A tempo di valzer

di Niniane_88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***



 


A tempo di valzer

Capitolo I

 
Parigi, 10 luglio 1896

Il sole era ormai tramontato all’orizzonte. Le luci del palazzo erano tutte accese e il portone d’ingresso era già stato aperto: cominciavano infatti ad arrivare i primi invitati.
Il ricevimento che si sarebbe tenuto quella sera aveva uno scopo ben preciso: annunciare il fidanzamento della duchessina Jaqueline Ophelie de Chalange con l’affascinante Claude Laurent Renard.
Sulla frequentazione tra i due giovani si era chiacchierato parecchio, nei salotti parigini: era noto a tutti, infatti, che la marchesa de Leclerc, vedova del duca de Chalange e madre di Jacqueline, non avrebbe mai osato imporre alla figlia un matrimonio che non desiderava e che perciò l’aveva lasciata libera di scegliere lei stessa con chi sposarsi. Tuttavia erano in molti a pensare che madame avrebbe dovuto essere più ferma con la figlia, nel momento in cui quest’ultima aveva lasciato cadere la sua scelta su monsieur Renard. L'albero genealogico di costui era pressoché ignoto a tutti: certo, c’era la parentela con il conte de Rolland che bastava a fare di lui un buon partito, ma non era troppo poco perché potesse aspirare alla mano di Jacqueline de Chalange? E poi, non era troppo giovane per sposarsi, la duchessina? Aveva appena diciassette anni, un anno ancora bisognava aspettare, sì sì, almeno un anno!
Madame Marie Victorie de Leclerc, si scopriva ad approvare in silenzio queste argomentazioni.
Mentre aspettava pazientemente che le sue figlie fossero pronte per il ricevimento si chiedeva per l’ennesima volta se avesse fatto bene a dare il suo consenso. Poteva comprendere che Jacqueline, romantica e delicata, si fosse innamorata di un giovane brillante e attraente come Claude e sapeva che non avrebbe mai trovato la forza di imporle un matrimonio combinato. Jacquelin era così sensibile!
Non come Elenoire: Elenoire era vivace e decisa, senza peli sulla lingua e aveva ben chiaro in testa quello che desiderava. Voleva dedicarsi alla scrittura e dichiarava di non volersi affatto sposare. Era eccitatissima per il ricevimento in onore di sua sorella, perché era la prima volta che le veniva consentito di prendere parte a un ballo. Molte ragazze entravano in società a quattordici anni e lei ne aveva già quindici, perciò era impaziente di poter fare finalmente la sua comparsa.
Madame de Leclerc dubitava che, riguardo al matrimonio, la sua secondogenita l’avrebbe pensata allo stesso modo quando avesse avuto l’età di Jacqueline, ma era sollevata di non doversi preoccupare anche del suo futuro, almeno per un altro paio d’anni.
Sapeva che prima o poi Jacqueline si sarebbe fidanzata: era una ragazza fatta apposta per questo, per essere una moglie e una madre. Claude era sicuramente un giovane forte e sano che avrebbe potuto generare figli bellissimi e pieni di vitalità. 
Eppure, qualcosa in lui non convinceva l’apprensiva madame Leclerc.
Le era noto che non era di estrazione sociale molto alta: proveniva da una famiglia appartenente alla borghesia che aveva fatto fortuna grazie al commercio di vini. Un qualche cugino era entrato a far parte del clero, raggiungendo una posizione piuttosto importante e questo aveva contribuito ad aumentare il prestigio del nome Renard. 
Infine c’era la parentela con il vecchio conte de Rolland, di cui pareva che Claude fosse l’ultimo nipote rimasto. 
Era stato questo dettaglio a convincere la marchesa a dare il suo consenso, anche se nutriva ancora dei dubbi in proposito. Il giovane le sembrava spesso enigmatico, vagamente infido, come se stesse volutamente nascondendo qualcosa a tutti.
Allo stesso tempo, sapeva comportarsi in maniera ineccepibile: era gentile, educato, raffinato. Durante le passeggiate che faceva con Jacqueline, naturalmente sorvegliate da lei, aveva sempre trattato la fanciulla con grande rispetto, non aveva mai compiuto un gesto azzardato o sbagliato. Era galante, ma prudente, premuroso e discreto.
Madame Leclerc si alzò stancamente dalla poltrona e si diresse nell’anticamera del salone: forse stava esagerando nel giudicare il fidanzato della sua piccola. Era meglio lasciare da parte l’istinto materno in esubero e mettere al primo posto la felicità di Jacqueline.
Ma quando vide sua figlia scendere le scale, avvolta nell’abito bianco, nuovo di zecca, i capelli ramati acconciati in favolosi riccioli, gli occhi splendenti e il viso raggiante, si sentì ancora più tesa di prima.


 
Madmoiselle Fleur Boyer percorreva a passi rapidi le squallide e silenziose vie ai margini di Parigi.
Anche quel giorno aveva lavorato tanto e guadagnato poco, pensava con rabbia. Lei che era la modella più ambita dai pittori che soggiornavano nella capitale non riusciva mai a farsi pagare quanto avrebbe voluto. Il suo sogno era poter dare una svolta a quell’esistenza faticosa e indecorosa, sposarsi con un uomo ricco e fare la bella vita, ma sapeva di non avere nessuna speranza. La sua prorompente bellezza poteva far girare la testa ai signorotti per un po’, ma poi finivano tutti con lo stancarsi di lei. Fleur ormai aveva imparato e non si concedeva quasi più di sognare. Soltanto lui riusciva ancora a indurla a farlo. Lui così bello, così fine, così dolce…
La giovane donna alzò il capo e guardò il cielo stellato sopra di lei. A quest’ora il ricevimento in casa de Chalange doveva essere bello che iniziato. Ah, come le sarebbe piaciuto esserci! Si sarebbe divertita un mondo! Pazienza, avrebbe scoperto com’era andata la mattina seguente. 
Si avvolse più stretta nello scialle e riprese a camminare. Non aveva paura, nemmeno di quei violetti oscuri e tetri.
A dire il vero, Fleur non aveva paura di niente.


 
Molto più lontano, in una tranquilla anticamera, il dottor Julien Aubert de Gaillard scuoteva la testa, rassegnato.
Non c’era niente da fare, ormai: Madmoiselle de Meunier doveva lasciare la sua casa e trasferirsi in un sanatorio, ecco come la pensava.
Erano sei mesi che tentava di alleviare la grave depressione in cui versava la signorina, ma i suoi rimedi non avevano portato a nulla. Anche quella sera, per l’ennesima volta era stato chiamato d’urgenza perché la paziente si era sentita male all’improvviso: una crisi di panico.
I conti de Meunier si erano recati entrambi a un importante ricevimento in casa de Chalange e avevano ordinato ai domestici di chiamarlo immediatamente se Jeannette avesse avuto bisogno di cure e naturalmente così era stato.
Monsieur Gaillard aveva trovato la contessina in uno stato pietoso: respirava molto male e tremava in modo incontrollabile. 
E come al solito era ubriaca.
Restava un mistero il come riuscisse a procurarsi il vino, dato che ormai da tempo erano state prese precauzioni affinché non trafugasse le bottiglie. Evidentemente però aveva i mezzi per eludere la sorveglianza di coloro che le vivevano accanto se dopo sei mesi riusciva ancora a fare del male a sé stessa in quel modo.
Il tutto era cominciato all’inizio dell’anno, il giorno del matrimonio della contessina. La giovane, bellissima Jeannette Françoise de Meunier avrebbe dovuto sposare il marchese Maximillen Clément de Blanchard, un ottimo partito, oltre che un bravo giovane. I due fidanzati erano profondamente innamorati l’uno dell’altra, perciò quando lo sposo non si era presentato all’altare lo scandalo era stato enorme. Per mesi si era continuato a chiacchierare malignamente: chi diceva che fosse fuggito perché aveva messa incinta una ragazza, chi diceva che fosse stato in qualche modo ingannato dal futuro suocero… congetture destinate a non trovare risposta perché dell’incauto sposino non si era più saputo nulla. Il biglietto d’addio rinvenuto nella sua camera non era stato di nessun aiuto, per coloro che desideravano comprendere perché avesse agito in quel modo e dove fosse andato. La sua famiglia e la famiglia della sua promessa l’avevano cercato dapprima a Parigi, poi nei dintorni, poi presso i parenti e i conoscenti, infine nelle regioni vicine, ma di lui nessuna traccia. Sparito, puff...! Volatilizzato.
La contessina Jeannette non si era più ripresa dallo shock. Non sapeva darsi una spiegazione del comportamento di Maximillen e temeva che gli fosse accaduto qualcosa, immaginava scene orribili di lui che veniva rapito, torturato, ucciso… oppure fantasticava sulla presenza di un’amante, una donna bellissima e crudele che con le sue arti di amatrice era riuscita a portarglielo via.
Dal giorno del mancato matrimonio aveva sofferto di crisi di panico, insonnia, svenimenti e scoppi d’ira ingiustificata e, cosa ancor più grave, aveva cominciato a bere, sempre di più e sempre più spesso e questo la rendeva ancora più debole e le toglieva quel poco di lucidità che ancora avrebbe potuto rimanerle.
Monsieur Gaillard aveva cercato di convincere i genitori a mandarla via per un po’, in modo da evitare ulteriori chiacchiere sul suo stato di salute e con la speranza che un cambiamento d’aria e di ambiente potesse farle bene, ma i conti de Meunier non avevano accettato. Erano infatti ben decisi a ritrovare il marchese de Blanchard e a mostrargli in che stato si fosse ridotta la loro figliola a causa sua. Il medico disapprovava fortemente questo atteggiamento: quella povera ragazza gli faceva una gran pena e riteneva che si dovesse pensare prima alla sua vita e poi a punire il fidanzato fuggiasco. Perbacco, era un miracolo che Jeannette non avesse ancora tentato il suicidio! 
Povera creatura: una ragazza così bella, così vivace, così arguta, ridotta a dover essere rinchiusa in una camera e sorvegliata giorno e notte…
Avrebbe dovuto convincere il conte a farla ricoverare. Altrimenti, quella poveretta sarebbe morta, prima o poi.


 
Henri Sebastian Dupois si aggirava inquieto per casa.
Che fare? Doveva andare da suo padre o no? C’era qualcosa che non quadrava: aveva sentito dire che suo padre fosse malato, allora perché nessuno l’aveva contattato? Non era nulla di cui preoccuparsi, oppure qualcuno aveva evitato di proposito di avvisarlo? Se così fosse stato, Henri non ne sarebbe stato sorpreso, ma piuttosto, amareggiato.
Per accertarsi delle condizioni di salute di suo padre, la scelta migliore sarebbe stata andare a trovarlo su due piedi e parlare personalmente con lui o con il dottore.
Il problema era che per Henri non era un’impresa facile entrare in casa di suo padre: se ci avesse provato avrebbe incontrato l’ostilità di tutti e il conte era troppo vecchio per essere ancora in grado di imporre la sua volontà a chicchesia.
Henri doveva ammettere che non se la sentiva di andare da lui, anche se avrebbe voluto essere meno codardo. 
Prima o poi però, avrebbe dovuto affrontare le occhiate malevole che gli eraano riservate in quella casa e parlargli: la faccenda doveva essere chiarita una volta per tutte.
E poi aveva bisogno di denaro: aveva perso il suo incarico di precettore presso la famiglia de Chalange adesso che le duchessine erano entrambe cresciute. La cosa gli dispiaceva molto: Elenoire era stata un’allieva molto promettente. Jacqueline... ma no, non doveva pensare a lei. Oltretutto Jacqueline si sarebbe fidanzata quella sera...
Proprio con quell'idiota di Claude Renard...
Un velo di malinconia scese sui dolci occhi azzurri di Henri. no, non doveva più pensare a Jacqueline. Per lui ormai, quella ragazza era perduta.
Doveva assolutamente trovare un altro impiego.
L’indomani, decise, sarebbe andato da suo padre.


 
Lontano, molto lontano, in una piccola e silenziosa cappella illuminata dalla flebile luce delle candele, un monaco pregava, inginocchiato davanti a un crocifisso.
Forse il Signore ascolterà la mia supplica, pensava. 
Espierò le mie colpe per tutta la vita, se necessario.
Cantabo Domino in vita mea, psallam Deo meo quamdiu sum…






Buonasera a tutti!
Ringrazio sentitamente fin da adesso chi ha letto questo primo capitolo e chi è rimasto incuriosito e intende seguire la mia storia.
Ci tengo a precisare che i nomi dei personaggi sono tutti inventati: non sono un'esperta di storia francese, le famiglie nobili che ho citato potrebbero essere esistite davvero, come anche no, ho scelto i nomi in base al suono, a ciò che mi ispiravano, cercando di evitare i più conosciuti e scontati. 
Leggendo questo primo capitolo qualcuno potrebbe chiedersi il perché del genere commedia: beh, la risposta è che spesso la commedia è un racconto che inizia male e finisce bene, quindi abbiate fiducia!
Detto ciò, spero davvero di avervi incuriositi: che ne sarà della povera Jeannette? E del fidanzamento di Jacqueline? Chi sta pregando nell'abbazia? 
Aggiornerò presto!
Un bacione
Niniane

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***





 
Capitolo II


Claude Laurent Renard osservò compiaciuto la propria immagine nello specchio.
Non c’era un solo dettaglio fuori posto, il ricevimento era stato organizzato alla perfezione, naturalmente e lui ne era il re indiscusso.
Beh, forse metterla in questo modo era un po’ esagerato… l’indomani tutti avrebbero parlato soprattutto di Jacqueline, del suo vestito bianco, di come danzasse bene e di altre sciocchezze simili. Oltre che dell'Esposizione, naturalmente... che noia, mancavano ancora quattro anni ed era già l'argomento preferito da tutti...
A Claude comunque non dispiaceva che Jacqueline fosse più ammirata di lui, anzi: più si chiacchierava del loro fidanzamento, meglio era, con tutta la fatica che aveva fatto per ottenere il consenso di madame Leclerc!
Alla fine, dopo tante indecisioni la matrona aveva ceduto: il fatto che egli fosse l’ultimo nipote del vecchio, ricchissimo, stimatissimo conte de Rolland le aveva tolto anche gli ultimi dubbi. Quando aveva saputo di questa illustre parentela era stata assolutamente disposta ad ignorare il fatto che Claude non fosse nobile di nascita. E poi aveva dovuto cedere alle preghiere di Jacqueline, la sua adorata bambina alla quale non sarebbe stata capace di negare nulla.
Claude aggrottò le sopracciglia bionde, ricordando che c'era ancora una persona piuttosto scettica sulla legittimità di tutta la faccenda e questa persona era Elenoire Denise de Chalange. Quell’odiosa ragazzina era senz’altro gelosa del fatto che la sua preziosa sorellina si fosse fidanzata: a Claude non sarebbe importato nulla dell' avversione di Elenoire nei suoi confronti, se non fossa stato per il fatto che quella piccola intrigante non faceva altro che mettere la pulce nell’orecchio a sua madre e alla stessa Jacqueline, ponendo loro un mucchio di domande pericolose sulla sua vita. Gli sarebbe piaciuto potersene liberare, non sapeva se doveva preoccuparsi di più dell’influenza che Elenoire avrebbe potuto avere sulla sua fidanzata o delle ansie che avrebbe potuto causare alla marchesa.
Fortunatamente, quella sera madmoiselle Elenoire non sembrava avere l’intenzione di combinare guai: era troppo presa dalla sua prima comparsa in società per preoccuparsi di altre cose e danzava senza posa, ridendo e scherzando con tutti.
Aveva ballato anche con lui e non aveva detto nulla di particolare, si era limitata a cicalare sulla salute delicata di Jacqueline e ovviamente, sul suo vestito bianco. Che sciocchina…
Con un’ alzata di spalle, Claude scacciò i pensieri astiosi verso Elenoire: la serata era perfetta, Jacqueline era ufficialmente la sua fidanzata e avrebbe dovuto aspettare solo un mese e mezzo prima di poterla sposare. Dopo il matrimonio avrebbero continuato a vivere in casa di lei, almeno fino a quando non fossero stati fatti dei lavori di ristrutturazione nella vecchia magione dei Renard, perciò la marchesa non avrebbe potuto lamentarsi: la sua perla di Labuan le sarebbe rimasta accanto.
Certo, fino a quando non avesse portato Jacqueline all’altare, Claude non poteva dirsi perfettamente tranquillo: la marchesa poteva trovare un qualsiasi pretesto per annullare le nozze ed Elenoire restava una pericolosa nemica. 
E poi c’era quella faccenda ancora da chiarire: il piano sembrava destinato al successo, ma chi poteva confermarlo con certezza? E se qualcosa fosse andato storto? Non accaparrarsi l’eredità avrebbe significato la fine, per lui: avrebbe perso il suo prestigio, la sua credibilità e infine la sua fidanzata. 
Già, la sua promessa sposa.
Quella ragazza, senza volerlo affatto, gli aveva causato un grattacapo dopo l’altro. A causa sua gli era toccato ascoltare le scenate e i pianti di Fleur, la quale proprio non riusciva a capire come lui potesse preferire una signorina d’alto rango a lei. Ci era voluto del bello e del buono per convincerla che lui non era innamorato di Jacquelinei, che quel fidanzamento non avrebbe cambiato nulla nel loro rapporto e che si trattava solo di un affare conveniente.
Ah, le donne! Erano tutte uguali! Ma come poteva pensare Fleur che lui si sarebbe adattato a commerciare vini per il resto della vita? Non lo conosceva bene, forse? Sapeva quanto fosse ambizioso e quanto considerasse importante la posizione sociale. Ma no, Fleur era stupida e noiosa come tutte le donne, si aspettava l’amore romantico, che trionfasse su ogni avversità… proprio lei che faceva la modella, che avrebbe dovuto essere la ragazza più cinica di Parigi! Proprio lei che per denaro si era data a uomini di ogni genere, alcuni dei quali erano sicuramente meno onesti e timorati di Dio di quanto non lo fosse Claude Renard.
Eh già, le donne si somigliavano tutte. Fleur era gelosa di Jacqueline e Jacqueline era gelosa di qualunque donna gli rivolgesse anche solo un’occhiata. Claude si augurava soltanto che non scoprisse l’esistenza della sua amante, altrimenti sarebbe stata una catastrofe. Grazie al Cielo, sembrava che Fleur avesse sotterrato l’ascia di guerra: l’aveva addirittura pregato di raccontarle del ricevimento!
Claude si voltò quando sentì un fruscio di sottane che si avvicinava e fu pronto in un attimo a sorridere alla sua fidanzata, la quale gli si avvicinò, emozionata come sempre.
- Che cosa fai qui tutto solo, caro? – gli chiese con dolcezza – Pensavo tu volessi ballare questo valzer con me…-
- Mio tesoro, io voglio sempre ballare con te! – le rispose teneramente, prendendola per mano e rientrando con lei nel salone.
Si mescolarono agli altri ballerini: Claude vide Elenoire ballare tra le braccia di suo cugino, Jean Micheal.
Incuriosito chiese a Jacqueline: - Credi che ci sia qualcosa tra quei due? -
La ragazza spalancò i grandi occhi castani: - Tra Elenoire e Jean? Oh, non credo… Sono molto affezionati l’uno all’altra, ma a parte questo non c’è nulla. Credo che mio cugino sia innamorato di una ragazza più grande, anche se fino ad ora non sono riuscita a scoprire di chi si tratti. -
- Formerebbero una bella coppia, però. -
Jacqueline arrossì e sussurrò: - Non come noi. -
Claude avvicinò il volto a quello della fanciulla: - No, non come noi. – le sussurrò appassionatamente all’orecchio.
Continuarono a ballare per un po’, poi Jacqueline si allontanò per andare a salutare qualcuno.
Claude la osservò mentre si aggirava per il salone e pensò che non aveva nulla di cui lamentarsi: era una ragazza bellissima, con quei capelli color rame, gli occhi castani e la pelle di porcellana; sarebbe stata stupenda anche negli anni a venire. Molti trovavano che Elenoire sarebbe diventata più bella perché era bionda, ma lui preferiva i capelli scuri, soprattutto se erano di un colore tendente al nero, come quelli di Fleur.
Nel guardare Jacqueline che rideva felice, il cuore di Claude ebbe un piccolo sobbalzo, qualcosa che somigliava vagamente a uno slancio di pietà: povera bambina, ingenua e romantica, povera anima candida. 
Era stata davvero sfortunata a incontrare uno come lui.


 
Jeannette Françoise de Meunier si svegliò nel cuore della notte, madida di sudore. Aveva fatto ancora quel terribile incubo.
Le succedeva ormai quasi ogni volta che si addormentava, perciò ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma non per questo era diminuito il terrore che quel sogno le provocava. Il suo sonno era costantemente turbato dall’apparizione di Maximillen, solo, sofferente e irraggiungibile. Jeannette lo chiamava, urlando con tutto il fiato che aveva, ma sembrava che lui non riuscisse a sentirla. Ogni volta si svegliava piangendo, sudata e tremante di paura.
Jeannette si alzò, si avvicinò alla finestra e guardò fuori. La carrozza non c’era, quindi sua madre e suo padre erano ancora al ricevimento.
Il ricevimento per… quale occasione? Ah, giusto, il fidanzamento di Jacqueline con… con chi?
La contessina si sforzò di ricordare, ma senza riuscirvi. Era troppo tempo ormai che non usciva di casa: da mesi era totalmente all’oscuro di ciò che accadeva a Parigi, non sapeva più niente delle sue amiche, o dei suoi parenti, né tanto meno era a conoscenza delle novità politiche o economiche o tecnologiche.
Tutto quello che le veniva in mente era che ormai a Parigi cominciavano a circolare parecchie automobili, ma i suoi genitori si ostinavano ancora a girare in carrozza, ritenendo che fosse più sicuro. 
Chissà a che ora sarebbero tornati… il ricevimento in casa de Chalange era stato sicuramente organizzato nei minimi dettagli. Forse avrebbero fatto ritorno la mattina seguente.
Jeannette si sedette nuovamente sul letto. Doveva seguire i consigli del dottore e cercare di riposare. Era difficile, ma doveva almeno provarci.
Anche quella sera monsieur Gaillard era venuto a visitarla e per l’ennesima volta aveva cercato di farla stare meglio. Jeannette pensò che forse, per una volta quel bravo medico ci era riuscito e non tanto con i calmanti che le aveva somministrato, ma piuttosto con le parole gentili che le aveva rivolto. Poche parole, semplici, non ricercate, ma efficaci:
- Cercate di vivere, Jeannette. Se finiste con l’uccidervi, noi perderemmo un tesoro prezioso. -
Noi… aveva incluso sé stesso nella cerchia di persone che le volevano bene e questo particolare aveva aperto una piccola breccia nel cuore straziato di Jeannette.
Da quello sciagurato giorno non era più uscita dalla sua stanza. All’inizio nessuno si era stupito della cosa, lo scandalo era stato senza precedenti ed era naturale che lei volesse nascondersi dalle chiacchiere malevole. Con il passare del tempo però, i suoi genitori avevano faticato sempre di più a nascondere ad amici e parenti la triste verità. Erano stati sufficienti un paio di episodi imbarazzanti perché tutta l’alta società parigina venisse a conoscenza delle sue reali condizioni di salute, fisica e mentale.
La contessina si avvicinò al grande specchio che teneva in camera e osservò la propria immagine. Anche se la stanza era semioscura riuscì ugualmente a notare i propri occhi, gonfi e cerchiati di nero.
E pensare che tutti mi hanno sempre detto: Jeannette, hai degli occhi meravigliosi!
Un tempo, forse. Adesso erano orribili.
E i capelli…i suoi favolosi riccioli color mogano avevano lasciato il posto a una massa informe di capelli secchi e senza vita, eccessivamente lunghi e neanche tanto puliti.
Anche la sua pelle era cambiata: sparita la bella carnagione ambrata. Ora la sua pelle era pallida e chiazzata qua e là di rosso.
Che vergogna! pensò con un brivido. Come ho fatto a ridurmi in questo stato? Sono inguardabile, sembro una pazza da rinchiudere in manicomio!
Monsieur Gaillard aveva ragione, avrebbe dovuto lasciare la città, farsi ricoverare in un luogo adatto. Jeannette però non voleva: in qualche modo era convinta che se avesse abbandonato Parigi, avrebbe perso ogni speranza di ritrovare Maximillen. E ritrovarlo era più importante della sua salute, del disonore che questo poteva causare al suo nome.
Perché Maximillen non l’aveva lasciata di proposito, non poteva averla lasciata di proposito, punto e basta. Jeannette ne era assolutamente certa. Qualcosa o qualcuno l’avevano costretto a questo e lei doveva assolutamente ritrovarlo, vivo o morto. E se voleva ritrovarlo, Jeannette doveva vivere.
Ogni molecola del suo corpo le diceva di rinunciare, magari di gettarsi dalla finestra senza indugio, ma avrebbe provato a non pensarci. Avrebbe cercato di ritrovare la dignità che aveva perso, avrebbe guardato in faccia il suo dolore.
Maximillen sarebbe tornato. Vivo o morto.
Con questi pensieri, Jeannette si infilò nuovamente sotto le coperte e si addormentò.


