And they say that a hero can save us but I'm not gonna stand here and wait.

di Mirin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Iniziare con una fine. ***
Capitolo 2: *** II. Torsoli di mele marcite. [Jake/Farid] ***
Capitolo 3: *** III. Minaccia [Leon/Sherry] ***



Capitolo 1
*** I. Iniziare con una fine. ***


Jake Muller sbatteva con furia crescente la nuca contro il vetro dello squallido appartamento edone in cui aveva vissuto per lungo tempo assieme alla madre.
In Edonia faceva sempre freddo. Un terribile freddo da cani che rompeva i denti più dei pugni che Jake incassava agli allenamenti cruenti e crudi a cui era sottoposto per diventare un mercenario.
Il ragazzo -ma lo era per davvero, solo un ragazzo?- diede un’ultima, violenta, testata contro la finestra con uno schianto che lo inquietò: com’era possibile non essersi spaccato la scatola cranica con quell’urto così brutale?
La sorte, più che sorridergli, gli ghignava.
Le ginocchia impattarono contro il freddo pavimento lercio e duro come la roccia e la fronte sudata andò a nascondersi contro il ventre della madre, la saliva che gli bagnava le labbra, gli occhi asciutti e le grida nella gola.
Jake Muller si svegliò con delicatezza dal sonno leggero e, confuso, batté leggermente le palpebre nel buio ovattato sentendo qualcosa di senza dubbio setoso ma ruvido accarezzargli i polpastrelli.
Si voltò verso sinistra con il braccio che gli formicolava per la posizione contorta assunta e il collo che gli doleva e, con uno spasimo, riconobbe la figura di Sherry orrendamente rannicchiata su se stessa e il respiro impalpabile che non le sollevava neanche le spalle. Avrebbe voluto scattare verso di lei ma la stanchezza fisica e mentale gli impediva di fare qualunque movimento che non fosse alitare o muovere gli occhi.
Super girl, andiamo, che diavolo ti prende? Alzati. Curati e alzati. Per l’amor di Dio, cazzo, alzati Sherry. Sherry. Cristo santo, Sherry…
Setacciò con una mano il terreno ghiaioso che pungeva il suo corpo e premeva contro la sua carne e fece forza sul palmo per trascinarsi verso la figura quasi immobile della bionda compagna fino a quando non arrivò, gemente ed ansimante come un lurido cane, al fianco di lei.
In verità, e certamente ciò sorprende, per quanto Jake Muller sia abituato ad essere considerato -e a considerarsi- un assassino impietoso, la morte lo terrorizza.
Non la sua, beninteso, né quelle delle persone a cui la somministra, ma quella delle persone che cerca affannosamente di proteggere, come sua madre.
Come Sherry.
Non ricorda più, l’uomo con i capelli rasati, quanto tempo il ragazzino con i capelli lunghi era rimasto a gridare e piangere sul corpo della madre morta. Sarebbe molto romantico dire “con il sorriso sulle labbra” ma suonerebbe di un falso da fare schifo: in realtà sua madre aveva la bocca contratta in una linea dritta ed apatica con una goccia di sangue che, impudica, le macchiava il mento. Accanto al corpo esanime  -sebbene Jake non l’abbia mai scoperto- giaceva nascosto un fazzoletto intriso di liquido scarlatto. Il suo volto era cianotico. Per il ragazzo fu il primo riscontro che i morti freschi non diventavano immediatamente di quel colore grigiastro che aveva visto nelle vittime delle truppe del suo gruppo di mercenari. Nelle salme che tornavano, ovviamente. Era sempre stata pallida sua madre, con i capelli lunghi e biondi, gli occhi azzurrognoli e le guancie scavate che forse, un tempo, erano state persino tonde, rosee e piegate da un bel sorriso. Un sorriso per suo padre, che le aveva lasciato un figlio bastardo da crescere e un cancro corrosivo ai polmoni da combattere. Che gran figlio di puttana.
Il sonno lo vinceva, il dolore delle ossa rotte e dei muscoli provati lo annientava, il terrore gelato che gli strizzava i polmoni sembrava annegarlo. No, no, doveva resistere. Sherry… debole… Sherry… morta?
Quel pensiero bastò a schiarirgli le idee: sapeva cosa fare, resistere fino all’arrivo di qualcuno. Il soldatino-bei-capelli glielo doveva, aveva salvato Sherry una volta, avrebbe dovuto farlo ancora.
Si sforzò di cogliere qualche rumore: il proprio respiro profondo ed incandescente fra i denti, il frinire degli uccelli nascosti fra i rami, i respiri abbozzati, incompleti e spaventosamente veloci di Sherry. Allungò la mano che non era schiacciata sotto il torace per poggiarla sulla bocca della ragazza e con sollievo l’avvertì sospirare sulle proprie dita. Le portò la mano sul collo, poi sul fianco, sull’addome, sul petto, in cerca di tracce umide e calde nei pressi degli organi vitali. Con suo sollievo non percepì niente del genere: almeno esteriormente non c’erano squarci né ferite. Ma l’avrebbe ciò consolato di fronte all’enorme baratro in cui si sentiva precipitare, il baratro che si era originato dall’agghiacciante ipotesi della dipartita della sua compagna?
