Pretending

di TheOnlyWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** Chapter 1. ***
Capitolo 3: *** Chapter 2. ***
Capitolo 4: *** Chapter 3. ***
Capitolo 5: *** Chapter 4. ***
Capitolo 6: *** Chapter 5. ***
Capitolo 7: *** Chapter 6. ***
Capitolo 8: *** Chapter 7. ***
Capitolo 9: *** Chapter 8. ***
Capitolo 10: *** Chapter 9. ***
Capitolo 11: *** Chapter 10. ***
Capitolo 12: *** Chapter 11. ***
Capitolo 13: *** Chapter 12. ***
Capitolo 14: *** Chapter 13. ***
Capitolo 15: *** Chapter 14. ***
Capitolo 16: *** Chapter 15. ***
Capitolo 17: *** Chapter 16. ***
Capitolo 18: *** Chapter 17. ***
Capitolo 19: *** Chapter 18. ***
Capitolo 20: *** Chapter 19. ***
Capitolo 21: *** Chapter 21. ***
Capitolo 22: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***








Ad Ale, alla quale è dedicato il personaggio di Alice.
Grazie, per sopportarmi e per supportarmi in qualunque baggianata mi venga in mente di scrivere.
E a Jas, mia bannerista di fiducia.
Grazie, perché anche tu ascolti tutti i miei scleri, di continuo. Nonostante io sia paranoica a livelli esagerati.
Grazie.
 


 
Prologue.
 



Generalmente, Johannah poteva definirsi una donna serena, in grado di prendere decisioni sagge, intelligenti e, soprattutto, che non l’avrebbero mai lasciata con il dubbio di aver fatto la scelta sbagliata. Aveva cresciuto suo figlio nel migliore dei modi, dopotutto, cosa ci voleva a comunicargli che intendeva sposarsi una seconda volta?
«Non so, Sam… forse ancora non è il momento.» bevve nervosamente un sorso di caffè caldo, per poi gettare un’occhiata all’uomo che le sedeva davanti.
Anche lui sembrava estremamente concentrato, perso in pensieri di cui, probabilmente, non l’avrebbe nemmeno messa al corrente.
Johannah non era preoccupata per suo figlio, in realtà: Louis era grande, e avrebbe accettato la situazione senza troppe difficoltà. Il vero problema era la figlia di Sam, June, che aveva appena terminato gli studi e aveva un caratterino piuttosto complicato, a quanto sosteneva il padre.
«Perché ti metti sempre problemi che non ci sono, Jay?» le domandò Sam, aprendosi in un sorriso dolce, che a Johannah fece ricordare il motivo per cui, tre anni prima, aveva pensato che quell’uomo non l’avrebbe mai fatta soffrire. 
«June…» cominciò a dire, ma Sam la bloccò con un cenno della mano.
«June è grande, Jay. Capirà.»
Johannah annuì, anche se continuava a pensare che June non l’avrebbe affatto presa bene. Proprio per niente.
«D’accordo, allora. Resta solo da decidere quando e come dirglielo.» Sam si alzò, fece il giro del tavolo e lasciò un bacio sulla fronte di Johannah, che sorrise.
«Ammettilo, allora, che un po’ sei preoccupato.» lo stuzzicò, prima di alzarsi e mettere le tazze nel lavandino. Sam ridacchiò, divertito, e alzò le spalle.
«No.»
«Sam…»
«E va bene, un po’. Si tratta sempre di una decisione importante, no?»
«Certo. Facciamo così, allora: ci incontriamo da Tony alle otto. Io porto Louis, tu June.» propose.
Sam annuì, concorde, poi afferrò il telefono e compose il numero della pizzeria. Una volta prenotato il tavolo, rimaneva solo una cosa da fare: convincere June a cenare con lui, senza farle capire quale fosse lo scopo dell’uscita.
Sua figlia era dannatamente intelligente e avrebbe sicuramente sentito la puzza del suo tranello non appena l’avesse guardato in faccia.
Perciò sia Sam che Johannah pensarono la stessa cosa, anche se nessuno dei due ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce: si prospettava una serata impegnativa.
 
 


***
 
 
 
Here I am! (Di nuovo)
Storia nuova, postata ancora prima del previsto. Mi amate? Io fossi in voi mi amerei tanto.
Allora, non c’è molto da dire, se non che questo è un prologo corto e un po’ insignificante, ma che darà il via all’intera storia.
Spero comunque che vi sia piaciuto e, vi scongiuro, non fatevi ingannare dalla sua banalità.
Vi assicuro che la storia è abbastanza decente, davvero. Almeno, a me piace. Ho anche quasi finito di scriverla, per ora sono al Capitolo 19. Perciò, salvo imprevisti e casi eccezionali, gli aggiornamenti saranno regolarissimi. Direi ogni lunedì, se per voi va bene. O quando preferite, fatemelo sapere.
Comunque, volevo ringraziare Jas per il banner – come al solito, è bellissimo, grazie cioppi <3.
E niente, credo di aver finito!
Mi farebbe davvero piacere avere un vostro parere, sapete che ci tengo tantissimo!
Vi adoro,
Fede.
 
P.s. Per chi volesse, su twitter sono @FTheOnlyWay
Se volete essere avvertite quando posto un nuovo capitolo o anche solo parlare un po’, contattatemi pure ^^

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Capitolo 2
*** Chapter 1. ***









Chapter 1.

 




June rientrò a casa decisamente di buonumore, quel pomeriggio.
Tuttavia, il sorriso le morì sulle labbra, quando le sue narici captarono il profumo del tè alla vaniglia. Suo padre detestava il tè alla vaniglia. Allora perché lo aveva preparato?
Appese il giubbotto di pelle all’attaccapanni nell’ingresso, sfilò le scarpe, lasciandole sul tappeto, e legò i capelli in uno chignon malfatto.
«Papà?» chiamò, dirigendosi verso la cucina. Suo padre era lì, seduto al tavolo, ed era evidente che stesse aspettando lei.
«Ciao, June.»
«Che succede?» domandò, sospettosa, sedendosi sul bancone della cucina e ringraziando per il tè. Soffiò un po’, per raffreddarlo, in attesa che il padre le desse una risposta.
«Niente. Deve per forza succedere qualcosa?» replicò Sam, ignorando volutamente l’occhiata di palese dubbio che June continuava a rivolgergli. Era incredibile la capacità di sua figlia di farlo sentire un ragazzino colto con le mani nel sacco.
«Tu odi il tè alla vaniglia.» si limitò a ricordargli June, inarcando un sopracciglio con aria eloquente.
«Potrei aver cambiato idea.»
«Papà, la stai tirando troppo per le lunghe. Dimmi.» lo invitò, trattenendo un risolino che le era uscito spontaneo.
«Ti và di cenare insieme, stasera? Così ne parliamo.» propose Sam, con un sorriso sereno. A June non sfuggì affatto la sua espressione tesa, nonostante lui cercasse di ostentare una naturalezza che proprio non gli apparteneva, in quel momento.
Perciò si limitò ad annuire, prima di svuotare la tazza in qualche lungo sorso e risciacquarla velocemente. Lasciò un bacio sulla guancia di Sam e lo informò che andava a farsi una doccia.
Sam tirò un sospiro di sollievo, una volta che June non fu più nei paraggi: credeva che l’avrebbe scoperto subito e proprio non sapeva dire se fosse un bene.
Per fortuna, ancora non sospettava niente. O almeno, non sospettava che oltre a loro due ci sarebbero stati anche Jay e suo figlio.
 
June compose velocemente il numero del suo migliore amico, intanto spalancò le ante dell’armadio, alla ricerca di qualcosa da mettersi per quella cena che non la convinceva proprio per niente.
Che bisogno c’era di andare da Tony per parlare un po’? Non potevano stare in casa, davanti ad una pizza, come facevano tutti i venerdì?
Niall rispose al quinto squillo, come al solito.
«Fammi indovinare…» ridacchiò June «Stai mangiando.»
Niall farfugliò qualcosa di incomprensibile, poi deglutì e si schiarì la voce. «Hai un tempismo del cavolo, June.» rise, tranquillo. June alzò gli occhi al cielo.
«Non è colpa mia, se mangi sempre. Se ti avessi chiamato tra tre ore non ci sarebbe stata alcuna differenza.» Niall non rispose, ma June se lo immaginò mentre annuiva, dandole pienamente ragione. La cosa stupefacente era che nonostante mangiasse in quella maniera spropositata, fosse magro come un chiodo.
«Che succede?» le domandò, tranquillo. June sentì che trafficava con qualcosa di rumoroso: un pacchetto di patatine.
«Papà vuole portarmi a cena da Tony, questa sera.» spiegò, lasciando intendere che c’era qualcosa di assolutamente strano, in quell’invito.
«Se il problema è che non sai cosa metterti, hai sbagliato persona. Non posso esserti d’aiuto.» ridacchiò Niall, infilandosi una manciata di patatine in bocca.
«Scemo. Voglio dire, che bisogno c’è di andare fuori?»
«Non so, June. Tu vacci, e vedi un po’ che ti dice.» June annuì, trovandosi d’accordo. Dopotutto, cosa mai poteva succedere di tanto tragico? Si trattava solo di mangiare insieme a papà. Magari era semplicemente stanco di vedere la loro cucina, il che era perfettamente comprensibile.
«E se ci fosse anche Johannah?» domandò improvvisamente Niall, distraendola dai suoi pensieri.
Ecco. Come aveva fatto a non arrivarci subito?
«Vogliono rendere la cosa ufficiale…» mormorò, gettando sul letto un paio di jeans chiari, una canottiera verde e un cardigan nero. Niall rimase in silenzio, aspettando che June superasse lo shock del momento e dicesse qualcosa.
Da parte sua, June trovava assolutamente di conforto il rumore delle patatine sgranocchiate da Niall e si concentrava su quello, per evitare di dare di matto.
«Lo sapevi che prima o poi sarebbe successo, June. E poi Johannah ti sta simpatica!» si affrettò ad aggiungere Niall, per ricordarle che non aveva mai avuto niente contro la fidanzata di suo padre.
«Giusto, giusto.» June si sedette sul letto a gambe incrociate e prese un respiro profondo. Niall aveva ragione: Johannah era sempre stata gentile con lei. E poi era dolce, simpatica e aveva un bel sorriso. E anche suo padre sorrideva di più, da quando la conosceva. Sembrava quasi aver superato il dolore per la morte della mamma.
Elisabeth Gordon era morta quasi tredici anni prima, quando June aveva appena cinque anni. Un brutto incidente d’auto, in cui era rimasta coinvolta al rientro dal lavoro. Un pazzo era passato con il semaforo rosso e si era schiantato contro l’utilitaria di Elizabeth, che era morta sul colpo. Sam, che amava sua moglie più della sua stessa vita, si era ritrovato solo, distrutto dal dolore e con una bambina spaventosamente simile alla moglie a carico. Per anni si era occupato solamente di June, senza permettere a nessuna donna di far parte della sua vita. Poi era arrivata Johannah ed era riuscita a superare tutte le sue barriere: piano, con fatica, ma ce l’aveva fatta. E June sapeva che da parte sua sarebbe stato davvero ingiusto prendersela con lei, che non aveva nessuna colpa se non quella di aver fatto tornare papà più simile a quello che era stato tanti anni prima.
«Ci sei ancora?» domandò Niall, dopo qualche minuto.
«Certo, scusa. Stavo pensando.»
«Vuoi che venga lì, June?» Niall aveva smesso di masticare, notò June. Il che poteva significare solo una cosa: era davvero preoccupato per lei. Sorrise debolmente, poi scosse la testa. Si ricordò qualche istante dopo che non poteva vederla, così si affrettò a parlare.
«Tranquillo, è tutto a posto. Sto solo assimilando la notizia.» sospirò, poi si scompigliò la frangetta, in un gesto che faceva sempre quando si sentiva nervosa.
«Va bene. Se hai bisogno…» io sono qui. Non lo disse, ma sapeva che June l’avrebbe capito comunque.
«Lo so. Ti chiamo quando finisco, okay?»
«Va bene. Ciao, piccola.»
June mise il telefono sottocarica, benedicendo quella fantastica promozione che le permetteva di avere chiamate illimitate verso un numero a sua scelta. Aveva idea che nei prossimi giorni avrebbe avuto bisogno di parlare con Niall molto più spesso di quanto già facesse normalmente.
Sotto il getto caldo della doccia ebbe modo di pensare – ancora – a quello che le stava succedendo quel giorno.
«Finiscila, June. Andrà tutto bene.» provò a rassicurarsi, prima di concentrarsi su qualcos’altro ed evitare un esaurimento nervoso.
Si piazzò davanti allo specchio, indecisa se truccarsi o meno. Trattandosi di un’occasione importante – anche se suo padre aveva fatto di tutto per non farla sembrare tale – forse sarebbe stato meglio un trucco leggero e un po’ sofisticato. Cosa che lei non era assolutamente in grado di fare, visto che era una completa imbranata. Il massimo che si concesse, quindi, fu un po’ di mascara e un po’ di fard per colorire le guance pallide.
Raccolse i capelli in una treccia, che lasciò ricadere sulla spalla sinistra e dopo aver agganciato gli orecchini, poté ritenersi soddisfatta.
Sam l’aspettava in salotto e sembrava piuttosto nervoso, a giudicare da come si tormentava il nodo della cravatta. Non appena vide June, però, si sforzò di assumere un’aria serena.
June gli sorrise e fece una piroetta su sé stessa, lasciandosi ammirare. Voleva che suo padre capisse che non c’era bisogno di sentirsi in agitazione, se lei stessa era tranquilla.
«Sei bellissima, tesoro.» si complimentò Sam, rivolgendo alla figlia un sorriso colmo d’affetto, che June si affrettò a ricambiare.
«Grazie. Anche tu non sei affatto male, pà. Johannah sarà contenta.» rivelò con una risatina, prima di precipitarsi fuori casa e incamminarsi verso la macchina. Sentì suo padre borbottare qualcosa di molto simile a «lo sapevo, che mi avrebbe beccato subito» e scoppiò a ridere. Se solo avesse saputo che il primo ad esserci arrivato fosse stato Niall, sicuramente non l’avrebbe più fatto entrare in casa.
 
Tony era una della pizzerie migliori di Doncaster ed era gestita da un italiano corpulento e con un pancione enorme di nome, appunto, Antonio. Aveva aperto da poco, ma si diceva che la sua pizza fosse in assoluto la più buona della zona.
Sam parcheggiò in una strada adiacente al ristorante: come al solito il parcheggio era già pieno, nonostante fossero appena le otto.
«La prossima volta veniamo a piedi.» disse June, un po’ sarcastica, mentre borbottava contro quelle malefiche ballerine che continuavano a sfuggirle dai piedi ad ogni passo che faceva.
Sam rise, divertito. Quando June gli aveva detto di non preoccuparsi, perché avrebbe accettato ogni sua scelta serenamente, si era tranquillizzato parecchio: credeva che sua figlia gli avrebbe dato parecchio filo da torcere. E invece si era dimostrata matura, e fin troppo comprensiva. Restava da vedere se avrebbe mantenuto la stessa linea di pensiero anche alla fine di quella serata.
«Ciao, June.»
June alzò gli occhi al cielo, prima di rivolgere al ragazzo che stava dietro alla cassa un sorriso forzato.
«Ciao.» Steve le fece un occhiolino, incurante della presenza di Sam accanto a lei e tantomeno dell’espressione di June stessa, che avrebbe preferito spararsi in fronte, piuttosto che stare in compagnia di Steve per più di trenta secondi.
Fortunatamente, vennero accompagnati al loro tavolo abbastanza in fretta, così che Steve non fece in tempo ad avvicinarsi.
«Che piaga, quel ragazzo.» borbottò June, seccata. Suo padre ridacchiò un’altra volta, prima di voltarsi verso l’ingresso e aprirsi in un sorriso felice. June seguì il suo sguardo, anche se aveva già individuato il motivo di quell’espressione. Johannah avanzava verso di loro, avvolta in un sobrio vestito nero. Accanto a lei, c’era un ragazzo che ad occhio e croce poteva avere la stessa età di June, che rimase a fissarlo per qualche secondo, stupita, prima di voltarsi verso il padre e rivolgergli un’occhiataccia. Stava per dirgli qualcosa, quando la mano gentile di Johannah si posò sulla sua spalla.
«Ciao, June.» le sorrise, senza sapere bene come comportarsi.
June sorrise, prima di sporgersi in avanti e lasciare un bacio sulla guancia di Johannah, che restò davvero di sasso.
«Sono contenta di vederti.» ed era vero: Johannah le piaceva veramente.
«Anche io. June, lui è Louis, mio figlio.»
Louis aveva due brillanti occhi azzurri, che June paragonò immediatamente a quelli di Niall. Ed aveva anche un bel sorriso, constatò.
«Piacere.» si strinsero la mano, un po’ impacciati, prima di accomodarsi al tavolo. June lasciò che Johannah si sedesse accanto a suo padre, così lei si ritrovò di fianco a Louis, che ancora non aveva proferito una parola.
«Hai tinto i capelli?» domandò Johannah, tanto per spezzare l’improvviso silenzio che si era venuto a creare.
June annuì, osservando la treccia con aria soddisfatta.
«A papà è venuto un colpo. Dice che il rosso è troppo rosso.» commentò, come se l’affermazione del padre fosse una vera e propria assurdità. La settimana prima, June aveva deciso di essere stanca del suo monotono castano scuro e così, senza dire niente a nessuno, aveva preso appuntamento dalla sua parrucchiera e le aveva chiesto di trasformare quel noioso marrone in un rosso fuoco.
«Non è un colore naturale.» borbottò Sam, scatenando le risate di June e di Johannah, che si guardarono con complicità e iniziarono a parlare di capelli e di argomenti che né Sam, né tantomeno Louis, avevano la minima intenzione di seguire.
Louis si sentiva un po’ frastornato, quella sera. Insomma, aveva capito subito che sua madre aveva intenzione di dirgli qualcosa di importante e aveva immaginato che anche Sam sarebbe stato lì presente. Certo non pensava che ci sarebbe stata anche la figlia diciottenne di quest’ultimo. Era carina, con quei capelli lunghi e con quella frangetta che le dava un’aria un po’ infantile, ma dolce. E poi, aveva davvero un bel sorriso.
Non assomigliava un granché al padre, se non per il colore degli occhi: marrone. Di solito, il marrone non è un colore molto espressivo, ma guardando June negli occhi Louis aveva dovuto ricredersi. I suoi occhi erano tutto, tranne che inespressivi. Anzi, avevano una tonalità calda e profonda e poi erano grandi e contornati da ciglia lunghe e scure. Era bella, anche se aveva qualcosa che non lo convinceva. Nonostante ogni aspetto di lei esprimesse dolcezza, sembrava una tipa tosta.
«Okay, papà. È ora di sputare il rospo.» ecco, appunto. Proprio come aveva immaginato. Louis si ritrovò completamente d’accordo con June, così incitò la madre a fare lo stesso.
«Lo vuoi sapere così, diretto?» domandò Sam, un po’ agitato.
June sbuffò, spazientita. Che bisogno c’era di tirarla così per le lunghe?
«Spara.»
Sam tentennò un altro po’, fino a che Jay decise di prendere la situazione in mano e rivelare il motivo per cui avevano messo in scena quel teatrino.
«Ci sposiamo, June.» secca, concisa. Ecco un altro punto che June annotò a favore di Johannah, che la stava osservando in attesa della sua prossima mossa.
Perciò June annuì.
«Non è tutto.» disse, prima di bere un lungo sorso d’acqua e prepararsi al colpo finale. Sentì Louis agitarsi nervosamente sulla sedia, in attesa. Se solo fosse stata più aperta, meno gelida e, soprattutto, più propensa ad intrattenere rapporti umani, gli avrebbe preso la mano e gli avrebbe sussurrato di stare tranquillo. Ma lei non prendeva facilmente confidenza e di conseguenza si limitò a guardare Louis di sott’occhio e a stare ferma immobile.
«Hai ragione, non è tutto. Io e Jay – June apprezzò parecchio che suo padre si fosse deciso a parlare – abbiamo deciso di vivere insieme. Tutti insieme, a casa di Jay.» precisò, stringendo nervosamente la mano di Jay, che sembrava più tranquilla di lui, ma comunque in agitazione.
«Oh.» si limitò a sussurrare June, colta decisamente alla sprovvista. A casa di Jay. Questo significava lasciare casa sua, la cameretta che sua mamma aveva arredato, i suoi libri, tutto. Era un duro colpo, quello. Ma lo accusò con orgoglio e con fermezza. Quel pomeriggio stesso aveva detto che suo padre meritava una nuova vita, perciò non avrebbe fatto niente, per complicargli la situazione. Sapeva perfettamente che nemmeno per lui era stato tanto facile prendere una decisione come quella.
«Congratulazioni.» si sforzò di sorridere, poi sentì la mano di Louis cercare la sua sotto il tavolo. Non lo conosceva e se fosse stata in un’altra situazione probabilmente gli avrebbe tirato una sberla, ma in quel momento si sentiva smarrita, confusa e sull’orlo di un precipizio. E la mano del ragazzo – sconosciuto, ma gentile – era l’unica cosa che le impedisse di caderci.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Ecco qui il primo vero capitolo della storia. Come avete visto, è decisamente più corposo del prologo sminchio che vi ho proposto. Posto in quest’orario un po’ strano perché passerò tutto il pomeriggio a fare da taxi (visto che la mia macchina è morta e defunta e siamo solo con quella di mio papà.) e non sapevo se stasera avrei fatto in tempo a farlo. So, eccolo qua.
A me non dispiace, se devo essere sincera. Voi che ne pensate? Che ne dite di June? Cominciate un po’ a capirla? Di tutti i miei personaggi, vi avverto, lei è quella meno sclerotica di tutte. Davvero, è quella normale e in cui un po’ mi rispecchio.
Comunque, come al solito, vi ringrazio per le recensioni al prologo, per aver inserito la storia tra le seguite/preferite e ricordate – siete davvero tante, sono contentissima! – e vi abbraccio fortissimo. (Sono affettuosa, oggi, avete visto?)
Fatemi sapere che ve ne pare, ci conto davvero tanto.
Vi adoro <3
 
Fede.
 
A lunedì prossimo! ^^
 

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Capitolo 3
*** Chapter 2. ***








Chapter 2.

 




La mattina dopo, June si svegliò sperando che il giorno prima fosse stato solamente un incubo. Molto vivo, certo, ma pur sempre un sogno.
La realtà le precipitò addosso non appena mise piede in salotto: suo padre era tutto intento a montare un numero imprecisato di grandi scatoloni da imballaggio. Sul tavolo, June notò due pennarelli indelebili. Era tutto vero, allora. Se ne stavano andando. Si adombrò parecchio e rispose al saluto di Sam con un mugugno incomprensibile. Sam la lasciò perdere, sapendo che a June occorreva sempre un po’ di tempo per metabolizzare le novità. Soprattutto quelle grosse come un trasferimento.
«Come ti è sembrato, Louis?» le chiese, mentre le versava nella tazza una quantità spropositata di caffè appena fatto.
June fece spallucce. Come le era sembrato? Niente male, se doveva essere sincera. Louis era simpatico, gentile e carino e probabilmente non le avrebbe creato nessun problema. E poi le aveva preso la mano, inconsapevole di essere a rischio di amputazione. Quindi era anche coraggioso.
«Normale.» rispose, secca. Non aveva tanta voglia di parlare, quella mattina. Soprattutto con suo padre, che la stava costringendo a fare una cosa che non le andava particolarmente.
Sapeva che era sbagliato prendersela con lui, ma dopotutto aveva appena diciotto anni ed aveva sempre vissuto con la convinzione che tutto sarebbe rimasto stabile: sarebbero sempre stati lei e papà, soli contro il mondo. Al tempo stesso era consapevole che il suo egoismo non era affatto salutare, né per lei, né per Sam. Che senso aveva costringerlo a stare da solo? Quando lei fosse stata più grande, sarebbe andata via di casa per vivere la sua vita, e suo padre sarebbe rimasto solo, senza nessuno. Quindi perché impedirgli di essere felice?
«Posso chiamare un attimo Jay? Voglio chiederle una cosa.» disse, mentre voltava le spalle al padre e iniziava a lavare le tazze usate per la colazione.
«Certo. Prendi pure il mio telefono.» mormorò Sam, a metà tra il sorpreso e il preoccupato. June si affrettò a tranquillizzarlo.
«Tranquillo, pà. Nessuna scenata.»
Sam sembrò parecchio sollevato, così lasciò il telefono sul tavolo, e tornò in cucina, chiudendosi la porta alle spalle. June asciugò le mani con lo strofinaccio, poi afferrò il telefono e cercò il numero di Jay nella rubrica.
«Pronto?» ci mise un po’, prima di ricollegare la voce che aveva risposto a quella di Louis.
«Louis? Ciao, sono June.» disse, un po’ nervosa. Louis, dall’altro capo del telefono, appariva perfettamente tranquillo.
«Be’, si, a meno che tuo padre non abbia una voce da femmina, direi che c’ero arrivato anche io.» June si concesse una risatina divertita: era simpatico, Louis.
«Che genio. Dì un po’, Jay è lì? Volevo chiederle una cosa.»
«Stà preparando la tua stanza. Aspetta un momento, vado a portarle il telefono.» June annuì, mentre Louis saliva le scale canticchiando una canzone che lei non aveva mai sentito. Aveva una bella voce, piacevole da ascoltare ed era anche intonato.
«Mi hai messo in attesa, per caso?» domandò, incapace di trattenersi. Non capiva perché le venisse spontaneo parlare con lui, come se davvero lo conoscesse da più di qualche ora. E dire che, normalmente, faticava parecchio a prendere confidenza.
Louis ridacchiò. «Scherzi? Questo è un concerto, June. La musica d’attesa è così noiosa.»
«Sei bravo, comunque.» si complimentò, sincera.
«Lo dicono anche le mie fan.»
«Wow, modesto.»
Risero insieme, poi June sentì Louis dire qualcosa e in un momento la sua voce fu sostituita da quella più delicata di Jay, decisamente stupefatta.
«June? Và tutto bene?» le chiese, suo malgrado preoccupata.
«Si. Avevo bisogno di chiederti una cosa, Jay.»
«Dimmi pure.»
«Ecco…» June tentennò un po’, prima di prendere un respiro profondo e parlare tutto d’un fiato. «Per te è un problema se porto tutti i libri di mamma? È che ci sono molto affezionata e…» farfugliò, mentre gli occhi le si facevano lucidi e la consapevolezza che stava davvero lasciando casa sua si faceva strada in maniera quasi dolorosa.
«Non devi neanche chiederlo, tesoro. Anzi, ora ti mando Louis, così ti aiuta a trasportare gli scatoloni. Va bene?» propose Jay, un po’ commossa. Aveva dato per scontato – sbagliando – che June avrebbe portato quello che voleva, senza preoccuparsi di niente e di nessuno. Lei si sarebbe comportata così, nella sua situazione. Ed era stupefacente il modo in cui quella ragazzina stesse accogliendo l’evolversi della situazione.
Guardò suo figlio, che aveva aspettato la fine della telefonata sulla soglia della camera. Era appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate ed un’espressione serena.
«Vado.» disse, tranquillo, prima di lasciare un bacio sulla guancia di Jay.
Nel frattempo, June aveva detto a suo padre che si chiudeva nello studio ad inscatolare i libri e le cose della mamma. Sam aveva annuito, un po’ mesto, ma non le aveva detto niente. Dopotutto, era giusto che June portasse con sé le cose di Elizabeth: andare avanti non significava dimenticare ciò che era stato prima.
Louis parcheggiò nel vialetto di casa Goodman un quarto d’ora dopo. Salutò velocemente Sam, poi, sotto sua indicazione, raggiunse lo studio e bussò alla porta.
June aprì e sorrise debolmente. Louis si sporse per lasciarle un bacio sulla guancia, entrò e chiuse di nuovo la porta.
«Dimmi che devo fare.» si rimboccò le maniche e attese che June gli dicesse da dove cominciare.
June non si sentiva propriamente lucida: tutto ciò a cui riusciva a pensare era che stava completamente sradicando tutta la fatica di Elizabeth. Lei non se lo ricordava, ma suo padre le raccontava spesso, quando era piccola, di quanto amore Elizabeth ci avesse messo per organizzare quella piccola libreria. Ed ora lei stava distruggendo tutto.
Non era sua intenzione scoppiare a piangere, soprattutto davanti a Louis, ma non riuscì a trattenersi. Si sentiva un mostro.
«È che va tutto così in fretta.» singhiozzò, cercando di giustificare quell’attacco di pianto apparentemente incomprensibile. Era vero, però: due giorni prima aveva la certezza di una casa e di una vita monotona, ma rassicurante. Ora, invece, non sapeva più niente.
Louis ci mise poco, a capire quale fosse il vero problema. Perciò si limitò ad avvicinarsi a June e ad abbracciarla con delicatezza. Gli sembrava così fragile, quella ragazza con i capelli di fiamma. Le passò una mano sulla schiena, gentile, e attese che il peggio passasse. Non ci volle molto, in fin dei conti. June non amava mostrarsi debole. Era capitato in quel momento, probabilmente non sarebbe successo più.
«Scusa, ora mi passa.» disse, strofinando i pugni sotto gli occhi e rimuovendo ogni traccia di lacrime. Prese un respiro profondo e rilassò le spalle: andava decisamente meglio. Louis si separò da lei con tranquillità, senza dire nemmeno una parola. In parte la capiva: non era semplice nemmeno per lui accettare lo svolgersi delle cose, ma c’era qualche differenza tra le loro situazioni: suo padre se n’era andato parecchi anni prima, ed ora viveva in Svizzera insieme ad una donna che lui non aveva mai visto, mentre la madre di June era morta. Lui aveva ancora la sua casa, le sue cose e fondamentalmente non sarebbe cambiato nulla, nella sua vita. Per June, era tutto nuovo.
«Sai, dovrebbe starci questa libreria, nella camera. Possiamo portarla, se ti và.» propose, osservando con attenzione il mobile. Era semplice, in legno chiaro ed era evidente che chi l’avesse comprato ne avesse avuto una gran cura. Non c’era nemmeno un filo di polvere e Louis sospettava che June ci passasse un bel po’ di tempo, in quella stanza.
«Dici davvero?»
«Certo. Dai, iniziamo a togliere i libri, poi pensiamo a come trasportare il mobile.»
June lo guardò, senza nemmeno riuscire ad esprimere tutta la gratitudine che provava in quel momento.
«Ma perché non ci hanno fatto conoscere prima?» borbottò, quasi commossa. E, incredibilmente, lo pensava sul serio. Louis le piaceva davvero. Conoscendolo, aveva provato più o meno la stessa sensazione di quando si era scontrata con Niall per la prima volta.
 
Erano in un bar in centro a Doncaster ed entrambi volevano la stessa brioche. Niall era in coda prima di lei e aveva sentito chiaramente il suo sbuffo quando aveva ordinato l’ultima pasta alla crema. June l’aveva osservato sedersi al tavolo, con un sorriso soddisfatto e una tazza di cioccolata grande come un vaso da notte. Aveva ordinato il suo caffè, un po’ seccata, continuando a rivolgere occhiatacce risentite al maledetto biondino che le aveva soffiato la brioche.
«Ehi!» June non sapeva perché, ma sentiva che quell’ehi era rivolto a lei. Così si era girata e il biondino aveva sventolato la mano, facendole cenno di avvicinarsi.
L’aveva raggiunto, cauta, reggendo tra le mani il piattino e la tazzina col caffè. Lui aveva continuato a sorridere, con gli occhi azzurri  scintillanti di divertimento e, forse, di simpatia.
«Dividiamo?» le aveva chiesto, indicando la brioche con la punta del dito. June aveva spalancato gli occhi, incredula. Si era ritrovata ad annuire e, qualche minuto dopo, lei e Niall erano diventati amici. Erano trascorsi quasi due anni, da quel giorno, e June aveva finalmente trovato qualcuno che si interessasse a lei sul serio, qualcuno che c’era sempre quando aveva bisogno, anche solo per una passeggiata, o per fare la spesa. E non le importava, che Niall mangiasse come un maiale. Lo adorava.
 