 
Henri fu svegliato di soprassalto da un insistente bussare alla porta.
- Henri! Henri, svegliati, presto! Ragazzo mio, vieni fuori, è importante! -
Ancora stordito, chiedendosi perché mai il vecchio Francis l’avesse disturbato prima dell’alba, Henri si infilò in fretta gli abiti del giorno prima e andò ad aprire.
Francis non gli diede nemmeno il tempo di chiedere cosa fosse successo, lo prese per un braccio e lo trascinò con sé lungo il marciapiede.
- Per l’amor di Dio, Francis, che cos’hai? – sbottò il giovane, sempre più interdetto e un po’ irritato da quell’atteggiamento allarmante.
Il vecchio maggiordomo si fermò, un po’ ansante.
- Vostro padre… sono dolente, monsieur, vostro padre è morto un’ora fa. -
Henri lo guardò come se fosse pazzo.
- Mio padre? Morto? Ma com’è possibile? Cosa gli è accaduto? -
Francio gli posò una mano sul braccio.
- Da qualche giorno il conte si sentiva poco bene. All’inizio nessuno di noi si è preoccupato, ma ieri abbiamo deciso di chiamare il dottore, perché respirava sempre peggio. Forse avremmo dovuto agire prima, non lo so! Mi sono stupito del fatto che voi non ci foste, pensavo di vedervi arrivare da un momento all’altro, dopo che il dottore ha detto che ormai era questione di ore. -
Henri non riusciva a credere alle proprie orecchie: - E chi avrebbe dovuto avvisarmi, se non tu? Io pensavo di andarlo a trovare al mattino, per prudenza! Credevo non fosse nulla di grave! Mi meraviglio di te, Francis! Avresti dovuto venire da me immediatamente! -
- Perdonatemi, io credevo che l’avrebbe fatto monsieur Renard. -
A quel nome, Henri ebbe uno scatto d’ira:
- Renard, Renard, non ne posso più di quell'uomo! Altro che avvisarmi! Non vede l’ora di intascare l’eredità di mio padre e farà di tutto per mettermi in cattiva luce. Sono certo che mi intenzionalmente tenuto all’oscuro di tutto. Adesso starà tramando perché tutte le sostanze del conte passino a lui… e io temo che riuscirà ad ottenere ciò che vuole. -
Francis lo guardò con occhi pieni di tristezza.
- Farò il possibile per aiutarvi. Io so chi siete, vedrete che ogni cosa si aggiusterà. -
Henri scosse il capo sconsolato:
- Ti ringrazio, Francis, ma non credo che tu possa aiutarmi. Su, adesso andiamo da lui, costi quel che costi, voglio vederlo prima che sia seppellito. -
Si avviarono, sempre a piedi, verso la casa del conte Rolland. Quando giunsero a destinazione furono accolti prima da un paio di cameriere piangenti, poi da Claude Renard in persona, il quale disse, bruscamente:
- E così siete arrivato, finalmente, Dupois! Ce ne avete messo di tempo. -
Il giovane nipote del conte Rolland se ne stava appoggiato allo stipite di una porta e osservava Henri, con la consueta luce enigmatica negli occhi verdi. Era ancora abbigliato da gran ricevimento, doveva essersi precipitato lì dopo i festeggiamenti in casa di Jacqueline. I suoi bei capelli biondi erano appena arruffati, ma a parte questo era perfettamente in ordine, come al solito. Non sembrava certo prostrato dal dolore e Henri avrebbe potuto giurare che interiormente stesse esultando.
Quanto lo odiava! Quel ragazzo era più giovane di lui e mille volte più scaltro. Henri avrebbe voluto potergli somigliare un pochino: Claude era il genere d’uomo che riesce a piegare chiunque alla sua volontà.
Non come lui, che era stato educato ad anteporre i bisogni degli altri ai suoi…
- Non sono stato avvisato della cosa. – rispose freddamente all’imperturbabile Claude – Chissà come mai. -
Poi, senza un’altra parola si diresse verso la camera del conte.
Era in parte oscurata e disseminata di candele, un particolare che Henri trovò irritante. Era certo che non fosse stato suo padre a chiedere che fossero accese, ma le domestiche, sempre in prima linea quando si trattava di fare piagnistei.
Henri si avvicinò al letto e osservò attentamente il volto di suo padre. Ogni traccia di sofferenza l’aveva abbandonato, sembrava sereno, perfettamente in pace con sé stesso e con il resto del mondo. Henri si augurava che la sua agonia non fosse stata troppo lunga.
Gli toccò una mano e la sentì ancora tiepida. Allora la strinse delicatamente e mormorò.
- Addio, padre, addio. Riposate in pace. -





Ben ritrovati! Questo era il secondo capitolo che già, credo, dovrebbe aver risposto ad alcune vostre domande! Spero che vi sia piaciuto! Ringrazio chi ha recensito (devo ancora rispondere, ma provvederò al più presto!) e vi do appuntamento nei prossimi giorni con il capitolo tre!
Un bacione
Niniane

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***




 
Capitolo III


Elenoire Denise de Chalange teneva d’occhio il giardino.
Era seccata: sua madre non avrebbe dovuto impedirle di accompagnare Jacqueline e non avrebbe dovuto imporle di rimanere in camera sua a studiare. Non capiva che lei era abbastanza grande per poter fare da chaperon a sua sorella? E soprattutto, non capiva che sua sorella aveva ancora bisogno di uno chaperon?
Era vero che solitamente quel ruolo spettava a una donna adulta, ma benché avesse solo quindici anni Elenoire si considerava una ragazza molto responsabile e tutti avrebbero dovuto crederle quando affermava che non si sarebbe mai sognata di perdere di vista Jacqueline. Non approvava l’atteggiamento di sua madre, la quale si era convinta che fosse giunto il momento di allentare un po’ la sorveglianza sui due piccioncini. Secondo lei, fintanto che Jacqueline e Claude si limitavano a passeggiare in giardino non c’era più bisogno di accompagnarli dappertutto, come in precedenza: adesso che il fidanzamento era stato reso ufficiale, era giusto che i due giovani avessero la possibilità di conoscersi meglio tra loro, trascorrendo alcuni momenti da soli, senza l’assillo costante di uno chaperon.
Elenoire invece era dell’idea che lo chaperon fosse necessario eccome: non le piaceva per niente il modo in cui Claude guardava sua sorella e Jacqueline era talmente ingenua che quel viscido giovanotto avrebbe sempre avuto il gioco facile con lei.
La duchessina era troppo giovane e inesperta per saper descrivere in modo consapevole la sensazione di disagio che le provocava il suo futuro cognato. Spesso, quand’era sola, si sforzava di analizzare i propri sentimenti e di dar loro un nome, ma le era difficile e ancor più complicato era cercare di tradurli in parole: ecco perché la marchesa e Jacqueline faticavano a crederle, quando tentava di spiegarsi con loro.
Non temeva che Claude mettesse le mani addosso a sua sorella: non sembrava eccessivamente impaziente di averla tutta per sé, o se lo era riusciva a nasconderlo bene, come avrebbe dovuto fare qualsiasi fidanzato devoto. Eppure quegli occhi verdi non la convincevano: era come se… come se Claude si ponesse a un livello superiore rispetto a Jacqueline e la osservasse costantemente dall’alto, giudicando ogni sua azione.
Elenoire si riscosse, spaventata da questo pensiero inquietante. No, non era possibile, stava esagerando! Perché mai Claude avrebbe dovuto sentirsi superiore a Jacqueline? Inferiore, casomai… il nome Chalange avrebbe dovuto essere sufficiente a ricordargli in continuazione quant’era fortunato ad avere lei come fidanzata e poi Claude ne era innamorato. Vero?
No, si disse Elenoire, furibonda. Quell’idiota non era innamorato di Jacqueline, nemmeno un po’. La voleva solo per i soldi e per il nome che portava.
Henri sì che ne era innamorato invece! O almeno, lo era stato… ma gli occhi di Henri erano azzurri e dolci, trasparenti e miti. Elenoire aveva sempre notato il modo in cui quello sguardo si posava su Jacqueline, ma non ne era mai stata gelosa, né tanto meno aveva provato quella sensazione di fastidio e disagio che le suscitava Claude.
Avrebbe preferito mille volte che Jacqueline sposasse Henri, anche se lui era soltanto un precettore: era certa che sarebbe stata un’unione felice.
Claude poteva anche essere più bello, più affascinante, più brillante e ricco di Henri, ma dentro era marcio fino al midollo.
La duchessina guardò con astio la giovane coppia che passeggiava oziosamente in giardino: Jacqueline e Claude erano molto vicini, chissà che cosa si stavano dicendo. Probabilmente qualche frase sdolcinata.
Sbuffando, Elenoire lasciò la stanza e si diresse senza indugio in camera di sua madre.
La marchesa stava ricamando un cuscino e quando la vide entrare alzò gli occhi e sorrise con dolcezza.
- Elenoire! Vieni, tesoro. Guarda, ti piace questo disegno? -
La fanciulla osservò con vago interesse il motivo floreale che sua madre stava ricamando sulla stoffa.
- E’ molto bello, mamma. -
Detto ciò si sedette, proprio davanti alla marchesa, che la guardò con aria di lieve disapprovazione.
- Cara, quante volte ti ho detto di fare attenzione alla crinolina, quando ti siedi? Così la rovini. -
Elenoire si rialzò e si risedette come sua madre desiderava che facesse.
- Adesso che sono seduta come si deve, posso parlarti? – le chiese.
La marchesa sorrise: - Certo. Che cosa devi dirmi? -
- Vorrei parlarti di monsieur Renard, mamma. – cominciò Elenoire – Sì, lo so che probabilmente non mi crederai, ma vorrei provare a spiegarti perché lui non mi piace. -
Madame de Leclerc sospirò: - E va bene, Elenoire Denise, ma che sia l’ultima volta. Da mesi sto cercando di capire che cosa ti dia fastidio in lui e se non riuscirai a spiegarti neanche adesso, non sarò più disposta a darti retta. Siamo intese? -
Elenoire spalancò la bocca, stupita: - Ma mamma! – protestò – Adesso vorresti farmi credere che a tinvece lui piace?! Se solo un mese fa ti tormentavi al pensiero che sposasse Jacqueline!  -
- Personalmente sono convinta che sia una brava persona. All’inizio avevo molti dubbi, lo ammetto, ma monsiur Renard non mi ha dato alcuna ragione di lamentarmi. -
- Ma non vedi anche tu come guarda Jacqueline? – insistette Elenoire – Sembra che la consideri un oggetto, o che la giudichi inferiore a lui. Lei lo ama con tutto il cuore e lui ride di questo, ride perché lui è furbo e lei è un’ingenua romantica! Mamma, ti prego, ascoltami, quell’uomo vuole solo i nostri soldi! Non gli importa niente di Jacqueline, la renderà infelice! Devi impedire che si sposino! -
- Adesso basta, Elenoire! Hai detto abbastanza. Ora torna in camera tua e restaci fino all’ora di cena, chissà che qualche ora in punizione ti faccia dimenticare queste assurdità. -
Incredula e sconfitta, Elenoire fece come sua madre le chiedeva.


 
Il conte de Rolland fu seppellito il 12 luglio, alla presenza di poche persone in lutto. Sua moglie e i suoi quattro figli l’avevano preceduto nella tomba: la contessa e il primogenito erano morti di tubercolosi; il secondo era stato ucciso in duello; la terza si era suicidata; l’ultimo era morto pochi giorni dopo che era stato partorito.
Non aveva fratelli o parenti stretti: Il suo unico nipote ancora in vita era Claude Laurent Renard, figlio di un cugino almeno di quarto grado.
E poi c’era lui: Henri Sebastian Dupois. Un personaggio alquanto scomodo.
Già il suo nome era sbagliato: Dupois era il cognome di sua madre, la sartina che l’aveva messo al mondo e poi accudito per tutta la vita.
Avrebbe dovuto chiamarsi Henri Sebastian de Rolland e così sarebbe stato se suo padre l’avesse riconosciuto prima di morire, ma purtroppo non si era trovato nessun documento in proposito.
Nessun testamento, nessuna lettera, niente.
A Henri sembrava impossibile che suo padre non si fosse reso conto di essere in punto di morte e che non avesse pensato di dettare le sue ultime volontà. E poi, maledizione, suo padre gli aveva detto chiaramente di volerlo riconoscere! Gli aveva detto che preferiva mille volte che le sue sostanze andassero a un figlio, anche se illegittimo piuttosto che a un lontano parente. Eppure sembrava proprio che alla fine non avesse voluto mantenere quella promessa.
In realtà, Henri era segretamente convinto che Claude non fosse estraneo alla cosa: dopotutto era stato proprio Claude a non avvertirlo delle condizioni di salute del conte. Era possibile che avesse tramato per impadronirsi di un testamento o di un qualche documento importante? Henri temeva di sì, ma non aveva alcuna prova che potesse dimostrarlo, né riusciva a immaginare come avrebbe potuto procurarsela.
Forse era il caso di rassegnarsi: non c’era speranza che Henri Dupois si trasformasse nel conte Henri de Rolland. 
Avrebbe fatto meglio a cercare in fretta un nuovo impiego, anziché porsi domande inutili e accontentarsi della sua vita prova di comodità, di succcesso, di soddisfazioni.
Priva soprattutto di amore.
Addio anche a te, mia dolce Jacqueline.  Sii felice.


 
La marchesa Marie Victorie de Leclerc attendeva nello studio del suo defunto marito. Tra le mani teneva quel fazzoletto sconosciuto e quel lungo capello nero che vi aveva trovato attaccato.
Una fatale coincidenza, come spesso accade in questi casi: Claude aveva accidentalmente perduto un fazzoletto che era stato rinvenuto da una domestica e su di esso non spiccavano né le iniziali di Jacqueline, né tanto meno le sue.
F e B erano le iniziali su quel rettangolo di stoffa.
Quanto al capello, nero, liscio e lunghissimo, non era certamente della duchessina de Chalange… di nessuna delle due duchessine.
Quando la marchesa si era vista consegnare dall’ignara fantesca quel fazzoletto, per un momento si era silenziosamente arrabbiata con Jacqueline, pensando che sprecasse i suoi fazzoletti per darli al fidanzato come pegno d’amore, ma poi aveva notato diversi particolari che avevano smentito quella buffa ipotesi e che l’avevano resa inquieta. Primo, il fazzoletto non era in seta, o in raso, ma in semplice tela. Secondo, era rosso e alla marchesa non risultava che Jacqueline possedesse fazzoletti di quel colore. E infine le iniziali.
Come se ciò non bastasse si era ritrovata tra le mani quel capello, né biondo, né ramato.
Nero, o forse castano scuro.
A quel punto non aveva potuto evitare di insospettirsi: per due giorni aveva osservato attentamente Claude, il quale sembrava non essersi accorto della scomparsa del suo fazzoletto.
L?aveva osservato con occhi nuovi, cauti e vigili e finalmente aveva visto anche lei ciò che la sua Elenoire aveva cercato confusamente di dirle tante volte: c’era davvero qualcosa di sospetto nel modo in cui Claude trattava Jacuqeline e la strana luce nei suoi occhi impenetrabili non era frutto dell’immaginazione della sua secondogenita.
Quel’uomo non amava Jacqueline. E probabilmente aveva un’amante.
Forse Elenoire aveva intuito tutto questo ben prima di lei, ma poiché era ancora una bambina, la sua era rimasta solo un'idea, che per giunta nessuno avrebbe preso sul serio per chissà quanto tempo, se non fosse apparso quel misterioso fazzoletto.
- Ci avete fatti chiamare, zia? – chiese una voce maschile, profonda e musicale.
La marchesa si riscosse: in piedi davanti a lei stavano Elenoire e Jean Michael de Chalange, il figlio del fratello di suo marito, suo nipote acquisito.
- Sì. – rispose la marchesa, alzandosi – Ho bisogno del vostro aiuto. -
- Cos’è accaduto, mamma? – chiese Elenoire ansiosa.
Madame de Leclerc mostrò ai due il fazzoletto e il capello.
- Ho ragioni fondate per credere che Claude abbia un’amante, ma debbo averne la certezza. Elenoire, voglio che tu mandi qui da me Jacqueline: dille che ho bisogno di lei per terminare di cucire le lenzuola che devo mandare all’ospedale. – disse alla figlia, che annuì con foga - Poi, quando Claude se ne sarà andato, voglio che venga seguito. – aggiunse, guardando negli occhi Jean Michael.
Il giovane parve entusiasta dell’incarico:
- Sarà fatto, zia. Per quanto tempo volete che lo segua? -
- Almeno fino a domattina. Voglio sapere dove va e con chi, quando non è insieme a Jacqueline. -
- Come desiderate, zia. Tornerò con tutte le informazioni. -
La marchesa guardò il nipote, un po’ stupita: Jean Michael non aveva mai lasciato trasparire alcuna avversione nei confronti di Claude. Però voleva molto bene a Jacqueline e a Elenoire ed evidentemente lo stuzzicava l’idea di essere proprio lui a scoprire gli altarini del futuro cugino. Benché avesse già vent’anni, Jean Michael aveva la caratteristica di provare ancora una gioia un po’ infantile quando gli veniva affidato un compito importante.
- Molto bene. – gli disse – Ci rivediamo qui non più tardi di domattina alle dieci. Ora andate, anche tu Elenoire. -
I due giovani uscirono in fretta dallo studio, già compresi nei loro ruoli di cospiratori.
Madame de Leclerc si risedette al suo posto, pensierosa.
Se i suoi sospetti erano veri, per Jacqueline si avvicinavano giorni molto tristi.


 
Jeannette era seduta in veranda.
Sua madre continuava a lanciarle occhiate preoccupate e la contessina sapeva perché: considerato che per ben sei mesi non aveva mai lasciato la sua stanza, il fatto che si fosse addirittura sforzata di raggiungere la veranda e di sedersi un po’ all’aria aperta, doveva sembrare alla contessa una specie di miracolo.
Jeannette non sapeva che cosa l’avesse spinta ad abbandonare il suo eremo: si era semplicemente svegliata da un sonno tranquillo, privo di incubi e aveva provato il desiderio di uscire, di non vedere più per qualche ora, o anche solo per qualche minuto le quattro mura della sua camera.
Si era alzata dal letto e aveva chiesto alla sua cameriera di portarle una colazione leggera: pane, marmellata, caffè e succo d’arancia. 
Aveva scoperto, con un certo disappunto che mangiare le costava fatica: da quanto non consumava un pasto decente? Comunque si era sforzata di finire.
Poi aveva fatto il bagno, cercando di lavare via dai capelli e dalla pelle il sudiciume. Infine si era vestita e aveva fatto così un’altra brutta scoperta: tutti i suoi abiti le erano diventati larghi.
Sono proprio malridotta, si era detta, sconsolata. Aveva indossato l’abito più stretto che avesse, facendosi aiutare a regolare la larghezza del bustino e finalmente aveva aperto la porta ed era uscita.
Aveva salutato tutti coloro che incontrava con cortesia, cercando di sostenere gli sguardi allibiti che le venivano rivolti e si era diretta in veranda. L’espressione felice e incredula di sua madre, quando l’aveva vista lì, era stata una perfetta ricompensa per quello sforzo.
Anche il dottore se ne sarebbe rallegrato, quando l’avesse saputo.
Jeannette osservava il giardino, pensierosa: era fiera di sé, ma allo stesso tempo si sentiva già stanca e oppressa. Non era più abituata al contatto con il mondo esterno, se n’era estraniata totalmente, ormai.
Uscire ti fa bene, si disse con decisione. Tra poco tornerai in camera, ma non subito. Sforzati di restare ancora un momento. Non è così brutto qui…
La veranda era bella e arieggiata in estate, ci aveva passato tanti bei pomeriggi insieme a Maximillen, prima di quel giorno…
Eccolo, il ricordo che le faceva male.
All’improvviso Jeannette si sentì come se fosse rinchiusa in una prigione.
Fuggì, su per le scale e corse a rinchiudersi nuovamente nella sua stanza.


 
 
Jean Michael de Chalange non svoltò l’angolo, ma si appiattì contro il muro del palazzo, osservando con i vigili occhi grigi i movimenti di Claude Renard, il quale invece, l’angolo l’aveva svoltato da un pezzo e si stava dirigendo a passi rapidi verso uno squallido edificio.
Jean Michael lo vide suonare alla porta e attendere: gli aprì una giovane donna, dai lunghi capelli color dell’ebano. 
Capelli quasi neri, proprio come quello che mia zia ha trovato sul fazzoletto! pensò il ragazzo, trionfante. Aveva ragione lei, questi due sono amanti!
Ipotesi che fu confermata quando la donna attirò Claude all’interno, in un modo appassionato che a Jean Michael non sfuggì. 
Non vide il bacio che si scambiarono, ma poté facilmente immaginarlo.
Quando fu sicuro di non essere visto si avvicinò al palazzo e ne memorizzò l’indirizzo: Rue Clovis, 32.
E se non si sbagliava di grosso, la donna che aveva appena visto era madmoiselle Fleur Boyer.
F e B, per l’appunto.
L’amante di Claude Renard, il fidanzato di sua cugina!
Quel pensiero spazzò via ogni traccia di gioia infantile dal cuore di Jan Michael.
Che si trattasse soltanto di una scappatella? No, non lo credeva, perché altrimenti Claude non avrebbe avuto con sé il fazzoletto di madmoiselle Boyer.
Se Claude aveva un’amante, cioè, se era infedele alla sua fidanzata, doveva pagare con il sangue.
Jacqueline non aveva un padre o un fratello che potessero assolvere a quel compito. Toccava a lui sfidare a duello il colpevole e vendicare l’onore della cugina.
Jean Michael si allontanò dal numero 32 di Rue Clovis con il cuore pesante: l’indomani, prima delle dieci avrebbe parlato alla marchesa e le avrebbe detto tutto ciò che aveva scoperto. Poi avrebbe raggiunto Claude Renard e avrebbe lanciato la sua sfida. Prima però, avrebbe fatto in modo che Jacqueline non sentisse e per questo aveva bisogno dell’aiuto di Elnoire.
Ci avrebbero pensato le donne a dire la verità alla povera Jacqueline. Lui avrebbe fatto il suo dovere di uomo d’onore e l'avrebbe vendicata.