Agghiacciante…
Hai paura, Jake Muller? Sei davvero così stupido da avere paura?
Il ragazzo con i capelli lunghi si guardava allo specchio incrinato e polveroso. Gli occhi chiari, di un azzurro assolutamente acquoso e screziati di rosso per le vene ingrossate, sembravano supplicare una risposta, quasi chiedessero al pulviscolo di scrivere sentenze per aria che gli spiegassero il perché del suo eterno soffrire.
Allungò una mano verso la lastra di vetro argentea e sfiorò il suo riflesso appena sotto l’occhio destro, toccò la guancia del suo duplicato per vedere se anche quella era bagnata come la propria.
No, non lo era. Era semplicemente fredda, fredda come il ghiaccio. Fredda come il corpo della sua agguerrita mamma, che ora era morta.
Un’idea gli solleticò maliziosa il cervello.
Il respiro di Sherry si arrestò per un momento e Jake si sentì svenire. Si rese conto solo dopo qualche istante che la ragazza stava tentando penosamente di voltarsi verso di lui ma non aveva l’energia necessaria. Con uno sforzo, Jake infilò le dita con cui aveva tastato il corpo della compagna in cerca di ferite nella fessura fra il corpo e il terreno e fece forza per girarla. Lei rispose ai suoi movimenti con un mugugno sofferente. Riuscì solo a portarla supina, gli occhi di lei ridotti a fessure, le labbra rosa pallido dischiuse per permettere al suo fiato gelido di mischiarsi con l’aria.
Il cielo plumbeo color grigio ferro scorreva sopra i boschi dell’Afghanistan e si rifletteva nelle iridi spossate di Jake, incapace di sopportare altra tensione o altra amarezza. Se solo avesse potuto sentire il proprio nome sulla lingua stanca di Sherry, una sua muta supplica, una sua richiesta d’aiuto, forse avrebbe addirittura trovato il modo di mettersi in piedi e proteggerla; ma Jake non aveva forze, non aveva più niente, era nudo, nudo come era sempre stato di fronte a lei.
Faticava ancora a respirare, lei. A lui sembrava di non averlo mai fatto in vita sua.
Qualcosa di caldo ed umido gocciolò lungo la sua guancia ruvida e secca.
Qualcosa di caldo ed umido gocciolò lungo la sua guancia liscia e bagnata.
Il pezzo di vetro rotto continuava ad affondare, correre ed annaspare lungo il lato del suo viso, guidato dalla mano tremula ed insicura di un quattordicenne che si incideva sul volto i segni della propria sofferenza per non dimenticarsene e rammentare a sé stesso come l’affetto sia capace di procurare più morti di una AK-47 in mano ad un ubriaco. Il ruscello di sangue scivolò fino al collo prima che Jake si riprendesse dalla propria trance extracorporea. Con dita rigide sfiorò la lacerazione -sorprendentemente- profonda e veloce tirò fuori la lama rozza ed improvvisata. Tamponò la ferita con il palmo e caracollò in bagno per trovare un qualcosa con cui bloccare il flusso di emoglobina. Premette un asciugamano sporco contro la ferita e assaggiò il proprio sangue per scoprirne il gusto, riconoscere di cosa sapeva quel fluido che era così caratteristico negli esseri umani e che tanto li legava ad altre persone.
Il sangue sa di ruggine e sale e questo Jake lo sa bene. Fin da bambino era stato circondato dal suo odore nauseabondo, spesso se l’era ritrovato sulle mani, sui capelli, persino in bocca. Jake conosceva già da allora il sapore del sangue eppure non si era mai soffermato ad analizzare quello delle lacrime, forse perché le riteneva segno di debolezza e quindi inutili nella sua vita da uomo interessato solo al proprio tornaconto. Eppure era senza dubbio una piccola e salata goccia d’acqua quella che, timida come rugiada e delicata come una carezza, scivolava lungo la sua guancia. Sprigionava un lieve tepore che, sorprendentemente, lo riscaldava. Non è confortevole, almeno per qualche secondo, cedere alla disperazione e rendersi conto di essere umani? Jake si accorse per la prima volta che non solo il sangue era un fluido caratteristico degli uomini, ma anche quelle piccole gocce miti: l’uomo non è fatto solo di morte e vita, ma anche di sentimenti capaci di temprarlo e renderlo quella meravigliosa creatura che potrebbe essere se solo capisse ciò in tempo.
Sentì un tocco leggerissimo sul petto, sopra il cuore. Riaprì gli occhi -quando li aveva chiusi non lo ricordava- incontrando la figura di Sherry, pallida e sopraffatta dalla fatica, che lo incitava senza parole a resistere. Come faceva lei ad essere sempre così ottimista? Per quale motivo semplicemente non si lasciava andare alla sventura, perché sentiva sempre la necessità di dimostrare di essere forte?
Indugiò per un attimo sulla bocca dell’uomo poi con un piccolo gesto esitante cancellò la scia umida generata dalla singola lacrima di Jake. Le sue labbra si arcuarono leggermente all’insù. Batté un paio di volte le palpebre poi si arrese, chiudendo gli occhi.