«Non lo so.» ridacchiò Louis, scompigliandole la frangetta con affetto. Aveva quasi dell’incredibile la simpatia che quella ragazza gli suscitava. E poi, sotto quella scorza da dura, era sicuro che aveva un cuore tenero. E gliel’aveva appena dimostrato piangendo davanti a lui senza alcuna vergogna.
Si rigirò tra le mani una raccolta di poesie, e la ripose con cura nel primo scatolone. Guardandoli, anche lui capiva quanto quei libri fossero importanti: c’erano cartoline, segnalibri, foto, segni che Elizabeth c’era stata e che aveva amato profondamente sia la figlia che il marito.
June cercava di trattenere le lacrime, mentre avvolgeva con attenzione il libro preferito di sua madre, Sogno di una notte di mezza estate, in un panno azzurro, per evitare che si rovinasse durante il trasporto. Louis la osservò con la coda dell’occhio, continuando a togliere i libri dagli scaffali. Ce n’erano quasi un’infinità.
Rimasero in silenzio per una decina di minuti, poi qualcuno bussò alla porta, con delicatezza. June era più che convinta che si trattasse di suo padre, perciò rimase assolutamente basita, quando Niall fece capolino dalla porta, con un sorriso sereno stampato in volto.
«Niall!» si precipitò tra le braccia dell’amico, che rise e la strinse forte, prima di accorgersi di Louis, che si era appoggiato alla scrivania con un sorriso tranquillo. June godette a pieno dell’abbraccio di Niall, nonostante l’avesse visto il giorno prima. Con tutte le cose che le stavano succedendo, sembrava passato molto più tempo.
«Stai bene, June?» Niall poteva pure sembrare un ingenuo, ma certo non gli erano sfuggiti gli occhi rossi dell’amica, né tantomeno il trucco colato. E poi, se anche non ci fosse stato quello, la sua espressione era più che comprensibile, non ci voleva certo un genio per capire che il suo umore era decisamente a terra.
«Si, credo.» mormorò June, rivolgendo un breve sorriso sia a Louis che a Niall.
«Lui è Louis, il figlio di Jay. Mi sta aiutando con gli scatoloni.» spiegò poi, notando che i due ragazzi si squadravano con aria piuttosto curiosa.
«Tomlinson?» chiese improvvisamente Niall, con la testa inclinata da un lato e un espressione che vagava a metà tra l’incredulo e il sospettoso.
Louis annuì, mentre sul suo volto si apriva un sorriso divertito. «Abiti in fondo alla mia stessa strada.» rise.
«Ecco perché ti avevo già visto! Ehi, June! Siamo quasi vicini di casa!» esclamò Niall, stringendola di nuovo in un abbraccio decisamente entusiasta.
June annuì, frastornata, confusa, e suo malgrado felice. Sapere di avere Niall a distanza di pochi passi la faceva sentire decisamente più tranquilla.
«Un momento…» mormorò, subito dopo. Si affacciò alla porta.
«Papà!» urlo, facendo accorrere Sam, che sembrava parecchio allarmato. «Cos’è successo? Stai bene?» chiese, preoccupato.
«Tu sapevi che Louis e Niall abitavano vicini e non me l’hai mai detto?» lo accusò June, portando le mani sui fianchi, con aria minacciosa. Sam deglutì, poi guardò i due ragazzi, in cerca di aiuto.
«Volevamo farti una sorpresa.» ridacchiò Niall, prima di tirarle un leggero pugno sulla spalla. June si voltò, e gli rivolse uno sguardo a metà tra il furioso e il divertito. Niall scoppiò a ridere, per niente intimorito e fin troppo abituato alle occhiatacce di June per restarne colpito.
«Che sorpresa del cazzo.» sbuffò, senza nemmeno rendersi conto che esattamente trenta secondi prima Niall aveva riconosciuto Louis con un po’ di difficoltà.
Sam sorrise, prima di congedarsi e lasciare i ragazzi da soli, alle prese con i libri.
June alzò gli occhi al cielo, per poi ricominciare a inscatolare. Niall e Louis si misero ad aiutarla, in completo silenzio. Entrambi le lanciavano qualche occhiata di tanto in tanto, forse preoccupati che da un momento all’altro June potesse scoppiare a piangere una seconda volta. Ma non sarebbe successo più, si ripromise June: niente pianti.
«Quindi già vi conoscete?» chiese, poco dopo, mentre chiudeva l’ultimo scatolone con una lunga striscia di nastro adesivo. Afferrò l’indelebile e scrisse “libri mamma” con una calligrafia tonda e perfettamente leggibile.
«Di vista. Non ci siamo mai frequentati.» rispose Niall, sollevando il primo scatolone e appoggiandolo sulla scrivania.
 «Forse da piccolo sei venuto ad una mia festa di compleanno.» ricordò Louis, passandosi una mano sotto il mento con aria pensierosa. Niall fece lo stesso, probabilmente cercando di ricordare.
«È vero! Mamma mi aveva costretto ad andarci, mi sembra. Sono andato via dopo mezz’ora…»
«E io mi sono offeso da morire. Poi non ti ho più invitato.»
June interruppe il loro racconto con una risata divertita: era esilarante sentirli parlare, facevano davvero tenerezza. Vent’anni l’uno, diciotto l’altro, e ancora parlavano come bambini dell’asilo.
«Che ne dite di fare merenda?» propose, uscendo dallo studio e dirigendosi verso la cucina.
«Mi hai letto nel pensiero. Sto morendo di fame.» si lamentò Niall, seguendola un istante dopo.
«E quando mai.» borbottò, senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Guarda che ti sento!»    
«Non volevo mica tenerlo per me.»
«Sei davvero antipatica.»
«E tu sei un ingordo.»
«Mi stai offendendo, sappilo.»
«Dico solo la verità! Mangi sempre!» lo accusò June, ridendo divertita.
Si sedettero tutti insieme al tavolo della cucina, con un pacco gigante di patatine e uno di biscotti. Niall e Louis si buttarono senza indugi sulle patatine, contendendosi quella più grossa – proprio come due bambini – mentre June si limitò a sgranocchiare un paio di biscotti.
Si sentiva molto più tranquilla, rispetto a quella mattina: Louis aveva promesso che avrebbe portato anche la libreria e Niall era il suo nuovo vicino di casa.
Forse era il caso di smetterla di pensare negativo; non era detto che le cose dovessero andare male a tutti i costi. Perciò sorrise serenamente a Sam, che si era affacciato per controllare. Voleva fargli capire che andava tutto bene.  
 
 
 
 
***
 

 
 
Ciao, fanciulle!
Oggi non ho molto da dire, visto che vado parecchio di fretta. Stavo anche per dimenticarmi di aggiornare, ma ora che ho cinque minuti lo faccio.
Mi amate, vero?
Comunque niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per le recensioni al capitolo precedente!
Vi adoro.
 
P.s. Se voleste essere avvisate ogni volta che aggiorno, ditemelo pure qui, o su Twitter. Sono @FTheOnlyWay

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Capitolo 4
*** Chapter 3. ***










Chapter 3.

 




«Hai preso tutto, June?»
June si guardò intorno per l’ultima volta, poi annuì. Come promesso, non aveva versato più nemmeno una lacrima, per la storia del trasferimento. Nemmeno quando aveva impacchettato tutte le sue cose, nemmeno quando papà aveva deciso di dare via alcuni vestiti di Elizabeth: non aveva più senso portarseli dietro.
«Si.» seguì il padre fino alla macchina e si accomodò nel sedile posteriore, senza dire un’altra parola. Sam la lasciò in pace, anche quando la vide trafficare con le cuffie dell’iPod.
Una volta partita la musica, June chiuse gli occhi e si sforzò di non pensare più a niente, canticchiando nella sua testa la canzone.
Funzionò alla perfezione, tanto che, quando la macchina si fermò davanti casa Tomlinson, fu letteralmente sbalzata nella realtà.
Louis e Johannah erano fermi sulla porta di casa, entrambi con un sorriso sul volto. June represse l’impulso di mettersi a piangere e agitò debolmente la mano, in segno di saluto.
Il primo a farsi avanti fu Louis, che le lasciò un bacio sulla guancia e la trascinò dentro casa, blaterando qualcosa ad una velocità talmente assurda che June faticò a capire.
«Non ci ho capito un cavolo.» disse, infatti, mentre cercava di non inciampare sui gradini, vista la rapidità con cui il ragazzo faceva le scale.
Louis si fermò a metà del corridoio, di fronte ad una porta di legno scuro. Si portò alle spalle di June e le mise le mani davanti agli occhi. Poi, con il piede, spalancò la porta e la fece entrare. June mosse qualche passo, un po’ incerta.
«Sei consapevole di non essere del tutto regolare?» chiese, suo malgrado divertita. Louis alzò gli occhi al cielo. Possibile che quella ragazza non sapesse apprezzare le sorprese?
«Certo che si.» rispose, prima di toglierle le mani dagli occhi.
June si guardò intorno, individuando prima un letto a una piazza e mezza, coperto da un piumone verde smeraldo, un comodino, una scrivania, un armadio gigante e poi, sulla destra, la libreria di Elizabeth.
Guardò prima Louis, poi la libreria, poi di nuovo Louis, incredula.
«Hai messo tutto a posto?» boccheggiò, con le lacrime agli occhi per la commozione. Louis annuì, rivolgendole un sorriso dolce.
«Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere…» spiegò, osservando con aria soddisfatta i libri ordinatamente disposti sugli scaffali.
«Grazie.» mormorò June, prima di abbracciarlo.
Se ne rimase sorpreso, Louis non lo diede a vedere: si limitò a stringere June tra le sue braccia e a lasciarle un bacio sui capelli.
«Sai, scricciolo, credo che tu ed io diventeremo ottimi amici.»
June sorrise, sentendosi chiamare in quel modo. Era la prima volta che qualcuno le dava un appellativo così carino. Niall ogni tanto la chiamava piccola, ma succedeva soprattutto quando la vedeva triste, giù di morale o sulla strada per un’incazzatura coi fiocchi. Il resto delle volte si limitava a chiamarla normalmente.
«Tutto bene, qui dentro?» Jay si affacciò nella stanza, guardando i due ragazzi con curiosità. Dietro di lei, Sam sorrideva.
«Certo. Anzi, grazie ancora per tutto, Jay.» sostenne June, avvicinandosi per abbracciare la donna. Non sapeva perché, ma iniziava a credere che le cose cominciassero a cambiare in meglio. Se ne rendeva conto solo in quel momento.
«Figurati, tesoro. Mi sembra il minimo che io possa fare. Non vogliamo ti manchi niente, o che tu non ti trovi a tuo agio.» spiegò, facendo riferimento in particolare alla libreria. June notò con sorpresa che non sembrava affatto infastidita dal fatto che lei avesse deciso di portare qualcosa di tanto importante, soprattutto se riguardante la defunta moglie del suo futuro marito.
«Sono sicura che starò benissimo.» sorrise, sincera.
«Gli scatoloni sono alla fine del corridoio, puoi sistemarli quando vuoi.» informò Jay, prima di prendere Sam per mano e tornare al piano inferiore. Rimasti soli, Louis e June si guardarono negli occhi per qualche istante, poi Louis sbuffò.
«Capito, inizio il trasporto. Spero davvero che tu non sia una schiavista, scricciolo.»
«Dipende dai casi.» confessò June, sincera, seguendo Louis in corridoio. Afferrarono uno scatolone a testa e tornarono verso la camera.
«Questo lo è?»
«Ti sto aiutando, quindi direi di no. E poi ancora non ti conosco abbastanza.»
«Ma se è da una settimana che parliamo giorno e notte.»
«Esagerato.»
Louis rise, divertito. Dal giorno in cui aveva aiutato June con la libreria, le cose erano decisamente cambiate: tanto per iniziare, aveva scoperto che quello scricciolo con i capelli rossi era molto più fragile di quanto desse a vedere ma, al tempo stesso, estremamente forte. Non l’aveva più vista piangere, per esempio. Aveva scoperto che aveva un caratteraccio, ma solo con chi voleva lei. Sapeva che il suo colore preferito era il verde, che amava il tè alla vaniglia e che ascoltava qualunque tipo di musica.
Sapeva che non aveva una migliore amica, perché con le ragazze si trovava poco a suo agio, preferiva i ragazzi.
Una volta trasportati tutti gli scatoloni, June non seppe da dove cominciare. Perciò aprì il più leggero, quello con i peluche e iniziò a disporli per tutta la stanza. Il pupazzo gigante di un coniglio – che aveva battezzato Pistacchio – finì sul grande tappeto verde chiaro, insieme a Miele, l’orso.
«Miele e Pistacchio?» mormorò Louis, incredulo, mentre June gli elencava i nomi degli altri pupazzi.
«Si. Lui è Cipolla, poi c’è Biagio, Candy, Harold, Martino e poi c’è Margherita» concluse, sventolandogli davanti agli occhi una mucca bianca.
«Ti rendi conto di avere quasi diciannove anni, vero?»
«E allora?» June incrociò le braccia al petto, minacciosa. Louis alzò gli occhi al cielo, per poi scoppiare a ridere.
«Dai, scricciolo. Pistacchio?» ripeté, senza riuscire a credere che June-non-piango-più fosse la stessa ragazza capace di chiamare un coniglio di peluche Pistacchio. 
«Tu ti chiami Louis. Qualcuno ti ha mai preso in giro per questo?» replicò June, adagiando Margherita e Martino sul letto.
«Cosa c'entra, scusa?»
«C'entra, c'entra» borbottò, prima di lasciarsi cadere sul letto e osservare con aria sconsolata altre tre scatole.
Louis lasciò perdere l’argomento, appuntandosi mentalmente che a natale le avrebbe regalato uno di quei cosi, e l’avrebbe chiamato Louis. Che era sempre meglio di Pistacchio.
«Dov’è finito Coriandolo?» la sentì borbottare, qualche minuto più tardi.
«Chi sarebbe Coriandolo? Il fratello di Miele?» domandò Louis, leggermente sarcastico.
«Vedi che non capisci niente? Coriandolo è il fratello di Cipolla.» spiegò June, aprendo un altro scatolone alla ricerca del famigerato Coriandolo. Quando l’ebbe trovato, lo mise vicino a Cipolla e annuì soddisfatta.
 
«Louis!» la voce di Jay li raggiunse dal piano di sotto. «Ci sono visite per te!» urlò. June si irrigidì parecchio. Fintantoché si trattava di stare con Louis e basta era un conto, ma la presenza di terzi la metteva un po’ in agitazione. Aveva idea che non tutti avessero lo stesso carattere e la stessa pazienza del suo futuro fratellastro.
Louis non sembrò dare alcun peso alla sua agitazione, perché uscì dalla stanza per accogliere gli amici. June si diresse verso la porta, con tutta l’intenzione di chiuderla e rimanere per i fatti suoi, senza disturbare Louis e i suoi ospiti. Non voleva essere un peso e, soprattutto, non voleva costringere Louis a passare con lei più tempo del dovuto: ancora non era del tutto certa del motivo per cui lui ci tenesse tanto a farle compagnia.
Si sentì cattiva, per aver pensato una cosa del genere: lui l’aveva aiutata, si era avvicinato per primo e, nonostante non fosse assolutamente costretto a farlo, sembrava deciso a stringere amicizia con lei. L’aveva addirittura chiamata scricciolo e lei ancora dubitava della sua sincerità.
Quindi si costrinse a lasciare la porta aperta. Se davvero Louis avesse voluto tenerla in disparte, l’avrebbe chiusa dopo essere uscito, no?
«Devo assolutamente presentarvi qualcuno.» lo sentì dire, qualche secondo dopo. Dopodiché Louis entrò in camera e si posizionò accanto a June, con un sorriso divertito.
«Harry, Zayn, loro sono Miele e Pistacchio.» indicò prima il coniglio, poi l’orso e scoppiò a ridere. I due ragazzi lo guardarono piuttosto perplessi, senza riuscire a capire. June tirò un coppino a Louis e fece un passo avanti.
«Non dategli retta. Pistacchio è il coniglio, non l’orso.» corresse, facendo ridere Louis ancora più forte.
«Lei invece è June.» la presentò, una volta finito di sghignazzare.
June strinse la mano ad entrambi i ragazzi, un po’ in imbarazzo. Non sapeva cosa pensare, se non che entrambi erano molto carini anche se l’uno l’opposto dell’altro. Harry aveva la pelle chiara, quasi diafana, mentre Zayn era un po’ più scuro. Harry aveva una matassa informe di ricci castani, Zayn aveva capelli corvini, più corti e decisamente più ordinati. Harry aveva gli occhi di un colore indefinito, che poteva essere verde, o azzurro, June non riusciva a capirlo, mentre Zayn aveva gli occhi di un caldo color cioccolata.
Per il momento, non sapeva dire se le avessero fatto un’impressione positiva o negativa.
«L’avevamo intuito, non parli di nessun’altro da una settimana.» Zayn alzò gli occhi al cielo e le sorrise, tranquillo. Harry invece, si limitò a fissarla, senza nessun interesse in particolare. E allora June decise: Harry non la convinceva un granché.
«Davvero?» chiese, un po’ curiosa. Se Louis aveva parlato di lei, allora doveva tenerci veramente e il suo avvicinarsi non era dettato solo dalla convivenza che avrebbero affrontato a partire da quel giorno.
«Certo. Continua a dire quanto sei simpatica, intelligente, quanto sei carina.» June arrossì, imbarazzata, mentre Louis si limitò a fare spallucce.
«Anche se hai il coraggio di chiamare un pupazzo Cipolla.» precisò Louis.
«Sei solo invidioso.» borbottò, prima di gettare uno sguardo al suo adorato Cipolla, che affiancato a Coriandolo era assolutamente adorabile.
«E non prenderli in giro.» aggiunse, divertita. Anche quei pupazzi erano un regalo di Elizabeth e June non se ne separava mai. Aveva dato loro quei nomi quando era piccola e certo non glieli avrebbe cambiati solo perché Louis non capiva quanto Pistacchio fosse un nome assolutamente meraviglioso.
Harry sorrise, suo malgrado divertito. Quando Louis aveva parlato di questa fantomatica June, se l’era immaginata completamente diversa. Non era solo carina, era bella. E poi Louis non aveva affatto accennato al fatto che avesse un corpicino proprio niente male. Anche se in quel momento indossava un semplice paio di jeans e una felpa azzurra. I capelli rossi, lunghi fino ai fianchi, risaltavano incredibilmente, contro il colore della felpa. Qualcosa però non lo convinceva, ma non avrebbe saputo dire cosa.
June si sentiva ancora un po’ a disagio. Le sembrava quasi che Harry la stesse analizzando e non gli piaceva affatto che lui la osservasse così attentamente. Non le piaceva in generale, quando qualcuno la fissava più del dovuto. Soprattutto quando lo sguardo vagava indisturbato sul suo seno.
«Porto una terza.» rivelò, acida. Harry ridacchiò.
«Proprio come pensavo.» rispose, tranquillo, guadagnandosi un’occhiata in tralice da parte di Louis e una un po’ rassegnata da Zayn.
«Divertente.» celiò June.
Decise che ignorarli fosse la scelta migliore, così afferrò il taglierino dalla scrivania e tagliò il nastro adesivo che chiudeva il secondo scatolone, quello con le scarpe. Aprì l’armadio e cominciò ad ammucchiarle in silenzio, sotto lo sguardo attento dei tre ragazzi.
«E piantala di guardarmi il culo.» precisò, rivolta ad Harry, che alzò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa di simile ad un «quante storie».
Louis, invece, ridacchiò.
«Ve l’avevo detto, che era simpatica.»
June ridacchiò, poi gettò in un angolo un paio di converse verde acido.
Harry non le piaceva, concluse. Proprio per niente. Anche se era bello. Anche se quelle fossette erano assolutamente adorabili.
Poco dopo, il suo telefono iniziò a squillare.
«Ehi, piccola.» sentire la voce di Niall la fece sorridere all’istante.
«Come procede?» le chiese, senza lasciarle il tempo di rispondere. June si guardò intorno, velocemente. Praticamente era ancora al punto di partenza.
«Be’, potrebbe andare meglio…» ridacchiò. In effetti, ci avrebbe messo una vita a sistemare tutta la sua roba.
«Capito. Hai già liberato Martino?»
«Certo. È stata la prima cosa che ho fatto.» Niall rise, e June era sicura che aveva alzato gli occhi al cielo.
Louis le strappò il telefono di mano prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa e si allontanò in corridoio, lasciando June da sola insieme ad Harry e Zayn. Si torturò le mani, un po’ agitata, senza sapere cosa dire. Era possibile che parlare con Louis le venisse del tutto naturale, e che con quei due le succedesse l’esatto contrario?
«Il tuo ragazzo sa che ti sei trasferita qui?» esordì Harry, all’improvviso. June lo guardò appena, sforzandosi di non arrossire. Non sapeva perché, ma quel ragazzo la metteva in soggezione. E poi aveva quella voce un po’ roca che le faceva venire i brividi.
«Il mio ragazzo?» chiese, confusa.
«Si, quello al telefono.» precisò Harry, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni beige.
«È il mio migliore amico, non il mio ragazzo.» spiegò, voltando le spalle ad Harry e aprendo un altro scatolone.
«E il tuo ragazzo, invece?» incalzò Harry.
In realtà, non gli interessava affatto, sapere se era fidanzata o meno. Per lui non era mai stato un problema, frequentare ragazze impegnate. Il tradimento era una cosa che non gli pesava affatto. Dopotutto, non costringeva nessuno ad andare a letto con lui.
Voleva semplicemente vederla imbarazzata. Lo incuriosiva parecchio, quella ragazza.
«Non credo debba interessarti.» sibilò June, rivolgendogli un sorriso di sfida, che Harry ricambiò all’istante. Come previsto, c’era di che divertirsi.
Zayn ridacchiò. «Ha ragione Louis, sei simpatica.»
June gli sorrise, molto più amichevole rispetto a quanto lo era stata con Harry e alzò le spalle.
«Dipende dalle giornate.» spiegò «O dalle persone.» aggiunse, gettando un’occhiata piuttosto eloquente in direzione di Harry, che ghignò, per niente offeso.
«Niall arriva tra poco.» annunciò Louis, rientrando in camera e porgendo il telefono a June, che lo mollò sulla scrivania senza il minimo riguardo. Era davvero ora di cambiare quel catorcio.
«Horan?» chiese Harry, curioso.
«Si. Lo conosci?» si intromise June, prima che Louis potesse rispondere.
«Certo. Eravamo in classe insieme, a scuola.» spiegò, sorridendo al ricordo di quante ne avevano combinate insieme. Soprattutto all’insegnante di biologia, che li odiava come la peste.
«Harry Styles…» mormorò June. Niall le aveva parlato di lui così tante volte che June aveva decisamente perso il conto. All’inizio, Niall era tutto un Harry di qua, Harry di là…  
«Ti ha parlato di me?»
«Si. Ha detto che sei un idiota.» rispose June, tranquilla.
Sperava solamente che nessuno si accorgesse che aveva detto una bugia. Peccato per lei che Harry la scoprì subito. Aveva notato che June si mordicchiava leggermente il labbro inferiore, quando era in agitazione. Nonostante l’aria insofferente, Harry era piuttosto bravo a leggere le persone, soprattutto quelle che gli interessavano.
«Non è vero.» rise.
«Oh, e va bene. Ha detto che sei simpatico, un grande e blablabla. Ovviamente è di parte.» si affrettò a precisare June, tanto per far capire che lei non la pensava esattamente come il suo migliore amico.







Eccomi qui, sono puntualissima.
Allora, in realtà anche oggi sono piuttosto di fretta e comunque ho esaurito la mia dose quotidiana di cagate poco fa, con mio fratello. Perciò non c'è niente da dire, ecco.
Se non che Harry (asdfghjkl **) è entrato - finalmente - in scena. E da qui, la storia si evolve.
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando!
Lo sapete che ci tengo tanto :)
E grazie mille per le recensioni allo scorso capitolo, per aver inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate!
Vi adoro, Fede.

Se voleste essere avvertite quando aggiorno, ditemelo qui, o su Twitter, mi chiamo @FTheOnlyWay

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Chapter 4. ***










Chapter 4.

 





«Vi fermate a cena, ragazzi?» Jay si affacciò in camera di June, rivolgendo un sorriso cordiale a tutti i presenti. June si trattenne a stento dall’annuire, ricordandosi solo all’ultimo momento che lei, in teoria, non era un’invitata. Viveva lì.
Harry e Zayn annuirono, prima di ringraziare la donna con un sorriso. A June sembrò quasi un rituale, il loro, come se fossero rimasti lì un’infinità di volte. E probabilmente era davvero così.
Niall era titubante, lo si capiva da come si guardava la punta delle scarpe con un interesse fin troppo esagerato. Aveva le guance un po’ rosse, segno che si trovava parecchio in imbarazzo.
«Ovviamente vale anche per te, Niall. Non fare complimenti.» affermò Johannah, lasciando un buffetto sulla guancia di Niall, che arrossì vistosamente. Forse la storia di quel disastroso compleanno non era stata del tutto dimenticata.
«Se non è un disturbo…» mormorò, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Jay rise. «Assolutamente no.» poi sorrise di nuovo e tornò al piano di sotto, canticchiando una filastrocca che a June sembrava di aver sentito qualche volta, quand’era piccolina.
«Se non è un disturbo…» June scimmiottò Niall, con una vocina stridula che fece arrossire il ragazzo fino all’attaccatura dei capelli.
«Certo che sei scema.» Niall rivolse un’occhiataccia all’amica, prima di buttarsi sul letto e incrociare le gambe. June ridacchiò ancora, per niente toccata e continuò a sistemare la sua roba, ormai quasi a suo agio nonostante la presenza di Harry e Zayn. In realtà, Zayn non era affatto un problema, era gentile, ed era davvero tranquillo, a dispetto della sua aria da ragazzo tenebroso.
June si concentrò sul discorso tra Niall ed Harry, che avevano cominciato a raccontarsi degli ultimi due anni in cui si erano completamente persi di vista. Con la coda dell’occhio, osservò Harry, che si passava in continuazione la mano tra quel groviglio di capelli che aveva in testa e rideva, aggiungendo alcuni dettagli al resoconto di Niall. Vedendoli insieme, June non riuscì a trattenere un sorriso. Erano carini.
«Si, voleva uccidermi. E solo per una brioche, capite?» capì che Niall si riferiva a lei, solo quando sentì gli sguardi di tutti i presenti addosso.
«Era l’ultima!» protestò quindi, con aria ovvia. «Certo che ti volevo ammazzare!»
Niall rise. Aveva una risata contagiosa, così in breve tutti quanti lo seguirono, facendosi più attenti al racconto.
«Quando poi le ho chiesto di dividerla, mi ha guardato ancora peggio! Come se fossi un maniaco, o qualcosa del genere…»
«Quando qualcuno che non conosci ti chiamerà “ehi” e ti inviterà a dividere una brioche ne riparleremo, biondino.» borbottò June, esultando mentalmente quando dalla catasta di vestiti che aveva buttato sulla scrivania riuscì ad estrarre l’iPod. Lo perdeva ogni dieci minuti, quel maledetto aggeggio.
Piegò qualche indumento alla rinfusa, lo infilò a forza nella cassettiera e si mise le mani sui fianchi, soddisfatta. «Perfetto.» si complimentò.
«Perfetto?» le fece eco Louis, dirigendosi verso l’armadio con un’espressione a metà tra lo sconcertato e il divertito.
«Fermo!» June provò a bloccarlo, ma era troppo tardi: Louis aveva aperto l’armadio ed era scoppiato definitivamente a ridere. «È che sono un po’ disordinata. Però se lo lasci chiuso non si vede, no?» propose, speranzosa. Louis rise ancora più forte, poi fece come lei aveva detto.
«Visto? È perfetto.» June allargò le braccia, come un prestigiatore che ha appena terminato il suo trucco di magia e sorrise a Louis, che le scompigliò i capelli.
«Qualcuno ha visto il mio iPod?»
Tutti e quattro i ragazzi scossero la testa.
«Non è possibile. Dai, cazzo, l’ho appoggiato lì solo due secondi fa.» si lamentò June, passandosi una mano sulla fronte, rassegnata.
«Lì dove?» chiese Harry, divertito.
«!» in realtà June non aveva la più pallida idea di dove fosse questo misterioso lì, ma lo scoprì poco dopo, quando Zayn ritrovò l’iPod sotto Coriandolo. Come avesse fatto a finirci era un vero e proprio mistero.
 
Poco dopo si ritrovarono tutti quanti seduti al tavolo della cucina. June, stretta tra Louis e Niall, non riusciva a smettere di sorridere. Insomma, non poteva credere a quello che le stava succedendo, ma certo non avrebbe mai pensato, la settimana prima, che sarebbe stata così bene in una famiglia a lei quasi completamente estranea.
Ma Jay era una donna dolcissima, intelligente e Louis era simpatico e sembrava aver deciso di prenderla sotto la sua protezione. Per non parlare di Niall, che era praticamente il suo vicino di casa. Per la prima volta dopo tanto tempo, le cose stavano prendendo una piega soddisfacente.
«Cosa significa che fai tiro con l’arco?»
Harry non riusciva a credere che June potesse praticare uno sport così… be’, così. È che aveva quel viso dolce, con le fossette, e sembrava piccolina, che era davvero impossibile immaginarsela con un’arma in mano.
«Cosa vuol dire cosa significa?» domandò June, confusa. “Faccio tiro con l’arco” non era mica una frase tanto complicata, no? Faccio. Tiro. Con. L’arco. Semplice, concisa.
Harry sbuffò, poi le rivolse un’occhiata spazientita.
«Sei piccolina.» spiegò, infilzando una patata e portandola alla bocca. June arrossì.
«Ma se sono alta uno e settanta!» protestò, sventolando la forchetta davanti al naso di Harry, che ridacchiò e scosse la testa.
«Niall, tu hai capito, no?» chiese, sperando che l’amico gli andasse incontro. Intanto, Jay e Sam si erano concessi una passeggiata per l’isolato, lasciando i ragazzi da soli. Sam si era prima assicurato che June si sentisse assolutamente a suo agio, prima di uscire.
Niall annuì, poi si rivolse direttamente a June, che lo guardava in attesa di una spiegazione.
«Io ti chiamo piccola, Louis scricciolo, Harry ha appena detto che sei piccolina. Evidentemente il problema non è l’altezza, capisci?» bofonchiò, mentre le guance gli si coloravano leggermente di rosso: quando June lo guardava in quel modo, Niall si sentiva un idiota.
June, nel frattempo, iniziò a capire cosa intendessero.
«State dicendo che sembro una bambina?» assottigliò lo sguardo.
«No, però non hai la faccia di una che è in grado di tenere un’arma in mano.» commentò Zayn, tranquillo.
«Ah.»
«Già.» confermò Harry, divertito.
«E ci voleva tanto a spiegarlo così?» ridacchiò June, prima di alzarsi e iniziare a sparecchiare la tavola, sotto lo sguardo attento di Louis. Non sapeva perché, ma credeva che June stesse fingendo che andasse tutto bene, solo per non fare la parte della bambina capricciosa. E dire che sua madre, quando gli aveva parlato di lei per la prima volta, l’aveva descritta come una ragazza difficile, con un carattere particolare e un po’ restio a parlare con gli altri. Perciò ora gli sembrava davvero strano vederla parlare con Harry e Zayn come se niente fosse, come se fosse una situazione normale e lei non si fosse trasferita a casa di estranei.
Si ripromise che una volta da soli, le avrebbe parlato. Nel frattempo, l’aiutò a sistemare, indicandole i posti in cui trovare le cose che le servivano, visto che June non aveva affatto pensato che non aveva idea di dove rigirarsi, visto che, a tutti gli effetti, non stava più a casa sua.
«Sono stanca morta.» esordì June, un istante dopo aver ritirato l’ultimo piatto. Era rimasta sola in cucina con Louis, mentre gli altri ragazzi si erano spostati in soggiorno, per vedere un film di cui June non aveva afferrato nemmeno il titolo.
Louis le rivolse un sorriso tranquillo.
«E allora sarà meglio che tu vada a dormire. Più tardi passo a vedere come và.» la informò.
«Dì la verità, Lou. Hai paura che da un momento all’altro io vada in crisi…»
Louis annuì. Possibile che fosse così intuitiva? O che lui fosse tanto trasparente da far capire quello che pensava?
«Sono tranquilla, davvero. E sto bene.» June si affrettò a tranquillizzare il ragazzo, prima di fare un passo verso di lui e abbracciarlo con slancio. Era così tenero che anche una come lei non poteva resistere a quegli occhi azzurri.
Louis le lasciò un bacio sulla guancia. «Buonanotte.» le augurò.
June annuì, sorrise e andò in soggiorno.
«’Notte, ragazzi.» fece per allontanarsi, ma Niall la trattenne. «Voglio un bacio.» protestò. June alzò gli occhi al cielo e si sporse dalla spalliera del divano. Stampò un bacio sulla guancia dell’amico e gli scompigliò i capelli biondi.
«Che, vuoi un bacio anche tu, per caso?» chiese, quando si accorse che Harry la stava fissando, senza nemmeno cercare di tenerlo nascosto. Zayn ridacchiò, di fronte all’espressione di totale sorpresa del riccio, che proprio non si era aspettato un’uscita del genere da parte di June.
«Sicura che non sei tu, quella che vuole baciarmi?» chiese, ammiccando malizioso. Di solito, quando faceva così, le ragazze tendevano ad arrossire, prima di sospirare e baciarlo.
Quello che Harry non aveva capito, era che June non era una ragazza qualsiasi e, soprattutto, non aveva nessuna intenzione di stare al suo gioco, sempre se ce ne fosse uno.
Perciò, quando June scoppiò a ridere, senza la minima traccia di imbarazzo, Harry ci restò decisamente male.
«’Notte, Zayn.» June baciò anche Zayn, prima di rivolgere un’occhiata di sfida a Harry.
«Buonanotte, Harry.»
I ragazzi la sentirono ridacchiare, anche mentre saliva le scale per andare in camera.
«June non ci casca.» informò Niall, divertito. Insomma, lui conosceva June come le sue tasche e sapeva di certo che i modi di fare di Harry non erano assolutamente sufficienti per farle perdere la testa. Essendo abituata a relazionarsi più con i ragazzi che con le ragazze, di certo June non arrossiva per un’insinuazione tanto leggera.
«Tutte ci cascano, prima o poi.» commentò Harry, passandosi una mano tra i capelli. Zayn ridacchiò, poi afferrò una manciata di pop-corn e si voltò completamente verso l’amico: la sua conversazione con Niall era decisamente più interessante di quello stupido film.
Niall alzò gli occhi al cielo, poi continuò a parlare.
«Lei no. June è diversa, Harry. Non si lascia abbindolare da un sorriso, o dai capelli ricci. Lei cerca la sostanza…»
«Credimi, ho anche quella.» si vantò Harry, prima di scoppiare a ridere, trascinando con sé anche Zayn e Louis, che si era seduto sul tappeto davanti alla televisione.
Nel frattempo, June aveva indossato il suo pigiama, recuperato l’iPod – che era rimasto accanto a Coriandolo, esattamente dove l’aveva lasciato prima di cena – e si era messa a letto. Improvvisamente, tutto il sonno e la stanchezza che aveva provato poco prima, erano come scomparsi.
Perciò fece partire la musica in riproduzione casuale, si coprì fino al collo e lasciò che i pensieri che fino a quel momento si era sforzata di trattenere la raggiungessero tutti insieme.
Per prima cosa, pensò a sua madre. Lo faceva tutte le sere, prima di andare a dormire, ma quella volta ci si soffermò più del solito. Era contenta per loro? Era quello che avrebbe voluto, per lei e papà? June credeva di sì. Elizabeth era sempre stata una donna generosa, giusta e di certo non avrebbe voluto che suo marito e sua figlia conducessero un’esistenza all’insegna dell’infelicità. Quindi era meglio che smettesse di sentirsi in colpa per qualcosa di cui, in effetti, non aveva alcuna responsabilità.
Pensò a Louis, che si era dimostrato sorprendentemente dolce e che era certa di adorare. Era sicura che sarebbero andati d’accordo. Pensò a Niall, che da due anni a quella parte c’era sempre stato e ci sarebbe stato ancora. Pensò a Zayn, che ancora non conosceva bene, ma che le ispirava fiducia, nonostante l’aria da cattivo ragazzo.
L’ultima persona a cui pensò, prima di addormentarsi, fu Harry. Di lui, ancora, non sapeva cosa dire. Certo, era bello. E aveva una voce quasi ammaliante, un po’ roca, ma che le faceva uno strano effetto. Per non parlare, poi, di quelle fossette.
Tuttavia, quell’aria da playboy che aveva perennemente stampata in volto, non la convinceva affatto.
Proprio per niente.


 

***




Innanzitutto mi dispiace per non aver aggiornato ieri, ma è stata una giornata lunghissima ed ero stanca morta. Perciò aggiorno adesso.
Non ho niente da dire, se non che spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non sia deludente, perchè mi dispiacerebbe.
Poi, vi ringrazio per le recensioni allo scorso capitolo, davvero, sono felice che la storia vi stia piacendo. E grazie anche a chi l'ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate.
Siete fantastiche <3


 

 
 
 

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Capitolo 6
*** Chapter 5. ***








Chapter 5.

