day and night

di barboncina85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO UNO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO DUE ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO TRE ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO CINQUE ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO SEI ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO SETTE ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO OTTO ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO NOVE ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO NOVE BIS ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO DIECI ***
Capitolo 12: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO UNO ***


ALLORA, SO PERFETTAMENTE CHE HO ALTRE STORIE INCOMPIUTE MA QUESTA MI GIRA IN TESTA DA TROPPO E NO RIESCO A PENSARE ALLE ALTRE... LE FINISCO COMUNQUE, NON PREOCCUPATEVI...
NON VI ANTICIPO NIENTE BUONA LETTURA.
^^

 

CAPITOLO UNO

Prendere la decisione di andare a vivere a Forks con mio padre, non è stata sofferta, e nemmeno imposta.
L’ho semplicemente deciso io.
Il nuovo compagno di mamma, un tipo apposto per carità, adorava fin troppo il suo lavoro per restare a Jacksonville, viaggiare, le tournée, le feste, e mamma per lo più cercava di dividersi tra entrambi, convita che da sola, sarei stata male, solo che io somigliavo molto a mio padre, anche nel carattere, e restare da sola non mi dispiaceva.
Certo, rinunciare al caldo della Florida, per il freddo e l’umido della penisola di Olimpia, quello si che era un bel cambiamento.
In fin dei conti era questione di un paio di mesi, passava l’estate e ritornava tutto alla normalità, mamma avrebbe avuto il suo spazio, io un estate con il mio papà.
Al check-in dell’aeroporto, mamma continuava a chiedermi se ne ero sicura, se forse avessi cambiato idea.
<< Ci rivediamo per il mio compleanno >> l’avevo stretta forte a me. Poche volte c’eravamo separate, e la sua spensieratezza e voglia di vivere mi hanno sempre riempito le giornate di sole, anche se fuori era nuvoloso, o pioveva, lei è sempre stata quella forte e spensierata, e so bene che avvolte era solo una facciata, ma lei è cosi, e il carattere non si cambia.
Il viaggio è stato leggero, il volo è durato un paio d’ore, e quando sono sbarcata a Seattle mi attendeva mio padre, in divisa.
Vederlo con quegli abiti mi riempiva il cuore di orgoglio, mio padre lo sceriffo di Forks.
Se non fosse che, per palesare la sua presenza, si stia sbracciando in mezzo alla folla.
<< Bella!! >> continua a gridare agitando le braccia.
Lo raggiungo, non so se sono rossa fino alle orecchie o bianca cinerea, penso più la seconda visto che mezzo aeroporto si è voltato.
<< Sono qui! >> continua indicandosi. Ora, io con tutto il bene che gli voglio, farei decisamente finta che non si rivolge a me, ma dato che con molta probabilità continuerebbe a gridare, lo raggiungo il più veloce possibile.
Quando gli sono davanti mi guarda riprendendo fiato e abbassandosi il giubbotto sollevatosi per il movimento. << Ciao >> sospira affannato.
Lo guardo un attimo, e so perfettamente che è in imbarazzo, come lo sono io del resto. Lui però fa un movimento con le labbra che se non ricordo male fa spesso, porta indietro le labbra sui denti e con la punta della lingua le umetta un po’, cacciando un piccolo sospiro, per poi riportarle in avanti con uno schiocco. Si, ora ricordo, lo fa sempre.
<< Non ti sei accorto che ti avevo visto subito? Anche perché, sinceramente, è difficile non notare un poliziotto >> gli dico con un sorriso puntandogli il dito contro il distintivo.
Lui solleva il braccio portandoselo dietro la nuca. << Scusami >>
Il viso da cane bastonato è uno spettacolo, e abbracciarlo mi viene spontaneo << Mi sei mancato papà >>
Mi stringe appena le spalle, so che per lui è il massimo << Anche tu, tanto >>
Ci avviamo per Forks sulla macchina della polizia, probabilmente era in servizio, appena entrati in città tante caratteristiche della popolazione mi colpiscono, prima tra tutte la presenza di nativi americani, mi è sembrato di contarne anche più della popolazione di bianchi, non so come altro definirci, persino i negozi, molti vendevano oggettistica indiana, c’era pure un chiosco all’angolo di un incrocio che vendeva: tamburelli, acchiappa sogni, archi con frecce, e tanto altro. Mi ripromisi che una volta sistemati i bagagli sarei andata a farmi un giro per quei negozietti, probabilmente non portandomi dietro tutto il capitale, altrimenti sarei rimasta senza.
<< Ti piace? >>
Assorta nei pensieri non mi ero resa conto di guardare come un affamata in tutte le direzioni, e probabilmente, invece, papà se n’è accorto.
Non gli dico niente scuoto il capo in affermazione, e sono fermamente convinta che gli occhi mi brillino.
<< Più tardi fatti un giro, ti piacerà stare qui >> continua a parlarmi sorridendo, è contento che io sia qui, lo so, e comincio ad esserlo anch’io.

La mia camera è sempre la stessa, la porta a sinistra appena dopo la rampa delle scale, quando l’ho aperta l’ultima volta era tutto sul rosa, coperte rosa, tende rosa, orsacchiotti sul letto, poster di attori famosi di quel periodo. Ora, invece, quando l’ho aperta era tutto sull’arancione, giallo, verde pastello, ogni oggetto, ogni tappezzeria, era tutto vivace, e … solare.
<< Qui piove il novanta per cento del tempo, volevo che almeno in camera tua ritrovassi il sole >> me lo dice a pochi centimetri dall’orecchio, e solo in quel momento mi sono resa conto di star ferma sulla soglia di camera mia.
<< è stupendo papà! >> si può essere emozionati per un semplice gesto? Si, si può!

Le valige erano ben poca roba. Mamma ed io abbiamo fatto l’impossibile per trovare roba pesante in florida, infatti, l’unica cosa appena più pesante del resto, era una felpa di Mickey Mouse, niente affatto felpata. Anche se mentre mettevo tutto in ordine, le magliette nella cassettiera di legno, i pantaloni appesi nel piccolo armadio, mentre sistemavo le scarpe sotto i pantaloni, mi venivano in mente quei negozietti sulla strada e comprarmi qualcosa diventava sempre più una fissazione.
Una volta finito trovai papà giù appoggiato al tavolino in cucina, le mani in tasca, la gamba sopra l’altra, e un bel sorriso sul viso, e mi ritrovo a guardarlo con la stessa espressione, credo che quel sorriso non gli andrà via tanto presto.
<< Hai fame? >> mi domanda portando il busto in avanti per trovare una posizione eretta.
L’occhio mi cade sul orologio, appena sopra la sua spalla, attaccato al muro, l’una passate, anche se avevo lo stomaco chiuso, annui.
<< Bene, metti la giacca che ti porto a pranzo fuori >>

Mentre eravamo in macchina diretti dio solo sa dove, continuavano a passarmi negozietti rustici davanti, e uno di quelli attirò la mia attenzione, una libreria, che di libreria aveva ben poco, tante cianfrusaglie coprivano la sua vetrina, ma sul’insegna c’era scritto proprio libreria.
<< Come ci si arriva? >> sapevo che il mio senso dell’orientamento era piuttosto scarso, quindi prima di vagare per la cittadina senza una meta era più prudente chiedere informazioni, e chi meglio del capo della polizia per risponderti?
<< Dove? >> non si volta, la sbircia dallo spioncino cercando di capire cosa stessi indicando.
<< La libreria >>
<< Oh, si, beh questa strada e la seconda traversa dopo casa nostra, poi ti mostro come arrivarci >> appena finisce la frase svolta a destra, e si ferma poco dopo davanti ad una tavola calda.
Si volta nella mia direzione appoggiando il braccio sul volante << Hamburger? >> mi domanda con un sorriso.
<< Perfetto! >>

All’aprirsi della porta uno scaccia spiriti risuono per tutto il locale, la sua struttura in bambù produceva un suono quasi magico, in piena fusione con il locale stesso, le panche di legno i tavoli sembravano tagliati direttamente nel tronco, cosi come il bancone, era uno spettacolo di locale.
Il bancone era di fronte all’entrata, e una signora di mezz’età usci da quella che sembrava la cucina spostando una tenda formata da corde intrecciate.
<< Buon giorno Charlie! >> si affrettò a salutarlo con un sorriso, portando i piatti che aveva in mano ad un tavolo poco distante da noi.
Sorrise ai commensali per poi avvicinarsi, toccandosi il grembiule sabbia, probabilmente per pulirsi le mani. << E questa bella signorina dev’essere Isabella >> allunga la mano destra.
Gliela stringo << Bella, si, piacere >>
<< Carol. Il piacere è tutto mio. Tuo padre ci ha parlato talmente tanto di te che mi sembra di conoscerti. Oh, ma prego, accomodatevi pure >> ci indica un tavolo con entrambe le braccia poco distante.
Ci sediamo e un ragazzetto ci porta due tovagliette sabbia e due contenitori di carta con le posate dentro. Papà le estrae, estraendo subito dopo il tovagliolo che c’è all’interno. Lo imito.
I menu sono provvisti di tutto: antipasti, primi, secondi, panini, piadine, piatti unici. Tutto a base di carne.
Papà non lo guarda, guarda me, e io me ne rendo conto solo una volta sollevato lo sguardo per domandargli cosa ordina.
<< Che c’è? >> dato il suo sorriso, so cos’ha, ma gliel’ho chiesto comunque.
<< Sono contento che tu sia qui! >>
Sorrido << Anch’io >>
Abbassa lo sguardo, prende il menù e continua a non aprirlo. << Ci sono hamburger vegetali, e se vuoi una piadina è ottima anche quella. >>
Il fatto che si ricordi che non mangio carne mi stringe il cuore di emozione. << L’hamburger vegetale è perfetto >>
Carol viene a prendere le nostre ordinazioni, anche papà prende un hamburger, ma con della carne in mezzo ovviamente.
Mangiamo quasi in silenzio, se non per apprezzare la bontà del panino, o per piccoli commenti sulla differenza del tempo che divide la Florida, da Forks.
<< Tua madre come sta? >> mi domanda di punto in bianco.
Ci metto un po’ ad ingoiare il boccone << Bene, dovrebbe partire domani per seguire Phil in un tour >> non so come possa prendere il fatto che parli di Phil, infatti, lo osservo per un attimo, prima che finisca il suo boccone mi pone tranquillamente un'altra domanda.
<< Come si comporta con voi … Phil >> il fatto che abbia ingoiato prima di pronunciare il suo nome può essere anche una coincidenza.
<< Bene, è un brav’uomo, spesso non c’è, quindi abbiamo un rapporto molto tranquillo, e con mamma non sembra essere differente >>
Annuisce mordendo ancora il suo panino, lo osservo bevendo un sorso d’acqua, sembra tranquillo, non dev’essere facile sapere sua figlia e … sua moglie? Ex moglie? Con un altro uomo, ma è passato cosi tanto che penso l’abbia superata. In fin dei conti, è stata mamma a lasciarlo.
Finiamo di mangiare dopo poco, e mi domanda se voglio farmi un giro per la città.
<< Tu non lavori oggi? >> domandarglielo mi viene spontaneo.
<< Si dovrei andare per le quattro, sono ancora le due, devo mostrarti una cosa. >>
Usciamo dal locale salutando Carol, e in macchina ci dirigiamo dalla parte opposta a quella che prendemmo prima, allontanandoci da casa.
Le insegne indicano l’ospedale, lo superiamo, e svoltiamo a sinistra, poco dopo c’era una specie di capanno, e si fermò proprio li davanti.
<< Scendi? >> mi domanda scendendo dalla macchina.
Scendo anch’io seguendolo, lui bussa sul portone arancione creando un boato, di sicuro è di lamiera.
Apre la “porta”, che  viene trascinata di lato, mostrandomi una specie di capanno degli attrezzi. Lo guardo interrogativa per ricevere un occhiolino mal fatto.
<< Vieni! >> mi dice entrando.
All’interno una musica County, anche troppo forte per i miei gusti, disturbata da suoni metallici. Chiunque stia qui dentro mi sembra più che normale che non abbia sentito il nostro bussare.
<< Leah!! >> urla mio padre.
Leah?? Ma non è un nome da donna?
Da sotto un bestione di metallo esce una persona ricoperta interamente di grasso, si solleva dal carrello dove era sdraiata fino a poco prima.
La tuta celeste chiusa con una zip sul davanti completamente sporca che mostrava varie impronte di mani, segno che se le era pulite sopra, la maschera di metallo che gli copre il viso, nel momento in cui vedo il suo braccio alzarsi per togliersi proprio quella maschera, una ragazza, era una ragazza, dai lineamenti indiani, la pelle ambrata, e un sorriso di benvenuto ci saluta con la mano con il quale stringe la maschera, che appoggia su un mobiletto di metallo pieno di cianfrusaglie alla sua sinistra. Si allontana andando davanti al bestione di metallo e la musica si interrompe.
<< Charlie! Non ti aspettavo prima di sera. >> dice abbassando la cerniera e mostrando una canotta di cotone bianco da sotto, sfila le maniche e resta con il torso scoperto.
Con questo freddo? Che coraggio!
<< Si lo so, ma ero in fermento, volevo lo vedesse >> dice euforico << Ah! Bella, lei è Leah >>
<< Piacere! >> Leah, allunga il gomito, non mi porge la mano, forse troppo sporca.
Glielo afferro << Piacere mio >> il suo braccio è caldo, anche troppo per la temperatura esterna, forse quella tuta dev’essere una stufa.
<< Allora >> comincia dando una botta sul bestione di metallo << Questo è un pick-up di tutto rispetto, il motore è completamente rifatto, il carburante è non pulito, di più, e gli ho cambiato il serbatoio, ora va a diesel >> si volta dopo aver accarezzato tutta la carrozzeria rosso sbiadita fino ad arrivare al cofano.
<< Quindi >> continua << Trattalo bene e lui ti proteggerà il meglio che può >>
Resto a guardarla, appoggiata con il gomito al cofano senza riuscire a capire di che cosa stia parlando, forse non è la mia lingua, non lo so.
<< Ti piace? >> la voce di papà mi riscuote dai pensieri incoerenti.
<< Cosa? >>
<< La tua macchina? >>
<< Mia? >> mi indico ancora sorpresa, con questa domanda ho collegato cosa aveva detto Leah, prima non c’ero arrivata. << Mi hai preso una macchina? >> non ero contenta soltanto, ero al settimo cielo.
<< Beh, non potevi di certo andare in giro con la volante della polizia >> mi sorride contento.
Resto con quell’espressione felice, mentre guardo lui, il bestione di metallo, credo che si chiami pick-up e la ragazza che vi è appoggiata sopra.
<< Grazie papà! >> gli getto le braccia al collo, stringendolo.

Avere una macchina mia era una cosa grandiosa, quando ci sono salita Leah si è seduta accanto a me.
<< Non l’ho ancora accesa, voglio sentire le fusa >> mi dice dandomi le chiavi.
Sinceramente una volta inserite le chiavi nella toppa, mi aspettavo di sentire il rumore delle macchine da corsa, invece … fece un ruggito che sembrava quello di cento leoni nella savana, c’è mancato poco che non lasciassi il volante per coprirmi le orecchie.
<< è il capannone che amplifica i suoni, in strada non lo sentirai >>
Mah, io ho i miei dubbi.
Ma non mi sarebbe interessato, questa è la mia prima auto e come tale farò finta che è il più bel gioiello.
Leah ci ha messo altri dieci minuti per stringere un po’ di viti, e forse era una mia impressione ma il rumore era molto meno.
Tornammo a casa, io inseguivo papà altrimenti mi sarei persa un paio di volte, anche se piccola Forks aveva un infinità di stradine, avevo un’ estate per impararle.
Papà scese dalla volante e si avvicinò al pick-up dal quale non ero ancora scesa.
<< Allora, per la libreria. Gira in quella direzione >> mi indica l’esatto opposto di com’era girata la macchina, quindi dovevo invertire la marcia << poi al semaforo gira a sinistra, la seconda traversa a destra, ti ritrovi nella stessa strada di prima, poco più in la sulla destra lo trovi. Ok? >>
Annui con la testa cercando di ricordare, allora: semaforo a sinistra, la seconda a destra, poco più aventi libreria. Speriamo!
<< Hai capito? >> mi domanda dopo non aver afferrato il mio lento movimento del capo.
<< Si, sinistra al semaforo, seconda a destra >>
sinistra al semaforo, seconda a destra. Sinistra al semaforo, seconda a destra. Sinistra al semaforo, seconda a destra.
<< Ok, io ora vado alla centrale, ritorno per le otto. Immagino che poi riesci a tornare a casa. Comunque, non ti preoccupare, se c’è Ben in libreria chiedi a lui, ok? >>
<< Si, seconda a des … ehm, cioè, si, ok, gli chiederò come tornare se mi occorre. >> mi stavo ripetendo cosi tante volte la strada che oramai rispondevo solo con quella.
Giro l’auto e mi dirigo al semaforo, giro a sinistra e alla seconda a destra, la strada mi sembra familiare, solo che quando sposto lo sguardo a destra la libreria la vedo passare appena in tempo. Freno, e menomale che dietro non ci sono auto, altrimenti un tamponamento a catena non me l’avrebbe tolto nessuno, anche se sono convinta che il mio chevy avrebbe retto benissimo l’urto.
Parcheggio poco più dietro facendo manovra in retromarcia, mi aspettavo più rumore che in prima, invece, era molto meno, quasi non si sentiva, quasi quasi l’avrei portata il retro tutto il tempo.
Scendo dal pick-up e mi dirigo al negozio, la vetrina è completamente ricoperta di bigiotteria, e ciondoli, e libri e catenine di bambù, un po’ di tutto insomma.
Quando entro uno scaccia spiriti come nel locale, ma stavolta è di metallo provoca un tintinnio per tutto il negozio.
A primo impatto sembrava tanto un negozio di magia, come quei capanni dove poi trovi la vecchia zingara che ti fa le carte. L’impressione era proprio quella.
Compiendo diversi passi non mi resi conto che il bancone era alle mie spalle, praticamente a ridosso della vetrina.
<< Buona sera! >> la voce alle mie spalle, anche se gentile, mi fece spaventare e girare di scatto.
<< B-b-buona sera … >> credo di dovermi ingoiare il cuore, mi da leggermente fastidio tra le tonsille.
Davanti a me, un ragazzo, poco più basso di me, mi osservava con un sorriso sul volto.
<< Ti posso aiutare? >> nel domandarmelo, un ciuffo bruno gli cade davanti agli occhi, con una mano lo sistema sulla fronte.
<< Si, cioè no, volevo solo dare un occhiata >> credo di essere diventata rossa come un peperone, per non essermi accorta di lui, per essere entrata senza neanche salutare.
<< Certo, qualunque cosa domanda pure >> dopo avermelo detto si siede su uno sgabello dietro il bancone aprendo il libro che vi era posato sopra.
Lo osservo per non più di mezzo minuto quando solleva lo sguardo dalla sua lettura, guardandomi.
<< Scusami >> mi avvicino al bancone con un passo più lungo del normale sbilanciandomi evidentemente << posso farti una domanda? >>
<< Certo, dimmi pure. >> chiude il libro inserendovi un segno per poi appoggiarselo in grembo.
<< Questa è una libreria, giusto? >>
<< Si, esatto >>
<< E come mai è piena di queste cose? >> allargo il braccio indicando genericamente tutti i non-libri presenti all’interno del negozio.
<< Oh, si, beh chi è di queste parti sa bene che questo negozio è stato comprato dalla mia famiglia, dopo che Billy Black ebbe l’incidente e non poté più curarsene >> si sollevò appoggiando il libro sul bancone << quindi le cose che vendeva, sono rimaste in minima parte, sono in vendita ovviamente >>
Spiegazione, più che esauriente, e il mio unico commento è stato un << Oh, ok … >>
Lui resta li, e io intanto vago per il negozio trovando libri sulle mensole e bracciali, collane, scaccia pensieri, e altri monili nelle vetrine e sui banconi.
Era tutto bello, tutto da comprare, ed io avevo pochi spiccioli, giusto per le emergenze. Peccato!
Poi lo vidi.
Avete presente quando, succede per lo più nei mercati, una cosa vi colpisce, una cosa che per molti è insignificante, per te è la cosa più bella del mondo. Ecco, è proprio quello che mi successe, il mezzo a tante mani di plastica protratte verso l’alto per far vedere meglio alcuni bracciali appesi o anelli infilati o bracciali indossati al polso ne vidi uno.
Era appeso al dito, non indossato, aveva una lavorazione di cuoio, che faceva si, che si potesse stringere intorno al polso semplicemente tirandone i lembi, e due ciondoli, uno a forma di lupo, sembrava tagliato nel legno, l’altro a forma di cuore, sembrava cristallo, o diamante, era uno spettacolo.
In quel momento tutta la mia concentrazione fu catturata da quel bracciale.
Un solo pensiero: lo dovevo avere.

 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO DUE ***


SCUSATE SE NON COMMENTO MA SONO ABBASTANZA INCAZZATA E NON HO PROPRIO TESTA.
QUESTA STORIA E' FINITA PENSO DI POSTARE OGNI GIOVEDI CONTRATTEMPI PERMETTENDO.
BACIO.

CAPITOLO DUE

Rimasi a fissarlo per non so quanto tempo.
<< Ti piace qualcosa? >> il ragazzo si era avvicinato e neanche me ne accorsi.
<< Sì, quanto costa quel bracciale? >> indicai con il dito sul vetro ma dato che ne erano due in due dita diverse, pensò fosse l’altro.
<< Non quello, l’altro, con i due ciondoli. >>
<< Ah, quello è fatto a mano, credo che stia intorno ai quindici dollari >> m’informa storcendo la bocca, << ma non ne sono sicuro, se passerai domani, te lo farò sapere >> si allontana di qualche passo tornando dietro il bancone.
Ok, il bracciale mi piaceva, sarei potuta tornare domani. Eppure nel momento in cui mi sono mossa il cuore, sembro abbagliarmi.
<< Senti >> cominciai senza staccare lo sguardo dal gioiello << Sono la figlia del capo Swan, ti lascio venti dollari, nel caso costa di più me lo fai sapere ok? >> mi volto solo dopo aver terminato la frase e il ragazzo era rimasto impalato all’angolo del bancone, come se mi avesse sentito dire una bestemmia.
<< Swan? Il capo Swan è tuo padre? Allora tu devi essere Isabella >> il suo viso s’illumino come un albero di natale, e il sorriso giurerei di averglielo visto arrivare da orecchio a orecchio. << Sono Ben, ti ricordi? Ben. Nelle estati che venivi, eravamo sempre insieme! >>
Ora, secondo la sua indole, io dovrei ricordare quando venivo qua d’estate, il punto è che sono passati tipo sette anni dall’ultima volta, però, se me lo faccio amico, forse mi dà il bracciale con più piacere, e meno problemi. << Oh, si Ben! Non ti avevo riconosciuto, sai è passato tanto >> rimanere sul vago.
<< Oh, no, non ti preoccupare >> si avvicina a me con passi svelti << come stai? >> allarga le braccia, chiaro segno di quello che sta per fare, e mi abbraccia.
O. Mamma.
Gli do due pacche sulla schiena, giusto per ricambiare il gesto, lui si stacca da me e apre la vetrina con delle chiavi che si sfila dalla tasca dei jeans.
<< Tieni, non ti preoccupare, te lo regalo >> mi prende la mano e lo poggia sopra, richiudendomela.
<< Grazie >> dovrei fare la preziosa, dicendo che in realtà lo voglio pagare, ma non ci riesco, l’ho avuto, e mio, e non riesco a non guardarlo.
Resto nel negozio un altro po’, il tempo di vedere fuori il giorno che si scurisce.
<< Ben, è stato un piacere ritrovarti, ora è meglio che torni a casa >> gli dico sollevandomi dallo sgabello dietro il bancone, lui è rimasto in piedi davanti a me poggiato con la schiena sul bancone.
<< Oh, sì. Ci vediamo una di queste sere, usciamo con gli altri magari >> mi dà la mano, stavolta, quando lo supero avvicinandomi alla porta.
<< Sì, magari >> gli rispondo poco convinta. Altri?
<< Al massimo ti passiamo a prendere venerdì se ti va >> continua a insistere ondeggiando la mano.
<< Sì, d’accordo >> è martedì, magari se ne scorda, tutto pur di riavere la mia mano. Infatti, la molla.
<< Perfetto! >>
Contento lui, contenti tutti. Non dico altro, se non un ciao, prima di varcare la porta e richiuderla alle mie spalle.
Uff! Finalmente! Mi ritrovo a sospirare, ma una folata di aria gelida mi fa rabbrividire e mi serro il cappottino sotto il mento ricordandomi per l’ennesima volta che non sono in Florida.

