sbronzando con Yotsuya e Akemi mentre il figlio scorazzava per casa Ikkoku, disturbando la loro festa.

"Insomma, vai a giocare fuori!". Stava attraversando un momento di frustrazione, nel quale l'amore materno era stato momentaneamente soffocato dal desiderio di evadere dalla monotonia e non si era preoccupata che il bambino potesse uscire in strada: gli aveva ripetuto tante di quelle volte che non doveva mai allontanarsi che ormai era certa che avesse recepito il messaggio.

Invece quel giorno era sparito esattamente come la figlia di Kyoko e Godai e lei si era sentita pronta a tutto, anche a smettere di bere o a menare le mani se fosse stato necessario a ritrovarlo. Era un sentimento che prescindeva da tutto, puro istinto animale: la priorità era rimettere al sicuro suo figlio, non contava nient'altro.

"Oh, al diavolo!", sbottò accartocciando l'ultima lattina. Sarebbe uscita a cercare Haruka lei stessa e se non l'avesse ritrovata avrebbe chiamato la polizia. Sì, avrebbe fatto così! Se solo la stanza avesse smesso di girare... magari avrebbe chiuso gli occhi per un minuto; un minutino soltanto, giusto per riprendersi dalla sbronza e poi sarebbe andata e avrebbe chiesto a chiunque se avesse visto una bambina di circa tre anni con i capelli castani raccolti in due codini.

***


Il sole era ormai alto e stava per cominciare la sua veloce discesa verso ovest, nel fresco pomeriggio e poi nella sera autunnale. Kyoko non voleva che la sua bambina rimanesse fuori vestita solo con una salopette, senza neanche una giacca.

"A questo punto dobbiamo andare alla polizia", sospirò Yusaku distogliendola dai suoi pensieri. Ormai la fase di panico crescente aveva raggiunto il suo apice ed era precipitata in una sorta di torpore che somigliava al pulsare sordo ma doloroso di un dente cariato. Sempre presente, ma appannato man mano che la ragione si capacitava di non poterne sopportare oltre e si ritirava come una marea pur di non provare sofferenza.

No, devo rimanere lucida, smetterla di immaginare tragedie e fare qualcosa di concreto!

Annuì. Al diavolo il timore di essere bollata come cattiva madre: se lo meritava, visto che aveva lasciato sua figlia incustodita al piano di sotto. Si sarebbe presa la sua responsabilità come la donna adulta che era. Prese la mano che suo marito le porgeva e arrivarono velocemente alla prima stazione di polizia della zona. "Vorremmo denunciare la scomparsa di nostra figlia". Il tono usato da Yusaku era grave ma fermo, e si rese conto che stava facendo uno sforzo atroce per non perdere il controllo. Istintivamente gli strinse più forte la mano.

Il poliziotto afferrò una penna e un bloc notes, chiedendo le loro generalità e la descrizione di Haruka; Kyoko si sforzò di mantenere la calma ma gli occhi le si riempirono di lacrime mentre descriveva i capelli, gli occhi e gli abiti di sua figlia: poteva ancora sentirne la stoffa morbida mentre la vestiva quella mattina e le sue risatine al solletico quando le aveva infilato la maglietta.

"Come è successo? L'avete persa di vista?", stava domandando l'uomo, prendendo appunti.

"Ecco, noi...".

"Mio marito era al lavoro e io ero sola in casa con un'inquilina", lo interruppe, pronta a prendersi le proprie responsabilità. "Sono salita al piano di sopra per aggiustare un rubinetto che perdeva e ho lasciato mia figlia incustodita nella sua cameretta".

Il poliziotto si grattò la fronte con la penna. "Se era in casa con lei e per di più c'era un'altra persona, non direi che fosse proprio incustodita".

Scosse la testa, rabbiosa. "Lei non capisce! La persona in questione è solita bere già dalla mattina presto e non è affidabile. Mia figlia mi ha chiamata più volte chiedendomi di scendere, ma io ho continuato col mio lavoro su quel maledetto rubinetto e... e quando sono scesa lei non c'era più!".

Tentò disperatamente di asciugarsi le lacrime, tirando su col naso fin quando Yusaku non le passò un fazzoletto e le mormorò un tremante 'coraggio'.

"Sono scesa in città", continuò, "sperando di trovarla lì, ma ho incontrato la mia inquilina che mi ha detto solo allora di aver trovato la porta di casa aperta prima di uscire. Io... io l'ho aggredita, ho fatto una scenata ma... lei non aveva idea di dove fosse andata la mia bambina!". Nascose la faccia in un fazzoletto, singhiozzando violentemente, tanto che udì a stento la domanda dell'agente.

"Mi scusi signora, ma se sa che la sua vicina è inaffidabile, come mai non assume una baby sitter?" Il braccio di Yusaku si era irrigidito sulla sua spalla e lei lottò per ricomporsi.

"Perché il mio lavoro non mi permette di assumere una baby sitter a tempo pieno". La voce di suo marito era gelida eppure colma di un rammarico che le provocò una fitta di senso di colpa.

"Agente, non lo ascolti. In realtà lui potrebbe portare Haruka al nido d'infanzia dove lavora ma io non ho mai voluto. Ero sicura che avrei potuto continuare a fare il mio lavoro di amministratrice e nello stesso tempo crescerla, ma evidentemente sono troppo disattenta...".

"Non le dia retta! Sono solo io il responsabile! Se fossi riuscito ad avere una promozione ora lei non dovrebbe lavorare e potrebbe stare a casa con nostra figlia!". Yusaku le si era parato davanti a braccia allargate come per difenderla da una minaccia, anche se non credeva che quella loro gara a prendersi la colpa avrebbe fruttato una denuncia.

Guardò l'uomo dietro la scrivania fissarli perplesso e indusse suo marito a scostarsi e ad abbassare le braccia: "Se c'è una responsabile quella sono io. Era a casa con me quando è successo", ribadì.

Il poliziotto si grattò di nuovo con la penna, evidentemente a disagio. "Insomma, da quanto è sparita vostra figlia?".

Kyoko guardò l'orologio: "Direi circa tre ore".

"Allora non mi preoccuperei più di tanto".

Pensò di aver capito male, sbatté le palpebre un paio di volte e chiese: "Come, scusi?".

"La vostra bambina potrebbe essere andata al parco o a trovare un amichetto, io comincerei a preoccuparmi se stasera non torna per cena". Alzò le spalle e lasciò cadere la penna con un lieve rumore che a lei parve un frastuono insopportabile.

Incapace di controllarsi oltre, Kyoko sbatté le mani sul tavolo, sporgendosi per guardarlo dritto negli occhi. "Mia figlia ha solo due anni e mezzo!", sbottò udendo appena la frase di disappunto di Yusaku alle sue spalle.

L'agente la guardò stralunato. "Cosa? E perché non me l'ha detto subito?! E lei lascia una bambina così piccola insieme a una donna che si ubriaca già dalla mattina?".

"Non gliel'ho lasciata!". Stava di nuovo avendo istinti omicidi, quell'uomo era addirittura più ottuso di Ichinose.

"Mia moglie le ha detto di averla lasciata per un attimo sola al piano inferiore, non di averla affidata alla sua inquilina!", intervenne Godai con tono spazientito.

"Quindi l'ha lasciata sola. Perché non l'ha portata di sopra con sé?". Quella era la domanda che più temeva. La rabbia si sgonfiò di nuovo, precipitandola ancora nella disperazione più cupa. Tutte quelle emozioni avrebbero fatto male anche al bambino che aveva in grembo, se non si dava una regolata. E doveva ancora dirlo a Yusaku.

"Io... io... sono una pessima madre!", riuscì a dire prima di scoppiare di nuovo a piangere.

***


Era stata dura calmare Kyoko e indurla a seguirlo fuori dalla centrale di polizia: nonostante l'agente che avevano incontrato non fosse particolarmente sveglio, aveva fatto il suo dovere e una volante era già in giro alla ricerca di Haruka.

Non potevano fare altro che aspettare e cercarla a loro volta; Kyoko era pallida e probabilmente aveva anche saltato il pranzo, ma camminava al suo fianco senza mai fermarsi, guardandosi attorno e interrogando le persone che incontravano. Quando giunsero al parco giochi lei si irrigidì e corse verso un cespuglio.

"Kyoko...?".

Stava raccogliendo qualcosa dalle fronde e lo stava esaminando. "Ma questo è...".

"Cosa? Cosa hai trovato?". Corse da lei, fissando l'oggetto che aveva tra le mani. "Il collare di Soichiro! Pensi che possa essersi allontanato con lei?".

Negli occhi sgranati di sua moglie, vide farsi strada la consapevolezza: si era ricordata qualcosa. "Adesso che ci penso... Soichiro non era più in giardino quando sono uscita a cercare Haruka! Non ci ho dato troppo peso perché avevo altro per la testa, ma in effetti potrebbero essersi allontanati insieme!".

"Se veramente Soichiro è con lei allora non abbiamo nulla di cui preoccuparci!", esclamò prima che un brivido gli attraversasse la schiena; nonostante ormai fossero passati tanti anni, quel nome continuava a tormentarlo. Si augurò, nonostante tutto, che anche quel Soichiro vegliasse davvero sulla loro bambina.

Si stava facendo buio ma si inoltrarono comunque nella boscaglia, sperando di trovare altre tracce o, magari, Haruka in compagnia del cagnone bianco.

"Dovrò scusarmi con Ichinose non appena avremo risolto tutto". La guardò e per un attimo non capì cosa volesse dire. Quando realizzò montò in lui una nuova ondata di rabbia.

"Mi hai detto che è stata lei a notare la porta aperta e a non avvisarti, no? Si è ubriacata dopo averti mandata a lavorare al piano di sopra e non ha neanche controllato che Haruka stesse bene, di cosa ti devi scusare?! Semmai è lei a doverlo fare, hai fatto bene a rimproverarla!".

"Non l'ho solo rimproverata", rispose tristemente guardando in basso. "L'ho aggredita, l'ho afferrata per le spalle. E ho minacciato persino di ucciderla".

"Si dicono tante cose quando si è infuriati ," la liquidò con un gesto, chiedendosi quanto potesse cedere all'ira la sua docile moglie. L'aveva vista arrabbiata un mucchio di volte: in un'occasione aveva urlato contro lui e Mitaka lasciando cadere con noncuranza dei barattoli da un sacchetto; avevano rotolato per tutta la via ma lei non si era voltata a raccoglierne nemmeno uno. Un'altra volta aveva bruciato con un fiammifero i bigliettini da visita di una decina di locali in cui era andato a bere, per non parlare dello schiaffo che si era beccato quando...

"Io lo pensavo veramente". Si fermò, sbattendo le palpebre come per metterla a fuoco. Ogni ricordo s'interruppe. "In quel momento... davo a lei e a Yotsuya e perfino ad Akemi e alle loro feste la colpa di quanto era accaduto ad Haruka; pensavo che se loro fossero stati più responsabili avrei avuto qualcuno a cui lasciarla quando fossi stata impegnata nei lavori di casa, o che comunque mi avrebbero sempre avvisato di cose come una porta aperta".

La guardò, incapace di confortarla. L'unica cosa che provava in quel momento era una stretta al cuore: capiva fin troppo bene i motivi che l'avevano indotta a perdere il controllo e non riusciva a biasimarla per la sua reazione estrema.

"Ma per loro l'unica cosa importante è fare quelle stupide feste e avere i loro maledetti rubinetti funzionanti! In quel momento non ero in me, li odiavo tutti, dal primo all'ultimo; e avrei fatto loro del male se fosse servito a... a...". Persa nei singhiozzi, Kyoko sembrava a sua volta una bambina spaventata. L'avvicinò da tergo, circondandola con le braccia e cullandola con dolcezza.

Tutto questo non sarebbe accaduto se io avessi guadagnato di più.

Posò la guancia sul suo capo, respirando il profumo pulito dei suoi capelli.

Se ti avessi dato una vita migliore.

E sperò che non si accorgesse delle sue lacrime.

***


Dannazione, si era addormentata! E pensare che avrebbe voluto cercare Haruka! Aveva ragione Kyoko a perdere la calma, non era affidabile neanche quando prometteva le cose a se stessa. Perlomeno con la dormita aveva smaltito la sbronza: le rimanevano un forte mal di testa e il senso di solitudine derivato dalla mancanza che sentiva di amici e familiari.

Devo trovarmi un passatempo migliore della birra, almeno durante il giorno...

Magari sarebbe tornata al circolo di tennis, anche se Kyoko non ci andava più e Mitaka si vedeva ormai raramente. Un po' di moto le avrebbe fatto bene, magari sarebbe riuscita a smaltire persino qualche chilo, che diamine!

Un vociare nel giardino le fece alzare la testa, all'erta.

Possibile?!

No, non si sbagliava, era la voce di una bambina e quello che abbaiava era sicuramente Soichiro! Si precipitò alla porta e il sollievo la fece quasi cadere a terra, come se si fosse tolta un peso enorme dalla coscienza.

"Si può sapere dove diavolo sei stata? Tua madre stava per morire dalla preoccupazione!". Rimproverare la bimba non rientrava certo nei suoi compiti, tanto più che stava bene e rideva mentre si divertiva a scompigliare il pelo al cane. Ma aveva accumulato tensione, si sorprese ad accorgersi, e la stava scaricando in quel modo.

"'Cchiro mi ha fatto fare una passeggiata ma poi mi sono persa e lui mi ha riportato a casa!", spiegò abbracciando il testone bianco: le piccole braccia riuscivano a malapena a contenerlo tutto.

"Beh, non farlo mai più. Ho rischiato di essere uccisa dall'amministratrice per causa tua", borbottò cercando una sigaretta nelle tasche. La bambina la fissò per un istante, non capendo il senso della sua frase.

Soffiò fuori una voluta di fumo, come se così facendo potesse espellere dai polmoni anche quella mattinata assurda. "Una madre preoccupata e con gli ormoni sottosopra può diventare letale", disse voltandole le spalle per rientrare.

E lo so anche io, solo che l'avevo dimenticato.

Non ebbe il tempo di chiedersi se Haruka avesse anche solo vagamente capito cosa voleva dire perché un'esclamazione strozzata la fece voltare incuriosita.

"Ha... Haruka!". Kyoko era caduta in ginocchio e stava allargando le braccia tremanti, come temendo che sua figlia fosse un miraggio che potesse svanire da un momento all'altro. Dietro di lei Godai si appoggiò al muretto come se fosse in procinto di svenire.

"Mamma, mamma!", strillò la bambina volandole in grembo: doveva essersi spaventata anche lei trovandosi lontana da casa perché non sapeva chi, tra madre e figlia, piangesse più forte. Godai si accucciò accanto a loro e le cinse entrambe con un unico abbraccio.

"Ma che quadretto delizioso! Bah, tutto è bene quel che finisce bene!", dichiarò tirando su col naso e gettando via la sigaretta. Le era improvvisamente tornato in mente che anche lei aveva dei ricordi di una famiglia felice e unita: quando era nato Kentaro, ad esempio, o alla gara atletica dei genitori alla sua scuola. Se solo suo marito non fosse stato quasi sempre lontano!

Comunque non le andava di stare a guardare quei tre frignare nel giardino: dove diavolo aveva messo le birre?!

***


Si sentiva sfinita: quella che era cominciata come una giornata normale si era rivelata un'altalena di emozioni che l'aveva spossata, nel corpo e nella mente. Aveva chiesto scusa a Ichinose, che aveva fatto una grassa risata e si era persino presa parte della responsabilità, dando la colpa alla solitudine che soffriva a causa di suo marito e suo figlio: ci aveva visto giusto, dunque, quella donna non sapeva come ammazzare il tempo e adottava la soluzione più breve bevendo birra; si fece promettere che avrebbe trovato passatempi più sani, a prescindere da Haruka.

"Oh, non c'è bisogno che ti preoccupi per me, ci avevo già pensato!", aveva detto allegramente; poi era arrivato Yotsuya ed erano andati al piano di sopra a festeggiare la felice conclusione dell'avventura di Haruka.

Per l'appunto...

Prima di trascinare il suo vicino a bere con sé, la donna le aveva lanciato uno strano sguardo, quasi come... se le chiedesse il permesso! Era vero che fino a qualche ora prima era stata sopraffatta dall'ira, ma capiva che quelle feste, per rumorose e inopportune che fossero, erano la nota di allegria che caratterizzava Casa Ikkoku da sempre: e finché non avessero disturbato la sua bambina dovevano andare avanti. Aveva sorriso a Ichinose, facendosi promettere che non avrebbe parlato con nessuno della sua ultima gravidanza fino a che non l'avesse detto a Yusaku.

Dopo aver messo a letto Haruka, aveva deciso che avrebbe rimandato quella conversazione con suo marito al giorno successivo, specie dopo che si era preso la colpa per non aver assunto una baby sitter: parlargli di un altro bambino adesso l'avrebbe fatto andare nel panico più totale. Poi però, mentre si affacciava sulle scale per accertarsi che la festa non disturbasse il sonno di Haruka, aveva udito Ichinose esclamare: "Ehi, Yotsuya, ma la sai la novità?!".

Lo sapevo che non avrei potuto fidarmi di lei!

Si sbatté una mano sulla fronte, frustrata, intercettando suo marito appena in tempo, prima che potesse udire altro. A giudicare dal tono di voce della sua affittuaria sembrava che volesse farsi udire fino in Cina!

"Vieni con me!", gli aveva detto trascinandolo nella loro camera e chiudendo la porta velocemente.

"Che altro è successo?", chiese Yusaku con gli occhi sgranati.

Ecco, e ora come glielo diceva? Da dove doveva cominciare?

"Ti ricordi quest'estate? Quando ti ho chiesto...". Che diavolo stava dicendo?! Davvero voleva rinvangare quella notte brava? Oh, si erano divertiti, sicuro, e magari lo avrebbero anche rifatto, ma non le sembrava quello l'approccio giusto. Troppo imbarazzante.

"Cosa? Cosa mi hai chiesto?". Sembrava sempre più confuso e lei si affrettò a cambiare discorso.

"No, niente, niente. Mi sono sbagliata... Volevo dire, ecco... Mi sono scusata con Ichinose e lei mi ha promesso di essere più responsabile d'ora in poi".

Lui annuì: "Lo so, me l'hai già detto prima". Ora gli leggeva nello sguardo anche il sospetto e le sembrò evidente che avesse subodorato dell'altro.

"Io... in questi giorni sono stata nervosa e distratta e la storia di oggi mi ha fatto letteralmente esplodere". Gli aveva voltato le spalle, ma dal suo silenzio capì che aveva cominciato col piede giusto e che lui attendeva il resto.

"Voglio dire, abbiamo entrambi la responsabilità di una figlia. E per quanto sia meravigliosa mi rendo conto che devo cercare di gestire meglio le cose".

"Ma di cosa stai parlando? Sei una madre perfetta e quello che è successo oggi è stato solo un incidente!". Yusaku possedeva una dolcezza disarmante e il più delle volte si attribuiva più difetti di quanti non ne avesse. La verità era che non ne attribuiva quasi mai a lei.