 




La mattina dopo, June venne svegliata dal buon profumo di caffè, che l’aveva raggiunta nonostante la porta chiusa. Se c’era una cosa che amava più del tè alla vaniglia, quello era il caffè.
Si era addormentata con la musica accesa, ma nel sonno le cuffie le erano sfuggite e si erano attorcigliate con i capelli, che apparivano come un groviglio informe. Non che di solito fossero chissà quanto ordinati, ma quel giorno superavano proprio loro stessi. Spense l’iPod, che ormai aveva raggiunto la trecento cinquantottesima canzone e aveva la batteria quasi completamente esaurita, districò un po’ i capelli e afferrò la vestaglia blu elettrico. Scalza, scese al piano di sotto, seguendo l’aroma del caffè. In cucina trovò solamente Johannah, che le rivolse un “buongiorno” al quale rispose con un mugugno incomprensibile.
«Papà?» chiese, poco dopo, quando fu in grado di parlare decentemente.
«È andato a lavoro. Ha detto di salutarti.» June annuì, ringraziando Johannah e facendole cenno di riempire la tazza fino all’orlo.
«Sbaglio o ne manca uno?» domandò, guardandosi intorno alla ricerca del futuro fratellastro. Johannah ridacchiò.
«Ieri è andato a letto tardi. Credo che dormirà fino a mezzogiorno.» spiegò. June gettò un’occhiata all’orologio appeso alla parete di fronte a lei: segnava appena le nove.
«Vado a svegliarlo.» comunicò, come se niente fosse. Johannah le rivolse un’occhiata d’approvazione e prese un’altra tazza dalla credenza. Mise a tavola il pane tostato, il burro e la marmellata e attese per un po’ che June scendesse insieme a Louis, anche se dubitava fortemente che sarebbe riuscita a svegliarlo.
June, intanto, ferma davanti alla porta della camera di Louis, era improvvisamente titubante. E se si fosse arrabbiato? Be’, lei non aveva la minima idea di cosa fare e certo non le andava di stare da sola tutta la mattina. Anche perché Jay doveva uscire entro le dieci.
Aprì la porta lentamente e si guardò attorno. La stanza di Louis era così disordinata che June si ripromise di dare un’occhiata anche all’armadio, visto che lui il giorno prima l’aveva presa in giro per il suo casino.
«Louis…» sorrise, intenerita, osservando l’espressione del ragazzo, che dormiva beatamente abbracciato al cuscino e che non diede affatto segno di averla sentita.
«Louis.» riprovò, scuotendogli lievemente il braccio. Lui si voltò dall’altra parte, lasciando andare un lungo sospiro.
June si sedette sul letto, e gli diede uno spintone non propriamente delicato. «Louis!» urlò e, questa volta, Louis la sentì.
«Ho sonno.» mugugnò, infilando la testa sotto il cuscino.
«È pronta la colazione. E poi mi annoio, a stare da sola.» spiegò June, che quella mattina si sentiva più loquace del solito.
«Ancora cinque minuti.» borbottò Louis.
Jay, intanto, aveva capito che June non sarebbe scesa tanto presto, così terminò di fare colazione e andò a prepararsi: aveva un incontro alle dieci e trenta con il pastore, per stabilire la data del matrimonio e delle prove generali.
«Louis, dai.» rise June, pizzicando un fianco al ragazzo, che sbuffò spazientito, l’afferrò per il braccio e la trascinò sul letto accanto a sé.
«Zitta, e dormi un altro po’.» le intimò, coprendo anche lei con il piumone e riprendendo beatamente a dormire. Rassegnata, June si rannicchiò tra le coperte calde e si rimise a dormire.
 
«June…» Louis picchiettò sulla guancia della ragazza con delicatezza, cercando di essere un po’ più delicato di quanto era stata lei giusto un paio di ore prima.
«Ti svegli, per piacere?» niente. Dopo dieci minuti era ancora nel mondo dei sogni e Louis non sapeva più che pesci pigliare per farla riprendere.
«Giuro che la prossima volta mi alzo.» bofonchiò, continuando a punzecchiare June sui fianchi e sulla spalla.
Finalmente, proprio quando cominciava a pensare che non ce l’avrebbe fatta, June schiuse gli occhi e lo guardò un po’ confusa.
«Stavo sognando…» mugugnò, stropicciando l’occhio con il pugno. Louis sorrise intenerito, le scompigliò i capelli e si abbassò per lasciarle un bacio sulla fronte.
«Vado a scaldare il caffè, tu intanto riprenditi. Poi andiamo a farci un giro.» comunicò, serafico. June annuì, gli sorrise di rimando e si ributtò tra le coperte.
Ancora dieci minuti, poi si sarebbe alzata.
Quando finalmente scese in cucina, Louis aveva disposto di nuovo due tazze sul tavolo e aveva imburrato il pane.
«A quanto pare niente giro, dobbiamo andare a fare la spesa.» la informò, sventolando con aria poco entusiasta un foglietto azzurro, su cui spiccava la calligrafia ordinata di Jay.
June annuì, leggendo con attenzione il piccolo elenco. Jay aveva segnato il caffè per ben tre volte, ormai consapevole di avere in casa una piccola caffeinomane. Sembrava davvero che non la infastidisse neanche un po’, dover pensare ai bisogni di una ragazza che non era nemmeno sua figlia. Era come se l’avesse accettata completamente come parte della famiglia.
«A cosa pensi?» le domandò Louis, osservandola con curiosità.
«A niente.» rispose talmente in fretta, che Louis inarcò un sopracciglio, scettico.
«Ti aspetti che ci creda?»
«Si, non sarebbe male.» dopodiché, June mise la tazza a mollo nel lavello e disse a Louis che sarebbe andata a prepararsi. Mentre saliva le scale, si congratulò con sé stessa per l’indubbia capacità di svicolare dalle conversazioni spinose.
Poco dopo, si incamminò con Louis verso il supermarket più vicino a casa. Louis si lamentava in continuazione del fatto che la macchina gli avrebbe fatto comodo, che non aveva voglia di camminare, che era stanco e che non aveva voglia di andare agli allenamenti di calcio, quel pomeriggio.
«Piantala di fare storie, Lou. La macchina serviva a Jay.» lo rimbeccò June, dopo l’ennesimo lamento. «E comunque oggi è una bella giornata, perciò non rompere e cammina.» lo prese sottobraccio con una confidenza di cui si stupì e accelerò il passo. Louis ridacchiò divertito, poi cominciò a canticchiare la stessa canzone che aveva intonato al telefono. June rimase in silenzio, ad ascoltarlo. Se gli avesse detto che pensava al modo in cui si sentiva di fronte alle premure di Jay, l’avrebbe capita? O gli sarebbe sembrata solamente una ragazzina stupida e bisognosa di attenzione?
Lo osservò mentre si allontanava per prendere un carrello e la raggiungeva nuovamente.
«Sei strana, oggi.» sostenne Louis, guardandola un po’ preoccupato. June fece spallucce, poi gli sorrise e gli disse di stare tranquillo.
«Sono un po’ lunatica, ti converrà farci l’abitudine.» lo informò, prima di prendere tre pacchi di caffè dallo scaffale e disporli nel carrello con delicatezza.
«Posso prendere anche i biscotti?» domandò Louis, adocchiando con golosità lo scaffale opposto.
«Cerca di non fare come l’altra volta, superstar. Mi hai tirato giù mezzo supermercato.» si intromise una terza voce. Louis scoppiò a ridere, prima ancora di averne individuato il proprietario, poi si voltò verso destra e sventolò la mano.
«Ciao, Liam.»
 June osservò con attenzione il nuovo arrivato. Non l’aveva mai visto lì a Doncaster, ma c’era da dire che la città era grande e che lei non usciva più di tanto. In ogni caso, Liam aveva corti capelli color miele e occhi marroni, caldi. Un viso dolce, dall’aria simpatica e un sorriso fantastico.
Anche lui la stava osservando, notò, anche se sembrava già aver capito chi fosse.
«Tu devi essere June.» sostenne infatti. «Io sono Liam, piacere di conoscerti.» sorprendendola non poco, anziché porgerle la mano, Liam la abbracciò con calore.
Un po’ stupefatta, June ricambiò l’abbraccio e guardò Louis in cerca di spiegazioni. Lui si limitò a fare spallucce.
«Allora, questo qui ti ha già fatto impazzire?» le domandò Liam, poco dopo, circondando le spalle di Louis con un braccio. June aveva scoperto che lavorava lì al supermarket, per potersi pagare gli studi all’università, in cui contava di andare non appena avesse avuto abbastanza denaro da parte.
«No, non proprio.» ridacchiò, gettando un’occhiata divertita a Louis, che mise il broncio e annunciò con aria oltraggiata che sarebbe andato a prendere una bottiglia di aranciata e una di coca cola.
Rimasta sola con Liam, June si aspettava di risentire quel disagio che aveva provato in compagnia di Harry, ma non successe niente di niente. Continuarono a parlare del più e del meno, fino a che Liam venne chiamato da una signora che aveva assolutamente bisogno del suo aiuto per prendere il prodotto sullo scaffale più in alto. Scusandosi, le disse che si sarebbero visti presto e che era stato un vero piacere, per lui, conoscerla.
Guardandosi intorno alla ricerca di Louis, June non si accorse che stava andando a scontrarsi proprio con l’ultima persona che desiderava incontrare quella mattina. Quando se ne rese conto, comunque, era troppo tardi e lei era già per terra.
«Guarda un po’ chi si rivede…» Harry le porse la mano per aiutarla ad alzarsi, ma June lo ignorò volutamente: non voleva neanche sfiorarlo, visto quanto la metteva in soggezione.
«Come vuoi. Ti sei fatta male?» insistette Harry, con un sorriso che a chiunque poteva sembrare sincero, ma che a June sembrò solo malizioso.
«No, sto bene. E scusa se mi sei venuto addosso, eh.» borbottò, sarcastica. Harry rise e alzò gli occhi al cielo.
«Tranquilla, ti perdono.» June strinse lo sguardo, poi scosse la testa e si incamminò verso il reparto in cui tenevano le cose da bere, sperando che quella testa vuota di Louis fosse lì e non in giro a devastare il supermercato.
Harry la seguì, troppo divertito per poterla lasciar perdere come se niente fosse.
«Non dovresti fare la spesa, tu?» domandò June, snervata, quando si accorse che Harry le camminava a fianco come se non avesse niente di meglio da fare.
«No, ero venuto a salutare Liam. Vi ho visti, prima.» le disse, tranquillo.
«E allora?»
«Possibile che non si possa fare conversazione, con te?» la accusò Harry, un po’ seccato. Era evidente che stesse provando a parlarle, ma perché lei non gli dava una possibilità? Lo infastidiva parecchio, se doveva essere sincero, che June non lo considerasse minimamente.
«Be’, se hai così tanta voglia di parlare, quella non ti toglie gli occhi di dosso.» ribatté June, gelida, indicando una ragazza che osservava Harry con sguardo ammirato. Subito dopo desiderò non aver mai parlato, perché quella poteva essere presa – a tutti gli effetti – come una scenata di gelosia.
«Gelosa, piccola?» insinuò Harry, infatti.
June prese un respiro profondo, cercando nel frattempo una risposta adeguata. Che non arrivò mai, visto che individuò Louis intento a chiacchierare con una signora anziana. Da lì, June riuscì a sentire che le consigliava la Coca Cola normale, perché quella Light faceva schifo.
«Lou!» lo chiamò, sollevata.
«Tanto non mi scappi.» le mormorò Harry, all’orecchio. June rabbrividì, sforzandosi di non darlo a vedere e drizzò le spalle, fiera.
«Non ne sarei così sicuro, se fossi in te.» replicò, prima di raggiungere Louis quasi di corsa, come se avesse il diavolo alle calcagna.
«Lo vedremo.» era stato appena un sussurro, ma June lo sentì chiaramente e non poté fare a meno di rabbrividire una seconda volta. Ci mancava solo l’ennesimo scemo convinto di poter fare colpo con qualche occhiata languida.
In ogni caso, prima o poi Harry l’avrebbe capito che stava sbagliandosi di grosso, e l’avrebbe lasciata in pace.
O, almeno, June ci sperava.
«Che faccia.» fu la prima cosa che disse Louis, rivolto a June. Lei gli lanciò un’occhiataccia, prima di afferrare le bottiglie che il ragazzo teneva in mano e comunicare che sarebbe andata a recuperare il carrello.
Tutto, pur di allontanarsi dallo sguardo di Harry. Anche quando ebbe svoltato l’angolo e lo sentì parlare con Louis, le sembrò ancora di avere i suoi occhi addosso.
Perciò rinnovo l’impressione che aveva avuto la sera prima: non le piaceva.



***



Buonaseeeera, fanciulle.
Ecco qua il nuovo capitolo, come promesso. Che ve ne pare? Si cominciano a capire un po' di cose, compreso il rapporto tra Louis e June e quello tra June ed Harry.
Voi che ne pensate? Mi sembra di aver capito che in parecchie tifate per la coppia Louis/June. O Sbaglio?
Niente, ho finito, credo. Anzi, vado piuttosto di fretta perché devo aggiornare anche l'altra storia (Reset, su Pierre Bouvier asdfghjkl.) e poi sono gasata perchè la mia mammina adorata (sviolinata mode on) mi ha comprato le cuffie nuove e posso di nuovo sentire la musica come dico io.
E poi voglio scrivere un po'. Scusate, non so nemmeno cosa sto dicendo. Comunque, mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto e spero che mi facciate sapere che ne pensate, sapete che per me è importantissimo!
Vi adoro,
Fede. <3


 

 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Chapter 6. ***











Chapter 6.

 




«Ma tu leggi sempre?»
June inarcò un sopracciglio, mentre Louis entrava nella sua camera, senza preoccuparsi minimamente di chiedere il permesso o, prima ancora, bussare. Avrebbe dovuto esserne infastidita, ma sembrava quasi che Louis avesse lo strano potere di rendere adorabile qualunque azione compiesse. La cosa ancora più strana, poi, era che June glielo concedesse senza fare storie e senza battutine in proposito. In ogni caso, avevano compreso entrambi che quella convivenza si stava rivelando decisamente meno problematica di quanto avessero immaginato inizialmente.
La complicità che si era instaurata in quel breve periodo precedente il trasferimento a casa Tomlinson, aveva fatto in modo che l'impatto fosse meno traumatico. Tanto di guadagnato, comunque, perché era esattamente ciò in cui sia Sam che Jay avevano sperato.
«Il tuo problema quale sarebbe, Lou?» domandò June, tranquilla. Svoltò pagina e riprese a leggere. Louis si appropriò di tre quarti del materasso e sbuffò sonoramente.
«Dovresti rilassarti un po’, scricciolo.» rise, cominciando a giocare con una ciocca dei capelli di June con aria distratta.
June sospirò, poi chiuse il libro e lo appoggiò sulla scrivania. Si voltò verso Louis e sorrise, a metà tra l'esasperato e il divertito: se l'aspettava già, che avrebbe voluto coinvolgerla in qualche progetto che probabilmente non le sarebbe andato a genio.
«D'accordo, cosa hai in mente?»
In parte temeva la risposta, ma allo stesso tempo era consapevole che Louis non l'avrebbe lasciata in pace fino a che non avesse accettato qualsiasi proposta fosse uscita da quella testa bacata.
«Tra poco devo andare agli allenamenti, vieni con me?»
June lo guardò sospettosa: non poteva essere così semplice.
«Chi altro c'è?» domandò, quindi. Louis guardò altrove per un attimo, poi rispose.
«Niall e Liam. Forse Zayn.»
June si dovette mordere la lingua per non chiedere di Harry. Non voleva certo sembrare interessata. Perché non lo era affatto. Odiava il modo in cui Harry la metteva in soggezione e odiava il suo modo di provarci così spudorato. Poteva anche funzionare con le ragazzine alle quali era abituato, ma di certo con lei non attaccava. Non era mica scema e sapeva alla perfezione qual era lo scopo di quel “corteggiamento”: aggiungere un nome alla sicuramente lunga lista di cuori infranti. Chissà cosa ci trovava di interessante, nel cambiare ragazza ogni due per tre.
Ovviamente lei non aveva neanche la certezza che le cose stessero in quel modo, ma il commento sulla sostanza che Harry aveva fatto due sere prima aveva aiutato parecchio a consolidare l'idea di per sé pessima che June aveva di lui.
In ogni caso, Louis non aveva motivo di mentirle, perciò doveva credergli sulla parola.
Sospirò, in preda all'indecisione.
«Okay, vengo.»
«Perfetto! Tra poco arriva Niall, perciò ti conviene muoverti, se devi prepararti. Hai dieci minuti, scricciolo.»
Louis le stampò un bacio sulla guancia, poi si alzò dal letto e uscì dalla camera, non prima di averle rivolto un altro caloroso sorriso.
Poco dopo, June si pentì amaramente di non aver dato retta al suo istinto e maledisse Louis in tutte le lingue del mondo, quando lui sventolò un braccio dal campo di calcio, per salutarla. Ricambiò con poco entusiasmo e borbottò un paio di insulti.
«Mi sembri nervosa, piccola.» fastidioso.
Harry Styles era il ragazzo più fastidioso con cui lei avesse mai avuto la sfortuna di parlare. Non sapeva nemmeno se fosse meglio ignorarlo o rispondergli a tono. Se l'avesse ignorato, lui sarebbe andato avanti ad infastidirla finché non gli avesse risposto e, nel momento in cui lei gli avesse risposto, lui avrebbe continuato per puro spirito di vendetta.
Perciò si limitò a sbuffare. Harry ridacchiò, incredibilmente soddisfatto e affatto intenzionato a mollarla troppo presto.
«Allora?» continuò, imperterrito. Punzecchiò il fianco di June con il dito indice, facendola sobbalzare: non sopportava il solletico.
«Mi spieghi cosa cavolo vuoi da me, Harry?» sbottò, facendo ridacchiare Niall, che le sedeva accanto.
Si volse verso di lui con sguardo di supplica, nella speranza che capisse quanto fosse seccata e l'aiutasse ad uscirne.
«Dai, piccola, Harry scherza. È che non è abituato ad essere ignorato così.» le spiegò, paziente.
«E quindi?»
«E quindi sto solo cercando di parlare con te, piccola.»
Se c'era un'altra cosa che June non sopportava di Harry, era il modo in cui pronunciava la parola piccola: con la sua voce bassa, assumeva un'atmosfera troppo intima, che le faceva contorcere le viscere per il disagio.
«Non puoi parlare con Zayn o con Liam? Si stanno annoiando a morte.» replicò June, sforzandosi di evitare lo sguardo di Harry, che da parte sua si divertiva da pazzi a metterla in imbarazzo.
Zayn e Liam, tutt'altro che annoiati, si stavano scambiando commenti sulla nuova formazione e sull'ultimo passaggio effettuato da Louis un istante prima. Perciò ignorarono la non troppo implicita richiesta d'aiuto di June e continuarono a parlare dei fatti loro.
Harry, soddisfatto, circondò le spalle di June con un braccio. Lei si divincolò, infastidita e imbarazzata.
«Cos’è tutta questa confidenza?» domandò, seccata. Harry fece spallucce e ridacchiò.
«Potrei prendermene molta di più, se volessi.» le rivelò all'orecchio.
June gli rivolse una delle sue peggiori occhiatacce e si spostò un po’ più vicina a Niall, che rise e l'abbracciò con il suo solito affetto.
«Non mi resisterai per sempre, piccola.» sostenne Harry, serafico. June arrossì appena, cogliendo il messaggio, poi scosse la testa in segno di negazione.
«Non mi conosci affatto, Harry. Prima che io ceda alle tue squallide avances, ti sarai stancato.» rispose, gelida. Perché se Harry voleva la guerra, lei di certo non si sarebbe tirata indietro.
«Potresti trarne vantaggio.» insinuò Harry, malizioso. Quando si accorse dell'espressione inferocita di June, però si affrettò a ritrattare.
«Rilassati, sto scherzando.» alzò gli occhi al cielo e, finalmente, la lasciò libera di concentrarsi su Louis e sul gioco. Anche se ormai gli allenamenti erano finiti e i ragazzi stavano dirigendosi verso gli spogliatoi.
«Andiamo?»
Liam si alzò, tese galantemente una mano a June affinché potesse fare altrettanto, poi le sorrise e le si incamminò a fianco, mentre Niall, Zayn ed Harry si trattenevano ancora qualche secondo.
«Si direbbe che Harry abbia un debole per te.» affermò Liam, pacato.
«Si dà il caso, però, che la cosa non sia affatto reciproca.» replicò tetra.
Dirlo ad alta voce non avrebbe dovuto farle quell'effetto, rifletté pensierosa. Le sembrava quasi di sentirsi in colpa, perché forse Harry stava scherzando e lei l'aveva preso troppo sul serio, dando poi il via libera al suo lato più acido e scontroso. Dopotutto non era la prima volta che riceveva qualche complimento di troppo, ma non aveva mai reagito così: l'unica soluzione che le venisse in mente, era che a farle quello strano effetto – con annessi brividi e umore altalenante – fosse proprio Harry e non tanto ciò che le diceva.             
«È strano.» decretò Liam, infine. June lo guardò un po’ perplessa, cercando di capire cosa intendesse dire. Cosa c’era di così strano, nel fatto che Harry non la convincesse? Dov’era scritto che fosse obbligata a farselo andare a genio?
Certo, poteva anche darsi che si fosse fatta un’idea sbagliata e che Harry in realtà fosse il ragazzo migliore dell’intero pianeta Terra, dell’Universo conosciuto e di quello ignoto, ma restava il fatto che lei, in sua presenza, non si sentiva a suo agio.
 
«Allora, che mi sono perso?» Louis uscì dagli spogliatoi con un sorriso smagliante. Era evidentemente stanco, ma propose ugualmente di andare a mangiare qualcosa nel piccolo bar accanto allo stadio.
Abbracciò June con entusiasmo, chiedendole se si fosse annoiata e se Harry avesse fatto il bravo.
Il soggetto in questione, sbuffò.
«Certo che ho fatto il bravo. E comunque tua sorella è troppo acida.» commentò.
Louis partì in un monologo in difesa di June, che non ascoltò nemmeno una parola, troppo sorpresa dal fatto che Harry avesse usato la parola “sorella” con tutta quella naturalezza e che, ancor di più, Louis non ne sembrasse affatto turbato.
«E comunque te l’abbiamo già detto che June non ci casca. Vero, scricciolo?» la interpellò. June tornò alla realtà con un sobbalzo e rivolse a Louis uno sguardo confuso. Lui inclinò la testa da un lato, cercando di capire cosa ci fosse che non andava, ma non giunse a nessuna conclusione logica.
«Mi sono distratta un attimo, scusami. Cosa stavi dicendo?» domandò, sforzandosi di apparire rilassata.
Louis non era l’unico, comunque, ad aver notato che June aveva qualcosa di strano. Harry continuava a guardarla di sott’occhio, curioso.
Era strana, June. Completamente diversa da qualsiasi ragazza che avesse mai incontrato: sembrava che vivesse su un pianeta tutto suo. Cercare di instaurare un rapporto con lei, poi, era ancora più difficoltoso.
Non per tutti, solo per lui. Perché con Liam e Zayn aveva immediatamente preso confidenza e sembrava che entrambi le stessero piuttosto simpatici. Per non parlare, poi, di Niall e Louis. June li adorava, ed era evidente.
Il problema era lui quindi. E il modo in cui la faceva sentire. Harry non era per niente stupido, e aveva capito sin da subito di avere un certo effetto su di lei.
Quando lui era nei dintorni, June si irrigidiva e sembrava sempre pronta a scattare. Se per picchiarlo o per scappare, ancora non l’aveva capito.
Anche il quel momento era tesa come una corda di violino ed Harry proprio non capiva il motivo, visto che per una volta non aveva detto niente per metterla in imbarazzo.
Tranne quel “sorella” che gli era uscito di getto, solo perché il modo in cui Louis si rapportava a lei era tanto naturale e spontaneo che definirla “sorellastra” gli era sembrato fin troppo riduttivo.
Nel frattempo, Louis aveva rispiegato quanto aveva detto a Harry e June l’aveva seguito per filo e per segno, finalmente concentrata.
«Ovvio che non ci casco, ma per chi mi hai preso?»
June sorrise a Louis, divertita. Figurarsi se sarebbe stata tanto ingenua da cascare nella rete di Harry.
A proposito di Harry, lo ringraziò quando le tenne aperta la porta per farla entrare e gli concesse un piccolo sorriso, lasciandolo decisamente di stucco.
Soddisfatta, scivolò sulla panca fino a raggiungere il posto accanto a Liam, e prese a sfogliare il menù con aria distratta.
Qualche minuto dopo, Zayn sventolò la mano per richiamare l’attenzione della cameriera.
La ragazza si avvicinò qualche istante dopo, con un gran sorriso dipinto sul volto dolce.
«Ciao, ragazzi. Il solito?»
June rimase incantata per qualche secondo a fissare la montatura blu elettrico dei suoi occhiali, che contrastava in maniera delicata con i capelli castani, che teneva legati in una coda alta, e con la carnagione pallida.
La ragazza ricambiò il suo sguardo, curiosa. Si studiarono per qualche secondo, dopodiché la ragazza sorrise.
«Non ti ho mai vista, qui.» constatò.
«Alice, lei è June, la mia migliora amica.» la presentò Niall.
«Piacere di conoscerti.» Alice sorrise, poi porse la mano a June che ricambiò con un sorriso altrettanto amichevole.
«Alice, ho fame.» si lagnò Louis, qualche istante dopo. Alice rise, poi alzò gli occhi al cielo.
«Allenamento, eh?»
«Si, perciò perché tu e June non parlate dopo?» incalzò, circondando le spalle della sorellastra con un braccio.
Alice rise un’altra volta, divertita. «D’accordo. Resisti ancora un po’, campione. Tra poco arrivo.» dopodiché si allontanò velocemente.
June la osservò ancora per qualche secondo, ma non fu l’unica. Anche Niall, infatti, non le aveva tolto gli occhi di dosso.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Eccoci qua. Eccomi, anzi, visto che sono da sola. AHAHAH scusate, ma oggi sono un po’ delirante.
Comunque, credo di non avere niente da dire, sapete? Ah, si, solo una cosa. Ho notato (Sherlock Holmes è qui tra voi) che siete quasi equamente divise tra la coppia Louis/June e June/Harry.
Ecco, non voglio spoilerare niente, ma penso sia piuttosto evidente che Jarry (?) vince. Perciò, mi dispiace per quelle di voi che si sono illuse (?) (Come se non ci dormiste la notte), ma Louis e June sono solo fratello e sorella.
Poi, che altro dire? La storia è conclusa, perciò non c’è alcun dubbio. AHAHAH
Però, siccome in molte amate Louis, ho cominciato una nuova storia su di lui.
È una gran cagata, nel senso che non ha nessuna pretesa di serietà e niente, vi lascio il banner.
Cliccate sopra e verrete catapultate alla pagina.
Niente, ho finito.
Vi ringrazio davvero per le recensioni, sono contenta di sapere che la storia vi stia piacendo, i vostri deliri mi divertono sempre, li adoro.
Grazie <3
A lunedì prossimo!


Ah, quasi dimenticavo, avete visto il banner? Jas, mia bella bannerista di fiducia, ha deciso che quello precedente non le piaceva. Siccome, suo il banner, mia la storia (?) ecco qua quello nuovo.
Grazie, cipollina <3




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Capitolo 8
*** Chapter 7. ***









Chapter 7.

 





June sbadigliò per l’ennesima volta e appoggiò la testa sulla spalla di Liam, che ridacchiò e la guardò divertito.
«Stanca?» chiese, distogliendo per un attimo la sua attenzione dal grande schermo al plasma posizionato sulla parete in fondo.
«Da morire.» confermò June, prima di chiudere gli occhi per qualche secondo e sbadigliare un’altra volta.
«Mi dispiace dirtelo, ma Louis ne avrà ancora per un bel po’. Quando finisce gli allenamenti si mangia almeno tre panini. E poi oggi c’è anche la partita…» comunicò. June sbuffò.
Perfetto, come minimo si sarebbe addormentata sulla panca come una deficiente, nella speranza che nessuno segnasse e che il tifo dei pochi presenti si limitasse ad un nervoso borbottio di sottofondo. Borbottò ancora qualche secondo, poi si interruppe, quando si accorse che Harry la fissava con un mezzo sorriso divertito.
«Che vuoi?» berciò, infastidita. Lui fece spallucce.
«Mi chiedevo come tu faccia ad essere stanca, visto che non fai niente dalla mattina alla sera.» rivelò. Le fece un occhiolino malizioso, dopodiché portò alla bocca una patatina fritta e la addentò con gusto.
Oltraggiata da tutta quella supponenza, June appallottolò il tovagliolo di Liam e lo tirò in faccia ad Harry, colpendolo esattamente in mezzo alla fronte.
«Si dà il caso, mio caro, che io sia estremamente impegnata.» ringhiò.
Harry inarcò un sopracciglio.
«E sentiamo, cos’avresti fatto, oggi? A meno che fare la spesa al supermercato non ti abbia sfiancato così tanto.» celiò, lanciandole indietro il tovagliolo.
June boccheggiò alla ricerca di una risposta abbastanza antipatica, ma non le venne in mente niente.
«Be’… è la tua presenza che mi stanca!» farfugliò, mentre le guance le si coloravano lievemente di rosso. Niall, che aveva smesso di guardare la partita per concentrarsi sulla discussione tra i due, scoppiò a ridere.
«Voi avete dei problemi.» commentò, alzando gli occhi al cielo.
«Harry ha dei problemi.» lo corresse June, piccata. Non era mica colpa sua se era stanca! E poi, ad Harry cosa cavolo interessava se lei voleva andarsene a letto o se non aveva fatto niente tutto il giorno? Non era mica suo padre, per la miseria!
Intanto, Alice si era avvicinata nuovamente, richiamata da Louis, che a malapena staccava gli occhi dallo schermo.
«Il mio turno sarebbe finito, ma immagino che il panino sia più importante.» borbottò, divertita. Louis le sorrise riconoscente ed annuì.
«Ci metteresti un sacco di formaggio?» domandò. Alice rise, poi alzò gli occhi al cielo e si allontanò. Tornò qualche minuto dopo, ma anziché allontanarsi nuovamente, fece cenno ad Harry di farsi un po’ più in là e si accomodò tra lui e Niall, che sorrise soddisfatto.
June osservò il suo migliore amico con aria un po’ perplessa: da quando aveva quell’espressione idiota? Non se ne era mai accorta. D’altra parte, però, non è che Alice avesse un’espressione molto più intelligente. Non ci volle molto, quindi, a fare due più due. Si trattenne dal balzare in piedi e canticchiare “A Niall piace Alice e ad Alice piace Niall” e rivolse uno sguardo intenso a Niall, che arrossì furiosamente.
Alice non si accorse di niente, ma mantenne comunque il suo sorriso.
«Allora…» cominciò, rivolta a June. «Come ti trovi qui a Doncaster?» domandò. June fece spallucce.
«Be’, in realtà vivevo già qui, perciò non c’è stato nessun grande cambiamento. Certo, a parte ritrovarmi con un mezzo idiota come futuro fratello.» affermò, con evidente affetto. Louis si voltò, offeso.
«Non sei per niente gentile, scricciolo.» brontolò, prima di tornare a guardare la partita.
«Non ti ho mai vista in giro…» proseguì Alice, curiosa. Ancora una volta, June sollevò le spalle, come a dire che non poteva farci niente.
«Non esco tanto, solo qualche volta con Niall.» spiegò.
«Ecco perché sei così acida. Pensavo di essere io la causa del tuo malumore.» si intromise Harry, osservandola attentamente.
June sentì nuovamente lo stomaco contorcersi per il disagio: non era propriamente esatto, che Harry la mettesse di malumore. Semplicemente, la assoggettava con un solo sguardo e lei non riusciva a capirne il motivo. Okay, Harry era carino, ma non era mica il primo bel ragazzo che incontrava, né sarebbe stato l’ultimo.
In ogni caso, non poteva ammettere ad alta voce che lui la faceva sentire un’imbranata, perciò si limitò a lanciargli l’ennesimo sguardo infastidito e voltò la testa altrove.
Alice rise.
«Qualcuno qui ha trovato pane per i suoi denti…» cantilenò.
«Non ti preoccupare, prima o poi June cederà al mio fascino.» ammise Harry, con supponenza. Alice inarcò un sopracciglio.
«Io veramente mi riferivo a te, ma lasciamo stare.» disse. Harry tornò serio, come se Alice l’avesse mortalmente offeso, dopodiché si lasciò andare ad una risata un po’ troppo divertita.
«Dici davvero? Oh, Alice, mi farai morire dal ridere, prima o poi.» finse di asciugarsi una lacrima, poi scosse la testa.
«Cosa staresti insinuando?» mormorò June, con la voce contratta per il nervoso. Strinse gli occhi, sfidando Harry a parlare e lui non se lo fece ripetere due volte: disse ogni parola con calma, giusto per essere sicuro che il messaggio venisse compreso a fondo.
«Sto dicendo che la tua scena da sostenuta non mi ha ingannato affatto, piccola. So quello che voglio e soprattutto so riconoscere quando piaccio a qualcuno. Non mi inganni.»
Se Harry aveva davvero creduto che June avrebbe reagito bene a quell’affermazione, si era sbagliato di grosso. Se ne rese conto nell’esatto momento in cui il volto di lei divenne inespressivo e lo sguardo freddo come il ghiaccio.
La osservò mentre beveva un sorso d’acqua dal bicchiere. Quello che non si era aspettato, a dire il vero, era che subito dopo sorridesse in quel modo indecifrabile. Tantomeno che gli rovesciasse in testa il contenuto del bicchiere.
«Vediamo se riesco a fartelo capire una volta per tutte: tu – non – mi – piaci.» scandì, lentamente e con voce piatta.
Incredulo e grondante d’acqua ghiacciata, Harry sorrise.
«Vuoi la guerra, piccola?» sibilò. June arrossì.
«Non voglio un bel niente, da te. Voglio che mi lasci in pace, quello si.»
«Troppo tardi.»
Cadde un minuto di silenzio, durante il quale il Manchester segnò il primo gol e l’intero locale esplose in urla di dissenso. Poi, la voce squillante di Alice si fece largo tra le grida.
«L’avevo detto io, che avevi trovato pane per i tuoi denti.»
 
