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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** Chapter 1. ***
Capitolo 3: *** Chapter 2. ***
Capitolo 4: *** Chapter 3. ***
Capitolo 5: *** Chapter 4. ***
Capitolo 6: *** Chapter 5. ***
Capitolo 7: *** Chapter 6. ***
Capitolo 8: *** Chapter 7. ***
Capitolo 9: *** Chapter 8. ***
Capitolo 10: *** Chapter 9. ***
Capitolo 11: *** Chapter 10. ***
Capitolo 12: *** Chapter 11. ***
Capitolo 13: *** Chapter 12. ***
Capitolo 14: *** Chapter 13. ***
Capitolo 15: *** Chapter 14. ***
Capitolo 16: *** Chapter 15. ***
Capitolo 17: *** Chapter 16. ***
Capitolo 18: *** Chapter 17. ***
Capitolo 19: *** Chapter 18. ***
Capitolo 20: *** Chapter 19. ***
Capitolo 21: *** Chapter 21. ***
Capitolo 22: *** Epilogue. ***
Capitolo 1 *** Prologue. ***
Ad Ale, alla quale è
dedicato il
personaggio di Alice.
Grazie, per
sopportarmi e per supportarmi in qualunque baggianata mi venga in mente
di
scrivere.
E a Jas,
mia bannerista di fiducia.
Grazie, perché anche
tu ascolti tutti i miei scleri, di continuo. Nonostante io sia
paranoica a
livelli esagerati.
Grazie.
Prologue.
Generalmente,
Johannah poteva definirsi una donna serena, in grado di prendere
decisioni
sagge, intelligenti e, soprattutto, che non l’avrebbero mai
lasciata con il
dubbio di aver fatto la scelta sbagliata. Aveva cresciuto suo figlio
nel
migliore dei modi, dopotutto, cosa ci voleva a comunicargli che
intendeva
sposarsi una seconda volta?
«Non
so,
Sam… forse ancora non è il momento.»
bevve nervosamente un sorso di caffè
caldo, per poi gettare un’occhiata all’uomo che le
sedeva davanti.
Anche
lui
sembrava estremamente concentrato, perso in pensieri di cui,
probabilmente, non
l’avrebbe nemmeno messa al corrente.
Johannah
non era preoccupata per suo figlio, in realtà: Louis era
grande, e avrebbe accettato
la situazione senza troppe difficoltà. Il vero problema era
la figlia di Sam, June,
che aveva appena terminato gli studi e aveva un caratterino piuttosto
complicato, a quanto sosteneva il padre.
«Perché
ti metti sempre problemi che non ci sono, Jay?» le
domandò Sam, aprendosi in un
sorriso dolce, che a Johannah fece ricordare il motivo per cui, tre
anni prima,
aveva pensato che quell’uomo non l’avrebbe mai
fatta soffrire.
«June…»
cominciò a dire, ma Sam la bloccò con un cenno
della mano.
«June
è
grande, Jay. Capirà.»
Johannah
annuì, anche se continuava a pensare che June non
l’avrebbe affatto presa bene.
Proprio per niente.
«D’accordo,
allora. Resta solo da decidere quando e come dirglielo.» Sam
si alzò, fece il
giro del tavolo e lasciò un bacio sulla fronte di Johannah,
che sorrise.
«Ammettilo,
allora, che un po’ sei preoccupato.» lo
stuzzicò, prima di alzarsi e mettere le
tazze nel lavandino. Sam ridacchiò, divertito, e
alzò le spalle.
«No.»
«Sam…»
«E
va
bene, un po’. Si tratta sempre di una decisione importante,
no?»
«Certo.
Facciamo così, allora: ci incontriamo da Tony
alle otto. Io porto Louis, tu June.» propose.
Sam
annuì, concorde, poi afferrò il telefono e
compose il numero della pizzeria.
Una volta prenotato il tavolo, rimaneva solo una cosa da fare:
convincere June
a cenare con lui, senza farle capire quale fosse lo scopo
dell’uscita.
Sua
figlia era dannatamente intelligente e avrebbe sicuramente sentito la
puzza del
suo tranello non appena l’avesse guardato in faccia.
Perciò
sia
Sam che Johannah pensarono la stessa cosa, anche se nessuno dei due
ebbe il
coraggio di dirlo ad alta voce: si prospettava una serata impegnativa.
***
Here
I
am! (Di nuovo)
Storia
nuova, postata ancora prima del previsto. Mi amate? Io fossi in voi mi
amerei
tanto.
Allora,
non c’è molto da dire, se non che questo
è un prologo corto e un po’
insignificante, ma che darà il via all’intera
storia.
Spero
comunque che vi sia piaciuto e, vi scongiuro, non fatevi ingannare
dalla sua
banalità.
Vi
assicuro che la storia è abbastanza decente, davvero.
Almeno, a me piace. Ho
anche quasi finito di scriverla, per ora sono al Capitolo 19.
Perciò, salvo
imprevisti e casi eccezionali, gli aggiornamenti saranno regolarissimi.
Direi
ogni lunedì, se per voi va bene. O quando preferite,
fatemelo sapere.
Comunque,
volevo ringraziare Jas per il banner – come al solito,
è bellissimo, grazie
cioppi <3.
E
niente,
credo di aver finito!
Mi
farebbe davvero piacere avere un vostro parere, sapete che ci tengo
tantissimo!
Vi
adoro,
Fede.
P.s.
Per
chi volesse, su twitter sono @FTheOnlyWay
Se
volete
essere avvertite quando posto un nuovo capitolo o anche solo parlare un
po’,
contattatemi pure ^^
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Capitolo 2 *** Chapter 1. ***
Chapter
1.
June
rientrò
a casa decisamente di buonumore, quel pomeriggio.
Tuttavia,
il sorriso le morì sulle labbra, quando le sue narici
captarono il profumo del
tè alla vaniglia. Suo padre detestava
il
tè alla vaniglia. Allora perché lo aveva
preparato?
Appese
il
giubbotto di pelle all’attaccapanni nell’ingresso,
sfilò le scarpe, lasciandole
sul tappeto, e legò i capelli in uno chignon malfatto.
«Papà?»
chiamò, dirigendosi verso la cucina. Suo padre era
lì, seduto al tavolo, ed era
evidente che stesse aspettando lei.
«Ciao,
June.»
«Che
succede?» domandò, sospettosa, sedendosi sul
bancone della cucina e
ringraziando per il tè. Soffiò un po’,
per raffreddarlo, in attesa che il padre
le desse una risposta.
«Niente.
Deve per forza succedere qualcosa?» replicò Sam,
ignorando volutamente
l’occhiata di palese dubbio che June continuava a
rivolgergli. Era incredibile
la capacità di sua figlia di farlo sentire un ragazzino
colto con le mani nel
sacco.
«Tu
odi
il tè alla vaniglia.» si limitò a
ricordargli June, inarcando un sopracciglio
con aria eloquente.
«Potrei
aver cambiato idea.»
«Papà,
la
stai tirando troppo per le lunghe. Dimmi.» lo
invitò, trattenendo un risolino
che le era uscito spontaneo.
«Ti
và di
cenare insieme, stasera? Così ne parliamo.»
propose Sam, con un sorriso sereno.
A June non sfuggì affatto la sua espressione tesa,
nonostante lui cercasse di
ostentare una naturalezza che proprio non gli apparteneva, in quel
momento.
Perciò
si
limitò ad annuire, prima di svuotare la tazza in qualche
lungo sorso e
risciacquarla velocemente. Lasciò un bacio sulla guancia di
Sam e lo informò
che andava a farsi una doccia.
Sam
tirò
un sospiro di sollievo, una volta che June non fu più nei
paraggi: credeva che
l’avrebbe scoperto subito e proprio non sapeva dire se fosse
un bene.
Per
fortuna, ancora non sospettava niente. O almeno, non sospettava che
oltre a
loro due ci sarebbero stati anche Jay e suo figlio.
June
compose velocemente il numero del suo migliore amico, intanto
spalancò le ante
dell’armadio, alla ricerca di qualcosa da mettersi per quella
cena che non la
convinceva proprio per niente.
Che
bisogno c’era di andare da Tony
per
parlare un po’? Non potevano stare in casa, davanti ad una
pizza, come facevano
tutti i venerdì?
Niall
rispose al quinto squillo, come al solito.
«Fammi
indovinare…» ridacchiò June
«Stai mangiando.»
Niall
farfugliò qualcosa di incomprensibile, poi
deglutì e si schiarì la voce. «Hai
un tempismo del cavolo, June.» rise, tranquillo. June
alzò gli occhi al cielo.
«Non
è
colpa mia, se mangi sempre. Se ti avessi chiamato tra tre ore non ci
sarebbe
stata alcuna differenza.» Niall non rispose, ma June se lo
immaginò mentre
annuiva, dandole pienamente ragione. La cosa stupefacente era che
nonostante
mangiasse in quella maniera spropositata, fosse magro come un chiodo.
«Che
succede?» le domandò, tranquillo. June
sentì che trafficava con qualcosa di
rumoroso: un pacchetto di patatine.
«Papà
vuole portarmi a cena da Tony,
questa
sera.» spiegò, lasciando intendere che
c’era qualcosa di assolutamente strano,
in quell’invito.
«Se
il
problema è che non sai cosa metterti, hai sbagliato persona.
Non posso esserti
d’aiuto.» ridacchiò Niall, infilandosi
una manciata di patatine in bocca.
«Scemo.
Voglio dire, che bisogno c’è di andare
fuori?»
«Non
so, June.
Tu vacci, e vedi un po’ che ti dice.» June
annuì, trovandosi d’accordo.
Dopotutto, cosa mai poteva succedere di tanto tragico? Si trattava solo
di
mangiare insieme a papà. Magari era semplicemente stanco di
vedere la loro
cucina, il che era perfettamente comprensibile.
«E
se ci
fosse anche Johannah?» domandò improvvisamente
Niall, distraendola dai suoi
pensieri.
Ecco. Come aveva
fatto a non arrivarci
subito?
«Vogliono
rendere la cosa ufficiale…» mormorò,
gettando sul letto un paio di jeans chiari,
una canottiera verde e un cardigan nero. Niall rimase in silenzio,
aspettando
che June superasse lo shock del momento e dicesse qualcosa.
Da
parte
sua, June trovava assolutamente di conforto il rumore delle patatine
sgranocchiate da Niall e si concentrava su quello, per evitare di dare
di
matto.
«Lo
sapevi che prima o poi sarebbe successo, June. E poi Johannah ti sta
simpatica!» si affrettò ad aggiungere Niall, per
ricordarle che non aveva mai
avuto niente contro la fidanzata di suo padre.
«Giusto,
giusto.» June si sedette sul letto a gambe incrociate e prese
un respiro
profondo. Niall aveva ragione: Johannah era sempre stata gentile con
lei. E poi
era dolce, simpatica e aveva un bel sorriso. E anche suo padre
sorrideva di
più, da quando la conosceva. Sembrava quasi aver superato il
dolore per la
morte della mamma.
Elisabeth
Gordon era morta quasi tredici anni prima, quando June aveva appena
cinque
anni. Un brutto incidente d’auto, in cui era rimasta
coinvolta al rientro dal
lavoro. Un pazzo era passato con il semaforo rosso e si era schiantato
contro
l’utilitaria di Elizabeth, che era morta sul colpo. Sam, che
amava sua moglie
più della sua stessa vita, si era ritrovato solo, distrutto
dal dolore e con
una bambina spaventosamente simile alla moglie a carico. Per anni si
era occupato
solamente di June, senza permettere a nessuna donna di far parte della
sua
vita. Poi era arrivata Johannah ed era riuscita a superare tutte le sue
barriere: piano, con fatica, ma ce l’aveva fatta. E June
sapeva che da parte
sua sarebbe stato davvero ingiusto prendersela con lei, che non aveva
nessuna
colpa se non quella di aver fatto tornare papà
più simile a quello che era
stato tanti anni prima.
«Ci
sei
ancora?» domandò Niall, dopo qualche minuto.
«Certo,
scusa. Stavo pensando.»
«Vuoi
che
venga lì, June?» Niall aveva smesso di masticare,
notò June. Il che poteva
significare solo una cosa: era davvero preoccupato per lei. Sorrise
debolmente,
poi scosse la testa. Si ricordò qualche istante dopo che non
poteva vederla, così
si affrettò a parlare.
«Tranquillo,
è tutto a posto. Sto solo assimilando la notizia.»
sospirò, poi si scompigliò
la frangetta, in un gesto che faceva sempre quando si sentiva nervosa.
«Va
bene.
Se hai bisogno…» io sono
qui. Non lo
disse, ma sapeva che June l’avrebbe capito comunque.
«Lo
so.
Ti chiamo quando finisco, okay?»
«Va
bene.
Ciao, piccola.»
June
mise
il telefono sottocarica, benedicendo quella fantastica promozione che
le
permetteva di avere chiamate illimitate verso un numero a sua scelta.
Aveva
idea che nei prossimi giorni avrebbe avuto bisogno di parlare con Niall
molto
più spesso di quanto già facesse normalmente.
Sotto
il
getto caldo della doccia ebbe modo di pensare – ancora
– a quello che le stava
succedendo quel giorno.
«Finiscila,
June. Andrà tutto bene.» provò a
rassicurarsi, prima di concentrarsi su
qualcos’altro ed evitare un esaurimento nervoso.
Si
piazzò
davanti allo specchio, indecisa se truccarsi o meno. Trattandosi di
un’occasione importante – anche se suo padre aveva
fatto di tutto per non farla
sembrare tale – forse sarebbe stato meglio un trucco leggero
e un po’
sofisticato. Cosa che lei non era assolutamente in grado di fare, visto
che era
una completa imbranata. Il massimo che si concesse, quindi, fu un
po’ di
mascara e un po’ di fard per colorire le guance pallide.
Raccolse
i capelli in una treccia, che lasciò ricadere sulla spalla
sinistra e dopo aver
agganciato gli orecchini, poté ritenersi soddisfatta.
Sam
l’aspettava in salotto e sembrava piuttosto nervoso, a
giudicare da come si
tormentava il nodo della cravatta. Non appena vide June,
però, si sforzò di
assumere un’aria serena.
June
gli
sorrise e fece una piroetta su sé stessa, lasciandosi
ammirare. Voleva che suo
padre capisse che non c’era bisogno di sentirsi in
agitazione, se lei stessa
era tranquilla.
«Sei
bellissima, tesoro.» si complimentò Sam,
rivolgendo alla figlia un sorriso
colmo d’affetto, che June si affrettò a
ricambiare.
«Grazie.
Anche tu non sei affatto male, pà. Johannah sarà
contenta.» rivelò con una
risatina, prima di precipitarsi fuori casa e incamminarsi verso la
macchina.
Sentì suo padre borbottare qualcosa di molto simile a
«lo sapevo, che mi
avrebbe beccato subito» e scoppiò a ridere. Se
solo avesse saputo che il primo
ad esserci arrivato fosse stato Niall, sicuramente non
l’avrebbe più fatto
entrare in casa.
Tony era una
della pizzerie migliori
di Doncaster ed era gestita da un italiano corpulento e con un pancione
enorme
di nome, appunto, Antonio. Aveva aperto da poco, ma si diceva che la
sua pizza
fosse in assoluto la più buona della zona.
Sam
parcheggiò in una strada adiacente al ristorante: come al
solito il parcheggio
era già pieno, nonostante fossero appena le otto.
«La
prossima volta veniamo a piedi.» disse June, un po’
sarcastica, mentre
borbottava contro quelle malefiche ballerine che continuavano a
sfuggirle dai
piedi ad ogni passo che faceva.
Sam
rise,
divertito. Quando June gli aveva detto di non preoccuparsi,
perché avrebbe
accettato ogni sua scelta serenamente, si era tranquillizzato
parecchio:
credeva che sua figlia gli avrebbe dato parecchio filo da torcere. E
invece si
era dimostrata matura, e fin troppo comprensiva. Restava da vedere se
avrebbe
mantenuto la stessa linea di pensiero anche alla fine di quella serata.
«Ciao,
June.»
June
alzò
gli occhi al cielo, prima di rivolgere al ragazzo che stava dietro alla
cassa
un sorriso forzato.
«Ciao.»
Steve
le fece un occhiolino, incurante della presenza di Sam accanto a lei e
tantomeno
dell’espressione di June stessa, che avrebbe preferito
spararsi in fronte,
piuttosto che stare in compagnia di Steve per più di trenta
secondi.
Fortunatamente,
vennero accompagnati al loro tavolo abbastanza in fretta,
così che Steve non
fece in tempo ad avvicinarsi.
«Che
piaga, quel ragazzo.» borbottò June, seccata. Suo
padre ridacchiò un’altra
volta, prima di voltarsi verso l’ingresso e aprirsi in un
sorriso felice. June
seguì il suo sguardo, anche se aveva già
individuato il motivo di
quell’espressione. Johannah avanzava verso di loro, avvolta
in un sobrio
vestito nero. Accanto a lei, c’era un ragazzo che ad occhio e
croce poteva
avere la stessa età di June, che rimase a fissarlo per
qualche secondo,
stupita, prima di voltarsi verso il padre e rivolgergli
un’occhiataccia. Stava
per dirgli qualcosa, quando la mano gentile di Johannah si
posò sulla sua
spalla.
«Ciao,
June.»
le sorrise, senza sapere bene come comportarsi.
June
sorrise, prima di sporgersi in avanti e lasciare un bacio sulla guancia
di
Johannah, che restò davvero di sasso.
«Sono
contenta
di vederti.» ed era vero: Johannah le piaceva veramente.
«Anche
io. June, lui è Louis, mio figlio.»
Louis
aveva due brillanti occhi azzurri, che June paragonò
immediatamente a quelli di
Niall. Ed aveva anche un bel sorriso, constatò.
«Piacere.»
si strinsero la mano, un po’ impacciati, prima di accomodarsi
al tavolo. June
lasciò che Johannah si sedesse accanto a suo padre,
così lei si ritrovò di
fianco a Louis, che ancora non aveva proferito una parola.
«Hai
tinto i capelli?» domandò Johannah, tanto per
spezzare l’improvviso silenzio
che si era venuto a creare.
June
annuì, osservando la treccia con aria soddisfatta.
«A
papà è
venuto un colpo. Dice che il rosso è
troppo rosso.» commentò, come se
l’affermazione del padre fosse una vera e
propria assurdità. La settimana prima, June aveva deciso di
essere stanca del
suo monotono castano scuro e così, senza dire niente a
nessuno, aveva preso
appuntamento dalla sua parrucchiera e le aveva chiesto di trasformare
quel
noioso marrone in un rosso fuoco.
«Non
è un
colore naturale.» borbottò Sam, scatenando le
risate di June e di Johannah, che
si guardarono con complicità e iniziarono a parlare di
capelli e di argomenti
che né Sam, né tantomeno Louis, avevano la minima
intenzione di seguire.
Louis
si
sentiva un po’ frastornato, quella sera. Insomma, aveva
capito subito che sua
madre aveva intenzione di dirgli qualcosa di importante e aveva
immaginato che
anche Sam sarebbe stato lì presente. Certo non pensava che
ci sarebbe stata
anche la figlia diciottenne di quest’ultimo. Era carina, con
quei capelli
lunghi e con quella frangetta che le dava un’aria un
po’ infantile, ma dolce. E
poi, aveva davvero un bel sorriso.
Non
assomigliava un granché al padre, se non per il colore degli
occhi: marrone. Di
solito, il marrone non è un colore molto espressivo, ma
guardando June negli
occhi Louis aveva dovuto ricredersi. I suoi occhi erano tutto, tranne
che
inespressivi. Anzi, avevano una tonalità calda e profonda e
poi erano grandi e
contornati da ciglia lunghe e scure. Era bella, anche se aveva qualcosa
che non
lo convinceva. Nonostante ogni aspetto di lei esprimesse dolcezza,
sembrava una
tipa tosta.
«Okay,
papà. È ora di sputare il rospo.» ecco,
appunto. Proprio come aveva immaginato.
Louis si ritrovò completamente d’accordo con June,
così incitò la madre a fare
lo stesso.
«Lo
vuoi
sapere così, diretto?» domandò Sam, un
po’ agitato.
June
sbuffò, spazientita. Che bisogno c’era di tirarla
così per le lunghe?
«Spara.»
Sam
tentennò un altro po’, fino a che Jay decise di
prendere la situazione in mano
e rivelare il motivo per cui avevano messo in scena quel teatrino.
«Ci
sposiamo, June.» secca, concisa. Ecco un altro punto che June
annotò a favore
di Johannah, che la stava osservando in attesa della sua prossima
mossa.
Perciò
June
annuì.
«Non
è
tutto.» disse, prima di bere un lungo sorso d’acqua
e prepararsi al colpo
finale. Sentì Louis agitarsi nervosamente sulla sedia, in
attesa. Se solo fosse
stata più aperta, meno gelida e, soprattutto, più
propensa ad intrattenere rapporti
umani, gli avrebbe preso la mano e gli avrebbe sussurrato di stare
tranquillo.
Ma lei non prendeva facilmente confidenza e di conseguenza si
limitò a guardare
Louis di sott’occhio e a stare ferma immobile.
«Hai
ragione, non è tutto. Io e Jay – June
apprezzò parecchio che suo padre si fosse
deciso a parlare – abbiamo deciso di vivere insieme. Tutti
insieme, a casa di
Jay.» precisò, stringendo nervosamente la mano di
Jay, che sembrava più
tranquilla di lui, ma comunque in agitazione.
«Oh.»
si
limitò a sussurrare June, colta decisamente alla sprovvista.
A casa di Jay.
Questo significava lasciare casa sua, la cameretta che sua mamma aveva
arredato,
i suoi libri, tutto. Era un duro colpo, quello. Ma lo accusò
con orgoglio e con
fermezza. Quel pomeriggio stesso aveva detto che suo padre meritava una
nuova
vita, perciò non avrebbe fatto niente, per complicargli la
situazione. Sapeva
perfettamente che nemmeno per lui era stato tanto facile prendere una
decisione
come quella.
«Congratulazioni.»
si sforzò di sorridere, poi sentì la mano di
Louis cercare la sua sotto il
tavolo. Non lo conosceva e se fosse stata in un’altra
situazione probabilmente
gli avrebbe tirato una sberla, ma in quel momento si sentiva smarrita,
confusa
e sull’orlo di un precipizio. E la mano del ragazzo
– sconosciuto, ma gentile –
era l’unica cosa che le impedisse di caderci.
***
Ecco
qui
il primo vero capitolo della storia. Come avete visto, è
decisamente più
corposo del prologo sminchio che vi ho proposto. Posto in
quest’orario un po’
strano perché passerò tutto il pomeriggio a fare
da taxi (visto che la mia
macchina è morta e defunta e siamo solo con quella di mio
papà.) e non sapevo
se stasera avrei fatto in tempo a farlo. So, eccolo qua.
A
me non
dispiace, se devo essere sincera. Voi che ne pensate? Che ne dite di
June?
Cominciate un po’ a capirla? Di tutti i miei personaggi, vi
avverto, lei è
quella meno sclerotica di tutte. Davvero, è quella normale e
in cui un po’ mi
rispecchio.
Comunque,
come al solito, vi ringrazio per le recensioni al prologo, per aver
inserito la
storia tra le seguite/preferite e ricordate – siete davvero
tante, sono
contentissima! – e vi abbraccio fortissimo. (Sono affettuosa,
oggi, avete
visto?)
Fatemi
sapere che ve ne pare, ci conto davvero tanto.
Vi
adoro
<3
Fede.
A
lunedì
prossimo! ^^
|
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Capitolo 3 *** Chapter 2. ***
Chapter
2.
La
mattina dopo, June si svegliò sperando che il giorno prima
fosse stato
solamente un incubo. Molto vivo, certo, ma pur sempre un sogno.
La
realtà
le precipitò addosso non appena mise piede in salotto: suo
padre era tutto
intento a montare un numero imprecisato di grandi scatoloni da
imballaggio. Sul
tavolo, June notò due pennarelli indelebili. Era tutto vero,
allora. Se ne
stavano andando. Si adombrò parecchio e rispose al saluto di
Sam con un mugugno
incomprensibile. Sam la lasciò perdere, sapendo che a June
occorreva sempre un
po’ di tempo per metabolizzare le novità.
Soprattutto quelle grosse come un
trasferimento.
«Come
ti
è sembrato, Louis?» le chiese, mentre le versava
nella tazza una quantità
spropositata di caffè appena fatto.
June
fece
spallucce. Come le era sembrato? Niente male, se doveva essere sincera.
Louis
era simpatico, gentile e carino e probabilmente non le avrebbe creato
nessun
problema. E poi le aveva preso la mano, inconsapevole di essere a
rischio di
amputazione. Quindi era anche coraggioso.
«Normale.»
rispose, secca. Non aveva tanta voglia di parlare, quella mattina.
Soprattutto
con suo padre, che la stava costringendo a fare una cosa che non le
andava
particolarmente.
Sapeva
che era sbagliato prendersela con lui, ma dopotutto aveva appena
diciotto anni
ed aveva sempre vissuto con la convinzione che tutto sarebbe rimasto
stabile:
sarebbero sempre stati lei e papà, soli contro il mondo. Al
tempo stesso era
consapevole che il suo egoismo non era affatto salutare, né
per lei, né per
Sam. Che senso aveva costringerlo a stare da solo? Quando lei fosse
stata più
grande, sarebbe andata via di casa per vivere la sua vita, e suo padre
sarebbe
rimasto solo, senza nessuno. Quindi perché impedirgli di
essere felice?
«Posso
chiamare un attimo Jay? Voglio chiederle una cosa.» disse,
mentre voltava le
spalle al padre e iniziava a lavare le tazze usate per la colazione.
«Certo.
Prendi pure il mio telefono.» mormorò Sam, a
metà tra il sorpreso e il
preoccupato. June si affrettò a tranquillizzarlo.
«Tranquillo,
pà. Nessuna scenata.»
Sam
sembrò parecchio sollevato, così
lasciò il telefono sul tavolo, e tornò in
cucina, chiudendosi la porta alle spalle. June asciugò le
mani con lo
strofinaccio, poi afferrò il telefono e cercò il
numero di Jay nella rubrica.
«Pronto?»
ci mise un po’, prima di ricollegare la voce che aveva
risposto a quella di
Louis.
«Louis?
Ciao, sono June.» disse, un po’ nervosa. Louis,
dall’altro capo del telefono,
appariva perfettamente tranquillo.
«Be’,
si,
a meno che tuo padre non abbia una voce da femmina, direi che
c’ero arrivato
anche io.» June si concesse una risatina divertita: era
simpatico, Louis.
«Che
genio. Dì un po’, Jay è lì?
Volevo chiederle una cosa.»
«Stà
preparando la tua stanza. Aspetta un momento, vado a portarle il
telefono.» June
annuì, mentre Louis saliva le scale canticchiando una
canzone che lei non aveva
mai sentito. Aveva una bella voce, piacevole da ascoltare ed era anche
intonato.
«Mi
hai
messo in attesa, per caso?» domandò, incapace di
trattenersi. Non capiva perché
le venisse spontaneo parlare con lui, come se davvero lo conoscesse da
più di
qualche ora. E dire che, normalmente, faticava parecchio a prendere
confidenza.
Louis
ridacchiò. «Scherzi? Questo è un
concerto, June. La musica d’attesa è così noiosa.»
«Sei
bravo, comunque.» si complimentò, sincera.
«Lo
dicono anche le mie fan.»
«Wow,
modesto.»
Risero
insieme, poi June sentì Louis dire qualcosa e in un momento
la sua voce fu
sostituita da quella più delicata di Jay, decisamente
stupefatta.
«June?
Và
tutto bene?» le chiese, suo malgrado preoccupata.
«Si.
Avevo bisogno di chiederti una cosa, Jay.»
«Dimmi
pure.»
«Ecco…»
June
tentennò un po’, prima di prendere un respiro
profondo e parlare tutto d’un
fiato. «Per te è un problema se porto tutti i
libri di mamma? È che ci sono
molto affezionata e…» farfugliò, mentre
gli occhi le si facevano lucidi e la
consapevolezza che stava davvero lasciando casa sua si faceva strada in
maniera
quasi dolorosa.
«Non
devi
neanche chiederlo, tesoro. Anzi, ora ti mando Louis, così ti
aiuta a
trasportare gli scatoloni. Va bene?» propose Jay, un
po’ commossa. Aveva dato
per scontato – sbagliando – che June avrebbe
portato quello che voleva, senza
preoccuparsi di niente e di nessuno. Lei si sarebbe comportata
così, nella sua
situazione. Ed era stupefacente il modo in cui quella ragazzina stesse
accogliendo l’evolversi della situazione.
Guardò
suo figlio, che aveva aspettato la fine della telefonata sulla soglia
della
camera. Era appoggiato allo stipite della porta, con le braccia
incrociate ed
un’espressione serena.
«Vado.»
disse, tranquillo, prima di lasciare un bacio sulla guancia di Jay.
Nel
frattempo, June aveva detto a suo padre che si chiudeva nello studio ad
inscatolare i libri e le cose della mamma. Sam aveva annuito, un
po’ mesto, ma
non le aveva detto niente. Dopotutto, era giusto che June portasse con
sé le
cose di Elizabeth: andare avanti non significava dimenticare
ciò che era stato
prima.
Louis
parcheggiò nel vialetto di casa Goodman un quarto
d’ora dopo. Salutò
velocemente Sam, poi, sotto sua indicazione, raggiunse lo studio e
bussò alla
porta.
June
aprì
e sorrise debolmente. Louis si sporse per lasciarle un bacio sulla
guancia,
entrò e chiuse di nuovo la porta.
«Dimmi
che devo fare.» si rimboccò le maniche e attese
che June gli dicesse da dove
cominciare.
June
non
si sentiva propriamente lucida: tutto ciò a cui riusciva a
pensare era che
stava completamente sradicando tutta la fatica di Elizabeth. Lei non se
lo
ricordava, ma suo padre le raccontava spesso, quando era piccola, di
quanto
amore Elizabeth ci avesse messo per organizzare quella piccola
libreria. Ed ora
lei stava distruggendo tutto.
Non
era
sua intenzione scoppiare a piangere, soprattutto davanti a Louis, ma
non riuscì
a trattenersi. Si sentiva un mostro.
«È
che va
tutto così in fretta.» singhiozzò,
cercando di giustificare quell’attacco di
pianto apparentemente incomprensibile. Era vero, però: due
giorni prima aveva
la certezza di una casa e di una vita monotona, ma rassicurante. Ora,
invece,
non sapeva più niente.
Louis
ci
mise poco, a capire quale fosse il vero problema. Perciò si
limitò ad
avvicinarsi a June e ad abbracciarla con delicatezza. Gli sembrava
così
fragile, quella ragazza con i capelli di fiamma. Le passò
una mano sulla
schiena, gentile, e attese che il peggio passasse. Non ci volle molto,
in fin
dei conti. June non amava mostrarsi debole. Era capitato in quel
momento,
probabilmente non sarebbe successo più.
«Scusa,
ora mi passa.» disse, strofinando i pugni sotto gli occhi e
rimuovendo ogni
traccia di lacrime. Prese un respiro profondo e rilassò le
spalle: andava
decisamente meglio. Louis si separò da lei con
tranquillità, senza dire nemmeno
una parola. In parte la capiva: non era semplice nemmeno per lui
accettare lo svolgersi
delle cose, ma c’era qualche differenza tra le loro
situazioni: suo padre se
n’era andato parecchi anni prima, ed ora viveva in Svizzera
insieme ad una
donna che lui non aveva mai visto, mentre la madre di June era morta.
Lui aveva
ancora la sua casa, le sue cose e fondamentalmente non sarebbe cambiato
nulla,
nella sua vita. Per June, era tutto nuovo.
«Sai,
dovrebbe starci questa libreria, nella camera. Possiamo portarla, se ti
và.»
propose, osservando con attenzione il mobile. Era semplice, in legno
chiaro ed
era evidente che chi l’avesse comprato ne avesse avuto una
gran cura. Non c’era
nemmeno un filo di polvere e Louis sospettava che June ci passasse un
bel po’
di tempo, in quella stanza.
«Dici
davvero?»
«Certo.
Dai, iniziamo a togliere i libri, poi pensiamo a come trasportare il
mobile.»
June
lo
guardò, senza nemmeno riuscire ad esprimere tutta la
gratitudine che provava in
quel momento.
«Ma
perché non ci hanno fatto conoscere prima?»
borbottò, quasi commossa. E,
incredibilmente, lo pensava sul serio. Louis le piaceva davvero.
Conoscendolo,
aveva provato più o meno la stessa sensazione di quando si
era scontrata con
Niall per la prima volta.
Erano in un bar in centro a
Doncaster ed entrambi volevano la stessa brioche. Niall era in coda
prima di
lei e aveva sentito chiaramente il suo sbuffo quando aveva ordinato
l’ultima
pasta alla crema. June l’aveva osservato sedersi al tavolo,
con un sorriso
soddisfatto e una tazza di cioccolata grande come un vaso da notte.
Aveva
ordinato il suo caffè, un po’ seccata, continuando
a rivolgere occhiatacce
risentite al maledetto biondino che le aveva soffiato la brioche.
«Ehi!» June non
sapeva perché, ma
sentiva che quell’ehi era rivolto a lei. Così si
era girata e il biondino aveva
sventolato la mano, facendole cenno di avvicinarsi.
L’aveva raggiunto, cauta,
reggendo
tra le mani il piattino e la tazzina col caffè. Lui aveva
continuato a
sorridere, con gli occhi azzurri
scintillanti di divertimento e, forse, di simpatia.
«Dividiamo?» le
aveva chiesto, indicando
la brioche con la punta del dito. June aveva spalancato gli occhi,
incredula.
Si era ritrovata ad annuire e, qualche minuto dopo, lei e Niall erano
diventati
amici. Erano trascorsi quasi due anni, da quel giorno, e June aveva
finalmente
trovato qualcuno che si interessasse a lei sul serio, qualcuno che
c’era sempre
quando aveva bisogno, anche solo per una passeggiata, o per fare la
spesa. E
non le importava, che Niall mangiasse come un maiale. Lo adorava.
«Non
lo
so.» ridacchiò Louis, scompigliandole la frangetta
con affetto. Aveva quasi
dell’incredibile la simpatia che quella ragazza gli
suscitava. E poi, sotto
quella scorza da dura, era sicuro che aveva un cuore tenero. E
gliel’aveva
appena dimostrato piangendo davanti a lui senza alcuna vergogna.
Si
rigirò
tra le mani una raccolta di poesie, e la ripose con cura nel primo
scatolone.
Guardandoli, anche lui capiva quanto quei libri fossero importanti:
c’erano
cartoline, segnalibri, foto, segni che Elizabeth c’era stata
e che aveva amato
profondamente sia la figlia che il marito.
June
cercava di trattenere le lacrime, mentre avvolgeva con attenzione il
libro
preferito di sua madre, Sogno di una
notte di mezza estate, in un panno azzurro, per evitare che
si rovinasse
durante il trasporto. Louis la osservò con la coda
dell’occhio, continuando a
togliere i libri dagli scaffali. Ce n’erano quasi
un’infinità.
Rimasero
in silenzio per una decina di minuti, poi qualcuno bussò
alla porta, con
delicatezza. June era più che convinta che si trattasse di
suo padre, perciò
rimase assolutamente basita, quando Niall fece capolino dalla porta,
con un
sorriso sereno stampato in volto.
«Niall!»
si precipitò tra le braccia dell’amico, che rise e
la strinse forte, prima di
accorgersi di Louis, che si era appoggiato alla scrivania con un
sorriso
tranquillo. June godette a pieno dell’abbraccio di Niall,
nonostante l’avesse
visto il giorno prima. Con tutte le cose che le stavano succedendo,
sembrava
passato molto più tempo.
«Stai
bene, June?» Niall poteva pure sembrare un ingenuo, ma certo
non gli erano
sfuggiti gli occhi rossi dell’amica, né tantomeno
il trucco colato. E poi, se
anche non ci fosse stato quello, la sua espressione era più
che comprensibile,
non ci voleva certo un genio per capire che il suo umore era
decisamente a
terra.
«Si,
credo.» mormorò June, rivolgendo un breve sorriso
sia a Louis che a Niall.
«Lui
è
Louis, il figlio di Jay. Mi sta aiutando con gli scatoloni.»
spiegò poi,
notando che i due ragazzi si squadravano con aria piuttosto curiosa.
«Tomlinson?»
chiese improvvisamente Niall, con la testa inclinata da un lato e un
espressione che vagava a metà tra l’incredulo e il
sospettoso.
Louis
annuì, mentre sul suo volto si apriva un sorriso divertito.
«Abiti in fondo
alla mia stessa strada.» rise.
«Ecco
perché ti avevo già visto! Ehi, June! Siamo quasi
vicini di casa!» esclamò
Niall, stringendola di nuovo in un abbraccio decisamente entusiasta.
June
annuì, frastornata, confusa, e suo malgrado felice. Sapere
di avere Niall a
distanza di pochi passi la faceva sentire decisamente più
tranquilla.
«Un
momento…» mormorò, subito dopo. Si
affacciò alla porta.