Blue's noTH:
Oh mio Dio. Prima long in assoluto e su un fandom per me quasi sconosciuto, sono altamente masochista ed autolesionista. In questo capitolo non si capisce molto bene la trama, me ne rendo conto, ma non abbiate paura, entro domani posterò il primo, vero, succoso capitolo che inizierà a fornire le prime informazioni su questa storia originata da questo piccolo cutscene https://www.youtube.com/watch?v=8AbH4jVS1mk che è possibile visualizzare alla fine della campagna di Ada e chi mi ha intrigata non poco.
Ringrazio anticipatamente tutti i lettori e prego di lasciarmi una recensione per allentare il mio nervosismo da pubblicazione LOL.
Piccolissima, microscopica curiosità: il titolo deriva da un verso della canzone Hero dei Nickelback, che sarà per me fonte di ispirazione durante tutta la storia.
Ladie vi ama tutti nonostante sia mezzanotte esatta!
Kiss,
Ladie.

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Capitolo 2
*** II. Torsoli di mele marcite. [Jake/Farid] ***


Il ragazzino osservava l’uomo con i capelli rossicci squadrare diffidente ogni angolo, la fondina che ballonzolava al suo fianco vuota della consueta pistola che teneva stretta nella mano sinistra. Le dita libere erano strette attorno ad una grossa mela rossa che mordeva con aria distratta.
La sua giusta ricompensa, così l’aveva chiamata quando Farid gli aveva domandato titubante perché avesse chiesto proprio quella come tributo per il proprio servizio.
A Farid veniva ancora la pelle d’oca per come l’uomo con i capelli rossi dai bei tratti americani si era sbarazzato dei mostri che avanzavano lungo la via sabbiosa, armato di uno sguardo così freddo e sprezzante da mettere paura oltre che enorme soggezione. Avrebbe voluto imparare da quell’uomo la furia perfetta che ostentava mentre schiacciava ripetutamente il grilletto e facendo volare i bossoli per aria, trafiggendo con i piccoli corpi di piombo ogni minaccia che gli si parava davanti.
«Se proprio vuoi starmi alle calcagna, ragazzino, devi affrettare il passo. Non ho intenzione di fare una sosta ogni dieci secondi per incitarti a camminare» sbottò minaccioso l’uomo dai capelli rossi con la sua voce virile e roca.
Farid sussultò e iniziò a correre più svelto: non aveva di certo intenzione di perdere d’occhio l’unica persona che avrebbe potuto farlo uscire da quell’inferno!
«Signore rosso-» «Jake.»
L’uomo dai capelli rossi interruppe brusco la sua frase con un nome, il nome che gli apparteneva. Farid non ne aveva mai sentito uno così strano, ma d’altronde sapeva che gli americani erano persone molto strane, producevano oggettini minuscoli capaci di alleviare le fatiche più piacevoli e creavano le armi più assurde per le guerre più inutili.
«Jake agha sahib» si corresse quindi, inciampando lungo il terreno irregolare, «dove stiamo andando?»
«Il più lontano possibile delle B.O.W.» rispose lui con sguardo indecifrabile.
Farid non aveva la minima idea di cosa fossero le B.O.W. ma ipotizzò che fossero qualcosa di veramente terribile se Jake agha sahib ne parlava in tono così basso da mordere le parole con nervosismo.
«Il problema è che ho poche munizioni, se subissimo un assalto massiccio non riuscirei ad eliminarli tutti» rifletté tra sé e sé, spostandosi lungo vicoli angusti come se conoscesse quella città come le sue tasche.
«Adesso servirebbe proprio uno di quegli idioti della BSAA, ma immagino che l’Afghanistan non sia un territorio di loro competenza» pronunciò la frase con tono sofisticato palesemente irrisorio «e pensare che ripulire schifi del genere dovrebbe essere il loro lavoro, dannati bastardi.»
Timidamente, Farid cercò di prendere la parola.
«In realtà, Jake agha sahib, c’erano elicotteri americani che sorvolavano il cielo qualche giorno fa» mormorò, facendolo voltare «e tanta gente parla anche di grossa macchina all’entrata di città.»
«Dici sul serio?»
«Sì, agha sahib.»
«Quindi anche loro si sono accorti della strana attività che circola da un po’ qui» sussurrò sovrappensiero nel frattempo che studiava un modo per uscire dal vicolo cieco in cui si era ficcato prendendo la svolta sbagliata «spero solo che si tratti di casi isolati facilmente controllabili, non oso pensare a…»
Misurò l’altezza del muro da scavalcare e fu rinfrancato dal notare una grossa asta di legno scheggiato che fuoriusciva dall’abitazione accanto. Posò la pistola nella fondina, prese una bella rincorsa e saltò, aggrappandosi forte alla propria ancora di salvezza nonostante le schegge pungenti nella mano. Farid fu sbalordito dal suo modo sicuro ed al contempo elegante di compiere un movimento del genere e si sentì un po’ impacciato mentre si arrampicava lungo la facciata laterale della casa per arrivare sul tetto e scavalcare l’ostacolo dall’alto. Jake lo aiutò a scendere a terra prima di rincamminarsi con lo stesso passo rapido che costringeva Farid a galoppare per stargli dietro.