Louis era arrabbiato con lei.
June se ne accorse perché durante il viaggio di ritorno a casa non le aveva rivolto la parola se non per chiederle di chiudere il finestrino e di abbassare un po’ il volume della radio.
Essendo abituata ad affrontare i problemi a viso aperto, non si fece per niente intimorire dall’espressione astiosa di Louis. Spense completamente la radio e si voltò verso di lui.
Louis non fece cenno di averla notata e, come per farle intendere che non aveva nessuna intenzione di passare con lei più tempo dello stretto necessario, premette il piede sull’acceleratore.
«Oh, ma davvero? Perciò se io ti chiedessi di farmi scendere adesso saresti contento, no?» insinuò, slacciando la cintura. Louis si voltò a guardarla, un po’ sorpreso.
«Come?»
«Dai, fammi scendere.»
«Si può sapere cosa stai dicendo?»
«Fammi scendere, mi faccio una passeggiata. Visto che sei tanto incazzato, non vorrei darti fastidio. Perciò, ferma la macchina.»
Louis sospirò, poi alzò gli occhi al cielo.
«Non dire cazzate, per cortesia. E poi cos’è, hai la coda di paglia?» insinuò, con un sorrisetto beffardo. June inarcò un sopracciglio, indecisa. Incazzarsi o no? Era quello il problema, alla fine. Non aveva nessuna voglia di bisticciare anche con Louis e comunque non aveva nessunissima coda di paglia. Semplicemente, sapeva riconoscere quando qualcuno ce l’aveva con lei.
«Affatto. Però tu potresti anche dirmi perché sei tanto nervoso. È per Harry?» domandò, sapendo alla perfezione che il problema era proprio quello.
Louis borbottò qualcosa.
«Prego?»
«Si! Okay? Harry è il mio migliore amico, d’accordo? E non mi piace che ti abbia messo gli occhi addosso.» farfugliò, un po’ troppo velocemente.
Non gli piaceva per niente che lui e June litigassero ogni trenta secondi. O, almeno, non gli piaceva il motivo per cui litigavano: Harry voleva June e quando si metteva in testa qualcosa non c’era niente da fare, l’avrebbe avuta. Il problema era che Louis non era affatto disposto a lasciare che spezzasse il cuore a sua sorella. Non era un’opzione praticabile e comunque Harry non avrebbe avuto nessuna difficoltà nel trovare un’altra fortunata anima da tormentare e portarsi a letto. L’importante era che lasciasse in pace June. Primo perché prima o poi si sarebbe ritrovato senza gli attributi, visto che lei glieli avrebbe staccati, secondo perché non c’era nemmeno la certezza che l’unica a perderci sarebbe stata June. Non ci voleva mica molto ad innamorarsi di lei.
June aprì e chiuse la bocca un paio di volte, rimuginando sulle parole di Louis: non ce l’aveva con lei, ma con Harry! Era arrabbiato perché Harry non la lasciava in pace, non perché lei gli aveva rovesciato il bicchiere d’acqua addosso.
«N-non sei arrabbiato con me?» balbettò infine.
«No, certo che no! A quanto pare non riesco a prendermela con te, anche se potresti evitare di fare il bagno alla gente, a ben pensarci.» borbottò, voltandosi verso di lei e rivolgendole un sorriso divertito.
June scoppiò a ridere, ripromettendosi che non appena fossero scesi dalla macchina avrebbe abbracciato Louis.
E così fece.
Una volta che Louis fu alla sua portata, si lanciò letteralmente tra le sue braccia e gli schioccò un bacio sulla guancia. Louis rise, ricambiando l’abbraccio, e le baciò una tempia.
«A cosa devo tutto questo affetto?»
«Il mio cuore di ghiaccio si sta sciogliendo.» proclamò June, teatralmente. Louis scoppiò a ridere.
«Ed io che pensavo di essere irresistibile.»
«Quello era il secondo motivo.»
Si sorrisero di nuovo, poi entrarono in casa e vennero accolti dal sorriso gioioso di Johannah e da quello sereno di Sam.
Per il resto della serata, June riuscì a non pensare ad Harry e al fatto che, presto o tardi, avrebbe dovuto rivederlo.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Buonasera ^^
Vado piuttosto di fretta, oggi, perché devo preparare la cena (e mi ero pure dimenticata di aggiornare), perciò niente. Vi ringrazio e vi adoro alla follia e spero che il capitolo vi sia piaciuto <3

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Capitolo 9
*** Chapter 8. ***









Chapter 8.

 




Nei sei giorni che seguirono quella disastrosa serata, June ebbe tutto il tempo di raccogliere le idee e di organizzarsi per qualsiasi evenienza.
Evenienza che comprendeva, principalmente, Harry Styles, il quale non si era fatto né vedere né sentire.
Louis non aveva preso la mancanza dell’amico tanto serenamente, ma si sforzava di impegnare il tempo in qualcosa di divertente e che lo distraesse abbastanza dal pensiero di Harry.
Infastidire June, perciò, sembrava diventata la sua unica fonte di svago. E se all’inizio lei era sembrata più che entusiasta delle attenzioni che Louis le rivolgeva, dopo un po’ aveva iniziato a stancarsi della sua esuberanza e del suo continuo e a tratti irritante saltellarle attorno.
La sua ben misera pazienza si era esaurita quel pomeriggio, dopo che Louis le aveva chiesto, per l’ennesima volta, di guardare le repliche dei Simpson in televisione.
Era solito guardarle con Harry, ma da quando avevano discusso – non che ci fosse stato un litigio o qualcosa di tanto plateale: semplicemente, il loro era un silenzioso e ancora più crudele distacco – Louis aveva dovuto vedersi i Simpson da solo. Inutile dire che trovava quasi insopportabile non poter condividere con nessun altro le battute, né la sua favolosa imitazione di Homer.
Così June aveva scelto che salvaguardare la sua sanità mentale era una questione della massima priorità e si era armata di forza e coraggio.
«Sto uscendo.» annunciò, velocemente.
Louis, svaccato sul divano con un’espressione annoiata, sgranò gli occhi azzurri e fece per alzarsi. Lei gli rivolse un’occhiataccia che lo convinse a stare seduto, poi gli puntò il dito contro.
«Non ti azzardare a seguirmi. Stai a casa e guardati i cartoni animati.»
«Ma mi annoio!» si lagnò Louis. June si morse un labbro, nervosa. Non poteva dirgli dove stava andando, o Louis avrebbe tirato giù un casino. Rimuginò per qualche secondo alla ricerca di una scusa plausibile, poi sorrise perfidamente.
«Avrei preferito non dirlo ad alta voce, ma visto che a quanto pare ti sei deciso a tampinarmi, mi tocca parlare: devo comprare gli assorbenti. Sai, tra poco dovrebbe venirmi il ciclo e non vorrei rischiare di…»
«Okay, ho capito! Zitta, zitta!» Louis si tappò le orecchie, come un bambino che non vuole sentire e June scoppiò a ridere.
«Sicuro di non voler venire?» propose, infine, mentre si legava la sciarpa al collo e calava il cappuccio sui capelli.
«No, c’è una puntata che proprio non posso perdermi.» come a voler dimostrare quanto appena detto, Louis si voltò verso la televisione e si finse interessato alla pubblicità del dentifricio.
June salutò un’ultima volta, afferrò la sua copia delle chiavi di casa e si chiuse la porta alle spalle.
Dopodiché si incamminò velocemente, decisa a togliersi quanto prima da quel fastidioso triangolo che comprendeva lei, Harry e Louis. Se ne tirava fuori completamente: Louis ed Harry potevano continuare ad essere migliori amici, senza nessun intralcio da parte sua.
Intralcio che, tra le altre cose, lei nemmeno aveva voluto. Insomma, se Harry non avesse cominciato con quella stupida storia del “voglio aggiungere un nome nuovo alla lista delle mie vittime”, lei non avrebbe mai dichiarato guerra così apertamente e avrebbero vissuto tutti felici e contenti.
Ma siccome Harry era un idiota e siccome lei non aveva alcuna intenzione di stare dietro alle sue cazzate, ora si vedeva costretta a perdere un pomeriggio intero per le strade di Doncaster, alla ricerca della tanto famigerata casa Styles.
Le ci volle quasi un’ora di cammino, prima di trovare l’indirizzo che Niall le aveva mandato per messaggio. Non aveva chiesto spiegazioni, ma June gli aveva promesso che gli avrebbe spiegato tutto non appena avesse risolto.
Il risultato di tutta quella sfacchinata, comunque, era un umore parecchio tendente all’isterismo e una fame da lupi. Non aveva mangiato tanto a pranzo, perché era convinta di poter trascorrere l’intero pomeriggio a sgranocchiare quei cereali che aveva comprato il giorno prima.
E invece no, perché Louis aveva deciso di stressarle la vita e lei non sopportava più di vederlo ciondolare per casa come un’anima in pena. 
Davanti alla porta d’ingresso, prese un respiro profondo e si costrinse a suonare il campanello. Passò un minuto, poi due, ma nessuno si degnò di aprire la porta.
Ed Harry doveva per forza essere a casa, perché a quell’ora c’erano i Simpson e Niall le aveva garantito che non se li sarebbe persi per niente al mondo.
Risuonò, insistente e dopo qualche secondo sentì i passi veloci di qualcuno che scendeva le scale ed Harry le aprì la porta.
June strabuzzò gli occhi, perché l’ultima cosa che si era aspettata era di venire accolta in boxer neri. Arrossì furiosamente ed Harry parve profondamente soddisfatto, dato che si appoggiò allo stipite della porta con la spalla e incrociò le braccia.
«Ciao, piccola.» mormorò.
«Ciao piccola un paio di palle. Mi fai entrare o no? Devo parlarti.» sbottò, sforzandosi di guardare Harry negli occhi. Tuttavia, le riuscì parecchio difficile non soffermarsi almeno per un istante sugli addominali e sui fianchi stretti.
Harry si fece da parte e con un cenno del braccio la invitò ad accomodarsi in salotto. Con disappunto, June si rese conto di non essere sola. Oltre ad Harry, infatti, c’era anche una seconda ragazza. Non era propriamente vestita, notò, con un sopracciglio inarcato. Anzi, stretta in quello scandaloso mini abito azzurro, sembrava perfettamente a suo agio.
Lo stesso valeva per Harry, che si sedette sul divano e afferrò il telecomando, per poi spegnere la televisione. June fece in tempo a intravedere Homer che strozzava Bart con la cornetta del telefono, dopodiché il silenzio riecheggiò per tutta la stanza.
«E tu chi saresti, scusa? Ci hai interrotto proprio sul più bello.» si lamentò la signorina, con una vocetta acuta e nasale che rimbombò fastidiosamente nella sala. June la guardò per un istante, poi si rivolse a Harry.
«Se avessi saputo che avevi un servizio prenotato, sarei venuta più tardi.» si scusò, un po’ troppo sarcastica. Harry ridacchiò, la fanciulla invece, sembrò offendersi a morte e incrociò le braccia al petto.
«Tranquilla, piccola, ho sempre tempo per te.» sostenne, facendola arrossire un’altra volta. La ragazza, sentendosi ignorata, pretese di conoscere il nome di quella sfacciata ragazzina che aveva interrotto il loro incontro.
«Carolina, lei è June.»
«June… come il mese? Dio, non posso credere che esista qualcuno con un nome così brutto.» ridacchiò, giuliva. June si morse l’interno del labbro, Harry alzò gli occhi al cielo e scosse il capo, divertito. Carolina proprio non aveva idea di chi si era messa contro.
«Buffo, considerato che ti chiami come la mucca di mia nonna. Fossi in te parlerei di meno e mi vestirei un po’ di più, Carolina.» June calcò volutamente sul nome dell’altra, tanto per farle capire che l’unica ad avere un nome ridicolo, lì, non era certo lei.
«Posso parlare con te, si o no?» tornò a rivolgersi ad Harry, che sogghignava divertito. Lui annuì.
«Linnie, possiamo vederci un’altra volta? Ti chiamo io.» disse, afferrando l’impermeabile color avorio dalla spalliera del divano e porgendolo con cortesia a Carolina, che sporse il labbro di fuori, nella perfetta imitazione di una vedova sconsolata.
«Me lo prometti?» domandò, mulinando le lunghe ciglia.
«Certo.»
«Oh, in questo caso allora va bene. Ci sentiamo, Harry. Ciao, Jenuary.»
«È June, stupida. Vai a pascolare, che è meglio.» dopo quell’ultimo simpatico saluto, le due si scambiarono un’occhiata di odio reciproco, dopodiché Carolina uscì ed Harry e June rimasero soli.
Un po’ più a disagio di quanto lo era stata fino ad un istante prima, June si sedette sul divano, il più possibile distante da Harry.
«Potresti metterti qualcosa addosso, per cortesia?» domandò, infastidita da tutta quella mancanza di pudore. Harry, da parte sua, si fece un po’ più vicino e sfiorò il braccio di June con lentezza quasi esasperante.
«Non mi dire che ti vergogni.» sussurrò. June si scostò, infastidita, e si alzò in piedi.
«Ho bisogno di parlare con il tuo cervello, perciò vedi di connetterlo e conserva le tue tattiche da rimorchio per qualcuno di più stupido di me.»
Harry sembrò meditarci per qualche secondo, dopodiché si alzò e con studiata calma si avvicinò a June, che di riflesso indietreggiò.
«Interessante…» mormorò lui, divertito.
«Cosa? Ti vuoi vestire, per l’amor di Dio?» urlò June, imbarazzata da morire e prossima all’esaurimento nervoso. Ma chi gliel’aveva fatto fare?
Harry inclinò la testa da un lato, come studiandola, poi scattò. Afferrò June per un braccio e la spinse sul divano. La intrappolò sotto il suo corpo, divertito dalle sue guance ormai rosse e dalla sua aria a metà tra lo spaventato e l’incazzato nero. Sembrava un animale in gabbia ed Harry scoprì che essere la causa del suo imbarazzo era quanto di più divertente avesse mai provato.
June si divincolò, scalciò e urlò, ma Harry le intrappolò entrambi i polsi con una mano sola e non si mosse dalla sua posizione.
«Te l’avevo detto che non mi sarei arreso.»
«E io ti ho detto che non mi piaci. Perciò ti do dieci secondi, dopodiché di’ addio ai gioielli.» minacciò June. Le mancava il fiato e non riusciva neanche a pensare lucidamente. Gli occhi di Harry erano fissi nei suoi e la confondevano. Naturalmente sapeva che non le avrebbe fatto niente e si era accorta che il suo era solo un modo per farla vergognare e per vendicarsi un po’ di quel bagno fuori programma. Ma sapere di essere in suo completa balìa, incapace di muoversi, la rendeva inquieta e nervosa.   
«Hai le gambe bloccate, non mi imbrogli. Ti lascio andare, ma voglio qualcosa in cambio.»
«Non penso proprio. Muoviti Harry, non ho tempo da perdere.»
«Si dà il caso, invece, che io non abbia altri impegni per tutto il pomeriggio e che l’unico che avevo sia saltato per colpa di qualcuno.»
«Sono davvero dispiaciuta. Ora mi lasci andare o devo supplicarti?»
June non sopportava più di stargli così vicino. Si era appena resa conto che la vicinanza con quell’idiota non le dispiaceva poi così tanto. Soprattutto perché aveva l’impressione che, tra le sue braccia, non le sarebbe mai potuto succedere niente.
E a lei Harry non piaceva, perché era troppo supponente e convinto di sé.
«Te l’ho detto, prima voglio una cosa in cambio.» ripeté Harry, per la seconda volta.
A pensarci bene, avrebbe potuto chiedere qualunque cosa. Un bacio, per esempio, tanto per poter capire se le labbra di June erano così morbide come aveva immaginato. Eppure aveva la sensazione che chiederle una cosa del genere, non avrebbe fatto altro se non allontanarla. E lui non era intenzionato a perderla, non finché non avesse capito se lei poteva interessargli davvero o se il suo era solo il desiderio di portarsi a letto una che sembrava diverse dalle sue solite frequentazioni.
«Non vengo a letto con te, se è quello a cui stai pensando.» borbottò June, con le guance in fiamme.
«Non ho bisogni di ricatti, per convincere una ragazza a stare con me, piccola. Vengono tutte di loro spontanea volontà.»
June sbuffò.
«E allora cosa vuoi?»
«Un appuntamento. Concedimi un appuntamento, io e te da soli, ed io mi alzo, mi vesto e ascolto tutto quello che hai da dire.» propose Harry, con un sorriso vittorioso.
Aveva capito, ormai, che June avrebbe accettato qualunque proposta, pur di farlo alzare.
«E va bene. Ma ora levati, perché sei pesante.»
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Buonasera (o buon pomeriggio)! Ecco qua il capitolo nuovo. Come avete appena visto, June ha preso una decisione e si è presentata da Harry, che a sua volta l’ha “ricattata”. Le cose tra di loro cominciano a movimentarsi e non vedo l’ora di sapere che ne pensate! Dai prossimi capitoli in poi, ne succederanno un sacco.
Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio con il cuore per tutte le recensioni, le seguite/preferite/ricordate e per avermi inserito tra le autrici preferite.
Dico davvero, siete un toccasana per la mia misera autostima! Vi adoro
Un bacione,
Fede.

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Capitolo 10
*** Chapter 9. ***









Chapter 9.

 




Quando Harry si fu rivestito, June riprese a respirare normalmente.
Scocciata da tutto quel teatrino al quale era stata costretta a prendere parte, lo seguì in cucina.
Harry aprì il frigo alla ricerca di qualcosa da bere, poi afferrò una bottiglia di Coca Cola e guardò June.
«Posso offrirti qualcosa?» domandò, con un sorriso cortese. June strinse lo sguardo.
«Se ti chiedo un bicchiere d’acqua mi ricatti, o posso stare tranquilla?» sibilò, ancora un po’ infastidita dal fatto che lui fosse riuscito a strapparle un appuntamento solo perché si sentiva troppo in imbarazzo ad averlo sopra di sé, seminudo.
Harry rise. «Per ora puoi stare tranquilla, piccola.» mormorò. Versò l’acqua in un bicchiere e glielo porse con un sorriso divertito. June bevve lentamente, pensando nel frattempo a cosa avrebbe detto ad Harry per giustificare la sua presenza lì. Perché, prima o poi, l’argomento sarebbe saltato fuori.
«Simpatica, la tua amica.» commentò, tanto per spezzare il silenzio e per ritardare ancora un po’ il momento delle spiegazioni.
«Non è una mia amica. Lei, be’…»
«Capisco. Lascia stare, non mi interessa.» lo zittì immediatamente, infastidita.
«Cosa c’è adesso?» incalzò Harry, con un sopracciglio inarcato. June lo guardò confusa.
«Che?»
«Sembri arrabbiata. Ho detto qualcosa che non và?» domandò, con un’espressione ingenua ed angelica che non gli si addiceva per niente.
Oh, certo. Non credeva davvero che lei ci sarebbe cascata con tutte le scarpe, vero? Non era mica così stupida da lasciarsi ingannare da quel tono soave e basso e da quegli occhi limpidi.
«A parte il fatto che mi hai praticamente ricattata e che tratti le ragazze come oggetti? No, figurati.» berciò, infastidita.
«Ma si può sapere quale idea ti sei fatta di me? Non sono un mostro sanguinario, porca puttana. Mi parli come se dovessi saltarti addosso da un momento all’altro!» si lamentò Harry, sinceramente offeso.
Va bene, poteva anche stargli antipatico, per quello non c’era nessun problema. Avrebbe cambiato idea molto presto, però da lì a crederlo un sessista bastardo il passo era lungo. Semplicemente, non aveva nessun problema – e soprattutto non si faceva alcuno scrupolo – nel trovare una ragazza carina che gli tenesse compagnia per un po’. Quanti problemi, per un po’ di sesso. Aveva diciannove anni, maledizione! Non centodieci.
«Tanto per iniziare, nel caso in cui te lo fossi scordato, mi sei già saltato addosso prima. Perciò ora non fare sua maestà dall’anima candida, perché con me non attacca.»
Harry la guardò per qualche istante, sorseggiando la sua Coca Cola con lentezza. June si affrettò a distogliere lo sguardo perché altrimenti, lo sapeva, sarebbe arrossita e lui avrebbe pensato che non le era dispiaciuto affatto trovarselo addosso mezzo nudo.
«Fai un sacco di storie, non ti ho mica violentata.» sostenne Harry, un po’ indignato.
«E ci mancherebbe altro, guarda.» June finì di bere l’acqua in un paio di sorsi, dopodiché lasciò il bicchiere nel lavandino. Harry seguì ogni suo movimento con attenzione, rendendosi improvvisamente conto che ancora non sapeva quale fosse il motivo che l’aveva spinta a presentarsi a casa sua, quel pomeriggio.
«Cambierai idea su di me, vedrai.» le assicurò, convinto. Poi si diresse di nuovo verso il salotto, fece cenno a June di seguirlo e si accomodò sul divano.
June tentennò un istante, indecisa sul da farsi. Forse poteva andarsene e lasciare che Harry e Louis se la sbrigassero da soli, ma non sarebbe stato giusto, perché Louis aveva fatto tanto per lei e le era stato vicino sin dal primo istante e lei l’aveva solo fatto litigare con il suo migliore amico.
Perciò si convinse a sedersi a distanza di sicurezza da Harry, onde evitare il rischio di ritrovarsi – di nuovo – preda dei suoi scatti improvvisi. Non aveva nessuna intenzione di pensare all’effetto che le aveva fatto trovarsi stretta a lui.
«Allora, piccola, ancora non mi hai detto che sei venuta a fare.» cominciò Harry.
June inspirò profondamente e cominciò a parlare.
«Non sopporto più Louis. Sembra un’anima in pena, e tutto per colpa tua!» accusò, puntando il dito indice verso Harry, che rimase stoicamente in silenzio. Per la prima volta sembrava non avesse nemmeno una risposta tagliente da rivolgerle. Perciò June intuì che nemmeno lui fosse tanto contento della situazione che si era creata. In quel momento, Harry non le sembrò il solito stronzo arrogante, ma un semplice ragazzo triste per aver litigato col suo migliore amico.
Che era triste lo si vedeva chiaramente. June sorrise, improvvisamente meno risentita di quanto lo fosse stata fino a qualche minuto prima, e si sporse in avanti per accarezzare il braccio di Harry, che sollevò lo sguardo, sorpreso.
«Perché non provi a parlargli? Andiamo, Louis non è uno che serba rancore.»
«E tu?» domandò Harry, fissandola per un lungo istante.
June ci pensò attentamente. Era una persona rancorosa? Non sempre e, soprattutto, non con tutti.
«Forse.» rispose, quindi.
«Perciò ho qualche speranza di piacerti?»
«Cosa c’entra, questo, adesso?» borbottò, mentre le guance le si imporporavano leggermente.
«Dai, piccola, lo sai perfettamente che è per questo che io e Louis non ci parliamo.» replicò Harry. June arricciò il naso, senza sapere bene cosa rispondere.
«Non puoi perdere Louis per me, Harry. Mi conosci appena e probabilmente il gioco non vale la candela.»
«Ti sbagli, piccola.»
June sbuffò. E adesso? Sembrava quasi che Harry avesse preso la questione troppo sul serio, come se conquistarla fosse diventata una questione di principio. E lei, in quei giochetti, non voleva entrarci nemmeno per sbaglio, perciò tanto valeva mettere subito le cose in chiaro.
«Tu non mi piaci, Harry. Sei troppo, per me.»
«Troppo cosa?»
«Sei troppo corteggiato, sei troppo esperto, sei troppo convinto. Ti basta, o devo continuare?»
«Continua, piccola, magari te ne convinci anche tu.»
Harry sorrise, sornione. Non lo ingannava. Non era affatto vero che non gli piaceva, semplicemente, ancora non era pronta per ammetterlo. Ma lui avrebbe aspettato, perché quando qualcosa gli interessava, sapeva essere davvero paziente. Perciò riportò la sua attenzione sul discorso iniziale.
«Louis sembra convinto che tu sia di sua proprietà.» sibilò, allungandosi in avanti per sistemarle una ciocca di capelli dietro le orecchie.
«Vuole solo evitare che io stia male per qualcuno che non se lo merita.» spiegò June, schietta.
Harry sembrò rimanerci male, questa volta.
«Certo che sei proprio stronza, lo sai?» sbottò, infastidito. June annuì, sentendosi un po’ in colpa. Ma che poteva farci? Era dell’idea che dire la verità fosse sempre la scelta migliore, anche se magari poteva non piacere.
E comunque, Harry poteva intestardirsi su qualcun’altra, anziché con lei. Se, come sosteneva fieramente, aveva davvero un sacco di ragazze pronte a scaldargli il letto, che andasse da loro. Per di più, non aveva nessuna intenzione di rendergli le cose più semplici. Non ci sarebbe cascata, non c’erano occhi verdi o sorriso sghembo che tenessero.
«Non voglio dire che tu non sei abbastanza, Harry. Quello che intendevo dire è che non ho voglia di stare male per colpa tua. Tutto qui.» provò a spiegare, un po’ più dolcemente. Harry annuì.
«Se ci pensi bene, quando dici che potresti stare male a causa mia, è perché ammetti che ti piaccio.»
Furbo. E intelligente. June l’aveva capito che tenergli testa non sarebbe stato così facile, ma lei non si sarebbe arresa. Non quando era palese che l’unico motivo per cui Harry ci provava con lei era dimostrare che poteva avere chiunque volesse.
«Ma sta’ zitto.» lo rimbeccò.
Harry sorrise vittorioso e June arrossì. Perfetto, in qualunque modo la mettesse, qualsiasi cosa dicesse, alla fine lei era quella che passava per l’imbranata di turno.
«Ora devo andare.» farfugliò, in preda all’imbarazzo. Harry continuò a sorridere, fastidiosamente divertito. June represse l’impulso di tirargli uno schiaffo e si alzò in piedi.
«Non avevo dubbi, sai?»
«Chi è lo stronzo, adesso?» domandò June, sarcastica. Si avviò verso l’ingresso, mentre Harry la seguiva a qualche passo di distanza.
Le aprì la porta e con un inchino la congedò. «Grazie per la visita, piccola.»
«Aspetta…» mormorò June, ferma sullo scalino.
«Parlerai con Louis, allora?» chiese, speranzosa. Harry sbuffò.
«Parlerò con Louis.» confermò. «Ma tu non dimenticarti che abbiamo un appuntamento, piccola.»
June mugugnò qualcosa di incomprensibile, alzò gli occhi al cielo e fece per allontanarsi. Qualcosa glielo impedì, però. Qualcosa che corrispondeva alla mano di Harry, che la afferrò per il polso sinistro e se la tirò addosso. Prima ancora che June potesse rendersi conto di essere praticamente appoggiata al suo petto, Harry si chinò e la baciò.




***




Buonasera :)
Oggi sono davvero di fretta, perchè devo preparare la cena e quindi ho trovato tempo solo adesso.
Niente, che ve ne pare? Spero che il capitolo vi sia piaciuto e prometto che la prossima volta vi scoccerò un po' di più con le note, ma sono proprio di corsa!
Fatemi sapere che ne pensate, vi adoro :)

 
 
 

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Capitolo 11
*** Chapter 10. ***









Chapter 10.

 





Seduta sul letto con le gambe incrociate, June si rese improvvisamente conto di una cosa: non aveva detto ad Harry di tenere la bocca cucita riguardo il loro appuntamento.
D’altronde, come avrebbe potuto ricordarsene, se quel cretino l’aveva baciata togliendole quasi il respiro?
Si portò le mani alle labbra, ancora incredula. L’aveva baciata. Quello stupido l’aveva baciata, nonostante lei gli avesse detto chiaramente, e ben più di una volta, che non era interessata.
Ripensandoci, avrebbe potuto reagire in un centinaio di modi diversi. Anzi, il primo che le veniva in mente era un bello schiaffo. Un calcio nei gioielli, uno spintone, qualsiasi reazione che comprendesse un atto violento. Chissà, forse Harry avrebbe compreso il concetto.
E cos’aveva fatto lei, invece? Era rimasta lì, immobile, senza sapere cosa dire e cosa fare. Con il fiato corto, le labbra arrossate e il cuore che palpitava così forte che temeva le sarebbe scoppiato nel petto da un momento all’altro.
Cos’aveva fatto Harry? Aveva sorriso, le aveva lasciato una carezza sulla guancia e si era chinato fino al suo orecchio. Aveva sussurrato un “non si direbbe proprio che io non ti piaccia.” che l’aveva fatta arrossire ancora di più e l’aveva lasciata andare.
June si era allontanata, senza poter fare a meno di sentirsi umiliata per il modo in cui lui l’aveva congedata. Stupido idiota supponente. Poteva detestarlo? Perché quello era l’unico sentimento che provava: astio più totale.
Oh, ma se pensava che l’avrebbe passata liscia, Harry Styles si era sbagliato di grosso. Perché lei poteva pure aver apprezzato il bacio – non era così stupida da negarlo – ma ciò non significava che Harry avesse vinto o che lei avesse cambiato idea.
Lui continuava ad essere un idiota troppo convinto e lei continuava a pensare che avrebbe voluto prenderlo a schiaffi.
«Stronzo infame.» borbottò.
«Ehi!»
Louis come al solito sembrava avere qualche problema con le porte e con la privacy altrui, ma June non ci fece troppo caso, perché la sua espressione felice era così evidente che le fece dimenticare all’istante la rispostaccia che aveva ancora sulla punta della lingua.
«Che vuoi?»
«Signore e signori, la dolcezza.» annunciò Louis, sarcastico. June inarcò un sopracciglio e sbuffò.
«Signore e signori, un rompipalle.» ribatté, facendogli posto. Louis si sdraiò a pancia in su, con gli occhi rivolti al soffitto.
«Oggi ho parlato con Harry.»
Panico.
Tuttavia, June si sforzò di mostrarsi il più disinteressata possibile. Magari Harry aveva ritrovato il cervello e non aveva accennato al loro piccolo “scambio”.
Doveva prima sentire cosa diceva Louis, poi avrebbe stabilito chi uccidere per primo.
«Ah, davvero?» domandò, osservando con estrema e falsissima attenzione il quadro attaccato alla parete.
Louis rotolò su un fianco e si sostenne la testa con il braccio destro. Scrutò a lungo June, che si impose di mantenere la calma.
«Si, davvero.»
«Mi fa piacere.» presa dall’ansia, June guardò Louis nervosamente. Lui continuava a fissarla e per un attimo June fu tentata di dirgli tutta la verità pur di farlo smettere di guardarla in quel modo. Incredibile quanto gli occhi cristallini di Louis sapessero farla sentire in colpa.
«June, tu non c’entri niente?» domandò Louis, sospettoso.
«Cosa ti ha detto quell’idiota di Harry?» maledicendosi per la sua stupidità, June si morse la lingua.
C’era cascata in pieno! Come una novellina. Chiedendo di Harry in quel tono, senz’altro aveva fatto capire a Louis che ci aveva avuto a che fare.
Maledetta lei e la sua bocca larga.
«Non eri costretta a farlo.» mormorò Louis, poco dopo. June fece spallucce.
«È il tuo migliore amico, Lou. E avete litigato a causa mia, era il minimo che potessi fare.» spiegò, omettendo tutti i particolari di quell’incontro.
Se solo ripensava a quello che era successo, le veniva voglia di correre da Harry e picchiarlo.
«Non cambia il fatto che Harry non ti toglierà gli occhi di dosso, scricciolo.» mugugnò Louis, infastidito.
June sorrise, poi gli passò una mano tra i capelli, intenerita.
«Non preoccuparti per me, Lou. Me la so cavare, sai?» ridacchiò, poi si abbassò e lasciò un bacio sulla fronte di Louis, che sorrise.
«Ti terrò d’occhio.»
«Si, papà.» June alzò gli occhi al cielo, poi ridacchiò.
«Stavo pensando… ma secondo te, tra Niall ed Alice c’è qualcosa?» chiese, curiosa. Louis ci rifletté per qualche secondo.
«Forse. Credo che a Niall piaccia Alice. Sembra un pollo, ogni volta che la guarda.» rise «E comunque non credere che ingannarmi sia così semplice. Puoi anche cambiare argomento, ma non mi freghi.» rivelò, schietto.
June arrossì ma non replicò: Louis aveva ragione su tutta la linea e lei non aveva alcuna voglia di impegnarsi per pensare ad una serie di scuse che di certo non lo avrebbero imbrogliato.
«Lo prenderò per un: d’accordo, Louis. La prossima volta non ti parlerò del ciclo solo per farti stare a casa.»
«E va bene, hai ragione. Andrai avanti ancora per molto, Louis?» lo rimbeccò June, seccata.
Aveva capito la lezione, non c’era bisogno che le ricordasse ogni singola parola che gli aveva detto.
«Si.»
«Sai che sei molto simpatico?»
«Si. E tu lo sai che tra poco andiamo agli allenamenti? Oggi è giovedì, ci sarà anche Alice.»
«E se non volessi venire?»
«Non è un mio problema. Muoviti, che facciamo tardi.»
 
June si segnò mentalmente che la prossima volta che Louis le avesse chiesto di andare agli allenamenti, la sua risposta sarebbe stato un categorico NO.
E non solo perché sugli spalti si stava letteralmente congelando.
No, quello era il minimo. Il vero motivo per cui non avrebbe mai più messo piede in quel luogo maledetto era fin troppo ovvio: Harry Styles.
Se la volta precedente era arrivato in ritardo, quel 12 Novembre era puntualissimo, se non in anticipo.
Perciò June dovette raggiungere Niall, Liam e Zayn consapevole di avere lo sguardo di Harry addosso. Non che lui facesse qualcosa per metterla a suo agio, comunque. La fissava come un leone fissa una gazzella particolarmente grassa e lei accelerò il passo il più possibile e andò a sedersi esattamente tra Niall e Zayn. Salutò entrambi con un bacio sulla guancia, fece lo stesso con Liam e poi si bloccò, perché Harry la fissava evidentemente in attesa.
«Ciao, piccola.»
«Ciao.» sii fredda come un ghiacciolo, si raccomandò.
«Niente bacio, per me?»
«Tu che ne dici?» replicò, gelida. Si congratulò con sé stessa per la prontezza nella risposta, poi si voltò verso il campo e osservò Louis che correva per riscaldarsi.
Persa nei suoi pensieri, sentì a malapena Harry che chiedeva a Zayn di cedergli il posto e Niall che annunciava che andava incontro ad Alice.
Prima che potesse rendersene conto, erano rimasti soli.
«… ho ragione o no?»
June non lo sentì nemmeno. Era talmente presa dal pensiero che avrebbe davvero avuto bisogno di un’amica a cui confidare il modo in cui Harry la faceva sentire, che non si era neanche accorta che l’oggetto dei suoi pensieri era accanto a lei e sembrava anche parecchio stizzito dalla mancanza di attenzione.
«Se non mi ascolti ti bacio qui davanti a tutti.»
Niente, ancora. Perciò o June era persa nel suo mondo o, molto più semplicemente era sorda. Harry ghignò, sapendo che quanto stava per fare molto probabilmente gli avrebbe solo fatto guadagnare una bella cinquina.
Afferrò il mento di June, le voltò il viso verso di lui e le stampò un bacio sulle labbra morbide.
June scattò all’istante, senza nemmeno accorgersene. Colpì la guancia di Harry con uno schiaffo da manuale, tanto che qualche secondo dopo cominciarono a comparire le impronte delle sue dita.
«Ma sei completamente rincoglionito?» urlò, balzando in piedi e mettendo la maggior distanza possibile tra lei e il ragazzo.
Harry si massaggiò la parte lesa.
«Che colpo. Hai la mano pesante, piccola.» mugugnò.
June arrossì.
«Si può sapere che ti dice il tuo accidenti di cervello bacato?» urlò di nuovo. Harry ridacchiò.
«Fai un sacco di storie. Comunque mi hai fatto male, cavolo.»
Si lamentò. June prese un respiro profondo. Doveva calmarsi, decise. Ne andava della sua sanità mentale e lei era davvero troppo intelligente per cascare nel gioco subdolo di Harry.
Perciò si riaccomodò e riprese a guardare la partita.
«Ho parlato con Louis, oggi.» le disse Harry, tornando a sedersi lì accanto. June annuì.
«L’avevi promesso.»
«Si. E tu avevi promesso che mi avresti dato una possibilità.» le ricordò, convinto di avere la situazione in pugno.
June inarcò un sopracciglio.
«Io ho solo detto che sarei uscita con te UNA volta. Non ho detto che avrei cambiato idea, né che ti avrei dato una possibilità.» replicò, schietta.
Harry sbuffò.
«E invece lo farai.»
«Cosa te lo fa credere?»
«Io ti piaccio. Ti piace quando ti bacio, quando ti sfioro.»
Certa di essere arrossita e con il cuore in gola, June si alzò.
«Ti sbagli, Harry. Non hai alcun effetto su di me. Ed ora vado a casa, mi sono stancata di stare dietro ai tuoi giochetti.»
Harry sorrise, soddisfatto. Ancora una volta, non era rimasto per niente sorpreso del fatto che June non gliel’avesse data vinta.
Che gusto ci sarebbe stato, dopotutto, se lei si fosse arresa subito? Era per quello che continuava a cercarla, perché per una volta aveva trovato qualcuno che gli teneva testa.
Ancora per poco, certo.
«L’appuntamento è domani sera. Passo a prenderti alle otto.»
«Vaffanculo, Harry.» borbottò June, con le guance ancora rosse.
«Ciao, piccola.»
Di nuovo. L’aveva baciata di nuovo.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Buona Pasqua! Pasquetta, anzi.
Allora, sinceramente mi ero completamente dimenticata che oggi fosse lunedì. Chissà perché sono convinta che sia domenica, ma lasciamo perdere.
Visto che è lunedì e visto che sono a casa, aggiorno u.u
Amatemi, fanciulle.
Okay, basta.
Che ne dite del capitolo? Vi piace? Fa schifissimo? E cosa succederà all’appuntamento? Lo scopriremo solo vivendo.
Io lo sa già, ma MUAHAHAHAH.
Scusate.
Fatemi sapere che ne pensate, okay? Ci tengo <3
Vi adoro,
Fede.