«Papà!»
urlo, facendo accorrere Sam, che sembrava parecchio allarmato.
«Cos’è successo?
Stai bene?» chiese, preoccupato.
«Tu
sapevi che Louis e Niall abitavano vicini e non me l’hai mai
detto?» lo accusò June,
portando le mani sui fianchi, con aria minacciosa. Sam
deglutì, poi guardò i
due ragazzi, in cerca di aiuto.
«Volevamo
farti una sorpresa.» ridacchiò Niall, prima di
tirarle un leggero pugno sulla
spalla. June si voltò, e gli rivolse uno sguardo a
metà tra il furioso e il
divertito. Niall scoppiò a ridere, per niente intimorito e
fin troppo abituato
alle occhiatacce di June per restarne colpito.
«Che
sorpresa del cazzo.» sbuffò, senza nemmeno
rendersi conto che esattamente
trenta secondi prima Niall aveva riconosciuto Louis con un
po’ di difficoltà.
Sam
sorrise, prima di congedarsi e lasciare i ragazzi da soli, alle prese
con i
libri.
June
alzò
gli occhi al cielo, per poi ricominciare a inscatolare. Niall e Louis
si misero
ad aiutarla, in completo silenzio. Entrambi le lanciavano qualche
occhiata di
tanto in tanto, forse preoccupati che da un momento all’altro
June potesse
scoppiare a piangere una seconda volta. Ma non sarebbe successo
più, si ripromise
June: niente pianti.
«Quindi
già vi conoscete?» chiese, poco dopo, mentre
chiudeva l’ultimo scatolone con
una lunga striscia di nastro adesivo. Afferrò
l’indelebile e scrisse “libri
mamma” con una calligrafia tonda e
perfettamente leggibile.
«Di
vista.
Non ci siamo mai frequentati.» rispose Niall, sollevando il
primo scatolone e
appoggiandolo sulla scrivania.
«Forse da piccolo
sei venuto ad una mia festa
di compleanno.» ricordò Louis, passandosi una mano
sotto il mento con aria
pensierosa. Niall fece lo stesso, probabilmente cercando di ricordare.
«È
vero!
Mamma mi aveva costretto ad andarci, mi sembra. Sono andato via dopo
mezz’ora…»
«E
io mi
sono offeso da morire. Poi non ti ho più
invitato.»
June
interruppe il loro racconto con una risata divertita: era esilarante
sentirli
parlare, facevano davvero tenerezza. Vent’anni
l’uno, diciotto l’altro, e
ancora parlavano come bambini dell’asilo.
«Che
ne
dite di fare merenda?» propose, uscendo dallo studio e
dirigendosi verso la
cucina.
«Mi
hai
letto nel pensiero. Sto morendo di fame.» si
lamentò Niall, seguendola un
istante dopo.
«E
quando
mai.» borbottò, senza riuscire a trattenere un
sorriso.
«Guarda
che ti sento!»
«Non
volevo mica tenerlo per me.»
«Sei
davvero antipatica.»
«E
tu sei
un ingordo.»
«Mi
stai
offendendo, sappilo.»
«Dico
solo la verità! Mangi sempre!» lo
accusò June, ridendo divertita.
Si
sedettero tutti insieme al tavolo della cucina, con un pacco gigante di
patatine e uno di biscotti. Niall e Louis si buttarono senza indugi
sulle patatine,
contendendosi quella più grossa – proprio come due
bambini – mentre June si
limitò a sgranocchiare un paio di biscotti.
Si
sentiva molto più tranquilla, rispetto a quella mattina:
Louis aveva promesso
che avrebbe portato anche la libreria e Niall era il suo nuovo vicino
di casa.
Forse
era
il caso di smetterla di pensare negativo; non era detto che le cose
dovessero
andare male a tutti i costi. Perciò sorrise serenamente a
Sam, che si era
affacciato per controllare. Voleva fargli capire che andava tutto bene.
***
Ciao,
fanciulle!
Oggi
non
ho molto da dire, visto che vado parecchio di fretta. Stavo anche per
dimenticarmi di aggiornare, ma ora che ho cinque minuti lo faccio.
Mi
amate,
vero?
Comunque
niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per le
recensioni
al capitolo precedente!
Vi
adoro.
P.s. Se
voleste essere avvisate ogni volta che aggiorno, ditemelo pure qui, o
su
Twitter. Sono @FTheOnlyWay
|
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Capitolo 4 *** Chapter 3. ***
Chapter
3.
«Hai
preso tutto, June?»
June
si
guardò intorno per l’ultima volta, poi
annuì. Come promesso, non aveva versato
più nemmeno una lacrima, per la storia del trasferimento.
Nemmeno quando aveva
impacchettato tutte le sue cose, nemmeno quando papà aveva
deciso di dare via
alcuni vestiti di Elizabeth: non aveva più senso portarseli
dietro.
«Si.»
seguì il padre fino alla macchina e si accomodò
nel sedile posteriore, senza
dire un’altra parola. Sam la lasciò in pace, anche
quando la vide trafficare con
le cuffie dell’iPod.
Una
volta
partita la musica, June chiuse gli occhi e si sforzò di non
pensare più a
niente, canticchiando nella sua testa la canzone.
Funzionò
alla perfezione, tanto che, quando la macchina si fermò
davanti casa Tomlinson,
fu letteralmente sbalzata nella realtà.
Louis
e
Johannah erano fermi sulla porta di casa, entrambi con un sorriso sul
volto. June
represse l’impulso di mettersi a piangere e agitò
debolmente la mano, in segno
di saluto.
Il
primo
a farsi avanti fu Louis, che le lasciò un bacio sulla
guancia e la trascinò
dentro casa, blaterando qualcosa ad una velocità talmente
assurda che June
faticò a capire.
«Non
ci
ho capito un cavolo.» disse, infatti, mentre cercava di non
inciampare sui
gradini, vista la rapidità con cui il ragazzo faceva le
scale.
Louis
si
fermò a metà del corridoio, di fronte ad una
porta di legno scuro. Si portò
alle spalle di June e le mise le mani davanti agli occhi. Poi, con il
piede,
spalancò la porta e la fece entrare. June mosse qualche
passo, un po’ incerta.
«Sei
consapevole di non essere del tutto regolare?» chiese, suo
malgrado divertita.
Louis alzò gli occhi al cielo. Possibile che quella ragazza
non sapesse
apprezzare le sorprese?
«Certo
che si.» rispose, prima di toglierle le mani dagli occhi.
June
si
guardò intorno, individuando prima un letto a una piazza e
mezza, coperto da un
piumone verde smeraldo, un comodino, una scrivania, un armadio gigante
e poi,
sulla destra, la libreria di Elizabeth.
Guardò
prima Louis, poi la libreria, poi di nuovo Louis, incredula.
«Hai
messo tutto a posto?» boccheggiò, con le lacrime
agli occhi per la commozione.
Louis annuì, rivolgendole un sorriso dolce.
«Ho
pensato che ti avrebbe fatto piacere…»
spiegò, osservando con aria soddisfatta
i libri ordinatamente disposti sugli scaffali.
«Grazie.»
mormorò June, prima di abbracciarlo.
Se ne
rimase sorpreso, Louis non lo diede a vedere: si limitò a
stringere June tra le
sue braccia e a lasciarle un bacio sui capelli.
«Sai,
scricciolo, credo che tu ed io
diventeremo ottimi amici.»
June
sorrise, sentendosi chiamare in quel modo. Era la prima volta che
qualcuno le
dava un appellativo così carino. Niall ogni tanto la
chiamava piccola, ma succedeva
soprattutto quando
la vedeva triste, giù di morale o sulla strada per
un’incazzatura coi fiocchi.
Il resto delle volte si limitava a chiamarla normalmente.
«Tutto
bene, qui dentro?» Jay si affacciò nella stanza,
guardando i due ragazzi con
curiosità. Dietro di lei, Sam sorrideva.
«Certo.
Anzi, grazie ancora per tutto, Jay.» sostenne June,
avvicinandosi per
abbracciare la donna. Non sapeva perché, ma iniziava a
credere che le cose cominciassero
a cambiare in meglio. Se ne rendeva conto solo in quel momento.
«Figurati,
tesoro. Mi sembra il minimo che io possa fare. Non vogliamo ti manchi
niente, o
che tu non ti trovi a tuo agio.» spiegò, facendo
riferimento in particolare
alla libreria. June notò con sorpresa che non sembrava
affatto infastidita dal
fatto che lei avesse deciso di portare qualcosa di tanto importante,
soprattutto se riguardante la defunta moglie del suo futuro marito.
«Sono
sicura che starò benissimo.» sorrise, sincera.
«Gli
scatoloni sono alla fine del corridoio, puoi sistemarli quando
vuoi.» informò
Jay, prima di prendere Sam per mano e tornare al piano inferiore.
Rimasti soli,
Louis e June si guardarono negli occhi per qualche istante, poi Louis
sbuffò.
«Capito,
inizio il trasporto. Spero davvero che tu non sia una schiavista,
scricciolo.»
«Dipende
dai casi.» confessò June, sincera, seguendo Louis
in corridoio. Afferrarono uno
scatolone a testa e tornarono verso la camera.
«Questo
lo è?»
«Ti
sto
aiutando, quindi direi di no. E poi ancora non ti conosco
abbastanza.»
«Ma
se è
da una settimana che parliamo giorno e notte.»
«Esagerato.»
Louis
rise, divertito. Dal giorno in cui aveva aiutato June con la libreria,
le cose
erano decisamente cambiate: tanto per iniziare, aveva scoperto che
quello
scricciolo con i capelli rossi era molto più fragile di
quanto desse a vedere
ma, al tempo stesso, estremamente forte. Non l’aveva
più vista piangere, per
esempio. Aveva scoperto che aveva un caratteraccio, ma solo con chi
voleva lei.
Sapeva che il suo colore preferito era il verde, che amava il
tè alla vaniglia
e che ascoltava qualunque tipo di musica.
Sapeva
che non aveva una migliore amica, perché con le ragazze si
trovava poco a suo
agio, preferiva i ragazzi.
Una
volta
trasportati tutti gli scatoloni, June non seppe da dove cominciare.
Perciò aprì
il più leggero, quello con i peluche e iniziò a
disporli per tutta la stanza.
Il pupazzo gigante di un coniglio – che aveva battezzato
Pistacchio – finì sul
grande tappeto verde chiaro, insieme a Miele, l’orso.
«Miele
e
Pistacchio?» mormorò Louis, incredulo, mentre June
gli elencava i nomi degli
altri pupazzi.
«Si.
Lui
è Cipolla, poi c’è Biagio, Candy,
Harold, Martino e poi c’è Margherita»
concluse, sventolandogli davanti agli occhi una mucca bianca.
«Ti
rendi
conto di avere quasi diciannove anni, vero?»
«E
allora?» June incrociò le braccia al petto,
minacciosa. Louis alzò gli occhi al
cielo, per poi scoppiare a ridere.
«Dai,
scricciolo.
Pistacchio?»
ripeté, senza riuscire a
credere che June-non-piango-più fosse la stessa ragazza
capace di chiamare un
coniglio di peluche Pistacchio.
«Tu
ti
chiami Louis. Qualcuno ti ha mai preso in giro per questo?»
replicò June,
adagiando Margherita e Martino sul letto.
«Cosa
c'entra, scusa?»
«C'entra,
c'entra» borbottò, prima di lasciarsi cadere sul
letto e osservare con aria
sconsolata altre tre scatole.
Louis
lasciò perdere l’argomento, appuntandosi
mentalmente che a natale le avrebbe
regalato uno di quei cosi, e l’avrebbe chiamato Louis. Che
era sempre meglio di
Pistacchio.
«Dov’è
finito Coriandolo?» la sentì borbottare, qualche
minuto più tardi.
«Chi
sarebbe Coriandolo? Il fratello di Miele?» domandò
Louis, leggermente
sarcastico.
«Vedi
che
non capisci niente? Coriandolo è il fratello di
Cipolla.» spiegò June, aprendo
un altro scatolone alla ricerca del famigerato Coriandolo. Quando
l’ebbe
trovato, lo mise vicino a Cipolla e annuì soddisfatta.
«Louis!»
la voce di Jay li raggiunse dal piano di sotto. «Ci sono
visite per te!» urlò. June
si irrigidì parecchio. Fintantoché si trattava di
stare con Louis e basta era
un conto, ma la presenza di terzi la metteva un po’ in
agitazione. Aveva idea
che non tutti avessero lo stesso carattere e la stessa pazienza del suo
futuro
fratellastro.
Louis
non
sembrò dare alcun peso alla sua agitazione,
perché uscì dalla stanza per
accogliere gli amici. June si diresse verso la porta, con tutta
l’intenzione di
chiuderla e rimanere per i fatti suoi, senza disturbare Louis e i suoi
ospiti.
Non voleva essere un peso e, soprattutto, non voleva costringere Louis
a
passare con lei più tempo del dovuto: ancora non era del
tutto certa del motivo
per cui lui ci tenesse tanto a farle compagnia.
Si
sentì
cattiva, per aver pensato una cosa del genere: lui l’aveva
aiutata, si era
avvicinato per primo e, nonostante non fosse assolutamente costretto a
farlo,
sembrava deciso a stringere amicizia con lei. L’aveva
addirittura chiamata
scricciolo e lei ancora dubitava della sua sincerità.
Quindi
si
costrinse a lasciare la porta aperta. Se davvero Louis avesse voluto
tenerla in
disparte, l’avrebbe chiusa dopo essere uscito, no?
«Devo
assolutamente presentarvi qualcuno.» lo sentì
dire, qualche secondo dopo.
Dopodiché Louis entrò in camera e si
posizionò accanto a June, con un sorriso
divertito.
«Harry,
Zayn, loro sono Miele e Pistacchio.» indicò prima
il coniglio, poi l’orso e
scoppiò a ridere. I due ragazzi lo guardarono piuttosto
perplessi, senza
riuscire a capire. June tirò un coppino a Louis e fece un
passo avanti.
«Non
dategli retta. Pistacchio è il coniglio, non
l’orso.» corresse, facendo ridere
Louis ancora più forte.
«Lei
invece è June.» la presentò, una volta
finito di sghignazzare.
June
strinse la mano ad entrambi i ragazzi, un po’ in imbarazzo.
Non sapeva cosa
pensare, se non che entrambi erano molto carini anche se
l’uno l’opposto
dell’altro. Harry aveva la pelle chiara, quasi diafana,
mentre Zayn era un po’
più scuro. Harry aveva una matassa informe di ricci castani,
Zayn aveva capelli
corvini, più corti e decisamente più ordinati.
Harry aveva gli occhi di un
colore indefinito, che poteva essere verde, o azzurro, June non
riusciva a
capirlo, mentre Zayn aveva gli occhi di un caldo color cioccolata.
Per
il
momento, non sapeva dire se le avessero fatto un’impressione
positiva o
negativa.
«L’avevamo
intuito, non parli di nessun’altro da una
settimana.» Zayn alzò gli occhi al
cielo e le sorrise, tranquillo. Harry invece, si limitò a
fissarla, senza
nessun interesse in particolare. E allora June decise: Harry non la
convinceva
un granché.
«Davvero?»
chiese, un po’ curiosa. Se Louis aveva parlato di lei, allora
doveva tenerci
veramente e il suo avvicinarsi non era dettato solo dalla convivenza
che
avrebbero affrontato a partire da quel giorno.
«Certo.
Continua a dire quanto sei simpatica, intelligente, quanto sei
carina.» June
arrossì, imbarazzata, mentre Louis si limitò a
fare spallucce.
«Anche
se
hai il coraggio di chiamare un pupazzo Cipolla.»
precisò Louis.
«Sei
solo
invidioso.» borbottò, prima di gettare uno sguardo
al suo adorato Cipolla, che
affiancato a Coriandolo era assolutamente adorabile.
«E
non
prenderli in giro.» aggiunse, divertita. Anche quei pupazzi
erano un regalo di
Elizabeth e June non se ne separava mai. Aveva dato loro quei nomi
quando era
piccola e certo non glieli avrebbe cambiati solo perché
Louis non capiva quanto
Pistacchio fosse un nome assolutamente
meraviglioso.
Harry
sorrise, suo malgrado divertito. Quando Louis aveva parlato di questa
fantomatica June, se l’era immaginata completamente diversa.
Non era solo
carina, era bella. E poi Louis non aveva affatto accennato al fatto che
avesse
un corpicino proprio niente male. Anche se in quel momento indossava un
semplice paio di jeans e una felpa azzurra. I capelli rossi, lunghi
fino ai
fianchi, risaltavano incredibilmente, contro il colore della felpa.
Qualcosa
però non lo convinceva, ma non avrebbe saputo dire cosa.
June
si
sentiva ancora un po’ a disagio. Le sembrava quasi che Harry
la stesse
analizzando e non gli piaceva affatto che lui la osservasse
così attentamente.
Non le piaceva in generale, quando qualcuno la fissava più
del dovuto.
Soprattutto quando lo sguardo vagava indisturbato sul suo seno.
«Porto
una terza.» rivelò, acida. Harry
ridacchiò.
«Proprio
come pensavo.» rispose, tranquillo, guadagnandosi
un’occhiata in tralice da
parte di Louis e una un po’ rassegnata da Zayn.
«Divertente.»
celiò June.
Decise
che ignorarli fosse la scelta migliore, così
afferrò il taglierino dalla
scrivania e tagliò il nastro adesivo che chiudeva il secondo
scatolone, quello
con le scarpe. Aprì l’armadio e
cominciò ad ammucchiarle in silenzio, sotto lo
sguardo attento dei tre ragazzi.
«E
piantala
di guardarmi il culo.» precisò, rivolta ad Harry,
che alzò gli occhi al cielo e
borbottò qualcosa di simile ad un «quante
storie».
Louis,
invece, ridacchiò.
«Ve
l’avevo detto, che era simpatica.»
June
ridacchiò, poi gettò in un angolo un paio di
converse verde acido.
Harry
non
le piaceva, concluse. Proprio per niente. Anche se era bello. Anche se
quelle
fossette erano assolutamente adorabili.
Poco
dopo, il suo telefono iniziò a squillare.
«Ehi,
piccola.» sentire la voce di Niall la fece sorridere
all’istante.
«Come
procede?» le chiese, senza lasciarle il tempo di rispondere.
June si guardò
intorno, velocemente. Praticamente era ancora al punto di partenza.
«Be’,
potrebbe andare meglio…» ridacchiò. In
effetti, ci avrebbe messo una vita a
sistemare tutta la sua roba.
«Capito.
Hai già liberato Martino?»
«Certo.
È
stata la prima cosa che ho fatto.» Niall rise, e June era
sicura che aveva
alzato gli occhi al cielo.
Louis
le
strappò il telefono di mano prima che potesse aggiungere
qualsiasi altra cosa e
si allontanò in corridoio, lasciando June da sola insieme ad
Harry e Zayn. Si
torturò le mani, un po’ agitata, senza sapere cosa
dire. Era possibile che
parlare con Louis le venisse del tutto naturale, e che con quei due le
succedesse l’esatto contrario?
«Il
tuo ragazzo
sa che ti sei trasferita qui?» esordì Harry,
all’improvviso. June lo guardò
appena, sforzandosi di non arrossire. Non sapeva perché, ma
quel ragazzo la
metteva in soggezione. E poi aveva quella voce un po’ roca
che le faceva venire
i brividi.
«Il
mio
ragazzo?» chiese, confusa.
«Si,
quello al telefono.» precisò Harry, infilando le
mani nelle tasche dei
pantaloni beige.
«È
il mio
migliore amico, non il mio ragazzo.» spiegò,
voltando le spalle ad Harry e
aprendo un altro scatolone.
«E
il tuo
ragazzo, invece?» incalzò Harry.
In
realtà, non gli interessava affatto, sapere se era fidanzata
o meno. Per lui
non era mai stato un problema, frequentare ragazze impegnate. Il
tradimento era
una cosa che non gli pesava affatto. Dopotutto, non costringeva nessuno
ad
andare a letto con lui.
Voleva
semplicemente vederla imbarazzata. Lo incuriosiva parecchio, quella
ragazza.
«Non
credo debba interessarti.» sibilò June,
rivolgendogli un sorriso di sfida, che
Harry ricambiò all’istante. Come previsto,
c’era di che divertirsi.
Zayn
ridacchiò. «Ha ragione Louis, sei
simpatica.»
June
gli
sorrise, molto più amichevole rispetto a quanto lo era stata
con Harry e alzò
le spalle.
«Dipende
dalle giornate.» spiegò «O dalle
persone.» aggiunse, gettando un’occhiata
piuttosto eloquente in direzione di Harry, che ghignò, per
niente offeso.
«Niall
arriva tra poco.» annunciò Louis, rientrando in
camera e porgendo il telefono a
June, che lo mollò sulla scrivania senza il minimo riguardo.
Era davvero ora di
cambiare quel catorcio.
«Horan?»
chiese Harry, curioso.
«Si.
Lo
conosci?» si intromise June, prima che Louis potesse
rispondere.
«Certo.
Eravamo in classe insieme, a scuola.» spiegò,
sorridendo al ricordo di quante
ne avevano combinate insieme. Soprattutto all’insegnante di
biologia, che li
odiava come la peste.
«Harry
Styles…» mormorò June. Niall le aveva
parlato di lui così tante volte che June
aveva decisamente perso il conto. All’inizio, Niall era tutto
un Harry di qua,
Harry di là…
«Ti
ha
parlato di me?»
«Si.
Ha
detto che sei un idiota.» rispose June, tranquilla.
Sperava
solamente che nessuno si accorgesse che aveva detto una bugia. Peccato
per lei
che Harry la scoprì subito. Aveva notato che June si
mordicchiava leggermente
il labbro inferiore, quando era in agitazione. Nonostante
l’aria insofferente,
Harry era piuttosto bravo a leggere le persone, soprattutto quelle che
gli
interessavano.
«Non
è
vero.» rise.
«Oh,
e va
bene. Ha detto che sei simpatico, un grande e blablabla.
Ovviamente è di parte.» si affrettò a
precisare June,
tanto per far capire che lei non la pensava esattamente come il suo
migliore
amico.
Eccomi qui, sono
puntualissima.
Allora, in
realtà anche oggi sono piuttosto di fretta e comunque ho
esaurito la mia dose quotidiana di cagate poco fa, con mio fratello.
Perciò non c'è niente da dire, ecco.
Se non che Harry
(asdfghjkl **) è entrato - finalmente - in scena. E da qui,
la storia si evolve.
Fatemi sapere che
ne pensate, mi raccomando!
Lo sapete che ci
tengo tanto :)
E grazie mille per
le recensioni allo scorso capitolo, per aver inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate!
Vi adoro, Fede.
Se voleste essere
avvertite quando aggiorno, ditemelo qui, o su Twitter, mi chiamo
@FTheOnlyWay
|
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Capitolo 5 *** Chapter 4. ***
Chapter
4.
«Vi
fermate a cena, ragazzi?» Jay si affacciò in
camera di June, rivolgendo un
sorriso cordiale a tutti i presenti. June si trattenne a stento
dall’annuire,
ricordandosi solo all’ultimo momento che lei, in teoria, non
era un’invitata.
Viveva lì.
Harry
e
Zayn annuirono, prima di ringraziare la donna con un sorriso. A June
sembrò
quasi un rituale, il loro, come se fossero rimasti lì
un’infinità di volte. E
probabilmente era davvero così.
Niall
era
titubante, lo si capiva da come si guardava la punta delle scarpe con
un
interesse fin troppo esagerato. Aveva le guance un po’ rosse,
segno che si
trovava parecchio in imbarazzo.
«Ovviamente
vale anche per te, Niall. Non fare complimenti.»
affermò Johannah, lasciando un
buffetto sulla guancia di Niall, che arrossì vistosamente.
Forse la storia di
quel disastroso compleanno non era stata del tutto dimenticata.
«Se
non è
un disturbo…» mormorò, passandosi una
mano tra i capelli biondi.
Jay
rise.
«Assolutamente no.» poi sorrise di nuovo e
tornò al piano di sotto,
canticchiando una filastrocca che a June sembrava di aver sentito
qualche
volta, quand’era piccolina.
«Se
non è
un disturbo…» June scimmiottò Niall,
con una vocina stridula che fece arrossire
il ragazzo fino all’attaccatura dei capelli.
«Certo
che
sei scema.» Niall rivolse un’occhiataccia
all’amica, prima di buttarsi sul
letto e incrociare le gambe. June ridacchiò ancora, per
niente toccata e
continuò a sistemare la sua roba, ormai quasi a suo agio
nonostante la presenza
di Harry e Zayn. In realtà, Zayn non era affatto un
problema, era gentile, ed
era davvero tranquillo, a dispetto della sua aria da ragazzo tenebroso.
June
si
concentrò sul discorso tra Niall ed Harry, che avevano
cominciato a raccontarsi
degli ultimi due anni in cui si erano completamente persi di vista. Con
la coda
dell’occhio, osservò Harry, che si passava in
continuazione la mano tra quel
groviglio di capelli che aveva in testa e rideva, aggiungendo alcuni
dettagli
al resoconto di Niall. Vedendoli insieme, June non riuscì a
trattenere un
sorriso. Erano carini.
«Si,
voleva uccidermi. E solo per una brioche, capite?»
capì che Niall si riferiva a
lei, solo quando sentì gli sguardi di tutti i presenti
addosso.
«Era
l’ultima!» protestò quindi, con aria
ovvia. «Certo che ti volevo ammazzare!»
Niall
rise. Aveva una risata contagiosa, così in breve tutti
quanti lo seguirono,
facendosi più attenti al racconto.
«Quando
poi le ho chiesto di dividerla, mi ha guardato ancora peggio! Come se
fossi un
maniaco, o qualcosa del genere…»
«Quando
qualcuno che non conosci ti chiamerà “ehi”
e ti inviterà a dividere una brioche ne riparleremo,
biondino.» borbottò June,
esultando mentalmente quando dalla catasta di vestiti che aveva buttato
sulla
scrivania riuscì ad estrarre l’iPod. Lo perdeva
ogni dieci minuti, quel
maledetto aggeggio.
Piegò
qualche indumento alla rinfusa, lo infilò a forza nella
cassettiera e si mise
le mani sui fianchi, soddisfatta. «Perfetto.» si
complimentò.
«Perfetto?»
le fece eco Louis, dirigendosi verso l’armadio con
un’espressione a metà tra lo
sconcertato e il divertito.
«Fermo!»
June
provò a bloccarlo, ma era troppo tardi: Louis aveva aperto
l’armadio ed era
scoppiato definitivamente a ridere. «È che sono un
po’ disordinata. Però se lo
lasci chiuso non si vede, no?» propose, speranzosa. Louis
rise ancora più
forte, poi fece come lei aveva detto.
«Visto?
È
perfetto.» June allargò le braccia, come un
prestigiatore che ha appena
terminato il suo trucco di magia e sorrise a Louis, che le
scompigliò i
capelli.
«Qualcuno
ha visto il mio iPod?»
Tutti
e
quattro i ragazzi scossero la testa.
«Non
è
possibile. Dai, cazzo, l’ho appoggiato lì solo due
secondi fa.» si lamentò June,
passandosi una mano sulla fronte, rassegnata.
«Lì
dove?» chiese Harry, divertito.
«Lì!» in
realtà June non aveva la più
pallida idea di dove fosse questo misterioso lì, ma lo
scoprì poco dopo, quando
Zayn ritrovò l’iPod sotto Coriandolo. Come avesse
fatto a finirci era un vero e
proprio mistero.
Poco
dopo
si ritrovarono tutti quanti seduti al tavolo della cucina. June,
stretta tra
Louis e Niall, non riusciva a smettere di sorridere. Insomma, non
poteva
credere a quello che le stava succedendo, ma certo non avrebbe mai
pensato, la
settimana prima, che sarebbe stata così bene in una famiglia
a lei quasi completamente
estranea.
Ma
Jay
era una donna dolcissima, intelligente e Louis era simpatico e sembrava
aver
deciso di prenderla sotto la sua protezione. Per non parlare di Niall,
che era
praticamente il suo vicino di casa. Per la prima volta dopo tanto
tempo, le
cose stavano prendendo una piega soddisfacente.
«Cosa
significa che fai tiro con l’arco?»
Harry
non
riusciva a credere che June potesse praticare uno sport
così… be’, così.
È che aveva quel viso dolce, con
le fossette, e sembrava piccolina, che era davvero impossibile
immaginarsela
con un’arma in mano.
«Cosa
vuol dire cosa significa?» domandò June, confusa.
“Faccio tiro con l’arco” non
era mica una frase tanto complicata, no? Faccio. Tiro. Con.
L’arco. Semplice,
concisa.
Harry
sbuffò, poi le rivolse un’occhiata spazientita.
«Sei
piccolina.» spiegò, infilzando una patata e
portandola alla bocca. June
arrossì.
«Ma
se
sono alta uno e settanta!» protestò, sventolando
la forchetta davanti al naso
di Harry, che ridacchiò e scosse la testa.
«Niall,
tu hai capito, no?» chiese, sperando che l’amico
gli andasse incontro. Intanto,
Jay e Sam si erano concessi una passeggiata per l’isolato,
lasciando i ragazzi
da soli. Sam si era prima assicurato che June si sentisse assolutamente
a suo
agio, prima di uscire.
Niall
annuì, poi si rivolse direttamente a June, che lo guardava
in attesa di una
spiegazione.
«Io
ti
chiamo piccola, Louis scricciolo, Harry ha appena detto che
sei piccolina. Evidentemente il problema non è
l’altezza, capisci?» bofonchiò,
mentre le guance gli si coloravano leggermente di rosso: quando June lo
guardava in quel modo, Niall si sentiva un idiota.
June,
nel
frattempo, iniziò a capire cosa intendessero.
«State
dicendo che sembro una bambina?» assottigliò lo
sguardo.
«No,
però
non hai la faccia di una che è in grado di tenere
un’arma in mano.» commentò
Zayn, tranquillo.
«Ah.»
«Già.»
confermò Harry, divertito.
«E
ci
voleva tanto a spiegarlo così?»
ridacchiò June, prima di alzarsi e iniziare a
sparecchiare la tavola, sotto lo sguardo attento di Louis. Non sapeva
perché,
ma credeva che June stesse fingendo che andasse tutto bene, solo per
non fare
la parte della bambina capricciosa. E dire che sua madre, quando gli
aveva
parlato di lei per la prima volta, l’aveva descritta come una
ragazza difficile,
con un carattere particolare e un po’ restio a parlare con
gli altri. Perciò
ora gli sembrava davvero strano vederla parlare con Harry e Zayn come
se niente
fosse, come se fosse una situazione normale e lei non si fosse
trasferita a
casa di estranei.
Si
ripromise che una volta da soli, le avrebbe parlato. Nel frattempo,
l’aiutò a
sistemare, indicandole i posti in cui trovare le cose che le servivano,
visto
che June non aveva affatto pensato che non aveva idea di dove
rigirarsi, visto
che, a tutti gli effetti, non stava più a casa sua.
«Sono
stanca morta.» esordì June, un istante dopo aver
ritirato l’ultimo piatto. Era
rimasta sola in cucina con Louis, mentre gli altri ragazzi si erano
spostati in
soggiorno, per vedere un film di cui June non aveva afferrato nemmeno
il
titolo.
Louis
le
rivolse un sorriso tranquillo.
«E
allora
sarà meglio che tu vada a dormire. Più tardi
passo a vedere come và.» la
informò.
«Dì
la
verità, Lou. Hai paura che da un momento all’altro
io vada in crisi…»
Louis
annuì. Possibile che fosse così intuitiva? O che
lui fosse tanto trasparente da
far capire quello che pensava?
«Sono
tranquilla, davvero. E sto bene.» June si affrettò
a tranquillizzare il
ragazzo, prima di fare un passo verso di lui e abbracciarlo con
slancio. Era così
tenero che anche una come lei non poteva resistere a quegli occhi
azzurri.
Louis
le
lasciò un bacio sulla guancia.
«Buonanotte.» le augurò.
June
annuì, sorrise e andò in soggiorno.
«’Notte,
ragazzi.» fece per allontanarsi, ma Niall la trattenne.
«Voglio un bacio.»
protestò. June alzò gli occhi al cielo e si
sporse dalla spalliera del divano.
Stampò un bacio sulla guancia dell’amico e gli
scompigliò i capelli biondi.
«Che,
vuoi un bacio anche tu, per caso?» chiese, quando si accorse
che Harry la stava
fissando, senza nemmeno cercare di tenerlo nascosto. Zayn
ridacchiò, di fronte
all’espressione di totale sorpresa del riccio, che proprio
non si era aspettato
un’uscita del genere da parte di June.
«Sicura
che non sei tu, quella che vuole baciarmi?» chiese,
ammiccando malizioso. Di
solito, quando faceva così, le ragazze tendevano ad
arrossire, prima di
sospirare e baciarlo.
Quello
che Harry non aveva capito, era che June non era una ragazza qualsiasi
e,
soprattutto, non aveva nessuna intenzione di stare al suo gioco, sempre
se ce
ne fosse uno.
Perciò,
quando June scoppiò a ridere, senza la minima traccia di
imbarazzo, Harry ci
restò decisamente male.
«’Notte,
Zayn.» June baciò anche Zayn, prima di rivolgere
un’occhiata di sfida a Harry.
«Buonanotte,
Harry.»
I
ragazzi
la sentirono ridacchiare, anche mentre saliva le scale per andare in
camera.
«June
non
ci casca.» informò Niall, divertito. Insomma, lui
conosceva June come le sue
tasche e sapeva di certo che i modi di fare di Harry non erano
assolutamente
sufficienti per farle perdere la testa. Essendo abituata a relazionarsi
più con
i ragazzi che con le ragazze, di certo June non arrossiva per
un’insinuazione
tanto leggera.
«Tutte
ci
cascano, prima o poi.» commentò Harry, passandosi
una mano tra i capelli. Zayn
ridacchiò, poi afferrò una manciata di pop-corn e
si voltò completamente verso
l’amico: la sua conversazione con Niall era decisamente
più interessante di
quello stupido film.
Niall
alzò gli occhi al cielo, poi continuò a parlare.
«Lei
no. June
è diversa, Harry. Non si lascia abbindolare da un sorriso, o
dai capelli ricci.
Lei cerca la sostanza…»
«Credimi,
ho anche quella.» si vantò Harry, prima di
scoppiare a ridere, trascinando con
sé anche Zayn e Louis, che si era seduto sul tappeto davanti
alla televisione.
Nel
frattempo, June aveva indossato il suo pigiama, recuperato
l’iPod – che era
rimasto accanto a Coriandolo, esattamente dove l’aveva
lasciato prima di cena –
e si era messa a letto. Improvvisamente, tutto il sonno e la stanchezza
che aveva
provato poco prima, erano come scomparsi.
Perciò
fece partire la musica in riproduzione casuale, si coprì
fino al collo e lasciò
che i pensieri che fino a quel momento si era sforzata di trattenere la
raggiungessero tutti insieme.
Per
prima
cosa, pensò a sua madre. Lo faceva tutte le sere, prima di
andare a dormire, ma
quella volta ci si soffermò più del solito. Era
contenta per loro? Era quello
che avrebbe voluto, per lei e papà? June credeva di
sì. Elizabeth era sempre
stata una donna generosa, giusta e di certo non avrebbe voluto che suo
marito e
sua figlia conducessero un’esistenza all’insegna
dell’infelicità. Quindi era
meglio che smettesse di sentirsi in colpa per qualcosa di cui, in
effetti, non
aveva alcuna responsabilità.
Pensò
a
Louis, che si era dimostrato sorprendentemente dolce e che era certa di
adorare. Era sicura che sarebbero andati d’accordo.
Pensò a Niall, che da due
anni a quella parte c’era sempre stato e ci sarebbe stato
ancora. Pensò a Zayn,
che ancora non conosceva bene, ma che le ispirava fiducia, nonostante
l’aria da
cattivo ragazzo.
L’ultima
persona a cui pensò, prima di addormentarsi, fu Harry. Di
lui, ancora, non
sapeva cosa dire. Certo, era bello. E aveva una voce quasi ammaliante,
un po’
roca, ma che le faceva uno strano effetto. Per non parlare, poi, di
quelle
fossette.
Tuttavia,
quell’aria da playboy che aveva perennemente stampata in
volto, non la
convinceva affatto.
Proprio
per niente.
Innanzitutto
mi dispiace per non aver aggiornato ieri, ma è stata una
giornata lunghissima ed ero stanca morta. Perciò aggiorno
adesso.
Non
ho niente da dire, se non che spero che il capitolo vi sia piaciuto e
che non sia deludente, perchè mi dispiacerebbe.
Poi,
vi ringrazio per le recensioni allo scorso capitolo, davvero, sono
felice che la storia vi stia piacendo. E grazie anche a chi l'ha
inserita tra le seguite/preferite/ricordate.
Siete
fantastiche <3
|
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Capitolo 6 *** Chapter 5. ***
Chapter
5.
La
mattina dopo, June venne svegliata dal buon profumo di
caffè, che l’aveva
raggiunta nonostante la porta chiusa. Se c’era una cosa che
amava più del tè
alla vaniglia, quello era il caffè.