«A cosa, agha sahib? A cosa non volete pensare?» chiese Farid con timidezza ed ammirazione.
«Mettiamola così, ragazzino: noi del Nord siamo per antonomasia sospettosi e poco fiduciosi verso chiunque, soprattutto verso il caro e vecchio zio Sam» disse beffardo, un ghigno che Farid non poteva vedere perché Jake gli voltava le spalle «ma se anche quei creduloni degli americani hanno avvertito il pericolo nell’aria -insieme al puzzo di armi bio organiche- significa che dietro le quinte si macchina qualcosa di grosso, molto grosso.»
Farid capì.
«Agha sahib prima chiedeva di munizioni, ho capito giusto?» domandò con il disperato bisogno di sembrare utile a Jake «perché c’è un trafficante di armi a pochi chilometri da qui, gli affari vanno molto bene da quando mostri sono arrivati da noi.»
«Non ho molti soldi con me» confessò mesto «ma sarebbe da idioti non provare a comprare, ogni cosa ci sarebbe utile.»



Jake era contento, tutto sommato, di aver portato il ragazzino con sé. Pareva affidabile, sapeva il fatto suo -l’aveva capito non appena l’aveva guardato in faccia- ed aveva l’aria di voler imparare come difendersi da solo. E Jake in questo campo era un ottimo insegnante, era fuori discussione.
L’aveva lasciato con i venti dollari che costituivano il suo bottino con l’ordine di spenderli nel modo più utile, vantaggioso e coscienzioso possibile ed adesso l’uomo se ne stava seduto su un muretto a riflettere sulle preziose informazioni guadagnate attraverso il ragazzo.
Quindi Chris e la sua banda bassotti era a scorrazzare felice per il paese e a fare fuori B.O.W., questo era fuor di dubbio conveniente perché avrebbero attirato l’attenzione del governo americano e questo parapiglia si sarebbe concluso in fretta nella maniera più indolore possibile.
Questo se però non fossero stati proprio gli Stati Uniti a mandare avanti la squadra speciale: in tal caso, perché iniziare con l’antipasto? La BSAA era un plotone molto preparato e professionale, certo, ma non possedeva gli stessi armamenti delle forze armate costituite né la stessa possibilità d’azione.
Fatto stava che se fossero stati davvero alle porte della città ne avrebbero guadagnato il controllo entro un paio di settimane, essendo essa relativamente piccola, e Jake non si sarebbe dovuto preoccupare di alcunché, eccetto non farsi ammazzare, eppure… eppure la curiosità lo divorava. Voleva a tutti i costi vederci chiaro, capire che c’entrasse l’America nei conflitti del Medio Oriente, tradizionali o nucleari che fossero. A lui sembrava fin troppo strano che i paladini della pace mettessero il naso negli affari che non li riguardavano, soprattutto nella nazione più sperduta ed inospitale del mondo conosciuto. No, no, se l’America voleva fare qualcosa era perché, sicuramente, c’entrava qualcosa, qualcosa per cui si sentiva responsabile, qualcosa per cui con tutta probabilità era responsabile.
Sai bene che c’è anche un altro motivo” sussurrò maligna una parte di sé che lui mise a tacere scuotendo con forza la testa. Non avrebbe più pensato a lei, mai più. Era solo una distrazione stupida nata da un desiderio carnale irrealizzabile ed inconciliabile con i reciproci obbiettivi.
Non gli avrebbe giovato in alcun modo pensare alla morbidezza ed il calore della sua pelle sotto le dita, agli occhi azzurri belli da far paura e l’irriverente caschetto biondo, alla bocca splendida e petulante incapace di farsi i fatti propri. No, lei era un’utopia. Con tutta probabilità non l’avrebbe mai più rivista, le loro strade si erano divise con violenza e lei doveva rimanere dov’era, in America assieme al soldatino-bei-capelli.
Jake si accomodò a gambe divaricate e poggiò ad occhi chiusi l’occipite contro la facciata dell’edificio. Cercò di ricordare a cosa pensava prima che i suoi pensieri incappassero in quella direzione scomoda… la BSAA. Sì, sarebbe stato facile nascondersi ed aspettare che guadagnassero il dominio sulla città ma la sete di sapere di Jake andava placata il prima possibile e l’unico modo che aveva era quello di farsi strada nei viuzze puzzolenti e sabbiose di quel centro infestato fino ad incontrare Redfield.
«Agha sahib» lo chiamò qualcuno, costringendolo a spostare la sua attenzione «questo è ciò che sono riuscito a reperire.»
Il ragazzino parlava un ottimo inglese per non essere stato a scuola.