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Capitolo 12
*** Chapter 11. ***







Chapter 11.
 




«Scusa se ti ho chiamata così all’improvviso, ma avevo davvero bisogno di qualcuno con cui parlare.»
June si strinse nelle spalle e rivolse ad Alice, che quel giorno portava un paio di occhiali dalla montatura lilla, uno sguardo di supplica.
Alice le sorrise, tranquilla e mosse qualche passo lungo la stanza, guardandosi intorno. I suoi occhi caddero sulla scrivania, dove erano stati accatastati un paio di peluche dall’aria vissuta.
«Che carina…» cinguettò Alice, intenerita. June annuì, concorde, poi fece le presentazioni.
«Lei è Margherita. Mentre lui è Harold.»
Alice scoppiò a ridere, incredula. Non aveva mai conosciuto qualcuno che desse nomi ai peluche. Era una cosa tenera e al tempo stesso un po’ strana, ma simpatica. Sì, June le piaceva. Sembrava un po’ sciroccata, ma era normale. Probabilmente la sua era solo una fase di stallo. In fin dei conti, ritrovarsi Louis come fratellastro ed Harry come corteggiatore non era certo una cosa semplice da gestire.
Anzi, era strano che ancora non fosse del tutto impazzita.
«Allora, June. Arriviamo al dunque. Qual è il problema?» domandò Alice, improvvisamente seria.
June rifletté per qualche secondo, improvvisamente indecisa. Poteva davvero dire ad Alice la verità? E se poi lei fosse andata a dirla a Louis? O, peggio ancora, ad Harry? Come se le avesse letto nel pensiero, Alice sorrise.
«Quello che mi dirai resterà tra noi due, te lo garantisco.» disse, sincera.
June sospirò, poi si sedette per terra con le gambe incrociate. Era giunta l'ora di parlare, o avrebbe finito davvero con l'impazzire. E non era di certo un bene, per la sua salute mentale.
«Harry.» bastò quel nome, ad Alice, per capire.
«Sai, non ti leva quasi mai gli occhi di dosso.» rivelò.
Non che ci volesse un genio, comunque. Era solo una questione di tempo, per come la vedeva lei. E i casi erano due: o Harry la smetteva di fare lo scemo e diceva la verità, e cioè che era molto interessato a June, oppure Louis avrebbe messo le cose in chiaro e avrebbe tagliato i ponti. Per non parlare di Niall, che non sopportava che June fosse tenuta quasi sotto torchio. Ne avevano discusso il pomeriggio prima e Niall le aveva raccontato un po’ di cose su June e sulla sua storia. Per quel poco che aveva capito, Alice era giunta alla conclusione che alla ragazza servisse davvero un po' di presenza femminile, prima che cominciasse a ruttare come un porco o a bestemmiare durante le partite.
«Mi ha baciata, ieri.» mormorò June, con le guance in fiamme. Alice ridacchiò e alzò gli occhi al cielo: non la stupiva per niente che Harry fosse passato subito all'azione. In sua difesa, c'era da dire che non perdeva neanche un attimo.
«E ti é piaciuto.» concluse al posto di June, divertita. Se non fosse stato vero, June di certo non sarebbe arrossita.
«Harry è troppo per me, Alice.» mormorò, scuotendo la testa con aria un po’ triste. Ci aveva riflettuto a lungo, per tutto il giorno. Era evidente che Harry fosse fin troppo abituato alle attenzioni femminili, che sapesse come corteggiare, come far cadere qualsiasi ragazza tra le sue braccia.
Lo sapeva, che non era fatta per lui. Perché per quanto la sua vicinanza la facesse sentire al sicuro, era certa che per lui, una volta ottenuto quello che voleva, le cose sarebbero cambiate.
E lei non era disposta a rischiare così tanto.
«Posso dirti la verità, tesoro?»
June annuì, anche se aveva la sensazione che quello che avrebbe sentito non le sarebbe piaciuto per niente.
«Questa cosa di Harry che è “troppo” mi sembra un po’ una cavolata. Se lui ti piace, perché non gli dai una possibilità? Ti assicuro che Harry non è così male come credi.» spiegò, tranquilla.
Ecco, appunto. June lo sapeva, che non le sarebbe piaciuto. Ed ora? Come poteva giustificare tutta quell’avversione nei confronti di Harry?
Perché a quel punto, già che aveva iniziato il discorso, tanto valeva portarlo avanti ed essere del tutto sincera.
«Lui… Non mi piace il modo in cui mi fa sentire.»
«E come ti fa sentire?»
«Piccola…» e con quello, June stabilì che non sarebbe andata oltre. Si, voleva essere sincera e pensava di potersi fidare di Alice, ma ancora non era pronta ad ammettere che sentirsi così protetta, in fondo, le piaceva.
Dopo qualche minuto di silenzio, June sospirò.
«Ho un appuntamento con lui, stasera.» rivelò. Alice, che stava pulendo gli occhiali con la manica della maglietta bianca, si interruppe di colpo.
«E che aspettavi a dirmelo? Dobbiamo trovare una scusa per Louis, fino a che non decidi di dirgli la verità e poi, cosa molto più importante, cosa ti metti?»
Alice rimise rapidamente gli occhiali, si alzò dal letto e cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, pensierosa.
«A Louis diciamo che esci con me. Chiederò a Niall di reggere il gioco.» sostenne. Afferrò il telefono, digitò velocemente un messaggio e poi annuì con aria soddisfatta. June, che a stento aveva capito cosa stava succedendo, si grattò la guancia, confusa.
«Ed ora, come ti vesti? Non sai dove ti porta?»
«Ha detto solo che passa a prendermi alle otto, cioè tra mezz’ora.»
Alice sbiancò.
«Mezz’ora? Oh, cielo, sarà meglio muoversi, allora. Se passa alle otto, significa che ti porta fuori a cena. Che cosa romantica! Perciò Harry sarà sicuramente elegante. Ci vogliono i tacchi. Posso dare un’occhiata al tuo armadio? Non ti dispiace, vero?»
Un po’ frastornata da tutte quelle chiacchiere sparate a raffica, June ebbe appena la forza di annuire.
«Ecco, questi sono perfetti.» qualche minuto dopo, Alice appoggiò sul letto un vestito lilla e delle decolleté nere. June inarcò un sopracciglio.
«Non se ne parla. Quelle sono per il matrimonio di papà e Jay, mica per uscire con Harry. Lascia stare, metto i jeans e la maglietta grigia.»
«E i tacchi?»
«No, e gli stivali.»
«Ho capito, non vuoi che Harry pensi che ti fai bella per lui. Bella tattica, tesoro. Approvo.»
«Ma no, non è così!»
«Sì, sì. Come vuoi. Veloce, mancano dieci minuti.»
 
Da tempo, June non si sentiva così agitata. Non ne capiva il motivo, visto che quello non era un appuntamento vero e proprio. Più che altro, si trattava di uno stupido ricatto.
E lei odiava i ricatti, perciò doveva essere quello il motivo per cui era così agitata.
E se Harry se ne fosse dimenticato? No, figurarsi, quando si trattava di rompere le scatole a lei, niente l’avrebbe distratto.
Infatti, qualche minuto dopo le arrivò un messaggio in cui Harry le diceva di essere parcheggiato davanti casa.
Arrossì, perché le testuali parole erano “Sono qui sotto, piccola. Non vedo l’ora di stare da solo con te.
Stronzo. Lo faceva apposta, ovviamente e June per un attimo fu tentata di mandarlo a quel paese e rifiutarsi di scendere di casa.
Alice lesse il messaggio, poi ridacchiò.
«Il solito scemo.» mormorò tra sé e sé.
Dopo aver salutato Sam e Johannah, Alice e June uscirono. Fortunatamente, Louis era andato a sbrigare una commissione per la madre, così non ebbe la possibilità di fare domande. June se ne scoprì immediatamente sollevata.
«Mi raccomando, tesoro. Prova a dargli una chance.» le consigliò, prima di avviarsi verso casa.
«Vedrò che posso fare.» mugugnò June, tetra.
Prese un respiro profondo, avvolse meglio la sciarpa intorno al collo e si diresse con calma apparente verso la macchina di Harry.
Ma chi gliel’aveva fatto fare?
«Ciao.» bofonchiò, in imbarazzo, quando Harry le rivolse un gran sorriso e un occhiolino malizioso.
«Ciao, piccola. Tutto bene?»
«No.»
«Bene, vedo che sei di ottimo umore come al solito.» commentò Harry, sarcastico. Sorrise di nuovo, poi mise in moto la macchina e partì.
«Sono di cattivo umore solo quando ci sei tu.» replicò June, diretta.
«Questo perché non mi ascolti. Solo per questa sera, potresti far finta che io ti stia simpatico? Giuro che non ti salto addosso.»
«Non lo so, posso provarci.» concesse June, un po’ in imbarazzo. Tuttavia, forse poteva davvero concedere ad Harry un’occasione. Una sola possibilità. Se poi quella sera si fosse trovata davvero male, gliel’avrebbe detto e avrebbe chiuso ogni rapporto con lui.
«Grazie. Sei bellissima, comunque.» si complimentò Harry, voltandosi a guardarla. June arrossì vistosamente e si voltò verso il finestrino.
«Ci godi, a farmi arrossire?»
«Da matti.»
«E poi ti stupisci se ti rispondo male.» commentò, fredda. Harry ridacchiò.
«Hai ragione. Allora, cosa devo fare per poter parlare con te? Niente complimenti, niente baci e niente battute. Altro?» elencò.
June era certa di aver colto un po’ di sano sarcasmo, ma si costrinse a lasciar perdere – per il momento – e annuì.
«No, basta così.» era già troppo che Harry avesse capito quelle tre cose, non poteva mica costringerlo a tapparsi la bocca. Chissà, forse parlare con lui e conoscerlo un po’ meglio non sarebbe stato tanto male.
«Quanto sei generosa.»
«Lo so. Allora, dove stiamo andando?» domandò, un po’ curiosa. Aveva dato un’occhiata ad Harry ed era vestito abbastanza bene, un po’ più elegante del solito. Aveva abbandonato la felpa e al suo posto aveva messo una camicia bianca e una giacca blu scuro. Aveva dei pantaloni chiari e le sue inseparabili Converse.
Era bello, pensò June.
«A cena.»
«In ristorante?»
«Una specie.»
Cosa voleva dire, una specie? June si agitò un po’, improvvisamente insicura. Forse avrebbe dovuto mettersi il vestito che le aveva consigliato Alice, anziché fare di testa sua e uscire vestita come se stessa andando a fare la spesa.
«Tranquilla, piccola. Sei perfetta, vestita così.»
«Ma dove andiamo? Dai, dimmelo. Dimmelo, dimmelo, dimmelo!» improvvisamente dimentica di trovarsi accanto al ragazzo che meno sopportava al mondo, June cominciò a comportarsi come suo solito.
Harry sorrise, perché era esattamente ciò in cui sperava.
«È una sorpresa.»
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Buonaseeeeera, fanciulle! Come state? Tutto okay?
Io no, sono in crisi mistica, ma mi succede una volta a settimana, perciò lasciamo perdere.
Ecco qua il nuovo capitolo. So che vi aspettavate subito l’appuntamento, ma non sono così buona, perciò… vi toccherà attendere un’altra settimana, nella speranza che ne valga la pena.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio tantissimissimo per le recensioni, per le seguite/preferite/ricordate e vi adoro.
Fatemi sapere che ne pensate <3
Un bacio,
Fede.

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Capitolo 13
*** Chapter 12. ***








Chapter 12.

 




La sorpresa, alla fine, si rivelò un tavolo apparecchiato alla perfezione per due nella cucina di Harry.
«Ta-dan!» esclamò, facendo un gesto con la mano per indicare il suo operato.
June avrebbe voluto mandarlo a quel paese, perché le aveva fatto pensare chissà che cosa, invece sorrise, intenerita.
«Non sei delusa?» domandò Harry, improvvisamente stupito. June inclinò la testa da un lato, confusa.
«Dovrei?»
«Pensavo ti saresti incazzata, a dire la verità.»
«Perché non mi hai portata al ristorante? Harry, non volevo neanche uscire con te. Credi che il ristorante mi avrebbe fatto cambiare idea?» replicò, mentre si slacciava il cappotto e lo sistemava sulla spalliera della sedia.
In realtà, era rimasta piacevolmente sorpresa dal fatto che Harry non avesse optato per il ristorante. Certo, essere a casa sua era fin troppo intimo, però non era male, doveva ammetterlo. E ancora non aveva fatto niente per metterla a disagio.
«Non volevi? Ora vuoi?» chiese Harry, con un sorriso soddisfatto.
«Non montarti la testa. Ancora non sono sicura di aver fatto bene ad accettare.» borbottò June. In quel momento, suonarono al campanello ed Harry si scusò un attimo e andò ad aprire. Tornò qualche secondo dopo, con due cartoni di pizza in mano.
«Ho ordinato una margherita, spero che vada bene.» posò i cartoni sul tavolo e ammiccò. «Madame, la cena è servita.»
June alzò gli occhi al cielo, poi si sedette e augurò buon appetito.
Mangiarono in silenzio per qualche minuto, dopodiché June decise che era giunta l’ora di chiarire un po’ dei suoi dubbi.
«Harry…» chiamò, notando che Harry sembrava tutto preso dai suoi pensieri.
«Sì, piccola?»
«Perché insisti così tanto, con me?» domandò, schietta. Poi, per mascherare l’imbarazzo, cominciò a tagliare un’altra fetta di pizza.
Harry ci rifletté sopra per qualche istante. Poteva dirle la verità, senza rischiare l’evirazione? Oppure era meglio raccontare la solita storiella, quella che aveva già detto chissà quante altre volte e che aveva convinto altrettante ragazze di un suo interesse? Guardando June, si rese conto che lei avrebbe capito. Che non aveva nemmeno senso provare a mentirle, perché non gli avrebbe mai creduto.
E poi si meritava la verità, visto che praticamente l’aveva costretta a uscire con lui.
«Non sono abituato ad essere respinto. Non mi è mai successo.»
June annuì, mesta. Proprio come aveva immaginato. Harry non aveva un vero interesse per lei, voleva solo essere sicuro che il suo ego gigantesco non venisse scalfito da una ragazzina insignificante. Perché non era certo possibile che una come lei, non troppo bella, tantomeno simpatica, potesse rifiutare lui.
«Capisco.» mormorò, quindi.
La cosa che più la lasciava sorpresa, in realtà, era l’esserci rimasta così male. Sapeva di non piacergli, così come lui non piaceva a lei, ma la verità servita così nuda e cruda l’aveva lievemente messa in crisi.
«No, che hai capito!» Harry agitò le mani, quando si rese conto dell’espressione di June. Sembrava che potesse mettersi a piangere da un momento all’altro, ed era l’ultima cosa che voleva.
«Ho capito alla perfezione, Harry.»
«No, piccola. Non hai capito un cazzo, perché non avevo finito di parlare. Stavo solo cercando le parole giuste.»
Ecco, questo June non se l’era proprio aspettato. Insomma, aveva apprezzato che Harry fosse stato così sincero con lei. Anzi, non era neppure arrabbiata, perché non l’aveva presa in giro. Era stata una cosa in cui l’aveva sottovalutato: pensava che pur di raggiungere il suo scopo le avrebbe detto anche che la luna era fatta di formaggio e invece no, era stato diretto.
«Oh.»
«Già, oh. Quello che volevo dire, è che ho preso questa cosa come una sfida, all’inizio. Perché non mi sembrava possibile che io non ti piacessi.»
«Ma tu non mi piaci, infatti.»
«Sì, certo. Farò finta di crederci. Comunque, farti cambiare idea su di me è diventata una questione di principio. Voglio farti capire che non sono così male come pensi.» spiegò Harry, concentrato.
June annuì. L’aveva già presa in considerazione, l’ipotesi di aver sbagliato idea, però ciò non significava che si sarebbe fidata di lui. Harry continuava a non piacerle, però l’astio che provava nei suoi confronti stava cominciando ad attenuarsi.
In tutta probabilità, le sue provocazioni erano una risposta alla sua acidità. In quello, non poteva dargli proprio torto.
«Ammettiamo per un attimo che io abbia cambiato idea.» cominciò June, punzecchiando una fetta di pizza con la forchetta. Harry annuì, invitandola a continuare.
«E mettiamo per ipotesi che tu mi piaccia. È solo un’ipotesi, non montarti la testa. Cosa faresti?»
«In che senso?» domandò Harry, confuso. Ecco perché June gli piaceva. Sapeva sempre prenderlo in contropiede e parlare con lei non era mai noioso. Era una che sapeva quel che diceva e che non si soffermava solo all’apparenza.
«Segneresti un altro nome sulla tua lista di conquiste e passeresti a un altro giocattolo?»
«Ma che… No!»
«Harry, l’hai detto anche tu che si tratta solo di una sfida. Come potrei fidarmi di te?»
‘Fanculo a lui e a quando aveva pensato che dire le cose come stavano fosse una bella idea. Ma perché cazzo non si era stato zitto?
«Puoi fidarti di me, June.»
«No, non posso. E lo sai anche tu.»
«Non puoi o non vuoi?»
«Non ritorcermi le cose contro, Harry.» borbottò June. Lo sapeva, che avrebbero finito con il discutere. Dopotutto, lei non era una che si faceva scrupoli a dire la verità e detestava le bugie. Perciò o Harry le diceva la verità, oppure se ne sarebbe andata e tanti saluti.
«Senti…» proseguì, quando si rese conto che Harry cominciava a innervosirsi. «Lo so che probabilmente ti sto facendo incazzare e mi dispiace. Ma io ho bisogno di capire. Devo essere sincera? Non ho voglia di stare male. Sono stanca di essere presa in giro e non voglio stare con qualcuno che mi vede come un trofeo. Penso di meritare qualcosa di meglio. Perciò, o parli, o amici come prima.»
«Non siamo mai stati amici.» borbottò Harry.
«Certo, perché sei un cretino.» suo malgrado, June sorrise.
«Forse hai ragione tu.» ammise Harry, infine. «Però mi piaci, piccola. E io piaccio a te, anche se ancora non lo sai. Perciò ti propongo una cosa: proviamo a… frequentarci. Senza ucciderci, magari. Diciamo tutto a Louis, facciamo le cose alla luce del sole.»
«E se dovessi innamorarmi di te? Cosa succederebbe se mi innamorassi e tu ti stancassi di me? Mi ritroverei con il cuore spezzato. No, Harry, mi dispiace.»
Harry sbuffò, spazientito.
«Sei una codarda.»
«Sì, può anche essere.»
«E sei presuntuosa.»
«Sì, ma anche tu non scherzi.» replicò June.
«Grazie.»
«Perciò, be’… Direi che le cose sono abbastanza chiare, no?»
«No, non lo sono. Ma come primo appuntamento direi che è andato abbastanza bene, no? Non ci siamo neanche accoltellati!»
June alzò gli occhi al cielo.
«Immagino che questo significhi che non mi lascerai in pace.» concluse, un po’ divertita.
Harry sorrise, poi scosse la testa.
«Te l’ho detto, piccola. Ottengo sempre quello che voglio.»
Meglio non insistere, si disse June. O avrebbe finito per convincersi che Harry non avesse poi tutti i torti. E non era proprio il caso.
«Sai cosa vorrei io, invece?» domandò, ammiccante. Harry la guardò.
«Sentiamo, sono curioso: che io sparissi dalla faccia della terra? Che smettessi di parlarti? Che lasciassi perdere?» elencò, sarcastico.
«No, il dolce.»
Decisamente strabiliato, Harry scoppiò a ridere. Non se l’era aspettata, quella. Ancora una volta, June aveva dimostrato di essere imprevedibile. Cominciava a pensare che non si sarebbe mai stancato di parlare con lei.
«Be’, il dolce non ce l’ho.» confessò. Aveva pensato a tutto, ma quell’unico dettaglio gli era proprio sfuggito di mente. Ed ora?
«Stai perdendo punti, Harry.» scherzò June.
«Ho della Nutella, forse.»
«Andata.»
«Davvero? E con cosa la mangiamo?»
«Con i cucchiaini, tonto.»
«Se non la smetti non ti do il tuo regalo.» disse Harry, mentre si alzava e cercava il barattolo di Nutella nella credenza. Quando lo ebbe trovato, lo appoggiò sul tavolo e prese i cucchiaini dal cassetto.
«Andiamo di là, ci vediamo un film.» annunciò, avviandosi in salotto senza nemmeno aspettare June.
D’altro canto, lei era troppo stordita per fare qualsiasi cosa. Quando si accorse di essere rimasta sola, si affrettò ad alzarsi e seguì Harry in salotto.
«Mi hai davvero preso un regalo?» domandò, incredula.
Harry annuì, poi le passò un cucchiaino e aprì il barattolo.
«E dov’è?»
«Ma non volevi la Nutella?» replicò Harry, affondando il cucchiaino nel barattolo.
«Il regalo! Dai, dai, dai. Il regalo!» saltellò, tirando Harry per la manica della giacca.
Lui sorrise, poi annuì.
«Ad una condizione.»
«Tu e le tue condizioni del cavolo. Cosa vuoi? Un bacio, uno spogliarello, una danza caraibica?»
«No, scegliere il film.»
E con questo, June accantonò definitivamente la pessima idea che si era fatta di Harry. Era un idiota, e un dongiovanni e probabilmente l’avrebbe solo presa in giro. Ma le aveva fatto passare una bella serata e aveva rispettato i patti: niente situazioni che l’avrebbero messa a disagio, niente battutine, niente di niente.
Perciò almeno una piccola vittoria poteva concedergliela.
«E va bene.» concesse, infine.
«Aspetta qui, arrivo subito.» Harry si alzò e salì al piano di sopra. Tornò un paio di minuti dopo.
Tra le braccia, aveva il peluche di un coniglio gigante, con il pelo dorato e due grandi e dolci occhi color cioccolata.
«Ho pensato che potrebbe fare compagnia a Pistacchio.»
June spalancò gli occhi e si alzò. Si avvicinò ad Harry, un po’ tremante e quasi commossa. Lui si ricordava il nome del suo peluche preferito, nonostante l’avesse sentito solo una volta. Era stato un gesto così dolce e così inaspettato, che ci mise un po’ prima di ritrovare le parole.
«Non dovevi farlo, chissà quanto ti sarà costato…» mormorò, prendendo il peluche in braccio. Harry sorrise.
«Non mi è costato niente. È mio, ce l’ho da quando ho due anni.» spiegò, osservando il coniglio con evidente affetto. June lo posò sul divano, con delicatezza, poi fece l’ultima cosa che credeva avrebbe mai fatto e gettò le braccia al collo di Harry.
Lui, troppo sorpreso per dire qualsiasi cosa, la strinse a sua volta.
«È bellissimo, grazie.»
«Figurati, piccola.» Harry le accarezzò la schiena con dolcezza, poi si separò. Gli stava venendo voglia di baciarla, ma era certo che, se l’avesse fatto, avrebbe rovinato il momento. E non ne aveva la minima intenzione, perché stava vedendo un lato di June che gli piaceva da impazzire.
«E tratta bene il mio Mr. Carota.»




***





Ecco qua il famoso appuntamento!
Che ne pensate? Vi è piaciuto? Avete visto che le cose tra Harry e June cominciano a cambiare?
Okay, troppe domande, scusate AHAHAHAH
niente, spero che il capitolo non vi abbia deluso e non vedo l'ora di sapere che ve ne è sembrato :)
Ora vado, però, perchè sono di fretta ^^
Vi adoro <3

 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Chapter 13. ***








Chapter 13.
 





June sapeva alla perfezione che, prima o poi, avrebbe dovuto dire a Louis tutta la verità. Certo, poteva magari risparmiarsi il racconto dei due baci, però di certo non poteva fingere di non aver aggiunto un nuovo peluche alla sua più che fornita collezione.
E poi, Mr. Carota era gigante e non passava inosservato.
Si voltò verso Harry, che la osservava dal posto di guida con un sorriso sereno. In quel momento, June ebbe come l’impressione che tutto l’astio che provava per lui fosse completamente scomparso.
«Non ci credo che lo sto per dire, ma sono stata bene, questa sera.» mormorò, guardando fuori dal finestrino per mascherare le guance rosse.
Si strinse Mr. Carota al petto e affondò il viso nella testa del coniglio. Harry la guardò di sott’occhio, poi sorrise.
«Ho una voglia matta di baciarti, June.»
June si aspettava una piazzata del genere da parte di Harry, ma non credeva di certo che sarebbe stato così diretto.
«Harry…» sospirò, senza sapere bene cosa dire. Pensava di essere già stata abbastanza chiara, poco prima. Non è che ogni volta che lo vedeva doveva dire “Ciao, Harry, e ricordati che non mi piaci.”
«Che c’è?» domandò lui, candidamente. June inarcò un sopracciglio.
«Mi metti in imbarazzo.»
«Mi dispiace, ma è quello che penso. Volevi la sincerità, giusto? E, sinceramente, vorrei baciarti.» ripeté, tranquillo.
«Ora sarà meglio che vada, grazie per il passaggio.»
In quanto a cambiare argomento, avrebbero dovuto darle un riconoscimento ufficiale, pensò June. Come cambiava discorso lei, non lo faceva nessuno.
«Buonanotte, piccola.»
«Ciao, Harry.»
Gli sorrise brevemente e, un attimo prima che scendesse dalla macchina, Harry la afferrò per un braccio, la tirò indietro e le stampò un bacio sulle labbra. June biascicò un insulto ed alzò la mano per schiaffeggiare Harry, ma proprio in quel momento qualcuno picchiettò sul finestrino.
Harry lasciò andare June, confuso, poi sbiancò, quando si rese conto che Louis non sembrava propriamente entusiasta di trovarlo con la bocca incollata a quella della sua futura sorellastra.
«Sarà meglio che vada.» mormorò. June annuì, poi sorrise vittoriosa.
«Questa te la sei cercata, Harry.»
«Probabile, ma non cambia le cose. Volevo baciarti e l’ho fatto.» dopodiché, fece un cenno del capo a Louis, che non ricambiò, e mise in moto.
June sorrise a Louis, in segno di gratitudine.
«Entra in casa, fa freddo.» borbottò lui, poi la precedette e si avviò lungo il vialetto. Le tenne la porta aperta, senza levarle gli occhi di dosso. June strinse Mr. Carota come se fosse la sua unica ancora di salvezza e in punta di piedi salì le scale e andò a chiudersi in camera.
Sapeva che Louis voleva parlare con lei, ma ciò non significava che dovessero farlo subito. Poteva tentennare per qualche minuto, no?
Adagiò con cura Mr. Carota accanto a Pistacchio e li osservò, poi sorrise.
Non credeva che Harry sarebbe stato capace di un gesto carino nei suoi confronti. Era stato così dolce che l’aveva completamente spiazzata e lasciata senza parole.
Il suo comportamento, comunque, era un po’ destabilizzante. June non sapeva mai come comportarsi. Insomma, un momento Harry sembrava quasi tranquillo, tanto che le proponeva di mangiare Nutella e vedere un film e le regalava il suo peluche preferito, l’attimo dopo, se ne usciva con quei discorsi da latin lover che la facevano sentire come una ragazzina alla prima cotta.
Scosse la testa, poi aprì il cassetto alla ricerca di un pigiama pulito.
Lo indossò con calma, con il pensiero fisso su Harry e sul suo futuro e probabile litigio con Louis, dopodiché sospirò e tornò al piano di sotto, cercando di fare il minor rumore possibile per non disturbare il sonno di Sam e Johannah.
Louis era in cucina, appoggiato coi fianchi al tavolo. Aveva le braccia incrociate ed un’espressione mortalmente seria. Tuttavia, allungò a June una tazza di tè alla vaniglia e le fece cenno di sedersi.
June ringraziò debolmente, poi si accomodò. Louis rimase in silenzio ancora qualche secondo, poi sorrise. Ma non era divertito, notò June, sembrava più amareggiato.
«Buffo. Ero convinto che saresti uscita con Alice.» commentò, gelido. June arrossì e abbassò il capo, colpevole. Non aveva mai discusso con Louis e si stupì che il solo pensiero di averlo deluso la facesse sentire così in colpa.
«Mi dispiace.»
«Sì, è evidente.»
June fece per ribattere, ma Louis la interruppe con un gesto brusco della mano.
«Sai qual è la cosa più divertente, June? Che ho litigato con Harry, convinto che la colpa fosse solo sua, ma evidentemente mi sbagliavo. Vi siete divertiti tutti e due a prendermi per il culo, non è così?»
June sussultò, colta di sorpresa. Non era pronta a ricevere tanto rancore da parte di Louis. Era insopportabile vedere il tradimento dipinto sul suo viso e, ancora peggio, non tollerava che non le stesse sorridendo.
Non voleva rovinare il rapporto con lui.
Non da quando si era resa conto che era diventato una parte fondamentale della sua vita.
«Non volevo prenderti in giro, Louis!» protestò, con veemenza. Louis fece una smorfia incomprensibile.
«Dico sul serio, credimi.» continuò June. Lasciò la tazza – ancora piena – sul tavolo e si alzò in piedi si avvicinò a Louis, che restò stoicamente fermo e inespressivo.
«Te l’avrei detto stasera stessa.»
«Davvero?»
June sorrise e annuì, lievemente più serena. Punzecchiò la pancia di Louis con le dita, cercando di smuoverlo un po’. Dopo nemmeno un paio di secondi, Louis le bloccò entrambi i polsi e glieli intrappolò dietro la schiena.
«Mi stai facendo il solletico, piantala.»
«E dai, fammi un sorriso!» cinguettò June, senza accennare a sottrarsi dalla presa leggera del ragazzo.
Louis rimase serio ancora qualche secondo, ma quando June gli fece gli occhi dolci, non poté più resistere e sorrise.
«Sei una bugiarda incallita.» ridacchiò, meno nervoso.
«Ma mi vuoi bene lo stesso, non è vero?» domandò June, angelica.
«Secondo te?»
«Secondo me sì, me ne vuoi tantissimo.» annuì, convinta. Louis sbuffò.
«Mi sa che è per questo che non riesco a prendermela con te.» detto questo, le lasciò andare i polsi e June ne approfittò per gettargli le braccia al collo e tempestargli le guance di baci.
«Non finisce qui, comunque.» la avvertì Louis.
June annuì, poi sorrise. Non era così ingenua da pensare che si sarebbe dimenticato della questione nel giro di pochi minuti, ma per lo meno il peggio era passato.
Almeno per lei, perché June sospettava che Louis con Harry ci sarebbe andato giù bello pesante.
Quando si accorse di aver pensato che la colpa non era tutta di Harry e che a parte in quegli ultimi minuti si era comportato bene per tutta la sera, June cominciò a preoccuparsi.
Ci mancava solo che cominciasse a giustificare Harry e i suoi comportamenti idioti. Si meritava che Louis gli desse una bella lezione e che lo picchiasse e che…
«Non fargli tanto male, ti prego.» mormorò.
Louis scoppiò a ridere.
«Ad Harry, dici? Certo che gli farò male! Minimo gli rompo le dita, una alla volta, così imparerà a tenere le sue zampacce pervertite lontane dalla mia sorellina. E poi gli taglierò la lingua, sempre per lo stesso motivo. E gli caverò gli occhi. Oh, e potrei anche tagliarli il»
«Louis! Ti prego. Ti assicuro che Harry ha tenuto ogni cosa al suo posto, non c’è bisogno di vivisezionarlo. Forse potresti provare ad asportargli una parte del cervello, così magari la sua deficienza congenita sparirebbe. Oppure potresti fare come quelli di CSI! Gli impianti un microchip dietro l’orecchio e lo telecomandiamo.»
Louis rimase in silenzio, un po’ frastornato da quella valanga di chiacchiere, poi sorrise e coprì la bocca di June con la mano. Le fece segno di salire al piano di sopra e di entrare in camera.
June eseguì in completo silenzio e quando furono di nuovo soli, riattaccò a blaterare.
«Sai cosa stavo pensando? Che se quella cosa del microchip funziona, potremmo far vestire Harry come una ragazza. Ho visto un vestito arancione davvero brutto, l’altro giorno. Possiamo farglielo mettere, sono sicura che starebbe malissimo! Che ne dici?»
Louis prese un altro respiro profondo, poi scoppiò a ridere.
«Si può sapere cosa c’era, su quella pizza?» chiese, ancora incredulo. Perché le alternative erano due: o June era impazzita tutto di colpo, oppure Harry l’aveva drogata.
Quando si rese conto del silenzio inquietante appena sceso nella camera, Louis si voltò verso June e la trovò immobile, con i pugni contratti e gli occhi stretti in un’espressione quasi furiosa.
«Louis, fratellone, come fai a sapere che ho mangiato la pizza?» sibilò. Louis deglutì vistosamente, colto in flagrante.
Boccheggiò qualche istante.
«Ho sparato a caso! Ho indovinato?»
«Louis.»
«Ho indovinato! Ti immagini che genio, che sono? Pensa cosa potrei fare se mi dessero un’arma di distruzione di massa.»
«Louis.»
«Mamma mia, sono un fenomeno. Un chiromante! Non solo sono un cantante eccezionale, un calciatore di fama internazionale e un gran figo, sono anche un sensitivo!»
«LOUIS! Si può sapere che accidenti stai dicendo?» lo interruppe June. Poi rimase in silenzio ancora un attimo, giusto per riordinare i pensieri ed essere certa che i suoi sospetti non fossero poi così infondati.
«Louis…»
«Sì, scricciolo?»
«Non è che, casualmente, sapevi già che sarei uscita con Harry?» domandò, con una freddezza che fece rabbrividire Louis.
Ed ora? Cosa gli conveniva fare? Negare fino alla morte o dire la verità? E cioè che Harry l’aveva chiamato quella mattina, per raccontargli ogni cosa e per chiedergli il permesso di uscire con June.
Louis aveva avuto come il sospetto che impedire ad Harry di vedere la sorella sarebbe stato un po’ come gettare altra legna sul fuoco. Harry si sarebbe intestardito ancora di più e non avrebbe lasciato mai in pace June.
Se invece fosse usciti insieme, c’era sempre la possibilità che June non gli piacesse poi tanto e che la sua approvazione riducesse i brividi del fare le cose di nascosto.
Molto elegantemente, Louis aveva fatto presente ad Harry che se solo avesse osato far soffrire la sua sorellina gli avrebbe staccato i gioielli di famiglia con una mannaia e poi aveva dato la sua “benedizione”. Harry aveva riso e aveva risposto che l’affetto che Louis provava per quella ragazza acida era quasi esagerato e che se non la piantava di fare la mammina apprensiva, probabilmente l’unico a cui sarebbero spariti i gioielli sarebbe stato proprio lui.
«Ma come ti salta in mente?»
«Mi hai fatta sentire in colpa per niente! Che stronzo.» mugugnò June, offesa.
E lei che si era fatta milioni di paranoie! E quell’infame sapeva tutto. Probabilmente Harry l’aveva informato della cosa.
Che faccia tosta, aveva anche avuto il coraggio di farle tutto quel bel discorsetto sul “frequentiamoci alla luce del sole”.
La prossima volta che l’avrebbe visto, l’avrebbe ammazzato, così imparava a prenderla in giro.
«Per la cronaca, non sapevo che l’avresti baciato.» farfugliò Louis, in difficoltà.
«Per la cronaca» lo scimmiottò June «lui ha baciato me!»
«Però tu ci sei stata.»
June arrossì furiosamente e allungò un calcio sullo stinco di Louis, che urlò.
«Ma sei pazza? Mi hai fatto male!»
«Cavoli tuoi, almeno la prossima volta non ti apposti come un guardone. Brutto pervertito che non sei altro.» June sorrise soddisfatta.
«Comunque…» aggiunse, poco dopo. «Secondo te il microchip funziona sul serio?»