Si
era
addormentata con la musica accesa, ma nel sonno le cuffie le erano
sfuggite e
si erano attorcigliate con i capelli, che apparivano come un groviglio
informe.
Non che di solito fossero chissà quanto ordinati, ma quel
giorno superavano
proprio loro stessi. Spense l’iPod, che ormai aveva raggiunto
la trecento
cinquantottesima canzone e aveva la batteria quasi completamente
esaurita,
districò un po’ i capelli e afferrò la
vestaglia blu elettrico. Scalza, scese
al piano di sotto, seguendo l’aroma del caffè. In
cucina trovò solamente
Johannah, che le rivolse un “buongiorno” al quale
rispose con un mugugno incomprensibile.
«Papà?»
chiese, poco dopo, quando fu in grado di parlare decentemente.
«È
andato
a lavoro. Ha detto di salutarti.» June annuì,
ringraziando Johannah e facendole
cenno di riempire la tazza fino all’orlo.
«Sbaglio
o ne manca uno?» domandò, guardandosi intorno alla
ricerca del futuro
fratellastro. Johannah ridacchiò.
«Ieri
è
andato a letto tardi. Credo che dormirà fino a
mezzogiorno.» spiegò. June gettò
un’occhiata all’orologio appeso alla parete di
fronte a lei: segnava appena le
nove.
«Vado
a
svegliarlo.» comunicò, come se niente fosse.
Johannah le rivolse un’occhiata
d’approvazione e prese un’altra tazza dalla
credenza. Mise a tavola il pane
tostato, il burro e la marmellata e attese per un po’ che
June scendesse
insieme a Louis, anche se dubitava fortemente che sarebbe riuscita a
svegliarlo.
June,
intanto, ferma davanti alla porta della camera di Louis, era
improvvisamente
titubante. E se si fosse arrabbiato? Be’, lei non aveva la
minima idea di cosa
fare e certo non le andava di stare da sola tutta la mattina. Anche
perché Jay
doveva uscire entro le dieci.
Aprì
la
porta lentamente e si guardò attorno. La stanza di Louis era
così disordinata
che June si ripromise di dare un’occhiata anche
all’armadio, visto che lui il
giorno prima l’aveva presa in giro per il suo casino.
«Louis…»
sorrise, intenerita, osservando l’espressione del ragazzo,
che dormiva
beatamente abbracciato al cuscino e che non diede affatto segno di
averla
sentita.
«Louis.»
riprovò, scuotendogli lievemente il braccio. Lui si
voltò dall’altra parte,
lasciando andare un lungo sospiro.
June
si
sedette sul letto, e gli diede uno spintone non propriamente delicato.
«Louis!»
urlò e, questa volta, Louis la sentì.
«Ho
sonno.» mugugnò, infilando la testa sotto il
cuscino.
«È
pronta
la colazione. E poi mi annoio, a stare da sola.»
spiegò June, che quella
mattina si sentiva più loquace del solito.
«Ancora
cinque minuti.» borbottò Louis.
Jay,
intanto, aveva capito che June non sarebbe scesa tanto presto,
così terminò di
fare colazione e andò a prepararsi: aveva un incontro alle
dieci e trenta con
il pastore, per stabilire la data del matrimonio e delle prove
generali.
«Louis,
dai.» rise June, pizzicando un fianco al ragazzo, che
sbuffò spazientito,
l’afferrò per il braccio e la trascinò
sul letto accanto a sé.
«Zitta,
e
dormi un altro po’.» le intimò, coprendo
anche lei con il piumone e riprendendo
beatamente a dormire. Rassegnata, June si rannicchiò tra le
coperte calde e si
rimise a dormire.
«June…»
Louis picchiettò sulla guancia della ragazza con
delicatezza, cercando di
essere un po’ più delicato di quanto era stata lei
giusto un paio di ore prima.
«Ti
svegli, per piacere?» niente. Dopo dieci minuti era ancora
nel mondo dei sogni
e Louis non sapeva più che pesci pigliare per farla
riprendere.
«Giuro
che la prossima volta mi alzo.» bofonchiò,
continuando a punzecchiare June sui
fianchi e sulla spalla.
Finalmente,
proprio quando cominciava a pensare che non ce l’avrebbe
fatta, June schiuse
gli occhi e lo guardò un po’ confusa.
«Stavo
sognando…» mugugnò, stropicciando
l’occhio con il pugno. Louis sorrise
intenerito, le scompigliò i capelli e si abbassò
per lasciarle un bacio sulla
fronte.
«Vado
a
scaldare il caffè, tu intanto riprenditi. Poi andiamo a
farci un giro.»
comunicò, serafico. June annuì, gli sorrise di
rimando e si ributtò tra le
coperte.
Ancora
dieci minuti, poi si sarebbe alzata.
Quando
finalmente scese in cucina, Louis aveva disposto di nuovo due tazze sul
tavolo
e aveva imburrato il pane.
«A
quanto
pare niente giro, dobbiamo andare a fare la spesa.» la
informò, sventolando con
aria poco entusiasta un foglietto azzurro, su cui spiccava la
calligrafia
ordinata di Jay.
June
annuì, leggendo con attenzione il piccolo elenco. Jay aveva
segnato il caffè
per ben tre volte, ormai consapevole di avere in casa una piccola
caffeinomane.
Sembrava davvero che non la infastidisse neanche un po’,
dover pensare ai
bisogni di una ragazza che non era nemmeno sua figlia. Era come se
l’avesse
accettata completamente come parte della famiglia.
«A
cosa
pensi?» le domandò Louis, osservandola con
curiosità.
«A
niente.» rispose talmente in fretta, che Louis
inarcò un sopracciglio,
scettico.
«Ti
aspetti che ci creda?»
«Si,
non
sarebbe male.» dopodiché, June mise la tazza a
mollo nel lavello e disse a
Louis che sarebbe andata a prepararsi. Mentre saliva le scale, si
congratulò
con sé stessa per l’indubbia capacità
di svicolare dalle conversazioni spinose.
Poco
dopo, si incamminò con Louis verso il supermarket
più vicino a casa. Louis si
lamentava in continuazione del fatto che la macchina gli avrebbe fatto
comodo,
che non aveva voglia di camminare, che era stanco e che non aveva
voglia di
andare agli allenamenti di calcio, quel pomeriggio.
«Piantala
di fare storie, Lou. La macchina serviva a Jay.» lo
rimbeccò June, dopo
l’ennesimo lamento. «E comunque oggi è
una bella giornata, perciò non rompere e
cammina.» lo prese sottobraccio con una confidenza di cui si
stupì e accelerò
il passo. Louis ridacchiò divertito, poi cominciò
a canticchiare la stessa
canzone che aveva intonato al telefono. June rimase in silenzio, ad
ascoltarlo.
Se gli avesse detto che pensava al modo in cui si sentiva di fronte
alle
premure di Jay, l’avrebbe capita? O gli sarebbe sembrata
solamente una
ragazzina stupida e bisognosa di attenzione?
Lo
osservò mentre si allontanava per prendere un carrello e la
raggiungeva
nuovamente.
«Sei
strana, oggi.» sostenne Louis, guardandola un po’
preoccupato. June fece
spallucce, poi gli sorrise e gli disse di stare tranquillo.
«Sono
un
po’ lunatica, ti converrà farci
l’abitudine.» lo informò, prima di
prendere tre
pacchi di caffè dallo scaffale e disporli nel carrello con
delicatezza.
«Posso
prendere anche i biscotti?» domandò Louis,
adocchiando con golosità lo scaffale
opposto.
«Cerca
di
non fare come l’altra volta, superstar. Mi hai tirato
giù mezzo supermercato.»
si intromise una terza voce. Louis scoppiò a ridere, prima
ancora di averne
individuato il proprietario, poi si voltò verso destra e
sventolò la mano.
«Ciao,
Liam.»
June osservò con
attenzione il nuovo arrivato.
Non l’aveva mai visto lì a Doncaster, ma
c’era da dire che la città era grande
e che lei non usciva più di tanto. In ogni caso, Liam aveva
corti capelli color
miele e occhi marroni, caldi. Un viso dolce, dall’aria
simpatica e un sorriso
fantastico.
Anche
lui
la stava osservando, notò, anche se sembrava già
aver capito chi fosse.
«Tu
devi
essere June.» sostenne infatti. «Io sono Liam,
piacere di conoscerti.»
sorprendendola non poco, anziché porgerle la mano, Liam la
abbracciò con
calore.
Un
po’
stupefatta, June ricambiò l’abbraccio e
guardò Louis in cerca di spiegazioni.
Lui si limitò a fare spallucce.
«Allora,
questo qui ti ha già fatto impazzire?» le
domandò Liam, poco dopo, circondando
le spalle di Louis con un braccio. June aveva scoperto che lavorava
lì al
supermarket, per potersi pagare gli studi
all’università, in cui contava di
andare non appena avesse avuto abbastanza denaro da parte.
«No,
non
proprio.» ridacchiò, gettando
un’occhiata divertita a Louis, che mise il
broncio e annunciò con aria oltraggiata che sarebbe andato a
prendere una
bottiglia di aranciata e una di coca cola.
Rimasta
sola con Liam, June si aspettava di risentire quel disagio che aveva
provato in
compagnia di Harry, ma non successe niente di niente. Continuarono a
parlare
del più e del meno, fino a che Liam venne chiamato da una
signora che aveva
assolutamente bisogno del suo aiuto per prendere il prodotto sullo
scaffale più
in alto. Scusandosi, le disse che si sarebbero visti presto e che era
stato un
vero piacere, per lui, conoscerla.
Guardandosi
intorno alla ricerca di Louis, June non si accorse che stava andando a
scontrarsi proprio con l’ultima persona che desiderava
incontrare quella mattina.
Quando se ne rese conto, comunque, era troppo tardi e lei era
già per terra.
«Guarda
un po’ chi si rivede…» Harry le porse la
mano per aiutarla ad alzarsi, ma June
lo ignorò volutamente: non voleva neanche sfiorarlo, visto
quanto la metteva in
soggezione.
«Come
vuoi. Ti sei fatta male?» insistette Harry, con un sorriso
che a chiunque
poteva sembrare sincero, ma che a June sembrò solo
malizioso.
«No,
sto
bene. E scusa se mi sei venuto addosso, eh.»
borbottò, sarcastica. Harry rise e
alzò gli occhi al cielo.
«Tranquilla,
ti perdono.» June strinse lo sguardo, poi scosse la testa e
si incamminò verso
il reparto in cui tenevano le cose da bere, sperando che quella testa
vuota di
Louis fosse lì e non in giro a devastare il supermercato.
Harry
la
seguì, troppo divertito per poterla lasciar perdere come se
niente fosse.
«Non
dovresti fare la spesa, tu?» domandò June,
snervata, quando si accorse che
Harry le camminava a fianco come se non avesse niente di meglio da
fare.
«No,
ero
venuto a salutare Liam. Vi ho visti, prima.» le disse,
tranquillo.
«E
allora?»
«Possibile
che non si possa fare conversazione, con te?» la
accusò Harry, un po’ seccato.
Era evidente che stesse provando a parlarle, ma perché lei
non gli dava una
possibilità? Lo infastidiva parecchio, se doveva essere
sincero, che June non
lo considerasse minimamente.
«Be’,
se
hai così tanta voglia di parlare, quella non ti toglie gli
occhi di dosso.»
ribatté June, gelida, indicando una ragazza che osservava
Harry con sguardo
ammirato. Subito dopo desiderò non aver mai parlato,
perché quella poteva
essere presa – a tutti gli effetti – come una
scenata di gelosia.
«Gelosa,
piccola?» insinuò Harry, infatti.
June
prese un respiro profondo, cercando nel frattempo una risposta
adeguata. Che
non arrivò mai, visto che individuò Louis intento
a chiacchierare con una
signora anziana. Da lì, June riuscì a sentire che
le consigliava la Coca Cola
normale, perché quella Light faceva schifo.
«Lou!»
lo
chiamò, sollevata.
«Tanto
non mi scappi.» le mormorò Harry,
all’orecchio. June rabbrividì, sforzandosi di
non darlo a vedere e drizzò le spalle, fiera.
«Non
ne
sarei così sicuro, se fossi in te.»
replicò, prima di raggiungere Louis quasi
di corsa, come se avesse il diavolo alle calcagna.
«Lo
vedremo.» era stato appena un sussurro, ma June lo
sentì chiaramente e non poté
fare a meno di rabbrividire una seconda volta. Ci mancava solo
l’ennesimo scemo
convinto di poter fare colpo con qualche occhiata languida.
In
ogni
caso, prima o poi Harry l’avrebbe capito che stava
sbagliandosi di grosso, e
l’avrebbe lasciata in pace.
O,
almeno, June ci sperava.
«Che
faccia.» fu la prima cosa che disse Louis, rivolto a June.
Lei gli lanciò
un’occhiataccia, prima di afferrare le bottiglie che il
ragazzo teneva in mano
e comunicare che sarebbe andata a recuperare il carrello.
Tutto,
pur di allontanarsi dallo sguardo di Harry. Anche quando ebbe svoltato
l’angolo
e lo sentì parlare con Louis, le sembrò ancora di
avere i suoi occhi addosso.
Perciò
rinnovo l’impressione che aveva avuto la sera prima: non le
piaceva.
***
Buonaseeeera,
fanciulle.
Ecco qua il nuovo
capitolo, come promesso. Che ve ne pare? Si cominciano a capire un po'
di cose, compreso il rapporto tra Louis e June e quello tra June ed
Harry.
Voi che ne
pensate? Mi sembra di aver capito che in parecchie tifate per la coppia
Louis/June. O Sbaglio?
Niente, ho finito,
credo. Anzi, vado piuttosto di fretta perché devo aggiornare
anche l'altra storia (Reset, su Pierre Bouvier asdfghjkl.) e poi sono
gasata perchè la mia mammina adorata (sviolinata mode on) mi
ha comprato le cuffie nuove e posso di nuovo sentire la musica come
dico io.
E poi voglio
scrivere un po'. Scusate, non so nemmeno cosa sto dicendo. Comunque, mi
auguro che il capitolo vi sia piaciuto e spero che mi facciate sapere
che ne pensate, sapete che per me è importantissimo!
Vi adoro,
Fede. <3
|
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Capitolo 7 *** Chapter 6. ***
Chapter
6.
«Ma
tu
leggi sempre?»
June
inarcò un sopracciglio, mentre Louis entrava nella sua
camera, senza
preoccuparsi minimamente di chiedere il permesso o, prima ancora,
bussare.
Avrebbe dovuto esserne infastidita, ma sembrava quasi che Louis avesse
lo
strano potere di rendere adorabile qualunque azione compiesse. La cosa
ancora
più strana, poi, era che June glielo concedesse senza fare
storie e senza
battutine in proposito. In ogni caso, avevano compreso entrambi che
quella
convivenza si stava rivelando decisamente meno problematica di quanto
avessero
immaginato inizialmente.
La
complicità che si era instaurata in quel breve periodo
precedente il
trasferimento a casa Tomlinson, aveva fatto in modo che l'impatto fosse
meno
traumatico. Tanto di guadagnato, comunque, perché era
esattamente ciò in cui
sia Sam che Jay avevano sperato.
«Il
tuo
problema quale sarebbe, Lou?» domandò June,
tranquilla. Svoltò pagina e riprese
a leggere. Louis si appropriò di tre quarti del materasso e
sbuffò sonoramente.
«Dovresti
rilassarti un po’, scricciolo.» rise, cominciando a
giocare con una ciocca dei
capelli di June con aria distratta.
June
sospirò, poi chiuse il libro e lo appoggiò sulla
scrivania. Si voltò verso
Louis e sorrise, a metà tra l'esasperato e il divertito: se
l'aspettava già,
che avrebbe voluto coinvolgerla in qualche progetto che probabilmente
non le
sarebbe andato a genio.
«D'accordo,
cosa hai in mente?»
In
parte
temeva la risposta, ma allo stesso tempo era consapevole che Louis non
l'avrebbe lasciata in pace fino a che non avesse accettato qualsiasi
proposta
fosse uscita da quella testa bacata.
«Tra
poco
devo andare agli allenamenti, vieni con me?»
June
lo
guardò sospettosa: non poteva essere così
semplice.
«Chi
altro c'è?» domandò, quindi. Louis
guardò altrove per un attimo, poi rispose.
«Niall
e
Liam. Forse Zayn.»
June
si
dovette mordere la lingua per non chiedere di Harry. Non voleva certo
sembrare
interessata. Perché non lo era affatto. Odiava il modo in
cui Harry la metteva
in soggezione e odiava il suo modo di provarci così
spudorato. Poteva anche
funzionare con le ragazzine alle quali era abituato, ma di certo con
lei non
attaccava. Non era mica scema e sapeva alla perfezione qual era lo
scopo di
quel “corteggiamento”: aggiungere un nome alla
sicuramente lunga lista di cuori
infranti. Chissà cosa ci trovava di interessante, nel
cambiare ragazza ogni due
per tre.
Ovviamente
lei non aveva neanche la certezza che le cose stessero in quel modo, ma
il
commento sulla sostanza che Harry aveva fatto due sere prima aveva
aiutato
parecchio a consolidare l'idea di per sé pessima che June
aveva di lui.
In
ogni
caso, Louis non aveva motivo di mentirle, perciò doveva
credergli sulla parola.
Sospirò,
in preda all'indecisione.
«Okay,
vengo.»
«Perfetto!
Tra poco arriva Niall, perciò ti conviene muoverti, se devi
prepararti. Hai
dieci minuti, scricciolo.»
Louis
le
stampò un bacio sulla guancia, poi si alzò dal
letto e uscì dalla camera, non
prima di averle rivolto un altro caloroso sorriso.
Poco
dopo, June si pentì amaramente di non aver dato retta al suo
istinto e
maledisse Louis in tutte le lingue del mondo, quando lui
sventolò un braccio
dal campo di calcio, per salutarla. Ricambiò con poco
entusiasmo e borbottò un
paio di insulti.
«Mi
sembri nervosa, piccola.» fastidioso.
Harry
Styles era il ragazzo più fastidioso con cui lei avesse mai
avuto la sfortuna
di parlare. Non sapeva nemmeno se fosse meglio ignorarlo o rispondergli
a tono.
Se l'avesse ignorato, lui sarebbe andato avanti ad infastidirla
finché non gli
avesse risposto e, nel momento in cui lei gli avesse risposto, lui
avrebbe
continuato per puro spirito di vendetta.
Perciò
si
limitò a sbuffare. Harry ridacchiò,
incredibilmente soddisfatto e affatto
intenzionato a mollarla troppo presto.
«Allora?»
continuò, imperterrito. Punzecchiò il fianco di
June con il dito indice,
facendola sobbalzare: non sopportava il solletico.
«Mi
spieghi cosa cavolo vuoi da me, Harry?» sbottò,
facendo ridacchiare Niall, che
le sedeva accanto.
Si
volse
verso di lui con sguardo di supplica, nella speranza che capisse quanto
fosse
seccata e l'aiutasse ad uscirne.
«Dai,
piccola, Harry scherza. È che non è abituato ad
essere ignorato così.» le
spiegò, paziente.
«E
quindi?»
«E
quindi
sto solo cercando di parlare con te, piccola.»
Se
c'era
un'altra cosa che June non sopportava di Harry, era il modo in cui
pronunciava
la parola piccola: con la sua voce bassa, assumeva un'atmosfera troppo
intima,
che le faceva contorcere le viscere per il disagio.
«Non
puoi
parlare con Zayn o con Liam? Si stanno annoiando a morte.»
replicò June,
sforzandosi di evitare lo sguardo di Harry, che da parte sua si
divertiva da
pazzi a metterla in imbarazzo.
Zayn
e
Liam, tutt'altro che annoiati, si stavano scambiando commenti sulla
nuova
formazione e sull'ultimo passaggio effettuato da Louis un istante
prima. Perciò
ignorarono la non troppo implicita richiesta d'aiuto di June e
continuarono a
parlare dei fatti loro.
Harry,
soddisfatto, circondò le spalle di June con un braccio. Lei
si divincolò,
infastidita e imbarazzata.
«Cos’è
tutta questa confidenza?» domandò, seccata. Harry
fece spallucce e ridacchiò.
«Potrei
prendermene molta di più, se volessi.» le
rivelò all'orecchio.
June
gli
rivolse una delle sue peggiori occhiatacce e si spostò un
po’ più vicina a
Niall, che rise e l'abbracciò con il suo solito affetto.
«Non
mi resisterai
per sempre, piccola.» sostenne Harry, serafico. June
arrossì appena, cogliendo
il messaggio, poi scosse la testa in segno di negazione.
«Non
mi
conosci affatto, Harry. Prima che io ceda alle tue squallide avances,
ti sarai
stancato.» rispose, gelida. Perché se Harry voleva
la guerra, lei di certo non
si sarebbe tirata indietro.
«Potresti
trarne vantaggio.» insinuò Harry, malizioso.
Quando si accorse dell'espressione
inferocita di June, però si affrettò a ritrattare.
«Rilassati,
sto scherzando.» alzò gli occhi al cielo e,
finalmente, la lasciò libera di
concentrarsi su Louis e sul gioco. Anche se ormai gli allenamenti erano
finiti
e i ragazzi stavano dirigendosi verso gli spogliatoi.
«Andiamo?»
Liam
si
alzò, tese galantemente una mano a June affinché
potesse fare altrettanto, poi
le sorrise e le si incamminò a fianco, mentre Niall, Zayn ed
Harry si
trattenevano ancora qualche secondo.
«Si
direbbe che Harry abbia un debole per te.» affermò
Liam, pacato.
«Si
dà il
caso, però, che la cosa non sia affatto
reciproca.» replicò tetra.
Dirlo
ad
alta voce non avrebbe dovuto farle quell'effetto, rifletté
pensierosa. Le
sembrava quasi di sentirsi in colpa, perché forse Harry
stava scherzando e lei
l'aveva preso troppo sul serio, dando poi il via libera al suo lato
più acido e
scontroso. Dopotutto non era la prima volta che riceveva qualche
complimento di
troppo, ma non aveva mai reagito così: l'unica soluzione che
le venisse in
mente, era che a farle quello strano effetto – con annessi
brividi e umore
altalenante – fosse proprio Harry e non tanto ciò
che le diceva.
«È
strano.» decretò Liam, infine. June lo
guardò un po’ perplessa, cercando di
capire cosa intendesse dire. Cosa c’era di così
strano, nel fatto che Harry non
la convincesse? Dov’era scritto che fosse obbligata a farselo
andare a genio?
Certo,
poteva anche darsi che si fosse fatta un’idea sbagliata e che
Harry in realtà
fosse il ragazzo migliore dell’intero pianeta Terra,
dell’Universo conosciuto e
di quello ignoto, ma restava il fatto che lei, in sua presenza, non si
sentiva
a suo agio.
«Allora,
che mi sono perso?» Louis uscì dagli spogliatoi
con un sorriso smagliante. Era
evidentemente stanco, ma propose ugualmente di andare a mangiare
qualcosa nel
piccolo bar accanto allo stadio.
Abbracciò
June con entusiasmo, chiedendole se si fosse annoiata e se Harry avesse
fatto
il bravo.
Il
soggetto in questione, sbuffò.
«Certo
che ho fatto il bravo. E comunque tua sorella è troppo
acida.» commentò.
Louis
partì in un monologo in difesa di June, che non
ascoltò nemmeno una parola,
troppo sorpresa dal fatto che Harry avesse usato la parola
“sorella” con tutta
quella naturalezza e che, ancor di più, Louis non ne
sembrasse affatto turbato.
«E
comunque te l’abbiamo già detto che June non ci
casca. Vero, scricciolo?» la
interpellò. June tornò alla realtà con
un sobbalzo e rivolse a Louis uno
sguardo confuso. Lui inclinò la testa da un lato, cercando
di capire cosa ci
fosse che non andava, ma non giunse a nessuna conclusione logica.
«Mi
sono
distratta un attimo, scusami. Cosa stavi dicendo?»
domandò, sforzandosi di
apparire rilassata.
Louis
non
era l’unico, comunque, ad aver notato che June aveva qualcosa
di strano. Harry
continuava a guardarla di sott’occhio, curioso.
Era
strana, June. Completamente diversa da qualsiasi ragazza che avesse mai
incontrato: sembrava che vivesse su un pianeta tutto suo. Cercare di
instaurare
un rapporto con lei, poi, era ancora più difficoltoso.
Non
per
tutti, solo per lui. Perché con Liam e Zayn aveva
immediatamente preso
confidenza e sembrava che entrambi le stessero piuttosto simpatici. Per
non
parlare, poi, di Niall e Louis. June li adorava, ed era evidente.
Il
problema era lui quindi. E il modo in cui la faceva sentire. Harry non
era per
niente stupido, e aveva capito sin da subito di avere un certo effetto
su di
lei.
Quando
lui era nei dintorni, June si irrigidiva e sembrava sempre pronta a
scattare.
Se per picchiarlo o per scappare, ancora non l’aveva capito.
Anche
il
quel momento era tesa come una corda di violino ed Harry proprio non
capiva il
motivo, visto che per una volta non aveva detto niente per metterla in
imbarazzo.
Tranne
quel “sorella” che gli era uscito di getto, solo
perché il modo in cui Louis si
rapportava a lei era tanto naturale e spontaneo che definirla
“sorellastra” gli
era sembrato fin troppo riduttivo.
Nel
frattempo, Louis aveva rispiegato quanto aveva detto a Harry e June
l’aveva
seguito per filo e per segno, finalmente concentrata.
«Ovvio
che non ci casco, ma per chi mi hai preso?»
June
sorrise a Louis, divertita. Figurarsi se sarebbe stata tanto ingenua da
cascare
nella rete di Harry.
A
proposito di Harry, lo ringraziò quando le tenne aperta la
porta per farla
entrare e gli concesse un piccolo sorriso, lasciandolo decisamente di
stucco.
Soddisfatta,
scivolò sulla panca fino a raggiungere il posto accanto a
Liam, e prese a
sfogliare il menù con aria distratta.
Qualche
minuto
dopo, Zayn sventolò la mano per richiamare
l’attenzione della cameriera.
La
ragazza si avvicinò qualche istante dopo, con un gran
sorriso dipinto sul volto
dolce.
«Ciao,
ragazzi. Il solito?»
June
rimase incantata per qualche secondo a fissare la montatura blu
elettrico dei
suoi occhiali, che contrastava in maniera delicata con i capelli
castani, che
teneva legati in una coda alta, e con la carnagione pallida.
La
ragazza ricambiò il suo sguardo, curiosa. Si studiarono per
qualche secondo,
dopodiché la ragazza sorrise.
«Non
ti
ho mai vista, qui.» constatò.
«Alice,
lei è June, la mia migliora amica.» la
presentò Niall.
«Piacere
di conoscerti.» Alice sorrise, poi porse la mano a June che
ricambiò con un
sorriso altrettanto amichevole.
«Alice,
ho fame.» si lagnò Louis, qualche istante dopo.
Alice rise, poi alzò gli occhi
al cielo.
«Allenamento,
eh?»
«Si,
perciò perché tu e June non parlate
dopo?» incalzò, circondando le spalle della
sorellastra con un braccio.
Alice
rise un’altra volta, divertita.
«D’accordo. Resisti ancora un po’,
campione.
Tra poco arrivo.» dopodiché si
allontanò velocemente.
June
la
osservò ancora per qualche secondo, ma non fu
l’unica. Anche Niall, infatti,
non le aveva tolto gli occhi di dosso.
***
Eccoci
qua. Eccomi, anzi, visto che sono da sola. AHAHAH scusate, ma oggi sono
un po’
delirante.
Comunque,
credo di non avere niente da dire, sapete? Ah, si, solo una cosa. Ho
notato
(Sherlock Holmes è qui tra voi) che siete quasi equamente
divise tra la coppia
Louis/June e June/Harry.
Ecco,
non
voglio spoilerare niente, ma penso sia piuttosto evidente che Jarry (?)
vince. Perciò,
mi dispiace per quelle di voi che si sono illuse (?) (Come se non ci
dormiste
la notte), ma Louis e June sono solo fratello e sorella.
Poi,
che
altro dire? La storia è conclusa, perciò non
c’è alcun dubbio. AHAHAH
Però,
siccome in molte amate Louis, ho cominciato una nuova storia su di lui.
È
una
gran cagata, nel senso che non ha nessuna pretesa di serietà
e niente, vi
lascio il banner.
Cliccate
sopra e verrete catapultate alla pagina.
Niente,
ho finito.
Vi
ringrazio davvero per le recensioni, sono contenta di sapere che la
storia vi
stia piacendo, i vostri deliri mi divertono sempre, li adoro.
Grazie
<3
A lunedì
prossimo!
Ah, quasi dimenticavo, avete visto il banner? Jas, mia bella bannerista
di fiducia, ha deciso che quello precedente non le piaceva. Siccome,
suo il banner, mia la storia (?) ecco qua quello nuovo.
Grazie, cipollina <3
|
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Capitolo 8 *** Chapter 7. ***
Chapter
7.
June
sbadigliò per l’ennesima volta e
appoggiò la testa sulla spalla di Liam, che
ridacchiò e la guardò divertito.
«Stanca?»
chiese, distogliendo per un attimo la sua attenzione dal grande schermo
al
plasma posizionato sulla parete in fondo.
«Da
morire.» confermò June, prima di chiudere gli
occhi per qualche secondo e
sbadigliare un’altra volta.
«Mi
dispiace dirtelo, ma Louis ne avrà ancora per un bel
po’. Quando finisce gli
allenamenti si mangia almeno tre panini. E poi oggi
c’è anche la partita…»
comunicò. June sbuffò.
Perfetto,
come minimo si sarebbe addormentata sulla panca come una deficiente,
nella
speranza che nessuno segnasse e che il tifo dei pochi presenti si
limitasse ad
un nervoso borbottio di sottofondo. Borbottò ancora qualche
secondo, poi si
interruppe, quando si accorse che Harry la fissava con un mezzo sorriso
divertito.
«Che
vuoi?» berciò, infastidita. Lui fece spallucce.
«Mi
chiedevo come tu faccia ad essere stanca, visto che non fai niente
dalla
mattina alla sera.» rivelò. Le fece un occhiolino
malizioso, dopodiché portò
alla bocca una patatina fritta e la addentò con gusto.
Oltraggiata
da tutta quella supponenza, June appallottolò il tovagliolo
di Liam e lo tirò
in faccia ad Harry, colpendolo esattamente in mezzo alla fronte.
«Si
dà il
caso, mio caro, che io sia estremamente
impegnata.» ringhiò.
Harry
inarcò un sopracciglio.
«E
sentiamo, cos’avresti fatto, oggi? A meno che fare la spesa
al supermercato non
ti abbia sfiancato così tanto.» celiò,
lanciandole indietro il tovagliolo.
June
boccheggiò alla ricerca di una risposta abbastanza
antipatica, ma non le venne
in mente niente.
«Be’…
è
la tua presenza che mi stanca!» farfugliò, mentre
le guance le si coloravano
lievemente di rosso. Niall, che aveva smesso di guardare la partita per
concentrarsi sulla discussione tra i due, scoppiò a ridere.
«Voi
avete dei problemi.» commentò, alzando gli occhi
al cielo.
«Harry
ha
dei problemi.» lo corresse June, piccata. Non era mica colpa
sua se era stanca!
E poi, ad Harry cosa cavolo interessava se lei voleva andarsene a letto
o se
non aveva fatto niente tutto il giorno? Non era mica suo padre, per la
miseria!
Intanto,
Alice si era avvicinata nuovamente, richiamata da Louis, che a malapena
staccava gli occhi dallo schermo.
«Il
mio
turno sarebbe finito, ma immagino che il panino sia più
importante.» borbottò,
divertita. Louis le sorrise riconoscente ed annuì.
«Ci
metteresti un sacco di formaggio?» domandò. Alice
rise, poi alzò gli occhi al
cielo e si allontanò. Tornò qualche minuto dopo,
ma anziché allontanarsi
nuovamente, fece cenno ad Harry di farsi un po’
più in là e si accomodò tra lui
e Niall, che sorrise soddisfatto.
June
osservò il suo migliore amico con aria un po’
perplessa: da quando aveva
quell’espressione idiota? Non se ne era mai accorta.
D’altra parte, però, non è
che Alice avesse un’espressione molto più
intelligente. Non ci volle molto,
quindi, a fare due più due. Si trattenne dal balzare in
piedi e canticchiare “A
Niall piace Alice e ad Alice piace Niall” e rivolse uno
sguardo intenso a
Niall, che arrossì furiosamente.
Alice
non
si accorse di niente, ma mantenne comunque il suo sorriso.
«Allora…»
cominciò, rivolta a June. «Come ti trovi qui a
Doncaster?» domandò. June fece
spallucce.
«Be’,
in
realtà vivevo già qui, perciò non
c’è stato nessun grande cambiamento. Certo, a
parte ritrovarmi con un mezzo idiota come futuro fratello.»
affermò, con
evidente affetto. Louis si voltò, offeso.
«Non
sei
per niente gentile, scricciolo.» brontolò, prima
di tornare a guardare la partita.
«Non
ti
ho mai vista in giro…» proseguì Alice,
curiosa. Ancora una volta, June sollevò
le spalle, come a dire che non poteva farci niente.
«Non
esco
tanto, solo qualche volta con Niall.» spiegò.
«Ecco
perché sei così acida. Pensavo di essere io la
causa del tuo malumore.» si
intromise Harry, osservandola attentamente.
June
sentì nuovamente lo stomaco contorcersi per il disagio: non
era propriamente
esatto, che Harry la mettesse di malumore. Semplicemente, la
assoggettava con
un solo sguardo e lei non riusciva a capirne il motivo. Okay, Harry era
carino,
ma non era mica il primo bel ragazzo che incontrava, né
sarebbe stato l’ultimo.
In
ogni
caso, non poteva ammettere ad alta voce che lui la faceva sentire
un’imbranata,
perciò si limitò a lanciargli
l’ennesimo sguardo infastidito e voltò la testa
altrove.
Alice
rise.
«Qualcuno
qui ha trovato pane per i suoi denti…»
cantilenò.
«Non
ti
preoccupare, prima o poi June cederà al mio
fascino.» ammise Harry, con
supponenza. Alice inarcò un sopracciglio.
«Io
veramente mi riferivo a te, ma lasciamo stare.» disse. Harry
tornò serio, come
se Alice l’avesse mortalmente offeso, dopodiché si
lasciò andare ad una risata
un po’ troppo divertita.
«Dici
davvero? Oh, Alice, mi farai morire dal ridere, prima o poi.»
finse di
asciugarsi una lacrima, poi scosse la testa.
«Cosa
staresti insinuando?» mormorò June, con la voce
contratta per il nervoso.
Strinse gli occhi, sfidando Harry a parlare e lui non se lo fece
ripetere due
volte: disse ogni parola con calma, giusto per essere sicuro che il
messaggio
venisse compreso a fondo.
«Sto
dicendo che la tua scena da sostenuta non mi ha ingannato affatto,
piccola. So
quello che voglio e soprattutto so riconoscere quando piaccio a
qualcuno. Non
mi inganni.»
Se
Harry
aveva davvero creduto che June avrebbe reagito bene a
quell’affermazione, si
era sbagliato di grosso. Se ne rese conto nell’esatto momento
in cui il volto
di lei divenne inespressivo e lo sguardo freddo come il ghiaccio.
La
osservò mentre beveva un sorso d’acqua dal
bicchiere. Quello che non si era
aspettato, a dire il vero, era che subito dopo sorridesse in quel modo
indecifrabile. Tantomeno che gli rovesciasse in testa il contenuto del
bicchiere.
«Vediamo
se riesco a fartelo capire una volta per tutte: tu – non
– mi – piaci.» scandì,
lentamente e con voce piatta.
Incredulo
e grondante d’acqua ghiacciata, Harry sorrise.
«Vuoi
la
guerra, piccola?» sibilò. June arrossì.
«Non
voglio un bel niente, da te. Voglio che mi lasci in pace, quello
si.»
«Troppo
tardi.»
Cadde
un
minuto di silenzio, durante il quale il Manchester segnò il
primo gol e
l’intero locale esplose in urla di dissenso. Poi, la voce
squillante di Alice
si fece largo tra le grida.
«L’avevo
detto io, che avevi trovato pane per i tuoi denti.»
Louis
era
arrabbiato con lei.
June
se
ne accorse perché durante il viaggio di ritorno a casa non
le aveva rivolto la
parola se non per chiederle di chiudere il finestrino e di abbassare un
po’ il
volume della radio.
Essendo
abituata ad affrontare i problemi a viso aperto, non si fece per niente
intimorire dall’espressione astiosa di Louis. Spense
completamente la radio e
si voltò verso di lui.
Louis
non
fece cenno di averla notata e, come per farle intendere che non aveva
nessuna
intenzione di passare con lei più tempo dello stretto
necessario, premette il
piede sull’acceleratore.
«Oh,
ma
davvero? Perciò se io ti chiedessi di farmi scendere adesso
saresti contento,
no?» insinuò, slacciando la cintura. Louis si
voltò a guardarla, un po’
sorpreso.
«Come?»
«Dai,
fammi scendere.»