Buonagiorno a tutti! Sono tornata subito con il capitolo tre e mi auguro che vi sia piaciuto! Sto scrivendo di getto questa storia per sfogare la tensione in un momento un po' difficile per me e devo ammettere che mi sta aiutando molto. Ecco perché penso proprio che aggiornerò presto!
Gi tengo a ringraziare le tre persone che hanno recensito: Camilla L, Dills Nightmare e Roweena e anche coloro che hanno messo la storia in qualche lista!
Allora, adesso abbiamo alcuni elementi importanti: Jeannette inizia a riprendersi, anche se soffre ancora moltissimo; Jacqueline è tradita e suo cugino vuole vendicarla... ma il perfido Claude non è uno sprovveduto e non sarà facile fargliela pagare; Henri invece? Che ne sarà di Henri? Nel frattempo ho aggiunto una piccola indicazione nel primo capitolo: il ricevimento in casa de Chalange si svolge la sera del 10 luglio 1896.
Arrivederci al prossimo capitolo!!!
Un bacione
Niniane
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***




 
Capitolo IV


Madmoiselle  Jacqueline Ophelie de Chalange aveva notato fin dal risveglio che in casa si respirava un’aria di sottile mistero: aveva sentito Elenoire che usciva quatta quatta dalla sua stanza molto più presto del solito; a colazione sua madre aveva parlato pochissimo; infine, suo cugino Jean Michael era atteso, per ragioni a lei ignote.
Aveva chiesto un paio di volte alla marchesa se andava tutto bene e aveva ricevuto solo risposte positive, per cui aveva rinunciato a fare domande, ma non si sentiva tranquilla.
Forse Claude avrebbe saputo dirle qualcosa… era soprattutto la visita di suo cugino a sconcertarla: non era da lui farsi vedere per due giorni di fila. E poi Elenoire: sua sorella le stava certamente nascondendo qualcosa e in realtà moriva dalla voglia di dirle che cosa, Jacqueline la conosceva troppo bene per non accorgersi di questo.
Resa perplessa da quella strana atmosfera, Jacqueline finì di vestirsi: avrebbe indossato l’abito azzurro pallido, il preferito di Claude, il quale le diceva sempre che con quel vestito sembrava un angelo. A Jacqueline piaceva in particolar modo il contrasto dato dal colore della seta con i suoi capelli, che apparivano schiariti, quasi biondi.
Aspettava Claude per le dieci e lui arrivò puntualissimo. Non era previsto nulla di particolare quella mattina, soltanto una tranquilla passeggiata. A sera invece sarebbero andati a teatro con la marchesa ed Elenoire: Jacqueline non vedeva l’ora, le piaceva moltissimo uscire nelle sere d’estate, vedere Parigi risplendere di luci e passeggiare per le vie alberate, magari dopo gli spettacoli.
Accolse il suo fidanzato con il consueto entusiasmo: ogni volta che lo vedeva, faticava a contenere la sua gioia. Sua madre avrebbe avuto in eterno la sua gratitudine per aver consentito al matrimonio: se si fosse irrigidita, Jacqueline avrebbe pianto probabilmente per il resto dei suoi giorni.
Si era innamorata di Claude non appena l’aveva visto, nel salotto del marchese Maximillen de Blanchard. Allora erano tutti giovani e spensierati, soprattutto Jeannette, che stava per sposarsi proprio con il marchese, poverina… Jacqueline non riusciva proprio a spiegarsi la fuga di Maximillen e la sua prolungata assenza.
Sulle prime aveva creduto che il bellissimo Claude la trovasse insignificante, ma poi, proprio il marchese de Blanchard le aveva fatto sapere, tramite Jeannette, che non era affatto così, che anzi monsieur Renard era rimasto incantato dalla sua bellezza e dai suoi modi semplici e dolci.
Jacqueline aveva allora pregato la contessina de Meunier di farle incontrare ancora il giovane e Jeannette si era data prontamente da fare, organizzando piccoli ricevimenti, uscite in comitiva, riunioni e dibattiti nel suo salotto ai quali aveva fatto intervenire entrambi gli amici.
Poi era avvenuto lo scandalo del matrimonio mancato: Jacqueline ricordava fin troppo bene l’ansia e lo smarrimento della sposa, mentre tutti si davano da fare per cercare lo sposo, che sembrava scomparso nel nulla. Dopo quell'infausto giorno, Jeannette era a sua volta scomparsa, risucchiata nel buio della sua stessa stanza: la duchessina de Chalange era andata a trovarla un paio di volte, ma l'amica rifiutava le visite e la compagnia, per cui Jacqueline aveva infine rinunciato.
Ciò nonostante, non aveva perso i contatti con Claude, il quale aveva addirittura trovato il coraggio (o piuttosto, l’impudenza) di presentarsi a casa sua per una breve e formale visita. Da lì alla dichiarazione d’amore il passo era stato molto breve, ma ci erano voluti molti mesi perché sua madre acconsentisse al matrimonio: Jacqueline arrossiva ancora nel ripensare ai rari incontri clandestini che aveva avuto con il suo innamorato… non era da lei disobbedire o essere ribelle, ma l’amore, si sa, può stravolgere il modo di pensare anche della persona più posata e ragionevole.
Ora, fortunatamente, quei tempi erano passati, ogni suo incontro con Claude avveniva alla luce del sole e sotto lo sguardo benevolo di sua madre.
- Come stai oggi, mia cara? – le chiese Claude, chinandosi a baciarla.
- Molto bene. E tu? Ci sono novità?
- Le solite scartoffie burocratiche… sai com’è, ci vuole sempre del tempo per queste cose. Entro questo mese, comunque dovrei aver ereditato l’intero patrimonio.
- Ne sono felice. Credi… credi che potremmo andare a vivere nella casa del conte?
- Appunto di questo volevo parlarti, tesoro: erediterò anche la casa, perciò naturalmente vorrei che andassimo ad abitare lì. E’ una casa bellissima, sono certo che ti piacerà.
Jacqueline sorrise: - Mi piacerà soprattutto perché mi permetterà di andar via da qui… certo, tornerei spesso a trovare mia madre e mia sorella, ma l’idea di continuare ad abitare con loro dopo il matrimonio non mi convinceva. – Arrossì e aggiunse – Non avremmo mai un momento… insomma…
Claude la prese tra le braccia: - Amore mio, neanche a me faceva impazzire l’idea di venire a vivere qui. Tua sorella non ci darebbe un attimo di tregua e tua madre… beh, lei è tua madre, è naturale che voglia averti vicina e poterti parlare ogni giorno, ma è giusto che due sposi abbiamo la loro intimità. Nella casa del conte de Rolland nessuno ci disturberà…
- Jacqueline!
I due fidanzati sussultarono, colti di sorpresa e il bacio che stavano per scambiarsi rimase sospeso nell'aria. Elenoire il osservava a lieve distanza, insolitamente seria.
- Cosa c’è? – chiese Jacqueline un po’ scocciata, mentre i suoi occhi chiedevano tacitamente alla sorella di allontanarsi immediatamente.
- Devi venire in casa. – rispose questa, imperturbabile – Mamma vuole parlarti. Da sola.
Jacqueline si voltò verso Claude, guardandolo con aria di scusa. Il giovane sorrise con sforzo:
- Non importa, cara, vai pure, ti aspetterò qui.
E Jacqueline si allontanò da lui, con la strana sensazione che avrebbe fatto meglio a restare.


 
- Claude Renard! Io ti sfido a duello!
Con un sussulto, Claude Laurent Renard si girò nella direzione da cui proveniva la voce. Che diavolo stava succedendo?
Allora lo vide: il duca Jean Michael de Chalange avanzava verso di lui, serio e deciso come non l’aveva mai visto.
Sinceramente perplesso, Claude chiese, educatamente e misurando le parole:
- Duca, che offesa vi ho recato perché voi mi sfidiate?
Il giovane de Chalange continuò ad avanzare: era più basso di Claude di almeno tutta la testa, e di solito si comportava in modo cordiale e amichevole, ma in quel momento, la sua espressione faceva intendere che non stava affatto scherzando.
Cosa posso avergli fatto? si chiese monsieur Renard, preoccupato Siamo andati d’accordo fino a ieri!
Fu presto detto.
- Non è me che avete offeso, ma mia cugina, la duchessina Jacqueline!
Questa è bella! pensò Claude, divertito. Il giovanotto sta vaneggiando.
- In che modo l’avrei offesa, scusate? – chiese ancora, con garbo – Non ricordo di averle mai mancato di rispetto e se per caso dovessi averlo fatto, non ne ho mai avuto l’intenzione.
- Ah, quindi, secondo voi avere un’amante non è una mancanza di rispetto?
Oh, diavolo! Ecco spiegato il mistero.
Ma come diamine aveva fatto Jean Micheal a scoprire l’esistenza di Fleur?
- Avete perduto questo fazzoletto, monsieur. – spiegò candidamente il giovane duca, tirando fuori un pezzo di stoffa rossa che Claude riconobbe con orrore come uno dei fazzoletti della modella – Non è vostro, né di Jacqueline, né di un membro della famiglia de Chalange. Quindi di chi è? Semplice, della vostra amante, che se non ricordo male si chiama Fleur Boyer e abita al numero 32 di Rue Clovis. E’ esatto?
Devo negare fino all’ultimo, maledizione, ne va del mio matrimonio!  si disse Claude, agitato. Le cose si stanno mettendo male.
- Questa è una turpe calunnia, duca! – affermò con finta sicurezza – Il nome di questa signora mi è ignoto, come lo è il fazzoletto. Qualcuno ha cercato di gettare discredito su di me con queste dicerie.
Jean Michael scoppiò a ridere: 
- Sono dolente, signore, ma non vi credo. Ieri, dopo che la marchesa mi ha mostrato questo fazzoletto, io vi ho seguito e vi ho visto entrare in casa di madmoiselle Boyer. E non venitemi a raccontare che è la vostra cara sorella adottiva o una qualche storia del genere, perché ho potuto osservare il modo in cui lei vi ha fatto entrare ed era tutt’altro che fraterno!
Gli occhi verdi di Claude si ridussero a due fessure.
- Mi avete spiato! – disse in tono accusatorio.
- L?ho fatto per mia cugina. – replicò il duca, impassibile – Voglio bene a Jacqueline. Non posso dire altrettanto di voi, purtroppo. Ditemi: Jacqueline è bella, dolce, intelligente, colta e sensibile… non vi basta? Pur avendo accanto una fidanzata come lei avevate bisogno di un’altra donna? 
Oh, siano maledette tutte le donne! pensò Claude, furente. Doveva essere stata quella stupida di Fleur a mettergli in tasca quel fazzoletto, ci avrebbe scommesso la testa! Ma cosa credeva di fare, quella ragazza, rovinargli la reputazione? L’avrebbe conciata per le feste.
Prima però doveva liberarsi di Jean Michael, ma come fare se tutte le prove erano contro di lui?
- Va bene, duca, avete vinto. – disse, in tono conciliante – Non nego di avere una relazione con madmoiselle Boyer, ma intendevo troncarla, non voglio essere infedele alla mia futura moglie. Volete credermi e lasciar perdere questa storia del duello?
- Nemmeno per idea! – s’inalberò l’altro – Intendo vendicare l’onore di Jacqueline! Se non siete un codardo, fatevi trovare domattina all’alba sulla strada che porta a Passy. A dieci miglia da qui, sulla sinistra, c’è una spianata che è un luogo ideale… per un duello.
- Molto bene. – si arrese Claude – Verrò e porterò le pistole. Posso pregarvi di una cosa soltanto? Non dite niente a Jacqueline… per favore… ne soffrirebbe troppo…
Jean Michael lo guardò a lungo attentamente con i suoi occhi grigi e penetranti.
- E va bene. – concesse – Non le dirò nulla. Ma non lo faccio per voi.
- Grazie comunque. A domani.
- A domani.
Claude si allontanò in fretta da casa de Chalange: la sua mente lavorava frenetica.
Con un po’ di fortuna, l’indomani l'intera faccenda si sarebbe risolta a suo favore.


 
Jean Michael aveva appena varcato la soglia, quando qualcuno lo strattonò per la manica e lo trascinò dentro un piccolo ripostiglio adiacente all’ingresso.
- Allora? – chiese Elenoire, sollecita.
- Ha ammesso la sua colpa. – rispose il duca, divertito dall'atteggiamento della cuginetta – All’inizio ha cercato di negare, ma le prove erano tutte contro di lui. Poi ha tentato di farmi credere che intende troncare la relazione con quella Boyer… mi mangio il cappello se c’era solo mezza parola di vero!
- Adesso che facciamo? Mamma sta parlando con Jacqueline… le sta dicendo tutto.
Jean Michael si fece serio.
- Allora dovremmo andare da lei anche noi.
In quel momento un lungo grido di dolore li fece sussultare: Elenoire e Jean Michael si lanciarono un’occhiata significativa e si precipitarono fuori dallo stanzino.
Trovarono Jacqueline che piangeva tra le braccia di sua madre e fu sufficiente uno sguardo della marchesa perché capissero che le aveva appena svelato la verità.


 
Fleur Boyer era a letto. Quel giorno, infatti aveva il pomeriggio libero e intendeva goderselo pienamente. Claude sarebbe tornato a sera.
Doveva ammettere che nonostante le rassicurazioni del giovane, la faccenda del duello la impensieriva parecchio. Aveva cercato di nasconderlo, perché sapeva che Claude aveva il terrore delle lacrime e delle lamentele, ma non poteva fare a meno di chiedersi se il piccolo duca de Chalange fosse così imbranato con la pistola. Certo, Claude era un tiratore eccellente…ucciderlo non sarebbe mai stato facile per nessuno, eppure…
In realtà, Fleur avrebbe fatto meglio a non preoccuparsi per il suo temerario amante: Claude si era talmente arrabbiato con lei per la storia del fazzoletto, le aveva mosso tali e tante accuse che non avrebbe avuto molto senso stare in ansia per lui. Fleur aveva cercato di spiegargli che non quando gli aveva messo in tasca il fazzoletto non l'aveva fatto per creargli guai con la sua fidanzata, ma solo per gioco, ma lui non le aveva nemmeno creduto. Avevano litigato furiosamente come non mai, erano volati perfino un paio di schiaffi da ambo le parti e poi Claude se n'era andato borbottando qualcosa sul fatto che sarebbe tornato presto.
Chissà se sarebbe riapparso veramente a sera: infondo Fleur sperava di sì. Claude era tutto ciò che aveva, l'unica cosa bella che la vita le aveva portato. E lei non voleva che finisse ammazzato in duello.
Dovevano essere circa le quattro, quando suonarono alla porta. Annoiata, Fleur si alzò e andò ad aprire, già pronta a declinare qualche invito o qualche stupida e inutile proposta di lavoro.
Invece, si trovò faccia a faccia con una giovane ragazza bionda, vestita in modo molto elegante. Non poteva avere più di quattordici o quindici anni.
- Sì? – chiese Fleur, sorpresa – Desiderate? Vi siete persa, per caso?
La ragazza scosse il capo.
- Siete voi madmoiselle Fleur Boyer?
- Sono io…
Mezzo secondo dopo un violento schiaffo la colpì in pieno volto.
- Sgualdrina e ladra! – urlò la ragazzina.
Fleur si toccò la guancia, sbalordita.
Poi capì: quella era la duchessina de Chalange… l’altra, la piccola!
Ma che ci faceva lì? E come si permetteva?
Prese la fanciulla per un braccio e la trascinò dentro casa, chiudendo con rabbia la porta.
- Stammi a sentire, sciocchina! – le disse in tono minaccioso, mettendola con le spalle contro il muro. Oh, erano così leggere quelle duchessine, con i loro begli abiti bianchi, sembravano fatte d’aria o di carta, invece che di carne – Non ti gonfio di sberle solo perché non voglio avere guai. Invece ti darò un consiglio: anziché preoccuparti di insultare me, faresti meglio a pensare al tuo povero cugino. Non sai che Claude lo ucciderà certamente, domani?
La ragazzina sbiancò, con grande sooddisfazione della modella.
- Claude ucciderà Jean Michael? – balbettò – Perché?
Fleur rise: - Non lo sai? Il tuo cuginetto l’ha sfidato a duello per vendicare l’onore della tua adorabile sorellina. In realtà sarebbe una sfida segreta, nessuno dei due voleva ferire più del dovuto la povera, dolce Jacqueline. Peccato che Claude sia un tiratore mille volte migliore del piccolo duca. Fossi in te, correrei da tua madre e la pregherei di impedire lo scontro. Non vorrai perdere il tuo Jean Michael, vero?
Gli occhi castani della duchessina erano colmi di terrore, ma fu con una certa dose di spavalderia che la piccola rispose:
- Jean Michael è un ottimo tiratore! Sei tu che hai paura di perdere il tuo amante!
- Non sai quello che dici, madmoiselle. – replicò Fleur, sarcastica trascinandola di nuovo verso la porta – Ora va’, sparisci, sciò! E sbrigati a tornare a casa, le strade sono pericolose!
Madmoiselle Elenoire Denise de Chalange scappò via a gambe levate.


 
Il sole non era ancora sorto all’orizzonte quando Claude arrivò all’appuntamento e questo era un dettaglio importante: la luce dell’alba, infatti, avrebbe potuto abbagliare i duellanti. L’amico Gerard gli avrebbe fatto da secondo; ignorava chi avrebbe scelto il suo avversario per quel ruolo.
Il duca de Chalange arrivò poco dopo, insieme a un giovane che Claude non conosceva, probabilmente un signorino del suo stesso rango.
Seguendo le istruzioni dei loro compagni, i due uomini si misero schiena contro schiena e da lì cominciarono a contare dieci passi.
Ma erano arrivati all’otto quando si udì il nitrito di un cavallo al galoppo e una voce femminile urlò:
- Fermatevi!






Ciao a tutti e ben ritrovati! Nonostante la brutta influenza che mi sono beccata, sono riuscita ad aggiornare! Questo capitolo mi ha divertita molto, spero sia stato lo stesso anche per voi! Io direi: tre evviva per Jean Michael!
Grazie di nuovo a tutti coloro che mi stanno seguendo!
Un bacione e a presto, penso uno dei prossimi giorni, con l'aggiornamento!
Niniane
  

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***




 
Capitolo V



Henri Sebastian Dupois stava rincasando, dopo una giornata particolarmente faticosa: insegnare in una scuola pubblica non era certo facile e stimolante come fare da precettore a uno o due allievi ed era molto più stancante. Tuttavia, Henri doveva considerarsi fortunato ad aver ottenuto quel posto: non poteva aspettarsi di avere un altro colpo di fortuna, come gli era capitato con le duchessine de Chalange, perché erano ormai poche le famiglie che decidevano di istruire i figli a casa. I collegi e le scuole di ogni genere fiorivano a Parigi: la marchesa de Leclerc era forse l’unica nobildonna che negli ultimi anni avesse deciso di tenere a casa la sue bambine.
Elenoire e Jacqueline avevano avuto un anziano precettore per qualche anno, poi un infarto se l’era portato via e la marchesa era stata molto severa e attenta nella scelta del sostituto: per Henri era stata una sorpresa enorme quando gli aveva comunicato che intendeva dare a lui l’incarico di completare l’istruzione delle sue figlie. All’epoca, infatti, aveva appena vent’anni e nessuna esperienza. Eppure la marchesa doveva aver visto in lui delle qualità spiccate, altrimenti non l’avrebbe mai assunto.
Così era iniziata la sua permanenza in casa de Chalange: Jacqueline aveva undici anni ed era una ragazzina timida e dolce; Elenoire ne aveva nove ed era più vivace ed estrosa. Entrambe erano intelligenti e molto studiose, anche se d’estate era difficile trattenerle in casa a fare i compiti. Henri ricordò con un sorriso i giorni assolati in cui entrambe le bimbe lo guardavano con occhi supplichevoli e riuscivano a indurlo a non dar loro troppo lavoro. Poi correvano in giardino felici e finalmente libere di poter giocare.
Era rimasto in quella casa per cinque anni e anche se sapeva che non avrebbe dovuto si era affezionato a entrambe le fanciulle, ma era stato solo quando Jacqueline aveva avuto sedici anni che Henri aveva capito con sgomento di essere innamorato di lei.
Non l’aveva fatto apposta e sapeva di non avere speranze: Jacqueline era troppo per lui. Eppure in un paio di occasioni aveva avuto l’impressione che i suoi sentimenti fossero ricambiati. Jacqueline era così dolce, così trasparente… non era capace di mentire, soprattutto con i suoi begli occhi castani e Henri era certo di aver letto qualcosa in essi. Qualcosa che somigliava molto all’amore e al desiderio. Si era perciò abbandonato a un sogno impossibile, anche se in ogni momento aveva cercato di ripetersi che tra lui e Jacqueline non poteva esserci nulla.
La marchesa doveva aver fiutato qualcosa, purtroppo, perché un giorno lo aveva convocato nello studio el defunto marito e gli aveva comunicato che desiderava che desse lezioni solo alla figlia minore, fino all’anno seguente: Jacqueline era infatti pronta per entrare in società e non aveva più senso farla studiare. Elenoire avrebbe potuto continuare ancora per un po’, poi anche per lei sarebbe giunto il momento di seguire le orme della sorella.
Henri aveva accettato le condizioni della padrona di casa con il cuore a pezzi: lo faceva soffrire enormemente l’idea di separarsi da Jacqueline e gli dispiaceva anche perdere Elenoire. Sapeva che una volta uscito da quella casa, le ragazze si sarebbero ben presto dimenticate della sua esistenza o, se avessero pensato a lui in futuro, l’avrebbero ricordato solo come il loro precettore.
Ciononostante aveva continuato a svolgere il suo lavoro fino all’ultimo giorno, senza mai mostrarsi addolorato o arrabbiato con le sue allieve. Al momento di salutarsi aveva baciato la mano di Jacqueline senza lasciar trasparire alcuna emozione e aveva abbracciato delicatamente Elenoire: delle due sorelle, la prima era rimasta impassibile, la seconda invece era parsa sinceramente afflitta per quella separazione. Henri non dubitava che anche Jacqueline, almeno in quel momento avesse sofferto: sapeva che doveva essersi comportata così per nascondere i suoi veri sentimenti.
Ah, se solo fosse stato il conte Henri Sebastian de Rolland e non semplicemente monsieur Henri Dupois! Allora avrebbe potuto frequentare la sua amata in società e chiedere la sua mano. La marchesa avrebbe sicuramente acconsentito. Invece il destino aveva voluto che lui rimanesse nell’ombra, mentre quel bastardo di Claude Renard seduceva e poi abbandonava la povera duchessina.
Maledetto! pensò Henri con rabbia. Se non fosse perché tu esisti adesso io avrei tutto ciò che desidero.
Erano passati tre mesi dalla rottura del fidanzamento tra Renard e Jacqueline. Henri aveva sentito voci discordi sul perché dell’accaduto, ma non ci aveva messo molto a intuire la verità: Claude era stato infedele alla fidanzata e giustamente la marchesa l’aveva allontanato. In molti erano convinti che Jacqueline non avrebbe dovuto prendersela tanto, cos’era una scappatella, infondo? Un matrimonio poteva funzionare benissimo lo stesso. Henri però approvava con tutto il cuore la scelta di madame de Leclerc; approvava anche il coraggio della piccola Elenoire che addirittura era andata di persona a dire all’amante di Claude quello che si meritava… peccato che poi avesse anche impedito al cugino di far fuori il colpevole giovanotto, rivelando alla sorella che i due si erano sfidati a duello. Jacqueline era saltata in groppa al suo cavallo, alle cinque del mattino e si era precipitata all’inseguimento del piccolo duca de Chalange, scongiurando lo scontro.
Avresti dovuto lasciare che risolvessero la cosa tra loro, piccola mia… pensò Henri, scuotendo il capo.
Quella storia aveva fatto il giro di Parigi e aveva subito via via alcune modifiche, ma qualunque cosa fosse successo realmente, di una cosa Henri era certo: se ci fosse stato lui al posto di Claude non avrebbe voluto un’amante e non si sarebbe mai lasciato sfuggire dalle mani una ragazza come Jacqueline. Di tanto in tanto incontrava il giovane, per le vie di Parigi e doveva resistere all’impulso di prenderlo a calci. Quanto lo odiava! E allo stesso tempo lo invidiava: le doti di Claude Renard avrebbero potuto dare frutti davvero buoni se fossero state impiegate in modo migliore che non nella seduzione di una fanciulla innocente.
Henri aprì di malavoglia la porta del suo appartamento. Sapeva che era inutile rimuginare ancora: ormai Claude era a un passo dal diventare un ottimo partito per qualunque signorina dell’alta società. L’eredità del conte de Rolland stava a poco a poco affluendo nelle sue tasche e poco importava che avesse perso l’appoggio della famiglia de Chalange; tempo qualche mese e avrebbe senz’altro trovato qualcun’altra disposta a sposarlo. Avrebbe inventato una storia lacrimevole sul suo pentimento e avrebbe commosso un’altra Jacqueline.
L’unica consolazione di Henri era che almeno la "sua" Jacqueline era al sicuro: avrebbe sicuramente trovato un altro uomo, migliore di Claude.
Una magra consolazione certo, ma ormai Henri stava imparando ad accontentarsi. 