***



Ehm... oggi sono particolarmente di fretta, perchè non mi sento per niente bene ed è una giornata un po' così. Perciò mi dileguo subito. Spero che il capitolo vi sia piaciuto <3
Baci,
Fede <3

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Capitolo 15
*** Chapter 14. ***








Chapter 14.

 





«Allora, tesoro, raccontami un po’… come stanno andando le cose?»
June sospirò, prese il padre sottobraccio e continuò a camminare. Sam si era preso una giornata libera, per poterla trascorrere interamente con la figlia.
Aveva bisogno di parlare con lei e, inoltre, gli serviva il suo aiuto per scegliere un regalo appropriato per il compleanno di Jay, che avrebbe festeggiato il giorno dopo.
Perciò erano usciti insieme, quella mattina.
«Bene, direi.»
«E come ti trovi con Louis?»
Al pensiero del fratello (ormai aveva cominciato a considerarlo tale), June sorrise.
Come poteva non adorarlo? Era sempre presente, la proteggeva, era geloso di Harry, probabilmente avrebbe ucciso chiunque si fosse avvicinato con qualche intento strano ed era così dolce che era impossibile non volergli bene.
«Sono felice, papà. Come non mi succedeva da tempo.» rispose, sincera.
Okay, non era propriamente la risposta alla domanda di Sam, ma June sapeva che era lì che voleva andare a parare: voleva sapere se stava bene e se la sua nuova situazione non la stesse mettendo in difficoltà.
Incredibilmente e contro qualsiasi aspettativa, June si sentiva davvero bene. Aveva guadagnato un fratello, una buona amica, un corteggiatore indesiderato e una compagnia così simpatica e sincera che non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Per una volta le cose andavano decentemente e lei sperava solo di poter godere di quella felicità ancora per un po’.
«Sono sollevato. Pensavo che l’avresti presa peggio.»
«E perché avrei dovuto? Papà, lo so che ami la mamma e so che lo farai sempre, ma questo non vuol dire che dobbiamo passare il resto della nostra vita a piangere il suo ricordo. Lei non lo vorrebbe. E poi, Jay è una donna fantastica. È sempre gentile, mi tratta come se fossi sua figlia e mi tiene in considerazione. Non avrei nessun motivo per fare la bambina capricciosa.» rivelò, tranquilla.
Non aveva mai detto quelle cose a Sam, ma voleva fargli sapere che aveva il suo appoggio incondizionato. Voleva capisse che anche lui si meritava la felicità e che non poteva vivere sempre in funzione di lei.
June era grande e abbastanza matura da capire, perciò sorrise incoraggiante e indicò al padre un negozio sulla destra della strada.
Sam, ancora senza parole, si lasciò trascinare.
«Sai cosa dovresti fare? Dovresti comprare a Jay un bel vestito, tipo questo in vetrina e portarla fuori a cena, solo voi due.» suggerì, adocchiando con aria sognante l’abito color cipria indossato dal manichino.
Sam annuì, concorde.
Quando entrarono nel negozio, June si perse qualche secondo ad osservare l’aria stranamente familiare del commesso. Le dava le spalle, perché era impegnato a sistemare una pila di maglioni da uomo su alcuni scaffali, ma quella matassa di ricci disordinati era assolutamente inconfondibile.
Impallidì, perché non poteva assolutamente essere vero che Harry facesse il commesso in quel negozio. Con tutti i posti che esistevano a Doncaster, perché doveva trovarlo proprio lì? E perché proprio quando era insieme a suo padre? E se lui avesse sospettato qualcosa?
Santo cielo, June non riusciva nemmeno a pensarci.
Probabilmente avrebbe ucciso prima Harry, molto crudelmente, e poi avrebbe ucciso lei.
June scosse la testa. Non era ancora pronta per affrontare tutto quello. Stava per dire a Sam che magari era meglio un altro negozio, perché quello era troppo caro, ma Harry si girò e la colse in pieno mentre lo guardava con tanto d’occhi.
Le sorrise, sereno e si avvicinò.
«Ciao, June. Signor Goodman, come và?» salutò, cortese. June spalancò la bocca, incredula.
E da quando, Harry era così posato? “Signor Goodman, come và?” ma a chi voleva darla a bere? Lei non ci cascava di certo. Anche perché, il modo in cui l’aveva guardata, le aveva fatto intendere che l’avrebbe presa in giro in eterno per averla beccata a fissarlo.
«Ciao, Harry. Chiamami Sam, non c’è bisogno che mi dai del lei.» sorrise Sam. E June, che ad ogni secondo che passava era sempre più strabiliata, strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca.
Harry si voltò verso di lei e le sorrise, falso come Giuda. June arrossì e cominciò a fissarsi i piedi, ostinata. Sam, invece, non si accorse di niente, perché il suo telefono cominciò a suonare e dovette scusarsi e allontanarsi un po’ per rispondere.
June rimase lì impalata, completamente assorta dai lacci consunti delle converse azzurre. Voleva parlare con Harry e insultarlo per non aver mantenuto il segreto sulla loro uscita, ma non poteva certo correre il rischio che suo padre ne venisse a conoscenza.
Sam si avvicinò qualche secondo dopo, con un’espressione mortificata dipinta in volto.
«Tesoro, ti dispiacerebbe occupartene tu? Jay ha avuto un guasto alla macchina ed è bloccata fuori città. Cercherò di tornare il prima possibile. Ti dispiace?»
«Figurati. Lascia stare, mi farò due passi al rientro. Non è necessario che torni qui.» disse, tranquilla.
«Non preoccuparti, Sam. La accompagno io, tanto tra poco mi danno il cambio.» si propose Harry, all’improvviso.
Sam annuì, lo ringraziò con una pacca sulla spalla, consegnò a June la carta di credito e le lasciò un bacio sulla fronte. Dopodiché uscì dal negozio e June cadde nell’imbarazzo più totale.
«Ehm…»
«Allora, piccola. Dimmi tutto.» mormorò Harry. Fece un passo verso di lei, sempre con quel sorriso malefico. June arretrò, imbarazzata e cominciò a girare tra gli scaffali.
«Domani è il compleanno di Jay. Ho consigliato a papà di regalarle un vestito. Penso che quello in vetrina le piacerebbe.» con un cenno del capo, indicò l’abito esposto.
Harry storse il naso.
«Che c’è?»
«Jay non si vestirebbe mai di rosa, piccola.»
«Sei un ignorante, Harry. Quello non è rosa, è cipria. Ed è un colore molto elegante. E poi Jay è scura, starebbe benissimo.» borbottò June.
Harry alzò gli occhi al cielo.
«D’accordo, d’accordo. Vuoi quello. Sai la taglia o vado a occhio?» domandò, dirigendosi verso la zona del negozio in cui erano ordinatamente appesi i vestiti. June fece spallucce.
«Una 46 credo che vada bene.» se poi non le fosse stato, avrebbe sempre potuto cambiarlo.
In completo silenzio, Harry prese una scatola da confezione regalo, di un delicato verde acqua, piegò il vestito e lo ripose con cura all’interno.
June osservò rapita ogni suo movimento, con i gomiti appoggiati al bancone e le guance un po’ rosse. Il negozio era vuoto, oltre a loro due e molto probabilmente nessuno sarebbe arrivato a disturbarli.
«Non sapevo che lavorassi qui.»
«Ci sono un sacco di cose che non sai di me, piccola.» replicò Harry, tranquillo. In realtà, quel negozio apparteneva a suo zio e lui non ci lavorava quasi mai, esclusi casi eccezionali.
In quei giorni, lo zio era a Glasgow per una questione importante e aveva chiesto ad Harry di coprire il turno di mattina. Harry aveva accettato, perché un po’ di soldi gli facevano comodo e comunque aveva bisogno di occupare il tempo.
O il pensiero di June avrebbe finito per diventare un’ossessione bella e buona. A proposito di June, trovarsela lì era stato un colpo di fortuna in cui non aveva minimamente sperato.
Era impossibile non notarla, con quei capelli rossi fiammanti e prima o poi era sicuro che qualcun altro, oltre lui, si sarebbe accorto di quanto fosse fantastica.
In ogni caso, sperava di riuscire a conquistare prima che succedesse una cosa del genere.
June sbuffò, poi afferrò il sacchetto che Harry le stava porgendo e fece un cenno del capo.
«Ci si vede, Harry.»
«Dove vai?»
«A casa, dove se no?»
«Ti accompagno.»
«Non c’è bisogno.»
«Voglio stare un po’ con te, chiedo troppo?»
June ci rifletté attentamente. Chiedeva troppo? Ovviamente no. Ma cosa sarebbe successo se l’avesse baciata di nuovo?
Lei non poteva correre il rischio di innamorarsi di Harry, perché era evidente che sarebbe stata una gran stupidata. Ne avevano già parlato e la conclusione era una soltanto: Harry non andava bene per lei. L’avrebbe fatta soffrire e conquistarla, per lui, era solo una questione di principio.
Perciò era meglio che si facesse passare quella strana voglia che aveva di stare con lui, prima che accadesse l’irreparabile.
Cosa avrebbe fatto, dopo? Avrebbe affidato a Mr. Carota il suo cuore infranto? No, non si sarebbe mai pianta addosso e non sarebbe mai arrivata a quel punto.
Andassero pure al diavolo Harry, i suoi baci mozzafiato e la sensazione di sicurezza che provava in sua compagnia.
«Sono io che non voglio stare con te.» rispose, un po’ fredda.
Harry non si scompose minimamente. Anzi, inarcò un sopracciglio, salutò con un cenno del capo la ragazza appena entrata – che chiese scusa per il ritardo e si mise dietro la cassa – e prese June per mano.
«Ed eccola che ricomincia.» borbottò, seccato.
«Io non ricomincio un bel niente! Sei tu che non capisci.»
Però continuò a tenerlo per mano, nonostante fosse un controsenso bello e buono, nonostante non fosse affatto coerente con quanto gli aveva appena detto.
«Senti, June. Te l’ho già detto trenta volte: tu cambierai idea, su di me.»
«E tu Harry? Continuerai a considerarmi una stupida scommessa?»


***


Eccoci qua. Questo capitolo è un po' di passaggio, perciò non ho proprio niente da dire. Le cose tra Harry e June prendono una piega particolare, perché per June fidarsi è difficile e... be', lo vedrete.
Comunque, spero che vi sia piaciuto e, mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate, ci tengo davvero tanto!
E vi ringrazio per seguire la storia/commentare/ascoltare le mie cagate e blablabla
Vi adoro,
Fede <3

 
 
 

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Capitolo 16
*** Chapter 15. ***








Chapter 15.

 




«Tanti auguri, Jay!»
June abbracciò la sua futura matrigna con evidente affetto e le lasciò un bacio sulla guancia.
Tornò al fianco di Louis, che le circondò le spalle con il braccio e le rivolse un sorriso caloroso, che June ricambiò immediatamente. Osservarono entrambi Sam che baciava Jay sulle labbra e si congratulava perché i suoi erano “quarantatre anni portati magnificamente bene”.
«Questo è un regalo da parte mia e di June.» con un cenno della mano, Sam invitò June a farsi avanti.
Lei eseguì e porse a Jay il sacchetto. Con mano tremante, la donna estrasse la scatola e la aprì. Con gli occhi lucidi per l’emozione, sollevò delicatamente l’abito e lo osservò estasiata.
«È meraviglioso. E questo colore è così bello. Grazie mille, tesoro.» abbracciò di nuovo June e diede un altro bacio a Sam, che diede tutto il merito della scelta alla figlia. June sogghignò internamente, perché aveva azzeccato il colore anche se Harry diceva che a Jay non sarebbe piaciuto. Era ovvio, quindi, che tra i due non fosse di certo lei, quella ad avere problemi in fatto di gusto.
«E non è tutto. Vi aspetta un tavolo per due al La Petit France. Ho prenotato per le nove.» comunicò Louis, sorridente.
June annuì, consigliò a Johannah di correre a prepararsi e le promise che sarebbe arrivata dopo qualche minuto per aiutarla con l’acconciatura.
«Sono o non sono un genio?» domandò, retorica, quando Jay non fu più a portata d’orecchio. Sam alzò gli occhi e andò a prepararsi, mentre Louis sbuffò.
«Ti avverto, scricciolo. Abbiamo ospiti a cena, oggi.»
June sbiancò. Di nuovo Harry. Insomma, per quanto si sforzasse di tenerlo fuori dalla sua mente, non c’era scampo. D’altronde non poteva che essere così, visto che era il migliore amico di Louis. Al diavolo lei e qualsiasi fosse la cosa che attirava Harry.
«Posso invitare anche Alice?» domandò, flebile. Le serviva decisamente un appoggio, per quella sera. Per fortuna, almeno, lei ed Harry non sarebbero stati completamente soli e lei non avrebbe corso alcun rischio di cadere di nuovo nella sua stupida trappola.
«Questa è casa tua, June. Puoi invitare chi vuoi, quando vuoi.» le ricordò Louis. Le accarezzò una guancia con tenerezza e le picchiettò il dito indice sulla fronte.
«Fattelo entrare in questa testolina bacata, okay?»
 
Un’ora dopo, Sam e Jay uscirono di casa, non prima di aver raccomandato a June di tenere d’occhio Louis ed essersi fatti promettere che non ci sarebbe stato nessun morto al loro ritorno.
«Non capisco.» brontolò Louis «Io sono più grande e dovrei tenere te sotto controllo, perché hanno detto il contrario?»
June gli diede una pacca sulla spalla, per consolarlo.
«Avranno capito chi dei due è quello con il cervello.» celiò, con una naturalezza invidiabile. Louis scoppiò a ridere, poi si diresse vero la porta d’ingresso.
Qualcuno aveva appena citofonato e, a giudicare dall’insistenza, doveva avere fretta di entrare.
Qualche istante dopo, un’Alice un po’ furibonda fece il suo ingresso in salotto, seguita a breve da Niall, Liam, Zayn ed Harry.
Si avventò contro June, che era rimasta immobile senza sapere bene cosa dire.
«Tu, donna! Sei una gran stronza!» accusò, raddrizzando gli occhiali – quella sera di un arancione carico – e agitando i capelli castani.
Niall scoppiò a ridere, beccandosi un’occhiata in tralice che lo fece ammutolire all’istante.
«Ciao, piccola, come stai?» domandò, sottraendo June dalle grinfie di Alice e stringendola in uno dei suoi abbracci stritolatori.
«Bene, tu? Mi dispiace di non essermi fatta sentire troppo, in questi ultimi giorni.» gli sussurrò June, all’orecchio.
Niall annuì.
«Tranquilla, so che sei stata piuttosto impegnata.» rivolse ad Harry uno sguardo eloquente e June arrossì. Gli pestò un piede, infastidita, poi si diresse verso Zayn e Liam, che erano ancora in attesa di un suo saluto.
«Ciao, ragazzi.» abbracciò brevemente entrambi, poi si fermò davanti ad Harry.
Come doveva salutarlo? Il giorno prima, in macchina, avevano finito di nuovo per litigare e si erano lasciati piuttosto freddamente. E, quella sera, Harry sembrava non essersi affatto lasciato alle spalle tutto il malumore.
«Ciao.» mormorò infine June, tenendo lo sguardo basso.
Harry le rivolse un cenno del capo e sorrise, ma era finto e distaccato come non mai.
June ci rimase decisamente male. Forse stava tirando troppo la corda, con Harry.
Era vero che lui era sempre di buon umore, ma non poteva sopportare tutto con la sua solita indifferenza.
Se June fosse stata al suo posto, probabilmente si sarebbe mandata a cagare già da un bel pezzo.
«Parlerete dopo, ora tu vieni con me.» si intromise Alice, afferrando June per un braccio e trascinandola al piano di sopra, verso la sua stanza.
June si lasciò trasportare, un po’ stordita e forse sull’orlo del pianto: aveva appena sentito Harry dire “Non c’è niente di cui parlare” e non l’aveva presa con il sollievo che si aspettava.
Una frase del genere avrebbe dovuto essere una liberazione e invece non lo era affatto. June si sentiva come se qualcuno le avesse appena tirato un pugno nello stomaco.
Non era normale, vero?
«Allora…» Alice la spinse sul letto, poi le si sedete davanti con le gambe incrociate.
«Dimmi cos’è successo tra te ed Harry, veloce. Poi decideremo come agire.»
June, suo malgrado, si ritrovò a sorridere. Alice era così spontanea, così altruista e così fuori di testa che era impossibile non adorarla.
Se solo avesse indirizzato una parte della sua energia per conquistare Niall, probabilmente in quel momento si sarebbero trovati da tutt’altra parte.
Perciò glielo fece presente, consapevole che Alice avrebbe potuto cavarle gli occhi.
«Niall? E che centra Niall, adesso?»
«Fai sul serio?» Alice la guardò stranita.
«Oh, andiamo, Alice. Non vorrai dirmi che non ti piace Niall! Se ne sono accorti tutti tranne lui!»
«Oh, andiamo, June. Non vorrai dirmi che non ti piace Harry! Se ne sono accorti tutti!» le fece eco Alice, con la testa inclinata da un lato.
June fece una smorfia.
«Sei un pappagallo.»
«E tu una fifona. Prima o poi mi spiegherai perché non ti dai una possibilità con Harry.»
«Lui non mi piace.»
«Certo, dillo a qualcun altro. A lui, magari.» celiò Alice, lieta di aver distolto l’attenzione di June dalla sua cotta stratosferica per Niall.
Le piaceva dalla prima volta in cui aveva messo piede al bar, ma aveva sempre pensato che la differenza d’età sarebbe stata un bel problema. Si passavano quasi quattro anni e anche se Alice non aveva poi tutta questa grande esperienza in campo amoroso (se non un paio di relazioni finite male), non le sembrava possibile che lui avrebbe ricambiato il suo interesse.
Perciò si era fatta da parte e aveva provato ad essergli solo amica. Per il momento sembrava funzionare alla perfezione e non era davvero il caso che June le rimettesse in testa – un’altra volte - quei pensieri scomodi.
«Gliel’ho già detto, ma non mi ascolta!» si lamentò June.
Per come la vedeva Alice, la questione era molto semplice: June ed Harry erano fatti per stare insieme o per detestarsi. Non c’era altra alternativa. Non sarebbero mai riusciti ad essere solo amici. Non fino a che ci fossero state tutte quelle scintille.
«Per ora, cerchiamo di sopravvivere a questa serata, va bene?» concluse Alice, con aria un po’ più serena. Raddrizzò di nuovo gli occhiali – June cominciò a sospettare che si trattasse di una specie di tic – sorrise e si alzò.
June annuì, decisamente meno convinta e la seguì di nuovo al piano di sotto.
Trovarono i ragazzi in salotto, seduti chi sul divano e chi sul tappeto e presero posto anche loro. Con una nonchalance invidiabile, Alice andò ad accomodarsi accanto a Niall, che sembrò trattenersi a stento dal sorridere soddisfatto.
June ciondolò per qualche secondo, inchiodata dallo sguardo Harry. Non le toglieva gli occhi di dosso e sembrava deciso a farla sentire uno schifo. Era arrabbiato e quello era evidente, ma lei non sapeva che farci.
Poi, Liam si accorse che si trovava in difficoltà e le fece cenno di sedersi accanto a lui. Con sollievo, June lo raggiunse, raccolse le gambe al petto e le circondò con le braccia.
Louis le rivolse uno sguardo interrogativo, a cui lei rispose con un sorriso flebile.
Non poteva certo dirgli che la causa del suo disagio era lì in salotto, comodamente seduto in poltrona. Oltretutto, Harry sembrava davvero infastidito dal fatto che Liam si mostrasse così gentile nei suoi confronti.
Ma che pretendeva, che nessuno le parlasse solo perché lui sembrava essersi convinto che lei era una sua prerogativa?
«Che si fa?» domandò Zayn, qualche secondo dopo.
«Aspettiamo che arrivino le pizze, poi mangiamo.» rispose Louis, pacato. Continuava a guardare prima Harry, poi June, cercando di capire cosa c’era che non andasse. Perché a quel punto era evidente che qualcosa non andava.
«Cos’è successo?» domandò, quindi, nervoso.
Non gli piaceva che June fosse sull’orlo del pianto e, ancora meno, gli piaceva lo sguardo di Harry. Lo conosceva e sapeva che quando era così freddo e distaccato i guai erano alle porte.
«Niente, perché?» replicò Harry, serafico. June sussultò, e cominciò a fissare il vuoto. Liam le posò una mano sul ginocchio, per tranquillizzarla e le sorrise dolcemente.
Ecco, Liam era uno di cui June si sarebbe fidata ad occhi chiusi. Era gentile, simpatico, spiritoso e premuroso e probabilmente non l’avrebbe mai fatta soffrire, ma quando la sfiorava… non c’erano scintille. Niente brividi, niente battito accelerato.
«June.»
«Cosa c’è?»
«Mi dici cosa c’è che non và?»
«Niente.»
Prima che Louis potesse ribattere, il campanello suonò una seconda volta. June disse che sarebbe andata lei, si alzò e si diresse verso l’ingresso.
Quando aprì la porta, però, non si trovò davanti il fattorino con le loro pizze.
«Ciao, Jenuary. Posso entrare? Mi ha invitato Harry.»
E, mulinando i lunghi capelli biondi, Carolina entrò in casa, dando il via a quella che June avrebbe inserito senz’altro nell’elenco delle serate peggiori della sua vita.







Ta-daaaan! Sto aggiornando terribilmente tardi, oggi. Chiedo perdono, ma proprio non ne avevo voglia. Comunque, eccomi qui.
Che ne dite del capitolo? Vi è piaciuto? Personalmente non è uno dei miei preferiti, ma non mi dispiace.
Let me know <3

Vado a scrivere un po', adios <3
Vi adoro!

 
 

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Capitolo 17
*** Chapter 16. ***







Chapter 16.

 




«Non la sopporto più.» mugugnò Zayn, seduto accanto a June con un’espressione particolarmente afflitta.
Lei annuì, poi posò la testa sulla sua spalla. Non ne poteva più. Da quando Carolina era entrata in casa, quella che doveva essere una semplice sera tra amici era degenerata.
Se, poco prima, aveva creduto che la situazione con Harry potesse risolversi in maniera positiva, ora June non aveva alcun dubbio: non poteva fidarsi di lui.
Non quando continuava a lanciarle quegli sguardi palesemente provocatori, non quando accarezzava la schiena di Carolina che, inutile dirlo, era in completo brodo di giuggiole. Sembrava non vedesse l’ora di sentire le mani di Harry addosso. Anche June avrebbe voluto metterle le mani addosso, ma con un altro scopo.
Perciò strinse i pugni e li cacciò in tasca, borbottando una serie di insulti non troppo delicati.
Zayn ridacchiò. «Se mai volessi una mano, io ci sono.»
«Grazie. Tu la tieni ferma e io la picchio?» propose June, suo malgrado divertita. La prospettiva di togliere a Carolina quell’aria soddisfatta dalla sua stupida faccia, la riempiva di buonumore.
«Non ti facevo una tipa violenta.»
«Non lo sono, infatti. Ah, se solo avessi il mio arco.»
«Arco? E per fare che?» si intromise Carolina, con quella sua vocetta stridula.
June chiuse gli occhi, contò mentalmente fino a dieci e ricacciò la rispostaccia in fondo alla gola. Ma non ci fu niente da fare, non riuscì a trattenersi per più di otto secondi.
«Per piantarti una freccia in mezzo alla fronte.» berciò, infastidita. Carolina guaì, terrorizzata e si rifugiò tra le braccia di Harry, che rivolse a June un’occhiata in tralice. Lei ricambiò, per niente intimorita.
«Ce n’è anche per te, perciò piantala di fissarmi.» detto questo, si voltò verso Alice, alla ricerca di un po’ di sostegno morale.
La trovò intenta a godersi la scena, come il resto dei presenti. Forse, pensò June, avrebbe potuto distribuire dei popcorn.
«Altrimenti cosa fai, piccola?»
La stava provocando. Quel brutto idiota lo stava facendo apposta. Ma lei non era mica stupida. June non avrebbe mai abboccato al suo amo, non avrebbe mai colto la provocazione e non…
«Ti prendo a calci, pezzo d’idiota.» e non avrebbe risposto in maniera sgarbata.
Certo, probabilmente doveva cominciare a dare una regolata al suo autocontrollo, magari avrebbe potuto evitare di cacciarsi in quelle situazioni.
Stava facendo il gioco di Harry, in effetti, quando l’ultima cosa che voleva era fargli credere di avere il coltello dalla parte del manico.
«Sai, sembrerebbe quasi che tu sia gelosa, amore.»
«Non mi prendere per il culo, Harry. Perché giuro che non rispondo più di me stessa.» ringhiò, alzandosi in piedi. Harry rimase tranquillamente seduto, invece, con il suo solito sorriso sornione. Sembrava quasi il gatto che da la caccia al topo.
Aveva appena trovato la preda perfetta e aveva tutta l’intenzione di divertirsi.
June, con le guance rosse per la rabbia e gli occhi lucidi, finalmente si riscosse.
«Anzi, sai che ti dico? Continua così, è perfetto.»
Sì, era proprio ciò che le serviva. Vedere Harry con Carolina l’aveva fatta ingelosire, quello era vero ed era inutile negarlo, ma sapere che Harry poteva anche solo pensare di farla soffrire, cambiava l’idea quasi positiva che aveva iniziato ad avere di lui.
Se si comportava come un bastardo – cosa che a tutti gli effetti stava facendo – allora lei non si sarebbe mai innamorata.
E tanti saluti. Alla fine, il suo stesso gioco si stava ritorcendo contro di lui.
Perciò sorrise: sarebbe andato tutto a posto.
Harry, che sperava davvero in una scenata di gelosia, raggelò. Il sorriso gli morì sulle labbra e, all’improvviso, lo travolse la consapevolezza di aver sbagliato tattica.
Lui, che sapeva conquistare qualsiasi ragazza, stava giocando una partita che avrebbe sicuramente perso.
Ovviamente, aveva chiamato Carolina tanto per il gusto di fare incavolare June, ma non aveva affatto pensato alle conseguenze.
Se ne rese conto nel preciso istante in cui June sorrise. Perché non era normale, che sembrasse così soddisfatta. A meno che lui non le avesse dato la prova che stava cercando e cioè che conquistarla per lui era solo un gioco.
«Jenuary, non è ora di andare a dormire? Le bambine a quest’ora dovrebbero essere a letto. Se vuoi posso rimboccarti le coperte.» si intromise – di nuovo – Carolina. June sorrise ancora, divertita. Si rendeva conto che la sua espressione doveva essere più o meno quella di un serial killer, ma era esattamente in quel modo, che si sentiva.
«Sei una vacca. E le vacche dovrebbero limitarsi a brucare l’erba.»
E con quello, June concluse il suo discorso con Carolina. Era stata cattiva, probabilmente, ma si sarebbe fatta un applauso da sola.
«Alice, ti chiamo domani. Buonanotte a tutti, e grazie per la magnifica serata.»
Poi, prima che chiunque avesse il tempo di pronunciare un’altra parola, June salì al piano di sopra e si chiuse in camera. Sbuffò, gettò un’occhiata a Mr. Carota e gli sorrise.
«Il tuo proprietario è un vero coglione, lo sai?» gli chiese, retorica. Ovviamente sapeva che Mr. Carota non le avrebbe risposto, ma le sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui insultare Harry. Dio solo sapeva a quali povere torture era stato sottoposto quel pupazzo.
June afferrò l’iPod dalla scrivania, infilò le cuffie nelle orecchie e alzò il volume al massimo. Si sdraiò sul letto, a pancia in su e chiuse gli occhi.
Che serata del cazzo.
Aveva sentito solo due canzoni, quando le cuffie le vennero strappate dalle orecchie non tanto delicatamente.
«Ahi!» protestò. Poi sbarrò gli occhi, perché Harry era davanti a lei e sembrava decisamente furibondo.
«Mi hai fatto male, cretino.» gli tolse l’iPod dalle mani, rimise le cuffie e si voltò dall’altro lato.
Non aveva nessuna intenzione di parlare con lui, al momento. Se proprio voleva parlare con qualcuno, c’era Carolina. Andasse da lei e facesse pure il fidanzatino perfetto. Lei non voleva saperne niente.
Di nuovo, Harry le tolse le cuffie e le lanciò sulla scrivania.
«Vuoi proprio farmi incazzare, stasera?» bofonchiò June, infastidita. Harry si limitò a fissarla, con gli occhi verdi scintillanti di rabbia.
«E certo, ora fai anche l’offeso. Dai, Harry, torna giù da Carolina, che è meglio. Che poi proprio non capisco cosa vuoi da me, sai? Ti presenti qua con lei, mi guardi male e hai anche la faccia tosta di fare l’incazzato. Bello, sei sicuro di non avere qualche problema? Mentale, magari.»
«Hai finito?» domandò Harry, sedendosi sul bordo del letto. June si ritrasse, per evitare qualsiasi contatto.
«Non fare queste scene, per favore. Mi fai sembrare un maniaco.» brontolò, alzando gli occhi al cielo.
«Coda di paglia?»
«Mi hai stufato, June.» con uno scatto, Harry le fu addosso. Le intrappolò i polsi sopra la testa, e bloccò le gambe con le sue.
Siccome la situazione non le era nuova, June non si scompose, né si agitò come era successo la volta prima. Si limitò a guardare Harry, che sorrise.
«Ora possiamo parlare?»
«Lo sai, vero, che non puoi saltarmi addosso ogni volta che non voglio ascoltarti?»
«Mi diverto con poco, che vuoi che ti dica? E poi saltarti addosso non mi dispiace.»
Sei arrabbiata con lui, ricordatelo, si ripeté June mentalmente. Eppure, per quanto avrebbe voluto prendere Harry a schiaffi, e urlargli di andare al diavolo, non riuscì a non sorridere debolmente.
«Comincio a pensare che tu abbia qualche problema con la coerenza, Harry. Sbaglio o poco fa hai detto che non c’era niente di cui parlare?» gli ricordò, un po’ mestamente.
Harry alzò gli occhi al cielo e le liberò i polsi. Tuttavia, non accennò ad alzarsi.
«Mi fai così incazzare, June, che non ne hai idea.»
«Io? Oh, questa è bella.»
«Ci sto provando, okay?» Harry sbuffò, poi si lasciò cadere di lato e si mise a pancia in su. Fissava il soffitto, ma con la mente era altrove.
June lo osservò per un attimo, cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa. Non che fosse facile, perché Harry aveva una mentalità particolarmente contorta, oltre che una testa bacata.
«Voglio che tu ti fidi di me.»
«Harry, mi hai portato quella vacca in casa.»
«Volevo farti ingelosire. Ha funzionato?»
June sbuffò, e si portò una ciocca di capelli dietro le orecchie. Harry si voltò su un fianco.
«Allora? Ha funzionato?»
«Non è questo, il punto.»
«E qual è? Perché io non ci arrivo.»
June tentennò per qualche secondo. Qual’era il punto? Il punto era che lei non si fidava di Harry.
Era solo quello? Perché, volendo, non era un ostacolo così difficile da sormontare. Non aveva la certezza che Harry l’avrebbe tradita, perciò perché continuava a impuntarsi?
«Vedi? Non lo sai neanche tu! Se solo tu mi ascoltassi e mi dessi una possibilità…» cominciò Harry, ma June lo interruppe.
«Dimostramelo, Harry! Dimostrami che sei una persona seria! Che non stai giocando, che non sono un trofeo, che non mi vedi solo come una stronza che ti rifiuta. Dimostrami che non sono una questione di principio, ed io ti darò la tua benedetta possibilità. Ma fino ad allora, non baciarmi, non provocarmi e lasciami spazio. E, giusto perché tu capisca, farmi ingelosire non è la tecnica migliore.» concluse, ansante e con le lacrime agli occhi.
Harry rimase in silenzio, poi annuì.
«Ho capito. Ora possiamo tornare giù?»
«Tu vai, io credo che mi metterò il pigiama e me ne andrò a letto.»
Harry scosse la testa e sorrise.
«Andiamo, ti darò la prima dimostrazione.» prese June per mano e la costrinse ad alzarsi, dopodiché la trascinò fino al piano inferiore, dove la situazione non era propriamente delle migliori.
Carolina cercava di attaccare bottone con Louis, che sorrideva poco convinto, Alice la guardava male senza preoccuparsi di nasconderlo e Niall le tirava continue gomitate tra le costole per intimarle di smetterla.
Liam e Zayn si erano addormentati uno addosso all’altro, prede della noia più totale.
June ridacchiò, perché erano buffi e sembravano quasi dei bambini. Anche Harry sorrise, poi le lasciò la mano e si portò davanti a Carolina, che mollò immediatamente Louis e gli gettò le braccia al collo.
«Finalmente sei tornato. Ora possiamo andare a casa? Non vedo l’ora di stare da sola con te.»
Harry scosse la testa, allontanò con gentilezza le mani di Carolina.
«Mi dispiace, Linnie. Non avrei dovuto chiederti di venire qui, stasera.»
«Ma…»
«Scusa, ma volevo solo far ingelosire June. E non è servito. Mi dispiace.»
«Impossibile.» mormorò Carolina, incredula.
«Cosa?»
«Ti piace davvero!»
«Sì.»
«La preferisci a me!»
«Già.»
«Sei un bastardo, Harry Styles!» urlò, oltraggiata.
La sua voce stridula svegliò Liam e Zayn, che aprirono gli occhi confusi e si guardarono intorno, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Intanto, Carolina aveva afferrato la sua borsa e si era precipitata fuori di casa, minacciando una vendetta crudele e una morte truculenta e dolorosa.
«Era ora.» sospirò Alice. «Ancora un po’ e mi sarei suicidata.»
Harry si voltò verso June a allargò le braccia.
«Può bastare come inizio?»
 