«Si
può
sapere cosa stai dicendo?»
«Fammi
scendere, mi faccio una passeggiata. Visto che sei tanto incazzato, non
vorrei
darti fastidio. Perciò, ferma la macchina.»
Louis
sospirò, poi alzò gli occhi al cielo.
«Non
dire
cazzate, per cortesia. E poi cos’è, hai la coda di
paglia?» insinuò, con un
sorrisetto beffardo. June inarcò un sopracciglio, indecisa.
Incazzarsi o no?
Era quello il problema, alla fine. Non aveva nessuna voglia di
bisticciare
anche con Louis e comunque non aveva nessunissima coda di paglia.
Semplicemente, sapeva riconoscere quando qualcuno ce l’aveva
con lei.
«Affatto.
Però tu potresti anche dirmi perché sei tanto
nervoso. È per Harry?» domandò,
sapendo alla perfezione che il problema era proprio quello.
Louis
borbottò qualcosa.
«Prego?»
«Si!
Okay? Harry è il mio migliore amico, d’accordo? E
non mi piace che ti abbia
messo gli occhi addosso.» farfugliò, un
po’ troppo velocemente.
Non
gli
piaceva per niente che lui e June litigassero ogni trenta secondi. O,
almeno,
non gli piaceva il motivo per cui litigavano: Harry voleva June e
quando si
metteva in testa qualcosa non c’era niente da fare,
l’avrebbe avuta. Il
problema era che Louis non era affatto disposto a lasciare che
spezzasse il
cuore a sua sorella. Non era un’opzione praticabile e
comunque Harry non
avrebbe avuto nessuna difficoltà nel trovare
un’altra fortunata anima da
tormentare e portarsi a letto. L’importante era che lasciasse
in pace June.
Primo perché prima o poi si sarebbe ritrovato senza gli
attributi, visto che lei
glieli avrebbe staccati, secondo perché non c’era
nemmeno la certezza che
l’unica a perderci sarebbe stata June. Non ci voleva mica
molto ad innamorarsi
di lei.
June
aprì
e chiuse la bocca un paio di volte, rimuginando sulle parole di Louis:
non ce
l’aveva con lei, ma con Harry! Era arrabbiato
perché Harry non la lasciava in
pace, non perché lei gli aveva rovesciato il bicchiere
d’acqua addosso.
«N-non
sei arrabbiato con me?» balbettò infine.
«No,
certo che no! A quanto pare non riesco a prendermela con te, anche se
potresti
evitare di fare il bagno alla gente, a ben pensarci.»
borbottò, voltandosi
verso di lei e rivolgendole un sorriso divertito.
June
scoppiò a ridere, ripromettendosi che non appena fossero
scesi dalla macchina
avrebbe abbracciato Louis.
E
così
fece.
Una
volta
che Louis fu alla sua portata, si lanciò letteralmente tra
le sue braccia e gli
schioccò un bacio sulla guancia. Louis rise, ricambiando
l’abbraccio, e le
baciò una tempia.
«A
cosa
devo tutto questo affetto?»
«Il
mio
cuore di ghiaccio si sta sciogliendo.» proclamò
June, teatralmente. Louis
scoppiò a ridere.
«Ed
io
che pensavo di essere irresistibile.»
«Quello
era il secondo motivo.»
Si
sorrisero di nuovo, poi entrarono in casa e vennero accolti dal sorriso
gioioso
di Johannah e da quello sereno di Sam.
Per
il
resto della serata, June riuscì a non pensare ad Harry e al
fatto che, presto o
tardi, avrebbe dovuto rivederlo.
***
Buonasera
^^
Vado
piuttosto di fretta, oggi, perché devo preparare la cena (e
mi ero pure
dimenticata di aggiornare), perciò niente. Vi ringrazio e vi
adoro alla follia
e spero che il capitolo vi sia piaciuto <3
|
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Capitolo 9 *** Chapter 8. ***
Chapter
8.
Nei
sei giorni
che seguirono quella disastrosa serata, June ebbe tutto il tempo di
raccogliere
le idee e di organizzarsi per qualsiasi evenienza.
Evenienza
che comprendeva, principalmente, Harry Styles, il quale non si era
fatto né
vedere né sentire.
Louis
non
aveva preso la mancanza dell’amico tanto serenamente, ma si
sforzava di
impegnare il tempo in qualcosa di divertente e che lo distraesse
abbastanza dal
pensiero di Harry.
Infastidire
June, perciò, sembrava diventata la sua unica fonte di
svago. E se all’inizio
lei era sembrata più che entusiasta delle attenzioni che
Louis le rivolgeva,
dopo un po’ aveva iniziato a stancarsi della sua esuberanza e
del suo continuo
e a tratti irritante saltellarle attorno.
La
sua
ben misera pazienza si era esaurita quel pomeriggio, dopo che Louis le
aveva
chiesto, per l’ennesima
volta, di
guardare le repliche dei Simpson in televisione.
Era
solito guardarle con Harry, ma da quando avevano discusso –
non che ci fosse
stato un litigio o qualcosa di tanto plateale: semplicemente, il loro
era un
silenzioso e ancora più crudele distacco – Louis
aveva dovuto vedersi i Simpson
da solo. Inutile dire che trovava quasi insopportabile non poter
condividere
con nessun altro le battute, né la sua favolosa imitazione
di Homer.
Così
June
aveva scelto che salvaguardare la sua sanità mentale era una
questione della
massima priorità e si era armata di forza e coraggio.
«Sto
uscendo.» annunciò, velocemente.
Louis,
svaccato sul divano con un’espressione annoiata,
sgranò gli occhi azzurri e
fece per alzarsi. Lei gli rivolse un’occhiataccia che lo
convinse a stare
seduto, poi gli puntò il dito contro.
«Non
ti
azzardare a seguirmi. Stai a casa e guardati i cartoni
animati.»
«Ma
mi
annoio!» si lagnò Louis. June si morse un labbro,
nervosa. Non poteva dirgli
dove stava andando, o Louis avrebbe tirato giù un casino.
Rimuginò per qualche
secondo alla ricerca di una scusa plausibile, poi sorrise perfidamente.
«Avrei
preferito non dirlo ad alta voce, ma visto che a quanto pare ti sei
deciso a
tampinarmi, mi tocca parlare: devo comprare gli assorbenti. Sai, tra
poco
dovrebbe venirmi il ciclo e non vorrei rischiare
di…»
«Okay,
ho
capito! Zitta, zitta!» Louis si tappò le orecchie,
come un bambino che non
vuole sentire e June scoppiò a ridere.
«Sicuro
di non voler venire?» propose, infine, mentre si legava la
sciarpa al collo e
calava il cappuccio sui capelli.
«No,
c’è
una puntata che proprio non posso perdermi.» come a voler
dimostrare quanto
appena detto, Louis si voltò verso la televisione e si finse
interessato alla
pubblicità del dentifricio.
June
salutò un’ultima volta, afferrò la sua
copia delle chiavi di casa e si chiuse
la porta alle spalle.
Dopodiché
si incamminò velocemente, decisa a togliersi quanto prima da
quel fastidioso triangolo
che comprendeva lei, Harry e Louis. Se ne tirava fuori completamente:
Louis ed
Harry potevano continuare ad essere migliori amici, senza nessun
intralcio da
parte sua.
Intralcio
che, tra le altre cose, lei nemmeno aveva voluto. Insomma, se Harry non
avesse
cominciato con quella stupida storia del “voglio aggiungere
un nome nuovo alla
lista delle mie vittime”, lei non avrebbe mai dichiarato
guerra così
apertamente e avrebbero vissuto tutti felici e contenti.
Ma
siccome Harry era un idiota e siccome lei non aveva alcuna intenzione
di stare
dietro alle sue cazzate, ora si vedeva costretta a perdere un
pomeriggio intero
per le strade di Doncaster, alla ricerca della tanto famigerata casa
Styles.
Le ci
volle quasi un’ora di cammino, prima di trovare
l’indirizzo che Niall le aveva
mandato per messaggio. Non aveva chiesto spiegazioni, ma June gli aveva
promesso che gli avrebbe spiegato tutto non appena avesse risolto.
Il
risultato di tutta quella sfacchinata, comunque, era un umore parecchio
tendente all’isterismo e una fame da lupi. Non aveva mangiato
tanto a pranzo,
perché era convinta di poter trascorrere l’intero
pomeriggio a sgranocchiare
quei cereali che aveva comprato il giorno prima.
E
invece
no, perché Louis aveva deciso di stressarle la vita e lei
non sopportava più di
vederlo ciondolare per casa come un’anima in pena.
Davanti
alla porta d’ingresso, prese un respiro profondo e si
costrinse a suonare il
campanello. Passò un minuto, poi due, ma nessuno si
degnò di aprire la porta.
Ed
Harry
doveva per forza essere a casa, perché a quell’ora
c’erano i Simpson e Niall le
aveva garantito che non se li sarebbe persi per niente al mondo.
Risuonò,
insistente e dopo qualche secondo sentì i passi veloci di
qualcuno che scendeva
le scale ed Harry le aprì la porta.
June
strabuzzò gli occhi, perché l’ultima
cosa che si era aspettata era di venire
accolta in boxer neri. Arrossì furiosamente ed Harry parve
profondamente
soddisfatto, dato che si appoggiò allo stipite della porta
con la spalla e
incrociò le braccia.
«Ciao,
piccola.» mormorò.
«Ciao
piccola un paio di palle. Mi fai entrare o no? Devo
parlarti.» sbottò,
sforzandosi di guardare Harry negli occhi. Tuttavia, le
riuscì parecchio
difficile non soffermarsi almeno per un istante sugli addominali e sui
fianchi
stretti.
Harry
si
fece da parte e con un cenno del braccio la invitò ad
accomodarsi in salotto.
Con disappunto, June si rese conto di non essere sola. Oltre ad Harry,
infatti,
c’era anche una seconda ragazza. Non era propriamente
vestita, notò, con un
sopracciglio inarcato. Anzi, stretta in quello scandaloso mini abito
azzurro,
sembrava perfettamente a suo agio.
Lo
stesso
valeva per Harry, che si sedette sul divano e afferrò il
telecomando, per poi
spegnere la televisione. June fece in tempo a intravedere Homer che
strozzava
Bart con la cornetta del telefono, dopodiché il silenzio
riecheggiò per tutta
la stanza.
«E
tu chi
saresti, scusa? Ci hai interrotto proprio sul più
bello.» si lamentò la
signorina, con una vocetta acuta e nasale che rimbombò
fastidiosamente nella
sala. June la guardò per un istante, poi si rivolse a Harry.
«Se
avessi saputo che avevi un servizio prenotato, sarei venuta
più tardi.» si
scusò, un po’ troppo sarcastica. Harry
ridacchiò, la fanciulla invece, sembrò
offendersi a morte e incrociò le braccia al petto.
«Tranquilla,
piccola, ho sempre tempo per te.» sostenne, facendola
arrossire un’altra volta.
La ragazza, sentendosi ignorata, pretese di conoscere il nome di quella
sfacciata ragazzina che aveva interrotto il loro incontro.
«Carolina,
lei è June.»
«June…
come
il mese? Dio, non posso credere che esista qualcuno con un nome
così brutto.»
ridacchiò, giuliva. June si morse l’interno del
labbro, Harry alzò gli occhi al
cielo e scosse il capo, divertito. Carolina proprio non aveva idea di
chi si
era messa contro.
«Buffo,
considerato che ti chiami come la mucca di mia nonna. Fossi in te
parlerei di
meno e mi vestirei un po’ di più, Carolina.»
June calcò volutamente sul nome dell’altra, tanto
per farle capire che l’unica
ad avere un nome ridicolo, lì, non era certo lei.
«Posso
parlare con te, si o no?» tornò a rivolgersi ad
Harry, che sogghignava
divertito. Lui annuì.
«Linnie,
possiamo vederci un’altra volta? Ti chiamo io.»
disse, afferrando
l’impermeabile color avorio dalla spalliera del divano e
porgendolo con
cortesia a Carolina, che sporse il labbro di fuori, nella perfetta
imitazione
di una vedova sconsolata.
«Me
lo
prometti?» domandò, mulinando le lunghe ciglia.
«Certo.»
«Oh,
in
questo caso allora va bene. Ci sentiamo, Harry. Ciao,
Jenuary.»
«È
June,
stupida. Vai a pascolare, che è meglio.» dopo
quell’ultimo simpatico saluto, le
due si scambiarono un’occhiata di odio reciproco,
dopodiché Carolina uscì ed
Harry e June rimasero soli.
Un
po’
più a disagio di quanto lo era stata fino ad un istante
prima, June si sedette
sul divano, il più possibile distante da Harry.
«Potresti
metterti qualcosa addosso, per cortesia?» domandò,
infastidita da tutta quella
mancanza di pudore. Harry, da parte sua, si fece un po’
più vicino e sfiorò il
braccio di June con lentezza quasi esasperante.
«Non
mi
dire che ti vergogni.» sussurrò. June si
scostò, infastidita, e si alzò in
piedi.
«Ho
bisogno di parlare con il tuo cervello, perciò vedi di
connetterlo e conserva le
tue tattiche da rimorchio per qualcuno di più stupido di
me.»
Harry
sembrò meditarci per qualche secondo, dopodiché
si alzò e con studiata calma si
avvicinò a June, che di riflesso indietreggiò.
«Interessante…»
mormorò lui, divertito.
«Cosa?
Ti
vuoi vestire, per l’amor di Dio?» urlò
June, imbarazzata da morire e prossima
all’esaurimento nervoso. Ma chi gliel’aveva fatto
fare?
Harry
inclinò la testa da un lato, come studiandola, poi
scattò. Afferrò June per un
braccio e la spinse sul divano. La intrappolò sotto il suo
corpo, divertito
dalle sue guance ormai rosse e dalla sua aria a metà tra lo
spaventato e
l’incazzato nero. Sembrava un animale in gabbia ed Harry
scoprì che essere la
causa del suo imbarazzo era quanto di più divertente avesse
mai provato.
June
si
divincolò, scalciò e urlò, ma Harry le
intrappolò entrambi i polsi con una mano
sola e non si mosse dalla sua posizione.
«Te
l’avevo detto che non mi sarei arreso.»
«E
io ti
ho detto che non mi piaci. Perciò ti do dieci secondi,
dopodiché di’ addio ai
gioielli.» minacciò June. Le mancava il fiato e
non riusciva neanche a pensare
lucidamente. Gli occhi di Harry erano fissi nei suoi e la confondevano.
Naturalmente sapeva che non le avrebbe fatto niente e si era accorta
che il suo
era solo un modo per farla vergognare e per vendicarsi un po’
di quel bagno
fuori programma. Ma sapere di essere in suo completa balìa,
incapace di
muoversi, la rendeva inquieta e nervosa.
«Hai
le
gambe bloccate, non mi imbrogli. Ti lascio andare, ma voglio qualcosa
in
cambio.»
«Non
penso proprio. Muoviti Harry, non ho tempo da perdere.»
«Si
dà il
caso, invece, che io non abbia altri impegni per tutto il pomeriggio e
che
l’unico che avevo sia saltato per colpa di
qualcuno.»
«Sono
davvero dispiaciuta. Ora mi lasci andare o devo supplicarti?»
June
non
sopportava più di stargli così vicino. Si era
appena resa conto che la
vicinanza con quell’idiota non le dispiaceva poi
così tanto. Soprattutto perché
aveva l’impressione che, tra le sue braccia, non le sarebbe
mai potuto
succedere niente.
E a
lei Harry
non piaceva, perché era troppo supponente e convinto di
sé.
«Te
l’ho
detto, prima voglio una cosa in cambio.» ripeté
Harry, per la seconda volta.
A
pensarci bene, avrebbe potuto chiedere qualunque cosa. Un bacio, per
esempio,
tanto per poter capire se le labbra di June erano così
morbide come aveva
immaginato. Eppure aveva la sensazione che chiederle una cosa del
genere, non
avrebbe fatto altro se non allontanarla. E lui non era intenzionato a
perderla,
non finché non avesse capito se lei poteva interessargli
davvero o se il suo
era solo il desiderio di portarsi a letto una che sembrava diverse
dalle sue
solite frequentazioni.
«Non
vengo a letto con te, se è quello a cui stai
pensando.» borbottò June, con le
guance in fiamme.
«Non
ho
bisogni di ricatti, per convincere una ragazza a stare con me, piccola.
Vengono
tutte di loro spontanea volontà.»
June
sbuffò.
«E
allora
cosa vuoi?»
«Un
appuntamento. Concedimi un appuntamento, io e te da soli, ed io mi
alzo, mi
vesto e ascolto tutto quello che hai da dire.» propose Harry,
con un sorriso
vittorioso.
Aveva
capito, ormai, che June avrebbe accettato qualunque proposta, pur di
farlo
alzare.
«E
va
bene. Ma ora levati, perché sei pesante.»
***
Buonasera
(o buon pomeriggio)! Ecco qua il capitolo nuovo. Come avete appena
visto, June
ha preso una decisione e si è presentata da Harry, che a sua
volta l’ha “ricattata”.
Le cose tra di loro cominciano a movimentarsi e non vedo
l’ora di sapere che ne
pensate! Dai prossimi capitoli in poi, ne succederanno un sacco.
Comunque,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio con il cuore
per tutte
le recensioni, le seguite/preferite/ricordate e per avermi inserito tra
le
autrici preferite.
Dico
davvero, siete un toccasana per la mia misera autostima! Vi adoro ❤
Un
bacione,
Fede.
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Capitolo 10 *** Chapter 9. ***
Chapter
9.
Quando
Harry si fu rivestito, June riprese a respirare normalmente.
Scocciata
da tutto quel teatrino al quale era stata costretta a prendere parte,
lo seguì
in cucina.
Harry
aprì il frigo alla ricerca di qualcosa da bere, poi
afferrò una bottiglia di
Coca Cola e guardò June.
«Posso
offrirti qualcosa?» domandò, con un sorriso
cortese. June strinse lo sguardo.
«Se
ti
chiedo un bicchiere d’acqua mi ricatti, o posso stare
tranquilla?» sibilò,
ancora un po’ infastidita dal fatto che lui fosse riuscito a
strapparle un
appuntamento solo perché si sentiva troppo in imbarazzo ad
averlo sopra di sé,
seminudo.
Harry
rise. «Per ora puoi stare tranquilla, piccola.»
mormorò. Versò l’acqua in un
bicchiere e glielo porse con un sorriso divertito. June bevve
lentamente,
pensando nel frattempo a cosa avrebbe detto ad Harry per giustificare
la sua
presenza lì. Perché, prima o poi,
l’argomento sarebbe saltato fuori.
«Simpatica,
la tua amica.» commentò, tanto per spezzare il
silenzio e per ritardare ancora
un po’ il momento delle spiegazioni.
«Non
è
una mia amica. Lei, be’…»
«Capisco.
Lascia stare, non mi interessa.» lo zittì
immediatamente, infastidita.
«Cosa
c’è
adesso?» incalzò Harry, con un sopracciglio
inarcato. June lo guardò confusa.
«Che?»
«Sembri
arrabbiata. Ho detto qualcosa che non và?»
domandò, con un’espressione ingenua
ed angelica che non gli si addiceva per niente.
Oh,
certo. Non credeva davvero che lei ci sarebbe cascata con tutte le
scarpe,
vero? Non era mica così stupida da lasciarsi ingannare da
quel tono soave e
basso e da quegli occhi limpidi.
«A
parte
il fatto che mi hai praticamente ricattata e che tratti le ragazze come
oggetti?
No, figurati.» berciò, infastidita.
«Ma
si
può sapere quale idea ti sei fatta di me? Non sono un mostro
sanguinario, porca
puttana. Mi parli come se dovessi saltarti addosso da un momento
all’altro!» si
lamentò Harry, sinceramente offeso.
Va
bene,
poteva anche stargli antipatico, per quello non c’era nessun
problema. Avrebbe
cambiato idea molto presto, però da lì a crederlo
un sessista bastardo il passo
era lungo. Semplicemente, non aveva nessun problema – e
soprattutto non si
faceva alcuno scrupolo – nel trovare una ragazza carina che
gli tenesse
compagnia per un po’. Quanti problemi, per un po’
di sesso. Aveva diciannove
anni, maledizione! Non centodieci.
«Tanto
per iniziare, nel caso in cui te lo fossi scordato, mi sei
già saltato addosso
prima. Perciò ora non fare sua maestà
dall’anima candida, perché con me non
attacca.»
Harry
la
guardò per qualche istante, sorseggiando la sua Coca Cola
con lentezza. June si
affrettò a distogliere lo sguardo perché
altrimenti, lo sapeva, sarebbe
arrossita e lui avrebbe pensato che non le era dispiaciuto affatto
trovarselo
addosso mezzo nudo.
«Fai
un
sacco di storie, non ti ho mica violentata.» sostenne Harry,
un po’ indignato.
«E
ci
mancherebbe altro, guarda.» June finì di bere
l’acqua in un paio di sorsi,
dopodiché lasciò il bicchiere nel lavandino.
Harry seguì ogni suo movimento con
attenzione, rendendosi improvvisamente conto che ancora non sapeva
quale fosse
il motivo che l’aveva spinta a presentarsi a casa sua, quel
pomeriggio.
«Cambierai
idea su di me, vedrai.» le assicurò, convinto. Poi
si diresse di nuovo verso il
salotto, fece cenno a June di seguirlo e si accomodò sul
divano.
June
tentennò un istante, indecisa sul da farsi. Forse poteva
andarsene e lasciare
che Harry e Louis se la sbrigassero da soli, ma non sarebbe stato
giusto,
perché Louis aveva fatto tanto per lei e le era stato vicino
sin dal primo
istante e lei l’aveva solo fatto litigare con il suo migliore
amico.
Perciò
si
convinse a sedersi a distanza di sicurezza da Harry, onde evitare il
rischio di
ritrovarsi – di nuovo – preda dei suoi scatti
improvvisi. Non aveva nessuna
intenzione di pensare all’effetto che le aveva fatto trovarsi
stretta a lui.
«Allora,
piccola, ancora non mi hai detto che sei venuta a fare.»
cominciò Harry.
June
inspirò profondamente e cominciò a parlare.
«Non
sopporto più Louis. Sembra un’anima in pena, e
tutto per colpa tua!» accusò,
puntando il dito indice verso Harry, che rimase stoicamente in
silenzio. Per la
prima volta sembrava non avesse nemmeno una risposta tagliente da
rivolgerle.
Perciò June intuì che nemmeno lui fosse tanto
contento della situazione che si
era creata. In quel momento, Harry non le sembrò il solito
stronzo arrogante,
ma un semplice ragazzo triste per aver litigato col suo migliore amico.
Che
era
triste lo si vedeva chiaramente. June sorrise, improvvisamente meno
risentita
di quanto lo fosse stata fino a qualche minuto prima, e si sporse in
avanti per
accarezzare il braccio di Harry, che sollevò lo sguardo,
sorpreso.
«Perché
non provi a parlargli? Andiamo, Louis non è uno che serba
rancore.»
«E
tu?»
domandò Harry, fissandola per un lungo istante.
June
ci
pensò attentamente. Era una persona rancorosa? Non sempre e,
soprattutto, non
con tutti.
«Forse.»
rispose, quindi.
«Perciò
ho qualche speranza di piacerti?»
«Cosa
c’entra,
questo, adesso?» borbottò, mentre le guance le si
imporporavano leggermente.
«Dai,
piccola,
lo sai perfettamente che è per questo che io e Louis non ci
parliamo.» replicò
Harry. June arricciò il naso, senza sapere bene cosa
rispondere.
«Non
puoi
perdere Louis per me, Harry. Mi conosci appena e probabilmente il gioco
non
vale la candela.»
«Ti
sbagli, piccola.»
June
sbuffò. E adesso? Sembrava quasi che Harry avesse preso la
questione troppo sul
serio, come se conquistarla fosse diventata una questione di principio.
E lei,
in quei giochetti, non voleva entrarci nemmeno per sbaglio,
perciò tanto valeva
mettere subito le cose in chiaro.
«Tu
non
mi piaci, Harry. Sei troppo, per
me.»
«Troppo
cosa?»
«Sei
troppo corteggiato, sei troppo esperto, sei troppo convinto. Ti basta,
o devo
continuare?»
«Continua,
piccola, magari te ne convinci anche tu.»
Harry
sorrise, sornione. Non lo ingannava. Non era affatto vero che non gli
piaceva,
semplicemente, ancora non era pronta per ammetterlo. Ma lui avrebbe
aspettato,
perché quando qualcosa gli interessava, sapeva essere
davvero paziente. Perciò
riportò la sua attenzione sul discorso iniziale.
«Louis
sembra convinto che tu sia di sua proprietà.»
sibilò, allungandosi in avanti
per sistemarle una ciocca di capelli dietro le orecchie.
«Vuole
solo evitare che io stia male per qualcuno che non se lo
merita.» spiegò June,
schietta.
Harry
sembrò rimanerci male, questa volta.
«Certo
che sei proprio stronza, lo sai?» sbottò,
infastidito. June annuì, sentendosi
un po’ in colpa. Ma che poteva farci? Era dell’idea
che dire la verità fosse
sempre la scelta migliore, anche se magari poteva non piacere.
E
comunque, Harry poteva intestardirsi su qualcun’altra,
anziché con lei. Se,
come sosteneva fieramente, aveva davvero un sacco di ragazze pronte a
scaldargli il letto, che andasse da loro. Per di più, non
aveva nessuna intenzione
di rendergli le cose più semplici. Non ci sarebbe cascata,
non c’erano occhi
verdi o sorriso sghembo che tenessero.
«Non
voglio dire che tu non sei abbastanza, Harry. Quello che intendevo dire
è che
non ho voglia di stare male per colpa tua. Tutto qui.»
provò a spiegare, un po’
più dolcemente. Harry annuì.
«Se
ci
pensi bene, quando dici che potresti stare male a causa mia,
è perché ammetti
che ti piaccio.»
Furbo.
E
intelligente. June l’aveva capito che tenergli testa non
sarebbe stato così
facile, ma lei non si sarebbe arresa. Non quando era palese che
l’unico motivo
per cui Harry ci provava con lei era dimostrare che poteva avere
chiunque
volesse.
«Ma
sta’
zitto.» lo rimbeccò.
Harry
sorrise vittorioso e June arrossì. Perfetto, in qualunque
modo la mettesse,
qualsiasi cosa dicesse, alla fine lei era quella che passava per
l’imbranata di
turno.
«Ora
devo
andare.» farfugliò, in preda
all’imbarazzo. Harry continuò a sorridere,
fastidiosamente divertito. June represse l’impulso di
tirargli uno schiaffo e
si alzò in piedi.
«Non
avevo dubbi, sai?»
«Chi
è lo
stronzo, adesso?» domandò June, sarcastica. Si
avviò verso l’ingresso, mentre
Harry la seguiva a qualche passo di distanza.
Le
aprì
la porta e con un inchino la congedò. «Grazie per
la visita, piccola.»
«Aspetta…»
mormorò June, ferma sullo scalino.
«Parlerai
con Louis, allora?» chiese, speranzosa. Harry
sbuffò.
«Parlerò
con Louis.» confermò. «Ma tu non
dimenticarti che abbiamo un appuntamento,
piccola.»
June
mugugnò qualcosa di incomprensibile, alzò gli
occhi al cielo e fece per
allontanarsi. Qualcosa glielo impedì, però.
Qualcosa che corrispondeva alla
mano di Harry, che la afferrò per il polso sinistro e se la
tirò addosso. Prima
ancora che June potesse rendersi conto di essere praticamente
appoggiata al suo
petto, Harry si chinò e la baciò.
***
Buonasera :)
Oggi sono davvero di fretta, perchè devo preparare la cena e
quindi ho trovato tempo solo adesso.
Niente, che ve ne pare? Spero che il capitolo vi sia piaciuto e
prometto che la prossima volta vi scoccerò un po' di
più con le note, ma sono proprio di corsa!
Fatemi sapere che ne pensate, vi adoro :)
|
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Capitolo 11 *** Chapter 10. ***
Chapter 10.
Seduta
sul letto con le gambe incrociate,
June si rese improvvisamente conto di una cosa: non aveva detto ad
Harry di
tenere la bocca cucita riguardo il loro appuntamento.
D’altronde,
come avrebbe potuto
ricordarsene, se quel cretino l’aveva baciata togliendole
quasi il respiro?
Si
portò le mani alle labbra, ancora
incredula. L’aveva baciata. Quello stupido l’aveva
baciata, nonostante lei gli
avesse detto chiaramente, e ben più di una volta, che non
era interessata.
Ripensandoci,
avrebbe potuto reagire in un
centinaio di modi diversi. Anzi, il primo che le veniva in mente era un
bello
schiaffo. Un calcio nei gioielli, uno spintone, qualsiasi reazione che
comprendesse un atto violento. Chissà, forse Harry avrebbe
compreso il
concetto.
E
cos’aveva fatto lei, invece? Era rimasta
lì, immobile, senza sapere cosa dire e cosa fare. Con il
fiato corto, le labbra
arrossate e il cuore che palpitava così forte che temeva le
sarebbe scoppiato nel
petto da un momento all’altro.
Cos’aveva
fatto Harry? Aveva sorriso, le
aveva lasciato una carezza sulla guancia e si era chinato fino al suo
orecchio.
Aveva sussurrato un “non si direbbe proprio che io non ti
piaccia.” che l’aveva
fatta arrossire ancora di più e l’aveva lasciata
andare.
June
si era allontanata, senza poter fare a
meno di sentirsi umiliata per il modo in cui lui l’aveva
congedata. Stupido
idiota supponente. Poteva detestarlo? Perché quello era
l’unico sentimento che
provava: astio più totale.
Oh,
ma se pensava che l’avrebbe passata
liscia, Harry Styles si era sbagliato di grosso. Perché lei
poteva pure aver
apprezzato il bacio – non era così stupida da
negarlo – ma ciò non significava
che Harry avesse vinto o che lei avesse cambiato idea.
Lui
continuava ad essere un idiota troppo
convinto e lei continuava a pensare che avrebbe voluto prenderlo a
schiaffi.
«Stronzo
infame.» borbottò.
«Ehi!»
Louis
come al solito sembrava avere qualche
problema con le porte e con la privacy altrui, ma June non ci fece
troppo caso,
perché la sua espressione felice era così
evidente che le fece dimenticare
all’istante la rispostaccia che aveva ancora sulla punta
della lingua.
«Che
vuoi?»
«Signore
e signori, la dolcezza.» annunciò
Louis, sarcastico. June inarcò un sopracciglio e
sbuffò.
«Signore
e signori, un rompipalle.»
ribatté, facendogli posto. Louis si sdraiò a
pancia in su, con gli occhi
rivolti al soffitto.
«Oggi
ho parlato con Harry.»
Panico.
Tuttavia,
June si sforzò di mostrarsi il
più disinteressata possibile. Magari Harry aveva ritrovato
il cervello e non
aveva accennato al loro piccolo “scambio”.
Doveva
prima sentire cosa diceva Louis, poi
avrebbe stabilito chi uccidere per primo.
«Ah,
davvero?» domandò, osservando con
estrema e falsissima attenzione il quadro attaccato alla parete.
Louis
rotolò su un fianco e si sostenne la
testa con il braccio destro. Scrutò a lungo June, che si
impose di mantenere la
calma.
«Si,
davvero.»
«Mi
fa piacere.» presa dall’ansia, June
guardò Louis nervosamente. Lui continuava a fissarla e per
un attimo June fu
tentata di dirgli tutta la verità pur di farlo smettere di
guardarla in quel
modo. Incredibile quanto gli occhi cristallini di Louis sapessero farla
sentire
in colpa.
«June,
tu non c’entri niente?» domandò
Louis, sospettoso.
«Cosa
ti ha detto quell’idiota di Harry?»
maledicendosi per la sua stupidità, June si morse la lingua.
C’era
cascata in pieno! Come una novellina.
Chiedendo di Harry in quel tono, senz’altro aveva fatto
capire a Louis che ci
aveva avuto a che fare.
Maledetta
lei e la sua bocca larga.
«Non
eri costretta a farlo.» mormorò Louis,
poco dopo. June fece spallucce.
«È
il tuo migliore amico, Lou. E avete
litigato a causa mia, era il minimo che potessi fare.»
spiegò, omettendo tutti
i particolari di quell’incontro.
Se
solo ripensava a quello che era successo,
le veniva voglia di correre da Harry e picchiarlo.
«Non
cambia il fatto che Harry non ti
toglierà gli occhi di dosso, scricciolo.»
mugugnò Louis, infastidito.
June
sorrise, poi gli passò una mano tra i
capelli, intenerita.
«Non
preoccuparti per me, Lou. Me la so
cavare, sai?» ridacchiò, poi si abbassò
e lasciò un bacio sulla fronte di
Louis, che sorrise.
«Ti
terrò d’occhio.»
«Si,
papà.» June alzò gli occhi al cielo,
poi ridacchiò.
«Stavo
pensando… ma secondo te, tra Niall
ed Alice c’è qualcosa?» chiese, curiosa.
Louis ci rifletté per qualche secondo.
«Forse.
Credo che a Niall piaccia Alice.
Sembra un pollo, ogni volta che la guarda.» rise «E
comunque non credere che
ingannarmi sia così semplice. Puoi anche cambiare argomento,
ma non mi freghi.»
rivelò, schietto.
June
arrossì ma non replicò: Louis aveva
ragione su tutta la linea e lei non aveva alcuna voglia di impegnarsi
per
pensare ad una serie di scuse che di certo non lo avrebbero imbrogliato.
«Lo
prenderò per un: d’accordo, Louis. La
prossima volta non ti parlerò del ciclo solo per farti stare
a casa.»
«E
va bene, hai ragione. Andrai avanti
ancora per molto, Louis?» lo rimbeccò June,
seccata.
Aveva
capito la lezione, non c’era bisogno
che le ricordasse ogni singola parola che gli aveva detto.
«Si.»
«Sai
che sei molto simpatico?»
«Si.
E tu lo sai che tra poco andiamo agli
allenamenti? Oggi è giovedì, ci sarà
anche Alice.»
«E
se non volessi venire?»
«Non
è un mio problema. Muoviti, che
facciamo tardi.»
June
si segnò mentalmente che la prossima
volta che Louis le avesse chiesto di andare agli allenamenti, la sua
risposta
sarebbe stato un categorico NO.
E non
solo perché sugli spalti si stava
letteralmente congelando.
No,
quello era il minimo. Il vero motivo
per cui non avrebbe mai più messo piede in quel luogo
maledetto era fin troppo
ovvio: Harry Styles.
Se la
volta precedente era arrivato in
ritardo, quel 12 Novembre era puntualissimo, se non in anticipo.
Perciò
June dovette raggiungere Niall, Liam
e Zayn consapevole di avere lo sguardo di Harry addosso. Non che lui
facesse
qualcosa per metterla a suo agio, comunque. La fissava come un leone
fissa una
gazzella particolarmente grassa e lei accelerò il passo il
più possibile e andò
a sedersi esattamente tra Niall e Zayn. Salutò entrambi con
un bacio sulla
guancia, fece lo stesso con Liam e poi si bloccò,
perché Harry la fissava
evidentemente in attesa.
«Ciao,
piccola.»
«Ciao.»
sii fredda come un ghiacciolo, si
raccomandò.
«Niente
bacio, per me?»
«Tu
che ne dici?» replicò, gelida. Si
congratulò con sé stessa per la prontezza nella
risposta, poi si voltò verso il
campo e osservò Louis che correva per riscaldarsi.
Persa
nei suoi pensieri, sentì a malapena
Harry che chiedeva a Zayn di cedergli il posto e Niall che annunciava
che
andava incontro ad Alice.
Prima
che potesse rendersene conto, erano
rimasti soli.
«…
ho ragione o no?»
June
non lo sentì nemmeno. Era talmente
presa dal pensiero che avrebbe davvero avuto bisogno di
un’amica a cui
confidare il modo in cui Harry la faceva sentire, che non si era
neanche
accorta che l’oggetto dei suoi pensieri era accanto a lei e
sembrava anche
parecchio stizzito dalla mancanza di attenzione.
«Se
non mi ascolti ti bacio qui davanti a
tutti.»
Niente,
ancora. Perciò o June era persa nel
suo mondo o, molto più semplicemente era sorda. Harry
ghignò, sapendo che
quanto stava per fare molto probabilmente gli avrebbe solo fatto
guadagnare una
bella cinquina.
Afferrò
il mento di June, le voltò il viso
verso di lui e le stampò un bacio sulle labbra morbide.
June
scattò all’istante, senza nemmeno
accorgersene. Colpì la guancia di Harry con uno schiaffo da
manuale, tanto che
qualche secondo dopo cominciarono a comparire le impronte delle sue
dita.
«Ma
sei completamente rincoglionito?» urlò,
balzando in piedi e mettendo la maggior distanza possibile tra lei e il
ragazzo.
Harry
si massaggiò la parte lesa.
«Che
colpo. Hai la mano pesante, piccola.»
mugugnò.
June
arrossì.
«Si
può sapere che ti dice il tuo accidenti
di cervello bacato?» urlò di nuovo. Harry
ridacchiò.
«Fai
un sacco di storie. Comunque mi hai
fatto male, cavolo.»