Arrivo a casa poco dopo, stranamente non sbagliando la strada. Parcheggio il pick-up nel vialetto ed entro di corsa, il vento è aumentato, ed è gelido.
Come entro in casa mi dirigo in cucina, poggio la borsa sul tavolo, il giubbotto lo tengo ancora un po’, fa troppo freddo per toglierlo.
Il bracciale l’avevo messo in tasca, e lo tiro fuori guardandolo. È proprio bello, lo sollevo per guardarlo meglio, i tagli del lupo si vede che sono fatti a mano, e le sfaccettature del vetro sembrano vere, non irradiano colori alla luce, ma solo luce bianca, che si riflette come un prisma su di me e sui muri.
Bello, proprio bello.
Lo infilo nel polso tirando i lembi per stringerlo, il cuore finisce sul dorso della mano mentre il lupo dalla parte opposta.
Contenta del mio acquisto vado di sopra, oramai il buio è sceso. Entro in camera mia, apro l’armadio cercando una felpa più pesante, se devo togliermi il cappotto almeno, lo sostituisco con qualcosa di più comodo, tiro fuori l’unica felpa, non felpata, che possiedo e la poggio sul letto, mi apro il cappotto e lo sfilo poggiandolo sulla sedia avanti alla scrivania, ma non sento freddo, meglio non avrò bisogno di mettere la felpa, con il rischio di sporcarla.
Scendo di sotto, e guardo l’orologio attaccato al muro, sono le sei, che faccio adesso?
Era meglio se mi prendevo anche un libro da Ben, poiché avevo risparmiato con il bracciale.
Sollevo il polso per istinto guardandolo, e uno strano odore mi colpisce le narici, sembra … muschio, o quello strano odore di albero bagnato. Strano, sarà il lupo di legno che ha quest’odore? Eppure non mi sembrava di averlo sentito nel negozio.
Abbasso il braccio appoggiandomi allo spigolo del tavolo, appena lo faccio sento un rumore strano, metallico. Abbasso lo sguardo e vedo la gamba del tavolo piegata leggermente.
<< Come … >> mi abbasso sulle ginocchia per capire che cosa può essere successo. Possibile che siamo fatti di gomma questi tavoli?
<< Che strano >> mi sollevo e vado ad aprire il frigorifero, almeno perdo tempo a cucinare qualcosa per stasera mentre papà arriva. Ma nel momento in cui apro il frigorifero, un tanfo terribile mi colpisce il pieno.
<< O signore. È tutto da buttare qui! >> mi tappo il naso e controllo ogni alimento.
Il latte: non è scaduto.
Il succo: non è scaduto.
Il formaggio: non sembra andato a male.
Ogni cosa la controllavo, il colore, la data, tutto regolare. Allora perche sentivo puzzare?
Più restavo lì a capire il perche più non lo capivo. Mi tolsi la mano dal naso un po’ riluttante al ricordo del tanfo di prima, ma lo feci e quell’odore mi si ripresentò.
<< Ma che diavolo è? >> mi arresi tre secondi dopo chiudendo il frigorifero.
Allora, calma, sono già le sei e mezzo e si deve mangiare qualcosa, quindi il frigo è off-limits, quindi si preferisce una pizza.
Chiamo o vado alla disperata ricerca di una pizzeria? E come chiamo?
Mi avvicino al telefono attaccato al muro, e apparte il numero della centrale non c’era altro. Ok, al massimo chiamo papà per farmi dire il numero o almeno come arrivarci.
Digito il numero lentamente, lo strano scricchiolio della cornetta mi preoccupa.
Due squilli.
<< Bella? >> risponde mio padre.
<< Come facevi a sapere … o fa niente, papà hai il numero di una pizzeria, il frigo non si può aprire >> gli chiedo di fretta.
<< Bella sei tu? >> continua a domandarmi come se non mi avesse sentito pronunciare niente.
<< Si papà >> ripeto lentamente.
<< Oh, ho visto il numero di casa sul display, ma la tua voce ha qualcosa di strano >> mi dice rallentando le ultime parole.
<< Strano di che tipo? >>
<< Come? >>
Ma è sordo o cosa? << Strano di che tipo, papà? >> ripeto tutto più lentamente.
<< Strano, più alta, come intonazione, non saprei definirlo, hai preso il raffreddore? >>
In un giorno, sarebbe abbastanza difficile << No papà sto bene >> gli dico lentamente, sembra che se parli normalmente non mi senta << mi sai dire dove posso trovare una pizzeria, o il numero? Il frigo non si può aprire >> continuo lentamente.
<< Sì, dietro casa, se vai verso il semaforo e giri a destra, la trovi subito. Fai prima che chiamare >>
<< Ok, grazie papà >> chiudo la comunicazione prima che possa rispondermi con un altro “che cosa?”
Prendo la borsa, prendo le chiavi del pick-up e apro la porta.
Quando il vento mi colpisce, mi ricordo del giubbotto al piano di sopra, ma quando stavo per richiuderla per andare a riprenderlo mi rendo conto che il vento non mi da fastidio, non mi provoca freddo, né fastidio.
<< Ma che succede? >> mi guardo le mani colpite dal vento gelido, di solito diventano rosse, ora sono bianche, quasi cineree. Sento il rumore di una macchina, e passa dopo poco, ne sento ogni cambiamento di suono, la frizione, il cambio di marcia, i freni che si bloccano al semaforo.
Vedo dall’altro capo del viale un uomo che passa con un cane al guinzaglio, si copre con il cappuccio, tenendolo in testa con la mano sul davanti, mentre cerca di non farsi trascinare dal vento e dal cane, ne sento il respiro, che entra ed esce dalla sua bocca, il fischio dei polmoni che accolgono aria fredda per farne uscire quella calda, sento il rumore del suo cuore.
Un'altra folata di vento, il suo cappotto si solleva, lui si rannicchia per fronteggiare il vento preso dal lato, ma quando il vento arriva a me …
Non sono io. Io non penso più razionalmente …
È il mio corpo …
Lo stomaco si contrae, la fame si risveglia, i muscoli scattano, e in un battito di ciglio sono dall’altro capo della strada.
Il cane avverte la mia presenza e si gira ringhiando.
Il padrone cerca di trattenerlo per poi alzare lo sguardo su di me.
So di guardarlo, lo vedo, mi fissa, ma il mio cervello non vede una persona come i miei occhi, il mio cervello continua a dire, “fame” e “cibo”, in cosa lo vede? Nell’uomo che ho davanti?
<< Non si preoccupi, non morde >> mi rassicura lo sconosciuto con un sorriso.
Abbasso lo sguardo sul cane, continua a ringhiare e abbaiare, poi guardo lui, e le parole mi escono dalla bocca senza che io ci abbia pensato o riflettuto. << Chi? Io, o lui? >> e neanche un decimo di secondo dopo spezzo il collo al cane con una pedata e affondo i denti nella giugulare dell’uomo.
Caldo, denso, ferroso. Il suo sangue mi bagna il palato e la gola, e mi sembra di rinascere, e più succhio più ne voglio, e l’uomo lentamente smette di tremare, di respirare, e infine il suo cuore smette di pompare. Quando mi rendo conto che continuando a succhiare non ne esce più niente mi stacco dal suo collo, e il cervello ritorna a funzionare in maniera razionale.
Lo vedo tra le braccia, vedo l’uomo e rivedo quello che ho fatto.
Un grido mi esce dalle labbra, lasciando andare l’uomo, un grido di puro e semplice terrore, terrore per me stessa e per quello che ho fatto.
<< Aiuto … >>
Chiedi aiuto Bella e a chi?
<< Aiutatemi vi prego … >>
Le gambe mi cedono, sotto la colpa, lo shock. Le mani a coprirmi il viso.
Non voglio vedere, non voglio, cosa ho fatto?
<< Perché? No … >> la gola mi pizzica, ho voglia di piangere, ma non ci riesco, ho voglia di urlare, ma non ne ho la forza << che cosa ho fatto? >> continuo a dirmi.
<< Shhhh >> un sibilo, come un fioco vento mi fa scattare, e mi ritrovo a quasi un metro dal corpo dell’uomo che ho appena dissanguato.
Una ragazza, mi osserva, i suoi occhi di uno strano caramello, i capelli d’oro le ondeggiano con il vento, e anche lei sembra non aver problemi di freddo dal vestito che indossa. Mi osserva attenta, osserva me, non il cadavere che ha ai piedi, me.
<< Chi sei? >> mi chiede.
Chi sono? Perché, lo vuole sapere? Per denunciarmi? A chi, a mio padre?
Scappa Bella!
È l’unica cosa che penso, e, non appena il pensiero si forma nella mia mente comincio a correre. Corro nella foresta, a pochi metri dalla strada, corro tra i rami, tra le foglie, che si scontrano con il mio corpo provocandomi solletico. Corro tra i rami, e mi ritrovo a scalare un albero più alto di altri con una facilità spaventosa.
Quando mi fermo su un ramo appena sopra la vegetazione mi blocco, smetto persino di respirare, e lentamente mi lascio scivolare con la schiena sul tronco, per poi sedermi sul ramo.
<< Che mi sta succedendo? >> mi guardo le mani, mi tocco il viso, e nel farlo mi sfioro con le dita i denti.
Ho morso un uomo, ne ho bevuto il sangue, e … e … mi è piaciuto.
Mi copro di nuovo il viso tirando su le gambe, in una posizione quasi fetale. << Che cosa sono? >>
Come posso aver fatto una cosa del genere?
Come posso tornare a casa dopo questo … l’uomo sarà ancora li, e mio padre comincerà ad indagare sul colpevole, e cosa penserà non trovandomi a casa?
Che sia stata rapita, magari dalla stessa persona che ha ammazzato il povero uomo, senza sospettare minimamente che quella persona sia io.
Un rumore di rami che si spezzano mi fa scattare in piedi, e il movimento di un cespuglio mi fa acquattare, non sono movimenti normali, non so perche il mio corpo me li faccia fare, la mia coscienza mi dice di scappare ma il mio cervello no, come se invece di poter essere una potenziale preda nel bosco, sia io il cacciatore. Ma è assurdo!
Dal cespuglio esce una ragazzetta, piccola e magra, con un caschetto di capelli neri maestralmente disordinato, il suo odore è particolare, attraente quasi.
Muove la testa in cerca di qualcosa, poi solleva lo sguardo.
<< Eccoti >> mi dice sorridendo.
La mia reazione? Ovvia. Ricomincio a scappare.
Mi blocco davanti ad un fiume, lentamente ne scendo le rocce cercando di non scivolare, e mi specchio nell’acqua. Quello che vedo mi lascia di stucco.
Quel viso, quegli occhi, quelle labbra, non sono io, eppure, quando mi sfioro il viso con la mano, lo fa anche l’immagine che ho davanti, con uno schiaffo cancello quell’immagine increspando l’acqua << NO! >> mi sollevo e dall’altra parte della riva un cerbiatto lecca la superficie dell’acqua bevendo.
Lo osservo, ne studio quasi i movimenti e vedo le sue orecchie muoversi, prima di sollevare la testa e guardarmi, appena lo fa i suoi muscoli scattano per fuggire, ma qualcosa arresta la sua corsa, o qualcuno.
Quel qualcuno si solleva tenendo le zampe del cerbiatto con una mano e la testa con l’altra, non riesco a vedere cosa fa perche è di spalle, ma lo osservo, resto immobile ad osservare le zampe dell’animale che lentamente smettono di muoversi, finche il suo carnefice lascia a terra la carcassa dell’animale e solleva la testa.
La prima cosa che mi colpisce è lo strano colore dei capelli, rossi, come i miei occhi riflessi dall’acqua. Per reazione mi ritrovo di nuovo a fissare la mia immagine ormai ritornata. Quando sollevo di nuovo lo sguardo, quel qualcuno mi guarda, il busto girato di lato il viso nella mia direzione e i suoi occhi sono d’oro, e non riesco a guardare altro, neanche quando aggrotta le ciglia, neanche quando volta il busto nella mia direzione con gesti lenti, continuo ad essere calamitata dai suoi occhi, ovviamente la vista periferica funziona e quando lo vedo alzare un braccio lentamente, l’incantesimo svanisce e mi ritrovo a scappare di nuovo.
<< Aspetta! >> lo sento gridare, ma non ho intenzione di fermarmi.
Continuo a correre, supero un ruscello e quando poggio i piedi sul terreno, sento di nuovo quell’odore di muschio. Sollevo il polso con il bracciale, in casa era il lupo di legno ad emanare quell’odore, qui dev’essere la foresta, o magari lo stesso albero.
Lentamente comincio a cercare la fonte dell’odore, albero dopo albero e tutti avevano un odore simile ma non uguale. Mentre camminavo, l’odore era sempre più nitido, ma non capivo da dove proveniva, finche non trovo un tronco spezzato, l’odore della resina e del legno erano identici al piccolo lupo.
L’albero non sembrava tagliato ma spezzato, e non da un fulmine come spesso accade, altrimenti sarebbe stato bruciato, è come se qualcuno l’avesse abbattuto, probabilmente il vento.
<< Ma il tronco è troppo grosso perché l’abbia spezzato un colpo di vento >> mi ritrovai a dirlo ad alta voce senza rendermene conto.
<< Fu uno di voi a buttarlo giù >> la voce tonante mi arrivò alle spalle, facendomi voltare di scatto.
Un ragazzone moro mi guardava con una freddezza calcolata, quasi con odio e disprezzo, il suo abbigliamento consisteva in un paio di pantaloni sgangherati e rovinati. Stranamente al contrario degli altri tre non mi ha dato sensazioni di pericolo.
<< Uno di voi? >> non riuscivo a capire giacché ero lì da pochissimo tempo, e quest’albero sembrava cosi da decenni.
<< Sì, schifoso parassita, uno di voi! Hai violato il patto!! >> la sua voce tuonò per l’intera foresta e il suo corpo fu scosso da terribili fremiti prima di trasformarsi in qualcosa che non avrei mai pensato di poter vedere, un enorme lupo nero, alto quanto me, se non di più.
<< Wow, wow, aspetta! >> istintivamente cominciai ad agitare le mani davanti al corpo, con la speranza che quel lupo smettesse di venire verso di me, ma come cercai di fare qualche passo in dietro, lui cominciò a caricare.
Vedendolo arrivare con un balzo e una mezza rovesciata in aria, sono riuscita a schivarlo atterrando dietro di lui, ma come una sciocca, meravigliata dallo scatto istintivo del mio corpo, mi sono distratta e l’immenso lupo nero mi piombò sopra.
In quel momento accaddero tre cose: la prima, una fioca luce cominciò a sorgere. La seconda, un dolore immenso mi prese al petto e poi a tutto il corpo, facendomi urlare, un urlo cosi intenso che sembrava venire dal cuore del bosco, non da me. La terza fu l’impatto dell’enorme lupo con qualcosa di altrettanto grosso, nel momento in cui le sue fauci si stavano aprendo sul mio volto.
Poi il buio…

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO TRE ***


SCUSATE PER IL RITARDO, AVEVO DETTO CHE AVREI POSTATO TUTTI I GIOVEDI MA PURTROPPO NON ERO A CASA E NON L’HO POTUTO FARE.
ATTENZIONE!!
QUESTO CAPITOLO E’ UN PO’ STRANO, LO AMMETTO IN PARTENZA, CONTIENE SCENE YAOI NON TANTO SPINTE CHE POSSONO TURBARE. QUINDI PER CHI NON SOPPORTA QUESTE COSE, E’ PREGATO DÌ NON LEGGERE!
A DOPO!
PS…
HO POSTATO UNA ONE-SHOT PER IL CONCORSO ESTIVO

Devil 
FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE ^^

CAPITOLO TRE

Sentivo tanti rumori, ma non riuscivo a catalogarne nessuno.
Stavo in un letto, me ne resi conto subito, appena presi coscienza di me stessa.
Quindi era un sogno?! Non è successo niente?! Non ho ucciso quell’uomo, non ho spezzato il collo al suo cane, non ho visto un ragazzo diventare lupo. Era tutto un sogno!
Aprii gli occhi più tranquilla. La prima cosa che vidi, furono le tende che mi ha comprato mio padre, illuminate dalla poca luce del mattino di Forks. Sorridi a quella visione, avevo sognato tutto davvero.
Mi voltai supina, girando lo sguardo verso l’ingresso della mia camera, trovando mio padre seduto alla scrivania con le braccia sotto la testa dormendo.
Per quale ragione?
Mi alzai scostando le coperte, in dosso avevo lo stesso vestito di ieri, ma era in pratica da buttare. Sporco, rotto in più punti. Le immagini di quello che era successo tornarono tutte alla mente, come un film mandato avanti veloce.
Mi ritrovo a prendere fiato spaventata.
Mio padre si sveglia spaventato e si alza velocemente abbracciandomi.
<< Shhhh, e tutto apposto … >> mi accarezza, delicato, la spalla.
No! Non è tutto apposto, gli vorrei rispondere, non lo è. Ho ammazzato un uomo! Non è tutto apposto!
Si scosta da me prendendomi il viso tra le mani e con i pollici porta via le lacrime che sono sfuggite al mio controllo.
Mi sorride. Quel sorriso tenero che solo un padre ti può rivolgere, quel sorriso che dice “vedrai, andrà tutto bene, io ci sono”
<< Ti sei persa >> comincia a spiegarmi con gli occhi lucidi << avevo tanta paura, finché Leah ti ha riportato a casa questa mattina >> lentamente mi fa sedere sul letto, per poi continuare a parlare << Ti ha trovato nel bosco, ricordi come ci sei finita? >> mi domanda toccandomi le spalle e sedendosi sui talloni per guardarmi in viso.
Riesco solo a muovere la tasta per negare, non riesco ancora a credere che sia successo davvero.
<< Vuoi un po’ d’acqua? Sei bollente, vado a prendere anche il termometro. Torno subito! >> si solleva e raggiunge la porta, lo seguo con gli occhi per poi seguirlo con l’udito.
Il rumore dei suoi passi sulle scale, lo strusciare dei suoi vestiti, il suo cuore appena accelerato, il suo respiro … questi rumori scemano pian ciano portando in rilievo un altro respiro accelerato, il mio.
L’ultima volta che ho sentito questi rumori cosi nitidi un uomo è morto, e l’ho ucciso io. Non voglio uccidere mio padre.
Mi sollevo dal letto in preda al panico, ne sono consapevole, il mio cuore accelerato, il fiato che cerca di stargli dietro e il tremolio delle mani. Devo uscire da questa casa prima che sia troppo tardi.
Scendere e uscire, mio padre mi verrebbe dietro, l’unica soluzione è la finestra. Velocemente la spalanco per guardare giù, una decina di metri buoni ma davanti ho un albero, potrei arrampicarmi.
Come metto un piede sul balcone, l’adrenalina sale e le gambe mi tremano come il resto del corpo, è una sensazione strana. Quando affianco il piede sinistro al destro, mi sbilancio in avanti per saltare. Salto.
Riesco ad afferrare un ramo con entrambe le mani, ma come cerco di appoggiare i piedi al ramo subito sotto di quello, si spezza facendomi cadere nel vuoto.
Ed è un attimo.
Il vestito si riduce in brandelli, li vedo svolazzare in aria prima di seguirmi al suolo, e quello che credevo fosse un impatto da rompermi una gamba, si rivela essere un atterraggio morbido su quattro zampe.
Zampe?
La sorpresa di ritrovarmi in un corpo di animale dura pochissimo. Il tempo di sentire mio padre che mi chiama.
Devo sparire prima che si affacci!
E comincio a correre in direzione della foresta, più corro più riesco a coordinare questo strano corpo, e lentamente mi ritrovo a esserne preda.
Preda dell’euforia, preda dell’adrenalina, e più corro più voglio essere veloce, tanti sono gli odori che avverto, la foresta, gli animali, il rumore degli uccelli che volano al mio passaggio, ed è fantastico. Uno strano verso esce dalla mia bocca, che a questo punto posso tranquillamente chiamare muso. Un ululato, un verso che per la prima volta mi sembra la cosa più semplice e più allegra del mondo, tant’è che la ripeto e stavolta molto più forte e più duraturo.
Non ci potevo ancora credere!! Sono un lupo!! E non di quelli piccoli!!
Mi fermo di botto appoggiando le zampe anteriori su un albero, con le zampe unite quasi copro per la sua larghezza il tronco dalla mia visuale, e l’altezza di questo pino è enorme, io sono enorme!!
Quando sento il tronco lentamente scricchiolare sotto il peso delle zampe le sollevo, per poi riappoggiarle con più forza e buttarlo giù.
Sono un lupo, e sono forte!!
Il solo pensiero mi riempiva di fermento, cosa avrei potuto fare con questa forza, come l’avrei potuta impiegare. Con un salto mi ritrovai a camminare sul tronco che avevo appena buttato giù, orgogliosa di quello che avevo fatto.
Ma un ringhio mi portò a voltarmi verso sinistra, quando vidi altri due lupi guardarmi scesi dal tronco con un salto. Erano di dimensioni inferiori rispetto alle mie, ma non eccessivamente. Quello di destra che probabilmente ha ringhiato, visto che ancora mi mostra i denti ha il pelo grigio chiaro, invece, quello di sinistra ha il pelo color sabbia.
“Ciao!” provo a dire ma dalla mia bocca, o muso non esce che un latrato.
Intanto dai due non ricevo altro che sguardi, quello curioso del lupo color sabbia e quello minaccioso di quello grigio.
Come fanno a comunicare i lupi mi chiedo, forse con la coda?
Provo a scodinzolare, il che mi riesce alquanto complicato, perche, invece di muovere la coda, riesco a muovere soltanto il sedere.
Il lupo color sabbia fa qualche passo in avanti incuriosito, ed io mi avvicino a mia volta, ma con un salto il lupo dal pelo grigio si mette tra di noi ringhiando e con la testa bassa continua a ringhiare.
Ora se non ricordo male, i cani quando fanno così vogliono mordere, o comunque difendere ciò che è loro.
Io spostavo lo sguardo dal lupo color sabbia per guardare poi quello grigio e fargli segno di no con la testa, ma non mi capiva, continuava ad avanzare, e per ogni suo passo verso di me erano due indietro miei, finche non mi ritrovai dietro proprio il tronco che avevo buttato giù.
Merda!
“Fermati! Non voglio farvi del male!” ma come glielo faccio capire??
Il lupo grigio continuava la sua avanzata, finche qualcosa di pesante non atterrò sul tronco alle mie spalle, facendo voltare me e alzare la testa al lupo che mi era davanti.
Un terzo lupo, dal pelo rossiccio ci guardava dall’alto in basso e come il lupo grigio alzo la testa guardandolo, io ne approfittai per scappare.
Non mi guardai indietro continuai a correre come una pazza, e più correvo più il cuore accelerava e la sensazione di prima si fece viva. Adrenalina, gioia per essere sfuggita, in barba a loro e alla loro natura! Sono più furba di loro!
Talmente tanto furba che non mi resi conto che proprio quello grigio era a pochi centimetri da me.
Quando me ne resi conto, era già troppo tardi, mi si avventò contro facendoci rotolare giù per un pendio, buttando a terra giovani alberi e qualche ramo. Quando ci siamo fermati, ci ritrovammo a faccia a faccia con un albero secolare a dividerci.
Ci girammo intorno studiandoci, o meglio lui probabilmente studiava me, a me veniva solo da ridere, e di certo non era il momento più opportuno, ma la cosa era comica, quasi da film western. Sono irrecuperabile lo so.
E più lui girava più io ridevo tant’è che quando me lo ritrovai sopra neanche mi accorsi di essermi fermata. Ma l’ilarità era talmente stupida e infantile che continuai comunque a ridere, tant’è che il lupo mi scrutava, cercando di capire che avessi probabilmente e mi resi conto che nonostante la mia forma stavo ridendo come lupo, con dei rumori grattuali che partivano dallo stomaco.
Lentamente e non so come ripresi il mio aspetto umano, ritrovandomi completamente nuda sotto un enorme lupo a ridere come un idiota.
<< Sc - usami! >> riuscì a dirgli ridendo ancora, era una situazione assurda, potevo morire da un momento all’altro e invece di avere paura ridevo.
Ma successe una cosa che non mi sarei mai aspettata. Il lupo grigio restando con le zampe sulle mie spalle, chiuse gli occhi come rassegnato alla mia idiozia e cambio forma, come avevo fatto io pochi secondi fa.
<< Leah! >> gridai ritrovando improvvisamente la ragione.
<< Ora mi spieghi come diavolo ci troviamo in questa situazione! >>
Come se non avessi sentito quello che mi diceva la abbracciai in uno slancio di affetto che difficilmente mi appartiene.
<< Hai visto? Ero un lupo, ero un lupo, forte, veloce!! Hai visto che bello!! >> non credo di ragionare ancora lucidamente.
<< Bella! Calmati! >> mi prese per le spalle strattonandomi.
Ero ancora presa dall’euforia, dall’euforia di quello che era successo, dal fatto che non fossi la sola, di talmente tante cose che il cuore e la testa erano due mondi totalmente distanti dalla ragione, e cosi lo feci, le afferrai il viso e la baciai.
Facendo leva con le braccia sul terreno Leah ancora un po’ shoccata si allontanò, per poi sollevarsi.
Era anche lei nuda, il suo corpo snello e slanciato avrebbe fatto invidia a chiunque, compresa me. Attaccato alla gamba sinistra, aveva qualcosa di marrone, si piego per prenderlo e con un gesto secco delle braccia lo agitò per aria togliendo da quello che sembrava un vestito, una quantità consistente di polvere e foglie.
<< Scusami Leah, ero presa dall’euforia, non volevo offenderti >> cominciai a giustificare il mio gesto mentre mi sollevavo da terra, io pero al contrario suo non avevo niente da indossare attaccato alla gamba.
<< Non ti preoccupare, non è successo niente >> si volta a guardarmi con un sorriso tirato. << Ora mi devi spiegare una cosa >> continua guardandomi seria << Riuscivi a sentirmi? >>
<< Quando? >> non riesco a capire a cosa si stia riferendo.
<< Quando eri in forma di lupo, sentivi quello che ti dicevo? >>
<< No! Avrei dovuto? >> resta a guardarmi come se avessi detto una cosa strana.
<< Riesci a tornare lupo? >> mi domanda a un tratto venendomi più vicino.
Sembra che sia normale per lei cambiare forma, io non so neanche come mi sono ritrovata ad assumerla.
<< Non so neanche come ho fatto la prima volta >> le dico sollevando le spalle.
<< A cosa stavi pensando quando è successo? >>
Rifletto attentamente tornando a qualche minuto o ora prima, non saprei dire quanto è passato.
<< Avevo paura, poi ero agitata, quando ho provato a saltare l’adrenalina e l’eccitazione sono aumentate tanto da farmi atterrare già in forma di lupo. >> spiego guardando un punto imprecisato del terreno.
Con la nocca della mano sinistra mi solleva il viso. << Saltata da dove? >> mi domanda con un cipiglio sul viso.
<< Dalla finestra della mia camera >>
<< Quindi ti ha fatto trasformare l’adrenalina, strano >> toglie la mano da sotto il mio mento per voltarsi appena, persa come me in qualche ricordo probabilmente.
<< A me ha fatto trasformare la rabbia. Era la prima volta? >> mi chiede ancora guardandomi.
<< Sì, assolutamente >> e ancora mi sembra assurdo.
Prende la mia mano sinistra, al polso ho ancora il braccialetto che ho comprato da Ben, ma è notevolmente più largo di prima, probabilmente adattandosi alla zampa di un lupo, per quello non è finito lacerato come il vestito.
Leah ne prende i lembi con le dita e lo stringe riadattandolo al mio polso. Poi solleva il viso guardandomi. << L’adrenalina … >> non sembra riferito a me, ma a se stessa.
Lentamente solleva la mano sinistra toccandomi il collo per poi infilare la mano tra i capelli alla base della nuca e attirandomi a se velocemente mi bacia.
Non reagisco, troppo presa alla sprovvista per reagire. Anche quando la sua lingua s’insinua con prepotenza nella mia bocca, mi ritrovo a essere preda dell’eccitazione, le gambe mi tremano, mentre il bacio si fa più impetuoso, il cuore lo sento nelle orecchie e nella testa, il mio corpo era tutto un fremito, quando le mie mani sono andate, hai suoi fianchi per avvicinarla la sua destra è andata al mio seno sinistro stringendolo e in pochi secondi un ringhio sale dal petto, ed esplodo di nuovo tornando a essere un lupo.
Ci ritroviamo faccia a muso con l’affanno.
<< Seguimi >> mi dice ancora con il fiato corto.
Senza obbiettare la seguii come un cagnolino, e sono convinta che l’avrei seguita anche se non me l’avesse chiesto.