E lei non era affatto perfetta.

"Tesoro, io ti ho nascosto qualcosa nell'ultimo periodo; anche per questo ero intrattabile e ansiosa: non sapevo come dirtelo, ma ho capito che è giunto il momento che tu lo sappia". Deglutì, cercando le parole e sentì un movimento ovattato alle sue spalle, come se si fosse alzato in piedi. "C'è... un altro...". No, non riusciva proprio a dirlo, Godai si sarebbe sentito schiacciato da un'ulteriore responsabilità e lei non voleva!

Udì un tonfo e quando si voltò era caduto a terra in ginocchio, proprio come lei quando aveva rivisto Haruka: ancora non aveva finito la frase e già reagiva così? Che avesse capito?

"Yusaku, perdonami!", gridò correndo ad abbracciarlo. "Ma lo desideravo così tanto e non ho potuto fare a meno di chiedertelo, l'estate scorsa! Te lo ricordi anche tu, vero? Sono stata davvero un'irresponsabile, lo so, in un momento come questo...".

Si bloccò: suo marito era rigido, stravolto e lo sguardo si perdeva nel vuoto. Gli passò una mano davanti agli occhi ma lui non reagiva. Lo chiamò per nome e finalmente la guardò.

"E quando... mi avresti chiesto se potevi vedere un altro?", biascicò con una vocina che non era la sua.

"No, cos'hai capito... volevo dire...". Non poté terminare, perché dalla porta entrarono Ichinose e Yotsuya come due furie.

"Un altro BAMBINO! Tua moglie è di nuovo incinta, non si vede con un altro uomo!", blaterò la donna gesticolando con enfasi. "Santa pazienza, Kyoko, rimproveri me per la mia disattenzione e poi dai adito a tuo marito di pensare male di te?!".

"In... in... in...", balbettava Yusaku mentre si lasciava andare a un sorriso di evidente sollievo.

"Ma sì, incinta! Congratulazioni papà! Toh, brindiamo tutti insieme!". Yotsuya si profondeva in pacche sulle spalle e aveva piazzato un bicchiere in mano a tutti cominciando a versare saké prima ancora che lei si rendesse conto di cosa stesse accadendo. Le girava un po' la testa per la velocità con cui stavano succedendo le cose.

I soliti spioni! Chissà per quanto si sono appostati fuori dalla porta!

"Che succede?". Bene, ci mancava solo quella! Haruka si era svegliata ed era comparsa sulla soglia strofinandosi gli occhi assonnati.

"Niente, tesoro, solo che...".

"Ah ah ah ah, bambina mia, avrai presto un fratellino o una sorellina, sei contenta?". L'inquilina le aveva appena bruciato la notizia per la seconda volta e le tornò il desiderio di strozzarla; sorrise di se stessa: in quel momento era un sentimento sano, anche se era davvero dispiaciuta di non averlo detto per prima.

"Mi dispiace che tu l'abbia saputo così...", mormorò rivolgendosi a suo marito, rilassando le spalle e prendendo un lungo respiro. Per tutta risposta, lui lasciò cadere il bicchiere e la travolse con un abbraccio che la fece quasi cadere a terra.

"Oh, Kyoko! Sono così felice! Ti giuro che farò del mio meglio per ottenere quella promozione e saremo la famiglia più bella del Giappone! Anzi, voglio un'altra decina di bambini, dopo!".

Una decina?! Oh, povera me...

Se avesse saputo che l'avrebbe presa così non si sarebbe fatta tanti problemi! Ricambiò l'abbraccio, mentre Godai continuava a farneticare frasi senza senso e a ridere come un invasato. Una manina le tirò la camicia da notte e gli occhioni di Haruka la guardarono interrogativi.

"Davvero avrò un fratellino, mamma?".

Annuì, carezzandole la testa. "Sì, spero che ti faccia piacere". Se l'avesse presa bene la metà di Yusaku era a cavallo.

"Sìììì! Avrò un fratellino per giocareee!", strillò saltandole al collo a sua volta.

Meno male...

"E allora, festeggiamo!", gridarono Ichinose e Yotsuya facendo tintinnare i bicchieri.

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Capitolo 5
*** Stagioni - Parte terza ***


STAGIONI - PARTE TERZA

INVERNO

La strada scivola sotto le ruote e il vento sembra volerci spingere indietro; non c'è una visibilità ottimale e neanche il tergicristalli è sufficiente. Però io vado avanti per la mia strada, manovrando il volante come se dovessi far decollare la vettura: le due donne alle mie spalle urlano di dolore, pregandomi di fare presto, ma sto già facendo del mio meglio per non schiantarmi contro il guardrail e mantenere allo stesso tempo una velocità sostenuta.

Quando finalmente scorgo l'ospedale mi sembra di aver compiuto un'impresa titanica: mi volto verso le mie passeggere sfoderando uno dei miei migliori sorrisi ma mi accolgono solo altre urla. Prendo in mano la situazione, apro loro lo sportello e le faccio appoggiare rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra, chiamando aiuto a gran voce all'entrata del Pronto Soccorso.

Un'infermiera esce dalla penombra come un'apparizione e mi chiede cosa stia accadendo: "Queste due donne sono in travaglio, una di loro è in anticipo di più di un mese!", ansimo tentando di sorreggerle mentre si contorcono all'ennesima contrazione: sembra siano sincronizzate nell'averne quasi nello stesso momento.

La donna si affretta a tirare fuori due sedie a rotelle sulle quali, non senza qualche difficoltà, facciamo accomodare le partorienti. "E sono entrambi figli suoi?", mi domanda inarcando un sopracciglio e guardandomi con sospetto.

Oh, Kami, che situazione ambigua...

"Beh, ecco, io veramente...".

***


"Santa pazienza, Akemi, ma ti sei bevuta il cervello?". Le sembrava di essere tornata indietro di qualche mese, quando rimproverava la donna perché credeva bevesse birra in gravidanza.

Per tutta risposta, la rossa si ravviò i capelli dalla fronte e ne soffiò via una ciocca, prendendo una sorsata e facendo schioccare la lingua sul palato con evidente soddisfazione. "Ah, quanto tempo! Mi mancava questo sapore".

Kyoko continuava a guardarla, senza capacitarsi di quel che vedeva; le tolse la lattina dalle mani, cercando la dicitura 'analcolica' quasi con frenesia. Ma non la trovò.

"Ridammela!", rimbrottò Akemi riprendendosi il maltolto e bevendo una secondo sorso. "Non guardarmi come se fossi pazza, me l'ha detto il medico che ogni tanto posso bere se faccio molta attenzione alla quantità; l'ho solo scoperto troppo tardi... e poi manca una settimana al termine del tempo, concedimi uno strappo alla regola prima del gran finale!".

Già, sarebbe stato proprio un gran finale: lo sapeva bene, lei, che il parto non era certo una passeggiata di salute. Aveva ancora un flash delle proprie dita che si conficcavano a sangue nel braccio di Yusaku, quasi volesse infliggergli una parte della sua stessa sofferenza: si chiese come l' avrebbe sopportata Akemi, così poco avvezza ai sacrifici.

Improvvisamente si ritrovò con una lattina sotto al naso e guardò l'altra donna senza capire. "Coraggio, bevine una anche tu! Te la puoi concedere, visto che stai per entrare nell'ottavo mese!". Già, ormai mancava davvero poco; le sembrava fossero passati solo una manciata di giorni da quando scommetteva con suo marito che sarebbe stata un'altra femminuccia mentre lui si dichiarava convinto che stavolta avrebbero avuto un maschietto.

"Oh, no, io...". In realtà anche a lei il medico aveva detto qualcosa del genere sull'alcool: dopo averle prescritto una dieta e degli integratori, aveva sottolineato che in linea di massima il consumo di alcolici era altamente sconsigliato in gravidanza, ma poteva ugualmente concedersi una birra di tanto in tanto, purché ne limitasse la quantità e stesse alla larga dai liquori forti.

"Andiamo, ne ho portate due apposta... mica vorrai farle bere a me sola! Ho già superato il livello di guardia". Scosse brevemente la lattina, come a rendergliela più invitante, spruzzandole goccioline di condensa gelida sul viso.

Anche quel giorno le gocce di pioggia erano fredde e le sferzavano il viso, ricordò improvvisamente.

Yusaku aveva aperto l'ombrello, stringendola a sé e l'aveva accompagnata allo studio medico con un sorriso che mascherava tutta la sua trepidante aspettativa. La pancia era piuttosto pronunciata e il dottore, dopo averla cosparsa del solito gel appiccicoso che le ricordava la gelatina di frutta, stava passandovi lo strumento che permetteva loro di vedere il feto; quella volta non era rannicchiato come al solito e avevano tutti potuto scorgere la verità: Haruka avrebbe avuto un fratellino! Ricordava le lacrime che le spuntavano ai lati degli occhi mentre Godai rideva e saltellava come un bambino; avrebbe avuto la coppia perfetta che tutti i genitori sognavano!

Decise che una birra non le avrebbe potuto fare troppo male.

Alla salute...

Il sapore le esplose in bocca in un tripudio di schiumosità che le invase il cervello: non ricordava quanto fosse buona! Anche il bambino dovette avvertirlo, perché fece una capriola provocandole un sussulto: "Wow, pare che piaccia anche a lui!".

Akemi annuiva con aria complice. "Te l'avevo detto! Non vedo l'ora che i nostri marmocchi crescano per farli unire alle nostre feste! Come hai detto che lo chiamerete voi?".

"Fuyushi", mormorò posando una mano sul pancione come se potesse indurlo a calmarsi.

"Ah, figlio dell'inverno! Di questo passo avrete un bambino per ogni stagione!", rise Akemi reprimendo un singulto.

Andando più a ritroso nel tempo, Kyoko ricordò le parole che Yusaku aveva pronunciato quando aveva scoperto che stava per diventare padre per la seconda volta: aveva detto che voleva almeno dieci bambini. Se veramente fosse stato come diceva Akemi, le quattro stagioni non sarebbero state sufficienti! Doveva ammettere che non le sarebbe dispiaciuta una famiglia numerosa, ma purtroppo si stava rendendo conto di quanto fosse diventato grave il problema dello spazio e della convivenza con gli altri inquilini. Sapeva che anche suo marito, anzi, soprattutto lui sentiva il peso di quella problematica prettamente logistica e se ne assumeva l'intera responsabilità; per cui aveva evitato accuratamente di parlarne, ma ora si ritrovava a sperare con tutto l'ardore di cui era capace che lui trovasse una soluzione. Si accarezzò di nuovo il ventre all'ennesimo movimento del bambino: cominciava ad avere delle fastidiose fitte alla schiena.

"Anche il mio è inquieto, si vede che già gli piace la birra!", esclamò la rossa emulandone il gesto. "Notizie di Godai?".

Fece appena in tempo ad aprire la bocca, quando squillò il telefono; mentre passava per il corridoio, notò che la nevicata aveva assunto l'aspetto di una vera e propria tempesta, con il vento che urlava e gli alberi che si piegavano ed ebbe un brutto presentimento mentre alzava la cornetta. L'inverno era giunto improvvisamente e con una prepotenza tale che già se ne parlava come del più rigido del secolo.

"Tesoro, scusa se ti chiamo solo ora per dirtelo...". E in effetti le sue peggiori paure ebbero conferma: Yusaku e Haruka erano bloccati al nido d'infanzia insieme ad altri bambini e maestre, e si stavano attrezzando per passare la notte lì. Quella mattina, quando erano usciti, c'era un timido sole nonostante la neve caduta qualche giorno prima; nel pomeriggio invece avevano fatto capolino nuove, minacciose nuvole e la situazione meteorologica era precipitata così come la temperatura.

"Ma come farete per le provviste?", chiese stringendo la cornetta fino a farsi sbiancare le nocche. Suo marito era adulto, ma la bambina non poteva rimanere digiuna!

"Oh, non preoccuparti! Dimentichi che qui allestiscono la mensa, quindi c'è da mangiare per giorni!". Che stupida, l'aveva proprio scordato; era talmente abituata a preparare i pasti per Haruka che, anche dopo parecchie settimane che Yusaku la portava con sé, non smetteva di infilare nel suo zainetto panini e onigiri. "Non che vogliamo rimanere qui a lungo, naturalmente".

A quella frase le si torsero le viscere e Kyoko si lasciò sfuggire un lamento strozzato.

"Che succede? Tutto bene?", le chiese allarmato. Poteva essere solo una reazione psicologica, ma le parve improvvisamente lontanissimo, come se si trovasse in un altro continente piuttosto che a qualche chilometro di distanza.

"Sì... sì, sto bene, non preoccuparti". Ora il mal di schiena era decisamente più forte e non vedeva l'ora di stendersi un po'. D'un tratto si sentiva stanchissima.

"Mi dispiace lasciarti sola, stanotte". Sorrise lievemente, avvertendo la sua preoccupazione. L'idea che rimanesse lì con sua figlia non le piaceva neanche un po' ma era inutile aggiungere benzina sul fuoco.

"Ma no, stai tranquillo! C'è Akemi qui con me, se la tempesta ha bloccato voi è molto probabile che debba fermarsi a sua volta a Casa Ikkoku". Lo sperava davvero. Ichinose era partita un mese prima per seguire il marito in uno dei suoi viaggi di lavoro: il buon uomo aveva deciso che, con un figlio ormai grande quasi sempre fuori di casa, la moglie doveva pur avere la compagnia di un familiare. Per cui l'aveva portata con sé, con la promessa di tornare in tempo per il parto di Akemi. Quest'ultima aveva deciso di farle visita nel pomeriggio, sapendola sola, 'per festeggiare gli ultimi giorni di libertà', aveva detto. Come avesse potuto giungere lì così disinvoltamente con quel pancione che la precedeva per lei era un mistero: gli ultimi giorni prima della nascita di Haruka riusciva a malapena a rialzarsi da una sedia!

"Già, dimenticavo. E poi c'è Soichiro a fare la guardia: l'hai fatto entrare, immagino". Nonostante il tono leggero, capiva che a suo marito non andava affatto a genio che due donne passassero la notte da sole in una pensione deserta. Se solo non se ne fosse andato anche Yotsuya con la scusa della settimana bianca...

"Ma certo che l'ho fatto entrare, ora dorme vicino alla stufa. Tu abbi solo cura di far mangiare Haruka e coprirla bene per la notte". Se avesse potuto volare fino all'asilo per portare alla sua bambina la trapunta più calda l'avrebbe fatto.

Una fitta ai reni la convinse a chiudere la conversazione e tornò da Akemi quasi piegata in due.

"Guai a te se mi fai bere di nuovo! Questa piccola peste crede di essere sulle montagne russe!", disse mentre tornava dalla sua ospite. Voleva alleggerire la tensione, convincendosi che sarebbe andato tutto bene nonostante i treni bloccati e suo marito lontano, mentre sulla città imperversava la nevicata più violenta che avesse mai visto in vita sua.

Ma il sorriso che si era incollata alle labbra si spense velocemente quando vide Akemi in piedi, al centro della stanza numero sei, che era stata la sua fino a tre anni prima; si teneva il pancione e una pozza d'acqua si allargava ai suoi piedi.

"Credo... di essermela fatta addosso", mormorò la donna mordendosi le labbra: a Kyoko parve d'improvviso di vivere dentro a un incubo.

***


"Ti si sono rotte le acque". Il tono dell'amministratrice era fermo e controllato.

Che? Le acque? Adesso?!

Oh, quindi era così che accadeva! Ti sentivi come strappar via le viscere con un violento strattone e cominciava a colarti quel liquido per le gambe come se avessi perso il controllo della vescica. E le fitte? Anche quelle erano normali?

"Akemi, siediti, prendo uno straccio e chiamo l'ambulanza. Cioè, prima chiamo l'ambulanza e poi prendo uno straccio... oh, al diavolo!". Alla faccia del controllo: Kyoko stava fingendo di essere calma, in realtà era LEI quella che se la stava davvero facendo sotto.

"Non devi chiamare nessuno, manca una settimana!", borbottò appoggiandosi al muro. Se il termine era quello, il bambino non doveva nascere prima!

"Dal momento in cui si rompono le acque possono passare ore. Anche un giorno, ma se è successo stasera vuol dire che tuo figlio è pronto per uscire, che sia scaduto il termine o meno!".

"Davvero?". Quando era andata dal medico non aveva parlato di una possibilità del genere e si trovò nel panico. "Ma... ma io non sono pronta e fuori c'è una tormenta di neve!".

Kyoko si era già allontanata. La udì parlare con voce concitata al telefono e sprofondò nel terrore più nero quando la sentì esclamare: "Che vuol dire che non ci sono ambulanze?! La mia amica sta per partorire!".

Akemi si lasciò sfuggire un lamento: non doveva accadere così, senza un medico, lontana dal marito e con un tempo del genere! Si era sempre immaginata quel giorno come pieno di sole e di infermiere che l'attorniavano pronte a esaudire ogni suo desiderio: un buon the caldo, antidolorifico quando avesse provato dolore e la mano di Hideo da stritolare a ogni contrazione.

"Lo vedo anch'io che c'è una tempesta di neve, ma... cosa? Sì, mi dia il numero". Quella conversazione telefonica le piaceva sempre di meno. E anche il dolore che andava aumentando; l'ennesima fitta le strappò un grido e la fece crollare per terra: era come se le avessero appena stretto il bassoventre con delle tenaglie giganti.

"Akemi?!". Ora l'apprensione era evidente nella voce di Kyoko che si precipitò di nuovo nella stanza ansimando.

"Quando arriva l'ambulanza? Mi fa male!", pianse isterica; non poté fare a meno di notare che neanche l'amministratrice era particolarmente in forma: sudava copiosamente nonostante la temperatura esterna.

"Mi... mi hanno dato un altro numero per le emergenze ma pare che tutte le ambulanze siano in giro a soccorrere chi è rimasto intrappolato nelle vetture o altrove e rischia l'assideramento. E quelle rimaste non sono attrezzate per muoversi con questo tempo...". Le tremavano la voce, le mani e le gambe e a un certo punto cadde a sedere a sua volta.

"Chiama mio marito", disse prima di ricordarsi che le avevano staccato il telefono per un guasto la settimana prima e che comunque era impensabile mettersi in marcia con delle futili catene da neve con un vento così forte: vedeva chiaramente i fiocchi gelidi sferzare i vetri quasi in orizzontale e il gemito delle finestre sembrava quello di un'anima in pena.

Kyoko si era alzata da terra, aggrappandosi allo stipite, e la vista le si annebbiò quando cominciò ad avere l'ennesima contrazione.

Aprì la bocca per fermarla, era inutile chiamare, non sarebbe servito a niente, piuttosto, che diavolo c'era? Perché si piegava in due così, stava male anche lei? Non era possibile, era a malapena all'ottavo mese, non c'era possibilità che...