Si
lamentò. June prese un respiro profondo.
Doveva calmarsi, decise. Ne andava della sua sanità mentale
e lei era davvero
troppo intelligente per cascare nel gioco subdolo di Harry.
Perciò
si riaccomodò e riprese a guardare
la partita.
«Ho
parlato con Louis, oggi.» le disse
Harry, tornando a sedersi lì accanto. June annuì.
«L’avevi
promesso.»
«Si.
E tu avevi promesso che mi avresti
dato una possibilità.» le ricordò,
convinto di avere la situazione in pugno.
June
inarcò un sopracciglio.
«Io
ho solo detto che sarei uscita con te
UNA volta. Non ho detto che avrei cambiato idea, né che ti
avrei dato una
possibilità.» replicò, schietta.
Harry
sbuffò.
«E
invece lo farai.»
«Cosa
te lo fa credere?»
«Io
ti piaccio. Ti piace quando ti bacio,
quando ti sfioro.»
Certa
di essere arrossita e con il cuore in
gola, June si alzò.
«Ti
sbagli, Harry. Non hai alcun effetto su
di me. Ed ora vado a casa, mi sono stancata di stare dietro ai tuoi
giochetti.»
Harry
sorrise, soddisfatto. Ancora una
volta, non era rimasto per niente sorpreso del fatto che June non
gliel’avesse
data vinta.
Che
gusto ci sarebbe stato, dopotutto, se
lei si fosse arresa subito? Era per quello che continuava a cercarla,
perché
per una volta aveva trovato qualcuno che gli teneva testa.
Ancora
per poco, certo.
«L’appuntamento
è domani sera. Passo a
prenderti alle otto.»
«Vaffanculo,
Harry.» borbottò June, con le
guance ancora rosse.
«Ciao,
piccola.»
Di
nuovo. L’aveva baciata di nuovo.
***
Buona
Pasqua! Pasquetta, anzi.
Allora,
sinceramente mi ero completamente
dimenticata che oggi fosse lunedì. Chissà
perché sono convinta che sia
domenica, ma lasciamo perdere.
Visto
che è lunedì e visto che sono a casa,
aggiorno u.u
Amatemi,
fanciulle.
Okay,
basta.
Che
ne dite del capitolo? Vi piace? Fa schifissimo?
E cosa succederà all’appuntamento? Lo scopriremo
solo vivendo.
Io
lo sa già, ma MUAHAHAHAH.
Scusate.
Fatemi
sapere che ne pensate, okay? Ci
tengo <3
Vi
adoro,
Fede.
|
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Capitolo 12 *** Chapter 11. ***
Chapter
11.
«Scusa se ti ho chiamata
così all’improvviso, ma avevo
davvero bisogno di qualcuno con cui parlare.»
June si strinse nelle
spalle e rivolse ad Alice, che quel
giorno portava un paio di occhiali dalla montatura lilla, uno sguardo
di
supplica.
Alice le sorrise,
tranquilla e mosse qualche passo lungo
la stanza, guardandosi intorno. I suoi occhi caddero sulla scrivania,
dove erano
stati accatastati un paio di peluche dall’aria vissuta.
«Che
carina…» cinguettò Alice, intenerita.
June annuì,
concorde, poi fece le presentazioni.
«Lei è
Margherita. Mentre lui è Harold.»
Alice scoppiò a
ridere, incredula. Non aveva mai
conosciuto qualcuno che desse nomi ai peluche. Era una cosa tenera e al
tempo
stesso un po’ strana, ma simpatica. Sì, June le
piaceva. Sembrava un po’
sciroccata, ma era normale. Probabilmente la sua era solo una fase di
stallo.
In fin dei conti, ritrovarsi Louis come fratellastro ed Harry come
corteggiatore non era certo una cosa semplice da gestire.
Anzi, era strano che ancora
non fosse del tutto impazzita.
«Allora, June.
Arriviamo al dunque. Qual è il problema?»
domandò Alice, improvvisamente seria.
June rifletté
per qualche secondo, improvvisamente
indecisa. Poteva davvero dire ad Alice la verità? E se poi
lei fosse andata a
dirla a Louis? O, peggio ancora, ad Harry? Come se le avesse letto nel
pensiero, Alice sorrise.
«Quello che mi
dirai resterà tra noi due, te lo
garantisco.» disse, sincera.
June sospirò,
poi si sedette per terra con le gambe
incrociate. Era giunta l'ora di parlare, o avrebbe finito davvero con
l'impazzire. E non era di certo un bene, per la sua salute mentale.
«Harry.»
bastò quel nome, ad Alice, per capire.
«Sai, non ti leva
quasi mai gli occhi di dosso.» rivelò.
Non che ci volesse un
genio, comunque. Era solo una
questione di tempo, per come la vedeva lei. E i casi erano due: o Harry
la
smetteva di fare lo scemo e diceva la verità, e
cioè che era molto interessato
a June, oppure Louis avrebbe messo le cose in chiaro e avrebbe tagliato
i
ponti. Per non parlare di Niall, che non sopportava che June fosse
tenuta quasi
sotto torchio. Ne avevano discusso il pomeriggio prima e Niall le aveva
raccontato un po’ di cose su June e sulla sua storia. Per
quel poco che aveva
capito, Alice era giunta alla conclusione che alla ragazza servisse
davvero un
po' di presenza femminile, prima che cominciasse a ruttare come un
porco o a
bestemmiare durante le partite.
«Mi ha baciata,
ieri.» mormorò June, con le guance in
fiamme. Alice ridacchiò e alzò gli occhi al
cielo: non la stupiva per niente
che Harry fosse passato subito all'azione. In sua difesa, c'era da dire
che non
perdeva neanche un attimo.
«E ti
é piaciuto.» concluse al posto di June, divertita.
Se non fosse stato vero, June di certo non sarebbe arrossita.
«Harry
è troppo per me, Alice.» mormorò,
scuotendo la
testa con aria un po’ triste. Ci aveva riflettuto a lungo,
per tutto il giorno.
Era evidente che Harry fosse fin troppo abituato alle attenzioni
femminili, che
sapesse come corteggiare, come far cadere qualsiasi ragazza tra le sue
braccia.
Lo sapeva, che non era
fatta per lui. Perché per quanto la
sua vicinanza la facesse sentire al sicuro, era certa che per lui, una
volta
ottenuto quello che voleva, le cose sarebbero cambiate.
E lei non era disposta a
rischiare così tanto.
«Posso dirti la
verità, tesoro?»
June annuì,
anche se aveva la sensazione che quello che
avrebbe sentito non le sarebbe piaciuto per niente.
«Questa cosa di
Harry che è “troppo” mi sembra un
po’ una
cavolata. Se lui ti piace, perché non gli dai una
possibilità? Ti assicuro che
Harry non è così male come credi.»
spiegò, tranquilla.
Ecco, appunto. June lo
sapeva, che non le sarebbe
piaciuto. Ed ora? Come poteva giustificare tutta
quell’avversione nei confronti
di Harry?
Perché a quel
punto, già che aveva iniziato il discorso,
tanto valeva portarlo avanti ed essere del tutto sincera.
«Lui…
Non mi piace il modo in cui mi fa sentire.»
«E come ti fa
sentire?»
«Piccola…»
e con quello, June stabilì che non sarebbe
andata oltre. Si, voleva essere sincera e pensava di potersi fidare di
Alice,
ma ancora non era pronta ad ammettere che sentirsi così
protetta, in fondo, le
piaceva.
Dopo qualche minuto di
silenzio, June sospirò.
«Ho un
appuntamento con lui, stasera.» rivelò. Alice, che
stava pulendo gli occhiali con la manica della maglietta bianca, si
interruppe
di colpo.
«E che aspettavi
a dirmelo? Dobbiamo trovare una scusa per
Louis, fino a che non decidi di dirgli la verità e poi, cosa
molto più
importante, cosa ti metti?»
Alice rimise rapidamente
gli occhiali, si alzò dal letto e
cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, pensierosa.
«A Louis diciamo
che esci con me. Chiederò a Niall di
reggere il gioco.» sostenne. Afferrò il telefono,
digitò velocemente un
messaggio e poi annuì con aria soddisfatta. June, che a
stento aveva capito
cosa stava succedendo, si grattò la guancia, confusa.
«Ed ora, come ti
vesti? Non sai dove ti porta?»
«Ha detto solo
che passa a prendermi alle otto, cioè tra
mezz’ora.»
Alice sbiancò.
«Mezz’ora?
Oh, cielo, sarà meglio muoversi, allora. Se
passa alle otto, significa che ti porta fuori a cena. Che cosa
romantica!
Perciò Harry sarà sicuramente elegante. Ci
vogliono i tacchi. Posso dare
un’occhiata al tuo armadio? Non ti dispiace, vero?»
Un po’
frastornata da tutte quelle chiacchiere sparate a
raffica, June ebbe appena la forza di annuire.
«Ecco, questi
sono perfetti.» qualche minuto dopo, Alice
appoggiò sul letto un vestito lilla e delle
decolleté nere. June inarcò un
sopracciglio.
«Non se ne parla.
Quelle sono per il matrimonio di papà e
Jay, mica per uscire con Harry. Lascia stare, metto i jeans e la
maglietta
grigia.»
«E i
tacchi?»
«No, e gli
stivali.»
«Ho capito, non
vuoi che Harry pensi che ti fai bella per
lui. Bella tattica, tesoro. Approvo.»
«Ma no, non
è così!»
«Sì,
sì. Come vuoi. Veloce, mancano dieci minuti.»
Da tempo, June non si
sentiva così agitata. Non ne capiva
il motivo, visto che quello non era un appuntamento vero e proprio.
Più che
altro, si trattava di uno stupido ricatto.
E lei odiava i ricatti,
perciò doveva essere quello il
motivo per cui era così agitata.
E se Harry se ne fosse
dimenticato? No, figurarsi, quando
si trattava di rompere le scatole a lei, niente l’avrebbe
distratto.
Infatti, qualche minuto
dopo le arrivò un messaggio in cui
Harry le diceva di essere parcheggiato davanti casa.
Arrossì,
perché le testuali parole erano “Sono
qui sotto, piccola. Non vedo l’ora di
stare da solo con te.”
Stronzo. Lo faceva apposta,
ovviamente e June per un
attimo fu tentata di mandarlo a quel paese e rifiutarsi di scendere di
casa.
Alice lesse il messaggio,
poi ridacchiò.
«Il solito
scemo.» mormorò tra sé e sé.
Dopo aver salutato Sam e
Johannah, Alice e June uscirono.
Fortunatamente, Louis era andato a sbrigare una commissione per la
madre, così
non ebbe la possibilità di fare domande. June se ne
scoprì immediatamente
sollevata.
«Mi raccomando,
tesoro. Prova a dargli una chance.» le
consigliò, prima di avviarsi verso casa.
«Vedrò
che posso fare.» mugugnò June, tetra.
Prese un respiro profondo,
avvolse meglio la sciarpa
intorno al collo e si diresse con calma apparente verso la macchina di
Harry.
Ma chi
gliel’aveva fatto fare?
«Ciao.»
bofonchiò, in imbarazzo, quando Harry le rivolse
un gran sorriso e un occhiolino malizioso.
«Ciao, piccola.
Tutto bene?»
«No.»
«Bene, vedo che
sei di ottimo umore come al solito.»
commentò Harry, sarcastico. Sorrise di nuovo, poi mise in
moto la macchina e
partì.
«Sono di cattivo
umore solo quando ci sei tu.» replicò
June, diretta.
«Questo
perché non mi ascolti. Solo per questa sera,
potresti far finta che io ti stia simpatico? Giuro che non ti salto
addosso.»
«Non lo so, posso
provarci.» concesse June, un po’ in
imbarazzo. Tuttavia, forse poteva davvero concedere ad Harry
un’occasione. Una
sola possibilità. Se poi quella sera si fosse trovata
davvero male,
gliel’avrebbe detto e avrebbe chiuso ogni rapporto con lui.
«Grazie. Sei
bellissima, comunque.» si complimentò Harry,
voltandosi a guardarla. June arrossì vistosamente e si
voltò verso il
finestrino.
«Ci godi, a farmi
arrossire?»
«Da
matti.»
«E poi ti
stupisci se ti rispondo male.» commentò, fredda.
Harry ridacchiò.
«Hai ragione.
Allora, cosa devo fare per poter parlare con
te? Niente complimenti, niente baci e niente battute. Altro?»
elencò.
June era certa di aver
colto un po’ di sano sarcasmo, ma
si costrinse a lasciar perdere – per il momento – e
annuì.
«No, basta
così.» era già troppo che Harry avesse
capito
quelle tre cose, non poteva mica costringerlo a tapparsi la bocca.
Chissà,
forse parlare con lui e conoscerlo un po’ meglio non sarebbe
stato tanto male.
«Quanto sei
generosa.»
«Lo so. Allora,
dove stiamo andando?» domandò, un po’
curiosa. Aveva dato un’occhiata ad Harry ed era vestito
abbastanza bene, un po’
più elegante del solito. Aveva abbandonato la felpa e al suo
posto aveva messo
una camicia bianca e una giacca blu scuro. Aveva dei pantaloni chiari e
le sue
inseparabili Converse.
Era bello, pensò
June.
«A
cena.»
«In
ristorante?»
«Una
specie.»
Cosa voleva dire, una
specie? June si agitò un po’,
improvvisamente insicura. Forse avrebbe dovuto mettersi il vestito che
le aveva
consigliato Alice, anziché fare di testa sua e uscire
vestita come se stessa
andando a fare la spesa.
«Tranquilla,
piccola. Sei perfetta, vestita così.»
«Ma dove andiamo?
Dai, dimmelo. Dimmelo, dimmelo,
dimmelo!» improvvisamente dimentica di trovarsi accanto al
ragazzo che meno
sopportava al mondo, June cominciò a comportarsi come suo
solito.
Harry sorrise,
perché era esattamente ciò in cui sperava.
«È una
sorpresa.»
***
Buonaseeeeera,
fanciulle! Come state? Tutto okay?
Io
no, sono in crisi mistica, ma mi succede una volta a
settimana, perciò lasciamo perdere.
Ecco
qua il nuovo capitolo. So che vi aspettavate subito
l’appuntamento,
ma non sono così buona, perciò… vi
toccherà attendere un’altra settimana, nella
speranza che ne valga la pena.
Detto
questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi
ringrazio tantissimissimo per le recensioni, per le
seguite/preferite/ricordate
e vi adoro.
Fatemi
sapere che ne pensate <3
Un
bacio,
Fede.
|
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Capitolo 13 *** Chapter 12. ***
Chapter
12.
La sorpresa,
alla fine, si rivelò un tavolo apparecchiato
alla perfezione per due nella cucina di Harry.
«Ta-dan!»
esclamò, facendo un gesto con la mano per
indicare il suo operato.
June
avrebbe voluto mandarlo a quel paese, perché le aveva
fatto pensare chissà che cosa, invece sorrise, intenerita.
«Non
sei delusa?» domandò Harry, improvvisamente
stupito.
June inclinò la testa da un lato, confusa.
«Dovrei?»
«Pensavo
ti saresti incazzata, a dire la verità.»
«Perché
non mi hai portata al ristorante? Harry, non
volevo neanche uscire con te. Credi che il ristorante mi avrebbe fatto
cambiare
idea?» replicò, mentre si slacciava il cappotto e
lo sistemava sulla spalliera
della sedia.
In
realtà, era rimasta piacevolmente sorpresa dal fatto
che Harry non avesse optato per il ristorante. Certo, essere a casa sua
era fin
troppo intimo, però non era male, doveva ammetterlo. E
ancora non aveva fatto
niente per metterla a disagio.
«Non
volevi? Ora vuoi?» chiese Harry, con un sorriso soddisfatto.
«Non
montarti la testa. Ancora non sono sicura di aver
fatto bene ad accettare.» borbottò June. In quel
momento, suonarono al
campanello ed Harry si scusò un attimo e andò ad
aprire. Tornò qualche secondo
dopo, con due cartoni di pizza in mano.
«Ho
ordinato una margherita, spero che vada bene.»
posò i
cartoni sul tavolo e ammiccò. «Madame, la cena
è servita.»
June
alzò gli occhi al cielo, poi si sedette e augurò
buon
appetito.
Mangiarono
in silenzio per qualche minuto, dopodiché June
decise che era giunta l’ora di chiarire un po’ dei
suoi dubbi.
«Harry…»
chiamò, notando che Harry sembrava tutto preso
dai suoi pensieri.
«Sì,
piccola?»
«Perché
insisti così tanto, con me?» domandò,
schietta.
Poi, per mascherare l’imbarazzo, cominciò a
tagliare un’altra fetta di pizza.
Harry
ci rifletté sopra per qualche istante. Poteva dirle
la verità, senza rischiare l’evirazione? Oppure
era meglio raccontare la solita
storiella, quella che aveva già detto chissà
quante altre volte e che aveva
convinto altrettante ragazze di un suo interesse? Guardando June, si
rese conto
che lei avrebbe capito. Che non aveva nemmeno senso provare a mentirle,
perché
non gli avrebbe mai creduto.
E poi
si meritava la verità, visto che praticamente
l’aveva costretta a uscire con lui.
«Non
sono abituato ad essere respinto. Non mi è mai
successo.»
June
annuì, mesta. Proprio come aveva immaginato. Harry
non aveva un vero interesse per lei, voleva solo essere sicuro che il
suo ego
gigantesco non venisse scalfito da una ragazzina insignificante.
Perché non era
certo possibile che una come lei, non troppo bella, tantomeno
simpatica,
potesse rifiutare lui.
«Capisco.»
mormorò, quindi.
La
cosa che più la lasciava sorpresa, in realtà, era
l’esserci rimasta così male. Sapeva di non
piacergli, così come lui non piaceva
a lei, ma la verità servita così nuda e cruda
l’aveva lievemente messa in
crisi.
«No,
che hai capito!» Harry agitò le mani, quando si
rese
conto dell’espressione di June. Sembrava che potesse mettersi
a piangere da un
momento all’altro, ed era l’ultima cosa che voleva.
«Ho
capito alla perfezione, Harry.»
«No,
piccola. Non hai capito un cazzo, perché non avevo
finito di parlare. Stavo solo cercando le parole giuste.»
Ecco,
questo June non se l’era proprio aspettato. Insomma,
aveva apprezzato che Harry fosse stato così sincero con lei.
Anzi, non era
neppure arrabbiata, perché non l’aveva presa in
giro. Era stata una cosa in cui
l’aveva sottovalutato: pensava che pur di raggiungere il suo
scopo le avrebbe
detto anche che la luna era fatta di formaggio e invece no, era stato
diretto.
«Oh.»
«Già,
oh. Quello
che volevo dire, è che ho preso questa cosa come una sfida,
all’inizio. Perché
non mi sembrava possibile che io non ti piacessi.»
«Ma
tu non mi piaci, infatti.»
«Sì,
certo. Farò finta di crederci. Comunque, farti
cambiare idea su di me è diventata una questione di
principio. Voglio farti
capire che non sono così male come pensi.»
spiegò Harry, concentrato.
June
annuì. L’aveva già presa in
considerazione, l’ipotesi
di aver sbagliato idea, però ciò non significava
che si sarebbe fidata di lui.
Harry continuava a non piacerle, però l’astio che
provava nei suoi confronti
stava cominciando ad attenuarsi.
In
tutta probabilità, le sue provocazioni erano una
risposta alla sua acidità. In quello, non poteva dargli
proprio torto.
«Ammettiamo
per un attimo che io abbia cambiato idea.»
cominciò June, punzecchiando una fetta di pizza con la
forchetta. Harry annuì,
invitandola a continuare.
«E
mettiamo per ipotesi che tu mi piaccia. È solo
un’ipotesi, non montarti la testa. Cosa faresti?»
«In
che senso?» domandò Harry, confuso. Ecco
perché June
gli piaceva. Sapeva sempre prenderlo in contropiede e parlare con lei
non era
mai noioso. Era una che sapeva quel che diceva e che non si soffermava
solo
all’apparenza.
«Segneresti
un altro nome sulla tua lista di conquiste e
passeresti a un altro giocattolo?»
«Ma
che… No!»
«Harry,
l’hai detto anche tu che si tratta solo di una
sfida. Come potrei fidarmi di te?»
‘Fanculo
a lui e a quando aveva pensato che dire le cose
come stavano fosse una bella idea. Ma perché cazzo non si
era stato zitto?
«Puoi
fidarti di me, June.»
«No,
non posso. E lo sai anche tu.»
«Non
puoi o non vuoi?»
«Non
ritorcermi le cose contro, Harry.» borbottò June.
Lo
sapeva, che avrebbero finito con il discutere. Dopotutto, lei non era
una che
si faceva scrupoli a dire la verità e detestava le bugie.
Perciò o Harry le
diceva la verità, oppure se ne sarebbe andata e tanti saluti.
«Senti…»
proseguì, quando si rese conto che Harry
cominciava a innervosirsi. «Lo so che probabilmente ti sto
facendo incazzare e
mi dispiace. Ma io ho bisogno di capire. Devo essere sincera? Non ho
voglia di
stare male. Sono stanca di essere presa in giro e non voglio stare con
qualcuno
che mi vede come un trofeo. Penso di meritare qualcosa di meglio.
Perciò, o
parli, o amici come prima.»
«Non
siamo mai stati amici.» borbottò Harry.
«Certo,
perché sei un cretino.» suo malgrado, June
sorrise.
«Forse
hai ragione tu.» ammise Harry, infine.
«Però mi
piaci, piccola. E io piaccio a te, anche se ancora non lo sai.
Perciò ti
propongo una cosa: proviamo a… frequentarci. Senza
ucciderci, magari. Diciamo
tutto a Louis, facciamo le cose alla luce del sole.»
«E
se dovessi innamorarmi di te? Cosa succederebbe se mi
innamorassi e tu ti stancassi di me? Mi ritroverei con il cuore
spezzato. No,
Harry, mi dispiace.»
Harry
sbuffò, spazientito.
«Sei
una codarda.»
«Sì,
può anche essere.»
«E
sei presuntuosa.»
«Sì,
ma anche tu non scherzi.» replicò June.
«Grazie.»
«Perciò,
be’… Direi che le cose sono abbastanza chiare,
no?»
«No,
non lo sono. Ma come primo appuntamento direi che è
andato abbastanza bene, no? Non ci siamo neanche
accoltellati!»
June
alzò gli occhi al cielo.
«Immagino
che questo significhi che non mi lascerai in
pace.» concluse, un po’ divertita.
Harry
sorrise, poi scosse la testa.
«Te
l’ho detto, piccola. Ottengo sempre quello che
voglio.»
Meglio
non insistere, si disse June. O avrebbe finito per
convincersi che Harry non avesse poi tutti i torti. E non era proprio
il caso.
«Sai
cosa vorrei io, invece?» domandò, ammiccante.
Harry
la guardò.
«Sentiamo,
sono curioso: che io sparissi dalla faccia
della terra? Che smettessi di parlarti? Che lasciassi
perdere?» elencò,
sarcastico.
«No,
il dolce.»
Decisamente
strabiliato, Harry scoppiò a ridere. Non se
l’era aspettata, quella. Ancora una volta, June aveva
dimostrato di essere
imprevedibile. Cominciava a pensare che non si sarebbe mai stancato di
parlare
con lei.
«Be’,
il dolce non ce l’ho.» confessò. Aveva
pensato a
tutto, ma quell’unico dettaglio gli era proprio sfuggito di
mente. Ed ora?
«Stai
perdendo punti, Harry.» scherzò June.
«Ho
della Nutella, forse.»
«Andata.»
«Davvero?
E con cosa la mangiamo?»
«Con
i cucchiaini, tonto.»
«Se
non la smetti non ti do il tuo regalo.» disse Harry,
mentre si alzava e cercava il barattolo di Nutella nella credenza.
Quando lo
ebbe trovato, lo appoggiò sul tavolo e prese i cucchiaini
dal cassetto.
«Andiamo
di là, ci vediamo un film.» annunciò,
avviandosi
in salotto senza nemmeno aspettare June.
D’altro
canto, lei era troppo stordita per fare qualsiasi
cosa. Quando si accorse di essere rimasta sola, si affrettò
ad alzarsi e seguì
Harry in salotto.
«Mi
hai davvero preso un regalo?» domandò, incredula.
Harry
annuì, poi le passò un cucchiaino e
aprì il barattolo.
«E
dov’è?»
«Ma
non volevi la Nutella?» replicò Harry, affondando
il
cucchiaino nel barattolo.
«Il
regalo! Dai, dai, dai. Il regalo!» saltellò,
tirando
Harry per la manica della giacca.
Lui
sorrise, poi annuì.
«Ad
una condizione.»
«Tu
e le tue condizioni del cavolo. Cosa vuoi? Un bacio,
uno spogliarello, una danza caraibica?»
«No,
scegliere il film.»
E con
questo, June accantonò definitivamente la pessima
idea che si era fatta di Harry. Era un idiota, e un dongiovanni e
probabilmente
l’avrebbe solo presa in giro. Ma le aveva fatto passare una
bella serata e
aveva rispettato i patti: niente situazioni che l’avrebbero
messa a disagio,
niente battutine, niente di niente.
Perciò
almeno una piccola vittoria poteva concedergliela.
«E
va bene.» concesse, infine.
«Aspetta
qui, arrivo subito.» Harry si alzò e
salì al
piano di sopra. Tornò un paio di minuti dopo.
Tra
le braccia, aveva il peluche di un coniglio gigante,
con il pelo dorato e due grandi e dolci occhi color cioccolata.
«Ho
pensato che potrebbe fare compagnia a Pistacchio.»
June
spalancò gli occhi e si alzò. Si
avvicinò ad Harry,
un po’ tremante e quasi commossa. Lui si ricordava il nome
del suo peluche
preferito, nonostante l’avesse sentito solo una volta. Era
stato un gesto così
dolce e così inaspettato, che ci mise un po’ prima
di ritrovare le parole.
«Non
dovevi farlo, chissà quanto ti sarà
costato…»
mormorò, prendendo il peluche in braccio. Harry sorrise.
«Non
mi è costato niente. È mio, ce l’ho da
quando ho due
anni.» spiegò, osservando il coniglio con evidente
affetto. June lo posò sul
divano, con delicatezza, poi fece l’ultima cosa che credeva
avrebbe mai fatto e
gettò le braccia al collo di Harry.
Lui,
troppo sorpreso per dire qualsiasi cosa, la strinse a
sua volta.
«È
bellissimo, grazie.»
«Figurati,
piccola.» Harry le accarezzò la schiena con
dolcezza, poi si separò. Gli stava venendo voglia di
baciarla, ma era certo
che, se l’avesse fatto, avrebbe rovinato il momento. E non ne
aveva la minima
intenzione, perché stava vedendo un lato di June che gli
piaceva da impazzire.
«E
tratta bene il mio Mr. Carota.»
Ecco qua il famoso appuntamento!
Che ne pensate? Vi è piaciuto? Avete visto che le cose tra
Harry e June cominciano a cambiare?
Okay, troppe domande, scusate AHAHAHAH
niente, spero che il capitolo non vi abbia deluso e non vedo l'ora di
sapere che ve ne è sembrato :)
Ora vado, però, perchè sono di fretta ^^
Vi adoro <3
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Capitolo 14 *** Chapter 13. ***
Chapter
13.
June
sapeva alla perfezione che, prima o poi, avrebbe
dovuto dire a Louis tutta la verità. Certo, poteva magari
risparmiarsi il
racconto dei due baci, però di certo non poteva fingere di
non aver aggiunto un
nuovo peluche alla sua più che fornita collezione.
E
poi, Mr. Carota era gigante e non passava inosservato.
Si
voltò verso Harry, che la osservava dal posto di guida
con un sorriso sereno. In quel momento, June ebbe come
l’impressione che tutto
l’astio che provava per lui fosse completamente scomparso.
«Non
ci credo che lo sto per dire, ma sono stata bene,
questa sera.» mormorò, guardando fuori dal
finestrino per mascherare le guance
rosse.
Si
strinse Mr. Carota al petto e affondò il viso nella
testa del coniglio. Harry la guardò di
sott’occhio, poi sorrise.
«Ho
una voglia matta di baciarti, June.»
June
si aspettava una piazzata del genere da parte di
Harry, ma non credeva di certo che sarebbe stato così
diretto.
«Harry…»
sospirò, senza sapere bene cosa dire. Pensava di
essere già stata abbastanza chiara, poco prima. Non
è che ogni volta che lo
vedeva doveva dire “Ciao, Harry, e ricordati che non mi
piaci.”
«Che
c’è?» domandò lui,
candidamente. June inarcò un
sopracciglio.
«Mi
metti in imbarazzo.»
«Mi
dispiace, ma è quello che penso. Volevi la
sincerità,
giusto? E, sinceramente, vorrei
baciarti.» ripeté, tranquillo.
«Ora
sarà meglio che vada, grazie per il passaggio.»
In
quanto a cambiare argomento, avrebbero dovuto darle un
riconoscimento ufficiale, pensò June. Come cambiava discorso
lei, non lo faceva
nessuno.
«Buonanotte,
piccola.»
«Ciao,
Harry.»
Gli
sorrise brevemente e, un attimo prima che scendesse
dalla macchina, Harry la afferrò per un braccio, la
tirò indietro e le stampò
un bacio sulle labbra. June biascicò un insulto ed
alzò la mano per
schiaffeggiare Harry, ma proprio in quel momento qualcuno
picchiettò sul
finestrino.
Harry
lasciò andare June, confuso, poi sbiancò, quando
si
rese conto che Louis non sembrava propriamente entusiasta di trovarlo
con la
bocca incollata a quella della sua futura sorellastra.
«Sarà
meglio che vada.» mormorò. June annuì,
poi sorrise
vittoriosa.
«Questa
te la sei cercata, Harry.»
«Probabile,
ma non cambia le cose. Volevo baciarti e l’ho
fatto.» dopodiché, fece un cenno del capo a Louis,
che non ricambiò, e mise in
moto.
June
sorrise a Louis, in segno di gratitudine.
«Entra
in casa, fa freddo.» borbottò lui, poi la
precedette e si avviò lungo il vialetto. Le tenne la porta
aperta, senza
levarle gli occhi di dosso. June strinse Mr. Carota come se fosse la
sua unica
ancora di salvezza e in punta di piedi salì le scale e
andò a chiudersi in
camera.
Sapeva
che Louis voleva parlare con lei, ma ciò non
significava che dovessero farlo subito. Poteva tentennare per qualche
minuto,
no?
Adagiò
con cura Mr. Carota accanto a Pistacchio e li
osservò, poi sorrise.
Non
credeva che Harry sarebbe stato capace di un gesto
carino nei suoi confronti. Era stato così dolce che
l’aveva completamente
spiazzata e lasciata senza parole.
Il
suo comportamento, comunque, era un po’
destabilizzante. June non sapeva mai come comportarsi. Insomma, un
momento
Harry sembrava quasi tranquillo, tanto che le proponeva di mangiare
Nutella e
vedere un film e le regalava il suo peluche preferito,
l’attimo dopo, se ne
usciva con quei discorsi da latin lover che la facevano sentire come
una
ragazzina alla prima cotta.
Scosse
la testa, poi aprì il cassetto alla ricerca di un
pigiama pulito.
Lo
indossò con calma, con il pensiero fisso su Harry e sul
suo futuro e probabile litigio con Louis, dopodiché
sospirò e tornò al piano di
sotto, cercando di fare il minor rumore possibile per non disturbare il
sonno
di Sam e Johannah.
Louis
era in cucina, appoggiato coi fianchi al tavolo.
Aveva le braccia incrociate ed un’espressione mortalmente
seria. Tuttavia,
allungò a June una tazza di tè alla vaniglia e le
fece cenno di sedersi.
June
ringraziò debolmente, poi si accomodò. Louis
rimase
in silenzio ancora qualche secondo, poi sorrise. Ma non era divertito,
notò
June, sembrava più amareggiato.
«Buffo.
Ero convinto che saresti uscita con Alice.»
commentò, gelido. June arrossì e
abbassò il capo, colpevole. Non aveva mai
discusso con Louis e si stupì che il solo pensiero di averlo
deluso la facesse
sentire così in colpa.
«Mi
dispiace.»
«Sì,
è evidente.»
June
fece per ribattere, ma Louis la interruppe con un
gesto brusco della mano.
«Sai
qual è la cosa più divertente, June? Che ho
litigato
con Harry, convinto che la colpa fosse solo sua, ma evidentemente mi
sbagliavo.
Vi siete divertiti tutti e due a prendermi per il culo, non
è così?»
June
sussultò, colta di sorpresa. Non era pronta a
ricevere tanto rancore da parte di Louis. Era insopportabile vedere il
tradimento dipinto sul suo viso e, ancora peggio, non tollerava che non
le
stesse sorridendo.
Non
voleva rovinare il rapporto con lui.
Non
da quando si era resa conto che era diventato una
parte fondamentale della sua vita.
«Non
volevo prenderti in giro, Louis!» protestò, con
veemenza. Louis fece una smorfia incomprensibile.
«Dico
sul serio, credimi.» continuò June.
Lasciò la tazza
– ancora piena – sul tavolo e si alzò in
piedi si avvicinò a Louis, che restò
stoicamente fermo e inespressivo.
«Te
l’avrei detto stasera stessa.»
«Davvero?»
June
sorrise e annuì, lievemente più serena.
Punzecchiò la
pancia di Louis con le dita, cercando di smuoverlo un po’.
Dopo nemmeno un paio
di secondi, Louis le bloccò entrambi i polsi e glieli
intrappolò dietro la
schiena.
«Mi
stai facendo il solletico, piantala.»
«E
dai, fammi un sorriso!» cinguettò June, senza
accennare
a sottrarsi dalla presa leggera del ragazzo.
Louis
rimase serio ancora qualche secondo, ma quando June gli
fece gli occhi dolci, non poté più resistere e
sorrise.
«Sei
una bugiarda incallita.» ridacchiò, meno nervoso.
«Ma
mi vuoi bene lo stesso, non è vero?»
domandò June,
angelica.
«Secondo
te?»
«Secondo
me sì, me ne vuoi tantissimo.» annuì,
convinta.
Louis sbuffò.
«Mi
sa che è per questo che non riesco a prendermela con
te.» detto questo, le lasciò andare i polsi e June
ne approfittò per gettargli
le braccia al collo e tempestargli le guance di baci.
«Non
finisce qui, comunque.» la avvertì Louis.
June
annuì, poi sorrise. Non era così ingenua da
pensare
che si sarebbe dimenticato della questione nel giro di pochi minuti, ma
per lo
meno il peggio era passato.
Almeno
per lei, perché June sospettava che Louis con Harry
ci sarebbe andato giù bello pesante.
Quando
si accorse di aver pensato che la colpa non era
tutta di Harry e che a parte in quegli ultimi minuti si era comportato
bene per
tutta la sera, June cominciò a preoccuparsi.
Ci
mancava solo che cominciasse a giustificare Harry e i
suoi comportamenti idioti. Si meritava che Louis gli desse una bella
lezione e
che lo picchiasse e che…
«Non
fargli tanto male, ti prego.» mormorò.
Louis
scoppiò a ridere.
«Ad
Harry, dici? Certo che gli farò male! Minimo gli rompo
le dita, una alla volta, così imparerà a tenere
le sue zampacce pervertite
lontane dalla mia sorellina. E poi gli taglierò la lingua,
sempre per lo stesso
motivo. E gli caverò gli occhi. Oh, e potrei anche tagliarli
il»
«Louis!
Ti prego. Ti assicuro che Harry ha tenuto ogni
cosa al suo posto, non c’è bisogno di
vivisezionarlo. Forse potresti provare ad
asportargli una parte del cervello, così magari la sua
deficienza congenita
sparirebbe. Oppure potresti fare come quelli di CSI! Gli impianti un
microchip
dietro l’orecchio e lo telecomandiamo.»
Louis
rimase in silenzio, un po’ frastornato da quella
valanga di chiacchiere, poi sorrise e coprì la bocca di June
con la mano. Le
fece segno di salire al piano di sopra e di entrare in camera.
June
eseguì in completo silenzio e quando furono di nuovo
soli, riattaccò a blaterare.
«Sai
cosa stavo pensando? Che se quella cosa del microchip
funziona, potremmo far vestire Harry come una ragazza. Ho visto un
vestito
arancione davvero brutto, l’altro giorno. Possiamo farglielo
mettere, sono
sicura che starebbe malissimo! Che ne dici?»
Louis
prese un altro respiro profondo, poi scoppiò a
ridere.
«Si
può sapere cosa c’era, su quella pizza?»
chiese,
ancora incredulo. Perché le alternative erano due: o June
era impazzita tutto
di colpo, oppure Harry l’aveva drogata.
Quando
si rese conto del silenzio inquietante appena sceso
nella camera, Louis si voltò verso June e la
trovò immobile, con i pugni
contratti e gli occhi stretti in un’espressione quasi
furiosa.
«Louis,
fratellone,
come fai a sapere che ho mangiato la pizza?»
sibilò. Louis deglutì
vistosamente, colto in flagrante.
Boccheggiò
qualche istante.
«Ho
sparato a caso! Ho indovinato?»