Arrivammo ai confini del bosco.
<< Aspetta qui >> mi disse indicando il posto con il dito.
Lei corse in quella che sembrava la sua casa, entrò ed io mi sedetti aspettando che facesse ritorno.
Non ci mise molto, usci con un paio di pantaloncini e una canotta.
<< Tieni, almeno non andrai in giro nuda >>
Avevo capito che se l’adrenalina o comunque l’eccitazione mi facevano trasformare, la calma mi faceva tornare normale, cosi presi dei bei respiri e calmai il cuore. Tornai normale dopo un paio di minuti buoni.
Mi vestii velocemente,  e quando alzai lo sguardo Leah mi osservava. << Ti stanno bene >> commentò con un sorriso sincero.
<< Grazie >> il ricordo di pochi minuti fa tornò alla mente e il cuore ricominciò a battere più veloce.
<< Okay, okay, calma. Niente più complimenti >> rise di gusto, mi prese la mano e mi portò a casa sua.

<< Sicura che ieri non ti sei trasformata? >> mi domandò entrando in camera sua dopo che mi ha presentato sua madre. Una cara signora di mezz’età che mi ha guardato con un cipiglio sul viso quando ha visto il mio abbigliamento.
<< Sì, perche? >>
<< Allora che ci facevi nel bosco? >>
Il ricordo di ieri sera mi riportò alla mente anche quello che successe stamattina. << CHARLIE!! >>
Quando Leah mi diede il cordless per chiamare mio padre era tranquilla, quando poi mi ritrovai ad annaspare su che scusa inventare, cominciò a suggerirmi le possibili soluzioni agitando le mani. Quando finii di convincere mio padre che stavo bene, volle parlare anche con Leah, e raccomandarsi per la mia salute.
<< Tranquillo Charlie, ci penso io a lei! >> e riattacco con un sospiro lanciandosi sul letto << E’ andata >>
Ora, avete presente quei momenti di stallo tra un ragazzo e una ragazza, dove si guarda da tutte le parti tranne che la persona con la quale si è?? Ecco, era un momento di quelli. Io in piedi a torcermi le mani, lei seduta con le braccia appoggiate sui gomiti.
<< Senti … >> << Scusami … >> cominciammo entrambe.
<< Prima tu >> le dissi con un sorriso tirato.
<< Mi dispiace per prima. Non sapevo come fare, di sicuro non ti potevo chiedere di arrampicarti su un albero, per poi buttarti di sotto. >> mi guardò colpevole, lo sembrava davvero.
<< No! Ma non è stato nulla, anzi … >> mi ritrovai a sussurrare l’ultima parola abbassando lo sguardo. Poi non so con che coraggio continuai << mi è piaciuto … >> sussurrai torcendomi ancora di più le mani.
<< Vedi Bella >> cominciò a parlare sollevandosi << la nostra specie, e sinceramente non so tu come ci sei finita dentro, probabilmente qualche antenato Quileute … comunque, dicevo. La nostra specie è istintiva, come gli animali, per chi ha sensi sviluppati come i nostri ogni cosa è amplificata dieci volte di più rispetto a un umano >> si avvicina sfiorandomi appena il braccio con la punta delle dita, e mille scariche lo ricoprono all’istante << lo senti? >> riesco a confermare solo con la testa. << Questa sensazione porta tutti noi a sentire quell’impulso, di volerne di più, sempre di più >> con la punta delle dita continua il percorso salendo verso la spalla per poi deviare sulle clavicole.
Il respiro accelera, lei sposta lo sguardo che prima aveva sulle sue dita, sul mio viso.
<< Calmati >> sussurra flebile << respira lentamente, altrimenti ritorni a essere un lupo >> sorride, sorride soddisfatta probabilmente, contenta dell’effetto che mi fa.
Chiudo gli occhi, cercando di controllare il respiro e il cuore.
Ma lei con la mano sale verso il collo, per poi infilare, di nuovo, le dita tra i miei capelli. Stavolta, però, è lenta, delicata, sento le sue labbra sfiorarmi appena, e invece di sentire il cuore accelerare sento come una contrazione nel basso ventre, come tremila farfalle nello stomaco.
<< Lo senti? >> mi chiede non allontanandosi dalle mie labbra << Qui … >> continua a dirmi in un soffio appoggiando la mano appena sotto l’ombelico.
<< Si >> riesco a fiatare in preda all’eccitazione.
<< Ora, lascialo esplodere! >> alza la voce prima di baciarmi prepotentemente come prima, stavolta però non la lascio solo fare, ma partecipo attivamente al bacio per poi toccarla come lei mi toccò. Le presi il seno e glielo strinsi. Il ringhio partì a entrambe.
<< Fuori … >> riuscì a dirmi prima di prendermi per un polso e saltare dalla finestra.
Atterrammo entrambe in forma di lupo. I brandelli dei vestiti di nuovo sparsi in giro, gli guardai sconsolata, muovendo la testa, fu lei a cominciare a ridere, e me ne accorsi dagli occhi chiusi e da quello strano verso grattuale che stava facendo.
Due pazze, ecco cos’eravamo, due pazze lupe che si divertivano dietro la villetta come due stupide. 

ANGOLETTO:
COMINCIO CON IL RINGRAZIARE elita, PER AVER COMMENTATO I PRECEDENTI CAPITOLI, GRAZIE MILLE.
COME HO GIA’ CATALOGATO, NELLA STORIA CI SARANNO SCENE YAOI, E PENSO CHE CON L’ANDAR AVANTI DELLA STORIA DOVRO’ SPOSTARE IL RATING, DA ARANCIONE A ROSSO.
GRAZIE A CHI MI HA INSERITO NEI SEGUITI E A CHI NEI PREFERITI E GRAZIE A CHI LEGGE E BASTA. AL PROSSIMO CAPITOLO.

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO QUATTRO ***


BUON GIORNO RAGAZZE!!
COME PROMESSO IN PARTENZA SI POSTA IL GIOVEDI.
VEDETE, IO ADORO QUESTA STORIA, MI è PIACIUTO SCRIVERLA, MI PIACE RILEGGERLA, MA VEDO CHE NON SUSCITA INTERESSE, NEANCHE A DIRMI VEDI CHE NON SEI BUONA DATTI ALL’IPPICA, CHE FORSE CADI DA CAVALLO E LA SMETTI DI SCRIVERE. MI STAREBBE BENE ANCHE UNA CRITICA. MOLTI NON L’ACCETTANO, RITENENDO ACIDA/O CHI LA SOSTIENE, MA SECONDO ME è UN OTTIMO MODO PER CRESCERE ED IMPARARE.
OGNIUNA DI NOI MENTRE SCRIVE VORREBBE FARLO MAGARI INTITOLANDO UN LIBRO CON IL PROPRIO NOME, E POCHE DI NOI CI SONO RIUSCITE, FACENDOCI SOGNARE ANCORA DI Più.
QUELLE PERSONE SARANNO STATE CRITICATE E SMONTATE NELLE LORO IDEE PERSINO DA CHI LE HA PORTATE IN LIBRERIA, PER QUESTO NON MI AZZARDEREI MAI A MANDARE AL DIAVOLO UNA CRITICA, ANZI, NE FAREI TESORO.
ORA QUESTA BELLA SVIOLINATA è GIUSTO PER FAR SI CHE QUALCUNO MI DICA CHE NE PENSA DI QUESTA STORIA. LA DEVO CONTINUARE? LA DEVO BUTTARE? MI CI DEVO PULIRE?
O SEMPLICEMENTE LA CONTINUO A PUBBLICARE FINCHE NON FINISCONO I CAPITOLI FREGANDOMENE?? (NON LO FAREI MAI, SE L’HO SCRITTA è PERCHE AVEVO PIACERE DI FARLO, E SE A NESSUNO INTERESSA LA CONCLUDO CON IL PROSSIMO CAPITOLO E BUONA NOTTE).
BEH, DOPO AVERVI SCOCCIATO UN Po’, VI LASCIO ALLA LETTURA.
UN BACIO BARBONCINA85

CAPITOLO QUATTRO

Passai con Leah, l’intero giorno. Mi spiegò che lei non era la sola, che addirittura, lei faceva parte di un intero branco e che tra di loro riuscivano a sentirsi con il pensiero.
<< Perché io non vi sento? >> domandai girandomi a sinistra per guardarla.
Eravamo in spiaggia sedute su un grosso tronco parlando, mentre l’oceano ci cullava con il suo rumore.
Non si gira a guardarmi. << Credo che succeda a chi non fa parte del branco >> mi dice appoggiando le mani dietro la schiena e sollevando una gamba poggiandola sul tronco << Sei molto fortunata … >> continua.
<< Dici? >>
<< Si! >> mi guarda negli occhi << Vedi Bella, essere del branco, specialmente quando sei l’unica femmina, non è facile. La tua mente non è più tua, e i tuoi pensieri sono di tutti. È frustrante >> si volta a guardare di nuovo l’oceano, io feci lo stesso.
Il sole stava lentamente scendendo, oltre le nubi si riusciva a intravedere, qualcosa, un presentimento forse mi fece perdere un battito.
<< Leah, devo andare >> mi sollevai dal tronco per poi voltarmi a guardarla.
<< Oh! Okay ti accompagno >> fa per sollevarsi anche lei ma con una mano appoggiata sulla spalla, la fermo.
<< Non ti preoccupare. Ci vedremo domani >> faccio due passi e torno indietro ricordandomi una cosa << Ah! Questo non te lo rompo promesso >> le dissi indicandomi il vestito che mi aveva prestato, un semplice vestito blu notte con il giro manica e il cappuccio, una cerniera sul davanti che partiva dall’ombelico fin sotto il collo e due coulisse una in vita e l’altra sotto il vestito. Mi aveva detto che questo vestito era molto comodo, proprio perche, anche se ti ritrovavi a trasformarti con la cerniera l’avresti tolto subito. Cercavo di farci maledettamente attenzione mentre continuavo a camminare per arrivare … arrivare dove?
Bella, dove stai andando? Non lo so.
Perche hai lasciato Leah quando hai visto il sole tramontare? Non lo so, ho avuto una sensazione gelida.
Mi fermo, avevo comunque rallentato il passo quando mi sono resa conto che non sapevo dove andare.
Torno a casa?
Charlie dovrebbe essere a lavoro ormai. Quel pover’uomo sono due giorni che sono qui e non sa, dove sono. Sarà meglio tornare a casa.
Comincio a correre, cercando accuratamente di non rovinare il vestito di Leah, anche se sembra essere di una stoffa resistente. Anche da umana sono veloce, non come un lupo, ma non mi posso lamentare.
Arrivo a casa che è ancora giorno, non ho la chiave, credo di non averla mai avuta, ma un’illuminazione mi porta a sollevare lo zerbino, ma non trovo la chiave.
Cavolo ci avevo sperato!
Mi allontano dalla porta di due passi guardandola. Eppure sono convinta che per casi di emergenza la chiave da qualche parte deve pur esserci.
Poi mi salta agli occhi una piantina tenuta sul davanzale della finestra, mi avvicino e sotto una foglia, trovo un pezzo di metallo infilato nel terreno, quando lo afferro per tirarlo fuori una chiave tutta sporca esce dal terreno.
<< Bingo! >>
Apro la porta e la prima cosa che faccio, prima di ritrovarmi i vermi tra i capelli, è scappare in bagno a farmi una doccia.
Giro il pomello dell’acqua nel box doccia per farla arrivare a temperatura, mentre io mi spoglio appoggiando il vestito sul lavandino, ed anche gli slip, prestati anche quelli. Quando poi provai a togliermi il bracciale, il cuore s’illuminò sotto la luce del bagno come fece nel negozio per attirare la mia attenzione.
<< Ti levo perche non voglio rovinarti >> possibile che stia davvero parlando con un bracciale?
Allargo i lembi e lo sfilo, appoggiandolo sopra il vestito e non so se è solo una mia sensazione o la realtà, il peso di tutta la giornata mi schiaccia cosi tanto da farmi quasi mancare il respiro dalla stanchezza.
Mi appoggio al lavandino cercando di prendere un po’ di forze almeno per farmi una doccia. Entro nel box aggrappandomi alle vetrate per poi appoggiarmi al muro, le gambe lentamente cedono facendomi scivolare su di esso, con l’acqua che mi scorre addosso e sui capelli.

Non so quanto tempo è passato, ma mi ritrovo ancora sul piano del box con l’acqua che mi scorre addosso, lentamente mi alzo e finisco di farmi la doccia. Nei capelli, come sospettavo, trovo di tutto. Foglie, rami, persino del terreno, credo che fossero neri fino a pochi minuti fa, ora una volta uscita dal box doccia e asciugati sono tornati al loro castano.
Mi avvolgo nell’asciugamano, allacciandolo sopra il seno ed esco dal bagno per entrare in camera mia e quando apro la porta che affaccia direttamente sulla rampa delle scale, trovo mio padre a metà rampa intento a salire.
Si ferma, mette su la faccia più arrabbiata che può << Signorinella! >> comincia, poi mi guarda un attimo << Okay, vatti a vestire che poi ne parliamo >> cosi dicendo gira i tacchi e scende.
Rimango sulla soglia del bagno a guardarlo per altri due minuti, finche non lo vedo sparire dalla mia visuale.
Sarà arrabbiato veramente?
Entro in camera mi metto un paio di pantaloncini di cotone e una maglietta a giromanica, infilo le pantofole e corro giù con i capelli ancora bagnati, quando arrivo a metà rampa di scale mi rendo conto che fa freddo e la pelle d’oca mi ricopre per intero facendomi addirittura tremare.
Ritorno in camera, apro l’armadio e scelgo una tuta, a tre pezzi color prugna. Mai messa, me la regalò Phil, non so quanto tempo fa, sperando che facessi un po’ di sport. Di conseguenza non l’ho mai messa.
Fini di asciugarmi i capelli con l’asciugamano che prima avevo avvolto addosso e ora giaceva sulla sedia vicino alla scrivania e scesi di nuovo.
Charlie era seduto su una sedia in cucina, aveva una pallottola tra le mani che faceva rotolare per il tavolo, ma non era lui a spingerla, si limitava a lasciarla.
<< Avevo ragione, questo tavolo ha proprio una pendenza >> comincia non alzando gli occhi, continuando a prendere e lasciare il proiettile.
<< Lo sai che in questo momento >> indico con il dito lo spazio tra di noi, per poi sedermi dalla parte opposta di fronte a lui. << sembri tanto un poliziotto cattivo che vuole estorcere informazioni al criminale di turno? >>
<< Se fosse cosi … >> comincia alzando la pallottola, mettendola in piedi per evitare che rotoli.
Appoggia il palmo di una mano sul tavolo e l’altra sopra e infine guardandomi serio. << … avrei preso la pallottola, che legalmente fuori da una pistola non ha nessun pericolo … >> riprende il proiettile e se lo rigira tra le dita. << … e te lo puntavo contro … >> sposta il proiettile puntandolo sul serio. << … dicendoti che anche se esercito una pressione sul tamburo, può partire, e quindi ucciderti, ed io legalmente, sono innocente, perche non ho usato una pistola, e quindi è stato un incidente >> finisce di parlare riappoggiando il proiettile sul tavolo.
<< Ora signorinella, mi dici che fine hai fatto >> continua riappoggiando le mani una sopra l’altra e guardandomi tranquillo.
Io, solo in quel momento, quando ha smesso di parlate mi sono resa conto che avevo il cuore a mille e che lo sentivo addirittura nella testa. Potevo davvero avere paura di mio padre? SI, accidenti se l’avevo!!
<< S-s >> cercai di cominciare ma avevo la bocca impastata. Lui si voltò verso la cucina che aveva dietro senza alzarsi e prese un bicchiere d’acqua già pieno, come se sapesse che mi sarebbe servita.
Bevvi. << Sono stata da Leah … >> poteva bastare come spiegazione?
<< Stamattina? E come sei uscita di casa? Io ero giù, e tu non sei scesa per le scale. >> ok, stava facendo sicuramente il poliziotto.
<< Dalla finestra >> riuscì solo a dire.
<< Dalla finestra. Quindi tu sei, in sostanza, scappata per andare da Leah? Perche? >>
Appunto perche? Perche avevo paura di ucciderti papà! E sì, digli cosi Bella!
<< Perché … perche? >> ok stavo cominciando ad arrampicarmi sugli specchi, e invece di riuscire a salire scivolavo miseramente, solo che cominciavo anche a innervosirmi. << Perche si! È venuta a prendermi e siccome tu eri giù, ho approfittato uscendo dalla finestra. >> mi sollevo dalla sedia ancora agitata << E ora se vuoi scusarmi, ho fame. Tu? >>
Lui mi fissa per un lungo minuto e sospira. << Anch’io >> si solleva per andare al telefono. Lo afferra appoggiando le spalle al muro. << Cinese, messicano, indiano. Che vuoi? >>
<< Cinese >> gli rispondo più calma ritornando a sedermi.
<< Vada per il cinese >>
Mentre Charlie parla, mi rendo conto di un paio di cose.
La prima. Sento freddo, sono stata due giorni con vestiti leggeri e senza maniche e non mi sono lamentata del freddo neanche una volta.
La seconda. Mi sono agitata il mio cuore era accelerato dalla paura, e non di adrenalina. Ma comunque ha accelerato, allora perche non ho sentito quella stretta nel basso ventre, quell’anticipo di trasformazione che mi ha fatto scoprire Leah? Che fossi ritornata la ragazza di prima, quella che ero a Jacksonville? E quando? Quando mi sono resa conto di non esserlo più, quando sono ritornata a esserlo?
Ieri sera, ieri sera quando sono tornata a casa, non ero quella che ero stamattina, ero un'altra cosa, non un lupo … ma cosa e come?
<< Bella? >> Charlie mi riscosse dai mie pensieri. << tra venti minuti arrivano, io vado a cambiarmi, apri tu? Qui ci sono i soldi >> cosi dicendo esce il portafoglio dalla tasca posteriore e li appoggia sul tavolo. Salì le scale e sparì per un po’.
Bella era ancora frastornata dal numero di domande che le vorticavano nella testa, non riusciva a capire cosa le fosse successo.
<< Bella! >> si voltò verso le scale. Suo padre la stava chiamando dal piano di sopra.
<< Dimmi! >>
<< La tua roba la appoggio fuori alla porta, mi serve il bagno! >>
<< Okay! >>
Mi alzai dalla sedia immaginandomi come avesse buttato la roba fuori alla porta e lentamente salii le scale.
Per l’appunto, non l’aveva appoggiata, ma appallottolata. La recuperai e portai in camera, lo appoggiai sul letto e apri il fagotto che aveva creato mio padre. All’interno apparte gli slip c’era anche il bracciale, all’interno del cinturino di cuoio c’erano incise delle lettere, non riuscivo a capirne il significato. “Nan limyè de Wolf pwisan solèy la a, fènwa a nan vanpir la lannwit erè ladann. Jouk jou a nan chwa!” . Wolf era lupo questo e certo, ma il resto?
Ben quando lo volevo comprare, mi ha spiegato che gli oggetti non appartenevano a lui ma al precedente proprietario, Billy se non ricordo male. Billy Black.
Pensando a chi potessi chiedere di Billy Black, aprii l’armadio con in mano il bracciale, volevo appoggiarci dentro il vestito di Leah.
All’interno, sulle ante dell’armadio ci sono degli specchi, mi guardai a uno di essi con il bracciale in mano, e guardando i movimenti dallo specchio m’infilai il bracciale per poi sollevare il polso per aiutarmi con i denti a stringere il cinturino scorrevole. Sollevai lo sguardo nel farlo e quello che vidi mi lascio paralizzata.
I miei occhi, erano cambiati nel giro di un secondo, la mia carnagione nonostante sia già bianca lo era di più e i miei capelli che asciugandosi erano diventati crespi, erano perfettamente lisci.
<< Ma cosa … >> persino la mia voce, rimbalzata sullo specchio, mi sembrava non mia.
La mia mente fece due più due prima della mia coscienza. Mi tolsi il bracciale e nel momento il cui lo sfilai dal polso, mi riguardai allo specchio ed ero ritornata quella di prima, tutto questo nel arco di pochi secondi.
<< O. MIO. DIO. >>
Indietreggiai continuando a guardare il bracciale, finche con le gambe non scontrai sul letto sedendomi a peso morto.
Mi sollevai di nuovo guardandomi allo specchio. Prima della doccia in bagno ero normale quando avevo il bracciale, la mia carnagione era normale, il colore dei miei occhi anche, i capelli erano un mezzo disastro, come lo sono adesso, eppure se adesso infilo il bracciale cambio totalmente, perche?
<< Che cosa divento? >> la tentazione di rimettermi il bracciale era forte, ma il campanello al piano di sotto mi fece desistere facendomelo infilare nella tasca della tuta.
Scendo velocemente, apro la porta trovandomi un ragazzino dagli occhi a mandorla che mi porge una busta.
<< ventiquatlo dollali e cinquanta >> mi dice con un accento poco americano.
<< Grazie >> gli consegno venticinque dollari. Con un gesto della mano gli faccio capire che non voglio il resto e lui con un inchino si gira e va via.
Mi chiedo se non lo facciano apposta, se davvero quell’accento sia reale o semplicemente lo mantengono loro per differenziarsi dalla massa. A Jacksonville c’erano molti cinesi e la maggior parte dei giovani nati e cresciuti in America parlavano perfettamente sia l’inglese sia il cinese, senza inflessioni sulla lingua.
<< Qui sarà diverso >> mi ritrovo a dire ad alta voce.
<< Che cosa sarà diverso? >> mi domanda mio padre scendendo dalle scale con dei jeans e una camicia di flanella.
<< Mi chiedevo se i cinesi lo facessero apposta quello strano accento >> gli risposi appoggiando la busta in cucina, per poi estrarne il contenuto, guardando all’interno cosa ci fosse.
In risposta ebbi una sonora risata. << Erick, sempre in solito! >> e continuò a ridere.
<< Erick? Non è un nome propriamente cinese >> costatai l’evidenza.
<< Non lo è infatti, ma sua madre è cinese e quindi ha avviato un’attività di ristorazione e suo padre è americano, lui non parla proprio il cinese, ma con chi non conosce fa il finto scemo. Lo faceva anche con me quando ha cominciato a consegnare il cibo per la madre in giro! >> e giù altre risate.
Ci sedemmo a mangiare, aveva ordinato involtini primavera, spaghetti ai frutti di mare e waton fritti. Non molto pesante per una cena.
Mangiammo quasi in silenzio, tranne che per qualche commento sulla mia amicizia con Leah, del tipo “sono contento che esci con lei, ma almeno fammi sapere quando esci”.
Poverino, non ha tutti i torti.
Una volta finito di mangiare, buttai tutti i contenitori mentre Charlie si sdraiava comodamente sul divano, ma dopo un po’ di zapping su tutti i canali si alzò nuovamente, giusto in tempo per finire di sistemare la cucina.
<< Io vado a letto. È stata una giornata troppo lunga >> mi dice cominciando a salire.
<< Come mai? >> gli domando sinceramente curiosa.
<< Beh ieri sera un uomo è stato ucciso proprio davanti a casa nostra, il suo cane aveva il collo spezzato e lui era completamente dissanguato >> mi spiego guardando il pavimento, e mentre lui spiegava io, rivivevo le scene vive di quello che successe.
<< E cosa pensiate sia successo? >> mi tremava al voce.
<< Un assassinio, questo è sicuro. Stiamo indagando sulla vittima, in caso avesse dei nemici, anche se a Forks, questo è il primo caso che sento di vampirismo >>
<< Vampi che? >> mi ritrovo a chiedergli.
<< Vampirismo, vedi il collo della vittima riportava dei segni di morsi, e l’arteria era perforata, quindi si classifica come vampirismo, o vittima di vampiri. Non dico che ce ne siano, ma spesso i pazzi credono di esserlo e uccidono le persone in quella maniera. Si pensa a una vendetta, la vittima sta risultando essere in un giro strano. >> termina alzando lo sguardo.
Qualcosa però deve aver visto in me, perche mi viene subito in contro abbracciandomi. << Maledizione, scusami Bella, non avrei dovuto, tu non avresti dovuto sapere niente. Sono stato un incosciente a raccontarti tutto! >> mi allontana dal suo petto per asciugare le lacrime dal mio viso.
<< Non fa niente … >> continuavo a piangere.
<< Non avrei dovuto, perdonami >>
<< Non fa niente … >>
<< Vieni, bevi un po’ d’acqua >> mi trascina verso il rubinetto della cucina, riempie velocemente un bicchiere e me lo porge.
<< Va meglio? >>
Annuisco soltanto.
<< Non ti devi preoccupare. È un caso raro qui a Forks, troveremo il colpevole e sarà consegnato alla giustizia >> mi ritrovai a sussultare per quell’affermazione.
<< Andiamo a letto vieni >> poggiò il bicchiere sul lavello dopo averlo preso dalla mie mani e mi trascinò per le spalle su per le scale.
Quando apri la porta della mia camera per accompagnar mici dentro lo fermai << Devo andare un attimo in bagno >>.
<< Okay, io vado a stendermi >> mi diede un bacio sulla fronte << a domani, buona notte >> si girò ed entro nella sua camera socchiudendola appena.
Entrai nel bagno i chiusi a chiave e mi sfilai dalla tasca della tuta il braccialetto, appoggiandolo nel lavandino.
Un vampiro. Ecco cosa diventavo, un vampiro. E come? Perche stamattina non lo ero? Perche mi trasformavo in un lupo? Che potessi scegliere? Che cosa essere e quando esserlo o era il bracciale a decidere? Se me lo rimetto forse torno a essere un lupo, o un vampiro? Come riesco a capirlo? Ma certo, dall’aspetto!
Infilo il bracciale guardandomi allo specchio, quando sollevo il polso per stringere il cinturino cambio, i capelli si allisciano la pelle diventa ogni attimo una tonalità più chiara e con l’ultimo respiro dei polmoni i miei occhi diventano di un rosso acceso.
Mi ritrovo a sorridere, toccandomi il viso, con le dita sfioro le occhiaie violacee che ho, rendendomi conto che probabilmente mi rendono ancora più attraente. Sono attraente! La cosa mi entusiasma. Poi mi rendo conto che non sto respirando e la cosa non sembra darmi fastidio, mi tocco il petto come riflesso incondizionato trovandolo completamente fermo. Il respiro, il cuore, non li sento più, e quando provo a ispirare con la bocca il mio petto, si muove ma il mio cuore resta fermo come cristallizzato.
A quel punto me ne rendo conto, il cuore del bracciale serve a questo, un lupo da una parte il cuore dall’altra. Sorrido come una stupida rendendomene conto.
Esco dal bagno continuando a guardare il bracciale, ed entro nella mia camera sentendo russare già mio padre.
Ma quando entro un terribile tanfo mi fa coprire le narici, un tanfo che proviene dal mio letto, annuso piano avvicinandomi e mi rendo conto che sono i vestiti a puzzare, un tanfo, come di spazzatura, come quando trovi i gatti per la strada o peggio … i cani.
Mi ritrovo a sorriderne, ero io a emanare quell’odore poco prima, povera Lea che mi era accanto, eppure non mi sembrava di puzzare cosi tanto.
Mi siedo sul letto e lentamente mi stendo, meglio dormire. Chiusi gli occhi per non più di due secondi poi gli riapri.
<< Non ho sonno >> cosi dicendo mi alzai e uscendo dalla camera scesi le scale per andare in cucina, c’era odore di buono nella casa, qualcosa che metteva l’acquolina. Non capivo cosa fosse finche non aspirai dal naso a pieni polmoni e mi resi conto che la cosa che mi faceva venire l’acquolina non era in cucina, ma di sopra.
<< Sangue >> mi ritrovai a ringhiare piano. Ma appena mi resi conto di quello che avevo detto, mi tappai il naso con le mani. Devo uscire da qui!
Aprii la porta d’ingresso e l’aria fredda della sera mi rischiarò le idee, presi un respiro profondo e rientrai lasciando la porta aperta, presi le chiavi di Charlie, e m’infilai delle scarpe da tennis che stavano conservate insieme alle altre nella lavanderia sotto le scale.
Usci di casa richiudendomi la porta alle spalle, devo tornare prima che si svegli e con questa promessa cominciai a correre per dirigermi nella foresta.