Osservò affascinata, come al rallentatore, il liquido chiaro bagnare il pavimento a poca distanza da dov'era raggomitolata e si stupì della cronologia tragicamente perfetta dell'avvenimento. Dell'intero pensiero che l'aveva attraversata poco prima le uscì dalle labbra solo un "Ah!" che era per metà di dolore e per metà di sorpresa.

A quanto pareva quella notte sarebbero nati due bambini a Casa Ikkoku.

***


No, non era possibile, il fato si stava avventando su di lei con violenza pari alla tormenta che imperversava sulla città: se il figlio di Akemi aveva scelto il momento peggiore per decidere di venire al mondo, il suo lo batteva sotto tutti i punti di vista. Kyoko aveva sentito che poteva accadere di avere un parto prematuro e che questo poteva portare a un insufficiente sviluppo dei polmoni nel feto. Certo, era in anticipo solo di poco più di un mese, ma di certo avrebbero avuto bisogno entrambi di cure adeguate.

Ma non ne avrebbero avute quella notte, non finché non avesse smesso di nevicare.

Il panico rischiò di travolgerla, intensificando il dolore, così si impose di mantenere il controllo; fece dei respiri lunghi e profondi e quando parlò la sua voce era più ferma: "Akemi, stammi a sentire. Dobbiamo tenere duro fino a domattina, è chiaro? Cerca di calmarti e per amor del Cielo, qualunque cosa tu senta... non spingere!".

La donna la fissò con gli occhi di fuori: appoggiata al muro, con le ginocchia flesse come se stesse già assumendo una posizione consona al parto, i capelli spettinati e le labbra tremanti per lo shock, sembrava sul punto di avere una crisi isterica. "Fino a domattina? Non spingere? Kyoko, tu sei ubriaca, vero? IO sto per partorire, TU stai per partorire e dovrei stare calma?!".

"NESSUNA delle due sta per partorire, mi hai sentito?", gridò. Doveva prendere in pugno la situazione, lei che ci era già passata, e tentare di arginare la situazione disastrosa che si stava profilando. "Ora ascoltami, quando ero in attesa di Haruka e mi si sono rotte le acque sono stata in travaglio per quasi dieci ore". Sapeva che non era una regola e che anzi dalla rottura delle acque nei casi normali le ore erano cinque o sei, ma non voleva neanche immaginare una possibilità del genere.

"Ma come è potuto succedere... proprio stanotte e nello stesso momento!", pianse Akemi tentando di rialzarsi.

Già, come era potuto succedere? Possibile che la birra avesse dato una sveglia improvvisa ai due nascituri che avevano già voglia di festeggiare? Era inutile, però, perdersi in quei pensieri: non era la causa a preoccuparla, adesso, ma le conseguenze. Cosa avrebbero fatto se fossero state costrette a partorire in casa? Pur avendo avuto già una figlia non credeva affatto di essere in grado di provvedere da sola a un bambino prematuro, tantomeno a farne nascere un secondo. Doveva fare qualcosa, chiamare Yusaku e pregarlo di venire ad aiutare. Si alzò lentamente e, appoggiandosi al muro, si diresse di nuovo verso il telefono.

"Dove vai?", strillò Akemi, isterica.

"Chiamo Yusaku", rispose.

"Ma se è bloccato all'asilo! E non ha nemmeno una macchina, come pensi che possa aiutarci?". Non ci aveva pensato; stava seguendo il proprio istinto ma non aveva riflettuto affatto sulla possibilità concreta che aveva suo marito di fare qualcosa. L'avrebbe solo allarmato, magari inducendolo a uscire a piedi in quella tormenta e facendogli rischiare a sua volta di dover chiedere soccorso.

Si lasciò ricadere in ginocchio, tentando di mettere in ordine le idee. "Ogni quanto le hai?".

La rossa la fissò senza capire.

"Le contrazioni! Ogni quanto le hai?". Almeno poteva fare una stima approssimativa di quanto tempo avessero o se dovesse cominciare a prendere seriamente in considerazione l'idea di partorire in casa.

"E che ne so? Mica mi sono messa a contare!". Ormai Akemi era fuori controllo, così le si avvicinò, tentando di calmarla.

La guardò negli occhi e parlò lentamente come se dovesse insegnarle una lingua sconosciuta: "Ok, adesso respira e ascoltami, se ti agiti fai male a te e al bambino". Attese qualche secondo e solo quando l'altra annuì continuò: "Adesso devi, anzi dobbiamo prendere il tempo che passa tra una contrazione e l'altra. Solo così possiamo capire quanto tempo manca, indicativamente, al parto".

"E meno tempo passa meno manca, giusto? Come quando si avvicina un temporale e si calcola l'intervallo tra il lampo e il tuono". L'esempio era abbastanza calzante, notò con piacere, per cui poteva ufficialmente dichiarare che aveva ricollegato il cervello.

"Esattamente! Ora rilassati e guarda l'orologio sulla parete, intesi?". Akemi annuì di nuovo e Kyoko le sedette accanto, pregando tutti i suoi antenati e perfino l'ex marito che tutto finisse nel migliore dei modi.

***


Dannato telefono rotto! Dovevano ridargli la linea almeno due giorni prima e invece era ancora isolato! Quanto ci voleva a risolvere quel maledetto guasto? Scosse la testa: non avrebbe dovuto lasciare che Akemi lo convincesse, quella volta, non con meno di sette giorni alla scadenza del termine. Invece l'aveva accompagnata in macchina fino alla Maison Ikkoku, quella mattina, nonostante le previsioni meteo fossero tutt'altro che buone.

"Puoi venirmi a prendere verso sera, voglio proprio farmi un'ultima bevuta di buon auspicio con Kyoko prima del lieto evento!", gli aveva detto con un sorriso al quale non aveva saputo dire di no; quando, nel pomeriggio, la nevicata aveva cominciato ad assumere dimensioni importanti, Hideo si era precipitato in macchina con l'intenzione di riportarla a casa prima che accadesse l'impensabile e aveva constatato con orrore che la batteria dell'auto era completamente scarica, complice il gelo.

"Forza, muoviti! Fino a stamattina funzionavi, disgraziata!", aveva imprecato girando la chiave e schiacciando la frizione in modo convulsivo, ottenendo solo un borbottio sfiatato dal motore che diventava sempre più flebile a ogni tentativo. Si era fermato, aveva fatto riposare il veicolo e aveva riprovato dopo qualche minuto, ma il risultato era stato di volta in volta meno efficace, finché l'unico rumore che ottenne fu quello della chiave che girava a vuoto: un 'click' insignificante che non si trasmetteva neanche debolmente a un motore ormai non più alimentato. Aveva sbattuto i pugni sul cruscotto insultando l'auto con improperi che neanche immaginava di conoscere fino a un'ora prima, dopodiché si era arreso all'evidenza ed era tornato a casa con l'intenzione di provare nuovamente il telefono: se Akemi fosse dovuta rimanere a Casa Ikkoku, voleva avere almeno la certezza che stesse bene.

La verità era che aveva un pessimo presentimento: la nevicata, l'auto che non andava, il telefono rotto e non ultimo il rametto di the andato a fondo nella sua tazza qualche ora prima (1). Tutti segni nefasti di una tragedia imminente.

Sbatté il telefono sulla forcella, maledicendo il fato, quindi si mise a fissare la natura che urlava gelo e vento dietro i vetri: non si sarebbe dato pace fino a che non avesse saputo che sua moglie stava bene. Poteva assicurarsene se avesse trovato un telefono pubblico! L'idea lo colpì come una benedizione e si dispose a coprirsi per uscire nella tempesta. Nulla l'avrebbe fermato.

***


"Tesoro? Quando stavi per partorire, ogni quanto avevi le contrazioni?". Era una domanda bizzarra quella che le aveva appena posto suo marito. Fuori imperversava una tempesta di neve che sembrava voler buttare giù le mura di casa e i bambini erano eccitatissimi all'idea di costruire un pupazzo di neve gigante, il giorno dopo. Le era costato una certa fatica metterli a letto e aveva dovuto raccontare loro la fiaba della Signora delle Nevi per farli addormentare; stava pensando di andare a fare un bel bagno caldo quando era squillato il telefono.

"Vado io!", aveva urlato Shun precipitandosi all'apparecchio. Grata delle sue premure, Asuna si era infilata nel suo accappatoio più morbido mentre la vasca si riempiva e aveva sbirciato in corridoio per capire chi chiamasse a quell'ora. immaginava potesse essere sua madre o lo stesso zio di suo marito, preoccupati che non fossero in casa con quel tempo.

Ma quando udì la domanda che Shun le poneva con una certa apprensione rimase basita e anche un po' confusa. "All'inizio le pause erano di circa venti minuti, poi sono diventate sempre più frequenti, ma perché me lo chiedi?". Fu mentre parlava che si rese conto di chi potesse trovarsi dall'altra parte del telefono.

Le si gelò il sangue nelle vene, come se si trovasse fuori nella tormenta piuttosto che dentro casa avvolta in un accappatoio. Spalancò gli occhi, leggendo la risposta in quelli di suo marito: Akemi e Kyoko erano in dirittura di arrivo rispettivamente del primo e del secondo figlio, chi delle due era così disperata da chiamare Shun in una notte come quella? All'amministratrice di casa Ikkoku mancava ancora qualche settimana, se ricordava bene, perciò...

"Va bene, Akemi, ora stai calma e ascoltami: non hai altro modo per metterti in contatto con tuo marito?". Stava dicendo tentando evidentemente di calmare la sua interlocutrice. Aveva ragione: si trattava di Akemi. E doveva essere anche particolarmente agitata, poverina, perché sentiva la sua voce uscire dalla cornetta nonostante si trovasse ad almeno due metri di distanza. Shun dovette allontanarla dall'orecchio e lei colse le parole 'piccione viaggiatore'; Kami, era davvero confusa!

"Ok, ascoltami bene: ho un fuoristrada in garage, il tempo di mettere le catene e sono da voi. Va bene. A presto". Adesso Asuna era davvero sconvolta: dove voleva andare con quel tempaccio, suo marito? Era davvero una situazione così grave? Non c'erano ambulanze per situazioni come quella?

Shun dovette leggerle tutte quelle domande negli occhi, perché rispose a tutte: "Akemi e Kyoko sono intrappolate a Casa Ikkoku; anche Godai è bloccato sul luogo di lavoro. Sono sole e non ci sono mezzi di soccorso disponibili".

"Oh...", riuscì solo a dire, consapevole che il gesto quasi eroico di suo marito era davvero necessario; sapeva che era abile alla guida e se quella poveretta aveva bisogno di aiuto era ben lieta che potesse averlo trovato. Tentò perciò di nascondere la propria apprensione ma non poté fare a meno di domandare: "Suo marito non ha la macchina?".

"Sì ma il loro telefono è fuori uso e non riescono a mettersi in contatto con lui. Inoltre con la sua utilitaria, in questa tempesta, rischierebbero di rimanere bloccati". Stava già vestendosi con maglioni pesanti e scarponi da neve, mentre parlava. Si rese conto di essere quasi più preoccupata per la donna che si trovava per la prima volta di fronte a un evento importante come quello senza l'appoggio del suo uomo, che per Shun.

"Ogni quanto ha le contrazioni?", domandò porgendogli cappotto e sciarpa.

"Entrambe ogni dieci minuti circa", rispose infilandoseli velocemente.

"Oh, ma allora è proprio ora!". Sbatté le palpebre, improvvisamente conscia delle sue parole. "Entrambe?".

Shun stava già aprendo la porta di casa e i primi fiocchi di neve vorticarono fino all'ingresso. "Non te l'ho detto? Anche Kyoko è in travaglio".

***


Kyoko riaprì gli occhi e tentò di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava: non le pareva di essere nella propria e non ricordava neanche di essersi addormentata. Mentre cercava di ricostruire il puzzle degli eventi fu colta da una fitta lancinante che le tolse il respiro, impedendole persino di urlare.

Ora ricordava! Lei e Akemi erano sole in casa e, caso piuttosto raro nonché sfortunato, erano entrate in travaglio quasi nello stesso momento. Ricordava di averle detto di guardare l'orologio per capire ogni quanto arrivavano le contrazioni e doveva essere stato quando si era resa conto che per tutte e due la pausa era di circa dieci minuti che aveva perso i sensi, attanagliata dal terrore.

Avrebbero partorito in Casa Ikkoku, da sole, in una notte di tempesta.

Gemette, disponendo la mente alle prossime mosse, con l'imperativo di non perdere il controllo e di fare del proprio meglio perché tutto andasse nella maniera migliore che si potesse sperare in un momento come quello e fu sorpresa quando non trovò Akemi accanto a sé. Invece la sentì urlare nel corridoio: evidentemente era al telefono.

"Mitaka-san, la prego, si sbrighi! Cosa? No, abbiamo il telefono rotto e una macchina stravecchia che non ci porterebbe da nessuna parte con un tempo del genere! Sì... che? E come pensa che possa fare, con un piccione viaggiatore?!".

Mitaka? Oh, dei, stava davvero scomodando Mitaka per.... però non ci aveva pensato, lui era l'unico motorizzato con il quale potessero mettersi in contatto e la situazione stava assumendo un'urgenza vitale. Per la prima volta la sfacciataggine di Akemi le parve più che giustificata e si ritrovò a pregare che il suo ex corteggiatore avesse un mezzo adeguato per soccorrerle.

Udì la rossa tornare nella stanza con passi pesanti e alzò lo sguardo ad incontrare il suo. "Oh, Kyoko, hai ripreso i sensi? Mitaka-san verrà con il fuoristrada, siamo salve!".

Annuì stringendo i pugni e rimpiangendo che il ricco allenatore di tennis non avesse piuttosto un gatto delle nevi. "Per quanto sono stata priva di sensi?".

"Qualche minuto: quando ho visto che eri svenuta sono corsa al telefono, ma i soccorsi non rispondono neanche più alle chiamate, devono avere le linee sovraccariche. Così ho pensato al signor Mitaka...". Si interruppe, colta da una contrazione. La vide trattenere il respiro e le vene le si gonfiarono sulla fronte.

"No, no! Non devi spingere, anche se senti che devi, il tuo bambino non può nascere ora, capito?", proruppe allarmata.

"E cosa faccio, uso un coperchio?!", Strillò agitata.

Sapeva che non era la regina della finezza, ma quella battuta per poco non la fece scoppiare a ridere nonostante tutto. "Ma no, sciocchina, evita solo di aiutarlo a uscire, va bene?".

Akemi annuì e le sedette di nuovo accanto. Erano entrambe impegnate a controllare il respiro e i nervi, per cui ci pensò un poco prima di dirle ciò che le girava per la mente da un po'. Attese che passasse l'ultima, quasi contemporanea contrazione per parlare: "Anche se Mitaka sta arrivando, dobbiamo tenerci pronte a tutto, d'accordo?".

"Ma come? Poco fa hai detto...".

"Lo so cosa ho detto!", quasi urlò, voltandosi a guardarla. "Ma dobbiamo essere preparate anche all'evenienza che lui stesso sia bloccato dalla neve. Quindi ascoltami e cerca di stare calma".

La donna annuì, tremante: non le era mai sembrata tanto vulnerabile. "Stai per dirmi che avremo bisogno di acqua calda, asciugamani, forbici e fuoco per sterilizzarle come nei film?".

Le sorrise debolmente. "Qualcosa del genere".

***


Non credeva che il vento potesse essere così forte: continuava a sospingerlo indietro con una violenza tale che un paio di volte si era ritrovato per terra. Gelidi fiocchi di neve gli erano entrati nelle narici e persino in bocca e temette seriamente di rischiare l'assideramento. Quando Hideo vide la cabina telefonica gli parve quasi di essere vittima di un miraggio; ci mise qualche minuto prima di riuscire a sgomberarne l'entrata dalla neve e chiudersi dietro la porta. Si concesse qualche secondo per riprendere fiato e si rese conto di quanto fosse stato difficile respirare fino ad allora; per un attimo temette che le sottili pareti della cabina non avrebbero retto, ma s'impose di non pensarci e fu veloce a inserire le monete e alzare la cornetta.

La linea era muta.

Hideo scaraventò la cornetta contro il telefono; quella rimbalzò un paio di volte rompendosi, prima di ciondolare inutilmente attaccata al filo. Aveva di nuovo il fiatone: era assurdo che le cose andassero così storte e lui non si era mai sentito tanto in apprensione in vita sua, neanche quando aveva dovuto separarsi dalla sua prima moglie.

Ripensò ad Akemi col pancione e l'aria annoiata sul viso e prese una decisione: se non poteva telefonarle, sarebbe andato da lei a piedi.

***


"Il telefono è isolato, credo che le linee siano interrotte a causa della tormenta. Riteniamoci fortunate ad avere ancora la luce". Il tono era controllato, ma le mani non smettevano di tremarle e anche i denti sbattevano tra loro.

"Non portare più sfortuna di quanta ne abbiamo avuta finora, Akemi, e cerca di rimanere seduta. Più ti muovi e più acceleri le cose". La voce dell'amministratrice era flebile, poco più di un sussurro, e per la prima volta rifletté che era in una situazione peggiore della sua. Se avessero davvero dovuto cavarsela da sole, chi avrebbe accudito per le prime ore di vita un bambino prematuro di cinque settimane?

Akemi sedette accanto a Kyoko con movimenti lenti e si ritrovò ad osservare gli asciugamani e gli altri oggetti di prima necessità che avevano sistemato in un angolo. Soichiro li stava annusando ma, resosi conto che non era cibo, era tornato ad accucciarsi vicino alla stufa. "Ormai Mitaka-san dovrebbe essere già qui, come mai ci mette tanto?".

"Anche se ha un fuoristrada non è facile guidare con un tempo del genere, dovrebbe avere una slitta. Prego solo affinché non rimanga bloccato a metà strada". La vide lanciare uno sguardo fugace al loro kit di emergenza e le lesse in volto una preoccupazione maggiore di quella che mostrava: era letteralmente terrorizzata.

Ebbe un brivido e contemporaneamente un'altra contrazione; strinse la mano di Kyoko e lottò con la respirazione per quasi un minuto intero. Quando il dolore finì, era in un bagno di sudore ed ebbe la spiacevole sensazione di qualcosa che premeva nel ventre con più insistenza di prima. Con cautela, portò una mano in basso, timorosa di quello che avrebbe potuto trovare. Si esaminò brevemente, piegandosi in avanti. "Kyoko... sento qualcosa quaggiù in fondo...", balbettò.

Con la coda dell'occhio vide Kyoko lottare contro la propria, personale contrazione, ricomporsi non appena ebbe respiro e scostarle la gonna senza tanti complimenti; era troppo terrorizzata per vergognarsi della visita ostetrica che stava subendo improvvisamente dalla sua padrona di casa di un tempo. "È la testa del bambino che sta scendendo. Dobbiamo farlo nascere ora".