«Louis.»
«Ho
indovinato! Ti immagini che genio, che sono? Pensa
cosa potrei fare se mi dessero un’arma di distruzione di
massa.»
«Louis.»
«Mamma
mia, sono un fenomeno. Un chiromante! Non solo sono
un cantante eccezionale, un calciatore di fama internazionale e un gran
figo,
sono anche un sensitivo!»
«LOUIS!
Si può sapere che accidenti stai dicendo?» lo
interruppe June. Poi rimase in silenzio ancora un attimo, giusto per
riordinare
i pensieri ed essere certa che i suoi sospetti non fossero poi
così infondati.
«Louis…»
«Sì,
scricciolo?»
«Non
è che, casualmente, sapevi già che sarei uscita
con
Harry?» domandò, con una freddezza che fece
rabbrividire Louis.
Ed
ora? Cosa gli conveniva fare? Negare fino alla morte o
dire la verità? E cioè che Harry
l’aveva chiamato quella mattina, per raccontargli
ogni cosa e per chiedergli il permesso di uscire con June.
Louis
aveva avuto come il sospetto che impedire ad Harry
di vedere la sorella sarebbe stato un po’ come gettare altra
legna sul fuoco.
Harry si sarebbe intestardito ancora di più e non avrebbe
lasciato mai in pace
June.
Se
invece fosse usciti insieme, c’era sempre la
possibilità che June non gli piacesse poi tanto e che la sua
approvazione
riducesse i brividi del fare le cose di nascosto.
Molto
elegantemente, Louis aveva fatto presente ad Harry
che se solo avesse osato far soffrire la sua sorellina gli avrebbe
staccato i
gioielli di famiglia con una mannaia e poi aveva dato la sua
“benedizione”.
Harry aveva riso e aveva risposto che l’affetto che Louis
provava per quella
ragazza acida era quasi esagerato e che se non la piantava di fare la
mammina
apprensiva, probabilmente l’unico a cui sarebbero spariti i
gioielli sarebbe
stato proprio lui.
«Ma
come ti salta in mente?»
«Mi
hai fatta sentire in colpa per niente! Che stronzo.»
mugugnò June, offesa.
E lei
che si era fatta milioni di paranoie! E quell’infame
sapeva tutto. Probabilmente Harry l’aveva informato della
cosa.
Che
faccia tosta, aveva anche avuto il coraggio di farle
tutto quel bel discorsetto sul “frequentiamoci alla luce del
sole”.
La
prossima volta che l’avrebbe visto, l’avrebbe
ammazzato, così imparava a prenderla in giro.
«Per
la cronaca, non sapevo che l’avresti baciato.»
farfugliò Louis, in difficoltà.
«Per
la cronaca» lo scimmiottò June «lui ha
baciato me!»
«Però
tu ci sei stata.»
June
arrossì furiosamente e allungò un calcio sullo
stinco
di Louis, che urlò.
«Ma
sei pazza? Mi hai fatto male!»
«Cavoli
tuoi, almeno la prossima volta non ti apposti come
un guardone. Brutto pervertito che non sei altro.» June
sorrise soddisfatta.
«Comunque…»
aggiunse, poco dopo. «Secondo te il microchip
funziona sul serio?»
***
Ehm... oggi sono particolarmente di fretta, perchè non mi
sento per niente bene ed è una giornata un po'
così. Perciò mi dileguo subito. Spero che il
capitolo vi sia piaciuto <3
Baci,
Fede <3
|
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Capitolo 15 *** Chapter 14. ***
Chapter
14.
«Allora, tesoro,
raccontami un po’… come stanno andando le
cose?»
June sospirò,
prese il padre sottobraccio e continuò a
camminare. Sam si era preso una giornata libera, per poterla
trascorrere
interamente con la figlia.
Aveva bisogno di parlare
con lei e, inoltre, gli serviva
il suo aiuto per scegliere un regalo appropriato per il compleanno di
Jay, che
avrebbe festeggiato il giorno dopo.
Perciò erano
usciti insieme, quella mattina.
«Bene,
direi.»
«E come ti trovi
con Louis?»
Al pensiero del fratello
(ormai aveva cominciato a
considerarlo tale), June sorrise.
Come poteva non adorarlo?
Era sempre presente, la
proteggeva, era geloso di Harry, probabilmente avrebbe ucciso chiunque
si fosse
avvicinato con qualche intento strano ed era così dolce che
era impossibile non
volergli bene.
«Sono felice,
papà. Come non mi succedeva da tempo.»
rispose, sincera.
Okay, non era propriamente
la risposta alla domanda di
Sam, ma June sapeva che era lì che voleva andare a parare:
voleva sapere se
stava bene e se la sua nuova situazione non la stesse mettendo in
difficoltà.
Incredibilmente e contro
qualsiasi aspettativa, June si
sentiva davvero bene. Aveva guadagnato un fratello, una buona amica, un
corteggiatore indesiderato e una compagnia così simpatica e
sincera che non
avrebbe potuto chiedere di meglio.
Per una volta le cose
andavano decentemente e lei sperava
solo di poter godere di quella felicità ancora per un
po’.
«Sono sollevato.
Pensavo che l’avresti presa peggio.»
«E
perché avrei dovuto? Papà, lo so che ami la mamma
e so
che lo farai sempre, ma questo non vuol dire che dobbiamo passare il
resto
della nostra vita a piangere il suo ricordo. Lei non lo vorrebbe. E
poi, Jay è
una donna fantastica. È sempre gentile, mi tratta come se
fossi sua figlia e mi
tiene in considerazione. Non avrei nessun motivo per fare la bambina
capricciosa.» rivelò, tranquilla.
Non aveva mai detto quelle
cose a Sam, ma voleva fargli
sapere che aveva il suo appoggio incondizionato. Voleva capisse che
anche lui
si meritava la felicità e che non poteva vivere sempre in
funzione di lei.
June era grande e
abbastanza matura da capire, perciò
sorrise incoraggiante e indicò al padre un negozio sulla
destra della strada.
Sam, ancora senza parole,
si lasciò trascinare.
«Sai cosa
dovresti fare? Dovresti comprare a Jay un bel
vestito, tipo questo in vetrina e portarla fuori a cena, solo voi
due.»
suggerì, adocchiando con aria sognante l’abito
color cipria indossato dal
manichino.
Sam annuì,
concorde.
Quando entrarono nel
negozio, June si perse qualche
secondo ad osservare l’aria stranamente familiare del
commesso. Le dava le
spalle, perché era impegnato a sistemare una pila di
maglioni da uomo su alcuni
scaffali, ma quella matassa di ricci disordinati era assolutamente
inconfondibile.
Impallidì,
perché non poteva assolutamente essere vero che
Harry facesse il commesso in quel
negozio. Con tutti i posti che esistevano a Doncaster,
perché doveva trovarlo
proprio lì? E perché proprio quando era insieme a
suo padre? E se lui avesse
sospettato qualcosa?
Santo cielo, June non
riusciva nemmeno a pensarci.
Probabilmente avrebbe
ucciso prima Harry, molto
crudelmente, e poi avrebbe ucciso lei.
June scosse la testa. Non
era ancora pronta per affrontare
tutto quello. Stava per dire a Sam che magari era meglio un altro
negozio,
perché quello era troppo caro, ma Harry si girò e
la colse in pieno mentre lo
guardava con tanto d’occhi.
Le sorrise, sereno e si
avvicinò.
«Ciao, June.
Signor Goodman, come và?» salutò,
cortese.
June spalancò la bocca, incredula.
E da quando, Harry era
così posato? “Signor Goodman, come
và?” ma a chi voleva darla a bere? Lei non ci
cascava di certo. Anche perché,
il modo in cui l’aveva guardata, le aveva fatto intendere che
l’avrebbe presa
in giro in eterno per averla beccata a fissarlo.
«Ciao, Harry.
Chiamami Sam, non c’è bisogno che mi dai del
lei.» sorrise Sam. E June, che ad ogni secondo che passava
era sempre più
strabiliata, strabuzzò gli occhi e spalancò la
bocca.
Harry si voltò
verso di lei e le sorrise, falso come Giuda.
June arrossì e cominciò a fissarsi i piedi,
ostinata. Sam, invece, non si
accorse di niente, perché il suo telefono
cominciò a suonare e dovette scusarsi
e allontanarsi un po’ per rispondere.
June rimase lì
impalata, completamente assorta dai lacci
consunti delle converse azzurre. Voleva parlare con Harry e insultarlo
per non
aver mantenuto il segreto sulla loro uscita, ma non poteva certo
correre il
rischio che suo padre ne venisse a conoscenza.
Sam si avvicinò
qualche secondo dopo, con un’espressione mortificata
dipinta in volto.
«Tesoro, ti
dispiacerebbe occupartene tu? Jay ha avuto un
guasto alla macchina ed è bloccata fuori città.
Cercherò di tornare il prima
possibile. Ti dispiace?»
«Figurati. Lascia
stare, mi farò due passi al rientro. Non
è necessario che torni qui.» disse, tranquilla.
«Non
preoccuparti, Sam. La accompagno io, tanto tra poco
mi danno il cambio.» si propose Harry,
all’improvviso.
Sam annuì, lo
ringraziò con una pacca sulla spalla,
consegnò a June la carta di credito e le lasciò
un bacio sulla fronte.
Dopodiché uscì dal negozio e June cadde
nell’imbarazzo più totale.
«Ehm…»
«Allora, piccola.
Dimmi tutto.» mormorò Harry. Fece un
passo verso di lei, sempre con quel sorriso malefico. June
arretrò, imbarazzata
e cominciò a girare tra gli scaffali.
«Domani
è il compleanno di Jay. Ho consigliato a papà di
regalarle un vestito. Penso che quello in vetrina le
piacerebbe.» con un cenno
del capo, indicò l’abito esposto.
Harry storse il naso.
«Che
c’è?»
«Jay non si
vestirebbe mai di rosa, piccola.»
«Sei un
ignorante, Harry. Quello non è rosa, è cipria. Ed
è un colore molto elegante. E poi Jay è scura,
starebbe benissimo.» borbottò
June.
Harry alzò gli
occhi al cielo.
«D’accordo,
d’accordo. Vuoi quello. Sai la taglia o vado a
occhio?» domandò, dirigendosi verso la zona del
negozio in cui erano
ordinatamente appesi i vestiti. June fece spallucce.
«Una 46 credo che
vada bene.» se poi non le fosse stato,
avrebbe sempre potuto cambiarlo.
In completo silenzio, Harry
prese una scatola da confezione
regalo, di un delicato verde acqua, piegò il vestito e lo
ripose con cura
all’interno.
June osservò
rapita ogni suo movimento, con i gomiti
appoggiati al bancone e le guance un po’ rosse. Il negozio
era vuoto, oltre a
loro due e molto probabilmente nessuno sarebbe arrivato a disturbarli.
«Non sapevo che
lavorassi qui.»
«Ci sono un sacco
di cose che non sai di me, piccola.»
replicò Harry, tranquillo. In realtà, quel
negozio apparteneva a suo zio e lui
non ci lavorava quasi mai, esclusi casi eccezionali.
In quei giorni, lo zio era
a Glasgow per una questione
importante e aveva chiesto ad Harry di coprire il turno di mattina.
Harry aveva
accettato, perché un po’ di soldi gli facevano
comodo e comunque aveva bisogno
di occupare il tempo.
O il pensiero di June
avrebbe finito per diventare
un’ossessione bella e buona. A proposito di June, trovarsela
lì era stato un
colpo di fortuna in cui non aveva minimamente sperato.
Era impossibile non
notarla, con quei capelli rossi
fiammanti e prima o poi era sicuro che qualcun altro, oltre lui, si
sarebbe
accorto di quanto fosse fantastica.
In ogni caso, sperava di
riuscire a conquistare prima che
succedesse una cosa del genere.
June sbuffò, poi
afferrò il sacchetto che Harry le stava
porgendo e fece un cenno del capo.
«Ci si vede,
Harry.»
«Dove
vai?»
«A casa, dove se
no?»
«Ti
accompagno.»
«Non
c’è bisogno.»
«Voglio stare un
po’ con te, chiedo troppo?»
June ci rifletté
attentamente. Chiedeva troppo? Ovviamente
no. Ma cosa sarebbe successo se l’avesse baciata di nuovo?
Lei non poteva correre il
rischio di innamorarsi di Harry,
perché era evidente che sarebbe stata una gran stupidata. Ne
avevano già
parlato e la conclusione era una soltanto: Harry non andava bene per
lei.
L’avrebbe fatta soffrire e conquistarla, per lui, era solo
una questione di
principio.
Perciò era
meglio che si facesse passare quella strana
voglia che aveva di stare con lui, prima che accadesse
l’irreparabile.
Cosa avrebbe fatto, dopo?
Avrebbe affidato a Mr. Carota il
suo cuore infranto? No, non si sarebbe mai pianta addosso e non sarebbe
mai
arrivata a quel punto.
Andassero pure al diavolo
Harry, i suoi baci mozzafiato e
la sensazione di sicurezza che provava in sua compagnia.
«Sono io che non
voglio stare con te.» rispose, un po’
fredda.
Harry non si scompose
minimamente. Anzi, inarcò un
sopracciglio, salutò con un cenno del capo la ragazza appena
entrata – che
chiese scusa per il ritardo e si mise dietro la cassa – e
prese June per mano.
«Ed eccola che
ricomincia.» borbottò, seccato.
«Io non
ricomincio un bel niente! Sei tu che non capisci.»
Però
continuò a tenerlo per mano, nonostante fosse un
controsenso bello e buono, nonostante non fosse affatto coerente con
quanto gli
aveva appena detto.
«Senti, June. Te
l’ho già detto trenta volte: tu cambierai
idea, su di me.»
«E tu Harry?
Continuerai a considerarmi una stupida
scommessa?»
***
Eccoci qua. Questo capitolo è un po' di passaggio,
perciò non ho proprio niente da dire. Le cose tra Harry e
June prendono una piega particolare, perché per June fidarsi
è difficile e... be', lo vedrete.
Comunque, spero che vi sia piaciuto e, mi raccomando, fatemi sapere che
ne pensate, ci tengo davvero tanto!
E vi ringrazio per seguire la storia/commentare/ascoltare le mie cagate
e blablabla
Vi adoro,
Fede <3
|
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Capitolo 16 *** Chapter 15. ***
Chapter
15.
«Tanti auguri,
Jay!»
June abbracciò
la sua futura matrigna con evidente affetto
e le lasciò un bacio sulla guancia.
Tornò al fianco
di Louis, che le circondò le spalle con il
braccio e le rivolse un sorriso caloroso, che June ricambiò
immediatamente.
Osservarono entrambi Sam che baciava Jay sulle labbra e si congratulava
perché
i suoi erano “quarantatre anni portati magnificamente
bene”.
«Questo
è un regalo da parte mia e di June.» con un cenno
della mano, Sam invitò June a farsi avanti.
Lei eseguì e
porse a Jay il sacchetto. Con mano tremante,
la donna estrasse la scatola e la aprì. Con gli occhi lucidi
per l’emozione,
sollevò delicatamente l’abito e lo
osservò estasiata.
«È
meraviglioso. E questo colore è così bello.
Grazie
mille, tesoro.» abbracciò di nuovo June e diede un
altro bacio a Sam, che diede
tutto il merito della scelta alla figlia. June sogghignò
internamente, perché
aveva azzeccato il colore anche se Harry diceva che a Jay non sarebbe
piaciuto.
Era ovvio, quindi, che tra i due non fosse di certo lei, quella ad
avere
problemi in fatto di gusto.
«E non
è tutto. Vi aspetta un tavolo per due al La
Petit France. Ho prenotato per le
nove.» comunicò Louis, sorridente.
June annuì,
consigliò a Johannah di correre a prepararsi e
le promise che sarebbe arrivata dopo qualche minuto per aiutarla con
l’acconciatura.
«Sono o non sono
un genio?» domandò, retorica, quando Jay
non fu più a portata d’orecchio. Sam
alzò gli occhi e andò a prepararsi, mentre
Louis sbuffò.
«Ti avverto,
scricciolo. Abbiamo ospiti a cena, oggi.»
June sbiancò. Di
nuovo Harry. Insomma, per quanto si
sforzasse di tenerlo fuori dalla sua mente, non c’era scampo.
D’altronde non
poteva che essere così, visto che era il migliore amico di
Louis. Al diavolo
lei e qualsiasi fosse la cosa che attirava Harry.
«Posso invitare
anche Alice?» domandò, flebile. Le serviva
decisamente un appoggio, per quella sera. Per fortuna, almeno, lei ed
Harry non
sarebbero stati completamente soli e lei non avrebbe corso alcun
rischio di
cadere di nuovo nella sua stupida trappola.
«Questa
è casa tua, June. Puoi invitare chi vuoi, quando
vuoi.» le ricordò Louis. Le accarezzò
una guancia con tenerezza e le picchiettò
il dito indice sulla fronte.
«Fattelo entrare
in questa testolina bacata, okay?»
Un’ora dopo, Sam
e Jay uscirono di casa, non prima di aver
raccomandato a June di tenere d’occhio Louis ed essersi fatti
promettere che
non ci sarebbe stato nessun morto al loro ritorno.
«Non
capisco.» brontolò Louis «Io sono
più grande e dovrei
tenere te sotto controllo, perché hanno detto il
contrario?»
June gli diede una pacca
sulla spalla, per consolarlo.
«Avranno capito
chi dei due è quello con il cervello.»
celiò, con una naturalezza invidiabile. Louis
scoppiò a ridere, poi si diresse
vero la porta d’ingresso.
Qualcuno aveva appena
citofonato e, a giudicare
dall’insistenza, doveva avere fretta di entrare.
Qualche istante dopo,
un’Alice un po’ furibonda fece il
suo ingresso in salotto, seguita a breve da Niall, Liam, Zayn ed Harry.
Si avventò
contro June, che era rimasta immobile senza
sapere bene cosa dire.
«Tu, donna! Sei
una gran stronza!» accusò, raddrizzando
gli occhiali – quella sera di un arancione carico –
e agitando i capelli
castani.
Niall scoppiò a
ridere, beccandosi un’occhiata in tralice
che lo fece ammutolire all’istante.
«Ciao, piccola,
come stai?» domandò, sottraendo June dalle
grinfie di Alice e stringendola in uno dei suoi abbracci stritolatori.
«Bene, tu? Mi
dispiace di non essermi fatta sentire
troppo, in questi ultimi giorni.» gli sussurrò
June, all’orecchio.
Niall annuì.
«Tranquilla, so
che sei stata piuttosto impegnata.»
rivolse ad Harry uno sguardo eloquente e June arrossì. Gli
pestò un piede,
infastidita, poi si diresse verso Zayn e Liam, che erano ancora in
attesa di un
suo saluto.
«Ciao,
ragazzi.» abbracciò brevemente entrambi, poi si
fermò davanti ad Harry.
Come doveva salutarlo? Il
giorno prima, in macchina,
avevano finito di nuovo per litigare e si erano lasciati piuttosto
freddamente.
E, quella sera, Harry sembrava non essersi affatto lasciato alle spalle
tutto
il malumore.
«Ciao.»
mormorò infine June, tenendo lo sguardo basso.
Harry le rivolse un cenno
del capo e sorrise, ma era finto
e distaccato come non mai.
June ci rimase decisamente
male. Forse stava tirando troppo
la corda, con Harry.
Era vero che lui era sempre
di buon umore, ma non poteva
sopportare tutto con la sua solita indifferenza.
Se June fosse stata al suo
posto, probabilmente si sarebbe
mandata a cagare già da un bel pezzo.
«Parlerete dopo,
ora tu vieni con me.» si intromise Alice,
afferrando June per un braccio e trascinandola al piano di sopra, verso
la sua
stanza.
June si lasciò
trasportare, un po’ stordita e forse
sull’orlo del pianto: aveva appena sentito Harry dire
“Non c’è niente di cui
parlare” e non l’aveva presa con il sollievo che si
aspettava.
Una frase del genere
avrebbe dovuto essere una liberazione
e invece non lo era affatto. June si sentiva come se qualcuno le avesse
appena
tirato un pugno nello stomaco.
Non era normale, vero?
«Allora…»
Alice la spinse sul letto, poi le si sedete
davanti con le gambe incrociate.
«Dimmi
cos’è successo tra te ed Harry, veloce. Poi
decideremo come agire.»
June, suo malgrado, si
ritrovò a sorridere. Alice era così
spontanea, così altruista e così fuori di testa
che era impossibile non
adorarla.
Se solo avesse indirizzato
una parte della sua energia per
conquistare Niall, probabilmente in quel momento si sarebbero trovati
da
tutt’altra parte.
Perciò glielo
fece presente, consapevole che Alice avrebbe
potuto cavarle gli occhi.
«Niall? E che
centra Niall, adesso?»
«Fai sul
serio?» Alice la guardò stranita.
«Oh, andiamo,
Alice. Non vorrai dirmi che non ti piace
Niall! Se ne sono accorti tutti tranne lui!»
«Oh, andiamo,
June. Non vorrai dirmi che non ti piace Harry!
Se ne sono accorti tutti!» le fece eco Alice, con la testa
inclinata da un
lato.
June fece una smorfia.
«Sei un
pappagallo.»
«E tu una fifona.
Prima o poi mi spiegherai perché non ti
dai una possibilità con Harry.»
«Lui non mi
piace.»
«Certo, dillo a
qualcun altro. A lui, magari.» celiò
Alice, lieta di aver distolto l’attenzione di June dalla sua
cotta
stratosferica per Niall.
Le piaceva dalla prima
volta in cui aveva messo piede al
bar, ma aveva sempre pensato che la differenza
d’età sarebbe stata un bel
problema. Si passavano quasi quattro anni e anche se Alice non aveva
poi tutta
questa grande esperienza in campo amoroso (se non un paio di relazioni
finite
male), non le sembrava possibile che lui avrebbe ricambiato il suo
interesse.
Perciò si era
fatta da parte e aveva provato ad essergli
solo amica. Per il momento sembrava funzionare alla perfezione e non
era
davvero il caso che June le rimettesse in testa –
un’altra volte - quei
pensieri scomodi.
«Gliel’ho
già detto, ma non mi ascolta!» si
lamentò June.
Per come la vedeva Alice,
la questione era molto semplice:
June ed Harry erano fatti per stare insieme o per detestarsi. Non
c’era altra
alternativa. Non sarebbero mai riusciti ad essere solo amici. Non fino
a che ci
fossero state tutte quelle scintille.
«Per ora,
cerchiamo di sopravvivere a questa serata, va
bene?» concluse Alice, con aria un po’
più serena. Raddrizzò di nuovo gli
occhiali – June cominciò a sospettare che si
trattasse di una specie di tic –
sorrise e si alzò.
June annuì,
decisamente meno convinta e la seguì di nuovo
al piano di sotto.
Trovarono i ragazzi in
salotto, seduti chi sul divano e
chi sul tappeto e presero posto anche loro. Con una nonchalance
invidiabile,
Alice andò ad accomodarsi accanto a Niall, che
sembrò trattenersi a stento dal
sorridere soddisfatto.
June ciondolò
per qualche secondo, inchiodata dallo
sguardo Harry. Non le toglieva gli occhi di dosso e sembrava deciso a
farla
sentire uno schifo. Era arrabbiato e quello era evidente, ma lei non
sapeva che
farci.
Poi, Liam si accorse che si
trovava in difficoltà e le
fece cenno di sedersi accanto a lui. Con sollievo, June lo raggiunse,
raccolse
le gambe al petto e le circondò con le braccia.
Louis le rivolse uno
sguardo interrogativo, a cui lei
rispose con un sorriso flebile.
Non poteva certo dirgli che
la causa del suo disagio era
lì in salotto, comodamente seduto in poltrona. Oltretutto,
Harry sembrava
davvero infastidito dal fatto che Liam si mostrasse così
gentile nei suoi
confronti.
Ma che pretendeva, che
nessuno le parlasse solo perché lui
sembrava essersi convinto che lei era una sua prerogativa?
«Che si
fa?» domandò Zayn, qualche secondo dopo.
«Aspettiamo che
arrivino le pizze, poi mangiamo.» rispose
Louis, pacato. Continuava a guardare prima Harry, poi June, cercando di
capire
cosa c’era che non andasse. Perché a quel punto
era evidente che qualcosa non
andava.
«Cos’è
successo?» domandò, quindi, nervoso.
Non gli piaceva che June
fosse sull’orlo del pianto e,
ancora meno, gli piaceva lo sguardo di Harry. Lo conosceva e sapeva che
quando
era così freddo e distaccato i guai erano alle porte.
«Niente,
perché?» replicò Harry, serafico. June
sussultò,
e cominciò a fissare il vuoto. Liam le posò una
mano sul ginocchio, per
tranquillizzarla e le sorrise dolcemente.
Ecco, Liam era uno di cui
June si sarebbe fidata ad occhi
chiusi. Era gentile, simpatico, spiritoso e premuroso e probabilmente
non
l’avrebbe mai fatta soffrire, ma quando la
sfiorava… non c’erano scintille.
Niente brividi, niente battito accelerato.
«June.»
«Cosa
c’è?»
«Mi dici cosa
c’è che non và?»
«Niente.»
Prima che Louis potesse
ribattere, il campanello suonò una
seconda volta. June disse che sarebbe andata lei, si alzò e
si diresse verso
l’ingresso.
Quando aprì la
porta, però, non si trovò davanti il fattorino
con le loro pizze.
«Ciao, Jenuary.
Posso entrare? Mi ha invitato Harry.»
E, mulinando i lunghi
capelli biondi, Carolina entrò in
casa, dando il via a quella che June avrebbe inserito
senz’altro nell’elenco
delle serate peggiori della sua vita.
Ta-daaaan! Sto aggiornando terribilmente tardi, oggi. Chiedo perdono,
ma proprio non ne avevo voglia. Comunque, eccomi qui.
Che ne dite del capitolo? Vi è piaciuto? Personalmente non
è uno dei miei preferiti, ma non mi dispiace.
Let me know <3
Vado a scrivere un po', adios <3
Vi adoro!
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Capitolo 17 *** Chapter 16. ***
Chapter
16.
«Non la sopporto
più.» mugugnò Zayn, seduto accanto a
June
con un’espressione particolarmente afflitta.
Lei annuì, poi
posò la testa sulla sua spalla. Non ne
poteva più. Da quando Carolina era entrata in casa, quella
che doveva essere
una semplice sera tra amici era degenerata.
Se, poco prima, aveva
creduto che la situazione con Harry
potesse risolversi in maniera positiva, ora June non aveva alcun
dubbio: non
poteva fidarsi di lui.
Non quando continuava a
lanciarle quegli sguardi
palesemente provocatori, non quando accarezzava la schiena di Carolina
che,
inutile dirlo, era in completo brodo di giuggiole. Sembrava non vedesse
l’ora
di sentire le mani di Harry addosso. Anche June avrebbe voluto metterle
le mani
addosso, ma con un altro scopo.
Perciò strinse i
pugni e li cacciò in tasca, borbottando
una serie di insulti non troppo delicati.
Zayn ridacchiò.
«Se mai volessi una mano, io ci sono.»
«Grazie. Tu la
tieni ferma e io la picchio?» propose June,
suo malgrado divertita. La prospettiva di togliere a Carolina
quell’aria
soddisfatta dalla sua stupida faccia, la riempiva di buonumore.
«Non ti facevo
una tipa violenta.»
«Non lo sono,
infatti. Ah, se solo avessi il mio arco.»
«Arco? E per fare
che?» si intromise Carolina, con quella
sua vocetta stridula.
June chiuse gli occhi,
contò mentalmente fino a dieci e
ricacciò la rispostaccia in fondo alla gola. Ma non ci fu
niente da fare, non
riuscì a trattenersi per più di otto secondi.
«Per piantarti
una freccia in mezzo alla fronte.» berciò,
infastidita. Carolina guaì, terrorizzata e si
rifugiò tra le braccia di Harry,
che rivolse a June un’occhiata in tralice. Lei
ricambiò, per niente intimorita.
«Ce
n’è anche per te, perciò piantala di
fissarmi.» detto
questo, si voltò verso Alice, alla ricerca di un
po’ di sostegno morale.
La trovò intenta
a godersi la scena, come il resto dei
presenti. Forse, pensò June, avrebbe potuto distribuire dei
popcorn.
«Altrimenti cosa
fai, piccola?»
La stava provocando. Quel
brutto idiota lo stava facendo
apposta. Ma lei non era mica stupida. June non avrebbe mai abboccato al
suo
amo, non avrebbe mai colto la provocazione e non…
«Ti prendo a
calci, pezzo d’idiota.» e non avrebbe
risposto in maniera sgarbata.
Certo, probabilmente doveva
cominciare a dare una regolata
al suo autocontrollo, magari avrebbe potuto evitare di cacciarsi in
quelle
situazioni.
Stava facendo il gioco di
Harry, in effetti, quando
l’ultima cosa che voleva era fargli credere di avere il
coltello dalla parte
del manico.
«Sai, sembrerebbe
quasi che tu sia gelosa, amore.»
«Non mi prendere
per il culo, Harry. Perché giuro che non
rispondo più di me stessa.» ringhiò,
alzandosi in piedi. Harry rimase
tranquillamente seduto, invece, con il suo solito sorriso sornione.
Sembrava
quasi il gatto che da la caccia al topo.
Aveva appena trovato la
preda perfetta e aveva tutta
l’intenzione di divertirsi.
June, con le guance rosse
per la rabbia e gli occhi
lucidi, finalmente si riscosse.
«Anzi, sai che ti
dico? Continua così, è perfetto.»
Sì, era proprio
ciò che le serviva. Vedere Harry con
Carolina l’aveva fatta ingelosire, quello era vero ed era
inutile negarlo, ma
sapere che Harry poteva anche solo pensare di farla soffrire, cambiava
l’idea
quasi positiva che aveva iniziato ad avere di lui.
Se si comportava come un
bastardo – cosa che a tutti gli
effetti stava facendo – allora lei non si sarebbe mai
innamorata.
E tanti saluti. Alla fine,
il suo stesso gioco si stava
ritorcendo contro di lui.
Perciò sorrise:
sarebbe andato tutto a posto.
Harry, che sperava davvero
in una scenata di gelosia,
raggelò. Il sorriso gli morì sulle labbra e,
all’improvviso, lo travolse la
consapevolezza di aver sbagliato tattica.
Lui, che sapeva conquistare
qualsiasi ragazza, stava
giocando una partita che avrebbe sicuramente perso.
Ovviamente, aveva chiamato
Carolina tanto per il gusto di
fare incavolare June, ma non aveva affatto pensato alle conseguenze.
Se ne rese conto nel
preciso istante in cui June sorrise.
Perché non era normale, che sembrasse così
soddisfatta. A meno che lui non le
avesse dato la prova che stava cercando e cioè che
conquistarla per lui era
solo un gioco.
«Jenuary, non
è ora di andare a dormire? Le bambine a
quest’ora dovrebbero essere a letto. Se vuoi posso
rimboccarti le coperte.» si
intromise – di nuovo – Carolina. June sorrise
ancora, divertita. Si rendeva
conto che la sua espressione doveva essere più o meno quella
di un serial
killer, ma era esattamente in quel modo, che si sentiva.
«Sei una vacca. E
le vacche dovrebbero limitarsi a brucare
l’erba.»
E con quello, June concluse
il suo discorso con Carolina.
Era stata cattiva, probabilmente, ma si sarebbe fatta un applauso da
sola.
«Alice, ti chiamo
domani. Buonanotte a tutti, e grazie per
la magnifica serata.»
Poi, prima che chiunque
avesse il tempo di pronunciare
un’altra parola, June salì al piano di sopra e si
chiuse in camera. Sbuffò,
gettò un’occhiata a Mr. Carota e gli sorrise.
«Il tuo
proprietario è un vero coglione, lo sai?» gli
chiese, retorica. Ovviamente sapeva che Mr. Carota non le avrebbe
risposto, ma
le sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui insultare Harry. Dio solo
sapeva a
quali povere torture era stato sottoposto quel pupazzo.
June afferrò
l’iPod dalla scrivania, infilò le cuffie
nelle orecchie e alzò il volume al massimo. Si
sdraiò sul letto, a pancia in su
e chiuse gli occhi.
Che serata del cazzo.
Aveva sentito solo due
canzoni, quando le cuffie le
vennero strappate dalle orecchie non tanto delicatamente.
«Ahi!»
protestò. Poi sbarrò gli occhi, perché
Harry era
davanti a lei e sembrava decisamente furibondo.
«Mi hai fatto
male, cretino.» gli tolse l’iPod dalle mani,
rimise le cuffie e si voltò dall’altro lato.
Non aveva nessuna
intenzione di parlare con lui, al
momento. Se proprio voleva parlare con qualcuno, c’era
Carolina. Andasse da lei
e facesse pure il fidanzatino perfetto. Lei non voleva saperne niente.
Di nuovo, Harry le tolse le
cuffie e le lanciò sulla
scrivania.
«Vuoi proprio
farmi incazzare, stasera?» bofonchiò June,
infastidita. Harry si limitò a fissarla, con gli occhi verdi
scintillanti di
rabbia.
«E certo, ora fai
anche l’offeso. Dai, Harry, torna giù da
Carolina, che è meglio. Che poi proprio non capisco cosa
vuoi da me, sai? Ti
presenti qua con lei, mi guardi male e hai anche la faccia tosta di
fare
l’incazzato. Bello, sei sicuro di non avere qualche problema?
Mentale, magari.»
«Hai
finito?» domandò Harry, sedendosi sul bordo del
letto. June si ritrasse, per evitare qualsiasi contatto.
«Non fare queste
scene, per favore. Mi fai sembrare un
maniaco.» brontolò, alzando gli occhi al cielo.
«Coda di
paglia?»
«Mi hai stufato,
June.» con uno scatto, Harry le fu
addosso. Le intrappolò i polsi sopra la testa, e
bloccò le gambe con le sue.
Siccome la situazione non
le era nuova, June non si
scompose, né si agitò come era successo la volta
prima. Si limitò a guardare
Harry, che sorrise.
«Ora possiamo
parlare?»
«Lo sai, vero,
che non puoi saltarmi addosso ogni volta
che non voglio ascoltarti?»
«Mi diverto con
poco, che vuoi che ti dica? E poi saltarti
addosso non mi dispiace.»
Sei arrabbiata con lui,
ricordatelo, si ripeté June
mentalmente. Eppure, per quanto avrebbe voluto prendere Harry a
schiaffi, e
urlargli di andare al diavolo, non riuscì a non sorridere
debolmente.
«Comincio a
pensare che tu abbia qualche problema con la coerenza,
Harry. Sbaglio o poco fa hai detto che non c’era niente di
cui parlare?» gli
ricordò, un po’ mestamente.
Harry alzò gli
occhi al cielo e le liberò i polsi.
Tuttavia, non accennò ad alzarsi.
«Mi fai
così incazzare, June, che non ne hai idea.»
«Io? Oh, questa
è bella.»
«Ci sto provando,
okay?» Harry sbuffò, poi si lasciò
cadere di lato e si mise a pancia in su. Fissava il soffitto, ma con la
mente
era altrove.
June lo osservò
per un attimo, cercando di capire cosa gli
stesse passando per la testa. Non che fosse facile, perché
Harry aveva una
mentalità particolarmente contorta, oltre che una testa
bacata.
«Voglio che tu ti
fidi di me.»
«Harry, mi hai
portato quella vacca in casa.»
«Volevo farti
ingelosire. Ha funzionato?»
June sbuffò, e
si portò una ciocca di capelli dietro le
orecchie. Harry si voltò su un fianco.
«Allora? Ha
funzionato?»
«Non è
questo, il punto.»
«E qual
è? Perché io non ci arrivo.»
June tentennò
per qualche secondo. Qual’era il punto? Il
punto era che lei non si fidava di Harry.
Era solo quello?
Perché, volendo, non era un ostacolo così
difficile da sormontare. Non aveva la certezza che Harry
l’avrebbe tradita,
perciò perché continuava a impuntarsi?
«Vedi? Non lo sai
neanche tu! Se solo tu mi ascoltassi e
mi dessi una possibilità…»
cominciò Harry, ma June lo interruppe.
«Dimostramelo,
Harry! Dimostrami che sei una persona
seria! Che non stai giocando, che non sono un trofeo, che non mi vedi
solo come
una stronza che ti rifiuta. Dimostrami che non sono una questione di
principio,
ed io ti darò la tua benedetta possibilità. Ma
fino ad allora, non baciarmi,
non provocarmi e lasciami spazio. E, giusto perché tu
capisca, farmi ingelosire
non è la tecnica migliore.» concluse, ansante e
con le lacrime agli occhi.
Harry rimase in silenzio,
poi annuì.
«Ho capito. Ora
possiamo tornare giù?»
«Tu vai, io credo
che mi metterò il pigiama e me ne andrò
a letto.»
Harry scosse la testa e
sorrise.
«Andiamo, ti
darò la prima dimostrazione.» prese June per
mano e la costrinse ad alzarsi, dopodiché la
trascinò fino al piano inferiore,
dove la situazione non era propriamente delle migliori.