 
Da qualche tempo, al palazzo dei conti de Meunier, l’atmosfera era sempre gaia e serena. Il motivo era molto semplice: la contessina Jeannette stava finalmente superando la lunga depressione in cui era piombata dopo lo scandalo. La signorina aveva ripreso a mangiare con regolarità, a lavarsi ogni giorno, a indossare i suoi abiti più belli e riusciva a trascorrere un’ora o quasi fuori casa tutti i pomeriggi. Non aveva ancora avuto il coraggio di varcare il cancello e uscire nel vero senso della parola, ma il dottore, monsieur Julien Gaillard era dell’opinione che fosse ancora troppo presto. Jeannette aveva già fatto tanti progressi, sarebbe stato sciocco imporle anche di farsi vedere in mezzo alla gente, se ancora non se la sentiva. 
Il medico continuava a visitarla quasi ogni giorno, ma quelle visite si stavano progressivamente trasformando in semplici colloqui, nei quali l’infelice Jeannette gli confidava i suoi pensieri e il suo stato d’animo. La più grande preoccupazione di monsieur Gaillard era che la fanciulla non riusciva ancora a rinunciare al vizio del bere, quando si sentiva particolarmente affranta: Jeannette gli assicurava che si stava sforzando al massimo, ma finché non avesse superato del tutto quella dipendenza, il dottore non intendeva smettere di tenerla d’occhio. 
Tra i due, a dire il vero, si stava instaurando una vera amicizia: Jeannette si era tanto estraniata dal mondo, da perdere di vista tutte le sue conoscenze e il dottore era la persona che più le era stata accanto. O meglio, era l’unica persona a cui lei avesse consentito di avvicinarsi. Fu con molta naturalezza che Jeannette prese a chiamarlo per nome, quand’erano soli e con altrettanta naturalezza gli chiese di fare la stessa cosa con lei.
Julien Gaillard era un bell’uomo, non più giovanissimo, ma dotato di notevole fascino. Aveva occhi e capelli scuri, la carnagione ambrata e un fisico asciutto. Ogni volta che entrava in casa de Meunier, le domestiche, le cameriere, le cuoche facevano a gara per sbirciarlo, mentre percorreva i corridoi che ormai conosceva a memoria fino alla camera della sua paziente. Era una persona che ispirava sicurezza e un medico dotato di esperienza, perciò i padroni di casa avevano fiducia in lui. Se così non fosse stato, non avrebbe potuto vedere Jeannette tanto spesso e parlare con lei tanto a lungo.
Un po’ alla volta iniziò a riferirle i pettegolezzi che sentiva in città, oppure le ultime notizie sull’esposizione universale. Tra i racconti che le fece ci fu anche quello della rottura del fidanzamento della duchessina de Chalange: in quell’occasione la contessina si mostrò particolarmente attenta e partecipe, forse perché la disavventura della sua giovane amica le ricordava il suo matrimonio mancato.
- E pensare che li ho presentati io! – commentò, sconsolata – Credevo che Claude fosse un bravo ragazzo!
- Ha un carattere molto leggero temo. – rispose monsieur Gaillard – O molto astuto.
- Opterei per la seconda ipotesi. – disse Jeannette – E’ un furbo, senz’altro. Lo diceva anche Maximillen, che pure era suo amico.
Fu una sorpresa per il dottore sentirla nominare il fidanzato senza che a questo seguisse uno scoppio di pianto o una crisi isterica. Jeannette stava davvero migliorando.
- Spero che uno dei prossimi giorni avrete voglia di fare una passeggiata. - le disse con cautela, approfittando dell'occasione propizia - L’autunno volge al termine e sarebbe un peccato che vi perdeste quest’ultimo tiepido sole.
Jeannette rabbrividì.
- Non saprei dove andare. – obiettò, subito timorosa.
Julien Gaillard sorrise, rassicurante: - Non serve andare chissà dove. Basteranno pochi passi, la prima volta. Vi accompagnerò io… e vostra madre, naturalmente.
La fanciulla si morse il labbro inferiore, incerta.
- E va bene. – accondiscese infine – Ma solo pochi passi e solo se voi sarete con me.
Il medico sorrise, esultando dentro di sé per la piccola vittoria appena ottenuta.
- Vi prometto che verrò con voi, Jeannette. Sono certo che vostra madre non avrà nulla in contrario.
Fu così che il giorno seguente, la contessina de Meunier lasciò per la prima volta dopo tanti mesi la sua casa per una breve, ma salutare passeggiata.
La tenevano sottobraccio la madre, la contessa Danielle de Meunier e il suo medico, Julien Aubert Gaillard.


 
La luce filtrava appena attraverso le tende della stanza. Era ormai sera e il pallido sole autunnale se ne stava andando.
Sul letto, coperti soltanto da candide lenzuola, Claude e Fleur si scambiavano tenere effusioni, i corpi intrecciati come rami d’albero. 
Era la prima volta che si vedevano dopo tre mesi di lontanaza: infatti, a seguito del guaio con la duchessina de Chalange, Claude aveva pregato la sua amante di attendere e di mantenere la massima discrezione finché le acque non si fossero un po’ calmate.
Nel frattempo aveva sbrigato alcuni affari… e aveva ereditato tutte le sostanze del defunto conte de Rolland. Il denaro, il palazzo, la residenza di campagna, ogni cosa che era appartenuta al suo lontano zio adesso era sua. 
L?alta società parigina era molto incuriosita dal suo successo e dalla sua ascesa sociale e Claude non dubitava che presto avrebbe potuto tornare a mostrarsi in pubblico senza temere che si parlasse male di lui: da personaggio eccentrico qual era, sapeva che la sua vita avventurosa avrebbe attirato più consensi che critiche e che tutti avrebbero finito col dimenticare la sua condotta non proprio irreprensibile durante il periodo in cui era stato fidanzato a Jacqueline de Chalange. Avrebbe trovato senz’altro un’altra fidanzata, magari più matura e forte della prima. Bastava cercare con attenzione, Parigi pullulava di fanciulle in età da marito.
Fleur aveva accettato con coraggio la sua decisione e per una volta non aveva fatto storie, ma nonostante il sollievo per questo suo nuovo atteggiamento remissivo, Claude si era sorpreso a desiderarla intensamente nei mesi in cui le era stato lontano: forse perché, dopotutto, era l’unica donna che lo conoscesse davvero bene.
Finalmente era tornato da lei, in quel pomeriggio di ottobre e quando la porta si era aperta non le aveva nemmeno dato il tempo di parlare: l’aveva baciata furiosamente, presa in braccio e portata di peso sul letto. Avevano fatto l’amore in silenzio, per ore, fino a quando il reciproco desiderio non si era saziato.
Solo allora Fleur, stanca e felice, gli aveva chiesto di raccontarle cos’avesse fatto in quei mesi: avevano parlato a lungo, riso anche, soprattutto della sciocca Elenoire de Chalange. Claude non poteva fare a meno di trovare comico il modo in cui la piccola peste aveva mollato uno schiaffo a Fleur, anche se si era sforzato di apparire serio e contrito davanti alla costernazione della sua donna.
Dopo aver parlato si amarono di nuovo, con ancor più passione di prima.
Ma ad un tratto Fleur si fece molto seria.
- Claude? – sussurrò contro le labbra del giovane.
- Dimmi. – mormorò lui, baciandola teneramente.
- So che non dovrei… so che è stupido… ma…
- Ma? – Claude sorrise, divertito.
- Io ti amo.


 
Elenoire de Chalange era in camera sua e scriveva a velocità forsennata nel suo diario.
Anche se a quell’ora avrebbe dovuto essere a letto, non aveva nessuna voglia di dormire. Jacqueline stava ancora piangendo nell’altra stanza… come tutte le sere. Elenoire si chiedeva si sua sorella avrebbe mai superato lo shock per il tradimento di Claude.
Con un sospiro si alzò e uscì, chiedendosi come avrebbe potuto consolarla, questa volta. Avvicinò l’orecchio all’uscio della camera di Jacqueline e sentì distintamente i singhiozzi che provenivano dall'interno.
Il suo stupore fu enorme quando, d'improvviso udì la sorella pronunciare distintamente una parola. Un nome.
- Henri!
Elenoire trattenne a stento un'esclamazione di meraviglia e corse di nuovo in camera sua, emozionantissima. 
Se Jacqueline pensava ad Henri nel momento del dolere significava che non aveva dimenticato l’uomo che era stato davvero innamorato di lei e che forse, chissà, ancora l’amava! 
Henri è nel suo cuore. si disse Elenoire, intenerita. Come Jean Michael è nel mio…




Buonasera a tutti, anzi mi sa che devo dire buonanotte! Sono così felice di aver aggiornato! Non so se si è capito, ma adoro Henri! Adoro anche Elenoire, il cugino Jean Michael e la povera Jeannette, mentre invece detesto Fleur e Claude soprattutto quando sono insieme. Dovete sapere che i personaggi di questa storia non danno retta agli ordini dell'Autrice... fanno tutto quello che vogliono e i capitoli quasi si scrivono da soli.
Spero che vi siano piaciuti tutti quanti. Vi prego, se potete, di perdere un minuto e darmi il vostro parere... le recensioni aiutano sempre molto gli autori soprattutto se sono mirate!
Un bacione e buonanotte a tutti!
Niniane

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***





 
Capitolo VI


Ottobre se ne andò, cedendo il passo a un burrascoso novembre: Parigi divenne un’immensa pozzanghera, la Senna si gonfiò e con la pioggia e l’umidità arrivarono anche i mali di stagione.
Jeannette de Meunier però non sembrava risentire del clima poco salutare, anzi sembrava addirittura che nebbia, pioggia e scirocco le piacessero: la contessina si sentiva rinascere e non provava più alcuna tristezza nel guardare fuori dalla finestra. Le cure del dottor Gaillard avevano infine fatto effetto e la giovane donna era in ottima salute. Si avvicinava per lei il momento di rientrare in società, una prova difficile, senza dubbio, ma necessaria: non si poteva certo pensare di relegarla in casa per il resto dei suoi giorni, qualsiasi cosa fosse successa in passato, era giusto che Jeannette ricominciasse a vivere. Avrebbe ricordato in eterno la sua disavventura e ne avrebbe senz’altro sofferto, ma se in qualche modo fosse riuscita a ritrovare sé stessa, avrebbe potuto vivere serenamente, se non proprio felicemente.
Nonostante le perplessità del dottore e dei suoi familiari, Jeannette si aggrappava ancora alla speranza di ritrovare il suo promesso sposo. A chi aveva cercato di farla ragionare, dicendole che probabilmente il marchese de Blanchard era morto, o se era vivo, era del tutto irrintracciabile, Jeannette rispondeva con forza che vivo o morto avrebbe fatto in modo di ritrovarlo. Il dottor Gaillard aveva rinunciato ben presto ai tentativi di persuasione, comprendendo che se questa vana speranza teneva in vita la sua paziente, forse era meglio non disilluderla del tutto. Certo, ritrovare il marchese sembrava un’impresa impossibile: era un rampollo di una casata importante, perciò, dopo la sua scomparsa, le ricerche erano state svolte con la massima cura, non solo in Francia, ma anche all’estero. Non erano rari i casi di persone che sparivano senza lasciare più alcuna traccia e il marchese sembrava uno di questi. Jeannette de Meunier si rendeva conto di come, ogni giorno che passava senza averlo ritrovato era un giorno sottratto a ogni ragionevole speranza di riuscirvi, ma non voleva arrendersi. Il suo amore per lui era tanto profondo e grande che la fanciulla arrivava a convincersi di una cosa: se lei era viva, allora doveva esserlo anche lui. Se Maximillen Clément de Blanchard avesse cessato di vivere, anche lei, la sua amata, sarebbe morta, di conseguenza. Non potevano esistere l’uno senza l’altra: Maximillen gliel’aveva detto tante volte e lei ci credeva con tutto il cuore...
Il morale di Jeannette era alto, mentre si preparava ad andare in chiesa, quella domenica: da quando aveva ricominciato a uscire, si era recata molto spesso nella cattedrale di Saint Sulpice e lì aveva ricominciato a pregare come faceva un tempo, con fervore e fiducia nella bontà divina. Le sue preghiere, forse, non erano sempre ortodosse, ma nascevano dal suo cuore martoriato e lei sapeva che in Cielo le avrebbero ascoltate. Jeannette implorava soprattutto la Vergine Maria, di accogliere la sua supplica, e di indicarle dove fosse il suo amore perduto.
Percorrendo in silenzio la navata della grande cattedrale, Jeannette si sentiva serena, sollevata: sarebbe rimasta lì per sempre se avesse potuto, c’era tanta pace in quel luogo! L’immenso organo suonava, grandioso e solenne e la musica si diffondeva in tutto l’edificio, riempiendo l’aria di armonie sublimi e scaldando il cuore della donna. Jeannette si ritrovò a sorridere, mentre ascoltava l’inizio della santa messa. Non era un sorriso felice: era un sorriso di serena rassegnazione... ma era un sorriso bellissimo e qualcuno lo notò.


 
Claude Laurent Renard non era particolarmente religioso e non andava molto spesso a messa. Quella domenica però aveva deciso di andare a Saint Sulpice. Motivo: dare un’occhiata alle donne presenti, in particolare alle fanciulle nobili.
Questa sua impresa aveva rischiato di andare a monte, quando aveva visto entrare nella cattedrale l’intera famiglia de Chalange: la marchesa, sottobraccio al piccolo duca Jean Michael, la pestifera Elenoire e infine la pallida Jacqueline. Claude si era prontamente nascosto dietro una colonna e aveva aspettato che il gruppo si allontanasse. Aveva osservato attentamente l’espressione affranta sul viso di Jacqueline e anche se non avrebbe voluto, non aveva potuto evitare di sentirsi in colpa: non augurava certo a quella poveretta di essere infelice. Anzi, sperava con tutto il cuore che Jacqueline lo dimenticasse in fretta: gli bruciava ancora l’umiliazione subita e non voleva certo incontrare di nuovo il piccolo duca, il quale non era stato affatto contento di veder sfumare la sua vendetta e avrebbe potuto sfidarlo a duello di nuovo… però Jacqueline non aveva alcuna colpa, non era giusto che dovesse soffrire. Claude non era del tutto privo di scrupoli ed era consapevole di aver sfruttato quella ragazza, approfittando della sua innocenza e della sua ingenuità. Sapeva che questo non gli faceva onore e un po’ se ne vergognava, ma gli affari erano affari… Jacqueline avrebbe dovuto essere più scaltra e tenere gli occhi bene aperti, sarebbe stato meglio per lei. Infondo gli si era offerta su un piatto d’argento! Conquistarla era stato talmente facile… povera piccola!
Pensare a lei era ormai inutile, si disse Claude con un’alzata di spalle. Era giunto il momento di dedicarsi a una nuova conquista.
Il giovane percorse molto lentamente la navata destra della cattedrale, evitando accuratamente di avvicinarsi alla famiglia de Chalange. 
Vide molte donne, alcune delle quali gli erano note, altre no. Infine il suo sguardo fu attratto da una giovane dal viso ovale e dai lunghi capelli color mogano, semi nascosti dal velo che le copriva il capo. Era vestita in modo semplice, ma raffinato e non dimostrava più di vent’anni. Doveva essere  appena più vecchia di Jacqueline.
Claude la osservò con attenzione, senza farsi notare e ad un tratto la bella signorina alzò il capo e sorrise. Allora Claude riconobbe con stupore la contessina Jeannette Françoise de Maunier, una sua vecchia conoscenza, la fidanzata di quel poveraccio di Maximillen.
Strano che fosse in chiesa: per quel che aveva sentito dire, era stata malissimo per mesi e non era uscita di casa nemmeno una volta dopo lo scandalo… evidentemente si era ripresa.
Claude continuò a studiarla: era sempre stata molto attraente e aveva un fascino ben diverso dalla dolce bellezza di Jacqueline. Anche adesso era bella, forse appena un po’ dimagrita. L’unica cosa ad essere davvero cambiata in lei era l’espressione del viso: ogni traccia di gaiezza era scomparsa e al suo posto vi si era infissa una mestizia nient’affatto sgradevole. Gli occhi della contessina erano profondi, riflessivi e dolci.
Sì, era bella, pensò Claude stupito. Nonostante tutto quello che aveva passato non si era consumata. Chissà se le storie secondo cui era diventata alcolizzata erano vere.
Forse era giunto il momento di scoprirlo, dopotutto.
La mente di Claude già lavorava frenetica, intessendo un nuovo piano: i conti de Meunier erano forse la coppia più ricca di tutta la città, ma dopo lo scandalo con il marchese de Blanchard e i problemi di salute di Jeannette non potevano fare tanto gli schizzinosi. Era probabile che se qualcuno avesse chiesto la mano della loro povera, sfortunata figliola, avrebbero accettato subito, accontentandosi del fatto che Jeannette non fosse stata disprezzata da tutti: certamente temevano di non riuscire più a darla in sposa. Se lui, Claude, l’avesse corteggiata e avesse fatto capire a tutti di accettarla così com’era, senza pregiudizi, nessuno avrebbe osato contraddirlo. Era un buon partito ed era giovane, sano, attraente. I conti de Meunier non avrebbero avuto nulla da ridire e una volta che avesse sposato Jeannette avrebbe potuto vivere come desiderava, protetto dal nome de Meunier.
Certo, la faccenda di Jacqueline era un grosso ostacolo: lei e Jeannette erano state buone amiche in passato e la contessina avrebbe sicuramente fatto fatica a fidarsi di lui. Avrebbe dovuto agire con molta cautela e sedurla a poco a poco. La fretta, in questo caso, sarebbe stata la sua peggior nemica. 
Al termine della messa le si accostò con garbo.
- Buongiorno, madmoiselle. – disse con tutta la gentilezza di cui era capace – E’ un piacere rivedervi.
Jeannette lo guardò stranita per un momento, come se sentirsi salutare con tanta cortesia fosse stata effettivamente una cosa da tempo dimenticata. Poi i suoi occhi s’illuminarono.
- Monsieur Renard? – chiese incerta – Siete voi?
- Proprio io. – confermò Claude – Come state?
Jeannette assunse improvvisamente un’aria sospettosa, che confermò a Claude quanto fosse diversa da Jacqueline. Non si lasciava ingannare tanto facilmente da una parola gentile.
- Sto bene, grazie. Arrivederci, monsieur. – disse, rigida.
- Arrivederci. – rispose Claude col massimo garbo. Non era il caso di insistere. Come primo incontro non era andato poi così male. Cedette l passo alla signorina che lasciò la cattedrale senza voltarsi indietro, poi seguì il suo esempio. 
Avrebbe dovuto trovare il modo di rivederla, entro una settimana o giù di lì. Non era così difficile, forse aveva già un’idea…

 
 
Henri non sapeva che cosa, di preciso, l’avesse spinto ad andare alla messa domenicale… forse uno slancio di fede? O piuttosto un desiderio inconscio di rivedere una certa persona che senza dubbio sarebbe stata lì? O forse entrambe le cose.
Si era seduto in un angolo, come al solito e si era sforzato di ascoltare. Il suo sguardo però continuava a vagare per la navata, speranzoso.
Infine la vide, circondata da tutta la sua famiglia, come sempre: Jacqueline spiccava in mezzo ai presenti per la sua bellezza, ma Henri notò subito quanto sembrasse infelice.
Tutta colpa del suo fidanzamento andato a rotoli…si disse, sinceramente dispiaciuto.
Chissà se la marchesa stava già pensando di darla in sposa a qualcun altro… probabilmente no. Conoscendola, avrebbe lasciato che il tempo cicatrizzasse il dolore della figlia e non le avrebbe parlato di matrimonio finché Jacqueline non fosse stata decisamente meglio.
Speriamo solo che non si metta in testa di rimanere fedele a Claude per sempre… sarebbe inutile e doloroso per lei e per tutti.
Henri non perse di vista la fanciulla e quando fu giunto il momento di alzarsi ebbe un moto d’incertezza: cosa c'era di male se l’avesse salutata? Per una volta, valeva la pena di rischiare.
Si avvicinò al gruppo dei de Chalange e salutò per prima la marchesa.
- Buongiorno, madame. Come state?
Madame de Leclerc parve sorpresa di vederlo e ricambiò il saluto con un sorriso.
- Buongiorno, monsieur Dupois. E’ un piacere rivedervi. Stiamo bene, grazie.
La piccola Elenoire si fece avanti. Henri notò che era cresciuta di una spanna e che aveva iniziato a indossare abiti da adulta. Era molto graziosa.
- Monsieur Dupois, che bello vedervi! – esclamò, porgendogli la mano – Mi siete mancato, sapete!
- Elenoire! – la riprese con dolcezza la madre.
- Ma è vero, mamma! Mi mancano le sue lezioni, lo sai!
Henri sorrise in modo diplomatico. Le manifestazioni di affetto di Elenoire erano sincere e commoventi, ma non era il caso di irritare la marchesa. Sfiorò la guancia della fanciulla in un gesto paterno, poi si rivolse al cugino.
- Buongiorno, duca. – disse rispettosamente.
Il giovane de Chalange ricambiò con un cenno cortese e prese sottobraccio la marchesa apprestandosi ad uscire.
Solo allora Henri osò guardare Jacqueline che era rimasta indietro, a testa bassa, apparentemente immersa nei propri pensieri.
- Buongiorno, madmoiselle Jacqueline. – mormorò.
La fanciulla alzò gli occhi verso di lui: Henri vi lesse tanto smarrimento e tanta tristezza, ma anche qualcos’altro. Una piccola scintilla di vita, cosa se, nonostante tutto il suo dolore, Jacqueline confidasse ancora nel domani e anche nell' umanità. Henri intuì che la duchessina era contenta di vederlo, anche se forse non se ne rendeva conto o non sapeva come dimostrarglielo e non si offese quando ella si allontanò accennando appena un saluto: sapeva riconoscere la sofferenza e il senso di estraneità nei confronti del mondo che poteva causare. Gli bastò poterla guardare per un momento negli occhi e sentire di non esserle sgradito.
La seguì con lo sguardo, mentre usciva insieme alla sua famiglia, poi con un sospiro fece altrettanto.
Fuori la pioggia era cessata.

 
 
Jacqueline lasciò la chiesa senza quasi accorgersi di dove andava. Se non fosse stato per sua sorella, che la sorvegliava da mattina a sera, un giorno avrebbe probabilmente finito con l’essere investita da una diligenza o da un’automobile tanto era distratta e svagata. Anche quella mattina, per esempio: non riusciva a ricordare di aver accettato di andare in chiesa… eppure doveva averlo fatto, se era lì. Non ricordava neppure di essersi messa quel vestito verde di velluto pesante (anche troppo pesante) né tanto meno di aver infilato il soprabito… eppure doveva aver fatto anche quello. Probabilmente Elenoire l’aveva aiutata a vestirsi, come al solito.
Immersa nei soliti pensieri dolorosi e cupi, Jacqueline non badò alla gente che usciva come lei dalla cattedrale, né al sole che faceva capolino dietro alle nuvole.
Fu solo quando sua madre si fermò davanti alla loro carrozza che Jacqueline comprese.
Henri! Henri era lì! Era vicino!
Cos’era successo? Si erano visti in chiesa, prima. Elenoire aveva detto qualcosa… sulle lezioni…
L’ho a malapena salutato! comprese la duchessina, allarmata. Come ho potuto essere tanto egoista?
Henri!
Quel nome era come un raggio di sole in una giornata tetra, come una cioccolata calda in inverno.
Era stato proprio il ricordo di Henri a sostenerla in quei mesi bui: il ricordo dolce e amaro della loro amicizia, che per lei, ad un certo punto si era trasformata in amore. Il suo primo amore.
Henri serviva a ricordarle che al mondo esistevano uomini buoni, onesti, sinceri e leali. Non c’erano solo gli ipocriti, gli insensibili, come Claude, che l’aveva usata crudelmente e le aveva fatto credere di amarla.
No, Henri era l’esatto opposto e non meritava di essere ignorato! Anzi, doveva parlargli, subito! Henri avrebbe capito, ne era certa.
Agitata, Jacqueline si guardò intorno, cercando con lo sguardo il suo precettore.
Dio ti prego, fa che sia ancora qui…
- Jacqueline, dai sali! – le disse affettuosamente Jean Michael, vedendola esitare.
La duchessina continuò a volgere lo sguardo intorno, poi d'un tratto si voltò verso di lui e gli sorrise, radiosa.
L'aveva visto! Aveva visto Henri, a pochi metri da lì.
- Arrivo subito! – disse con gioia, sorprendendo il cugino – Aspettatemi un momento!
E senza curarsi delle manifestazioni di sorpresa dei suoi cari spiccò una corsa per raggiungere il giovane.
Henri, che si stava dirigendo in tutt'altra direzione, dovette sentirla arrivare, perché si fermò e si voltò a guardarla, stupito.
- Duchessina, non correte così. – le disse con gentilezza.
Jacqueline si fermò a sua volta un po’ ansante e lo guardò in volto, mentre cercava di recuperare il fiato.
Rimase colpita dalla sua bellezza: era biondo, quasi come Claude, ma i suoi capelli avevano una tonalità lievemente più scura. I suoi occhi erano azzurri e sereni, il suo viso ovale dai tratti regolari era aperto e gentile. Era più alto di Claude e più prestante, anche se non era altrettanto snello e slanciato.
Ma soprattutto, quello che lasciava Jacqueline senza parole era l’immensa dolcezza che Henri sembrava irradiare dall’interno.
Quest’uomo, si disse, renderà sua moglie la più felice delle donne.
- Volevate parlarmi, Jacqueline?
La voce di lui la riscosse. E che voce calda era!
- Henri. – rispose con voce tremante, prendendosi anche lei la libertà di chiamarlo per nome, come negli ultimi giorni in cui aveva frequentato la sua casa – Henri, vi è mai capitato di innamorarvi di una donna, di credere che fosse la persona migliore del mondo e poi di scoprire che a lei non importava nulla di voi, che vi usava soltanto per soddisfare il suo egoismo?
Gli occhi celesti di lui erano pieni di comprensione.
- Mi è capitato. – le rispose in tono consolante – E’ stato quand’ero molto giovane, ma era la prima volta che mi innamoravo ed ero tanto esaltato da non saper più distinguere il bene dal male. Lei mi abbandonò ben presto e io soffrii come un cane per mesi. E’ accaduto subito prima che iniziassi a lavorare in casa vostra, voi eravate ancora una bambina.
Jacqueline provò un profondo sollievo.
- Ma poi, - chiese ancora – Siete riuscito a dimenticarla?
Lo sguardo di lui si fece più intenso.
- Certo, ci sono riuscito, con il tempo. E anche voi riuscirete a dimenticare. Non abbiate paura, madmoiselle, il tempo è il miglior dottore che esista.
Jacqueline continuò a perdersi nei suoi occhi.
- Voi… voi credete? -balbettò, emozionata.
Il sorriso di Henri si allargò:
- Assolutamente. Siete forte, guarirete, ne sono certo.
E Jacqueline, all’improvviso gli credette.
- Grazie Henri! – esclamò con slancio, afferrandogli la mano – Vi ringrazio tanto! Dio vi benedica! Addio!
E felice, viva, come non si sentiva da troppo tempo corse di nuovo verso la carrozza.