Il mondo ondeggiò davanti ai suoi occhi mentre annaspava alla ricerca di parole che non volevano articolarsi; non aveva mai pensato seriamente che avrebbero dovuto ricorrere a quello. La telefonata a Mitaka risaliva a quasi un'ora prima e, neve o no, ormai doveva essere questione di minuti prima che arrivasse. "Aspettiamo ancora cinque minuti, ti prego!", pigolò con una voce che non riconobbe come propria.

"Non possiamo aspettare, credo di essere giunta al termine anche io e se prima non facciamo nascere il tuo bambino rischiamo di non poterci aiutare a vicenda. E io ho bisogno che tu mi aiuti". Kyoko era pallida come la morte e ansimava vistosamente.

"Va bene, facciamo nascere mio figlio, allora".

***


Si svegliò di soprassalto, con il fiato corto e il cuore che sembrava aver lasciato il posto a un tamburo enorme: l'incubo era stato talmente vivido da sembrargli reale. Kyoko era nuda sulla neve e stava partorendo il loro figlio maschio in mezzo alla tormenta. Lui allungava un braccio correndo verso di lei ma non arrivava mai, come nella peggior tradizione dei sogni con risvolti tragici.

Haruka dormiva accanto a lui e quando guardò l'ora si stupì di vedere che non era neanche mezzanotte. Improvvisamente fu preso dal bisogno irrazionale di chiamare la Maison Ikkoku, per accertarsi che fosse tutto okay, ma scacciò l'idea, conscio di essere stato solo sconvolto dall'incubo.

Si alzò dal futon, rimboccando le coperte alla sua bambina e indossando a sua volta uno yukata pesante: nonostante i riscaldamenti, il gelo gli penetrava fin nelle ossa. Andò in direzione della mensa con l'idea di farsi un the bollente ma si bloccò davanti al telefono.

Mentre tentava di controllare le proprie emozioni, ripetendosi che avrebbe svegliato sua moglie allarmandola inutilmente, le sue mani avevano già afferrato la cornetta e l'indice stava già componendo il numero a memoria. Fu solo dopo qualche secondo che realizzò che la linea era muta.

***


Mentre si lavava accuratamente le mani, Kyoko non pensava a nulla: la mente era un vuoto buio. La priorità era far sopravvivere i loro bambini e nessuna preghiera le avrebbe aiutate.

Erano sole, con quattro braccia e una tormenta che le tagliava fuori dal mondo. Tuttavia se si fosse soffermata troppo su questa consapevolezza sarebbe impazzita, per cui era concentrata sulle azioni pratiche: lavarsi accuratamente le mani, controllare le proprie doglie e aiutare Akemi nel parto.

Avrebbe afferrato il bambino per la testa quando fosse stato abbastanza fuori, poi doveva portargli le mani sotto le ascelle e farlo ruotare. A quel punto doveva eliminare dalle vie respiratorie qualunque residuo gli impedisse di prendere aria e quando avesse cominciato a piangere l'avrebbe avvolto negli asciugamani puliti prima di clampare il cordone ombelicale con la molletta da bucato e....

"Kyokooooooo!", Akemi urlava fuori controllo ormai e non c'era più tempo. Corse come poté dalla donna e tentò di calmarla in ogni modo, facendola stendere nella posizione più comoda possibile. "Mi spezzo in due!", ringhiava tra i denti.

"Benvenuta tra le partorienti, vuoi un altro cuscino?", le domandò con una freddezza che la stupì. Bene, era così che doveva sentirsi, glaciale e risoluta: se fosse ricaduta nel vortice della disperazione sarebbe stato un disastro su tutta la linea.

"Voglio un ospedaleeee!", strillò mentre le faceva assumere, non senza difficoltà, la posizione migliore per aiutarla. Non aveva mai amato la vista del sangue e il mestiere medico non le era mai parso più lontano dalle sue corde come in quel momento. Ma doveva assolutamente...

Una contrazione, lunga e dolorosa, la colpì all'improvviso con violenza inaudita.

Poco prima era inginocchiata di fronte ad Akemi, ora si ritrovò sul pavimento a faccia in avanti, le mani lavate accuratamente si contorcevano spasmodicamente sul tatami.

"Kyokooo...?". Non sentiva niente, né il vento, né Akemi che la chiamava, solo il dolore sordo e insopportabile che le trafiggeva il ventre per quaranta, cinquanta secondi, prima che riprendesse a respirare regolarmente.

Non ce la faremo mai... Soichiro, oh, ti prego, aiutami tu...

Era stata proprio lei a pensare, solo pochi minuti prima, che nessuna forza superiore le avrebbe aiutate? Che erano sole e da sole avrebbero dovuto agire? Beh, fortunatamente doveva essersi sbagliata, perché qualche istante dopo aver formulato quella preghiera al suo ex marito, udì bussare alla porta d'ingresso.

***


Quando Kyoko gli aprì la porta, non somigliava affatto alla donna di cui era innamorato solo pochi anni prima. Gli parve piuttosto una creatura sparuta in preda a un terrore e a una sofferenza che ne fiaccavano lo spirito umano e la rendevano più simile a un animale in trappola.

Sul volto cereo gli occhi spiccavano, spalancati e scintillanti, e le labbra avevano assunto quasi lo stesso colore del viso. Fece appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle prima che balbettasse il suo nome e gli si gettasse letteralmente tra le braccia.

Avrei dato chissà cosa per un tuo abbraccio, una volta...

Impedita dal pancione, si abbarbicò comunque al suo cappotto zuppo di neve, singhiozzando senza controllo. Shun si chiese se non stesse avendo una specie di crisi isterica e se sarebbe stato costretto a schiaffeggiarla. Invece l'afferrò per le spalle, fissandola fino a catturarne lo sguardo. "Guardami, Kyoko: va tutto bene, io sono qui, capito?".

Gli parve finalmente di scorgere la lucidità in lei, mentre annuiva e rallentava il respiro. "Dov'è Akemi? Infilate i cappotti, vi porto subito in ospedale".

"Mitaka-saaaan!", gridò la rossa dall'altra stanza, facendolo trasalire.

"Io, lei... noi volevamo partorire qui, la testa del bambino di Akemi è già in posizione e stavo per...". Deglutì a vuoto e si rese conto che erano molto oltre il tempo che aveva calcolato basandosi sull'esperienza con Asuna. Pensava di trovare due donne alle prese con le doglie, ma che avessero ancora qualche ora; invece si ritrovava davanti ad almeno un parto imminente.

"Tu come stai?", le chiese mentre si adoperava per aiutarla con il cappotto.

"Ho le contrazioni quasi all'unisono con lei. Mitaka-san, pensi di riuscire a portarci in ospedale entro mezz'ora al massimo? Altrimenti temo che rischiamo di partorire sul tuo fuoristrada". Solo ora si rendeva conto che, nonostante avesse ripreso il controllo, Kyoko tremava violentemente.

"Ce la farò", le disse, anche se non ci credeva neanche lui. La situazione era doppiamente critica.

Aiutarla a far vestire Akemi in fretta e furia fu impegnativo: le due donne dovettero fermarsi all'arrivo di una contrazione e dovette sorreggerle per impedire che cadessero. Si sentiva sperduto e inadeguato, ma era l'unica speranza che avevano. Doveva fare in fretta, tuttavia non poteva rischiare un incidente: aveva la responsabilità di quattro vite potenzialmente in pericolo.

Prima che il coraggio minacciasse di scemare o una contrazione di bloccarle, le trascinò quasi a forza sull'automobile, lottando col vento e col terreno quasi impraticabile. Non seppe come, ma finalmente riuscì a chiudere lo sportello e ad avviare la macchina.

Dopodiché pregò di arrivare in tempo.

***


Quando era estate, Akemi aveva spesso fatto a piedi la strada che separava il Chachamaru dalla Maison Ikkoku; solitamente, a sua detta, non ci impiegava più di dieci minuti.

Quella notte, Hideo ci mise più di mezz'ora per trascinarsi nella tormenta: sentiva i baffi rigidi come se gli si fossero congelati e lottò per coprirsi il più possibile con la sciarpa che continuava a scivolare. Gli sembrava di respirare direttamente dal freezer dove teneva le birre di scorta e i gelati e di camminare nel ghiaccio. A ben pensarci non sentiva neanche più i piedi; camminava dentro a parecchi centimetri di neve trascinandoli per tenersi ancorato al terreno mentre lottava col vento, forse erano congelati anche quelli.

L'entrata del vialetto di casa Ikkoku era un fantasma ondeggiante nel vortice dei fiocchi: quello era un miraggio e sarebbe scomparso, a differenza della cabina telefonica. Non sapeva perché fosse così pessimista, ma la preoccupazione era diventata una specie di artiglio gigante saldamente ancorato allo stomaco e l'istinto gli suggeriva di addormentarsi per non doverlo sopportare oltre.

Che idea balzana, addormentarmi qui fuori! E con mia moglie a pochi passi da me!

Ma come mai le palpebre erano così pesanti? Forse tutto quello non era che un sogno: era talmente stanco che non si era mai mosso da casa e l'inconscio lo guidava nel luogo dove voleva trovarsi nell'istante prima di addormentarsi. Però doveva aver lasciato aperta la finestra, perché il freddo era reale come il dolore dei suoi passi nella neve e come la solidità della maniglia gelata che si abbassava a vuoto.

Che stupido, devo bussare, si saranno chiuse a chiave!

Ma certo, era un cosiddetto sogno lucido... dov'è che lo aveva letto? Si potevano guidare le proprie azioni anche nel mondo onirico e lui decise di fare esattamente quello. Si appoggiò alla porta, sfinito, e bussò più forte che poté. Non venne ad aprirgli nessuno, anche le luci erano spente. Udì qualcosa che sembrava l'abbaiare di un cane all'interno, forse era Soichiro, ma era difficile dirlo col vento che gli urlava a gran voce nelle orecchie e nei vestiti.

Staranno dormendo. Non hanno tutti i torti, con un freddo del genere...

Mentre si lasciava cadere sulla soglia della Maison Ikkoku e sprofondava nel sonno, si sorprese a riflettere su quanto fosse buffo addormentarsi in sogno. E meno male che tutto quello non era reale, o sarebbe morto sicuramente assiderato!



(1) Nella tradizione giapponese, se un rametto di the galleggia dritto nella bevanda è di buon auspicio, mentre se va a fondo è di cattivo augurio.

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Capitolo 6
*** Di gelo e calore ***


DI GELO E CALORE

Sentiva parlottare delle persone con toni concitati, poi rumore di ruote su un pavimento. Nel vortice di dolore che la trascinava sempre più giù, in una specie di baratro nero che prometteva pace, Akemi distinse solo frasi spezzate: 'ha il cordone intorno al collo', 'il battito rallenta' e 'dobbiamo intervenire'. Dovevano essere dottori, ma parlavano del suo bambino o di quello di Kyoko? Molto probabilmente non ce l'avevano con lei, perché altrimenti le avrebbero parlato direttamente, no? Ma chi era che le dava dei buffetti sul viso e la spruzzava d'acqua?

"Lasciatemi riposare!", sbottò scacciando una mano che le si era posata sulla fronte.

"Oh, ha ripreso i sensi! Ora cerchi di stare sveglia e cominci a spingere", le stava dicendo una donna vestita da infermiera. Ma si trovava ancora sulla barella? Volevano farla partorire nel corridoio?

"Mi fa male la schiena se spingo! Non potete tirarlo fuori e basta?". Ricordava vagamente di aver visto l'entrata del pronto soccorso, poi c'era stato un black out: non doveva essere passato che qualche minuto.

"Ma certo che le fa male la schiena, è normale: il bambino si trova in posizione occipito posteriore. Spetta a lei aiutarlo a nascere", le rispose paziente come se si rivolgesse a una bambina capricciosa.

Akemi la squadrò come se fosse matta. "In che posizione è?!". Poi urlò, sopraffatta da un'altra contrazione violenta: qualcuno sembrava divertirsi a trafiggerle la spina dorsale con una spada invisibile.

"Ecco, questo è il momento giusto, spinga più forte e più a lungo che può!". La voce apparteneva a un uomo che stava di fronte alle sue gambe allargate, i piedi erano poggiati sugli appositi supporti. La mascherina ne attutiva la voce.

"Datemi una birraaaaaaaaaa!", gridò mentre si adoperava nello sforzo più sovrumano che dovesse esistere. Pensò che il bambino sarebbe nato di almeno dieci chili; laggiù, dove si trovava, sembrava enorme.

"Cosa dice?", domandò l'infermiera mentre le tergeva la fronte dal sudore e riuscì a cogliere una nota scandalizzata nella sua domanda.

"Bene, la testa è fuori, vuole sentirla?", le stava domandando il medico mentre armeggiava nelle sue parti intime.

"No, voglio solo che passi questo dolore, o potrei cominciare a tirar calci!", grugnì domandandosi se sarebbe mai riuscita a sedersi di nuovo.

"Con l'ultima spinta lo faremo nascere, è bravissima! Ancora qualche minuto e sarebbe nata nel fuoristrada, questa piccola peste!". Gli occhi dell'uomo le sorridevano tra le ginocchia. In quel momento glieli avrebbe cavati volentieri. Così, solo per contrastare il dolore.

"Kusokurae!" (1) , disse prima di essere colta da una nuova contrazione che la fece urlare. Con la coda dell'occhio vide l'infermiera aprire bocca e le sbatté una mano sulla faccia senza tanti complimenti. "Non dirmelo, devo spingere, vero?". La poveretta rimase muta e fu un bene, perché temeva di essere posseduta da qualche demone mentre, con un'ultima dolorosa spinta, metteva al mondo il suo primogenito.

"Congratulazioni, è un maschietto!", esclamò il dottore tenendolo appeso per le gambe, il cordone che penzolava ancora attaccato a lei. "Infermiera, chiami il padre, così gli facciamo tagliare il cordone ombelicale".

Il dolore era scomparso, sparito. Al suo posto c'era una spossatezza pesante come un macigno, piacevole perché la stava guidando al sonno; le ultime parole del medico, però, non le capì: Hideo non si trovava lì.

Poi le venne posato qualcosa di caldo e piangente tra le braccia e il sonno le scivolò via come una pelle di serpente.

Quindi quello era suo figlio; come poteva una creatura così piccola esserle sembrata tanto enorme solo poco prima? La testolina era spruzzata di capelli rossi e Akemi sorrise.
"Così non somiglierai al tuo papà, vero?", gli disse solleticandogli il naso con un dito.

***


Isao Yamamoto saltò giù dall'ambulanza con il cuore in gola: la chiamata era stata fatta ore prima da una donna che chiedeva aiuto per una partoriente ma non c'era stato modo di arrivare prima, pur avendo messo quell'intervento in cima alla lista. Prima c'era stato l'uomo che era caduto nel condotto, poi il bambino mezzo assiderato dopo essere rimasto intrappolato in un ascensore con la madre; normalmente ci sarebbero stati molti più mezzi, ma con quelle condizioni meteo la loro era l'unica ambulanza che non si fosse arenata nella neve o che non avesse la batteria a terra.

"Non spegnere il motore!", gridò al conducente che gli fece un gesto con la mano guantata da dietro il finestrino accuratamente chiuso. "E non venire a darmi una mano, grazie", borbottò recuperando la barella e raggiungendo le scale d'ingresso.

Mentre camminava, inciampò in qualcosa e imprecò malamente contro le forze della natura mentre rotolava nella neve e tentava di rialzarsi. Bussò alla porta parecchie volte, chiamando a gran voce, ma gli rispose solo l'abbaiare un po' svociato di un cane.

"Chiama la tua padrona, bravo cane!", urlò ironicamente; attese per un minuto, poi tentò di sbirciare dalle finestre, nonostante la brina. Era tutto buio, non si sentivano movimenti o voci umane. Pregò di non essere arrivato troppo tardi e si domandò come dovesse comportarsi. Si incamminò di nuovo verso l'ambulanza, con l'intenzione di chiedere l'intervento dei pompieri, anche se con quel tempo e senza la certezza che ci fosse ancora qualcuno in casa poteva rivelarsi quantomeno inutile.

Istintivamente sbirciò ai suoi piedi tentando di capire in cosa avesse inciampato poco prima e si rese conto che era un sasso rosso. Aggrottò le sopracciglia: non sembrava un sasso, tuttavia... Si chinò per scavare intorno, dove la neve l'aveva completamente seppellito e il cuore gli fece un altro balzo quando si rese conto che si trattava di un uomo con un cappotto rosso.

"Oh, santissimi Kami del Cielo, Bunzo, aiutami!", gridò nella tormenta, cercando il battito e controllando le vie respiratorie.

"Devo proprio?", fu la risposta del collega che si era degnato, perlomeno, di abbassare il finestrino.

"Porta qui il culo subito! Quest'uomo sta morendo assiderato!", sbottò iniziando a praticargli il massaggio cardiaco. Non era facile con il vento e la neve che lo accecavano.

"Carichiamolo sulla barella e portiamolo nell'ambulanza, stabilizzalo mentre io guido", stava dicendo il suo collega mentre lo raggiungeva. Dovevano esserci più paramedici quella notte, dannazione! "Ma... e la donna incinta?".

"Non risponde nessuno. Magari l'amica l'ha già portata in ospedale". Assicurò velocemente le cinghie intorno al corpo del poveretto per impedire che cadesse e spinse la barella con tutte le sue forze. La neve ghiacciata la bloccò quasi subito. "Alziamola a braccia!", propose.

"O magari è svenuta e ora è dentro casa senza assistenza". Scoccò un'occhiataccia a Bunzo, desiderando improvvisamente che se ne tornasse al posto di guida.

"Ci ha chiamati un'amica, dubito che lei non correrebbe ad aprirci se fosse così! Ora muoviamoci o questo ci muore qui". Il collega chiuse le porte sottraendolo finalmente al vento e poté concentrarsi meglio sui segni vitali del paziente. Il respiro si era arrestato di nuovo e il battito stava già precipitando. Decise che doveva intubarlo e sottoporlo a massaggio cardiaco nello stesso tempo.

Sì, dovevano decisamente essere almeno in due, lì dietro.

***


"Le sto dicendo che non sono io il padre del bambino, lo vuole capire sì o no?". L'infermiera che li aveva accolti al Pronto Soccorso inarcò nuovamente il sopracciglio con la stessa aria ottusa di poco prima. Akemi alzò lo sguardo su di lui con il neonato stretto al petto e sperò che lei potesse spiegarsi meglio.

"Oh, Mitaka-san, senza di lei non avrei mai potuto avere questo bambino, grazie!". Shun sorrise, portandosi una mano alla nuca, imbarazzato.

"Ma no, non ho fatto niente di speciale, in fondo", si schernì.

"A-ehm!", si schiarì la voce l'infermiera. "Vuole ancora negare che è figlio suo?".

Shun si sbatté una mano sulla fronte. "Ma no, ha capito male!".

Fortunatamente intervenne la stessa Akemi: "Ma no, lui non è mio marito! Hideo è al Chachamaru adesso".

Allargò le braccia annuendo, felice che la cosa fosse finalmente risolta. Ma l'infermiera spalancò ancor di più gli occhi miopi, sistemandosi gli occhiali sul naso come se, guardandolo meglio, potesse scorgere la verità. "Oh, dei! Allora lei è l'amante della signora!".