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO CINQUE ***


“È GIOVEDI?”
-NO SABATO!!-
“SCUSATEMI!!”
-SI VABBE DOPO CE LO SPIEGHI!-
“OK, BUONA LETTURA!”

CAPITOLO CINQUE

Mi portai un orologio al polso. Le dodici e mezzo.
Dovevo tornare a casa prima che Charlie si svegliasse.
Raccontare quello che mi succedeva a Leah mi sembrava la cosa più importante del mondo in quel momento.
Aprii lo sportello del pick-up facendo cigolare il portello. Se solo aprendolo, faccio questo baccano, figuriamoci se lo metto in moto! Ok, pick-up a casa.
Decisi di cominciare a camminare, arrivare a La Push a piedi non era propriamente un’ottima idea, ma probabilmente se correvo …
Cominciai a correre, rendendomi conto che la velocità era troppo elevata per correre su una strada dove potevo essere tranquillamente vista. Preferii i boschi.
Quando cominciai ad addentrarmi nel bosco, il rumore di un motore che si avvicinava, mi fece fermare. Guardai curiosa quel faro che si avvicinava nella strada deserta. Le due persone che vi erano sopra, un ragazzo avanti e una ragazza dietro, mi guardarono curiosi e dopo mi passarono oltre … la scia che emanavano … l’odore di buono …
Il mio cervello non aveva più pensieri razionali, si trasformarono in pensieri animali, omicidi, e solo per un attimo ne ebbi paura, ma solo per un attimo, prima che la mia coscienza si tramutò in fame.
Aspirando forte con il naso per coglierne meglio la fragranza cominciai a seguirli, prima con un andatura veloce, poi di corsa, vedevo la moto avvicinarsi e gli ignari passeggeri continuare la loro marcia tranquilli.
La mia bocca si bagno di quella che sembrava saliva quando stavo per prendere la ragazza dietro, i suoi capelli mi sfioravano la faccia facendomi vibrare le membra di pura e folle frenesia e nel momento in cui stavo per afferrarle il braccio con l’intento di farli cadere qualcosa mi piomba addosso fermando la mia corsa e sbattendomi letteralmente contro la seconda fina di alberi nel bosco.
Mi alzai ringhiando in un balzo, non vedevo nessuno, non sentivo altro che l’odore del sangue che mi era stato portato via. Provai di nuovo a tornare in strada per riuscire a recuperare i ragazzi, ma qualcosa o qualcuno mi fermò bloccandomi da dietro.
Un braccio intorno al collo e l’altro che afferrava il mio polso destro, torcendolo dietro la schiena.
<< Chi sei? >> ringhiai dimenandomi.
Non ricevetti risposta. Con il braccio sinistro, con il quale tentavo inutilmente di togliere il suo braccio dal mio collo, gli sferrai una gomitata sull’addome talmente forte che lo feci arretrare di tre passi buoni. Quando mi voltai ringhiando lui si stava sollevando.
<< Chi sei? >> ringhiai con più forza.
<< Questo è il mio territorio, non puoi cacciare qui! >> mi rispose con il viso duro.
La sua voce, l’avevo già sentita quei capelli, gli avevo già visti e quegli occhi …
<< Sei un vampiro … >> costatarlo non è stato un pensiero intelligente, ma ricordandomi di cosa fece a quel cerbiatto, non potevo che paragonarlo a quello che feci io a quell’uomo.
Non rispose, continuava a guardarmi attento, con il viso contrito, forse per via della gomitata, si manteneva ancora la parte lesa.
Feci un passo per avvicinarmi e lui di rimando mi ringhiò contro.
<< I vampiri hanno territori? >> cominciai a chiedere.
<< Sì, e questo è il nostro >> la sua mascella scatto.
Guardarlo arrabbiato mi faceva sorridere, non so perche. Aveva un viso particolare, delicato, un naso dritto, gli zigomi alti, degli occhi color oro molto espressivi, che adesso sembravano di ghiaccio.
<< Nostro? >> mi avvicinai sorridendo ancora. << tuo e di? >>
Fece un passo indietro, per poi attaccarmi. Il suo movimento fu fulmineo ma riuscii a vederlo, come se fosse stato a rallentatore, schivai la sua mano che puntava dritta alla mia faccia e ne fui fiera, quando ci riprovò reagii d’impulso, schivai l’altro braccio e con il mio puntai dritta al suo collo, afferrandoglielo.
<< Tuo e di? >> chiesi di nuovo, seria stavolta.
<< La mia famiglia … >> rispose a qualche centimetro da terra afferrando la mia mano tra le sue.
E cosi c’erano famiglie di vampiri qui a Forks?
<< Mettilo giù dolcezza! >>
Sentii una voce maschile alle spalle, ma quando mi voltai, ne vidi due, uno alto e biondo, con delle cicatrici sul viso e sul collo, mentre l’altro era poco più alto del primo, ma due volte tanto, con dei corti capelli neri.
Gli accontentai, scagliando il loro amico direttamente in braccio a quello più grosso.
Al biondo non piacque. Si butto contro, tipo toro, la testa bassa, invece di arrivarmi davanti, fece uno scatto laterale e me lo trovai di fianco. Per evitare il colpo saltai sul ramo più basso dell’albero che avevo dietro. Non si aspettava questo gesto probabilmente, mi cercò per un attimo prima di alzare lo sguardo.
<< Non sei una neonata >> mi dice assottigliando gli occhi.
<< Ti sembro una pargola? >> rispondo di rimando saltando da un ramo all’altro per poi scendere dietro all’altro ragazzo più grosso.
Questo si volta con ancora una mano impegnata a sostenere l’amico, e con l’altra tesa per colpirmi, ma il suo movimento sembra lento e mi abbasso schivando il colpo, per poi afferrargli il braccio e non so per quale forza, o con che equilibrio, lo tiro verso di me facendogli lasciare l’altro, per poi farlo volare contro il biondo che nel frattempo arrivava.
Con i due momentaneamente lontani mi avvicino al ragazzo a terra.
<< Ero solo curiosa … >> mi abbasso guardandolo in faccia << … non avevo intenzioni ostili, mi avete fatto reagire d’istinto >> continuavo a guardarlo, lui mi guardava di rimando, non aveva più quell’espressione contrita, forse il fianco non gli faceva più male, e visto cosi da vicino era tremendamente bello, quasi da far male.
Non so cosa mi spinse a farlo, forse la sicurezza fisica, sono maledettamente forte, forse il fatto che un cuore non l’avevo più, e dopo quello che avevo fatto, mi sarei meravigliata di averne ancora uno ma mi avvicinai, sfiorando quel viso cosi bello con la mano, per poi infilare le dita tra quei capelli cosi strani e particolari.
Lui non si muoveva, se prima stava respirando, in quel momento sembrava una statua.
<< Hai paura? >> gli chiesi guardandolo negli occhi.
Non rispose, ma il suo viso si appoggiò sulla mia mano, come un cucciolo bisognoso di coccole, a quel punto mi sciolsi attirandolo a me per baciarlo. Le sue labbra carnose erano morbide e setose.
L’incantesimo durò qualche secondo, il tempo di avvertire qualcosa che mi arrivava alle spalle e fu tutto molto veloce. Appoggiai la stessa mano che avevo tra i suoi capelli sulla sua spalla per darmi lo slancio, e l’omone gli piomba addosso mancando me, per poi schivare il biondo che cercava di afferrarmi e per poco non ci riusciva.
<< Fermati Jasper! >> il biondo si ferma ma non mi perde di vista.
Dietro di lui, il grosso fa alzare il ragazzo.
<< Tu la senti? >> continua il ragazzo.
Il biondo spalanca gli occhi guardandomi, ma non parla.
<< No … >> continua il ragazzo.
Alternavo lo sguardo da lui al biondo, che significava quel discorso?
<< Può darsi che non lo è >> continua imperterrito il ragazzo, avvicinandosi, non perdendomi neanche lui di vista.
<< Ne ha la forza però >> dice il biondo quando il ragazzo, oramai, gli è affianco, continuando a non perdermi di vista.
<< L’ho notato >> gli risponde massaggiandosi il fianco. Nel farlo sorride, un sorriso a mezza faccia che gli illumina il viso.
Gli ormoni Bella, gli ormoni a cuccia!
Il biondo sorride e si addrizza, perdendo quella posizione arcuata che aveva.
<< Come ti chiami? >> mi chiede il ragazzo.
Inventa Bella, non puoi dirgli il tuo nome, inventa, inventa, inventa ---.
<< Marie >> che fantasia!
Il biondo s’irrigidisce un attimo. Il ragazzo guardò lui e poi di nuovo me.
<< Voi? >> domando guardandoli ad uno ad uno.
Il ragazzo allunga una mano poggiandola sulla spalla del biondo << lui è Jasper … >> con un gesto del mento indica dietro di se << … quello è Emmett >> l’omone solleva la mano << … io, sono Edward >>.
Se fossi stata la Bella di prima sarei stata burro fuso adesso, da raccogliere con un cucchiaio, invece, ero immobile, forse non respiravo neanche.
Jasper mi guardava con un sopracciglio alzato, e per un attimo Edward lo guardò, per poi guardare di nuovo me.
<< Come ti dicevo Marie. Questo è il nostro territorio. Non puoi cacciare umani qui >> mi disse Edward in maniera molto calma, come se stesse parlando con una bambina.
La parola umani mi fece irrigidire, non volevo essere un mostro ma quell’odore mi faceva perdere la testa, e pensare in maniera razionale, mi era davvero impossibile.
<< Ma … >> quello che vidi nella foresta la notte prima non era propriamente un umano << … Neanche voi li cacciate … >> costatai.
<< Vedi Marie … >> continuò Edward << … Preferiamo avere una copertura, non vivere nascosti, ma insieme agli umani >>.
Come insieme? Quanti vampiri giravano per la città come se nulla fosse?
<< Come … >> volevo continuare la frase, con una domanda sensata, ma il cervello era andato per la tangente.
<< Ci costa un certo sforzo >> rispose Jasper e tutti annuirono.
Mentre cercavo di assimilare queste parole il mio orologio cominciò a suonare.
Le cinque meno un quarto, dovevo correre a casa.
<< Devo andare >> non li salutai, cominciai a correre verso casa mia, non dovrebbe trovarsi molto lontana, per inseguire i ragazzi sul motore sono tornata indietro di parecchio.
Esco dalla vegetazione guardandomi intorno, ma una mano mi afferra il braccio, e mi trascina dentro la vegetazione, quando mi giro mi ritrovo con il viso di Edward a pochi centimetro dal mio.
<< Dove vai? >> mi domanda e sembra agitato. Forse ha paura che ammazzi qualcuno.
Lo guardo accigliata, sono consapevole che non riesco a resistere, ma non ho bisogno della balia << Non t’interessa >> gli do uno spintone sulla spalla e perdendo l’equilibrio mi afferra la mano trascinandomi con sé.
Quando sbatto la testa sul suo petto comincia a ridere, una bella risata, molto musicale.
Mi ritrovai cavalcioni su di lui con le braccia a tenermi sollevata, i miei capelli gli circondavano il viso, continuava a ridere ed era lo spettacolo più bello del mondo.
Però ora basta << Hai finito? >> gli domando cominciando a innervosirmi.
<< Non ancora >> mi disse soltanto prima di afferrarmi il viso tra le mani e baciarmi, un bacio lento che sapeva di buono, con lo stomaco completamente contratto schiusi le labbra e il suo respiro mi entrò nei polmoni, una sensazione strana, era fresco.
L’orologio suonò di nuovo, mi staccai da lui sollevandomi in un attimo.
Le cinque meno cinque, maledizione!!
<< Devo andare, non mi seguire >> e mi girai per andarmene.
<< Tornerai? >> mi domandò sollevandosi.
<< Domani … domani sera >> gli risposi cominciando a correre. Sperai che non mi seguisse, e girandomi lo trovai ancora là appoggiato al tronco di un albero, gli sorrisi e mi sorrise di rimando.
Poi mi voltai per continuare a correre, quando arrivai sotto la finestra di camera mia, il sole cominciò a sorgere creando colori violacei nel cielo e un dolore lancinante mi prese al petto facendomi mancare il respiro, per poi diffondersi come lava per tutto il corpo. Mi accasciai al suolo dolorante, il respiro accelerato le mani a stringere la felpa della tuta all’altezza del cuore, poi il dolore finì lasciandomi ansante sul terreno, cercai di salire l’albero, ma ero stanca e la cosa si rivelò più difficile del previsto.
Una volta entrata dalla finestra la prima cosa che vidi fu il mio riflesso nello specchio dell’armadio che avevo lasciato aperto. I capelli di nuovo crespi, il colorito alle guance e i miei occhi. Ero tornata normale. Non feci in tempo a costatarlo che la sveglia di Charlie mi portò alla ragione, subito mi spogliai e m’infilai sotto le coperte.
Ci volle pochissimo, Charlie si alzò e venne a controllarmi, appena richiuse la porta il sonno con tanto di Morfeo al seguito, che mi faceva segno con il ditino, mi prese.

Non sapevo se sognavo o se ero nella realtà ma una botta allo stomaco mi fece saltare.
<< Sveglia dormigliona!! >> Leah comodamente seduta sulla mia pancia mi guardava divertita.
Cominciai a ringhiare, toglietemi tutto ma non il sonno!
La feci saltare con una botta d’anche e scesi a mia volta dal letto << Vuoi la guerra? >> ma non mi stava guardando e aveva perso il sorriso. << Che c’è? >> la domandai.
Non mi rispose, andò dritto verso la sedia dove giaceva la mia tuta prugna, la prese e la annusò << Di chi è? >> mi chiese tra il nervoso e l’arrabbiato.
<< Mia, perche? >>
<< Puzza >> mi disse continuando ad annusarla.
<< Oh, ti ringrazio >> mi sarei dovuta offendere?
<< Non puzza di te, puzza di vampiro >> Quando lo disse buttò la tuta sulla sedia e cominciò ad annusare l’aria, fino ad arrivare alla finestra << è stato qui >> continuò.
<< Sì, so --- >> stavo dicendo ma mi fermò.
<< L’hai ucciso? >> si voltò a guardarmi di scatto.
<< Come? >>
<< Quel bastardo, fetido Vampiro lo hai ucciso? >> sembrava orgogliosa di dirlo.
<< Perche avrei dovuto? >> non riuscivo a capire.
<< Perché è un nostro nemico naturale, siamo nati per questo Bella! È colpa loro se siamo cosi, se cambiamo forma, se siamo lupi. Siamo nati per uccidere i vampiri >>
Questa nuova consapevolezza mi spiazzava completamente, non credevo che mi sarebbe capitata una cosa cosi assurda. Se stanotte fossi riuscita a raggiungere Leah, probabilmente mi avrebbe ucciso. Mi sedetti sul letto, la testa mi girava.
<< Bella? Non lo sapevi? >> Leah mi venne davanti poggiandomi le mani sulle spalle.
Riuscì solo a negare con la testa.
<< Vestiti, vieni con me. Anzi no … >> mi sollevò e mi tolse la maglia che avevo addosso sbottonandomi il reggiseno, il mio cuore cominciò a galoppare mentre la lasciavo fare, quando afferro il bordo delle mutandine, una stretta nel basso ventre mi prese prepotente.
<< Non ancora Bella, calmati >> mi prese il viso tra le mani << respira >> mi disse lentamente, cominciando a respirare con me, sorrise << Brava >>.
Prese il vestito che mi aveva prestato e con un elastico che ha tirato fuori dai pantaloncini lo arrotola e me lo lega al polpaccio.
<< Pronta >> disse contenta.
Io invece sembravo una statua, non mi ero mossa l’avevo lasciata fare senza reagire.
Ma quando cominciò a spogliarsi anche lei, il cuore ricominciò la sua corsa, era bella, maledettamente bella, ed io ero attratta da lei in una maniera poco lecita.
Si legò tutto al polpaccio e mi afferrò la mano avvicinandoci alla finestra.
<< Pensi di atterrare già trasformata o hai bisogno di una mano >> mi domanda voltandomi il viso con una mano per guardarmi negli occhi.
La stretta allo stomaco la sentivo, probabilmente sarei riuscita a trasformarmi prima di toccare terra, ma esserne sicuri era di certo molto meglio.
La afferrai per i fianchi e la baciai, non perse tempo e rispose al bacio, quando m’infilò la lingua tra le labbra ed io con la mia gli diedi il benvenuto, un ringhio partì dai nostri petti.
Più che pronte oramai, saltammo dalla finestra, atterrando sulle zampe.
Ci guardammo un attimo prima che lei partisse di corsa ed io dietro di lei la segui da vicino.
Corremmo nella foresta, correre come un lupo era piacevole, tanto quanto in forma umana e non seppi dire se era meglio in un modo o nell’altro. Era bello in entrambi i casi.
Leah si fermò di colpo, io la superai di poco tornando indietro per quel poco che l’avevo superata, lei si sedette e io la imitai.
Non riuscivo a capire cosa volesse, cosa stesse succedendo o cosa dovessimo fare, ma restammo lì sedute per pochi minuti il tempo di sentire il lontananza un ululato per poi ritrovarmi completamente circondata da lupi, raggiungevano e superavano la decina.
Erano tutti della mia stazza, un po’ più grandi di Leah, tranne che per due, molto più grossi, uno nero alla mia destra e l’altro rossiccio dalla parte opposta alla mia sinistra.
Mi alzai e girai su me stessa, non sapevo cosa potesse accadere, quando quello nero fece un passo avanti abbassai la testa e ringhiai pronta a balzargli addosso.
Non riuscire a capire niente mi dava un tremendo fastidio. Leah si sollevo e si mise tra me e il lupo nero, facendomi ritrovare la calma, gli voltava la spalle, quindi si poteva fidare di lui, ed io, potevo?
Cercai di rilassarmi, ma non ci riuscivo, continuavo a guardarmi intorno, pronta a scattare ad ogni movimento.
Leah si gira dandomi le spalle, guarda il lupo nero, poi gli altri al suo fianco e non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo, sono cosi agitata che se la situazione non cambia mi prende un infarto. E pensare che stanotte neanche l’avevo un cuore.
Alle mie spalle qualcuno si muove, mi volto in meno di un secondo ringhiando. Al mio gesto il lupo rossiccio si ferma, guarda dietro le mie spalle, per poi guardare di nuovo me. Soffia dal naso, come se avesse fatto uno starnuto e io ringhiai più forte.
Se si muove gli salto addosso!
Non feci in tempo neanche a formulare quel pensiero che il lupo rossiccio si mosse, facendo un passo. Scattai d’istinto, le zampe posteriori reagirono ancor prima che io formulassi un pensiero coerente, facendomi compiere un salto, contro il lupo dal pelo rossiccio.
Gli atterrai addosso facendolo cadere, cercavo di morderlo ma con abili scatti mi scansava, continuavamo a rotolare e io continuavo ad attaccare, rendendomi conto con l’ultimo tentativo che ero io quella ostile, lui cercava solo di difendersi non attaccando.
Andammo a sbattere contro un albero, o meglio ci andai a sbattere io nel tentativo di morderlo, e lì mi fermai, capendo che non ne valeva la pena, probabilmente se avesse reagito sarei già morta.
Accucciata e ansante, riuscì a trovare la calma per tornare normale.
<< Beh, non so tu, ma io sono stanca … >> avevo il fiato corto, e le gambe non mi reggevano, rimasi lì seduta con il tronco a sostenermi, non m’interessava che fossi nuda.
Il lupo mi guardava e con un sospiro tornò lentamente normale.
<< Ci farai l’abitudine >> mi rispose sorridendo.
Avete presente quando rimanete folgorati da un sorriso?
Ecco era sicuramente il mio caso.
E non solo dal sorriso, era alto, tanto alto, il fisico massiccio e asciutto, degli addominali da far invidia ai palestrati, un visino da ragazzino, un sorriso che faceva contrasto con la sua pelle ambrata, un nasino a patata -non di quelle grasse, una patatina- due occhi neri da perdersi che erano illuminati dal suo sorriso.
Ed io come un ebete a fargli la radiografia.
<< A cosa? >> a te nudo davanti a me? È una proposta?
<< All’essere un lupo. Leah ci ha spiegato che ancora non ci riesci senza un aiuto >> si avvicina facendomi l’occhiolino e tendendomi la mano.
A quel punto, non per volontà mia, ma perche si trova nella stessa traiettoria della mano, gli guardo il “pacco”, e che pacco, non l’aveva a riposo, ma neanche completamente eretto.
<< Che c’è, non ne hai mai visto uno? >> mi prende in giro.
Sfrontato, maleducato … eccitante …
<< Sì, facevo paragoni >> gli afferro la mano e sono sicura di essere più che rossa in viso.
<< Certo certo >> se la ride il disgraziato!
Mi sollevo, ma le gambe davvero non mi reggono e per sostenermi mi appoggio con le mani al suo petto e lui fa lo stesso afferrandomi alla vita, la testa senza volerlo va a finire vicino alle mani.
La sua pelle scotta, in calore che emana mi fa sentire al sicuro, come una bambina tra la braccia del papa.
<< Stai bene? >> mi sussurra tra i capelli.
<< Mai stata meglio … >> ma perche non ragiono prima di parlare?
Stacco la testa dal suo petto e con le mani mi allontano da lui. << Scusa, si sto meglio >>
Non mi ha ancora lasciato la vita però.
<< Io sono Jacob >> mi afferra i fianchi e si avvicina.
<< Io sono Isabella >> la mano destra tra me e lui, solo quella ci distanziava, un palmo di mano.
<< Il piacere è tutto mio, Bella >> mentre parlava il suo viso si avvicinava al mio, ed io come calamitata non riuscivo a reagire, finche le sue labbra finirono sulle mie, calde, bollenti, rudi.
Mentre lo baciavo, mi tornarono altre labbra in mente, delicate, gentili e fresche.
Il giorno e la notte, completamente opposti.
<< Ehm, ehm >> ci staccammo appena sentimmo tossire.
<< Ho interrotto? >> chiese Leah con le braccia conserte.
<< Assolutamente no >> mi staccai da Jacob e arrancando sulle gambe che ancora non mi reggevano, raggiunsi Leah.
Senza che le dicessi niente si abbassa slaccia dalla gamba il vestito e me lo porge << Ce la fai? >>
Non faccio in tempo a rispondere che la sento dire << dai, alza una gamba … l’altra >> si solleva portando il vestitino alla vita per poi aiutarmi a infilare le braccia e chiudere la cerniera.
<< Meglio? >> mi guarda tranquilla ed io le sono sinceramente grata, non so se ci sarei riuscita da sola.
<< Era meglio prima >> commenta Jacob.
Ci giriamo verso di lui che aveva messo dei bermuda color sabbia.
<< Giù le mani Jacob Black >> lo minaccia Leah, per poi appoggiarmi un braccio intorno alle spalle per aiutarmi a camminare.
<< Neanche fosse tua >> commenta Jacob seguendoci.
Leah si ferma mi guarda, e non ho la più pallida idea di cosa vede che sorride.
<< Lei è mia >>


ANGOLETTO:
CHE DIRE … PURTROPPO QUESTA STORIA NON HA DATO L’EFFETTO SPERATO.
POCA PUBBLICITA’ POCHE CONOSCENZE, O FORSE SEMPLICEMENTE SCRIVO DA CANE.
COMUNQUE … QUESTI SONO DUE CAPITOLI INSIEME, GLI HO ACCORCIATI UN Po’ ALTRIMENTI SAREBBE VENUTO UN PAPIRO DI 12 PAGINE, 7 POSSONO BASTARE.
HO SCRITTO UNA ONE-SHOT PER L’ESTATE, PER CHI FOSSE INTERESSATO LA TROVATE SULLA MIA PAGINA O Devil .
BACI ALLA PROSSIMA!