Buonasera a tutti! Innanzitutto grazie alle persone che mi seguono! Grazie delle recensioni e di aver messo la storia in qualche lista! Per la cronaca, la cattedrale di Saint Sulpice c'è veramente, a Parigi e ha davvero un organo stupendo. i nostri protagonisti principali si sono quindi ritrovati, per caso, tutti lì! Adesso cosa combinerà Claude? E Jeannette, e gli altri?
Spero di aggiornare presto!
Un bacione a tutti!
Vostra
Niniane

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***






 
Capitolo VII


Jeannette non era sicura che quella di sua madre fosse stata una buona idea: comprendeva il desiderio della contessa di riaprire la casa agli amici, dopo il lungo periodo di silenzio e solitudine, ma dare addirittura un ricevimento in grande stile le sembrava eccessivo. Per giunta, il ricevimento sarebbe consistito in un ballo in maschera il cui tema erano… i pennuti! A Jeannette veniva da ridere al pensiero degli invitati che si affannavano a spendere un mucchio di soldi in cappelli piumati e cose simili, nel tentativo di somigliare a qualche rara specie di uccelli. Quanto a lei, era la prima a voler fare le cose in grande, non intendeva farsi riconoscere da nessuno: ecco, l’unica cosa positiva di quel ballo era proprio questa, che avrebbe potuto nascondersi dagli sguardi altrui, grazie a un costume. 
Non sapeva di preciso quante persone avesse invitato sua madre: la contessa aveva insistito nel dirle che il ballo doveva essere una bella sorpresa per lei e che senza dubbio, quando alla fine della serata tutti si fossero tolti la maschera, sarebbe stata molto felice di rivedere i suoi vecchi amici. Poteva anche essere vero, pensava Jeannette, ma non era sicura che lei e sua madre considerassero “vecchi amici” le stesse persone.
La contessa aveva spedito gli inviti per il ballo ben due settimane prima, in modo da assicurarsi l’adesione di tutti gli ospiti: la risposta era stata entusiastica e in casa de Meunier erano ben presto iniziati i preparativi. Dato che per tanto tempo non vi era entrato nessuno, ad eccezione dei proprietari, dei domestici e del dottor Gaillard, c’era bisogno di ripulirla a fondo, di lucidare i pavimenti, le porte, tutti i mobili, l’argenteria…
Jeannette trovava divertente l’andirivieni dei domestici e si sarebbe perfino unita a loro se non fosse stata una cosa disdicevole per una signorina del suo rango: anche se l’idea del ballo non la convinceva, doveva ammettere che tutta quell’operosità rendeva allegri e dava l’impressione che nella grande e lussuosa casa ci fosse di nuovo tanta vita, come un tmepo.
La sera del 15 novembre impiegò molto tempo a vestirsi e a pettinarsi: aveva fatto venire in casa la sua parrucchiera, apposta per il ballo e osservava attentamente nello specchio il lavoro di madmoiselle Fanny, intenta a raccogliere i suoi capelli e a imprigionarli in una reticella. Jeannette si sarebbe vestita da cigno, ossia con un lungo abito bianco molto lineare, ma con maniche molto ampie, simili ad ali e delle piume candide sulla schiena, a mo’ di coda. La maschera che avrebbe indossato portava sulla sommità la testa di un cigno: era piuttosto pesante e Jeannette si disse che forse ogni tanto avrebbe fatto meglio a lasciare la festa per togliersela e riposare.
Fece il suo ingresso in ritardo, quando già erano presenti parecchi invitati e per non farsi riconoscere subito come un membro della famiglia, finse di entrare da uno degli ingressi laterali (dopo aver fatto il giro della casa uscendo da una delle porte di servizio).
Riconobbe subito suo padre, che per l’occasione si era vestito da gufo e sembrava dotato di due occhi enormi, grazie alla forma della maschera. Sua madre era a poca distanza da lui ed esibiva un inquietante abito rosa, che nelle sue intenzioni doveva essere da fenicottero, ma che secondo Jeannette la faceva somigliare piuttosto a una torta glassata.
La fanciulla soffocò una risatina e si mescolò agli ospiti, che già ridevano e ballavano. Riconobbe travestimenti di vario tipo: alcuni avevano scelto di somigliare a uccelli molto comuni, altri invece esibivano costumi variopinti che ricordavano, a dire il vero, i pesci tropicali, più che dei pennuti...
La sua attenzione fu attirata da una ragazza molto minuta, con un abito vaporoso ed elegante, ma di un colore triste, tra il grigio e il marrone, e con una coda piccina, fatta di poche piume. Jeannette intuì che quello che la fanciulla indossava era un costume da passerotto e senza sapere bene il perché, fu quasi certa che si trattasse di Jacqueline. Sarebbe stato tipico della sua amica scegliere un animale piccolo, modesto,  schivo e timido. Chissà se era proprio lei… e quella al suo fianco, vestita da pettirosso poteva essere Elenoire?
Continuò ad aggirarsi per la grande sala da ballo, rifiutando cortesemente e in silenzio gli inviti di diversi cavalieri. Voleva cercare di riconoscere almeno qualcuno.
D’un tratto le venne in mente Julien: sua madre l’aveva invitato? Sarebbe stato doveroso, si disse la giovane, dopo tutto quello che lui aveva fatto per curarla e starle vicino.
Era probabile che fosse presente: chissà da che uccello avrebbe potuto travestirsi? Jeannette scrutò attentamente i volti degli uomini presenti, sperando di riconoscere in uno di loro quello che per lei era ormai diventato un caro amico, ma non lo vide. Forse però non era ancora arrivato, dopotutto.
La festa si animò sempre più: Jeannette si decise a ballare con alcuni invitati e fu piacevolmente stupita quando scoprì di non aver perso la sua agilità e di essere ancora una ballerina eccellente. Aveva sempre amato la danza, in effetti: ora capiva perché sua madre aveva deciso di dare proprio un ballo, l’aveva fatto per lei, per farla divertire e ricordarle una delle cose che più le piacevano fare in passato, prima che… ma a quello Jeannette non voleva pensare.
A poco a poco una gioia infantile si fece strada in lei e la contessina rise e danzò senza posa, suscitando l’ammirazione dei presenti che si chiedevano, sempre più incuriositi se potesse essere proprio lei la contessina Jeannette de Meunier, che si diceva essere malata, traumatizzata, addirittura pazza.
Dovevano essere circa le undici, quando Jeannette fu invitata a ballare da un cavaliere che indossava un vistoso e variopinto costume da pavone. Jeannette lo trovò molto bello, benché di lui riuscisse a scorgere ben poco, a causa di tutte quelle piume e mentre danzava con lui non poté evitare di guardarlo con curiosità per tutto il tempo. 
Chi era? Jeannette era convinta di aver riconosciuto alcune persone, ma quel bellissimo giovane non le diceva nulla.
Dopo il ballo si separarono e il suo cavaliere non le disse nulla, si limitò a un rispettoso inchino e si allontanò.
Mentre lo seguiva con lo sguardo, tuttavia, Jeannette vide la ragazza travestita da passerotto portarsi una mano alla bocca e scappare via dalla sala, seguita a ruota dalla sua amica pettirosso. Un po’ allarmata, Jeannette si affrettò a seguirle, mentre un sospetto prendeva forma nella sua mente.
Le due ragazze si erano rifugiate in un salottino attiguo e il passerotto piangeva a dirotto, mentre il pettirosso tentava di consolarla.
- Che cosa succede, signorine? – chiese Jeannette, rivolta alle sue ospiti – Posso aiutarvi?
Il passerotto alzò su di lei i suoi occhini lacrimosi e allora tutti i sospetti della contessina trovarono conferma.
- Jacqueline, mia cara! – esclamò, correndo ad abbracciare la sua vecchia amica – Sono io, sono Jeannette!
Il passerotto ricambiò subito l’abbraccio:
- Jeannette, sei davvero tu? Che bello rivederti! Speravo proprio di incontrarti! Come stai?
- Meglio, tesoro, molto meglio. – rispose Jeannette commossa, dandosi da fare ad asciugare il pianto del passerotto con il suo fazzoletto – Non ho dimenticato, naturalmente, ma cerco di andare avanti. Tu non provare a nasconderti, - scherzò, rivolta invece al pettirosso – Lo so che sei Elenoire!
La sorellina di Jacqueline rise:
- Ciao Jeannette! Grazie dell’invito, a proposito.
- Oh, il ballo l’ha organizzato mia madre, io non ho fatto nulla! Sono felicissima che vi abbia invitato, mi sarebbe sembrato strano il contrario. E adesso dimmi, Jacqueline: perché piangi?
Jacqueline abbassò il capo: - Oh… è… perché… - cominciò.
- Perché ha visto Claude Renard! – spiegò Elenoire, che aggiunse, indignata – Perché è stato invitato? Tua madre non sa che ha ingannato mia sorella?
- Quello era Claude?! – proruppe Jeannette, turbata – Non capisco… davvero non capisco! Sì, mia madre sa tutto e anch’io… mi è dispiaciuto così tanto per te, Jacqueline… e pensare che vi siete conosciuti proprio grazie a me! Se avessi immaginato che tipo di uomo era, non avrei mai favorito la vostra relazione. Ero convinta che fosse onesto e che ti amasse davvero. Perdonami, Jacqueline, mi sento in colpa.
Il passerotto sorrise mestamente: - Non preoccuparti, cara, non è stata colpa tua. Avrei dovuto essere più cauta. Oh, mi sento ridicola! Appena lo vedo scoppio a piangere come una fontana! Che vergogna, e io che vorrei essere forte…
- Adesso non pensare a questo. – l’interruppe Jeannette, seria – Prima di tutto dobbiamo scoprire perché quello scaltro si trova qui. Aspettatemi, vado a parlare con mia madre.
Jeannette lasciò le due duchessine nel salottino e si diresse a passi rapidi verso sua madre. Nell’attraversare di nuovo la sala rivide il giovanotto vestito da pavone e si diede automaticamente della stupida: come aveva fatto a non riconoscerlo? Quella figura snella era inconfondibile!
La contessa sua madre sorseggiava dello champagne accanto a una finestra, insieme a un’altra signora.
- Mamma, - disse Jeannette a mezza voce, quando le fu accanto – Devo parlarti.
- Perché hai invitato Claude Renard? – chiese poi a bruciapelo, non appena l’amica della contessa non fu più a portata d’orecchi.
Danielle de Meunier parve sinceramente stupita.
- Claude Renard? Ma cara, ti sbagli, io non l’ho invitato! Come avrei potuto? Vedi, non dovrei dirtelo, ma sono presenti le duchessine de Chalange! Pensa che avevo invitato anche il cugino, il duca Jean Michael, ma non è potuto venire. Figurati se uno di loro l’avesse visto e riconosciuto… si sarebbe scatenato il putiferio! Devi esserti sbagliata, cara.
Jeannette guardò negli occhi sua madre e decise che era sincera.
- Probabilmente hai ragione, mamma. Scusami tanto.
- Ti assicuro che Claude Renard non ha ricevuto alcun invito da parte mia e poiché tutti gli ospiti sono stati tenuti ad esibire il loro, prima di entrare, non vi è alcun dubbio sul fatto che questo giovanotto non può trovarsi qui.
Jeannette sorrise, conciliante.
- D’accordo, mamma, hai ragione. A più tardi.


 
Claude non sentì nemmeno Jeannette arrivare alle sue spalle, avvertì solo una mano che stringeva con forza il suo braccio, poi la voce sibilante della contessina:
- Che cosa ci fate voi qui? Vi ho riconosciuto, sapete? Avanti, chi vi ha invitato, ditemelo!
Oh, accidenti! Non era possibile, ancora una volta i suoi piani erano stati disfatti. Claude si voltò verso Jeannette e la guardò negli occhi: sembrava davvero infuriata. Non gli restava che sfoderare la sua arma migliore: il suo fascino...
- Mi dispiace, contessina, la verità è che desideravo tanto rivedervi. – confessò, modulando la voce.
- E così avete pensato di intrufolarvi in casa mia? A chi avete sottratto l’invito?
- A nessuno, lo giuro! Ne ho semplicemente fatto fare una copia da un amico, uno dei vostri ospiti, al quale avevo confidato i miei desideri.
Jeannette lo guardò scettica.
- Balliamo, – disse, avanzando verso il centro del salone – non voglio che nessuno si accorga di nulla.
Claude si disse che la cosa migliore in quel momento era stare al gioco.
- Come avete fatto a riconoscermi? – non poté fare a meno di chiederle, mentre volteggiavano insieme.
- Non vi ho riconosciuto io, - sussurrò Jeannette – è stato qualcun altro, qualcuno a cui avete recato molto dolore.
- Volete dire…?
- Sì, voglio dire Jacqueline! Lei e sua sorella sono qui.
- E da cosa sono vestite? – chiese Claude agitato, guardandosi intorno.
- Non ve lo dirò! – sibilò la contessina – Se decideranno di parlarvi, ve la vedrete da solo con loro.
- Oh, Jeannette, non siate crudele! Se sapeste quanto sono pentito di aver fatto soffrire Jacqueline... 
- Non fatemi ridere! Io vi conosco meglio di quanto pensiate, Claude. Peccato che non mi fossi resa conto prima di quanto siete subdolo e opportunista.
Continuarono a ballare e Jeannette non perse d’occhio la porta del salottino nel quale dovevano essere ancora rintanate le sue amiche.
- Potete dirmi almeno chi è l’amico che vi ha procurato la copia dell’invito?
Il giovane sorrise: - Meglio di no. Mi ha pregato di non metterlo in mezzo se ci fossero state complicazioni. Mia cara, credetemi se vi dico che ho deciso di cambiare vita. Ho detto addio alla mia amante, dopo il dolore che la sua presenza ha causato a Jacqueline e anche a me stesso, di conseguenza. 
- E intendete riconquistare Jacqueline? – chiese Jeannette, incuriosita suo malgrado.
Claude esitò: - Non credo di potervi riuscire. E in ogni caso, temo che quell’uccellino sia definitivamente volato via dal mio cuore… diciamo così, tanto per restare in tema. – e strizzò l’occhio alla sua dama.
- Adesso il mio cuore batte per un bellissimo cigno bianco. – continuò romanticamente, accostando il volto a quello della contessina de Meunier.
- Non vi conviene, signor Pavone, i cigni possono essere molto cattivi, sapete? – rispose lei, ironica.
- Lo so, ma sono pronto a rischiare. Mi ero ripromesso di non avere fretta, ma non posso fare a meno di dirvi che da quando vi ho vista in chiesa non faccio che pensare a voi.
Jeannette non seppe che cosa dire. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno aveva osato corteggiarla. Era successo spesso, in passato, anche quando era fidanzata con Maximillen: all’epoca sapeva sempre come mettere al loro posto i suoi ammiratori, con qualche risposta salace, ma adesso… era confusa. Non voleva credere che Claude dicesse la verità, probabilmente aveva detto a Jacqueline le stesse parole. Eppure la parte più femminile di lei, quella che voleva ancora sentirsi ammirata e amata, si ribellava.
- Dirò a mio padre che siete venuto qui con l’inganno. – svicolò.
- D’accordo, vi comprendo. – sospirò Claude – Credo che me ne andrò subito.
- Ve ne andate? – chiese lei, confusa. E adesso che cosa stava tramando quel serpente a sonagli?
- Sì, credo sia meglio. – Claude la lasciò andare, con delicatezza – Non voglio incorrere nell’ira di vostro padre. Addio, Jeannette, vi sognerò questa notte, e anche la prossima, e quella dopo…
- Sì sì, va bene. – tagliò corto lei – Ma ricordate: i cigni sono cattivi!
- Lo terrò a mente. – disse Claude e con un ultimo sorriso pieno di fascino si allontanò a rapidi passi, seguito dagli sguardi curiosi di tutte le invitate.
Stava andando bene, dopotutto: Jeannette era confusa, lui l’aveva capito e questo era un bene. Non si sarebbe liberata tanto presto di lui.


 
- Se n’è andato. – annunciò Jeannette, entrando nel salottino.
- L’hai mandato via? – chiese Elenoire esultante.
- Non proprio, se n’è andato da solo. Comunque non è stata mia madre a invitarlo, si è intrufolato qui, come immaginavo. Qualcuno gli ha fatto una copia dell’invito, dice… ma chi può essere stato?
- Non saprei… - disse Jacqueline – Ma di cosa avete parlato?
Jeannette rise di gusto, ricordando la scena appena vissuta: - Mi ha fatto un’appassionata dichiarazione d’amore! – sospirò.
Poi, vedendo che Jacqueline sbiancava, spiegò: - Ma no, tesoro! Non c’era mezza parola di vero in quello che ha detto, ne sono certa! Non hai ancora capito qual è il suo modo di agire? E’ un cacciatore di dote, né più, né meno. Con te gli è andata male e adesso ci sta provando con me, ma non ci riuscirà.
- Jacqueline, devi smetterla di cercare di vedere qualcosa di buono in quell’uomo! – sbottò Elenoire – Te l’ho detto mille volte, devi dimenticarlo e basta!
- Sono assolutamente d’accordo. – aggiunse Jeannette – Non merita le tue attenzioni. Coraggio, mie care, torniamo a ballare o si chiederanno che fine abbiamo fatto. Venite, tra poco sarà l'ora di togliersi la maschera!
E così le tre signorine tornarono alla festa e ballarono ancora, in attesa della mezzanotte.
Jeannette si trovò ben presto tra le braccia di un ballerino eccellente, vestito di bianco come lei: il suo, sembrava un costume da pellicano, anche se Jeannette non ne era certa. Incuriosita, lo guardò negli occhi e allora riconobbe in lui Julien. Stava già per salutarlo e dirgli chi era, quando, improvvisa, le venne l'idea di tacere: voleva fargli una sorpresa.
Ballarono insieme fino a mezzanotte, poi quando si fece silenzio e tra applausi e grida tutti gli ospiti si tolsero la maschera, si liberò della sua testa di cigno con un gran sorriso.
- Buonasera, Julien! – gli disse allegramente.
Il suo cavaliere ricambiò il sorriso con evidente gioia:
- Buonasera Jeannette. Sono felice di vedervi.
- Anch'io! Ero certa che foste tra gli invitati.
Jeannette prese per mano l'amico e lo condusse nello stesso salottino dove prima era stata inseme alle duchesisne de Chalange. Gli raccontò l'accaduto e i suoi sospetti su monsieur Renard.
- Non so se dire tutto a mio padre. - confessò quindi - Pensate che debba farlo?
Julien rimase pensieroso per un istante, poi disse: - Non credo. Aspettiamo e vediamo cos'altro si inventa questo giovanotto per rivedervi. Prima o poi dovrà affrontare anche la presenza dei vostri genitori e loro si accorgeranno sicuramente di che pasta e fatto, se non l'hanno già capito da tempo, e lo rimetteranno al suo posto.
- Forse avete ragione voi. - convenne Jeannette - E poi ormai se n'è andato.
In quel momento bussarono alla porta: erano Jacqueline ed Elenoire.
- Siamo venute a salutarti, Jeannette, andiamo a casa. - disse Jacqueline - Grazie della festa e... di tutto... Ah, buonasera dottor Gaillard, non vi avevo visto.
- Buonasera, signorine.
- A presto, Jacqueline, Elenoire! - esclamò Jeannette andando loro incontro e baciandole entrambe sulle guance - E non pensate più a quello che è successo. Prima o poi il nostro caro pavone pagherà per quello che ha fatto.
Jacqueline annuì con scarsa convinzione, ma Elenoire rise. Si salutarono con affetto e Jeannette rimase di nuovo sola con Julien.
- Torniamo a ballare. - gli disse - la festa non è ancora finita!