"Che cosa?!". Per un attimo pensò che la faccia gli cadesse a terra sotto il peso della mascella spalancata, ma si stupì quando Akemi scoppiò a ridere.

"Guardi che non è figlio suo", disse infine.

"Ah, no?", fece quella guardando alternativamente prima l'uno e poi l'altra.

Shun le piantò un dito contro, compitandole la situazione come si farebbe con una scolara particolarmente difficile: "Il bambino è figlio della signora e di suo marito, che ora non è qui, capito?".

Illuminata, la donna batté le mani e lo afferrò per il polso. "Allora venga con me nell'altra stanza, sua moglie avrà certo bisogno di lei!".

Sua moglie? Oh, no...

"Ma... Kyoko non...". Non riusciva a dire altro. Da un lato voleva sapere come stesse, dall'altro chi era lui per deludere le certezze di un'infermiera che aveva accolto un uomo e due donne in travaglio? Non sarebbe mai riuscito a confessarle che nessuna delle due era la sua vera moglie.

***


Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che provò fu il dolore. Intenso, grave, le pesava sul corpo come fosse una cosa viva e vorace che non vedeva l'ora di digerirla per bene. Ma era troppo stanca per lamentarsi o emettere suoni, quindi vi si arrese, rimanendo in ascolto della voce che udiva: era il medico che parlava con Mitaka, l'espressione del volto la spaventò terribilmente.

"Il bambino si presenta podalico e ha il cordone ombelicale attorno al collo. Inoltre è prematuro, per cui noi opteremmo per un cesareo. Oppure, con un'abile manovra, potremmo riuscire a farlo nascere naturalmente ma sarebbe molto doloroso per la madre che è già molto debole; e non possiamo garantire neanche per il bambino stesso".

Ansimò e aprì la bocca per parlare, ma il dottore aveva ragione: non ne aveva la forza. Era semplicemente spossata.

"Kyoko!". Mitaka doveva essersi accorto del suo risveglio e quando le si avvicinò sembrava davvero in ansia per lei.

Udiva distintamente il 'bip' che segnalava il battito cardiaco di suo figlio e sapere che stava rischiando la vita le parve semplicemente un incubo irreale. Voleva suo marito accanto, aveva bisogno di stringergli la mano e di trarre forza da lui, ora che non ne possedeva più un briciolo.

"Signora, mi sente? Normalmente le permetterei di scegliere con suo marito la procedura che preferisce, ma come medico devo insistere per il cesareo; è la cosa migliore per il bambino".

Sbatté le palpebre per schiarirsi la vista e incontrò lo sguardo, stranamente imbarazzato, del suo ex allenatore di tennis; tentò nuovamente di formulare il nome di Yusaku.

"Dottore, vogliamo lasciarli soli per un minuto o due in modo che possano parlarne con calma?", stava dicendo l'infermiera spiazzandola: perché mai avrebbe dovuto parlare con Mitaka di una cosa del genere?

"La signora è convinta che io abbia una relazione con entrambe per il semplice fatto che sono arrivato con te e Akemi", spiegò Shun.

Non mi importa di cosa pensa l'infermiera, voglio solo che il mio bambino stia bene. E voglio Yusaku!

"Signorina, prego!", rettificò la voce già lontana della donna.

"Oh, non stento a crederlo", borbottò Mitaka muovendosi come al rallentatore.

Basta, era stufa di quella conversazione insensata. Il dolore la stava trascinando di nuovo nell'oblio e lei voleva essere vigile per seguire gli eventi e assicurarsi che tutto andasse bene! Si morse il labbro tentando di tenersi sveglia e cercò disperatamente lo sguardo di Mitaka. Mosse le labbra emettendo solo un flebile respiro, ma tanto bastò perché lui capisse. Annuì sorridendole.

"Ero convinta che tenesse il piede in due scarpe, dottore, cosa penserebbe lei di un uomo che si presenta al pronto soccorso a braccetto con due donne in travaglio?". Girò gli occhi verso l'infermiera e si sorprese a riflettere sulla possibilità di scoppiare a ridere o di rimproverarla per la sua indelicatezza. Beh, poco importava, visto che neanche riusciva a parlare.

"Ascolti, dottore: lascio la mia amica alle sue cure. Vado a prendere suo marito perché possa starle accanto; tornerò al più presto". Fortunatamente, dopo l'ultimo commento, Shun aveva ripreso il controllo della situazione ignorando l'inopportuna infermiera: lo ringraziò mentalmente.

"Bene, certo ". Il dottore era in evidente imbarazzo e lanciava occhiatacce, che lei stessa avrebbe voluto dare, alla sua collaboratrice. "Ma non so se potremo aspettare l'arrivo del marito per procedere. Il bambino rischia di soffocare se non interveniamo al più presto".

Riuscì ad emettere un gemito, tanta era l'apprensione. In quel momento avrebbe chiesto al medico di sacrificare la sua vita pur di non mettere a repentaglio quella di suo figlio. Le spuntarono le lacrime agli occhi.

"Kyoko, ascoltami". Mitaka era tornato accanto a lei e le stringeva una mano: il suo calore era confortante, lei si sentiva gelata. "Tornerò più in fretta possibile con Godai, te lo giuro; tu però promettimi che starai bene e farai tutto quello che ti dice il medico".

Annuì, deglutendo inutilmente le lacrime: "Non piangere, sei in buone mani". Shun le asciugò gli occhi, poi si rivolse di nuovo al dottore: "Mi raccomando".

"Stia tranquillo, faremo tutto il possibile perché le cose vadano per il meglio; la procedura è di routine, monitoreremo la salute della madre e del bambino ogni istante. Piuttosto, lei stia attento ad andare in giro con questa tormenta".

"Stia tranquillo, affronterei qualunque tempesta per questa donna!".

La fitta di dolore arrivò contemporaneamente allo stupore e Kyoko non seppe cosa l'avesse colpita maggiormente; le parole di Mitaka la riportarono indietro nel tempo e si chiese se i suoi vecchi sentimenti non fossero improvvisamente riaffiorati. Pregò che così non fosse, per il bene di tutti.

Poi cominciò a pregare perché le portasse Yusaku al più presto e che la trovasse con il loro secondogenito in braccio, sano e perfetto come era stata Haruka neanche tre anni prima.

***


Voci, nel corridoio. Le avevano detto che probabilmente Kyoko avrebbe dovuto subire un cesareo d'urgenza, poi le avevano fatto allattare il bambino ed era successo quel buffo equivoco con Mitaka. Infine l'avevano portata in una stanza dove potesse riposare. Eppure, non credeva di aver dormito più di qualche minuto prima di risvegliarsi in preda a una sensazione di vivo allarme.

"Maschio, asiatico, pressione ottanta su quaranta, ha avuto almeno un arresto cardiaco per via dell'ipotermia. L'ho rianimato ed era in stato confusionale, parlava di una moglie".

Ah, ecco cosa l'aveva svegliata! La sua stanza non era lontana dall'entrata del pronto soccorso e stavano ricoverando qualcuno proprio in quel momento: si chiese chi fosse il poveretto mezzo congelato e se l'avrebbero salvato. Strano, non era mai stata così altruista in vita sua, doveva avere gli ormoni in subbuglio per il parto.

"Signore, si trova in ospedale, può sentirmi? Mi sa dire come si chiama?".

Che domanda stupida, perché gliela facevano? Forse volevano vedere se era cosciente e ancora in possesso delle sue facoltà mentali. Udì un borbottio indistinto, segno di un'effettiva risposta: qualcosa nella voce dell'uomo le fece accelerare il battito cardiaco.

"Sua moglie era con lei?".

"Dove l'avete trovato?".

"Di fronte a una pensione, non ricordo come si chiamasse. In realtà la chiamata era per una donna in travaglio".

No, non era possibile, doveva trattarsi di una mera coincidenza... l'idea che le si stava profilando nella mente non le piaceva affatto. Trattenne il respiro, ora completamente vigile e in ascolto.

"Akemi...". Spalancò gli occhi, era Hideo quello che la stava invocando! Gridò il nome del marito e si tirò via le coperte; quando mise le gambe a terra cadde di peso sul pavimento perché non la ressero.

"Signora! Lo sa che non deve alzarsi!", accorse un'infermiera. Ma lei si stava già muovendo carponi per uscire dalla stanza.

"Quell'uomo è mio marito!", disse indicando il corridoio.

"Akemi?". Sì, non c'erano dubbi; non sapeva dove trovasse tanta energia viste le condizioni che avevano descritto poc'anzi, ma era proprio lui che la chiamava per nome. Si lasciò aiutare dall'infermiera e si appoggiò a lei per uscire in corridoio.

La scena che seguì le avrebbe ricordato uno di quei film smielati che odiava tanto e si sarebbe chiesta spesso, nel tempo, come avesse potuto esserne protagonista proprio lei.

Lui si protendeva dalla barella, pallido come un lenzuolo, allungando un braccio per toccarla, chiedendole se fosse davvero Akemi. "Oh, Hideo, certo che sono io, che domande! Ho appena partorito".

Gli afferrò la mano mentre l'infermiera continuava a sorreggerla. "Lo sentivo che stava accadendo qualcosa! Ma il telefono non funzionava e quella dannata auto...". Improvvisamente fu a corto di fiato e Akemi si spaventò a morte.

"Hideo!", proruppe. Uno dei medici la scostò gentilmente.

"Signora, ci lasci andare ora, dobbiamo scaldarlo e controllare le funzioni vitali".

"Ma parlavate di arresto cardiaco!". Si sentiva isterica come poco prima di partorire, l'adrenalina era tornata contro ogni sua aspettativa. Si chiese se sarebbe mai riuscita a riposare di nuovo.

Il medico le fece un sorriso confortante. "Suo marito è ancora giovane e in salute e sono certo che non vede l'ora di fare il papà. Quindi non lo faccia preoccupare e vada a stendersi, adesso".

Hideo la guardò: le apparve sfinito e le poche forze che prima lo avevano sorretto sembravano averlo abbandonato definitivamente. Le strinse a malapena la mano mentre la induceva con lo sguardo a non preoccuparsi.

Improvvisamente pensò a Kyoko, rimasta vedova dopo pochi mesi di matrimonio, e venne colta da un panico che non avrebbe mai creduto di provare, lei che era sempre passata da una storia all'altra ritrovandosi ogni volta più forte; lei, che non credeva esistesse l'amore vero. Lei, il cui unico amico veramente intimo era stato il datore di lavoro che l'aveva assunta al Chachamaru. L'aveva sposato perché erano simili e condividevano una complicità spontanea e naturale.

Ora si accorgeva di quanto ne fosse innamorata da sempre. Non voleva perderlo, non l'avrebbe sopportato.

"Vedi di rimetterti in piedi al più presto, hai un figlio a cui provvedere", disse con voce ferma prima che lo portassero via con un rumore infernale di rotelle e passi concitati. Quando sparirono dietro una doppia porta, si lasciò cadere a terra.

"Signora!", esclamò l'infermiera allarmata aiutandola a rialzarsi e riconducendola lentamente in camera.

"Mi faccia sapere, per favore", la pregò posando la testa sul cuscino. Solo quando si fu fatta promettere di avere sue notizie al più presto s'impose di rilassarsi.

Le sembrava tutto così assurdo, così irreale: era come se un demone particolarmente dispettoso stesse giocando con i loro destini divertendosi un mondo a far accadere le cose più assurde. La donna chiuse la porta della stanza, ordinandole di dormire senza mezzi termini e lei fece una smorfia: così si sentiva ancora più lontana da Hideo. E non avrebbe dormito, agitata com'era, nossignore. Invece scivolò nell'incoscienza senza accorgersene.

***


"Lei è stata alquanto inopportuna, signorina Fujiwara, non può e non deve giudicare un uomo solo perché si presenta qui con due donne. Non è affatto professionale!".

"Mpfh! Ha ben sentito cosa ha detto quel belloccio, prima di andare a prendere il marito di questa donna: se non è un uomo innamorato quello...".

"Non è nelle sue competenze trarre queste conclusioni, infermiera. Temo che dovrò farle un richiamo formale alla disciplina se continua con questo atteggiamento!".

Che diamine stava accadendo, si era addormentata davanti a una sit com? Oppure si trovava ancora in ospedale e aveva perso un'altra volta i sensi? Propendeva per la seconda ipotesi e il primo pensiero coerente fu per il bambino. Kyoko aprì gli occhi e scoprì di essere attaccata a una flebo; il dolore era un pulsare lontano e sembrava appartenere a un'altra donna, non più al proprio corpo.

"Oh, si è risvegliata, bene. Signora, fra poco arriverà l'anestesista per la spinale, quindi potremo andare in sala parto per il cesareo. Il dolore dovrebbe essersi già attenuato, no?". Il dottore parlava con tono pratico e professionale e nel frattempo controllava la flebo e scriveva appunti sulla cartella che teneva in mano.

"Per mio marito...". Il dolore era sì, scemato, ma la debolezza rimaneva. Si chiese come avrebbe affrontato tutto da sola se Yusaku non avesse fatto in tempo ad arrivare.

Il medico le sedette accanto e la guardò serio. "Per prepararla ci vorrà qualche minuto e ci auguriamo tutti che lui possa starle accanto mentre facciamo nascere suo figlio. Ma se ciò non dovesse accadere non possiamo aspettare oltre: come le ho detto il bambino sta soffrendo e lei non vuole mettere a repentaglio la sua vita, vero?".

"Oh, no, no di certo!". La voce le uscì flebile ma decisa; si sentiva come una bambina costretta a festeggiare il proprio compleanno da sola e si domandò quando le fosse accaduto di regredire all'età di Haruka: probabilmente lo stress e lo spavento di quelle ultime ore l'avevano destabilizzata a tal punto.

In quel momento entrò un uomo anziano, con grandi baffi bianchi e lo sguardo bonario; Kyoko si fidò istintivamente di lui e si accovacciò sul fianco come l'anestesista le chiedeva per procedere con l'iniezione.

"Aspetti! Dormirò mentre lo farete nascere?" Il medico si accigliò e rimase con l'iniezione a mezz'aria.

"La procedura normale è questa, sì. Le farò un'anestesia generale". Kyoko scosse la testa.

"Non c'è un altro modo? Io... voglio vederlo, prenderlo in braccio subito". Per un attimo scese il silenzio interrotto solo dal ticchettio di un orologio a parete che sembrava ricordarle quanto poco tempo ci fosse per i ripensamenti.

"A dire il vero ci sarebbe una nuova tecnica che consiste in un'anestesia locale, ma è ancora in fase di...".

"Io mi fido di lei. Se non procurerà alcun danno al bambino, la prego di somministrarmi quella. Per favore". Il dolore era sempre lontano ma in quel momento lo avvertì distintamente torcersi per l'ennesima volta dentro il ventre.

"Va bene, datemi un minuto. Anzi, due". Seguì con preoccupazione lo scambio di sguardi tra l'anestesista e l'ostetrico e decise che l'urgenza era tale che forse aveva fatto un grosso errore. Ma non ebbe il tempo di ritrattare, perché nel giro di molto meno dei due minuti previsti, l'uomo tornò con un'altra siringa.

"Grazie", mormorò mentre lo vedeva ricambiare il sorriso che gli stava dedicando per la sua sollecitudine. Avvertì a malapena la pressione dell'ago che le veniva infilato tra le vertebre.

***


Qualcuno bussava alla porta. Di notte, nel bel mezzo di una tormenta che aveva perso un po' della sua intensità solo qualche minuto prima. Yusaku rimase immobile, con la tazza di the a mezz'aria, indeciso se preoccuparsi di un malvivente o accorrere perché chi era alla porta poteva essere in difficoltà. Tentò di riflettere lucidamente e i colpi si ripeterono più forti e decisi: chiunque fosse aveva una bella fretta e un ladro non avrebbe voluto farsi certo sentire.

Per precauzione prese una delle piccole mazze da baseball dalla stanza dei giochi per bambini, chiedendosi cosa avrebbe potuto farsene visto che pesava la metà di una normale, e andò alla porta con uno stentoreo: "Chi è?".

"Godai, sono Mitaka! Dannazione, apri la porta!".

Mitaka? MITAKA?! Prima ancora che le considerazioni salissero a livello cosciente, il cervello aveva già portato le mani al lucchetto e alla chiave: armeggiò con la serratura e solo allora si accorse che gli tremavano. Quando lo vide, coperto di neve e mezzo assiderato, gli balzò alla mente la possibilità di offrirgli qualcosa di caldo, ma nello stesso tempo aveva il terrore di parlare, di chiedere, di sapere. Lo fece lui.

"Tua moglie... in ospedale, con Akemi... sta per partorire con un cesareo... devi fare presto...", ansimò balbettando. Le sinapsi si irradiarono di decine di impulsi: chiedere come sta; no, sbrigarsi e uscire subito; no, bisognava avvisare le colleghe di prendersi cura di Haruka fino al suo ritorno; Kami, se non prendeva almeno il cappotto sarebbe morto di freddo, ma chi se ne importava, Kyoko aveva bisogno di lui. Kyoko... Kyoko... il loro bambino...Haruka...

"Godai!". L'urlo di Mitaka lo riscosse. "Ho dovuto scavare nella neve per raggiungere questa dannata porta, vedi di non farmi fare il percorso inverso con te sulle spalle!".

"No, certo. A... arrivo subito". Doveva essere impallidito tanto che l'amico aveva creduto che svenisse. Ma ora era più controllato e sapeva quello che doveva fare. Chiuse la porta dietro Mitaka per impedire al gelo di entrare e fece qualche passo verso la stanza di Haruka. Poi ci ripensò e tornò indietro con foga tale che l'ex allenatore di tennis sussultò spaventato. "Come sta? Perché così in anticipo? E perché il cesareo? Kyoko voleva fare un parto naturale!".

"Io... io non lo so! Mi ha telefonato Akemi che era in travaglio e mi ha detto che si sono rotte le acque anche a Kyoko. Io mi sono precipitato a Casa Ikkoku prima possibile e Akemi ha partorito in ospedale poco dopo il nostro arrivo; ma a Kyoko devono fare un cesareo d'urgenza e le ho giurato che ti avrei portato da lei prima possibile, per cui ora muoviti! Le spiegazioni possono aspettare".

Era troppo da assorbire in così poco tempo, ma Yusaku sapeva che la priorità era correre da lei quanto prima; entrò come un razzo nella stanza dove dormivano le colleghe, senza neanche domandarsi se fosse prima il caso di bussare. Le due donne si svegliarono di scatto accendendo le lampade e lo guardarono con gli occhi di fuori, evidentemente allarmate; non diede loro modo di parlare e spiegò la situazione in due parole, pregandole di accudire Haruka fino al suo ritorno. Stavano ancora urlandogli dietro di non preoccuparsi e profondendosi nei migliori auguri mentre lui già si avviava nella stanza dove c'era la sua bambina addormentata. Prese un foglietto di carta e una penna e scribacchiò che stava andando dalla mamma perché il fratellino stava per nascere, ma sarebbe tornato il giorno dopo a prenderla. Aggiunse una faccina sorridente e afferrò il cappotto nell'atrio tornando da Mitaka dopo poco più di un minuto.