Teneva strette nel pugno tutte le cartucce che era riuscito a prendere: trenta. Non male, non male, Jake non si era aspettato un risultato così positivo. Era quasi certo che la riuscita del ragazzino era stata in gran parte spalleggiata dall’ignoranza della gente che si ritrovava a fare un mestiere così indispensabile in tempi così orribili. E probabilmente dalle gambe secche che gli permettevano di viaggiare a velocità elevata
«Non le ho pagare tutte» ammise, prevedibile, poco dopo in tono di scusa «ma i trafficanti sono uomini cattivi, è la gente più potente nelle città come la nostra perché sono ricchi. Ricchi sfondati.»
«La gente che si arricchisce con la guerra è la più meschina, ragazzino» mormorò Jake, dando un ultimo morso alla mela «ma questo mestiere qualcuno lo dovrà pur fare, no?»


Jake inserì uno dei caricatori pieni preparati qualche minuto prima nell’arma e tirò la sicura. Si rigirò la pistola in mano pensieroso, cercando di farsi venire in mente quale sarebbe potuto essere il tragitto più sicuro per incrociare la BSAA. Se avevano davvero un carro armato avrebbero potuto prendere solo strade larghe ma sicuramente avrebbero creato qualche squadretta di supporto da mandare avanti per fare piazza pulita. Nonostante tutto, Jake decise che la strada principale sarebbe stata la soluzione migliore: buono spazio di manovra e più rapidità nell’attraversare la città.
Sfilò un grosso coltello dalla lama seghettata e lo passò al ragazzo.
«Tienilo, ti servirà. Scommetto che non è la prima volta che ti trovi a tagliare gole.»
Quella volta il ragazzino non rispose.
S’incamminarono lungo la strada deserta e non incrociarono anima viva. Jake ipotizzò che tutti quanti si fossero barricati in casa per paura delle B.O.W.  e non riusciva a biasimarli. Perché lottare per il bene di qualcun altro se non si hanno i mezzi per difendere neanche sé stessi? Meglio tenere unite le famiglie e sperare che tutti rimanessero vivi fino a quando non fosse spuntato il sole.
«L’altro giorno quella casa è stata assaltata» bisbigliò il ragazzo, indicando una costruzione fatiscente. Erano state strappate assi dalle finestre, la porta era fuori dai cardini e c’era un effluvio di decomposizione da far venire la nausea.
«Quanti sono stati uccisi?» domandò in tono professionale. Non gli piaceva speculare sulle tragedie ma era della propria salvezza che si stava parlando.
«La moglie e le tre figlie, il padre è riuscito a fuggire. Adesso è scomparso ma si dice che sia stato mutilato durante lo scontro. Ha un braccio monco» rispose con la stessa aria distaccata di Jake.
«Sai molte cose per essere stato bloccato in una casupola per solo Dio sa quanto» commentò l’uomo, scattando ad osservare i tetti dopo aver colto un strano fruscio dell’aria. Sembrava sgombro ma lui non era affatto tranquillo.
«Al mercato nero ho parlato con qualcuno per sapere qualcosa in più sugli americani.»
«Questo prima o dopo aver rubato le munizioni a quella povera gente?»
Sorrise. «Dopo.»
«Comunque si dice che siano stati bloccati da un gruppo di invasori all’entrata della città. Oltre ai mostri sembrano esserci anche degli uomini veri e propri» continuò mentre si guardava le spalle. Jake, per automatismo, fece la stessa cosa.
«Ma tu guarda. Interessante. Che altro?» domandò Jake curioso. In effetti la situazione si stava rivelando davvero molto avvincente ed oscura, e più il mistero si infittiva più lui aveva voglia di snodare la matassa. Oh, quanto avrebbe voluto parlare con Chris!
«Hanno mandato avanti una piccola squadra di cinque membri per valutare la situazione interna. Sono passati pochi giorni da questo e quindi ora dovrebbero essere nel quartiere di commercio, come lo chiamate voi» replicò il ragazzo.
«Quanto dista da qui?»
«Qualche ora, non di più. »
Jake annuì. Il fatto che Chris fosse nella squadra di ricognizione non era ovvio: era un soldato di valore e talento, prezioso per la situazione di assedio che stava subendo il corpo principale della BSAA.
«Agha sahib!» gridò il ragazzo allarmato. Il movimento di Jake fu serpentino ed istantaneo, estrasse la pistola che lampeggiò come un nebuloso fulmine nero nell’aria fra le sue mani salde.
Due J’avo strascicavano i piedi davanti a loro. Erano disarmati, facili da eliminare.
Due colpi alla testa più tardi, Jake era chino sui corpi morti dei suoi avversari. A prima vista gli erano parsi dei veri e propri J’avo ma adesso che li esaminava con minuziosità presentavano alcuni caratteri diversi dai suoi nemici cinesi ed edoni.
Ma che diavolo sta succedendo?
Necessitava assolutamente di Redfield, non importava quanto lo detestasse: gli enigmi si erano fatti troppo fitti per i gusti di Jake Muller.

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Capitolo 3
*** III. Minaccia [Leon/Sherry] ***


«Siamo in piena emergenza, signori. La BSAA necessita di appoggio immediato.»
«Un intervento dell’esercito scatenerebbe panico e proteste dal momento in cui non ci è possibile rivelarne il motivo.»