Buonasera a tutti!!! Eccomi tornata con un nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto! Ormai siamo nel pieno della narrazione: vi anticipo già che questa storia non sarà lunga, dovrebbe durare dieci o dodici capitoli al massimo. Come sempre ringrazio chi la sta leggendo e anche chi fosse capitato qui per caso e avesse trovato il capitolo appena pubblicato!
A presto e buona serata a tutti!
Niniane

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***




 
Capitolo VIII


Jacqueline Ophelie de Chalange passeggiava inquieta nel sempre silenzioso giardino d’inverno. Camminando su e giù, lentamente, mentre i suoi occhi vagavano qua e là per fermarsi ogni tanto su un fiore o una foglia, rifletteva sul suo strano incontro con Henri Dupois e si chiedeva ansiosamente se il suo precettore l’avesse trovata infantile o sciocca, quando gli aveva chiesto tutte quelle cose sul suo passato. 
Erano trascorse ormai due settimane dal ballo in maschera a casa di Jeannette e l’aver incontrato Claude non faceva più così male. Anzi, a dire il vero, ripensare al suo vistoso travestimento da pavone (mai ci fu un travestimento più azzeccato!) le strappava perfino un sorriso, timidissimo, ma divertito: il ricordo doloroso che quel giovane senza cuore portava con sé, ultimamente sembrava essere leggermente sbiadito: Jacqueline aveva iniziato a piangere meno la sera e a sorridere molto di più, durante il giorno. Quando pensava a lui, lo faceva ormai più con rabbia che con tristezza, chiedendosi incredula con che coraggio avesse osato offenderla e tradirla in quel modo. Finalmente, la sua dignità di duchessina e il suo orgoglio, smussato rispetto a quello della sorellina Elenoire, ma comunque innato e vivo in lei stavano tornando a riaffiorare e iniziavano a soffocare lo smarrimento, l’angoscia, il dolore lancinante che l’aveva spaccata in due per ben tre mesi.
Forse, pian piano, le ferite si stavano infine cicatrizzando e un giorno Claude Laurent Renard sarebbe stato solo un brutto ricordo.
O forse, il rivedere Henri, il risentire la sua voce e ascoltare le sue meravigliose parole di incoraggiamento, aveva fatto riaffiorare prepotentemente tanti dolci ricordi, rimasti a lungo chiusi nell’angolo più segreto del suo cuore.
Jacqueline sospirò: chissà se Henri aveva capito che l’anno precedente, quando ancora trascorrevano mattinate intere insieme, ella si era innamorata di lui. Chissà cos’aveva pensato di lei, se anche solo il sospetto di ciò l’aveva sfiorato.
Probabilmente, se Henri avesse saputo la verità, l’avrebbe respinta con la massima gentilezza, adducendo come scusa le convenienze e il suo titolo nobiliare che, teoricamente, la poneva ben più di un gradino al di sopra di lui. Le avrebbe parlato come avrebbe fatto con una bambina che ha appena fatto un piccolo capriccio: in tono di amorevole rimprovero. Poi, forse, avrebbe riferito ogni cosa alla marchesa e avrebbe fatto in modo di allontanarsi dal palazzo per un breve periodo, in modo che lei, la piccola, sciocca Jacqueline potesse dimenticare il suo capriccio. 
Se solo pensava a questa eventualità, Jacqueline rabbrividiva e arrossiva: certo, sarebbe stato facile per tutti, in quel caso, trattarla da bambina, ma lei non era affatto immatura! Era certa, allora, che i suoi sentimenti per Henri fossero autentici e anche adesso ricordava perfettamente le emozioni forti e inebrianti che la vicinanza di lui le suscitava, perché quando l’aveva rivisto, in chiesa, quelle stesse sensazioni erano tornate a travolgerla, identiche ad allora, se non ancora più violente, forse perché per tanto tempo Jacqueline non le aveva più avvertite.
Possibile, si chiese la fanciulla, emozionata, che io dopotutto sia ancora innamorata di Henri? O questo coinvolgimento è soltanto una reazione al dolore per ciò che Claude mi ha fatto?
Del suo bellissimo ed enigmatico fidanzato, le erano giunte notizie piuttosto allarmanti: si vociferava che si fosse buttato in una nuova impresa, ossia corteggiare la contessina Jeannette de Meunier. Questa non sarebbe stata una notizia tanto brutta se non fosse stato per gli annessi e connessi: si diceva anche, infatti, che i conti de Meunier appoggiassero decisamente questo corteggiamento e spingessero affinché Jeannette accettasse di sposare l’intraprendente spasimante.
Se ciò era vero, la povera Jeannette si trovava in un grosso guaio. Jacqueline capiva perfettamente il ragionamento dei conti, i suoi genitori: la contessina era per loro un grattacapo, in quanto, a causa dello scandalo e dei suoi problemi di salute (che tanti, a torto, avevano ingrandito oltre misura al mero scopo di gettare discredito su di lei) non era facile darla in sposa a qualcuno, in particolar modo a qualcuno di alto rango. Chi aveva un po’ di cuore comprendeva che la giovane si sentiva ancora legata al marchese de Blanchard e che non avrebbe mai amato un altro uomo. Chi di cuore non ne aveva, semplicemente la definiva pazza e depressa, portatrice di sventure e via delirando. Pertanto, il corteggiamento di Claude era, dal punto di vista dei conti de Meunier, una manna dal cielo: erano disposti a dimenticare che il giovanotto era già stato fidanzato e che il fidanzamento era stato infranto proprio per colpa sua… Jacqueline si disse, con tristezza, che madame de Meunier, sempre tanto gentile e affettuosa nei suoi confronti, non doveva volerle molto bene, in realtà, se era pronta a ignorare con leggerezza ciò che le era accaduto.
Doveva andare a trovare Jeannette e cercare di metterla in guardia: certo, la sua amica era diversa da lei, molto più testarda e indomabile, ma ciò non significava che non potesse essere anche fragile, in alcuni momenti. Avrebbe anche potuto cedere al fascino di Claude, dopotutto… quell’uomo, che sembrava discendere direttamente dalla stirpe di Febo, sapeva incantare qualsiasi donna, solo con uno sguardo.
Oppure avrebbe potuto essere ricattata in qualche modo e su chi avrebbe potuto contare in quel caso? Tutti l’avevano abbandonata…
O forse no?
Una persona che avrebbe potuto aiutarla, a dire il vero c’era: il dottor Gaillard.
Jacqueline si ritrovò a pensare, stupita, che era un vero peccato che quell’uomo bello e gentile non fosse un nobile: avrebbe meritato un titolo solo per tutto il bene che era in grado di fare. Ed era per certo l’unica persona che non aveva mai abbandonato a sé stessa Jeannette dopo lo scandalo, non solo perché non aveva trascurato di curarla, ma anche perché aveva fatto il possibile per strapparle ancora un sorriso.
Nel ripensare a Jeannette e al dottore che ballavano insieme, Jacqueline si rese conto che tra i due doveva essere nata una profonda amicizia. Chissà se a lui, Jeannette avrebbe confidato quello che stava accandendo. Forse il saggio e arguto medico avrebbe saputo darle qualche consiglio.
E se invece Jeannette avesse ceduto? No, bisognava impedirlo ad ogni costo!
Non può accaderle quello che è successo a me! pensò Jacqueline arrabbiata. Claude non può vincere di nuovo!
Se avesse potuto chiedere un consiglio a Henri… ecco, stava di nuovo pensando a lui. Come sarebbe stato bello rivederlo e parlargli ancorai. Purtroppo era impossibile.
Una vocina fastidiosa s’insinuò a quel punto nei pensieri di Jacqueline: era davvero impossibile rivedere Henri?


 
Mentre la maggiore delle sorelle de Chalange era assorta nelle sue riflessioni, in un allegro salottino tutto arredato in verde, la minore Elenoire giocava a scacchi con il cugino Jean Michael.
Su un carrello accanto al tavolino da gioco facevano bella mostra cioccolata calda e pasticcini e questo particolare rendeva l’atmosfera calda e accogliente. Fuori, il cielo sembrava promettere la prima nevicata, cosa che sembrava mettere allegria ai due giovani giocatori.
Elenoire era appollaiata sul pouf, con l’abito piuttosto in disordine, e fissava concentrata la scacchiera, arrotolando intorno all’indice un ricciolo biondo.
- Scacco al re! – annunciò, muovendo la torre.
- Scacco matto! – replicò Jean Michael con un sorriso di trionfo, muovendo l’alfiere.
Elenoire spalancò gli occhi:
- Ma non è possibile! – protestò – Hai vinto di nuovo! Non è giusto, adesso voglio provare anch’io con i pezzi neri! -
- Tesoro, il colore dei pezzi non aumenta o diminuisce le tue possibilità di vittoria! – commentò divertito Jean Michael.
Elenoire arrossì, stupita dall’appellativo affettuoso che le era stato riservato: a volte succedeva che Jean la chiamasse tesoro, ma ultimamente, in effetti, accadeva spesso. Possibile che…? Ma no… Jean Michael era invaghito di quella sciocchina…come si chiamava… Francine di Qualcosa…
- Fammi provare lo stesso con i pezzi neri! – insistette – Voglio proprio vedere se riesco a vincere. -
- E va bene, testarda che non sei altro, eccoli qua! Prima però beviamo un po’ di cioccolata! -
Elenoire si alzò prontamente e riempì due tazze, porgendone poi una al cugino.
- Che meraviglia! – sospirò lui – Qui si mangia sempre la miglior cioccolata del mondo. -
Elenoire arrossì: - L’ho preparata io stavolta. – confessò.
Jean Michael le sorrise: - Davvero? Complimenti, cara, è perfetta! -
Per qualche minuto regnò un silenzio quasi totale, mentre i due cugini si godevano la loro merenda.
- Guarda! – esclamò Elenoire all’improvviso – Sta nevicando! -
Subito posò la tazza, si alzò e si precipitò alla finestra: Jean Michael la seguì con più calma.
- E’ vero, - disse – la prima neve della stagione. Vieni, - aggiunse, prendendo per mano la cugina – Continuiamo a giocare e vediamo se alla fine della prossima partita gli alberi avranno cominciato a imbiancarsi! -
Ripresero quindi a giocare, Elenoire con i pezzi neri e Jean Michael con quelli bianchi. La partita non andò meglio della precedente e la duchessina si ritrovò di nuovo senza difese, mentre il piccolo duca poteva di nuovo fare scacco matto.
- Non è giusto! – sbuffò Elenoire – Tu sei troppo bravo! -
La fanciulla si avvicinò nuovamente alla finestra e diede un piccolo grido di gioia: gli alberi del giardino, infatti, erano spolverati di bianco e la neve adesso cadeva molto più fitta.
Per un lungo istante, Elenoire rimase immobile dietro il vetro, a guardare incantata i fiocchi candidi che lentamente scendevano dal cielo.
Non si accorse che Jean Michael era dietro di lei, fin quando, inaspettatamente, le braccia del giovane la circondarono delicatamente. Stupita, incredula, Elenoire voltò il capo verso il cugino per guardarlo negli occhi, quei dolci occhi grigi a cui rivolse una muta domanda: perché la stava abbracciando in quel modo?
Jean Michael si limitò a sorriderle in risposta, poi la fece voltare verso di sé e la rinchiuse di nuovo in un altro abbraccio protettivo.
Più confusa che mai, con il cuore che batteva a mille, Elenoire non poté far altro che chiudere gli occhi e posare il capo sulla sua spalla, abbandonandosi a un nuovo e incredibile stordimento.
Jean Michael era forte, costatò. Era forte fuori, ma soprattutto dentro. E lei lo amava così tanto… sarebbe stato bello appoggiarsi a lui così, per sempre.
Peccato che lui non lo sapesse. Peccato che lui non ricambiasse.
La stava abbracciando perché le voleva bene, perché era suo cugino e lei gli faceva tenerezza. Anche se non sembrava che volesse lasciarla andare tanto in fretta, anche se le stava accarezzando tanto dolcemente i capelli, questo non significava nulla, almeno per lui.
Elenoire trattenne le lacrime e lo strinse con più forza per un attimo, prima di sciogliersi con decisione dal suo abbraccio.
Jean Michael la guardò interrogativamente, ma lei non si lasciò distrarre. Tanto valeva mettere le cose in chiaro.
- No, Jean! – annunciò drammaticamente – Tu non devi giocare così con me! -
L’altro parve ancora più confuso.
- Giocare? – chiese, aggrottando la fronte – Elenoire, tesoro, io non sto affatto giocando. -
- E smettila di chiamarmi tesoro! – proruppe la fanciulla, adirata, con le lacrime che ormai traboccavano dagli occhi – Tu… tu non capisci niente! -
Abituato al carattere umorale della cugina, Jean Michael non si scompose:
- Cos’è che non capisco? – chiese pazientemente.
- Non capisci che mi fai soffrire! – spiegò lei con enfasi – Mi fai del male quando mi chiami così e poi devi smetterla di essere così dolce! Io ti amo, stupido! Ti amo tanto e tu non lo capisci… non l’hai mai capito! Così adesso te lo sto dicendo in questo modo orribile e se proprio vuoi saperlo adesso io voglio che tu te ne vada immediatamente e non voglio vederti mai più e… e… - ma Elenoire non riuscì a dire cos’altro voleva. Si girò di scatto e fuggì dalla stanza, lasciando Jean Michael più che mai interdetto.


 
Jacqueline era rintanata nella sua stanza, ancora immersa nei suoi pensieri, quando udì uno strepito. Sorpresa, si affacciò alla porta per vedere cosa stesse succedendo e si vede passare davanti a tutta velocità Elenoire, la quale corse a rinchiudersi in camera sua, sbattendo la porta con gran baccano. Jacqueline la udì piangere disperatamente.
Preoccupata, stava già affrettandosi a raggiungerla per cercare di capire la causa di tanta sofferenza, ma rischiò di essere travolta da Jean Michael, che correva anche lui a pedifiato e sembrava piuttosto sconvolto.
- Elenoire! – tuonò infatti, bussando vigorosamente alla porta della camera della cuginetta – Esci di lì, per favore! Devo parlarti! -
- No! – strillò Elenoire da dentro.
- Ma ti prego, ascoltami! Non sai quello che voglio dirti! -
- Ti ho detto di andartene! -
Perplessa, Jacqueline si avvicinò al cugino e gli chiese sommessamente cosa fosse successo. E Jean Michael, che non l’aveva mai lasciata senza risposte, non parve nemmeno sentirla.
- Elenoire, io resterò qui finché non ti deciderai a uscire! Prima o poi dovrai farlo e allora forse mi ascolterai! – sbraitò ancora, rivolto alla porta chiusa.
Spazientita dall’atteggiamento incomprensibile dei due litiganti, Jacqueline decise che era giunto il momento di intervenire:
- Jean, per l’amor del Cielo! Torna in salotto e lascia che parli io con lei! Quando si sarà calmata verrà da te. Fidati, per favore! -
Il piccolo duca parve sul punto di protestare, ma poi annuì e si diresse a grandi passi al piano di sotto.
Jacqueline aprì lentamente la porta ed entrò in quello che si sarebbe potuto definire il regno di sua sorella, la stanza allegra e variopinta, piena di libri, abiti gettati sulle sedie in disordine, quaderni, penne e cuscini.
Elenoire era seduta davanti allo specchio e stava strappando furiosamente dei fogli di carta che avevano tutta l’aria di essere pagine di diario.
- Elenoire, vorresti dirmi cos’è successo? – chiese con calma Jacqueline, sedendosi sul letto – Cos’ha combinato Jean per farti piangere così? E smettila di strappare il tuo diario! – la rimproverò aspramente – Non essere infantile! -
Elenoire interruppe la sua opera di distruzione, ma quando rispose alla sorella il suo tono era decisamente indisponente:
- Io mi comporto come mi pare e piace! Jean Michael è uno sciocco che gioca con i miei sentimenti! Per lui è facile coccolarmi e vezzeggiarmi come se fossi una bambina piccola, ma si è mai chiesto che cosa significhi questo per me? Perché anche se vi ostinate tutti quanti a considerarmi la piccola di casa, io non sono poi così piccola! Io amo Jean Michael, con tutto il cuore, da sempre! Lo so che lui non ricambia i miei sentimenti, ma questo non gli dà il diritto di prendersi gioco di me! -
Quella valanga di parole mise in seria difficoltà Jacqueline, che non seppe subito cosa rispondere. Dunque sua sorella era innamorata del cugino e nessuno di loro l’aveva capito, né sua madre, né tantomeno lei, troppo assorbita dal suo stesso amore e poi dal suo stesso dolore per accorgersi del turbamento di Elenoire. E pensare, si disse mestamente, che Claude aveva intuito tutto al ballo per il loro fidanzamento!
Era vero che Jean Michael si prendeva gioco di Elenoire? Jacqueline si sentì in grado di escludere subito quella possibilità: suo cugino non avrebbe mai fatto del male a nessuna delle due. Aveva addirittura sfidato a duello Claude per difendere il suo onore, mai e poi mai avrebbe ferito Elenoire. Non intenzionalmente, almeno.
- Perché pensi che lui giochi con i tuoi sentimenti? – chiese alla sorella – Cos’ha fatto di preciso? -
- Oh, dovresti vederlo! Mi chiama sempre tesoro e mi abbraccia in un modo… - proruppe Elenoire, scossa.
- E tu non hai pensato nemmeno per un momento che faccia così per dimostrarti, invece, che i tuoi sentimenti sono ricambiati? - chiese subito jacqueline, sollevata - Elenoire, perché vai sempre a pensare le cose più complicate? E’ vero, io non avevo capito che tu fossi innamorata di lui, e ti chiedo perdono per questo, avrei dovuto accorgermene e invece ero troppo occupata a pensare a me stessa. E’ altrettanto vero che io non sono in grado di dirti quasi siano i sentimenti di Jean Michael per te, ma puoi credermi se ti dico che sono sicura che non ti sta prendendo in giro. Non lo farebbe mai, e tu questo lo sai benissimo. -
- Credi che dovrei andare da lui, allora? – Elenoire sembrava più calma.
- Certo che dovresti. Hai detto che lo ami, giusto? -
- Sì! -
- Allora devi andare. -
- Ma cosa gli dirò? -
- Lascia che sia lui a parlare. – disse Jacqueline, serena – Prima mi è sembrato piuttosto turbato e sono certa che se non lo ascoltassi prima o poi lo rimpiangeresti. Su, ricomponiti e scendi, io vi raggiungerò più tardi, per vedere come sta andando. -
Elenoire non sembrava del tutto convinta, ma fece come Jacqueline le consigliava e prima di uscire l’abbracciò forte. Jacqueline ricambiò, augurandosi con tutto il cuore che Jean Michael avesse davvero qualcosa di importante da dire…


 
Elenoire entrò nel salottino in punta di piedi, guardando con la coda dell’occhio la schiena del cugino che era rivolto verso la finestra e contemplava la nevicata, ormai diventata una bufera.
Jean Michael la udì comunque arrivare e si voltò verso di lei. In tono molto serio disse: - Possiamo parlare adesso? -
Elenoire sentì che le tremavano le ginocchia.
- Va bene… - sussurrò. – Ma ti prego, - aggiunse – non infierire… -
Il duca inarcò le sopraciglia: - Infierire? Ma allora proprio non capisci, Elenoire! E poi dici di me! – commentò, fra il seccato e il divertito.
Elenoire rimase in silenzio, non sapendo più cosa dire. Poi sentì le mani del cugino posarsi sulle sue spalle e la sua voce carezzevole.
- Mia piccola, testarda Elenoire, io non ti perdonerò mai per quello che hai fatto! -
Subito la fanciulla lo interruppe:
- Oh, ti prego, smettila! Ho capito, ho sbagliato, non avrei dovuto… ma ti avevo chiesto di non infierire! -
La sua protesta fu tacitata da un piccolo gesto del duca che continuò, sempre con dolcezza:
- Non ti perdonerò mai di avermi impedito di farti una splendida dichiarazione d’amore davanti alla finestra, con la neve che cadeva lenta nel giardino. Mi ero preparato un bellissimo discorso, sai? Mi hanno detto che si fa così, che bisogna prepararsi delle belle parole da dire e io, a dire il vero, con le parole penso di saperci fare. Ma tu non mi hai dato nemmeno il tempo di cominciare! Come hai potuto rovinare tutto? -
Per un momento Elenoire pensò di aver capito male e non trovò le parole per rispondere a quella rivelazione.
- Adesso non dici niente, eh? – osservò Jean Michael, compiaciuto – Non potevi stare zitta prima, mentre ti abbracciavo con tutto il mio amore? Perché, mia dolce Elenoire, il mio amore per te è davvero tanto grande e io vorrei che tu lo sapessi e che potessi credere che ti sto dicendo la verità. -
Smarrita, Elenoire balbettò: - Ma… ma… io credevo che tu… che fossi già innamorato… -
- Di chi, tesoro mio? E’ di te che sono innamorato, da tanto tempo ormai. Credo di averti sempre amata, fin da quando eravamo piccoli. -
Elenoire lo guardò negli occhi:
- Davvero, Jean Michael, davvero? -
- Davvero, amore mio. -
Ed egli, nel dire questo, le dedicò un sorriso tanto luminoso e felice che Elenoire non resistette più e fu praticamwnte costretta a credergli e ad abbandonare ogni atteggiamento difensivo. Gli gettò le braccia al collo, ridendo e piangendo insieme e lo strinse forte.
Le sue labbra, anche se inesperte trovarono subito quelle di lui e si unirono ad esse nel primo vero bacio d’amore; e la risposta appassionata dell’amato le tolse il fiato, provocandole un’ondata di sensazioni nuove e meravigliose.
Solo dopo un paio di minuti, Jean Michael si scostò lievemente da lei per dire in tono divertito:
- Jacqueline, la smetteresti di spiarci da dietro la tenda? Vieni a darci la tua benedizione, ne abbiamo bisogno prima di andare da tua madre! -


 
Due giorni dopo, sistemati felicemente Elenoire e Jean MIchael (al cui fidanzamento la marchesa aveva ovviamente consentito, anche se per l'annuncio era stato deciso di aspettare almeno sei mesi, vista la giovane età della duchessina) Jacqueline mantenne la sua promessa e si recò a palazzo de Meunier.
Aveva avvisato Jeannette del suo arrivo e fu alquanto stupita quando si vide condurre dalla governante della casa non in un salotto, ma direttamente nella camera da letto della sua amica. Il suo stupore aumentò ancora quando scoprì che Jeannette era in compagnia del dottor Gaillard.
Non fece però in tempo di far notare alla contessina che la cosa era parecchio sconveniente, perché Jeannette chiuse la porta a chiave e disse subito in tono lugubre:
- Grazie di essere venuta, Jacqueline. Se non mi avessi cercata tu, l’avrei fatto senz’altro io. Ho bisogno del tuo aiuto. -
- Cos’è successo? – chiese la duchessina allarmata.
- Hai saputo che il nostro caro Claude ha proprio intenzione di sposarmi? -
- Sì… -
- Beh, io non intendo permetterglielo! E sai perché? Perché sospetto che abbia combinato qualcosa di molto losco e che abbia coinvolto Maximillen! -
Jacqueline sobbalzò: - Vuoi dire che Claude non sarebbe estraneo alla sua scomparsa? -
- Esatto. Che ne dici della morte del conte de Rolland? Un evento strano, non ti pare? Un vecchio, saggio e lucido come lui muore senza lasciare neanche una riga di testamento e soprattutto senza riconoscere il suo unico figlio che aveva giurato di proteggere. -
- Henri… - mormorò Jacqueline.
- E così tutte le sue sostanze vanno al suo lontanissimo nipote, Claude appunto. Strano, vero? -
- Certo è strano. – convenne Jacqueline – Ma cosa c’entra Maximillen? -
- Era molto vicino al vecchio conte, gli voleva un gran bene. Io sospetto che Rolland gli abbia confidato qualche cosa di importante e che Maximillen ne abbia ingenuamente parlato a Claude. Ha sempre parlato troppo, il mio Maximillen, è il suo unico difetto direi. -
- E Claude avrebbe usato le informazioni ricevute per… che cosa? -
- Non lo so! – sbuffò Jeannette – Per trafugare un testamento, per uccidere il conte, non lo so! Ma sono sicura che qualcosa di grosso è successo prima che il vecchio se ne andasse e io intendo scoprire che cosa. Quando l’avrò scoperto, per Claude sarà la fine e finalmente gli daremo la lezione che si merita per tutto il male che ha fatto. -
- Ma io come posso aiutarti? – chiese Jacqueline confusa.
- Dovreste parlare con monsieur Dupois, il figlio illegittimo del conte. – intervenne il dottore – Cercare di scoprire quanto più possibile su di lui, su suo padre e su monsieur Renard. -
Parlare con Henri?
Non era quello che desiderava, infondo? Certo, avrebbe preferito potergli parlare d’altro, ma anche così…
Trovare un pretesto per incontrarlo non sarebbe stato molto difficile.
- Va bene. – acconsentì – Parlerò con Henri. -



Eccomi qua, carissimi, scusate il ritardo, ma sono molto impegnata in questo periodo. A dire il vero non so se riuscirò ad aggiornar eprima di Natale, ma comunque farò il possibile. Ringrazio come al solito le gentili persone che mi stanno seguendo e vi lascio un piccolo regalo, le immagini delle nostre protagoniste!!

Eccovi Elenoire...


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....Jacqueline...


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....e Jeannette!!!