"Possiamo andare", gli disse col fiatone. Il tragitto verso il veicolo fu abbastanza difficoltoso, ma per lo meno il vento era calato e la nevicata aveva diminuito d'intensità. Quando vide il fuoristrada con le grosse ruote complete di catene, pensò che ce l'avrebbe sicuramente fatta.

Senza una parola, l'amico mise in moto e accelerò gradualmente sulla strada verso l'ospedale: vide il suo profilo serio e capì che era preoccupato almeno quanto lui.

"Grazie", riuscì solo a dirgli e gli parve quanto mai insufficiente ad esprimere quello che provava.

"Sai che farei di tutto per Kyoko", rispose sterzando bruscamente per evitare un cumulo di neve. La macchina slittò per qualche secondo e Yusaku si aggrappò al cruscotto, sperando che l'auto non si ribaltasse. Ma Shun fu abilissimo a riportarla in carreggiata.

Decise di non dare peso alla frase di poco prima, perché aveva avuto un flash del passato, quando discutevano a causa dei sentimenti che provavano per la stessa donna. E quello non era il momento di rivangare certe cose: tormentandosi le mani e imponendosi la calma, gli chiese come stesse sua moglie.

"Era molto provata, sentiva dolore ed era debole. Ma il medico mi ha rassicurato che sarebbe stata un'operazione di routine".

Yusaku annuì, cercando di assorbire il senso positivo di quelle parole e ripetendosi che andava tutto bene; poi, come per autodifesa, tornò col pensiero al viso dormiente e tranquillo di sua figlia. Le aveva scritto un biglietto e gliel'aveva lasciato accanto al futon. Si sorprese a ridacchiare.

"Cosa c'è di tanto divertente?", gli chiese Mitaka, quasi allarmato, mentre scalava la marcia per affrontare una leggera salita.

"Haruka non sa ancora leggere", disse mentre l'ilarità lo solleticava inesorabilmente.

Shun lo guardava alternativamente alla strada, lanciandogli occhiate perplesse.

"Le ho lasciato un bigliettino dopo aver avvisato le maestre: come se potesse leggerlo!".

"Vorrà dire che glielo leggeranno loro quando si sveglierà". Ora rideva anche Mitaka, probabilmente della sua ingenuità.

Ok, sto ridendo e mi sto rilassando. Andrà tutto bene, adesso lo so; Kyoko, aspettami, sto arrivando!

Subito dopo quel pensiero, Godai si ritrovò proiettato in uno di quei film horror di terza categoria dove, sempre nel momento in cui pare che il protagonista sia finalmente fuori pericolo e addirittura la musica di sottofondo diventa più leggera, accade l'impensabile che fa sussultare lo spettatore.

In quel caso l'impensabile fu un albero di discrete dimensioni che si abbatté, forse sotto il peso della neve, direttamente sul cofano del fuoristrada di Mitaka.

***


"Signora?". Chi era che la chiamava? Stava dormendo così bene! Erano settimane che non si girava su un fianco, così, senza avvertire il peso del bambino che gravava. Le sembrava di non stare tanto comoda da una vita.

"Akemi?", quella era la voce di Hideo. Perché la disturbava proprio adesso? Un momento. Ora che ricordava...

Si alzò di scatto su un gomito, quando la consapevolezza delle ultime ore la inondò come una marea che improvvisamente si alzi; decine di puntini neri le danzarono davanti agli occhi. Qualcuno le intimò di fare piano, allora sbatté le palpebre e mise a fuoco l'immagine di suo marito steso su una barella che le sorrideva.

"Ciao, mamma", le disse facendola sbuffare.

"Non sono tua madre", gli rispose prima di sorridere a sua volta. "Vedi di non farmi più certi scherzi, capito? Che ti è saltato in mente di fare una passeggiata sotto la tempesta? Non sei mica un orso polare!".

"Volevo venire da te. Sentivo che qualcosa non andava e sono venuto a cercarti. Il telefono non funzionava e neanche la cabina telefonica che ho trovato. Allora ho deciso di venire alla Maison Ikkoku ma tutte le luci erano spente, e poi... poi non ricordo più niente".

Un medico in piedi vicino alla barella si schiarì la voce. "Suo marito ha rischiato seriamente di morire assiderato, i nostri paramedici lo hanno trovato per puro caso sepolto sotto a un mucchio di neve. Se non avessero ricevuto la chiamata di una donna che stava per partorire non sarebbero capitati in quella zona neanche per sbaglio".

Rimase per un attimo a fissare l'uomo con la bocca semi aperta, assorbendo il senso di quelle parole. "Quindi, in pratica, quella piccola peste che mi ha quasi rotto la schiena ti ha salvato la vita?".

Hideo annuì: aveva ripreso colore. Il dottore spiegò loro che era di fibra forte e che nel giro di pochi giorni sarebbe stato di nuovo in piedi e a quel punto sarebbero potuti tornare a casa tutti insieme. Tutti e tre.

"Sukuinushi".

"Come? Cosa hai detto?". Si sporse un po' dal letto per udire cosa avesse appena detto suo marito.

"Sukuinushi, il nome che potremmo dare a nostro figlio".

Già, ora che ci pensava avevano parlato ben poche volte del nome da dargli e sempre in toni scherzosi, sciorinando appellativi di dubbio gusto come 'Biru suki' (2), o 'Pati yakiire' (3) e facendoci sopra grasse risate. Ma il nome che aveva appena pronunciato Hideo significava praticamente 'colui che salva' e calzava a pennello. Annuì compiaciuta: "Sukuinushi Juji (4). Sì, può andare; non sarà il nome più bello del mondo ma direi che stavolta ci abbiamo colto in pieno", concesse.

Improvvisamente le tornò in mente Kyoko e si domandò come stesse la sua ex padrona di casa; chiese notizie al medico che scosse la testa: "Oh, povera donna. Soffriva parecchio e il bambino era in pericolo di vita. Così l'hanno portata su per un cesareo d'urgenza; pare che l'uomo che vi ha portate sin qui sia andato a prendere di corsa il marito".

Lei e Hideo si guardarono. "Godai? Con questa tormenta? Mitaka dev'essere impazzito! Va bene scortarci all'ospedale ma uscire di nuovo con un tempo del genere è davvero un suicidio".

L'uomo accanto a lei chiuse gli occhi, sospirando rumorosamente: "Eh, che ci vuoi fare. Un uomo innamorato perde la ragione più spesso di quel che credi. Guarda me ad esempio...".

Akemi fissò suo marito accigliata: "Che diavolo stai dicendo? Mitaka è sposato e con prole, non è più... oh...!". Realizzò improvvisamente che un fondo di verità poteva ben esserci. L'allenatore di tennis era stato innamorato così a lungo di Kyoko che non poteva averla dimenticata completamente. Non ce lo vedeva a tenere il piede in due scarpe, tuttavia...

"Bene, ora basta chiacchierare. Datevi la buonanotte e cercate di riposare; la signora deve allattare tra qualche ora e lei deve farsi una bella dormita al caldo". Dichiarò il dottore guardando alternativamente lei e Hideo, neanche stessero all'asilo all'ora del riposino pomeridiano.

"Allattare? Di nuovo?! Non si potrebbe avere una birra prima? Devo reintegrare i liquidi!", protestò vivamente.

Il medico la guardò con un grosso sorriso accondiscendente mentre portava via la barella dove il suo altrettanto sorridente marito la salutava con la mano: "Signora, lei è davvero spiritosa!", disse chiudendosi la porta alle spalle.

Con un grugnito di disappunto, sprimacciò il cuscino e si girò sull'altro fianco. Sperò che anche per Kyoko e il bambino le cose andassero per il meglio; non vedeva l'ora di dare un'altra festa alla Maison Ikkoku e prendere un po' in giro Mitaka per quell'ultima scoperta!

***


"Dannazione!". Shun aprì la portiera di scatto e ispezionò il danno: il cofano era ridotto a un rottame e anche ammesso che fossero riusciti a spostare il tronco, dubitava che il fuoristrada sarebbe ripartito. Mancavano ancora un paio di chilometri buoni all'ospedale. E dire che erano quasi arrivati!

"Io vado a piedi", dichiarò Godai al suo fianco, sistemandosi il bavero del giubbotto a coprirsi meglio il viso dalle raffiche di vento: non si era neanche accorto che fosse sceso anche lui dalla vettura.

"E io verrò con te. Ma non a piedi". Girò intorno al fuoristrada e aprì l'ampio bagagliaio alla ricerca del necessario; qualche istante dopo aveva in mano due paia di sci e di bacchette: ne porse al suo passeggero e si chinò a cercare le mascherine.

"Che roba è?", domandò Godai con tono confuso.

"Non lo vedi da te?", ribatté seccamente. Certe volte si chiedeva come mai fosse tanto ottuso.

"Certo che lo vedo, ma non credo che potremo arrivare all'ospedale sciando!". Per tutta risposta gli lanciò addosso i grossi occhiali da neve che aveva finalmente trovato. Ne scovò solo un paio e decise che ne avrebbe fatto a meno.

"Mai praticato sci di fondo? Se camminiamo nella tormenta e continuiamo ad affondare i piedi nella neve saremo molto più lenti. Così ci muoveremo più in fretta. Sai metterli?", iniziò a indossare i propri sci e strinse a sua volta il bavero a ripararsi il viso.

"Certo che sì. Sono nato e cresciuto tra le montagne io!". E ora perché gli sembrava arrabbiato? "Piuttosto, dimmi una cosa: come mai fai tutto questo per noi? O... per Kyoko?".

Sussultò, come preso con le mani nel sacco. Sapeva controllare le proprie emozioni di solito ma era probabile che fosse diventato d'improvviso trasparente per lo stress accumulato. Non osò voltarsi verso Godai ma lo indusse a muoversi mentre si preparava mentalmente una risposta sincera: per farlo dovette cercare di capire innanzitutto se stesso e non fu affatto facile. Cosa sapeva dei propri sentimenti? Sicuramente amava Asuna e la sua felicità coniugale raddoppiava ogni volta che guardava uno dei loro figli. Quindi, cosa provava... ancora, per Kyoko?

"Sei mai stato innamorato prima di incontrare tua moglie?", domandò mostrandogli come prendere il ritmo nella maniera migliore usando le bacchette. Il vento era calato lievemente e la nevicata era diventata forte ma non impossibile da affrontare come qualche ora prima.

"Perché me lo domandi?".

"Lo sei stato, sì o no?!", ripeté esasperato.

"Beh, c'è stata una compagna al liceo... e poi ho frequentato Kozue per un periodo...".

"Ah, lascia stare! Io parlo di amore vero. Lo stesso che provi per Kyoko, per intenderci". Si voltò a guardarlo. Aveva preso il ritmo e, nonostante il fiatone evidente, non accennava a diminuirlo. Scosse la testa in segno di diniego, sbuffando per la neve che gli era finita in bocca. "Bene, io ero innamorato di Kyoko. Innamorato davvero; per lei avrei fatto qualunque cosa, il mio cuore era ricolmo di questo sentimento fino a scoppiare".

"Penso di ricordarmelo". Godai non aveva parlato ad alta voce, ma il vento gli riportò ugualmente le sue parole. Forse le aveva addirittura intuite.

"Bene, quando mi sono innamorato di Asuna è stato diverso. Più graduale. Non dimenticare che pur essendole affezionato sono stato costretto dagli... ehm... eventi a fidanzarmi con lei. Sorprendentemente l'amore è arrivato e mi ha reso altrettanto felice. Ma questo non significa che i sentimenti che provavo per Kyoko siano spariti all'improvviso".

"Vorresti dire che l'ami ancora? Che ami entrambe?!". Quasi si spaventò quando Godai gli si fece vicinissimo e gli urlò praticamente in faccia quelle domande.

"Certo che l'amo ancora e che le amo entrambe! Ma in maniera differente". Urlò a sua volta, poi lo allontanò con una spinta. Un'occhiata alla strada gli indicò che non erano ancora arrivati a metà del percorso e cominciò a disperare di arrivare in tempo.

Stavolta le parole di Godai gli giunsero come un mormorio indistinto: non sapeva se per il vento o per lo shock. Dovette gridargli di ripetere. "Ho detto: cosa vuol dire?".

Rifletté per pochi istanti, tentando di trovare le parole adatte nel suo cervello congelato nonostante il cappuccio di piume: "Vuol dire che amo Asuna come una moglie e Kyoko... beh, come la mia amica più preziosa. Un'amica della quale sono stato innamorato e con la quale ho bellissimi ricordi". Doveva essersi spiegato bene, perché Godai rilassò le spalle e la sua sciata divenne molto più elastica e veloce.

"Bene, è chiaro. E ora sbrighiamoci. Mi spiace di aver dubitato di te".

Già, anche io dubito di me, talvolta...

Perse la cognizione del tempo e gli parve di avanzare insieme a Godai nella neve per ore. Non sapeva se fosse per il freddo che nonostante i vestiti gli aveva congelato piedi, mani e ossa o per la consapevolezza di aver finalmente dato voce a ciò che provava togliendosi un grosso peso: gli parve quasi di avere le allucinazioni quando vide l'edificio dell'ospedale in lontananza. E, come in ogni allucinazione che si rispetti, sembrava che, invece di avvicinarsi, il palazzo rimanesse fermo o addirittura si allontanasse. Varcarono la soglia dell'entrata senza neanche togliersi gli sci e fu solo allora che si fermò a riprendere fiato; Godai proseguì nella sua tenuta senza tanti complimenti fino all'accettazione, dove farfugliò una domanda alla receptionist che, mentre gli indicava il reparto, gli intimava, inascoltata, di togliersi almeno gli sci, per favore, o avrebbe inzuppato tutto il pavimento!

Sedette in sala di attesa e cominciò a svestirsi, grato del calore all'interno. I muscoli gli bruciavano per lo sforzo ma l'allenamento continuo gli permise di recuperare il fiato in fretta. Mentre si chinava per sedere su una poltroncina, gli si avvicinò un uomo in camice bianco: un medico, o forse solo un infermiere.

"Posso aiutarla?".

"Oh, no, grazie. Sono venuto per accompagnare un amico, sua moglie è in travaglio. Le dispiace se lo aspetto qui?".

"Certo che no! Se le fa piacere laggiù ci sono dei distributori automatici di bevande calde: mi sembra davvero infreddolito". Il sorriso dell'uomo riuscì a scaldarlo quasi quanto la temperatura interna.

"Grazie, credo che andrò a prendere qualcosa, allora". L'altro annuì e si congedò con un lieve inchino. Shun prese fiato per qualche istante, concentrandosi sui rumori lontani dei passi e delle porte che venivano chiuse con discrezione. Udì uno sferragliare di rotelle al piano superiore, forse una barella, quindi si frugò nelle tasche alla ricerca di spiccioli. Era uscito senza portafogli ma fu grato di trovare qualche yen nei pantaloni: la sua mano stava andando in direzione della macchinetta del caffè quando vide il telefono.

Nonostante tutto, Godai, nell'amicizia che provo per Kyoko è rimasto un po' di quell'amore.

Inserì le monete, sorridendo all'idea delle sue piccole pesti che dormivano al calduccio di casa. Sperò di non svegliarle.

Ma non volevo che pensassi male. La mia vita ora è con Asuna, e niente al mondo potrà cambiarlo. Però quando Kyoko avrà bisogno di me non potrò fare a meno di accorrere. Mai.

"Tesoro? Sono io. Ancora non so nulla, no. Akemi invece ha partorito un bel maschietto. Sì. Ho avuto un piccolo problema con la macchina, ma non preoccuparti. Appena la nevicata smetterà chiamerò un taxi. Certo, prima mi informerò di come stanno andando le cose. Tornerò presto".

In fondo la felicità non aveva bisogno di caffè bollente, neanche in una giornata come quella.

***

Doveva essere l'effetto dell'anestesia, senza dubbio: altrimenti non si spiegava come mai vedesse Yusaku sulla soglia della stanza operatoria con ai piedi un paio di sci e in mano tanto di bastoncini. Aveva addirittura degli occhiali da sci accuratamente rialzati sulla testa.

"Signore, non può stare qui, esca immediatamente! Sta spargendo neve ovunque!". L'infermiera che aveva scambiato Mitaka prima per il marito di Akemi e poi per il suo fu categorica.

"No, vi prego", riuscì ad ansimare, "è mio marito, è arrivato in tempo; lasciate che assista alla nascita di suo figlio". Kyoko si sentiva come spezzata a metà: l'epidurale che le avevano fatto aveva reso completamente insensibile la parte inferiore del suo corpo; davanti a sé vedeva solo un lenzuolo celeste accuratamente drappeggiato a impedirle di visualizzare il ventre che stavano apprestandosi a incidere. Infermiere e ostetrico erano raggruppati di fronte alle sue gambe e formavano una barriera oltre la quale neanche Yusaku avrebbe potuto sbirciare.

Le si avvicinò trascinando gli sci faticosamente e non poté fare a meno di domandargli come avesse fatto ad arrivare, conciato così poi. "È una lunga storia, ma non ha più importanza ora. Ho lasciato Haruka alle cure delle maestre, giù all'asilo. Domani mattina i soccorsi libereranno accuratamente l'entrata per permettere a tutti i bambini di uscire in sicurezza. Ora però pensa solo a far nascere Fuyushi, va bene?".

Kyoko annuì e, quando vide il medico avvicinarsi a grandi passi alle spalle di suo marito, temette che lo avrebbe scacciato dalla stanza. "Mi faccia un favore", disse invece, "si tolga quei cosi, si dia una ripulita e indossi camice e mascherina. Non vuole essere portatore di batteri per sua moglie e suo figlio, vero?".

"Nossignore!", s'impettì lui cominciando subito a eseguire quanto richiesto.

"Regge bene la vista del sangue?". Quell'ultima domanda la preoccupò: Yusaku non doveva certo mettersi a guardare cosa accadeva là sotto!

"Sissignore!", rispose continuando a stare sull'attenti.

L'ostetrico scosse la testa e lo liquidò con un cenno. "Riposo. Ora infili quel camice e tenga la mano di sua moglie".

I minuti successivi le parvero infiniti: l'ostetrico spiegò loro la manovra che stava eseguendo per far uscire il bambino, mentre le assistenti monitoravano i battiti cardiaci di madre e figlio. Ogni volta che veniva pronunciata la frase "il battito sta scendendo", Kyoko aveva un sussulto e il proprio cuore subiva invece un'impennata.

"D'accordo, giovanotto, vediamo di farti uscire da lì". Yusaku le stringeva la mano con tanta forza che a un certo punto lei si ritrovò a gemere di dolore.

"Ti fa molto male?". Nei suoi occhi lampeggiava il terrore e per un istante si chiese se avesse colto con lo sguardo qualcosa di troppo durante una delle sue occhiate all'operazione.