«E’ della sicurezza degli Stati Uniti che si parla e il governo non può starsene con le mani in mano, abbiamo il dovere e l’obbligo morale di agire e tutelare la sicurezza dei nostri cittadini.»
Si trascinava avanti così da ore la riunione dei vertici alla Casa Bianca.
Sherry Birkin osservava l’andamento del meeting attraverso il piccolo monitor nella stanza assieme ad alcuni suo colleghi. Leon l’avrebbe raggiunta fra poco e lei non aveva intenzione di perdersi nulla di quell’importantissima conversazione: si trattava di capire fin dove erano pronti a spingersi gli Stati Uniti per proteggere la popolazione e nonostante il sole fosse passato da un punto all’altro del cielo nel mentre, non era ancora stata presa una decisione definitiva.
Tamburellò con le dita sulla scrivania mentre osservava il vicepresidente aggiungere un commento inutile –aveva detto praticamente sia sì che no- con la sua voce affannosa. Aveva voglia di agire, mettersi in gioco, e il lavoro di scrivania la rendeva frustrata. Aveva scoperto a proprie spese che era l’ azione a farla sentire viva, sebbene non fosse sicura al cento per cento che fosse lo sparare agli zombie a rinvigorirla.
«Come va qui?» chiese Leon al suo orecchio, sporgendosi da sopra alla sua spalla per spiare lo schermo.
«Nulla di che, hanno tutti paura di parlare, non vogliono rischiare d’investire in una guerra che non porti guadagno» rispose Sherry impassibile «sempre la solita storia.»
«Ti vedo abbastanza acida su questo punto» considerò piano Leon che continuava a fissare il meeting.
«Mi dà fastidio il fatto che stiano ancora a pensare su quello che sta accadendo. C’è bisogno di un’azione repentina ed immediata e loro stanno qui a ponderare, ponderare, ponderare! Più passa il tempo e più rischiamo di assistere ad un attacco bio terroristico su larga scala!» esplose lei, fissando l’amico. In quel momento toccava a lui fare l’impassibile.
«Sono d’accordo con te, ma non possiamo sguarnirci per ogni minaccia estera che riceviamo» sussurrò in contrasto a Sherry «nel caso in cui ci sbagliassimo, lederebbe di molto la nostra immagine.»
«Non hai visto i video del Progetto 935, quindi?» mormorò Sherry, come una lastra di ghiaccio che si spezza.
Leon sbiancò. Certo che li aveva visti. Dubitava che chiunque lavorasse al Pentagono o alla Casa Bianca non avesse visionato almeno un frammento di quei video.
«Fanno sul serio, Leon. Il governo aspetterà fino a quando non arriveranno alle porte di Washington ma tutti sanno che non erano filmati amatoriali, quelli.»
«Cosa proporresti di fare tu?» chiese Leon.
«Mandare avanti una squadra di ricognizione per valutare a che punto d’avanzamento si trovano loro. Cercare di batterli sul tempo infiltrandoci nelle loro basi, distruggerli dall’interno, come abbiamo fatto con Simmons!» esclamò scoraggiata Sherry e poggiò la testa sulla scrivania di fornica. Stava parlando il Capo dipartimento della Difesa, alias il suo nuovo boss. Almeno lui sembrava avere idee chiare riguardo a ciò che andava fatto e cercava di persuadere i collaboratori a prendere una decisione che rispettasse il codice d’onore e l’etica degli Stati Uniti, a lottare per garantire la loro libertà.
«Sai quanto me che questa cosa è molto difficile, non possiamo farlo senza sapere niente» cercò di farla ragionare Leon con aria paziente «prima di tutto non abbiamo nemmeno idea di dove siano le loro basi né-» «Ma il segnale è stato intercettato, no?»
Leon sbuffò per trattenersi dal ridere.
«Non essere sempre prevenuto. I segnali del satellite sono molto chiari, no? Ovest Afghanistan, poco distante dall’Iran.»
«Abbiamo ricevuto quel segnale per una decina di secondi, Sherry.»
«Quindi lo rende ancora più difficile da camuffare! Andiamo Leon, se hanno avuto tanta fretta nell’oscurarlo significa che non volevano far sapere da dove stessero trasmettendo!»
«Ammesso e non concesso che tu abbia ragione, vuoi setacciare tutto lo stato nella ricerca?» domandò Leon esasperato.
«In realtà mi sono fatta un’idea precisa di dove possa essere» confidò Sherry con le guancie rosse d’imbarazzo. Le costava molto più di quanto fosse disposta a riconoscere, ma in realtà sperava che, studiando tutti i dati per essere il più preparata possibile, nel caso in cui ci fosse stata la possibilità di una spedizione sul campo avrebbero scelto lei. Lei, così affamata di uno scontro capace di darle l’adrenalina.
Non è l’adrenalina del pericolo quella di cui vai in cerca, Sherry” si redarguì con tono fermo. Per quale motivo poi? Lo sapeva benissimo già da sola, ma quello era l’unico modo che aveva per ricordare nel modo più nitido possibile lui, anche quando ogni memoria faceva male al pensiero che non avrebbero potuto riviverla assieme, neanche davanti a un bel bicchiere di birra.