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Alla prossima e buona domenica!!!!!!
Un bacione
Nini

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***





 
Capitolo IX

 
Jacqueline ebbe bisogno di qualche giorno per trovare il modo di incontrare Henri Dupois: sgattaiolare a Parigi non era così semplice come aveva sperato. Jacqueline non aveva calcolato, infatti, che sua madre le avrebbe affidato l’incarico di tener d’occhio i novelli fidanzati Elenoire e Jean Michael: all’inizio, la fanciulla aveva trovato la cosa piuttosto ridicola, dato che il duca de Chalange frequentava da sempre il palazzo e non c’era ragione perché all’improvviso diventasse meno affidabile di prima, fidanzato o no. La marchesa aveva risposto alla sua argomentazione dicendo che non riteneva fosse necessario un vero e proprio chaperon, ma che ogni tanto, un’occhiata alla giovane coppia non avrebbe fatto male a nessuno. Argomentazione che si era rivelata previdente, perché in effetti, Elenoire e Jean Michael avevano mostrato subito di essere due innamorati molto focosi e cercavano ogni possibile pretesto per stare da soli, tanto che a un certo punto Jacqueline era stata costretta a fare una ramanzina sulla moderazione e la pazienza alla sorella minore. Questo non le aveva fatto piacere: nell’assistere alla felicità dei due innamorati, aveva ripensato con tristezza all’atteggiamento gentile, ma distaccato di Claude e si era chiesta, amareggiata, come avesse fatto a non capire subito che lui non l’amava. Certo, non era il caso che Jean Michael compromettesse sua sorella ed era opportuno che quest’ultima non dimenticasse di essere ancora troppo giovane per certe cose, ma almeno entrambi mostravano di amarsi appassionatamente e di desiderare moltissimo la reciproca vicinanza. 
Dunque, Jacqueline si era ritrovata più occupata di quanto avesse immaginato. L’occasione per andare a Parigi capitò quando il piccolo duca dovette recarsi a Lione per affari, sollevandola dall’incarico di chaperon. Jacqueline inventò alcune commissioni da fare e disse che avrebbe portato con sé Elenoire. La marchesa le domandò se non volesse anche una domestica, per portare gli acquisti, ma Jacqueline disse che non ve n’era bisogno, dato che si sarebbe spostata in carrozza.
Era una mattina fredda e luminosa quella in cui le due sorelle lasciarono il palazzo: Jacqueline aveva confidato tutto a Elenoire, la quale, non avendo dimenticato il suo astio nei confronti di Claude e della sua amante Fleur Boyer, si era detta entusiasta dell’incarico. 
- Sarà bello rivedere Henri! – aveva commentato – Come pensi di trovarlo? -
- So dove insegna. – aveva risposto Jacqueline, sicura – Mi farò dare l’indirizzo lì. -
E così avvenne. Nell’istituto dove il giovane era professore, non fecero alcuna difficoltà, quando le duchessine de Chalange chiesero il suo indirizzo, spiegando che era stato il loro precettore e che desideravano parlargli: infatti, l’aver insegnato a loro, era proprio il fiore all’occhiello nel curriculum di monsieur Henri Dupois. 
Jacqueline ci rimase male, tuttavia, quando vide lo squallore dell’edificio in cui Henri abitava. Era un condominio grande e spoglio, senza nemmeno un piccolo giardino davanti. Almeno all’esterno sembrava piuttosto malridotto e non era improbabile che dal tetto vi fossero infiltrazioni d’acqua quando pioveva. 
Dovettero attendere quasi un’ora prima che l’alta figura del loro precettore comparisse in fondo alla strada. Elenoire fu la prima a vederlo, ma quando sfiorò il braccio di Jacqueline per farglielo notare, in qualche modo questa aveva già capito che Henri era vicino. Senza riuscire a trattenersi si alzò di scatto e scese in fretta dalla carrozza.
Henri doveva essere stato informato dalla scuola della visita che avrebbe ricevuto perché non parve stupito, ma solo molto felice di rivedere le sue allieve. Abbracciò Elenoire e baciò la mano di Jacqueline, poi le prese entrambe sottobraccio.
- Mie signore, il mio alloggio non è certo confortevole. – disse, guidandole all’interno del condominio – E’ un onore potervi ospitare, ma mi vergogno di farvi entrare… nemmeno l’aria è particolarmente salutare, lì dentro. -
- Oh, non datevi pensiero per noi! – rispose Elenoire allegra – Noi siamo molto più forti di quello che sembriamo. -
Lo sguardo di Henri si posò sui capelli castani di Jacqueline.
- Lo so bene. – mormorò.
Giunsero infine al terzo piano e Henri tirò fuori dalla tasca della giacca una chiave che infilò in una delle porte che davano sul corridoio. Jacqueline entrò dopo di lui nel suo appartamento e non poté evitare di guardarsi intorno. Un’altra fitta di dispiacere la colpì, mentre osservava con sguardo apparentemente impenetrabile i mobili in legno scadente, il pavimento sconnesso e le finestre che avevano tutta l’aria di promettere poca luce e tanti spifferi.
Così era qui che viveva adesso, il suo maestro, sempre elegante e raffinato? Tutto solo, in quel buco malsano, con uno stipendio che gli bastava a malapena per mangiare? Era questo che gli era toccato, quando aveva lasciato le comodità della loro casa?
- Jacqueline?! Jacqueline, mi senti? –
La voce di Eleonoire giunse da molto lontano e Jacqueline, immensamente stupita si trovò ad aprire gli occhi. 
Non si era resa conto di averli chiusi e nemmeno di essere caduta.
E… un momento! Come ci era finita tra le braccia di Henri?
- L’avevo detto che qui l’aria non è salutare… - stava dicendo lui, sorreggendola e guardandola ansiosamente -  Elenoire, cara, apri la finestra, ti prego. E appena Jacqueline si sarà ripresa, andate via, per carità! Non vi fa bene stare qui… -
- No! – protestò Jacqueline, sollevandosi e mettendosi a sedere. – Henri, siamo venute perché io devo parlarvi, di una questione molto importante. Vi prego, procuratemi invece una sedia e un bicchiere d’acqua. Vi assicuro che sto bene, è stato solo un mancamento… -
- Ha ragione. – intervenne Elenoire – Quello che dobbiamo dirvi è importante. E poi Jacqueline adesso sta bene, non vi preoccupate, doveva solo fare un po’ di scena, come al solito… - continuò ridendo.
- Elenoire! Sei un’ingrata! – protestò Jacqueline, arrossendo.
Henri guardò prima l’una poi l’altra, infine prese delicatamente Jacqueline per la vita e l’aiutò ad alzarsi. Quindi le avvicinò una sedia e quando la giovane si fu accomodata andò a prenderle l’acqua. Poi recuperò altre due sedie, una per sé e una per Elenoire.
- Se siete così decise a rimanere qui, signore, non mi resta che ascoltarvi. Cosa dovete dirmi? -
Jacqueline si sentì prendere dal timore. Non aveva ancora pensato a quale reazione avrebbe potuto avere Henri alle sue richieste. E se si fosse adirato con lei? Se si fosse rifiutato di rispondere? La fanciulla alzò gli occhi e incontrò quelli azzurri e dolci di lui. Fu quello sguardo a rassicurarla, come se Henri le stesse dicendo: parla senza paura, Jacqueline, io non potrei mai arrabbiarmi con te.
Cercando di essere il più precisa possibile, gli raccontò di come Claude Renard avesse iniziato a corteggiare la contessina Jeannette de Meunier, di come i genitori di lei avessero preso in considerazione l’idea di un matrimonio tra loro e di come Jeannette intendesse opporsi ad ogni costo. 
- La contessina trova molto strano che il vecchio conte de Rolland non abbia lasciato alcun testamento ed è arrivata a nutrire il sospetto che Claude Renard abbia fatto qualcosa di illegale per ottenere l’eredità. – concluse, tutto d’un fiato.
Questa dichiarazione fu seguita da un silenzio teso. Infine Henri si alzò con un sospiro e si avvicinò alla finestra.
- Mio padre mi ha rinnegato per molti anni, – disse, come parlando più a sé stesso che alle duchessine – ma pochi mesi prima della sua morte mi disse che intendeva riconoscermi e lasciarmi tutte le sue sostanze. Disse che preferiva che tutto ciò che amava andasse a suo figlio piuttosto che a un parente lontano. Pensava che io avrei apprezzato e rispettato tutto ciò che mi avrebbe lasciato, anche gli oggetti più antiquati. Voi non siete state, immagino, nel suo palazzo: beh, è pieno di pezzi d’antiquariato, alcuni sono belli, altri orribili, ma ciascuno ha la sua storia. Mio padre pensava, a ragione, che io ne avrei compreso il valore. Mi chiese perdono per non aver creduto subito che fossi sangue del suo sangue e purtroppo la sua richiesta giungeva molto tardi: mia madre infatti era già morta da due anni e lei, poveretta, aveva sperato per tutta la vita proprio in questo miracolo. Io comunque, dopo una prima reazione molto negativa, deposi l’orgoglio e perdonai mio padre. Ora mi pento amaramente di aver impiegato tanti giorni a capitolare. Se avessi ceduto subito, forse ora sarebbe tutto diverso. -
Henri strinse i pugni in un gesto nervoso. Jacqueline non aveva staccato gli occhi da lui per un solo istante, durante tutto il suo discorso, toccata dalla sua sofferenza.
- Cosa accadde poi? – chiese.
Inaspettatamente Henri, scoppiò in una risata amara: - Cosa accadde? Arrivò quell’altro, ecco cosa accadde! Spuntò fuori dal nulla, anzi da Marsiglia, se vogliamo essere precisi e dichiarò di essere l’unico nipote del conte de Rolland! E disgraziatamente questo è vero. -
- Ma vostro padre come prese la cosa? – chiese ancora Jacqueline.
- Non era contento. – ammise Henri, voltandosi verso di lei – Disse che quel giovanotto non gli piaceva e che per quanto lo riguardava non gli avrebbe lasciato neanche un centesimo. -
- Quindi era ben deciso a lasciare tutto a voi! – saltò su Elenoire, euforica – Allora com’è possibile che non abbia provveduto a riconoscervi come figlio e al testamento? -
Henri le lanciò un’occhiata fugace, poi tornò a guardare verso la finestra.
- Non so cosa sia successo. – mormorò – All’improvviso sono stato avvisato che mio padre era molto malato, dal vecchio maggiordomo del palazzo, Francis, il quale si era affezionato a me nel breve tempo in cui mi aveva conosciuto. Francis era piuttosto stupito che io non fossi ancora andato a trovarlo, ma è stato perché non sapevo nulla. Claude Renard si era piazzato in casa e non aveva certo pensato di dirmi che mio padre stava morendo. -
 Jacqueline aveva ascoltato con molta attenzione il racconto e le ultime parole di Henri la lasciarono più che mai inquieta. Un sospetto mostruoso si formò nella sua mente e per un momento la fanciulla se ne vergognò; ma poi guardò Henri, considerò quanto fosse dolce e nobile e desiderò più che mai aiutarlo. Di nuovo, alzò gli occhi per incontrare i suoi.
- Credete che…? – iniziò.
- Credo che Claude Renard si sia macchiato di almeno un crimine. Potrebbe aver nascosto un testamento. O potrebbe aver causato la morte di mio padre. O entrambe le cose. – rispose Henri, pacato, gli occhi azzurri improvvisamente limpidi e brillanti come zaffiri.
Jacqueline si alzò e gli si avvicinò. Senza alcun timore gli posò una mano guantata sul braccio.
- Allora dobbiamo dimostrarlo, prima che sposi la contessina Jeannette. – disse, con decisione.
- C’è un’altra cosa. – intervenne Elenoire, aggrottando la fronte – Henri, è possibile che in tutto questo sia coinvolto anche il marchese de Blanchard? La povera Jeannette teme di sì e teme che lui sia scomparso nel nulla in seguito a qualcosa che ha fatto… -
- Oh, è molto probabile che il signorino sia coinvolto! – affermò Henri, il tono carico di disprezzo – Quell’allocco del marchesino de Blanchard si farebbe manipolare anche da una formica! Parla troppo e ascolta troppo poco, in breve. Mi sono sempre chiesto come mai una donna dell’intelligenza della contessina de Meunier abbia potuto innamorarsene. -
- Non disprezzate la povera Jeannette! – disse Jacqueline – Ha sofferto molto. -
- Già, ha sofferto molto per un idiota! Lui e Renard erano ottimi amici, il marchesino beveva ogni parola che il suo illustre compare diceva e per colmo di sfortuna era anche molto amico del conte. Sapete com’è… manie religiose in comune… -
- Manie religiose? – s’informò Elenoire, curiosa.
- Oh sì. Oserei dire che il più grande difetto di mio padre fosse proprio l’eccessiva fede, che comunque non gli ha impedito di generare un figlio illegittimo, fuori dal sacro vincolo del matrimonio. Il marchese de Blanchard lo ammirava molto per le sue idee e discuteva spesso con lui di questioni teologiche, almeno così mi è stato riferito. -
- Quindi è possibile che, come dice Jeannettte, il povero Maximillen sapesse qualcosa di troppo, che magari Claude è riuscito a scoprire? – rifletté Jacqueline.
- Possibile. Tuttavia, il marchese è scomparso nel nulla e noi stiamo qui a parlare a vuoto. Perché siete qui, mie signore? Io non posso aiutarvi. -
- Invece potete! – s’infiammò Elenoire – Non dovete rinunciare ai vostri diritti in modo tanto codardo! Jeannette e il dottor Gaillard ci aiuteranno, tutti insieme faremo in modo di scoprire la verità! Dobbiamo impedire il matrimonio tra Claude e la contessina e farvi riavere il vostro titolo di conte! -
- Elenoire, adesso calmati! – disse Jacqueline, un po’ allarmata – Monsieur Dupois ha bisogno di riflettere. Vieni, lasciamolo solo, abbiamo disturbato già abbastanza. -
- Oh no, Jacqueline, aspettate! – rispose Henri, in fretta – Non andatevene, c’è qualcosa che debbo dirvi e se non potrò farlo ora, non lo farò più. -
 

 
- No! No, no, no! -
- Jeannette, cara, rifletti… -
- Riflettere? Riflettere?! Mamma, tu non sai quello che dici! Mi chiedi di riflettere? Io ho già riflettuto e ho già deciso! Non sposerò monsieur Renard, per nessuna ragione al mondo! -
- Mia cara, lui è monsieur Claude Laurent Renard de Rolland, debbo rammentartelo? -
- Lui non è il conte de Rolland! Si è appropriato di quel titolo con l’inganno, io ne sono certa! Il conte aveva un figlio a cui spettava di diritto ogni suo avere e il nome de Rolland! -
- Un figlio illegittimo, Jeannette… -
- Ma sempre un figlio! Mamma, rifletti! E ti prego, pensa a Jacqueline! Ti sembra onorevole il modo in cui l’ha trattata? Come puoi permettere che un uomo del genere corteggi me? -
- E a te, mia cara, sembra onorevole il modo in cui ti sei comportata in tutti questi mesi? - 
Le parole di sua madre furono come uno schiaffo in pieno viso. Jeannette non trovò il coraggio di ribattere e sentì le lacrime pungerle gli occhi.
- Mamma, questo non è giusto… - cercò di dire, in tono sottomesso – Tu sai quanto ho sofferto… e sai quanto soffro ancora. -
- La tua sofferenza ti ha indotta a comportarti in un modo tale da disonorarci tutti. Solo adesso le acque cominciano a calmarsi. Non mi sembra proprio il caso di fare paragoni. Certo, monsieur Renard avrebbe potuto comportarsi meglio con la tua amica Jacqueline, ma io personalmente non lo disprezzo. In ogni caso, non disprezzo un matrimonio tra te e lui. Tesoro, non pretenderai di poter trovare il principe azzurro, nelle tue condizioni, vero? -
La contessa aveva parlato con tenerezza, ma per Jeannette ogni sua parola, ogni velata accusa era come un coltello piantato nel fianco. All’improvviso sentì crescere dentro di sé una rabbia mai provata prima, e il desiderio di sfogarla, il prima possibile. Il fatto che sua madre non volesse capire come si sentiva, il suo ignorarla ad ogni costo, la faceva infuriare.
- Io non voglio il principe azzurro! – urlò, sorprendendo la contessa che sobbalzò sulla poltrona – io l’aveva il mio principe azzurro, era Maximillen! E se non posso avere lui, non voglio nessun altro! Hai capito, mamma? Nessun altro! – E nel dire questo, la contessina Jeannette Françoise de Meunier afferrò un gigantesco vaso che troneggiava su un tavolino lì accanto e lo sbatté violentemente a terra, mandandolo in frantumi e producendo un baccano assordante.
La contessa sua madre diede un grido e si riparò con il ventaglio dalle schegge di vetro. Mentre due domestiche accorrevano a raccogliere i cocci e a pulire il pavimento, nel salotto regnò un silenzio teso. Jeannette rimase ferma, a testa bassa, mentre la sua rabbia lasciava il posto a un’immensa tristezza.
Infine fu sua madre a parlare:
- Jeannette, vedo che nonostante le amorevoli cure di noi tutti, sei ancora malata. Non ti rimproverò per il vaso o per la tua condotta. Ora va’ in camera tua e attendi. Io farò chiamare il dottore. -
Jeannette spalancò gli occhi per la sorpresa e l’orrore. Si tappò la bocca con una mano e fece come la contessa le aveva ordinato.
Giunta in camera sua si gettò sul letto e pianse a lungo, sfogando così il suo dolore e la sua rabbia contro il resto del mondo. 
Era ancora accasciata contro i cuscini quando sentì la porta aprirsi dolcemente. Si sollevò e non appena vide chi era arrivato balzò in piedi.
- Julien! – esclamò tra i singhiozzi, correndo incontro al dottore – Oh, Julien, grazie al Cielo sei qui! -


 
Jacqueline attese che Henri parlasse, ma il giovane guardò Elenoire e disse in tono molto serio:
- Duchessina, vorreste fidarvi di me e lasciarmi parlare da solo con vostra sorella per qualche minuto? Mi conoscete bene, sapete che non offenderei madmoiselle Jacqueline in alcun modo. -
Jacqueline avrebbe voluto dire che qualsiasi cosa volesse dire Henri, avrebbe potuto essere ascoltata anche da Elenoire, ma quest’ultima la precedette e disse in ton solenne che naturalmente si fidava e naturalmente avrebbe aspettato in un’altra stanza.
- Però tu mi devi un favore, - aggiunse, rivolta a lei – la prossima volta che vorrò stare da sola con Jean Michael non farai obiezioni! -
Jacqueline non poté far altro che sorridere.
Quando Elenoire fu scomparsa in una camera attigua al soggiorno in cui si trovavano, tra Jacqueline ed Henri calò di nuovo il silenzio.
Poi il giovane si avvicinò: inspiegabilmente Jacqueline sentì il cuore battere più forte e lo guardò interrogativamente. La sua sorpresa aumentò quando Henri si inginocchiò, per poterla guardare in viso e le prese delicatamente una mano.
- Jacqueline, c’è una cosa che vorrei sapere. – esordì.
- Cosa? – chiese la fanciulla, confusa.
- Vorrei sapere se adesso siete guarita. -
- Oh sì! – rispose Jacqueline con calore – Le vostre parole, all’uscita dalla chiesa mi hanno fatto tanto bene, sapete? Ora non soffro più per quello che è successo. -
Henri la guardò negli occhi.
- Voi amavate davvero Claude Renard? – chiese.
Jacqueline avrebbe voluto rispondergli che quella era una domanda inopportuna, invece si ritrovò a dire: - Dopotutto, credo di no. Ne ero infatuata e ho sofferto molto soprattutto perché mi feriva il fatto di non aver capito che voleva solo i miei soldi, ma il mio cuore non è stato frantumato, anche se all’inizio a me è sembrato che fosse proprio così. -
- E adesso volete davvero aiutarmi? -
- Certo. -
- Ma perché? Per la vostra amica, perché possa evitare delle nozze sgradite?
Jacqueline distolse lo sguardo.
- No, non solo per quello . – mormorò timidamente.
- Perché, allora? -
- Henri, io… -
Ma all’improvviso il giovane le prese le mani e la costrinse a guardarlo di nuovo negli occhi.
- Jacqueline, ascoltatemi! Adesso che la speranza di riavere ciò che mi spetta è rinata in me, è giunto il momento che voi conosciate i miei sentimenti. Avevo giurato a me stesso che non avrei mai più pensato a voi, perché non avevo nulla da offrirvi… e anche adesso, maledizione, non ho nulla, nulla! E siccome non riesco a immaginare come possiate voi, aiutarmi a diventare ciò che dovrei essere, forse è una speranza folle. Ma se un giorno riuscissi a diventare Henri Sebastian conte de Rolland, allora, Jacqueline, vorreste sposarmi? Io vi amo! Vi amo con tutto il mio essere! Quando vostra madre mi ha allontanato da voi è stato come morire… Non oso sperare che amiate un povero fallito come me, ma volevo che sapeste… volevo parlarvi soltanto una volta di quello che provo… -
Jacqueline si appoggiò allo schienale della sedia. Tremava.
Quando aveva accettato di andare a parlare ad Henri non si era aspettata un dialogo tanto intimo, né tanto meno una dichiarazione d’amore. Aveva dovuto confessare a sé stessa che l’idea di rivederlo la elettrizzava, e che non poteva fare a meno di pensare a lui in continuazione, ma non era arrivata a immaginare che i sentimenti che aveva soffocato per oltre un anno fossero ricambiati. C’era stato un tempo in cui aveva osato sognare che Henri l’amasse, ma quel tempo era stato dimenticato quando aveva conosciuto Claude e poi, dopo che le cose erano andate tanto male, Jacqueline si era sentita quasi indegna di rievocare quei ricordi.
Invece ecco che Henri aveva parlato, le aveva detto tutto ciò che una piccola parte di lei aveva sperato di sentire. E quelle parole sincere, sconnesse e piene di commozione agivano sul suo cuore come l’acqua e il sole su un fiore quasi appassito. Jacqueline si sentì rinascere, all’improvviso ebbe voglia di ridere, di ballare, di gettare le braccia al collo di Henri, caro, dolce, meraviglioso Henri…
Tuttavia, cercò di controllarsi, anche per non insospettire Elenoire, che era a portata d’orecchi.
Dolcemente, liberò una mano da quelle di Henri, per sfiorargli una guancia.
- Henri, - chiese, con voce tremula – dite davvero? Voi mi amate? -
- Vi ho amata sempre, mio tesoro. Me ne sono reso conto soltanto negli ultimi mesi in cui ho frequentato la vostra casa. Quando me ne sono andato ho cercato di dimenticarvi, ma non ci sono riuscito. -
- Nemmeno io ci sono riuscita. – rispose allora Jacqueline, seria.
Henri la guardò, incredulo.
- Davvero, Henri, non mi sto prendendo gioco di voi. – La fanciulla prese di nuovo le mani del giovane ed entrambi si alzarono. – Anch’io vi amo. E intendo sposarvi chiunque voi siate. Sarò madame Dupois, o la contessa de Rolland e per me non cambierà niente. -
- Ma Jacqueline, voi non potete… -
- Posso e voglio! Nessuno me lo impedirà. - 
- Jacqueline, amore mio… non posso permetterlo… -
- Oh, Henri, smettila per una volta di essere l’uomo più onorevole che io conosca… e baciami! – dichiarò Jacqueline e non fece a tempo a sorprendersi per la propria audacia, perché Henri finalmente cedette e rispose alla sua richiesta baciandola con passione sulle labbra. Jacqueline allora comprese soltanto che il suo cuore era tornato intero e forte e, felice come non era mai stata in vita sua, gettò le braccia al collo dell’amato e restituì il bacio con tutta sé stessa. Dimenticò il luogo in cui si trovava e si abbandonò all’abbraccio protettivo e forte di Henri, comprendendo di aver desiderato quell’abbraccio per tutta la vita.
Fu con grande sforzo che infine si separò da lui. Henri le accarezzò una guancia e Jacqueline vide che aveva gli occhi umidi.
- Elenoire! – chiamò.
Sua sorella comparve immediatamente. Non parve stupita di vederli tanto vicini e Jacqueline capì che doveva aver sentito tutto.
- Elenoire, cara, voglio che tu sappia che io amo Henri e che intendo sposarlo, quale che sia la sua posizione sociale. -
Elenoire si aprì allora in un sorriso raggiante e le corse incontro. Abbracciò prima lei, poi Henri e disse: - Oh, io lo sapevo, lo sapevo! Non preoccupatevi, andrà tutto bene, sistemeremo questa faccenda e certo che voi due vi sposerete! La primavera prossima andrà benissimo! -
 
 
 
Il dottor Julien Gaillard abitava in un lussuoso appartamento all’interno di un grande palazzo in un ricco quartiere parigino. Non amava molto la vita mondana, ma gli piacevano le comodità e ai suoi sopiti non faceva mai mancare nulla. Il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, era particolarmente contento di aver indetto a casa sua una riunione segreta e, ritenendo che ordire un complotto fosse un’attività piuttosto faticosa, aveva ordinato un pranzo ricco e abbondante per tutti i… congiurati.
Gli ospiti del dottor Gaillard erano la contessina Jeannette de Meunier (sfuggita per miracolo alla sorveglianza della sua famiglia), monsieur Henri Dupois e l’intera famiglia de Chalange: infatti, non erano presenti soltanto le duchessine Jacqueline ed Elenoire, ma anche il duca Jean Michael e perfino la marchesa Marie Victorie de Leclerc, messa al corrente di tutta la faccenda dalle figliole.
Scopo della riunione: trovare il modo di incastrare Claude Renard, di scoprire dove fosse il marchese Maximillen de Blanchard e restituire a Henri il titolo di conte.
- Il punto debole di Claude Renard è la sua amante, madmoiselle Fleur Boyer. – disse Henri – Se minacciassimo di farle del male, Claude forse parlerebbe. Ella è l’unica persona che gli sia davvero vicina. -
- No, - lo contraddisse Jean Michael – dobbiamo fare esattamente il contrario: Claude sarebbe perfettamente capace di lasciare la sua amante nelle nostre mani, non gli importa niente di lei, ma se invece minacceremo di nuocere a lui, la Boyer parlerà di sicuro. -
- E’ vero, perché lei lo ama! – s’intromise Elenoire, eccitata.
- Ottima idea! – approvò il dottore – Signori, per quanto sgradevole possa essere, penso che dovremmo sorprenderli mentre sono insieme. -
- Insieme?! Ma… è crudele… – fece Jacqueline inorridita.
- E io terrò ferma la Boyer! – sibilò Jeannette, trionfante.
- Anch’io! – rincarò Elenoire a voce troppo alta.
- Tu non farai proprio niente! – la riprese la marchesa – Voglio che tu e Jacqueline stiate fuori da questa faccenda! Jeannette, anche tu, ragiona, ti prego… -
- No, madame, io non me ne starò a guardare! – replicò Jeannette con gli occhi sfavillanti – Devo essere presente quando quel depravato confesserà dov’è finito il mio promesso sposo! -
- Penso che la contessina sia in diritto di fare ciò che desidera. – disse Julien Gaillard alla marchesa – Ma naturalmente comprendo il vostro desiderio di tenere le vostre figlie lontane dalla scena. -
- Basterò io. – dichiarò fieramente la marchesa – Se Jeannette insiste a voler venire, lei ed io ci occuperemo di madmoiselle Boyer. -
- E noi uomini siamo in tre. – rifletté Jean Michael – Dovremmo farcela a trattenere Claude. Anche perché quando lo sorprenderemo sarà disarmato. -
- Starete attenti? – chiese Jacqueline, ansiosa.
- Ma certo. – la rassicurò dolcemente Henri – Signori, quando agiremo? -
- Io propongo domani sera. – disse Julien.
Tutti si guardarono l’un l’altro.
- Domani sera. – confermò Jean Michael.
- Domani. – disse Jeannette tra i denti.
- Domani. – concluse Henri, solennemente.