Sera, fanciulle!
Ecco qui il nuovo capitolo, che ne pensate? Cavolo, ma vi rendete conto che Pretending sta per finire? Io non ci credo.
Ed è per questo che forse (FORSE) ci sarà un seguito, ma non ne sono sicura, lo sto cominciando a scrivere u.u Eeeeeh, niente, ditemi un po' le vostre impressioni sul capitolo, dai! Ci tengo :)
E basta, sparisco, stasera sono di poche parole <3
Vi adoro,
Fede.

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Capitolo 18
*** Chapter 17. ***








Chapter 17.

 





Confusa. Ecco come si sentiva June, quel freddo 21 Novembre.
Erano passati esattamente sei giorni, dall’ultima volta in cui aveva visto Harry e cominciava a pensare che lui si fosse arreso.
Agli allenamenti di Louis, due giorni prima, non si era neanche presentato, quando lei avrebbe scommesso che avrebbe continuato a darle il tormento in eterno, fino a quando, esasperata, gli avrebbe concesso quella maledetta chance.
Naturalmente, aveva finto di essere sollevata e quando Zayn e Liam le avevano chiesto se sapeva qualcosa sul motivo per cui Harry non c’era, aveva fatto spallucce e aveva replicato che non era la sua fidanzata e che, pertanto, non era tenuta a sapere dove fosse.
Liam aveva storto il naso, contrariato, ma non aveva detto niente al riguardo. Ed era stato meglio così, perché probabilmente June l’avrebbe sbranato vivo. Tendeva a diventare parecchio aggressiva, quando veniva tirato in ballo l’argomento “Harry”.
In ogni caso, il non averlo più intorno non le era affatto di consolazione. Pensava che saperlo lontano da lei l’avrebbe fatta sentire meglio e invece aveva ottenuto l’effetto contrario. Perché non solo adesso si tormentava all’idea che lui non l’avrebbe più considerata, ma si sentiva anche in colpa per averlo portato a quel punto.
Maledisse la sua incoerenza. Alla fine, nemmeno lei sapeva bene cosa voleva. Era meglio che Harry le stesse alla larga, oppure poteva, per una volta, permettere a qualcuno di avvicinarsi un po’ di più?
Ancora non lo sapeva e probabilmente sarebbe stato tutto molto più semplice se per una volta avesse messo a tacere la sua stupida coscienza e si fosse lasciata andare.
Il problema, in realtà, era che se si fosse lasciata andare avrebbe permesso alle scintille che volavano tra lei ed Harry di esplodere completamente. E non era pronta ad ammettere di provare qualcosa di più.
Proprio no.
Però non voleva neanche che Harry rinunciasse ai suoi amici solo per lei, non era giusto. Lei era l’ultima arrivata e non aveva alcun diritto di separarlo dagli altri.
Quel pomeriggio era passata a salutare Niall.
Doveva andare a tagliare i capelli e Niall abitava a poca distanza dalla sua parrucchiera. Perciò ne aveva approfittato per passare un po’ di tempo con lui, visto che nell’ultimo periodo non avevano potuto parlare un granché. Avevano trascorso un’ora intera a parlare e a mangiare caramelle gommose, dopodiché June aveva detto ciò che le stava passando per la testa da un paio di giorni.
«Vado da Harry.»
Niall, che stava bevendo una Coca Cola con aria tranquilla, quasi si strozzò. Cominciò a tossire, annaspando in cerca di aria. June alzò gli occhi al cielo e gli diede qualche pacca sulla schiena.
«Non ti sembra di esagerare?»
«Scusa, ma non me l’aspettavo!» protestò Niall, ancora un po’ incredulo. Aveva davvero sentito bene o le parole di June erano frutto della sua immaginazione?
«Devo andare prima dalla parrucchiera, tanto. Poi passo da Harry.»
«E perché?»
«Perché voglio tornare del mio colore. Il rosso mi ha stufato.»
«Parlavo di Harry, June. Dei tuoi capelli non me ne frega, detto molto sinceramente.» rise Niall. June sbuffò e gli tirò una gomitata tra le costole.
«Insensibile.»
«Ma che vuoi? Cambi colore una volta ogni due mesi!»
«E quindi?»
«E quindi non puoi pretendere che ti stia dietro.» concluse Niall, soddisfatto. Un altro sospiro rassegnato, poi June sorrise, lasciò un bacio sulla guancia del migliore amico e si diresse verso l’ingresso.
Mentre si legava la sciarpa intorno al collo e sollevava il cappuccio a coprire la testa, si voltò a guardare Niall. La stava ancora osservando, curioso.
«Ma non avevi detto che volevi essere lasciata in pace?» le ricordò.
«Sì, ma non ho mai detto che io avrei lasciato in pace lui.»
 
Era una pessima idea, June se ne rendeva conto. Come le era saltata in mente una cosa del genere? Ero ovvio che non avrebbe mai dovuto presentarsi da Harry, nemmeno se si fosse trattato della sua stessa vita.
Chissà cosa avrebbe pensato. Magari si sarebbe convinto che lei lo faceva perché era interessata a lui, cosa assolutamente non vera.
Perciò, ferma davanti alla porta di casa Styles, June stava riflettendo sulla prossima mossa da fare.
Bussare o no? E se Harry fosse stato impegnato? Fu l’immagine di lui che si rotolava nelle lenzuola con quella vacca di Carolina, a spingerla a suonare il campanello.
Se l’avesse colto in flagrante, avrebbe avuto la prova definitiva che non poteva fidarsi di lui e avrebbe potuto dare un taglio netto a qualunque cosa ci fosse tra di loro. Una volta per tutto.
Con il cuore in gola e colma d’aspettativa, June attese che Harry le aprisse la porta.
Ma non fu lui, a farlo.
«Fammi indovinare: un’altra che cerca il mio fratellino…» mugugnò la ragazza.
June inarcò un sopracciglio.
«Non c’è bisogno di dirlo con quel tono.» affermò, un po’ offesa per essere stata scambiata per una delle solite ragazzine senza cervello con cui Harry era solito “trascorrere i pomeriggi”.
«Gemma, chi è?» la voce di Harry arrivò dalla cucina, un po’ lontana.
Gemma sorrise, si fece da parte e fece cenno a June di entrare. Lei la seguì, un po’ a disagio.
«È per te, Harry. Non è che posso passare i giorni a mandare via tutte le Caroline del mondo, però.» celiò, infastidita.
«Carolina? Ma avevi detto che… oh, al diavolo.» June gettò un’occhiata colma di risentimento ad Harry, che ancora la osservava con gli occhi sgranati per la sorpresa, poi voltò le spalle a tutti e si diresse verso l’ingresso.
«Vedi? L’hai fatta incazzare! Ora ci metterò tre ore per convincerla che non è successo niente! June, aspetta! » urlò Harry.
«Lei è June? Ma avevi detto che aveva i capelli rossi! Che ne sapevo, io?» urlò anche Gemma, a mo’ di scuse. Harry la mandò poco elegantemente a quel paese e corse dietro a June, che ormai si stava incamminando lungo il vialetto, con l’aria furibonda e un’espressione per niente rassicurante.
«June! Aspetta!»
«’Fanculo, Harry. Dio, che stupida!» imprecò, arrabbiata e un po’ delusa. Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa del genere, da parte sua.
Si era illusa che la sua promessa di farle cambiare idea fosse sincera. Credeva che l’avrebbe fatto davvero.
Harry la afferrò per il polso e le impedì di fare un altro passo.
«Non è successo niente.»
June sbuffò.
«Certo, come no.»
«Sai, non credo che tu capisca quanto mia stia trattenendo dal gongolare.»
«E perché dovresti gongolare, scusa?»
«Perché questa, piccola, è gelosia.»
«Non dire cazzate, per cortesia.»
Harry si costrinse a non replicare, per evitare di scatenare l’ennesimo litigio in cui June non ammetteva che non gli era indifferente e in cui lui si ritrovava con le spalle al muro, perché pur di stare con lei ancora un po’ le avrebbe promesso anche che avrebbe camminato in ginocchio sui ceci.
«Entriamo?»
«No, vado a casa.»
«Piantala di fare la scema. Ti ho detto che non è successo niente. Carolina è venuta qui, per parlare, e ho detto a Gemma di non farla entrare perché non volevo vederla.» spiegò Harry, candidamente.
June lo osservò per qualche secondo, in cerca della prova certa che stesse mentendo. Ma lo sguardo di Harry era serio e il suo sorriso gentile, perciò fece spallucce e lo seguì nuovamente dentro casa.
Gemma era in cucina e si mordicchiava le unghie con aria colpevole.
«Mi dispiace tanto, non sapevo che fossi tu la tanto famosa June.» si scusò, sinceramente dispiaciuta.
June inclinò il capo, confusa. Harry guardò la sorella maggiore in cagnesco e alzò gli occhi al cielo.
«Non dare retta a Gemma. La metà delle volte non sa neanche quello che dice.» ridacchiò. Gemma sbuffò e scosse la testa.
«E l’altra metà, invece?»
«L’altra metà, dico cose che lo mettono in imbarazzo.»
«Davvero?» lo sguardo di June si accese di curiosità. «Raccontami tutto, ti prego!»
Harry sbiancò leggermente, poi afferrò Gemma per il braccio e la trascinò fuori.
June ridacchiò, divertita.
Gemma Styles, a differenza del fratello, le aveva fatto da subito un’ottima impressione: non aveva peli sulla lingua ed era sfacciatamente sincera.
A June piacevano le persone così, perché erano quelle che avrebbero detto la verità in qualunque situazione, positiva o negativa che fosse.
Mentre Harry stava sicuramente cercando di convincere la sorella a tenere la bocca chiusa, June si sistemò meglio. Appese il giubbotto alla spalliera della sedia e si tolse la sciarpa. Legò i capelli nella sua solita coda alta e disordinata e gettò un’occhiata al cellulare.
Louis le aveva mandato un messaggio, in cui le diceva di chiamarlo non appena avesse finito di parlare con Harry. Digitò frettolosamente una risposta, dopodiché gettò di nuovo il telefono nella borsa e aspettò.
Harry e Gemma rientrarono qualche secondo dopo: Harry appariva decisamente soddisfatto, mentre si accomodava al fianco di June. Gemma, invece, aveva l’aria di chi era appena stata sgridata e June aveva idea che si sarebbe vendicata molto presto.
«Ti chiedo scusa, ma Harry proprio non è in grado di usare il cervello. Ti assicuro che nostra madre ci ha educato meglio di così.» celiò.
June scoppiò a ridere, divertita e tirò una pacca consolatoria sulla spalla di Harry, che bofonchiò qualcosa di incomprensibile.
«Allora, June, come hai fatto a conquistare il mio fratellino?»
June arrossì vistosamente e prese a fissare con aria interessata le unghie recentemente smaltate di blu.
«Conquistare?» ripeté, imbarazzata. Harry alzò gli occhi al cielo e Gemma sorrise.
«Gemma sa tutto
E, dal tono in cui Harry lo disse, June capì di essersi scavata la fossa da sola. Non sarebbe mai dovuta andare a casa di Harry.
Perché se Gemma era intelligente almeno la metà di quanto sembrava, avrebbe senz’altro capito che il suo interesse per Harry non era poi così inesistente.
C’era da sperare che le reggesse il gioco e che non desse nessuna opinione in merito, perché in quel caso June sarebbe scappata a gambe levate per poi emigrare in Messico, dove nessun membro della famiglia Styles avrebbe potuto trovarla.
«Oh.» ecco, complimenti. Quella si che era un’uscita intelligente.
«Tranquilla, piccola. È completamente dalla tua parte.» la informò Harry, un po’ seccato. Gemma annuì, completamente d’accordo.
«Già. So cosa vuol dire avere a che fare con maschi stupidi. Anche se Harry fa solo finta di esserlo, in realtà è un pasticcino coccoloso. Vero, tesorino bello?» cinguettò, mielosa.
June non credeva che avrebbe vissuto tanto a lungo da poter vedere Harry Styles – lo stesso ragazzo che si faceva vanto di poter conquistare qualunque ragazza volesse, June compresa – arrossire come un bambino.
Eppure, di fronte alle smancerie volutamente esagerate della sorella, le sue guance si chiazzarono adorabilmente di rosso.
«Sapete una cosa? Voi due siete proprio carini.» proseguì Gemma, imperterrita. Chissà, forse ci provava gusto a mettere la gente in imbarazzo, ma lo faceva in un modo così spontaneo che June non ebbe nemmeno il coraggio di mandarla al diavolo.
«Dovresti presentare June alla mamma, Harry. Sono sicura che l’adorerebbe. Anzi, sai che facciamo? Organizziamo una bella cena. Domani. Che ne dici, tesorino bello?» propose, tranquilla.
Harry fece per rispondere, ma Gemma non gliene diede il tempo.
«Perfetto. Vado a chiamare mamma, poi avverto anche Anthony. Domani sera alle otto. Ciao, June, è stato bello conoscerti.» dopodiché, Gemma si defilò.
Harry e June, rimasti soli, si guardarono con un po’ di imbarazzo, fino a che June si rese conto che era davvero giunta l’ora di andare.
«Sarà meglio che vada.»
«Ti accompagno alla porta.» mormorò Harry. Non si dissero più nemmeno una parola, entrambi ancora troppo frastornati.
Una volta sola, June si passò le mani tra i capelli. Ed ora, cosa avrebbe fatto?



***



Ta-da-daaaaaan! Entra in scena Gemma, che io amo. Vedrete  u.u Oddio, non so nemmeno cosa dire, perché Pretending sta sul serio per finire ed io sto entrando nella fase del lutto. Poi, ho deciso che quando sarà finita questa mi concentrerò su One Step Forward e per l'estate mi prendo una pausa per continuare tutte le altre.
E niente... spero che vi sia piaciuto questo capitolo e fatemi sapere che ne pensate, se vi và!
Un bacione <3

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Capitolo 19
*** Chapter 18. ***







Chapter 18.
 




«Nervosa, scricciolo?»
Louis si sedette sul letto di June, mentre lei si fissava alla specchio con aria estremamente critica. Si era già cambiata quattro volte, senza mai essere del tutto soddisfatta. Il maglione lilla la faceva sembrare troppo grassa e troppo piccola, quello azzurro le dava un'aria innocente e, in più, aveva un colletto terribilmente stretto. Per non parlare poi del vestito grigio, che la faceva sembrare sciatta come non mai.
Ma cos'aveva in mente, quando aveva comprato tutti quei vestiti? E dire che era convinta che le stessero bene.
Alla fine, scelse un paio di jeans chiari e un dolcevita verde scuro. Non era niente di eccezionale e probabilmente sembrava una ragazzina stupida, ma era il massimo che riuscisse a trovare. Al momento, era troppo nervosa per pensare a qualcosa di più adeguato all'occasione.
Che poi, quale occasione? Non era mica un tè con la regina. Semplicemente, si trattava di una cena a casa di un... Come poteva definire Harry? Amico, conoscente, essere umano?
In ogni caso, qualunque cosa fossero lei ed Harry, non c'era motivo di essere tanto agitati.
«Nervosa? E perché dovrei esserlo? É solo una cena.»
Louis inarcò un sopracciglio, con aria eloquente. Solo a lui sembrava che stessero ufficializzando la storia? Insomma, ancora non stavano insieme, ma era solo perché June si era impuntata e si ostinava a negare una possibilità ad Harry.
Louis, ovviamente, si era premurato - di nuovo, per la millesima volta - che Harry tenesse le mani a posto e che non facesse niente per farla soffrire.
«Certo, certo.» concesse, divertito. June si voltò di scatto: era agitata e non riusciva a calmarsi.
«Perché lo sto facendo?» domandò, torturandosi nervosamente l'orlo del maglione.
«Perché Gemma ti ha invitato e sarebbe stato scortese, da parte tua, rifiutare.»
June annuì trovandola una spiegazione soddisfacente e piuttosto logica.
«Giusto. Ti dispiacerebbe accompagnarmi?»
«Non ti viene a prendere Harry? Che pessimo fidanzato.» sibilò Louis, divertito.
June gli rivolse un’occhiata in tralice.
«Non fare lo stronzo, Lou. Tra me ed Harry non c’è niente.»
«Certo.»
«’Fanculo. Mi accompagni, o vado a piedi?»
Per tutto il viaggio in macchina, June rimase in silenzio, troppo nervosa e troppo agitata per poter scherzare con Louis come suo solito.
In che cosa si stava cacciando? Perché mai aveva accettato? Dopotutto, non era la fidanzata di Harry e non era tenuta a partecipare a quella cena che sapeva tanto di fidanzamento ufficiale. Harry mica le avrebbe chiesto di sposarla, che bisogno c’era di rendere tutto così formale? O era lei, che aveva quell’impressione?
Forse avrebbe dovuto rifiutare.
In ogni caso ormai era troppo tardi, perché Louis l’aveva lasciata davanti al vialetto di casa Styles e si era allontanato, raccomandandole di non dire troppe parolacce e di non picchiare Harry davanti alla sorella.
Si arrotolò una ciocca di capelli intorno al dito, nervosa, poi suonò alla porta. Ormai, cominciava a farci l’abitudine. Negli ultimi due giorni aveva passato più tempo a casa di Harry che a casa sua.
«Non esagerare, June.» stava anche cominciando a parlare da sola, il che non era propriamente una cosa normale.
Per lo meno aveva finito la frase prima che le aprissero la porta, o avrebbe cominciato la serata con una pessima figura.
«Ciao, piccola. Vieni, entra pure.»
June sorrise, in imbarazzo e lasciò che Harry l’aiutasse a sfilare il cappotto.
«Grazie. Come mai tutta questa cavalleria?» domandò, tranquilla.
Harry ridacchiò e fece un cenno verso la cucina.
«Mamma ha detto che devo smetterla di comportarmi come un ragazzaccio.»
«Un ragazzaccio, eh?» ripeté June, divertita. Be’, in effetti la signora Styles non aveva tutti i torti. Harry non si comportava di certo come un gentiluomo: prima la sbatteva sul divano, poi la sbatteva sul letto.
Insomma, sembrava che il suo unico scopo fosse intrappolarla e, si sa, un gentiluomo certe cose non le fa.
«Non ti ci mettere anche tu, piccola.» borbottò, spazientito. Era da quella mattina che Gemma e sua madre continuavano a ripetergli di comportarsi bene, perché gli ospiti si trattano in un certo modo, soprattutto se sono ragazze per bene come June.
Harry aveva provato in tutti i modi a fargli presente che June aveva già conosciuto il suo lato fastidioso e che di certo non avrebbe creduto a tutta quella farsa.
Ed ora ne stava avendo la dimostrazione, perché June appariva decisamente incredula e del tutto divertita.
«Scusa, bad boy
«Simpatica, davvero.»
«Sì, lo so. Me lo dicono sempre.»
June sorrise sorniona, poi tirò una pacca sullo stomaco di Harry, che le afferrò le braccia e la trascinò contro di sé.
La strinse tra le braccia, per un attimo, poi sospirò e la lasciò andare, improvvisamente più rigido.
Confusa, June si guardò intorno. Cosa stava succedendo? Perché Harry l’aveva lasciata andare così di colpo? Per una volta che non sembrava avere doppi fini.
«Hai detto che non devo toccarti.» le ricordò, un po’ mesto. June scosse la testa.
Giusto, l’aveva detto. Però poteva anche fare un’eccezione, no? Solo per quella volta e solo perché Harry sembrava davvero mortificato.
«Solo per questa volta.» mormorò, prima di avvolgere le braccia intorno ai fianchi di Harry e posare la testa sul suo petto.
Non poteva farci niente. Per quanto la rendesse nervosa, per quanto la facesse incavolare e per quanto fosse del tutto inaffidabile, quando era con lui si sentiva al sicuro.
«Segnerò questa data sul calendario.»
«Spiritoso.»
«Andiamo di là, mamma non vede l’ora di conoscerti.»
 
Anne era una bella donna e, guardandola, June riuscì a capire da chi Harry avesse ereditato tutto il suo fascino. Stesse fossette, stesso sorriso mozzafiato, stessi capelli mossi.
Era affaccendata intorno ai fornelli e gettava ordini a destra e a manca, mentre Gemma si dava da fare per tenere il passo.
Harry si schiarì la voce, poi accennò a June con un cenno del capo.
«Mà, lei è June.»
Anne la squadrò per un attimo da capo a piedi, poi annuì con approvazione. June arrossì e si accostò un po’ di più ad Harry.
Lui, che di certo non se lo aspettava, sorrise soddisfatto e le circondò le spalle con un braccio.
«E dai, mà, la stai mettendo in imbarazzo.» si intromise Gemma. Diede una leggera spinta alla madre, poi si avvicinò a June e la abbracciò.
Harry dovette scostarsi, un po’ infastidito, poi alzò gli occhi al cielo: Gemma sembrava adorare June. Non ne era affatto stupito, comunque, perché sembravano avere parecchio in comune, dall’acidità portentosa alla tendenza al sarcasmo smisurato.
«Perché non vai di là con Anthony, tesorino bello? Noi fanciulle facciamo quattro chiacchiere.»
«Lo sai che il tuo fidanzato mi sta sul cazzo.» berciò Harry, infastidito.
Lui a quel cretino non lo sopportava proprio. Era sempre appiccicato a Gemma, come un maledetto secondino. Gemma rideva? E lui era subito lì a chiedere cosa ci fosse di tanto divertente.
Harry era del parere che avrebbe potuto farsi un po’ di cazzi suoi e più di una volta gliel’aveva fatto presente, ma non c’era stato verso.
Quello era un coglione. E di certo sua sorella si meritava di meglio.
«Harry, per piacere, non cominciare.»
June aggrottò le sopracciglia, confusa. Non aveva mai visto Harry così apertamente ostile nei confronti di qualcuno e la cosa la lasciava decisamente di stucco.
«Dai, mà, lo sai anche tu che è un coglione.»
Anne non rispose e si voltò verso il forno per controllare la cottura dell’arrosto. June non ne era del tutto certa, ma era sicura che avesse annuito e che fosse d’accordo con il figlio.
Gemma incrociò le braccia al petto e sbuffò.
«D’accordo, lasciamo perdere. Tanto dovrai vederlo, prima o poi: è in camera tua a giocare con la playstation. Su, tesoro, vai e lasciaci da sole. June è tutta nostra.»
Harry inarcò un sopracciglio, borbottò qualcosa che a June sembrò tanto un “stronzo di merda, lo prenderò a pugni” e uscì dalla cucina, rivolgendole a malapena uno sguardo.
«Gemma, cara, perché gli hai detto che Anthony è in camera sua? Lo sai che lo fai arrabbiare.»
«Appunto per quello, mamma. Altrimenti che gusto ci sarebbe, scusa?»
June scoppiò a ridere, divertita.
Anne si voltò a guardarla e le fece un occhiolino.
«Ci farai l’abitudine, June. Questi due bisticciano in continuazione.»
«Be’, è divertente. E poi Harry quando è arrabbiato comincia a borbottare e fa una faccia strana.» disse, cominciando a sentirsi a suo agio. Non credeva sarebbe stato possibile, eppure Anne e Gemma sembravano fare di tutto per farla sentire una di loro.
«Posso dare una mano?» chiese, titubante.
Anne scosse la testa, risoluta e disse che gli ospiti erano ospiti e andavano trattati come tali, Gemma invece, fu più spiccia, e le chiese aiuto per apparecchiare la tavola.
Quando andarono in sala, June si stupì di trovare Harry svaccato sul divano, in compagnia di un ragazzo che doveva avere all’incirca la stessa età di Gemma. Tenevano le distanze ed Harry si voltava a fulminarlo ogni due secondi.
Il famigerato Anthony aveva un viso anonimo, di quelli che ci vuole sempre un po’ di tempo per ricordare, occhi azzurri e capelli biondo scuro. Sembrava abbastanza alto e aveva un po’ di pancetta.
Paragonandolo ad Harry, June non poté fare a meno di trovarlo un po’ insignificante. Non aveva nemmeno la metà della metà del fascino di Harry e probabilmente ne era consapevole. In effetti, lui e Gemma erano piuttosto male assortiti.
«Amore, Harry ha chiuso a chiave la stanza. Dice che non posso usare la play.»
Gemma sospirò e guardò June in cerca di sostegno. Lei fece spallucce e cominciò a disporre i piatti lungo la tavola. Non poteva mica dire che secondo lei Harry aveva fatto più che bene.
«Dì un po’, la chiami anche quando hai finito in bagno? “Gemma, Gemma, puoi venire a pulirmi il culo?”» lo scimmiottò Harry, infastidito.
June dovette soffocare le risate con una mano davanti alla bocca, ma era certa che Gemma se ne fosse accorta. Le rivolse un’occhiata di scuse e si costrinse a fissare il tavolo e a raddrizzare una forchetta che improvvisamente sembrava storta.
L’unica che non si trattenne affatto dal ridere, invece, fu Anne, che entrò in salotto reggendo tra le mani il vassoio con l’arrosto appena sfornato.
«Harry, tesoro, cerca di trattenerti.» disse, con le lacrime agli occhi.
June ebbe come l’impressione che avesse riso fino a quel momento.
«Forza, a tavola.»
Harry si alzò dal divano, non prima di avere rivolto ad Anthony un altro sguardo di fuoco e prese June per mano, trascinandola dal lato opposto del tavolo.
«Tu vicino a me, piccola.» le sussurrò all’orecchio.
June annuì e lasciò che le scostasse la sedia.
«Grazie.»
Anne batté le mani.
«Buon appetito a tutti.» augurò, cominciando a distribuire abbondanti porzioni di arrosto.
Mangiarono in silenzio per qualche istante, dopodiché June si accorse che qualcosa non andava. Harry continuava a fissare Anthony in cagnesco. L’altro ricambiava apertamente, ma appena Gemma si voltava a guardarlo, la sua espressione cambiava e tornava serena e mite.
June inclinò la testa, confusa. C’era qualcosa, in Anthony, che non la convinceva. Sembrava viscido e un po’ approfittatore e cominciava a capire perché Harry non lo sopportasse.
Anne seguì il gioco di sguardi in completo silenzio. Nemmeno a lei piaceva Anthony, ma aveva giurato che non si sarebbe mai intromessa nella vita sentimentale dei figli, a meno che non fosse strettamente il caso.
E non lo era, perché a difendere Gemma, ci pensava già Harry. La sua gelosia di fratello minore, era così forte che Anne era sicura che non ci avrebbe pensato due volte, prima di prendere quel tonto a calci nel sedere.
Per quanto riguardava June, invece, Anne ne aveva avuta una buona impressione. Sembrava una ragazza a modo, con la testa sulle spalle e sembrava anche che tenesse a suo figlio, seppure facesse di tutto per non darlo a vedere.
La sera prima, Gemma le aveva raccontato che tra i due c’era già stato qualcosa e che Harry stava impegnandosi davvero per dimostrare di essere un ragazzo serio.
Lei si era trovata completamente d’accordo: aveva lasciato che Harry frequentasse tutte le ragazze che voleva, quando voleva, nella speranza che prima o poi si accorgesse che il sesso non era la cosa più importante.
Finalmente, sembrava essersene reso conto ed ora faceva quel che poteva per essere affidabile.
Non ci voleva mica un genio, per capire che June gli piaceva da impazzire.
«Gemma, tuo fratello continua a guardarmi male.»
«Se non la smetti di guardare June ti prendo a pugni, stronzo.»
«Cosa? Io guardare June? E perché mai? Gemma è mille volte più bella.»
June arrossì, in imbarazzo. Lo sapeva anche lei, che Gemma era più bella, ma sentirselo dire così ad alta voce, davanti a tutti, era piuttosto umiliante.
Interruppe le difese di Harry con un gesto secco della mano.
«Non fa niente, davvero. Lascia stare.» gli posò una mano sulla gamba, rassicurante. Harry sospirò e coprì la mano con la sua.
«Per me sei bellissima.» le sorrise, sincero e June ricambiò. Doveva ancora abituarsi a questo lato di Harry, quello più dolce e più spontaneo. Forse di lui aveva voluto vedere solo il peggio, quando in realtà c’era molto di più da scoprire.
«Trovo molto maleducato da parte tua, Anthony, venire in casa mia e offendere i miei ospiti.» affermò Anne, con tutta la calma del mondo.
Anthony fece spallucce. Gemma, invece, tenne lo sguardo basso, come se fosse stata lei ad insultare June e non il cretino che si portava dietro.
«Be’, ma non è colpa mia se suo figlio ha dei pessimi gusti, Anne.»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Harry balzò in piedi, rovesciando la sedia all’indietro, fece il giro del tavolo e agguantò Anthony per il colletto della camicia. Lo spinse a terra e in un attimo gli fu addosso.
 
 
 
***



Dopo un sacco di tempo, ecco il capitolo. Chiedo scusa, ma la mia voglia di aggiornare era praticamente sotto terra. Mi costa una gran fatica fare tutto, ultimamente, ma non importa, né vi interessa.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima :)
 

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Capitolo 20
*** Chapter 19. ***








Chapter 19.