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO SEI ***


RINGRAZIO CHI MI HA RECENSITO, CHI MI HA PREFERITO E CHI MI SEGUE, RINGRZIO ANCHE CHI LEGGE A BASTA.
QUESTA STORIA VA AVANTI GRAZIE A VOI UN BACIONE!


CAPITOLO SEI

Leah mi teneva ancora sotto braccio mentre continuavamo a camminare.
Mi riteneva sua, ed io non potevo far altro che assecondarla, in fin dei conti era merito suo se riuscivo a capire come trasformarmi o cosa fare. A quanto pare l’eccitazione funziona meglio della rabbia.
Alcuni del branco avevano ancora la forma di lupo, tranne il lupo nero, che mi ha detto Leah che si chiama Sam, il lupo rossiccio Jacob, noi due e suo fratello Seth.
Sam continuava a sbirciarmi con la coda dell’occhio, che si fosse accorto che ero io quella notte? Forse lo sospettava, o lo sapeva per certo, ma non sembrava darlo a vedere, o meglio sì, lo dava a vedere ma non l’ha detto a nessuno probabilmente, perche non se né mai parlato.
<< A che pensi? >> Leah mi sussurro all’orecchio.
Rabbrividì sentendo il suo alito caldo e lei se ne accorse, infatti, sorrise.
<< Mi chiedevo, dove stessimo andando >> una mezza bugia.
<< Da mio padre >> rispose Jacob, poco dietro di noi.
<< Suo padre … >> comincio Leah a voce alta << … è il capo del villaggio, fa parte degli anziani. Ci potrà spiegare perché non puoi sentirci >> continuo in tono normale.
<< è un lupo anche lui? >>
<< No, il gene si risveglia saltando una generazione >> rispose Jacob.
Non chiesi altro, continuammo a camminare in silenzio.
<< Ma com’è possibile che lei sia un lupo? >> domandò Seth, probabilmente facendo la domanda più appropriata e brutale.
<< Già >> si voltò Sam.
<< Ragazzi, ma che ne sa Bella! >> mi difese Leah.
Già, che ne sapevo io.
Sollevai il polso con il bracciale, non l’avevo ancora messo a posto.
<< L’ho già visto quello! >> disse Jacob affiancandomi. << Era nel negozio di mio padre! >>
Dannazione!!
<< T-tuo padre? >>
<< Sì, ora è una libreria, non credevo che avesse lasciato le altre cose >> continuava a parlare fissandomi il polso.
Che sapesse? E il padre lo sapeva?
Mi fermai di scatto.
Non potevo andare da Billy Black, non potevo. Avrebbero capito, avrebbero scoperto che di notte ero un vampiro, me l’avrebbero tolto, non potevano togliermelo.
<< Bella? >> Leah mi guardava preoccupata.
<< Devo tornare a casa, tra un po’ Charlie tornerà >> era la mia unica scusa.
<< Vieni >> mi spinse Jacob con un sorriso << tornerai a casa in meno di cinque minuti con la velocità di un lupo >> e mi prese lui sotto braccio stavolta. Sembravo una nana al suo confronto. Leah stranamente non si oppose a questo contatto, e mi prese solo la mano.

Arrivammo a una casa alquanto piccola.
<< Aspettate qui >> ci disse Jacob entrando.
Dopo poco usci spingendo una carrozzella, l’uomo su di essa mi ricordava qualcuno. Io l’avevo già visto quest’uomo.
<< Ciao Bella, è tanto che non ci vediamo! >>
Ma certo, a casa di papà, lui era l’amico con cui mio padre andava spesso a pesca!
<< Ciao Billy >> chissà che gli era successo?
Andammo nel retro della casa, c’era uno spiazzale con dei tronchi, molti ragazzi seduti ad attenderci a quanto pare.
<< Chi sono? >> chiesi a Leah.
<< In resto del branco >>
Mi sedetti tra Leah e suo fratello attendendo, non so cosa. Jacob si sedette all’estremità di un tronco vicino al padre.
Sam si alzò.
<< siamo qui per un chiarimento … >> cominciò ed io per riflesso nascosi il bracciale tra le gambe << … Bella è un lupo. >> Billy mi guardò con meraviglia, ed io abbassai lo sguardo, non sapevo se sentirmi imbarazzata o colpevole << Solo, che non riusciamo a sentirla >> concluse sedendosi.
Billy continuò a guardarmi incuriosito poi, distolse lo sguardo guardando Sam << Non è del branco ovvio! >> commentò asciutto.
<< Che significa? >> chiese Jacob.
<< Che per sentirle i pensieri deve essere una di voi, e poiché non è della riserva, è come se fosse lei stessa un alfa >>.
<< Come … com’è possibile? >> Leah tremava e il suo cuore cominciò a galoppare.
Le accarezzai la gamba << Calmati >>
<< Vedi … >> ricominciò Billy << … voi siete nati nel branco, di conseguenza non avete potuto scegliere un alfa, vi è stato imposto dalla gerarchia. Bella non è nata nel branco, quindi può scegliere di essere al di fuori di questa cerchia o farne parte >>.
Leah sospirò delusa << Peccato >> la sentii sussurrare.
<< Come faccio a farne parte? Eventualmente >> non mi sembra la cosa più saggia far entrare estranei nella mia mente, soprattutto se non voglio che sappiano il mio segreto.
<< Devi sottometterti all’alfa >> sollevò le spalle come se fosse la cosa più semplice del mondo e lo era, visto da fuori.
<< Che cosa!! >> fummo in quattro a sollevarci e gridarlo a unisono: io, Leah, Jacob e Sam.
<< Ehi! >> Billy sollevo le mani come a volersi difendere. << Vi ho solo detto qual è la soluzione, non ho detto che bisogna realizzarlo. Quelli son fatti vostri! >>
Un ragazzo cominciò a ridere come un matto. << Menomale che sono nato già nel branco!! >> ricominciò a ridere seguito a ruota da tutti gli altri.
<< Non sei spiritoso Paul!! >> lo sgridò Leah.
<< Non volevo essere spiritoso >> continuò a ridere << Ma farmi montare da Sam non è nelle mie aspettative >> e ricominciò a ridere più forte, seguito ovviamente dagli altri.
Un altro si alzò ancora ridendo << Io ho fame, chi viene da Emily? >> molti si alzarono con lui.
<< Ehi! >> gli interruppe Sam << Embry, non una parola >> gli ringhio contro << e anche voi! Guai a chi fiata! >>
Tutti annuirono prima di vederli correre via ululando nonostante la forma ancora umana, era come un verso di battaglia.
Seduti, rimanemmo io, Leah, Sam, Jacob, Billy, e altri due dei ragazzi che non si volevano perdere forse il seguito della discussione.
Tutti, triste a dirsi guardavano me.
<< Preferisco restare un alfa >> sentenziai. Probabilmente era quello che volevano sentirsi dire perche tre dei sei presenti sospirarono, Billy non fece una grinza e gli altri due si alzarono per seguire il resto del branco.
<< Si aspettavano una montata in diretta? >> lo stavo solo pensando, ma lo pronunciai ad alta voce senza accorgermene.
Billy fu l’unico che scoppiò a ridere.
<< E con questo >> cominciò Billy afferrando le ruote della sedia << è chiusa l’udienza >> girò le ruote con le mani e si diresse lentamente verso la rampa di legno sul retro della casa.
Dovevo essere sollevata, non era uscito niente riguardante il fatto che fossi un lupo senza diritto di nascita, o del bracciale comprato nel negozio che prima gli apparteneva.
Molto fortunata.
<< Ok >> dissi sollevandomi << Io devo tornare a casa >> i tre che erano rimasti seduti non mi diedero retta e la cosa non mi creava problemi, sembravano persi nei loro pensieri. Uscii dal cerchio di tronchi e mi diressi alla foresta.
Da lupo ci metto cinque minuti a tornare a casa.
Mi guardai un attimo in torno prima di abbassare la cerniera del vestito, non c’era nessuno. Lo appallottolai e lo legai alla gamba, come fece Leah, non mi sembrava uguale, ma quando provai a sbattere la gamba sul terreno, la corda non si mosse.
Ok, pronta.
Accidenti e ora?
Nessun’adrenalina, nessun eccitamento. Come faccio?
Chiusi gli occhi e provai a concentrarmi, ma qualcosa mi spinse contro l’albero più vicino, se non avessi messo le mani avanti, ci avrei sbattuto la faccia.
<< Hai bisogno di una mano >> mi sussurrò all’orecchio, il tono era basso ma lo riconobbi subito. Jacob.
<< No grazie >> mi feci leva con le braccia ma non servì a niente, era troppo forte.
<< Sicura? >> stavolta riuscii a sentire la sua erezione sul sedere << Mi farebbe molto piacere aiutarti >> mi leccò il lobo dell’orecchio e il mio cuore cominciò a galoppare.
Nonostante tutto stava funzionando.
Se ne accorse e sorrise, una delle mani che teneva sui miei fianchi la spostò tra i capelli prendendomeli e tirandomeli un poco mi fece girare il viso per guardarlo.
Non riuscivo a parlare, non capivo se esserne infastidita o maledettamente eccitata e fin ora la seconda mi sembrava la più plausibile.
Con la mano che aveva ancora sul mio fianco, mi accarezzò il ventre e poi sempre più su fino a ritrovarsi un mio seno perfettamente in mano.
Sospirai gemendo, le contrazioni nel basso ventre erano aumentate come il cuore, c’ero quasi.
Gemette anche lui spingendo il bacino ancora più forte sul mio sedere e appropriandosi rude delle mie labbra. Un bacio da togliere il fiato, dove non c’è dolcezza ma solo desiderio, un desiderio animale.
E scoppiai, trasformandomi e di conseguenza allontanandolo.
Avevo il fiato corto e le idee confuse, lo guardai e lui non era da meno, i pantaloni che lasciavano ben poco all’immaginazione, il fiato corto e gli occhi lucidi.
<< Ti voglio >> mi disse soltanto.
“Non l’avevo capito guarda” peccato che non mi potesse sentire.
Ma diamine, dire che non lo volessi anch’io era una bestemmia bella e buona. Cominciai a girargli intorno, non so perché o cosa stessi aspettando, ma lui capì male credo.
<< Non in forma di lupo. Non ti voglio costringere in un branco >> mi accarezzo il mantello, fino ad afferrare la coda per lasciarsela scivolare tra le mani. << Quando avrai imparato magari >> mi sorrise, un sorriso dolce, che stonava visibilmente con l’irruenza animale di prima.
Era un bravo ragazzo, un bravo ragazzo maledettamente eccitante.
Mi sedetti, e cominciai a respirare lentamente, volevo ringraziarlo, e farmi capire stavolta. Tornai normale.
Gli andai in contro senza dirgli niente mi alzai sulle punte abbracciandogli il collo per baciarlo. Un bacio dolce stavolta, ero già abbastanza eccitata da potermi trasformare in qualunque momento << Grazie >> gli sussurrai sulle labbra prima di staccarmi.
<< Corri a casa Bella, o mi rimangio tutto >>.
Mi ritrasformai con molta più facilità e cominciai a correre, non sapevo che ore potessero essere, ma arrivai a casa in un lampo, ritornai normale e mi rivestii velocemente, per poi entrare dalla porta di servizio.
Papà non c’era e l’orologio segnava le tredici e dieci minuti.
Prima il pranzo o la doccia, prima il pranzo o la doccia? Prima il pranzo.
Tirai fuori dal congelatore del pesce, piastra o forno piastra o forno.
Se lo metto in forno, posso farmi la doccia, sulla piastra no. Ok.
Accesi il forno condii il pesce con spezie pomodori e patate e lo buttai nel forno ancora freddo. Tra il riscaldamento e la cottura ci vogliono almeno venti minuti.
Prendo il timer da forno e corro di sopra.
Mi tolgo il vestito e apro la doccia. Se mi tolgo il bracciale, finisco svenuta come l’altra volta, se invece lo tengo, lo posso rovinare. Meglio stanca, poi mi riposo. Sfilo il bracciale e pensavo che mi succedesse come ieri, ma non accadde, forse mi stavo abituando, certo ero stanca, ma non al punto di cascare, forse l’avevo tenuto di più la volta scorsa.
Mi lavai i capelli togliendo i rami e rimasi sotto il geto dell’acqua calda a pensare a ben altro calore. Quel Jacob mi farà morire.
Il timer suonò e spensi velocemente l’acqua.
Scesi con il telo doccia per controllare il forno, aprendolo il pesce non era ancora cucinato, ci aggiunsi un po’ d’acqua e richiusi, ci volevano altri cinque minuti buoni.
Salii in camera e quando aprii la porta, mi ritrovai quasi ad urlare.
<< L’ho detto io che mi avresti fatto morire un giorno o l’altro!! >> mi trovai a gridargli contro.
<< Quando l’avresti detto scusa? >> Jacob, comodamente seduto sul mio letto mi guardava con un sopracciglio alzato.
<< Prima. L’ho pensato, non l’ho detto >> cercai di riprendermi dallo spavento stringendo il telo ancora di più sotto le ascelle. Notando solo in quel momento che non avevo il bracciale.
Si alza, avvicinandosi lentamente << Hai un buon odore >> sorride ispirando.
Cavolo! Sarà diverso da quello del lupo che ero prima.
<< Diverso da quello di un lupo normale >> continua confermando i miei sospetti.
Il cuore parte in quarta.
<< Non sono della riserva … >> la voce mi trema come le gambe e lui lo interpreta in maniera diversa.
<< Se non ti calmi rischi di sfondarti la stanza con le tue stesse mani >> sogghigna divertito.
Mi avvolge la vita con un braccio. Accidenti quanto è alto. Con l’altra mano mi accarezza il viso.
<< Vero che torni alla riserva più tardi? >> mi chiede in un sussurro.
<< Dipende dall’ora, in questi giorni non sono stata molto a casa, e la sera preferisco stare con Charlie >> una scusa banale, ma che probabilmente mi salverebbe da queste incursioni nelle ore notturne.
<< Ok, ti chiamo più tardi >> mi bacia, un bacio svelto che mi lascia imbambolata mentre lui sparisce e la sveglia del forno suona.

Oramai rivestita e asciugata indosso di nuovo il bracciale.
Charlie arriva dopo poco, il pesce oramai è cotto e pulito sui piatti, ne porta tanto altro e lo lascia nel lavandino.
<< Giornata ottima vedo >> commentai il suo pescato.
<< Più che ottima >> sorrise di rimando. << Già che tu sia qui invece di scorrazzare con Leah l’ha resa anche meglio >>.
Ahia! Questa era una stilettata al cuore!
Come far sentire in colpa una figlia, manuale By Charlie Swan.
<< Scusa papà >> sussurrai in colpa.
<< Ma non ti sto rimproverando! Capisco che in fondo hai bisogno di persone della tua età, non te lo negherei mai! Però ogni tanto pensa anche al tuo vecchio >> se mi avesse sgridato, mi sarei sentita meno in colpa, così invece … due stilettate al cuore.
<< Va bene, pranzo e cena a casa, ok? >> gli dissi allungando una mano sulla tavola dove eravamo seduti e lui la stringe con vigore.
<< Ok! >> conferma.
Mentre mangiamo, mi racconta di alcuni pesci che ha pescato più difficili degli altri e io il racconto di essere uscita con Leah, che ho conosciuto Jacob e Billy.
<< Povero Billy, adorava venire a pesca! >> disse sospirando.
<< Che gli è successo? >> gli chiesi, visto che eravamo in tema tanto vale.
<< Un incidente. La madre mori sul colpo e lui perse le gambe. Fu un grave shock per il figlio, ma ora sembra averlo superato, sono passati anni oramai >>.
<< Quanti anni? >>
<< Cinque, sei. Non ricordo bene. A sì, l’hanno che arrivarono i Cullen. Quattro anni fa allora. >>
I Cullen? Chi sono i Cullen?
Il mio viso stranito deve avergli fatto capire la mia domanda perche si affrettò a rispondere.
<< Carlisle ed Esme Cullen. Arrivarono a Forks Quattro anni fa, e fecero scalpore nella città, perche con loro che sono maledettamente giovani si sono portati i figli >>.
<< E certo, una coppia con dei figli fa scalpore vero papà? >> risi come una stupida della mia battuta, ma lui era serio, quindi lo tornai anch’io.
<< Se mi facessi finire di parlare! >> mi rimbecco.
Con un gesto della mano lo incitai a continuare.
<< Dicevo. Si sono portati dietro i figli, adottivi >> calco sull’ultima parola per poi continuare << I figli sono cinque … >>.
<< Alla faccia, che coraggio, già uno è tanto per una coppia giovane, cinque tutti insieme e per giunta adottati è proprio da martiri >>.
Sbuffo continuando a mangiare.
<< Allora? >> aveva già finito?
<< se mi interrompi ancora, te lo scopri da sola chi sono e che fanno! >> mi rimproverò con la bocca piena.
<< Ok, ok, scusa >> mi chiusi la bocca con le dita e gettai la chiave immaginaria.
<< Speriamo! Dicevo. Sono in cinque, con un’età compresa tra i diciotto e i venti. Ora non so dirti chi ne ha i più e chi di meno …  >>.
<< e quanti anni hanno i genitori?? >> chiesi sconvolta.
<< Uffa!! >> sollevo la testa guardando in alto e ricominciò a mangiare.
<< Dai scusa, continua! >>
Non mi rispose, continuò a mangiare finche non finì il pesce.
<< Dai papi >>
Non mi diede retta, si sollevò afferrò il piatto e lo mise nel ripiano vicino al lavandino.
Mi alzai anch’io << Ti prego papi, mi sto zitta non ti interrompo più >>.
Continuava ad ignorarmi, si sedette sul divano in soggiorno e accese la tv.
Lo seguii aspettando che ricominciasse a parlare, ma niente.
Uffa, che uomo testardo!
Ora vediamo << Leah mi ha baciata! >> buttai li girandomi e andandomene.
<< Che cosa?? >> mi gridò dietro alzandosi dalla poltrona.
<< Niente >> ok, era cattiva ma se l’è meritata.
<< Che cosa ha fatto? E com’è successo? >> continuava a seguirmi mentre me ne tornavo in camera muta. Beh non proprio, mi mordevo le labbra per non scoppiare a ridere.
<< Bella! Rispondimi!! >>
Niente, continuai a salire entrando in camera mia.
<< Tanto lo so che non è vero! >> si allontano dalla scala, potevo sentire nitidamente i suoi passi per poi fermarsi e tornare alle scale << Vero?? >>
Non ce la feci più scoppiai a ridere come una scema.

 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO SETTE ***


FANTASTICA, SPLENDIDA ED ENTUSIASMANTE NOTIZIA!
HO RIAVUTO IL COMPUTER, GIUSTO IN TEMPO PER ESSERE IN ORARIO!
E BENE SI, OGGI È GIOVEDI!
E PER RECUPERARE IL TEMPO PERDUTO, VI CONCEDO DUE CAPITOLI E MEZZO.
ALMENO PASSA LA TORTURA!
ALLA PROSSIMA!

CAPITOLO SETTE

 
Sentivo la pioggia.
Quell’odore di terra bagnata che avvolte ti fa mancare il respiro.
Quella sensazione di pulito sulla pelle, che ti fa capire, di essere viva.
Una volta sentii dire che dio era nella pioggia.
Credo che abbiano ragione.
Sentii dei passi cadenzati che si alternavano con lo scrosciare dell’acqua, uno sportello che si apre, poi si richiude.
Aprii gli occhi.
Ero nella mia stanza, la finestra aperta.
Mi sollevai guardando fuori e vidi la volante di mio padre che andava via, ma che ore erano?
Le sei del pomeriggio, mi devo essere addormentata dopo pranzo.
Mi toccai il petto, avvolte, non mi rendevo conto se battesse o no, dopo gli ultimi avvenimenti, non sapevo più cos’ero, ma batteva ancora, quindi avevo ancora tempo, e fame.
Usci dalla camera per andare in cucina. Prima di aprire il frigorifero lessi il biglietto che mio padre aveva lasciato attaccato allo sportello con una calamita.
 
“Tesoro, sono andato a Seattle, ci sono nuovi sviluppi riguardanti quel caso. Penso di ritornare domani a mezzo giorno, fai la brava, a presto papà!”.
 