Carolina cercava di
attaccare bottone con Louis, che
sorrideva poco convinto, Alice la guardava male senza preoccuparsi di
nasconderlo e Niall le tirava continue gomitate tra le costole per
intimarle di
smetterla.
Liam e Zayn si erano
addormentati uno addosso all’altro,
prede della noia più totale.
June ridacchiò,
perché erano buffi e sembravano quasi dei
bambini. Anche Harry sorrise, poi le lasciò la mano e si
portò davanti a
Carolina, che mollò immediatamente Louis e gli
gettò le braccia al collo.
«Finalmente sei
tornato. Ora possiamo andare a casa? Non
vedo l’ora di stare da sola con te.»
Harry scosse la testa,
allontanò con gentilezza le mani di
Carolina.
«Mi dispiace,
Linnie. Non avrei dovuto chiederti di venire
qui, stasera.»
«Ma…»
«Scusa, ma volevo
solo far ingelosire June. E non è
servito. Mi dispiace.»
«Impossibile.»
mormorò Carolina, incredula.
«Cosa?»
«Ti piace
davvero!»
«Sì.»
«La preferisci a
me!»
«Già.»
«Sei un bastardo,
Harry Styles!» urlò, oltraggiata.
La sua voce stridula
svegliò Liam e Zayn, che aprirono gli
occhi confusi e si guardarono intorno, cercando di capire cosa stesse
succedendo.
Intanto, Carolina aveva
afferrato la sua borsa e si era
precipitata fuori di casa, minacciando una vendetta crudele e una morte
truculenta e dolorosa.
«Era
ora.» sospirò Alice. «Ancora un
po’ e mi sarei
suicidata.»
Harry si voltò
verso June a allargò le braccia.
«Può
bastare come inizio?»
Sera, fanciulle!
Ecco qui il nuovo capitolo, che ne pensate? Cavolo, ma vi rendete conto
che Pretending sta per finire? Io non ci credo.
Ed è per questo che forse (FORSE) ci sarà un
seguito, ma non ne sono sicura, lo sto cominciando a scrivere u.u
Eeeeeh, niente, ditemi un po' le vostre impressioni sul capitolo, dai!
Ci tengo :)
E basta, sparisco, stasera sono di poche parole <3
Vi adoro,
Fede.
|
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Capitolo 18 *** Chapter 17. ***
Chapter
17.
Confusa. Ecco come si
sentiva June, quel freddo 21
Novembre.
Erano passati esattamente
sei giorni, dall’ultima volta in
cui aveva visto Harry e cominciava a pensare che lui si fosse arreso.
Agli allenamenti di Louis,
due giorni prima, non si era neanche
presentato, quando lei avrebbe scommesso che avrebbe continuato a darle
il
tormento in eterno, fino a quando, esasperata, gli avrebbe concesso
quella
maledetta chance.
Naturalmente, aveva finto
di essere sollevata e quando
Zayn e Liam le avevano chiesto se sapeva qualcosa sul motivo per cui
Harry non
c’era, aveva fatto spallucce e aveva replicato che non era la
sua fidanzata e
che, pertanto, non era tenuta a sapere dove fosse.
Liam aveva storto il naso,
contrariato, ma non aveva detto
niente al riguardo. Ed era stato meglio così,
perché probabilmente June
l’avrebbe sbranato vivo. Tendeva a diventare parecchio
aggressiva, quando
veniva tirato in ballo l’argomento
“Harry”.
In ogni caso, il non averlo
più intorno non le era affatto
di consolazione. Pensava che saperlo lontano da lei l’avrebbe
fatta sentire
meglio e invece aveva ottenuto l’effetto contrario.
Perché non solo adesso si
tormentava all’idea che lui non l’avrebbe
più considerata, ma si sentiva anche
in colpa per averlo portato a quel punto.
Maledisse la sua
incoerenza. Alla fine, nemmeno lei sapeva
bene cosa voleva. Era meglio che Harry le stesse alla larga, oppure
poteva, per
una volta, permettere a qualcuno di avvicinarsi un po’ di
più?
Ancora non lo sapeva e
probabilmente sarebbe stato tutto
molto più semplice se per una volta avesse messo a tacere la
sua stupida
coscienza e si fosse lasciata andare.
Il problema, in
realtà, era che se si fosse lasciata
andare avrebbe permesso alle scintille che volavano tra lei ed Harry di
esplodere completamente. E non era pronta ad ammettere di provare
qualcosa di
più.
Proprio no.
Però non voleva
neanche che Harry rinunciasse ai suoi
amici solo per lei, non era giusto. Lei era l’ultima arrivata
e non aveva alcun
diritto di separarlo dagli altri.
Quel pomeriggio era passata
a salutare Niall.
Doveva andare a tagliare i
capelli e Niall abitava a poca
distanza dalla sua parrucchiera. Perciò ne aveva
approfittato per passare un
po’ di tempo con lui, visto che nell’ultimo periodo
non avevano potuto parlare
un granché. Avevano trascorso un’ora intera a
parlare e a mangiare caramelle
gommose, dopodiché June aveva detto ciò che le
stava passando per la testa da
un paio di giorni.
«Vado da
Harry.»
Niall, che stava bevendo
una Coca Cola con aria tranquilla,
quasi si strozzò. Cominciò a tossire, annaspando
in cerca di aria. June alzò
gli occhi al cielo e gli diede qualche pacca sulla schiena.
«Non ti sembra di
esagerare?»
«Scusa, ma non me
l’aspettavo!» protestò Niall, ancora un
po’ incredulo. Aveva davvero sentito bene o le parole di June
erano frutto
della sua immaginazione?
«Devo andare
prima dalla parrucchiera, tanto. Poi passo da
Harry.»
«E
perché?»
«Perché
voglio tornare del mio colore. Il rosso mi ha
stufato.»
«Parlavo di
Harry, June. Dei tuoi capelli non me ne frega,
detto molto sinceramente.» rise Niall. June sbuffò
e gli tirò una gomitata tra
le costole.
«Insensibile.»
«Ma che vuoi?
Cambi colore una volta ogni due mesi!»
«E
quindi?»
«E quindi non
puoi pretendere che ti stia dietro.»
concluse Niall, soddisfatto. Un altro sospiro rassegnato, poi June
sorrise,
lasciò un bacio sulla guancia del migliore amico e si
diresse verso l’ingresso.
Mentre si legava la sciarpa
intorno al collo e sollevava
il cappuccio a coprire la testa, si voltò a guardare Niall.
La stava ancora
osservando, curioso.
«Ma non avevi
detto che volevi essere lasciata in pace?»
le ricordò.
«Sì,
ma non ho mai detto che io avrei lasciato in pace
lui.»
Era una pessima idea, June
se ne rendeva conto. Come le
era saltata in mente una cosa del genere? Ero ovvio che non avrebbe mai
dovuto
presentarsi da Harry, nemmeno se si fosse trattato della sua stessa
vita.
Chissà cosa
avrebbe pensato. Magari si sarebbe convinto
che lei lo faceva perché era interessata a lui, cosa
assolutamente non vera.
Perciò, ferma
davanti alla porta di casa Styles, June
stava riflettendo sulla prossima mossa da fare.
Bussare o no? E se Harry
fosse stato impegnato? Fu
l’immagine di lui che si rotolava nelle lenzuola con quella
vacca di Carolina,
a spingerla a suonare il campanello.
Se l’avesse colto
in flagrante, avrebbe avuto la prova definitiva
che non poteva fidarsi di lui
e avrebbe potuto dare un taglio netto a qualunque cosa ci fosse tra di
loro.
Una volta per tutto.
Con il cuore in gola e
colma d’aspettativa, June attese che
Harry le aprisse la porta.
Ma non fu lui, a farlo.
«Fammi
indovinare: un’altra che cerca il mio
fratellino…»
mugugnò la ragazza.
June inarcò un
sopracciglio.
«Non
c’è bisogno di dirlo con quel tono.»
affermò, un po’
offesa per essere stata scambiata per una delle solite ragazzine senza
cervello
con cui Harry era solito “trascorrere i pomeriggi”.
«Gemma, chi
è?» la voce di Harry arrivò dalla
cucina, un
po’ lontana.
Gemma sorrise, si fece da
parte e fece cenno a June di
entrare. Lei la seguì, un po’ a disagio.
«È per
te, Harry. Non è che posso passare i giorni a
mandare via tutte le Caroline del mondo, però.»
celiò, infastidita.
«Carolina? Ma
avevi detto che… oh, al diavolo.» June
gettò
un’occhiata colma di risentimento ad Harry, che ancora la
osservava con gli
occhi sgranati per la sorpresa, poi voltò le spalle a tutti
e si diresse verso
l’ingresso.
«Vedi?
L’hai fatta incazzare! Ora ci metterò tre ore per
convincerla che non è successo niente! June, aspetta!
» urlò Harry.
«Lei è
June? Ma avevi detto che aveva i capelli rossi! Che
ne sapevo, io?» urlò anche Gemma, a mo’
di scuse. Harry la mandò poco
elegantemente a quel paese e corse dietro a June, che ormai si stava
incamminando lungo il vialetto, con l’aria furibonda e
un’espressione per
niente rassicurante.
«June!
Aspetta!»
«’Fanculo,
Harry. Dio, che stupida!» imprecò, arrabbiata e
un po’ delusa. Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa del genere,
da parte sua.
Si era illusa che la sua
promessa di farle cambiare idea
fosse sincera. Credeva che l’avrebbe fatto davvero.
Harry la afferrò
per il polso e le impedì di fare un altro
passo.
«Non è
successo niente.»
June sbuffò.
«Certo, come
no.»
«Sai, non credo
che tu capisca quanto mia stia trattenendo
dal gongolare.»
«E
perché dovresti gongolare, scusa?»
«Perché
questa, piccola, è gelosia.»
«Non dire
cazzate, per cortesia.»
Harry si costrinse a non
replicare, per evitare di
scatenare l’ennesimo litigio in cui June non ammetteva che
non gli era
indifferente e in cui lui si ritrovava con le spalle al muro,
perché pur di
stare con lei ancora un po’ le avrebbe promesso anche che
avrebbe camminato in
ginocchio sui ceci.
«Entriamo?»
«No, vado a
casa.»
«Piantala di fare
la scema. Ti ho detto che non è successo
niente. Carolina è venuta qui, per parlare, e ho detto a
Gemma di non farla
entrare perché non volevo vederla.»
spiegò Harry, candidamente.
June lo osservò
per qualche secondo, in cerca della prova
certa che stesse mentendo. Ma lo sguardo di Harry era serio e il suo
sorriso
gentile, perciò fece spallucce e lo seguì
nuovamente dentro casa.
Gemma era in cucina e si
mordicchiava le unghie con aria
colpevole.
«Mi dispiace
tanto, non sapevo che fossi tu la tanto
famosa June.» si scusò, sinceramente dispiaciuta.
June inclinò il
capo, confusa. Harry guardò la sorella
maggiore in cagnesco e alzò gli occhi al cielo.
«Non dare retta a
Gemma. La metà delle volte non sa
neanche quello che dice.» ridacchiò. Gemma
sbuffò e scosse la testa.
«E
l’altra metà, invece?»
«L’altra
metà, dico cose che lo mettono in imbarazzo.»
«Davvero?»
lo sguardo di June si accese di curiosità.
«Raccontami tutto, ti prego!»
Harry sbiancò
leggermente, poi afferrò Gemma per il
braccio e la trascinò fuori.
June ridacchiò,
divertita.
Gemma Styles, a differenza
del fratello, le aveva fatto da
subito un’ottima impressione: non aveva peli sulla lingua ed
era sfacciatamente
sincera.
A June piacevano le persone
così, perché erano quelle che
avrebbero detto la verità in qualunque situazione, positiva
o negativa che
fosse.
Mentre Harry stava
sicuramente cercando di convincere la
sorella a tenere la bocca chiusa, June si sistemò meglio.
Appese il giubbotto
alla spalliera della sedia e si tolse la sciarpa. Legò i
capelli nella sua
solita coda alta e disordinata e gettò un’occhiata
al cellulare.
Louis le aveva mandato un
messaggio, in cui le diceva di
chiamarlo non appena avesse finito di parlare con Harry.
Digitò frettolosamente
una risposta, dopodiché gettò di nuovo il
telefono nella borsa e aspettò.
Harry e Gemma rientrarono
qualche secondo dopo: Harry
appariva decisamente soddisfatto, mentre si accomodava al fianco di
June.
Gemma, invece, aveva l’aria di chi era appena stata sgridata
e June aveva idea
che si sarebbe vendicata molto presto.
«Ti chiedo scusa,
ma Harry proprio non è in grado di usare
il cervello. Ti assicuro che nostra madre ci ha educato meglio di
così.» celiò.
June scoppiò a
ridere, divertita e tirò una pacca
consolatoria sulla spalla di Harry, che bofonchiò qualcosa
di incomprensibile.
«Allora, June,
come hai fatto a conquistare il mio
fratellino?»
June arrossì
vistosamente e prese a fissare con aria
interessata le unghie recentemente smaltate di blu.
«Conquistare?»
ripeté, imbarazzata. Harry alzò gli occhi
al cielo e Gemma sorrise.
«Gemma sa tutto.»
E, dal tono in cui Harry lo
disse, June capì di essersi
scavata la fossa da sola. Non sarebbe mai dovuta andare a casa di
Harry.
Perché se Gemma
era intelligente almeno la metà di quanto
sembrava, avrebbe senz’altro capito che il suo interesse per
Harry non era poi
così inesistente.
C’era da sperare
che le reggesse il gioco e che non desse
nessuna opinione in merito, perché in quel caso June sarebbe
scappata a gambe
levate per poi emigrare in Messico, dove nessun membro della famiglia
Styles
avrebbe potuto trovarla.
«Oh.»
ecco, complimenti. Quella si che era un’uscita
intelligente.
«Tranquilla,
piccola. È completamente dalla tua parte.» la
informò Harry, un po’ seccato. Gemma
annuì, completamente d’accordo.
«Già.
So cosa vuol dire avere a che fare con maschi
stupidi. Anche se Harry fa solo finta di esserlo, in realtà
è un pasticcino
coccoloso. Vero, tesorino bello?» cinguettò,
mielosa.
June non credeva che
avrebbe vissuto tanto a lungo da
poter vedere Harry Styles – lo stesso ragazzo che si faceva
vanto di poter
conquistare qualunque ragazza volesse, June compresa –
arrossire come un
bambino.
Eppure, di fronte alle
smancerie volutamente esagerate
della sorella, le sue guance si chiazzarono adorabilmente di rosso.
«Sapete una cosa?
Voi due siete proprio carini.» proseguì
Gemma, imperterrita. Chissà, forse ci provava gusto a
mettere la gente in
imbarazzo, ma lo faceva in un modo così spontaneo che June
non ebbe nemmeno il
coraggio di mandarla al diavolo.
«Dovresti
presentare June alla mamma, Harry. Sono sicura
che l’adorerebbe. Anzi, sai che facciamo? Organizziamo una
bella cena. Domani.
Che ne dici, tesorino bello?» propose, tranquilla.
Harry fece per rispondere,
ma Gemma non gliene diede il
tempo.
«Perfetto. Vado a
chiamare mamma, poi avverto anche
Anthony. Domani sera alle otto. Ciao, June, è stato bello
conoscerti.»
dopodiché, Gemma si defilò.
Harry e June, rimasti soli,
si guardarono con un po’ di
imbarazzo, fino a che June si rese conto che era davvero giunta
l’ora di
andare.
«Sarà
meglio che vada.»
«Ti accompagno
alla porta.» mormorò Harry. Non si dissero
più nemmeno una parola, entrambi ancora troppo frastornati.
Una volta sola, June si
passò le mani tra i capelli. Ed
ora, cosa avrebbe fatto?
***
Ta-da-daaaaaan!
Entra in scena Gemma, che io amo. Vedrete u.u Oddio, non so
nemmeno cosa dire, perché Pretending sta sul serio per
finire ed io sto entrando nella fase del lutto. Poi, ho deciso che
quando sarà finita questa mi concentrerò su One
Step Forward e per l'estate mi prendo una pausa per continuare tutte le
altre.
E niente... spero
che vi sia piaciuto questo capitolo e fatemi sapere che ne pensate, se
vi và!
Un bacione
<3
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Capitolo 19 *** Chapter 18. ***
Chapter
18.
«Nervosa,
scricciolo?»
Louis si sedette sul letto
di June, mentre lei si fissava
alla specchio con aria estremamente critica. Si era già
cambiata quattro volte,
senza mai essere del tutto soddisfatta. Il maglione lilla la faceva
sembrare
troppo grassa e troppo piccola, quello azzurro le dava un'aria
innocente e, in
più, aveva un colletto terribilmente stretto. Per non
parlare poi del vestito
grigio, che la faceva sembrare sciatta come non mai.
Ma cos'aveva in mente,
quando aveva comprato tutti quei
vestiti? E dire che era convinta che le stessero bene.
Alla fine, scelse un paio
di jeans chiari e un dolcevita
verde scuro. Non era niente di eccezionale e probabilmente sembrava una
ragazzina stupida, ma era il massimo che riuscisse a trovare. Al
momento, era
troppo nervosa per pensare a qualcosa di più adeguato
all'occasione.
Che poi, quale occasione?
Non era mica un tè con la
regina. Semplicemente, si trattava di una cena a casa di un... Come
poteva
definire Harry? Amico, conoscente, essere umano?
In ogni caso, qualunque
cosa fossero lei ed Harry, non
c'era motivo di essere tanto agitati.
«Nervosa? E
perché dovrei esserlo? É solo una cena.»
Louis inarcò un
sopracciglio, con aria eloquente. Solo a
lui sembrava che stessero ufficializzando la storia? Insomma, ancora
non
stavano insieme, ma era solo perché June si era impuntata e
si ostinava a negare
una possibilità ad Harry.
Louis, ovviamente, si era
premurato - di nuovo, per la
millesima volta - che Harry tenesse le mani a posto e che non facesse
niente
per farla soffrire.
«Certo,
certo.» concesse, divertito. June si voltò di
scatto: era agitata e non riusciva a calmarsi.
«Perché
lo sto facendo?» domandò, torturandosi
nervosamente l'orlo del maglione.
«Perché
Gemma ti ha invitato e sarebbe stato scortese, da
parte tua, rifiutare.»
June annuì
trovandola una spiegazione soddisfacente e
piuttosto logica.
«Giusto. Ti
dispiacerebbe accompagnarmi?»
«Non ti viene a
prendere Harry? Che pessimo fidanzato.»
sibilò Louis, divertito.
June gli rivolse
un’occhiata in tralice.
«Non fare lo
stronzo, Lou. Tra me ed Harry non c’è
niente.»
«Certo.»
«’Fanculo.
Mi accompagni, o vado a piedi?»
Per tutto il viaggio in
macchina, June rimase in silenzio,
troppo nervosa e troppo agitata per poter scherzare con Louis come suo
solito.
In che cosa si stava
cacciando? Perché mai aveva
accettato? Dopotutto, non era la fidanzata di Harry e non era tenuta a
partecipare a quella cena che sapeva tanto di fidanzamento ufficiale.
Harry
mica le avrebbe chiesto di sposarla, che bisogno c’era di
rendere tutto così
formale? O era lei, che aveva quell’impressione?
Forse avrebbe dovuto
rifiutare.
In ogni caso ormai era
troppo tardi, perché Louis l’aveva
lasciata davanti al vialetto di casa Styles e si era allontanato,
raccomandandole di non dire troppe parolacce e di non picchiare Harry
davanti
alla sorella.
Si arrotolò una
ciocca di capelli intorno al dito,
nervosa, poi suonò alla porta. Ormai, cominciava a farci
l’abitudine. Negli
ultimi due giorni aveva passato più tempo a casa di Harry
che a casa sua.
«Non esagerare,
June.» stava anche cominciando a parlare
da sola, il che non era propriamente una cosa normale.
Per lo meno aveva finito la
frase prima che le aprissero
la porta, o avrebbe cominciato la serata con una pessima figura.
«Ciao, piccola.
Vieni, entra pure.»
June sorrise, in imbarazzo
e lasciò che Harry l’aiutasse a
sfilare il cappotto.
«Grazie. Come mai
tutta questa cavalleria?» domandò,
tranquilla.
Harry ridacchiò
e fece un cenno verso la cucina.
«Mamma ha detto
che devo smetterla di comportarmi come un ragazzaccio.»
«Un ragazzaccio,
eh?» ripeté June, divertita. Be’, in
effetti la signora Styles non aveva tutti i torti. Harry non si
comportava di
certo come un gentiluomo: prima la sbatteva sul divano, poi la sbatteva
sul
letto.
Insomma, sembrava che il
suo unico scopo fosse
intrappolarla e, si sa, un gentiluomo certe cose non le fa.
«Non ti ci
mettere anche tu, piccola.» borbottò,
spazientito. Era da quella mattina che Gemma e sua madre continuavano a
ripetergli di comportarsi bene, perché gli ospiti si
trattano in un certo modo,
soprattutto se sono ragazze per bene come June.
Harry aveva provato in
tutti i modi a fargli presente che
June aveva già conosciuto il suo lato fastidioso e che di
certo non avrebbe
creduto a tutta quella farsa.
Ed ora ne stava avendo la
dimostrazione, perché June
appariva decisamente incredula e del tutto divertita.
«Scusa, bad boy.»
«Simpatica,
davvero.»
«Sì,
lo so. Me lo dicono sempre.»
June sorrise sorniona, poi
tirò una pacca sullo stomaco di
Harry, che le afferrò le braccia e la trascinò
contro di sé.
La strinse tra le braccia,
per un attimo, poi sospirò e la
lasciò andare, improvvisamente più rigido.
Confusa, June si
guardò intorno. Cosa stava succedendo?
Perché Harry l’aveva lasciata andare
così di colpo? Per una volta che non
sembrava avere doppi fini.
«Hai detto che
non devo toccarti.» le ricordò, un po’
mesto. June scosse la testa.
Giusto, l’aveva
detto. Però poteva anche fare
un’eccezione, no? Solo per quella volta e solo
perché Harry sembrava davvero
mortificato.
«Solo per questa
volta.» mormorò, prima di avvolgere le
braccia intorno ai fianchi di Harry e posare la testa sul suo petto.
Non poteva farci niente.
Per quanto la rendesse nervosa,
per quanto la facesse incavolare e per quanto fosse del tutto
inaffidabile,
quando era con lui si sentiva al sicuro.
«Segnerò
questa data sul calendario.»
«Spiritoso.»
«Andiamo di
là, mamma non vede l’ora di conoscerti.»
Anne era una bella donna e,
guardandola, June riuscì a
capire da chi Harry avesse ereditato tutto il suo fascino. Stesse
fossette,
stesso sorriso mozzafiato, stessi capelli mossi.
Era affaccendata intorno ai
fornelli e gettava ordini a
destra e a manca, mentre Gemma si dava da fare per tenere il passo.
Harry si schiarì
la voce, poi accennò a June con un cenno
del capo.
«Mà,
lei è June.»
Anne la squadrò
per un attimo da capo a piedi, poi annuì
con approvazione. June arrossì e si accostò un
po’ di più ad Harry.
Lui, che di certo non se lo
aspettava, sorrise soddisfatto
e le circondò le spalle con un braccio.
«E dai,
mà, la stai mettendo in imbarazzo.» si intromise
Gemma. Diede una leggera spinta alla madre, poi si avvicinò
a June e la
abbracciò.
Harry dovette scostarsi, un
po’ infastidito, poi alzò gli
occhi al cielo: Gemma sembrava adorare June. Non ne era affatto
stupito,
comunque, perché sembravano avere parecchio in comune,
dall’acidità portentosa
alla tendenza al sarcasmo smisurato.
«Perché
non vai di là con Anthony, tesorino bello? Noi
fanciulle facciamo quattro chiacchiere.»
«Lo sai che il
tuo fidanzato mi sta sul cazzo.» berciò
Harry, infastidito.
Lui a quel cretino non lo
sopportava proprio. Era sempre
appiccicato a Gemma, come un maledetto secondino. Gemma rideva? E lui
era
subito lì a chiedere cosa ci fosse di tanto divertente.
Harry era del parere che
avrebbe potuto farsi un po’ di
cazzi suoi e più di una volta gliel’aveva fatto
presente, ma non c’era stato
verso.
Quello era un coglione. E
di certo sua sorella si meritava
di meglio.
«Harry, per
piacere, non cominciare.»
June aggrottò le
sopracciglia, confusa. Non aveva mai
visto Harry così apertamente ostile nei confronti di
qualcuno e la cosa la
lasciava decisamente di stucco.
«Dai,
mà, lo sai anche tu che è un coglione.»
Anne non rispose e si
voltò verso il forno per controllare
la cottura dell’arrosto. June non ne era del tutto certa, ma
era sicura che
avesse annuito e che fosse d’accordo con il figlio.
Gemma incrociò
le braccia al petto e sbuffò.
«D’accordo,
lasciamo perdere. Tanto dovrai vederlo, prima
o poi: è in camera tua a giocare con la playstation. Su,
tesoro, vai e lasciaci
da sole. June è tutta nostra.»
Harry inarcò un
sopracciglio, borbottò qualcosa che a June
sembrò tanto un “stronzo di merda, lo
prenderò a pugni” e uscì dalla cucina,
rivolgendole a malapena uno sguardo.
«Gemma, cara,
perché gli hai detto che Anthony è in camera
sua? Lo sai che lo fai arrabbiare.»
«Appunto per
quello, mamma. Altrimenti che gusto ci
sarebbe, scusa?»
June scoppiò a
ridere, divertita.
Anne si voltò a
guardarla e le fece un occhiolino.
«Ci farai
l’abitudine, June. Questi due bisticciano in
continuazione.»
«Be’,
è divertente. E poi Harry quando è arrabbiato
comincia a borbottare e fa una faccia strana.» disse,
cominciando a sentirsi a
suo agio. Non credeva sarebbe stato possibile, eppure Anne e Gemma
sembravano
fare di tutto per farla sentire una di loro.
«Posso dare una
mano?» chiese, titubante.
Anne scosse la testa,
risoluta e disse che gli ospiti
erano ospiti e andavano trattati come tali, Gemma invece, fu
più spiccia, e le
chiese aiuto per apparecchiare la tavola.
Quando andarono in sala,
June si stupì di trovare Harry
svaccato sul divano, in compagnia di un ragazzo che doveva avere
all’incirca la
stessa età di Gemma. Tenevano le distanze ed Harry si
voltava a fulminarlo ogni
due secondi.
Il famigerato Anthony aveva
un viso anonimo, di quelli che
ci vuole sempre un po’ di tempo per ricordare, occhi azzurri
e capelli biondo
scuro. Sembrava abbastanza alto e aveva un po’ di pancetta.
Paragonandolo ad Harry,
June non poté fare a meno di
trovarlo un po’ insignificante. Non aveva nemmeno la
metà della metà del
fascino di Harry e probabilmente ne era consapevole. In effetti, lui e
Gemma
erano piuttosto male assortiti.
«Amore, Harry ha
chiuso a chiave la stanza. Dice che non
posso usare la play.»
Gemma sospirò e
guardò June in cerca di sostegno. Lei fece
spallucce e cominciò a disporre i piatti lungo la tavola.
Non poteva mica dire
che secondo lei Harry aveva fatto più che bene.
«Dì un
po’, la chiami anche quando hai finito in bagno?
“Gemma, Gemma, puoi venire a pulirmi il
culo?”» lo scimmiottò Harry,
infastidito.
June dovette soffocare le
risate con una mano davanti alla
bocca, ma era certa che Gemma se ne fosse accorta. Le rivolse
un’occhiata di
scuse e si costrinse a fissare il tavolo e a raddrizzare una forchetta
che
improvvisamente sembrava storta.
L’unica che non
si trattenne affatto dal ridere, invece,
fu Anne, che entrò in salotto reggendo tra le mani il
vassoio con l’arrosto
appena sfornato.
«Harry, tesoro,
cerca di trattenerti.» disse, con le
lacrime agli occhi.
June ebbe come
l’impressione che avesse riso fino a quel
momento.
«Forza, a
tavola.»
Harry si alzò
dal divano, non prima di avere rivolto ad
Anthony un altro sguardo di fuoco e prese June per mano, trascinandola
dal lato
opposto del tavolo.
«Tu vicino a me,
piccola.» le sussurrò all’orecchio.
June annuì e
lasciò che le scostasse la sedia.
«Grazie.»
Anne batté le
mani.
«Buon appetito a
tutti.» augurò, cominciando a distribuire
abbondanti porzioni di arrosto.
Mangiarono in silenzio per
qualche istante, dopodiché June
si accorse che qualcosa non andava. Harry continuava a fissare Anthony
in
cagnesco. L’altro ricambiava apertamente, ma appena Gemma si
voltava a
guardarlo, la sua espressione cambiava e tornava serena e mite.
June inclinò la
testa, confusa. C’era qualcosa, in
Anthony, che non la convinceva. Sembrava viscido e un po’
approfittatore e
cominciava a capire perché Harry non lo sopportasse.
Anne seguì il
gioco di sguardi in completo silenzio.
Nemmeno a lei piaceva Anthony, ma aveva giurato che non si sarebbe mai
intromessa nella vita sentimentale dei figli, a meno che non fosse
strettamente
il caso.
E non lo era,
perché a difendere Gemma, ci pensava già
Harry. La sua gelosia di fratello minore, era così forte che
Anne era sicura
che non ci avrebbe pensato due volte, prima di prendere quel tonto a
calci nel
sedere.
Per quanto riguardava June,
invece, Anne ne aveva avuta
una buona impressione. Sembrava una ragazza a modo, con la testa sulle
spalle e
sembrava anche che tenesse a suo figlio, seppure facesse di tutto per
non darlo
a vedere.
La sera prima, Gemma le
aveva raccontato che tra i due
c’era già stato qualcosa e che Harry stava
impegnandosi davvero per dimostrare
di essere un ragazzo serio.
Lei si era trovata
completamente d’accordo: aveva lasciato
che Harry frequentasse tutte le ragazze che voleva, quando voleva,
nella
speranza che prima o poi si accorgesse che il sesso non era la cosa
più
importante.
Finalmente, sembrava
essersene reso conto ed ora faceva
quel che poteva per essere affidabile.
Non ci voleva mica un
genio, per capire che June gli
piaceva da impazzire.
«Gemma, tuo
fratello continua a guardarmi male.»
«Se non la smetti
di guardare June ti prendo a pugni,
stronzo.»
«Cosa? Io
guardare June? E perché mai? Gemma è mille volte
più bella.»
June arrossì, in
imbarazzo. Lo sapeva anche lei, che Gemma
era più bella, ma sentirselo dire così ad alta
voce, davanti a tutti, era
piuttosto umiliante.
Interruppe le difese di
Harry con un gesto secco della mano.
«Non fa niente,
davvero. Lascia stare.» gli posò una mano
sulla gamba, rassicurante. Harry sospirò e coprì
la mano con la sua.
«Per me sei
bellissima.» le sorrise, sincero e June
ricambiò. Doveva ancora abituarsi a questo lato di Harry,
quello più dolce e
più spontaneo. Forse di lui aveva voluto vedere solo il
peggio, quando in
realtà c’era molto di più da scoprire.
«Trovo molto
maleducato da parte tua, Anthony, venire in
casa mia e offendere i miei ospiti.» affermò Anne,
con tutta la calma del
mondo.
Anthony fece spallucce.
Gemma, invece, tenne lo sguardo
basso, come se fosse stata lei ad insultare June e non il cretino che
si
portava dietro.
«Be’,
ma non è colpa mia se suo figlio ha dei pessimi
gusti, Anne.»
Quella fu la goccia che
fece traboccare il vaso. Harry
balzò in piedi, rovesciando la sedia all’indietro,
fece il giro del tavolo e
agguantò Anthony per il colletto della camicia. Lo spinse a
terra e in un
attimo gli fu addosso.
Dopo un sacco di
tempo, ecco il capitolo. Chiedo scusa, ma la mia voglia di aggiornare
era praticamente sotto terra. Mi costa una gran fatica fare tutto,
ultimamente, ma non importa, né vi interessa.
Detto questo,
spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima :)
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Capitolo 20 *** Chapter 19. ***
Chapter
19.
Separare Harry da Anthony
si era rivelata una vera
impresa. Non erano bastate le urla terrorizzate di Gemma, né
le suppliche di
June.
Harry sembrava
completamente fuori controllo ed anche
Anthony, che fino a qualche minuto prima aveva portato avanti la
messinscena
del povero fidanzato trattato male, non stava risparmiando neanche un
colpo.
June si sentiva
così in colpa che era certa che sarebbe
scoppiata a
piangere da un momento
all’altro.
Harry stava prendendo a
pugni il fidanzato di sua sorella
per difendere lei, che lo aveva trattato come se fosse un idiota, che
si
ostinava a negare qualsiasi interesse, che faceva la stronza
praticamente ogni
volta che apriva bocca.
Perché Harry la
stava difendendo così? Chi glielo faceva
fare? Lei non se lo meritava.
Poi, finalmente, Anne prese
in mano la situazione.
Afferrò il
figlio per la manica della maglietta e lo
strattonò bruscamente. Harry le rivolse
un’occhiata risentita, ma non osò
muoversi. Dopotutto, non avrebbe mai potuto colpire sua madre.
«Basta
così, state dando spettacolo. Vergognatevi.»
Gemma si
avvicinò al fidanzato, che si copriva il naso con
una mano e sembrava piuttosto malridotto. Il sangue gocciolava per
terra,
copioso.
«Bastardo, mi hai
rotto il naso!» urlò, risentito.
Harry rise, sprezzante.
Aveva un labbro spaccato e un
rivolo di sangue gli colava sul mento, ma sembrava tranquillo come non
mai.
June non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era normale che lo
trovasse
bellissimo? Certo, a parte il sangue. Ma gli occhi di Harry brillavano
di
feroce determinazione e sembrava così forte che June avrebbe
voluto tuffarsi
tra le sue braccia e piangere, anche se di certo non era lei, quella a
dover
essere consolata.
Gemma sembrava il ritratto
della mortificazione e
continuava a lanciare sguardi preoccupati alla madre, poi ad Harry e
Anthony e
anche a June.
Anthony, che stava
bloccando il flusso di sangue con la
manica della maglietta, mugugnò qualcosa di incomprensibile.
«Bisogna portarti
in ospedale. Non vorrei che morissi qua
sul tappeto.» borbottò Anne, spazientita.
Per come la vedeva lei,
quella era l’ultima volta che
Anthony metteva piede in casa sua. Non poteva costringere Gemma a
lasciarlo, ma
confidava nel fatto che sua figlia fosse abbastanza intelligente da
capire che
quel ragazzo era semplicemente un idiota. Per l’amor del
cielo, aveva spaccato
il labbro del suo bambino! Ed Harry non andava assolutamente toccato,
fine
della storia.
«Gemma, tesoro,
vai a prendere le chiavi della macchina e
mettiti il cappotto. Accompagniamo Anthony in pronto soccorso. E prendi
anche
un asciugamano, non vorrei mi imbrattasse la macchina di
sangue.»
«Ed
Harry?» sussurrò Gemma, senza riuscire a guardare
il
fratello in faccia. Si sentiva così in colpa.
«Confido nel
fatto che June se ne prenderà cura.» sorrise
Anne, tranquilla. Diede una leggera spinta sulla spalla di Anthony e lo
guidò
verso l’ingresso.
Poco dopo, Gemma
tornò con i cappotti e l’asciugamano.
Prima di uscire, però, si fermò davanti a June.
«Mi dispiace
tanto, credimi.»
June sorrise e scosse la
testa.
«Non ti
preoccupare, non è colpa tua.»
Quando sentì lo
scatto della serratura, June si concesse
un sospiro. Le tremavano anche le gambe e probabilmente avrebbe ceduto
da un
momento all’altro.
Harry, intanto rimase
stoicamente in silenzio, senza
preoccuparsi del sangue che gocciolava sulla maglietta bianca,
né dello zigomo
che cominciava ad assumere un colorito violaceo.
«Bisogna mettere
del ghiaccio su quello zigomo.» mormorò
June, un po’ preoccupata.
Harry annuì, poi
le fece strada per la cucina e andò verso
il freezer. Frugò per qualche secondo, trovò un
sacchetto di ghiaccio
istantaneo e se lo premette sulla parte livida.
June, intanto, prese uno
strofinaccio pulito e lo passò
sotto l’acqua corrente.
In completo silenzio e
sull’orlo del pianto, cominciò a
tamponare delicatamente il labbro di Harry, cancellando la striscia di
sangue.
Harry si limitò
a guardarla in silenzio, senza emettere un
solo verso.
June si morse un labbro,
per impedire al singhiozzo che
aveva bloccato in gola di venire fuori. Non voleva proprio comportarsi
come una
bambina.
Quando lo strofinaccio fu
troppo sporco, si voltò di nuovo
verso il lavandino e lo sciacquò con dell’acqua
fredda. Le tremavano le mani e
non sapeva più cosa fare per darsi una calmata.
Fece qualche respiro
profondo, poi si riavvicinò ad Harry,
che le bloccò il polso con delicatezza e la costrinse a
lasciare il panno sul
tavolo.
«June.»