Buongiorno a tutti! Scusate il ritardo, ma in questo periodo sono impegnatissima! Se tra voi c'è qualcuno che sta seguendo anche l'altra mia storia "Sinfonia Fantastica", mi scuso doppiamente per il ritardo nell'aggiornamento. Spero di essere più libera prossimamente per riprendere a scrivere con calma!
Allora, siete pronti per l'ultimo capitolo? Sì, proprio l'ultimo, nel quale tutti gli intrighi saranno svelati! Spero che questo che avete appena letto vi sia piaciuto e che avrete voglia di farmelo sapere in una recensione!
Un bacione a tutti e buon sabato!
Niniane

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***





 
Capitolo X


Un discreto battere all’uscio costrinse Fleur Boyer ad alzarsi svogliatamente del letto.
- Ma chi può essere a quest’ora? – le chiese Claude, vagamente perplesso. Dopo l’ennesimo, violento litigio causato dalla gelosia della modella per la contessina Jeannette de Meunier, ormai fidanzata ufficialmente a monsieur Renard, si erano finalmente concessi una tregua e si sarebbero senz’altro addormentati ben presto se quel colpo alla porta non li avesse fatti sussultare.
- Non so chi possa essere. Forse qualche altro pittore squattrinato e idiota. – rispose la donna al suo amante.
- E tu mandalo via senza tanti complimenti. -
Fleur fece girare la chiave e socchiuse l’uscio quel tanto che bastava per vedere chi ci fosse all’esterno. Fece per dire che a quell’ora non riceveva nessuno, ma le parole le morirono in gola quando vide innanzi a sé la pallida figura di una donna.
- Madame…? - disse, incerta. Quella donna era un’aristocratica, ne era certa, lei quelle nobildonne le riconosceva all’istante: mantella di lana pesante con bordo di pelliccia, capelli perfettamente in ordine, profumo di cipria, guanti e manicotto.
- Chi siete, madame? – chiese cortesemente alla sconosciuta – Posso esservi d’aiuto? -
- Sono la Marchesa Marie Victorie de Leclerc. – rispose quella, in tono sommesso – Siete voi madmoiselle Fleur Eloise Boyer? -
Leclerc? Ma quello non era il nome della madre della duchessina…?
- Non temete, - disse ancora la dama – non intendo certo prendervi a schiaffi come fece la mia incauta figlia minore. Spero l’abbiate perdonata, era affranta per la sorte toccata alla sorella e ha perso la testa. Io desidero solo parlarvi n momento. -
- Non porto rancore alla bambina. – rispose Fleur, un po’ spaesata. Quella donna voleva parlare con lei? E di che cosa? E soprattutto, perché a quell’ora?
- E’ molto tardi, madame. – si scusò – Domani forse… -
- Domani non potrò tornare. – si giustificò la marchesa, con voce dolce – Porterò le mie figlie a Lione e trascorreremo un mese o forse due con alcuni nostri parenti. Abbiamo bisogno di allontanarci da Parigi, per un po’.  Vi prego di perdonare la mia intrusione, non vi ruberò molto tempo. -
Rifiutare le richieste di un’aristocratica non era mai una buona idea, si disse Fleur. Dunque doveva far entrare in casa quella donna; il problema però, era la presenza di Claude nella sua camera da letto. La marchesa lo sapeva? Era saggio farli incontrare?
No, decisamente no, si disse la modella.
- Venite, madame de Leclerc. – disse quindi ad alta voce, in modo che il suo amante la sentisse chiaramente. – Qui nel mio piccolo salotto potremo parlare tranquillamente. Ma vi prego, sono davvero molto stanca… -
- Come ho già detto non ci metterò molto. – rispose con gentilezza la marchesa, seguendola.
L’appartamento occupato da Fleur era piuttosto grande, anche se tutt’altro che lussuoso. La modella condusse la sua ospite lungo un piccolo corridoio e poi a sinistra, dove si trovava appunto il salotto. Non richiuse a chiave la porta, pensando che si sarebbe liberata presto della marchesa, qualunque cosa volesse dirle: era davvero stanca, dopo la giornata di lavoro e dopo il litigio con Claude. Sarebbero andati avanti così, tutta la vita, fra notti di passione e litigi? E poi, il peggio era che tra un insulto e l’altro non era riuscita a dargli la notizia che aveva cambiato tutta la sua vita.
Giunta al centro del salotto si voltò verso la sua ospite e fece per dire qualcosa, ma un gran fracasso proveniente dalla camera da letto la distrasse.
- Ma cosa…? – esclamò, e fece per lanciarsi fuori dalla stanza.
Due braccia, quelle della marchesa de Leclerc la afferrarono con forza, molta più forza di quanta avrebbe dovuto avere una donna del suo rango, abituata a sete e velluti.
Sbalordita, Fleur cercò di dibattersi, ma prima che fosse riuscita anche solo a rendersi del tutto conto di ciò che stava succedendo, una lama balenò nell’aria e sfiorò la sua gola.
- Attenta, sgualdrinella, non muoverti o potrei farti male. -
Jeannette. Nientemeno che la contessina Jeannette de Meunier stava stringendo tra le mani quella lama, e i suoi occhi erano illuminati da una luce di determinazione che Fleur non aveva mai visto.
- Ma cosa volete farmi? – chiese allora, disperata – Che cosa vi ho fatto? Claude! – chiamò. Dov’era Claude, perché non veniva ad aiutarla?
- Non preoccuparti, ti portiamo noi da lui! – le disse in tono fintamente mielato la contessina, senza allontanare la lama dal suo collo – E non tentare di scappare, non arriveresti neanche alla porta. -
Spaventata, Fleur si lasciò trascinare fuori dal salotto dalle sue aguzzine.
Giunta in camera ebbe un altro shock.
Claude era inchiodato al letto, seminudo e scarmigliato. A tenerlo fermo erano in due: un giovane che Fleur identificò come Jean Michael duca de Chalange e un uomo più maturo che riconobbe con stupore come il dottor Julien Gaillard. 
Ma era Henri Sebastian Dupois, il figlio illegittimo del conte de Rolland a premere una lama lunga e sottile contro la sua gola. E sulla lama, Fleur vide spiccare con orrore lo stemma della famiglia Rolland.
Che diavolo stava succedendo?
- Claude?! – gridò, ma la lama del coltello brandito dalla contessina si avvicinò in modo inquietante al suo collo, mentre la spada di Henri insidiava sempre più la gola di Claude.
- Non gridare. – ordinò Jeannette – O qui qualcuno si farà del male. -
Fleur tacque, atterrita e si limitò a supplicare Claude con lo sguardo. Lui però non accennava a muoversi: per la prima volta da quando lo conosceva Fleur lo vide veramente impaurito. Era disarmato e senza spada, o senza pistola era un uomo come gli altri, non era dotato di una forza fisica eccezionale e certo non avrebbe potuto liberarsi dalla morsa delle braccia del duca e del dottore. Non con la lama di Dupois puntata alla gola e più che pronta per un colpo fatale…
Fu proprio Henri a prendere la parola, in un sussurro che risuonò come un grido nella stanza silenziosa.
- Vogliamo sapere molte cose. La prima: che cosa è accaduto al marchese Maximillen Cleménte de Blanchard. Voi lo sapete, non è vero? -
Claude negò immediatamente. – Non ne so nulla. – disse con voce roca – E’ scomparso senza avvertire nessuno… -
La voce di Jeannette lo interruppe. Fleur sobbalzò quando la giovane si rivolse direttamente a lei:
- Tu ne sai niente? – chiese, tagliente – Se sai qualcosa parla e in fretta… o lui muore. - 
Fleur avrebbe voluto con tutto il cuore possedere in quel momento il coraggio di cui si vantava spesso. Era mai stata coraggiosa, davvero? Aveva sempre pensato di esserlo stata, in molte situazioni. Ora capiva di non essersi mai trovata davvero in pericolo:non aveva mai affrontato una prova come quella.
La lama che premeva sulla pelle di Claude, il suo amato Claude, le faceva troppa paura. Era certa che Jeannette non scherzasse: Henri Dupois aveva un’espressione davvero truce dipinta in volto. E lei non poteva far nulla, anche lei era minacciata e le braccia della marchesa (ma quanto era forte quella maledetta donna?) continuavano a bloccarla, insieme alla lama del coltello di Jeannette…
- Il marchese sapeva dove il conte de Rolland aveva nascosto il testamento, perché aveva fatto da testimone per il notaio. – disse in un soffio.
- Non dirglielo! – urlò Claude.
Fleur non gli badò. – Ha detto a Claude dov’era e che cosa c’era scritto, perché pensava che il conte sragionasse quando parlava di voler riconoscere suo figlio. Hanno corrotto il notaio in modo che dichiarasse il documento non valido, il marchese ha speso molti soldi per questo. –
- Tu menti! – sibilò Jeannette inorridita.
- Io non mento, è tutto vero! – continuò Fleur, disperata – Il marchese poi si è pentito di ciò che aveva fatto ed è fuggito per la vergogna, ecco cos’è successo! -
Gli occhi di Jeannette erano ridotti a due fessure.
- E dov’è andato? – sussurrò in tono glaciale.
- In Italia, all’abbazia di Montecassino. -
- Molto bene! – annunciò il duca de Chalange – Adesso diteci cosa c’era scritto nel testamento e dov’è finito. -
- Fleur, non dirgli niente! – implorò Claude dal letto – Piuttosto morirò. -
La donna non riuscì a credere alle proprie orecchie. Claude era disposto a morire per un testamento? Era pazzo, forse?
Beh, lei non l’avrebbe permesso: anche se era un bugiardo, un ricattatore, un arrampicatore sociale, un seduttore incallito e un giocatore d’azzardo lei lo amava ugualmente. E proprio in quel momento, alla presenza di tanti estranei, di cui tre uomini, con la minaccia incombente della morte, sentì che doveva dirgli tutto.
- No, Claude, io non posso permettere che tu muoia. Io sono incinta! -
La sua rivelazione fu seguita da un silenzio sbalordito. Forse fu solo una suggestione, ma le parve che la braccia della marchesa allentassero appena la presa su di lei, come se la sua nemica, in qualche modo, si fosse impietosita e non volesse farle del male quanto prima.
Fleur pensò, per un istante, che forse avrebbe potuto provare a liberarsi, ma poi rinunciò al proposito: ormai aveva parlato ed era inutile tentare di rimediare. L’importante era salvare la sua vita, quella del bambino che portava in grembo e quella di Claude.
- Il testamento è ancora in mano al notaio. C’è scritto tutto: il conte ha lasciato ogni cosa al suo unico figlio, incluso il titolo nobiliare. - disse.
Vide la mano di Henri tremare appena, ma il giovane non allontanò la spada da Claude.
- Denunceremo il notaio alla polizia. – disse invece – Faremo in modo di non coinvolgere il marchese de Blanchard, se sarà possibile. Claude Laurent Renard sarà incarcerato per corruzione. -
- No! – singhiozzò Fleur.
- Pensate che potremmo evitare di coinvolgerlo? – disse con gentilezza sincera il dottor Gaillard, parlando per la prima volta – No, madmoiselle, è impossibile. -
- E allora incarcerate anche il marchese! – proruppe Fleur angosciata – Perché a lui dev’essere riservato un trattamento speciale? -
- Perché ha agito in buona fede, a differenza di quest’uomo. – rispose Henri – Il marchese è stato uno sciocco e indubbiamente non ha valutato bene la situazione prima di agire, ma era sinceramente convinto che il conte non avesse affatto un figlio. Nessuno sapeva della mia esistenza, in quanto suo discendente, fino a pochi mesi fa. -
- Il marchese è stato un bell’idiota. – commentò il duca – Intanto vedremo di scoprire che ne è stato di lui, poi decideremo sul da farsi. -
- E ora andiamocene di qui. – concluse Henri – Consegneremo quest’infame alla polizia insieme al suo complice. -
- Lasciate almeno che gli parli un momento da sola… - implorò Fleur. Non riusciva a credere che stesse accadendo tutto ciò, doveva essere per forza un brutto sogno.
- Lasciate che si salutino. – disse inaspettatamente la marchesa. – Noi saremo tutti qui fuori. – aggiunse.
- E questo lo prendo io! – disse allegramente il duca, afferrando il pugnale di Claude che giaceva inutile su di una cassapanca.
- Anche questa. – aggiunse il dottore, appropriandosi della pistola, anch’essa posata lì accanto.
- Io resto qui. – disse Henri – non mi fiderò mai e poi mai di Claude Renard. – E si piazzò accanto alla finestra, sempre brandendo la sua spada.
Fleur capì che non aveva altra scelta che salutare Claude in quelle condizioni. Quando tutti tranne Henri furono usciti gli corse incontro e si gettò tra le sue braccia, piangendo.
Claude la strinse forte.
- Davvero sei incinta? – le chiese.
- Sì, davvero. Un mese, credo. -
- Perché non me l’hai detto? -
- Volevo dirtelo stasera… -
- Mi dispiace moltissimo, Fleur. Non potrò vederlo quando nascerà. Però tornerò presto, vedrai e lo cresceremo insieme. Mi aspetterai? Ti giuro che tornerò. -
- Ti conviene. Perché se non tornerai, appena uscito dal carcere, io verrò a cercarti e ti ammazzerò con le mie mani! -
Claude rise.
- Tornerò, non temere. Sii forte. -
- Lo sarò. -
- E… Fleur? -
- Sì? -
- Io… credo di amarti, dopotutto. -
Non era proprio la dichiarazione che aveva sognato per anni, si disse Fleur con immensa tristezza, ma era meglio di niente.
- Addio Claude. Abbi cura di te. – mormorò.
Poi, scortati da Henri, lasciarono insieme la stanza.


 
- Sono tornati! – trillò Jacqueline.
Elenoire saltò giù dal letto e un attimo dopo le due sorelle correvano ad aprire il portone d’ingresso. Non avevano potuto dormire, naturalmente: erano troppo in ansia per la loro adorata mamma e per i loro fidanzati, valorosi e intrepidi, e anche per la loro amica Jeannette e per il caro dottor Julien. 
Le due fanciulle volarono letteralmente tra le braccia di Jean Michael e di Henri e poi in quelle della marchesa.
- E’ tutto finito? – chiese Elenoire, eccitatissima – Davvero? - 
- Davvero. – confermò Henri, con un sorriso luminoso. – E’ finita. -


 
Non era davvero finita: Claude era stato arrestato immediatamente, dopo che Henri e gli altri lo avevano condotto fuori dalla casa della sua amante, ma il giorno seguente all’evento, si dovette cercare alla svelta il notaio che era stato suo complice, monsieur Marius Picard. L’uomo, venuto chissà come a conoscenza dell’arresto di Renard tentò di lasciare la città, ma venne fermato ben presto, quando aveva appena raggiunto la periferia.
Il testamento del conte de Rolland venne rinvenuto e con esso tutte le prove che indicavano Henri Sebastian come suo figlio legittimo ed erede di tutte le sue sostanze.
Due settimane dopo, quando Henri si era ormai stabilito al palazzo de Rolland e ogni dubbio sulla sua situazione era stato chiarito, una piccola comitiva partì per l’Italia, diretta all’abbazia di Montecassino: Jeannette, insieme alla sua cameriera personale e a sua madre, Julien, Jean Michael e lo stesso Henri.
Incontrare il marchese de Blanchard non fu semplice, all’inizio, perché in quei lunghi mesi aveva si era trasformato in… frate Giovanni, un oscuro personaggio nato in Italia, ma di origini francesi che si era rifugiato all’abbazia per vivere in solitudine e in contemplazione.
Quando Jeannette lo vide, riconobbe a malapena il suo promesso sposo: Maximillen era stato un ragazzo esuberante e sempre vivace; frate Giovanni era serio e composto, aveva occhi tristi e le labbra curvate da una piega di rassegnazione.
- Mia cara Jeannette. – esordì – Che Dio vi benedica. -
Jeannette non aveva fatto altro che pensare al momento in cui l’avrebbe riabbracciato, ma dinnanzi a quel saluto formale non seppe più come comportarsi.
- Maximillen… - disse con voce tremante – Sono così felice di ritrovarti vivo… -
- So che siete molto adirata nei miei confronti, cara. E avete perfettamente ragione: il mio comportamento è stato ignobile. Quello che ho fatto… -
- So quello che hai fatto. – lo interruppe Jeannette, dandogli del tu come era sempre stato e chiedendosi perché mai egli si ostinasse a darle del voi – So tutto. Non temere, io ti ho perdonato, anche se a causa tua ho sofferto enormemente. Se non fosse stato per le cure del dottor Gaillard, a quest’ora sarei morta e quando ho scoperto la verità sulla tua fuga ho sofferto ancor più di prima. Oggi però sono così felice di rivederti da essere disposta, non solo a perdonarti altre mille volte, ma a dimenticare tutto ciò che è avvenuto. -
- Mia cara, questo vi rende pura e degna di grande rispetto e ammirazione. Dio non mancherà di ricompensarvi per questa vostra bontà. Io però sono ormai segnato: l’unica possibilità che mi resta è espiare le mie colpe in questo luogo santo. -
Jeannette rabbrividì. Come parlava Maximillen?
- Oh no, ti prego, non devi dire così! Tu potrai uscire da qui! Il vero conte de Rolland, Henri, non intende muovere alcuna accusa contro di te, farà in modo di non coinvolgerti nell’inchiesta giudiziaria. E io sono certa che ci riuscirà. Vedrai, potrai tornare a Parigi, o se preferisci andremo altrove, l’importante è che ci andiamo insieme… -
- Jeannette, l’offerta del conte è molto generosa, ma io non la posso accettare. Mi vergognerei a tornare nel mondo dopo essermi comportato in modo tanto vile. E poi, credo che il conte sappia che il modo migliore per non coinvolgermi in alcuna inchiesta sia che io resti qui, dove nessuno sa chi sono. Infine, come vedi, ho preso gli ordini sacri. -
- Ma… dev’esserci un altro modo… - implorò la contessina, disperata.
- Non c’è altra via, Jeannette. E poi, voi non meritate di trascorrere la vostra vita con un uomo che una volta vi ha abbandonata il giorno delle nozze per scappare dalle sue azioni. Voi meritate di meglio: siate felice, sposate qualcuno che sia degno di voi e non rattristatevi per me. Io qui sento di essere al mio posto. Se dovessi tornare in Francia sarebbe un inferno per me e per voi, naturalmente e io non voglio che questo avvenga. Andate, Jeannette: io non vi dimenticherò mai, sarete sempre nelle mie preghiere. -
- Non posso lasciarti qui! – esclamò ancora Jeannette, ma ormai cominciava a capire che non sarebbe riuscita nel suo intento di far uscire dall’abbazia il suo amato. Doveva guardare in faccia la realtà: il marchese de Blanchard, l’uomo che lei aveva amato non esisteva più. Il frate, sereno e austero che aveva di fronte era un’altra persona, un perfetto estraneo. Se l’avesse trascinato fuori di lì, sarebbe tornato mai ad essere ciò che era un tempo? No, Jeannette non lo credeva possibile: era troppo cambiato.
- Ebbene, se non c’è altra soluzione, farò come dici. – gli rispose, sforzandosi di sorridere – Anch’io pregherò per te e sarò felice, come tu desideri. Addio… -
- Addio, Jeannette. -
E con un gesto benedicente, frate Giovanni si allontanò.
Jeannette e i suoi compagni lasciarono l’abbazia il giorno stesso. Ad un certo punto, durante il viaggio, Julien si accostò alla sua amica.
- Farete come vi ha chiesto? Vi sforzerete di essere felice? -
Inaspettatamente Jeannette sorrise.
- Sì. – rispose, sicura – Mi sforzerò di esserlo. -
Ma Julien non poteva immaginare che cosa intendesse dicendo questo.


 
*          *          *


Nel corso dei cinque anni successivi, la famiglia de Chalange fu sulla bocca di tutti grazie ad alcuni avvenimenti che la portarono ad essere la più in vista del momento. 
Sei mesi dopo i fatti sin qui narrati, la duchessina Jacqueline Ophelie sposò il conte Henri Sabastian de Rolland, diventando così la nobildonna più ricca e importante della città. Gli sposi si stabilirono al palazzo del conte e nonostante il prestigio e il fascino che esercitavano su tutti, condussero fin da subito una vita piuttosto ritirata, soprattutto dal momento in cui Jacqueline scoprì di attendere il suo primo figlio.
Tre anni dopo, anche la duchessina Elenoire Denise sposò l’amato cugino Jean Michael, dopo un fidanzamento insolitamente lungo. Del resto, i due si erano fidanzati quando la fanciulla aveva appena quindici anni e non sarebbe stato possibile farli sposare troppo presto. Si stabilirono nella casa del piccolo duca, perché, anche se la marchesa li aveva pregati di restare con lei, e Jacqueline aveva assicurato loro che lei ed Henri sarebbero stati felici di averli a palazzo, desideravano avere una casa che fosse soltanto per loro.
La vera sorpresa, comunque, avvenne l’anno seguente, il 1900, l’anno dell’Esposizione Universale: anche la marchesa Marie Victorie de Leclerc si risposava, ponendo fine alla recente solitudine che aveva seguito i matrimoni delle sue figlie. Lo sposo era un eroe della guerra franco-prussiana, il generale François Marcel Dubois, che la marchesa aveva conosciuto in gioventù e del quale era stata innamorata. Un solo incontro, nel caos dell’Esposizione, era stato sufficiente a farli innamorare di nuovo e questa volta, il generale poteva ambire alla mano di Madame de Leclerc che essendo vedova e non più soggetta alla tutela di genitori rigidi e bigotti era libera di accettare la sua proposta, cosa che fece con grande gioia e con la benedizione delle figlie.
Il dottor Gaillard, al contrario, non si sposò mai: continuò a svolgere il suo onorevole lavoro per moltissimi anni e nessuno seppe mai con certezza se la contessina Jeannette, non più contessa, ma suora presso il convento delle Clarisse di Assisi, fosse rimasta nel suo cuore. Fece però qualcosa di diverso: divenne tutore di Fleur Boyer e del suo bambino, nell’attesa che Claude uscisse dal carcere. La giovane donna non aveva alcuna colpa in ciò che era avvenuto: infondo, era solo una ragazza bella e sfortunata, che si era innamorata di un uomo indegno di lei. Tra Julien e Fleur nacque una tranquilla e sincera amicizia che continuò negli anni a venire, anche quando ella divenne moglie di Claude e insieme al loro bimbo emigrarono in America.
Jeannette fece davvero ciò che il suo amato le aveva chiesto: scoprì di essere felice nel tranquillo convento assisano, dove poteva sentirsi più vicina a lui e vivere isolata dal resto del mondo. Ricordava il tempo in cui aveva amato partecipare alle feste e danzare, danzare…
Per lei quel tempo era finito, ma sentiva che era giusto così. Jacqueline avrebbe danzato ancora, felice, insieme a Henri; Elenoire, naturalmente, Jean Michael, Julien, perfino la marchesa e anche sua madre, la contessa de Meunier.
Jeannette pensò spesso a tutti loro, con affetto e gratitudine per tutto ciò che avevano fatto per lei.
Non rimpianse mai il tempo delle danze, il tempo del valzer.
 
 
FINE

 

 
Buongiorno a tutti!!
Non ho molto da dire, se non ringraziare chiunque sia arrivato alla fine del capitolo e quindi anche della storia! Ho scritto questo racconto più per me stessa che per i lettori di efp, a dire il vero, ma sono comunque contenta che abbia avuto un po’ di successo. Un particolare ringraziamento a: Camilla L, Dills Nightmare, Roweena, Petite Usagi, Alice Nekkina Pattinson e Darkry. Grazie anche a tutte le persone che hanno messo la storia in qualche lista! Aspetto di sapere cosa ne pensate adesso che è finita.
La mia prossima storia sarà molto diversa da questa, vi avviso già. Non ho ancora scelto il titolo perciò non posso pubblicizzarla, ma comparirà presto nella mia pagina autore!
A presto, alla prossima storia, e buona giornata a tutti!
 
Niniane
 
 
 
 

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