"No... la mano...", mormorò.

"Oh, scusa". Allentò la stretta e girò di nuovo la testa per guardare.

"Non vorrei che sbirciassi troppo". Mentre lo diceva, si ritrovò a desiderare di guardare a sua volta.

"Stai tranquilla, non si vede molto", la rassicurò. Il pallore del suo viso però la preoccupò parecchio.

"Ora sentirà tirare, signora, e subito dopo potrà vedere suo figlio", annunciò un'infermiera. Kyoko assentì con la testa e strinse così forte la mano di Yusaku che dovette essere lui a provare dolore.

E in effetti la sentì. La netta sensazione che qualcosa le venisse strappato via dal bassoventre, senza dolore se non per la consapevolezza che Fuyushi non sarebbe più appartenuto al suo corpo; per un singolo, irrazionale attimo, desiderò che rimanesse laggiù, al riparo dal freddo del mondo, cullato dal calore del proprio corpo. Poi lo vide e fu come rinascere una seconda volta assieme alla vita che aveva dato alla luce.

Emise un gemito all'unisono con Yusaku ma i sorrisi scomparvero quasi simultaneamente dai loro volti quando un'infermiera sussurrò allarmata: "non respira". Solo allora si accorse che il bambino aveva un insano colorito bluastro, come se fosse rimasto per ore sotto la neve. Aprì la bocca per dire qualcosa e vide come al rallentatore suo marito alzarsi in piedi e fare altrettanto, senza smettere di stringerle la mano. Le lacrime l'accecarono.

"Vi prego, vi prego... fatelo respirare! Vi supplico!", pregò.

Anche Yusaku stava dicendo qualcosa ma lei non lo udì, concentrata com'era su quel corpicino esanime che veniva adagiato su una barella e cominciava a essere attorniato di infermiere, tubi e uno strano palloncino di quelli che dovevano gonfiarsi manualmente per insufflare aria nel paziente; era tutto così piccolo, a misura del neonato, che le si strinse il cuore.

Lo sapevo, dentro di me sarebbe stato più al sicuro.

Di nuovo quel pensiero irrazionale.

Dentro di te sarebbe morto.

"Per favore, fate qualcosa!". Chi aveva gridato? Lei o Yusaku?

"Fate uscire il padre, per la miseria!". Quello doveva essere sicuramente il medico.

Come in un incubo confuso e surreale, vide suo marito fare due passi verso l'uscita, sospinto da un'infermiera e poi accasciarsi di colpo a terra. Gridò il suo nome, poi quello di suo figlio, infine udì un'assistente esclamare: "qualcuno pensi alla madre!" prima di perdere i sensi per l'ennesima volta.



(1) Letteralmente: 'vai a quel paese!'
(2) Letteralmente 'Bevitore di birra'.
(3) Letteralmente 'Festaiolo incallito'.
(4) il suffisso Ju significa 'dieci'. La Takahashi utilizza i numeri nei nomi di quasi tutti i personaggi e il dieci mancava. Grazie al senpai Kuno per avermi dato la dritta!

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Capitolo 7
*** SOMEWHERE OVER THE RAINBOW... ***


SOMEWHERE OVER THE RAINBOW...


Casa Ikkoku è la nostra casa. Da sempre. Tale rimarrà nel tempo, con i suoi ricordi belli e brutti: è lì che ti ho incontrata, lì che ho scoperto la tua triste vicenda, lì che ho imparato a diventare adulto; a Casa Ikkoku ci siamo innamorati, abbiamo passato la nostra prima notte di nozze, vissuto le nostre ansie di futuri genitori e festeggiato con i nostri strampalati inquilini. Oggi che ci apprestiamo a lasciarla sappiamo che sarà sempre là, a vegliare su di noi come un dio buono, e resterà in eterno nei nostri cuori.


"Somewhere over the rainbow, way up high. And the dreams that you dreamed of once in a lullaby...". La voce si affievolì sull'ultima parola.

Kyoko sorrise vedendo Fuyushi profondamente addormentato fra le sue braccia. Con cautela lo depose nella culla, adagiandone la testolina sul piccolo cuscino. Prese per mano Haruka, che era rimasta giudiziosamente in silenzio, e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

"Mamma, che cancione era quella?", domandò alzando il viso verso di lei e facendo dondolare i codini.

"Si dice canzone. È una vecchia ballata che parla di ciò che si può trovare in cima all'arcobaleno", spiegò inginocchiandosi sul tatami e invitandola a sedere accanto a lei.

"Davvero? E cosa si può trovare?". Gli occhi della bambina erano diventati più grandi, spalancati dalla curiosità: sarebbe diventata davvero intelligente, la sua piccola.

Kyoko ripassò mentalmente il testo della canzone, facendo appello alle sue modeste nozioni di lingua straniera: "Cieli blu... sogni bellissimi, uccellini che volano... la Maison Ikkoku... e le cose tristi della vita diventano succo di limone...".

Accidenti, lo aveva fatto di nuovo: aveva pensato a Casa Ikkoku e si era messa a frignare come una stupida! Ma Haruka non dovette dare molto peso alla cosa perché le tirò la maglia e fece subito un'altra domanda: "Davvero Masson 'Koku è nell'arcobaleno? E allora perché la vediamo dal balcone di casa?".

Non aveva ancora finito di asciugarsi le lacrime traditrici che già le veniva da ridere. "Hai ragione, però è come se avessimo vissuto sempre nell'arcobaleno anche noi, no? E continuassimo ad averlo vicino ogni giorno".

Si alzò tendendole nuovamente la mano e la guidò sul terrazzo, indicandole il tetto che si intravedeva dritto davanti a loro.

"Ma non hai detto che nell'arcobaleno ci sono cose belle? Quando stavamo lì con zia 'Chinose e zia 'Kemi e zio 'Tsuya dicevi sempre che era tutto piccolo e non c'entravamo e camminavamo sulle lattine di billa!". Il ragionamento di Haruka non faceva una piega: in un angolo della mente si appuntò che doveva insegnarle a non troncare i nomi propri, mentre sulla parola birra... beh, più tardi l'avesse imparata meglio era. D'altronde per una bambina di tre anni parlava già fin troppo bene!

"Hai ragione, ma l'arcobaleno era dentro di noi, capisci? In quella casa sono successe tante cose che hanno segnato le nostre vite e ci hanno insegnato a crescere, a essere migliori e felici". Si perse per qualche istante nei ricordi, lasciando che il vento giocasse con i capelli e con le sue emozioni.

Quando abbassò lo sguardo verso Haruka la trovò accigliata: "Mamma, non capisco". Per quanto potesse essere intelligente rimaneva pur sempre una bimba e quei discorsi non li avrebbe certo compresi, per il momento.

"Quando sarai più grande lo capirai anche tu. E ti racconterò meglio come si sono conosciuti la mamma e il papà". La prese in braccio e rincasò, chiudendo la porta finestra.

"Mi racconti della notte della neve?", strillò esaltata.

"Di nuovo? Ma sarà la centesima volta!", rispose fingendo sorpresa. Era la sua storia preferita da sei mesi a quella parte.

"Dai, dai, dai!", insisté agitando le braccine come per indurla a parlare.

Ebbe appena il tempo di aprire bocca che udì il pianto di Fuyushi dietro la porta. "Abbiamo svegliato il fratellino. Ora rimani qui, da brava, vado a cantargli la sua ninna nanna e torno da te, va bene?".

La piccola annuì e Kyoko tornò nella stanzetta. Ogni volta che Haruka le domandava di raccontarle le vicende di quella notte veniva sommersa dai ricordi: belli, brutti, dolceamari. Paura e sollievo, pena e tenerezza.

Yusaku che arriva con gli sci ai piedi, Fuyushi che smette di respirare, la neve che gela il mondo fuori dalle finestre...

"Somewhere over the rainbow skies are blue...".

***


Una goccia di sangue. Due gocce di sangue. Tre gocce...

Dove sono? Kami, per quante volte ho perso i sensi stanotte? Potrei entrare nella storia per...

"Insomma, voglio delle risposte! Mia moglie è in coma e mio figlio non respirava fino a mezz'ora fa!".

Yusaku? FUYUSHI! Dove...? Come...?

Il movimento improvviso le trasmise un dolore localizzato al braccio destro. Voltando la testa, Kyoko notò il sangue racchiuso in una sacca, lo stesso sangue che credeva di aver sognato e che invece aveva davvero visto gocciolare nel dormiveglia. Dal tubicino entrava in lei attraverso l'ago che aveva appena rischiato di strapparsi via.

Quattro gocce di sangue. Cinque...

S'impose la calma: se si fosse agitata e avesse di nuovo perso i sensi non sarebbe mai venuta a capo della situazione e c'era già suo marito, là fuori da qualche parte a perdere la testa.

"Sua moglie non è in coma profondo, ma ha perso molto sangue e...".

"Voglio vederla! E voglio vedere mio figlio!". Per l'appunto...

Con la mano sinistra trovò il pulsante di chiamata e si sorprese della propria debolezza quando dovette semplicemente applicare una leggera pressione delle dita per premerlo. Le urla fuori della porta cessarono improvvisamente: non aveva mai sentito Yusaku così sconvolto e quando entrò lui stesso per precipitarsi accanto al suo letto gli vide in volto almeno dieci anni di più.

"Kyoko! Oh, Kyoko...". Affondò la testa nel cuscino, stringendole la mano libera tra le sue e scoppiò a piangere come un bambino. Non poté fare altro che poggiargli la guancia contro i capelli ancora zuppi di neve nel vano tentativo di consolarlo.

Non seppe con quale forza, né con quale coraggio si apprestò a chiedere di Fuyushi. In realtà non capì nemmeno se avesse solo pensato o espresso a parole la propria domanda.

Un'infermiera, evidentemente arresasi alla disperazione dell'uomo che urlava fino a poco prima, scosse la testa e per un singolo istante Kyoko fu orribilmente certa che il suo bambino fosse morto. "Mi dispiace, ma dalla terapia intensiva neonatale non ci fanno sapere niente".

"E allora vada a chiedere, per favore", disse stancamente, serrando le dita di Yusaku che singhiozzava ancora accanto a lei. Per quanto ancora doveva essere forte al posto degli altri, quella notte?

La giovane donna annuì e dovette leggere una minaccia nei suoi occhi, perché si mise quasi a correre. Rimasta sola con suo marito, prese un respiro profondo e gli intimò di smettere di piangere; per tutta risposta, lui farfugliò qualche frase scomposta di cui riuscì solo a cogliere 'neve' e 'corsa'.

"Scusate, è permesso?". Quello era Mitaka.

Vederlo le fece un effetto strano, come se lui fosse stato la chiave per accedere al carico di emozioni che tentava di trattenere rinchiuso con un lucchetto di ferro. Riuscì a pronunciare il suo nome a metà prima di scoppiare in lacrime a sua volta.

"Oh, no, non piangere anche tu", mormorò avvicinandosi dall'altro lato e cominciando ad asciugarle il viso con un fazzoletto che sapeva di pulito.

Non era pronta alla reazione di Yusaku: con il braccio libero spinse via l'ex allenatore di tennis: "Giù le mani da mia moglie!", esclamò come se fossero tornati indietro nel tempo.

Shun non si scompose e si limitò a ribattere con tono fermo: "Godai, queste scenate di assurda gelosia le fanno ancor meno bene del tuo isterismo. Quindi vedi di darti una calmata!".

Yusaku rimase fermo per qualche secondo, prima che il suo volto indurito dalla collera si scomponesse come quello di un bambino. "Scu... scusami! Sei stato così gentile a portarmi fin qui e io... sono così teso che...!".

Adesso stava abbracciando il suo ex rivale con tanta foga da farlo sbilanciare e lei si trovò per un attimo preoccupata per la propria incolumità: cosa sarebbe successo se le fossero rovinati entrambi sul letto che li divideva staccandole l'ago che aveva nel braccio?

"Oh, calmati Godai, ti capisco benissimo, anche io sono molto preoccupato". Mitaka si era allungato a dargli sonore pacche sulla schiena per placarlo.

Per un istante rimpianse di aver premuto quel bottone e subito dopo si diede della stupida: per quanto quei due potessero essere una specie di tornado, quando stavano insieme, erano pur sempre suo marito e il suo miglior amico!

"Ehm... scusate...", tentò. Mosse appena il braccio con la flebo per indicare loro che si trovava in una posizione scomoda e i due si allontanarono diligentemente.

Rimasero in silenzio per qualche secondo: Mitaka aveva passato a Godai un secondo fazzoletto e lui si stava soffiando il naso rumorosamente continuando a scusarsi. Quando tentò di restituirlo all'amico, quello rifiutò dicendogli di tenerlo pure, grazie.

Yusaku era letteralmente a pezzi, forse anche più di lei: la verità era che non aveva le forze per sfogare tutta la frustrazione e la pena che provava. Sentiva il bisogno di riposare per almeno un milione di anni. Un bisogno così estremo da offuscare quasi la preoccupazione.

Guardò attraverso la porta aperta, nella luce fioca del corridoio e nell'attesa quasi rassegnata che l'infermiera tornasse con le notizie di Fuyushi; credette di avere un'allucinazione quando la vide camminare verso di loro con un fagottino tra le braccia.

È vivo, vero? Kami, fa' che sia vivo. Non me lo porterebbe se non fosse così, vero?

Forse stava impazzendo per arrivare a formulare quei pensieri, ma non poteva fare a meno di vederli lampeggiare nella sua testa come il neon impazzito di un'insegna. Forse sarebbe stata più sana una reazione come quella di Yusaku.

Neanche quando glielo misero fra le braccia dicendole che stava bene, sarebbe bastato un breve periodo nell'incubatrice, o quando lo vide stringere gli occhietti alla luce e muovere i pugni infastidito e si rese conto del colorito roseo che aveva assunto, poté riuscire a crederci.

Fu capace solo di stringerlo a sé più forte che riuscì, debole com'era e impedita dall'ago. Avvertì il peso del braccio di Yusaku che li cingeva entrambi e non capì se i singhiozzi che scuotevano il letto fossero i suoi o i propri.

Da qualche parte nella stanza, la voce non più ferma di Mitaka disse: "Vado a cercare della birra".

***


"Siete pronti? Si va a Casa Ikkoku!". Stringeva il volante come se potesse improvvisamente schizzarle via dalle mani e schiacciò la frizione con tale foga che qualcosa scricchiolò nel suo ginocchio sinistro.

"Mamma, non mi piace quando guidi!", protestò Haruka dal sedile posteriore.

Kyoko lasciò ricadere la mano che aveva afferrato il cambio nella stessa identica maniera in cui avrebbe impugnato una mazza da baseball. Alzò gli occhi nello specchietto retrovisore e vide la sua bambina accuratamente allacciata alla cintura con il broncio e Fuyushi nel suo seggiolino che emetteva piccoli gemiti di gioia agitando le braccine.

"A tuo fratello piace invece!", rise alzando le spalle, "e poi al papà manca ancora un esame per prendere la patente".

"Ma è vicino!", le fece notare la bambina allungando la mano come per indicare.
È vero. Kyoko sorrise fra sé.

"Va bene, visto il bel tempo e la temperatura piacevole si fa una passeggiata", dichiarò spegnendo il motore e facendo il giro per raggiungere i bambini sul retro dell'utilitaria.

Haruka schizzò fuori dalla vettura e cominciò a correre, mentre Fuyushi scoppiò a piangere non appena lo tolse dal seggiolino. "Non scendere dal marciapiede! Aspettaci", intimò alla bambina. Quei due erano davvero come il giorno e la notte.

Percorrere la strada che portava a Maison Ikkoku con la carrozzina e Haruka al fianco era davvero piacevole con la bella stagione; poteva pregustare tutta l'aspettativa di tornare a 'casa' mentre si immergeva nel passato.

"Mamma, come avete trovato la casa grande?". La bambina le tirava la gonna in attesa di una risposta. Quella storia non l'aveva mai raccontata ma sorrise al ricordo. Yusaku, quel giorno, sembrava volerle comunicare chissà quale calamità naturale.

"È stato tuo padre a trovarla. Ed è stato bravissimo", rispose socchiudendo gli occhi nel raggio di sole che la colpì.

***


"Kyoko, ho avuto quella promozione e finalmente ho i soldi per una casa più grande! No, troppo prosaico... Kyoko, il nostro sogno di avere un nido d'amore tutto nostro potrà finalmente diventare realtà! No, troppo stucchevole!".

"Godai, vuoi smetterla di dire idiozie, almeno quando stiamo festeggiando?", strillò Ichinose piantandogli in mano una lattina di birra.

"Non sono idiozie, e ricordatevi che avete promesso di lasciar parlare me!". Il suo timore più grande era che, nella confusione di quella festa, lei o Yotsuya, avendo alzato fin troppo il gomito, potessero lasciarsi sfuggire la notizia. A essere sincero temeva che anche Akemi potesse tradirsi, sebbene allattando non potesse toccare alcool.

"Stai tranquillo, saremo come delle tombe in un cimitero, ahahahahah!", rise sguaiata assestandogli dei colpi così forti alla schiena che per poco non si strozzò.

"Che brutto esempio da fare", borbottò Kentaro da un angolo della stanza. Accanto a lui, suo padre sedeva compostamente e non aveva quasi toccato birra: ora capiva da chi aveva preso il ragazzo.

Si stupiva che potessero essere riusciti ad entrare tutti nel corridoio, appositamente sistemato per contenere tanta confusione. Addirittura Mitaka con sua moglie e i bambini sembravano a loro agio, pur essendo abituati a ben altri spazi: le gemelline correvano intorno al fratellino più piccolo, che sedeva in grembo ad Asuna succhiandosi il pollice, e l'ex allenatore di tennis mostrava uno dei suoi sorrisi a prova di occhiali da sole.

Akemi aveva la mano sinistra impegnata a cullare il primogenito spingendo ritmicamente la carrozzina avanti e indietro, e la destra che si allungava per rubare la lattina di birra che Hideo tentava di tenere lontana dalla sua portata. "Solo un goccetto!", protestava.

Yotsuya era impegnato a far roteare, come un giocoliere, le bustine del suo ultimo carico di sale, nascondendole gelosamente quando Haruka gli si avvicinava per prendergliele.

Kyoko tornò con Fuyushi fra le braccia e lo depose nella culla che era al centro della stanza. Partì un composto applauso e subito dopo il brindisi: "Al nuovo arrivato!". Le lattine di birra e i bicchieri di sakè cozzarono tra loro con gran frastuono e per qualche minuto anche lui si lasciò andare al clima festoso.

Quando le risate e gli auguri smorzarono un po' il loro brusio e Kyoko gli sedette a fianco, Yusaku avvertì il cuore accelerargli nel petto: era il momento giusto.

"Kyoko, senti...", bisbigliò stringendo con i pugni la stoffa dei pantaloni.

"Cosa?! Hai detto qualcosa Yusaku?!", gridò lei. Evidentemente c'era ancora troppo frastuono, oppure lui aveva parlato fin troppo piano.