 





Separare Harry da Anthony si era rivelata una vera impresa. Non erano bastate le urla terrorizzate di Gemma, né le suppliche di June.
Harry sembrava completamente fuori controllo ed anche Anthony, che fino a qualche minuto prima aveva portato avanti la messinscena del povero fidanzato trattato male, non stava risparmiando neanche un colpo.
June si sentiva così in colpa che era certa che sarebbe scoppiata  a piangere da un momento all’altro.
Harry stava prendendo a pugni il fidanzato di sua sorella per difendere lei, che lo aveva trattato come se fosse un idiota, che si ostinava a negare qualsiasi interesse, che faceva la stronza praticamente ogni volta che apriva bocca.
Perché Harry la stava difendendo così? Chi glielo faceva fare? Lei non se lo meritava.
Poi, finalmente, Anne prese in mano la situazione.
Afferrò il figlio per la manica della maglietta e lo strattonò bruscamente. Harry le rivolse un’occhiata risentita, ma non osò muoversi. Dopotutto, non avrebbe mai potuto colpire sua madre.
«Basta così, state dando spettacolo. Vergognatevi.»
Gemma si avvicinò al fidanzato, che si copriva il naso con una mano e sembrava piuttosto malridotto. Il sangue gocciolava per terra, copioso.
«Bastardo, mi hai rotto il naso!» urlò, risentito.
Harry rise, sprezzante. Aveva un labbro spaccato e un rivolo di sangue gli colava sul mento, ma sembrava tranquillo come non mai. June non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era normale che lo trovasse bellissimo? Certo, a parte il sangue. Ma gli occhi di Harry brillavano di feroce determinazione e sembrava così forte che June avrebbe voluto tuffarsi tra le sue braccia e piangere, anche se di certo non era lei, quella a dover essere consolata.
Gemma sembrava il ritratto della mortificazione e continuava a lanciare sguardi preoccupati alla madre, poi ad Harry e Anthony e anche a June.
Anthony, che stava bloccando il flusso di sangue con la manica della maglietta, mugugnò qualcosa di incomprensibile.
«Bisogna portarti in ospedale. Non vorrei che morissi qua sul tappeto.» borbottò Anne, spazientita.
Per come la vedeva lei, quella era l’ultima volta che Anthony metteva piede in casa sua. Non poteva costringere Gemma a lasciarlo, ma confidava nel fatto che sua figlia fosse abbastanza intelligente da capire che quel ragazzo era semplicemente un idiota. Per l’amor del cielo, aveva spaccato il labbro del suo bambino! Ed Harry non andava assolutamente toccato, fine della storia.
«Gemma, tesoro, vai a prendere le chiavi della macchina e mettiti il cappotto. Accompagniamo Anthony in pronto soccorso. E prendi anche un asciugamano, non vorrei mi imbrattasse la macchina di sangue.»
«Ed Harry?» sussurrò Gemma, senza riuscire a guardare il fratello in faccia. Si sentiva così in colpa.
«Confido nel fatto che June se ne prenderà cura.» sorrise Anne, tranquilla. Diede una leggera spinta sulla spalla di Anthony e lo guidò verso l’ingresso.
Poco dopo, Gemma tornò con i cappotti e l’asciugamano. Prima di uscire, però, si fermò davanti a June.
«Mi dispiace tanto, credimi.»
June sorrise e scosse la testa.
«Non ti preoccupare, non è colpa tua.»
Quando sentì lo scatto della serratura, June si concesse un sospiro. Le tremavano anche le gambe e probabilmente avrebbe ceduto da un momento all’altro.
Harry, intanto rimase stoicamente in silenzio, senza preoccuparsi del sangue che gocciolava sulla maglietta bianca, né dello zigomo che cominciava ad assumere un colorito violaceo.
«Bisogna mettere del ghiaccio su quello zigomo.» mormorò June, un po’ preoccupata.
Harry annuì, poi le fece strada per la cucina e andò verso il freezer. Frugò per qualche secondo, trovò un sacchetto di ghiaccio istantaneo e se lo premette sulla parte livida.
June, intanto, prese uno strofinaccio pulito e lo passò sotto l’acqua corrente.
In completo silenzio e sull’orlo del pianto, cominciò a tamponare delicatamente il labbro di Harry, cancellando la striscia di sangue.
Harry si limitò a guardarla in silenzio, senza emettere un solo verso.
June si morse un labbro, per impedire al singhiozzo che aveva bloccato in gola di venire fuori. Non voleva proprio comportarsi come una bambina.
Quando lo strofinaccio fu troppo sporco, si voltò di nuovo verso il lavandino e lo sciacquò con dell’acqua fredda. Le tremavano le mani e non sapeva più cosa fare per darsi una calmata.
Fece qualche respiro profondo, poi si riavvicinò ad Harry, che le bloccò il polso con delicatezza e la costrinse a lasciare il panno sul tavolo.
«June.»
June scosse la testa: non voleva sentire niente, o sarebbe davvero scoppiata a piangere.
«June, non è stata colpa tua.» sostenne Harry, con fermezza. June scosse di nuovo la testa e tirò su col naso. Non riusciva neanche a guardarlo in faccia.
«Ehi… piccola, dico sul serio. Era da un sacco di tempo che volevo picchiarlo.»
«Mi dispiace così tanto, Harry. È tutta colpa mia!» June scoppiò in lacrime, senza potersi trattenere oltre. Si coprì il volto con le mani e singhiozzò, ferita e spaventata. Aveva davvero temuto che Harry si fosse fatto troppo male, solo per difendere lei.
Aveva preso a pugni il fidanzato della sorella, solo perché aveva detto che non era abbastanza bella! Con che coraggio poteva negargli una possibilità? Come poteva continuare a fingere di non accorgersi delle premure che aveva nei suoi confronti?
Era stata così cieca, e così ostinata, per tutto quel tempo, che non aveva accettato nemmeno l’idea che Harry potesse essere interessato a lei per davvero.
Chi mai scatenerebbe una rissa per difendere qualcuno di cui non gli importa niente? Nessuno. Perciò Harry era stato sincero, per tutto quel tempo, e lei era stata una stupida. Si era comportata peggio di Carolina e non riusciva neanche a tollerare di essere stata tanto insensibile. Lei, che si faceva vanto di essere una persona intelligente.
«Non piangere, piccola. È tutto okay.» provò a consolarla Harry.
La prese per mano e se la trascinò in braccio. June gli allacciò le braccia intorno alla vita e nascose la testa nell’incavo tra la spalla e il collo.
«Ti ha picchiato.» piagnucolò June, spaventata solo al ricordo del pugno di Anthony che colpiva Harry ripetutamente.
«Sbagliato. Io ho picchiato lui.» le ricordò, divertito. Intanto, prese ad accarezzarle la schiena, con dolcezza.
Non riusciva ancora a credere che June fosse tra le sue braccia.
Certo, stava piangendo e probabilmente era mezzo traumatizzata, ma non l’aveva respinto ed era evidentemente preoccupata per lui.
Quello non era propriamente il modo in cui Harry aveva sperato di concludere la serata. Aveva pensato che dopo cena, se June avesse voluto, avrebbero potuto raggiungere gli altri al bar in cui lavorava Alice e trascorrere tutti insieme il resto della serata, come due semplici amici.
Ci aveva riflettuto molto, nei giorni precedenti: June non era solo una scommessa. In realtà, se ne era reso conto quando aveva immaginato di trascorrere con lei una serata tranquilla, in cui il sesso non era al primo posto tra i suoi pensieri. Aveva quasi dell’incredibile, eppure per quanto la volesse e per quanto gli sarebbe piaciuto baciarla e averla solo per sé, si era accorto che solo la sua presenza era sufficiente per farlo stare bene.
Era una bella cosa, no? Se si fosse trattato di un gioco, non avrebbe provato nessun sentimento.
Sorrise, perché finalmente aveva trovato una ragazza che faceva per lui.
Restava solo da capire se June avrebbe mai cambiato idea.
«Non dovevi farlo! Non per me!» esclamò June, dopo qualche secondo. Harry inclinò il capo, confuso.
«Ha detto che non sei abbastanza bella.» replicò. Secondo il suo modesto parere, quello era un motivo più che valido per rompere il naso di Anthony. Per non parlare poi del fatto che voleva picchiarlo già da un sacco di tempo.
«Non mi interessa quello che pensa quel cretino, Harry. Non sono bella, e allora? Sono intelligente, ho una famiglia, degli amici che mi vogliono bene, cosa me ne faccio della sua approvazione? Te lo dico io, un bel niente. Non ha offeso il mio onore, credimi. E tu non puoi metterti a fare la tartaruga ninja solo perché a qualcuno non piaccio!» farfugliò, così velocemente che Harry fece un po’ di fatica a capirla.
«E poi guarda cosa ti ha fatto…» con la punta delle dita, June sfiorò delicatamente lo zigomo di Harry e le sua labbra.
«Non è niente, June. Non mi fa neanche tanto male.»
«Bugiardo.»
«E per te prenderei un sacco di botte, credimi. E comunque tu sei bella, June. Sei bellissima.»
June sorrise, triste e abbassò lo sguardo. Harry le sollevò il mento con la mano e la costrinse a incrociare lo sguardo.
«L’ho capito, sai? Quello che volevi dirmi.» mormorò, tranquillo.
«E avevi ragione su tutta la linea. Non ero pronto per stare con te, forse non lo sono neanche adesso, o non lo sarò mai, ma ho capito che non sei un trofeo, o una scommessa. Sei molto di più e…»
June scosse la testa, gli accarezzò di nuovo la guancia e lo baciò.
Si sforzò di essere il più delicata possibile, perché dopotutto Harry aveva un labbro spaccato e non era di certo nelle condizioni di baciare, ma non aveva resistito.
Tutto ciò che Harry le aveva detto, ogni singola parola, le aveva aperto gli occhi.
Era stata un’egoista e si era preoccupata solo di sé stessa, senza rendersi conto che anche lui, forse, c’era rimasto male per tutte le volte che l’aveva rifiutato, per ogni volta che gli aveva detto chiaro e tondo che non gli piaceva e che non gli sarebbe mai piaciuto.
E lui aveva insistito, senza demordere neanche un attimo. Perché quello coraggioso, quello intelligente, tra loro due, era Harry.
Lei si era limitata a negare l’evidenza anche quando a tutti risultava fin troppo chiaro che si era presa una bella cotta e che fingeva di detestare Harry solo per proteggersi.
Ma forse non c’era bisogno di farlo. Forse ci avrebbe pensato Harry a proteggerla.
Alla fine, quello stupido gioco, l’aveva vinto lui. Era cascata in pieno nella sua rete, ma perché non si sentiva in trappola? Le sembrava, piuttosto, di essere appena stata tratta in salvo.
Harry era un po’ come un fastidioso e supponente supereroe. L’avrebbe fatta arrabbiare, l’avrebbe fatta infuriare come non mai e probabilmente avrebbero bisticciato ogni due secondi, ma l’avrebbe salvata nel momento del bisogno.
Lui avrebbe rotto il naso al primo che avesse osato dire che lei non era abbastanza.
Harry non le permise di allontanarsi e approfondì il bacio, incurante del bruciore al labbro e allo zigomo.
Finalmente, avrebbe avuto anche lui la sua occasione.
Se avesse solo immaginato che sarebbe bastato prendere a pugni Anthony, l’avrebbe fatto molto prima.
 
 
 
***



Buonaseeera, fanciulle!
Ecco qua il capitolo 19. In realtà non c'è molto da dire, anche perchè siamo quasi arrivate alla fine di questa storia :(
Voi che dite? Vi è piaciuto? Fatemi sapere e perdonatemi per il ritardo :)
Un abbraccio a tutte,
vi adoro <3
 

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Capitolo 21
*** Chapter 21. ***











Chapter 20.

 







«Quindi state insieme? Fammi capire…» Alice prese June sottobraccio, rabbrividendo a causa della folata di vento gelido che l’aveva colpita in pieno volto. Dicembre, ormai, era quasi alle porte e Doncaster sembrava presa d’assedio dal mal tempo. June aveva quasi perso il conto di tutte le volte che aveva piovuto in quegli ultimi cinque giorni; non ne poteva più di stare chiusa in casa, come una sottospecie di reietta.
Perciò aveva colto al volo l’occasione, quel pomeriggio in cui il meteo aveva deciso di concedere loro la grazia, e aveva accettato l’invito di Alice ad uscire per una passeggiata.
Se ne era pentita nell’esatto momento in cui aveva messo piede fuori di casa. C’era così freddo, che probabilmente le sarebbe venuta una broncopolmonite.
In ogni caso, freddo o no, Alice aveva bisogno di essere aggiornata e non avrebbe di certo accettato una sua defezione.
«Non lo so. Cioè, no.» fece spallucce, un po’ in imbarazzo e si finse interessata a quell’orribile giacca bianca, con cui una sventurata commessa cercava di vestire il manichino.
Alice si bloccò di scatto, la guardò stralunata e, come di consueto, sistemò la montatura degli occhiali.
«Aspetta un attimo. Credo di non aver capito: lui ha picchiato il fidanzato della sorella, tu hai fatto la crocerossina del cavolo e l’hai baciato. Ti sei convinta a dargli una possibilità, superando quella marea di cazzate che ti sei autoimposta, e non state insieme?» riassunse, gesticolando con le mani.
June annuì e ridacchiò.
«Vedi che hai capito?»
«Sei una deficiente, June.» borbottò Alice, contrariata. June alzò gli occhi al cielo: da quando erano entrate più in confidenza, Alice non si era lasciata sfuggire nemmeno un’occasione per ricordarle quanto fosse stupido il suo comportamento. Sembrava quasi aspettarsi che da un momento all’altro June si appendesse un cartello al collo, con la scritta “sono una cretina”.
Ma June non l’avrebbe mai fatto. E non solo perché l’idea di far sapere a tutto il mondo quanto fosse insensato il suo comportamento la infastidiva parecchio. No, la ragione principale era che non aveva affatto voglia di ammettere che si era sbagliata su Harry e che l’aveva giudicato male.
Certo, non che lui avesse fatto chissà che sforzo per apparire intelligente. Almeno all’inizio della loro conoscenza. Dopo, con tutto quello che era successo tra di loro, le cose erano decisamente migliorate.
«Dico davvero. Sei la persona più stupida del pianeta terra.» incalzò Alice, completamente presa dal suo argomento preferito: Harry e June insieme.
June sospettava che lo facesse solo per non pensare a Niall, visto che ancora non aveva trovato le palle di dirgli che era interessata a lui. Anzi, non solo interessata, completamente cotta.
«A proposito di persone stupide… come và con Niall?» June interruppe Alice con un sorriso malefico. Osservò con indicibile soddisfazione le guance dell’amica diventare di un grazioso color porpora e ridacchiò.
«Dovresti dirglielo, sai?»
«Come tu hai detto ad Harry che sei innamorata di lui?» la rimbeccò Alice, sul piede di guerra.
June sbuffò: finiva sempre così, quando cominciavano a discutere. In un modo o nell’altro, Alice le ritorceva le cose contro e riportava il discorso al punto di partenza, che ovviamente era quello che le conveniva di più.
«Non sono innamorata di Harry, tonta.»
«No?»
«No.»
«Certo, farò finta di crederci.» sibilò Alice, con un sopracciglio inarcato. June sbuffò di nuovo e alzò gli occhi al cielo.
«Ma è vero!»
Silenzio da parte di Alice. Ed ecco che cambiava tattica. June non la sopportava quando faceva così: prima cercava di farla parlare, poi, quando si rendeva conto che non avrebbe aperto bocca, passava al gioco del silenzio. Alla fine, June cedeva sempre. Più per esasperazione, che per la reale voglia di confessare la verità.
«E va bene.» borbottò. «Un po’ mi piace, sei contenta, adesso?»
Ancora silenzio. June digrignò i denti, seccata.
«Okay! Mi piace tanto. Soddisfatta?»
Alice annuì.
«C’è da lavorarci, ma fai progressi. Brava, tesoro.»
«’Fanculo.»
Alice ridacchiò, si sistemò – di nuovo – gli occhiali e circondò le spalle di June con un braccio.
«Se ti dicessi che ci sono Harry e Niall, dall’altro lato della strada, che faresti?»
June inarcò un sopracciglio, scettica.
«Certo. E sopra la tua testa c’è un asino che vola. Pensi davvero che io sia così scema da darti la soddisfazione di cacciare un urlo isterico solo perché c’è…» Alice costrinse June a voltare la faccia verso sinistra. June tutta presa dal suo sproloquio contro i giochi stupidi che fanno solo i bambini di due anni, continuò a parlare, fino a che non si accorse delle due figure familiari che ricambiavano il suo sguardo con aria divertita.
«…Harry! Maledizione, ora che mi ha vista non posso nemmeno nascondermi. Potevi dirmelo subito, no?» tirò una gomitata poco delicata ad Alice, che sospirò con aria sconsolata.
«Guarda che io te l’ho detto, June. Sei tu che non ci hai creduto.»
«Pensavo fosse uno scherzo! Come facevo a saperlo? Oddio, stanno venendo qui! Che faccio? Come devo comportarmi?» blaterò June, in preda al panico.
Dalla tragica cena a casa Styles, lei ed Harry non si erano parlati nemmeno una volta. Né un messaggio, né una telefonata, né tantomeno un incontro faccia a faccia. June non sapeva cosa dire, come comportarsi e, soprattutto, non sapeva cos’erano lei ed Harry. Non ne aveva idea e il pensiero di essersi costruita solo un castello per aria, quasi non la faceva dormire la notte.
E se Harry avesse cambiato idea? Se si fosse reso conto, giustamente, che farsi prendere a pugni solo per lei era stato decisamente troppo?
Gemette, a disagio, quando Harry e Niall attraversarono la strada, entrambi con un sorriso sereno. Anzi, più che sereno, il sorriso di Harry era decisamente sornione e June sapeva con certezza che era rivolto a lei.
«Ciao, piccola.» la salutò. Non sembrava per niente a disagio, al contrario suo. Anzi, si avvicinò per lasciarle un bacio all’angolo delle labbra, poi salutò Alice con un semplice bacio sulla guancia.
«C-ciao.» farfugliò June, con le guance rosse per l’imbarazzo. Niall ridacchiò e si scambiò un’occhiata divertita con Alice, che alzò gli occhi al cielo come a dire “che posso farci, io?”
Trascorsero qualche minuto a guardarsi negli occhi, in completo silenzio, dopodiché Niall si schiarì la voce e prese Alice per mano.
«Verresti con me a fare due passi? Ti devo parlare.»
Panico. Più che evidente negli occhi di Alice, idem in quelli di Niall. June sorrise, perché finalmente sembrava che uno dei due, almeno, avesse trovato il coraggio di dire la verità.
Alice boccheggiò per qualche istante, con le guance che diventavano di secondo in secondo più rosse e gli occhi lucidi. June immaginò che stesse a stento trattenendosi dall’urlare come un invasata.
«Oh, ehm… io… certo.» farfugliò Alice, vagamente terrorizzata. Niall salutò Harry e June con un cenno del capo, poi si allontanò lungo il marciapiede, trascinando con sé una Alice piuttosto sconvolta e sull’orlo della morte cerebrale.
Rimasta sola con Harry, June dondolò sulle punte dei piedi, in difficoltà.
Lo guardò di sott’occhio e arrossì furiosamente, quando si accorse che lui la fissava di rimando, senza nemmeno preoccuparsi di nasconderlo.
Dopo un respiro profondo, June si costrinse a parlare. Non poteva stare lì come una stupida ancora per troppo tempo. E poi, da quando conosceva Harry, non era mai capitato che rimanesse senza parole. Anche se, in quel momento, anche lui sembrava piuttosto in difficoltà. Certo, fino a quando c’erano stati anche Niall ed Alice, era sembrato perfettamente padrone della situazione, ma temeva di dire la cosa sbagliata e di perdere, quindi, qualsiasi occasione fosse riuscito a guadagnarsi.
«Come vanno i lividi?» domandò June, guardandogli lo zigomo ancora un po’ tumefatto.
Harry si strinse nelle spalle. «Passano. Te l’ho detto che non era niente di grave.» le sorrise, divertito, poi le scompigliò i capelli e le circondò le spalle con un braccio.
Poi si fermò per un attimo, come se avesse appena realizzato di aver infranto la regola numero uno di June: non toccarmi.
Tolse il braccio e June rabbrividì.
Lo osservò per un attimo e capì che da quel momento in poi, toccava a lei andare nella sua stessa direzione. Dopotutto, se volevano stare insieme, era giusto che si incontrassero a metà strada.
Prese il braccio di Harry e lo riposizionò intorno alle sue spalle.
«Direi che la prima regola è stata abolita.» mormorò, con le guance rosse. Harry sorrise e si rilassò un poco. Non credeva sarebbe stato così semplice, per lei, accettare una loro vicinanza più stretta.
Ci aveva riflettuto per giorni ed era giunto ad una sola conclusione: l’avrebbe aspettata.
«Harry…»
«Sì?»
«Perché non mi hai chiamata?» domandò June, senza riuscire a trattenersi. Era un pensiero che l’aveva assillata per giorni e l’unico modo per chiarirsi le idee era chiedere al diretto interessato.
«Pensavo avessi bisogno di spazio. Pensavo che avessi cambiato idea.» spiegò Harry, con lo sguardo fisso sul marciapiede. June scosse la testa, poi si strinse un po’ di più al suo fianco: il tempo continuava a peggiorare e minacciava di piovere da un momento all’altro.
«Credo di aver cambiato idea su di te, sai? Alla fine hai vinto tu.» sembrava costarle una gran fatica ammettere di aver sbagliato, ma Harry non aveva più alcuna intenzione di infierire o di cantare vittoria.
Quella volta, sarebbe partito col piede giusto.
«Non ho vinto niente, June. Ha smesso di essere una sfida nel momento esatto in cui ti ho baciata. Sono solo stato troppo stupido e immaturo per dirtelo subito e ho continuato a comportarmi come se conquistarti fosse la cosa più importante. Pensavo che se ti avessi detto di voler stare con te senza mezzi termini, non mi avresti mai creduto.»
«Non l’avrei fatto, infatti.»
«Appunto. Perciò ho pensato che dimostrarti il mio interesse fosse la cosa migliore per entrambi. Io avevo bisogno di capire cosa provo per te, e tu avevi bisogno di certezze. Lo ammetto, non sono stato un granché simpatico e se mi fossi comportato in un altro modo, probabilmente avremmo risolto tutto molto prima.»
«Sì, probabilmente non ti saresti fatto prendere a pugni.» borbottò June.
Harry alzò gli occhi al cielo, poi le lasciò un bacio sulla fronte.
June arrossì, perché quel bacio era forse il più spontaneo e il più intimo che si erano mai scambiati. Era un bacio, dettato non dalla rabbia, dal pianto, dal dispetto o dalla sfida. Era un semplice bacio, casto, tenero e così dolce che June temette di sentire il proprio cuore uscire dal petto.
«Ti ho già detto che io ho preso lui a pugni, non il contrario.» precisò Harry, prima di continuare il suo discorso. «Mi sono accorto di averti spaventata, con il mio modo di fare. Ti ho fatto credere che non fossi in grado di stare per davvero con qualcuno, che fossi una persona di merda, una specie di dongiovanni senza pudore. E probabilmente è così. Sono davvero una persona di merda, incapace di renderti felice. Ma non mi è mai successo di voler cambiare per una ragazza, di pensare a come sarebbe vedere un film insieme, o trascorrere una serata con la mia famiglia. Non ho mai presentato nessuna ragazza, a mia madre! E come avrei potuto? Sono state tutte così insignificanti, rispetto a te. Scapperesti urlando, se ti dicessi che sono innamorato di te?» concluse.
June che aveva ascoltato ogni singola parola e l’aveva stampata in maniera indelebile nella sua mente, scosse la testa.
Come avrebbe anche solo potuto pensare di scappare via urlando? Harry era innamorato di lei. Di lei. Nonostante avesse un caratteraccio, chiamasse i peluche con nomi assurdi, l’avesse praticamente costretto a starle alla larga fino a che non avesse capito cosa desiderava. L’aveva rifiutato così tante volte, per Dio! L’aveva persino preso a schiaffi e gli aveva rovesciato un bicchiere d’acqua addosso.
E cos’aveva fatto, lui? Prima le aveva dichiarato guerra, poi l’aveva invitata a cena e le aveva regalato Mr. Carota. Aveva cacciato quella mucca di Carolina e aveva dichiarato davanti a tutti, senza nessun problema, che era interessato a lei.
Scappare, perciò, era all’ultimo posto nei suoi pensieri.
E all’improvviso le sembrarono stupidaggini, tutte le parole che gli aveva rivolto, tutta l’acidità che gli aveva riversato addosso, terrorizzata dall’idea di interessare – e di essere interessata – ad una persona completamente diversa da lei. Una persona che, in tutti i sensi, era troppo.
Rimase in silenzio per qualche secondo, alla ricerca della cosa giusta da dire: non era mai stata brava, con le parole e, probabilmente, avrebbe finito col dire qualcosa di sbagliato.
Ma avrebbe detto la verità, perché essere sincera era senza ombra di dubbio la cosa migliore da fare.
Si passò una mano tra i capelli, nervosa e un po’ tremante. Cosa dire? Fece un respiro profondo, poi guardò Harry. Lui era in attesa, apparentemente tranquillo, ma June si era accorta che quando era nervoso giocherellava con il ciondolo della sua collana e si passava le mani tra i capelli (come se avesse ancora bisogno di scompigliarli). Perciò, in fondo, tanto tranquillo non era.
Un ultimo respiro, poi prese una decisione: circondò i fianchi di Harry con le braccia e nascose il volto nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla. Vi lasciò un bacio lieve, delicato, poi raccolse tutto il coraggio di cui era a disposizione e cominciò a parlare.
«Io ti detesto. Tu incarni tutto ciò che mi spaventa, in un ragazzo. Sei bello, sei intelligente – anche se ogni tanto ti comporti come se non lo fossi -, sei esperto e sai come far cadere una ragazza ai tuoi piedi. Continuo a pensare che tu sia troppo per me e sono terrorizzata. Quelli come te, spezzano il cuore, Harry. Ed io non voglio soffrire, non più. Non ce la faccio.» si separò da quell’abbraccio solo per poter guardare Harry negli occhi. Lui teneva lo sguardo basso, concentrato su ogni singola parola che usciva dalle labbra di June e sembrava un po’ triste.
June sorrise, poi gli lasciò una breve carezza sulla guancia.
«Paradossalmente, nonostante tutto, quando sono con te ho come l’impressione che non mi possa succedere niente. Mi sento così al sicuro, che tutte le paure diventano quasi insignificanti. Tu sei… non lo so neanche io cosa sei. Ma potremmo provarci, no? Forse siamo pronti entrambi. Almeno, io sono pronta, credo. Però, Harry, tu devi essere sicuro. Ti prego, non farmi innamorare di te, se è solo un gioco. Non credo che lo sopporterei.» mormorò, sincera. L’idea di lasciarsi andare completamente e rimanere delusa, la terrorizzava completamente. Come avrebbe fatto a superare anche quell’abbandono?
«Non avere paura di me, June.»
Un’altra cosa che June aveva notato, era che Harry non la chiamava mai “piccola”, quando faceva un discorso serio. Perciò confidò nel fatto che le stesse dicendo la verità e lascò che la baciasse dolcemente: era troppo tardi per cambiare idea.
Era innamorata di lui e tanto bastava.
«Ora...» sostenne Harry, prendendola per mano e incamminandosi nuovamente. «Resta solo da dirlo a Louis.»







***






Lascio il delirio per l'epilogo! Che pubblicherò questo fine settimana :)
Fatemi sapere se sono l'unica mezza traumatizzata! AHAHAH
No, davvero, spero vi sia piaciuto!
<3

 
 

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Capitolo 22
*** Epilogue. ***









Epilogue.

 




«Hai una faccia strana, June.» Louis rivolse alla futura sorellastra un’occhiata indagatrice. June si strinse nelle spalle e gli sorrise.
A lei sembrava di avere la stessa faccia di sempre. Insomma, ci era nata con quella faccia, era impossibile che di punto in bianco ne avesse un’altra.
«È la mia faccia, Lou.» replicò, quindi.
Louis rise, le circondò le spalle con un braccio e le stampò un bacio sulla tempia. June, ormai abituata a queste sue manifestazioni d’affetto, gli si strinse al fianco e sospirò.
«Vedi? Sei tutta un sospiro e una coccola, oggi.» sghignazzò Louis, sventolando la mano come se fosse una principessa. June lo guardò un po’ incredula, poi scoppiò a ridere ed alzò gli occhi al cielo.
«Non è assolutamente vero, smettila di prendermi in giro.» protestò, gonfiando le guance con aria offesa.
Louis inarcò un sopracciglio, scettico.
«E questa sarebbe la tua faccia minacciosa? Ma per favore.» le scompigliò i capelli – per il momento ancora di un caldo castano scuro – e sciolse la presa intorno alle sue spalle per tenerle la porta aperta.
«Che cavaliere.» ironizzò June, prima di cominciare il consueto slalom tra i tavoli (quel sabato sera il locale era davvero affollato) e raggiungere Alice, che sedeva accanto a Niall con un’espressione assolutamente raggiante.
Inclinò il capo verso destra, seguendo lo sguardo di Louis, che improvvisamente si era puntato sul tavolo. Le mani di Niall ed Alice erano strette l’una all’altra, con una naturalezza che June scoprì di invidiare un po’.
Insomma, quante probabilità c’erano, che anche Harry si mostrasse così spontaneo?
Certo, dopo tutto quello che si erano detti il pomeriggio prima, era chiaro che la situazione fosse decisamente migliorata, ma ancora June non aveva idea di come comportarsi.
Non era una grande esperta nelle relazioni e probabilmente avrebbe commesso miliardi di sbagli e – ancor di più – lei ed Harry avrebbero trascorso almeno tre quarti del loro tempo insieme a bisticciare.
Non sarebbero mai stati “due cuori e una capanna” come Alice e Niall: tutta quella dolcezza non faceva per lei o, almeno, non pensava che Harry si sarebbe sbilanciato tanto.
Ci aveva riflettuto per tutta la notte; si era rigirata tra le coperte come un condannato al patibolo e non aveva chiuso occhio nemmeno per un minuto. Ad un certo punto, aveva pensato di distrarsi pensando a qualcos’altro, ma la cosa non aveva funzionato poi così tanto.
Aveva pensato a sua madre.
June era completamente sicura che Elizabeth avrebbe adorato Harry, e come poteva essere altrimenti? Quando voleva, Harry era decisamente il ragazzo perfetto, quello che ogni madre vorrebbe per la propria figlia.
Poco dopo, era subentrato il panico. Elizabeth non c’era e lei non avrebbe mai potuto raccontarle cosa provava per Harry, né avrebbe potuto chiederle aiuto per tutti i dubbi che l’assalivano. Sua mamma non c’era più e lei doveva cavarsela da sola, come aveva sempre fatto. Se solo avesse avuto idea che innamorarsi sarebbe stato così difficile, se lo sarebbe risparmiato.
Così si era alzata in piedi, aveva afferrato Mr. Carota, l’aveva stretto forte al petto e aveva pianto. Quando, infine, aveva davvero realizzato che solo Harry sarebbe stato in grado di calmarla, lo aveva chiamato.
Lui aveva risposto dopo qualche squillo, con la voce roca e profonda di chi sta ancora dormendo, ma non appena l’aveva sentita singhiozzare, si era svegliato completamente e l’aveva lasciata parlare.
«Vorrei poterle raccontare di te.» aveva sussurrato infine June, dopo lunghissimi minuti. Harry era rimasto in silenzio per qualche secondo, poi aveva sospirato.
«Credo che lo sappia già, piccola.» le aveva detto, estremamente serio.
June aveva spalancato gli occhi, colpita e aveva annuito.
«Ti amo.» aveva mormorato. Poi, quando si era resa conto di ciò che le era sfuggito, aveva chiuso bruscamente la telefonata e si era rimessa a letto, accanto a Mr. Carota. Non aveva dormito più, ovviamente, ma sentiva di essersi tolta un gran peso.
Scivolò sulla panca e si accomodò tra Zayn e Liam, come di consueto. Ormai, si sentiva parte integrante del gruppo e, ancora una volta, non poté fare a meno di pensare che la sua vita stava prendendo una piega così felice e così positiva, che la paura che aveva provato la notte precedente sembrava ingiustificata.
Le tornò alla mente quel “Ti amo” pronunciato tra le lacrime e scosse la testa. Che razza di stupida, non avrebbe dovuto dirlo: Harry sarebbe scappato a gambe levate, probabilmente.
«Hai una faccia strana, tesoro. Tutto okay?» domandò Alice, distraendo June dai suoi pensieri cupi e pessimisti.
June sbuffò.
«Ma perché ce l’avete tutti con la mia faccia, oggi?» Louis, che stava discutendo animatamente con Niall, si interruppe e ridacchiò.
«Fatti due domande, June.» replicò. June non rispose, si voltò di nuovo verso Zayn – ignorando completamente Alice, che sembrò non farci troppo caso – e gli picchiettò sulla spalla per catturare la sua attenzione.
«Harry dov’è?» chiese, cercando di non diventare rossa.
Zayn inarcò un sopracciglio e la guardò come se fosse stupida.
«Non è mica il mio ragazzo.» celiò, con un sorriso angelico che non gli si addiceva per niente.
June rimase in completo silenzio e incrociò le braccia al petto, stizzita. Ci mancavano solo Zayn e le sue frecciatine.
«Arriva tra poco, comunque. Ha detto che doveva prima fare una cosa.» le spiegò Liam, con un sorriso sereno. June lo ringraziò, premurandosi di sottolineare quanto fosse carino, da parte sua, evitare di fare lo stupido come qualcun altro.
Di nuovo, riportò il suo pensiero su Harry: cosa doveva fare? Forse stava solo prendendo tempo. Magari aveva riflettuto a lungo ed era giunto alla conclusione che lei non fosse assolutamente la ragazza giusta – come dargli torto? Era piena di difetti. – e che non era più il caso di andare avanti.
Con un gemito di orrore, June si rese conto che quell’eventualità l’avrebbe completamente distrutta, devastata, fatta a pezzi. Lo amava, santo cielo! Gliel’aveva confessato, senza dargli il tempo di replicare.
«Scricciolo, fai un respiro profondo e ripeti con me: Louis è il calciatore migliore del mondo. Louis è il calciatore migliore del mondo. Louis è il calciatore migliore del mondo.»
June, che non si era nemmeno accorta di aver cominciato ad ansimare, si riscosse.
«Louis è il calciatore migliore del mondo. Ma che dici?» domandò, poi, perplessa. Louis si strinse nelle spalle.
«Hai bisogno di un mantra, June. Ultimamente vai spesso in iperventilazione.» commentò, con incredibile disinvoltura.
June arrossì: non era mica colpa sua, se pensare ad Harry la mandava così in confusione da farle dimenticare perfino come si respirasse.
Certo, tutte queste cose Harry non avrebbe dovuto saperle, ma almeno con sé stessa poteva essere sincera.
Poi, finalmente, Harry arrivò. Portava con sé due buste di carta azzurra, che gli tenevano impegnate entrambe le mani. Lo sguardo era serio, assorto, come se fosse concentrato su ogni sua mossa. I capelli erano disordinati come al solito e quel maglione bianco gli stava talmente bene, che June rimase per un attimo incantata a guardarlo.
Lui ricambiò l’occhiata, con intensità, e le sorrise. Poi appoggiò le buste sul tavolo e allontanò la mano di Louis – che si era subito allungato per vedere cosa contenessero – con un colpo secco a si piazzò davanti a June.
Infilò la mano nel sacco alla sua destra e ne estrasse un piccolo peluche. Glielo porse con un sorriso enigmatico e si schiarì la voce.
«Lui è Uno. Ed è il primo motivo per cui ti amo: la tua voce. Quando ridi, quando canti, quando piangi, quando urli contro di me, quando parli con Alice, quando prendi per il culo Louis. Quando mi dici che mi ami.» una piccola pausa, un altro peluche.
«Due: i tuoi occhi. Credo di non aver mai visto occhi più belli dei tuoi. Potresti anche rimanere in silenzio per sempre, ma i tuoi occhi avrebbero sempre qualcosa da dire. Li amo, perché capisco ogni tuo pensiero solo guardandoli.
Tre: il tuo sorriso. Quando mi sorridi, non vedo nient’altro che te. Non importa che io sia arrabbiato, triste, indispettito o semplicemente annoiato. Tu sorridi, ed ogni cosa perde di importanza.
Quattro. Ti amo perché mi hai fatto sentire le farfalle nello stomaco, uno stormo intero.
Cinque: ti amo perché sei entrata nella mia vita all’improvviso, con la tua sfacciataggine, il tuo orgoglio e la tua forza.
Sei: ti amo, perché non ti sei arresa di fronte alla mia stupidità e mi hai dato un’occasione, anche se ogni tanto mi sono comportato come uno stronzo, ma a mia difesa dico che volevo solo farti una buona impressione.
Sette: ti amo, perché quando mi hai imposto di starti lontano, poi sei stata tu ad avvicinarti e tutto è andato meglio.
Otto: ti amo, perché sei così piccola e vorrei proteggerti da qualsiasi cosa, da chiunque ti si avvicini anche solo per parlarti.
Nove: ti amo, perché sei testarda fino al midollo, dici sempre quello che pensi, fregandotene di offendermi e dieci: ti amo, perché dai un nome a tutti i tuoi peluche, come se fossero vivi e perché perdi l’iPod ogni cinque minuti.»
June, che ormai stringeva tra le braccia ben dieci peluche, aveva le lacrime agli occhi, un sorriso che andava da un orecchio all’altro, e il cuore che palpitava così forte da farle male.
Non vedeva nessun altro, se non Harry, che le sorrideva con una semplicità disarmante.
Abbandonò i peluche sul tavolo, con delicatezza, si alzò e si avvicinò ad Harry, sotto lo sguardo commosso di Alice, quello felice di Liam e Zayn e quello indecifrabile di Louis. Se lo conosceva bene almeno la metà di quanto credeva, quella notte non l’avrebbe fatta dormire per tempestarla di domande.
Ma al momento non le importava. Circondò il collo di Harry con le braccia, si alzò sulle punte e lo baciò.
Quando si separarono, Harry le porse un ultimo peluche.
«Ti amo, okay? Perciò, la prossima volta, dammi il tempo di rispondere.»
 
 
 
***
 
 
 
Bene, ci siamo.
Pretending, signore e signori (se ce ne sono), è ufficialmente conclusa. Fine. Stop. The End. Oh, God. Sto male. Davvero, penso di essere traumatizzata, un pochino, ma ormai comincio a farci l’abitudine. A furia di pubblicare schifezze su EFP, mi sono abituata alla sensazione di mettere la spunta del quadratino del “Completa?”
Detto questo, spero che questo epilogo vi sia piaciuto, vi abbia magari fatto un pochino emozionare e sorridere e, niente, non so cosa dire.
Pretending ha avuto un seguito inaspettato (credetemi, ancora non mi capacito del fatto che mi seguiate in così tante, siete fantastiche.) e spero tanto che nessuna di voi sia rimasta delusa da questa storia.
So che avevo accennato ad un seguito, tempo fa, ma ancora non so se lo scriverò o meno, perciò non perdete la speranza. Per ora, comunque, direi che è tutto. Anche perché sto ancora finendo di scrivere One Step Forward e voglio concentrarmi su quella. E comunque venerdì parto e sarò senza pc  per due settimane, più o meno, perciò non volevo lasciare la storia in sospeso!
Ora, volevo ringraziarvi.
Grazie, per aver inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate e grazie per aver inserito me tra gli autori preferiti.
Grazie per aver commentato i capitoli precedenti, per avermi contattato su Facebook/Twitter/Ask. E grazie, perché non lo so, siete tanto carine e coccolose e io vi adoro <3
 
Alla prossima e buone vacanze!
Con affetto,
Fede.
 

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