«Quando? Come?» bisbigliò strabiliato Leon, guardandola con tanto d’occhi.
«Ricordi che qualche giorno fa abbiamo perso contatto con la squadra della BSAA?» chiese Sherry con tono d’ovvietà.
«Certo. Sono stato io l’ultimo a parlare con Chris via radio» ribatté Leon, incuriosito dal ragionamento di Sherry.
«Ricordi cosa aveva detto? Che avevano attraversato l’Iran senza particolari battaglie e quindi si dirigevano verso Herat, la città afghana più grande nel raggio di venti chilometri. Ho fatto due calcoli: per arrivare dal confine ad Herat -soste comprese- ci vogliono esattamente dieci giorni. L’ultima conversazione risale a due giorni fa, in cui hanno comunicato che erano nei pressi della città e stavano per dirigersi all’interno. Poi puff! nessun altra notizia» spiegò lei, gesticolando con dita tese.
«E quindi credi che ad Herat ci siano le basi di un movimento terroristico capace di minacciare la solidità degli Stati Uniti?» espose Leon con le sopracciglia inarcate in segno d’incredulità.
«Forse, ma di sicuro ne è un centro importante» garantì lei con un’espressione così convinta che Leon non ebbe la forza di mantenere la propria maschera di solido scetticismo e la scambiò con una di più conveniente valutazione.
«E anche il capo mi appoggia, vedi» -Sherry indicò il monitor con un cenno della testa, dove l’uomo stava appunto mostrando in maniera più dettagliata e persuasiva i dati dalla ragazza frettolosamente riassunti- «lui è certo di aver ragione, come lo sono io.»
«Anche lui ha assistito al Progetto 935, probabilmente» scherzò Leon, alzandosi dalla posizione assunta prima.
«Non solo. Tall Oaks era la sua città natale.»

«Il vice presidente ha accettato» sorrise il capo dipartimento «manderà una piccola squadra di agenti per controllare la situazione.»
«E’ una notizia meravigliosa, signore» disse Sherry, le mani unite in grembo per trattenere l’euforia.
«Non ce l’avrei fatta senza il suo lavoro scrupoloso, agente Birkin, gli Stati Uniti le devono un enorme favore» ribadì l’uomo. Non assomigliava molto a Simmons, pensò Leon, sia per l’aspetto che per le impressioni che suscitava nei propri interlocutori.
«E lei deve essere l’agente Kennedy, tantissima gente mi ha parlato in ottimi termini di lei» l’uomo porse la grossa mano callosa a Leon, che la strinse brevemente.
«Eseguo solamente gli ordini, signore.»
«Spero quindi che non abbia intenzione di sottrarsi al compito che abbiamo deciso di assegnarle» mormorò il capo di Sherry dopo la piccola presentazione. Sherry e Leon si scambiarono il più fugace degli sguardi: che cosa aveva voluto dire?
«E’ stato selezionato come delegato idoneo per la missione che abbiamo bisogno compia: atterrare sul territorio della cittadina afghana che la BSAA sta cercando di prendere e condurre indagini approfondite sull’Organizzazione 935 al fianco del corpo speciale.»
Leon annuì con discrezione: era abituato a responsabilità del genere. Ma Sherry? Le aveva letto negli occhi la voglia impetuosa di mettersi in discussione, aveva pensato che quella fosse l’occasione perfetta ed ora ne veniva esclusa.
«Ed, ovviamente, l’agente Birkin la seguirà da vicino avendo dimostrato un ottimo intuito e una buona capacità d’analisi» aggiunse l’uomo, avviandosi alla porta. Leon sentì Sherry tirare un sospiro leggerissimo ma rincuorato.
«Il resto della squadra vi attende all’aeroporto presidenziale. Ora, con il vostro permesso, mi congedo, so di aver messo la sicurezza globale nelle mani giuste.»
La porta si chiuse alle spalle del Capo della Sicurezza, lasciando Leon e Sherry soli ed immersi nel silenzio delle proprie riflessioni.
Si sarebbe trovato a lavorare gomito a gomito con la ragazzina da lui salvata nove anni addietro, la donna che aveva salvato il mondo qualche mese prima. Per lui era molto difficile conciliare l’immagine della piccola Sherry con quella dell’agente Birkin -quel cognome faceva ancora spavento solo al pensarlo-, la bambina indifesa con la donna intraprendente, la figlia dello scienziato pazzo con quella dell’eroina redentrice del mondo. Appariva sempre un angelo ingenuo ogni volta che Leon posava gli occhi su di lei, non riusciva ad avvertire nulla di minaccioso nelle sue iridi azzurre, in realtà non avvertiva nulla che non fosse il bisogno quasi fisico di proteggere la ragazza a cui era stata rubata l’infanzia.
«Il mio primo compito al fianco dell’agente Kennedy» lo canzonò lei mentre si alzava dalla scomoda sedia girevole. Nonostante l’apparente accenno di spavalderia aveva le spalle contratte.