Quel caso. Che cosa potevano scoprire? Quel pover’uomo non c’è più per colpa mia, cosa ci sarà mai a Seattle?
Presi il telefono appoggiato alla parete, composi metà del numero.
E che gli chiedo? Quali sono gli sviluppi? Non credo che possa dirmeli, e se non ci fossero sviluppi? E se fosse un altro vampiro quello cui danno la caccia?
Nei film spesso se un uomo muore per la stessa causa di un altro, era confermato un serial killer, e se lo rintracciano?
A me non hanno neanche sospettato, ma se rintracciassero l’altro vampiro?
Finisco di comporre il numero.
Al terzo squillo risponde.
“Bella?” sembra sorpreso.
Parla lentamente o togliti il bracciale. Parlo lentamente. « Ciao papà, quindi vai a Seattle? »
“Sì, tesoro. Torno il prima possibile” che dolce, si è intenerito.
« Che tipo di sviluppi ci sono, se posso saperlo? »
“Niente di preoccupante. A quanto pare ha colpito ancora”
Lo sapevo, c’è un altro vampiro! « Quindi non è passionale come si sospettava? »
“No bambina, è un seriale. Tu stai attenta, non ci sono pericoli, ma non uscire da sola, per favore!”.
« Non preoccuparti papà, avevo intenzione di ordinare una pizza e finirmi di leggere un libro » mentire spudoratamente, era da molto che non mi riusciva.
“Ok, ti richiamo più tardi. A presto tesoro”
« Ciao, papà » e rimetto il ricevitore alla parete.
Rialzo la cornetta e faccio in modo che le chiamate arrivino sul mio telefono.
Non potevo rischiare che a mio padre succedesse qualcosa, non potevo. Qui lui era il capo della polizia, ma li? Sarebbe stato in prima linea con gli altri? Di sicuro, lo conoscevo troppo bene!
Aprii il frigo e cominciai a svuotarlo gli avanzi di mezzo giorno, delle uova, due scatolette di tonno, del formaggio.
Continuavo a mangiare, e non mi sentivo sazia, più mangiavo più avevo fame.
« Maledetto stomaco da lupi » quando fini il formaggio non avevo più fame, ma non perché ero sazia, ma lo stomaco non penso avrebbe accettato nient’altro che sangue.
Ero un vampiro.
Mi andai a cambiare, devo raggiungere mio padre senza destare sospetti a chi mi vedeva, quindi se pioveva, almeno fingiamo di coprirci.
Mi rimisi la tuta prugna di Phil, l’unica cosa scura e lunga, e il soprabito di mia madre, lo comprò quando venne qua in visita, per coprirsi dalla pioggia, nero con il cappuccio ampio che copriva bene la testa. Pronta!
Aprii la porta di casa pronta a uscire, la pioggia comincio a bagnare il soprabito, avevo una voglia matta di togliermi il cappuccio e assaporare l’umido sulla pelle, ma poi sarebbe stato fastidioso correre con gli indumenti bagnati, cosi desistetti.
Il miscuglio di odori che sentivo era una cosa fantastica, la terra, gli alberi, persino l’asfalto avevano un odore diverso. Era una sensazione fantastica.
Ma non potevo indugiare. Prendere il pick-up era fuori discussione, avrei cominciato a correre appena fuori città e non credo che tra la mia e la sua velocità ci siano paragoni.
Cominciai a camminare cercando la segnaletica che mi avrebbe portato nella direzione giusta.
Le strade erano deserte, solo qualche macchina di passaggio con i finestrini chiusi, meglio cosi, nessuna tentazione. Non potevo permettermela, non ora!
Continuai a camminare a passo veloce, forse un po’ troppo veloce, quando vidi il cartello della tangenziale.
“N Forks Ave 101”
Mi avrebbe portata a Port Angeles e poi a Seattle dovevo solo costeggiare la strada, niente di più facile.
Ma se avessi preso la  “Sitkum-Solduc Road”, sarei entrata direttamente nel parco nazionale riprendendo la “101” prima di uscire dal parco.  
Con la foresta a nascondermi sarei andata anche più veloce.
Girai a destra prendendo la Sitkum e cominciai a correre, avrei raggiunto Seattle anche prima di papà, se non fosse…
« Hai impegni? » lo trovai appoggiato con la schiena contro un albero. I capelli completamente zuppi che gli ricadevano disordinati sulla fronte, la camicia bianca che gli aderiva al corpo creando un vedo non vedo fantastico, e i jeans strappati ad arte.
Avrei dovuto rispondergli di “si”, ma la voce si era andata a fare un giro momentaneo, lasciandomi da sola.
Quindi annuii soltanto.
« Posso accompagnarti? » sono convinta che se gli avessi detto di no, mi avrebbe seguito comunque.
Si sollevò dall’albero e mi si avvicinò.
« Ciao Marie… » per un attimo dimenticai di essermi presentata con il mio secondo nome.
Si fermò a pochi centimetri da me e sollevando le mani mi tolse il cappuccio. La pioggia attutita dagli alberi mi bagnò a piccole gocce il viso, e successe una cosa che non credevo, mi scivolarono addosso, come se fossi di marmo e non di carne ed ossa. Le percepivo, sulla pelle, ne percepivo ogni molecola, ma non si fermava sulla pelle continuava il suo tragitto come una lastra di vetro.
Ne rimasi colpita, sollevai le mani facendole cadere dalle dita come una foglia che lascia libere le gocce di rugiada la mattina. Mi toccai il viso, non rendendomi conto della consistenza della mia pelle che sentivo morbida.
« Sembra che sia la prima volta che avverti la pioggia » sussurra, raccogliendomi una goccia ferma sullo zigomo.
Ed era vero, era la prima volta. « Lo è… » confessai.
Sorrise e rimase a guardarmi. Per abbassarsi lentamente e sfiorare le sue labbra con le mie, come le gocce sulla pelle.
Non si allontanò, rimase in quella posizione guardandomi, quando aprii gli occhi, i suoi occhi ambrati sembravano oro liquido, ci navigai per un interminabile istante prima di riappropriarmi delle sue labbra.
Le sue mani si aggrapparono ai miei fianchi, mentre le mie si appropriarono dei suoi capelli, il bacio fu intenso, bagnato dalla pioggia che si mescolava con i nostri sapori.
Eppure io avevo da fare qualcosa. Una parte recondita della mia mente mi diceva di ricordare ciò che dovevo fare, ma l’altra parte di me, non voleva saperne di allontanarsi da quelle labbra.
Fu lui a farlo.
« Avevi degli impegni? » mi soffio sulle labbra.
Papà!
Mi allontanai da lui. « Accidenti! »
Cominciai a correre lasciandolo dietro, dovevo raggiungere papà, e lo dovevo fare il più in fretta possibile.
Lui mi affiancava, ad un albero di distanza, era bello, maledettamente bello, il viso concentrato mentre correva, i capelli bagnati.
Svegliati Bella! Devi pensare a Charlie!
Dopo poco arrivammo ad un lago.
« Questo è il lago Crescent » m’informò affiancandomi dopo pochi secondi.
Accidenti, mi ero persa, la strada aveva un bivio. E nessuna indicazione.
« Se mi dici dove stiamo andando, forse, ti posso aiutare » il forse era ironico o sbaglio? In fin dei conti tra i due, era lui della zona.
« Forse eh? » ironizzai.
« Forse » ripeté lui sorridendo e alzando le mani.
Sorrisi per quella sua finta innocenza. « Devo andare a Seattle » lo informai guardandolo.
Fece un sorriso a mezza bocca che mi sciolse come burro. Ok, saltargli addosso e violentarlo non era possibile vero?
« E hai fretta? » continuò.
« Abbastanza »
« Allora vieni con me » allungò la mano verso la mia, facendo scivolare le sue dita sul mio palmo per poi intrecciarle, mille brividi mi percorsero l’arto, finendo sulla base della nuca.
La cosa non sembrò essere lo stesso per lui, perché mi tirò appena per far si che lo inseguissi.
Corremmo mano nella mano per qualche minuto.
Si fermò di colpo.
« Hai sete? » mi domandò di punto in bianco senza guardarmi.
L’avevo?
« No, credo »
« È quel “credo” che mi preoccupa » si gira a guardarmi, mi prende entrambe le mani. « Se ti chiedessi un favore, lo faresti? »
Tutto quello che vuoi! « Si »
« Non possiamo correre in città, e anche se piove, ci possono essere persone ancora in giro… ».
« Siamo a Seattle? » lo interrompo.
« No, siamo a Port Angeles. Se prendiamo un motoscafo, arriviamo prima a Seattle. Ma se entriamo in città sei capace di fare una strage » il suo sguardo è comprensivo, io però abbasso il mio colpevole.
« Che cosa posso fare? » non volevo ammazzare nessuno.
« Trattieni il respiro. Lo so, è fastidioso ma necessario » aveva ragione, in fin dei conti non ne avevo bisogno, potevo resistere.
Presi un grosso respiro, dopo di che annuii per dargli l’okay.
« Andiamo » cominciammo a camminare per stradine secondarie, per la maggior parte deserte, non so da dove ad un certo punto apri un ombrello un po’ ammaccato e mettendomi la mano sulla spalla continuò a camminare proteggendoci dalla pioggia.
Apparenza, giusto.
Dopo parecchi svincoli, stradine e piazzette arrivammo nei pressi del porto, ma svincolando per la darsena ci aspettava una dura prova, almeno per me.
Una miriade di persone sostavano nei pressi della darsena sotto ombrelloni e capannoni, come se la pioggia gli avesse colti all’improvviso, e restavano coperti mentre chiacchieravano e ridevano e scherzavano.
Mi guardai intorno spaventata, avrei potuto ucciderli tutti.
« Resta accanto a me e non respirare, è il compleanno di una ragazza » mi spiegò stringendomi.
Sollevai lo sguardo, come faceva a saperlo?
Continuò a camminare fino alla guardiola della darsena, all’interno c’era un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e il volto scavato che guardava una piccola televisione sotto il muretto che lo divideva dalle persone.
Edward bussò.
L’uomo si girò un attimo, poi guardò la televisione sorrise e con il telecomando abbasso il volume.
Apri una finestrella. « Prego »
« Volevamo noleggiare un motoscafo » disse Edward tranquillo.
L’uomo rise. « Starà scherzando spero »
« Assolutamente no » con un movimento rapido tirò fuori il portafoglio per poi arrotolare un centone e farlo passare dalla finestrella. « Ed è solo la mancia » gli disse sorridendo.
L’uomo rimase un attimo interdetto prima di muovere la testa vigorosamente afferrare la banconota e controllare sul computer. « Mi serve un documento »
Edward glielo porse.
« Sessanta dollari per dodici ore » disse guardandolo.
Edward gli passò centoventi dollari e rimase con la mano nei pressi della finestrella, una volta che l’uomo a ritirato i soldi gli porse le chiavi.
« Secondo molo, posto sette » disse senza staccare gli occhi dal monitor, era intimorito, la voce gli tremava.
Aprì il cancelletto per farci entrare, scendemmo i gradini per arrivare su molo principale.
I primi cinque erano dalla parte sinistra gli altri alla destra.
« Hai idea di come si guida un motoscafo? » dopo la mia domanda mi ritrovai ad ispirare istintivamente, anche se non avevamo nessuno intorno, l’odore di sangue caldo era nell’aria, la pioggia la faceva addirittura aumentare d’intensità, m’irrigidii sotto il suo braccio.
« Marie? … rie… e… » non riuscivo a distinguere la sua voce, continuavo a sentire odore di sangue e il bisogno divenne necessità.
I muscoli si tesero e la ragione lasciò il posto all’istinto, sollevai lo sguardo, oltre il muro che divideva il molo dalla strada, il mio obiettivo.
Poi accadde in un attimo. Mi piegai sulle ginocchia per saltare, ma prima di compiere il salto qualcuno mi spinse contro il muro, ritrovandomi faccia ad esso, reagii di conseguenza, facendo leva sul muro per liberarmi, con uno slancio feci due passi sul muro e con un salto all’indietro mi ritrovai alle spalle del mio aggressore ringhiandogli contro.
Nessuno poteva impedirmi di avere quel sangue!
Ricalcolai la distanza ma stavolta fui spinta in acqua, dove gli odori non c’erano più e riacquistai lucidità.
Riemersi.
« Sei troppo forte » Edward, era chino sul molo che mi porgeva la mano con un evidente affanno.
« E anche bagnata oramai » dissi ironica.
Sorrise prendendomi la mano e tirandomi sul molo.
« Mi dispiace, ma non riuscivo a fermarti » continuò.
« La prossima volta, non mi attaccare, fallo con garbo » mi ritrovai però nella stessa situazione di prima, a sentire di nuovo odore di sangue, e quando alzai di nuovo lo sguardo e ispirai forte mi ritrovai un altro odore sotto le narici.
Un odore di fiori e di estate, insieme con una sensazione vellutata sulle labbra, e l’odore di sangue svani riportandomi alla realtà, alla realtà dell’uomo mi teneva la nuca con una mano, alla realtà dell’uomo che muoveva delicato ma deciso le sue labbra sulle mie, alla realtà del bisogno di sentirne anche il sapore, che mi fece schiudere le labbra abbandonandomi completamente a quel bacio, che ci fece trovare contro una parete.
E quando ne sentii la consistenza ruvida dietro la schiena che mi svegliai dal sogno, staccandomi dalle sue labbra. « Mi piace il tuo garbo » sussurrai
Sorrise a mezza bocca. « Trattieni il respiro un altro po’ e andiamo ».
Annuii smettendo di respirare.
Arrivammo al motoscafo, lo mise in moto e partimmo, dopo qualche altro minuto fini di piovere.
« Puoi respirare ora » mi disse girandosi, ero seduta sulla poppa del motoscafo, dove dei sedili di pelle plastificata davano da sedere ad altre sei o sette persone, lui era in piedi a qualche metro dalla prua, dove c’era il timone.
« Hai idea di dove stiamo andando vero? » la terra si vedeva solo in lontananza.
« Sì, tranquilla »
Mi alzai raggiungendolo, la camicia gli si gonfiava al vento come i suoi capelli ormai quasi asciutti, io non avevo idea dell’aspetto che potessi avere.
« Ti ringrazio » non sapevo se avesse capito a che mi riferivo, ma probabilmente sì.
« Credimi, è stato più che un piacere » la sua mano si sollevo dall’acceleratore per accarezzarmi la guancia.
« Buttarmi in acqua o baciarmi? » ma perché non ragionavo prima di parlare?
In risposta cominciò a ridere una risata allegra e molto musicale. Dio quanto era bello!
« Entrambe » disse ancora ridendo strizzandomi l’occhio, lo notai solo in quel momento.
« Perché hai gli occhi neri? Gli avevi dorati prima » gli chiesi scrutandolo meglio, e si erano proprio neri.
« È la sete, quando siamo sazi, sono dorati, mentre il sangue nel corpo si consuma, diventano man mano neri. Anche i tuoi lo sono. » mi dice facendo un cenno con il mento.
« Ma i miei sono rossi »
« Perché ti nutri di sangue umano »
« Voi no? » non li aveva solo lui di quel colore.
« No, noi ci nutriamo di animali, hanno un rapporto energetico diverso, ma almeno sopravviviamo senza arrecare danno a nessuno » mi guardò come se mi volesse far capire che ero io sbagliata e seguendo quella strada sarei stata nel giusto.
« Di che colore erano i tuoi occhi da umano? » se i miei erano diversi dal mio solito marrone, anche i suoi lo dovevano essere.
« Verdi, ero il classico pel di carota » sorrise della sua battuta.
« I pel di carota hanno le lentiggini » costatai sorridendo.
« Sì, avevo anche quelle, solo che morendo la melanina nel mio corpo è scomparsa, cosi come le lentiggini ».
« Come sei morto? » e il premio alla delicatezza di quest’anno va a? Isabella Marie Swan! « Scusa, non avrei dovuto, mi dispiace è aff… ».
« Non fa niente » m’interruppe « Purtroppo ci passiamo tutti, chi meglio chi peggio, io ero malato e stavo morendo lentamente, Carlisle, mio padre, mi salvò ».
Non sapevo a che pensare, lui era stato fortunato, gli era stata data un'altra opportunità.
« Tu? »
Sollevai lo sguardo. Merda!
« Io? » che gli racconto, che gli racconto, che gli racconto!
« Sì, tu » sorrise a mezza bocca.
Abbassai lo sguardo, non avevo idea di cosa inventarmi, ora si che ero nei casini, come avrei potuto fare? Maledizione!
« Non lo ricordi? » Mi venne in aiuto senza saperlo.
« No » sussurrai, sii convincente, resta sul vago « No, non ricordo niente ».
« Capisco » disse soltanto.
 Girò il timone, e la barca deviò verso la terra.
« Siamo arrivati » annunciò prima di entrare in quello che sembrava il porto, si guardò un po’ in torno prima di vedere un posto dove poter attraccare.
Scesi dal motoscafo, aspettando che lui facesse altrettanto, mi lanciò una cima, che afferrai prontamente, quando scese, anche lui la prese dalle mie mani legandola su un arpione che era incastrato nella banchina.
« Dove devi andare? » mi chiese prima di cominciare a camminare.
« Alla stazione di polizia » gli risposi.
Scosse la testa convinto « Troppi umani »
« Ma ci devo andare! »
« Perché? »
« Mio… Charlie è in pericolo! »
« Un umano? »
Annuii.
« Ok, ci avvicineremo, non puoi entrare nella centrale, poi sarei costretto a fermarti e ci arresterebbero come minimo. » mi afferrò la mano e cominciammo a dirigerci verso il molo della darsena.
« Perché dovrebbero? » che andava dicendo, arrestarci?
« Per atti osceni in luogo pubblico » si voltò facendomi l’occhiolino.
 
Arrivammo alla centrale dopo qualche minuto.
Molte volanti avevano le sirene accese, mi alzai il cappuccio per evitare di essere riconosciuta, nel caso mi vedessero.
Molte volanti riportavano la scritta Forks, e tra quelle macchine intravidi mio padre che parlava con altri poliziotti dalla divisa diversa alla sua, altri non l’avevano proprio.
« Un vampiro » Sussurrò Edward guardando a stessa scena.
Eravamo in un vicolo poco distante.
« Si » sussurrai.
« Charlie è tuo padre, vero? »
Rimasi di sasso a quell’affermazione, trattenni il respiro girandomi lentamente verso di lui che mi osservava nell’oscurità del vicolo.
« Come… »
« Leggo nel pensiero » mi disse come se nulla fosse.
« Tu cosa? » mi trattenni dal gridare con non poca forza « Quando avevi intenzione di dirmelo? » ok, stavo ringhiando.
« A che serviva dirtelo? » mi disse facendo un passo indietro.
« E certo, vedere nei miei pensieri era più facile » che voglia irrefrenabile di picchiarlo.
« Non è facile, infatti. Con te non ci riesco » aveva sollevato addirittura le mani e ci ritrovavamo a quasi metà del vicolo, gli avevo messo paura?
« Cazzate! » ringhiai.
« Perché credi che ti avrei fatto tutte quelle domande altrimenti, perché ti avrei chiesto dove stessimo andando, perché non averti chiamato subito Isabella allora! »
A quel nome mi bloccai.
Aveva ragione, gli avevo detto di chiamarmi Marie.
Mi girai ritornando all’inizio del vicolo per vedere che avessero intenzione di fare gli agenti, vidi alcuni salire in macchina e andare via, poi altri seguirli.
« Cosi ti chiami Isabella » mi chiese una volta arrivato alle mie spalle.
« Mi chiamo anche Marie » mi difesi.
Quando mio padre salì in macchina, uscii dal vicolo inseguendolo.
Ma fui fermata da Edward, che mi aveva afferrata per un braccio.
« Che c’è? » quasi gli ringhiai contro.
« Vieni, prendiamo una macchina »
Camminammo per un po’ nella direzione che avevano preso i poliziotti, io guardavo dritto verso le loro macchine, Edward si guardava intorno.
« Perfetto! » lo sentii dire, prima che mi lasciasse il braccio e s’incamminasse verso una traversa.
Non feci in tempo a girarmi che un’auto lasciò la traversa fermandosi davanti a me, sembrava una Ferrari, era nera, bassa e perfettamente aerodinamica.
Il finestrino si abbasso mostrandomi il suo guidatore.
« Sali! » mi ordinò
Non me lo feci ripetere due volte ed entrai.
« E questa? » domandai incredula.
« Che fortuna eh! » mi disse con un sorriso da orecchio ad orecchio.
« Come che fortuna? L’hai rubata? » ero sconvolta.
« Dopo mi arresti signorina Swan, ora vediamo che combina tuo padre ».
« Sai tutto? » sapeva persino il mio cognome.
« No » cambiò la marcia accelerando fino ad arrivare dietro all’ultima volante, a quel punto rallentò « Leggo nel pensiero, non conosco ogni tratto della memoria. Il capitano stava parlando di vampirismo e tuo padre si è ricordato quando ti ha spiegato di un caso analogo, e di come hai reagito. Ti ho solo riconosciuta nei suoi ricordi. »
« Capisco » quindi non sapeva tutto, non sapeva il tempo dei ricordi o che quella mattina ero “normale”.
« Perché mi hai mentito? » le chiese a brucia pelo.
« Riguardo cosa? » c’erano molte cose che avevo omesso.
« Perché che altro mi hai detto di non vero? » la sua domanda era di stupore, ma sorrise comunque.
« Volevo solo proteggerlo. Mi avete detto che vivete tra gli umani, non volevo metterlo in mezzo » era vero in fondo, non volevo mettere in mezzo lui e neanche che mi venissero a cercare durante le ore di giorno.
« Questo spiega tutto » concluse.
Le volanti girarono alcune in una direzione, altre in un'altra altre andavano dritto, lui continuò dritto.
« Dov’è? » chiesi agitata guardando le altre macchine che si allontanavano.
« Davanti a noi » rispose tranquillo.
Poi vidi la scritta che riportava dietro “District Forks”.
Lo seguimmo per parecchio, usci dalla città abitata, e ci trovammo in una zona di capannoni. Edward accostò mentre loro continuavano.
« Perché ti sei fermato? » ogni tanto mi faceva diventare isterica.
« Se continuiamo a seguirli, ci noteranno, già e tanto che non si siano accorti di noi. Li seguiamo a piedi » cosi dicendo scende dall’auto.
Lo imito e comincio a seguirlo da prima lentamente poi anche lui comincia a correre.
Lo guardo da dietro mentre corre. Possibile che tutti leggano nel pensiero, e i lupi e i vampiri, e probabilmente lo stesso discorso dell’alfa funziona con i vampiri, che lui faccia parte di un branco?
Ho visto i suoi amici, o fratelli, come gli chiama lui, e forse anche loro fanno parte di un branco.
Eppure, quando qual giorno gli incontrai nella foresta:
 
“« Fermati Jasper! » il ragazzo biondo si fermò non perdendomi di vista.
« Tu la senti? » gli chiese Edward, Jasper continuò a guardarmi con gli occhi spalancati.
« No… »  continuò Edward.”
 
In quel momento non capii cosa stava succedendo, ma adesso sì. Parlavano tramite il pensiero e se lui non mi sentiva, il suo amico Jasper ci riusciva. Maledizione!
Che cosa potevo fare? Se Edward avesse portato l’amico, forse lui poteva confidargli i miei segreti, ma se cosi fosse stato perché non glieli aveva già detti?
Perché quel giorno non gli disse che mi chiamavo Isabella?
Edward si fermò, anche le volanti erano ferme davanti ad un capannone.
Mi affacciai per vedere oltre la sua spalla.
« L’hanno trovato » sussurrò.
« Cosa? » il vampiro? Cercai di superarlo per correre in soccorso di mio padre ma lui mi fermò con il braccio riportandomi dietro di lui.
« Hanno trovato un altro cadavere, è fuori dal capanno » mi spiegò senza girarsi.
« Ah » fu il mio unico commento, menomale, avevo paura che avessero trovato il vampiro.
Sentimmo il brusio di una radio. Uno dei poliziotti aprì lo sportello permettendoci di sentire.
“Avvistato sospettato nelle campagne nella zona nord-est”
« Cazzo! » imprecò Edward prima di prendermi per il polso aggirare un capanno e cominciare a correre come il vento, gli stetti dietro con facilità, se avessi voluto, l’avrei pure superato.
« Che succede? » gridai, ma forse mi avrebbe sentito lo stesso.
« L’hanno trovato »
« L’ho sentito » mi sembrava ovvio, ma perché quest’agitazione? Poi un lampo, avrebbe potuto ammazzare dei poveri poliziotti. Maledizione!
« Non ci trovano, non ci vedono, ci facciamo trovare o vedere. È diverso, lo dovresti spere! »
Già, lo dovrei sapere. Quindi questa è un imboscata in piena regola. Chiunque sia, li vuole morti.
Corremmo oltre i capannoni verso le campagne quando sentii distintamente un odore particolare.
« È lui? » domandai continuando a corrergli dietro.
« Si »
Le volanti erano a pochi metri da noi, su una strada sterrata che costeggiava il campo, farebbero arrivate da lì a poco.
La scia conduceva in un casolare all’apparenza abbandonato.
Se entravano, li erano morti.
Accelerai, lasciandolo dietro. Dovevo arrivare prima di loro, ero forte, avrei dovuto farlo fuori prima che arrivassero, i poliziotti altrimenti sarebbe stato il caos.
« Fermati! » il sibilo di Edward non interruppe la mia corsa.
Saltai in una delle finestre, accovacciandomi al suolo. Lo stabile era impregnato del suo odore, misto a quello del sangue.
Mi sollevai, non c’era nessuno in quella stanza, ma come feci due passi qualcuno atterrò dietro di me trattenendomi per il collo.
« Da che parte stai? » mi sibilò una voce nell’orecchio.
« Non dalla tua! » ringhiai piegandomi in avanti e mettendo pressione nel braccio lo catapultai contro il muro che avevo davanti.
Non lo feci rialzare, lo presi dal collo affondando le mani nella sua carne, i suoi occhi rossi mi guardavano sconvolti mentre stringevo. Non molto più alto di me, non ci volle niente a tirarlo su, sbatteva le gambe in maniera convulsa mentre il suo collo man mano si rompeva tra le mie dita, i sui capelli neri nel movimento mi solleticavano il dorso della mano, poi accaddero tre cose che mi fecero ritrovare nell’essere completamente in svantaggio.
I poliziotti sfondarono la porta, Edward entrò dalla stessa finestra, dove poco prima ero entrata io e il vampiro, che reggevo con una mano, approfittando della mia distrazione si divincolò dalla mia presa e nel farlo mi sfilò il bracciale.
Mi ritrovai sul pavimento ansante, con il cuore il gola e le gambe che non mi reggevano dalla stanchezza, persino le braccia che avevo appoggiate dietro la schiena mi tremavano.
Il vampiro si rese conto della differenza, ringhio nella mia direzione, guardando prima il bracciale e poi me, ma non fece in tempo a dire o fare niente perché Edward gli fu addosso strappandogli la testa con un unico gesto delle mani.
Il suo corpo ricadde sul pavimento con la mano nella quale stringeva il mio bracciale a pochi passi da me.
Non persi tempo nel recuperarlo e rimetterlo, quando Edward si rivoltò nella mia direzione, lo avevo tra i denti per stringerlo.
Il suo viso era contratto mentre mi osservava.
Buttò la testa sul resto del corpo per poi prendere un accendino dalle sue tasche e accenderlo per poi buttarlo sopra il corpo, che prese subito fuoco come un fascio di paglia.
Mi porse la mano nell’esatto momento in cui i poliziotti entrarono nella stanza, noi eravamo già fuori nascosti dal muretto.
 