June scosse la testa: non
voleva sentire niente, o sarebbe
davvero scoppiata a piangere.
«June, non
è stata colpa tua.» sostenne Harry, con
fermezza. June scosse di nuovo la testa e tirò su col naso.
Non riusciva
neanche a guardarlo in faccia.
«Ehi…
piccola, dico sul serio. Era da un sacco di tempo
che volevo picchiarlo.»
«Mi dispiace
così tanto, Harry. È tutta colpa mia!»
June
scoppiò in lacrime, senza potersi trattenere oltre. Si
coprì il volto con le
mani e singhiozzò, ferita e spaventata. Aveva davvero temuto
che Harry si fosse
fatto troppo male, solo per difendere lei.
Aveva preso a pugni il
fidanzato della sorella, solo
perché aveva detto che non era abbastanza bella! Con che
coraggio poteva
negargli una possibilità? Come poteva continuare a fingere
di non accorgersi
delle premure che aveva nei suoi confronti?
Era stata così
cieca, e così ostinata, per tutto quel
tempo, che non aveva accettato nemmeno l’idea che Harry
potesse essere
interessato a lei per davvero.
Chi mai scatenerebbe una
rissa per difendere qualcuno di
cui non gli importa niente? Nessuno. Perciò Harry era stato
sincero, per tutto
quel tempo, e lei era stata una stupida. Si era comportata peggio di
Carolina e
non riusciva neanche a tollerare di essere stata tanto insensibile.
Lei, che si
faceva vanto di essere una persona intelligente.
«Non piangere,
piccola. È tutto okay.» provò a
consolarla
Harry.
La prese per mano e se la
trascinò in braccio. June gli
allacciò le braccia intorno alla vita e nascose la testa
nell’incavo tra la
spalla e il collo.
«Ti ha
picchiato.» piagnucolò June, spaventata solo al
ricordo del pugno di Anthony che colpiva Harry ripetutamente.
«Sbagliato. Io ho
picchiato lui.» le ricordò, divertito.
Intanto, prese ad accarezzarle la schiena, con dolcezza.
Non riusciva ancora a
credere che June fosse tra le sue
braccia.
Certo, stava piangendo e
probabilmente era mezzo traumatizzata,
ma non l’aveva respinto ed era evidentemente preoccupata per
lui.
Quello non era propriamente
il modo in cui Harry aveva
sperato di concludere la serata. Aveva pensato che dopo cena, se June
avesse
voluto, avrebbero potuto raggiungere gli altri al bar in cui lavorava
Alice e
trascorrere tutti insieme il resto della serata, come due semplici
amici.
Ci aveva riflettuto molto,
nei giorni precedenti: June non
era solo una scommessa. In realtà, se ne era reso conto
quando aveva immaginato
di trascorrere con lei una serata tranquilla, in cui il sesso non era
al primo
posto tra i suoi pensieri. Aveva quasi dell’incredibile,
eppure per quanto la
volesse e per quanto gli sarebbe piaciuto baciarla e averla solo per
sé, si era
accorto che solo la sua presenza era sufficiente per farlo stare bene.
Era una bella cosa, no? Se
si fosse trattato di un gioco,
non avrebbe provato nessun sentimento.
Sorrise, perché
finalmente aveva trovato una ragazza che
faceva per lui.
Restava solo da capire se
June avrebbe mai cambiato idea.
«Non dovevi
farlo! Non per me!» esclamò June, dopo qualche
secondo. Harry inclinò il capo, confuso.
«Ha detto che non
sei abbastanza bella.» replicò. Secondo
il suo modesto parere, quello era un motivo più che valido
per rompere il naso
di Anthony. Per non parlare poi del fatto che voleva picchiarlo
già da un sacco
di tempo.
«Non mi interessa
quello che pensa quel cretino, Harry.
Non sono bella, e allora? Sono intelligente, ho una famiglia, degli
amici che
mi vogliono bene, cosa me ne faccio della sua approvazione? Te lo dico
io, un
bel niente. Non ha offeso il mio onore, credimi. E tu non puoi metterti
a fare
la tartaruga ninja solo perché a qualcuno non
piaccio!» farfugliò, così
velocemente che Harry fece un po’ di fatica a capirla.
«E poi guarda
cosa ti ha fatto…» con la punta delle dita,
June sfiorò delicatamente lo zigomo di Harry e le sua
labbra.
«Non è
niente, June. Non mi fa neanche tanto male.»
«Bugiardo.»
«E per te
prenderei un sacco di botte, credimi. E comunque
tu sei bella, June. Sei bellissima.»
June sorrise, triste e
abbassò lo sguardo. Harry le
sollevò il mento con la mano e la costrinse a incrociare lo
sguardo.
«L’ho
capito, sai? Quello che volevi dirmi.» mormorò,
tranquillo.
«E avevi ragione
su tutta la linea. Non ero pronto per
stare con te, forse non lo sono neanche adesso, o non lo
sarò mai, ma ho capito
che non sei un trofeo, o una scommessa. Sei molto di più
e…»
June scosse la testa, gli
accarezzò di nuovo la guancia e
lo baciò.
Si sforzò di
essere il più delicata possibile, perché
dopotutto Harry aveva un labbro spaccato e non era di certo nelle
condizioni di
baciare, ma non aveva resistito.
Tutto ciò che
Harry le aveva detto, ogni singola parola,
le aveva aperto gli occhi.
Era stata
un’egoista e si era preoccupata solo di sé
stessa, senza rendersi conto che anche lui, forse, c’era
rimasto male per tutte
le volte che l’aveva rifiutato, per ogni volta che gli aveva
detto chiaro e
tondo che non gli piaceva e che non gli sarebbe mai piaciuto.
E lui aveva insistito,
senza demordere neanche un attimo.
Perché quello coraggioso, quello intelligente, tra loro due,
era Harry.
Lei si era limitata a
negare l’evidenza anche quando a
tutti risultava fin troppo chiaro che si era presa una bella cotta e
che
fingeva di detestare Harry solo per proteggersi.
Ma forse non
c’era bisogno di farlo. Forse ci avrebbe
pensato Harry a proteggerla.
Alla fine, quello stupido
gioco, l’aveva vinto lui. Era
cascata in pieno nella sua rete, ma perché non si sentiva in
trappola? Le
sembrava, piuttosto, di essere appena stata tratta in salvo.
Harry era un po’
come un fastidioso e supponente
supereroe. L’avrebbe fatta arrabbiare, l’avrebbe
fatta infuriare come non mai e
probabilmente avrebbero bisticciato ogni due secondi, ma
l’avrebbe salvata nel momento
del bisogno.
Lui avrebbe rotto il naso
al primo che avesse osato dire
che lei non era abbastanza.
Harry non le permise di
allontanarsi e approfondì il
bacio, incurante del bruciore al labbro e allo zigomo.
Finalmente, avrebbe avuto
anche lui la sua occasione.
Se avesse solo immaginato
che sarebbe bastato prendere a
pugni Anthony, l’avrebbe fatto molto prima.
***
Buonaseeera,
fanciulle!
Ecco qua il
capitolo 19. In realtà non c'è molto da dire,
anche perchè siamo quasi arrivate alla fine di questa storia
:(
Voi che dite? Vi
è piaciuto? Fatemi sapere e perdonatemi per il ritardo :)
Un abbraccio a
tutte,
vi adoro <3
|
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Capitolo 21 *** Chapter 21. ***
Chapter
20.
«Quindi state
insieme? Fammi capire…» Alice prese June
sottobraccio, rabbrividendo a causa della folata di vento gelido che
l’aveva
colpita in pieno volto. Dicembre, ormai, era quasi alle porte e
Doncaster
sembrava presa d’assedio dal mal tempo. June aveva quasi
perso il conto di tutte
le volte che aveva piovuto in quegli ultimi cinque giorni; non ne
poteva più di
stare chiusa in casa, come una sottospecie di reietta.
Perciò aveva
colto al volo l’occasione, quel pomeriggio in
cui il meteo aveva deciso di concedere loro la grazia, e aveva
accettato
l’invito di Alice ad uscire per una passeggiata.
Se ne era pentita
nell’esatto momento in cui aveva messo
piede fuori di casa. C’era così freddo, che
probabilmente le sarebbe venuta una
broncopolmonite.
In ogni caso, freddo o no,
Alice aveva bisogno di essere
aggiornata e non avrebbe di certo accettato una sua defezione.
«Non lo so.
Cioè, no.» fece spallucce, un po’ in
imbarazzo
e si finse interessata a quell’orribile giacca bianca, con
cui una sventurata
commessa cercava di vestire il manichino.
Alice si bloccò
di scatto, la guardò stralunata e, come di
consueto, sistemò la montatura degli occhiali.
«Aspetta un
attimo. Credo di non aver capito: lui ha
picchiato il fidanzato della sorella, tu hai fatto la crocerossina del
cavolo e
l’hai baciato. Ti sei convinta a dargli una
possibilità, superando quella marea
di cazzate che ti sei autoimposta, e non state insieme?»
riassunse,
gesticolando con le mani.
June annuì e
ridacchiò.
«Vedi che hai
capito?»
«Sei una
deficiente, June.» borbottò Alice, contrariata.
June alzò gli occhi al cielo: da quando erano entrate
più in confidenza, Alice
non si era lasciata sfuggire nemmeno un’occasione per
ricordarle quanto fosse
stupido il suo comportamento. Sembrava quasi aspettarsi che da un
momento
all’altro June si appendesse un cartello al collo, con la
scritta “sono una
cretina”.
Ma June non
l’avrebbe mai fatto. E non solo perché
l’idea
di far sapere a tutto il mondo quanto fosse insensato il suo
comportamento la
infastidiva parecchio. No, la ragione principale era che non aveva
affatto
voglia di ammettere che si era sbagliata su Harry e che
l’aveva giudicato male.
Certo, non che lui avesse
fatto chissà che sforzo per
apparire intelligente. Almeno all’inizio della loro
conoscenza. Dopo, con tutto
quello che era successo tra di loro, le cose erano decisamente
migliorate.
«Dico davvero.
Sei la persona più stupida del pianeta
terra.» incalzò Alice, completamente presa dal suo
argomento preferito: Harry e
June insieme.
June sospettava che lo
facesse solo per non pensare a
Niall, visto che ancora non aveva trovato le palle di dirgli che era
interessata a lui. Anzi, non solo interessata, completamente cotta.
«A proposito di
persone stupide… come và con Niall?»
June
interruppe Alice con un sorriso malefico. Osservò con
indicibile soddisfazione
le guance dell’amica diventare di un grazioso color porpora e
ridacchiò.
«Dovresti
dirglielo, sai?»
«Come tu hai
detto ad Harry che sei innamorata di lui?» la
rimbeccò Alice, sul piede di guerra.
June sbuffò:
finiva sempre così, quando cominciavano a
discutere. In un modo o nell’altro, Alice le ritorceva le
cose contro e
riportava il discorso al punto di partenza, che ovviamente era quello
che le
conveniva di più.
«Non sono
innamorata di Harry, tonta.»
«No?»
«No.»
«Certo,
farò finta di crederci.» sibilò Alice,
con un
sopracciglio inarcato. June sbuffò di nuovo e
alzò gli occhi al cielo.
«Ma è
vero!»
Silenzio da parte di Alice.
Ed ecco che cambiava tattica.
June non la sopportava quando faceva così: prima cercava di
farla parlare, poi,
quando si rendeva conto che non avrebbe aperto bocca, passava al gioco
del
silenzio. Alla fine, June cedeva sempre. Più per
esasperazione, che per la
reale voglia di confessare la verità.
«E va
bene.» borbottò. «Un po’ mi
piace, sei contenta,
adesso?»
Ancora silenzio. June
digrignò i denti, seccata.
«Okay! Mi piace
tanto. Soddisfatta?»
Alice annuì.
«C’è
da lavorarci, ma fai progressi. Brava, tesoro.»
«’Fanculo.»
Alice ridacchiò,
si sistemò – di nuovo – gli occhiali e
circondò le spalle di June con un braccio.
«Se ti dicessi
che ci sono Harry e Niall, dall’altro lato
della strada, che faresti?»
June inarcò un
sopracciglio, scettica.
«Certo. E sopra
la tua testa c’è un asino che vola. Pensi
davvero che io sia così scema da darti la soddisfazione di
cacciare un urlo
isterico solo perché
c’è…» Alice costrinse June a
voltare la faccia verso
sinistra. June tutta presa dal suo sproloquio contro i giochi stupidi
che fanno
solo i bambini di due anni, continuò a parlare, fino a che
non si accorse delle
due figure familiari che ricambiavano il suo sguardo con aria divertita.
«…Harry!
Maledizione, ora che mi ha vista non posso
nemmeno nascondermi. Potevi dirmelo subito, no?»
tirò una gomitata poco
delicata ad Alice, che sospirò con aria sconsolata.
«Guarda che io te
l’ho detto, June. Sei tu che non ci hai
creduto.»
«Pensavo fosse
uno scherzo! Come facevo a saperlo? Oddio,
stanno venendo qui! Che faccio? Come devo comportarmi?»
blaterò June, in preda
al panico.
Dalla tragica cena a casa
Styles, lei ed Harry non si
erano parlati nemmeno una volta. Né un messaggio,
né una telefonata, né
tantomeno un incontro faccia a faccia. June non sapeva cosa dire, come
comportarsi e, soprattutto, non sapeva cos’erano lei ed
Harry. Non ne aveva
idea e il pensiero di essersi costruita solo un castello per aria,
quasi non la
faceva dormire la notte.
E se Harry avesse cambiato
idea? Se si fosse reso conto,
giustamente, che farsi prendere a pugni solo per lei era stato
decisamente
troppo?
Gemette, a disagio, quando
Harry e Niall attraversarono la
strada, entrambi con un sorriso sereno. Anzi, più che
sereno, il sorriso di
Harry era decisamente sornione e June sapeva con certezza che era
rivolto a
lei.
«Ciao,
piccola.» la salutò. Non sembrava per niente a
disagio, al contrario suo. Anzi, si avvicinò per lasciarle
un bacio all’angolo
delle labbra, poi salutò Alice con un semplice bacio sulla
guancia.
«C-ciao.»
farfugliò June, con le guance rosse per
l’imbarazzo. Niall ridacchiò e si
scambiò un’occhiata divertita con Alice, che
alzò gli occhi al cielo come a dire “che posso
farci, io?”
Trascorsero qualche minuto
a guardarsi negli occhi, in
completo silenzio, dopodiché Niall si schiarì la
voce e prese Alice per mano.
«Verresti con me
a fare due passi? Ti devo parlare.»
Panico. Più che
evidente negli occhi di Alice, idem in
quelli di Niall. June sorrise, perché finalmente sembrava
che uno dei due,
almeno, avesse trovato il coraggio di dire la verità.
Alice boccheggiò
per qualche istante, con le guance che
diventavano di secondo in secondo più rosse e gli occhi
lucidi. June immaginò
che stesse a stento trattenendosi dall’urlare come un
invasata.
«Oh,
ehm… io… certo.» farfugliò
Alice, vagamente
terrorizzata. Niall salutò Harry e June con un cenno del
capo, poi si allontanò
lungo il marciapiede, trascinando con sé una Alice piuttosto
sconvolta e
sull’orlo della morte cerebrale.
Rimasta sola con Harry,
June dondolò sulle punte dei
piedi, in difficoltà.
Lo guardò di
sott’occhio e arrossì furiosamente, quando si
accorse che lui la fissava di rimando, senza nemmeno preoccuparsi di
nasconderlo.
Dopo un respiro profondo,
June si costrinse a parlare. Non
poteva stare lì come una stupida ancora per troppo tempo. E
poi, da quando
conosceva Harry, non era mai capitato che rimanesse senza parole. Anche
se, in
quel momento, anche lui sembrava piuttosto in difficoltà.
Certo, fino a quando
c’erano stati anche Niall ed Alice, era sembrato
perfettamente padrone della
situazione, ma temeva di dire la cosa sbagliata e di perdere, quindi,
qualsiasi
occasione fosse riuscito a guadagnarsi.
«Come vanno i
lividi?» domandò June, guardandogli lo
zigomo ancora un po’ tumefatto.
Harry si strinse nelle
spalle. «Passano. Te l’ho detto che
non era niente di grave.» le sorrise, divertito, poi le
scompigliò i capelli e
le circondò le spalle con un braccio.
Poi si fermò per
un attimo, come se avesse appena
realizzato di aver infranto la regola numero uno di June: non toccarmi.
Tolse il braccio e June
rabbrividì.
Lo osservò per
un attimo e capì che da quel momento in
poi, toccava a lei andare nella sua stessa direzione. Dopotutto, se
volevano
stare insieme, era giusto che si incontrassero a metà
strada.
Prese il braccio di Harry e
lo riposizionò intorno alle
sue spalle.
«Direi che la
prima regola è stata abolita.» mormorò,
con
le guance rosse. Harry sorrise e si rilassò un poco. Non
credeva sarebbe stato
così semplice, per lei, accettare una loro vicinanza
più stretta.
Ci aveva riflettuto per
giorni ed era giunto ad una sola
conclusione: l’avrebbe aspettata.
«Harry…»
«Sì?»
«Perché
non mi hai chiamata?» domandò June, senza riuscire
a trattenersi. Era un pensiero che l’aveva assillata per
giorni e l’unico modo
per chiarirsi le idee era chiedere al diretto interessato.
«Pensavo avessi
bisogno di spazio. Pensavo che avessi
cambiato idea.» spiegò Harry, con lo sguardo fisso
sul marciapiede. June scosse
la testa, poi si strinse un po’ di più al suo
fianco: il tempo continuava a
peggiorare e minacciava di piovere da un momento all’altro.
«Credo di aver
cambiato idea su di te, sai? Alla fine hai
vinto tu.» sembrava costarle una gran fatica ammettere di
aver sbagliato, ma
Harry non aveva più alcuna intenzione di infierire o di
cantare vittoria.
Quella volta, sarebbe
partito col piede giusto.
«Non ho vinto
niente, June. Ha smesso di essere una sfida
nel momento esatto in cui ti ho baciata. Sono solo stato troppo stupido
e
immaturo per dirtelo subito e ho continuato a comportarmi come se
conquistarti
fosse la cosa più importante. Pensavo che se ti avessi detto
di voler stare con
te senza mezzi termini, non mi avresti mai creduto.»
«Non
l’avrei fatto, infatti.»
«Appunto.
Perciò ho pensato che dimostrarti il mio
interesse fosse la cosa migliore per entrambi. Io avevo bisogno di
capire cosa
provo per te, e tu avevi bisogno di certezze. Lo ammetto, non sono
stato un
granché simpatico e se mi fossi comportato in un altro modo,
probabilmente
avremmo risolto tutto molto prima.»
«Sì,
probabilmente non ti saresti fatto prendere a pugni.»
borbottò June.
Harry alzò gli
occhi al cielo, poi le lasciò un bacio
sulla fronte.
June arrossì,
perché quel bacio era forse il più spontaneo
e il più intimo che si erano mai scambiati. Era un bacio,
dettato non dalla
rabbia, dal pianto, dal dispetto o dalla sfida. Era un semplice bacio,
casto,
tenero e così dolce che June temette di sentire il proprio
cuore uscire dal
petto.
«Ti ho
già detto che io ho preso lui a pugni, non il
contrario.» precisò Harry, prima di continuare il
suo discorso. «Mi sono
accorto di averti spaventata, con il mio modo di fare. Ti ho fatto
credere che
non fossi in grado di stare per davvero con qualcuno, che fossi una
persona di
merda, una specie di dongiovanni senza pudore. E probabilmente
è così. Sono
davvero una persona di merda, incapace di renderti felice. Ma non mi
è mai
successo di voler cambiare per una ragazza, di pensare a come sarebbe
vedere un
film insieme, o trascorrere una serata con la mia famiglia. Non ho mai
presentato nessuna ragazza, a mia madre! E come avrei potuto? Sono
state tutte
così insignificanti, rispetto a te. Scapperesti urlando, se
ti dicessi che sono
innamorato di te?» concluse.
June che aveva ascoltato
ogni singola parola e l’aveva
stampata in maniera indelebile nella sua mente, scosse la testa.
Come avrebbe anche solo
potuto pensare di scappare via
urlando? Harry era innamorato di lei. Di lei. Nonostante avesse un
caratteraccio, chiamasse i peluche con nomi assurdi, l’avesse
praticamente
costretto a starle alla larga fino a che non avesse capito cosa
desiderava.
L’aveva rifiutato così tante volte, per Dio!
L’aveva persino preso a schiaffi e
gli aveva rovesciato un bicchiere d’acqua addosso.
E cos’aveva
fatto, lui? Prima le aveva dichiarato guerra,
poi l’aveva invitata a cena e le aveva regalato Mr. Carota.
Aveva cacciato
quella mucca di Carolina e aveva dichiarato davanti a tutti, senza
nessun
problema, che era interessato a lei.
Scappare,
perciò, era all’ultimo posto nei suoi pensieri.
E all’improvviso
le sembrarono stupidaggini, tutte le
parole che gli aveva rivolto, tutta l’acidità che
gli aveva riversato addosso,
terrorizzata dall’idea di interessare – e di essere
interessata – ad una
persona completamente diversa da lei. Una persona che, in tutti i
sensi, era troppo.
Rimase in silenzio per
qualche secondo, alla ricerca della
cosa giusta da dire: non era mai stata brava, con le parole e,
probabilmente,
avrebbe finito col dire qualcosa di sbagliato.
Ma avrebbe detto la
verità, perché essere sincera era
senza ombra di dubbio la cosa migliore da fare.
Si passò una
mano tra i capelli, nervosa e un po’
tremante. Cosa dire? Fece un respiro profondo, poi guardò
Harry. Lui era in
attesa, apparentemente tranquillo, ma June si era accorta che quando
era
nervoso giocherellava con il ciondolo della sua collana e si passava le
mani
tra i capelli (come se avesse ancora bisogno di scompigliarli).
Perciò, in
fondo, tanto tranquillo non era.
Un ultimo respiro, poi
prese una decisione: circondò i
fianchi di Harry con le braccia e nascose il volto
nell’incavo tra il suo collo
e la sua spalla. Vi lasciò un bacio lieve, delicato, poi
raccolse tutto il
coraggio di cui era a disposizione e cominciò a parlare.
«Io ti detesto.
Tu incarni tutto ciò che mi spaventa, in
un ragazzo. Sei bello, sei intelligente – anche se ogni tanto
ti comporti come
se non lo fossi -, sei esperto e sai come far cadere una ragazza ai
tuoi piedi.
Continuo a pensare che tu sia troppo per me e sono terrorizzata. Quelli
come
te, spezzano il cuore, Harry. Ed io non voglio soffrire, non
più. Non ce la
faccio.» si separò da quell’abbraccio
solo per poter guardare Harry negli
occhi. Lui teneva lo sguardo basso, concentrato su ogni singola parola
che
usciva dalle labbra di June e sembrava un po’ triste.
June sorrise, poi gli
lasciò una breve carezza sulla
guancia.
«Paradossalmente,
nonostante tutto, quando sono con te ho
come l’impressione che non mi possa succedere niente. Mi
sento così al sicuro,
che tutte le paure diventano quasi insignificanti. Tu sei…
non lo so neanche io
cosa sei. Ma potremmo provarci, no? Forse siamo pronti entrambi.
Almeno, io
sono pronta, credo. Però, Harry, tu devi essere sicuro. Ti
prego, non farmi
innamorare di te, se è solo un gioco. Non credo che lo
sopporterei.» mormorò,
sincera. L’idea di lasciarsi andare completamente e rimanere
delusa, la terrorizzava
completamente. Come avrebbe fatto a superare anche
quell’abbandono?
«Non avere paura
di me, June.»
Un’altra cosa che
June aveva notato, era che Harry non la
chiamava mai “piccola”, quando faceva un discorso
serio. Perciò confidò nel
fatto che le stesse dicendo la verità e lascò che
la baciasse dolcemente: era
troppo tardi per cambiare idea.
Era innamorata di lui e
tanto bastava.
«Ora...»
sostenne Harry, prendendola per mano e
incamminandosi nuovamente. «Resta solo da dirlo a
Louis.»
***
Lascio il delirio per l'epilogo! Che pubblicherò questo fine
settimana :)
Fatemi sapere se sono l'unica mezza traumatizzata! AHAHAH
No, davvero, spero vi sia piaciuto!
<3
|
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Capitolo 22 *** Epilogue. ***
Epilogue.
«Hai una faccia
strana, June.» Louis rivolse alla futura
sorellastra un’occhiata indagatrice. June si strinse nelle
spalle e gli
sorrise.
A lei sembrava di avere la
stessa faccia di sempre.
Insomma, ci era nata con quella faccia, era impossibile che di punto in
bianco
ne avesse un’altra.
«È la
mia faccia, Lou.» replicò, quindi.
Louis rise, le
circondò le spalle con un braccio e le
stampò un bacio sulla tempia. June, ormai abituata a queste
sue manifestazioni
d’affetto, gli si strinse al fianco e sospirò.
«Vedi? Sei tutta
un sospiro e una coccola, oggi.»
sghignazzò Louis, sventolando la mano come se fosse una
principessa. June lo
guardò un po’ incredula, poi scoppiò a
ridere ed alzò gli occhi al cielo.
«Non è
assolutamente vero, smettila di prendermi in giro.»
protestò, gonfiando le guance con aria offesa.
Louis inarcò un
sopracciglio, scettico.
«E questa sarebbe
la tua faccia minacciosa? Ma per
favore.» le scompigliò i capelli – per
il momento ancora di un caldo castano
scuro – e sciolse la presa intorno alle sue spalle per
tenerle la porta aperta.
«Che
cavaliere.» ironizzò June, prima di cominciare il
consueto slalom tra i tavoli (quel sabato sera il locale era davvero
affollato)
e raggiungere Alice, che sedeva accanto a Niall con
un’espressione assolutamente
raggiante.
Inclinò il capo
verso destra, seguendo lo sguardo di
Louis, che improvvisamente si era puntato sul tavolo. Le mani di Niall
ed Alice
erano strette l’una all’altra, con una naturalezza
che June scoprì di invidiare
un po’.
Insomma, quante
probabilità c’erano, che anche Harry si
mostrasse così spontaneo?
Certo, dopo tutto quello
che si erano detti il pomeriggio
prima, era chiaro che la situazione fosse decisamente migliorata, ma
ancora
June non aveva idea di come comportarsi.
Non era una grande esperta
nelle relazioni e probabilmente
avrebbe commesso miliardi di sbagli e – ancor di
più – lei ed Harry avrebbero
trascorso almeno tre quarti del loro tempo insieme a bisticciare.
Non sarebbero mai stati
“due cuori e una capanna” come
Alice e Niall: tutta quella dolcezza non faceva per lei o, almeno, non
pensava
che Harry si sarebbe sbilanciato tanto.
Ci aveva riflettuto per
tutta la notte; si era rigirata
tra le coperte come un condannato al patibolo e non aveva chiuso occhio
nemmeno
per un minuto. Ad un certo punto, aveva pensato di distrarsi pensando a
qualcos’altro, ma la cosa non aveva funzionato poi
così tanto.
Aveva pensato a sua madre.
June era completamente
sicura che Elizabeth avrebbe
adorato Harry, e come poteva essere altrimenti? Quando voleva, Harry
era
decisamente il ragazzo perfetto, quello che ogni madre vorrebbe per la
propria
figlia.
Poco dopo, era subentrato
il panico. Elizabeth non c’era e
lei non avrebbe mai potuto raccontarle cosa provava per Harry,
né avrebbe
potuto chiederle aiuto per tutti i dubbi che l’assalivano.
Sua mamma non c’era
più e lei doveva cavarsela da sola, come aveva sempre fatto.
Se solo avesse
avuto idea che innamorarsi sarebbe stato così difficile, se
lo sarebbe
risparmiato.
Così si era
alzata in piedi, aveva afferrato Mr. Carota,
l’aveva stretto forte al petto e aveva pianto. Quando,
infine, aveva davvero
realizzato che solo Harry sarebbe stato in grado di calmarla, lo aveva
chiamato.
Lui aveva risposto dopo
qualche squillo, con la voce roca
e profonda di chi sta ancora dormendo, ma non appena l’aveva
sentita
singhiozzare, si era svegliato completamente e l’aveva
lasciata parlare.
«Vorrei poterle
raccontare di te.» aveva sussurrato infine
June, dopo lunghissimi minuti. Harry era rimasto in silenzio per
qualche
secondo, poi aveva sospirato.
«Credo che lo
sappia già, piccola.» le aveva detto,
estremamente serio.
June aveva spalancato gli
occhi, colpita e aveva annuito.
«Ti
amo.» aveva mormorato. Poi, quando si era resa conto
di ciò che le era sfuggito, aveva chiuso bruscamente la
telefonata e si era
rimessa a letto, accanto a Mr. Carota. Non aveva dormito
più, ovviamente, ma
sentiva di essersi tolta un gran peso.
Scivolò sulla
panca e si accomodò tra Zayn e Liam, come di
consueto. Ormai, si sentiva parte integrante del gruppo e, ancora una
volta,
non poté fare a meno di pensare che la sua vita stava
prendendo una piega così
felice e così positiva, che la paura che aveva provato la
notte precedente
sembrava ingiustificata.
Le tornò alla
mente quel “Ti amo” pronunciato tra le
lacrime e scosse la testa. Che razza di stupida, non avrebbe dovuto
dirlo:
Harry sarebbe scappato a gambe levate, probabilmente.
«Hai una faccia
strana, tesoro. Tutto okay?» domandò
Alice, distraendo June dai suoi pensieri cupi e pessimisti.
June sbuffò.
«Ma
perché ce l’avete tutti con la mia faccia,
oggi?»
Louis, che stava discutendo animatamente con Niall, si interruppe e
ridacchiò.
«Fatti due
domande, June.» replicò. June non rispose, si
voltò di nuovo verso Zayn – ignorando
completamente Alice, che sembrò non farci
troppo caso – e gli picchiettò sulla spalla per
catturare la sua attenzione.
«Harry
dov’è?» chiese, cercando di non
diventare rossa.
Zayn inarcò un
sopracciglio e la guardò come se fosse
stupida.
«Non è
mica il mio ragazzo.» celiò, con un sorriso
angelico che non gli si addiceva per niente.
June rimase in completo
silenzio e incrociò le braccia al
petto, stizzita. Ci mancavano solo Zayn e le sue frecciatine.
«Arriva tra poco,
comunque. Ha detto che doveva prima fare
una cosa.» le spiegò Liam, con un sorriso sereno.
June lo ringraziò,
premurandosi di sottolineare quanto fosse carino, da parte sua, evitare
di fare
lo stupido come qualcun altro.
Di nuovo,
riportò il suo pensiero su Harry: cosa doveva
fare? Forse stava solo prendendo tempo. Magari aveva riflettuto a lungo
ed era
giunto alla conclusione che lei non fosse assolutamente la ragazza
giusta –
come dargli torto? Era piena di difetti. – e che non era
più il caso di andare
avanti.
Con un gemito di orrore,
June si rese conto che
quell’eventualità l’avrebbe
completamente distrutta, devastata, fatta a pezzi.
Lo amava, santo cielo! Gliel’aveva confessato, senza dargli
il tempo di
replicare.
«Scricciolo, fai
un respiro profondo e ripeti con me:
Louis è il calciatore migliore del mondo. Louis è
il calciatore migliore del
mondo. Louis è il calciatore migliore del mondo.»
June, che non si era
nemmeno accorta di aver cominciato ad
ansimare, si riscosse.
«Louis
è il calciatore migliore del mondo. Ma che dici?»
domandò, poi, perplessa. Louis si strinse nelle spalle.
«Hai bisogno di
un mantra, June. Ultimamente vai spesso in
iperventilazione.» commentò, con incredibile
disinvoltura.
June arrossì:
non era mica colpa sua, se pensare ad Harry
la mandava così in confusione da farle dimenticare perfino
come si respirasse.
Certo, tutte queste cose
Harry non avrebbe dovuto saperle,
ma almeno con sé stessa poteva essere sincera.
Poi, finalmente, Harry
arrivò. Portava con sé due buste di
carta azzurra, che gli tenevano impegnate entrambe le mani. Lo sguardo
era
serio, assorto, come se fosse concentrato su ogni sua mossa. I capelli
erano
disordinati come al solito e quel maglione bianco gli stava talmente
bene, che
June rimase per un attimo incantata a guardarlo.
Lui ricambiò
l’occhiata, con intensità, e le sorrise. Poi
appoggiò le buste sul tavolo e allontanò la mano
di Louis – che si era subito
allungato per vedere cosa contenessero – con un colpo secco a
si piazzò davanti
a June.
Infilò la mano
nel sacco alla sua destra e ne estrasse un
piccolo peluche. Glielo porse con un sorriso enigmatico e si
schiarì la voce.
«Lui è
Uno. Ed è il primo motivo per cui ti amo: la tua
voce. Quando ridi, quando canti, quando piangi, quando urli contro di
me,
quando parli con Alice, quando prendi per il culo Louis. Quando mi dici
che mi
ami.» una piccola pausa, un altro peluche.
«Due: i tuoi
occhi. Credo di non aver mai visto occhi più
belli dei tuoi. Potresti anche rimanere in silenzio per sempre, ma i
tuoi occhi
avrebbero sempre qualcosa da dire. Li amo, perché capisco
ogni tuo pensiero
solo guardandoli.
Tre: il tuo sorriso. Quando
mi sorridi, non vedo
nient’altro che te. Non importa che io sia arrabbiato,
triste, indispettito o
semplicemente annoiato. Tu sorridi, ed ogni cosa perde di importanza.
Quattro. Ti amo
perché mi hai fatto sentire le farfalle
nello stomaco, uno stormo intero.
Cinque: ti amo
perché sei entrata nella mia vita
all’improvviso, con la tua sfacciataggine, il tuo orgoglio e
la tua forza.
Sei: ti amo,
perché non ti sei arresa di fronte alla mia
stupidità e mi hai dato un’occasione, anche se
ogni tanto mi sono comportato
come uno stronzo, ma a mia difesa dico che volevo solo farti una buona
impressione.
Sette: ti amo,
perché quando mi hai imposto di starti
lontano, poi sei stata tu ad avvicinarti e tutto è andato
meglio.
Otto: ti amo,
perché sei così piccola e vorrei proteggerti
da qualsiasi cosa, da chiunque ti si avvicini anche solo per parlarti.
Nove: ti amo,
perché sei testarda fino al midollo, dici
sempre quello che pensi, fregandotene di offendermi e dieci: ti amo, perché dai
un nome a tutti i tuoi peluche,
come se fossero vivi e perché perdi l’iPod ogni
cinque minuti.»
June, che ormai stringeva
tra le braccia ben dieci
peluche, aveva le lacrime agli occhi, un sorriso che andava da un
orecchio all’altro,
e il cuore che palpitava così forte da farle male.
Non vedeva nessun altro, se
non Harry, che le sorrideva
con una semplicità disarmante.
Abbandonò i
peluche sul tavolo, con delicatezza, si alzò e
si avvicinò ad Harry, sotto lo sguardo commosso di Alice,
quello felice di Liam
e Zayn e quello indecifrabile di Louis. Se lo conosceva bene almeno la
metà di
quanto credeva, quella notte non l’avrebbe fatta dormire per
tempestarla di
domande.
Ma al momento non le
importava. Circondò il collo di Harry
con le braccia, si alzò sulle punte e lo baciò.
Quando si separarono, Harry
le porse un ultimo peluche.
«Ti amo, okay?
Perciò, la prossima volta, dammi il tempo
di rispondere.»
***
Bene, ci siamo.
Pretending, signore e
signori (se ce ne sono), è
ufficialmente conclusa. Fine. Stop. The End. Oh, God. Sto male.
Davvero, penso
di essere traumatizzata, un pochino, ma ormai comincio a farci
l’abitudine. A
furia di pubblicare schifezze su EFP, mi sono abituata alla sensazione
di
mettere la spunta del quadratino del “Completa?”
Detto questo, spero che
questo epilogo vi sia piaciuto, vi
abbia magari fatto un pochino emozionare e sorridere e, niente, non so
cosa
dire.
Pretending ha avuto un
seguito inaspettato (credetemi,
ancora non mi capacito del fatto che mi seguiate in così
tante, siete fantastiche.)
e spero tanto che nessuna di voi sia rimasta delusa da questa storia.
So che avevo accennato ad
un seguito, tempo fa, ma ancora
non so se lo scriverò o meno, perciò non perdete
la speranza. Per ora,
comunque, direi che è tutto. Anche perché sto
ancora finendo di scrivere One
Step Forward e voglio concentrarmi su quella. E comunque
venerdì parto e sarò
senza pc per due
settimane, più o meno,
perciò non volevo lasciare la storia in sospeso!
Ora, volevo ringraziarvi.
Grazie, per aver inserito
questa storia tra le
seguite/preferite/ricordate e grazie per aver inserito me tra gli
autori
preferiti.
Grazie per aver commentato
i capitoli precedenti, per
avermi contattato su Facebook/Twitter/Ask. E grazie, perché
non lo so, siete
tanto carine e coccolose e io vi adoro <3
Alla prossima e buone
vacanze!
Con affetto,
Fede.
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