«Dovrei sentirmi in qualche modo lusingata, operare a stretto contatto con uno dei migliori agenti governativi non capita a tutti, non credi?» continuò Sherry, guardandolo con una strana espressione. Era come se avesse capito esattamente tutti i pensieri di Leon e promettesse a sé stessa di fargli cambiare idea a tutti i costi.
«Sono io a sentirmi lusingato, lavorare con la debellatrice del virus C non capita davvero a chiunque» ribatté lui con una strizzatina d’occhi.
Sherry rise e scosse la testa, incredula.
«Dobbiamo muoverci, la squadra ci attende» gli fece presente Sherry e si avviò senza mezzi termini alla porta. Era il turno di Leon essere incredulo.
«Non vedi proprio l’ora di ingaggiare una missione suicida barra inutile in uno stato dimenticato da Dio?»
«Proprio così» confermò lei, uscendo dalla stanza.

Sherry era seduta nell’elicottero con il portatile comune sulle ginocchia e dava l’ennesima occhiata ai dati raccolti e comunicati dalla BSAA. Un’infestazione simile a quella accaduta in Edonia ma molto meno casuale, sembrava che le persone esposte al virus fossero state scelte con un criterio preciso, quasi fossero un esercito di mutanti addestrati. Il virus era una variante altamente pericolosa del vecchio, pareva addirittura rafforzato e incrociato con quello che seminò distruzione a Raccoon City. Ovviamente il virus 935 -così era stato denominato dalla BSAA- era nocivo all’organismo, quindi iniettarlo in qualcuno significava procurargli un’atroce morte, nel peggiore -o forse migliore?- dei casi. Si propagava inoltre per via aerea o per scambio di liquidi organici, il tocco non era un veicolo di trasmissione. Il numero stimato delle vittime aveva troppi zeri per i gusti di Sherry, che chiuse l’oggetto con un gesto secco.
«Siamo appena entrati nel territorio iraniano, un po’ e saremo ad Herat» le assicurò Leon con una specie di ghigno, accomodandosi al suo fianco.
Sherry lo guardò in cerca delle risposte che da sola non poteva darsi e sospirò, poggiando il capo sulla scapola di Leon.
«Te ne stai pentendo?» tentò lui con quella voce ferma intrisa di conforto e comprensione.
«No. È solo che vorrei capire quando diventerò l’eroina di me stessa» rispose Sherry.
«Sei già l’eroina di tante persone, Sherry. Non hai nulla da dimostrare a nessuno» sottolineò Leon con decisione, poggiandole la mano sulla spalla ed abbracciandola leggermente senza averne l’intenzione.
«Ho tante cose da dimostrare, Leon, ho bisogno di dimostrarle a me stessa» disse lei, una strana inflessione nella voce risoluta.
«Hai da dimostrarle a Jake Muller, anche?» il ghigno di Leon diventò quasi sardonico quando sentì le guance di Sherry ardere. Lei stette zitta, ma per lui era più che una conferma.
Il cielo era scuro e sembrava quasi che l’alba avesse dimenticato di dover spuntare fra qualche ora. Migliaia di stelle bruciavano accanto a loro mentre fendevano la misteriosa ed affascinante notte mediorientale.
Sherry provò a ricordare la voce di Jake ma non riusciva a farsi venire in mente nessuna frase da poter ricollegare a lui, nulla che le rammentasse il modo in cui la guardava; solamente i suoi occhi azzurro ghiaccio emergevano dalla nebbia mancina della memoria offuscata, a volte però riusciva a ricordare com’era essere distesa sul suo corpo caldo sebbene stesse rischiando di morire dissanguata quando era successo.
Sospesa nelle tenebre imperscrutabili dell’ultimo posto in cui avrebbe mai immaginato di recarsi, la donna dal cognome così ingrato si perdeva nelle fantasticherie che non le erano mai state concesse.
E forse era stato meglio così.

 
ladie’s a gentleman! (author’s corner):
Madonna, ma quanto tempo è passato? Cinque mesi, più o meno? Sì, ho aspettato davvero tantissimo prima di aggiornare questa long e per un po' avevo anche deciso di abbandonarla, ma per me questo è un esperimento davvero molto importante, in quanto è la prima fic a capitoli che mi sono imposta di continuare e per cui ho davvero un'idea. Per spronarmi a lavorare sodo allora ho deciso che non pubblicherò mai un capitolo senza avere il prossimo già pronto, in modo che possa sentirmi un po' meno sotto pressione e riesca a lavorare con più serenità e profitto. Ma bando alle ciance, tanto a voi che frega? LOL. In questo capitolo vediamo già un quadro leggermente più chiaro della situazione che verrà definitivamente svelato nelle future continuazioni. Spero che nonostante tutto la gente che legge questo scempio si senta almeno un po' incuriosita e sia invogliata a leggerla, inoltre ci tengo a ribadire che NON sono molto pratica del fandom e che quindi per me è davvero un'impresa approcciarmici ma lo faccio perché, sebbene abbia giocato solo a RE6, mi piace moltissimo.
Come al solito, amore per i lettori e venerazione per i recensori. 
Kiss,
la vostra imbranata Ladie, che vi ama, dal primo all'ultimo.

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