Restammo a guardare a debita distanza i poliziotti che facevano il loro lavoro.
Finché non vidi mio padre prendere il telefono e me ne preoccupai, cosa avrebbe pensato Edward?
Il telefono squillò nella mia tasca.
Guardai Edward, poi presi il telefono e risposi.
« Pronto? » lo sguardo di Edward andò da me a mio padre, il suo sguardo era impassibile, non sembrava ne sorpreso né altro.
“ Bella, come va? “
« Tutto bene papà, a te? » parlai lentamente.
“ Bene piccola, verrò domani a casa, devo compilare delle scartoffie e penso di fare tardi, fai la brava, ok? “
« Sì, papà, ok! A domani allora »
“ Notte, Bella! “
« Notte, papà! » e chiusi la chiamata.
Edward mi guardava con la fronte aggrottata stavolta.
Sospirai cominciando a camminare verso i capannoni. « Che cosa vuoi sapere? » gli chiesi rassegnata.
Non gli avrei detto tutta la verità, ma solo una parte, o forse neanche quella.
« Come fai? Non resisti agli altri umani e rischi con tuo padre? » mi chiese quasi con rimprovero.
« Mio padre non deve sapere, non deve sospettare, lo voglio allo scuro e fuori da pericoli, chiaro? » mi voltai nella sua direzione fermandomi e puntandogli il dito contro.
Guardò la mia mano, scacciandola via con un movimento circolare del braccio « Non sono io a giocare con la sua vita! »
Mi voltai continuando a camminare « Non preoccupartene »
« Un'altra cosa! » mi disse ricominciando a seguirmi.
« Quel vampiro, ti ha visto umana per un attimo… » lasciò la frase in sospeso guardandomi.
Mi fermai guardandolo negli occhi.
« Ti sembro umana? » lo guardai scettica.
Mi guardò per un interminabile secondo e sinceramente mi stavo preoccupando, sembrava che non ci fosse cascato.
Poi scosse il capo e sorrise. « No, non lo sembri » si strofino gli occhi con il pollice e l’indice della mano sinistra. Aprì gli occhi e con un sospiro continuò « Però io sono molto assetato, tu? »
« Non lo so » anche se la gola mi dava fastidio, probabilmente sì. Ingoiai a vuoto, ma fu peggio.
« Sì, hai sete » sorrise.
« Ok, e dove andiamo? » chiesi sinceramente curiosa mettendo l braccia conserte.
« C’è un ampia scelta: il North Cascades o il Mt Baker nelle vicinanze, se poi ci vogliamo allontanare alla ricerca di orsi, c’è l’Okanogan oppure il Wenatchee. » fini contando il quarto nome sulle dita.
« Scusa l’ignoranza, ma di cosa stai parlando? » chiesi aggrottando la fronte.
« Dei parchi nazionali nelle vicinanze, altrimenti possiamo fare un salto in Canada » contò il quinto dito nella mano.
« E certo, giusto una capatina » ma questo era impazzito, ora ce ne andavamo addirittura in Canada?
Sorrise del mio scetticismo e mi prese per mano cominciando a correre. Corremmo per le campagne, finché le campagne non divennero sconnesse e poi cominciarono gli alberi, non mi lasciava la mano, lo seguivo evitando rami e sassi, poi si fermò e io con lui.
Si voltò e mi appoggiò le mani sulle spalle.
« Hai mai cacciato animali? » la sua domanda era abbastanza inutile, sapeva che non lo facevo, ma del resto non cacciavo neanche umani.
Negai con il capo semplicemente.
« Immaginavo. Chiudi gli occhi » mi incitò.
« Perché? » sì, lo so, sembravo una bambina di cinque anni, ma avvolte mi preoccupava questo ragazzo.
« Fidati » sorrise a mezza bocca, e non potevo fare altro un quel momento.
Mi fidai, chiusi gli occhi e sinceramente sperai di avvertire le sue labbra sulle mie.
« Ispira profondamente » il suo sussurro arrivò dal mio orecchio alla nuca per poi espandersi come un brivido, lungo la spina dorsale.
Ispirai profondamente, tanti odori si propagarono e ne riconoscevo molti, muschio, fiori, il suo odore particolare, l’odore di bagnato amplificava gli odori a dismisura.
« Ora ascolta » mi alitò nell’altro orecchio, stavolta le sue labbra sfiorarono il mio lobo nel parlare, e il brivido si propago anche nel basso ventre oltre che nella spina dorsale.
Sentivo il suo respiro, il frusciare del vento tra i rami e le foglie, poi un ruscello poco lontano, animali del sotto bosco, poi ancora più lontano l’apice del ruscello, i pesci che nuotavano al suo interno guizzando sul pelo dell’acqua, poi uno strano rumore, uno scricchiolio di legno, e il respiro affannoso di un animale che soffiava mentre quell’pezzo di legno veniva masticato.
« Cos’è? » chiesi curiosa non aprendo gli occhi.
« Un cervo, poco dietro ce ne sono altri » mi sussurrò ancora.
Aprii lentamente gli occhi trovandolo a pochi centimetri da me. Spostare lo sguardo sulle sue labbra fu istintivo, per non dire naturale. Mi avvicinai a lui sfiorandogli le labbra con le mie, le sue mani accarezzarono le mie spalle per poi salire sul collo e arrivare al viso, afferrò il mio labbro inferiore tra le sue labbra succhiandolo appena e un sospiro di piacere usci dalla mia bocca incontrollato.
Per lui fu un invito a continuare, e credetemi non gli avrei mai detto di smettere.
Le mie mani finirono tra i suoi capelli e il suo sapore lo sentii sul palato, il mio corpo si modellava perfettamente con il suo, le sue labbra passarono dalle mie al mio collo, poi più giù, le sue mani lentamente fecero scendere la cerniera della felpa per continuare a baciarmi tra i seni.
Mi spostai lentamente all’indietro andando a scontrarmi contro un albero. La sua bocca non si fermò, come non lo fecero le sue mani, che scostarono i lembi della felpa scoprendomi i seni.
Non ricordavo di non aver messo niente sotto la felpa.
« Sei meravigliosa » mi guardo per un lungo istante prima di tornare a baciarmi con più foga e desiderio, con uno slancio sollevai le gambe allacciandole alla sua vita.
Gemette sulle mie labbra prima di muovere il bacino facendomi sentire il livello del suo desiderio, a quel punto gemetti io.
« Chi sei Isabella? » mi soffio sulle labbra ad occhi chiusi.
Riappoggiai i piedi per terra. « Sono un sogno, una magia, che scompare all’alba » era vero, non ero come lui, non ero un vampiro, non ero un licantropo. Ero solo un umana schiava di un incantesimo.
Riapri gli occhi. « Non voglio, ti voglio con me all’alba, con me al tramonto, con me per sempre » i suoi occhi cosi scuri, come la notte senza stelle mi calamitava come la luna alla terra, ed era straziante da mantenere.
Mi scostai da lui. Non potevo, non potevo restare li.
« Devo andare » sussurrai prima di sollevare la zip della felpa e sollevare il cappuccio del soprabito legandolo in vita.
« Dove? » mi domandò. Non mi girai a guardarlo anche se la sua voce era sorpresa.
« A Forks » guardai l’orologio, erano appena l’una, come si usa dire “la notte era ancora giovane” ma avevo bisogno di allontanarmi da lui e dall’attrazione che avevo nei suoi confronti.
Cominciai a correre inseguendo la nostra scia, la sua scia a ritroso.
La gola mi bruciava mentre correvo, come se bruciassi carburante e avessi bisogno del pieno. Non riuscivo a ragionare, persino il pensiero di Edward lasciato dietro non contava niente. Contava solo la sete bruciante che avevo.
Continuai a correre finché non incontrai una scia, e la sete crebbe a dismisura.
La seguii come un affamato segue l’odore di cibo, in pochi minuti mi ritrovai in un campo. L’iscrizione sul cartellone diceva “Ross Lake National Recreation Area”. Era un’area per campeggiatori ed era vasta, con roulotte e tende da campeggio, con tronchi e tavoli di legno, con umani ancora svegli ed altri persi nel sonno.
Mi guardai in torno, avevo sete, tanta sete, ma dovevo anche essere cauta e non destare il panico. Trovai dei ragazzi, tre per la precisione, seduti a delle sedie pieghevoli mentre chiacchieravano e sorseggiavano birra intorno ad un fuocherello.
« Ehi, Luke, guarda » uno dei tre ragazzi diede una gomitata ad un altro indicandomi.
Sorrisi di rimando togliendomi il cappuccio e avvicinandomi, il loro profumo era maledettamente invitante. Calma Bella!
Luke, come l’aveva chiamato il suo amico moro, si alzo. Era poco più alto di me, con i capelli rasati e un tatuaggio che si intravedeva alla base del collo e scompariva sotto la felpa di due taglie più grande, la barbetta incolta e un sorrisino da seduttore. Sì, seducimi ragazzo.
« Ciao, io sono Luke. Ti vuoi unire a noi? » mi chiese offrendomi la birra che aveva tra le mani.
Guardai la birra e poi lui continuando a sorridere. « Veramente mi volevo fare una passeggiata tra i boschi, ti va di accompagnarmi? » chiesi maliziosa, allungando il braccio per sfiorargli la mano che reggeva la bottiglia in una carezza sensuale.
« Certo » rispose subito. Si voltò verso gli amici lasciando a uno di loro la bottiglia, quest’ultimo gli diede una pacca sul braccio con un pugno e un risolino compiaciuto.
« Andiamo? » mi domando appoggiandomi il braccio sulle spalle.
Contrassi la mascella cercando di essere il più naturale possibile, devo allontanarmi non posso qui, mi ripetevo come un mantra.
 
« Come ti chiami? » mi chiese una volta entrati di poco nella foresta, si vedeva ancora il recinto del campo.
« Bella » gli risposi rigida. Vieni bello, più lontano.
 Mi appoggiai ad un albero, da qui il campo non si vedeva. Perfetto!
Lui appoggiò una mano sull’albero, sollevandomi il mento con l’altra. « Hai un bel nome, lo sai? » lentamente si avvicinò a me baciandomi, schiusi la bocca immediatamente, facendo sì che la sua lingua entrasse a contatto con la mia. La sete spense il lato razionale facendomi agire d’istinto.
Allungai le braccia allacciandogliele al collo, baciandolo con una passione che non mi apparteneva. Il suo cuore che batteva furioso aumentava la mia sete, la libidine, l’eccitazione, aumentava tutto, finché dalle labbra scesi al suo collo, lo leccai facendolo gemere forte e un lampo di razionalità si fece largo nell’ istinto, i gemiti si possono confondere con le urla, mentre continuavo a leccargli il collo, con le mani scesi al cavallo dei suoi pantaloni, invertendo le posizioni, ora era lui con le spalle contro l’albero.
« O mio dio! Si! » urlò preso dall’eccitazione.
Infilai la mano nell’elastico dei pantaloni della tuta arrivando al suo membro eretto ed eccitato, nel momento in cui lo strinsi tra le mani, lo morsi, e il suo urlo non riuscii neanche io a capire se era di eccitazione o di dolore.
Mi afferro la testa, ma contro ogni logica invece di tirarmi i capelli per allontanarmi mi avvicinava spasmodicamente, e più succhiavo via la vita da lui più la mia mano andava veloce sul suo membro.
« Sì, più forte » urlava, ma la forza lo stava abbandonando, le sue gambe cedevano e lo dovetti reggere con l’altro braccio, mentre continuavo a dargli piacere, e con un ultimo spasmo venne sulla mia mano appena prima di succhiare via l’ultima goccia del suo sangue.
Si accasciò a terra espellendo l’ultimo fiato dai polmoni come un sacco vuoto.
Mi sentivo meglio, ma lui davanti a me, e la mia mano sporca del suo seme mi fece cosi schifo che mi pulii su di lui e mi allontanai ricominciando a cercare il modo di tornare a casa.
Avevo fatto una cosa orribile, me ne rendevo conto, eppure non mi sentivo in colpa, non in quel momento almeno.
Continuai a camminare, poi a correre, trovai un ruscello, mi ripulii la mano ed il viso, e ricominciai a correre spero nella direzione giusta.
Passo parecchio prima di trovare la prima strada, non c’erano cartelli per indicare dove fossi, decisi di percorrerla a sinistra e dopo qualche chilometro trovai un cartello che indicava delle città “ Everett a dodici miglia, Edmonds a sedici miglia, Seattle a venti miglia “ e tra una citta e l’altra c’erano tante piccole citta come dei paragrafi di capitoli più grandi.
Ricominciai a correre dirigendomi a Seattle, era lì che dovevo ritornare, anche se poi mi ritrovavo a dover prendere un motoscafo, altrimenti sarei dovuta tornare prendendo l’auto strada come avevo previsto prima di incontrare Edward.
Già Edward, chissà dov’era?
Lui di sicuro sapeva destreggiarsi meglio di me in queste zone, sapeva tornare da solo a casa. Forse.
Arrivai in città, dopo parecchio, si misi più di mezz’ora, nonostante la velocità dovetti allungare per evitare di entrare nelle altre cittadine, avevo già avuto il mio sostentamento, me lo dovevo far bastare.
Ritrovare la darsena fu facile, a parte le indicazioni, l’odore salmastro mi condusse direttamente sulla costa, e a quell’ora non c’era più nessuno in giro da incontrare, tranne uno.
« Non credevo ce l’avresti fatta a tornare » sedeva comodamente sul muretto vicino alla guardiola, dove c’era un uomo appoggiato sulla sua mano a sonnecchiare, non somigliava al guardiano di Port Angeles, questo era paffuto e con la barba bianca folta.
« Sorpresa » sollevai le spalle non curante, non so perché non volli guardarlo negli occhi, ma non servì a nascondergli la realtà.
Scese dal muretto e mi si avvicinò sollevandomi il viso con la nocca della mano, mi guardò negli occhi per un lungo istante, anche lui si era nutrito, i suoi occhi erano di un dorato brillante.
« Andiamo? » disse infine, girandosi per scavalcare il cancelletto chiuso, evitando di svegliare la guardia.
Lo inseguii.
Salimmo sul motoscafo e in silenzio uscimmo dalla banchina, e poi dal porto.
La traversata per Port Angeles fu più lunga che all’andata, forse perché non parlammo proprio.
Quando arrivammo al porto, sospirai di sollievo. Scesi dal motoscafo e mi diressi alla darsena, lui rimase in dietro per assicurare il cappio alla banchina.
In guardiano del porto, al contrario dell’altro era sveglio. Ma non era lo stesso che incontrammo all’andata, forse aveva terminato il turno. In fin dei conti erano le tre.
Aspettai Edward, lo feci passare avanti per regolarizzare il pagamento e ritirare i suoi documenti.
Quando fini, inaspettatamente, mi prese per mano. Sollevai lo sguardo incredula, perché?
Non ce l’aveva con me? Non l’avevo ferito andandomene? Non aveva visto i miei occhi rossi di sangue umano?
Lo seguii in silenzio, fu lui a parlare mentre percorrevamo le strade deserte.
« Quando diventai un vampiro, mio padre mi obbligò a seguire la sua “dieta” » mi cominciò a raccontare, ma non mi guardava, continuavo a camminare un passo dietro di lui non lasciando la sua mano. « Ero sempre nervoso, avevo una forza e un carattere determinato, non capivo perché mi tenesse con il guinzaglio, perché non mi lasciasse fare le mie esperienze. Cosi scappai dalla sua casa, e dalla sua dittatura » le stradine finirono e imboccammo la strada principale, per prendere la “101 road” e tornare a Forks, ma continuavamo a camminare, e lui continuò a parlare. « Per dieci anni non tornai a casa. Ero un mostro, un animale che cacciava altri mostri e altri animali. Finii sulle prime pagine. » sorrise quasi compiaciuto.
« In che senso sulle prime pagine? » domandai curiosa, mentre continuavo a camminare, la sua mano che da prima prendeva la mia con prepotenza si spostò intrecciando le dita con le mie.
« Ho liberato il nord America da Serial Killer, diventandolo a mia volta » spiegò semplicemente « Dopo due anni a nutrirmi di animali, non volevo arrecare danno ad innocenti, cosi, grazie al mio potere, mi nutrivo di criminali, assassini, usurai, capi mafia e cosi via »
« Il tuo potere? Solo tu riesci a leggere nel pensiero? »
« Sì, solo io » si fermò girandosi e senza lasciare la mia mano mi sfiorò il viso con l’altra « E solo tu riesci a essere silenziosa, per me »
« Ed è un bene o un male? » probabilmente, per quello che avevo da nascondere era un bene, almeno per me.
« Non saprei dirlo sinceramente » si gira ricominciando a camminare, ma questa volta gli cammino a fianco « per novant’anni mi sono affidato al mio potere, ora… »
« Quanti? » lo interruppi. Come novant’anni? Ma dai era impossibile!
« Novanta, perché? » mi domanda alzando un sopracciglio.
Sorrido, « Mi prendi in giro »
« Perché dovrei? »
« Dai sei un ragazzo di vent’anni massimo » costato indicandolo, non poteva averne novanta!
« Diciassette » mi corresse « avevo diciassette anni quando sono morto e da allora sono passati, esattamente, novantuno anni »
« Immortale… » sussurrai guardando l’asfalto.
« Non lo sapevi? » mi chiese scettico.
Sollevai lo sguardo « Pensavo fosse una leggenda, spesso quello che si racconta non è reale. Quindi siamo immortali, e andiamo a fuoco alla luce del sole? »
Cominciò a ridere, una risata che gli fece buttare la testa all’indietro e prendere aria più volte, finché non si fermò proprio, piegandosi in due dal ridere.
« Ti… ti prego, dimmi… dimmi che non è per questo motivo che… che scappi via prima dell’alba »
No, non era quello il motivo principale, ma il mio silenzio non fece altro che farlo ridere più forte.
« Hai finito? » mi stavo irritando.
Ma non voleva smetterla di ridere. Cosi ringhiando lo lasciai indietro allungando il passo.
« No, no, dai ti prego aspetta » mi raggiunse, tossi un paio di volte, un vampiro ne aveva bisogno?
« Scusami, e che mi sono immaginato la scena, di te che ti andavi a chiudere in una bara per evitare i raggi solari.
Ok, se aveva immaginato una scenetta del genere, era comico, sorrisi anch’io immaginandola.
Poi cominciai a fargli domande a raffica alle quali rispondeva telegraficamente cercando di non ridere, e ad alcune non ci riusciva proprio.
« Dormiamo? »
« No »
« Aglio? »
« Leggenda »
« Croci? »
« Altra leggenda »
« Paletto di legno? »
« Niente, ci sono solo tre cose che ci possono uccidere. Il fuoco, un altro vampiro, l’hai visto, e i Licantropi » terminò guardandomi.
Mi fermai, sapevo che i licantropi e i vampiri erano nemici naturali, però risentirlo, sapendo quello che ero mi mise una strana angoscia. Mi ucciderebbe se mi incontrasse in altre sembianze?
« A che stai pensando? » mi domandò infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
« Ai licantropi » gli risposi senza riflettere, non me ne pentii, in fin dei conti gli aveva tirati in ballo lui.
Pensai al bracciale, al lupo che vi era sopra, ma non lo guardai, non volevo che lui le fosse attratto in qualche maniera o che pensasse che fosse chissà che cosa. Ma lo mossi d’istinto.
« Ne hai mai visto uno dal vivo? » mi domandò curioso.
Non solo uno, gli volevo rispondere, un intero branco. Ma poi non si sarebbe spiegato come, da un intero branco, sia uscita illesa. Preferii una mezza verità.
« Sì uno, il primo giorno che mi ritrovai cosi » feci un gesto con le mani indicandomi il corpo, dal collo al bacino.
« L’hai affrontato? »
« No, sono scappata, e non mi ha inseguita » ci crederà?
« Capisco » ricominciò a camminare e io lo inseguii affiancandolo.
Non parlammo per un po’, poi diedi uno sguardo all’orologio, le quattro.
« Cominciamo a correre? » chiesi leggermente agitata.
« La tua bara ti reclama? » mi prese in giro ricominciando a ridere.
Grugnii in risposta e cominciai a correre.
Lui mi segui, e per parecchio continuammo a correre lungo la strada ai margini della foresta, quando ci inoltrammo in essa, il mio orologio cominciò a suonare. Merda!
 
ANGOLETTO:
*SI RITIRA IN UN ANGOLO*
SIATE CLEMENTI!

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Capitolo 8
*** CAPITOLO OTTO ***


Cercavo di correre il più velocemente possibile.
Guardavo i numeri dell’orologio inesorabilmente susseguirsi.
Sono un vampiro, sono un licantropo, ma non posso fermare il tempo.
Cosi quando oramai mi resi conto che non ce l’avrei fatta mi fermai.
«Ti sei arresa? » Edward mi raggiunse dopo pochi secondi, e anche se la stanchezza non era parte di noi, al momento, fece un sospiro pesante mettendosi le mani ai fianchi. «Questa storia che sei più veloce di me, non mi va giù» il tono era ironico, ma sono convinta che lo pensasse sul serio.
Dovevo trovare una soluzione, al mio unico problema, Edward.
Come potevo chiedergli di restare qui, mi avrebbe ascoltato?
«Te lo posso chiedere un favore? » mi girai guardandolo, avevamo la strada a qualche metro di distanza, potevo tornare da sola, sapevo orientarmi.
«Dipende»
Lo immaginavo. Non mi avrebbe dato retta, anche perché non c’era alcuna ragione per andare da sola, almeno nessuna ragione plausibile.
Sospirai.
«Vedi, Edward…» mi avvicinai a lui con fare sensuale.
Con la mano gli accarezzai il petto spingendolo delicatamente verso un albero, che raggiunse dopo due passi. Spostai la mano sulla spalla e a quel punto alzai lo sguardo dalla mia mano per incontrare il suo.
Non seppi dirlo se era sorpreso o altro, sembrava serio.
«Io vorrei …» aiutata dall’altra mano, gli sbottonai la camicia, tirandogliela fuori dai pantaloni, per poi fargliela scendere sulle spalle, senza toglierla dai polsi, cosi da rimanere con le braccia dietro la schiena, non fece niente per sfilarla, rimase immobile, mentre con le mani tornavo sul suo petto, gli accarezzai le clavicole con la punta delle dita, scesi unendo le dita sullo sterno, disegnando la muscolatura. Non seppi resistere cosi posai le labbra sul suo petto scendendo dove erano passate prima le dita, separai le mani passando i pollici sui capezzoli, e con la bocca andai a raggiungere la mano destra, con la lingua assaporai la sua pelle, dolce e fresca.
Lo sentii sospirare. Il più era fatto.
Scesi con le dita seguendo la linea dello stomaco, mi soffermai sull’ombelico, mentre con le labbra seguivo lo spesso percorso, sollevai lo sguardo e lo trovai intento a fissarmi e gli occhi gli erano diventati completamente neri, forse non era solo colpa della sete.
Mentre con la lingua giocavo nel suo ombelico, con le mani gli slacciavo lentamente la cintura, per poi aprirgli il bottone e abbassato la cerniera, nel farlo gli sfiorai l’erezione e un profondo ringhio gli osci dalle labbra. Sollevai lo sguardo fermandomi, quel ringhio mi fece due effetti, mi spaventò e mi fece eccitare, cosa non prevista nel mio piano.
Ingoiai a vuoto, cominciando a guardare i boxer con un desiderio disarmante, sapevo cosa nascondevano, lo vedevo dalla forma, erano piuttosto aderenti, ma non potevo, non ne avevo tempo.
Gli abbassai i pantaloni fino alle caviglie e mi sollevai.
Era di una bellezza disarmante, aveva lo sguardo perso, il desiderio gli si leggeva negli occhi, specchio dei miei probabilmente, ma non potevo, gli allacciai le braccia al collo alzandomi sulle punte dei piedi, e baciandolo, un bacio intenso, senza remore, sentendo il suo sapere fino allo stomaco, le nostre lingue si saggiavano come il più dolce dei frutti, e avrei continuato all’infinito, ma il tempo non era dalla mia parte.
L’orologio suonò. «Io vorrei, che restassi qui» gli dissi dandogli un bacio a stampo.
Lui sorrise, un sorriso ironico. «Ti odio» mi soffio sulle labbra.
Sorrisi. «Sicuro? »
Mi prese il viso tra le mani, e ne restai sorpresa, si era liberato, sapevo che poteva, ma non credevo l’avesse fatto. «La prossima volta chiedilo. Cosi non credo di poterti accontentare. » mi bacio di nuovo.
Durò pochissimo. «Vai via prima che cambi idea! » abbasso le braccia lungo i fianchi sospirando.
Ora ero io a non volermene andare.
Chiusi gli occhi, mi feci coraggio e mi voltai cominciando a correre, non prima di sentirlo ringhiare.
Mi sentii morire. Non volevo lasciarlo, ma dovevo.
 
Arrivai a pochi metri dal cartello “Benvenuti a Forks” quando il fuoco si propagò nel corpo, partendo dal cuore a ogni arto, lo accolsi con meno sorpresa, stringendo i denti a continuando a correre, ma aspettavano altri chilometri prima di tornare nella terra dei lupi, dove per quella mattina mi sarei rifugiata.
In pochi secondi non correvo più sulle mie gambe, ma sulle zampe.
Cavolo, addio alla tuta e al soprabito.
 
Dopo poco cominciavo a sentire altri rumori intorno a me, piedi, che correvano, che m’inseguivano.
Non ero più sola e non perche ci fossero altri lupi ma ero fermamente convinta che i rumori che sentivo fossero solo due e non quattro, quindi qualcuno mi stava seguendo e non era un lupo.
Non arrivai al confine di La Push, a poco più di cinquanta metri fui bloccata da qualcuno che non avevo mai visto.
«Ehi cane, sei fuori dal tuo territorio! » mi ringhio contro.
Era bella, statuaria, con un fisico da modella, i capelli sciolti e biondi le ricadevano a onde sulla schiena, gli occhi erano due pozzi d’ambra.
Come Edward.
Mi persi per un attimo, poi il suo forte odore fece reagire il mio corpo da solo. Ringhiai di rimando.
«Che c’è cane! Prima ti fai una passeggiata in terre che non vi appartengono e poi ti stizzì? » camminava verso di me con una mano sul fianco.
Aveva tutte le intenzioni di provocarmi e senza volerlo il mio corpo reagiva da solo a quella provocazione irrigidendosi.
La guardavo, cercavo di non perderla di vista.
«Allora cane! Che hai da dire? » scoppia a ridere mentre mi affianca e mi supera «Non abbai cane? » mi afferra la coda e la stringe, io cerco di rimanere ferma nonostante la sofferenza, mi ritrovo a guaire.
«Rosalie, lasciala! » una voce femminile rimprovera la bionda.
«Come “lasciala”? È una femmina? » le dice sorpresa.
Non riesco a vedere con chi parla, mi sono dietro e la bionda ha ancora la mia coda tra le mani.
«Non lo vedi? Anche in lupi devono avere i genitali, lei non li ha! » le dice l’altra.
La coda mi viene lasciata e mi giro di scatto davanti a me apparte la bionda statuaria c’è una bambina.
No, non è una bambina, è una ragazza che mi sorride, invece di guardarmi storto come l’altra. Capelli corti neri e gli stessi occhi della prima.
«Giusto? Sei una lei no? »
Annuisco, parlare non servirebbe a molto.
«Che roba, ora ci sono anche le donne tra i cani? » dice la bionda guardandomi storto.
«Non credo sia l’unica, c’è anche Leah» la informa l’altra.
Leah, conoscono Leah?
«Perché, questa chi è? » le domanda la bionda.
«Non è Leah, lei è grigia, questa somiglia a Jacob, ed è più grossa di Leah».
Mi stanno dicendo che sono grossa?
«Senza offesa, s’intende» si giustifica.
Ma che fa anche questa legge nel pensiero?
 
Ad un certo punto nella foresta avverto un ululato. Leah!
«Andiamo che ha chiamato i rinforzi, ho un vestito nuovo, non mi va si rovini» dice la piccoletta tirando la bionda per un braccio.
«Ehi! È lei che sta nel nostro territorio, mica noi» la rimbecca tirando via il braccio.
«Allora non hai sentito, ho un vestito nuovo, se vuoi vedertela tu con altri tre lupi accomodati, io vado via» cosi dicendo salta su un ramo e dopo nel successivo, al terzo salto la perdo di vista.
Come abbasso lo sguardo sulla bionda dietro di me sento altri tre cuori che battono, mi giro appena vedendo Leah, Jacob e Seth.
«Si, ok, portatevela via, non ve la mangio» cosi dicendo segue l’amica ed io crollo sulle zampe.
Mi sono spaventata a morte, non credo di essere una combattente, ma ero convinta che la Bionda aveva tutte le intenzioni di farmi reagire e razionalmente mi sono trattenuta, ma che fatica.
Sento il muso di Leah che preme contro il mio.
Amica mia portami via.
Lei probabilmente non ce l’avrebbe fatta, ma mi morse la collottola per sollevarmi appena e permettere a Jacob di infilare il muso sotto il mio corpo per poi con uno slancio della testa portarmi sopra al suo dorso.
Appena stabile però cominciai a tornare umana e il buio mi avvolse.
 