"Ho detto: senti, io...", alzò un po' la voce ma evidentemente non servì a molto.

"Comeeee?", Kyoko si sporse mettendosi una mano a conca dietro l'orecchio.

"DEVO. DIRTI. UNA COSA!". Lo sillabò in modo talmente stentoreo che ogni altro rumore cessò, persino i passi concitati dei bambini che giocavano fino a qualche istante prima e il piagnucolio di Sukuinushi.

Non si voltò verso gli altri ma si sentì addosso gli occhi di tutti come un respiro sulla pelle. Anche sua moglie lo fissava con sguardo perplesso.

Gli sorrise, e disse col suo tono più dolce: "Dimmi, Yusaku, sono tutta orecchi".

Non ce la faccio, dovrebbe essere una bella notizia ma temo che invece la rattristerà.

"Ecco, io...", si inclinò verso di lei e qualcosa gli tintinnò nella tasca. Mise la mano dentro e strinse le chiavi senza tirarle fuori. "Vieni con me!". Senza darle il tempo di ribattere, la afferrò per il polso e la portò fuori.

***


Quando finalmente Yusaku ebbe la buona creanza di fermarsi, Kyoko aveva esaurito il fiato e le domande. Si chinò appoggiandosi sulle ginocchia con le mani e cominciò ad ansimare, senza più forze: per quanto avevano corso?

Quando alzò gli occhi per vedere dove l'avesse portata quello scellerato di suo marito lo vide armeggiare con un mazzo di chiavi e aprire un portone.

Un condominio? Già, questa è la zona nuova che hanno costruito da poco. Ma cosa ci facciamo qui?

Per quanto si sforzasse di parlare non le riusciva proprio, aveva la gola secca ed era carente di ossigeno. "Se volevi farmi rimettere in forma... dopo l'ultima gravidanza... ci sei riuscito... ma ora...", fu tutto quello che riuscì ad articolare.

"Mi dispiace, non volevo farti correre così ma era l'unica maniera. Vieni". Prese la mano che le tendeva e si sorprese di quanto fiato avesse ancora Yusaku: evidentemente lavorare con i bambini era un allenamento cardiovascolare che a lei, impegnata ad allattare e a cambiare pannolini, mancava; persino quando cucinava o doveva occuparsi di Haruka riusciva a mettersi seduta, talvolta. A Casa Ikkoku passava saltuariamente un tuttofare per i guasti e i lavori più pesanti e a lei non rimaneva che spazzare il vialetto. Cosa che dalla fine dell'ultima gravidanza non aveva neanche più fatto.

"Come fai ad avere le chiavi di questo posto?", domandò seguendolo con circospezione fino all'ascensore. Si stupì quando Yusaku premette il bottone per andare all'ultimo piano.

"È una sorpresa", le rispose facendole l'occhiolino.

Kyoko allargò le braccia e approfittò degli istanti in cui la cabina salì per riportare il respiro a un ritmo più normale. Giunti sul pianerottolo, suo marito infilò una delle chiavi nella toppa della porta sulla destra e lei si ritrovò improvvisamente con la testa leggera e le pulsazioni accelerate.

"Che significa?", gli chiese temendo la risposta e desiderandola allo stesso tempo.

Non può essere...

Fu allora che Yusaku ridivenne serio, quasi costernato; la fissò per qualche istante, poi le fece cenno di entrare. "Il padrone di casa... mi ha lasciato le chiavi solo per oggi. Volevo che la vedessi prima di prendere qualsiasi decisione ma volevo anche farti una sorpresa, per questo non ti ho detto niente". Sembrava un condannato che attendesse da lei la grazia o la dannazione eterna.

Kyoko camminò lungo il corridoio quasi col timore che, se avesse calpestato il pavimento troppo forte, tutto quello che aveva intorno potesse svanire come d'incanto. Udiva a malapena la voce incerta di Yusaku che le indicava il bagno, grande abbastanza per poter contenere un fasciatoio per Fuyushi; la cucina, funzionale e luminosa che era tutt'uno con la sala da pranzo nella quale sarebbero potuti entrare anche un comodo divano e un televisore; tremò alla vista di una camera da letto che sarebbe diventata la loro e di una seconda stanza poco distante che poteva essere suddivisa da un muro per i loro figli, quando fossero cresciuti.

"Ma non ti ho fatto ancora vedere la cosa più importante", aggiunse prendendola per mano e conducendola al terrazzino chiuso da una porta finestra. Era di dimensioni discrete, poteva ospitare anche una piccola cuccia per Soichiro.

La prima cosa di cui si rese conto fu che erano davvero in alto e poteva vedere gran parte del quartiere ai suoi piedi. I suoi occhi però, cercarono un tetto in particolare.

"Casa Ikkoku", lo aveva detto a una voce con Yusaku, che stava ancora indicando.

"Sapevo che non ci sarebbe stato bisogno di indicartela". Scorse l'ombra di un sorriso sul suo volto e lottò invano contro il nodo che le serrava la gola sempre più strettamente.

"Io... io...", non riuscì a parlare, ma le sue lacrime dovettero allarmare suo marito che si affrettò a spiegarsi.

"Senti, volevo solo che la vedessi, lo giuro! Ho avuto la promozione e la banca mi ha concesso un piccolo prestito per l'anticipo; posso permettermi il mutuo col mio nuovo incarico da direttore e siccome stavamo così stretti a Maison Ikkoku... non ne abbiamo mai parlato, ma era evidente che non potevamo crescere i bambini là. Ma se non ti piace o vuoi rimanere dove siamo, io... io lo accetterò. Potremmo fare dei lavori per allargare le stanze e...".

Non volle ascoltare oltre. Come al solito, quando lei non si esprimeva, Yusaku cominciava a straparlare. Gli si gettò tra le braccia come in uno di quei romanzi rosa che ormai non leggeva da anni e disse: "La adoro, è perfetta. Casa Ikkoku è così vicina che sembra di poterla toccare e ci si arriva con una corsa. Non potevi trovare un luogo migliore".

Sentì i muscoli del torace di suo marito rilassarsi e le sue braccia cingerla. Una leggera brezza le scompigliò i capelli e si domandò come sarebbe stato fare colazione tutti insieme su quel terrazzino, la mattina: il futuro non le era mai parso tanto luminoso.

***


"Coraggio nipote, bevi un altro goccetto della mia acquavite di prugne!". Sua nonna gli stava versando altro liquore a tradimento.

"Non posso bere così tanto, domani devo andare al lavoro!", si lagnò tentando di sottrarre il bicchiere alla sua mano implacabile. Gli sembrava di essere tornato a qualche mese prima, quando avevano dato una festa a Maison Ikkoku. Con l'unica differenza che Mitaka e famiglia avevano ricevuto un invito isolato che avrebbe permesso una tranquillità maggiore ai loro tre bambini.

"Su, sii uomo. Domani avrai già recuperato, ah ah!".

Non c'era niente da fare: col passare degli anni quell'adorabile vecchietta non sarebbe diventata una mite signora anziana dedita al lavoro a maglia. Sospettava che la sua longevità derivasse proprio dal suo modo di fare simile a quello di una ragazzina che esce ogni notte per fare baldoria.

Si guardò intorno, rassegnato a una serata di bagordi: Ichinose e Yotsuya ballavano intorno al tavolo, più ubriachi del solito, e Akemi teneva il ritmo battendo le mani. La loro nuova casa era un caos di urla, bambini e alcool: gli girava la testa ma era felice.

"Yusaku, in frigo c'è del succo di frutta: ne prenderesti un po' per me e Akemi, per favore?".

"Ma certo, tesoro". Era felice di fare qualcosa per Kyoko: quella sera aveva superato se stessa cucinando per tutti e mettendo le candele a tavola.

Fece appena in tempo ad alzarsi che sua nonna gli afferrò la maglietta facendolo voltare di scatto.

"Lascia stare il succo di frutta, fa' bere loro la mia acquavite di prugne e vedrai che latte buono avranno per i bambini!". Spalancò gli occhi: cosa andava farneticando adesso? Era ubriaca anche lei, non c'era altra spiegazione!

"Ma certo, lo dico sempre anche io che un bicchiere ogni tanto fa bene al mio latte!", ribatté prontamente Akemi mostrando il seno col quale stava allattando Sukuinushi. Spalancò gli occhi con la tentazione di dirle che era una svergognata, ma ci pensò suo marito a ricoprirla in fretta e furia, assumendo lo stesso colore delle prugne in questione; il neonato, dal canto suo, riprese a poppare come se nulla fosse.

"Ah ah ah! Dai Hideo, dai da bere a tua moglie, così ci divertiamo meglio!", lo incitò Ichinose salendo in piedi su una sedia per farsi sentire meglio.

"Scendi subito giù!", le intimò resistendo all'impulso di lanciarle la bottiglia di succo di frutta che aveva in mano: stava ancora pagando le rate del finanziamento dei mobili e aveva appena acquistato una piccola utilitaria di seconda mano. Non gli servivano altre spese per una riparazione.

Porse il succo a Kyoko, che gli sorrise e cominciò a sorbirlo lentamente mentre cullava Fuyushi: invidiava la capacità di suo figlio di stare così tranquillo in mezzo a tanto baccano. Alzò lo sguardo su sua nonna con l'intenzione di riprendere il discorso sull'alcool e il latte materno, quando parlò cogliendolo alla sprovvista: "Sono fiera di te, nipote".

"Cosa?", riuscì solo a domandare prima di vedere con la coda dell'occhio qualcosa che lo gelò.

"Ferma Haruka, non bere!". Si gettò a corpo morto ai piedi di sua figlia come se volesse placcarla, invece riuscì solo a finire lungo disteso per terra sbattendo la testa sulla gamba del tavolo. Non poteva credere che quel decerebrato di Yotsuya stesse porgendo alla sua figlioletta di tre anni una dannata lattina di birra! Erano tutti impazziti quella sera?!

"Godai, non c'è bisogno che tu faccia queste scene. La lattina è vuota", disse l'uomo accucciandosi accanto a lui e indicandogli Haruka che giocherellava prendendola a calci.

Gli rotolò direttamente sulla fronte. "Beh, potrebbe tagliarsi", dichiarò prendendola e gettandola via.

"Uahhhh, voglio la mia lattina!", pianse la bimba.

"È pericoloso giocare con queste cose, perché invece non usi la tua nuova palla?", tentò di calmarla mettendole una mano sulla testa con fare conciliante.

"Ma quella non fa rumore!", si lagnò lei.

Bene, ora sua figlia voleva anche una palla che facesse rumore, grazie a Yotsuya! Beh, poco male: le promise di comprargliela il giorno successivo anche se non aveva la minima idea di cosa sarebbe riuscito a trovare. Sempre meglio di una lattina vuota, comunque.

Finalmente riuscì a rilassarsi un poco, per quanto i canti sguaiati e gli strepiti di Haruka lo permettessero: era una confusione viva, la perfetta realizzazione di un sogno divenuto realtà. Rifletteva il futuro che aveva anelato accanto a Kyoko. I loro ex vicini di casa sarebbero andati via e sarebbero rimasti di nuovo soli, nella loro intimità familiare. Osava dire che era tutto perfetto.

A proposito...

"Nonna, che dicevi prima?", le chiese versandole altra acquavite.

"Sei sordo?! Dicevo che sono fiera di te. Fino a qualche anno fa eri solo uno studentello sprovveduto e senza spirito di iniziativa e ora non solo hai un lavoro stabile ma anche una bella famiglia". Accennò a Kyoko con la testa, spostando lo sguardo sui suoi due figli. Il suo tono, inizialmente burbero ma poi pacato e serio, lo commosse a tal punto che sentì un nodo in gola.

"Oh, nonna...".

"A quando il terzo figlio, dunque?", gli chiese subito dopo alzando parecchio la voce: perché i complimenti li aveva appena sussurrati e quella domanda l'aveva praticamente urlata a tutti?

Si voltò a guardare sua moglie che appariva alquanto perplessa da quella richiesta, ma come al solito non si scomponeva e cominciava a balbettare un qualche tipo di risposta. Improvvisamente calò il silenzio nella stanza.

"Giusto, Kyoko, dicci quando pensi di mettere in cantiere il terzogenito della famiglia Godai!", esclamò Ichinose alzando il bicchiere come per brindare a un evento che ancora non si era compiuto.

"Sono molto interessato anch'io". Yotsuya stava girando la richiesta direttamente a lui e per poco non lo spaventò quando vide la sua faccia interrogativa a pochi centimetri dalla propria, le sopracciglia arcuate in un'espressione curiosa.

"Senti, nonna, perché invece non ripeti quello che mi hai detto poco fa?", tentò frustrato.

"Io non ripeto certe cose", sentenziò la vecchietta riprendendo a sorseggiare rumorosamente.

"Oh, andiamo, ha partorito da così poco tempo, che fretta c'è?". L'uscita di Akemi lo sorprese non poco: forse aveva detto l'unica cosa saggia della sua vita. O molto più semplicemente capiva bene come si potesse sentire sua moglie a pochi mesi dal parto.

"Infatti, non c'è fretta... non è vero Yusaku?", Kyoko cercò la sua approvazione con quella che intuì fosse una punta di disperazione. Avevano parlato di avere una famiglia numerosa, ma non a distanza così ravvicinata!

"Certo, sono d'accordo. C'è bisogno di tempo perché Haruka e Fuyushi crescano un po' e... anche tu ti riprenda dall'ultimo parto". Stava per dire 'e io metta da parte un altro po' di soldi' ma si trattenne appena in tempo. Nonostante la promozione, aveva esaurito tutti i suoi risparmi e Kyoko non aveva ancora ripreso il suo lavoro da amministratrice: avrebbero potuto contare solo sulle sue entrate, per un po'.

"Beh, se anche dovessi morire domani ho visto i miei due primi pronipoti e sono già felice così!", disse sua nonna versandosi altra acquavite di prugne.

"Oh, non dica così", "Non dire sciocchezze, nonna!". Lui e Kyoko avevano risposto a una sola voce.

"Signora Yukari, credo proprio che invece lei ci seppellirà tutti!", dichiarò Ichinose trascinandosi i consensi di tutti gli altri. Pochi istanti dopo, sia Fuyushi che Sukuinushi fecero un piccolo ruttino, il che indicò ai presenti l'avvenuta digestione dell'ultima poppata.

"Ahahahahaha! Visto? Sono d'accordo anche loro!", gridò Akemi alzando il bicchiere di succo di frutta per brindare. Almeno aveva rinunciato all'acquavite...

"Allora festeggiamo alla longevità della signora Yukari e alla prossima nidiata dei Godai!", sentenziò Yotsuya stappando una bottiglia di saké.

Yusaku avrebbe voluto dirgli che non potevano mischiare acquavite, saké e birra nella stessa sera, rischiavano di stare male... poi si ricordò con chi aveva a che fare e si rassegnò all'evidenza: ora che Akemi doveva sospendere momentaneamente il consumo di alcool sembrava che lui e Ichinose bevessero anche in sua vece!

L'ennesimo brindisi fece tintinnare bicchieri di saké e succo di frutta e anche Haruka ricominciò a saltellare felice. Dall'angolo dove sedeva sua nonna, gli giunse la sua voce dire in tono convinto: "Già, penso anch'io che tre anni siano un tempo ottimale da aspettare tra un figlio e l'altro".

A dirla tutta, lo pensava anche lui.

***


Epilogo

La luce della luna che entrava dalla porta finestra era talmente incantevole che non serviva nemmeno accendere l'interruttore. Era filtrata attraverso la porta della camera dei bambini quando era andata a controllare che dormissero: Haruka aveva di nuovo gettato via le coperte e Kyoko dovette salire di un piolo la scaletta del letto a castello per coprirla nuovamente; Fuyushi invece era rimasto nella stessa identica posizione in cui l'aveva lasciato un paio d'ore prima. Non voleva rischiare che si svegliasse così evitò di togliergli il ciuccio che, a tre anni suonati, non riusciva ancora a smettere di usare: prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione. Ma non quella sera.

Quella sera aveva bisogno di rimanere sola con Yusaku per poter parlare con calma.

Il raggio di luna continuò a illuminare i suoi passi quando si recò in cucina per gettare via le cartacce e riporre in frigo i resti della cena; la seguì sul terrazzino quando uscì per guardare il tetto della Maison Ikkoku, con una mano sul testone di Soichiro accucciato accanto a lei: erano cambiate così tante cose negli ultimi anni!

Immaginò Ichinose finalmente riunita ai suoi cari nella loro stanza, dopo il pensionamento di suo marito; forse Kentaro avrebbe passato la notte da un amico ma lei non sarebbe stata più sola. Aveva sempre pensato che, nel suo animo festaiolo e nelle sue risate sguaiate, si nascondesse una donna che tentava di scacciare la malinconia e le piaceva figurarsela mentre brindava a suon di birre col suo consorte.

Forse potevano addirittura essersi uniti Yotsuya e Akemi, anche se solo per una notte. Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a realizzare l'immagine di quell'uomo così strano e misterioso al fianco di una donna, anche se Yotsuya aveva sempre parlato di un'unione 'di convenienza': non ci si sposava in gran segreto solo perché si era soci in affari e si voleva evitare una concorrenza spietata, no? Sorrise invece al pensiero di Akemi che si disperava perché, al secondo figlio maschio, non poteva credere di dover ricominciare da capo per la terza volta alla ricerca di una femminuccia. Le aveva ben spiegato che un figlio non si sceglie ma lei non voleva sentire ragioni: avrebbe avuto una bambina, a costo di arrivare a quarant'anni per farlo!

Già, cosa non si farebbe per realizzare i propri desideri.

Udì la porta del bagno aprirsi e i passi leggeri di Yusaku avvicinarsi, attutiti dalle pantofole di spugna che utilizzava dopo la doccia. Aveva pensato di chiamare Yagami a fare da baby sitter e uscire a cena con lui ma poi aveva optato per rimanere a casa, nella loro intimità, dove avrebbe potuto esprimersi meglio.

Con una luna così bella dovevamo essere qui, sul terrazzo di casa nostra.

Le braccia di suo marito la cinsero da dietro, ricordandole nettamente il giorno in cui erano entrati in quella casa per la prima volta. Assaporò il profumo di shampoo e bagnoschiuma che emanava, cullandosi nel calore del suo corpo. "Hai asciugato i capelli prima di uscire fuori? L'aria è frizzantina".

"Ma certo, tranquilla", le soffiò sulla cima della testa.

Aveva il brutto vizio di non usare il phon quando la stagione era bella, ma lei non aveva mai condiviso quella sua abitudine. Prese un respiro e mise le mani intrecciate di lui sul proprio ventre, stringendole appena, mentre il cuore le accelerava di un battito.

Lo sentì irrigidirsi lievemente, poiché era probabile che avesse avvertito il cambiamento nel ritmo del suo respiro e la tensione irradiarsi nel suo corpo.

Eppure fu col cuore colmo di gioia che mormorò: "Caro, devo dirti una cosa...".

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