Mi svegliai con dolori atroci in tutto il corpo, sentivo la testa pesante e gli occhi gonfi.
«Ciao» un sussurro che mi fece girare il viso.
Vidi Billy che mi osservava attento, poi vidi il bracciale tra le sue mani e il cuore a momenti mi cedeva.
Lui dev’essersi accorto della direzione dei miei pensieri perché cominciò a parlare.
«Questo bracciale non doveva essere in vendita, lo tenevo nascosto dietro degli scatoloni nel negozio proprio per evitare che qualcuno lo trovasse.
Sai, era della mia bis nonna. Lei era convinta che ci potesse essere molto di più nei vampiri, lei credeva che avessero un cuore, fermo, ma che ci fosse. Questo bracciale era un regalo, lo ebbe dai freddi per gratitudine, lo ebbe solo con questo cuore di diamante, il lupo lo intagliò lei dalla sacra quercia.
Questo bracciale ha il potere di unire le due razze, può essere una cosa sconvolgente, può essere una cosa impossibile, ma non lo può indossare nessun altro se non colei che unirà le razze. Perche dev’essere lei a creare il legame. È scritto cosi, e cosi sarà» si avvicina a letto, solleva la mia mano e infila il bracciale nuovamente al mio polso, tutto cambia in alcuni secondi, il mal di testa svanisce e gli occhi li apro normalmente.
«Non perdere di vista l’obiettivo, capisco l’agitazione, capisco la paura, ma non perdere di vista l’obiettivo, sei nata per questo. » cosi dicendo mi lascia sola nella stanza.
Sollevo le mani al viso, non ci capisco niente, lui sa e mi vuole spronare a compiere un destino che non comprendo, e quale sarebbe poi? Unire le razze, come? Come posso io unire le razze se sono la prima che cerca di nascondere a entrambe ciò che mi sta succedendo?

lO SO è CORTO, MI RIFACCIO CON IL PROSSIMO!

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Capitolo 9
*** CAPITOLO NOVE ***


CREDO DI ESSERE LIEVEMENTE IN RITARDO.
GIUSTO LIEVEMENTE.
PER CHI ANCORA MI SEGUE E MI ASPETTA.
GRAZIE!
 
Avverto qualcosa sulla pelle, il fruscio della pelle contro qualcosa, la costanza del tocco, il calore.
Probabilmente sto sognando, eppure il nento movimento sulla schiena mi sembra cosi reale. Se non lo fosse spero di non svegliarmi mai è cosi rilassante.
Sposto la testa da sinistra a destra e la luce mi colpisce sulle palpebre chiuse. Beh, sogno mio, è arrivato il momento di lasciarci, eppure, eppure la carezza continua, lenta costante.
Apro gli occhi lentamente, trovandomi davanti un muro con cinque centinetri più sopra la finestra che mi ha svegliato facendo passare quel po' di luce.
Ma il mio letto non è mai stato a ridosso della parete!
«Che cavolo...» mi giro di nuovo a sinistra trovando seduto su una sediasdraio vicino al letto Jacob.
il suo braccio sinistro continua a salire e scendere sulla mia schiena, dalla nuca a metà schiena.
«Buona sera» mi dice sorridendo.
«Buona sera» sussurro con voce impastata, stiracchiando le braccia sotto al cuscino riappoggiando la testa.
«Vuoi che la smetto?» mi domanda guardando la sua mano che continua a salire e scendere.
«Se ti sei stancato...» non volevo che la smettesse, era una carezza rilassante, intima, ma rilassante.
Solo in quel momento, riflettendoci un po', mi sono accorta di essere nuda a che il lenzuolo che mi copre, arriva a malapena a coprirmi il sedere, il seno praticamente si vede dai lati. Abbasso le braccia di scatto.
«Non hai più niente che già non abbia visto» ridacchia continuando a guardarsi la mano che sale e scende, o la mia schiena?
«Ah, credo di doverti ringraziare, giusto?» gli dico continuando a rimanere con le braccia piegate ai fianchi.
«Per cosa?» si girò a guardarmi in viso e giuro di avergli visto l'ombra di un sorriso.
«Per avermi salvato, e per avermi postata qui. Immagino sia la tua stanza?»
«Pesi quanto un fuscello, tranquilla» si sollevò dalla sedia e di conseguenza smise di accarezzarmi, si incamminò verso la porta dandomi le spalle, e che spalle! «Leah ti ha portato delle robe, sono sulla scrivania - mi indica un piccolo scrittoio al lato destro della porta - io vado, tra un po' cala il sole. Mi ha detto mio padre che Charlie da di matto se entro il tramonto non torni» si volta per guardarmi e non so che vi legge nella mia espressione, so solo che il cuore oramai ce l'ho in gola, quella frase mi ha spaventata, che altro gli ha detto Billy?
Si avvicina, vedendomi smarrita, e puntellandosi col le mani ai lati delle mie spalle si avvicina lentamente per poi sfiorare con le labbra la base della nuca «Ci vediamo domani mattina?» schende con le labbra lungo la schiena.
il cervello oramai è scollegato. Devo andare via per forza?
«Mh, mh» era un gemito o un affermazione? Dio, che vergogna!
Lo sento soffiare un sorriso sulla pelle.
«A domani Isabella» e si solleva lasciandomi li interdetta, con una voglia di so io cosa e la frustrazione di dover andare via.
Uffa!

Una volta cambiata e uscita trovai il mio pick.up parcheggiato nel vialetto, se cosi lo possiamo chiamare, di casa.
Sopra il cofano a gambe incrociate c'era Leah.
«Piaci parecchio a Jacob» esorgisce senza sollevare lo sguardo dalle sue gambe.
«Cosa te lo fa credere?» l'avevo capito, sapevo di piacergli, non avrebbe fatto quello che ha fatto altrimenti, ma se la cosa intaccava il loro rapporto, non avevo intenzione di mettermi nei casini, per tre mesi che devo restare...o no?
Non ci avevo pensato, l'estate passa in fretta e...e mi sto facendo coinvolgere dalle spire intricate di Forks.
«Nel branco ci leggiamo nel pensiero, ricordi?»
«Ah!»
«Già» solo allora sollevò lo sguardo, e non seppi capire che tipo ti espressione avesse, sembrava triste, ma non saprei dirlo con precisione.
«La cosa ti crea dispiacere? - scesi i gradini del portico e mi avvicinai al pick-up - lo lascio in pace, o creco di allontanarlo se nei suoi confronti...»
«Nei tuoi - mi inerruppe scendendo dal pick-up - nei tuoi confronti, non nei suoi» fece un passo. l'unico che ci separava e prendendomi il viso tra le mani mi bacia, un bacio lento al quale mi abbandonai completamente, rispondendo.
I minuti passarono e con essi il bacio continuò. Quando le sue mani scesero sulle mie spalle la sua bocca lasciò la mia.
«Tu mi piaci tanto Isabella»
«Anche tu mi piaci tanto Leah» ma non feci in tempo ad aggiungere altro che una sensazione di gelo mi divampò nella vene.
Accidenti!
«Leah è meglio che vada a casa» la lasciai li salendo velocemente sul pick-up.
Misi in retromarcia e lei continuò o guardarmi, quando svoltai sulla strada lei già tremava.
Dovevo essere veloce, il sole oramai calava dietro le nubi, non si sarebbe arrestato ne rallentato, dovevo correre.
Imboccai la strada per arrivare a Forks il più velocemente possibile, e un rumore di rami e foglie  mi fece voltare verso destra.
Sul ciglio della strada Leah mi seguiva in forma di lupo.
Ti prego Leah! Torna in dietro!
Schiacciai sull'acceleratore provocando un rombo incredibile e pochi metri più avanti Leah si arresto ululando.
Chiusi gli occhi; grata, triste, confusa. Non avevo più idea di cosa provare, ero totalmente il balia del cuore, un cuore che ad ogni battito sussultava in procinto di fermarsi.
Quando riaprii gli occhi il cuore si era ormai fermato del tutto e una macchina mi veniva dritta addosso nel senso opposto. Purtroppo io ero nella sua carreggiata, lo scontro fu inevitabile, nel momento che io sterzai verso il bosco ancora più a sinistra e quindi evitarlo lui fece altrettanto.
Riaprii gli occhi quando mi fermai, non avevo idea di come o perche ma mi ritrovavo sotto un albero a faccia in giù. Mi sollevai, non mi ero fatta niente ma non potevo dire lo stesso del guidatore dell'altro veicolo. 
Mi girai per prestargli soccorso nella vana speranza che non si fosse fatto qualcosa, anche se a vederla cosi la carrozzeria era completamente schiacciata quando il mio pick-up apparte il parabrezza sfondato sembrava non avere un graffio.
Mi tornarono in mente le parole di Leah: "Trattalo bene e lui ti proteggerà il meglio che può"
Il cofano della mercedes prese fuoco, saltai dall'altra parte per vedere se c'era ancora speranza per il guidatore.
Quello che mi trovai davanti fù impressionante. lo sportello era aperto e una donna cercava in tutti i modi di piegare la lamiera per scastrare il vestito che era incastrato in mezzo.
«Mi aiuti per favore?» Sollevò lo sguardo su di me con un sorriso così bello che mi incantai; i suoi occhi ambrati, il suo viso ovale, le sue labbra rosse, i capelli che gli cadevano sulle spalle come onde di caramello.
Quando abbassò lo sguardo mi resi conto di quello che voleva fare.
Sdradicai la portella e sollevai il cruscotto che si piegava sulle sue gambe.
«Piano il vestito» mi rimproverò quando cercai di scastrarle le gambe. come se non fossero le sue gambe ma il vestito il problema, infatti, come lo sollevai appena per scastrarlo lei solleva le gambe finendo di scastrarsi da sola.
Uscì controllandosi l'abito che si stirò con le mani.
«Menomale, non si è rovinato - si volta appena guardando la macchina, apre con molta facilità lo sportello posteriore e prende la borsa cercando di richiudere dopo lo sportello ma non succede perche è sformato - allontaniamoci prima di andare a fuoco» appoggia la mano sulla mia spalla e invece di allontanarci sulla strada ci spostiamo nel bosco.
«Stai bene?» mi chiese una volta allontanate di un buon mezzo miglio.
«Si» sussurrai.
Apri la borsa e ne estrasse il cellulare. Compose il numero e aspettò.
Sentivo il suono del telefono fare "tuu-tuu"
"Esme?"
«Carlisle»

DEVO SCAPPARE IL RESTO LO POSTO DOMANI E LO CORREGGO ANCHE 
BACI E SCUSATEMI!

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Capitolo 10
*** CAPITOLO NOVE BIS ***


"Che succede?" l'uomo dall'altra parte della cornetta sembrava abbastanza sorpreso, non si aspettava una chiamata probabilmente.
«Niente di grave - si gira verso la macchina, fa una smorfia con la bocca e continua - la macchina é grave, ho avuto un incidente» spiegò con calma, Esme, potevo darle un nome.
"Tutto bene? Che tipo d'incidente?" sembrò che la calma di Esme avesse contagiato anche l'uomo, Carlisle.
«Contro un'altra auto, il...»
"È morto?" cominciava ad agitarsi.
«No, è una di noi...» la guardai meglio, non riconoscevo quelli che potevano essere i miei simili al momento, era il mio istinto a suggerirli, come con Edward...Edward. I suoi occhi, dello stesso ambra, forse più chiari, il viso fin troppo pallido. Eppure non avevo paura o timore, scappare era la prima cosa che mi soggeriva l'istinto.
"Dove sei?" le chiese interrompendola.
«Ah, a mezzo miglio dal confine, stavo tor...»
"Ferma lì, arrivo subito!" e chiuse la comunicazione.
Esme guardò il telefono ormai muto e sospirò.
«Devi sapere che non si fida dei forestieri - ripose il telefono nella borsa e mi prese le mani - comunque non ti preoccupare, mio marito é solo molto prudente» non aveva mai abbandonato i miei occhi mentre parlava.
«Marito? Sei giovane!» non sapevo perché l'avevo detto, ma con tanti pensieri incasinati nel cervello quella domanda o constatazione era l'unica chiara in mezzo al casinò di pensieri.
Sorride prima di rispondermi «Sono morta ottantacinque anni fa, ho centoundici anni, ma se parli di età si, sono relativamente giovane, ho 26 anni» mi spiegò sempre ridendo, io avevo la mascella a terra probabilmente, avevo dimenticato l'immortalità che contraddistingueva questa razza. «Tu, quanti anni hai?» mi domandò intromettendosi nei miei pensieri.
«Diciassette» risposi d'istinto.
Lei sorrise e mi chiese di nuovo «Da quanto tempo hai 17 anni?» 
«Da settembre dell'anno scorso, ne avrò 18 a settembre di questo anno» semplice e concisa.
Ma lei fa due passi in dietro «Da quanto sei un vampiro?»
«Poco piu di quattro giorni» perché queste domande?
«Non...non l'avrei mai detto, sei controllata, apparentemente calma. Cosa provi in questo momento con me accanto?» mi chiese avvicinandosi di nuovo.
Non riesco a capire dove voglia arrivare. «Cosa doveri provare?»
Sorride «Non so, agitazione, fastidio, voglia di proteggerti?»
Riflettei poco piu di due secondi, come mi sentivo?
«Normale, come se parlassi con mia madre, tranquilla insomma»
«Hai sete?» mi domandò dopo, ma una folata di vento si mette tra noi, rivelando un ragazzo biondo che ci separava.
«Carlisle» lo chiama Esme.
«Stai bene?» le domandò veloce senza distogliere lo sguardo da me.
Istintivamente e non per mia volontà il labbro superiore mi si arriccia sui denti e un sonoro ringhio ne seguì involontario.
Mi allontanai di qualche passo non perdendo di vista il biondo.
«Calma, calma» Esme si mise tra me e il biondo, poi si voltò verso di me con le mani avanti «Non é successo niente, è tutto apposto» Esme continuava a parlare e camminare verso di me, ma io non riuscivo a togliere gli occhi dal biondo, mi sembrava che se non l'avessi tenuto sotto controllo mi avrebbe volentieri staccato un arto.
«Esme, è una neonata, non ragiona»
E no, questa insistenza sul mio non ragionare da decisamente ai nervi.
Mi addrizzo, rendendomi conto sono in quel momento che ero rannicchiata «Senti biondino, neonata non mi sembro, ho la capacità di intendere e volere quindi statti al tuo posto» finiì puntandogli il dito contro.
Esme sorrise, non seppi dire se per quello che dissi io o per la faccia del biondo, sta di fatto che la situazione si alleggerì.

«Quattro giorni?» mi chiese Carlisle.
Stavamo trainando la mersedes con il mio pick-up, stranamente ancora funzionante, apparte il parabrezza sfondato. 
Stava guidando Carlisle, Esme, sedeva come co-pilota e io dietro.
«Neonata, si intende il tempo della nuova rinascita, tu sei una neonata» spiegò Esme con calma voltandosi per sorridermi. Forse aveva capito la mia suscettibilità, essere definita poppante, o neonata mi dava leggermente ai nervi.
«La tua calma è sorprendente» continuò Carlisle.
Presi fiato per rispondergli, ma la sua guida s'interruppe e mi voltai per vedere in che punto voleva lasciare la macchina e mi sorpresi della magnificenza di quella struttura, una casa su tre livelli per la maggior parte fatta di vetri, completamente immersa nel verde. Favolosa.
«Ti piace?» Mi chiese Esme.
Non riusci a dire niente anuii soltanto.
«L'ho progettata io con mia figlia» mi disse dopo.
Mi voltai di scatto nelle sua direzione, era un vampiro, era giovanissima, e aveva più di cento anni, come poteva avere una figlia?
«Figlia?»

SCUSATE IL RITARDO, UNO SI PROGRAMMA L'ESISTENZA E POI C'è SEMPRE QUALCUNO CHE CAMBIA I TUOI PIANI PORTANDOTI DUE SETTIMANE FUORI DI CASA, MA SI PUÒ??
OK, ORA SONO TORNATA, TORNIAMO AI CANONI!
DOMANI AGGIORNO LE ALTRE 
Saturday at the disco; Biancaneve e il Cacciatore, la storia non finisce qui
BACIOTTI BARBONCINA!

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Capitolo 11
*** CAPITOLO DIECI ***


Il salone della casa era quanto il piano inferiore di casa mia, enorme.
La parete est non esisteva, al suo posto solo vetro, la parete attigua non creava un angolo retto ma un angolo acuto, la struttura stessa era esagonale.
Quando mi meravigliai della particolarità della struttura Esme mi rispose che avrebbe preferito una forma ottagonale, ma sua figlia le fece cambiare idea.
Non sapevo come poter chiederle, come, come poteva avere una figlia?
Fu Carlisle a rispondermi.
«Ne abbiamo cinque, Alice è la quarta»
Alla mia espressione scioccata si aggiunse lo sconcerto.
«Possiamo...» non sapevo come continuare la frase.
«No, Isabella, non possiamo. Siamo morti, la natura non ce lo concede, ma possiamo ridare una nuova vita, è un po' come essere genitori in fondo, non credi?» la voce dolce e il viso di Esme mi fecero ricredere sull'età che potesse avere, ha un modo, un viso, non si direbbe mai che una donna come Esme non sia madre.
«Si, lo credo. Quindi avete trasformato...»
«Salvato - intervenne Carlisle - non li abbiamo trasformati per carenza di affetto, gli abbiamo salvato la vita, gli abbiamo fatti scegliere, se morire di morte naturale o vivere un esistenza da mostri - Carlisle si sollevò dal divano dov'era seduto accanto ad Esme, per posizionarsi dietro di lei - vedi, noi ci definiamo mostri, non siamo esseri umani, cerchiamo di vivere dignitosamente in mezzo a loro, con le loro abitudini, ma non siamo come loro, dovresti saperlo»
«Fin troppo bene...» le immagini del uomo davanti casa mia, poi del ragazzo nel parco, mi vennero prepotentemente in mente, non sono più un essere umano, non riesco neanche a pensare di togliermi questo braccialetto.
Istintivamente lo toccai.
«Ma, quello...» Carlisle non fini la frase in meno di un battito di ciglio me lo ritrovai inginocchiato davanti a me con il mio polso tra le mani.
«Si, questo è il mio cuore!»

 

«Cioè, mi stai dicendo che questo sarebbe tuo?» non riuscivo a crederci, Billy mi aveva parlato di una donna, non di un uomo.

«Si, ecco, il cuore è il mio. Vedi, all'incirca cento cinquant'anni fa una ragazza della famiglia dei Quiliutes si innamoro di uno di noi – abbassò il capo e si allontanò a testa bassa verso la grande vetrata dove si appoggiò con una mano – i Quiliutes hanno una dannazione addosso, si trasformano nel loro animale sacro, il lupo. Questo lupo ha una maledizione ulteriore, l'imprinting. Che per certi versi loro possono considerare una fortuna, altri la considerano una sciagura, io la considerai una sciagura»

Esme con un movimento fluido le fu affianco, lui si voltò con un sorriso dolce e con la mano le accarezzo lentamente il viso per poi avvicinarla lentamente e baciarla.

Mentre continuava a guardarla come se fosse la creatura più importante al mondo ricominciò a parlare «Prima di conoscere Esme ero perdutamente innamorato di lei, le donai il mio cuore e lei lo accettò con gioia, ma seguì la sua condanna con l'altro vampiro e di lei non seppi più niente – si allontanò dalla vetrata tornando a sedersi con la mano tra le mani di Esme – ho sentito però raccontare la sua storia, la storia di una lupa straordinaria che divenne leggenda»

Rimasi a contemplare il bracciale, e le parole di Billy mi tornarono alla mente.

Segui il tuo destino”

«Cosa dice la leggenda?» forse può aiutarmi.

«Si, Carlisle, cosa dice la leggenda!» la voce era sarcastica, sprezzante quasi odiosa, ma la conoscevo abbastanza bene da girarmi con un lieve sorriso.

«Fammi indovinare Carlisle, lui è uno dei tuoi figli?» lo ricordavo nei minimi dettagli, e il ricordo in confronto alla realtà era solo una presa in giro.

Edward era di una bellezza sconvolgente, il portamento, la larghezza delle spalle, il collo fino, il taglio del volto, quello della bocca, il naso, gli occhi e quei capelli.

Sto sbavando? Naa!

«Edward, tu la conosci già» la voce di Carlisle sembrava tra lo scettico e il curioso, ma non riuscivo a guardarlo per sapere che espressione potesse avere, ero troppo concentrata sul viso di Edward, che continuava a guardarmi con aria di pura sfida.

Se solo ripenso a come l'ho lasciato mi prende un languore al basso ventre.

«Isabella ti presento Edward» la voce di Esme mi arrivò leggera alle orecchie.

Mi alzai porgendogli la mano, cosa avrebbe fatto?

Sorrise, non seppi dire perché, forse trovava la cosa divertente, forse la trovava assurda.

«Piacere...» sussurrò appena prima di trovarmi tra le sue braccia con il viso a pochi centimetri dal suo «Abbiamo un discorso da finire Isabella» e appoggiò le labbra sulle mie.

 

Il discorso da finire fu rimandato dall'arrivo di altre quattro persone, credo che in quel momento smisi di respirare non che di muovermi, mi sembrava che il mondo si fosse fermato, vedevo le due donne che accompagnavano quelli che sapevo fossero i fratelli di Edward, e mi spaventai, quando le vidi sotto forma di lupo non mi resi conto chi fossero, in quel momento il mio corpo aveva una diversa percezione di loro come esseri, ma ora.

La bionda la vidi il primo giorno che mi successe davanti allo scempio che avevo combinato, la seconda mi venne a cercare nella foresta.

Il primo istinto in quel momento era “scappa!”

Una mano si appoggiò sulla mia spalla e mi fece svegliare dalla trans, facendomi rendere conto che erano passati pochi attimi visto che stavano ancora chiudendo la porta, ma anche che avevo assunto una posizione di difesa involontaria.

«Isabella, loro sono i miei figli» intervenne Carlisle, la mano sulla spalla era la sua.

Prese fiato per continuare ma venne interrotto dalla ragazzina bruna!

«Sapevo che alla fine saresti arrivata!» la sua voce era un po' più acuta di quella calma che ricordavo, in due passi, non tanto corti, mi fu davanti con le sue mani che mantenevano le mie.

«Quando ti ho vista su quell'albero già sapevo che saremmo diventate grandi amiche, però adesso mi devi fare un favore...»

«Ti sembra il caso Alice?» il commento di Edward mi prese alla sprovvista, sapeva che aveva il mente?

«Si, Edward, mi sembra il caso, anche perché anche lei si sentirà meglio con cose che non abbiano...»

il ringhio di Edward fermò il suo fiume di parole, solo che avevo la sensazione di capire quale fosse il discorso, e anch'io sapevo che gli abiti che indossavo avevano l'odore di lupo, solo che non mi dava più cosi tanto fastidio, in fin dei conti era pur sempre il mio stesso odore.

«Mi dispiace – mi difesi – i miei vestiti non sono abbastanza consoni per questa casa – non volevo essere scortese, ma dovevo uscire da quella situazione, Alice aveva tanto l'aria da maniaca e la cosa mi metteva a disagio. Mi giro verso Esme sfilando le mani da quelle di Alice. - mi dispiace per la macchina. Carlisle, grazie delle informazioni. Buona serata» cercai di non guardare, ne sfiorare nessuno mentre uscivo, anche se lo sguardo nel momento in cui aprii la porta cadde inevitabilmente su un Edward che sembrava voler uccidere la sorella.

Abbassai lo sguardo e uscii, nel momento che la porta si chiuse cominciai a correre nella foresta il più velocemente possibile.

Arrivai al pick-up dopo pochi minuti, ma la sorpresa che trovai mi gelò il sangue nelle vene. Jacob, Embry, Seth e Sam erano in forma di lupo intorno ai veicoli, Leah invece era dentro il pick-up controllando e annusando il suo interno.

Mi nascosi cercando di mettermi sotto vento per evitare che si accorgessero della mia presenza.

«Vampiri ragazzi, la scia di Bella è scomparsa, non oso immaginare che le sia successo. Porto il pick-up al garage, lasciamo qui la Mercedes, appartiene a quei parassiti se la vedranno loro – i lupi mugolarono per qualche secondo e a quanto pare Leah li capì – ok, Jacob torni con me loro cercano tracce di Bella nel bosco, noi lasciamo il pick-up e andiamo a vedere se Bella è a casa» cosi dicendo mette in moto il pick-up e in retro marcia fa qualche metro per poi invertire la marcia e andarsene.

Cazzo, ora andranno a casa!

Devo essere li prima di loro, e per la forma? Vabbè toglierò il braccialetto, Jacob non se ne accorse, non lo farà neanche sta volta.

Ma nel momento in cui mi girai mi trovai una splendida sorpresa.

«Credo che tu mi debba qualche spiegazione, no?»

Edward seduto sul tronco dell'albero che avevo davanti ciondolava la gamba sinistra mentre mi guardava con le braccia conserte.

Cercai di ignorarlo.

«Non ti devo niente» cominciai a camminare verso casa.

«A no?»

«No»

«Sicura» continuava ad inseguirmi imperterrito.

«Si!»

Mi bloccò il braccio costringendomi a girarmi, con la mano libera mi prese il collo e mi spinse contro un albero creando un boato allarmante, ma il tronco non cedette.

«Io dico che mi devi molto di più di una spiegazione» il suo sguardo nero era freddo e minaccioso, totalmente diverso da quello che vidi l'ultima volta.

Cercai di liberarmi inutilmente, non perché non ne avessi la forza, ma non ne avevo la volontà.

«E perché? Sentiamo!» con un movimento fluido e del tutto inaspettato mi sfila il braccialetto.

Il dopo fu tutto confuso, i colori erano confusi, i movimenti erano confusi. Io ero confusa, eppure rimasi completamente da sola in mezzo alla foresta a pochi metri dalla strada.

Il braccialetto era scomparso insieme ad Edward.

Non so neanche quanto tempo avevo aspettato, ero sfinita, non avere il bracciale al polso comportava la spossatezza fisica. Ma Edward non tornava e non sapevo perché.

Nonostante le gambe non mi reggessero mi spostai lentamente sulla strada, non c'era l'ombra di una macchina ne che andava ne che veniva, ma avevo la sensazione che sarei stata trovata solo se restavo li. Lentamente mi sedetti a terra vicino alla Mercedes e sperai che appoggiando la testa...

 

Scusate il ritardo, gli errori, e tutto quello che di più orrendo trovate ma non ho proprio il tempo materiale di correggere e rileggere.

Vi voglio bene!!

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Capitolo 12
*** AVVISO ***


OK, SCUSATE IL RITARDO, SONO STATA DISCONNESSA PER TROPPO TEMPO, E LE STORIE A MOMENTI NON LE RICORDO, ORA SONO RITORNATA IN LINEA, MI DOVETE DARE GIUSTO QUALCHE GIORNO PER RECUPERARE LE IDEE, SCUSATE A CHI MI SEGUIVA E SCUSATE PER CHI ORAMAI SI è ARRESO!
UN BACIONE GRANDE
!

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